De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XXV-XXVIII]

XXV.

NON MACCHIA L’ANIMA CIÒ CHE ENTRA NEL CORPO. DIO NON MI DANNERÀ PER UN PEZZO DI CARNE. LA CARNE NON È PIÙ CATTIVA NEL VENERDÌ, E NEL SABATO , CHE NEGLI ALTRI GIORNI.

R. Avete totalmente ragione. Non è la carne, che danni; la carne non è più cattiva in un giorno, che in un altro. – Ciò che danna è la disubbidienza, che fa mangiare la carne. Ciò che è cattivo al venerdì, ed al sabato è la violazione d’una legge, che non esiste per gli altri giorni, è il rivoltarsi contro l’autorità legittima dei pastori, a cui noi tutti dobbiamo ubbidire come a Colui medesimo, che li invia, « Andate, son io che vi mando, chi vi ascolta, ascolta me, chi vi disprezza, disprezza me. » – Non si tratta dunque di carne, né di giorno, né di stomaco; si tratta del cuore, che pecca ricusando di sottomettersi ad un comando obbligatorio e facile. – Oltre il grande e generale motivo di osservare tutte le leggi della Chiesa, noi possiamo aggiungere che queste leggi non sono fatte a caso per capriccio, ma che esse son fondate sopra sagge ed importantissime ragioni. – Così la legge dell’astinenza, di cui l’applicazione è più frequente, è destinata a richiamare incessantemente alla memoria dei cristiani la passione, le pene, la morte del loro Salvatore; essa è la pratica pubblica della penitenza dei cristiani ecc. – Non avvi che un uomo superficiale o ignorante che possa riguardare questa istituzione come inutile. Non si può credere nella pratica quanto questa sola osservanza del magro al venerdì ed al sabato impedisca l’anima di sortire dalle idee religiose. – Le leggi della Chiesa nel mentre che obbligano sotto pena di peccato, sono lungi dall’essere dure e tiranniche. La Chiesa è una madre, e non una padrona imperiosa. Basta che per un motivo grave non possiate usare di magro, perché ne siate per ciò stesso dispensato! La malattia, la debolezza del temperamento, la grande fatica del lavoro, la povertà, In difficoltà grande di procurarsi alimenti magri sono motivi che dispensano dal magro. Per non illudersi, è tuttavia buona cosa consultare il parroco o il confessore interprete della legge. Questa osservazione, che si estende a tutte le leggi della Chiesa, mostra quanto saggia e moderata è l’autorità che le fa. Rispettiamola dunque dal fondo del nostro cuore; lasciamo ridere quei che non se ne intendono, e adempiamo senza mormorare comandamenti sì semplici, sì saggi e sì utili alle nostre anime.

XXVI.

DIO NON HA BISOGNO DELLE MIE PREGHIERE. SA BENE CIÒ CHE MI BISOGNA SENZA CHE GLIELO DOMANDI.

R. Avete totalmente ragione. Ma avreste totalmente torto di concludere che vi potete dispensare dal pregare. Dio non ha bisogno delle vostre preghiere, è vero. Le vostre preghiere e i vostri omaggi per niente cambiano la sua immutabile beatitudine Ma Egli esige da voi questi omaggi, queste adorazioni, questi ringraziamenti, queste preghiere; perché voi, sua creatura e suo figlio, gliele dovete. Egli ha diritto sul vostro pensiero di cui è l’Autore, vuole che lo dirigiate verso Lui; ha diritto egualmente all’amore di questo cuore, che vi ha dato, e vuole che liberamente glielo rendiate amandolo. – Dio conosce tutti i vostri bisogni. È pur verissimo. Ma non è affinché Egli li conosca che bisogna che voi glieli esponiate. È perché non perdiate di vista la vostra impotenza senza il suo soccorso; si è affine di rammemorarvi continuamente la vostra dipendenza. – Si è per voi che è ordinata la preghiera, non per Lui. Egli vuole che voi preghiate, primieramente perché è giusto che voi adoriate il vostro Dio, che pensiate a Colui, che sempre pensa a voi, che amiate Colui, che è il bene supremo, ed il vostro ottimo benefattore; e in secondo luogo perché è buono, utile, ed anche necessario per voi il pregare. – Qual cosa avvi di più grande, qual cosa di più dolce, di più semplice, di più facile, che la preghiera! È la più nobile occupazione dell’uomo in questo mondo, è ciò che nobilita, innalza, e rende degne d’un essere ragionevole tutte le nostre occupazioni. – II più nobile oggetto del pensiero umano è l’applicarlo a Dio. Ciò che solo può pienamente soddisfare il nostro cuore si è l’unirlo al Dio d’infinita bontà, d’infinita perfezione, d’infinito amore. È il figlio, che parla al suo amatissimo Padre. È l’amico, che conversa familiarmente coll’amico. – È il colpevole perdonato, che ringrazia teneramente il suo Salvatore; è il peccatore debole e infermo che domanda misericordia a quel Dio, che ha detto: « Giammai rigetterò colui che viene a me. » – La preghiera è la consolazione di tutte le nostre pene. È il tesoro della nostra intima felicità, che nulla ci può rapire. Perché la preghiera è in noi, essa è noi stessi. È noi stessi mentre pensiamo a Dio, e l’amiamo. Si deve dire della preghiera ciò, che si dice dell’amor di Dio. È una cosa così dolce, che Dio imponendocene l’obbligazione non fa che comandarci d’esser felici. Così nostro Signore Gesù Cristo che è venuto in questo mondo per renderci felici col renderci buoni, nulla tanto ci raccomanda quanto la preghiera: « Pregate incessantemente, disse, e non vi stancate punto. » Cioè avvezzate la vostra anima a pensare a Dio e ad amarLo sopra tutte le cose. La preghiera è il fondamento della vita cristiana. Pregate dunque di tutto cuore; non solo colla bocca, ma dall’intimo dell’anima. Siate fedele nel principio e nel terminare del giorno a rendere a Dio il vostro figliale omaggio [Non vi aspettate niente, diceva un giorno s. Vincenzo de Paoli, da una persona che non fa mattina e sera le sue preghiere]. Pregate nelle vostre pene, nei vostri pericoli, nelle vostre tentazioni. Pregate dopo le vostre mancanze per ottenerne il perdono. Pregate nelle principali circostanze della vita. – Intrecciate la preghiera alle vostre azioni giornaliere. Per essa niente havvi di piccolo avanti a Dio, con essa niente è perduto per il paradiso. Sarete puro e buono se praticherete la preghiera. Il vostro cuore godrà la pace. In mezzo alle miserie della vita avrete questa gioia interiore che ne addolcisce le amarezze; e quando il tempo della vostra prova sarà terminato, voi raccoglierete il frutto della vostra fedeltà. O Servo buono e fedele, vi dirà Gesù Cristo, perché nel poco sei stato fedele, ti farò padrone del molto; entra nel gaudio del tuo Signore » (s. Matteo cap. XXV).

XXVII.

A CHE PREGARE LA S. VERGINE ED 1 SANTI? C0ME POSSONO ESSI ASCOLTARCI?

R. Come voi potete ascoltarmi? — Colle mie orecchie! — Ben lo so; non è ciò che vi domando. Vi domando come voi potete ascoltarmi colle vostre orecchie? Io muovo le mie labbra, esse agitano un poco d’aria; quest’aria entra nelle vostre orecchie e si ferma a un piccolo osso coperto di pelle chiamalo il ..Ed eccovi che intendete ciò che vi dico! Come accade egli ciò? Qual relazione tra questo poco d’aria che colpisce il timpano e il mio pensiero, che si manifesta alla vostra anima? — Se noi non fossimo testimoni di ciò in tutti i giorni, non vi potremmo credere. È ben certo però che la cosa è realmente cosi. – Or bene quando m’avrete detto come voi che siete a due passi distante da me, potete intendere ed entrare in relazione con me quando vi parlo, allora pure vi dirò come la santa Vergine ed i Santi che sono nel cielo, possano intendere le mie preghiere e corrispondervi. Lo stesso Dio che fa sì che m’intendiate, fa pur sì che m’intendano quando loro chiedo d’intercedere per me appresso di Lui. – In qual maniera ciò vien operato da Dio? M’importa poco il saperlo. Ciò che so, è, che la cosa è così; si è che Dio fa conoscere alla beata Regina degli Angeli e degli uomini, a quella che ha sollevata, sola tra tutte le creature, alla dignità prodigiosa di sua Madre, a quella che ci lasciò per Madre, per Avvocata, per Protettrice, morendo sulla croce, che fa, dico, conoscere alla santa Vergine le preghiere, le necessità dei suoi figli che ricorrono alla sua materna protezione; si è ch’Egli ascolta sempre quella che ama sopra tutte le fatture delle sue mani, e ch’esso viene ancora a noi per mezzo di essa, come già ei venne un giorno nella sua Incarnazione; si è che il mezzo più sicuro d’arrivare a Gesù, è di ricorrere a Maria che ci introduce appresso il suo Figlio e nostro Dio, coprendo cosi colla sua protezione la nostra indegnità e le nostre imperfette disposizioni… Ciò che so si è che non avvi nulla di più dolce, di più soave, di più consolante che l’amare la santa Vergine, confidarle le proprie pene, e offrirle il proprio cuore. – Si è che il suo culto rende migliori, rende casti, puri, dolci, umili; fa amare la preghiera, dona la gioia e la pace dell’anima… – Ciò che so, è, che amando e servendo Maria, io non fo altro che imitare, ed ahi troppo imperfettamente, il mio stesso Salvatore Gesù. Egli il primo amò la sua Madre, sì buona e sì santa, sopra tutte le creature; Egli il primo l’ha servita colle sue mani, Le ha reso ogni sorta di onori, di offici, d’obbedienza. Ed avendomi Egli detto la vigilia della sua morie: « lo vi diedi l’esempio, affinché ciò che Io ho fatto, voi lo facciale, » io cerco d’amare con tutte le mie forze la s. Vergine Maria, che Egli ha così perfettamente amata, e ciò solo m’incresce, di non avere in me il cuore di Gesù per amarla come merita d’essere amata. – Ciò, che ora diciamo della santa Vergine, fatta proporzione, si applica al culto dei Santi. I santi non sono punto la Madre di Dio, ma sono suoi amici fedelissimi e figli i più cari. Egli li ama, come se Io meritano, assai più di noi, i quali non possiamo valere gran cosa. – Domandando adunque a questi Santi, e beati fratelli di pregare per noi, facciamo una cosa tutta naturale. Noi facciamo come un figlio disubbidiente che prega un suo fratello più savio di lui di domandar al lor padre un favore, una grazia. Ciò che sarebbe negato ad uno, non lo sarà per certo all’altro. Non è qui il luogo di fare un trattato sul culto della santa Vergine e dei Santi. Ma è sempre il luogo di dire, che l’odio contro questo culto è stato l’impronta universale di tutte l’eresie, di tutte le rivolte religiose;che non si abbandona giammai Maria senza tosto lasciare Gesù; che parimenti non si scema giammai questo culto per diventar migliori. Ciò, che conviene dire si è, che i poveri Protestanti son ben da compiangere, di non conoscere, di non amare la lor Madre!,., di non onorare Colei, che Gesù Cristo ha prescelta, ha amata, ha unita inseparabilmente al mistero della sua incarnazione, al mistero della sua culla, ai misteri della sua infanzia, della sua vita nascosta, della sua vita pubblica , al mistero desuoi dolori, e della nostra redenzione; Colei, a cui nel cielo fa parte dei misteri adorabili della sua gloria , della sua maestà. – Essi devono tremare, allorché osservando tutti i secoli cristiani, non ne trovano uno solo, che non condanni il lor silenzio, e che non abbia avverata la profetica parola della medesima Vergine: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata » (S. Luc. cap. IV). – Quale religiosa emulazione per celebrare, ed onorare la Madre in tutti i popoli, che hanno conosciuto, ed adorato il Figlio! In nessun luogo si trova questo Cristo solitario sognato da Lutero, Calvino, e dagli altri, ma il Cristo tale, quale si mostrò all’occhio dei Profeti, quale compare nel Vangelo, figlio della Vergine, formato della sua carne, e del suo sangue, portato lungo tempo nel suo seno, e sulle sue braccia , adempiendo per trentanni verso dì Essa i doveri del figlio il più sommesso, spirante sotto i suoi occhi, e riposante ancora nelle sue braccia pria di passare dalla croce al sepolcro… – Interroghino questi figli senza madre, questi figli senza viscere, questi disprezzati di Maria, interroghino tutte le età cristiane! Non troveranno una sola delle grandi voci del Cristianesimo dai primi successori di Pietro sino a Pio IX, dagli Ignazi, Irenei, Epifani, dai Cirilli, Ambrogi, Agostini sino a Bossuet, Fénelon e Segneri, che non abbia intonato un inno di lode a Maria; non un uomo illustre nelle scienze, nella letteratura e nelle belle arti che non le abbia consacrata alcuna delle sue veglie! – Alieni da questo amore, i poveri protestanti, che rigettano Maria, non apriranno essi gli occhi, e non domanderanno finalmente a se stessi, se la vera famiglia, se la vera Chiesa di Gesù Cristo non è quella in cui la santa Vergine è cosi figlialmente amata ed onorata?

XXVIII.

PERCHÈ NON VI SONO PIÙ MIRACOLI ?

Un miracolo è un fatto sensibile che sorpassa evidentemente le forze della natura. È una cosa che Dio solo può fare, che manifestali suo intervento in una maniera straordinaria nelle cose di questo mondo. « Perché non ve ne sono più? » Si dice. A ciò io faccio due risposte; 1° Ve ne sono ancora e molti. 2.° È ben naturale che ve ne siano meno che nei primi secoli del Cristianesimo.

1° Ve ne sono ancora. Io che vi parlo in questo libretto, potrei dirvi che ne ho veduti, e che vidi inoltre molte persone su cui eransi operati miracoli autentici, quali sono la guarigione istantanea da malattie incurabili. Ma preferisco citarvi un fatto di una portata più generale. Un inglese protestante era a Roma sotto il Pontificato di Benedetto XIV. Ei ragionava con un Cardinale sulla religione cattolica, assalendola assai vivamente, e rigettando soprattutto come falsi i miracoli operati per l’intercessione de’ Santi. Poco dopo il Cardinale fu incaricato di esaminare le carte relative alla beatificazione di un servo di Dio. Egli le rimise un giorno al protestante, raccomandandogli di esaminarle con attenzione e di dirgli il suo parere sul grado di fede che meritavano quelle testimonianze. – Dopo qualche giorno, l’inglese riporta i processi verbali. « Or bene, Signore, gli domanda il prelato, qual è la vostra impressione riguardo a queste carte? » — «In mia fede, Eminenza, confesso che non ho niente a dire; e se tutti i miracoli dei santi che la vostra Chiesa canonizza o fossero così certi come questi, ciò mi darebbe a riflettere… Dio solo può fare queste cose, e bisognerebbe confessare che egli è con voi. » — «In verità? gli replicò il cardinale, or bene noi siamo più difficoltosi che voi, a Roma, perché queste prove non ci sembrarono convincenti, e la causa è rigettata. » – L’inglese fu sì colpito da questo procedere, diesi istruì più profondamente nella fede cattolica, ed abiurò il Protestantismo pria di abbandonar Roma. – Ora questa severità straordinaria esiste tuttora nei processi di canonizzazione de’ santi. E come a nostri giorni si canonizzano santi, egualmente che si è fatto in tutti i secoli (L’ultima canonizzazione ha avuto luogo nel 1839!). Il Papa Gregorio XVl dichiarò Santi il Beato Alfonso de Liguorit e quattro nitri Servi di Dio), e che d’altronde non se ne canonizza alcuno senza un rigoroso esame che provi almeno cinque miracoli operati per sua intercessione, noi siamo dunque in dritto d’affermare, che vi sono ancora dei miracoli.

2.° Rispondo in secondo luogo: Vi sono meno miracoli, che sul cominciare del Cristianesimo, e così deve essere per tre ragioni: 1.° Perché lo scopo vero dei miracoli cessò, cioè: La conversione del mondo, e la fondazione della Chiesa cattolica. 2.° Perché il cessar di questo scopo non avendo potuto aver luogo senza miracoli, ed innumerevoli miracoli, attesta per sempre il fatto medesimo di questi miracoli. L’evidenza della divinità della Religione cristiana manifestata con grandi prodigi, ha solo potuto convincere i pagani così sensuali, ed i giudei così ostinati: 1.° della divinità di Gesù Cristo, povero e crocifisso, 2.° della verità della sua dottrina totalmente opposta alle loro idee più inveterate, 3.° della divina missione degli Apostoli, e dei loro successori. – –

3.° Perché noi abbiamo al presente sott’occhi una prova così splendida della divinità di nostra fede, quanto l’erano i miracoli per i primi cristiani: voglio dire le profezie del Vangelo, e il loro compimento nel mondo. Vi sono due fatti soprannaturali, e divini, che provano la divinità del Cristianesimo: 1.° I miracoli di Gesù Cristo, e de’suoi inviati, 2.° Il compimento delle profezie del Vangelo. – I primi cristiani vedevano i miracoli, ma non vedevano il compimento delle profezie, che faceva il loro Maestro; erano essi obbligati tuttavia di credervi fermamente (Credere è l’ammettere la verità d’una cosa sulla testimonianza altrui) a motivo dei miracoli, che vedevano. – Noi non vediamo i miracoli, che han veduto i nostri Padri; ma vediamo il compimento delle profezie del Vangelo (Per esempio la profezia della distruzione di Gerusalemme, della dispersione ed insieme della conservazione del popolo Giudeo attraverso dei secoli, la profezia delle persecuzioni e del trionfo della Chiesa: la perpetuità del sovrano pontificato di S. Pietro e dei suoi successori Capi della Chiesa ecc.), e ciò che noi vediamo ci fa facilmente ammettere i miracoli, che noi non abbiamo veduti. – I miracoli evidenti facevano ammettere ai primi cristiani il compimento certo delle profezie; il compimento evidente delle profezie ci fa ammettere la realtà certa dei miracoli. – Il miracolo era la prova dei primi cristiani; la profezia, al contrario è in nostra prova, a noi, per l’evidenza del fatto divino del suo compimento. Ed osserviamo che questa prova tratta dal compimento delle profezie è forse più perentoria che quella tratta dai miracoli, in questo senso che il tempo ne accresce la forza di giorno in giorno. Così la stabilità della sede di s. Pietro, la permanenza della dispersione, ed allo stesso tempo della conservazione de’ Giudei nel corso di diciannove secoli, son fatti che ben più colpiscono che se solo da tre o quattro secoli sussistessero. E se il mondo dura ancora qualche migliaio d’anni, questa prova della divinità della religione sarà ancora più convincente dopo tre o quattro mila anni di quel che sia al presente. Non fa dunque meraviglia che vi siano meno miracoli ora che ai primi secoli del Cristianesimo (Notisi ancora, che i miracoli operati nei primi secoli della Chiesa sono pur efficacissimi argomenti per noi, i quali, se non con i propri occhi, come i nostri maggiori, ma certamente per mezzo d’inconcussi documenti storici li conosciamo.).

LA “vera”CHIESA -2-

[Catechismo di Perseveranza – vol. II; cap. XXV, Torino 1988]

Iddio vuole che tutti giungano a salvezza; essi non vi possono giungere che mediante Gesù Cristo, vale a dire, colla cognizione e coll’esercizio della vera Religione, di cui Gesù Cristo è l’anima e il fondatore1 [“Omnes homines vult salvos fieri, et ad agnitionem veritatis venire”. Ad Tim. II, 4. —“Non est in alio nullo salus. Nec enim aliud nomen est sub coelo datum hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri”. Act.. IV, 12]; ma Gesù Cristo e la vera Religione non si trovano che nella vera Chiesa, ed è quivi soltanto ch’Egli insegna, spande le sue grazie, comunica il suo spirito: dunque è evidente, che di necessità esiste una vera Chiesa, la qual cosa ne dimostrano di pieno accordo la fede e la ragione.

Necessità della Chiesa. Nostro Signore solennemente promise di stabilire una Chiesa, colla quale Egli sarebbe stato sempre sino alla fine dei secoli [“Christus dilexit Ecclesiam et seipsum tradidit pro ea.” – Eph. V, 2]; Esso ha ingiunto di risguardare come pagani e pubblicani tutti coloro che ricusassero ascoltare questa Chiesa; egli è morto per istabilirla e per comunicarle quella santità, di cui essa doveva essere l’unico canale sino al finire del mondo; dunque se non vuolsi sostenere l’orribile bestemmia, che il Figlio di Dio ne ha ingannati, non stabilendo punto, che per un tempo limitato quella Chiesa, che aveva promesso di stabilire e di stabilire per sempre, minacciandoci l’inferno se non ascoltiamo una Chiesa che non ha esistito, o che non esiste più; sarà forza ammettere l’esistenza e l’esistenza perpetua d’una sola e vera Chiesa. La ragione, d’accordo coi dettati della fede, ne suggerisce, che siccome il Signor Nostro non doveva restar per sempre visibile sulla terra, così ei doveva provvedere alla perpetuità della sua Religione. Ciò posto, non era assai a tant’uopo lasciarci un codice scritto di leggi: un libro, e specialmente un corpo di leggi abbisogna d’interpretazione; è dunque evidente che il Signor Nostro dové stabilire un’autorità, e a parlar propriamente, una Chiesa cui incombesse l’ufficio di spiegare autenticamente la sua Religione, e di farla praticare. – Perciò, se non si vuol negare al Figlio di Dio quel tanto di buon senso, che pur concedesi all’ultimo fra gli uomini, è giuoco forza ammettere ch’esso ha stabilito una vera Chiesa per conservare intatto il deposito di sua dottrina.

Visibilità della Chiesa. Questa vera Chiesa deve in ogni tempo esser visibile, fieramente per la ragione poc’anzi riferita, vale a dire, che Iddio vuole la salute di tutti gli uomini, e la salute non è possibile che nel grembo della Chiesa; donde si deduce per logica necessità che la Chiesa in tutte le occasioni e in tutte le età dev’essere visibile, affinché tutti possano discernerla e divenire suoi membri. – In secondo luogo, perché Iddio ha dichiarato apertamente ch’ella sarebbe visibile a tutti i popoli. Per organo dei Profeti, Egli la paragona ad una città immensa, edificata sulla vetta di alta montagna, esposta agli sguardi di tutte le nazioni, rifulgente di tutta la luce della verità, di modo che tutte le tribù della terra potranno camminare dietro la sua luce, come camminano allo splendor del sole [Michea IV, Isa. LX.]. Finalmente, perché essendo la Chiesa una società d’uomini, riuniti per l’esteriore professione di una medesima fede, per la partecipazione ai medesimi Sacramenti e alle stesse cerimonie pubbliche, per la sommissione ai medesimi capi, è impossibile altresì che non sia visibile. Così la pensarono tutti i Padri; così la pensa ancora il più volgare buon senso.

III. Infallibilità della Chiesa. La vera Chiesa deve essere infallibile. Intendesi per infallibilità il privilegio di non potersi ingannare, né ingannare gli altri nell’ammaestrarli. La prova che la vera Chiesa è infallibile e ch’ella non può altrimenti essere, è la più agevole di ogni altra. – Quattro domande metteranno tale verità in piena evidenza, 1° Nostro Signor Gesù Cristo è Egli infallibile? Niuno certo oserebbe dubitarne. 2° Ha Egli potuto comunicare la sua infallibilità a quelli che ha inviato per insegnare agli uomini? Niuno può muoverne dubbio, attesoché, essendo Dio, Egli può tutto. 3° Ha Egli comunicato la sua infallibilità ai suoi Apostoli, ed ai loro successori? Senza fallo, perché ha loro detto: « Andate, insegnate, io sarò con voi sino alla fine dei secoli ». 4° Doveva esso comunicare la propria infallibilità ai suoi Apostoli, e loro successori? Sì, lo doveva, poiché senza di ciò non avremmo avuto alcun mezzo per conoscere con certezza la vera Religione. Eppure Iddio vuole che da noi si conosca con certezza la vera Religione, poiché vuole, sotto pena della dannazione, che noi la pratichiamo, e che siamo pronti a morire, piuttostoché revocare in dubbio alcuna delle verità ch’essa insegna: la vera Chiesa è dunque infallibile. – Se ella non lo fosse, è facile vedere quali mostruose conseguenze converrebbe ammettere. – 1° Non esisterebbe mezzo alcuno per conoscere la vera Religione. A guisa di fanciulli noi piegheremmo ad ogni vento di dottrina, e invano perciò sarebbe venuto Gesù Cristo sulla terra per insegnare agli uomini la via del Cielo: ed i nostri fratelli separati ce ne offrono un esempio irrefragabile. Presso di loro non v’ha più nulla di certo: quante teste altrettante dottrine: prova manifesta che la Bibbia sola non basta. La Bibbia è un libro che vuol essere spiegato, e spiegato da un’autorità infallibile per divenire una regola obbligatoria di fede e di condotta, II° Il Signor Nostro stesso, orribile a dirsi!, sarebbe al di sotto di un onest’uomo, atteso ché non avrebbe mantenuto la sua parola: dopo aver promesso di parlar sempre per organo degli Apostoli e dei loro successori, non ne farebbe nulla, lasciandoli spacciar delle prette menzogne. III° Gesù Cristo sarebbe il più barbaro e il più ingiusto di tutti i tiranni; egli ne avrebbe intimato, sotto minaccia dell’inferno, di ascoltare degli uomini, che potrebbero trascinarci nell’errore e guidarne al precipizio. Vedasi dunque quante bestemmie debbano sostenere, e quali spaventose conseguenze siano costretti ad ammettere coloro che ardiscono di negare l’infallibilità della Chiesa. – Deh! noi almeno, docile gregge dell’ovile divino, seguiamo fedelmente i nostri Pastori; ed oggi, più che mai, professiamo verso di loro la più perfetta sottomissione. Crediamo ciò ch’essi credono, approviamo ciò che approvano, rigettiamo ciò che rigettano, condanniamo ciò che condannano. – Figli della Chiesa, diciamo come i Padri nostri: « Tutto quello che noi sappiamo si è, che dobbiamo credere alla Chiesa, e morire ben anco per la sua fede; ma noi non sappiamo disputare [“Si quis autem videtur contentiosus esse: nos talem consuetudine non habemus, ncque Ecclesia Dei”. I Cor. XI, 16] ». Allontanandosi da questo canone, gli eretici naufragarono nella fede; indocili a tale avvertimento, una moltitudine di spiriti presuntuosi si credettero capaci di discutere intorno alle verità della Religione, e, anteponendo il proprio giudizio a quello dei primi Pastori della Chiesa, per seguire il loro spirito privato, caddero miseramente in quel precipizio che si erano da se medesimi scavato.

IV. Note della vera Chiesa. Rimane adesso a conoscere la vera Chiesa. Ora, per discernerla dalle false Chiese, non basta che ella sia visibile, poiché molte altre società religiose lo sono egualmente; non basta ch’ella sia infallibile, poiché l’infallibilità è una prerogativa che le altre sette si appropriano esse pure, ovvero l’attribuiscono ad ognuno de’suoi membri. Che cosa è dunque necessario? È uopo che la vera Chiesa, la legittima sposa dell’Uomo-Dio, mostri sulla sua fronte contrassegni così splendidi, caratteri sì perfettamente inimitabili, che a nessun’altra setta sia dato contraffarli od arrogarseli. Ora queste note non possono essere che quelle della stessa verità, e se ne annoverano quattro principali: I° L’Unità; II° la Santità ; III° l’Apostolicità; IV° la Cattolicità.

L’UNITÀ. L’unità è il carattere essenziale della verità, imperocché Iddio è uno e la verità è Iddio rivelato all’uomo, il Salvatore ha pregato perché la sua Chiesa fosse una; Egli l’ha rappresentata sotto l’immagine di un ovile governato da un solo pastore, d’una casa in cui dimora un solo capo, d’un corpo i cui membri sono tutti perfettamente uniti [Giov. I, 12]. Perciò la vera Chiesa dev’essere una; una nella sua fede, una nelle sue leggi, una nelle sue speranze, una nel suo Capo [Idem XVII, 10, 11, 16.].

LA SANTITÀ. La santità è il carattere essenziale, la perfezione per eccellenza di Dio; la qual santità in Dio esclude l’idea medesima del male e dell’errore. La vera Chiesa deve dunque essere santa; santa nelle sue massime, santa nei suoi dogmi, nei suoi sacramenti, nei suoi precetti, santa nello scopo che si propone di ottenere, santa nei suoi membri; dì santità resa visibile dai miracoli, affinché tutti, così dotti come ignoranti, possano riconoscerla. Tale si è la Chiesa che Gesù Cristo volle ottenere alla sua morte: Cristo, dice S. Paolo, amò la Chiesa, e diede per lei se stesso, affine di santificarla e renderla vestita di gloria, senza macchia, e senza grinza e farla santa e immacolata [Efes. V, 25, 27].

APOSTOLICITÀ. Discendere dagli Apostoli, ed essere stata da loro predicata, ecco il carattere della verità; imperciocché ad essi confidò il Salvatore tutte le verità, ch’Egli stesso aveva attinte nel seno del Padre suo, verità che svolgevano, raffermavano e completavano tutte quelle che Iddio aveva rivelate fin dalla creazione del mondo. Ad essi Egli commise l’ufficio di annunziarlo per tutta la terra: la vera Chiesa deve dunque partire dagli Apostoli, e risalire fino agli Apostoli.

LA CATTOLICITÀ. La verità è una e la stessa in tutti i tempi e in tutti i luoghi; ciò ch’è vero in Europa non può essere falso in Asia ; ciò ch’è vero oggi non poteva essere falso ieri. Si deduce che essendo tutti gli uomini fatti per la verità, ella deve essere accessibile a tutti, e trovarsi dovunque si trovano degli uomini. Dunque la vera Chiesa, che sola possiede la verità, deve abbracciare tutti i tempi, tutti i luoghi, tutte le verità insegnate dal Signore Nostro G. C. Tali sono le note che deve necessariamente avere la vera Chiesa; queste sono indispensabili affinché tutti possano riconoscerla; ma con queste altresì è impossibile di non riconoscerla e di non discernerla da tutte le altre società.

Verità della Chiesa Romana. Percorrete adesso il giro del mondo, studiate tutte le società religiose ch’esistono presso i differenti popoli, cercate quella che fra tutte vi presenterà questi quattro caratteri; essa, essa sola è la vera Chiesa. Ora questo viaggio è stato fatto, non una volta sola, ma sì bene migliaia di volte; non da un uomo, ma da milioni di uomini, e sempre ha offerto il seguente risultato: i quattro caratteri della vera Chiesa convengono alla Chiesa Romana, e non convengono che a lei sola.

L’unità. La Chiesa Romana è una nella fede e nel suo ministero. E primieramente una nella sua fede. Supponiamo che si potesse evocare dalle tombe in un’ora medesima un Cattolico di ciascuno dei diciotto secoli che ci hanno preceduto, un Cattolico di Oriente, uno dell’Occidente, uno dell’Asia, l’altro dell’Europa; e che noi domandassimo a tutti questi Fedeli che vissero senza conoscersi, senza vedersi, morti gli uni cento anni fa, altri mille, altri mille e cinquecento, altri mille ottocento: Qual è la vostra fede? Ognuno per parte sua reciterebbe lo stesso Simbolo, il Simbolo che noi recitiamo tutti i giorni, e che si recita egualmente ai quattro angoli della terra. Quest’accordo così perfetto, questa perpetua unità rapiva già d’ammirazione i primi Padri della Chiesa, e già essi adoperavano un tale argomento per dimostrare agl’eretici ch’erano nell’errore. « Sebbene sparsa per tutta la terra, diceva S. Ireneo, la Chiesa conserva la fede apostolica con estremo zelo, e come se abitasse una sola e medesima casa; ella crede della stessa maniera, come se tutti i suoi membri non avessero che uno stesso spirito ed uno stesso cuore, e con mirabile accordo ella professa ed insegna la stessa fede, come se avesse una sola bocca. I linguaggi sono bensì diversi fra loro, ma la fede è una dappertutto. Le Chiese di Germania, delle Gallie, dell’Oriente, dell’Egitto non pensano, non insegnano colla minima varietà » [Adversus Hæres. C. 10, n.2] – Quanto non dobbiamo andare alteri di professare la fede degli Apostoli, dei Martiri, dei più grand’ingegni che il mondo abbia giammai conosciuto! Quale consolazione! Quale malleveria! Ma questo vanto non è proprio delle società separate dalla Chiesa; in esse, variazioni ognora rinascenti, contraddizioni senza numero. Le professioni di fede succedonsi senza interruzione, le sètte particolari si moltiplicano come foglie sugli alberi. Nella sola città di Londra e nei suoi dintorni si contano oggigiorno cento nove religioni diverse. La stessa divisione si riscontra in Alemagna, nella Svizzera, in America, in tutti i paesi sedicenti Evangelici. E lo sminuzzamento è giunto a tale, che un ministro protestante diceva non ha molto, ch’egli era in grado di scrivere sull’unghia del pollice tutto quello ch’era obbietto di comune credenza fra i riformati. [Questo è ciò che diceva, nel 1820, Harms de Kiel. – Il Protestantismo non è dunque la vera Chiesa, poiché non serba unità di dottrina [V. Bossuet, Le Variazioni. — Cobbet, Riforma d’Inghilterra. — Scheffmacher, Lettere, etc. etc.]; e lo stesso deve dirsi del Maomettismo, del Giudaismo, e di tutte le altre società religiose che si spartiscono il mondo.La Chiesa cattolica è una nel suo ministero e nei suoi Sacramenti, vale a dire, che tutti i suoi figli, soggetti alla stessa autorità, sono uniti mediante la partecipazione ai medesimi Sacramenti, al medesimo Sacrificio , alle stesse preghiere, allo stesso culto. Discorrete le regioni tutte del mondo, interrogate i Cattolici che le abitano, e dovunque voi troverete su questo punto l’accordo più perfetto. Allo scopo di mantenere questa divina unità il Signor Nostro Gesù Cristo istituì un ministero sparso per tutte le parti della sua Chiesa, ma dappertutto altresì animato da un solo spirito, cui spetta di predicare ed insegnare la fede, di amministrare i Sacramenti, celebrare i santi riti; a dir governare e pascere tutto il gregge, e tale ministero fu da Lui distinto in diversi ordini, che formano perciò una gerarchia. In tutti i luoghi abitati, città, borgate altro, volle che vi fosse un Ministro di ordine subalterno; ed in ogni provincia un Ministro di ordine superiore, che dicesi Vescovo, al quale sono sottomessi i Pastori inferiori, e che comunica coi Vescovi degli altri paesi. Tutti i Vescovi sono in rapporto di sommissione col sovrano Pontefice, capo supremo della Chiesa. Rivestito di un primato d’onore, egli è collocato su tutti gli altri, all’oggetto di essere da tutti ravvisato come il centro di unità a cui fan capo tutte le Chiese della terra; rivestito di un primato di giurisdizione, egli può colla sua autorità separare gli erranti dall’unità, o ricondurvi i traviati. In tal guisa questo ministero forma fra tutti i Cattolici sparsi sulla terra un magnifico legame d’unione: tutti essendo riuniti ai loro Pastori, e questi fra loro col Pastore dei Pastori, necessariamente ancora sono tutti gli uni agli altri congiunti.Nulla di somigliante nelle sètte separate. Non subordinazione generale fra i loro ministri; non altro centro d’unità tranne il potere temporale che li tien strettì sotto il suo freno; a tal che la gerarchia, la quale nella Chiesa cattolica finisce nel Papa, Vicario del Signor Nostro Gesù Cristo, termina nei paesi protestanti nella persona di un re, e talvolta in una regina, ignari della scienza divina, e pur nonostante arbitri supremi della Chiesa di Dio e delle coscienza umana. Più disuniti fra loro di quello che lo siano colla Chiesa, si accusano, si diffamano, si condannano; sempre fra loro in guerra, non sono uniti che coll’odio comune contro la vera Chiesa, perché tutti li colpisce dello stesso anatema. Quindi nessuna unità di culto; gli uni ammettono due sacramenti, gli altri tre: gli uni hanno un culto senza simbolo, gli altri un culto diverso; sicché il protestante, uscito da quell’angolo della terra ovee regna la setta a cui appartiene, è straniero al resto del mondo!

2° La Santità. La Chiesa Romana è santa neii suoi dogmi, santa nella sua morale, nei suoi Sacramenti, nel suo culto; ond’è che si può sfidare l’avversario il più accanito, purché imparziale, a ritrovare nella sua magnifica costituzione un iota che non sia eminentemente adatto a rischiarare la mente, a purificare il cuore, e sollevare l’uomo a Dio. Niuna setta, vuoi antica, vuoi moderna, può vantare questo primo genere di santità, perché tutte hanno dato, e carezzano ancora ignobilmente dal loro lato accessibile qualcuna delle tre indi passioni umane: l’orgoglio, l’ambizione, la voluttà. La Chiesa Romana è santa nel suo Capo che è Gesù Cristo; santa nei suoi fondatori che sono gli Apostoli; ma santo non fu mai verun fondatore di eresie. Troppo è noto qual fosse primi secoli la santità di Ario, di Manete e degli altri eresiarchi. Chi furono nei tempi moderni i corifei dei protestanti? Lutero, Calvino, Zuinglio, tre ecclesiastici apostati, ed i tre uomini più scandalosamente impudichi del secolo sedicesimo. E si potrà credere che Iddio abbia scelto cotali uomini per riformare la sua Chiesa? Santa è la Chiesa cattolica in gran numero di Papi e di Vescovi; santa finalmente in buon numero di Fedeli. Basta gettare uno sguardo su d’un martirologio, o su d’un calendario per vedere quanto grande sia la schiera dei Santi che si sono formati nella Chiesa, anche negli ultimi secoli. E fuori ancora di quelle innumerevoli legioni di Santi, che risvegliano la generale ammirazione per l’eroiche loro virtù, ed ai quali i popoli non hanno potuto ricusare omaggi solenni, esiste una moltitudine assai più grande ancora di coloro che si santificarono colla pratica di virtù oscure celate agli occhi degli uomini! – La santità dei figli della Chiesa è vera, poiché Iddio ha operato splendidissimi miracoli affine di manifestarla. Ora i miracoli operali dai Santi ebbero luogo in tutti i secoli, e succedono tuttavia al di d’oggi nella sola Chiesa cattolica. Le sètte separate non possono dunque addurre la condotta regolare dei loro seguaci come una prova della santità di loro dottrina; avvegnaché Iddio non ha giammai confermato con alcun miracolo le loro virtù; mentre i Protestanti medesimi confessano la verità dei miracoli operati dai Santi della Chiesa cattolica, e segnatamente da S. Francesco Saverio. [Vedi il celebre viaggiatore protestante Tavernier]. Per altro, affinché la Chiesa Romana sia santa, e madre dei Santi; affinché ella abbia diritto di presentare la propria santità come un carattere di sua verità, non è necessario che tutti i suoi membri siano santi. Il Signor Nostro Gesù Cristo ha paragonato la sua Chiesa ad una rete in cui si trovano pesci buoni e cattivi; ad un’aia in cui la paglia è mescolata al grano: laonde basta che tutti i membri della Chiesa siano stati santi, e tutti realmente lo furono nel giorno del loro battesimo; e che buon numero d’essi abbiano perseverato nella loro santità, e che Iddio abbia manifestata la loro santità coi miracoli.

La Cattolicità. La Chiesa Romana è cattolica per triplice cattolicità: primieramente per cattolicità di dottrina. Essendo essa l’erede di tutte le verità rivelate, la Chiesa Romana uniformandosi al comando del divino suo Maestro, insegna senza distinzione, senza eccezione, senza aggiunte, senza diminuzione tutto quello che il Signor Nostro si degnò di rivelarle. Ella non si fa lecito, alla guisa degli eretici, di portare una mano sacrilega sulle Scritture, e scegliere a capriccio fra le verità a lei affidate in deposito, accettando le une, rifiutando le altre; no, ella riceve, conserva ed insegna con uguale zelo tutti i dogmi e tutti i precetti del suo Sposo divino. Ad onta di tutti gli sforzi, gli eretici antichi e moderni , aventi per ausiliari i filosofi e gli empi, non hanno mai potuto provare che la Chiesa cattolica abbia mutato, accresciuto, diminuito, e molto meno inventato una sola delle verità che propone da credere all’universo: i Padri apostolici parlavano come i Sacerdoti dei nostri giorni. [Vedi NEWMANN ministro Anglicano, di fresco convertito, nella opera Lo svolgimento della Dottrina Cristiana.] – In secondo luogo cattolicità di tempo. Rivelate ai primi Padri nostri, trasmesse dai Patriarchi, sviluppate sotto l’antica Legge, completate mediante 1’Evangelo, confidate agli Apostoli dallo stesso Uomo-Dio, propagate per mezzo loro in tutte le parti dell’universo, trasmesse fino a noi per costante tradizione, le verità insegnate dalla Chiesa Romana risalgono fino ai primi giorni del mondo, e saranno col ministero di lei annunziate a tutte le future generazioni, sino alla consumazione dei secoli. Il suo Simbolo è il Simbolo del genere umano, nel significato, che tutto ciò che presso qualsiasi nazione riscontrasi di vero gli appartiene, come il ramo appartiene all’albero, le membra al corpo, i raggi al sole. – Da ultimo cattolicità di luoghi. Scorrete l’universo, visitate le quattro o cinque parti del mondo; passate dalla China alle nordiche spiagge dell’America, dall’Africa alle regioni settentrionali dell’Europa, e dappertutto ritroverete dei Cattolici. Per ammirabile disposizione di sua Provvidenza, Iddio volle che così fosse, affinché ad ogni ora del giorno e della notte risuonasse sulle labbra di qualche persona il Simbolo cattolico. Questa recitazione non è interrotta più di quanto sia il Sacrificio dei nostri altari, mercé cui il sangue divino non ha cessato un solo istante nel dorso di diciotto secoli di scorrere su qualche punto del globo. Allorché la notte ricopre de’suoi veli una parte della terra, e il Sacerdote discende dall’ altare, cessando eziandio il Fedele di ripetere il simbolo, ecco nascere il giorno per un altro emisfero, il Sacerdote salire all’altare, e i nostri fratelli Cattolici ripetere la professione di nostra fede: e così avverrà sempre con successione invariabile sino alla fine dei tempi [Vedi JAUFFRET, p. 288]. Ma voi non ritroverete dovunque degli eretici, o dei membri di una società separata. Cattolicità di luoghi! La Chiesa Romana a guisa del sole scorre l’orizzonte dell’universo; la sua luce si levò successivamente sulle diverse contrade del globo: l’eresia non mai. Cattolicità di luoghi! La Chiesa Romana è la più numerosa di tutte le società separatamente considerate. Il Maomettismo, 1’Idolatria, il Protestantismo, si dividono in una infinità di sètte, ciascuna delle quali è ben lontana dall’avere tanta copia di partigiani, quanti Fedeli conta la Chiesa cattolica. – Cattolicità di luoghi! Essere una come Dio è uno; essere dovunque come Iddio è dappertutto senza cessare di essere uno; tale si è la Chiesa Romana. L’unità nell’universalità stessa, ecco il carattere splendidissimo che la distingue e che si chiama Cattolicità. – « Siccome non esiste che un solo Episcopato, scriveva, sono ornai diciassette secoli, San Cipriano, così non trovasi che una sola Chiesa la quale abbraccia la vasta moltitudine dei membri che la compongono. – A quel modo che un’indicibile quantità di raggi si vedono partire dal sole sebben non v’abbia che un solo centro di luce; e infiniti rami sorgono sopra un sol tronco d’albero, il quale tutti li sostiene, immobilmente fisso colle sue radici al suo; a quella guisa che da una stessa sorgente escono più rivi che risalgono alla comune origine, sebbene diversi fra di loro per la copia delle acque che ne ricevono; così pure si stendono i Fedeli per tutta la terra, tale è l’immagine della Chiesa cattolica. – La luce divina che la penetra coi suoi raggi abbraccia il mondo intero, viene da centro unico che diffonde i suoi chiarori in ogni luogo, senza che sia lesa l’unità di principio: la sua fecondità inesauribile propaga i suoi talli per tutta la terra; spande lontano abbondevol dovizia delle sue acque; per ogni dove è lo stesso principio, la stessa origine, la stessa madre, che palesa la propria virtù mediante il numero dei suoi figli [De Unit. Eccles.]. L’Apostolicilà. La Chiesa Romana è apostolica, vale a dire, che risale agli Apostoli; eglino sono i suoi maestri, i suoi fondatori. Si distinguono due sorta di apostolicità: apostolicità di dottrina, e apostolicità di ministero. La Chiesa Romana è apostolica nella sua dottrina, vale a dire, che crede ed insegna, e ha sempre creduto ed insegnato la dottrina che ricevé degli Apostoli. Risalite d’età in età sino al giorno in cui il Figlio di Dio disse ai dodici Missionari evangelici: Andate, insegnate a tutte le nazioni; voi troverete la stessa istruzione, la stessa credenza, lo stesso Simbolo che noi recitiamo; voi l’udrete echeggiare nelle vaste basiliche di Nicea e di Costantinopoli; ne intenderete gli accenti sotto le vòlte illuminate delle catacombe: colà si amministrò lo stesso Battesimo, la stessa Eucaristia, gli stessi Sacramenti: colà si credé nel medesimo Dio, nel medesimo Gesù Cristo suo Figlio: colà si sperò lo stesso Cielo, si temette lo stesso inferno. – Questa venerabile antichità, questa non mai interrotta successione è l’eterna vergogna degli eretici. Per convincerli di errore basta chieder loro: Che cosa si creava quando voi siete nati? Non sorse mai eresia che non trovasse la Chiesa cattolica in attuale possesso della dottrina contraria alla vostra: è questo un fatto pubblico, costante, universale, senza eccezione. Così la decisione è agevole; non resta a velarsi se non che qual fede fiorisse quando son comparsi gli eretici; in qual fede fossero essi medesimi stati allevati nel grembo della Chiesa, ed a pronunziare su questo solo fatto, che non è dubbioso o nascosto, la loro condanna! [BOSSUET, nella Prima Istruzione Pastorale sulle promesse della Chiesa, num. 35. « Avviene tutto giorno, continua il dotto Vescovo, un fatto deplorabile per essi, e che non è lor dato di celare; voglio dire la loro novità. Niuno può cangiare i secoli trascorsi, né crearsi dei predecessori, o fare in modo di essere stato trovato in possesso. La sola Chiesa cattolica riempie tutti i secoli precedenti con una continuità che non può esserle contrastata. La Legge precede il Vangelo; la successione di Mosè e dei Patriarchi non costituisce che una sola serie con quella di Gesù Cristo. Essere aspettato, venire, essere riconosciuto da una posterità che dura quanto il mondo, tale si è il carattere del Messia che noi crediamo. Era ieri, e oggi, sarà per tutti i secoli de’secoli » – Disc, intorno alla Star. Univers., p. II, verso il fine]. – O nostri fratelli! O voi che vi siete separati dall’ unità cattolica, voi non avete dunque il carattere essenziale della vera dottrina, vale a dire, l’apostolicità. Qual è la vostra antichità? Forse quella di trecent’anni? No, v’ingannate; voi non avete che l’antichità della vostra opinione. Ieri voi la scriveste sulla carta, oggi stesso, questa mattina, voi l’avete mutata: ecco la vostra antichità! – La Chiesa Romana è apostolica nel suo ministero; e questo fatto, evidente come l’esistenza del sole, è la prova più palpabile ch’ essa è la vera Chiesa. Il Signor Nostro disse a San Pietro: Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa. Per trovare la vera Chiesa basta dunque cercare quale fra esse risale fino a Gesù Cristo, e di cui San Pietro è il fondamento. Ora, niuna setta antica o moderna può arrogarsi questo glorioso privilegio, niuna ascende fino ai giorni del Salvatore, niuna ha San Pietro per fondamento. La sola Chiesa Romana, e le Chiese uscite dal suo seno possono additare l’ordine e la successione dei loro Vescovi sino agli Apostoli, oppure fino ad uno degli uomini apostolici che furono dagli Apostoli inviati; e per tal modo le Chiese veramente apostoliche autenticano la legittimità di loro origine. Cominciando dal nostro Santo Padre, Papa Pio IX felicemente regnante, si risale per successione non interrotta di 258 Papi fino a San Pietro fondatore della Romana Chiesa: giunti a San Pietro noi siamo a Gesù Cristo; e cosi delle altre Chiese cattoliche. Tutte ad un modo ci additano alla loro testa un Apostolo, o un inviato degli Apostoli, che le ha fondate, e che incomincia la catena della tradizione. Dalle Chiese primitive hanno le altre attinto la sana dottrina, e l’attingono tuttavia a misura che si formano. Perciò a buon diritto anche le nuove sono annoverate fra le Chiese cattoliche di cui elleno sono figlie; tutte quindi sono apostoliche, e tutte insieme non formano che una sola e medesima Chiesa. Il Sommo Pontefice ed i Vescovi sono adunque i successori degli Apostoli; e da essi hanno avuto l’origine e l’autorità di predicare la dottrina di Gesù Cristo. Ma altrettanto non può dirsi degli eretici; avvegnaché l’Evangelo sia stato in principio predicato ne’ loro paesi dagli Apostoli, o dagli uomini apostolici, non per questo essi possono appropriarsi l’apostolicità; separandosi dalla Chiesa Romana essi hanno rotto la catena dell’apostolica successione. Nissuno li ha inviati; da se medesimi si son fatti apostoli delle nazioni. « Chi siete voi? può dire la Chiesa a tutti questi novatori, ed ai Protestanti per esempio; da qual tempo e d’onde siete voi venuti? Dove eravate prima del secolo sedicesimo? Or sono quattrocent’anni, nessuno parlava di voi, non eravate conosciuti nemmeno di nome. Che fate voi in casa mia, mentre non siete de’ miei? A che titolo, o Lutero, abbatti le mie foreste? Chi ti diede facoltà, o Calvino, di deviare i miei canali? Con qual diritto, o Zuinglio, sconvolgi i miei confini? Come osate voi pensare e vivere quivi a vostro talento? Questi sono i miei averi; io ne sono da lungo tempo in possesso; sono essi mia proprietà; io nasco dagli antichi possessori, e provo la mia discendenza con autentici documenti. Io sono l’erede degli Apostoli, e ne godo il retaggio secondo le disposizioni del loro testamento, e conforme al giuramento che ho prestato.Quanto a voi, essi vi hanno disconosciuti e diseredati come stranieri, come nemici. Ma perché siete voi stranieri e nemici degli Apostoli? Bramate saperlo? Perch’essi non vi hanno inviato; perché la dottrina che ciascuno di voi ha inventato od adottato a capriccio, è direttamente opposta alla dottrina degli Apostoli ». [TERTULL., Praescript. — Vedi i testi dei Padri sulle Note della Chiesa in NATAL. ALEX., De Symb.]. – Per le quali cose la Chiesa Romana è una, santa, cattolica, apostolica; ella sola porta scolpiti in fronte i caratteri della vera Chiesa; ella sola dunque, ad esclusione di tutte le altre, è la vera sposa di Gesù Cristo, la colonna e il fondamento della verità. – Ma esiste ancora un’altra nota della vera Chiesa, ed è il fatto preannunziato dal Salvatore medesimo, allorché disse: “E sarete in odio a tutti per causa del nome mio”. [S. Matth. X, 22; Marc. XIII, I3; Luc. XX1, 17]. Cercate dunque fra tutte le società religiose quella che è esposta all’odio di tutte le altre, all’odio del mondo intero, e voi avrete la vera sposa dell’Uomo-Dio; voi la ravvisate alla corona di spine che porta perpetuamente infissa sul suo capo. Ma questa corona dolorosa nessuna setta l’ha portata, nessuna desidera di portarla; è un diadema che orna la fronte della sola Chiesa Romana. O Cattolici, miei fratelli, che tremate talvolta allo scroscio spaventoso di un mondo che si sconquassa e va in rovina, invece di turbarvi, pensate piuttosto che le tempeste, le quali assalgono oggidì la Chiesa, sono ammirabilmente acconcie a corroborare la vostra fede. Che cosa provano queste novelle persecuzioni che succedono a tante altre che precedettero, se non che la Chiesa Romana, madre vostra, non ha cessato di essere la sposa fedele del Dio del Calvario? Sin tanto che il diadema delle tribolazioni splenderà sull’augusta sua fronte, ella, siatene certi, non avrà fatto né col mondo, né col vizio, né coll’errore veruna adultera alleanza. Più sarà viva la persecuzione, e più vivo ancora sarà lo splendore della sua inviolabile fedeltà, più ella sarà degna della vostra fiducia e del vostro amore. – Il nono articolo del Simbolo finisce con questa frase: Io credo la comunione dei Santi. Queste parole, siccome spiegazione di quello che precede, non formano un articolo particolare, ma sono tuttavia di un’importanza grandissima: perciocché da una parte fanno conoscere la Chiesa nella sua vita intima; e dall’altra esprimono il primo dei quattro grandi vantaggi che la Chiesa ne procura. – Pronunziando le parole, io credo la comunione dei Santi, la nostra lingua proclama altamente la più magnifica fraternità che possa idearsi, il comunismo più bello, il solo vero, il solo possibile, il solo desiderabile; professando noi per tal modo di credere con una sicurezza pari alla nostra felicità all’esistenza ed alla bontà infinita di Dio:

– .1° Che tutti i membri della Chiesa, tanto quelli che godono nel Cielo, come quelli che sono viatori sulla terra, e quelli che sono nel Purgatorio, sono uniti fra di loro e colle tre Persone della Santissima Trinità con vincolo intimo, efficace e permanente [Jon. c. 1]; – 2° Che questa unione non consiste unicamente nella comunione di fede, di speranza, di carità; ma eziandio nella partecipazione ai medesimi Sacramenti, mediante i quali il Signor Nostro Gesù Cristo, il Santo dei Santi, diffonde i meriti della sua passione e della sua vita su tutti i membri della Chiesa che degnamente li ricevono; e che questa fraterna unione ha la sua origine nel battesimo, per cui nasciamo figli di Dio, ed è alimentata e conservata specialmente dalla santa Eucaristia, atteso ché il cibarsi dello stesso pane e il bere lo stesso vino fa di noi tutti un corpo stesso [“Unus panis et unum corpus multi sumus, qui de uno pane et de uno calice partecipamus”, 1. Cor. X, 17]; – 3° Che per virtù di tale unione tutti i beni spirituali della Chiesa sono comuni fra i Fedeli, siccome le sostanze di una famiglia fra i figli; in guisa che le grazie interiori e i doni esteriori che ciascuno riceve, le buone opere che ciascuno mette in pratica giovano meravigliosamente a tutto il corpo e ad ogni membro della Chiesa. – 4° Che per virtù di tale unione tutti i Fedeli della terra hanno tra di loro tutte le grazie ad essi concesse, tutte le buone opere da loro esercitate, siccome ad esempio l’assistenza al santo Sacrifìcio della Messa, le confessioni, le comunioni, le meditazioni, le pie letture, le limosine, le mortificazioni, le preghiere, giovano, in una certa misura, a tutti quelli che si trovano in istato di grazia. E diciamo in una certa misura, imperocché i frutti delle buone opere non possono tutti comunicarsi. Ora, le buone opere del giusto producono tre effetti: il merito, la soddisfazione, l’impetrazione.

.I] merito è l’effetto delle buone opere, in quanto che producono un accrescimento di grazia, e un diritto nel Cielo ad un grado maggiore di gloria. Il merito è personale a chi fa l’opera buona, né può essere comunicato agli altri. Esso inoltre non si può acquistare che dall’uomo viatore e in istato di grazia; perché solo in colui che è in possesso della grazia può essa venire aumentata; gli abitatori del Cielo e quelli del Purgatorio non possono più meritare, quantunque siano in istato di grazia.

.II] La soddisfazione è l’effetto delle opere buone in quanto che ottengono la remissione delle pene temporali dovute al peccato. Soltanto l’uomo sulla terra ed in istato di grazia può soddisfare: i Santi più non abbisognano di soddisfazione; e le anime purganti, a parlare propriamente, non soddisfanno: sarebbe più esatto il dire ch’esse “soddissoffrono”. Gli uomini in istato di peccato mortale non possono più soddisfare, attesoché non è loro dato di ottenere la remissione della pena dovuta al peccato, prima di aver ottenuto la remissione del peccato medesimo. La soddisfazione non può dunque loro essere applicata, ma bensì può esserlo alle anime giuste in istato di grazia e alle anime del Purgatorio. E questo si fa coll’offrire la soddisfazione, ossia il merito satisfattorio delle buone opere a scarico di colui del quale si desidera diminuire il debito contratto pel peccato.

III] L’impetrazione è l’effetto delle buone opere in quanto che ottengono da Dio speciali favori. A rigore i soli giusti possono impetrare, perché i soli giusti hanno qualche diritto ad essere esauditi; atteso ché egli è convenevole e conforme alla ragione che Iddio, giusta le sue promesse, faccia la volontà di que’ suoi servi fedeli, i quali da parte loro si studiano di compire quella del loro padrone [“Voluntatem timentium faciet et deprecationem eorum exaudiet”. Psal. CXLIV]. Perciò che risguarda i peccatori, sebbene Iddio abbia dichiarato di non ascoltarli [“Peccatores Deus non exaudit. Joan. IX, 51. — D. Th. 2, 2, q. 85, art. 16], essi possono tuttavia ottenere con impetrazione meno rigorosa; vale a dire, che dietro movimenti imperfetti di fede e di speranza si dispongono alla grazia e all’amicizia di Dio, e gli domandano qualche favore. La loro impetrazione non ha altro fondamento che l’infinita misericordia di Dio. – Questo terzo effetto delle opere buone, cioè l’impetrazione, si può comunicare non solo a tutti membri della Chiesa, giusti e peccatori, ma può estendersi ancora a tutti coloro che non sono in modo alcuno membri della Chiesa, quali sarebbero gli infedeli, i giudei, gli eretici, gli scismatici, gli scomunicati; imperciocché si può domandare la loro conversione, ed esercitarsi in opere buone, affine di ottenerla. – Ma quale diversità, qui potreste richiedere, corre dunque sotto questo rapporto fra i Fedeli e gl’Infedeli? La diversità in ciò consiste, che questi ultimi rimangono privi delle preghiere pubbliche della Chiesa eccettuato il Venerdì santo, e che non profittano delle buone opere private, se non in quanto si fanno espressamente per loro; laddove i Fedeli si vantaggiano delle pubbliche preci, e traggono aiuto naturalmente dalle buone opere particolari di tutti i membri della Chiesa, anche quando non si abbia espressa intenzione di applicarle a loro; e la ragione si è questa, che tutti i Fedeli sono membri viventi di un medesimo corpo. Così, per servirmi di un paragone, allorché la bocca mangia e lo stomaco digerisce, tutte le altre membra ne risentono sollievo; ed egualmente allorché un giusto compie un’opera buona, tutti gli altri giusti ne sono confortati [Montagne, Tractat. de Gratia; Ferraris, art. Merit. et Peccat. — D . Th., 1-2, q. 155, ecc.]. – Noi abbiam detto un’opera buona, perciocché tutte quelle che ne hanno l’apparenza, non sono tali realmente. Difatti si distinguono tre sorta di opere: le opere vive, che sono quelle dell’uomo in istato di grazia, e sono profittevoli a tutti i membri vivi della Chiesa. Le opere morte, e sono quelle dell’uomo in istato di peccato mortale, e che non servono né a soddisfare né a meritare, ma solamente ad ottenere da Dio che usi misericordia, e converta a penitenza colui che le fa. Finalmente le opere mortificate, vale a dire, quelle che furono fatte in istato di grazia, ma il cui merito è coperto e come estinto per effetto del peccato mortale che le ha seguite: esse rivivono allorquando colui che le ha fatte ritorna nello stato di grazia [Vedi il celebre Catechismo Spagnuolo del P. Gaetano delle Scuole Pie]. Per render complete le spiegazioni precedenti, noi aggiungeremo che il Signor Nostro, nella sua qualità di Capo, distribuisce il frutto prezioso delle buone opere ai diversi membri vivi del corpo mistico, in proporzione dei loro bisogni e dei loro meriti. Rispetto ai peccatori, essi appartengono ancora alla Chiesa per mezzo della fede e della speranza; ma privi come sono della carità, rimangono membri morti, né partecipano ai suoi beni spirituali, se non nel senso, che Iddio, avendo riguardo alle preghiere dei giusti, accorda talvolta ai peccatori la grazia di conversione, oppure sospende le punizioni che si sono meritate [S. August., De vera Relig., c. 5 et 6. — Id., Tract. XXXII in Joan. — S. Ambr., lib.I, De Offic, c. 29]. 5° Noi professiamo che in virtù dell’unione, cui i Fedeli della terra hanno coi Santi del Cielo, i primi ottengono da Dio, ad intercessione dei secondi, molte grazie per se medesimi e per gli altri Fedeli, allorché li invocano, li onorano e si studiano d’imitarli; 6° Che in virtù dell’unione che i Santi della terra e del Cielo hanno coi Santi del Purgatorio, queste anime tormentate troveranno sollievo nelle preghiere, nelle elemosine, nelle indulgenze, e nel Sacrificio Agustissimo dell’Altare, offerto nell’intenzione di giovare alle medesime [S. August., De cur. gerend. prò mort.]. Un’ ammirabile similitudine adoperata dallo Spirito Santo medesimo ci offre la idea la più magnifica e la più commovente di questa unione fra loro di tutti i membri della Chiesa, e fa conoscere ad un tempo persino ai fanciulli medesimi tale intiera comunicazione di beni fra i Fedeli: la similitudine è tratta dal corpo umano [I Cor. XII, 1; Ephes. IV, 7; Rom. XII, 6]. Nel corpo umano v’hanno molte membra, e non formano nullameno che un solo corpo. Non tutte per altro hanno la stessa funzione, ciascuno ha la sua: il piede cammina, l’occhio vede, l’orecchio ode; ciò non ostante queste operazioni particolari non si riferiscono direttamente all’utile del membro che le compie, ma sì bene all’armonia ed al vantaggio universale del corpo e di tutte le altre membra; onde a prò di tutto il corpo il piede cammina, l’occhio vede, l’orecchio ode. Egualmente nel corpo della Chiesa havvi molti membri. I Fedeli che vivono sulla terra, le Anime del Purgatorio, i Santi del Cielo, i Cattolici dell’Europa, quelli dell’Asia, dell’Africa, dell’America, dell’Oceania; quelli, in una parola, di tutte le parti del mondo, e siano quanto esser si vogliano remote, sono membri della Chiesa, e non formano che un solo e medesimo corpo. Tutti però non hanno la stessa funzione: gli uni sono Vescovi, gli altri Sacerdoti, Religiosi o Religiose; taluni sono Dottori, Predicatori, Consolatori; altri padroni, altri servi; ciascuno ha il suo stato e le sue incombenze, che tutte son rivolte al bene generale del corpo e di tutti i membri. Perciò è che a vantaggio di tutta la Chiesa il Sacerdote predica ed amministra i Sacramenti, il Dottore insegna, la Religiosa prega e consacra se stessa al soccorso de’ suoi fratelli, ed i semplici Fedeli adempiono quegli obblighi cui piacque alla Provvidenza di imporre alla loro condizione particolare. – Nel corpo umano le membra sono talmente unite, che non si tosto una d’esse, anche la più debole e la meno importante, viene a provare una sensazione di piacere o di dolore, subito le altre tutte risentono gli effetti di questo piacere o di questo dolore, a motivo dell’unione e della simpatia che la natura ha posto fra di loro. – Similmente nel corpo della Chiesa, approfittando noi dei beni accordati a ciascuno dei nostri fratelli, dobbiamo pure partecipare ai dolori che li affliggono, rallegrarci con quelli che si rallegrano, piangere con quei che piangono. Sarebbe mai possibile che l’unione stabilita tra di noi dalla grazia fosse meno efficace, nel renderci sensibili i dolori ed i gaudi altrui, che la naturale simpatia per far sentire a tutte le membra del corpo il piacere od il dolore di cui è affetto ciascuno di loro? Nel corpo umano v’ha un capo che regge tutte le membra ed influisce su ciascuno di esse mediante le emanazioni che trasmette; un cuore da cui parte il sangue, e dov’esso ritorna per purificarsi, riscaldarsi e ripartire di nuovo; ed oltracciò il corpo è animato, vivificato da un’anima che gli comunica il movimento, la bellezza, la forza. Così pure nel corpo della Chiesa v’ha un Capo, il Signor Nostro Gesù Cristo, il quale regge tutti i membri, ed influisce sopra ciascuno colle sue grazie; un cuore che è la santa Eucaristia, donde parte l’amore, ed ove ritorna per purificarsi, accendersi e ripartire di nuovo; finalmente un’anima, che è lo Spirito Santo, il Quale si diffonde per tutte le parti di questo corpo meraviglioso, e gli conferisce la beltà, la forza, la vita; la vita di grazia sulla terra, la vita di gloria nell’eternità. – Alla vista di questo corpo magnifico, non possono risvegliarsi nell’anima nostra che tre sentimenti: un sentimento d’ineffabile gratitudine per farne parte; un sentimento di profondo timore di esserne resecato, o di non diventare che membro morto; un sentimento di tenera ed attiva compassione per gl’infedeli, gli eretici, gli scismatici, e per tutti coloro che non ci appartengono. – A compiere la spiegazione del nono articolo del Simbolo cattolico più non resta che di esporre la ragione e il significato dell’ultima parola, la comunione dei Santi. Tutti i membri della Chiesa son detti santi; primieramente perché la santità è lo scopo della nostra vocazione alla fede, e l’obbligo strettissimo che ne fu imposto a tutti col Battesimo [“Hæc est enim voluntas Dei sanctificatio vestra”. « Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione ». II Thessal. IV,5]; in secondo luogo perché i giusti partecipano più specialmente alla meravigliosa comunione sovra descritta; in terzo luogo perché i peccatori stessi rinvengono nella medesima potenti mezzi di santificazione; finalmente perché questa comunione dei Santi della terra ne conduce all’eterna e generale comunione dei Santi, degli Angeli, e di Dio medesimo nel Cielo. Guai dunque a coloro che si fanno scacciare da questa società, fuori della quale non si dà salute! La Chiesa lo fa suo mal grado; ma essa può farlo, essendo investita dell’autorità di scomunicare. – Nulla di meglio stabilito, che la legittimità di questo formidabile potere: gli Apostoli lo hanno adoperato; i Concili, i sommi Pontefici ed i Vescovi seguirono il loro esempio nel corso dei secoli, tutte le volte che lo credettero necessario [I Cor. V. — Baron. art. 55, 998, ecc.]. – Forseché il padre di famiglia non ha il diritto di metter fuori di casa il figlio scandaloso e ribelle? Forseché il pastore non ha diritto di cacciare dall’ovile la pecora indocile e scabbiosa? I giudici ed i magistrati non scacciano forse tutto giorno dalla società i malandrini pericolosi ed ostinati? Perché dunque la Chiesa, che è la società la più perfetta, non dovrebbe godere di egual diritto? – Tranne la sentenza del Signor Nostro Gesù Cristo nel dì del finale giudizio, nulla deve ispirarci timor più grande della scomunica. Coloro che ne rimangono colpiti trovansi privi di tutti i beni spirituali che sono nella Chiesa; non possono ritornare fra le sue braccia materne, se non dopo aver fatto la loro sottomissione, data soddisfazione a quelli che hanno offeso, o spogliato, ed ottenuta l’assoluzione dal Superiore che ha podestà di concederla; e se per loro sventura muoiono senza essersi riconciliati colla Chiesa, restano privi dell’ecclesiastica sepoltura, e di tutti i suffragi della Chiesa in sollievo dei trapassati. – Spessissimo ancora si è veduto la scomunica produrre effetti sensibili sui colpevoli; quindi nei secoli di fede, i re, i potenti ed i popoli non hanno temuto nulla quanto questa folgore spirituale. – Lo stesso Napoleone, che ostentava di disprezzare il fulmine che l’aveva percosso, ne era per altro palesemente tormentato; talvolta ancora il suo esasperamento non conosceva misura. Negl’impeti del suo aspetto andava sclamando: Finalmente crede forse il Papa che la sua scomunica farà cadere le armi dal braccio dei miei soldati? Ora tutto il mondo sa che dall’epoca della scomunica la stella di Napoleone cominciò ad impallidire, e che la sua vita divenne una serie continua di disastri. Di più gl’istorici della campagna di Russia, narrando la tremenda catastrofe, dicono tutti in precisi termini: Le armi cadevano dalle mani dei soldati [De Segur; de La Baume, etc. etc..]. – I filosofi non mancheranno di dire che fu il gelo e non la scomunica che faceva cader le armi di mano ai soldati. Ottimamente; ma il freddo chi lo aveva mandato? Chi ha fatto scendere il termometro a grado sì micidiale? Foste voi forse, o filosofi? Ovvero Colui che impera agli elementi con autorità più dispotica di quella di Napoleone alla grande armata? Quel Dio che tiene soggetti gli elementi, è Quegli stesso che disse alla Chiesa ed al Papa: Colui che disprezza voi, disprezza me medesimo: io stritolerò come vetro colui che ardirà resistermi. Nè rivoluzioni, nè civilizzazione, nè possanza alcuna può togliergli o circoscrivere il suo potere [“Et nunc, Reges, intelligite, erudimini qui iudicatis terram” Ps. II, 10]. –

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio di avermi reso partecipe di tutti i beni spirituali di vostra santa Chiesa; non vogliate giammai permettere ch’io meriti d’esserne privato. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore, io amerò la Chiesa come un figlio ama la propria madre.

LA CONTRIZIONE

[da: E. Barbier, “I tesori di Cornelio Alapide” vol I – SEI, Torino 1930]

Che cos’è la contrizione? — 2. Vi sono due sorta di contrizione. — 3. Necessità della contrizione. — 4. Eccellenza e vantaggi della contrizione. — 5. Qualità della contrizione: 1° Interna; 2° Soprannaturale; 3° Somma; 4° Universale. — 6. Del proponimento e sua necessità. — 7. A quali indizi si riconosce il buon proponimento.-

1. – CHE COSA È LA CONTRIZIONE? — La contrizione è il dispiacere di aver peccato. Questa parola viene dal latino conterere che vuol dire rompere, spezzare, pestare, ed esprime lo stato di un’anima penetrata, straziata dal dolore di aver offeso Dio e che ardentemente desidera di riconciliarsi con Lui e di recuperarne la grazia. Il Santo Concilio di Trento (Sess. XIV, can. IV) definisce la contrizione: « Un dolore dell’animo ed una detestazione del peccato commesso unita ad un saldo proposito di non peccare più per l’avvenire » — “Contritio animi dolor ac detestatio est de peccato commisso, cum proposito non peccandi de cætero”. — Questa contrizione deve andar unita al desiderio di compiere tutto ciò che fu ordinato da Gesù Cristo per la remissione dei peccati; importa per conseguenza la volontà di confessarli e di soddisfare alla giustizia divina. Quindi i teologi, dopo San Tommaso, definivano la contrizione: il dolor di aver peccato, accompagnato dalla volontà di confessarsi e di soddisfare…

2. – VI SONO DUE SORTA DI CONTRIZIONE . — I teologi distinguono due sorti di contrizione: la perfetta e l’imperfetta che chiamano attrizione. La contrizione perfetta è quella che ha per motivo l’amor di Dio . Essa riconcilia il peccatore con Dio anche prima che riceva il sacramento della penitenza, ma deve sempre contenere il desiderio di riceverlo. Così si esprime il citato concilio (Sess. XIV, can. IV). L a contrizione imperfetta, secondo il medesimo Concilio, è comunemente concepita per la considerazione della bruttezza del peccato e per il timore delle pene dell’inferno. Il santo Concilio dichiara che, quand’essa esclude la volontà di peccare e va unita alla speranza del perdono, dispone il peccatore ad ottenere misericordia nel Sacramento della penitenza. Definisce inoltre che quest’attrizione è un dono di Dio, un movimento dello Spirito Santo il quale, invero, non abita ancora nell’anima del penitente, ma l’eccita a convertirsi; che non giustifica già di per sé sola senza il Sacramento, ma gli serve di preparazione e di disposizione.

3. – NECESSITÀ DELLA CONTRIZIONE. — Gesù Cristo pianse, dice S. Agostino; è dunque giusto che l’uomo pianga sopra se stesso; infatti, perché mai pianse Gesù, se non per insegnare all’uomo a piangere i suoi peccati? Bisogna che il peccato e l’abito del peccato soccombano sotto il dispiacere di essere caduti (Confess.). – Infiammati di amore divino, i più gran santi piangono del continuo le loro fragilità; come dunque non piangeranno i grandi peccatori, gli enormi peccati di cui si resero colpevoli? La voce della tortorella s’è fatta udire nella nostra terra, dicono i Cantici, se le anime fedeli ed innocenti, raffigurate nella tortora fanno risonare il deserto dei loro gemiti e amari lamenti, che cosa dovrebbero fare le anime che ad ogni istante si macchiano di nuove iniquità? Se pensassimo alle nostre colpe, non mangeremmo un boccone di pane che non fosse bagnato dalle nostre lacrime!… Mentre S. Antonio stava morendo, S. Pemenio prese a dire: Fortunato Arsenio che pianse sopra se stesso finché fu su questa terra! Quelli che quaggiù non piangono, piangeranno eternamente nell’altra vita (Vit. Fatr.). – Santa Taide diceva a S. Pafnuzio che, dalla sua entrata nel monastero, ella si era sempre tenuti innanzi agli occhi e non aveva cessato di piangere i suoi peccati. Perciò, le rispose il santo, Dio li ha cancellati (Vit. Patr.). – La contrizione è così essenziale al Sacramento della penitenza, che non può essere altrimenti supplita ed il peccatore non può mai essere assolto, se non si mostra tocco da un sincero pentimento di aver offeso Dio … La contrizione è stata necessaria in tutti i tempi per ottenere il perdono dei peccati. Questo è provato dagli esempi di Davide penitente, dei Niniviti, di Acabbo, di Manasse, della Maddalena, del pubblicano, del figliuol prodigo, di Pietro, ecc..La necessità della contrizione è di diritto naturale e di diritto divino … Essa è per il peccatore, come il sole per la terra, l’acqua al pesce, l’aria ai polmoni … Per quanto onnipotente, Dio non può perdonare i peccati a chi non se ne pente.

4. – ECCELLENZA E VANTAGGI DELLA CONTRIZIONE. — « Le lacrime dei penitenti sono vino delizioso per gli angeli, dice S. Bernardo [“Lacrymæ poenitentium vinum sunt angelorum– Serm. in Cantic.]. La sola contrizione toglie via il peccato: gli altri dolori hanno effetto del tutto differente, scrive il Crisostomo. Per esempio, voi avete perduto ogni avere; provatevi un po’ se col disperarvi lo ricuperate? La morte vi ha rapito una persona diletta; se anche piangeste fino alla fine del mondo, tutte le vostre lacrime non la potranno far risorgere dal sepolcro. Vittima di sanguinosa ingiuria, voi vi rodete dentro di rabbia e di tristezza; può forse la vostra ambascia far sì che non l’abbiate ricevuta? Vi affliggete perché infermo; forseché l’affliggervi vi guarisce? accresce anzi la malattia. Ma se voi siete dolente di aver offeso Dio, il vostro pentimento distrugge i vostri peccati. – Le vostre lacrime, quando cadono su le vostre colpe, le scancellano; dicendo con Geremia: « Cadde la corona dal nostro capo, guai a noi che abbiamo peccato » — “Cecidit corona capitis nostri, væ nobis qua peccavimus(Lament. V, 16); noi riponiamo su questo capo scoronato il glorioso diadema che portava per l’innanzi; deplorando la stolta audacia che ci ha fatto perdere la santità nata dal nostro battesimo, noi ci prepariamo un battesimo nuovo (Homil. V, ad pop.). Poiché, come dice S. Bernardo, « la compunzione del cuore e le lacrime sincere sono un vero battesimo [“Est baptismus aliquis in compunctione cordis, et lacrymarum assiduitate” – Serm. III in Cant.] ». Il sacrifizio che Dio domanda, dice il real profeta, e di cui si compiace, è il gemito di un’anima stretta e rotta dal dolore; egli non guarderà mai con occhio indifferente il cuore contrito ed umiliato — “Sacrificium Deo spiritus contribulatus; cor contritum et h umiliatum, Deus, non despicies” (Psalm. L, 18).« Il dolore sincero di aver peccato, scrive S. Bernardo, è un tesoro infinitamente desiderabile: esso apporta nello spirito dell’uomo una ineffabile gioia. La contrizione del cuore è la guarigione dell’anima, è la remissione de’ peccati; essa riconduce lo Spirito Santo, perché quando è visitato dallo Spirito Santo, subito l’uomo piange i suoi falli [“Bona compunctio thesaurus est desiderabilis, et inenarrabile gaudium in mente hominis. Compunctio cordis sanitas est animae; compunctio lacrymarum remissio est peccatorum; compunctio reducit Spiritum Sanctum ad se: quia cum Spiritu Sancto visitatur, statim homo peccata sua plorat” – De Modo bene viv.] ». Con lui si accorda San Efrem, il quale chiama la contrizione, sanità dell’anima, illu strazione della mente, mezzo per ottenere la remissione dei peccati [“Compunctio sanitas animae est; illuminatio mentis est; compunctio remissionem peccatorum vobis acquirit” – De Dei indic.]. – Quindi S. Gerolamo esclama: « O felice penitenza, che si guadagna gli sguardi di Dio! [“O felix poenitentia, quae ad se Dei trahit oculos!” – Epist. XXX ad Oeeanum] ». Vedete quali sono le eccellenze della compunzione: 1 ° è santa e riconcilia l’anima con Dio che è il principio di una felicità immensa…; 2° viene dall’amor di Dio; infatti il penitente si duole di aver offeso Dio, perché vede quanto gran bene sia quel Dio ch’egli ha osato offendere e quanto è amabile, sia in se stesso, sia verso tutte le sue creature: ora l’amor di Dio dà egli solo la vera gioia…; 3° il penitente desidera di pentirsi e ne gode: egli si nutrisce della compunzione e delle lacrime come di deliziose vivande. Mentre ogni altro pentimento è amaro, penoso, impaziente, insopportabile, quello che si prova per aver peccato è dolce, umile, ecc.. «Una coscienza colpevole è l’inferno e la prigione dell’anima », lasciò scritto S. Bernardo [“Infernus quidem et carcer animae, rea conscientia(Serm. in Cantic.]; ora la contrizione distrugge la colpevolezza dell’uomo, quindi la coscienza si riposa nella pace, le lacrime purificano e formano, diremo così, un fiume sul quale l’anima s’imbarca verso Dio e giunge al porto dell’eterna salute. Tutti i santi hanno gustato nelle lacrime della compunzione una soavità ineffabile; è facile accorgersene alla serenità maestosa che splende nel loro volto.Quando udite parlare di lacrime di compunzione, non immaginatevi già, diceva il Crisostomo, affanni, patimenti, angosce; ah no! esse vincono in dolcezza tutte le delizie di cui si può godere nel mondo. V’ha più diletto in una sola lagrima di pentimento che in tutte le pretese gioie delle voluttà terrene (De Compunti, cordis). Il prodigo che versava un torrente di pianto ai piedi di suo padre, provava una felicità senza paragone più grande di quella che lo aveva inebriato quando sciupava da scapestrato nelle dissolutezze la sanità e la fortuna. Maddalena che prostrata ai piedi di Gesù glieli bacia e lava col suo pianto, prova in quell’istante più consolazione che non in tutto il corso della scandalosa sua vita.Le lacrime del pentimento e della devozione, dice S. Agostino, hanno tale dolcezza che invano si cerca nelle gioie tumultuose dei teatri (Confess.). – S. Giovanni Climaco svolge mirabilmente i vantaggi e i frutti dello lacrime, che spargono i servi di Dio. Io trasecolo di meraviglia, egli dice, quando considero la felicità che procura la compunzione. Come dunque può essere che gli uomini carnali non ci veggano che afflizione? Simile alla cera che contiene il miele, essa racchiude una sorgente inessiccabile di spirituali dolcezze. Dio visita e consola in modo visibile, ma ineffabile, i cuori spezzati da un santo dolore (Qrad. V). Si trova assai più soddisfazione nel piangere i propri peccati, che nel commetterli. Per gustare la pace d’una buona coscienza, dice Bossuet, bisogna che questa coscienza sia monda e purificata, e nessun’acqua può fare questo se non quella delle lacrime del cuore. Colate dunque, o lacrime della compunzione, correte come torrente, lavate questa coscienza macchiata, questo cuore profanato e rendetemi quella gioia divina che è il frutto della giustizia e dell’innocenza: — “Redde mihi læatitiam salutaris tui” (Psalm. L. 13). – Chi ci darà di saper gustare la gioia sublime della compunzione, che deriva non dall’affanno dell’anima, ma dalla sua quiete, non dalla sua malattia, ma dalla sua sanità, non dalle sue passioni, ma dal suo dovere, non dal fermento de’ suoi inquieti desideri, ma dalla retta coscienza: gioia vera che non agita la volontà, ma la calma, non sorprende la ragione,, ma, la illumina, non accarezza ì sensi al di fuori, ma trae il cuore a Dio… Non vi è che la compunzione la quale possa aprire il cuore a queste gioie divine. Nessuno è degno di essere ammesso ad assaporare questi casti e sinceri diletti, se prima non ha deplorato e pianto il tempo che ha consumato in piaceri fallaci. Gusterebbe il prodigo, le inebrianti dolcezze della bontà del padre, l’abbondanza della sua casa, le squisitezze della sua tavola, se prima non avesse pianto amaramente i suoi trascorsi, le sue tresche, le dissolute sue allegrezze? (Serm. sur l’Amour des plaisirs). 4° La contrizione offre la speranza della beatitudine eterna, ne è la caparra e il saggio. 5° La compunzione rallegra Dio, gli angeli, i santi; ora come non colmerà l’anima di letizia? Ascoltate la parola di Gesù Cristo: Maggior festa si fa nel cielo per un peccatore che si pente, che non per novantanove giusti i quali non hanno bisogno d i penitenza: — “Ita gaudium erit in coelo super uno peccatore poenitentiam agente, quam super nonaginta novem iustis qui non indigent poenitentia” (Luc. XV, 7). 6° La contrizione ottiene al peccatore la pace ed il perdono di tutti i suoi peccati; scaccia i demoni, chiude l’inferno, dà vittoria su Satana, sul mondo, su la concupiscenza; apre il cielo e vi ci conduce… Dove scorrono le lagrime della compunzione e dell’umiltà, non si scorge più traccia di perversità, né di degradazione; vi regna l’ordine più perfetto e il cuore è mondato di beni; al contrario dov’esse mancano, tutto è disordine e rovina. La compunzione genera: 1° l’umiltà: chi infatti oserebbe insuperbire dopo aver meritato l’inferno? 2° la pazienza…: 3° l’amor di Dio …; 4° l’amor del prossimo che essa preserva dal peccato; 5° stacca l’anima dalla terra . . . ; 6° l’unisce a Dio … « Chi semina nel pianto, mieterà nel riso, canta il Salmista; essi andavano e piangevano mentre seminavano, ritorneranno esultanti portando i loro covoni » — “Qui seminant in lacrymis, in exultatione metent. Euntes ibant et flebant mittentes semina sua; venientes autem venient cum exultatione, portantes manipulos suos” (Psalm. CXXV, 6-8). « Il Signore, dice ancora il re profeta, guarisce i cuori feriti e ne fascia le piaghe » — “Qui sanat contritos corde, et alligat contritiones eorum” (Psalm. CXLVI, 3). Iddio, leggiamo in Isaia, dimora con le persone dallo spirito umile e contrito; egli rende loro la vita (ISAI. LVII, 15). Su chi poserò il mio sguardo, dice Iddio per bocca del citato profeta, se non sul povero che ha lo spirito contrito? (Id. LXI, 1). E infatti Gesù Cristo applicò a se medesimo quelle parole: Il Signore mi ha inviato perché guarissi i cuori contriti, e mettessi in libertà gli schiavi (Luc. IV, 18-19).

5. – QUALITÀ DELLA CONTRIZIONE. 1° Interna. — La contrizione deve essere interna, soprannaturale, somma, universale. Il dolore della penitenza deve scaturire dal fondo del cuore; non sembra punto a quelle polle d’acqua che si fanno zampillare artificialmente, ma è un fiume che scaturisce dalla sorgente, che straripa, sradica e trascina tutto ciò che incontra; esso fa una santa strage, la quale ripara i guasti cagionati dal peccato; nessuna colpa gli sfugge. « Essi amavano piangere, dice S. Bernardo, e piangevano amaramente, perché amaramente si pentivano [“Amabant fiere, et flebant amare; amare flebant, quia amare dolebant” – In Psal.] ». Pietro pianse amaramente la sua caduta: — “Petrus flevit amare” (Luc. XXII, 62). Ecco la contrizione del cuore, Maddalena ai piedi del Divin Maestro aveva la contrizione interna … Il male del peccato sta nel cuore, non altrove, perché è il cuore solo che pecca, è solo il cuore che s’inebria del veleno della disobbedienza …. Dunque il cuore solo è malato, per conseguenza al cuore bisogna applicare il rimedio della contrizione… – Il profeta dice: « Signore, voi non rifiutate un cuore contrito … » — “Cor contritum … Deus, non despicies” (Psalm. L , 18); e Dio ci dice per bocca di Gioele: « Squarciate i cuori, non le vestimenta » — “Scindite corda vestra, non vestimenta vestra” (IOEL. II, 13). Dio domanda al peccatore un cuore contrito ed umiliato; fuori di ciò tutte le esteriori dimostrazioni di pentimento sono inutili, quando pure non sono errore, menzogna, ipocrisia. Può ben l’uomo ingannare se stesso, ma non Dio il quale scruta il cuore e le reni. – Non bisogna contentarsi di recitare un atto di contrizione a fior di labbra. Non basta immaginarsi, pensare, dire che ci pentiamo di aver offeso Dio. Nel cuore è il principio di tutti i peccati anche esteriori; è parola di Gesù Cristo il quale disse: « Ciò che esce dalla bocca viene dal cuore ed è qui quello che insozza l’uomo. Poiché dal cuore nascono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie » (MATTH. XV, 18-19). — “Quae autem procedunt de ore, de corde exeunt, et ea oomquinant hominem. De corde enim exeunt cogitationes malae, homicidia, adulteria, fornicationes, furta, falsa testimonia, blasphemiae”. — Nel cuore adunque si deve trovare il pentimento … Nel cuore deve penetrare la spada della contrizione e trafiggerlo da parte a parte. Allora, o meraviglia! per dove entrò la spada, penetra la grazia e purifica e per dove ne uscì, esce la corruzione del peccato. Ecco perché i santi Padri chiamano la contrizione, compunzione del cuore. Ogni disgusto che non toglie né la volontà di peccare, né l’affetto che si porta al peccato, non è vera contrizione; merita questo nome solo in quanto dimora nel cuore. L’ordine dev’essere ristabilito dove fu turbato: quindi le lacrime puramente esteriori, le proteste, i gemiti, le grida non sono che menzogne, quando la volontà non è mutata e la volontà è il cuore… Ma badate, che non si dà contrizione senza umiltà e senza mortificazione della carne… «Venite, dice il profeta, adoriamo, prostriamoci, piangiamo al cospetto del Signore » — Venite, adoremus, et procidamus, et ploremus ante Dominum (Psalm. XCIV, 6), Si, o Signore, voi accetterete, purificherete, benedirete un cuore contrito ed umiliato.

2° Soprannaturale. —- La contrizione dev’essere soprannaturale, cioè eccitata nel nostro cuore dallo Spirito Santo e fondata sopra considerazioni e motivi suggeriti dalla fede. Essa deve muoverci a detestare il peccato perché offesa di Dio. Chi piange il suo peccato per la vergogna o pel castigo che gliene viene presso gli uomini, od anche per l’opposizione che vi scorge con la legge naturale, non ha che una contrizione naturale ed insufficiente. – Il prodigo del Vangelo mostra una contrizione soprannaturale quando dice: — “Pater, peccavi in coelum et coram te” — « Padre, io ho peccato contro il cielo e contro di te » (Luc. XV, 21). Ho peccato contro il cielo, cioè gravissimamente; i miei peccati sono saliti fino a Dio e domandano vendetta… – Ho peccato contro il cielo, preferendo la terra al cielo, la carne allo spirito, la morte alla vita, l’inferno al paradiso, Barabba a Gesù Cristo, il diavolo a Dio … Ho peccato contro il cielo, perché l’ho perduto, perché ho sciupato i doni celesti… Ho peccato contro il cielo, perché ho calpestato il sangue di Gesù Cristo; come Giuda, ho venduto il Salvatore; come il popolo giudeo, ho chiesto la sua morte; come Pietro, l’ho rinnegato; come Pilato, l’ho condannato; come Erode, l’ho deriso e beffeggiato; come i soldati e i manigoldi, l’ho coronato di spine, caricato del pesante legno della croce, crocefisso tra due ladroni, che sono il demonio e le mie passioni, abbeverato di fiele, messo a morte, trafitto … Ho peccato contro il cielo, perché ho ucciso l’anima mia creata per Iddio, fatta a immagine di Dio … Ho peccato contro di voi, o mio Dio, dinanzi a voi, sotto gli occhi vostri, mentre ero in vostro potere; mi sono servito per oltraggiarvi dei doni naturali e soprannaturali di cui mi avete ricolmato… Ho peccato in presenza del mio Angelo custode, non ostante il rimorso della coscienza. – Voi avete crocefisso Gesù Cristo,’ disse S. Pietro ai Giudei. A questo fulminante rimprovero, essi di tutto cuore si pentirono e gridarono rivolti all’apostolo: Che faremo noi per ottenere misericordia? Fate penitenza, rispose loro, pentitevi sinceramente (Act. II, 36-38). I motivi della contrizione soprannaturale sono: 1° i peccati da noi commessi…; 2° i peccati che abbiamo fatto commettere agli altri. Tre esercizi possono aiutarci ad ottenere una contrizione soprannaturale: 1° fare una stazione in ispirito al Calvario…; 2° discendere col pensiero nell’inferno, da noi meritato col peccato…; 3° trasportarci al cielo di cui ci siamo resi indegni… Noi rileviamo da tutto questo che la contrizione è un dono di Dio. L’uomo non può pentirsi come si deve, senza l’inspirazione e l’assistenza dello Spirito Santo. Il peccatore, avendo ucciso, col peccato mortale, la sua anima e avendola uccisa per l’eternità, non può risorgere senza l’aiuto di Dio che è l’autore della vita . .. Somma. — La contrizione dev’essere un tale disgusto che vinca ogni altro. E perché ? Perché il peccato è il più grande di tutti mali, il solo, l’unico male. Solo il peccato attacca Dio e l’anima … Il peccato è il sommo male riguardo a Dio … ; il sommo male riguardo all’uomo… Il nostro dolore dev’essere, come dice Geremia, vasto e profondo come il mare: — “Magna est velut mare contritio tua” (Lament. II, 13). « Quanto più profonda e pericolosa è una ferita, tanto più potente farmaco richiede, dice S. Ambrogio; ora essendo il peccato un’offesa di gran lunga più grave di ogni altra, richiede una soddisfazione che non abbia pari (Grandi plagæ alta et prolixa opus est medicina: grande scelus grandem habet) ». Davide ci presenta un modello della contrizione somma. Conosce il suo peccato, si umilia, si pente, si confessa, piange, depone la corona e la veste regale, digiuna, indossa il cilizio, si ritira nella solitudine. Un altro ce ne offre San Pietro del quale sta scritto che pianse amaramente fino alla morte la colpa di aver rinnegato Gesù Cristo. Un terzo l’abbiamo nel popolo ebreo che, assediato da Oloferne in Betulia, si diede a piangere, a mandar gemiti e sospiri e a gridare volto al Signore: Noi abbiamo peccato, ci siamo portati ingiustamente, abbiamo commesso l’iniquità (IUDITH VII, 18-19). Bisogna che il peccato, soprattutto il mortale, ci dispiaccia più di ogni altro male che ci possa accadere. La ragione ne è evidente: col peccato mortale noi abbiamo assalito e combattuto e perduto Iddio; ma Dio è il più grande dei beni, l’unico sommo bene; importa dunque di necessità che noi siamo più dolenti di questa perdita che non d’ogni altra. Se fosse altrimenti, la nostra contrizione non sarebbe somma. Però, non è necessario, perché il dolore sia sommo, che sia il più sensibile dei dolori, cioè non si richiede che noi proviamo il medesimo dispiacere sensibile, che versiamo così abbondanti lacrime, che mandiamo fuori quei medesimi guaiti da cui non ci potremmo forse frenare i n occasione della perdita del padre, p. es., o d’un amico diletto. Perché? Perché fino a tanto che l’anima sta congiunta al corpo, è più mossa dagli oggetti sensibili che da quelli che non cadono sotto i sensi. Basta che noi siamo interiormente risoluti, con la grazia di Dio, di soffrire piuttosto qualunque male anziché di nuovo commettere un sol peccato mortale. La contrizione può essere vera senza quest’impressione sensibile che non è in nostro potere. 4 ° Universale. — La contrizione dev’essere universale, estendersi, cioè, a tutti i peccati mortali che si sono commessi, senza eccettuarne uno solo, poiché non ve ne è nessuno, che non offenda Dio, non renda l’anima nemica di Dio, schiava di satana e degna dell’inferno. L a contrizione vera non imita già Saulle che, menando strage degli Amaleciti, risparmia coloro che gli piacciono. – Badate, dice Bossuet, che sovente vi sono nel cuore dei peccati che si sacrificano, ma vi si trova pure il peccato prediletto, la passione favorita, e quando si tratta di schiantare questo peccato, di rinunziare a questa passione, il cuore sospira in segreto e non sa risolversi se non con grandissima pena. La contrizione universale trafigge questo peccato, dà della scure in questa passione e la recide senza misericordia; essa entra nell’anima, come Giosuè tra i Filistei, e ogni cosa mette a ferro e fuoco. E perché fa così sanguinosa esecuzione? Perché teme la compunzione d i un Giuda, di un Antioco, di un Balaam: compunzioni false ed ipocrite, che ingannano la coscienza con l’apparenza di un dolore superficiale. Il dolore della penitenza tende a cambiare Dio, ma bisogna prima cambiare l’uomo, e Dio non si cambia mai se non per lo sforzo di questo contraccolpo. Voi temete la mano di Dio e i suoi giudizi; è questa una santa disposizione; il concilio di Trento vuole ancora che questo timore vi porti a detestare tutte quante le vostre colpe (Serm. sur l’Intégr. de la Pénit.).

6. – DEL PROPONIMENTO E SUA NECESSITÀ. — L a contrizione è un dolore dei peccati commessi, unito a un fermo proponimento di non più ricadérvi. Quindi essa abbraccia il passato e l’avvenire: il passato per detestare le cadute, l’avvenire per prevenute. La volontà sincera, formale di non più peccare mortalmente per l’avvenire, è tanto necessaria, a chi vuole ottenere il perdono dei peccati, quanto è necessario il pentimento dei peccati commessi. Non si può chiamare vero il dolore di aver offeso Dio, se non è congiunto ad una risoluzione sincera di non più peccare, per quanto l’u mana fragilità lo comporta. Infatti se è un burlarsi di Dio il confessare, senza averne dispiacere, che lo abbiamo offeso; è un illudersi il dire, che ci duole di aver commesso quello che abbiamo tuttavia in animo di commettere, che ci spiace aver fatto quello che ancora vogliamo fare. La contrizione sincera deve escludere ogni affetto al peccato; ora chi non fosse risolutamente determinato di non più ricadere nel peccato, l’amerebbe ancora… « S’incontrano parecchi, scriveva già S. Agostino, i quali confessano ad ogni tratto di essere peccatori e intanto si dilettano di peccare. La loro parola è una confessione, non una mutazione; scoprono le piaghe della loro anima, ma non le curano; confessano l’offesa, ma non la cancellano. Solo l’odio del peccato e l’amor di Dio costituiscono una vera contrizione [“Multi assidue se dieunt esse peceatores, et tamen adhuo illos delectat peccare. Professio est, non emendatio: accusato anima, non sanatur; pronuntiatur ofiensa, non tollitur. Poenitentiam certam non facit, nisi odium peccati et amor Dei(De Moribus).] ». – La risoluzione di non più offendere Dio si chiama buon proponimento; esso è parte essenziale della, contrizione e deve averne le stesse qualità, cioè dev’essere interno, soprannaturale, sommo, universale. In sostanza non è cosa diversa dalla contrizione, in quanto questa riguarda l’avvenire. La risoluzione di non più offendere Dio è assolutamente necessaria, senza di lei l’uomo si inganna e cerca di ingannare Dio: è ad un tempo un accecamento ed un delitto. – Quando Gesù Cristo guariva gl’infermi, sempre li accomiatava dicendo: « Non peccate più, affinché non v’incolga di peggio » – “Iam noli peccare, ne deterius aliquid tibi continua” ( IOANN. V, 14).

7. – DA QUALI INDIZI SI RICONOSCE IL BUON PROPONIMENTO. — L’uomo può riconoscere se è vero il suo proponimento, a questi tre segni principali: 1° agli sforzi che ha fatto per correggersi; 2° alla fuga delle occasioni prossime del peccato; 3° al cambiamento di vita. – 1° Per gli sforzi fatti per correggersi. I vostri desideri tendono al cielo? Lavorate voi ad assoggettare la carne allo spirito e lo spirito a Dio? Vi allontanate voi dal mondo per occuparvi di Dio?… Se è così, voi fate degli sforzi per emendarvi e potete dire di avere un buon proponimento. Ma se non vi studiate di frenare la concupiscenza, se conservate dell’attaccamento al mondo, se non vi applicate a divenire migliore, voi non avete un buon proponimento.

2° Per la fuga delle occasioni prossime di peccato. Nutrite voi i sentimenti del re profeta quando esclamava: « Ho aborrito ed abbomino l’iniquità » — Iniquitatem odio habui et abominatus sum? (Psalm. CXVIII, 163). – In questo caso voi avete un buon proponimento; ma badate che chi sente vivo orrore per una cosa, la fugge a tutto potere. Voi aborrite un assassino e l’evitate; aborrite il veleno e non l’adoperate; avete orrore di un cane arrabbiato e ne temete l’incontro, vi ponete al riparo. .. Quando Dio volle creare il firmamento, disse: « Si faccia il firmamento in mezzo alle acque e divida acque da acque, cioè le acque superiori dalle inferiori» — Dividat aquas ab aquis (Gen. I, 6). Una prova di buon proponimento è quella d’allontanarsi dalle acque melmose della concupiscenza e accostarsi a quelle limpide e pure della grazia. « E convertito e sicuro del perdono, dice S. Gregorio, chi piange il suo peccato e nulla tralascia per non più ricadérvi [“Perfecte convertitur qui, quod prave egerat, plangit; et quod rursum plangat, ultra non repetit(In lib. I Beg. lib. III, c. 7) ». S. Agostino soggiunge che chi riapre le antiche ferite non è convertito. Quando un malato è guarito, si allontana dal medico; ma quando uno è guarito dal peccato, deve volgersi a Dio, a Lui strettamente e costantemente avvinghiarsi e dire col profeta: « Mio vantaggio è lo starmene congiunto a Dio e porre in Lui il mio spirito ». La presenza di Dio ci rischiara, ci purifica, ci beatifica; Dio opera su colui che Gli sta soggetto ed obbediente; egli lo guarda e conserva; al contrario quando Iddio è assente, si ricade (In Psalm. ).3° Il primo movimento che sente, un uomo tocco da Dio e veramente contrito, è di allontanarsi dal secolo. La voce che ci chiama alla contrizione, ci chiama pure alla fuga, alla vigilanza, all’abbandono delle occasioni prossime del peccato. L’uomo contrito e pieno di buona volontà, non è più l’uomo mondano di prima; la donna che davvero si pente e nutre buon proposito, non è più la donna delicata e compiacente, la mediatrice avveduta, l’amica garbata che permetteva segreta corrispondenze; non trova più espedienti ammaliatori, facilità lusinghiere; impara un altro linguaggio e sa all’uopo dire risoluta: No, io non posso più; sa pagare il mondo con rifiuti pronti e seri. Il penitente non vive più a modo degli altri, non cerca più di piacere agli altri, anzi dispiace a se medesimo. Sente il suo male, si disgusta tutt’insieme e del mondo che l’ha ingannato e di se medesimo che s’è lasciato cogliere all’amo di sì grossolani diletti. – Un giovane che aveva tenuto mala pratica con una donna, essendosi convertito, lasciò affatto di vedere colei ch’egli perdeva e da cui era condotto a perdizione. Un giorno l’incontrò a caso per via, ma tirò oltre senza fermarsi. Allora questa gli volse la parola e disse: — Non mi conoscete più? io sono la tale. — Potete ben voi, rispose il garzone, essere la tale, ma io non sono più il tale. Io ho giurato di non più offendere Dio e di salvare l’anima mia: imitatemi. Ecco che cosa dovrebbe fare ogni peccatore: essere irremovibile di non più peccare.

 

TEMPO DI PASSIONE

[Dom Guéranger: L’Anno liturgico, vol. I]

Capitolo I

STORIA DEL TEMPO DI PASSIONE

E DELLA SETTIMANA SANTA

Preparazione alla Pasqua.

La santa Chiesa, dopo aver presentato alla meditazione dei fedeli, nelle prime quattro settimane di Quaresima, il digiuno di Cristo sulla montagna, consacra ora le altre due settimane che ci separano dalla festa di Pasqua alla commemorazione dei dolori del Redentore, non permettendo che i suoi figli arrivino al giorno dell’immolazione del divino Agnello, senza aver prima disposte le loro anime alla compassione dei patimenti da Lui sofferti in loro vece. I più antichi documenti della Liturgia, i Sacramentari e gli Antifonari di tutte le Chiese, col tono delle loro preghiere, la scelta delle letture ed il senso d’ogni sacra formula, ci avvertono che la Passione di Cristo, a partire da oggi, forma l’unico pensiero della cristianità. Fino alla Domenica delle Palme potranno ancora aver luogo, nel corso della settimana, le feste dei Santi; ma nessuna solennità, a qualsiasi classe appartenga, avrà la precedenza sulla Domenica di Passione. – Non abbiamo dettagli storici intorno alla prima settimana di questa quindicina; ma le sue osservanze non differirono mai dalle quattro settimane che la precedettero [Non riteniamo qui opportuno addentrarci nelle discussioni puramente archeologiche sollevate sulla parola Mediana, con la quale viene designata la Domenica di Passione in alcuni antichi documenti della Liturgia e del Diritto ecclesiastico], rimandiamo quindi il lettore al capitolo seguente, dove tratteremo di alcune mistiche particolarità del tempo di Passione in genere. Per contrario, la seconda settimana ci fornirà un’abbondante materia di storici dettagli, non essendovi periodo dell’Anno Liturgico che più di questo impegni i fedeli ed offra loro motivo di cosi vive manifestazioni di pietà.

Nomi che si davano all’ultima settimana.

L’ultima settimana era già in venerazione nel III secolo, come attesta S. Dionigi, vescovo in quel periodo di tempo d’Alessandria, (Lettera a Basilide, c. I). Nel secolo appresso fu chiamata la grande Settimana, come ci consta da un’Omelia di S. Giovanni Crisostomo (30.a Omelia sul Genesi) : «Non perché, dice il santo Dottore, conti più giorni delle altre, o i giorni constino d’un maggior numero di ore, ma perché sono grandi i misteri che in essa si celebrano ». La vediamo anche segnalata col nome di Settimana penosa, sia per le pene sofferte da Nostro Signor Gesù Cristo che per le fatiche imposte dalla sua celebrazione; Settimana d’indulgenza, perché vi si accoglievano i peccatori alla penitenza; finalmente Settimana Santa, per la santità dei misteri che si commemoravano. Da noi per lo più viene chiamata con questo nome, il quale divenne così appropriato, che fu attribuito a ciascuno dei giorni che la compongono, di modo che abbiamo Lunedì Santo, Martedì Santo, ecc.

Rigore del digiuno.

Una volta aumentava la severità del digiuno quaresimale negli ultimi giorni, che formavano il supremo sforzo della penitenza cristiana. Poi, la Chiesa indulgendo a poco a poco alla debolezza delle presenti generazioni, cominciò a mitigare tali rigori, ed oggi in Occidente non esiste più nessuna restrizione che distingua questa settimana dalle precedenti; mentre nelle Chiese d’Oriente rimaste fedeli alle antiche tradizioni, continuano ad osservare una rigorosa astinenza, la quale, dalla Domenica di Quinquagesima e per tutto questo lungo periodo, prende il nome di Serofagia, essendo solo permesso di mangiare asciutto. – Anticamente il digiuno si spingeva anche oltre i limiti delle forze umane; infatti sappiamo da Epifanio (Esposizione della Fede, X, Heres, XXII) che v’erano dei cristiani che lo prolungavano dal Lunedì mattina fino al canto del gallo del giorno di Pasqua (Nella metà del III secolo, ad Alessandria, si digiunava l’intera settimana, sia ininterrottamente che ad intervalli – Lettera di S. Dionigi a Basilide P. G. X, 1277). – Indubbiamente, solo una piccola parte dei fedeli potevano fare un tale sforzo; gli altri si limitavano a non prendere niente per due, tre, quattro giorni consecutivi; ma la comune usanza consisteva nello stare senza mangiare dalla sera del Giovedì Santo fino al mattino di Pasqua [Tale usanza era antichissima, perchè ce ne parla S. Ireneo (verso il 200) e anche s. Eusebio nella sua Storia Eccl. (v. 24; P. G., 501), così ardua penitenza fossero state sempre accompagnate da una ferma adesione alla fede ed all’unità alla Chiesa!]. Esempi d’un tale rigore non sono rari, anche ai giorni nostri, presso i cristiani d’Oriente ed in Russia.

Lunghezza delle veglie.

Una delle caratteristiche dell’antica Settimana Santa furono le veglie prolungate in chiesa durante la notte; come quella del Giovedì Santo, nella quale, celebrati i divini misteri in memoria dell’Ultima Cena del Signore, il popolo perseverava a lungo nella preghiera (S. Giovanni Crisostomo, 30.a Omelia sul Genesi). La notte fra il Venerdì e il Sabato era quasi tutta una veglia, per onorare la sepoltura di Gesù Cristo (S. Cirillo di Gerusalemme, Catech. XVIII); ma la più lunga era quella del Sabato, che durava fino al mattino di Pasqua. Vi prendeva parte tutto il popolo, che assisteva all’ultima preparazione dei Catecumeni; quindi rimaneva testimone dell’amministrazione del santo Battesimo. L’assemblea si ritirava solo dopo la celebrazione del santo Sacrificio, che terminava al levar del sole.

Sospensione dal lavoro.

Durante la Settimana Santa, per lungo andare di secoli fu richiesta ai fedeli la sospensione dalle opere servili; ed alla legge della Chiesa si univa quella civile a far sospendere il lavoro ed il traffico degli affari, ed esprimere così, in una maniera imponente, il lutto dell’intera cristianità. Il pensiero del sacrificio e della morte di Cristo era il pensiero di tutti; ognuno sospendeva gli ordinari rapporti; tutta la vita morale era completamente assorbita dagli uffici divini e dalla preghiera, mentre le forze del corpo erano impegnate nel digiuno e nell’astinenza. È facile immaginare quale impressione doveva produrre nel resto dell’anno una così solenne interruzione di tutto ciò che costituiva l’assillo degli uomini nelle cose della loro vita. Tenuta presente la durezza con la quale li aveva trattati la Quaresima per cinque intere settimane, si comprende benissimo con quale gioia accoglievano poi la festa della Pasqua, e come insieme col rinnovamento dell’anima dovevano sentire un grande sollievo nel corpo.

Vacanza dei tribunali.

In altra parte accennammo alle disposizioni del Codice Teodosiano che prescriveva di soprassedere a tutti i processi e citazioni quaranta giorni prima della Pasqua. La legge di Graziano e di Teodosio, emanata a tal proposito nel 380, fu allargata da Teodosio nel 389 e fatta propria dei giorni in cui siamo da un nuovo decreto che interdiceva, sette giorni prima della festa di Pasqua e sette giorni dopo, anche le patrocinazioni. Nelle Omelie di S. Giovanni Crisostomo e nei Sermoni di S. Agostino si riscontrano parecchie allusioni a questa legge allora recente; in essa si dichiarava che allora, in ciascun giorno di detta quindicina, vigeva nei tribunali il privilegio della Domenica.

Il perdono dei regnanti.

In questi giorni di misericordia i prìncipi cristiani non solo interrompevano il corso dell’umana giustizia, ma volevano anche onorare in modo sensibile la paterna bontà di Dio, il quale si degnò perdonare al mondo colpevole in vista dei meriti del Figliolo suo immolato. Dopo aver rotti i lacci del peccato che imprigionavano i peccatori pentiti, la Chiesa stava per riaprire loro il suo seno; ed i prìncipi cristiani ci tenevano ad imitare la loro Madre, ordinando l’apertura delle carceri e la liberazione degl’infelici che gemevano sotto il peso delle sentenze inferte dai tribunali terreni, fatta eccezione di quei criminali che coi loro delitti avevano leso troppo gravemente la famiglia o la società. Anche a tale riguardo il nome del grande Teodosio fu illustrato da chiara fama. Come c’informa S. Giovanni Crisostomo (6.a Omelia al popolo d’Antiochia), quest’imperatore mandava nelle varie città ordinanze di condono, autorizzando il rilascio dei prigionieri e accordando la vita ai condannati a morte, per santificare i giorni che precedevano la festa di Pasqua. Gli ultimi imperatori convertirono in legge tale disposizione, e S. Leone ne prende atto, in uno dei suoi sermoni: « Gl’imperatori romani, egli attesta, già da tempo osservavano questa santa istituzione, per onorare la Passione e la Risurrezione del Signore, per la quale si vede diminuire il fasto della loro potenza, mitigare la severità delle leggi e fare grazia alla maggior parte dei colpevoli, mostrando con tale clemenza d’imitare la bontà celeste nei giorni in cui ha voluto salvare il mondo. Che anche il popolo cristiano, da parte sua, abbia a cuore d’imitare i prìncipi, e l’esempio dato dal sovrano porti i sudditi ad una scambievole indulgenza, non dovendo mai il diritto privato essere più severo di quello pubblico. Rimettete, perciò, gli altrui torti, sciogliete i legami, perdonate le offese, soffocate i risentimenti, affinché, e da parte di Dio e da parte nostra, tutto contribuisca a ristabilire in noi quell’innocenza di vita che conviene all’augusta solennità che attendiamo » {Discorso 40, sulla Quaresima). – Ma non solo è decretata l’amnistia cristiana nel Codice Teodosiano : ne troviamo tracce anche in solenni documenti di diritto pubblico dei nostri padri. Sotto la prima dinastia dei re di Francia, S. Eligio vescovo di Noyon, in un sermone pronunciato il Giovedì Santo s’esprimeva così : « In questi giorni in cui la Chiesa indulge ai penitenti ed assolve i peccatori, i magistrati lascino da parte la severità e perdonino ai rei. In tutto il mondo s’aprono le carceri, i prìncipi fanno grazia ai delinquenti, i padroni perdonano agli schiavi » {Discorso 10). Sotto la seconda dinastia, sappiamo dai « Capitolari » di Carlo Magno che i Vescovi avevano il diritto d’esigere dai giudici per amore di Gesù Cristo, come ivi è detto, la liberazione dei prigionieri nei giorni precedenti la Pasqua, e d’interdire ai magistrati l’entrata in chiesa, se si rifiutavano d’obbedire {Capitolari, I. 6). Secondo i « Capitolari », questo privilegio s’estendeva anche alle feste di Natale e di Pentecoste. Infine, sotto la terza dinastia, troviamo l’esempio di Carlo VI il quale, avendo dovuto reprimere una rivolta degl’insorti di Rouen, più tardi ordinò la liberazione dei prigionieri, perché si era nella Settimana penosa, e molto vicini alla Pasqua. – Un ultimo vestigio di questa misericordiosa legislazione si conservò fino alla fine nel costume parlamentare parigino. Dopo molti secoli il Parlamento non conosce più queste lunghe vacanze cristiane, che una volta s’estendevano a tutta la Quaresima; le camere si chiudevano solo il Mercoledì Santo, per riaprirsi dopo la Domenica “Quasimodo”. Il Martedì Santo, ultimo giorno di seduta, il Parlamento si recava alle carceri del Palazzo ed uno dei Grandi Presidenti, di solito l’ultimo investito, apriva la seduta con la camera; interrogavano i detenuti, e senz’alcun giudizio, si mettevano in libertà quelli la cui causa era favorevole, o chi non era un criminale di prim’ordine.

La vera uguaglianza e fraternità.

Le rivoluzioni che si succedettero per più di cent’anni ebbero il vantato successo di secolarizzare la Francia, cioè di cancellare dai pubblici costumi e dalla legislazione tutto ciò che traeva ispirazione dal sentimento soprannaturale del cristianesimo. E poi si misero a predicare agli uomini, su tutti i toni, ch’erano uguali fra loro. Sarebbe stato superfluo cercare di convincere di questa verità i popoli cristiani nei secoli di fede, quando, all’avvicinarsi dei grandi anniversari che rappresentavano così al vivo la giustizia e la misericordia divina, si vedevano i regnanti abdicare, per così dire, al loro scettro, per lasciare a Dio il castigo dei colpevoli, e sedersi al banchetto pasquale della fraternità, vicini ad uomini che fino a qualche giorno prima avevano tenuto in catene nel nome della società. Il pensiero di Dio, di fronte al quale tutti gli uomini sono peccatori, di quel Dio, dal quale soltanto proviene la giustizia ed il perdono, dominava in quei giorni tutte le nazioni; veramente si potevano datare le ferie della grande Settimana alla maniera di certi diplomi di quell’epoca di fede : « Sotto il regno di Nostro Signor Gesù Cristo » : Regnante Domino Nostro Jesu Christo. Forse, tramontati i giorni della santa cristiana uguaglianza, ripugnava ai sudditi riprendere il giogo della sottomissione ai governanti o questi pensavano di approfittare dell’occasione per redigere la carta dei diritti dell’uomo? Niente affatto: lo stesso pensiero che aveva umiliato dinanzi alla Croce del Salvatore i fasci della legale giustizia, rivelava al popolo il dovere d’obbedire ai potenti stabiliti da Dio. Dio era la ragione del potere e, nello stesso tempo, della sottomissione; e le dinastie si potevano succedere, senza che per questo scemasse nei cuori il rispetto dell’autorità. Oggi la santa Liturgia non esercita più quest’influsso sulla società; la religione si rifugia come un segreto in fondo alle anime fedeli; le istituzioni politiche non sono diventate altro che l’espressione della superbia umana che vuole comandare o si rifiuta d’obbedire. Eppure la società del IV secolo, che produsse quasi spontaneamente, per il solo spirito cristiano, le leggi misericordiose che abbiamo menzionate, era ancora mezzo pagana! Mentre la nostra fu fondata dal Cristianesimo, che, solo, ha il merito d’aver civilizzato i nostri padri barbari; e noi chiamiamo progresso questo cammino a ritroso di tutte le garanzie di ordine, di pace e di moralità che avevano ispirato i legislatori? E quando rinascerà la fede dei padri, che sola può restaurare dalle basi le nazioni? Quando i saggi di questo mondo la finiranno con le loro utopie, che non hanno altro risultato che di assecondare quelle funeste passioni, che i misteri di Gesù Cristo, rinnovantisi in questi giorni, condannano così solennemente?

L’abolizione della schiavitù.

Se lo spirito di carità e il desiderio d’imitare la misericordia divina ottenevano dagl’imperatori cristiani la liberazione dei prigionieri, schiavi, nei giorni in cui Gesù Cristo si degnò restituire col suo sangue la libertà a tutto il genere umano. La schiavitù, figlia del peccato ed istituzione fondamentale del mondo antico, era stata colpita a morte dalla predicazione del Vangelo; ma toccava ai singoli abolirla, a mano a mano, con l’applicazione del principio della fraternità cristiana. Come Gesù Cristo ed i suoi Apostoli non ne avevano richiesto l’abolizione di punto in bianco, così i prìncipi cristiani s’erano limitati a favorirla con le leggi. Ne abbiamo un esempio nel Codice di Giustiniano, che dopo aver interdetti i processi durante la grande Settimana e quella successiva, ingiunge la seguente disposizione: « È inoltre permesso concedere la libertà agli schiavi, e qualsiasi atto necessario alla loro liberazione non sarà ritenuto contravvenire alla legge » (Cod.1.3, tit. XII, de feriis, Leg. 8). Del resto, con una simile caritatevole misura, Giustiniano non faceva altro che applicare alla quindicina di Pasqua la legge di misericordia apportata da Costantino all’indomani del trionfo della Chiesa, la quale proibiva ogni processo la Domenica, salvo quello che mirava alla libertà degli schiavi. – Molto tempo prima della pace costantiniana, la Chiesa aveva provveduto agli schiavi nei giorni che si svolgevano i misteri della redenzione universale. I padroni cristiani dovevano lasciarli godere d’un completo riposo durante la sacra quindicina. La legge canonica introdotta nelle Costituzioni Apostoliche, che è una collezione compilata prima del IV secolo, è di questo tenore : « Durante la grande Settimana che precede il giorno di Pasqua, e per tutta la seguente, si lascino a riposo gli schiavi, perché la prima è la settimana della Passione del Signore, e la seconda quella della sua Risurrezione, durante le quali bisogna istruirli su tali misteri » (Costit. Apost., I. 8, c. XXXIII).

Le opere di carità.

Infine, ancora una caratteristica dei giorni ai quali ci avviciniamo, è una più abbondante elemosina ed una maggior frequenza delle opere di misericordia. S. Giovanni Crisostomo ce l’attesta per il suo tempo, e ce lo fa notare nell’elogio che tesse di molti fedeli, i quali raddoppiavano le loro elargizioni verso i poveri, per avvicinarsi il più possibile alla munificenza divina che stava per prodigare senza misura i suoi benefici all’uomo peccatore.

Capitolo II

Misteri e riti.

La Liturgia è piena di misteri in questo tempo nel quale la Chiesa celebra gli anniversari di sì meravigliosi avvenimenti; ma riferendosi per lo più a riti e cerimonie propri d’alcuni giorni particolari, ne tratteremo a misura che si presenterà l’occasione. Intendiamo qui solamente dedicare alcune parole, alle costumanze della Chiesa nelle due prossime settimane.

Il digiuno.

Non abbiamo nulla da aggiungere a quanto abbiamo esposto sul mistero dei quaranta giorni; il periodo dell’espiazione perdura nel suo corso fin quando il digiuno degli uomini non abbia raggiunta la durata di quello che fece l’Uomo-Dio nel deserto. I fedeli di Cristo continuano a combattere, sotto l’armatura spirituale, i nemici invisibili della salvezza; assistiti dagli Angeli della luce, essi lottano corpo a corpo con gli spiriti delle tenebre, mediante la compunzione del cuore e la mortificazione della carne.

Tre obiettivi.

Tre fatti assillano specialmente la Chiesa durante la Quaresima : la Passione del Redentore, di cui abbiamo avvertito l’avvicinarsi di settimana in settimana: la preparazione dei Catecumeni al Battesimo, che sarà conferito la notte di Pasqua ; e la riconciliazione dei pubblici Penitenti, ai quali la Chiesa riaprirà le porte il Giovedì Santo. Ogni giorno che passa si sentono sempre più vive queste tre grandi preoccupazioni della Chiesa.

La Passione.

Gesù, risuscitando Lazzaro in Betania, alle soglie di Gerusalemme, fece giungere al colmo la rabbia dei suoi nemici. Il popolo è impressionato nel veder ricomparire per le vie della città questo morto quatriduano; si chiede se il Messia opererà prodigi maggiori, e non sia giunto finalmente il tempo di cantare Osanna al Figlio di David. Fra poco non sarà più possibile contenere l’entusiasmo dei figli d’Israele. I pìncipi dei sacerdoti e gli anziani del popolo non hanno più un minuto da perdere, se vogliono impedire che Gesù di Nazaret venga proclamato re dei Giudei. Stiamo quindi per assistere ai loro infami consigli; il sangue del Giusto sarà venduto e pagato in denaro contante; la Vittima divina, tradita da un suo discepolo, sarà giudicata, condannata, immolata. Le circostanze di questo dramma non saranno più un semplice oggetto di lettura, perché la Liturgia li rinnoverà nella maniera più espressiva davanti agli occhi del popolo cristiano.

I Catecumeni.

Ancora poco tempo rimarranno a desiderare il santo Battesimo i Catecumeni, l’istruzione dei quali va completandosi di giorno in giorno; le figure dell’antica alleanza fra poco finiranno di passare davanti a loro, e non avranno più niente da impararvi sui misteri della salute. Sarà ad essi consegnato allora il Simbolo della fede; iniziati così alle grandezze ed alle umiliazioni del Redentore, attenderanno insieme ai fedeli l’istante della sua Risurrezione; e noi li accompagneremo coi nostri voti ed i nostri canti nell’ora solenne in cui, immersi nella salvifica piscina, e lasciate tutte le loro sozzure nelle acque rigeneratrici, risaliranno puri e radiosi a ricevere i doni dello Spirito Santo e la santa Comunione della carne dell’Agnello che non morrà mai più.

I Penitenti.

Avanza a grandi passi, anche la riconciliazione dei Penitenti, che sotto il cilizio e la cenere perseguono l’opera della loro espiazione. Si continueranno a fare loro le consolanti letture intese, altre volte, e sempre più disseteranno le loro anime. L’immolazione dell’Agnello che s’avvicina aumenta la loro speranza, perché sanno che il sangue dell’Augello ha una virtù infinita e cancellerà tutti i loro peccati. Prima che il liberatore risorga, essi avranno ricuperata l’innocenza perduta; il perdono sarà loro anticipato in tempo utile per assidersi, fortunati figli prodighi, alla mensa del Padre di famiglia, nello stesso giorno in cui egli dirà agl’invitati: « Ho bramato ardentemente di mangiare con voi questa Pasqua» (Lc. XXII, 15).

Il lutto della Chiesa.

Tali sono in breve le auguste scene che ci attendono; ma nello stesso tempo vedremo la santa Chiesa inabissarsi sempre più nella sua luttuosa tristezza. Fino a poco fa piangeva i peccati dei suoi figli; ora comincia a piangere la morte dello Sposo celeste. Da molto tempo ha già bandito dai suoi inni l’Alleluia; ma arriverà al punto di sopprimere anche la lode alla SS. Trinità, con la quale chiude ogni Salmo. Eccetto i giorni nei quali si celebra la memoria di qualche Santo, la cui festa potrebbe ancora incontrarsi fino al sabato di Passione, la Chiesa ometterà, prima in parte, poi totalmente, perfino quelle parole che amava tanto ripetere: « Gloria al Padre, al Figliolo e allo Spirito Santo »! – Le letture del Mattutino sono prese da Geremia. Il colore dei paramenti liturgici è sempre quello della Quaresima; ma quando si giungerà al Venerdì Santo, il violaceo sarà sostituito dal nero, come quando si piange il trapasso d’un mortale; in questo giorno infatti è morto il suo Sposo: sono stati i peccati degli uomini ed i rigori della giustizia divina che pesando sopra di lui, gli hanno fatto rendere l’anima al Padre, fra gli orrori dell’agonia.

Riti Liturgici.

Nell’attesa di quest’ora, la santa Chiesa manifesta i suoi dolorosi presentimenti velando anticipatamente l’immagine del divino Crocifisso. La stessa Croce s’è resa invisibile ai fedeli, scomparendo dietro un velo (L’uso si ricollega verosimilmente all’idea dell’antica pubblica penitenza. Sappiamo, infatti, che i pubblici penitenti, dal mercoledì delle Ceneri fino al Giovedì Santo, erano espulsi dalla Chiesa. Abbandonata la pubblica penitenza, si pensò di stendere un drappo fra l’altare e la navata centrale d’ogni chiesa per far comprendere a tutti i fedeli che senza penitenza non potevano arrivare alla visione di Dio. Soppresso poi il « drappo della Quaresima », si cominciarono a coprire i crocifissi e le statue; solo però nel tempo di Passione). Non si vedranno più le immagini dei Santi, perché è giusto che il servo si nasconda, quando si eclissa la gloria del Padrone. Gl’interpreti della Liturgia insegnano che l’austera usanza di velare la Croce nel tempo di Passione significa l’umiliazione del Redentore, che fu costretto a nascondersi per non essere lapidato dai Giudei; come leggeremo nel Vangelo della Domenica di Passione. – La Chiesa applica tale prescrizione fin dai Vespri del sabato, e con tale severità, che negli anni in cui la festa dell’Annunciazione cade nella settimana di Passione, l’immagine di Maria, Madre di Dio, rimane coperta, sebbene sia il giorno in cui l’Angelo la saluta piena di grazia e benedetta fra tutte le donne.

Capitolo III

PRATICA DEL TEMPO DI PASSIONE

E DELLA SETTIMANA SANTA

Contemplazione del Cristo.

Il cielo della santa Chiesa si fa sempre più cupo; non bastano più al suo dolore le tinte severe di cui s’era rivestita durante le quattro passate settimane. Ella sa che gli uomini cercano Gesù e hanno deciso la sua morte; non passeranno dodici giorni, ed i suoi nemici gli metteranno addosso le mani sacrileghe. Lo seguirà sul monte Calvario per raccoglierne l’ultimo suo anelito, e farà porre sul suo corpo esanime la pietra del sepolcro. Non ci dobbiamo quindi meravigliare, se invita i suoi figli, durante questa quindicina, a contemplare Colui che forma l’oggetto di tutti i suoi affetti e di tutte le sue tristezze.

Amore.

Non le lacrime, od una sterile compassione ci domanda la nostra Madre; ma che approfittiamo degl’insegnamenti che derivano dagli avvenimenti della grande Settimana. Essa ci ricorda ciò che il Salvatore disse, salendo il Calvario, alle donne di Gerusalemme che osavano piangerlo al cospetto dei carnefici : « Non piangete sopra di me, ma su di voi stesse e sui vostri figli » (Lc. XXIII, 28). Non che egli rifiutasse il tributo delle loro lacrime, di cui anzi era commosso; ma fu l’amore che sentiva per loro a suggerirgli quelle parole, soprattutto perché voleva vederle ben comprese della grandezza di ciò che si stava adempiendo, nel momento in cui la giustizia di Dio si manifestava così inesorabile verso il peccato.

Penitenza.

Fin dalle precedenti settimane la Chiesa iniziò la conversione del peccatore; ora la vuole perfezionare. Non ci mostra più un Cristo che digiuna e che prega sul monte della Quarantena, ma la Vittima universale che s’immola per la salvezza del mondo. È scoccata l’ora in cui la potenza delle tenebre s’approfitterà del momento che egli le ha Concesso; e il più orrendo dei delitti sarà consumato. Fra qualche giorno il Figlio di Dio sarà dato in potere dei peccatori, che lo uccideranno. Non occorre più che la Chiesa esorti i suoi figli alla penitenza, perché sanno benissimo quale espiazione abbia imposto il peccato; essa è tutta presa dai sentimenti che le ispira la fine d’un Dio sulla terra, ed esprimendo nella liturgia, ci è di guida a quelli che dobbiamo concepire in noi.

Dolore.

Il carattere principale delle preghiere e dei riti della presente quindicina consiste nel profondo dolore di vedere il Giusto conculcato dai suoi nemici fino alla morte, e nella più energica indignazione contro il popolo deicida. David e i Profeti forniranno di solito la base dei testi liturgici. Quanto più il Cristo rivela di sua bocca le angosce della sua anima, tanto più si moltiplicheranno le imprecazioni contro i suoi carnefici. Il castigo della nazione giudaica è descritto in tutto il suo orrore, ed in ciascuno degli ultimi tre giorni ascolteremo il pianto di Geremia sulle rovine dell’infedele città. Conversione. – Prepariamoci dunque a queste forti impressioni troppo spesso ignorate dalla pietà superficiale del nostro tempo. Ricordiamo con quale amore e bontà il Figlio di Dio si diede agli uomini, visse la loro vita, « passò sulla terra facendo del bene » (Atti X, 38); e vediamo ora questa vita tutta tenerezza, condiscendenza ed umiltà, finire con un infame supplizio sul patibolo degli schiavi. Consideriamo da un lato la perversità del popolo peccatore che, in mancanza dei delitti, imputa a colpa i benefici del Redentore, e consuma la più nera ingratitudine con l’effusione d’un sangue innocente e divino; e dall’altro contempliamo il Giusto per eccellenza in preda a tutte le amarezze, con l’anima « triste fino alla morte » (Mt. XXVI, 38), con la maledizione che pesa su di Lui, mentre beve questo calice fino alla feccia, nonostante la sua umile implorazione; il Cielo che rimane inflessibile alle sue preghiere ed ai suoi dolori; e ascoltiamo il suo grido: «Dio mio. Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt. XXVII, 46). È questo ciò che commuove la santa Chiesa, è questo che ella ci offre a contemplare; perché sa che, se saremo compenetrati di quella scena, i legami che avevamo col peccato si scioglieranno da sé, e ci sarà impossibile rimanere ancora complici di tali misfatti.

Timore.

Purtroppo, la Chiesa sa anche la durezza del cuore umano, e come esso ha bisogno di timore per decidersi una buona volta ad emendare la propria vita: ecco perché non ci risparmia nessuna delle imprecazioni che i Profeti mettono in bocca al Messia contro i nemici. Tali anatèmi sono altrettante profezie che s’avverarono alla lettera negli ostinati Giudei; ma stanno anche ad ammonirci che pure il cristiano li deve temere, se persiste, secondo l’energica espressione di S. Paolo, « a crocifiggere Gesù Cristo » (Ebr. VI, 6). Ricordi allora le parole del medesimo Apostolo: « Quanto più acerbi supplizi pensate voi che si meriti chi avrà calpestato il Figlio di Dio, ed avrà tenuto come profano il sangue del testamento col quale è stato santificato, ed avrà fatto oltraggio allo spirito della grazia? Ben sappiamo chi sia Colui che ha detto: – A me la vendetta! Io darò la retribuzione! – ed ancora: – /Il Signore giudicherà il suo popolo -. È cosa terribile cadere nelle mani del Dio vivente» (Ebr. X, 29-31).

Orrore del peccato.

Infatti, niente di più spaventoso, perché nei giorni in cui siamo « egli non ha risparmiato nemmeno il proprio Figliolo » (Rom. VIII, 32), dandoci con tale imperscrutabile rigore la misura di ciò che dovremmo attenderci da Lui, se trovasse ancora in noi il peccato, che lo costrinse ad essere così inesorabile verso il suo diletto Figliolo « oggetto di tutte le sue compiacenze » (Mt. III, 17). Queste considerazioni sulla giustizia verso la più innocente e la più augusta di tutte le vittime, e sul castigo dei Giudei impenitenti, distruggeranno in noi l’affetto al peccato e matureranno quel salutare timore sul quale poggeranno, come sopra un’incrollabile base, una ferma speranza ed un sincero amore.

Virtù del sangue divino.

Infatti, se coi nostri peccati siamo gli autori della morte del Figlio di Dio, è anche vero che il sangue che scorre dalle sue santissime piaghe ha la virtù di lavarci da questo delitto. La giustizia del Padre celeste può solo placarsi mediante l’effusione del sangue divino; d’altra parte la sua stessa misericordia vuole che questo sangue vada a nostro riscatto. Il ferro dei carnefici ha aperto cinque piaghe nel corpo del Redentore: sono cinque sorgenti di salvezza che scorrono ormai sull’umanità a purificare e rinnovare in ciascuno di noi l’immagine di Dio cancellata dal peccato. Accostiamoci dunque con confidenza a glorificare il sangue liberatore che apre al peccatore le porte del cielo, ed il cui valore infinito basterebbe a riscattare milioni di mondi più colpevoli del nostro. Siamo prossimi all’anniversario del giorno in cui esso fu versato; passarono molti secoli da quando scese a bagnare le membra trafitte del nostro Salvatore, e, scorrendo giù giù dall’alto della croce, inzuppò questa terra ingrata: ma la sua potenza è sempre la stessa.

Rispetto e confidenza verso il sangue divino.

Veniamo dunque ad « attingere alle fonti del Salvatore» (Is. XII, 3); e le nostre anime torneranno piene di vita, tutte pure e splendenti di celeste bellezza; non rimarrà in essa la minima traccia delle passate sozzure; ed il Padre ci amerà con lo stesso amore con cui ama il Figlio suo. Non fu forse per ritrovare noi, ch’eravamo perduti, che lasciò morire il Figlio della sua tenerezza? Noi eravamo divenuti preda di satana per i peccati; ed ecco che tutto ad un tratto egli ci strappa dalle sue mani e ci restituisce la libertà. Dio però non usò la forza per sottrarci dal rapitore: allora come siamo diventati nuovamente liberi? Ascoltiamo l’Apostolo : « Siete stati comprati a caro prezzo » (I Cor. VI, 20). E qual è questo prezzo? Ce lo spiega il Principe degli Apostoli : « Non mediante cose corruttibili come l’oro e l’argento, siete stati riscattati, ma col prezioso sangue di Cristo, dell’Agnello immacolato e senza macchia» (I Piet. 1, 18-19). Messo questo sangue divino sulla bilancia della giustizia celeste, l’ha fatta pendere in nostro favore: tanto sorpassava il peso delle nostre iniquità! La forza di questo sangue è riuscita ad abbattere le porte dell’inferno, ha rotto le nostre catene, e « ricomposta la pace fra il cielo e la terra » (Col. 1, 20). Raccogliamo dunque sopra di noi questo sangue prezioso; laviamo in esso tutte le nostre piaghe, e segnamocene la fronte come d’un sigillo indelebile e difensore, affinché nel giorno dell’ira siamo risparmiati dalla spada vendicatrice.

Venerazione della Croce.

Insieme al sangue dell’Agnello che toglie i peccati, la santa Chiesa ci raccomanda di venerare anche la Croce, come l’altare sul quale è immolata la Vittima. Due volte nel corso dell’anno, nella festa dell’Invenzione e dell’Esaltazione, ci sarà mostrato questo sacro legno per ricevere i nostri onori, come il trofeo della vittoria del Figlio di Dio; però in questo momento ci parla solo dei suoi dolori, presentandola come un oggetto d’umiliazione e d’ignominia. Aveva detto il Signore nell’antica alleanza: «Maledetto chi pende dal legno » (Deut. XXI, 23), e l’Agnello che ci salva si degnò affrontare questa maledizione; ma, per ciò stesso, come ci è caro il legno una volta infame! È divenuto lo strumento della nostra salvezza, il pegno dell’amore del Figlio di Dio per noi. Per questo la Chiesa, in nostro nome, Gli dedicherà ogni giorno i più affettuosi omaggi; e noi uniremo alle sue le nostre adorazioni. La riconoscenza verso il Sangue che ci ha riscattati, una tenera venerazione verso la santa Croce, saranno dunque, durante questi quindici giorni, i sentimenti che occuperanno particolarmente i nostri cuori.

Amore per Cristo.

Ma che faremo proprio per l’Agnello, per colui che ci dà il suo sangue ed abbraccia con tanto amore la croce della nostra liberazione ? Non è forse giusto che ci attacchiamo ai suoi passi e, più fedeli degli Apostoli al momento della sua Passione, lo seguiamo giorno per giorno, ora per ora, nella Via dolorosa? Gli terremo fedele compagnia, in questi ultimi giorni in cui s’è ridotto a nascondersi agli sguardi dei suoi nemici; invidieremo la sorte di quelle poche famiglie devote che l’accolgono fra le loro pareti, esponendosi con la coraggiosa ospitalità a tutta la rabbia dei Giudei; compatiremo gli affanni della più tenera delle madri; penetreremo col pensiero nel Sinedrio, dove si macchina la congiura contro la vita del Giusto. Ad un tratto l’orizzonte sembrerà illuminarsi un istante, ed ascolteremo il grido dell’Osanna risuonare per le strade e per le piazze di Gerusalemme. Tale inatteso trionfo del Figlio di David, le palme, le voci innocenti dei fanciulli, daranno tregua per un istante ai nostri presentimenti. Il nostro amore s’unirà al tributo d’omaggio reso al Re d’Israele che visita con una tale dolcezza la figlia di Sion, affinché sia adempiuto l’oracolo profetico; ma queste gioie avranno poca durata, e ricadremo subito nella tristezza!

Meditazione della Passione..

Giuda non tarderà a mercanteggiare l’odioso baratto; finalmente arriverà l’ultima Pasqua ed il simbolo dell’agnello sparirà alla presenza del vero Agnello, di cui la carne ci sarà data in cibo ed il sangue in bevanda. Questa sarà la Cena del Signore. Vestiti degli abiti nuziali, prenderemo posto fra i discepoli, perché è il giorno della riconciliazione nel quale si riuniscono intorno ad una stessa mensa il peccatore pentito e il giusto sempre fedele. Ma il tempo stringe: ci dobbiamo incamminare all’orto del Getsemani; là potremo calcolare il peso delle nostre iniquità alla vista del deliquio del Cuore di Gesù, che n’è tanto oppresso da domandar grazia. Ecco, che, nel cuor della notte, le guardie e le soldatesche, guidate dal traditore, catturano i Figlio dell’Eterno; e le legioni angeliche che lo adoravano rimarranno quasi disarmate dinanzi a tale misfatto. Comincerà allora la serie delle ingiustizie che avranno per teatro i tribunali di Gerusalemme: la menzogna, la calunnia, le debolezze del governatore romano, gl’insulti delle guardie e dei soldati, i tumultuosi schiamazzi d’una plebaglia ingrata e crudele; tali i fatti che s’addenseranno nelle rapide ore che passeranno dall’istante in cui il Redentore sarà preso dai suoi nemici fino a quando salirà, sotto il peso della croce, la collina del Calvario. Vedremo da vicino tutte queste cose; il nostro amore non potrà allontanarsi in quei momenti in cui, fra tanti oltraggi, il Redentore tratta il grande affare della nostra salvezza. Finalmente, dopo gli schiaffi e gli sputi, dopo la sanguinosa flagellazione, dopo l’obbrobriosa crudeltà della coronazione di spine, ci metteremo in cammino sulle orme del Figlio dell’Uomo; e sulle tracce del suo sangue ne riconosceremo i passi. Dovremo irrompere fra la calca d’un popolo che brama il supplizio dell’innocente, per sentire le imprecazioni vomitate contro il Figlio di David. Giunti sul luogo del sacrificio, vedremo coi nostri occhi l’augusta Vittima spogliata delle sue vesti, inchiodata sul legno su cui dovrà spirare, ed innalzata in aria fra il cielo e la terra, quasi per essere più esposta agl’insulti dei peccatori. Ci accosteremo all’Albero della vita per non perdere neppure una goccia del sangue che purifica, e neppure una parola che, a tratti, il Redentore farà giungere if no a noi. Compatiremo la Madre sua, il cui cuore sarà trafitto dalla spada del dolore ; e presso di Lei saremo nel momento in cui Gesù, prima di spirare, ci affiderà alla sua tenerezza di madre. Quindi, dopo tre ore d’agonia, lo vedremo inclinare il capo e ne riceveremo l’ultimo respiro.

Fedeltà.

Ecco quello che ci resta: un corpo contuso e senza vita, e delle membra insanguinate e irrigidite dal freddo della morte. È questo il Messia che con tanta allegrezza avevamo salutato quando venne in questo mondo ? Non è bastato a Lui. Figlio dell’Eterno, « annientarsi fino a prendere forma di schiavo » (Filip. II, 7); questa nascita nella carne era solo il principio del suo sacrificio; e il suo amore lo doveva spingere fino alla morte, ed alla morte di croce. Sapeva che non avrebbe ottenuto il nostro amore, se non a prezzo d’una immolazione così generosa ; ed il suo cuore non si è rifiutato. « Amiamo dunque Dio, dice S. Giovanni, perché Egli per il primo ci ha amati (I Gv. IV, 19). È la mèta che si propone la Chiesa in questi solenni anniversari. Dopo avere abbattuta la superbia ed ogni resistenza con lo spettacolo della divina giustizia, sprona il nostro cuore ad amare finalmente Colui che s’è offerto in vece nostra a subirne i duri colpi. Guai a noi, se questa grande settimana non apportasse alle nostre anime un giusto ritorno verso Colui che aveva tutti i diritti d’abbominarci, e che invece ci ha amati più di se stesso! Diciamo dunque con l’Apostolo : « La carità di Cristo ci stringe, persuasi come siamo ch’Egli è morto per tutti, affinché quelli che vivono non vivano già per loro stessi, ma per Colui ch’è morto e risuscitato per essi » (II Cor. V, 14-15). Tale fedeltà dobbiamo a chi fu nostra vittima, e che fino all’ultimo istante, invece di maledirci, non cessò mai d’implorare ed ottenere per noi misericordia. Un giorno riapparirà sulle nubi del cielo e « gli uomini vedranno, dice il Profeta, chi hanno trafitto » (Zac. XII, 10). Possiamo anche noi essere fra coloro, ai quali la vista delle cicatrici delle sue piaghe ispirò confidenza, avendo riparato col loro amore ogni reato di cui s’erano resi colpevoli verso il divino Agnello!

Confidenza.

Speriamo dalla misericordia di Dio che i santi giorni in cui entriamo producano in noi quella felice trasformazione che ci permetta, quando suonerà l’ora del giudizio di questo mondo, di sostenere senza tremare lo sguardo di Colui che sarà calpestato dai piedi dei peccatori. La morte del Redentore sconvolge tutta la natura: il sole meridiano s’oscura, la terra trema dalle fondamenta, le rocce si spaccano: che ne siano scossi anche i nostri cuori, e dall’indifferenza passino al timore, dal timore alla speranza, infine dalla speranza all’amore; affinché dopo essere discesi col nostro liberatore negli abissi della tristezza, meritiamo di risalire con lui alla luce, irradiati dagli splendori della sua Risurrezione che, recandoci il pegno d’una vita nuova, non potranno più estinguersi in noi.

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XXI-XXIV]

XXI

FUORI DELLA CHIESA NON V’ HA SALUTE!

QUALE INTOLLERANZA! IO NON POSSO AMMETTERE UNA REGOLA

COSI’ CRUDELE!

R. Ecco ciò che non potete ammettere nel senso in cui l’intendete, cioè: Chiunque non è cattolico è dannato. Ma eccovi anche il perché si critica la religione punto non comprendendola, e come le si fan dire cose che le fanno orrore. – Questa parola infatti intesa come la Chiesa insegna è la più semplice delle verità, una verità di buon senso [Fuor della Chiesa non v’è salute, cioè a dire fuor della luce le tenebre: fuor del bianco il nero; fuori del bene il male! fuor della vita la morte; fuor della verità l’errare ecc. Dove è dunque il mistero di tutto ciò? Dove à la difficoltà?]: “Fuori della Chiesa non v’ ha salute. » Significa semplicemente « che si è obbligati sotto pena di grave peccato di credere e praticare la vera religione che è la religione cattolica, allorché si è a portata di farlo: ciò significa che voi peccate, e per conseguenza perdete la vostra anima se rigettate volontariamente la verità quando essa si mostra a voi. Vi ha in ciò qualche cosa di straordinario? Vi ha in ciò di che gridare all’intolleranza, alla crudeltà? – Un protestante, uno scismatico, non è dannato per ciò solo che è protestante o scismatico. Se egli è di buona fede nel suo errore, cioè a dire se non poté per una o per altra ragione conoscere ed abbracciare la fede cattolica, egli è considerato dalla Chiesa come facente parte dei suoi figli; e se visse secondo che ha creduto essere la vera legge di Dio, egli ha diritto alla felicità del cielo come se fosse stato cattolico. – Vi ha, grazie a Dio! un gran numero di protestanti in questa buona fede, ed alcune volte se ne ritrovano anche tra i loro ministri. Monsignor de Chéverus vescovo di Boston ne ha convertiti due molto dotti, e molto pii; e dopo il loro ritorno alla Chiesa Cattolica dichiaravano all’ottimo vescovo, che sino all’epoca, in cui l’avevano conosciuto, essi non avevano giammai avuto dubbi sulla verità della loro religione. Non c’inquietiamo d’altronde del giudizio che Dio darà dei protestanti, nonché degli idolatri, dei selvaggi, ecc., ecc. Noi sappiamo per una parte che Dio è buono, che vuole la salute di tutti, e per altra parte, ch’Egli è la giustizia medesima. Serviamolo quanto meglio possiamo, e non c’inquietiamo per gli altri. – Gian Giacomo Rousseau, che il primo si eresse in apostolo della tolleranza religiosa, ha su questa materia come quasi su tutte quelle che ha trattate, confuse le idee del più semplice buon senso a forza di sofismi, e di retorica. – Se invece di coprirsi coll’abito del “vicario savoiardo” [Titolo d’una detestabile opera di Rousseau, in cui egli intacca la religione in sembiante il più condido, il più mellifluo, il più devoto] per farlo parlare contro la Chiesa, egli avesse consultato il vice-parroco della sua parrocchia, per conoscere la dottrina cattolica, prima di combatterla, avrebbe conosciuto, che falsificava in modo strano questa dottrina, o che la giudicava con una leggerezza compassionevole. Ma questo non tornava a conto a questo superbo sofista, che anzi tutto cercava a far parlare di sé, ed a comparire. – Egli ha confuso due cose essenzialmente distinte: l’intolleranza in fatto di dottrina e l’intolleranza in fatto di persone; [Rousseau è forse più pericoloso dì Voltaire, perché è meno violento, meno sincero nei suoi odi religiosi, meno cattivo, meno incredulo. Il suo stile più ampolloso e più grave che quello di Voltaire copre meglio il sofisma. — Rousseau è il capo di quel falso liberalismo, gonfio di prevenzione, che maschera la sincerità di questo filosofismo agro-dolce che da un secolo falsa le intelligenze, corrompe e travolge le società, spinge a tutte le licenze in nome della libertà, a tutte le qualità di persecuzioni in nome della – La giustizia del pubblico comincia a pesare sopra Rousseau e sopra Voltaire. Essi fecero assai male alla Francia e la loro dannosa influenza non ha ancora interamente cessato. L’imperatore Napoleone disprezzava grandemente questi due uomini: “Per trovarli grandi, dlceva, bisogna che i loro contemporanei fossero ben piccoli!], e dopo aver tutto confuso, si mise a far l’irritato, a gridare alla crudeltà, alla barbarie. Se la Chiesa insegnasse ciò che pretende che ella insegni, sì essa sarebbe dura e crudele, si avrebbe gran difficoltà a crederla. Ma non è cosi: la Chiesa non è intollerante che nella misura giusta, Vera, necessaria. Piena di misericordia per le persone, ella non è intollerante che per le dottrine. Essa fa come Dio che in noi detesta il peccato ed ama la persona. L’intolleranza dottrinale è il carattere essenziale della vera religione. La verità infatti che ella deve insegnare per officio commessole, è assoluta ed immutabile. Tutti devono adattarvisi; ella non deve piegarsi avanti a chicchessia. Chiunque non la possiede s’inganna. Non v’hanno transazioni possibili con essa, o tutto o niente. Fuor d’essa non vi è che l’errore. La Chiesa cattolica sola ha sempre avuta questa inflessibilità nel suo insegnamento. Questa è una delle più splendide prove della sua verità,della divina missione dei suoi pastori. Indulgente colle debolezze, non lo è stata e non lo sarà mai con l’errore. « Se alcuno non crede a ciò che insegna, proclama essa nelle regole di fede formulate dai suoi concilii, sia anatema!, cioè a dire separato dalla società cristiana. La verità sola parla con questa forza. Le persone che colla scorta di Rousseau, accusano la Chiesa di crudeltà a proposito dell’intolleranza che le imputano, hanno essi letto nel Contratto sociale di questo dolce e tollerante maestro, questa massima : « Il sovrano può bandire dallo stato » chiunque non crede gli articoli di fede della religione del paese…. Se qualcuno, dopo aver riconosciuto pubblicamente questi stessi dogmi si regola come se non li credesse punto, sia punito di morte ! » (lib. 4, cap. 8) … Quale tolleranza!!! Uopo è confessare che la Chiesa se ne intende meglio di quelli che vogliono farle da maestro.

XXII.

MA … E LA STRAGE DI S. BARTOLOMEO?

R. È forse la strage cosi della di S. Bartolomeo che vi impedisce di ben vivere*? E temete voi, se divenite buon cristiano, di venire spinto a massacrare i vostri compagni quand’essi non servano a Dio? – La strage del dì di san Bartolomeo è stata uno di quegli eccessi deplorevoli, che l’irritazione delle guerre civili, l’astuzia della politica, il furore di qualche fanatico, la crudeltà dei costumi di quel tempo possono solo spiegare. – La religione è ben lungi dall’approvare tutto ciò che si fa in suo nome, e che si copre del suo sacro manto. Bisogna poi aggiungere, che i suoi nemici hanno stranamente snaturato questo delitto L’hanno rappresentalo come l’opera della religione, mentre non è che l’opera dell’invidia, del fanatismo biasimato dalla religione. – Essi l’hanno rappresentata falla dai preti, mentreché neppur uno vi prese parte. Anzi ve n’ebbero diversi, tra gli altri il vescovo di Lisieux, che salvarono tutti gli Ugonotti, che poterono, e che intercedettero per essi presso il re Carlo IX, ecc. Se v’ha fatto al presente accertato, e fuori di contestazione, si é, che la strage di s. Bartolomeo è soprattutto un colpo di stato politico, che la religione ne fu il pretesto, anziché la cagione, e che l’astuta Caterina de Medici, madre di Carlo IX mirò piuttosto a liberarsi da un partito che ogni giorno più incagliava e molestava il suo governo, anziché a procurare la gloria di Dio. – Piacque ad un poeta della scuola Volteriana di rappresentare il cardinale de Lorena « nell’atto di benedire i pugnali dei cattolici.» Sgraziatamente questo cardinale si trovava a Roma in quel tempo per l’elezione di Papa Gregorio XIII, successore di s. Pio V, che era morto in quel tempo. Ma questi Signori non guardano tanto pel sottile: « Mentite, mentite sempre, osava scrivere Voltaire ai suoi amici, qualche cosa vi resterà[Lettera al Marchese d’Argens] » – Da tre secoli l’odio dei protestanti e poscia dei Volteriani contro la Chiesa, ha talmente alterata la storia, che riesce assai difficile di scoprirvi la verità. Si accomodano i fatti, si aggiunge, si toglie e se occorre eziandio s’inventa. S’imputano alla Chiesa delitti che detesta. Si fanno pesare sulla religione accuse odiose. Diffidatevi in generale dei fatti storici, in cui la religione rappresenta una parte ridicola, o barbara, od ignobile. Può darsi, che siano veri: e allora bisogna dare tutto il biasimo all’uomo debole, o vizioso, che ha dimenticato il suo carattere di prete, o di vescovo, od anche di Papa, e che dovendo fare il bene, ha fatto il male; ma può darsi altresì, (ed accade il più delle volte) che questi fatti siano, se non compiutamente inventati, almeno talmente trasformati ed esagerati, che si può con giustizia tacciarli di menzogna. – È cosa assai comoda l’assalire la Chiesa a questo modo, ma è ugualmente legittima, leale, sincera?

XXIII.

NON VI HA INFERNO, NESSUNO NE È MAI RITORNATO

R. No, nessuno ne è mai ritornato, e se v’entrate voi stesso, non ne ritornerete più che gli altri. È per questo che io vi dico: Non vi cadete! Non vi cadete! e per non cadervi, non prendetene la strada! Se si ritornasse, anche una sol volta, io vi direi: « Andatevi, e vedrete se vi ha inferno. » Ma poiché non si può fare questa esperienza, è da insensato l’esporsi ad un male senza rimedio, come senza termine, e senza misura. – Dite, che non vi ha inferno? Ne siete voi sicuro? Vi sfido d’affermarlo! Voi avreste una convinzione che niuno ebbe avanti voi, anche l’empio il più indurato: Rousseau rispondeva a questa domanda: Avvi un inferno? « Io non ne so niente : » e Voltaire ad uno de’ suoi amici il quale aveva creduto scoprire la prova della non esistenza dell’inferno scriveva : « Voi siete ben felice! io son ben lungi dall’esserlo. » – Ma ecco che al vostro forse oppongo una terribile afférmazione. Gesù Cristo il figlio di Dio fatto uomo, dice che avvi un inferno, il cui fuoco non si smorza. Queste sono le sue proprie parole che ripete per ben tre volte di seguito. [Si vede nostro Signore Gesù Cristo parlare quindici volte nel suo Vangelo del fuoco dell’inferno. Vedi, tra gli altri i sette od otto ultimi versetti del IX capo di s. Marco, in cui dice che conviene perdere e soffrire tutto, piuttosto che andare all’Inferno, in un fuoco inestinguibile, dove il verme non muore, e il fuoco non si smorza. Imperocché, soggiungi Egli, ognuno sarà salato col fuoco: » cioè ne sarà allo stesso tempo, penetrato, divorato e conservato, come il sale conserva le vivande perfettamente penetrando in esse. Vedi ancora in s. Matteo il fine del cap. XXVI « Via da me, maledetti, al fuoco eterno che fa preparato pel diavolo e per i suoi angeli… E andranno questi all’eterno supplizio, i giusti poi alla vita eterna. » – E in s, Gionanniy capo XVI « Quei, che non sì terranno in me, gettati via seccheranno a guisa di tralci, e li raccoglieranno, e li butteran sul fuoco, e bruciano. » ] – Quale è d’uopo che io creda di preferenza: un uomo che giammai studiò la religione, che attacca ciò che ignora, che non può avere che dubbi e non certezza su questo punto: — o invece colui che ha detto: « Io sono la verità: Il cielo e la terra passeranno, ma la mia parola non passerà giammai ?» – Prendetevi guardia: si è Gesù, il buon Gesù, Gesù sì misericordioso, e sì dolce che perdona tutto ai poveri peccatori pentiti: Gesù che accoglie senza una parola di rimprovero e la colpevole Maddalena, e la donna adultera, e il pubblicano Zaccheo, ed il ladro crocifisso in suo lato; si è Gesù che vi dichiara che avvi un inferno eterno di fuoco, e che lo ripete quindici volto espressamente nel suo Vangelo! Avreste voi la pretensione di saper meglio di Gesù Cristo, che cosa sia la misericordia, e la bontà? In questa materia, notate, più che in ogni altra è il cuore del malvagio che parla, e non la sua ragione. È la passione colpevole, che teme la giustizia di Dio: e che per soffocare la coscienza grida : « Non vi ha giustizia di Dio! Non vi ha inferno! » – Ma che importano alla realtà questi gridi e queste passioni? Il cieco, che nega la luce, impedisce forse alla luce di splendere! Che l’empio Io neghi o lo riconosca, esiste un inferno vendicatore del vizio, e quest’inferno è eterno! – È il grido dell’intera umanità! La certezza dell’inferno è talmente impressa nell’umana coscienza, che si ritrova infatti questo dogma presso tutti i popoli antichi, e moderni, presso i selvaggi idolatri, come presso i cristiani civilizzati. È talmente radicato nel Cristianesimo, che di tutte l’eresie, che hanno assalito i dogmi cattolici, neppur una pensò a negarlo. La verità sola dell’inferno restò salda, intatta, in mezzo a tante rovine; il protestantismo la presenta ancor più dura di quello che faccia la Chiesa. – I più grandi filosofi, i più grandi ingegni hanno ammesso l’inferno non solamente presso i cristiani, che senza dirlo si capisce, ma ancora presso i pagani: Virgilio, Ovidio, Orazio, Platone, Socrate, e perfino l’empio Celso stesso, questo Voltaire del secolo terzo. Chi oserebbe mostrarsi più ritroso di questi? – D’altronde la dottrina delle pene eterne trova nell’insegnamento della Chiesa un perfetto compenso nella dottrina della ricompensa eterna: l’una ci manifesta la sovrana, ed infinita giustizia di Dio: l’altra la sua sovrana, e infinita bontà. Ma in Dio non è tutto adorabile, la sua giustizia, come tutti gli altri suoi attributi? Lo ripeto, si nega perché si teme. – Io potrei qui aggiungere molte altre riflessioni sull’utilità, la necessità pure del dogma dell’eternità delle pene dell’inferno. Potrei far notare, che si è quest’eternità, che lo rende così utile, e necessario; come si è essa, ed essa sola, che spiace al malvagio, è pure essa sola che lo trattiene. L’uomo conosce d’essere eterno; gli bisognano perciò speranze e timori, che rispondano all’altezza del suo essere; tutto ciò che è inferiore scompare alla sua vista. – Se sì potesse conoscere tutti i delitti che il timore dell’eternità dell’inferno ha impediti, si resterebbe colpiti dalla necessità di questa sanzione; e come Dio concede all’uomo tutto ciò che gli è necessario, dalla necessità dell’eternità delle pene si conchiuderebbe alla loro realtà. Potrei mostrare altresì, che nell’inferno non avvi pentimento possibile, e quindi neppur possibile perdono; che non ci pare l’inferno così incomprensibile se non perché non ci facciamo un’idea sufficiente della grandezza del peccato di cui è il castigo, e della facilità nostra per evitarlo. Ma mi tengo alle due grandi autorità che vi ho portate in riguardo al vostro dubbio: l’autorità di Gesù Cristo e quella del genere umano. – Crediamo dunque di tutto cuore i misteri del Cristianesimo. Alla nostra fede corrispondano le azioni nostre, amiamo Dio, serviamolo, imitiamo Gesù Cristo, siamo buoni cristiani, e non avremo più a temere l’inferno.

XXIV.

DIO È TROPPO BUONO PER DANNARMI

R. Voi, voi stesso vi dannate; il vostro peccato vi conduce all’inferno. Perché dunque Dio permette il peccato? Perché avendovi dato il più grande di tutti i doni, quello della intelligenza, che vi rende simili a Lui, e avendovi preparata un’eterna felicità, punto non conveniva che vi trattasse come il bruto che non ha intelligenza e che non è fatto che per la terra. – Non conveniva che voi foste sforzato di ricevere i doni di Dio; bisognava che impiegaste la vostra intelligenza ad accettare liberamente, ed acquistare voi stesso il tesoro di una eternità beata. Ecco perché Dio ci donò coll’intelligenza, la libertà morale, cioè la facoltà di scegliere a nostro piacere il bene o il male, di seguire o non seguire la voce del nostro buon padre che ci chiama a sé. Questa libertà è la più grande impronta d’onore e di amore che potessimo ricevere da Dio. Se noi ne abusiamo, la colpa è tutta nostra, non di Lui. – Se io vi do un’arma por difendere la vostra vita, non avvi in ciò un segno d’amore per parte mia? E se, contro la mia volontà, malgrado gli avvertimenti e le lezioni che io vi ho date per ben servirvene, voi rivoltate quest’arma contro voi stesso, sarò causa della vostra ferita? Non sarà a voi solo che si dovrà imputare? – Cosi fa con noi Iddio. Ci dà la libertà per fare il bene o il male; ma niente trascura per farci scegliere il bene. Istruzioni, avvertimenti, teneri inviti, minacce terribili, niente risparmia. Ci colma di sue grazie, ci circonda dì soccorsi; ma non ci sforza: ciò sarebbe distruggere la sua opera. Rispetta in noi i doni che vi ha posti. È dunque il riprovato che si perde, è egli stesso che si danna: Dio non fa che dare a ciascuno ciò che liberamente ha scelto, la vita o la morte: il paradiso frutto della virtù; o l’inferno frutto del peccato. – Dire che: “Dio è troppo buono per dannarci” è ragionare come un uomo che un giorno entrò nell’uffizio delle diligenze a Parigi, dichiarando che voleva andare a Lilla (nel nord della Francia). Gli viene indicata perciò la vettura di Lilla. Ne vede un’altra fatta quasi allo stesso modo, ma più comoda, e vi monta. Era quella di Tolosa (città del mezzogiorno, precisamente opposta a Lilla). Il direttore dell’uffizio, il quale lo teneva d’occhio, s’accorge del suo sbaglio, corre ad avvertirlo: “Voi vi sbagliale, io credo, gli dice. Non è a Lilla, che voi volete andare?”

— Senza dubbio.

— Ebbene, Signore, voi non siete nella vettura di Lilla, questa vi condurrà a Tolosa.

— Veramente? Ma non arriverò io egualmente a Lilla?

— Come a Lilla? Voi arriverete a Tolosa se prendete la via di Tolosa.

— Orsù, disse il viaggiatore, andiamo, io non lo credo. Questa vettura somiglia molto all’altra, ed è assai più soffice; d’altronde l’amministrazione è troppo onesta per farmi andare colà dove non voglio, Rimango dunque in questa vettura che mi piace assai, sono in buonissima compagnia, lasciatemi in pace, vedrete, che domani a sera sarò a Lilla. –

Tra questi discorsi scocca l’ora della partenza. La vettura parte, e il viaggiatore il giorno dopo arriva … a Tolosa. Ciò non poteva mancare. – Lo stesso si è del viaggio di questa vita: vi sono due vie, quella della virtù, e quella del peccato. Il secondo è talora più dolce, più seducente del primo, specialmente sul principio: ma l’una conduce all’inferno, dove la dolcezza si cambia in amaro, l’altra al paradiso dove la fatica si cambia in un riposo ineffabile. – Per andare al paradiso, bisogna prendere la via del paradiso. Se voi prendete quella dell’inferno, siete cosi sicuro d’arrivare all’inferno, come quel ridicolo viaggiatore era sicuro d’arrivare a Tolosa. Il prete cattolico è la guida caritatevole, che cerca di farvi conoscere il vostro errore. Quanti non l’ascoltano, come il viaggiatore non ascoltò l’impiegato delle diligenze, e quanti si dannano per non averlo ascoltato!

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XVII-XX]

XVII.

L A CHIESA CATTOLICA HA TERMINATO IL SUO TEMPO.

R. Ecco ornai diciannove secoli, ch’essa esiste, ed ecco press’ a poco altrettanto tempo, che di essa ciò si dice. Ciascun secolo, ciascun empio, ciascun inventore di setta o di eresia, si crede finalmente arrivato al giorno famoso dell’esequie della Chiesa cattolica; ciascun di essi si crede destinato ad intonare il “De profundis” del Papato, del sacerdozio cattolico, della Messa, e di tutte le antiche credenze della chiesa… e tuttavia questo giorno non arriva: cosi nel primo secolo del cristianesimo, un proconsole dell’imperatore Traiano gli scriveva: « Fra breve in grazia della persecuzione, questa setta sarà soffocata, e non si udirà più parlare di questo Dio crocifisso…. ». E Traiano è morto, ed il Dio crocifisso regna sempre nei mondo! – Cosi tre secoli dopo, Giuliano l’apostata si vantava di « preparare la tomba del Galileo » cioè a dire d’annientare la sua religione, e la Chiesa… E Giuliano è morto, e il Galileo, e la sua Chiesa vivono ancora. – Così al secolo sedicesimo Lutero, questo monaco ribelle che fece dell’orgoglio e della rivolta una religione, parlava del Papato come di una anticaglia che andava a finire: « O Papa, diceva, o Papa! io era una peste per te durante la mia vita; dopo la mia morte sarò la tua distruzione!… ». E Lutero è morto e il suo protestantismo si discioglie da tutte le parti! ed il Papato rimane tuttora sempre più vivo, più florido, più venerato che mai! – È pure in tal guisa che Voltaire, il nemico personale di Gesù Cristo, segnava le sue lettere: « Voltaire disprezza-Cristo, » o « distruggiamo l’infame » (cioè Gesù Cristo e la sua Chiesa): è pure così, dico, che Voltaire scriveva ad uno de’ suoi amici: Io sono stanco di sentire a dire che bastarono dodici uomini per fondare la religione cattolica; io voglio far vedere che basta uno solo per distruggerla » —« Entro ventanni, seriveva ad un altro, il Galileo avrà il bel giuoco! » E venti anni dopo, giorno più giorno meno, Voltaire moriva colla disperazione di un dannato, chiamando un prete che i suoi amici filosofi impedivano di venire sino a lui… – E la Chiesa vive sempre, traversando le età , annientando nel suo pacifico passaggio tutti coloro che la volevano distruggere. – Lo stesso avverrà ai nostri grandi sistemi moderni filosofici e sociali, che si erìgono modestamente a riformatori della religione di Gesù Cristo, scambiando sé nella Chiesa cattolica. – Meno da temersi ancora che i loro antesignani, questi poveri uomini neppur dubitano della loro debolezza! Credono far cose nuove, mentre non fanno che rincalzare il vecchio tema di Voltaire, di Calvino, di Lutero, ecc., ecc. Dimenticarono dunque essi forse la parola del Salvatore al primo Papa ed ai primi vescovi: «Andate; Insegnate a tutti i popoli; Io stesso sono con voi tutti i giorni, sino alla consumazione dei secoli? ». – Hanno essi dimenticato ciò che disse al principe degli apostoli: « Tu sei Pietro, e sopra questa pietra io fonderò la mia Chiesa, e le potenze dell’inferno non prevarranno contro di essa? » – Ciò che Dio ha fondato credono essi di poter distruggere? No, la Chiesa cattolica « non ha terminato il suo tempo » ella non avrà terminato il suo tempo, se non quando il mondo avrà terminato il suo. – La Chiesa non teme niente; essa sa qual sia il divino principio della sua forza, e della sua vita: ed essa seppellirà ì suoi avversari presenti più facilmente, più pacificamente ancora, che non abbia seppelliti i loro predecessori.

XVIII.

IO VOGLIO IL PURO VANGELO, IL CRISTIANESIMO PRIMITIVO.

R. Ed io pure lo voglio, e non ne voglio altro: e l’ho se sono buon cattolico; e voi Io potete avere alle medesime condizioni. Se siete buon cattolico, voi praticate il vangelo in tutta la sua purezza, voi avete lo stesso cristianesimo, le stesse credenze, la medesima religione che i primitivi cristiani. Il tempo non ha modificato il cristianesimo che in alcune delle sue forme esteriori; la sostanza è la stessa, assolutamente la stessa dopo che esiste. Queste modificazioni, queste esplicazioni, che fan credere alle persone poco riflessive che il cristianesimo attuale sia differente dal Cristianesimo primitivo, dipendono dalla natura stessa delle cose, e sì riscontrano in tutte l’opere di Dio. – Così l’uomo è forse un essere differente da se stesso ad un anno, a dieci anni, a trent’anni? No evidentemente; è il medesimo individuo, che a poco a poco si sviluppa, ed acquista la perfezione del suo essere. – Si dica Io stesso delle opere di Dio nell’ordine soprannaturale. La Chiesa cattolica, al tempo degli apostoli era come in germe; non si vedevano ancora tutte le sue ricchezze, tutta la sua potenza, tutta la vita; ma tutto ciò esisteva pronto a svilupparsi coi secoli. – Più si studia l’antichità cristiana, più si riconosce la verità di ciò, che ora diciamo. Ed è questo studio coscienzioso, che ha condotto alla religione cattolica un gran numero di dotti protestanti, o increduli, che trovarono nei monumenti dei tre primi secoli della Chiesa le vestigia evidenti, ed il principio di tutte le nostre istituzioni cattoliche, tra gli altri la supremazia spirituale del Vescovo di Roma, successore di s. Pietro; la sua autorità dottrinale, come pure quella dei vescovi successori degli Apostoli; la pompa del culto divino; il sacrificio della Messa con tutte le cerimonie che noi ancora pratichiamo, e di cui la maggior parte risale al secolo medesimo degli Apostoli; il culto della santa Vergine Madre di Dio; il culto dei santi, delle reliquie, delle immagini, i sette sacramenti, tra gli altri la confessione fatta al. sacerdote, ecc. ecc.. Si sono scoperte recentemente nelle catacombe di Roma, specialmente in quella di s. Agnese, che data dalla metà del secondo secolo, delle intere cappelle con diversi altari dove riposavano le reliquie dei martiri, con pitture, con immagini della santa Vergine, con una sedia pontificale, con pile per l’acqua benedetta, con confessionali, ecc. – Si abusa dunque grandemente della credulità del popolo, quando gli si predica, che il vero cristianesimo, il cristianesimo dei primi tempi, si trova altrove che nella credenza e nella pratica della religione cattolica. – In tutti tempi, cristiano e cattolico, sono stati sinonimi, ed i buoni cattolici dei nostri tempi non differiscono dai buoni cattolici dei primi secoli, che nel vestire: la fede, il cuore, l’opere sono le stesse. – Tutte le eresie hanno avuta questa pretensione che affettano a nostri giorni i pretesi riformatori della società, e della religione. Essi ripetono ciò che dicevano or sono tre secoli Lutero e Calvino loro avi. « Noi riformammo il cristianesimo riconducendolo alla sua primitiva purezza: voi, Chiesa cattolica, voi, preti cattolici, voi non ne capite niente: voi avete corrotto la verità, la religione, la dottrina di Gesù Cristo. Noi soli la possediamo e l’apportiamo al mondo! Ciascun dunque ci ascolti: l’umane miserie stanno per cessare; eccovi l’era novella che spunta !!…. » – Lasciamoli dire e non crediamo neppure la prima parola. Si è colla purezza di nostra vita, che loro bisogna rispondere, più che colle nostre parole. — Un vero cristiano, un santo, ecco il miglior argomento contro di essi.

XIX.

IO HO LA MIA RELIGIONE A ME. CIASCUNO È LIBERO DI PRATICARE LA SUA RELIGIONE COME L’INTENDE; CIÒ SOLO MI STA A CUORE, E SERVO DIO A MIO MODO.

R. E il vostro modo non è egli dì non servirLo? Si è come le persone che intendono per “libertà di coscienza”, « libertà di non aver coscienza. » – No, nessuno è libero di servire a Dio come l’intende, ma deve servire a Dio come Dio vuole essere servito e non altrimenti. – « Ciò vi sta a cuore. » È vero; ma vi ha alcun altro a cui sta pure a cuore: si è la Chiesa a cui Dio ordinò d’insegnarvi come voi dovete servirLo, e Andate, disse Egli a’ primi vescovi della sua chiesa, andate, insegnate a tutti i popoli: ammaestrateli » ad osservare tutti i miei comandamenti. » Colui che vi ascolta, ascolta me, e chi vi disprezza, disprezza me; ed eccovi che Io sono con voi in tutti i giorni, sino alla fine del mondo. » – La religione cristiana (o cattolica, è la stessa cosa) è la sola vera religione noi l’abbiamo visto più sopra (Ai numeri 13, 14, 15.); ella è adunque il solo vero e legittimo servizio di Dio. – Colui adunque 1.° Che non crede tutte le verità cristiane che insegna la Chiesa, le principali delle quali sono raccolte nel simbolo degli apostoli, e spiegate nei catechismi cattolici; 2.° Che non pratica quanto meglio può i dieci comandamenti di Dio, e le leggi, che fanno i pastori della chiesa; 3.° Che non pratica le virtù cristiane (la castità, l’umiltà, la dolcezza, il disinteresse, l’ubbidienza, ecc.), e non fugge i vizi opposti a queste virtù; 4° Che non impiega i mezzi di salute proposti dalla Chiesa ai suoi figli, cioè la preghiera, ed i sacramenti; – colui, dico, che non serve Dio in questo modo, non lo serve realmente (a meno che errando in buona fede, ma pur osservando la legge naturale, non creda ad un’altra religione adempiendone i precetti): “Offre a Dio un culto, che Dio non gradisce; vuole arrivare a Dio per una via diversa da quella che gli è tracciata; ha l’apparenza della religione, ma non ne ha la realtà. – Voi non siete dunque libero di servir Dio, come voi l’intendete; soprattutto non siete libero di non servirLo affatto.

XX.

I PRETI SON UOMINI COME GLI ALTRI ; IL PAPA E D I VESCOVI SON PUR UOMINI ! COME DUNQUE POSSONO ESSERE INFALLIBILI? IO VOGLIO BENSÌ UBBIDIRE A DIO, MA NON AD UOMINI PARI MIEI.

R. Si è come se un soldato dicesse: « Io voglio bensì ubbidire al re, ma non ubbidirò né al mio generale, né al mio colonnello, né al mio capitano; perché sono sudditi del re, come lo son io. » – Avreste voi difficoltà a rispondergli? Il mie compito qui non è più difficile. La Chiesa, è vero, è composta d’uomini; il Papa, i vescovi, i preti son uomini. Ma son uomini che Gesù Cristo medesimo ha rivestiti del potere spirituale e dell’autorità divina. E perciò, che non sono punto uomini come gli altri. – Gli Apostoli che furono i primi Vescovi della Chiesa, sono stati mandati agli uomini dal nostro Signor Gesù Cristo, come altrettanti suoi rappresentanti. Ubbidir loro non è già ubbidire ad uomini, ma a Dio, a Gesù Cristo. Loro disubbidire, disprezzare le loro leggi è disubbidire a Dio, disprezzare Gesù Cristo: «Chi disprezza voi. disprezza me. » – Non è all’uomo che mi sommetto, si è a Dio che esercita per mezzo dell’uomo la sua autorità sopra di me. – La sola differenza tra i comandamenti di Dio, ed i comandamenti della Chiesa è che i primi ci sono dettati direttamente da Dio, ed i secondi indirettamente per mezzo de’ suoi inviati; ma è sempre Dio solo che comanda. – Non è, a propriamente parlare, 1′ uomo che è infallibile nel Papa, è Dio stesso che lo riveste della sua verità, onde non possa insegnare l’errore ai popoli cristiani (È bene qui aggiungere che la Chiesa non è infallibile che per le cose di religione quali sono la definizione degli articoli di fede, la regola dei costumi, la disciplina generale, la liturgia, la canonizzazione dei santi ecc. Nostro Signor Gesù Cristo l’assiste in tutte queste cose e l’impedisce sempre di niente stabilire contro la verità e contro il bene spirituale del popolo cristiano. In ciò solo essa è infallibile»). – Così in materia di obbedienza religiosa, non bisogna far attenzione alle qualità personali del Papa, o del Vescovo, o del prete che ci amministra le cose sante, ma solo alla sua legittima autorità, al suo carattere di Papa, o di Vescovo, o di Prete. – Questo è il motivo per cui i difetti, qualche volta anche i vizi di un prete (ciò che grazie a Dio non è tanto frequente come si va dicendo), non devono scemare nei nostri cuori il rispetto, la fede, l’amore della religione. – Queste debolezze sono il fatto dell’uomo e non del Esse non possono ferire il sacerdozio divino di cui è rivestito. Il delitto di Giuda ha desso macchiato l’apostolico ministero? È ancor per questo motivo che la Messa, l’assoluzione, ecc., di un cattivo prete sono tanto valide, quanto l’assoluzione, la Messa, ecc., di un prete fedele. La consacrazione ha luogo per le parole dell’uno come per quelle dell’altro; i peccati sono rimessi tanto da questo come da quello; perché queste azioni sono il fatto del prete e non dell’uomo, e che i peccati di un prete non gli tolgono il carattere indelebile del sacerdozio. – Il prete prevaricatore è certamente colpevole, ma il suo sacerdozio resta sempre lo stesso; è quello stesso di Gesù Cristo che niuna cosa può alterare né distruggere.

 

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XV-XVI]

XV.

È ASSAI PIÙ COMODO L’ESSERE PROTESTANTE CHE CATTOLICO: SI RIMANE SEMPRE CRISTIANO, ED È QUASI LA STESSA COSA.

R. Sì, quasi, come la falsa moneta è la stessa cosa che la vera. La sola differenza è che l’una è vera, l’altra falsa. Non si tratta, in materia di religione, di ciò che è comodo, ma di ciò che è vero. – Incominciate con attenzione da questo evidente principio: non vi è via di mezzo tra la verità e l’errore. Ciò che non è vero è falso, e ciò che non è falso è vero. – Nella religione questo principio è ancora più importante che in ogni altra materia. — Non vi è che una vera religione; noi l’abbiamo visto: è la religione di Gesù Cristo, che abbraccia tutti i secoli, tutti i popoli, tutti gli uomini, e che per questo motivo è chiamata cattolica o universale. – Il protestantismo non è questa religione cattolica di Gesù-Cristo; dunque egli non è la vera religione: dunque è una religione falsa, un errore, una corruzione del Cristianesimo. – Questo solo di già basterebbe. Ma esaminiamo e andiamo più avanti. Gesù Cristo, fondatore del Cristianesimo n’è il solo Maestro. Nessuno giammai il negò. Dunque nessun uomo ha il diritto d’insegnare, predicare questa religione, se non ne ha l’incarico da Gesù-Cristo. Se io vi dicessi: « Mio amico, siete voi un cristiano? La religione cristiana vi insegna tale e tal altra dottrina, vi impone tale e tale altro dovere. Ebbene, io vengo a riformare tutto ciò. Invece di credere come per il passato, credete ciò che vi insegno; io vi esonero da tale e tal altro dovere che è incomodo: io vi permetto ciò che la vostra religione vi proibisce ecc. » Voi certamente mi rispondereste: « Ma » chi siete voi per agire in tal guisa? La mia religione non ha che un maestro, Gesù Cristo. È egli che vi ha inviato? » Quando e come vi ha inviato? Provatemi la vostra missione divina ». Ebbene, quando Chàtel e compagni, ai nostri giorni; quando Lutero, Calvino, Zuinglio, Enrico VIII ecc. or sono trecento anni si son fatti riformatori della religione cristiana, questa difficoltà del più semplice buon senso poteva arrestarli sino dal primo passo. – Molti loro hanno posta la questione: essi non poterono rispondere [Calvino volle tuttavia una volta fare un miracolo per sciogliere la difficoltà. Disgraziatamente prese male le sue misure, o piuttosto Dio le sventò. Egli aveva pagato un uomo onde facesse il morto per risuscitarlo in seguito. Quando egli arrivò, seguito dai suoi amici, la giustizia di Dio aveva colpito il suo complice; egli era veramente morto sul suo letto. Lutero montava in furia quando gli si domandava la prova della sua missione. E rispondeva chiamando l’importuno interrogante: asino, porco, cane, turco indiavolato ecc.], e le malvagie passioni solo hanno accettato la loro nuova religione. Ciò era infatti molto comodo; tutto ciò che è gravoso era soppresso: l’obbedienza ai veri pastori della Chiesa, la necessità delle buono opere, le penitenze corporali, il digiuno, l’astinenza, la confessione, la comunione, il celibato dei preti, i voti della professione religiosa, il timore di perdere la grazia di Dio ecc.; ciascuno non aveva altra regola a seguire, che la Bibbia intesa a suo capriccio. Non vi ha dunque che coloro i quali sono stati mandati da Gesù Cristo, che abbiano il dritto d’insegnare la sua religione. Ma questi inviati, questi capi della religione, questi pastori legittimi del popolo cristiano, chi son essi? Come riconoscerli? Mediante due ben semplici osservazioni. La prima è la semplice lettura del passo del Vangelo dove nostro Signor Gesù Cristo stabilisce l’Apostolo san Pietro capo e pastore supremo della sua Chiesa (cioè di tutti i Cristiani) e dove gli concede come agli altri Apostoli l’uffizio d’insegnare la sua religione a tutti gli uomini. – La seconda è un gran fatto storico, talmente evidente che i protestanti di buona fede non cercano negarlo, cioè che il Papa vescovo attuale di Roma, e capo della Religione cattolica, risale per una successione non interrotta di Pontefici sino all’apostolo Pietro. – Che di più chiaro che queste parole del Salvatore a san Pietro: « Tu sei Pietro » e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa; e le potenze dell’inferno non prevarranno contro essa. A te io darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto quello che legherai sulla terra sarà legato nel cielo, e ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nel cielo? » (S. Matteo cap. XVI) — Per il che, come l’hanno inteso tutti i secoli cristiani, san Pietro fu stabilito da Gesù Cristo, capo, fondamento immutabile, dottore, pastore di tutta la sua Chiesa, di tutti i suoi discepoli. Non avvi bisogno di ragionare su queste parole, sono esse tanto chiare ed evidenti! 1° Avvi una Chiesa cristiana, poiché Gesù Cristo disse: Ecclesiam meam (mia Chiesa). 2.° Non ve ne è che una sola; perché non dice : mie Chiese, ma mia Chiesa. 3.°E tra tutte quelle che si dicono essere questa Chiesa unica, quale è la vera, la sola vera? – Quella che è fondata su S. Pietro, governata da S. Pietro, ammaestrata da S. Pietro, sempre vivente nel suo successore; dunque la Chiesa cattolica di cui il Papa successore di S. Pietro è il Pontefice ed il Capo. Che di più semplice di questo ragionamento? Desso mi bastò per convincere un protestante (che si è fatto cattolico lo stesso giorno) ed una signora Russa scismatica. – Sul punto di salire al cielo, il Salvatore insiste di nuovo e conferma ciò che aveva detto a S. Pietro, dicendogli: « Sii il pastore de miei agnelli, sii il pastore delle mie pecore » (S. Giovanni cap. ult.). – Quanto agli apostoli, le promesse di Gesù Cristo non meno portano con sé la loro evidenza: « Ricevete lo Spirito Santo: come mio Padre inviò me, Io mando voi. » Andate, ammaestrate tutte le nazioni: battezzatele in nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Predicate l’Evangelio ad ogni creatura; ecco che Io sono con voi in tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli. Colui che vi ascolta, ascolta me, e colui che vi disprezza, disprezza me. Colui che crede sarà salvo; ma colui che non crede sarà condannato. » Ecco le parole del Salvatore: Vedete ora il fatto. – Soli, il Papa ed i Vescovi, pastori attuali della Chiesa cattolica, salgono per una successione non interrotta, e che nessuno può negare, sino a S. Pietro capo degli Apostoli, e sino agli altri Apostoli. È dunque ad essi, e ad essi soli, che sono indirizzate queste grandi promesse, di Gesù-Cristo; sì è ad essi, e ad essi soli, che è affidata la missione d’insegnare, di predicare, di conservare la Religione; sono essi, ed essi soli, che sono i pastori legittimi del popolo cristiano, con essi, e con essi soli, Gesù Cristo dimora sino alla consumazione dei secoli, per preservarli da ogni errore nell’insegnamento, e da ogni difetto nella santificazione delle anime [È ciò che si chiama l’infallibilità della chiesa e l’infallibilità di Gesù Cristo, di Dio medesimo, che le è comunicata]. Si è adunque collo stare sommesso ad essi, ed ascoltando il loro insegnamento che io son certo di conoscere e di praticare la vera Religione cristiana. – E notate qui i grandi vantaggi di questa via d’autorità divina, chiara, ed infallibile, che ci presenta la Chiesa cattolica [Opposta alla via d’esame particolare che è il principio fondamentale del Protestantismo. Il Protestante si forma egli stesso la sua credenza, la sua religione, quasi che si possa fare la verità! quasi che la verità non fosse Dio stesso, il quale, se non m’ inganno è già fatto! Così presso i Protestanti, vi sono tante Religioni, quante sono le teste. Ed anche ciascuna testa la può cambiar tutti i giorni. In questo sistema è l’uomo, che fa, e disfa a suo piacere la verità infinita, che è superiore all’uomo. Io conosco una famiglia protestante composta di quattro persone, in cui ciascuna ha una differente Religione]. Come è facile ad un cattolico di conoscere con una certezza assoluta ciò ch’egli deve credere, ciò che deve evitare per essere cristiano! Non ha che ad ascoltare il suo parroco, inviato dal suo vescovo, inviato egli stesso dal Papa che è il Vicario di Gesù Cristo, suo rappresentante visibile, per cui insegna, per cui decide sovranamente ciò che si deve credere, fare, ed evitare. – Quanto ciò è bello! Quanto è semplice! Osservate pure quale unità perfetta proviene da quest’autorità. In ogni luogo, la medesima fede, la medesima dottrina, a Roma, a Parigi, in China, in America in Asia, in Africa, in ogni luogo, il medesimo insegnamento religioso vero, quello del Vicario di Gesù Cristo medesimo! In ogni luogo il medesimo sacerdozio, quello, di cui il Papa è il capo visibile, e Gesù Cristo il capo invisibile! In ogni luogo il medesimo sacrifizio, il medesimo culto, i medesimi sacramenti, i medesimi mezzi di santificazione e di salute. Unità tanto più bella tanto più sovrumana, quanto la società cristiana governata dal Papa (ed essa sola) si estende su tutta la terra. Dovunque vi sono cattolici. Il loro nome solamente lo indica (è l’osservazione di S. Agostino or son quindici secoli): Cattolico vuol dire universale. La Chiesa cattolica abbraccia lutti i tempi, tutti i paesi, tutti i popoli. E l’ultimo giudizio arriverà come predisse nostro Signor Gesù Cristo, quando la Chiesa cattolica avrà predicato la sua religione a tutti i popoli della terra (San Matteo cap. XXIV vers. 14). Dovunque essa penetra, la Chiesa cattolica diffonde la santità cristiana. Essa produce ovunque e sempre la perfezione la più sublime in quelli che sono docili ai suoi insegnamenti. Essa non cessò di produrre de’ santi dopo diciannove secoli, e di vedere Gesù Cristo suo Dio, e suo fondatore, confermare con miracoli la santità de’ suoi servi. – Il protestantismo al contrario (come il solo suo nome lo fa già travedere) è una disorganizzazione di tutto quest’ordine sotto il pretesto di riforma. Avvi in questo nome il senso di rivolta. Diviso in mille piccole sette che si anatematizzano a vicenda e che non s’accordano che nel loro odio contro l’antica Chiesa, Luterani, Calvinisti, Zuingliani, Valdesi, Sacramentari, Anabattisti, Pedobattisti, Kernuti, Evangelici, Anglicani, Quaccheri, Pietisti, Metodisti, Tremanti, ecc. (se ne contano più di duecento), il protestantesimo è l’anarchia religiosa. Esso attaccò il Cristianesimo sino nella sua essenza e nella sua costituzione; egli rigettò la regola fondamentale della fede, che è l’insegnamento infallibile e l’autorità divina del Papa e dei Vescovi, soli pastori, soli dottori legittimi. — E così mentre parla ben alto della fede, egli annulla la fede, cioè la sottomissione dello spirito e del cuore all’insegnamento divino. Infatti il protestante non crede che alla sua propria interpretazione della parola di Dio: egli si fa giudice delle controversie invece di quelli che Gesù-Cristo stabilì per giudici; crede alla sua ragione, non alla parola di Dio; non ha più credenza, non ha più che opinioni, variabili come egli stesso, e più non crede che a queste sue opinioni.—come mi diceva non ha guari un dotto protestante convertito. – Per questa stessa ragione, il protestantismo ondeggia ad ogni vento di dottrina, varia ogni anno, ogni giorno nel simbolo di sua fede. Oggi rigetta ciò che insegnava ieri; non ha né unità né antichità, né universalità, né stabilità. Sfido un protestante a dirmi precisamente che cosa sia la verità, che cosa crede, e ciò che tutti devono credere, sotto pena di non essere nella verità cristiana. « Tu cambi, diceva un giorno Tertulliano a Montano, dunque tu erri. » – Il protestantismo produce delle virtù, perché ha conservato degli avanzi di verità in mezzo alle sue distruzioni; ma queste virtù si risentono della mescolanza. Esse sono quasi sempre fredde, ed orgogliose come quelle dei farisei.—Esse esistono malgrado il protestantismo. In realtà esse sono cattoliche; ed appartengono alla Chiesa. Più i protestanti sono protestanti, meno hanno virtù cristiane; più s’avvicinano a noi, più le loro virtù hanno realtà e vita. Si disse giustamente dell’Inghilterra protestante, che essa era tra le altre sette, « La meno difforme, perché era la meno riformata [Da 25 o 50 anni i protestanti onesti e religiosi tendono in modo singolare ad avvicinarsi alla Chiesa cattolica: la religione che essi si fanno non ha quasi che il nome di protestante. Essi ci imitano in un’immensità di cose: hanno adottato il nostro genere di predicazione, ed i loro ministri non han più guarì l’usanza di declamare contro la religione cattolica come dianzi, molti prendono il nome di cattolici, molti invocano la santa Vergine, credono alla Messa. Si è il buon senso e la verità, che dominano poco a poco i pregiudizi dell’infanzia e della setta.] – Il protestantismo rigetta tutto ciò che è consolante, tenero, affettuoso nella religione: la santa presenza dì Gesù Cristo nel Sacramento del suo amore, il tribunale della misericordia, e del perdono; l’amore, e l’invocazione della benedetta Vergine Maria, questa dolce Madre del Salvatore, che Egli ci ha data per madre nel momento supremo di sua morte; l’invocazione dei Santi, nostri fratelli primogeniti, nostri amici, già entrati nella patria, dove ci chiamano, e ci aspettano ecc. – Non vi ha culto religioso; perché non si può dar questo nome a ciò, che si fa nella gran camera nuda che si chiama il tempio. – Non vi siete voi mai entrato? Si credono, alla prima veduta, queste assemblee piene di spirito religioso.—Si guardino da vicino; non vi si manifesta la vera presenza di Dio; non vi si sente sopra tutto il suo amore– Bisogna ricordarsi che i farisei erano una volta più assidui che gli altri nel tempio! Il vizio fondamentale del protestantismo è l’orgoglio. Perciò non produce santi. Giammai ha potuto fare una vera suora della carità, cioè un’umile ed affettuosa serva di Dio, e dei suoi poveri. – I suoi missionari sono mercanti di bibbie…. Paragonateli dunque agli apostoli, ed ai nostri missionari cattolici, eredi dello zelo, dei dolori degli Apostoli, come lo sono della loro fede! Quale differenza! I suoi ministri predicano senza missione. Con qual diritto, insegnano essi agli altri? confessano essi stessi, che non sono più che essi, poiché tutti i cristiani son preti, e secondo un gran numero tutte le cristiane ancora– Con qual diritto interpretano essi la parola di Dio ai loro fratelli? Sono essi infallibili? Questi uomini maritati non sono più gli uomini di Dio , gli sposi della Chiesa, gli uomini della devozione, del sacrificio, della carità, della castità, della perfezione…. Così — per riassumerci, — opposte alla parola espressa di Gesù Cristo; opposte alla tradizione storica di tutti i secoli passati! opposte all’idea di stabilità, d’unità, di perfezione inseparabile dall’opera dì un Dio, le sette protestanti, nate, le più antiche, or sono appena trecento anni, le più recenti fabbricate, riviste, aumentate, rimpastate sotto i nostri occhi nel nostro secolo, né sono, né possono essere la società o la Chiesa una, santa, universale, dei veri discepoli di Gesù Cristo, stabilita e costituita da diciotto secoli dagli apostoli di questo divino maestro. – Potrei aggiungere altre prove; mostrare l’impossibilità assoluta di provare l’inspirazione divina della santa scrittura e specialmente del Vangelo, senza l’infallibile autorità della Chiesa; le assurdità che i protestanti sono obbligati di professare quando sono logici e vogliono rimanere fedeli ai loro principj, ecc. Ciò che abbiamo detto è più che a sufficienza [Un’osservazione rimarchevole si è che giammai si vide un buon cattolico istruito nella sua fede e sincero nella sua pietà, farsi protestante per diventar migliore! mentre invece i protestanti che si fan cattolici, sono ordinariamente i più pii, i più illuminati, i più onorevoli a confessione stessa dei loro correligionari. Sovente (ai nostri giorni più che mai) dei protestanti si son fatti cattolici in punto della morte; giammai un cattolico si fere protestante in questo tremendo momento, quando la verità sola è avanti l’anima per giudicarla. Questa osservazione basterebbe sola per decidere la questione che ci occupa, e per farci concludere la verità della sola religione cattolica]. Dunque essere cristiano ed essere cattolico, è una sola e stessa cosa. – Dunque fuori della Chiesa cattolica non vi è vero cristianesimo, e come il proclamava sono sedici secoli s. Cipriano vescovo e martire: « Non può avere Dio per Padre, chi non vuole aver la Chiesa per madre. » Dunque un protestante che conosce la vera Chiesa, la Chiesa cattolica romana, governata ed ammaestrata dal Papa, è obbligato di entrarvi sotto pena di perdere la sua anima.—In religione più che in ogni altra cosa, conosciuto l’errore, bisogna abbandonarlo, e aderire alla verità. Dunque finalmente il dire: « Io posso essere cattolico o protestante o scismatico, senza cessare di essere cristiano, » è come dire: «Io posso essere turco, pagano, giudeo o cristiano, senza cessare d’essere nella vera religione [Noi abbiamo giudicato bene di insistere alquanto sopra il protestantesimo, perché vi è una specie di recrudescenza nella propaganda fatta in più paesi dai ministri protestanti. Segnatamente a Parigi, essi hanno divisa tutta la città in sezioni, e si adoperano a lutto potere per fondare scuole ed attirare a sé i figli delle classi operaie. Nel Piemonte non la risparmiano ad alcuna fatica per lo stesso fine; i parenti devono stare all’erta.] ».

XVI.

UN UOMO ONESTO NON DEVE CAMBIARE DI RELIGIONE. BISOGNA RIMANERE NELLA RELIGIONE I N CUI SI È NATO.

R. Sì, quando si nacque nella vera religione, che è la religione cattolica. Ma quando non si ebbe la sorte di nascere cattolico, e che si viene a scoprire la vera legge, non solo è permesso, ma è assolutamente necessario, sotto pena di grave peccato, abbandonare la setta protestante (od altra qualsiasi) in cui si può essere stato allevato. – Ciò non è punto apostatare. L’apostata è colui che abbandona la verità per l’errore. – Abbandonare l’errore per rientrare nella verità, si è adempiere la volontà di Dio; si è far un atto sovranamente ragionevole, legittimo, leale; si è operare secondo la propria coscienza, si è adempiere il più sacro dei doveri. – Si é inoltre far un atto di virtù eroica,— Perché colui che si convertì dee quasi sempre affrontare una terribile battaglia, i rimproveri, il disprezzo, gli insulti, le lagrime, i piagnistei della sua famiglia protestante, de’ suoi amici, de’ suoi correligionari, soprattutto dei ministri, indispettiti, furiosi, per questa diserzione. – Deve egli allora ricordarsi delle importanti parole del Salvatore: “Non sono venuto a portare pace, ma guerra”. “Son venuto a dividere il figlio dal padre, la figliuola dalla madre… Perché nemici dell’ uomo sono i propri domestici. Chi ama suo padre, o sua madre… il figlio, o la figlia più di me, non è degno di me”. E colui che non prende la sua croce e mi segue, non è degno di me. » – “Voi sarete odiati da tutti per causa del nome mio; ma chi persevera sino alla fine si salverà.” (s. Matt. c. X). – Una celebre protestante, la signora di Stael in una discussione religiosa, che essa aveva provocata sopra questo argomento di cambiar religione, credette di ricorrere a questa difesa triviale: « Io voglio vivere e morire nella religione dei miei padri.—Ed io, signora, nella religione de miei avi, soggiunse l’arguto interlocutore. » – Si è in altri termini la risposta che fece un ambasciatore di Francia, zelante cattolico, ad un signore inglese, protestante, il quale trovandolo guarito d’una malattia gravissima, gli domandava « Se non gli sarebbe assai spiaciuto d’essere sotterrato in un terreno eretico:—No, rispose l’ambasciatore, avrei solamente ordinato che mi si facesse la fossa un po’ più profonda, e mi sarei trovato in mezzo dei cattolici. » – Per poco, che i protestanti approfondiscano il terreno o la storia, ritrovano dappertutto l’incancellabile iscrizione che li condanna: Il protestantesimo è nato quindici secoli dopo il cristianesimo.

LA “vera” CHIESA

[J.-J. Gaume: il Catechismo di Perseveranza, vol. 2° – Torino 1881]

Noi abbiamo visto poc’anzi che ogni santità discende dallo Spirito Santo, siccome l’acqua dalla sorgente. Laonde la Chiesa, che rispetto a noi è madre, strumento e dispensatrice della santità, non può venire che dallo Spirito Santo: ed ecco la ragione per cui il Simbolo, dopo aver parlato dello Spirito Santo, soggiunge immediatamente: Io credo la Chiesa cattolica, la comunione dei Santi. Queste parole esprimono il nono articolo del Simbolo. – Qui comincia, secondo la divisione adottata dal Bellarmino e da S. Agostino, la seconda parte del Simbolo. La prima, distesa in nove articoli, ci ha fatto conoscere Iddio, nostro Padre; la seconda, composta di quattro articoli, imprende a farci conoscere la Chiesa, nostra madre [Qui comincia la seconda parte del Credo; perché la prima parte appartiene a Dio; la seconda alla Chiesa, sposa di Dio. Dottr. Crist. p. 53]. – Diciamo innanzi tutto, “io credo la Chiesa”, e non già, io credo nella Chiesa, come allorché parliamo delle tre Persone della Triade augustissima. La ragione di tale diversità è in ciò riposta, che Iddio è nostro fine ultimo ed obbietto fondamentale della nostra fede, laddove la Chiesa non lo è. Udendoci dire io credo la Chiesa, ne potrebbe venir richiesto, in che modo mai l’esistenza della Chiesa possa essere un articolo di fede, poiché non suol credersi ciò che si vede, e la Chiesa è da noi veduta coi propri nostri occhi. Agevole è il rispondere che nella Chiesa v’ha una cosa che si vede, ed un’altra che non si vede. Ciò che si vede , è il corpo della Chiesa, vale a dire, la società esteriore di tutti i Fedeli soggetti al Romano Pontefice: quello che si crede, perché non si vede è l’origine divina della Chiesa, l’anima della Chiesa, che è lo Spirito Santo, i doni, la potenza, le prerogative, le virtù dei sacramenti della Chiesa, le grazie ch’ella comunica ai suoi figli, la sua stabilità, la sua immortalità, la santità, il suo fine sovrannaturale; le quali cose tutte, non potendo esser vedute cogli occhi del corpo, sono l’obbietto della fede. Alla stessa guisa gli Apostoli nel Signor Nostro Gesù Cristo vedevano l’umanità; ma ciò ch’essi credevano, poiché vedersi non poteva, era la divinità che risiedeva in esso [Nat. Alex.,De Symb., p. 310]. Noi diciamo eziandio, “io credo la Chiesa”, e non già le Chiese, perciocché siccome esiste un Dio solo, così pure esiste una Chiesa sola, sparsa per tutta la terra [“Erunt duo in carne una, non in duobus, nec in tribus. Propterea relinquet homo patrem et matrem suam et adhaerebit uxori suae; certe non uxoribus. Quod testimonium Paulus edisserens refert ad Christum et Ecclesiam, ut primus Adam in carne, secundus in Spiritu monogamus sit. Et una Eva mater cunctorum viventium, et una Ecclesia parens omnium Christianorum; sicut illam maledictus Lamech in duas divisit uxores, sic hanc haeretici in plures lacerant Ecclesias, quae, iuxta Apocalypsim Joannis, Synagoga magis diaboli appellandae sunt quam Christi conciliabula”. S . HIER. , Epist. II, ad Gerunc, c. IV]. – Secondo la definizione dei Padri e dei Dottori: “la Chiesa è la società di tutti gli uomini che sono battezzati e che fanno professione della fede e della legge di Gesù Cristo, sotto l’obbedienza del supremo Pontefice Romano”; ovvero, con altre parole: “la Chiesa è la società di tutti i Fedeli, governata dal nostro Santo Padre, il Papa”; oppure finalmente: la società di tutti i Fedeli riuniti per mezzo della professione di una medesima fede, per la partecipazione agli stessi Sacramenti, e per la sommissione al nostro Santo Padre, il Papa [Congregazione d’uomini, i quali si battezzano, e fanno professione della Fede e Legge di Cristo, sotto l’ubbidienza del Sommo Pontefice Romano. BELLAR., Dottr. Crist. 56. — A questa definizione consuonano le seguenti dei Padri e dei Teologi: [“Ecclesia plebs sacerdoti adunata; pastori suo grex adhaerens”. S . CYPR., Epist. 69 ai Florent. Papian. — Ecclesia est populus Dei toto orbe terrarum diffusus. S. AUGUST., De catechiz. rud., c. III. — Ecclesia est catholicorum congregatio NICOL. I , Dist, 4, De Consecr. — Ecclesia est congregation fidelium. D, THOM. Passim]. – La parola Chiesa significa convocazione, attesoché non si nasce Cristiani come si nasce Francesi, Spagnuoli, ecc., ma siamo da Dio chiamati alla Chiesa per mezzo del battesimo. Significa pure congregazione, dacché denota il popolo fedele sparso per tutta la terra, e riunito dai sacri vincoli della stessa fede e della stessa obbedienza. La Chiesa è parimente detta casa di Dio vivo, colonna ed appoggio della verità, 1 [“Ut scias quomodo oporteat te in domo Dei conversari, quae est Ecclesia Dei vivi, columna et firmamentum veritatis. I ad Tim. III, 15], tanto per essere ella dimora del Signor Nostro Gesù Cristo, che n’è l’architetto e il fondatore, quanto per essere un’immensa famiglia governata da un solo Padre, e nella quale tutti i beni appartengono in comune a tutti i figli suoi; sia ancora perché è stabilita da Dio nella verità mediante l’assistenza dello Spirito Santo, siccome colonna sul suo piedestallo; o vuoi finalmente perché essa stessa conferma tutti i Fedeli nella verità coi suoi insegnamenti [CORN A LAPID. In hunc loc.]. – Essa porta ancora l’augusto nome di sposa di Gesù Cristo [II Cor. XI.], poiché i l Salvatore la lavò e la purificò col prezioso lavacro del proprio sangue, e fece con essa indissolubile alleanza; l’ama come sposo la sposa, la governa, la protegge, la conduce al Cielo; ed esso in contraccambio è da lei amato con fede inviolata, e da lei sola arricchito di veri figli di Dio. Riceve da ultimo l’appellativo di corpo di Gesù Cristo”, [Ephes. I . — Coloss. 1], perché non già fisicamente e naturalmente, ma pur realmente e propriamente essa è il corpo di Nostro Signore in modo misterioso e sovrannaturale. Non è dunque solo per metafora, che la Chiesa è corpo di Nostro Signore, come di una repubblica o di un esercito dicesi ch’è un corpo solo atteso l’unità di governo, di spirito, di fine; ma ella è con tutta proprietà di espressione realmente e veramente il corpo di Gesù Cristo; Egli n’è il capo, e tutti i Fedeli sono suoi membri, animati dal suo spirito, viventi della sua vita, obbedienti alla sua volontà. – Noi diciamo di tutti i Fedeli; e questa parola Fedeli, intesa nel suo più ampio e generale significato, abbraccia tutti quelli che compongono la Chiesa. Or essa, considerata nel suo complesso, abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi, il Cielo, il Purgatorio, la terra. La sua durata è scompartita in due grandi epoche, vale a dire, dal peccato di Adamo fino a Gesù Cristo, e da Gesù Cristo sino alla fine dei secoli2 [abbraccia tutti i fedeli che sono sparsi per tutto il mondo e non solamente quelli che ora vivono, ma ancora quelli che furono dal principio del mondo, e quelli che saranno sino alla fine del mondo. Bellarm. Dottr. Crist.]; imperocché appena commesso il peccato originale, Iddio, usando misericordia ai primi padri nostri, promise loro un futuro Redentore; e pei meriti futuri del medesimo, gli uomini poterono dopo il fallo primiero rientrare nella grazia di Dio e ricuperare l’eterna felicità, a condizione che ricevessero santamente la speranza di questo divino Messia. Così prima di Gesù Cristo, tutti quelli che facevano professione di vivere secondo i precetti della legge naturale, e che animati da fede viva aspettavano la Redenzione del genere umano, erano veri Fedeli, e per conseguenza appartenevano alla Chiesa di Gesù Cristo: il primo Cattolico fu Adamo. – Dopo Mose, gl’Israeliti furono obbligali di praticare quanto era prescritto dalla Legge, ed allora la Chiesa fu composta di due classi di persone: dei Giudei che professavano di vivere secondo la Legge di Mosè, e che soli componevano la Chiesa giudaica, detta altrimenti Sinagoga; poscia dei Gentili che aspettavano un Redentore, e regolavano la propria condotta giusta i dettami della legge naturale. Quando questi passavano al Giudaismo, contraevano l’obbligo di uniformarsi a tutta la Legge di Mosè, e diventavano membri della Chiesa giudaica; ma quelli che non professavano la Legge di Mose non cessavano per questo di essere veri Fedeli e di appartenere alla Chiesa universale. Egli è per tal ragione che nel Tempio di Gerusalemme si trovava un luogo destinato pei Gentili, che venivano a farvi le loro preghiere; e questo luogo era diviso mediante un muro dal ricinto in cui si congregavano i Giudei. – Tale si era lo stato della Chiesa militante prima della venuta del Salvatore. Ma cominciando da quest’epoca avventurata, più non v’ha differenza, per rispetto a Dio, fra i Giudei ed i Gentili; perché questi due popoli furono riuniti in Gesù Cristo, il Quale, secondo l’espressione dell’Apostolo delle Genti, atterrò il muro di separazione, e dei Giudei e dei Gentili fece un popolo solo, denominato il popolo Cristiano. Così la Chiesa abbraccia tutta la durata delle età; nel suo seno eternamente fecondo nacquero tutti gli Eletti; col solo latte verginale furono essi tutti nutriti. Perciò allora quando si fa datare dalla Pentecoste il giorno della sua fondazione, s’intende mostrare che a quell’epoca memorabile risale, non già la sua origine, ma sì bene il suo meraviglioso svolgimento per tutta la terra, la surrogazione della fede esplicita alle verità nascoste sotto i veli dell’antica Alleanza, e la diffusione più copiosa delle sue grazie divine nel cuore de’suoi figli. – La sua estensione abbraccia il Cielo, il Purgatorio e la terra, donde sorgono tre Chiese, o per dir meglio, tre rami di un albero istesso. La prima è la Chiesa del Cielo, chiamata Chiesa trionfante, poiché gli Angeli ed i Beati che la compongono ivi trionfano col Salvatore, dopo avere, coll’aiuto della grazia, riportato vittoria sul mondo, sulla carne, sul demonio: liberi da tutte le afflizioni e da tutti i pericoli della vita, i Santi quivi godono dell’eterna beatitudine. La seconda è la Chiesa del Purgatorio, detta perciò Chiesa purgante, perché le anime bruttate di qualche leggiera macchia vanno in quel luogo a cancellarla con pene temporali, la cui durata è stabilita dalla sovrana giustizia, dopo di che esse prendono posto fra i Beati per dividere con loro la perfetta felicità. La terza è la Chiesa della terra, denominata Chiesa militante, poiché deve sostenere guerra continua contro implacabili nemici, il mondo, la carne, il demonio. Queste tre Chiese non formano che una sola e medesima Chiesa, composta di tre parti, locate ciascuna in diversi luoghi e in differenti stati. La prima precede la seconda e la terza nella patria celeste, laddove le altre due vi aspirano tutti i giorni fino all’istante fortunato, in cui queste tre sorelle, abbracciandosi in Cielo, più non formeranno che una Chiesa stessa eternamente trionfante. – La parola Fedeli nel suo più stretto significato si appropria alla Chiesa nell’attuale suo stato, e denota tutti coloro che sono stati battezzati, essendo il battesimo, dopo la venuta del Signor Nostro Gesù Cristo, il mezzo indispensabile per divenir membro della sua Chiesa. A questo luogo accenneremo soltanto di passaggio quello che altrove diffusamente spiegheremo, vale a dire, che si conoscono tre sorta di battesimi: il battesimo d’acqua ch’è il Sacramento del Battesimo, il battesimo di fuoco, e il battesimo di sangue, che in certi casi speciali tengono luogo di Sacramento. – Riuniti mediante la professione di una medesima fede; vale a dire, quelli che credono alla stessa maniera e per gli stessi motivi tutte le stesse verità insegnate da Gesù Cristo. – Per la partecipazione agli stessi Sacramenti; poiché è con tal mezzo che i Fedeli sono incorporati a Gesù Cristo, stanno fra loro riuniti, e formano tutti insieme un’esteriore società. – Mediante l’obbedienza al nostro Santo Padre, il Pontefice Romano. Non vi ha società senz’autorità da una parte, ed obbedienza dall’altra; ora la Chiesa essendo la società la più perfetta, riunisce ancora queste due condizioni al più alto grado. Laonde un celebre protestante dei giorni nostri chiama la Chiesa: la più gran scuola di rispetto che abbia mai esistito. Diciamo inoltre: al nostro Santo Padre, il Papa, attesoché egli è il capo supremo della Chiesa. La Chiesa ha due capi, l’uno invisibile, che risiede nel Cielo, ed è il Signor Nostro Gesù Cristo; l’altro visibile, che risiede a Roma, ed è il nostro Santo Padre, il Papa. – Per tale ragione e perché ancora il sovrano Pontefice è il successore di S. Pietro, primo Vescovo di Roma, la Chiesa cattolica è detta Chiesa romana. Dall’essere San Pietro il vicario di Gesù Cristo sulla terra, ne segue primamente che la Chiesa di Roma, siccome fu riconosciuto da tutti i secoli, è la madre e la maestra di tutte le altre Chiese; in secondo luogo ne segue, che tutti i Pontefici romani, successori di S.Pietro, hanno com’esso ricevuto piena ed intera autorità per governare, insegnare, reggere la Chiesa universale. Tale si è pure la concorde dottrina dei secoli cristiani.

I. Piena autorità per governare. Tutti i Pastori particolari, vale e dire, tutti i Vescovi, e “tutti i Fedeli devono rendere omaggio ed obbedienza al Pontefice romano”, [Concilì. Fiorent. 1458. —Concil. Trid. , sess. VI, De Reform. c. 1; sess. XV, De Poenit., c. 7], poiché la sovrana possanza di cui è rivestito fu al medesimo conferita dal Salvatore istesso. Difatti dopo che San Pietro ebbe confessato la divinità del proprio Maestro, Gesù Cristo gli rispose: E io dico a te, che tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non avranno forza contro di lei. E a te io darò le chiavi del regno dei Cieli: e qualunque cosa avrai legato sopra la terra, sarà legata anche nei Cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sopra la terra sarà sciolta anche nei Cieli [Matth. XVI, 18, 19].Colla frase le porte dell’inferno sono significate le potenze infernali, gli scismi, le eresie, gli scandali; le chiavi sono il simbolo dell’autorità e del governo; la podestà di legare e di sciogliere è il carattere della magistratura. Tutti questi privilegi furono accordati a San Pietro senza restrizione alcuna, e per conseguenza anche ai Pontefici romani, suoi successori; perché tali cose erano necessarie onde assicurare l’unità, la solidità, la perpetuità della Chiesa sino alla fine dei tempi.

II. Piena autorità per insegnare. S. Pietro ebbe da Gesù Cristo medesimo la piena autorità di ammaestrare i Pastori particolari e tutte le pecore dell’ovile. Prescelto nello scopo di raffermare i suoi fratelli, la sua fede non verrà meno giammai, la sua parola sarà sempre l’oracolo della verità. Questa splendida prerogativa è essa pure fondata sulle parole medesime del Salvatore: Pasci i miei agnelli, disse a Pietro Gesù Cristo, pasci le mie pecorelle [Joan. XXI, 15]. Altra volta parlando ai suoi Apostoli del regno ch’Ei loro lasciava, e nel quale sarebbero stabiliti per giudicare i Fedeli, si rivolse singolarmente a Pietro, e gli disse: Simone, Simone, ecco che Satana va in cerca di voi per vagliarvi, come si fa del grano: ma Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: e tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli [Luc. XXII, 31-52]. – In che modo avrebbe potuto confermarli s’egli stesso fosse stato fallibile nella propria fede? La piena autorità per insegnare fu dunque concessa a San Pietro, e per conseguenza ai romani Pontefici suoi successori; attesoché essa è necessaria, come si è detto, per assicurare l’unità, la solidità, la perpetuità della Chiesa sino alla fine dei secoli.

  • III. Piena autorità per reggere la Chiesa Fu questa pure a San Pietro conferita da Gesù Cristo stesso, il quale con ciò rivestitolo d’ogni podestà necessaria per legare e sciogliere, e per fare tutte le leggi necessarie al governo della Chiesa. Tale autorità emerge con tutta evidenza delle parole poc’anzi riferite: «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle; tutto ciò che legherai o scioglierai sulla terra sarà legato o sciolto nei Cieli ». Questo podere di suprema giurisdizione non meno degli altri fu esercitato senza contrasto dal principe degli Apostoli. Difatti, che cosa vediamo noi dopo l’Ascensione del Salvatore? Vediamo Pietro costantemente il primo in tutte le occasioni. E’ desso che a capo dell’apostolico Collegio prende a favellare e fa eleggere un Apostolo in luogo di Giuda; è desso che predica pel primo, ed annunzia ai Giudei la risurrezione di Gesù Cristo. D’altra parte se è il primo a convertire i Giudei, è anche il primo ad accogliere i Gentili. Esso è inviato per un ordine del Cielo a battezzare Cornelio centurione; egli il primo conferma la fede con un miracolo; egli, che nel Concilio di Gerusalemme prende a parlare, ed espone pel primo la propria sentenza. La piena autorità di reggere la Chiesa universale fu dunque data a San Pietro, e per conseguenza ai Pontefici romani, di lui successori; attesoché, come si disse, era indispensabile ad assicurare l’unità, l’immobilità , la perpetuità della Chiesa sino alla fine dei tempi. Quindi tutti i secoli cristiani riconobbero tale podestà nei successori di Pietro; tutti i Padri della Chiesa esaltano a gara il romano Pontefice, e lo chiamano capo dell’Episcopato da cui parte il raggio del governo; il suo seggio, il seggio di Roma, vien detto dai medesimi principato della cattedra Apostolica, principato supremo, sorgente d’unità, la cattedra unica nella quale sola tutti conservano l’unità. Così parlano S. Ottato, S. Agostino, S. Cipriano, S. Ireneo, S. Prospero, S. Avito, Teodoreto, il Concilio di Calcedonia, e gli altri tutti dell’Africa, delle Gallie, della Grecia, dell’Asia, dell’Oriente e dell’Occidente in tal dottrina concordi [Bossuet; Sermone sull’unità della Chiesa]. – Egli è in forza di questo diritto sovrano di governare, d’insegnare e di reggere la Chiesa di Dio, che i Papi hanno presieduto ai Concili generali e li hanno confermati. Dal che proviene, che nessun Concilio è stato risguardato come Ecumenico, e per conseguenza infallibile, quando non sia stato presieduto dal sovrano Pontefice in persona, o per mezzo dei suoi Inviati, o approvato e confermato da lui. Nessun altro Vescovo del mondo ha giammai goduto, come i successori di S. Pietro, del privilegio di farsi rappresentare dai suoi Legati. Cominciando dal primo Concilio generale sino a noi, troviamo in tutti, nessuno eccettuato, i contrassegni del primato e della giurisdizione universale della Santa Sede. In virtù di questo diritto le grandi controversie, le grandi questioni di morale o di disciplina sono sempre state deferite, fin dai primi secoli, al tribunale dei sovrani Pontefici; essi hanno sempre istituito i Vescovi, approvato la loro elezione, determinato la loro giurisdizione, coll’assegnare ai medesimi quella parte del gregge che dovevano guidare; di modo che i Vescovi non sono veri Pastori se non perché sono in comunione col Pastore universale. Poiché ebbe stabilito il Capo supremo della sua Chiesa, il nuovo Adamo gli associò dei cooperatori. Accostandosi ai suoi Apostoli, disse loro con tutta la maestà richiesta dalla grandezza dell’atto: Mi è stata conferita ogni potestà in Cielo e in terra; ch’è come a dire: Questa grande monarchia dell’ universo, che mi spetta come a Dio insieme e Uomo, m’appartiene più ancora per diritto di conquista, essa è il prezzo dei miei patimenti e della mia morte. Andate adunque, istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Insegnate loro di osservare tutto quello che io vi ho comandato: ed ecco che io sono con voi per tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli!. [Matth. XX.VIII, 19-20]. Divina promessa che ci sta garante che il Signor Nostro, il Figlio di Dio, la Verità istessa, parla, e parla sempre per organo della sua Chiesa. Quale consolazione pel Cristiano! Qual tranquillità pel suo spirito! Quale sicurezza per la sua fede! Quale nobiltà e quale facilità per la sua obbedienza! – È manifesto per le cose dette, che tutti gli Apostoli ricevettero, come San Pietro, la stessa missione di predicare l’Evangelo, di fondar delle Chiese per tutta la terra, e di governarle; ma non segue da ciò che tutte le cattedre Vescovili che fondavano, dovessero essere il centro dell’unità cattolica, siccome quella di San Pietro: essi non furono al par di lui stabiliti qual pietra angolare della Chiesa. Laonde l’autorità dei Vescovi, successori degli Apostoli e stabiliti dallo Spirito Santo medesimo per reggere la Chiesa, riconosce dei limiti; laddove quella del sovrano Pontefice si estende ancora sopra coloro che hanno autorità di governare gli altri; ed esso ha diritto di deporre per causa legittima un Vescovo dal suo seggio. – In seguito della definizione or data della Chiesa, è assai facile discernere quelli che fanno parte di questa santa società da quelli che ne sono esclusi. Per esser membro della Chiesa conviene: – essere battezzato; quindi gl’infedeli ed i Giudei, essendo privi di battesimo, non appartengono alla Chiesa. – II° Bisogna credere tutto ciò che la Chiesa c’insegna; onde gli eretici, vale a dire, coloro che rimangono ostinatamente attaccati ad un errore condannato dalla Chiesa, e che rifiutano di credere quello ch’essa decide come articolo di fede, non sono membri della Chiesa, poiché mancano di fede. – III° È mestieri di obbedire al sovrano Pontefice ed ai legittimi Pastori; sicché gli scismatici, ossia quelli che si dividono e ricusano di confessare l’autorità suprema del nostro Santo Padre il Papa sulla Chiesa universale, sono fuori della Chiesa, perché rinnegano l’autorità legittima. – IV° È necessario rimanere nella Chiesa; per la qual cosa gli apostati, cioè coloro che rinunziano esteriormente alla fede cattolica, dopo d’avere fatto professione, per abbracciare l’infedeltà, o il maomettanismo per esempio, cessano di far parte della Chiesa, poiché non rimangono nel suo seno. – Non bisogna farsi escludere dalla Chiesa; in guisa che gli scomunicati, vale a dire, coloro che la Chiesa rigetta dal suo grembo e stanno da lei separati per tutto il tempo della scomunica, perché sono come membra recise. – Ma vien forse da ciò che tutti i membri della Chiesa siano giusti e santi, e per conseguenza non si possa essere ad un tempo peccatore e figlio della Chiesa? No, certamente. Giusta la similitudine del Salvatore medesimo, la Chiesa della terra è un’aia nella quale la paglia è mescolata al buon grano; è una rete entro cui trovansi adunati pesci buoni e cattivi; la separazione verrà fatta al giorno del giudizio finale. Laonde, sia pure il Cristiano quant’esser si voglia peccatore, egli continua ad appartenere al corpo della Chiesa fin tanto che non ne sia stato scacciato per mezzo della scomunica. Ma, ohimè! ch’egli è simile ad un ramo disseccato, il quale, sebbene resti attaccato all’albero, non riceve più succo nutritizio, né più partecipa di quegli umori vitali che dalle radici salgono ai rami vivi, e verdeggianti. – Esiste nondimeno diversità notevolissima fra il peccatore e il ramo inaridito; diversità che lascia una speranza consolatrice anche ai perversi i più indurati; perciocché un ramo disseccato più non può rivivere, laddove un membro della Chiesa, morto per ragione del peccato, può ricuperare la vita, e ricevere di nuovo quegl’influssi della virtù divina, che Gesù Cristo diffonde sui giusti, come il capo nelle sue membra [Vedi Filassier, p. 504]. – Quanto adunque sono a temersi quei reati per i quali s’incorre nella scomunica! Quanto sono a compiangersi quegl’infelici che più non appartengono alla Chiesa! Quanto è doveroso pregare e adoperarsi affinché rientrino nel grembo della Chiesa! Essi son meritevoli di maggior compassione che non quegl’infelici i quali al sopravvenire del diluvio non poterono aver luogo nell’Arca. Difatti fuori della Chiesa non v’è salute. Nulla è più vero di questa massima; nulla è più caritatevole che il professarla. – Nulla è più vero. Il Signor Nostro Gesù Cristo paragona il reame dei Cieli, che è la Chiesa, ad un re che festeggia lo sposalizio del suo figliuolo, e manda i suoi servi ad invitare alle nozze i propri favoriti; ma ricusando questi di assistere al banchetto, ei si sdegna acerbamente, e giura che niuno degl’invitati gusterà le imbandigioni della sua mensa [Matth. XXII]. – Coloro dunque che rifiutano la grazia offerta dal Salvatore, non possono pretendere di regnar con esso in Cielo; dunque coloro che non entrano nella Chiesa a cui sono invitati, rimangono stranieri a Gesù Cristo, e nel giorno estremo non saranno da Lui riconosciuti[Id. c. XVI].Altrove il Figlio di Dio disse agli Apostoli: Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo a tutti gli uomini. Chi crederà, e sarà battezzato, sarà salvo : chi poi non crederà, sarà condannato » [Marc. XVI, 15-16]. – Il Signor nostro Gesù Cristo volle adunque con volontà formale, che tutti gli uomini credessero al Vangelo, e credessero la sua Chiesa di cui diventano membri per mezzo del battesimo. Difatti se tutti gli uomini sono obbligati, siccome rimane fuor d’ogni dubbio dimostrato, per ottenere la salute eterna a professare la Religione cristiana, tutti sono del pari tenuti di entrare nella Chiesa di Gesù Cristo. E la ragione di tale conseguenza si è questa, che la Chiesa non è stata stabilita che per motivo della Religione. – Ora, chi vuole il fine vuole i mezzi: Dunque, il Signor Nostro Gesù Cristo il quale vuole che per mezzo della Religione che tutti si salvino, deve altresì per necessità volere che tutti facciano parte della società, ch’Egli medesimo ha fondato per conservare e per insegnare questa Religione. Dunque, II° essendo tutti gli uomini obbligati ad abbracciare la Religione di Gesù Cristo, perciò appunto sono tenuti di profittare del mezzo che il Signore ha stabilito per giungere alla vera cognizione della Religione e per rendere a Dio un culto legittimo. Dunque, III° la Chiesa è una società necessaria, della quale, per ragione di diritto naturale e divino, tutti devono far parte: per conseguenza quegli che scientemente e volontariamente si rimane fuori del suo grembo non può sperare la salute. « Le porte dei Cieli, dice il Salvatore per bocca dell’ Evangelista, non si apriranno che per quelli i quali avranno osservato i comandamenti; colui che avrà conosciuto la mia legge, e avrà rifiutato di uniformarvisi sarà condannato». – I Padri, quali eredi delle dottrine del Salvatore e degli Apostoli, professano altamente la stessa verità. « Colui, dice San Cipriano, che non avrà Iddio per padre, non avrà la Chiesa per madre. Se alcuno poté sfuggire alle acque del diluvio senza essere nell’Arca, così chi sarà vissuto fuori della Chiesa potrà sfuggire all’eterna condanna » 1 [De Unit. Eccles.]. – « Nessuno, scrive Sant’Agostino, otterrà la salute, se non ha Gesù Cristo per capo, se non ha fatto parte del suo corpo, che è la Chiesa ». – Gran che! Questa massima è professata persino dai Protestanti; anzi, a dir giusto, questa massima è la ragione stessa della pretesa loro riforma. Perché si sono eglino separati dalla Chiesa Romana, se non perché non la risguardavano come la vera Chiesa, vale a dire, come la vera società a cui era d’uopo appartenere per salvarsi? Perché hanno essi ideato Chiese novelle? Non per altro che per entrare in tali società che, a loro avviso, conducessero alla salute eterna. Perché si sono gli uni contro gli altri vicendevolmente scagliati terribili anatemi? Per questa sola ragione, che ognuno d’essi ha detto: Io sono la vera Chiesa, e fuori del mio grembo non si trova salvezza. Appartenere dunque alla vera Chiesa, ed essere sul sentiero della salute, è per loro un sola e medesima cosa. Ora questo significa nel linguaggio cattolico, fuori della Chiesa non si dà salute. Né solo i Protestanti, ma i seguaci ben anco di tutte le altre Religioni ammettono lo stesso principio, ed il più ovvio buon senso ne persuade agevolmente che hanno ragione. Se voi infatti distruggete questa massima: Fuori della Chiesa non v’ha salute, sarà forza ricevere la contraria, e confessare: Che anche fuori della Chiesa è possibile le salute. Ma in tal caso quale sarà la differenza fra la verità e l’errore? L’Eretico, lo Scismatico, il Turco, l’Infedele, il Giudeo, il Deista, l’Ateo avranno le stesse probabilità di salute, e potranno arrivare al Cielo professando le dottrine le più contraddittorie e le più funeste. [Questa massima anche nell’ordine sociale è il cardine su cui si aggirano tutte le parti politiche. Chi più altamente la professa, e più terribilmente la sanziona delle sètte dei Socialisti, Comunisti, Fourieristi! Ognuna di queste fazioni grida in modo da sopraffarne le altre: Son io che possiedo la verità, e fuori delle mie dottrine, della mia politica, del mio seno, non c’è salute per la società!]. – Dicemmo che nulla è più caritatevole per parte dei Cattolici che il professare questa massima. Difatti, convinti come sono per una parte, e fino a sostenerlo coll’effusione del proprio sangue, che esiste una Religione vera ed obbligatoria per tutti, nonché una società incaricata di conservarla e di spiegarla; convinti dall’altra, che questa Religione è la Religione cattolica, e questa società la Chiesa Romana, possono essi mai esercitare verun atto maggiore di carità, quanto quello di dire agli uomini: Entrate in questa società, al fine di conoscere e porre in pratica la Religione, che sola può rendervi felici in questo mondo e nell’altro? Badate bene quello che v’inculchiamo è indispensabile, fuori della Chiesa non si dà salute? Ripetere questa massima, proclamarla dappertutto, si dovrà dire dunque, come odesi le tante volte, che è un mostrarsi crude:contro gli uomini? Ma non è questo più tosto un rendere ad essi il massimo dei servigi? Fu forse crudele Noè, allorquando nel costruire l’Arca diceva ai peccatori per ridurli a penitenza: Fuori dell’Arca non vi sarà salute ? Il Signor Nostro Gesù-Cristo ha forse mancato di carità, quando ci avvertì, che chiunque non entrerà nella Chiesa per la fede e pel battesimo sarà condannato? Manca forse il medico di carità, allorché avverte il suo infermo, che se non usa la tale precauzione può disperare di guarire? Io so che si deve dar fuoco alla vostra abitazione, e farvi perire nell’incendio con tutta la vostra famiglia, io conosco il solo mezzo di sventare la trama de’ malfattori, e perciò vi dico: State all’erta; se non v’appigliate all’espediente che propongo voi perirete. Sarò io colpevole di crudeltà dandovi tale avvertimento? Non è piuttosto un segnalato servigio che vi rendo? – Or bene, noi cattolici sappiamo di certa scienza, e tutti gli uomini possono saperla al par di noi, perché il Figlio di Dio, la Verità stessa, il Giudice sovrano dei vivi e dei morti lo ha detto, che fuori della società da Lui stabilita non v’ha salute, noi vi ripetiamo le sue parole, vi ricordiamo il destino che v’attende, vi preghiamo d’uniformarvi ai suoi divini comandamenti. – Noi facciamo quello che hanno fatto già gli Apostoli, i Martiri, i Missionari, tutti i Santi, che si sacrificarono per intimare altamente a tutte le nazioni: “Diventate cristiane, entrate nell’ovile di Gesù Cristo”, fuori della Chiesa non v’ha salute. Il di lei zelo non era mosso da verun altro impulso: che questa una crudeltà? – Adunque nulla è più vero di questa massima, nulla è più conforme alla carità che il proclamarla, acciò che da tutti sia creduta una volta per sempre. Bisogna perciò sapere che vi sono più modi di appartenere alla Chiesa. – Si appartiene al solo corpo della Chiesa, allorquando vivesi nella società visibile di tutti i Fedeli, soggetti esteriormente al loro capo, alla sua dottrina, ma in istato per altro di peccato mortale; nel qual caso si è membri morti, rami inariditi. – II° Si fa parte dell’anima e del corpo della Chiesa, quando alla professione esteriore della Religione cattolica si congiunge la grazia santificante. – III° Finalmente si appartiene all’anima della Chiesa senza far parte del suo corpo, allorché si è scusati innanzi a Dio, per buona fede o per ignoranza invincibile, di essere e di perseverare in una società straniera alla Chiesa. In questo stato si può arrivare alla salute mercé una vera carità, un desiderio sincero di conoscere la volontà di Dio, e la pratica fedele di tutti i doveri che si conoscono, o che si è potuto e dovuto conoscere. [Catechismo del Concilio di Trento]. – Laonde fra gli eretici e gli scismatici, tutti i fanciulli che sono battezzati, né sono per anco giunti all’uso della ragione, non che molte persone semplici le quali vivono nella buona fede, e di cui Iddio solo conosce il numero, tutti questi fanciulli, io dico, tutte queste persone di buona fede, non partecipano né allo scisma, né all’eresia; hanno una scusa nell’ignoranza invincibile dello stato delle cose, né devono essere risguardati come esclusi dalla Chiesa, fuori della quale non si dà salute. – Primamente i fanciulli non avendo ancora potuto perdere la grazia ricevuta nel battesimo, appartengono senza dubbio all’anima della Chiesa, vale a dire, che le sono uniti mercé la fede, la speranza e la carità abituali. In secondo luogo i semplici e gl’ignoranti, di cui si tratta, possono aver conservato la medesima grazia; possono in diverse delle loro sètte essere istruiti di certe verità della fede che hanno esse conservato, e bastevoli assolutamente alla salute; essi possono crederle sinceramente, e col soccorso della grazia condurre una vita pura ed innocente. Iddio non imputa loro gli errori in cui vivono per invincibile ignoranza; ond’è che sebbene visibilmente siano membri di una setta, possono far parte dell’anima della Chiesa, ed avere la fede, la speranza, la carità. Del rimanente questi fanciulli e queste persone di buona fede son debitrici della loro salute alla Chiesa cattolica che essi non conoscono punto; imperocché da essa provengono le verità salutari, non meno del battesimo, cui le sètte nel separarsi hanno conservato. Queste persone, a dir vero, riceverono codeste verità immediatamente dalle sètte, ma queste sètte le ebbero dalla Chiesa, cui Gesù Cristo ha confidato l’amministrazione dei Sacramenti e il deposito della fede. [V. la Censura dell’Emilio fatta dalla Sorbona]. – Quindi è che si può ottenere la salute benché si faccia parte esteriormente di una religione straniera, ma non già perché alla medesima si appartenga: il che è assai diverso. – Ecco pertanto il senso preciso di questa massima così perfettamente irreprensibile, e non ostante così spesso rimproverata ai Cattolici: fuori della Chiesa non si dà salute: non si dà salute per ogni uomo, che, conoscendo o dovendo conoscere la vera Chiesa, ricusa d’entrarvi; non si dà salute per quelli, che, essendo nella vera Chiesa, se ne separano per abbracciare una setta straniera. Tutti costoro si mettono evidentemente fuori della via della salute; imperocché si rendono colpevoli d’inescusabile ostinazione. Gesù Cristo non promette la vita eterna se non alle pecorelle che ascoltano la sua voce; quelle che fuggono dal suo ovile, o che rifiutano di ricoverarvisi, son preda dei lupi divoratori. – Quanto a noi figli della Chiesa dimostriamo i nostri sensi di gratitudine a Dionostro Padre, e alla Chiesa nostra Madre, in guisa da corrispondere per quanto possiamo agli immensi benefizi che abbiamo ricevuti. Dond’è, che noi, siccome tanti altri, non siamo nati in mezzo all’eresia, all’infedeltà, all’idolatria? Dond’è, che abbiamo avuto la felicità di essere nutriti ed allevati con materna tenerezza nel grembo della vera Chiesa? Amiamola dunque questa Chiesa così buona, e per isventura sì poco amata e tanto perseguitata. Attestiamole il nostro amore: sottomettendoci alle sue decisioni con rispetto filiale, ed osservando le sue leggi con fedeltà irreprensibile; II° dividendo i suoi dolori e le sue gioie, e prendendo a cuore tutto ciò che la concerne; III° mostrandoci ognora presti a sacrificare alla conservazione della sua fede, della sua disciplina, della sua autorità, i nostri vantaggi, la nostra libertà, il nostro riposo, il nostro onore innanzi agli uomini, la nostra vita stessa! IV° Non tralasciando mezzo alcuno onde farla conoscere a quelli che non la conoscono, farla amare da quelli che non l’amano, e così essere veri imitatori di Gesù Cristo, « che ha amato la Chiesa sino a darsi oblazione per essa ».

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, vi ringrazio con vero cuore che abbiate stabilito la vostra Chiesa onde perpetuare la vostra santa Religione, e la nostra unione con voi: deh! fate che io sia sempre docile pecorella del vostro ovile. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore, pregherò spesso per l’esaltazione della Chiesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XIII-XIV]

XIII

TUTTE LE RELIGIONI SON BUONE

R. « Tutte le religioni son buone? » — Ciò vuol dire, non è egli vero, che, purché io sia presso a poco un uomo onesto, poco importa l’essere Pagano, Giudeo, Turco, Cristiano, Cattolico, Protestante? Ciò vuol dire ancora che tutte le religioni sono invenzioni umane di cui Iddio deve ben poco curarsi? Ciò vuol dire infine che tutte le religioni son false? – Ma, ditemi, dove avete imparato che ciò che si pensa dell’Essere superiore gli sia indifferente? E chi vi ha rivelalo che tutti i culti che si vedono sulla terra gli siano graditi egualmente? Perché vi sono delle false religioni, ne segue egli forse che non ve ne sia una vera? E perché siamo circondati da ingannatori, non è più possibile distinguere l’amico sincero? e Tutte le religioni non sono che invenzioni umane, indifferenti? » Ma vi pensate? E non vedete che date così una smentita al genere umano intero? – Il Pagano che piega il ginocchio davanti il suo Giove, l’Indiano che onora le incarnazioni ridicole del suo Budda; il Musulmano che venera il suo falso profeta, non li vedete dominati da una stessa e grande credenza, la credenza che Dio non ha abbandonato l’uomo a se stesso, e che nell’ordine religioso meno ancora che negli altri, noi non siamo separati dal nostro Creatore? — Se il diluvio delle superstizioni indiane, egiziane, druide, greche, romane, pagane, maomettane, non poté distruggere questa credenza, non verrà da ciò che essa è la voce indistruttibile della verità, il grido, il bisogno della natura, la tradizione costante del genere umano? Il raggio della verità può egli solo penetrare attraverso di tante ombre. E voi, voi venite a decidere il contrario? — Voi scopriste che Dio accoglie collo stesso amore e il cristiano che adora Gesù Cristo, e il Giudeo che non vede in Lui che un vile impostore? Che è lecito e permesso d’adorare in luogo di Dio supremo nelle contrade pagane Giove, Marte, Priapo, Venere? Di rendere in Egitto gli onori divini ai coccodrilli sacri e al bue Apis? Presso i Fenicj di sacrificare i propri figli al Dio Moloch? Nel Messico d’immolare migliaia di vittime umane agli orribili idoli che vi si venerano? Altrove di prostrarsi davanti un tronco d’albero,, davanti pietre, piante, avanzi d’animali, avanzi impuri della morte? Di ripetere dal fondo del cuore, a Costantinopoli « Dio è Dio, e Maometto è suo profeta? » A Roma, a Parigi abborrire tutte queste false divinità, disprezzare questo stesso Maometto come un impostore? Ma è impossibile che ciò crediate seriamente! — Ecco ciò che intanto voi dite: « Tutte le religioni sono buone. » – Perché non avere piuttosto il merito della franchezza, e confessare che non volete darvi la pena di cercare la verità, che essa poco v’importa e che la tenete come una cosa oziosa? – La ricerca della verità religiosa, inutile! …. Insensato! E se contro la vostra afférmazione per nulla fondala, Dio ha imposto all’uomo una regola determinata di culto? Se tra tutte le religioni, una, una sola è la religione, la verità religiosa, assoluta come ogni verità che respinge ogni mescolanza d’errore, escludendo tutto ciò, che non è essa…. a qual sorte voi v’esponete? Credete voi, che la vostra indifferenza vi scuserà avanti il tribunale del Giudice supremo? E potete voi senza follia avventurarvi ad un sì terribile avvenire? – Osservate dunque la miseria dell’uomo senza una religione divina! Vedetelo colla pallida luce della sua ragione, abbandonato al dubbio, sovente pure all’ignoranza la più inevitabile, la più pericolosa sulle questioni fondamentali della sua sorte, del suo dovere, della sua felicità! « D’onde vengo io? Chi sono? Dove vado? Qual è il mio ultimo fine? Come vi devo tendere! qual cosa vi ha dopo questa vita? che cosa c Dio? che vuol Egli da me? ecc. ecc. » – Abbandonata alle sole sue forze, qual cosa risponde la ragione a questi grandi problemi? Essa balbetta, essa sta muta, essa dà delle probabilità! Dei “forse” insufficienti mille volte per farci vincere la violenza delle passioni, per mantenerci nel difficile sentiero del dovere!…. E voi vorreste, che il Dio di ogni sapienza, bontà, luce abbia abbandonato in tal modo la sua creatura ragionevole, l’uomo, il capo d’opera delle sue mani? No, no. Egli ha fatto splendere ai suoi occhi una luce celeste, che corrispondendo con gl’imperiosi bisogni del suo essere, gli rivela con una divina evidenza la natura, la giustizia, la bontà, i disegni di questo Dio suo primo principio, e suo ultimo fine, una luce che gli addita la via del bene, e la via del male, entrambe aperte avanti a lui, l’una avendo capo ad eterna gioia, l’altra ad eterna punizione, una luce, che in mezzo ai falsi lumi di cui l’umana corruzione 1’ha circondata, si distingue per il solo splendore della sua verità, una luce che illumina, che vivifica, che perfeziona tutto ciò che essa penetra…. – E questa luce è la rivelazione cristiana, il Cristianesimo, la sola Religione, che abbia delle prove, che illumini la ragione, la sola che santifichi il cuore, che indirizzando tutta la nostra perfezione morale alla conoscenza, ed all’amore di Dio, sia degnò e di Dio, e di noi stessi. – Qual lingua umana potrebbe esprimere tutte le ragioni, che ha il Cristianesimo alla nostra credenza? – Vedetelo da principio, salire alla culla del mondo, colle profezie, che l’annunziano, per la fede, la speranza, l’amore dei santi Patriarchi, e per lo cerimonie del culto Mosaico, e primitivo che lo figurano. Infatti vi è sempre stata una sola e stessa religione, benché si sia sviluppata in tre successive fasi.

Nella religione patriarcale che durò da Adamo sino a Mose.

Nella religione giudaica che Mosè promulgò per comando divino, e che durò sino alla venuta di Gesù Cristo.

Nella religione cristiana o cattolica insegnata da Gesù Cristo stesso, predicata da’ suoi apostoli.

Nel principio si sviluppava con lentezza e maestà, come tutte le opere di Dio; — Come l’uomo che passa per l’infanzia, poi per l’adolescenza, pria d’arrivare alla perfezione della vita; — Come il giorno che passa per il crepuscolo e l’aurora, pria di splendere nel suo pieno meriggio; — Come il fiore che dapprima è una gemma, poi un bottone chiuso, pria di lasciar travedere le ricchezze del suo seno. E così il Cristianesimo, ed egli solo abbraccia tutta intera l’umanità, domina tutto il tempo e i secoli. Egli parte dall’eternità per rientrare nell’eternità» esce da Dio per riposarsi eternamente in Dio… – Tutto in lui è degno del suo autore. Tutto qui è verità e santità. E quei che lo studiano, vi scoprono una meravigliosa armonia, bellezza e grandezza, ed una evidenza di verità sempre crescente a misura che ne scandagliano i dogmi. – Esso tocca e purifica il cuore nel tempo stesso che rischiara lo spirito, esso empie l’uomo tutto intero. – Il carattere sublime, sovrumano, incomparabile di Gesù Cristo suo fondatore [Noi parliamo più particolarmente mi numero seguente delta divinità di Gesù Cristo]. – La perfezione divina di sua vita; La santità della sua legge. – La sublimità pratica della dottrina che insegnò; il suo linguaggio che è una follia se non è divino; Il numero, l’evidenza de’ suoi miracoli riconosciuti anche da’suoi più accaniti nemici; La potenza della sua croce; Le circostanze della sua ineffabile passione, tutte per lo avanti predette; La sua gloriosa risurrezione annunziata da Lui stesso per quattordici volte ai suoi discepoli, e la incredulità stessa de’ suoi apostoli che la stessa evidenza obbligava a credere alla verità della risurrezione del loro maestro. – La sua ascensione al cielo in presenza di più di cinquecento testimoni; Lo sviluppo sovrannaturale della sua Chiesa, malgrado tutte le impossibilità naturali, fisiche e morali; Gli stupendi miracoli che accompagnarono in tutta la terra la predicazione dei suoi apostoli, pescatori, ignoranti e timidi cambiati di un tratto in dottori e conquistatori del mondo. La forza sovraumana de’ suoi diciotto milioni di martiri. Il genio dei padri della Chiesa distruggente tutti gli errori colla sola esposizione della fede cristiana. La santa vita dei veri cristiani opposta alla corruzione e debolezza naturale degli uomini. La metamorfosi sociale che il cristiane-simo operò ed opera tuttavia ai nostri giorni in tutti i paesi dove penetra. – Finalmente la sua durata, l’immutabilità del suo dogma, della sua costituzione, della sua gerarchia cattolica, la sua indissolubile unità, in mezzo agli imperi che cadono, alle società che si modificano; tutto ci mostra che il dito di Dio è là, e che non è nel potere dell’uomo né di concepire, né di fare, né di conservare un’opera simile. – Vi è dunque, voi lovedete, una vera religione, una sola, la religione cattolica. – Essa sola è la Religione cioè il sacro legame che ci unisce a Dio, nostro Creatore, e nostro Padre. – Essa sola ci trasmette la vera dottrina religiosa, ciò che Dio ci fa conoscere di Lui stesso, della sua natura, delle sue opere, di noi, del nostro eterno destino, dei nostri doveri morali. – Tutte le altre pretese Religioni, che insegnano ciò che rifiuta il Cristianesimo, che rifiutano ciò ch’egli insegna, paganismo, giudaismo [Per la Religione giudaica vi ha una difficoltà speciale; perché essendo stata nei disegni di Dio la preparazione alla venuta del Messia, e quasi la seconda base della vera Religione, essa è stata, ma dopo Gesù Cristo non è più la vera religione. Il Giudaismo era come il ponte del muratore necessario per costruire l’edificio. Terminata la casa il ponte deve essere tolto, esso non è più che un ostacolo inutile ed importuno. Il Giudeo stupido ha abbandonata la casa per guardare il ponte; ha sacrificato la realtà alla figura. Dopo la venuta del Messia, senza tempio, senz’altare, senza sacrifizio, il popolo giudeo disperso in tutto il mondo, dove non può essere distrutto, porta con sè il suo cadavere di religione egli sussiste a traverso i secoli, secondo la predizione di Gesù Cristo, per servire di perpetuo testimonio al Cristianesimo, come l’ombra di un corpo ne prova l’esistenza.] maomettismo, qual ch’esse siano, sono dunque false, e perciò cattive. – Queste sono invenzioni umane, mentre che la religione è un’istituzione divina. Sono imitazioni sacrileghe della vera religione, come la moneta falsa è una colpevole imitazione della vera. Non sarebbe egli follia il dire: « Tutte le monete son buone, » senza distinguere le vere dalle false? Egli sarebbe ancor più insensato il ripetere ancor questa parola, a cui noi abbiam risposto : « Tutte le religioni son buone. » O è un’enorme empietà, o un’enorme bestialità. Una empietà se si dice per indifferenza, una bestialità se si dice per ignoranza, per scempiaggine.

XIV.

GESÙ GIUSTO NON È EGLI ALTRO CHE UN GRAN FILOSOFO, UN GRAN BENEFATTORE DELL’UMANITÀ’, UN GRAN PROFETA, È EGLI VERAMENTE DIO?

R. Uditelo rispondervi esso stesso: « Sì, voi l’avete detto; Io sono—E che, dopo tanto tempo che Io sono con voi, voi non mi conoscete ancora? Colui, che vede me, vede il mio Padre; io ed il mio Padre siamo una sola cosa…. »[S. Matt. c. XXVI, v. 65, 64. —S. Marc. c. XIV, v. 61, 62.—S. Luc. c. XXII, v. 70.— S. Giov. c. XIV, v. 18] – Ci vorrebbe un libro intero per trattare convenientemente questa questione. Noi l’abbiamo già toccata, provando la divinità della Religione cristiana. Tuttavia ci conviene insistere maggiormente e sviluppare un punto, su cui riposa tutta la nostra fede. Gesù Cristo è l’eroe del Vangelo [Il Vangelo è la storia ài Gesù. Cristo, scritta da lestimonj oculari, avanti testimonj oculari, i giùdei ed i primitivi cristiani; narrata dai più santi fra gli uomini, gli apostoli, che si sono lasciati uccidere per provare la verità della loro parola». La sola lettura del Vangelo è la miglior prova della sua verità. L’incredulo Rousseau lo confessava egli stesso: « Non è a questo modo che si fanno invenzioni) diceva egli, e l’inventore d’un simile libro ora sarebbe più meraviglioso dell’eroe. »] – I. Guardate anzi tratto le proporzioni gigantesche di questa figura, paragonala a tutti gli altri uomini anche i più grandi! Tutti muoiono totalmente, fanno rumore nel loro passaggio, agitano il mondo….. e dopo essi che ne resta? Il loro nome lodato da prima o schernito, quinci divenuto indifferente va a seppellirsi nei libri. Essi più non vivono sulla terra. – Gesù Cristo solo vive ancora, vive sempre, vive ovunque. Egli è presente nel mondo. Oggidì come diciotto secoli sono, a Parigi, a Londra, a Roma, a Pietroburgo, in Asia, in America, ovunque si ama e si odia, ovunque si difende e si attacca, ovunque si riceve e si rigetta come nei giorni di sua vita mortale. Egli è l’essenziale di tutti i grandi movimenti che scuotono il mondo; Egli è la questione capitale, il centro al quale fan capo tutte le questioni che toccano al cuore l’umanità. – Egli vive, parla, comanda, insegna, difende: sviluppa la potente sua vita nel Cristianesimo di cui è il principio, l’anima e il compendio. La ventura dell’uno è la ventura dell’altro, perché il Cristianesimo è la continuazione della vita di Gesù Cristo nell’universo, in lutti i secoli… – Dunque Gesù Cristo è un fatto universale, continuo, attuale che opera da diciannove secoli, scritto a caratteri parlanti sulle umane generazioni, io tutti i paesi, in tutti i popoli. È una vita eccezionale che penetra il mondo. Tutto passa, tutto muore attorno a Lui; Egli solo, Egli solo vive e sussiste!… – Dunque vi ha in Lui più che un uomo, ed il grande Napoleone aveva ragione di dire: «Io mi conosco uomo, e vi dico che Colui era più che uomo.»

2.° È cosa singolare, propria solo a Gesù Cristo, questa vita che riempì l’universo dalla sua apparizione sulla terra, ha riempiti colla medesima potenza i secoli precedenti sino alla culla del mondo. Questo medesimo Gesù, per cui hanno vissuto, vivono e vivranno le generazioni cristiane, è per Lui che hanno vissuto le generazioni degli antichi fedeli, dei discepoli di Mosè, dei profeti, dei patriarchi! È in Lui che hanno creduto ; si è in Lui che hanno sperato;si è Lui che hannoatteso; si è Lui che hanno amato! II sole, nel suo pieno meriggio, illumina co’ suoi raggi tutto lo spazio, e quello che ha già percorso, e quello che ha ancora a percorrere. Cosi Gesù Cristo, centro dell’umanità, illumina, vivifica tutto il passato, il presente, l’avvenire…

3.° Gesù Cristo, e Gesù Cristo solo, è il tipo della perfezione, il modello su cui si forma il mondo morale civilizzato, lo stampo dove l’umanità viene in qualche modo a fondersi per riformare i vizi. — Che altro é la virtù se non l’imitazione di Gesù Cristo? – Niente avvi di comune tra Lui ed alcun tipo di perfezione conosciuto, sia giudeo, sia greco, sia romano. Egli è quel che è, Egli è solo, Egli è l’unico, Egli è sopra ogni cosa. – Nella perfezione umana vi ha sempre emulazione di virtù; l’uno vince l’altro: Si hanno dei simili. Gesù Cristo, e Gesù Cristo solo fa eccezione. Vi ha differenza di continuità tra la sua perfezione e quella degli altri uomini. – Qual nome mettere a costa del suo? Chi si oserà paragonargli? i .santi che sono gli eroi della virtù, sulla terra non sono che sue copie. Nessuno pensa, nessuno ha mai pensato d’eguagliarlo, perché si conosce, che non si tratta più qui d’un rivale possibile. Tutto scompare alla sua luce, come tutte le luci fittizie della terra in presenza di quella del sole — Così pure ha detto Egli stesso: « Io sono la luce del mondo ». – E questa perfezione sovrumana è un fenomeno unico nelle serie dei secoli; essa non è stata preceduta da nulla, da nulla preparata. Essa giunge come la sua dottrina tutta intera. Essa non partecipa ad alcuna scuola filosofica, o teologia, essa è senza alcuna causa, che la produca, o la spieghi, se non la presenza della Perfezione stessa, che è Dio. Essa illumina tutto, e non riceve luce da nessuno, essa è il centro medesimo della luce. – Altr’osservazione, che non meno colpisce, e propria a Gesù solo: in lui questa perfezione veramente divina, che sembra cotanto elevata al di sopra dell’umanità così inaccessibile alla nostra debolezza, è Lui la via la più pratica, la più imitabile, la più feconda, la sola feconda in imitatori e discepoli. Essa si propone a tutti gli uomini, al fanciullo, come al vecchio, all’ignorante, come al dotto, al povero, come al ricco, a colui che comincia, come a colui che termina. Essa sembra fatta per ciascuno in particolare. Essa si accomoda a tutti e tutto riforma; essa è la perfezione per tutti! – Chi non vede in ciò il suggello della divinità? L’uomo può egli far tanto? Finalmente ultimo carattere della perfezione di Gesù Cristo, sovrumano come tutti gli altri, e come tutti gli altri, proprio a Lui solo: la sua perfezione non ha alcun eccesso. – L’uomo è sempre eccessivo nelle sue qualità. Sentendosi debole, per tema di fallire preferisce eccedere nel bene: S. Vincenzo de Paoli era umile, ma pare eccedesse nella bassa stima di sé. S. Carlo era austero, ma la sua austerità ci pare eccessiva. S. Francesco povero pare eccedere nella sua povertà ecc. La debolezza umana s’insinua sino nell’eroismo delle loro virtù. — In Gesù Cristo il bene è perfettamente vero; niente è esagerato. la perfezione della natura divina si manifesta, e si associa alle emozioni vere e buone della natura umana. In Lui si fa vedere tutto l’uomo. Il Dio, e l’uomo sono interi. – E perciò questo modello cosi perfetto non è aspro; al contrario è soave, dolce ed amabile. È la verità di una virtù perfetta e possibile, proposta ad uomini da un Dio uomo, così vero uomo come è vero Dio. – Qual meraviglia unica! qual prodigio è Gesù Cristo!…Chi non esclamerà: «Il dito di Dio è qui ?»

4.° E la sua dottrina! E questa parola che dopo diciotto secoli dacché è meditata, discussa, attaccata, approfondita, da tutte le scienze, da tutti gli odi, dai più grandi geni, applicata alle società, ai popoli, agli individui, giammai poté essere convinta d’errore! — Sempre ella dura « La luce del mondo; » e ciascun tentativo avvera ciò che predisse il Maestro: « II cielo e la terra passeranno, ma la mia parola non passerà. » – Colà dove fu udita, penetrano la civiltà, la vita intellettuale e morale, il progresso, e le scienze; colà ove ella non regna, e a proporzione che meno vi regna, la degradazione, l’inerzia, la barbarie, la moria. – È dessa, è la parola di Gesù Cristo che ha fondata la nostra moderna società; è dessa che divenne la guida, la face conduttrice dell’umana ragione, e della filosofia; e buono o mal grado è con ciò che Gesù Cristo loro ha concesso, che i cristiani increduli sragionano contro Lui. « Giammai l’uomo, dicevano i Giudei, parlò come quest’uomo! » – Infatti aprite l’Evangelio…. Quale inaudita potenza! Quale autorità! Quale calma! Qual candidezza celeste! Gesù insegna ciò che vede, ciò che sa. Egli non discute; non cerca di provare, di convincere; la sua parola gli basta; Egli sa la verità; Egli è sicuro: Egli afferma. Dio solo fatto uomo, e parlante agli uomini è capace di tal linguaggio. Assai più, la parola di Gesù Cristo si prova da se stessa; perché Egli afferma incessantemente la sua divinità. Egli si dice Dio, il figlio di Dio [per Figlio di Dio, né Gesù Cristo, né i Giudei ai quali parlava, intendevano un uomo giusto, Figlio di Dio, amico di Dio. Egli ed essi intendevano con ciò il Verbo divino, la seconda Persona della SS. Trinità, il Figlio eterno ed unico di Dio, Dio come il Padre e lo Spirito Sunto. Cosi quando Gesù dichiara a Caifa, che Egli è il Figlio di Dio, il gran sacerdote e i Farisei gridano alla bestemmia, e lo condannano a morte come bestemmiatore e come colpevole di essersi fatto Dio], il Cristo, la verità, la vita, il Salvatore, il Messia. – « Se tu sei il Cristo, Gli dicono i Giudei, «manifestalo a noi.—Io vi parlo, loro risponde, e voi non mi credete. I miracoli che io faccio in nome del mio Padre » rendono testimonianza di me. Io e mio Padre siamo una sola cosa. » Essi vogliono lapidarlo in luogo di credere a questa parola. « Perché, loro dice Gesù, volete voi lapidarmi? » É per causa della tua bestemmia, perché essendo uomo, tu ti fai Dio.» La Samaritana gli parla di Cristo Redentore che deve salvare gli uomini e loro insegnare ogni verità: « Sono Io che il sono, le dice; Io che parlo con te. » Un’altra volta egli ammaestra la folla radunata intorno a Lui: « In verità, in verità Io vi dico: “come il Padre risuscita i morti, cosi il Figlio rende la vita a chi Egli vuole…, affinché tutti rendano al Figlio un onore eguale a quello, che è dovuto al Padre.» – « Chi non onora il Figlio, non onora il Padre.» – Egli istruisce un savio Giudeo venuto per consultarlo; «Nessuno, gli dice, sale al cielo, se non è Colui che è disceso dal cielo, il Figliuolo dell’uomo, che è nel cielo.» – « Dio ha talmente amato il mondo, che ha dato il suo Figlio unico, affinché chiunque crede in Lui non muoia, ma possegga la vita eterna. – Dio ha mandato suo Figlio nel mondo, perché il mondo sia salvo per Lui.» – « Colui che crede in Lui non sarà’ condannato, ma colui che non crede è già giudicato, perché non crede al Figlio unico di Dio. » – Guarisce il cieco nato: costui cacciato dalla sinagoga, dai farisei, perché diceva che il suo benefattore era almeno un profeta, Lo ritrova, e si getta a’ suoi piedi. « Credi tu al Figlio di Dio? » gli domanda Gesù, —« E chi è, Signore, affinché io creda in Lui? — Tu lo vedi, è Colui che ti parla, Egli è quei desso.» E questo poverello: « Io credo, o Signore! E prosternandosi l’adora. – Basta ciò? Volete udirlo ancora? « Àbramo vostro padre, disse egli ai Giudei, gioì prevedendo la mia venuta. » – « Come, Gli rispondono, non avete ancora cinquant’anni, ed avete veduto Abramo? » [Àbramo viveva 20 secoli avanti Gesù Cristo] – « Prima che nascesse Abramo, Io era. » Alla sorella di Lazzaro, che Gli domanda di risuscitare suo fratello: « Io sono, dice Egli, la risurrezione e la vita. Colui, che crede in me, vivrà anche dopo la morte, e chiunque vive, e crede in me, non morrà in eterno. Lo credi tu ? —Si, o Signore, risponde la fedele Marta, io credo che Voi siete il Cristo, il Figlio del Dio vivente, che siete venuto in questo mondo.» – Ed alcuni istanti dopo, giunti avanti il fetido cadavere di Lazzaro, aggiunge queste divine parole: « Padre mio, Io vi rendo grazie, perché mi avete esaudito: io però sapeva che sempre mi esaudite; ma l’ho detto per popolo che mi circonda, affinché esso creda che siete voi che mi avete inviato.» – E gridando ad alta voce: «Lazzaro vieni fuori! » Il morto si levò, avendo tuttora la faccia, le mani, e i piedi legati dalle fasce funebri… – Bisognerebbe citare l’intero vangelo. Leggete specialmente il suo ineffabile discorso avanti la cena. (S. Giov. cap. XIII. e seg.) « Io sono, Egli dice, la via, la verità, e la vita. Nessuno va al Padre, se non per me. Se voi conoscete me, conoscete il mio Padre. Colui che vede me, vede il mio Padre. » – « Tutto ciò, che voi mi domanderete in mio nome Io lo farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. Amatemi. Se qualcuno ama me, osserverà i miei comandamenti; e mio Padre l’amerà, e Noi verremo a lui, e dimoreremo in lui.» – Sino sulla croce Gesù Cristo si dice Dio, e parla da Dio. Il buon ladrone crocifisso a suo lato, gridò illuminato dalla fede: «Signore, ricordatevi di me nel vostro regno.— Oggi, gli risponde Gesù, tu sarai meco in paradiso.» – Finalmente, poiché conviene limitarsi, l’incredulo Tommaso lo vede, lo palpa dopo la sua risurrezione, vinto dall’evidenza cade ai suoi piedi, ed esclama: «Mio Signore e mio Dio!» Lungi dal riprenderlo, Gesù l’approva « Perché tu hai veduto, Tommaso, gli dice, tu hai creduto. Beati coloro che senza avermi veduto hanno creduto !» – Vedete qual linguaggio! Quale condotta! Che onnipotenza! Come si fa chiamar Dio! Come ne ha il tuono e la voce! Come rivendica i diritti delta divinità, la fede, l’adorazione, la preghiera, l’amore, il sacrifizio! – Or eccovi il ragionamento è ben semplice. O Gesù dice vero o dice falso. Non vi ha mezzo.

Se dice vero Egli è ciò che dice di essere, è Dio, egli è il Figlio eterno di Dio vivente, benedetto nei secoli dei secoli, e tutte le sue parole, le sue azioni, i suoi miracoli, il suo trionfo si spiegano facilmente. Niente è impossibile a un Dio.

2.° Se dice falso, egli è (bestemmia che oso appena scrivere, sebbene sia per confonderla) egli è o un pazzo o un impostore. – Sì, un pazzo, se non ha coscienza delle sue parole e della sua condotta, — un detestabile impostore se niente con cognizione di causa. Osereste dirlo giammai? Gesù Cristo il savio per eccellenza, un pazzo!! — Gesù Cristo, il più virtuoso, il più santo degli uomini, un mentitore, un impostore sacrilego!! Bisognerebbe aver perduta la ragione, ed il senso morale per proferire una simile follia! Dunque egli è Dio. – Gesù Cristo è avanti la ragione umana, come fu davanti Caifa il giorno di sua passione. «Ti scongiuro, gli diceva il gran sacerdote, in nome del Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio. — Sì, risponde Gesù, tu l’hai detto: Io il sono.» O bisogna credere o non credere a questa affermazione: non vi ha mezzo. Se voi credete, adorate Gesù Cristo, Egli è vostro Dio. Se voi non credete, trattate l’uomo che tiene un simile linguaggio, 1.° o come un povero pazzo che non sa ciò che dice; sprezzatelo, alzate te spalle per pietà; 2.° o come un miserabile impostore, o allora anatematizzatelo coi Giudei, rigettatelo, maleditelo, crocifiggetelo, punitelo colla morte infame dei bestemmiatori: egli l’ha cento volte meritato. – Bisogna ammettere Gesù Cristo il Dio uomo del Vangelo tutt’intero, o rigettarlo interamente: « Chiunque non è con Lui è contra Lui; » Chiunque non l’adora, non può senza inconseguenza, senza follia lodarlo, ammirarlo, celebrarlo come un saggio, come un grand’uomo, come un santo. – « Ma può darsi, penserà taluno, che non si dicesse Dio, se non per fare ammettere facilmente la sua dottrina. » – La difficoltà rimane interamente, perché un fine lodevole non potrebbe giammai scusare una così grande e così costante impostura, e bisognerebbe sempre concludere che tutta la vita dì Gesù Cristo è stata un tessuto o di follie, o di bestemmie. Ma oltre questa ragione, questa supposizione è assolutamente inammissibile. Infatti: – 1.° Una simile finzione avrebbe distrutto tutta la sua opera, annientata tutta la sua dottrina. — Gesù Cristo non ha che uno scopo, distruggere l’idolatria, ristabilire per tutto il regno della verità; colla verità ricondurre la virtù, e la santità sulla terra, rendere a Dio ciò che si deve a Dio solo, il cuore dell’uomo, la sua fede, la sua devozione, il suo amore. Con questo pensiero poteva egli senza essere veramente Dio, prenderne il titolo, e vendicarsene i diritti, senza rovinare dalla base tutto il suo disegno? – 2.° Questo preteso mezzo destinato ad appoggiare la sua dottrina, ne sarebbe stato il più terribile nemico. – L’impossibile, umanamente parlando, nella predicazione di Gesù Cristo, e dei suoi apostoli, era principalmente di far ammettere dai popoli la divinità di questo Gesù povero, umiliato, uomo dei dolori, morto sopra una croce. Non è ciò che fa insorgere di più la ragione nell’insegnamento cristiano? Non è ciò precisamente la pietra di scandalo per l’incredulo? E questo sarebbe il mezzo, che Gesù Cristo avrebbe scelto, per far ricevere la sua religione? Questo sarebbe stato il colmo della follia! Qual singolare esca sarebbe quella che spaventa assai più dello stesso amo! – La divinità di Gesù Cristo ammessa una volta, conosco, che diventa un potente mezzo a far credere la sua dottrina. Ma questa medesima ipotesi chi l’avrebbe fatta ammettere? E come senza una manifestazione evidente, ed irresistibile della potenza divina, Gesù Cristo avrebbe potuto essere considerato come un Dio? – No, no, io io ripeto. In vista del carattere sovrumano di Gesù Cristo, delle sue parole, delle sue affermazioni, delle sue azioni, della sua opera, che è il Cristianesimo, non vi ha per l’uomo ragionevole, e sincero, che un partito a prendere; si è di gettarsi a’ suoi ginocchi, di adorare l’amore infinito di un Dio che ha tanto amato il mondo da dargli il suo unico Figlio, e di esclamare con san Tommaso divenuto fedele: “Mio Signore; e mio Dio! —Dominus meus, et Deus meus!”

La serie ininterrotta dei successori di San Pietro.

Rilievo sopra il portale principale della Basilica di San Pietro a Roma, raffigurante Cristo che dà le chiavi del Regno dei Cieli al primo Papa, San Pietro.

Tu sei Pietro; e su questa pietra costruirò la mia Chiesa (St. Matt. XVI. 18).  La Chiesa di Gesù Cristo, in quanto trattasi di una società, di un regno divinamente stabilito, dove avere un capo. Il suo Capo invisibile è Gesù Cristo stesso; il suo Capo visibile è il nostro Santo Padre, il Papa. – Chi è il Papa? Il Papa è il successore di San Pietro, il Vicario di Gesù Cristo ed il suo rappresentante sulla terra, il pilota della barca di San Pietro, il Capo visibile della Chiesa, e il padre comune di tutti i fedeli. – Diciamo che il Papa è il successore di San Pietro. Nel rendere l’apostolo san Pietro la pietra di fondamento, la pietra angolare della sua Chiesa, Gesù Cristo gli promise successori fino alla fine dei tempi. – Per questo, dire: “roccia inamovibile”. implica che Pietro sarà il capo in perpetuo della Chiesa, e sarà sempre necessario per sostenerla e governarla. Ma come potrà essere Pietro a governare per sempre la Chiesa, essendo egli un mortale come il resto degli uomini? Come farà a governare dopo la sua morte? Mediante i suoi successori, che saranno gli eredi del suo potere, dei suoi privilegi, e anche del suo spirito apostolico. Pietro, come dicono i Padri, è sempre vivo, e sarà sempre vivo, nella persona dei successori che Cristo gli ha promesso con queste parole: “Tu sei Pietro; e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. – La promessa del Salvatore è stata mantenuta: Pietro, dopo aver fissato la sua Sede Pontificale a Roma, ha avuto come successori tutti i Vescovi romani o Pontefici che hanno occupato la sua sede, nel corso dei secoli fino ai nostri giorni. – La storia ci mostra questa incomparabile successione: Si tratta di una catena di oro tenuta nella mano di Gesù Cristo. – Il suo primo anello è Pietro, e noi ne vediamo oggi gloriosamente regnante il duecentocinquantanovesimo nella persona dell’Augusto Leone XIII. Dopo di lui la catena continuerà ad allungarsi sino al suo ultimo anello; vale a dire, fino a quando l’ultimo Papa porterà a termine il suo regno alla fine dei secoli. – Questa serie ininterrotta di successori di San Pietro ci presenta uomini che differiscono nel nome, nell’età, nel carattere, ma tutti occupando la stessa Sede, hanno tenuto nella loro le mani le stesse chiavi, che sono state affidate da Gesù Cristo all’apostolo San Pietro. In altre parole, essi hanno insegnato la stessa dottrina, hanno posseduto la stessa potenza e privilegi; tanto che se il principe degli apostoli tornasse in prima persona ad esercitare la sua Autorità Pontificia, i suoi poteri ed i suoi privilegi non sarebbero diversi da quelli dell’augusto Leone XIII, l’attuale possessore del suo immortale patrimonio. – I Papi possono morire; ma il Papato non muore mai, né cambia! – Rendiamo grazie a Dio, fratelli miei, per aver fondato Cristo la sua Chiesa sulla Roccia indistruttibile del Papato, e cerchiamo di avere sempre il massimo rispetto e amore per il nostro Santo Padre il Papa, il successore di San Pietro (L’importante è non confondere il Vicario di Cristo, con il servo abominevole di satana! –n.d.r.-).

Fonte: “Brevi SERMONI per le Messe basse della Domenica,. composti in quattro serie. Esposizione metodica della dottrina cristiana del rev. F. X. SCHOUPPE, S. J. –IMPRIM. 1884.]