SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA

Introitus Ps XXIV:6; XXIV:3; XXIV:22

Reminíscere miseratiónum tuarum, Dómine, et misericórdiæ tuæ, quæ a saeculo sunt: ne umquam dominéntur nobis inimíci nostri: líbera nos, Deus Israël, ex ómnibus angústiis nostris. [Ricòrdati, o Signore, della tua compassione e della tua misericordia, che è eterna: mai triònfino su di noi i nostri nemici: líberaci, o Dio di Israele, da tutte le nostre tribolazioni.]

Ps XXIV:1-2

Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam.

[A te, o Signore, ho levato l’ànima mia, in Te confido, o mio Dio, ch’io non resti confuso.]

Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.

Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Reminíscere miseratiónum tuarum, Dómine, et misericórdiæ tuæ, quæ a saeculo sunt: ne umquam dominéntur nobis inimíci nostri: líbera nos, Deus Israël, ex ómnibus angústiis nostris. [Ricòrdati, o Signore, della tua compassione e della tua misericordia, che è eterna: mai triònfino su di noi i nostri nemici: líberaci, o Dio di Israele, da tutte le nostre tribolazioni.]

Orémus. Deus, qui cónspicis omni nos virtúte destítui: intérius exteriúsque custódi; ut ab ómnibus adversitátibus muniámur In córpore, et a pravis cogitatiónibus mundémur in mente. [O Dio, che ci vedi privi di ogni forza, custodíscici all’interno e all’esterno, affinché siamo líberi da ogni avversità nel corpo e abbiamo mondata la mente da ogni cattivo pensiero.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.

Amen.

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Thessalonicénses.

1 Thess IV:1-7.

Fratres: Rogámus vos et obsecrámus in Dómino Jesu: ut, quemádmodum accepístis a nobis, quómodo opórteat vos ambuláre et placére Deo, sic et ambulétis, ut abundétis magis. Scitis enim, quæ præcépta déderim vobis Per Dominum Jesum. Hæc est enim volúntas Dei, sanctificátio vestra: ut abstineátis vos a fornicatióne, ut sciat unusquísque vestrum vas suum possidére in sanctificatióne et honóre; non in passióne desidérii, sicut et gentes, quæ ignórant Deum: et ne quis supergrediátur neque circumvéniat in negótio fratrem suum: quóniam vindex est Dóminus de his ómnibus, sicut prædíximus vobis et testificáti sumus. Non enim vocávit nos Deus in immundítiam, sed in sanctificatiónem: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Fratelli: Vi preghiamo e vi supplichiamo nel Signore Gesù, di studiarvi di vivere sempre più in quel modo che apprendeste da noi doversi vivere per piacere a Dio, e come voi già vivete. Voi sapete quali precetti vi abbiamo dati da parte del Signore Gesù: poiché la volontà di Dio è questa: che vi santifichiate, che vi asteniate dalle fornicazioni, che ciascuno di voi sappia procurarsi una moglie che sia sua nella santità e nella onestà, senza abbandonarsi a passioni disordinate come fanno i Gentili che non conoscono Dio. Nessuno usi violenza o frode a danno del fratello negli affari, perché il Signore fa giustizia di tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e dichiarato; poiché Iddio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione in Gesù Cristo nostro Signore.]

Deo gratias.

Graduale Ps XXIV:17-18

Tribulatiónes cordis mei dilatátæ sunt: de necessitátibus meis éripe me, Dómine,

[Le tribolazioni del mio cuore sono aumentate: líberami, o Signore, dalle mie angustie.]

Vide humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea.

[Guarda alla mia umiliazione e alla mia pena, e perdònami tutti i peccati.]

Tractus Ps CV:1-4

Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. [Lodate il Signore perché è buono: perché eterna è la sua misericordia.]

Quis loquétur poténtias Dómini: audítas fáciet omnes laudes ejus?

[Chi potrà narrare la potenza del Signore: o far sentire tutte le sue lodi?]

Beáti, qui custódiunt judícium et fáciunt justítiam in omni témpore.

[Beati quelli che ossérvano la rettitudine e práticano sempre la giustizia.]

Meménto nostri, Dómine, in beneplácito pópuli tui: vísita nos in salutári tuo. [Ricórdati di noi, o Signore, nella tua benevolenza verso il tuo popolo, vieni a visitarci con la tua salvezza.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Gloria tibi, Domine!

Matt XVII:1-9

“In illo témpore: Assúmpsit Jesus Petrum, et Jacóbum, et Joánnem fratrem eius, et duxit illos in montem excélsum seórsum: et transfigurátus est ante eos. Et resplénduit fácies ejus sicut sol: vestiménta autem ejus facta sunt alba sicut nix. Et ecce, apparuérunt illis Móyses et Elías cum eo loquéntes. Respóndens autem Petrus, dixit ad Jesum: Dómine, bonum est nos hic esse: si vis, faciámus hic tria tabernácula, tibi unum, Móysi unum et Elíæ unum. Adhuc eo loquénte, ecce, nubes lúcida obumbrávit eos. Et ecce vox de nube, dicens: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi bene complácui: ipsum audíte. Et audiéntes discípuli, cecidérunt in fáciem suam, et timuérunt valde. Et accéssit Jesus, et tétigit eos, dixítque eis: Súrgite, et nolíte timére. Levántes autem óculos suos, néminem vidérunt nisi solum Jesum. Et descendéntibus illis de monte, præcépit eis Jesus, dicens: Némini dixéritis visiónem, donec Fílius hóminis a mórtuis resúrgat.” [In quel tempo: Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato in loro presenza: il suo volto brillò come il sole, e le sue vesti divennero càndide come la neve. Ed ecco apparire loro Mosè ed Elia, i quali conversavano con lui. Pietro disse a Gesù: Signore, è bene che noi stiamo qui, se vuoi faremo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia. Mentre egli parlava ancora, una núvola luminosa li circondò, ed una voce dalla núvola disse: Questo è il mio Figlio prediletto, in cui mi sono compiaciuto, ascoltàtelo. E i discépoli, udito ciò, càddero col viso a terra, e fúrono presi da gran timore. Ma Gesù, accostatosi, li toccò e disse: Levàtevi e non temete. Ed essi, alzati gli occhi, vídero Gesù tutto solo. Poi, mentre scendévano dal monte, Gesù diede loro quest’ordine: Non parlate ad alcuno di questa visione finché il Figlio dell’uomo sia resuscitato dai morti.]

Laus tibi, Christe! S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

Omelia

Omelia della DOMENICA II DI QUARESIMA

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo, XVII-1-9)

Tre Croci.

Nell’ascendere su la cima d’un alto monte, si fa seguire il divin Redentore da tre suoi trascelti apostoli, Pietro e i due fratelli Giacomo e Giovanni; e quivi cangiata all’improvviso l’esterior figura, si mostra tutto sfavillante di vivissima luce a par del sole, con le sue vesti candide come l’intatta neve. In quell’istante ecco a lato di Gesù Mose ed Elia. Dalla novità e grandezza di così luminoso spettacolo rapito S. Pietro, “ah! Signore, esclamò, quanto saremmo felici, se qui si stabilisse la nostra dimora, se qui si formassero tre tabernacoli, l’uno per Voi, l’altro per Mose, il terzo per Elia!” Dal testo evangelico non vediamo che qui Gesù rispondesse. Non rispose, interpreta S. Leone (De transfig.), perché era fuor d’ordine il desiderare ciò che avrebbe impedito la morte di Cristo e la salvezza del mondo; e per darci ad intendere, che prima della beatitudine e della gloria, dobbiamo con pazienza e rassegnazione sostenere le tribolazioni di questa misera vita. E perciò nel discendere dal monte, proibì a Pietro e agli altri due di far parola di quanto avevan veduto, sinché egli non fosse risuscitato da morte; quasi dir volesse: “Pietro, tu mi parli di godimenti, ed Io di pene, tu di vita; ed Io di morte, tu di gloria, ed Io di croce. Già più volte da me l’apprendesti, che chi vuol seguirmi conviene che si addossi la croce”. Secondiamo, uditori, le intenzioni e gli avvisi del nostro divin Salvatore, disponiamoci a portare la croce con Lui, se vogliamo entrar nel suo regno. La croce, cristiani miei, si può talvolta cangiare, ma non si può evitare. Bisogna volontariamente portarla con Gesù Cristo o forzatamente col Cireneo. – Per meglio aprirvi tutto il mio pensiero, dal Tabor passiamo al Calvario. Qui invece di tre tabernacoli sono piantate tre croci. Da una pende un innocente, dall’altra un reo ravveduto, dalla terza un reo disperato. Il primo è Gesù agnello senza macchia, il secondo è Disma il buon ladrone, il pessimo ladro è il terzo. – Possiamo dunque chiamar l’una la croce dell’innocenza, l’altra la croce della penitenza, la terza la croce della riprovazione. Fedeli miei, siamo innocenti? Sarà per noi la croce di Cristo. Siam penitenti? Per noi sarà quella di Disma! Siamo ostinati? Sarà quella del reprobo ladro. Una di queste croci dobbiamo necessariamente soffrire; vediamo qual torni meglio abbracciare. – I. Anche l’innocenza dunque ha la sua croce? Così è. Uno sguardo a Gesù. Qual prova maggiore ? Egli “sanctus, innocens, impollutus; segregatus a peccatori bus” (ad. Hebr. VII, 26), porta la croce e muore sulla croce. Uno sguardo agli amici suoi. Questi, per esser tali, bevettero tutti di quel calice amaro, che Egli assorbì fino all’ultima feccia. Basti per tutti il Battista suo precursore. Egli santificato prima di nascere; preconizzato dalla bocca di Cristo medesimo pel maggiore fra i santi, esce ancor bambinello dalla paterna casa e si avvia al deserto; qui mal coperto di pelli di ariete e di cammello, esposto al rigore delle stagioni, si pasce di miele selvaggio e di vili locuste. Fatto adulto predica in riva al Giordano, pallido e smunto, la penitenza, e finalmente chiude i suoi giorni nella prigione di Macheronte decapitato all’istanza di una saltatrice: grande Iddio! si tratta dunque così il fior dell’innocenza? Mi chiedete il perché? Domando a voi perché l’oro, fra i metalli il più prezioso, viene posto in seno di ardente fornace? Non è per affinarlo, per renderlo più lucente e più puro? Per simil guisa pratica Iddio coi suoi eletti; col fuoco delle tribolazioni purifica le loro virtù, accresce splendore alla loro santità: “Tamquam aurum in fornace probavit illos” (Sap. VIII, 6). – Rammentate qui quei bambini innocenti trucidati dal crudelissimo Erode in Betlemme e nei suoi contorni e ditemi se tutti: fossero venuti a florida, o matura età, si sarebbero tutti salvati? Io ne dubito. Sarebbero tutti santi? Non è probabile. Sarebbero tutti venerati sugli altari? Non è credibile. La spada dunque, la spada del tiranno non poteva fare ad essi vantaggio maggiore. Il taglio di quella staccò la palma che strinsero di primizie dei martiri, il sangue che sparsero tinse purpurei i candidi fiori di loro innocenza. Un momento di pena fu compensato con un gaudio eterno. – Tal’è la provvida sapiente condotta del nostro buon Dio verso de’ suoi più cari. Così si espresse al giusto Tobia, divenuto cieco, l’Arcangelo Raffaele, “Tobia perché tu eri accetto e caro a Dio, fu necessario che la pena, che la tribolazione di tua cecità, ti mettesse alla prova. Tu eri una gemma preziosa, ma era espediente che l’afflizione dell’infelice tuo stato, come una ruvida pietra mordace, ti togliesse d’intorno ogni scaglia per renderti più luminoso e pregevole. “Quia acceptus eras Deo, necesse fuit ut tentatio pròbaret te” (Ibid.) – II. Ora se gli innocenti non sono dispensati dalle tribolazioni e dalla croce, che dovrà dirsi dei peccatori? Ancor questi per più forti ragioni devono portarla, e buon per essi se la sapranno portare a loro profitto. Peccatori tribolati, udite bene, o voi siete fuor di casa del Padre celeste, battete la via della perdizione, e vi trattenete in paesi stranieri lontani da Dio come il figliuol prodigo, o sulle orme dello stesso, per la strada della penitenza, siete rientrati in casa del vostro buon genitore. Se vi trovate ancor fuor di casa, sappiate che la tribolazione è per voi una sferza per farvi deviare del cattivo sentiero, una spinta che Dio vi dà, perché a Lui facciate ritorno. Se il mentovato prodigo figlio avesse sempre avuto onde pascere le sua dissolutezze, dimentico affatto del padre abbandonato, mai più gli sarebbe caduto in pensiero di tornare a lui ravveduto e pentito. Allora sì che se il ricordò, quando, dissipate tutte le sue sostanze, si trovò mal coperto da luridi cenci, ridotto per la fame all’abbietto mestiere di pascere i porci. La tribolazione gli aprì gli occhi, la tribolazione lo fece risolvere a cercare nell’ottimo padre il rimedio all’estrema sua infelicità. Peccatori tribolati, Iddio permette le angustie della vostra povertà, la vessazione di quella lite, la persecuzione di quell’emolo, quella malattia, quella perdita, quella disgrazia, acciò colpiti dalla tribolazione abbandoniate il peccato, origine de’ vostri guai, e vi risolviate ad uscirne con condurvi ai piedi del Vostro padre, ch’è il Dio di ogni consolazione. Ed Egli intanto vi sta aspettando a braccia stese, e a seno aperto. – “Ma noi, voi rispondete, siam tornati addietro dalla via d’iniquità e, come ci giova sperare, siamo stati accolti in casa del nostro buon Padre, e rimessi nella sua grazia; e pure la croce sempre ci aggrava, la tribolazione ci sta sempre ai fianchi.” Sapete perché? Perché non usciate più dal luogo ove tornaste, perché più non mettiate piede fuor della soglia paterna. – Fa Iddio con voi, come fece Giuseppe viceré dell’Egitto col suo diletto fratello Beniamino. Non voleva Giuseppe che Beniamino partisse dagli occhi suoi, lo voleva seco nel suo palazzo: temeva che partendo non gli avvenisse qualche infortunio, come già avvenne a lui medesimo, quando fu spogliato e venduto da quegli stessi comuni fratelli. Ma come trattenerlo se i suoi fratelli non volevano partire senza di lui? Si appigliò ad uno strano espediente, che gli servisse di pretesto, onde riuscir nell’intento. Fece nascondere nel sacco di Beniamino la sua coppa di argento; indi arrestato dalle guardie, e trovato il corpo dell’apparente delitto, lo volle presso di sé custodito. Fu questo un industrioso tratto di benevolenza sotto l’aspetto di severità: amò meglio contristarlo per un momento, che esporlo a pericolo permettendo la sua partenza. La stessa condotta tiene con voi, peccatori ravveduti e tribolati, il celeste Padre. Ei vi accolse in sua casa, tornaste in sua grazia. Se le cose per voi corressero sempre prospere, se tutto andasse a seconda del vostro genio, chi sa che non ricalcitraste, che non volgeste le spalle a Dio un’altra volta? Perché tanto mal non vi avvenga si serve Iddio della tribolazione, come di una catena, catena che vi stringe è vero, ma catena d’oro, che con tanto vostro vantaggio a Lui vi lega. Si serve della croce che vi pesa come di una barriera per attraversarsi ai vostri passi, per impedirvi una sconsigliata partenza. – Abbracciatevi dunque, penitenti fratelli, a questa croce, stringetevi a questa con umile rassegnazione, baciatela con fede e con amore. Essa sarà la tavola che vi libererà dal naufragio nel mar tempestoso di questo secolo pervertito, sarà la spada per atterrare i vostri nemici, lo stendardo della vostra vittoria, la chiave che vi aprirà le porte del cielo. – III. Non vi arrendete alle mie esortazioni, il solo nome di croce vi conturba, non volete portarla con rassegnazione e pazienza? E bene mi resta a dirvi che la porterete per forza. – La croce dell’innocenza, voi dite, non essere adattata a chi non è più innocente. La croce della penitenza non volete abbracciarla; più non vi resta che la croce della riprovazione. Osserva un antico scrittore, che la croce di Cristo stesa a terra presagiva con i quattro suoi capi, che nelle quattro parti del mondo doveva essere predicata e piantata. Può indicare altresì non esservi parte del mondo, non paese, non famiglia, non persona, che non abbia la sua croce. – Posta dunque l’indispensabile necessità della croce, a quale delle tre già indicate tornerà meglio stendere le braccia? Rifiutate le due prime, dovremo nostro mal grado soffrire la terza del ladro reprobo e disperato. Mossi a pietà di questo reo inasprito, intollerante nei suoi tormenti, accostiamoci ai piedi della sua croce e prendiamo a dirgli così: “Infelice, in mezzo ai tuoi affanni dà luogo alla ragione, alla fede, alla verità, e al male del corpo non aggiungere quello dell’anima. Tu ti divincoli su quel legno come una serpe schiacciata da dura pietra, tu bestemmi, tu ti disperi, ma con che pro? Mira il compagno del tuo supplizio. Ei si è rivolto a Gesù con cuor contrito, con animo rassegnato, e ne ha ottenuto parola di perdono e promessa di Paradiso. Se temi in Gesù il tuo giudice, abbassa gli occhi, ed osserva Maria sua Madre trafitta dal dolore, a Lei manda una preghiera, un sospiro. Essa è de’ peccatori il rifugio, essa . .”, ma ei non mi ascolta, si dibatte, s’infuria e rinnova le sue bestemmie. Miserabile, se l’intolleranza, se la bestemmia addolcisce le tue pene, vorrei compatirti; ma tu te le accresci, e ti avvicini frattanto alle porte della morte e dell’inferno. Scuotiti omai, forsennato, ecco i soldati che vengono a rompere a te, e al tuo compagno le gambe, più poco ti resta di vita. Oimè il sole si eclissa, trema la terra, le pietre si spezzano, e tu sempre inflessibile, sempre ostinato. Così è. La croce stessa, dice l’Angelico, che fu al buon ladro una scala pel cielo, per questo disperato fu un precipizio per l’inferno. – Oh quanti cristiani si assomigliano a questo ladro infelice! Stretti dalle miserie, feriti dalle ingiurie, oppressi dalle calunnie, inchiodati in un letto di affanni per lunga e penosa infermità, invece di ricorrere al Padre delle misericordie, e confessarsi meritevoli di quel castigo, “nos quìdem iuste digna factis recipimus” (Luc. XXIII, 41), vomitano maledizioni e bestemmie contro la divina provvidenza, sfogano l’odio d’un cuore irritato e maligno contro i veri o supposti autori dei loro guai, e come cani rabbiosi mordono la pietra che li ferì. Anime tribolate, se cessato alquanto il bollore delle vostre smanie, potete ammettere qualche ragionevole riflessione, uditemi pazientemente. Lo sfogo della bestiale vostra indignazione, l’ira che v’infiamma, la disperazione che vi domina risana il vostro morbo, mitiga il vostro dolore, provvede alla vostra indigenza, dissipa la calunnia, tronca la persecuzione, in una parola, rimedia ai vostri mali, risarcisce le vostre perdite, compensa le vostre disgrazie? S’è così, “humanum dico”, vorrei in qualche modo compatire l’inferma natura, la debole umanità; ma se per lo contrario inasprite le vostre piaghe, e come un rospo sotto la sferza raddoppiate il veleno, se ne soffre la vostra sanità, ne peggiorate in ogni modo la deplorabile vostra condizione, fate senno per carità, lasciate d’esser nemici di voi medesimi, vi faccia orrore la disperata morte del cattivo ladro, vi muova l’esempio del buono, acciò la vostra croce, come già vi accennai con s. Tommaso, vi sia di scala al paradiso, non di precipizio all’ inferno. Non vi muovono le mie parole? Non vi fa colpo quanto finora per vostro bene vi venni dicendo? Cesserò di molestarvi. Mi volgerò invece a Gesù Crocifisso, e “Signore, gli dirò, Signore e Redentor nostro amorosissimo, Voi diceste che quando sarete esaltato da terra attirerete a Voi ogni cosa; traete dunque i nostri cuori a Voi. Che mala sorte sarebbe la nostra, vivere tribolati e morir disperati? Eh no, da questo istante, rassegnati alla vostra volontà, risolviamo di sopportare in pace le tribolazioni inevitabili in questa valle di pianto. Impareremo da Voi, vittima innocente, sacrificata pei nostri delitti su questo legno, impareremo dal penitente ladrone a soffrir con pazienza e con merito le pene dovute alle nostre colpe. Dietro le vostre orme porteremo in vita la nostra croce; colla dolce speranza di spirare in morte abbracciati alla croce vostra. 

Credo …

Offertorium V. Dóminus vobíscum.

Et cum spíritu tuo.

Orémus Ps CXVIII:47; CXVIII:48

Meditábor in mandátis tuis, quæ diléxi valde: et levábo manus meas ad mandáta tua, quæ diléxi. [Mediterò i tuoi precetti che ho amato tanto: e metterò mano ai tuoi comandamenti, che ho amato.]

Secreta Sacrifíciis præséntibus, Dómine, quaesumus, inténde placátus: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti. [Guarda, o Signore, con occhio placato, al presente sacrificio, affinché giovi alla nostra devozione e salute.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula sæculorum. – Amen.

Communio Ps V:2-4 – Intéllege clamórem meum: inténde voci oratiónis meæ, Rex meus et Deus meus: quóniam ad te orábo, Dómine. [Ascolta il mio grido: porgi l’orecchio alla voce della mia orazione, o mio Re e mio Dio: poiché a Te rivolgo la mia preghiera, o Signore.]

Postcommunio S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus. Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: ut quos tuis réficis sacraméntis, tibi etiam plácitis móribus dignánter deservíre concédas. [Súpplici Ti preghiamo, o Dio onnipotente: affinché, a quelli che Tu ristori coi tuoi sacramenti, conceda anche di servirti con una condotta a Te gradita.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

 

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA

Introitus Ps XC:15; XC:16

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum. [Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.] Ps XC:1 Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei coeli commorábitur. [Chi àbita sotto l’égida dell’Altissimo dimorerà sotto la protezione del cielo]. V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen.

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum. [Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Oratio V. Dóminus vobíscum. – Et cum spiritu tuo.

Orémus. Deus, qui Ecclésiam tuam ánnua quadragesimáli observatióne puríficas: præsta famíliæ tuæ; ut, quod a te obtinére abstinéndo nítitur, hoc bonis opéribus exsequátur. [O Dio, che purífichi la tua Chiesa con l’ànnua osservanza della quaresima, concedi alla tua famiglia che quanto si sforza di ottenere da Te con l’astinenza, lo compia con le opere buone.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – R. Amen.

Lectio Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios. 2 Cor VI:1-10.

“Fratres: Exhortámur vos, ne in vácuum grátiam Dei recipiátis. Ait enim: Témpore accépto exaudívi te, et in die salútis adjúvi te. Ecce, nunc tempus acceptábile, ecce, nunc dies salútis. Némini dantes ullam offensiónem, ut non vituperétur ministérium nostrum: sed in ómnibus exhibeámus nosmetípsos sicut Dei minístros, in multa patiéntia, in tribulatiónibus, in necessitátibus, in angústiis, in plagis, in carcéribus, in seditiónibus, in labóribus, in vigíliis, in jejúniis, in castitáte, in sciéntia, in longanimitáte, in suavitáte, in Spíritu Sancto, in caritáte non ficta, in verbo veritátis, in virtúte Dei, per arma justítiæ a dextris et a sinístris: per glóriam et ignobilitátem: per infámiam et bonam famam: ut seductóres et veráces: sicut qui ignóti et cógniti: quasi moriéntes et ecce, vívimus: ut castigáti et non mortificáti: quasi tristes, semper autem gaudéntes: sicut egéntes, multos autem locupletántes: tamquam nihil habéntes et ómnia possidéntes.” –  Deo gratias.

[Fratelli: Vi esortiamo a non ricévere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Ti esaudii nel tempo accettabile, e nel giorno della salvezza ti offrii soccorso. Ecco ora il tempo accettabile, ecco ora il giorno della salvezza. Non diamo ad alcuno occasione d’inciampo, affinché non sia vituperato il nostro ministero: ma comportiamoci in tutte le cose come ministri di Dio, con molta pazienza, nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle battiture, nelle prigionie, nelle sedizioni, nelle fatiche, nelle vigílie, nei digiuni, con la castità, con la scienza, con la mansuetudine, con la soavità, con lo Spírito Santo, con una carità non simulata, con la parola di verità, con la virtù di Dio, con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nell’ignominia, nell’infamia e nel buon nome: come seduttori, eppur veraci: come ignoti, eppur conosciuti: come morenti, ed ecco che siamo vivi: come castigati, ma non uccisi: quasi tristi, eppur sempre allegri: quasi mendichi, pur arricchendo molti: come aventi nulla e possedenti tutto.]

Graduale Ps XC,11-12

Angelis suis Deus mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.

In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum.

[Dio ha mandato gli Ángeli presso di te, affinché ti custodíscano in tutti i tuoi passi. Essi ti porteranno in palmo di mano, ché il tuo piede non inciampi nella pietra.]

Tractus. Ps XC:1-7; XC:11-16 Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei coeli commorántur. V. Dicet Dómino: Suscéptor meus es tu et refúgium meum: Deus meus, sperábo in eum. V. Quóniam ipse liberávit me de láqueo venántium et a verbo áspero. V. Scápulis suis obumbrábit tibi, et sub pennis ejus sperábis. V. Scuto circúmdabit te véritas ejus: non timébis a timóre noctúrno. V. A sagitta volánte per diem, a negótio perambulánte in ténebris, a ruína et dæmónio meridiáno. V. Cadent a látere tuo mille, et decem mília a dextris tuis: tibi autem non appropinquábit. V. Quóniam Angelis suis mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis. V. In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum, V. Super áspidem et basilíscum ambulábis, et conculcábis leónem et dracónem. V. Quóniam in me sperávit, liberábo eum: prótegam eum, quóniam cognóvit nomen meum, V. Invocábit me, et ego exáudiam eum: cum ipso sum in tribulatióne, V. Erípiam eum et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum, et osténdam illi salutáre meum.

[Chi abita sotto l’égida dell’Altissimo, e si ricovera sotto la protezione di Dio. V. Dica al Signore: Tu sei il mio difensore e il mio asilo: il mio Dio nel quale ho fiducia. V. Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e da un caso funesto. V. Con le sue penne ti farà schermo, e sotto le sue ali sarai tranquillo. V. La sua fedeltà ti sarà di scudo: non dovrai temere i pericoli notturni. V. Né saetta spiccata di giorno, né peste che serpeggia nelle tenebre, né morbo che fa strage al meriggio. V. Mille cadranno al tuo fianco e dieci mila alla tua destra: ma nessun male ti raggiungerà. V. Poiché ha mandato gli Angeli presso di te, perché ti custodiscano in tutti i tuoi passi. V. Ti porteranno in palma di mano, affinché il tuo piede non inciampi nella pietra. V. Camminerai sull’aspide e sul basilisco, e calpesterai il leone e il dragone. V. «Poiché sperò in me, lo libererò: lo proteggerò, perché riconosce il mio nome. V. Appena mi invocherà, lo esaudirò: sarò con lui nella tribolazione. V. Lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni, e lo farò partécipe della mia salvezza».]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

Gloria tibi, Domine!

Matt IV:1-11

“In illo témpore: Ductus est Jesus in desértum a Spíritu, ut tentarétur a diábolo. Et cum jejunásset quadragínta diébus et quadragínta nóctibus, postea esúriit. Et accédens tentátor, dixit ei: Si Fílius Dei es, dic, ut lápides isti panes fiant. Qui respóndens, dixit: Scriptum est: Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod procédit de ore Dei. Tunc assúmpsit eum diábolus in sanctam civitátem, et státuit eum super pinnáculum templi, et dixit ei: Si Fílius Dei es, mitte te deórsum. Scriptum est enim: Quia Angelis suis mandávit de te, et in mánibus tollent te, ne forte offéndas ad lápidem pedem tuum. Ait illi Jesus: Rursum scriptum est: Non tentábis Dóminum, Deum tuum. Iterum assúmpsit eum diábolus in montem excélsum valde: et ostendit ei ómnia regna mundi et glóriam eórum, et dixit ei: Hæc ómnia tibi dabo, si cadens adoráveris me. Tunc dicit ei Jesus: Vade, Sátana; scriptum est enim: Dóminum, Deum tuum, adorábis, et illi soli sérvies. Tunc relíquit eum diábolus: et ecce, Angeli accessérunt et ministrábant ei.”

[In quel tempo: Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Ed avendo digiunato quaranta giorni e quaranta notti, finalmente gli venne fame. E accostatosi il tentatore, gli disse: Se sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre divéntino pani. Ma egli rispose: Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio. Allora il diavolo lo trasportò nella città santa, e lo pose sul pinnacolo del tempio, e gli disse: Se sei il Figlio di Dio, géttati giù, poiché sta scritto: Ha mandato gli Ángeli presso di te, essi ti porteranno in palmo di mano, ché il tuo piede non inciampi nella pietra. Gesù rispose: sta anche scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo. Di nuovo il diavolo lo trasportò sopra un monte altíssimo e gli fece vedere tutti i regni del mondo e la loro magnificenza, e gli disse: Ti darò tutto questo se, prostrato, mi adorerai. Ma Gesù gli rispose: Vattene Sàtana, perché sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo. Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco che gli si accostarono gli Ángeli e lo servívano.]

Omelia

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo IV, 1-11)

Digiuno.

Condotto dal divino suo spirito Gesù Cristo si conduce al deserto, come ci narra l’Evangelista Matteo, e quivi si dà a un così rigido e prolisso digiuno che non finisce se non a capo di quaranta giorni, ed altrettante notti. Vi sorprende, uditori, una sì lunga e dura astinenza? E me ne chiedete il perché!? Ce l’insegna la storia dell’umana prevaricazione. Cominciò questa dalla violazione del primo comandato digiuno. “Adamo, disse il Signore al nostro primo padre: di tutti i frutti delle molte e diverse piante che fan ricco a felice questo terreno paradiso, ne gusterai a tuo talento, ma in segno dell’alto mio dominio su tutte le create cose, ed in prova dell’ubbidienza che tu mi devi, ti asterrai dal mangiare il frutto di quest’albero, il quale unicamente ti proibisco: il gustarne e morire sarà la cosa istessa, “in quocumque die comederis ex eo morte morieris” (Gen. II, 17). Pecca Adamo, rompe precetto e digiuno, perde se stesso, e il mondo tutto; e Gesù riparatore del mondo intraprende e compie così severo digiuno per soddisfare l’offesa divina giustizia, e dar a noi esempio di soddisfarla col mezzo stesso. Animiamoci dunque, o fedeli, ad osservare nel corso della già cominciata quaresima, in ispirito di religione e di penitenza il prescritto digiuno. Dovrebbe bastare per noi l’esempio di Gesù Cristo, e il comando della sua Chiesa”; ma siccome una gran parte del popolo cristiano non ha di questa santa osservanza quella cognizione necessaria a formarne il giusto e debito concetto, così io mi avvisai di proporne l’eccellenza e l’importanza. L’eccellenza attirerà la vostra estimazione, l’importanza determinerà la vostra ubbidienza a praticarla con fervore e con merito; come mi giova sperare, se mi udirete cortesemente. – Tante è grande l’eccellenza d’un precetto, quanto è grande ed autorevole il legislatore, e quanto son lodevoli e proficui i motivi, che l’accompagnano. La santa Chiesa la sposa di Gesù Cristo, colonna dì verità, è quella che prescrive a tutti i suoi figli l’osservanza del quadragesimale digiuno. Chiunque senza ragionevole ed approvato motivo si dispensa da questa legge, si dichiara col fatto d’essere come un pubblicano, come un idolatra. Con questi nomi viene chiamato da Cristo medesimo. “Si Ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus, et publicanus” (Matth. XVII,18): cioè come un dì quegli uomini esecrabili, che non conoscono altra legge che quella della loro cupidigia, che si mostrano apertamente idolatri della loro carne, e del loro gusto, della lor sensualità, che, secondo l’espressione di S. Paolo, del loro ventre si han fatto un Dio, “quorum Deus venter est” (ad Phil. III, 19). – Ma dal nome ed autorità della Chiesa soltanto, non acquista pregio e valore il prescritto quaresimale digiuno. Gesù Cristo ce ne diede Egli stesso l’esempio, giusta il tenore di sua condotta ammirabile, di prima eseguir egli coll’opera quel che poi insegnava colla sua parola. “Coepit Jesus facere, et docere” (Act. I, 1). – Al comandamento della Chiesa ed all’esempio luminosissimo del nostro Salvatore vanno unite le più plausibili congruenze. Per giorni quaranta digiunò Mose sulle cime del Sinai prima di ricevere le tavole del Decalogo, scritte dalla mano di Dio. Per altrettanti giorni durò il digiuno d’Elia prima d’ascendere al monte santo di Dio. E Gesù nella prodigiosa sua trasfigurazione in sul Tabor volle l’uno a destra, l’altro a sinistra, come testimoni della sua divinità e della sua dottrina, comprovata dai profeti, e dalla scritta sua legge. – L’eccellenza di questa legge quadragesimali vie più risplende in considerare i salutevoli motivi, per i quali fu istituita; motivi che al tempo stesso ne dimostrano 1’importanza. Voi sapete, uditori, che ai tempi di Noè Iddio sdegnato punì tutta l’umana generazione, corrotta dal vìzio della carne, con un diluvio di quaranta giorni, e quaranta notti. Placato poi si protestò, che di simile flagello non avrebbe mai più punita la terra. Si dichiara però per bocca del suo Profeta Nahum, che con certi diluvi particolari non cesserà di castigare or questi, or quelli popoli prevaricatori: “In diluvio prætereunte consummationem faciet”. Diluvi di pestilenze, diluvi di guerre, di carestie, di terremoti. Or la Chiesa nostra madre pietosa, per placare l’offesa divina giustizia, e rimuovere dai figli suoi questi tremendi flagelli, ce ne presenta il mezzo opportuno in questo tempo accettevole nell’osservanza del quaresimale digiuno. Miei fratelli, diciamolo a nostra confusione, siamo in un secolo poco dissimile dall’antidiluviano. La giustizia di Dio è armata di fulmini, che ci pendono sul capo. Chi disarmerà la sua destra? La penitenza, miei cari, la penitenza di quaranta giorni colla fedele osservanza del digiuno, colla mortificazione del corpo, colla contrizione del cuore. Incontreremo così la buona sorte dei Niniviti, che, minacciati da Giona profeta al termine di quaranta giorni di totale sterminio, seppero ripararlo con vestirsi di sacco, con lo spargersi di cenere, con un digiuno così severo, fino a negare a sé stessi e ai loro giumenti ogni sorta di cibo e di bevanda. – Non a questa, ma ad una più moderata astinenza, secondo il fine e lo spirito della Chiesa, ci esorta S. Giovanni Crisostomo. Ieiuna, dice egli a ciascun di noi, “ieiuna quia peccasti” (Hom. 1 de ieiun.) . – Abbiam peccato, siam tutti peccatori: al peccato è dovuta la pena o in questa o nell’altra vita. – Qui la penitenza sconta la pena con merito, di là a puro rigore di giustizia. Saremo ben ciechi e nemici del nostro bene, se, potendo con poco soddisfare i nostri debiti con Dio, ometteremo un mezzo sì facile per condannarci a più lunghi e fieri tormenti. E che sarebbe poi se la trasgressione d’un solo digiuno ci facesse rei di grave delitto, e meritevoli d’eterno supplizio? – Ben l’intese il penitente David. Egli sebbene reso certo da Natan Profeta del perdono del suo peccato, pure praticava digiuni di tanta austerità, che mal si reggeva sui suoi ginocchi infievoliti, “genua mea infirmata sunt a ieiunio” (Ps. CVIII, 23): si pasceva di pane cosparso di cenere, e colle sue lagrime mescolava la sua bevanda: “Cinerem tamquam panem manducabam, et potum meum cura fletu miscebam” (Ps. CII, 20). Tanto da noi non esige né il nostro buon Dio, né la Chiesa benigna; ma in vista di questo esemplare di penitenza, l’esimersi dal digiuno ecclesiastico, addolcito dalla più discreta moderazione, accrescerebbe la nostra confusione e il nostro delitto. “Ieiuna ut non pecces”, prosegue a dire il Crisostomo, perché oltre il peccato per l’infrazione del digiuno, oltre il peccato di gola e d’intemperanza, s’espone il trasgressore al pericolo di nuovi e maggiori peccati. Un corpo ben pasciuto, trattato con delicatezza è un nemico dell’anima, tanto più formidabile, quanto meno temuto. Dai cibi soverchi, o apparecchiati con arte ad appagar la ghiottoneria, qual fomento non prendono le rivoltose passioni, che, secondo la frase dell’Apostolo, militano nelle nostre membra? Si mantennero fedeli a Dio le turbe alle falde del Sinai fino al quarantesimo giorno, aspettando Mosè che discendesse dal monte, ma dopo che nel giorno stesso “sedit populus manducare et bibere, et surrexerunt ludere” (Es. XXXII, 6), riscaldate dal vino e dalle vivande, con sacrilega idolatria sostituirono al culto del vero Dio un vitello d’oro. – Per l’opposto i tre giovani ebrei fortificati nell’animo per l’astinenza dei cibi vietati, si protestarono costantemente di non adorare la famosa statua di Nabucco, eleggendo piuttosto di esser gettati vivi nel seno d’ardentissima fornace. – “Ieiuna ut accidia”, soggiunge lo stesso santo dottore. Noi creature miserabili, che di nostro non abbiamo che il nulla ed il peccato, abbisogniamo pel corpo e per lo spirito di grazie spirituali e temporali. Ora il digiuno fedelmente osservato, essendo una protesta col fatto della nostra sommissione, della nostra ubbidienza a Dio ed alla Chiesa, e un sacrifizio che si fa in ossequio, del Padrone di tutte le cose, diventi un mezzo dei più, efficaci per muovere il cuor di Dio a prestar orecchio alle nostre voci, e ad accordarci quanto gli chiederemo colle nostre preghiere Giuditta infatti, che passava gii anni di sua vedovanza nel ritiro, nel digiuno; e nell’orazione, ottenne da Dio il coraggio e la forza di liberare dall’assedio e dall’imminente totale rovina la costernata Betulia. Ester, colla preghiera e col digiuno di tre giorni ed altrettante notti da lei praticato ed imposto ai suoi confidenti, salvò tutti quei di sua nazione dalla strage già decretata dall’incauto re Assuero. Daniele, perché s’astenne dai cibi a lui vietati della regia mensa, visse tranquillo in un serraglio d’affamati leoni, e ne uscì vivo, sano ed illeso. Ecco come il Signore rimunera quel poco che a Lui si sacrifica con l’astinenza e col digiuno. – E poi, miei cari, che è mai questo digiuno, che a taluni fa tanto ribrezzo? Che è mai questa quaresima, che pare ad alcuni un’aspra montagna inaccessibile? Ella è pur sovente addolcita dai pontefici indulti per le difficili circostanze dei tempi, e per i bisogni dei popoli. Perché dunque concepirne un’idea così svantaggiosa? Dio buono! Ravviviamo la fede. Il santo vecchio Eleazaro prima che finger soltanto di trasgredire la legge di Dio e di Mosè, gustando un cibo permesso, elesse generoso ed intrepido una spietata morte. E noi per non soffrire la tenue e passeggera mortificazione di un digiuno, eleggeremo dar morte alla nostr’anima, ed esporci al pericolo d’eterna morte? La fede non basta? Diamo luogo alla ragione. Quante volte voi digiunate per ordine del medico, e vi adattate a lunghe e rigorose diete, e ad amare e nauseanti pozioni? Avrà dunque più d’autorità il vostro medico, a cui con tanta pena pur ubbidite, che Dio e la sua Chiesa che vi domanda un’astinenza tanto discreta? Ma per la sanità del corpo, voi rispondete, conviene sottomettersi, conviene soffrire! E per la salute dell’anima nulla, e poi nulla dovrà tollerarsi? Quante volte per puro vostro piacere imbandite la vostra tavola di quelle vivande, che solo in quaresima vi dispiacciono? – Quante volte fra l’anno il mangiar carne vi nausea, e solo in questo tempo, forse perché proibita, vi alletta e vi piace? Voi compiangete, e disapprovate Esaù, che per una vile minestra rinunziò la ricca sua primogenitura, e come poi pretendete scusare voi stessi, qualora per una soddisfazione di gola rinunziate l’eredità del paradiso? Che i pesci (il paragone è dello Spirito Santo) che i pesci per un’esca lusinghiera, per un dolce boccone perdano la libertà e la vita, che gli uccelli per un granello di frumento o di miglio cadano nella rete del cacciatore, non fa sorpresa, sono animali irragionevoli. Ma che uomini forniti d’intelletto, cristiani di professione, illuminati dalla fede, si lascino ingannare, e tirar dalla golosità fino a perdere la grazia di Dio, la vita spirituale ed eterna, fu e sarà sempre un mistero impercettibile di fatale accecamento. Ma purtroppo è cosi. “Sicut pisces captiunt hamo, et aves laqueo, sic copiant homines(Eccli. IX, 12). Avete giusti motive incompatibili col digiuno, o colla qualità del cibo? Siete infermi, poveri in famiglia, mendicanti alla strada, oppure obbligati a guadagnarvi il pane col sudore della fronte alla campagna, all’officina, o a qualunque altro grave lavoro; non temete, la legge non v’obbliga, la Chiesa non parla per voi. Se poi dai vostri incomodi personali vi nascono dubbi sulla possibilità della prescritta osservanza, e di buona fede, senza esagerare esponete ai medici non sospetti di troppa indulgenza, l’attuale fisica vostra situazione, se consultate i direttori di vostra coscienza e vi dichiarano esenti, vivete in pace, e compensate il digiuno che sostener non potete, con quel digiuno raccomandato da santo Agostino. Fate cioè digiunar la lingua, i sensi, l’amor proprio, la volontà, le passioni. Compensatelo colle preghiere a Dio, colle limosine ai poveri, con la frequenza ai Sacramenti, coll’esercizio delle cristiane virtù. Vi disporrete così a pascervi salutarmente delle carni immacolate del divino Agnello nella futura Pasqua, che potrebbe essere l’ultima di vostra vita, e presa colle dovute disposizioni sarà, come io spero, fatta di vera allegrezza per voi e foriera della letizia sempiterna, che Iddio vi conceda.

 Credo …

Offertorium

Orémus Ps XC:4-5:

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus. [Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Secreta

Sacrifícium quadragesimális inítii sollémniter immolámus, te, Dómine, deprecántes: ut, cum epulárum restrictióne carnálium, a noxiis quoque voluptátibus lemperémus.

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – R. Amen.

[Ti offriamo solennemente questo sacrificio all’inizio della quarésima, pregandoti, o Signore, perché non soltanto ci asteniamo dai cibi di carne, ma anche dai cattivi piaceri.]

Communio Ps XC:4-5

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. – Et cum spíritu tuo.

Orémus.

Qui nos, Dómine, sacraménti libátio sancta restáuret: et a vetustáte purgátos, in mystérii salutáris fáciat transíre consórtium. [Ci ristori, o Signore, la libazione del tuo sacramento, e, dopo averci liberati dall’uomo vecchio, ci conduca alla partecipazione del mistero della salvezza.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – R. Amen.

MERCOLEDI’ delle CENERI

Benedictio cinerum

Exáudi nos, Dómine, quóniam benígna est misericórdia tua: secúndum multitúdinem miseratiónum tuárum réspice nos, Dómine.

Salvum me fac, Deus: quóniam intravérunt aquæ usque ad ánimam meam.

Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.

Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Exáudi nos, Dómine, quóniam benígna est misericórdia tua: secúndum multitúdinem miseratiónum tuárum réspice nos, Dómine.

Dóminus vobíscum. – Et cum spíritu tuo.

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, parce pæniténtibus, propitiáre supplicántibus: et míttere dignéris sanctum Angelum tuum de coelis, qui bene dícat et sanctíficet hos cíneres, ut sint remédium salúbre ómnibus nomen sanctum tuum humilíter implorántibus, ac semetípsos pro consciéntia delictórum suórum accusántibus, ante conspéctum divínæ cleméntiæ tuæ facínora sua deplorántibus, vel sereníssimam pietátem tuam supplíciter obnixéque flagitántibus: et præsta per invocatiónem sanctíssimi nóminis tui; ut, quicúmque per eos aspérsi fúerint, pro redemptióne peccatórum suórum, córporis sanitátem et ánimæ tutélam percípiant. Per Christum, Dóminum nostrum. R. Amen.

[Onnipotente sempiterno Iddio, perdona ai penitenti, sii propizio ai supplicanti: e dégnati di mandare dal cielo il tuo santo Angelo, che bene†dica, e santi†fichi queste ceneri, onde siano rimedio salutare a quanti Ti invocano umilmente, si confessano rei dei loro peccati, li deplorano innanzi alla tua divina clemenza e con, vero dolore e làcrime implorano la tua serenissima pietà: e per l’invocazione del Tuo Santissimo Nome: fa che tutti quelli che saranno cosparsi di queste ceneri in remissione dei loro peccati, ricevano la sanità del corpo e la protezione dell’ànima. Per Cristo, nostro Signore. R. Amen.]

Orémus.

Deus, qui non mortem, sed pæniténtiam desíderas peccatórum: fragilitátem condiciónis humánæ benigníssime réspice; et hos cíneres, quos, causa proferéndæ humilitátis atque promeréndæ véniæ, capítibus nostris impóni decérnimus, bene dícere pro tua pietáte dignáre: ut, qui nos cínerem esse, et ob pravitátis nostræ deméritum in púlverem reversúros cognóscimus; peccatórum ómnium véniam, et praemia pæniténtibus repromíssa, misericórditer cónsequi mereámur. Per Christum, Dóminum nostrum. R. Amen.

[O Dio, che non desideri la morte dei peccatori, ma il loro pentimento: guarda benignamente alla fragilità della natura umana; e queste ceneri, che intendiamo imporre sul nostro capo per umiliarci e meritarci il perdono, Tu dégnati, nella tua pietà, di bene†dirle, affinché noi, riconoscendo di essere cenere e di dover ritornare polvere per colpa della nostra malvagità, meritiamo di ottenere misericordiosamente il perdono di tutti i peccati e il premio promesso ai penitenti. Per Cristo nostro Signore.]

Orémus.

Deus, qui humiliatióne flécteris, et satisfactióne placáris: aurem tuæ pietátis inclína précibus nostris; et capítibus servórum tuórum, horum cínerum aspersióne contáctis, effúnde propítius grátiam tuæ benedictiónis: ut eos et spíritu compunctiónis répleas et, quæ juste postuláverint, efficáciter tríbuas; et concéssa perpétuo stabilíta et intácta manére decérnas. Per Christum, Dóminum nostrum. R. Amen.

[O Dio, che Ti lasci piegare dall’umiltà e placare dalla penitenza, porgi pietoso orecchio alle nostre preghiere, e sui tuoi servi, cosparsi di queste ceneri, effondi propizio la grazia della tua benedizione; riémpili dello spirito di compunzione, esaudisci efficacemente le giuste domande, e le grazie loro concesse réndile in perpetuo confermate e stabili. Per Cristo nostro Signore.]

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui Ninivítis, in cínere et cilício pæniténtibus, indulgéntiæ tuæ remédia præstitísti: concéde propítius; ut sic eos imitémur hábitu, quaténus véniæ prosequámur obténtu.

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Preghiamo. Onnipotente sempiterno Iddio, che ai Niniviti attestasti il loro pentimento con la cenere e col cilicio, e accordasti il: rimedio del tuo perdono, concédici propizio di imitarne gli atti, così da meritare anche noi gli effetti del tuo perdono.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. – Amen.

Vangelo del giorno

[S. Matt VI:16-21]

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum jejunátis, nolíte fíeri, sicut hypócritæ, tristes. Extérminant enim fácies suas, ut appáreant homínibus jejunántes. Amen, dico vobis, quia recepérunt mercédem suam. Tu autem, cum jejúnas, unge caput tuum, et fáciem tuam lava, ne videáris homínibus jejúnans, sed Patri tuo, qui est in abscóndito: et Pater tuus, qui videt in abscóndito, reddet tibi. Nolíte thesaurizáre vobis thesáuros in terra: ubi ærúgo et tínea demólitur: et ubi fures effódiunt et furántur. Thesaurizáte autem vobis thesáuros in coelo: ubi neque ærúgo neque tínea demólitur; et ubi fures non effódiunt nec furántur. Ubi enim est thesáurus tuus, ibi est et cor tuum.” – R. Laus tibi, Christe!

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli: Quando digiunate non fate i malinconici, come gli ipocriti, che sfigurano il proprio volto per far vedere agli uomini che digiunano. In verità, vi dico che hanno già ricevuta la loro ricompensa. Ma tu, quando digiuni, profumati la testa e lavati la faccia: che il tuo digiuno sia noto, non agli uomini, ma al Padre tuo celeste, il quale sta nel segreto: e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Non cercate di accumulare tesori sopra la terra, dove la ruggine e la tignola consumano, e dove i ladri disotterrano e rubano. Procurate di accumulare tesori nel cielo, dove la ruggine e la tignola non consumano, e dove i ladri non disotterrano e non rubano. Poiché dov’è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore.]

Omelia del Santo Padre Gregorio XVII

[–nella cattedrale di Genova, 1974-]

Si compirà tra qualche istante la cerimonia sacra della benedizione e imposizione delle Ceneri. Dobbiamo parlarne. Non possiamo dimenticare il Vangelo che ora è stato letto, traendolo dal cap. VI di S. Matteo. – La cerimonia delle Ceneri che senso ha? Lo indicano esattamente le parole che vengono dette mentre si impongono le Ceneri. Il richiamo della morte dobbiamo farlo; non è gustoso, non è divertente, non è allegro, ed è umano che sia così, ma è doveroso. Il concetto della morte resta davanti a noi, ed è necessario distinguere i due piani nei quali ci può apparire: il piano meramente naturale e il piano soprannaturale. Vedeteli per scegliere. – Sul piano naturale, anche se la fiamma di spirito che portiamo dentro di noi garantisce di per se stessa, al di fuori d’ogni rivelazione divina, la sopravvivenza e l’immortalità dell’anima, sul piano naturale la morte è una barriera, è un terribile mistero, è una fine, si direbbe un brutto scherzo della vita. E quando la si vede su questo piano naturale, la morte può oscurare anche i giorni più belli, anche le più profumate stagioni della nostra esistenza. Ed è per questo che molti non ne vogliono sentire parlare. – Ma vediamola dal punto di vista soprannaturale, cioè come ce l’ha indicata la Rivelazione divina. Il concetto della morte allora è spiegato, perché così ci insegna la Rivelazione divina: con la morte finisce il tempo della prova, cioè la morte è la maturazione finita e immutabile di quello che si è realizzato nella vita, la morte è il momento ultimo nel quale la libertà nostra può essere esercitata sul bene e sul male, nel quale si può peccare, ma nel quale si può meritare. E siccome il peccato è negativo e il merito è positivo, resta della vita soltanto il merito, e allora si capisce che nella vita una sola cosa vale ai fini della nostra persona: il nostro merito personale. Ma questo proietta la felicità, la gloria, la pace nella stessa eternità. – Ecco i due piani. Chi si rassegna o si degrada al primo, soffre di vivere e ha paura di morire. Chi sale veramente al secondo soffrirà, ma meritoriamente, e avrà ragione di aspettarsi una grazia per morire senza paure. Ecco la morte. – La morte è la compagna della nostra vita, la vera compagna, per questo semplice motivo: che si verifica ogni giorno per noi, perché ogni giorno si spegne una particella della nostra capacità biologica e, pertanto, come diceva il poeta latino, “noi moriamo ogni giorno” (Seneca, Lettere a Lucilio). Ogni giorno una foglia cade dall’albero, ogni giorno cade qualche poco della neve dai monti, ogni giorno qualche cosa passa per non ritornare mai più in questa vita. I fiori, che sono l’esplosione della vitalità più bella in natura, sono i più caduchi di tutti. La morte accompagna la vita, ma quando la si vede sul primo piano naturale è odiosa; quando la si vede sul secondo piano soprannaturale – e per vederla bisogna meritarlo: non è un atto semplicemente intellettuale, ma un atto morale -, allora la vita può essere gaudiosa. Ho davanti a me anche molti bambini che per la loro età sono lontani, credono di essere lontani, bambini che si preparano alla prima comunione. Ma il ragionamento fatto per gli anziani vale anche per i bimbi, vale per tutti. Il tempo è quello che è quando è passato, e, nel momento stesso in cui si dice “ora”, il momento presente è passato. Ed è da questo punto che si acquista la serietà su tutta la vita, su tutti gli oggetti che vengono disposti a scelta davanti a noi dalla nostra esperienza; è solo da questo punto che si ragiona bene. Vogliate ricordarlo. – Ora veniamo al Vangelo che abbiamo letto. Dà una delle profonde ragioni per cui si può vivere, e vivere come in vigilia (le vigilie sono migliori delle feste talvolta; qui non è migliore della festa, ma è bella la vigilia; noi viviamo in vigilia del gaudio eterno). Sentite questo Vangelo. Che cosa dice? Gesù parla e parla della rettitudine d’intenzione. A proposito di che? Di tutte le opere buone, e segnatamente a proposito dell’orazione e del digiuno, perché l’ambiente nel quale parlava esigeva un riferimento a questi oggetti. Ma parla della rettitudine d’intenzione; dice: “Sia retta!” Che cosa è l’intenzione? È l’atto della nostra volontà e intelligenza, col quale diamo uno scopo a quello che facciamo: questa è l’intenzione. C’è molta gente per la quale non si può parlare di rettitudine d’intenzione, perché non ha intenzione di niente, non pensa a niente, va avanti con la testa nel sacco; qualche volta pensa che deve superare gli esami a scuola, che deve ottenere questo o quel risultato, che deve pensare ai propri figli. – Ma l’intenzione come organizzazione fondamentale della nostra vita, cioè dare a tutto quello che si fa uno scopo, è faccenda molto dimenticata e che deve essere fortemente ricordata per la ragione che dirò far poco. – Ho detto intenzione, ma quand’è che l’intenzione è retta? Perché si richiede la retta intenzione; Gesù parla per inculcare la retta intenzione. L’intenzione è retta, quando nei nostri scopi non si deforma la finalità naturale di quello che si compie. Se io faccio una cortesia, sarà una cortesia, e la mia intenzione è retta se io intendo essere cortese. Ma se io mi allontano da questo naturale scopo dell’atto di cortesia, e faccio la cortesia per ingannare qualcuno, per prenderlo nella mia rete, io non ho più la retta intenzione. – Ma non basta, non basta perché l’intenzione sia retta; Gesù ce lo dice qui: l’intenzione è retta quando tutte le nostre azioni sono finalizzate verso Dio: allora la vita vale, tutta. Avete l’abitudine di dire le orazioni tutte le mattine e tutte le sere? E nelle orazioni del mattino avete l’abitudine di dare una finalità eterna a tutto quello che farete? Badate che gli uomini di quello che facciamo non si curano; il più di quello che passa nella nostra vita non interessa. – L’unico è Dio al quale interessa quello che facciamo noi. Sappiamolo e non dimentichiamolo mai! Lui solo, il Padre che ci ha creato, si curva sulle azioni anche le minime, anche le più domestiche, le più semplici, le più trite, le più evanescenti. Avete l’abitudine al mattino di offrire tutto quello che farete e tutto quello che soffrirete, sopporterete, protestando che lo farete per amore di Dio? Gesù in questo Vangelo dice che l’intenzione è realmente retta, quando le cose si fanno per Dio, perché le veda Iddio. Non sopprime l’intenzione che è connaturata alle azioni in sé buone, ma questa fondamentale rettitudine deve essere innalzata e completata solo da questa. Viviamo, operiamo perché dobbiamo tornare a Dio, e restituire a Lui la vita, il tempo, le possibilità che nel tempo ha dispiegato dinnanzi alla nostra libera scelta. Ecco cosa ha detto Gesù nel Vangelo: la rettitudine d’intenzione. – Tutti gli insinceri, tutti i bugiardi, tutti gli ipocriti, tutti i manovratori è difficile che riescano a salvare questa rettitudine di intenzione. Ma avete qui la risposta alla morte: quando tutta la vita è dominata da una rettitudine d’intenzione, la morte è soltanto il tempo del raccolto gioioso, nient’altro, è il tempo del premio, è il giorno della vita. E così si vedono le cose dal punto di vista del Vangelo.

DOMENICA DI QUINQUAGESIMA

Introitus Ps XXX: 3-4

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]

Ps XXX:2

In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me. – [In Te, o Signore, ho sperato, ch’io non resti confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e sàlvami.]

  1. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
  2. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]

Orémus. Preces nostras, quaesumus, Dómine, cleménter exáudi: atque, a peccatórum vínculis absolútos, ab omni nos adversitáte custódi. [O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le nostre preghiere: e liberati dai ceppi del peccato, preservaci da ogni avversità.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.

1 Cor XIII:1-13

Fratres: Si linguis hóminum loquar et Angelórum, caritátem autem non hábeam, factus sum velut æs sonans aut cýmbalum tínniens. Et si habúero prophétiam, et nóverim mystéria ómnia et omnem sciéntiam: et si habúero omnem fidem, ita ut montes tránsferam, caritátem autem non habúero, nihil sum. Et si distribúero in cibos páuperum omnes facultátes meas, et si tradídero corpus meum, ita ut árdeam, caritátem autem non habuero, nihil mihi prodest. Cáritas patiens est, benígna est: cáritas non æmulátur, non agit pérperam, non inflátur, non est ambitiósa, non quærit quæ sua sunt, non irritátur, non cógitat malum, non gaudet super iniquitáte, congáudet autem veritáti: ómnia suffert, ómnia credit, ómnia sperat, ómnia sústinet. Cáritas numquam éxcidit: sive prophétiæ evacuabúntur, sive linguæ cessábunt, sive sciéntia destruétur. Ex parte enim cognóscimus, et ex parte prophetámus. Cum autem vénerit quod perféctum est, evacuábitur quod ex parte est. Cum essem párvulus, loquébar ut párvulus, sapiébam ut párvulus, cogitábam ut párvulus. Quando autem factus sum vir, evacuávi quæ erant párvuli. Vidémus nunc per spéculum in ænígmate: tunc autem fácie ad fáciem. Nunc cognósco ex parte: tunc autem cognóscam, sicut et cógnitus sum. Nunc autem manent fides, spes, cáritas, tria hæc: major autem horum est cáritas.” –

[Fratelli: Quand’io parlassi le lingue degli uomini e degli àngeli, se non ho la carità sono come un bronzo risonante o un cémbalo squillante. E quando avessi la profezia e intendessi tutti i misteri e ogni scienza, e se avessi tutta la fede così da spostare le montagne: se non ho la carità sono un niente. E quando distribuissi in nutrimento per i poveri tutti i miei possessi e sacrificassi il mio corpo per essere bruciato: se non ho la carità nulla mi giova. La carità è paziente, è benigna. La carità non è astiosa, non è insolente, non è tronfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si muove ad ira, non pensa male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità: tutto soffre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non viene mai meno: mentre invece le profezie passeranno, le lingue cesseranno e la scienza sarà abolita. Adesso conosciamo imperfettamente e profetiamo imperfettamente. Quando verrà ciò che è perfetto, verrà rimosso ciò che è imperfetto. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, avevo gusti da bambino, pensavo da bambino. Divenuto uomo, ho smesso le cose che erano dei bambini. Adesso vediamo come in uno specchio, per enigma: allora poi faccia a faccia. Ora conosco in parte: allora conoscerò come sono conosciuto. Per ora restano queste tre cose: la fede, la speranza e la carità, ma la più grande è la carità.]

 Graduale : Ps LXXVI:15; LXXVI:16

Tu es Deus qui facis mirabília solus: notam fecísti in géntibus virtútem tuam. . [Tu sei Dio, il solo che operi meraviglie: hai fatto conoscere tra le genti la tua potenza.]

Liberásti in bráchio tuo pópulum tuum, fílios Israel et Joseph

[Liberasti con la tua forza il tuo popolo, i figli di Israele e di Giuseppe.]

Tratto: Ps XCIX:1-2

Jubiláte Deo, omnis terra: servíte Dómino in lætítia, V. Intráte in conspéctu ejus in exsultatióne: scitóte, quod Dóminus ipse est Deus. V. Ipse fecit nos, et non ipsi nos: nos autem pópulus ejus, et oves páscuæ ejus.

[Acclama a Dio, o terra tutta: servite il Signore in letizia. V. Entrate alla sua presenza con esultanza: sappiate che il Signore è Dio. V. Egli stesso ci ha fatti, e non noi stessi: noi siamo il suo popolo e il suo gregge.]

Evangelium

Luc XVIII:31-43

In illo témpore: Assúmpsit Jesus duódecim, et ait illis: Ecce, ascéndimus Jerosólymam, et consummabúntur ómnia, quæ scripta sunt per Prophétas de Fílio hominis. Tradátur enim Géntibus, et illudétur, et flagellábitur, et conspuétur: et postquam flagelláverint, occídent eum, et tértia die resúrget. Et ipsi nihil horum intellexérunt, et erat verbum istud abscónditum ab eis, et non intellegébant quæ dicebántur. Factum est autem, cum appropinquáret Jéricho, cæcus quidam sedébat secus viam, mendícans. Et cum audíret turbam prætereúntem, interrogábat, quid hoc esset. Dixérunt autem ei, quod Jesus Nazarénus transíret. Et clamávit, dicens: Jesu, fili David, miserére mei. Et qui præíbant, increpábant eum, ut tacéret. Ipse vero multo magis clamábat: Fili David, miserére mei. Stans autem Jesus, jussit illum addúci ad se. Et cum appropinquásset, interrogávit illum, dicens: Quid tibi vis fáciam? At ille dixit: Dómine, ut vídeam. Et Jesus dixit illi: Réspice, fides tua te salvum fecit. Et conféstim vidit, et sequebátur illum, magníficans Deum. Et omnis plebs ut vidit, dedit laudem Deo. –

[In quel tempo: Gesù prese a parte i dodici e disse loro: Ecco, andiamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quello che è stato scritto dai profeti sul Figlio dell’uomo. Poiché sarà dato nelle mani della gente e sarà scernito, flagellato e sputato: e dopo che l’avranno flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà. Ed essi non compresero nulla di tutto questo, un tal parlare era oscuro per essi e non comprendevano quel che diceva. E avvenne che, avvicinandosi a Gerico, un cieco se ne stava sulla strada mendicando. E udendo la folla che passava, domandava cosa accadesse. Gli dissero che passava Gesù Nazareno. E quegli gridò e disse: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. E quelli che andavano avanti lo sgridavano perché tacesse. Ma egli gridava sempre più: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. E Gesù, fermatosi, ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, lo interrogò dicendo: Cosa vuoi che ti faccia? E quegli disse: Signore, che io vegga. E Gesù gli disse: Vedi, la tua fede ti ha salvato. E subito vide, e lo seguiva: magnificando Dio. E tutto il popolo, vedendo ciò, rese lode a Dio.]

Omelia

della DOMENICA di QUINQUAGESIMA

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca, XVIII, 31-43)

Contro il Carnevale.

 Lungo la via di Gerico sedeva un povero cieco, mendicando dai passeggeri qualche soccorso. Si avvenne a passar di colà il divin Redentore, seguito da numeroso popolo. Il cieco ne udì il calpestìo, e interrogò che cosa fosse, gli fu riposto, essere Gesù Nazzareno che di là passava, “Gesù figliuol di Davide, esclamò tosto il mendico, abbiate pietà di me”! Taci, lo sgridavano i primi del seguito, taci, che tanto gridare? “Gesù, a voce più alta gridò il cieco, Gesù figliuol di Davide, abbiate di me pietà”. Si fermò il benigno Signore, e fattolo condurre a sé innanzi, “che vuoi, gli disse, che chiedi da me?” – “O Signore, rispose, e che può desiderare, e che può chiedere un misero cieco par mio, se non la vista?” –  “Domine ut videam” : “sia fatto, ripigliò Gesù, secondo la tua domanda e la tua fede.” – Aprì gli occhi alla luce in quell’istante il non più cieco mendìco, e saltellando per gioia si accompagnò col Salvatore, e ne esultò tutto il popolo dando gloria a Dio. Chi fosse questo cieco l’Evangelista non lo dice, entri qui il magno Gregorio (Hom. 2 in Evang.), ma è una figura assai esprimente la cecità dell’umano genere, del cieco mondo, che prima della venuta del divino Verbo era avvolto nelle tenebre del peccato, e nelle caligini della idolatria. Volesse Iddio che da questa cecità non fossero colpiti anche al presente, tanti fra i cristiani! E qual maggior cecità in questi giorni di licenze carnevalesche che darsi in preda alle follie del paganesimo? E nol dite voi stessi che il carnevale fa l’uomo cieco e matto? Se dunque, da quei saggi che siete confessate così, posso sperare da voi una grazia, che son per domandarvi. Voi siete assidui ad ascoltar la divina parola, voi con devota frequenza assistete alle sacre funzioni, lasciate che i ciechi facciano da ciechi e i matti da matti, e voi fate da savi e buoni cristiani. Astenetevi dal concorrere, e dal vedere le vane pazzie, le scandalose sciocchezze del mondo insensato. Datevi in questo tempo dannoso per le anime ed oltraggioso per Dio, a servirLo con maggior impegno, accorrete a quelle Chiese ove è esposto all’adorazione dei fedeli, santificate questi giorni profanati dai ciechi mondani. Quest’è la grazia che io vi domando, anzi ve la domanda Gesù medesimo per bocca mia, come udirete in tutto il corso della presente spiegazione. – “Miei figli, ( è Gesù che parla, come già vi accennai, per organo del suo sebben indegno ministro), miei figli, anime redente col sangue mio, date ascolto alle parole che escono più dal mio cuore che dal mio labbro, “venite filii, audite me” (Ps. XXXIII, 12) . Una gran parte dei vostri fratelli e figli miei, innalzati da me col carattere del santo Battesimo ad esser meco coeredi del celeste regno, e nutriti alla mia mensa colle mie carni e col mio sangue, ingrati ai miei benefizi in tutt’i tempi, e massime in questo di carnevale, son giunti a disprezzarmi con una specie di autenticità basata sul depravato costume dei ciechi idolatri e dei più ciechi cristiani. “Filios enutrivi et exaltavi: ipsi autem spreverunt me” (Is. I, 2). E non è un disprezzo di me e della mia legge, l’immodesta libertà autorizzata dal ballo, l’inverecondia delle saltatrici, lo scandalo delle nudità? E non è un disprezzo di me, e del mio Vangelo, così contrario al mondo, il darsi in preda ai disordini e alle scostumatezze dal mondo? Così è, si sono dimenticati i cristiani miei seguaci, ch’Io sono il fonte d’acqua viva, che sola può spegnere le arsure dell’uman cuore, e si son lusingati di trovar refrigerio alla loro sete col ricorrere alle rotte e fangose cisterne dei sensuali piaceri; mi hanno perciò voltate le spalle, e villanamente abbandonato. “Me dereliquerunt fontem aquæ vivæ, et foderunt sibi cisternas dissipata, quæ continere non valent aquas” (Gerem. XI, 13). E voi miei cari che mi ascoltate, volete ancor voi abbandonarmi? “Numquid et vos vultis abire?” (Joan.VI, 68). Così già dissi ai miei Apostoli in un tempo, che altri del mio seguito e della mia udienza si partirono da me. E bene, dissi a loro dodici, eccomi ridotto a voi soli, tutti gli altri si sono allontanati, sareste mai ancor voi tentati a seguir l’esempio malvagio e lasciarmi qui solo? “Numquid et vos vultis abire?”– Dico altrettanto a voi. Tutti corrono dietro al gran mondo, som piene di gente le sale di ballo, e le mie Chiese deserte: gli stravaganti sollazzi disonorano la mia religione, le mode scandalose, i tratti indecenti corrompono il buon costume, le danze licenziose, alle quali presiede il demonio, le oscene parole, i motti allusivi, i sospiri amorosi rubano al mio costato tante anime incaute. Volete ancor voi, uditori figliuoli miei, unirvi ai miei nemici, ed essere complici o spettatori dei trionfi di Satanasso, sprezzare le mie parole?Num quid et vos vultis abire? Avrà più forza sul vostro cuore una vana allegrezza che la compassione delle mie offese? Via, se non vi muovono gli oltraggi gravissimi, che mi son fatti dai seguaci di Venere, dai deliranti per le baccanali follie, vi muova almeno il vostro bene, e l’amor di voi stessi. Qual vantaggio avete voi riportato dai balli, dai festini dei carnevali trascorsi? Quante volte la vostra stolta allegria si è convertita in tristezza, e il gaudio in lutto? L’amor non corrisposto vi ha portato doglia e rancore, il corrisposto confusione e rimorso. La gelosia vi ha fatto struggere, l’invidia marcire: le risse, le rivalità vi han tolto il sonno dagli occhi e la pace dal cuore, le crapule, le pompe, le dissolutezze vi hanno resi poveri, infermi, avviliti. S’è rinnovata in voi la dolorosa catastrofe del figliuol prodigo. Giovane sconsigliato! Lo tradì l’amor di libertà; l’amor delle donne fu quell’assassino, che lo spogliò di tutte le sue sostanze, e mezzo ignudo lo ridusse, per non morir di fame, a farsi mandriano d’immondi animali. – Ma quel che immensamente più importa, ditemi, anime mie care, volete salvarvi? Mi rispondete di sì. Ma se volete salvarvi, fuggite l’occasione di perdervi. Imitate Àbramo mio servo fedele. Era egli nella Caldea in mezzo a un popolo idolatra, le pagane superstizioni non macchiarono mai la sua fede nel vero Dio; stava però in mezzo ai pericoli. Per sottrarlo da questi bastò un mio comando, e con tutta prontezza e generosità abbandonò la casa, la patria, i congiunti, ed Io lo colmai di ogni terrena e celeste benedizione, e del suo nome mi fregiai la fronte, chiamandomi il Dio di Abramo, ed esso padre di tutti i credenti. Che sono le allegria del carnevale? Feste profane son queste istituite dagli idolatri in onore dei loro falsi Dei: fa orrore il solo leggerle nella storia del Paganesimo. – Sembra impossibile che l’uomo fornito di ragione sia giunto ad eccessi che degradano l’umana natura nella foggia più obbrobriosa. Non soffre il pudore che si rammentino le sozzure delle baccanti ubriache, le prostituzioni nel culto dato a Venere, e mille altre vergognosissime nefandezze. Or voi, miei fedeli, nati nel grembo della mia Chiesa, insigniti del carattere cristiano, illuminati dal mio Vangelo, avrete animo d’imitare senza rossore, di seguire senza rimorso i rei costumi, i deliri, le pazzie, le abominazioni della cieca gentilità, della riprovata idolatria? Deh! come Abramo, ubbidite alla mia voce, allontanatevi da quei pericoli, uscite da quei lacci, fuggite da quegli scandali, e discenderanno su di voi, come sopra Abramo, le più desiderabili mie benedizioni. – I miei eletti si sono sempre distinti cosi. Tobia ancor giovane, mentre nella prevaricazione del suo popolo i sedotti suoi fratelli n’andavano agli idoli d’oro, innalzati dalla scellerata politica dell’empio Geroboamo, egli tutto solo si incamminava al tempio in Gerusalemme ad adorare il Dio dei padri suoi, e il Dio dei suoi padri fu il suo protettore in terra, ed il suo premio in cielo. – Che dirò di quei generosi Ebrei ai tempi d’Antioco? Quest’empio conquistatore e crudelissimo tiranno ordinò che nella soggiogata Gerusalemme si celebrassero solennemente le feste Baccanali. Minacciati di morte erano costretti quegli infelici, coronati di edera, andar in giro saltando ad onore di Bacco, “cogebantur hedera coranati Lìbero circuire” (2 Macch. VI, 7). Ma parte di essi fuggirono sui monti, e parte elessero d’essere barbaramente trucidati, pria che contaminarsi con quei riti profani, e pieni di fede e di coraggio s’animavano a vicenda ad andar generosamente incontro alla morte dicendo che Iddio, da tanti abbandonato, si consolerebbe nella fedeltà dei servi suoi, “in servis suis consolabitur Deus” (Ibid.). Le feste profane del carnevale, già vel dissi hanno l’origine dall’idolatria. Questo è il tempo che distingue i veri cristiani da quelli che seguono i costumi degl’idolatri. Se vi fosse minacciata la morte, come a quei valorosi Giudei, vorrei in qualche modo scusare la vostra debolezza, ma qui non v’è da vincere che un misero allettamento, per conseguire un gran merito. E voi mi negherete questa consolazione? Avrà più forza in voi la concupiscenza, che la mia fede? Più l’amor sensuale, che l’amor mio? Più la danza, che l’anima? Se perdeste l’anima per l’acquisto di tutti i regni del mondo, sarebbe sempre una perdita incalcolabile. Perduta l’anima, tutto è perduto. Or che sarà se si perda per tali trastulli da pazzi? Aprite gli occhi, e fate senno, miei cari. Dopo esservi stancati giorno e notte nei balli, aprite, e mirate il concavo delle vostre mani, che vi resta? Un bel nulla. Vi restano invece tedi, malinconie e rimorsi. E quando anche vogliate affettare allegrezza, Io, che vedo l’interno vostro so e vi dico che non siete contenti: e siatelo per un istante, l’estremo dell’allegrezza finisce in lutto, e il riso del mondo va a terminare in un eterno pianto. “Extrema gaudii luctus occupat” (Prov. XIV, 13). Così avvenne a quegli stolti Ebrei nel deserto che festeggiarono il Vitello d’oro ad imitazione degli Egizi pagani, e la loro letizia andò a finire colla strage di ventitré mila di loro, che in poco d’ora coprirono il campo dei loro cadaveri, l’inondarono del proprio sangue, e l’anime piombarono a popolar l’inferno. Qualora poi, dilettissimi miei, non vi muovesse né l’amor mio, né il vostro vantaggio, né il vostro pericolo, mirate a qual passo discende l’amor di giovarvi. Questi giorni d’allegria pel mondo son giorni di mestizia per me; e perciò nella mia afflizione cerco da voi un qualche sollievo, come già lo cercai dai miei discepoli nell’orto delle mie agonie. Se non lo trovo fra voi, da chi potrò sperarlo? Quest’è l’ora vostra o amatori del mondo. Già me l’aspettava, “improperium expectavit cor meum et miseriam” (Ps. LXVIII, 21). – Che amarezza per l’animo mio, se dovessi soggiungere colle parole del mio Profeta, ho cercato fra quei che m’ascoltano un cuore, che meco senta doglia dei miei affanni, o almeno per compassion mi consoli, e son costretto a dire che non lo trovai. “Et sustinui, qui simul contristaretur et non fiat, et qui consolaretur, et non inveni”. La Chiesa mia sposa dolente assegna in questa domenica il tratto di quell’Evangelio, in cui predissi ai miei Apostoli gl’insulti, i flagelli, la morte ch’Io era per soffrire in Gerosolima dai miei nazionali e dai soldati gentili. Ed ora non dai miei nemici, ma dai miei figli mi si rinnovano barbaramente l’ingiurie stesse. Fui da Erode vestito da pazzo, fui dai soldati mascherato da re di burla con uno straccio di porpora sulle spalle, con scettro di canna, con corona di spine, con benda agli occhi, con finte adorazioni. – E non fanno altrettanto al presente i miei seguaci colle maschere, colle vesti scandalose, colle danze impudiche, colle adorazioni agl’idoli di carne, con  l’esultar pazzamente in ogni genere di scostumatezza? Se dai miei nemici fossi trattato così, nel soffrirei in pace, “si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique(Ps. LIV); ma i miei cristiani, ma i figli miei, redenti col mio sangue, nutriti alla mia mensa, eredi del mio regno, ah quale acerba ferita all’afflitto mio cuore! – Orsù conchiudiamo. Voi, che qui radunati m’ascoltaste finora, volete in questi giorni seguir la folla del gran mondo, di quel mondo per cui mi son protestato di non pregare, e volete abbandonarmi? Andate pure, un giorno mi cercherete. La scena si cambierà ben presto. A rivederci all’ora di vostra morte, che potrebbe suonare in questi stessi giorni. Gente senza consiglio, dirò allora, mi avete provocato a sdegno colle vane vostre follìe : “Ipsi me irritaverunt in vanitatibus suis” (Deuter. XXXII, 21), ed Io come gente colpevolmente stolta vi abbandonerò al mio giusto furore ; “et ego in genie stulta irritabo illos”. Orsù venga a conforto del vostro spirito agonizzante la memoria degli allegri balli e delle danze festose. Fatevi porgere quella maschera che usaste al festino e copritevi il volto, se vi fa confusione l’immagine di me crocifisso, che vi presenta il sacerdote assistente. Anch’io nasconderò la mia faccia, e vi lascerò senza soccorso sul limitare della morte e dell’inferno: “Abscondam faciem meam ab eis, et considerabo novìssima eorum” (ibid.). Anime mie carissime, non m’obbligate a compiere le mie minacce, che partono da un cuore che v’ama, che v’avvisa per non ferirvi, che vi spaventa per consolarvi. Venite a me, volgete le spalle a Belial, e vi riguarderò come miei fidi seguaci, come miei figli diletti nel tempo e nell’eternità.

Credo

Offertorium

Orémus Ps CXVIII: 12-13

Benedíctus es, Dómine, doce me justificatiónes tuas: in lábiis meis pronuntiávi ómnia judícia oris tui. [Benedetto sei Tu, o Signore, insegnami i tuoi comandamenti: le mie labbra pronunciarono tutti i decreti della tua bocca.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet. [O Signore, Te ne preghiamo, quest’ostia ci purifichi dai nostri peccati: e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

Communio Ps LXXVII:29-30

Manducavérunt, et saturári sunt nimis, et desidérium eórum áttulit eis Dóminus: non sunt fraudáti a desidério suo. [Mangiarono e si saziarono, e il Signore appagò i loro desiderii: non furono delusi nelle loro speranze.]

Postcommunio

Orémus. Quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui coeléstia aliménta percépimus, per hæc contra ómnia adversa muniámur. Per eundem … [Ti preghiamo, o Dio onnipotente, affinché, ricevuti i celesti alimenti, siamo muniti da questi contro ogni avversità.]

DOMENICA DI SESSUAGESIMA

Introitus Ps XLIII:23-26

Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? exsúrge, et ne repéllas in finem: quare fáciem tuam avértis, oblivísceris tribulatiónem nostram? adhaesit in terra venter noster: exsúrge, Dómine, ádjuva nos, et líbera nos.

[Risvégliati, perché dormi, o Signore? Déstati, e non rigettarci per sempre. Perché nascondi il tuo volto diméntico della nostra tribolazione? Giace a terra il nostro corpo: sorgi in nostro aiuto, o Signore, e líberaci.]

Ps XLIII:2 Deus, áuribus nostris audívimus: patres nostri annuntiavérunt nobis.

Ps 43:2 [O Dio, lo udimmo coi nostri orecchi: ce lo hanno raccontato i nostri padri.]

Oratio

Orémus. Deus, qui cónspicis, quia ex nulla nostra actióne confídimus: concéde propítius; ut, contra advérsa ómnia, Doctóris géntium protectióne muniámur. – Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.

R. Amen.

[Colletta : Preghiamo. [O Dio, che vedi come noi non confidiamo in alcuna òpera nostra, concédici propizio d’esser difesi da ogni avversità, per intercessione del Dottore delle genti. – Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. – Amen.]

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.

2 Cor 11:XIX-33; XII:1-9.

“Fratres: Libénter suffértis insipiéntens: cum sitis ipsi sapiéntes. Sustinétis enim, si quis vos in servitútem rédigit, si quis dévorat, si quis áccipit, si quis extóllitur, si quis in fáciem vos cædit. Secúndum ignobilitátem dico, quasi nos infírmi fuérimus in hac parte. In quo quis audet, – in insipiéntia dico – áudeo et ego: Hebraei sunt, et ego: Israelítæ sunt, et ego: Semen Abrahæ sunt, et ego: Minístri Christi sunt, – ut minus sápiens dico – plus ego: in labóribus plúrimis, in carcéribus abundántius, in plagis supra modum, in mórtibus frequénter. A Judaeis quínquies quadragénas, una minus, accépi. Ter virgis cæsus sum, semel lapidátus sum, ter naufrágium feci, nocte et die in profúndo maris fui: in itinéribus sæpe, perículis fluminum, perículis latrónum, perículis ex génere, perículis ex géntibus, perículis in civitáte, perículis in solitúdine, perículis in mari, perículis in falsis frátribus: in labóre et ærúmna, in vigíliis multis, in fame et siti, in jejúniis multis, in frigóre et nuditáte: præter illa, quæ extrínsecus sunt, instántia mea cotidiána, sollicitúdo ómnium Ecclesiárum. Quis infirmátur, et ego non infírmor? quis scandalizátur, et ego non uror? Si gloriári opórtet: quæ infirmitátis meæ sunt, gloriábor. Deus et Pater Dómini nostri Jesu Christi, qui est benedíctus in saecula, scit quod non méntior. Damásci præpósitus gentis Arétæ regis, custodiébat civitátem Damascenórum, ut me comprehénderet: et per fenéstram in sporta dimíssus sum per murum, et sic effúgi manus ejus. Si gloriári opórtet – non éxpedit quidem, – véniam autem ad visiónes et revelatiónes Dómini. Scio hóminem in Christo ante annos quatuórdecim, – sive in córpore néscio, sive extra corpus néscio, Deus scit – raptum hujúsmodi usque ad tértium coelum. Et scio hujúsmodi hóminem, – sive in córpore, sive extra corpus néscio, Deus scit:- quóniam raptus est in paradisum: et audivit arcána verba, quæ non licet homini loqui. Pro hujúsmodi gloriábor: pro me autem nihil gloriábor nisi in infirmitátibus meis. Nam, et si volúero gloriári, non ero insípiens: veritátem enim dicam: parco autem, ne quis me exístimet supra id, quod videt in me, aut áliquid audit ex me. Et ne magnitúdo revelatiónem extóllat me, datus est mihi stímulus carnis meæ ángelus sátanæ, qui me colaphízet. Propter quod ter Dóminum rogávi, ut discéderet a me: et dixit mihi: Súfficit tibi grátia mea: nam virtus in infirmitáte perfícitur. Libénter ígitur gloriábor in infirmitátibus meis, ut inhábitet in me virtus Christi.”

Deo gratias.

Epistola

[Lettura della Lettera del B. Paolo Ap. ai Corinti. – 2 Cor XI:19-33; XII:1-9.

Fratelli: Tollerate volentieri gli stolti, essendo saggi. Infatti sopportate chi vi fa schiavi, chi vi divora, chi vi ruba, chi si insuperbisce, chi vi schiaffeggia. Dico ciò con rossore: noi siamo stati troppo deboli da questo lato. Ma di checché si voglia menar vanto parlo da insensato anch’io me ne vanterò: Sono Ebrei? Lo sono anch’io. Sono Israeliti? Anch’io. Sono figli di Abramo? Anch’io. Sono ministri di Cristo? Parlo da stolto Io lo sono più di essi. Più nei travagli, più nelle prigionie, oltre modo nelle battiture, frequentemente in pericolo di morte. Dai Giudei cinque volte ricevetti trentanove colpi. Tre volte fui battuto con le verghe, una volta lapidato, tre volte naufragai, una notte e un giorno stetti in alto mare, spesso in viaggi, tra i pericoli dei fiumi, pericoli degli assassini, pericoli dai miei nazionali, pericoli dai gentili, pericoli nelle città, pericoli nei deserti, pericoli nel mare, pericoli dai falsi fratelli: nel lavoro e nella fatica, nelle molte vigilie, nella fame e nella sete, nei molti digiuni, nel freddo e nella nudità. E, senza parlare di tante altre cose, le quotidiane cure che pesano sopra di me, la sollecitudine di tutte le Chiese. Chi è infermo che non sia io infermo? Chi è scandalizzato che io non arda? Se fa mestieri di gloriarsi, mi glorierò di quelle cose che riguardano la mia debolezza. Iddio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che è benedetto nei secoli, sa che io non mentisco. In Damasco, colui che governava la nazione a nome del re Areta, aveva poste guardie intorno alla città di Damasco per catturarmi: e per una finestra fui calato in una sporta dalle mura, e così gli sfuggii di mano. Fa duopo gloriarsi? Veramente ciò non è utile; nondimeno verrò pure alle visioni e rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa non so se col corpo, oppure fuori dal corpo, Dio lo sa fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo se nel corpo o fuori del corpo, io non lo so, lo sa Dio fu rapito in Paradiso: e udì arcane parole, che non è lecito a uomo di proferire. Riguardo a quest’uomo mi glorierò: ma riguardo a me, di nulla mi glorierò, se non delle mie debolezze. Però, se volessi gloriarmi non sarei stolto, perché direi la verità: ma io me ne astengo, affinché nessuno mi stimi più di quello che vede in me o di quello che ode da me. E affinché la grandezza delle rivelazioni non mi levi in orgoglio, mi è stato dato lo stímolo nella mia carne, un angelo di sàtana che mi schiaffeggi. Al riguardo di che, tre volte pregai il Signore che da me fosse tolto: e mi disse: Basta a te la mia grazia: poiché la mia potenza arriva al suo fine per mezzo della debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie debolezze, affinché àbiti in me la potenza di Cristo. R. Grazie a Dio.]

Graduale Ps LXXXII:19; 82:14

Sciant gentes, quóniam nomen tibi Deus: tu solus Altíssimus super omnem terram, [Riconòscano le genti, o Dio, che tu solo sei l’Altissimo, sovrano di tutta la terra.]

Deus meus, pone illos ut rotam, et sicut stípulam ante fáciem venti.

[V. Dio mio, ridúcili come grumolo rotante e paglia travolta dal vento.]

 Ps LIX:4; LIX:6

Commovísti, Dómine, terram, et conturbásti eam.

Sana contritiónes ejus, quia mota est.

Ut fúgiant a fácie arcus: ut liberéntur elécti tui.

Ps 59:4; 59:6

[Hai scosso la terra, o Signore, l’hai sconquassata.

Risana le sue ferite, perché minaccia rovina.

Affinché sfuggano al tiro dell’arco e siano liberati i tuoi eletti.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.

  1. Gloria tibi, Domine!

Luc VIII:4-15

“In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Jesum, dixit per similitúdinem: Exiit, qui séminat, semináre semen suum: et dum séminat, áliud cécidit secus viam, et conculcátum est, et vólucres coeli comedérunt illud. Et áliud cécidit supra petram: et natum áruit, quia non habébat humórem. Et áliud cécidit inter spinas, et simul exórtæ spinæ suffocavérunt illud. Et áliud cécidit in terram bonam: et ortum fecit fructum céntuplum. Hæc dicens, clamábat: Qui habet aures audiéndi, audiat. Interrogábant autem eum discípuli ejus, quæ esset hæc parábola. Quibus ipse dixit: Vobis datum est nosse mystérium regni Dei, céteris autem in parábolis: ut vidéntes non videant, et audientes non intéllegant. Est autem hæc parábola: Semen est verbum Dei. Qui autem secus viam, hi sunt qui áudiunt: déinde venit diábolus, et tollit verbum de corde eórum, ne credéntes salvi fiant. Nam qui supra petram: qui cum audierint, cum gáudio suscipiunt verbum: et hi radíces non habent: qui ad tempus credunt, et in témpore tentatiónis recédunt. Quod autem in spinas cécidit: hi sunt, qui audiérunt, et a sollicitudínibus et divítiis et voluptátibus vitæ eúntes, suffocántur, et non réferunt fructum. Quod autem in bonam terram: hi sunt, qui in corde bono et óptimo audiéntes verbum rétinent, et fructum áfferunt in patiéntia.”

Laus tibi, Christe!

Séguito ✠ del S. Vangelo secondo Luca.

Gloria a Te, o Signore!

Luc 8:4-15

“In quel tempo: radunandosi grandissima turba di popolo, e accorrendo gente a Gesù da tutte le città. Egli disse questa parabola: Andò il seminatore a seminare la sua semenza: e nel seminarla parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli dell’aria la divorarono; parte cadde sopra le pietre, e, nata che fu, seccò, perché non aveva umore; parte cadde fra le spine, e le spine che nacquero insieme la soffocarono; parte cadde in terra buona, e, nata, fruttò cento per uno. Detto questo esclamò: Chi ha orecchie per intendere, intenda. E i suoi discepoli gli domandavano che significasse questa parabola. Egli disse: A voi è concesso di intendere il mistero del regno di Dio, ma a tutti gli altri solo per via di parabola: onde, pur vedendo non vedano, e udendo non intendano. La parabola dunque significa questo: La semenza è la parola di Dio. Ora, quelli che sono lungo la strada, sono coloro che ascoltano: e poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, perché non si salvino col credere. Quelli caduti sopra la pietra, sono quelli che udita la parola l’accolgono con allegrezza, ma questi non hanno radice: essi credono per un tempo, ma nell’ora della tentazione si tirano indietro. Semenza caduta tra le spine sono coloro che hanno ascoltato, ma a lungo andare restano soffocati dalle sollecitudini, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non portano il frutto a maturità. La semenza caduta in buona terra indica coloro che in un cuore buono e perfetto ritengono la parola ascoltata, e portano frutto mediante la pazienza.”

Lode a Te, o Cristo.

OMELIA

Omelia della Domenica di sessagesima

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca VIII 4-15

Sementa Buona e Malvagia.

Una gran turba di popolo accorso da diverse città s’affollò un dì attorno al divin Redentore per ascoltare le sue parole. Egli seguendo lo stile orientale, molto usitato nella Palestina, cominciò il suo discorso con questa parabola. Un cert’uomo, Ei disse, uscì di casa per condursi al campo a seminare, “exiit qui seminata seminare semen suum”. Qui facciamo punto. Chi è quest’uomo figurato in questa parabola? Egli è, rispondono concordemente i santi Padri, citati dall’angelico dottor S. Tommaso (In caten. aurea), il divin Verbo, disceso dal cielo su questa terra a spargere la sua divina parola. E appunto su questa divina parola tutto si raggira l’odierno Vangelo. Dovrei perciò su la medesima tenervi ragionamento, ma siccome in questa stessa Domenica ve n’ho parlato più volte permettetemi che per variar argomento, io mi attenga alla sola indicata similitudine del seminare, e vada proseguendo così. Non v’è nelle sacre Scritture paragone forse più ripetuto del seminare, per esprimere le umane operazioni. Fra tutti i testi che potrei addurvi, uno solo ne scelgo dell’apostolo Paolo nella sua lettera a quei di Galazia. “Quæ seminaverit homo, hæc et metet” (Cap. VI, 8) . Quel che avremo seminato, sarà da noi raccolto. Chi seminerà opere buone raccoglierà premi e ricompense temporali ed eterne; chi invece seminerà opere malvagie si aspetti guai e castighi temporali ed eterni. “Quæ seminaverit homo, hæc et metet”. Ed ecco in queste parole dell’Apostolo, secondo i due accennati rapporti, la materia del breve mio dire e del vostro cortese ascoltare.

  1. I. Qual è la sementa, tale sarà la raccolta. La cosa è naturale. Voi chiamereste pazzo colui, che seminando zizzania pretendesse mietere frumento. Dalle spine, dice il Salvatore (Matth. VII, 16), non si vendemmiano le uve, né da’ triboli si colgono fichi. Ora per quell’analogia che passa tra le naturali cose e le spirituali, è certo, che dalla mala sementa di peccaminose azioni non potete aspettarvi che male, e dalla buona non dovete sperare, che bene. – Non ci dipartiamo dall’evangelica allegoria. – Tre cose son necessarie per parte del seminatore, a fine di ottenere buona e abbondante raccolta. Buona semente, buon terreno, fatica e pazienza. Riportiamole al senso morale. Voi pascete i famelici, vestite i nudi, visitate gli infermi, consolate gli afflitti, date buoni consigli, vi esercitate in preghiere, in opere di pietà e di religione. Tutti questi son ottimi semi, ma non basta. Perché producano il frutto desiderato, bisogna spargerli in buon terreno. – Infatti non fu una buona sementa quella, che sparse l’agricoltore del presente Vangelo? Lo fu certamente. Ma quella che andò, forse spinta dal vento, nella pubblica strada, quella che cadde fra le spine, quella che restò sopra la nuda pietra, tutte furono via gittate e perdute. Quella soltanto, che cadde in buon terreno, produsse a suo tempo un frutto centuplicato. – Or qual è mai questo buon terreno, che rende buone le nostre azioni, onde fruttifichino per la vita eterna? Lo dice S. Paolo: lo spirito, l’anima in grazia di Dio, la retta intenzione son quella terra feconda, che produce frutti di eterna vita. “Qui seminat in spiritu de spiritu metet vitam æternam(ad Gal. VI, 8). Senza la grazia giustificante, che è lo spirito e la vita dell’anima, tutte le opere di pietà, di religione, di giustizia e di beneficenza, saranno buone nell’ordine naturale, saranno degne di premio temporaneo, possono muover Dio a convertir chi le pratica, ma non sono di alcun merito in ordine alla vita eterna, son opere morte, perché prodotte da un’anima morta alla grazia per il peccato. Né pur saranno opere meritevoli di eterna mercede quelle che partono da un’anima giustificata, se questa non le accompagna con puro fine e retta intenzione. Mi spiego. Colei frequenta le Chiese, assiste alle sacre funzioni con devoto contegno, con religiosa esemplarità; ma se il di lei fine è diretto ad acquistar la stima di chi l’osserva, questo suo fine avvelena la sua devozione per modo che di buona la rende colpevole. Colui fa limosine, sono queste semente ottime, ma se, come i Farisei, le fa suonando la tromba, cioè per la gloria vana di comparir limosiniero, la rea intenzione cangia quel buon frumento in malvagia zizzania. – Quell’altro presta il suo danaro, e senza alcun interesse, all’amico bisognoso. Ottimamente fin qui: “Jucundus homo qui miseretur, et commodat” (Ps. CXI, 5): ma fa quel prestito perché prevede, che al tempo pattuito l’amico non sarà in caso di soddisfare il suo debito, e perciò la sua mira è volta a spogliarlo di quel bello e buon possesso al prezzo infimo, che non avrebbe potuto ottenere nè pure al sommo. Cessa di essere atto di carità quel prestito, anzi, pel fine insidioso che l’accompagna, si converte in una specie di tradimento. Un atto dunque, intendete bene, miei cari, quantunque di sua natura buono e lodevole, è come un corpo morto, lo spirito che lo vivifica è il retto e virtuoso fine. Finalmente sparsa una sementa buona in terreno buono, aspettatevi pure il frutto, ma “in patientia, come dice l’odierno Vangelo. Molti si lagnano, che dopo aver assistiti i parenti, aiutati i vicini, soccorsi i poveri, dopo tante limosine, dopo tante opere buone non vedono spuntare alcun frutto. Questo frutto, io dico a costoro, l’aspettate voi da Dio, o dal mondo? Se dal mondo, oh quanto è incerto! oh quanto è fallace! Se l’aspettate da Dio, abbiate pazienza, e non sarete delusi nella vostra aspettazione. – L’agricoltore, dice s. Giacomo, aspetta pazientemente il frutto della terra, e dei suoi sudori. “Ecce agricola expectat pretiosum fructum terræ, patienter ferens”. (Iacob. V, 7.), imitate voi la sua pazienza, “patientes igitur estote et vos” (V, 8). Seminato il grano sul campo, si seppellisce sotterra, sopra di esso cade la pioggia, la neve, dominano i venti , il freddo, il gelo. E poi? E poi vengono le belle stagioni, spunta la messe, il sole l’indora, il mietitore ne gioisce. Così avvenne al buon Tobia. Trasportato questi da Salmanasar dalla Samaria in Ninive con dieci tribù d’Israele, nella cattività la fece da buon seminatore. Son senza numero le opere di carità che ei praticò a sollievo dei suoi fratelli in quella barbara schiavitù. Limosine agl’indigenti, conforti ai tribolati, correzioni ai trasgressori della legge di Dio e di Mosè, avvisi e minacce ai vacillanti, premura dei vivi, sollecitudine dei morti fino a lasciar il pranzo interrotto, fino a cimentar la propria vita per non lasciarli insepolti. Or questa eletta e copiosa sementa restò per un tempo notabile seppellita sotterra, e cadde sopra di essa un’alta neve. Mentre una sera Tobia ritorna a casa stanco dal trasportar cadaveri, vinto dal sonno si pone a giacere presso alla parete del portico. Quivi da un soprastante nido di rondinelle venne a cadere su le palpebre caldo e molle l’escremento de’ rondinini, che insinuandosi nelle pupille ne spense la luce con doppia cateratta. Ed ecco Tobia reso cieco. Ecco la neve caduta sul buon seminato. Alla cecità sopravviene la povertà, alla povertà la lingua pungente della sua moglie, ecco il vento, ecco il gelo. Ma che? Tutto sarà perduto? Eh, non temete, Tobia rassegnato aspetta pazientemente le divine retribuzioni nell’altra vita, e Dio lo vuol rimunerare anche in questa: manda l’Arcangelo Raffaele a guidar suo figlio in Rages città della Media. L’Angelo lo riconduce sano e salvo al padre, ricco di santa ricchissima sposa. Tobia riapre gli occhi alla luce, e quel eh’è più, Tobia, esempio di santità, riceve in cielo un eterno guiderdone delle sue virtù e della sua sapienza.

II. Per l’ opposto chi semina opere malvagie non può incorrere se non la mala sorte. “Qui seminat iniquitatem, metet mala(Prov. XXII, 8). L o dice lo Spirito Santo nei Proverbi. Quella lingua maledica semina discordie tra congiunti e congiunti, tra famiglie e famiglie, sparge bugie, calunnie, imposture: in quella bocca tutti sono malvagi, ipocriti i devoti, superbi i caritatevoli, ladri i facoltosi, ingiusti i tribunali , e non si risparmia né chiostro, né clero. Qual è il guadagno di una tal lingua? L’infamia che la disonora, che la fa abbominare e fuggire da tutte le oneste persone, come si fugge dalle vipere e dai serpenti. “Qui seminat iniquitatem, metet mala”. Figlio, rinnova l’avviso lo Spirito Santo, non seminar male azioni nei solchi dell’ingiustizia, acciò non ti avvenga dover raccogliere una messe sette volte maggiore di danni e d’infortuni. “Fili, non semines mala in sulcis iniustitias, et non metes ea in septuplum” (Prov. VII, 3). Quali sono questi solchi d’ingiustizia? Son le frodi, i pesi fallaci, le scarse misure, le usure palliate, i monopoli. Chi semina in questi solchi raccoglierà perdite, disgrazie, fallimenti, danni sette volte di più de’guadagni ricavati dai solchi dell’ingiustizia. – Giovani ciechi, voi seminate, secondo la frase di S. Paolo, opere di carne. “Ecco, dice lo stesso, il frutto che ne riporterete: macchie indelebili alla vostra reputazione, infermità vergognose, che vi faranno marcire le carni, che vi renderanno mezzo cadaveri, che abbrevieranno i vostri giorni, “Qui seminat in carne sua de carne metet corruptionem(ad Gal. VI, 8). – Davidde seminò scandali i n tutto il regno per l’adulterio con Bersabea, per l’ omicidio dell’innocente Uria, e ne raccolse ribellione dei sudditi, guerra del proprio figlio, disonore delle sue consorti. Sparse Gezabele calunnie contro Nabot, sparse il sangue de’ Profeti del Signore; e gettata via da un’alta loggia, lasciò strisce di sangue su la parete, e fu divorata dai cani. Sparse Ario l’eresia più perniciosa, e sparse le viscere e gl’intestini per simultanea vergognosissima morte. A finirla; è infallibile il divino oracolo: “Qui seminat iniquitatem, metet mala”. – Il frutto della presente spiegazione vorrei che fosse, fratelli carissimi, una generosa risoluzione di imitare i SS. Apostoli. A questi la s. Chiesa appropria le parole del re Salmista, “euntes ibant, et flebant mittentes semina sua(Ps. CXXV). Essi han sostenute fatiche, sparsi sudori in seminare la divina parola, si condussero alle più remote e barbare nazioni a spargere in quelle terre selvagge i semi della religione e della fede, piansero, si afflissero, diedero sangue e vita, “euntes ibant, et flebant mittentes semina sua”. Ma raccolsero una messe copiosissima di anime salve, di un mondo convertito, di una fede propagata e stabilita, della quale noi godiamo i frutti; e per sé stessi raccolsero una messe abbondante di meriti preziosi, di benedizioni perpetue e di eterna esultazione. I loro nomi, scritti nei libri santi e nel ruolo degli eletti, si rammentano con venerazione e riconoscenza; i loro corpi, le loro reliquie riscuotono culto sui nostri altari, le anime loro formano in cielo un coro glorioso e distinto, ove, colme di manipoli, ricche di meriti e di trionfi esulteranno nei secoli eterni: “Venientes autem venient cum exultatione portantes manipulos suos(ibid.). – Zeliamo ancor noi, fedeli amatissimi, secondo le nostre forze, la gloria di Dio e il bene dei prossimi, prepariamoci una buona raccolta di meriti colle opere di virtù, di carità di giustizia, di edificazione e di santità. Noi siamo in una valle di lacrime. Quei che seminano con dolore, dice il re Profeta, mieteranno con allegrezza, “qui seminant in lacrimis, in exultatione metent(Ibid. VI, 5). Conviene dunque nel pianto e nei dolore dei nostri peccati, nella mortificazione dei sensi, nella vittoria delle nostre passioni gettare i semi della nostra salvezza, per goderla poi eternamente nell’esultazione del nostro spirito. Per ciò ottenere da voi medesimi portate impressa nella mente e nel cuore la massima che fin qui vi venni esponendo. Qual è la sementa, tale sarà la raccolta: chi opera bene, speri bene, chi male, non si aspetti che male: “Quæ seminaverit homo, hæc et metet”.

Offertorium

Orémus Ps XVI:5; XVI:6-7

Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi nei tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino. Inclina l’orecchio verso di me, e ascolta le mie parole. Fa risplendere la tua misericordia, tu che salvi chi spera in Te, o Signore.]

Secreta

Oblátum tibi, Dómine, sacrifícium, vivíficet nos semper et múniat.

[Il sacrificio a Te offerto, o Signore, sempre ci vivifichi e custodisca.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – Amen.

[Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.]

Communio Ps XLII:4

Introíbo ad altáre Dei, ad Deum, qui lætíficat juventútem meam.

[Mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza.]

Postcommunio

Orémus. Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: ut, quos tuis réficis sacraméntis, tibi étiam plácitis móribus dignánter deservíre concédas.

[Ti supplichiamo, o Dio onnipotente, affinché quelli che nutri coi tuoi sacramenti, Ti servano degnamente con una condotta a Te gradita.]

 

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.

  1. R.

Domenica di SETTUAGESIMA

Introitus Ps XVII:5; XVII:6; XVII:7

Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam. [Mi circondavano i gemiti della morte, e i dolori dell’inferno mi circondavano: nella mia tribolazione invocai il Signore, ed Egli dal suo santo tempio esaudí la mia preghiera.]

Psal. Ps XVII: 2-3

Díligam te, Dómine, fortitúdo mea: Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus. [Ti amerò, o Signore, mia forza: Signore, mio firmamento, mio rifugio e mio liberatore.]

Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.

Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam.

Orémus. Preces pópuli tui, quaesumus, Dómine, cleménter exáudi: ut, qui juste pro peccátis nostris afflígimur, pro tui nóminis glória misericórditer liberémur. [O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo: affinché, da quei peccati di cui giustamente siamo afflitti, per la gloria del tuo nome siamo misericordiosamente liberati.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.

Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.

1 Cor IX:24-27; X:1-5

Fratres: Nescítis, quod ii, qui in stádio currunt, omnes quidem currunt, sed unus áccipit bravíum? Sic cúrrite, ut comprehendátis. Omnis autem, qui in agóne conténdit, ab ómnibus se ábstinet: et illi quidem, ut corruptíbilem corónam accípiant; nos autem incorrúptam. Ego ígitur sic curro, non quasi in incértum: sic pugno, non quasi áërem vérberans: sed castígo corpus meum, et in servitútem rédigo: ne forte, cum áliis prædicáverim, ipse réprobus effíciar. Nolo enim vos ignoráre, fratres, quóniam patres nostri omnes sub nube fuérunt, et omnes mare transiérunt, et omnes in Móyse baptizáti sunt in nube et in mari: et omnes eándem escam spiritálem manducavérunt, et omnes eúndem potum spiritálem bibérunt bibébant autem de spiritáli, consequénte eos, petra: petra autem erat Christus: sed non in plúribus eórum beneplácitum est Deo.

[Fratelli: Non sapete che quelli che corrono nello stadio, tutti invero corrono, ma uno solo riporta il premio? Così correte, in modo da guadagnarlo. Orbene, tutti quelli che lottano nell’arena si astengono da tutto: essi per conseguire una corona corruttibile, noi invece per una incorruttibile. Io dunque corro, non come a caso, combatto, non come colpendo nell’aria: ma castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù, affinché per avventura, pur avendo predicato agli altri, io stesso non diventi réprobo. Non voglio infatti che voi ignoriate, o fratelli, come i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, e tutti passarono per il mare, e tutti furono battezzati in Mosè, nella nube e nel mare: e tutti mangiarono dello stesso cibo spirituale, e tutti bevettero la stessa bevanda spirituale e bevevano della pietra spirituale che li accompagnava: e quella pietra era il Cristo: eppure Iddio non fu contento della maggior parte di essi.]

Deo gratias.

Graduale Ps IX: 10-11; IX:19-20

Adjútor in opportunitátibus, in tribulatióne: sperent in te, qui novérunt te: quóniam non derelínquis quæréntes te, Dómine, [Tu sei l’aiuto opportuno nel tempo della tribolazione: abbiano fiducia in Te tutti quelli che Ti conoscono, perché non abbandoni quelli che Ti cercano, o Signore]

Quóniam non in finem oblívio erit páuperis: patiéntia páuperum non períbit in ætérnum: exsúrge, Dómine, non præváleat homo. [Poiché non sarà dimenticato per sempre il povero: la pazienza dei miseri non sarà vana in eterno: lévati, o Signore, non prevalga l’uomo.]

Tractus Ps CXXIX: 1-4

De profúndis clamávi ad te. Dómine: Dómine, exáudi vocem meam. [Dal profondo ti invoco, o Signore: Signore, esaudisci la mia voce.]

Fiant aures tuæ intendéntes in oratiónem servi tui. [Siano intente le tue orecchie alla preghiera del tuo servo.]

Si iniquitátes observáveris, Dómine: Dómine, quis sustinébit? [Se baderai alle iniquità, o Signore: o Signore chi potrà sostenersi?]

Quia apud te propitiátio est, et propter legem tuam sustínui te, Dómine. [Ma in Te è clemenza, e per la tua legge ho confidato in Te, o Signore.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

Gloria tibi, Domine!

Matt XX:1-16

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Simile est regnum coelórum hómini patrifamílias, qui éxiit primo mane condúcere operários in víneam suam. Conventióne autem facta cum operáriis ex denário diúrno, misit eos in víneam suam. Et egréssus circa horam tértiam, vidit álios stantes in foro otiósos, et dixit illis: Ite et vos in víneam meam, et quod justum fúerit, dabo vobis. Illi autem abiérunt. Iterum autem éxiit circa sextam et nonam horam: et fecit simíliter. Circa undécimam vero éxiit, et invénit álios stantes, et dicit illis: Quid hic statis tota die otiósi? Dicunt ei: Quia nemo nos condúxit. Dicit illis: Ite et vos in víneam meam. Cum sero autem factum esset, dicit dóminus víneæ procuratóri suo: Voca operários, et redde illis mercédem, incípiens a novíssimis usque ad primos. Cum veníssent ergo qui circa undécimam horam vénerant, accepérunt síngulos denários. Veniéntes autem et primi, arbitráti sunt, quod plus essent acceptúri: accepérunt autem et ipsi síngulos denários. Et accipiéntes murmurábant advérsus patremfamílias, dicéntes: Hi novíssimi una hora fecérunt et pares illos nobis fecísti, qui portávimus pondus diéi et æstus. At ille respóndens uni eórum, dixit: Amíce, non facio tibi injúriam: nonne ex denário convenísti mecum? Tolle quod tuum est, et vade: volo autem et huic novíssimo dare sicut et tibi. Aut non licet mihi, quod volo, fácere? an óculus tuus nequam est, quia ego bonus sum? Sic erunt novíssimi primi, et primi novíssimi. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.

[In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: Il regno dei cieli è simile a un padre di famiglia, il quale andò di gran mattino a fissare degli operai per la sua vigna. Avendo convenuto con gli operai un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. E uscito fuori circa all’ora terza, ne vide altri che se ne stavano in piazza oziosi, e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna, e vi darò quel che sarà giusto. E anche quelli andarono. Uscì di nuovo circa all’ora sesta e all’ora nona e fece lo stesso. Circa all’ora undicesima uscì ancora, e ne trovò altri, e disse loro: Perché state qui tutto il giorno in ozio? Quelli risposero: Perché nessuno ci ha presi. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Venuta la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e paga ad essi la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti dunque quelli che erano andati circa all’undicesima ora, ricevettero un denaro per ciascuno. Venuti poi i primi, pensarono di ricevere di più: ma ebbero anch’essi un denaro per uno. E ricevutolo, mormoravano contro il padre di famiglia, dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora e li hai eguagliati a noi che abbiamo portato il peso della giornata e del caldo. Ma egli rispose ad uno di loro, e disse: Amico, non ti faccio ingiustizia, non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi quel che ti spetta e vattene: voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso dunque fare come voglio? o è cattivo il tuo occhio perché io son buono? Così saranno, ultimi i primi, e primi gli ultimi. Molti infatti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti.]

Omelia

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XX, 1-16)

Contro i Balli.

Uscì un padre di famiglia, come nell’odierna parabola ci narra S. Matteo, al primo spuntar del giorno in cerca d’operai. Fece lo stesso alle ore di terza, di sesta, e di nona, e adocchiati alcuni agricoltori, che scioperati stavano perdendo il tempo, che fate voi qui tutto il giorno, in questo ozio infingardo? Quid hic statis tota die otiósi?” – Signore, risposero, non abbiamo veduto alcuno che ci chiamasse al lavoro, “Quia nemo nos condúxit. Fu questa una legittima scusa, un’opportuna risposta. Qui mi fermo per fare una poco dissimile interrogazione ad un gran numero di cristiani in questo tempo di licenze carnevalesche. Perché passate voi tutto il giorno e tutta la notte in balli, in festini, che dell’ozio sono peggiori? Oh! sento rispondermi facendo le meraviglie, e che male trovate voi nel ballo? Egli è un onesto e lecito trattenimento, autorizzato dall’antica e moderna consuetudine e praticato da ogni qualità di persone. Voi l’intendete così; contentatevi però ch’io vi dica, esser io di sentimento contrario. Come dunque ci accorderemo, se voi tenete l’opinion vostra, ed io la mia? Io non voglio che crediate sulla semplice mia parola: io non mi arrogo tanta autorità, né tanta pretensione. Mi permetterete all’opposto, che neppur io stia alla sola vostra asserzione. Facciamo dunque così. Si formi tra noi una contesa amichevole, una specie di dialogo. Voi esporrete tutte le più acconce ragioni a difendere il ballo, io vi darò quelle risposte che più saprò. Se voi mi convincete, io vi prometto di non più molestarvi su questo punto. Se restate convinti, spero mi farete grazia e giustizia con l’allontanarvi dal ballo. Cominciamo la pacifica nostra controversia. – Il ballo, dite voi, è una cosa indifferente, come indifferente è il passeggio. Altra differenza non v’è tra quello e questo, se non che nel passeggio si muove un piede avanti l’altro, e nel ballo i piedi si muovono con règola e maestria in tenore delle cadenze musicali. Oltre a ciò noi veggiamo nelle divine Scritture approvato il ballo. Maria sorella di Mose là su le sponda dell’Eritreo diede di piglio a una cetra, e mista a un coro di ebree donzelle, spiccò danze e carole, né fu certo ripresa dal suo fratello, né da alcuno del popolo di Dio. Davide re e profeta, con tutta la regia sua gravità, saltò anch’egli avanti l’arca del Testamento. Ecco il ballo, che, come una cosa tra le indifferenti, e praticata da oneste e sante persone, non si può riprendere, né condannare. – Udite la mia risposta. È dottrina di S. Agostino, e di tutti i Teologi, che un’azione qualunque veste sempre la qualità del fine a cui si dirige, e dell’intenzione con cui si fa : “Noveris, dice egli, ex fine a vitiis discernendas esse virtutes”. Voi avete un fine buono e lodevole, l’azione vostra sarà lodevole e buona. Per l’opposto avete un fine reo o malvagio, la vostra azione rea sarà del pari e malvagia. Posto ciò, il ballo della sorella di Mose e di Aronne fu un trasporto di allegrezza, diretto a magnificare la divina onnipotenza in aver liberato il suo popolo dalle spade di Faraone, sommerso con tutto il suo esercito nel mar rosso; fu perciò un ballo religioso, figlio della riconoscenza, gradito a Dio. Infatti in mezzo alla danza istessa intonò il cantico composto dal suo germano Mosè in lode del Signore. “Cantemus Domino: gloriose cum magnificatus est” (Es. XV, 21). Lo stesso deve dirsi del ballo di Davide. Al veder l’arca del Signore, figura dell’alta divina maestà, avrà un tempo tanto fatale ai Filistei, e propizia tanto ad Israele, al vederla, dissi, entrar con pompa solenne nella regia città di Gerusalemme, al suono festivo delle trombe levitiche, preso da santo giubilo, volle esternare coi salti la sua allegrezza, e applaudire così al trionfo dell’arca, ed alla gloria del suo Signore. – Ditemi or voi con tutta sincerità, qual è quel fine che vi porta al ballo? Interrogatene la vostra coscienza. Sarebbe mai, o donne, quel fine che si propose la ballerina figlia di Erodiade? per cattivarvi cioè il cuore e l’affetto di qualche Erode adultero ed incestuoso? Sarebbe mai, o uomini, quel fine ch’ ebbero gli Ebrei danzanti alle falde del Sinai? per adorare cioè qualche idolo non d’oro, ma di carne? Sarebbe mai, o giovani di bel tempo, il fine, con cui con tanta ardenza vi portate al ballo, simile a quello del corvo uscito dall’arca di Noè, quando volava in giro in volte e rivolte su i galleggianti cadaveri, per adocchiar quel carname, ove meglio potesse saziare la sozza ingordigia? – Comprendete bene, uditori miei cari, che parlando con voi, non parlo di voi. Chi frequenta la parola di Dio, come voi fate, non ha certamente fini sì sordidi. Ma fatemi ragione, e ditemi se non è cosi per la massima parte de’ ciechi mondani? Così è! Risponde un autore di credito e d’esperienza, così è, togliete dal ballo la libidine, separate gli uomini dalle donne, le donne dagli uomini, e non vi son più balli, “tolle libidinem, et choreas sustulìsti”. – Fin qui, voi confessate che la ragione sta per me. Si concede, voi dite, che se un fine così immondo ci conduce al ballo diviene peccaminoso e dannevole; ma se noi, come praticano civili e timorate persone, con fine onesto, onestissimo andiamo al ballo, cesserà d’essere per noi illecito e colpevole. Udite di grazia. Un’azione perché sia permessa, non basta che di sua natura sia indifferente, e diretta a buon fine, convien vedere se qualche circostanza la renda illecita e proibita. Per adattarmi alla capacità di tutti, permettetemi che io mi serva d’un caso ipotetico. Suppongo in questo momento che un di voi passeggi sul tetto di questa Chiesa; io resto sorpreso, lo piego a fermarsi, ed ei mi risponde: “il passeggio non è cosa indifferente e permessa?” Concedo, io soggiungo; e se passeggiate per far moto, prender aria, e per vostro sollievo, questo fine è anch’esso lecito e onesto; ma siccome camminando su questo tetto siete in prossimo pericolo di precipitar sulla piazza e perdere la vita, così non è più lécito e permesso un tal passeggio, anzi vi resta gravemente proibito, e l’onestà dell’azione e del fine non basta a giustificarlo. Lo stesso dite del ballo. Sia per sé indifferente, sia onesto quanto volete il vostro fine; il pericolo è troppo grande, il pericolo è troppo prossimo, lo scandalo è troppo eccedente; viste di sconci abbigliamenti, di mode, di nudità, musiche, suoni, allegrie, salti, stringimenti di mano … Oh Dio! io non vorrei dire di più da questo sacro luogo. Parleranno in mia vece i santi Padri, dati da Dio alla sua Chiesa e a noi per dottori, luminari, guide e maestri. Pochi ne citerò per non essere prolisso, e da questi potrete comprendere il gran pericolo dei balli. Udite santo Agostino (Serm. 115 De Temp.). Voi, diceva al suo popolo, venite alla Chiesa cristiani , e ritornati alle vostre case, dandovi ai balli, diventate pagani. Sarebbe minor male zappare la terra in giorno di festa, che occuparvi nel ballo “melius est arare, quam saltari” (in Ps. XCIII ). Udite S. Ambrogio: vadano al ballo le figlie di madre adultera, che a lei vogliono assomigliarsi, “saltent adulteræ filiæ”. Udite come ne parla S. Efrem: “Dove vedete un festino di ballo, dite pure che quel luogo è tutto tenebre per gli uomini, perdizione per le donne, tristezza per gli angeli, festa per satanasso: “Ubi choreæ, ibi virormn tenebræ, mulierum perditio, angeli cum tristitia, diaboli festum” (De ludici a christian. vitandis). Lascio S. Basilio, S. Giovanni Crisostomo, e conchiudo col non men pio, che dotto Gersone, “omnia peccata chorizzant in choreìs”, danzano tutt’i peccati con quei che danzano. Questo linguaggio dei santi quanto è mai diverso da quello del mondo! Se dunque il ballo è la festa e la scuola del demonio, se è lo scoglio fatale, ove rompe l’onestà delle zitelle, la fedeltà delle coniugate; se è la rovina de’ giovani, l’obbrobrio de’ vecchi, lo scandalo di tutti, come potete senza peccato esporvi a tanto e cosi evidente pericolo? Sarebbe questo in pretendere che Iddio rinnovasse per voi il miracolo della fornace di Babilonia, ove i tre giovanetti in mezzo alle fiamme neppure sentirono il calore di quelle vampe. – Se siete stati al ballo, me ne appello alla vostra esperienza. – Va bene, voi rispondete, avete citato i santi Padri, citeremo ancor noi un Santo, che se per l’antichità non è nel catalogo dei Padri e dottori della Chiesa, merita però per santità e per dottrina esservi registrato. È questi il gran Vescovo di Ginevra S. Francesco di Sales, il quale ben lungi dal condannare il ballo, anzi l’approva e lo permette. – So che questo errore corre nel volgo, falsamente adottato dagli amanti del ballo; ma per difesa di questo gran Santo tanto diletto a Dio ed agli uomini, io vi assicuro ch’egli non dice né più né meno di quel che dicono tutt’i teologi, che può benissimo darsi caso, in cui concorrono certe circostanze imponenti, che rendano lecito il ballo, come sarebbe una moglie dal marito obbligata a concorrervi, e se essa prevede, che ricusando ne nasceranno disgusti ne’ congiunti, disturbi ne’ domestici, freddezze nell’amor maritale che santamente deve passare tra i coniugi, in questo caso può condiscendere, può ubbidire; qualora però il ballo sia onesto, e con oneste persone, e breve sia il tempo discrétamente. Questo dicono i teologi, questo dice il santo di Sales. Ma di ciò non si contenta. Ecco i suoi sentimenti intorno al ballo, i quali vi prego di riscontrare nel capo trigesimo terzo della sua Filotèa. I balli, dice questo amabile Santo, si possono rassomigliare ai funghi, de’ quali scrive Plinio, che i migliori in certe parti del mondo a nulla valgono. E siccome i funghi, per essere spugnosi e pieni di pori, assorbono facilmente il veleno di quelle serpi, di quei rospi che a loro passano attorno; così quei che vanno al ballo assorbono il veleno dell’impudicizia cogli occhi nelle viste di nudità scandalose; assorbono il veleno per le orecchie colle parole oscene, coi motti equivoci, coi sensi amorosi di qualche basilisco; assorbono il veleno per le mani, per quella maledetta libertà, che dà il ballo, di stringimenti prolissi. Se voi, Filofea, prosegue a dire, dovete per alcun dei buoni fini suddetti prestarvi a un ballo onesto e moderato, riflettete che in quella notte, in quell’ora stessa, in cui danzate, tanti Religiosi salmeggiano in coro, o sono assorti in profonde meditazioni. Riflettete che tanti poveri infermi, feriti, addolorati alzan clamori e sospiri o nelle private case o nei pubblici spedali. Riflettete che tanti moribondi e agonizzanti stanno per spirare l’anima, e renderla al Creatore. Riflettete che tante anime in quell’ora stessa spasimano nell’inferno, appunto per cagione dei balli. Riflettete infine che un giorno la morte vi farà fare un ballo assai diverso da quel che fate, vi prenderà per la mano, e vi farà far un salto dal vostro letto al tribunale di Dio, e i violini saranno i pianti dei vostri congiunti. – Credete che il Santo abbia ancora finito? Siccome, prosegue egli, a chi ha mangiato i funghi si suol consigliare che li corregga con vino generoso; così, dopo esservi, o Filotea, ritirata dal ballo, occupatevi in santi pensieri ai pie’ del crocifisso, considerate la vanità, la pazzia di questi trastulli, che dissipano lo spirito, fan languire la devozione, raffreddano la carità, e svegliano nell’anima mille affetti malvagi. Dopo tutto ciò andate a citar questo gran Santo in approvazione de balli. Questo Santo, che ogni anno si ritirava in solitudine a far gli esercizi spirituali appunto nel tempo di carnevale, per piangere le mondane follie, e le tante offese fatte a Dio ne’ balli. – Orsù, uditori miei cari, non siete ancora convinti? Non mi rispondete; io non voglio obbligarvi a dire l’intimo vostro sentimento, voglio anzi darvi vinta la causa se voi mi fate una promessa. E quale? Ecco, quando sarete in punto di morte col sacerdote a fianco, che vi presenterà il santo Crocifisso, promettetemi di dire a lui rivolti: Signore, io me ne muoio contento, perché in mia vita mi sono molto divertito nel ballo, e non ho mai lasciato passar carnevale senza darmi ad un sì caro esercizio. Io dunque, ripeto, me ne muoio contento, e voi, o Signore, accoglietemi nelle vostre braccia. Se voi “oibò! oibó!” … voi esclamate, e son queste cose da suggerirci? Con Dio non si burla, massime in quel punto estremo tanto formidabile. Ah, dilettissimi miei, se non vi sentite di così fare in quel punto, se ne avete orrore in solo esservi proposto, che segno è questo? Segno che conoscete che il ballo non è un buon passaporto pel paese dell’eternità: segno che siete persuasi che il ballo non piace a Dio, che non potrà esservi di conforto nelle vostre agonie, ma di rimorso e di spavento. Deh! per amor di Dio, per carità dell’anime vostre, dategli un eterno bando, allontanatevi da tanto pericolo, allontanatene col consiglio e coll’esempio i vostri amici, e coll’autorità e comando quei che da voi dipendono. La causa tra noi trattata, se credete averla perduta, sarà vinta in diversa e miglior forma? e in una maniera tutta per voi vantaggiosa. Avrete trionfato del demonio e de’ suoi lacci, del ballo e de” suoi tristi effetti; e cosi vittoriosi sarete ammessi in quell’eterna letizia, in cui esultano i santi nella gloria sempiterna, che Iddio vi conceda.

Credo …

Offertorium

Orémus Ps XCI:2

Bonum est confitéri Dómino, et psállere nómini tuo, Altíssime. [È bello lodare il Signore, e inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]

Secreta Munéribus nostris, quæsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi. [O Signore, Te ne preghiamo, ricevuti i nostri doni e le nostre preghiere, purificaci coi celesti misteri e benevolmente esaudiscici.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

Communio Ps XXX:17-18

Illúmina fáciem tuam super servum tuum, et salvum me fac in tua misericórdia: Dómine, non confúndar, quóniam invocávi te. [Rivolgi al tuo servo la luce del tuo volto, salvami con la tua misericordia: che non abbia a vergognarmi, o Signore, di averti invocato.]

Postcommunio

Fidéles tui, Deus, per tua dona firméntur: ut eadem et percipiéndo requírant, et quæréndo sine fine percípiant. [I tuoi fedeli, o Dio, siano confermati mediante i tuoi doni: affinché, ricevendoli ne diventino bramosi, e bramandoli li conseguano senza fine.]

DOMENICA V dopo l’EPIFANIA

Introitus Ps XCVI:7-8.

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]. Ps 96:1

Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti].

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda].

Oratio

Famíliam tuam, quaesumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut, quæ in sola spe grátiæ coeléstis innítitur, tua semper protectióne muniátur. Per Dominum …

[Custodisci, o Signore, Te ne preghiamo, la tua famiglia con una costante bontà, affinché essa, che si appoggia sull’unica speranza della grazia celeste, sia sempre munita della tua protezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses

Col III:12-17

“Fratres: Indúite vos sicut electi Dei, sancti et dilecti, víscera misericórdiæ, benignitátem, humilitátem, modéstiam, patiéntiam: supportántes ínvicem, et donántes vobismetípsis, si quis advérsus áliquem habet querélam: sicut et Dóminus donávit vobis, ita et vos. Super ómnia autem hæc caritátem habéte, quod est vínculum perfectionis: et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore: et grati estóte. Verbum Christi hábitet in vobis abundánter, in omni sapiéntia, docéntes et commonéntes vosmetípsos psalmis, hymnis et cánticis spirituálibus, in grátia cantántes in córdibus vestris Deo. Omne, quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Jesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per Jesum Christum, Dóminum nostrum”.

Lettura della Lettera del B. Paolo Ap. ai Colossesi, Col III:12-17

[Fratelli: Rivestitevi come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di modestia e di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi se qualcuno ha da dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così anche voi. Ma al di sopra di tutto questo, abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché siete stati chiamati a questa pace in modo da formare un solo corpo. Siate riconoscenti. La parola del Cristo àbiti in voi in tutta la sua ricchezza; istruitevi e avvisatevi gli uni gli altri con ogni sapienza, e, ispirati dalla grazia, levate canti a Dio nei vostri cuori con salmi, inni e càntici spirituali. E qualsiasi cosa facciate in parole o in opere, fate tutto nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui.]

Graduale Ps CI:16-17

Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore, e tutti i re della terra la tua gloria].

Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja.

[V. Perché il Signore ha edificata Sion e si è mostrato nella sua maestà. Allelúia, allelúia.]

Ps XCVI:1

Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja.

[V. Il Signore è Re: esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

  1. Gloria tibi, Domine!

Matt XIII:24-30

“In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum coelórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus ejus, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizánia, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáta in hórreum meum”.

[In quel tempo: Gesù disse alle turbe questa parabola: Il regno dei cieli è simile a un uomo che seminò buon seme nel suo campo. Ma nel tempo che gli uomini dormivano, il suo nemico andò e seminò della zizzania in mezzo al grano, e partì. Cresciuta poi l’erba, e venuta a frutto, comparve anche la zizzania. E i servi del padre di famiglia, accostatisi, gli dissero: Signore, non hai seminato buon seme nel tuo campo? Donde dunque è venuta la zizzania? Ed egli rispose loro: Qualche nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a coglierla? Ed egli rispose: No, perché cogliendo la zizzania non strappiate con essa anche il grano. Lasciate che l’uno e l’altra crescano sino alla messe, e al tempo della messe dirò ai mietitori: Strappate per prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla, e il grano raccoglietelo nel mio granaio.]

Omelia

Omelia della Domenica V dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XIII, 24-30)

Zizzania e Frumento.

“Non avete voi seminato (così al proprio padrone i suoi servi agricoltori) non avete seminato nel vostro campo il buon frumento? Come dunque è spuntata insieme con esso la mala zizzania”? – “Volete che sull’istante ci conduciamo ad estirparla?”- “No, rispose il padrone, perché essendo ancor tenere le pianticelle del grano, sradicherete colla zizzania il buon frumento. Lasciate pur crescere l’uno e l’altra sino alla maturità, e darò allora i miei ordini ai mietitori. Farò che, separata dal grano quest’erba malvagia, stretta in fascetti sia gettata al fuoco, e il buon frumento sia portato e custodito nel mio granaio”. Fin qui la parabola del corrente Evangelo. Uditene la facile interpretazione. Quel padrone, padre di famiglia, è il nostro Padre celeste; il campo, in cui è seminato il grano e la zizzania, è la santa Chiesa, che nel suo seno accoglie buoni e cattivi, discoli e ubbidienti figliuoli. Questa mescolanza però non è durevole. Verrà il tempo della messe, e la morte con falce inesorabile troncherà grano e zizzania. Si farà prima al tribunale di Cristo giudice, poscia nel giorno estremo la gran separazione. Saran divisi i petulanti capretti dalle innocenti pecorelle, l’eletto frumento dalla maledetta zizzania, gli eletti da’ reprobi. Verranno questi da’ demoni gettati ad ardere nel fuoco eterno, e quelli portati dagli angeli nel regno dei cieli. Fedeli miei, qual sarà la nostra sorte? Possiamo argomentarlo fin da ora: Siam noi zizzania? aspettiamoci il fuoco. Siam frumento? Il cielo sarà la nostra mansione. A chi più vi assomigliate? Acciò possiate meglio comprenderlo, vi esporrò da prima le naturali qualità della zizzania, che applicheremo a noi in senso morale; v’indicherò dappoi le naturali proprietà del frumento che applicheremo a noi altresì nel senso stesso. Da questo confronto potrete conoscere qual sarà per essere la vostra eterna sorte.

I . Sulla scorta di S. Basilio (S. Basil. In 5 Hom. Ex.), e degl’indagatori della natura, osserviamo le qualità della zizzania. È questa un’erba malvagia, che nasce in pessimo terreno, e talvolta in mezzo al frumento, erba che poco s’innalza di terra. Si assomigliano a questa coloro che sempre intenti alla terra coi pensieri, coi desideri, e cogli affetti del cuore, altro non hanno in mira, che il lucro, l’interesse, e gli acquisti dei beni terreni. Uomini creati pel cielo non pensano, anzi, al dir del re Profeta, hanno stabilito di non pensare che alla terra, e nella terra fissar gli occhi, fissar le radici di una dominante passione, “Oculos suos statuerunt declinare in terram” (Ps. XVI). A costoro io direi, se mi ascoltassero, miei cari, disinganniamoci; il nostro fine non son le cose che passano col tempo. Siam fatti pel cielo; lassù, dice l’Apostolo, dobbiamo innalzare la mente e il cuore, “quæ sursum sunt sopite, non quæ super terram” (Ad. Col. III). Da questa terra ci staccherà la morte, e quanto più, le radici delle nostre affezioni alla terra saranno tenaci e profonde, tanto più il taglio riuscirà doloroso, e incontreremo la mala sorte della rea zizzania. – S’insinua inoltre quest’erba maligna fra le radici dell’ancor tenera biada, e dove la rende sterile, dove la fa perire. Figura più espressiva delle scandalose persone non vi è di questa. Gesù Cristo infatti, dice il Crisostomo, chiamò tutti gli scandali e tutti gli scandalosi col nome di zizzania. “Omnia scandala et eos qui faciunt iniquitatem zizaniorum nomine significasse intelligitur” (in Cat. Aurea D. Th.). La zizzania, di cui parla l’odierno Vangelo, fu sparsa di notte da un uomo nemico, “inimiciis homo hoc fecit”. Questi, secondo i sacri espositori, è il demonio, che per mano degli uomini sparge nel mondo la scandalosa zizzania. Il demonio, dice S. Agostino, ha i suoi apostoli: son questi gli scandalosi, che coi laidi discorsi, col vestir immodesto, colle oscene pitture, colle invereconde poesie, coi libri ereticali, colle massime all’Evangelio contrarie fan perire l’innocenza, corrompono i buoni costumi, e danno morte a tante anime incaute. Che possono aspettarsi gl’iniqui seminatori di questa diabolica zizzania, se non il fuoco? – La zizzania in fine produce frutti così cattivi, che se per incuria misti col frumento vanno sotto la macina, e ridotti in farina restano mescolati col pane, cagionano a chi lo mangia vertigini, capogiri, e ubriaca rendono la persona; onde quel frutto, presso varie nazioni, si appella con nome significante quel brutto effetto. Oh, a quanti in questo secolo pervertito gira il capo circa le verità della fede! Finché vissero da buoni cristiani, finché, mantennero una retta coscienza ed una onesta condotta, non furono soggetti a capogiri intorno ai dogmi della santa religione; sana era la mente, perché sano era il cuore. Ma dopo aver mangiata la velenosa zizzania in quell’eretico autore, in quel poeta lascivo, in quella pratica disonesta, in quella rea amicizia, lo stomaco si è alterato, il cuore si é corrotto, e son saliti al cerebro vapori rivoltosi, ed hanno invasato l’intelletto dubbi, incertezze rispetto all’eterne verità. Che avviene poi di ognun di costoro? Le ree sue passioni, trovandosi senza freno, l’assalgono, gli tolgono l’uso della retta ragione; ond’egli ebro, insensato più non conosce sé stesso, e nel furor della sua ebbrezza, rompe il freno della coscienza, squarcia il velo di ogni naturale onestà, scuote il giogo della legge umana e divina, e per lui Dio più non esiste. “Dixit insipiens in corde suo, non est Deus” (Ps. XIII, 1). O povera umanità presa da un’ubriachezza di nuova foggia! “Paupercula et ebria, non a vino” (Isai. LI, 21). Ma l’esito di questa ebbriosa smania sarà simile a quella di un povero uomo plebeo, che agitato dal vino uscito di senno, si gloria, si vanta, si crede ricco, potente, animoso, e digerito il vino si trova debole, infermo, avvilito, e riconosce ridotta ad uno stato peggiore la propria miseria. Durino pur quanto la vita i deliri dell’iniqua zizzania, alla fine stretta in fasci, a fasci sarà gettata “ad comburendum”. – Date ora, fratelli carissimi, un interiore sguardo a voi stessi, ed osservate se fra voi e le pessime qualità della descritta zizzania, trovaste mai qualche confronto. Se fosse così, deh per carità, cangiate vita, cangiate costume. A questo fine, dicono i S. Agostino e Tommaso, (In catena aurea) il padrone evangelico non volle che così subito si estirpasse la zizzania del campo, per significarci che Iddio pietoso pazientemente aspetta che quei peccatori, che sono zizzania, possano coll’aiuto della grazia, per vera penitenza, trasformarsi in grano eletto.

  1. II. Passate ora a vedere, secondo l’evangelica allegoria, se piuttosto, come mi giova sperare, siete simili al buon frumento. Vien questo gettato sul campo, e sepolto sotterra, ove mercé la pioggia, e il calore del sole si schiude, si sviluppa, e vi muore per rinascere moltiplicato in biondeggianti spighe. Ecco il tipo di un buon cristiano. Egli nel suo battesimo, secondo la frase di S. Paolo (Rom. VI, 4), fu sepolto con Cristo, per poi risorgere con Cristo; ma prima deve morire di sua mistica morte colla rinunzia al mondo, al demonio, e alla carne. Né crediate esser questa una mia applicazione ingegnosa. È Gesù Cristo che precisamente lo afferma nel suo santo Vangelo colla similitudine del frumento, “nisi granum frumenti, dice egli, cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet” (Ion.XII, 24). Se come un granello di frumento in seno” alla terra l’uomo cristiano non muore, resterà sterile, e non potrà rinascere a vita migliore. Ma come una tal morte va intesa? Udite: sono in noi tutte le passioni, e tutte pel peccato d’origine, al male inclinate, la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’iracondia, l’accidia, e come tante fiere stanno chiuse nel nostro cuore, come in un serraglio. Il tenere in freno queste bestie feroci cogli aiuti della ragione e della fede, il correggerle, il mortificarle, è come dar loro la morte: ucciderle non è possibile, ma si possono e si debbono, coll’impero della volontà, assistita dalla grazia, soffocare in guisa che non arrivino ad offendere né coi denti, né cogli artigli. L’uomo infame vive, ma pure è morto alla vita civile. Del pari vive sono le nostre passioni, ma se si raffrenano i loro moti, se s’impediscono i loro sfoghi, han vita, ma perché senz’azione, si possono dir morte,come morte al mondo si appellano le religiose persone, che pei voti solenni non han più beni propri, non più libertà di stato, non più elezione di volontà. È questa la mistica morte. Ma perché più facile in noi si renda, conviene anche dar morte agli strumenti dei quali si servono le malnate nostre passioni. I sensi del corpo son le armi, son gli incentivi delle nostre passioni, e di queste non si vinceranno gli assalti, se non si spuntano quest’armi, se non si estinguono quest’incentivi. Mortificazione dunque dei sensi in tutto ciò ch’è contrario alla legge di Dio e della Chiesa: custodia d’occhi, che non trascorrano in oggetti pericolosi; freno alla lingua, che non prorompa in maldicenze, in imprecazioni, in bestemmie; freno alla gola, che osservi la temperanza e i comandati digiuni; in somma, mortificazione della carne per vivere secondo lo spirito, come inculca l’Apostolo. Ma questo spirito conviene che muoia anch’esso nell’uso delle sue facoltà, Deve morir l’intelletto coll’umile sottomissione in credere tutto ciò che Dio ha rivelato, la memoria colla dimenticanza delle ricevute offese, la volontà con la perfetta rassegnazione a quella di Dio in ogni cosa. Ecco la mistica necessaria morte, di cui parla il Redentore in quella sua grande e meravigliosa sentenza, così chiamata da S. Agostino: “Qui amat animam suam perdet eam” (Jon. XII, 23). Chi ama l’anima sua, e vuol salvarla, la faccia morire a tutte le disordinate sue voglie. Il martire S. Ignazio, discepolo di S. Giovanni Evangelista, Vescovo d’Antiochia, da Traiano condannato alle bestie nell’anfiteatro romano, mandò lettera ai fedeli di Roma, che n’attendevano l’arrivo, e: “figliuoli miei, scriveva, io son frumento di Cristo, sarò stritolalo dai denti delle fiere come dalla mola, per esser fatto pane mondo, accettevole agli occhi suoi. “Frumentum Christi sum, dentibus bestiarum molar, ut panis mundus veniar” (Hieron. De Script. Eccl.). Questa é ben altra morte; Iddio nelle circostanze presenti non l’esige da noi; ma nell’ordine dell’attuale provvidenza, non può dispensarci dalla morte de’ nostri sensi, delle nostre potenze, delle nostre passioni, come veniva dicendo. – Il frumento inoltre giunto a maturità va sotto le verghe, e a colpi sonori si sguscia, e si divide dalla sua paglia. Veniamo al senso morale. Se voi, sotto i pubblici o privati flagelli, che vengono dalla mano di Dio, o per castigo o per prova, abbassate il capo, e con pazienza e rassegnazione dite con Giobbe, “sit nomen Domini benedictum”; buon segno, voi siete grano eletto. Ma se voi sotto la sferza delle tribolazioni, delle quali abbonda questa valle di pianto, se nelle malattie, nelle disgrazie, nelle persecuzioni, come un rospo sotto il flagello, raddoppiate il veleno, prorompete in maledizioni, vomitate bestemmie, ve la prendete contro Dio, contro gli uomini, come autori dei vostri guai, mentre non ne son che gli strumenti, ohimè, voi non siete buon grano. Mirate un S. Paolo, e salutarmente confondetevi, udite questo grande Apostolo delle genti: “Io, dice egli, sono stato per ben tre volte battuto con verghe, ed una volta sepolto sotto una tempesta di pietre per amor di Gesù Cristo, e a gloria del suo santo nome: “Ter virgis cæsus sum, semel lapidatus sum pro Christi nomine” (2 ad Cor. XI, 25). – Gesù stesso, dice S. Agostino, era un grano di frumento sottoposto ai flagelli de’ perfidi Giudei, “erat granum mortificandum infidelitater judeorum” (Tract. 51 in Ioan.). A questi esempi, che dice la nostra delicatezza, che aborre ogni sorta di mortificazione, e che né pure nelle tribolazioni, che scansar non si possono, sa fare della necessità virtù? Finalmente il frumento, per purgarlo dall’inutile paglia, posto nel vaglio vien agitato, ed esposto allo spirar del vento, che via portando la paglia dispersa, lo lascia cader sull’aia purgato e mondo. Le morale applicazione su questo punto ce la somministra Gesù Cristo con quel che disse a S. Pietro ed agli Apostoli: “Ecce Satanas expetivit vos, ut cribraret sicut triticum”(Luc. XXII, 31). Ha concepito il demonio l’iniqua idea di ventilarvi come frumento nel vaglio. Così avvenne; gli Apostoli, i cristiani in ogni tempo sono stati dal demonio, e dai seguaci di lui, agitati nel vaglio delle persecuzioni, ed esposti al vento delle false dottrine; ma si son mantenuti saldi nella fede, e sani nel costume. Seguite l’esempio. Il nemico non dorme; non cedete ai suoi assalti, state fermi ai venti delle tentazioni, degli scandali e degli errori, e come grano purgato, farete certa la vostra elezione e salvezza. – Da queste due pitture della zizzania e del frumento potrete conoscere a quale più vi assomigliate. Se nella zizzania riscontrate il vostro ritratto, ohimè! il fuoco vi aspetta; se nel frumento, consolatevi, avete un gran segno della beata vostra predestinazione. 

Credo …

Offertorium

Ps CXVII:16; 117:17

Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini.

[La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta Hóstias tibi, Dómine, placatiónis offérimus: ut et delícta nostra miserátus absólvas, et nutántia corda tu dírigas.

[Ti offriamo, o Signore, ostie di propiziazione, affinché, mosso a pietà, perdoni i nostri peccati e diriga i nostri incerti cuori.]

Communio Luc IV:22

Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei.

[Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio

Quaesumus, omnípotens Deus: ut illíus salutáris capiámus efféctum, cujus per hæc mystéria pignus accépimus. Per Dominum …

[Ti preghiamo, onnipotente Iddio: affinché otteniamo l’effetto di quella salvezza, della quale, per mezzo di questi misteri, abbiamo ricevuto il pegno.]

Domenica IV dopo l’EPIFANIA

Introitus Ps XCVI:7-8 Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda.]

Ps XCVI:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]

Orémus. Deus, qui nos, in tantis perículis constitútos, pro humána scis fragilitáte non posse subsístere: da nobis salútem mentis et córporis; ut ea, quæ pro peccátis nostris pátimur, te adjuvánte vincámus.

[O Dio, che sai come noi, per l’umana fragilità, non possiamo sussistere fra tanti pericoli, concédici la salute dell’ànima e del corpo, affinché, col tuo aiuto, superiamo quanto ci tocca patire per i nostri peccati.]

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XIII: 8-10

Fratres: Némini quidquam debeátis, nisi ut ínvicem diligátis: qui enim díligit próximum, legem implévit. Nam: Non adulterábis, Non occídes, Non furáberis, Non falsum testimónium dices, Non concupísces: et si quod est áliud mandátum, in hoc verbo instaurátur: Díliges próximum tuum sicut teípsum. Diléctio próximi malum non operátur. Plenitúdo ergo legis est diléctio.

[Lettura della Lettera del B. Paolo Ap. ai Romani. Rom XIII:8-10 – Fratelli: Non abbiate con alcuno altro debito che quello dell’amore reciproco: poiché chi ama il prossimo ha adempiuta la legge. Infatti: non commettere adulterio, non ammazzare, non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare, e qualunque altro comandamento, si riassumono in questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. L’amore del prossimo non fa alcun male. Dunque l’amore è il compimento della legge.]

Graduale Ps CI:16-17 Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.] V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja. [Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia] Alleluja

Ps XCVI:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja. [Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

  1. Gloria tibi, Domine!

Matt VIII:23-27

“In illo témpore: Ascendénte Jesu in navículam, secúti sunt eum discípuli ejus: et ecce, motus magnus factus est in mari, ita ut navícula operirétur flúctibus, ipse vero dormiébat. Et accessérunt ad eum discípuli ejus, et suscitavérunt eum, dicéntes: Dómine, salva nos, perímus. Et dicit eis Jesus: Quid tímidi estis, módicæ fídei? Tunc surgens, imperávit ventis et mari, et facta est tranquíllitas magna. Porro hómines miráti sunt, dicéntes: Qualis est hic, quia venti et mare oboediunt ei?”

[In quel tempo: Gesù montò in barca, seguito dai suoi discepoli: ed ecco che una grande tempesta si levò sul mare, tanto che la barca era quasi sommersa dai flutti. Gesù intanto dormiva. Gli si accostarono i suoi discepoli e lo svegliarono, dicendogli: Signore, salvaci, siamo perduti. E Gesù rispose: Perché temete, o uomini di poca fede? Allora, alzatosi, comandò ai venti e al mare, e si fece gran bonaccia. Onde gli uomini ne furono ammirati e dicevano: Chi è costui al quale obbediscono i venti e il mare?]

OMELIA

Omelia della Domenica IV dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo VIII, 23-27)

Sonno del peccatore.

Ascende il divin Redentore, accompagnato dai suoi discepoli, su la navicella di Pietro, e si abbandona a un dolce sonno. Intanto si scatenano i venti, si turba il mare, s’alzano i flutti, e stan per sommergere il combattuto naviglio, e Gesù dorme, “ipse vero dormiebat”. Che sonno, è questo, uditori? Che mistero in ciò si nasconde? Egli è, s’io ben mi avviso, un’immagine dell’uomo giusto, che in mezzo alle agitazioni di questo mar tempestoso, qual è il mondo, riposa in pace. Tutto l’opposto dell’uomo peccatore, che dorme in seno al peccato, ma nel peccato non trova riposo. Il suo sonno è piuttosto un letargo, che annunzia la vicina sua morte. Gesù fu svegliato dalla preghiera degli spaventati discepoli, e tosto fe’ sentire il suo comando e il suo potere al mare e ai venti: cessarono questi, e l’agitato mare si cangiò sull’istante in perfettissima calma. Se le preghiere fossero valevoli a destare il peccatore addormentato nella sua colpa, vorrei gettarmi a’ suoi piedi e dirgli; fratel mio, “miserere animæ tuæ”, abbiate pietà dell’anima vostra: non aspettate a svegliarvi sulle porte dell’eternità. Aprite gli occhi sul vostro pericolo;Surge qui dormis, et exsurge a mortuis(Ad Ephes. V,4): sorgete da questo sonno mortifero, foriero d’eterna morte. Le preghiere non bastano? Volete che per agevolare il vostro risorgimento ve ne adduca i più efficaci motivi? Lo farò senza più. Vi mostrerò da prima quanto Iddio ha fatto per risvegliarvi dal sonno di morte, e poscia quanto dovete far voi per corrispondere alle amorose premure ch’Egli ha di salvarvi. –

I. Per rendere più sensibile e fruttuosa la presente spiegazione, dal sonno del divino Maestro passiamo al sonno d’un suo discepolo: avremo in ciò una luminosa scorta, onde conoscere i tratti della divina bontà, e l’obbligo della nostra corrispondenza. Là nel fondo di oscura prigione in Gerosolima, condannato a morte da Erode Agrippa, giaceva l’apostolo Pietro, e in mezzo ai custodi e alle catene tranquillamente dormiva. Quand’ecco un Angelo da Dio spedito sgombra con improvvisa luce le tenebre della carcere, e data una scossa al fianco di Pietro lo sveglia, e “sorgi” gli dice, “surge”! Mirate se non è questa una viva figura e dello stato dell’uomo peccatore, e della condotta di Dio pietoso per ricondurlo a ravvedimento e a salvezza. Peccatore fratello, io parlo con voi, io parlo di voi. Il grave peccato v’à oscurato l’intelletto, voi siete in tenebre ed ombre di morte, la sentenza di vostra eterna condanna è scritta in cielo, i demòni vi stanno a fianco, e voi stretto da tante catene, quante sono le vostre colpe, in mezzo a tanti pericoli profondamente dormite. Che ha fatto Iddio per sottrarvi da tanto rischio, per svegliarvi dal fatale letargo? Ha fatto le tante volte balenare alla vostra mente una luce superna, che vi faceva vedere la bruttezza del vizio, la bellezza della virtù, la vanità del mondo, l’importanza della salute, la miseria del vostro stato, la brevità della vita, l’orrore della morte, l’eternità delle pene. La fede dell’eterne verità si è fatta sentire vostro malgrado. Ai lampi di tanta luce più che sufficiente a farvi aprir gli occhi ha aggiunto Iddio sempre pietoso colpi e percosse: colpi d’ostinata siccità, di storilezza di campagne, di spaventosi tremoti questi pubblici flagelli ha fatto succedere particolari percosse: quella lite, peste della vostra pace, rovina della vostra famiglia, quella perdita sul mare, quella sventura nel traffico, quella lunga malattia, la morte in fine di quel vostro congiunto, tanto per voi necessario. Colpi son questi della mano di Dio diretti a scuotervi dal sonno mortifero. Pure seguitaste a dormire, come Giona al fragor de’ tuoni e della tempesta; e il misericordioso Signore per risanarvi non cessò di ferirvi. Vi ferì nel più vivo del cuore con acerbi rimorsi, con pungenti stimoli, con nere malinconie, che v’han fatto conoscere e toccar con mano che il peccato è una spina che vi trafigge, un tossico che vi avvelena, un cancro che vi rode le viscere. Fra tante punture mal soffrendo voi stesso vi siete alquanto commosso, ma, come uomo sonnacchioso, rivolto sull’altro fianco, avete prolungato la rea vostra sonnolenza. E il vostro buon Dio, mai stanco d’adoperarsi intorno a voi, vi ha fatto sentir la sua voce, voce interna di vive ispirazioni, di forti chiamate, d’amorevoli inviti, voce esterna de’ suoi ministri sul pergamo, de’ suoi sacerdoti nel sacro tribunale, voce di quell’amico fedele, di quel congiunto zelante del vostro bene, voce di quel libro devoto, che a caso vi capitò alle mani, voce partita da quel cadavere, che vi venne sott’occhio. In queste occasioni la misericordia di Dio vi ripeteva le parole dell’Angelo a Pietro dormiente , “surge!”, “sorgi”, o figlio, dal tuo sonno dannevole, sorgi dalle tue tenebre, sorgi dalle tue catene, sorgi dal miserando tuo stato, “surge”! A queste voci amorevoli avete chiuse le orecchie, e serrato il cuore. Or via, non si parli più del passato. Si tiri un velo su i vostri rifiuti. Vediamo ora quel che far dovete per corrispondere alle divine chiamate, e ritorniamo a S. Pietro.

II. Tre comandi gli fece l’Angelo liberatore, di sorgere immantinente “surge velociter, di adattarsi la veste “circumda tibi vestimentum tuum”, e di seguirlo, “et sequere me(Act. XIX, 7,8) . La stessa voce fa sentire a voi in questo giorno quel Dio, che vi vuol salvo. Sorgete, e presto senza indugio sorgete dalla cattività del peccalo, “surge velociter”. Il ritardo può essere per voi fatale. Non dite: “risorgerò”, l’avete detto tante altre volte che lascerete il peccato, che verrà la quaresima, che in quel tempo più opportuno vi convertirete davvero. Venne la quaresima, e differiste la vostra conversione alla Pasqua, dalla Pasqua alla Pentecoste e dalla Pentecoste all’altra quaresima. Rimettere ad altro tempo un affare dì tanta conseguenza è manifesto indizio di poco buona volontà. So che per questa dilazione non mancano pretesti. Io sono, voi dite, assediato da tanti affari, che mi tolgono la necessaria quiete dell’animo e il tempo materiale per pensare a me stesso,- campagne da coltivare, frutti da raccogliere, negozi da spedire, liti da sostenere, conti da aggiustare, viaggi da intraprendere. Finiti questi disturbi, cessati quest’impedimenti… Non più per carità. Che affari, che travagli, che conti! L’affare più importante è quello dell’eterna salute, la lite più seria è quella da vincersi col demonio al divin tribunale, il viaggio più premuroso è quello che conduce all’eternità. Adesso è il tempo accettevole, adesso è l’ora propizia per sorgere ornai dal pigro sonno fatale, “Hora est iam de somno surgere(Ad Rom. XIII, 11); se voi differite, la dilazione sarà la vostra rovina. Una conversione futura quanto più vi lusinga, tanto é più ingannevole. Il tempo sta in man di Dio. Verrà tempo che non avrete più tempo, e vi pentirete senza rimedio di non aver profittato del tempo. Avverrà a voi, che Dio vi guardi, come ai generi di Lot: “surgite”, disse loro il giusto Lot con somma premura, “surgite”, uscite presto da Sodoma, è imminente il suo sterminio, sta per piovere su di essa il fuoco dal cielo; ma quegli scioperati, non curando l’avviso, restarono avvolti nell’incendio dell’infame città. La seconda cosa, che l’Angelo impose a S. Pietro, fu che prese le proprie vesti se le cingesse attorno, “Circunda tibi vestimentum tuum”. Voi al sacro fonte col carattere battesimale avete vestiti gli abiti delle teologali virtù: fede, speranza e carità. Di questi abiti per il peccato mortale vi siete in certo modo spogliati. Povera fede! Le ree vostre passioni han fatto illanguidire; anzi dopo la lettura di quell’empio libro, dopo il discorso di quel miscredente è morta in voi la fede, e come una veste logora l’avete abbandonata. Ah! per pietà ripigliatela, “circumda tibi vestimentum tuum”. Esiste un Dio, esiste l’idea d’un Dio a dispetto di tutti gli sforzi dell’empietà, a dispetto di tutte le violenze, che far si possono all’intelletto. L’idea d’un Dio esistente si può cacciar dal cuore per un atto di ribelle volontà, ma non dalla mente per ragionevole convincimento. Esiste un Dio premiatore dei buoni, punitore de’ malvagi. Dopo pochi giorni di vita, la morte manderà il corpo al sepolcro, l’anima all’eternità. Qual sarà la sua sorte? La vita presente deciderà della futura. Vita da peccatore: eternità di rancore. Ecco quel che insegna la fede: ripigliatene l’abito con ben ponderarne le infallibili verità, con applicarle all’attuale vostro bisogno, “circumda tibi vestimentum tuum.” Rivestitevi in seguito dell’abito della speranza. In chi avete fino ad ora fondate le vostre speranze? Nel mondo? Ma il mondo è un traditore, ed una trista speranza ve l’ha fatto chiamar più volte con questo nome. Il mondo è una scena volubile, che oggi vi alletta, domani vi contrista. La sua incostanza non può render sicura la vostra fiducia, “præterit figura huius mundi” (I. Ad Cor. VII, 31 ). Sperereste negli uomini? Ma questi sono o mentitori per malizia, o fallaci per impotenza, “Mendaces filii hominum(Ps. LXI, 10). Non vi appoggiate dunque ad una canna sdrucita, e ad un muro pendente. Ponete tutta la vostra fiducia in Dio: Egli è l’amico vero; niuno ch’abbia sperato in Lui è mai rimasto confuso. La carità finalmente è quella veste nuziale, che assumer dovete. Di questa vi rivestirà il Padre celeste, se a Lui fareste ritorno sull’orme del figliuol prodigo. Imitate l’umiltà di questo figlio ravveduto, il suo pentimento, il suo dolore. Ai piedi del ministro di Dio deponete l’uomo vecchio con tutti i suoi vizi, spogliatevene affatto colla manifestazione sincera delle vostre colpe, colla contrizione più viva del vostro cuore: vestitevi dell’uomo nuovo con intraprendere una vita nuova, una vita cristiana, che vi dia fonduta speranza d’eterna vita. Forniti così delle vesti della fede, della speranza e della carità, resta il tener diètro all’Angelo, che, come S. Pietro, v’invita a seguitarlo, sequere me”. Fatevi scelta d’un dotto, pio e prudente confessore. Egli, dice S. Francesco di Sales, è l’Angelo visibile delle nostre anime: egli si farà scorta a’ vostri passi, vi allontanerà dai pericoli, vi guiderà per la strada della salute. E quand’anche al vostro cammino si frapponessero porte di ferro, come a S. Pietro, s’apriranno agevolmente innanzi a voi: vincerete, volli dire, coi suoi consigli ogni difficoltà, supererete ogni ostacolo, finché arrivati in luogo d’eterna sicurezza, possiate dire ancor voi, come l’Apostolo Pietro: “ora conosco in verità che il Signore ha mandato il suo Angelo a liberarmi”: quegli diceva dalle mani d’Erode, io da quelle del demonio. Io dormivo, e il mio sonno profondo era sonno di morte; mi sono svegliato, perché mi ha steso la destra il pietoso Signore: “Ego dormivi, et soporatus sum, et exurrexi quia Dominus suscepit me(Ps. V, 6). – Ho finito, ma se potessi supporre che fra voi molti ancor dormono, “et dormiunt multi( I ad Cor. XI, 50), udite, vorrei dir loro, quel che mi suggerisce il mio ministero, e l’amor che vi porto. Voi volete persistere nel sonno del vostro peccato? Morrete nel vostro peccato, e vi sveglierete sulle porte dell’inferno. Dormiva Sisara assicurato dal cortese accoglimento di Giaele, e in mezzo al sonno trafitto dall’una all’altra tempia da lungo e grosso chiodo, dal luogo del suo riposo cadde nel luogo di tutti i tormenti. Dormiva Oloferne ben lontano dal temere la morte, e in mezzo al sonno, tronco il capo dalla prode Giuditta, dal suo letto piombò nell’abisso. Dormivano le vergini stolte, “dormitaverunt omnes, et dormierunt(Matt. XXV, 5), e perché sprovviste dell’olio della carità e dell’opere buone, furono escluse per sempre dalle nozze dello sposo celeste. Ah! Mio Dio non permettete mai che avvenga ad alcun di noi somigliante sventura.

 Credo in unum Deum…

Offertorium

Ps CXVII:16; CXVII:17

Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini. [La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta Concéde, quaesumus, omnípotens Deus: ut hujus sacrifícii munus oblátum fragilitátem nostram ab omni malo purget semper et múniat. [O Dio onnipotente, concedici, Te ne preghiamo, che questa offerta a Te presentata, difenda e purifichi sempre da ogni male la nostra fragilità.]

Communio Luc IV:22 Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei. [Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio Orémus. Múnera tua nos, Deus, a delectatiónibus terrenis expédiant: et coeléstibus semper instáurent aliméntis. [I tuoi doni, o Dio, ci distolgano dai diletti terreni e ci ristorino sempre coi celesti alimenti.]

Messa della Domenica III dopo Epifania

Introitus Ps XCVI:7-8

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]. Ps XCVI:1

Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti].

Orémus. Omnípotens sempitérne Deus, infirmitatem nostram propítius réspice: atque, ad protegéndum nos, déxteram tuæ majestátis exténde. [Onnipotente e sempiterno Iddio, volgi pietoso lo sguardo alla nostra debolezza, e a nostra protezione stendi il braccio della tua potenza] – Per Dominum nostrum Jesum Christum …

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XII:16-21

Fratres: Nolíte esse prudéntes apud vosmetípsos: nulli malum pro malo reddéntes: providéntes bona non tantum coram Deo, sed étiam coram ómnibus homínibus. Si fíeri potest, quod ex vobis est, cum ómnibus homínibus pacem habéntes: Non vosmetípsos defendéntes, caríssimi, sed date locum iræ. Scriptum est enim: Mihi vindícta: ego retríbuam, dicit Dóminus. Sed si esuríerit inimícus tuus, ciba illum: si sitit, potum da illi: hoc enim fáciens, carbónes ignis cóngeres super caput ejus. Noli vinci a malo, sed vince in bono malum. [Fratelli: Non vogliate essere sapienti ai vostri occhi: non rendete male per male: abbiate cura di fare bene non solo agli occhi di Dio, ma anche davanti agli uomini. Se è possibile, per quanto sta da voi, siate in pace con tutti: non difendete voi stessi, carissimi, ma date luogo all’ira. Sta scritto infatti: Mia è la vendetta: io farò ragione, dice il Signore. Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli da bere: poiché, così facendo, radunerai carboni ardenti sopra la sua testa. Non voler esser vinto dal male, ma vinci il male col bene.]

Deo gratias.

Graduale Ps CI:16-17 Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria]. V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja. [Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia].

Ps XCVI:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja. [Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Alleluja.].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

Gloria tibi, Domine!

Matt VIII:1-13

In illo témpore: Cum descendísset Jesus de monte, secútæ sunt eum turbæ multæ: et ecce, leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis, potes me mundáre. Et exténdens Jesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra ejus. Et ait illi Jesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod præcépit Móyses, in testimónium illis. Cum autem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum et dicens: Dómine, puer meus jacet in domo paralýticus, et male torquetur. Et ait illi Jesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites, et dico huic: Vade, et vadit; et alii: Veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Audiens autem Jesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen, dico vobis, non inveni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham et Isaac et Jacob in regno coelórum: fílii autem regni ejiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Et dixit Jesus centurióni: Vade et, sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora. [In quel tempo: Essendo Gesù disceso dal monte, lo seguirono molte turbe: ed ecco un lebbroso che, accostatosi, lo adorava, dicendo: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. Gesù, stesa la mano, lo toccò, dicendo: Lo voglio. Sii Mondato. E tosto la sua lebbra fu guarita. E Gesù gli disse: Guarda di non dirlo ad alcuno: ma va, mòstrati ai sacerdoti, e offri quanto prescritto da Mosè, onde serva a loro di testimonianza. Entrato poi in Cafàrnao, andò a trovarlo un centurione, raccomandandosi e dicendo: Signore, il mio servo giace in casa, paralitico, ed è malamente tormentato. E Gesù gli rispose: Verrò, e lo guarirò. E il centurione disse: Signore, non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ solo una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, sebbene soggetto ad altri, ho sotto di me dei soldati, e dico a uno: Va, ed egli va; e all’altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fai questo, ed egli lo fa. Gesù, udite queste parole, ne restò ammirato, e a coloro che lo seguivano, disse: Non ho trovato fede così grande in Israele. Vi dico perciò che molti verranno da Oriente e da Occidente e siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori: ove sarà pianto e stridore di denti. Allora Gesù disse al centurione: Va, e ti sia fatto come hai creduto. E in quel momento il servo fu guarito.]

Laus tibi, Christe!

Omelia della Domenica III dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo VIII, 1-13)

Volontà di salvarsi

Un povero lebbroso andava in cerca di Gesù Nazzareno, spinto dal desiderio di ricuperare la perduta sanità. Quando opportunamente lo vede discendere dal declive d’un monte, seguitato da numerosa turba, e fattosi a Lui incontro, proteso a terra profondamente L’adora. Indi alzato il capo, le mani e la voce, “Signore, Gli dice, se Voi volete, io son guarito, il potere non manca: basta un atto di vostra volontà; “Domine, si vis, potus me mundare”. In vista di tanta umiliazione, di tanta fede, stende la mano il pietoso Signore, e “tu, gli risponde, mi chiedi se voglio mondarti, e ciò è appunto che voglio. Orsù resta mondo”, “volo mundare”. E così avvenne sull’istante. “Vattene, soggiunse poi, presentati al sacerdote, ed offerisci al Tempio quel che da Dio vien prescritto nella legge di Mose”. Fin qui un tratto dell’odierno Vangelo, in cui due cose naturalmente si presentano alla nostra riflessione; cioè la volontà del lebbroso in cercar la sua guarigione, e in procurarsela co’ modi più moventi ed efficaci, e la volontà dei divin Redentore, manifestata con quell’imperioso “volo”, e compiuta coll’istantaneo prodigioso risanamento di quell’infelice. Da ciò dobbiamo apprendere, uditori miei, che per conseguire la nostra eterna salvezza, sono necessarie due volontà: quella di Dio, e la nostra. Quella di Dio è sempre pronta, la nostra sovente manca. Sono questi i due riflessi, che meritano tutta la nostra applicazione. La volontà di Dio è sempre disposta e pronta a salvarci. Dio vuole che tutti si salvino, “vult omnes homines salvos fieri” (ad Tim. II, 4). Di questa sua volontà ci ha Egli dato prove? Infinite! Noi eravamo per l’originale peccato figli d’ira, vasi di riprovazione, e secondo la frase di S. Agostino, una “massa dannata”. Dio Padre, mosso a pietà di noi, diede il proprio Figlio riparatore dei nostri mali, e vittima de’ nostri falli; ed Egli discese dal cielo per liberarci dalle catene del peccato, e dalla schiavitù del demonio. “Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de coelis” (Symb. Nic.). Osservate pertanto quel Dio fatto uomo nella capanna di Bettelemme, quelle lacrime che sparge sono sparse per lavarci dalla lebbra immonda delle nostre colpe; quel sangue che versa fin da’ primi giorni nella sua circoncisione, è il balsamo per le nostre ferite. – OsservateLo in Gerusalemme nella Galilea, nella Palestina, ove ammaestra i discepoli, istruisce i popoli, catechizza le turbe, e ovunque sparge colla sua predicazione i semi dell’Evangelica sua dottrina, e cogli stupendi prodigi i lampi della divinità, che in Lui si asconde. E tutto ciò a fine di farsi conoscere per nostro liberatore, maestro e guida; onde seguendo le sue pedate, arriviamo per istrada sicura all’esenta salute. OsservateLo finalmente nell’orto dei suoi languori sudante sangue, nel pretorio da ogni parte grondante sangue, sul Calvario dalle piaghe e dal cuor trafitto versante sangue fino all’ultima stilla, e poi dite, di questo suo sangue Gesù Cristo ha formato un bagno salutare per lavarci dalla macchia dell’originale peccato; ed a riparo dell’innocenza perduta ha aperto un altro bagno dello stesso suo sangue nel Sacramento della penitenza, Battesimo secondo, seconda tavola dopo il naufragio. Che vi pare di queste prove? doveva forse far di più per dimostrarci la volontà che ha della nostra salvezza? – Poco forse vi muovono le indicate prove, perché universali, estese a tutto il genere umano? Seguite ad ascoltarmi. Siete voi nel numero degl’innocenti, o de’ penitenti, o de’ peccatori? Se siete innocente, ditemi: “chi vi conservò illibata la candida stola della battesimale innocenza?” Chi vi ha liberato da’ tanti pericoli del mondo e della carne? È Dio, che vi fe’ sortire un’anima buona, un’indole inclinata al bene, un’ottima educazione cristiana; è desso che colle sante ispirazioni, coi lumi della sua fede, cogli aiuti della sua grazia regolò i vostri passi, i vostri affetti, le vostre azioni. Desso è che vi ha tenuto lontano da tante occasioni nelle quali avrebbe fatto naufragio la vostra innocenza. Desso è finalmente che, in mezzo ai lacci e agli scandali d’un secolo così pervertito, vi ha difeso come un giglio fra le spine, come Lot fra le abominazioni di Sodoma: dunque Dio vi vuol salvo! Siete penitente? Or bene chi fu il primo a richiamarvi dalla via di perdizione? chi v’ispirò di tornare a’ suoi piedi? chi vi die’ forza a risolvervi? Chi vi die’ grazia di vomitare il veleno de’ vostri peccati a pie’ del confessore? Chi medicò le vostre ferite? Gesù, Samaritano pietoso, col vino della sua sapienza, coll’olio della sua misericordia! Ei vi accolse al suo seno come un altro fìgliuol prodigo, vi diede un bacio di pace, e vi rivestì della stola prima, cioè della grazia santificante. Dunque Dio vi vuol salvo! Se poi siete peccatore non ancor ravveduto, ditemi da chi vengono quelle interne voci che vi chiamano a penitenza? Da chi sono eccitati i rimorsi, che v ‘inquietano nelle vegliate notti, che vi amareggiano ne’ tediosi giorni, che vi avvelenano gli stessi vostri piaceri, che vi fan toccar con mano che il peccato non può farvi contento? Dalla divina misericordia partono questi colpi, la quale vi vola d’intorno, come provò S. Agostino, e vi assedia, e amaramente vi affligge con tetre apprensioni, con nere malinconie massime in quel tempo che una sventura vi attrista, che una febbre vi crucia, un dolor vi tormenta, una grave infermità vi minaccia di morte vicina. Son questi finissimi tratti della bontà di un Dio, che non vi perde di vista, che tutta adopera i mezzi per farvi uscire dal vostro misero stato e vi molesta per consolarvi, e vi ferisce per risanarvi, perché in fine sazio e mal contento del mondo, del peccato e di voi stesso, cerchiate in Lui la pace che non avete, la felicità che aver non potete, se non in Lui. Dunque Dio vi vuol salvo! A finirla, siete una pecorella innocente? È Gesù buon pastore, che vi custodì nel suo gregge. Siete pecorella ritornata da’ vostri traviamenti? È Gesù buon pastore che sugli omeri suoi vi riportò all’ovile. Siete pecora ancora errante? È Gesù buon pastore, che vi tien dietro, e vi chiama a sé, perché non andiate in bocca al lupo infernale. Dunque, ripetiamolo ancor una volta: Dio vi vuol salvo!

II. “S’è così, ripigliate voi, noi abbiamo in pugno la nostra salvezza. Dio ci vuol salvi, noi vogliamo salvarci, e chi è quello stolto che non voglia salvarsi? dunque la nostra salvezza sarà sicura”. Sicura sarà se avrete una volontà decisa, efficace, operante. Una volontà astratta, superificiale, oziosa non vi salverà. Siccome vi sono delle monete legittime, e delle false, così v’è una volontà vera, ed una fallace. Come faremo a distinguerle facilmente. L’oro si conosce alla prova del fuoco, la volontà si distingue alla prova del fatto. Perché Iddio ha una vera volontà di salvarci, abbiamo veduto poc’anzi quanto abbia fatto, e quanto fa continuamente per noi. Veniamo dunque all’opere, se ci preme la nostra salute. Voi pertanto, anime innocenti, allontanatevi da’ pericoli del tristo mondo, adempite i doveri del vostro stato, frequentate le Chiese e i Sacramenti, regolatevi colle massime della fede, fortificatevi colle incessanti preghiere, perseverate nel bene e vi salverete! Voi penitenti cristiani, piangete i vostri trascorsi, ed il vostro pianto vi accompagni fino all’ultimo de’ vostri respiri, fuggite le occasioni pericolose, soddisfate la divina giustizia colle opere di penitenza, mortificate i vostri sensi, raffrenate le vostre passioni, la mutazione del vostro cuore si manifesti col cambiamento de’ vostri costumi, perseverate nell’intrapresa via di penitenza, e vi salverete. Voi peccatori, fratelli miei cari, ancor macchiati da colpa, ancor coperti di lebbra, imitate il lebbroso del presente Vangelo, gettatevi a’ piedi di Gesù, portatevi a’ pie del sacerdote, tuffatevi nel bagno formato dal sangue dell’immacolato Agnello di Dio nella sacramental confessione, e sarete guariti, e Dio vi salverà. Non vi sentite acconci di farlo? dunque non volete salvarvi! Costantino imperatore, carico di schifosa lebbra, consultò per liberarsene i più valenti medici del suo impero, ed essi gli consigliarono un bagno di sangue di fanciulli lattanti, in cui dovesse immèrgersi, e ricuperare la pristina salute. Questo crudel consiglio, questo crudelissimo bagno, non ebbe effetto; poiché gli apparì S. Pietro, gli propose un bagno migliore nel santo Battesimo, ove acquistò la salute dell’anima e del corpo. Fingete però che si fosse eseguito, immaginatelo presente. Che orrore! Chi può soffrir la vista di quel sangue innocente, caldo, fumante? “Spogliati barbaro imperatore”. Che mi spogli? l’aria fredda, la stagione cruda, non mi sento per ora, più tosto … ah disumano, ah mostro di crudeltà! dunque per così poco tu rendi inutile il dolor di tante madri, il sangue di tanti bambini? Deh cessiamo dalle invettive in un supposto accidente, rivolgiamole contro di noi in un fatto vero. Gesù Cristo ha dato tutto il suo sangue, ne ha formato un mistico bagno nel Sacramento di penitenza per darci vita e salute, e noi per non spogliarci di un abito cattivo, per risparmiare un incomodo, rifiutiamo un tanto e così necessario rimedio? Dunque non vogliamo salvarci! – Se il Signore ci comandasse aspre, difficili cose pure per la salute eterna converrebbe eseguirle. Quanto si soffre per la salute del corpo? Rigorose diete, amare bevande, tagli di membra, dolori di spasimo; e per l’anima si ricusa un rimedio così consolante, qual è chiedere a Dio perdono col cuor contrito, e scoprire le proprie piaghe a chi tiene il suo luogo? “Se il Profeta Eliseo (dissero i cortigiani al loro principe Naaman Siro), se Eliseo per guarirvi dalla lebbra v’avesse ordinato una cura lunga, ardua, penosa, dovreste intraprenderla; ma una cosa sì agevole,qual è il lavarsi nel fiume Giordano, perché non praticarla?” Si arrese il principe al saggio consiglio, e doppiamente fu risanato, nel corpo cioè e nello spirito. Un esito egualmente felice dobbiamo sperare dal Sacramento della penitenza. Più dell’acque del Giordano è salubre il sangue dei Redentore. – Lavati così nei fonti del Salvatore, ecco quel che far ci resta, fedeli amatissimi, apprendetelo dalla bocca di Gesù Cristo. Un certo giovane Gli domandò che far doveva per conseguire la vita eterna, “si vis, gli rispose, ad vitam ingredi, serva mandata” (Matth. XIX, 17). Ponderate bene queste divine parole : “si vis”, se tu vuoi entrare nell’eterna vita, osserva i comandamenti; se tu vuoi, e veramente vuoi, tu mi darai prove del tuo volere coll’osservanza de’ divini precetti. – Altrettanto ripete a ciascun di noi. Volete salvarvi? ecco la necessaria condizione, osservate la legge di Dio! Ma se invece bestemmiate il suo santo Nome, se non santificate le feste, se per santificarle vi contentate d’una Messa sentita in piedi, cogli occhi in giro, colla mente altrove, se usurpate la roba d’altri, se non restituite, se odiate il prossimo, se gli togliete la fama, se non lasciate il giuoco, il ridotto, la scandalosa amicizia, non state a dire che volete salvarvi, perché direte bugia, perché smentite col fatto quel che pronunziate colla lingua. La strada non passa. Quel Dio, dice S, Agostino, che ha creato voi senza di voi, non vuol salvare voi senza di voi. “Qui creavit te sine te, non salvabit te sine te”. Iddio per crearvi non ha avuto bisogno di voi, vi ha tratto dal nulla, con un sol atto di sua volontà; ma per salvarvi, e assolutaménte vuole, che alla sua volontà sia unita la vostra, con eseguire in tutto la sua santissima volontà. Non vi sentite, non volete farlo? Dunque non volete salvarvi, non vi salverete! – Concludiamo, e mi sia permesso servirmi d’un detto tratto dalla storia non sacra. Ne’ passati secoli, e nella nostra Europa eravi forte guerra tra due possenti monarchi; e com’è costume di tutti i tempi, tra i novellisti e geniali si teneva diverso partito, e la futura vittoria chi la voleva per l’uno, chi per l’altro sovrano. Interrogato su di ciò un principe neutrale, qual di quei due credeva sarebbe il vincitore, rispose: “vincerà quegli a cui presterò la mia spada”. Cristiani amatissimi, tra Dio e il demonio, a nostro modo d’intendere, passa una forte guerra contro dell’anima nostra. Iddio la vuole per sé, e come abbiam veduto, ne ha dato i più evidenti contrassegni, il demonio la vuol sua, e fa tutti i suoi sforzi. Chi la vincerà? senza alcun dubbio colui la vincerà, al quale presteremo la nostra spada, a cui uniremo la nostra volontà. – Se unita la volontà nostra è con quella del demonio, volendo persistere nel peccato, noi siam perduti. Sarà unita a quella di Dio colla fedele osservanza della sua santa legge? Noi sarem salvi!

Credo ….

Offertorium

Orémus Ps CXVII:16; CXVII:17 Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini. [La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet. [Quest’ostia, o Signore, Te ne preghiamo, ci mondi dai nostri delitti e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

Communio Luc IV:22

Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei. [Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio

Orémus. Quos tantis, Dómine, largíris uti mystériis: quaesumus; ut efféctibus nos eórum veráciter aptáre dignéris. [O Signore, che ci concedi di partecipare a tanto mistero, dégnati, Te ne preghiamo, di renderci atti a riceverne realmente gli effetti.]

Il Papato come mezzo di salvezza.

Riportiamo l’omelia che fr.UK ha tenuto alla Messa del giorno di Natale 2016 al meeting cattolico tenutosi negli Stati Uniti. Un’omelia essenziale, che va diritta al cuore dell’argomento centrale della nostra vita: “la salvezza eterna” senza compromessi e senza rispetti umani., seguendo solo la parola di Dio e del suo Vicario in terra.

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Omelia della Messa del giorno di Natale 2016

Il Papato come mezzo di salvezza.

“Ed Ella partorirà un Figlio e tu Lo chiamerai Gesù: Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Ora tutto questo avvenne perché si adempisse quel che il Signore aveva predetto per mezzo del profeta dicendo:..”Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che, sarà chiamato Emmanuele, che significa “Dio con noi” “(Matteo I: 21-23). – Prendiamo in considerazione in questo giorno del santo Natale la verità sui legami tra l’incarnazione di Nostro Signore, il Papato e la nostra salvezza. – Per dirla brevemente, il Papato è un meraviglioso frutto benedetto dell’Incarnazione ed è il mezzo più importante di salvezza. Perché? Saremmo in grado di avanzare molte ipotesi, ma parlando ancora una volta brevemente – vediamo che questa è la volontà di Dio, e questo è il piano di Dio! Noi abbiamo diverse parole del Dio incarnato, e dovremmo prestare particolare attenzione a queste parole: “Voi siete miei amici, se fate le cose che vi comando” (San Giovanni XV,14). – Il contrario della parola “amico” è la parola “nemico”. Quelle persone che fanno le cose che Dio comanda, sono amici di Dio. Ma, al contrario, quelle persone che non fanno le cose che Dio comanda, sono i nemici di Dio. – Uno dei comandamenti di Dio è il seguente: “E Gesù, rispondendo, disse a Pietro: “Beato te, Simone Pietro Bar-Jona, perché non la carne e il sangue te lo hanno rivelato a te, ma il Padre mio che è nei cieli ed Io dico a te: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa ed Io ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli” (Matteo XVI: 17-19). – Anche nel Vangelo di Giovanni leggiamo le parole che Gesù Cristo ha rivolto a S. Pietro: “Pasci i miei agnelli … Pasci i miei agnelli … Pasci le mie pecore” (S. Giovanni XXI: 15-17). “Qui il Signore compie le sue promesse (Matteo XVI: 17-19) circa la carica di San Pietro nella Soprintendenza di tutte le sue pecore, senza eccezioni, e di conseguenza di tutto il suo gregge, cioè, della propria Chiesa” (Commento nella Sacra Bibbia, DOUAY-RHEIMS VERSION). – La Chiesa di Cristo che Egli ha costruito su di San Pietro, è il corpo di Cristo.- Essendo corpo di Cristo, la Chiesa non può contraddire il capo, cioè Cristo stesso. Ogni parola ed ogni dottrina della Chiesa, corpo di Cristo, è in piena armonia con ogni parola ed ogni dottrina di Gesù Cristo. – Ecco una dottrina molto importante della Chiesa di Cristo: Il glorioso Concilio Vaticano nel 1870 ha infallibilmente dichiarato che San Pietro avrà successori perpetui. Nel lavoro nobile, che i Padri dei primi secoli del Cristianesimo avevano profuso negli scritti per difendere le dottrine della Chiesa contro i loro assalitori, avevano unanimemente stabilito questo chiaro principio: “che tale dottrina è veramente cattolica se si è creduta in tutti i luoghi, in tutti i tempi, e da tutti i fedeli “. – Il sacerdote Redentorista p. Michael Mueller nel 1880 d.C, ha dichiarato: “Con questo test di universalità, la Chiesa nell’antichità, nel cercare il consenso, specialmente nei suoi Concili generali, in tutte le questioni riguardanti la fede e la morale, condannava e respingeva tutte le variazioni dalla fede, e quindi trionfava sempre sull’eresia e sull’infedeltà “. – Papa S. Stefano I (257 d.C.), dice in una lettera alla Chiesa d’Africa: “Nessuno introduca innovazioni, ma lasciate che si osservi tutto quanto viene tramandato dalla tradizione”. E qui va detto che la Tradizione, citata da Papa S. Stefano I, viene tramandata a noi da Dio stesso. Questo significa, che dobbiamo obbedire a questa tradizione. Se qualcuno non obbedisce a questa tradizione, non obbedisce a Dio stesso! – Così, allo stesso modo dobbiamo seguire ogni dottrina che venga della successione perpetua di San Pietro, perché Egli è il Vicario di Cristo, ed obbedirGli è parte essenziale della nostra salvezza. – Quindi, non c’è salvezza al di fuori del Papato, non vi è alcuna Chiesa al di fuori del Papato, e non c’è salvezza al di fuori della Chiesa. “La Chiesa si trova dove è il Papa.” – Perché nel nostro tempo il demonio induce molto facilmente le persone a commettere peccati mortali? Perché le persone rifiutano la successione perpetua di San Pietro, che è il Vicario di Cristo, il Vicario del Figlio di Dio, il Vicario del Dio incarnato! – “Ed ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù egli salverà il suo popolo dai suoi peccati.” (Matteo 1,21). “Voi siete miei amici, se fate le cose che vi comando” (San Giovanni XV,14). – Quindi, continuiamo a praticare la nostra vera fede nell’ Incarnazione di Dio nel vero perpetuo successore di San Pietro, il Vicario di Cristo. E questa vera fede continuerà ad aiutarci ad essere gli amici di Gesù,onde essere il suo popolo, per essere salvati dai nostri peccati.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, Amen.

Fr. UK