L’IDEA RIPARATRICE (7)

L’IDEA RIPARATRICE (7)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO III

Come riparare?

Tutti quanti i Cristiani sono tenuti alla riparazione, noi l’abbiamo visto fin qui: non tutti però debbono riparare allo stesso modo. Una madre di famiglia potrà essere una  « riparatrice », ma non come lo dovrà essere una Suora Carmelitana. – I doveri dello Stato, l’attraimento della grazia divina, l’indirizzo di un buon direttore, sono tre fattori che concorrono a formare lo spirito e la pratica della riparazione in ciascuno di quelli che volonterosi si mettono sulla « Via Regale della Croce ». Premessa questa distinzione del tutto elementare, possiamo determinare due gradi nell’offerta di sé all’idea riparatrice, secondo la parte più o meno grande che si vorrà dare alla Croce nella propria vita. Noi l’abbiamo detto: l’elemento principale in questa materia non è altro che la generosità d’animo: tutti dovranno riparare con una vita ordinaria, i più generosi tenderanno invece ad una vita perfetta.

CAPO PRIMO

COME RIPARARE NELLA VITA CRISTIANA ORDINARIA.

Troppo spesso si crede che per darsi alla Riparazione sia necessario ritirarsi nel silenzio d’un chiostro e nelle austerità della vita monastica, e praticare gli esercizi più duri della penitenza cristiana. Questo è un errore. La Riparazione non consiste in un insieme di pratiche presentate con programma determinato, è piuttosto un indirizzo spirituale che facilmente si adatta alle varie condizioni di vita, supponendo però che questa sia sinceramente cristiana. Un indirizzo spirituale. Quindi prima di ogni altra cosa convien porre per base una chiara conoscenza e un intimo sentimento della verità di un Dio Crocifisso e Crocifisso per noi, ma che aspetta la nostra cooperazione, mentre intorno a noi v’hanno delle anime, e purtroppo sono in gran numero, che vanno perdute. Questa Conoscenza è di somma importanza: eppure quanti Cristiani ne sono totalmente privi! Or bene è appunto nel viver animati intimamente da queste due grandi idee che consiste l’indirizzo spirituale o se si vuole lo spirito di riparazione (Il Can. LEROUX di Bretagna dice molto bene: « La vita riparatrice non è per sé una forma speciale di vita cristiana, ma neppure si può dire che sia una vita comune, poiché non si trova purtroppo presso tutti i fedeli ». E la ragione si è che per l’una parte conviene sforzarsi a menare una vita veramente cristiana, il che è più raro di quanto si creda; e dall’altra parte « le attrattive che sente l’anima che pur cerca di santificarsi non sono sempre verso questo ideale particolare. Può provar desideri anche forti della santità in genere senza fissarsi esplicitamente nella pratica della riparazione ». “La vie reparatrice”). E questo ce spirito » manifesta subito le sue esigenze. Un’anima cristiana dominata dall’idea riparatrice comprende che prima di tutto essa dev’esser fedele alle promesse fatte nel S. Battesimo, ai comandamenti di Dio e della Chiesa, e non solo con una fedeltà trasandata come per lo più accade a molti, ma interamente, rigorosamente, senza scuse, senza transazioni, sia nella vita individuale che in quella sociale e famigliare. L’orizzonte si delinea fin dal principio nella sua vastità. Un romanziere americano prese come tema delle sue opere la seguente storia: Un pastore dovendo preparare il suo sermone scelse come testo: « Ecco la vostra vocazione. Gesù Cristo ha sofferto per voi, questo esempio dev’esser seguito da voi passo a passo fino alla perfezione ». Venuta la domenica egli recita il suo discorso dinanzi ad un uditorio mondano che l’ascolta colla solita attenzione. D’un tratto un vecchio mendicante entra precipitoso e grida: « Come non sentite voi vergogna? Voi che osate cantare: Gesù io presi la mia croce pesante E per seguirti tutto abbandonai? e poi vivete così come fate? ». Al termine della sua sfuriata egli cade morto. Impressione enorme tra gli uditori, anche maggior impressione nell’animo del Pastore. Venuta la domenica seguente egli propone alle sue pecorelle di fondare una lega in cui ciascun membro si obblighi a interrogare se stesso al cominciare di ogni azione: « Che farebbe Gesù se fosse qui in questo momento? ». Molti vi danno il loro nome: degli uomini politici, dei commercianti, dei giornalisti… e tosto in conseguenza della parola data s’accorgono di dover mutar completamente la loro vita. Il sig. E. Norman, direttore del Raymond Daily News, è uno dei segnatari: gli si presenta un lungo articolo sulle corse, tre colonne e mezza. Egli s’interroga: « Se Gesù Cristo avesse la responsabilità del giornale lascerebbe Egli uscire queste tre colonne di scritto così com’è…? …No ». E l’articolo è cestinato. E queste notizie politiche?… E gli annunzi di quarta pagina?… ». E il giornale muore. È questo un romanzo — e portato all’esagerazione; — però l’idea non è cattiva, tutt’altro. Quanta perfezione di vita cristiana si potrebbe facilmente avere se, come gli ascritti alla lega del romanzo americano, noi ci proponessimo di riflettere al cominciare delle nostre azioni: « Qui. a mio posto, in questa circostanza, che farebbe Gesù Cristo? ». E chi non vede che d’un tratto noi avremmo certamente una profonda mutazione nella condotta dei singoli individui, nelle relazioni tra i popoli, nella vita delle famiglie e della società? Studiando la questione, delicata insieme e importantissima ai nostri giorni, del ripopolamento della famiglia, materia in cui purtroppo molti Cristiani mancano ad un preciso loro dovere, un autore diede all’opera sua questo titolo : « La Francia ripopolata dai Cristiani praticanti », titolo con cui si formula tutto un programma mentre si esprime ancora unacondanna. – Come in siffatta materia così in tutte le altre di dominio della morale pubblica nulla si potrà « riparare » senza l’intervento efficace dei veri Cristiani: e ancora conviene che non vengano meno al loro compito ma siano Cristiani intrepidi, tutti d’un pezzo, come si esprimeva L. Veuillot, anche « sfrontati ». Le occasioni di praticar la propria fede fino al sacrifizio non mancano mai per le anime generose. Noi abbiamo già combattuta la tendenza che hanno molti Cristiani a farsi una Religione che non li disturbi troppo. Il Card. Manning scriveva: « Noi viviamo in tempi facili. Chi digiuna ancora ai nostri giorni? ». E vero che la Chiesa si mostra indulgente, tuttavia « riflettiamo che anche ai nostri giorni gli israeliti tre volte nell’anno non prendono cibo alcuno dal levare al tramontar del sole: amaro rimprovero per noi che siamo discepoli di Gesù Crocifisso ». Quali sofferenze non hanno dovuto sostenere durante l’ultima guerra certi nostri soldati, ad esempio quei fucilieri di marina dell’epopea di Dixmude, che dovettero rimanere coi piedi nell’acqua per ventisei giorni senz’altro nutrimento che qualche scatola di conserva? La causa che difendevano ne valeva certo la pena. Ma la causa di Gesù Cristo non è forse più nobile ancora? Perché noi vorremmo limitare i nostri sacrifizi? Intorno a noi che non si fa per seguire il mondo, per adattarsi alla moda del giorno! E per le anime? — Per Gesù Cristo? Noi amiamo piuttosto i crocifissi di lusso, non troppo sofferenti, d’avorio su fondo vellutato. Lasciatecelo ripetere: non son quelli i « veri » crocifissi. I veri sono meno fini e sopra di essi non vi si sta troppo comodamente. Quando Eraclio poté ricuperare la Croce, rimasta per quattordici anni bottino di guerra nelle mani dei persiani di Cosroe, volle portarla egli stesso fino alla sommità del Calvario ed a questo fine rivestì gli abiti regali più sfarzosi, colle perle preziose e la sua corona da imperatore. « Non così, Maestà, gli disse il Vescovo di Gerusalemme, non così! C’è troppo contrasto tra il lusso del vostro abbigliamento e la povertà della Croce ». E l’imperatore cambiò il suo oro e le sue perle con un povero cilicio. La Croce del Salvatore è una croce che crocifigge. Infatti è una vera contraddizione quella che vediamo praticare da molti Cristiani, che pretendono seguire Gesù Cristo e poi mettono ogni cura per evitare le penitenze più semplici e più ordinarie imposte per legge dalla Chiesa. Scherzando il Cardinale Manning si rivolge ad essi: « Permettetemi ch’io vi domandi se voi stessi credete al vostro prossimo quando lo sentite dire che non può digiunare, fare le astinenze del venerdì, che queste cose nuocciono alla sua salute, ecc.? » E poi aggiunge: «Se io pervenissi a turbare qualche poco la vostra coscienza non ne proverei dispiacere, poiché io son convinto di vivere in un tempo in cui la mollezza dei costumi tende a far «comparire la dolce severità delle leggi ecclesiastiche ». – Così si vede che senza andar troppo lontano, col solo praticare la lettera — o almeno lo spirito — dei comandamenti di Dio, si presentano a mille a mille le occasioni di offrire al Signore dei sacrifizi ben meritorii per la riparazione. Accettiamo dunque per prima cosa le mortificazioni che ci vengono imposte dalla Chiesa e poi in secondo luogo quelle che ci si presentano nelle diverse circostanze della nostra vita. Anche queste abbondano: rovesci di fortuna, malattie, lutti, disgrazie, dispiaceri d’ogni sorta. La vita ne è colma e può esser paragonata ad una lira con sette corde, sei dedicate al dolore e una alla gioia. Bossuet comparava i minuti di vera felicità nella nostra vita a quei chiodi d’oro che adornano una porta; visti di lontano sembrano migliaia; strappateli, appena riempiono il cavo d’una mano. Le nostre gioie sono come le pietre di un torrente, instabili, e lontane l’una dall’altra, che se volete passarlo appena ponete il piede sopra l’una di esse, subito dovete saltare ad un’altra e così di seguito senza potervi arrestare. Ma tu chi se’ che sì se’ fatto brutto? domanda Dante (Inf. C. 8, v. 35) a un dannato mentre questi lo vede passare nella barca di Virgilio. Rispose: « Vedi che son un che piango ». « Uno che piange!». Ecco quella che può dirsi la definizione di ogni uomo quaggiù, specialmente in certi giorni. E allora come fa pena il vedere che non si sa trarre profitto da quelle lagrime che pur non si può non versare! Ciascuno di noi colla somma dei patimenti di cui è formata la vita, come con un capitale, avrebbe modo di guadagnare dei meriti immensi. E la maggior parte non ne fa nulla, non ci pensa: invece di utilizzare le proprie croci per il Cielo e per le anime, le sciupa, non ne ritrae nulla… peggio, ribellandosi, trova in esse un’occasione di nuovi peccati. Che si direbbe di un uomo che possedendo una fortuna in tutte monete d’oro, invece di portarle alla banca per la « ristorazione nazionale » le andasse gettando ad una ad una dall’alto di un ponte in un profondo abisso?… – Appena siam raggiunti da un qualche patimento la prima cosa che facciamo è per lo più il lamentarci, il prendercela con Dio: « Io vorrei, diceva Nostro Signore a S. Geltrude, che almeno i miei amici non mi giudicassero tanto crudele. Dovrebbero farmi l’onore di pensare che se talvolta li obbligo a servirmi con fatica, e quasi con loro sacrifizio, io lo faccio pel loro bene, anzi pel loro maggior bene. Io vorrei che invece di irritarsi contro i loro dolori, vedessero in essi uno strumento del mio amore di Padre… ». I Cristiani ferventi lo comprendono benissimo. Ai piedi del letto di morte di un loro figlio, giovane religioso, loro rapito da un morbo fulminante, il padre e la madre si scambiano le seguenti parole: « Vuoi che recitiamo il Te Deum? — Oh sì, di tutto Cuore! ». Ampère si era da poco sposato. La vita gli si affacciava tutta in festa: quand’ecco una malattia colpisce la sposa e minaccia di rapirgliela. Ampère, benché tutto immerso nella trepidazione, ha la forza di scrivere: «Mio Dio, io vi ringrazio… Io vedo che voi volete che io viva solo per voi, che tutti i miei istanti vi siano dedicati. Volete voi togliermi tutta la felicità che io posseggo quaggiù? Voi ne siete il padrone, o mio Dio! le mie colpe meritano bene questa punizione. Ma io spero che voi ascolterete ancora una volta la voce della vostra misericordia ». Qual meravigliosa forza può dare al povero cuore di un uomo una fede veramente profonda! – Una madre riceve la notizia che il figliuolo suo è ferito da un obice e spaventosamente mutilato, ma non ha perduto per nulla il suo coraggio eroico. Essa scrive di lui : « Egli soffre una vera passione in unione col nostro caro Gesù e fa meraviglia il veder questo mio figlio felice, crocifisso, steso sulla croce sanguinolente, rimanersene tranquillo e sorridente nel suo martirio di ogni momento… Io ringrazio il Signore… che l’ha messo a parte dei patimenti redentori del Calvario. Noi non possiamo comprendere, così afflitti come siamo, i misteri di misericordia che rimangono nascosti sotto queste prove, ma io credo che in cielo ci saranno svelate le ricchezze di queste sanguinose immolazioni e che intanto questi poveri feriti sono ben potenti presso Dio ». Il povero mutilato si preparava pel sacerdozio, quindi la madre continua: « Poco importa il modo con cui vien fatto il sacrifizio, purché il Signore prenda quanto Egli crede bene e ritragga dalla sua creatura quella gloria che gli è gradita… Se L . . . non potrà più essere sacerdote, sarà certamente Ostia e questo è l’Ufficio di Gesù Cristo: chi dunque potrà lamentarsi nel vedersi trattato come lo fu il Figlio di Dio? ». Poco tempo dopo anche il fratello del povero mutilato cade gloriosamente sul campo; e la madre, forte sempre, esce in questi accenti di rassegnazione: « Povera piccola vittima che si aggiunge a tante altre! Ci fu dato da Dio perché lo conducessimo al Cielo; egli vi è arrivato. Ringraziamo il Signore. Tuttavia per noi che abbiamo una fede ancora debole è cosa dolorosa ». Quante madri, quante sorelle, quante spose che per ragione della grande guerra sono ormai destinate ad essere altrettanto « dolorose »! Così tutte avessero il coraggio di trasformare il sacrifizio che venne loro « imposto » in sacrifizio « volontario » e dicessero al Signore: « Gesù, grazie per avermi associata in questo modo alla vostra Croce. Voi avete voluto il sangue di chi era come una parte di me stessa, voi volete le mie lagrime., io ve le offro tutte quante. Forse in me stessa non troverei la forza di dirvi: prendete… Ma ormai voi avete preso quanto avete voluto, io voglio almeno aver il coraggio di dirvi che voi avete fatto bene… che ho capito… che io mi rassegno… – Io non mi sento ancora di pronunziare l’Alleluja, mormorerò per ora sommessamente: Amen, così sia ». Parlando del proprio figliuolo, vittima come tanti altri nella gloriosa ma sanguinosa guerra, una persona diceva in confidenza ad una sua amica: « Voi lo sapete benissimo, già prima io l’avevo offerto al Signore, quindi al presente rimetto nelle mani sue il mio olocausto non soltanto accettando ma volendo quanto Egli ha disposto ». Si noti che le parole furono sottolineate dalla madre stessa. « II mio povero cuore, scrive una delle sì numerose e sì valorose nostre vedove di guerra, i l mio povero cuore che non può abituarsi alla solitudine prova un’ardente sete di darsi ancor più completamente a Dio, di offrirsi totalmente senza riserva ». — Sete avventurata, così il Divin Maestro la comunicasse questa sete ad un grande numero di anime. — Essa riconosce che « il suo amore era forse troppo umano, diventerà ora più sovrannaturale » . — Questo è appunto il desiderio del Signore, quello che forse Egli aveva di mira nel permettere la tribolazione. — Ed essa prega per « avere il grande coraggio di offrirsi sempre più al Signore ». – Le ammirabili suore che dirigono la Casa di salute di Villepinte hanno fondato fra le loro ammalate un’associazione detta « della riconoscenza ». Una delle ragazze esitava nel darvi il suo nome: « Io temo, diceva, di non saper dire grazie al Signore, quando io soffro ». per riuscire a trionfare di un siffatto timore, ecco un eccellente mezzo e molto pratico per tanti poveri cuori che sanguinano disorientati per gli ultimi avvenimenti: offrirsi a Dio in « ostia » di amore e di riparazione. « Questa è la più grande ricchezza dell’anima, diceva S. Giovanna Francesca dì Chantal, soffrire molto per amore ». I veri Cristiani non lo ignorano e lo mettono in pratica. « L’anima si può unire a Dio colla preghiera, come pure lo può fare col lavoro: ma il patimento accettato per piacere a Dio, il patimento offerto a Dio, il patimento diventato caro per amore di Dio unisce l’anima al suo Signore ben più intimamente. Un patimento simile è la migliore delle preghiere, è la più fruttuosa delle fatiche ». Son queste parole del P. Ramière, ed il P. Ponlevoy rincalza: « La più dolce consolazione di questa vita e la più grande fortuna dell’anima nostra è certamente quella li unirci a Gesù Cristo. Ma non si può negare che v’ha ancora di meglio: ed è di conformarci alla volontà di Dio e di esser confitti in croce insieme a Gesù Cristo, o, che è la stessa cosa, attaccati a Gesù Cristo per mezzo della sua Croce ». – È nota l’ammirabile « Preghiera di Pascal per il tempo delle infermità. » In essa, meglio che altrove, si manifesta l’intenzione di trarre grande profitto dalle malattie tanto penose e così facilmente riparatrici. « Non permettete, Signore, che io possa ricordare l’anima vostra contristata fino alla morte e il vostro corpo pesto dai flagelli e dissanguato per i miei peccati senza sentirmi contento di patir qualche cosa anch’io nel mio corpo e nella mia anima. Difatti che v’ha di più vergognoso e tuttavia anche più frequente nei Cristiani e in me stesso, che mentre voi agonizzate e trasudate sangue noi viviamo tra le delizie? Liberatemi, o Signore, dalla tristezza che l’amor sregolato di me stesso mi potrebbe suggerire… ma infondete nell’anima mia una tristezza conforme alla vostra. Che i miei patimenti servano a dissipare la vostra collera… Io non vi domando né sanità, né malattia, né vita, né morte: ma che voi disponiate della mia sanità e della mia infermità, della mia vita e della mia morte per vostra gloria, per mia salvezza eterna, e per l’utilità della Chiesa e dei vostri Santi ». Degne d’esser citate a fianco della Preghiera di Pascal riferiamo alcune frasi di un’anima che pur visse nel mondo e che aveva per divisa preferita « adoratrice, riparatrice e consolatrice » : « Mio Dio, diceva Elisabetta Leseur (dal suo diario), io sono e voglio esser sempre tutta vostra nella pena e nella gioia, nell’aridità e nella consolazione, nella sanità e nella malattia, nella vita e nella morte. Io non desidero che una cosa sola: che la vostra volontà sia fatta in me e per mezzo mio. Io non ho altra mira e sempre più desidero di non averne mai altra che questa: raggiungere la vostra maggior gloria corrispondendo il meglio che posso ai vostri disegni sopra di me. Io mi offro a voi in un’intima e completa immolazione e vi supplico di servirvi di me come di un vile ed inutile strumento in favore delle anime che vi sono care per vostro servizio ». Secondo il parere di tutti gli autori ascetici le « croci » che ci vengono imposte sono le migliori, « Le migliori croci sono le più pesanti, e sono più pesanti quelle che vanno contro il nostro gusto, quelle che non sono sottoposte al nostro arbitrio: le croci che incontriamo per via. e anche meglio quelle che troviamo in casa nostra… Queste sono più utili che i cilici, le discipline, i digiuni e quante altre austerità si possano inventare. Le croci che sono oggetto di nostra scelta hanno sempre alcun che di amabile e di gradito, perché in esse c’è del nostro, quindi sono meno atte a crocifiggerci. Umiliatevi dunque e ricevete con gaudio quelle croci che vi vengono imposte contro il vostro genio ». Abbiamo riconosciuto in queste parole S. Francesco di Sales. Dobbiamo dunque conchiudere, come per lo più si fa coi Cristiani ordinari, che le penitenze volontarie sono da lasciarsi esclusivamente ai religiosi ed ai claustrali? No, certamente. Ascoltiamo a questo proposito il Card. Manning il quale dopo aver raccomandato la fedeltà alle mortificazioni raccomandate per legge dalla Chiesa come il meno che siamo tenuti a fare, aggiunge: « Andrò più innanzi. V’ha ancora ai nostri tempi chi abbia il coraggio di condurre la vita dei santi? Noi ne leggiamo la vita e li ammiriamo: conosciamo le austerità con cui si affliggevano e la povertà in cui vivevano e ne facciamo oggetto delle nostre lodi, intanto però ci sentiamo i brividi nelle ossa. Che sappiamo noi fare? Quali sono le nostre penitenze? Dov’è per noi la livrea di Gesù Cristo?… Noi cerchiamo… che il mondo ci ponga nelle file di quelli che gli appartengono. E noi ci crediamo Cristiani!». Egli parlava ai suoi compatrioti, gli inglesi, grandi amatori, come tutti sanno, del « comfort »; ma il consiglio non è inopportuno anche al di qua della Manica. Quanti Cristiani in punto di morte non dovranno rivolgere a sé stessi quello stesso rimprovero che in tempo di Esercizi Spirituali e per umiltà Paolina Reynolds (Entrata in convento tra le Carmelitane di Avranches in età di 57 anni) faceva a se stessa: « Non trovo più modo di dilatare questo povero mio cuore destinato ad esser ricolmo di vita divina. Non c’è più tempo. Avrei potuto dispormi con una più fedele corrispondenza a riceverne centomila volte più nell’eternità e non l’ho voluto fare, lo non mi sono voluta disturbare che con “misura” ». Se invece di una fedeltà qualsiasi, d’una fedeltà « dosata abilmente » ci decidessimo ad esser generosi senza alcuna misura, quale cumulo di meriti noi non potremmo versare nel tesoro della Comunione dei santi! Ecco in quale maniera, secondo l’autore della Mission du Saint-Esprit dans les àmes (Card. Manning, p. 450)), noi dovremmo riparare: « Anzitutto colla nostra prontezza nel seguire le inspirazioni dello Spirito divino, poi con una fedeltà proporzionata alla sua grazia e nella stessa misura dei suoi doni e non già con un gesto gretto nascondendo sotterra il talento ricevuto: conviene farlo fruttificare e di mille talenti riprodurne diecimila… Finalmente bisognerebbe servirlo con grande purità di cuore, e con questo intendo due cose: non soltanto l’evitare tutto quanto potrebbe macchiare il nostro cuore, ma ancora il rinunziare a tutto quello che lo potrebbe dividere… ». Come si vede non manca modo di riparare: ma una cosa manca purtroppo! E queste sono le anime che diano mano a questi diversi modi, le anime che accettino di combattere non solo contro il peccato ma contro i minuti difetti; le anime che si consacrino risolute non già a pratiche straordinarie ma al perfetto compimento dei piccoli doveri per riparare. Noi spesso sogniamo imprese impossibili. « È invece nelle piccole cose che si rivela un grande amore; per le cose grandi siamo come portati e non ne sentiamo la difficoltà, ma per le ordinarie, le meschine, le noiose è necessaria una dimenticanza di sé che supera le forze comuni » (Vallery-Radot: Le vase d’albatre, nella Revue des Jeunes del 25 settembre 1917). Mgr. De Ségur diceva colla solita sua finezza e col suo buon senso: « La nostra santificazione è come un edifizio fatto di grani di sabbia e gocce d’acqua; un’occhiata repressa, una parola trattenuta, un sorriso interrotto, una linea incompiuta, un ricordo soffocato; una lettera cara percorsa rapidamente e poi riposta; un piccolo movimento naturale coraggiosamente frenato: un importuno, un noioso dolcemente sopportato: una scappata, un ghiribizzo immediatamente compresso: la privazione di una spesa inutile; una nube di tristezza dolcemente dissipata; una gioia naturale temperata con uno sguardo all’Ospite divino del proprio cuore; una ripugnanza vinta; che so io? cose da nulla, impercettibili all’occhio degli uomini ma ammirabilmente visibili allo sguardo interiore di Gesù Cristo; su queste cose fissiamo tutta la nostra attenzione, esse sono nello stesso tempo piccolissime e grandissime fedeltà che attirano sulle anime nostre veri torrenti di grazie… ». – Oh! i poveretti che siamo noi se queste minuzie di rinunzie bastano a misurare le nostre forze. Ma questo è un fatto e nessuno che abbia provato a praticare di cotali piccole immolazioni, potrà contradire all’osservazione che l’abate Perreyve deduce dall’esperienza: « Quando si è ancor fanciulli sembra cosa del tutto facile e naturale l’essere degli eroi o dei martiri. Ma coll’avanzarsi nella vita si viene a scoprire il prezzo d’un semplice atto di virtù e Dio solo può darci la forza di esercitarlo ». Siamo dunque i fedeli operai delle umili fatiche. Chi potrà dire se durante la guerra la salvezza di più d’uno, caduto nelle trincee o mentre marciava all’assalto non fu il frutto di una povera preghiera d’una umile vecchierella che offriva i suoi dolori pel nipote lontano? Chi sa dove va a colpire durante la mischia la palla tirata dal più umile fantaccino? E non si dica: « Con che cosa e come riparare? Io sono sì miserabile; io non posso che dire col Profeta : A, a, a et nescio locui, io non posso che dare un gemito inarticolato e confessare la mia impotenza. Che potessero riparare i Santi, si comprende., ma io? ». — Voi il potete fare, così quale voi siete, colla vostra fedeltà, compensando per le vostre miserie e facendo un’opera di giustizia. Voi potete fare ancor più: per le vostre miserie lasciate fare al Signore, e i vostri meriti offriteli a Lui per compensare le colpe e i peccati altrui. Noi presi da soli per la riparazione nulla possiamo, è verissimo; ma insieme colla grazia di Dio, che non manca agli umili e ai volonterosi, siamo una forza, siamo un valore più grande di quello che possiamo immaginarci. Gesù Cristo quando tolse la fame ai cinque mila uomini nel deserto, di che si volle servire? Di soli cinque pani e due pesci. Anche allora i mezzi furono per se stessi insufficienti al fine. Per finire di convincerci di questa verità ascoltiamo ancora una « professionista » della Riparazione (Simona Denniel: Une ame réparatrice, p. 75): « Per fare un’ostia il Signore non volle servirsi dell’oro, dell’argento o di pietre preziose, ma di un misero pezzetto di pane, cosa del tutto volgare e di nessun valore ». Chi si faceva coraggio in questa maniera dimostrava pure la sua umiltà, ma per noi le sue parole sono principalmente una verità sicura che deve infonderci lena e coraggio nel praticare la riparazione.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/12/lidea-riparatrice-8/

L’IDEA RIPARATRICE (6)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (6)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

(30) PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO II

Chi deve riparare?

CAPO TERZO

IL SACERDOZIO E LA RIPARAZIONE.

Nell’annunciare un volume di Lettres des Prètres aux armées. G. Goyau definisce la S. Messa « il più grande avvenimento della Storia umana ». poi soggiunse: « Ogni giorno il Sacerdote introduce nei destini della famiglia umana l’azione efficace del Dio Redentore: con un gesto sovrano fa entrare nella trama dei nostri peccati quotidiani il riscatto divino: al disopra del caos delle colpe pubbliche e delle colpe private egli solleva in alto la vittima di espiazione. Per alcuni, e diciamo pure per molti, questo compenetrarsi della storia umana per mezzo del moltiplicato sacrifizio di un Dio — moltiplicato e nello stesso tempo sempre unico — non è che una cerimonia priva di valore. Eppure sotto i loro occhi per opera del sacerdote si ripete l’ora decisiva in cui il genere umano, tutto insieme peccatore e giustamente diseredato, fu d’un tratto rimesso sulla via della pienezza della vita soprannaturale per mezzo di due portenti inauditi: l’Incarnazione e la Redenzione. « Operaio scelto da Dio per continuare attraverso ai secoli questi stessi portenti, il Sacerdote non si lascerà distogliere, avvengano pure le più rovinose catastrofi, da un tale impegno, il quale dal giorno della sua ordinazione si è come identificato colla stessa vita dell’anima sua per l’eternità ». Non si saprebbero condensare in più breve giro di parole la grandezza e la responsabilità del sacerdozio. Che fa il Sacerdote? Egli continua la vita di Gesù Cristo. Orbene Gesù Cristo .è venuto sulla terra per dare al Padre in se stesso un Pontefice, un Sacerdote capace di adorare e di espiare in modo conveniente. Il Sacerdote, destinato a continuare Gesù sulla terra, dovrà imitarlo offrendosi con Lui in testimonianza di adorazione e di espiazione. Come è consecrante con Gesù, il Sacerdote sarà anche « ostia » con Gesù. Egli non comprende che la metà del suo ministero se, mentre accetta la parte attiva di distributore del Corpo SS., della parola e del perdono di Gesù Cristo non accetta pure insieme la parte passiva di vittima del suo Maestro, di Colui di cui fa le veci e perpetua le funzioni. In tutto il tempo di sua vita quaggiù il divin Salvatore fu « ostia ». Non contento, volle, prima di morire, prolungare il suo sacrifizio, e nell’ultima Cena ne diede l’incarico ed il potere all’uomo. Così noi abbiamo la Messa che riproduce con rito incruento l’immolazione cruenta del Calvario. Sul Golgota Gesù Cristo, sospeso tra cielo e terra, faceva da schermo tra la giustizia di Dio e il peccato dell’uomo. E la sua mediazione era accetta al Padre per causa delle sue piaghe aperte e del suo sangue sparso. Nella Messa Gesù Cristo, posto sull’altare tra cielo e terra, ancora una volta fa da schermo tra la giustizia di Dio e il peccato dell’uomo: ciascuna « elevazione » compensa per le molte nostre bassezze, per le nostre cadute nel peccato e questo perché  la medesima virtù del sangue e delle piaghe divine estende la sua efficacia attraverso ai tempi; non vi hanno due sacrifizi, ma quello stesso della Croce che si manifesta in maniera diversa. Su questo punto le parole del Concilio di Trento sono chiare (La stessa vittima e lo stesso offerente ora per ministero dei sacerdoti, Colui che offrì se stesso in Croce, ma il modo di offrirsi è diverso (Conc. Trid., Sess. XXII, c, 2 –  Nel divin sacrifizio della Messa è presente lo stesso Cristo e viene immolato in modo incruento Colui che in Croce si offrì in modo cruento (ibid). – Non è nostro compito lo svolgere questa tesi e tantomeno l’entrare in discussioni teologiche sulla maniera di spiegare l’immolazione mistica. Nessuno meglio di Bossuet – Meditaz. sul Vangelo, la parte, « La Cena » – presenta quanto dobbiamo sapere su questo punto. Altri si potrà servire anche dei Metodi e formole per ben ascoltare la S. Messa, che ha scritto l’autore della Pratica progressiva della Confessione. Potremmo citare dei trattati speciali, ci basti indicare come eccellenti: CONDREN, Le Sacerdoce et le Sacrifice de Jéau-Christ. — GIRAUD, Jesus Prétre et victime é Prètre et Hostie. Non è questa tuttavia una bibliografia completa. ma la citazione di qualche opera di polso che non si può ignorare del tutto senza inconveniente. – opere di prossima pubblicazione tradotte sul blog – ndr. -): Quanti purtroppo assistono alla Messa senza dar segno di pur sospettare un così adorabile mistero! Quanti, se pregano, si valgono di formole adatte a tutt’altra circostanza. Quanti sanno a memoria le parole: « Santo Sacrifizio della Messa » , ma non comprendono a quale realtà precisa e terribile esse corrispondono. Si cita il caso di quel buon contadino che durante la Messa della domenica se ne stava colle spalle volte all’altare pregando ai piedi d’un gran Crocifisso di un’antica Missione collocato ad un pilastro. Un cotale gli fece osservare che il Signore era presente sull’altare, si voltasse per adorarlo: ed egli rispose tranquillamente: « Il vostro Signore sarà come voi dite sull’altare, il mio eccolo qui », e indicò il Crocifisso. Ignoranza più comune di quanto si creda. Ma di quelli stessi che credono fermamente l’identità del sacrifizio dell’altare con quello della Croce, non tutti conoscono il preciso loro dovere di offrire se stessi insieme coll’ostia santa che si offre a Dio. Se vogliono assistere alla Messa secondo lo spirito della Chiesa e l’intenzione di Nostro Signore. – Eppure questa necessità di unire nella S. Messa la propria all’immolazione del divin Salvatore è provata da molti argomenti: dalla nozione stessa di sacrifizio e dall’uso fattone fin dai tempi più antichi; dalla tradizione cattolica fin dalle origini; dalla dottrina comune dei SS. Padri sull’Eucaristia; dalla liturgia della Messa; da certi riti particolari, come dalla composizione delle specie sacramentali… ecc…. Per quanto andiamo indietro nella storia del Sacrifizio, si trova sempre che la vittima sostituisce quelli che assistono alla sua distruzione per esprimere a Dio i loro sentimenti di adorazione e di riparazione. Questa sostituzione diventerebbe un atto farisaico e puramente materiale quando per mezzo del Sacerdote e insieme con lui i fedeli non offrissero a Dio l’omaggio della loro religione e del loro pentimento, omaggio di cui nell’immolazione dell’Ostia abbiamo come un simbolo. Nell’antica Legge ciascuno posava la mano sulla vittima per dimostrare che si univa ad essa. La stessa cosa fa al presente il Sacerdote quando prega colle parole: « Noi vi scongiuriamo, Signore, ricevete quest’oblazione della nostra servitù e di tutta la vostra famiglia » (« Oblationem servitutis nostræ sed et cunctæ familiæ tuæ ». Molte preghiere della Messa esprimonol’unione del Sacerdote e dei fedeli con Nostro Signore — delle piccole ostie colla Grande. — servi tui sed et plebs tua. Noi tuoi servi e tutto il tuo popolo ..). Nei primi tempi del Cristianesimo ciascun fedele presentava la sua offerta, una parte del pane e del vino che doveva esser consacrato simbolo della sua partecipazione spirituale al S. Sacrifizio. Per formare le oblata — notano i Santi Padri — fa d’uopo unire insieme molti chicchi di grano e molti acini d’uva: questo prova che tutti i fedeli riuniti in un solo corpo si debbono offrire a Dio. Sempre la stessa dottrina veramente magnifica e fondamentale: Gesù Cristo non è « completo » se non unito al suo corpo mistico; la sua oblazione non sarà intera che per l’unione della nostra alla sua. Bossuet nella sua Exposition de la doctrine catholique, libro scritto per i protestanti, così spiega il modo con cui i fedeli assistono alla Santa Messa: « Presentando Gesù Cristo a Dio noi impariamo nello stesso tempo ad offrire noi stessi alla Maestà divina, in Lui e per mezzo di Lui quasi altrettante ostie viventi ». E S. Agostino: « Nell’offerta che la Chiesa fa al Signore del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, essa offre ed immola se stessa… Il vero sacrifizio del Cristiano consiste nel non fare che un corpo solo in Gesù Cristo » (De Civ. Dei, 1. 10, c. 6). Ahimè! Troppo spesso i fedeli son ben lontani da questo ideale che pur dovrebbe esser la regola comune. La regola comune per ogni Cristiano, quanto più per ogni Sacerdote! « Che bello spettacolo presenterebbe la Chiesa se tutti i Cristiani — e noi aggiungiamo: se tutti i Sacerdoti — comprendessero così la legge del proprio Sacrifizio! Tutti intorno a Gesù, che si posa come morto sull’altare, i Cristiani spiritualmente immolati dovrebbero formare una sola Ostia di adorazione riparatrice. Fate, o mio Dio, che così sia di noi tutti; dateci di esser delle ostie immolate con Gesù-Eucaristia » (GRIMAL: Le sacerdoce et le Sacrifice de Jesus-Christ. p. 277. Libro utilissimo ai sacerdoti per comprendere la necessità che hanno di vivere come «Ostie ». Noi l’abbiamo consultato spesso nello scrivere il presente capitolo.). Un Sacerdote che comprenda appieno la Messa che celebra e per così dire la viva integralmente, tutto opera colla sua « Ostia » e nulla senza essere unito ad Essa. Per Ipsum et cum Ipso et in Ipso. Tutto per per mezzo di Gesù « Ostia » , insieme con Gesù « Ostia », in Gesù « Ostia » . Vivere senza esser crocifisso dovrebbe essere per lui una contraddizione. Victima Sacerdotii

sui et sacerdos suæ victimæ, diceva San Paolino: « Vittima del proprio Sacerdozio e sacerdote della propria vittima ». Certo, debole e fiacco, avrà sovente delle manchevolezze, ma il suo ideale sarà questo: Esser l’uomo del Santo Sacrifizio, l’uomo del Sacrifizio. – La sorella di Mgr. d’Hulst, dietro ad una immagine che gli mandava in occasione dei suo suddiaconato, aveva scritto: « Non essere mai Sacerdote senza essere ostia » . — Bel motto che fa per noi tutti. Non soltanto la vera e completa intelligenza della S. Messa dovrebbe condurre naturalmente ogni fedele — e a più forte ragione ogni Sacerdote — ad offrirsi a Dio in immolazione ogni qual volta gli è concesso assistere al divin Sacrifizio o celebrare, ma anche la vera e completa intelligenza della S. Comunione dovrebbe spingere ugualmente ogni fedele — e a più forte ragione ogni Sacerdote — ad una offerta analoga ogni volta che ha la buona sorte di ricevere Gesù « Ostia ». Possiamo considerare la S. Comunione sotto due aspetti, ambedue essenziali, ambedue dogmatici, che possono ad ugual misura influire nella pietà cristiana: la Comunione, incorporazione alla vita di Nostro Signore; la Comunione, incorporazione alla sua morte. Praticamente però, questi due diversi aspetti della Comunione non trovano nelle anime uguale accoglienza. Quanti si accostano alla S. Comunione conoscono e vi cercano l’unione colla vita del Salvatore. Forse pochi conoscono e vi cercano la partecipazione al suo Sacrifizio, alla sua immolazione, alla sua morte, che pure è il tema obbligato della predicazione eucaristica di S. Paolo. « Poiché la morte di Gesù è sempre presente nell’Eucaristia — dice Bossuet (Meditazioni sul Vangelo, ll parte, «La Cena», 46° giorno.) — l’impressione della morte di Gesù Cristo dev’essere sentita in ogni fedele che deve rendersi vittima anch’esso ad imitazione del Figliuolo di Dio. Questa è la virtù della Croce, virtù sempre vivente nell’Eucaristia ». « Non dimenticate — scriveva S. Paolo ai Corinti — che nel comunicarvi voi “annunziate la morte del Signore ” ( I Cor., XI). Voi dovete dunque, tale è la mente di S. Paolo, unirvi alla sua immolazione, comunicare colla sua morte » (Id., ibid., 19° giorno). La stessa dottrina troviamo neWImitazione di Cristo (lib. IV, c. 8): « Nella stessa maniera che io mi sono offerto spontaneamente al Padre pei suoi peccati, le mani stese sulla Croce e il corpo tutto impiagato, nulla risparmiando che mi appartenesse, ma tutto offrendo in sacrifizio per la divina riconciliazione, così anche tu devi spontaneamente offrire te stesso a me in oblazione pura e santa, ogni giorno nella S. Messa, quanto più intimamente puoi con tutte le tue forze e con tutti gli affetti tuoi ». S. Paolo dice ancora: « Quelli che mangiano le carni immolate forse che non partecipano al Sacrifizio? » ( I Cor.. X, 18). Parole che non si possono comprendere che ricordando i riti e il simbolismo dei sacrifizi offerti nel tempio di Gerusalemme. Mangiare delle carni offerte voleva dire collocare se stessi sull’altare e domandare di esser considerati come parte della vittima: e questo sapevano benissimo i Corinti. Sempre il cibarsi dell’oblazione fatta fu considerato come una intima unione con la stessa oblazione. L’Apostolo quindi colle sue parole altro non fa che ricordare come nella nuova legge si continua lo spirito dell’antica, e l’effetto della nostra partecipazione all’« Ostia » è ancor sempre di unirci strettamente al Cristo immolato, di metterci in « comunione » con Lui. Comunione vuol dire appunto unirsi, diventare una cosa sola con l’Ostia — quindi offrirsi in ispirito con essa — dunque « offrire la propria carne ad esser crocifissa coi suoi vizi e colle sue concupiscenze » (Gal., V, 24), abbandonare nelle mani di Nostro Signore la propria vita, le fatiche, le pene, le preghiere affinché Egli le pervada tutte dello spirito di sacrifizio. Al IV secolo era di consuetudine, appena comunicati, di posar il dito sulle labbra ancor umide del Preziosissimo Sangue e segnarsi poi con esso sugli occhi, sulla fronte e sulla bocca. Al contatto dell’Ostia impariamo ancor noi a purificare e santificare le nostre affezioni e i nostri pensieri, il nostro cuore e i neutri occhi, tutte le nostre membra, tutta l’anima nostra e imporci a questo fine i sacrifizi necessari. – « Voler ricavare profitto dal S. Sacrifizio  nella S. Comunione senza fare dei sacrifizi, volerci divinizzare per mezzo dell’Ostia senza immolarci con Essa. è pretendere di vivere come “parassita dell’Altare”. è cercare la salvezza fuori della Croce » (GRIMAL: Ibid., pag. 329). La Comunione ben intesa non è soltanto divinizzante, ma deve esser pure immolante. anzi perché divinizzi conviene che immoli. – L a Comunione ben intesa non è soltanto un tesoro che ci viene dato, non consiste solo nel ricevere un’ostia, ma anche nell’offrire, nel darne un’altra. Non si può ricevere degnamente la Vittima dell’altare se non a condizione che noi pure ci offriamo sull’altare come vittima in ispirito di adorazione e di espiazione (« La doppia funzione dei fedeli alla S. Messa, li costituisce offerenti e offerti nello stesso tempo, è così vera che la liturgia del S. Sacrifizio non si può intendere altrimenti, se non vogliamo avere delle contraddizioni in termini » . DOM VANDEUR O. S. B., La Sainte Messe,  p. 135). Mgr. Batiffol ha lasciato scritto: « Il concetto di S. Paolo della comunione al Sacrifizio è destinato a rimaner sempre oscuro per la pietà cristiana, la quale sarà sempre più attirata dal concetto di S. Giovanni: che cioè la S. Comunione è una partecipazione alla vita divina » . Noi non crediamo questo giudizio definitivo, anzi vogliamo sperare invece che quando ciascun Sacerdote sarà meglio penetrato egli stesso della dottrina di S. Paolo sulla « Comunione che immola » , egli si troverà in grado di insegnare pure ai fedeli la necessità in cui sono di offrirsi con Gesù in Sacrifizio ogni volta che si accostano a riceverlo nell’Ostia santa. È un fatto che le anime riparatrici sono in piccolo numero: esse si moltiplicheranno certamente quando molti siano i Sacerdoti che posseggono a fondo la dottrina della Riparazione. Come possono sapere i semplici fedeli se coloro che li istruiscono non sanno, o se possedendo in teoria la grande idea paolina sulla comunione o partecipazione al Sacrifizio di Gesù Cristo, essi poi in pratica non la vivono e non si danno attorno con tutte le loro forze per farla vivere nel gregge di Cristo? Molto a proposito dice l’autore di Sacerdoce et Sacrifice de Jésus-Christ: « Lo spirito di sacrifizio è la grande lezione che cidà l’Ostia. L’Eucaristia riproduce la Croce…L’effetto immediato e necessario dellaS. Comunione è unirci all’’Ostia come tale,cioè a Gesù che è immolato e che immola.« Riceve la S. Comunione con vero spirito chi vede nell’Ostia Gesù Crocifisso ed entra nelle sue intenzioni di Ostia. Chi non si comunica con questo spirito di sacrifizio, benché sia in istato di grazia e provi certi sentimenti di divozione, si potrebbe dire che non si comunica che per metà (Si noti il « si potrebbe dire ». Non intendiamo affatto negare il valore dell’opus operatum). Egli non comprende che voglia dire Ostia, forse perché nelle spiegazioni, che gliene vennero fatte, troppo si è indugiato sulla virtù eucaristica secondaria o metaforica a danno di quanto v’ha di più importante. Egli non scorge sui nostri altari sempre presente e operante la Croce, forse perché  chi doveva farlo non gliel’ha mostrata coll’insistenza dovuta ». E poi continua: Nella nostra predicazione eucaristica noi avremo di mira sovratutto il far vedere sui nostri altari il Memoriale vivente della Morte di Nostro Signore per istillare nelle anime questo spirito d’immolazione che le renderà Ostie insieme con Gesù nella loro vita quotidiana… (Grimal, ibid. p. 357). Non temiamo d’incorrere nel rimprovero di troppo insistere sul lato doloroso del Cristianesimo, di presentare tanto la Passione di Nostro Signore, quanto la vita e la morte di ogni Cristiano come un’immolazione espiatrice. Potremmo noi fare altrimenti… attenuare o nascondere il dogma fondamentale di nostra fede, di nostra salute? Predichiamo questo dogma sempre e tutto intero: L a Croce che si continua nell’Eucaristia e ci porta al Cielo; — la Croce retaggio del credente che si comunica immolandosi per mezzo di Essa ma per vivere in eterno; — la Croce che sempre attraverso ai secoli, ed oggi più che mai, attira le anime privilegiate, le anime più pure, le più nobili che s’innamorano dei patimenti per continuare e completare la Passione di Gesù. Chi potrà dire la bellezza, la fecondità della Croce quando domini tutto l’orbe cristiano? Chi potrà dire la bellezza, la fecondità di queste anime elette  che attingono nell’Ostia lo spirito di vittima, che immolate con Gesù sono il profumo e la salvezza del nostro povero mondo? « Concedeteci, o Gesù, d’esser nel bel numero di queste anime, concedeteci di moltiplicarlo questo numero col nostro insegnamento e colla nostra direzione » (Grimal, l. cit.). Ai nostri giorni poi, mentre si propaga ognor più la divozione alla S. Eucaristia e Roma favorisce in tutte le maniere e incoraggia la Comunione frequente e quotidiana, sforziamoci ancor noi affinché quanti si accostano di frequente alla S. Mensa lo facciano collo spirito di cui abbiamo ragionato: quali « Ostie ». Praticare la mortificazione è cosa buona ma non basta; bisogna « vivere » mortificati abbracciando con ardore tutte quelle mille occasioni di vincersi che si presentano ad ogni istante lungo il giorno. E si può fare meglio ancora: nei SS. Tabernacoli, sugli altari, Gesù benché vivo vuol stare in sembianza di morto; Egli si abbandona nelle mani del Sacerdote che lo muove e lo distribuisce a sua volontà: « A me pare, scrive un’anima santa, che il rimetterci totalmente al volere di Dio, l’abbandonare nelle sue mani quanto possiamo fare, soffrire e meritare perché Egli ne disponga come gli piace, anche senza che noi ne possiamo saper nulla, quest’atto, dico, di abbandono completo, a me pare che sia il più grande sacrifizio possibile per un’anima, quello che più glorifica Gesù-Ostia perché spoglia l’anima di quello che ha, di quello che è, per farne un omaggio all’Ostia divina e arricchirne la povertà volontaria con tutto quello che una creatura può dare e possedere » Essa aggiunge e a proposito: «Questo dovrebbe essere lo stato ordinario delle anime che si uniscono spesso a Lui nel suo Sacramento di amore perché un tale abbandono si può dire la condizione richiesta per la unione eucaristica come ne è il frutto e la conseguenza necessaria … Quello che rende più amara la tristezza del Cuore di Gesù si è che le sue più care anime sono per lo più dominate dallo spirito egoistico che loro fa dimenticare quello che sono per ufficio e per dovere, cioè un supplemento di espiazione e di intercessione per tutto il genere umano e quindi esse non appartengono più a sé stesse ma a Gesù ». Molte anime, vogliam dire di quelle che frequentano la S. Comunione, certo procederebbero più innanzi nella santità se invece di badare quasi esclusivamente ai propri interessi anche spirituali, cercassero prima di tutto quello di Dio, e invece di comunicarsi a proprio profitto, si comunicassero a « profitto di Gesù ». La divozione eucaristica di un’anima riparatrice deve tendere a questo ideale. Sul cominciare, il sentimento che domina un amore di compassione: il disprezzo, l’indifferenza, gli oltraggi: alcuni non sanno, altri non se ne curano, altri, ancor peggio, perseguitano; delitti degli empii, colpe dei buoni, peccati dei migliori, di quelli cioè che Gesù Cristo chiama « suoi », che si è particolarmente eletti — pur troppo ve n’ha anche di questi! — e si cerca di riparare. Il Maestro è troppo spesso lasciato solo; e si va a visitarlo. Durante la S. Messa le chiese sono purtroppo vuote; e il più spesso possibile si assiste al S. Sacrifizio. Nelle chiese vuote, le Sacre Pissidi restano colme; e ogni giorno si va alla Sacra Mensa. La Riparazione porta così all’Eucaristia. Or ecco a sua volta l’Eucaristia che conduce alla Riparazione; l’Eucaristia non considerata tanto dal suo lato, se si può dire così, esteriore (il poco valore attribuito dagli uomini alla « moneta » troppo comune dei tabernacoli), ma piuttosto nella sua realtà intima; l’Eucaristia che dà al mondo Gesù, la Vita eterna nello stato di vittima espiatrice. Il pane ed il vino sono « apparenze morte »; il Cristiano che si comunica « apparenza vivente » del Salvatore; quanto tutto questo supponga di immolazione l’abbiamo già visto (si rilegga ove furono ricordati i desideri eucaristici del Cuore del Divin Salvatore). L’altare del Sacrifizio sarà sempre la miglior scuola del Sacrifizio. Tocca al Sacerdote di acquistare per sé e trasfondere in altri una intelligenza netta e profonda di quello che è il Sacramento per eccellenza dell’amore reciproco fra Dio e l’uomo. – Del resto, se pur non si è perduta la memoria e non si sono dimenticati anche i desideri della giovinezza e le aspirazioni della propria ordinazione, il Sacerdote deve riconoscere che le aspirazioni al Sacerdozio sentite in cuor suo allora si confondevano con dei sogni ardenti di sacrifizio, che le sue risoluzioni d’esser fedele sempre ai doveri del Sacerdozio nel giorno dei suoi impegni definitivi coincidevano nel suo cuore colla promessa di una donazione completa e di una cosciente immolazione. I desideri di un giovane che si prepara al Sacerdozio! Chi potrà dire le ambizioni che spuntano in un cuor di fanciullo alla lettura della vita d’un S. Francesco Zaverio. d’un S. Damiano apostolo dei lebbrosi, d’un missionario qualunque dell’Alaska o dello Zambese, o del Santo Curato d’Ars? « Si isti et illi curnon et ego? Quello che hanno operato costoro per Gesù Cristo, perché noi potrò anch’io? ». Ancor piccini hanno imparato alla scuola d’una santa donna, la madre loro, a fissar lungamente il Crocifisso. Certe cose facilmente si comprendono quando si ha la fortuna d’aver una santa per madre. Il loro cuore di fanciullo ha intuito nel Crocifisso qualche cosa di misterioso e di straordinario che l’invita ad una impresa che ancora non comprende troppo, pel presente e per l’avvenire. Gesù si è sacrificato per loro, è ben giusto che essi si sacrifichino per Gesù. E in una maniera od in un’altra avranno anch’essi imitato il gesto di quel bambino a cui essendo stata narrata la storia della Passione di Gesù, si stende subito lungo il muro colle braccia in croce domandando alla sua serva che gli pianti dei chiodi nelle mani e nei piedi … Come si può « star bene » quando Gesù « soffre tanto? ». Questi sentimenti naturali e profondi il fanciullo li prova certamente se tra le mura domestiche si ha cura di sviluppare in lui l’educazione del Sacrifizio. Ma si danno dei genitori che su questo punto sono completamente nulli; altri all’opposto fanno di questo « particolare » l’oggetto essenziale delle loro cure e avvezzano i loro figliuoli a punirsi per sé stessi nei loro falli, ad essere austeri nella loro vita, e spiegano loro non solo la Passione che Gesù Cristo dovette soffrire un tempo andato, ma anche la sua presente Passione nella Chiesa di Dio e fanno loro capire, anche senza dirlo in modo esplicito, che il Signore aspetta da loro più tardi qualche prova d’amore in compenso. Così quel padre di famiglia che, in occasione degli Inventari, va alla Chiesa per fare il suo atto di protesta col suo figlio per mano, e al momento in cui si forzano le porte per 1’entrata degli inviati dal governo persecutore egli alza il proprio figlio al disopra del proprio capo perché veda meglio come si difendono le libertà di Dio. Così pure quella donna, madre di Mgr. de Quélen, la quale durante la grande Rivoluzione del 1789 conduce il proprio figlio alle prigioni dei Carmelitani perché sappia come sono trattati i sacerdoti di Gesù Cristo e non si spaventi. Così ancora quest’altra, la madre del P. Varin, che spesso vuole che i suoi piccini si mettano in ginocchio dicendo: « Recitiamo un’Ave Maria per Giuseppe (altro suo figlio) perché egli non è ove la vocazione del Signore lo vuole »: e poi morrà sul patibolo offrendo la propria vita affinché quel suo figlio non resista più a lungo al volere di Dio che lo chiama al sacerdozio. Dopo i desideri della giovinezza ecco le aspirazioni verso il sacerdozio. Il sacerdote non potrà mai dimenticare che dedicandosi al sacerdozio aveva già ben compreso fin d’allora che si dedicava ad una vita di sacrifizio. Il giorno di sua ordinazione — giorno forse già lontano ma sempre dinanzi agli occhi come presente — quando prostrato sul pavimento davanti all’altare, uno degli avventurati della bianca schiera palpitante, egli si offriva a Dio. non comprendeva forse che da quel momento unico suo «mestiere», o meglio unico suo « sogno » sarebbe stato il vivere in Croce col suo Maestro? « Ricevi la potestà di offrire il divin Sacrifizio » ha detto il Vescovo ordinante, e poi ha continuato : « Quello che tu tocchi, la patena, il Calice e gli altri strumenti dell’olocausto, pensa che sono pure gli strumenti del suo sacrificio. Imitamini quod tractatis. Tu avrai tra le tue dita l’Ostia. Pensa che dovrai imitare quello che ogni giorno avrai da trattare ed essere Ostia anche tu nella tua vita. Quatenus mortis dominicæ mysterium celebrantes, mortificare membra vestra a vitiis et concupiscentiis procuretis. Gesù Cristo è morto, converrà vivere mortificandosi, ostia colla tua Ostia, vittima colla tua Vittima. Altrimenti non sarai un vero sacerdote, « procuretis ». Questa dev’esser la tua principale cura, accordare, intonare la tua vita sopra quella di Gesù Cristo per farne due vite sincrone, due oblazioni, due immolazioni anch’esse sincrone ». « Io mi prendevo gusto — così parla il Sig. Olier — di guardar nelle chiese attraverso alle fessure e vedendo le lampade accese: Ah! io dicevo, come voi siete felici nel consumarvi completamente alla gloria di Dio e nell’ardere continuamente per onorarlo! È l’ufficio dei sacerdoti il consumarsi così, poiché essi debbono essere insieme come Nostro Signore e sacrificatori e ostie. Se dei Cristiani tutti è detto: Fate dei vostri corpi un’ostia vivente: con più forte ragione va detta questa parola dei sacerdoti i quali ogni giorno ripetono: Hoc est corpus meum ». I veri sacerdoti ci danno esempio magnifico nella pratica di questo spirito di vittima, in cui sanno bene che consiste la parte essenziale del loro ministero. – L’Abate Perreyve nel giorno della sua ordinazione domanda al Signore queste tre grazie: « Non cadere mai in colpa grave: restar sempre un semplice sacerdote; dare il proprio sangue per Gesù Cristo » . E celebra con paramenti di color rosso, color di sangue, per dar maggior forza alla sua ultima preghiera con un segno simbolico del sacrifizio. Prima di restituire a Dio la sua anima generosa aveva scritto sulla morte del Sacerdote una meditazione ove faceva notare che « il sacerdote deve riguardare la morte come una delle funzioni del suo ministero. Dev’esser per lui come la sua ultima Messa ». Imitando il Maestro divino egli deve servirsi essenzialmente del proprio corpo non per altro che per immolarlo. Egli deve incominciare questa morte nella castità, continuarla nella mortificazione, terminarla finalmente nella vera morte, che è la sua oblazione finale, il suo ultimo sacrifizio. Essi, come avete fatto voi, Signore, debbono incominciare ben da lontano a morire… ». – Un giovane chierico del Seminario Maggiore di Nevers, morto il 6 aprile 1907, non ancora suddiacono, aveva lasciato scritto nel suo testamento spirituale: « Io rimetto la mia anima nelle mani di Dio in unione di Nostro Signore Gesù Cristo che muore, desideroso di morire, vittima come Lui, con Lui ed in Lui. Questo che dovrebbe essere il carattere dell’intera mia vita per vocazione e per dovere, lo sia almeno dei miei ultimi istanti … Volendomi distaccare sempre meglio da me stesso in Dio perché  Egli regni totalmente sul mio cuore, io godo nell’offrir a questo divin Maestro i dolori benefici della mia agonia e il sacrificio della mia vita in riparazione della sollecitudine con cui troppo sovente ho cercato di evitare i patimenti e le mortificazioni. Io vi offro pure la mia vita per la Chiesa, per la patria, per la mia famiglia… » (Grimal, in op. cit. p. 385). Durante l’ultima guerra, molti prevedendo che il Signore poteva loro domandare il sacrifizio della vita si sono offerti di gran cuore all’immolazione totale. – « Oh! quanto è bello, scrive il P. Gilbert de Gironde, morire giovane… morire sacerdote sotto le armi, attaccando il nemico, correndo all’assalto, in pieno esercizio del ministero sacerdotale, forse impartendo un’ultima assoluzione… versare il mio sangue per la Chiesa, per la patria, per i miei amici, per tutti quelli che hanno in cuore la stessa mia fede e per gli altri ancora, affinché possano godere la gioia di credere… Oh! quanto è bello …! ». E l’Ab. Liégeard, del Gran Seminario di Lione, caporale nel 28° battaglione dei cacciatori alpini: « Io offro la mia vita perché siano dissipati i malintesi tra il popolo di Francia e i suoi sacerdoti ». –  E il P. Federico Bouvier, della Compagnia di Gesù, uno dei più eruditi nella Storia delle religioni: « Io do volentieri la mia vita, egli dice, per i miei commilitoni dell’ 86° Reggimento, affinché questi uomini retti e onesti a cui non manca altro che il vivere in Dio e secondo la loro fede, ritornino sinceramente a Lui ». Un seminarista, caporale del 90° di Fanteria, l’Ab. Chevolleau, che abbiamo già citato, scriveva in una sua lettera: « Pregate perché il mio abbandono in Dio sia perfetto. Che vale la vita, l’altare visto in lontananza, le anime da salvare in tempi che non verranno per me, se al presente il Signore mi vuole per sua vittima? ». Come non ricordare qui due valorosi a cui mi legano memorie personali troppo forti perché possa lasciarli da parte: il P. Gabriele Raymond e l’Ab. de Chabrol, l’uno e l’altro cappellani militari? Il primo — che già conoscevo da lungo tempo — venne a prendere il mio posto in fondo alla mia tana di prima linea nell’Artois, di fronte alle famose costruzioni bianche del «Plateau d’Angres » fra Loos e Souchez. Al secondo io a mia volta succedetti a Tracy-le-Val nell’agosto 1916: e tutti e due furono uccisi poco appresso. E soldati e ufficiali erano concordi a magnificare il loro coraggio e una cosa appariva evidente, che essi erano troppo facili ad esporsi, quindi la loro affrettata morte. Nessuno mai potrà sapere quale fu l’eroismo di tali uomini, sempre calmi e dimentichi di sé stessi. Il P. Raymond fu schiacciato sotto un riparo. Dell’Ab. de Chabrol così parla un « ordine del giorno » commemorando un attacco e attestando il suo coraggio: « Le ondate dei nostri uomini che si succedevano, si sono inchinate dinanzi al rappresentante di Dio, il cappellano della Divisione, de Chabrol, che sotto la mitraglia tracciava colla sua mano il segno della redenzione e della vittoria ». In un attacco il cappellano fu colpito dalla mitraglia e cadde, avendo egli da lungo tempo fatto l’offerta della sua vita, come il P. Raymond – e « come mille e mille altri – per la Redenzione del mondo e per la vittoria. – Un ultimo esempio, quello del P. Lenoir, anch’egli cappellano militare, morto sul campo dell’onore il 9 maggio 1917, vittima della sua carità verso i feriti. Dopo la sua morte fu trovato sulla sua persona il seguente scritto che il Luogotenente Colonnello volle comunicare al Reggimento per cui il glorioso caduto dopo trenta mesi di fatiche aveva sacrificato la propria vita: « In caso di mia morte, Io rivolgo la mia parola a tutti i miei figliuoli del caro reggimento 4° Coloniali e dico loro — arrivederci —.  Con tutto l’affetto di sacerdote e di amico io li supplico a volere assicurare la salvezza eterna dell’anima loro restando fedeli a Nostro Signore Gesù Cristo e alla sua legge, facendo penitenza delle loro colpe e unendosi a Lui nella S. Comunione il più spesso che sarà loro possibile. A tutti io do appuntamento in cielo; per loro a quest’intenzione io offro, ben contento, se sarò esaudito, il sacrifizio della mia vita nelle mani del Divin Maestro Gesù Cristo. Viva Gesù! Viva la Francia! Viva il 4° Coloniali! P. LENOIR S. J. » .

L’Ab. Buathier, nel suo libro Le Sacrifice, ha tracciato questa bella pagina:« Un’anima sconosciuta abbandona questo esilio, a cento passi da essa il fatto è ignorato e nessuno si turba. Tutt’al più qualche vicino dirà senza dare nessuna importanza alle sue parole: “il tale è morto”, e tutto finirà lì, tutti gli altri han visto nulla.« Ma nella sua umiltà quest’anima oscura è unita alla Vittima del Calvario, essa conosce intimamente il valore dell’atto che compie: essa comprende che non solo paga il debito dei propri peccati ma che può ancora pagare per altri, moltiplicare i propri meriti e rifonderli nel tesoro di Santa Chiesa, far vivere colla sua morte molte anime e darle a Gesù: essa conosce tutto questo, lo vuole, lo desidera e si offre. La sua offerta sale verso il Cielo e nel breve giro delle sue ultime ore il suo sacrifizio si termina in una gioia raggiante pace e gloria celeste. Per essa come per Gesù sulla Croce la morte non è altro che il supremo slancio dell’amore. Gli uomini nulla possono scorgere di tutto questo, ma gli Angeli ne restano ammirati ed il Signore premia colla gloria del Paradiso » . — Qualche cosa di simile noi troviamo nei poveri morti di cui abbiamo parlato. – Son pochi anni che si andava dicendo: « La Chiesa di Francia ha bisogno di Santi ». E la Chiesa di Francia ebbe i suoi Santi, come ne ha pure al presente. Gli esempi recati fin qui ce l’attestano e noi potremmo moltiplicarli (« Che diremo del nostro Clero? … V’ha chi dice che al presente non abbiamo più dei santi. Oh! Se la Chiesa mel permettesse io direi che ce ne sono ancora e saprei dire pure ove si trovano! ». Lettera inedita di E. Psichari all’abate Tournebize.). Verrà giorno, si può sperare, in cui ci sarà dato conoscerli tutti e ciascuno in particolare. Ma non dimentichiamo che se avvenimenti straordinari, come fu la guerra ultima, ci rivelano tanto la santità come l’eroismo, essi non hanno potuto crearli di sana pianta: già esistevano. La morte di quelli che così generosamente si danno come vittima riparatrice col Maestro Divino, non è cosa impensata, che avviene per caso, ma suppone una lunga preparazione, un proposito chiaramente voluto. Nessuna improvvisazione; al contrario: conclusione necessaria di premesse. Immolarsi ogni giorno nell’oscurità della vita ordinaria colla mortificazione, colla castità, coll’umiltà, collo zelo… questo solo può render capaci a mostrarsi poi nell’ultimo sanguinoso istante, che chiude la vita, così spontanei, così generosi, nel darsi totalmente come « ostia » alla riparazione. Questi valorosi sono morti così come noi abbiamo ricordato, sol perché ben « alla lunga si sono avvezzati a morire ».

L’IDEA RIPARATRICE (5)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (5)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

(30) LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO II

Chi deve riparare?

CAPO SECONDO

L’ANIMA RELIGIOSA E LA RIPARAZIONE.

« V’hanno al mondo delle strade il cui nome non può esser dimenticato » . La prima ha nome Regina delle strade. Regina viarum; passando per Capua, Benevento, Brindisi e il mar Jonio metteva in comunicazione Roma colla Grecia ed era come un legame tra i due poli del mondo. Era la via battuta dagli artisti e dai poeti. La seconda viene chiamata Via sacra. Passava a fianco del colle Palatino e attraversando il Foro romano saliva al Campidoglio. Era la via percorsa dai trionfatori. Ve n’ha una terza ancora: la Via dolorosa. Parte dalla torre Antonia, abitazione di Pilato in Gerusalemme, e ci mena, passando per la casa di Anna e quella di Caifa, fino alla sommità del Calvario. Questa fu la via battuta dal divin Salvatore ed è ancora quella per la quale si mettono tutti i giorni i suoi discepoli avidi di seguire le orme del Dio Crocifisso… la via dolorosa o, come si esprime l’Imitazione di Cristo, la via regia, la via regia della Croce. Il fondo stesso di ogni vocazione religiosa forse che non consiste in un invito ad unirsi più strettamente a Gesù? È vero, anche solo per la grazia santificante, Iddio ci permette un’ammirabile intimità con Lui che diventa così nostro Padre e che rimane ad abitare dentro di noi. Ne abbiamo trattato in un opuscolo a parte (v. Dio in noi, pubblicato su questo blog). Ma se lo stesso nome di Sposo conviene a “rigore per un Dio che vive intimamente con ciascun uomo battezzato, qual significato prenderà quando si tratti non più soltanto d’un’anima che batte la via della legge divina, ma di un’anima che Dio si è scelta da tutta l’eternità per il suo servizio particolare, ch’Egli da tutti i tempi si è eletta, separata dalle altre, attirata a sé e consacrata interamente ai suoi divini voleri? L’anello nuziale è offerto e accettato; gli impegni contratti. Un vero matrimonio di spiriti, l’unione tra Dio e il Cristiano, effetto del rito battesimale: che dire dell’unione di Dio colle anime di predilezione, conseguenza del voto di castità e delle altre promesse religiose? Orbene è proprio della sposa il partecipare intimamente collo sposo alle sue gioie, alle sue sofferenze, alle sue inquietudini, ai suoi dolori, alle sue perplessità, alle sue angosce e ai suoi desideri. I loro due cuori si uniscono ora in un solo cuore. Se l’anima è sincera deve dire a Nostro Signore: « Amore per amore, vita per vita, sangue per sangue, ostia per ostia, tutto deve essere comune fra noi. Voi ora non siete più in grado di soffrire, ma la vostra missione Voi l’avete affidata a me e mi consacrerò ad essa senza riserva alcuna. Per consolarvi e per salvare insieme con Voi questi poveri peccatori per cui vi siete sacrificato, io voglio soffrire per quelli che godono, io voglio amarsi per quelli che vi bestemmiano, io voglio umiliarmi per quelli che si esaltano, io voglio piangere per quelli che ridono, io voglio conservarvi ben dentro al mio cuore per quelli che vi scacciano da loro col peccato. « Io ascolto il vostro lamento: “il mio amore perseguitato e disprezzato cerca un luogo di riposo ed è il tuo cuore che io mi sono scelto per dimora”. Ed io pure come la vostra serva carmelitana, Elisabetta della Trinità, voglio “offrirvi una dimora, un rifugio nell’anima mia ove col mio amore cercherò farvi dimenticare tutte le abbominazioni dei malvagi”. Ben lo comprendo, è in me, in questo tempio, che per ragione della grazia santificante voi abitate, è in questo tempio che voi volete vedere rizzato l’altare del sacrifizio sul quale si compiranno i misteri di misericordia e di perdono. Io vi offrirò la materia da sacrificare, voi la trasformerete, la divinizzerete con la vostra presenza, con l’opera vostra. Voi stesso in me farete l’offerta al Padre, e offrirete tutto senza eccezione. Non badate alle mie resistenze e ripugnanze. Strappate tutto quello che vuol opporsi ai vostri desideri. Non è forse necessario che io sia consumato nell’unità per poter lavorare efficacemente affinché tutti sieno una cosa sola? Se voi non siete perfettamente in me, come potrò io fare che vai siate tutto in tutti? « Maestro divino, voi siete già in me per la vostra grazia ch’io ho ricevuta nel santo Battesimo: da questo momento per i miei voti religiosi Voi sarete anche più profondamente in me. Voi distruggerete in questo mio cuore, da Voi scelto per il sacrifizio, tutto quello che non vi è gradito. Io rassegno nelle vostre mani tutte le mie potenze dell’anima, e il mio compito per l’avvenire mi è ben chiaro avanti alla mente: non avrò più altra mira che riparare gli oltraggi che tanti ingrati vi fanno continuamente, e povera infermiera inesperta sì, ma che vuol essere tutta sacrificata, povera Veronica la quale non possiede che un misero pannolino e un misero cuore, io passerò la mia vita a consolare le vostre tristezze, e a curare le vostre ferite. Io stringo tra le mani il Crocifisso dei miei santi voti, delle nostre reciproche promesse, e mi faccio ardita — voi me lo concederete — di posar le mie labbra sopra le vostre piaghe divine. Io bacio la piaga delle mani affine di riparare per quelli che operano il male; io bacio la fronte trapassata dalle spine affine di riparare per quelli che non pensano a Voi, per quelli che ci pensano solo per insultarvi: io bacio la piaga del Costato affine di riparare per quelli che non amano, per quelli che amano disordinatamente. E vorrei procedere ancor più innanzi: Non sono quelli che dicono: Signore, Signore! che si mostrano sinceramente sacrificati. Io vorrei potervi dimostrare col fatto la mia generosità e imprimere nella mia vita, se non posso farlo sul mio corpo, le sacre stimmate della vostra Passione. « Certo l’offerta che io vi prego di gradire sarà ai vostri occhi ben miserabile: ma mi consola il pensare che per formare un‘ostia basta unpo’ di frumento, alcuni grani ben stritolati sotto la macina. E dell’ostia voglio imitare tutte le qualità: la sua piccolezza, e nell’esercizio di una vita umile e povera sarà mio motto: che io diminuisca perché Egli cresca; il suo candore, e il mio ideale sarà la purezza degli Angeli: la sua immobilità, l’ostia si lascia portare per ogni dove senza resistenza, ed io obbedirò senza alcuna difficoltà ». – Molti poi cercano di venire a cose più determinate e al di fuori e al disopra dei voti religiosi, i quali già contendono una completa oblazione di sé in una vita di crocifissione continua, si prendono come intenzione che domini ogni loro azione il sacrifizio senza tregua e a dose massima possibile, l’immolazione costante, radicale, perpetua                                                                                       insieme con Gesù Cristo per il bene delle anime. Noi stessi abbiamo avuto occasione di descrivere altrove la genesi di simili offerte in cui s’insiste presso il Signore per ottenere come un favore di partecipare non più con una approssimazione alquanto mitigata, ma rigorosamente alla lettera e il più intimamente possibile tra le mura d’un chiostro o anche in mezzo al mondo all’immolazione redentrice di Gesù Cristo.(Ames Réparatrices. Articolo del « Messager du Coeur de Jesus », poi pubblicato i n volumetto separato). Ma basti delle vocazioni particolari: ritornando alla vocazione religiosa in genere noi ripetiamo ancor una volta: essa può e deve essere una vocazione riparatrice. Essa lo è per sé stessa e noi possiamo più o meno esplicitamente riconoscerlo praticamente (Lo spirito della vita di sacrificio nello stato religioso  prit et de la vie de sacrifice dans l’état religieux, del P. Giraud, già superiore dei PP. de la Salette).Alla vista delle rovine che si accumulanoe del bisogno di lavoratori che ponganomano a ristorarle, a ripararle, molti vannomormorando entro di sé: ce Certo converrebbeche qualcuno si mettesse all’opera …ma perché dovrò farlo io? ». Altri, in piccolo,anzi troppo piccolo numero, umilmente ma con volontà risoluta, dicono senz’altro: « Certo converrà che qualcuno si ponga all’opera… perché non mi ci metterò io stesso? » . E incominciano subito; ecco la vocazione religiosa mossa dal desiderio della riparazione. Anime energiche, non si arrestano dinanzi agli ostacoli, esse camminano per la loro strada. V’ha chi le voglia trattenere? Esse non ci badano. « Magister adest, vocat te ». Ecco il Maestro che ti chiama ed esse partono. Converrà spezzare i vincoli più cari. Che importa? Coll’aiuto del Signore tutto si sacrifica. — « Quand’anche avessi avuto cento padri e cento madri — diceva Giovanna d’Arco — io sarei partita ». E si ripetono le sue parole: Cento madri! In quelle circostanze è già ben doloroso l’averne anche soltanto una. Con tutto ciò, si parte. La fermezza di proposito non toglie però il dolore. « Che portate con voi entrando in convento? ». — « Nulla, o piuttosto una dozzina di fazzoletti per asciugarmi le lacrime ». In quei momenti anche un nonnulla si fa sentire intimamente: ma si parte lo stesso (La psicologia di questi momenti ci vien descritta con mano maestra nell’Isolée da RENÉ BAZIN, quando la figlia del canuto lionese abbandona il proprio padre e dà l’ultimo addio alla casa e a tutti gli oggetti famigliari.) . -— « Io debbo andare incontro al Re ». Questa è l’ultima parola di tutte le anime a cui si è fatto sentire l’invito: « Vieni, figlia di Dio, vieni, vieni », e fu concesso dallo stesso Dio il coraggio di corrispondervi. Il mondo non comprende queste cose, non comprende nulla. Alla vista di siffatte scene di generosità va mormorando: « Follie, stoltezze! », se pur si degna di fermarsi a considerarle. Follìe? Sì, sieno pur follìe. Un giorno alla Camera francese l’abate Gayraud, allora deputato di Finisterre, prendendo la difesa delle Congregazioni religiose che si volevano cacciare di Francia, segnalava la grandezza d’animo di tutte queste anime generose che si separano dal mondo e fanno da parafulmini al mondo stesso vivendo crocifisse con Gesù Cristo. E l’oratore ricordava i Fratelli di S. Giovanni di Dio che passano la loro vita al servizio dei mentecatti, le piccole Suore dei Poveri che serbano per sé non altro che gli avanzi dei pasti dei loro « poveri vecchi » e non hanno per campare esse e i loro infermi fuorché quanto raccolgono mendicando di porta in porta… — Ma tutti costoro convien dire che sono dei pazzi! — gridò una voce dall’estrema sinistra. — Sì, sono dei pazzi, signor Allentane — riprese l’abate drizzandosi ancora qualche poco, quasi per misurare la grettezza morale dell’interruttore — , essi sono posseduti da una follìa che da secoli è conosciuta in mezzo ai Cristiani e S. Paolo già ai suoi giorni la definiva: « La follìa della Croce ». Nei punti estremi la logica della ragione e quella della Fede, confondendosi colla logica del cuore, ci dà quel che il mondo definisce una follìa! Sì, questa follìa esiste ma non già da quella parte che si vuol immaginare.

La follìa della Croce!

Oh! Ecco Gesù, il povero Gesù Crocifisso! Costoro, tutti quelli dominati da siffatta follìa, l’hanno visto passare un giorno dinanzi a loro per la via; l’hanno visto col sembiante tutto mesto e l’hanno udito mormorare sommesso: « Sequere me, vieni dietro di me! ». In quel momento in cuor loro spuntò un non so qual desiderio, non solo di non darsi ad altri che a Lui, di porgere a Lui in tutta la sua freschezza tutto il proprio cuore, tutto il proprio amore, ma ancora di abbandonarsi completamente a Lui, definitivamente, con tutto il proprio essere, di darsi a Lui per soffrire con Lui, di offrirsi per accompagnarlo sempre e per tutto, fino a Betlemme, al Tabor, al Cenacolo, non solo, ma anche fino al Getsemani, fino al palazzo di Pilato ov’è motrato alla folla: Ecce Homo!, fino alla colonna della flagellazione ove lo si batte e s’insulta, fino alla Croce ov’Egli muore coperto di ferite e dissanguato per espiare i nostri peccati. – La Croce! Fino a quel momento, spesso si era fatta oggetto di contemplazione, ma non l’avevano compresa. L’abitudine di vedere per lo più ci impedisce di scorgere bene quello che ci sta dinanzi agli occhi. Ed ecco che questa volta la Croce si mostrò tutt’altra dal grossolano Crocifisso al crocicchio della strada o dall’elegante Crocifisso della camera da letto. Per la prima volte le parole di Nostro Signore a S. Angela da Foligno penetrarono in fondo al cuore: « Non è per ischerzo che io ti ho amato! » . — Per ischerzo… oh! no, si è detto in cuore suo: « Una Croce un giorno fu adoperata, una vera croce di legno fu adoperata sulla sommità di un monte una volta quale giorno! Accanto a tutte quelle croci da cui non pendono che dei Gesù morti, un giorno vi fu una croce a cui hanno confitto un Gesù vivo ancora, un Gesù inchiodato, un Gesù sanguinante, morto per me, per tutti gli uomini… » E mirando da una parte Gerusalemme che bestemmia e ignora il mistero compiuto, dall’altra il mondo sempre indifferente od ostile: « Se Nostro Signore ritornasse in questo mondo certo Egli sarebbe nuovamente posto in croce e più presto ancora di quella prima volta ». Quando si è rimasti colpiti da questo doppio spettacolo di luce sinistra, qualche cosa noi troviamo di cambiato nella nostra vita e ripetiamo con Pascal: « Gesù Cristo sarà agonizzante fino al terminar dei secoli: in tutto questo tempo noi non dobbiamo dormire ». – Dormire! Come si può dormire mentre il Maestro, Gesù, è là sulla Croce sospeso e soffre, ahimè!, per molti anche invano. « Oh! no — diceva Uria a David — , mentre Gioab, mio generale, è sul campo e dorme

sotto la tenda sul nudo terreno, io non andrò a riposare comodamente nel mio palazzo! no, non accetto questo indegno privilegio! ». Contemplando Gesù sulla Croce si perde il coraggio di vivere senza Croce. Ad una futura Carmelitana si fa la descrizione della vita austera che le toccherà quando veramente si decida di chiudersi nel monastero: « Nella cella troverò almeno un Crocifisso? », risponde essa. — « Oh! sì », le si aggiunge. — ce Ebbene — conchiude essa — non parlate più oltre, lasciatemi andare che nulla più mi sarà difficile vicino a Gesù Crocifisso ». Così e non altrimenti dicevano i Santi. S. Filippo Neri se ne moriva sfinito di forze; per fortificarlo il dottore gli ordina un buon brodo. Gli si porta il brodo ed egli già incominciava a prenderne qualche sorso, quando s’interrompe bruscamente esclamando: « Oh! mio Gesù! Quanta differenza tra me e voi! Voi foste inchiodato sopra il duro legno della Croce ed io mi riposo in un comodo letto! Voi foste abbeverato di aceto e di fiele ed a me si prodigano delizie d’ogni fatta! Intorno a voi nemici che v’insultano, intorno a me tanti amici che si studiano di porgermi consolazione! ». E un tale contrasto gli strappò le lacrime in tanta copia che non poté continuare a bere il brodo di cui aveva tanto bisogno. Ecco il gran segreto delle vocazioni riparatrici!: Gesù fu povero, lo sarò anch’io; Gesù ha sofferto, soffrirò anch’io; Gesù Cristo è stato preso a schiaffi, anch’io accetterò i dispregi, l’oscurità, l’abbandono di tutti, la persecuzione. Gesù Cristo, in una parola, fu posto in Croce, ben venga anche per me la Croce. – Nostro Signore compare un giorno a S. Margherita Maria e le presenta due quadri, l’uno lo rappresenta in Croce, l’altro nella gloria della sua Risurrezione, e le dice: « Scegli a tuo piacere ». La Santa, senza esitare, stende le braccia verso Gesù sofferente (Al cominciar della sua carriera Margherita Maria avrebbe preferito una santità meno dolorosa. Confessa di sé che percorse le vite dei santi per trovarne uno che non avesse sofferto e non lo trovò e dovette rendersi all’evidenza che non v’ha Santo senza Croce). – Qualche cosa di somigliante troviamo nella vita della contessa d’Hoogworst. Emilia d’Oultremont. fondatrice dell’Istituto di Maria Riparatore. (La Société de Marie Riparatrice, par le P. DE LAPORTE S. J.). Era a Roma nel 1843, quando Nostro Signore le rivelò il suo Cuore, « Egli mi si presentò — così essa lasciò scritto — con due corone tra le mani, l’ima di rose, l’altra di spine ». Senza lasciargli proferire parola. Emilia afferrò la corona di spine « con tutto l’affetto del proprio cuore » , e da quel momento, essa lo confessa sinceramente, « la corona di spine mi fu sempre carissima » (Emile d’Oultremont (La Mère Marie de Jesus) — par le P. SUAU, S. J., Casterman, Tournai). – Donde queste inclinazioni e gusti ben singolari, questo attraimento anormale; donde queste preferenze che hanno qualche cosa di strano? (L’Istituto delle Figlie del S. Cuore di Gesù ha fondato nel 1904 per le persone secolari che desiderassero menar vita di riparazione una Associazione detta delle Anime Vittime del Cuor di Gesù, di cui il nome non è a tutti gradito, ma lo spirito è da tutti ben accolto. Pio X nel benedirne l’istituzione si degnò farne parte iscrivendosi come membro. Per altra parte è noto quanto Egli amasselo spirito di riparazione.). La ragione si è che l’anima ha scoperto più o meno esplicitamente che soltanto il dolore può unirla intimamente a Colui che ha voluto esser l’uomo dei dolori — Vir dolorum ». In tutto il resto tra noi e Gesù la distanza è enorme: dall’una parte il nulla, dall’ altra 1’infinito; la povertà estrema, la ricchezza senza limiti. La gara è impossibile; dove trovare un punto di rassomiglianza?… Oh! Eccolo… addolorato Gesù… addolorata l’anima mia. In tutto il resto Egli mi sfugge; Egli è lo stesso Dio. Col dolore io lo raggiungo perché anch’Egli ce soffre ». Su questo terreno posso tentare d’imitarlo. La strada che Egli batte per venire fino a me posso tentar di percorrerla anch’io per arrivare fino a Lui. Così sparisce la distanza fra noi due. Il nostro comune procedere ha qualche cosa di identico e i nostri due esseri, differenti in tutto il resto, in questo diventano simili. Colla sua sofferenza l’anima ce afflitta » diviene per Dio 1′ « adiutorium simile sibi », degna perciò delle carezze divine. Si può ammettere come tesi generale — fa notare l’autore della Vita di S. Liduina — che tutti i servi generosi di Gesù Cristo sono da Lui adoperati per l’espiazione Oltre la loro particolare missione, che non sempre coincide colla riparazione, poiché altri sono più particolarmente destinati o per fare delle conversioni, o per riformare dei monasteri, o per predicare al popolo, o per altro ancora spesso noto a Dio solo; a tutti nondimeno vien rivolto l’invito di arricchire il tesoro comune della Chiesa con le loro sofferenze, tutti si trovano in grado di presentare al loro divin Maestro quella autentica prova del vero amore che è il sacrifizio di sé. Però anche tra questa schiera eletta si trovano delle anime più particolarmente segnate per servire di vittima propiziatrice, quelle che il Signore destina alla nobiltà speciale del « suo proprio blasone ». Non vi mancano gli uomini, « Ancora, ancora sofferenze », mormorerà agonizzando in vista della Cina un S. Francesco Zavério. — « Soffrire ed essere disprezzato », dirà un S. Giovanni della Croce; e noi vedremo nel capitolo seguente degli esempi eloquenti, fra i sacerdoti, di vocazione riparatrice, ai quali possiamo aggiungere quelli del Ven. P. De la Colombière (Ecco il testo della sua oblazione: « O Cuore dei mio Gesù…, acceso dal desiderio di riparare e di espiare tante e si grandi offese che vi si fanno… io vi offro e vi abbandono interamente il mio cuore e tutto il mio essere, ecc ».), del signor Olier (egli si era offerto come « ostia » a Montmartre. « Io godevo, Mio Dio, nel venire alla vostra presenza in qualità di ostia e pregare: O Dio del mio cuore, non mi risparmiate, tagliate, spezzate, riducete a brani questa vostra vittima ». Nella sua Vita.), del P. Surin e del P. Ginhac (vita scritta dal P. CALVET — Un altro maestro di vita spirituale, autore di due stimati scritti sulla « Orazione », il P . de Maumigny, morendo ringraziava il Signore specialmente « per avergli concesso trentacinque anni di dolori ».)Fra i laici, ben innanzi inprima fila, il sig. Dupont. « il santo di Tours » (Vita, di Léon Aubinau, 1878).Però non si può negare, come osservaHuysmans, che il desiderio di ripararespunta ancor più frequente nel cuore delladonna, e ne porta la ragione:« Il Signore si direbbe aver riservato piùparticolarmente alla donna il compito diumile e nascosta pagatrice. I Santi invecehanno un mandato che si estende tra lemasse e si impone ai popoli: essi percorronola terra predicando, fondano o riformanoOrdini religiosi, convertono gli idolatri, insegnano la verità coll’eloquenza delpulpito, mentre più passiva la donna, cheper altro non può esser insignita del caratteresacerdotale, si contorce in silenzio sopraun letto di dolori. È un fatto che l’animadella donna e il suo temperamentosono più affettuosi, più sacrificati, menoegoisti che quelli dell’uomo. Così pure ladonna è più impressionabile e più facilealla commozione. Quindi Gesù presso ladonna trova accoglienza più premurosa; ladonna per istinto ha delle attenzioni, delledelicatezze, delle cure minute verso di Lui,quali non sa trovare un uomo quando nonsia un altro Francesco d’Assisi. Inoltre leverginelle, per aver rinunziato alle caste gioie dell’amor materno verso le creature,hanno tutto un tesoro di affetti che viene arinforzare l’amore per lo Sposo celeste, ilquale, quando esse lo desiderano, diventaper loro il Santo Bambino; le sante allegrezzedi Betlemme saranno sempre più accessibilialla donna che all’uomo, e allorafacilmente si capisce come la donna nonpossa più nulla negare al suo diletto Gesù…Nonostante il loro carattere incostante e facileall’illusione, sarà sempre tra le donneche lo Sposo divino troverà le sue vittimepiù generose ». – « O patire o morire! » , esclama S. Teresa.— « No », corregge Maria Maddalena de’ Pazzi, « non morire, ma sempre continuarea patire ».Marcellina Pauper, Suora di Carità chesi era offerta al Signore come vittima perriparare soprattutto le profanazioni del SantissimoSacramento e i furti di sacre Ostie,confessava di sé: « La mia vita è un delizioso Purgatorio: il corpo soffre, ma l’anima gode ».Veronica Giuliani diceva: « viva, vivala Croce tutta sola e tutta nuda, viva la sofferenza! ». E la M. Maria De Bourg: « Se le sofferenze fossero in vendita al mercato, mi farei ben premura d’andare a provvedermene ».

S. Liduina anch’essa, in mezzo ai suoi più atroci dolori, esclamava: « Non compatitemi, io sono felice, e se con una sola Ave Maria potessi ottenere la mia guarigione, io non la reciterei mai ». E non si dica: « Queste scene sono di altri tempi, ora di anime simili non ne esistono più ». Ascoltatene una proprio dei nostri giorni: « Io ho bisogno di soffrire, io voglio soffrire perché Gesù ha sofferto per me, perché il Signore lo desidera per l’espiazione dei delitti del mondo. Io voglio soffrire perché il dolore è la più potente delle preghiere… perché il dolore purifica, perché il dolore c’innalza … Io voglio soffrire perché nel dolore si trova la felicità e l’anima è assetata della vera felicità. Non mori, sed pati. Patire, patire per cent’anni se è necessario, per salvare le anime e glorificare il Signore. Ho bisogno di preghiera continua, robustezza dell’anima, chiave dei tesori celesti. La preghiera unisce a Gesù, aiuta a sopportare tutto per la sua gloria. La preghiera è sorella del patimento, l’uno e l’altra si uniscono per offrirsi a Dio e salvare il mondo. Gesù non li ha mai separati nella sua vita nascosta, nella sua Passione, sulla Croce ». Così scrive Hervé Bazin (Une Religieuse réparatrice. Perrin, 1903. (Préface de R. Bazin). Notiamo però che se gli esempi recati fin ora mettono in mostra specialmente il « dolore », rimane sempre vero che il criterio della Riparazione dev’esser l’ « Amore» di cui il dolore non è che la prova più sicura), il quale ebbe una sorella, Simona Denniel, anch’essa religiosa di Maria Riparatrice. Eccone i sentimenti: « Le rose per Lui, per me le spine. Ostia coll’Ostia… ossia per l’Ostia, questa mi pare la sostanza di tutta la mia vita » (Une àme réparatrice. Simone Denniel. Vittel,  Lyon, 1916).Si possono consultare a questo propositomolte altre biografie di contemporanei oltrea quelle da noi ricordate: Zaveria DeMaistre, Teodolinda Dubouché,Maddalena Ulrich, Teresa Durnerin,la M. Maria del Divin Cuore, CatterinaClement e molte altre ancora.E non convien dimenticare che oltre aquesti pochi nomi che la storia può registraree il Signore manifesta a tutti per confortoinsieme e confusione degli uomini,molto più numerose sono certamente quelleanime che si offrono alla riparazione nelsilenzio e nell’oscurità, si consacrano congrande slancio all’opera riparatrice e nonsono conosciute fuorché dal Signore.Oh! sieno benedette queste anime, equelle che rimangono ignorate, sia per lagloria che esse procurano al Sovrano Signoredi tutte le cose, sia per la protezione di cui, anche a nostra insaputa, ci vannoricoprendo. Certi saputi di quaggiù, scrisseRoberto Vallery-Radot, ce si credono invincibili perché ben forniti di cannoni e di munizioni da guerra; essi non si accorgono che sotto la trama degli avvenimenti mostruosi e riboccanti di sangue si svolge tutto un dramma spirituale ineluttabile, il sacrifizio dei più puri … È l’Agnello e non il lupo che scancella i peccati del mondo… Quando i retori dell’antica Roma vedevano nel circo, fra due rappresentazioni degli istrioni, i Cristiani dati in pascolo alle fiere, non vi scorgevano altro che un numero di un trattenimento secondo il gusto di quei giorni. Si sarebbero ben meravigliati quando loro si fosse predetto che quell’oscuro sangue assorbito dalla terra avrebbe germinato un nuovo mondo; e non sarebbe stato preso come un pazzo quel magistrato che dichiarasse le catacombe ben più forti del Foro romano? ». – Anche al presente, come sempre, quelli che soffrono e che espiano « nelle catacombe » sono i principali e più operosi autori della ristorazione soprannaturale. [Tra questi il Santo Padre Gregorio XVIII – ndr.]

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/07/lidea-riparatrice-6/

L’IDEA RIPARATRICE (4)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (4)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

(30) PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO II

Chi deve riparare?

CAPO PRIMO

L’ANIMA CRISTIANA E LA RIPARAZIONE.

L’incarico di condurre a termine la missione — quindi anche la Passione — di Gesù Cristo, spetta in modo eminente e particolare a quelli che vi furono eletti e consacrati.

Non ne viene però che e la Missione e la Passione di Gesù Cristo non interessino punto l’anima cristiana. Ciascuno dei Cristiani può e deve occupare un posto, secondo

la misura della propria generosità, tra le file di quelli che vogliono riparare. A questo li spinga anzitutto un motivo che dovrebbe stimolare anche le anime tiepide: il loro proprio interesse. – Le leggi della giustizia divina sono note a tutti. Noi tutti sappiamo che, se il Signore non vuol far contro sé stesso, ad ogni peccato conviene che infligga, ora o più tardi ma necessariamente, un proporzionato castigo: così pure conviene che il delitto non rimanga fino al termine trionfante. Per gli individui la giustizia di Dio incomincia quaggiù ma sovente vi rimane incompiuta; nella sua misericordia il Signore temporeggia; che se l’uomo si ostina Egli ha nelle sue mani tutta l’eternità. Ma i popoli, le nazioni, che come tali non altra esistenza possono avere che quaggiù, debbono in una maniera o in un’altra espiare i loro falli assolutamente sopra la terra. – Nell’Antico Patto la dimostrazione d’un tale principio è evidente nella storia del popolo di Dio. Ascoltiamo le parole di Jehova riportate dal profeta Geremia al popolo ebreo prevaricatore: « Io chiamerò i popoli dal regno dell’aquilone ed essi verranno a rizzare i loro troni all’ingresso delle porte di Gerusalemme, tutt”attorno alle sue mura, ed in tutte le città di Giuda. E per causa di tutta la loro malizia pronunzierò una severa condanna contro Giuda, perché essi mi hanno abbandonato, ed hanno adorato le fatture delle loro mani » (I. 13). E altra volta: … « Io farò venire dai paesi più lontani un popolo, un popolo potente, un popolo la cui lingua vi sarà talmente nuova che voi non comprenderete nulla di quanto vi dirà. Il suo turcasso ingoierà gli uomini come un sepolcro spalancato; i suoi soldati saranno valorosi. Egli mangerà il vostro grano e il vostro pane e divorerà i vostri figliuoli, saccheggerà i vostri armenti e i vostri buoi, spoglierà le vostre vigne e verrà colla spada in pugno a distruggere le vostre più forti città in cui voi mettete la vostra sicurezza » (v. 15-18). – Nella storia contemporanea non abbiamo bisogno di andar tanto lontano per trovare dei casi consimili a quelli succitati… somiglianze singolari! (Non sarà fuor di proposito far notare che il Signore può benissimo — tutto l’Antico Testamento ce lo prova — servirsi di popoli anche corrotti per dare ad un altro popolo, anche eletto per una missione gloriosa, qualche lezione salutare. Quante volte noi leggiamo nella S. Scrittura: « Io mi servirò del flagello per sceverare il buon grano dalla paglia… e poi lo spezzerò »). Altri prende scandalo perché il Signore segue siffatta legge compensatrice; questo però non prova che tal legge sia ingiusta. Nei casi particolari non sarà sempre lecito a noi il giudizio categorico: questo doloroso caso è l’espiazione di questa piuttosto che di quella colpa; S. Elena, a cagion di esempio, espiazione di Savona e di Fontainebleau. Non così per la legge generale, la quale non è altra: ogni delitto ha la sua pena e Dio, non può esser altrimenti, avrà sempre per sé l’ultima parola. Noi abbiamo altrove affermato che gli avvenimenti così tragici degli anni testé passati possono sotto un certo aspetto, senza timore di paradosso, esser considerati come un’opera di misericordia dalla parte di Dio. Ma nessuno può negare che se vogliamo spiegarci ogni cosa dobbiamo deciderci a scorger in essi un’opera di giustizia divina Soltanto un cieco orgoglio può ostinarsi a negarlo. – « Qua e là giacciono a terra rugginosi e crivellati dalle palle gli strumenti del lavoro. In mezzo al cortile, nel frutteto sotto gli alberi, presso le siepi, un po’ per tutto si aprono le tombe, sorgono le croci. Oh! ditemi, quanto è terribile questa rivincita delle croci! Fino a quando ci ostineremo a non voler comprendere? ». Così ha parlato un soldato (Notice sur l’Abbé Chevolleau, séminariste, caporal au 90° d’inf., mort à Verdun, par EMILE BAUMANN). Quanti hanno visto questo numero senza numero di cimiteri della fronte, questi reggimenti di tombe, si sentirono prepotente spuntare in cuore: « Oh! l’hanno bandita la Croce dai monumenti pubblici, dai tribunali, dalle scuole, dalle pubbliche vie… ed eccola la piccola Croce che compare un po’ per tutto in mezzo ai boschi, lungo le vie e nei giardini ». – Che si andava cercando finora -— e ancora al presente forse troppo spesso — fuorché il piacere, la soddisfazione propria? Anche in seno alle famiglie cristiane quante libertà, quale noncuranza delle leggi anche più rigorose, doveri del matrimonio, osservanza del riposo festivo, santificazione delle feste, rispetto alla roba altrui! Tutta la vita è organizzata contro la sofferenza, non eccettuata quella che è semplice conseguenza di fedeltà ai comandamenti più imperiosi di Dio e della Chiesa… – E il « dolore » aspettava la sua ora, preparava la sua rivincita. La chiamata sotto le armi del 2 agosto 1914 fu ben l’opera sua. E allora s’imposero la separazione, l’ultimo addio, le ansie senza fine… e poi le notizie dolorose… : il caro lontano è ferito, prigioniero, scomparso, … forse più e peggio di tutto questo… è morto! Poveri afflitti! Quanto grande comparve la capacità di soffrire del cuore umano! E fra quanti furono spettatori degli orrori della guerra nessuno potrà mai descrivere la quantità prodigiosa di sacrifizio che in certi momenti, in certi giorni — e furono anche dei mesi interi — hanno saputo dare i nostri soldati alla fronte. Ora tutto questo è finito… e per l’avvenire? Che resterà delle famiglie, delle fortune, del benessere materiale accumulato con tante pene? Come resteremo insensibili alla vista delle angosce e dei dolori che si preparano? Forse che noi potremo far nulla? Noi possiamo molto. Durante la guerra noiabbiamo fatto assegnamento su tre sorta di combattenti. Quelli che in campo lottavano col nemico, quelli che curavano i feriti e quelli che pregavano. I soldati che si sono battuti hanno pagato più che largamente il loro tributo di sangue alla patria. Quanti si sono dedicati alla cura dei feriti l’hanno fatto con uno spirito di sacrifizio senza limiti. Ma la parte che meglio contribuì per la vittoria fu certamente quella sostenuta da quanti perseverarono nella preghiera e nel1’abnegazione propria — e nel numero di costoro dobbiam contare molti che appartennero pure alle due prime schiere di combattenti. Anche questa volta si avverarono le parole di Giovanna d”Arco: « Le mani levate al Cielo ci danno !a vittoria meglio di quelle che impugnano le armi ». – « La misteriosa vittoria della Marna, ha scritto un autore di vedute spesso profonde, forse fu opera della preghiera ben umile di una qualche bambina ». – Di più: « Ecco una povera giovane che prega in una oscura chiesetta devastata. Essa tutto ignora fuorché la forza della preghiera, poiché il Signore ha promesso di concedere quello che noi con semplice confidenza gli domandiamo. …Tendete l’orecchio, sentite nella notte quel rumore assordante di soldati, di cavalli, di carri in marcia …? Questo rumore è il movimento delle labbra di quella semplicetta a cui il Signore non saprà nulla negare ». È un fatto certissimo; l’influsso del soprannaturale ebbe una parte grandissima nella storia degli ultimi anni dal 1914 al 1919. Da noi dipende il far sì che nella storia degli eventi che seguono quegli anni dolorosi questo stesso influsso del soprannaturale vi abbia parte copiosa e sovrabbondante. Noi vediamo pur troppo che la calma stenta a ristabilirsi nelle nazioni e che i popoli hanno bisogno di parafulmini forse più ancora che pel passato. Un po’ per tutto l’agitazione, il malessere: rumori che si fanno sentire, convulsioni che si preparano. Così noi sapessimo capire quanto di azione divina noi possiamo introdurre nella storia degli uomini! Non è che si debba rinunziare all’uso dei mezzi naturali, ma vorremmo poter persuadere a molti — fra i quali non mancano anche dei Cristiani che non credono abbastanza all’efficacia dei mezzi soprannaturali — che appunto servendoci di essi noi potremmo recare molti miglioramenti nei fatti che si svolgono dinanzi a noi. Colui che può influire sopra la Causa prima di ogni cosa può ben dirsi onnipotente: ora la Causa prima d’ogni cosa ha una parte non indifferente nella storia del mondo. Durante una tempesta che infuriava contro le navi di S. Luigi in rotta per la Crociata, si vide il re, dopo aver recitata una breve preghiera, alzarsi pieno di confidenza assicurando che alla flotta non sarebbe accaduto nulla di sinistro. « Donde ricavate questa vostra fiducia? » gli domandarono i suoi, « Laggiù – rispose egli – nel mio monastero di Chiaravalle «i offrono a Dio per noi preghiere e penitenza. Tutto andrà a seconda ». – Pochi anni or sono un Vescovo di Cina fu interrogato quale credesse egli il mezzo più efficace per condurre a Cristo tutto quell’immenso Impero: « Avremmo bisogno, egli rispose, di qualche Carmelitana di più e di qualche Trappista ». Questo vi potrà sembrare mezzo ben sproporzionato per il fine che si vuol ottenere. Ma nulla può contrastare all’evidenza della verità. E la verità è questa: Chi rovina le nazioni? il peccato. Quod evertit nationes, peccatum. Verrà dunque la salvezza dei popoli dalla santità — la santità per mezzo dei due elementi che la costituiscono: la penitenza e la preghiera. – Ne derivano necessariamente due conseguenze. La prima: Interroghiamo noi stessi per conoscere se mai colla nostra vita abbiamo potuto esser causa anche solo in piccola parte dei fatti che deploriamo. V’hanno regioni dell’Oriente in cui, quando si trova il cadavere di un qualche assassinato per via, lo si porta sulla piazza pubblica e tutti gli abitanti del paese debbono giurare di non aver avuto parte alcuna nell’uccisione di quel disgraziato. Dinanzi alla rovina della propria patria ci resta da fare qualche cosa di meglio che il gesto di Pilato e una fredda dichiarazione: « Io sono del tutto innocente di quanto è avvenuto ». Come potremmo sapere fino a qual punto vi hanno contribuito ciascuna delle nostre colpe? Non è forse vero che se il Signore trovava nelle città di Sodoma e di Gomorra qualche giusto di più non le avrebbe incenerite sotto una pioggia di fuoco? Stiamo lontani dal peccato. Quod evertit nationes, peccatum (Prov.. XIV. 31). È il peccato dei singoli uomini che attira, più spesso che noi crediamo, il castigo sulle nazioni. – Anche un solo peccato mortale, per sé stesso, è sufficiente per attirare sulla terra calamità immense. E vero che pochi possono comprender ciò, ma convien pur dire chiara la verità. Difatti il peccato mortale consiste in ciò che. potendo scegliere fra una creatura qualunque e Dio. si preferisce la creatura e si ripudia Dio come se si tentasse di sopprimere il Creatore quando ciò potesse farsi. Di qui ne viene che l’ingiuria fatta all’essere Infinito che è Dio non potrà mai esser compensata quand’anche si annientassero tutte le creature dell’Universo, che son cosa limitata e finita. Questi sono i termini netti del problema e il ricorrere ai brevetti decretati a dotti e scienziati, e il moltiplicare le accuse di barbarie lanciate contro Dio non mutano affatto la sostanza del fatto. – Quanti esempi noi troviamo ancora nella storia del popoli di Dio — se le nostre generazioni potessero ancora interessarsi qualche poco della vita del popolo di Dio — esempi che meditati ci farebbero del bene. Tra i soldati che marciano contro Gerico uno ven’ha che commette un grave fallo. Il Signore aveva comandato che dal bottino nulla fosse passato nelle mani dei soldati, ma tutto fosse riservato pel tempio di Gerusalemme. Quel soldato s’era impadronito d’una verga d’oro e d’un mantello di porpora e li aveva nascosti nella sua tenda, il che era evidentemente contro il volere di Dio. Il popolo di Israele si batte contro i suoi nemici e ne è sconfitto… Un soldato ha disobbedito a Dio e Dio abbandona il popolo d’Israele. Si cerchi il colpevole e paghi il fio della sua colpa. Ciò fatto, Dio dice ad Israele: « Fin da questo momento hai la vittoria in pugno: va pure, combatti nuovamente, io sono con te ». Israele ritorna sul campo, si batte contro il nemico e lo sbaraglia completamente (Jos, 7 e 8). Non vogliamo dire con questo che il Signore abbia l’abitudine di punire sempre con castighi generali le colpe private dei singoli; ciò non avviene specialmente — per nostra buona sorte — nella legge di grazia. Ma non si può negare che il Signore ha il diritto di farlo e che quando lo faccia noi non possiamo tacciarlo d’ingiustizia: e tutti i castighi temporali riuniti insieme non valgono per sé a compensare un solo peccato, perché tra l’infinito e il finito non vi ha proporzione alcuna. Sottentra allora la misericordia di Dio e coll’offerta di una nostra sofferenza domandata e accettata da Dio si possono espiare anche molti peccati, e diremo colle parole stesse di Gesù Cristo a S. Margherita Maria: « un’anima giusta può ottenere il perdono per mille peccatori ». Cosi soltanto, senza rinunziare per nulla ai diritti della sua giustizia, il Signore trova modo di esercitare le sue grandi misericordie. Ma vuole che nella misura più larga che ci è possibile noi gli porgiamo il nostro concorso e che noi concediamo a questa misericordia infinita l’occasione — vorrei dire: il permesso — di mostrarsi per quella che è. Quindi non dobbiamo mostrarci scandalizzati e tanto meno uscire in bestemmie esecrande, come fanno i nostri moderni pagani, per gli avvenimenti che ci sconvolgono o ci fanno soffrire; non dobbiamo prenderci la libertà di criticare tutte le interpretazioni della Storia, ove la sciagura si presenta come l’espiazione delle colpe sociali, come fanno i nostri odierni farisei dalla vita, dicono essi, senza macchia alcuna. Noi dobbiamo invece apprezzare il peccato secondo verità e cercare di evitarlo come il più gran male che possa darsi e per i singoli individui e per le nazioni. Non diremo già che di due nazioni sia la più santa o la meno colpevole quella a cui il Signore concede o permette maggior prosperità; ma è fuor di dubbio che se non di fatto, certo di diritt o un grave delitto può attirare sulla terra le più terribili rovine, e che, se abbiam a cuore il bene degli uomini, il nostro primo pensiero dev’essere di vivere bene, cioè fare ogni sforzo per evitare tutte quelle colpe che l’Altissimo nella sua giustizia non può non punire o nel tempo o nell’eternità. Meditiamo qualche volta le parole seguenti del Newman, parole le quali dopo quanto abbiamo detto fin qui non v’ha pericolo che restino incomprese: « Non immaginiamoci che il Signore usi con noi al presente, perché siamo spettatori delle opere sue, altro modo di punire che pel passato. La principale differenza fra il contegno tenuto da Dio verso i Giudei e quello che ora tiene verso i Cristiani certamente non è altro che questa: pei Giudei il modo era esteriore e visibile, pei Cristiani è intimo e invisibile. Noi non vediamo oggi come in quei tempi gli effetti della collera di Dio. Perché  Egli non si dà la pena di venircelo a dichiarare in persona come faceva coi Giudei o per sé stesso o per mezzo dei Profeti, ma questi effetti non sono perciò meno palpabili, sono anzi più terribili perché proporzionati alle maggiori grazie a noi concesse, e di cui noi purtroppo abusiamo ». Ma la parte che vi deve prendere il Cristiano non deve restare puramente negativa. A ciascuno di noi, se abbiamo desiderio di guarire e prevenire il male, spetta la missione di collocare sulla bilancia divina come contrappeso delle colpe, di cui pur troppo siamo spettatori, una buona misura di fedeltà alla preghiera, di accettazione della sofferenza e di pratica d ogni virtù. E così un motivo d’interesse proprio deve spingere ogni Cristiano alla riparazione. Se egli manca alla parte sua, i suoi fratelli, l’intera comunità, la Società, la Nazione vanno a rischio di espiare la sua noncuranza o il suo colpevole oblio. – Ma ci resta un secondo motivo più nobile, non più di interesse ma di amore. E che? Si può forse veder il Signore trattato così come lo si tratta e non sentire il bisogno di recargli qualche sollievo? Gesù Cristo, il nostro re, il nostro duce è oltraggiato, posto fuori della legge e noi non proviamo un sussulto, uno slancio, un dispiacere, un desiderio? È vero che dopo il giardino degli Olivi, dopo la Croce oramai è avvezzo a vedersi quasi abbandonato da tutti. Ma vorremo abbandonarlo anche noi e non esser invece di quei pochi che gli rimangono fedeli? Dov’è la nostra fede, dove i nobili sentimenti d’un cuore Cristiano? Nessuno vorrà accostarsi per consolar le pene del Maestro? Nessuno vorrà offrirsi per lenire il duolo della Chiesa? Sono forse i soli Sacerdoti e i religiosi che possono comprendere la croce e la miseria delle anime? « Guardatevi tutti intorno, scriveva Manning, e poi ditemi se il mondo è retto dallo Spirito di Dio che ne è il creatore o dallo spirito di satana che ne è l’idolo e la ruina! Noi dovremmo riparare per tutti quelli che furono rigenerati nel Battesimo coll’acqua e collo Spirito Santo e che pure hanno peccato contro di Lui » . E aggiungeva con tristezza: « Ma noi invece restiamo tutto il giorno inoperosi! ». Lo Spirito Santo è tradito ad ogni istante, e non si troverà alcuno per riparare? La Chiesa è presa di mira continuamente dall’una parte senza vergogna alcuna, dall’altra con armi subdole. E noi rimarremo sempre inerti? Alla battaglia di Eylau vedendosi incalzato troppo da vicino dal nemico, Napoleone gridò, se non erro, a Murat: « Non li vedi che ci stanno addosso? Ci lascerai dunque mangiare da quella gente? ». Dunque non abbiamo in cuore qualche po’ di amore? La Madre nostra, la Chiesa, sono parole vuote, senza valore? V’ha chi insulta la Madre nostra e noi lo lasciamo andare impunito? Un tempo se altri avesse recato dispiacere a colei che ci diede la vita, non ci saremmo affrettati intorno ad essa per compensarla tosto colla nostra tenerezza? – « Nel mondo sono necessarie, scriveva Mgr. d’Hulst, delle anime che amando e soffrendo riparino senza far mostra di sé per non spaventare o recar disturbo ad alcuno ». La Dio mercé di tali anime se ne trovano ancora, e certamente anche più di quello che si crede. Una madre, una contadina, è al letto del figlio che muore. Ad un tratto il ragazzo apre gli occhi a stento e: « Madre, geme, un po’ d’acqua, io muoio di sete! » Al pendolo della camera suonano in quell’istante le tre del pomeriggio; la madre prende il Crocefisso e nel metterlo tra le mani scarne del moribondo gli dice con voce interrotta dai singhiozzi: « Mio caro, è l’ora in cui Gesù è morto per te; per conformarti sempre meglio al tuo modello non vorrai trattenerti per qualche istante dal bere? » — « Oh sì. mamma » , risponde il giovane; e accostando alle labbra il divin Crocefisso vi stampa sopra un lungo bacio. Senza pensarci questa donna e il figliuolo suo facevano proprie le parole del Serafino d’Assisi: « Come mai! Voi mio Salvatore, voi siete sulla Croce ed io non mi ci trovo anch’io? ». Col loro eroismo e madre e figlio si collocavano tra le file di quei « buoni Cristiani » di cui parlava il Santo Curato d’Ars quando diceva: « Le persone del mondo si affliggono quando hanno delle croci e i buoni Cristiani invece piangono quando non ne possono avere »  — tra le file dei veri credenti, di quelli che hanno compreso ciò che Fénelon ha definito « il gran mistero del Cristianesimo » . cioè « la crocifissione dell’uomo » in unione colla Crocifissione di Dio. Il vero amore non ha altro modo di mostrarsi che non lasci dubbio della sua sincerità: spinge all’imitazione della persona amata. – Eugenio Courtois. socio della Gioventù Cattolica di Francia, il quale cadde valorosamente durante l’offensiva del 25 settembre 1915, era un bravo operaio convertitosi alla morte del fratello suo. Gli erano familiari le più rigorose penitenze: levarsi di buon mattino per potersi comunicare ogni giorno, assistenza di malati ributtanti, dormire steso sopra una gran croce di legno che egli ponevasi nel letto, e tutto questo mentre aveva al piede una piaga infettiva che per lungo tempo non volle curare per aumentare le sue mortificazioni. Egli si sentiva infelice quando non aveva da soffrire: « Io sono troppo ben trattato a tavola, le privazioni mi mancano… ». Lucilla X … legge, giovanetta ancora, la vita di Maria Celina della Presentazione, morta a diciannove anni nel Convento dell’ave Maria di Talenza, e si decide di consacrarsi anch’essa alla vita di riparazione. Segue gli Esercizi di una Missione predicata a Maubeuge e si conferma sempre più nel suo proposito. Ha fatto la sua prima Comunione nel 1902, e nel 1906, il giorno 2 dicembre, scrive nelle sue note intime: a Gesù, io vi offro il sacrificio della mia vita per la salvezza della mia cara patria. Prendetemi, se vi piace, come vittima per essa ». E il 13 dello stesso mese: « Fatemi soffrire per i delitti commessi dalla Francia ». E il suo ardore porta tutti i segni d’una soda pietà: « Rinnegare me stessa vuol dir compiere il mio dovere a qualunque costo senza badare alla mia soddisfazione. Quando possa scegliere liberamente fra due cose, preferirò quella che meno mi piace. Sacrificherò le mie inclinazioni per seguire piuttosto il gusto altrui … Non darò segno di preferir l’una cosa all’altra, non dirò mai: ” Questo a me piace di più … ». Quanta sapienza in questa fanciulla e che retta intelligenza dello spirito di sacrifizio! Essa non si sbaglia quando rivolgendosi a Dio prega: « Mandatemi da soffrire… E quando avrete incominciato non badate a quello che io vi posso dire allora, o Gesù, ma continuate sempre. Io mi rimetto interamente a voi! » E Gesù non si arrestò più finche il giorno 29 maggio 1907 venne a prendersela per condurla in cielo con Lui. – « Il Cristiano, diceva ancora il Santo Curato d’Ars, vive in mezzo alle croci come il pesce nell’acqua » . S’intende, il Cristiano che ha preso sul serio la dottrina e l’esempio del divin Maestro. È nota la preghiera veramente bella che

Madama Elisabetta compose nelle prigioni del Tempio (Io voglio tutto, tutto accetto e di tutto faccio un sacrificio a voi, mio Dio, e unisco questo mio sacrifizio a quello che vi fece di sé Gesù Cristo, ecc. …. ) e quella del Generale De Sonis: « … O mio Dio, che io sia crocifisso ma per mano vostra! ». Tra le rovine del « Bazar de la Charité », dopo il famoso incendio, sul cadavere d’una giovane di vent’anni furono trovate queste parole tracciate sopra un taccuino, mezzo distrutto dalle fiamme: « O Gesù! io offro la mia vita come vittima in espiazione per amor vostro ». La piccola Bernardetta Dupont nel giorno della sua prima Comunione domanda al Signore di potersi fare poi « religiosa e poi di morire ce martire ». Da Gesù non le fu concessa la prima grazia perché la chiamò a sé nei suoi quindici anni: essa fu esaudita invece nella seconda perché la sua morte fu preceduta da trentadue mesi di penose sofferenze. – Vediamo ora un ufficiale dell’esercito, il Comandante De Robien. Gentiluomo bretone, egli è di buona stirpe: già prima d’ora per ragione della sua fede aveva preferito spezzare la sua spada: sopravviene la guerra, egli vuol partire contro il nemico. Non gli basta un battaglione di territoriali, vuole il servizio di guerra. Di passaggio a Domremy, si getta ai piedi di Giovanna d’Arco e nella sua preghiera ragiona tra sé: « E se mi offrissi per salvare tanti di questi giovani, innocenti dei falli dei padri loro? … », e una voce interna mifa comprendere che il Signore accetta la sua offerta. Ecco arriva l’ordine di partire col 3° degli Zuavi. « Io mi reputo a grande onore di poter soffrire per la mia patria, egli esclama accomiatandosi dai suoi vecchi amici. Poche settimane dopo, in un contrattacco, il Signore accettava di fatto il sacrificio della sua vita. La domenica dopo la sua morte, il sacerdote della parrocchia, suo confidente, poteva dar pubblica lettura ai fedeli di questo ammirabile tratto di lettera: « … Per soddisfare pienamente la giustizia divina, per riscattare la nostra cara patria non è forse necessario che si offrano spontanee in olocausto molte vittime? « Ah! se il Signore mi volesse accettare et me vittima di espiazione per la liberazione della nostra cara patria, con quanta gioia io darei la mia vita per la santa causa della riparazione! « Dopo aver pregato a lungo e sofferto crudelmente al pensiero della mia indegnità, ho creduto bene formulare timidamente questo voto… « Non so se il Signore mi riputerà degno, nonostante i miei gravi difetti, d’un simile onore… Ma se fosse nella mente di Dio di esaudirmi, come potrei trattenermi dal ringraziarlo fin d’ora per la sua indulgenza e per la sua bontà a mio riguardo? ». Ammiriamo quanto Dio solo sa ricavare da quel pugno di fango che è il cuor umano. Mirabilis Deus in sanctis suis. Ammiriamo e procuriamo di comprendere. Molti ignorano siffatti eroismi: gli stessi eroi non sanno di esserlo, per lo più. Chi li conosce ben può dire che ben più numerosa di quanto s’immagina è la schiera di questi eroi: a cominciar da quelli le cui gesta riscuotono il nostro plauso, fino ai più nascosti agli occhi degli uomini, è tutta una gamma e i più umili non sono sempre quelli che meritano meno al cospetto della storia. Sarà però sempre vero che la parte scelta non formerà grande schiera: tuttavia abbiamo potuto vedere che anche nel mondo e in mezzo a quelli che nel mondo vivono, il Signore trova i suoi eletti. – Il R. P. Matteo Crawley, il noto missionario peruviano che ha visitato minutamente varie nazioni, parlando della Francia, ha potuto dire — senza intendere di escludere per ciò le altre nazioni — : « A ciascun delitto sociale ho trovato corrispondere non soltanto un’opera di riparazione, ma tutta una serie di opere riforatrici. « E non si creda spenta questa generosità (di anime cristiane fino al sacrifizio, e talvolta al sacrifizio completo oh! no. Io stesso ho scoperto, e nelle grandi citta e nei piccoli villaggi, qualche milite di questa schiera eletta e di una bellezza morale sfolgorante. – Ma non è troppo facile lo scoprirlo, perché essi sono come quei corsi d’acqua nascosti, causa silenziosa e segreta del bel verde fiorito che si espande tutto attorno ad essi… Anime elette che si trovano un po’ d’ogni parte tra gli alti personaggi e gli uomini influenti tanto quanto tra le persone modeste, umili e piccine. Donde vengono queste anime preziose? « Esse sono le gocce del sangue di una stirpe, la voce delle tradizioni che vivono di un antico succo cristiano, la ricchezza morale d’un organismo tutto impregnato del più puro e più forte Cristianesimo… Ed è con questo frumento che il Cielo ha preparato le ostie redentrici della Francia » (Riprodotto da Les nouvelles religieuses, 1° febbraio 1918, p. 81). – Tocca a noi il custodire con ogni cura i grani scelti di questo puro frumento e, se Dio ci ha posto in cuore il germe di affetti generosi, il ripararci dal gelo dell’indifferenza che domina intorno a noi. Per soffrir volentieri è necessario amare: forse che è cosa difficile l’amare? Il giorno 25 Ventoso 1794, in Parigi, il giudice inquisitore del tribunale rivoluzionario domanda ad una santa fanciulla, Margherita De Pons: « Quali sono le tue opinioni religiose? » . La fanciulla con tutta semplicità risponde: « Io amo con tutto il cuore il mio Dio ». Chi non può ripetere con essa le stesse parole? E questo basta come condizione preliminare per incominciare l’opera riparatrice, e anche nel continuare il lavoro non c’è bisogno di più per condurlo a buon termine: – Amare Iddio con tuttoil proprio cuore.

L’IDEA RIPARATRICE (3)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (3)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

(30) PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO I

Perché riparare?

CAPO TERZO

LA RIPARAZIONE NECESSITÀ CHE S’IMPONE NELLE CIRCOSTANZE PRESENTI.

Ove il terreno non rende convien portar del nostro. Noi preghiamo e mattino e sera: « Padre celeste, venga il tuo regno » . E che il nostro augurio rimanga continuamente vano è pur troppo verità a tutti manifesta. Oh! chi oserà dire che il regno di Dio sta per giungere? Non è forse vero invece che egli non giunge punto, che neppure lo si vede venire da lontano verso di noi? Ai nostri giorni anche noi possiamo ripetere, senza timore di sbagliare, quelle parole che Peguy mette sulle labbra di Giovanna  d’Arco, parole che dipingono così bene la triste epoca degli inizi del regno di Carlo VI. « 0 Padre nostro! Padre nostro che sei quanto siam lontani dal vedere che il tuo Nome sia santificato, quanto siam lontani dal momento che il tuo regno arrivi tra noi… Si va di male in peggio. Vedessimo almeno spuntare il sole di tua giustizia; invece, si direbbe, o mio Dio, mio Dio, perdona! si direbbe che il tuo regno se ne va lontano da noi. Mai prima d’ora si è tanto bestemmiato il tuo Nome; mai si è tanto disprezzata la tua volontà. Mai si è disobbedito con tanto orgoglio… Se i Santi e le Sante vissute finora tra noi non furono sufficienti, ne manda ancora quanti se ne richiedono, ne manda in modo che il nemico si stanchi e ci abbandoni… ». – Nella magnifica introduzione alla vita di S. Liduina, la dolorosa riparatrice di Schiedam, Huysmans descrive a larghi tratti lo stato del mondo nell’epoca in cui Dio si prepara ad eleggere l’elegante pattinatrice di quel canto di Olanda per inchiodarla in un letto per 38 anni, in preda ai più atroci dolori di corpo e di spirito, e così mandar sconfitto satana il cui regno maledetto si va espandendo ogni giorno più. Il mondo non si è mutato di molto dopo S. Liduina. Ai suoi giorni i popoli si massacravano l’un l’altro. Oggi noi abbiamo nulla da invidiare a quei barbari di allora. Le nazioni si sfasciavano per decrepitezza e decadenza, fattesi volontariamente schiave di sofisti prezzolati e di falsi pastori senza scienza. E noi abbiamo visto tutto questo anche al presente. Non mancava allora il denaro per assoldare i traditori. E a questo fine del denaro non ne mancherà mai. Ora come pel passato abbondano quei filosofastri che trovano sempre delle ragioni per scusare i più nefandi delitti. La sete del piacere dappertutto e sempre. « Fra 23 giorni compirò i miei vent’un anno, è tempo di darmi al piacere », e questo motto di Beyle è l’ideale di intere generazioni. Il peccato si diffonde con una profusione ed un cinismo che fa spavento. Non ci sentiamo il coraggio di portarne qualche esempio poiché non si troverebbe più il modo di terminare [chissà cosa scriverebbe oggi p. Plus, epoca infinitamente peggiore della sua .. –ndr.-]. A qualche anima più generosa nella riparazione il divin Salvatore non di rado ha fatto delle confidenze, in cui il buon Maestro viene a particolari di peccati più enormi che attirano sulla terra castighi più terribili se non v’ha chi si offra per riparare. – E per primi i peccati di bestemmia. Gesù comparve tutto in lacrime e sfigurato in volto ad una Clarissa del XVIII secolo, Veronica Giuliani, e le disse: « Contempla come sono maltrattato dagli uomini e in che stato sono ridotto. Tutto questo per le orribili bestemmie che vomitano continuamente contro di me le creature delle mie mani ». E noi abbiamo riferito più sopra a questo proposito le parole della Vergine Santissima alla Salette. – Poi vengono i peccati di impurità. Mentre Caterina da Siena piangeva sui mali della Chiesa: « Ricorda, le disse il divin Salvatore, che ben prima della peste ti avevo fatto comprendere l’orrore ch’io sento del vizio impuro, e come ne era purtroppo guasto il mondo intero. Io ti ho messo innanzi agli occhi tutte le nazioni e vi hai scorto un po’ per tutto questo maledetto peccato. Questa lebbra aveva contaminato l’universo… la maggior parte degli uomini era macchiata da questo vizio infame nell’anima e nel corpo. « Tuttavia in mezzo a tanti prevaricatori ti ho mostrato un certo numero di anime immuni da simili colpe, poiché in mezzo ai perversi si danno sempre degli eletti le cui buone opere mi trattengono dal comandare alle montagne di schiacciare i colpevoli, alla terra di ingoiarli nei suoi abissi, alle belve feroci di divorarli, o ai demoni di portarseli in anima e corpo all’inferno. E allora io cerco modo di poter far loro misericordia col trarli a mutamento di vita e mi servo a questo fine degli stessi miei servi fedeli e puri da siffatta lebbra e li muovo a pregare per essi » (Dialoghi, c. 124. – — Nostro Signore già altra volta le aveva detto: « Mia dolce figliuola, le tue lacrime sono onnipotenti perché sparse per amor mio. Non posso resistere ai tuoi desideri. Ma guarda un po’ le brutture che disonoranoil volto della mia sposa. Essa è guasta come da una lebbra dall’impurità, dall’amor proprio, dall’orgoglio e dall’avarizia » – Dial., c. 14].- Specialmente a certe epoche questi peccati riboccano, è allora che in modo particolare convien riparare. – La Domenica di Quinquagesima al cominciar della Messa N. S. Gesù Cristo compare a S. Geltrude stanco, desolato per le persecuzioni di cui lo fanno oggetto da ogni parte e le domanda di rifugiarsi nel suo cuore: « E da quel momento durante i tre giorni di Carnevale, ogni volta che io rientravo nel mio cuore io vi scorgevo, mio Gesù, appoggiato sul mio petto, languido, spossato e io non potevo allora recare migliore sollievo ai vostri mali che coll’applicarmi per amor vostro all’orazione e agli altri esercizi di mortificazione per la conversione di quelli che vivono nei disordini del mondo » (Insinuations, L. 2, c. 14). – Così non accadesse che gli stessi « eletti » non uscissero mai dalla retta via! Con quanti singhiozzi non esprimeva le sue lagnanze il Signore a S. Margherita-Maria e ad altre simili anime privilegiate più vicine a noi! » Io voglio mostrarti la ferita più dolorosa che si faccia al mio Cuore… ne sono causa le anime religiose e sacerdotali che mancano di fedeltà alla loro vocazione o che non vi corrispondono secondo i miei disegni ». Ritorniamo ai semplici fedeli. Là dove essi dovrebbero trovarsi più spesso per amare chi li ama, essi non vi si trovano mai. « Nelle Chiese io mi resto quasi continuamente solo e derelitto, confida Nostro Signore a Gemma Galgani (Serva di Dio morta a Lucca nel 1903 dopo una vita di austerità meravigliosa e di mistici favori), e quelle poche ore in cui vi si accorre in folla, altri motivi dall’amore mio vi spingono la maggior parte, ed io soffro nel veder la mia Chiesa, mia propria dimora, mutata in un teatro ed in luogo di piacere ». E siccome Gesù continuava lamentando certe comunioni infami, Gemma lo supplicò di non andar più innanzi: « Gesù, Gesù, io vengo meno… ! ». Oltre le colpe di quelli che ancor hanno fede abbiamo l’incredulità di quelli che vivono lontani dal Dio della Verità! « O Signore! Venga, venga presto il tuo regno! ». Ahimè! quanto esso è ancor lontano! Di un miliardo e mezzo di uomini che abitano la terra appena cinquecento venti milioni sono Cristiani e fra questi i Cattolici contano per soli duecentosessanta milioni. Tutto il resto scismatici, protestanti, mussulmani, Giudei o pagani idolatri. Povero Gesù, che per redimere le anime ha versato tutto il suo sangue adorabile! Ahimè! Gli Apostoli non sono sufficienti… Ventisette secoli or sono. Amos profeta, sotto i sicomori di Béthel usciva in queste strane parole: Ecco si avvicinano quei tempi in cui manderò la fame e la sete sulla terra, non la fame e la sete dell’acqua, ma la fame e la sete della parola di Dio… ed essi andranno cercando per tutte le parti la parola di Dio… e non la troveranno ». Dopo ventisette secoli non ci troviamo forse nelle medesime condizioni? Nazioni e popoli in gran numero, anche dopo la venuta di Cristo, noi li vediamo tuttora seduti all’ombra della morte. « Quale sciagura, Padre mio, per i figli dei Tanali! », scrive una tribù del Madagascar centrale domandando il ritorno del missionario che per la penuria di sacerdoti era stato tolto da quella stazione. « Noi eravamo nella notte profonda come un uomo rischiarato da una fiaccola tra le tenebre: la luce della preghiera cattolica ci aveva illuminati. Ora la grande luce da noi veduta ci è stata rapita. Ahimè! quale disgrazia 0terribile. Salvateci. Padre mio!Quel grido del nostro dolore. Eccoci ridotti quali pecore orfane del loro pastore, la preda dei lupi ». – Il mondo desolato domanda aiuto, ma non è facile trovar molti che si vogliano dedicare a questa impresa che converrebbe intraprendere non soltanto con tutta la mente e l’energia possibile ma soprattutto e prima d’ogni altra cosa con tutto il cuore: dedicarvisi, cioè amare l’ideale che si vuol fare trionfare, siffattamente da sacrificare per esso non solo qualche parte di sé, dei propri gusti, delle proprie preferenze, delle proprie abitudini, ma tutto sé, tutte le proprie abitudini, preferenze, tutti i propri gusti: dedicarvisi, cioè amare quelli che si vogliono guadagnare siffattamente da andare verso di essi senza attender che vengano da sé, senza aspettarsi un compenso di affetto o di gratitudine, puramente per amore, amore di Dio, amore delle anime: dedicarsi ad una siffatta impresa e specialmente il farlo nel modo che si è detto, no, non è cosa facile. Quindi la grazia divina la vedete là sempre pronta a zampillare, a scorrere, a lavare le colpe, a purificare le coscienze, ad illuminare i ciechi, a guarire la lebbra e la paralisia. Ma come per il povero paralitico della piscina probatica non c’è chi metta alla portata dell’infermità il rimedio che è preparato. « È necessario lo spirito di sacrifizio? Eccomi pronta! ». Così diceva Valentina Riant, e di gran cuore accettò di consacrare la propria vita riparatrice al riscatto delle abbominazioni e delle turpitudini dei nostri giorni. Ma quanti vi sono che si sentono il coraggio di imitarla? – Dopo il 1871 Renan e i suoi amici fecero coniare una medaglia doro per commemorare un fatto strano riportato sulla medaglia colle seguenti parole: « Durante l’assedio un gruppo di persone, che solevano riunirsi a pranzo ogni quindici giorni da Brebant. non si sono avvedute neppure una volta che esse pranzavano in una città di due milioni d’abitanti circondata dai nemici ». Questo è quanto accade quaggiù. L’universo contiene due sorta di anime: le une, in piccolo numero, sul modello della generosa Riparatrice e sono quelle che vedono, comprendono e a tal vista soffrono troppo per non gettarsi allo sbaraglio; le altre, sul modello dell’odioso egoista e della sua truppa — truppa che è legione — i quali nulla vedono, o vedendo nulla comprendono, o vedendo e comprendendo nulla vogliono sacrificare e in mezzo ad una generazione che trasportata dal vortice delle passioni precipita verso l’abisso, non pensano che a banchettare presso i diversi Brebant dei nostri tempi, o almeno non pensano che a dimenticare i milioni di disgraziati che stanno ai loro fianchi, poveri assediati e prigionieri del dubbio, della miseria e della lontananza da Dio. « Tre milioni d’anime, computa con ironia un contemporaneo, sono uguali a una ventina di Anime colla lettera maiuscola ». L’abitudine di vivere sempre in mezzo a questo egoismo che tutto domina ci impedisce di vedere quanto vi sia in esso di odioso. Ma coloro che nelle tenebre di una vita passata fin allora fuori della Chiesa, da una grazia straordinaria tutto ad un tratto sono « colpiti di chiaroveggenza » e condotti all’Evangelo, non possono nascondere la loro meraviglia e simulare il disprezzo loro per queste ce anime vuote » di cui è popolato il mondo, le quali non aspirano che al nulla di cui continuamente si pascono.

L’artista olandese. Pietro Van der Meer, confessa nel suo Journal, il grande stupore che gli recava la prodigiosa incoscienza di certe persone — il più gran numero degli uomini — mentre egli stava cercando la fede. Egli attraversa in Londra la « vecchia città, lurido quartiere del commercio, del denaro e degli affari… Da tutte le porte, da tutte le vie, da tutti gli angoli, ripostigli e andirivieni io vidi uscire delle persone vestite in nero e senza cappello in testa che si precipitavano tutte nella stessa direzione, si sarebbe detto con un medesimo scopo. Era annunziata la sottoscrizione ad un Prestito giapponese, dunque v’era un guadagno assicurato e tutti si precipitavano come selvaggi sulla loro preda ». Un altro giorno è a Parigi ove giunge col diretto delle 6 del mattino. « Sui boulevards Rocheckouart et Clichy mi si presenta lo spettacolo dei piaceri e dei dolori della notte. In una sala al primo piano di

un caffè… i lampadari erano ancora accesi. Tutto ad un tratto mi giungono all’orecchio le risa sguaiate d’una ragazza. Poi mi imbatto in vari uomini e diverse donne in abito da serata col volto stanco, gli occhi infossati che si affrettano lungo le case o  cercano una vettura ». – Altrove abbiamo quelli il cui Dio è un buono stomaco, quorum Deus venter est: « Questo Gargantua si può ben dire che non conosce affatto il timore della morte e neppure si preoccupa troppo del mistero della vita. Che cosa può mai esser la vita dell’anima per chi non è altro che materia? ».Nel nostro albergo ha preso stanza una vecchia signora americana che si vanta di non aver né parenti, né amici. — O meglio — essa aggiunge — ho un amico e quello è l’unico! » e traendo di tasca il portamonete lo pone solennemente sul tavolo: « Il mio amico unico, eccolo! ». E il pensiero va a quella fanciulla troppo mondana che sul punto di morire confessa alla religiosa che l’assiste: «Mia buona suora, le mie mani sono vuote! »; o a quel gentiluomo austriaco, parente del conte Czerain. che diceva: « Quando il Signore mi domanderà conto della mia vita, sarò obbligato a rispondere: — 0 Signore, sono stato alla caccia ed ho preso lepri, lepri, lepri … — e questo è veramente troppo poco ». – Sì, certo, troppo poco. E non siamo con questo dei giansenisti, non condanniamo il piacere legittimo: noi qui intendiamo flagellare la mostruosa usanza di non vedere nella vita altro che il piacere che essa può procurare.

C’è ben ancora dell’altro. Fortunatamente v’ha chi lo comprende.

Ed uno di questi scrive: «Perché è sì poco conosciuto, così poco amato? Perché la sete del piacere più o meno sanodivora l’umanità? Ahimè! quand’io getto lo sguardo sulla nostra società, io mi sentopreso da profonda compassione e da unvivo desiderio di amare Gesù per tutti quelli che lo disprezzano ».In queste parole noi troviamo appunto il programma formulato con vera riuscitada un certo personaggio d’una operettamoderna. « Noi ci sottomettiamo a privazioni, amortificazioni alla vista delle sofferenze altrui per un sentimento profondo di simpatia, per un bisogno, un desiderio di soffrire insieme con essi: altre volte ci imponiamodelle privazioni anche perché altritroppo si abbandonano al godimento; alloraè per un desiderio di riscatto, un sentimentodi compensazione: ciascuno secondola sua condizione e la sua capacitàprocura di mantener un certo livello nell’umanità».

La festa dell’Ascensione, 11 maggio 1899,Nostro Signore, ad un’anima che si erascelta già altre volte per confidarle i desideridel suo Cuore, rivolse la seguentedomanda:— Mia figliuola, posso io contare sopradi te e richiedere da te quello che non mivogliono concedere le anime molli e sensualidel mondo e nemmeno la maggiorparte delle anime devote che se mi amanoe mi servono lo fanno solo perché nell’amarmie servirmi trovano una qualche soddisfazionepropria?

— Oh! sì, mio Dio.

— Accetti la tua parte della mia vita di pene per la continua espiazione dei peccati che di continuo si commettono? E poiché così io vivo nelle anime che volentieri si danno a me per soffrire e per espiare, vuoi tu esser una di queste anime abbandonate al mio volere?

— Oh! si, mio Gesù.

— Acconsenti a soffrire tutte le pene che mi piacerà inviarti sia nel tuo cuore, sia nel tuo spirito, sia nel tuo corpo? Mi resterai fedele? avrai tu sempre fiducia nella mia sapienza, nella mia misericordia, nel mio amore?

— Oh! sì. mio Dio.

— Consenti a lasciarti ridurre, in conseguenza delle infermità che ti invierò, alla completa impotenza? E fra siffatte tribolazioni resterai tu sempre calma, servizievole, pronta a tutto? Mi prometti di non mai dubitare del mio amore per te. di non accoglier mai volontariamente nel tuo cuore pensiero alcuno di diffidenza e di moltiplicare, col moltiplicarsi delle prove, gli atti di abbandono alla mia Provvidenza, di adesione alla mia volontà, di riconoscenza per la parte che io ti dono della mia vita d’espiazione?

— Oh! sì, mio Dio, colla vostra grazia io ve lo prometto – (Questi particolari li abbiamo avuti qualche anno fa da un eminente direttore di anime, il cui nome è ben conosciuto, il R. P. Foch).

Quanti cuori generosi nel secreto della orazione si sono così offerti a Dio con la stessa generosità! Compiacetevi, Signore, di mandarcene molte di queste anime giuste per la riparazione compensatrice! Mandatecene di queste anime non solo fedeli ma risolute a pagare colla loro fedeltà il debito contratto dagli uomini colla vostra giustizia! Una generosità ordinaria non basta, fa d’uopo di una generosità senza riserve a disposizione d’un amore riparatore e penitente. Se altre opere sono necessarie, questa va innanzi a tutte. – Meglio ancora, o Signore, fate spuntare delle anime che non solo accettino il sacrifizio, ma gli vadano incontro generose, lo amino, lo desiderino per sconfiggere le potenze del male. Avremo così le anime riparatrici in grado massimo: « massimaliste ». – Il cardinal Manning scriveva: « Questa nostra non è un’epoca di martiri (chi sa?) ma un’epoca in cui ciascuno deve possedere una volontà robusta come quella dei martiri ». In un libro pubblicato ancor prima della guerra, Daniele, protagonista di quel libro, dà una risposta ben meritata ad un giovine ecclesiastico un po’ mondano, il quale con compiacenza ricordava il detto d’un vescovo della Cina che, testimone di molti massacri avvenuti colà, aveva confessato: ce Giovane ancora io avevo desiderato il martirio … ma ora mi sono affatto ricreduto ». « Lasciate che io ve lo dica — risponde dunque Daniele — sevi hanno in mezzo a noi mille fedeli, se ve n’hanno cento o anche solo venti i quali sieno preparati a portare sul loro corpo le stimmate della Passione di Gesù Cristo, questi ne sono i veri e i soli discepoli e si riconosceranno nel versare che faranno lietamente il loro sangue! Questo sangue la terra che noi calpestiamo già lo conosce, già in altri tempi ne fu imbevuta abbondantemente, era il sangue dei nostri martiri; per la patria che deve risorgere noi siam pronti a dare anche il nostro ». « Sì, daremo anche il nostro sangue ». Non già sul campo di battaglia o nelle arene dei gladiatori versato forse tutto quanto in una volta, ma a goccia a goccia nello sforzo di ogni giorno per la santità, per la ristorazione in Cristo di tutto il genere umano: versato a goccia a goccia nelle immolazioni che si direbbero da nulla ma sono di grande efficacia, in una vita tutta per Dio fino al sacrifizio, per le anime più elette, d’ogni riserva dell’amor proprio, al sacrifizio degli affetti più intimi men che ordinati, dei gusti anche leciti e di tutte le soddisfazioni per aver la soddisfazione — certo più nobile e più gradita — di vedere Dio finalmente conosciuto, amato e servito come si deve e si merita.

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L’IDEA RIPARATRICE (2)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (2)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

(30) PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO I

Perché riparare?

CAPO SECONDO

LA RIPARAZIONE: DESIDERIO ESPLICITO DI NOSTRO SIGNORE.

La necessità della riparazione s’impone a ciascuno di noi non soltanto, come abbiamo visto fin qui, quale conseguenza legittima dei più saldi principii della nostra fede cattolica e in particolare della dottrina del Corpo Mistico di Gesù e del dogma della Redenzione, ma ancora per un obbligo esplicitamente inculcato e ripetuto dallo stesso nostro Divin Redentore. Apriamo il Santo Vangelo, consultiamo gli altri libri divinamente inspirati, ad ogni tratto noi troviamo che il Salvatore si mostra desideroso di trovare delle anime che sappiano rinnegare se stesse e mettere a profitto della gran causa della gloria divina e della salvezza di molti la propria abnegazione. – Incominciamo dai Santi Vangeli. La legge che più di ogni altra vi si ricorda è il dovere della penitenza riparatrice: e i testi sovrabbondano. Il divin Maestro manda innanzi a sé il Battista; quale la sua predicazione? — « Un battesimo di penitenza per la remissione dei peccati » . — Sulle rive del Giordano, ove verrà a lui lo stesso divin Salvatore per incominciare la sua missione, che ripete nelle sue lunghe giornate? — « Fate penitenza, perché si avvicina il Regno di Dio ». Ed egli stesso colla sua vita precede dandone l’esempio: poiché le sue vesti sono un rozzo cilicio, suo cibo le locuste del campo, suo compagno il silenzio del deserto. Vengono a lui le turbe e l’interrogano: « Tu chi sei? ». Ed egli risponde loro: « Chi io mi sia, lo volete sapere? Sono la voce che grida nel deserto: Raddrizzate le vie del Signore ». Voi siete fuori di strada, avete sbagliato il cammino, convien ritornare sulla buona via — riparare. E quando gli si accostano degli ipocriti, poco desiderosi certo di cambiar vita, e mostrano di voler esser purificati col suo battesimo, Giovanni li accoglie colle ben meritate invettive: « Razza di vipere, ipocriti! il vostro pentimento non è sincero. Il Signore esige frutti di penitenza proporzionati alla gravità delle vostre colpe. La scure è alla radice dell’albero. Quella pianta che non porta buoni frutti sarà tagliata e gittata al fuoco. Non tardate più oltre. V’ha chi deve venire — anzi Egli è già in mezzo a voi — e voi nol conoscete ancora. Avete presso di voi del buon grano? Egli lo raccoglierà per i suoi granai: non avete che della paglia? egli la butterà tra le fiamme che mai non si estingueranno ». Può darsi forse parola più decisa e più vibrata per inculcare la necessità della pena compensatrice, l’obbligo di ritornare sulla retta via, di riparare i propri errori, di sollecitare il perdono coll’offerta di una penitenza proporzionata ai propri falli? Ed ora sottentra lo stesso divin Salvatore ed incomincia la sua predicazione col digiuno di quaranta giorni nel deserto. Agli Apostoli che chiama alla sua sequela più intima Egli dice: « Abbandonate ogni cosa »; e alle turbe che si affollano intorno a Lui: Rinnegate voi stessi » . S. Matteo ce lo fa notare appositamente: « Da quel punto incominciò a predicare dicendo: Fate penitenza »; quasi per farci comprendere che tale insegnamento, molto frequente poi in appresso, Egli lo proponeva fin dal principio come un pensiero che gli era caro ed un tema che preferiva ad ogni altro. Anzi Egli passerà tutta la sua vita pubblica nello sviluppare questo tema: la rinunzia di sé stessi e la penitenza dei peccati. « Se voi avete due tuniche, vendetene una. Non vi turbate in vita vostra pel cibo e vestito necessario. Che importa il denaro? Quel che conta è il tesoro ammassato pel Cielo » . Lo sentirete continuamente fulminare di anatema quanti battono la via larga e invitare i pellegrini di quaggiù a preferire la via stretta. « Guai a voi, o ricchi! Guai a voi, o ipocriti, guai a voi! E chi sarà beato? Quelli che non posseggono nulla, i mansueti, quelli che piangono, gli assetati della giustizia, i misericordiosi, i puri, i pacifici, i perseguitati! Ecco: seriamente, volete voi impegnarvi al mio servizio, venire dietro di me? Un passo s’impone: Risolvete di rinnegare voi stessi e prendete a due mani la vostra croce. Altrimenti tutto è inutile ». E il Salvatore non ha sole parole. Se Iddio avesse tracciato soltanto delle formole, pochi avrebbero compreso. Ma la parola si mutò in atto, la parola ha preso corpo: Et Verbum caro factum est, il Verbo si è fatto carne. Così quanto poteva giungere soltanto agli orecchi nostri diventò visibile agli occhi di tutti. Il consiglio si cambiò in esempio. Il Salvatore farà consistere l’intera sua vita in una continua ostia per insegnare a noi l’immolazione. Fin dal suo primo ingresso nel mondo — ingrediens mundum — dichiara la natura della sua impresa. — Dicit: hostiam et oblationem noluisti. Tunc dixi: ecce venio. Poiché le vittime offerte fino a questo giorno non vi sono gradite, o Padre Celeste, ecco da questo momento, accettatemi, sarò io stesso la vittima. Nel seno di Maria, Gesù non fa altro che le prime prove di quella vita di ostia che Egli poi continuerà attraverso ai secoli nei chiusi tabernacoli sparsi sulla faccia della terra. Egli viene alla luce: il presepio, Betlemme, la stalla. Egli è ostia. A parto virgineo effectus hostia, dirà Tertulliano. E dopo la nascita da Maria SS. la serie dei sacrifizi si continua: la circoncisione, la fuga in Egitto, l’esilio; nulla manca. Il Saldatore doveva dire più tardi: « Beati quelli che soffrono, beati quelli che sono spogliati di ogni cosa ». Se Egli possedesse qualche cosa, se fosse nato in mezzo alle comodità, gliel’avrebbero rinfacciato. Oh! no, Egli sarà più di tutti noi povero e disgraziato. A Nazareth la vita nascosta. Senza di essa, predicando Egli più tardi l’umiltà, noi non avremmo accolte le sue parole: sono così pochi quelli che lo fanno anche dopo il suo esempio così eloquente! Noi amiamo tanto comparire… ed Egli si nasconde per trent’anni. Per ogni sorta di orgoglio, è conveniente un’ammenda speciale. Egli si nasconde e lavora ed il suo lavoro è faticoso. Holman Hunt, pittore inglese, in un quadro intitolato « L’ombra della morte nella bottega di Nazareth », ha dipinto il Cristo operaio che sospende per un istante il lavoro, si rizza sulla persona e stende le sue braccia per riposarsi dalla fatica. L’ombra della sua persona si proietta sul muro bianco attraversato orizzontalmente da un asse a cui sono appesi gli utensili da falegname. L’illusione è perfetta. Si direbbe un uomo che spicca in rilievo sopra una croce. Poi viene la vita pubblica colle sue faticose peregrinazioni in cerca di anime, il Cristo assetato domanda un po’ d’acqua alla Samaritana, le notti passate in preghiera, l’Apostolato infaticabile. Le volpi hanno una tana, gli uccelli un nido, il Figlio dell’uomo, nulla. Non un tetto per ricoverarsi. Egli sconta per tutti quelli che si perdono dietro alle vanità, per gli adoratori del vitello d’oro, per i figli di Dio che dimenticano o trascurano di ricorrere a Lui, per i seminatori di zizzania, e per quanti non accolgono o ricevono invano il seme divino. Al cominciar del suo ministero Giovanni Battista lo addita alle turbe chiamandolo semplicemente : « L’Agnello di Dio che porta i peccati degli uomini ». Comprendiamo bene: Ecco la vittima universale e silenziosa per cui il mondo avrà salvezza. Con pazienza veramente divina, per ben tre anni il Cristo cercherà di far comprendere ai suoi Apostoli che Egli dovrà sacrificarsi alla morte. Essi non ne saranno persuasi finché dai nascondigli in cui avranno potuto rifugiarsi ben dentro alla città di Gerusalemme, non lo scorgeranno lontano sulla vetta del Calvario confitto sopra la Croce. Finalmente ecco la Passione di Gesù: in essa specialmente il divin Salvatore si mostra l’ostia per eccellenza. Egli accetta di essere tradito, rinnegato, insultato, battuto, oltraggiato, inchiodato e sospeso al patibolo della Croce per insegnare a noi di soffrire com’Egli fece, nel nostro onore, nella nostra riputazione, nella nostra carne, nelle nostre affezioni e poi — perché necessaria la riparazione alla giustizia divina — per tutti quelli che se la godono e che si divertono, per tutti quelli che tradiscono il loro battesimo e la loro fede, pei rinnegati e quanti insultano il Crocefisso e perseguitano la religione, per quelli che schiaffeggiano la Chiesa, il suo capo e i suoi ministri, per tutti quelli insomma che per il loro svergognato egoismo non sanno sostenere la vista della Croce del Signore. È sì grande l’amore di Cristo per la riparazione che la glorifica nella Maddalena, la pubblica peccatrice, la quale in virtù del suo pentimento sincero e del suo grande amore è diventata la Maddalena di Betania — « Il Maestro è là che ti cerca — e la Maddalena del Golgota… Ai piedi della Croce sul Calvario scorgiamo tre persone — come avviene sempre quando c’è da soffrire — un uomo e due donne. Maria SS., S. Giovanni, la Maddalena: tra due innocenze intatte, un’innocenza ricostruita… », ricostruita a prezzo di riparazione così cenerosa, col doppio spezzarsi dell’alabastro dei profumi e del suo proprio cuore— ricostruita di maniera che la peccatrice di una volta ora sarà la prima creatura a cui, dopo che alla Vergine SS., Gesù si mostri risorto — la Maddalena del mattino di Pasqua. Per conoscere meglio il pensiero di Cristo sulla riparazione dopo averlo studiato nei Santi Vangeli, vediamolo illustrato nelle grandi rivelazioni della Storia. Paray le Monial, Lourdes, La Salette, Pellevoisin, Pontmain… sono eloquenti. Si direbbe che Nostro Signore nelle sue apparizioni a Santa Margherita-Maria Alacoque non avesse altro scopo che mendicare delle immolazioni riparatrici. « Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e in compenso non riceve che ingratitudini e amarezze. Io domando quindi da te riparazione » (Autobiografia, p. 365). « Il S. Cuore — dice la Santa — cerca delle anime riparatrici che gli rendano amore per amore e che con profonda umiltà domandino perdono a Dio per tutte le ingiurie che gli si fanno ». – « È un fatto, mia diletta figlia, che il mio Cuore mi ha spinto a sacrificare tutto me stesso per gli uomini senza che ne avessi da parte loro corrispondenza alcuna. E questa una pena che mi addolora più di ogni altra da me sofferta nella mia Passione; essi non hanno che freddezza e ripulsa per quanto mi adoperi a far loro del bene… tu almeno recami questo piacere di supplire per la loro ingratitudine… » (Lettere 44, 30, 126). Verso il termine del febbraio 1669, nei giorni del Carnevale, la Santa scrive alla Madre De Saumaise: « Questo Cuore amabilissimo, se non erro, mi rivolse la seguente domanda: Vuoi tu farmi compagnia sulla Croce in questi giorni in cui sono cotanto afflitto per la sete del piacere che inebria il mondo? Io ti farò provare tali amarezze che tu potrai in qualche modo raddolcire quelle che i peccatori versano abbondanti nel mio Cuore: e tu coi tuoi gemiti incessanti uniti alle mie pene otterrai misericordia perché i peccati degli uomini non passino oltre l a misura » (M. Gathey: Vita ed opera della B. Margh. T. 2, p. 425). Allo stesso fine, la riparazione. Nostro Signore domanda l’istituzione di una festa speciale in onore del suo Cuore divino, la Comunione dei primi venerdì del mese. anzi la Comunione anche più frequente coll’approvazione dell’obbedienza, la pratica dell’Ora Santa, ecc. Quasi sempre nelle sue comunicazioni colla diletta discepola del suo Cuore, Gesù ha di mira il formare essa — e per mezzo di essa, ciascuno di noi — allo spirito della riparazione. Per l’Ora Santa, a mo’ d’esempio, il Signore domanda: « Ogni notte dal giovedì al venerdì io ti metterò a parte di quella tristezza mortale che io ho provato nell’Orto di Getsemani. Tu ti leverai dalle undici ore a mezzanotte: ti prostrerai per quell’ora vicino a me, la faccia a terra, sia per placare la giustizia divina domandando misericordia pei peccatori, sia per addolcire in qualche modo l’amarezza ch’io provai per l’abbandono dei miei apostoli che non avevano potuto vegliare un’ora vicino a me » (Autob. N. 57). – E sulle intenzioni del divin Maestro non è possibile andar errati. La prima volta che il divin Cuore si manifesta alla Santa, il 27 dicembre 1673, le si mostra sull’altare, luogo del sacrifizio, e con sembiante afflitto. L’immagine che suggerisce alla Santa perché venga disegnata ed esposta alla venerazione, deve rappresentare un cuore ferito, sormontato da una croce, e circondato da una corona di spine. Si spiegano quindi le parole piene di ardore nella Santa: « Se voi sapeste — scriveva essa — quanto il mio Sovrano mi spinge perché lo ami d’un amore di conformità alla sua vita dolorosa! Io non vedo che possa addolcire la lunghezza della vita fuorché il soffrire sempre per amore. Soffriamo dunque amando senza lamentarci mai, e riputiamo come perduti quei momenti passati senza dolore » . La vita della Santa si compendia in un inno alla Riparazione, un ardente invito ad amare Gesù « con un amore di conformità alla sua vita dolorosa ». È inutile continuare le citazioni della sua vita e delle sue opere: conviene scorrerle tutte quante. – Il P. Terrien, nell’opera piena di dottrina sulla Divozione al S. Cuore (L. 3, cap. 3), si esprime categoricamente così: « Riparare è la stessa cosa che amare, ma è soprattutto soffrire sacrificarsi interamente amando » (2).

(2) [Il che non toglie affatto l’orrore che si ha istintivo pel dolore. Nostro Signore diceva a S. Teresa: « Mia figlia, tu chiedi il dolore e poi ti lamenti quando te lo concedo ». Ma poi aggiungeva: « Tuttavia io non lascio di esaudirti assecondando così non già le ripugnanze della tua natura, ma i desiderii della tua volontà » (Autobiografia di S. Teresa, p. 169). Insistiamo sulle parole Ttua volontà. La vera pietà non è fatta di sentimento, specialmente la pietà riparatrice. I nostri lettori non dimentichino mai questa osservazione mentre continuano scorrere le pagine seguenti]. – E altrove aggiunge: « Conviene attingere nel Cuore di Gesù quella preziosa perfezione della Carità che sola può rendere a Lui pienamente gradite le nostre riparazioni ». Gesù batte alla porta dei nostri cuori per averne le nostre riparazioni, ma quel po’ di elemosina che noi gli possiamo dare non ha valore alcuno se non passa come attraverso al suo Cuore divino. È come un flusso e riflusso di benedizione. Il suo amore ci chiama partendo da quel centro e il nostro amore non può efficacemente rispondere senza ritornare a quello stesso centro. – Davide diceva: « Ho trovato il mio cuore per pregare il Signore » . Noi abbiamo di meglio: lo stesso Cuore di Dio. S. Bonaventura non desiderava di meglio che di prendere in esso stabile dimora e rimpiangeva la cecità degli uomini che non sanno penetrare nel loro Gesù attraverso alle sue ferite, specialmente a quella del suo Costato. Diciamo dunque ancor noi: « Umile sì. ma risoluto, andrò fino all’altare del Signore. Introibo ad altare Dei ».

Nell’inno alle Lodi per la festa del Sacro Cuore si canta: « O Cuore, altare sul quale il Cristo Sacerdote ha offerto e offre ogni giorno il Sacrifizio cruento e mistico, chi non vi adorerà, chi non vi amerà, chi non vi sceglierà come dimora per abitar in esso eternamente? ». Questo suo Cuore, in cui Gesù di continuo rinnova il suo sacrifizio, sarà il mio asilo benedetto, in esso io offrirò la mia modesta partecipazione all’opera della Redenzione. E come il farò.” Cercando di unire i miei sentimenti a quelli di questo Cuore adorabile, seguendo, per esempio, l’indirizzo dell’Apostolato della Preghiera — non è questo l’unico modo di farlo, ma è certo uno dei migliori.

Quali sono questi sentimenti del Cuor di Gesù?

« Ecce venio: eccomi. Signore, io mi offro, mi dono a voi » . La vita di Gesù è un ecce perpetuo, una continua conferma dell’immolazione del primo giorno. Ecce rex, ecco le Palme: Ecce homo, ecco la Passione; Ecce Agnus, ecco Gesù del Giordano e dell’Eucaristia. Maria SS., fedele imitatrice di Gesù, anch’essa nella sua lunga vita non fece che ripetere quel suo: « Ecce, ecce ancilla Domini. Eccomi, io mi abbandono al vostro volere ».

Dal Cuore di Gesù erompe di continuo un duplice desiderio: — una fame divorante di compiere la volontà del Padre; — una sete ardente d’esser battezzato nel proprio sangue per strapparci dalla morte. Orbene, questo doppio desiderio pervade in Gesù tutto quello che gli appartiene. Di fatto, al presente, Gesù anche nella Umanità sua propria non è più passibile di umiliazione né di patimento; ma gli restiamo noi, suo Corpo mistico. Ed è per ciascuno di noi in particolare che Egli desidera l’abbandono totale ai voleri divini, per ciascuno di noi ha sete di quelle immolazioni che debbono unirci al suo Sacrifizio. Gesù non può più umiliarsi in se stesso, lo può fare in noi: non può più in se stesso soffrire, soffre in noi. Noi siamo in qualche modo Lui stesso: questa è la ragione per la quale aspetta la nostra partecipazione e le nostre offerte. Ahimè! troppo pochi son quelli che s’accorgono dei desideri di Gesù, meno ancora quelli che vi corrispondono. Tuttavia a questo tende la divozione al S. Cuore di Gesù: meglio, questo appunto ne costituisce l’essenza. Chi la giudica altrimenti la diminuisce o la falsa del tutto. Inoltre per farci comprender meglio le sue intenzioni, il divin Salvatore ha voluto rimanere in mezzo a noi sotto la figura di ostia. Sotto i veli eucaristici Gesù non può di fatto soffrire pei sacrilegi e per l’indifferenza, per la ribellione e per l’orgoglio, per la sensualità e le immodestie degli uomini. Ma un tempo, mentre viveva mortale quaggiù, per tutti questi oltraggi alla sua Maestà divina e per così crudele dimenticanza della sua legge, Egli ha già provato nel suo cuore e nel suo corpo indicibili tormenti. Egli tutto ha previsto, scoperto e penetrato fino al fondo e per ciascun delitto in particolare ha sofferto la corrispondente pena. Egli ci domanda un po’ di compassione che lo compensi, che lo conforti in quella sue agonie di Cuore, e poiché ha scelto di perpetuare nell’Eucaristia il Sacrifizio compiuto già sulla Croce, non potremo fare di meglio che perpetuare ancor noi insieme con; mesto suo sacrifizio, il che vuol dire diventare con Lui altrettante ostie viventi. Ancora: poiché nel Sacramento di amore si prolunga misticamente la fame divorante che il Salvatore prova di compiere in tutto la volontà del Padre e la sete ardente che ha di soffrire per nostra salvezza, non potremo fare di meglio che entrare ancor noi in quei sentimenti che animano di continuo il Prigioniero dei nostri tabernacoli. – Più innanzi, quando dimostreremo come un’anima riparatrice deve amare l’Eucaristia, ritorneremo sull’argomento. Per ora fermiamoci qui. Chi comprende bene il S. Cuore fa consistere la vita eucaristica nell’unione di due ostie in un solo perfetto abbandono al volere divino; chi comprende bene la vita eucaristica, cioè l’unione con Gesù Ostia, mette praticamente l’amore al Cuore di Gesù in uno sforzo energico per spogliarsi di se medesimo, e diventare come una « specie sensibile » sotto la quale solo vivrà Gesù. Una « specie sensibile » che nelle mani di Gesù, sarà come uno strumento per continuare a compiere la sua opera, una « specie sensibile » che Egli sacrifica incessantemente con se stesso, nell’unità di un medesimo sacrifizio, alla gloria dell’Adorabile Trinità e alla salute delle anime. Noi ci siamo un po’ dilungati, e se ne comprende facilmente la ragione, su Paray e sulla divozione al S. Cuore di Gesù. Ma anche nelle grandi apparizioni della S. Vergine in Francia, nel secolo XIX, per non dir che di quelle, noi troviamo sempre l’intento divino di richiamarci al nostro dovere della vita di riparazione. – A Bernardetta si rivolge Maria lamentando che gli uomini si abbandonino sempre più al peccato e le domanda una doppia compensazione: Si preghi e si faccia penitenza. Ella fa recitare alla fanciulla il Santo Rosario, vuole si edifichi un tempio ove il Signore sia glorificato, si promuovano pellegrinaggi per cui le folle vengano a portare in un’epoca fredda e blasfema, l’omaggio delle loro pubbliche adorazioni, delle loro infuocate acclamazioni, della loro fede vendicatrice. Ma sovra ogni altra cosa Maria insiste domandando: ce Penitenza! Penitenza! Penitenza! » (24 febbr. 1858). – A Pellevoisin, a Pontmain, alla Salette la Vergine benedetta non domanderà niente di più, ma ancora una volta domanderà appunto quello stesso: La preghiera e la penitenza, in espiazione di tutti i delitti che si commettono. « Pregate, pregate, ragazzi miei! ». « Fate penitenza!…  Ai due pastorelli della Salette la Regina del Cielo fa sapere che ormai non può più trattenere il braccio vendicatore del suo divin Figliuolo. I peccati si moltiplicano, la bilancia sta per dare il tracollo: « Se il mio popolo non vuole sottomettersi io finirò per dover lasciar libera la mano di mio Figlio. Essa è sì grave e sì pesante ch’io non la posso più sostenere. È già lungo tempo ch’io soffro per voi; se voglio ottenere che Gesù non vi abbandoni io debbo continuamente rivolgergli la mia preghiera. E voi? e voi non ci badate punto ». E la Santa Vergine versava calde lacrime. – E poi continuò: « Io vi ho lasciato sei giorni pei vostri lavori e mi sono riserbato soltanto il settimo e voi non volete accordarmelo ». Qui la Vergine parla la persona di suo Figlio, e Melania racconta che a queste parole apparve, come vivente, sul petto di Maria SS. tutta in lagrime, Gesù Crocifisso, il quale in segno di approvazione inclinò il suo capo. – Dopo aver richieste riparazioni per la violazione delle feste di precetto, la Madonna aggiunge nuove domande riguardo al vizio della bestemmia: « I mulattieri, i carrettieri non sanno più parlare senza frammettere ai loro detti il nome del mio divin Figliuolo. La bestemmia e la violazione della festa sono le due iniquità che rendono così pesante il braccio del mio Figliuolo ». – È necessario un contrappeso sulla bilancia altrimenti la giustizia divina, che francamente non può più esser trattenuta, scatterà. – Quale lezione per noi! Anime, anime ci vogliono che si dedichino alla riparazione. Iddio è irritato. Guai a noi se sull’altro piatto della bilancia divina non vi gettano le loro immolazioni compensatoci delle anime generose.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/07/31/lidea-riparatrice-3/

L’IDEA RIPARATRICE (1)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (1)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

(30) PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO I

Perché riparare?

DUE PAROLE DI PRESENTAZIONE AI LETTORI ITALIANI

L’opuscolo che offriamo a pascolo delle anime pie della nostra Italia, fu scritto più che dalla penna dal cuore di un apostolo infiammato di amore verso Dio e verso il prossimo, mentre Cappellano militare dell’armata francese nell’ultima guerra, seguiva i suoi amati poilus sui diversi campi di battaglia della Francia. Non è a stupire quindi se la trattazione di un soggetto così simpatico all’autore si presenti con un apparato di guerra: tutto è fiamma e fuoco; quindi anche il successo incontrato in patria… la prima edizione del 1918 fu esaurita in poche settimane; nel 1921, ( « nel breve giro di due anni, l’opuscolo ha raggiunto la nona edizione » (Civ. Catt.,1921.  Vol. I . p. 156). La nostra versione italiana è fatta sulla 25a francese del 1923.

 Questa rapida diffusione è senza dubbio un elogio assai lusinghiero e significativo, – contìnua l’autorevole periodico citato – per un libro che svolge un argomento a cui le passioni non possono fare buon viso. L‘idea riparatrice è la negazione più recisa dell’amor proprio. Ma le anime accese di carità sono irresistibilmente condotte alla riparazione. Dirigere queste anime, stimolarle, accenderle, dopo averle solidamente istruite intorno alle basi teologiche e dogmatiche della riparazione, è l’intento di questa operetta. Il che fa l’autore con sana e profondadottrina, con doviziosa messe di esempi e di testimonianze. – Siamo certi che anche in Italia non mancano « anime accese di carità », vere devote del SS. Cuore di Gesù, desiderose di praticare intensamente la riparazione. Leggano, meditino queste pagine ardenti; le facciano leggere e meditare anche da altre, da molte anime. Crescano in fervore e si moltiplichino le anime riparatrici ce n’è tanto bisogno nel mondo e il S. Cuore di Gesù non aspetta altro per versare sulla terra le sue benedizioni sempre più abbondanti.

L’EDITORE.

NOTA DELL’AUTORE ALLA 3a EDIZIONE FRANCESE

Quest’opuscolo, scritto durante la guerra, a sbalzi, in fondo alle trincee o nei posti avanzati della fronte nei brevi tempi liberi dalle funzioni di cappellano militare, si risente qualche poco dell’agitazione dell’armi. Male, si dirà? — Potrebbe essere.  Ce ne spiace, ma un pensiero viene a consolarci. Se la vita d’ogni Cristiano già per se stessa viene detta un combattimento, quanto più lo dovrà essere quando l’Idea Riparatrice la pervada tutta quanta. Vogliamo quindi sperare che l’andatura un po’ marziale di questo scritto non ne diminuisca per nulla la desiderata unzione, anzi vi aggiunga ancora qualche po’ di forza e di persuasione che ci auguriamo irresistibile, vittoriosa.

PREFAZIONE

Chi vuole riparare?

Quest’invito, come le pagine che seguono, è per quelli che hanno due occhi aperti in fronte e un cuore ardente in petto. Per essi soli e non per altri. Chi non si sentisse di esser generoso è meglio chiuda il libro, non legga più innanzi. Noi parliamo a quelli che hanno visto mettere in croce Gesù Cristo, la sua Chiesa, anzi le stesse nazioni nostre; non già a quelli che di questa triplice crocifissione non si sono accorti per nulla. A quelli che dinanzi ad una simile scena di morte hanno compreso la necessità di uno sforzo per tornare alla vita; non già a quelli che dinanzi a questo spettacolo, al cadavere di un Dio, ai milioni di cadaveri di anime, a tutta una distesa di cadaveri non hanno sentito una voce che li interrogava, che li rimproverava, come già un tempo Elia: « Quid hic agis, Elia? Elia, versogna!che fai tu là?… Tanta desolazione…e tu rimani inerte, indifferente, immobile?Et vos, hic sedebitis? ».Van der Meer de Walcheren, nel suo Journal d’un Converti, così descrive un Revival a Londra: Due missionari giunti dall’America per parlare a grandi masse di popolo, hanno preso in affitto l’immenso Albert-hall. Più di quindici mila persone si affollano colà per ascoltarli. Uno dei predicatori, dopo aver spiegato come chiunque sentisse il desiderio di venir a Dio avrebbe dovuto scender nel bel mezzo dell’arena, con voce altissima rivolge a tutti il grande invito: « Who will come to theLord? Chi vuol venire a Dio? ». A tutta prima un lungo, ansioso e impressionante silenzio domina tutto lo sterminato uditorio; poi un primo grido echeggia tra la folla: « I will. Io lo voglio ». E immediatamente da ogni banda si ripete il medesimo grido: « I will, I will, I will. Io lo voglio, io lo voglio, io lo voglio ». E mentre discendono lentamente verso l’arena quelli che già avevano risposto, i missionari vanno ripetendo a gran voce il loro invito e protendendo le loro braccia ai mille e mille che rispondono senza interruzione: « I will, I will, I will. Io lo voglio, io lo voglio, io lo voglio ».

Siffatte arti più o meno teatrali non fanno per noi. Abbiamo l’invito di Gesù Cristo: « Si quis vult. Se il volete » . . . e ci basta. Si cercano dei « volontari ». Vogliam dire delle anime che scendano spontaneamente in campo e sul campo della lotta non sappiano indietreggiare. O Gesù, fatene spuntar molte di queste anime illuminate dalla fede sì che comprendano la natura e la necessità della Riparazione, e nobili di cuore tanto da dedicarsi ad essa interamente, ciascuna secondo il suo potere. – Ve n’hanno già di queste anime e non poche. Ma il loro numero deve raddoppiarsi, triplicarsi, moltiplicarsi al possibile. Allora il mondo avrà pace quando in mezzo a noi sia proporzionato al bisogno il numero delle anime riparatrici. Prima, non è possibile. V’ha dunque chi si presenta?… Rifletta che se v’hanno imprese meno nobili di questa a cui dedicarsi, non ve n’ha certo che sia più oscuramente gloriosa e più imperiosamente necessaria.

« Si quis vult venire… Se alcuno vuol venire… ». C’è chi veramente il voglia? — « Eccomi, o Signore. I will! Io lo voglio! Datemi luce, datemi forza. Fin d’ora io sono ai vostri cenni. Io lo voglio! ».

Dal campo, nella festa nell’Addolorata.

22 marzo 1918.

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INTRODUZIONE

Riparare vuol dire rimettere in buono stato; un edilizio cade in rovina e diventa inabitabile: ripararlo vorrà dire ricostruirlo. Accade talora che la cosa danneggiata per ciò stesso sia ridotta al nulla: riparare in tal caso ha il senso di compensare, restituire una cosa equivalente. – Nell’ordine morale, per riparare un’ingiustizia fatta, l’equivalente non potrà darsi dall’offensore che per mezzo della sua stessa persona. Nessun oggetto materiale può compensare un danno morale: come si ristabilirà l’ordine? con una pena che subirà o che s’imporrà chi ha recato il danno. Egli si era procurata una soddisfazione indebita, anormale, ingiusta. È giusto — come ognuno può comprendere anche senzaentrare nella questione teorica sollevata dal problema della giustizia vendicativa — che come castigo gli si infligga una pena proporzionata che ristabilisca l’equilibrio. Questo equivalente verrà detto espiazione e potrà esser offerta dal delinquente stesso, come nel caso precedente, o da altri che, innocente del delitto, accetta di mettersi al posto del colpevole.

Riparare nel senso cristiano della parola, significato nel quale noi sempre l’adopreremo, comprende le tre suddette applicazioni: ristorare, compensare, espiare.

Ricordate così queste nozioni generali, noi vorremmo dimostrare brevemente:

1° Perché dobbiamo riparare;

2° Chi deve riparare;

3° Come si debba riparare.

LIBRO I

Perché riparare?

Per tre ragioni:

— è un obbligo fondamentale per ogni Cristiano;

— è un desiderio espresso di N. S. Gesù Cristo;

— è una necessità ineluttabile nelle presenti circostanze.

CAPO PRIMO

LA RIPARAZIONE, OBBLIGO FONDAMENTALE PER OGNI CRISTIANO.

Perché venne sulla terra Cristo Nostro Signore? Per riparare, non per altro. Per rimettere la sua opera divina in quello stato dacui era decaduta pel peccato dell’uomo; per restituire all’uomo la vita soprannaturale ch’egli aveva perduta; per compensare per mezzo dei suoi meriti infiniti l’ingiuria recata al Padre nel Paradiso terrestre e le altre ingiurie che la malizia degli uominiva ripetendo e moltiplicando ogni giorno; espiare colle sue sofferenze — il presepio, la vita nascosta, la Croce — l’amore disordinato di se stessi che domina fra gli uomini fin da principio attraverso ai secoli.Nostro Signore poteva compiere quest’opera di Riparazione senza di noi: i suoi meriti hanno valore infinito. Invece volleavere dei cooperatori e questi sono tutti gli uomini senza eccezione, prima d’ogni altro ciascun Cristiano, ciascuno di noi. Questo è il punto che noi dobbiamo ben comprendere, la base di tutta la dottrina della Riparazione.S. Paolo, spiegando ai primi Cristiani la loro dignità sovreminente per esser fatti partecipi della stessa vita del Figlio di Dio, diceva loro: « Una stessa vita, la vita del Padre celeste passa in Gesù ed in voi, in Gesù per natura poiché Egli è il capo, invoi per adozione poiché voi siete, le membra

che dal capo ricevono la vita, dal capo il quale in virtù del suo sacrifizio vi ha divinizzati ». Non vi ha perfetta unione senza la continuità tra le membra ed il capo, tra il capo e le membra. La Persona di Gesù Cristo, ecco il capo; ciascuno di voi le membra, il suo corpo mistico. Questa è la dottrina cattolica secondo le parole dell’Apostolo — e dello stesso divin Salvatore: Io sono la vite e voi i tralci… — Il Cristo personale, cioè la Persona adorabile di N. S. Gesù Cristo che visse un tempo a Betlemme, a Nazaret, a Gerusalemme, che ora è nei santi tabernacoli sotto i veli eucaristici, e in cielo nella gloria dei suoi eletti alla destra del Padre, non forma, così volendo Egli stesso, un Cristo completo. Il Cristo completo risulta dall’unione della sua Umanità, il Cristo personale, il capo, con ciascuno di noi, sue membra, suo corpo mistico. -Da una stretta unione della nostra vita con quella di Gesù Cristo viene per legittima conseguenza la nostra intima collaborazione con Lui nella sua impresa, unico scopo della sua venuta fra noi, la Redenzione. Diciamolo ancora una volta: il Salvatore tutto avrebbe potuto fare senza di noi. Egli non ha bisogno di noi per aggiunger forza ai suoi propri meriti, ma vuol servirsi di noi per aumentare i meriti nostri. Egli è il Cristo e noi Cristiani — come altrettante ripetizioni di Lui — alter Christus. Convien che lavoriamo uniti. La Redenzione non si compirà che per il volere del Salvatore, il Cristo principale, preso insieme al volere di ciascuno dei Cristiani, gli altri Cristi. Certo il valore delle parti spettanti a Lui e a ciascuno di noi è ben lungi dall’esser uguale: la sua ha per se stessa un peso infinito, quindi più che sufficiente allo scopo. La nostra non era affatto necessaria. Egli ce la domanda soltanto perché ci ama. – All’offertorio della S. Messa il celebrante, dopo aver posto nel Calice il vino da consacrarsi, deve aggiungere, sotto pena di colpa grave, qualche goccia di acqua. Ecco un simbolo che ci può far meglio comprenderela relazione che passa tra le parti nostre e quelle di N. Signore nella riparazione, il valore relativo del nostro concorso al suo fianco. Il solo vino per sé è la materia della Consacrazione: è obbligato però il Sacerdote ad aggiungervi le gocce d’acqua che con tutto il resto, in forza delle parole divine, saranno poi mutate nel Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. La parte che ci spetta nella redenzione del mondo è certo infinitesimale — che volete che valga una goccia d’acqua? — ma il Signore la vuole, e questo piccolo atomo, unito all’offerta infinita di Cristo, Egli lo transustanzierà. Questo « nulla » diventerà onnipotente, della potenza stessa che Dio gli comunica (Il paragone non va preso con rigore. La goccia d’acqua non è richiesta per la validità, ma solo per la liceità del Sacrifizio della Messa – però se non c’è liceità, si commette sacrilegio! Ndr.-). In virtù di questo « nulla » diventato qualche cosa, le anime sono riscattate dalla colpa. Senza di questo « nulla », insignificante per sé ma prezioso per la sua unione con Cristo, le anime, forse molte anime, andranno perdute. Il mondo ha bisogno di tutti i suoi salvatori, di Gesù che è il primo di tutti, il Salvatore per eccellenza, e di ciascuno di noi chiamati a collaborare con Lui nel riscatto del genere umano: « Il quale — dice Lacordaire (Conf. 66 sulla riparazione) — non si era perduto che per ragione di solidarietà, per effetto cioè di comunanza sostanziale e morale con Adamo suo capostipite: era dunque conveniente che potetesse esser salvato nella misura e nella maniera della sua rovina, cioè per ragione di solidarietà… Là dove la solidarietà del male aveva recato la rovina, la solidarietà del bene apporti il rimedio, la ristorazione ». Chi non conosca questo nostro dovere di partecipare all’opera redentrice per renderla efficace, si può ben dire che ignora il meglio della grandezza del Cristiano. Chi conoscendolo cerca di sfuggire dall’obbligo, vien meno ad un suo dovere non meno nobile che indispensabile. – Ma conviene entrare ancor più addentro nella nostra considerazione. Qual è il mezzo scelto da Cristo per compiere la riparazione?

Il dolore, il sacrifizio.

Ma questo è un mistero! Il Figlio di Dio per riparar le rovine del peccato — instaurare omnia — non era tenuto ad imporsi una vita stentata, disprezzata, afflitta da ogni sorta di dolori. Eppure Egli quella ha voluto scegliere per sé e non altra. Riparare col soffrire. Tenuti a partecipare alla sua missione per la nostra solidarietà con Lui nell’unità del Corpo mistico, eccoci tenuti a partecipare alla sua passione, e cosi si spiega perché l’Apostolo nell’inculcarci la necessità di collaborare all’opera redentrice di Gesù Cristo, non dice « compiere la missione », ma « la passione sua: adimpleo ea quæ desunt passioni Jesu Christi ». L’una cosa è impossibile senza dell’altra; le due cose si confondono in una stessa. Noi dobbiamo riparare unitamente a Gesù Cristo, e non dobbiamo credere di poterlo fare altrimenti che col nostro sacrifizio unito al suo. « Gesù Cristo — dice Bossuet (Serm. Per la Purific. della V. SS.) — per salvare gli uomini ha voluto esserne la vittima. Or per l’unità del Corpo mistico col Capo che si è immolato, tutte le membra debbono esser “ostie viventi” ».

Abbiamo quindi la progressione — si direbbe più esattamente l’equazione —: esser Cristiani, esser salvatori, esser « ostie ». E non sembri nuova o strana la parola « ostia ». È questa una dottrina antica quanto il Vangelo, che costituisce la sostanza stessa della predicazione di S. Paolo, dei primi Padri e di tutta la Chiesa attraverso ai secoli, predicazione che l’Apostolo riassumeva in questa frase abbastanza chiara ai Cristiani di Roma: « Obsecro vos, io vi scongiuro; fate dei vostri corpi altrettante ostie viventi, sante, gradite a Dio, ut exhibeatis corpora vestra hostiam viventem, sanctam, Deo placentem» (Rom. XII, 1) (Pratt: Théol. de St. Paul, passim). Dirsi Cristiano e cercar di condurre una vita di comodità al termine della quale si passi tranquillamente e senza urti dalla terra, ove si ebbe felice dimora, al cielo ove si troverà una condizione perfettamente beata, ad un cielo meritato con una vita in cuila principale cura fu di lasciare ad altri il pensiero laborioso di faticare con Gesù Cristo alla redenzione del mondo, è cosa che non può darsi. Col Vangelo del Maestro non si concilia un siffatto programma ed è ben altro quello che Bossuet definisce: « Terribile serietà della vita umana ». – « È un fatto purtroppo — scrive nel consueto suo tono amaro, e questa volta ben giustificato, l’autore dell’introduzione Journal d’un Converti, da noi già citato nella Prefazione -— è un fatto noto il trovarsi in gran numero certi animali detti ragionevoli che hanno tutta l’apparenza di vivere sessanta e anche ottant’anni e poi si portano al cimitero prima che mai siano usciti dal loro nulla… Si contentano delle cose sensibili, tutto il resto non esiste per essi ». Per fortuna — aggiunge poi — abbiamo anche dei « veri uomini, veri viventi, quelli che non hanno ricevuto invano l’anima propria ». E il convertito alla sua volta — egli era allora in cammino verso il bene — : « Io sono sempre più meravigliato nel vedere che quasi tutti gli uomini continuino a vivere tranquilli, senza inquietarsi, senza spaventarsi di nulla, un bel sorriso brilla sui loro volti paffuti e non s’accorgono degli abissi che ci stanno ai fianchi » (J. d’un converti, di P. Van der Meer de Walcheren). Si, abbiamo presso di noi degli abissi, l’abisso del peccato dell’uomo e l’abisso dell’amore del Salvatore: questo secondo collocato da Dio vicino al primo. E noi posti in mezzo all’uno e all’altro con un incarico imperioso, urgente e del tutto preciso. Il vero discepolo di Gesù Cristo si riconosce a questo segno: che egli si è accorto di questi abissi e in conseguenza vive agitato sotto l’impero d’una inquietudine che non sa frenare, l’inquietudine della salvezza del mondo, dell’efficacia del sangue di Cristo frustrata, e della propria parte di responsabilità nella storia della vita divina in mezzo agli uomini.

Necessità di riparare insieme con Nostro Signore venuto sulla terra unicamente a questo fine, poiché con Lui noi formiamo una cosa sola. Necessità di riparare nel modo che Egli stesso ha preferito, cioè nel dolore. Son purtroppo numerosi i Cristiani che di questa duplice necessità pare neppure sospettino l’esistenza e si direbbero convinti — almeno nella pratica — che propriamente due sono le maniere di comprendere la sua legge: l’una che accetta la sofferenza,l’altra che fa di tutto per evitarla;l’una che si organizza per lasciarsi mortificare,l’altra che si mette in posizione di difesa contro ogni sorta di pena. In unaparola, un Cristianesimo facile, comodo ealla buona per la moltitudine; e un Cristianesimo grave ed austero pei pochi, per le anime di carattere più cupo o guadagnate da un’attrattiva speciale, per altro strana, di perfezione. Che un Sacerdote santo come il Curato d’Ars scriva: « Tutto ci parla della Croce. Noi stessi siamo fatti a forma di croce. La croce trasuda balsamo e traspira dolcezze: più ci uniamo ad essa, più la stringiamo tra le mani e contro il petto e più ne spremeremo l’unzione di cui è colma; essa è il libro più dotto che noi possiamo leggere; quelli che non lo conoscono questo libro sono degli ignoranti quand’anche conoscessero tutti gli altri libri; non sarà veramente dotto se non chi lo ami, lo consulti, lo studi a fondo. Benché amaro, questo libro, non v’ha maggior gaudio che nell’immergersi nelle sue amarezze; quanto più si va alla sua scuola, tanto più a lungo vi si vorrebbe trattenere: il tempo passa senza noia alcuna ». — Che in siffatta maniera parli un Curato d’Ars, non c’è a stupirne, è un santo! – Nel noviziato delle Suore Francescane di Maria SS. al Canada si cercano sei religiose per la cura dei lebbrosi in Cina. Quaranta sono le novizie e quaranta rispondono desiderose di partire. — Oh! si dice, questa è la loro vocazione! E questi esempi che dovrebbero muovere i Cristiani e far loro comprendere che, se non si domanda loro un siffatto eroismo, almeno qualche cosa di simile anch’essi sono tenuti a fare, questi esempi diventano per loro un futile pretesto per credersi liberi da ogni obbligazione. – V’hammo monaci e religiose che passano la notte a’ pie’ degli altari o si alzano alle due del mattino?… Ecco una buona ragione per restar essi tranquillamente e a lungo tra le coltri d’un letto ben soffice. — Quelli danno molto tempo alla preghiera?… questo appunto li dispensa da un obbligo noioso sovra ogni altro. — Quelli si privano del cibo?… così sarà loro concesso di godersi ogni sorta di ghiottoneria nei loro pasti.

— Quelli si contentano d’una cella povera, disadorna, i cui mobili, come al Carmelo, si riducono ad un Crocifisso, un acquasantino, un teschio e una disciplina?… tutto questo perché essi possano adornare i loro appartamenti con mille oggetti superflui e procurarsi tutte le comodità moderne. — Quelli si privano del necessario riscaldamento?… si è per concedere ad essi una dolce temperatura procurata con ingegnosi metodi di riscaldamento delle camere e dei corridoi. — Quelli dormono sugli assi o sopra un duro saccone?… per questo essi dovranno negarsi le molli coperte di seta e le soffici trapunte ricamate? — Quelli posseggono un solo gioiello, la Croce?… essi potranno quindi portare ciondoli, collane di perle preziose a profusione. È vero che alla vita religiosa si addice un lusso di austerità a cui non è tenuta la vita ordinaria del Cristiano. Ma come si potrà supporre che questa vita anche ordinaria, quando sia illuminata e sincera, si concili con la …a ricercatezza irrequieta e del tutto pagana delle comodità della vita, quali un tristo materialismo moderno cerca di imporre — e riesce pur troppo e con gran facilità ad imporre — a tanti discepoli del Salvatore? – E che? forse il Cristo non è per tutti il medesimo? Nonne divisus est Christus? Ve ne sarebbero forse due. L’uno crocifisso, che non si può seguire senza crocifiggere se stessi; l’altro tutto comodità, che si seguirà facilmente anche senza negarci delizia e piacere alcuno? S. Paolo diceva di non conoscere che un solo Cristo, il Crocifisso. Christum et hunc crucifixum. Da S. Paolo a noi ci fu tempo a cambiare. Ora se ne conoscono due. Il primo, il vero, non era più sufficiente e se n’è inventato un secondo. Un Cristo senza Croce, senza teorie austere, senza quelle due traverse di legno che gettano un’ombra che atterrisce, che impressiona; un Cristo le cui massime si risolvono finalmente nel motto: venite pure a vostro piacimento io vi prometto l’intera eternità a questa sola condizione, che nell’ultimo istante della vostra esistenza mi concediate « l’adesione di un « pensiero incerto, il pentimento d’una volontà illanguidita e la carità del vostro ultimo respiro »  (1).

(1) [Quanti Cristiani abbiamo noi purtroppo che seguono praticamente un siffatto programma di vita! Claudio Lefilleul (alias: Filippo Gonnard, professore al Liceo di Lione, caduto poi in guerra), nelle sue Réflexions et Lectures, p. 204, con fine ironia bolla a fuoco una simile condotta: « All’ultimo istante anche voi vi convertirete come tanti altri; voi speculerete sulla bontà di Dio eDio è sì buono che forse la vostra speculazione riuscirà ed Egli vi riceverà, in quell’estremo momento, in compenso d’una povera lagrima di pentimento, per una lagrimetta, come disse già il nostro antico Dante. Ma siete ben certi che il colpo riuscirà? E poi, io vi domando,dov’è la vostra generosità la vostra fierezza… scroccare così a buon prezzo la vostra eternità? A Dio che vi ha concesso anche qui in terra tante profonde soddisfazioni (anche più profonde se voi avete fede), a Dio chese voi non vi frapponete ostacolo vuol ricolmarvi di felicità per tutta una eternità, è forse generoso il dare incompenso per parte vostra non altro che l’adesione diun vago pensiero, il pentimento di una volontà illanguiditae la carità del vostro ultimo respiro? »]. Un siffatto Cristo, ad uso dei Cristiani che rifuggono dal dolore, non esiste. Il discepolo non è più grande del Maestro. Il divin Salvatore ha tanto sofferto. Se non vuol rinnegare il proprio nome di Cristiano, venire meno ai suoi impegni, ogni battezzato non potrà non essere in una qualunque maniera — che noi meglio diremo in seguito — un amico del dolore necessariamente e per sempre.Un celebre uomo di Stato del Belgio aveva preso come suo monito : Riposo? Non qui, ma più innanzi. Verrà il giorno della felicità, e un tal giorno, che forse non è lontano, non avrà più fine. Il tempo che ci separa da un tal giorno ci è dato per meritare « il gaudio del Signore — Intra in gaudium Domini tui ». Entrerà nel gaudio del Signore solo chi avrà avuto il coraggio di mettersi quaggiù a parte dell’olocausto del Signore. Gesù Cristo pel primo ha voluto soffrire per entrar poi nella gloria. « Il Golgota non è soltanto una figura di retorica ». Per noi è la legge che non transige. Oportuit… pati, et ita intrare in gloriam.[è necessario patire, e così entrare nella gloria]. Vogliamo essere con Lui nel trionfo? Siamo prima con Lui nel combattimento.

Laborare mecum, fa dire a Gesù S. Ignazio nella « Contemplazione del Regno di Cristo ». Pizzarro, uno dei conquistatori dell’America del Sud, presa terra, getta la sua

spada sul terreno e grida ai suoi soldati: « Se alcuno di voi ha paura, resti al di qua di questa spada, i coraggiosi vengano con me! » Queste parole sono dure e benché la teoria sia chiarissima, di fatto alla presenza di una vita di rinunzia, che si impone come un’obbligazione sacra per ogni Cristiano, molti dànno indietro.

— « Oh! quanto spavento m’incutono quelle due traverse in croce che si drizzano sul Calvario! Vorrei piuttosto nascondermi dietro di esse che lasciarmi configgere sopra di esse ».

— « Oh sì! il legno è duro. Ma oltre il legno che non vedete? Su quelle traverse voi scorgete confitto un uomo. Il legno non sa che di morte, ma chi è confitto sul legno è ben vivo. Guardate attentamente — come si conviene — e le due traverse svaniscono, scompaiono, non si veggono più, e vi resta sotto il vostro sguardo unicamente quel corpo sospeso e nel bel mezzo di esso raggiante di luce attraverso ad una ferita il Cuore. Lo dicono: Il Crocifisso. Non è esatto; par si voglia indicare un oggetto. Conviene dire: Colui che è confitto in Croce, così si indica un uomo ».

« Un uomo?… Sì, un uomo e nello stesso tempo un Dio. Oh! mio Dio, e siete voi ch’io vedo su questa Croce? ».

— Sì, son io, il tuo Dio ».

—  Mi pare d’incominciare a comprendere meglio… anzi comprendo quasi consuetamente… io soffrirò insieme con Voi, Signore, ma Voi soffrirete con me. Con Voi non avrò paura, andrò innanzi risolutamente ».

— « Per animarti a maggior coraggio ancora, mettiti ai piedi della Croce e getta uno sguardo sul mondo. Mira questa gente che scende dalla vetta del Calvario, sono i miei carnefici; e a Gerusalemme, sepolta nel sonno, le turbe che non s’accorgono di nulla. Ho bisogno dei tuoi sacrifizi per far giungere fino a loro la mia Redenzione. Così io voglio aver bisogno di te: ti chiamo in mio aiuto e con te posso tutto, come posso nulla senza di te. Vuoi tu che insieme uniti salviamo il mondo? o preferisci andartene e passare anche tu tra quelle turbe, coi miei carnefici? ».

— « E voi parlate così a me, Signore? Non sapete voi chi sono io? ».

— Tu sei uno dei miei cari. Non basta forse perché io ti inviti a faticare con me, a soffrire con me? Tu lo vedi, l’impresa è immensa. Credilo, val la spesa per essa incontrare qualche sacrifizio, fosse pure questo sacrifizio — nella condizione e stato di vita in cui ti ha posta la mia Provvidenza — una intera oblazione di te quale ostia vivente… con me ».

— « Se voi credete che io lo possa fare… Con voi, Signore, in ostia vivente oh! sì, con tutta l’anima eccomi, prendetemi ».

https://www.exsurgatdeus.org/2020/07/29/lidea-riparatrice-2/

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (18)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (18)

[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

PARTE QUARTA

CONCLUSIONI PRATICHE

Capitolo II. (2)

IL CUORE DI GESÙ È IL CUORE DIVINO DI OGNI CRISTIANO

Conclusioni pratiche

Tutto quanto detto si racchiude nella verità assodata: che il Cuore di Gesù è il cuore divino di ogni Cristiano! Questa formula esprime le vere relazioni che ci uniscono al Cuore Divino. Naturalmente, possiamo trarre due conclusioni pratiche molto utili da questo fruttuoso principio. In primo luogo, che al Cristiano non sia mai permesso di scoraggiarsi. Perché dovrebbe essere scoraggiato? Perché si sente trascinato nel male dopo sforzi coraggiosi per elevarsi alla perfezione. Ma cosa hanno di vero queste cattive inclinazioni? Esse vengono dal cuore della carne, dal cuore ferito mortalmente dal peccato, e che solo nella tomba possono trovare il loro rimedio. Però non è questo il vero cuore del Cristiano. Perché confondere i suoi interessi con quelli della parte peggiore del suo essere? Procedete all’opera del sepolcro, mortificando il cuore del peccato. Disprezzate l’eredità di Adamo e riservatevi tutte le vostre preoccupazioni e i vostri pensieri per il nuovo essere che avete ricevuto da Dio: « Non si faccia il minimo caso ai desideri della carne, ma ci si rivesta di Gesù Cristo » (Rm XII, 14); « Se la sua carne è stata mortalmente ferita dal peccato, il suo spirito ha ricevuto una vita immortale attraverso la giustificazione » (Rm VIII, 10). Metta il suo libero arbitrio dalla parte dello spirito e non della carne; sia in accordo con i desideri celesti del Cuore di Gesù e protesti contro le cattive inclinazioni del suo cuore terreno. E anche se le sue inclinazioni continueranno a tormentarlo, non potranno nuocergli; lungi dal diminuire la sua virtù, non faranno altro che perfezionarla, facendogli sentire meglio la sua debolezza. Il Cristiano, quindi, non ha mai motivo di scoraggiarsi; ma non ha nemmeno il diritto di sedersi senza far nulla. Se la sua unione con il Cuore di Gesù gli mette a disposizione una forza infinita ed una ricchezza illimitata, questo non lo dispensa dall’appropriarsene attraverso lo sforzo ed il lavoro. Il Cuore di Gesù è onnipotente, ma non userà la sua potenza in nostro favore, se non in accordo con la nostra collaborazione. Il Cuore Divino contiene tutte le cose buone del cielo, ma non le riverserà su di noi, se non nella misura in cui noi siamo pronti ad accoglierle. Il Verbo di Dio, prendendo la carne per facilitare la nostra salvezza, non ha fatto altro che confermare la grande legge stabilita dalla provvidenza del Padre suo. Farà tutto nell’ordine soprannaturale, perché in questo ambito, più che in quello della natura, siamo incapaci di fare qualcosa da soli. Ma se noi non possiamo fare nulla senza di Lui, nemmeno Lui farà nulla senza di noi. Questo ci procura un’unione ineffabile, che ci rende membri del suo corpo. Quando ci dà il Suo Cuore in proprietà, non è per esimerci dal lavorare attivamente alla nostra salvezza come se fossimo lasciati a noi stessi. Al contrario, si tratta di aumentare la nostra attività e, con il suo aiuto, di imitare meglio l’infinita attività con cui Egli stesso è  principio della sua perfezione e della sua felicità. E per metterci in una posizione migliore per adempiere a questo dovere, ci sembrerà che Egli ci lasci completamente a noi stessi e che ci ritiri il suo aiuto. Egli non si allontana allora, perché se si allontana, noi torneremmo nel nulla, ma nasconde e toglie il sentimento della nostra unione con Lui, così che la nostra fiducia in Lui sia più meritoria e ci obblighi a fare più sforzi. Se la sua azione fosse sempre altrettanto sensibile, cederemmo alla pigrizia e perderemmo il merito della nostra fiducia. È necessario che la sua azione scompaia, affinché possiamo glorificarla con la confessione della nostra fede. Possa il flusso del Cuore di Gesù cessare dall’essere percepito, in modo che possiamo capire meglio quanto poco valiamo, ed apprezzare nel giusto valore la sua influenza divina! Questi due aspetti della nostra unione con il Cuore di Gesù riassumono l’intera economia della divina provvidenza nei nostri confronti. Basterebbe capire bene queste due leggi per dissipare la maggior parte delle oscurità che nascondono l’azione di questa provvidenza infinitamente saggia e amorevole: – 1) Dio non ha altro ideale o desiderio se non quello di donarsi interamente a noi in Gesù Cristo: prima legge, che deve essere per noi fonte di fiducia incrollabile. Tuttavia, – 2) Egli non vuole donarsi a noi in Gesù Cristo, se non nella misura in cui noi ci diamo interamente a Lui per mezzo di Gesù Cristo: seconda legge, che deve incessantemente stimolare la nostra attività.

Funzioni del Cuore di Gesù nel corpo mistico del Salvatore.

Il Cuore di Gesù vuole sì lavorare in noi, ma con noi, per produrre frutti. Questo frutto è la vita di Gesù Cristo che il Cuore del Salvatore ci comunica e che accresce senza interruzioni. È l’immagine del modello divino che Egli riproduce in ciascuna delle anime su cui esercita la sua influenza. In una parola, il Cuore di Gesù fa nel corpo mistico del Salvatore ciò che il cuore di ogni uomo fa nell’organismo fisico. Pertanto, nulla potrebbe darci un’idea più completa delle funzioni del Cuore Divino, considerato come fonte di grazia, che l’esame delle funzioni del cuore umano visto come fonte della vita del corpo. La funzione propria del cuore, nel corpo umano, è quella di rigenerare il corpo che naturalmente tende a decomporsi costantemente. In ogni momento della nostra esistenza, ripete il miracolo fatto in noi fin dal primo momento della nostra esistenza. Quando iniziamo a vivere? Quando la nostra anima è venuta ad animare il nostro corpo e a dargli un nuovo essere, nuove forze, movimenti e tendenze che non avrebbe mai avuto. Solo Dio poteva compiere quel miracolo. La vita, e soprattutto la vita razionale, è un soffio della vita di Dio. Tutto ciò che le creature possono fare è servire da canale per trasmettere il respiro divino. Quel poco di vita ricevuta, non fu che una debole scintilla. Il nostro corpo possedeva in germe tutti i suoi organi e tutte le sue forze. Ma questo germe non era ancora sviluppato. Non eravamo ancora nati completamente, e prima di poter entrare in pieno possesso dell’esistenza, abbiamo dovuto trascorrere molti anni e finire un lungo lavoro: il cuore, l’organo principale del nostro corpo, ha completato la nostra nascita e la perfezione della nostra vita. È chiaro che ciò che è stato fatto nel primo istante della nostra esistenza nei confronti di tutto il nostro corpo, deve essere ripetuto con ogni parte di esso, e questo è animare l’inanimato. Quando mangiamo quello che non è altro che un vegetale tritato o una carne morta, questi elementi devono diventare un corpo vivo e umano. Questo miracolo avverrà nel cuore e attraverso il cuore. Gli alimenti subiscono diverse trasformazioni prima di raggiungerlo, preparandosi qui a ricevere la vita; ma non sono ancora vivi quando raggiungono il cuore. Possiedono già tutta la fluidità del sangue; ma non ne hanno né il calore vivificante né la virtù rigenerante: il potere di vivificare il corpo sarà loro dato dal cuore. Eppure non lo farà per sua stessa virtù. L’anima che anima il cuore è l’unica che ha ricevuto da Dio il meraviglioso potere di dare vita a ciò che ancora non la possiede. Affinché la vita materiale ci presenti un simbolo più palpabile della vita spirituale, la prima di queste vite sarà comunicata al sangue solo attraverso il contatto con l’aria del cielo, immagine sensibile dello Spirito di Dio. Ma il cuore lo metterà in contatto con l’aria e nei nostri polmoni, nello stesso tempo in cui, mediante la respirazione, facciamo entrare in essi l’aria vitalizzante. Il cuore pomperà ancora il sangue pieno di vita, e lo distribuirà con un meraviglioso impulso a tutte le membra che riparerà ed accrescerà. Tale è la funzione del cuore nell’organismo umano. Il cuore materiale di Gesù la esercita anche in quella che lo lega al corpo naturale del Salvatore. In virtù della sua azione, il cibo con cui il Verbo incarnato è stato nutrito, non solo ha acquisito una vita umana, ma anche una dignità veramente divina, costituendo una parte sostanziale di un composto divino. Il nostro cuore eleva gli elementi puramente materiali alla dignità dell’essere razionale. Questa trasformazione è certamente di grande meraviglia, ma quanto più meravigliosa è ancor quella attraverso la quale il Cuore di Gesù eleva una vile materia all’ordine divino! Abbiamo fatto bene ad affermare, quando abbiamo considerato le prerogative del Cuore Divino, che esso è degno di tutta la nostra adorazione. Ma non perdiamo di vista il fatto che oggi dobbiamo considerare attentamente la funzione che il Cuore di Gesù, organo d’amore del Divin Salvatore, esercita nel suo Corpo mistico: la Chiesa. Questa funzione, tuttavia, è in tutto e per tutto simile a quella esercitata nel corpo fisico del Salvatore dal suo Cuore considerato come un organo materiale. Né il corpo naturale del Verbo incarnato né il suo Corpo mistico hanno ricevuto il loro pieno sviluppo alla nascita. Da allora, senza dubbio, l’anima di quel corpo possedeva tutta la sua forza. Ma quanto è ancora poco sviluppato il corpo! Gesù Cristo, Maria, San Giuseppe, la famiglia di Giovanni Battista, alcune anime sante che anelavano al regno di Dio, formano la Chiesa in principio. Come può crescere e acquisire nuovi membri? Come si può compiere questo miracolo? E come si è compiuto con ciascuno di noi, facendoci nascere nella vita di Dio? Chiediamolo al Cuore di Gesù, perché solo Lui poteva dare ordini per la sua esecuzione. Già da tanto tempo ci ha rivelato il dolce mistero della nostra nascita divina. Il Cuore di Gesù ci ha amati, e nell’amarci ci ha mandato lo Spirito Divino, che è la sua vita e che deve essere anche la nostra. L’acqua del Battesimo e la parola della Chiesa sono serviti come veicolo dello Spirito Divino. Ma è stato l’amore di Gesù a dare all’acqua e alla parola la loro efficacia divina. Mentre il Sacerdote ci versava l’acqua sul capo e ci battezzava, il Cuore di Gesù, con uno dei suoi palpiti divini, mandava al nostro cuore lo Spirito che lo animava. Ed è allora che noi, morti per breve tempo, siamo stati trasformati e resi vivi. Poco tempo prima eravamo figli dell’ira, ma improvvisamente siamo diventati figli adottivi del Padre Celeste. I nostri genitori avevano mandato un uomo alla Chiesa, ed Essa ha loro restituito un figlio di Dio. Ma con quali segni possiamo riconoscere questa nuova esistenza conferitaci dal Cuore di Gesù attraverso il Santo Battesimo? Come può questa generazione divina, che ci ha resi figli adottivi del Padre celeste, dimostrare la sua realtà? Lo mostrerà con gli effetti che produrrà. Ogni vera generazione ha come effetto la somiglianza della natura. Se il Cuore di Gesù ha dato vita alla vita del Divin Salvatore, Egli deve riprodurre in noi la sua somiglianza. È così? Sì, ma non rifiutiamoci di collaborare alla produzione di questa gloriosa somiglianza, perché, dal momento che la conservazione della nostra generazione divina è volontaria, dipende dalla nostra volontà produrne o impedirne gli effetti. Ma se uniamo i nostri sforzi a quelli del Cuore di Gesù, è molto facile dimostrare, con la perfezione della nostra somiglianza con Gesù Cristo, che Dio è veramente nostro Padre. I nostri pensieri sono, giorno dopo giorno, più simili a quelli del Padre Celeste e a quelli di Gesù Cristo, la sua immagine perfetta; i nostri sentimenti sono sempre più conformi a quelli di questo modello divino e le nostre parole alle sue. Il corpo dei veri discepoli del Cuore di Gesù, i lineamenti e le espressioni del suo volto, il suo portamento, tutto il suo modo di agire, portano alla mente di chi li vede, Gesù Cristo! Essi glorificano e portano Dio nel loro corpo, ed è impossibile gettare uno sguardo su di loro senza sapere che compiono meravigliosamente l’antico adagio: « Il vero Cristiano è un altro Cristo. » Per ogni uomo di buona fede non potrebbe esserci un’indicazione più certa della divinità di Gesù Cristo e della sua Chiesa che la prima produzione e la costante riproduzione di questo mirabile esempio di perfezione fornito dal Cuore dell’Uomo-Dio. In Gesù Cristo stesso c’è la perfezione che plasma lo spirito ed infiamma il cuore. Ma non è meno sorprendente e meraviglioso che, in tutte le epoche, in tutte le condizioni, in mezzo ad ogni sorta di ostacoli, questa perfezione sia costantemente raggiunta da tutti coloro che amano sinceramente Gesù Cristo. Che l’amore del Cuore di Gesù prenda possesso di un principe o di un rampollo; di un bambino o di un vecchio; di un dottore o di una donna ignorante; di un uomo civile o di un selvaggio: si vedranno da allora liberarsi di tutti i loro vizi ed acquisire tali virtù, concepire tali sentimenti, fare tali opere che l’umanità da sola non potrebbe fare. Questa è la grande dimostrazione evangelica che il Cuore di Gesù scrive incessantemente nel mondo e che dispensa gli uomini di buona volontà da ogni altra ricerca per trovare Dio. Così, ciò che il cuore materiale fa nell’ordine del corpo, ed il cuore, organo dell’amore, fa con le anime, il Cuore di Gesù lo fa per la società divina. Il cuore materiale prende elementi estranei al corpo umano e dà loro la forma che gli è propria; l’amore trova anime estranee l’una all’altra, di diverse inclinazioni ed interessi, e ne fa un’anima unica, unifica le loro inclinazioni ed i loro interessi. Il primo di questi due effetti è il grande miracolo dell’ordine fisico, il secondo quello dell’ordine morale. Ma cosa sono questi miracoli rispetto a quelli che il Cuore di Gesù opera in tutte le anime che si abbandonano alla sua influenza, ispirando le virtù più sublimi e trasformando in immagini viventi di Dio coloro che in precedenza erano grossolani, egoisti, simili a bestie senza ragione?

Molteplicità e unità nel Corpo mistico di Cristo

Ma la meraviglia è che la somiglianza dell’Uomo-Dio, incisa dall’amore del Cuore di Gesù in tutte le anime a Lui donate, si differenzia nel tutto, senza perdere nulla della sua unità, secondo le condizioni di ciascuno. Aprite le vite dei Santi. Non sono altro che una galleria di ritratti del Verbo Incarnato. Tutti sono del tutto simili al modello divino eppure ognuno è diverso dall’altro. Cos’hanno in comune tra loro ad esempio una tredicenne che subisce il rogo, come Sant’Agnese, ed uno di quei venerandi solitari che passavano per intero le loro giornate e le notti in contemplazione nella desolazione dei deserti d’Egitto? Come fa un contadino come Sant’Isidoro ad assomigliare a un dottore come Sant’Agostino? In una sola cosa: sono tutti una copia dello stesso modello. In questi è Gesù Cristo che insegna agli uomini, nell’altro è Gesù che lavora con le sue mani. Nell’uno ammiriamo l’innocenza del Salvatore, nell’altro la sua penitenza. Il Cuore di Gesù ha realizzato questi capolavori secondo lo stesso modello, lo stesso stampo, ma con materiali diversi. Dall’unità del prototipo nasce la bellezza dell’opera. Ma la varietà delle copie mostra sia la fecondità del modello che la potenza dell’artista. Anche in questo caso, il Cuore di Gesù non fa che riprodurre l’opera, nell’ordine divino, di ciò che il cuore materiale fa in quello fisico. Infatti, gli elementi prelevati da ogni sorta di sostanza, che il cuore trasforma in sangue, sono destinati a diventare mille forme diverse nel corpo. Alcuni si uniranno alle ossa e si induriranno, altri si trasformeranno in nervi, altri in organi, muscoli, altri ancora in umori. Il cuore darà loro la stessa natura e la stessa vita, ma l’unità della natura si presterà nella più grande varietà di forme e l’unità della vita accoglierà la più grande diversità di funzioni. Così il corpo sarà uno, anche se le sue membra sono numerosi. Da questa meravigliosa molteplicità, congiunta ad una meravigliosa unità, risulterà una grande bellezza dell’ordine materiale. Non accade altrimenti nel Corpo mistico di Gesù Cristo. Ciò che rende incomparabile la sua bellezza non è solo che ognuna delle innumerevoli anime che lo compongono riproduca in sé la vita e le sembianze del suo Capo Divino, ma che ognuno dei suoi membri abbia una propria funzione nel corpo. Ogni Santo è un ritratto completo di Gesù Cristo, ma, inoltre, ognuno di essi forma una delle linee dell’immenso ritratto dell’Uomo-Dio, la cui cornice è l’estensione del mondo e la durata dei secoli. Il ritratto è la Chiesa e l’artista che lo compone con arte divina è l’amore del Cuore di Gesù.

Il Divin Cuore, completa l’Incarnazione del Verbo.

Attribuiamo giustamente al Cuore Divino la missione di completare l’Incarnazione del Verbo di Dio. Senza dubbio, questa si compì il primo giorno, in quanto da quel giorno la natura umana ed individuale di Gesù Cristo era perfettamente unita alla Persona del Verbo di Dio e possedeva in sé tutte le luci, tutte le virtù, tutti i meriti e tutta la felicità di cui era capace. Ma è tutt’altro che certo che la perfetta divinizzazione di una natura individuale fosse sufficiente per realizzare i piani che avevano portato il Verbo di Dio sulla terra, giacché tutti i discendenti di Adamo dovevano essere rigenerati e divinizzati. In ognuno dei suoi membri deve esserci la natura umana estratta dalla sua argilla ed elevata ad un’altezza ben superiore a quella da cui era caduta. L’Incarnazione del Verbo non si rinnoverà, è vero, in ciascuno dei figli di Adamo, ma si estenderà a tutti. Dio non si ricongiungerà ad una natura umana, un’unione questa propria del primogenito di Maria e che non può essere concessa a nessun altro figlio dell’uomo, ma a tutti coloro che desiderano unirsi al Figlio di Maria, il Cuore di Gesù comunicherà la sua stessa vita. Così l’Incarnazione sarà comunicata attraverso i secoli. L’albero sarà lo stesso, ma produrrà costantemente nuovi fiori e nuovi frutti. Il Capo non crescerà nella perfezione e nella virtù, ma comunicherà la sua perfezione e la sua virtù a tanti membri. Questa è la grande opera della Provvidenza, alla quale siamo chiamati a collaborare, non solo in noi stessi, ma anche nell’anima dei nostri fratelli. Infatti, come nel corpo non c’è un solo membro che, pur nutrendosi e rafforzandosi, non debba lavorare per il nutrimento e la crescita del resto del corpo, così nel Corpo di Gesù Cristo non c’è un solo membro che, pur ricevendo l’influenza degli altri, non debba esercitare una qualche influenza nella loro santificazione. Il Corpo di Cristo, ci dice San Paolo, è accresciuto e formato dalla carità. Ma non può aumentare se non man mano che ognuno dei suoi membri collabori. Proprio per servire gli uni gli altri, tutti i membri sono uniti l’uno con l’altro in ogni classe di vincoli. Ma la forza di cui essi hanno bisogno per crescere e cooperare alla crescita degli altri è ricevuta da tutti da un unico Principio, che è sia il Capo che il Cuore di questo grande corpo. Unendoci a Lui, cresceremo fino a raggiungere l’età dell’uomo; finché, avendo il corpo divino acquisito il suo sviluppo, le tenebre della fede potranno essere commiste agli splendori della luce, nel cui interno raggiungeranno il trionfo.

Cosa possiamo fare perché il Cuore di Gesù realizzi la sua opera?

Cosa dobbiamo fare perché il Cuore di Gesù produca questo mirabile frutto? Prima di tutto, conformare i nostri pensieri a quelli di Dio e adattarci al piano della sua provvidenza, concentrando nel Cuore di Gesù tutta l’opera della nostra santificazione; convincerci bene che il Cuore Divino, incessantemente preoccupato dei nostri interessi, abbia un piano il cui compimento è la condizione della nostra felicità temporale ed eterna. Questo piano è il medesimo per tutti gli uomini, poiché consiste nel farci immagini del modello divino. Questa è – secondo San Paolo – la vocazione comune di tutti gli eletti. Ma poiché ognuno di noi ha le proprie risorse e le proprie difficoltà, ognuno di noi ha il proprio modo di imitare Gesù Cristo. Ci sono tante anime, tante vocazioni. Se tutti i Santi devono somigliare al modello divino, nessuna di queste copie viventi deve assomigliare completamente all’altra. Dall’armonia tra questa infinita diversità di immagini e l’unità del modello divino, risulta l’incomparabile bellezza del Corpo mistico, il cui Capo è Gesù Cristo e le cui membra siamo tutti noi. È della massima importanza sapere esattamente ciò che il nostro Capo voglia da noi; quale tipo di perfezione voglia che noi acquisiamo e quali siano gli ostacoli nella cui distruzione dobbiamo impiegare i nostri sforzi principali. Se desideriamo ardentemente raggiungere questa conoscenza, se la chiediamo con fervore e perseveranza, il Divino Maestro non ce la negherà. Egli ci manifesterà, sia con la luce interiore della grazia, sia attraverso un direttore, sia in un ritiro, il mezzo più efficace per acquisire questa preziosa certezza. Quando avremo la conoscenza generale dei piani del Cuore di Gesù, dovremo prestare attenzione all’applicazione pratica in tutti i casi particolari della vita. Per questo l’assistenza continua del Cuore Divino è per noi indispensabile e non ci mancherà mai. Infatti, così come Egli ha un solo piano per tutta la nostra vita, ha pure un solo desiderio in ogni momento della nostra esistenza, l’unica cosa che dobbiamo fare in ogni momento. – Dobbiamo sempre tenerlo d’occhio e dire con San Paolo: Signore, cosa vuoi che io faccia? La risposta non tarderà a venire, perché abbiamo dentro di noi lo Spirito del Divin Salvatore, per manifestare i suoi desideri e darci la forza di metterli in pratica. Come la nostra anima, presente in tutte le parti del corpo, trasmette ad ognuna di esse i movimenti che imprime nel cervello, così lo Spirito Santo, presente a sua volta nel Cuore di Gesù e in tutte le membra del suo Corpo mistico, eccita nei nostri cuori i desideri che il Cuore Divino fa concepire. Assistere costantemente all’esecuzione dei desideri del Cuore di Gesù, consultarlo sinceramente in tutti i nostri dubbi per conoscere la sua volontà e, una volta conosciuta, lavorare con tutte le nostre forze per realizzarla, costituisce l’intero nucleo della santità e allo stesso tempo della vera devozione al Cuore di Gesù; di conseguenza, la nostra vita sarà veramente divina, e tutte le nostre opere saranno più di Gesù Cristo che nostre. Anche se è meno beata di quella dei Santi in cielo, sarà comunque più meritoria. In questo senso, la nostra condizione sarà molto più preferibile alla loro, perché se da un lato non possono non conservare eternamente la partecipazione alla natura divina di cui hanno preso possesso quando hanno varcato la soglia del cielo, dall’altro noi possiamo aumentare in ogni istante questo tesoro infinito e riempirci della pienezza di Dio, della pienezza della vita divina. Sì, che la nostra grande opera, che la nostra unica preoccupazione sia quella di arrivare qui sulla terra allo stato felice in cui possiamo sinceramente ripetere con l’Apostolo:

“Io vivo, ma non io, è Cristo che vive in me. »

A. M. D. G.

FINE

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (17)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (17)

[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

PARTE QUARTA

CONCLUSIONI PRATICHE

Capitolo I.

LA DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ FORMA PRATICA DELLA NOSTRA DEIFICAZIONE

La scienza della santità è pratica.

La scienza della santità non è speculazione, è una scienza pratica, la prima di tutte le arti: ars artium. Per diventare santi e raggiungere la vita eterna, prima di tutto c’è da sapere: In questo consiste la vita, che ti conoscano; perché come si comporterà la volontà se l’intelligenza non le indica la via? Ma l’intelligenza non è feconda, né produce il frutto divino della santità, se non attraverso la volontà. Non solo non può santificarci da sola, ma ci renderebbe più colpevoli se non la prendessimo come regola di condotta. « Sapendo queste cose – disse il Salvatore agli Apostoli – sarete beati se le metterete in pratica » (S. Giov. XIII, 17). Perciò, a differenza dei farisei che insegnano ciò che non fanno (S. Mt. XIII, 3), il grande Maestro di santità ha cominciato ad istruirci con i suoi esempi prima di darci lezioni: « Cœpit facere et docere » (Atti I, l). La santità deve essere il risultato della collaborazione di due agenti: di Dio e dell’uomo. Finora l’abbiamo considerato soprattutto dal lato di Dio. Vediamo ora cosa dobbiamo fare noi per concorrere alla sua azione: portare a compimento l’opera più divina che l’Onnipotente compie al di fuori di sé. Abbiamo considerato l’opera della nostra santificazione nella sua teoria, vediamola ora in pratica.

Il Cuore di Gesù è il principale strumento della nostra divinizzazione.

Il Cuore di Gesù è lo strumento principale della nostra divinizzazione. Questa è in verità opera di tutta la Trinità, poiché sia la prima che la terza Persona della Santissima Trinità vi partecipano tanto quanto la seconda. Infatti  Dio Padre ci adotta come figli, e lo Spirito Santo si unisce alle nostre anime: e questi sono elementi essenziali della nostra divinizzazione. Va notato, tuttavia, che lo Spirito Divino si comunica a noi attraverso Gesù Cristo, e solo se siamo incorporati in Lui, Dio Padre ci riconosce e ci ama come suoi figli. Ora, Gesù Cristo non ci dà il suo Spirito, non ci fa sue membra, se non con un atto di amore completamente libero e costantemente rinnovato. Al suo Cuore dobbiamo la nostra vita divina e tutte le nostre ricchezze soprannaturali. Se siamo stati trasferiti dall’abisso delle tenebre nella regione della luce (1 Pt. II, 9), non c’è altra causa determinante di trasformazione così meravigliosa come l’amore libero ed infinitamente tenero del Cuore di Gesù. Tuttavia, qui c’è una difficoltà. Come possiamo conciliare le due verità che abbiamo appena ricordato? Da un lato, abbiamo stabilito che di tutte le opere di Dio, quella della nostra divinizzazione sia senza dubbio la più divina. Abbiamo visto le tre Persone della Santissima Trinità operare insieme per realizzarla, comunicandoci la loro natura. Se è così, come possiamo dire che il Cuore di Gesù sia la causa determinante di quest’opera? Il Cuore di Gesù, pur divinizzato dalla sua unione ipostatica con la Persona del Verbo, non cessa di essere un’entità creata. L’amore, di cui è organo, è un amore creato, perché è l’atto dell’anima santa del Salvatore. Ora, non  è questa una contraddizione che il Creatore faccia dipendere la sua azione dalla determinazione di una creatura, qualunque essa sia? Perché il Cuore di Gesù possa essere la causa determinante della nostra divinizzazione, sarebbe necessario che potesse disporre dello Spirito di Dio e donarlo a chi desidera; e che, di conseguenza, dovesse esercitare una certa autorità sullo Spirito di Dio. Ora, San Paolo ci insegna (II Cor. III, 17) ciò che Gesù Cristo stesso aveva detto e fatto capire a Nicodemo (S. Giov. III, 8), che cioè lo Spirito Santo non obbedisce a nessuno, perché è indipendente e sovrano. Egli soffia dove vuole, e non può privarsi della sua indipendenza, né della sua divinità. Non solo, Esso non dipende dal Cuore di Gesù, se non quando il Cuore e l’anima di Gesù siano costantemente e assolutamente sotto l’influenza delle sue ispirazioni. Per risolvere questa difficoltà è necessario generalizzarla. Questo perché non riguarda solo la questione attuale, ma è intimamente legata all’intero piano della Provvidenza. Ecco il Sacerdote che sale sull’altare. Prende un po’ di pane, dice qualche parola, e quello che una volta era pane, diventa il Corpo del Figlio di Dio. Non si può certamente negare che quest’opera sia divina. Per farlo, era necessario che Dio Padre sospendesse e modificasse l’esercizio del suo potere creativo e, cessando la conservazione della sostanza del pane, mettesse al suo posto il Corpo del Figlio. Era necessario che il Verbo di Dio si presentasse, in modo nuovo, in un punto dello spazio in cui prima era stato solo in virtù della sua immensità. Eppure, per quanto divina possa essere questa azione, essa è stata compiuta alla mercé di una pura creatura, che avrebbe potuto impedirne la realizzazione. Dall’altare, il Sacerdote passa al tribunale sacro. Poi sale sul pulpito dove compie anche opere divine quando illumina le intelligenze con la luce soprannaturale. Egli purifica le anime e le guida sulla via della salvezza. Solo Dio può essere l’Autore immediato di tali effetti: eppure, se questi effetti vengono prodotti o prevenuti dipende dal libero arbitrio del Sacerdote. Passiamo ora dall’ordine soprannaturale all’ordine naturale. Un uomo e una donna sono uniti dai vincoli del matrimonio: subito dopo l’unione nascono molti figli. Chi ha dato vita a questi bambini? Dio, naturalmente, perché è l’unico Principio della vita, l’unico capace di mettere la mano nell’abisso del nulla per tirarvi fuori il più perfetto degli esseri creati: uno spirito somigliante a Lui. Ma questo potere creativo non sarebbe stato esercitato a nostro vantaggio, se nostro padre e nostra madre non gli avessero dato il loro sostegno. Quando gli esseri umani lottano in mezzo alle torture della fame, cosa ci vorrebbe per evitare la morte, per riacquistare la loro forza fisica e il libero uso delle loro facoltà spirituali? Un po’ di pane o di riso. Sostanze puramente materiali, ma del cui aiuto Dio ha bisogno per conservare il capolavoro delle sue mani, la creatura razionale. In questo modo potremmo attraversare tutti gli ordini della creazione. In tutti costateremo lo stesso fenomeno, in tutti vediamo l’Onnipotente sottomettersi alle sue creature. Questa dipendenza, che Dio si è volontariamente imposto, si chiama « mediazione ». Nel mondo fisico come in quello morale, e nell’ordine naturale come in quello soprannaturale, tutte le creature sono mediatrici l’una dell’altra; mediatori di luce, di calore, di movimento, di vita. Non c’è nessuno che non abbia il compito di trasmettere ad altri alcuni dei beni il cui unico principio e dispensatore sovrano è Dio. La mediazione è la più universale di tutte le leggi divine, la fonte dell’ordine, dell’armonia e della bellezza dell’universo. Lungi dal nuocere all’indipendenza di Dio, essa fa emergere in tutta la sua magnificenza la sua infinita saggezza. È Lui che ha stabilito le leggi in virtù delle quali possiamo comunicarci l’un l’altro i beni dell’ordine naturale e soprannaturale. Proprio perché il Cuore di Gesù è, tra tutti i cuori umani, il più sottomesso all’azione dello Spirito Divino, avrà un potere incomparabilmente maggiore per comunicare questa azione. Come in tutte le cose cerca solo ciò che piace al Padre suo, che a sua volta fa con Lui e con gli uomini, ciò che Cristo desidera. Lo ha investito di un potere assoluto su tutto il creato. Così come non concede alcuna grazia senza che questa passi per le sue mani, così riceve con piacere solo gli omaggi che gli vengono offerti per sua intercessione. Cristo è il Mediatore universale, il Mediatore supremo, l’unico Mediatore. Mediatore universale, perché attraverso di Lui i doni di Dio sono distribuiti alle sue creature. Mediatore unico, perché nessuna creatura può andare verso Dio se non attraverso di Lui. Mediatore supremo, perché gli altri mediatori ricevono da Lui il potere di eseguire la sottomissione.

Il Cuore di Gesù è il nostro Sommo Sacerdote.

Gesù Cristo è il nostro Sacerdote sovrano, ed esercita il suo Sacerdozio attraverso il suo Cuore. Il Sacerdote è il mediatore dell’ordine soprannaturale: di lui Dio si serve per far risplendere sulla terra la luce che illumina le intelligenze; per dare alle anime il movimento che le porta alla loro eterna felicità; per dare loro nuovi figli a cui comunicare la loro stessa vita. Tutte queste funzioni divine, che i Sacerdoti di Gesù Cristo esercitano nel loro ministero, solo Gesù Cristo le svolge per diritto proprio. Poiché lo fa liberamente e per amore, si può dire che il suo Cuore ne sia lo strumento. Tutto ciò che si fa nella Chiesa per la santificazione delle anime, lo si fa in virtù del Cuore di Cristo. Se i Sacramenti sono i canali della grazia, il Cuore di Gesù è il deposito da cui sono forniti. Se, nel momento in cui l’acqua del Battesimo tocca la fronte del bambino, la sua anima è purificata dalla macchia originale, è perché nello stesso momento la grazia della rigenerazione gli è stata conferita dal Cuore di Gesù Cristo. Se ascoltando attentamente la parola di un oratore sacro, o leggendo un pio libro, vediamo le nostre illusioni dissiparsi e la verità soprannaturale apparire con un irradiamento inusuale, è al Cuore di Gesù che dobbiamo la grazia della luce. I movimenti interiori di pentimento, di fiducia, di amore che a volte si impadroniscono di noi, vengono a noi dal Cuore di Gesù. Egli è il Cuore sacerdotale per eccellenza e non cessa di esercitare con noi tutte le funzioni del Sacerdozio. Per noi Egli adora costantemente la Maestà di suo Padre, lo ringrazia per i suoi benefici. Egli espia la nostra ingratitudine. Sollecita i suoi favori e si occupa incessantemente di illuminarci, guidarci, rafforzarci e guarirci. Attraverso di Lui la Trinità compie l’opera della nostra divinizzazione. Se vogliamo comprendere bene questo lavoro e renderlo facile da realizzare, dobbiamo contemplarlo nel Cuore di Gesù. La santità, considerata in questo modo, diventa più accessibile e più amabile. Non ci viene presentata una scienza complicata che richieda un lungo studio; né è composta da un gran numero di precetti, tanto difficili da ritenere quanto da mettere in pratica; né è racchiusa in una moltitudine di libri che solo i saggi e gli “sfaccendati” possono consultare. Le anime che immaginano la santità in questo modo non possono che essere scoraggiate ed estremamente disturbate. Più esse desiderano raggiungere questo lieto fine, più si stancano e perdono tempo a cercare le vie più brevi per raggiungerlo. Pensano di non aver mai letto abbastanza libri, di non aver mai consultato abbastanza direttori o di non aver mai scelto abbastanza pratiche cristiane. Si muovono molto e fanno pochi progressi. Spero che ascoltiate ciò che il Salvatore ha detto alla sua sollecita ospite: « Marta, Marta, perché così tanta sollecitudine? Perché questa confusione nata da una estrema preoccupazione? C’è solo una cosa necessaria: che tu sia conforme al mio Cuore ». Tutta la santità è racchiusa in Lui. Se vuoi raggiungerla, devi fare ciò che il mio Cuore ti chiede. Ora, in ogni momento, ti chiedo solo una cosa. È essa che vi terrà al vostro posto, che vi darà grande pace e vero benessere. Smettila di guardare lontano tutto quello che hai così vicino a te. La devozione al Cuore di Gesù non solo semplifica, e quindi facilita molto l’opera della nostra santificazione, ma la rende anche più amabile e attraente. Ci presenta la santità non come una lettera morta, ma come una realtà viva; la personifica in un certo modo nel suo Cuore, e nella leggiadria di tutti i cuori. La nostra natura trova molto difficile appassionarsi alla nuda verità. Una dottrina, per quanto bella possa essere, difficilmente ci impressiona quando non assume un corpo e quando non colpisce le facoltà sensibili della nostra anima. La santità è molto difficile da capire, se considerata solo nei libri. Esaminata nella sua essenza astratta, ha il potere di convincere l’intelligenza. Ma manca lo stimolo richiesto per la debolezza della nostra volontà. Mostra il bene, ma non dà la forza di portarlo a termine; traccia il sentiero, ma non ci incoraggia a percorrerlo; indica il pericolo, ma non ci preserva da esso; ci permette di scandagliare le profondità dell’abisso dove sono sparse le nostre brame, ma non ci ferma sul pendio che ci conduce ad esso. Il Cristiano che guarda così alla morale evangelica, si pone in una posizione analoga a quella del Giudeo. La santità nella sua sublime perfezione gli era stata rivelata attraverso il primo precetto del Decalogo. Ma questa rivelazione, fatta su tavole di pietra, non lo mise in condizione di praticare il bene, di cui egli stesso aveva compreso la necessità. La condizione del Cristiano, invece, è molto diversa. La perfezione non ci è stata mostrata sulle tavole di pietra; la legge della santità è stata scritta per noi sulle tavole vive di un cuore di carne (2 Cor. III, 3): nel Cuore di Gesù c’è la legge vivente della nostra santificazione. Perché, infatti, non solo ci mostra l’ideale divino della santità, realizzato in un cuore umano, ma ci dà i mezzi per fare lo stesso nel nostro cuore. Oltre ad averci inoculato il seme della santità, conferendoci nel Battesimo la grazia santificante, il Cuore Divino, attraverso le sue preghiere e l’influenza del suo Spirito, lavora instancabilmente per lo sviluppo di questo seme, affinché il frutto della santità, che è la gloria eterna, maturi in noi. Per santificarsi, basta unirsi a questa azione onnipotente, la cui energia non diminuisce mai. Invece di creare ostacoli, come abbiamo fatto spesso, basta il lavoro continuo del Cuore di Gesù in noi.

Capitolo II. (1)

IL CUORE DI GESÙ È IL CUORE DIVINO DI OGNI CRISTIANO

Che cos’è un Cristiano?

Cos’è un Cristiano? È colui – dice San Giovanni – che non è nato solo dalla carne e dall’uomo, ma è anche nato da Dio e ha ricevuto dal Figlio unigenito del Padre il potere di essere figlio di Dio. Il Cristiano è nato due volte e ha due esistenze e due nature. Nasce secondo la carne e riceve dai genitori una vita animale e razionale. Ma lo stesso giorno in cui è diventato figlio dell’uomo, un nuovo padre ed una nuova madre si sono uniti per dargli una nuova vita. Gesù, unico Figlio di Dio e Sposo della Chiesa, ha ispirato alla sua Sposa di associare questo bambino, figlio dell’uomo, alla famiglia dei figli di Dio. La Chiesa lo ha preso e, attraverso il Battesimo, lo ha posto nel suo grembo e lo ha unito a Gesù Cristo. Da allora il bambino ha cominciato ad essere animato dallo Spirito di Gesù Cristo ed a vivere della sua vita. Non ha smesso di essere un uomo, ma è diventato qualcosa di più che un uomo. Ha conservato il suo corpo animale e la sua anima razionale, ma ha anche acquisito uno spirito veramente divino, la vita della sua anima, così come questa lo era del suo corpo. Come figlio dell’uomo, ha conservato un’esistenza completa. Ma, come figlio di Dio, ha cominciato a far parte del grande Corpo, il cui Capo è Gesù Cristo. Gli è rimasta la libertà e quindi la possibilità di porsi un obiettivo individuale e di separare i suoi interessi da quelli del Corpo divino in cui è stato introdotto mediante il Battesimo. Ma sta a lui avere una comunità di interessi con il suo divino Capo e tendere con Esso allo stesso fine.

Il Cristiano ha due cuori

Tale è la scelta in cui tutti noi ci troviamo e che ci viene offerta mentre siamo sulla terra: vivere di noi stessi o vivere di Gesù Cristo; essere solo uomo o essere anche figlio di Dio; dobbiamo diventare noi stessi il nostro fine o accettare il fine glorioso che Dio ci ha dato, associandoci al suo Figlio unigenito? Perché se è vero che siamo nati due volte e abbiamo due vite, è altrettanto vero che abbiamo due cuori: uno di carne, ricevuto dai nostri genitori secondo la carne, di origine terrena con tutte le sue tendenze. Perché dovremmo essere sorpresi di trovare nel nostro cuore tutte le inclinazioni carnali? Che diritto abbiamo di sperare che solo esso sfugga alla legge generale? Dio potrebbe fare in alcuni dei suoi Santi un’eccezione gloriosa, liberandoli da tutti gli influssi della carne, anche quando vi hanno vissuto, ma l’eccezione non deve convertirsi in regola. Se Dio avesse voluto liberarci dal peso e dalla corruzione che riceviamo in eredità da Adamo, nostro padre secondo la carne, avrebbe diretto il tutto in modo molto diverso, avrebbe poi fatto una creazione completamente nuova, non lasciando sopravvivere nulla del caos prodotto dal peccato. Ma Egli non lo ha voluto. Come ha prodotto ordine e vita dal caos all’origine del mondo, così nella creazione e nell’ordine spirituale, ha voluto che il peccato servisse come materia per la grazia. Invece di far trionfare immediatamente lo spirito sulle opere della carne in tutta l’umanità, ha deciso che in ogni uomo la carne e lo spirito dovessero combattere tra loro, e che il trionfo finale di uno di questi due principi opposti dipendesse dal libero arbitrio dell’uomo. Ci ha lasciato il cuore di carne con tutte le sue inclinazioni. Ma, per resistere ad esse, ci ha dato il Cuore del Figlio suo. Perché il Cuore Divino è propriamente e veramente nostro! E per davvero, visto che siamo membri del Divin Salvatore! Se, come abbiamo dimostrato, l’incorporazione dei Cristiani al Figlio di Dio non è un mero discorso figurativo, se esprime un’unione reale come quella che delle nostre membra e del nostro capo fanno un solo corpo, anche se di natura diversa; se, inoltre, il legame che unisce tra loro le membra del Corpo mistico di Gesù Cristo è più intimo e indissolubile di quello che unisce le parti del nostro corpo fisico: se tutto questo è vero e provato, non dubitiamo neppure che il Cuore di Gesù Cristo ci appartenga nella realtà. Perché se c’è qualcosa di evidente, è che il cuore appartiene al corpo che da esso riceve la vita e così ciascuno delle membra di quel corpo. Non dimentichiamo che quando il Verbo di Dio ha preso un cuore di carne, non l’ha preso per sé, ma per noi. Perché non aveva Egli bisogno di ricevere la vita, ma di comunicarla. Per noi, come la Chiesa canta nel Credo, e per la nostra salvezza, Egli è sceso dal cielo e si è incarnato per opera dello Spirito Santo. Possiamo dire quindi che noi abbiamo due cuori: uno buono ed uno cattivo; uno terreno ed uno celeste; uno carnale ed uno divino. Due cuori che hanno inclinazioni opposte: uno tende incessantemente verso l’alto e l’altro verso il basso; uno vuole il bene, l’altro il male; l’uno trova gusto solo nelle cose di Dio, l’altro nelle cose sensuali. Entrambi vogliono godere, perché ogni cuore tende al benessere. Ma il nostro cuore terreno vuole godere sulla terra, in contrapposizione a quello celeste, che disprezza tutti i suoi piaceri e sospira solo per i beni del cielo. E finché dura la vita non possiamo sopprimere completamente questa lotta interiore, perché non possiamo mai distruggere completamente nessuno dei due cuori. Tuttavia, possiamo aumentare in noi l’influenza del Cuore di Gesù ed indebolire quella delle nostre inclinazioni carnali. Se non possiamo sopprimerle del tutto, ci è dato almeno di sfuggire alla loro tirannia accettando il dominio glorioso del Cuore di Gesù.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/06/25/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-18/

IL CUORE DI GESU’ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (16)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (16)

[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

TERZA PARTE

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo XVI

IL CUORE DI GESÙ E LA GRAZIA ATTUALE

Giustificazione, merito e grazia attuale.

La giustificazione e il merito sono i due doni più preziosi della bontà divina, i due procedimenti di divinizzazione, attraverso i quali il Cuore di Gesù comunica alle anime, alle quali è unito dalla grazia, i privilegi di cui gode in virtù della sua sostanziale unione con il Verbo incarnato. Attraverso la giustificazione, lo schiavo del diavolo diventa figlio di Dio, e il condannato entra ad esser partecipe dei diritti dell’eredità divina. Per mezzo del merito, il figlio di Dio diventa più intimamente unito al Padre Celeste, diventa più simile al Verbo fatto carne e si riempie del suo Spirito. Ma come fa la nostra vita soprannaturale ad aumentare di merito e a ritornare a noi per giustificazione quando il peccato ce la toglie? Con la grazia attuale! In cosa si differenzia dalla grazia abituale delle anime dei giusti? In quanto i movimenti di un essere vivente sono diversi dalla vita. Se guardiamo un albero in inverno senza frutti o foglie, non diremo che è morto anche se sembra sterile. Non vegeta, non fiorisce, ed anche se è pieno di vita, tutti lo equiparerebbero agli alberi morti che lo circondano. Ma i soavi aliti della primavera fanno rivivere le membra di quell’essere e gli fanno mostrare la vita contenuta in esso. Ciò dimostra che i movimenti della vita non sono la vita stessa, ma il suo effetto e la sua manifestazione. Quindi non ci si può muovere se non si è vivi, ma si può avere vita anche senza muoversi, perché questo non è altro che la facoltà intrinseca del muoversi. Applichiamo queste nozioni all’anima giusta. La grazia abituale è la vita divina di quell’anima, nella quale essa rimane finché il peccato non la distrugge. Non è un’operazione, ma uno stato. Così che anche se l’uomo giusto si dà all’ozio o si dà al sonno, non è privato della vita divina, né ne è minimamente indebolito, ma conserva in tutta la sua pienezza, come sotto le gelate dell’inverno il leccio conserva il suo vigore.

La vita divina deve essere incrementata dalla grazia attuale.

L’uomo non sta al mondo per rimanere in uno stato di inazione. Gli è stata data vita affinché, con la sua libera collaborazione, possa aumentarla giorno per giorno. I rami della vita celeste sono legati alla vite divina, che è Gesù Cristo, per produrre frutti sempre più abbondanti. Così come vivono (i rami) divinamente in Lui, così devono agire divinamente ed esercitare continuamente l’infinito potere che Egli comunica loro. Come riusciranno a raggiungere questo obiettivo? Con l’aiuto della grazia attuale. Per capire bene questo punto, torniamo al confronto così spesso usato dai santi Dottori. Così come la vita (umana) risulta dall’unione dell’anima con il corpo, così la vita divina risulta dall’unione dello Spirito di Dio con l’anima. Come il corpo, anche se paralizzato, vive finché l’anima rimane in esso, così l’anima del Cristiano è viva, finché lo Spirito di Dio dimora in esso, anche se non dà segni di attività. Se questo non accadesse, il corpo non durerebbe a lungo, si spegnerebbe, come una lampada senza olio. Leggi simili governano anche lo sviluppo della nostra vita soprannaturale. Infatti, perché l’uomo giusto che la possiede, in virtù dell’unione dello Spirito di Dio con la sua anima, possa conservarla ed accrescerla con azioni sante, deve ricevere l’impulso dello Spirito Divino, che prima ispira il pensiero, poi fa concepire il desiderio, e poi inizia in lui l’azione con un movimento indeliberato. Se l’anima accetta liberamente l’ispirazione e acconsente al santo desiderio e collabora volontariamente alla mozione, quelli che non meritavano nulla prima che la libertà intervenisse, diventeranno atti meritori. Ma il concorso della grazia attuale non si limita solo a questo. Così come è stato necessario iniziare l’opera soprannaturale, sarà anche necessario preservarla. Ora il merito va attribuito a Dio, più che all’uomo. Se non fosse così, quest’opera non sarebbe veramente divina e non potrebbe, in senso stretto, meritare il possesso della felicità di Dio. La grazia attuale continua a lavorare nell’anima anche dopo che ha corrisposto ai suoi primi impulsi. Prima era preveniente, ora è concomitante. Prima muoveva, ora aiuta. E anche se si presenta in due forme diverse, è sempre la stessa. Sarà la stesso anche quando, dopo aver iniziato e mantenuto l’atto di volontà, collaborerà con essa nella produzione di opere esterne e diventerà grazia susseguente.

La triplice azione della grazia attale.

È un dogma di fede che Gesù Cristo, come nostro Capo e come uomo, è la fonte di tutti i doni soprannaturali. È altrettanto vero che Egli ce li comunica in piena libertà. E la ragione è ovvia: ci ha amato liberamente e si è sacrificato liberamente per noi fino alla morte. È giusto che sia il proprietario dei tesori che ha guadagnato per noi e che li distribuisca tra noi secondo la sua volontà. Dobbiamo all’amore del Cuore di Gesù gli impulsi della grazia attuale, i frutti che ci giungono da essa. È vero che lo Spirito Santo è il principio immediato di questi movimenti, ma chi può comunicarcelo se non Gesù Cristo? Da dove vengono i suoi doni se non dalla pienezza di grazia dell’anima del Salvatore? Come anima divina del corpo della Chiesa, lo Spirito Santo appartiene al Capo di questo grande corpo, senza la cui volontà non opera nelle sue membra. Così ci dice il Santo Concilio di Trento: « Cristo Gesù, come il capo che unisce tutte le membra al corpo, e come la vite che comunica la sua linfa ai tralci, riversa continuamente in tutte le anime giustificate la virtù che previene, accompagna e completa ogni loro opera buona. Questa virtù è propria dello Spirito Santo, ma ci viene comunicata incessantemente attraverso Gesù Cristo, come capo e come uomo. Chi temerebbe mai che la vita divina del corpo della Chiesa si spenga o si indebolisca a causa del suo principio? Con un’attività che non conosce né tregua né diminuzione, il Cuore di Gesù imprime alle membra di quel corpo i movimenti celesti che gli permettono di compiere divinamente tutte le sue opere e di accrescere continuamente i suoi meriti. La grazia attuale nell’intelligenza è come una voce interiore, con la quale il Cuore Divino suggerisce loro incessantemente buoni pensieri. La grazia attuale nella volontà è come un potente impulso, con il quale spinge i Cristiani ad avvicinarsi a Dio. Se non si resiste all’amore divino, si passa sempre di virtù in virtù.

I giusti e i peccatori e la grazia attuale.

Finora abbiamo esposto l’anima in possesso della vita soprannaturale e pronta per tutti gli atti divini. La grazia attuale in quell’anima è l’esercizio ininterrotto dell’unione che la grazia abituale aveva stabilito tra essa e lo Spirito di Dio, il risultato dell’influenza che il Capo Divino esercita sui suoi membri. Ma, se i membri sono separati dal Capo, se il peccato caccia lo Spirito Santo dall’anima che ha ricevuto la vita da Lui, cosa farà? Come farà gli atti della vita quando ne sarà privato? Come potrà muoversi quando cadrà preda della più orribile delle morti? Come può aspettare la grazia vera e propria, privata com’è della grazia abituale? Ovviamente, non ha alcun diritto di farlo. Ma, oh bontà del Cuore di Gesù! Abbiate fiducia, aspettate, siate sicuri che la vostra speranza non venga mai meno, perché Egli promette di fare questo grande miracolo per tutti i peccatori quando sono ancora vivi. Egli offre loro continuamente la possibilità di uscire dalla loro tomba, di richiamare di nuovo lo spirito della vita che hanno gettato via, per ritrovare la salute che hanno perso. Infatti, la grazia attuale è data sia ai peccatori che ai giusti. Inoltre, spesso non è meno efficace nel primo caso che nel secondo, anche se gode di condizioni migliori nel secondo. Perché? Perché nei giusti è il frutto naturale della vita che essi hanno in sé, e nei peccatori è un mezzo puramente gratuito per recuperare la vita perduta. Nei primi è opera dell’Ospite divino che abita nei loro cuori, in questi ultimi è l’impulso infinitamente misericordioso dell’Amore che, gettato via criminalmente da quel cuore, bussa alla porta per rientrarvi. Nel primo caso, è ancora l’influenza del Capo Divino sui suoi membri, la cui forza ed il cui benessere aumentano continuamente. Nel secondo è lo sforzo per ridare salute e movimento ai membri paralizzati. Nel primo, la grazia vera e propria dà a tutti gli atti che provoca e che sono liberamente cooperati dall’anima, la virtù di meritare rigorosamente (de condigno) la vita eterna. Nel secondo, essendo incapaci i peccatori di merito a causa del peccato, il Sacro Cuore continua a distruggere il peccato, incoraggiando la contrizione, senza la quale non può dare agli atti che fa nascere nell’anima se non la virtù di meritare la grazia per un semplice merito (de congruo). Gesù Cristo si è impegnato a non rifiutare a nessuno la grazia attuale. Guai a colui che, oltre ad esserne privato, non abbia potuto avvalersi dei mezzi per ottenerla! Perché sarebbe stato fuori dalla via della salvezza, perché la disperazione si sarebbe imperiosamente impadronita di lui, poiché non gli si poteva chiedere la pratica di alcuna virtù. Ma no, non possiamo pretendere da nessuno cose così orribili senza andare contro gli insegnamenti della Chiesa. I più grandi peccatori e i più feroci nemici di Gesù Cristo, hanno a loro disposizione dei mezzi, sia che si tratti di grazie attuali così chiamate, sia che si tratti di un aiuto dell’ordine naturale, il cui buon uso porterà loro infallibilmente alla grazia soprannaturale. Nello stesso tempo in cui riversa costantemente nelle anime dei giusti la crescente virtù dei suoi meriti, il Cuore di Gesù non cessa di esercitare, nei cuori più lontani da Lui, l’attrazione salutare che presto li farà entrare, se non gli resisteranno, nei sentieri della vita e della felicità. Ad entrambi lancia quelle frecce penetranti, di cui parla il Profeta, “che fanno cadere ai suoi piedi i popoli sconfitti”.

I tre frutti della grazia attuale.

« Se tu conoscessi il dono di Dio, … » con quale timore e tremore lavoreresti per la tua salvezza, perché la grazia è da Dio. Senza di essa non si può fare assolutamente nulla. Un uomo senza grazia è un albero piantato sulla terra arida: su di esso non si vedono né foglie, né fiori, né frutti. È una nave sulle acque tranquille e calme, alla quale né il vento né il vapore possono comunicare il movimento: « Senza di Me, senza la Mia grazia – ha detto Nostro Signore – non potete fare nulla. » Che drastico antidoto all’orgoglio, che potente raggio di luce capace di offuscare le illusioni della nostra vanità! Che cosa avete che non abbiate ricevuto? Se l’avete ricevuto, di cosa siete orgogliosi? L’Apostolo San Pietro esclamava: « Che gli altri si scandalizzino, passi; ma che io mi scandalizzi, giammai! Eccomi qui, anche se devo dare la mia vita per te. » (S. Mc. XIV, 29). Quando poi Pietro ha conosciuto la debolezza della natura, quanto diverso è stato il suo linguaggio! Con quale timida riserva ha giurato al suo Maestro di amarlo e di volergli essere fedele! Anche Davide era inebriato dalla considerazione del suo glorioso passato: « Io sono, dice, incrollabile per sempre » (Ps, XXIX, 3). Un semplice sguardo è stato più che sufficiente per buttarlo a terra: « oc idus meus deprædatus est animam meam » (Thr. III, 51). Come si mostrò figlio suo più saggio quando, docile allo Spirito del Signore, proclamò in faccia a tutto il popolo: « So che non posso conservare la continenza se Dio non me la dà, ed è un atto di saggezza sapere che devo ricevere questo dono » (Sapienza VIII, 21). Se è vero che non possiamo fare nulla, come dovrebbe essere umile la nostra virtù naturale? E quando trionfo sulle debolezze della mia natura, come non devo attribuire subito la gloria all’Autore di ogni bene, che incorona in me i suoi doni, a Dio, che ci dà la Vittoria per mezzo di Gesù Cristo? (I Cor. XV, 37). « Se tu conoscessi l’indicibile dono di Dio … », con quale incrollabile fiducia continueresti l’opera della tua salvezza? Perché se è vero che non si può fare nulla senza la grazia, tutto si può fare con essa (Fil. IV, 13). Sei debole? Glorificate Dio nella vostra debolezza, perché ad essa la grazia sarà accomodata e l’opera di Dio risplenderà in voi. Come si è commosso l’Apostolo delle genti quando è sceso dal terzo cielo e ha sentito gli stimoli della carne! Con quali ardenti lacrime supplicava il Signore di liberarlo dalla legge delle sue membra, sempre combattendo contro quella dello spirito! (Rm. VII, 22). Ma cosa gli mancava per trionfare e arricchire la sua corona, visto che aveva la grazia di Gesù Cristo? « … Ti basti la mia grazia … » – « Cosa volete, guerrieri santi e coraggiosi – diceva sant’Agostino – o desiderate voi, generosi soldati di Gesù Cristo, che non ci siano passioni o movimenti disordinati? Questo non dipende da voi. Fate guerra a loro ed aspettate con fiducia la vittoria ed il trionfo. Finché viviamo, combattiamo; mentre combattiamo, siamo in pericolo, eppure siamo vittoriosi per colui che ci ha amato » (Aug. Serm. 43  de Verbis Dom.). Perché chi ci dà la voce del comando, ha la vittoria in mano e ce la mette a disposizione. Fidatevi, ci dice senza sosta: la mia grazia è già uscita mille volte vittoriosa sui vostri nemici. Essa dà energia a chi vacilla, riempie di coraggio coloro che non hanno nulla di proprio (Is. XL, 29). Chi ha fatto vincere ai Santi martiri le furie dei loro aguzzini se non la mia grazia? Cosa ha infiammato nei corpi sottili dei bambini e delle tenere vergini il fervore che li ha resi superiori alle torture più orribili se non la mia grazia? E perché non dovrebbe fare in voi quello che ha fatto già in loro? Abbiate fiducia. – « Se tu conoscessi il dono di Dio … », non ti scoraggeresti mai, non saresti mai così follemente presuntuoso da non confidare, in modo incomprensibile, nella grazia. La grazia vi salverà, ma non vi salverà senza di voi, senza una collaborazione attiva da parte vostra. La salvezza è infatti opera della grazia e dei nostri sforzi: la grazia di Dio è con me (Cor XV, 10). La grazia aiuta, non violenta. È un’amica che ti offre il suo aiuto e il suo sostegno, ma in modo tale che tu possa rifiutare il suo aiuto: « Dio – dice San Bernardo – è l’Autore della salvezza, di cui solo il libero arbitrio è suscettibile. Solo Dio può darla; solo il libero arbitrio può riceverla. È chiaro quindi che ciò che Dio dà da solo non può essere ricevuto senza il consenso di chi lo riceve. Ed è proprio dando il proprio consenso che il libero arbitrio coopera con la grazia operosa della salvezza » (L. de grat. et lib. Arb., c. 2); Ora sant’Agostino avverte: « Se Dio coopera, dobbiamo lavorare ». Sta a noi formare un cuore ed uno spirito nuovi (Ez. XVIII, 31), con l’aiuto della grazia. Questa grazia prenderà parte alla nostra attività in modo tale che farà una sola ed unica azione, un’azione soprannaturale, un’azione che sarà di Dio e dell’uomo. Questo spiega perché Dio, dopo aver fatto dire al profeta Ezechiele che ci avrebbe dato di formare un cuore, aggiungeva: « Vi darò un cuore nuovo e metterò in voi un nuovo spirito » (Ez. XXXVI, 26). Quando siamo fedeli alla grazia, non le corrispondiamo con un libero arbitrio puramente umano, ma soprannaturalizzato dalla grazia. Così grazia e libero arbitrio formano una sola facoltà divinizzata, se così si può dire. « La grazia – come dice San Bernardo – non fa che una parte dell’opera, mentre l’altra parte la fa il libero arbitrio, ma ognuno fa il tutto con un’operazione indivisibile. Il libero arbitrio fa tutto e la grazia fa tutto; ma come tutto si fa nel libero arbitrio, così tutto viene dalla grazia » (S. Bern. De gratia et lib. arb., c. XIV). Quanto è armoniosa e meravigliosa l’armonia della libertà e della grazia in tutte le rivelazioni del Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria! Che cosa significano queste lamentele amorose del Cuore Divino sull’ingratitudine degli uomini, la loro freddezza e la scarsa corrispondenza alle prove del suo amore? Perché ci chiede di ascoltare la sua voce, di rivolgerci a Lui e di attingere alla sua fonte le grazie di cui abbiamo bisogno, se non perché Dio ci tratta con grande rispetto, e perché non vuole diminuire minimamente la nostra libertà, un ricco dono ricevuto dalle sue mani? Ma cosa significano quelle grandi e magnifiche promesse del Cuore amorevolissimo di Gesù, quelle abbondanti benedizioni concesse agli individui, alle famiglie, alle società; la promessa della perseveranza finale; le parole così spesso ripetute: « Io trionferò nonostante la testardaggine e la malvagità dei miei nemici », se non che la grazia è trionfante e sovrana? Oh, sì, noi, fedeli servitori del Cuore di Gesù, dobbiamo cantare l’inno di fiducia e di ringraziamento, perché possiamo fare tutto ciò che possiamo in Colui che ci conforta. Perché il Cuore di Gesù è con noi e con Lui possiamo sfidare tutto. E se il Cuore di Gesù è con noi, chi oserà andare contro di noi, chi potrà incuterci timore? Rivolgiamoci a quel Cuore adorabile, fonte di vita soprannaturale, all’Autore ed al dispensatore della grazia, e diciamogli con amore: O Cuore benefico di Gesù! Concedimi questa grazia così grande e necessaria per la mia salvezza, affinché possa superare la mia natura perversa. In mezzo a tentazioni e tribolazioni: « … non temo nulla se la tua grazia è con me ». Essa è la mia forza, il mio consiglio e il mio aiuto. Che cosa sono senza di essa se non un palo asciutto ed un tronco inutile? Perciò, Signore, che la vostra grazia sia sempre con me e che io sia sempre pronto a fare il bene (Imit. l. III, c. LV).

https://www.exsurgatdeus.org/2020/06/23/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-17/