LA VITA INTERIORE (7)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (7)

Sac. Dott. GIOVANNI NATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna, Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione, Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

LA PRESENZA DI DIO

PRELIMINARI.

Ecco una grande, dolce, confortevole verità: noi viviamo, ci moviamo ed esistiamo in Dio (Att., 17, 28). S. Tommaso d’Aquino, mentre per Ordine del papa Gregorio X, recavasi al IV Concilio di Lione, che si doveva aprire il 19 aprile 1247, fu colpito improvvisamente dalle febbri palustri, e dovette fermarsi ospite dei monaci cisterciensi nel loro convento di Fossanova ove morì il 7 marzo 1274- Come una lampada prima di spegnersi suole dare guizzi e fulgori più vividi e più intensi, così Tommaso dal letto ove mori ricambiò la carità di quei monaci esponendo loro brevemente il Cantico dei Cantici, e dando privatamente consigli a quelli, fra di loro, che ne lo pregavano. – Un giorno penetrò timidamente nella cella di Tommaso un monaco, il quale così disse: « Datemi, o padre santo, una regola sicura di condotta: ditemi una parola che sia la salvezza, la santificazione dell’anima mia ». San Tommaso, senz’esitare, così rispose: « Pensate, o fratello, spesso, alla presenza di Dio; quest’è il mezzo più efficace per vivere e morire bene ». – Però, prima di Tommaso, Dio stesso aveva dato questa stessa lezione, nelle pianure della Caldea, al suo fedele servo Abramo: Ambula coram me et esto perfectus: cammina; cioè, alla mia presenza e tu sarai perfetto.

Come DIO È PRESENTE A NOI?

Ma: come Dio è presente a noi? Come noi siamo presenti a Dio? È rima di dare una nostra risposta, crediamo ottima cosa riferire una bella pagina del P. Plus: « Fra le differenti maniere in cui Dio è presente nel mondo, ve n’è una, in modo particolare, che fornisce la sorgente per eccellenza dell’intimità (cioè: dell’unione con Dio). Noi vorremmo… spiegarla e metterla in piena luce, se fosse possibile: la presenza di Dio in noi per mezzo della grazia. » Dio, ci dice il Catechismo, è presente dappertutto. Questa presenza universale, questa onnipresenza, impressiona molto certe anime, ma in piccolo numero. Per la maggior parte, essere dappertutto, equivale a non essere in nessun punto, ed eccettuati alcuni santi, la massa non arriva a comprendere come mai possa generare l’intimità (la vita interiore) una presenza impersonale, difficile a concepirsi, la stessa per il peccatore e per il giusto, che risulta unicamente dal fatto della creazione. » Dio, inoltre, è presente d’una presenza tutta speciale, in cielo. Ma è così lontano il cielo! Occorre una grande potenza d’astrazione per crearsi una intimità che non distrugga questa distanza enorme e perpetuamente esistente. Ciò valga per S. Tommaso, di cui dicono i contemporanei che camminava cogli occhi sempre rivolti al cielo, assorto nella contemplazione divina. Valga per S. Ignazio di Loyola che Lainez paragona a Mosè, perché pareva che parlasse faccia a faccia con Dio, e amava pregare, come dice il Padre Noceet, sui punti più elevati della casa, in cui abitava, in modo così di trovarsi più vicino al cielo. – » Dio è presente nell’Eucarestia, e questa presenza, benché anch’essa molto misteriosa, è assai più palpabile. Vediamo e sentiamo qualcosa che la garantisce alla nostra povera natura sensibile. Ciò che vediamo e gustiamo, è semplice apparenza; la realtà sfugge alla nostra percezione, ma questo poco basta a sostenere la nostra fede che sotto queste apparenze adora la realtà divina. E poi, la presenza eucaristica, nella Comunione, dura poco; ed io non posso fare della mia vita una visita perpetua al Santissimo Sacramento.

» Oltre queste tre maniere di presenza di Dio, ne esiste un’altra, molto più feconda, dal punto di vista che trattiamo. « Dov’è Dio? — fu chiesto a un fanciullo. — Nel mio cuore. — Chi ve l’ha messo? — La grazia. — Chi potrebbe cacciarnelo? — Il peccato. Queste risposte di un fanciullo, mentre mostrano una grande conoscenza della vera vita cristiana, riassumono la dottrina che ci sembra produrre l’intimità al suo ultimo grado.

» Di tutte le nostre attitudini, la più singolare è quella di saper passare accanto al meraviglioso, senza punto curarcene. La bellezza morale della vita di una sacrificio di una suora, lo splendore della Chiesa, la grandezza del Sacerdote chi la vede? Ma anche noi, noi Cristiani, siamo maestri nell’arte di non curarci affatto delle splendide realtà che portiamo con noi.

» Domandate a un battezzato che definisca lo stato di grazia. Vi risponderà: — Lo stato di grazia consiste nel non avere peccati mortali sulla coscienza. — Insistete: — Unicamente in ciò, secondo voi? — Si; non è forse sufficiente…? — Nella vostra spiegazione vedo bene che possedere lo stato di grazia significa non avere qualche cosa. Ma non vorrebbe anche dire: Avere… — Avere che cosa?… — Ecco, state bene attento: Dio presente e vivente in noi.

» È il dogma della Chiesa, la definizione del Catechismo, né più né meno ».

Fin qui il P. Plus.

DOTTRINA POCO NOTA.

Come si vede facilmente, questa dottrina è per noi consolantissima. Tuttavia, benché sia condizione fondamentale della nostra santa Religione, benché fonte della vera vita d’unione con Dio e germe di sicuro sviluppo e delle più grandi consolazioni è praticamente, quasi sconosciuta o, almeno, non produce tutti quei frutti che se ne potrebbero attendere. — Perché? Per molte cause. Una di esse è… la paura di parlarne per una specie di rispetto umano, quasi si trattasse di una dottrina e d’una pratica molto difficile e riserbata a poche anime. Il non parlarne produce l’inevitabile ignoranza. — Il Card. Mercier, nel 1914, pochi mesi prima della grande guerra, predicando gli esercizi spirituali ai sacerdoti della sua diocesi, così diceva: «È una verità che Dio vive in noi… Molti battezzati ignorano quel mistero profondo e, per tutta la loro vita ne rimangono come estranei… I Sacerdoti, cioè a dire quelli stessi ch’ebbero la missione divina di predicarlo al mondo, se ne lasciano distrarre, non vi pensano punto, e quando lo si richiama alla loro memoria, se ne meravigliano… Convenite, dunque, nel credere che Dio non vi abbandona finché, per il peccato mortale, voi non lo costringiate a fuggire. Fate atti di fede volontari, espliciti, frequenti a questa presenza reale e stabile di Dio dentro di noi stessi. Non ricercate Dio al di fuori, ma dentro voi stessi ov’Egli abita per voi, dove vi chiama, vi aspetta e soffre delle vostre dissipazioni e dimenticanze ». Tutti dobbiamo saperlo, ricordarlo a noi stessi, vivificarne il ricordo agli altri: noi siamo il Tempio di Dio vivente e portiamo Dio nel nostro cuore: per questo dobbiamo camminare alla sua presenza, vivere una vita degna dell’ospite che ci accompagna ovunque e, dovunque, ci vede.

MEZZI PER VIVERE ALLA PRESENZA DI DIO. – IL MISTERO DELL’INCARNAZIONE.

Sono diversi:

1) Molte anime ricche d’immaginazione e facilmente impressionabili, giungono presto a isolarsi nell’intimità con Dio, pensando e contemplando il mistero della divina incarnazione. La santa umanità di Gesù Cristo le attrae, le eleva, le assorbe. Ora esse si trovano co’ pastori a Betlemme ed ora coi Re Magi, ora seguono Gesù sul Calvario ed ora sul Tabor; ripassano, cioè, la vita di Gesù nel loro spirito e cercano di fare tutto con Lui, per Lui, in Lui, e, per quanto è dato loro, come Lui. Di questo bellissimo metodo ci è maestro San Francesco d’Assisi. « L’Incarnazione, narra il suo biografo, pareva a lui, come a S. Paolo, il gran mistero di pietà in cui debbono incontrarsi Dio e l’uomo. Non l’aveva, forse, iniziato alla vita il Crocifisso colla sua parola e col suo esempio? Egli conosceva a fondo il Vangelo. La sua immaginazione delicata scopriva negli atti del Salvatore una folla di particolari che sfuggono a quelli che hanno una tenerezza meno sveglia. Tutta la vita di Gesù s’era disegnata e animata a poco a poco sotto il suo sguardo. Egli aveva compreso che Nostro Signore, prendendo la nostra natura e vivendo della nostra vita, ci eccitò con ciò stesso a camminare sui suoi passi e a imitare i suoi esempi. L’imitazione del Salvatore spinta il più lontano che sia possibile, gli era apparsa la legge della vita ».

LA SANTA GRAZIA.

2) Le anime austere, forti, molto portate alla riflessione pensano alla presenza di Dio in noi per mezzo della sua santa grazia. Di questo abbiamo già detto precedentemente. Ci limiteremo riferire qui quanto riguarda questa presenza; dice l’Imitazione di Cristo:

« Chi mi darà, o Signore, di trovarvi solo e di aprirvi tutto il mio cuore e di godere di Voi come desidera la mia anima? Ciò che io chiedo, ciò che bramo, è di essere unito a Voi interamente; e che io sia in Voi e Voi in me, e che questa unione inalterabile, Voi siete il mio diletto scelto fra mille, nel quale la mia anima trova le sue compiacenze e nel quale vuole dimorare per sempre… Allora Dio mi dirà: se tu vuoi essere con me, Io voglio essere con te. E io gli risponderò: degnatevi o Signore, di abitare con me: io bramo ardentemente di stare con voi, tutto il mio desiderio è che il mio cuore sia unito a voi” (De Imit. Chr., IV, XIII).

DIO CREATORE E CONSERVATORE.

3) Accanto a questi due primi mezzi, o metodi, che non sono facilmente raggiungibili da tutte le anime, ve n’è un terzo, ed è quello che ci fa pensare a Dio nostro Creatore e conservatore. Quale e quanta fu la bontà del Cuore divino nel pensare a me quando mi creò dal nulla! Quale e quanto grande è la bontà misericordiosa di Gesù nel conservarmi in vita, cioè nel ripetere in ogni istante come una nuova creazione del mio povero e miserabile essere!

« OMNIS MUNDI CREATURA… ».

4) Un quarto mezzo ci è dato dallo splendore delle cose create che ci parlano del Creatore. Come dice elegantemente San Paolo, le cose visibili sono fatte per trasportare al loro Autore invisibile. Non possiamo qui non ricordare quanto, anche in questo, fosse saggia maestra la buona mamma di don Bosco. È don Bosco stesso che narra: «In una bella notte stellata, uscendo all’aperto, mostrava il cielo e diceva: “È Dio che ha creato il mondo e ha messo lassù tante stelle. Se è così bello il firmamento, che cosa sarà del Paradiso?” – » Al sopravvenire della bella stagione innanzi ad una vaga campagna, ad un prato tempestato di fiori, al sorgere di un’aurora serena o allo spettacolo di un roseo tramonto, esclamava: Quante belle cose ha fatto il Signore per noi!”. – » Se si addensava un temporale e al rimbombo del tuono i fanciulli si aggruppavano intorno a lei: Quanto è potente il Signore, ripeteva, e chi potrà resistere a Lui? Adunque, non facciamo peccati!”. – » Quando una grandine rovinosa portava via i raccolti, recandosi coi figli a osservare il guasto: “Il Signore ce li aveva dati, osservava, il Signore ce li ha tolti. Egli ne è il Padrone. Tutto pel meglio, ma sappiate che pei cattivi sono castighi e con Dio non si burla!” – » Quando i raccolti riuscivano bene ed erano abbondanti: “Ringraziamo il Signore, ripeteva. Quanto è stato buono con noi, dandoci il nostro pane quotidiano”. Nell’inverno, quando erano tutti assisi innanzi ad un bel fuoco, e fuori era ghiaccio, vento e neve, non mancava di far riflettere alla famiglia: “Quanta gratitudine non dobbiamo al Signore, che ci provvede di tutto il necessario; Dio è veramente padre: Padre nostro che sei nei cieli!” ». – Questo modo speciale di sentire la natura e di vedere, in essa, Dio, non può essere disgiunto, è appena necessario il dirlo, dalla pratica della vita cristiana. – Mamma Margherita così parlava perché aveva il vero senso cristiano della vita. Questo stesso modo di sentire debbono avere i genitori nell’educazione santa dei loro figli. I frutti non potranno tardare. Non c’è colore di mare o di cielo, non profumo di fiore o di terra, non saporosità di frutto che possa sfuggire all’occhio e al cuore del fanciullo. Alla sua fantasia il giglio dei campi raggia come un calice, la spiga appare, nello steccato dell’arista, come una fortezza, e l’uva esulta nella molteplice corona delle sue foglie tripartite come una regina splendente di oro e di porpora. E l’acqua, a volta a volta, si tramuta: giallo oro tra le arene, spumeggiante tra gli scogli, verdastra tra i boschi, colorita tra i fiori, luminosa tra i gigli, rutilante tra le rose, scorrevole tra le erbe, torbida nella palude, nitida nella fonte, oscura nel mare. Ma orecchio e spirito ancora più intento il fanciullo ha per il canto: canto di usignolo nella notte, canto di gallo si primi albori, canto di eremita in isola deserta a gara con le onde, canto di popolo in chiesa… Oh! aveva ragione S. Ambrogio di esclamare: Omnis mundi creatura quasi liber et pictura! Libro e pittura di… Dio!

MEZZI CONVENZIONALI.

5) Giova pure moltissimo ad attivare la presenza di Dio in noi, il far uso dei mezzi convenzionali; ricordando, cioè, per esempio, la presenza di Dio al suono delle ore, od ogni volta che squillano i sacri bronzi, quando si fissa lo sguardo sul Crocifisso e… in mille altri modi che l’amore sa suggerire. In questi casi è buona cosa il recitare una pia giaculatoria, l’esprimere un atto di amore o di dolore, di detestazione del peccato, uno slancio dell’anima verso il Cuore divino di Gesù oltraggiato. « Questi slanci interni, dice San Francesco di Sales, non impacciano affatto, ma facilitano l’esecuzione di ciò che facciamo. Il viandante che prende un sorso di vino generoso per confortare il cuore e rinfrescare la bocca, benché si fermi un istante, non interrompe per questo il suo cammino, ma prende forza per compierlo più speditamente e più comodamente, non fermandosi se non per meglio camminare ».

LA LITURGIA E LA PREGHIERA.

6) Altro mezzo efficacissimo, è la conoscenza della liturgia e del suo spirito. Per essa tutto è indirizzato a Dio, tutto ci parla di Dio, delle sue perfezioni, de’ suoi benefici, del suo amore infinito, della sua tenerezza paterna, e in tutto troviamo la porta che ci conduce a Dio. « La liturgia, dice lo Chautard nel suo magnifico libro “L’anima dell’Apostolato”, è una scuola della presenza di Dio ». – Ancora. Dio è vicinissimo a quelli che lo pregano; anzi, se due o tre si raccolgono per pregare Egli ha promesso che si troverà subito in mezzo a loro. La Sacra Scrittura c’insegna che gli occhi di Dio sono rivolti a quei che lo temono e le sue orecchie sono sempre tese ad ascoltare le loro preghiere.

VANTAGGI PER L’ANIMA CHE VIVE ALLA PRESENZA DI DIO. – STIMA DELL’AMORE DIVINO.

1) Il primo, inestimabile, immensurabile vantaggio è la stima dell’amore divino, è l’aumento dell’amore, è la conoscenza e l’acquisto dell’amicizia con Dio. « Conforto di questa vita, dice S. Ambrogio (De off., I, 3), è che tu abbia l’amico a cui aprire il tuo cuore, a cui comunicare i tuoi segreti, che nelle prospere cose si rallegri teco e nelle tristi ti consoli ». Ma quale migliore Amico di Gesù. nel Santo Tabernacolo e ospite nella nostra anima? Il suo Cuore dolcissimo e nel tabernacolo e in noi « partecipa in grado eminente e senza alcuna imperfezione, nella sensibilità dell’umana natura. Anch’Egli prova un bisogno intenso d’amicizia: Iste Sponsus non modo amans, sed amor est » (Manete in dilectione mea – pag. 42).

2) Altro vantaggio della presenza di Dio è il distacco dal nostro «io» e dalle cose create. Questo vantaggio scaturisce limpidamente dal primo, dall’amicizia con Dio; cioè, più praticamente: il pensiero della presenza di Dio allontana dal male e rafforza nel bene.

Proprio per questo il santo don Bosco, ha disseminato sulle pareti delle sale di studio e di scuola cartelli con le parole: Ricorda che Dio ti vede, o: Dio mi vede, o: Dio ti vede. E non solo sulle pareti delle sale, ma su le stesse pareti della Casa e sugli archi dei corridoi perché il pensiero della presenza di Dio divenisse famigliare, e, quindi, santamente educativo e preservativo. Com’è umano che la presenza d’una persona costituita in dignità e in autorità imponga, ed ottenga, il rispetto, così, e tanto più, impone ed ottiene l’osservanza della legge di Dio, l’astensione dal peccato, l’aumento dell’amore di Dio, il pensiero della sua presenza. È nota l’esortazione di Seneca ai suoi discepoli; procurassero cioè: «di vivere sempre come se fossero sotto gli occhi di un personaggio potente e virtuoso ». E così diciamo delle parole di Virgilio a Dante: … se tu avessi cento larve / sopra la faccia, non mi sarien chiuse / le tue cogitazion quantunque parve (Purg., XV, 127-9).

DIO VEDE TUTTO.

Ma lo sguardo di Dio è assai più fine, più perspicace, più penetrante: Dio vede tutto. Egli vede gli affetti del cuore, co’ suoi movimenti e mutamenti; le pieghe del nostro spirito, la varietà e l’agilità del nostro pensiero; le inclinazioni della volontà e quelle della natura… Nulla gli sfugge e, perciò, tutto gli è sottomesso. – Se è così, come oseremo noi operare, parlare, pensare, giudicare, condannare, assolvere, quasi che Dio non ci vedesse? Dobbiamo, adunque, vivere con sentimenti conformi alla santità della sua presenza. – L’eremita Pafnuzio a chi lo tentava di peccato: « Volete che faccia il male? — disse — conducetemi in un luogo dove Dio non mi veda ». Dichiarazione precisa e ricca del più alto significato. Noi siamo più immersi nella presenza di Dio di quanto sia inzuppata d’acqua una spugna che giace nelle profondità marine. Occorre, quindi, vigilare su di noi stessi, giorno e notte, per non offendere Dio, mai, in nessuna maniera, poiché Egli è un padre affettuoso dal quale tutto abbiamo ricevuto e riceviamo: « Si dà quasi la definizione del vero Cristiano, disse il Card. Newman, quando lo si dice un uomo assorbito dal sentimento della presenza di Dio in lui…, un uomo che vive in questo pensiero: Dio è qui, nel centro del mio cuore: un uomo la cui coscienza è illuminata da Dio così che egli vive nell’impressione abituale che tutte le sue pene, tutte le fibre della sua vita morale, tutti i suoi motivi, tutti i suoi desideri, tutti i suoi sentimenti sono noti a Dio, più che non a se stesso ». – E se Dio è con noi, chi può essere contro di Dio? Fede, fiducia, confidenza, amore, abbandono nella santa presenza di Dio. Ecco la strada regia.

LA VITA INTERIORE (6)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (6)

Sac. Dott. GIOVANNI NATTISTA CALVI,

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna – Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

LA LETTURA SPIRITUALE

RICCA SORGENTE...

Dopo la preghiera vocale e la meditazione, dopo l’esame di coscienza, la lettura spirituale è la sorgente più ricca di vita interiore. L’anima che sente vivo vivo il desiderio del raccoglimento, dell’intimità, della conversazione con Dio, non ha che da praticare l’esercizio della lettura santa. Quanto più progredirà nella lettura attenta e raccolta, tanto più s’accorgerà del suo distacco dal mondo esteriore, dalle creature. Crescerà in lei quasi prepotente il desiderio di vedere, di sentire Gesù, di essere unita con lui nella mente, nella volontà, nel cuore. S’avvedrà che la lettura santa è la parola di Gesù!

È LA SORELLA DELL’ORAZIONE.

L’autore dell’Imitazione di Cristo (Libro III, c. iv, 16) parlando delle prove e delle tentazioni con cui il demonio suole vessare le anime desiderose di amare il Signore, esce in questa constatazione: « Egli (cioè il demonio) ti soffia molti cattivi pensieri per cagionarti tedio e paura, per ritrarti dall’orazione e dalla lettura santa ». Rileviamo subito il felice accostamento di orazione e lettura. Chi suole essere sempre con Dio deve spesso orare e spesso leggere. Perocché quando noi oriamo, favelliamo con Dio; e quando noi leggiamo, Iddio favella con noi (Corona, cap. III). È proprio così. Lo confermano i Santi: « Quando preghiamo, noi parliamo con Dio; quando leggiamo i divini oracoli, ascoltiamo Dio che ci parla» (S. Ambrogio, Off., 1, 20). « La S. Scrittura è come una lettera venutaci dalla patria nostra » (S. AGOSTINO, serm. 56 ad Fr.). E ancora: « Chi suole essere sempre con Dio, deve frequentemente attendere alla preghiera e alla lettura spirituale» (SANT’AGOSTINO, Quæst., 120). Così molti altri Santi e maestri di vita spirituale raccomandano tanto insistentemente questa santa lettura e dicono, d’essa, quasi le stesse lodi della preghiera… San Bernardo soleva ripetere — e come lui, S. Alfonso Maria de’ Liguori ai suoi religiosi — che non si può trarre vero profitto nella vita della perfezione senza la pratica della meditazione e della lettura spirituale. Per questo motivo tutti i fondatori di Ordini e di Congregazioni religiose stabilirono tra le pratiche di pietà proprie dell’Ordine o della Congregazione, anche l’esercizio quotidiano della lettura spirituale.

ECCELLENZA ED EFFICACIA.

Non sempre ci è data la comodità di avvicinare e di consultare il Padre spirituale per essere consigliati sul modo di operare, particolarmente nei dubbi. Non sempre possiamo avere la gioia di udire un santo e dotto predicatore che c’illumini, ci attragga, ci persuada. Non tutti i predicatori poi, dicono cose appropriate per noi, individualmente. Talora qualche predica potrà, persino, disturbare il nostro spirito se noi non saremo pronti a pensare a giudicare con spirito di fede. Invece, è sempre possibile trovare e leggere un buon libro. La lettura spirituale supplirà a tutto, suggerendoci essa i lumi necessari e la guida per combattere e vincere il demonio, sopprimere il nostro amor proprio e far trionfare la volontà di Dio. Quando poi la predica ci fosse piaciuta e ci fosse stata di grande giovamento, non abbiamo la possibilità di invitare il predicatore a ripetercela pel nostro maggior profitto… Al contrario, si può leggere e rileggere un libro e rifletterci sopra con tutta la nostra comodità e tranquillità. – Il libro, dice S. Gregorio Magno (Moral., 2, 1), « è come uno specchio postoci innanzi agli occhi dell’anima ». – La lettura spirituale, asserisce S. Alfonso, riempie la mente di pensieri santi e di buoni desideri. Così, l’anima permeata dai consigli e dai virtuosi esempi dei santi, « sente come un bisogno di vivere alla presenza di Dio, di stare quasi sempre unita a Lui, di fare spesso atti di amore verso Dio, e di praticare tanti atti di virtù ». Soprattutto nella lettura spirituale l’anima sente l’invito dolce e fascinante di Gesù che vuole la nostra dedizione al suo santo servizio, e perciò ci fa splendere chiaramente l’obbligo che abbiamo di imitare Lui, re di ogni perfezione, di secondare e praticare i suoi esempi, già secondati e praticati dai santi. – Quante anime furono, si può dire, trasformate e fatte sante dopo la lettura di qualche libro spirituale che le indusse a lasciare il mondo e a darsi generosamente a Dio! Il colpo di grazia che convertì Agostino, come abbiamo già accennato, fu la lettura di poche righe dell’epistola di S. Paolo ai Romani (XIII, 13-14) alla quale era stato indotto dalla voce d’un fanciullo invisibile che ripeteva: Tolle et lege, tolle et lege.Dopo tanta e sì lunga lotta tra lo spiritoe la carne, finalmente risolvette di troncareogni ulteriore indugio.Così pure, per mezzo della lettura d’unlibro buono di Vite dei santi, al gloriosoS. Ignazio di Loyola Gesù fece sentireil suo dolce invito. Questo meraviglioso invito, gradito, accettato, seguito, indusse Ignazio ad abbandonare il brutto mestiere dell’uso delle armi per gli uomini, e a indossare le armi per la difesa di Gesù e dei suoi interessi. Come sarebbe possibile non vedere, con questo, la cura amorosa della Provvidenza divina che giunge, così dolcemente, al cuore e all’anima di questi suoi grandi figli e tanto efficacemente li attrae nella via e nella pratica della santità?

COME DOBBIAMO LEGGERE.

Perché la lettura spirituale, sorgente tanto ricca e fresca di vita interiore, possa essere efficace, dobbiamo, prima d’iniziare la lettura:

a) metterci alla presenza di Dio e raccomandarci a lui, affinché c’illumini la mente e riscaldi il cuore;

5) leggere, non solo con attenzione e raccoglimento per una più ampia conoscenza del Signore e delle verità eterne, ma altresì per attingere nuovi rinforzi per la nostra volontà;

c) aver cura di leggere non molte cose, o cose troppo difficili, ma sempre attentamente, e con ordine quel poco che possiamo, adattato alla nostra intelligenza e alle nostre esigenze spirituali;

d) cercar di leggere con ordine, pausa, ponderazione, e fermandoci su quei passi che ci fanno maggior impressione;

e) cercare di scegliere qualche buon pensiero per ricordarlo durante il giorno, affinché ci serva di ammaestramento e di guida.

Mi sembra utile, qui, ricordare un suggerimento che S. Giovanni Bosco diede ai suoi giovanetti e che può essere utile a tutte le anime. « Oltre le consuete preghiere del mattino e della sera, vi esorto a spendere eziandio un po’ di tempo a leggere qualche libro che tratti di cose Spirituali… Dalla lettura di questi libri riporterete grandissimo vantaggio per l’anima vostra » (Il Giovane provveduto). Poiché molte anime si crucciano perché loro sembra di non trovare nessun vantaggio nel leggere, o nel sentire e leggere tante cose veramente belle e buone, riteniamo conveniente riferire le parole che ha, proprio per esse, S. Francesco di Sales: « …non bisogna pretendere di mettere in pratica tutto ciò che vi troverete di bello. Andate avanti dolcemente, aspirando dopo cotesti belli insegnamenti; e ammirando; e ricordatevi che non si tratta che uno mangi da solo tutto un festino preparato per molti ». – Avvertimenti chiari e sereni che non abbisognano di commento. S’intende che dobbiamo, sempre, scegliere quei libri nei quali l’anima può sentirsi meglio attratta al servizio di Dio e alla pratica della virtù. Dopo il S. Vangelo, l’Imitazione di Cristo e altri libri fondamentali ben noti alle anime, le vite dei santi sembrano indicatissime per la loro utilità pratica. Infatti, nei libri di istruzione sulla virtù noi leggiamo ciò che si deve fare; ma nelle biografie dei santi si legge ciò che fecero, tra mille ostacoli, tanti uomini ch’erano, come noi, di carne e di ossa, soggetti a tutte le tentazioni. – Un antico re dell’Egitto scrisse sulla sua biblioteca: Alimenti dell’anima. Infatti, chi legge mangia. Buone letture, buon cibo spirituale che nutre, riscalda, e fa crescere… la nostra unione con Dio.

LA VITA INTERIORE (5)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (5)

Sac. Dott. GIOVANNI NATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna – Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

L’ESAME DI COSCIENZA

ESAME DI PREVIDENZA.

Quest’esame si fa, per solito, di mattina,e consiste nel prevedere col pensiero, o,meglio, nel costruirci la nostra giornata eciò che ci potrà accadere, come la dovremoe come la vorremo trascorrere. Nel santoEvangelo si parla di un costruttore il quale,avendo stabilito d’innalzare una torre, pensae riflette se ha tutto quello che è necessario per condurla a compimento. Similmente si accenna ad un tale il quale, prima di dichiarare la guerra ad un altro re, riflette seriamente su la possibilità e la probabilità di riuscire vittorioso. Questi sono insegnamenti preziosi per le nostre anime. Ogni giorno noi abbiamo occasione di fare il bene e di fuggire il male. Nello stesso ordinario compimento dei nostri obblighi quotidiani possiamo essere, più, o meno, diligenti, delicati, precisi… – Ecco la necessità di prevedere ciò che ci potrà succedere, per disporre con prudenza il modo e i mezzi perché tutto riesca di nostro maggior profitto spirituale. Maestro, anche in questo, il grande San Francesco di Sales. Egli, con la sua dolcezza, così ci istruisce: « Prevedete quali affari, quali commerci e quali occasioni potete incontrare in un dato giorno per servire Dio, e quali tentazioni vi potranno sopravvenire di offenderlo o per collera o per vanità o per qualche altro disordine: e con una santa risoluzione preparatevi a usare bene dei mezzi che vi si offriranno per servire Dio e per aumentare la vostra divozione; e al contrario, apparecchiatevi a bene evitare, a combattere e a vincere ciò che può presentarsi di contrario alla vostra salute (spirituale) e alla gloria di Dio. E non basta fare questa risoluzione: bisogna altresì preparare i mezzi per eseguirla ». – I mezzi vengono suggeriti da Dio stesso. Basta, per questo, l’umile supplica che sgorga spontanea dal cuore; essi sono, perciò, tanti e diversi quante sono le anime che, per questo fine, e secondo le loro speciali occupazioni e particolari attitudini, si rivolgono a Dio. – Con certezza, possiamo ritenere che l’esame di previdenza darà anche una direzione e un impulso alla nostra volontà, e perciò alle nostre azioni e, quindi, anche alla giornata. Tutto questo esercizio genererà anche la virtù della fortezza nel combattere durante il giorno, gli ostacoli preveduti fin dal mattino.

ESAME PARTICOLARE.

L’esame particolare, ci conduce, direttamente e rapidamente, al raccoglimento, alla vita: interiore, alla cura e alla preferenza degli interessi di Dio, alla sottomissione e all’adorazione della sua santa volontà. – Ricordiamo, qui, come ognuno ha stretto obbligo di attendere al proprio miglioramento, di cercare la santificazione di se stesso. Per questo il Signore ci comanda d’essere santi, di essere perfetti: sancti estote, perfecti estote. – Nel percorso di questo cammino, non si può mai dire: basta. Perciò l’Apostolo Paolo scrivendo ai Filippesi così loro dice: « Benché da tanto tempo io serva il Signore, tuttavia non mi credo ancora giunto a quel grado di perfezione a cui pure aspiro; perciò non penso a quello che ho fatto e sofferto nel passato, penso invece a quel che mi resta da far». – Ancora: il non cercare di progredire, il desiderare di fermarsi, il dire basta, è lo stesso che tornare indietro. Tutti i maestri della vita dello spirito concordano nella massima: Non progredi, regredi est. L’esame particolare è uno dei mezzi più efficaci per la nostra perfezione e santificazione: “Esso consiste, dice il Tronson, nell’esaminarsi più d’una volta e minutamente sopra un oggetto particolare, come sarebbe un vizio, una virtù, uno dei nostri esercizi; per scoprire non solo i nostri peccati, come si fa nell’esame generale, ma anche i più piccoli nostri difetti e le nostre più leggere imperfezioni. Questo lavorio tutto spirituale ha il fine, adunque, di ricercare l’acquisto. — a una a una — di tutte le virtù, e di sopprimere — uno per volta — tutti i nostri difetti. – Esaminandoci su gli sforzi fatti per l’acquisto d’una virtù, p. e., la pazienza, noi, automaticamente, e immediatamente, veniamo a conoscere quante volte abbiamo praticato in un dato tempo, la virtù della pazienza, e quante volte, nello stesso tempo, siamo caduti nella impazienza. – La tattica esperta della riunione delle forze nell’attacco frontale del nemico, non è meno efficace nel concentramento di tutte le forze per un assalto vigoroso contro un nostro difetto, per sopprimerlo, e all’acquisto d’una particolare virtù per praticarla. – È nota la favola del vecchio che invitò molti giovani a spezzare i rami ammassati e legati d’una sua fascina. Nessuno, dopo molte prove riuscì ad accontentare il vecchio. Questi, invece, sciolse la fascina spezzò i rami a uno a uno. Ecco, chiaro, il significato della favola: così, noi pure dobbiamo fare coi nostri difetti per mezzo dell’esame particolare. Eliminato, tra i difetti, quello che dicesi predominante, perché in noi è più attivo, più sviluppato, e, quasi, la cellula iniziale di tutti gli altri questi cadranno di per sé, e lasceranno di svilupparsi per mancanza di sostegno e di naturale nutrizione. Infatti, ucciso, Golia; i Filistei, in un momento, furono tutti sbaragliati e messi in fuga. « Se noi sradicassimo un difetto ogni anno, dice l’autore dell’Imitazione di Cristo, saremmo ben presto perfetti ». Quale grande conforto per noi! Perché, perché tardiamo a praticare questo esame? No. Esso non è cosa nuova, né, tanto meno difficile. Richiede, da parte nostra, un po di costanza e di vigilanza. – Gli antichi Savi, esortavano i loro discepoli a rivedere di continuo, giorno per giorno, i loro pensieri, le parole, le azioni e di annotarne il loro valore, buono o non buono, con palline bianche e nere. – Nella nostra santa religione però, ha preso, quest’esame, una forma nuova e importantissima. Fu nel secolo XVI che il grande S. Ignazio di Loyola perfezionò e diffuse questa efficacissima pratica di pietà. Egli suggeriva di tenere a disposizione un quadernetto apposito e di segni giorno per giorno, il numero delle mancanze e quello dei successi nell’acquisto della virtù proposta o la soppressione del difetto preso di mira. Di più. Consigliava d’imporsi una penitenza per ogni mancanza. S. Ignazio, può dirsi, giustamente, il grande santo dell’esame particolare. Egli lo praticò anche nel giorno in cui morì. Fu, infatti, trovato sotto il guanciale, il suo quadernetto bene aggiornato sino a poche ore prima della morte. – Una possibile obbiezione può venire da chi credesse questa pratica un impaccio troppo pesante e ingombrante. No. Non è così. Basta incominciare per sentire di amarla e, perciò, volerla continuare. Giosuè Borsi, Guido Negri detto il capitano santo, Loreto Starace, tre valorosi che diedero la vita in olocausto per la patria, praticarono anche in guerra questo santo esercizio. Se, pure, noi, ne faremo uso con serietà e con perseveranza, troveremo in esso un coefficiente molto pratico del nostro raccoglimento. – Terminiamo con le parole di un santo religioso: « Mio Dio, poiché è vostro grande desiderio che io lavori alla mia perfezione, poiché questo lavoro è, per me un obbligo rigoroso e voi me lo facilitate sommamente colla pratica dell’esame particolare, non sarebbe un disordine inescusabile se mi vi rendessi infedele? Non permettetelo, o mio Dio! ».

ESAME GENERALE.

Come abbiamo già detto, l’esame generale, si fa, ordinariamente, al termine della giornata, o di un periodo di tempo determinato. – S. Giovanni Crisostomo così ce lo presenta in una sua omelia: Quando viene la sera, egli dice, e s’avvicina il tempo del sonno, giudicatevi, esaminate la vostra coscienza sulle azioni della giornata. Se siete fedeli a questa pratica, sarete pieni di fiducia, quando arriverà il momento di comparire al tremendo tribunale di Dio. Chi segue la pratica di questo santo esercizio, col dare quotidianamente uno sguardo allo stato della sua coscienza contrarrà facilmente l’abito del vigilare su di se stesso. – Quest’abito, poi, conduce fortunatamente l’anima alla pratica di una vita sempre più cristiana.

MODO DI ESAMINARSI.

Vi sono, anche in questo esame, tanti modi quanti sono i gusti. Tuttavia due modi possono essere indicati: 1) Il primo consiste nell’interrogare la nostra anima seguendo l’ordine dei comandamenti di Dio e della Chiesa. Questo modo ha, però, necessità di essere integrato da molte altre cognizioni. Richiede, perciò, una certa preparazione accompagnata dall’attenzione e dalla memoria.

2) Il secondo modo, invece, consiste nella ricerca che l’anima fa:

a) riguardo al come ha compiuto i suoi doveri verso Dio, verso il prossimo, verso se stesso;

b) e riguardo agli obblighi del proprio stato. Tutto questo poi, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, nelle omissioni.

Ognuno così potrebbe chiedersi: Quest’oggi, sono vissuto da Cristiano, cioè da uomo dell’eternità, conforme a Gesù Cristo nella mia intelligenza, ne’ miei confronti e ne’ miei giudizi? Gli sono stato conforme nel mio cuore, ne’ miei affetti, nelle mie antipatie, nelle mie inclinazioni, nelle mie parole in tutto il mio esteriore? Ho cercato la gloria di Dio? (De Ségur).  – Per questo autointerrogatorio, l’ora più propizia sembra proprio la sera. L’ora cioè, nella quale gli uomini d’affari, i banchieri, i capi di famiglia mettono in ordine i loro conti, fanno il confronto tra le uscite e le entrate, definiscono le questioni, decidono sul da farsi all’indomani, deliberano sulle spese, stabiliscono il saldo delle partite. Questo modo di agire salva, tante volte, certe Imprese che in nessun altro modo potrebbero essere sostenute. Se questo si fa, se tutto questo si ottiene nella cura degli affari materiali che hanno la breve durata d’un giorno, una maggior attenzione dovremmo porre nella cura degli affari spirituali! Quest’attenzione, questa cura possiamo darla, e dobbiamo, anzi, darla, all’anima nostra per mezzo dell’esame generale. Con dolore, però, dobbiamo sovente constatare, come, anche in questo i figli delle tenebre sono più saggi dei figli della luce.

LA PREGHIERA.

Affinché l’esame possa dare i suoi frutti, conviene elevare fiduciosa supplica al Signore perché ci dia la luce necessaria a ben conoscere noi stessi e a rilevare, con precisione, le condizioni del nostro spirito. La luce di Dio ci farà conoscere le colpe gravi, per le quali è necessario, anche, ricercarne il numero e le circostanze che cambiano la specie del peccato. Ci farà conoscere le colpe veniali, di ogni genere, nelle quali con troppa facilità, forse, siamo soliti a sdrucciolare. Comunque: e delle colpe gravi e di quelle veniali è bene cercare l’origine, la causa; enumerare gli effetti disastrosi per detestarle maggiormente. Da ricordare, a questo punto, le parole di Gesù agli Apostoli: Vigilate e pregate per non cadere in tentazione. Soprattutto poi, pregheremo Gesù perché ci dia il dono delle lagrime; ci conceda, cioè, di piangere i nostri peccati, di sentirne vivissimo il dolore per averne da Dio stesso il perdono. Il dolore ecciterà il proposito: il proposito ci persuaderà della necessaria penitenza, della doverosa espiazione delle nostre colpe – Espiazione e penitenza proprio necessarie prima di entrare in Paradiso. Disponiamo lo spirito a farne delle penitenze quando e quanto ci sia possibile, ricordando le parole dell’Apostolo: Se ci condanniamo nella vita presente, non saremo condannati nella vita futura. – Il grande San Bernardo raccomandava caldamente ai suoi religiosi molta severità nell’esame e nella penitenza. Esaminatevi, diceva, e giudicatevi con lo stesso rigore col quale esaminereste e giudichereste un altro! Da quest’esercizio dell’esame generale vedremo scaturire, ben presto, un vantaggio spirituale notevolissimo. Questo progresso nella via del bene, ci avvicinerà, con maggior confidenza, a Gesù. La vicinanza a Gesù ci farà conoscere l’immensa grazia della sua intimità: allora desidereremo veramente l’unione con Lui e con Lui vivremo la sua vita interiore.

CONSIDERAZIONI.

Ancora alcune parole sui vantaggi speciali dell’esame di coscienza. Tra le diverse virtù, quelle che più ne ricevono alimento, sono: l’umiltà e la carità. Non si può non essere umili di mente e cuore, controllando ogni giorno il male ch’è in noi, nonostante i propositi fatti per emendarci! Come, poi, non essere caritatevoli e indulgenti col prossimo, mentre abbiamo in noi, sovente, l’occasione di constatare le medesime miserie? Fu affermato con verità da un maestro di spirito: Senza esame di coscienza sarete fra dieci o vent’anni quello che siete ora; non cercate un difetto di meno e una virtù di più. – In qualche Ordine religioso, la malattia può dispensare da tutte le pratiche di pietà. Si fa eccezione per l’esame di coscienza. Anche ammalato, il religioso è obbligato, da sé, o con l’aiuto di qualche confratello, a esaminarsi ogni giorno. – È logico e chiaro di per sé, il grande vantaggio che ne deriva per la Confessione sacramentale. Come, pure, e viceversa, è palese il danno che ne deriva all’anima non preparata che si presenta al santo tribunale di penitenza. Né solo… prepara al sacramento della penitenza, ma può anche supplirlo in caso di morte improvvisa, mentre la fuga di noi stessi, dopo di aver abbassato la nostra vita di uomo e di Cristiano, avrebbe per ultimo risultato quello di condurci tremanti e già condannati al tribunale di Dio. Si teme il tu per tu con la propria coscienza, eppure si avrà un giorno il tu per tu con Dio. Sapete che cosa sarà il giudizio di Dio? Sarà la coscienza di se stessi divenuta inevitabile. L’esame di coscienza è una delle principali fonti di quello che viene detto lo spirito di iniziativa. Dice un pio autore che dalla mancanza di questo spirito d’iniziativa si arguisce, quasi con certezza, la mancanza di un serio e continuato esame. Il conoscere se stesso è, però, solo un mezzo. Dobbiamo arrivare a conoscere Dio; a conoscerlo bene per amarlo molto, per amarlo infinitamente. Occorre, per questo, incominciare dall’esame di noi stessi. – Ci sembra opportuna, in questo punto, la seguente osservazione di Pascal: È certo che l’uomo più è illuminato e meglio conosce di essere miserabile. È dunque miserabile perché si conosce, ma è grande perché si conosce miserabile. – Concludiamo con un pensiero del caro San Francesco di Sales: I frequenti esami di coscienza sono ottimi alla sera, al mattino e al mezzodì. Ogni Cristiano amante della sua salvezza deve aver cura di ricaricare l’orologio del suo cuore: e nel corso della giornata è bene che consideri in quale stato si trovi.

« Noverim Te, noverim me! »: ch’io conosca Te, o mio Dio, e che conosca me.

(S. AGOSTINO).

LA VITA INTERIORE (4)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (4)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna – Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

L’ORAZIONE MENTALE (1)

(1) [Intendiamo, qui, indicare, precisamente la meditazione discorsiva, ch’è necessaria, come tutti sappiamo, per acquistare, o fortificare, le convinzioni. Nell’occasione, ricordiamo che la meditazione discorsiva verrà, in seguito, e a poco a poco, sostituita dall’orazione affettiva. Per quest’ultima poi, non potendo trattarne espressamente, raccomandiamo i tre metodi che S. Ignazio suggerisce, e cioè: – 1) la contemplazione; – 2) l’applicazione dei sensi; – 3) la seconda maniera di pregare.

Ci permettiamo anche di suggerire una formula d’esame della meditazione fatta.

1° Se mi sono messo alla presenza di Dio.

2° Se ho chiesto al Signore che tutte le mie intenzioni, azioni e operazioni siano puramente ordinate a servizio e lode di Sua Divina Maestà.

3° Se ho fatto il preludio detto « composizione di luogo ».

4° Se ho chiesto a Dio la grazia di ricavare dalla meditazione il frutto proprio.

5° Se ho preso la positura più conveniente.

6° Se ho esercitato la memoria riducendomi in mente la materia da meditare.

7° Se ho esercitato l’intelletto discorrendo posatamente intorno alla medesima.

8° Se ho applicato a me stesso quanto poteva fare per me.

9° Se mi sono tenuta in colloquii ed affetti proporzionati.

10° Se ho patito distrazioni e ne cercai la causa.

11° Se ho ricevuto consolazioni o cognizioni più chiare e quali.

12° Se ho speso tutto il tempo segnato.]

I MEZZI

Per riuscire a vivere in Gesù, per Gesù e con Gesù, cioè per vivere la vita interiore, è necessario rimuovere alcuni ostacoli che l’impediscono, e scegliere ed adoperare alcuni mezzi, senza de’ quali nulla si può fare. E, anzitutto, ricercare i mezzi adatti. Tra di essi, il più importante, il più efficace, è la preghiera. Essa, come abbiamo detto, può essere vocale o mentale. Quest’ultima prende il nome di meditazione. – Pochi anni or sono, si riteneva, comunemente, che la meditazione fosse cosa riserbata ai frati e alle monache. Si pensava fosse cosa molto difficile, che non avesse a che fare coi dieci comandamenti… Oggi, invece, grazie alla più estesa cultura religiosa e, in modo tutto particolare, all’Azione Cattolica che tra la gioventù femminile e tra quella maschile s’è rapidamente propagata, la meditazione è diventata una delle migliori soddisfazioni dello spirito, uno de’ nutrimenti più sostanziosi per moltissime anime in quell’età così esposta ai pericoli e così facile preda del nemico delle anime.

CHE COS’È?

Semplicemente, più che sia possibile, diremo ch’è una conversazione fra la nostra anima e Dio. Una conversazione intima. Così era solita a esprimersi santa Teresa: « La meditazione, è una cristiana relazione di amicizia nella quale l’anima s’intrattiene da sola a sola con Dio, senza stancarsi d’esprimere il suo amore a Colui dal quale sa di essere amata ». Parlandone ai giovani si può dire ch’è una sintesi, mentale, non scritta, di quelle righe, di quella pagina che si è letto. Come nelle scuole primarie s’impara a fare sui testi elementari, cioè a sintetizzare così si può fare e tanto più, in seguito, sui libri di pietà. Ai giovani, e a tutti, si potrà ricordare con vantaggio gli esempi di San Tommaso d’Aquino, di San Luigi Gonzaga, del ven. Domenico Savio. Si può aggiungere, pei giovani e pei non giovani, che, come si parla cogli uomini, così nella meditazione possiamo — e dobbiamo — parlare con Dio. In questa conversazione, Dio è il maestro e noi siamo gli scolari. Perciò noi saremo istruiti da Gesù e impareremo… a vivere solo con Gesù, poiché Egli è il vero amore, l’unica felicità, l’unica realtà.

È UTILISSIMA… ANZI, NECESSARIA.

Non si medita, forse, dappertutto e riguardo a tutto, in questa povera vita? Dagli scolari che nelle scuole si lambiccano — è la verità — il cervello, per stillate poche righe di componimento o risolvere il problema che li fa andare matti, ai banchieri, ai borsisti, che cercano di sfruttare le occasioni…, agli avvocati che combinano le linee della difesa e dell’accusa; agli architetti che triangolano il terreno per costruirvi un palazzo; ai ladri che preparano il… colpo e… via dicendo; tutti riflettono sul modo e sui mezzi migliori per riuscire ne’ propri intenti. Nessuna meraviglia, quindi, se noi vogliamo suggerire: essere necessario per la nostra anima che facciamo, almeno, quanto da tutti si fa per il felice esito degli affari materiali. – Si afferma, e non fa meraviglia; che i saggi del paganesimo meditassero. « Pitagora, infatti, aveva diviso la giornata de’ suoi discepoli di filosofia in tre parti: la prima per Dio nella preghiera; la seconda per Dio nella preghiera e nella meditazione; la terza per gli affari ». Se non che, noi abbiamo degli insegnamenti assai migliori. Anzitutto la parola dello Spirito Santo: « Un’orribile desolazione ha invaso la terra, perché non vi è chi rifletta nel suo cuore » (GER., 12-11). Ancora: l’esempio e l’insegnamento dei Santi. Santa Teresa così lasciò scritto: « L’anima che trascura la meditazione delle cose divine non ha bisogno di demonio per dannarsi… ella da se stessa si mette nell’inferno ». Ed era egualmente solita a ripetere: « Promettetemi di fare ogni giorno un quarto d’ora di orazione mentale, ed io, in nome di Gesù Cristo, vi prometto il Paradiso ». – S. Filippo Neri aggiunge per conto suo: « Un religioso o un  Sacerdote senza meditazione, è un religioso o un Sacerdote senza ragione; e così anche per i semplici fedeli ». – S. Alfonso, poi, dice con insistenza: « Il peccato può stare assieme alle altre opere di pietà, ma non con la meditazione. Tutti i Santi divennero tali per l’orazione mentale ». – Dunque, il timore e la fuga del peccato vengono spontanei in noi per mezzo della meditazione. Fuggendo e temendo il peccato, ci avviciniamo a Dio, lo invochiamo, ci abbandoniamo in Lui… e viviamo di Lui e del suo amore. Come, adunque, non imitare il ven. Contardo Ferrini che, studente nelle prime classi del ginnasio, già procurava di non lasciar passare giorno senza la meditazione? Come non ricordare con grande ammirazione il valoroso Giosuè Borsi che scrisse i suoi Colloqui, o meditazioni, proprio nel tempo che meno può sembrare propizio, e cioè durante la guerra?

METODO PER FARE LA MEDITAZIONE.

Non v’è metodo, ma vi sono moltissimi metodi. Vorrei dire che sono tanti e tutti diversi, quante sono diverse le anime che desiderano parlare con Dio, trattenersi intimamente con Lui. Ciascuno ha i suoi gusti, il suo grado di istruzione, il suo carattere. Tuttavia, c’è ugualmente modo di dare qualche suggerimento in proposito. Prima di tutto, per il buon esito della meditazione, è necessaria una preparazione. Essa si fa con un po’ di raccoglimento, lasciando ogni altro pensiero e ogni divagazione; con il ricordo che noi siamo alla presenza di Dio col quale vogliamo parlare; invocando la luce o l’aiuto dello Spirito Santo e raccomandandoci a Maria Ausiliatrice. Tutto questo è più presto fatto che detto. Fatta la preparazione, presentiamo all’anima l’argomento della meditazione. Questo, ordinariamente, trovasi su libri preparati apposta. Ma può anche consistere in un ricordo spirituale, in un consiglio ascetico che ci venne dato, in un passo, o versetto, del Vangelo, e, a secondo dei casi, occorre leggere adagio e attentamente il punto che ci siamo scelti per meditare. Se qualche pensiero, o ispirazione, ci si presenta spontaneamente, fermiamoci a gustarla. Altrimenti, leggiamo sino al termine, punto per punto, e procuriamo di ripetere con la mente quanto abbiamo letto, immaginandoci di doverlo ripetere a qualche altra anima. – In una parola: attingiamo idee nel libro, o dall’argomento scelto, e facciamo scaturire sentimenti dal cuore. La durata di questo esercizio è varia: a seconda del tempo, della volontà nostra, delle nostre condizioni. Fin qui abbiamo occupato la mente, l’intelligenza cioè, e il cuore; ora occorrerà occupare la volontà nel trarre le conclusioni e nel fermare i buoni propositi, o, almeno, un buon proposito, mentre ringrazieremo il Signore per la luce spirituale avuta, la Madonna per la sua assistenza, e chiederemo a Gesù e a Maria l’aiuto per mettere in pratica il proposito scelto che cercheremo di ricordare durante il giorno.

GRANDI VANTAGGI.

1) Anzitutto una maggiore destrezza ed energia nel nostro spirito, che si abitua ad osservare e a riflettere.

2) Poi una maggiore stima della virtù e, quindi, uno sforzo più intenso per praticarla; un maggior odio al peccato e perciò un impegno più vigile nel fuggirlo. La conversione di S. Agostino si deve, precisamente, alla lettura meditata d’un brano delle epistole di S. Paolo.

3) La meditazione procura all’anima una grande gioia. Per questo San Francesco di Sales poté dire: «La meditazione è ciò che mi è più utile e più dolce: con questa comunicazione del cuore io imparo ogni volta qualche cosa di buono da applicare a me stesso). – Facendo eco a queste parole, la Chantal diceva: « Tutta la felicità di questo mondo consiste nel meditare ».

4) Infine, il vantaggio per eccellenza, è una maggiore, più ampia, più ricca conoscenza di Gesù, di Dio, della vita eterna e, perciò, un più intenso amore per questo nostro Dio, amore che ci deve portare al desiderio dell’unione completa in Lui e con Lui.

L’ESEMPIO DI S. GIOVANNI BOSCO.

Ci limiteremo a ricordare un proposito che don Bosco fece appena undicenne alla scuola di don Calosso, e lo diremo con le parole del Ceria (Don Bosco con Dio, cap. I, 21): « Fanciullo undicenne, Giovannino ebbe uno di quei lampi rivelatori. Per arcane inclinazioni del cuore affezionatosi a un degno sacerdote e messosi con filiale confidenza nelle sue mani, da quella scuola di corta durata riportò un prezioso insegnamento: capì essere buono per l’anima fare ogni giorno una breve meditazione. Due frutti colse all’istante da questa chiara visione: gustare che cosa sia vita spirituale e non agire più «come macchina che fa una cosa senza saperne la ragione ».

L’ESEMPIO DEL SERVO DI DIO DON MICHELE RUA.

Il servo di Dio don Michele Rua, successore di don Bosco, la mattina del 5 aprile 1910, poche. ore prima di entrare in agonia, volle che gli si leggesse la meditazione del giorno. L’infermiere fece ragionevolmente osservare che non era il caso, poiché la sua mente era nell’impossibilità di fare uno sforzo. « Allora, supplicò egli, leggetemi almeno il sommario dei due punti ». E così, fino all’ultimo giorno di sua vita, (morì la mattina del 6 aprile) si mantenne fedele a questa pratica di pietà ch’è il mezzo più efficace per sentire Dio e vivere con Lui. Pratica che, di per sé sola, comprende e rende vitali tutte le altre. Bene fu detto di essa in una lettera dell’episcopato lombardo per la Pentecoste del 1927: « La meditazione è la pratica fondamentale della vita spirituale, poiché è quella che suggerisce e rende attive tutte le altre: l’esame di coscienza, la lettura spirituale, la visita al SS. Sacramento, il santo Rosario, la confessione frequente, i ritiri spirituali ». Più preciso ancora il Padre Chautard: «Se faccio meditazione, sono come rivestito d’un’armatura d’acciaio e invulnerabile ai dardi del nemico. Ma senza la meditazione essi mi coglieranno certamente… O meditazione, o grandissimo rischio di dannazione… ».

DUE COLONNE: LA MEDITAZIONE E L’ESAME DI COSCIENZA.

Dovrebbe, adunque, essere sufficiente questo primo efficacissimo mezzo. Tuttavia, poiché alla meditazione occorre la materia da elaborare, per questo rifornimento è necessario l’esame di coscienza. L’uno serve all’altra, e tutti e due sono come due colonne della vita cristiana. La meditazione accende il fuoco santo; l’esame di coscienza secerne, divide, sviscera; rivela noi a noi stessi, e ci suggerisce il modo e i mezzi per correggerci. Scopo dell’esame non è quello di riaprir delle ferite per inasprirle, non è quello di avvilirsi, ma di rialzarsi, col pentimento delle male opere e col proposito di farne delle migliori per il dì seguente. Per le anime cristiane l’esame è un diletto, un conforto. Dice I. Pindemonte: “La notte bruna – stilla il diletto – del meditar”. Seneca, pagano, scrisse: La mattina ti devi dare al pensiero delle cose che son da fare, la sera all’esame delle fatte. Lo stesso Seneca dice che il filosofo Sessio ogni sera interrogava la sua anima: Di qual difetto ti sei oggi guarita? Qual passione hai combattuta? In che divenisti migliore? Bellissima abitudine questa, segue Seneca, di riandar la giornata! Bel sonno quel che succede a questa rivista di sé medesimo! Come è calmo, profondo e libero, quando l’anima ha ricevuto la sua parte di lode o di biasimo, e che, sottoposta al proprio scrutinio, proceda segretamente contro se stessa! Così faccio io, e da testimonio e da giudice mi cito al mio tribunale. Spento il lume… comincio un’investigazione su tutta la mia giornata, rincorro tutte le azioni e parole mie; nulla mi dissimulo, nulla mi taccio. O perché temerei di riconoscere un solo de’ miei peccati, quando posso dirmi: Guardati dal ricominciare; per oggi ti perdono? (Seneca, De ira, 1. II, 36 – Confr. CANTÙ, Attenzione, XXXII). – « Questo scendere nell’intimità del cuore (Bossuet) è il conosci te stesso ch’era scritto sul tempio di Delfo. La coscienza è come uno specchio; facilmente s’impolvera e offusca, onde bisogna spesso ripulirlo, o si corre il rischio di non riconoscersi più » (CANTÙ, L. c.). – Se dei filosofi pagani hanno giudicato tanto utile l’esame di coscienza e lo praticarono con tanta diligenza, non dovranno apprezzarlo anche i Cristiani, che hanno della vita presente e della futura, per divina rivelazione, un concetto assai più reale e profondo? – Tutti i santi e tutti i maestri della vita spirituale sono unanimi nel dire che l’esame quotidiano della propria coscienza, (non intendiamo, qui, accennare all’esame che si deve fare prima della confessione sacramentale) è un mezzo efficacissimo per correggerci dei nostri difetti e per avanzare nella virtù. Avviene, infatti, in noi, nel nostro spirito, quanto suole accadere negli affari materiali, nella cura degli interessi, nella coltivazione di un appezzato di terreno. Ve ne prendete pensiero? Ecco: essi progrediscono e moltiplicano il capitale impegnato. Li trascurate? Sono poco redditizi, anzi, sono passivi e in breve costringono alla rovina, alla miseria. Così è delle nostre anime. Abbandonate a sé, sono presto un semenzaio di rovi e spine. Accudite per mezzo degli esami di coscienza, vengono a conoscere e ad amare l’umiltà; allontanano la protervia e la presunzione, accettano le mortificazioni anche se loro inferte ingiustamente, chiedono perdono a Dio, formulano seri e forti propositi di vita migliore, crescono di fiducia e di abbandono in Dio, ed ecco, di conseguenza, l’unione con Dio e la pratica della vita cristiana. Dobbiamo però dire, gli esami, e non esame, soltanto, di coscienza. Noi infatti diremo, nel capitolo seguente: 1) dell’esame di previdenza; 2) dell’esame particolare; 3) dell’esame generale.

LA VITA INTERIORE (5)

LA VITA INTERIORE (3)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (3)

Sac. Dott. GIOVANNI NATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna, Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

L’ORAZIONE VOCALE

NECESSITÀ E DOVERE.

La preghiera è un bisogno del nostro cuore; è un dovere della nostra anima verso Dio. Narra l’evangelista san Luca: Avvenne poi che mentre Gesù stava in un luogo a pregare, com’ebbe finito uno dei suoi dipoli gli disse: — Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni insegnò ai suoi discepoli (XI, 1). – Allora, così Gesù rispose: Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il necessario nostro pane; e rimettici i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Così sia (Matt., VI, 9). E in altra occasione, ancora, Gesù disse agli Apostoli: Ed io vi dico: Domandate e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto. Poiché chiunque domanda, riceve; chi cerca trova; e a chi picchia sarà aperto. Qual è tra voi quel padre il quale, al figlio che gli domanda un pane, darà una pietra? (Luca, XI, 9-11); o se domanderà un pesce, gli darà un serpente? (MATT., XI, 10). Nel discorso-testamento dopo l’ultima Cena, Gesù così insiste: Qualunque cosa domanderete al Padre nel nome mio, Egli ve l’accorderà. Finora non avete domandato nulla in mio nome: domandate e riceverete affinché la vostra gioia sia completa (Giov. XVI, 23, 24). E altra volta: È necessario pregare sempre, e non interrompere mai (Luca, XVIII, 1). Nessuna meraviglia se, poggiato su queste parole, l’Apostolo Paolo ripeterà: sine intermissione orate (I Tess., V, 17), cioè: pregate senza interruzione.

IN CHE COSA CONSISTE

Ordinariamente si dice così: la preghiera è l’elevazione della nostra mente a Dio. E cioè: è il nostro contatto con la potenza di Dio, per mezzo della fede e dell’amore. Per meglio intendere questo contatto, ecco diverse e complete definizioni che ne danno i Santi e gli scrittori sacri: S. Agostino la chiama un affettuoso slancio verso Dio; S. Giovanni Damasceno una domanda a Dio di cose convenienti; San Gregorio Nisseno, una conversazione col Signore; e Santa Teresa un trattare amichevolmente, da solo a solo, con Colui che sappiamo che ci ama. Per me — diceva Santa Teresa del Bambino Gesù — la preghiera è un impeto del cuore, un semplice sguardo rivolto al Cielo, un grido di riconoscenza e di amore tanto in mezzo alla tribolazione, quanto in seno alla letizia. S. Giovanni Crisostomo lascia capire che: come nell’ordine fisiologico la respirazione è un atto continuo e necessario alla conservazione della vita, così la preghiera è la respirazione dell’anima nell’atmosfera divina.

LA PREGHIERA VOCALE.

In due maniere possiamo rivolgere ed elevare la nostra mente a Dio. La prima è una conversazione intima fatta di amore, di riflessione, d’intimità pura che non si esplica all’esterno, e dicesi preghiera mentale, o meditazione. La seconda si esprime con le parole, coi gesti e dicesi preghiera vocale. Noi, qui, vogliamo esplicitamente intrattenerci su la preghiera vocale, considerandola come uno dei mezzi più efficaci per aumentare per conservare, o riacquistare o alimentare in noi la grazia santificante che ci conduce all’unione con Dio. Infatti: chi prega davvero sente di voler compiere i doveri che ha verso Dio, e cioè: l’adorazione; il ringraziamento; la riparazione; la sottomissione; l’invocazione; la supplica; la domanda…; sente di dover vivere per Dio, d’intendere ed effettuare con una vita consacrata a Lui e col compiere ogni cosa nel nome di Dio, il suo invito dolce e pressante, cioè: è necessario pregare sempre. Così il dovere della preghiera si riduce al dovere dell’amore, come spesso ha ripetuto Santa Teresa, particolarmente nella sua autobiografia (cap. VII). – A questo proposito, molto bene argomenta l’Olgiati: «Se il centro dell’universo è, per noi, Dio, e non il piccolo nostro io o le misere cose umane, l’animo deve tendere a Lui, non solo quando pieghiamo le ginocchia per adorarlo e per supplicarlo, ma in tutto quanto lo svolgersi della nostra attività, poiché tutto — se amiamo Dio — dobbiamo riferire a Lui e compiere in funzione della sua volontà ».(Olgiati, La pietà cristiana, pag. 56. Milano, 1935).  È l’insegnamento di S. Benedetto, è la pratica di S. Giovanni Bosco che volle i suoi figli sempre sul campo del lavoro e sempre uniti con Dio nei sacrifici dell’apostolato offerti generosamente senza tregua, senza mai cercare se stessi. Lavoro santo, e perciò indulgenziato con particolare indulgenza plenaria quotidiana dal S. Padre Pio XI (1922).

EFFICACIA E CONDIZIONI DELLA PREGHIERA.

La preghiera è l’arma più affilata e più forte che Gesù abbia posto nelle nostre mani. Anche dopo l’ultima Cena Egli lo ricordò chiaramente agli Apostoli: Qualunque cosa chiederete al Padre, in mio Nome, l’otterrete. — Chiedete e otterrete, affinché la vostra gioia sia piena (Giov., XVI, 24). Se non che, molte anime crederebbero di poter dare una smentita recisa alle insistenti e ripetute affermazioni del Maestro divino. Ci sembra di sentirli a protestare: se la preghiera promette tanto… perché molte volte chiediamo e non otteniamo? La risposta fu già data dall’apostolo san Giacomo: Voi chiedete e non ottenete, perché chiedete malamente (Giac., IV, 3). Gesù ha promesso di esaudire le preghiere ben fatte, non le preghiere comunque espresse. Vi sono, adunque, alcune condizioni necessarie alla preghiera perché sia gradita ed efficace. Eccole:

1° Ogni preghiera dev’essere indirizzata al Padre celeste «in nome di Gesù». In nomine meo, disse Gesù agli Apostoli. Cioè:per la sua mediazione, perché Gesù è l’unicoe vero mediatore presso il Padre, in virtù dei suoi meriti.

2° Chiedere le grazie in nome di Gesù, significa chiedere nella misura e nell’ordine da Lui insegnato. Egli disse, infatti, così: Chiedete anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il rimanente vi sarà dato in sopra più (MATTEO, IV, 33).

3° In terzo luogo, perché la preghiera sia accetta a Dio, dev’essere fatta digne, attente, ac devote, ossia: degnamente, attentamente, divotamente. Come, cioè, se dicessimo: con raccoglimento, con l’affetto di un cuore puro, col desiderio assoluto di piacere a Dio, per mezzo della mortificazione delle nostre inclinazioni che debbono rimanere sottomesse all’impero della nostra volontà la quale si conforma, anzi si uniforma, con quella di Dio. – Quando l’Amleto di Shakespeare passa sulla scena con un libro in mano, Polonio lo ferma e gli chiede: « Che cosa leggete, signore?» . «Parole, parole, parole» risponde Amleto. Ohimè! quante anime cristiane dovrebbero rispondere riguardo alle loro preghiere: parole, parole, parole… dando più che ragione al lamento di Gesù: questi Cristiani mi onorano con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me… Non riusciremo, quindi, a pregare bene, fino a quando non avremo messo in pratica il consiglio di S. Agostino: « Non andare fuori di te… noli foras ire…; entra in te stesso: in te ipsum redi… E dimentica te stesso: trascende te ipsum ». Tutto questo, s’intende, per quanto è compatibile con le nostre forze. Ma dobbiamo usarci violenza, cominciando dal tenere chiuse le porte dei sensi per i quali il nostro spirito sfugge così sovente e per i quali entrano, a sciami chiassosi le distrazioni di ogni genere: parole, spettacoli, pensieri, proiezioni del passato, ricordi e fantasmi.

4° Infine: la preghiera dev’essere umile, fiduciosa, perseverante.

a) Anzitutto: umile. Sta scritto: Oratio humiliantis se nubes penetrabit (Eccli., XXV, 21). Cioè: la preghiera degli umili attraversa le nubi e giunge al trono di Dio. La parabola del pubblicano e del fariseo al tempio ce ne dà ampia conferma (LUCA, XVIII, 13). – Dio resiste ai superbi e dà la sua grazia agli umili (Giac., IV, 6). L’orgoglio nella preghiera è una contraddizione psicologica.

b) Fiduciosa. Perché, pur avendo sempre coscienza della nostra totale incapacità, secondo l’affermazione di Gesù: voi senza di me non potete fare nulla, tuttavia domandiamo con piena fiducia nei meriti di Gesù e nella bontà del suo Cuore divino. Nullus speravit in Domino et confusus est: Nessuno sperò nel Signore e rimase confuso (Eccli., II;11). S. Francesco di Sales così ci consiglia: « Chi spera poco, ottiene poco; chi spera molto, ottiene molto ». – Ricordiamo la diligente, precisa e fiduciosa preghiera del lebbroso, subito corrisposta dal miracolo di Gesù, e, con essa, anche quella del cieco di Gerico e della donna malata che viene guarita appena è riuscita a toccare un lembo dell’abito di Gesù. Gesù stesso ci richiese questa fiducia. Dice S. Matteo: Secundum fidem vestram fiat vobis (IX, 28). E altrove: Habete fiduciam: ego sum, nolite temere (XIV, 27).

c) Perseverante. Lo sappiamo di certo, per esperienza. Talora, Gesù, vuole metterci alla prova. Chi non è stato provato, che cosa sa egli? dice lo Spirito Santo. La prova è la medicina prodigiosa di Gesù. Modello di perseveranza nella preghiera fu la donna Cananea di cui parla .il Vangelo di San Matteo (XV, 21-28). Era stata messa da Gesù a una dura prova: ma perseverò nella preghiera e fu esaudita. Quanti esempi abbiamo a questo riguardo nelle vite dei Santi! Molte furono le preghiere e le lagrime di Santa Monica. Ma quelle preghiere e quelle lagrime offerte a Dio, non andarono perdute e ottennero la conversione del suo figliuolo, il grande santo e dottore della Chiesa, Agostino.

OSTACOLI ALLA PREGHIERA.

Tra i diversi ostacoli ricordiamo qui, soltanto, le distrazioni. Distrazione viene da dis-trahere, cioè trarre in diverse parti. Lo sanno un po’, per esperienza, tutte le anime. Basta che noi ci mettiamo a pregare e ci proponiamo di pregare meglio che ci sia possibile, ed ecco, subito, una radio invisibile, inattesa, insospettata, ci frinisce nelle orecchie e… nello spirito. La fantasia, repentinamente mobilitata, viaggia a grandi giornate, colla velocità più rapida, senza… pagamento di biglietto ferroviario; la memoria, poi, non vuol essere da meno, e si affanna a proiettarci i ricordi del passato su lo schermo del presente. … Così, la preghiera minaccia naufragio. Come fare? Che cosa fare per impedire o allontanare codeste distrazioni? Premettiamo, senz’altro, la necessità della preparazione alla preghiera per mezzo del raccoglimento e del ricordo della presenza di Dio. La preghiera costa fatica; e si deve sostenere questa fatica con allegrezza perché essa è la porta della nostra conversazione con Dio. Ma fatto da parte nostra quanto è di dovere per prevenire o allontanare le distrazioni, specialmente col ricordo della presenza di Dio e la recita di giaculatorie, cerchiamo di stare calmi, tranquilli, sereni, perché il Signore non vuole trovarsi nell’agitazione. Le distrazioni scompaiono?… Deo gratias! Restano? Vi stiano pure; non dobbiamo più preoccuparcene. Non dovremo, di certo, pagare l’affitto pel posto che occupano in noi… Dopo la nostra preferenza per Gesù, abbandoniamoci tranquillamente in Lui e non pensiamo ad altro. – Le distrazioni possono, tuttavia, essere anche utili. L’abate Chapman nelle sue lettere spirituali (The spiritual Letters of Dom Fohn Chapman – Second Edition – Seed Ward-London) a una signora che si lamenta di soffrire distrazioni nella preghiera, osserva pacatamente: In generale la preghiera distratta è più umile di quella raccolta, perché dà maggior gloria a Dio e meno a noi; più tardi troveremo di averne ricavato un maggior bene. Risposta, questa, che può benissimo pacificare anche le anime che si lagnano perché le loro preghiere sono sempre afflitte dalle aridità e dalla mancanza del fervore sensibile, che, come tutti sanno, non è mai necessario. – Scrivendo a una religiosa sullo stesso argomento, il buon abate specifica meglio il suo pensiero: Le distrazioni sono di due specie: quelle che ci distolgono decisamente dalla meditazione, e quell’innocente vagabondaggio dell’immaginazione mentre l’intelletto (apparentemente) ozioso e vuoto, ma la nostra volontà rimane fissa in Dio… A chi gli parla, accorato, delle sue tentazioni contro la fede, risponde, serenamente pacificando: Vi consiglio di « ridere » delle vostre tentazioni contro la fede perché non sono altro che immaginazioni e non meritano attenzione alcuna, senonché, in quanto ci fanno soffrire, ringraziamone il Signore dicendoci pronti ad affrontarle per tutta la vita. E ancora alla stessa persona: Che cosa importa se vi pare di non possedere la fede? Sapete benissimo che avete la fede, ché se non l’aveste, non v’importerebbe affatto di non averla: non siete arrivata alla « semplicità ».

LA PREGHIERA È UNIONE CON DIO.

Concludiamo col santo Curato d’Ars: « La preghiera non è altra cosa che l’unione con Dio: chi ha il cuor puro e unito a Dio, sente in sé un balsamo, una dolcezza che inebria, una luce che abbaglia. In quest’intima unione, Dio e l’anima sono come due pezzi di cera fusi insieme, non si può separarli. La è pur bella questa unione di Dio con la sua creatura! È la felicità che non si può tutta comprendere ». L’essenziale, nell’orazione, è il contatto dell’anima con Dio nella fede per l’amore. (C. MARMION).

LA VITA INTERIORE (4)

LA VITA INTERIORE (2)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (2)

Sac. Dott. GIOVANNI NATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna – Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4a edizione, Riveduta.

Nihil Obstat quominus imprimatur: Sac. Don Luigi Carnino

Imprimatur Di Curia Arch.Taurin 11 oct.1937; Mons. Lorenzo Coccolo Vic. Gen.

Visto per la Congregazione Salesiana – TORINO, 4 VOV. 1937 Sacerdote Giovanni Zolin

TORINO – SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE – 1943

I.

NECESSITÀ DELLA VITA INTERIORE

LA VITA INTERIORE È NECESSARIA

VITA MOVIMENTATA.

Per poco che ciascuno di noi vi abbia prestato attenzione, di leggieri s’è accorto che (parliamo così, per modo di dire, soltanto degli ultimi tempi) la vita, tanto in Italia che all’estero, è stata, ed è, molto movimentata. Settimane sociali, settimane di studio, settimane di poesia, congressi eucaristici, congressi di filosofia, congressi scientifici, convegni d’ogni genere, inaugurazioni di mostre, di prodotti nazionali, pellegrinaggi per ogni dove; e, aggiungete voi, viaggi per mille direzioni coi treni popolari. Tutto questo con un movimento accelerato, febbrile vorrei dire, nella vita italiana e in quella non italiana. Perché? Molti i motivi. Il principale di essi è dato dalla caratteristica spiccata di questa prima parte del nostro secolo: la vita energetica, la vita movimentata, la vita d’azione. Per se stessa, la caratteristica è buona. Ciò che in questa vita non è buono, è l’eredità del secolo che accompagna questa caratteristica, cioè l’irreligiosità, l’indifferenza, la spiccata presunzione all’autonomia e alla vita godereccia. In breve: tendenza al movimento e all’azione con la soppressione del valore morale e religioso. Questa tendenza poi s’è infiltrata, e continua a infiltrarsi, anche fra i buoni, cioè fra i veri Cattolici, che dànno sé stessi al compimento dell’apostolato secondo le loro categorie sociali.

UN GRAVE ERRORE.

Sappiamo che è apostolo colui che dona se stesso, con le sue forze, al bene altrui. Ma chi non ha, non può dare; per avere, bisogna chiedere e domandare solo a Dio. Avviene così che tanti, troppi, si gettano nell’azione generosamente… Ma, ahimè! Alle prime difficoltà, è uno sbandamento da far paura. Ecco la causa di molte defezioni, che possono meravigliare, ma che sono spiegabilissime. Oggi, nonostante molte e consolanti eccezioni, si vive in un mondo paganeggiante. È con sdegno e con ripugnanza che si devono constatare, ogni giorno, certe superstizioni, così sorpassate e pur ancora così radicate, in troppi individui, il cui numero e la cui condizione sociale fa rabbrividire. – Effetti dolorosi di cause ancor più dolorose. Ma ritorniamo a noi. Perché le azioni, perché il lavoro nostro sia efficace, perché le nostre opere possano diventare, abbiano anzi a diventare preghiera, è necessario ch’esse siano permeate di un fermento divino. Questo fermento divino è dato solo da chi può darlo, cioè da Gesù Cristo, fonte di grazia, unica guida eccitatrice di cuori e di coscienze. Il Padre E. Hoornaert dice a questo proposito: « Ch’Egli (cioè l’apostolo) si muova meno! Si raccolga più! Che sia meno febbrile, più unito con Dio! Ch’egli ami un po’ meno la città, un po’ più il deserto. Il deserto! Come ne abbiamo tutti bisogno, soprattutto alla nostra epoca! Un reale danno è di non più badare che alle opere ».

È CONDIZIONE ESSENZIALE PER L’APOSTOLATO

FRUTTO DI ESPERIENZA.

L’esperienza insegna che l’apostolato è assai superiore alla vita, sia pure buona, come suol dirsi, delle anime cristiane. È eccedenza di grazia, per così dire. Ma non è possibile esercitare nessun genere di apostolato senza vita interiore, senza vita ricca di grazia abbondante. Perciò, possiamo ben dire che il presupposto d’ogni forma di apostolato è la vita interiore data dalla grazia, data dall’intimità con Dio. L’azione è buona, afferma in una sua recente pubblicazione, Domenico Giuliotti, la contemplazione è migliore. Il Cristiano che semina è buono, ma il Cristiano che, prima di seminare, prega, è ottimo: perché l’azione è feconda solamente se è preceduta dalla contemplazione. Buona cosa, dunque, la volontà e lo sforzo nel fare il bene. Ma l’uno e l’altra debbono essere sostenuti dalla grazia di Dio, da questa forza intima e segreta, da questo lievito superiore che eleva, spiritualizza e sostiene nel combattimento santo per la gloria di Dio.

NOSTRO PROPOSITO INDEROGABILE.

Se per esercitare l’apostolato e trasfondere nei cuori e nelle anime la grazia di Dio, dobbiamo essere preventivamente sovrabbondanti della stessa grazia nelle intimità di Cristo Gesù, è, pure, nostro obbligo di accostarci frequentemente con letizia santa alla fonte d’acqua viva per dissetare le nostre anime. Gesù ce ne fa caldo invito: Se qualcuno ha sete, venga da Me e beva. Dissetàti a questa fonte, ci raccoglieremo nella vita nascosta secondo il consiglio dell’Apostolo: La vostra vita sia nascosta con Cristo Gesù… – Cristo sia la vostra vita. Per questo gioverà molto il silenzio e la prudenza intorno al nostro modo di ricercare il Signore. Non sempre incontriamo anime amiche, o anche solo ben disposte a comprenderci. Non sempre e non dovunque. possiamo risvegliare delle simpatie. Però, possiamo ben dire anche noi che coloro i quali non simpatizzano con noi, lo fanno forse a fin di bene. Cooperano, certo, anche queste anime facendoci avveduti e prudenti. Attendiamoci, però, solo e sempre, tutto da Dio solo. – È con questa vita di raccoglimento che ci sentiremo vigoreggiare, ogni giorno più, nella via del bene, nel cammino della perfezione, nel raggiungimento della santità. Il fine è uno: divenire dei santi per essere degli apostoli: morire al mondo per rinascere Cristo. E anche il mezzo è unico: vivere una vita interiore; vivere una vita interiore, che significa vivere una vita eucaristica. – Nella vita eucaristica v’è la potenza unica per la completa trasformazione. Lodare, adorare il Padre; procedere nella luce del Figlio; ardere nel fuoco dello Spirito Santo. Dunque: dissetarci alla fonte di Gesù; nutrirci di Gesù… Ricevere, avere, conservare… per donare.

GESÙ VUOLE VIVERE IN NOI.

Nel più grande discorso di Gesù, quello, cioè, che tenne agli Apostoli dopo l’ultima cena, mirabilmente prezioso in ogni sua parola, per affermare chiaramente la stretta unione esistente fra Lui e gli Apostoli, fra Lui e le anime, così disse: Io sono la vite e voi siete i tralci… colui che si tiene a me, ed Io in lui, porta molto frutto, perché senza di me — cioè: separàti da me — voi non potete far nulla. – Bene quindi l’Apostolo: Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Cristo? (I Cor., VI, 15). Come il corpo è uno, ed ha molte membra, e tutte le membra del corpo essendo molte, tuttavia sono un solo corpo, così anche Cristo (Ibid., XII, 12). Ancora: Cristo è il nostro capo. Da lui tutto il corpo compaginato e connesso per via di tutte le giunture di comunicazione, secondo un’operazione proporzionata a ciascun membro, prende l’aumento proprio del corpo per la sua edificazione nella carità (Eph., IV, 16). – Il principio della vita sovrannaturale in noi è, adunque, dato dall’unione che esiste fra noi e Gesù. Questa vita sovrannaturale trovasi in Gesù come nel suo principio, nella sua sorgente — sorgente inesauribile — e da Lui trabocca, per divina disposizione, nelle nostre anime. Per cui, con gioia, ripetiamo: De plenitudine eius omnes nos accepimus: Dalla pienezza di lui noi tutti abbiamo ricevuto (Giov., I, 16). Ricevuta da Gesù questa vita sovrannaturale, abbiamo in noi quel principio fondamentale capace di unificare, sintetizzare, governare. tutte le manifestazioni della vita: un pensiero unico, cioè, dominante, che segue, abbraccia, dirige la nostra mente e le nostre azioni, che evita una dannosa dispersione delle nostre energie e rende salda e forte la loro unità. Solo così, noi irradieremo luce di verità e di bene; trasformeremo il finito nell’infinito, il mortale nell’immortalee l’effimero nell’eterno.

COME E PERCHÈ GESÙ VUOLE VIVERE IN NOI.

Si potrebbe rispondere brevemente così: Gesù vive in noi per mezzo della sua grazia; e desidera vivere unito con noi per l’amore stesso che nutre verso di noi. Sappiamo benissimo che i meriti di Gesù sono infiniti, e che, per l’appunto, con questi meriti Egli ha riscattato tutta l’umanità, poiché, proprio per questo fine della redenzione umana, Egli lasciò il cielo per la terra, la gioia per il dolore, per l’abbiezione, per la povertà. Ora, i meriti di Gesù sono la fonte della sua grazia; la grazia, poi, è l’origine di tutte le grazie. Certamente è Dio stesso che versa la grazia nelle anime; ma Dio si serve, per modo di dire, della santa Umanità di Cristo Gesù come di uno strumento che gli è di aiuto. – « Lo strumento, dice S. Tommaso, può essere distintissimo da chi lo usa, come il bastone è distinto da colui che percuote; ma la mano è uno strumento strettamente unito all’agente. Così Dio versa la grazia, e ne è la causa produttrice, ma l’Umanità di Cristo è il suo strumento congenito, e i sacramenti sono suoi strumenti distinti ». – Seguendo questo insegnamento di S. Tommaso e di quasi tutti i Teologi, possiamo concludere: perché nei cuori e nelle anime nostre scendano copiose e la grazia santificante e la grazia attuale ché vengono, pure, elargite ai peccatori, è sempre necessaria un’azione, una concessione di Gesù. Ma ognuna delle azioni presuppone presenza, contatto, continuità: anche per questo possiamo con certezza affermare che v’è unione fra Gesù e gli uomini. « Questa unione, dice un pio autore, è d’un ordine sì elevato e sì intimo che il linguaggio umano è impotente a spiegare: essa resta un mistero fino a che noi restiamo nelle ombre della fede: vediamo bensì che i legami i quali ci uniscono a Cristo sono legami stretti, ma non ne afferriamo che imperfettamente la natura ».

NOSTRO DOVERE DI RESTARE UNITI A GESÙ!

Questo dovere ci è ripetutamente, insistentemente, caldamente raccomandato dal grande Apostolo. Ecco alcune delle sue principali esortazioni: « Induimini Jesum Christum: Indossate Gesù Cristo » (Rom., XIII, 14); «Induimini novum hominem: Indossate l’uomo nuovo », cioè: Gesù Cristo (Ephes., IV, 24); « Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu: Abbiate in voi lo stesso sentimento ch’è in Cristo Gesù » (Phil. II, 5). –  Pensieri, parole e consigli così bene commentati dal Santo Eudes: « Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, non essendo solo il nostro Dio, il nostro Salvatore e il nostro sovrano Signore, ma anche il nostro Capo, ed essendo noi le sue membra e il suo corpo, come parla San Paolo: « osso delle sue ossa e carne della sua carne » (Ephes., V, 30) e per conseguenza essendo con Lui uniti nella più intima unione che sia possibile com’è quella delle membra col loro capo, con Lui uniti spiritualmente per la fede e per la grazia che ci diede nel santo Battesimo, con lui uniti corporalmente per l’unione del suo santissimo Corpo col nostro nella santa Eucaristia, ne segue necessariamente che, come le membra sono animate dallo spirito del loro corpo e viventi della sua vita, cosi noi dobbiamo essere animati dallo spirito di Gesù, vivere della sua vita, camminare sulle sue tracce, essere rivestiti de’ suoi sentimenti e delle sue inclinazioni, far tutte le nostre azioni colle disposizioni e intenzioni ond’Egli faceva le sue: in una parola, continuare a compiere la vita, la religione e la devozione ch’Egli esercitò sovra la terra ».

LA GRANDE NOSTRA DIGNITÀ.

Gesù ci ha chiamati alla gioia dell’unione più intima con Lui; le sue parole sono traboccanti di letizia e di serenità; fiduciosi in Lui, non dobbiamo limitare la nostra adesione, la nostra corrispondenza, la dedizione, l’abbandono in Lui completo e definitivo, qualunque sia stata la nostra vita passata, qualunque essa sia, nella vita presente, e in qualsivoglia condizione — volontariamente o no — noi ci troviamo in questo istante. Eleviamo la preghiera del nostro cuore al Signore, e diciamogli, per sempre, il desiderio nostro: vivere, Gesù, in te e per te: Ad te levavi animam meam; Deus meus, in te confido, non erubescam.

LA VITA INTERIORE (1)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (1)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna

Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4a edizione Riveduta.

Nihil Obstat quominus imprimatur: Sac. Don Luigi Carnino

Imprimatur

Di Curia Arch.Taurin 11 oct.1937

Mons. Lorenzo Coccolo Vic. Gen.

Visto per la Congregazione Salesiana

TORINO, 4 VOV. 1937

Sacerdote Giovanni Zolin

TORINO – SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE – 1943

AL REVERENDISSIMO SIGNOR Don PIETRO RICALDONE

IV SUCCESSORE DI S. GIOVANNI BOSCO RETTOR MAGGIORE DEI SALESIANI

UMILE FILIALE OMAGGIO

PREFAZIONE

Lo Spirito di Dio che soffia quando e dove vuole e che assiste e ispira la mistica Sposa del Cristo ha, in questi ultimi tempi, suscitato negli animi una particolare attrattiva alla vita interiore. Sembra una contraddizione, ma è una realtà. Iddio fa sanabili le Nazioni e somministra Egli solo i rimedi necessari, anche se a noi sembrano paradossali, come paradossi, a Corta vista, sì giudicano alcune sentenze nel Vangelo. – Nel secolo dell’esteriorismo, del dinamismo, del meccanicismo troviamo, in ogni condizione, anime assetate di raccoglimento, di preghiera, di vita intima. Saranno minoranze, ma è confortante il constatare che queste minoranze non si contavano così numerose nelle epoche precedenti. Potevamo forse trovare un numero maggiore di buoni mediocri, che la vertiginosità e il turbinìo della vita moderna ha in parte travolto nei suoi gorghi, ma in compenso constatiamo, in quel pusillus grex sul quale il Padre Celeste ha posto le compiacenze, un promettente risveglio, che lascia intravvedere e sperare albe migliori. Il grande Toniolo così preconizzava l’avvenire: « La palingenesi sociale sarà compita non da un eroe o da un dotto o da un diplomatico, ma da un Santo; anzi da una società di Santi ». E siamo veramente su questa strada regale. Ne sia ringraziata la Provvidenza! Chi con competenza e dottrina studierà e narrerà la gloria dei tempi nostri e della sua spiritualità, dovrà sottolineare questa nota dominante e testimonierà che forse mai la vita interiore ha avuto un rilievo come oggi. – Cogliamone alcuni aspetti caratteristici. Un primo aspetto si potrebbe chiamare dogmatico. La vita interiore scaturisce dalle profondità del dogma. È pregio dell’età nostra l’aver più saldamente innestato l’ascetica alla dogmatica. Non che prima ne fosse avulsa, ma si prescindeva un po’ troppo dalle basi dogmatiche, quasi fosse. Una costruzione a sé stante. Solo rivelando le altezze di Dio si spingono più sicuramente le anime al Padre Celeste, secondo il precetto di Gesù: Siate dunque perfetti com’è perfetto il Padre vostro nei cieli (MATT., V,48). – Di qui i profondi e fertili studi sul Corpo Mistico di Cristo e sulla nostra incorporazione; le consolanti dottrine, che si riassumono nella frase meravigliosa « Dio in noi»; gli sviluppi ampi e proficui del trattato De gratia, che dai chiusi recinti delle severe aule teologiche è stato portato in tutta la sua operante realtà alle anime, che ignoravano le grandezze del loro Battesimo. – Un secondo aspetto è quello liturgico. Partiamo dalla liturgia non in quanto è semplice cerimoniale o estetismo, ma senza escludere l’importanza e la bellezza dei suoi riti augusti: vogliamo farne rilevare lo spirito vivificatore. Vivere la liturgia è attingere la vita divina alle sue sorgenti, ai Sacramenti e ai Sacramentali e in modo speciale alla S. Messa; è proporsi un mistico itinerario, seguendo giorno per giorno la vita di Gesù, che si ricorda nell’Anno liturgico e nell’immolazione quotidiana del divin Sacrificio; è porsi sotto l’azione santificatrice che l’Eterno Sacerdote esercita mediante la Gerarchia. Oggi, con la grazia di Dio, si intende così e si vive così, da non pochi fedeli la liturgia. Felice conseguenza dovuta non solo a questi ma anche ad altri fattori, sui quali sarebbe troppo lungo indugiarsi (accenniamo. alla dottrina dell’infanzia spirituale, richiamata dalla piccola Teresa del Bambino Gesù, alla devozione al Sacro Cuore di Gesù, allo spirito missionario, ecc.) e che è indice dell’importanza in cui è tenuta la vita interiore, è il diffondersi dell’uso della meditazione, della pratica del Ritiro e degli Esercizi spirituali proprio in mezzo ai laici. – Aggiungiamo un altro aspetto: quello offerto dall’Azione Cattolica. Chi ha giudicato l’Azione Cattolica un movimento esterioristico, coreografico, burocratico, esclusivamente organizzativo, ignora la vera natura dell’A. C. Non si comprenderebbero le vive insistenze del Regnante Pontefice per Azione Cattolica se tutto dovesse ridursi a limiti così angusti e meschini. Un Papa della statura gigantesca di Pio XI non ne avrebbe fatto uno dei capisaldi del suo glorioso Pontificato. – Si è che l’Azione Cattolica ha dissetato i suoi ascritti alla pura sorgente del dogma, ha posto sulle loro labbra la preghiera ufficiale della Chiesa e così ha saputo suscitare verace zelo per la salvezza delle anime. Si è che l’Azione Cattolica è soprattutto un movimento di anime, che nella profondità della loro vita interiore, sanno ascoltare l’invito del Vicario di Cristo a collaborare all’apostolato gerarchico, per salvare la società e la civiltà contemporanea, instaurare la pace di Cristo nel regno di Cristo e «ridare al Cuore divino il trono e lo scettro nelle famiglie e nella società ». (Enc. Ubi Arcano). Ecco perché la vita interiore è alla base dell’A. C.; ecco perché l’Azione Cattolica è esuberanza e pienezza di vita interiore; ecco l’alto monito di Pio XI: « L’Azione Cattolica deve avere per premessa la santificazione individuale di ciascuno: che abbondi cioè e sovrabbondi quella vita soprannaturale che il Buon Pastore è venuto a portare a salvezza del mondo, ut vitam habeant et abundantius habeant »

(19 aprile 1931 alle Associazioni Cattoliche di Roma).

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Saremmo incompleti nella nostra rapida rassegna se non ricordassimo il potente e prezioso contributo della stampa a questo orientamento verso la vita interiore. Dai libri dotti e profondi a quelli di semplice volgarizzazione. Vantaggiosi i primi per il loro contributo scientifico, ma non meno utili i secondi per l’opera modesta ma indispensabile con cui ai più umili, quasi per vasi capillari, sanno far giungere la linfa corroborante di vitali insegnamenti. Annoveriamo fra questi ultimi, e salutiamo con vera gioia spirituale il nuovo scritto sulla « Vita interiore, ecc. », di cui ha voluto farci dono il Sac. Dott. G. B. Calvi, già noto per altre sue celebrate pubblicazioni. – Vi si ritroverà lo spirito di Don Bosco, Santo trasfuso nel suo discepolo, per cui anche le cose alte sono dette con semplicità e sempre con unzione. Vi si rintraccerà una modestia istintiva per cui l’Autore, a un certo punto, ama quasi celarsi, e lascia volentieri la parola ad altri, ornando così con rari gioielli il fine broccato del suo lavoro. Ma in modo speciale si rileverà il desiderio ardente di portare a tutti, specie ai giovani e agli ascritti alla Azione Cattolica, un anelito più sentito verso quella vita interiore, alla cui vetta apparisce Lui solo, il Maestro Divino, unico mediatore al Padre, e Salvatore degli individui e della società. – Sotto questi auspici il nuovo libro verrà accolto con piacere e con riconoscenza dalle anime desiderose di pace e di bene.

Roma, 15 ottobre 1937.

Festa di Santa Teresa.

Sac. A. CAVAGNA – Ass. Eccl. Centrale G. F. di A. C.

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A CHI LEGGE…

L’idea della pubblicazione di questo — comunque si voglia dire — modesto lavoro, mi venne durante la celebrazione intima del 25° annuale (31 luglio 1936) della mia prima Messa. Per due ragioni speciali: in ringraziamento al Signore per gli anni di vita concessimi, e per il fine di presentare un aiuto, di suggerire un mezzo, di indicare, a tutte le anime pie, ma, soprattutto alle anime giovanili, una strada diritta e relativamente facile per andare a Dio, raggiungerlo, possederlo, vivere uniti con Lui. Lo so. Libri che trattano di questa materia, ve ne sono molti, belli e utilissimi. Basterebbe ricordarne, e presentarne, uno solo, il libro carissimo della mia giovinezza, meraviglioso nella sua efficacia: il Per la vita intima del Padre Grou, che fu, ed è, per tante anime, come un perfetto intonatore spirituale dalla voce magica, chiara, forte; sempre fiducioso e persuadente. Mi si perdonerà, tuttavia, se nonostante questo, ho coltivato il desiderio di poter cooperare, modestamente, al dolce e insistente richiamo di Gesù: venite ad me omnes! Si: venite a me, tutti… senza distinzione: ma venite per vivere uniti a me! Poiché… Io sono la vite e voi i tralci… e voi senza di me non potete fare nulla. Quanto ho desiderato, e desidererei, che le mie povere pagine fossero un fiore, per l’altare di Gesù! Per questo ho supplicato la bontà infinita del suo Cuore divino e ricorsi all’intercessione della Vergine, che col dolcissimo titolo di Ausiliatrice imparai ad amare filialmente sino dall’infanzia! Ma so, purtroppo, che i lettori non troveranno, in queste pagine, delle novità attraenti, o, almeno, speciali doti caratteristiche di forma e di contenuto. Le parole, però, che riguardano Dio e le sue infinite perfezioni, risuonano sempre di Lui, e hanno, sempre, una loro luce intima, ch’è la luce del Signore. Questa luce, se accolta nel focolare dell’anima, dapprima sfavilla e lampeggia, poi si sprigiona e schiarisce in tante scintille, indi, in fiamma ardente. Se noi assecondiamo questa fiamma che illumina e riscalda, accesa e tenuta viva dall’amore divino per noi, veniamo presto a conoscere il nostro nulla, e, in questa miseria constatata, il bisogno di andare a Lui solo, a sentire lo stimolo della fame e della sete di Lui. – La vita d’unione con Gesù, esclude la vita del nostro io plasmato d’orgoglio e d’amor proprio, esige il distacco, la dimenticanza, la nostra morte mistica. Tutta l’ascesi sta nelle parole di Gesù: se qualcuno vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua Croce e mi segua (MATT., XVI, 24). – È nell’ascesi, che ha le radici la mistica. «Se qualcuno mi ama, ricorderà e osserverà la mia parola; e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui, e presso di lui prenderemo dimora » (Giov., XIV, 33). Il rinnegamento di sé e l’unione con Dio, ecco l’ideale richiesto da Gesù agli Apostoli e a tutte le anime generose. « Tutte le dottrine ascetiche e mistiche dei grandi periodi della storia della spiritualità non sono che tante esposizioni ed esecuzioni di questo programma unico e perenne ». « Nulla, nulla, nulla fuor che Dio! Dir questo nell’anima, non è il metodo di pregare? diceva san Giovanni della Croce. E non è forse, questo modo di pregare che induce la Grazia divina a cantare il suo poema nei cuori e nelle anime? Possano, dunque, queste pagine servire come di strumento, pur miserrimo, alla Grazia Divina per attrarre tante e tante anime… renderle consapevoli della loro nobilissima aderenza al Corpo mistico di Gesù, e sempre più radiose di luce e sovrabbondanti di gioia.

Al rev.mo Padre Prof. Angelo Taverna S. I. della Facoltà Teologica di Chieri, ch’ebbe la bontà di leggere e di esaminare pazientemente il mio lavoro prima che venisse stampato, e al rev.mo Mons. Alfredo Cavagna, Assistente Eccl. Centrale della G. F. di A. C. che si degnò di leggerne le bozze di stampa e mi regalò la sua magnifica prefazione, i miei ringraziamenti umili, ma fervidi e vivissimi. Il Signore lo ricompensi generosamente.

G. B. CALVI,

Salesiano.

Torino, 8 dicembre 1937

L’Immacolata Concezione.

Lettera di S. Em. il signor Card. E. PACELLI.

SEGRETERIA DI STATO DI SUA SANTITÀ

Dal Vaticano 8 aprile 1928.

Molto Reverendo Signore, ho il piacere di: significarle che l’Augusto Pontefice ha accolto con paterno gradimento l’omaggio dalla S. V. umiliatoGli della pubblicazione: La vita interiore e le sue sorgenti. Ringraziando del dono e del devoto pensiero che l’ha ispirato, Sua Santità le imparte di cuore, in auspicio di celesti favori, l’Apostolica Benedizione.

Mi valgo volentieri dell’occasione per ringraziare la S. V. dell’esemplare a me cortesemente destinato e per professarmi, con distinta stima;

dev.mo nel Signore

(firmato): E. Card. PACELLI.

Molto Reverendo Signore Sac. Dott. G. B. CALVI della Pia Società Salesiana di San Giovanni Bosco

TORINO

Lettera di S. Em. il Signor Card. VINCENZO LA Puma, Prefetto della Congregazione dei Religiosi.

Rev.mo Padre,

la ringrazio vivamente dell’omaggio fattomi del suo, più che modesto, ottimo volumetto di: La vita interiore e le sue sorgenti, che io già conoscevo ed avevo ammirato. A questa ammirazione aggiungo la mia particolare benedizione che spero le riuscirà assai gradita, con quell’affetto con il quale io intendo inviarla a un ottimo Figlio di Don Bosco. La ossequio e mi professo

di Lei dev.mo

Roma, 7 marzo 1938.

(firmato): Vincenzo Card. LA Puma.

Lettera di S. Em. il Signor Card. Maurilio Fossati, Arcivescovo di Torino.

Torino, 7-IV-38.

Il Cardinale Fossati, Arcivescovo di Torino, ringrazia il M. Rev. Don Calvi dell’omaggio fattogli della nuova pubblicazione, ma più ancora per aver dato a tante anime il modo di istruirsi su un punto tanto importante della vita cristiana. Benedice quindi all’Autore coll’augurio che La vita interiore abbia a trovare tanti e tanti lettori.

(firmato): M. Card. Fossati.

Lettera di S. E. il Signor Card. Pietro BOETTO,

Arcivescovo di Genova.

Il Cardinale Pietro Boetto S. J., Arcivescovo di Genova, riverisce il M. R. D. Calvi e gl’invia un piccolo pensiero sopra il suo bel libretto La vita interiore. Il buon don Calvi farà di esso quel conto che crederà. Ho data una scorsa al libretto La vita interiore dovuto alla penna del Sac. G. B. Calvi, Salesiano, libretto che si presenta in una veste tipografica così nitida e così comoda, che invoglia a leggerlo. Però nello scorrerlo dovetti constatare che se esso pel suo formato si può dire un libretto, per la materia che contiene e per la densità dei concetti e degli ammaestramenti pratici e utilissimi, specialmente alla nostra cara gioventù, si può e si deve dire un bel libro, che può supplire a parecchi. altri più voluminosi. In questo libro il giovane che voglia essere schiettamente e seriamente cattolico, trova le sincere e salutari sorgenti a cui attingere per coltivare la sua vita interiore, la vita dell’anima, perché possa ascendere sempre meglio ad alto in altum. In questo bel libro egli vede accese le luci, che lo guidano sulla via sicura nella sua ascensione; trova il fuoco, che lo riscalda. In esso egli vede assai bene indicati i gradini che deve ascendere, le svolte che deve evitare per non sbagliare la mèta. Trova insomma tutto ciò che è necessario ed utile per giungere in cima alla vetta, nella quale si incontra col suo Divin Maestro, ed in Lui possiede quanto può pienamente soddisfare il suo cuore ardente, quanto può appagare il suo ardore giovanile, che tende sempre in alto! Quanto, quindi, è desiderabile che questo bel libro formi l’oggetto di assidua lettura del nostro caro giovane cattolico, perché possa in tal modo assimilarlo nella sua vita pratica! Faccia il Signore che questo mio desiderio si converta in realtà nei nostri carissimi giovani!

Genova, 7 ottobre 1938.

(firmato): Pierro Card. Boetto, S. J.

LA VITA INTERIORE (2)

RIFIUTARE LA GRAZIA DELLA VITA CONSACRATA

RIFIUTARE LA GRAZIA DELLA VITA CONSACRATA

 P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur – Mediolani, die 4 febr. 1926, Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR: In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

CAPITOLO III

L’onore del Re della gloria disdegnato: Crisi di vocazioni sacerdotali e religiose

Dic ut sedeant hi duo filii mei, unus ad dexteram tuam et unus ad sinistram in regno tuo

[Di’ che seggano questi due miei figlioli uno alla tua destra, l’altro alla tua sinistra nel tuo regno.]

(Matteo XX, 21).

I. – Lo spirito contemporaneo riguardo al sacerdozio ed alla vita religiosa. Come siamo lontani dal tempo in cui la madre degli Zebedei, credendo alla Regalità temporale di Gesù e spinta dal suo amore materno, chiedeva al Maestro che si degnasse « far sedere i suoi due figliuoli, l’uno alla destra, l’altro alla sinistra nel suo Regno! » C’era un errore, nello spirito di questa donna, sulla natura del Regno Messianico; e c’era forse anche un sentimento reprensibile di vanità; e tuttavia nobile e previdente cuore d’una madre! Essa non chiede nulla per sé: non pensa che alla gloria dei suoi figli; e li vede già nel suo pensiero, ministri del Re-Gesù, e forse forti d’una potenza eguale a quella di Giuseppe, in Egitto. – La razza delle madri che si dimenticano, offrendo i loro figli a Nostro Signore, minaccia di estinguersi. Era un meraviglioso linguaggio, a traverso i secoli cristiani; perché non continua in tutta la sua santa nobiltà e la sua feconda bellezza? L’onore d’essere scelti e preferiti dal Re d’Amore, l’onore immenso di servir Gesù e di darlo alla terra, con la potenza del Sacerdozio e il sacrificio della vita religiosa, non è più oggetto d’ambizione, ma di timore e di disdegno. Perché? È la risposta inquieta e negativa alla grave domanda di nostro Signore: « Potete bere il calice che io bevo? » – In ogni tempo, il Sacerdozio e la vita religiosa sono stati una via dolorosa per quelli che le hanno seguite, ed hanno avuto la grazia di comprendere la gloria sanguinante del Calvario e le pesanti responsabilità legate a questa gloria. – Ma con le idee di libertà sfrenate che corrono come un uragano devastatore, con lo spirito ragionatore e orgoglioso, conseguenza di questa falsa libertà, nell’atmosfera satura del sensualismo raffinato dell’epoca nostra, le vocazioni sacerdotali e religiose diventano spesso un eroismo. E gli eroi sono pochissimi, specialmente quando l’eroismo è intimo, segreto, e che non deve contare né sulla benevolenza, né sugli applausi umani, ma sullo staffile terribile delle critiche e del disprezzo sociale. Era più facile, una volta, alle famiglie cristiane di conformarsi alla volontà divina e di accordare ai loro figlioli la libertà santa di seguire le chiamate del Signore. I campi erano molti più divisi allora: non si incontravano i giudei e i samaritani. Non era stata stretta l’alleanza fra i figli di Dio e i figli degli uomini. Negli ambienti cattolici si godeva di una maggiore indipendenza, e l’influenza delle critiche era molto diminuita dalle distanze reciprocamente stabilite e rispettate. – La società moderna ha spezzato gli ostacoli; e i mondani più audaci hanno rumorosamente invaso, con la loro dottrina, lo spirito, l’educazione e i costumi della vita familiare e sociale dei Cristiani. Le emanazioni malefiche delle loro teorie hanno soffocato la gran deferenza e l’ammirazione simpatica che si aveva, sempre per tradizione, per gli eletti al chiostro e all’Altare, tanto negli ambienti cristiani e ferventi, che tra le persone semplicemente oneste. La persecuzione ha fatto il resto. Confusi tra la folla, relegati negli ultimi posti, carichi di obbrobri, spogliati, spesso scacciati, siamo il rifiuto di una società deformata. La confidenza delle famiglie, di quelle famiglie persino, in cui si trasmettevano le tradizioni di venerazione verso di noi, ha ceduto a delle ragioni spiegabilissime di prudenza. Quanto all’immensa maggioranza delle famiglie — dominate dal rispetto umano, e scosse da questa mondanità, il cui cammino sempre facile, conduce all’indifferenza religiosa — essa si rifiuta con sempre maggiore energia, di dare i propri figlioli ad una istituzione sconosciuta e criticata. Questa indifferenza delle famiglie, più nefasta d’una persecuzione odiosa, è la prima causa della sterilità deplorevole della nostra società, in relazione alle vocazioni. – La fede è diminuita, il credito del religioso e del sacerdote è finito, a causa dell’attentato del mondo al suo prestigio soprannaturale, alla sua aureola evangelica… Ed ecco che questi due stati son divenuti, per una falsa concezione moderna, delle comuni carriere, apprezzabili, cioè, unicamente nella misura in cui esse possono dare un certo avvenire al giovane o alla fanciulla, e far conseguire alle loro famiglie, qualche vantaggio materiale. Le persecuzioni recenti e le condizioni critiche che traversano lo stato ecclesiastico e gli ordini religiosi, non promettono più quell’avvenire splendido e sicuro che poteva non produrre, ma facilitare almeno in altri tempi le vocazioni. Da allora, quale recisa opposizione non offre la nostra società, materialista e indifferente, all’aspirazione d’un ragazzo, che si dica chiamato al seminario o al convento! Si chiedevano onori alla Chiesa, quando essa poteva darne attraverso la sua potenza e il suo trionfo sociale. Tutti l’amavano nell’ora del Thabor; quanta differenza coll’attitudine ingrata d’adesso, che è l’ora del Pretorio. Si dimentica che la gloria di essere al bando per Iddio, è una gloria che sorpassa tutti gli onori. Se sono poche le madri, ammirabili nella loro ambizione, le quali vogliono vedere i loro figlioli consacrarsi a Gesù-Re, ciò avviene perché non si riconosce l’onore che questo Re fa ridondare sui suoi ministri e sulle sue spose. – Cos’è un principe o un re della terra, in confronto di un sacerdote? Misurate la loro potenza; il principe firmerà forse, migliaia di sentenze di morte; il sacerdote, con l’assoluzione, emetterà migliaia di sentenze di vita eterna, compresa quella dello stesso principe. Egli battezza, assolve e sotterra i Re! Che cos’è una regina, in confronto di una religiosa? Meno di una portinaia, in confronto della sposa d’un re! Un’umile religiosa, che insegnava il catechismo alle figliuole di Luigi XV, dette in proposito una simile risposta, quando una di esse, urtata dal un’osservazione della sua maestra, disse fieramente: « Pensate voi che parlate alla figlia del vostro Re? » E la religiosa: « Non dimenticate neanche, Signora, che siete dinanzi alla sposa del Dio di vostro padre e del vostro Dio! » – Il secolo nostro, pieno di se stesso, e tanto lontano da qualsiasi idealismo, soprattutto da quello che s’ispira al Vangelo, misconosce e rifiuta le grandi idee ed i nobili sentimenti delle precedenti generazioni. Esso ha sostituito, al concetto ereditario della dignità cristiana, un criterio molto più elastico e comodo, nel senso morale, e molto più egoista nelle risultanze pratiche. Non c’è da meravigliarsi, dunque, che si consideri il Sacerdozio come una carriera qualunque, molto umile, poco rispettabile, e molto meno redditizia di tante altre. Ed il mondo i fa presto a giudicare i motivi di questa inferiorità. – La religiosa, oh, essa non ha potuto pensare al chiostro che per puntiglio o in un momento d’inesplicabile storditezza; ammenoché non vi abbia trovato il rifugio ad una impotenza fisica o morale o la manifestazione d’un forte egoismo. – Numerose famiglie cristiane pensano oggi come il mondo e dicono: «Oh, no, Signore, non sei tu che chiami il mio figliolo: è lui che sì inganna. » Oppure: « la nostra figliola crede vocazione, ciò che è un illusione, essa non deve lasciare i suoi genitori, se non per maritarsi, ma giammai per consacrarsi a Te. La madre degli Zebedei non si incontra quasi più… Ma il Maestro buono, che non è mutevole come noi, continua a passare fra gli uomini, affascinando con uno sguardo, trascinando con unu parela « Lascia tutto, vieni e seguimi! » Nonostante il mondo e la bufera di modernità che ha investito la società cristiana, l’esercito degli apostoli e delle o spose di Cristo rimane. Se è meno numeroso, è però meglio agguerrito, nello spirito della sua sublime vocazione. – Se il mondo si affretta tanto a giudicare e a valutare quel che gli è superiore, può essere permesso anche a noi di scoprire e di abbattere l’incoerenza dei ragionamenti, per i quali esso si vanta di essere saggio. Guardate: nella misura in cui la famiglia si disfà, a poco, a poco, dell’autorità del Maestro, i genitori reclamano per sé un aumento di autorità. In virtù di essa, che costoro dichiarano sacra, inviolabile, si oppongono alla scelta che i loro figli hanno fatto della vocazione religiosa o sacerdotale. Pertanto, essi dicono di lasciarli liberi, oh, assolutamente liberi di scegliere la loro via… a meno che la scelta non cada proprio sul solo stato decisamente escluso. È forse logico tutto questo? Si può aspirare a tutte le carriere degne e, onorevoli; si può sposare o restar celibi; si può tentare la fortuna, esponendo la propria salute e anche la vita, ma non si ha il diritto di indossare l’abito talare o religioso. La chiamata intima, l’attrazione potente, irresistibile, il diritto di cercare la felicità secondo ciò a cui spinge la propria coscienza, possono essere invocati… invano. Temporeggiare, provar a piegare la mentalità degli oppositori, tutto è inutile: non si ha il diritto di consacrarsi a Dio. Si può dare tempo, gioventù, cuore ad una società frivola; si può darlo con giuramento ad una creatura che, buona oggi, è capace di darci disinganni orribili domani.. Si può consacrarsi alla salvezza della patria, mostrarle un amore eroico, offrirle il proprio sangue. Tutto questo è bello, è buono… eccettuato servire il Signore e consacrargli la propria vita. – Ora bisogna che il Signore disprezzato accordi questi diritti. Cerca l’uomo di vendicarsi della sua impotenza, rifiutandosi di riconoscere, nel Creatore la sorgente divina da cui emanano tutti i diritti e quello inviolabile, di far primeggiare il suo onore e il suo servizio? – Se si fosse veramente logici, non si dovrebbe invocare il titolo di « padre » per opporsi al Padre per eccellenza, Giudice divino dei genitori, fedeli o infedeli rappresentanti di Lui. La gerarchia diritti e dei doveri spezzata, quando Dio non ha più l’autorità suprema, e non può dire ai genitori quel che disse ad Abramo: « Offrimi il figlio tuo in olocausto alla mia «gloria ». La famiglia può chiedere a buon diritto dei sacrifici ai membri che la compongono, per il bene generale del focolare. La società può imporre alle famiglie, per il bene sociale, dei veri sacrifici. La Nazione può esigere, anche per forza, delle grandi immolazioni, per il bene pubblico e nazionale. Ed è nell’ordine naturale delle cose accettare tutto questo. Non vi sarebbe che Dio, il Signore di ciascun uomo, il Padrone assoluto delle famiglie, il Re Sovrano della società e delle nazioni, che non potrebbe reclamare, imperiosamente e con pieno diritto, le sue proprietà, prestate temporaneamente ai genitori? Per l’onore, per il denaro, per la pace, per l’umanità, i genitori possono e debbono cedere tutti i giorni parte del loro relativo diritto. E Gesù Cristo avrà meno diritto degli avvenimenti che Egli stesso conduce, e delle creature che vivono del suo soffio?… – Il sacerdozio e la vita religiosa, doni sublimi del Signore, sono talmente al disopra di tutti i beni, di tutti gli Stati, di tutti gli onori della terra! Vale a dire che, quando Egli chiama al suo seguito è giusto lasciar tutto e passare, se fosse necessario, su un braciere ardente. Perché nulla, sulla terra è così nobile e così bello; e pertanto le sofferenze più inaudite non possono comprare l’onore, l’amore, la felicità che il Cuore di Gesù riserba a questi predestinati. – Noi siamo convinti che la maggior parte delle famiglie, che lasciano bussare invano alla porta loro il Re dei re, lo fanno in un momento di timore del sacrificio, in un pensiero spiegabilissimo, cioè, d’egoismo. Esse non si rendono conto del bene inapprezzabile, del tesoro senza pari che esse rifiutano, del torrente di benedizioni celesti di cui esse si privano e del giusto pentimento che ne avranno un giorno, forse troppo tardi! Il sacerdote e la religiosa sono tanto poco e male conosciuti, che è ben facile spiegarsi i mille pregiudizi diffusi contro il loro nobile stato. Allontanàti più o meno da ogni relazione con le creature esclusivamente mondane, spesso separati dalla vita pubblica sociale, essi non possono essere compresi dal mondo, che hanno lasciato, d’altronde, con ragionevole disdegno. E il mondo risponde a questa indifferenza giustificata, accentuando la sua diffidenza verso questi « eccentrici », la cui vita seria e felice è una condanna alla loro, vana, molle e inquieta. Aggiungiamo a questa diffidenza generale, a questa misconoscenza, tutte le calunnie che sono state diffuse dall’ignoranza e dalla malizia, tutti gli oltraggi fatti loro, ed avremo una spiegazione più che sufficiente di questa atmosfera ostile alle vocazioni. Questo è antimilitarismo contro l’esercito del Signore. Oh, se le famiglie cristiane, i focolari veramente onesti e fedeli conoscessero il « dono di Dio », il segno d’onore, il valore della grazia, la distinzione soprannaturale, il beneficio inaudito, la preferenza gratuita e gloriosa che suppone l’appello di Gesù, tanto per gli eletti che per loro stesse, oh, come tratterebbero il Signore alla porta loro! Come gli direbbero, prese da santa confusione: « Allontanati da noi, Signore, che siamo peccatori! O Maestro, non siamo degni che Tu entri sotto il nostro tetto! »  Ahimè! il gesto che ferma su tante soglie il Re di gloria, che va in cerca di apostoli e di vergini, non mai ispirato ad umiltà, forma delicata d’adorazione! Esso è provocato dalla misconoscenza dei diritti divini di Gesù Cristo!

II. – I figlioli appartengono a Dio

A chi appartengono i figli, e quale è il loro destino? Ecco adunque la vera soluzione della questione della vocazione. Sono, i genitori, i padroni o i semplici depositari, incaricati d’interpretare una volontà ed un comandamento divino? Essi sono stati gli strumenti per la vita naturale, ma il diritto cristiano non riconosce loro alcuna autorità assoluta, sull’avvenire dei loro figlioli. – Il quarto comandamento è sempre subordinato al primo. I genitori devono andare a Dio, poiché essi sono da Dio; i figli, attraverso i genitori, devono tendere a Dio, poiché anche essi sono da Dio. Se la società, e soprattutto la Patria, hanno dei diritti che genitori debbono rispettare, e ai quali sacrificano le loro più legittime 00affezioni, in un grado infinitamente superiore, il Signore s’è riservato il pieno diritto di disporre della vita e della morte delle creature affidate, temporaneamente e condizionatamente, alla cura affettuosa, alla custodia cristiana di altre creature – E come il potere civile, anche più legittimo e meglio stabilito, non può assolutamente misconoscere i sacri diritti dell’individuo, e questi, quando si tratta di difendere la sua coscienza cristiana, per esempio, è obbligato a disubbidire alla autorità umana opposta alla divina, così la patria podestà, fondata sulla natura e confermata dalla legge evangelica, non può contrariare il diritto del figlio, chiamato dal suo Dio. Il figlio è del Creatore, passando attraverso i genitori che l’han ricevuto per Lui, e che debbono renderglielo, non solo all’ora della sua morte, ma anche quando il Signore lo sceglie e lo chiama, lo trae dietro a sé e lo fa camminare pel sentiero stretto, ma glorioso, dei consigli evangelici. Se neanche un sol capello del nostro capo può cadere senza il permesso del Maestro, se ogni uccello e ogni fiorellino è nutrito e rinfrescato per ordine di Lui, che pensare dell’autorità divina e della Provvidenza amorosa che vegliano sull’esercizio dei suoi sovrani diritti, e sull’avvenire temporale ed eterno dei figli?… D’altra parte, chi ha il segreto di questo avvenire? Dio solo, nessuno all’infuori di Lui, ed Egli se lo riserba gelosamente. Non vediamo forse tutti i giorni, per esperienza, fallire le previsioni così prudentemente calcolate, così ben combinate? E quando noi crediamo aver raggiunto lo scopo, con un piano sapientemente elaborato, sopravvengono avvenimenti imprevisti, malattie improvvise, agitazioni materiali o morali, che distruggono immediatamente le nostre previsioni. Anche la morte ci prova che l’avvenire delle creature non è che nelle mani del Creatore. – Chi può tracciare all’uomo la sua via, se non Colui che conosce l’uomo? Ora, chi conosce veramente, intimamente e profondamente l’uomo, se non Dio? La vocazione è un problema troppo grave per affidarne la soluzione al corso delle circostanze, delle velleità o degli interessi umani. Il legame fra l’avvenire temporale e l’avvenire eterno è molto stretto. La vocazione è la strada, l’eternità è la mèta cui questa strada deve condurre. Vi è un ingranaggio fatto da una sapienza increata; guardiamoci dallo spezzare una molla della catena, che comincia dalla culla e, che, intrecciata da una mano provvidenziale, conduce all’eternità. Quanto spesso il fermarsi d’un’anima, per colpa sua o di altri, una deviazione definitiva dalla diretta via, ha delle fatali conseguenze quaggiù e nella sua vita avvenire. Se è vero che le stelle hanno la loro via, invariabilmente tracciata, non l’avrà forse l’anima cristiana, più preziosa di tutte le costellazioni? Da ciò sembra che il Cristiano, soprattutto se ha la responsabilità della paternità, non dovrebbe osare, per nessun pretesto, far deviare un’anima di fanciullo dalla via divina verso cui è spinta. Ahimè! il numero di questi audaci incoscienti aumenta, ma non negli ambienti religiosi, dove le vocazioni sono un’eccezione straordinaria, ma nelle famiglie in cui si riversa la misericordia del Cuore di Gesù. Questo. gesto, quanto mai pericoloso, è un attentato contro la Sapienza e l’assoluta Sovranità di Dio e tanto più grave in quanto esso è commesso proprio da coloro che sono ufficialmente incaricati da Dio d’educare i loro figlioli in modo che essi siano sempre pronti ad ascoltare la Sua voce, e ad ubbidire alle Sue chiamate. Di conseguenza, si rende vana l’attesa divina, si sviano i disegni di Lui, si arresta la corrente della Sua misericordia, si assume un’enorme responsabilità morale. – Privare così il Signore della sua gloria non può dare la felicità. Un sacerdote di meno: calcolate, se potete, il bene immenso che sarebbe stato Compiuto e che non lo sarà mai!… Un sacerdote di meno, vuol dire 368 messe di meno; e supponete che questo sia soltanto per 25 anni e così potremo calcolare, se si aggiunge l’amministrazione dei Sacramenti, la grazia delle predicazioni e le iniziative di zelo?… Potremo mai farci un’idea di questo bene immenso, incalcolabile, che sorpassa ogni previsione, e a cui ci si è opposti? – Un religioso o una suora di meno, una sposa cioè una lampada, una particella d’ostia di meno sull’altare, è la soppressione di tutta una vita di lavoro, di preghiera, di sacrificio, la distruzione di grazie, di vita divina, di fecondità spirituale. – È forse permesso di rifiutare impunemente il mantello di porpora con cui Gesù stesso avvolge un fanciullo predestinato? di togliere il diadema regale ch’Egli pone sulla fronte di una giovinetta? Si può forse privare impunemente di tante glorie, il Re dei re ? È possibile esporre migliaia di anime alla loro perdita eterna, soffocando delle vocazioni di sacerdoti, di contemplativi, di spose, zelatrici della gloria sua, senza provocare la giusta collera di Dio? Poiché non si tratta soltanto, né principalmente, di rifiutare questo onore che Dio decreta e offre gratuitamente, ma di sconvolgere l’ingranaggio della salvezza, di rompere la rete meravigliosa destinata ad una meravigliosa pesca. E il sangue di Gesù è versato inutilmente per migliaia di creature, che periranno per mancanza di ministero sacerdotale, e del ministero nascosto dell’umile religiosa. Se a causa dell’astensione di un uomo onesto, d’uno solo, dalle elezioni, il paese può subire dei grandi disastri politici e nazionali, cosa sarà nel piano della Redenzione se, per colpa d’una famiglia cristiana, un sacerdote o una suora mancano, nel torrente di misericordia che il Cuore di Gesù vorrebbe riversare, con il loro zelo e col sacrifizio loro, sul mondo intero? Nel mondo morale, come nel fisico, un cataclisma spaventoso delle disgrazie irreparabili, possono essere la conseguenza d’una lacuna, apparentemente leggera ed isolata. Così ragionava un gran Vescovo, col Marchese de B… qualche anno prima della guerra. Il figlio minore del Marchese, giovane di 19 anni, manifestava il desiderio di farsi sacerdote. Il padre si opponeva: « Rifletta, diceva Monsignore, all’enorme responsabilità di fronte a Dio e di fronte alla Chiesa. Un sacerdote di meno, specialmente alla nostra epoca così sterile di vocazioni ecclesiastiche, porta gravi conseguenze! ». E poiché il Marchese si ostinava ed esprimeva freddamente un’irrevocabile volontà, Monsignore, congedandosi, disse con triste gravità: « Chiedo a Nostro Signore di illuminarvi su una questione così seria e delicata, e, in ogni caso, desidero sinceramente che questo sacerdote di meno nella diocesi, già tanto provata dal numero esiguo delle vocazioni, non manchi proprio a Lei, all’ora della sua morte! » La guerra scoppia. 1 due sacerdoti del paese prossimi al castello del Marchese partono come soldati portaferiti. Tre anni dopo, il Marchese vien colpito da apoplessia, e chiede un prete. Il curato del villaggio più vicino è vecchio ed infermo, e deve assistere molti parrocchiani. Si deve cercare altrove un altro prete, e quando questo giunge, il malato è morto. Il prete che è di meno nella diocesi è forse quello che manca al capezzale dell’agonizzante. – E notare che la guerra ha reso ancora più acuta questa crisi, alla quale S. S. Pio XI allude nella sua Enciclica con queste parole: « Come è per noi doloroso il vedere che il contingente dei preti diminuisce dappertutto ». Il Papa se ne duole!

III.  Sacrifici mondani – Sacrifici Cristiani

I genitori possono di buon diritto temere gli onori che vengono dal mondo. Essi darebbero prova di una grande saggezza, nel tener lungi alcune ambizioni di gloria e di ricchezza, suscettibili di essere un giorno la causa della infelicità dei loro figlioli. Essere grande nel mondo, non significa sempre essere onesto e felice. – Il sacerdozio e la vita religiosa non offrono onori pericolosi. Nostro Signore riversa, sopra quelli che Egli sceglie, le sue grazie in sovrabbondanza. D’altra parte l’esser tentati dall’onore sacerdotale e dalla gloria di una vita monacale, non può generare l’orgoglio e il sensualismo, perché costituisce l’attrattiva intima di una vocazione di sacrificio dello spirito, del cuore, dei sensi.  « Io voglio essere prete! », diceva un fanciullo al suo curato. E questi di rimando: — Ma i preti sono disprezzati, nella strada li chiamano « pretonzoli ».  — Proprio perché li insultano, io voglio essere prete. Li insultano, perché sono buoni. —- Ma si combatte la religione, caro fanciullo, e la si perseguita nei suoi ministri. — Ragione di più, signor Curato; io la difenderò. — Ma allora, perché vuoi essere prete? Tu puoi formarti un brillante avvenire, seguendo la carriera di tuo padre. — Perché? perché il buon Dio non è amato e tutti  Lo abbandonano. Voglio legarmi a Lui, e andrò a farlo conoscere ed amare. Io sarò l’avvocato di Gesù. — Bisogna convenire che la carne ed il sangue non parlano questo linguaggio, e che l’immensa maggioranza dei buoni non è spinta a sacrificare tutto e per la gloria di una Croce e per il piacere di un diadema di spine. – « Che orribile sacrificio impone ai genitori la vocazione religiosa! », si lamentava una madre cristiana, che aveva proprio allora sentito suo figlio di venti anni, dirle di essere francamente risoluto a farsi sacerdote e religioso. Oh! siamo rispettosi e giusti verso Nostro Signore! Sì, certo, c’è un sacrificio, un sacrificio reciproco e doloroso, mai orribile. E questa parola ferisce il Cuore di Gesù. Lo dice mai qualcuno, quando dona i suoi figli al mondo? L’aveva forse detto, quella stessa madre, quando la sua figlia maggiore s’era maritata ad un uomo d’affari, destinato a restare, forse per sempre, lontano dal suo paese, e che conduceva la fanciulla ad una distanza di oltre due settimane di viaggio? Aveva essa esitato ad unire la sua seconda ad un diplomatico, parimenti lontano dal suo paese e dalla sua famiglia? Aveva essa ostacolato la vocazione del primogenito, ufficiale di marina; del più piccolo, già iniziatosi alla carriera militare a diciott’anni appena? Ma quando il buono, il dolce, l’adorabile Gesù, che rende il mille per uno, che permette la ferita, ma la cosparge di balsamo, e di una gloria che non si può calcolare; quando il Re dei re tende la mano al suo fanciullo, gli offre un magnifico destino di bellezza, di onore e di fecondità; quando il Maestro del mondo vuol sollevarlo fino al suo trono, oh, allora, la vocazione diviene un orribile, un impossibile sacrificio! Allora soltanto tutta l’influenza efficace e potente della madre agirà per fare desistere il giovane dalla sua aspirazione. Quale illogica incomprensione, e che ingiustificabile contegno! – Il sacrificio imposto dalla vocazione religiosa, è veramente più penoso e meno compensato di quello che esigono le carriere del mondo e i matrimoni? È una pemiciosa ed errata illusione il crederlo. Ascoltate questa storia, dolorosamente vissuta: una signora di ventisette anni, distinta e buona, vuol essere religiosa: ha avuto questo desiderio dalla sua prima Comunione fatta ad otto anni. La madre vi si oppone risolutamente e le dichiara che finché essa vivrà non le darà mai il consenso. Dopo una resistenza quasi eroica, esaurita dai quotidiani rimproveri e dalle più pressanti sollecitazioni, si rassegna a maritarsi a ventisette anni, con le labbra sorridenti, ma col cuore dolorante. Tre anni dopo la morte di suo padre, le esecuzioni testamentarie portano delle complicazioni impreviste. Il giovane marito è esigente, ambizioso; egli è attaccato con esagerazione a quello che egli considera i diritti di sua moglie. Vi sono altri figli interessati, le cose non sono chiare. Ora un giorno, il tribunale cita la Signora X… per abuso di beni di minorenni e per falso, in una dichiarazione che le si era fatta fare. Uno scritto firmato da sua figlia l’accusa. La povera madre, nel ricevere la notifica della citazione grida: « Sono giustamente castigata! È mai possibile che mia figlia, la quale avrebbe rinunziato a ogni sua fortuna per il convento, tratti ora sua madre di ladra e spergiura? ». – Il caso è tipico. Se non è per il denaro, è per mille altre cose inattese che le madri hanno sofferto e soffriranno sempre per i loro figlioli, che stanno nel mondo. Senza che questi arrivino a pervertirsi, i loro nuovi doveri ed i loro interessi provocano spesso tali conflitti familiari, che arrivano ad essere dei veri calvari intimi, tragedie penose e accoranti. Per seguire suo marito, la figliola abbandona sua madre: per creare un nuovo focolare, il figlio lascia il focolare paterno: questa è la legge ineluttabile del matrimonio. È il sacrificio dei genitori che danno i loro figlioli al mondo; è spesso qui il duro e orribile Sacrificio! Certo, la separazione imposta dalla vocazione sacerdotale e religiosa ha il suo lato penoso, ma essa è mille volte compensata e più dolce, in seguito, per i genitori. La ragione è semplice: i preti e i religiosi non dividono i loro cuori; nel darsi a Dio essi non hanno dimenticato la loro famiglia. « Il più caro dei miei fanciulli, il più mio, il più vicino al cuore mio, nonostante la distanza che ci ha sempre separati, sei tu, il figliolo apostolo » mi ha scritto più di una volta mia madre, col pericolo di rendere gelosi gli altri otto figli che le vivono intorno. Le distanze sono relative, quando le anime restano unite! Oh! vi sono ben altri ostacoli che dividono, oltre gli oceani e le montagne. Si è delle volte vicini e così lontani… Guardate un po’ voi, madri che leggete queste righe, guardate intorno voi e troverete che troppo spesso il matrimonio dei figlioli non è una conferma della affezione figliale. Al contrario invece, voi non troverete mai la prova che il seminario od il convento abbiano soffocato nei giovani il quarto comandamento o ne abbiano diminuita la forza. Altra cosa è il separarsi, ed altra è il dimenticare l’attaccamento nobile del figlio verso i suoi, o di rinunciarvi. E non è certo il mondo che può invitare i sacerdoti od i religiosi ad intendere dalla sua bolla, le lezioni di dignità, di gratitudine, di affezione filiale. – Genitori cristiani, se voi sapeste, per esperienza, il compenso che il Signore vi riserva, voi non avreste abbastanza lacrime per riparare la diffidenza, forse la ribellione, con le quali avete ricevuto le sue proposte di gloria. Qual è dunque quello stato di vita, in cui non vi sia in gran parte il sacrificio, e tanto più crudele, quanto più siano allontanati i sacri doveri, per essere esenti dalla croce? Si sarebbe veramente tentati a credere che alcune delle famiglie cristiane non temano che la Croce del Maestro Gesù, tanto esse sono coraggiose nel sacrificio che la vita o la società impongono loro. Così durante la grande guerra, quale eroismo patriottico nel cuore delle madri! I figli partivano, le madri dicevano loro addio piangendo, sì; ma le loro lacrime erano calme e fiere. Giammai esse avrebbero pensato di arrestare il figlio sì caro, da quel glorioso cammino d’immolazione alla Patria! E se per disgrazia egli avesse avuto una esitazione, una debolezza, la virtù materna avrebbe rinvigorito lo spirito vacillante del giovinetto e l’avrebbe tenuto fermo nella via dell’onore e del dovere. Un plauso per queste patriote ammirabili! Ma ove sono esse mai, le grandi Cristiane che mostrano tanta nobiltà e tanto volere nella vocazione dei loro figlioli, quando questi entrano nel cammino infinitamente più glorioso, del seminario o del convento? – Si era a Ginevra, durante il governo dell’illustre Monsignore Mermillod. La tempesta morale imperversava su di lui. Una notte, la folla malvagia aveva urlato per lunghe ore: « a morte il Vescovo, a morte! » Di buon mattino Monsignore riceveva la visita della sua vecchia madre. « Sembra » diceva essa, che vogliano uccidere il Vescovo di Ginevra; io l’ho saputo ieri sera molto tardi e mi sono affrettata a venirti a supplicare di non fuggire. Il tuo dovere è di restare qui. Se tu morrai per la fede, quale onore sarà per la famiglia!» Se le famiglie cristiane avessero delle madri di questa forza, e di questo spirito, la Chiesa sarebbe sempre glorificata e vittoriosa. La crisi di autorità nelle famiglie e quella di pudore nella società, sono certamente in gran parte dovute alla crisi di vocazioni.

IV. Il Sacerdozio e lo Stato Religioso in confronto alle altre classi della Società.

Se il Maestro Divino non regna più nel focolare, se la sua Legge è compromessa, se vi è del rilasciamento e si constatano delle libertà pericolose nelle relazioni sociali, se lo spirito mondano ha profanato il santuario della famiglia, è forse da meravigliarsi che non vi giunga più la voce della chiamata Divina, che la semenza della verginità e del sacrificio non vi si sviluppi, e che il frutto benedetto e sacro delle vocazioni non vi sì maturi più? Non sì raccoglie il frumento dalla sabbia, né l’uva squisita fra i cespugli di un sentiero battuto. La crisi delle vocazioni è il segno più sicuro della mancanza inquietante delle virtù cristiane e sociali. Dal frutto si giudica l’albero ed il terreno La necessità assoluta di un ambiente molto ricco di virtù, perché vi nasca e vi si sviluppi una vocazione è un argomento indiretto per dimostrar come sia eminente e nobile la vita sacerdotale e religiosa. Gli eletti debbono vivere casti: il loro nido deve essere dunque casto. Essi debbono essere obbedienti ed umili, vale a dire che non si produrranno in un ambiente orgoglioso. Essi debbono vivere di sacrificio; epperò il lusso e la mollezza attesteranno il loro manifestarsi. Si vuole sapere che cosa vale una società ed un paese? La statistica del clero e delle comunità religiose sarà la migliore regola per giudicare. Perché? Perché gli eletti del Signore sono la più bella la più nobile espressione della moralità e dell’idealismo cristiano di una Nazione. Molto meno delle milizie nazionali, molto meglio delle Istituzioni di diritto pubblico, il sacerdozi e la vita religiosa sono di diritto e di fatto una norma vivente per giudicare l’elevatezza intima della coscienza, quella della società e della nazione. Nessun altra istituzione fa della virtù eroica un sistema di vita, mantenuto ed amato fino alla morte. È dunque una vera gloria l’esservi assunto. A coloro che non si peritano di parlare di cose che ignorano e di pubblicare che i sacerdoti ed i religiosi hanno cercato la pace in un ritiro egoista e facile, che sono i fuggiaschi della battaglia, i disertori della vita, noi potremmo dare la risposta che dette un buon monaco, pieno di spirito ad un signore superbo che era andato a visitarlo: « Se la nostra vita è così dolce, così comoda, se noi siamo vigliaccamente barricati, dietro queste mura, ebbene… non faccia penitenza restando nel mondo, venga a provare la nostra vita fatta di sonnolenza e di torpore, così Ella potrà parlare, non con prevenzione, ma da uomo onesto e convinto ». – Abbracciare l’ignominia redentrice della Croce di Gesù Cristo, è diventata un’ignominia sociale. Le classi dirigenti non vollero più prendere la parte che loro spettava di diritto al servizio del Re dei re. Altri tempi, altri costumi! Avviene tristemente per il sacerdozio, quello che avviene per le mode femminili. Una casa famosa per l’audacia ed il credito delle sue mode, disegna alcuni modelli, dichiara che la forma e le linee che costituiscono durante la stagione l’ultima eleganza, ed il pubblico che si dice intelligente e ragionevole, accetta, paga caro, e critica chiunque osi criticarli. « Rivoluzione e liberalismo » è come quella casa di mode, come la società di tutti quegli individui pervenuti alla sommità della scala sociale, in grazia della loro audacia, resa possibile dall’indifferenza degli ambienti cattolici: questa società ha lanciato la sua opinione, e questa opinione fa legge contro di noi. – Ed ecco che anche la gente onesta ci considera ora con disprezzo, e quando ci avvicina è convinta, da parte sua, di farci l’onore di una vera e propria concessione. Eppure la nobiltà, la vera nobiltà è la nostra; ed ogni dignità o tradizione, qualunque essa sia, impallidisce dinanzi alla dignità dell’abito sacerdotale o religioso. Bisognerebbe convincere di nuovo, il fior fiore delle famiglie, di questa grande e bella verità. Così la concepiva una nobile signora, presentata dal suo curato al nuovo Vescovo: « Non dica: « signora Duchessa », signor Curato, dica piuttosto », interruppe ella durante la presentazione, « … la madre del Sacerdote X… Ecco il titolo glorioso di cui sono fiera, e di cui resterò fiera anche in cielo ». Qualche giorno dopo l’elezione di Pio X, domandarono a questi, quale titolo di nobiltà avrebbe accordato alle sue sorelle: « Il titolo di nobiltà, risponde il Sovrano Pontefice, l’hanno già; sono sorelle del Papa. » – I Principi che hanno rinunziato ad alcuni loro privilegi e diritti per diventare sacerdoti, non sono discesi di grado, essi hanno fatto, per una grazia misericordiosa e gratuita, un’ascensione immensa, per cingere la più bella corona, la corona sacerdotale. Tutti i beni ed i poteri a cui rinunziano, non sono nulla, in confronto di un calice pieno del Sangue Divino. – Luisa di Francia, nel lasciare la Corte di suo padre, Luigi XV, per scambiarla con una cella di carmelitana, a San Dionigi, aggiunse al suo blasone un nuovo titolo di nobiltà. Ella sorpassò le sue sorelle e lasciò di gran lunga dietro di sé, il lignaggio reale della famiglia, quando il velo di Regina del Gran Re del cielo e della terra venne a coprirle la testa, non più soltanto circondata di pietre preziose, ma consacrata dal Sangue di Gesù che la chiamava — Oh titolo ineffabile — Sponsa mea! Sposa mia! È proprio questo in complesso che io dicevo con una convinzione al di sopra di ogni eloquenza durante la professione di una giovane Suora, che lasciava la famiglia, una buonissima condizione sociale, un brillante avvenire, una immensa ricchezza: « Ella cambia, sorella mia, l’oasi di un deserto, i suoi pochi fiori, la sua ombra, e la sua scarsa sorgente, con un giardino di gioia immortale. « Ella dona un granellino di sabbia e riceve un fulgido dono; ella si priva d’una goccia, ed un oceano infinito la inonda; rinunzia ad essere la regina di un focolare o di un salotto, per essere regina fra gli Angeli, per divenire la sposa del Creatore. I suoi beni l’avrebbero un giorno, forse, riempita d’amarezza: li avrebbe dovuti ad ogni modo lasciare, mentre che la ricchezza divina che oggi possiede sarà un bene eterno. – Sorella, ecco quello che il linguaggio delle creature chiama « sacrificio » e che nel linguaggio del Vangelo io chiamo « esaltazione e gloria divina ». Che cosa è, infatti, la vera nobiltà, se non una tradizione. d’onore, di dignità morale, di coraggio, di devozione, di alta virtù? Questa nobiltà è legata ad un nome che impone il rispetto. Non è dunque una posizione improvvisata, né una vincita alla lotteria. La nobiltà è una bellezza che tende all’immortalità. Ma qual è la nobiltà più legittima di quella del sacerdote, che è erede della grandezza, della potenza redentrice del Re-Salvatore, ed il cui ministero e la cui vita debbono essere infatti, di valore e di devozione eroica? Che cosa sono le più ricche tradizioni di nobiltà, le più alte cariche sociali, paragonate a questa discendenza del Cristo-Gesù, che è il sacerdozio, di origine divina e antico di venti secoli? E vicino al sacerdote, primo principe tra i principi la religiosa, creazione splendida della Chiesa, di una bellezza che sorpassa, in un certo senso, la beltà angelica, santuario vivente del Signore, la religiosa, dico io, non ha sopra di sé che il sacerdote ed il Cielo. – Nella misura in cui il gran mondo disprezza e disdegna la gloria del sacerdote e della religiosa, la rivoluzione, più logica di quel che si pensi, vendica incoscientemente il Dio così oltraggiato. Perché delle distinzioni e delle caste fra gli uomini, quando essi non accettano i titoli conferiti da Dio stesso? I demagogi ritorcono contro i signori, il loro stesso linguaggio. Come l’aristocrazia, la borghesia, a sua volta, non ha più confidenza nel Signore e gli lesina i suoi figli. L’esempio delle classi alte trascina il discredito gettato dagli uni, provoca il rispetto negli altri. Il sacerdozio non attira più. Esso appare come una casta in decadenza. E si cerca sempre per i fanciulli, quand’essi hanno talento e carattere, una educazione atta ad elevarli al disopra del comune, un piedestallo che li renderà grandi, e nello stesso tempo onorerà la famiglia intera. Rettifichiamo qui, senza pietà, un termine che implica in sé un’idea falsa. Si dice: la carriera sacerdotale, il sacerdozio non è una carriera propriamente detta, è uno stato unico a parte ed al di sopra di tutte le carriere, anche delle più nobili. E se vi fu un tempo in cui la sua nobiltà fu tanto ambita nella società, da provocare in essa delle ambizioni, le cui conseguenze furono tanto dolorose, oggi ohimè! Essa è caduta: il sacerdozio è discreditato, abbandonato, da tutte le classi sociali. Se uno dei figli di un gran signore ha ricevuto il rifiuto formale da suo padre, alla domanda di farsi prete, perché gli si è fatto osservare « che non deve abbassarsi », perché il figlio del dottore o del notaio dovrebbe andarsi a chiudere in seminario, quando tutto gli sorride nell’avvenire, quando ha la speranza di elevarsi nella società, e di lasciare alla sua famiglia, un nome ch’egli avrà reso illustre? L’onore offerto da Nostro Signore è misconosciuto e disprezzato… che dolore! Si sarebbe fieri di avere un figlio ministro o alto personaggio ai servizi di un re della terra, e si teme di farne un ministro del Re immortale? Una giovinetta molto ricca della borghesia, può aspirare a un nobile parentado e ciò avviene frequentemente, perché i milioni comprano tutto. Ma è raro, molto raro ch’ella non incontri opposizioni, se pretende di diventare « regina » consacrandosi a Dio. Un castello potrebbe diventare la sua dimora; il monastero, il palazzo del Re Crocifisso… è una follia! Ma gli umili, rispondono essi almeno generosamente all’appello divino? Ne sono essi onorati? Ohime! Essi risentono della mentalità anzidetta, per quanto in un grado minore. Essi sanno che i tempi sono duri, che il sacerdote è povero e che per lui la lotta è aspra. Niente li attira adunque verso il seminario od il convento. Bisogna, per conseguenza, che la fede degli umili sia ben radicata, perché il divino mietitore scelga tra di essi alcune belle spighe, che frutteranno mille per uno nel campo della Chiesa. – Ma sembra che il Dio di Betlemme abbia voluto, come compenso, mettere nell’anima del povero e dell’umile una nobiltà di sentimenti ed un istinto del Divino, che noi riscontriamo sempre meno nella classe superiore. Io conosco una povera domestica, già avanzata in età e malaticcia, che dette tutte le sue economie per le spese necessarie all’educazione in un seminario, di un fanciullo più povero di lei: « Io servirò fino alla morte, diceva ella, ma voglio offrire un sacerdote al mio Dio. » – Il barone di … è vittima di un grave accidente di caccia. Per molto tempo ha dimenticato i suoi doveri religiosi: altezzoso e poco amico dei sacerdoti, egli agonizza tuttavia nella povera stanza di una chiesa  di campagna. Il giovane sacerdote ha, egli stesso, deposto il ferito sul proprio letto, ed ha fatto con abilità e delicatezza, i primi medicamenti. Quando la famiglia piangente arriva, il ferito è calmo. Egli riposa tra le braccia dello zelante sacerdote, che lo ha confortato, ed ora lo conforta e lo prepara al supremo distacco. – Dopo la prima esplosione di dolore, la madre e le figlie si provano a ringraziare; la loro riconoscenza è ben grande per quel sacerdote, che il ferito vuole accanto a sé, chiamandolo il suo miglior amico, il suo ammirabile benefattore. Esse chiedono: « il Suo nome Reverendo? » Sentendolo, il barone turbato si solleva ed esclama: « Ma come, Ella sarebbe il figlio di X… il nostro antico portiere?… » « Sì, risponde il giovane sacerdote, timidamente. Ma non parliamo di questo, aggiunge egli, rivolgendosi alle signore, preghiamo piuttosto per il caro malato. Io le ho attese per dargli il Viatico ». La sera stessa il barone rendeva la sua anima a Dio, fra le braccia dell’umile sacerdote, figlio di portiere, di cui ecco la storia. A undici anni, per sua richiesta, i genitori lo misero in Seminario. Il barone, scontento e dimentico dei lunghi anni di servizio e di fedeltà del suo servitore e di sua moglie, che era stata nutrice di due sue figlie, congedò la famiglia, quando apprese questa notizia. Qualche tempo dopo, il buon servitore, minato dal dolore, morì, ma il fanciullo continuò gli studi, e Dio voleva che il giusto pentimento, la misteriosa espiazione, la santa vendetta, la riconciliazione caritatevole fosse fatta nelle sue mani sacerdotali. In quell’ora solenne, in quel quadro illuminato già dalla luce dell’Eternità, chi era realmente il grande, il vero personaggio di dignità morale, e di potere superiore a tutta la potenza terrena? – Vi è anche di peggio della diffidenza delle classi: la mentalità dei giovani educati nella frivolezza, per il piacere. E come la sconfitta d’un esercito è certa, per l’educazione effeminata e per la leggerezza di costumi d’una razza, così lo spirito di sacrificio e di dedizione, la vocazione di rinunzia a sé stessi del sacerdote e della vita religiosa, non possono svilupparsi in una gioventù assetata di comodità e delirante di piacere. – Il principio antimilitarista non è soltanto e principalmente un principio d’orgoglio rivoluzionario: essa è, prima di tutto, un principio di sensualismo eccessivo. Si aborre l’esercito più per egoismo che per umanità. Nel seminario e nel chiostro si forma ugualmente una milizia, più forte, più disciplinata, più rigida nella santa austerità, più virile nella resistenza di carattere, più provata non solo in atti isolati, ma in una vita intera di eroismo. Ora, i giovani vogliono scuotere ogni giogo di disciplina. Tanto si è parlato loro di libertà, di indipendenza, di diritto alla potenza senza limiti, che sembra loro impossibile, anche se cresciuti in famiglia cristiana, d’abbracciare la vita sacerdotale o religiosa. – Nella crisi di vocazione vi è una crisi acuta di carattere, vi è anche una crisi di sensualismo. La mancanza di sobrietà, di freno, di pudore, crea un’atmosfera carica di passione, che la vita sociale, l’abitudine del teatro malsano e degli abiti provocanti rende più densa ed asfissiante. La virtù dei giovani, anche dei migliori, è scossa.

V. – Il vittorioso appello del Signore

Sopra tutte le opposizioni, restano i diritti del Maestro che ha fatto, del sacerdote, lo strumento indispensabile delle sue grazie. Egli si riserba il diritto sovrano di regnare, nella numerosa falange dei suoi amici predestinati, quelli ch’Egli ha guardato con sguardo di predilezione; Giovanni e le Marie… Egli li prende dove vuole; fra gli umili, fra i grandi, fra i santi e fra gl’indifferenti. E a volte per far risplendere la sua potenza, Egli va a cercare anche lontano. Egli designa, chiama sotto mille diverse forme, insiste con la sua grazia, fa dolce pressione, pur lasciando a ciascuno la libertà, il merito di seguirlo; si può sempre preferire a Lui, le reti e la barca del mondo, e rifiutare la missione gloriosa d’essere « pescatori» d’uomini ». – Avviene qualche che il giovane, la fanciulla restano esitanti, confusi, turbati. E allora comincia la grande e delicata missione dei genitori cristiani. Dio, che ha loro partecipato l’autorità sua, richiede da essi un gesto di fede, una condotta che sia d’accordo con la loro coscienza cristiana, e che non soltanto non contraddica, ma sia conforme e faccia eco alla sua volontà suprema. La loro missione d’educatori e di maestri continua, con lo stretto dovere, di secondare l’appello della grazia, senza precipitare le soluzioni, ma circondando soavemente e fortemente e prudentemente l’anima del fanciullo. E la santa decisione può nascere dal cuore della madre e delle figlie, del padre e del fanciullo come un unico e stesso cuore. Oh, che santa unione! – Se ancora, dopo di questo, resta qualche dubbio, la preghiera, i savi consigli d’un direttore e una sottomissione perfetta alla volontà di Dio, provocheranno certamente la luce. – Una famiglia per quanto nobile e cristiana, non può meritare la grazia di questa visita di Gesù Cristo, che passa da Re in cerca d’un ministro, da Fidanzato che vuol scegliersi una sposa. Certo, le vocazioni possono essere talora titoli di nobiltà divina, onde Nostro Signore vuol ricompensare la virtù provata d’una famiglia a Lui particolarmente unita, la fedeltà di molte generazioni… Ma l’onore di possedere un sacerdote o una suora è talmente superiore a ogni merito personale, ch’esso rimane una delle grazie più gratuite che il Signore possa accordare ai suoi amici. Così pensava il sig. Martin, il babbo avventurato della piccola Teresa, quando diceva: « Io non merito che il Signore venga a prendere le sue spose a casa Mia ». Il numero sempre crescente, delle famiglie cristiane, insensibili e refrattarie a questo onore incomparabile, è uno dei sintomi più inquietanti della decadenza del senso sociale cristiano. Supponete questa dolorosa inversione d’una delle più belle scene evangeliche: la sera del Giovedì Santo, Gesù, venuto a Betania, per il supremo addio, è fermato sulla soglia della casa, congedato colla sua Madre Divina, da coloro che Egli aveva chiamato suoi amici: Lazzaro, Marta e Maria, e questo perch’Egli li invitava a partecipare alla sua crocifissione, e a seguirli fino al Calvario! Ahimè, come questa scena si ripete troppo spesso, per il Cuore Divino, nelle famiglie amate, ove Egli viene ad invitare qualcuno al suo seguito! Eppure è  Lui il solo padrone, che avendoci tutto dato, può anche liberamente riprendere e scegliere quel che è suo. Non è dunque mai l’intruso, meno ancora il ladro, quando chiama con un amore che potrebbero invidiarci gli Angeli. È ho visto molto spesso scacciare insolentemente l’Amico di Betania! Ho visto questo dolce Maestro, bandito dal focolare, solo perché osava rivendicare un bene che solo temporaneamente aveva confidato alla custodia dei genitori. – Queste famiglie così degne, così cortesi, di educazione così fine, io le ho viste, soffocate dalla collera. – lo le ho intese pronunciare parole che, per rispetto alla sua miseria, non avrebbero detto ad un mendicante impertinente. « Io ho otto figlie », mi diceva una signora, « tutte son fisse nella mia mente: sei saranno per il mondo; esse si mariteranno facilmente. Quanto a Luisa, la più piccola, è così poco graziosa, così poco simpatica e intelligente che farà bene ad entrare in convento. È la sola alla quale permetterò di essere religiosa » ed abbassando la voce, « il piccolo cencio della famiglia: non è buona a nulla ». Il Signore dispose altrimenti, e prese, nonostante il volere della madre, le due figlie preferite per il monastero, e una terza per il cielo. Un rovescio di fortuna cambiò crudelmente la posizione. Le tre figliole che restarono dovettero lavo far vivere la madre e la sorella malata. La povera madre, in uno stato quasi di miseria, dovette assoggettarsi a mangiare nel parlatorio di un convento, ove una delle sue figliole era divenuta superiora. Ella aveva spesso detto: « È una provvidenza che vi siano dei conventi, perché essi sono il rifugio degli spiriti miseri e insopportabili, delle malaticce, di coloro che una famiglia di un ceto rispettabile non potrebbe convenientemente sistemare », e in altri termini: Gesù è il mendicante al quale si gettano i rifiuti del mondo, gli esseri deboli nel fisico e nel morale. – Ho potuto spesso ammirare la debolezza infinita, la pazienza instancabile, la divina pietà del Maestro adorabile, il cui Cuore resiste a tutti gli oltraggi per conquistare un’anima d’apostolo, un’anima di sposa. La lotta è crudele anche per gli eletti, tanto più, in quanto sentono che il seguire Colui che li chiama, è un loro pieno diritto. Essi veggono la libertà di cui godono i loro fratelli, libertà di cui questi possono abusare a volte, mentre essi menano una vita di oppressione e di diffidenza insopportabile. Tutti li allontanano da tutto ciò che potrebbe favorire quello che viene preso per una « esaltazione ». Non si accorda loro che il minimo di espansione, di pietà e s’impongono loro le più odiose restrizioni. Conosco il caso di un giovane che, per arrivare a intrattenersi con il suo direttore, non trovava altro mezzo che di fingere una innocente relazione amorosa, per la quale veniva approvato in famiglia. Egli vedeva a teatro, a passeggio, una giovinetta… e tutti e due parlavano di vocazione, perché tutti e due si trovavano nella stessa insostenibile e dolorosa situazione. Essi dunque complottavano in favore di Nostro Signore. Aiutandosi a frustare le opposizioni, che le famiglie entusiaste della loro unione avrebbero fatto alle loro vocazioni, essi si vedevano al teatro ed a passeggio, ma.. dopo qualche momento di mistico conversare, si separavano, ed andavano a compiere il loro piano d’avvenire, coi loro confessori. Egli a ventun anni e lei a ventitrè, partivano e realizzavano infine la santa ambizione, per la quale avevano sofferto per lunghi anni, una vera tortura morale. Non è un’enorme ingiustizia in questo caso, veramente vissuto, che questi due giovani, che pur avendo ogni libertà di vedersi e d’incontrarsi, non potessero avvicinare i loro maestri e direttori neanche una volta al mese? Quanti casi come questi, ed anche più penosi, si verificano in seno alle migliori famiglie! Ci si difende con accanimento contro il Volere Divino, e giovani anime si veggono tristemente obbligate di lottare contro i loro parenti. Una convinzione di coscienza lotta contro l’affezione ed il rispetto filiale. « Se lei sapesse — mi diceva una giovane — come il mio cuore batte quando debbo incontrare i miei cari parenti, per difendere la mia vocazione, i diritti contestati del mio Gesù! » – « lo spero che tu non ci darai mai questo grande dolore », diceva la Contessa X… a sua figlia di venti anni, che parlava continuamente di voler essere religiosa, rinunciando ai più brillanti partiti e dando prova in tutti i modi della serietà della sua decisione. « Tutto, mia cara, tutto eccetto questo: diceva la madre con veemenza —; questo sarà un sacrificio al disopra delle mie forze. E poi pensa al tuo stato. ». Dai venti ai ventotto anni, la povera fanciulla subì degli assalti terribili. Infine, dopo una scena di disperazione da parte della madre, ella si sente vinta e dichiara di acconsentire a maritarsi. « Ma brava — esclama la madre consolata tu hai finalmente pensato all’onore dei tuoi parenti; il cielo ti benedica ». Il Cielo avrebbe presto risposto dell’onor suo! Due anni dopo, poche persone intime, accompagnate dagli agenti di polizia, bussavano alla porta dell’albergo ove abitava la contessa. Esse riconducevano presso la madre, la giovane figlia, vacillante, tutta atterrita dallo spavento, con gli abiti portanti ancora tracce di sangue… Ella si era maritata con un « viveur », che aveva considerata questa unione soltanto come un mezzo per dare, con i milioni della sposa, un lustro al suo blasone scolorito.  Era stata molto infelice, e quella notte, il marito, che non l’amava affatto, era rientrato tardi ed ubriaco, ed aveva cercato di batterla perché essa lo aveva rimproverato; e mentre lei si difendeva, egli perduta la testa per la collera e per i fumi dell’alcool, si era ucciso con quello stesso colpo che voleva dirigere alla povera donna. Se i genitori hanno il diritto di mettere a prova prudentemente e delicatamente la vocazione dei loro figlioli; se anche, in certi casi è per essi un dovere, non debbon tuttavia opporvisi per partito preso. Vi è un’enorme distanza tra la discrezione del silenzio, dell’osservazione, dell’attesa, ed il sistema della biasimevole opposizione di cui abbiamo parlato. E perché tante esigenze, tante prove, fatte fare prematuramente, tante precauzioni per questa vocazione di sacrificio; ed invece tanta felicità, tante strade aperte per le carriere del mondo, ove i pericoli che minacciano l’onore, la coscienza dei giovani, sono così numerosi? Si direbbe che i genitori siano nati, e vissuti nel mondo, come in un paradiso terrestre, circondati di virtù e di delizie, talmente preme loro che i propri figlioli vi rimangano, nonostante la voce della loro coscienza. – Noi concepiamo chiaramente la lotta del cuore in un padre e in una madre; la perplessità dovuta ad una esitazione istintiva, ad una ripugnanza naturale al sacrificio che loro chiede Gesù, ma non comprendiamo il perché, nelle famiglie cristiane, il mondo sia preferito alla vita religiosa. Poiché di fatto, su cento eletti del Signore, si può giudizio, più con certezza affermare che, in generale, tutti e cento siano molto felici, mentre che quelli che hanno l’esperienza del secolo, sanno quale sia, all’opposto, la spaventosa proporzione dei felici tra coloro che vivono nel mondo. – Se i genitori avessero incontrato, prima del loro matrimonio, le diffidenze, le opposizioni nascoste e palesi, i fastidi di ogni genere che tante giovinette hanno, per attuare la loro sublime vocazione, avrebbero considerato quelle giuste, legittime, ragionevoli? No! essi sanno bene a quali pericoli, a quali scandali frequenti, a quali sofferenze conducono le opposizioni matrimoniali fondate, per esempio, su l’ineguaglianza del patrimonio o di stato, quando i cuori che si amano superano qualunque ostacolo, pur di raggiungere la loro felicità. Forse qualcuno, leggendo queste righe, ricorderà le amarezze provate per il rifiuto e l’opposizione sistematica: che essi risparmino ai loro figlioli, di fronte a una via ben più alta e sublime, queste angustie, che sono un’agonia del cuore. – Mi preme di esporre qui un’idea molto seria, che potrebbe far riflettere molte famiglie cattoliche. – Da che dipende lo strano, inesplicabile svilupparsi d’indifferenza, d’irreligiosità, e a volte anche l’assenza assoluta di pietà, in un fanciullo nato ed educato in un focolare cristiano? Questa anomalia può avere, secondo il mio umile giudizio, più spesso di quanto non si pensi, la sua causa non soltanto nel singolo individuo, ma nella catena che lega le famiglie e le generazioni. La legge della grazia, come la legge della natura, stabilisce questo stretto legame, questa comunione di beni e di infermità morali e materiali. Mi è sembrato constatare, che quando si estingue la sorgente di grazia, che è il pozzo divino di una vocazione, non soltanto ne patiscono le anime degli estranei assetati dell’acqua della grazia, ma la famiglia stessa ne soffre, o ne soffrirà nelle successive generazioni. Quel pozzo divino; quelle messe, quelle immolazioni, quelle preghiere, quella vita. d’olocausto erano destinate prima di tutto ad arricchire la vita soprannaturale del giardino familiare. Tutti gli alberi di questo giardino vivono colle radici nello stesso suolo, tutte le anime sono in stretta comunione spirituale; vi è una partecipazione più o meno abbondante di tesori, di luce, di forza, di amore. E che non si vada a cercare un’altra spiegazione a questi strani problemi morali, a questi enigmi angosciosi che si incontrano in alcune famiglie: la chiave non ne è, spesso, che il rifiuto delle grazie di una vocazione. Si è rinunciato ad un patrimonio: misteriosamente, un male latente ed insanabile ne farà lungamente sentire la privazione, per diverse generazioni. Il Signore è geloso del suo onore; è facile avvedersi di ciò. Egli che, per estrema umiltà, provocata dal suo amore, lascia il trono, lo scettro ed il suo cielo di gloria per salvare il mondo, non vuol essere disprezzato nelle sue chiamate. Di quest’oltraggio, che lo ferisce infinitamente, Egli si vendica — pare portando via, con violenza, il tesoro rifiutato alla Maestà sua. – Non dimenticherò mai questa eloquente lezione di giustizia divina, inflitta a una madre ostinata, da Nostro Signore. La Signorina di X… supplicava invano i suoi per ottenere l’autorizzazione d’entrare in convento. Essendo maggiorenne avrebbe potuto farne a meno, ma le sembrava preferibile d’aspettare che il suo affetto, le sue pene, la tenacia nel suo desiderio. piegassero l’opposizione di sua madre. Questa, da parte sua, sperava in una evoluzione nell’animo della figlia. La situazione diveniva pertanto sempre più penosa, e la madre, esasperata, finì per esclamare un giorno: « Ebbene, se dovessi scegliere fra vederti religiosa e contemplarti morta, preferisco e chiedo la seconda cosa ». Ed ella insisté su questo terribile augurio. Ma per dissipare la dolorosa impressione prodotta sulla giovane, essa aggiunse: « Preparati: domani partiremo. I viaggi ti distrarranno; staremo in giro due mesi, e avrai, senza dubbio, la fortuna di dimenticare, in viaggio, le tue fantasticherie ». Esse partirono, e la mamma non risparmiò né denaro, né fatica per distrarre con passeggiate, teatri, serate e spiagge, i desideri deprecati della docile figliola, che, nonostante tutto, conservava intimamente il tesoro della sua vocazione. Un giorno, mentre il treno espresso su cui erano montate arrivava alla grande stazione di X …, la fanciulla dette un leggero grido, mormorando convulsamente: « Gesù mio » e … cadde morta ai piedi della madre costernata. Qualche minuto dopo, il cadavere era calato dalla vettura e steso sopra un banco d’una sala d’aspetto. Al posto del velo di sposa di Nostro Signore, era spiegato un lenzuolo funebre; la povera madre pagava a duro prezzo la sua triste preferenza…

VI. – Risposte ad alcune obiezioni

Come conclusione di questo studio, esamineremo ora brevemente una serie d’obiezioni, che si trovano sulle labbra di alcuni genitori, Cristiani, altrettanto buoni cristiani, quanto temibili nemici delle vocazioni. Contraddizione inesplicabile! Essi adorano Gesù Cristo in ginocchio, ma sono terrificati al pensiero che uno dei loro figli divenga un altro Cristo o una sposa del Re d’Amore. – Ridurremo a sette, questa serie purtroppo lunga, e risponderemo con tutta la santa e triste veemenza, che l’onore disprezzato del nostro Divino e adorabile Maestro, mette in un cuore d’apostolo e di sacerdote.

1.° Per l’amore di Nostro Signore, per obbedire cioè al quarto comandamento, che i nostri figlioli rinunzino alla vocazione loro e non ci impongano questo sterile sacrificio!!

Salvo il caso del figlio unico che debba sostenere dei genitori poveri o malati, caso ben chiaro in generale, e che non si discute, l’’ obiezione or ora formulata non regge. – Nostro Signore stesso ne ha dato la risposta nel Vangelo: « Chi preferisce suo padre o sua madre a Me, non è degno di Me. ». Del resto, anche umanamente parlando, perché gli eletti del Signore sarebbero i soli a rinunziare alla loro sublime vocazione, mentre i fratelli e le sorelle possono, con ogni libertà sposare, lanciarsi negli affari, allontanarsi dal tetto paterno, in una parola: scegliere liberamente la loro vita? – Quante volte abbiamo dovuto constatare simile ingiustizia! Essa è ormai tanto comune, da diventare regola stabilita. Quelli che desiderano consacrarsi a Dio, debbono aspettare la morte dei genitori; devono essere i fedeli infermieri dei loro ultimi giorni, mentre tutti gli altri, per fondare una famiglia ed assicurare il loro avvenire, possono prendere il volo a loro piacimento. Cento volte m’è capitato di vedere questo: Gesù può attendere: i fidanzati terreni, no! Certamente non li condanniamo se hanno proceduto con prudenza; ma reclamiamo almeno gli stessi diritti per il Fidanzato Divino. Giacché, se la vocazione del matrimonio crea, ad una certa età, ed in circostanze normali, un diritto, reale, questo diritto è, almeno lo stesso, se non più formale e più imperioso, quando si tratta della vocazione religiosa. – Il quarto comandamento obbliga indistintamente tutti i figli di una stessa famiglia. Un fratello non può, senza ingiustizia disimpegnarsene a danno del proprio fratello.  V’è una gerarchia dei doveri che elimina qualunque conflitto. Il primo comandamento precede il quarto e tutti, genitori e figli devono rispettare questa priorità. Tale è l’ordine stabilito da Dio stesso. – Questi genitori che reclamano il sacrificio d’una vocazione, avrebbero essi stessi, in simili circostanze spezzato il loro avvenire, ritardando il loro matrimonio? Quanto al sacrificio che fate, non dite che sia sterile! Oh! No! Benedetti, mille volte benedetti, i genitori che offrono il glorioso sacrificio che Nostro Signore chiede loro, per la sua causa. Essi saranno colmati di felicità, e la loro ultima tappa quaggiù sarà più radiosa d’un meriggio, poiché Dio si compiace di vincere in generosità la creatura. Essi Paesi Essi avranno la loro parte meravigliosa nella fecondità sacerdotale o religiosa dei loro figli. L’onore e l’abbondanza empiranno la loro casa, come fu colmata quella del vecchio Giacobbe per la gloria e la potenza del suo figlio Giuseppe. « Pensa ai diritti di tua madre, non dimenticare che tu sei mia figlia! », », diceva con indignazione una  madre alla sua figliola, che già maggiorenne, libera ormai di attuare il suo ideale, che aveva accarezzato ormai da quattro anni, sollecitava dalla madre dalla madre un’ultima benedizione prima d’entrare in convento. Con le lacrime  agli occhi, con un tono dolce e rispettoso, la ragazza replicò: « Mamma, tu non hai mai parlato così alle mie due sorelle minori già maritate, né al mio fratello maggiore tanto lontano da noi. Mamma, pensa ai diritti di Gesù ».

2° Faccio ostacolo alla sua vocazione, per la sua felicità.

Fu l’obiezione di un padre al suo figlio maggiore, diventato dottore in diritto, e brillante avvocato, meno per convinzione propria che per compiacere i suoi. Alle istanze reiterate del giovane, il padre risponde:  « Tu non conosci il mondo; come puoi dire che non sarai felice? Aspetta, osserva, esci di più, tu sei in una età in cui puoi godere ». – Quante volte, triste ed inquieto, il giovane rispondeva: « Sento che sarò un grande infelice nel mondo e un cattivo. Sarò debole e ne soffrirete anche voi… Lasciatemi partire… » Tutto era inutile. Trascorsero molti anni. Il giovane avvocato diventò quello che aveva previsto: « un, grande infelice » e fu veramente uno dei deboli che il mondo perverte. La sua fede fu sommersa in una palude di passioni scatenate. I suoi disordini procurarono vergogna alla sua famiglia, che dovette ritirarsì in campagna. Il vecchio padre fu improvvisamente colpito da apoplessia in seguito ad una discussione grande col figlio, che reclamava imperiosamente denaro… sempre denaro! Chiese un sacerdote, il curato del villaggio accorse, ma il figlio snaturato gli impedì di accostarsi al malato, per assolvere la sua missione… « No, signor curato, no: se non volle in casa sua il figlio prete, non ha certo bisogno d’un sacerdote estraneo Disputare un figlio a Dio, è addossarsi la sventura; se non sempre la sventura materiale almeno quella intima e morale. E nello stesso modo che non sarebbe giusto né ragionevole spingere verso il seminario od il chiostro un giovane o una fanciulla aspiranti legittimamente al matrimonio, allo stesso modo sarebbe odioso e pericoloso di trattenere per forza nel mondo coloro che desiderano sortirne. Noi reclamiamo questa libertà per la felicità del tempo e dell’Eternità. – Ma paragonare la pace interiore, la calma, la dignità e la felicità della vita religiosa e sacerdotale, con la umana felicità, è fare ingiuria alla saggezza del Signore, fare un onore insensato ai capricci e alle invenzioni degli uomini. Se i genitori comprendessero la felicità inesprimibile che provano o gli eletti dell’altare e del chiostro, essi cederebbero generosamente ai loro desideri. – Ma come potrebbero essi farsene una idea esatta, essi che vivono in un ambiente completamente diverso? A poco a poco tuttavia, quando è dato loro di penetrare nella pace e nella luce di cui sono inondati i loro figli consacrati, quale sorpresa  e quale gioia per essi! – Tale fu lo stupore profondo di Luigi XV, quando vide la sua figlia Luisa nella sua angusta cella di Carmelitana, vivente di silenzio, di mortificazione e di soggezione e cantando, nonostante questo, la sua felicità! Il re frivolo ebbe una lezione che dovette ricordarsi un giorno. Creder di lavorare alla felicità dei figlioli, opponendosi alla loro vocazione, non è d’altronde che una conseguenza logica dello spirito del mondo. Difatti, quando si è ricco, giovane e libero, come credere che si possa vivere felici nella povertà, la castità e l’obbedienza? Questa follìa della croce è ben lungi dall’esser l’ideale anche per dei buoni Cristiani. Ma ciò non deve impedirci di predicar loro questa filosofia sublime, e di persuaderli lentamente e soavemente, in difesa della Divina Sapienza della Croce e dei diritti del Crocifisso. Sì, quelli che si sono consacrati a Gesù sono felici; sono anzi i soli pienamente felici, giacché si sono spogliati spontaneamente e con gioia di tutto. Essi sono stati padroni della loro natura, hanno voluto vivere della grazia. OQuuaannttii desideri repressi o nobilitati! Quante torture eliminate dal sacrificio delle passioni; quanti piccoli interessi sostituiti dall’unico e supremo interesse: la gloria di Dio! – Essi hanno lavorato aspramente per spezzare le loro catene, ma in ricompensa, allorchè i legami sono stati rotti, volano con sicurezza oltre ogni bruttura e miseria del mondo. Essi respirano l’aria pure delle grandi Altezze. Oh! che santa libertà, che nobile indipendenza, che umile fierezza, quella di cui si gioisce al servizio del Signore! E soprattutto, quale pace immensa e divina che nessuno può rapirci! Noi lottiamo, certamente. anzi noi facciamo della immolazione, un sistema di vita soprannaturale, e del dolore, un mezzo di gioia per l’amore divino; ma nella nostra vocazione di sacrificio, la croce, lungi dall’essere un patibolo, è il trono di gloria che abbracciamo con amore. E questo, perché noi possediamo la sorgente, per eccellenza, della gioia e della forza, il Cuore di Gesù! – In Lui, e con il soccorso della sua Madre Immacolata, noi godiamo anticipatamente del Cielo, noi abbiamo tutto. – Genitori cristiani, che non desiderate per i vostri figli una felicità artificiale, seducente ed ingannatrice, ma una felicità reale, pura, senza fine, donate i vostri fanciulli al Maestro adorabile, Re dei cuori sacerdotali e sposo delle anime vergini. Egli non cambia, non mente, non muore mai!

3° 1 nostri figlioli hanno delle illusioni, la loro pretesa vocazione non è che momentanea esaltazione religiosa… essi non hanno ancora l’età.

È vero che ci si può cullare nell’illusione, e senza dubbio, il pericolo d’ingannarsi esiste dappertutto; tuttavia è molto meno là che altrove. Perché? In primo luogo, perché la vocazione sacerdotale e la vita religiosa sono essenzialmente vie di sacrificio, ed il sacrificio non seduce, né esercita il fascino come il piacere. In secondo luogo, perché tutte e due hanno un tirocinio, una prova, un noviziato, che il matrimonio non ha e non può avere. Il tempo del fidanzamento è lungi dal dare un’idea reale della vita coniugale, con i suoi doveri e le sue responsabilità; mentre la vita del seminario ed il tempo del noviziato sono, per se stesse, la vita che condurranno gli eletti dopo l’ordinazione e la professione. Il sacerdote dunque e il religioso sono infinitamente più coscienti nella loro scelta del più intelligente e più ponderato candidato al matrimonio. L’esperienza conferma eloquentemente questa affermazione là, dove la nefasta legge del divorzio ha alzato le barriere, s’è potuto fare una statistica di focolari infelici. Invece le persecuzioni subite in certi paesi hanno provato che le anime consacrate non erano state disingannate nella loro vocazione. Il coraggio eroico, con cui esse hanno affrontato l’esilio, la povertà e le sofferenze di tutti i generi, per restare fedeli, prova ben chiaramente la felicità intima in cui essi vivono sempre, nonostante l’uragano. – Dunque, se è permesso avere dei dubbi riguardo alle intime disposizioni, alla capacità o alla salute di coloro che si sentono chiamati dal Maestro, questi dubbi saranno certamente dissipati, prima del supremo impegno; ciò fa, della vocazione religiosa, la via più sicura e più provata; per conseguenza la più lontana da ogni illusione. Ciò è come dire che gli inconvenienti dell’età non sono che apparenti, e poiché noi tocchiamo questa questione dell’età, ci preme di far constatare la differenza ingiusta delle misure ordinariamente usate dalle famiglie secondo che si tratti di matrimonio o di convento. Sono rari i genitori che rifiutano il permesso di fidanzarsi ad una fanciulla dai 18 ai 21 anni, quando il pretendente offre delle brillanti garanzie materiali e delle sicure doti morali. Ma quanti giovani di questa età otterranno l’autorizzazione benevola dei loro, io non dico per professare, no, ma semplicemente per diventare aspiranti in un seminario o in un noviziato? – Nostro Signor Gesù Cristo è dunque meno degno di essere accolto dalle povere creature umane? Non può Egli dare sufficienti garanzie di felicità, alla fidanzata che Egli chiama nel suo palazzo di sacrificio e di povertà? Perché, questa parzialità oltraggiosa pel suo Cuore? Evidentemente i genitori possono e debbono esaminare e studiare soprannaturalmente la serietà della chiamata ma, consultando coloro che ufficialmente sono maestri e specialisti nella questione come si fa per ogni altra materia. L’affezione naturale diventa una formidabile ingiustizia, e i genitori s’ingannano spesso, quantunque in buona fede, quando giudicano da soli delle aspirazioni dei loro figli. Un fanciullo vivace, monello, fanatico delle passeggiate e dei giuochi, diventa spesso un religioso eccellente; una giovinetta apparentemente leggera, vanitosa, dissipata dalla mondanità, può diventare una santa carmelitana. Lo spirito del Signore soffia dove vuole, e vince quando trova la buona volontà. Al contrario, non è rado vedere la più pia e seria delle fanciulle, maritarsi e diventare un’eccellente madre di famiglia. Che sia necessario conoscere il mondo per rinunziarvi, è un ragionamento assolutamente falso. Non si deve cercare la menzogna, per amare la verità, e dare ad essa il suo giusto valore. Si dovrebbe dunque tentare di rovinar la salute, o di provocare una malattia, per apprezzare meglio il dono della sanità? O sprecare una ricchezza, per meglio apprezzare il benessere materiale? Allora, perché non imporre, con la stessa teoria, sei mesi di convento a coloro che sono chiamati al matrimonio, perché conoscano anch’essi e considerino meglio, in cambio, quello che pretendono trovare nel mondo ?

4° Guardate quel giovane che voleva essere sacerdote, guardate quella fanciulla che pensava tanto risolutamente al convento; hanno sposato, e sono felici. Se non si fossero trattenuti a tempo!

Andiamo piano, in una affermazione tanto delicata; essa potrebbe trascinarci ad errori fatali. Quel giovane e quella ragazza, dite voi, volevano decisamente consacrarsi a Dio; ora, la prova che si ingannavano sta nel vederli sposi felici. Questo può succedere, nulla di più semplice e di più umano; ma allora noi potremo dire che la risoluzione e il desiderio di quei giovani, non erano così sicuri come si poteva credere; questo sarebbe soprattutto vero, se la vostra opposizione non fosse stata un ingiusto rifiuto, ma una prova ragionevole e prudente che voi potete, del resto, sempre esigere, come poco sopra fu detto. In ogni caso, non si può assolutamente concludere che il cambiamento avvenuto stia a provare in favore dell’opposizione; che cioè, tutti quelli che hanno cambiato, si ingannassero e sbagliassero strada; né che tal cambiamento fosse voluto dal Cielo, sebbene li abbia resi felici; poiché le cose non sono sempre in realtà, come appariscono a prima vista. Una guerra di opposizione, abile e delicata, oppure un sistema di soffocamento tenace, prolungato, crudele, possono pur condurre alla rovina, non soltanto di una qualunque debole aspirazione, ma della più sicura e più eccellente vocazione. La più forte salute, la più bella voce, la migliore delle memorie possono perdersi ad un tratto, in una crisi acuta; ma la perdita del tesoro, non prova affatto che non lo possedevano. Così per la vocazione. I cedri del Libano possono essere sradicati dalla tempesta; e che sarà delle anime da lui chiamate, esposte al vento della dissipazione, per provarne la vitalità? Quali genitori, per giudicare dei sentimenti della loro figlia fidanzata, la metterebbero a continuo contatto con altri pretendenti che se la disputino? Quale mai fidanzato potrebbe tollerare un simile sistema? E se, alla fine, la fanciulla, invaghita del fascino e della ricchezza d’un altro, cambiasse un giorno la sua scelta, tutto ciò, potrebbe forse dimostrare che la prima simpatia non fosse esistita seria e verace? Non si deve scherzare col cuore. Ed il fatto che un povero cuore prende fuoco, passando sui carboni ardenti del mondo, non dimostra che due cose: la debolezza del candidato, e la colpevole responsabilità del tentatore. – Bando dunque, all’iniquo sistema che consiste nel mostrare il mondo in quel che ha di più seducente, ossia di ingannevole, non già per provare la serietà di una vocazione, ma per soffocarla. – Nondimeno, non giudicando che dalle apparenze, affermare che il cambiamento di strada ha dato la felicità, è temerario. – Quelli che si erano veramente ingannati, possono essere felici, ma tutti gli altri appariscono tali, e nel fondo del cuore non lo sono in realtà. – Fui chiamato presso una giovane signora morente: creatura dotata delle più belle qualità di spirito e di cuore, essa era capace di render felice il più esigente marito. Aveva già ricevuto gli ultimi sacramenti, ma volle, prima di morire, confidarmi un segreto. « Padre — disse. — Lei ha conosciuto il mio desiderio di farmi religiosa; e come gli sia rimasta fedele lungamente. Vinta dalle lacrime di mio padre, già vecchio ed infermo, e da quelle di mia madre, consentii a maritarmi. Ebbene, padre, io muoio col desiderio mio vivo e insoddisfatto di essere religiosa, e con una profonda amarezza nell’anima, per aver vissuto questi tre anni di matrimonio fuori della mia vita. Ho fatto l’impossibile per render felice il mio ottimo marito, com’era mio dovere; ma non ci sono riuscita. Egli ha sentito che v’era in mezzo a noi un mistero che egli non comprendeva… Il mondo mi ha creduto felice… eppure, ahimè, io muoio profondamente infelice. Che Dio mi perdoni d’aver tradito i suoi diritti! » – Il giorno della sua morte, il marito, giovane eccezionale, mi confidava fra i singhiozzi « Non sono mai riuscito a dissipare un’ombra di tristezza che oscurava l’anima sua!… Ella non è stata felice con me, lo sentivo! Ha portato con sé nella tomba, chi sa quale segreto di dolore e di angoscia! » Oh, queste anime disorientate, più da compiangere che da biasimare, son più numerose che non si creda! Se i loro cuori si aprissero, come smentirebbero spesso, il sorriso delle labbra, ed accuserebbero di folle imprudenza coloro che vollero radicare alla terra anime che sentivano la nostalgia delle altezze celesti! Ho ancora sotto gli occhi lo spettacolo spaventoso d’un giovane dell’aristocrazia, che moriva idiota e roso dal male in un ospedale popolare. La sua storia: fino ai 25 anni voleva esser sacerdote e religioso. Avendo vasta intelligenza e talento non comune, la famiglia volle lanciarlo nel mondo per farne un piccolo superuomo moderno. Quante volte egli aveva dichiarato alla madre: « Conosco il mondo e conosco me stesso. Se esso riesce a sedurmi, mi trascinerà fino in fondo all’abisso non voglio ». Ma lo tentarono in mille modi. Hanno complottato veramente per distoglierlo dalla sua vocazione e non posso raccontare quel che ha osato fare, per allontanarlo dall’altare, la sua sciagurata famiglia, considerata come cristiana!… Essa riuscì oltre quello che s’aspettava, ed io rivedo sempre quel povero caro amico mio piombare una sera nella mia stanza e sentendosi già preso dalla voragine, dirmi piangendo: « Mi salvi Padre, salvando la mia vocazione. Nel mondo io mi perderò certamente! Le oscure previsioni del povero giovane si avverarono: onore, costumi, salute, la stessa ragione, tutto naufragò in pochi anni!… Invece del piccolo eroe mondano che s’era vagheggiato, invece soprattutto del buon Sacerdote che si sarebbe potuto dare a Nostro Signore, se ne fece un dissoluto e un’idiota. La famiglia, spaventata, dovette assistere alla fatale caduta sul tremendo pendìo che essa stessa aveva voluto; nel baratro che essa stessa aveva spalancato ai suoi piedi… Quanti altri poveri sviati come lui! Quante anime, soprattutto vegetanti in una vita volgare e senza intima felicità, che soffocano, nello stretto orizzonte che le opprime, conservando la nostalgia d’un cielo perduto! I genitori ignorano, ordinariamente, l’ultima parola di queste deviazioni. E la dolorosa angoscia dei figli ha un solo rimedio: far delle loro sofferenze una penitenza per essi e per i propri sacrificatori.

5° Perché farsi sacerdote, perché essere religiosa, quando si può fare altrettanto e più bene nel mondo?

« Ci mancano proprio dei Cattolici convinti, ci mancano delle famiglie veramente cristiane ». Cattolici convinti e famiglie cristiane, ci mancano, ed è vero, ma il piccolo numero degli eletti, che sacrificassero perciò la loro vocazione, non li aumenterebbe davvero! E pensate forse sinceramente di accrescere il numero dei veri focolari domestici cattolici, se rifiutate di fare, nel vostro stesso focolare, la volontà del Signore, se evitate l’onore di dargli un sacerdote, un « alter Christus? » Far del bene nel mondo, praticarvi la virtù, è necessario. Ma il primo bene, la virtù primordiale è quella di fare la volontà di Dio, e di assicurare con ciò la propria eterna salute. Nessuno può occupare in nostra vece l’ufficio al quale Cristo ci chiama. Ora, soltanto a questo dato posto, il Maestro deve venire a cercarci e a chiederci il nostro rendiconto. Per acquistare la virtù e il talento di fare un vero bene, un bene divino, intorno a sé, bisogna aver obbedito al Signore; e con tale obbedienza possedere in sé un tesoro traboccante di grazia. – Il soldato disciplinato è più forte del più ardito, quando costui sia indocile e indipendente. – Non dimentichiamo soprattutto questo: le anime consacrate si accostano alle anime, avvicinandosi a Dio; e contribuiscono maggiormente alla altrui santificazione. Esse sono il canale delle grazie divine. – Il bene intimo non si fa soltanto e soprattutto con la parola o con la sola attività esteriore, ma con la profondità della vita divina, in un intimo contatto con Gesù, che è l’Autore della grazia. Non si abbandonano gli interessi della società, quando non si rinunzia che a ciò che essa ha di terrestre. È dunque un errore che suppone una mancanza assoluta di senso soprannaturale, il credere a un più fecondo avvenire di un giovane che avesse rinunziato al seminario per far del bene nel mondo. È una concezione troppo umana della vocazione divina, quello di pensare che una giovinetta, per dedicarsi altrove, possa, con vantaggio proprio ed altrui, sacrificare la chiamata divina. – Vi sono casi eccezionalissimi e rari, in cui questo si è dovuto consigliare, ma il principio rimane tuttavia di fare il bene là dove il Signore ci chiama. Lasciare l’adempimento della Divina Volontà, per glorificarlo, è illogico. E se la fede nella fecondità della vita religiosa è morta presso molti cristiani,  non esitiamo pertanto a ripeter loro: i sacerdoti e le religiose hanno per speciale missione il bene soprannaturale delle anime, e che questa è la loro ragione di essere. Essi sono i messaggeri ufficiali del Re dei re, i suoi « plenipotenziari » ed hanno una luce, una potenza di successo, uno stato di grazia che è loro propria. Per le anime dunque, per il vero bene della famiglia, della nazione, della società, non bisogna esitare a lasciare tutto ed a lasciare se stessi: « Signore, eccomi: cosa vuoi ch’io faccia? ». Il  primo dei beni da compiere, il più urgente, il più grave, è quello di far la volontà di Dio, di seguir la sua voce.

6° Ci si può salvare e santificare in tutti gli stati.

È evidente. Noi sappiamo che la vocazione allo tato ecclesiastico o religioso, non è imposta da Dio come un comandamento: è piuttosto un consiglio, un invito misericordioso del Maestro. Se non si segue il suo consiglio, se non sì risponde al suo invito, non c si priva perciò delle grazie necessarie alla salvezza eterna. Ci si priva soltanto di una facilità molto maggiore a salvarci, che si sarebbe trovata in uno stato di perfezione; ci si priva della speciale ed incomparabile gloria promessa ai ministri e alle spose del Cristo. – Ma che deriva da ciò? Voi potete concludere che se il giovane o la fanciulla non rispondono all’invito del Maestro, non peccano per questo semplice fatto, poiché non disobbediscono ad un rigoroso precetto di Dio. Non si può negare tuttavia che essi commettono una grandissima imprudenza agendo in tal modo. Ma potete concludere che se i figli vostri desiderano rispondere all’appello divino, se son decisi a sacrificare tutto, per abbracciare quello stato, a cui la grazia li sollecita, potete concludere dico, chi e voi avete il diritto di opporvi? Strana conclusione questa! Il vostro figliolo non è obbligato, sotto pena di peccato, a sceglier la via che gli sarà più facile e più gloriosa e più meritoria; sia pure. Ma se vuol seguirla, avete voi il diritto di impedirglielo, di distralo o di gettarlo o di trattenerlo, suo malgrado, nel cammino tanto rischioso del mondo, dove egli si salverà più difficilmente o si perderà con più facilità? – Non vi provate a dire che le grazie di eterna salvezza e di santificazione si trovano allo stesso grado nel mondo che convento: sarebbe andar contro il Vangelo. Rileggete la pagina di San Matteo: « Maestro buono, che cosa devo fare per guadagnare la salute eterna? » E Gesù indica la via più larga ed agevole dei comandamenti. Ma il giovane insiste: «Per essere perfetto cosa debbo fare? Che cosa mi manca? » – « Se tu vuoi avere un tesoro più grande nel Cielo, vieni e seguimi! » – Seguir Gesù sulla terra, è conquistare una sovrabbondanza di grazie; che prepara un’eternità di gloria inconcepibile. In relazione alla salvezza e alla perfezione morale, non è indifferente essere sacerdote, come sarebbe, più o meno, essere avvocato, professore, ingegnere o architetto. E se degli ostacoli involontari od imprevisti, sia inevitabile a taluno di restar nel mondo, il Cielo dà grazie speciali che suppliscono a quelle che si sarebbero ricevute nel convento. « Padre — mi diceva una signora —— io sono colpevole d’aver abbandonato la mia vocazione. Ero convintissima che Nostro Signore mi voleva per sé solo. Sono stata tentata ed ho vilmente ceduto. Essendomi maritata, Lei sa come espio la mia colpa e come debba non solamente lottare per santificarmi ma per salvarmi. Mi trovo a casa mia, come in un angoscioso labirinto morale; la mia sventura mi sembra senza rimedio ». Senza rimedio umano, intendiamoci bene; che per la misericordia di Gesù, l’espiazione indispensabile compirà l’opera della salvezza. Ma tutti i sacrifici della vita religiosa, sarebbero stati dei fiori, in paragone delle torture morali di quest’anima e delle tristezze del suo focolare. Non v’è che una strada sola che conduce con sicurezza alla perfetta felicità ed alla pace: è quella che il Nostro Divino Maestro ci invita a seguite con generosità, quand’anche non ce lo imponga.

7° La vocazione religiosa indebolisce l’amore filiale dei nostri figli e li rende indifferenti alla loro famiglia naturale.

Credo di aver quasi distrutta questa obiezione fin dalle prime pagine di questo studio, quando ho detto che il cuore del sacerdote o della suora, in alcun modo non occupato da altre affezioni umane, conservava, al contrario, divinizzate e nobilitate dalla grazia, la delicatezza, la purità e la freschezza delle sue prime ed uniche affezioni terrene. Ma per essere più pratico opporrò, a tale osservazione, il fatto costante, universale, reiterato, del figlio sacerdote, che diventa il sostegno, il consigliere, il benefattore in tutte le crisi morali e spesso anche economiche della propria famiglia. A un empio che attaccava e metteva in dubbio i sentimenti di carità dei Cattolici, fu risposto, chiedendogli di spiegare perché i bisognosi, i mendicanti, si aggruppano sempre, come per istinto, attorno ai monasteri e alle porte delle chiese. A coloro che pretendono che la vocazione sacerdotale o religiosa indebolisca la pietà filiale, si potrebbe parimenti domandare perché i genitori, colpiti da sventura, o ridotti, dalle circostanze, all’indigenza e alla miseria, ricorrono tanto spesso, di preferenza, al figlio sacerdote o alla figlia suora. Se i loro figli o i superiori di essi, fossero degli egoisti, degli indifferenti al benessere dei parenti, come avverrebbe ciò? No! La vita soprannaturale, l’amore di Gesù, l’austerità dell’ordine religioso, o la natura stessa dello stato sacerdotale, possono certamente esigere delle distanze, imporre dei sacrifici sensibili, ma non estinguono, tuttavia, i più nobili sentimenti del cuore umano. Nessuno ebbe mai, alla pari di Gesù, la più squisita delicatezza della nostra natura. Il ministro di Dio e la religiosa, a misura che si liberano dai « convenzionalismi » mendaci, e che si affinano nella loro vita spirituale, divengono più alti e più schietti nei loro sentimenti filiali. Nessuno ama meglio, di chi ha conservato un cuore puro e non ha conosciuto la passione e l’interesse; ora il sacrificio della separazione, non fa che ravvivare ed approfondire l’affezione. Quale esempio commovente di questa bellezza interiore di carità, nelle relazioni della piccola Teresa con suo padre. In memoria della sua infanzia in cui egli soleva chiamarla la sua « reginetta », essa lo chiama il suo « venerando re » e bisogna leggere le sue lettere, per sentire come, dietro le inferriate del Carmelo, il cuore della fanciulla palpitasse fortemente d’amore e di tenerezza filiale! Quale figlia maritata è mai rimasta tanto profondamente legata al proprio padre, tanto vibrante ad ogni ricordo del nido familiare, come questa giovanetta carmelitana così risoluta a santificarsi? Il dolore della separazione era stato immenso da una parte e dall’altra: mai due cuori erano restati uniti e inseparabili, nei Cuori del Re e della Regina del Carmelo! – Ah, sì, protesto con tutta l’indignazione del mio cuore di figlio, di sacerdote e religioso, che mantengo tanto intimamente la presenza e l’affezione di mia madre e delle mie sorelle come un culto, il quale, lungi dall’essere a detrimento dell’amore che ho per il Cuore di Gesù e di Maria, lo abbellisce col sacrificio reciproco, costantemente rinnovato. – Se il fatto di lasciar la famiglia per Iddio è una prova di disamore filiale, che dire allora di coloro che la lasciano per le creature o per gli affari? Essi stessi, i genitori, non lasciarono un giorno la propria famiglia; e perciò furono forse dei figli ingrati?… Siamo giusti e consideriamo il dovere e il cuore, come si conviene. L’affezione non è mai stata in contraddizione col sacrifizio. Il soldato che lascia la famiglia per il campo di battaglia, è forse un figlio ingrato? Non si può fare dunque, al Signore adorabile della patria terrena, le immolazioni che la celeste patria reclama legittimamente da tutti? – Come gli eroi delle battaglie, e, in un grado infinitamente superiore, gli eroi dell’altare e del chiostro, coloro che hanno avuto il più sublime coraggio, conservano anche, infallibilmente, l’altezza dei più nobili amori.

CRISTO REGNI (13)

CRISTO REGNI (13)

 P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur – Mediolani, die 4 febr. 1926, Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR: In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

CONCLUSIONE

In alto i cuori!

Il bene, per natura, è piuttosto intimo e segreto; il male, invece, è fragoroso e facile a constatarsi; spesso, anzi, si rende manifesto. La guerra non fece che del male; ma la Provvidenza se n’è servita misericordiosamente per un bene che non è stato di facile ed immediata constatazione, ma la cui realtà non ammette alcun dubbio. È nello stile di Dio, che è la Sapienza e l’Amore, di trarre dai mali che l’abuso della nostra libertà ha provocato, beni immensi e profondi. Così, nella storia, la vita sembra scaturire ad ogni pagina dalle ceneri della morte. La moltitudine non vede questa azione della Provvidenza: non medita, né comprende questi divini ripieghi, questi magistrali ritocchi del Signore. – Quelli che mi leggeranno, saran capaci di elevare i loro cuori, e di seguire con me i motivi della nostra confidenza. – Abbiamo dichiarato, all’inizio di questo lavoro, che la guerra aveva rivelato molti mali occulti, e ne aveva provocati di nuovi; chiuderemo ora con qualche considerazione complementare, propria a incoraggiar la nostra fede. Il peggiore dei mali, sarebbe peraltro il pessimismo, che prova sempre un’anemia di carattere, una diminuzione di fede. La guerra ha anche rivelato delle bellezze morali che credevamo scomparse. Siamo rimasti talora profondamente sorpresi di trovare, nei centri nei quali non si supponeva più vita, ma soltanto vegetazione, grandi energie, slanci di devozione e di eroismo; gesti di vera nobiltà d’animo. Quali campi di valore e di resistenza morale, intravisti tra i bagliori della guerra, e che oggi rimangono profondamente dissodati e seminati da allora! Quanto risveglio meraviglioso di spirito vibrante, cavalleresco, disinteressato, là dove si sarebbe supposto che la materia avesse soffocato la più nobile razza! Quanti maestri avevano scritto l’epitafio d’una tomba che racchiudeva, secondo loro, le ultime reliquie di una grandezza estinta! Ed ecco che la convulsione dell’ecatombe rianima queste reliquie; e che tra i sinistri bagliori della guerra, apparisce una eletta schiera di viventi, dal sangue generoso e fecondo, dalla vita morale, grande e bella. Anche durante la guerra abbiamo avuto rivelazioni inattese e benefiche. A misura che il tempo passa ed il Cielo si rasserena, noi siamo felici di constatare ancora le divine, misericordiose tracce del Salvatore, che ricostruisce la sua opera redentrice e luminosa sulle rovine fumanti accumulate dagli uomini. Mosè fece scaturire dalla roccia una sorgente, che salvò la vita naturale del suo popolo. I carnefici del Calvario fecero sgorgare una sorgente di vita immortale dalle vene e dal Cuore Santissimo del Salvatore. Che cosa è tutta la Redenzione di Gesù, se non la manifestazione meravigliosa di una bontà che è la Sapienza infinita, e che incessantemente sì riversa per noi? C’è forse nella vita dell’uomo, come nella storia dell’umanità, un solo avvenimento che sfugga a questa azione costante e redentrice? – La sua bontà si serve della follia umana e della morte, per fare opera di sapienza e di vita. È la storia delle anime, della società, dei popoli, dalla colpa dei nostri progenitori, e soprattutto dopo il « fiat » di Maria. E poiché in Dio tutto è ordine ed equilibrio perfetto, la giustizia e la potenza si completano, nell’opera divina, con la sapienza e la bontà. lo credo ancora al bene prodotto dalla guerra, perché credo alla reale fecondità del sacrificio, del sangue cristianamente versato. Dopo il Calvario, ed in virtù di esso, il sangue ha la fecondità dell’apostolato più sublime, della più ardente preghiera! E chi può dubitare dell’infinito valore delle sofferenze, delle torture d’ogni sorta, delle agonie peggiori della morte, offerte con pace, gioia, rassegnazione ed amore al Dio Crocifisso? Questo fiume i sanguee di lacrime che scorre dal campo di battaglia alla famiglia, non ha irrorato invano il popolo nostro; ma vi ha deposto un fertile limo che feconderà la semente di domani. L’albero della morte rifiorisce sotto l’azione benefica del Cuore di Gesù. Quel che ogni soldato cristiano, ogni madre, ogni sposa ed ogni orfano hanno seminato per la Vita Eterna, per la prosperità della Santa Chiesa, la fecondità dell’Apostolato, la conversione dei più grandi peccatori, il Divino Seminatore solo lo sa. Lo sapremo anche noi, ed il torrente di lacrime, convertito in un oceano di eterno giubilo, ci ricorderà perpetuamente il sublime cantico della Chiesa, nel Sabato « O felix culpa!» – Esponendo questi principii di fede, ho sotto gli occhi dei fatti che provano il rinnovamento soprannaturale di grazia, succeduto immediatamente al calvario della guerra.

I° Le conversioni nei centri indifferenti, liberali, ma onesti e degni, nei quali l’assenza della vita religiosa era piuttosto dovuta all’ignoranza, ad un difetto di educazione, che ad avversione formale e volontaria. In questi ambienti, e particolarmente nella classe colta e intelligente, il movimento di conversione è un fatto reale. – Potrebbe farsi una lunga lista di nomi, in cui figurerebbero le migliori personalità della giovane generazione intellettuale. La falange di coloro, che la tempesta della guerra ha sradicato da un suolo ingrato e sterile, per piantarli nel campo della Chiesa, aumenta ogni giorno. Spiriti fini e delicati, cui la ragione non aveva soddisfatto, e. che la luce invase e trasformò in credenti convinti, perché furono docili ed umili. Al contrario, la tribù degli ipocriti e dei superbi, la razza degli Erodi e dei Pilati, non è aumentata nella prova; ma è rimasta chiusa alla verità, lungi dalla sorgente della misericordia. La razza delle vipere non si converte.

2° Le nostre schiere migliori si sono rafforzate. — Questo prova che gli elementi, anteriormente mediocri e comuni, sono stati migliorati dalla Croce, e tendono risolutamente a salire, lavorando per diventare ferventi e generosi. Un indizio importante è il movimento d’apostolato provocato da questa schiera. Non ci si contenta più d’esser buoni e pii; si sente l’imperiosa necessità di esser seminatori e operai della causa divina; cooperatori modesti, ma zelanti, in questa reazione religiosa. Difatti, una schiera di giovani e di vecchi, di grandi e di piccoli, intellettuali e ignoranti, uomini e donne, lavorano oggi alla gloria di Dio, tutti convinti, tutti posseduti dal desiderio e dal dovere più urgente nell’ora che volge, quello dell’apostolato. Si può realmente affermare che noi assistiamo ad una meravigliosa Pentecoste, dinanzi a queste falangi apostoliche, irresistibilmente sospinte alla conquista della società, alla restaurazione del Regno Sociale del Cuore di Gesù. Questo Cuore adorato diviene sempre più il Re e il Centro di ogni azione e di ogni vita. È il labaro che riassume tutti gli entusiasmi, accentra ed unifica tutte le energie, riceve tutte le vittorie, genera e feconda tutti i sacrifizi.

3° Finalmente le creature d’elezione di prima della guerra, si sono ancora perfezionate, santificandosi nel crogiuolo della sofferenza. — Esse hanno intensificato la vita soprannaturale, lasciandosi affascinare dalla bellezza Divina e la fecondità unica dell’immolazione e della Croce. Quelli che son pastori d’anime, direttori, predicatori di ritiri, ecc., potrebbero testimoniare quale spirito veramente eroico, quale sete di sacrificio, quali innumerevoli vocazioni di apostolato, e d’apostolato nel silenzio e nella sofferenza, si incontrino a ogni tratto. Potrebbero attestare tante segrete agonie del Getsemani, tanto profondamente, serenamente vissute per amore. Si direbbe che la guerra abbia provocato una sete insaziabile d’amore crocifisso, che sia una energia di restaurazione morale: una promessa di una più grande sovranità sociale di Nostro Signor Gesù Cristo. Ecco dunque la legione sacerdotale che sì accresce ogni giorno di vocazioni tardive, notevoli e commoventi. Certo, nulla è nuovo nella Chiesa: in ogni tempo, in ogni luogo si son visti grandi guerrieri mutar la loro uniforme con un saio monacale, gentiluomini, lasciare il loro castello per ridursi in un seminario; giovani sposi separarsi, per darsi rispettivamente al Signore. Ma forse mai tanto frequentemente, quanto ai giorni nostri, queste sante follie d’amore divino diventarono quasi grazie ordinarie. Così si fa l’opera misericordiosa del Cuore di Gesù! Egli ci ricolma di grazie, ripara i nostri torti: dalle nostre sofferenze, divinizzate dalle Sue, Egli trae dei torrenti di vita, e trionfa della morte, con la morte stessa. Tutto questo era già scritto, e pronto per essere dato alle stampe, quando ci è arrivata l’Enciclica incomparabile del grande e provvidenziale Pontefice Pio XI: lasciate che io la citi un’ultima volta, alla fine di questo lavoro. – Mi preme di trascrivere un paragrafo, che sembra rivolto agli apostoli della crociata del Regno Sociale del Cuore di Gesù: « A questa pietà, Noi attribuiamo lo spirito d’apostolato, più diffuso di una volta, in tutte le opere di zelo e di carità, perché l’Amore, il Culto e il Comandamento, ai quali Egli ha diritto, siano restituiti al Divin Cuore del Cristo Re, sia nella società domestica, sia nella società civile ». – Ed ora, tutti all’opera di restaurazione sociale cristiana. Stringiamoci attorno ai nostri pastori, secondiamo i nostri sacerdoti. Noi viviamo in un’ora grave, decisiva, un’ora come la Provvidenza non ha forse data dopo la prima Pentecoste, e che i più grandi apostoli e pontefici, i più grandi artefici dell’edificio cristiano non hanno vissuto. Il Cielo si piega verso di noi con infinita condiscendenza. Noi viviamo come il popolo di Israele, quando fu liberato dalle catene e traversò il Mar Rosso seguendo il Liberatore. Noi abbiamo traversato un mare di sangue senza perirvi, dopo aver traversato il mare tormentoso delle odiose persecuzioni dei Faraoni moderni. Non ci spaventiamo dei loro complotti, delle loro armi, del loro numero: crediamo, con fede ardentissima, alla onnipotenza dell’amore di Gesù Cristo. Cooperiamo, dedicandoci con confidenza all’estensione del Suo Regno sociale, e noi vedremo un giorno risplendere la magnificenza del Suo Cuore, nell’onnipotenza vittoriosa dell’amor suo infinito…

CRISTO REGNI (12)

CRISTO REGNI (12)

 P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur: Mediolani, die 4 febr. 1926 Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR: In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 – Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

CAPITOLO III

L’onore del Re della gloria disdegnato

VI. – Risposte ad alcune obiezioni

Come conclusione di questo studio, esamineremo ora brevemente una serie d’obiezioni, che si trovano sulle labbra di alcuni genitori, Cristiani, altrettanto buoni cristiani, quanto temibili nemici delle vocazioni. Contraddizione inesplicabile! Essi adorano Gesù Cristo in ginocchio, ma sono terrificati al pensiero che uno dei loro figli divenga un altro Cristo o una sposa del Re d’Amore. – Ridurremo a sette, questa serie purtroppo lunga, e risponderemo con tutta la santa e triste veemenza, che l’onore disprezzato del nostro Divino e adorabile Maestro, mette in un cuore d’apostolo e di sacerdote.

1.° Per l’amore di Nostro Signore, per obbedire cioè al quarto comandamento, che i nostri figlioli rinunzino alla vocazione loro e non ci impongano questo sterile sacrificio!!

Salvo il caso del figlio unico che debba sostenere dei genitori poveri o malati, caso ben chiaro in generale, e che non si discute, l’’ obiezione or ora formulata non regge. – Nostro Signore stesso ne ha dato la risposta nel Vangelo: « Chi preferisce suo padre o sua madre a Me, non è degno di Me. ». Del resto, anche umanamente parlando, perché gli eletti del Signore sarebbero i soli a rinunziare alla loro sublime vocazione, mentre i fratelli e le sorelle possono, con ogni libertà sposare, lanciarsi negli affari, allontanarsi dal tetto paterno, in una parola: scegliere liberamente la loro vita? – Quante volte abbiamo dovuto constatare simile ingiustizia! Essa è ormai tanto comune, da diventare regola stabilita. Quelli che desiderano consacrarsi a Dio, debbono aspettare la morte dei genitori; devono essere i fedeli infermieri dei loro ultimi giorni, mentre tutti gli altri, per fondare una famiglia ed assicurare il loro avvenire, possono prendere il volo a loro piacimento. Cento volte m’è capitato di vedere questo: Gesù può attendere: i fidanzati terreni, no! Certamente non li condanniamo se hanno proceduto con prudenza; ma reclamiamo almeno gli stessi diritti per il Fidanzato Divino. Giacché, se la vocazione del matrimonio crea, ad una certa età, ed in circostanze normali, un diritto, reale, questo diritto è, almeno lo stesso, se non più formale e più imperioso, quando si tratta della vocazione religiosa. – Il quarto comandamento obbliga indistintamente tutti i figli di una stessa famiglia. Un fratello non può, senza ingiustizia disimpegnarsene a danno del proprio fratello.  V’è una gerarchia dei doveri che elimina qualunque conflitto. Il primo comandamento precede il quarto e tutti, genitori e figli devono rispettare questa priorità. Tale è l’ordine stabilito da Dio stesso. – Questi genitori che reclamano il sacrificio d’una vocazione, avrebbero essi stessi, in simili circostanze spezzato il loro avvenire, ritardando il loro matrimonio? Quanto al sacrificio che fate, non dite che sia sterile! Oh! No! Benedetti, mille volte benedetti, i genitori che offrono il glorioso sacrificio che Nostro Signore chiede loro, per la sua causa. Essi saranno colmati di felicità, e la loro ultima tappa quaggiù sarà più radiosa d’un meriggio, poiché Dio si compiace di vincere in generosità la creatura. Essi Paesi Essi avranno la loro parte meravigliosa nella fecondità sacerdotale o religiosa dei loro figli. L’onore e l’abbondanza empiranno la loro casa, come fu colmata quella del vecchio Giacobbe per la gloria e la potenza del suo figlio Giuseppe. « Pensa ai diritti di tua madre, non dimenticare che tu sei mia figlia! », », diceva con indignazione una  madre alla sua figliola, che già maggiorenne, libera ormai di attuare il suo ideale, che aveva accarezzato ormai da quattro anni, sollecitava dalla madre dalla madre un’ultima benedizione prima d’entrare in convento. Con le lacrime  agli occhi, con un tono dolce e rispettoso, la ragazza replicò: « Mamma, tu non hai mai parlato così alle mie due sorelle minori già maritate, né al mio fratello maggiore tanto lontano da noi. Mamma, pensa ai diritti di Gesù ».

2° Faccio ostacolo alla sua vocazione, per la sua felicità.

Fu l’obiezione di un padre al suo figlio maggiore, diventato dottore in diritto, e brillante avvocato, meno per convinzione propria che per compiacere i suoi. Alle istanze reiterate del giovane, il padre risponde:  « Tu non conosci il mondo; come puoi dire che non sarai felice? Aspetta, osserva, esci di più, tu sei in una età in cui puoi godere ». – Quante volte, triste ed inquieto, il giovane rispondeva: « Sento che sarò un grande infelice nel mondo e un cattivo. Sarò debole e ne soffrirete anche voi… Lasciatemi partire… » Tutto era inutile. Trascorsero molti anni. Il giovane avvocato diventò quello che aveva previsto: « un, grande infelice » e fu veramente uno dei deboli che il mondo perverte. La sua fede fu sommersa in una palude di passioni scatenate. I suoi disordini procurarono vergogna alla sua famiglia, che dovette ritirarsì in campagna. Il vecchio padre fu improvvisamente colpito da apoplessia in seguito ad una discussione grande col figlio, che reclamava imperiosamente denaro… sempre denaro! Chiese un sacerdote, il curato del villaggio accorse, ma il figlio snaturato gli impedì di accostarsi al malato, per assolvere la sua missione… « No, signor curato, no: se non volle in casa sua il figlio prete, non ha certo bisogno d’un sacerdote estraneo Disputare un figlio a Dio, è addossarsi la sventura; se non sempre la sventura materiale almeno quella intima e morale. E nello stesso modo che non sarebbe giusto né ragionevole spingere verso il seminario od il chiostro un giovane o una fanciulla aspiranti legittimamente al matrimonio, allo stesso modo sarebbe odioso e pericoloso di trattenere per forza nel mondo coloro che desiderano sortirne. Noi reclamiamo questa libertà per la felicità del tempo e dell’Eternità. – Ma paragonare la pace interiore, la calma, la dignità e la felicità della vita religiosa e sacerdotale, con la umana felicità, è fare ingiuria alla saggezza del Signore, fare un onore insensato ai capricci e alle invenzioni degli uomini. Se i genitori comprendessero la felicità inesprimibile che provano o gli eletti dell’altare e del chiostro, essi cederebbero generosamente ai loro desideri. – Ma come potrebbero essi farsene una idea esatta, essi che vivono in un ambiente completamente diverso? A poco a poco tuttavia, quando è dato loro di penetrare nella pace e nella luce di cui sono inondati i loro figli consacrati, quale sorpresa  e quale gioia per essi! – Tale fu lo stupore profondo di Luigi XV, quando vide la sua figlia Luisa nella sua angusta cella di Carmelitana, vivente di silenzio, di mortificazione e di soggezione e cantando, nonostante questo, la sua felicità! Il re frivolo ebbe una lezione che dovette ricordarsi un giorno. Creder di lavorare alla felicità dei figlioli, opponendosi alla loro vocazione, non è d’altronde che una conseguenza logica dello spirito del mondo. Difatti, quando si è ricco, giovane e libero, come credere che si possa vivere felici nella povertà, la castità e l’obbedienza? Questa follìa della croce è ben lungi dall’esser l’ideale anche per dei buoni Cristiani. Ma ciò non deve impedirci di predicar loro questa filosofia sublime, e di persuaderli lentamente e soavemente, in difesa della Divina Sapienza della Croce e dei diritti del Crocifisso. Sì, quelli che si sono consacrati a Gesù sono felici; sono anzi i soli pienamente felici, giacché si sono spogliati spontaneamente e con gioia di tutto. Essi sono stati padroni della loro natura, hanno voluto vivere della grazia. OQuuaannttii desideri repressi o nobilitati! Quante torture eliminate dal sacrificio delle passioni; quanti piccoli interessi sostituiti dall’unico e supremo interesse: la gloria di Dio! – Essi hanno lavorato aspramente per spezzare le loro catene, ma in ricompensa, allorchè i legami sono stati rotti, volano con sicurezza oltre ogni bruttura e miseria del mondo. Essi respirano l’aria pure delle grandi Altezze. Oh! che santa libertà, che nobile indipendenza, che umile fierezza, quella di cui si gioisce al servizio del Signore! E soprattutto, quale pace immensa e divina che nessuno può rapirci! Noi lottiamo, certamente. anzi noi facciamo della immolazione, un sistema di vita soprannaturale, e del dolore, un mezzo di gioia per l’amore divino; ma nella nostra vocazione di sacrificio, la croce, lungi dall’essere un patibolo, è il trono di gloria che abbracciamo con amore. E questo, perché noi possediamo la sorgente, per eccellenza, della gioia e della forza, il Cuore di Gesù! – In Lui, e con il soccorso della sua Madre Immacolata, noi godiamo anticipatamente del Cielo, noi abbiamo tutto. – Genitori cristiani, che non desiderate per i vostri figli una felicità artificiale, seducente ed ingannatrice, ma una felicità reale, pura, senza fine, donate i vostri fanciulli al Maestro adorabile, Re dei cuori sacerdotali e sposo delle anime vergini. Egli non cambia, non mente, non muore mai!

3° 1 nostri figlioli hanno delle illusioni, la loro pretesa vocazione non è che momentanea esaltazione religiosa… essi non hanno ancora l’età.

È vero che ci si può cullare nell’illusione, e senza dubbio, il pericolo d’ingannarsi esiste dappertutto; tuttavia è molto meno là che altrove. Perché? In primo luogo, perché la vocazione sacerdotale e la vita religiosa sono essenzialmente vie di sacrificio, ed il sacrificio non seduce, né esercita il fascino come il piacere. In secondo luogo, perché tutte e due hanno un tirocinio, una prova, un noviziato, che il matrimonio non ha e non può avere. Il tempo del fidanzamento è lungi dal dare un’idea reale della vita coniugale, con i suoi doveri e le sue responsabilità; mentre la vita del seminario ed il tempo del noviziato sono, per se stesse, la vita che condurranno gli eletti dopo l’ordinazione e la professione. Il sacerdote dunque e il religioso sono infinitamente più coscienti nella loro scelta del più intelligente e più ponderato candidato al matrimonio. L’esperienza conferma eloquentemente questa affermazione là, dove la nefasta legge del divorzio ha alzato le barriere, s’è potuto fare una statistica di focolari infelici. Invece le persecuzioni subite in certi paesi hanno provato che le anime consacrate non erano state disingannate nella loro vocazione. Il coraggio eroico, con cui esse hanno affrontato l’esilio, la povertà e le sofferenze di tutti i generi, per restare fedeli, prova ben chiaramente la felicità intima in cui essi vivono sempre, nonostante l’uragano. – Dunque, se è permesso avere dei dubbi riguardo alle intime disposizioni, alla capacità o alla salute di coloro che si sentono chiamati dal Maestro, questi dubbi saranno certamente dissipati, prima del supremo impegno; ciò fa, della vocazione religiosa, la via più sicura e più provata; per conseguenza la più lontana da ogni illusione. Ciò è come dire che gli inconvenienti dell’età non sono che apparenti, e poiché noi tocchiamo questa questione dell’età, ci preme di far constatare la differenza ingiusta delle misure ordinariamente usate dalle famiglie secondo che si tratti di matrimonio o di convento. Sono rari i genitori che rifiutano il permesso di fidanzarsi ad una fanciulla dai 18 ai 21 anni, quando il pretendente offre delle brillanti garanzie materiali e delle sicure doti morali. Ma quanti giovani di questa età otterranno l’autorizzazione benevola dei loro, io non dico per professare, no, ma semplicemente per diventare aspiranti in un seminario o in un noviziato? – Nostro Signor Gesù Cristo è dunque meno degno di essere accolto dalle povere creature umane? Non può Egli dare sufficienti garanzie di felicità, alla fidanzata che Egli chiama nel suo palazzo di sacrificio e di povertà? Perché, questa parzialità oltraggiosa pel suo Cuore? Evidentemente i genitori possono e debbono esaminare e studiare soprannaturalmente la serietà della chiamata ma, consultando coloro che ufficialmente sono maestri e specialisti nella questione come si fa per ogni altra materia. L’affezione naturale diventa una formidabile ingiustizia, e i genitori s’ingannano spesso, quantunque in buona fede, quando giudicano da soli delle aspirazioni dei loro figli. Un fanciullo vivace, monello, fanatico delle passeggiate e dei giuochi, diventa spesso un religioso eccellente; una giovinetta apparentemente leggera, vanitosa, dissipata dalla mondanità, può diventare una santa carmelitana. Lo spirito del Signore soffia dove vuole, e vince quando trova la buona volontà. Al contrario, non è rado vedere la più pia e seria delle fanciulle, maritarsi e diventare un’eccellente madre di famiglia. Che sia necessario conoscere il mondo per rinunziarvi, è un ragionamento assolutamente falso. Non si deve cercare la menzogna, per amare la verità, e dare ad essa il suo giusto valore. Si dovrebbe dunque tentare di rovinar la salute, o di provocare una malattia, per apprezzare meglio il dono della sanità? O sprecare una ricchezza, per meglio apprezzare il benessere materiale? Allora, perché non imporre, con la stessa teoria, sei mesi di convento a coloro che sono chiamati al matrimonio, perché conoscano anch’essi e considerino meglio, in cambio, quello che pretendono trovare nel mondo ?

4° Guardate quel giovane che voleva essere sacerdote, guardate quella fanciulla che pensava tanto risolutamente al convento; hanno sposato, e sono felici. Se non si fossero trattenuti a tempo!

Andiamo piano, in una affermazione tanto delicata; essa potrebbe trascinarci ad errori fatali. Quel giovane e quella ragazza, dite voi, volevano decisamente consacrarsi a Dio; ora, la prova che si ingannavano sta nel vederli sposi felici. Questo può succedere, nulla di più semplice e di più umano; ma allora noi potremo dire che la risoluzione e il desiderio di quei giovani, non erano così sicuri come si poteva credere; questo sarebbe soprattutto vero, se la vostra opposizione non fosse stata un ingiusto rifiuto, ma una prova ragionevole e prudente che voi potete, del resto, sempre esigere, come poco sopra fu detto. In ogni caso, non si può assolutamente concludere che il cambiamento avvenuto stia a provare in favore dell’opposizione; che cioè, tutti quelli che hanno cambiato, si ingannassero e sbagliassero strada; né che tal cambiamento fosse voluto dal Cielo, sebbene li abbia resi felici; poiché le cose non sono sempre in realtà, come appariscono a prima vista. Una guerra di opposizione, abile e delicata, oppure un sistema di soffocamento tenace, prolungato, crudele, possono pur condurre alla rovina, non soltanto di una qualunque debole aspirazione, ma della più sicura e più eccellente vocazione. La più forte salute, la più bella voce, la migliore delle memorie possono perdersi ad un tratto, in una crisi acuta; ma la perdita del tesoro, non prova affatto che non lo possedevano. Così per la vocazione. I cedri del Libano possono essere sradicati dalla tempesta; e che sarà delle anime da lui chiamate, esposte al vento della dissipazione, per provarne la vitalità? Quali genitori, per giudicare dei sentimenti della loro figlia fidanzata, la metterebbero a continuo contatto con altri pretendenti che se la disputino? Quale mai fidanzato potrebbe tollerare un simile sistema? E se, alla fine, la fanciulla, invaghita del fascino e della ricchezza d’un altro, cambiasse un giorno la sua scelta, tutto ciò, potrebbe forse dimostrare che la prima simpatia non fosse esistita seria e verace? Non si deve scherzare col cuore. Ed il fatto che un povero cuore prende fuoco, passando sui carboni ardenti del mondo, non dimostra che due cose: la debolezza del candidato, e la colpevole responsabilità del tentatore. – Bando dunque, all’iniquo sistema che consiste nel mostrare il mondo in quel che ha di più seducente, ossia di ingannevole, non già per provare la serietà di una vocazione, ma per soffocarla. – Nondimeno, non giudicando che dalle apparenze, affermare che il cambiamento di strada ha dato la felicità, è temerario. – Quelli che si erano veramente ingannati, possono essere felici, ma tutti gli altri appariscono tali, e nel fondo del cuore non lo sono in realtà. – Fui chiamato presso una giovane signora morente: creatura dotata delle più belle qualità di spirito e di cuore, essa era capace di render felice il più esigente marito. Aveva già ricevuto gli ultimi sacramenti, ma volle, prima di morire, confidarmi un segreto. « Padre — disse. — Lei ha conosciuto il mio desiderio di farmi religiosa; e come gli sia rimasta fedele lungamente. Vinta dalle lacrime di mio padre, già vecchio ed infermo, e da quelle di mia madre, consentii a maritarmi. Ebbene, padre, io muoio col desiderio mio vivo e insoddisfatto di essere religiosa, e con una profonda amarezza nell’anima, per aver vissuto questi tre anni di matrimonio fuori della mia vita. Ho fatto l’impossibile per render felice il mio ottimo marito, com’era mio dovere; ma non ci sono riuscita. Egli ha sentito che v’era in mezzo a noi un mistero che egli non comprendeva… Il mondo mi ha creduto felice… eppure, ahimè, io muoio profondamente infelice. Che Dio mi perdoni d’aver tradito i suoi diritti! » – Il giorno della sua morte, il marito, giovane eccezionale, mi confidava fra i singhiozzi « Non sono mai riuscito a dissipare un’ombra di tristezza che oscurava l’anima sua!… Ella non è stata felice con me, lo sentivo! Ha portato con sé nella tomba, chi sa quale segreto di dolore e di angoscia! » Oh, queste anime disorientate, più da compiangere che da biasimare, son più numerose che non si creda! Se i loro cuori si aprissero, come smentirebbero spesso, il sorriso delle labbra, ed accuserebbero di folle imprudenza coloro che vollero radicare alla terra anime che sentivano la nostalgia delle altezze celesti! Ho ancora sotto gli occhi lo spettacolo spaventoso d’un giovane dell’aristocrazia, che moriva idiota e roso dal male in un ospedale popolare. La sua storia: fino ai 25 anni voleva esser sacerdote e religioso. Avendo vasta intelligenza e talento non comune, la famiglia volle lanciarlo nel mondo per farne un piccolo superuomo moderno. Quante volte egli aveva dichiarato alla madre: « Conosco il mondo e conosco me stesso. Se esso riesce a sedurmi, mi trascinerà fino in fondo all’abisso non voglio ». Ma lo tentarono in mille modi. Hanno complottato veramente per distoglierlo dalla sua vocazione e non posso raccontare quel che ha osato fare, per allontanarlo dall’altare, la sua sciagurata famiglia, considerata come cristiana!… Essa riuscì oltre quello che s’aspettava, ed io rivedo sempre quel povero caro amico mio piombare una sera nella mia stanza e sentendosi già preso dalla voragine, dirmi piangendo: « Mi salvi Padre, salvando la mia vocazione. Nel mondo io mi perderò certamente! Le oscure previsioni del povero giovane si avverarono: onore, costumi, salute, la stessa ragione, tutto naufragò in pochi anni!… Invece del piccolo eroe mondano che s’era vagheggiato, invece soprattutto del buon Sacerdote che si sarebbe potuto dare a Nostro Signore, se ne fece un dissoluto e un’idiota. La famiglia, spaventata, dovette assistere alla fatale caduta sul tremendo pendìo che essa stessa aveva voluto; nel baratro che essa stessa aveva spalancato ai suoi piedi… Quanti altri poveri sviati come lui! Quante anime, soprattutto vegetanti in una vita volgare e senza intima felicità, che soffocano, nello stretto orizzonte che le opprime, conservando la nostalgia d’un cielo perduto! I genitori ignorano, ordinariamente, l’ultima parola di queste deviazioni. E la dolorosa angoscia dei figli ha un solo rimedio: far delle loro sofferenze una penitenza per essi e per i propri sacrificatori.

5° Perché farsi sacerdote, perché essere religiosa, quando si può fare altrettanto e più bene nel mondo?

« Ci mancano proprio dei Cattolici convinti, ci mancano delle famiglie veramente cristiane ». Cattolici convinti e famiglie cristiane, ci mancano, ed è vero, ma il piccolo numero degli eletti, che sacrificassero perciò la loro vocazione, non li aumenterebbe davvero! E pensate forse sinceramente di accrescere il numero dei veri focolari domestici cattolici, se rifiutate di fare, nel vostro stesso focolare, la volontà del Signore, se evitate l’onore di dargli un sacerdote, un « alter Christus? » Far del bene nel mondo, praticarvi la virtù, è necessario. Ma il primo bene, la virtù primordiale è quella di fare la volontà di Dio, e di assicurare con ciò la propria eterna salute. Nessuno può occupare in nostra vece l’ufficio al quale Cristo ci chiama. Ora, soltanto a questo dato posto, il Maestro deve venire a cercarci e a chiederci il nostro rendiconto. Per acquistare la virtù e il talento di fare un vero bene, un bene divino, intorno a sé, bisogna aver obbedito al Signore; e con tale obbedienza possedere in sé un tesoro traboccante di grazia. – Il soldato disciplinato è più forte del più ardito, quando costui sia indocile e indipendente. – Non dimentichiamo soprattutto questo: le anime consacrate si accostano alle anime, avvicinandosi a Dio; e contribuiscono maggiormente alla altrui santificazione. Esse sono il canale delle grazie divine. – Il bene intimo non si fa soltanto e soprattutto con la parola o con la sola attività esteriore, ma con la profondità della vita divina, in un intimo contatto con Gesù, che è l’Autore della grazia. Non si abbandonano gli interessi della società, quando non si rinunzia che a ciò che essa ha di terrestre. È dunque un errore che suppone una mancanza assoluta di senso soprannaturale, il credere a un più fecondo avvenire di un giovane che avesse rinunziato al seminario per far del bene nel mondo. È una concezione troppo umana della vocazione divina, quello di pensare che una giovinetta, per dedicarsi altrove, possa, con vantaggio proprio ed altrui, sacrificare la chiamata divina. – Vi sono casi eccezionalissimi e rari, in cui questo si è dovuto consigliare, ma il principio rimane tuttavia di fare il bene là dove il Signore ci chiama. Lasciare l’adempimento della Divina Volontà, per glorificarlo, è illogico. E se la fede nella fecondità della vita religiosa è morta presso molti cristiani,  non esitiamo pertanto a ripeter loro: i sacerdoti e le religiose hanno per speciale missione il bene soprannaturale delle anime, e che questa è la loro ragione di essere. Essi sono i messaggeri ufficiali del Re dei re, i suoi « plenipotenziari » ed hanno una luce, una potenza di successo, uno stato di grazia che è loro propria. Per le anime dunque, per il vero bene della famiglia, della nazione, della società, non bisogna esitare a lasciare tutto ed a lasciare se stessi: « Signore, eccomi: cosa vuoi ch’io faccia? ». Il  primo dei beni da compiere, il più urgente, il più grave, è quello di far la volontà di Dio, di seguir la sua voce.

6° Ci si può salvare e santificare in tutti gli stati.

È evidente. Noi sappiamo che la vocazione allo tato ecclesiastico o religioso, non è imposta da Dio come un comandamento: è piuttosto un consiglio, un invito misericordioso del Maestro. Se non si segue il suo consiglio, se non sì risponde al suo invito, non c si priva perciò delle grazie necessarie alla salvezza eterna. Ci si priva soltanto di una facilità molto maggiore a salvarci, che si sarebbe trovata in uno stato di perfezione; ci si priva della speciale ed incomparabile gloria promessa ai ministri e alle spose del Cristo. – Ma che deriva da ciò? Voi potete concludere che se il giovane o la fanciulla non rispondono all’invito del Maestro, non peccano per questo semplice fatto, poiché non disobbediscono ad un rigoroso precetto di Dio. Non si può negare tuttavia che essi commettono una grandissima imprudenza agendo in tal modo. Ma potete concludere che se i figli vostri desiderano rispondere all’appello divino, se son decisi a sacrificare tutto, per abbracciare quello stato, a cui la grazia li sollecita, potete concludere dico, chi e voi avete il diritto di opporvi? Strana conclusione questa! Il vostro figliolo non è obbligato, sotto pena di peccato, a sceglier la via che gli sarà più facile e più gloriosa e più meritoria; sia pure. Ma se vuol seguirla, avete voi il diritto di impedirglielo, di distralo o di gettarlo o di trattenerlo, suo malgrado, nel cammino tanto rischioso del mondo, dove egli si salverà più difficilmente o si perderà con più facilità? – Non vi provate a dire che le grazie di eterna salvezza e di santificazione si trovano allo stesso grado nel mondo che convento: sarebbe andar contro il Vangelo. Rileggete la pagina di San Matteo: « Maestro buono, che cosa devo fare per guadagnare la salute eterna? » E Gesù indica la via più larga ed agevole dei comandamenti. Ma il giovane insiste: «Per essere perfetto cosa debbo fare? Che cosa mi manca? » – « Se tu vuoi avere un tesoro più grande nel Cielo, vieni e seguimi! » – Seguir Gesù sulla terra, è conquistare una sovrabbondanza di grazie; che prepara un’eternità di gloria inconcepibile. In relazione alla salvezza e alla perfezione morale, non è indifferente essere sacerdote, come sarebbe, più o meno, essere avvocato, professore, ingegnere o architetto. E se degli ostacoli involontari od imprevisti, sia inevitabile a taluno di restar nel mondo, il Cielo dà grazie speciali che suppliscono a quelle che si sarebbero ricevute nel convento. « Padre — mi diceva una signora —— io sono colpevole d’aver abbandonato la mia vocazione. Ero convintissima che Nostro Signore mi voleva per sé solo. Sono stata tentata ed ho vilmente ceduto. Essendomi maritata, Lei sa come espio la mia colpa e come debba non solamente lottare per santificarmi ma per salvarmi. Mi trovo a casa mia, come in un angoscioso labirinto morale; la mia sventura mi sembra senza rimedio ». Senza rimedio umano, intendiamoci bene; che per la misericordia di Gesù, l’espiazione indispensabile compirà l’opera della salvezza. Ma tutti i sacrifici della vita religiosa, sarebbero stati dei fiori, in paragone delle torture morali di quest’anima e delle tristezze del suo focolare. Non v’è che una strada sola che conduce con sicurezza alla perfetta felicità ed alla pace: è quella che il Nostro Divino Maestro ci invita a seguite con generosità, quand’anche non ce lo imponga.

7° La vocazione religiosa indebolisce l’amore filiale dei nostri figli e li rende indifferenti alla loro famiglia naturale.

Credo di aver quasi distrutta questa obiezione fin dalle prime pagine di questo studio, quando ho detto che il cuore del sacerdote o della suora, in alcun modo non occupato da altre affezioni umane, conservava, al contrario, divinizzate e nobilitate dalla grazia, la delicatezza, la purità e la freschezza delle sue prime ed uniche affezioni terrene. Ma per essere più pratico opporrò, a tale osservazione, il fatto costante, universale, reiterato, del figlio sacerdote, che diventa il sostegno, il consigliere, il benefattore in tutte le crisi morali e spesso anche economiche della propria famiglia. A un empio che attaccava e metteva in dubbio i sentimenti di carità dei Cattolici, fu risposto, chiedendogli di spiegare perché i bisognosi, i mendicanti, si aggruppano sempre, come per istinto, attorno ai monasteri e alle porte delle chiese. A coloro che pretendono che la vocazione sacerdotale o religiosa indebolisca la pietà filiale, si potrebbe parimenti domandare perché i genitori, colpiti da sventura, o ridotti, dalle circostanze, all’indigenza e alla miseria, ricorrono tanto spesso, di preferenza, al figlio sacerdote o alla figlia suora. Se i loro figli o i superiori di essi, fossero degli egoisti, degli indifferenti al benessere dei parenti, come avverrebbe ciò? No! La vita soprannaturale, l’amore di Gesù, l’austerità dell’ordine religioso, o la natura stessa dello stato sacerdotale, possono certamente esigere delle distanze, imporre dei sacrifici sensibili, ma non estinguono, tuttavia, i più nobili sentimenti del cuore umano. Nessuno ebbe mai, alla pari di Gesù, la più squisita delicatezza della nostra natura. Il ministro di Dio e la religiosa, a misura che si liberano dai « convenzionalismi » mendaci, e che si affinano nella loro vita spirituale, divengono più alti e più schietti nei loro sentimenti filiali. Nessuno ama meglio, di chi ha conservato un cuore puro e non ha conosciuto la passione e l’interesse; ora il sacrificio della separazione, non fa che ravvivare ed approfondire l’affezione. Quale esempio commovente di questa bellezza interiore di carità, nelle relazioni della piccola Teresa con suo padre. In memoria della sua infanzia in cui egli soleva chiamarla la sua « reginetta », essa lo chiama il suo « venerando re » e bisogna leggere le sue lettere, per sentire come, dietro le inferriate del Carmelo, il cuore della fanciulla palpitasse fortemente d’amore e di tenerezza filiale! Quale figlia maritata è mai rimasta tanto profondamente legata al proprio padre, tanto vibrante ad ogni ricordo del nido familiare, come questa giovanetta carmelitana così risoluta a santificarsi? Il dolore della separazione era stato immenso da una parte e dall’altra: mai due cuori erano restati uniti e inseparabili, nei Cuori del Re e della Regina del Carmelo! – Ah, sì, protesto con tutta l’indignazione del mio cuore di figlio, di sacerdote e religioso, che mantengo tanto intimamente la presenza e l’affezione di mia madre e delle mie sorelle come un culto, il quale, lungi dall’essere a detrimento dell’amore che ho per il Cuore di Gesù e di Maria, lo abbellisce col sacrificio reciproco, costantemente rinnovato. – Se il fatto di lasciar la famiglia per Iddio è una prova di disamore filiale, che dire allora di coloro che la lasciano per le creature o per gli affari? Essi stessi, i genitori, non lasciarono un giorno la propria famiglia; e perciò furono forse dei figli ingrati?… Siamo giusti e consideriamo il dovere e il cuore, come si conviene. L’affezione non è mai stata in contraddizione col sacrifizio. Il soldato che lascia la famiglia per il campo di battaglia, è forse un figlio ingrato? Non si può fare dunque, al Signore adorabile della patria terrena, le immolazioni che la celeste patria reclama legittimamente da tutti? – Come gli eroi delle battaglie, e, in un grado infinitamente superiore, gli eroi dell’altare e del chiostro, coloro che hanno avuto il più sublime coraggio, conservano anche, infallibilmente, l’altezza dei più nobili amori.