la strana sindrome di nonno Basilio -26-

nonno

     Egregio direttore mi ripropongo alla sua attenzione e a quella dei suoi lettori, per continuare le riflessioni, aiutato, a volte contestato, dai miei cari nipoti. Le accennavo la volta scorsa al ricordo del caro zio Tommaso, sant’uomo e santo sacerdote, ricordo che mi riempie di tanti rimpianti, emozioni sottili e tanta gratitudine per il Signore, per aver concesso questa presenza illuminante nella mia vita. Commosso ed in lacrime a tale ricordo, non mi accorgo che nella stanza è entrato Mimmo, mio nipote, al quale faccio cenno dei miei pensieri, del mio stato d’animo, ed ecco che egli, come a rompere l’incanto, con il suo solito fare sornione e beffardo, esordisce dicendo : “… ma nonno questi erano altri tempi … tu sei rimasto al “giuramento antimodernista” di Pio X che oggi poi è stato abolito!” Direttore, la prego, mi dica che non è vero!… ma come … il “giuramento antimodernista” istituito da S. Pio X al fine di aiutare, per mezzo della intercessione divina, i preti a resistere alle insidie degli errori di quella dottrina che era stata definita l’“eresia delle eresie”, perché? … perché è stato abolito, come e chi ha osato? Certamente non può essere stato il Santo Padre, un Papa non può modificare il deposito della fede che gli è stato affidato. e allora chi sarà stato? La pagherà certamente davanti al Signore! Sono a dir poco indignato …!! Mimmo poi, pensando di consolarmi, mi dice ancora: “ma nonno pensa che oggi i sacerdoti non indossano più nemmeno l’abito talare …”. Direttore, ma questa è l’aperta violazione della disciplina canonica, che impone al clero l’abito talare o almeno il “clergyman”, che costituisce già una strana concessione alle confessioni protestanti; infatti l’abito ecclesiastico deve rappresentare un segno ed una testimonianza nel mondo, un richiamo a Dio ed una riaffermazione del senso del sacro, specialmente nei tempi attuali, nei quali esso appare notevolmente affievolito. Esso è la “corazza” del prete”. Invece sono sempre più numerosi i preti, specialmente giovani – mi dicono Mimmo e Caterina (che sollecitata dalla nonna è intanto accorsa con l’apparecchio della pressione), – che indossano abiti laici (molto spesso neanche contraddistinti da una piccola croce all’occhiello della giacca), che ne rendono non riconoscibile il ruolo nella società, come se volessero tener nascosta la loro perenne ed insostituibile qualità. “… ma nonno lo sanno tutti che “l’abito non fa il monaco”, dice ancora Mimmo, senza accorgersi della superficialità e della stupidità di tale ricorrente risposta. Infatti gli dico -giudichi lei, direttore, se ho detto bene e se è il caso mi corregga – “… ma renditi conto che quella sentenza è riferita solo a coloro che monaci non sono, per sostenere che tali non diventerebbero, anche se indossassero il saio. Quindi essa non si rivolge agli ecclesiastici che dismettono il loro abito e quindi si privano del loro particolare distintivo religioso. Una risposta coerente (anche se certamente infondata) sarebbe quella che desse una spiegazione credibile alla loro volontà di nascondersi e di non far riconoscere al gregge la loro funzione di pastori. Interviene Caterina a sostenermi: “Tutto ciò è anch’esso un segno inconfondibile di decadenza del sacro, di un ridimensionamento del sacerdozio e di un suo avvicinamento allo stato laicale (come peraltro avviene in altre –false- religioni e sette eretiche, sia pure per ora, da un punto di vista apparentemente solo formale, ma con una potenzialità di estendersi fino ad intaccare la sostanza, lungo il processo di secolarizzazione che si è accentuato con il concilio [direttore, ma sempre questo concilio, ma siamo sicuri che non sia una ridicola trovata di Mimmo, o uno dei sui scherzi da buontempone sacrilego ed irriverente? O peggio uno dei soliti conciliaboli messi su da “coloro che hanno per padre il demonio” per mandare un po’ di anime all’inferno?]. Così come il baciare le mani del sacerdote, mani che non sono più di Ciccio, Mimì, Carminuccio, Gigino o Peppiniello, ma sono le mani di Cristo, mani che possono fare ciò che non è consentito agli Angeli, e non è stato consentito nemmeno alla più pura tra tutte le creature, e cioè la Vergine Maria, Madre di Dio: la Consacrazione con la Transustanziazione in Corpo di Cristo”. E nessuno sa, continuio io, che il tocco della mano del sacerdote costituisce un sacramentale particolarmente temuto dal “farfariello” (come lo chiamava la nonna Margherita…). Mimmo riprende il suo attacco: “Guardate che oramai il “sacro ministero” è concepito come un “ordo”, cioè una classe, un ceto, uno stato del “popolo di Dio”, una funzione che si attua in diversi “officia o “munera” così come è scritto qui, in questo documento, … dove sta? … Ah eccolo …” il “Presbytorium Ordinis”. Ecco che però Caterina ribatte subito: ma qui non c’è “potestas”, ma solo “officia”! cioè in tal modo il prete non è più il sacerdote di Dio, ma diventa “sacerdote del popolo di Dio”, che lo legittima quale sua “funzione”. Ma quindi, caro Mimmo, non è più il Signore Dio a scegliere e chiamare il sacerdote, ma il popolo che costituisce una forma dell’unico sacerdozio di Cristo!?! Ma benedetto nipote, nello stesso Corpo mistico esistono diverse funzioni come scrive notoriamente San Paolo … te lo ricordo così a memoria: “Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione …”(Rom. XII, 4). Quindi queste forme generalizzate e malamente specificate di sacerdozio comune, non hanno alcun senso, oltre ad essere contrarie a tutto ciò che la Tradizione cattolica ha sempre osservato! Ma Mimmo non si da per vinto e tirando fuori un altro foglio, dice: “Ecco qui: parla di due forme di sacerdozio, ecco … nella “Lumen Gentium” ai punti 10 e 62 , e cioè “il sacerdozio comune dei fedeli e quello ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo …”. Qui si parla di “ordinazione reciproca”, di due funzioni paritetiche del “sacerdozio unico di Cristo”… “ … ma in somma Mimmo, sbotto io, questo è contro tutto il deposito della fede, e poi questa distinzione di essenza e di grado fra i due non viene mai spiegata, è solo una elucubrazione verbale! … dimmi la verità, questa specie di documento, lo hai creato tu, magari per una commedia buffa da recitare con i tuoi amici mattacchioni! Ecco, guarda, come quando dici che il primo posto tra le funzioni sacerdotali spetta alla predicazione …. “Ma è scritto qui, nel “Presbyterorum Ordinis” al punto 4. Cerca di giustificarsi Mimmo,… ascoltate: “I presbiteri, nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno innanzitutto il dovere … ve lo dico anche in latino (ma guarda un po’, Mimmo che cita in latino … incredibile, pur di sostenere tesi assurde!!) “primum habent officium” di annunciare a tutti il Vangelo di Dio”. Mimmo, io non so se vuoi burlarti di me, ma voglio con calma spiegarti che tutto ciò che dici è contrario a tutta la Tradizione ed al dettato espresso dal Concilio di Trento, se non vado errato nella Sessione XXIII, nella quale si enuncia con “magistero infallibile ed irreformabile” –ascolta bene- che la figura del sacerdote si definisce in primo luogo per “il potere di consacrare, offrire e dispensare il Corpo e Sangue di Cristo”, ed in secondo luogo “per il potere di rimettere o non rimettere i peccati”. La predicazione la possiamo fare anche noi, volendo, e pertanto non è necessaria alla definizione della figura sacerdotale. Ti porto un esempio elementare, con una domanda semplicissima: “Ma secondo te, quante prediche avranno fatte Santi sacerdoti come S. Leopoldo Mandic, o il Padre Pio di Pietrelcina, visto che passavano quasi tutto il loro tempo a confessare? Questi quindi, secondo quanto hai letto, e ammiro il tuo impegno nel citare anche in latino … non assolvevano al loro ministero sacerdotale? E devo anche riprenderti quando dici che il sacerdote è presidente dell’assemblea così come la “sacra presidenza del vescovo” (questa poi,… sembra una terminologia da sindacalisti e dai … Mimmo sii serio, almeno ogni tanto, via!!…). A questo punto interviene Caterina che giustifica il povero e mortificato Mimmo: “nonno, Mimmo citava solo un passaggio del punto 2 della “Presbyterorum Ordinis” in cui veramente è scritto “… i presbiteri convocano e adunano il popolo nella S. Messa affinché i fedeli possano offrire se stessi a Dio”! Ma no ragazzi, ma questa non è la Chiesa Cattolica, chiamatela come volete: setta neo-modernista, setta vaticana, dormitorio dei vigilanti della fede, ruspa di autodemolizione … tutto è, ma non certo la Chiesa di Cristo, né tantomeno il Corpo Mistico di Cristo, vero Dio e vero Uomo. I “preti moderni” -interviene Caterina, ben informata al riguardo- trascinati dalla secolarizzazione, hanno accettato, senza reazione, l’equazione di “Chiesa-Mondo”. Ne consegue che fanno del Cristianesimo una religione della vita, del felice successo dell’ideologia vittoriosa, della città degli uomini gaudenti; cercano di farsi accettare come cappellani discreti, come funzionari servili e comodi, la cui sola funzione consiste in un atto di presenza, senza più ritrovare la tagliente coscienza della profezia evangelica. Povero “clero moderno”, che merita la condanna che Péguy lanciò contro il modernismo: «Un certo bisogno di novità per la novità, un certo bisogno di apparire moderno a qualsiasi costo, che infierisce tanto pericolosamente oggi, e in modo così ridicolo tra un numero abbastanza largo di parroci, razza, del resto, di imitatori, e che fa loro commettere tante sciocchezze, tante stupidaggini e un numero piuttosto grande di delitti, per pura vigliaccheria, per il gusto di non sembrare quello che si è …». Chi ama il mondo odia Dio, dice S. Giacomo, ed io aggiungo: e serve da schiavo il “farfariello” per fargli poi eterna e “calorosa” compagnia!Non c’è un “nuovo volto di prete”, ma un “mondo nuovo” con problemi puramente umani; di fronte a questo però, v’è il medesimo compito apostolico: “Ite et docete”(andate ed insegnate) ad una massa il popolo di Dio, senza Dio! Perciò, il prete che si fonde nella massa, deve restare prete per la salvezza delle anime e se vuole essere nuovo, ha negato il suo sacerdozio. Che il prete avvicini, in quanto uomo, gli altri uomini, va bene, ma, in quanto prete, egli è al di sopra, su “un piano che gli Angeli invidiano”, perché consacrato, perché prete del Mistero, l’“alter Christus”, e il prete non deve dimenticare, davanti agli uomini, l’eminenza del suo sacerdozio, tradendo Cristo in croce e la sua Chiesa … altro che Giuda! Quanta tristezza e indignazione quando si sente un “nuovo prete” dire: «Sono un uomo tra gli altri e nulla più»! È spaventevole! Vi è, oggi, in seno alla Chiesa cattolica, molto di più di un malessere, e questo per l’umana mania di “anticipare l’avvenire”, senza più “ricordare il passato”. Ricordiamo le parole di Gesù: «Il mio cibo è fare la Volontà di Colui che mi ha mandato a compiere la Sua Opera, perché sono sceso dal Cielo per fare non la mia Volontà, ma la Volontà di Colui che mi ha mandato». Quindi, in faccia al “mondo nuovo”, il prete deve diffidare delle “vane novità. A te, Mimmo, dovrò poi un po’ insegnarti qualcosa del Concilio di Trento, (le ricordo per inciso che “insegnare agli ignoranti” è un’opera di misericordia spirituale … o hanno eliminato anche questo?) visto che tanti “can che dormono” hanno fatto finta di dimenticare, inducendo i più giovani ad ignorare, convincendoli che la Chiesa di Cristo deve aprirsi al mondo per essere meglio ingannati e coinvolti nelle miserie e nelle umane immondezze, accettandone ed incorporandone i principi bislacchi suggeriti da falsi teologi e dottori che propongono pozioni magico-teologiche e ricette fasulle, da pastori che non solo non pascolano e curano le pecore, ma spalancano le porte dell’ovile servendo le pecore stesse, con gli ignari agnellini, ai loro complici, alla razza di vipere, ai lupi voraci, magari al forno su di un piatto d’argento, ben cotte, con il contorno di patate novelle e di un bicchiere di falanghina … oh … strano, ne sento il profumo … ah … ma no, è la mia cara mogliettina che ci ha preparato un manicaretto a base di agnello con patate al forno! Direttore mi perdoni, ma la devo lasciare … il dovere mi chiama … a tavola! … parlando di queste cose, mi si è sciolta una fame! Slurp! Buon appetito a tutti!. Benedicimus Domine nos etc. ….

La strana sindrome di nonno Basilio: 25

La strana sindrome di nonno Basilio -25-

nonno

   Caro direttore, sono di nuovo qui con questa mia nuova, sperando di non seccare oltremodo lei ed i suoi cortesi lettori, e le chiedo ancora una volta umilmente scusa e se possibile il suo aiuto perché, da quando abbiamo iniziato le discussioni circa il neo-modernismo esploso nella Chiesa attuale, evoluzione (o sarebbe meglio dire forse: involuzione ulteriore) del “modernismo”, a suo tempo vigorosamente denunciato ed anatemizzato dal Santo Padre Pio X nell’Enciclica “Pascendi” e nel decreto “Lamentabili”, si è aperta una vivace discussione tra i miei carissimi nipoti, Mimmo e Caterina, e me che, reduce dai miei altalenanti ed instabili problemi di memoria, faccio notevole fatica ad identificare come “cattolici” riti, comportamenti e orientamenti vari che a me sembrano eccessivamente fantasiosi, stravaganti, e soprattutto assolutamente non in linea con la “Tradizione” della Santa Chiesa Cattolica Romana, Cattedra di verità, così come “depositum fidei” definita da ben venti Concili e da oltre 260 Papi, a cominciare da San Pietro, fino a quel sant’uomo, integerrimo Pastore, Guida del gregge di Giacobbe autorevole ed irreprensibile, che è stato il “mio” papa Pio XII, e sostenuta da una Patristica ferrea oltre che da una teologia scolastica razionalmente inattaccabile. (Mi dice Mimmo che San Tommaso e la sua “Summa”, oramai non fanno parte più del bagaglio del moderno sacerdote, anzi che alcuni lo confondono con San Tommaso apostolo, e qualcuno addirittura con san Tommaso Moro! … ma io so che Mimmo mi prende in giro e si burla di me … anche perché, lui dice, ormai il latino non si studia più nei seminari! Lo so che sono mattacchionate di quel giocherellone di Mimmo (è del tutto evidente che si tratta di affermazioni infondate, … o no, le pare?!) ma riesce comunque a farmi innervosire … bah, questi giovani!. Ma veniamo ai fatti: stavo consultando l’antico Messale Romano Tridentino, quello edito da S. Pio V, poi da Clemente VIII e quindi Urbano VIII, che mi ha lasciato (autentica eredità spirituale) il caro zio Tommaso, utilizzato per tanti anni e poi finito in soffitta perché sostituito da un messale in vernacolo, e alla Messa “Misericordia Domini”, la seconda domenica di Pasqua, all’antifona alla Comunione leggevo il versetto: “Ego sum pastor bonus, alleluia: et cognosco oves meas, et cognoscunt me meae, alleluia, alleluia”.(Io sono il buon pastore, alleluia: conosco le mie pecore, ed esse conoscono me, alleluia, alleluia! Giov. X, 14) che poi è la ripresa del Vangelo di Giovanni, al capitolo X. In questo capitolo, il Signore Gesù affigge un manifesto circa le caratteristiche del sacerdote cattolico, che doveva rispecchiare il ritratto che già era stato delineato nell’Antico Testamento a cominciare da Melchisedek, tratteggiato e colorito progressivamente dai Profeti e dai Salmi. Così ad esempio in Malachia (II, 7) possiamo leggere :Labia enim sacerdotis custodient scientiam, et legem requirent ex ore ejus, quia angelus Domini exercituum est” [Infatti le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti]. Le citazioni potrebbero essere numerose, ed ognuno può divertirsi a trovarle, cominciando dal versetto del Salmo CIX, 4 “Juravit Dominus, et non poenitebit eum: Tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech.” [Il Signore ha giurato e non si pente: “Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek] .Ma non sempre i sacerdoti hanno fatto il loro dovere, e questo fin dall’antichità, tanto che Dio stesso, per bocca dei suoi profeti, è intervenuto per richiamarli. Tali richiami, caro direttore, come ognuno purtroppo può osservare nel suo piccolo, sono particolarmente attuali oggi, mi sembra di capire da quello che i miei nipoti mi riferiscono. Sfoglio le pagine della Bibbia, che ho sempre con me, “luce dei miei passi”, e mi capita sott’occhio il tremendo inizio del capitolo XXXIV di Ezechiele, che lei certamente conoscerà, capitolo che viene solitamente letto, stranamente, dal versetto 11 in poi; io me lo ricordo bene perché lo zio Tommaso, sacerdote straordinario che ha improntato la mia giovinezza (ah … se lo avessi ascoltato, quanti guai avrei evitato … ma tante cose da giovani non si comprendono … e poi dicono beata gioventù!…) lo rileggeva spesso in nostra presenza per richiamare e confermare la sua vocazione, ben conscio della responsabilità che questa comportava davanti a Dio e al suo Cristo. Pensi che noi nipoti lo avevamo quasi imparato a memoria … ma chi lo conosceva “a campanello” era, ovviamente quella secchiona di Felicina (mi pare di averne già parlato … o no?). Adesso che la mia memoria non è più esattamente prodigiosa, ecco che me lo rileggo e le ricordo pure a lei, se mi consente: “Et factum est verbum Domini ad me, dicens: Fili hominis, propheta de pastoribus Israel: propheta, et dices pastoribus: Haec dicit Dominus Deus: Vae pastoribus Israel, qui pascebant semetipsos! nonne greges a pastoribus pascuntur? Lac comedebatis, et lanis operiebamini, et quod crassum erat occidebatis, gregem autem meum non pascebatis. Quod infirmum fuit non consolidastis, et quod aegrotum non sanastis: quod confractum est non alligastis, et quod abjectum est non reduxistis, et quod perierat non quaesistis: sed cum austeritate imperabatis eis, et cum potentia. Et dispersae sunt oves meae, eo quod non esset pastor: et factae sunt in devorationem omnium bestiarum agri, et dispersae sunt. Erraverunt greges mei in cunctis montibus, et in universo colle excelso: et super omnem faciem terrae dispersi sunt greges mei, et non erat qui requireret: non erat, inquam, qui requireret. Propterea, pastores, audite verbum Domini: Vivo ego, dicit Dominus Deus, quia pro eo quod facti sunt greges mei in rapinam, et oves meae in devorationem omnium bestiarum agro, eo quod non esset pastor: neque enim quaesierunt pastores mei gregem meum, sed pascebant pastores semetipsos, et greges meos non pascebant: propterea, pastores, audite verbum Domini: Haec dicit Dominus Deus: Ecce ego ipse super pastores: requiram gregem meum de manu eorum, et cessare faciam eos, ut ultra non pascant gregem, nec pascant amplius pastores semetipsos: et liberabo gregem meum de ore eorum, et non erit ultra eis in escam. [Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, predici e riferisci ai pastori: Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura. Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore: Com’è vero ch’io vivo, – parla il Signore Dio – poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d’ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge – hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge – udite quindi, pastori, la parola del Signore: Dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto] (Ezech. XXXIV, 1-10). E alla fine della lettura, ricordo lo zio Tommaso, che per rincarare la dose diceva a se stesso: “povero Signore in mano a Tommaso, e … che non si dica dopo la mia morte: povero Tommaso nella mani del Signore!” … eh altri tempi, altra tempra direttore! Come se non bastasse ci faceva poi recitare tutti all’unisono i versetti di Isaia: “I suoi guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi. Ma tali cani avidi, che non sanno saziarsi, sono i pastori incapaci di comprendere. Ognuno segue la sua via, ognuno bada al proprio interesse, senza eccezione. (Isaia LVI,10-11). A questo punto partiva quella secchiona di Felicina con la recita dei salmi XIV e LIII soffermandosi, come voleva lo zio Tommy (come affettuosamente lo chiamavamo … era un po’ severo, ma aveva un cuore d’oro ….) sulle parole: “Omnes declinaverunt, simul inutiles facti sunt. Non est qui faciat bonum, non est usque ad unum. Sepulchrum patens est guttur eorum; linguis suis dolose agebant. Venenum aspidum sub labiis eorum. Quorum os maledictione et amaritudine plenum est; veloces pedes eorum ad effundendum sanguinem. Contritio et infelicitas in viis eorum, et viam pacis non cognoverunt; non est timor Dei ante oculos eorum. Nonne cognoscent omnes qui operantur iniquitatem, qui devorant plebem meam sicut escam panis? [Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti; più nessuno fa il bene, neppure uno. Non comprendono nulla tutti i malvagi che divorano il mio popolo come il pane?] (Salmo XIII, 3-4), e “Omnes declinaverunt, simul inutiles facti sunt; non est qui faciat bonum, non est usque ad unum” [Tutti hanno traviato, tutti sono corrotti; nessuno fa il bene; neppure uno]. (LII,4). Appena finito lo zio scoppiava in lacrime, e noi non capivamo perché … piangeva, ci disse un giorno, perché vedeva le proprie incorrispondenze, le ingratitudini sue e quelle dei suoi confratelli all’amore di Cristo che si faceva Carne e Sangue vivo nelle loro mani, la loro superficialità nel celebrare l’Evento del suo Sacrificio, della sua Immolazione, per la nostra salvezza. Per calmarlo e consolarlo almeno in parte, correvo allora a prendere l’“Imitazione di Cristo” e leggevo con piglio fermo e deciso al capitolo V del IV° libro: “Grande è l’ufficio, grande la dignità dei sacerdoti, ai quali è dato quello che non è concesso agli angeli; giacché soltanto i sacerdoti, ordinati regolarmente nella Chiesa, hanno il potere di celebrare e di consacrare il corpo di Cristo. Il sacerdote, invero, è servo di Dio: si vale della parola di Dio, per comando e istituzione di Dio” e: “Il sacerdote deve essere ornato di ogni virtù e offrire agli altri l’esempio di una vita santa; abituale suo rapporto non sia con la gente volgare secondo modi consueti a questo mondo, ma con gli angeli in cielo o con la gente santa, in terra. Il sacerdote, rivestito delle sacre vesti, fa le veci di Cristo, supplichevolmente e umilmente pregando Iddio per sé e per tutto il popolo. Egli porta, davanti e dietro, il segno della croce del Signore, perché abbia costante ricordo della passione di Cristo; davanti, sulla casula, porta la croce, perché guardi attentamente a quelle che sono le orme di Cristo, e abbia cura di seguirla con fervore; dietro è pure segnato dalla croce, perché sappia sopportare con dolcezza ogni contrarietà che gli venga da altri. Porta davanti la croce, perché pianga i propri peccati; e la porta anche dietro, perché pianga compassionevolmente anche i peccati commessi da altri, e sappia di essere stato posto tra Dio e il peccatore, non lasciandosi illanguidire nella preghiera e nell’offerta, fin che non sia fatto degno di ottenere grazia e misericordia. Con la celebrazione, il sacerdote rende onore a Dio, fa lieti gli angeli, dà motivo di edificazione ai fedeli, aiuta i vivi, appresta pace ai defunti e fa di se stesso il dispensatore di tutti i benefici divini”. Allora succedeva un’altra cosa stranissima, lo zio si calmava ma uno alla volta cominciavamo a piangere noi altri, finché io stesso, con la voce strozzata dalle lacrime, ponevo termine alla lettura. Con gli occhi rossi dal pianto, commosso … però vedo che pure Mimmo e Caterina si voltano per non mostrare la lacrimuccia … saluto lei ed i suoi lettori … alla prossima.

Il vizio dell’ IMPURITA’

IMPURITA’

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, 3 ed., vol. II, Torino, 1930]

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1.- L’impurità è un peccato mortale di sua natura. — 2. Avvilimento dell’impudico. — 3. Funesti effetti dell’impurità: 1° effetto, i tormenti; 2° danni spaventosi; 3° lo scandalo; 4° l’accecamento; 5° la schiavitù. – 6. In quanti modi si cade nel vizio della disonestà. – 7. Quanto sia difficile uscire dall’impurità. – 8. Castighi e dannazione dell’impudico. – 9. Rimedi contro l’impurità.

1.- L’impurità è un peccato mortale di sua natura. — L’impudico consacra il suo culto alla carne… Egli adora quello che adoravano i pagani; venera con loro il medesimo dio. Ora l’idolatria è un delitto enorme. « Il mio popolo, dice Iddio, ha cangiato la sua gloria per un idolo. Stupite, o cieli, e voi, o potenze del cielo, vestitevi a lutto » (Gerem. II, 11-12). «L’impudico cambia la gloria del Dio incorruttibile, nella sembianza dell’uomo corruttibile », dice S. Paolo (Rom. I, 23). Lo stesso Apostolo dice ancora: «Quelli che si deliziano nella carne, non possono piacere a Dio; se voi vivrete secondo gli appetiti della carne, morrete » (Rom. VIII, 8, 13). «Non illudetevi: né i lussuriosi, né gli idolatri, né gli adulteri possederanno il regno dei cieli » (I Cor. VI, 9-10); « perché la carne e il sangue non possono stare con Dio, né la corruzione immedesimarsi con l’incorruttibilità » (Ib. XV, 50). « Non sapete che voi siete il tempio di Dio, che i vostri corpi sono membri di Gesù Cristo e che in voi abita lo Spirito Santo? Adoprerete dunque i membri di Gesù Cristo per farne membri di una prostituta? Ma se alcuno profana il tempio santo di Dio, il qual tempio siete voi, Dio lo sterminerà » (Ib. III, 16-17; VI, 15). «Sappiate e vi stia ben fisso in mente, che nessun fornicatore o impudico avrà parte all’eredità del regno di Cristo e di Dio » (Eph. V, 5). Formale è il precetto di Dio: Non fornicare (Exod XX, 14), né meno chiara è la sua sentenza, che nella città di Dio non v’entrerà nulla di macchiato (Apoc. XXI, 27). « E Dio, dice S. Pietro, sa riservare i malvagi al giorno del giudizio per castigarli e quelli principalmente che accarezzano la carne vivendo secondo le voghe della carnale concupiscenza » (II, II, 9-10). Infatti è peccato così enorme l’impurità e cosi abbominato da Dio, che, come dice S. Agostino, è il più gradito a Dio l’abbaiare dei cani, il muggire dei buoi, il grugnire dei porci, che non il canto de’ suoi servi impudichi. « Non cambiate i vasi sacri in vasi d’ignominia », esclama S. Pier Damiani; ora, già l’abbiamo inteso dall’Apostolo, i cristiani sono i tempi, i vasi sacri del Dio vivente. Se un profanatore sacrilego dirocca una chiesa, abbatte un altare, spezza un vaso sacro, di quale odioso delitto non si rende colpevole! Ben più orrenda e indegna è la profanazione che fa il lussurioso della sua anima, del suo cuore, del suo corpo e infinitamente più enorme è il suo misfatto. Infatti, se è vera la sentenza di S. Tommaso, che per la lussuria l’uomo si allontana infinitamente da Dio », e se è vero che il peccato è un abbandono che fa l’uomo di Dio, ben può ciascuno calcolare l’enormità del peccato d impudicizia; quindi S. Bernardo non si contenta di dire: Guai, ma aggiunge, molti e grandi guai all’incontinente. E non si creda che per commettere peccato grave in questa materia, bisogni arrivare agli estremi limiti di questo abominevole vizio: sarebbe questo un deplorevole e grossolano inganno perché non solamente un’azione di tal genere è colpa mortale, ma anche un semplice pensiero, o desiderio, o sguardo fatto con consenso deliberato. – Possono i coniugati medesimi farsi rei di gravissime colpe in questa materia, quando non abbiano per iscopo e freno il santo timor di Dio. Ricordatevi, o sposi, la parola di S. Paolo: « Si porti rispetto da tutti al matrimonio e si conservi il talamo immacolato; perché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri » (Hebr. XIII, 4); vi atterrisca la sentenza del Signore: «Il seme degli empi non attecchirà » — (Psalm. XXXVI, 28). Dio destinava alla vita ed al cielo tanti bambini; ora dove sono essi? O sciagurati che respingete nel nulla esseri destinati a benedire, lodare e godere Dio eternamente! La Scrittura ci narra che l’infelice Onan, perché impediva con un’azione detestabile che si compisse la volontà divina, fu dal Signore colpito di morte (Genesi XXXVIII, 9-10) Una tale profanazione è contraria alla legge naturale ed alla santità del matrimonio. Questo delitto è un omicidio. Vi sono dei genitori che si lagnano delle loro disgrazie, delle malattie, della morte dei loro ragazzi. Pensino se non sono forse castighi di Dio che li punisce in quello medesimo in cui hanno peccato. Dove si possono trovare parole che bastino a flagellare come conviene l’infame delitto dell’adulterio e tutti i mali che trascina con sé? L’adultero: 1° scioglie la fedeltà coniugale; 2° viola il matrimonio, perché la natura, e l’autore della natura, Iddio, esigono che gli sposi rispettino la loro unione (Gen. II, 24); 3° profana il sacramento; 4° fa grave ingiuria ai figli legittimi; 5° commette un’enorme ingiustizia; 6° si fa reo di un orrendo scandalo… L’adultero pecca contro Dio, di cui non vuole riconoscere l’autorità, rifiutando di adempirne il comando; pecca contro la persona che gli è unita, perché non le mantiene la data fede; pecca contro se medesimo, perché si macchia l’anima e il corpo; pecca contro i figli legittimi che danneggia; pecca contro il complice medesimo dell’adulterio, essendogli cagione od occasione di peccato… – « Non sapete, o adulteri, che l’amicizia di questo mondo è nemica di Dio? » — Adulteri, nescitis quia amicitia huius mundi inimica est Dei? (Iacob. IV, 4). Il mondo è adultero; amare il mondo è un adulterio spirituale; chi consacra l’anima sua al mondo, la ruba a Gesù Cristo sposo delle anime… – Il Signore nell’antica legge ordinava che l’adultero fosse lapidato; per bocca del Savio dice che sarà punito su la pubblica piazza; che si darà alla fuga come puledro scavezzato, ma sarà sorpreso là dove meno si pensa; sarà disonorato nel cospetto di tutti; lascerà la sua memoria in maledizione, e la sua infamia non sarà cancellata (Eccli. XXIII, 36). I castighi che piombano su Davide e la sua famiglia, a cagione del suo adulterio, sebbene da lui con amarissima penitenza espiato, bastano a darci un’idea di quello che deve aspettarsi dalla giustizia divina l’adultero impenitente.

2.- Avvilimento dell’impudico. — Una viva immagine dell’abbrutimento e della degradazione del lussurioso ce la fornisce il flgliuol prodigo del Vangelo, il quale si mise al servizio di un padrone e fu mandato a pascolare i porci (Luc. XV, 15); assai più vile di un gregge di maiali è la folla dei pensieri immondi, dei disonesti affetti, delle lubriche voglie che egli accoglie e custodisce nella sua anima. Ecco la sorprendente ma giusta metamorfosi del libertino e del suo stato! ecco il castigo inflitto alla sua licenza ed alla sua folle libertà! Colui che aveva rifiutato di essere devoto figlio di nobilissimo e generoso padre, si vede costretto a diventare schiavo di uno straniero, di un incognito, di un tiranno. Ecco l’impudico… respinge l’autorità di Dio, rifiuta di obbedirGli; non vuole rimanere con Lui ed eccolo obbligato a servire il diavolo più che da schiavo. Il prodigo non volle abitare nel palazzo del padre, è cacciato alla campagna tra il servitorame più abbietto, abbandonato alla fame, alla sete, alla nudità. Non volle avere per compagni di tavola e di casa il padre ed il fratello, è condannato a dividere il cibo e l’alloggio coi porci. Ebbe a nausea il pane e le eccellenti vivande della casa paterna, ora si stimerebbe fortunato se potesse empirsi dei miseri avanzi di schifosi animali! (Luc. XV, 16). « Che crudele, desolante condizione è mai questa, esclama il Crisostomo, non poter nemmeno mangiare del cibo dei porci, dovendo vivere coi porci! ». Ecco dove va a finire il lussurioso! S. Paolo ci avverte che Dio abbandona gli impudichi in balìa ai desideri immondi dei loro errori, alle ignominiose voglie della carne, affinché vituperino se medesimi nei loro corpi; finché disperando della loro salute, si abbandonano ad ogni sorta di più laida dissolutezza (Rovi. I, 24-26) (Eph. IV, 19); e si avvoltolano nel brago delle più schifose dissolutezze, appunto, dice S. Pietro, come un porco che si tuffa nel fango (II Petr. II, 22), e mettono, dice S. Giuda, in mostra le loro turpitudini (Iud. 13). – Non c è vizio più ributtante, più vergognoso, più degradante dell’impudicizia; a ragione S. Pietro raffigura l’impudico nel porco. Perché: 1° egli ama le cose sporche…; 2° è nei suoi portamenti sordido e stomachevole…; 3° si delizia, a somiglianza dei maiali, del fango e della mota…; 4° il porco non guarda che alla terra, non si occupa che del ventre, si corica sul suolo, non è che un informe massa di carne; non diversamente è dell’impudico…; 5° il porco è senza riconoscenza anche verso il suo padrone; il lussurioso non perde egli forse ogni sentimento e discernimento?… In lui si avvera l’imprecazione di David: « Copri la faccia loro d’ignominia» (Psalm. LXXXII, 15). – « Il dissoluto, scrive S. Eucherio, non si differenzia punto dalle pecore o dai porci, perché mette i suoi piaceri negli sfoghi carnali; fa suo dio della propria carne e volge in argomento di sua gloria quel che in lui vi è di più vergognoso  ». La stessa cosa già scriveva S. Paolo ai Filippesi: « Il cui dio è il ventre e la gloria nella propria vergogna » (III, 19). Anche Clemente Alessandrino lasciò scritto che gli « uomini lussuriosi guazzano nelle loro turpitudini come i lombrichi nella melma. Sono uomini porcini, poiché i porci preferiscono la lota all’acqua chiara ». – Si legge nella vita di S. Ignazio di Loyola, che per correggere un libertino il quale portavasi in una casa di mal affare, egli si tuffò un giorno nell’acqua, e quando vide passare di là quell’infelice, gli disse: Va, sciagurato, ai tuoi disonesti piaceri; non vedi la rovina che ti minaccia? Io mi sono imposte dure penitenze, per allontanare dal tuo capo i fulmini divini che stanno per incenerirti. La voluttà è giudicata da S. Gregorio Nazianzeno l’alimento di tutti i vizi, l’amo a cui facilmente restano colti gli animali vili ed abbrutiti. Perciò il Crisostomo afferma che se potessimo vedere l’avvilimento, la degradazione dell’anima di un lussurioso, preferiremmo un fetido sepolcro a un tale stato (Homil. XXIX, in Matth.); il profeta Abacuc piangeva su la sorte di coloro che fanno intorno a sé mucchi di spesso fango: (II, 6). E questi mucchi figurano, dice S. Gregorio (Lib. VI, Moral.), i desideri, le voglie, gli sfoghi d’una laida concupiscenza; da questo fango, il Salmista pregava Dio che lo preservasse (Psalm. LXVIII, 15). -Che cosa vi è di più corrotto e di più laido, domanda l’Ecclesiastico, del pensiero della carne? ogni pane, anche il più cattivo, riesce buono al fornicatore (XVII, 30) – (XXIII, 24). E non è forse vero che all’uomo abbrutito nell’incontinenza fa gola qualsiasi creatura? Sia bella o brutta, povera o ricca, pulita o sozza, giovane o vecchia, egli non guarda pel sottile; purché lo serva ai suoi brutali sfoghi, d’altro non gli importa; appunto come un affamato dà di morso in qualunque tozzo di pane, comunque nero, muffito o duro, gli capiti tra mano. -S. Bernardo osserva che gli uomini carnali non hanno un cuore di uomo, perché avendolo tutto imbrattato nelle vergognose passioni, è cambiato in cuore di bestia. Ed applicando a loro quelle parole del Salmista: « Il mio cuore si è liquefatto come cera in mezzo alle mie viscere » (Psalm. XXI, 14), dice: «Il loro cuore fuso al fuoco della passione carnale, esce dal suo luogo e cade nel fango, altro più non gustando che la passione, tutto confondendo, corrompendo e degradando, cambia l’affetto naturale e legittimo dell’amicizia in un appetito bestiale e sregolato; brama ciò che è illecito, ignominioso e vergognoso perfino alla carne stessa; dimenticata a tal punto la sua antica grandezza e nobiltà di figlio di Dio, che quelli ch’egli corrompe e coloro che corrompono lui, non lo credono ormai più altro se non un luogo di pubblica prostituzione, la sede naturale della lussuria. Infelici, mille volte infelici coloro che soffocando la voce della ragione e della coscienza sono discesi a tanto avvilimento, che più non stimano e prostituiscono a satana quell’anima che creata da Dio, apparteneva a Lui, ed essi ne hanno fatto la dimora e il trono del diavolo, la sentina di tutte le sporcizie, la fogna di tutte le più infami debolezze » (De nat. et dicjn. amoris, c. I). – Con tutta ragione pertanto Eusebio sentenzia che la lussuria abbassa e degrada l’uomo al disotto delle bestie; S. Pier Crisologo afferma che l’impudico « muore alla virtù, cresce ai vizi, oscura la sua gloria, seppellisce la sua riputazione e vedrà la sua follia crescere fino al furore ». Ah sì! bisogna dire col profeta, che l’uomo, posto in alto stato, non ha compreso il suo destino, si tenne uguale ai giumenti e divenne simile a loro (Psalm. XLVlll, 12); si corruppe e diventò abominevole (Psalm. Xlll, 1), perciò Dio li ha abbandonati all’ignominia eterna (Psalm. LXXVII, 66). L’uomo impuro, dice S. Agostino, invece di spiritualizzare il suo corpo, abbrutisce e materializza l’anima sua (De Morib. Eccl.), e ne forma il covo prediletto dei demoni i quali amano di stare nei lussuriosi più che in altri peccatori; come si vede figurato in quel fatto del Vangelo dove si narra che i demoni, scacciati dal corpo di un ossesso, chiesero in grazia a Gesù Cristo che li collimasse in un branco di maiali che stavano pascolando la vicino (Matth. 31-32). Quando un anima disprezza la gloria e la grandezza a cui era chiamata, allora alla riputazione succede lo scandalo e la follia; alla gloria, l’ignominia; alla ricchezza, la miseria; la grazia cede il luogo all’odio; il rispetto, al disprezzo; il guadagno, alla perdita; l’intenzione è corrotta, basso e vile il pensiero, disonesta l’azione… Osservate l’avvilimento, la degradazione in cui cadde e giace quell’adultero, quella donna da trivio, quella giovane spudorata. O Dio, come mettono schifo e ribrezzo non solo agli altri, ma ai loro medesimi corruttori! Il demonio medesimo, dopo di averle macchiate, le canzona, le disprezza, le calpesta. Obbrobrio della società e della famiglia esse si vedono fatte ludibrio agli scherni degli uomini e all’indignazione di Dio; sono la favola di tutto il mondo, derise dal cielo, dalla terra, dall’inferno, in uggia e abominio a se stesse… Donde può mai venire, domanda S. Bernardo, quella così grande e cosi miserabile abiezione, per cui una creatura così bella e nobile, capace dell’eterna beatitudine e del godimento di Dio; un essere creato a immagine di Dio, riscattato col sangue di un Dio, adottato dallo Spirito Santo, dotato della fede, nutrito di un Dio, fatto per Iddio e per l’immortalità; donde può mai essere, dico, che una tale creatura non arrossisca di tuffarsi e di vivere nella corruzione della carne e dei sensi? Ah! è questa una giusta punizione dell’avere abbandonato uno sposo quale è Gesù e di avere amato simili nefandezze; giusta punizione, il bramare i rifiuti degli animali e non averli! Giusto castigo, per questo orgoglioso che preferì custodire questi animali, anziché rimanersi nella Casa del padre suo! O stupido lavoro! o sudore male speso è questo mai col quale l’uomo si consuma intorno a un cadavere in putrefazione! « O insensati mortali], deh! non amate quello che amato v’insozza, posseduto vi schiaccia e perduto vi tormenta ». Finalmente, anche i saggi pagani convengono con la Scrittura e coi padri, che l’impudicizia è cosa laidissima e degradante e vergognosa più di qualunque altra. Platone e Cicerone, per esempio, dicono che la voluttà carnale è il nutrimento dei cuori abbietti e corrotti (De Sene et.). Orazio chiama i libidinosi « porci della mandria d’Epicuro ». — La libidine, dice Seneca, è propria non dell’uomo, ma della bestia . Il filosofo Panezio osservava che l’amore impuro è cosa vile tanto in colui che ama, quanto in colui che è amato. Poiché questo amore impuro non fa altro che convertire in putredine il corpo e quanto si prende in cibo e bevanda. L’oggetto che l’impudico ama di disonesto amore rimane nella sua memoria come una divinità nel suo tempio, divinità alla quale egli sacrifica non un toro né un capro, ma l’anima ed il corpo. Non si rende egli adunque quanto si può dire abbominevole e vile, se per un ignòbile piacere di un istante, si dà in balìa di una carne corrotta, o meglio si fa schiavo del più lurido dei demoni? (Anton. in Meliss.).

3.Funesti effetti dell’impurità: 1° I tormenti. — Il primo dei funesti effetti dell’impudicizia è di accendere nel cuore e nelle ossa del libidinoso un fuoco che lo cruccia, lo cuoce, lo divora: perché come una fiamma che si apprende al solaio di una casa, scoppia ben presto in vasto incendio che consuma tutta la casa con tutto quello che si trova in essa, così l’impurità, appigliatasi ad un’anima, divampa, se tosto non è spenta, in tale incendio, che nell’uomo non vi rimane più nulla d’illeso, né mente, né cuore, né sensi, né membra. Inoltre, come il fuoco si dilata di casa in casa, finché riduce in cenere un’intera città, così la fiamma libidinosa facilmente si stende da uno o da più a molti e diventa un focolare d’incendio. L’impurità è poi ancora un fuoco, perché vicina al fuoco dell’inferno. L’inferno alimenta questo fuoco e questo fuoco popola l’inferno. Sodoma accesa di fuoco impuro, è divorata dalle fiamme di un fuoco disceso dal cielo. – « Il fuoco delle passioni divora la gioventù », dice il Salmista (Psalm. LXXVII, 63), e « la fiamma impura si accende tra i dissoluti e finisce per incenerirli » (Psalm. CV, 19). « L’impurità, dice Giobbe, è un fuoco che non si spegne se non quando più nulla vi resta da consumare » (Iob. XXXI, 12). Su queste parole, così scrive S. Gregorio « Che cosa è la passione impura, se non un fuoco e che cosa sono i pensieri disonesti, se non paglia? Ora chi non sa che una scintilla gettata nella paglia, in poco tempo incendia un intero pagliaio, se non si spegne subito? » (In Iob.). «L’impurità, dice S. Ambrogio, è un fuoco crudele che non cessa mai un istante; brucia notte e giorno e la sua vampa toglie perfino il sonno » (In Psalm. I). « O lussuria, fuoco infernale esclama S. Gerolamo, la cui materia è la gola, la cui fiamma è l’orgoglio, le cui scintille sono i discorsi disonesti, il cui fumo è la follia e il termine è l’inferno! ». Poiché, come dice S. Agostino, « quel che diletta passa, ma quel che tormenta e strazia dura in eterno ». « O impudichi, esclama Isaia, ecco che voi accendete il fuoco e, cinti di fiamme, camminate al loro bagliore e in mezzo all’incendio da voi acceso » (Isai. L, 11). . S. Gregorio vede in quella caldaia bollente di cui parla Geremia (I, 13), il cuore del lussurioso infiammato di voglie carnali, acceso da satana, scaldato dal consenso; escono da questa caldaia infocata, come tanti sprizzi, i desideri di abbandonarsi ad opere nefande. « L’anima impura è figurata in una caldaia bollente, dice S. Tommaso : 1° a cagione del fuoco della concupiscenza; 2° a cagione delle azioni brutali; 3° per la nerezza della macchia. Essa è poi riscaldata : 1° dal furore di un cieco amore; 2° dal fuoco della collera e del litigio; 3° dal fuoco dell’inferno » (De Peccat.). Ed ecco perché Osea paragona gl’impudichi ad un forno acceso (Ose. VII, 4); e la Scrittura parlando dei vecchioni incontinenti che attentarono alla pudicizia di Susanna, dice che furono investiti dalle fiamme della concupiscenza (Dan. XIII, 8). Il demonio si unisce alla passione e tutti e due fanno a gara per soffiare nel cuore del dissoluto il desiderio del peccato; essi gridano del continuo ai sensi e alle creature: Portate, portate… « Di tal natura sono i piaceri sensuali, dice S. Gregorio, che mentre non si hanno, ci accendono di desiderio; appena gustati, ce ne sentiamo ristucchi e nauseati. Per contrario i piaceri spirituali, finché non si hanno, ci dispiacciono; ma appena assaggiati, stimolano l’appetito e tanto più ardentemente si desiderano, quanto più copiosamente si godono ». Il desiderio delle cose spirituali, osserva il medesimo Papa, rallegra l’appetito delle carnali tormenta; questo è abbietto e vile, quello nobile e grande. I piaceri della carne presto saziano e la sazietà genera nausea; ma quelli dello spirito saziano senza disgusto e la sazietà sollecita il desiderio; perché quanto più si gustano, tanto più si conoscono e si amano. Perciò non può amarli chi già non li prova, perché non ne conosce le dolcezze. I diletti corporali escludono quelli spirituali e ne tolgono perfino il senso (Homil.). – 2° Danni spaventosi. — Un altro effetto, non meno deplorevole del primo, produce la libidine, col togliere ogni sorta di bene nell’anima e nel corpo della sua vittima: « Non vi può rimanere niente di salvo e intatto, dice S. Cesario, in colui che è investito dal fuoco della concupiscenza ». « E tutti coloro, dice Salviano, che cadono e rimangono nel fango delle lubriche passioni, si seppelliscono sotto le loro medesime rovine » (Lib. ad Ecclesiast.). E infatti, non si dice forse de’ figliuol prodigo, figura e modello dell’impudico, che andato in paese lontano, diede fondo ad ogni sua sostanza e fu ridotto sul lastrico dalla sua vita di libertinaggio? (Luc. XV, 13). – Questa è la sorte che tocca ai libertini di professione. Fanno getto di tutti i doni di natura e di grazia… : perdono la carità ed ogni sorta di virtù… Questo vizio acceca l’intelligenza, cosicché non si conosce più né Dio, né la virtù… Spegne la memoria della legge e dei benefizi di Dio… Indebolisce la volontà e la deprava a tal punto, che si preferisce il vizio alla virtù, la voluttà alla ragione, la creatura al Creatore, la carne allo spirito, il rimorso alla pace, la terra al cielo, il demonio a Dio, la morte alla vita, l’inferno al paradiso, il sommo ed eterno male al sommo ed eterno bene. Si svestono le insegne di Gesù Cristo e s’indossa la livrea di satana… – Il voluttuoso diventa stupido, sconsigliato, avventato, senza ragione, senza spirito, senza cuore, senz’animo… Tutte le forze dell’anima e del corpo, destinate a servire il Creatore, sono da lui sciupate dietro la creatura, la concupiscenza, i piaceri del senso. Disprezza i doni del senso. Disprezza i doni della grazia, calpesta le promesse del battesimo; la nobiltà scompare sotto il fango, e l’attitudine spirituale alle grandi cose ed alle sublimi virtù è spenta. – Udite come parla S. Cirillo: « Per la voluttà la carne si corrompe, il vigore dell’animo è fiaccato, l’ardore dei vizi imbaldanzito; il giogo delle virtù diventa intollerabile; le passioni entrano nel cuore e lo splendore della ragione si oscura. La voluttà ha prostrato Sansone prodigio di forza, ha abbattuto Davide modello dì santità, ha sedotto Salomone oracolo di sapienza. La voluttà avvelena col soffio di dragone; invita tutta dolce, penetra tutta soave, s’impadronisce da assassino e distrugge ogni cosa ». « L’impurità, continua S. Cipriano, è rabbia venefica, incendio della coscienza, madre dell’impenitenza, rovina della più bella età, onta del genere umano, nemica giurata del sangue e della famiglia ». «L’incontinente, come già notava il Savio, non rispetta né il principio della vita, né la santità del matrimonio (Sap. XIV, 24). Né v’è da stupire; poiché, come volete che rispetti ancora qualche cosa questa gente la quale è zimbello di un vizio tale che, come dice S. Bonaventura, schianta perfino le barbe di ogni virtù e, secondo S. Agostino, non lascia nemmeno più pensare all’avvenire ed ai novissimi , e per testimonianza di S. Ambrogio, fa traviare dalla retta fede? – A buon diritto S. Basilio chiama la libidine: «Amor del diavolo che trae a morte; madre del peccato, nutrice del verme che roderà in eterno ». S. Giovanni Damasceno la chiama: «Metropoli di tutti i mali »; e S. Ambrogio: « Semenzaio e origine di tutti i vizi ». S. Remigio poi si spinse fino ad asserire che la maggior parte dei reprobi si trova all’inferno a cagione di questo vizio (De Impurit.). – Su questo versetto dell’Esodo: «La terra li ha divorati» (XV, 12), così scrive Origene: «Se vedi una persona abbandonata ai piaceri del senso, una persona nella quale l’animo non ha più impero, ma che è dominata dalla lussuria, di’ pure che la terra l’ha divorata e ben presto la inghiottirà l’inferno ». – La lussuria è una catena che mette l’anima in balìa del corpo, che la vincola e l’assoggetta per tal modo alla carne, che non ascolta più altri che il corpo, non vive se non di lui e per lui, e diventa, come lui, materia e fango. Questa verità conobbero e confessarono anche i pagani. Euripide cantava che la massima delle pazzie è l’incontinenza (Laertius); era detto di Antistene, che preferiva di divenire pazzo piuttostochè voluttuoso; perché può bene un medico guarire talora un pazzo, ma quando la libidine si è impossessata di un’anima, diventa un male quasi incurabile {Anton. in Meliss.). – L’effeminatezza dei Romani fu, per testimonianza di Tito Livio, la cagione delle loro sconfitte sotto Annibale, perché ne aveva indebolito le forze e spento il cuore (Histor. Rom.). Cicerone riporta come sentenza di Archita tarentino, non esservi al mondo peste nè più pericolosa né più funesta della voluttà. Da lei i tradimenti della patria, i rovesciamenti dei troni, le guerre delle nazioni; non darsi misfatto o delitto al quale la libidine non spinga. Quanti avvelenamenti! quanti infanticidi! quante risse! (De Senect.). – I piaceri carnali hanno per conseguenza malattie, febbri, piaghe, mali di ogni sorta, perciò Claudiano dava per avviso : « Di tenere chiuso il cuore all’incantevole voce della voluttà carnale, poiché chi le dà retta, si compra la propria rovina per mezzo del dolore ». – La lussuria toglie all’uomo l’ingegno, il giudizio, la forza fisica e morale; uccide la ragione, abbrutisce l’uomo. Quest’abominevole passione ubriaca i sensi, indebolisce la vista, altera i lineamenti del volto, mena a precoce vecchiaia, distrugge ogni buona disposizione, fiacca il coraggio e rende, in una parola, simili a quelle statue che hanno occhi, orecchi, piedi e mani, e intanto non vedono, non odono e non fanno nulla. Inoltre, distrugge il buon nome, fa schiava la volontà, incatena i buoni desideri, istupidisce i sensi e fa dell’uomo un animale d’infima specie. Questa passione è un delirio dell’anima; una ubbriachezza in cui si perdono le ricchezze, la nobiltà, la dignità, la fama, la santità, la vita, la pace, la tranquillità, la felicità, l’anima, lo spirito, il cuore, il tempo, l’eternità… – 3° Lo scandalo. — Il terzo effetto dell’impurità è lo scandalo che ne deriva. « La terra è macchiata dalla lussuria, è infetta dalla prostituzione » (Psalm. CV, 37). Il voluttuoso è macchiato e macchia gli altri, egli manda un fetore di morte che uccide, secondo l’espressione di S. Paolo (II Cor. II, 16). L’impudicizia corrompe tutto dove essa penetra; è uno scandalo dovunque si mostri, sia nei conviti, sia nei festini, sia nei balli, sia nei teatri, sia nelle conversazioni, sia nelle veglie, sia nella solitudine, sia nei cattivi libri… Non vi è scandalo peggiore dello scandalo che dà l’impudico; egli scandalizza in tutto e dappertutto. Per lui non vi è nulla di santo, niente di sacro; non rispetta né l’innocenza, né l’età, né il sesso, né la debolezza, né le lagrime, né il tempo, né il luogo, nemmeno le cose e le persone sacre. – Ecco il quadro che degli impudichi scandalosi ci ha tracciato la Sapienza: « Essi dissero, folleggiando nei loro storti pensieri: Corto e tedioso è il tempo di nostra vita e non vi è riparo per l’uomo dopo il suo fine e non vi è, che si sappia, chi sia tornato dall’inferno. Noi siamo nati dal nulla e saremo come se non fossimo stati mai, perché il fiato delle nostre narici è un fumo; la loquela è una scintilla che viene dal movimento del nostro cuore: spenta questa, il corpo nostro sarà cenere e lo spirito si dissiperà come un’aura leggera e la nostra vita passerà come la traccia di una nuvola e si scioglierà come nebbia battuta dai raggi del sole e sciolta dal calore di esso… Su via dunque, godiamo dei beni presenti e serviamoci in fretta delle creature, finché siamo giovani. Coroniamoci di rose prima che appassiscano, non vi sia prato per cui non passeggi la nostra lussuria. Non vi sia nessuno di noi che non partecipi alla nostra lubrica vita, lasciamo per ogni dove le tracce della nostra dissolutezza, che questa è la nostra porzione e la sorte nostra… Così hanno pensato e sono caduti in errore; perché la loro malizia li ha accecati » (Sap. II, 1-10, 21). -Rapire l’onore, l’onestà, la salute, la felicità, la vita alle vittime de’ suoi sfoghi brutali è per il lussurioso un nulla, una galanteria. Ah! quanto è vera la sentenza di S. Cirillo, « che la furibonda lussuria non vede nulla perché è cieca ». 4° L’accecamento. — Queste parole di S. Cirillo non solo ci spiegano i tanti scandali che seminano i lussuriosi, ma ci svelano ancora il quarto effetto dell’impudicizia, che è l’accecamento, effetto già avvertito da S. Paolo : «L’uomo animalesco non capisce nulla di ciò che appartiene allo spirito di Dio; poiché questo egli tiene per follia e non lo può capire » (I Cor. II, 14). – Il voluttuoso ha occhi, ma non vede, ha mente, ma non comprende, perché e quelli e questa sono per l’impurità divenuti una massa di carne. Egli è come uccello che si lascia invischiare nella pania, o pesce che morde nell’amo. Esso gode quando, non vedendo l’amo, ingoia l’esca; ma quando il pescatore comincia a tirarlo, si sente prima straziare le viscere, poi cavare e gettare fuori dell’acqua che è l’elemento di sua vita; e così quel cibo ingannatore che formava poco prima la sua delizia, si è fatto causa della sua morte e della sua distruzione. Viva imagine della sorte che tocca al lussurioso!… – Non c’è vizio che tanto oscuri la ragione, quanto il nefasto vizio dell’impudicizia. Essa è la madre e la nutrice della frivolezza, dell’incostanza, della precipitazione, dell’imprudenza, dell’amore di sé, dell’odio di Dio, del desiderio sregolato della vita presente, dell’orrore della morte e del giudizio… Dove trovare accecamento simile a quello di quei giovani i quali si vituperano, corrono mille avventure, affogano in un mare di pene, vanno incontro a un’infinità di disgusti, distruggono il loro avvenire, per un momento di follia?… Accecamento prima della passione, per studiare il modo di appagarla… Accecamento nel soddisfare la passione… Accecamento dopo sbramata la passione, per stordirsi e giacere nel disonore e nel delitto… – 5° La schiavitù. — Se per sentenza infallibile di Gesù Cristo, chiunque si fa reo di un peccato, si rende per ciò schiavo del peccato (Ioann. VIII, 34), ognuno può, da quanto si è detto delle conseguenze della disonestà, rilevare in quale dura e infamante schiavitù essa trae i suoi amanti. Il prodigo del Vangelo, che ridotto alla miseria dalle dissolutezze, si fa schiavo di un padrone duro e spietato il quale lo condanna ad abitare e mangiare coi porci, è una sbiadita imagine della triste schiavitù in cui cade il disonesto. -Egli è come quel cieco giumento che gira continuamente attorno ad una macina essendo l’impudicizia la catena e la prigione dell’anima. E la sciagurata vittima della lussuria non è forse continuamente affaccendata, non corre notte e giorno, non parla, non supplica per soddisfare la sua vile e animalesca inclinazione?… Schiavo della più infame delle passioni, schiavo della creatura che egli ha sedotto o da cui fu sedotto; schiavo de suoi capricci; schiavo di quanto in lui vi è di più vile; schiavo del demonio…; non è questa la più ignobile, la più obbrobriosa, la più degradante delle schiavitù? – « O miserabile servitù, esclama S. Agostino, miserabile schiavitù, è quella della lussuria! Lo schiavo dell’uomo, stanco dei duri trattamenti del suo padrone, può talvolta sottrarsi con la fuga; ma dove può mai rifugiarsi, per ricuperare la sua libertà, lo schiavo dell’impudicizia? Dovunque vada, vi trascina se stesso » (Tract. XLI). – « La carne, dice S. Bernardo, è lo strumento, o piuttosto la fune, con cui Satana arresta e lega il disonesto» (Serm. XXXIX). Il demonio se ne fa suo zimbello, ora lo spinge, ora lo ferma, lo conduce dove a lui talenta, per le spine, i sassi, i bronchi, nei burroni, nei precipizi. Lo fa cadere e ricadere, finché il vizio diventa abitudine e l’abitudine una necessità che lo tiene tra le sue morse, come schiavo tra i ceppi, secondo l’osservazione di S. Agostino: «La consuetudine cui non si resiste, si cangia in natura ». Il lussurioso non ha più volontà propria, l’ha mancipata alla passione; e siccome senza volontà non si può fare nulla, perciò egli rimane stordito nella sua dura schiavitù i cui ceppi gli vengono ribaditi.san Luigi gonz.

San Luigi Gonzaga, santo della purezza. Ci sia di esempio e sprono!

4. – I piaceri della carne sono cosa da poco, pieni di amarezza e di molestie. — L’uomo è fatto per Iddio e nessuna creatura può appagarlo; il suo cuore è insaziabile perché è quasi immenso ne’ suoi desideri; solo Iddio, come bene immenso ed infinito, può appagarli. «Può bene, dice S. Bernardo, l’anima ragionevole occuparsi di mille oggetti, ma nessuno non può riempirla ». Se ciò è vero in quanto ad ogni sorta di beni, di piaceri, di gioie che l’uomo può ricavare dalla terra, dal mondo, dalle passioni, è più che mai evidente se si applica ai piaceri che il disonesto trae dalla carne. Che cosa resta infatti all’incontinente, dopo lo sfogo della sua passione?… Perché cerca avido nuovi godimenti?… O come è povera la voluttà! Non può nutrire né l’anima, né la mente, né il cuore e intanto stanca e uccide il corpo; scava un abisso spaventoso nell’interno dell’uomo. Ecco tutto il guadagno! – Che cosa trova l’uomo nei piaceri carnali? V’incontra la viltà e la miseria…, l’inutilità…, l’insaziabilità…, la brevità…, l’instabilità…, la falsità …, l’insensibilità…, l’infedeltà…, il disinganno…, l’incertezza…, un monte di croci. – « La voluttà è tanto poca cosa, dice Seneca, che svanisce l’istante medesimo in cui si gusta; tocca già al fine, quando è appena cominciata ». Ma pensate, dice S. Agostino, che « se momentaneo è ciò che diletta, eterno sarà quello che tormenta ». – Se per ogni peccato, come osserva S. Bernardo, il godimento passa e più non torna, ma l’affanno rimane e più non parte; tanto più questo si avvera nel peccato dell’incontinenza. Quindi nei piaceri carnali succede al voluttuoso il rovescio dei suoi desideri. Egli vorrebbe che il diletto rimanesse sempre e non mescolato di angoscia e questo non ha luogo. Vorrebbe che la melanconia e l’affanno non venissero mai a intorbidare il godimento, ed essi sono sempre alle porte del suo cuore per cacciarne il piacere non appena vi ha posto piede. Vorrebbe la soddisfazione della carne senza la punizione del peccato, e prova il castigo senza gustare il piacere. Infatti la suprema giustizia di Dio non si regola, né può regolarsi a norma dei colpevoli desideri del dissoluto. No, Dio non consulta, per punire giustamente, i voti e i disegni del lussurioso, che sono così ingiusti. Impudico, tu brami adunque piaceri eterni senza mistura di amarezza; ma sappi che non ti sarà mai dato di trovare ciò nelle tue passioni. Soffoca le tue passioni e allora avrai ucciso l’affanno; ritorna a Dio con animo ravveduto e sincero e vedrai pienamente soddisfatta la tua voglia di veri piaceri ed eterni. Questo desiderio di godere sempre dei piaceri, afferma che il tuo cuore è fatto per Iddio. Quello che nella voluttà solletica e blandisce, presto scompare; quello che è triste, amaro, vergognoso e pungente viene di galoppo e rimane. Questa è giustizia… « Osservate, dice Platone, la differenza che vi passa tra la virtù ed il vizio: all’effimera dolcezza della voluttà, succede una pena continua, dolori ed ansietà perpetue; alle corte e lievi pene della virtù succedono la pace e la felicità eterna » (Lib. de Republ). – « Me infelice! esclamava Gionata, ho appena gustato un po’ di miele, ed eccomi condannato a morte » (I Reg. XIV, 43). Non cessino mai queste parole dal risonare nelle orecchie dei disonesti e se ne facciano l’applicazione. Sì, la voluttà spreme su le labbra dell’impudico una sola stilla di miele, per poi affogarlo in un mare di fiele; mentre nella purità una leggera amarezza si perde ben tosto in un oceano di dolcezza… « Un istante di voluttà, dice S. Agostino, prepara all’anima infelice un obbrobrio ed un tormento eterno ». « È stoltissimo, dice San Cirillo, colui che si uccide col piacere e tanto più grande è la sua stoltezza quanto più irreparabile è la sua rovina ». La dolcezza del piacere carnale è la lubricità del verme che si pasce della corruzione(Iob. XXIV, 20); e ai lussuriosi si può applicare quel detto di Osea: — Comedistis frugem mendacii (Ose. X, 13). Voi avete mangiato il frutto di menzogna; perché la concupiscenza promette la felicità e non dà che tormenti; è una sirena incantatrice che attira, ammalia, addormenta, per divorare. – « La voluttà, dicono i Proverbi, distilla il miele su le labbra, ma in fondo alle viscere diventa assenzio e le strazia come spada a doppio taglio » (Prov. V, 3-4). Come queste parole piene di verità si adempiono esattamente nei disonesti! L’amarezza di quest’assenzio e la punta di questa spada, si sentono dai lussuriosi nelle loro malattie, nella perdita della fortuna, della sanità, del riposo, della tranquillità; nella confusione, nel disonore, nei rimorsi, nei litigi, nelle risse, nelle noie, nei dispiaceri, nel pianto, nella disperazione, nella morte, nella condanna, nella eterna riprovazione che li aspetta. – La dissolutezza avvelena la vita, abbrevia i giorni; è un piacere pernicioso, simile al frutto di cui Dio aveva proibito ad Adamo di mangiare, sotto pena di morte:(Gen. II, 17). La concupiscenza, il demonio, il mondo dicono, come satana al primo uomo: Vana paura; invece di morirne, se gustate di questa dolcezza, sarete felici come Dio (Ib. III, 4-5). Maledetta concupiscenza! Tu prometti al disonesto diletti e gioie, ma se questi ti dà retta, gl’ene deriva disgusto, rimorso, vergogna; sì, egli diventa simile agli dèi, ma agli dèi delle favole, dèi adulteri ed infami, dèi corrotti e bestiali, degni idoli dei lupanari. « O cielo, esclama S. Agostino, quante calamità, quanti affanni vanno insieme con i piaceri carnali! quante sollecitudini e angosce non costano in questa vita, senza contare poi l’inferno. Guardati, o lussurioso, che tu già non sii inferno a te stesso fin d’ora ». – « Vivo è il colore delle rose, dice S. Fulgenzio, ma il gambo loro è irto di spine; bella figura della libidine! Ha anch’essa il suo rossore per l’obbrobrio che fa alla verecondia, ma non si può toccare senza essere lacerati dalla spina del peccato. E come la rosa diletta, ma in breve svanisce, così la voluttà solletica un momento, poi fugge per sempre ». Ma fuggendo vi lascia, nefasta eredità! I germi di perniciosissima malattia, come scrive S. Leone; o, come dice S. Pier Damiani, vi abbandona, vittime destinate alla morte eterna, in balìa del demonio, il quale si ciberà di voi come di ghiottissima vivanda. – Nei voluttuosi si avvera quella minaccia di Dio al popolo d’Israele: « Io li ciberò di assenzio, li abbevererò di fiele; li perseguiterò con la spada finché di loro non rimanga più orma » Gerem. IX, 15-16). Sì, per i disonesti tutto si risolve in pena, tormento ed affanno. Le acque dolci dei fiumi, sboccate in mare, prendono del salmastro; ogni diletto carnale cominciato nella dolcezza termina nell’amarezza. Non vi sia chi si lusinghi, avverte il Crisostomo, di cogliere dall’albero della concupiscenza il frutto del piacere senza sentirsi lacerare e insanguinare dal rimorso e dall’angoscia; è ciò tanto impossibile, quant’è impossibile il maneggiare rovi spinosi senza sentirsene punte le mani. A buon diritto pertanto conchiude S. Cesario, che per l’impudico non vi è giorno di gioia e di festa, ma sempre roso dal rimorso e dall’affanno, si consuma di melanconia e di tristezza.

5. –Quali sono le principali cause dell’impurità? — « La lussuria, dice S. Bernardo, è il cocchio del delitto, della morte, del demonio, dell’inferno; poggia su quattro ruote, che sono l’indolenza, la vanità, la ghiottoneria, l’immodestia; è tirato da due focosi cavalli, che sono la prosperità e l’abbondanza; vi siedono poi a cassetta l’indifferenza e la falsa confidenza » (Serm. XXXIX in Cantic.). – I gradi per i quali si precipita nell’impurità, sono: 1° il lauto vivere; 2° il bere troppo; 3° gli spettacoli i quali sono pericolosissimo scoglio alla castità ed al pudore, perché i più ci vanno per vagheggiare ed essere vagheggiati; 4° i canti osceni, i libri cattivi, le pitture disoneste; 5° i regali offerti ed accettati; 6° l’amore eccessivo del riposo; 7° la compagnia dei dissoluti; 8° i geniali convegni con persone di diverso sesso. – Pensate alla caduta di Sansone, di Davide, di Salomone e riconoscendo quanto voi siate lungi dalla fortezza del primo, dalla santità del secondo, dalla sapienza del terzo, temete e tremate. Pensate se potrete tenervi saldi in mezzo ai pericoli, voi deboli canne, voi fragili vetri, mentre caddero di quelli che erano cedri robusti, saldi macigni. L’impurità è fuoco, non forniamogli alimento.

6.In quanti modi si cade nel vizio della disonestà. — Cinque strade mettono al baratro della disonestà: i pensieri, i desideri, le parole, gli sguardi, le azioni. 1° I pensieri; perché i pensieri disonesti allontanano da Dio (Sap. I, 3) al quale sono in abbominio (Prov. XV, 26). Infatti, come dice S. Cesar o d’Arles, si sprigiona da essi un tale fetore che al suo paragone la puzza della più fetida cloaca è un nulla. Dove è il vostro pensiero, scrive S. Bernardo, vi è il vostro affetto: se esso si porta a cose brutte, lo Spirito Santo si allontana da voi e il tempio di Dio diventa il castello del demonio, perché Satana s’impadronisce di ciò che Dio abbandona. Perciò, quando si affaccia alla vostra mente un pensiero cattivo, scacciatelo subito, non acconsentitegli, non lasciatelo entrare nel vostro cuore. Respingetelo subito e vi lascerà più facilmente. Un pensiero disonesto genera il piacere; il piacere muove al consenso; il consenso porta all’azione; l’azione diventa abitudine; l’abitudine si cambia in necessità; la necessità porta con sé la morte. Ecco a quale precipizio conduce un pensiero cattivo! – I pensieri cattivi sono scintille le quali se non sono spente su l’istante, accendono il fuoco della concupiscenza che cova nella cenere de la carne e suscita un vasto incendio. Quindi ogni ragione vuole che loro non si dia tregua, ma si combattano e scaccino inesorabilmente, da qualunque parte vengano, sia dalle creature, sia dalla nostra propria concupiscenza. 2° Si cade nell’impurità con i desideri. È chiarissima la sentenza di Gesù Cristo: « Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con essa » (Matth. V, 28). Perciò S. Paolo inculca ai Romani, che non accarezzino la carne nei corrotti suoi desideri (Rom. XIII, 14). – 3° Si va all’impurità per mezzo delle parole. « La bocca dà di quello di cui abbonda il cuore », dice Gesù Cristo (Matth. XII, 34). Un parlare osceno è dunque segno ed effetto di un cuore impuro. Ciò nondimeno, quante persone non si fanno leciti discorsi disonesti! È per burla, si risponde; ma badate che col peccato non si burla; la violazione della legge di Dio, lo scandalo del prossimo non sono cose da burla. -Date ascolto all’avviso di S. Cesario: « Innanzi tutto, in qualunque luogo vi troviate, non vi escano mai di bocca parole disoneste o turpi ». E di quello che sa di lussuria, non se ne faccia nemmeno parola, come conviene a cristiani (Eph. V, 3). 4° Si cade nell’impurità con gli sguardi. Leggiamo nell’Ecclesiastico, che la persona si conosce negli occhi (Eteli, XIX, 26), e vi sono tali occhi, dice S. Pietro, che riboccano d adulterio e di malizia(II, II, 14). Quindi S. Agostino scriveva: « Nessuno dica che ha l’anima pura, se ha gli occhi impudichi: l’occhio lussurioso è il segnale di un’anima disonesta, di un cuore impuro ». Grandissima è la forza degli occhi per ferire mortalmente l’anima e il cuore. L’oggetto veduto e tanto più se considerato, passa dalla pupilla nell’interno dell’uomo, vi stampa la sua imagine la quale vi resta impressa e come scolpita, anche dopo che l’oggetto non è più presente e questo non può avvenire senza che se ne generi o l’amore o l’odio nello spirito e nel cuore… Ah! lo sguardo è saetta infuocata che penetra nelle midolle del cuore e le consuma. Davide cadde nell’adulterio e nell’omicidio, perché non fu vigilante a contenere la vista. Gli occhi sono le guide e le scorte di Cupido ossia dell’amore impuro: è impossibile che freni la passione chi non frena gli occhi; Il fuoco brucia da vicino, gli occhi bruciano da vicino e da lontano. « È cosa certa, dice S. Bernardo, che quando gli occhi si sono fermati con compiacenza sopra un oggetto disonesto, l’anima resta subito macchiata d’impurità, poiché lo sguardo è il precursore, la guida dell’impudicizia, come le mani e il tatto ne sono i ministri. Bisogna guardarsi dalle occhiate immodeste, come dal morso di una vipera ». -« La morte, dice Geremia, salì per le nostre finestre e introdottasi in casa nostra, mena strage dei ragazzi e dei giovani » (IX, 21). Le finestre della nostra casa sono, gli occhi e per essi entra la disonestà nell’anima. Come non servono a nulla i bastioni e le torri se restano aperte all’entrata del nemico le porte della cittadella, così tutti i ripari, tutti i mezzi di difesa che ci fornisce la grazia a nulla valgono, se teniamo aperte le porte dei sensi a ricevere nell’anima i pensieri e i desideri della carne. Severissima pertanto ha da essere la chiusura e vigilantissima la guardia da farsi ai sensi e principalmente agli occhi, giacché per mezzo loro entra nell’anima o la vita o la morte. Chi condusse i due infami vecchioni a desideri nefandi verso la casta Susanna? i loro occhi (Dan. XIII, 8). Il consenso al peccato tien sempre dietro allo sguardo volontario… O Dio! quanti dannati nell’inferno per occhiate impure! – Seneca medesimo cosi esclama: « O quanto spaziosa e facile strada è aperta alle passioni per mezzo degli occhi e quanto meglio sarebbe che fossero strappati, anziché lasciare che vedano cose le quali corrompono il cuore! Gli occhi mostrano a questo l’adulterio, a quello l’incesto, a un terzo il potere; ed è fuori di dubbio che gli occhi sono gli strumenti attivi del vizio, i precursori dei misfatti » (Lib. de Remed. fortuit.). -5° Si va alla lussuria per mezzo delle azioni disoneste, sia sul proprio corpo, sia su la persona altrui; e in tutte queste varie maniere d’impurità vi è peccato mortale, quando vi si trova la volontà ed il consenso deliberato.

7.Quanto sia difficile uscire dall’impurità. — È cosa facilissima il cedere alle seduzioni della voluttà, perché questa passione si accende più facilmente che la paglia al fuoco; ma quanto difficile riesce il liberarsene e spegnere gli ardori di tale incendio! Come dura e laboriosa impresa è quella di correggersi e uscire da tale cloaca, per chi vi è affogato con frequenti cadute e con lunga abitudine! E infatti, chi li aiuterà a togliersi da tale pantano? Forse Dio? Sì, Dio è pronto ad aiutarli e a sé li invita con le chiamate del divino Spirito, ma essendo la vita loro tutta di carne, sono divenuti carne e l’uomo carnale, ossia animalesco, poco intende la voce dello spirito (Rom. VIII, 5)(I Cor. II, 19). « In essi non è più traccia, dice S. Giacomo, della sapienza che viene dall’alto, non vi rimane che la terrena, l’animalesca, la diabolica » (Iacob. III, 15). Ora, si può sperare che una tale sapienza si pieghi a darsi vinta ai puri e dolci influssi della sapienza divina? – Forse la vergogna naturale, il ribrezzo che certe nefandezze provocano negli animi onesti? Nemmeno questo; perché abbandonati da Dio al furore delle loro malnate cupidigie, lasciati in balìa al reprobo senso, si spogliano di ogni rossore, non distinguono più la sconcezza della lussuria dalla bellezza dell’onestà : sono, come li chiama S. Giuda, uomini di vita animale, privi di senno (Iud. 19). -Si lasceranno almeno commuovere e guadagnare alla grazia? Non possono, risponde S. Bernardo; « perché, come chi ha gustato le dolcezze della grazia, trova insipidi tutti i piaceri della carne, così chi trova appettosi i piaceri del corpo, non sente più nessun gusto nelle dolcezze, nelle attrattive della grazia ». – Sarà il terrore dei divini giudizi che rimetterà in senno i lussuriosi e li spingerà a togliersi dal fango? Non ci credete, dice S. Agostino, perchè l’incontinenza distoglie dal pensiero dei novissimi. – Non hanno maggiore forza su l’animo degli impudichi gli avvertimenti, i consigli, le ammonizioni; nessuna di queste cose, per testimonianza del Crisostomo, non può scuotere e salvare dal naufragio l’anima che affoga nella lussuria. Anzi, come osserva S. Cirillo, « il libidinoso invece di accogliere di buon grado gli ammonimenti, con cui si cerca di strapparlo alla vergognosa sua condizione, li prende in mala parte ». Egli diventa un impasto di caparbietà’, di orgoglio, di accecamento, di stupidezza, cosicché invano intorno a lui si adopera e Dio e l’uomo. – « Colti in questa diabolica rete di satana, oh! quanto è difficile e raro esclama S. Gerolamo, che ne usciamo! ». Perciò, dice S. Tommaso, il demonio si rallegra quando riesce a prendere un’anima nella lussuria, perché è cosa vischiosissima e difficilmente si riesce a liberarsene. Questo vizio è come una palude fangosa in cui, se si estrae un piede, si affonda l’altro. – Questo spiega perché Clemente d’Alessandria chiami l’impurità « male incurabile »; Tertulliano, vizio immutabile » e S. Cipriano «madre dell’impenitenza ». S. Dionigi di Chartres afferma che non si trova tra i voluttuosi abituati, chi abbia dolore del suo peccato perciò quasi tutti gli impudichi si dannano (In Vita). « E’ quasi impossibile, scrive Pietro di Blois, che uno riesca a trionfare della carne, quando la carne ha già di lui trionfato ». Infatti, osserva S. Agostino, « con lo sfogare la libidine, se ne contrae l’abitudine la quale, a lungo andare, diventa necessità. La caduta è una catena, la ricaduta e l’abitudine gettano in prigione, l’abitudine poi, diventa necessità, mura la porta di questa medesima prigione ». – Purtroppo la quotidiana esperienza di tanta gioventù che si abbandona al vizio e non si ravvede nemmeno tra il gelo della vecchiaia, è mallevatrice della verità delle sopraddette sentenze!

8.-Castighi e dannazione dell’impudico. — Bastano a darci un’idea dei castighi che porta con sé l’impurità i mali e le disgrazie che piombano come la folgore e la tempesta in capo all’impudico; e quella vita di nefandezza, di avvilimento di degradazione, d’illusione, d’inganno, di agitazione, di accecamento, di schiavitù, di rimorso, di affanno in cui lo vediamo trascinare i suoi giorni. E poi non è forse il più terribile dei castighi il fatto che Dio li abbandona ai corrotti appetiti della carne, al reprobo loro senso? « Deh! non v’illudete, esclama S. Paolo, Dio non si beffa. L’uomo raccoglierà quello che ha seminato: chi semina nella carne, raccoglierà dalla carne, corruzione; chi semina nello spirito, raccoglierà dallo spirito, vita eterna» (Gal. VI, 7-8). Ed agli Ebrei ricorda, che Dio farà giudizio dei fornicatori e degli adulteri (Hebr. XIII, A). La stessa cosa predica anche Pietro la ove dice che Dio sa riservare al giorno del giudizio quelli che devono essere castigati e tra questi sono in prima fila coloro che si danno ai piaceri sensuali (II Petr. II, 9-10).- « Iddio, scrive S. Agostino, fa servire gli stessi peccati ai disegni della sua giustizia, per modo che quello che è stato strumento di piacere in mano al peccatore, diviene strumento di castigo in mano a Dio vendicatore ». Il disonesto è dal Crisostomo paragonato all’indemoniato che non è padrone di se stesso (Hom. XXIX in Matth.). « Chi fa lega con persone di mala vita, diverrà sfacciato, dice l’Ecclesiastico: avrà in retaggio la putredine e i vermi; sarà proposto ad esempio di terrore e di spavento e cancellato dal numero dei viventi » (Eccli. XIX, 3). Il più spaventoso castigo che abbia veduto il mondo, è certamente il diluvio; ora chi l’ha attirato su la terra? L’impurità del genere umano; ogni carne si era corrotta e Dio, per purgare il mondo, lo affogò in un diluvio d’acqua. Chi fece piovere su Sodoma e Gomorra fuoco e zolfo? l’impudicizia… Chi atterrò i grandi imperi? la dissolutezza… Donde sbucano la maggior parte delle eresie che scompigliano la Chiesa di Dio? Dal vizio impuro. Percosso da disgrazie e da castighi nei giorni della sua vita il lascivo incontra una morte orrenda e spaventosa…; terribile sarà il suo giudizio…; l’inferno sarà la sua dimora eterna… Ah sì! l’impurità è un fuoco che si converte in fiamme eterne e termina nel fuoco dell’inferno. « I disonesti, scrive il cardinale Gaetano, portano già in questo mondo dentro se stessi l’inferno e termineranno coll’andare ad alimentare il fuoco dell’inferno. L’inferno sarebbe vuoto, cesserebbe, per così dire, la sua fiamma, quando l’impurità degli uomini cessasse dal fornirle alimento. La voluttà si cambierà in pece che nutrirà un fuoco cocentissimo nelle viscere dei lascivi per tutti i secoli. Oh che infelicità, che sventura prepara mai a se stesso l’impudico, nel tempo e nell’eternità!»

9.- Rimedi contro l’impurità. — « La voluttà è simile al cane, osserva S. Giovanni Crisostomo; se lo cacciate, si allontana; se lo carezzate, più non vi lascia ». Bisogna dunque scacciare e fuggire questa sirena incantatrice che è l’impurità, come già ne avvisava i giovani Seneca medesimo (Ap. Laert. lib. II). Altro rimedio ci suggerisce S. Basilio, ed è che si castighi il corpo e si tenga custodito e domato come animale furioso, malmenando con penitenze e rigori questo nostro vestimento di carne e di sozzura, come lo chiama l’apostolo S. Giuda (Iud. 23). Poiché la mortificazione del corpo, dice S. Basilio, forma la sanità e il vigore dell’anima. Siccome questa passione invita con le lusinghe, attrae col solletico della felicità e del piacere, si impadronisce per uccidere e rovina quanto trova nell’uomo, è necessità non mai porgerle orecchio, non prestarle fede, non affidarsele, ma diffidarne, temerla, studiosamente e prontamente fuggirla. « Chi vuole praticare le virtù, scrive S. Gregorio, e non impedirne il crescere, deve spegnere in se stesso il fuoco impuro in modo tale che a forza di vigilanza non se ne lasci mai toccare neppure leggermente » (Moral.). Il rimedio che ci premunisce contro le fiamme del fuoco impuro, sta nell’averne un grande orrore; nel non accostarvisi; nel fuggirne più lontano che si può; e questo si ottiene con la vigilanza e con la preghiera, dicendo Gesù: «Vigilate e pregate, acciocché non v’incolga tentazione; perché anche dove lo spirito è pronto, la carne è debole » Matth. XXVI, 41). Mezzi validissimi a vincere la voluttà sono: considerare la brevità del piacere e la lunghezza dei patimenti che vengono dopo; conviversi che la lussuria è il più pericoloso e mortale nemico dell’uomo e la causa principale di tutte le sue sciagure; meditare attentamente sulla differenza immensa che passa tra le ricchezze, le consolazioni, le soavità della grazia, della continenza e la miseria, l’amarezza, l’angoscia, gli strazi dell’impurità, dell’incontinenza. L’umiltà è buon talismano contro gli incantesimi della lussuria: dove non vi è umiltà, rarissimamente vi è castità. Adamo per orgoglio si ribella a Dio, ed ecco tosto ribellarsi a lui la carne; si vede nudo, arrossisce ed è costretto a nascondersi… Bisogna che si sottometta a Dio, che a lui obbedisca chi vuole avere la carne soggetta e obbediente allo spirito… Per respingere gli assalti della voluttà, è pure ottima difesa il lavoro. « La libidine resta fiaccata e spenta dalle fatiche corporali », scrive S. Isidoro; quindi quell’aureo avviso di S. Gerolamo: « Bada che il demonio ti trovi sempre occupato al lavoro »; non dimenticare però di unire al lavoro la preghiera la quale è, come dice S. Gregorio, « la guardia del pudore ». Finalmente il digiuno, i sacramenti, il pensiero della presenza di Dio, la divozione alla Vergine Maria, la considerazione dei novissimi sono tali mezzi che vincono sicuramente e prostrano il vizio dell’impurità.

 

 

La strana sindrome di nonno Basilio: 24

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La strana sindrome di nonno Basilio -24-

   Egregio direttore, mi presento ancora alla sua attenzione proseguendo quella che oramai è divenuta una consuetudine, spero non angusta per lei, ma certamente per me ricca di spunti e considerazioni importanti da proporre ai miei cari nipoti ed ai suoi lettori, se ancora ce ne sono che hanno voglia di leggere le mie amenità. In una bella mattinata ombrosa, ero all’ascolto attento di un capolavoro musicale che lei certamente conoscerà, il quintetto per pianoforte ed archi di Franz Schubert in La maggiore D 667 “Die Forelle”, (la Trota). Lei certamente saprà che in questa meraviglia di suoni già la strumentazione si presenta apparentemente stravagante, perché il quartetto d’archi non si compone dei due soliti violini, viola e violoncello, ma un violino viene sostituito dal contrabbasso, e questo conferisce all’insieme una profondità timbrica tutta speciale, sulla quale si stagliano poi i guizzi melodici, i trilli e gruppetti violinistici, capaci di rendere estremamente suggestiva, quasi visibile, la scena descritta. È una goduria per le orecchie, di cui purtroppo i giovani di oggi non sospettano neppure l’esistenza, occupati ad ascoltare feccia acustica, spazzatura di frastuoni, lurida ferraglia spacca-orecchi. Le ricordo, solo per inciso, che questa meraviglia della creatività umana, si sviluppa anche melodicamente su di un tema che già Schubert aveva composto in un suo Lied, l’opera 32, appunto “Die Forelle”, il cui testo è del poeta quasi omonimo Schubart. Gliene riporto uno stralcio tradotto: “In un chiaro ruscelletto, guizzava lieta e svelta la trota capricciosa, veloce come una freccia. Io stavo sulla riva e osservavo in dolce calma il bagno del bel pesciolino nel limpido ruscelletto. Un pescatore con la lenza si mise sulla sponda e guardò, a sangue freddo, dove andava il pesciolino. Fin che l’acqua chiara, pensavo, non verrà meno, non potrà catturare la trota col suo amo. Ma infine al disonesto l’attesa sembrò lunga. Rese il ruscello torbido, il perfido, e prima che me ne accorgessi, fece scattare la sua lenza, il pesciolino si agitava, preso, ed io col sangue sconvolto guardai la vittima ingannata”. L’opera strumentale viene però completata da un finale allegro, mirabolante, musicalmente stupendo figurando la liberazione che infine la trota ottiene, devincolandosi e liberandosi dalla lenza, sembra quasi di vedere una scena biblica, come quelle descritte dal Re-Profeta, ad esempio nel salmo XVII: “Misit de summo, et accepit me; et assumpsit me de aquis multis. Eripuit me de inimicis meis fortissimis, et ab his qui oderunt me. Quoniam confortati sunt super me, praevenerunt me in die afflictionis meae; et factus est Dominus protector meus. Et eduxit me in latitudinem; salvum me fecit, quoniam voluit me” [stese la mano dall’alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque, mi liberò da nemici potenti, da coloro che mi odiavano ed eran più forti di me. Mi assalirono nel giorno di sventura, ma il Signore fu mio sostegno; mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene”] (vv.17-20), o nel salmo LXVIII: “Salvum me fac, Deus, quoniam intraverunt aquae usque ad animam meam. Infixus sum in limo profundi et non est substantia. Veni in altitudinem maris; et tempestas demersit me. Laboravi clamans, raucae factae sunt fauces meae; defecerunt oculi mei, dum spero in Deum meum. Multiplicati sunt super capillos capitis mei qui oderunt me gratis. Confortati sunt qui persecuti sunt me inimici mei injuste …” [Salvami, o Dio: l’acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango e non ho sostegno; sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge. Sono sfinito dal gridare, riarse sono le mie fauci; i miei occhi si consumano nell’attesa del mio Dio. Più numerosi dei capelli del mio capo sono coloro che mi odiano senza ragione], o, tanto per completare, anche nel salmo CXXIII: “forsitan aqua absorbuisset nos; torrentem pertransivit anima nostra; forsitan pertransisset anima nostra aquam intolerabilem. Benedictus Dominus, qui non dedit nos in captionem dentibus eorum. Anima nostra sicut passer erepta est de laqueo venantium; laqueus contritus est, et nos liberati sumus. Adjutorium nostrum in nomine Domini, qui fecit caelum et terram”. [Le acque ci avrebbero travolti; un torrente ci avrebbe sommersi, ci avrebbero travolti acque impetuose. Sia benedetto il Signore, che non ci ha lasciati in preda ai loro denti. Noi siamo stati liberati come un uccello dal laccio dei cacciatori: il laccio si è spezzato e noi siamo scampati. Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra”] (vv.4-8). A questo tripudio di ricchezza inventiva e di frizzante comunicativa sembra ora partecipare, in una felicità favolosa, anche la trota risorta. Caro direttore le parlerei per giorni di questa leccornia musicale, davanti alla quale la mia memoria miracolosamente risorge: Exsurge Basilie!! Nell’illustrare la scena ai miei nipoti, i soliti Mimmo e Caterina, nel frattempo giunti ed attenti all’ascolto, cominciamo a ragionare su come, per ingannare e prendere al laccio le … trote “cristiane”, è bene confondere ed intorbidire le acque cristalline nelle quali ci si può orientare facilmente tanto da sfuggire all’accalappiatore infido. Ma, guardi direttore, come il risveglio della mia memoria, mi porta davanti agli occhi la grande enciclica “Pascendi”, del Santo Padre Pio X, nella quale appunto egli metteva in guardia dalla tattica confusionale dei novatori modernisti, tattica attuata gettando nella cristallina acqua dell’insegnamento evangelico di Cristo, della Tradizione Patristica, della teologia scolastica dell’Angelico, del “Depositus Fidei” della Cattedra di Pietro, la melma filosofica razionalista figlia della mai sopita rivendicazione gnostica procedente da Cartesio, Kant, Rousseau, Voltaire, Hegel, e via via fino ai nostri attuali nichilisti, teologi compresi, passando per Nietsche e Feud. Mi toccherà pure, se la mia memoria migliorerà a furia di ascoltare bella musica sacra, canti gregoriani, messe solenni, requiem, stabat Mater e così via (l’unica terapia che, salmodia in latino a parte, finora sia servita a qualcosa … alla faccia dei professoroni tirasoldi presuntuosi “bla, bla, bla”… ), illustrare, soprattutto a Mimmo, che in questo è a dir poco carente, il pensiero di questi filosofi e personaggi bislacchi che condizionano ancora pesantemente la nostra vita, la nostra società irrimediabilmente corrotta, mettendo oltretutto con la “nuovelle théologie”, via certa per sprofondare nell’inferno, in pericolo la nostra anima, secondo le lezioni dello zio Tommaso, buon’anima (e qui ci scappa la lacrimuccia!). Ci diceva tra l’altro il santo sacerdote mio zio, che l’enciclica “Pascendi dominici gregis”, promulgata l’8 settembre 1907, riassume tutta l’offensiva condotta dal Papa San Pio X contro l’errore del modernismo. Come ogni eresia, il modernismo è un sistema in cui tutto è strettamente collegato, un sistema costituito ” non da vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove “chi una cosa ammetta  uopo è che accetti tutto il rimanente”. Ma, a differenza di altre eresie, si tratta di un sistema che non si presenta come tale. Ad una prima lettura essa presenta una apparenza di oscurità e di equivoco che, su ogni singolo punto particolare ed isolato, potrebbe indurre una benevola interpretazione dal punto di vista dell’ortodossia. Giusto per dare un esempio,al punto n° 3 di tale documento, San Pio X ricorda che i modernisti “niuno li supera di accortezza e di astuzia”, essi usano una “sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto “. E al n° 2 afferma che si tratta di nemici ” tanto più perniciosi quanto meno sono in vista”. Non è dunque senza motivo che San Pio X paragona questa eresia del tutto nuova e senza precedenti ad una “fogna”: il modernismo è il ricettacolo di tutte le eresie, ci confermava lo zio. Una fogna è invisibile perché è sotterranea ed il modernismo è esattamente una eresia sotterranea, un’eresia che si diffonde nascostamente. Esso si potrebbe paragonare anche ad un camaleonte, che possiede la capacità di cambiare il colore della pelle in funzione dell’ambiente in cui si trova. Questa caratteristica gli permette di dare l’impressione che sia cambiato, mentre in realtà è rimasto lo stesso. Questo secondo paragone ci permette di comprendere perché l’analisi di San Pio X conserva ad oggi tutta la sua attualità. Gli insegnamenti del così detto concilio Vaticano II, infatti, in particolare la Lumen Gentium [speriamo che non sia il solito documento macchietta di Mimmo!] di cui mi parlerà prossimamente, come mi ha promesso, Caterina, per capire fino a qual punto si sia spinta la follia modernista, hanno mutato il colore del modernismo senza cambiarne la natura profonda, anzi rendendolo più operativo. Il principio primo di questo modernismo analizzato da San Pio X (lo ricordava spesso lo zio) è duplice: Vi è un primo fondamento costituito dall’agnosticismo, secondo il quale sarebbe impossibile entrare in relazione con Dio tramite la conoscenza intellettuale. E tuttavia il modernismo non è un ateismo al quale sfugge grazie però solo all’immanenza vitale, che costituisce il secondo fondamento del sistema, [scoprendo la maschera della gnosi – n.d. Bas.]: si entra in relazione con Dio non tramite la conoscenza, ma per il bisogno. Questo bisogno divenuto cosciente è la fede ed è anche la rivelazione. Fede e rivelazione derivano dall’interno (la coscienza del soggetto) e non più dall’esterno (la proposizione oggettiva del dogma offerta dal magistero della Chiesa): siamo all’immanenza, dove fede e rivelazione corrispondono non ad una conoscenza, ma ad un bisogno o ad un vissuto. È il vitalismo. Sostenendo che il bisogno o l’esperienza del divino sono alla base della rivelazione e della fede, esso si sostituisce come principio della religione, la vita alla verità. Il problema è, allora, di mantenere e dunque di trasmettere la fede e la rivelazione. Occorre quindi assicurare la permanenza del vissuto grazie alla Tradizione e alla Chiesa. Per comunicare l’esperienza occorre viverla insieme. La Chiesa, che è questo vissuto collettivo, è definita come ” il frutto della coscienza collettiva “. Questa esperienza vissuta in comune dà vita alla tradizione vivente, cioè alla serie, continua nel tempo, delle esperienze religiose fatte in comune. Ne deriva che la costituzione della Chiesa non è più quella di una società monarchica, ma quella di una comunione o di un governo democratico, in cui l’autorità diviene il portavoce della comunità. Da ciò deriva anche un “relativismo” unico nel suo genere: tutte le religioni sono più o meno vere [ergo: tutte false!]. Dal momento che la religione sarebbe la comunicazione di una esperienza, la migliore religione, e dunque la più vera, sarà quella in cui la comunicazione corrisponde meglio ai bisogni della coscienza umana e meglio perdura. Questa religione esiste: è il cattolicesimo, la religione che in fondo è solo più vera delle altre, mentre le altre, corrispondendo più o meno a questi bisogni, rimangono buone e legittime. Vede direttore su quali idiozie si fonda il modernismo, che dunque, può riassumersi in tre grandi postulati: 1) la fede e la rivelazione consistono nel vivere un’esperienza; 2) la Chiesa è la comunione di coloro che vivono questa esperienza; 3) il cattolicesimo è solo il coronamento o la pienezza di questa esperienza. Ecco quindi come scaturisce da questi anomali postulati, tutta una serie di eresie ampiamente condannate dai Vicari di Cristo e riproposte, con faccia bronzea dal “Concilio tradimentino”, e dal postconcilio “in forma apostasiae” in un crescendo che alla fine si concluderà in un intervento divino che, col soffio della sua bocca, libererà le … povere trote dai pescatori, o se preferite, gli uccelli dal laccio del cacciatore, come promesso nei salmi, e alfine il povero cattolico … dal modernista di ogni risma. S. Ignazio da Loyola negli “Esercizi Spirituali” (n°318) scrive che in tempi di confusione non si deve cambiare proposito di agire, ma restar fermi e fare come prima senza pretendere di vederci chiaro, poiché “nel torbido pesca il demonio”. Quindi nei casi di oscurità, aridità, desolazione, ‘notti dei sensi e dello spirito’, occorre andare avanti come prima, anche senza vedere, anzi ci si deve accontentare di non aver lumi, poiché Dio permette tale oscurità per purificare l’anima dei suoi fedeli, spingendoli ad una maggior fiducia in Lui che non in se stessi e a “sperare contro la speranza”, senza vedere nell’inevidenza (quod repugnat). Anche S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce insegnano la stessa dottrina, che è comune in teologia ascetica e mistica. Exsurge Basilie, exsurge Directore! Dopo i momenti oscuri e tenebrosi del “lento lugubre”, quelli del modernismo e dell’ecumenismo conciliare, esploderà un finale gioioso “allegro con fuoco”, nella brillante e “frizzante” tonalità di Re maggiore, alla maniera Schubertiana, o forse, ancora più incisivamente, in un crescendo rossiniano. Direttore, sulle righe di un ideale pentagramma, la saluto caramente. Sursum corda! Christus vicit, Christus regnat, Christus imperat! Alla prossima, direttore, stia tranquillo, tanto “non praevalebunt…” anzi: “… irridebit eos, et Dominus subsannabit eos”, perché il Cuore Immacolato di Maria alla fine trionferà et “Ipsa conteret caput eorum”!

La strana sindrome di nonno Basilio: 23

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Attendite, popule meus, legem meam; inclinate aurem vestram in verba oris mei. Aperiam in parabolis os meum; loquar propositiones ab initio; quanta audivimus et cognovimus ea, et patres nostri narraverunt nobis…”  [Popolo mio, porgi l’orecchio al mio insegnamento, ascolta le parole della mia bocca. Aprirò la mia bocca in parabole, rievocherò gli arcani dei tempi antichi. Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato, non lo terremo nascosto ai loro figli; diremo alla generazione futura le lodi del Signore, la sua potenza e le meraviglie che egli ha compiuto. Ha stabilito una testimonianza in Giacobbe, ha posto una legge in Israele: ha comandato ai nostri padri di farle conoscere ai loro figli, perché le sappia la generazione futura, i figli che nasceranno. Anch’essi sorgeranno a raccontarlo ai loro figli perché ripongano in Dio la loro fiducia e non dimentichino le opere di Dio, ma osservino i suoi comandi.”]. Caro direttore, mi perdoni se non l’ho salutata subito, ma ero così immerso nella lettura, che ho cominciato a scrivere quasi meccanicamente quello che a memoria stavo ripetendo. Mi perdoni ancora e mi saluti cordialmente i suoi lettori, ammesso che ci sia ancora qualcuno disposto a leggere le mie scribacchiate. Avrà sicuramente riconosciuto i versetti iniziali del salmo LXXVII, salmo di Asaf, un Maskil, cioè uno scritto magistrale, basilare, istruttivo delle realtà spirituali, profondissimo, pur nella narrazione storico-evocativa, che andavo leggendo e meditando con i miei cari nipoti, i già a lei noti Mimmo e Caterina, ai quali avevo appena mostrato il contenuto della lettera dello zio Pierre di cui le parlavo la volta scorsa. Questo era uno dei salmi preferiti dal mai abbastanza compianto zio Tommaso, santo prete, figura gigantesca della mia infanzia e della prima giovinezza, ed ancora presente nella mia memoria con la sua saggezza divinamente ispirata dei sacerdoti di un tempo – a lui si addiceva perfettamente il “Tu es sacerdos in aeternum” … del salmo CIX, 4 ! -, figura della cui incidenza sui miei valori morali e spirituali mi rendo conto solo ora, nella mia malandata vecchiaia, ma anche così mi è di dolce conforto …! Valori che il salmo in oggetto auspicava venissero tramandati ai posteri, in particolare dal corpo sacerdotale. All’uopo, ricordo che il “mio” Papa, il “Genio” Pacelli (noi monelli dell’epoca lo chiamavamo “E’ un Genio”, parafrasando il suo nome Eugenio), il Petrus romanus” Pio XII, aveva cercato di arginare il movimento neomodernista, tornato con virulenza pestifera all’assalto del Cattolicesimo, sostenuto dalle filosofie e pseudo-teologie (sarebbe forse il caso di dire “anti-teologie”) delle conventicole esoterico-iniziatiche” infiltrate nelle menti bacate di superbi e lussuriosi chierici di “alto bordo”, e dai marrani della “quinta colonna” [sempre nel linguaggio colorito dello zio Pierre, e se no … di chi altri?] con scritti e Magistero illuminante il cui apice fu l’Enciclica “Humani generis”(caro direttore mi perdoni ma, anche se questo esula dai suoi compiti, dovrebbe trovare prima o poi il modo di pubblicarla, non fosse altro che per far capire ai giovani sacerdoti che il Cattolicesimo è ben altra cosa rispetto alle barzellette che sono state loro insegnate facendo studiare non la teologia del “Dottore angelico”, bensì lo gnosticismo così malamente celato della “Nouvelle Théologie”, impastata di naturalismo, immanentismo, dualismo, docetismo, primato della coscienza ed altre amene … bestialità, grembiulinate ed immondezze varie, favole giudaiche, come dice l’Apostolo, … formando così “ciechi che guidano altri ciechi, ipovedenti, miopi, assonnati, abulici, distratti, infingardi …”!). Spiego all’attenta Caterina e a Mimmo, che fa finta di essere disinteressato, ma in realtà con finti occhi sonnacchiosi ascolta attentamente, che sull’intestazione della suddetta Enciclica appare la dicitura:ENCICLICA “HUMANI GENERIS” DI S. S. PIO XII “CIRCA ALCUNE FALSE OPINIONI CHE MINACCIANO DI SOVVERTIRE I FONDAMENTI DELLA DOTTRINA CATTOLICA”. Queste false opinioni erano state già condannate da Leone XIII, che tra l’altro in “Satis cognitum” scrive: «Ripugna alla ragione che anche in una sola cosa non si creda a Dio che parla (…). Non è lecito, perciò, ripudiare neppure “uno solo” (“iota unum” avrebbe detto Gesù – n.d.Bas.-) degli ammaestramenti degli Apostoli, come non si può rigettare nulla della dottrina di Gesù Cristo». Le neo-eresie riproposte e anatemizzate da Pio X (in “Pascendi” e decreto “Lamentabili”), e fin dal Syllabo di Pio IX, sono proprie quelle che il Concilio Vaticano II ed il postconcilio (la segatura marcia prodotta dal “punteruolo rosso” del Vaticano II, che sta svuotando la palma robusta della Galilea, tanto per usare un’espressione biblica), hanno rimesso attualmente in auge … mi conferma prontamente Caterina, traghettate da personaggi già ampiamente messi all’indice in epoca preconciliare, cioè cattolica, e riesumati con tanto di onori dalle “maestranze vaticane” evidentemente conniventi. Caterina mi ricorda alcuni nomi, alcuni già a me tristemente noti, come i (finti)domenicani Marie-Dominique Chenu ed Yves Congar, i (finti)gesuiti Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar, Theilard de Chardin, ed altri nuovi (tra cui un certo Karl Rahner, ed un giovane teologo bavarese dall’aria da volpone falsamente innocente) certamente teologicamente più dinamitardi dei precedenti, vere “ruspe” dell’edificio Cattolico romano. Tra una considerazione e l’altra continuo la lettura del Salmo (la preghiera innanzitutto, amabile direttore …!), siamo ai versetti 36-37: “Et dilexerunt eum in ore suo, et lingua sua mentiti sunt ei; cor autem eorum non erat rectum cum eo, nec fideles habiti sunt in testamento ejus. Ipse autem est misericors, et propitius fiet peccatis eorum et non disperdet eos. Et abundavit ut averteret iram suam, et non accendit omnem iram suam”. [lo lusingavano con la bocca e gli mentivano con la lingua; il loro cuore non era sincero con lui e non erano fedeli alla sua alleanza. Ed egli, pietoso, perdonava la colpa, li perdonava invece di distruggerli. Molte volte placò la sua ira e trattenne il suo furore…] ma guarda un po’, questo Asaf sembra partecipare alla nostra conversazione … non avrà mica pure lui letto, magari profeticamente, gli atti dell’anti-concilio che Caterina possiede e ogni tanto legge inorridita.… bah … sarà un effetto della mia memoria malata … che le devo dire, direttore!?? Egregio direttore, voglio solo ricordarle alcuni brevi passi di questa “infallibile ed irreformabile Enciclica”, giusto per farle comprendere come questo “vero” Santo Padre (… che si sono guardati bene dal canonizzare i profeti della sinagoga di satana infiltrati e organizzanti il “conciliabolo” ed il post conciliabolo!!… e che canonizzano però “subito” personaggi notoriamente “guasti” – per fortuna invalidamente, dice sempre la vispa Caterina … ma come mai e perché?) avesse ben compreso gli eventi in atto anche se poi gli avvenimenti lo hanno travolto, fino addirittura alla morte provocata con tempismo da orologiaio dall’acqua “tofana” (come diceva col dito ritto davanti al naso lo zio Pierre, … chissà cosa volesse dire?!): “Chiunque osservi il mondo odierno, che è fuori dell’ovile di Cristo, facilmente potrà vedere le principali vie per le quali i dotti si sono incamminati. Alcuni, senza prudenza né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel campo stesso delle scienze naturali, e con temerarietà sostengono l’ipotesi monistica e panteistica dell’universo soggetto a continua evoluzione. Di quest’ipotesi volentieri si servono i fautori del comunismo per farsi difensori e propagandisti del loro materialismo dialettico e togliere dalle menti ogni nozione di Dio. Le false affermazioni di siffatto evoluzionismo, per cui viene ripudiato quanto vi è di assoluto, fermo ed immutabile, hanno preparato la strada alle aberrazioni di una nuova filosofia che, facendo concorrenza all’idealismo, all’immanentismo e al pragmatismo, ha preso il nome di “esistenzialismo” perché, ripudiate le essenze immutabili delle cose, si preoccupa solo della “esistenza” dei singoli individui (….). Si nota poi un altro pericolo, e tanto più grave, perché si copre maggiormente con l’apparenza della virtù. Molti, deplorando la discordia e la confusione che regna nelle menti umane, mossi da uno zelo imprudente e spinti da uno slancio e da un grande desiderio di rompere i confini con cui sono fra loro divisi i buoni e gli onesti, abbracciano perciò una specie di “irenismo” che, omesse le questioni che dividono gli uomini, non cerca solamente di ricacciare, con unità di forze, l’irrompente ateismo, ma anche di conciliare le opposte posizioni nel campo stesso dogmatico …”. Gliela scriverei tutta, direttore, ma comprendo che non posso, e allora lo faccia lei da solo, tanto la trova su internet … mi diceva l’altro giorno Caterina. Così va avanti il neomodernismo, mi dicono Caterina e Mimmo, cioè la umanizzazione del Sacro, continuo io, la banalizzazione delle cose divine, in particolare il Santo Sacrificio ed i Sacramenti, e massimamente la profanazione dell’Eucarestia, la cancellazione sostanziale dei dogmi cattolici che, se apparentemente vengono conservati, sono svuotati del loro valore profondo intrinseco. E così eliminati, dunque, il Redentore e l’ortodossia, esaltate intelligenza e destrezza al posto delle virtù, non restano che vizi, corruzione, ingiustizie ed un desolante materialismo all’Umanità, privata anche del conforto spirituale dei pastori che nulla hanno ormai da dare, al di fuori dei dannosi e demagogici vaneggiamenti sull’accoglienza e sulla condivisione, indiscriminate, temi da sempre oggetto dell’oratoria politica. Una fede cattolica meno rigorosa, con i canoni aggiornati, velata da un finto pauperismo volutamente sacrilego, è certamente gradita al mondo, ma è causa di perdizione per troppe anime, per le quali, non bisogna dimenticarlo, il Salvatore ha versato il Sangue, non i preti, i vescovi, i cardinali e i papi moderati [a me sembrano in verità delle parodie ridicole, secondo quanto dice Caterina, che hanno persino mistificato il messaggio di Fatima, perché non in sintonia con le loro negoziazioni irenistiche. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti! Lo diceva Gesù: “… è dai frutti che riconoscerete l’albero.” Se i frutti non sono buoni, o l’albero non è buono in partenza, o è stato attaccato dal “punteruolo rosso” … “e dài nonno, con questa storia del punteruolo …” sbotta Mimmo! Va bene … sono diventato noioso, speriamo che il Signore provveda quanto prima mandandoci un rappresentate di Cristo che ripristini la retta dottrina … ma riprendiamo il salmo (vv.45-46) “Mandò tafàni a divorarli e rane a molestarli. (Direttore, ma allora il punteruolo c’era già allora!!! ). Diede ai bruchi il loro raccolto, alle locuste la loro fatica” … (vv. 69-72) e: “Costruì il suo tempio alto come il cielo e come la terra stabile per sempre. Egli scelse Davide suo servo e lo trasse dagli ovili delle pecore. Lo chiamò dal seguito delle pecore madri per pascere Giacobbe suo popolo, la sua eredità Israele. Fu per loro pastore dal cuore integro e li guidò con mano sapiente”. Ma questo Asaf ci sta proprio ascoltando, direttore … ne sono certo, non è la mia mente, mi lasci meditare e vedrà che alla prossima mi saprò spiegare meglio! Adesso sono un po’ confuso, direttore, mi perdoni, troppe emozioni! La saluto cordialmente. A presto!

La strana sindrome di nonno Basilio: 22

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La strana sindrome di nonno Basilio -22

  Caro direttore, eccomi pronto a riprendere il filo diretto con lei ed i suoi lettori che avranno la pazienza di sorbirsi le mie quattro chiacchiere che sono però, come sempre ho cercato di spiegarle, la richiesta di aiuto per intendere quanto la mia mente, supportata da una memoria smarrita, non riesce più a comprendere nell’interpretare le verità di fede da sempre conosciute e praticate nella santa Chiesa Cattolica. L’altro giorno, durante una giornata di afa oppressiva, approfittando della pennichella di Genoveffa, la mia cara mogliettina che, preoccupata oltre modo per le mie condizioni di salute, mi soffoca un poco con il suo amore iperprotettivo (non glielo dica mai, … per carità, la prego, … è una confidenza che faccio solo a lei … mi raccomando!), inizio, non visto, un giro di ispezione per la casa, e così finisco per giungere in soffitta, … in vero con il fiato un po’ corto (ma non lo dica in giro, la prego … soprattutto a mia moglie!), e noto uno scatolo ben coperto che non ricordo di aver mai utilizzato e che ovviamente suscita la mia curiosità. Mi guardo intorno e, cercando di non fare rumore, apro lo scatolo e … sorpresa! Indovini un po’ direttore? …: ci sono delle lettere che risalgono al periodo dell’inizio della mia malattia, che la mia buona Genoveffa, evidentemente per preservarmi da emozioni a suo parere nocive, mi ha tenuto celate, riservandosi probabilmente di farmele leggere quando le mie condizioni mentali fossero migliorate. Poi se ne sarà dimenticata, credo, anche perché le mie condizioni non sono certamente tornate ad essere brillanti. Apro così a caso, prendo una lettera ingiallita dal tempo, con un francobollo francese e, inforcati gli occhialoni appannati dai vapori del caldo, leggo: la data non si evidenzia bene … sembra 1961, la lettera è indirizzata a me, ed indovini un po’ il mittente: lo zio Pierre!! … che emozione, dunque il “professorino” non si era scordato di me e mi aveva scritto … direttore, mi sa che Genoveffa aveva proprio ragione a tenermi nascoste le lettere ma … non glielo dica mai, per carità! Però mi permetta di farla partecipe almeno di un po’ dello scritto, giusto per farle meglio comprendere la personalità di questo personaggio, bislacco per certi versi, ma profondo e lungimirante nelle sue analisi storiche! Ad un certo punto parla della “globalizzazione” (… poi la farò leggere pure a Mimmo, che è un fanatico dell’argomento, come in passato le ho già accennato!), ascolti: “La globalizzazione è un tema entrato di prepotenza nell’immaginario collettivo, uno dei grandi nodi della storia da cui l’umanità non può prescindere. Essa costituisce, però, nient’altro che la prima tappa della “grande opera”, quella che dovrà avvincere i popoli e gli Stati nelle ferree catene del libero mercato, o meglio del “mercato unico”, instaurandosi così un vero e proprio totalitarismo, quello che invece i burattinai, che lavorano nell’ombra, e gli obbedienti e ben foraggiati burattini, che i popoli pensano di eleggere con libero voto, vogliono far passare alla storia come unica ed incontrovertibile via verso il progresso liberista. La seconda tappa proseguirà con il processo politico, con la decolonizzazione e la fine dei Grandi Imperi, la costituzione di organismi unitari tra Stati diversi specie in America ed Europa: oltre agli Stati Uniti già realizzati, avremo l’Europa Unita, gli Stati sovietici indipendenti (si fa per dire!), poi le federazioni africane ed asiatiche costituendo così cinque aree geografiche che confluiranno a loro volta in una grande federazione mondiale sotto un unico governo. In via di preparazione è però già l’ultimo obiettivo, il “controllo spirituale”, quello ritenuto il superiore, destinato a completare gli altri, ad unificarli, a farne lo scopo vero dell’intera lunga, pervicace operazione, iniziata con la riforma luterana, proseguita con la rivoluzione francese, figlie entrambe dell’anticattolicesimo accanito. Se e quando il preannunziato governo mondiale avrà avuto vita, esso sarà espressione non solo della globalizzazione in campo economico-finanziario e del mondialismo in campo socio-politico, ma anche e soprattutto dell’ecumenismo realizzato in campo culturale-religioso, proprio quello sempre inesorabilmente stroncato e condannato dal Magistero della Chiesa. Per il conseguimento del dominio mondiale non sarebbe davvero sufficiente limitarsi al controllo della politica, dell’economia e delle finanze, tralasciando un intervento altrettanto deciso e totale sulla religione, su qualunque religione, beninteso, ma soprattutto su quella Cattolica, che tra le altre è quella che ha tratto vita dallo stesso Dio attraverso l’incarnazione del Figlio, fatto della sua sostanza e dunque Dio Egli stesso; è quella che ha avuto una gloriosa storia bi-millenaria, è quella sulla quale è fondata la civiltà di almeno tre continenti, è quella che si è formata rifiutando qualunque compromesso con altre false e pagane idealità, … e rappresentata da una Autorità il cui prestigio non può essere discusso, a meno che non venga surrogata da qualche attore-buffone! [ma guardi un po’ che modo di esprimersi!]. Le correnti positivistiche ed illuministiche hanno portato feroci attacchi alla Chiesa Cattolica con l’accusa di integralismo, di soffocare la libertà di coscienza e di pensiero e con i pretesti più falsi ed assurdi; ora nei programmi delle “conventicole” mondialiste si tende ad istituire un opposto tipo di integralismo diretto a cancellare, dalle menti e dalle coscienze degli uomini, ogni possibile riferimento alla Dottrina Cattolica, nel tentativo di omologarle tutte in senso contrario, e di sincronizzarle, senza che se ne avvedano, in una visione dell’uomo universalistica e perciò indifferenziata ed uniforme. Per raggiungere il traguardo concepito per abbattere il Cattolicesimo, “si fieri potest”, e perseguirlo con tenacia e pazienza, nell’arco di due secoli sono state battute molte strade: a) la prima è stata quella visibile della politica internazionale e militare (pensa ad esempio a Napoleone e alla prigionia di Pio VI!); b) la seconda è quella occulta della subdola infiltrazione nel corpo della Chiesa di mortali germi patogeni (uno in particolare l’ho battezzato AIDS, acronimo di “A”bbattere i dogmi, “I”dolatrare l’uomo, “D”emolire la liturgia, e “S”cardinare sacerdozio e Papato, ti piace, che ne dici … avrà futuro questa sigla!?). c) La terza infine è quella del cosiddetto “ecumenismo” (eresia denunciata da vari Papi, quelli con la tiara del “Triregno” in … testa, e … con la testa al … suo posto); queste vie sono state e sono percorse in contemporanea. Abbattere il potere temporale del Papa non ha portato, come pensavano le empie “conventicole”, alla fine della Chiesa, (nonostante gli eventi provocati ad arte per cancellare lo Stato della Chiesa e sostituire l’asse cattolico Francia-Austria con quello protestante Gran Bretagna-Germania e poi Stati Uniti), ed anzi il potere spirituale ne è uscito rafforzato per tanti aspetti, dimostrando così che l’autorità della Cattedra di San Pietro non dipende dall’esercizio di un potere temporale, per quanto legittimo nella difesa della propria autonomia ed indipendenza, ma dall’autenticità del suo messaggio cristiano e dalla solidità della sua costituzione dogmatica. Non si è ancora esaurita, perché ancora in corsa verso la sua finalizzazione ben profetizzata, come ben sai, dalle apparizioni della Vergine a La Salette e a Fatima, la seconda delle tre strade, quella diretta ad infiltrare nel corpo della istituzione ecclesiale cattolica, quei pericolosi germi destinati ad infettarla e a corromperla (ti piace il termine AIDS? Che ne dici…!?, non so perché, ma penso che se ne sentirà parlare moltissimo in un prossimo futuro!). Primo tra tutti il Modernismo che, nonostante la ferma reazione di Pio X e gli anatemi eterni, scaturiti dal Magistero infallibile ed irreformabile, è oggi subdolamente penetrato nei seminari, nelle parrocchie e presso gli alti vertici della Santa Sede, dando al Cattolicesimo un volto “stravolto” (scusa il bisticcio di parole!) e deformato, ben lontano dalla Tradizione, non solo sul piano dottrinale, ma anche, spudoratamente e vergognosamente, sul piano liturgico, dal momento che si cerca di far diventare un’agape rosacrociana la Santa Messa di sempre! [… ma cosa mai voleva dire lo zio? Questo punto è molto strano e lo studierò poi con calma con i nipoti –n.d.Bas.- ]. E tutto questo senza che i Cattolici abbiano la possibilità di rendersene conto, proprio perché la tattica primaria di questa dottrina eretica ed apostatica è quella di lavorare nell’ombra, senza combattere apertamente i dogmi ed i principi della dottrina cattolica, ma agendo per svuotarli dal di dentro e renderli privi del loro significato originale (una specie di tarlo del legno, per cui i mobili apparentemente solidi, improvvisamente si sgretolano irrimediabilmente!), cosicché i Cattolici, con l’inesorabile trascorrere del tempo, finiranno per dimenticarli o per trascurarne l’importanza, consentendo che, inavvertitamente, il loro spirito e le loro coscienze restino penetrati e corrotti da questo silenzioso tarlo della rivoluzione spirituale, apportatrice della “nuova e falsa religione”, quella “dell’UOMO”, che soppianterà, senza colpo ferire, quella di CRISTO. Così i dogmi della Tradizione, non potendo essere ufficialmente aboliti o riformati, verranno “addormentati”, narcotizzati e superati nella prassi, in modo che di fatto, risulteranno eliminati nel tempo, quando le nuove generazioni non avranno neanche il più pallido ricordo degli originali principi del Cattolicesimo e del loro significato. Il Modernismo è la “secolarizzazione del divino”, tutto ciò che finora era appartenuto al mondo della Divinità, viene sistematicamente ridotto ad una realtà banalizzata, soltanto umana e terrena. La radice ultima di questo errore è la perenne tentazione di voler conciliare ad ogni costo lo spirito del mondo con lo Spirito di Nostro Signore, le massime del primo con quelle del Secondo, ed in quella tremenda illusione di poter piacere nel contempo ai due padroni, a DIO e a mammona, cosa che il divin Maestro ha assolutamente escluso dalle possibilità di salvezza! Insomma a quella visione teocentrica, nella quale si sostanzia il Cattolicesimo, si vuole sostituire una visione antropocentrica, in cui l’uomo, e non più DIO, si pone al centro dell’universo: “non è DIO che crea l’uomo, ma è l’uomo che crea DIO a sua immagine e somiglianza”! Il movimento neo-modernista ha esteso la sua nefasta influenza penetrando in tutti gli ambiti della società umana, non solo religiosa. Ad esempio l’opera disgregatrice di un movimento che apparirà, io penso, da qui a poco, intorno alla fine di questi anni ‘60 (direttore, non le ricorda nulla il famigerato “Sessantotto”…! -N.d.Bas.-), che determinerà un radicale cambiamento di costumi e mentalità come effetto non spontaneo di una “enorme manipolazione del mondo giovanile”, dalla famiglia alla morale sessuale, dal condizionamento psichico, con l’introduzione massiva dell’uso della droga e la psicoanalisi, veicolo di cabala e gnosticismo talmudico, allo svuotamento del senso della vita e di ogni punto di riferimento, utilizzando giornali, cinema, televisione, musica leggera e classica “artefatta” (atonale, dodecafonica), etc. Guarda che gli errori denunciati da Pio X hanno continuato ad essere seminati negli ambienti ecclesiastici, in modo ancora più subdolo e scaltro, contaminando i giovani preti e propagandosi anche negli stessi vertici della Chiesa, sostenuti da una massoneria palesemente ecclesiastica, che usa le medesime dinamiche degli “Illuminati” ai quali essa è asservita [direttore, ma questo era proprio matto, non le pare?]. Essenzialmente gli errori più grossolani da seminare sono: – 1) la concezione immanentistica che, negando una divinità trascendente e riconoscendo all’uomo la stessa essenza di Dio (“scintilla divina” gnostica), afferma che la natura esigerebbe la grazia e quindi tutti avrebbero la grazia “d’ufficio”: “Gesù Cristo, essendo morto per tutti, tutti sarebbero salvi, che lo sappiano o no, che lo accettino o no” … “ogni uomo dotato di religiosità, nell’esercitare il suo istinto religioso sarebbe implicitamente cristiano”. – 2) La negazione di una Divinità trascendente, che comporta la radicale deformazione dell’assetto teologico, dottrinale e storico del Cattolicesimo con continue “riforme” ecumeniche per l’apporto di laici; – 3) l’alterazione della figura di Cristo, del Quale si nega la divinità, o Lo si riduce addirittura ad un simbolico “punto omega” dell’umanità, quello messo in auge dal luciferino Theilard de Chardin; – 4) la negazione dell’esistenza di verità oggettive con “relativismo” filosofico e morale, trasformando la Religione Cattolica in una generica spiritualità priva di veri Comandamenti e la consequenziale creazione di una nuova e artificiosa religione “universale” della “libera coscienza”, vero capolavoro satanico all’inverso. – 5) Il riconoscimento di un “sincretismo religioso”, meta finale del movimento modernista, parto distocico dello gnosticismo talmudico, per effetto del quale, se tutte le religioni sono uguali tra loro, nessuna di esse, nemmeno la Cattolica, può essere vera. Questo indirizzerà anche i vertici della Chiesa su questa sciagurata via, non solo quando invocherà il perdono per i presunti errori della Chiesa, con interpretazioni superficiali ed insensate, assurde e volutamente autolesioniste, ma lasciando intendere necessario il dialogo, o la fusione delle tre religioni pretese monoteiste, dimenticando tra l’altro di considerare la “quarta religione” monoteista esistente, oggi più che mai preponderante e dominante, l’adoratrice di satana, la “contro-chiesa”, quella che alla fine si imporrà, secondo le “conventicole” che infiltrano e logorano tutti gli ambiti, ed alla fine, quando a progetto realizzato non serviranno più, saranno bruciate dagli stessi “maestri superiori sconosciuti”. Delle altre devastanti conseguenze potrai poi rendertene facilmente conto da solo a breve termine. In altre successive lettere ti anticiperò le mie considerazioni e previsioni, che oramai sono abbastanza semplici da farsi, perché “ineluttabili!”, e sappi che ci sono in giro tanti falsi teologi che, come scriveva Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vostro compaesano, «senza preoccuparsi del vero, scrivono per piacere al mondo. Sempre pronti a mettere guanciali sotto il capo dei peccatori, li addormentano nel vizio (…). Questi teologi causano un danno immenso alla Chiesa, perché chi ama la via facile si affretta a seguire le loro massime». Direttore, io sono allibito, per queste previsioni che “sicuramente” non si realizzeranno mai … questo è un complottista vero, come si dice di Mimmo che però a suo paragone è solo un “dilettante allo sbaraglio” …, è uno che vede satana sciolto dalle catene dell’inferno, dappertutto, finanche all’apice della Chiesa [… questo però, a pensarci bene, lo ha detto anche la Vergine Santa a La Salette e a Fatima!]; se non fosse per l’affetto che sempre gli ho portato, meriterebbe di essere disconosciuto e crocifisso … non capisco come sia potuto sfuggire questo “lapsus” mi perdoni; si vede che ora sono esausto, tant’è che ho appena la forza di citarle il vv. 14-15 del Salmo XXXVII “Io, come un sordo, non ascolto e come un muto non apro la bocca; sono come un uomo che non sente e non risponde”. Ne riparleremo, saluti! Suo, e dei suoi lettori, nonno Basilio.

La strana sindrome di nonno Basilio: 21

nonno

Caro direttore, spero di non esserle di fastidio in questa mia nuova missiva e di non seccare troppo i suoi lettori che avranno la pazienza di seguirmi ma, la prego, le ricordo che si tratta di un’opera di misericordia: “consigliare i dubbiosi”, anche se per la verità, più che dubbioso, sono stravolto! Ascolti: io ed i miei nipoti, tanto carini da rinunciare a qualche momento di svago per visitarmi (anche questa è un’opera di misericordia, le pare: “visitare gli ammalati” … o forse nel mio caso: “sopportare pazientemente le persone moleste” … boh! …! lei che ne dice?) stavamo cantando il “Te Deum”, e giunti al punto modulante del “salvum fac populum tuum et benedic hereditati tuæ et rege eos et extolle eos usque in æternum” (che poi è il versetto 9 del Salmo XXVII), nell’articolare un neuma gregoriano, particolarmente impegnativo per le mie ridottissime capacità canore, la Sacra Bibbia mi scivola dalle mani chiudendosi … la riprendo e vedo che si è riaperta nel bel mezzo dell’Apocalisse (II,20): “Lettera alla chiesa di Tiatira” al punto in cui parla di “… Iezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione” (II, 20). Terminato il canto, il versetto apocalittico mi riverbera nella mente e all’improvviso mi “fulminano” le parole dello zio Pierre: “Iezabèle che seduce i miei servi … ma certo, Iezabèle è il “modernismo”!!. Subito Caterina, sempre in cerca di nozioni mi chiede: “nonno, ma che cosa è questo modernismo, se ne sente parlare tanto, ma nessuno sa definirlo con precisione”. Solerte le rispondo citando essenzialmente la definizione che S. Pio X ne da nella sua strepitosa enciclica “Pascendi”. S. Pio X definì il “Modernismo”: la “sintesi di tutte le eresie”, ossia il “compendio di tutti gli errori”. Certo, i buoni fedeli non sanno nulla (anche perché spesso non vogliono sapere nulla!) e quindi non possono capire dov’è il sottile veleno delle sue teorie, che possiamo dire: l’agnosticismo, il panteismo, il luteranesimo, il razionalismo, per finire nel naturalismo, materialismo, ateismo ed infine il nichilismo. Siamo, ormai, allo scoperto delle “due città” di S. Agostino, ossia alla città di Dio e a quella di satana, due campi nitidamente separati! L’enciclica di S. Pio X, la “Pascendi Dominici Gregis” del 1907 è un documento che c’insegna a definire e combattere questo nefando Movimento. Anche il Concilio Vaticano lo prevenne con ammaestramenti e definizioni, colpì a morte le teorie moderniste, che vorrebbero spiegare l’introduzione della religione cristiana nel “mondo” con teorie soggettivistiche d’immanenza e di monismo evolutivo. Infatti, nella teoria modernista non è Dio che crea l’uomo, ma è l’uomo che crea un Dio adatto alla sua coscienza (pensi un po’ che idiozia!), per cui deve avere quel culto che più garba al suo modo di vedere e di vivere, ossia: un Dio selvaggio per i selvaggi, un Dio bello ed esteta in Grecia, giuridico marziale per Roma, feticcio nelle Indie, un Dio, perciò, che non deve disturbare nessuno, lasciando tutti nelle loro disparate o assurde convinzioni “culturali” e perciò falso ed eretico senza che alcuno debba ammaestrare nessuno, in modo da mandare tutti all’inferno! “Ma è proprio quello che ci dicono oggi nelle nostre parrocchie e nelle prediche della Messa …”, interviene Mimmo spavaldo. Caro Mimmo, insisto io, mentre i pagani avevano idoli di pietra, di piante, d’animali, i moderni pagani hanno degli idoli fantastici, astratti, fabulistici, sentimentali, “idola mentis”, come direbbe S. Agostino; ma l’idolo peggiore è il “culto dell’uomo” sponsorizzato da tutte le “conventicole mondialiste”, come le definiva lo zio Pierre (chissà cosa volesse intendere?), “conventicole”, a suo dire, infiltrate anche nei palazzi curiali (ma le ho spiegato, caro direttore, che lo zio aveva delle strane idee sulle vicende umane e storiche, e della Chiesa in particolare … che soggetto singolare!). Arriva Caterina che si era momentaneamente allontanata, e trionfante dice: “L’eresia modernista”: verso la fine del secolo diciannovesimo si era sviluppato, in seno alla Chiesa cattolica, il movimento modernista, nella prospettiva di promuovere un progressivo adattamento della dottrina e delle strutture della Chiesa alla mentalità relativista e democratica della cosiddetta società moderna, contro cui i Papi avevano invece intrapreso, già da circa un secolo, una serrata lotta (per tutti Pio IX ed il suo “Syllabo”). Tra i principali esponenti del modernismo, un posto di primo piano era occupato dall’abbé Alfred Loisy, dall’oratoriano p. Lucien Laberthonnière e dal gesuita p. George Tyrrel, mentre in Italia svolgevano una notevole attività, tra gli altri, soprattutto don Ernesto Buonaiuti, don Salvatore Minocchi, don Romolo Murri e, tra i laici, il conte Tommaso Gallarati-Scotti e lo scrittore e poeta Antonio Fogazzaro, che rispolverarono idee “ecumeniche” degli abati apostati Roca, Sain Yves d’Alveydre, [… e compagni di merenda e di zuppa gnostico-talmudista, aggiungo io] …, impregnati di becero esoterismo, cabalismo luciferino, aderenti notoriamente a logge di alta iniziazione pur conservando i loro privilegi ecclesiastici da buoni infiltrati della “quinta colonna” (persone veramente raccomandabili!- n.d.Bas.-). Ora, nonostante le diversità e le differenti sfumature del pensiero dei vari membri del movimento, va detto, fin da subito, che le tesi moderniste erano affette da un “peccato d’origine” comune, un relativismo filosofico di fondo, errore fondamentale che il Decreto “Lamentabili”, emanato dal S. Uffizio, avrebbe poi così riassunto nello stroncarlo inappellabilmente: “La verità non è immutabile più di quanto lo sia l’uomo stesso, giacché essa si evolve con lui, in lui e per lui”. (Decreto “Lamentabili” contro gli errori modernisti, proposizione n. 58). Non si trattava dunque di una cosa da poco, dato che il relativismo comportava necessariamente la completa rovina dei fondamenti della fede cattolica (se non vi sono verità fisse ed immutabili, il concetto stesso di dogma svanisce!) e la conseguente annichilazione della Chiesa. A sua volta, il relativismo evoluzionista dei modernisti derivava dal concetto che questi ultimi avevano, circa l’origine della religione, che essi facevano sgorgare esclusivamente dalla coscienza dell’uomo (errore dell’immanentismo, purtroppo oggi ripetuto dai massimi vertici gerarchici, dice Caterina … ma sarà mai vero, direttore?! Ho il sospetto che qui mi prendano in giro un po’ tutti!). Ogni verità religiosa, infatti, non sarebbe stata altro che il semplice prodotto della coscienza individuale, mossa dal sentimento religioso, sotto la spinta di una “divinità” vaga ed indistinta [quindi falsa e pagana –n.d.Bas.-], della quale l’uomo non poteva dire alcunché di certo e definitivo. Anche la Religione Cattolica diveniva quindi, nell’ottica modernista, un semplice prodotto umano, soggetto quindi a continuo cambiamento evolutivo, senza verità infallibili ed immutabili, fissate una volta per sempre: “Il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza avrebbe poi denunciato Papa San Pio X – è (per i modernisti) il germe di tutta la religione… Ecco pertanto la nascita di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono che semplici esplicazioni dell’anzidetto sentimento religioso. Né si creda che diversa sia la sorte della Religione Cattolica…” (ancora l’enciclica Pascendi). Sempre su questa base, i libri della Sacra Scrittura, compresi ovviamente i Vangeli, venivano ridotti ad una raccolta di esperienze puramente interiori, nate dal sentimento religioso dei singoli scrittori sacri, ciò che comportava la negazione della storicità dei fatti soprannaturali ivi narrati. I miracoli e le profezie erano, infatti, declassati a semplici espedienti psicologico-letterari, a meri simboli, adoperati per muovere i lettori alla “fede” nella suddetta “divinità”, nell’ambito di una altrettanto vaga ed indistinta religiosità naturale. Altrettanto simbolico e non reale, come abbiamo già detto, diveniva il contenuto dei dogmi della Fede cattolica: “Le cose, che la Chiesa ci propone a credere come dogmi rivelati – scriveva ad esempio il capofila dei modernisti, l’abbé Alfred Loisy – non sono verità venute dal cielo, conservate dalla tradizione nella loro forma originaria; per lo storico, sono soltanto un’interpretazione di fatti d’indole religiosa che il pensiero teologico ha raggiunto con faticoso lavoro. Ecco che quindi i modernisti razionalisti come Loisy, Harnac, Labanca, Renan e altri simili [bestie ignoranti, aggiungo sempre io fremente, perché questi beoti evidentemente erano con malizia imbeccati opportunamente dai soliti marrani, “nemici di tutti gli uomini”, i luciferini della “razza di vipere”], non si vogliono foggiare con la religione e con la fede e la morale, ma con un proprio modo di vedere. E quindi riducono la fede ad un sentimentalismo, ad un’emozione, cioè, che resta dentro i confini del sentimento, da cui segue che ogni religione è vera (o falsa, perché a questo punto la cosa è irrilevante! –n.d.Bas.-), sia che i sentimenti si rivolgano a Gesù Cristo, a Maometto, al dio Jeova oppure al dio Budda, ad un feticcio qualunque, cancellando quindi San Paolo che afferma: «uno è il Signore, una la Fede, uno il Battesimo, uno Iddio, il quale è Padre di tutti gli uomini e domina tutte le cose». Quindi, Gesù fondò la sua Chiesa, ed Egli ne è la pietra angolare ed ivi si insegna una sola dottrina, immutabile ed eterna, la sola Verità. Una volta accettati questi falsi presupposti e posta la coscienza umana al centro e all’origine della religione, i modernisti erano necessariamente condotti, con l’implacabile logica dell’errore, a considerare fondamentalmente vere tutte le religioni (o meglio le false idolatrie modellate dal “farfariello” ingannatore –n.d.Bas.-), nonostante le grandi diversità di dottrine, di riti e di regole morali. Queste differenze venivano infatti ritenute del tutto trascurabili perché considerate, nel sistema modernista, come semplici involucri esteriori dell’unico e identico sentimento religioso naturale [praticamente il paganesimo satanico, si sono sempre io, ma non riesco a zittire ascoltando queste assurdità –n.d.Bas.-] comune a tutti gli uomini: “Posta questa dottrina dell’esperienza denuncerà infatti San Pio X – (…) ogni religione, sia pure quella degli idolatri, deve ritenersi come vera (…). Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, alcuni velatamente, altri apertissimamente, che tutte le religioni sono vere”, opera di “uomini straordinari, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo è il sommo”. In quest’ottica, i modernisti erano anche pronti a concedere che la Religione Cattolica fosse la più perfetta ma, si badi, non l’unica vera (!!!). “E questa -esclama Mimmo meravigliato- è una realtà che va tenuta ben presente fin d’ora per comprendere l’altrimenti incomprensibile attuale “follia ecumenica” della Gerarchia “conciliare” (direttore, ma questa deve essere la solita “macchietta” di Mimmo, non le sembra pure a lei, perché allora, io dico, ma il Papa dove sta? e il Santo Uffizio dorme? …impossibile, sono cose a cui Mimmo non pensa nella sua balordaggine!). “Da rilevare, infine, continua Cateriina- una particolare ed originale tattica messa in atto dai modernisti e che contribuisce a distinguere quest’eresia da ogni altra di stampo “classico”, vale a dire l’uso spregiudicato della simulazione e del linguaggio ambiguo, (questo è ciò che hanno sempre fatto i marrani d’altra parte, ecco perché sono certo che il Modernismo è stato avviato da marrani e da quelli dai quali i marrani provengo –n.d.Bas.-) con lo scopo mirato di rimanere nella Chiesa per cambiarla dall’interno (quella che il gen. Franco chiamava la “quinta colonna”, – scusatemi, ma non ce la faccio proprio!- n.d.Bas.)”. “Inoltre scriverà a questo proposito San Pio X – nell’adoperare le loro mille arti per nuocere, nessuno li supera in accortezza e in astuzia: giacché agiscono promiscuamente da razionalisti e da cattolici, e ciò con così sottile simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto (…). E così essi operano scientemente e di proposito; sia perché è loro regola che l’autorità debba essere spinta, non rovesciata; sia perché hanno bisogno di non uscire dall’ambiente della Chiesa per poter cambiare a poco a poco la coscienza collettiva”. Tattica che, dopo cinquant’anni di frenetico lavorìo sotterraneo, ha fruttato il successo del ribaltone dottrinale operato dai Padri del Concilio Vaticano II mediante l’adozione di non poche tesi moderniste, puntualmente spacciate allo sprovveduto “popolo di Dio” come necessario “aggiornamento” della Chiesa ai mitici “tempi nuovi” preludio del “Novus Ordo Mondiale”. Dulcis in fundo, in questo clima di apostasia sorridente, dopo aver dissolto, nelle loro nebbie gnostiche, Gerarchia, Dogmi e Sacramenti, non v’è da meravigliarsi che almeno una parte dei modernisti si spingesse apertamente, “obbedendo assai volentieri ai cenni dei loro maestri protestanti e ai marrani”, a desiderare “soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato”. Classica ciliegina sulla torta di ogni modernismo – di ieri e di oggi – sedicente “riformatore”. Non occorreva, dunque, molta fantasia per immaginare le conseguenze della penetrazione di queste idee tra il clero e il laicato. Mosso da profonda preoccupazione, il Sommo Pontefice San Pio X, nella sua Allocuzione al Concistoro dei Cardinali del 15 aprile 1907, denunciava così, senza mezzi termini, il pericolo mortale che la Chiesa stava correndo: “E ribelli, purtroppo, sono quelli che professano e diffondono sotto forme subdole gli errori mostruosi sull’evoluzione del dogma, sul ritorno al Vangelo puro, vale a dire sfrondato, come essi dicono, dalle spiegazioni della Teologia, delle definizioni dei Concili, delle massime dell’ascetica; sulla emancipazione dalla Chiesa, però in modo nuovo, senza ribellarsi, per non essere tagliati fuori, ma nemmeno assoggettarsi per non mancare alle proprie convinzioni; e, finalmente, sull’adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere, nel predicare una carità senza fede, tenera assai per i miscredenti, la quale apre a tutti, purtroppo, la via dell’eterna rovina”. O bella, interrompe la lettura Caterina: ma questa è proprio la denuncia anticipata della “bufala” della misericordia a buon mercato del fantomatico ultimo giubileo! (Direttore, chiedo a lei, ma adesso questa storia del “falso” giubileo dell’altrettanto “falsa” misericordia, da dove salta fuori? La prego, mi faccia capire, sento che la testa non regge, mi sta scoppiando!!). Caterina riprende la lettura: “Contrattacca ancora Pio X: “Voi vedete bene, se Noi che dobbiamo difendere con tutte le forze il deposito che ci venne affidato, non abbiamo ragione di essere in angustie di fronte a questo attacco, che non è un’eresia, ma il compendio e il veleno di tutte le eresie, che tende a scalzare i fondamenti della fede e ad annientare il Cristianesimo. Sì! Annientare il Cristianesimo, perché la Sacra Scrittura per questi eretici moderni non è più la fonte sicura di tutte le verità che appartengono alla fede, ma un libro comune; l’ispirazione dei Libri Santi per loro si riduce alle dottrine dogmatiche, intese però a loro modo, e per poco non si differenzia dall’ispirazione poetica di Eschilo e di Omero. Legittima interprete della Bibbia è la Chiesa, però soggetta alle regole della cosiddetta scienza critica che si impone alla Teologia e la rende schiava. Per la Tradizione della Chiesa, finalmente, tutto è relativo e soggetto a mutazioni, e quindi ridotta a niente l’autorità dei Santi Padri. E tutto questo, e mille altri errori, li propagano in opuscoli, in riviste, in libri ascetici e perfino in romanzi, e li involgono in certi termini ambigui, in certe forme nebulose, onde avere sempre aperto uno scampo alla difesa per non incorrere in una aperta condanna e prendere però gli incauti nei loro lacci”(Enc. Pascendi). “Brava Caterina, mi complimento, ma dove le hai trovate tutte queste cose così interessanti, soprattutto per coloro che sono affetti da vincibile ignoranza, e che hanno paura di smuovere le loro coscienze incuranti del pericolo che le loro anime corrono – dico accennando a Mimmo – ? “Bah, risponde lei, con una punta di falsa modestia, basta farsi una navigata! (ma com’è, ora nel mare si pescano notizie? … Direttore, io non capisco, mi aiuti! …). Interviene Mimmo stravolto: ma queste eresie condannate, come dici tu nonno, da anatema eterno da S. Pio X e dagli altri difensori della retta Fede cattolica, sono oggi in gran voga, e ritenute verità di fede … dunque l’inganno va avanti?! Per consolarlo gli dico: “Non ti avvilire Mimmo, certo, gli Apostoli previdero che, in ogni tempo, ci sarebbero stati ogni sorta di modernisti e di novatori. San Giuda Taddeo ammoniva i fedeli di guardarsi da loro, per non essere trascinati nell’empietà: «In novissimo tempore venient illusores secundum desideria sua fabulantes in impietatibus; hi sunt qui segregant semetipsos, animales, spiritum non habentes». (Gliela traduco, direttore, per facilitarle la lettura: “alla fine dei tempi vi saranno impostori, che si comporteranno secondo le loro empie passioni. Tali sono quelli che provocano divisioni, gente materiale, privi dello Spirito”. Poi continua: “ Ma voi, carissimi, costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna. Convincete quelli che sono vacillanti, altri salvateli strappandoli dal fuoco, di altri infine abbiate compassione con timore, guardandovi perfino dalla veste contaminata dalla loro carne”. (Giuda: 18-22). Anche l’apostolo San Paolo raccomanda a Timoteo di vigilare,”… perché verrà un tempo in cui molti non vedranno più la sana dottrina, ma, pei propri gusti, cercheranno maestri che racconteranno favole su teorie inventate, false e fallaci” (2Tim 4,3). Per questo, Gesù ci diede un criterio di verità per conoscere l’albero buono e quello cattivo: “ex fructibus eorum cognoscetis eos”. (I frutti sono purtroppo sotto gli occhi di tutti … e ne riparleremo!). Aggiunge poi: “Tu però vigila attentamente …”. Noi cristiani non scopriamo la verità, ma col lume della ragione e della Fede scopriamo le verità soprannaturali: il mistero della Trinità, dell’Incarnazione, dell’Eucarestia, della Risurrezione dei morti: sono verità di divine rivelazioni, non di umane invenzioni. Il “Modernismo”, invece, (che non è nuovo, ma vecchio e risalente ai tempi di Adamo, o meglio del “serpentone” ingannatore!) è la peste della società, perché vi si ragiona sui trampoli, scambiando le cause, confondendo la logica, per cui esso è una vera malattia, il nome nuovo dello scetticismo, del naturalismo, del razionalismo, il nome posticcio di lucifero! Il Modernismo, quindi, è solo un ennesimo tralcio infecondo, staccato dalla vite vera, il Cristo, per cui verrà, poi, gettato ad ardere nelle fiamme infernali. È bene ricordare che la Chiesa guarda sempre impavida in faccia a tutte le tempeste. È da venti secoli che la Chiesa non fugge. Le tempeste passeranno e la Chiesa drizza la prora verso nuove conquiste, non per raccogliere tesori del mondo, ma per pescare e salvare le anime, in virtù del nome di Gesù, fuori del Quale non c’è salvezza. Questo è certo! Gesù disse ai suoi Apostoli «IO VI FARÒ PESCATORI DI ANIME» e noi sappiamo dal Vangelo che la notte in cui S. Pietro ed altri discepoli, che con lui lavorarono intensamente sul lago di Genezaret senza prendere un pesciolino, gettarono poi la rete nel nome del Signore e raccolsero una enorme quantità di pesci. Questo fatto evangelico ci dice chiaramente che la Chiesa deve salvare le anime, sì, non coi mezzi di prudenza umana, (“l’eccessiva prudenza porta alla rovina”, anzi diceva S. Tommaso, il Dottore Angelico), ma in virtù del nome del Signore. Il Cristianesimo, cioè, deve combattere il mondo corrotto, con l’essere crocifisso dai suoi nemici implacabili. Questa lotta la si vede in tutto il corso della Storia della Chiesa, di ieri e specialmente di oggi, in cui vediamo con tristezza il trionfo della sètta modernista e del marrano viperino. San Pio X, nella sua enciclica “Pascendi Dominici Gregis” contro il modernismo, denunciò gli “artigiani degli errori”, che si celano, soprattutto, “nello stesso seno e nel cuore della Chiesa”, e che spargono i loro “consigli di distruzione”, “non dall’esterno … ma nell’interno.., così che il danno è, oggi, vicino alle viscere e alle vene della Chiesa”. Col Motu Proprio del 18 novembre 1907, il Papa aggiungeva all’enciclica “Pascendi” e al decreto “Lamentabili” con il “Giuramento antimodernista”, la pena di scomunica contro i “contradditori” di quel periodo (quanti oggi nella Chiesa sono gli scomunicati … e non lo sanno … poveri ignoranti che non amano la verità che li farebbe santi e liberi, e che hanno bisogno che qualcuno autorizzato rimuova le loro censure, altrimenti l’inferno non glielo toglie nessuno!). Tre mesi più tardi, nel “Motu Proprio” del 1° settembre 1910, San Pio X pronunciò questa grave denuncia: «I modernisti, anche dopo che l’enciclica “Pascendi” ebbe tolta la maschera con cui si coprivano, non hanno abbandonato i loro disegni di turbare la pace della Chiesa. In effetti, non hanno cessato di ricercare e di associarsi in una “Associazione segreta” di nuovi adepti. Caro Mimmo, ogni qualvolta ed in qualunque modo al sacro si sostituisce il profano, al divino l’umano, sta’ attento!: è lì che si annida il “punteruolo rosso” del modernismo, parassita che non si vede, non fa rumore, ma inavvertitamente polverizza il tronco della palma e ce ne accorgiamo quando oramai è troppo tardi! Direttore, abbiamo tanto da pregare per tentare di riportare anime a Dio, in una Chiesa di cui nell’Apocalisse si dice: “Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire”(Apoc. III,1-2). ). Che il Signore e la Vergine Maria ci salvino dalla peste del progressismo … o è già troppo tardi?! A proposito di tardi, l’ora si fa tarda e si avvicinano i vespri: “All’empio dice Dio: “Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle?”(Salmo XLIX,16-17) ed ancora:“Tutti hanno traviato, tutti sono corrotti; nessuno fa il bene; neppure uno. Non comprendono forse i malfattori che divorano il mio popolo come il pane e non invocano Dio?”(Salmo LIII, 4-5). Direttore, sursum corda! Diceva S. Giovanna d’Arco: “A noi la battaglia, a Dio la vittoria!” A presto! Deus in adiutorium …

La strana sindrome di nonno Basilio: 20

 

nonno

Egregio direttore, la saluto cordialmente prima di passare a raccontarle quanto è capitato in questi giorni nella mia famiglia, a lei oramai nota in quasi tutti i componenti, viventi e trapassati, antichi e recenti. Tra questi ultimi si è da poco aggiunta, anche se per motivi pratici di collaborazione con mia moglie, oramai “attempata” e con qualche difficoltà nella gestione di una casa oramai per noi troppo grande e di un marito malandato e malfermo, una signora pacioccona, ben piantata fisicamente, proveniente dall’est europeo, di carattere gradevole e dall’accento con cadenze tra lo slavo ed il napoletano, cosa che la rende più simpatica e spesso comica, quasi teatrale: la simpaticissima Ludmilla, nome che tutti noi affettuosamente abbiamo abbreviato in Mila. Ricordo con certezza che era un sabato, giorno in cui mi piace recitare con Caterina, la mia carissima nipote, il “Piccolo Ufficio della Beata Vergine Maria”, ovviamente, manco a dirglielo, nella forma tradizionale in latino. Caterina è molto attenta a questa recita che lei cerca di effettuare ogni giorno da quando ha indossato lo Scapolare del Carmelo impostole solennemente, così come richiesto dalla Santa Vergine a Fatima per resistere “fortes in fide”  nei tempi presenti (che la cara nipotina sostiene essere di diffusa e profonda apostasia … mah?! Ed ecco che Mila, tra una faccenda e l’altra, ascoltandoci immersi nella preghiera, inizia a dire: “ … la venerazione per la Madre di Gesù Maria Santissima è comune alla nostra religione!”. “È vero – rispondo io prontamente – ma allora perché negate i dogmi della Immacolata Concezione e dell’Assunzione proclamati dalla Chiesa Cattolica?”. Ludmilla non si aspettava questa replica, e sorpresa se ne esce con un: “no saccio mo’ dire questo pobblemo”. “… e allora te lo comincio a spiegare –ribatto-: intanto c’è il motivo solito e cioè che, sebbene gli Ortodossi, dai quali provieni, affermino che Maria sia la Tutta Pura, esente dal peccato attuale, si ostinano a negare che Maria nacque priva del peccato originale, e questo ovviamente solo per evitare di fornire punti d’unione con la Teologia cattolica, la quale non è invenzione di nuovi dogmi, cara Mila, cari lettori e caro direttore (come lei ben sa, naturalmente!), ma approfondimento e chiarimento del deposito della Tradizione apostolica”. Poi mi rivolgo a Caterina, interessata alla questione, e riprendo: “Un altro esempio che riprova paradossalmente, nello stesso ambito ortodosso, la verità dei dogmi cattolici, è che loro stessi credono nella Dormizione di Maria Vergine, con successiva Assunzione al Cielo (dogma che la Chiesa Cattolica ha affermato solennemente solo nel 1950 con il “mio” Papa, l’immenso Pio XII – e qui non posso fare a meno di accendermi di sacro fuoco!) e che gli Ortodossi professano da sempre “senza saperlo”. “Ora, come sarebbe possibile l’Assunzione in Cielo del corpo di Maria –osserva argutamente Caterina- se fosse macchiato dal peccato originale?” . “Giusto, ma i sedicenti Ortodossi rispondono a questo quesito con una dottrina sul peccato originale già condannata dalla Chiesa ben prima del Grande Scisma (e che in teoria dunque loro non dovrebbero accogliere, ma lo fanno comunque, commettendo il grave peccato contro lo Spirito Santo: “impugnare la verità conosciuta”… e da loro stessi già accettata in precedenza). Questa dottrina è nota come semipelagianesimo”. In questo frangente giunge pure Mimmo con il suo amico, Yuri. “E adesso da dove è uscito questo .. semipela…coso … come si dice?”. “Cari ragazzi, vi racconto allora l’evento: quando l’eretico Pelagio, nel IV secolo, affermò che la libertà umana sarebbe di per sé in grado di realizzare la salvezza attraverso un’autonoma decisione di accogliere o non accogliere la Grazia e attraverso la capacità di compiere opere buone; la Chiesa prontamente condannò infallibilmente questa eresia, detta, dal nome del suo fondatore, pelagianesimo, nel Concilio di Efeso (431), e sant’Agostino di Ippona (Santo anche per gli orientali!) emerse come la figura cardine in questa lotta antipelagiana. Successivamente, alcuni teologi marsigliesi elaborarono una nuova dottrina, detta semipelagianesimo, per contrastare quello che a loro avviso era una visione troppo rigida sul peccato originale, spregiativamente chiamata “agostinismo” e che vedevano in Tertulliano e sant’Agostino i principali esponenti. Questi teologi semipelagiani diffusero in Oriente la dottrina secondo la quale Adamo ed Eva commisero sì, il peccato originale, ma i loro discendenti ereditarono solo le conseguenze del peccato e non anche la colpa (la Chiesa invece insegna che l’uomo eredita dai progenitori sia la colpa sia le conseguenze, per questo motivo se uno muore senza valido Battesimo cristiano non può accedere nel regno dei cieli, come anche insegna il Vangelo). Questa dottrina semipelagiana fu condannata infallibilmente nel Concilio di Orange nel 529, (quindi ben prima del Grande Scisma, per cui anche gli Ortodossi la dovrebbero rigettare), eppure continuò ad essere insegnata e creduta presso le chiese orientali. Per queste ragioni, gli Ortodossi, e guardo Yuri di sottecchio, oggi insegnano che la Madonna non è definibile come Immacolata Concezione, in quanto tutti gli uomini vengono concepiti “immacolati”, perché non ereditano la colpa originale ma solo le conseguenze del peccato. La Madonna avrebbe mantenuto semplicemente il naturale stato di innocenza per tutta la propria vita, a differenza degli altri uomini, e quindi considerata degna di essere assunta in cielo dopo la Dormizione. Questa è ovviamente un’eresia assurda, grande quanto il Monte Bianco, che impedisce ulteriormente la già compromessa unità con gli scismatici per gravissimi motivi dottrinali…” . Nella discussione si inserisce ancora Mimmo che accenna, affascinato, al concetto di Theosis (letteralmente “divinizzazione”), concetto che da noi in occidente viene interpretato in modo gnostico e fuorviante rispetto alla Theosis ortodossa. Sono costretto ancora a puntualizzare: “Vedi Mimmo, lo stesso concetto da te enunciato è presente nel Cattolicesimo, se non più approfondito addirittura, dato che è in Occidente che questo concetto è nato, per opera di San Cirillo d’Alessandria e di Sant’Agostino di Ippona, due dottori della Chiesa. Ne parla in maniera eminente anche San Tommaso d’Aquino, e ti ricordo che la teologia tomista ha carattere vincolante”… “ … eh sì altro che Rahner e Ratzinger”-sbotta Caterina- (direttore, ma questi mo’ chi sono … da dove spuntano fuori?). “La theosis –riassumo- non è divinizzazione nel senso che l’Uomo deve divenire uguale a Dio. Questa falsa interpretazione è di matrice gnostica, panteistica, emanatistica, professata dalle conventicole filosofeggianti pseudo-filantropiche adoranti il baphomet, oltre che radice del modernismo, già solo per questo chiaramente luciferino [perciò ampiamente condannato, stroncato da tutti i Papi dalla fine del ‘700 in poi], rifacendosi alla falsa promessa del “serpentone” dell’Eden, allorquando disse: “Mangiate dell’albero della vita e sarete come Dio” “Eritis sicut Dei” (mi sembra di risentire la voce dello zio Tommaso nelle sue omelie …). L’uomo sarà divino nel senso che sarà perfetto in sé, ad opera dello Spirito Santo, solo “dopo” il Giudizio Universale, e questo è un concetto base non solo della teologia ortodossa, ma anche di quella cattolica. Chi afferma il contrario lo fa per ignoranza o perché a servizio del “farfariello” (il nemico, come con disprezzo lo chiamava la cara nonna Margherita). Scrive l’Aquinate, l’Angelo della scuola, come appellato ai miei tempi: “L’Unigenito Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dèi” (Opusculum 57 in festo Corporis Christi, ) . Questo logicamente non significa che noi diverremo parte integrante della Trinità o assumeremo gli attributi perfettissimi di Dio. L’uomo è corrotto dal peccato originale, egli è per il momento incline (ma non in maniera inesorabile) al male, tuttavia la sua vera natura è quella di amare Dio e compiere il bene. Dunque in questo senso il termine divinizzazione è da intendere come “restaurazione della natura primigenia dell’uomo”, natura perfetta e non perfettissima (che ha invece solo Dio) … mi rivolgo di colpo a Yuri e gli chiedo: “Ma tu a quale chiesa orientale appartieni?”. “Ma perché quante chiese ci sono?” chiede Mimmo sbalordito. “Le chiese ortodosse sono acefale, non hanno cioè un’unità, ogni singolo vescovo è un capo a sé stante, autonomo nella sua giurisdizione, e le chiese ortodosse rappresentano chiese nazionali, e non si capisce perché si ostinino a proclamarsi cattoliche, cioè universali, visto che nei fatti sono ristrette ad un ambito geografico circoscritto! Ma la divisione (e la confusione, soprattutto!) c’è anche a livello cristologico, ….. Tu forse non sai, Mimmo, che la Chiesa Cattolica dichiarò solennemente nel Concilio di Calcedonia (451) che in Cristo vi sono due nature, quella umana e quella divina, non mescolate e non rappresentando però in Lui due persone distinte. La gran parte delle chiese ortodosse orientali accetta la definizione di Calcedonia sulla natura di Cristo, ma altre si sono divise ulteriormente e sono dette “non-calcedonesi”. Una di queste è la chiesa difisista, detta anche nestoriana, dal fondatore di questa cristologia eretica: Nestorio, che sosteneva che in Gesù Cristo le due nature, umana e divina, formavano due persone distinte e poneva come conseguenza il fatto che la Santa Vergine Maria non fosse Madre di Dio, ma solo dell’Uomo Gesù. Le chiese monofisiste si oppongono alle chiese ariane (ormai scomparse, Deo gratias!). Mentre le seconde proclamavano unicamente la natura umana di Cristo, le prime ne proclamano unicamente la natura divina. Gesù Cristo – dicono loro – non è vero uomo, ma solo vero Dio. Così facendo, accettarono le eresie di matrice gnostica quale il Docetismo e spianarono la strada ad alcune correnti eretiche successive, quale il Catarismo, e in seguito influenzarono uno dei cardini dell’Islam, con  tanto di matrice gnostica:  sia docetisti che catari, infatti, sostenendo unicamente la divinità di Cristo, affermavano anche che Egli non poteva soffrire, né avere un genere sessuale proprio, né morire, e quindi la morte in croce fu solo apparente, né ovviamente avere Maria per Madre, in quanto Gesù è solo vero Dio, essendo generato direttamente dal Padre e Maria fu solo il mezzo per manifestare il Verbo al mondo, ma in alcun modo concorse alla procreazione del Corpo. Le chiese monofisite sostengono che la natura di Cristo è solo una, dovuta al mescolamento di quella umana e quella divina. Divinità e umanità, dunque, in Gesù Cristo sono confuse, non nettamente distinte, come invece sostiene il Concilio di Calcedonia. Costituiscono queste alcune delle chiese ortodossi più influenti, come quella copta, quella etiopica e quella armena. Che guazzabuglio, … Yuri, cerca di tornare alla vera fede, quella proclamata anche dai tuoi antenati!” Ma è giunta l’ora della “pappa” e mettiamo da parte allora i guazzabugli mentali che confondono coloro che credono di essere Cattolici, come Mimmo ed il suo “presunto” parroco, oramai facente parte anche lui, poverino – dice Caterina – della “spelonca latronum” insediata come “sinagoga di satana” nella Chiesa di Cristo, e che cerca la verità nel dialogo con confusi, schizofrenici, dementi e allucinati, atei strampalati e chi più ne ha più ne metta! … ma che vorrà dire direttore?! … Questi non mi fanno capire più nulla, mi aiuti la prego, mi aiuti! … adesso ci mancavano solo le collaboratrici domestiche e gli idraulici dell’est ad alimentare la “bagarre”, ed a confondermi ancor più … “salvum me fac, Domine, non confundar…” ! La saluto caramente. Mi rifarò vivo appena mi riprenderò … Suo, nonno Basilio e famiglia.

La strana sindrome di nonno Basilio: 19

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   Caro direttore, eccomi ancora qui davanti al mio aggeggio elettronico per raccontarle le strane vicende della mia famiglia, che si susseguono purtroppo ininterrottamente e turbinosamente. Ma veniamo ai fatti: in una chiara mattina primaverile, circa all’ora terza, ero intento a salmodiare il “Veni Creator Spiritus”, che apre la mia novena allo Spirito Santo, la madre di tutte le novene che, in verità, iniziata come tale, è poi diventata prima una “novantena”, poi una novena con prolungamento semestrale, infine una “giornaliera continua” che mi aiuta molto nella mia vigilanza spirituale, e giacché ci sono, anche per conservare le mie residue attività cerebrali. Con me erano ovviamente, anche se solo di passaggio, i miei cari nipoti Mimmo e Caterina che sostenevano a tratti la mia voce stentata. E ripensavo a come ci si sia potuti separare nella fede dalla Chiesa Cattolica Romana proprio su di un argomento chiave come lo Spirito Santo, così come successe nel 1054, anno in cui si verificò il cosiddetto scisma d’Oriente, perpetrato dall’orgoglio di Fozio che fu portato a disconoscere il Primato di Pietro, oltre che ad introdurre poi altre perniciose eresie. Come mi aspettavo, interviene subito Mimmo interrompendo il mio discorsetto: “Ma nonno, anche il mio parroco dice che tra Ortodossi e Cattolici romani non ci sono diversità sostanziali, forse più che altro di riti, e che quindi qui il discorso ecumenico può essere proficuamente attuato!”. “Caro Mimmo, se questa cosa l’avessi detta tu, conoscendoti per quel mattacchione che sei, mi sarei fatta una grassa risata, ma poiché sostieni che tali espressioni siano state proferite, anche se ho i miei dubbi, da un prelato, a sua volta confortato da autorità più alte e Caterina me ne da subito conferma, citando anche nomi illustri oltre a numerosi avvenimenti “ecumenici” tra alte cariche ecclesiastiche, sono costretto a puntualizzare, ricorrendo ai “rimasugli” della mia malandata memoria, dalla quale si riaffacciano prodigiosamente non solo gli insegnamenti dello zio Tommaso, santo sacerdote, come ripetutamente detto, ma pure i ricordi della tremenda campagna di Russia di un anziano medico veterinario, mio dirimpettaio in gioventù. Ciò premesso, andiamo ad analizzare attentamente la religione eretico-scismatica dei cristiani orientali, detta impropriamente “Ortodossa”, perché nei fatti non lo è proprio!. Anzitutto a livello linguistico va notato che “cattolici” e “ortodossi” sono due titoli che entrambe le istituzioni, sia la Chiesa romana, che la “setta” orientale, si auto-assegnano. Anche l’apostolicità, condizione necessaria per rendere validi i sacramenti[1], è condivisa sia dalla Chiesa romana sia da quelle orientali. Quale è dunque il problema? Interviene ancora Mimmo: “Secondo il mio amico idraulico bielorusso Yuri (ma dopotutto) la Chiesa romana ha perduto la vera ed originaria Fede”. “Ma questo, caro Mimmo –ribatto subito- è il leitmotiv tipico di ogni scismatico come giustifica che poi non si riesce mai a definire. Eppure, anche qui, analizzando realmente il processo storico che ha portato alla spaccatura tra Occidente ed Oriente cristiano, si comprende benissimo che la colpa di tale divisione è per lo più esclusivamente degli pseudo-ortodossi”. “Ed adesso tocca a te dimostrarlo, nonno”, mi dice Mimmo con aria di sfida.“Cominciamo allora dagli interessi politici. Sin dai primi secoli, la Chiesa Apostolica ha ribadito che il primato nella Chiesa spetta al vescovo di Roma, il Papa. Ne parla il Vangelo, lo ribadirono i Padri della Chiesa, lo affermarono solennemente i Concilii ecumenici, così come già detto in altre occasioni … vattele a ripassare. Negli Acta del Concilio di Nicea (325), ad esempio, al canone VI leggiamo, a proposito della precedenza di alcune sedi sulle altre: “In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle chiese gli antichi privilegi”. La Chiesa poneva il vescovo di Alessandria, il vescovo di Gerusalemme e il vescovo di Antiochia come Patriarchi, ossia Vescovi con particolare onore e con particolare potere di giurisdizione su quelle regioni. Il Canone specifica che anche al Vescovo di Roma è riconosciuta una simile autorità, segno che i nuovi patriarcati venivano costituiti sul modello di quello romano, sebbene esclusivamente il Papa romano mantenesse il primato pietrino. Il primato di Roma non fu mai pienamente tollerato dal potere ecclesiastico e soprattutto politico delle regioni orientali. Già Costantino pare, secondo vari autori, che decise di farsi battezzare come ariano in punto di morte, in segno di disprezzo verso la Chiesa di Roma, Chiesa che insieme a tutte le altre aveva dichiarato – proprio nel Concilio da egli stesso convocato a Nicea – l’arianesimo come eresia. Dieci anni dopo Nicea, infatti, lo stesso Costantino convocò un conciliabolo a Tiro, dove condannò il vescovo patriarca di Alessandria, Sant’Atanasio, approvando il credo ariano. Le prime incrinature con l’Oriente, dunque, sono di natura prettamente politica. Costantino e i successivi imperatori cristiani cercavano di manovrare la Fede per questioni di potere e non di Verità religiosa. Fu sotto Teodosio, nel 381, che il Concilio di Costantinopoli I stabilì solennemente valide ed immutate le decisioni del Concilio di Nicea e ribadì la condanna all’arianesimo e alle varie innovazioni teologiche che si stavano diffondendo nell’area orientale, che in quanto innovazioni costituivano di per sé eresie (… un po’come tutte le innovazioni moderniste …. capiscimi bene Mimmo!) Fu in occasione di questo Concilio, e non prima, che fu istituita la figura del Patriarca di Costantinopoli, che tuttavia aveva un primato d’onore nella regione orientale ed era però sempre sottomesso alle decisioni del Pontefice. Dunque, impossibilitati a dare fondatezza teologica per praticare l’eresia del cesaropapismo, il clero orientale e le autorità imperiali continuarono a cercare pretesti teologici per screditare la Chiesa di Roma. Il primo fu, ovviamente, quello riguardante il primato petrino. Commenterà Sant’Alfonso: “È fuori dubbio che il Signore, comunicando a Pietro il nome di “pietra”, gli comunicò la potestà vicaria di capo ( … ) Inoltre disse il Signore a Pietro: “pasce agnos meos … pasce oves meas…”. Per pasce (pasci) si intende ogni atto pastorale di presiedere, condurre, ridurre, agnos (agnelli) sono tutti i fedeli, i figli, oves (pecore madri) sono gli Apostoli ed i Vescovi loro successori … potrei dirtene tanti altri ma mi fermo qui. Più volte fu ribadito il primato petrino del vescovo romano e più volte uscirono dissensi da parte dell’Impero e del clero bizantino. Ma la Chiesa può piegarsi alle esigenze politiche? Il patriarca di Costantinopoli fu quindi scomunicato nel 1054 da Papa Leone IX, ma questi, invece di ritrattare o ubbidire, senza autorità decise di scomunicare a sua volta il Pontefice romano, compiendo una insanabile frattura fra Occidente ed Oriente, nota più tardi con il nome di Grande Scisma. Sin dal 1054, le varie chiese orientali (molto differenti al loro interno anche a livello teologico, oltre che liturgico, in quanto autocefale, cioè autonome secondo fantasia…) sono cresciute in funzione della loro ostilità a Roma. Mentre la Chiesa Cattolica ha con il tempo approfondito e chiarito solennemente, attraverso i Concilii e le affermazioni dogmatiche e magisteriali, il deposito della Tradizione ereditata dagli Apostoli, le chiese ortodosse non hanno indetto più alcun Concilio ecumenico, per timore di dar ragione alla Chiesa Cattolica anche su un singolo dogma. Ne è un esempio clamoroso il dibattito sul Purgatorio. Qualsiasi cristiano orientale ortodosso, infatti, negherà l’esistenza del Purgatorio come regno ultraterreno alternativo ad Inferno e Paradiso, in cui sono destinate le anime di coloro che muoiono in stato di grazia ma che non hanno ancora espiato definitivamente le proprie colpe. Eppure, anche gli ortodossi durante le loro celebrazioni pregano per i defunti, tradizione che arriva dall’epoca apostolica ed anche preapostolica (come dimostrano i libri dei Maccabei) e che loro continuano a trasmettere. Tuttavia gli ortodossi non hanno avuto mai il coraggio di chiedersi: perché pregare per i defunti? Chiedilo anche al tuo amico Yuri vediamo cosa risponde … Infatti, se le anime dei defunti per cui si prega sono all’inferno, le preghiere sono inutili, perché la dannazione è irrevocabile. Se invece essi sono in paradiso, le preghiere sono parimenti inutili, perché hanno già raggiunto la beatitudine, la mèta della propria esistenza. Perché dunque pregare per i defunti se non per dar loro suffragio, ossia aiutarli a raggiungere la pienezza della santità e della salute eterna? Paradossalmente, anche le tradizioni degli stessi ortodossi danno ragione ai dogmi cattolici. Gli ortodossi negano a parole il dogma del Purgatorio, ma nei fatti lo affermano. Negare una verità di fede esclusivamente per non concordare con Roma è un mero atto di superbia, nonché esternazione di poca libertà spirituale, ancora peggio: è peccato contro lo Spirito Santo (non uno, bensì tre … : impugnare la verità conosciuta … ostinarsi nel peccato, … l’impenitenza finale). Può infatti una chiesa essere veramente libera se è costretta in tutto quello che dice a confrontarsi con un’altra, e scegliere ciò che è vero e ciò che è falso in base a ciò che afferma l’altra chiesa? Tralasciando la santità di Costantino, accettata dagli ortodossi, passiamo alla “questione del Filioque”, che fu un altro pretesto per lo scisma, o della processione dello Spirito Santo. I teologi occidentali aggiunsero nel Credo niceno-costantinopolitano, per una maggiore chiarezza, che “lo Spirito Santo […] procede dal Padre “e” dal Figlio”. Essa è dunque la terza Persona della Santissima Trinità. I teologi orientali, invece, sostenevano che lo Spirito Santo procedesse solo dal Padre e che fosse dunque la seconda Persona trinitaria. Spiega Padre Dragone nel Catechismo di San Pio X commentato: “Da tutta l’eternità il Padre, per via della conoscenza genera il Figlio in modo perfetto e totale, come un atto unico e puro. Il Figlio è quindi perfetto come il Padre da tutta l’eternità. Il Padre contemplando da tutta l’eternità il Figlio Lo ama con un amore infinito, e il Figlio da tutta l’eternità ricambia il Padre con lo stesso amore. Padre e Figlio, con un atto unico e perfettissimo spirano a vicenda un amore eterno, infinito, perfetto, Amore che è la Terza Persona, eguale e distinta dal Padre e dal Figlio, e che riceve tutto il suo essere dal Padre e dal Figlio, come da unico principio o fonte d’amore”. Il Vangelo stesso dichiara che lo Spirito Santo non è la seconda, ma la terza Persona della Trinità: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”(S.Matteo XXVIII,19). Caterina dimostra di inserirsi correttamente nella discussione e ci ricorda: “ … ma diversi Papi si sono sforzati con ogni mezzo, amorevolezza ed energia, di ricondurre gli orientali sulla retta strada dottrinale, come nei confronti ad es. di Michele Cerulario, ed essi più volte sembravano esserne convinti, come al Concilio di Firenze. Ed anche in questo caso, tornati a casa ritrattarono subito i documenti ivi firmati, un ribaltone in piena regola, come il conciliabolo vat’inganno secondo, sempre fomentati da coloro che per padre hanno il ‘farfariello’ e sono nemici di tutti gli uomini, ma in particolare dei cristiani. A questo punto però, la sede di Costantinopoli, in balia di una cotale eresia anti-filioque, senza sostegno divino (ricordiamo che disprezzare lo Spirito Santo significa condannarsi “in cielo e in terra” senza misericordia alcuna, e così fu …) venne spazzata via in pochissime battute, con ferocia cruenta impressionante, dalle orde dei maomettani, cancellata per sempre come vera cattedra apostolica! Come doveva poi succedere in Russia, in tempi più recenti, e fino ad oggi in Iraq, in Siria e così via”. Brava Caterina, vedo che hai ben approfondito la questione, anche ci sarebbe ancora molto da dire, ma … ragazzi, adesso sono stanco, è l’ora del biscottino della nonna Genoveffa (mia moglie, per chi non avesse letto le precedenti missive) … ne riparliamo anzi, presentatemi i vostri amici orientali, così potremo conoscere più da vicino i loro usi e … costumi religiosi”. Caro direttore, la saluto e non dubiti, le farò sapere come andrà a finire!

La strana sindrome di nonno Basilio: 18

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La strana sindrome di nonno Basilio -18-

Carissimo direttore “arieccomi” a raccontarle le “quasi” avventure di casa Del Vescovo, dei confronti tra un nonno “rincitrullito”, ma al quale ogni tanto la memoria fa capolino, ed i suoi giovani nipoti, in particolare dell’esuberante e talvolta dispettoso Mimmo. E proprio Mimmo qualche giorno fa, mi faceva visita dopo un periodo di assenza abbastanza prolungato. “Mimmo, ma che fine hai fatto”? “Oh caro nonno, sapessi, sono stato in Germania, a rinverdire i miei trascorsi bavaresi, (io penso che però sia andato per tracannarsi un po’ di birra innaffiando crauti e wurstel!, ma non glielo posso certamente dire così, a bruciapelo!). Tra l’altro – mi dice – girando per la Baviera, mi sono imbattuto in un grazioso borgo, Bad Staffelstein, adagiato sulle colline bavaresi, immerso nel verde, in tutta tranquillità e pace. Qui, poi tra le altre cose ho potuto visitare una chiesa molto bella, austera e maestosa, della diocesi di Bamberga, la “Basilika vierzenheiligen”, dei quattordici santi! Ma chi sono, nonno? Dalle nostre parti non ne ho mai sentito parlare, dalle nostre parti non si conoscono proprio, tu ne sai qualcosa? “Oh ma come, certamente, i quattordici Santi soccorritori, invocati per tantissime evenienze, ed ognuno “specializzato” in interventi specifici. Lo zio Tommaso, santo sacerdote di un tempo andato, ce li ricordava spesso, ed ogni qualvolta ognuno di noi nipoti ricorreva alla loro intercessione, veniva immancabilmente esaudito. Ricordo che la loro memoria e festa ricorre l’8 di agosto! Si tratta di un culto antico, molto diffuso e praticato in Europa fin dal medioevo! Me lo ricordo bene, e tu Caterina, perché agiti la mano? Che mi dici al proposito?” “Nonno ma questa festa è stata soppressa, cancellata dal calendario attuale, come quasi tutte le feste dei martiri, si vede che davano fastidio a qualche “farfariello”! “Ma come i 14 soccorritori cancellati? Ma chi si è permesso, come hanno potuto occultare questi Santi, tutti illustri martiri, visto che tra l’altro Papa Niccolò V ne aveva concesso il culto con numerose indulgenze annesse”? E Mimmo, ansioso di sapere, riprende: “Nonno orsù dimmi, ma chi erano questi santi, e perché venivano invocati, ti prego, ora sono curioso!”.  “Beh allora procediamo con calma, facciamo un test mnemonico … io me li ero fissati in memoria da ragazzo, come si fa con le squadre di calcio … Acazio, Biagio e Barbara, Cristoforo, Caterina d’Alessandria e Ciriaco, Dionigi, Erasmo, Egidio, Eustachio e Giorgio, Margherita di Antiochia, Pantaleone e Vito! Miracolo! Me li sono ricordati tutti! Qualche neurone funziona ancora!”. “E bravo nonno, ma adesso dicci in cosa erano specializzati! Vediamo se anche qualche altro neurone ancora funziona!”. Beh allora proviamo … ehm, dunque: S. Acazio, protegge ad “ampio spettro” nella malattia e nell’agonia, ma interviene particolarmente nei casi di emicrania. S. Barbara viene invocata per proteggersi dai fulmini, dalle febbri in generale, propizia una morte serena evitando una morte improvvisa. Abbiamo poi lo specialista faringo-laringoiatra, S. Biagio, che protegge dalle malattie dell’apparato respiratorio alto e dal mal di gola. S Cristoforo protegge dalla peste, oggi dall’Aids, la peste attuale, dagli uragani e dagli incidenti di viaggio. S Ciriaco agisce con grande efficacia nelle tentazioni, oppressioni e possessioni del diavolo. S Dionigi, specialista in cefalee e venereologia (sifilide e malattie veneree). Sant’Egidio veniva invocato in caso di sterilità, negli attacchi di panico e paure notturne, ma se la cavava bene anche come neurologo nell’epilessia, nella pazzia (oggi avrebbe tantissimo lavoro … ed invece lo hanno mandato in pensione anzitempo … è un povero disoccupato!) e come dermatologo nelle eruzioni cutanee. S. Erasmo, da specialista gastroenterologo, è efficacissimo nei dolori addominali ed intestinali, ma al bisogno aiuta pure le partorienti! S. Giorgio veniva invocato con profitto contro la peste, la lebbra e le malattie della pelle. S. Caterina d’Alessandria era invocata per le malattie della lingua e linguaggio, dislessia ed autismo (anch’essa avrebbe tanto lavoro oggi, specie negli ambulatori di pediatria!). S Margherita di Antiochia, come un’ostetrica provetta, protegge le partorienti, mentre S Pantaleone assiste nelle malattie di consunzione dell’uomo e, nei ritagli di tempo, fin’anche degli animali. Oh, ragazzi, ma come, proprio io mi sono scordato di San Vito, il santo“neurologo”, invocato contro tutte le malattie psichiche, nei casi di letargia, corea, epilessia, idrofobia! Da oggi comincerò ad invocarlo anch’io, sono sicuro che mi aiuterà! Ed infine, il Santo più importante per noi che ne abbiamo bisogno assoluto: S. Eustachio, che protegge e preserva dal fuoco, in particolare dal fuoco eterno! Ragazzi, ma ce l’ho fatta! Sono contentissimo, qualche neurone comincia a risvegliarsi. Deo gratias!” Passato il momento di euforia, vedo Mimmo pensoso che tutto d’un fiato mi chiede: “… ma un tempo, come venivano canonizzati questi Santi, le cui vicende si perdevano nella memoria dei popoli, spesso confondendosi con fatti leggendari, e per i quali non penso si potesse istituire un processo canonico in piena regola”? “Bravo Mimmo, gli rispondo, questa stessa domanda la pose quella “secchiona” di Felicina, un’altra nipote del gruppo, allo zio Tommaso, il quale senza scomporsi minimamente risolse l’arcano in poche battute: “Prima di Papa Urbano VIII, che mise un po’ di ordine nelle canonizzazioni, c’era la “canonizzazione equipollente”, definita così proprio dal cardinale Prospero Lambertini, poi Papa Benedetto XIV, nel poderoso trattato in 5 grossi volumi: “De servorum Dei, beatificatione et beatorum canonizatione” edito a Bologna durante gli anni 1734-38. Qui egli distingue, per la canonizzazione equipollente, un primo gruppo di Santi, come i martiri dell’antichità, i SS. Padri e dottori antichi, molti Santi medioevali che godono in tutta la Chiesa di culto universale, e su di loro non fu mai fatto un processo, mai emanata una sentenza, essendo l’effetto di uno sviluppo storico, ove però non manca il consenso dei Sommi Pontefici, almeno tacito. Ci sono poi altri Santi, confessori, vergini, considerati Santi, ma la loro festa viene celebrata solo in determinate regioni, tra questi San Rocco e Santa Genoveffa, giusto per citare anche una Santa festeggiata nella nostra famiglia. Pure qui, esiste il consenso della Chiesa, anche se manca la procedura canonica e la formale canonizzazione. Ma guardate che anche per i Santi formalmente canonizzati, oltre l’atto della canonizzazione, ci vuole un secondo atto, con cui il Papa impone anche la festa alla Chiesa universale. A questo, il Lambertini aggiunge un secondo gruppo di Santi, per i quali constata l’atto pontificio di imposizione della festa a tutta la Chiesa, senza però alcuna procedura precedente canonica né un atto di canonizzazione formale. Sono i Santi inseriti per rito pontificio nel calendario della Chiesa universale, calendario che in senso stretto esiste solo dai tempi di San Pio V. Pertanto la canonizzazione equipollente in quest’ultimo senso si riscontra in tutti i casi in cui un Papa inserisce la festa di un Santo, non mai canonizzato formalmente, nel detto calendario. E tra questi troviamo una serie di Santi importanti come ad esempio S. Romualdo, S. Norberto, S. Brunone, S. Pietro Nolasco, S. Raimondo Nonnato, S. Giovanni de Matha, S. Stefano d’Ungheria, S. Gregorio VII, e poi più recentemente S. Pier Damiani, S. Beda, S. Cirillo di Gerusalemme e S. Cirillo di Alessandria e così via, che a citarli tutti ci vuole una settimana! Ma in tempi più recenti la questione, piuttosto ingarbugliata, si rischiara con due atti pontifici, dichiarati espressamente “canonizzazione equipollente”, e cioè quelli riguardanti S. Alberto Magno, dichiarato pure Dottore della Chiesa, con festa imposta a tutta la Chiesa universale, sotto Pio XI (16 dic. 1931) e S. Margherita d’Ungheria, sotto Pio XII (19 nov. 1943), ed in entrambi casi ci fu uno studio preliminare storico-critico della Santa Congregazione dei Riti”. Mi interrompe Caterina: “Ma quali sono i requisiti richiesti per proporre al Santo Padre questi personaggi per la canonizzazione equipollente”? “I presupposti inderogabili per una canonizzazione equipollente, continuo, sono in generale l’autenticità della persona stessa, la prova storica delle virtù o la certezza del martirio, l’esistenza di veri miracoli operati dalla persona dopo la sua morte, l’esistenza di un vero e proprio culto liturgico antico, la sua origine, la sua continuazione, e un certo rilievo della persona stessa.” Interviene ancora Mimmo chiedendo: “Scusa nonno la mia ignoranza, ma mi puoi intanto spiegare la differenza tra beatificazione e canonizzazione”? Ecco ti rispondo subito: “nella beatificazione: il culto è limitato ad una città, una diocesi, una regione, o una famiglia religiosa, ed è unicamente permissivo; nella canonizzazione invece il culto è esteso all’orbe cattolico, ed è precettivo, ma la vera differenza sta, come scrive Benedetto XIV, in “quest’ultima e definitiva sentenza della santità, che impone il culto dovuto ai Santi nella Chiesa Universale: sentenza che il Sommo Pontefice pronunzia per la canonizzazione e giammai per la beatificazione …”. “E già che ci siamo, orsù Mimmo,prendimi per cortesia il III volumone della Enciclopedia cattolica, perché io non ce la faccio oramai più, e leggi dalla colonna 569 in poi …”. “Ma nonno, questo argomento è lunghissimo, ci vuole molto tempo da dedicarvi”. “Si, e lo dici a me? lo so bene perché lo zio Tommaso ogni tanto ci assegnava qualche argomento da studiare e poi da riferire agli altri, questa enciclopedia è una miniera d’oro per il cattolico”! “… ah ecco perché non si trova più in giro …” (chissà perché Caterina dice così, ai miei tempi era molto diffusa!). Leggi, leggi qua: “Assertore, custode e giudice di questa santità non è che il Vicario di Cristo; ed è a lui solo, che presiede a tutta la Chiesa ed ha il diritto di proporre ciò che si deve credere ed operare in cose concernenti la religione, che spetta di giudicare chi debba essere ritenuto ed onorato come Santo. Ed in questo giudizio il Papa non può errare. Benedetto XIV, incomparabile maestro in materia, insegna che egli riterrebbe, se non eretico, certamente temerario, scandaloso a tutta la Chiesa, ingiurioso verso i Santi, sospetto di eresia, assertore di erronea posizione, chi osasse affermare che il Pontefice, in questa o in quella Canonizzazione abbia errato, e che questo o quel Santo da lui canonizzato non dovesse onorarsi con il culto di “dulia”, cioè per ragione della sua dignità nell’ordine soprannaturale. Del resto la sentenza definitiva, con la quale il Papa proclama la santità dei Servi di Dio, oltre che trovare la sua prima ed alta espressione nell’assistenza speciale dello Spirito Santo che lo illumina, è appoggiata solidamente a tutto un complesso di investigazioni, di studi, di fatti che dimostrano con quanto discernimento e con quanta prudenza proceda la Chiesa nelle cause di Canonizzazioni. Le quali vanno annoverate tra le maggiori e le più gravi che siano di sua competenza.” E alla colonna 604: “ … L’aspetto immediato e diretto della definizione papale, nella Canonizzazione è solo il fatto che l’anima della persona santa gode certamente la gloria celeste; ciò però non è un fatto, incluso direttamente nel tesoro della rivelazione soprannaturale, chiusa dopo la morte dell’ultimo Apostolo; quindi il Papa non lo può definire come oggetto di fede divina, ma solo come oggetto di fede “ecclesiastica”. Il Concilio Vaticano, nella sua esposizione dell’infallibilità del Papa, non nomina espressamente la Canonizzazione dei Santi come oggetto dell’Infallibilità pontificia. È però dottrina comune dei teologi che il Papa nella Canonizzazione è veramente infallibile, trattandosi di un atto importantissimo attinente alla vita morale della Chiesa universale, in quanto che il Santo non viene soltanto proposto alla venerazione perché gode la gloria celeste, ma anche perché modello delle virtù e della santità reale della Chiesa. Ora, sarebbe intollerabile se il Papa in una tale dichiarazione che implica tutta la Chiesa, non fosse infallibile. Questa dottrina risulta da non poche bolle di Canonizzazione, anche del medioevo, dalle deduzioni dei canonisti, sin dal medioevo, e dei teologi sin da S. Tommaso d’Aquino. Benedetto XIV insegna che è certamente eretico e temerario insegnare il contrario!”. Ma qui Caterina ci gela: “Guarda nonno che sono state recentemente fatte delle canonizzazioni di personaggi notoriamente massoni, Illuminati di Baviera, eretici ostinati, mai pentiti, pedofili, omosessuali ed altro ancora. Qui direttore, non ci ho visto più! “Ma Caterina, cosa dici mai? è assolutamente impossibile che un Vicario di Cristo, assistito dallo Spirito Santo possa compiere un’azione così sacrilega propinandola alla Chiesa Universale, per cui, volendo assecondarti in quanto dici, solo perché sei mia nipote, le ipotesi sono due: o si tratta della ennesima pacchianata truffaldina escogitata da Mimmo e dai suoi amici per burlarsi di me, oppure l’infame che avrebbe compiuto questo atto blasfemo è un impostore, un attore travestito con talare bianca, un burattino fasullo in mano alle conventicole della sinagoga di satana, un antipapa marrano, un “principe dell’esilio”, ma certamente, ed è sicurissimo come il sole che brilla in estate, te lo posso sottoscrivere con il mio sangue: “non un Papa vero”! Insiste Caterina: “Nonno, io non vorrei contraddirti, ma l’ho visto pure io in tv!” “Beh allora – spazientito, paonazzo e con la pressione alle stelle, perdo le mia calma serafica: “ … eh nipote mia, fatti visitare da un buon oculista, cambia televisore, pulisci bene lo schermo, perché, cara mia, ciò che conta non è certo la mia o la tua opinione o quella di chicchessia tra i soloni televisivi o “giornalettari” o “internettari” (ormai ho perso le staffe, mi si perdonino i neologismi!), ma solo il Magistero infallibile della Chiesa che, come sempre ti dico, è un orologio svizzero dal meccanismo perfetto, con la differenza che l’orologio, benché perfetto, può cadere e rompersi, cosa che non può succedere mai al Magistero che, oltre ad essere infallibile, è pure irreformabile in ogni sua virgola … “iota unum, et apex unum …”. E poi definire Papa uno che chiaramente non lo è, un fantoccio, un pagliaccio, uno zombi, costituisce un peccato contro la fede, peccato mortale, peccato contro lo Spirito Santo poiché, impugnando la verità conosciuta, si bestemmia il dogma dell’Infallibilità del Santo Padre divinamente assistito, definita solennemente nel Concilio Vaticano, subito dopo interrotto in modo provvidenziale dalla guerra franco-prussiana e dalla presa di Porta Pia! La Massoneria era arrivata con un attimo di ritardo, un attimo fatale però per chi voglia veramente capire senza lasciarsi ingannare da chiacchiere, panzane e pinzellacchere! … ed alla faccia di quelli che festeggiano il “20 settembre” insieme ai falsi prelati del vat’inganno!” Direttore, ma veda un po’ in che impiastro mi sono trovato impantanato, e come adesso ci si metta pure Caterina ad impugnare la verità conosciuta. Roba da Sodalitium planum, o da Santa Inquisizione …. Paolo IV, Pio II, san Pio V, Benedetto XIV, Pio IX e via via fino a Pio XII si staranno rivoltando nella tomba … Requiem aeternam … cerco di calmarmi, … ma direttore bisogna perdonarli questi giovani, sono così ignoranti e non certo solo per loro colpa. Beh la prossima volta andremo tutti insieme a fare una bella gita in ambienti incontaminati (ma ce ne sono ancora?) per rinfrancarci e schiarirci le idee, non davanti ad un boccale di birra bavarese però! Se vuole, può venire anche lei e qualche suo lettore, se ancora ce n’è e se ne ha voglia! La saluto fraternamente! Nonno Basilio e famiglia.