I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “L’ORGOGLIO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

L’orgoglio.

Non sum sicut cæteri hominum.

(Luc. XVIII, 11).

È questo, F. M., il linguaggio ordinario della falsa virtù, e quello dell’uomo orgoglioso che, soddisfatto di se stesso, è sempre pronto a criticare e censurare la condotta degli altri. È questo altresì il linguaggio dei ricchi che considerano i poveri come se fossero di natura differente dalla loro, e li trattano secondo questo modo di pensare. Anzi, aggiungo, F. M., questo è il linguaggio di quasi tutti gli uomini. Ve ne sono pochissimi, anche nelle più misere condizioni, che non siano vittime di questo maledetto peccato, che non abbiano buona stima di sé, mettendosi completamente al disopra dei propri simili, e che non spingano questo detestabile orgoglio fino a credere ch’essi valgono più di tanti altri. Ed io ne concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali presenti e futuri, e che noi portiamo sì innanzi il nostro accecamento che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione. Gli uni si gloriano perché credono d’avere più spirito; gli altri per un palmo di terra o per un po’ di danaro; mentre dovrebbero tremare per il terribile conto che Dio ne domanderà loro un giorno. Ah! F. M., quanti avrebbero bisogno di fare quella preghiera che rivolgeva a Dio S. Agostino: “Dio mio, fatemi conoscere quello che sono; e non ho bisogno di altro per coprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso, „ (Noverim me, ut oderim me). – Vi mostrerò dunque:

1° quanto l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;

2° in quanti modi ce ne rendiamo colpevoli;

e 3° ciò che dobbiamo fare per correggercene.

I. — Sì, F . M., per darvi un’idea di questo maledetto peccato, bisognerebbe che Dio mi permettesse di strappare Lucifero dal fondo degli abissi, e di trascinarlo qui al mio posto, e che egli stesso vi dipingesse gli orrori di questo delitto, mostrandovi i beni che questo peccato gli ha rapito, cioè il cielo, ed i mali che gli ha attirato, cioè le pene dell’inferno. Ahimè! F. M., per un peccato d’un momento una punizione che durerà tutta un’eternità! Ed il peggio si è che più ne siamo presi, meno ce ne crediamo colpevoli. Infatti, un orgoglioso non vorrà mai persuadersi di esserlo, né riconoscere d’aver torto: quello che fa e dice è ben fatto e ben detto. Volete formarvi un’idea dell’enormità di questo peccato, F. M.? Vedete quanto ha fatto Iddio per espiarlo. Perché ha Egli voluto nascere da poveri genitori, vivere nell’oblio, passare nel mondo non come uno di mediocre condizione, ma come persona da nulla? Perché vedeva che questo peccato aveva talmente oltraggiato il Padre suo, che Egli non avrebbe mai potuto espiarlo se non abbandonandosi allo stato il più umiliante e spregevole qual è quello della povertà; giacché basta il non possedere nulla per essere disprezzato dagli uni e rigettato dagli altri. – Vedete, F. M., quanto sono grandi i mali arrecati da questo peccato. Senza questo peccato non vi sarebbe l’inferno. Senza questo peccato Adamo sarebbe ancora nel paradiso terrestre, e noi tutti felici, senza malattie, e senza tutte le altre miserie che ogni giorno ci opprimono: non la morte, non il giudizio che ha fatto tremare i più grandi santi; non eternità infelice da temere; il cielo ci sarebbe assicurato. Felici in questo mondo e più ancora nell’altro: la nostra vita sarebbe passata nel benedire le grandezze, le bontà del nostro Dio, e saremmo poi andati in corpo ed anima a continuare in cielo questa felice occupazione. Ah! che dico, F . M., senza questo malaugurato peccato Gesù Cristo non sarebbe morto! Oh, quanti tormenti risparmiati a questo divin Salvatore!… Ma, mi direte, perché questo peccato ha causato più male che gli altri? — Perché? Eccovelo. Se lucifero e gli altri angeli ribelli non fossero stati orgogliosi, non vi sarebbero stati i demoni, e, per conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri progenitori, e questi avrebbero avuto la fortuna di perseverare. So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano un’eterna punizione: un avaro che cerca solo di accumulare, e sacrifica la salute, l’onore e la stessa vita per metterò assieme un po’ di danaro per l’avvenire, ingiuria certamente la Provvidenza di Dio, il quale ci ha promesso che se lo serviremo ed ameremo, avrà cura di noi. Un ubriacone che si abbandona agli eccessi del bere perdendo la ragione, mettendosi al di sotto dei bruti, fa un grande oltraggio a Dio che gli ha dato dei beni solo perché ne facesse buon uso, consacrando le proprie forze e la propria vita a servirlo. Un vendicativo che si vendica delle ingiurie fattegli, arreca una sanguinosa ingiuria a Gesù Cristo che, da tanti mesi o da tanti anni lo tollera sulla terra, e per di più, gli dà tutto ciò che gli è necessario, mentre non meriterebbe che di essere gettato nelle fiamme. Un impudico avvoltolandosi nel fango della passione, si mette al di sotto dei bruti, perde la propria anima e dà la morte al suo Dio, fa del tempio dello Spirito Santo il ricettacolo del demonio, “fa che le membra di Gesù Cristo diventino le membra di un’infame meretrice„ Tollens ergo membra Christi, faciam membra meretricis? Absit (I Cor. VI, 15), da fratello del Figlio di Dio diviene non solo fratello dei demoni, ma schiavo di satana. Questi sono delitti di cui nessuna parola potrà esprimere l’orrore, né la grandezza delle pene che meritano. Ebbene! F. M., io vi dico che questi peccati sono lontani dall’orgoglio, per l’oltraggio ch’essi arrecano a Dio, quanto il cielo lo è dalla terra: seguitemi, e vedrete che nulla è più facile ad intendersi. Quando commettiamo gli altri peccati, ora violiamo i comandamenti della legge di Dio, ora disprezziamo i suoi benefizi; oppure, se volete, rendiamo inutili tutte le fatiche, i dolori e la morte di Gesù Cristo. Ma costui, cioè l’orgoglioso, fa come un suddito che, non contento d’aver disprezzato e messo sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo sovrano, spinge il suo furore fino a tentare di piantargli un pugnale nel petto, lo strappa dal trono, lo calpesta sotto i piedi, e prende il suo posto. Può darsi un’atrocità più grande, F. M.? Ebbene! ecco ciò che fa chi s’inorgoglisce quando riesce in ciò che tenta, o in ciò che brama. Mio Dio! quanto grande è il numero di costoro! Ascoltate, F. M., ciò che ci dice lo Spirito Santo parlando dell’orgoglioso: “Egli sarà in abbominazione davanti a Dio e davanti agli uomini. Poiché il Signore detesta l’orgoglioso ed il superbo. „ Gesù Cristo stesso ci dice “che ringraziava il Padre d’aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi „ (Matth. XI, 25). Infatti se scorriamo la sacra Scrittura vediamo che i mali con cui Dio opprime l’orgoglioso sono sì grandi e sì spaventosi da sembrare ch’Egli esaurisca il suo furore e la sua potenza per punirli, e vediamo pure che Dio sembra pigliar diletto nell’umiliare i superbi a mano a mano ch’essi vogliono innalzarsi. Spesso vediamo che l’orgoglioso cade in qualche vizio detestevole che lo disonora davanti al mondo. Rodriguez racconta (tom. III), che il demonio sotto la forma d’una donna sedusse Palladio, religioso stimatissimo per le sue austerità, ma di spirito assai orgoglioso. – Nota del Beato). – Il grande Nabucodònosor ce ne offre un bell’esempio. Quel principe era così orgoglioso, aveva così buona stima di sé, che voleva essere considerato come un Dio. Nel momento in cui era gonfio della grandezza di sua potenza, ode d’improvviso una voce dal cielo dire che il Signore non poteva più tollerare il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che v’era un Dio padrone dei regni, il suo regno gli sarebbe tolto e dato ad un altro; egli verrebbe cacciato dalla società degli uomini, dimorerebbe tra le belve selvagge, mangerebbe erba e strame come una bestia da soma. Ed in quell’ora stessa Dio gli sconvolse talmente il cervello, ch’egli credette d’essere una bestia e si rifugiò nelle foreste, fino a quando riconobbe di essere un nulla Dan. IV, 27- 34).Vedete i castighi che il Signore fece subire a Core, Dathan ed Abiron e a duecento fra i più ragguardevoli Israeliti. Pieni d’orgoglio, essi dicono a Mosè ed Aronne: “E perché non avremo anche noi l’onore di offrire l’incenso al Signore al pari di voi? „ Il Signore disse a Mosè e ad Aronne di segregarli con tutto ciò che loro apparteneva; perché voleva punirli… Ed appena essi furono segregati la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì vivi nell’inferno (Nm XVI). Vedete Erode che fece morire S. Giacomo ed imprigionare S. Pietro. Egli era così orgoglioso che un giorno vestito del suo paludamento regale ed assiso sul trono, parlando al popolo con grande enfasi, giunse a dire: “No, no, non è un uomo che vi parla, ma un Dio. „ E sull’istante un Angelo lo colpì con una malattia sì spaventosa, che i vermi lo corrosero vivo, morì disperato. Egli voleva essere onorato come un Dio, e fu consumato dal più vile degli insetti (Act. XII, 21-23). Vedete ancora Aman, quel celebre orgoglioso, il quale aveva comandato che tutti i sudditi si inginocchiassero davanti a lui. Infuriato perché Mardocheo lo disprezzava fece innalzare un patibolo per impiccarvelo; ma Iddio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che egli stesso vi venisse appeso (Esther VII, 10). Leggiamo nella storia che un solitario pieno d’orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede. Essendo andato da S. Palemone, questi vedendolo far mostra del suo orgoglio, caritatevolmente gli osservò che era ben difficile avere la fede che egli diceva; che non avendo in noi nulla di buono, non possiamo far altro che umiliarci, gemere davanti a Dio o domandargli la grazia di non abbandonarci. Ma quel povero cieco, lungi dall’approfittare del caritatevole avviso, corse a gettarsi su di un braciere di fuoco, e Dio per mettere il colmo al suo orgoglio, permise che non sentisse neppure l’ardore del fuoco. Ma poco tempo dopo il religioso cadde in un vergognoso peccato contro la santa virtù della purità. Il demonio gli si presentò sotto forma di donna la quale seduta accanto a lui, tanto lo sollecitò ch’egli volle abbracciarla. Il demonio allora si gettò su di lui, lo percosse con ripetuti colpi e lo lasciò semivivo steso sul pavimento. Il disgraziato riconosciuto il suo fallo, cioè il suo orgoglio, ritornò da S. Palemone e gli confessò piangendo il proprio peccato. Cosa strana, F. M., mentre egli stava parlando, il demonio s’impadronì di lui, alla presenza di S. Palemone, lo trascinò con furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove perdette la vita (Vita dei padri del deserto, t. I, p. 256). Sì, F. M., vediamo dappertutto che Dio si compiace di confondere gli orgogliosi. Non solo un orgoglioso è in abbominazione davanti a Dio, ma è altresì insopportabile agli uomini. — Perché? mi direte. — Perché egli non può intendersi con nessuno: ora vuol levarsi al di sopra dei suoi uguali, ora uguagliare quelli che gli sono superiori, di modo che non può andar d’accordo con nessuno. Così gli orgogliosi sono sempre in lite con alcuno, e perciò tutti li odiano, li fuggono, li disprezzano. No, F. M., non v’è peccato che operi un più grande cambiamento in chi lo commette; poiché l’Angelo, la creatura più bella, diventò per esso orribile demonio; ed esso, rese l’uomo, che era figlio di Dio, schiavo del demonio.

II. — Questo peccato, mi direte, è veramente orribile; bisogna che chi lo commette non conosca né il bene che perde, né i mali che si attira, né infine gli oltraggi che arreca a Dio ed alla propria anima. Ma in che modo si può sapere d’esserne diventati colpevoli? — In che modo, amico ? Eccolo. Possiamo dire che questo peccato si trova in ogni parte, accompagna l’uomo in tutto ciò che fa e dice; è una specie di condimento che sta dappertutto. Ascoltatemi un momento e lo vedrete. Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo, dicendo che un fariseo essendo andato nel tempio per far orazione stava in piedi davanti a tutti, dicendo ad alta voce: “Vi ringrazio, o Signore, perché non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; io passo la mia vita nel fare il bene e nel piacere a Voi. „ Ecco il vero tipo dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio perché è stato così buono da servirsi di lui per compiere il bene e d’essergliene riconoscente, considera tutto come cosa propria e non di Dio. Entriamo in qualche particolare, e vedrete che quasi nessuno ne va esente. Vecchi e giovani, poveri e ricchi; ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto. Ciascuno s’applaude ed ama d’esser applaudito; ciascuno s’affretta a mendicare le lodi degli uomini, e ciascuno lavora per attirarsele. Tale è la vita della maggior parte dei nostri simili. La porta per cui l’orgoglio entra con maggiore abbondanza è la porta delle ricchezze. Quando una persona comincia ad accrescere i suoi beni, voi la vedete cambiar modo di vivere; essa fa, come dice Gesù Cristo dei farisei: “Costoro bramano d’esser chiamati maestri, d’esser salutati, vogliono i primi posti: e amano comparire vestiti più riccamente. (Matth. XXIII, 5-6). „ Essa abbandona quell’aria di semplicità; salutata china appena il capo, senza levare il cappello; cammina a testa alta, e parlando cerca le parole più belle, di cui spesso non conosce il significato; ed ama ripeterle. Quell’uomo vi romperà la testa narrandovi le eredità avute, per farvi sapere che la sua sostanza s’è aumentata. Ogni sua cura è riposta nel cercare di farsi stimare e lodare. Sarà riuscito in qualche lavoro? s’affretta di pubblicarlo per far mostra del suo preteso talento. Se ha detto qualche cosa di cui è stato applaudito, non cessa di rompere le orecchie a quelli che gli sono dattorno fino ad annoiarli ed a farli ridere. Ha fatto qualche viaggio? Lo sentite dire cento volte più di ciò che ha fatto, detto e veduto: il che mette compassione a quelli che lo ascoltano. Stima di esser tenuto per persona di spirito, mentre nel loro interno tutti lo disprezzano. Nessuno può a meno di dire tra sé: Ecco un grande orgoglioso; poveretto è persuaso che si creda tutto ciò ch’egli dice!… Vedete una persona del mestiere che esamina il lavoro d’un altro, vi troverà mille difetti e dirà: “Che volete? non sa far di più! „ Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri senza innalzare se stesso, s’affretterà subito a parlare di qualche lavoro suo, che il tale ha trovato così ben fatto che ne ha parlato a molti. Un orgoglioso, vedendo più persone che parlano assieme, pensa si dica male o bene di lui. Una giovane avrà belle fattezze? o almeno crede d’averle? La vedete studiare il passo, con un’affettazione, con un orgoglio che sembra voler salire fino alle nubi. Ha camicie e vesti? lascerà l’armadio aperto per farle vedere. S’inorgoglisce delle sue galline e della sua casa. Si vanta di sapere confessarsi bene, di pregar bene il buon Dio, d’essere assai modesta in chiesa. Una madre s’inorgoglisce de’ suoi figli; un contadino perché le sue terre sono in migliore stato che quelle degli altri, che egli disprezza, e si vanta del suo sapere. Un giovane ha un orologio in tasca, e forse anche spesso non ha che la catena con cinque soldi in tasca? lo sentite dire: “Non so se è tardi, „ affinché gli si dica di guardare l’orologio, perché si sappia che egli ne ha uno. Se si giuoca d’azzardo, non avrà che due soldi da metter fuori, prenderà in mano tutto ciò che ha, e spesso anche, tutto ciò che non è suo; oppure dirà di più di quanto ha. Quanti domandano a prestito, per andar a partite di piacere, abiti e denaro. Una persona entra in una compagnia dove crede essere sconosciuta? la vedrete subito parlare della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti e di tutto ciò che può distinguerla, e far conoscere ciò ch’essa è, o piuttosto quello che non è. No, F. M., non v’è nulla di così ridicolo e sciocco quanto il parlare sempre di ciò che si ha e di ciò che si fa. Ascoltate un padre di famiglia, quando le sue figlie sono in età di accasarsi. In tutte le compagnie in cui si trova, lo si sente dire: “Ho dato tante migliaia di lire in prestito, le mie ricchezze mi rendono tanto „ e poi domandategli cinque soldi per i poveri, egli non ha nulla. Un sarto od una sarta saranno riusciti bene a fare un vestito; se vedono passare quella persona che lo porta, e alcuno dice: come sta bene, non so chi l’ha fatto. „ — “L’ho fatto io „ subito diranno. E perché l’hanno detto? per far vedere la loro abilità. Ma se non sono riusciti bene, si guardano purtroppo dal parlarne, per timore d’essere umiliati. Le donne nella loro casa… e vi dirò che questo peccato è ancora più da temere in quelle persone che sembrano far professione di pietà. Eccone un bell’esempio. – Questo maledetto peccato dell’orgoglio s’infiltra anche nelle professioni più umili. Un agricoltore o un taglia legna, se sono vicini alla strada, metteranno nel loro lavoro tutte le cure “affinché – dicono – quando alcuno passerà non trovi ch’io non so lavorare. „ Questo peccato s’infiltra anche nel delitto e nella virtù; si vedono alcuni che si vantano d’aver fatto il male. Ascoltate la conversazione di parecchi ubbriaconi. “Ah! dicono, mi sono trovato un giorno col tale; ha voluto scommettere con me, a chi bevesse di più, senza ubbriacarsi; ed io assai presto l’ho vinto!„ È altresì orgoglio il desiderio di diventare più ricco e l’invidiare quelli che lo sono, perché si vedono i ricchi rispettati ed onorati. Si troveranno altri che, nel loro linguaggio, saranno estremamente umili, ed anche si disprezzeranno, facendo pubblicamente la confessione di loro debolezze. Ma dite loro qualche cosa che li punga un po’. Alla prima parola li vedete scaldarsi, rispondervi a dovere, fino al punto di diffamarvi e ledere la vostra riputazione, per un preteso affronto ricevuto. Avranno una grande umiltà, in apparenza, finché sono lodati ed onorati. Qualche volta se sentiamo parlare bene di un altro davanti a noi, proviamo fastidio, ci pare di restarne umiliati; mostriamo aria triste, oppure diciamo: Ma che? egli è come gli altri, ha fatto questo, ha detto quello, non ha tanta abilità come voi dite, voi non lo conoscete!… „ Io dico che l’orgoglio s’infiltra anche nelle nostre opere buone. Vi sono molti che fanno l’elemosina e rendono servizi al prossimo solo per essere stimati persone dabbene, persone caritatevoli. Se faranno l’elemosina davanti a qualcheduno, daranno di più che non se fossero soli. Vorranno far sapere che hanno fatto un po’ di bene, o reso qualche servizio al vicino e cominceranno a dire: “ Il tale è ben disgraziato, non ha di che vivere; è venuto un giorno da me, mi ha raccontato la sua miseria, ed io gli ho dato la tal cosa.„ Un orgoglioso non vuol mai essere rimproverato, egli ha sempre ragione: ciò che egli dice è ben detto, ciò che egli fa è ben fatto. E lo vedete esaminare continuamente la condotta degli altri; dappertutto trova difetti; non v’è in loro nulla di ben detto e di ben fatto. Una persona farà un’azione colle migliori intenzioni dal mondo, eccolo che, colla sua lingua velenosa, la interpreta male. E quanti non ve ne sono che per orgoglio, inventano tutto? Se raccontano ciò che hanno fatto, diranno assai più di quanto hanno fatto. Altri mentiscono per timore d’essere umiliati. Dirò di più; i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentirli, sembrano i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che essi hanno percorso l’intero universo; ed i giovani si lodano di ciò che non faranno mai: tutti mentiscono, tutti corrono dietro al fumo dell’onore. Così va oggi il mondo, F. M., mettete la mano sulla vostra coscienza, scrutate il vostro cuore, e riconoscerete che quanto dico è vero. Ma la cosa più triste è che questo peccato getta le anime in tenebre così dense, che nessuno mai se ne crede colpevole. Conosciamo, è vero, quando gli altri falsamente si lodano, e si attribuiscono onori non meritati; ma quanto a noi crediamo di meritarli sempre. Io dico, F. M., che chiunque cerca la stima degli uomini è cieco. — Perché? mi direte. — Eccone la ragione, amico. Non dirò che egli perde tutto il merito di ciò che fa e che tutte le sue carità, tutte le sue preghiere e penitenze non saranno per lui che motivo di condanna. Egli crederà d’aver fatto qualche bene; e troverà tutto guastato dall’orgoglio. Ma io dico inoltre che egli è cieco. Se vuol meritare la stima di Dio e degli uomini, deve fuggirli invece di cercarli, deve persuadersi che è nulla, che merita nulla; allora è sicuro d’aver tutto. Vediamo ad ogni momento che più una persona vuol innalzarsi e più Dio permette ch’essa venga umiliata; e più essa vuol nascondersi, e più Dio ne fa conoscere la riputazione. Basta farvi attenzione per toccar con mano questa verità. Un orgoglioso si affanna a mendicare le lodi degli uomini; ed è conosciuto appena nella sua parrocchia! Ma chi si nasconde, quanto può, e si disprezza, andate lontano venticinque o cinquanta miglia, e vedrete pubblicate le sue buone qualità. Dirò di più: il suo onore vola ai quattro angoli del mondo: più egli si nasconde e più è conosciuto; e più l’altro vuol mostrarsi e più si affonda nelle tenebre, e perciò quasi nessuno lo conosce ed egli meno ancora conosce se stesso. Se il fariseo, come avete veduto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine sensibile d’un cuore sinceramente penetrato del proprio nulla, dei suoi pochi meriti e della grande confidenza che bisogna avere in Dio. Gesù Cristo ce lo presenta come il perfetto modello al quale possiamo conformarci. Il pubblicano, ci dice S. Luca, dimentica tutto il bene che forse ha fatto durante la sua vita, per non occuparsi che della sua miseria spirituale e della sua indegnità; non osa comparire davanti ad un Dio sì santo. Lungi dall’imitare il fariseo, che si mette in un luogo dove può esser veduto da tutti e riceverne le lodi, il povero pubblicano, appena entrato nel tempio si nasconde in un canto, si considera come solo davanti al suo giudice, colla faccia verso terra, col cuore spezzato dal dolore, cogli occhi pieni di lagrime, non osa guardare l’altare, tanto è coperto di confusione alla vista dei suoi peccati e della santità di Dio, davanti al quale si trova indegno di comparire. E nella più grande amarezza del cuore grida: “Mio Dio, di grazia, abbiate pietà di me, perché sono un gran peccatore!„ Quest’umiltà commosse talmente il cuore di Dio, che, non solo gli perdonò tutti i suoi peccati, ma lo lodò pubblicamente, dicendo a tutti che quel pubblicano, sebbene peccatore, per la sua umiltà, gli era stato più gradito che il fariseo con tutta la sua mostra di buone opere: “poiché vi dico, sono parole di Gesù Cristo, che quel pubblicano ritornò a casa senza peccati, mentre il fariseo uscì dal tempio più colpevole di quando v’era entrato. Concludo quindi che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. „ Abbiamo visto, P . M., che cos’è l’orgoglio, quanto sia orribile questo vizio, quanto esso oltraggia il buon Dio, e finalmente come il Signore si compiace di punirlo. Vediamo che cos’è l’umiltà, la virtù contraria.

III. — Se “l’orgoglio è la sorgente di ogni vizio„ possiamo dire che l’umiltà è la sorgente ed il fondamento di ogni virtù (Prov. XV, 33); essa è la porta per la quale Iddio fa giungere a noi le sue grazie; essa perfeziona tutte le nostre azioni, e comunica loro tanto valore che le rende accette a Dio; finalmente essa ci fa padroni del cuore di Dio, il quale diventa, per così dire, nostro servo; poiché mai Iddio ha potuto resistere ad un cuore umile (1 Piet. V, 5). — Ma, mi direte, in che cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie? — Eccolo, amico. Ascoltatemi: voi avete già dovuto conoscere se siete presi dall’orgoglio; vedrete ora se avete la fortuna di possedere sì bella e rara virtù; se l’avete in tutta la sua integrità, il cielo è vostro. L’umiltà, ci dice S. Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel disprezzo di noi medesimi. L’umiltà è una fiaccola che ci mostra nettamente le nostre imperfezioni; essa, dunque, non consiste nelle parole, né nelle opere; ma nella conoscenza di noi stessi, conoscenza che ci fa scoprire un’infinità di difetti che il nostro orgoglio ci aveva nascosti fino ad ora. Io dico che questa virtù ci è assolutamente necessaria per andare in cielo; ascoltate ciò che ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se non sarete simili ad un fanciullo, non entrerete nel regno de’ cieli. In verità vi dico, che se non vi convertite, se non abbandonate quei sentimenti d’orgoglio e di ambizione, così naturali nell’uomo, non entrerete in cielo. „ (Math. XVIII, 3). “, ci dice il Savio, l’umiltà ottiene tutto.„ (Ps. CI, 18). Volete ricevere il perdono dei vostri peccati? Presentatevi a Dio nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, come indegni di ottenere la grazia che domandate, siete sicuri del perdono. Siete tentati? umiliatevi della vostra miseria, e riconoscete che da soli non potete che perdervi: siete allora sicuri d’esser liberati. O bella virtù quanto rendi cara un’anima a Dio! Gesù Cristo stesso non poteva darci una più bella idea della grandezza del suo merito, che dicendoci d’aver voluto prendere “la forma di servo, „ (Phil. II, 7), che è la più vile condizione. Che cosa rese la santa Vergine così cara a Dio se non la sua umiltà e il disprezzo che aveva di se stessa? – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 52) che S. Antonio ebbe una visione, nella quale Dio gli fece vedere il mondo tutto coperto da una rete, tenuta ai quattro capi dai demoni. “Ah! esclamò il santo, chi non potrà cadere in quella rete? „ — “Antonio, gli disse il Signore, l’umiltà sola basta: cioè, se riconoscete di nulla meritare, di non esser capaci di nulla, sarete vittoriosi.„ Un amico di S. Agostino, gli domandava qual era la virtù che bisognava praticare per essere più cari a Dio, ed egli rispose: “L’umiltà sola basta. Ho ben faticato per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovato altra. „ Ascoltate ciò che ci dice la storia S. Macario, ritornando con una bracciata di legna, trovò il demonio armato di una falce tutta infiammata, che gli disse: “Macario, quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare; perché mi fai tanto patire? tutto ciò che tu fai io lo faccio meglio di te: se tu digiuni io non mangio mai; se tu vegli io non dormo; non v’è che una sola cosa che tu hai più di me e per la quale mi hai vinto. „ Sapete, F. M,, la cosa che era in S. Macario e che il demonio non aveva? Ah! amici miei, era l’umiltà. O bella virtù, quant’è felice e capace di grandi cose chi ti possiede! Infatti, F. M., quando pure aveste tutte le altre virtù e non questa, non avete nulla. Date le vostre ricchezze ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vostra vita, fate penitenza finché il vostro corpo potrà resistere, vivete nel ritiro durante tutta l’esistenza vostra; se non avete l’umiltà non lascerete di dannarvi (Se non avete l’umiltà, non lascerete di dannarvi, „ cioè se non avete l’umiltà che il buon Dio domanda da voi vi esporrete al pericolo di dannarvi). Perciò vediamo che tutti i Santi hanno lavorato tutta la loro vita per acquistarla o per conservarla. Più Iddio li colmava di favori e più essi si umiliavano. Vedete S. Paolo, innalzato fino al terzo cielo, egli considera se stesso come un grande peccatore, un persecutore della Chiesa di Gesù Cristo, « un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupa » (I Tim. I, 13; – 1 Cor. xv, 8, 9). Vedete S. Agostino, S. Martino: non osavano entrare in chiesa senza tremare, tanto li spaventava la loro miseria spirituale. E tali devono essere le nostre disposizioni se vogliamo essere cari a Dio. Vediamo, F. M., che più un albero è carico di frutti, e più i suoi rami si abbassano; così, più noi facciamo buone opere, più dobbiamo umiliarci riconoscendoci indegni che il buon Dio si serva d’un sì vile strumento per fare il bene. F. M., non possiamo conoscere un buon Cristiano se non dall’umiltà. Ma, mi direte, come si può conoscere se un Cristiano è umile? — Niente di più facile, e lo vedrete. Dapprima io dico che una persona veramente umile non parla mai di se stessa, né in bene né in male, ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio che la conosce. Non guarda che alla propria condotta, geme nel vedersi tanto colpevole: lavora a rendersi più degna di Dio. Non la sentite mai giudicare la condotta degli altri, ha buona opinione di tutti. Disprezza qualcheduno? disprezza solo sé medesima. Interpreta bene tutto quello che fanno i suoi fratelli; è persuasissima che ella sola è capace di far male. Quindi se parla del suo prossimo, ne parla solo in bene; se non ha nulla in bene da dire, tace; se vien disprezzata, pensa che riceve solo quanto si merita, e che dopo aver disprezzato Dio, essa merita ben di più: se si vede lodata arrossisce, e fugge, addolorandosi perché nel giorno del giudizio disingannerà quelli che la credono persona dabbene, mentre invece è tutta coperta di peccati. Ella ha tanto in orrore le lodi quanto gli orgogliosi amano le umiliazioni. Quelli che le fanno conoscere i suoi difetti saranno sempre suoi amici. Se ha del bene da rare, cercherà sempre di farlo a colui che l’ha calunniata o disprezzata. Gli orgogliosi cercano la compagnia di quelli che li adulano, e li stimano, ella invece li fuggirà per andare con quelli che sembrano avere cattiva opinione di lei. Il suo piacere sta nell’esser sola con Dio, mostrandogli la propria miseria e domandando pietà. Si trovi pur sola od in compagnia, non vedete nessun cambiamento nelle sue preghiere, né nel suo modo d’agire. Non facendo tutte le sue azioni che per poter piacere a Dio, non guarda affatto a quello che pensano o dicono gli altri. Lavora per piacere a Dio, e, quanto al mondo, può dire che lo mette sotto i piedi. Così pensano e fanno quelli che tengono come lor porzione, l’umiltà… – Gesù Cristo non sembra far distinzione tra il Sacramento del Battesimo, quello della Penitenza e l’umiltà. Ci dice che senza Battesimo non entreremo mai nel regno dei cieli, senza quello della Penitenza, dopo il peccato, non avremo il perdono, e dice poi, che senza l’umiltà, non entreremo in cielo (Matt. XVIII). Sì, P. M., se abbiamo l’umiltà, quand’anche fossimo coperti di peccati, siamo sicuri d’esser perdonati; e senza l’umiltà, se avessimo anche fatto tutte le buone opere possibili, non ci salveremo mai. Ecco un esempio che ve lo mostrerà nel miglior modo possibile. Si legge nel libro dei Re (III Re, XXI), che il re Acabbo era il più abominevole che avesse regnato fino allora; non credo che se ne possa dir di più di quello che dice lo Spirito Santo: ascoltate. “Era un re dato ad ogni sorta d’impudicizie, che metteva impunemente le mani su tutti i beni dei suoi sudditi; fece ribellare a Dio gli Israeliti, sembrava uomo venduto ed impegnato a fare ogni sorta di male: insomma coi suoi delitti superò quelli che l’avevano preceduto. Perciò Iddio, non potendo più tollerare i suoi delitti, ed avendo deciso di punirlo, chiama il suo profeta Elia, gli comanda di andare dal re e dirgli le sue decisioni: “Digli che i cani mangeranno le sue carni e berranno il suo sangue; farò cadere su di lui tutti i fulmini delle mie vendette; non gli risparmierò nulla, anche per mezzo di quei cani, farò sentire l’eccesso del mio furore.„ Osservate qui quattro cose, P. M.: 1° Si vide mai uomo più malvagio di lui? 2° Si vide mai una più chiara determinazione di far morire un uomo che merita tanto di esser punito? – 3 ° Si diede mai un ordine più preciso? – 4° In questo luogo, disse il Signore, tutto ciò avverrà.„ Si è mai visto nella storia un uomo condannato ad un supplizio più infame di quello di Acabbo, cioè di far mangiare la sua carne, e bere il suo sangue dai cani? Ah! F. M., chi potrà strapparlo dalle mani di un nemico così potente che ha già cominciata la sua vendetta? – Acabbo, sentito il profeta, si stracciò le vesti. Ascoltate ciò che gli dice il Signore: “Va, non sei più in tempo, hai aspettato troppo, ora mi rido di te. „ Ed Acabbo si copre di cilicio: “Tu forse credi, continua il  di muovermi a pietà e di far così revocare il mio comando; ora digiuni; bisognava digiunare pel sangue di tante persone che hai fatto morire.„ Allora gettatosi per terra, si coprì di cenere, e quando doveva uscir fuori, camminava colla testa nuda e cogli occhi a terra. “Profeta, disse il Signore, hai veduto come Acabbo si è umiliato, e prostrato colla faccia a terra? Ebbene! va a dirgli che, giacché si è umiliato, io non lo punirò, e non farò cadere su di lui la folgore e la vendetta che avevo preparata. Digli che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare gli ordini, ed ha disarmata la mia collera. „ (III Reg., XXI). Ebbene, P. M., non avevo io ragione di dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio nulla sa rifiutarle? Possedendola, avremo tutte le altre; senza di essa tutte le altre valgono nulla. Concludo, P. M., dicendo che conosceremo se un Cristiano è veramente tale dal disprezzo ch’egli ha di se stesso e di tutto ciò che fa, e se interpreta in bene tutto ciò che fa o dice il suo prossimo. E con questo, P. M., possiamo star sicuri che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra e che il cielo sarà per noi…

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

La liturgia di questo giorno insiste sui castighi terribili che la giustizia di Dio infliggerà a quelli che avranno rinnegato Cristo. Morranno tutti e nessuno entrerà nel regno dei cieli. Coloro invece che in mezzo a tutte le avversità di questa vita saranno rimasti fedeli a Gesù, saranno un giorno strappati alle mani dei loro nemici ed entreranno al suo seguito nel cielo, ove Egli entrò nel giorno della sua Ascensione, che la Chiesa ha celebrato nel Tempo Pasquale. Questi pensieri sulla giustizia divina sono conformi, in questa IX Domenica dopo Pentecoste, colla lettura che la liturgia fa della storia del profeta Elia nel Breviario. – Dopo la morte di Salomone, le dodici tribù di Israele si divisero in due grandi regni: quello di Giuda e quello d’Israele. Il primo formatosi con le due tribù di Giuda e di Beniamino, ebbe per capitale Gerusalemme: il secondo si compose di dieci tribù con capitale Sichem, poi Samaria. A questo secondo regno appartenne il profeta Elia, che abitava il deserto di Galaad in Samaria. Uomo virtuoso e austero, vestiva una tunica di peli di cammello con ai fianchi una cintura di cuoio: « pieno di zelo per il Dio degli eserciti », uscì tre volte dal deserto per minacciare Achab, VII re di Israele, e la regina Iezabele, che avevano trascinato il popolo all’idolatria; per mandare a morte i 450 profeti di Baal che confuse sul Monte Carmelo; e per annunciare al re, impossessatosi della vigna di Naboth, che sarebbe stato ucciso, e alla regina, che era stata il cattivo genio di Achab, che il suo sangue sarebbe scorso ove era scorso il sangue di Naboth e i cani avrebbero divorate le sue carni. Per tutti questi motivi, Elia fu perseguitato dagli Israeliti, da Achab e da lezabele e dovette fuggire sul monte Horeb per scampare alla morte. Quando più tardi Ochozia, figlio di Achab, divenne re, Elia gli fece dire di non consultare Belzebù, il dio di Accaron, come aveva intenzione, ma il Dio d’Israele. Ochozia allora gli mandò un capitano con cinquanta soldati per indurlo a scendere dalla montagna e rendergli conto delle sue parole. Elia rispose al capitano: « Se io sono un uomo di Dio, scenda dal cielo un fuoco che divori te e i tuoi cinquanta », E scese il fuoco e divorò lui e i suoi cinquanta uomini » (Breviario). Più tardi, Elia andò verso il Giordano con Eliseo e allorché ebbero attraversato il fiume, un carro di fuoco con cavalli di fuoco separò l’uno dall’altro ed Elia sali al cielo in un turbine. Eliseo allora si rivestì del mantello che Elia aveva lasciato cadere e ricevette doppiamente il suo spirito. E tutti i discepoli di Elia dissero: «lo spirito di Elia si è posato su Eliseo ». E mentre Eliseo andava verso Bethel, alcuni ragazzi lo schernirono dicendo: « Sali, sali, calvo! ». Ed Eliseo li maledisse nel nome di Dio che essi offendevano: due orsi uscirono dalla foresta e sbranarono 42 di quei fanciulli. — Per tutta la sua vita Elia, con la sua parola di  fuoco, difese i diritti di Dio. Più tardi Giovanni Battista, « pieno dello Spirito e della virtù di Elia », si presentò vestito come lui ed abitante come lui nel deserto, e difese allo stesso modo gli stessi diritti di Dio, annunziando la separazione che farà Cristo venturo della paglia dal buon grano »: raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia in un fuoco che non si estinguerà. –   « Elia, dice S. Agostino, rappresenta il Salvatore e Signore nostro. Come infatti Elia soffrì persecuzioni da parte dei Giudei; nostro Signore, il vero Elia, fu rigettato e disprezzato dal medesimo popolo. Elia lasciò il paese suo; Cristo abbandonò la sinagoga e accolse i Gentili (2° Nott.). « Dio liberò Elia dai suoi nemici elevandolo al cielo, Dio innalzò Cristo in mezzo ai suoi nemici e lo fece salire il giorno dell’Ascensione in cielo ». « Liberami, o Signore dai miei nemici, dice l’Alleluia, e allontanami da quelli che insorgono contro di me ». Elia, trasportato in un carro di fuoco è, secondo i Padri, la figura di Cristo, che sale al Cielo. Il Graduale è il versetto del Salmo VIII, che la liturgia usa nel giorno dell’Ascensione: «Signore, Dio nostro, come è ammirevole il tuo nome su tutta la terra: poiché la tua magnificenza si solleva al di sopra dei cieli. » E l’Introito aggiunge:« Ecco che Dio viene in mio aiuto e che il Signore accoglie la mia anima. Oh, Dio! salvami nel tuo nome e liberami nella tua potenza ». Questo trionfo di Gesù su quelli che lo odiano, figurato da quello di Elia su coloro che lo disprezzano, sarà anche il nostro se «non tenteremo Cristo», cioè se eviteremo l’idolatria, l’impurità, la mormorazione» (Ep.) rimanendo fedeli alla grazia. Poiché « se Gesù continua a immolarsi sui nostri altari per applicarci i frutti della sua redenzione » (Secr.), e se « mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue,  noi dimoriamo in Lui e Lui in noi » (Com.), si è perché, « uniti a Lui », (Postcom.), osserviamo fedelmente i suoi comandamenti, che sono più dolci del miele » (Off.). S. Paolo ci dice infatti che « Dio, il quale è fedele, non permetterà che noi siamo tentati al di sopra delle nostre forze, ma con la tentazione ci darà anche il mezzo di uscirne affinché possiamo perseverare » (Ep.). Supplichiamo dunque il Signore d’accogliere benignamente le preghiere che noi gli indirizziamo e di fare in modo che gli chiediamo solo quanto gli sia gradito, affinché ci possa sempre esaudire (Oraz.). – Ma la Giustizia divina non si accontenta di proteggere il giusto contro i suoi nemici e di ricompensarlo per la sua fedeltà; essa punisce anche quelli che fanno il male. Elia minacciò il regno di Israele infedele e fece cadere il fuoco dal cielo sui suoi nemici (Brev.); « Gli Israeliti, che tentarono Iddio con le loro mormorazioni, perirono per mezzo dei serpenti di fuoco » (Ep.), e Gerusalemme sulla quale Gesù pianse, minacciandole castighi perché lo respingeva, fu distrutta dalla guerra e dall’incendio (Vang.). « Ventitremila Ebrei perirono in un sol giorno per la loro idolatria, e molti furono colpiti a morte dall’Angelo sterminatore per le loro mormorazioni ». Ma tutti questi avvenimenti, spiega S. Paolo, furono permessi da Dio, e narrati per servire di nostro ammaestramento » (Ep.). Più di un milione di Giudei perirono nella distruzione di Gerusalemme, perché avevano rifiutato il Messia e il Vangelo (Vedi I Domenica dell’Avvento e XXIV dopo Pentecoste). Gesù ha sempre paragonata questa fine tragica alle catastrofi che segneranno la fine del mondo, quando Dio verrà a giudicare il mondo col fuoco. Allora il Giudice divino opererà la separazioni dei buoni dai cattivi e mentre ricompenserà i primi, allontanerà dal regno di Dio tutti quelli che lo avranno rinnegato per la loro incredulità e i loro peccati, come cacciò dal Tempio, che è la figura della Chiesa terrestre e celeste, tutti i venditori che avevano trasformato la casa di Dio in una spelonca di ladri (Vang.). « Il male ricada sui miei avversari, chiede il Salmista e, fedele alle tue promesse, distruggili, o Dio, mio protettore! » (Intr.). Allora, infatti il tempo della misericordia sarà passato e non vi sarà più che quello della giustizia ». « Frattanto colui che crede di essere in alto guardi di non cadere!», dice l’Apostolo (Ep.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIII: 6-7.
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.

[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’anima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]


Ps LIII: 3
Deus, in nómine tuo salvum me fac: et in virtúte tua libera me.

[O Dio, salvami nel tuo nome: e liberami per la tua potenza.]


Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.

[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]

Oratio

Orémus.
Páteant aures misericórdiæ tuæ, Dómine, précibus supplicántium: et, ut peténtibus desideráta concédas; fac eos quæ tibi sunt plácita, postuláre.

[Porgi pietoso orecchio, o Signore, alle preghiere di chi Ti supplica, e, al fine di poter concedere loro quanto desiderano, fa che Ti chiedano quanto Ti piace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor X: 6-13
Fatres: Non simus concupiscéntes malórum, sicut et illi concupiérunt. Neque idolólatræ efficiámini, sicut quidam ex ipsis: quemádmodum scriptum est: Sedit pópulus manducáre et bíbere, et surrexérunt lúdere. Neque fornicémur, sicut quidam ex ipsis fornicáti sunt, et cecidérunt una die vigínti tria mília. Neque tentémus Christum, sicut quidam eórum tentavérunt, et a serpéntibus periérunt. Neque murmuravéritis, sicut quidam eórum murmuravérunt, et periérunt ab exterminatóre. Hæc autem ómnia in figúra contingébant illis: scripta sunt autem ad correptiónem nostram, in quos fines sæculórum devenérunt. Itaque qui se exístimat stare, vídeat ne cadat. Tentátio vos non apprehéndat, nisi humána: fidélis autem Deus est, qui non patiétur vos tentári supra id, quod potéstis, sed fáciet étiam cum tentatióne provéntum, ut póssitis sustinére.

[“Fratelli: Non desideriamo cose cattive, come le desiderarono quelli. Non diventate idolatri, come furono alcuni di loro, secondo sta scritto: «Il popolo si sedette a mangiare e bere; poi si alzarono a tripudiare. Né fornichiamo, come fornicarono alcuni di loro, e caddero in un giorno 23 mila. Né tentiamo Cristo come lo tentarono alcuni di loro, e furono uccisi dai serpenti. Né mormorate come mormorarono alcuni di loro, ed ebbero morte dallo sterminatore. Or tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi, che viviamo alla fine dei tempi. Colui, pertanto che si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha sorpreso se non umana. Dio, poi, che è fedele, non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze: ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla”.]

IL TIMOR DI DIO

Essere Cristiani non vuol dire essere esenti dalla vigilanza, e da una attenta vigilanza. Nell’Epistola della Domenica di Settuagesima abbiam visto come l’Apostolo per incoraggiare i Corinti alla perseveranza, oltre il proprio esempio, portò l’esempio dei Giudei, i quali, quantunque usciti in gran numero dall’Egitto, dopo aver ricevuto grandi benefici dal Signore, solamente in numero di due poterono entrare nella terra promessa. L’Epistola di quest’oggi continua quel brano. Vi sono enumerate alcune prevaricazioni dei Giudei ed i castighi, che ne seguirono, e si esortano i Corinti a non imitarne l’esempio; poiché quanto avvenne agli Israeliti sarà figura di quanto avverrà a noi Cristiani, se abuseremo delle grazie del Signore. – E noi non abuseremo certamente delle grazie del Signore, se avremo il timor di Dio, il quale:

1 Ci fa evitare il peccato,

2 Ci rende diffidenti di noi,

3 Ci lascia calmi e fiduciosi in Dio, durante le prove.

Graduale 

Ps VIII: 2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in universa terra!

[Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome su tutta la terra!]


V. Quóniam eleváta est magnificéntia tua super cœlos. Allelúja, allelúja

[Poiché la tua magnificenza sorpassa i cieli. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps LVIII: 2
Alleluja, Alleluja

Eripe me de inimícis meis, Deus meus: et ab insurgéntibus in me líbera me. Allelúja.

 [Allontànami dai miei nemici, o mio Dio: e liberami da coloro che insorgono contro di me. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIX: 41-47
“In illo témpore: Cum appropinquáret Jesus Jerúsalem, videns civitátem, flevit super illam, dicens: Quia si cognovísses et tu, et quidem in hac die tua, quæ ad pacem tibi, nunc autem abscóndita sunt ab óculis tuis. Quia vénient dies in te: et circúmdabunt te inimíci tui vallo, et circúmdabunt te: et coangustábunt te úndique: et ad terram prostérnent te, et fílios tuos, qui in te sunt, et non relínquent in te lápidem super lápidem: eo quod non cognóveris tempus visitatiónis tuæ. Et ingréssus in templum, coepit ejícere vendéntes in illo et eméntes, dicens illis: Scriptum est: Quia domus mea domus oratiónis est. Vos autem fecístis illam speluncam latrónum. Et erat docens cotídie in templo”.

[“In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di lei, e disse: Oh? se conoscessi anche tu, e in questo tuo giorno, quello che importa al tuo bene! ma ora questo è a’ tuoi occhi celato. Conciossiachè verrà per te il tempo, quando i tuoi nemici ti circonderanno di trincea, e ti serreranno all’intorno, e ti stringeranno per ogni parte. E ti cacceranno per terra te e i tuoi figliuoli con te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra; perché non hai conosciuto il tempo della visita a te fatta. Ed entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro che in esso vendevano e comperavano, dicendo loro: Sta scritto: La casa mia è casa di orazione; e voi l’avete cangiata in spelonca di ladri. E insegnava ogni giorno nel tempio”.

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Le lagrime di Gesù Cristo.

Videns Jesus oivitatem, flevit super illam.

(Luc. XIX, 41).

Gesù Cristo, entrando nella città di Gerusalemme pianse su di essa, dicendo: “Se almeno conoscessi le grazie che ti ho portato, e ne volessi approfittare, potresti ricevere ancora il tuo perdono: ma la tua cecità è giunta a tale eccesso, che tutte queste grazie non serviranno che a renderti ostinata e a perderti: tu hai ucciso i profeti, e fatto morire i servi di Dio; ed ora stai per mettere il colmo ai tuoi delitti facendo morire il Figlio stesso di Dio. „ Ecco, F. M., ciò che strappava lagrime a Gesù Cristo in grande abbondanza, mentre si avvicinava a quella città. Ahimè! Egli considerava in tutte queste sventure, la perdita di tante anime, ben più colpevoli dei Giudei, perché più di questi favoriti di tante grazie. Davvero, F. M., ciò che lo commosse così vivamente fu il pensiero che, non ostante i meriti della sua passione e morte sufficienti per redimere mille mondi più grandi del nostro, il maggior numero degli uomini andrebbe perduto. – Sì, F. M., Egli prevedeva coloro che disprezzerebbero le sue grazie, non servendosene che in proprio danno. E chi di noi, F. M., non trepiderà pensando sinceramente a condurre l’anima propria al cielo? Non siamo noi di quel numero? Non è per noi che Gesù Cristo disse piangendo: “Ah! purtroppo, se il mio sangue e la mia morte non servono alla vostra salvezza, accenderanno la collera del Padre mio su di voi per tutta l’eternità? „ Un Dio tradito!… un’anima dannata!… un cielo rifiutato! … Possibile che a tante sciagure rimaniamo insensibili? … È possibile, F. M., che, malgrado quanto ha fatto Gesù Cristo per salvare le anime nostre, siamo così insensibili alla loro perdita? … Ma per togliervi, F. M., da tale insensibilità, vi mostrerò:

1° che cos’è un’anima;

2° quanto ha costato a Gesù Cristo;

3° quanto fa il demonio per condurla a perdizione.

I. — Ah! F. M., se avessimo la fortuna di conoscere il valore dell’anima nostra, con qual cura la custodiremmo? Ahimè! non lo comprenderemo mai abbastanza! Voler mostrarvi, F. M., la grandezza del valore di un’anima è impossibile per un mortale: Dio solo conosco tutte le bellezze, le perfezioni delle quali l’ha ornata. Vi dirò solamente che tutto quanto Dio ha creato, il cielo, la terra e tutto ciò che vi a contenuto, tutto queste meraviglie furon create in suo favore. Il nostro catechismo ci dà la più bella prova possibile della grandezza dell’anima. Quando si domanda ad un fanciullo: che cosa intendi quando dici che l’anima dell’uomo è uno spirito creato ad immagine di Dio? Quest’anima, ci risponde il fanciullo, al pari di Dio ha la potenza di conoscere, di amare e di determinarsi liberamente in tutte le sue azioni. Ecco, F. M., il più bell’elogio che possiamo fare delle doti, colle quali Dio abbellì l’anima nostra, creata dalle tre Persone della Ss. Trinità, ed a loro somiglianza. Uno spirito, al par di Dio, immortale, capace di conoscere le bellezze e le perfezioni tutte di Dio, quanto è possibile ad una creatura: uno spirito, che è l’oggetto delle compiacenze delle tre divine Persone; uno spirito, che può glorificar Dio in tutte le sue azioni; uno spirito, la cui occupazione sarà di cantar le lodi di Dio per tutti i secoli; uno spirito, che risplenderà della felicità di Dio medesimo; uno spirito, che ha una tal libertà nelle sue azioni da poter donare la sua amicizia, l’amor suo a chi meglio gli pare; che può non amare Dio, od amarlo: ma che, se è tanto fortunato di volgere il suo amore a Dio, non obbedisce più esso a Dio, sebbene Dio stesso fa quanto vuole questo spirito (Voluntatem timentium se faciet Ps. CXLIV. 19) e sembra compiacersi di farlo. Potrei anche dire che dal principio del mondo non trovate un’anima che, essendosi data a Dio senza restrizioni, Dio le abbia rifiutato alcuna cosa da lei desiderata. Vediamo che Dio ci ha creato con tali desideri, che nulla è capace di soddisfarli. Presentate ad un’anima tutte le ricchezze ed i tesori del mondo, niente di ciò potrà accontentarla; avendola Iddio creata per sé, non vi è che Lui solo capace di riempire tutti i vasti suoi desideri. Sì, F. M., l’anima nostra può amar Dio; ed è questa la più grande di tutte le felicità! Amandolo abbiamo tutti i beni ed i piaceri che possiamo desiderare sulla terra ed in cielo (Ps. LXXII, 25). Possiamo anche servirlo; cioè glorificarlo in ogni azione della nostra vita. Anche dalle minime cose che facciamo Dio viene glorificato, se le facciamo coll’intenzione di piacergli. La nostra occupazione, mentre siamo sulla terra, nulla ha di differente da quella degli Angeli in cielo; l’unica differenza è che noi vediamo questi beni solo cogli occhi della fede.  L’anima nostra è così nobile, ornata di tante belle qualità che il buon Dio non volle affidarla che ad un principe della corte celeste. L’anima nostra è così preziosa agli occhi di Dio stesso, che in tutta la sua sapienza, non trovò altro cibo degno di lei che il suo Corpo adorabile, di cui vuole che essa faccia il suo nutrimento quotidiano: e altra bevanda che il Sangue suo prezioso. ” Sì, F. M., abbiamo un’anima che Dio stima tanto, ci dice S. Ambrogio, che, fosse stata pur sola nel mondo, Egli non avrebbe creduto di far troppo morendo per essa; e se, creandola, non avesse creato il cielo, il buon Dio lo avrebbe creato apposta per essa, anche se fosse sola nel mondo.„ Come disse Egli un giorno a S. Teresa: “Mi sei tanto cara, così Gesù Cristo, che se non vi fosse il cielo, ne creerei uno apposta per te. „ —“O corpo mio, esclama S. Bernardo, quanto sei fortunato di albergare un’anima adorna di tante belle qualità! Un Dio, sebbene infinito, la fa oggetto di sue compiacenze!„ Sì, F. M., l’anima nostra è destinata a passar tutta l’eternità in grembo a Dio stesso. Dico tutto in una parola: l’anima nostra è alcunché di così grande, di così prezioso, che Dio solo la supera. Un giorno il buon Dio fece vedere un’anima a S. Caterina. La trovò così bella, che esclamò: “O mio Dio, se la fede non mi insegnasse che v’è un Dio solo, crederei che questa sia una divinità; no, mio Dio, non mi meraviglio più che Voi siate morto per l’anima che è sì bella!„ Sì, F. M., l’anima nostra nella vita futura sarà eterna quanto Dio stesso. No, no, non andiamo oltre: ci perdiamo in questo abisso di grandezza. Dopo questo, F. M., vi lascio pensare se dobbiamo meravigliarci che Dio, il quale ne conosce così bene il valore, pianga tanto amaramente la perdita di un’anima. Ahimè! F. M., il buon Dio è così sensibile alla perdita di un’anima che l’ha pianta prima di aver gli occhi per piangere: adoperò gli occhi dei suoi profeti per piangere la perdita delle anime nostre. Lo vediamo in modo evidente nel profeta Amos: “Essendomi ritirato nell’oscurità, dice il profeta, considerando lo spaventoso numero di delitti che il popolo di Dio commette ogni giorno, vedendo che la collera di Dio era pronta a piombargli addosso, e che l’inferno apriva le sue fauci per inghiottirlo, adunatili insieme, ed io stesso tutto tremante, dissi loro piangendo amaramente: “Figli miei, sapete qual è la mia occupazione, notte e giorno? Ahimè! mi rappresento vivamente tutti i vostri peccati, nell’amarezza del mio cuore. Se dopo… oppresso dalla fatica, mi assopisco, subito mi sveglio di soprassalto, con gli occhi bagnati di lagrime ed il cuore spezzato dal dolore gridando: Mio Dio, mio Dio, non vi saranno anime in Israele che non vi offendono? Quando mi riempio la mente di questa triste e lagrimevole idea, ne parlo  al Signore, ne gemo amaramente alla sua santa presenza, dicendogli: Mio Dio, qual mezzo debbo usare per ottener loro grazia? Ecco che cosa mi rispose il Signore: Profeta, se vuoi ottenere il perdono di questo popolo ingrato, va, corri per le vie e per le pubbliche piazze: falle risuonare dei gemiti più amari: entra nelle botteghe dei mercanti e degli artigiani; va nei luoghi dove si amministra la giustizia: ascendi nelle magioni dei grandi e nei gabinetti dei giudici: di’ a tutti quanti troverai dentro e fuori della città: “Guai a voi! ah! guai a voi, che avete peccato contro il Signore!„ Non basta; chiama in tuo soccorso quanti sono capaci di piangere, affinché aggiungano le loro lagrime alle tue, ed i vostri gemiti e le vostre grida siano così spaventose da gettare la costernazione in tutti i cuori: affinché abbandonino i loro peccati e li piangano sino alla tomba: affinché comprendano quanto mi è dolorosa la perdita delle anime loro. „ – Il Profeta Geremia, F. M., va ancor più oltre. Per farci intendere quanto la perdita di un’anima è dolorosa per Iddio, ascoltatelo in un momento in cui è dominato dallo spirito del Signore: “Ah! mio Dio, ah! mio Dio, che diverrò? m’avete dato la cura d’un popolo ribelle, d’una nazione ingrata, che non vuole ascoltarvi, né sottomettersi ai vostri ordini; ahimè! che farò io? qual partito prenderò? Ecco ciò che il Signore mi rispose: “Per mostrar loro quanto Io soffra per la perdita dell’anima loro, afferra i tuoi capelli, strappali dalla testa, gettali lontano, perché il peccato di questo popolo m’ha costretto ad abbandonarlo, ed il mio furore è piombato su di esso.„ Quando la collera del Signore è accesa pel peccato nel cuore, è la più terribile malattia: “Ma, Signore, gli disse il Profeta, che farò io per impegnarvi a distogliere il vostro sguardo di collera dal popolo vostro? — Vestiti di un sacco, mi disse il Signore, mettiti la cenere sulla testa e piangi senza tregua e con tanta abbondanza che le lagrime coprano il tuo volto; e piangi tanto amaramente che i tuoi peccati vengano soffocati nelle tue lagrime.„ (Ger. VII, 29). Comprendete, F. M., quanto affligga il buon Dio la perdita delle nostre anime? Vedete quanto siamo sventurati, perdendo un’anima, che Dio ama tanto che non avendo ancora gli occhi per piangere, adopera quelli dei Profeti per versar lagrime amare sulla sua rovina! Il Signore ci dice per bocca del Profeta Gioele: “Piangete la perdita delle anime come uno sposo novello, il quale ha perduto la sposa che doveva essere tutta la sua consolazione, ed è ridotto ad ogni sorta di sventure!„ (Gioel. I, 8) S. Bernardo ci dice che tre cose sono capaci di farci piangere: ma ve n’è una sola che possa render meritorie le lagrime nostre, cioè quando piangiamo i peccati nostri o dei nostri fratelli: tutte le altre non sono che lagrime profane o colpevoli, o almeno infruttuose. Piangere la perdita d’una lite ingiusta, la morte d’un figlio; lagrime inutili. Piangere la privazione d’un piacere carnale; lagrime peccaminose. Piangere una lunga malattia; lagrime infruttuose ed inutili. Ma, piangere la morte spirituale dell’anima propria, la lontananza di Dio, la perdita del cielo: “O lagrime preziose, ci dice questo gran Santo; ma quanto siete rare!„ E perché, F. M., se non perché non sentite la grandezza della disgrazia vostra nel tempo e nella eternità? Ahimè, F. M.! è il timore di questa perdita che ha spopolato il mondo, per riempire di tanti Cristiani i deserti ed i monasteri: costoro comprendevano assai meglio di noi che se perdiamo l’anima nostra tutto è perduto; e che essa doveva essere di gran valore, se Dio stesso ne faceva tanto conto. Sì, F. M., i Santi hanno sofferto tanto per conservare l’anima loro pel cielo! La storia ce ne fornisce esempi senza numero: eccone uno, F. M.: se non abbiamo il coraggio di imitarlo, potremo almeno ammirarlo per benedirne il buon Dio. Leggiamo nella vita di S. Giovanni Calibita (Vita dei Padri del deserto, t. IX, P. 279), nato a Costantinopoli, che incominciò dalla sua infanzia a comprendere il nulla delle cose umane, ed a sentire un gusto grande per la solitudine. Un religioso d’un vicino monastero passando da Costantinopoli per andar in pellegrinaggio a Gerusalemme, alloggiò in casa de’ parenti di lui, che ricevevano i pellegrini con molto piacere. Il fanciullo domandò qual era la vita che si conduceva nel monastero. Sentito il racconto della vita santa e penitente dei religiosi, il piacere che si provava separati dal mondo per non aver altro commercio che con Dio solo, egli ne fu così commosso, e concepì un tal desiderio di abbandonare il mondo per partecipare a tale felicità, che non poteva più vedersi nel mondo. Disse a’ suoi parenti di non pensar più a fargli una posizione, perché Dio lo chiamava a finire i suoi giorni nel ritiro. I parenti tentarono, se era possibile, di fargli cambiar proposito: tutto inutile; domandò loro per sola eredità il libro dei santi Vangeli, che fu il suo unico tesoro. Ma per liberarsi dalle insistenze continue dei genitori, e per darsi tutto al buon Dio, abbandonò la casa, ed andò a presentarsi alla porta d’un monastero, chiedendo d’esservi ricevuto. I parenti mandarono a cercarlo da ogni parte. Non potendo trovarlo, si abbandonarono alle lagrime più amare. Il santo giovane passò sei anni in quel ritiro praticando tutte le virtù e penitenze che il suo amore per il buon Dio poté ispirargli. Dopo questo tempo gli venne il pensiero d’andar a visitare i parenti suoi, sperando che il buon Dio gli accorderebbe la stessa grazia che ebbe S. Alessio, il quale passò venti anni presso i suoi senza che alcuno lo conoscesse. Appena uscito dal monastero, trovato un povero cambiò l’abito con lui per rendersi ancor più irriconoscibile: d’altra parte le sue austerità così grandi ed una grave malattia l’avevano estremamente sfigurato. Vista da lontano la casa dei suoi genitori, si inginocchiò per domandare a Dio di guidarlo nella sua impresa. Essendo la porta già chiusa perché era notte, rimase fino a giorno là presso. Al mattino i domestici, vedutolo, ne ebbero compassione e gli permisero d’entrare in una piccola stanza per ritirarvisi. Dio solo conobbe quanto ebbe a soffrire, vedendo i suoi genitori ad ogni istante che passavano davanti a lui, e piangevano amaramente la perdita del figlio che era tutta la loro consolazione. Il padre suo, assai caritatevole, di tratto in tratto mandavagli di che nutrirsi: ma la madre non poteva avvicinarglisi senza sentirsi il cuore ribellarsi, tanto trovava ributtante quel povero. Se la sua carità non le avesse fatto vincere tal ripugnanza, l’avrebbe scacciato di casa. Sempre immersa nella tristezza, sempre piangente: e ciò davanti a colui che non poteva essere insensibile a quanto formava il più grande dei tormenti di sua madre… Il buon Santo passò tre anni in quella triste condizione, solo occupato nella preghiera e nel digiuno, spinto fino all’eccesso: piangeva continuamente. Quando il buon Dio gli fece conoscere essere vicina la sua fine, pregò il maggiordomo di suggerire alla padrona la carità di venire a vederlo, perché desiderava ardentemente di parlarle. Ricevuta tale ambasciata, ella ne parve seccata, sebbene solita a visitare spesso gli ammalati: provava tal ripugnanza di visitare costui, che dovette farsi grande violenza per andare sino all’entrata del luogo dove egli trovavasi. Il morente la ringraziò di tutte le cure che aveva avuto per un miserabile sconosciuto, e l’assicurò che pregherebbe sempre il Signore per lei, affinché la ricompensasse di quanto aveva fatto a suo favore. Le domandò ancora la grazia di incaricarsi della sua sepoltura. Dopo che glielo ebbe promesso, le donò il libro dei santi Evangeli, assai ben rilegato. Ella fu sorpresa di vedere che un povero possedeva un libro così ben rilegato: allora si risovvenne di quello già dato al figlio perduto. Rinnovandosi il suo dolore, si mise a versar lagrime copiose. Accorso il padre a quel pianto rumoroso, ed esaminato il libro, riconobbe che era quello del loro figlio. Egli domandò cosa fosse avvenuto di lui. Il Santo che non aveva più che un soffio di vita, disse loro sospirando e piangendo: “Questo è il libro che mi avete dato dieci anni fa: io sono quel figlio che tanto cercaste e pel quale tanto avete pianto. „ A queste parole, quasi svennero, vedendo il loro caro figlio cercato tanto lontano, e che era così vicino: sembrava loro di non poter più vivere. Ma nell’istante che lo stringevano tra le braccia, egli alzò le mani e gli occhi al cielo e rese a Dio la sua anima bella, che per conservarsi nell’innocenza aveva fatto tanti sacrifici, penitenze e sparso tante lagrime. Ecco, F. M., ciò che possiamo dire: questo Cristiano aveva la fortuna di conoscere la grandezza dell’anima sua, e la cura che doveva averne. Ecco, F. M., un Cristiano che ha glorificato Iddio in tutti gli atti della sua vita: ecco un’anima che ora brilla di gloria in cielo, e benedice il buon Dio d’averle dato la grazia di vincere il mondo, la carne, il sangue. Ah! sono pur fortunate queste morti anche agli occhi del mondo!

II. — In secondo luogo, ho detto che per conoscere il valore dell’anima nostra ci basta considerare quanto Gesù Cristo ha fatto per essa. Chi di noi, F. M., potrà comprendere quanta stima fa il buon Dio dell’anima nostra, giacché Egli ha fatto quanto era possibile ad un Dio per rendere felice una creatura? Per sentirsi più spinto ad amarla, la volle creare a sua immagine e somiglianza: perché contemplandola vedesse se stesso. Perciò vediamo che Egli dà all’anima i nomi più teneri e più capaci di manifestare un amore spinto sino all’eccesso. La chiama sua figlia, sorella, diletta, sposa, amica, colomba. (Cant. II, 10; IV, 9; etc., etc.). Ma non basta: l’amore si mostra assai meglio coi fatti che colle parole. Vedete la sua premura di abbandonare il cielo per prendere un corpo simile al nostro; sposando la nostra natura, Egli ha assunto tutte le nostre infermità, tranne il peccato; o piuttosto ha voluto caricarsi della giustizia che il Padre suo domandava da noi. Vedete il suo annientamento nel mistero dell’Incarnazione: vedete la sua povertà: per noi nasce in una stalla: vedete le lagrime che spargeva su quella paglia, dove pianse in anticipazione i nostri peccati: vedete quel sangue che scorre sotto il coltello della circoncisione: vedetelo fuggire in Egitto come un colpevole: vedete quell’umiltà e quella sottomissione a’ suoi genitori: vedetelo nel giardino dogli Ulivi, che geme, prega e sparge lagrime di sangue: vedetelo, preso, legato, incatenato, gettato a terra, percosso con calci e bastoni dalle sue creature: osservatelo attaccato alla colonna, tutto insanguinato: il suo corpo ha ricevuto troppe percosse, il sangue scorre per modo che anche i carnefici ne sono coperti: vedete la corona di spine che trapassa quel capo sacrosanto; vedetelo portare la croce al Calvario: quanti sono i passi che muove altrettante le cadute: vedetelo inchiodato sulla croce, ove Egli stesso vi si stende senza lasciar uscire dalla bocca una sola parola di lamento. Vedete le lacrime d’amore sparse morendo, e mescolantisi col suo Sangue adorabile! Questo è veramente un amore degno d’un Dio, che è amore! Così davvero, F. M., Egli mostra la stima che fa di un’anima! Non basta questo per farci comprendere quanto essa valga e la cura che dobbiamo averne? Ah! F. M., se avessimo la ventura, una volta sola nella vita, di comprendere la bellezza ed il valore dell’anima nostra, non saremmo pronti come Gesù Cristo, a far tutti i sacrifici per conservarla? Oh! quanto un’anima è bella, è preziosa agli occhi stessi di Dio! Come mai può darsi che ne facciamo così poco conto, e la trattiamo più duramente del più vile animale? Che deve pensare quest’anima, la quale conosce la propria bellezza e tutte le sue splendide doti, vedendosi trascinata nelle brutture del peccato? Ah! F. M., quando la avvoltoliamo nelle acque di quelle infami voluttà, sentiamo noi quale orrore deve essa provare di sé medesima l’anima, a cui Dio solo è superiore? Mio Dio, è possibile che sì poca cura ci prendiamo di tale bellezza? Vedete, F. M., cosa diviene un’anima che ha la disgrazia di cadere nel peccato. In grazia di Dio la si prenderebbe per una divinità: ma nel peccato!… Il Signore un giorno mostrò ad un Profeta un’anima in peccato: ed egli ci dice che era simile ad una carogna, trascinata otto giorni per una strada sotto la sferza del sole. Ah! possiamo ben dire, F. M., col profeta Geremia: “È caduta la grande Babilonia, è divenuta il nido dei demoni. „ (Apoc. XVIII, 2; Jer. LI, 8) Oh! come è bella un’anima, quando ha la fortuna di possedere la grazia del suo Dio! No, no, Dio solo può conoscerne tutto il pregio e tutto il valore! Quindi, vedete come Dio ha istituito una Religione per renderla felice quaggiù, aspettando di farla un giorno godere d’una più grande felicità nell’altra vita. Perché, F. M., ha istituito tutti i Sacramenti? Non è per guarirla, quando ha la sventura di essere ferita dal peccato, e per fortificarla nelle sue battaglie? Vedete a quanti oltraggi s’è esposto Gesù Cristo per essa! Quanto spesso si violano i suoi Comandamenti! quante volte vengono profanati i suoi Sacramenti, quanti sacrilegi nel riceverli! Eppur, no, F. M., sebbene Gesù Cristo sappia tutti gli insulti che vi riceverà, l’amore per le anime nostre non ha potuto arrestarlo dirò meglio, F. M.: Gesù Cristo ha tanto amato, o piuttosto ama tanto l’anima nostra, che, se occorresse, morirebbe una seconda volta. Vedete la sua sollecitudine in soccorrerci nelle nostre pene e nei nostri dolori: vedete le sue cure per coloro che vogliono amarlo: vedete tutte quelle schiere di Santi che ha nutrito in modo miracoloso. Ah! F. M., se avessimo una volta la fortuna di ben comprendere che cos’è un’anima e come Dio… come Egli l’ama, e vuol ricompensarla per tutta l’eternità, noi faremmo come i Santi: né i beni, né i piaceri, né la morte sarebbero capaci di farcela vendere al demonio. Vedete tutte quelle schiere di martiri e i tormenti sopportati per non perderla: vedeteli montar sui patiboli, e darsi in mano ai carnefici con gioia incredibile … Ne abbiamo un bell’esempio in S. Cristina, vergine e martire. Questa martire illustre era toscana. Il padre suo, governatore, ne divenne egli stesso il carnefice. Causa della sua collera, fu l’aver la figliuola tolti via tutti gli idoli che egli adorava in casa; riducendoli in pezzi per farne elemosina ai poveri Cristiani. Per questo atto il padre ebbe un tale accesso di furore che la diede sull’istante in mano ai carnefici, i quali per suo ordine la flagellarono crudelmente e la tormentarono con ferocia inaudita. Il suo povero corpo era ormai tutto sanguinante e il padre ordinò si prendessero uncini di ferro per straziarglielo maggiormente. Giunsero tant’oltre, che le si vedeva gran parte delle ossa in quasi tutte le membra del corpo: ma, un dolore sì cocente non abbatté il suo coraggio né turbò la calma dell’anima sua; ella raccolse, senza tremare, la propria carne dilaniata e la presentò al padre. Un atto così sorprendente, invece di toccare il cuore di quel barbaro padre, non servì che ad irritarlo ancor più: la fece gettare in una prigione orribile, carica di catene: la ricoperse di maledizioni, dicendole che ben altri tormenti le erano preparati: ma la santa figliuola, che aveva appena dieci anni, non ne fu spaventata. Infatti, pochi giorni dopo, il padre la fece uscire di prigione, ed attaccare ad una ruota uncinata alquanto sollevata da terra e tutta cosparsa d’olio, con sotto accesovi gran fuoco, affinché, girando la ruota, il corpo della piccola innocente soffrisse un doppio supplizio. Ma un grande miracolo ne impedì l’effetto: il fuoco rispettò la purezza della vergine Cristina, e non fece alcun danno al suo corpo; mentre invece si voltò contro gli idolatri, e ne abbruciò un numero grandissimo. Il padre, vedendo tali prodigi, scoppiava di dispetto. Non potendo soffrire tale sconfitta, senza vendicarsene come l’odio gli ispirava, ricondusse la figlia in prigione: ma non vi restò senza chi la soccorresse: un Angelo discese nella sua cella per consolarla, e ad un tempo guarì tutte le sue piaghe, ridandole nuove forze. Il padre snaturato, saputo il miracolo, stabilì di ordinare un ultimo sforzo. Comandò al carnefice di attaccarle una pietra al collo, e precipitarla nel lago. Ma il buon Dio che aveva saputo preservarla dalle fiamme, seppe anche salvarla dalle acque: il medesimo Angelo che l’aveva soccorsa in prigione, la soccorse sulle acque e la fece tranquillamente tornare alla riva, dove fu trovata più sana di prima. Il padre, vedendo che tutto quanto ordinava per farla soffrire non riusciva a nulla, ne ebbe tale rammarico che morì di rabbia. Dione, suo successore nel governo, gli succedette anche nella ferocia: credette fosse dover suo vendicare la morte del padre, di cui credeva fosse causa la figlia. Inventò mille sorta di tormenti contro quella vergine innocente: ma il più crudele fu l’immergerla in una vasca piena di olio bollente misto a pece. La santa giovane, che Dio compiacevasi proteggere in faccia ed a confusione dei suoi tiranni, con un sol segno di croce fece perder la forza a tutta quella materia, e usando una santa facezia, disse loro che l’avevano messa in una culla, come un bambino appena battezzato. Quei detestabili ministri di satana furono indignati di vedere che una fanciulla di dieci anni trionfava di tutti i loro sforzi, e dimenticando il rispetto dovuto al pudore ed alla modestia di quella vergine, le tagliarono i capelli, la spogliarono degli abiti, ed in tale stato la trascinarono in un tempio di idoli per forzarla a presentare incenso al demonio: ma alla sua entrata nel tempio, l’idolo cadde in pezzi, ed il tiranno morì sull’istante. Gli idolatri, testimoni del fatto, si convertirono quasi tutti, in numero di tremila. La santa giovane passò in mano d’un altro carnefice, chiamato Giustino. Il tiranno, stimando suo dovere vendicar la vergogna e la morte del suo predecessore, provò ancora su di essa quanto il furore poté ispirargli: cominciò a gettarla in una fornace ardente, perché vi rimanesse incenerita: ma il buon Dio, con un nuovo miracolo, permise che le fiamme non le facessero alcun male; e la vergine vi stette cinque giorni senza nulla soffrirne. Allora gli uomini, trovandosi esauriti nella loro malizia, ricorsero al demonio, e si rivolsero ad un mago che gettò gran numero di orribili serpenti nella sua prigione, pensando che sarebbe morta di veleno: ma tale consiglio diabolico non servì che a far risplendere maggiormente la gloria della vergine, facendola trionfare degli animali, dopo aver trionfato della rabbia degli uomini. Le si tagliò la lingua: ma si faceva udire anche meglio, e cantava con più forza le lodi del Dio che adorava. Da ultimo, non sapendo più che fare, il carnefice la fece attaccare ad un palo, dove il suo corpo fu trafitto da frecce, finché l’anima sua se ne separò per andar a godere la presenza di Dio che aveva così ben meritata. Ditemi, F. M., questa giovinetta non comprendeva la grandezza ed il valore dell’anima? Non era penetrata di quanto doveva fare per conservarla, a costo dei beni, dei piaceri, della sua vita stessa? Ah! F. M., se avessimo una buona volta compreso che 1’anima nostra vale la stima che Dio stesso ne fa, potremmo lasciarla perire come facciamo? No, no, F. M., non meravigliamoci più di tante lagrime versate da Gesù Cristo sulla perdita dell’anima nostra. Ma, penserete voi, su che cosa adunque ha tanto pianto Gesù Cristo? — Ahimè! ha pianto sul nostro orgoglio, vedendo che non cerchiamo che gli onori e la stima del mondo, invece di pensar solo ad umiliarci alla vista di ciò che un Dio ha subito per innalzarci: ha pianto sui nostri odii e sulle nostre vendette, mentre egli muore pe’ suoi nemici: ha pianto sui nostri vizi vergognosi di impurità, vedendo come questo peccato disonora l’anima nostra e la immerge in un fango immondo e putrido. Ahimè, F. M.! Egli ha pianto sui nostri peccati. Voleva salvarci tutti e renderci felici; non voleva che anime sì belle, sue creature, andassero perdute, disonorate, schiave del demonio, mentre sono dotate di tante belle doti, e destinate a sì grande felicità.

III. — S. Agostino ci dice: “Volete sapere che cosa vale l’anima vostra? Andate, domandatelo al demonio; egli ve lo dirà. Il demonio stima tanto un’anima che quando pur vivessimo quattro mila anni, se dopo quattro mila anni di tentazioni riuscisse di guadagnarci, non gli rincrescerebbe affatto.„ Questo Santo che aveva provato le tentazioni del demonio in un modo particolare, ci dice che la nostra vita è una tentazione continua. Il demonio stesso disse un giorno per bocca di un ossesso, che finché fossevi un uomo sulla terra lo avrebbe tentato. Perché, disse, non posso soffrire che i Cristiani dopo tanti peccati possano sperar ancora il cielo che io ho perduto in un solo momento senza poterlo più riguadagnare. Ma, ahimè! non sentiamo noi stessi che in quasi tutte le nostre azioni siamo tentati, ora dall’orgoglio, dalla vanità, dalla buona opinione che pensiamo si avrà di noi, ora dalla gelosia, dall’odio, dalla vendetta! Altre volte il demonio non viene a presentarci le immagini più vergognose ed impure? Vedete nelle nostre preghiere: egli distrae il nostro spirito da una parte e dall’altra: non ci sembra quasi d’essere in uno stato quando ci troviamo alla santa presenza di Dio? E, assai più, non troverete un santo che non sia stato tentato dopo Adamo, chi in un modo, chi in un altro; ed i più gran Santi lo furono di più. Se nostro Signore è stato tentato, è per mostrarci che dobbiamo esserlo ancor noi: bisogna adunque assolutamente aspettarcelo. Se mi domandate la causa delle nostre tentazioni, vi dirò che è la bellezza ed il valore dell’anima nostra, che il demonio stima ed ama tanto che acconsentirebbe a soffrire due inferni, occorrendo, se con ciò potesse trascinare l’anima nostra all’inferno. Non dobbiamo cessar mai di vegliare su di noi stessi, per timore che il demonio ci inganni quando meno ce l’aspettiamo. S. Francesco ci dice che un giorno il buon Dio gli fece vedere il modo col quale il demonio tentava i suoi religiosi, soprattutto contro la purità. Gli mise innanzi una schiera innumerevole di demoni i quali non facevan altro che tirar frecce contro i religiosi: le une ritornavano con violenza contro i demoni stessi che le avevano scagliate; ed allora questi fuggivano gettando urla spaventevoli: le altre rimbalzavano su quelli contro i quali erano state gettate, cadendo ai loro piedi senza fare alcun male; altre entravano sino a tutta l’asta, ed infine li trapassavano da parte a parte. Bisogna servirci per scacciarli, come ci dice sant’Antonio, delle medesime armi; quando ci tenta di orgoglio, dobbiamo subito umiliarci ed abbassarci davanti a Dio: se vuol tentarci contro la santa virtù della purità, dobbiam cercare di mortificare il nostro corpo e tutti i nostri sensi, ed essere ancor più vigilanti su di noi stessi. Se vuol tentarci col disgusto nella preghiera, bisogna pregare di più e con maggior attenzione: e più il demonio ci dirà di lasciarla, più dobbiamo aumentare il numero delle nostre orazioni. Le tentazioni più da temere sono quelle che non conosciamo. S. Gregorio ci dice che era vi un religioso, che per un po’ era stato buono: gli venne poi un gran desiderio di uscire dal monastero e ritornare nel mondo perché, diceva egli, il buon Dio non lo voleva più nel monastero. Il suo superiore gli disse: “Amico mio, è il demonio che così vi tenta, indispettito che possiate salvar  l’anima vostra; combattetelo.„ Ma no, l’altro credé sempre che la cosa fosse com’egli pensava. Il santo gli permise di andarsene: ma mentre questi usciva, egli si pose in ginocchio per domandare al buon Dio di far conoscere a quel povero religioso che era precisamente il demonio che voleva perderlo. Appena messo il piede sulla soglia della porta per uscire, vide un grosso dragone che gli si gettò addosso. “Ah! esclamò, Fratelli miei, soccorso! ecco un dragone che mi vuol divorare.„ Infatti i religiosi accorsi al rumore, lo trovarono steso in terra, svenuto: lo portarono nel monastero, ed egli riconobbe che era il demonio che lo tentava, e che si struggeva di rabbia perché il suo superiore aveva pregato per lui, impedendogli di farlo suo. Ahimè! F. M., dobbiamo temere di non conoscere le nostre tentazioni! E non le conosceremo mai se non lo domandiamo a Dio. Che cosa dobbiamo, M. F., concludere, da ciò? che l’anima nostra è qualche cosa di ben grande agli occhi dei demoni, poiché sono tanto solleciti di non lasciarsi sfuggire una sola occasione di tentarci, per perderci e trascinarci nella loro rovina. Ma ora che abbiamo visto, F. M., che l’anima nostra è alcunché di grande, che Dio l’ama, che ha sofferto tanto per salvarla, e quali beni le prepara nell’altra vita: ora che abbiamo visto tutte le insidie ed astuzie del demonio per rovinarla, che cosa, F. M., ne pensiamo? quale stima ne facciamo? quale cura ne abbiamo? Abbiamo mai, F. M., meditato sulla grandezza dell’anima nostra, e sulla sollecitudine che ne dobbiamo avere? Che cosa facciamo, F. M., di quest’anima che ha tanto costato a Gesù Cristo? Ahimè! se dovessimo confessare che l’abbiamo soltanto per renderla infelice e farla soffrire! La stimiamo meno delle nostre bestie più vili: se queste sono in stalla, diamo loro da mangiare: abbiamo cura di aprire e chiudere le porte, temendo che i ladri ce le rubino: se ammalate, cerchiamo il veterinario che le guarisca: siamo afflitti, assai spesso, vedendole soffrire. Facciamo altrettanto per l’anima nostra, F. M.? Abbiamo cura di nutrirla colla grazia, colla frequenza ai Sacramenti? Abbiamo cura di ben chiudere le porte, per timore che i ladri ce la rubino? Ahimè! F. M., diciamolo a nostra vergogna: la lasciamo perire di miseria: la lasciamo assalire dai nemici, le nostre passioni: lasciamo tutte le porte aperte: viene il demonio dell’orgoglio, lo lasciamo entrare, ferire, straziare l’anima nostra: viene quello dell’impurità, entra, insozza, corrompe la povera anima nostra. “Ah! povera anima, ci dice S. Agostino, come sei stimata cosa da poco. Un orgoglioso ti vende per un pensiero di orgoglio, un avaro per un po’ di terra, un ubbriacone per un bicchier di vino, un vendicativo per un pensiero di vendetta!„ E davvero, F. M., dove sono le nostre buone orazioni, le Comunioni, le preghiere ben fatte, le Messe ben ascoltate, la rassegnazione alla volontà di Dio nelle afflizioni, la carità pei nemici? È possibile, F. M., che facciamo sì poco caso di un’anima tanto bella, che Dio ha amato più di se stesso, poiché è morto per salvarla? Ahimè, amiamo il mondo ed i piaceri del mondo: e quanto si riferisce alla gloria di Dio od alla salvezza dell’anima nostra ci annoia, ci disgusta: mormoriamo, quando bisogna occuparsene. Ahimè! qual rimorso avremo un giorno!… Il mondo sembra darci qualche piacere: ma non inganniamoci. Ascoltate che cosa ci dice S. Giovanni Crisostomo: vedrete come è più fortunato chi cerca conservare l’anima sua di chi cerca solo i piaceri e lascia da parte l’anima. “Mentre dormivo, racconta questo gran Santo, ebbi un sogno straordinario, che, svegliatomi, mi presentò tanti soggetti di riflessioni davanti a Dio. Vidi un luogo delizioso, una valle incantevole, dove la natura aveva raccolto tutte le sue bellezze, tutte le ricchezze e tutti i piaceri capaci di rallegrare un mortale. Mi meravigliò, in mezzo a quella valle di delizie, un uomo dall’aspetto triste, dal viso alterato, dallo spirito preoccupato: il suo atteggiamento tradiva l’agitazione dell’animo: ora stava immobile, con lo sguardo fisso a terra; ora camminava a lunghi passi con aria smarrita: poi, arrestatosi improvvisamente, mandava profondi sospiri, e s’immergeva in tetra melanconia, come se fosse vicino alla disperazione. Osservando attentamente, scopersi che quella valle di delizie terminava ad un precipizio pauroso, ad una voragine immensa, dove una forza arcana sembrava trascinarlo. Quell’uomo era agitato, malgrado tante delizie, perché con tale vista non poteva gustare un sol momento di gioia e di pace. Ma spingendo più lontano i miei sguardi, vidi un altro luogo tutto differente, un vallone oscuro e triste, montagne scoscese, deserti sterili: solo la desolazione sembrava abitar quel luogo, e nessun fogliame, nessuna verzura; rovi e spine: tutto ispirava tristezza, e una specie di orrore. La mia sorpresa giunse al colmo quando scorsi in questa valle un uomo pallido, macilento, estenuato, eppure con un viso sereno, un portamento tranquillo ed un’aria contenta: nonostante le apparenze desolanti, tutto annunciava un uomo che ha la pace dell’anima: ma spingendo i miei sguardi ancor più lontano, distinsi al termine di quella valle di miserie e di quel pauroso deserto, un luogo delizioso, un sito incantevole, dove scoprivasi ogni sorta di bellezze. L’uomo teneva fisso sempre l’occhio a quel termine, non lo perdeva mai di vista: camminava con coraggio, passando attraverso i rovi, dove spesso si pungeva: ma le sue ferite sembravano rinnovargli le forze. Meravigliato di ciò, domandai perché l’uno era così triste in quel luogo di piaceri, e l’altro così contento in un luogo di miserie. Allora sentii una voce che mi disse: Questi due uomini che vedi sono l’immagine di coloro che sono o interamente attaccati al mondo, o sinceramente consacrati al servizio di Dio. Il mondo, mi disse quella voce, presenta ai suoi seguaci prima i beni, i piaceri, almeno in apparenza; essi vi si abbandonano come insensati: ma bentosto riconoscono che non trovarono quanto credevano. La cosa più triste e desolante è che a capo di questa valle vi è una voragine, dove vanno a precipitare tutti coloro che camminano per questa via che sembra tanto dilettevole. L’altro uomo al contrario, mi disse la voce, dimostra l’opposto: nel servizio di Dio, prima vi sono prove e dolori, si abita in una valle di lagrime: bisogna mortificarsi, farsi violenza, privarsi delle dolcezze della vita, passare i giorni nelle angustie. Ma si resta animati dalla vista e dalla speranza d’un avvenire per sempre felice: è la sorte riservata all’uomo che trovavasi nella valle triste: ed il pensiero della felicità che gli  spetta lo conforta e lo sostiene nelle sue lotte. Tutto diviene consolante per lui, l’anima sua gusta già i beni promessi, che l’attendono, e dei quali godrà presto. „ Si può trovare, F. M., un’immagine più naturale di questa, per farci comprendere la differenza tra chi nella sua vita cerca solo di piacere a Dio, salvare l’anima propria, e chi mette da parte Dio e l’anima per correre dietro ad alcuni piaceri, che, senza offrire nulla di consolante né di perfetto, ci conducono in un precipizio, cioè nella voragine infernale (Est via qua videtur humìni justa: novìssima autem ejus deducunt ad mortem. Risus dolore miscebitur, et extrema gaudii luctus occupat (Prov.XIV, 12, 13). Fortunato, carissimi, chi seguirà questa strada, dove vi sono pene, ma di breve durata, e che al suo termine conduce ad un luogo felice, al possesso di Dio! È la fortuna che vi auguro ….

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XVIII: 9-12
Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulcióra super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea.

[La legge del Signore è retta e rallegra i cuori, i suoi giudizii sono piú dolci del miele e del favo: e il servo li custodisce.]

Secreta

Concéde nobis, quǽsumus, Dómine, hæc digne frequentáre mystéria: quia, quóties hujus hóstiæ commemorátio celebrátur, opus nostræ redemptiónis exercétur.

[Concedici, o Signore, Te ne preghiamo, di frequentare degnamente questi misteri, perché quante volte si celebra la commemorazione di questo sacrificio, altrettante si compie l’opera della nostra redenzione.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann VI: 57
Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo, dicit Dóminus.

[Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, ed io in lui, dice il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Tui nobis, quǽsumus, Dómine, commúnio sacraménti, et purificatiónem cónferat, et tríbuat unitátem.

[O Signore, Te ne preghiamo, la partecipazione del tuo sacramento serva a purificarci e a creare in noi un’unione perfetta.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “LE LACRIME DI GESÙ CRISTO”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Le lagrime di Gesù Cristo.

Videns Jesus oivitatem, flevit super illam.

(Luc. XIX, 41).

Gesù Cristo, entrando nella città di Gerusalemme pianse su di essa, dicendo: “Se almeno conoscessi le grazie che ti ho portato, e ne volessi approfittare, potresti ricevere ancora il tuo perdono: ma la tua cecità è giunta a tale eccesso, che tutte queste grazie non serviranno che a renderti ostinata e a perderti: tu hai ucciso i profeti, e fatto morire i servi di Dio; ed ora stai per mettere il colmo ai tuoi delitti facendo morire il Figlio stesso di Dio. „ Ecco, F. M., ciò che strappava lagrime a Gesù Cristo in grande abbondanza, mentre si avvicinava a quella città. Ahimè! Egli considerava in tutte queste sventure, la perdita di tante anime, ben più colpevoli dei Giudei, perché più di questi favoriti di tante grazie. Davvero, F. M., ciò che lo commosse così vivamente fu il pensiero che, non ostante i meriti della sua passione e morte sufficienti per redimere mille mondi più grandi del nostro, il maggior numero degli uomini andrebbe perduto. – Sì, F. M., Egli prevedeva coloro che disprezzerebbero le sue grazie, non servendosene che in proprio danno. E chi di noi, F. M., non trepiderà pensando sinceramente a condurre l’anima propria al cielo? Non siamo noi di quel numero? Non è per noi che Gesù Cristo disse piangendo: “Ah! purtroppo, se il mio sangue e la mia morte non servono alla vostra salvezza, accenderanno la collera del Padre mio su di voi per tutta l’eternità? „ Un Dio tradito!… un’anima dannata!… un cielo rifiutato! … Possibile che a tante sciagure rimaniamo insensibili? … È possibile, F. M., che, malgrado quanto ha fatto Gesù Cristo per salvare le anime nostre, siamo così insensibili alla loro perdita? … Ma per togliervi, F. M., da tale insensibilità, vi mostrerò:

1° che cos’è un’anima;

2° quanto ha costato a Gesù Cristo;

3° quanto fa il demonio per condurla a perdizione.

I. — Ah! F. M., se avessimo la fortuna di conoscere il valore dell’anima nostra, con qual cura la custodiremmo? Ahimè! non lo comprenderemo mai abbastanza! Voler mostrarvi, F. M., la grandezza del valore di un’anima è impossibile per un mortale: Dio solo conosco tutte le bellezze, le perfezioni delle quali l’ha ornata. Vi dirò solamente che tutto quanto Dio ha creato, il cielo, la terra e tutto ciò che vi a contenuto, tutto queste meraviglie furon create in suo favore. Il nostro catechismo ci dà la più bella prova possibile della grandezza dell’anima. Quando si domanda ad un fanciullo: che cosa intendi quando dici che l’anima dell’uomo è uno spirito creato ad immagine di Dio? Quest’anima, ci risponde il fanciullo, al pari di Dio ha la potenza di conoscere, di amare e di determinarsi liberamente in tutte le sue azioni. Ecco, F. M., il più bell’elogio che possiamo fare delle doti, colle quali Dio abbellì l’anima nostra, creata dalle tre Persone della Ss. Trinità, ed a loro somiglianza. Uno spirito, al par di Dio, immortale, capace di conoscere le bellezze e le perfezioni tutte di Dio, quanto è possibile ad una creatura: uno spirito, che è l’oggetto delle compiacenze delle tre divine Persone; uno spirito, che può glorificar Dio in tutte le sue azioni; uno spirito, la cui occupazione sarà di cantar le lodi di Dio per tutti i secoli; uno spirito, che risplenderà della felicità di Dio medesimo; uno spirito, che ha una tal libertà nelle sue azioni da poter donare la sua amicizia, l’amor suo a chi meglio gli pare; che può non amare Dio, od amarlo: ma che, se è tanto fortunato di volgere il suo amore a Dio, non obbedisce più esso a Dio, sebbene Dio stesso fa quanto vuole questo spirito (Voluntatem timentium se faciet Ps. CXLIV. 19) e sembra compiacersi di farlo. Potrei anche dire che dal principio del mondo non trovate un’anima che, essendosi data a Dio senza restrizioni, Dio le abbia rifiutato alcuna cosa da lei desiderata. Vediamo che Dio ci ha creato con tali desideri, che nulla è capace di soddisfarli. Presentate ad un’anima tutte le ricchezze ed i tesori del mondo, niente di ciò potrà accontentarla; avendola Iddio creata per sé, non vi è che Lui solo capace di riempire tutti i vasti suoi desideri. Sì, P. M., l’anima nostra può amar Dio; ed è questa la più grande di tutte le felicità! Amandolo abbiamo tutti i beni ed i piaceri che possiamo desiderare sulla terra ed in cielo (Ps. LXXII, 25).Possiamo anche servirlo; cioè glorificarlo in ogni azione della nostra vita. Anche dalle minime cose che facciamo Dio viene glorificato, se le facciamo coll’intenzione di piacergli. La nostra occupazione, mentre siamo sulla terra, nulla ha di differente da quella degli Angeli in cielo; l’unica differenza è che noi vediamo questi beni solo cogli occhi della fede.  L’anima nostra è così nobile, ornata di tante belle qualità che il buon Dio non volle affidarla che ad un principe della corte celeste. L’anima nostra è così preziosa agli occhi di Dio stesso, che in tutta la sua sapienza, non trovò altro cibo degno di lei che il suo Corpo adorabile, di cui vuole che essa faccia il suo nutrimento quotidiano: e altra bevanda che il Sangue suo prezioso. ” Sì, F. M., abbiamo un’anima che Dio stima tanto, ci dice S. Ambrogio, che, fosse stata pur sola nel mondo, egli non avrebbe creduto di far troppo morendo per essa; e se, creandola, non avesse creato il cielo, il buon Dio lo avrebbe creato apposta per essa, anche se fosse sola nel mondo.„ Come disse Egli un giorno a S. Teresa: “Mi sei tanto cara, così Gesù Cristo, che se non vi fosse il cielo, ne creerei uno apposta per te. „ —“O corpo mio, esclama S. Bernardo, quanto sei fortunato di albergare un’anima adorna di tante belle qualità! Un Dio, sebbene infinito, la fa oggetto di sue compiacenze!„ Sì, F. M., l’anima nostra è destinata a passar tutta l’eternità in grembo a Dio stesso. Dico tutto in una parola: l’anima nostra è alcunché di così grande, di così prezioso, che Dio solo la supera. Un giorno il buon Dio fece vedere un’anima a S. Caterina. La trovò così bella, che esclamò: “O mio Dio, se la fede non mi insegnasse che v’è un Dio solo, crederei che questa sia una divinità; no, mio Dio, non mi meraviglio più che voi siate morto per l’anima che è sì bella!„ Sì, F. M., l’anima nostra nella vita futura sarà eterna quanto Dio stesso. No, no, non andiamo oltre: ci perdiamo in questo abisso di grandezza. Dopo questo, F. M., vi lascio pensare se dobbiamo meravigliarci che Dio, il quale ne conosce così bene il valore, pianga tanto amaramente la perdita di un’anima. Ahimè! F. M., il buon Dio è così sensibile alla perdita di un’anima che l’ha pianta prima di aver gli occhi per piangere: adoperò gli occhi dei suoi profeti per piangere la perdita delle anime nostre. Lo vediamo in modo evidente nel profeta Amos: “Essendomi ritirato nell’oscurità, dice il profeta, considerando lo spaventoso numero di delitti che il popolo di Dio commette ogni giorno, vedendo che la collera di Dio era pronta a piombargli addosso, e che l’inferno apriva le sue fauci per inghiottirlo, adunatili insieme, ed io stesso tutto tremante, dissi loro piangendo amaramente: “Figli miei, sapete qual è la mia occupazione, notte e giorno? Ahimè! mi rappresento vivamente tutti i vostri peccati, nell’amarezza del mio cuore. Se dopo… oppresso dalla fatica, mi assopisco, subito mi sveglio di soprassalto, con gli occhi bagnati di lagrime ed il cuore spezzato dal dolore gridando: Mio Dio, mio Dio, non vi saranno anime in Israele che non vi offendono? Quando mi riempio la mente di questa triste e lagrimevole idea, ne parlo   al Signore, ne gemo amaramente alla sua santa presenza, dicendogli: Mio Dio, qual mezzo debbo usare per ottener loro grazia? Ecco che cosa mi rispose il Signore: Profeta, se vuoi ottenere il perdono di questo popolo ingrato, va, corri per le vie e per le pubbliche piazze: falle risuonare dei gemiti più amari: entra nelle botteghe dei mercanti e degli artigiani; va nei luoghi dove si amministra la giustizia: ascendi nelle magioni dei grandi e nei gabinetti dei giudici: di’ a tutti quanti troverai dentro e fuori della città: “Guai a voi! ah! guai a voi, che avete peccato contro il Signore!„ Non basta; chiama in tuo soccorso quanti sono capaci di piangere, affinché aggiungano le loro lagrime alle tue, ed i vostri gemiti e le vostre grida siano così spaventose da gettare la costernazione in tutti i cuori: affinché abbandonino i loro peccati e li piangano sino alla tomba: affinché comprendano quanto mi è dolorosa la perdita delle anime loro. „ – Il profeta Geremia, F. M., va ancor più oltre. Per farci intendere quanto la perdita di un’anima è dolorosa per Iddio, ascoltatelo in un momento in cui è dominato dallo spirito del Signore: “Ah! mio Dio, ah! mio Dio, che diverrò? m’avete dato la cura d’un popolo ribelle, d’una nazione ingrata, che non vuole ascoltarvi, né sottomettersi ai vostri ordini; ahimè! che farò io? qual partito prenderò? Ecco ciò che il Signore mi rispose: “Per mostrar loro quanto io soffra per la perdita dell’anima loro, afferra i tuoi capelli, strappali dalla testa, gettali lontano, perché il peccato di questo popolo m’ha costretto ad abbandonarlo, ed il mio furore è piombato su di esso.„ Quando la collera del Signore è accesa pel peccato nel cuore, è la più terribile malattia: “Ma, Signore, gli disse il profeta, che farò io per impegnarvi a distogliere il vostro sguardo di collera dal popolo vostro? — Vestiti di un sacco, mi disse il Signore, mettiti la cenere sulla testa e piangi senza tregua e con tanta abbondanza che le lagrime coprano il tuo volto; e piangi tanto amaramente che i tuoi peccati vengano soffocati nelle tue lagrime.„ (Ger. VII, 29). Comprendete, F. M.. quanto affligga il buon Dio la perdita delle nostre anime? Vedete quanto siamo sventurati, perdendo un’anima, che Dio ama tanto che non avendo ancora gli occhi per piangere, adopera quelli dei profeti per versar lagrime amare sulla sua rovina! Il Signore ci dice per bocca del profeta Gioele: “Piangete la perdita delle anime come uno sposo novello, il quale ha perduto la sposa che doveva essere tutta la sua consolazione, ed è ridotto ad ogni sorta di sventure!„ (Gioel. I, 8) S. Bernardo ci dice che tre cose sono capaci di farci piangere: ma ve n’è una sola che possa render meritorie le lagrime nostre, cioè quando piangiamo i peccati nostri o dei nostri fratelli: tutte le altre non sono che lagrime profane o colpevoli, o almeno infruttuose. Piangere la perdita d’una lite ingiusta, la morte d’un figlio; lagrime inutili. Piangere la privazione d’un piacere carnale; lagrime peccaminose. Piangere una lunga malattia; lagrime infruttuose ed inutili. Ma, piangere la morte spirituale dell’anima propria, la lontananza di Dio, la perdita del cielo: “O lagrime preziose, ci dice questo gran Santo; ma quanto siete rare!„ E perché, F. M., se non perché non sentite la grandezza della disgrazia vostra nel tempo e nella eternità? Ahimè, F. M.! è il timore di questa perdita che ha spopolato il mondo, per riempire di tanti Cristiani i deserti ed i monasteri: costoro comprendevano assai meglio di noi che se perdiamo l’anima nostra tutto è perduto; e, che essa doveva essere di gran valore, se Dio stesso ne faceva tanto conto. Sì, F. M., i santi hanno sofferto tanto per conservare l’anima loro pel cielo! La storia ce ne fornisce esempi senza numero: eccone uno, F. M.: se non abbiamo il coraggio di imitarlo, potremo almeno ammirarlo per benedirne il buon Dio. Leggiamo nella vita di S. Giovanni Calibita (Vita dei Padri del deserto, t. IX, P. 279), nato a Costantinopoli, che incominciò dalla sua infanzia a comprendere il nulla delle cose umane, ed a sentire un gusto grande per la solitudine. Un religioso d’un vicino monastero passando da Costantinopoli per andar in pellegrinaggio a Gerusalemme, alloggiò in casa de’ parenti di lui, che ricevevano i pellegrini con molto piacere. Il fanciullo domandò qual era la vita che si conduceva nel monastero. Sentito il racconto della vita santa e penitente dei religiosi, il piacere che si provava separati dal mondo per non aver altro commercio che con Dio solo, egli ne fu così commosso, e concepì un tal desiderio di abbandonare il mondo per partecipare a tale felicità, che non poteva più vedersi nel mondo. Disse a’ suoi parenti di non pensar più a fargli una posizione, perché Dio lo chiamava a finire i suoi giorni nel ritiro. I parenti tentarono, se era possibile, di fargli cambiar proposito: tutto inutile; domandò loro per sola eredità il libro dei santi Vangeli, che fu il suo unico tesoro. Ma per liberarsi dalle insistenze continue dei genitori, e per darsi tutto al buon Dio, abbandonò la casa, ed andò a presentarsi alla porta d’un monastero, chiedendo d’esservi ricevuto. I parenti mandarono a cercarlo da ogni parte. Non potendo trovarlo, si abbandonarono alle lagrime più amare. Il santo giovane passò sei anni in quel ritiro praticando tutte le virtù e penitenze che il suo amore per il buon Dio poté ispirargli. Dopo questo tempo gli venne il pensiero d’andar a visitare i parenti suoi, sperando che il buon Dio gli accorderebbe la stessa grazia che ebbe S. Alessio, il quale passò venti anni presso i suoi senza che alcuno lo conoscesse. Appena uscito dal monastero, trovato un povero cambiò l’abito con lui per rendersi ancor più irriconoscibile: d’altra parte le sue austerità così grandi ed una grave malattia l’avevano estremamente sfigurato. Vista da lontano la casa dei suoi genitori, si inginocchiò per domandare a Dio di guidarlo nella sua impresa. Essendo la porta già chiusa perché era notte, rimase fino a giorno là presso. Al mattino i domestici, vedutolo, ne ebbero compassione e gli permisero d’entrare in una piccola stanza per ritirarvisi. Dio solo conobbe quanto ebbe a soffrire, vedendo i suoi genitori ad ogni istante che passavano davanti a lui, e piangevano amaramente la perdita del figlio che era tutta la loro consolazione. Il padre suo, assai caritatevole, di tratto in tratto mandavagli di che nutrirsi: ma la madre non poteva avvicinarglisi senza sentirsi il cuore ribellarsi, tanto trovava ributtante quel povero. Se la sua carità non le avesse fatto vincere tal ripugnanza, l’avrebbe scacciato di casa. Sempre immersa nella tristezza, sempre piangente: e ciò davanti a colui che non poteva essere insensibile a quanto formava il più grande dei tormenti di sua madre… Il buon santo passò tre anni in quella triste condizione, solo occupato nella preghiera e nel digiuno, spinto fino all’eccesso: piangeva continuamente. Quando il buon Dio gli fece conoscere essere vicina la sua fine, pregò il maggiordomo di suggerire alla padrona la carità di venire a vederlo, perché desiderava ardentemente di parlarle. Ricevuta tale ambasciata, ella ne parve seccata, sebbene solita a visitare spesso gli ammalati: provava tal ripugnanza di visitare costui, che dovette farsi grande violenza per andare sino all’entrata del luogo dove egli trovavasi. Il morente la ringraziò di tutte le cure che aveva avuto per un miserabile sconosciuto, e l’assicurò che pregherebbe sempre il Signore per lei, affinché la ricompensasse di quanto aveva fatto a suo favore. Le domandò ancora la grazia di incaricarsi della sua sepoltura. Dopo che glielo ebbe promesso, le donò il libro dei santi Evangeli, assai ben rilegato. Ella fu sorpresa di vedere che un povero possedeva un libro così ben rilegato: allora si risovvenne di quello già dato al figlio perduto. Rinnovandosi il suo dolore, si mise a versar lagrime copiose. Accorso il padre a quel pianto rumoroso, ed esaminato il libro, riconobbe che era quello del loro figlio. Egli domandò cosa fosse avvenuto di lui. Il santo che non aveva più che un soffio di vita, disse loro sospirando e piangendo: “Questo è il libro che mi avete dato dieci anni fa: io sono quel figlio che tanto cercaste e pel quale tanto avete pianto. „ A queste parole, quasi svennero, vedendo il loro caro figlio cercato tanto lontano, e che era così vicino: sembrava loro di non poter più vivere. Ma nell’istante che lo stringevano tra le braccia, egli alzò le mani e gli occhi al cielo e rese a Dio la sua anima bella, che per conservarsi nell’innocenza aveva fatto tanti sacrifici, penitenze e sparso tante lagrime. Ecco, F. M., ciò che possiamo dire: questo Cristiano aveva la fortuna di conoscere la grandezza dell’anima sua, e la cura che doveva averne. Ecco, F. M., un Cristiano che ha glorificato Iddio in tutti gli atti della sua vita: ecco un’anima che ora brilla di gloria in cielo, e benedice il buon Dio d’averle dato la grazia di vincere il mondo, la carne, il sangue. Ah! sono pur fortunate queste morti anche agli occhi del mondo!

II. — In secondo luogo, ho detto che per conoscere il valore dell’anima nostra ci basta considerare quanto Gesù Cristo ha fatto per essa. Chi di noi, F. M., potrà comprendere quanta stima fa il buon Dio dell’anima nostra, giacché Egli ha fatto quanto era possibile ad un Dio per rendere felice una creatura? Per sentirsi più spinto ad amarla, la volle creare a sua immagine e somiglianza: perché contemplandola vedesse so stesso. Perciò vediamo che Egli dà all’anima i nomi più teneri e più capaci di manifestare un amore spinto sino all’eccesso. L a chiama sua figlia, sorella, diletta, sposa, amica, colomba. (Cant. II, 10; IV, 9; e, etc.). Ma non basta: l’amore si mostra assai meglio coi fatti che colle parole. Vedete la sua premura di abbandonare il cielo per prendere un corpo simile al nostro; sposando la nostra natura, Egli ha assunto tutte le nostre informità, tranne il peccato; o piuttosto ha voluto caricarsi della giustizia che il Padre suo domandava da noi. Vedete il suo annientamento nel mistero dell’Incarnazione: vedete la sua povertà: per noi nasce in una stalla: vedete le lagrime che spargeva su quella paglia, dove pianse in anticipazione i nostri peccati: vedete quel sangue che scorre sotto il coltello della circoncisione: vedetelo fuggire in Egitto come un colpevole: vedete quell’umiltà e quella sottomissione a’ suoi genitori: vedetelo nel giardino dogli Ulivi, che geme, prega e sparge lagrime di sangue: vedetelo, preso, legato, incatenato, gettato a terra, percosso con calci e bastoni dalle sue creature: osservatelo attaccato alla colonna, tutto insanguinato: il suo corpo ha ricevuto troppe percosse, il sangue scorre per modo che anche i carnefici ne sono coperti: vedete la corona di spine che trapassa quel capo sacrosanto; vedetelo portare la croce al Calvario: quanti sono i passi che muove altrettante le cadute: vedetelo inchiodato sulla croce, ove Egli stesso vi si stende senza lasciar uscire dalla bocca una sola parola di lamento. Vedete le lacrime d’amore sparse morendo, e mescolantisi col suo Sangue adorabile! Questo è veramente un amore degno d’un Dio, che è amore! Così davvero, F. M., Egli mostra la stima che fa di un’anima! Non basta questo per farei comprendere quanto essa valga e la cura che dobbiamo averne? Ah! F. M., se avessimo la ventura, una volta sola nella vita, di comprendere la bellezza ed il valore dell’anima nostra, non saremmo pronti come Gesù Cristo, a far tutti i sacrifici per conservarla? Oh! quanto un’anima è bella, è preziosa agli occhi stessi di Dio! Come mai può darsi che ne facciamo così poco conto, e la trattiamo più duramente del più vile animale? Che deve pensare quest’anima, la quale conosce la propria bellezza e tutte le sue splendide doti, vedendosi trascinata nelle brutture del peccato? Ah! F. M., quando la avvoltoliamo nelle acque di quelle infami voluttà, sentiamo noi quale orrore deve essa provare di sé medesima l’anima, a cui Dio solo è superiore? Mio Dio, è possibile che sì poca cura ci prendiamo di tale bellezza? Vedete, F . M., cosa diviene un’anima che ha la disgrazia di cadere nel peccato. In grazia di Dio la si prenderebbe per una divinità: ma nel peccato!… Il Signore un giorno mostrò ad un profeta un’anima in peccato: ed egli ci dice che era simile ad una carogna, trascinata otto giorni per una strada sotto la sferza del sole. Ah! possiamo ben dire, F . M., col profeta Geremia: “È caduta la grande Babilonia, è divenuta il nido dei demoni. „ (Apoc. XVIII, 2; Jer. LI, 8) Oh! come è bella un’anima, quando ha la fortuna di possedere la grazia del suo Dio! No, no, Dio solo può conoscerne tutto il pregio e tutto il valore! Quindi, vedete come Dio ha istituito una religione per renderla felice quaggiù, aspettando di farla un giorno godere d’una più grande felicità nell’altra vita. Perché, F. M., ha istituito tutti i Sacramenti? Non è per guarirla, quando ha la sventura di essere ferita dal peccato, e per fortificarla nelle sue battaglie? Vedete a quanti oltraggi s’è esposto Gesù Cristo per essa! Quanto spesso si violano i suoi Comandamenti! quante volte vengono profanati i suoi Sacramenti, quanti sacrilegi nel riceverli! Eppur, no, F. M., sebbene Gesù Cristo sappia tutti gli insulti che vi riceverà, l’amore per le anime nostre non ha potuto arrestarlo dirò meglio, F. M.: Gesù Cristo ha tanto amato, o piuttosto ama tanto l’anima nostra, che, se occorresse, morirebbe una seconda volta. Vedete la sua sollecitudine in soccorrerci nelle nostre pene e nei nostri dolori: vedete le sue cure per coloro che vogliono amarlo: vedete tutte quelle schiere di santi che ha nutrito in modo miracoloso. Ah! F. M., se avessimo una volta la fortuna di ben comprendere che cos’è un’anima e come Dio… come Egli l’ama, e vuol ricompensarla per tutta l’eternità, noi faremmo come i santi: né i beni, né i piaceri, né la morte sarebbero capaci di farcela vendere al demonio. Vedete tutte quelle schiere di martiri e i tormenti sopportati per non perderla: vedeteli montar sui patiboli, e darsi in mano ai carnefici con gioia in credibile … Ne abbiamo un bell’esempio in S. Cristina, vergine e martire. Questa martire illustre era toscana. Il padre suo, governatore, ne divenne egli stesso il carnefice. Causa della sua collera, fu l’aver la figliuola tolti via tutti gli idoli che egli adorava in casa; riducendoli in pezzi per farne elemosina ai poveri cristiani. Per questo atto il padre ebbe un tale accesso di furore che la diede sull’istante in mano ai carnefici, i quali per suo ordine la flagellarono crudelmente e la tormentarono con ferocia inaudita. Il suo povero corpo era ormai tutto sanguinante e il padre ordinò si prendessero uncini di ferro per straziarglielo maggiormente. Giunsero tant’oltre, che le si vedeva gran parte delle ossa in quasi tutte le membra del corpo: ma, un dolore sì cocente non abbatté il suo coraggio né turbò la calma dell’anima sua; ella raccolse, senza tremare, la propria carne dilaniata e la presentò al padre. Un atto così sorprendente, invece di toccare il cuore di quel barbaro padre, non servì che ad irritarlo ancor più: la fece gettare in una prigione orribile, carica di catene: la ricoperse di maledizioni, dicendole che ben altri tormenti le erano preparati: ma la santa figliuola, che aveva appena dieci anni, non ne fu spaventata. Infatti, pochi giorni dopo, il padre la fece uscire di prigione, ed attaccare ad una ruota uncinata alquanto sollevata da terra e tutta cosparsa d’olio, con sotto accesovi gran fuoco, affinché, girando la ruota, il corpo della piccola innocente soffrisse un doppio supplizio. Ma un grande miracolo ne impedì l’effetto: il fuoco rispettò la purezza della vergine Cristina, e non fece alcun danno al suo corpo; mentre invece si voltò contro gli idolatri, e ne abbruciò un numero grandissimo. Il padre, vedendo tali prodigi, scoppiava di dispetto. Non potendo soffrire tale sconfitta, senza vendicarsene come l’odio gli ispirava, ricondusse la figlia in prigione: ma non vi restò senza chi la soccorresse: un angelo discese nella sua cella per consolarla, e ad un tempo guarì tutte le sue piaghe, ridandole nuove forze. Il padre snaturato, saputo il miracolo, stabilì di ordinare un ultimo sforzo. Comandò al carnefice di attaccarle una pietra al collo, e precipitarla nel lago. Ma il buon Dio che aveva saputo preservarla dalle fiamme, seppe anche salvarla dalle acque: il medesimo Angelo che l’aveva soccorsa in prigione, la soccorse sulle acque e la fece tranquillamente tornare alla riva, dove fu trovata più sana di prima. Il padre, vedendo che tutto quanto ordinava per farla soffrire non riusciva a nulla, ne ebbe tale rammarico che morì di rabbia. Dione, suo successore nel governo, gli succedette anche nella ferocia: credette fosse dover suo vendicare la morte del padre, di cui credeva fosse causa la figlia. Inventò mille sorta di tormenti contro quella vergine innocente: ma il più crudele fu l’immergerla in una vasca piena di olio bollente misto a pece. La santa giovane, che Dio compiacevasi proteggere in faccia ed a confusione dei suoi tiranni, con un sol segno di croce fece perder la forza a tutta quella materia, e usando una santa facezia, disse loro che l’avevano messa in una culla, come un bambino appena battezzato. Quei detestabili ministri di satana furono indignati di vedere che una fanciulla di dieci anni trionfava di tutti i loro sforzi, e dimenticando il rispetto dovuto al pudore ed alla modestia di quella vergine, le tagliarono i capelli, la spogliarono degli abiti, ed in tale stato la trascinarono in un tempio di idoli per forzarla a presentare incenso al demonio: ma alla sua entrata nel tempio, l’idolo cadde in pezzi, ed il tiranno morì sull’istante. Gli idolatri, testimoni del fatto, si convertirono quasi tutti, in numero di tremila. La santa giovane passò in mano d’un altro carnefice, chiamato Giustino. Il tiranno, stimando suo dovere vendicar la vergogna e la morte del suo predecessore, provò ancora su di essa quanto il furore poté ispirargli: cominciò a gettarla in una fornace ardente, perché vi rimanesse incenerita: ma il buon Dio, con un nuovo miracolo, permise che le fiamme non le facessero alcun male; e la vergine vi stette cinque giorni senza nulla soffrirne. Allora gli uomini, trovandosi esauriti nella loro malizia, ricorsero al demonio, e si rivolsero ad un mago che gettò gran numero di orribili serpenti nella sua prigione, pensando che sarebbe morta di veleno: ma tale consiglio diabolico non servì che a far risplendere maggiormente la gloria della vergine, facendola trionfare degli animali, dopo aver trionfato della rabbia degli uomini. Le si tagliò la lingua: ma si faceva udire anche meglio, e cantava con più forza le lodi del Dio che adorava. Da ultimo, non sapendo più che fare, il carnefice la fece attaccare ad un palo, dove il suo corpo fu trafitto da frecce, finché l’anima sua se ne separò per andar a godere la presenza di Dio che aveva così ben meritata. Ditemi, F. M., questa giovinetta non comprendeva la grandezza ed il valore dell’anima? Non era penetrata di quanto doveva fare per conservarla, a costo dei beni, dei piaceri, della sua vita stessa? Ah! F. M., se avessimo una buona volta compreso che 1’anima nostra vale la stima che Dio stesso ne fa, potremmo lasciarla perire come facciamo? No, no, F. M., non meravigliamoci più di tante lagrime versate da Gesù Cristo sulla perdita dell’anima nostra. Ma, penserete voi, su che cosa adunque ha tanto pianto Gesù Cristo? — Ahimè! ha pianto sul nostro orgoglio, vedendo che non cerchiamo che gli onori e la stima del mondo, invece di pensar solo ad umiliarci alla vista di ciò che un Dio ha subito per innalzarci: ha pianto sui nostri odii e sulle nostre vendette, mentre egli muore pe’ suoi nemici: ha pianto sui nostri vizi vergognosi di impurità, vedendo come questo peccato disonora l’anima nostra e la immerge in un fango immondo e putrido. Ahimè, F. M.! ha pianto sui nostri peccati. Voleva salvarci tutti e renderci felici; non voleva che anime sì belle, sue creature, andassero perdute, disonorate, schiave del demonio, mentre sono dotate di tante belle doti, e destinate a sì grande felicità.

III. — S. Agostino ci dice “Volete sapere che cosa vale l’anima vostra? Andate, domandatelo al demonio; egli ve lo dirà. Il demonio stima tanto un’anima che quando pur vivessimo quattro mila anni, se dopo quattro mila anni di tentazioni riuscisse di guadagnarci, non gli rincrescerebbe affatto.„ Questo santo che aveva provato le tentazioni del demonio in un modo particolare, ci dice che la nostra vita è una tentazione continua. Il demonio stesso disse un giorno per bocca di un ossesso, che finché fossevi un uomo sulla terra lo avrebbe tentato. Perché, disse, non posso soffrire che i cristiani dopo tanti peccati possano sperar ancora il cielo che io ho perduto in un solo momento senza poterlo più riguadagnare. Ma, ahimè! non sentiamo noi stessi che in quasi tutte le nostre azioni siamo tentati, ora dall’orgoglio, dalla vanità, dalla buona opinione che pensiamo si avrà di noi, ora dalla gelosia, dall’odio, dalla vendetta! Altre volte il demonio non viene a presentarci le immagini più vergognose ed impure? Vedete nelle nostre preghiere: egli distrae il nostro spirito da una parte e dall’altra: non ci sembra quasi d’essere in uno stato quando ci troviamo alla santa presenza di Dio? E, assai più, non troverete un santo che non sia stato tentato dopo Adamo, chi in un modo, chi in un altro; ed i più gran santi lo furono di più. Se nostro Signore è stato tentato, è per mostrarci che dobbiamo esserlo ancor noi: bisogna adunque assolutamente aspettarcelo. Se mi domandate la causa delle nostre tentazioni, vi dirò che è la bellezza ed il valore dell’anima nostra, che il demonio stima ed ama tanto che acconsentirebbe a soffrire due inferni, occorrendo, se con ciò potesse trascinare l’anima nostra all’inferno. Non dobbiamo cessar mai di vegliare su di noi stessi, per timore che il demonio ci inganni quando meno ce l’aspettiamo. S. Francesco ci dice che un giorno il buon Dio gli fece vedere il modo col quale il demonio tentava i suoi religiosi, soprattutto contro la purità. Gli mise innanzi una schiera innumerevole di demoni i quali non facevan altroché tirar frecce contro i religiosi: le une ritornavano con violenza contro i demoni stessi che le avevano scagliate; ed allora questi fuggivano gettando urla spaventevoli: le altre rimbalzavano su quelli contro i quali erano state gettate, cadendo ai loro piedi senza fare alcun male; altre entravano sino a tutta l’asta, ed infine li trapassavano da parte a parte. Bisogna servirci per scacciarli, come ci dice sant’Antonio, delle medesime armi; quando ci tenta di orgoglio, dobbiamo subito umiliarci ed abbassarci davanti a Dio: se vuol tentarci contro la santa virtù della purità, dobbiam cercare di mortificare il nostro corpo e tutti i nostri sensi, ed essere ancor più vigilanti su di noi stessi. Se vuol tentarci col disgusto nella preghiera, bisogna pregare di più e con maggior attenzione: e più il demonio ci dirà di lasciarla, più dobbiamo aumentare il numero delle nostre orazioni. Le tentazioni più da temere sono quelle che non conosciamo. S. Gregorio ci dice che era vi un religioso, che per un po’ era stato buono: gli venne poi un gran desiderio di uscire dal monastero e ritornare nel mondo perché, diceva egli, il buon Dio non lo voleva più nel monastero. Il suo superiore gli disse: “Amico mio, è il demonio che così vi tenta, indispettito che possiate salvar  l’anima vostra; combattetelo.„ Ma no, l’altro credé sempre che la cosa fosse com’egli pensava. Il santo gli permise di andarsene: ma mentre questi usciva, egli si pose in ginocchio per domandare al buon Dio di far conoscere a quel povero religioso che era precisamente il demonio che voleva perderlo. Appena messo il piede sulla soglia della porta per uscire, vide un grosso dragone che gli si gettò addosso. “Ah! esclamò, Fratelli miei, soccorso! ecco un dragone che mi vuol divorare.„ Infatti i religiosi accorsi al rumore, lo trovarono steso in terra, svenuto: lo portarono nel monastero, ed egli riconobbe che era il demonio che lo tentava, e che si struggeva di rabbia perché il suo superiore aveva pregato per lui, impedendogli di farlo suo. Ahimè! F. M., dobbiamo temere di non conoscere le nostre tentazioni! E non le conosceremo mai se non lo domandiamo a Dio. Che cosa dobbiamo, M. F., concludere, da ciò? che l’anima nostra è qualche cosa di ben grande agli occhi dei demoni, poiché sono tanto solleciti di non lasciarsi sfuggire una sola occasione di tentarci, per perderci e trascinarci nella loro rovina. Ma ora che abbiamo visto, F. M., che l’anima nostra è alcunché di grande, che Dio l ‘ama, che ha sofferto tanto per salvarla, e quali beni le prepara nell’altra vita: ora che abbiamo visto tutte le insidie ed astuzie del demonio per rovinarla, che cosa, F. M., ne pensiamo? quale stima ne facciamo? quale cura ne abbiamo? Abbiamo mai, F. M., meditato sulla grandezza dell’anima nostra, e sulla sollecitudine che ne dobbiamo avere? Che cosa facciamo, F. M., di quest’anima che ha tanto costato a Gesù Cristo? Ahimè! se dovessimo confessare che l’abbiamo soltanto per renderla infelice e farla soffrire! La stimiamo meno delle nostre bestie più vili: se queste sono in stalla, diamo loro da mangiare: abbiamo cura di aprire e chiudere le porte, temendo che i ladri ce le rubino: se ammalate, cerchiamo il veterinario che le guarisca: siamo afflitti, assai spesso, vedendole soffrire. Facciamo altrettanto per l’anima nostra, F. M.? Abbiamo cura di nutrirla colla grazia, colla frequenza ai Sacramenti? Abbiamo cura di ben chiudere le porte, per timore che i ladri ce la rubino? Ahimè! F. M., diciamolo a nostra vergogna: la lasciamo perire di miseria: la lasciamo assalire dai nemici, le nostre passioni: lasciamo tutte le porte aperte: viene il demonio dell’orgoglio, lo lasciamo entrare, ferire, straziare l’anima nostra: viene quello dell’impurità, entra, insozza, corrompe la povera anima nostra. “Ah! povera anima, ci dice S. Agostino, come sei stimata cosa da poco. Un orgoglioso ti vende per un pensiero di orgoglio, un avaro per un po’ di terra, un ubbriacone per un bicchier di vino, un vendicativo per un pensiero di vendetta!„ E davvero, F. M., dove sono le nostre buone orazioni, le comunioni, le preghiere ben fatte, le Messe ben ascoltate, la rassegnazione alla volontà di Dio nelle afflizioni, la carità pei nemici? E possibile, F. M., che facciamo sì poco caso di un’anima tanto bella, che Dio ha amato più di se stesso, poiché è morto per salvarla? Ahimè, amiamo il mondo ed i piaceri del mondo: e quanto si riferisce alla gloria di Dio od alla salvezza dell’anima nostra ci annoia, ci disgusta: mormoriamo, quando bisogna occuparsene. Ahimè! qual rimorso avremo un giorno!… Il mondo sembra darci qualche piacere: ma non inganniamoci. Ascoltate che cosa ci dice S. Giovanni Crisostomo: vedrete come è più fortunato chi cerca conservare l’anima sua di chi cerca solo i piaceri e lascia da parte l’anima. “Mentre dormivo, racconta questo gran santo, ebbi un sogno straordinario, che, svegliatomi, mi presentò tanti soggetti di riflessioni davanti a Dio. Vidi un luogo delizioso, una valle incantevole, dove la natura aveva raccolto tutte le sue bellezze, tutte le ricchezze e tutti i piaceri capaci di rallegrare un mortale. Mi meravigliò, in mezzo a quella valle di delizie, un uomo dall’aspetto triste, dal viso alterato, dallo spirito preoccupato: il suo atteggiamento tradiva l’agitazione dell’animo: ora stava immobile, con lo sguardo fisso a terra; ora camminava a lunghi passi con aria smarrita: poi, arrestatosi improvvisamente, mandava profondi sospiri, e s’immergeva in tetra melanconia, come se fosse vicino alla disperazione. Osservando attentamente, scopersi che quella valle di delizie terminava ad un precipizio pauroso, ad una voragine immensa, dove una forza arcana sembrava trascinarlo. Quell’uomo era agitato, malgrado tante delizie, perché con tale vista non poteva gustare un sol momento di gioia e di pace. Ma spingendo più lontano i miei sguardi, vidi un altro luogo tutto differente, un vallone oscuro e triste, montagne scoscese, deserti sterili: solo la desolazione sembrava abitar quel luogo, e nessun fogliame, nessuna verzura; rovi e spine: tutto ispirava tristezza, e una specie di orrore. La mia sorpresa giunse al colmo quando scorsi in questa valle un uomo pallido, macilento, estenuato, eppure con un viso sereno, u n portamento tranquillo ed un’aria contenta: nonostante le apparenze desolanti, tutto annunciava un uomo che ha la pace dell’anima: ma spingendo i miei sguardi ancor più lontano, distinsi al termine di quella valle di miserie e di quel pauroso deserto, un luogo delizioso, un sito incantevole, dove scoprivasi ogni sorta di bellezze. L’uomo teneva fisso sempre l’occhio a quel termine, non lo perdeva mai di vista: camminava con coraggio, passando attraverso i rovi, dove spesso si pungeva: ma le sue ferite sembravano rinnovargli le forze. Meravigliato di ciò, domandai perché l’uno era così triste in quel luogo di piaceri, e l’altro così contento in un luogo di miserie. Allora sentii una voce che mi disse: Questi due uomini che vedi sono l’immagine di coloro che sono o interamente attaccati al mondo, o sinceramente consacrati al servizio di Dio. Il mondo, mi disse quella voce, presenta ai suoi seguaci prima i beni, i piaceri, almeno in apparenza; essi vi si abbandonano come insensati: ma bentosto riconoscono che non trovarono quanto credevano. La cosa più triste e desolante è che a capo di questa valle vi è una voragine, dove vanno a precipitare tutti coloro che camminano per questa via che sembra tanto dilettevole. L’altro uomo al contrario, mi disse la voce, dimostra l’opposto: nel servizio di Dio, prima vi sono prove e dolori, si abita in una valle di lagrime: bisogna mortificarsi, farsi violenza, privarsi delle dolcezze della vita, passare i giorni nelle angustie. Ma si resta animati dalla vista e dalla speranza d’un avvenire per sempre felice: è la sorte riservata all’uomo che trovava si nella valle triste: ed il pensiero della felicità che gli  spetta lo conforta e lo sostiene nelle sue lotte. Tutto diviene consolante per lui, l’anima sua gusta già i beni promessi, che l’attendono, e dei quali godrà presto. „ Si può trovare, F. M., un’immagine più naturale di questa, per farci comprendere la differenza tra chi nella sua vita cerca solo di piacere a Dio, salvare l’anima propria, e chi mette da parte Dio e l’anima per correre dietro ad alcuni piaceri, che, senza offrire nulla di consolante né di perfetto, ci conducono in un precipizio, cioè nella voragine infernale (Est via qua videtur humìni justa: novìssima autem ejus deducunt ad mortem. Risus dolore miscebitur, et extrema gaudii luctus occupat (Prov.XIV, 12, 13). Fortunato, carissimi, chi seguirà questa strada, dove vi sono pene, ma di breve durata, e che al suo termine conduce ad un luogo felice, al possesso di Dio! È la fortuna ….

DOMENICA VIII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA VIII DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi

Durante la festa di Pentecoste la Chiesa ha ricevuto la manifestazione dello Spirito Santo e la liturgia di questo giorno ce ne mostra le felici conseguenze. Questo Spirito ci rende figli di Dio, tanto che possiamo dire in tutta verità: Padre nostro; siamo quindi assicurati dell’eredità del cielo (Ep.): ma per questo bisogna che, vivendo per opera di Dio, noi viviamo secondo Dio (Oraz.) lasciandoci indurre in tutto dallo Spirito di Dio (Ep.), cosi Egli ci accoglierà un giorno nei tabernacoli eterni (Vang.). Sta qui la vera sapienza di cui ci parla la storia di Salomone, della quale in questa settimana si continua la lettura nel Breviario; qui sta la grande opera alla quale il re dedicò tutta la sua vita. – Salomone costruì il Tempio del Signore nella città di Gerusalemme, secondo la volontà di David suo padre, che non aveva potuto edificarlo egli stesso per le continue guerre che i nemici gli avevano mosso contro. Salomone impiegò tre anni a preparare il materiale, cioè le pietre che ottantamila uomini estraevano dalle cave di Gerusalemme e il legno di cedri e cipressi che trentamila uomini abbattevano sul Libano nel regno dell’Iram (V. Domenica prec.). – Quando tutto fu pronto si cominciò, nel 480° anno dopo l’uscita dall’Egitto, la costruzione che durò sette anni. Pietre da taglio, legno e fregi ornamentali erano stati così esattamente misurati prima, che i lavori si compivano nel più grande silenzio. Nella casa di Dio non si sentiva colpo di martello, né ascia, né altro strumento di ferro durante il tempo che si edificava. Salomone prese come piano quello del tabernacolo di Mosè; ma gli diede proporzioni più vaste e vi accumulò tutte le ricchezze che poté. I soffitti e i pavimenti di legni preziosi erano rivestiti da placche di oro, gli altari e le tavole erano ricoperti di oro, i candelabri e i vasi erano di oro massiccio. Tutte le mura del tempio erano ornate da cherubini e da palmizi coperti di oro. A lavori terminati, Salomone consacrò con grande solennità questo Tempio al Signore. In presenza di tutti gli Anziani di Israele e di un popolo immenso appartenente alle dodici tribù, i sacerdoti trasportavano l’Arca dell’alleanza nella quale si trovavano le tavole della legge di Mosè, sotto le ali spiegate di due cherubini, ricoperte di oro e alte dieci cubiti, che si innalzavano nel santuario. Si immolarono anche migliaia di pecore e di buoi e, quando i sacerdoti uscirono dal Sancta Sanctorum, una nube riempì la casa del Signore. Allora Salomone levando gli occhi verso il cielo, domandò a Dio di ascoltare le suppliche di tutti quelli, Israeliti o estranei, che sarebbero venuti in differenti circostanze, felici o infelici, nella loro vita, a pregarlo in questo luogo che era stato a Lui consacrato. Gli domandò anche di esaudire tutti quelli che, con la faccia rivolta verso Gerusalemme e verso il Tempio, gli avrebbero indirizzato le loro suppliche, per mostrare che Egli aveva scelta questa casa per sua residenza e che non vi era in nessun luogo altro Dio, che quello d’Israele. – Le feste della Consacrazione del Tempio durarono quattordici giorni in mezzo a sacrifici e banchetti sacri. E il popolo se ne tornò benedicendo il re e sentendo riconoscenza per tutto il bene che il Signore aveva fatto a Israele dal giorno dell’alleanza sul Sinai. Il Signore apparve allora una seconda volta a Salomone e gli disse: « Ho esaudita la tua preghiera, ho scelto e benedetto il tempio che mi hai innalzato; là saranno sempre i miei occhi e il mio cuore per vegliare sul mio popolo fedele ». Nella Messa di questo giorno la Chiesa canta alcuni versetti di sei Salmi differenti che riassumono tutti espressi da Salomone nella sua preghiera: « Il Signore è grande e degno di lode nella città del nostro Dio, sulla sua montagna santa » (l’Intr., Alt.). « Chi è dunque Dio se non il Signore?» (Off.). È nel suo tempio che si riceve la manifestazione della sua misericordia » (Intr.) e che « si prova e si sente quanto il Signore sia dolce » (Com.), poiché Egli è « per tutti quelli che sperano in Lui, un Dio protettore e un luogo di rifugio » (Grad.), — Come il regno di Salomone fu una specie di abbozzo e di figura del regno di Cristo (2° Nott.), cosi il tempio che egli innalzò a Gerusalemme non fu che una figura del cielo nel quale Dio risiede ed esaudisce le preghiere degli uomini. È sulla montagna santa e nella città di Dio (All.) che noi andremo un giorno a lodarlo per sempre. L’Epistola ci dice che se noi vivremo di Spirito Santo, facendo morire in noi le opere della carne saremo figli di Dio, e che da quel momento, eredi di Dio e coeredi di Cristo, entreremo nel cielo che è il luogo della nostra eredità. Ed il Vangelo completa questo pensiero dicendoci, sotto forma di una parabola, quale sia l’uso che dobbiamo fare delle ricchezze d’iniquità per assicurarci l’entrata nei tabernacoli eterni. Un fattore infedele, accusato di aver dissipato i beni del padrone, si procura degli amici con i beni che questi gli aveva affidato, per avere, dopo essere stato cacciato, « persone pronte ad accoglierlo nelle proprie case ». I figli della luce, dice Gesù, contendano per zelo coi figli del secolo, e, imitando la previdenza di questo fattore, utilizzino i beni, che Dio ha messi, a disposizione loro per venire in. aiuto dei bisognosi e si facciano amici nel cielo, perché quelli che avranno sopportato cristianamente le privazioni sulla terra, entreranno lassù e renderanno testimonianza ai loro benefattori nel momento in cui tutti dovranno rendere conto al divino Giudice della loro amministrazione (Vang.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVII: 10-11.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

[Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Ps XLVII: 2. Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitate Dei nostri, in monte sancto ejus.

[Grande è il Signore, e degnissimo di lode nella sua città e nel suo santo monte.]

Ps XLVII: 10-11 Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

[Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Oratio

Orémus.

Largíre nobis, quǽsumus, Dómine, semper spíritum cogitándi quæ recta sunt, propítius et agéndi: ut, qui sine te esse non póssumus, secúndum te vívere valeámus.

[Concedici propizio, Te ne preghiamo, o Signore, di pensare ed agire sempre rettamente; così che noi, che senza di Te non possiamo esistere, secondo Te possiamo vivere.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII: 12-17

Fratres: Debitóres sumus non carni, ut secúndum carnem vivámus. Si enim secúndum carnem vixéritis, moriémini: si autem spíritu facta carnis mortificavéritis, vivétis. Quicúmque enim spíritu Dei aguntur, ii sunt fílii Dei. Non enim accepístis spíritum servitútis íterum in timóre, sed accepístis spíritum adoptiónis filiórum, in quo clamámus: Abba – Pater. – Ipse enim Spíritus testimónium reddit spirítui nostro, quod sumus fíli Dei. Si autem fílii, et herédes: herédes quidem Dei, coherédes autem Christi.

(“Fratelli: Non abbiam alcun debito versa la carne per vivere secondo la carne. Se, pertanto, vivrete secondo la carne, morrete; se, al contrario, con lo spirito farete morire le opere della carne, vivrete. Poiché, quanti sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Invero, non avete ricevuto lo spirito di servitù per ricadere nel timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figliuoli, per il quale gridiamo «Abba! (o Padre)». E lo Spirito Santo stesso attesta al nostro spirito che noi siamo figli di Dio. Ora, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo”).

Che grande parola ha detto il Cristianesimo agli uomini quando ha detto loro: voi siete figli di Dio! Fuori del Cristianesimo, osservate, l’uomo o è avvilito o è adulato. Gli spregiatori dicono all’uomo: sei una scimmia, appena un poco più perfezionato. Gli adulatori dicono: sei un Dio, sei Dio… E gli uni e gli altri dicono parole che hanno sapore di falsità e riescono moralmente funeste; perché è funesta l’abbiezione del bruto, come è funesto l’orgoglio di un falso iddio, di un idolo. Il Cristianesimo appaga e non solletica i nostri istinti, le nostre aspirazioni di grandezza, quando ci dice: voi siete figli di Dio. Purtroppo noi abbiamo fatto l’abitudine a questa parola, ed essa, che dovrebbe riempirci di gioia e di legittimo orgoglio, per poco non ci lascia indifferenti. – Ma non fu così per le prime generazioni cristiane. San Paolo si esalta, si entusiasma analizzando e quasi assaporando la frase. Per meglio gustarla e illuminarla, Paolo contrappone la sorte nostra, di noi Cristiani, a quella dei Giudei, che furono pure per tutto il mondo antico, e prima che venisse Gesù, i depositari della religione vera. Ma quella loro religione era pervasa da un suo spirito, perché dominata da una sua idea. Lo spirito onde l’anima giudaica era pervasa nel suo momento religioso, ben s’intende, era spirito di timore, anzi di timore servile, perché per il fedele giudeo cresciuto alla scuola di Mosè e della sua Legge, Dio era il Padrone, il grande, il vero padrone, il Re, il Sovrano, alla guisa orientale. L’anima, davanti a quel padrone, temeva e tremava. Era la forza specifica della sua adorazione. San Paolo ne aveva fatta l’esperienza: aveva tremato anche lui e sofferto insieme e goduto di quel timore. Più sofferto che goduto, perché la sua anima avrebbe voluto aprirsi a sensi più nobili, come sono i sensi dell’affetto. Ma la vecchia legge non glielo consentiva. Ed ecco sopraggiungere Gesù, non più semplice profeta, e servo, ma Figlio di Dio veracemente, propriamente. Ed ecco annunziare agli uomini, coll’autorità sua di Figlio, che Dio è per noi e vuole essere Padre « Pater noster; » Padre già per diritto e fatto di creazione, ma assai più e meglio per diritto e fatto di redenzione; Padre dacchè ci ha dato per fratello vero il vero e unico suo Figlio. – Chiamarsi così per noi non è più una usurpazione — come non fu usurpazione per Gesù il dirsi eguale al Padre — o una metafora: è un diritto. Guardate — dirà un altro Apostolo agli stessi primi Cristiani, — quale carità ci ha usato il Signore, dandoci nome e realtà di suoi figlioli: «ut filì Dei nominemur et simus ». Il Cristianesimo ha fatto e fa lievitare in noi, in noi esalta tutti quegli elementi che già costituiscono un fondo di sbiadita rassomiglianza con Dio. Esalta col lume della fede il lume dell’intelletto, orma di Dio nella nostra anima; ci solleva a quelle verità che sono il segreto di Dio, che nessuno dei principi di questo mondo sarebbe arrivato a scoprire. Esalta la nostra coscienza e la spinge a desiderare e volere forme nuove e più atte al bene. È qui anzi, nella fornace dell’amore al bene, della carità, che si compie questa meravigliosa trasformazione del Cristiano, in figlio di Dio, simile — non uguale, privilegio questo di Gesù Cristo — simile al Padre. Trasformazione dovuta alla grazia, ma alla cui completa realizzazione noi dobbiamo collaborare, operando da figli di Dio. I filosofi dicono che l’opera segue l’essere e lo dimostrano. « Operari seguitur esse ». Siamo figli di Dio! E operiamo allora da figli di Dio, non da estranei, non da nemici. Siano divine le nostre opere, sia divina la nostra condotta. Per fortuna, quale sia la divina condotta di un uomo noi lo sappiamo, guardando a N. S. Gesù Cristo, l’Uomo-Dio. Verrebbe voglia di riepilogare con parola evangelica questa condotta divina, superiore sovrannaturale in un binomio: spirito e verità. Seguiamo le ispirazioni dello spirito e non le suggestioni della carne; queste fanno l’uomo animale, bruto, inferiore, degenere; lo spirito, al contrario, ci dà l’uomo superiore, spirituale. E della verità siamo solleciti ed entusiasti: Dio in ciascuno di noi… Se procederemo così secondo spirito e verità, avremo la soddisfazione arcana e profonda di sentirci davvero figli di Dio: quello che pareva sogno superbo, sarà diventato per noi realtà consolante.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.]

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps LXX: 1 V. Deus, in te sperávi: Dómine, non confúndar in ætérnum. Allelúja, allelúja.

[V. O Dio, in Te ho sperato: ch’io non sia confuso in eterno, o Signore. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XLVII: 2

Alleluja, Alleluja

Magnus Dóminus, et laudábilis valde, in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus. Allelúja.

[Grande è il Signore, degnissimo di lode nella sua città e sul suo santo monte. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. (Luc XVI: 1-9)

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Homo quidam erat dives, qui habébat víllicum: et hic diffamátus est apud illum, quasi dissipásset bona ipsíus. Et vocávit illum et ait illi: Quid hoc audio de te? redde ratiónem villicatiónis tuæ: jam enim non póteris villicáre. Ait autem víllicus intra se: Quid fáciam, quia dóminus meus aufert a me villicatiónem? fódere non váleo, mendicáre erubésco. Scio, quid fáciam, ut, cum amótus fúero a villicatióne, recípiant me in domos suas. Convocátis itaque síngulis debitóribus dómini sui, dicébat primo: Quantum debes dómino meo? At ille dixit: Centum cados ólei. Dixítque illi: Accipe cautiónem tuam: et sede cito, scribe quinquagínta. Deínde álii dixit: Tu vero quantum debes? Qui ait: Centum coros trítici. Ait illi: Accipe lítteras tuas, et scribe octogínta. Et laudávit dóminus víllicum iniquitátis, quia prudénter fecísset: quia fílii hujus saeculi prudentióres fíliis lucis in generatióne sua sunt. Et ego vobis dico: fácite vobis amicos de mammóna iniquitátis: ut, cum defecéritis, recípiant vos in ætérna tabernácula

 (“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Eravì un ricco, che aveva un fattore, il quale fu accusato dinanzi a lui, come so dissipato avesse i suoi beni. E chiamatolo a sé, gli disse: Che è quello che io sento dire di te? Rendi conto del tuo maneggio; imperocché non potrai più esser fattore. E disse il fattore dentro di sé: Che farò, mentre il padrone mi leva la fattoria? non sono buono a zappare; mi vergogno a chiedere la limosina. So ben io quel che farò, affinché, quando mi sarà levata la fattoria, vi sia chi mi ricetti in casa sua. Chiamati pertanto ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al primo: Di quanto vai tu debitore al mio padrone? E quegli disse: Di cento barili d’olio. Ed ei gli disse: Prendi il tuo chirografo; mettiti a sedere, e scrivi tosto cinquanta. Di poi disse a un altro: E tu di quanto sei debitore? E quegli rispose: Di cento staia di grano. Ed ei gli disse: Prendi il tuo chirografo, e scrivi ottanta. E il padrone lodò il fattore infedele, perché prudentemente aveva operato: imperocché i figliuoli di questo secolo sono nel loro genere più prudenti dei figliuoli della luce. E io dico a voi: Fatevi degli amici per mezzo delle inique ricchezze; affinché, quando venghiate a mancare, vi dian ricetto ne’ tabernacoli eterni”).

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sul giudizio particolare.

Redde rationem villicationis tuæ.

(Luc. XVI, 2).

Possiamo seriamente riflettere, Fratelli miei, sulla severità del giudizio di Dio, senza sentirci presi da vivo timore? Ecchè! F. M., i giorni delia nostra vita, sono contati; e per di più ignoriamo l’ora ed il momento in cui il nostro Giudice Supremo ci chiamerà al suo tribunale, e forse quel momento sarà quello in cui meno vi penseremo, e saremo meno disposti a rendere questo terribile conto!… Vi assicuro, F. M., che pensandovi bene, ci sarebbe da darsi alla disperazione, se la religione non ci insegnasse che possiamo render meno terribile questo momento con una vita la quale possa sempre farci sperare che il buon Dio avrà pietà di noi. Badiamo bene, F. M., di non trovarci imbarazzati in quel momento, come quel fattore di cui Gesù Cristo ci parla nell’Evangelo. Vi mostrerò dunque, F. M.:

1° che v’è un giudizio particolare in cui renderemo esattissimo conto del bene e del male che avremo fatto;

2° quali sono i mezzi che dobbiamo usare per prevenire il rigore di questo conto.

I. — Noi tutti sappiamo, F . M., che saremo giudicati due volte: una volta nel gran giorno delle vendette, cioè alla fine del mondo, quando davanti all’universo intero, le nostre azioni buone o cattive, saranno a tutti manifeste. Ma prima di quel giorno terribile e sventurato pei peccatori, avremo subito un giudizio al momento della nostra morte, dopo esalato l’ultimo respiro. Sì. F. M., la sorte dell’uomo sta tutta in queste tre parole: vivere, morire ed essere giudicato. È una legge fissa ed invariabile per tutti gli uomini. Noi nasciamo per morire, moriamo per essere giudicati, e questo giudizio deciderà della nostra felicità eterna o della nostra eterna sventura. – Il giudizio universale in cui tutti compariremo, non sarà che la pubblicazione della sentenza particolare pronunciata subito dopo la nostra morte. Voi tutti sapete che Dio ha contato i nostri anni (Breves dies hominis sunt; numerus mensium ejus apud te est – Job xiv, 5), ed in questo numero d’anni, che Egli ha fissato d’accordarci, ne ha segnato uno che sarà l’ultimo per noi; in quest’ultimo anno un ultimo mese; in quest’ultimo mese un ultimo giorno, ed in questo giorno un’ultima ora, dopo la quale non vi sarà più tempo per noi. Ahimè! che ne sarà di quel peccatore e di quell’empio che si promettono sempre una vita più lunga? Aspettino pure, poveri disgraziati, fin che vogliono; dopo quest’ultima ora non vi sarà più ritorno, non più speranza, non più rimedio! Nello stesso istante. M. F. ascoltate bene voi che non temete di passare i vostri giorni nel peccato, nello stesso istante in cui l’anima si separerà dal vostro corpo, essa sarà giudicata. — Ma, mi direte, lo sappiamo. — Sì, ma non lo credete. Ditemi, se lo credeste seriamente, come potreste restare in uno stato che vi mette nel continuo pericolo di cadere nell’inferno? No, no, amico mio, voi non lo credete; perché se lo credeste, non vi esporreste ad una sì grande disgrazia. Verrà il momento che il buon Dio applicherà sul vostro debito l’impronta della sua immortalità ed il sigillo della sua eternità, e quel sigillo e quell’impronta non saranno levati mai più. O  momento terribile! eppure così poco meditato, così breve e così lungo, che vola con tanta rapidità, e che trascina con sé un susseguirsi spaventoso di secoli! Che cosa ci avverrà dunque in questo momento che tanto fa orrore? Ahimè F. M., compariremo tutti, ciascuno in particolare, davanti al tribunale di Gesù Cristo, per esservi giudicati, e render conto del bene e del male che avremo fatto. Il giudizio particolare, F. M., è così certo, che il buon Dio per convincercene, ne ha fatto scorgere i segni a parecchi quand’erano ancor vivi, affinché noi vi ci preparassimo.Leggiamo nella storia che un giovane libertino si era dato ad ogni sorta di vizi; ma essendo stato istruito da una pia madre, una notte che teneva dietro al giorno in cui era caduto nei più gravi eccessi, fece un sogno. Si vide trasportato al tribunale di Dio. Non si può dire quale fu la sua vergogna, la sua confusione e l’amarezza della sua anima. Quando si svegliò aveva una febbre ardente, sudava ed era fuori di sé, i suoi capelli erano diventati bianchi. “Lasciatemi solo, diceva, sciogliendosi in lagrime, a quelli che pei primi lo videro in quello stato, lasciatemi solo; ho visto il mio Giudice. Ah! quanto è terribile! Perdono, Dio mio! perdono!„ I suoi compagni di stravizi, sentendo che il loro amico era ammalato e si desolava, vennero per confortarlo. “Ritiratevi da me, diceva loro, voi non siete più i miei amici, non vi voglio più. Ah! ho visto il mio Giudice. Ah! quant’è terribile! Di quanta maestà! di quanta gloria è rivestito! Ah! quante accuse e domande, alle quali non ho potuto rispondere! Tutti i miei delitti sono scritti; li ho letti tutti! Ah! quanto grande ne è il numero! Solo ora ne conosco tutta l’enormità! Ahimè! Ho visto una schiera di demoni, i quali non aspettavano che il segno per trascinarmi nell’inferno. Ritiratevi, falsi amici, non voglio più vedervi! Quanto sarei felice, se potessi, coi rigori della penitenza, placare un Giudice così terribile! Ahimè! ben presto dovrò presentarmigli davvero! forse oggi stesso!… Dio mio, perdonatemi!… Dio mio, usatemi misericordia!… Ah! di grazia, non perdetemi, abbiate pietà di me!… Farò penitenza per tutta la mia vita. Oh! quanti peccati ho commesso! Quante grazie disprezzate!… quanto bene avrei potuto fare e non ho fatto!… Dio mio, non gettatemi nell’inferno!„ E non si fermò lì, F. M. Passò il resto della sua vita a piangere e far penitenza. Quanto sarà terribile questo momento, F. M., per chi non avrà fatto alcun bene e molto male. Sì, F. M., renderemo conto di tutte le nostre azioni, buone e cattive: tutto comparirà davanti al nostro giudice nel momento in cui l’anima si separerà dal nostro corpo. Sì, F. M., il buon Dio si farà render conto dei beni che abbiamo ricevuti. Vi sono i beni di natura, di fortuna e di grazia. Tutti questi beni entreranno nel conto. I beni di natura riguardano il corpo e l’anima; bisognerà render conto dell’uso che avremo fatto del nostro corpo. Domanderà il Giudice se avremo usate le nostre forze a render servizi al nostro prossimo, a lavorare per avere di che far elemosine, a far penitenza, a visitare i luoghi privilegiati dal buon Dio (come Nostra Signora di Fourvière, S. Francesco Regis ed altri). Ma, se invece, non abbiamo usato della nostra salute e del nostro corpo, che per correre ai divertimenti, alle osterie, per derubare il prossimo, per lavorare alla domenica, per viaggiare in questi santi giorni, invece di passarli nel pregare, onorare il buon Dio, istruire gli ignoranti, dar loro buoni consigli, condurli a Dio ed allontanarli dal male… Esaminerà poi se non ci siamo serviti della nostra intelligenza pel male: cioè per istruirci di cose cattive. Se abbiamo letto libri perversi, frequentato gli empi, insegnata la malizia agli altri. Se ce ne siamo serviti per ingannare nelle vendite e nelle compere, per giurare il falso, suscitare liti, indurre altri a vendicarsi, a parlar male della religione, a insegnar loro cose empie: come, per esempio, voler far loro credere che la religione non è buona, che tutto ciò che si dice non è vero, che i preti dicono ciò che vogliono. Ed esaminerà altresì se abbiamo usato la nostra intelligenza per comporre cattive canzoni contro la purità, contro l’onor del prossimo; se abbiamo comunicato ad altri le nostre cattive cognizioni. Ci domanderà se ci siamo serviti della nostra mente per istruirci; se ci siamo invaniti della bellezza del nostro corpo, invece d’ammirare in noi la sapienza e la potenza di Dio. Se ce ne siamo serviti per indurre gli altri al male; come per esempio, chi si veste in modo d’attirare su di sé gli occhi altrui. Dio ci domanderà se abbiamo bene usato di ciò che ci ha dato, ricordandoci che noi non siamo che amministratori, e che tutto ciò di cui avremo usato male ci verrà imputato a colpa. Allora il buon Dio farà vedere a quei padri ed a quelle madri tutti gli oggetti di vanità che essi hanno comperato ai loro figli, e che servirono soltanto a perdere la loro anima; mostrerà loro tutto quel denaro consumato nei divertimenti, nelle osterie, nelle danze ed in tutte le altre spese inutili. E poi tutto ciò che abbiamo lasciato andar a male e che avremmo potuto dare ai poveri. Ahimè! quanti peccati ai quali non avremmo mai pensato, e che ora non vogliamo riconoscere; ma che in quel momento riconosceremo, troppo tardi! Veniamo ora, F. M., ad un altro conto ben più terribile, quello della grazia. Il buon Dio comincerà a mostrarci i benefizi accordatici, facendoci nascere nel seno della Chiesa cattolica; mentre tanti altri sono nati e morti fuori di essa, Ci farà vedere che anche tra i Cristiani, un numero infinito sono morti senza aver ricevuta la grazia del Battesimo. Ci farà vedere per quant’anni, mesi, settimane, giorni, ci ha conservata la vita mentre eravamo nel peccato; e che se, in quel momento, ci avesse fatto morire, saremmo stati precipitati nell’inferno. Ci metterà davanti agli occhi tutti i buoni pensieri, tutte le buone ispirazioni, i buoni desideri che ci ha dato durante la nostra vita. Ahimè! quante grazie disprezzate! Ci ricorderà tutte le istruzioni ricevute e sentite; tutte le letture messe a nostra disposizione affinché ne approfittassimo. Tutte lo nostre confessioni, le comunioni, e tante altre grazie del cielo che abbiamo ricevuto. E quanti Cristiani non ne hanno ricevuto la centesima parte, eppure si sono santificati! Ma, che cosa è stato, F. M., di tutti questi benefizi e di tutte queste grazie? qual profitto ne abbiamo  ricavato? … Triste momento per un Cristiano che ha disprezzato tutto, e di nulla seppe approfittare! … Vedete che cosa ci dice S. Gregorio: “Ah! amico, osserva quella croce, e vedrai quanto ha costato ad un Dio il ridonarci la vita.„ E per questo che S. Agostino quando meditava sul conto da rendersi delle grazie ricevute e disprezzate; esclamava: “Ahimè! disgraziato, che diventerò dopo tante grazie ricevute? Ahimè! temo ancor più per le grazie ricevute, che per i peccati commessi, per quanto siano numerosi! Dio mio, quale sarà la mia sorte? „ Leggiamo nella vita di S. Teresa che, nell’ultima sua malattia, fu trasportata davanti al tribunale di Dio; ritornata in sé, le si domandò perché temesse dopo aver fatta tanta penitenza. “Ahimè! disse, temo molto.„ — “Avete paura della morte?„ le si domandò. — “No, „ rispose. ” Dell’inferno?„ — ” No. „ Che cosa dunque la faceva tremare? “Ahimè! bisogna che la mia vita sia confrontata con quella di Gesù Cristo; ah! guai a me, se ho la minima ombra di peccato! „ E che sarà di noi, F. M., quando Gesù Cristo ci rimprovererà il disprezzo e l’abuso che abbiamo fatto del suo Sangue prezioso e di tutti i suoi meriti? “Ahi ingrato peccatore, ci dirà, vigna infruttuosa, albero sterile, che avrei dovuto fare per la tua salute e non ho fatto? Non dovevo io attendere da te buoni frutti per la vita eterna? Dove sono le buone opere da te fatte? Dove sono le tue fervorose preghiere, che mi sieno piaciute, e che mi abbiano commosso? Dove sono le tue buone confessioni? Le buone Comunioni che m’abbiano fatto rinascere nella tua anima, e ricompensato, in qualche modo dei tormenti che ho sopportati per la tua salute? Ove sono le penitenze e le lagrime da te sparse per cancellare i peccati che hai commesso? Dove sono le buone opere che hai fatte, suggerite da tanti buoni pensieri e desiderii e da tante occasioni che ti ho presentato? Dove sono quelle Messe ben ascoltate, in cui avresti potuto soddisfarmi per i tuoi peccati? Va, disgraziato, non hai fatto che opere d’iniquità, non hai lavorato che a rinnovare i dolori della mia passione e della mia morte. Va, ritirati da me, io ti maledico per tutta l’eternità! Va, nel giorno del giudizio universale, manifesterò il bene che avresti potuto fare e che non hai fatto, e tutte le grazie che ti ho accordate e che hai disprezzato.„ Ahimè! quanti rimproveri, e quanti peccati, ai quali non abbiamo mai pensato! Ahimè! quanto sarà terribile questo rendiconto! Eccone un esempio che ve lo proverà. Racconta S. Giovanni Climaco, (La scala santa, settimo gradino) che un anacoreta, chiamato Stefano, dopo aver condotto una vita delle più austere e delle più sante, essendo molto vecchio cadde ammalato e ne morì. La vigilia della sua morte, trovandosi improvvisamente fuor di sé, pure avendo gli occhi aperti, guardava a destra ed a sinistra, come se vedesse qualcheduno che gli faceva render conto delle sue azioni. Si sentiva una persona che l’interrogava, e l’ammalato rispondeva a voce così spiccata, che tutti quelli che erano nella stanza potevano sentire. Lo si sentiva dire: “Sì, è vero, ho commesso quel peccato, ma per questo ho digiunato tanti anni.„ Poi l’altra voce diceva che aveva commesso il tal altro peccato, ed il morente rispondeva: “No, non è vero, non l’ho commesso.„ Poco dopo lo si sentiva dire: “Sì, lo confesso, l’ho fatto; ma Dio è tanto misericordioso che me l’ha perdonato. „ Era, ci dice S. Giovanni Climaco, uno spettacolo spaventoso assistere al rendiconto così esatto che si chiedeva a quel solitario di tutte le sue azioni. Ma, ciò che spaventava ancor più era il sentire che lo si accusava anche di peccati, ch’egli non aveva mai commesso. Ecchè! F. M., un santo solitario, che aveva passato quarant’anni nel deserto, che aveva versate tante lagrime, confessa egli stesso che non può giustificarsi di qualche accusa che gli è fatta!!… Egli ci lasciò, ci dice S. Giovanni Climaco, in una grande incertezza per la sua salute. Ma, che sarà di un peccatore che, in quel momento non vedrà che male e niente di bene? Momento terribile! momento di disperazione! E non aver nulla su che affidarsi! Voi sapete che quel giudizio avverrà fra tre testimoni: Dio che giudicherà, il nostro Angelo custode che mostrerà le buone opere che avremo fatte, ed il demonio che manifesterà tutto ciò che di cattivo avremo commesso durante la nostra vita. Dopo le loro deposizioni, Dio ci giudicherà e fisserà la nostra sorte per tutta l’eternità. Ahimè! M. F., quale deve essere il timore d’un povero Cristiano che aspetta il suo giudizio e che, tra qualche minuto, sarà nell’inferno o nel cielo! – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. II, p.452)  che un santo abate, chiamato Agatone, al momento di spirare restò sempre cogli occhi fissi verso il cielo senza distaccarneli. I religiosi gli dissero: “Dove credete di essere ora, padre?„ — “Sono alla presenza di Dio, di cui aspetto il giudizio. — “Non lo temete ? „ — “Ahimè! non so se tutte le mie azioni saranno accette a Dio; credo di aver osservato i suoi comandamenti; ma i giudizi di Dio sono diversi da quelli degli uomini. „ In quel momento esclamò: “Ahimè! sono in giudizio.„ Ahimè! F. M., quanti rimorsi per aver perduto tanti mezzi di salvarci, e disprezzate tante grazie che il buon Dio ci ha fatte per aiutarci a guadagnare il cielo; e vedere che tutto ciò per noi è perduto, anzi, tutto torna a nostra condanna! Ma, se è già così terribile render conto delle grazie che il buon Dio ci ha fatte per preservarci dall’inferno, che cosa sarà dunque quando saremo esaminati e giudicati su tutti i peccati che avremo commesso? Forse, per consolarvi, dite che non avete commesso di quei peccati, che agli occhi del mondo sono mostruosi. Ma quei peccati interni, F. M. ?… Ahimè! quanti pensieri d’impurità, desideri! impuri, pensieri di odio, di vendetta e d’invidia sono passati per la vostra mente durante una vita di trenta o quarant’anni, o fors’anche di ottanta! Ahimè! quanti pensieri di superbia, gelosia, quanti desideri di vendetta, di far del male al proprio prossimo, di ingannare! E quando si verrà ai peccati di opere?… Ahimè! quando il buon Dio prenderà il libro dalle mani dei demoni, per esaminare tutte quelle azioni d’impurità quelle corruzioni, turpitudini, sguardi vergognosi, confessioni e comunioni sacrileghe: tutti quei raggiri e malizie usate per sedurre quella persona… Ahimè! che diverranno quelle vittime d’impurità! Oh! quanto sarebbero più felici se Dio le precipitasse nell’inferno prima della loro morte, per evitare ad esse di comparire davanti ad un Giudice così giusto! Secondo ogni apparenza questo giudizio avverrà al letto e nella camera del moribondo. Ahimè! quei poveri disgraziati che non furono più riservati degli animali, e forse meno, vedranno, al pari dell’empio Baldassarre (Dan. V), la loro condanna scritta sui muri o meglio in tutti gli angoli della loro casa. Potranno essi negare, quando Gesù Cristo, col libro in mano, mostrerà loro il luogo e l’ora in cui hanno peccato? “Va, disgraziato, dirà loro, ti condanno e ti maledico per sempre!„ Ahimè! quand’anche il buon Dio offrisse loro il perdono, è quasi certo che non lo vorrebbero, tanto il peccato avrà indurito il loro cuore. Ah! Gesù Cristo potrebbe far loro le stesse minacce che fece a quell’empio di cui si parla nella storia. Essendo ridotto a morire Gesù Cristo gli disse: “Se vuoi domandarmi perdono, io te lo darò. Ma no! quando si ha passata la vita immersi nel peccato, non se ne esce più. — “No,„ rispose il morente. — “Ebbene! gli disse Gesù Cristo, gettandogli una goccia del suo prezioso Sangue sulla fronte; va: nel gran giorno del giudizio questo Sangue adorabile, disprezzato e profanato per tutta la tua vita, sarà il marchio della tua riprovazione.„ Dopo queste parole il peccatore morì e fu precipitato nell’inferno. O terribile momento per un peccatore, il quale non vedrà più nulla che possa fargli sperare il cielo! Il povero peccatore, tutto tremante, non avendo nulla da rispondere, vorrebbe già essere nell’inferno. Egli muore e non può che dire: “Sì, ho meritato l’inferno, è giusto ch’io vi sia precipitato; poiché ho tante volte profanato quel Sangue adorabile, che voi avevate sparso sulla croce per la mia salute. „ Gesù Cristo, tenendo sempre dinanzi il libro nel quale sono scritti i suoi peccati, vedrà tutte le preghiere tralasciate o mal fatte, fors’anche fatte col sentimento dell’odio e della vendetta in cuore, e forse, che dico? col cuore arso dal fuoco dell’impurità. No, no, mio Dio, non esaminatelo più, gettatelo presto nell’inferno; è la grazia più grande che potreste fargli se, prima di gettarlo nel fuoco eterno, dovete fargliene ancora una. Sì, Gesù Cristo, volterà pagina, dove vedrà scritte tutte le bestemmie, le imprecazioni, le maledizioni che l’infelice non ha cessato di vomitare durante la sua vita, con una lingua ed una bocca, tante volte bagnate dal suo Sangue adorabile. Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina, e vi troverà scritte tutte le profanazioni dei santi giorni della domenica. Ah! no, no, non vi saranno più pretesti, tutto sarà messo in evidenza. Vedrà tutte le ubriachezze perpetrate in quei santi giorni, gli stravizi, i giuochi e le danze che hanno profanato i giorni consacrati a Dio. Ahimè! quante Messe non ascoltate od ascoltate male! Quante Messe in cui non ci siamo quasi affatto occupati del buon Dio! o forse, vi avremo commesso più peccati che durante un’intera settimana! Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina, e vedrà scritti tutti i delitti dei figli ingrati che hanno disprezzato il padre e la madre, che li hanno maledetti, che hanno loro augurata la morte per essere padroni delle loro sostanze, che li hanno fatto soffrire nella vecchiaia, che, coi loro cattivi trattamenti … Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina e vedrà scritte tutte quelle ingiustizie ed usure nelle vendite e nei prestiti. Sì, tutte quelle rapine verranno manifestate. Ahimè! quel povero infelice sentirà leggere i particolari di tutta la sua vita, e senza poterne trovare una sola scusa. Ahimè! come sarà avvilito quel povero superbo che voleva sempre aver ragione, che disprezzava tutti, che si rideva di tutto? Dio mio. in quale stato di disperazione l’ha ridotto quell’esame! Sì, F. M., in questo mondo abbiamo sempre qualche pretesto per diminuire i nostri peccati, se non possiamo del tutto nasconderli. Ma, con Gesù Cristo, F. M., non sarà più possibile. Egli stesso ci farà riconoscere tutto ciò che avremo fatto, e saremo costretti ad ammettere che tale è stata la nostra vita, e che giustamente saremo condannati all’inferno ed esclusi per sempre dalla presenza del nostro Dio. O spaventosa disgrazia! E senza speranza di ripararla! Ah! chi vi pensasse seriamente, quanto più saggio sarebbe! Ma questo ancora non basta: il demonio, che ha lavorato per tutta la nostra vita a perderci, presenterà a Gesù Cristo un libro dove saranno scritti tutti i peccati che avremo fatto commettere agli altri. Ahimè! quanto ne sarà grande il numero; e solo in quel momento potremo conoscerlo. Ahimè! che cosa sarà allora di quei padri e di quelle madri, di quei padroni e di quelle padrone che hanno tante volte impedito la preghiera ai loro figli, ai loro servi, per non perdere un momento del loro lavoro? Quante Messe non hanno fatto perdere al loro mandriano? Quanti vespri, istruzioni, catechismi e sacramenti i loro dipendenti non hanno potuto frequentare, perché mancava ad essi il tempo! Quante volte li hanno fatti lavorare di festa, e si sono burlati di essi quand’adempivano qualche pratica religiosa! E quante volte li hanno impediti di farle! Quanti libertini colle loro sollecitazioni e promesse hanno indotto giovinette al peccato! E fra le giovani non ve ne sono che coi loro modi affettati e ricercati hanno indotto altri a cattivi pensieri, a sguardi impuri? Quanti ubriaconi sono stati causa che altri si siano dati al vino, ed abbiano passato la domenica nell’osteria mancando alle funzioni! Ahimè! quanti peccati hanno lasciato commettere gli osti dando da bere agli ubriaconi! Quante parole sconce ed azioni impure, perché tutto è permesso nelle osterie! Là si fa sgorgare dal proprio cuore il veleno dell’impurità, che inebria coi suoi infami piaceri quasi tutti quelli che si trovano nell’osteria. Ahimè! quale conto da rendere! Quanti giovani rubano ai loro genitori per aver di che andare all’osteria! e chi ne porta la colpa? Nessun altro se non l’oste. Ahimè! quanti dubbi questi empi hanno fatto nascere colle loro empietà, divulgando ogni sorta di invenzioni, per indebolire la fede nel cuore di quelli che erano in loro compagnia. Quante calunnie contro i preti! come se il difetto di uno rendesse colpevoli gli altri. Ahimè! quanti Cristiani hanno cessato di frequentare i Sacramenti, solo perché si sono trovati in compagnia di amici che hanno insegnato loro tante falsità contro la Religione, per cui l’hanno abbandonata del tutto. Chi potrebbe contare le anime ch’essi hanno perduto? Ed ora tutto questo sarà loro imputato, tutto sarà causa della loro condanna. Tutte le anime da essi rovinate verranno in quel momento a domandar vendetta… Ahimè! se il santo re Davide diceva di temer più per i peccati altrui che per i propri, che ne sarà di quei poveri disgraziati i quali non hanno passata la loro vita che a perdere delle povere anime coi loro cattivi esempi e coi loro cattivi discorsi? Ahimè! quale stupore quando vedranno tante anime da essi gettate nell’inferno! Chi di noi non tremerà, F. M., pensando che Dio non lascerà nulla senza esame, neanche le buone opere, per sapere se esse sono state ben fatte, e per Lui solo? Ahimè! quante azioni fatte unicamente per il mondo, per il desiderio d’esser notati e di passare come uomo dabbene! Quante buone azioni saranno senza valore davanti a Dio! Ahimè! quante ipocrisie, quanti rispetti umani ne hanno fatto perdere tutto il merito! Se i Santi, F. M., i quali non erano colpevoli che di qualche piccolo difetto, hanno tanto temuto questo momento, hanno fatto sì aspre e lunghe penitenze, come vogliamo sperare che Dio avrà pietà di noi? Ahimè! quanti ogni giorno cadono nell’inferno, e sono meno colpevoli di noi. Dio mio, non ci precipitate nell’inferno! Fateci piuttosto soffrire tutto ciò che vorrete durante la nostra vita. Per farvi ben sentire quanto rigorosamente Dio ci giudicherà,  il che non è difficile a credersi… Ecché! non è giusto che Dio esamini con un rigore spaventoso un Cristiano colmato di tanti benefizi, che ha ricevute tante grazie per salvarsi, ed a cui nulla è mancato fuorché la volontà? Leggiamo nella storia un esempio raccontato da S. Giovanni Climaco, che sembra mostrarci in parte il rigore della giustizia di Dio verso il peccatore. Egli ci dice che uno dei suoi amici, chiamato Giovanni Sabaita, gli aveva detto che, in un convento dell’Asia, viveva un giovane il quale, vedendo che il superiore lo trattava con troppa bontà e dolcezza, pensava che ciò avrebbe potuto nuocergli, e domandò il permesso d’andare in un altro monastero. Partito che fu, la prima notte che passò nel nuovo monastero vide in sogno un personaggio che gli domandava conto delle sue azioni. Dopo un severissimo esame, si trovò debitore verso la giustizia divina di somme considerevoli, e Dio gli fece vedere che non aveva ancor fatto nulla per espiare i suoi peccati. Spaventato da quella visione, restò ancor tre anni in quel luogo, dove Dio, volendo fargli espiare i suoi peccati, permise che fosse disprezzato e maltrattato da tutti. Sembrava che ciascuno si prendesse spasso di farlo soffrire; eppure egli non si lamentò mai. Dio gli fece vedere in una seconda visione ch’egli non aveva pagato che un terzo di quanto doveva alla sua giustizia. Spaventato si finse pazzo, e continuò simil genere di vita per tredici anni: e poi il Signore gli disse che aveva pagato solo una metà. Non sapendo più come fare, per tutto il resto di sua vita non fece che implorare misericordia dal Signore. Non aveva più limite, né misura nelle sue penitenze. “Ah! Signore, non avrete pietà di me? fatemi soffrire tutto ciò che vorrete, ma perdonatemi. „ Finalmente, prima di morire, Dio gli disse che i suoi peccati gli erano perdonati. Ebbene! F. M., chi oserà sperare che i nostri peccati siano cancellati, quando li abbiamo solo confessati, e detto al buon Dio che gliene domandiamo perdono? Ahimè! quanti Cristiani sono ciechi, credendo d’aver fatto molto, mentre invece vedranno d’aver fatto nulla. Il buon Dio farà loro vedere ciò che meritavano i loro peccati, e le penitenze ch’essi hanno fatto. Ahimè! quanti Cristiani perduti! Ma nel giudizio particolare, F. M., si farà ancora un altro esame. Sebbene quanto vi ho detto sembri già rigoroso, questo non sarà meno terribile; voglio dire che Gesù Cristo ci giudicherà sul bene che avremmo potuto fare e che non avremo fatto. Gesù Cristo metterà davanti agli occhi del peccatore tutte le preghiere che non ha fatte, e che avrebbe potuto fare, tutti i Sacramenti che avrebbe potuto ricevere durante la sua vita. Quante volte di più, avrebbe potuto ricevere il suo Corpo ed il suo Sangue, se avesse voluto condurre una vita più santa! Gesù Cristo gli domanderà conto anche di tutte le volte che ebbe il pensiero di fare qualche buona azione e non l’ha fatta. Quante preghiere, quante Messe! Quante confessioni, quante penitenze! quanti atti di carità verso il prossimo! quante privazioni nei pasti, nelle visite! Quante visite di più al Ss. Sacramento nei giorni di festa! Ahimè! quante buone opere tralasciate delle quali saremo giudicati! Gesù Cristo domanderà anche conto di tutto il bene che i nostri buoni esempi avrebbero fatto fare agli altri. Ah! gran Dio! che ne sarà di noi?

II. — Ma, mi direte, che cosa dobbiamo dunque fare, per rassicurarci in un momento così disgraziato per chi avrà vissuto nel peccato, e senza pensare a placare la giustizia di Dio, che le sue colpe hanno sì grandemente irritata? Eccolo.

1° Dobbiamo rientrare in noi stessi, pensare seriamente che non abbiamo ancor fatto cosa che possa darci speranza per quel momento; e che tutti i nostri peccati sono scritti in un libro che il demonio presenterà a Dio affinché Egli ci giudichi, e conosca i nostri peccati anche i più nascosti.

2° Restituire, come Zaccheo, tutto ciò che non è nostro; altrimenti non potremo mai evitare l’inferno. Avere un gran dolore dei nostri peccati, piangerli come fece il santo re Davide, che pianse il suo peccato fino alla morte e non ne commise più. Umiliarsi profondamente davanti al buon Dio, ricevendo tutto ciò che Egli vorrà mandarci, non solo con sottomissione, ma con grande gioia : poiché non c’è via di mezzo: o piangere in questo mondo o piangere nell’altro, là dove le lagrime non servono a nulla, e la penitenza è senza merito. Non dimenticarsi mai che non sappiamo il giorno in cui saremo giudicati, e che se disgraziatamente siamo trovati in peccato, saremo perduti per tutta l’eternità. Che dobbiamo dunque concludere, F. M.? – Che siamo assolutamente ciechi; poiché esaminato bene tutto, nessuno potrebbe dire di esser pronto a comparire davanti a Gesù Cristo, e, malgrado questa certezza di non esser pronti, nessuno di noi farà un passo di più verso il buon Dio per assicurarsi una sentenza favorevole. Dio mio! quanto è cieco il peccatore! Ahimè! quanto è deplorevole la sua sorte! No, no, F. M., non viviamo più come insensati, poiché quando meno v i penseremo, Gesù Cristo batterà alla nostra porta. Beato chi non avrà atteso quel momento per prepararsi! Ciò che vi auguro…

Credo … IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps XVII: 28; XVII: 32

Pópulum húmilem salvum fácies, Dómine, et óculos superbórum humiliábis: quóniam quis Deus præter te, Dómine?

[Tu, o Signore, salverai l’umile popolo e umilierai gli occhi dei superbi, poiché chi è Dio all’infuori di Te, o Signore?]

Secreta

Súscipe, quǽsumus, Dómine, múnera, quæ tibi de tua largitáte deférimus: ut hæc sacrosáncta mystéria, grátiæ tuæ operánte virtúte, et præséntis vitæ nos conversatióne sanctíficent, et ad gáudia sempitérna perdúcant.

[Gradisci, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che noi, partecipi dell’abbondanza dei tuoi beni, Ti offriamo, affinché questi sacrosanti misteri, per opera della tua grazia, ci santífichino nella pratica della vita presente e ci conducano ai gaudii sempiterni.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXXIII: 9 Gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus: beátus vir, qui sperat in eo.

[Gustate e vedete quanto soave è il Signore: beato l’uomo che spera in Lui.]

Postcommunio

Orémus.

Sit nobis, Dómine, reparátio mentis et córporis cæléste mystérium: ut, cujus exséquimur cultum, sentiámus efféctum.

[O Signore, che questo celeste mistero giovi al rinnovamento dello spirito e del corpo, affinché di ciò che celebriamo sentiamo l’effetto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUL GIUDIZIO PARTICOLARE”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sul giudizio particolare.

Redde rationem villicationis tuæ.

(Luc. XVI, 2).

Possiamo seriamente riflettere, Fratelli miei, sulla severità del giudizio di Dio, senza sentirci presi da vivo timore? Ecchè! F. M., i giorni delia nostra vita, sono contati; e per di più ignoriamo l’ora ed il momento in cui il nostro Giudice Supremo ci chiamerà al suo tribunale, e forse quel momento sarà quello in cui meno vi penseremo, e saremo meno disposti a rendere questo terribile conto!… Vi assicuro, F. M., che pensandovi bene, ci sarebbe da darsi alla disperazione, se la religione non ci insegnasse che possiamo render meno terribile questo momento con una vita la quale possa sempre farci sperare che il buon Dio avrà pietà di noi. Badiamo bene, F. M., di non trovarci imbarazzati in quel momento, come quel fattore di cui Gesù Cristo ci parla nell’Evangelo. Vi mostrerò dunque, F. M.:

1° che v’è un giudizio particolare in cui renderemo esattissimo conto del bene e del male che avremo fatto;

2° quali sono i mezzi che dobbiamo usare per prevenire il rigore di questo conto.

I. — Noi tutti sappiamo, F . M., che saremo giudicati due volte: una volta nel gran giorno delle vendette, cioè alla fine del mondo, quando davanti all’universo intero, le nostre azioni buone o cattive, saranno a tutti manifeste. Ma prima di quel giorno terribile e sventurato pei peccatori, avremo subito un giudizio al momento della nostra morte, dopo esalato l’ultimo respiro. Sì. F. M., la sorte dell’uomo sta tutta in queste tre parole: vivere, morire ed essere giudicato. È una legge fissa ed invariabile per tutti gli uomini. Noi nasciamo per morire, moriamo per essere giudicati, e questo giudizio deciderà della nostra felicità eterna o della nostra eterna sventura. – Il giudizio universale in cui tutti compariremo, non sarà che la pubblicazione della sentenza particolare pronunciata subito dopo la nostra morte. Voi tutti sapete che Dio ha contato i nostri anni (Breves dies hominis sunt; numerus mensium ejus apud te est – Job xiv, 5),ed in questo numero d’anni, che Egli ha fissato d’accordarci, ne ha segnato uno che sarà l’ultimo per noi; in quest’ultimo anno un ultimo mese; in quest’ultimo mese un ultimo giorno, ed in questo giorno un’ultima ora, dopo la quale non vi sarà più tempo per noi. Ahimè! che ne sarà di quel peccatore e di quell’empio che si promettono sempre una vita più lunga? Aspettino pure, poveri disgraziati, fin che vogliono; dopo quest’ultima ora non vi sarà più ritorno, non più speranza, non più rimedio! Nello stesso istante. M. F.; ascoltate bene voi che non temete di passare i vostri giorni nel peccato, nello stesso istante in cui l’anima si separerà dal vostro corpo, essa sarà giudicata. — Ma, mi direte, lo sappiamo. — Sì, ma non lo credete. Ditemi, se lo credeste seriamente, come potreste restare in uno stato che vi mette nel continuo pericolo di cadere nell’inferno? No, no, amico mio, voi non lo credete; perché se lo credeste, non v i esporreste ad una sì grande disgrazia. Verrà il momento che il buon Dio applicherà sul vostro debito l’impronta della sua immortalità ed il sigillo della sua eternità, e quel sigillo e quell’impronta non saranno levati mai più. O  momento terribile! eppure così poco meditato, così breve e così lungo, che vola con tanta rapidità, e che trascina con sé un susseguirsi spaventoso di secoli! Che cosa ci avverrà dunque in questo momento che tanto fa orrore? Ahimè. F. M., compariremo tutti, ciascuno in particolare, davanti al tribunale di Gesù Cristo, per esservi giudicati, e render conto del bene e del male che avremo fatto. Il giudizio particolare, F. M., è così certo, che il buon Dio per convincercene, ne ha fatto scorgere i segni a parecchi quand’erano ancor vivi, affinché noi vi ci preparassimo.Leggiamo nella storia che un giovane libertino si era dato ad ogni sorta di vizi; ma essendo stato istruito da una pia madre, una notte che teneva dietro al giorno in cui era caduto nei più gravi eccessi, fece un sogno. Si vide trasportato al tribunale di Dio. Non si può dire quale fu la sua vergogna, la sua confusione e l’amarezza della sua anima. Quando si svegliò aveva una febbre ardente, sudava ed era fuori di sé, i suoi capelli erano diventati bianchi. “Lasciatemi solo, diceva, sciogliendosi in lagrime, a quelli che pei primi lo videro in quello stato, lasciatemi solo; ho visto il mio Giudice. Ah! quanto è terribile! Perdono, Dio mio! perdono!„ I suoi compagni di stravizi, sentendo che il loro amico era ammalato e si desolava, vennero per confortarlo. “Ritiratevi da me, diceva loro, voi non siete più i miei amici, non vi voglio più. Ah! ho visto il mio Giudice. Ah! quant’è terribile! Di quanta maestà! di quanta gloria è rivestito! Ah! quante accuse e domande, alle quali non ho potuto rispondere! Tutti i miei delitti sono scritti; li ho letti tutti! Ah! quanto grande ne è il numero! Solo ora ne conosco tutta l’enormità! Ahimè! Ho visto una schiera di demoni, i quali non aspettavano che il segno per trascinarmi nell’inferno. Ritiratevi, falsi amici, non voglio più vedervi! Quanto sarei felice, se potessi, coi rigori della penitenza, placare un giudice così terribile! Ahimè! ben presto dovrò presentarmigli davvero! forse oggi stesso!… Dio mio, perdonatemi!… Dio mio, usatemi misericordia!… Ah! di grazia, non perdetemi, abbiate pietà di me!… Farò penitenza per tutta la mia vita. Oh! quanti peccati ho commesso! Quante grazie disprezzate!… quanto bene avrei potuto fare e non ho fatto!… Dio mio, non gettatemi nell’inferno!„ E non si fermò lì, F. M. Passò il resto della sua vita a piangere e far penitenza. Quanto sarà terribile questo momento, F. M., per chi non avrà fatto alcun bene e molto male. Sì, F. M., renderemo conto di tutte le nostre azioni, buone e cattive: tutto comparirà davanti al nostro giudice nel momento in cui l’anima si separerà dal nostro corpo. Sì, F. M., il buon Dio si farà render conto dei beni che abbiamo ricevuti. Vi sono i beni di natura, di fortuna e di grazia. Tutti questi beni entreranno nel conto. I beni di natura riguardano il corpo e l’anima; bisognerà render conto dell’uso che avremo fatto del nostro corpo. Domanderà il Giudice se avremo usate le nostre forze a render servizi al nostro prossimo, a lavorare per avere di che far elemosine, a far penitenza, a visitare i luoghi privilegiati dal buon Dio (come Nostra Signora di Fourvière, S. Francesco Regis ed altri). Ma, se invece, non abbiamo usato della nostra salute e del nostro corpo, che per correre ai divertimenti, alle osterie, per derubare il prossimo, per lavorare alla domenica , per viaggiare in questi santi giorni, invece di passarli nel pregare, onorare il buon Dio, istruire gli ignoranti, dar loro buoni consigli, condurli a Dio ed allontanarli dal male… Esaminerà poi se non ci siamo serviti della nostra intelligenza pel male: cioè per istruirci di cose cattive. Se abbiamo letto libri perversi, frequentato gli empi, insegnata la malizia agli altri. Se ce ne siamo serviti per ingannare nelle vendite e nelle compere, per giurare il falso, suscitare liti, indurre altri a vendicarsi, a parlar male della religione, a insegnar loro cose empie: come, per esempio, voler far loro credere che la religione non è buona, che tutto ciò che si dice non è vero, che i preti dicono ciò che vogliono. Ed esaminerà altresì se abbiamo usato la nostra intelligenza per comporre cattive canzoni contro la purità, contro l’onor del prossimo; se abbiamo comunicato ad altri le nostre cattive cognizioni. Ci domanderà se ci siamo serviti della nostra mente per istruirci; se ci siamo invaniti della bellezza del nostro corpo, invece d’ammirare in noi la sapienza e la potenza di Dio. Se ce ne siamo serviti per indurre gli altri al male; come per esempio, chi si veste in modo d’attirare su di sé gli occhi altrui. Dio ci domanderà se abbiamo bene usato di ciò che ci ha dato, ricordandoci che noi non siamo che amministratori, e che tutto ciò di cui avremo usato male ci verrà imputato a colpa. Allora il buon Dio farà vedere a quei padri ed a quelle madri tutti gli oggetti di vanità che essi hanno comperato ai loro figli, e che servirono soltanto a perdere la loro anima; mostrerà loro tutto quel denaro consumato nei divertimenti, nelle osterie, nelle danze ed in tutte le altre spese inutili. E poi tutto ciò che abbiamo lasciato andar a male e che avremmo potuto dare ai poveri. Ahimè! quanti peccati ai quali non avremmo mai pensato, e che ora non vogliamo riconoscere; ma che in quel momento riconosceremo, troppo tardi! Veniamo ora, F. M., ad un altro conto ben più terribile, quello della grazia. Il buon Dio comincerà a mostrarci i benefizi accordatici, facendoci nascere nel seno della Chiesa cattolica; mentre tanti altri sono nati e morti fuori di essa, Ci farà vedere che anche tra i Cristiani, un numero infinito sono morti senza aver ricevuta la grazia del Battesimo. Ci farà vedere per quant’anni, mesi, settimane, giorni, ci ha conservata la vita mentre eravamo nel peccato; e che se, in quel momento, ci avesse fatto morire, saremmo stati precipitati nell’inferno. Ci metterà davanti agli occhi tutti i buoni pensieri, tutte le buone ispirazioni, i buoni desideri che ci ha dato durante la nostra vita. Ahimè! quante grazie disprezzate! Ci ricorderà tutte le istruzioni ricevute e sentite; tutte le letture messe a nostra disposizione affinché ne approfittassimo. Tutte lo nostre confessioni, le comunioni, e tante altre grazie del cielo che abbiamo ricevuto. E quanti Cristiani non ne hanno ricevuto la centesima parte, eppure si sono santificati! Ma, che cosa è stato, F. M., di tutti questi benefizi e di tutte queste grazie? qual profitto ne abbiamo  ricavato? … Triste momento per un Cristiano che ha disprezzato tutto, e di nulla seppe approfittare! … Vedete che cosa ci dice S. Gregorio: “Ah! amico, osserva quella croce, e vedrai quanto ha costato ad un Dio il ridonarci la vita.„ E per questo che S. Agostino quando meditava sul conto da rendersi delle grazie ricevute e disprezzate; esclamava: “Ahimè! disgraziato, che diventerò dopo tante grazie ricevute? Ahimè! temo ancor più per le grazie ricevute, che per i peccati commessi, per quanto siano numerosi! Dio mio, quale sarà la mia sorte? „ Leggiamo nella vita di S. Teresa che, nell’ultima sua malattia, fu trasportata davanti al tribunale di Dio; ritornata in sé, le si domandò perché temesse dopo aver fatta tanta penitenza. “Ahimè! disse, temo molto.„ — “Avete paura della morte?„ le si domandò. — “No, „ rispose. ” Dell’inferno?„ — ” No. „ Che cosa dunque la faceva tremare? “Ahimè! bisogna che la mia vita sia confrontata con quella di Gesù Cristo; ah! guai a me, se ho la minima ombra di peccato! „ E che sarà di noi, F. M., quando Gesù Cristo ci rimprovererà il disprezzo e l’abuso che abbiamo fatto del suo Sangue prezioso e di tutti i suoi meriti? “Ahi ingrato peccatore, ci dirà, vigna infruttuosa, albero sterile, che avrei dovuto fare per la tua salute e non ho fatto? Non dovevo io attendere da te buoni frutti per la vita eterna? Dove sono le buone opere da te fatte? Dove sono le tue fervorose preghiere, che mi sieno piaciute, e che mi abbiano commosso? Dove sono le tue buone confessioni? Le buone Comunioni che m’abbiano fatto rinascere nella tua anima, e ricompensato, in qualche modo dei tormenti che ho sopportati per la tua salute? Ove sono le penitenze e le lagrime da te sparse per cancellare i peccati che hai commesso? Dove sono le buone opere che hai fatte, suggerite da tanti buoni pensieri e desiderii e da tante occasioni che ti ho presentato? Dove sono quelle Messe ben ascoltate, in cui avresti potuto soddisfarmi per i tuoi peccati? Va, disgraziato, non hai fatto che opere d’iniquità, non hai lavorato che a rinnovare i dolori della mia passione e della mia morte. Va, ritirati da me, io ti maledico per tutta 1’eternità! Va, nel giorno del giudizio universale, manifesterò il bene che avresti potuto fare e che non hai fatto, e tutte le grazie che ti ho accordate e che hai disprezzato.„ Ahimè! quanti rimproveri, e quanti peccati, ai quali non abbiamo mai pensato! Ahimè! quanto sarà terribile questo rendiconto! Eccone un esempio che ve lo proverà. Racconta S. Giovanni Climaco, (La scala santa, settimo gradino) che un anacoreta, chiamato Stefano, dopo aver condotto una vita delle più austere e delle più sante, essendo molto vecchio cadde ammalato e ne morì. La vigilia della sua morte, trovandosi improvvisamente fuor di sé, pure avendo gli occhi aperti, guardava a destra ed a sinistra, come se vedesse qualcheduno che gli faceva render conto delle sue azioni. Si sentiva una persona che l’interrogava, e l’ammalato rispondeva a voce così spiccata, che tutti quelli che erano nella stanza potevano sentire. Lo si sentiva dire: “Sì, è vero, ho commesso quel peccato, ma per questo ho digiunato tanti anni.„ Poi l’altra voce diceva che aveva commesso il tal altro peccato, ed il morente rispondeva: “No, non è vero, non l’ho commesso.„ Poco dopo lo si sentiva dire: “Sì, lo confesso, l’ho fatto; ma Dio è tanto misericordioso che me l’ha perdonato. „ Era, ci dice S. Giovanni Climaco, uno spettacolo spaventoso assistere al rendiconto così esatto che si chiedeva a quel solitario di tutte le sue azioni. Ma, ciò che spaventava ancor più era il sentire che lo si accusava anche di peccati, ch’egli non aveva mai commesso. Ecchè! F. M., un santo solitario, che aveva passato quarantanni nel deserto, che aveva versate tante lagrime, confessa egli stesso che non può giustificarsi di qualche accusa che gli è fatta!!… Egli ci lasciò, ci dice S. Giovanni Climaco, in una grande incertezza per la sua salute. Ma, che sarà di un peccatore che, in quel momento non vedrà che male e niente di bene? Momento terribile! momento di disperazione! E non aver nulla su che affidarsi! Voi sapete che quel giudizio avverrà fra tre testimoni: Dio che giudicherà, il nostro Angelo custode che mostrerà le buone opere che avremo fatte, ed il demonio che manifesterà tutto ciò che di cattivo avremo commesso durante la nostra vita. Dopo le loro deposizioni, Dio ci giudicherà e fisserà la nostra sorte per tutta l’eternità. Ahimè! M. F., quale deve essere il timore d’un povero Cristiano che aspetta il suo giudizio e che, tra qualche minuto, sarà nell’inferno o nel cielo! – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. II, p. 452)  che un santo abate, chiamato Agatone, al momento di spirare restò sempre cogli occhi fissi verso il cielo senza distaccarneli. I religiosi gli dissero: “Dove credete di essere ora, padre?„ — “Sono alla presenza di Dio, di cui aspetto il giudizio,, . — “Non lo temete ? „ — “Ahimè! non so se tutte le mie azioni saranno accette a Dio; credo di aver osservato i suoi comandamenti; ma i giudizi di Dio sono diversi da quelli degli uomini. „ In quel momento esclamò: “Ahimè! sono in giudizio.„ Ahimè! F. M., quanti rimorsi per aver perduto tanti mezzi di salvarci, e disprezzate tante grazie che il buon Dio ci ha fatte per aiutarci a guadagnare il cielo; e vedere che tutto ciò per noi è perduto, anzi, tutto torna a nostra condanna! Ma, se è già così terribile render conto delle grazie che il buon Dio ci ha fatte per preservarci dall’inferno, che cosa sarà dunque quando saremo esaminati e giudicati su tutti i peccati che avremo commesso? Forse, per consolarvi, dite che non avete commesso di quei peccati, che agli occhi del mondo sono mostruosi. Ma quei peccati interni, F. M. ?… Ahimè! quanti pensieri d’impurità, desideri! impuri, pensieri di odio, di vendetta e d’invidia sono passati per la vostra mente durante una vita di trenta o quarant’anni, o fors’anche di ottanta! Ahimè! quanti pensieri di superbia, gelosia, quanti desideri di vendetta, di far del male al proprio prossimo, di ingannare! E quando si verrà ai peccati di opere?… Ahimè! quando il buon Dio prenderà il libro dalle mani dei demoni, per esaminare tutte quelle azioni d’impurità quelle corruzioni, turpitudini, sguardi vergognosi, confessioni e comunioni sacrileghe: tutti quei raggiri e malizie usate per sedurre quella persona… Ahimè! che diverranno quelle vittime d’impurità! Oh! quanto sarebbero più felici se Dio le precipitasse nell’inferno prima della loro morte, per evitare ad esse di comparire davanti ad un Giudice così giusto! Secondo ogni apparenza questo giudizio avverrà al letto e nella camera del moribondo. Ahimè! quei poveri disgraziati che non furono più riservati degli animali, e forse meno, vedranno, al pari dell’empio Baldassarre (Dan. V), la loro condanna scritta sui muri o meglio in tutti gli angoli della loro casa. Potranno essi negare, quando Gesù Cristo, col libro in mano, mostrerà loro il luogo e l’ora in cui hanno peccato? “Va, disgraziato, dirà loro, ti condanno e ti maledico per sempre!„ Ahimè! quand’anche il buon Dio offrisse loro il perdono, è quasi certo che non lo vorrebbero, tanto il peccato avrà indurito il loro cuore. Ah! Gesù Cristo potrebbe far loro le stesse minacce che fece a quell’empio di cui si parla nella storia. Essendo ridotto a morire Gesù Cristo gli disse: “Se vuoi domandarmi perdono, io te lo darò. Ma no! quando si ha passata la vita immersi nel peccato, non se ne esce più. — “No,„ rispose il morente. — “Ebbene! gli disse Gesù Cristo, gettandogli una goccia del suo prezioso Sangue sulla fronte; va: nel gran giorno del giudizio questo Sangue adorabile, disprezzato e profanato per tutta la tua vita, sarà il marchio della tua riprovazione.„ Dopo queste parole il peccatore morì e fu precipitato nell’inferno. O terribile momento per un peccatore, il quale non vedrà più nulla che possa fargli sperare il cielo! Il povero peccatore, tutto tremante, non avendo nulla da rispondere, vorrebbe già essere nell’inferno. Egli muore e non può che dire: “Sì, ho meritato l’inferno, è giusto ch’io vi sia precipitato; poiché ho tante volte profanato quel Sangue adorabile, che voi avevate sparso sulla croce per la mia salute. „ Gesù Cristo, tenendo sempre dinanzi il libro nel quale sono scritti i suoi peccati, vedrà tutte le preghiere tralasciate o mal fatte, fors’anche fatte col sentimento dell’odio e della vendetta in cuore, e forse, che dico? col cuore arso dal fuoco dell’impurità. No, no, mio Dio, non esaminatelo più, gettatelo presto nell’inferno; è la grazia più grande che potreste fargli se, prima di gettarlo nel fuoco eterno, dovete fargliene ancora una. Sì, Gesù Cristo, volterà pagina, dove vedrà scritte tutte le bestemmie, le imprecazioni, le maledizioni che l’infelice non ha cessato di vomitare durante la sua vita, con una lingua ed una bocca, tante volte bagnate dal suo Sangue adorabile. Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina, e vi troverà scritte tutte le profanazioni dei santi giorni della domenica. Ah! no, no, non vi saranno più pretesti, tutto sarà messo in evidenza. Vedrà tutte le ubriachezze perpetrate in quei santi giorni, gli stravizi, i giuochi e le danze che hanno profanato i giorni consacrati a Dio. Ahimè! quante Messe non ascoltate od ascoltate male! Quante Messe in cui non ci siamo quasi affatto occupati del buon Dio! o forse, vi avremo commesso più peccati che durante un’intera settimana! Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina, e vedrà scritti tutti i delitti dei figli ingrati che hanno disprezzato il padre e la madre, che li hanno maledetti, che hanno loro augurata la morte per essere padroni delle loro sostanze, che li hanno fatto soffrire nella vecchiaia, che, coi loro cattivi trattamenti … Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina e vedrà scritte tutte quelle ingiustizie ed usure nelle vendite e nei prestiti. Sì, tutte quelle rapine verranno manifestate. Ahimè! quel povero infelice sentirà leggere i particolari di tutta la sua vita, e senza poterne trovare una sola scusa. Ahimè! come sarà avvilito quel povero superbo che voleva sempre aver ragione, che disprezzava tutti, che si rideva di tutto? Dio mio. in quale stato di disperazione l’ha ridotto quell’esame! Sì, F. M., in questo mondo abbiamo sempre qualche pretesto per diminuire i nostri peccati, se non possiamo del tutto nasconderli. Ma, con Gesù Cristo, F. M., non sarà più possibile. Egli stesso ci farà riconoscere tutto ciò che avremo fatto, e saremo costretti ad ammettere che tale è stata la nostra vita, e che giustamente saremo condannati all’inferno ed esclusi per sempre dalla presenza del nostro Dio. O spaventosa disgrazia! E senza speranza di ripararla! Ah! chi vi pensasse seriamente, quanto più saggio sarebbe! Ma questo ancora non basta: il demonio, che ha lavorato per tutta la nostra vita a perderci, presenterà a Gesù Cristo un libro dove saranno scritti tutti i peccati che avremo fatto commettere agli altri. Ahimè! quanto ne sarà grande il numero; e solo in quel momento potremo conoscerlo.Ahimè! che cosa sarà allora di quei padri e di quelle madri, di quei padroni e di quelle padrone che hanno tante volte impedito la preghiera ai loro figli, ai loro servi, per non perdere un momento del loro lavoro? Quante Messe non hanno fatto perdere al loro mandriano? Quanti vespri, istruzioni, catechismi e sacramenti i loro dipendenti non hanno potuto frequentare, perché mancava ad essi il tempo! Quante volte li hanno fatti lavorare di festa, e si sono burlati di essi quand’adempivano qualche pratica religiosa! E quante volte li hanno impediti di farle! Quanti libertini colle loro sollecitazioni e promesse hanno indotto giovinette al peccato! E fra le giovani non ve ne sono che coi loro modi affettati e ricercati hanno indotto altri a cattivi pensieri, a sguardi impuri? Quanti ubriaconi sono stati causa che altri si siano dati al vino, ed abbiano passato la domenica nell’osteria mancando alle funzioni! Ahimè! quanti peccati hanno lasciato commettere gli osti dando da bere agli ubriaconi! Quante parole sconce ed azioni impure, perché tutto è permesso nelle osterie! Là si fa sgorgare dal proprio cuore il veleno dell’impurità, che inebria coi suoi infami piaceri quasi tutti quelli che si trovano nell’osteria. Ahimè! quale conto da rendere! Quanti giovani rubano ai loro genitori per aver di che andare all’osteria! e chi ne porta la colpa? Nessun altro se non l’oste. Ahimè! quanti dubbi questi empi hanno fatto nascere colle loro empietà, divulgando ogni sorta di invenzioni, per indebolire la fede nel cuore di quelli che erano in loro compagnia. Quante calunnie contro i preti! come se il difetto di uno rendesse colpevoli gli altri. Ahimè! quanti Cristiani hanno cessato di frequentare i Sacramenti, solo perché si sono trovati in compagnia di amici che hanno insegnato loro tante falsità contro la Religione, per cui l’hanno abbandonata del tutto. Chi potrebbe contare le anime ch’essi hanno perduto? Ed ora tutto questo sarà loro imputato, tutto sarà causa della loro condanna. Tutte le anime da essi rovinate verranno in quel momento a domandar vendetta… Ahimè! se il santo re Davide diceva di temer più per i peccati altrui che per i propri, che ne sarà di quei poveri disgraziati i quali non hanno passata la loro vita che a perdere delle povere anime coi loro cattivi esempi e coi loro cattivi discorsi? Ahimè! quale stupore quando vedranno tante anime da essi gettate nell’inferno! Chi di noi non tremerà, F. M., pensando che Dio non lascerà nulla senza esame, neanche le buone opere, per sapere se esse sono state ben fatte, e per Lui solo? Ahimè! quante azioni fatte unicamente per il mondo, per il desiderio d’esser notati e di passare come uomo dabbene! Quante buone azioni saranno senza valore davanti a Dio! Ahimè! quante ipocrisie, quanti rispetti umani ne hanno fatto perdere tutto il merito! Se i Santi, F. M., i quali non erano colpevoli che di qualche piccolo difetto, hanno tanto temuto questo momento, hanno fatto sì aspre e lunghe penitenze, come vogliamo sperare che Dio avrà pietà di noi? Ahimè! quanti ogni giorno cadono nell’inferno, e sono meno colpevoli di noi. Dio mio, non ci precipitate nell’inferno! Fateci piuttosto soffrire tutto ciò che vorrete durante la nostra vita. Per farvi ben sentire quanto rigorosamente Dio ci giudicherà,  il che non è difficile a credersi… Ecché! non è giusto che Dio esamini con un rigore spaventoso un cristiano colmato di tanti benefizi, che ha ricevute tante grazie per salvarsi, ed a cui nulla è mancato fuorché la volontà? Leggiamo nella storia un esempio raccontato da S. Giovanni Climaco, che sembra mostrarci in parte il rigore della giustizia di Dio verso il peccatore. Egli ci dice che uno dei suoi amici, chiamato Giovanni Sabaita, gli aveva detto che, in un convento dell’Asia, viveva un giovane il quale, vedendo che il superiore lo trattava con troppa bontà e dolcezza, pensava che ciò avrebbe potuto nuocergli, e domandò il permesso d’andare in un altro monastero. Partito che fu, la prima notte che passò nel nuovo monastero vide in sogno un personaggio che gli domandava conto delle sue azioni. Dopo un severissimo esame, si trovò debitore verso la giustizia divina di somme considerevoli, e Dio gli fece vedere che non aveva ancor fatto nulla per espiare i suoi peccati. Spaventato da quella visione, restò ancor tre anni in quel luogo, dove Dio, volendo fargli espiare i suoi peccati, permise che fosse disprezzato e maltrattato da tutti. Sembrava che ciascuno si prendesse spasso di farlo soffrire; eppure egli non si lamentò mai. Dio gli fece vedere in una seconda visione ch’egli non aveva pagato che un terzo di quanto doveva alla sua giustizia. Spaventato si finse pazzo, e continuò simil genere di vita per tredici anni: e poi il Signore gli disse che aveva pagato solo una metà. Non sapendo più come fare, per tutto il resto di sua vita non fece che implorare misericordia dal Signore. Non aveva più limite, né misura nelle sue penitenze. “Ah! Signore, non avrete pietà di me? fatemi soffrire tutto ciò che vorrete, ma perdonatemi. „ Finalmente, prima di morire, Dio gli disse che i suoi peccati gli erano perdonati. Ebbene! F. M., chi oserà sperare che i nostri peccati siano cancellati, quando li abbiamo solo confessati, e detto al buon Dio che gliene domandiamo perdono? Ahimè! quanti Cristiani sono ciechi, credendo d’aver fatto molto, mentre invece vedranno d’aver fatto nulla. Il buon Dio farà loro vedere ciò che meritavano i loro peccati, e le penitenze ch’essi hanno fatto. Ahimè! quanti Cristiani perduti! Ma nel giudizio particolare, F. M., si farà ancora un altro esame. Sebbene quanto vi ho detto sembri già rigoroso, questo non sarà meno terribile; voglio dire che Gesù Cristo ci giudicherà sul bene che avremmo potuto fare e che non avremo fatto. Gesù Cristo metterà davanti agli occhi del peccatore tutte le preghiere che non ha fatte, e che avrebbe potuto fare, tutti i Sacramenti che avrebbe potuto ricevere durante la sua vita. Quante volte di più, avrebbe potuto ricevere il suo Corpo ed il suo Sangue, se avesse voluto condurre una vita più santa! Gesù Cristo gli domanderà conto anche di tutte le volte che ebbe il pensiero di fare qualche buona azione e non l’ha fatta. Quante preghiere, quante Messe! Quante confessioni, quante penitenze! quanti atti di carità verso il prossimo! quante privazioni nei pasti, nelle visite! Quante visite di più al Ss. Sacramento nei giorni di festa! Ahimè! quante buone opere tralasciate delle quali saremo giudicati! Gesù Cristo domanderà anche conto di tutto il bene che i nostri buoni esempi avrebbero fatto fare agli altri. Ah! gran Dio! che ne sarà di noi?

II. — Ma, mi direte, che cosa dobbiamo dunque fare, per rassicurarci in un momento così disgraziato per chi avrà vissuto nel peccato, e senza pensare a placare la giustizia di Dio, che le sue colpe hanno sì grandemente irritata? Eccolo.

1° Dobbiamo rientrare in noi stessi, pensare seriamente che non abbiamo ancor fatto cosa che possa darci speranza per quel momento; e che tutti i nostri peccati sono scritti in un libro che il demonio presenterà a Dio affinché Egli ci giudichi, e conosca i nostri peccati anche i più nascosti.

2° Restituire, come Zaccheo, tutto ciò che non è nostro; altrimenti non potremo mai evitare l’inferno. Avere un gran dolore dei nostri peccati, piangerli come fece il santo re Davide, che pianse il suo peccato fino alla morte e non ne commise più. Umiliarsi profondamente davanti al buon Dio, ricevendo tutto ciò che Egli vorrà mandarci, non solo con sottomissione, ma con grande gioia: poiché non c’è via di mezzo: o piangere in questo mondo o piangere nell’altro, là dove le lagrime non servono a nulla, e la penitenza èsenza merito. Non dimenticarsi mai che nonsappiamo il giorno in cui saremo giudicati, e che se disgraziatamente siamo trovati in peccato, saremo perduti per tutta l’eternità. Che dobbiamo dunque concludere, F. M.? – Che siamo assolutamente ciechi; poiché esaminato bene tutto, nessuno potrebbe dire di esser pronto a comparire davanti a Gesù Cristo, e, malgrado questa certezza di non esser pronti, nessuno di noi farà un passo di più verso il buon Dio per assicurarsi una sentenza favorevole. Dio mio! quanto è cieco il peccatore! Ahimè! quanto è deplorevole la sua sorte! No, no, F. M., non viviamo più come insensati, poiché quando meno v i penseremo, Gesù Cristo batterà alla nostra porta. Beato chi non avrà atteso quel momento per prepararsi! Ciò che vi auguro…

DOMENICA VII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

In questa settimana non si poteva scegliere una lettura migliore nel Breviario,  del doppio racconto degli ultimi giorni di David — poiché, dice S. Girolamo, « tutte le energie del corpo si indeboliscono nei vecchi, mentre solo la sapienza aumenta in essi » (2° nott.) — e della storia di suo figlio Salomone, che fu celebre fra tutti i re per la sapienza. – David, sentendo avvicinarsi il momento della morte, designò come suo successore, fra i suoi figli, Salomone, il diletto da Dio. E Natan profeta, condusse Salomone a Gihon, ove il sacerdote Sadoc prese dal tabernacolo l’ampolla d’olio e unse Salomone; si suonò la tromba e tutto il popolo disse: « Viva il Re Salomone! ». David disse a suo figlio: «Sarai tu a innalzare il tempio del Signore. Mostrati forte e sii uomo! Osserva fedelmente i comandamenti del Signore, affinché si compia la parola che pronunciò su me: « Il tuo nome si è affermato e i tuoi discendenti regneranno per sempre! Tu agirai secondo la tua sapienza, poiché sei un uomo saggio ». E David s’addormentò coi suoi padri e fu sepolto nella città che porta il suo nome dopo aver regnato sette anni a Ebron e trentatré anni a Gerusalemme, la fortezza inespugnabile che egli aveva preso ai Filistei. E Salomone si assise sul trono di suo padre, ed il suo regno fu ben sicuro. Era un giovane di diciassette anni, amava il Signore e gli offriva olocausti. – Iddio apparve in sogno a Salomone e gli disse. «Chiedi tutto quello che vuoi e io te lo darò ». Salomone gli rispose: « Signore, io non sono che un fanciullo per regnare al posto di David, mio padre; accordami la sapienza affinché io possa discernere il bene dal male e conduca il tuo popolo sulle tue vie ». E Dio aggiunse: « Ecco io ti dono un cuore saggio e intelligente, tale che tu supererai tutti i sapienti che furono e quelli che verranno, e ciò che tu non mi hai chiesto (lunga vita, ricchezza, trionfi) te lo darò in più ». Secondo la promessa del Signore, Salomone non solo fu il più sapiente, ma il più splendido e possente re d’Israele. Tutti i re gli apportavano i loro doni e tutte le nazioni che fino allora avevano disprezzato Israele, ne ricercavano l’alleanza. La regina di Saba venne a consultarlo e rimase piena di ammirazione per tutti quello che vide e intese da lui. Il Faraone, re d’Egitto, gli dette la figlia in isposa; Hiram, re di Tiro, fece con lui alleanza e un trattato, pel quale, in compenso del grano, dell’orzo, del vino, dell’olio, che le campagne della Palestina producevano abbondantemente, gli forniva legni preziosi delle foreste del Libano, e operai per la costruzione del tempio. Salomone insegnò al popolo il timor di Dio e questi lo protesse in tutte le imprese e lo aiutò quando il suo fratello maggiore avrebbe voluto regnare in sua vece. Così si realizzarono le parole che Salomone medesimo pronunciò e che S. Girolamo ci ricorda nell’ufficio di oggi: « Non disprezzare la sapienza e questa ti difenderà. Mettiti in possesso delia sapienza e acquista la prudenza; impadronisciti di essa ed essa ti esalterà, tu sarai glorificato da essa e, quando l’avrai abbracciata, ti metterà sul capo splendori di grazia e ti coprirà di una gloriosa corona ». « Infatti colui che giorno e notte, commenta S. Girolamo, medita la legge del Signore, diventa più docile con gli anni, più gentile, più saggio col progresso del tempo e negli ultimi giorni raccoglie i più dolci frutti dei suoi lavori d’altri tempi » (2° Nott.). – Laddove, « Quale frutto, chiede l’Apostolo, avete tratto dal peccato, se non la vergogna e la morte eterna? », mentre « ricevendo Dio voi producete frutti di santità e guadagnate la vita eterna » (Ep.). E nostro Signore dice nel Vangelo: « Si riconosce l’albero dai suoi frutti. Ogni albero buono porta frutti buoni e ogni albero cattivo porta frutti cattivi ». E aggiunge: « Non sono già quelli che mi dicono: Signore, Signore, che entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fan la volontà del Padre mio che è nei cieli • Cosi, commentando l’Introito di questo giorno, S. Agostino dice « È necessario che le mani e la lingua siano d’accordo: che l’una glorifichi Dio e che le altre agiscano ». La vera sapienza non consiste solamente nell’intendere le parole di Dio, ma nel realizzarle; né pregare Dio, ma anche nel mostrargli con le opere che lo amiamo ». « Il Vangelo – dice S. Ilario – ci avverte che le parole dolci e gli atteggiamenti mansueti debbono essere valutati dai frutti delle opere e che bisogna apprezzare qualcuno non secondo quello egli si mostra a parole, ma secondo quello che si mostra ai fatti, perché spesso la veste dell’agnello serve a nascondere la ferocità dei lupi. Dunque, attraverso la nostra maniera di vivere noi dobbiamo meritare la beatitudine eterna, di modo che noi dobbiamo volere il bene, evitare il male e obbedire di tutto cuore ai precetti divini per essere gli amici di Dio mediante il compimento di questi propositi » (3° Nott.). – Salomone, il re pacifico, non è che una figura del Cristo: il suo segno che tutti acclamano (Intr., Alt.) annuncia quello del Messia che è il vero Re della pace; Salomone, il più saggio dei re, presagisce il Figlio di Dio del quale il Padre disse sul Tabor: « Ascoltatelo » (Grad.). Egli presagisce la Sapienza incarnata che ci insegnerà il timor di Dio (id.) e il modo per distinguere il bene dal male (Vang.). Gli olocausti, fatti al tempo della consacrazione del Tempio di Salomone (Off.) sono, come quello di Abele (Secr.), ombra dell’unico sacrificio cruento, che Cristo offrì sul Calvario; che coronò in cielo, ove entrò dopo aver ottenuta la vittoria su tutti i suoi nemici. Questo dichiara il Salmo XLVI (Intr.), nel quale i Padri hanno visto, sotto il simbolo dell’Arca dell’alleanza che il popolo di Dio fa passare, in mezzo alle acclamazioni, dai campi di battaglia sulla montagna di Sion, una figura dell’Ascensione di Gesù nel regno celeste.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVI:2.  Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Ps XLVI: 3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram.

[Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.]

Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Oratio

Orémus.

Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas.

[O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI: 19-23

“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

“Fratelli: Parlo in modo umano, a motivo della debolezza della vostra carne. Come deste le vostre membra al servizio dell’immondezza e dell’iniquità per commettere l’iniquità; così ora date le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate servi del peccato, eravate liberi rispetto alla giustizia. Ma qual frutto aveste allora da quelle cose, delle quali adesso arrossite? Giacché il loro termine è la morte. Ma adesso, affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché la paga del peccato è la morte, ma il dono grazioso di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore…”.

DUE LIBERTA’.

C’è un giudice nel vocabolario. Il vocabolario nostro dispone di una sola parola, per la realtà vera e per il suo surrogato: così ad esempio, ci si chiama caffè tanto il moca o il portorico, caffè vero e proprio, come il caffè maltus miserabile surrogato. Monete si chiamano le vere e le false. E libertà si chiama la falsa e la vera, la libertà liberale e la libertà cristiana. San Paolo con una genialità stupenda definisce nel brano della lettera sua ai Romani che oggi si legge alla S. Messa, la libertà falsa, la pagana d’allora, la liberale d’adesso, che è poi la libertà pagana rediviva. Una volta dice ai Cristiani, alludendo ai giorni ormai passati e superati del loro paganesimo, una volta (quando non eravate ancora Cristiani, ma pagani), voi eravate « liberi dalla giustizia e servi del peccato ». Parole testuali d’un sapore evidentemente ironico nella prima parte ai Romani: « Eravate liberi dalla giustizia ». Bella libertà! La libertà di uno spiantato che dicesse: eccomi qua, mi sono liberato dai danari: la libertà di un malato che dicesse anche lui con una falsa soddisfazione: mi sono liberato dalla salute. Liberazione equivoca, o, piuttosto, uso equivoco della parola « liberazione », la quale suona uno svincolarsi da un peso, da una disgrazia, non da una fortuna o di una grazia. – Ebbene, è proprio sullo stesso equivoco che giuocano i liberali vecchi e nuovi, quando parlano di libertà, e intendono con tal parola il liberarsi, l’affrancarsi dalla legge, l’esserne emancipati. Si gloriano i liberali della loro libertà, come di una cosa bella, buona, onorifica, gloriosa; ma la loro libertà non è altro che emancipazione dalla legge. I pagani antichi, quelli di cui San Paolo parla direttamente, erano fuori dalla legge, liberi da essa, perché non la conoscevano o la conoscevano poco; i moderni liberali, perché l’hanno calpestata e dimenticata. Paolo però nota subito molto bene l’equivoco di quella libertà, osservando che i fautori, i glorificatori di essa, erano perciò stesso schiavi del peccato: del male! Ed è proprio così. Automaticamente chi si sottrae alla luce, entra nel regno delle tenebre. Automaticamente chi si sottrae alla legge del bene, cade sotto il giogo della legge del male. E qui è proprio il caso di parlare di giogo. Giogo pesante, obbrobrioso quello del male, del peccato. Catena del peccatore il peccato, vischio in cui rimane impigliato chi una volta ci casca dentro. « Qui facit peccatum servus est peccati: » servo del vino l’ubriacone, servo della donna, schiavo di essa l’uomo, corrotto. – A questa pseudo libertà di quando erano ancora pagani, S. Paolo contrappone il quadro della libertà di cui veramente godono ora che sono Cristiani. – I termini sono letteralmente invertiti. Allora liberi (per modo di dire; anzi per antifrasi liberi) dall’onestà, dal bene e schiavi del male, oggi liberi dal peccato, dal male e schiavi della giustizia. Ah, questa è libertà vera! La libertà del male, da malvagi istinti, dalle ree consuetudini, è questa è servitù nobile e degna; la servitù del bene, della giustizia, della legge. Sì, perché — e lo dice equivalentemente S. Paolo — servire alla giustizia; alla verità, alla bontà, significa ed importa servire a Dio. S. Paolo, l’Apostolo, sente la grandezza, la poesia di tale servizio divino. Un servizio, nel quale c’è un segreto di vita e di gioia e di gloria, mentre nel servizio del male c’è un segreto opposto d’ignominia e di morte. Il male uccide. « Stipendium peccati mors: » uccide in tutti i sensi, perché  uccide in senso pieno. E potremmo dire che: « Stipendium legis vita,» vita del tempo, vita nell’eternità.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 12; XXXIII: 6

Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur.

[Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps XLVI: 2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. Allelúja.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt VII: 15-21

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.”

[“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono da voi vestiti da pecore, ma al di dentro son lupi rapaci: li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. Non può un buon albero far frutti cattivi; né un albero cattivo far dei frutti buoni. Qualunque pianta che non porti buon frutto, si taglia, e si getta nel fuoco. Voi li riconoscerete adunque dai frutti loro. Non tutti quelli che a me dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de’ cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio che è ne’ cieli, questi entrerà nel regno de’ cieli”]

Omelia

DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

(Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933)

[Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

La virtù falsa e la virtù vera.

A fructibus eorum cognoscetis eos.

(MATTIH. VII, 16).

Miei Fratelli, poteva Gesù Cristo indicarci una prova più chiara e più sicura per farci conoscere e distinguere i buoni dai cattivi Cristiani, che insegnandoci a discernerli non dalle loro parole, ma dalle loro opere? “Un albero buono – disse Egli – non può dare frutti cattivi, come un albero cattivo non può dare frutti buoni. „ Sì, M. F., un Cristiano, il quale non abbia che una devozione falsa, una virtù affettata e tutta esteriore; malgrado tutte le precauzioni che prenderà per contraffarsi, non tarderà molto a lasciar trasparire le sregolatezze del suo cuore, sia nelle parole, sia nelle azioni. M. F., nulla vi è di più comune che queste virtù apparenti, cioè nulla è così frequente come questa ipocrisia. E ciò è tanto più deplorevole, perché quasi nessuno vuol riconoscerlo. Bisognerà dunque lasciarli in uno stato così infelice, stato che senza dubbio li conduce all’inferno? No, no, miei cari, tentiamo almeno di farne loro comprendere qualche cosa. Ma, mio Dio! chi vorrà riconoscersi colpevole? Ahimè! quasi nessuno! Quest’istruzione non servirà adunque che ad accecarli di più? Tuttavia, M. F., io vi parlerò come se doveste approfittarne tutti. Per farvi ben conoscere il misero stato di quei poveri Cristiani che forse si dannano facendo il bene, perché non conoscono il modo di farlo, vi mostrerò:

1° quali sono le condizioni per avere una virtù vera;

2° quali sono i difetti di quella che non è che apparente.

Ascoltate bene questa istruzione, la quale potrà giovarvi assai in tutto ciò che farete riguardo a Dio. Se mi domandate perché mai sono sì pochi i Cristiani che operano unicamente per piacere a Dio, eccovene, M. F., la ragione vera: è perché i Cristiani nel maggior numero sono sepolti nell’ignoranza più spaventosa; è perché fanno tutte le loro azioni con fini meramente umani. Di modo che, se paragonaste le loro intenzioni con quelle dei pagani, non vi trovereste differenza alcuna. Ah, mio Dio! quante opere buone perdute per il cielo! — Altri, che hanno qualche cognizione di più, non cercano che la stima degli uomini e fingono più che possono: il loro esterno pare buono, mentre “il loro interno è pieno di lordura e di doppiezza (Matth. XXIII, 27, 28). Sì, M. F., al giudizio vedremo che la maggior parte dei Cristiani non avranno avuto che una religione di capriccio o di simpatia, vale a dire, d’inclinazione, e che troppo pochi avranno cercato Dio solo nelle loro azioni. E dico, anzitutto che un Cristiano, il quale voglia lavorare davvero alla sua salvezza, non deve accontentarsi di fare opere buone; egli deve anche sapere per chi le fa e come deve farle. Dico poi, in secondo luogo, che non basta mostrarsi virtuosi agli occhi del mondo; ma bisogna anche esserlo nell’intimo del cuore. Che se mi domandate come potremo conoscere che una virtù è vera e ci conduce al cielo, eccolo, M. F.: ascoltatelo bene, imprimetevelo bene in cuore, affinché, di ogni vostra azione, possiate sapere se sarà ricompensata per il cielo. Perché un’azione possa piacere a Dio, deve avere tre condizioni: prima, essere interiore e perfetta; seconda, umile e senza alcun risalto per chi la compie; terza, costante e perseverante. Se, in tutto ciò che fate, trovate queste condizioni, siete sicuri di lavorare per il cielo.

I. — Anzitutto la virtù deve essere interiore; non basta adunque che apparisca al di fuori. No, bisogna, F. M., ch’essa nasca dal cuore, e che la carità sola ne sia l’anima e il principio; poiché S. Gregorio ci dice, che tutto ciò che Dio domanda da noi deve essere fondato sull’amore che gli dobbiamo. Il nostro esterno non deve adunque essere che uno strumento per manifestare ciò che passa dentro di noi. Cosicché, M. F., tutte le volte che le nostre parole o le nostre azioni non sono prodotte da un movimento del nostro cuore, dinanzi a Dio noi non siamo altro che ipocriti. Inoltre, la nostra virtù deve essere perfetta; non basta, cioè, che ci attacchiamo a qualche virtù, cui ci porta la nostra inclinazione; ma dobbiamo abbracciarle tutte, voglio dire tutte quelle che si confanno al nostro stato. San Paolo ci dice che dobbiamo provvederci abbondantemente di ogni sorta d’opere buone per la nostra santificazione. Andiamo un poco più innanzi, e vedremo, M. F., quanti s’ingannano facendo il bene, e camminano sull’orlo dell’inferno. Ci sono alcuni che si rassicurano su qualche virtù che praticano, solo perché vi sono portati dalle loro inclinazioni. Una madre, p. es., si terrà sicura della sua virtù, perché fa qualche elemosina, è assidua alle preghiere, frequenta i Sacramenti, fa anche qualche pia lettura; ma ella vede, senza inquietarsi, che i suoi figli s’allontanano dai Sacramenti. I suoi figli non fanno Pasqua; ma questa madre dà loro di tempo in tempo il permesso d’andare ai piaceri, alle danze, a feste di nozze, e qualche volta anche alle veglie; ama mettere in mostra le sue figliuole, e crede che, se non frequentano certi luoghi, resteranno ignorate e non riusciranno a collocarsi. Sì, senza dubbio, esse resteranno ignorate, ma dai libertini; sì, esse non riusciranno a collocarsi che con persone che le maltratteranno come vili schiave. Quella madre ama vederle ben abbigliate; quella madre ama vederle in compagnia di giovani più ricchi di loro. Ciò non ostante, per un po’ di preghiera e per qualche buona opera che farà, si crede sulla via del cielo. Andate, povera madre; voi non siete che una cieca ed un’ipocrita, la vostra virtù non è che apparente. Vi tenete sicura perché fate qualche visita al Ss. Sacramento: ciò sta bene, senza dubbio; ma intanto vostra figlia è alla danza; ma intanto vostro figlio è alla bettola coi libertini, i quali non c’è laidezza che non vomitino; ma intanto vostra figlia, di notte, va in luoghi dove non dovrebbe andare. Andate, madre cieca e riprovata, uscite di chiesa, lasciate la vostra preghiera; non vedete che somigliate ai Giudei, i quali piegavano i ginocchi dinanzi a Cristo per far mostra di adorarlo? E che? voi venite ad adorare il buon Dio, mentre i vostri figli stanno crocifiggendolo? Povera cieca! voi non sapete né ciò che dite, né ciò che fate: la vostra preghiera non è che un’ingiuria che fate a Dio. Cominciate ad andare in cerca di vostra figlia, che perde l’anima sua; e poi tornerete a domandare a Dio la vostra conversione. – Un padre crederà che basti mantenere il buon ordine in casa sua; non permetterà che si bestemmii, né che si pronuncino parole sconce: ciò va benissimo; ma intanto non si fa scrupolo di lasciare i suoi ragazzi ai giuochi, alle fiere, ai divertimenti. Ma questo signor padre lascia lavorare i suoi operai alla domenica, col minimo pretesto, o anche solo per non contrariare i suoi mietitori o i suoi battitori. Con tutto ciò, voi lo vedete alla chiesa adorare il buon Dio, prostrato al suolo: mentre si dà gran premura di cacciare ogni minima distrazione. Ma ditemi, amico mio, con qual occhio pensate voi che Dio possa guardare costoro? Andate, amico, voi siete cieco; andate a istruirvi nei vostri doveri, e poi verrete a presentare a Dio le vostre preghiere. Ma non vedete che non fate altro che ripetere la commedia di Pilato, il quale riconosceva Gesù Cristo e lo condannava al tempo stesso? Il vostro vicino sarà caritatevole, farà elemosina, si commoverà alle miserie del prossimo: benissimo; ma intanto lascia vivere i suoi figli nella più grande ignoranza: forse non sanno neppure che cosa occorra per salvarsi. Andate, amico : voi siete cieco; le vostre elemosine, la vostra sensibilità non faranno che condurvi a grandi passi verso l’inferno. — Questi avrà abbastanza buone qualità, amerà far piaceri a tutti; ma intanto non può soffrire la sua povera moglie, né i suoi figliuoli, che carica d’ingiurie e forse di mali trattamenti. Andate, amico; la vostra religione non vale niente. — Quegli si crederà abbastanza buono perché non è un bestemmiatore, un ladro, e neppure un impudico; ma intanto non si dà pena di quei suoi pensieri di odio, di vendetta, d’invidia, di gelosia, che lo rodono quasi ogni giorno. Amico mio, la vostra religione non varrà che a perdervi. — Ne vedremo altri, carichi di pratiche di pietà, farsi scrupolo di tralasciare una preghiera che son soliti dire, credersi perduti se non si comunicano in quei dati giorni in cui sono soliti comunicarsi; ma intanto un nonnulla li impazienta, li fa mormorare, una parola non detta come avrebbero voluto, è per loro motivo di freddezza: stentano a veder di buon occhio il prossimo; amano di non aver nulla a che fare con voi; con vari pretesti evitano la vostra compagnia; e troveranno sempre che si manca loro di riguardo. Andate, poveri ipocriti, andate a convertirvi; dopo ricorrerete ai Sacramenti, che, in questo stato, senza saperlo, profanate con la vostra pietà malintesa. Merita certamente lode un padre che corregge i suoi figliuoli quando offendono Dio; ma chi potrà lodarlo del suo non correggersi mai egli stesso dei vizi che riprende nei suoi figliuoli? Nessuno, senza dubbio. No, questo padre non ha che una religione falsa, che lo getta nell’accecamento. Certo, non si può che lodare un padrone il quale riprenda i suoi domestici dei loro vizi; ma si potrà per questo lodarlo quando lo si sente egli stesso imprecare e bestemmiare quando qualche cosa gli capita di contrario? No, no, F. M., costui non ha mai conosciuto né la sua religione, né i suoi doveri. — Uno poserà da saggio, da illuminato, e riprenderà i difetti che scorgerà nel suo vicino: sta bene; ma che pensarne quando si vedessero più difetti in lui che in quegli ch’ei riprende. « Donde proviene questa condotta – domanda S. Agostino – se non da ciò ch’egli è un ipocrita, il quale non conosce affatto la sua religione? » Andate, amico, voi non siete che un fariseo, tutte le vostre virtù non sono che virtù false; tutto ciò che fate e che voi credete bene, non serve ad altro che ad ingannarvi. — Quel giovine lo vedremo frequentare la chiesa e fors’anche i Sacramenti: ma, nel tempo stesso, le bettole e i giuochi. — Quella figliuola si presenterà sì, di tempo in tempo alla sacra Mensa; ma si presenterà anche alle danze e a certi ritrovi in cui i buoni Cristiani non si trovano mai. Andate, povera ipocrita; andate, larva di cristiana; verrà un giorno in cui vi accorgerete di non aver lavorato che per perdervi. — M. F., un Cristiano che vuol salvarsi davvero non si accontenta di osservare un comandamento, di adempiere uno o due de’ suoi doveri; ma tutti osserva i comandamenti di Dio, tutti adempie i doveri del proprio stato.

II. — In secondo luogo la nostra virtù deve essere umile e senza alcun risalto per chi la compie. Gesù Cristo ci avverte di – non far mai le nostre azioni per esser lodati dagli uomini ;„ (Matth. IV, 1)se vogliamo riceverne la ricompensa, dobbiamo nascondere, quanto è possibile, il bene ch’Egli ha messo in noi, per timore che il demone dell’orgoglio non ci rapisca il merito del bene che facciamo. — Ma, forse pensate voi, il bene che facciamo, lo facciamo appunto per il buon Dio, non già per il mondo. — Io non lo so, amico; so che ce ne sono molti che s’ingannano in questo; e credo che non mi sarebbe difficile mostrarvi che voi non avete che una religione esteriore, e non una religione che sia nell’intimo dell’anima. Ditemi: provereste maggior pena sesi sapesse che non digiunate nei giorni prescritti dalla Chiesa, o se si sapesse che digiunate? Provereste maggior dispiacere se vi si sorprendesse a rubar qualche cosa al vostro vicino, o a far l’elemosina? Prescindiamo dallo scandalo Non è forse vero che preferireste esser visto a pregare, che sentito bestemmiare (dato che abbiate fatto l’una e l’altra cosa)? Non è forse vero che preferireste vi si vedesse insegnar le orazioni o dar buoni consigli ai vostri figliuoli, che non vi si sentisse consigliarli a vendicarsi dei loro nemici? — Sì, senza dubbio, direte voi, questo mi spiacerebbe di più. — E perché ciò? Se non perché avete una religione falsa, se non perché siete ipocriti e null’altro? Eppure noi vediamo che i santi facevano tutto l’opposto. E perché? Perché conoscevano la loro religione, e perciò non cercavano che di umiliarsi per attirare sopra di sé le misericordie del Signore. Ahimè! quanti Cristiani non hanno che una pietà d’inclinazione, di capriccio, d’abitudine, e nient’altro! Ma, direte voi, questo è davvero un po’ troppo. —Sì, senza dubbio, è un po’ troppo; ma non per questo cessa d’essere la verità. — Per inspirarvi un orrore infinito di questa maledetta ipocrisia, vi mostrerò dove conduce questo sciagurato peccato con un esempio, che merita davvero di restar ben impresso nei vostri cuori. Leggiamo nella storia che S. Palemone e S. Pacomio vivevano molto santamente. Una notte ch’essi vegliavano e avevano acceso il fuoco, sopravvenne un solitario che voleva restar con loro. Accoltolo tra loro per unirsi e pregare insieme il buon Dio, lungo il discorso, egli disse loro: “Se avete fede, avanzatevi arditamente, e, tenendovi in piedi su questi carboni ardenti, recitate adagio l’orazione domenicale. „ I due santi, udendo una tal proposta del solitario, e pensando che non avrebbe potuto farla che un orgoglioso o un ipocrita, “Fratel mio, gli disse S. Palemone, pregate il Signore; voi siete tentato: guardatevi bene dal commetter simil follia e dal ripeterci tale proposta. Il nostro Salvatore non ci ha detto che non bisogna mai tentar Dio? Ed è un vero tentarlo il domandargli simile miracolo.„ Quel povero cieco, quel povero ipocrita, invece di approfittare del buon consiglio, s’inorgoglì ancor più per la vanità delle sue pretese opere buone; e, senz’altro, s’avanzò arditamente e si mise in piedi sul fuoco, senza che alcuno glielo comandasse, ma spintovi dal demonio, il nemico degli uomini … Il buon Dio, costretto dal suo orgoglio a ritirarsi da lui, per giudizio secreto e terribile, permise al demonio di difenderlo dal fuoco;ciò che l’accecò maggiormente, facendogli credere d’esser già perfetto e gran santo. Il mattino dopo lasciò i due solitari rimproverando ad essi la loro poca fede. “Avete visto,diceva, che cosa può fare colui che ha fede. „Ma aihmè! poco dopo, il demonio, vedendo che quest’uomo era suo e temendo di perderlo, volle assicurarsi la sua vittima e imprimergli il sigillo della riprovazione. Egli prese la forma d’una donna riccamente vestita e andò a battere alla sua cella. dicendogli che era perseguitata da’ suoi creditori, e che temeva di cadere in qualche sciagura non avendo di che pagarli; per questo ricorreva a lui come molto caritatevole. “Deh! Vi supplico, diceva, ricevetemi nella vostra cella, affinché possa esser salva da questo pericolo. „ Quel povero uomo, abbandonato dal Signore, accecato nell’anima dal demonio, non vide il pericolo cui s’esponeva: e la ricevette nella sua cella. Un momento dopo si sentì orribilmente tentato contro la santa virtù della purità e si fermò su questi pensieri. Osò anche accostarsi alla pretesa donna, la quale non era che il demonio in persona, per parlarle più familiarmente, e giunse fino a toccarla. Ma il demonio all’istante gli piomba addosso, lo prende, lo trascina fuori sulla soglia e ve lo sbatte con tanta forza che il suo corpo ne resta tutto ammaccato, e lo lascia disteso al suolo, dove rimane lungo tempo quasi morto. Alcuni giorni dopo, ripreso un po’ di forza e pentendosi del suo peccato, tornò a trovare  i due santi, per metterli a parte della sciagura che gli era toccata. Dopo aver loro raccontato tutto con abbondanza di lagrime: “Ah! Padri miei, disse loro, confesso sinceramente che tutto m’è avvenuto per il mio peccato; io stesso fui causa della mia rovina, perché non ero che un orgoglioso e un ipocrita, che volevo passare per più santo di quel ch’io era. Deh! vi prego, assistetemi, di grazia, col soccorso delle vostre preghiere, poiché temo che, se il demonio mi riprende di nuovo, non mi faccia a pezzi.„ Mentre piangono tutti e tre assieme, ecco d’un colpo il demonio impadronirsi di lui, portarlo via con una rapidità spaventosa attraverso alle foreste fino alla città di Panoplia, dove era una fornace. Ve lo precipitò dentro, e là abbruciò in un istante — Ebbene, F . M., perché gli venne questo castigo sì terribile? Ahimè! perché il suo cuore mancava d’umiltà, sì; ma anche perché egli era un ipocrita e non conosceva la sua religione. Ahimè! quanti fanno molte opere buone, e tuttavia vanno perduti, perché non conoscono bene la loro religione! Molti faranno lunghe preghiere, frequenteranno anche i Sacramenti, ma conservano sempre le stesse cattive abitudini e finiscono per familiarizzarsi e con Dio e col peccato. Ed oh! quanto grande ne è il numero!  Vedete quell’uomo? Pare un buon Cristiano.  Ma provatevi a fargli capire ch’egli ha offeso qualcuno; provatevi a fargli notare i suoi difetti, o qualche peccato di cui s’è reso colpevole nel suo cuore. Subito s’adira e non può più vedervi. Al rancore tien dietro l’odio… Eccone un altro. Voi giudicherete ch’egli non debba accostarsi alla sacra Mensa. E lui vi risponderà villanamente e vi porterà odio, come se foste stato voi la causa del male che ha commesso. Altri, appena capiti loro qualche dispiacere, subito lasciano la chiesa e i Sacramenti. Uno avrà qualche difficoltà col suo parroco, il quale, gli avrà detto qualcosa per il bene dell’anima sua: ebbene, ecco l’odio! Egli ne parlerà male, gusterà sentirne dir male, volgerà in male tutto ciò che gli si dirà. Perché tutto questo, F. M.? Semplicemente perché ha una religione falsa e nient’altro. Un’altra volta negherete a uno l’assoluzione o la santa Comunione; e lo vedrete subito rivoltarsi contro di voi e considerarvi peggiore del demonio. In tempo di quiete, invece, lo vedete servire il Signore con fervore, e vi parlerà di Dio, come un angelo in corpo umano. Perché quest’incostanza? Ahimè! perché egli è un ipocrita, che non conosce se stesso, che forse non si conoscerà mai, e che non vuole neppure lo si riguardi come tale. — Se ne vedono altri che hanno qualche vera apparenza di virtù; e se avviene che qualcuno si raccomandi a loro per ottenere qualche grazia, dopo le prime preghiere, gli domandano subito se abbia ottenuto ciò che chiedeva. Se sì, eccoli raddoppiare le loro preghiere: chissà che possano ottenere anche un miracolo!? … Se invece non sono stati esauditi, li vedete subito scoraggiarsi e perdere il gusto della preghiera. Andate, poveri ciechi; voi non vi siete mai conosciuti, voi non siete che ipocriti. — Un altro vi parlerà con interesse del buon Dio; se voi ne lo lodate, vedrete cadergli persino le lagrime dagli occhi; ma se gli dite anche solo una parola che l’urti un poco, eccolo subito scaldarsi la fantasia; però teme di mostrarsi qual è, e vi porterà un odio celato in fondo al cuore, e per lungo tempo. Perché ciò, se non perché la sua è una religione di capriccio e di puro temperamento? Ebbene: voi ingannate il mondo, e ingannate persino voi stessi; ma Dio non l’ingannerete certo, e un giorno Egli vi mostrerà chiaro che non siete altro che ipocriti. Volete sapere che cos’è una virtù falsa? Eccone u n bell’esempio. Leggiamo nella storia che un solitario venne a trovare S. Serapione per raccomandarsi alle sue preghiere; il santo a sua volta si raccomandò alle sue; ma l’altro, con parole che parevano dettate dall’umiltà più profonda, gli disse ch’egli non meritava una sì grande fortuna, che era troppo peccatore. Il santo gli disse di sedersi accanto a lui; ma l’altro rispose che non ne era degno. Allora il santo, per conoscere se questo solitario era davvero ciò che voleva far credere, si provò a dirgli: “Mi pare, amico, che fareste molto meglio a starvene nella vostra solitudine, anziché correre il deserto. „ Bastò ciò per metterlo in una collera spaventosa. “Ma, amico, riprese allora il santo, voi mi dicevate or ora d’essere un sì gran peccatore, che non volevate neppur sedervi accanto a me; e ora, perché v’ho detto una parola piena di carità, andate in collera. Andate, amico, voi non avete che una virtù falsa, o piuttosto non ne avete alcuna„ (Vita de1 Padri del deserto, t. II, p. 417). Ahimè, F. M., quanti ce ne sono di costoro, che sembrano santi a chiacchiere, e, alla minima parola che li urti un pochino, s’adirano e si fanno conoscere per quel che sono nell’interno del cuore. Ma, se questo peccato è sì grave, osserviamo anche che Dio, pur sì buono, lo castiga assai rigorosamente. Vedetelo da questo esempio. Leggiamo nella santa Scrittura (III Re. XIV) che il re Geroboamo, mandò sua moglie dal profeta Ahia per consultarlo sulla malattia di suo figlio, dopo averla però travestita in modo da offrir tutta l’apparenza d’una donna di pietà.Usava quest’artificio per timore che il popolo non s’accorgesse ch’egli consultava il vero Dio, e notasse la poca confidenza che aveva nei suoi idoli. Ma, sa riusciamo qualche volta a ingannare il prossimo, non riusciremo mai a ingannare Dio. Quando la donna entrò nell’abitazione del profeta, questi, senza neppur vederla, gridò: “Moglie di Geroboamo, perché fingete d’essere diversa da quella che siete? Venite, ipocrita, io vi annunzierò una terribile notizia da parte di Dio. Sì, una notizia terribile; uditela: Il Signore mi ha comandato di dirvi ch’Egli farà cadere ogni sorta di mali sulla casa di Geroboamo; ne farà perire perfino gli animali; quelli di casa sua che moriranno nei campi saranno mangiati dagli uccelli; e quelli che morranno in città saranno divorati dai cani. Andate, moglie di Geroboamo, andate ad annunziarlo a vostro marito.E nel momento stesso che metterete piede in città, vostro figlio morrà.„ E tutto avvenne come il profeta aveva predetto: neppur uno sfuggì alla vendetta del Signore. Voi vedete, M. F., come il Signore punisce questo maledetto peccato dell’ipocrisia. Ahimè! quanti poverelli si lasciano su ciò ingannare dal demonio, e non solo perdono il merito del bene che fanno, ma le loro azioni diventano per essi argomento di condanna. Tuttavia vi dirò, F . M., che non è già la grandezza delle azioni ciò che dà loro il merito, ma la purità d’intenzione con cui le facciamo. Ce ne dà un bell’esempio l’Evangelo. Narra S. Marco (Cap. XII, 41-44) che Gesù Cristo, entrato nel tempio, si assise presso la cassetta in cui si gettavano le elemosine per i poveri, (Il danaro messo nella cassetta era destinato alla conservazione del tempio, piuttosto che al sollievo dei poveri) e stette osservando in che modo il popolo vi gettava il danaro. Vide che parecchi ricchi vi gettavano molto, e nello stesso tempo, vide una povera vedova che s’accostò umilmente alla cassetta e vi mise soltanto due pezzi di moneta. Allora Gesù chiamò i suoi apostoli e disse loro: “Ecco, molti hanno messo elemosine considerevoli in quella cassetta; invece una povera vedova non vi ha messo che due oboli: voi che ne pensate di questa differenza? A giudicar dalle apparenze, crederete forse che abbiano maggior merito i ricchi; io invece vi dico che quella vedova ha dato più di loro, perché i ricchi non hanno dato che un po’ della loro abbondanza e del loro superfluo, mentre la vedova ha dato parte di ciò che le era necessario; la maggior parte di quei ricchi non hanno cercato che la stima degli uomini, per farsi credere migliori di quel che sono invece, la vedova non ha cercato che di piacere a Dio. „ Bell’esempio, M. F., il quale c’insegna con quanta purità d’intenzione e con quanta umiltà dobbiamo compiere le nostre azioni, se vogliamo riceverne la ricompensa. È vero che Dio non ci proibisce di fare le nostre azioni davanti agli uomini; ma vuole che il mondo non v’entri per nulla e Dio solo ne sia il motivo. D’altra parte, F. M., perché voler mostrarci migliori di quel che siamo, ostentando quel bene che non è in noi? Ahimè, M. F., è perché amiamo esser lodati di ciò che facciamo; siamo gelosi di questa forma d’orgoglio, e per procurarcela, sacrifichiamo tutto, il nostro Dio, l’anima nostra, la nostra eterna felicità. Quale accecamento, mio Dio! Ah, maledetta ipocrisia, quante anime trascini all’inferno con azioni che, se fossero fatte bene, le condurrebbero diritte al cielo! Ahimè! una buona parte dei Cristiani non si conosce e non cerca neppure di conoscersi; continua a seguire le proprie abitudini, e non vuol intender ragioni. Sono ciechi e camminano da ciechi. Se, un sacerdote vuol far conoscere ad essi il loro stato, non lo ascoltano, o, se pur fingono d’ascoltarlo, non ne fanno nulla. Ecco, M. F., lo stato più infelice che si possa immaginare e fors’anche il più pericoloso.

III. — La terza condizione necessaria alla virtù vera è la perseveranza nel bene. Non bisogna dunque accontentarsi di far il bene per qualche tempo; vale a dire, pregare, mortificarsi, rinunciare alla propria volontà, sopportare i difetti di quelli con cui viviamo, combattere le tentazioni del demonio, soffrire il disprezzo, le calunnie, vegliare su tutti i movimenti del proprio cuore; no, no, M. F., bisogna continuare fino alla morte, se vogliamo andar salvi. S. Paolo dice che dobbiamo essere fermi e irremovibili nel servizio di Dio e che dobbiamo lavorare tutti i giorni della nostra vita alla santificazione dell’anima nostra, sapendo benissimo che il nostro lavoro non sarà ricompensato se non persevereremo fino alla fine. “Bisogna, ci dice egli, che né le ricchezze, né la povertà, né la sanità, né le malattie, sieno capaci di farci abbandonare la salvezza dell’anima nostra e di separarci da Dio: poiché siamo sicuri che Dio non coronerà se non le virtù che saranno state perseveranti fino alla morte. „ (Rom. VIII, 38). E ciò che vediamo in modo ammirabile nell’Apocalisse e nella persona di un vescovo che pareva sì santo, che Dio stesso ne fa l’elogio. – Io conosco, gli dice Iddio, tutte le buone opere che tu fai, tutte le pene che hai sofferto, la pazienza che hai avuta; sì, lo so che non puoi sopportare i malvagi, e che hai sofferto ogni cosa per la gloria del mio nome; so tutto questo, eppure ho un rimprovero da farti, ed è che, invece di perseverare in tutte le tue opere buone, in tutte le tue virtù, ti sei rilassato, hai abbandonato il primitivo fervore, non sei più quello di prima. Ricordati donde sei caduto, riprendi il tuo primo fervore con una pronta penitenza, altrimenti sarò costretto a rigettarti ed a punirti„ Dite, F. M., di qual timore non dobbiamo esser compresi noi vedendo le minacce che Dio stesso fa a questo vescovo, perché s’era un pochino rilassato? (Apoc. II, 1-5) Ah! F. M.! che cosa siamo noi diventati, anche dopo la nostra conversione? Invece d’andar sempre aumentando, quale fiacchezza, quale indifferenza! No, Dio non può tollerare questa perpetua incostanza, con cui passiamo dalla virtù al vizio, dal vizio alla virtù. Ditemi, F. M., non è forse questa la vostra condotta, il vostro modo di vivere? La vostra povera vita è forse qualche altra cosa che un susseguirsi di peccati e di virtù? Non è forse vero che oggi vi confessate e domani, o forse oggi stesso, cadete di nuovo? Non è forse vero che avete promesso di non trovarvi più con certe persone, che vi hanno spinto al male, e invece alla prima occasione le avete accolte ancora? Non è forse vero che vi siete confessati d’aver lavorato la domenica, e poi  avete ripetuto lo stesso fallo? Non è forse vero che avete promesso a Dio di non tornar più alle danze, ai giuochi, alle osterie, e poi siete ricaduti in tutti questi peccati? E perché questo, M. F., se non perché avete una pietà falsa, una pietà d’abitudine e di temperamento, e non la pietà vera del cuore? Andate, amico, voi non siete che un incostante. Andate, fratello, voi non avete che una divozione falsa; in tutto ciò che fate voi siete un ipocrita e nient’altro: Dio non ha il primo posto nel vostro cuore, ma il mondo eil demonio. Ahimè, M. F.! quanti, per un certo tempo, sembrano amar Dio con tutta schiettezza, e poi l’abbandonano. Che cosa trovate adunque di sì duro e penoso nel servizio di Dio, che vi offenda tanto e vi faccia ritornare al mondo? Eppure, quando Dio v’ha fatto conoscere il vostro stato, voi avete pianto e avete riconosciuto quanto vi eravate ingannato. Ahimè! se avete perseverato poco, è perché il demonio era troppo contristato d’avervi perduto, ed ha fatto tanto che vi ha riguadagnato e spera ora di tenervi assolutamente. Ahimè! quanti apostati! quanti che hanno rinunciato alla loro Religione, e non sono più Cristiani che di nome. Ma, domanderete voi, come possiamo conoscere se abbiamo la religione del cuore, quella religione che non si smentisce mai? — Eccolo, M. F., ascoltatelo bene e voi potrete comprendere se questa pietà l’avete quale Dio la vuole per condurvi al cielo. — Nulla è capace di smuovere chi possiede una virtù vera, egli è come una roccia in mezzo all’oceano flagellata dalla tempesta. Che vi si disprezzi, vi si calunnii, vi si dileggi, vi si tratti da ipocriti, da falsi bigotti, tutto ciò non deve togliervi per nulla la pace dell’anima; voi dovete amarli quelli che vi trattano così, come li amereste se di voi dicessero bene: non dovete tralasciare di beneficarli e soccorrerli,  quand’anche dicano male, e continuare le vostre preghiere, le vostre confessioni e comunioni, la vostra Messa, come se nulla fosse. Per farvelo comprendere meglio, eccone un esempio. Si racconta che in una parrocchia c’era un giovine, vero modello di virtù. Quasi in tutti i giorni assisteva alla S. Messa, e si comunicava spesso. Avvenne che un altro, geloso della stima che si aveva di lui, un giorno che si trovavano tutti e due in compagnia di un vicino che aveva una bella tabacchiera d’oro, il geloso la prese dalla tasca di questi e la mise in quelle del giovine, senza che se n’avvedesse. Dopo questo bel colpo, non facendo mostra di nulla, domanda al vicino di vedere la sua tabacchiera. L’altro crede di averla in tasca, e con grande stupore non la trova. Nessuno può uscire dalla stanza prima che si sia frugato in tasca a tutti. Ed ecco che la tabacchiera si trova nella tasca del giovine. All’istante tutti si mettono a gridare al ladro, e a scagliarsi contro la sua religione; a trattarlo da ipocrita, da falso bigotto. Il giovine non può difendersi, date le circostanze del fatto; perciò tace e tutto soffre come se venisse dalla mano di Dio. Quando tornava dalla chiesa, dalla Messa o dalla comunione, tutti quelli che lo vedevano passare per via lo coprivano di beffe e d’insulti chiamandolo ipocrita, falso bigotto e ladro. Così durò molto tempo. Malgrado tutto, egli continuò sempre i suoi esercizi di pietà, le sue confessioni, le sue comunioni, tutte le sue preghiere, come se tutti gli avessero sempre portato il più grande rispetto. Dopo qualche anno, colui ch’era stato causa di tutto, essendo caduto ammalato, confessò che era stato lui la causa di tutto il male che s’era detto di quel giovine virtuoso e che per gelosia, affine di farlo disprezzare, gli aveva messo lui la tabacchiera nella tasca. Ebbene. M. F., ecco una religione vera, una religione che ha messo radice nel cuore. Ditemi, se tutti quei poveri Cristiani che fanno professione di pietà fossero messi a tali prove, avrebbero essi la forza di imitare quel santo giovine? Ahimè, F. M.! quante mormorazioni, quanti rancori, quanti pensieri di vendetta! E la maldicenza e la calunnia e fors’anche i tribunali! … Si infuria contro la religione, la si deride, la si disprezza, se ne dice male, non si può più pregare, non più ascoltar la Messa, non si sa più quel che si faccia, se ne parla a tutti, si ha premura di dir tutto ciò che potrebbe giustificarci, si accumula e rinvanga tutto il male di quella persona, lo si dice ad altri, lo si ripete a tutti quelli che si conoscono per farli passare quali bugiardi e calunniatori. Perchè questa condotta, M. F . , se non perché non abbiamo che una religione di capriccio, di temperamento e d’abitudine o, per dir meglio, se non perché noi non siamo che ipocriti, i quali servono Dio sol quando tutto va a loro talento? Ahimè, F. M.! tutte queste virtù che vediamo nella maggior parte dei Cristiani non sono che fiori di primavera che il primo soffio di vento caldo fa appassire. Diciamo inoltre che la nostra virtù, per essere vera, dev’esser costante; dobbiamo cioè essere attaccati a Dio e ferventi così nelle croci e nel disprezzo, come quando tutto ci va a seconda. E ciò che hanno fatto tutti i santi. Vedete tutte quelle folle di martiri che hanno sopportato tutto ciò che la rabbia dei tiranni ha saputo inventare e che, non lungi dal rilassarsi, si univano sempre più a Dio. Nulla, né i tormenti, né il disprezzo di che venivano coperti potevano smuoverli. Ma il più bell’esempio ch’io possa darvi credo sia quello del santo Giobbe, nelle prove che il Signore gli mandò. Un giorno il Signore domanda a satana: “Donde vieni? — Dal fare il giro del mondo, gli risponde il demonio. — Non hai tu visto il mio buon servo Giobbe? egli non ha l’eguale sulla terra per la sua semplicità e la sua rettitudine di cuore. — Bella fatica, gli risponde il demonio, ad amarvi e a servirvi” così !… Lo colmate d’ogni sorta di benedizioni… Ma provatelo un poco, o vedrete se vi sarà sempre fedele. — Ebbene, soggiunse il Signore, io ti do ogni potere sopra di lui; non però quello di togliergli la vita.„ — Il demonio, pieno di gioia, nella speranza di portarlo a mormorare contro Dio, cominciò a fargli perdere tutti i suoi beni immensi. Poi per strappargli qualche bestemmia o almeno qualche lamento, gli suscitò contro, di mano in mano, ogni sorta di noie, di disgrazie, di sventure, tanto che il poveretto infine non poteva più respirare. Un giorno, mentr’era tutto tranquillo in casa sua, improvvisamente arriva tutto spaventato un suo domestico, e “Signore, gli dice, vengo ad annunziarti una grande sciagura. Tutte le tue bestie da soma e tutti gli animali adoperati nell’aratura furon rapiti dai briganti, i quali uccisero anche tutti i tuoi servi. Io solo ho potuto sfuggire per venire ad annunciartelo.„ Parlava ancora, quand’ecco un nuovo messaggero più spaventato del primo. “Ah! Signore, esclama, un uragano terribile si è scagliato sopra di noi ; il fulmine del cielo ha distrutto tutte le tue gregge, abbruciato tutti i tuoi pastori: io solo fui risparmiato per venirtelo ad annunciare.„ Non ha ancor finito, che ne arriva un terzo, — poiché il demonio non voleva dargli tempo di respirare e di raccapezzarsi — e, tutto costernato “siamo stati assaliti dai ladri, gli dice, i quali ci hanno rapito tutti i tuoi cammelli e tutti i tuoi servitori; la fuga m’ha sottratto solo alla strage per venirtelo ad annunciare. „ A queste parole eccone un quarto tutto in pianto “Ah, Signore! gli dice, tu non hai più figliuoli !… mentr’essi mangiavano insieme, improvvisamente una furiosa tempesta ha rovesciato la casa, schiacciandoli tutti sotto le rovine: così pure tutti i tuoi servi: io solo fui salvo per miracolo. „ — Durante il racconto di tutti questi che il mondo giudica mali, senza dubbio l’anima sua fu commossa di compassione per la morte dei suoi cari figliuoli. Subito tutti gli amici gli voltano le spalle e l’abbandonano: ciascuno se ne fugge, sicché l’infelice resta tutto solo col demonio, fiducioso d’indurlo, con tanti mali, alla disperazione, o, almeno, a qualche lamento, a qualche impazienza; poiché bisogna ben confessare che la virtù, per quanto solida. non rende per nulla insensibili ai mali che ci travagliano: i santi, non ebbero, diversamente da noi, un cuor di marmo. Questo santo, riceve, in un solo istante, tutti i colpi più sensibili a un grande del mondo, a un ricco, a un buon padre di famiglia. In un sol giorno, da principe e. per conseguenza, da uno dei più felici fra gli uomini, diviene il più sventurato, ricolmo d’infortuni, privo di tutto ciò che aveva di più caro al mondo. A calde lagrime prosterna la sua faccia a terra, ma per far che? per lamentarsi o mormorare? No, M. F., no. La santa Scrittura ci dice ch’egli adora e bacia la mano che lo percuote; fa a Dio il sacrificio delle sue ricchezze e della sua famiglia, e lo fa con la rassegnazione più generosa, più perfetta, più intera, dicendo: “Il Signore è il padrone di tutti i miei beni, poiché ne è l’autore: tutto ciò è avvenuto perché Egli lo ha voluto: sia benedetto in tutto il suo santo Nome.„ (Job 1). Che pensate, F . M . , di quest’esempio? Non è questa una virtù solida, costante, perseverante? E crederemo ancora d’aver qualche virtù, noi quando, alla prima prova, diamo in mormorazioni e spesso abbandoniamo anche il servizio di Dio? Ma ciò non è tutto. Il demonio vedendo che non aveva guadagnato nulla, attaccò la sua stessa persona: il suo corpo diventò una piaga sola, la sua carne cadeva a brandelli. — Vedete ancora, se vi piace, S. Eustachio, come fu costante in tutto ciò che Dio gli mandò per provarlo. Ahimè, M. F.! quanto pochi sarebbero i Cristiani che non si lascerebbero andare alla tristezza, alla mormorazione, e fors’anche alla disperazione, maledicendo la loro sorte, nutrendo odio contro Dio. e pensando: “Ma che cosa ho fatto adunque, per esser trattato in questo modo? . Ahimè. M. F! quante virtù non hanno che l’apparenza! quante virtù non sono che esteriori e, alla minima prova, si smentiscono!… Concludiamo, M. F., dicendo che la nostra virtù, per essere solida e accetta a Dio, deve radicarsi nel cuore, attribuire tutto a Lui, nascondere quanto è possibile le sue buone opere. Bisogna guardarsi bene dal rilassarsi nel servizio di Dio; dobbiamo anzi andar sempre aumentando. E così che i santi si sono assicurati la felicità eterna. Ed è ciò ch’io vi auguro di cuore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Dan III: 40

“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”.

[Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]

Secreta

Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem.

[O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXX: 3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me.

[Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]

Postcommunio

Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat.

[O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SULLA BUGIA”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

Sulla bugia.

(DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

(Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933)

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Attendite a falsis pròphetis.

(MATTH. VII, 15).

Guardatevi bene, ci dice Gesù Cristo, dal frequentare quelli che usano astuzia nelle loro parole e nelle loro azioni. Infatti, miei Fratelli, vediamo che nulla è più indegno di un Cristiano, il quale dev’essere un fedele imitatore del suo Dio, che è la rettitudine e la verità per essenza, quanto il pensare una cosa e dirne un’altra. Per questo Gesù Cristo ci raccomanda, nel Vangelo, di non mentire mai: “Dite sì o no. secondo che la cosa è o non è.„ (Matth V, 37). S. Pietro ci dice che dobbiamo essere simili ai piccoli fanciulli, i quali sono semplici e sinceri, nemici d’ogni menzogna e dissimulazione.„ (II Petr. II, 2). Sì, M. F.; se volessimo esaminare le funeste conseguenze della doppiezza e della menzogna, vedremmo che esse sono la fonte di un’infinità di mali che desolano il mondo. Fermiamoci. M. F.. sopra un punto morale sì poco conosciuto e pur tanto necessario. Sì, M. F., non c’è vizio così diffuso nel mondo come la doppiezza e la menzogna: ed è appunto in questo senso che si dice che quasi tutti gli uomini son mentitori. Se vogliamo piacere a Dio, dobbiamo temere assai di contrarre una sì malvagia abitudine, che è tanto più dannosa perché tutto la favorisce e fomenta. Per farvene concepire tutto l’orrore, che dovete averne, vi mostrerò: 1° che cos’è la menzogna e la doppiezza; — 2° quanto Dio stesso l’abbia in orrore; — 3° quanto egli la punisca anche in questo mondo.

I . Se domandassi a un fanciullo che cosa s’intenda per mentire, mi risponderebbe: “Mentire, signor Parroco, è parlare contro il proprio pensiero, dire cioè una cosa e pensarne un’altra.„ Ma, domanderete voi, in quanti modi si può mentire? — Eccolo, M. F.: ascoltate bene. Si mente: 1° per orgoglio, quando si racconta ciò che si è fatto o detto e lo si accresce (Mentire per orgoglio, dice il Beato, è raccontare ciò che si è fatto o ciò che si è detto, aumentandolo. „ E più innanzi aggiunge: “Mentire per orgoglio, dicendo, per farci stimare, più di quello che abbiamo fatto o detto, è peccato mortale.„ Perché ci sia peccato mortale in questa circostanza bisogna che lo cose accresciute, ampliate, scandalizzino gravemente gli astanti, o che il sentimento di orgoglio sia estremamente grave nel cuore di colui «he pronuncia la menzogna). quando insomma si dice più di quello che è;

— 2° per danneggiare il prossimo, dicendo male o della sua persona, o delle sue merci, o quando si dicono cose false per vendetta;

— 3° per piacere al prossimo, e ciò avviene quando nascondiamo certi difetti che dovremmo far conoscere, come fanno quei domestici e quei figliuoli che vedono altri di casa derubare i padroni e interrogati, sostengono che non è vero, che non li hanno mai visti; — ovvero quando, chiamati in giudizio, non diciamo la verità per non far condannare quelli che amiamo ; — 4° per vendere più caro o comprare a miglior mercato, ciò che facciamo per avarizia; — 5° per ischerzare qualcuno, o per far ridere e divertire la compagnia; — 6° nel confessarci. Ecco, M. F., le bugie più comuni e che dobbiamo spiegar bene nelle nostre confessioni, poiché vedete che diversi sono i sentimenti nelle diverse bugie. — Sì, M. F., da qualunque parte vogliamo considerare la menzogna e la doppiezza, esse ci si mostreranno infinitamente odiose. Anzitutto, da parte di Dio, che è la verità stessa, nemico d’ogni menzogna. Ahimè, M. F., quanto poco conosciamo che cosa sia questo peccato! Quanti peccati sono bugie mortali, danno perciò la morte all’anima, e ci tolgono il cielo per sempre! Infatti, M. P., mentire per orgoglio, dicendo, per farci stimare, più di quello che abbiamo fatto o detto, è peccato mortale. Mentire in giudizio è pure peccato mortale, se si nasconde la verità; così mentire per vendetta; mentire in confessione poi è un sacrilegio. Ahimè! quante anime, mio Dio, la menzogna conduce all’inferno! Ma supponiamo, M. F., che tutte, o almeno il maggior numero delle vostre bugie, non sieno che peccati veniali. Ebbene? Abbiamo noi ben compreso che cosa sia il peccato veniale? Scorrete tutte le varie circostanze della passione e della morte di N . S. Gesù Cristo fino al Calvario, esaminate tutto ciò che ha sofferto e potrete farvi un’idea della gravità della menzogna e dell’oltraggio che reca a Dio. Voi dite che la bugia non dà la morte all’anima, né a Gesù Cristo. Ah! sciagurati voi dunque non contate per nulla la sua agonia nel giardino degli ulivi, quando fu preso, legato, maltrattato da’ suoi nemici? voi dunque contate per poco la flagellazione, la coronazione di spine, in cui il suo povero corpo fu ridotto tutto sanguinoso? per poco i tormenti sofferti in tutta quella notte orribile, in cui gli si fece patire tutto ciò che né mente d’uomo né d’angelo non potranno comprendere mai? Per nulla gli orrori che gli si fecero subire mentre portava la croce sul Calvario? Ebbene, M. P., ecco i tormenti che la bugia procura a Gesù Cristo. Vale a dire che ogni bugia che noi diciamo, secondo che è più o meno grave, conduce N. S. Gesù Cristo fino sul Calvario. Dite, F. M., avreste voi creduto di trattare Gesù Cristo, il nostro amabile Salvatore, in un modo sì indegno, ogni volta che avete detto una bugia? Ahimè! quanto è vero che chi pecca ignora quel che si faccia!

II. — Se consideriamo la bugia riguardo a noi stessi, vedremo quanto ci allontani da Dio, quanto affievolisca in noi la sorgente delle sue grazie, vedremo come essa porti il buon Dio a diminuirci i suoi benefizi. Ahimè! quanti Cristiani hanno cominciato la loro dannazione con questi peccati e ora piangono nell’inferno — Ma consideriamola sotto un altro punto di vista; consideriamola in rapporto colla nostra dignità di Cristiani. Noi, o F., che, per mezzo del Battesimo, siamo diventati templi vivi dello Spirito Santo, che è nemico d’ogni menzogna, ahimè! dal momento che abbiamo la disgrazia di mentire, lo Spirito Santo se ne va, ci abbandona, e al suo posto entra il demonio e diventa nostro padrone. Ecco, M. F., i tristi effetti, ecco la rovina spaventosa che la menzogna produce in colui che è sì cieco da commetterla. Eppure, M. F., quanto sono comuni questi peccati nel mondo! Vedete quei padri e quelle madri che continuano tutto il giorno a ripeterle ai loro figliuoli col pretesto di tenerli a bada e farli star quieti. Ahimè! questi poveri infelici non vedono che attirano la maledizione sui loro poveri figliuoli e cacciano lo Spirito Santo dai loro cuori dando loro l’abito di mentire. — Ma, mi diranno questi padri e queste madri, che non hanno mai conosciuto il loro dovere; è per aver un po’ di pace; ci son sempre attorno…; del resto ciò non fa male a nessuno. — Ciò non fa male a nessuno? Ma, amici miei, non contate per nulla l’allontanare da voi lo Spirito Santo, il diminuire in voi la sorgente delle grazie per la vostra salvezza? Non contate per nulla voi l’attirare la maledizione del cielo sopra i vostri poveri figliuoli? non contate per nulla il prendere voi Gesù Cristo stesso e condurlo fino al Calvario? Mio Dio! come conosciamo poco la rovina che il peccato produce in colui che ha la sventura di commetterlo! Bisogna però convenire che le bugie più ordinarie e più perniciose sono quelle che dite nel vendere e nel comprare che fate tra voi: sul che trovo una bella espressione nella santa Scrittura: “La bugia, dice lo Spirito Santo, è tra il venditore e il compratore come un pezzo di legno stretto fra due pietre; „ vale a dire, il guadagno sarà di colui che è più scaltro e astuto e che ha meno buona fede. Vedete il compratore: non c’è bugia che non dica per abbassare il prezzo della merce che compera; vi trova mille difetti, grandi o piccoli. Vedete il venditore: a sua volta, inventa ogni sorta di falsità per elevare il prezzo. E, cosa strana, M. F., colui che ha appena comperato e un minuto fa diceva tanto male della merce, e vi trovava mille difetti, ora che ne è lui il padrone, non c’è menzogna che non dica per elevarne il prezzo e farla valere di più di quello che vale; e, per garantire che dice la verità, quanti giuramenti, quante astuzie, quante parole inutili! E donde ciò, M. F.? dal desiderio d’aver beni o danaro, che ci fa preferire un bene perituro alla salute dell’anima nostra e al godimento di Dio. Ahimè! chi potrà mai comprendere quanto siamo infelici nel vendere l’anima nostra, il cielo, Dio stesso per sì piccola cosa. Ma, mi direte voi, è pur permesso lodare la propria merce. — Sì, senza dubbio, amico, ma quando non si dice che la pura verità…; ma mentire per ingannare il vostro prossimo è permesso? No, senza dubbio ; e lo sapete benissimo. Se uno v’ha ingannato in qualche affare, dite subito che è uno scaltro, un birbante, che voi non avreste mai fatto questo a lui;  e voi, alla prima occasione, ne ingannate, se potete, un altro: e credereste con ciò di diventare un galantuomo? Capite, M. F., fino a qual punto l’avarizia v’acceca? Ma, insisterete voi, quando si vende qualche cosa, si è forse obbligati di farne conoscere i difetti? — Senza dubbio; quando vendete qualche cosa che ha difetti nascosti in modo che il compratore non può né vederli né conoscerli, voi siete obbligati a farglieli conoscere, altrimenti sareste tanto, e anche più, colpevoli quanto se gli rubaste il danaro in tasca, perché là diffiderebbe di voi, mentre qui si fida e voi lo ingannate. Se ciò avete fatto, dovete restituire e riparare la perdita che gli avete causato. Se ciò avvenne in una fiera, per cui non conosciate affatto né la persona, né i suoi parenti, siete obbligati di darlo ai poveri, affinché il buon Dio benedica colui ne’ suoi beni per compensarlo del torto che gli avete fatto. Né credete, M. F., che Dio lasci passare tutto questo: vedrete che al giudizio ritroverete tutte le ingiustizie commesse nelle vostre compere o nelle vostre vendite: persino quelle di un soldo. Ma, direte ancora voi, anch’io sono stato ingannato, e, quando sono stato ingannato, nessuno mi ha mai restituito niente: io faccio agli altri ciò che gli altri hanno fatto a me: tanto peggio per chi si lascia imbrogliare. — Sì, senza dubbio, F . M., ecco il linguaggio del mondo, di quelli, cioè, che non hanno religione. Ma ditemi, F. M., siete proprio ben persuasi che, quando comparirete davanti al tribunale di Gesù Cristo, Egli vi farà buone tutte queste piccole scuse? Che cosa vi dirà? “Miserabili, perché gli altri facevano male, si dannavano e mi facevano soffrire, si dovevano imitare?„ Eppure, a sentir voi, le vostre bugie non fanno male a nessuno. Ma avete riflesso bene a ciò che dite? Prendete tutti i vostri contratti, tutte le vostre vendite, e, una dopo l’altra, ripassate nella vostra memoria tutte le bugie che avete detto. Non è forse vero che non avete mai mentito a vostro svantaggio? e che invece, tutte le volte che avete mentito, fu per ingannare il vostro prossimo, e quindi recargli danno? Quante volte, F. M., vendendo le vostre merci, o le vostre bestie, o altre cose, avete detto che ne avevate trovati tanti …, mentre, il più delle volte, non era vero. Se ciò vi ha fatto vendere di più, esaminatevi, e, nel caso, non mancate di far la restituzione, alla persona, se la conoscete, ai poveri, se non la conoscete. So bene che non lo farete; ma io vi dirò sempre ciò che dovete fare; che se non opererete bene, non per questo io andrò dannato, ma soltanto se non vi facessi conoscere i vostri doveri. Ma, insisterete voi, io non ho fatto più male degli altri, i quali m’ingannano appena lo possono. — Ma se gli altri si dannano, non è proprio necessario che vi danniate anche voi per sì poca cosa. Lasciate che si perdano, poiché non potete impedirneli; ma voi cercate di salvare la povera anima vostra; poiché N. S. Gesù Cristo ci dice che se vogliamo salvarci dobbiamo proprio fare tutto il contrario di ciò che fa il mondo. — Faccio come gli altri, dite voi. — Ma se vedeste uno correre in un precipizio, perché ci va lui, ci andreste anche voi? No, senza dubbio. Dite piuttosto adunque che non avete fede, che poco v’importa ingannare il prossimo, purché vi troviate il tornaconto e di che saziare la vostra avarizia. Ma, domanderete, come dobbiamo dunque diportarci nelle nostre compere e nelle nostre vendite? — Come, M. F.? Ecco ciò che dovete fare, ma che non fate quasi mai. Quando vendete, dovete mettervi al posto di colui che compera; e, quando comprate, al posto di colui che vende; e non mai approfittare della buona fede o dell’ignoranza degli altri per vendere più caro o comprare a miglior mercato. — Ma, direte, malgrado tutte le precauzioni che si prendono, tante volte si resta gabbati. — Eppure, M. F., io devo dirvi che, se davvero desiderate il cielo, benché altri v’inganni, voi non potete servirvi di questo pretesto per ingannare gli altri. — Allora, conchiuderete voi, dato il modo di condursi della maggior parte dei commercianti, credo che ve ne saranno ben pochi di salvi. — E ciò non è che troppo vero; ma pure, benché abbiano a essere pochissimi coloro che si salvano, noi dobbiamo procurare di salvarci. Dobbiamo preferire piuttosto di non esser tanto ricchi, di fare qualche perdita e ingannare meno che possiamo, anziché perdere il cielo.

III. — Ed ora, M. F., per concepire un grande orrore contro la menzogna, non abbiamo che da percorrere la santa Scrittura e vedremo quanto grandi sono i castighi con cui Dio punisce, anche in questa vita, quelli che si rendono colpevoli di questo peccato; e, nello stesso tempo vedremo come i santi hanno preferito e amato tutti i tormenti, anche i più rigorosi, anche la stessa morte, anziché dire una semplice bugia. – Lo Spirito Santo ci dice: “Non mentir mai né ingannare alcuno. „ (Eccli. VII, 14). Il Profeta ci dice che “il Signore farà perire tutti quelli che osano mentire.„ (Ps. V, 7). Sì, M. F., i santi ci dicono che sarebbe meglio che tutto il mondo perisse anziché dire una sola bugia. Ci dicono che, quand’anche una sola bugia bastasse a liberare tutti i dannati dai loro tormenti e condurli al cielo, non dovremmo dirla. Leggiamo nella vita di S. Antimo, che essendo egli cercato dagli arcieri dell’imperatore con l’ordine di togliergli la vita, essendosi questi indirizzati a lui senza conoscerlo, egli fece loro far buon’accoglienza. Quand’ebbero conosciuto dalle sue parole chi egli era, non ebbero il coraggio di farlo morire dopo tanta bontà. “No, gli dissero, noi non abbiamo il coraggio di farti morire, tu ci hai accolti troppo bene; resta: all’imperatore diremo che non ti abbiamo trovato. . — ” No, miei fratelli, disse loro il santo, non è mai permesso mentire; io preferisco mille volte morire ch’essere causa di una vostra bugia.„ E se ne va con loro per soffrire la morte più crudele (Ribadeneuira, Le vite dei Santi, al 27 aprile). Leggiamo nella storia (Ibid.. t. III, 5 marzo) che l’imperatore aveva mandati uomini armati per impadronirsi di un certo giardiniere, chiamato Foca, con l’ordine di farlo morire; ma, siccome non lo conoscevano neppure, incontratolo, domandarono a lui stesso se conoscesse un certo Foca, giardiniere, aggiungendo ch’essi venivano da parte dell’imperatore per farlo morire. Egli, con voce ferma e tranquilla, rispose di sì,  s’incaricava lui di questo. Intanto che glisgherri mangiavano, egli scavò una fossa nel suo giardino. Il domani si presentò loro dicendo: “Vedete, quel Foca che cercate sono io.„ Mai soldati, stupiti, “E come, gli dissero, potremo noi farti morire dopo che ci hai trattati con tanta bontà e liberalità? No, è impossibile: diremo all’imperatore che, malgrado tutte le nostre ricerche, non ti abbiamo trovato.„ — “No, miei amici, disse loro il santo, non mentite; preferisco morire anziché lasciarvi dire una bugia. „ Essi gli tagliarono la testa e lo seppellirono nel suo giardino, dove egli stesso s’era scavato la fossa. — Dite, M. F., questi santi comprendevano sì o no la gravità del male che fa il menzognero? Mio Dio, quanto è misero chi ha perduto la fede, poiché non comprende bene tutto il male che fa il peccato. Lo Spirito Santo ci dice che “ogni bocca che mentisce dà morte all’anima (Sap. I, 11). E nostro Signore diceva ai Giudei “ch’erano figli del demonio, perché in essi non era la verità.„ (Giov. VII, 44). Perché, M. F.? Perché il demonio è il padre della menzogna. — Leggiamo nella vita del santo Giobbe che un giorno il Signore domandò a satana donde venisse. “Torno, rispose il demonio, dal fare il giro del mondo. „ – “Non hai trovato, soggiunse il Signore, il mio buon servo Giobbe, quell’uomo semplice che opera con gran rettitudine di cuore, teme il Signore, ha cura di evitare il male ed è nemico della menzogna e d’ogni sorta di doppiezza? „ (Giob. I) Vedete, M. F., come il buon Dio si compiace di far l’elogio d’una persona semplice e retta in tutte le sue azioni? — Vedete ancora che cosa avvenne ad Aman, favorito del re Assuero, per aver mentito, facendo passare i Giudei per dei perturbatori. Avendo fatto innalzare un patibolo per impiccarvi Mardocheo, vi fu appeso egli stesso. Vedete quel paggio della regina Elisabetta che. per aver mentito contro un altro paggio, fu bruciato sul posto. Leggiamo nell’Apocalisse che S. Giovanni vide, in una visione, nostro Signore che assiso su un trono sfolgorante di gloria, gli diceva: Io rinnoverò ogni cosa. „ (Apoc. XXI, 6). Egli fece vedere la celeste Gerusalemme che era d’una bellezza ineffabile, e gli disse che chi dominerà se stesso e vincerà il mondo e la carne possederà quella bella Gerusalemme; ma che gli omicidi, i fornicatori, gli adulteri e i menzogneri saranno gettati in uno stagno di zolfo e di fuoco, che è una seconda morte. Nostro Signore ci dice che i mentitori avranno nell’inferno la stessa punizione dei fornicatori. Ditemi, F. M., potremo noi considerare come poca cosa o come fallo leggiero ciò che Dio punisce così rigorosamente, anche in questo mondo? Vedete ciò che avvenne ad Anania e a Saffìra sua moglie, colpiti da morte improvvisa per aver mentito a S. Pietro. Leggiamo nella santa Scrittura che, avendo venduto un podere, vollero tenersi una parte del prezzo e portare il resto agli apostoli perché lo distribuissero ai poveri, facendo credere che davano tutto. Volevano parer poveri e restar ricchi; ma Dio fece conoscere a S. Pietro ch’essi lo ingannavano. S. Pietro disse loro: “Come mai lo spirito di satana vi ha ripieno il cuore fino al punto di farvi mentire contro lo Spirito Santo? Non è agli uomini che avete mentito, ma a Dio.„ Appena Anania ebbe udite queste parole, cadde a terra morto. Tre ore dopo venne Saffira, sua moglie, ignara di ciò ch’era capitato al suo marito, e si presentò davanti agli apostoli. S. Pietro le disse: “È  vero che avete venduto il podere per questo prezzo?„ — “Sì, rispose la donna, non abbiamo preso di più.„ Allora riprese S. Pietro: “Come tuo marito, anche tu ti sei accordata per ingannare lo Spirito del Signore. Ma credete forse di poter ingannare lo Spirito di Dio? Tu sarai punita della tua menzogna come tuo marito. Ecco quelli che tornano dall’aver seppellito tuo marito, e presto seppelliranno anche te. „ Appena detto ciò, ella cadde morta, e fu portata via dagli stessi uomini (Act. XV). Tuttavia, M. F., possiamo dire che le bugie più gravi sono quelle che diciamo in confessione, al tribunale della penitenza. Allora non solo disprezziamo il comando che ci impone d’essere sinceri, ma profaniamo altresì il Sangue adorabile di Gesù Cristo; cambiamo in veleno mortale ciò che dovrebbe rendere la vita alla povera anima nostra, e oltraggiamo Dio nella persona de’ suoi ministri, che sono postisul trono della sua misericordia; facciamo rallegrare l’inferno, contristando tutto i1 paradiso; mentiamo a Gesù Cristo che vede e conta tutti i moti del nostro cuore. Voi capite benissimo. M. F., che se aveste mentito in confessione e vi accontentaste d’accusarvi d’aver mentito, non varrebbe niente. Io dico inoltre, M. F., che noi mentiamo col nostro silenzio o con qualche segno che facciamo credere il contrario di ciò che pensiamo. Leggiamo nella storia un esempio che ci fa vedere come Dio punisca rigorosamente i mentitori. Si racconta nella vita di S. Giacomo, vescovo di Nisibi in Mesopotamia, vissuto nel quarto secolo, che, mentr’egli passava per una città, due poveri vennero a domandargli danaro dicendogli ch’era morto un loro compagno e non avevano nulla per farlo seppellire. Sapendo essi ch’egli era molto caritatevole, avevano suggerito a uno dei loro di fingersi morto, ch’essi sarebbero andati dal vescovo a domandargli danaro per poi divertirsi. Infatti quello si getta a terra come se fosse morto davvero. Il santo, pieno di carità, diede loro ciò che poté. Pieni di gioia, ritornarono dal compagno per fargli parte del danaro del vescovo, e lo trovarono morto davvero. Il santo vescovo si era messo a pregare per domandar perdono dei peccati di quel povero uomo. Pregava ancora quando vide ritornare quei due tutti in lacrime, per essere stati puniti della loro menzogna. Essi si gettarono ai piedi del santo e lo pregarono di perdono, dicendo che, se lo avevano ingannato, a ciò li aveva spinti la miseria; e lo scongiurarono, per pietà, di pregare il buon Dio perché risuscitasse il loro compagno. Il santo invece di rimproverarli imitò la carità del suo divin Maestro; acconsentì di cuore alla loro domanda, pregò per lui e il buon Dio rese la vita a chi la menzogna aveva dato la morte. “Perché, figliuoli miei, disse loro il santo, avete voi mentito? dovevate chiedermi semplicemente ciò che volevate; io ve l’avrei dato, e il buon Dio non sarebbe stato offeso ,, (RlBADENEIRA, 15 Luglio). No. M. F., non è permesso mentire, come lo credono certuni, ignoranti e senza religione, per evitare il baccano in casa; non ai figli verso i genitori, non ai domestici verso i padroni. Sarà sempre meno male lasciar gridare il marito, la moglie o il vicino, che mentire. Non è meglio che le sopportiate voi le umiliazioni invece di farle sopportare a Dio stesso? E non dobbiamo neppur mentire per nascondere le nostre opere buone. Quando qualcuno vi domanda se avete fatto qualche opera buona e siete obbligato di parlare, dite di sì, perché la vostra bugia offenderebbe di più il Signore di quello che lo glorifichi la vostra opera buona. Eccone un bell’esempio. Si racconta che un santo, chiamato Giovanni, era andato a visitare un monastero. Quando i religiosi furono riuniti insieme (c’era tra essi un diacono, il quale per umiltà, temendo gli si usasse qualche riguardo non aveva mai detto di esserlo) questo santo domandò se in mezzo a loro non ci fosse qualche ecclesiastico. Tutti risposero di no. Ma il santo volgendosi dalla parte del giovine e prendendolo per una mano, “Ma ecco qui, disse, uno che è diacono!„ — “Padre, gli rispose il superiore, egli non l’ha detto che a uno solo. „ Allora il santo, baciandogli la mano, disse al diacono: “Amico, guardatevi bene dal negare la grazia che Dio v’ha fatta, affinché non vi capiti la disgrazia, che l a vostra umiltà non vi faccia cadere nella bugia. Mentire non si deve mai, non solo con uno scopo cattivo, ma neppure col pretesto del bene. „ Il diacono lo ringraziò, né più nascose ciò ch’egli era (Vita dei Padri del deserto). S. Agostino ci dice che mentire non è permesso assolutamente mai, neppure quando si trattasse di sottrarre qualcuno alla morte, e narra che v’era nella città di Tagaste in Africa, un vescovo chiamato Firmino. Un giorno andarono a lui uomini inviati da parte dell’imperatore, a domandargli un uomo ch’egli teneva nascosto presso di sè. Egli rispose a quelli che l’interrogavano che non poteva né mentire né dire dove l’altro fosse. Al suo rifiuto, quelli lo presero e gli fecero soffrire tutto ciò che la loro crudeltà poté ad essi inspirare. Quindi lo condussero dinanzi all’imperatore; ma questi ne fu sì commosso, che non solo non lo fece morire, ma concesse la grazia a quegli che stava nascosto presso di lui. Ahimè, F. M.! se Dio ci mettesse a tali prove, chi di noi non soccomberebbe? Quanto piccolo sarebbe il numero di quelli che imiterebbero questo santo vescovo, il quale preferì la morte piuttosto che mentire per salvare la propria vita e quella dell’amico. Ahimè, M. F.! è perché questo santo comprendeva tutto l’oltraggio che la menzogna arreca a Dio, e quanto sia meglio soffrir tutto e perdere anche la vita, anziché farsene rei; mentre noi, con il nostro accecamento, riguardiamo come nulla ciò che è tanto grave agli occhi di Dio e ch’Egli punisce così rigorosamente nell’altra vita. Sì. F. M., sarebbe molto meglio perdere, supponiamo la vostra salute, i vostri beni, la vostra riputazione, la vita stessa, anziché offendere Dioe perdere il cielo. Tutti i beni sono per il tempo presente: Dio e l’anima nostra sono per l’eternità. – Abbiamo visto quanto la menzogna e la doppiezza siano comuni nel commercio; non lo sono meno nelle conversazioni nelle conversazioni e nei ritrovi, Se il buon Dio ci concedesse di scoprire e vedere i cuori di quelli che compongono un ritrovo o una compagnia, vedremmo che quasi tutti i pensieri sono diversi dalle parole che escon loro di bocca. Si sa benissimo conciliare assieme il linguaggio e tutte le esteriorità della stima, della benevolenza e dell’amicizia coi sentimenti di odio e di disprezzo che si nutron nel cuore contro quelli coi quali si chiacchiera. Se entrate in una casa e vi presentate a una conversazione dove si è occupati a diffamare la vostra riputazione, d’un tratto tutti cambiano viso, e vi si riceve e vi si accoglie con fare grazioso e quasi vi si soffoca di gentilezze. Non siete ancora uscito, che ricominciano le risa e le maldicenze sul vostro conto. Dite, M. F., è possibile trovare qualche cosa di più falso, di più indegno per un Cristiano? Eppure, ahimè! nulla di più comune al mondo. Gran cosa, M. F.questo mondo ingrato ha un bell’ingannarci, noi possiamo ben essere il suo zimbello; eppure noi lo amiamo, eppure siamo infinitamente felici d’esserne amati! O accecamento del cuore umano, e fino a quando ti lascerai sedurre? fino a quando aspetterai di rivolgerti al tuo Dio, il quale non ti ha mai ingannato, e abbandonerai questo falso mondo ipocrita, il quale non può che renderti infelice e in questa e molto più nell’altra vita? Ahimè, M. F.! quanto è stolto chi gode d’esserne amato e applaudito, poiché questo mondo è sì bugiardo e ingannatore. Chi mai potrà far assegnamento su tutte le astuzie, su tutti gli inganni che si usano nel mondo? E vedete anche, M. F., il vostro linguaggio riguardo a Dio. “Mio Dio, dice quell’avaro quando prega, io vi amo sopra tutte le cose e disprezzo le ricchezze poiché esse non sono che fango in confronto dei beni che ci promettete nell’altra vita.„ Ma, ahimè! quest’uomo, finita appena la preghiera o uscito di chiesa, non è più lo stesso; questi beni, che nella preghiera erano sì vili, ora egli li preferisce a Dio e all’anima sua; egli non si dà pensiero né dei poveri né degl’infermi, e, forse forse li schiva per timore che gli domandino qualche cosa. Direste voi, M. F., che questi è ancor quell’uomo che or ora diceva a Dio ch’egli era tutto suo? — Fate la stessa riflessione per il vendicativo. ” Mio Dio, vi amo, nel suo atto di carità, e con voi amo tutti gli uomini,, ; e non ha ancor fatto due passi, e dice tutto il male possibile del suo vicino. Vedete quell’ambizioso. “Signore, dice nella sua preghiera,s’io ho il bene di amarvi, sono ricco abbastanza, non bramo di più: e un momento dopo si dispera se vede qualcuno fare un guadagno che avrebbe potuto fare lui. E quell’impudico che vi fa i più bei elogi della santa virtù della purezza? Fra qualche minuto vomiterà  ogni sorta di laidezze o vi s’avvoltolerà. Quell’ubbriacone, biasimerà tutti quelli che si danno al vino e perdono la ragionesperperando sì male il loro danaro; e fra un’ora forse, alla prima compagnia, con cui s’imbatterà, si lascerà trascinare all’osteria e s’abbandonerà al vino. Dite altrettanto, F. M. di tutti coloro che sanno mettere assieme le pratiche esterne della religione e le loro cattive inclinazioni. In chiesa, vicino a Dio, sono tutti buoni Cristiani, almeno in apparenza: fuori, sparsi nel mondo, non sono più gli stessi, non si riconoscono più. Apriamo gli occhi. M. F ., e riconosciamo quanto tutte queste menzogne, tutte queste astuzie sono indegne dei figli di quel Dio, che è la carità, la verità in persona. Sì, M. F., siamo sinceri, in tutto ciò che facciamo per Dio e per il prossimo, facciamo per gli altri ciò che vorremmo che gli altri facessero per noi, se non vogliamo camminare sul sentiero della perdizione. In terzo luogo, spesso alla bugia si aggiungono giuramenti e maledizioni. Ciò avviene quasi tutti i giorni. Se qualcuno non vi vuol credere, voi dite subito: “Se ciò non è vero, non possa neppur muovermi. E tanto vero quanto è vero che Dio vi vede, che questa merce è buona, che questa bestia non ha difetti.„ — Guardatevi bene, M. F., dall’aggiungere giuramenti alla menzogna; mai, neppure per attestare una cosa vera. Gesù Cristo lo proibisce. “Quando vorrete garantire una cosa dite solamente: è così, o, non è così; sì, o, no; l’ho fatto, o, non l’ho fatto. Tutto ciò che dite di più, viene dal demonio (Matth. V, 37).„ Persuadetevi bene, M. F., che non sono né le vostre bugie né i vostri giuramenti che vi fanno vendere di più, né danno fede a ciò che dite: anzi, tutto il contrario. Prendete esempio da voi stessi e vedete se vi lasciate gabbare da tutti giuramenti che vi fanno, da tutte le bugie che vi dicono quelli dai quali comprate. Per conto vostro dite: “So che i giuramenti e le bugie non costano loro niente: non hanno altro in bocca!„ Eppure il mondo dice: “Se non mento nel vendere, non venderò quanto gli altri.„ Grosso errore! Più si vede uno accumular menzogne per vendere la sua merce, più lo si sente giurare; e meno gli si crede e più se ne diffida. Ma se, vendendo o comperando, usate il  timor di Dio, comprerete venderete quanto gli altri; con la differenza in più che voi avrete la felicità di salvare l’anima vostra. E d’altra parte, M. F. , non dovremmo noi preferire di perdere qualche cosa piuttosto che perdere l’anima nostra, il nostro Dio, il nostro Paradiso? Alla nostra morte, a che ci serviranno tutte quelle astuzie, tutte quelle doppiezze che avremo usato in vita? Qual rammarico, aver perduto il cielo per sì poca cosa!… – Sentite ciò che narra il cardinal Bellarmino. C’erano in Colonia due mercanti, che, per vendere le loro merci, quasi non dicevano parola senza mentire e giurare. Il loro pastore li consigliò a smettere questa cattiva abitudine, perché tutte queste bugie e tutti questi giuramenti facevano loro male; e si diceva persuaso che, se dicessero semplicemente la verità, Dio non mancherebbe di benedirli. Essi non volevano saperne; pure, per obbedire al loro pastore, finalmente si decisero, e a tutti quelli che venivano per comperare dicevano semplicemente quanto volevano senza mentire, né giurare. Dopo qualche tempo, il pastore domandò se avessero fatto ciò che aveva loro detto. Gli risposero di sì. Allora domandò anche se vendessero meno di prima. “ Signore, dissero quelli, dacché abbiamo smesso l’abitudine di mentire e di giurare, vendiamo più di prima. Ora ci accorgiamo davvero che tutte quelle menzogne e tutti quei giuramenti non sono che astuzie del demonio per ingannare e perdere i mercanti. Ora che la gente sa che non giuriamo né mentiamo più, vendiamo il doppio di prima, e vediamo che Dio benedice la nostra casa in un modo visibile, e tutto ci riesce bene. „ Ah, M. F.! se avessimo la fortuna d’imitare quei mercanti nelle nostre vendite e nelle nostre compere, quanti peccati di meno, quanti timori di meno per l’avvicinarsi della morte quando, nessuno ne dubita, bisognerà pur renderne conto, poiché Gesù Cristo stesso ci dice che dovremo rendere conto anche di ogni parola oziosa» (Matt. XII, 36). Ma, no; a tutto non si pensa. Non doveste anche vendere per un soldo, appena vi si offre l’occasione, voi mentite. Nessun timore, né di far soffrire il buon Dio, né di perdere la vostr’anima, purché guadagniate due soldi, voi siete contenti: il resto non importa. Ma soprattutto guardatevi bene, F. M., dall’aggiungere mai il giuramento alla menzogna. Vedete che cosa avvenne davanti a S. Edoardo re d’Inghilterra. Essendo a mensa col conte Gondovino, suo suocero, oltremodo orgoglioso e gelosissimo fino al punto di non poter soffrire alcuno accanto al re, questi gli disse che sapeva benissimo ch’egli aveva contribuito alla morte di suo padre. “Se ciò è vero, giurò il conte, che questo boccon di pane mi soffochi. „ Orrore! Appena messolo in bocca, gli si fermò nella gola e lo soffocò. Il misero cadde morto vicino al re (Ribadeneira, 13 ottobre)— E vero: Dio non ci castiga sempre in modo così terribile, ma non per questo siamo meno colpevoli dinanzi ai suoi occhi. Che cosa concludere da tutto questo? Eccolo, F. M.: Non avvezzarsi mai a mentire; perché, una volta presa l’abitudine, non se ne può più correggere. Dobbiamo essere sinceri, veritieri in tutto ciò che diciamo o facciamo. Se non ci si vuol credere, pazienza! Non costringete mai altri a mentire; ci sono di quelli soliti a questionare tanto che quasi vi costringono o a dir bugie o andar in collera. Questi sono ancor più colpevoli di chi mente, perché, senza di essi egli non avrebbe mentito. In confessione bisogna precisar bene le bugie che abbiamo dette, poiché avete visto che ce n’è di quelle che possono essere peccati mortali, secondo l’intenzione che si ha nel dirle. D’altra parte, M. F., come mai potremmo adoperare a mentire la nostra lingua che più volte fu irrorata del Sangue preziosissimo di Gesù Cristo; la nostra bocca che tante volte ha servito da tabernacolo al Corpo adorabile del Signore? Mio Dio, se pensassimo bene a tutto questo, dove troveremmo tanto coraggio? M. F., beato colui che opererà sempre con schiettezza e dirà sempre la verità! È la felicità ch’io vi auguro di cuore…

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Un solo pensiero domina tutta la liturgia di questo giorno: bisogna distruggere in noi il peccato con profondo pentimento e chiedere a Dio di darci la forza per non ricadervi. Il Battesimo ci ha fatto morire al peccato e l’Eucarestia ci dà la forza divina necessaria per perseverare nel cammino della virtù. La Chiesa, ancora tutta compenetrata del ricordo di questi due Sacramenti che ha conferito a Pasqua e a Pentecoste, ama parlarne anche « nel Tempo dopo Pentecoste ». – Le lezioni del 7° Notturno, quali si leggono nel Breviario, raccontano, sotto la forma di apologo, la gravità della colpa commessa da David. Per quanto pio egli fosse, questo grande Re aveva lasciato entrare il peccato nel suo cuore. Volendo sposare una giovane donna di grande bellezza, di nome Bethsabea, aveva ordinato di mandare il marito di lei Uria, nel più forte del combattimento contro gli Ammoniti, affinché restasse ucciso. Così sbarazzatosi in questo modo di lui, sposò Bethsabea che da lui già aveva concepito un figlio. Il Signore mandò il profeta Nathan a dirgli: « Vi erano due uomini nella città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in gran numero, il povero non aveva assolutamente nulla fuori di una piccola pecorella, che aveva acquistata e allevata, e che era cresciuta presso di lui insieme con i suoi figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno: essa era per lui come una figlia. Ma essendo venuto un forestiero dal ricco, questi, non volendo sacrificare nemmeno una pecora del suo gregge per imbandire un banchetto al suo ospite, rapi’ la pecora del povero e la fece servire a tavola ». David sdegnatosi, esclamò: « Come è vero che il Signore è vivo, questo uomo merita la morte ». Allora Nathan disse: « Quest’uomo sei tu, poiché hai preso la moglie di Uria per farla tua sposa, mentre potevi sceglierti una sposa fra le giovani figlie d’Israele. Pertanto, dice il Signore, io susciterò dalla tua stessa famiglia (Assalonne) una disgrazia contro di te ». David, allora, pentitosi, disse: Nathan: « Ho peccato contro il Signore ». Nathan riprese: « Poiché sei pentito il Signore ti perdona; tu non morrai. Ma ecco il castigo: il figlio che ti è nato, morrà ». Qualche tempo dopo infatti il fanciullo morì. E David umiliato e pentito andò a prostrarsi nella casa del Signore e cantò cantici di penitenza (Com.). « David, questo re cosi grande e potente, dice S. Ambrogio, non può mantenere in sé neppure per breve tempo il peccato che pesa sulla sua coscienza: ma con una pronta confessione, e con immenso rimorso, confessa il suo peccato al Signore. Così il Signore, dinanzi a tanto dolore, gli perdonò. Invece gli uomini, quando i Sacerdoti hanno occasione di rimproverarli, aggravano il loro peccato cercando di negarlo o di scusarlo; e commettono una colpa più grave, proprio là dove avrebbero dovuto rialzarsi. Ma i Santi del Signore, che ardono dal desiderio di continuare il santo combattimento e di terminare santamente la vita, se per caso peccano, più per la fragilità della carne che per deliberazione di peccato, si rialzano più ardenti alla corsa e, stimolati dalla vergogna della caduta la riparano coi più rudi combattimenti; cosicché la loro caduta invece d’essere stata causa di ritardo non ha fatto altro che spronarli e farli avanzare più celermente» (2° Nott.). Da ciò si comprende la scelta dell’Epistola nella quale S. Paolo parla della nostra morte al peccato. Nel Battesimo siamo stati seppelliti con Cristo, la nostra vecchia umanità è stata crocifissa con lui perché noi morissimo al peccato. E come Gesù dopo la risurrezione è uscito dalla tomba, così noi dobbiamo camminare per una nuova via, vivere per Dio in Gesù Cristo (Ep.). E qualora avessimo la disgrazia di ricadere nel peccato, bisogna domandare a Dio la grazia di esserci propizio e di liberarcene (V. dell’Intr., Crad., All., Secr.), ridonandoci la grazia dello Spirito Santo, poiché da Lui parte ogni dono perfetto (Oraz.). Poi bisogna accostarci all’altare (Com.) per ricevervi l’Eucaristia la cui virtù divina ci fortificherà contro i nostri nemici (Postcom.) e ci manterrà nel fervore della pietà (Oraz.), poiché il Signore è la forza del suo popolo che lo condurrà per sempre (Intr.). Per questo la Chiesa ha scelto per Vangelo la narrazione della moltiplicazione dei pani, figura dell’Eucaristia, che è il nostro viatico. La Comunione, identificandosi con la vittima del Calvario, non solamente perfeziona in noi gli effetti del Battesimo, facendoci morire con Gesù al peccato, ma ci fa trovare a santo banchetto la forza che ci è necessaria per non ricadere nel peccato e per « consolidare i nostri passi nei sentieri del Signore » (Offert.). E in questo senso S. Ambrogio, commenta questo Vangelo. Cristo disse: « Io non voglio rimandarli digiuni per paura che essi muoiano per via. Il Signore pieno di bontà sostiene le forze; se qualcuno soccomberà non sarà per causa del Signore Gesù, ma per causa di se stesso. Il Signore pone in noi elementi fortificanti; il suo alimento è la forza, il suo alimento è il vigore. Così, se per vostra negligenza, avete voi perduta la forza che avete ricevuta, non dovete incolpare gli alimenti celesti che non mancano, ma voi stessi. Infatti Elia, quando stava per soccombere, non camminò per quaranta giorni ancora, avendo ricevuto il cibo da un Angelo? Se voi avete conservato il cibo ricevuto, camminerete per quarant’anni e uscirete dalla terra d’Egitto per giungere alla terra immensa che Dio ha promesso ai nostri Padri.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVII: 8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum.

[O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias.

[O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli,  quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Per il battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò dalla morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Infatti, se siamo stati innestati a Lui per la somiglianza della sua morte, lo saremo anche per quella della resurrezione; ben sapendo che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso in Lui, affinché il corpo del peccato fosse distrutto, sicché non serviamo più al peccato. Ora, se siamo morti con Cristo crediamo che vivremo pure con Cristo; perché sappiamo che Cristo risuscitato da morte non muore più: la morte non ha più dominio su di Lui. La sua morte fu una morte al peccato una volta per sempre; e la sua vita la vive a Dio. Alla stessa guisa, anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro”.]

NOVITÀ MONDANA E NOVITA’ CRISTIANA.

La novità è una delle sollecitudini, potremmo anche dire delle manie del giorno. Dalla donna vana, che cerca la novità della moda, al letterato ambizioso che cerca la novità dell’arte, all’uomo grave che vuole la novità in politica, novità si vuole su tutta la linea. Povere cose vecchie! e come siete: screditate oggi! e come diventate vecchie e spregevoli rapidamente! Il Cristianesimo ha l’aria di non assecondare troppo questi fremiti di novità, queste ansie per la novità, il Cristianesimo colla santa immutabilità dei suoi dogmi, il Cristianesimo con la forza delle sue vetuste tradizioni. Qualcuno lo dipinge volentieri per metterlo alla berlina, tutto volto al passato, imbalsamatore di cadaveri. E certo il Cristianesimo non folleggia, come il mondo irrequieto, dietro la novità e le novità. Il mondo ha la mania di correre, muoversi, agitarsi, come un epilettoide: il mondo… il Cristianesimo, pacato senza essere ozioso, ha la preoccupazione ben più sacra di arrivare. Il suo ideale non è il nuovo, è il vero, è il bene. Diversità di temperamenti e di orientazioni. Ma nella epistola di quest’oggi ai Romani troviamo una frase che mostra la unilateralità di quella rappresentazione arcaica, la cui mercè altri vorrebbe far onta al Cristianesimo. « Camminiamo (dice San Paolo ai primi Cristiani) nella novità della vita… morti a ciò che c’è in noi di vecchio e di stantio…» La parola di San Paolo ci riporta per incanto ai giorni in cui il Vangelo apparve e fu una grande novità nel mondo… Novità assoluta, profonda di fronte al mondo pagano, novità, non allo stesso modo e nello stesso senso, ma novità anche di fronte al mondo giudaico. Aria nuova che irrompe in un ambiente chiuso parve il Vangelo ai Giudei, aria nuova in un ambiente chiuso, mefitico, così parve ai pagani il Vangelo. Novità la stessa unità di Dio, nonché è molto più il mistero della Trinità, mistero l’amore della Incarnazione, Redenzione, cose non mai più udite, cose contrarie a quelle che si erano udite fino allora. – E nuovi sentieri tracciava questa novità ideale alla vita della umanità. L’umanità operosa da secoli, colla sua operosità, aveva scavato false strade simili a quelle carreggiate che nel fango della strada mal fatta scavano i veicoli. Erano ormai antichi quei sentieri, infossati. Si chiamavano i sentieri dell’orgoglio, della voluttà, dell’egoismo: roba consolidata dal tempo, staremmo per dire dal tempo consacrata. C’era un tipo d’uomo fatto così, orgoglioso, sensuale, egoista, violento. Il Cristianesimo è venuto a scancellare, a disfare, a seppellire questo tipo in nome e a vantaggio d’un altro tipo, altro in tutto e per tutto altro, diverso e perciò nuovo. E nuovo perché fresco, perché vivo davvero. Questa vita d’orgoglio, di sensualità, d’egoismo, era una parvenza di vita, una illusione: febbre più che vita vera e propria. Il febbricitante non s’accorge sempre della sua febbre, non se ne accorge subito: ma a poco a poco sì: l’organismo si strugge; si fiacca. Nostro Signore Gesù è venuto ad uccidere e vivificare; uccidere quella vecchia infelicissima incrostazione di cattive consuetudini ch’era la umanità, e far vivere su quelle rovine, di quelle rovine una umanità nuova… nuova di zecca, e nuova per sempre. Noi siamo, noi dobbiamo essere questa umanità, perennemente viva e fresca, perché perennemente buona, vittoriosa del male e sul male. Il battesimo fa questa morte e questa vita nuova, ma dal battesimo in poi noi non dobbiamo invecchiare, tornando indietro, ringiovanire dobbiamo, andando avanti, andando in su « in novitate vite ambulemus ». E la nostra novità è la nostra giovinezza perenne.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Ar.Mediolani, 1-3-1938]

Graduale

Ps LXXXIX: 13; LXXXIX: 1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos.

V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja.

[Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi.

V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja.

[Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII: 1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

(In quel tempo: Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano. E gli risposero i suoi discepoli: Come potremo saziarli di pane in questo deserto? E chiese loro: Quanti pani avete? E risposero: Sette. E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò).

Omelia

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933] – Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg. – Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Panis quem ego dabo, caro mea est prò mundi vita.

(JOAN. VI, 52).

Chi di noi, Fratelli miei, avrebbe mai potuto supporre che Gesù Cristo potesse spingere il suo amore verso le creature fino a dar loro il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, perché fosse nutrimento delle anime nostre, se non l’avesse detto Lui stesso? Ecché, F. M., un’anima nutrirsi del suo Salvatore?… e tante volte quanto desidera? O abisso di bontà e d’amore di un Dio per le sue creature!… S. Paolo ci dice che il Salvatore, vestendo la nostra carne, ha nascosto la sua divinità e portata l’umiliazione fino all’annientamento. Ma, istituendo l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, ha velato anche la sua stessa umanità, non lasciando apparire che le viscere della sua misericordia. Oh! vedete, M. F., di che cosa è capace l’amore di un Dio per le sue creature!… No, F. M., di tutti i Sacramenti non ce n’è uno che possa esser paragonato a quello dell’Eucaristia. In quello del Battesimo riceviamo, è vero, il carattere di figli di Dio, e, per conseguenza, prendiamo parte al suo regno eterno; in quello della Penitenza, le piaghe dell’anima nostra sono guarite e ci è restituita l’amicizia del nostro Dio; ma nell’adorabile sacramento dell’Eucaristia riceviamo non solo l’applicazione del suo Sangue prezioso, ma anche l’Autore stesso di ogni grazia. S. Giovanni ci dice che Gesù Cristo, « avendo amato gli uomini fino alla fine » (S. Giov. XIII, 1) trovò il mezzo di salire al cielo senza abbandonare la terra: Prese del pane tra le sue sante e adorabili mani, lo benedisse e lo cangiò nel suo Corpo; prese del vino e lo cangiò nel suo Sangue prezioso e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di compiere lo stesso miracolo tutte le volte che avrebbero pronunciato le stesse parole: affine di poter con questo miracolo d’amore, restare con noi, esserci di nutrimento, consolarci e tenerci compagnia. « Chi mangia la mia Carne – ci dice Egli – e beve il mio Sangue vivrà in eterno; chi non mangia la mia Carne né beve il mio Sangue non avrà la vita in sé » (Ibid. VI, 54, 55). Oh, M. F.! quale felicità per un Cristiano aspirare al grande onore di nutrirsi del pane degli angeli!… Ma, ahimè! quanto pochi la comprendono!… Ah! M. F., se conoscessimo bene tutta la felicità che abbiamo nel ricevere Gesù Cristo, non ci studieremmo continuamente di meritarla? Per darvi un’idea della grandezza di questa felicità, vi mostrerò:

1° quanto è grande la fortuna di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione;

2° i frutti che dobbiamo ritrarne.

I. — Voi tutti sapete, F. M., che la prima disposizione per ricevere degnamente questo grande Sacramento è l’esame accurato della propria coscienza, dopo aver implorato i lumi dello Spirito Santo; la confessione sincera dei propri peccati, con tutte le circostanze che possono renderli più gravi o mutarne la specie, accusandoli tali e quali ce li farà conoscere Dio al momento del giudizio; — un dolore profondo d’averli commessi e la disposizione a sacrificare tutto ciò che abbiamo di più caro piuttosto che commetterli di nuovo; — e in fine un gran desiderio di unirci a Gesù Cristo. Vedete la premura dei Magi di cercar Gesù Cristo nel presepio; vedete la santa Vergine, vedete la Maddalena come s’interessa di cercare il Salvatore risorto! Non intendo, F. M., assumermi di mostrarvi tutta la grandezza di questo Sacramento: ciò non è dato all’uomo; bisognerebbe esser Dio stesso per poter esporvi la grandezza di queste meraviglie: perché ciò che ci riempirà di stupore per tutta l’eternità, sarà l’aver ricevuto, noi, miseri quali siamo, un Dio sì grande. – Tuttavia, per darvene un’idea, vi mostrerò che Gesù non è mai passato in alcun luogo, durante la sua vita mortale, senza spandervi le sue benedizioni più abbondanti e, per conseguenza, quanto devono esser grandi e preziosi i beni che ricevono coloro che hanno la bella sorte di accoglierlo in sé per mezzo della santa Comunione; anzi, per dir meglio, vi mostrerò che tutta la nostra felicità in questo mondo consiste nel ricevere Gesù Cristo in questo augusto Sacramento; ciò ch’è molto facile a comprendersi; poiché la santa Comunione giova non solo all’anima nostra col nutrirla, ma anche al nostro corpo, come vedremo. Leggiamo nel santo Evangelo, che Gesù Cristo entrando nella casa di S. Elisabetta, benché ancora chiuso nel seno materno, madre e figlio furono ripieni di Spirito Santo. San Giovanni fu anche purificato dalla macchia d’origine, e la madre esclamò: « Ah! donde mai mi viene tanta felicità che la madre del mio Dio si degni di venire a me? » (S. Luc. I, 43). Pensate, M. F., quanto più grande debba essere la felicità di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione, poiché lo riceve non già in casa sua, come S. Elisabetta, ma nel suo proprio cuore; padrone di custodirvelo, non tre mesi, come Elisabetta, ma per tutta la vita. — Quando il vecchio Simeone, che da tanti anni sospirava ardentemente la felicità di vedere Gesù Cristo, poté riceverlo almeno tra le sue mani, fu così trasportato e rapito di gioia, che, non sapendosi trattenere, esclamò in un impeto d’amore: « O Signore, e che posso io desiderare ancora sulla terra, dacché i miei occhi hanno visto il Salvatore del mondo? Io ora posso morire in pace! » (S. Luc. II, 29). Ma, ancora una volta, qual differenza, F. M., tra il riceverlo sulle proprie braccia, contemplarlo qualche istante, e riceverlo nel proprio cuore!… Quando Zaccheo, sentito parlare di Gesù Cristo, desiderò ardentemente di vederlo, essendo impedito dalla gran folla che accorreva da ogni parte, s’arrampicò su di un albero; ma il Signore, vedendolo, gli disse: « Zaccheo, vien giù subito, perché oggi voglio alloggiare in casa tua. ». Ed egli s’affretta a discendere e corre a preparare tutto ciò che può per ricevere il Salvatore. Gesù, entrando nella sua casa dice: « Oggi questa casa riceve la salvezza. » E Zaccheo, vedendo la grande carità di Gesù Cristo nel venire ad albergare in casa sua, « Signore, esclama, io darò la metà dei miei beni ai poveri, e renderò il doppio a tutti quelli che ho in qualunque modo danneggiati » (S. Luc. XIX) Di maniera chè, M. F., la sola visita di Gesù Cristo, fece d’un gran peccatore un gran santo, poiché egli ebbe la felicità di perseverare fino alla morte. — Leggiamo nell’Evangelo che, quando Gesù Cristo entrò nella casa di S. Pietro, questi lo pregò di guarirgli la suocera, travagliata da febbre violenta. Gesù Cristo comandò alla febbre di lasciarla e all’istante ella fu guarita; tanto che poté servirli a tavola (S. Luc. IV, 38-39). Vedete anche l’emorroissa. Diceva tra sé: « S’io potessi, se avessi la fortuna di toccargli anche solo l’orlo della veste, sarei guarita; » e infatti, quando il Salvatore passò, ella si gettò a’ suoi piedi, toccò e fu guarita perfettamente (S. Matth. IX, 20). E perché il Signore andò a risuscitare Lazzaro, morto da quattro giorni?… Non è forse perché l’aveva ricevuto spesso in casa sua, che Gesù gli mostrò così vivo attaccamento da versar lagrime presso la sua tomba? (S. Giov. XI). Gli uni gli chiedevano la vita, gli altri la guarigione del corpo; e nessuno mai si ritirò senza aver ottenuto ciò che domandava. Pensate voi s’Egli vorrà negare ora ciò che gli si domanda. Quali torrenti di grazie non deve accordare, quando è Lui stesso che viene nei nostri cuori, desideroso di fissarvi la sua dimora per tutto il resto dei nostri giorni! Oh! M. F., quale felicità per chi riceve, con le dovute disposizioni, Gesù Cristo nella santa Comunione!… Ah! chi potrà mai comprendere la fortuna del Cristiano che riceve Gesù Cristo nel suo cuore, il quale per ciò stesso diventa un piccolo cielo; da solo, Egli è tanto ricco quanto tutto il cielo insieme. Ma, mi direte, perché dunque la maggior parte dei Cristiani è così insensibile a questa felicità, tantoché molti anzi la disprezzano e si beffano di quelli che sono sì lieti di ricevere Gesù Cristo? — Ahimè, mio Dio! Quale sventura è mai paragonabile a questa? È perché questi poveri infelici non hanno mai conosciuto né gustato la grandezza di questa felicità. Infatti, F. M., un uomo, una creatura, nutrirsi, saziarsi del suo Dio, farne il suo cibo Quotidiano! … O miracolo dei miracoli ! o amor degli amori!… o felicità delle felicità, ignota agli Angeli stessi!… 0 mio Dio! qual gioia per un Cristiano che ha fede sapere che, levandosi dalla sacra Mensa, se ne va col cielo nel cuore!… Oh! felice la casa in cui abitano questi Cristiani!… qual rispetto non si deve aver per loro in quel giorno! Avere nella propria casa un secondo tabernacolo, in cui ha risieduto realmente il buon Dio in Corpo ed in Anima!… Ma, forse mi direte ancora, se questa felicità è sì grande, perché la Chiesa ci comanda di comunicarci una volta all’anno? — Questo comando, M. F., non è per i Cristiani buoni, ma per i tiepidi e indifferenti per la povera anima loro. Nei primi tempi della Chiesa, il più gran castigo che si poteva infliggere ai Cristiani era di privarli di questa felicità. Ogni volta che essi assistevano alla santa Messa, avevano anche la bella sorte di comunicarsi. Mio Dio! come è mai possibile che i Cristiani possano stare tre, quattro, cinque e anche sei mesi senza dare questo nutrimento celeste alla povera anima loro? Essi la lasciano morir di miseria!… Mio Dio! Quale sventura! quale accecamento!… mentre hanno tanti rimedi per guarirla, e un nutrimento sì efficace per conservarle la salute! Ah! F. M., diciamolo con le lagrime agli occhi, non si risparmia nulla per il corpo che dopo tutto dovrà, tosto o tardi, essere distrutto e corroso dai vermi; e l’anima, creata ad immagine di Dio, l’anima immortale, la si disprezza, la si tratta con la peggiore delle crudeltà!… La Chiesa vedendo come i Cristiani perdevano di vista la salute delle loro povere anime, sperando che il timor del peccato avrebbe fatto loro aprire gli occhi, li obbligò a comunicarsi tre volte all’anno: a Natale, a Pasqua e a Pentecoste. Ma più tardi vedendoli diventare sempre più insensibili alla loro sventura, finì per non obbligarli che una volta sola all’anno. Mio Dio! quale sciagura e quale accecamento per un Cristiano, esser costretto da leggi a cercare la sua felicità! Di maniera che, quand’anche, M. F., non aveste altri peccati sulla coscienza che quello di non far la vostra Pasqua, voi sareste perduti. Ma ditemi, qual vantaggio potete mai trovare nel lasciare la povera anima vostra in uno stato sì lacrimevole?… Voi siete tranquilli e contenti, se pur si deve credere a ciò che dite; ma ditemi: dove potete trovare la vostra tranquillità e il vostro contento? È forse perché l’anima vostra non attende che il momento in cui la morte la colpirà per piombarla nell’inferno? Forse perché il demonio è vostro padrone? Mio Dio! quale accecamento e quale sventura per chi ha perduto la fede! Perché ancora, F. M., la Chiesa ha stabilito l’uso del pane benedetto che si distribuisce durante la S. Messa, e che, per la benedizione della Chiesa, vien distinto dalle cose ordinarie? Se non lo sapete, ve lo dirò io. È per consolare i peccatori, e, allo stesso tempo, coprirli di confusione. Per consolarli, perché, almeno, il prendere questo pane benedetto li mette in qualche modo a parte della felicità di quelli che ricevono Gesù Cristo, ai quali si uniscono con gran desiderio di riceverlo e con una fede viva. Ma anche per coprirli di confusione: infatti, quale confusione, se la loro fede non è ancora spenta, veder un padre, una madre, un fratello, una sorella, un vicino, una vicina, accostarsi alla sacra Mensa, nutrirsi del Corpo adorabile di Gesù Cristo; mentre essi sono esclusi. Quale sventura, mio Dio! e tanto più grande quanto meno compresa!… Sì, M. F., tutti i santi Padri ci dicono che, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, noi riceviamo ogni sorta di benedizioni per il tempo e per l’eternità. Infatti, s’io domando a un fanciullo: « Dobbiamo desiderare di comunicarci? — Sì, mi risponde. — E perché? — Per gli effetti eccellenti che la santa Comunione produce in noi. — Quali sono questi effetti? La santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo, indebolisce la nostra inclinazione al male, aumenta in noi la vita della grazia, è per noi il principio e « il pegno della vita eterna. »

1° In primo luogo, la santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo. Unione sì intima, questa, F. M., che Gesù Cristo stesso ci dice: « Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me e Io in lui: la mia Carne è veramente cibo, il mio Sangue è veramente bevanda » (S. Giov. VI, 56-57) di maniera che, per la S. Comunione il Sangue adorabile di Gesù Cristo scorre veramente nelle nostre vene; la sua Carne è veramente commista alla nostra; ciò che faceva dire a S, Paolo: « Non sono io che opero, che penso, ma è Cristo che opera e pensa in me. Non io vivo, ma vive Cristo in me » (Gal. II, 20) S. Leone ci dice che quando abbiamo la grande ventura di comunicarci, noi chiudiamo davvero in noi stessi il Corpo adorabile e il prezioso Sangue di Cristo. F. M., comprendete voi bene tutta la grandezza di questa felicità? Ah! no, no; comprenderla bene non lo potremo che in cielo. Mio Dio! una creatura arricchita di tanto dono!…

2° In secondo luogo, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, vi riceviamo un aumento di grazie, ciò che è facile a comprendersi. Poiché, ricevendo Gesù Cristo, riceviamo la fonte di ogni sorta di benedizioni spirituali, che si spandono nelle anime nostre. Infatti, M. F., chi riceve Gesù Cristo, sente rianimarsi in sé la fede; tutti noi ci sentiamo più penetrati delle verità della nostra santa Religione; sentiamo meglio la gravità del peccato e i suoi pericoli; il pensiero del giudizio ci colpisce di più, siamo più sensibili alla perdita di Dio. Ricevendo Gesù Cristo il nostro spirito si fortifica; ci sentiamo più fermi nel combattere; le nostre intenzioni in tutto ciò che facciamo sono sempre più pure; il nostro amore s’infiamma sempre più. Il pensiero che possediamo Gesù nei nostri cuori, il piacere che proviamo in quel momento felice sembra unirci e legarci talmente a Dio che il nostro cuore non può pensare, non può desiderare che Dio solo. Ci riempie tanto il pensiero del possesso perfetto di Dio che la vita ci par troppo lunga, e invidiamo non quelli che vivono molti anni, ma quelli che partono presto per andare a riunirsi a Dio per sempre. Tutto ciò che ci annuncia la distruzione del nostro corpo ci allieta. Ecco, M. F., il primo effetto che la santa Comunione produce in noi, quando siamo tanto avventurati da ricevere Gesù Cristo degnamente.

3° In terzo luogo, la santa Comunione indebolisce la nostra tendenza al male, ciò che pure è facilissimo a comprendersi. Il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo che scorre nelle nostre vene, e il suo Corpo adorabile, che si compenetra col nostro, non può fare a meno di distruggervi o almeno diminuirvi la tendenza al male, che il peccato di Adamo vi ha fatto nascere. Tanto vero ciò, che, appena ricevuto Cristo, si prova un gusto nuovo per le cose del cielo e un nuovo disprezzo per le cose create. Ditemi, F. M., come volete che l’orgoglio possa entrare in un cuore, dove è appena disceso un Dio che, scendendo in quell’anima, s’è umiliato fino all’annientamento? Potrebbe egli acconsentire di credersi qualche cosa? Al contrario potrà egli trovar abbastanza di che umiliarsi e disprezzarsi? Un cuore che ha appena ricevuto in sé un Dio sì puro, che è la santità stessa, non sentirà nascere in sé l’orrore più profondo per il minimo peccato di impurità? Non sarebbe anzi egli disposto a lasciarsi tagliare a pezzi piuttosto che acconsentire, non dico a una cattiva azione, ma anche solo a un cattivo pensiero? Un cuore che ha appena ricevuto nella santa Comunione Colui che, padrone di tutto, ha passato la sua vita nella più stretta povertà, tanto che aveva solo una manata di paglia su cui posare il capo, e morì ignudo su di una croce; dite, come potrà questo cuore attaccarsi ai beni del mondo, vedendo la condotta di Gesù? Una lingua che ha appena appena goduto la felicità di toccare il suo Creatore e il suo Salvatore, come mai oserebbe darsi a parole sconce, a baci impuri? No, senza dubbio, non l’oserà mai. Quegli occhi che, poco fa desideravano sì vivamente contemplare il loro Creatore, più puro dei raggi del sole, come potrebbero, dopo tale felicità, fissarsi sopra oggetti impuri? Pare impossibile. Un cuore che ha appena servito di trono a Gesù Cristo, come potrebbe cacciarnelo, per mettere al suo posto il peccato, o piuttosto il demonio stesso? Ancora: un cuore che ha gustato una volta i casti abbracci del suo Salvatore, come potrebbe trovare altra felicità che in Lui? Un Cristiano che ha appena ricevuto Gesù Cristo, morto per i suoi nemici, come potrebbe voler male a chi gli avesse fatto qualche torto? No, senza dubbio; il suo piacere sarà di fargli del bene, quanto potrà. Così S. Bernardo diceva ai suoi religiosi: « Figli miei, se vi sentite meno portati al male e più al bene, ringraziatene Gesù Cristo che vi accorda questa grazia nella santa Comunione. »

4° In quarto luogo, la santa Comunione è per noi « il pegno della vita eterna » (Futuræ gloriæ nobis pignus datur. Off. Ss. Sacramenti) di guisa che la santa Comunione ci assicura il cielo. È un’arra che il cielo ci offre per dirci che un giorno esso sarà la nostra dimora; e, di più, Gesù Cristo risusciterà i nostri corpi tanto più gloriosi quanto più spesso l’avremo degnamente ricevuto. Oh, M. F.! se potessimo comprender bene quanto brama Gesù di venire nelle anime nostre!… Una volta entratovi, non vorrebbe uscirne più, non più separarsi da noi né in vita né dopo morte. Leggiamo nella vita di S. Teresa che essendo apparsa dopo morte ad una religiosa, in compagnia di nostro Signore, questa, meravigliata di vederla assieme a Gesù Cristo, domandò al Salvatore perché le apparisse così. E Gesù stesso le rispose che Teresa gli era stata sì unita in vita per mezzo della santa Comunione, ch’Egli non poteva più staccarsene. No, M. F., non c’è cosa che possa tanto abbellire i nostri corpi per il cielo, quanto la santa Comunione. Oh, F. M.! qual gioia dovranno godere quelli che si saranno comunicati spesso e degnamente durante la vita!… Il Corpo adorabile di Gesù Cristo e il suo Sangue prezioso, sparsi in tutto il nostro essere, saranno simili ad uno splendido diamante, che pure nascosto da un velo, risalta assai bene. Se avete qualche dubbio, ascoltate S. Cirillo d’Alessandria dirci che colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione gli rimane così unito ch’essi diventano come due pezzi di cera fusa, i quali finiscono per non formarne che uno solo e si mescolano e si confondono talmente che non si possono più separare. Oh! F. M., quale felicità per un Cristiano che arriva a comprendere questo grande mistero !… S. Caterina da Siena esclamava nei suoi trasporti d’amore: « Oh, mio Dio! oh, mio Salvatore! quale eccesso di carità e di bontà! darvi con tanta premura alle vostre creature!… E , dando voi stesso, date tutto ciò che avete, tutto ciò che siete. Tenero Salvator mio, gli diceva ella, irrorate, ve ne scongiuro, la mia povera anima col vostro Sangue prezioso, nutrite il mio col vostro Corpo adorabile, affinché il mio corpo e l’anima mia non aspirino che a piacere unicamente a voi e a possedervi. „ S. Maddalena de’ Pazzi ci dice che basterebbe una sola Comunione fatta con tenerezza d’amore e con cuor puro, per sublimarci alla più alta perfezione. La beata Vittoria diceva a quelli che vedeva languire nel cammino del cielo: « Perché, figliuoli miei, vi trascinate così sulle vie della salvezza? Perché avete sì poco coraggio per lavorare, affine di meritare la gran felicità di andare ad assidervi alla sacra Mensa e mangiarvi il pane degli Angeli che tanta forza apporta ai deboli ? Oh! se sapeste quanto questo pane celeste addolcisce le miserie della vita! Oh! se aveste gustato anche solo una volta quanto Gesù è buono e benefico con chi lo riceve nella santa Comunione!… Andate, figli miei, mangiate questo pane dei forti, e ne ritornerete pieni di gioia e di coraggio, né più desidererete che il dolore, i tormenti e la lotta per piacere a Gesù Cristo. „ S. Caterina da Genova era così affamata di questo pane celeste, che non poteva vederlo nelle mani di un Sacerdote, senza sentirsi morir d’amore, tanto era il suo desiderio di possederlo. « Ah, Signore! esclamava, venite a me! mio Dio, venite a me! io non posso più resistere! O mio Dio, venite, di grazia, in fondo al mio cuore: mio Dio, non ne posso più! Voi siete tutta la mia gioia, tutta la mia felicità, tutte il nutrimento dell’anima mia! » Oh, M. F.! se noi potessimo comprendere una minima parte di questa felicità, non potremmo più desiderar la vita se non per assicurarci questa felicità; fare cioè di Gesù il nostro pane d’ogni giorno. F. M., tutte le cose create non sarebbero più nulla, noi le disprezzeremmo assolutamente per attaccarci a Dio solo, e tutti i nostri passi, tutte le nostre azioni non tenderebbero ad altro che a renderci sempre più degni di riceverlo.

II. — Tuttavia, M. F., se noi possiamo ricevere tanti beni nella santa Comunione, occorre anche che, da parte nostra ci adoperiamo di rendercene degni. E lo vedremo ben chiaro. — Se domando a un fanciullo quali sono le disposizioni necessarie per comunicarsi bene, vale a dire per ricevere degnamente il Corpo adorabile e il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, affine di ricevere tutte le grazie accordate a tutti i ben disposti, egli mi risponde: « Ci sono due sorta di disposizioni, le une che riguardano il corpo, le altre che riguardano l’anima. „ Siccome Gesù Cristo viene e nel nostro corpo e nella nostra anima, così dobbiamo rendere l’uno e l’altra degni di tale felicità.

1° La prima disposizione che riguarda il corpo, consiste nell’esser digiuni dalla mezzanotte; non aver cioè mangiato né bevuto assolutamente nulla, nulla aver messo in bocca, neppure… Se dubitaste che fosse già passata la mezzanotte, dovreste rimettere la Comunione a un altro giorno. Ci sono di quelli che si comunicano anche nel dubbio che fosse già passata la mezzanotte. Facendo così si espongono a un gran peccato, o almeno a non ritrarre alcun frutto dalla loro Comunione, ciò che è un gran male, massime se quel giorno fosse ultimo del tempo pasquale, o di un giubileo, o di qualche gran festa; insomma non bisogna farlo mai, sotto qualunque pretesto. – Certe donne gustano il cibo dei loro bambini, se lo mettono alla bocca e credono di non inghiottir niente. Non fidatevi: perché è troppo difficile poterlo fare senza che nulla abbia a discendere per la gola.

2° Occorre un abito pulito, non dico ricco, ma che almeno non sia sucido, né  stracciato: vale a dire, pulito e rassettato; a meno che non se n’avessero proprio altri. Vi sono di quelli che non hanno di che cambiarsi, o che non lo fanno per pigrizia. Per quelli che non ne hanno, niente di male; ma gli altri fanno male, perché è un mancar di rispetto a Gesù Cristo che brama tanto venire nel loro cuore. Bisogna essersi pettinati, aver lavato il viso e le mani; non mai venire alla sacra Mensa senza scarpe, buone o rotte che siano. Non già però che si debbano approvare certe signorine che non fanno differenza tra l’andare alla sacra Mensa e il portarsi al ballo o ad un festino; davvero io non so come possano andare con tanta pompa di vanità a ricevere un Dio umiliato e annientato. Quale contraddizione, mio Dio, quale contraddizione!…

3° La terza disposizione è la purità del corpo. Questo Sacramento è chiamato « il pane degli Angeli » per mostrarci che, per riceverlo degnamente, bisogna accostarsi alla purità degli Angeli quanto più è possibile. S. Giovanni Crisostomo ci dice che quelli che hanno avuto la sventura di lasciar correre il loro cuore dietro un oggetto impuro, devono guardarsi bene dall’accostarsi a ricevere il pane degli Angeli, perché il Signore li castigherebbe. Ai primordi della Chiesa, uno che avesse peccato contro la bella virtù della purezza era condannato a non comunicarsi per tre anni continui; e, se vi ricadeva, per sette anni; ciò che è facile a comprendersi perché questo peccato macchia l’anima e il corpo. S. Giovanni Crisostomo ci dice ancora che la bocca che riceve Gesù Cristo e il corpo che lo accoglie devono esser più puri che i raggi del sole. Occorre che tutto il nostro esterno dica a quelli che ci vedono che noi ci prepariamo a qualcosa di grande. Che se, per comunicarci, sono già tanto necessarie le disposizioni del corpo, lascio pensare a voi, o F. M., quante più dovranno esserlo quelle dell’anima per meritare le grazie che Gesù ci porta venendo in noi per mezzo della santa Comunione. Sì, F. M., quando ci portiamo alla sacra Mensa, se vogliamo ricevere Gesù con disposizioni buone, bisogna che la coscienza non ci rimorda di nulla; dobbiamo poter esser convinti d’aver fatto tutto il necessario per esaminarci bene, affine di conoscere i nostri peccati; occorre che la coscienza non ci rimproveri di nulla sull’accusa fatta dei nostri peccati; è necessario essere nella risoluzione di fare, colla grazia di Dio, tutto ciò che dipenderà da noi per non ricadervi, e avere un desiderio sincero di compiere il meglio possibile la penitenza assegnataci. Per penetrarci bene della grandezza dell’azione che stiamo per compiere, dobbiamo da principio guardare la sacra Mensa come il tribunale di Gesù Cristo, al quale saremo giudicati. Se abbiamo avuto la sventura di non accusarci bene dei nostri peccati, d’averne taciuto o svisato qualcuno, persuadiamoci bene che non è Gesù Cristo che andiamo a ricevere, ma il demonio. Oh! F. M., quale orrore mettere Gesù Cristo sotto i piedi del demonio!… Leggiamo nel Vangelo che Gesù istituì l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, in una stanza ben pulita e arredata per mostrarci con quanta cura dobbiamo abbellire l’anima nostra con ogni sorta di virtù per ricevere Gesù Cristo nella santa Comunione. E, di più, prima di porgere il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, Gesù si levò da mensa e andò a lavare i piedi de’ suoi apostoli (S. Giov. XIII, 4), per farci comprendere quanto dobbiamo essere esenti da qualunque peccato, anche più leggiero, vale a dire, non avere alcun affetto neppure al peccato veniale. Rinunciare perfettamente a noi stessi in tutto ciò che è contro coscienza; non avere alcuna difficoltà di parlare a quelli che ci hanno offesi, o di incontrarli; portarli anzi in cuore… Diciamo anche meglio, F. M., quando andiamo a ricevere il Corpo di Gesù Cristo nella santa Comunione, dobbiamo sentirci in istato di poter morire e comparire con confidenza dinanzi al tribunale di Cristo. S. Agostino ci dice: « Se volete comunicarvi in modo da piacere a Gesù Cristo, dovete essere assolutamente staccati da tutto ciò che possa tanto o poco dispiacere a Dio. » E S. Giovanni Crisostomo: « Quando cadete in qualche peccato mortale, dovete confessarvene subito; ma poi dovete stare qualche tempo prima di accostarvi alla santa Mensa, per aver tempo di far penitenza. Deplorate, continua egli, la sventura di quelli che, dopo essersi confessati di gravi peccati mortali, domandano subito la santa Comunione, credendo che la sola confessione basti. No; bisogna anche piangere i nostri peccati e farne penitenza, prima di ricevere Gesù Cristo nei nostri cuori. » S. Paolo dice a tutti « di purificar bene l’anima nostra da qualunque macchia prima di ricevere il pane degli Angeli, il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo » (I Cor. XI, 28), perché se l’anima non fosse tutta pura, attireremmo sopra di noi ogni sorta di sventure per questo mondo e per l’altro. » –  E S. Bernardo: « Per comunicarci degnamente dobbiamo fare come il serpente, quando vuol bere a suo agio. Perché l’acqua gli giovi, sprizza fuori il veleno. Noi dobbiamo fare lo stesso: quando vogliamo ricevere Gesù Cristo, dobbiamo gettar via il nostro veleno, che è il peccato, veleno dell’anima nostra e di Gesù Cristo; ma, ci dice questo gran santo, dobbiam gettarlo via per davvero. Figli miei – continua egli – deh! non avvelenate Gesù Cristo nel vostro cuore. » Sì, F. M., quelli che vanno alla sacra Mensa senza aver prima purificato il loro cuore, devono temere assai d’incontrare lo stesso castigo di quel servo che osò mettersi a tavola senza la veste nuziale. Il padrone comandò a’ suoi ministri di prenderlo, di legarlo mani e piedi e gettarlo fuori nelle tenebre. Allo stesso modo, M. F., all’ora della morte Gesù Cristo dirà a quelli che avranno avuto la disgrazia di riceverlo senza essersi convertiti: « Perché avete avuto l’audacia di ricevermi nei vostri cuori, macchiati di tanti peccati? » No, F. M., non dimentichiamo mai che per comunicarci bene, dobbiamo essere convertiti davvero e veramente risoluti di perseverare. Abbiamo visto che quando Gesù volle dare il suo Corpo adorabile e il Sangue suo prezioso agli Apostoli per mostrar loro quanto occorresse esser puri per riceverlo, arrivò persino a lavar loro i piedi. Con ciò volle mostrarci che non potremmo mai esser troppo mondi dai nostri peccati, anche veniali. È vero che il peccato veniale non rende le nostre Comunioni indegne, ma è causa per cui tanta felicità non ci giovi quasi a nulla. La prova è evidente. Vedete quante Comunioni nella nostra vita! Ebbene: siamo noi per questo divenuti migliori? — No, senza dubbio; e la vera causa di ciò è il conservar quasi sempre le nostre cattive abitudini e il non correggerci mai, una volta meglio dell’altra. Noi abbiamo orrore per quei grandi peccati che danno la morte all’anima; ma per tutto quelle piccole impazienze, per quelle mormorazioni quando ci tocca qualche disgrazia o qualche dispiacere, per quei sotterfugi nel parlare,… via, ciò non costa molto. Vedete però che, malgrado tante confessioni e tante Comunioni, voi siete sempre quelli di prima; e che le vostre confessioni, già da molt’anni, non sono che la solita ripetizione degli stessi peccati, i quali, sebbene veniali, non per questo v’impediscono meno di perder quasi tutto il merito delle vostre Comunioni. Vi si sente dire, ed è vero, che voi non valete oggi più di ieri; ma chi v’impedisce di correggervi dei vostri difetti?… Se siete sempre gli stessi è appunto perché non volete mai fare il minimo sforzo per correggervi: non volete soffrire nulla, in nulla essere contraddetti; vorreste che tutti vi amassero e avessero di voi buona opinione, cosa troppo difficile. Procuriamo, M. F., di lavorare per distruggere tutto ciò che può in qualunque modo dispiacere a Gesù Cristo; e vedremo come le nostre Comunioni ci faranno camminare a gran passi verso il cielo; e più ci comunicheremo, più ci sentiremo staccati dal peccato e portati a Dio. – Dice S. Tommaso, che la purità di Gesù Cristo è sì grande che il minimo peccato veniale gli impedisce di unirsi con quella intimità che vorrebbe. Per ben ricevere Gesù Cristo bisogna avere nello spirito e nel cuore una gran purità d’intenzione. Ci sono di quelli che pensano al mondo, alla stima o al disprezzo ch’esso avrà di loro: ciò non importa niente. Altri vanno in quei dati giorni per abitudine. Ecco, F. M., delle povere Comunioni, poiché mancano di purità d’intenzione. M. F., ciò che deve spingerci alla sacra Mensa è:

1° perché Gesù Cristo ce lo comanda sotto pena di non conseguire la vita eterna;

2° perché ne abbiamo un gran bisogno per fortificarci contro il demonio;

3° per staccarci dalla terra e attaccarci a Dio. Miei cari, pei aver la grande felicità di ricevere Gesù Cristo, felicità sì grande che tutti gli angeli c’invidiano… (essi possono solo amarlo e adorarlo come noi, ma non come noi riceverlo, ciò che sembra elevarci al disopra degli angeli stessi)… lascio ora pensare a voi con quale purità, con quale amore dobbiamo presentarci a Gesù Cristo per riceverlo. Dobbiamo inoltre comunicarci per ricevere le grazie di cui abbiamo bisogno. Se abbiamo bisogno di umiltà, di pazienza di purezza, ebbene, F. M., tutto ciò troveremo nella santa Comunione, e con ciò tutte le grazie necessarie ad un Cristiano.

4° Dobbiamo andare alla sacra Mensa per unirci a Gesù Cristo, affinché Egli ci trasformi in se stesso, ciò che succede a tutti quelli che Lo ricevono santamente. Se ci comunichiamo spesso e degnamente, i nostri pensieri, i nostri affetti, tutte le nostre azioni, tutti i nostri passi hanno lo stesso fine di quelli di Gesù Cristo quand’era sulla terra. Allora amiamo Dio, ci commoviamo a tutte le miserie spirituali e temporali del prossimo e non pensiamo affatto ad attaccarci alla terra; il nostro cuore, il nostro spirito non pensano, non aspirano che al cielo. – Si, F. M., per fare una buona Comunione, bisogna avere una fede viva in questo grande mistero. Siccome questo Sacramento è un “mistero di fede, „ bisogna credere davvero che Gesù Cristo è realmente presente nella Ss. Eucaristia, ch’Egli vi è vivo e glorioso come in cielo. Altre volte, prima di porgere la santa Comunione, il Sacerdote, tenendo tra le dita la Ss. Eucaristia, diceva ad alta voce: « Credete, che il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo è veramente in questo Sacramento? » Allora tutti i fedeli rispondevano: « Sì, lo crediamo » . (S. Ambrogio, De Sacramenti, lib. IV, cap. 5). Oh! quale felicità per un Cristiano venir a prostrarsi alla Mensa dei vergini, a ricevere il Pane dei forti!… No, F. M., non c’è nulla che possa renderci sì terribili al demonio quanto la santa Comunione. – Più ancora: essa ci conserva non solo la purità dello spirito, ma altresì quella del corpo. Vedete S. Teresa. Era divenuta sì cara a Dio per la Comunione che faceva sì spesso e sì degnamente, che un giorno Gesù Cristo le apparve e le disse che ella gli piaceva tanto che quand’anche non ci fosse stato il cielo, ne avrebbe creato uno apposta per lei. Vediamo nella sua vita che una domenica di Pasqua, dopo la santa Comunione, ella fu sì rapita in Dio che, ritornata in sé, si sentì la bocca tutta ripiena del Sangue adorabile di Gesù Cristo, che pareva uscir dalle sue vene; ciò che le comunicò tanta dolcezza, che ella credette morirne di amore. « Io vidi – ella racconta – il mio divin Salvatore, il quale mi disse: Figlia mia, voglio che questo Sangue che ti è causa di tanto amore serva a salvarti: non temere giammai che la mia misericordia ti venga meno. Quando ho versato questo Sangue prezioso, non ho provato che dolori e amarezze; ma tu ricevendolo non ne avrai che dolcezza e amore. » Spesso quand’ella si comunicava, gli Angeli scendevano in folla dal cielo e parevano porre le loro delizie nell’unirsi a lei per lodare il Salvatore, ch’ella aveva la felicità, di portare in cuore. Spesse volte la santa fu vista presa dagli Angeli alla sacra Mensa e portata su di un’alta tribuna. Oh, F. M.! se noi avessimo anche una volta sola compreso la grandezza di questa felicità, davvero non ci sarebbe bisogno d’esser sollecitati per venirla a godere. S. Gertrude domandava un giorno a Gesù Cristo che cosa bisognasse fare per riceverlo il più degnamente possibile. Gesù le rispose che bisognava desiderare l’amor di tutti i santi insieme, e che quest’unico suo desiderio sarebbe stato appagato. Volete sapere, F. M., come dovete comportarvi quando volete gustare la felicità di ricevere Gesù Cristo? Fate come quel buon Cristiano che si comunicava ogni otto giorni; egli ne impiegava tre in ringraziamento e tre in preparazione. Ebbene, che cosa vi impedisce di fare anche voi tutte le vostre azioni per questo scopo? Trattenetevi con Gesù Cristo che regna nel vostro cuore; pensate che verrà sull’altare e di là scenderà nel vostro cuore per visitare l’anima vostra e arricchirla d’ogni sorta di beni e di felicità. Invochiamo la santa Vergine, gli Angeli, i Santi affinché preghino il buon Dio che possiamo riceverlo più degnamente che ci sarà possibile. Quel giorno veniamo più per tempo alla S. Messa e ascoltiamola anche meglio delle altre volte. Il nostro spirito e il nostro cuore devono essere continuamente ai piedi del tabernacolo, continuamente sospirare il felice momento; i nostri pensieri non devono più essere di questo mondo, ma tutti celesti; e dobbiamo esser così inabissati nel pensiero di Dio, da sembrar morti al mondo. Dobbiamo avere con noi il nostro libro di pietà, il nostro rosario e dire le nostre orazioni col maggior fervore possibile per rianimare in noi la fede, la speranza e un grande amore per Gesù che, del nostro cuore, farà, fra qualche istante, il suo tabernacolo, o, per dir più esatto, un piccolo cielo. Quale felicità, mio Dio, quale onore per misere creature come siamo noi! Gli dobbiamo inoltre un gran rispetto, noi esseri così miserabili!… Ma tuttavia speriamo ch’Egli avrà egualmente pietà di noi. Dopo i vostri atti di preparazione, dovete offrire la vostra Comunione per voi o per altri; poi alzatevi e andate alla sacra Mensa con grande modestia, la quale mostri che andate a compiere qualcosa di grande; prostratevi in ginocchio e sforzatevi di rianimare in voi la fede che vi faccia sentire tutta la grandezza della vostra felicità. Il vostro spirito e il vostro cuore siano tutti di Dio. Non girate attorno la testa, tenete gli occhi bassi, le mani giunte e recitate il Confiteor. Se dovete aspettare, eccitatevi a un grande amore a Gesù e pregatelo umilmente che si degni venire nel vostro povero e miserabile cuore. Dopo che avrete avuto la grande felicità di comunicarvi, levatevi con modestia, tornate al vostro posto, mettetevi in ginocchio e non prendete subito un libro o il rosario; ma intrattenetevi un momento con Gesù Cristo, che avete la felicità di possedere nel vostro cuore, nei quale, per un quarto d’ora, vive in Corpo ed Anima, come durante la vita mortale. Oh, felicità infinita!… chi mai potrà comprenderla bene? Ahimè! quasi nessuno la comprende.’… Dopo che avrete domandato al buon Dio tutte le grazie che desiderate per voi e per gli altri, riprendete il vostro libro e continuate. Finiti i vostri atti dopo la Comunione, invitate la santa Vergine, tutti gli Angeli, tutti i Santi a ringraziare il buon Dio per voi. Guardatevi bene dallo sputare, almeno per una buona mezz’ora; né uscite subito dopo la S. Messa, ma fermatevi un poco per domandare a Dio la grazia di confermarvi bene nei vostri propositi. Usciti di chiesa, non fermatevi a chiacchierare, ma, pensando alla felicità che avete di possedere in voi Gesù Cristo, tornatevene a casa. Se vi avanza qualche momento libero nelle vostre occupazioni, adoperatelo in qualche buona lettura o fate una visita al Ss. Sacramento per ringraziare il buon Dio della grazia che vi ha fatto il mattino, e occupatevi delle cose del mondo il meno possibile. Vegliate in modo su tutti i vostri pensieri, parole e azioni, da conservare la grazia di Dio per tutta la vostra vita. – Che cosa concludere da tutto questo?… Nient’altro, M. F., se non che tutta la nostra felicità deve consistere nel vivere in modo da esser degni di ricevere spesso Gesù Cristo, poiché è appunto per questo mezzo che noi possiamo sperare quel cielo, ch’io auguro a tutti di cuore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XVI: 5; XVI: 6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa rispleyndere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni del tuo popolo; e, affinché di nessuno siano inutili i voti e vane le preghiere, concedi che quanto fiduciosamente domandiamo realmente lo conseguiamo.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino.

[Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore].

Postcommunio

Orémus.

Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio.

[Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concédici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA0

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA COMUNIONE

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA COMUNIONE

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa.

Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. – C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Panis quem ego dabo, caro mea est prò mundi vita.

(JOAN. VI, 52).

Chi di noi, Fratelli miei, avrebbe mai potuto supporre che Gesù Cristo potesse spingere il suo amore verso le creature fino a dar loro il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, perché fosse nutrimento delle anime nostre, se non l’avesse detto Lui stesso? Ecché, F. M., un’anima nutrirsi del suo Salvatore?… e tante volte quanto desidera? O abisso di bontà e d’amore di un Dio per le sue creature!… S. Paolo ci dice che il Salvatore, vestendo la nostra carne, ha nascosto la sua divinità e portata l’umiliazione fino all’annientamento. Ma, istituendo l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, ha velato anche la sua stessa umanità, non lasciando apparire che le viscere della sua misericordia. Oh! vedete, M. F., di che cosa è capace l’amore di un Dio per le sue creature!… No, F. M., di tutti i Sacramenti non ce n’è uno che possa esser paragonato a quello dell’Eucaristia. In quello del Battesimo riceviamo, è vero, il carattere di figli di Dio, e, per conseguenza, prendiamo parte al suo regno eterno; in quello della Penitenza, le piaghe dell’anima nostra sono guarite e ci è restituita l’amicizia del nostro Dio; ma nell’adorabile sacramento dell’Eucaristia riceviamo non solo l’applicazione del suo Sangue prezioso, ma anche l’Autore stesso di ogni grazia. S. Giovanni ci dice che Gesù Cristo, « avendo amato gli uomini fino alla fine » (S. Giov. XIII, 1) trovò il mezzo di salire al cielo senza abbandonare la terra: Prese del pane tra le sue sante e adorabili mani, lo benedisse e lo cangiò nel suo Corpo; prese del vino e lo cangiò nel suo Sangue prezioso e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di compiere lo stesso miracolo tutte le volte che avrebbero pronunciato le stesse parole: affine di poter con questo miracolo d’amore, restare con noi, esserci di nutrimento, consolarci e tenerci compagnia. « Chi mangia la mia Carne – ci dice Egli – e beve il mio Sangue vivrà in eterno; chi non mangia la mia Carne né beve il mio Sangue non avrà la vita in sé » (Ibid. VI, 54, 55). Oh, M. F.! quale felicità per un Cristiano aspirare al grande onore di nutrirsi del pane degli angeli!… Ma, ahimè! quanto pochi la comprendono!… Ah! M. F., se conoscessimo bene tutta la felicità che abbiamo nel ricevere Gesù Cristo, non ci studieremmo continuamente di meritarla? Per darvi un’idea della grandezza di questa felicità, vi mostrerò:

1° quanto è grande la fortuna di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione;

2° i frutti che dobbiamo ritrarne.

I. — Voi tutti sapete, F. M., che la prima disposizione per ricevere degnamente questo grande Sacramento è l’esame accurato della propria coscienza, dopo aver implorato i lumi dello Spirito Santo; la confessione sincera dei propri peccati, con tutte le circostanze che possono renderli più gravi o mutarne la specie, accusandoli tali e quali ce li farà conoscere Dio al momento del giudizio; — un dolore profondo d’averli commessi e la disposizione a sacrificare tutto ciò che abbiamo di più caro piuttosto che commetterli di nuovo; — e in fine un gran desiderio di unirci a Gesù Cristo. Vedete la premura dei Magi di cercar Gesù Cristo nel presepio; vedete la santa Vergine, vedete la Maddalena come s’interessa di cercare il Salvatore risorto! Non intendo, F. M., assumermi di mostrarvi tutta la grandezza di questo Sacramento: ciò non è dato all’uomo; bisognerebbe esser Dio stesso per poter esporvi la grandezza di queste meraviglie: perché ciò che ci riempirà di stupore per tutta l’eternità, sarà l’aver ricevuto, noi, miseri quali siamo, un Dio sì grande. – Tuttavia, per darvene un’idea, vi mostrerò che Gesù non è mai passato in alcun luogo, durante la sua vita mortale, senza spandervi le sue benedizioni più abbondanti e, per conseguenza, quanto devono esser grandi e preziosi i beni che ricevono coloro che hanno la bella sorte di accoglierlo in sé per mezzo della santa Comunione; anzi, per dir meglio, vi mostrerò che tutta la nostra felicità in questo mondo consiste nel ricevere Gesù Cristo in questo augusto Sacramento; ciò ch’è molto facile a comprendersi; poiché la santa Comunione giova non solo all’anima nostra col nutrirla, ma anche al nostro corpo, come vedremo. Leggiamo nel santo Evangelo, che Gesù Cristo entrando nella casa di S. Elisabetta, benché ancora chiuso nel seno materno, madre e figlio furono ripieni di Spirito Santo. San Giovanni fu anche purificato dalla macchia d’origine, e la madre esclamò: « Ah! donde mai mi viene tanta felicità che la madre del mio Dio si degni di venire a me? » (S. Luc. I, 43). Pensate, M. F., quanto più grande debba essere la felicità di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione, poiché lo riceve non già in casa sua, come S. Elisabetta, ma nel suo proprio cuore; padrone di custodirvelo, non tre mesi, come Elisabetta, ma per tutta la vita. — Quando il vecchio Simeone, che da tanti anni sospirava ardentemente la felicità di vedere Gesù Cristo, poté riceverlo almeno tra le sue mani, fu così trasportato e rapito di gioia, che, non sapendosi trattenere, esclamò in un impeto d’amore: « O Signore, e che posso io desiderare ancora sulla terra, dacché i miei occhi hanno visto il Salvatore del mondo? Io ora posso morire in pace! » (S. Luc. II, 29). Ma, ancora una volta, qual differenza, F. M., tra il riceverlo sulle proprie braccia, contemplarlo qualche istante, e riceverlo nel proprio cuore!… Quando Zaccheo, sentito parlare di Gesù Cristo, desiderò ardentemente di vederlo, essendo impedito dalla gran folla che accorreva da ogni parte, s’arrampicò su di un albero; ma il Signore, vedendolo, gli disse: « Zaccheo, vien giù subito, perché oggi voglio alloggiare in casa tua. ». Ed egli s’affretta a discendere e corre a preparare tutto ciò che può per ricevere il Salvatore. Gesù, entrando nella sua casa dice: « Oggi questa casa riceve la salvezza. » E Zaccheo, vedendo la grande carità di Gesù Cristo nel venire ad albergare in casa sua, « Signore, esclama, io darò la metà dei miei beni ai poveri, e renderò il doppio a tutti quelli che ho in qualunque modo danneggiati » (S. Luc. XIX) Di maniera chè, M. F., la sola visita di Gesù Cristo, fece d’un gran peccatore un gran santo, poiché egli ebbe la felicità di perseverare fino alla morte. — Leggiamo nell’Evangelo che, quando Gesù Cristo entrò nella casa di S. Pietro, questi lo pregò di guarirgli la suocera, travagliata da febbre violenta. Gesù Cristo comandò alla febbre di lasciarla e all’istante ella fu guarita; tanto che poté servirli a tavola (S. Luc. IV, 38-39). Vedete anche l’emorroissa. Diceva tra sé: « S’io potessi, se avessi la fortuna di toccargli anche solo l’orlo della veste, sarei guarita; » e infatti, quando il Salvatore passò, ella si gettò a’ suoi piedi, toccò e fu guarita perfettamente (S. Matth. IX, 20). E perché il Signore andò a risuscitare Lazzaro, morto da quattro giorni?… Non è forse perché l’aveva ricevuto spesso in casa sua, che Gesù gli mostrò così vivo attaccamento da versar lagrime presso la sua tomba? (S. Giov. XI). Gli uni gli chiedevano la vita, gli altri la guarigione del corpo; e nessuno mai si ritirò senza aver ottenuto ciò che domandava. Pensate voi s’Egli vorrà negare ora ciò che gli si domanda. Quali torrenti di grazie non deve accordare, quando è Lui stesso che viene nei nostri cuori, desideroso di fissarvi la sua dimora per tutto il resto dei nostri giorni! Oh! M. F., quale felicità per chi riceve, con le dovute disposizioni, Gesù Cristo nella santa Comunione!… Ah! chi potrà mai comprendere la fortuna del Cristiano che riceve Gesù Cristo nel suo cuore, il quale per ciò stesso diventa un piccolo cielo; da solo, Egli è tanto ricco quanto tutto il cielo insieme. Ma, mi direte, perché dunque la maggior parte dei Cristiani è così insensibile a questa felicità, tantoché molti anzi la disprezzano e si beffano di quelli che sono sì lieti di ricevere Gesù Cristo? — Ahimè, mio Dio! Quale sventura è mai paragonabile a questa? È perché questi poveri infelici non hanno mai conosciuto né gustato la grandezza di questa felicità. Infatti, F. M., un uomo, una creatura, nutrirsi, saziarsi del suo Dio, farne il suo cibo Quotidiano! … O miracolo dei miracoli ! o amor degli amori!… o felicità delle felicità, ignota agli Angeli stessi!… 0 mio Dio! qual gioia per un Cristiano che ha fede sapere che, levandosi dalla sacra Mensa, se ne va col cielo nel cuore!… Oh! felice la casa in cui abitano questi Cristiani!… qual rispetto non si deve aver per loro in quel giorno! Avere nella propria casa un secondo tabernacolo, in cui ha risieduto realmente il buon Dio in Corpo ed in Anima!… Ma, forse mi direte ancora, se questa felicità è sì grande, perché la Chiesa oi comanda di comunicarci una volta all’anno? — Questo comando, M. F., non è per i Cristiani buoni, ma per i tiepidi e indifferenti per la povera anima loro. Nei primi tempi della Chiesa, il più gran castigo che si poteva infliggere ai Cristiani era di privarli di questa felicità. Ogni volta che essi assistevano alla santa Messa, avevano anche la bella sorte di comunicarsi. Mio Dio! come è mai possibile che i Cristiani possano stare tre, quattro, cinque e anche sei mesi senza dare questo nutrimento celeste alla povera anima loro? Essi la lasciano morir di miseria!… Mio Dio! Quale sventura! quale accecamento!… mentre hanno tanti rimedi per guarirla, e un nutrimento sì efficace per conservarle la salute! Ah! F. M., diciamolo con le lagrime agli occhi, non si risparmia nulla per il corpo che dopo tutto dovrà, tosto o tardi, essere distrutto e corroso dai vermi; e 1’anima, creata ad immagine di Dio, l’anima immortale, la si disprezza, la si tratta con la peggiore delle crudeltà!… La Chiesa vedendo come i Cristiani perdevano di vista la salute delle loro povere anime, sperando che il timor del peccato avrebbe fatto loro aprire gli occhi, li obbligò a comunicarsi tre volte all’anno: a Natale, a Pasqua e a Pentecoste. Ma più tardi vedendoli diventare sempre più insensibili alla loro sventura, finì per non obbligarli che una volta sola all’anno. Mio Dio! quale sciagura e quale accecamento per un Cristiano, esser costretto da leggi a cercare la sua felicità! Di maniera che, quand’anche, M. F., non aveste altri peccati sulla coscienza che quello di non far la vostra Pasqua, voi sareste perduti. Ma ditemi, qual vantaggio potete mai trovare nel lasciare la povera anima vostra in uno stato sì lacrimevole?… Voi siete tranquilli e contenti, se pur si deve credere a ciò che dite; ma ditemi: dove potete trovare la vostra tranquillità e il vostro contento? È forse perché l’anima vostra non attende che il momento in cui la morte la colpirà per piombarla nell’inferno? Forse perché il demonio è vostro padrone? Mio Dio! quale accecamento e quale sventura per chi ha perduto la fede! Perché ancora, F . M., la Chiesa ha stabilito l’uso del pane benedetto che si distribuisce durante la S. Messa, e che, per la benedizione della Chiesa, vien distinto dalle cose ordinarie? Se non lo sapete, ve lo dirò io. È per consolare i peccatori, e, allo stesso tempo, coprirli di confusione. Per consolarli, perché, almeno, il prendere questo pane benedetto li mette in qualche modo a parte della felicità di quelli che ricevono Gesù Cristo, ai quali si uniscono con gran desiderio di riceverlo e con una fede viva. Ma anche per coprirli di confusione: infatti, quale confusione, se la loro fede non è ancora spenta, veder un padre, una madre, un fratello, una sorella, un vicino, una vicina, accostarsi alla sacra Mensa, nutrirsi del Corpo adorabile di Gesù Cristo; mentre essi sono esclusi. Quale sventura, mio Dio! e tanto più grande quanto meno compresa!… Sì, M. F., tutti i santi Padri ci dicono che, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, noi riceviamo ogni sorta di benedizioni per il tempo e per l’eternità. Infatti, s’io domando a un fanciullo: « Dobbiamo desiderare di comunicarci? — Sì, mi risponde. — E perché? — Per gli effetti eccellenti che la santa Comunione produce in noi. — Quali sono questi effetti? La santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo, indebolisce la nostra inclinazione al male, aumenta in noi la vita della grazia, è per noi il principio e « il pegno della vita eterna. »

1° In primo luogo, la santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo. Unione sì intima, questa, F. M., che Gesù Cristo stesso ci dice: « Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me e Io in lui: la mia Carne è veramente cibo, il mio Sangue è veramente bevanda » (S. Giov. VI, 56-57) di maniera che, per la S. Comunione il Sangue adorabile di Gesù Cristo scorre veramente nelle nostre vene; la sua Carne è veramente commista alla nostra; ciò che faceva dire a S, Paolo: « Non sono io che opero, che penso, ma è Cristo che opera e pensa in me. Non io vivo, ma vive Cristo in me » (Gal. II, 20) S. Leone ci dice che quando abbiamo la grande ventura di comunicarci, noi chiudiamo davvero in noi stessi il Corpo adorabile e il prezioso Sangue di Cristo. F. M., comprendete voi bene tutta la grandezza di questa felicità? Ah! no, no; comprenderla bene non lo potremo che in cielo. Mio Dio! una creatura arricchita di tanto dono!…

2° In secondo luogo, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, vi riceviamo un aumento di grazie, ciò che è facile a comprendersi. Poiché, ricevendo Gesù Cristo, riceviamo la fonte di ogni sorta di benedizioni spirituali, che si spandono nelle anime nostre. Infatti, M. F., chi riceve Gesù Cristo, sente rianimarsi in sé la fede; tutti noi ci sentiamo più penetrati delle verità della nostra santa Religione; sentiamo meglio la gravità del peccato e i suoi pericoli; il pensiero del giudizio ci colpisce di più, siamo più sensibili alla perdita di Dio. Ricevendo Gesù Cristo il nostro spirito si fortifica; ci sentiamo più fermi nel combattere; le nostre intenzioni in tutto ciò che facciamo sono sempre più pure; il nostro amore s’infiamma sempre più. Il pensiero che possediamo Gesù nei nostri cuori, il piacere che proviamo in quel momento felice sembra unirci e legarci talmente a Dio che il nostro cuore non può pensare, non può desiderare che Dio solo. Ci riempie tanto il pensiero del possesso perfetto di Dio che la vita ci par troppo lunga, e invidiamo non quelli che vivono molti anni, ma quelli che partono presto per andare a riunirsi a Dio per sempre. Tutto ciò che ci annuncia la distruzione del nostro corpo ci allieta. Ecco, M. F., il primo effetto che la santa Comunione produce in noi, quando siamo tanto avventurati da ricevere Gesù Cristo degnamente.

3° In terzo luogo, la santa Comunione indebolisce la nostra tendenza al male, ciò che pure è facilissimo a comprendersi. Il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo che scorre nelle nostre vene, e il suo Corpo adorabile, che si compenetra col nostro, non può a meno di distruggervi o almeno diminuirvi la tendenza al male, che il peccato di Adamo vi ha fatto nascere. Tanto vero ciò, che, appena ricevuto Cristo, si prova un gusto nuovo per le cose del cielo e un nuovo disprezzo per le cose create. Ditemi, F. M., come volete che l’orgoglio possa entrare in un cuore, dove è appena disceso un Dio che, scendendo in quell’anima, s’è umiliato fino all’annientamento? Potrebbe egli acconsentire di credersi qualche cosa? Al contrario potrà egli trovar abbastanza di che umiliarsi e disprezzarsi? Un cuore che ha appena ricevuto in sé un Dio sì puro, che è la santità stessa, non sentirà nascere in sé l’orrore più profondo per il minimo peccato di impurità? Non sarebbe anzi egli disposto a lasciarsi tagliare a pezzi piuttosto che acconsentire, non dico a una cattiva azione, ma anche solo a un cattivo pensiero? Un cuore che ha appena ricevuto nella santa Comunione Colui che, padrone di tutto, ha passato la sua vita nella più stretta povertà, tanto che aveva solo una manata di paglia su cui posare il capo, e morì ignudo su di una croce; dite, come potrà questo cuore attaccarsi ai beni del mondo, vedendo la condotta di Gesù? Una lingua che ha appena appena goduto la felicità di toccare il suo Creatore e il suo Salvatore, come mai oserebbe darsi a parole sconce, a baci impuri? No, senza dubbio, non l’oserà mai. Quegli occhi che, poco fa desideravano sì vivamente contemplare il loro Creatore, più puro dei raggi del sole, come potrebbero, dopo tale felicità, fissarsi sopra oggetti impuri? Pare impossibile. Un cuore che ha appena servito di trono a Gesù Cristo, come potrebbe cacciarnelo, per mettere al suo posto il peccato, o piuttosto il demonio stesso? Ancora: un cuore che ha gustato una volta i casti abbracci del suo Salvatore, come potrebbe trovare altra felicità che in Lui? Un Cristiano che ha appena ricevuto Gesù Cristo, morto per i suoi nemici, come potrebbe voler male a chi gli avesse fatto qualche torto? No, senza dubbio; il suo piacere sarà di fargli del bene, quanto potrà. Così S. Bernardo diceva ai suoi religiosi: « Figli miei, se vi sentite meno portati al male e più al bene, ringraziatene Gesù Cristo che vi accorda questa grazia nella santa Comunione. »

4° In quarto luogo, la santa Comunione è per noi « il pegno della vita eterna » (Futuræ gloriæ nobis pignus datur. Off. Ss. Sacramenti) di guisa che la santa Comunione ci assicura il cielo. E un’arra che il cielo ci offre per dirci che un giorno esso sarà la nostra dimora; e, di più, Gesù Cristo risusciterà i nostri corpi tanto più gloriosi quanto più spesso l’avremo degnamente ricevuto. Oh, M. F.! se potessimo comprender bene quanto brama Gesù di venire nelle anime nostre!… Una volta entratovi, non vorrebbe uscirne più, non più separarsi da noi né in vita né dopo morte. Leggiamo nella vita di S. Teresa che essendo apparsa dopo morte ad una religiosa, in compagnia di nostro Signore, questa, meravigliata di vederla assieme a Gesù Cristo, domandò al Salvatore perché le apparisse così. E Gesù stesso le rispose che Teresa gli era stata sì unita in vita per mezzo della santa Comunione, ch’Egli non poteva più staccarsene. No, M. F., non c’è cosa che possa tanto abbellire i nostri corpi per il cielo, quanto la santa Comunione. Oh, F. M.! qual gioia dovranno godere quelli che si saranno comunicati spesso e degnamente durante la vita!… Il Corpo adorabile di Gesù Cristo e il suo Sangue prezioso, sparsi in tutto il nostro essere, saranno simili ad uno splendido diamante, che pure nascosto da un velo, risalta assai bene. Se avete qualche dubbio, ascoltate S. Cirillo d’Alessandria dirci che colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione gli rimane così unito ch’essi diventano come due pezzi di cera fusa, i quali finiscono per non formarne che uno solo e si mescolano e si confondono talmente che non si possono più separare. Oh! F. M., quale felicità per un Cristiano che arriva a comprendere questo grande mistero !… S. Caterina da Siena esclamava nei suoi trasporti d’amore: « Oh, mio Dio! oh, mio Salvatore! quale eccesso di carità e di bontà! darvi con tanta premura alle vostre creature!… E, dando Voi stesso, date tutto ciò che avete, tutto ciò che siete. Tenero Salvator mio, gli diceva ella, irrorate, ve ne scongiuro, la mia povera anima col vostro Sangue prezioso, nutrite il mio col vostro Corpo adorabile, affinché il mio corpo e l’anima mia non aspirino che a piacere unicamente a voi e a possedervi. „ S. Maddalena de’ Pazzi ci dice che basterebbe una sola Comunione fatta con tenerezza d’amore e con cuor puro, per sublimarci alla più alta perfezione. La beata Vittoria diceva a quelli che vedeva languire nel cammino del cielo: « Perché, figliuoli miei, vi trascinate così sulle vie della salvezza? Perché avete sì poco coraggio per lavorare, affine di meritare la gran felicità di andare ad assidervi alla sacra Mensa e mangiarvi il pane degli Angeli che tanta forza apporta ai deboli ? Oh! se sapeste quanto questo pane celeste addolcisce le miserie della vita! Oh! se aveste gustato anche solo una volta quanto Gesù è buono e benefico con chi lo riceve nella santa Comunione!… Andate, figli miei, mangiate questo pane dei forti, e ne ritornerete pieni di gioia e di coraggio, né più desidererete che il dolore, i tormenti e la lotta per piacere a Gesù Cristo. „ S. Caterina da Genova era così affamata di questo pane celeste, che non poteva vederlo nelle mani di un Sacerdote, senza sentirsi morir d’amore, tanto era il suo desiderio di possederlo. « Ah, Signore! esclamava, venite a me! mio Dio, venite a me! io non posso più resistere! O mio Dio, venite, di grazia, in fondo al mio cuore: mio Dio, non ne posso più! Voi siete tutta la mia gioia, tutta la mia felicità, tutte il nutrimento dell’anima mia! » Oh, M. F.! se noi potessimo comprendere una minima parte di questa felicità, non potremmo più desiderar la vita se non per assicurarci questa felicità; fare cioè di Gesù il nostro pane d’ogni giorno. F. M., tutte le cose create non sarebbero più nulla, noi le disprezzeremmo assolutamente per attaccarci a Dio solo, e tutti i nostri passi, tutte le nostre azioni non tenderebbero ad altro che a renderci sempre più degni di riceverlo.

II. — Tuttavia, M. F., se noi possiamo ricevere tanti beni nella santa Comunione, occorre anche che, da parte nostra ci adoperiamo di rendercene degni. E lo vedremo ben chiaro. — Se domando a un fanciullo quali sono le disposizioni necessarie per comunicarsi bene, vale a dire per ricevere degnamente il Corpo adorabile e il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, affine di ricevere tutte le grazie accordate a tutti i ben disposti, egli mi risponde: « Ci sono due sorta di disposizioni, le une che riguardano il corpo, le altre che riguardano l’anima. „ Siccome Gesù Cristo viene e nel nostro corpo e nella nostra anima, così dobbiamo rendere l’uno e l’altra degni di tale felicità.

1° La prima disposizione che riguarda il corpo, consiste nell’esser digiuni dalla mezzanotte; non aver cioè mangiato né bevuto assolutamente nulla, nulla aver messo in bocca, neppure… Se dubitaste che fosse già passata la mezzanotte, dovreste rimettere la Comunione a un altro giorno. Ci sono di quelli che si comunicano anche nel dubbio che fosse già passata la mezzanotte. Facendo così si espongono a un gran peccato, o almeno a non ritrarre alcun frutto dalla loro Comunione, ciò che è un gran male, massime se quel giorno fosse ultimo del tempo pasquale, o di un giubileo, o di qualche gran festa; insomma non bisogna farlo mai, sotto qualunque pretesto. – Certe donne gustano il cibo dei loro bambini, se lo mettono alla bocca e credono di non inghiottir niente. Non fidatevi: perché è troppo difficile poterlo fare senza che nulla abbia a discendere per la gola.

2° Occorre un abito pulito, non dico ricco, ma che almeno non sia sucido, né  stracciato: vale a dire, pulito e rassettato; a meno che non se n’avessero proprio altri. Vi sono di quelli che non hanno di che cambiarsi, o che non lo fanno per pigrizia. Per quelli che non ne hanno, niente di male; ma gli altri fanno male, perché è un mancar di rispetto a Gesù Cristo che brama tanto venire nel loro cuore. Bisogna essersi pettinati, aver lavato il viso e le mani; non mai venire alla sacra Mensa senza scarpe, buone o rotte che siano. Non già però che si debbano approvare certe signorine che non fanno differenza tra l’andare alla sacra Mensa e il portarsi al ballo o ad un festino; davvero io non so come possano andare con tanta pompa di vanità a ricevere un Dio umiliato e annientato. Quale contraddizione, mio Dio, quale contraddizione!…

3° La terza disposizione è la purità del corpo. Questo Sacramento è chiamato « il pane degli Angeli » per mostrarci che, per riceverlo degnamente, bisogna accostarsi alla purità degli Angeli quanto più è possibile. S. Giovanni Crisostomo ci dice che quelli che hanno avuto la sventura di lasciar correre il loro cuore dietro un oggetto impuro, devono guardarsi bene dall’accostarsi a ricevere il pane degli Angeli, perché il Signore li castigherebbe. Ai primordi della Chiesa, uno che avesse peccato contro la bella virtù della purezza era condannato a non comunicarsi per tre anni continui; e, se vi ricadeva, per sette anni; ciò che è facile a comprendersi perché questo peccato macchia l’anima e il corpo. S. Giovanni Crisostomo ci dice ancora che la bocca che riceve Gesù Cristo e il corpo che lo accoglie devono esser più puri che i raggi del sole. Occorre che tutto il nostro esterno dica a quelli che ci vedono che noi ci prepariamo a qualcosa di grande. Che se, per comunicarci, sono già tanto necessarie le disposizioni del corpo, lascio pensare a voi, o F. M., quante più dovranno esserlo quelle dell’anima per meritare le grazie che Gesù ci porta venendo in noi per mezzo della santa Comunione. Sì, F. M., quando ci portiamo alla sacra Mensa, se vogliamo ricevere Gesù con disposizioni buone, bisogna che la coscienza non ci rimorda di nulla; dobbiamo poter esser convinti d’aver fatto tutto il necessario per esaminarci bene, affine di conoscere i nostri peccati; occorre che la coscienza non ci rimproveri di nulla sull’accusa fatta dei nostri peccati; è necessario essere nella risoluzione di fare, colla grazia di Dio, tutto ciò che dipenderà da noi per non ricadervi, e avere un desiderio sincero di compiere il meglio possibile la penitenza assegnataci. Per penetrarci bene della grandezza dell’azione che stiamo per compiere, dobbiamo da principio guardare la sacra Mensa come il tribunale di Gesù Cristo, al quale saremo giudicati. Se abbiamo avuto la sventura di non accusarci bene dei nostri peccati, d’averne taciuto o svisato qualcuno, persuadiamoci bene che non è Gesù Cristo che andiamo a ricevere, ma il demonio. Oh! F. M., quale orrore mettere Gesù Cristo sotto i piedi del demonio!… Leggiamo nel Vangelo che Gesù istituì l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, in una stanza ben pulita e arredata per mostrarci con quanta cura dobbiamo abbellire l’anima nostra con ogni sorta di virtù per ricevere Gesù Cristo nella santa Comunione. E, di più, prima di porgere il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, Gesù si levò da mensa e andò a lavare i piedi de’ suoi apostoli (S. Giov. XIII, 4), per farci comprendere quanto dobbiamo essere esenti da qualunque peccato, anche più leggiero, vale a dire, non avere alcun affetto neppure al peccato veniale. Rinunciare perfettamente a noi stessi in tutto ciò che è contro coscienza; non avere alcuna difficoltà di parlare a quelli che ci hanno offesi, o di incontrarli; portarli anzi in cuore… Diciamo anche meglio, F. M., quando andiamo a ricevere il Corpo di Gesù Cristo nella santa Comunione, dobbiamo sentirci in istato di poter morire e comparire con confidenza dinanzi al tribunale di Cristo. S. Agostino ci dice: « Se volete comunicarvi in modo da piacere a Gesù Cristo, dovete essere assolutamente staccati da tutto ciò che possa tanto o poco dispiacere a Dio. » E S. Giovanni Crisostomo: « Quando cadete in qualche peccato mortale, dovete confessarvene subito; ma poi dovete stare qualche tempo prima di accostarvi alla santa Mensa, per aver tempo di far penitenza. Deplorate, continua egli, la sventura di quelli che, dopo essersi confessati di gravi peccati mortali, domandano subito la santa Comunione, credendo che la sola confessione basti. No; bisogna anche piangere i nostri peccati e farne penitenza, prima di ricevere Gesù Cristo nei nostri cuori. » S. Paolo dice a tutti « di purificar bene l’anima nostra da qualunque macchia prima di ricevere il pane degli Angeli, il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo » (I Cor. XI, 28), perché se l’anima non fosse tutta pura, attireremmo sopra di noi ogni sorta di sventure per questo mondo e per l’altro. » –  E S. Bernardo: « Per comunicarci degnamente dobbiamo fare come il serpente, quando vuol bere a suo agio. Perché l’acqua gli giovi, sprizza fuori il veleno. Noi dobbiamo fare lo stesso: quando vogliamo ricevere Gesù Cristo, dobbiamo gettar via il nostro veleno, che è il peccato, veleno dell’anima nostra e di Gesù Cristo; ma, ci dice questo gran santo, dobbiam gettarlo via per davvero. Figli miei – continua egli – deh! non avvelenate Gesù Cristo nel vostro cuore. » Sì, F. M., quelli che vanno alla sacra Mensa senza aver prima purificato il loro cuore, devono temere assai d’incontrare lo stesso castigo di quel servo che osò mettersi a tavola senza la veste nuziale. Il padrone comandò a’ suoi ministri di prenderlo, di legarlo mani e piedi e gettarlo fuori nelle tenebre Allo stesso modo, M. F., all’ora della morte Gesù Cristo dirà a quelli che avranno avuto la disgrazia di riceverlo senza essersi convertiti: « Perché avete avuto l’audacia di ricevermi nei vostri cuori, macchiati di tanti peccati? » No, F. M., non dimentichiamo mai che per comunicarci bene, dobbiamo essere convertiti davvero e veramente risoluti di perseverare. Abbiamo visto che quando Gesù volle dare il suo Corpo adorabile e il Sangue suo prezioso agli Apostoli per mostrar loro quanto occorresse esser puri per riceverlo, arrivò persino a lavar loro i piedi. Con ciò volle mostrarci che non potremmo mai esser troppo mondi dai nostri peccati, anche veniali. E vero che il peccato veniale non rende le nostre Comunioni indegne, ma è causa per cui tanta felicità non ci giovi quasi a nulla. La prova è evidente. Vedete quante Comunioni nella nostra vita! Ebbene: siamo noi per questo divenuti migliori? — No, senza dubbio; e la vera causa di ciò è il conservar quasi sempre le nostre cattive abitudini e il non correggerci mai, una volta meglio dell’altra. Noi abbiamo orrore per quei grandi peccati che danno la morte all’anima; ma per tutto quelle piccole impazienze, per quelle mormorazioni quando ci tocca qualche disgrazia o qualche dispiacere, per quei sotterfugi nel parlare,… via, ciò non costa molto. Vedete però che, malgrado tante confessioni e tante Comunioni, voi siete sempre quelli di prima; e che le vostre confessioni, già da molt’anni, non sono che la solita ripetizione degli stessi peccati, i quali, sebbene veniali, non per questo v’impediscono meno di perder quasi tutto il merito delle vostre Comunioni. Vi si sente dire, ed è vero, che voi non valete oggi più di ieri; ma chi v’impedisce di correggervi dei vostri difetti?… Se siete sempre gli stessi è appunto perché non volete mai fare il minimo sforzo per correggervi: non volete soffrire nulla, in nulla essere contraddetti; vorreste che tutti vi amassero e avessero di voi buona opinione, cosa troppo difficile. Procuriamo, M. F., di lavorare per distruggere tutto ciò che può in qualunque modo dispiacere a Gesù Cristo; e vedremo come le nostre Comunioni ci faranno camminare a gran passi verso il cielo; e più ci comunicheremo, più ci sentiremo staccati dal peccato e portati a Dio. – Dice S. Tommaso, che la purità di Gesù Cristo è sì grande che il minimo peccato veniale gli impedisce di unirsi con quella intimità che vorrebbe. Per ben ricevere Gesù Cristo bisogna avere nello spirito e nel cuore una gran purità d’intenzione. Ci sono di quelli che pensano al mondo, alla stima o al disprezzo ch’esso avrà di loro: ciò non importa niente. Altri vanno in quei dati giorni per abitudine. Ecco, F. M., delle povere Comunioni, poiché mancano di purità d’intenzione. M. F., ciò che deve spingerci alla sacra Mensa è:

1° perché Gesù Cristo ce lo comanda sotto pena di non conseguire la vita eterna,

2° perché ne abbiamo un gran bisogno per fortificarci contro il demonio;

3° per staccarci dalla terra e attaccarci a Dio. Miei cari, pei aver la grande felicità di ricevere Gesù Cristo, felicità sì grande che tutti gli angeli c’invidiano… (essi possono solo amarlo e adorarlo come noi, ma non come noi riceverlo, ciò che sembra elevarci al disopra degli angeli stessi)… lascio ora pensare a voi con quale purità, con quale amore dobbiamo presentarci a Gesù Cristo per riceverlo. Dobbiamo inoltre comunicarci per ricevere le grazie di cui abbiamo bisogno. Se abbiamo bisogno di umiltà, di pazienza di purezza, ebbene, F . M., tutto ciò troveremo nella santa Comunione, e con ciò tutte le grazie necessarie ad un Cristiano.

4° Dobbiamo andare alla sacra Mensa per unirci a Gesù Cristo, affinché Egli ci trasformi in se stesso, ciò che succede a tutti quelli che Lo ricevono santamente. Se ci comunichiamo spesso e degnamente, i nostri pensieri, i nostri affetti, tutte le nostre azioni, tutti i nostri passi hanno lo stesso fine di quelli di Gesù Cristo quand’era sulla terra. Allora amiamo Dio, ci commoviamo a tutte le miserie spirituali e temporali del prossimo e non pensiamo affatto ad attaccarci alla terra; il nostro cuore, il nostro spirito non pensano, non aspirano che al cielo. – Si, F. M., per fare una buona Comunione, bisogna avere una fede viva in questo grande mistero. Siccome questo Sacramento è un “mistero di fede, „ bisogna credere davvero che Gesù Cristo è realmente presente nella Ss. Eucaristia, ch’Egli vi è vivo e glorioso come in cielo. Altre volte, prima di porgere la santa Comunione, il Sacerdote, tenendo tra le dita la Ss. Eucaristia, diceva ad alta voce: « Credete, che il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo è veramente in questo Sacramento? » Allora tutti i fedeli rispondevano: « Sì, lo crediamo » 1 . (S. Ambrogio, De Sacramenti, lib. IV, cap. 5). Oh! quale felicità per un Cristiano venir a prostrarsi alla Mensa dei vergini, a ricevere il Pane dei forti!… No, F. M., non c’è nulla che possa renderci sì terribili al demonio quanto la santa Comunione. – Più ancora: essa ci conserva non solo la purità dello spirito, ma altresì quella del corpo. Vedete S. Teresa. Era divenuta sì cara a Dio per la Comunione che faceva sì spesso e sì degnamente, che un giorno Gesù Cristo le apparve e le disse che ella gli piaceva tanto che quand’anche non ci fosse stato il cielo, ne avrebbe creato uno apposta per lei. Vediamo nella sua vita che una domenica di Pasqua, dopo la santa Comunione, ella fu sì rapita in Dio che, ritornata in sé, si sentì la bocca tutta ripiena del Sangue adorabile di Gesù Cristo, che pareva uscir dalle sue vene; ciò che le comunicò tanta dolcezza, che ella credette morirne di amore. « Io vidi – ella racconta – il mio divin Salvatore, il quale mi disse: Figlia mia, voglio che questo Sangue che ti è causa di tanto amore serva a salvarti: non temere giammai che la mia misericordia ti venga meno. Quando ho versato questo Sangue prezioso, non ho provato che dolori e amarezze; ma tu ricevendolo non ne avrai che dolcezza e amore. » Spesso quand’ella si comunicava, gli Angeli scendevano in folla dal cielo e parevano porre le loro delizie nell’unirsi a lei per lodare il Salvatore, ch’ella aveva la felicità, di portare in cuore. Spesse volte la santa fu vista presa dagli Angeli alla sacra Mensa e portata su di un’alta tribuna. Oh, F. M.! se noi avessimo anche una volta sola compreso la grandezza di questa felicità, davvero non ci sarebbe bisogno d’esser sollecitati per venirla a godere. S. Gertrude domandava un giorno a Gesù Cristo che cosa bisognasse fare per riceverlo il più degnamente possibile. Gesù le rispose che bisognava desiderare l’amor di tutti i santi insieme, e che quest’unico suo desiderio sarebbe stato appagato. Volete sapere, F. M., come dovete comportarvi quando volete gustare la felicità di ricevere Gesù Cristo? Fate come quel buon Cristiano che si comunicava ogni otto giorni; egli ne impiegava tre in ringraziamento e tre in preparazione. Ebbene, che cosa vi impedisce di fare anche voi tutte le vostre azioni per questo scopo? Trattenetevi con Gesù Cristo che regna nel vostro cuore; pensate che verrà sull’altare e di là scenderà nel vostro cuore per visitare l’anima vostra e arricchirla d’ogni sorta di beni e di felicità. Invochiamo la santa Vergine, gli Angeli, i Santi affinché preghino il buon Dio che possiamo riceverlo più degnamente che ci sarà possibile. Quel giorno veniamo più per tempo alla S. Messa e ascoltiamola anche meglio delle altre volte. Il nostro spirito e il nostro cuore devono essere continuamente ai piedi del tabernacolo, continuamente sospirare il felice momento; i nostri pensieri non devono più essere di questo mondo, ma tutti celesti; e dobbiamo esser così inabissati nel pensiero di Dio, da sembrar morti al mondo. Dobbiamo avere con noi il nostro libro di pietà, il nostro rosario e dire le nostre orazioni col maggior fervore possibile per rianimare in noi la fede, la speranza e un grande amore per Gesù che, del nostro cuore, farà, fra qualche istante, il suo tabernacolo, o, per dir più esatto, un piccolo cielo. Quale felicità, mio Dio, quale onore per misere creature come siamo noi! Gli dobbiamo inoltre un gran rispetto, noi esseri così miserabili!… Ma tuttavia speriamo ch’Egli avrà egualmente pietà di noi. Dopo i vostri atti di preparazione, dovete offrire la vostra Comunione per voi o per altri; poi alzatevi e andate alla sacra Mensa con grande modestia, la quale mostri che andate a compiere qualcosa di grande; prostratevi in ginocchio e sforzatevi di rianimare in voi la fede che vi faccia sentire tutta la grandezza della vostra felicità. Il vostro spirito e il vostro cuore siano tutti di Dio. Non girate attorno la testa, tenete gli occhi bassi, le mani giunte e recitate il Confiteor. Se dovete aspettare, eccitatevi a un grande amore a Gesù e pregatelo umilmente che si degni venire nel vostro povero e miserabile cuore. Dopo che avrete avuto la grande felicità di comunicarvi, levatevi con modestia, tornate al vostro posto, mettetevi in ginocchio e non prendete subito un libro o il rosario; ma intrattenetevi un momento con Gesù Cristo, che avete la felicità di possedere nel vostro cuore, nei quale, per un quarto d’ora, vive in Corpo ed Anima, come durante la vita mortale. Oh, felicità infinita!… chi mai potrà comprenderla bene? Ahimè! quasi nessuno la comprende.’… Dopo che avrete domandato al buon Dio tutte le grazie che desiderate per voi e per gli altri, riprendete il vostro libro e continuate. Finiti i vostri atti dopo la Comunione, invitate la santa Vergine, tutti gli Angeli, tutti i Santi a ringraziare il buon Dio per voi. Guardatevi bene dallo sputare, almeno per una buona mezz’ora; né uscite subito dopo la S. Messa, ma fermatevi un poco per domandare a Dio la grazia di confermarvi bene nei vostri propositi. Usciti di chiesa, non fermatevi a chiacchierare, ma, pensando alla felicità che avete di possedere in voi Gesù Cristo, tornatevene a casa. Se vi avanza qualche momento libero nelle vostre occupazioni, adoperatelo in qualche buona lettura o fate una visita al Ss. Sacramento per ringraziare il buon Dio della grazia che vi ha fatto il mattino, e occupatevi delle cose del mondo il meno possibile. Vegliate in modo su tutti i vostri pensieri, parole e azioni, da conservare la grazia di Dio per tutta la vostra vita. – Che cosa concludere da tutto questo?… Nient’altro, M. F., se non che tutta la nostra felicità deve consistere nel vivere in modo da esser degni di ricevere spesso Gesù Cristo, poiché è appunto per questo mezzo che noi possiamo sperare quel cielo, ch’io auguro a tutti di cuore.

2 LUGLIO: FESTA DELLA VISITAZIONE DELLA VERGINE A SANTA ELISABETTA (2021)

2 Luglio: FESTA DELLA VISITAZIONE DELLA VERGINE A SANTA ELISABETTA (2021)

Doppio di 2° classe – Paramenti bianchi

L’Angelo Gabriele aveva annunziato a Maria, che ben presto Dio avrebbe dato un figlio a Elisabetta. Subito la Vergine si portò presso la sua cugina: ecco il mistero della Visitazione che si celebra il giorno dopo l’Ottava della Natività di s. Giovanni Battista. Quest’oggi, come durante l’Avvento, la Chiesa accosta il ricordo del Precursore a quello di Gesù e Maria. Infatti, abbiamo notato allora, che il Venerdì della Tempora d’inverno ci ricordava questo stesso mistero della Visitazione. Questa solennità, istituita per tutto il mondo nel 1389 da Urbano VI, venne elevata al rito doppio di 2° classe da Pio IX.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Sedulius.
Salve, sancta Parens, eníxa puérpera Regem: qui cælum terrámque regit in sǽcula sæculórum.

[Salve, o Madre santa, tu hai partorito il Re gloriosamente; egli governa il cielo e la terra per i secoli in eterno.]Ps XLIV: 2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.

[Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema].Salve, sancta Parens, eníxa puérpera Regem: qui cælum terrámque regit in sǽcula sæculórum.

[Salve, o Madre santa, tu hai partorito il Re gloriosamente; egli governa il cielo e la terra per i secoli in eterno.]

Oratio

Orémus.

Fámulis tuis, quǽsumus, Dómine, cœléstis grátiæ munus impertíre: ut, quibus beátæ Vírginis partus éxstitit salútis exórdium; Visitatiónis ejus votíva sollémnitas, pacis tríbuat increméntum.

[Concedi, Signore, ai tuoi servi il dono della grazia celeste: e poiché il parto della beata Vergine fu per noi l’inizio della salvezza, la devota festa della sua visitazione accresca la nostra pace.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Cant II: 8-14
Ecce, iste venit sáliens in móntibus, transíliens colles; símilis est diléctus meus cápreæ hinnulóque cervórum. En, ipse stat post paríetem nostrum, respíciens per fenéstras, prospíciens per cancéllos. En, diléctus meus lóquitur mihi: Surge, própera, amíca mea, colúmba mea, formósa mea, et veni. Jam enim hiems tránsiit, imber ábiit et recéssit. Flores apparuérunt in terra nostra, tempus putatiónis advénit: vox túrturis audíta est in terra nostra: ficus prótulit grossos suos: víneæ floréntes dedérunt odórem suum. Surge, amíca mea, speciósa mea, et veni: colúmba mea in foramínibus petra, in cavérna macériæ, osténde mihi fáciem tuam, sonet vox tua in áuribus meis: vox enim tua dulcis et fácies tua decóra.

[Eccolo venire, saltellando pei monti, balzando pei colli, simile il mio diletto ad un capriolo, ad un cerbiatto. Eccolo, sta dietro alla nostra parete, fa capolino dalla finestra, adocchia dalle grate. Ecco il mio diletto mi parla: «Alzati, affrettati, diletta mia, colomba mia, bella mia, e vieni. Poiché, vedi, l’inverno è già passato, la pioggia è cessata, è andata; i fiori si mostrano per la campagna, il tempo della potatura è venuto; si ode per la nostra contrada il tubar della tortorella; il fico ha messo fuori i suoi frutti primaticci; le vigne in fiore mandano il loro profumo. Sorgi, diletta mia, bella mia, e vieni. Colomba mia, che stai nelle fessure delle rocce, nei nascondigli della balza, mostrami il tuo viso, fammi sentir la tua voce, poiché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro!]

Graduale

Benedícta et venerábilis es, Virgo María: quæ sine tactu pudóris invénta es Mater Salvatóris.

[Tu sei benedetta e venerabile, o Vergine Maria, che senza offesa del pudore sei diventata la Madre del Salvatore.]
Alleluia. alleluia.


V. Virgo, Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja, allelúja.

[V. O Vergine Madre di Dio, nel tuo seno, fattosi uomo, si rinchiuse Colui che l’universo non può contenere.]


V. Felix es, sacra Virgo María, et omni laude digníssima: quia ex te ortus est sol justítiæ, Christus, Deus noster. Allelúja.

[V. Te beata, o santa vergine Maria, e degnissima di ogni lode, perché da te nacque il sole di giustizia, il Cristo Dio nostro. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:39-47
In illo témpore: Exsúrgens María ábiit in montána cum festinatióne in civitátem Juda: et intrávit in domum Zacharíæ et salutávit Elísabeth. Et factum est, ut audivit salutatiónem Maríæ Elísabeth, exsultávit infans in útero ejus: et repléta est Spíritu Sancto Elísabeth, et exclamávit voce magna et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi, ut véniat Mater Dómini mei ad me? Ecce enim, ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo, salutári meo.

[Or in quei giorni Maria si mise in viaggio per recarsi frettolosamente alla montagna, in una città di Giudea, ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Ed avvenne che, appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel seno; ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo; ed esclamò ad alta voce: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. E donde a me la grazia che venga a visitarmi la madre del mio Signore? Ecco, infatti, appena il suono del tuo saluto mi è giunto all’orecchio, il bambino mi è balzato pel giubilo nel seno. E te beata che hai creduto, perché s’adempiranno le cose a te predette dal Signore». E Maria disse: «L’anima mia glorifica il Signore; ed il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore».

OMELIA

[B. BOSSUET: LA MADONNA – DISCORSI: V. Gatti ed. Brescia, MCMXXXIV]

Intravit in domum Zachariæ et salutavit Elisabeth.

È proprio nella solennità d’oggi che i Cristiani devono conoscere il Salvatore, Dio nascosto, la cui potenza opera in un modo secreto ed inscrutabile dentro le anime nostre. Quattro persone io vedo nel mistero che oggi celebriamo: Gesù e la santa sua Madre Maria, e sua madre Elisabetta: sono essi il soggetto del Vangelo di questo giorno. Ma, notate, tutte queste persone, eccetto il Figlio di Dio Gesù, compiono qualche azione particolare visibile…, Elisabetta, illuminata da una luce che le piove dall’alto conosce la dignità di Madre di Dio nella sua parente Maria, e s’umilia davanti a Lei: « Unde hoc mihi? » Giovanni sente la presenza del suo Maestro e Salvatore ed in un sussulto misterioso palesa la sua adorazione « exultavit infans ». La dolce Maria rapita dal fascino dei misteri che in Lei compì Colui che è potente, in un’estasi canta le glorie ed il nome di Dio… ne esalta la bontà e la magnificenza! « Magnificat anima mea Dominum! » Gesù solo tace, immobile, nel seno materno: neppur un piccolo movimento tradisce la sua reale presenza: Colui che è il centro del mistero appare inerte… Non ci deve recar meraviglia, o Cristiani, questo modo d’agire: vuol farci comprendere che Egli è il Motore invisibile per cui ogni cosa si muove, tutto guida senza che si scorga il gesto della sua mano. » Proprio per questo io oggi troverò molto facile il mostrarvi e persuadervi che è proprie la sua mano onnipotente, che nel mistero d’oggi si nasconde, ma è svelata dalle azioni e dalle parole degli altri personaggi della scena evangelica che però non avrebbero fatto il minimo gesto s’Egli non l’avesse mossi e guidati. Lo vedrete chiaramente, lo spero, nel discorso: ma dovendo in esso mostrarvi l’azione dello Spirito Santo in quelle tre persone, io, per il primo, abbisogno del suo aiuto per parlare… e bramo, voglio attrarre a me lo Spirito divino, per l’intercessione, la preghiera di Colei che ne fu piena e dalla quale si diffonde in Elisabetta, in Giovanni! la Vergine bella Maria, la Vergine Madre che io e voi saluteremo invocandola: Ave Maria!

***

Il mistero, forse più grande del Cristianesimo, è l’alleanza che il Figlio di Dio stringe con l’uomo e l’imperscrutabile suo procedere quando scende a visitar noi sue creature, E badate, buone sorelle, che non intendo affatto parlare dei modi di speciale comunicazione con anime privilegiate; lascio ai vostri direttori ed ai libri vostri particolari istruirvi su queste mistiche relazioni dell’anima con Dio: io qui voglio parlare delle visite, lasciatemele dir così, quotidiane con cui il Figlio di Dio s’avvicina ai suoi fedeli, o con le interne ispirazioni della grazia, o esteriormente, con la sua parola, con i sacramenti, in modo speciale con l’adorabile sacramento dell’Eucarestia. Bisogna che i Cristiani sappiano con quali sentimenti devon accogliere Gesù che viene ad essi… e mi pare che il Vangelo d’oggi lo insegni meravigliosamente. – Richiamiamo alla nostra mente una verità che servirà a farci comprendere meglio questo Vangelo: « Dio venendo all’uomo imprime al suo cuore un triplice movimento ». Subito che si avvicina, inspira una grande ed augusta idea della sua maestà; visione che coopera più all’anima la sua naturale bassezza, cosicché piena di timore e confusa pone in un atteggiamento di umiltà grande davanti a Lui, e si sente indegna dei suoi favori e delle sue grazie: ecco il primo sentimento. Non basta però, Cristiani, perché l’anima così tremante e confusa non oserebbe più avvicinarsi al suo Dio… anzi sentirebbe il bisogno di allontanarsene conoscendo la sua indegnità. – Ecco allora un secondo movimento al cuore fedele: e tale che lo costringe ad avvicinarsi con ardente confidenza, a correre al suo Dio con vivi desideri. – Nel terzo, il più perfetto, rendendosi l’anima disposta alla volontà dello Spirito, questi la riempie di ina pace e tranquillità grande, quella pace « Pax Christi in cordibus vestris », che ricolma delle gioie dei casti amplessi della divinità. – Le anime consacrate a Dio ben conoscono questo triplice modo di  avanzarsi di Dio nei cuori, manifestato dai tre sentimenti che abbiamo descritto: le prepara l’umiltà, perché si stimano indegne di Gesù Cristo; il desiderio ardente di Lui, le fa camminare avanti: nel tranquillo possesso dello Sposo celeste, vengono via via perfezionandosi. – L’evangelo d’oggi ci mostra chiaramente questi tre sentimenti disposti e distribuiti in un ordine mirabile non vediamo difatti Elisabetta che, dinanzi a Gesù che nel seno materno l’onora di una sua visita, subito riconosce e proclama la sua indegnità dicendo alla cugina: « Unde hoc mihi ut veniat mater Domini mei ad me? — Come mai tanto onore che la Madre del mio Signore venga a visitarmi? » Subito ardenti desideri scuotono il precursore e lo fanno sussultare nel seno materno, quasi tenti di spezzare i vincoli che gli impediscono di buttarsi ai piedi di Colui che un giorno proclamerà: Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Insofferente che una legge di natura lo tenga ancora prigioniero: « Exultavit infans in utero meo ». Esultò il fanciullo nel seno materno. Ascoltate: ecco la voce incantevole e soave della Vergine Maria che, piena del Cristo tutto suo, canta un inno di grazia e di lode: che immortalerà nei secoli l’ìonda viva dei sentimenti che traboccavano dalla sua anima: Maria canta il sublime: « Magnificat anima mea Dominum – L’anima mia canta il suo Dio ed il suo Salvatore » – Mi parer di non ingannarmi se penso che così lo avrò piegato il Vangelo della Festa e avrò mostrato davvero che il Cristo nascosto agisce e fa che un’anima s’umilii nel sentimento della sua indegnità: Elisabetta; un’altra lo cerchi in un trasporto di amore: Giovanni; un’altra ancora ne gusti la pace possedendolo: Maria la sua Madre Vergine.

È così diviso il mio discorso.

1° Punto

È bisogno, più che dovere, che la creatura si abbassi nell’umiltà quando il suo Creatore viene per visitarla: è il primo gesto d’onore a Lui che si avvicina: riconoscere la nostra miseria e proclamare la sua maestà! – Per questo dissi e ripeto, che la grazia entrando in in un’anima le ispira come primo sentimento un timore religioso che quasi la induce a ritirarsi conscia del suo nulla.  – Leggete in S. Luca: Pietro appena gli si svela un raggio della divinità del suo Maestro in un gesto della sua onnipotenza, subito gli si butta tremante ai piedi e lo scongiura: « Vai lontano da me, Signore, ché io sono uomo peccatore ». – E il pio centurione, al quale Gesù dice: « Verrò alla tua casa e guarirò il tuo servo », non grida, quasi supplicando: « Signore io non sono degno che tu entri nella mia casa? » E senza cercar altrove, ecco quello che ci dice il Vangelo che abbiamo letto… appena vista Maria, appena udita la sua voce la pia cugina Elisabetta non conosce subito la sublime dignità di questa Madre: e contemplando il Dio ch’Ella nasconde in seno, quasi esterrefatta non grida: « Come viene a me la Madre del mio Signore? » – Questa umiltà, questo umile rispetto di cui Elisabetta ci dà esempio dovrebbe, o fratelli e sorelle mie, esser radicato profondo nel nostro cuore: per ottenerlo, cerchiamo conoscere il pensiero di Elisabetta e studiare efficacemente i motivi che la inducono a tale umiltà. Mi pare che i due principali si trovino nelle sue stesse parole: vedremo di capirle bene. « Come mai, perché tanto onore, che venga da me la Madre del mio Signore? » Riflettendo su queste parole la prima cosa che noto è che in questa visita, di cui si tiene onorata, vi è qualcosa che Elisabetta capisce… ed altro che affatto non comprende. – « La Madre del suo Signore, va da Lei » ecco quello che conosce ed ammira: ma « perché viene a me? » ecco quello che non capisce non sa e le fa domandare: « Unde hoc mihi? » Ella ben vede la dignità di Maria… misura tutta la distanza tra questa Madre e lei che pur è madre per prodigio e profondamente si umilia. È la « benedetta fra le donne, la piena di grazia… è la Madre del suo Dio, e lo porta in seno ». Potrò io mai, par che dica, far atto di degno omaggio? Nella contemplazione di queste misteriose grandezze, un’altra osservazione le impone di accrescere il suo rispetto. È la Madre del suo Dio, che prima viene a lei per trovarla amichevolmente! Sente tutto l’onore di questa visita, ma il perché non lo conosce, non lo sa trovate… per quanto scruti tutto il suo essere per vedere come abbia meritato tanto onore. Perchè tanto onore… tanta incomprensibile bontà? che mai ho potuto fare per meritarlo? Quali servizi, favori me la procurarono? La povera Elisabetta è confusa: sente che nulla in lei poté meritarle tanto onore tanta bontà, e conoscendosi beatamente prevenuta da una misericordia completamente immeritata, trova il bisogno di crescere, vorrebbe fino all’infinito, il suo profondo rispetto… non sa far altro che presentarsi a Cristo Gesù che la viene a trovare, col cuore in mano, un cuore umiliato che fa salire al labbro viva, la confessione della sua impotenza. Ecco le due forze che inducono Elisabetta all’umiltà quando Gesù la visita: ella nulla ha che possa eguagliare la sua grandezza: poi non ha nulla, proprio nulla, che possa meritare la sua bontà. Motivi che devono efficacemente insegnarci a servire il nostro Dio con timore e tremore pur gioendo davanti a Lui. Dove trovare una miseria che eguagli la nostra? nulla siamo nulla possiamo per natura… e nulla, proprio nulla abbiamo acquistato, conquistato noi! Ma allora come avremo ardire di avvicinarci a Dio? Non meno allontanati per le nostre colpe dalla sua infinita bontà, di quanto lo siamo per la misera nostra condizione dalla sua dignità, che altro possiamo fare, quand’Egli degnasi posar su di noi il suo sguardo, che imitare Elisabetta ed esaltare la sua maestà proclamando il nostro nulla? Cantare le sue misericordie ed i suoi benefici, confessando che le nostre colpe ce ne fanno indegni? Ma perché non siano parole vuote le nostre, ma espressione dell’intimo sentimento del cuore, cerchiamo conoscere cosa esigerebbe la maestà divina. È vero: nessuna bocca per quanto eloquente potrebbe dirlo, anzi nessuna mente potrebbe nemmeno averne l’idea: tentiamo fare paragoni: Ciò che tra gli uomini impone il rispetto, è la dignità che innalzando un individuo su i suoi pari lo colloca in un ordine più elevato, singolare, unico. – Ecco ciò che induce gli uomini al rispetto, alla riverenza. – Ed allora, sapreste voi dirmi fratelli quale riverenza, rispetto dovremo noi all’Essere supremo? Egli è il solo, l’unico, è dovunque, e dovunque lo contempliamo: il solo l’unico Sapiente, il solo unico potente, il solo l’unico perfettissimo felice!… Re dei re; Signore dei signori, unico nella sua inaccessibile maestà, con una potenza che non sopporta confronto o limite! Tertulliano, tentando descrivere magnificamente la sua eccellenza, lo dice: Il grande Sovrano, che non tollerando alcun uguale, separò sé in una solitudine creatagli dalla sua unica perfezione, « Summum magnum, ex defectione æmuli solitudinem quondam de singularitate præstantiæ suæ possidens ». (Contro Marcione). – La parola è dura ed oscura: ma Tertulliano è l’uomo avvezzo alle forti espressioni, e pare abbia, vorrei dire, create parole nuove ed uniche per descrivere una grandezza senza esempio. E badate bene, dice: « Solitudine di specialissima grandezza » veramente augusta e che deve imporre il più profondo rispetto la massima riverenza, – Eppure questa solitudine misteriosa di Dio, mi suggerisce una bella idea. Non c’è grandezza che non abbia il suo lato debole: grande potenza poco coraggio: gran coraggio e poca testa… una grande intelligenza in un corpo di malferma salute che ne impedisce l’esplicazione e l’applicazione: chi mai può vantarsi di esser grande in tutto? noi ci inchiniamo altri si inchinano a noi… chi s’alza da un lato dall’altro si abbassa… ecco perché troviamo tra gli uomini una certa eguaglianza: nessuno è mai così grande che il — piccolo — non c’entri, da destra o da sinistra! Voi solo, o Dio, o Supremo Re, o Eterno, voi l’Unico perfetto in ogni cosa, voi dovunque grande dovunque inaccessibile! a Voi solo si può domandare chi mai vi è simile! — Quis ut Deus? — profondo nel consiglio terribile nel giudicare! Forte nel volere, magnifico e mirabile nelle opere! Voi siete grande e grande è la vostra maestà! Sventura alla testa che s’alza proterva contro di voi, sventura alle fronti altere che alte e spavalde s’alzano contro la vostra faccia! Voi sapete colpire e strappar fino dalle radici questi cedri; voi che toccate i monti e fumano e si inceneriscono! Beati, beati coloro che al vostro appressarsi temono e tremano di star ritti innanzi a Voi, e temendo la vostra gelosia gridano colle parole del libro santo: Che è mai l’uomo, perché ve ne ricordiate o Signore: ed i figli degli uomini che sono essi perché loro facciate l’onore di visitarli? Essi si nascondono: ma il vostro sguardo li riempie di luce… tentano indietreggiare pieni di riverenza e voi li andate a cercare… si buttano ai vostri piedi ed allora pieno di bontà lo Spirito Vostro scende su di essi apportatore di pace. Impariamo, fratelli in Dio Padre, come si debba ricevere la divina Maestà: ma perché la nostra umiltà sia più profonda… ricordiamo che la sua bontà ci previene sempre ed in tutto, e le sue grazie sono proprio grazie perché le fa piovere su di noi senza alcun merito nostro! Peccatori tornati a penitenza, figlioli prodighi ritornati alla casa paterna, pecorelle smarrite, cercate, ritrovate, condotte all’ovile, venite e cantate qui davanti all’altare le lodi della misericordia senza confini del nostro Padre Iddio, del nostro Pastore buono:… venite e siatene i testimoni voi, che dalle tenebre foste chiamati all’ammirabile sua luce. – Quanto pensava Egli a voi quando voi non pensavate a Lui e lo dimenticavate!… con quanta e quale ansia penosa non vi corse dietro accelerando il passo mentre voi moltiplicavate la lena nel fuggirgli! Non vi accolse buono, proprio in quel momento in cui più meritavate la sua collera? E coi peccatori, trofei di questo nostro Dio, venite voi anime fedeli, anime a Lui consacrate che non contente di camminare dietro a Lui nella via stretta, volete seguirne l’invito a perfezione… chi vi ispirò nausea e disprezzo del mondo, e vi fece sentire il fascino della solitudine e del suo amore? Egli vi scelse e chiamò: ed ogni giorno gli protestate voi stesse che lo fece per sua pura bontà! è vero ogni giorno accumulate meriti: sarebbe bugiardo chi osasse negarlo! ma queste vostre opere meritorie nascono dalla grazia che Egli vi dà: voi ne usate bene, ed Egli vi dona grazie nuove; è questo buon uso della grazia che vi santifica! Vedete nel nostro Vangelo… non è Elisabetta cha va da Maria; è la Vergine che va a trovare la cugina: è Gesù che previene Giovanni! Nuovo prodigio, sorelle e fratelli cari, Giovanni doveva essere il precursore che avrebbe camminato avanti a Lui preparandogli piane le vie: eppure Gesù previene Giovanni. Vorremmo domandarci chi mai non sarà prevenuto dalla grazia del Cristo, quando ne fu prevenuto lo stesso precursore? E noi, noi che siamo tutti dei  “prevenuti” vorremmo gloriarci di qualche cosa?..: del nostro incominciare? ma non fu la grazia che ci illuminò senza che noi l’avessimo meritata? del progresso nostro nelle vie del bene?… ma se non vi fosse stata la grazia che avremmo potuto fare? gratia e sempre grazia perché dono gratuito! Il fiume si dice fiume ed ha un nome suo, là dove nasce come durante tutto il suo corso benché le sue acque s’accrescano… la grazia è sempre grazia — fons aquæ salientis — benché man mano che porta l’anima al suo termine, la perfezione si accresca, dice S, Agostino: «Ipsa gratia meretur augeri, ut aucta mereatur perfici ». Se dunque per la grazia abbiamo la vita, se viviamo della grazia, se in essa e per essa ci moviamo ed operiamo, a che tardiamo per unire la nostra alla voce di Elisabetta, ed umilmente domandare con Lei; « Unde hoc mihi? — Come mai tanto onore, tanto favore per me? » Io non lo meritai, né lo potevo… unicamente e tutto devo alla vostra bontà, o Signore! È questa la prima parola con cui la grazia ci ammaestra: farci conoscere ch’essa è proprio — grazia — cioè — gratuita —. Confessiamoci indegni dei benefici di Dio: commosso Egli della nostra umile confessione ce ne farà degni… Confessiamoci debitori, e che nessun credito possiamo vantare… ed Egli, il nostro Dio, si dirà nostro debitore: perché il centurione si dichiarava indegno d’averlo in casa sua Gesù vi andò! Pietro lo pregava d’allontanarsi da lui, e Gesù gli si fece più vicino, lo fece capo e fondamento del suo Corpo mistico, suo Vicario, proprio l’alter ego. Paolo protesta che non merita d’esser detto Apostolo… Gesù lo dice e lo fa il vaso d’elezione. Il Battista dichiara che non è degno di compier verso di Lui neppur l’umile ufficio di legargli i calzari, Gesù ne fa il suo amico, e lo dirà il più grande tra i nati di donna:… la mano che si stimò indegna di accostarsi ai piedi del Salvatore si alzò fino alla sua testa versandovi l’acque battezzatrici! Tutto per provarvi che nulla più ci merita grazie e doni quanto il confessar di non meritarne, anzi d’esserne indegni. L’umiltà è l’appoggio della confidenza… l’anima preparata dall’umiltà s’abbandona poi tranquilla ad ardenti desideri… lo vediamo, miei cari, compiersi in Giovanni Battista.

2° Punto

L’anima fedele, umiliatasi davanti al Signore quasi allontanatasi, conscia della sua miseria, non rimane però paga: il sentimento della sua nullità, sveglia in lei un nuovo bisogno… si sente trasportata verso di Dio, ed il suo cuore dal fondo della sua umiltà e miseria anela alla unione col suo Signore! Ma, non è presunzione un simile desiderio? non è follia il solo pensarlo?… Noi potremmo dubitarne se considerassimo solo la grandezza di Dio, ma bisogna, cari miei, considerare anche la Bontà essenzialmente connessa alla sua natura come la Maestà! La sua Maestà allontana la creatura è vero, ma è anche vero che la bontà le tende la mano e l’invita a sé! – Maestà e Bontà divina superano la forza della nostra mente: io mi sentii incapace di parlarne, e non potendolo io, domandai aiuto al grande Tertulliano, per parlarvi della grande Maestà del nostro Dio: ora per dirvi qualcosa della sua bontà, mi appoggerò ad un altro genio: Gregorio di Nazianzo, dottore santo della Chiesa, che i Greci chiamarono addirittura — il teologo — tanto profondamente penetrò i misteri della natura divina. Questo genio invita gli uomini a Dio, loro mostrando la infinita bontà del Signore che gode effondersi in doni e grazie… e chiude la sua prova con queste parole: « Questo Dio brama esser desiderato: e lo vorreste credere?… nella sua infinita abbondanza è assetato ». (Oraz. 402). Ma quel sete cruccia quest’Essere supremo? Sitit sitiri — è assetato della sete degli uomini, vuole ch’essi siano assetati di lui! Infinito in se stesso, e nelle sue ricchezze, noi possiamo farlo nostro debitore — domandandogli che ci faccia suoi debitori — poiché Egli gode più in dare di quanto noi godiamo nel ricevere —. Sono parole del santo dottore. Non vi pare, o fratelli, che con queste parole ci si sveli ed apra una sorgente viva che nell’abbondanza delle sue acque, fresche e limpide, invita il passante accaldato a fermarsi e bere? La fonte che non ha bisogno si rendan limpide le sue acque e nemmeno si faccian fresche, s’accontenta della sua freschezza e limpidezza naturale e mi pare mi domandi che vi si lavino le brutture, vi si rinfreschino le membra e si dissetino gli accaldati, alle sue onde limpide e fresche. Anche la natura divina sempre ricca sempre abbondante non può, perché pienamente perfetta, né accrescere né diminuire: le manca una cosa sola, se possiamo parlar così, che si vengano ad attingere al suo seno le acque vive zampillanti alla vita eterna, di cui è sorgente inesauribile in se stesso. Ecco perché con ragione S. Gregorio Nazianzeno dice che la divinità ha sete che s’abbia sete di Lei e quasi si sente beneficata quando le si offre modo di beneficare! – Ed allora, fratelli, non è un offendere Dio il non sentire desiderio vivo di Lui? Per questo Giovanni Battista sussultò in seno della madre: il Maestro veniva a visitarlo ed egli voleva andargli incontro: ardente amore, ardenti desideri lo spingevano: pare tenti spezzare i vincoli con cui natura ancor lo tiene nascosto! Egli vuole la libertà, non può tollerar la prigione in cui è chiuso, perché essa lo toglie alla presenza del Maestro, e non può correre al suo Salvatore. – Noi, ad Elisabetta abbiamo domandato di impararci come ricevere il Signore, a Giovanni domandiamo ci insegni a desiderarlo ardentemente per preparargli le sue vie! Oh ci dia egli il suo ardente desiderio del Cristo! È proprio questa la sua missione: egli non doveva; con la sua parola e la sua opera, che far più ardentemente bramare il Salvatore quanto più si avvicinava agli uomini. L’altro Giovanni, il discepolo prediletto, parla così della missione del Battista: « Vi fu un uomo mandato da Dio, a nome Giovanni, e lui non era la luce, ma era nel mondo per rendere testimonianza alla luce », cioè a Gesù Cristo. – Non meravigliamo di questo modo di parlare dell’evangelista: Gesù Cristo è la luce e non lo si vede… Giovanni non è la luce e lo si vede; anzi è lui che addita e svela la luce stessa e noi lo sentiremo additare la luce agli uomini – ecco il Sole! Ma non è la luce che da sola si fa vedere? Non è per il suo splendore che noi cediamo tutte le cose? Sentite: il Vangelo dice che la luce era in mezzo agli uomini, e gli uomini non la vedevano… anzi, cosa più strana, S. Giovanni « non erat ille lux » e veniva mandato per mostrare la luce, lui che non era luce. Fatto misterioso, o Cristiani, però non si dia alla luce la colpa se non la si vede, ma ai nostri occhi malati o chiusi che non possono o non vogliono vederla! è la nostra cecità, è la tremola e debole nostra vista che non sa sostenere il bagliore del giorno! S. Agostino commenta: — Tam infirmi sumus per lucernam quærimus diem — siam tanto deboli che andiamo cercando la luce del sole con la lucerna in mano. S. Giovanni Battista era una lucerna — lucerna ardens et lucens — (rappresenta la nostra debolezza) ci occorreva una lucerna per cercar il giorno: ebbimo bisogno di Giovanni per cercar Cristo — per lucernam quærimus Christum . Eran troppo deboli i nostri occhi, la luce doveva esser fioca per non accecarci: dovevamo essere abituati, pian piano, alla luce del pieno meriggio: piccoli raggi ci avrebbero fatto desiderare il cielo luminoso… tanto dimenticato e così a lungo nella lunga notte dell’ignoranza! Ricordiamocelo bene, questo miserando stato di cecità della nostra natura, e sempre… ci farà comprendere meglio tante cose! – Avevamo perduto la luce noi… sol intellegentiæ non ortus est eis; e non solo avevamo perduto la luce, ma non ne sentivamo nemmeno più il desiderio: gli uomini, dice ancora S. Giovanni evangelista, amarono le tenebre più della luce: e l’amarono tanto il buio, l’ignoranza della verità, che era diventata una seconda loro natura, fino a temere la luce della verità… a farli fuggire davanti al suo sfolgorìo: il perché, lo dice la Sapienza: — qui male agit odit lucem — chi fa male odia luce! Ma perché l’uomo doveva preferire le tenebre alla luce?… Ce lo spiega S. Agostino facendoci osservare il parallelo che c’è tra l’intelligenza  e l’occhio materiale: tra la luce fisica e la luce spirituale. L’occhio è creato perché veda la luce: e tu anima ragionevole fosti creata per vedere la verità eterna, che illumina ogni uomo che viene nel mondo. La luce è come il cibo dell’occhio – luce pascuntur oculi nostri – e ce lo prova il fatto: se l’occhio nostro viene tenuto per troppo tempo nell’oscurità od in una semioscurità, la sua forza visiva si affievolisce e l’occhio si ammala – cum in tenebris fuerint, infirmantur oculi nostri (tratt. 13 in S. Giov.) come si il lungo digiuno della luce davvero privi del cibo – fraudati oculi, cibo suo, defatigantur ey debilitantur quasi quodam jejunio lucis. – Prolungandosi questo loro digiuno dalla malattia possono passare ad una debolezza da poter appena sopportare un debole raggio di luce,  che era cibo all’occhio diviene oggetto di odio e di avversione! Terribile e paurosa catastrofe! E chi non capisce o Cristiani, che una simile sventura cadde su di noi? Eravamo creati per nutrirci della verità: era di questa luce divina che doveva vivere la nostra anima ragionevole … privata di questo cibo celeste, non può che perder la forza e la vita: languida, estenuata a stento può tollerarla poi non la brama più; avanti ancora un po’ ed addirittura la luce della verità le darà noia, e l’odierà! Terribile verità sciaguratamente troppo reale e frequente! Si bramano, si cercano le tenebre … perché si van macchinando criminosi progetti! Le nebbie s’infittiscono attorno a la mente, la ragione vien adagio adagio offuscandosi, l’infelice che trovasi in questo stato non può più vedere… non ha più la luce dei suoi occhi e grida: — lumen oculorum meorum et ipsum non est mecum!… — Possibile, mi dite, voi spaventati, possibile che proprio più non veda? Possibile?… Ah, osservate, fratelli miei, osservate: In mezzo al buio che lo circonda un amico saggio gli si avvicina… e cerca se proprio non v’è ancor modo di fargli vedere attraverso qualche spiraglio la luce del giorno… ma egli ne toglie ostinatamente lo sguardo, non vuol vedere la luce… perché essa gli fa conoscere il suo sbaglio, il male che egli ama troppo e che non vuole lasciare, non ne ha il coraggio! « Oculos suos statuerunt declinare in terram — s’ostinarono a tener fisso l’occhio a terra ».. Vivono così i peccatori e così viveva infelice tutto il genere umano… la luce era svanita lasciando gli uomini cogli occhi malati, avvolti nel buio, dimentichi perfino della verità. O splendore eterno del divin Padre, o Gesù, ditemi che farete mai agli uomini perché vedano? Vi presenterete in tutto lo sfolgorio della vostra luce? Oh fratelli, Gesù non lo farà: sarà una luce riflessa: nascosto rifletterà la sua luce in S. Giovanni Battista. Saranno raggi più pallidi che farà brillare prima: così l’occhio umano debole e malato verrà fortificandosi man mano e verrà portato al bisogno prima, al desiderio poi, della bellezza del giorno. Ecco la missione del precursore… far nascere nel cuore umano il desiderio della luce eterna! Proprio oggi comincia ad esercitare la sua missione il Precursore! In realtà Gesù non opera, lo vedete? non si muove non si mostra: ancora non appare ma già brilla nel Battista: per questo il buon Zaccaria paragona Gesù al sole che nasce: — oriens ex alto visitavit nos — e viene a visitarci. Ma come se ancora è nel seno materno, se ancor non si è mostrato al mondo, come ci può visitare? È un sole che nasce, dice Zaccaria, ed il sole ancor prima di apparire sull’orizzonte già ci visita colla luce dell’alba… già brillano i suoi raggi sui monti: già brilla nel suo Precursore! Il piccolo Battista, vedetelo come, già pieno di giubilo davanti al nuovo giorno, con sussulti misteriosi adora la luce che viene nel mondo ad illuminare!… vuole insegnarci come la dobbiamo desiderare questa luce benefica. Nei suoi sussulti pare ci dica: Perché, o poveri mortali, tardate ad accorrere al Salvatore divino? Perché mai ne fuggite la luce che pur occorre all’occhio dei vostri cuori ed è la tranquilla pace degli spiriti? il cibo degli occhi liberi da pregiudizio e dalla materia, il cibo incorruttibile delle anime fedeli? Non andate dunque a Gesù? ma perché  non correte da Lui? Ah qual soave incanto non avrà per gli uomini, fatti per la gioia luminosa. Colui che tanto inondò di letizia il cuore di un bambino ancor avvolto nel buio del seno di sua madre? che produrranno, o uomini, nelle vostre anime i suoi abbracci, se il solo suo avvicinarsi destò trasporti tanto vivi d’amore? – Continuerò a domandarmelo o fratelli… perché? come? ancor non si vede, ancor non opera; ancor non parla e già la sua presenza augusta tutt’intorno diffonde la gioia e tutti riempie dello Spirito di Dio!! Quale felicità, qual estasi affascinante trascinerà gli uomini quando udiranno dalla sua bocca divina le divine sue parole! Vedranno zampillare una polla d’acqua viva che rinfrescherà i cuori esasperati: lo si vedrà misericordiosamente correre in cerca dei peccatori e chiamarli con la voce tenera di un padre amorevole che tutti chiama a sé! A quelli che il lavoro ha stancato, lo si sentirà promettere dolce riposo; più ancora: prometterà loro che un giorno lo contempleranno nel pieno splendore della sua gloria… vedranno scoperto il suo volto divino e gli occhi loro saranno saziati delle sue immortali bellezze! E noi tardiamo ancora, o Cristiani? Perché? Perché non eccitiamo i nostri desideri e forziamo i nostri ardori troppo lenti? Non fu solo S. Giovanni a sentire vicino Gesù, a desiderarne ardente la sua presenza!… Era ancora tanto lontano, era appena preannunziato e già era atteso e quanto ardentemente desiderato!… è Davide che grida che la sua anima languisce dietro il suo Dio… e « quando, quando, dice, mi avvicinerò alla faccia del mio Signore?… Quando veniam et apparebo ante faciem Dei? » Quale vergognosa indegnità veder chi l’ha vicino, chi lo possiede, non curarsi di Colui che nei secoli lontani era il Desiderato! Gesù è vicino a noi, in mezzo a noi o fratelli… e non l’abbiamo sul nostro altare, nel tabernacolo santo dov’è in corpo sangue anima e divinità?… Ah mentre aspettiamo la gioia di prostrarci al suo trono, di abbracciarlo nella sua gloria, perché non corriamo ai suoi santi altari? Alla mistica mensa ch’Ei ci prepara e dove è cibo la sua Carne, bevanda il suo sangue? Ci dovrebbe divorare 1° fame di questo cibo, bruciare la sete di questa bevanda. Ma Gesù non sì può desiderare se non si desidera Lui e Lui solo! Desìderiamolo dunque ardentemente: troveremo in Lui la pace delle nostre anime, quella pace soave di cui ci si presenta inondata l’anima bella di Maria, in questo mistero!

3° Punto

Stiamo per considerare il compimento dell’azione divina nelle anime: purificate nell’umiltà, accese di ardenti desideri ecco che finalmente Dio dona ad esse se stesso con la sua pace… una pace celeste. Sono le caste delizie di questa pace santa e divina che inondano l’anima della Vergine Maria e le fanno cantare, esultando, il sublime suo: — Magnificat anima mea Dominum! — L’anima di Maria certo è ripiena di vera pace, poiché possiede Cristo Gesù! Questa pace che supera la nostra mente, io non so spiegarla alle anime buone… ricorro dunque alla Vergine per imparar io e perché  impariate voi, perché comprendiamo e gustiamo tutti le soavi dolcezze velate dalle parole di questo canto che incanta ed innamora oggi e cielo e terra. Non potremo però, ben comprendere se prima non cerchiamo approfittare, brevemente, delle istruzioni che vi sono racchiuse: le esamineremo nel tempo che ci rimane. Divido questo cantico in tre parti: Maria ci narra dapprima i favori di cui Dio l’ha ricolma: « guardò al mio nulla, mi fece grandi cose, usò la potenza del suo braccio ». Poi parla del disprezzo del mondo di cui vede la gloria boriosa atterrata: et dispersit superbosdeposuit potentes de sede e mandò a mani vuote i ricchi ». Chiude il suo canto ammirando la bontà del Signore e la sua fedeltà alle promesse fatte — recordatus misericordiæ suæ sicut locutus est patres nostros —Ecco tre cose che sembrerebbero senza un nessologico, tanto sono staccate, mentre sono strettamente collegate.Vi raccomando di prestarmi attenzione o fratelli: mi pare che la Vergine miri a svegliare i cuori dei fedeli e ad eccitarli all’amore di quella pace che Dio solo sa, può dare e dà.Per farci comprendere la dolcezza e la soavità di questa pace, ne svela il principio, un principio ammirabile: Dio che tiene fisso il suo sguardo sulle anime giuste ed unendo allo sguardo la bontà con cui le segue, la Provvidenza che veglia su loro sempre: — Respexit humilitatem ancillæ suærespexit: guardò; è sotto l’azione di questo sguardo che nasce la pace nelle anime sante. Ma v’è attorno ad esse il mondo: lo scintillio dei suoi beni, la dolcezza e le gioie che promette; potrebbero sedurre queste povere anime buone, impedendo che sentano e gustino i beni e le promesse divine… Ecco allora che ad illuminarle loro mostra il mondo vinto, la sua gloria caduta e calpestata: ma siccome né la manifestazione della gloria di Dio né la completa sconfitta del mondo non si vede in questo secolo, perché le anime non si stanchino nell’attesa della felicità eterna, sostiene e rafforza il loro spirito colla pace divina che dà la certezza delle promesse di Dio. Ecco lo schema ed insieme l’ordine di questo canto sacro: vi potrà sembrare ancora non del tutto chiaro; ma spero di potervelo ugualmente far comprendere e bene. Consideriamo subito il principio di questa pace comprendendone là soavità dalla stessa forza che la genera nelle anime. Ditecelo Voi, o gran Vergine, chi riempì di gioia la vostra anima? E la Vergine ci risponde: « Colui che mi guardò, e che non disdegnò di abbassare il suo sguardo sul nulla della sua povera ancella. — Respexit humilitatem ancillæ suæ ». Cerchiamo capir bene cosa importi questo sguardo divino, e quali benefici siano in esso racchiusi. Le Scritture ci dicono, che lo sguardo che Dio posa sui giusti: talvolta significa la sua benevolenza ed i suoi benefici; altra la sua protezione ed il suo soccorso. Dio aprendo su di essi favorevole lo sguardo come un buon padre, si mostra sempre intento e pronto ad ascoltare le domande dei suoi cari. Il profeta reale, lo dice ancor più chiaro: dopo aver detto — Oculi Domini super justos; — aggiunge subito, quasi a spiegar l’effetto di questi occhi fissi sui giusti — aures eius in preces eorum —. Ecco lo sguardo di favore. – Ricordiamo però, o miei cari, un’altra frase dello stesso profeta che chiaramente significa una azione di difesa e protezione di quest’occhio paterno: « occhio di Dio eccolo fisso su coloro che lo temono, e su quelli che sperano nella sua misericordia » (Salmo XXXII) a qual fine? Risponde il Salmo XIX: « ut eruat eos a morte, et alat eos in fame — per strapparli alla morte, e nutrirli nelle ore della fame ». Eccovi, come lo sguardo di Dio sta fisso sui buoni proteggendoli dai mali che li minacciano; e l’anima lo sa « poiché sta in attesa del Signore che è il suo protettore ed il suo aiuto ». Ed allora ditemi: quando un’anima è sotto l’azione benefica e protettrice di un tale occhio, cosa potrà ancora desiderare per dir che gode la pace? Nulla!… e ce lo insegna la Vergine dicendoci che Dio la guardò: — respexit! — Certo Ella è oggetto speciale di questo duplice sguardo benefico e protettore: la guardò in un modo particolare, tutto particolare, preferendola a tutte le donne, anzi a tutte le creature non solo della terra ma anche del cielo. – La proteggeva il suo sguardo quando stornava da Lei l’onda profanatrice della concezione umana, la febbre della concupiscenza e tutte le altre miserie della maledetta natura nostra: per questo Maria, piena di gioia, canta: « Mî fece cose grandi Colui che è potente » poiché mi colmò della sue grazie!… ma ancor più dice: usò su di me tutta la potenza della sua mano destra… ricolmandomi di tali grazie, quali nessuno ebbe mai, e mai alcuno potrà comprendere: « Mi fece cose grandi — magna » ma anche nel difendermi: fu potente! La forza si usa per proteggere e per difendere! Oh Vergine cara, oggetto fortunato di questo sguardo benefico e protettore!… Miei cari, non faccio un confronto, intendiamoci, né cerco un’eguaglianza — ma però dico che anche noi, anzi tutte le anime cristiane furono e sono efficacemente onorate dallo sguardo del Signore! Questo pensiero deve diffondere nei nostri cuori una gran gioia e tranquillità di spirito! Potrò io chiarire tale dolce verità? potrà un peccatore parlare della pace celestiale delle anime innocenti?… Dirò quel che posso… e parlando di queste dolcezze ne faremo quasi rigustare la soavità alle anime fortunate che le provarono e le provano… svegliandone acuta la sete in quelli che non le gustarono e non le gustano ancora! Sì, o fratelli: figli noi tutti di Dio, Egli tiene fisso su di noi il suo occhio benefico e tien volta verso di noi la sua faccia buona. Adirato terribile minaccioso ci appare il suo volto quanto la nostra coscienza ci rimprovera una colpa e ci fa sentire che Dio scruta come giudice il nostro cuore! Ma quando, nella vita buona fa nascere nella nostra coscienza una serenità consolante, oh allora è con un viso dolcemente paterno che sorride a noi ed una calma soave toglie ogni turbamento, dissipa ogni nube di tristezza! L’anima fedele che in Lui confida, non lo pensa giudice, ma solo padre e buon padre, che dolcemente invita ad andar a Lui, cosicché essa può dirgli con verità: « Susceptor meus es » e le par sentirsi rispondere: « Salus tua ego sum!… » ed allora la pace, una pace gioiosa, ricolma quest’anima; essa si sente al sicuro sotto la mano di Dio: vengan le minaccie da chi si voglia, la certezza della difesa è in fondo al suo cuore, ed a qualunque nemico s’avanzi sente di poter gridare: « Si Deus pro nobis quis contra nos? » Con un Dio che mi protegge qual tremore o timore potrà annidare nel mio cuore?! Questa è la pace segreta che Dio dà a coloro che sono i suoi fedeli: il mondo non la capisce né lo può, anzi col frastuono della vita dei sensi la scaccia… ed ella se ne va cercando le anime nella solitudine. Non giova insistere, ché con tutti i miei discorsi io non arriverei a convincervi di ciò che l’esperienza fa ben conoscere: non posso descriverla bene questa pace… finirò allora il mio dire, col mostrarvi gli effetti suoi: affetti che i nostri sensi stessi possono constatare e controllare: Voglio dire il disprezzo del mondo, della pace ch’ei promette, delle gioie che vanamente fa sognare… tutto questo ci è mostrato nei versetti seguenti del canto di Maria. L’anima che fece suo sostegno Dio, che s’inebria della dolcezza della sua pace santa, che per rifugio, nel pericolo, ha l’Altissimo… quando butta uno sguardo sul mondo che basso basso le sta ai piedi, e lo guarda dall’alto del suo rifugio, come non debba provare un senso di disgusto io non lo so neppure immaginare, tanto le deve apparir meschino e vile, benché tanti uomini ne vadan pazzi! Che vede mai? un cumulo di rovine… grandezze atterrate, glorie scomparse, uomini grandi ruinati dai troni superbi… e nella catastrofe delle cose umane solo contempla grande, l’anima umile e la vede innalzarsi nella incantevole semplicità del cuore. Per questo Maria gridò il terribile e fatidico — dispersit superbos… et exaltavit humiles! — Penetriamo tutti, in modo speciale voi anime a Dio consacrate, questo sentimento profondo che è il nucleo della vita dell’anima cristiana, ed in modo speciale della vocazione religiosa: bisogna penetrarvi bene addentro; per riuscirvi meglio ponetevi davanti il grande contrasto che c’è tra Dio ed il mondo. Tutto ciò che Dio innalza e nobilita, il mondo lo deride, disprezza, calpesta: e Dio distrugge e disperde ogni idolo del mondo: « Vi è una gara una lotta tra le cose divine e le cose umane » grida Tertulliano nella sua apologia, e che abbia ragione ce lo dice la nostra stessa esperienza! Quali sono i favoriti, i prediletti, i privilegiati del cuore e della mano di Dio? Gli umili, coloro che non hanno sogni di grandezza, che sono i veri poveri dello spirito! Il mondo? – Il mondo per costoro non ha che disprezzo: egli esalta gli audaci, gli intraprendenti… (eccovi la lotta) Dio favorisce i cuori semplici sinceri… il mondo gli infingardi, gli ipocriti! Nel mondo i favori si conquistano con la forza con la violenza… presso il Signore si ottiene tutto col non pretendere; nel mondo si vive di pretese… Eccovi, fratelli, il grande quadro quotidiano dell’antagonismo tra Cristo ed il mondo, antagonismo, lotta che non cesseranno mai: lo disse Gesù: « tra me ed il mondo non vi sarà pace né tregua mai»: quel che l’uno esalta, l’altro deprime e calpesta. – Né può esser diverso, sapete? Perché il mondo è il dio delle due facce: e la gente alcuna guarda al presente, altra getta avanti lo sguardo nell’avvenire all’ultima partita alla fine dei secoli. Gli incantati dal presente, s’attaccano al mondo ed alle sue grandezze e glorie… credono trionfare; perché in realtà il Signore li lascia nella loro illusione, perché si divertano credendosi felici… Dio aspetta venga il suo giorno! Poveracci! non vedono che grandi posti non sognanoche onori e grandezze, non desiderano, non invidiano che i grandi… i ricchi… i potenti! e con voce triste sospirando dicono: « Beatus populus cui hæc sunt». È il canto dei figli del mondo: poveri infelici! Giudici ciechi precipitosi, attendete almeno la sera della battaglia per parlare di vittoria! Non vedete? C’è in alto, agitantesi minacciosa, la mano di Dio, che sventa i progetti e sconvolge tutti i piani degli uomini: al suo tocco cadranno troni e corone, seccheranno gli allori tanto agognati! La Vergine e con Lei i suoi figli, i figlioli di Dio, guardano a questa mano di Dio che tutto fa crollare — l’onore del mondo — per questo essi godono la tranquillità dello spirito, né il mondo può qualcosa su di essi col suo fascino! Lo vedono sì il mondo che lotta contro Dio: ma di Dio conoscono la potenza… ed anche davanti a qualche piccola apparente vittoria dei figli delle tenebre, che ne menan tanto scalpore, essi non si turbano… sanno che la vittoria a sera sarà, è di Dio… anzi dopo questi effimeri trionfi, più umiliante sarà la sconfitta finale… e ridono ridono i servi di Dio e già cantano la vittoria di quel Dio che non disperde subito, ma sempre disperde i superbi; non solo li umilia… ma li annienta… E accanto ai superbi annientati… fermatevi ricchi del mondo: ai poveretti, apparivate colle mani colme d’oro… ma fedeli al loro Dio essi lo guardarono correre nelle vostre mani… le videro vuote le vostre mani, proprio come il fondo del canale di pietra su cui l’acqua passa e neppure una goccia vien trattenuta. Disperde i superbi… e i ricchi rimanda a mani vuote… Ecco come trionfa vittorioso Iddio… ecco il mondo e la sua grandezza rovesciata. Qual gioia per i figli di Dio contemplare il nemico caduto ai loro piedi, mentr’essi gli umili servi di Dio alzano sicuri e grandi la fronte… i disprezzati del mondo siedono su troni d’oro: exaltavit humiles!… i poveri tornan dal trono di Dio saziati di beni… esurientes implevit bonis. Vittoria dell’Onnipotente… pace, conforto delle anime fedeli… noi vi esaltiamo. Oh cantiamo, io, voi, tutti o fratelli e sorelle questo canto divino… è il canto vero e grande dei disprezzati dal mondo… che cantano la sua sconfitta: i grandi umiliati, i potenti dispersi, i ricchi spogliati… tutto e ricchezza e gloria e potenza tutto svanì! Ridiamo davanti ai suoi trionfi, piccoli trionfi d’una piccola ora essi non giungono a sera… ridiamo della sua pace e gioia tremolanti come foglie d’albero all’autunno. E voi, poveri illusi che correte pazzi dietro alla fortuna e nulla stimate buono e bello se non quello ch’essa butta per via e dona, nulla dolce se non quanto è nel calice della sua gioia… ditemi perché fate e parlate così? Non siete voi fratelli nostri, come noi figli di Dio? non ne aveste nel battesimo col carattere sacro, il suggello dell’adozione? non avete per patria il cielo e non è esilio anche per voi la terra? Perché dunque incantati, vi state a guardar bramosi il mondo?… figlie della grande Gerusalemme perché vorrete sostare nelle piazze di Babilonia per cantarvi il canto della schiavitù? Oh non è la vostra lingua non sentite quante parole barbare vi mescolate, apprese nella terra d’esilio? Via dal labbro la parlata straniera, fate risuonar la dolce parlata della vostra patria: non dite felici quelli che ve lo sembrano all’occhio malato ed allucinato! Solo quei che hanno Dio per Signore sono felici i veri i soli felici!… si parla così nella vostra patria. – Consoliamoci in questo pensiero… anzi viviamolo in una dolce pace: ci impari la Vergine che per darci la pace del cuore lo sguardo del Signore è su di noi sempre: che appoggiati a Lui non dobbiamo lasciarci vincere dalle vertigini con cui trascina il mondo… egli è vinto!… guardiamo all’alto! … Che se il tempo dell’attesa ci pare troppo lungo si guardi alla sua parola che promette e non inganna: quanto disse ad Abramo ancor si mantiene per tutti i suoi figli attraverso e dopo secoli!… Manderà il suo Cristo che le rinnoverà ed aggiungerà nuove promesse fino a quando vedremo l’alba del giorno di felicità eterna… che il Cristo ci ha promesso. Amen.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Beáta es, Virgo María, quæ ómnium portásti Creatórem: genuísti, qui te fecit, et in ætérnum pérmanes Virgo.
[Beata te, o Vergine Maria, che hai portato il Creatore di tutti; generasti chi ti ha fatto e rimani vergine in eterno.]


Secreta

Unigéniti tui, Dómine, nobis succúrrat humánitas: ut, qui, natus de Vírgine, Matris integritátem non mínuit, sed sacrávit; in Visitatiónis ejus sollémniis, nostris nos piáculis éxuens, oblatiónem nostram tibi fáciat accéptam Jesus Christus, Dóminus noster:

[ Ci soccorra, Signore, l’umanità del tuo unico Figlio, che nascendo dalla Vergine, non diminuì, ma consacrò l’integrità della Madre: nella festa della visitazione renda a te gradita la nostra offerta, liberandoci dalle nostre colpe, lo stesso Gesù Cristo, nostro Signore]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Beáta víscera Maríæ Vírginis, quæ portavérunt ætérni Patris Fílium.

[Beato il seno della Vergine Maria, che portò il Figlio dell’eterno Padre.]

Postcommunio

Orémus.
Súmpsimus, Dómine, celebritátis ánnuæ votíva sacraménta: præsta, quǽsumus; ut et temporális vitæ nobis remédia prǽbeant et ætérnæ.

[Saziati del sacro corpo e del prezioso sangue ti preghiamo, o Signore Dio nostro; quanto abbiamo compiuto con devozione, lo possiamo conseguire con sicura redenzione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)