NO TONSURA – NO PRETE

NO TONSURA – NO PRETE

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Esercitare il sacerdozio cattolico non è certo incarico da nulla, ma proprio perché è ufficio di fondamentale importanza, è regolato da una serie di “momenti” preliminari, definiti nei secoli dalla Chiesa in Concili e Codici, atti che, facendo parte del Magistero irreformabile in eterno, non possono essere da nessuno alterati, o addirittura aboliti. Ci voleva giustamente un falso papa, il sodomita Montini, il beato (leggi: dannato)  della sinagoga di satana, il marrano sedicente Paolo VI, capo degli Illuminati di Baviera del suo tempo, con in petto l’efod del sommo sacerdote della sinagoga e del gran kahal, l’usurpante il soglio di Pietro che, con la complicità delle conventicole massoniche al guinzaglio delle vipere che “odiano Dio e tutti gli uomini”, era stato “impedito” al legittimo eletto, S.S. Gregorio XVII, Giuseppe Siri, per distruggere il momento fondamentale e la cerimonia in cui un laico diventa chierico per così potersi preparare all’ufficio più importante affidato da Dio agli uomini, ufficio che non è stato accordato né agli Angeli, né alla Madre di Dio. Come tutti gli atti del “sommo sodomita”, anche questo è stato mirato per mettere in atto il piano della “ruspa”, cioè l’annichilimento (… si fieri potest) della Chiesa di Cristo, la Chiesa cattolica, l’unica in cui c’è salvezza. Il sommo marrano sapeva bene che eliminare la tonsura, equivaleva ad eliminare il sacerdozio cattolico, al cui posto insediare un finto sacerdozio apostato-modernista, il blasfemo sacerdozio ecumenico-conciliare, sacrilego e per tanti aspetti luciferino, sacerdozio che sta trascinando una infinità di anime nell’abisso della eterna perdizione. – Il finto Pontefice, il sedicente Paolo VI, G.B. Montini, nella Lettera Apostolica Motu Proprio “Ministeria Quidam” del 15 agosto 1972 ha abolito gli ordini minori: Ostiariato, Lettorato Esorcistato ed Accolitato e riguardo alla tonsura così scriveva: “La prima Tonsura non viene più conferita; l’ingresso nello stato clericale è ammesso al diaconato”. Lo stesso apostata marrano, nella lettera Apostolica Motu Proprio “Ad Pascendam” sempre del 15 agosto 1972, non contento della prima performance, per fingere sicurezza agli occhi degli esterrefatti lettori, precisava ulteriormente: “poiché l’ingresso nello stato clericale è differito fino al diaconato, non ha più luogo il rito della prima Tonsura, per il quale in precedenza il laico diventa chierico. Viene, tuttavia, introdotto un nuovo rito, grazie al quale colui che aspira al diaconato e al presbiterato manifesta pubblicamente la sua volontà di offrirsi a Dio e alla Chiesa per esercitare l’ordine sacro; la Chiesa, da parte sua, ricevendo questa offerta, lo sceglie e lo chiama perché si prepari a ricevere l’ordine sacro, e sia in tal modo regolarmente ammesso tra i candidati al diaconato e al presbiterato”. In tal modo un’altra colonna dell’edificio cattolico, veniva demolito da documenti peraltro invalidi ed illeciti, in primo luogo perché proposti in dispregio all’intero Magistero Cattolico, in vigore dalla fondazione della Chiesa, – e nessuno, [de fide], può mai impugnare le decisioni della Sede Apostolica -; e poi perché promulgati da una falsa autorità mai designata dallo Spirito Santo a governare la Chiesa di Cristo. Qui sento già le proteste ed i mugugnii dei modernisti ecumenici contro-cattolici, quelli che adorano i Baal con protestanti, islamici, ebrei e massoni … ma calma, procediamo con ordine, basta semplicemente dare un’occhiata ai documenti accessibili a tutti per capire l’inganno perpetrato sia ai danni di ignari non-sacerdoti, sia ad altrettanto ignari ed ingannati non-fedeli. – Sappiamo infatti dai documenti che esistevano due generi di Tonsura: Quella imposta ai futuri sacerdoti, era la rasura a forma di corona, che era un modo qualsiasi di portare i capelli. Nel primo caso, che è il senso veramente primitivo, la Tonsura non era che un simbolo di adozione. Anticamente, particolarmente, in Roma, l’adozione teneva un posto importante nel diritto privato. – Col progresso dei tempi il modo con cui avveniva quest’adozione ha subito delle variazioni; però una delle forme più in uso spesso tra i popoli che si divisero l’impero romano, fu quella di tagliare qualche ciocca di capelli alla persona adottata. Il nuovo sacerdote non sarà più scelto in una sola tribù, come in antico, perciò era necessario ricorrere ad una vera adozione spirituale per introdurre un giovane nella grande famiglia dei leviti della nuova legge. La Chiesa trovò nella vita civile una forma di adozione e non si curò di cercarne un’altra: l’accettò, la santificò e l’ammise fra le sue istituzioni. La cerimonia della Tonsura lo nobilita e lo separa dalla razza comune e lo pone sotto la sua protezione ornandolo delle proprie insegne. – Fu solo molto più tardi che la tonsura divenne un modo di pettinatura legalmente imposto. – Fino al V secolo, infatti, la Chiesa si limitò a prescrivere ai chierici di portare capelli corti e modesti, avendo così già insegnato S. Paolo; ma non v’è traccia alcuna dell’attuale tonsura. Fu nel VI secolo che, per protesta all’uso barbarico d’arrotondarsi la capigliatura in modo esagerato, ed anche per spirito di umiltà, i monaci cominciarono a radersi completamente. – Questa rasatura totale fu chiamata la “Tonsura di S. Paolo”. I chierici imitarono poco a poco questo esempio; ma per distinguersi dai monaci, e più ancora dai penitenti, lasciarono intorno alla testa una breve corona di capelli, detta “Corona di S. Pietro”. Questa corona man mano si allargò e la parte rasata si restrinse fino a diventar la tonsura attuale. – Tali usanze non presero forme stabili, ma variarono secondo il capriccio d’ognuno. Finalmente, per riportare un po’ d’ordine e far cessare ogni disputa, il IV Concilio di Toledo, tenuto nel 633, i cui atti sono parte integrante del Magistero irreformabile della Chiesa, perché ai suoi lavori parteciparono, come osservatori e relatori, legati pontifici, impose la Tonsura a forma di corona. E’ il primo accenno in un documento ufficiale e magisteriale: e dopo il mille (durante il pontificato di Innocenzo III), divenne regola generale della Chiesa. Il seguito, il clero secolare ridusse poco a poco la Tonsura e non si curò più di dar forma di corona ai capelli. – Il Concilio di Worcester del 1210, credé opportuno stabilire che la Tonsura dovesse variare secondo la dignità dell’Ordine. – E’ chiaro dunque che la Tonsura ha due differenti significati; ed è bello rivelare come le due forme siano conservate e ben combinate nel Cerimoniale tridentino dell’ordinazione. La Tonsura non formava nella Chiesa primitiva un’ordinazione separata, ma precedeva (obbligatoriamente) il conferimento del primo ordine cui si era ammessi. – Fu solamente verso la fine dell’VIII secolo che si incominciò a tonsurare i giovani che si dedicavano al servizio della Chiesa, senza tuttavia compiere alcuna cerimonia sacra. In seguito divenne generale l’uso di dar la Tonsura, senza Ordine alcuno, ad una quantità di adulti, col solo scopo di sottrarli al foro civile e renderli capaci di benefici ecclesiastici. Si videro così quelli che rimasero chierici per tutta la vita, come pure si videro dei chierici ammogliati. Era un abuso che bisognava togliere.

Il codice di Diritto canonico del 1917 prescrive che la Tonsura non si potrà più ricevere se non da coloro che hanno intenzione di arrivare fino al sacerdozio. (can. 973 e 976). Ministro ordinario per il conferimento della tonsura è il proprio vescovo con giurisdizione (can. 955). Ministri straordinari: cardinali ed abati regolari di governo (Can. 957).

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Tonsura

Senza tonsura, un individuo non può diventare un chierico e solo i chierici sono in grado di essere ordinati, (canoni 108 [qui divinis ministeriis per primam saltem tonsuram mancipati sunt, clerici dicuntur]; 118): solo i sacerdoti possono diventare pastori e ottenere un ufficio, (canoni 154, 453). – Per coloro che, scomunicati da Pio II in “Execrabilis”, aderiscono al “novus ordo”, non c’è più tonsura, pertanto, dal 15 agosto del 1972, coloro che si spacciano, magari anche in buona fede, per sacerdoti sono, canonicamente parlando, esattamente come colui che scrive, cioè dei semplici laici, che però, abusando di oggetti, cerimonie e sacramenti illecitamente, commettono di continuo peccato mortale ed orribili sacrilegi. In particolare i peccati contro lo Spirito Santo [1) – impugnare la verità conosciuta (cioè il Magistero della Chiesa), 2) – l’ostinazione nel peccato e, per la maggior parte, ancora: 3) – l’impenitenza finale e 4). – la presunzione di salvarsi] a condannare, gli incauti falsi consacrati e falsi fedeli, al fuoco eterno come da promessa evangelica del divin Maestro … “il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in cielo, né in terra”. – Ai soliti tromboni, ai sommi soloni che sogliono affermare che il Codice Canonico pio-benedettino sia sorpassato, ricordiamo che il codice stesso è parte integrante del Magistero della Chiesa, essendo stato “allegato” alla lettera enciclica di Benedetto XV “Providentissima mater”di Pentecoste del 1917, ove in particolare, benché superfluo, era specificato, per i finti sordi ed i finti ritardati mentali, che al “Codex Juris Canonicus”…. intendiamo attribuire validità perpetua, e promulghiamo il presente Codice, così come è stato redatto, e decretiamo e comandiamo che esso abbia d’ora in poi forza di legge per tutta la Chiesa, e lo affidiamo alla vostra salvaguardia e vigilanza … E addirittura al Concilio di Trento è stata pronunziata sentenza di anatema per chi non riconosce gli ordini minori ed i gradi che progressivamente conducono al Sacerdozio. Evidentemente al marrano usurpante del 1972, nessuno aveva fatto conoscere tale anatema, per cui abolendo tonsura ed ordini minori, incorreva [ma tanto a lui non è che la cosa interessasse più di tanto …] e faceva incorrere direttamente in questo ennesimo anatema, pronunziato in eterno da disposizione irreformabile. Per chi volesse approfondire la questione, già fin troppo chiara, diamo il riferimento documentale, onde evitare spreco di tempo e di … stupidaggini! Concilio di Trento, Sess. XXIII [15 luglio 1563] – Capit. IV – Canoni sul sacram. Dell’Ordine: 2., pag. 742-743, Conciliorum oecumenicorum Decreta – EDB 2013 [imprim. 1962]: “Se qualcuno dirà che oltre al sacerdozio non vi sono nella Chiesa cattolica altri ordini, maggiori e minori, attraverso i quali, come per gradi si tenda al sacerdozio, sia anatema”.

Ma ce n’è anche per i falsi tradizionalisti, per quelli cioè che millantano la purezza della loro fede e dei loro sacramenti, quelli che utilizzano a loro uso e consumo il Magistero, utilizzando cioè ciò che è funzionale al loro vile ed ipocrita agire, occultando, o facendo finta di dubitare di documenti inoppugnabili, con il “difetto” di non adeguarsi alle loro pretestuose illazioni. – Secondo i canoni 107 e 108 del C.J.C., decreti di legge divina, c’è una netta distinzione tra laici e clero. Questa distinzione è contrassegnata dall’ingresso nello stato clericale. Questa entrata garantisce la “vocazione” di un candidato al sacerdozio ad un Vescovo “legittimo” in comunione con il Pontefice Romano, ed il cui Seminario sia stato eretto con ordinanza dello stesso Pontefice e con l’approvazione della Santa Sede. Il rito della tonsura è solo un rito. Non si tratta di un ordine che comporti la necessità della trasmissione apostolica. Il rev. Charles Augustine, nel suo “Commentario di diritto canonico” afferma che la tonsura è chiaramente un atto giurisdizionale che deriva interamente dalla “facoltà giurisdizionale del Vescovo” (can. 957). Un vescovo che non ha mai ricevuto tale giurisdizione, che solo un Papa può conferire, e quindi canonicamente è fuori dalla Chiesa cattolica, non può esercitarlo per conferire la tonsura. Non c’è nessun “tradizionalista” [Nota: i nemici più accaniti del “vero” Papato in esilio], intruppato in fraternità sacrileghe, istituti e pseudo-chiesette varie, o agente da “cane sciolto” liberamente scorrazzante, che oggi possa vantare una missione con “Giurisdizione canonica” e facoltà speciali ricevuta da un Vescovo consacrato sotto Papa Pio XII, l’ultimo Papa validamente eletto che abbia potuto esercitare liberamente il suo ufficio; così tutti questi attuali pretesi, sedicenti “vescovi”, innegabilmente mancano di giurisdizione, che solo può derivare loro dal Romano Pontefice (Papa Pio XII in “Mystici Corporis” e “Ad Sinarum Gentum“).

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La Enciclopedia Cattolica, l’ultima opera cattolica prodotta in Vaticano, quando ancora ivi si praticava il Cattolicesimo, riassume bene la questione:; nell’ultimo volume, il XII, alle coll. 308-309, leggiamo alla voce:

TONSURA.

– Rito sacro istituito dalla Chiesa mediante il quale il fedele battezzato e cresimato col taglio dei capelli e con l’imposizione della cotta, nonché con una formula propria, da laico diventa chierico. – La t. clericale però non è da confondersi con quella monastica o religiosa, mediante la quale il candidato si separa dal mondo per dedicarsi allo stato religioso. Questa si conferisce anche alle novizie e non si amministra con la formula propria della t. chiericale. – La t. non è un ordine, ma un rito che precede gli Ordini sacri, come si rivela chiaramente dal Concilio di Trento (Sess. XXIII cap. 2 De Sacram. Ordinis e cap. 6 De Reformat.; sess. XIV, cap. 2 De Ref.). – Quanto alla forma della t., quella romana aveva la forma di una corona, quella celtica invece di una mezza corona, in quanto i celti, ecclesiastici e monaci, si radevano tutta la parte anteriore della testa da un orecchio all’altro lasciando una striscia di capelli sulla fronte. Tale originale t. suscitò vivaci polemiche nel sec. VII tra celti e missionari cattolici inviati da Roma per l’evangelizzazione degli Angli. La t., che, all’inizio, si conferisce col primo ordine, dal secolo VII se ne separa, dapprima soltanto per i bambini, poi anche per gli adulti; e la prassi d’iniziazione degli adulti, mediante la t., allo stato clericale fu approvata dalla Chiesa e riservata al Vescovo (cap. 11. X de aetate 1, 14 Decr., Innoc. III); dal quale testo risulta che tale prassi fu universalmente ammessa fin dal sec. XII e ritenuta, a parte quanto riguarda l’età anche dal Concilio di Trento.

DIRITTO VIGENTE. – Ministro ordinario per il conferimento della t. è il proprio vescovo (can. 955) ai sensi del canone 956. Ministri straordinari nel diritto antico erano soltanto i cardinali preti nei loro titoli; nel diritto vigente sono tutti i cardinali (can. 239 § 1, n. 2) e non solo per i chierici dei loro titoli, ma per tutti, purché s’intende, muniti delle dimissorie del proprio Ordinario. Sono inoltre ministri straordinari della t. gli abati regolari di governo, quantunque senza territorio, purché siano sacerdoti, abbiano ricevuto la benedizione abbaziale e si tratti dei loro sudditi, in virtù della professione almeno semplice (can. 625), pena la nullità, salvo che l’abate non sia insignito del carattere episcopale (can. 957 § 2). – Quanto ai requisiti da parte del candidato, il can. 973 C.I.C. stabilisce: la t. e gli ordini minori si conferiscono soltanto a coloro che intendono farsi preti e si prevedono degni (cfr. l’istruzione della S.C. dei Sacramenti del 27 dic. 1930: A.S.S., 23 [1931], p . 12° e segg. circa la petizione del candidato da esibirsi al rettore del seminario due mesi prima dell’Ordinazione). Requisiti questi che, oltre quelli richiesti ad validitatem (can. 968 § 1), devono riscontrarsi con altri espressamente indicati (can. 974), per la liceità di ogni ordinazione. Per l’età del tonsurando la disciplina immediatamente anteriore al C.J.C. stabiliva il settennio completo (C.41,9 in 60; Conc. Trid., sess. XXIII, c. 4 De reform. Pontificale Romanum: De ordinibus conferendis). In alcuni luoghi, però, per diritto particolare, si richiedeva l’età di 14 anni. Nel diritto vigente nessuna età è stabilita direttamente; è sancito però che la t. non si può conferire prima dell’inizio del corso teologico, per il chierico sia secolare, sia religioso (can. 976 § 1). Mediante la t., che esprime la rinuncia al mondo e la consacrazione a Dio, il laico diventa chierico (can. 108 § 1) e viene incardinato automaticamente a quella diocesi per il servizio della quale è stato tonsurato (can. 111 § 2);: vien fatto capace di giurisdizione e di ricevere benefici c5 § 1, 119 § 3); acquista i diritti e privilegi propri dei chierici (cann. 119-23); può fare da suddiacono, per quanto senza manipolo, nella Messa solenne; è tenuto a speciali doveri (cann. 124-25 ecc.) ed a portare la t., salvo le consuetudini particolari; e ad evitare ogni ricercatezza nella chioma (can. 136). Se i chierici minori smettano l’abito e la t. ed ammoniti non si emendino, dopo un mese decadono dallo stato clericale salvo il disposto del can. 2379 e del can. 188, 7. – La prima t. si può conferire in qualunque giorno ed ora (Can. 1006 § 4) ed anche negli oratori privati (can. 1009 § 3). Il rito della t., come viene descritto nel Sacramentario Gregoriano, che riporta la disciplina del sec. VIII consta del taglio dei capelli e dell’invito ai fedeli perché invochino dal Signore la grazia per il nuovo chierico. Il rito odierno è descritto dal Pontificale Romanum nel titolo: De ordinibus conferendis et de clerico faciendo. – Il rito essenziale comprende il taglio delle estremità dei capelli in cinque parti del capo: cioè sulla fronte, sull’occipite, sulle due orecchie, ed in mezzo alla testa, accompagnato con le parole « Dominus pars hereditatis meae et calicis mei tu es qui restitues hereditatem meam mihi ». – Se invece poi dei capelli veri si tagliano quelli della “coma adscititia”, il conferimento della t. è dubbio e, perciò, deve chiedersi la sanatoria o deve ripetersi sotto condizione. – Non appartiene certo all’essenza del rito l’imposizione della cotta con formula « Induat te Dominus » ecc. – La t. è un sacramentale. [Innocenzo Parisella].

A questo punto, come bambini davanti al pallottoliere, cerchiamo di capire quanto fa “1 + 1”. Chiunque sia stato ordinato sacerdote dopo il 15 agosto del 1972, non ha mai posseduto e non possiede un ordine valido, poiché non gli è stata imposta la propedeutica indispensabile tonsura. I sacerdoti consacrati previa tonsura, secondo le leggi della Chiesa cattolica, prima del 1968 sono sicuramente “veri” sacerdoti, anche se scomunicati da “execrabilis” per aver aderito al conciliabolo ribaltone, il cosiddetto Concilio Vaticano II; per quelli ordinati tra il 1968 ed il 1972 resta da vedere se la loro ordinazione sia stata effettuata da un Vescovo “vero” – ordinato cioè a sua volta prima del 18 giugno 1968, data della promulgazione del falso rito montiniano officiato con formula eretica ed assolutamente invalida – , oppure da un “finto” vescovo invalido ordinato dopo la data “spartitraffico” sopra riportata. In ogni caso, salvo l’ordinazione di qualche superstite ottuagenario, al quale ricorrere in “articulo mortis” per confessione ed estrema unzione, il sacerdozio cattolico è praticamente scomparso, sostituito da carnevaleschi, pittoreschi “laici” modernisti, che non possiedono alcun ordine, giurisdizione né missione canonica, e quindi nessuna facoltà né di celebrare il Sacrificio eucaristico, né di amministrare sacramenti. Si tratta, canonicamente parlando, e ci piange il cuore il doverlo dire, di zombi sacrileghi. Ecco a cosa è giunto il tradimento di Giuda, dei tanti Giuda Iscariota che non hanno mai preso posizione, conniventi traditori mai ribellati agli inganni palesi e che, per tenere le posizioni acquisite, hanno preferito obbedire agli uomini e ai Baal, piuttosto che a Dio, causando la rovina eterna di un numero immenso ed incalcolabile di anime. Preghiamo allora le Vergine Maria, la Madre di Cristo e la Madre nostra, con il santo Rosario quotidiano, affinché il suo Cuore Immacolato trionfi quanto prima, come da promessa profetica, onde occupi il legittimo soglio e visibilmente il successore di S. Pietro, attualmente “impedito” ed esiliato, e vi sia un rinnovato splendore per la Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Gesù-Cristo, nella quale unicamente c’è salvezza eterna.

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“Et Ipsa conteret caput tuum!”

Concilio di Trento e N.O.M. [il “novus (dis)ordo missae”].

Concilio di Trento e N.O.M. [il “novus (dis)ordo missae”].

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 L’esame del nuovo rito montiniano [N.O.M.], oltre agli anatemi di San Pio V e successori, (Clemente VIII e Bonifacio VIII), oltre alle evidenti influenze massonico-rosacrociane celate malamente nell’offertorio e nel sanctus, le espressioni emanatistico-panteiste tipiche della gnosi adottate da Simone Weil, intellettualoide marrana infiltrata tra i pretesi intellettuali cristiani dell’epoca, ed eretica ispiratrice di modernismi pseudo-teologici, che vedeva nei “frutti del lavoro dell’uomo” la fiammella divina che con la consacrazione “diventavano”, evolvendosi, [cioè non venivano sostituiti dal Corpo e Sangue di Cristo di cui sono solo apparenza – cfr. “Studio sulla missione divina dell’uomo campestre”], Corpo e Sangue offerti poi, con rituale rosacrociano, nientemeno che al “signore dell’universo”, il Prometeo-Lucifero, elucubrazioni fatte proprie dal massone Bugnini (Buan 1365/75) dietro la regia del marrano Montini, grande estimatore della marrana sua compatriota, l’antipapa sedicente Paolo VI, usurpatore, nonché sodomitico Patriarca degli Illuminati di Baviera, ed inserite nel diabolico “novus ordo missae”, evidenzia ancora come esso sia stato, con ampio anticipo, anatemizzato inappellabilmente in eterno, dal Concilio di Trento. Infatti il 17 settembre del 1562, nel corso della XXII sessione di quel Sacrosanto Concilio, vennero definiti, con la dottrina, i canoni sul Santissimo Sacrificio della Messa. I primi 8 capitoli della sessione sono dedicati ad illustrare le origini e le definizioni teologiche succedute nei secoli e costituenti la base dei misteri eucaristici contenuti nella Santa Messa. Nel capitolo 9 sono riportati i canoni con relativi anatemi. Leggiamoli insieme (*):

SESSIONE XXII (17 settembre 1562)

Dottrina e canoni sul santissimo sacrificio della Messa.

Il sacrosanto Concilio ecumenico e generale Tridentino, riunito legittimamente nello Spirito Santo, sotto la presidenza degli stessi legati della Sede Apostolica, perché sia mantenuta nella Chiesa cattolica e conservata nella sua purezza l’antica, assoluta, e sotto qualsiasi aspetto perfetta dottrina del grande mistero dell’eucaristia contro gli errori e le eresie, illuminato dallo Spirito Santo, insegna, dichiara e intende che su essa, come vero e singolare sacrificio, sia predicato ai popoli cristiani quanto segue.

CANONI SUL SANTISSIMO SACRIFICIO DELLA MESSA

1. Se qualcuno dirà che nella messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto non significa altro se non che Cristo ci viene dato a mangiare, sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che con quelle parole: Fate questo in memoria di me, Cristo non ha costituito i suoi apostoli sacerdoti o che non li ha ordinati perché essi e gli altri sacerdoti offrissero il suo Corpo e il suo Sangue, sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che il Sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o la semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non si deve offrire per i vivi e per i morti, per i peccati, per le pene, per le soddisfazioni, e per altre necessità, sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che col sacrificio della messa si bestemmia contro il sacrificio di Cristo consumato sulla croce; o che con esso si deroga all’onore di esso, sia anatema.

5. Chi dirà che celebrare messe in onore dei santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come la Chiesa intende, è un’impostura, sia anatema.

6. Si quis dixerit canonem Missae errores continere ideoque abrogandum esse: a.s. (Se qualcuno dirà che il canone della messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna abolirlo, sia anatema).[Denz.953]

7. Se qualcuno dirà che le cerimonie, le vesti e gli altri segni esterni, di cui si serve la Chiesa cattolica nella celebrazione delle messe, siano piuttosto elementi adatti a favorire l’empietà, che manifestazioni di pietà, sia anatema.

8. Se qualcuno dirà che le messe, nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente, sono illecite e, quindi, da abrogarsi, sia anatema.

9. Si quis dixerit, Ecclesiae Romanae ritum, quo submissa voce pars canonis et verba consecrationis proferuntur, damnandum esse; aut lingua tantum vulgari Missam celebrari debere, … a.s. (Se qualcuno dirà che il rito della Chiesa Romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da riprovarsi; o che la messa debba essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice non debba esser mischiata l’acqua col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo, sia anatema. [Denz. 956].

paolo III Sebastiano_Ricci_034(Paolo III)

Pius_IV_2Pio IV

 Quelli che saltano immediatamente agli occhi, e da noi sottolineati, sono i punti 6 e 9, con i relativi anatemi irreformabili e di eterna applicazione. Ora nell’obbrobrio del “novus ordo” non solo il canone è stato soggetto a critiche, ma è stato addirittura eliminato nella sua essenza e finanche nelle formule consacratorie, che sono così blasfeme, eretiche, e quantomeno illecite, cioè sacrileghe. Ma non contenti, i Santi Padri di Trento, guidati da Papi “veri” (Paolo III prima e, alla sua morte, Pio IV), non certamente “buffoncelli” istrionico-mediatici, “principi dell’esilio”, giullari mossi da burattinai “che odiano Dio e tutti gli uomini”, hanno aggiunto il punto 9 ove si comanda di pronunciare le parole del Canone a bassa voce ed esclusivamente in latino, evitando espressamente il vernacolo, o la barbara ed aliturgica “lingua del popolo”. Ecco che allora celebrare (… si fa per dire, naturalmente) un tale rito, o semplicemente il parteciparvi, carica di ulteriori anatemi, cioè di scomuniche, oltre a quelli già saldamente acquisiti di “execrabilis”, “ex apostolatus officio”, “quo primum” etc. etc., ponendo “ipso facto” ancor più fuori dalla “Chiesa Cattolica” che, essendo l’unica Chiesa di Cristo, attraverso la quale soltanto si può ottenere la salvezza eterna, preclude all’ignaro fedele (reo però di colpevole ignoranza!) la eterna salvezza, condannandolo al fuoco eterno. Potremmo andare avanti per molto ancora su questa sessione del Concilio tridentino, ma ci fermiamo qui, perché ce n’è abbastanza già per una seria riflessione sul come cercare di evitare il fuoco eterno dell’inferno, nel quale molti sono già immersi fino alla gola, magari presumendo di essere già pronti per una canonizzazione sicura e per essere elevati sugli altari! Il disprezzo e l’ignoranza delle leggi immutabili della Chiesa produrrà, Dio ci scansi, inevitabili “pianti e stridor di denti”. Si realizza la parola del Signore in Malachia “ et maledicam benedictionibus vestris, et maledicam illis …” [“Se non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su di voi la maledizione e cambierò in maledizione le vostre benedizioni. Anzi le ho già maledette, perché nessuno tra di voi se la prende a cuore” – Mal. II, 2]. Ve lo chiedo supplicandovi in ginocchio, con le lacrime agli occhi: fratelli, salvatevi dal fuoco eterno!

(*) [Il testo si trova in: Conciliorum Oecumenicorum Decreta, 3a ed. bilingue a cura di. G. Alberigo et al., EDB, Bologna 2003].

S.S. PIO XII: Invicti Athletae Christi

“Invicti Athletae Christi”

andrea bobola

Questa enciclica di S. S. Pio XII, è incentrata sulla figura del Santo Martire Andrea BOBOLA, martire della fede, e risale al – 16 maggio 1957; venne composta in occasione del III Centenario del martirio di Sant’Andrea Bobola. Tra le altre cose ricordate dal Santo Padre, che riguardano la vita del Santo citiamo: … Andrea rispose: “Sono sacerdote cattolico; nato nella fede cattolica, nella stessa fede voglio morire; la mia fede è la vera e porta alla salvezza; voi piuttosto fate penitenza, altrimenti coi vostri errori non vi potrete in nessun modo salvare; mentre se abbraccerete la mia fede, conoscerete il vero Dio, e salverete le anime vostre”». Queste parole rivolte agli eretici del suo tempo, sostenute dall’autorità di S.S. Pio XII, le facciamo senz’altro nostre perché possiamo ugualmente rivolgerle agli eretici attuali, a quelli del “novus ordo”, agli pseudo-tradizionalisti delle “Fraternità Scismatiche Sacrileghe” e delle varie chiesette, gestite da personaggi pittoreschi senza giurisdizione né missione, e quindi totalmente fuori dalla Chiesa Cattolica.

Il Paragrafo seguente vogliamo invece riportarlo interamente perché in linea con gli intenti del blog.

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(….)  II

“Ci è piaciuto toccare minutamente e concisamente in questa lettera enciclica i principali lineamenti della vita e della santità di Andrea Bobola, perché tutti i figli della Chiesa Cattolica abbiano non solo a volgere a lui il loro sguardo di ammirazione, ma a imitarne anche con pari fedeltà la purissima dottrina religiosa, la fede integerrima e quella fortezza con la quale combatté per l’onore e la gloria di Gesù Cristo fino al martirio. Stimolati da voi, venerabili fratelli, meditino tutti le sue eccelse virtù, specialmente in queste celebrazioni centenarie; e tutti ritengano un dovere camminare sulle sue santissime orme. – Oggi, purtroppo, in non pochi luoghi la fede cristiana è debole o sul punto di estinguersi. La dottrina evangelica da non pochi è quasi del tutto ignorata; da altri – e ciò è ben peggio – è interamente respinta, quasi non si concili col progresso di uomini che pretendono quaggiù di trarre non da Dio ma da se stessi, cioè dal loro ingegno, dalle loro forze, dalla loro vigoria, i mezzi per vivere, per operare, per domare i principi e gli elementi e ridurli al proprio servizio, a comune vantaggio e benessere nella vita sociale. E non mancano poi coloro che si adoperano per sradicare dall’anima di altri, soprattutto degli ignoranti e dei semplici, e di quanti sono già contaminati dall’errore, la fede cristiana – unico conforto in questa vita mortale particolarmente per i più miseri -, promettendo una felicità che pienamente mai si può conseguire in questo esilio terreno. Dovunque, infatti, miri la società umana, dovunque essa tenda, se si allontana da Dio, anziché godere della tranquillità agognata e della concordia e della pace degli animi, finisce per turbarsi e angosciarsi, come chi è agitato dalla febbre; e mentre tende ansiosamente alle ricchezze terrene, ai vantaggi e ai piaceri, fidando solo in essi, insegue un’ombra fugace, s’appoggia al caduco. Infatti, senza Dio e la sua santissima legge non può esserci tra gli uomini un giusto ordine, né una vera felicità, poiché manca il solido fondamento sia alla condotta privata sia alla società civile. Inoltre, voi ben sapete, venerabili fratelli, che solo le cose celesti ed eterne, non già le cose instabili e passeggere, possono soddisfare interamente l’animo nostro. – Né si può affermare ciò che alcuni vanno temerariamente blaterando, che la dottrina cristiana sia in contrasto coi lumi della ragione umana, quando invece le aggiunge splendore e forza, proprio perché la distoglie dalle false parvenze del vero per introdurla nel regno più ampio ed eccelso della vera intelligenza. Non si creda dunque che il divino messaggio, che la Chiesa Cattolica, per il mandato che ne ha ricevuto, interpreta legittimamente, sia qualche cosa di superato ed esaurito, mentre è qualche cosa di vivo e vigoroso, dal momento che esso solo può indicare agli uomini il sicuro e il retto cammino verso la verità, la giustizia e tutte le virtù, dar loro la concordia fraterna e la pace, e fornire alle loro leggi, alle loro istituzioni, alla loro società validi e inconcussi presidi. – Se gli uomini assennati ripenseranno tutto ciò, comprenderanno facilmente perché Andrea Bobola abbia sostenuto con animo lieto e forte tante fatiche e tanti affanni, per mantenere intatta la fede cattolica nei suoi compatrioti, per tenere lontano, con tutte le forze, da ogni genere d’insidie i loro costumi insidiati da pericoli e da seduzioni così grandi, prodigandosi instancabilmente per formarli alle virtù cristiane. – Poiché anche oggi, come già abbiamo detto, venerabili Fratelli, la religione cattolica è esposta in molti luoghi a ben dure lotte, si rende necessario difenderla con tutte le forze, predicarla e propagarla. In una questione di così grave importanza vi siano d’aiuto non solo i sacerdoti che, per ragione dell’ufficio a essi affidato, devono prestarvi solerte aiuto, ma anche i laici dall’animo generoso e risoluto a combattere le pacifiche battaglie di Dio. Quanto più pertinacemente i nemici di Dio e della legge cristiana si scagliano contro Gesù Cristo e la Chiesa da Lui fondata, tanto più devono combatterli, con la parola, con gli scritti e soprattutto con un luminoso e sublime esempio non solo i sacerdoti, ma anche quanti si chiamano cristiani, rispettando sì le persone, ma difendendo la verità. Che se per questo sarà necessario fronteggiare molti contrasti e sacrificare i beni temporali, mai vi si sottraggano, memori della sentenza, che compiere e sopportare cose difficili è proprio di quella virtù cristiana che Dio stesso rimunererà con un premio immenso, cioè con l’eterna felicità. In tale virtù, se vogliamo davvero tendere ogni giorno più alla perfezione della vita cristiana, entra sempre un po’ di martirio, poiché non solo versando il sangue diamo a Dio prova della nostra fede, ma anche resistendo fortemente alle lusinghe del vizio e consacrando interamente noi e tutte le cose nostre con generosità e grandezza d’animo a chi è il nostro Creatore e il nostro Redentore e un giorno sarà in cielo la nostra imperitura felicità.

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Tutti dunque considerino come esemplare la fortezza di animo del santo martire Andrea Bobola; conservino intatta la sua stessa fede e la difendano con tutte le forze; imitino il suo zelo apostolico, adoperandosi in tutte le maniere per consolidare il regno di Gesù Cristo sulla terra e per estenderlo ciascuno secondo la propria condizione. – Se vogliamo rivolgere queste nostre paterne esortazioni e questi nostri voti a tutti i sacri pastori e ai loro fedeli, in modo particolare li considereranno come rivolti a se stessi quanti vivono in Polonia. Andrea Bobola è infatti per essi motivo di onore e di gloria, perché ha tratto origine dalla loro stirpe e l’ha abbellita non solo con lo splendore di tante virtù, ma anche col sangue versato nel martirio. Seguendo dunque i suoi luminosi esempi, continuino a tenersi stretti alla fede avita contro ogni insidia; si sforzino con ogni impegno di conformare ad essa i costumi; e considerino seriamente come principale fra le glorie della loro patria questa: emulare cioè l’incrollabile fortezza della virtù dei padri, facendo sì che la Polonia sia sempre fedele e «contrafforte della cristianità». Dio stesso, infatti. – come insegna la «storia, … testimone dei tempi, luce della verità … maestra della vita»(7) -, sembra avere affidato questo particolare compito al popolo polacco. Perciò si sforzino di rispondervi sempre con forza e costanza, evitando ogni perfida insidia, vincendo e superando ogni difficoltà e ogni angustia. – Guardino al premio, che Dio promette a quanti con somma fedeltà, con intenso ardore e ardente carità vivono, operano e lottano per custodire e per dilatare sulla terra il suo regno di pace. – In quest’occasione, non possiamo astenerci dal rivolgerci direttamente a tutti i diletti figli della Polonia in modo particolare con questa lettera enciclica, soprattutto ai sacri pastori, che per il nome di Gesù Cristo hanno sofferto dolori e affanni: agite con fortezza, ma con quella cristiana energia, che va congiunta con la prudenza, l’avvedutezza e la sapienza. Custodite la fede e l’unità cattolica. La fede sia la cintura dei vostri fianchi (cf. Is XI, 5); essa si annunzi a tutto il mondo (cf. Rm 1, 8); e sia per voi e per tutti «la vittoria che vince il mondo» (1 Gv V, 4). Fate ciò «mirando all’autore e perfezionatore della fede Gesù, il quale, in cambio della gioia che gli era posta innanzi. sostenne la croce, non facendo caso all’ignominia, e siede alla destra del trono di Dio» (Eb XII, 2). – Con questo vostro modo di agire, otterrete anche che i santi del cielo, quelli specialmente che hanno tratto origine dalla vostra stirpe, dalla felicità eterna di cui ora godono insieme con la Vergine madre di Dio, regina della Polonia, guardino propizi a voi e alla vostra dilettissima patria, e vi siano prodighi di protezione e aiuto. – Perché ciò possa felicemente compiersi, desideriamo nel modo più vivo, venerabili fratelli, che voi, con ciascuno dei fedeli sparsi nel mondo, vi rivolgiate supplici a Dio con la preghiera specialmente nel corso di queste celebrazioni centenarie, affinché egli conceda benignamente i suoi doni più abbondanti e le gioie celesti in modo particolare a quelli che sono esposti a più gravi prove e sono impediti da più aspre difficoltà. – Congiungendo queste preghiere s’implori anche dal misericordiosissimo Dio che sia rinnovata e prosperi la concordia tra tutte le nazioni e che i sacrosanti diritti della Chiesa e la sua opera, da cui viene un importantissimo contributo anche al vero bene dell’umana società, siano riconosciuti quanto è necessario da tutti e possano essere legittimamente e felicemente attuati dovunque. – Perché tutto ciò giunga quanto prima ad effetto uniamo le Nostre ardentissime preghiere con le vostre ed impartiamo col più grande affetto a ciascuno di voi tutti, venerabili fratelli, e al popolo cristiano la benedizione apostolica, auspicio delle grazie celesti e segno della Nostra benevolenza.

Roma, presso San Pietro, 16 maggio, anniversario del giorno in cui or sono tre secoli sant’Andrea Botola si conquistò la palma del martirio, dell’anno 1957, XIX del Nostro pontificato.

ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE IN CIELO

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ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE IN CIELO

L’Assunzione della Madonna è una delle solennità liturgiche più ricche di gioia. “Gaudent Angeli! Gaudete, quia cum Christo regnat!” (Si rallegrano gli Angeli! Rallegratevi anche voi, perché regna con Cristo!). – La Chiesa del cielo e quella della terra si uniscono alla felicità infinita di Dio, che incorona sua Madre e cantano con amore la gioia verginale di Colei, che si introduce per tutta l’eternità nella gioia del suo Figlio e Angeli e Santi si affrettano ad acclamarla Regina, mentre la terra gioisce, per aver dato al Cielo la sua gemma più bella. – Glorificazione dell’anima di Maria. – Questo è il giorno natalizio di Maria, quello in cui si celebrano ad un tempo il trionfo della sua anima e quello del suo corpo. Consideriamo prima la glorificazione dello spirito, meno notata, perché comune a tutti i Santi. Il raggiungimento della visione beatifica da parte dell’anima di Maria è cosa di tanto splendore e di tanta ricchezza che riverbera una luce inimitabile sulle nostre più alte speranze. – Non ci è possibile immaginare la bellezza di questa suprema rivelazione in cui lo sguardo già così puro e penetrante, della creatura più perfetta si aprì repentinamente davanti ad un abisso di infinita Bontà, ma, con l’aiuto della grazia divina, tentiamo di levare i nostri pensieri verso la cima, sulla quale si compie questa meraviglia che i nostri occhi non distinguono ancora. – Veramente si tratta di una cima: è il punto di arrivo di un’ascensione continua e perseverante, perchè, piena di grazia nel momento della Concezione, l’Immacolata continuò quaggiù a crescere davanti a Dio. L’Annunciazione, il Natale, il Calvario, la Pentecoste hanno segnato le tappe di questo progresso meraviglioso e ad ogni tappa l’amore verginale e materno si è accresciuto e arricchito, tendendo ad una altezza che nessuna creatura potrà mai raggiungere. La luce di gloria che investe d’improvviso l’anima di Maria e le rivela le grandezze del Figlio in tutta la loro magnificenza e la sua dignità materna, supera di molto la gloria di tutti gli Angeli e di tutti i Santi, perchè, dopo la santa Umanità di Cristo, stabilita alla destra del Padre nel santuario della Divinità, nulla possiede il mondo più perfetto di quest’anima materna irradiante purezza, bellezza, tenerezza e gioia: Beata Mater! – Lascerà ancora questo raggiungimento trionfale della felicità suprema qualche possibilità di sviluppo all’anima di Maria? Per sé no, perchè ormai tutto in lei è perfetto e nell’eternità non si cresce nella perfezione. Aperta in modo totale sugli splendori del Verbo, suo Figlio, l’anima di Maria soddisfa ormai perfettamente tutte le esigenze della sua vocazione sublime. È lo stato d’anima di una perfetta Madre di Dio. – Ma Maria ebbe un figlio solo. Gesù. Madre di Dio Salvatore, è Madre altresì di tutti coloro, che attingeranno alla sorgente della Salvezza, e la sua Maternità di grazia si estenderà fino alla fine del mondo. Nella luce beatifica, l’anima di Maria vede tutti i suoi figli e tutti i disegni di Dio su ciascuno di essi e, con un fiat di amore, consente e partecipa all’universale Provvidenza, in cui Dio la chiama ad avere un posto di intercessione, che non conosce limiti. Maria si unisce così al Sacerdote Sommo, che intercede per noi incessantemente la misericordia del Padre e la sua preghiera ottiene per la Chiesa, della quale è il tipo ideale, una Assunzione permanente fino a quando la pienezza del Corpo mistico sarà raggiunta in modo definitivo. L’anima di Maria, nell’attesa di questa apoteosi, meglio di qualsiasi altro santo, « impegna il suo Paradiso a fare del bene sulla terra ». Sia allora libero lo slancio della nostra gioia, uniamo alla confidenza la gratitudine, lodiamo degnamente la nostra Avvocata, la Mediatrice, la Madre, che prende il suo posto di Regina, presso il trono dell’Agnello. – Fede della Chiesa nell’Assunzione di Maria. – L’origine di questa fede non ha una data precisa, ma da molti secoli la Chiesa afferma che il corpo di Maria è in Cielo unito all’anima sua gloriosa e questo privilegio del corpo di Maria è l’elemento distintivo del mistero dell’Assunzione. Il Sommo Pontefice Pio XII, il primo novembre del 1950, compiendo il voto unanime di vescovi e fedeli, proclamò solennemente come « dogma rivelato che Maria, l’Immacolata Madre di Dio, sempre Vergine, al termine della sua vita terrena, fu elevata, anima e corpo, alla gloria del cielo » (Bolla dogmatica Munificentissimus Deus). – La definizione non dice se Maria passò, vivente, dalla terra al Cielo, o se, come il Figlio, subì la morte e risuscitò, prima di entrare nella gloria. Il privilegio insigne dell’Immacolato Concepimento, la Verginità e la Santità perfetta potevano certo rendere Maria immortale, ma la Madre del Salvatore, che imitò sempre fedelmente il Figlio, volle senza dubbio seguirlo fino al sepolcro, perchè doveva, come Lui, e come tutti noi nell’ultimo giorno, trionfare pienamente con una Risurrezione gloriosa, sul peccato e sulla morte.

Leggende.

Leggende apocrife, diffuse verso la fine del IV secolo, hanno volgarizzato narrazioni spettacolari, meravigliose e spesso incoerenti, sulla morte di Maria e sul trasporto del suo Corpo in Paradiso. – Gli Apostoli, riuniti prodigiosamente presso la Madre del Salvatore, avrebbero assistito alla sua morte e ai suoi funerali. San Tommaso, giunto troppo tardi, avrebbe voluto la riapertura della tomba, il che permise di costatare che il Corpo verginale era stato portato in luogo noto a Dio soltanto. La nostra fede e la nostra certezza teologica non devono accettare questi documenti senza valore, nati forse fra comunità eretiche. Predicazione e insegnamento pastorale devono fare a meno di seguire queste maldestre imitazioni del racconto evangelico della Risurrezione del Signore. Queste leggende non hanno dato origine alla fede della Chiesa nella Assunzione, ma hanno anzi ritardata di parecchi secoli la perfetta unanimità di essa. Il pensiero cristiano dovette prima sbarazzarsi della dannosa loro influenza, per poter giungere a discernere bene i motivi veri, che portano a considerare l’Assunzione corporea di Maria una verità di fede.

La fede unanime.

Quale motivo permise dunque al Sommo Pontefice di definire dogma di fede l’Assunzione ? Lo dichiara la Bolla pontificia con precisione: il consenso unanime dei Vescovi e delle Chiese oggi in comunione con la Sede Apostolica. Questa convinzione universale dei Pastori e dei fedeli non sarebbe mai stata possibile, se l’oggetto di essa non fosse in qualche modo contenuto nella Rivelazione.

Prove scritturali.

Dove troviamo la verità dell’Assunzione nella rivelazione cristiana? Nei documenti della Chiesa primitiva non abbiamo traccia di una tradizione orale di origine apostolica. Forse appena vi allude l’Apocalisse indirettamente, quando descrive la Chiesa in questi termini: « Apparve in Cielo un segno grande: una donna vestita di sole, la luna ai suoi piedi e sulla sua testa una corona di dodici stelle» (Apoc. 12, i). Tipo e modello perfetto della Chiesa è Maria, la Madre di Dio e può essere che qui san Giovanni abbia fatto una indiretta allusione alla presenza di Maria in Cielo. E invece certo che i Libri sacri attribuiscono a Maria titoli e funzioni provvidenziali, che nel loro insieme esigono, come normale coronamento, il privilegio dell’Assunzione corporale. Dando un senso mariano al Versetto del Genesi, noto con il nome di Protoevangelo : « Stabilirò inimicizia fra te e la donna, fra la sua generazione e la tua, essa ti schiaccerà il capo », la tradizione cristiana espressa autenticamente nella Bolla dogmatica Inefabilis, vide in questa sentenza divina l’annuncio di un trionfo perfetto di Cristo e della sua Madre sul peccato e tutte le conseguenze di esso. Pio IX si era appoggiato a questo testo, per definire l’Immacolata Concezione e non è impossibile vedere in questo testo anche una rivelazione implicita di un trionfo perfetto sulla morte. – Checché si pensi di questo testo misterioso, il Vangelo associa sempre Maria agli atti essenziali della Redenzione e specialmente al Sacrificio della Croce e come si potrebbe credere che non sia più corporalmente unita al Figlio nell’esercizio del suo attuale sacerdozio celeste? Il Vangelo dichiara inoltre Maria « piena di grazia », « benedetta fra tutte le donne » e soprattutto « Madre del Signore » e tanti titoli costituiscono, come vedremo, una rivelazione implicita della glorificazione immediata della sua anima e del suo corpo.

La mancanza di reliquie.

Tuttavia riconosciamo che i primi secoli cristiani non conobbero in modo positivo e preciso l’Assunzione di Maria. Dobbiamo tener presente un fatto importante: in nessun luogo fu mai rivendicato il Corpo della Santa Vergine, nè mai furono cercati i resti e, in epoca in cui le reliquie dei santi erano molto onorate, ciò diventa un indice importante. Sembrerebbe che fin da quei tempi lontani si pensasse che il Corpo di Maria non poteva essere sulla terra. Sant’Epifanio, morto nel 377, dopo aver vissuto molto tempo in Palestina, confessa la sua ignoranza riguardo alla morte e al sepolcro di Maria, ma neppure una riga del suo scritto insinua che i resti mortali della Vergine sarebbero conservati quaggiù. Egli mette solo in dubbio i racconti fantasiosi che cominciano a diffondersi e si chiede se Maria è morta e se è morta martire e risponde che a queste domande non si può dare una risposta e, senza affermare l’Assunzione, pare tuttavia non ne faccia oggetto delle sue prudenti riserve. – Il pensiero cristiano, all’inizio del secolo V, l’epoca del Concilio di Efeso, particolarmente interessato alla dottrina mariana, affronta il problema della sorte riservata al Corpo di Maria e afferma che i racconti apocrifi interpretano in modo sconveniente e ridicolo una verità, che si impone da sè alle anime illuminate dalla fede: il Corpo di Maria non si è corrotto nella tomba: Dio lo ha miracolosamente portato in Paradiso.

Origine della Festa dell’Assunzione.

Le sole liturgie siriaca ed egiziana, attingono in quell’epoca ai racconti leggendari per le loro descrizioni della dormitio di Maria. – Gerusalemme ha dal 450 la sua festa annuale della Madre di Dio fissata al 15 agosto, ma per due secoli l’ufficio non accenna all’Assunzione. – Agli inizi del secolo vii la festa della Dormitio è istituita a Bisanzio, con decreto dell’Imperatore Maurizio, e presto, forse sotto l’influenza degli apocrifi, ma soprattutto per il senso profondo, che la Chiesa possiede delle verità della fede, oggetto principale della festa diventa l’ingresso del Corpo di Maria nella gloria. La festa dell’Assunzione è introdotta a Roma verso l’anno 650 e nella stessa epoca, forse anche alquanto prima, come in Gallia per la dipendenza di san Gregorio di Tours dagli apocrifi, l’Assunzione diviene oggetto di una commemorazione solenne fatta prima il 18 gennaio e più tardi il 15 agosto.

La festa a Roma.

Per la dottrina affermata, la celebrazione della festa dell’Assunzione costituiva per la Chiesa Romana un fatto di importanza capitale e, cosa ancor più degna di nota, Roma accettava la fede nell’Assunzione, senza aderire alle leggende. La sua liturgia ha una sola allusione all’Assunzione, ma è di una precisione mirabile e porta tutto il problema al suo vero centro. È la celebre orazione “Veneranda nobis”, che si recitava quando partiva la processione, che precedeva la Messa. – « Signore, dobbiamo venerare la festa di questo giorno nel quale la Santa Madre di Dio fu sottomessa alla morte temporale. Ella tuttavia non potè essere trattenuta dai legami della morte, avendo generato nella sua propria sostanza il vostro Figlio incarnato, nostro Signore». – Non si poteva essere insieme più sobrii, più completi e più precisi. La fede nella morte, nella Risurrezione e nell’Assunzione di Maria è affermata nettamente ed è messo in evidenza il motivo fondamentale di questa fede: la Maternità divina o, meglio, il fatto che la carne di Cristo, Verbo Incarnato, è stata presa da Maria. Questo gioiello della liturgia mariana data per lo meno dal secolo vili, cioè dal tempo in cui, in Oriente, sant’Andrea, vescovo di Creta dal 711 al 720, predicando un triduo sulla Dormitio della Madonna, esponeva il dogma dell’Assunzione su basi puramente dottrinali e indipendenti da tradizioni apocrife. – San Germano di Costantinopoli e san Giovanni Damasceno, sebbene meno prudenti e riservati, riallacciano essi pure l’Assunzione alle sue sorgenti autentiche ed è necessario citare qualche passo delle loro ammirabili omelie.

Discorso di san Germano.

« Come avresti potuto essere concepita e poi svanire in polvere, esclama san Germano, Tu che, per la carne che desti al Figlio di Dio liberasti il genere umano dalla corruzione della morte?…» Era mai possibile che il vaso del tuo Corpo, che fu pieno di Dio, se ne andasse in polvere, come qualsiasi carne? Colui, che si è annientato in Te, è Dio fin dal principio e perciò vita, che precedette i secoli, ed era necessario che la Madre della Vita abitasse insieme con la Vita e cioè che si addormentasse per un istante nella morte, per assomigliare a Lui e che poi il passaggio di questa Madre della Vita fosse come un risveglio. » Un figlio prediletto desidera la presenza della madre e la madre, a sua volta, aspira a vivere col figlio. Era giusto perciò che salissi al Figlio tu che ardevi nel cuore di amore per Dio, frutto del tuo seno; era giusto ancora che Dio, nell’affetto filiale che portava alla Madre sua, la chiamasse presso di sè a vivere nella sua intimità » (Primo discorso sulla Dormitio P. G. 98; 345, 348). – In un secondo discorso ritorna sullo stesso argomento in termini ancora più precisi: « Tu avevi da te stessa la tua lode, perché tu sei la Madre di Dio… Per questo bisognava che il tuo Corpo, un corpo che aveva portato Dio, non fosse abbandonato in preda alla corruzione e alla morte» (Secondo Discorso, col. 357). – D’ora in poi queste considerazioni nutriranno tutti i discorsi sulla Dormitio e sull’Assunzione della Madonna. Il padre Terrien scrive : « I discorsi di san Giovanni Damasceno sulla preziosa morte e Assunzione di Maria sono un inno perpetuo, che egli canta in onore della Vergine benedetta, e in esso richiama tutti i privilegi, tutte le grazie, tutti i tesori, dei quali fu prodigiosamente arricchita dal cielo, e tutti li riallaccia alla Maternità divina come raggi al loro centro » (Mère de Dieu, t. II, pp. 371-372). – L’oriente è ormai conquistato alla fede tradizionale nell’Assunzione di Maria e il suo pensiero non subirà più sbandamenti.

La fede in Occidente.

In occidente appaiono difficoltà. Il popolo cristiano, docile agli insegnamenti della liturgia, aderisce, nel suo complesso, senza riserve alla dottrina dell’Assunzione, ma i teologi, per lo meno nella Gallia, restano esitanti e temono gli apocrifi. Essi non negano l’Assunzione, ma non vogliono impegnarvi la fede della Chiesa e ai tempi di Carlomagno (verso l’anno 800) un concilio capitolare di Aix-la-Chapelle omette l’Assunzione nell’elenco delle feste della Madonna, riservandosi di esaminare, se possa essere conservata e sarà data una risposta affermativa solo nel 813, al concilio di Magonza. – La crisi aumenta nel secolo IX. La notizia sull’Assunzione, che abbiamo nel Martirologio di Adone, lascia di proposito nel dubbio la questione dell’Assunzione corporale e rigetta i dati frivoli ed apocrifi, che sono stati diffusi in argomento. Nella stessa epoca l’abate di Gorbia, Pascasio Radberto rivolge a dei religiosi un lungo sermone: “Cogitis me”, nel quale ha l’abilità di farsi credere san Gerolamo e, mentre con parole commoventi celebra la morte della Madonna [Il responsorio “Ascendit Chrlstus” e l’antifona “Hodie gloriosa Virgo caelos ascendit” sembrano tolte dal sermone “Cogitis me”, e tuttavia è certo che Pascasio Radberto non ha riprodotto, nè commentato queste parti liturgiche. Sarebbero allora anteriori all’anno 850? Il Pascasio stesso afferma che egli riporta testi liturgici precedenti.], comincia mettendo in guardia sul racconto del Passaggio di Maria dalla terra al cielo. A suo modo di pensare, non si sa nulla sulla sorte riservata al Corpo di Maria. È una reazione certo esagerata, ma dal fondo sano, alla troppo facile credulità verso gli apocrifi, allora in voga nella Gallia, (la liturgia gallicana aveva preso molto da tali scritti). Il lato più curioso di questo episodio è che il sermone “Cogitis Me”, sotto il nome di san Gerolamo, passò presto nelle lezioni del Breviario lungo l’ottava dell’Assunzione e ci volle la riforma di San Pio V, per eliminare dal Breviario un testo, che si allontanava dalla dottrina comune della Chiesa in un punto molto importante. – Nei due secoli che seguirono l’apparizione del “Cogitis me”, gli spiriti furono esitanti e San Bernardo, ad esempio, non afferma mai espressamente l’Assunzione corporale di Maria, sebbene non vi sia indizio che l’insieme del clero e del fedeli abbia condiviso gli scrupoli degli eruditi. La liturgia romana, in uso in tutto l’occidente, celebrava l’Assunzione di Maria, e, per il popolo cristiano, si trattava di Assunzione corporale, sicché la Colletta Veneranda affermava sempre chiaramente la fede comune, senza vincolarla ai documenti apocrifi.

Lo pseudo Agostino.

Sul finire del secolo X, o all’inizio dell’ XI, ebbe un influsso decisivo sul pensiero teologico un nuovo libro sull’Assunzione, il cui autore è ancora ignoto, anche se fu molto presto attribuito a S. Agostino. – Non si trattava di riabilitare le leggende apocrife, ormai squalificate, ma di poggiare la verità dell’Assunzione di Maria su basi scritturali e dottrinali sicure e questo piccolo trattato sull’Assunzione è un capolavoro di chiarezza e di profondità. Procede con metodo scolastico, con ordine, senza digressioni e l’esposizione, in apparenza austera, è animata da sana e solida devozione mariana, tanto da rivelare la mano di un grande maestro e di un uomo di fede. E il miglior trattato sull’Assunzione che possieda la tradizione cristiana e bisogna citarne almeno le ultime righe. – « Nessuno nega che Cristo potè concedere a Maria questo privilegio (l’Assunzione corporale). Se Egli lo potè, lo volle, perché vuole tutto quello che è giusto e conveniente. Pare dunque che si possa, con ragione, concludere che Maria godette nel corpo, come nell’anima, una felicità inenarrabile nel Figlio e con il Figlio; che sfuggì alla corruzione della morte Colei la cui integrità verginale fu consacrata, dando alla luce un Figlio così grande. Vive tutta intera Colei dalla quale noi abbiamo la vita perfetta, è con Colui che portò nel suo seno, presso Colui che concepì, generò, nutrì della sua carne. – Madre di Dio, nutrice di Dio, domestica di Dio, compagna inseparabile di Dio. Io non ho la presunzione di parlare di lei in modo diverso, perchè non oso pensare in modo diverso » (Liber unus de Assumptione Virginis, P. L. XL, col. 1148). – Il trattato, riportando la questione dell’Assunzione corporale di Maria sul vero terreno dogmatico, esercitava un’influenza grandissima sui predicatori e sui teologi e, nel secolo d’oro della Teologia, il consenso era unanime: S. Alberto Magno, san Bonaventura, san Tommaso d’Aquino parlano dell’Assunzione corporale di Maria come di verità accettata da tutta la Chiesa. La causa ormai è vinta. Eruditi umanisti francesi sollevarono qualche dubbio nel secolo XVII, ma non si tratta della negazione del fatto dell’Assunzione, bensì della discussione delle sue basi storiche e, avvelenata da malignità, la battaglia termina presto, per mancanza di combattimenti.

L’Immacolata Concezione e L’Assunzione.

La dottrina dell’Assunzione tornò di attualità dopo la definizione del dogma dell’Immacolato Concepimento di Maria, nel 1854. I due privilegi si sostengono vicendevolmente e si basano su fondamenti comuni e non desta stupore il fatto che, quindici anni dopo, al Concilio Vaticano, un numero considerevole di vescovi indirizzi al Sommo Pontefice una supplica volta ad ottenere la definizione dogmatica dell’Assunzione corporea di Maria. – L’impulso magnifico dato agli studi mariani dal Sommo Pontefice Leone XIII, continuato da san Pio X, sviluppò e consolidò il pensiero cristiano, ma la Santa Sede restava in prudente attesa. San Pio X rispondeva, ad una domanda prematura, che la questione doveva essere ancora studiata lungamente.

L’opera di Pio XII.

Era serbato a Pio XII l’onore di coronare questa lenta penetrazione della verità dogmatica. Agli inizi del suo Pontificato, fissando la festa del Cuore Immacolato di Maria nel giorno ottavo dell’Assunzione, il Sommo Pontefice incoraggiava una devozione, che è condizionata all’attuale esistenza nella gloria del Corpo glorioso della Madonna. Il passo decisivo fu compiuto nel 1946, quando Pio XII inviò a tutti i vescovi del mondo cattolico un questionario sulla fede nell’Assunzione corporale di Maria e sulla opportunità di una definizione. Le risposte furono quasi tutte favorevoli e costituivano una testimonianza moralmente unanime della Chiesa universale in favore della verità dogmatica dell’Assunzione. Il 14 agosto 1950, il Sommo Pontefice annunciava che, per coronare l’anno giubilare, avrebbe solennemente proclamato il dogma mariano e fissava la cerimonia al primo novembre, nella festa di Ognissanti. Pensiero ammirabile, che associava la Chiesa trionfante alla gioia dei cattolici del mondo intero, accorsi in folla, per applaudire al trionfo di Maria. – L’ammirabile continuità nell’attaccamento della Chiesa alla dottrina dell’Assunzione è una delle testimonianze più belle della sua vita collettiva, e degno di nota è il fatto che tale attaccamento fu mantenuto, nelle ore più critiche, nell’affermazione discreta ma equilibrata della Liturgia Romana. Dopo il secolo VII, la Chiesa d’Occidente celebrò sempre l’Assunzione corporale di Maria e tale celebrazione fu lo strumento provvidenziale che fissò sempre maggiormente la luce divina nello spirito dei Pastori e dei fedeli. Cantando nell’allegrezza “Assumpta est Maria in coelum” il loro pensiero correva d’istinto alla gloria totale di Maria. Essi non si ponevano questioni critiche, nè si chiedevano se il trionfo era dell’anima soltanto; essi vedevano levarsi nella gloria Maria, la Madre di Dio, Madre nel suo Corpo e Madre nella sua Anima.

La preghiera di Maria.

Sebbene sgorgati dalle labbra della Vergine nella casa della cugina Elisabetta, i versetti del Magnificat sono, nel loro senso profondo, l’espressione della preghiera abituale di Maria. Raccolte le parole nella Scrittura, se le era applicate, contemplando nel silenzio le meraviglie che Dio operava in Lei e per Lei. – Furono senza dubbio la preghiera di tutta la vita della Santa Vergine e la Chiesa, cantando il Magnificat ogni giorno, in tutte le solennità vi trova sempre un senso nuovo e più profondo. Maria lo ripetè a Nazaret, a Cana, dopo la Risurrezione, sul Monte degli Ulivi, quando Gesù salì al cielo e molti autori spirituali pensano che lo cantasse, nel suo cuore colmo di dolore, il Venerdì santo a sera, mentre discendeva dal Calvario. – Più ancora il Magnificat è la preghiera della Vergine Santa nel giorno in cui Dio colma la misura delle grazie e dei favori verso la Madre del suo Figlio, elevandola corporalmente al cielo e coronandola Regina dell’universo.

Magnificat.

La sua anima, giunta alla pienezza della perfezione e il suo spirito illuminato dalla visione beatifica glorificano il Signore e godono la salvezza data a Lei, più che a tutte le altre creature. – Ricorda che era una piccola creatura, l’ancella del Signore, e che, per sua bontà, senza meriti da parte sua. Egli ha rivolto a Lei i suoi occhi. Ed ecco che tutti i secoli la proclameranno beata e bene lo sappiamo noi, che, interrogando la storia, vediamo le vestigia lasciate dal culto e dall’amore per la Vergine Immacolata; noi che, presenti realmente o presenti attraverso le onde sulla piazza di san Pietro in Roma il mattino della festa di Ognissanti del 1950, abbiamo cantato la Vergine salita al cielo con acclamazioni entusiastiche e interminabili. – Sì, Egli fece in Maria cose grandi, Colui che può tutto e queste cose grandi noi non sapremmo ricordarle tutte, ma in questa festa noi ne vediamo il coronamento nella Assunzione al cielo. E questa felicità non è felicità di Maria soltanto, perchè noi pure esultiamo, non solo perchè sappiamo felice presso Dio la nostra Madre, ma perchè crediamo che un giorno la raggiungeremo, essendo la misericordia divina per tutti coloro che temono il Signore, per coloro che Lo servono con fedeltà. Come è vile il mondo! I grandi, i potenti, coloro che si gonfiavano di orgoglio nella loro potenza, nella loro scienza, nelle loro ricchezze, sono cancellati dalla memoria dei popoli. Erano sazi, non avevano bisogno della salvezza portata dal Messia. La Vergine umilissima, ignorata da tutti, e con lei i discepoli di Gesù sono ora saziati dei beni veri e la loro potenza, la loro felicità sono eterne. – Tutto questo è opera della fedeltà e della tenerezza di Dio al Quale sia onore e gloria nei secoli dei secoli.

PREGHIAMO

O Dio onnipotente ed eterno che hai assunto alla gloria celeste, in corpo ed anima, l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figliolo, concedici di essere sempre protesi verso le cose celesti, onde meritare di essere partecipi della sua gloria.

 

PREGHIERA DI S. S. PIO XII A MARIA SS. ASSUNTA

O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini!

1. Noi crediamo con tutto il fervore della nostra fede nella vostra assunzione trionfale in anima e in corpo al cielo, ove siete acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le schiere dei Santi; e noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore, che vi ha esaltata sopra tutte le altre pure creature, e per offrirvi l’anelito della nostra devozione e del nostro amore.

2. Noi sappiamo che il vostro sguardo, che maternamente accarezzava l’umanità umile e sofferente di Gesù in terra, si sazia in cielo alla vista della umanità gloriosa della Sapienza increata, e che la letizia dell’anima vostra nel contemplare faccia a faccia l’adorabile Trinità fa sussultare il vostro cuore di beatificante tenerezza; e noi, poveri peccatori, noi a cui il corpo appesantisce il volo dell’anima, vi supplichiamo di purificare i nostri sensi, afinchè apprendiamo, fin da quaggiù a gustare Iddio, Iddio solo, nell’incanto delle creature.

3. Noi confidiamo che le vostre pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angoscie, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le vostre labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che Voi sentiate la voce di Gesù dirvi di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: Ecco il tuo figlio; e noi, che vi invochiamo nostra Madre, noi vi prendiamo, come Giovanni, per guida, forza e consolazione della nostra vita mortale.

4. Noi abbiamo la vivificante certezza che i vostri occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal sangue di Gesù, si volgano ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, alla oppressione dei giusti e dei deboli; e noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal vostro celeste lume e dalla vostra dolce pietà sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra patria.

5. Noi crediamo infine che nella gloria, ove Voi regnate, vestita di sole e coronata di stelle. Voi siete, dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi; e noi, da questa terra, ove passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo verso di voi, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza; attraeteci con la soavità della vostra voce, per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del vostro seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria (Pio Pp. XII).

Santità e gloria di Maria

Solo chi conosce la santità di Maria può valutarne la gloria, ma la Sapienza, che ha colmato gli abissi (Prov. 8, 27), non ci rivelò la profondità di questo oceano al cui confronto le virtù dei giusti e le grazie da essi ricevute non sono che un ruscello. L’immensità della grazia e del merito, che costituisce la soprannaturale perfezione della Vergine benedetta, ci porta a concludere che, nella gloria, che consacra la santità degli eletti, deve avere altrettanta superiorità. – Mentre i predestinati si scaglionano nei diversi gradi della celeste gerarchia, la Madre santa di Dio si eleva oltre tutti i cori dei beati (Liturg. della festa) formando da sola un ordine distinto, un cielo nuovo, in cui le armonie angeliche ed umane sono superate. – Dio è in Maria più glorificato, meglio conosciuto e più amato che in tutto l’universo e per questo, secondo l’ordine della Provvidenza creatrice, che subordina il meno perfetto al più perfetto. Maria doveva essere Regina della terra e del cielo.

Il mondo fatto per Cristo e per Maria.

Tenuto presente questo, il mondo esiste per l’Uomo-Dio e per Maria. Il grande teologo Card. Lugo, spiegando le parole dei santi dice: « Come Dio, compiacendosi di tutto creare per il suo Cristo, fece di Lui il fine delle creature, così si può dire che, nell’amore per la Vergine Madre, creò tutto il resto, facendo sì che giustamente meritasse di essere chiamata fine di tutte le cose » (De Lugo, De Incarn. Disput. VII, sect. 2). – Maria, Madre di Dio e sua primogenita (Eccli. 24, 5) aveva titolo e diritto ai beni di Dio e, come sposa, doveva dividerne la corona. « La Vergine gloriosa, dice san Bernardino da Siena, ha tanti sudditi quanti ne ha la Trinità. Tutte le creature, non conta la posizione che hanno nel creato, sono sottomesse alla Vergine: le creature spirituali come gli Angeli, le ragionevoli come l’uomo, le materiali come i corpi celesti o gli elementi, il cielo, la terra, i reprobi, i beati, tutto quanto dipende dalla potenza di Dio. Infatti il Figlio di Dio e della Vergine benedetta, volendo, per così dire, uguagliare in qualche modo all’autorità del Padre quella di sua Madre, si fece, Egli che è Dio, servitore di Maria e, se è esatto dire che tutto, anche la Vergine, obbedisce a Dio, si può rovesciare la proposizione e affermare che tutto, anche Dio, obbedisce alla Vergine » (Disc, per la festa di Maria, c. 6). – Lo Spirito Santo ci dice che il dominio dell’eterna Sapienza comprende cielo, terra e abisso (Eccli. XXIV, 7-11) e tutto questo è appannaggio di Maria nel giorno della sua incoronazione e, come la Sapienza divina. Maria può glorificarsi in Dio (ibid. 1). Colui, del Quale cantò un giorno la magnificenza, oggi esalta la sua umiltà (Lc. I, 46-55). La Beata per eccellenza (ibid. 48) è ora l’onore del suo popolo, l’ammirazione dei santi, la gloria degli eserciti dell’Altissimo (Eccli. XXIV, 1-4). Nella sua bellezza, vada con lo Sposo alla vittoria (Sal. XLIV, 4-6) e trionfi dei cuori dei potenti e degli umili (Eccli. XXIV, 11). La consegna dello scettro del mondo nelle sue mani non è solo onore, ma realtà e, infatti, da quella consegna. Maria comanda e combatte, protegge la Chiesa, ne difende il Capo, tien salde le schiere delle sacre milizie, suscita i santi, dirige gli Apostoli, illumina i dottori, stermina l’eresia, ricalpesta l’inferno.

Regina e Madre.

Salutiamo la nostra Regina, cantiamo le sue imprese, siamo docili al suo comando, soprattutto amiamola e conidiamo nel suo amore. Non abbiamo paura che, per le sollecitudini enormi che richiede la diffusione del regno di Dio, dimentichi la nostra piccolezza e le nostre miserie: nulla a Lei sfugge di quello che avviene nel più oscuro ridotto sul più lontano confine del suo immenso dominio. – Dal suo titolo, in effetto di causa universale, al di sotto di Dio, a buon diritto si deduce l’universalità della sua provvidenza; e i maestri di dottrina (Suarez, 3.a Pars, qu. XXXVII, art. 4; Disp. XXI, sez. 3.a) ci presentano Maria associata nella gloria alla scienza detta di visione, per la quale tutto ciò che è, fu e sarà davanti a Dio è presente. La sua carità non ha imperfezioni e, come il suo amore per Dio sorpassa quello di tutti gli eletti, la tenerezza di cui circonda il più piccolo, il più dimenticato e derelitto figlio di Dio, che è anche suo figlio, supera l’amore di tutte le madri concentrato sopra un figlio solo. Ci previene con le sue sollecitudini, ascolta in qualsiasi momento le umili preghiere, ci segue nelle colpevoli fughe, sostiene nelle debolezze, compatisce nei malanni del corpo e dell’anima, largisce le grazie delle quali è tesoriera. Con le parole di uno dei suoi grandi servi, diciamole dunque:

Preghiera.

O santissima Madre di Dio, che abbellisci la terra e il cielo, tu, lasciando la terra non hai abbandonato gli uomini e, se quando eri quaggiù vivevi in cielo, ora che sei in cielo dimori con noi. Veramente felici quelli che ti contemplarono e vissero con la Madre della vita! Ma, come Tu abitavi in carne con gli uomini dei primi tempi, ora abiti spiritualmente con noi. Noi ascoltiamo la tua voce, la voce di noi tutti giunge alle tue orecchie e la protezione continua con cui ci segui è prova della tua presenza. Tu ci visiti, il tuo occhio è su ciascuno di noi e, se anche non possiamo vederti, Tu sei in mezzo a noi e Ti mostri in modi diversi a chi è degno di vederti. La tua carne, uscita dal sepolcro, non arresta la immateriale potenza, l’attività purissima dell’anima tua, che, inseparabilmente unita allo Spirito Santo, si fa sentire dove vuole (Gv. III, 8). Ricevi, o Madre di Dio, l’omaggio riconoscente della nostra allegrezza e parla dei tuoi figli a Colui, che Ti ha glorificata e, con la sua potenza divina, Egli accoglierà qualsiasi tua domanda. Sia egli benedetto nei secoli (S. Germano di Costantinopoli: Sulla Dormitio 1).

[da: P. Guéranger; l’anno liturgico, vol. II].

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Con tali premesse, è naturale rileggere con attenzione la lettera enciclica del Santo Padre S.S. Pio XII “Munificentissimus Deus”, con la quale si ufficializzava il dogma mariano dell’Assunzione, lettera che risplende per: devozione e pietà mariana, scienza sacra, e autorità magisteriale.

PioXII-tiara

 

ENCICLICA

“MUNIFICENTISSIMUS DEUS”

DI S. S. PIO XII

“SULL’ASSUNZIONE DI MARIA AL CIELO IN ANIMA E CORPO”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI

AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE

PACE E COMUNIONE

PIO PP. XII

SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Pio Vescovo, servo dei servi di Dio a perenne memoria

Munificentissimus Deus, qui omnia potest, cuiusque providentiae consilium sapientia et amore constat, arcano suae mentis proposito populorum singulorumque hominum dolores intersertis temperat gaudiis, ut, diversis rationibus diversisque modis, ipsum diligentibus omnia cooperentur in bonum (cfr. Rom. VIII, 28)” ….

Il munificentissimo Dio, che tutto può e le cui disposizioni di provvidenza sono fatte di sapienza e d’amore, nei suoi imperscrutabili disegni contempera nella vita dei popoli e in quella dei singoli uomini dolori e gioie, affinché per vie diverse e in diverse maniere tutto cooperi in bene per coloro che lo amano (cf. Rm 8,28). – Il Nostro pontificato, come anche l’età presente, è assillato da tante cure, preoccupazioni e angosce, per le presenti gravissime calamità e l’aberrazione di molti dalla verità e dalla virtù; ma Ci è di grande conforto vedere che, mentre la fede cattolica si manifesta pubblicamente più attiva, si accende ogni giorno più la devozione verso la vergine Madre di Dio, e quasi dovunque è stimolo e auspicio di una vita migliore e più santa. – Per cui, mentre la santissima Vergine compie amorosissimamente l’ufficio di madre verso i redenti dal sangue di Cristo, la mente e il cuore dei figli sono stimolati con maggiore impegno a una più amorosa contemplazione dei suoi privilegi. – Dio, infatti, che da tutta l’eternità guarda Maria vergine, con particolare pienissima compiacenza, “quando venne la pienezza del tempo” (Gal IV,4), attuò il disegno della sua provvidenza in tal modo che risplendessero in perfetta armonia i privilegi e le prerogative che con somma liberalità ha riversato su di Lei. Che se questa somma liberalità e piena armonia di grazie dalla Chiesa furono sempre riconosciute e sempre meglio penetrate nel corso dei secoli, nel nostro tempo è stato posto senza dubbio in maggior luce il privilegio della corporea Assunzione al cielo della Vergine Madre di Dio Maria. – Questo privilegio risplendette di nuovo fulgore fin da quando il nostro predecessore Pio IX, d’immortale memoria, definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione dell’augusta Madre di Dio. Questi due privilegi infatti sono strettamente connessi tra loro. Cristo con la sua morte ha vinto il peccato e la morte, e sull’uno e sull’altra riporta vittoria in virtù di Cristo chi è stato rigenerato soprannaturalmente col battesimo. Ma per legge generale Dio non vuole concedere ai giusti il pieno effetto di questa vittoria sulla morte se non quando sarà giunta la fine dei tempi. Perciò anche i corpi dei giusti dopo la morte si dissolvono, e soltanto nell’ultimo giorno si ricongiungeranno ciascuno con la propria anima gloriosa. – Ma da questa legge generale Dio volle esente la beata vergine Maria. Ella per privilegio del tutto singolare ha vinto il peccato con la sua concezione immacolata; perciò non fu soggetta alla legge di restare nella corruzione del sepolcro, ne dovette attendere la redenzione del suo corpo solo alla fine del mondo. Per questo, quando fu solennemente definito che la vergine Madre di Dio Maria fu immune della macchia ereditaria fin dalla sua concezione, i fedeli furono pervasi da una più viva speranza che quanto prima sarebbe stato definito dal supremo Magistero della Chiesa anche il dogma della corporea Assunzione al cielo di Maria Vergine. Infatti si videro non solo singoli fedeli, ma anche rappresentanti di nazioni o di province ecclesiastiche e anzi non pochi padri del concilio Vaticano chiedere con vive istanze all’apostolica sede questa definizione. – In seguito queste petizioni e voti non solo non diminuirono, ma aumentarono di giorno in giorno per numero ed insistenza. Infatti per questo scopo furono promosse crociate di preghiere; molti ed esimi teologi intensificarono i loro studi su questo soggetto, sia in privato, sia nei pubblici atenei ecclesiastici e nelle altre scuole destinate all’insegnamento delle sacre discipline; in molte parti dell’orbe cattolico furono tenuti congressi mariani sia nazionali sia internazionali. Tutti questi studi e ricerche posero in maggiore luce che nel deposito della fede affidato alla chiesa era contenuto anche il dogma dell’Assunzione di Maria vergine al cielo; e generalmente ne seguirono petizioni con cui si chiedeva instantemente a questa sede apostolica che questa verità fosse solennemente definita. In questa pia gara i fedeli furono mirabilmente uniti coi loro pastori, i quali in numero veramente imponente rivolsero simili petizioni a questa Cattedra di S. Pietro. Perciò quando fummo elevati al trono del sommo Pontificato erano state già presentate a questa Sede Apostolica molte migliaia di tali suppliche da ogni parte della terra e da ogni classe di persone: dai nostri diletti figli cardinali del sacro Collegio, dai venerabili fratelli arcivescovi e vescovi, dalle diocesi e dalle parrocchie. – Per la qual cosa, mentre elevavamo a Dio ardenti preghiere perché infondesse nella Nostra mente la luce dello Spirito Santo per decidere di una causa così importante, impartimmo speciali ordini perché si fondessero insieme le forze e venissero iniziati studi più rigorosi su questo soggetto, e intanto si raccogliessero e si ponderassero accuratamente tutte le petizioni che dal tempo del Nostro predecessore Pio IX, di felice memoria, fino ai nostri tempi erano state inviate a questa Sede Apostolica circa l’Assunzione della beatissima Vergine Maria al cielo. – Ma poiché si trattava di cosa di tanta importanza e gravità, ritenemmo opportuno chiedere direttamente e in forma ufficiale a tutti i venerabili fratelli nell’episcopato che Ci esprimessero apertamente il loro pensiero. Perciò il 1° maggio 1946 indirizzammo loro la lettera [enciclica] Deiparae Virginis Mariae, in cui chiedevamo: “Se voi, venerabili fratelli, nella vostra esimia sapienza e prudenza ritenete che l’Assunzione corporea della beatissima Vergine si possa proporre e definire come Dogma di fede, e se col vostro clero e il vostro popolo lo desiderate”. – E coloro che “lo Spirito Santo ha costituito vescovi per pascere la chiesa di Dio” (At XX, 28) hanno dato all’una e all’altra domanda una risposta pressoché unanimemente affermativa. Questo “singolare consenso, dell’episcopato cattolico e dei fedeli” (Pio IX, Ineffabilis Deus), nel ritenere definibile, come dogma di fede, l’Assunzione corporea al cielo della Madre di Dio, presentandoci il concorde insegnamento del Magistero ordinario della Chiesa e la fede concorde del popolo cristiano, da esso sostenuta e diretta, da se stesso manifesta in modo certo e infallibile che tale privilegio è verità rivelata da Dio e contenuta in quel divino deposito che Cristo affidò alla sua Sposa, perché lo custodisse fedelmente e infallibilmente lo dichiarasse (Conc. Vat: I, “Dei Filius”). Il magistero della Chiesa, non certo per industria puramente umana, ma per l’assistenza dello Spirito di verità (cf. Gv XIV, 26), e perciò infallibilmente, adempie il suo mandato di conservare perennemente pure e integre le verità rivelate, e le trasmette senza contaminazione, senza aggiunte, senza diminuzioni. “Infatti, come insegna il concilio Vaticano, ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo, perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli apostoli, ossia il deposito della fede” (Conc. Vat. I, Const. dogm. “Pastor aeternus” de Ecclesia Christi, c. 4). Pertanto dal consenso universale di un Magistero ordinario della Chiesa si trae un argomento certo e sicuro per affermare che l’Assunzione corporea della beata Vergine Maria al cielo, – la quale, quanto alla celeste glorificazione del corpo virgineo dell’augusta Madre di Dio, non poteva essere conosciuta da nessuna facoltà umana con le sole sue forze naturali – è verità da Dio rivelata, e perciò tutti i figli della Chiesa debbono crederla con fermezza e fedeltà. Poiché, come insegna lo stesso concilio Vaticano, “debbono essere credute per fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o trasmessa oralmente o col suo ordinario e universale Magistero, propone a credere come rivelate da Dio” (Conc: Vat: I, “Dei Filius”). – Di questa fede comune della Chiesa si ebbero fin dall’antichità lungo il corso dei secoli varie testimonianze, indizi e vestigia; anzi tale fede si andò manifestando sempre più chiaramente. – I fedeli, guidati e istruiti dai loro pastori, appresero bensì dalla S. Scrittura che la Vergine Maria, durante il suo terreno pellegrinaggio, menò una vita piena di preoccupazioni, angustie e dolori; inoltre che si avverò ciò che il santo vecchio Simeone aveva predetto, perché un’acutissima spada le trapassò il cuore ai piedi della croce del suo divino Figlio, nostro Redentore. Parimenti non trovarono difficoltà nell’ammettere che Maria sia morta, come già il suo Unigenito. Ma ciò non impedì loro di credere e professare apertamente che non fu soggetto alla corruzione del sepolcro il suo sacro Corpo e che non fu ridotto in putredine e in cenere l’augusto Tabernacolo del Verbo divino. Anzi, illuminati dalla divina grazia e spinti dall’amore verso Colei che è Madre di Dio e Madre nostra dolcissima, hanno contemplato in luce sempre più chiara l’armonia meravigliosa dei privilegi che il provvidentissimo Iddio ha elargito all’alma Socia del nostro Redentore, e che hanno raggiunto un tale altissimo vertice, quale da nessun essere creato, eccettuata la natura umana di Cristo, è stato mai raggiunto. – Questa stessa fede attestano chiaramente quegli innumerevoli templi dedicati a Dio in onore di Maria Vergine Assunta al cielo, e le sacre immagini ivi esposte alla venerazione dei fedeli, le quali pongono dinanzi agli occhi di tutti questo singolare trionfo della beata Vergine. Inoltre città, diocesi e regioni furono poste sotto la speciale tutela e patrocinio della Vergine Assunta in cielo; parimenti con l’approvazione della Chiesa sono sorti Istituti religiosi che prendono nome da tale privilegio. – Né va dimenticato che nel Rosario mariano, la cui recita è tanto raccomandata da questa Sede Apostolica, viene proposto alla pia meditazione un mistero che, come tutti sanno, tratta dell’assunzione della beatissima Vergine. – Ma in modo più splendido e universale questa fede dei sacri Pastori e dei fedeli cristiani è manifestata dal fatto che fin dall’antichità si celebra in Oriente e in Occidente una solenne festa liturgica: di qui infatti i santi padri e i dottori della chiesa non mancarono mai di attingere luce, poiché, come è ben noto, la sacra Liturgia, “essendo anche una professione delle celesti verità, sottoposta al supremo Magistero della Chiesa, può offrire argomenti e testimonianze di non piccolo rilievo, per determinare qualche punto particolare della dottrina cristiana” (Enc. “Mediator Dei”). – Nei libri liturgici, che riportano la festa sia della Dormizione sia dell’Assunzione di santa Maria, si hanno espressioni in qualche modo concordanti nel dire che quando la vergine Madre di Dio salì al cielo da questo esilio, al suo sacro Corpo, per disposizione della divina Provvidenza, accaddero cose consentanee alla sua dignità di Madre del Verbo incarnato e agli altri privilegi a Lei elargiti. Ciò è asserito, per portarne un esempio insigne, in quel Sacramentario che il Nostro predecessore Adriano I, d’immortale memoria, mandò all’imperatore Carlo Magno. In esso infatti si legge: “Degna di venerazione è per noi, o Signore, la festività di questo giorno, in cui la santa Madre di Dio subì la morte temporale, ma non potè essere umiliata dai vincoli della morte Colei che generò il tuo Figlio, nostro Signore, incarnato da lei” (Sacramentarium Gregorianum). – Ciò che qui è indicato con la sobrietà consueta della Liturgia romana, nei libri delle altre antiche liturgie, sia orientali, sia occidentali, è espressa più diffusamente e con maggior chiarezza. Il Sacramentario gallicano, per esempio, definisce questo privilegio di Maria “inspiegabile mistero, tanto più ammirabile, quanto più è singolare tra gli uomini”. E nella liturgia bizantina viene ripetutamente collegata l’Assunzione corporea di Maria non solo con la sua dignità di Madre di Dio, ma anche con altri suoi privilegi, specialmente con la sua Maternità verginale, prestabilita da un disegno singolare della Provvidenza divina: “A te Dio, re dell’universo, concesse cose che sono al disopra della natura; poiché come nel parto ti conservò Vergine, così nel sepolcro conservò incorrotto il tuo corpo, e con la divina traslazione lo conglorificò” (Menaei totius anni). – II fatto poi che la Sede Apostolica, erede dell’ufficio affidato al Principe degli Apostoli di confermare nella fede i fratelli (cf. Lc XXII, 32), con la sua autorità rese sempre più solenne questa festa, stimolò efficacemente i fedeli ad apprezzare sempre più la grandezza di questo mistero. Così la festa dell’Assunzione dal posto onorevole che ebbe fin dall’inizio tra le altre celebrazioni mariane, fu portata in seguito fra le più solenni di tutto il ciclo liturgico. Il Nostro predecessore S. Sergio I, prescrivendo la litania o processione stazionale per le quattro feste mariane, enumera insieme la Natività, l’Annunciazione, la Purificazione e la Dormizione di Maria (Liber Pontificalis). In seguito S. Leone IV volle aggiungere alla festa, che già si celebrava sotto il titolo dell’Assunzione della beata Genitrice di Dio, una maggiore solennità, prescrivendone la vigilia e l’ottava; e in tale circostanza volle partecipare personalmente alla celebrazione in mezzo a una grande moltitudine di fedeli (ibidem). Inoltre che già anticamente questa festa fosse preceduta dall’obbligo del digiuno appare chiaro da ciò che attesta il Nostro predecessore S. Niccolò I, ove parla dei principali digiuni “che la santa chiesa romana ricevette dall’antichità ed osserva tuttora” (Responsa Nicolae Papae I ad consulta Bulgarorum, 13-11-866). – Ma poiché la Liturgia della Chiesa non crea la fede cattolica, ma la suppone, e da questa derivano, come frutti dall’albero, le pratiche del culto, i santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi rivolti al popolo in occasione di questa festa non vi attinsero come da prima sorgente la dottrina; ma parlarono di questa come di cosa nota e ammessa dai fedeli; la chiarirono meglio; ne precisarono e approfondirono il senso e l’oggetto, dichiarando specialmente ciò che spesso i libri liturgici avevano soltanto fugacemente accennato: cioè che oggetto della festa non era soltanto l’incorruzione del corpo esanime della beata Vergine Maria, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste “glorificazione”, a somiglianza del suo unigenito Gesù Cristo. – Così s. Giovanni Damasceno, che si distingue tra tutti come teste esimio di questa tradizione, considerando l’Assunzione corporea dell’alma Madre di Dio nella luce degli altri suoi privilegi, esclama con vigorosa eloquenza: “Era necessario che Colei, che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità, conservasse anche senza alcuna corruzione il suo Corpo dopo la morte. Era necessario che Colei, che aveva portato nel suo seno il Creatore fatto bambino, abitasse nei tabernacoli divini. Era necessario che la Sposa del Padre abitasse nei talami celesti. Era necessario che Colei che aveva visto il suo Figlio sulla croce, ricevendo nel cuore quella spada di dolore dalla quale era stata immune nel darlo alla luce, lo contemplasse sedente alla destra del Padre. Era necessario che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio e da tutte le creature fosse onorata come Madre e Ancella di Dio” (S. Ioannes Damascenus, Encomium in Dormitionem Dei Genitricis Virginis Mariae, hom. II, 14; cf etiam ibid., n. 3) – Queste espressioni di s. Giovanni Damasceno corrispondono fedelmente a quelle di altri, affermanti la stessa dottrina. Infatti parole non meno chiare e precise si trovano nei discorsi che in occasione della festa tennero altri Padri anteriori o coevi. Così, per citare altri esempi, S. Germano di Costantinopoli trovava consentanea l’incorruzione e l’Assunzione al ciclo del Corpo della Vergine Madre di Dio, non solo alla sua divina Maternità, ma anche alla speciale santità del suo stesso Corpo verginale: “Tu, come fu scritto, apparisci “in bellezza”, e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto domicilio di Dio; cosicché anche per questo sia poi immune dalla risoluzione in polvere; trasformato bensì, in quanto umano, nell’eccelsa vita della incorruttibilità; ma lo stesso vivo, gloriosissimo, incolume e dotato della pienezza della vita” (S. Germanus Const., In sanctae Dei Genitricis Dormitionem, sermo I). E un altro antico scrittore dice: “Come gloriosissima Madre di Cristo, nostro Salvatore e Dio, donatore della vita e dell’immortalità, è da Lui vivificata, rivestita di corpo in un’eterna incorruttibilità con Lui, che La risuscitò dal sepolcro e La assunse a sé, in modo conosciuto da Lui solo” [Encomium in Dormitionem sanctissimae Dominae nostrae Deiparae semperque Virginis Marine (S. Modesto Hierosol. attributum), n. 14.]. – Con l’estendersi e l’affermarsi della festa liturgica, i pastori della chiesa e i sacri oratori, in numero sempre maggiore, si fecero un dovere di precisare apertamente e con chiarezza il mistero che è oggetto della festa e la sua strettissima connessione con le altre verità rivelate. – Tra i teologi scolastici non mancarono di quelli che, volendo penetrare più addentro nelle verità rivelate e mostrare l’accordo tra la ragione teologica e la fede cattolica, fecero rilevare che questo privilegio dell’Assunzione di Maria vergine concorda mirabilmente con le verità che ci sono insegnate dalla sacra Scrittura. – Partendo da questo presupposto, presentarono per illustrare questo privilegio mariano diverse ragioni, contenute quasi in germe in questo: che Gesù ha voluto l’assunzione di Maria al cielo per la sua pietà filiale verso di Lei. Ritenevano quindi che la forza di tali argomenti riposa sulla dignità incomparabile della Maternità divina e su tutte quelle doti che ne conseguono: la sua insigne santità, superiore a quella di tutti gli uomini e di tutti gli angeli; l’intima unione di Maria col suo Figlio; e quell’amore sommo che il Figlio portava alla sua degnissima Madre. – Frequentemente poi s’incontrano teologi e sacri oratori che, sulle orme dei santi padri, (S. Ioannes Damascenus, Encomium in Dormitionem Dei Genitricis Virginis Mariae, hom. II, 11; Encomium in Dormitionem sanctissimae Dominae nostrae Deiparae semperque Virginis Marine (S. Modesto Hierosol. attributum) per illustrare la loro fede nell’assunzione si servono, con una certa libertà, di fatti e detti della s. Scrittura. Così per citare soltanto alcuni testi fra i più usati, vi sono di quelli che riportano le parole del Salmista: “Vieni o Signore, nel tuo riposo; tu e l’Arca della tua santificazione” (Sal. CXXXI, 8), e vedono nell’Arca dell’Alleanza fatta di legno incorruttibile e posta nel tempio del Signore, quasi una immagine del corpo purissimo di Maria vergine, preservato da ogni corruzione del sepolcro ed elevato a tanta gloria nel cielo. Allo stesso scopo descrivono la Regina che entra trionfalmente nella reggia celeste e si asside alla destra del divino Redentore (Sal XLIV, 10.14-16), nonché la Sposa del Cantico dei cantici “che sale dal deserto, come una colonna di fumo dagli aromi di mirra e d’incenso” per essere incoronata (Ct III, 6; cf. IV, 8; VI, 9). – L’una e l’altra vengono proposte come figure di quella Regina e Sposa celeste, che, insieme col divino Sposo, è innalzata alla reggia dei cieli. – Inoltre i dottori scolastici videro adombrata l’Assunzione della vergine Madre di Dio, non solo in varie figure dell’Antico Testamento, ma anche in quella Donna vestita di sole, che l’apostolo Giovanni contemplò nell’isola di Patmos (Ap XII, 1). – Così pure, fra i detti del Nuovo Testamento, considerarono con particolare interesse le parole “Ave, o piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne” (Lc I, 28), poiché vedevano nel mistero dell’Assunzione un complemento della pienezza di grazia elargita alla beatissima Vergine, e una benedizione singolare in opposizione alla maledizione di Eva. – Perciò sul principio della teologia scolastica il pio Amedeo, vescovo di Losanna, afferma che la carne di Maria vergine rimase incorrotta; – non si può credere infatti che il suo corpo vide la corruzione, – perché realmente fu riunito alla sua anima e insieme con essa fu circonfuso di altissima gloria nella corte celeste. – “Era infatti piena di grazia e benedetta fra le donne (Lc I,28). Lei sola meritò di concepire Dio vero da Dio vero, che partorì vergine, vergine allattò, stringendolo al seno, ed al quale prestò in tutto i suoi santi servigi e omaggi” (Amadeus Lausannensis, De Beata Virginis obitu,Assumptione in Caelum, exaltatione ad Filii dexteram). – Tra i sacri scrittori poi che in questo tempo, servendosi di testi scritturistici o di similitudini ed analogie, illustrarono e confermarono la pia sentenza dell’assunzione, occupa un posto speciale il dottore evangelico, Antonio da Padova. Nella festa dell’Assunzione, commentando le parole d’Isaia: “Glorificherò il luogo dove posano i miei piedi” (Is LX, 13), affermò con sicurezza che il divino Redentore ha glorificato in modo eccelso la sua Madre dilettissima, dalla quale aveva preso umana carne. “Con ciò si ha chiaramente – dice – che la beata Vergine è stata assunta col Corpo, in cui fu il luogo dei piedi del Signore”. – Perciò scrive il Salmista: “Vieni, o Signore, nel tuo riposo, tu e l’Arca della tua santificazione”. Come Gesù Cristo, dice il santo, risorse dalla sconfitta morte e salì alla destra del Padre suo, così “risorse anche dall’Arca della sua santificazione, poiché in questo giorno la Vergine Madre fu assunta al talamo celeste” (S. Antonius Patav., Sermones dominicales et in solemnitatibus. In Assumptione S. Mariae Virginis sermo). – Quando nel medio evo la teologia scolastica raggiunse il suo massimo splendore, S. Alberto Magno, dopo aver raccolti, per provare questa verità, vari argomenti, fondati sulla S. Scrittura, la Tradizione, la Liturgia e la ragione teologica, conclude: “Da queste ragioni e autorità e da molte altre è chiaro che la beatissima Madre di Dio è stata assunta in corpo ed anima al disopra dei cori degli angeli. E ciò crediamo assolutamente vero” (S. Alberto Magno, Mariale sive quaestiones super Evang. “Missus est”, q. 132). – E in un discorso tenuto il giorno dell’Annunciazione di Maria, spiegando queste parole del saluto dell’angelo: “Ave, o piena di grazia …”, il dottore universale paragona la santissima Vergine con Eva e dice espressamente che fu immune dalla quadruplice maledizione alla quale Eva fu soggetta (S. Alberto Magno, Sermones de sanctis, sermo XV: In annuntiatione B. Mariae; cf. etiam: Mariale, q.132). – Il dottore angelico, seguendo le vestigia del suo insigne Maestro, benché non abbia mai trattato espressamente la questione, tuttavia ogni volta che occasionalmente ne parla, ritiene costantemente con la Chiesa cattolica che insieme all’anima è stato assunto al cielo anche il corpo di Maria (Cf. Summa theol., III, q. 27, a. 1 c.; ibid., q. 83, a. 5 ad 8; Expositio salutationis angelicae; In symb. Apostolorum expositio, art. 5; In IV Sent., D. 12. q. 1, art. 3, sol. 3; D. 43, q. 1, art. 3. sol. 1 et 2). Dello stesso parere è, fra molti altri, il dottore serafico, il quale ritiene assolutamente certo che, come Dio preservò Maria santissima dalla violazione del pudore e dell’integrità verginale nella concezione e nel parto, così non ha permesso che il suo corpo si disfacesse in putredine e cenere (Cf. S. Bonaventura, De Nativitate B. Mariae Virginis, sermo 5). Interpretando poi e applicando in senso accomodatizio alla beata Vergine queste parole della S. Scrittura: “Chi è costei che sale dal deserto, ricolma di delizie, appoggiata al suo diletto? ” (Ct VIII, 5), così ragiona: “E di qui può constare che è ivi (nella città celeste) corporalmente. … Poiché infatti … la beatitudine non sarebbe piena, se non vi fosse personalmente; e poiché la persona non è l’anima, ma il composto, è chiaro che vi è secondo il composto, cioè il corpo e l’anima, altrimenti non avrebbe una piena fruizione” (S. Bonaventura, De Assumptione B. Marine Virginis, sermo 1). – Nella tarda scolastica, ossia nel secolo XV, s. Bernardino da Siena, riassumendo e di nuovo trattando con diligenza tutto ciò che i teologi del medioevo avevano detto e discusso a tal proposito, non si restrinse a riportare le principali considerazioni già proposte dai dottori precedenti, ma ne aggiunse delle altre. La somiglianza cioè della divina Madre col Figlio divino, quanto alla nobiltà e dignità dell’anima e del corpo – per cui non si può pensare che la celeste Regina sia separata dal Re dei cieli – esige apertamente che “Maria non debba essere se non dov’è Cristo”; (S. Bernardino da Siena In Assumptione B. Marine Virginis, sermo 2) inoltre è ragionevole e conveniente che si trovino già glorificati in cielo l’anima e il corpo, come dell’uomo, così anche della donna; infine il fatto che la Chiesa non ha mai cercato e proposto alla venerazione dei fedeli le reliquie corporee della beata Vergine, fornisce un argomento che si può dire “quasi una riprova sensibile” (Idem, l.c.). In tempi più recenti i pareri surriferiti dei santi Padri e dei Dottori furono di uso comune. Aderendo al consenso dei cristiani, trasmesso dai secoli passati, S. Roberto Bellarmino esclama: “E chi, prego, potrebbe credere che l’arca della santità, il domicilio del Verbo il tempio dello Spirito Santo sia caduto? Aborrisce il mio animo dal solo pensare che quella carne verginale che generò Dio, lo partorì, l’alimentò, lo portò, o sia stata ridotta in cenere o sia stata data in pasto ai vermi” (S. Roberto Bellarmino, Conciones habitae Lovanii, concio 40: De Assumptione B. Marine Virginis). – Parimenti S. Francesco di Sales, dopo avere asserito che non è lecito dubitare che Gesù Cristo abbia seguito nel modo più perfetto il divino mandato, col quale ai figli s’impone di onorare i propri genitori, si pone questa domanda: “Chi è quel figlio che, se potesse, non richiamerebbe alla vita la propria madre e non la porterebbe dopo morte con sé in paradiso ?” (Oeuvres de St Francois de Sales, Sermon autographe pour la féte de l’Assomption). E S. Alfonso scrive: “Gesù preservò il corpo di Maria dalla corruzione, perché ridondava in suo disonore che fosse guasta dalla putredine quella carne verginale, di cui Egli si era già vestito” (S. Alfonso Maria de’ Liguori, Le glorie di Maria, parte II, disc. 1). – Chiarito però ormai il mistero che è oggetto di questa festa, non mancarono dottori i quali piuttosto che occuparsi delle ragioni teologiche, dalle quali si dimostra la somma convenienza dell’Assunzione corporea della beata Vergine Maria in cielo, rivolsero la loro attenzione alla fede della Chiesa, mistica Sposa di Cristo, non avente né macchia, né grinza (cf. Ef V, 27), la quale è detta dall’apostolo “colonna e fondamento della verità” (1 Tm III, 15) e appoggiati a questa fede comune ritennero temeraria per non dire eretica, la sentenza contraria. Infatti S. Pietro Canisio, fra non pochi altri, dopo avere dichiarato che il termine Assunzione significa la glorificazione non solo dell’anima, ma anche del corpo e dopo aver rilevato che la Chiesa già da molti secoli venera e celebra solennemente questo mistero mariano dell’Assunzione, dice: “Questa sentenza è ammessa già da alcuni secoli ed è fissata talmente nell’anima dei pii fedeli e così accetta a tutta la Chiesa, che coloro che negano che il corpo di Maria sia stato assunto in ciclo, non vanno neppure ascoltati con pazienza, ma fischiati come troppo pertinaci, o del tutto temerari e animati da spirito non già cattolico, ma eretico” (S. Pietro Canisio, De Maria Virgine). Contemporaneamente il dottore esimio, posta come norma della mariologia che “i misteri della grazia, che Dio ha operato nella Vergine, non vanno misurati secondo le leggi ordinarie, ma secondo l’onnipotenza di Dio, supposta la convenienza della cosa in se stessa, ed esclusa ogni contraddizione o ripugnanza da parte della s. Scrittura” (Suarez F., In tertiam partem D. Thomae. quaest. 27. art. 2. disp. 3, sec. 5, n. 31) fondandosi sulla fede della Chiesa tutta, circa il mistero dell’Assunzione, poteva concludere che questo mistero doveva credersi con la stessa fermezza d’animo, con cui doveva credersi l’Immacolata Concezione della beata Vergine; e già allora riteneva che queste due verità potessero essere definite. – Tutte queste ragioni e considerazioni dei santi padri e dei teologi hanno come ultimo fondamento la S. Scrittura, la quale ci presenta l’alma Madre di Dio unita strettamente al suo Figlio divino e sempre partecipe della sua sorte. Per cui sembra quasi impossibile figurarsi che, dopo questa vita, possa essere separata da Cristo – non diciamo, con l’anima, ma neppure col corpo – Colei che lo concepì, lo diede alla luce, lo nutrì col suo latte, lo portò fra le braccia e lo strinse al petto. Dal momento che il nostro Redentore è Figlio di Maria, non poteva, come osservatore perfettissimo della divina legge, non onorare oltre l’eterno Padre anche la Madre diletta. Potendo quindi dare alla Madre tanto onore, preservandola immune dalla corruzione del sepolcro, si deve credere che lo abbia realmente fatto. – Ma in particolare va ricordato che, fin dal secolo II, Maria Vergine viene presentata dai santi padri come nuova Eva, strettamente unita al nuovo Adamo, sebbene a Lui soggetta, in quella lotta contro il nemico infernale, che, com’è stato preannunziato dal protovangelo (Gn III,15), si sarebbe conclusa con la pienissima vittoria sul peccato e sulla morte, sempre congiunti negli scritti dell’apostolo delle genti (cf. Rm cc. V e VI; 1 Cor XV,21-XV,54-57). Per la qual cosa, come la gloriosa risurrezione di Cristo fu parte essenziale e segno finale di questa vittoria, così anche per Maria la lotta che ha in comune col Figlio suo si doveva concludere con la glorificazione del suo corpo verginale: perché, come dice lo stesso apostolo, “quando… questo corpo mortale sarà rivestito dell’immortalità, allora sarà adempiuta la parola che sta scritta: è stata assorbita la morte nella vittoria” (1 Cor 15,54). – In tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità “con uno stesso decreto” (Bolla Ineffabilis Deus) di predestinazione, immacolata nella sua concezione. Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro, e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli (cf. 1 Tm I,17). – Poiché la Chiesa universale nella quale vive lo Spirito di verità e la conduce infallibilmente alla conoscenza delle verità rivelate, nel corso dei secoli ha manifestato in molti modi la sua fede, e poiché tutti i vescovi dell’orbe cattolico con quasi unanime consenso chiedono che sia definita come dogma di fede divina e cattolica la verità dell’assunzione corporea della beatissima vergine Maria al cielo – verità fondata sulla s. Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli, confermata dal culto ecclesiastico fin dai tempi remotissimi, sommamente consona con altre verità rivelate, splendidamente illustrata e spiegata dallo studio della scienza e sapienza dei teologi – riteniamo giunto il momento prestabilito dalla provvidenza di Dio per proclamare solennemente questo privilegio di Maria vergine. – Noi, che abbiamo posto il Nostro pontificato sotto lo speciale patrocinio della Santissima Vergine, alla quale Ci siamo rivolti in tante tristissime contingenze, Noi, che con pubblico rito abbiamo consacrato tutto il genere umano al suo Cuore Immacolato, e abbiamo ripetutamente sperimentato la sua validissima protezione, abbiamo ferma fiducia che questa solenne proclamazione e definizione dell’Sssunzione sarà di grande vantaggio all’umanità intera, perché renderà gloria alla Santissima Trinità, alla Quale la Vergine Madre di Dio è legata da vincoli singolari. Vi è da sperare infatti che tutti i cristiani siano stimolati da una maggiore devozione verso la Madre celeste, e che il cuore di tutti coloro che si gloriano del nome cristiano sia mosso a desiderare l’unione col corpo mistico di Gesù Cristo e l’aumento del proprio amore verso Colei che ha viscere materne verso tutti i membri di quel Corpo augusto. Vi è da sperare inoltre che tutti coloro che mediteranno i gloriosi esempi di Maria abbiano a persuadersi sempre meglio del valore della vita umana, se è dedita totalmente all’esercizio della volontà del Padre celeste e al bene degli altri; che, mentre il materialismo e la corruzione dei costumi da esso derivata minacciano di sommergere ogni virtù e di fare scempio di vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi agli occhi di tutti in modo luminosissimo a quale eccelso fine le anime e i corpi siano destinati; che infine la fede nella corporea Sssunzione di Maria al cielo renda più ferma e più operosa la fede nella nostra risurrezione. – La coincidenza provvidenziale poi di questo solenne evento con l’Anno santo che si sta svolgendo, Ci è particolarmente gradita; ciò infatti Ci permette di ornare la fronte della Vergine Madre di Dio di questa fulgida gemma, mentre si celebra il massimo giubileo, e di lasciare un monumento perenne della nostra ardente pietà verso la Regina del cielo. “Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria Vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo“.Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica.Affinché poi questa Nostra definizione dell’Sssunzione corporea di Maria vergine al cielo sia portata a conoscenza della chiesa universale, abbiamo voluto che stesse a perpetua memoria questa Nostra lettera apostolica; comandando che alle sue copie o esemplari anche stampati, sottoscritti dalla mano di qualche pubblico notaio e muniti del sigillo di qualche persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti assolutamente da tutti la stessa fede; che si presterebbe alla presente, se fosse esibita o mostrata.A nessuno dunque sia lecito infrangere questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o ad essa opporsi e contravvenire. Se alcuno invece ardisse di tentarlo, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso S. Pietro, nell’anno del massimo giubileo 1950, 1° novembre, festa di tutti i santi, nell’anno dodicesimo del Nostro pontificato. Noi Pio, vescovo della chiesa cattolica, così definendo abbiamo sottoscritto

PIO. PP. XII

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Ecco quindi le parole che enunciano il dogma infallibile ed immutabile dell’Assunzione della Vergine Maria così come definito dal Santo Padre, S.S. Pio XII: “…Quapropter, postquam supplices etiam atque etiam ad Deum admovimus preces, ac Veritatis Spiritus lumen invocavimus, ad Omnipotentis Dei gloriam, qui peculiarem benevolentiam suam Mariae Virgini dilargitus est, ad sui Filii honorem, immortalis saeculorum Regis ac peccati mortisque victoris, ad eiusdem augustae Matris augendam gloriam et ad totius Ecclesiae gaudium exsultationemque, auctoritate Domini Nostri Iesu Christi, Beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra pronuntiamus, declaramus et definimus divinitus revelatum dogma esse : Immaculatam Deiparam semper Virginem Mariam, expleto terrestris vitae cursu, fuisse corpore et anima ad caelestem gloriam assumptam. Quamobrem, si quis, quod Deus avertat, id vel negare, vel in dubium vocare voluntarie ausus fuerit, quod a Nobis definitum est, noverit se a divina ac catholica fide prorsus defecisse…”

 

“Ex apostolatus officio” ed “Inter multiplices curas”: le Bolle bollenti!

[Una bolla al giorno, toglie il modernista eretico di torno]

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“Ex apostolatus officio” edInter multiplices curas”: le Bolle bollenti!

La bolla di S. S. PAOLO IV, confermata dal Santo Padre S. Pio V, scomunica e manda tutti a casa (i falsi prelati, i loro adepti e i fanta-finti-fedeli) e, dopo la morte, assicura loro un posto “bollente” per sempre!

Se qualcuno avesse dato solo uno sguardo distratto ed infastidito alla bolla “Execrabilis” di Papa Pio II, (al secolo Silvio Enea Piccolomini), che abbiamo esaminato un po’ di tempo fa sul nostro blog, dovrebbe studiare con una certa attenzione quella di Paolo IV, (Pietro Carafa) un campano “doc”, perché nato nei pressi di Capriglia Irpina, alle falde di Montevergine, da una nobile famiglia napoletana. E se qualcuno non fosse convinto nemmeno da questo documento infallibile ed irreformabile, come del resto tutti i documenti del Magistero pontificio, dovrebbe consultare ancora l’altra Bolla di un Papa Santo addirittura “canonizzato”, e quindi al di sopra di qualsiasi sospetto sui Papi dell’epoca [ … purtroppo gli imbecilli sono sempre pronti a confutare con equina insipienza qualunque cosa non aggradi loro e non sia conforme al loro falso modo di intendere le cose e di vivere una Religione fatta a proprio uso e consumo o, se preferite, a propria immagine e somiglianza!]: il Santo Pio Quinto, (Michele Ghisleri). Cominciamo con ordine e partiamo da “Ex apostolatus officio” del 15 marzo A.D.1559. La traduzione della Bolla, a causa della grand’estensione dei periodi nell’originale in lingua latina, è opera impegnativa e da farsi col lume della ragione, oltre che dello Spirito Santo, perciò certe traduzioni pubblicate altrove appaiono scorrette, per non parlare della buona fede …. La causa di tali difficoltà è dovuta non solo alla tendenziosità di certi traduttori che distorcoro il senso originale a favore di opinioni opposte (… penso ai fallibilisti gallicani!), ma alla difficoltà di certi periodi latini, molto lunghi e di forme verbali assai complicate. Il testo in lingua latina, che qui ci è sembrato eccessivo pubblicare integralmente, si può evincere tranquillamente dal “Bullarium Romanum” edizione tipica pubblicata a Torino nel 1860, scaricabile da internet. Eccone il testo in italiano!

Paolo, Vescovo, – Servo dei servi di Dio -“Ad perpetuam rei memoriam”

Esordio : Impedire il Magistero dell’errore

Poiché, a causa della carica d’Apostolato affidataci da Dio, benché con meriti non adeguati, incombe su di noi il dovere d’avere cura generale del gregge del Signore. E siccome per questo motivo, siamo tenuti a vigilare assiduamente per la custodia fedele e per la sua salvifica direzione e diligentemente provvedere come vigilante Pastore, a che siano respinti dall’ovile di Cristo coloro i quali, in questi nostri tempi, indottivi dai loro peccati, poggiandosi oltre il lecito nella propria prudenza, insorgono contro la disciplina della vera ortodossia e pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture, per mezzo di fittizie invenzioni, tentano di scindere l’unità della Chiesa Cattolica e la tunica inconsutile del Signore, ed affinché non possano continuare nel magistero dell’errore coloro che hanno sdegnato di essere discepoli della verità.

1 – Finalità della Costituzione: Allontanare i lupi dal gregge di Cristo.

Noi, riteniamo che una siffatta materia sia talmente grave e pericolosa che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni, e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito (possit a fide devius, redargui), e che quanto maggiore è il pericolo, tanto più diligentemente ed in modo completo si debba provvedere, con lo scopo d’impedire che dei falsi profeti o altre persone investite di giurisdizione secolare possano miserevolmente irretire le anime semplici e trascinare con sé alla perdizione ed alla morte eterna innumerevoli popoli, affidati alle loro cure e governo per le necessità spirituali o temporali; né accada in alcun tempo di vedere nel luogo santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele, desiderosi come siamo, per quanto ci è possibile con l’aiuto di Dio e come c’impone il nostro dovere di Pastore, di catturare le volpi indaffarate a distruggere la vigna del Signore e di tener lontani i lupi dagli ovili, per non apparire come cani muti che non hanno voglia di abbaiare, per non subire la condanna dei cattivi agricoltori o essere assimilati al mercenario.

2 – Approvazione e rinnovo delle pene precedenti contro gli eretici

Dopo approfondito esame di tale questione con i nostri venerabili fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa, con il loro parere ed unanime consenso, Noi, con Apostolica autorità, approviamo e rinnoviamo tutte e ciascuna, le sentenze, censure e pene di scomunica, sospensione, interdizione e privazione, in qualsiasi modo proferite e promulgate contro gli eretici e gli scismatici da qualsiasi dei Romani Pontefici, nostri predecessori o esistenti in nome loro, comprese le loro lettere non collezionate, ovvero dai sacri concili ricevute dalla Chiesa di Dio, o dai decreti dei Santi Padri, o dei sacri canoni, o dalle Costituzioni ed Ordinamenti Apostolici, e vogliamo e decretiamo che essi siano in perpetuo osservati e che si torni alla loro vigente osservanza ove essa sia per caso in disuso, ma doveva essere vigenti; inoltre che incorrano nelle predette sentenze, censure e pene tutti coloro che siano stati, fino ad ora, sorpresi sul fatto o abbiano confessato o siano stati convinti o di aver deviato dalla fede, o di essere caduti in qualche eresia, od incorsi in uno scisma, per averli promossi o commessi, di qualunque stato (uniuscuiusque status), grado, ordine, condizione e preminenza essi godano, anche se episcopale (etiam episcopali), arciepiscopale, primaziale o di altra maggiore dignità (aut alia maiori dignitate ecclesiastica) quale l’onore del cardinalato o l’incarico (munus) della legazione della Sede Apostolica in qualsiasi luogo, sia perpetua che temporanea; quanto che risplenda con l’autorità e l’eccellenza mondana quale la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regia o imperiale.

3 – Sulle pene da imporre alla gerarchia deviata dalla fede. Legge e definizione dottrinale: privazione «ipso facto» delle cariche ecclesiastiche.

Considerando non di meno che, coloro i quali non si astengano dal male per amore della virtù, meritano di essere distolti per timore delle pene e che i vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori, i quali debbono istruire gli altri e dare loro il buon esempio per conservarli nella fede cattolica, prevaricando peccano più gravemente degli altri in quanto dannano non solo se stessi, ma trascinano con se alla perdizione nell’abisso della morte altri innumerevoli popoli affidati alla loro cura o governo, o in altro modo a loro sottomessi; Noi, su simile avviso ed assenso (dei cardinali) con questa nostra Costituzione valida in perpetuo (“perpetuum valitura”), in odio a così grave crimine, in rapporto al quale nessun altro può essere più grave e pernicioso nella Chiesa di Dio, nella pienezza della Apostolica potestà (“de Apostolica potestatis plenitudine”), sanzioniamo, stabiliamo, decretiamo e definiamo (“et definimus”), che permangano nella loro forza ed efficacia le predette sentenze, censure e pene e producano i loro effetti, per tutti e ciascuno (“omnes et singuli”) dei vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori i quali, come prima è stato stabilito fino ad oggi, siano stati colti sul fatto, o abbiano confessato o ne siano stati convinti per aver deviato dalla fede o siano caduti in eresia o siano incorsi in uno scisma per averlo promosso o commesso, oppure quelli che nel futuro, siano colti sul fatto per aver deviato dalla fede o per esser caduti in eresia o incorsi in uno scisma, per averlo suscitato o commesso, tanto se lo confesseranno come se ne saranno stati convinti, poiché tali crimini li rendono più inescusabili degli altri, oltre le sentenze, censure e pene suddette, essi siano anche (sint etiam), per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di alcuna altra procedura di diritto o di fatto, (absque aliquo iuris aut facti ministerio) interamente e totalmente privati in perpetuo (“penitus et in totum perpetuo privati”) dei loro Ordini, delle loro chiese cattedrali, anche metropolitane, patriarcali e primaziali, della loro dignità cardinalizia e di ogni incarico di Legato, come pure di ogni voce attiva e passiva e di ogni autorità, nonché‚ di monasteri, benefici ed uffici ecclesiastici (“et officiis ecclesiasticis”) con o senza cura di anime, siano essi secolari o regolari di qualunque ordine che avessero ottenuto per qualsiasi concessione o dispensa Apostolica, o altre come titolari, commendatari, amministratori od in qualunque altra maniera e nei quali beneficiassero di qualche diritto, benché saranno parimenti privati di tutti i frutti, rendite e proventi annuali a loro riservati ed assegnati, anche contee, baronie, marchesati, ducati, regni ed imperi; inoltre, tutti costoro saranno considerati come inabili ed incapaci (inhabiles et incapaces) a tali funzioni come dei relapsi [ribelli –ndr. -] e dei sovversivi in tutto e per tutto (in omnibus et per omnia), per cui, anche se prima abiurassero in pubblico giudizio tali eresie, “mai ed in nessun momento potranno essere restituiti, rimessi, reintegrati e riabilitati nel loro primitivo stato” nelle chiese cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali o nella dignità del Cardinalato od in qualsiasi altra dignità maggiore o minore, (“aut quamvis aliam maiorem vel minorem dignitatem”) nella loro voce attiva o passiva, nella loro autorità, nei loro monasteri e benefici ossia nella loro contea, baronia, marchesato, ducato, regno ed impero; al contrario, siano abbandonati all’arbitrio del potere secolare che rivendichi il diritto di punirli, a meno che mostrando i segni di un vero pentimento ed i frutti di una dovuta penitenza, per la benignità e la clemenza della stessa Sede, non siano relegati in qualche monastero od altro luogo soggetto a regola per darsi a perpetua penitenza con il pane del dolore e l’acqua dell’afflizione. – Essi saranno considerati come tali (ribelli e sovversivi) da tutti, di qualunque stato, grado, condizione e preminenza siano e di qualunque dignità anche episcopale, arciepiscopale, patriarcale, primaziale o altra maggiore ecclesiastica anche cardinalizia, ovvero che siano rivestiti di qualsiasi autorità ed eccellenza secolare, come la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regale e l’imperiale, e come persone di tale specie dovranno essere evitate (evitari) ed escluse da ogni umana consolazione.

4 – Estinzione della vacanza delle cariche ecclesiastiche

Coloro i quali pretendono di avere un diritto di patronato (“ius patronatus”) e di nomina delle persone idonee a reggere le chiese cattedrali, comprese le metropolitane, patriarcali, primaziali o anche monasteri ed altri benefici ecclesiastici resisi vacanti a seguito di tali privazioni (per privationem huiusmodi vacantia), affinchè‚ non siano esposti agli inconvenienti di una diuturna vacanza (vacationis), ma dopo averli strappati alla servitù degli eretici, siano affidati a persone idonee a dirigere fedelmente i popoli nella via della giustizia, dovranno presentare a Noi o al Romano Pontefice allora regnante, queste persone idonee alle necessità di queste chiese, monasteri ed altri benefici, nei limiti di tempo fissati dal diritto o stabiliti da particolari accordi con la Sede, altrimenti, trascorso il termine come sopra prescritto, la libera disposizione, delle chiese e monasteri, o anche dei benefici predetti, sia devoluto di pieno diritto a Noi od al Romano Pontefice suddetto.

5- Pene per il delitto di favoreggiamento delle eresie

Inoltre, incorreranno nella sentenza di scomunica «ipso facto», tutti quelli che scientemente (scienter) si assumeranno la responsabilità d’accogliere (“receptare”) e difendere, o favorire (eis favere) coloro che, come già detto, siano colti sul fatto, o confessino o siano convinti in giudizio, oppure diano loro attendibilità (credere) o insegnino i loro dogmi (eorum dogmata dogmatizare); e siano tenuti come infami; né siano ammessi, né possano esserlo (nec admitti possint) con voce, sia di persona, sia per iscritto o a mezzo delegato o di procuratore per cariche pubbliche o private, consigli, o sinodi o concilio generale o provinciale, né conclave di cardinali, né alcuna congregazione di fedeli od elezione di qualcuno, né potranno testimoniare; non saranno intestabili, né chiamati a successione ereditaria, e nessuno sarà tenuto a rispondere ad essi in alcun affare; se poi abbiano la funzione di giudici, le loro sentenze non avranno alcun valore e nessuna causa andrà portata alle loro udienze; se avvocati il loro patrocinio sia totalmente rifiutato; se notai, i rogiti da loro redatti siano senza forza o validità. – Oltre a ciò, siano i chierici privati di tutte e ciascuna delle loro chiese, anche cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali, delle loro dignità, monasteri, benefici e cariche ecclesiastiche (et officiis ecclesiasticis) in qualsivoglia modo, come sopra riferito, dalle qualifiche ottenute anche regolarmente, da loro come dai laici, anche se rivestiti, come si è detto, regolarmente delle suddette dignità, siano privati «ipso facto», anche se in possesso regolare, di ogni regno, ducato, dominio, feudo e di ogni bene temporale posseduto; i loro regni, ducati, domini, feudi e gli altri beni di questo tipo, diverranno per diritto, di pubblica proprietà o anche proprietà di quei primi occupanti che siano nella sincerità della fede e nell’unità con la Santa Romana Chiesa sotto la nostra obbedienza o quella dei nostri successori, i Romani Pontefici canonicamente eletti.

6 – Nullità della giurisdizione ordinaria e pontificale in tutti gli eretici.

Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore (“nulla, irrita et inanis esista”), la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione (adoratio) dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare (“nullam … facultatem”) a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza (viribus careant) tutte e ciascuna (“omnia et singula”) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (“nullam prorsus firmitatem nec ius”), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere (“auctoritate, officio et potestate”).

7 – La liceità delle persone subordinate di recedere impunemente dall’obbedienza e devozione alle autorità deviate dalla Fede.

E sia lecito a tutte ed a ciascuna delle persone subordinate a coloro che siano stati in tal modo promossi od elevati, ove non abbiano precedentemente deviato dalla fede, né siano state eretiche e non siano incorse in uno scisma o questo abbiano provocato o commesso, e tanto ai chierici secolari e regolari così come ai laici (quam etiam laicis) come pure ai cardinali, compresi quelli che avessero partecipato all’elezione di un Pontefice che in precedenza aveva deviato dalla fede o fosse eretico o scismatico o avesse aderito ad altre dottrine, anche se gli avessero prestato obbedienza e lo avessero adorato e così pure ai castellani, ai prefetti, ai capitani e funzionari, compresi quelli della nostra alma Urbe e di tutto lo Stato Ecclesiastico, anche quelli obbligati e vincolati a coloro così promossi od elevati per vassallaggio o giuramento o per cauzione, sia lecito (liceat) ritenersi in qualsiasi tempo ed impunemente liberati dalla obbedienza e devozione (ab ipsorum obedientia et devotione, impune quandocumque cedere) verso quelli in tal modo promossi ed elevati, evitandoli (evitare eos) quali maghi, pagani, pubblicani ed eresiarchi, fermo tuttavia da parte di queste medesime persone sottoposte, l’obbligo di fedeltà e di obbedienza da prestarsi ai futuri vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali e Romano Pontefice canonicamente subentranti [ai deviati]. – Ed a maggior confusione di quelli in tale modo promossi ed elevati, ove pretendano di continuare l’amministrazione, sia lecito richiedere l’aiuto del braccio secolare, né per questo, coloro che si sottraggono alla fedeltà ed all’obbedienza verso quelli che fossero stati nel modo già detto promossi ed elevati, siano soggetti ad alcuna di quelle censure e punizioni comminate a quanti vorrebbero scindere la tunica del Signore.

8 – Permanenza dei documenti precedenti e deroga dei contrari

Non ostano all’applicabilità di queste disposizioni, le costituzioni ed ordinamenti apostolici, né i privilegi, gli indulti e le lettere apostoliche dirette ai vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati e cardinali, né qualsiasi altro disposto di qualunque tenore e forma e con qualsivoglia clausola e neppure i decreti anche se emanati «motu proprio» (etiam motu proprio) e con scienza certa nella pienezza della potestà Apostolica, o promulgati concistorialmente od in qualsiasi altro modo e reiteratamente approvati e rinnovati od inseriti nel «corpus iuris», né qualsivoglia capitolo di conclave, anche se corroborati da giuramento o dalla conferma apostolica o rinforzate in qualsiasi altro modo, compreso il giuramento da parte del medesimo. – Tenute presenti tutte le risoluzioni sopra precisate, esse debbono aversi come inserite, parola per parola, in quelle che dovranno restare in vigore (alias in suo robore permansuris), mentre per la presente deroghiamo tutte le altre disposizioni ad esse contrarie, soltanto in modo speciale ed espresso (dum taxat specialiter et espresse).

9- Mandato di pubblicazione solenne

Affinché pervenga notizia delle presenti lettere a coloro che ne hanno interesse, vogliamo che esse, od una loro copia (che dovrà essere autenticata mediante sottoscrizione di un pubblico notaio e l’apposizione del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica), siano pubblicate ed affisse sulle porte della Basilica del Principe degli Apostoli in Roma e della Cancelleria Apostolica e messe all’angolo del Campo dei Fiori da uno dei nostri corrieri; e che copia di esse sia lasciata affissa nello stesso luogo, e che l’ordine di pubblicazione, di affissione e di lasciare affisse le copie sia sufficiente allo scopo e sia pertanto solenne e legittima la pubblicazione, senza che si debba richiedere o aspettare altra.

10 – Illiceità degli Atti contrari e sanzioni penali e divine.

Pertanto, a nessun uomo sia lecito (liceat) infrangere questo foglio di nostra approvazione, innovazione, sanzione, statuto, derogazione, volontà e decreto, né contraddirlo con temeraria audacia. – Che se qualcuno avesse la presunzione d’attentarvisi, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo”.

A questo punto, da sedicenti e presunti cattolici, non c’è da stare molto allegri. Ma sentiamo già i “soloni” delle sacre cose [le “loro” cose ovviamente] imbastire delle osservazioni e dei distinguo, come era già successo all’epoca della pubblicazione della bolla, bolla che procurava molti “bollori” ( … e non dico quale fosse la parte anatomica più colpita … ). A questi falsi filosofi e teologi da strapazzo, preoccupati non dell’anima, ma della regione anatomica suddetta, pensò così di rispondere opportunamente Michele Ghisleri, S.S. San Pio V, con l’altra bolla, di qualche anno successiva alla summenzionata, che chiudeva e “chiude” definitivamente la questione, anche per i fallibilisti falsi chierici gallicani! L’eretico non può assumere cariche ecclesiastiche, compresa [anzi soprattutto] quella massima del Supremo Pontefice. Ora appare lampante che “coloro che” abbiano in qualsiasi modo, partecipato, sostenuto, approvato e divulgato i documenti eretici del Vaticano secondo, ne diffondano ed approvino i contenuti spacciandoli ingannevolmente come cattolici, ricadono ampiamente in questa rete loro preparata per tempo, con circa un mezzo millennio di anticipo, giusto per consentire a noi altri [sbigottiti o non …] di intelletto lento, di comprendere l’affare, denunciarlo e porvi riparo. Ecco quindi l’altra bolla, nelle parti che ci interessano qui:

“Bolla XXXIII” (-21.12.1566-) (Boll. Rom. Ed. Taur. VII).

     Declaratio quod sententiae in favorem reorum de haeresi inquisitorum a quibuscumque iudicibir contra stilum vel dispositionem iurisdictionis Offici sanctissimae Inquisitionis latae et ferendae, non transierint nec transeant in rem judicatam; et jurisdictio cardinalium inquisitorum ipsas causas revidendi; et confirmatio constitutionis Pauli quarti editae contra haereticos (1).

.(1)- [Haec bulla Pauli IV, cum ex. Est in tom. VI, pag. 551.]

Pius Papa V, motu proprio, etc ….

Inter multiplices curas, quae animum nostrum assidue pulsant, illi in primis est, prout esse debet, … ( …)

  • 3. Et insuper, vestigiis felicis recordationis Pauli Papae IV, praedecessoris nostri, inhaerendo, constitutionem alias contra haereticos et schismaticos per eumdem Paulum praedecessorem, sub data vide licet Romaese apud Sanctum Petrum, anno incarnationis dominicae millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, quinto decimo kalendas martii, pontificatus sui anno IV, editam, tenore praesentium renovamus et etiam confirmamus, illamque inviolabiter et ad unguem observari volumus et mandamus, iuxta illius seriem atque tenorem. (….)

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[Dichiarazione che le sentenze degli inquisitori in favore dei colpevoli di eresia, inquisiti da qualunque giudice contro quanto disposto dalla giurisdizione dell’Ufficio della Santissima Inquisizione, già pronunciate o da pronunciare non passino in sentenza, e diritto dei cardinali inquisitori di riesaminare quelle stesse cause, conferma dell’editto di Paolo IV, pubblicato contro gli eretici.]

[3) … Ed inoltre rifacendosi al felice esempio del nostro predecessore Papa Paolo IV rinnoviamo e confermiamo ancora una volta il decreto contro gli eretici e gli scismatici, pubblicato a Roma presso S. Pietro dallo stesso Paolo, nostro predecessore, nell’anno 1559 dell’Incarnazione del Signore, il 15 febbraio, anno quarto del suo pontificato. Tale decreto rinnoviamo e confermiamo e vogliamo e comandiamo che sia osservato in maniera precisa e inviolabile.]

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   Mi faceva pertinentemente notare un amico: ma se quelli che hanno letto la bolla “Execrabilis” e non si spaventano, inorridendo, del fuoco eterno, e pensano che sia solo una questione secondaria risolvibile, non secondo l’intento dei Papi infallibili, ma con la odierna fantasiosa misericordia “di comodo”, o non credono affatto all’esistenza dell’inferno (altra eresia ventilata dai falsi anti-papa neomodernisti-conciliari), non avranno a maggior ragione nessun timore di questi e di altri successivi anatemi. Tanto, a che serve preoccuparsi dell’inferno minacciato da una Bolla, se uno vi è già condannato da un’altra, ed un’altra ancora? Probabilmente l’amico ha ragione, ma noi siamo degli inguaribili ottimisti, chissà … forse il ripetersi tambureggiante degli anatemi scuoterà qualche coscienza narcotizzata, uno scossone in più potrebbe finalmente svegliare i “belli addormentati nei sepolcri imbiancati” … intanto tutti siamo chiamati a pregare, per noi stessi e per i pastori, veri o falsi che siano, delle povere pecorelle di Cristo.

A qual patto Dio promise l’infallibilità ai primi Pastori.

A qual patto Dio promise l’infallibilità ai primi Pastori.

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Nella festa di San Pietro, vogliamo riportare uno stralcio di mons. E. Barbier, tratto da “I Tesori di Cornelio Alapide, a proposito della infallibilità del successore di Pietro e Vicario di GESU’ CRISTO, tanto per schiarire le idee a molti pseudo fedeli ingannati che seguono le eresie gallicane e fallibiliste dei signori di Econe & C., della radice velenosa di Lienart, sedicenti tradizionalisti per meglio ingannare gli incauti ed ignoranti con la celebrazione di false ed invalide messe sacrileghe, officiate da semplici laici, con la pianeta … mai validamente consacrati. Che la Vergine Maria respinga e bruci tutte le eresie attuali, a cominciare dall’ecumenismo e dal conciliarismo, e quelle più sottili ed ingannevoli dei (sedicenti) tradizionalisti scismatici sedevacantisti, sia materiali che formali. Preghiamo il Principe degli Apostoli affinché il Signore si decida quanto prima a ristabilire il “vero” Santo Padre nella sua Cattedra, oggi vergognosamente usurpata!

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A qual patto Dio promise l’infallibilità ai primi Pastori.

[da I tesori di Cornelio Alapide, vol. I, Torino, 1930]

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Resta a vedere a quali condizioni Gesù Cristo abbia promessa l’infallibilità a’ primi pastori. E qui, la – l)a di queste sarà forse che i detti pastori, chiamati a decidere di tutte le controversie in ultimo appello, siano tutti santi? – Ma in questo caso Gesù Cristo non avrebbe provveduto a nulla, perché consistendo la santità nel cuore, dove nessuno quaggiù può giudicare, noi non potremmo sapere mai chi sia santo, e chi no: uno pare gran santo ed è finissimo ipocrita. Se dunque fosse necessario questa condizione, sempre dubbiosa sarebbe la nostra fede.

2)a Si richiederà forse che siano tutti arche di scienza! Ma i fedeli dovrebbero essere ancora più sapienti per giudicare se quelli lo siano e qual grado di scienza ci voglia per ben decidere. Questo, da parte di Gesù Cristo, sarebbe stato un procurare la stabilità della fede, o non piuttosto un renderla incertissima?

3)a A Sarà a patto che abbiano tutti una diritta intenzione e non operino che spinti da motivi puri e soprannaturali? Ma chi penetrerà nel segreto della mente, chi scandaglierà l’abisso del cuore? Ed ecco di nuovo incertezza e dubbio, invece di saldezza e sicurezza.

4)a Sarà necessario che vi concorra il voto di tutti i Vescovi? Allora sarebbe inutile questo dono di Gesù Cristo alla sua Chiesa, perché non si potranno mai radunare tutti quanti i vescovi, né materialmente in persona, né moralmente in una sola sentenza; qualcheduno vi si troverà sempre di parere contrario.

5)a Sarà almeno a condizione che siano sbanditi da tali assemblee gli intrighi, le cabale, le brighe? Oltreché sarebbe questo un pretendere da Dio un miracolo non necessario, poco con ciò si provvederebbe alla conservazione del deposito della fede, perché nessuno non potrebbe cavare di mente ai più restii e procaci, che non vi sono stati raggiri e cabale all’aperto, e numerose ve ne furono però in segreto e di soppiatto, e gli eretici condannati, non mancherebbero d’afferrarsi a quest’appiglio.

6)a Bisognerà che il giudizio di ciascun vescovo sia stato preceduto da un esame scrupoloso, in cui siasi confrontato il punto controverso con la Scrittura e con i monumenti della tradizione, e che tutto questo si conosca pubblicamente? Ma come accertarsi e persuadersi che ciò si è fatto? Non si sono forse gli eretici, dopo la loro condanna, sempre lagnati che non si era bene esaminata la questione, non ben compresa la difficoltà? È certamente necessario che alla decisione vada innanzi un serio esame, e sarebbe colpevole quel vescovo che decidesse senz’aver attentissimamente discusso le materie su le quali sentenzia: e tutti sanno che così si suol fare; ma non a questa condizione Gesù Cristo ha legato l’infallibilità promessa ai primi pastori, perché essa ci lascerebbe tuttavia luogo a temere che non abbiano abbastanza pregato ed esaminato, e la nostra fede non sarebbe, per conseguenza, giammai ferma.

7)a Dovrà la difficoltà essere risolta in un concilio generale? Ma dove mai Gesù Cristo ha parlato di concilio generale o particolare? Egli c’indirizza alla Chiesa, ma non ci dice che intenda mandarci alla Chiesa congregata. Quindi la Chiesa sparsa, unita al sommo Pontefice, è tanto infallibile quanto la Chiesa riunita in concilio.

8)a Si richiederà finalmente che si abbia certezza che la sentenza dei primi pastori sia proferita sinceramente, senza che c’entri per nulla la politica, o veruna considerazione umana, o timore, o interesse, o compiacenza verso qualche potere terreno? Questo, invero, è sempre stato il ridicolo pretesto degli eretici per non sottomettersi alla condanna pronunziata contro di loro. Ma se a questo patto fosse stata promessa l’infallibilità della Chiesa, chi sarebbe ancora sicuro di qualche cosa? Sempre e per poco nascerebbe il sospetto, che non abbiano i vescovi ceduto a mire politiche, o d’interesse, o di timore, ed eccoci sempre titubanti intorno alla validità del loro giudizio. Dunque da nessuna delle riferite condizioni dipende l’infallibilità promessa alla Chiesa: le promesse di Gesù Cristo sono assolute e non legate a condizioni. L’infallibilità è annessa alla decisione del maggior numero dei vescovi uniti di comunione e anche di sentimento al Papa. Quindi, o i primi pastori sieno santi o no; sparsi o assembrati; abbiano diritta intenzione o sinistra; vi siano passate brighe, o no; abbiano giudicato per mire politiche, di interesse, o di che altro; si pretenda che siasi mancato nella forma canonica, nell’uniformità dei sentimenti; che il giudizio dei vescovi non fu preceduto da un esame sufficiente; che non si è fatto ricorso alla Scrittura e bilanciato l’affare coi monumenti della tradizione; che si mettano innanzi tutti i pretesti, i cavilli, i raggiri, le finezze, gli artifici, le sottigliezze immaginabili; che si blateri che la procedura non procedette regolare, che la sentenza non è stata canonica; nulla di tutto questo, né qualunque altra cosa che possa inventare la malizia della mente umana aguzzata dall’eresia, importa un bel nulla: rimane fermo che la Chiesa, dove si tratta della fede, non trascura nulla di quanto è necessario a rendere certa, indubitabile, inviolabile, la sua decisione. Ripetiamolo, le promesse di Gesù Cristo sono assolute, non legate a condizione di sorta. Qualunque siano le disposizioni dei primi Pastori che sentenziano la fede, la loro decisione è sempre infallibile e suona oracolo di Spirito Santo, quando sono uniti al centro dell’unità cattolica e giudicano col Papa. Perché allora la provvidenza divina disporrà infallibilmente gli spiriti in tal guisa che decideranno sempre conforme alla verità e mai a favore dell’errore, e ciò in virtù delle promesse di Gesù Cristo. Se così non fosse, noi non saremmo mai sicuri di nulla, neppure delle decisioni de’ concili generali. – Ma una decisione chiara e precisa della maggior parte dei vescovi, uniti in un sentimento col Papa, rende la fede nostra salda, certa, esente d’ogni dubbio, inquietudine, incertezza, perplessità. Ecco la regola infallibile del nostro credere a cui non contraddice nessun cattolico, essendo essa stata in ogni tempo la regola di tutta la Chiesa, e nessuno può sconfessarla senza dichiararsi eretico e scismatico. A questo solo punto si riducono tutte le controversie che mai furono e saranno nel mondo: qui è l’ultimo e supremo tribunale da cui non è mai permesso appellarsi. E in verità, la Chiesa sarebbe un corpo ben mal congegnato e mal fermo, se non vi fosse né capo, né giudice il quale componesse inappellabilmente le differenze, decidesse infallibilmente le controversie, a cui può dare origine la Scrittura in materia di religione; e ad accertarsene, basta volgere l’occhio su tutte le altre religioni sedicenti cristiane: voi non ci vedete che corpi mostruosi, appunto Perché non hanno né capo, né giudice il quale possa decidere in modo sicuro e infallibile i dubbi e le obbiezioni loro; seguono per unica regola la Scrittura santa da loro malmenata, falsificata, interpretata a proprio capriccio, quindi vi pullulano tra di loro tante sette quante sono le teste. Ma in tanto la verità non può essere che una sola, dunque essi versano nell’errore. -Ecco ora le regole che bisogna osservare e che furono ogni tempo osservate, per un concilio generale: vi si scorge la prudenza, la sapienza e lo spirito di Dio che guidano la Chiesa; sono tali insomma che bastano a chiudere la bocca a qualunque avversario che non abbia perduto affatto il buon senso ed ogni rossore.

.- l. Bisogna, dice il Bellarmino (De homil., lib . I , 9, 17), che la convocazione si pubblichi nelle principali parti del mondo cristiano. – 2. A Nessun vescovo ne deve essere escluso senza legittima e grave causa, quale sarebbe se fosse eretico o scismatico, notorio o scomunicato. – 3. Che vi si trovi qualche vescovo almeno delle più ragguardevoli e insigni province. – 4. Il Papa deve presiedere o in persona o per mezzo de’ suoi legati, altrimenti figurerebbe un corpo senza capo, il quale non rappresenterebbe la Chiesa. – 5. A Che non venga disciolto dal Papa: questa condizione procede dalla precedente, poiché quando il Papa più non vi presiede, o per sè o per i suoi legati, il concilio più non esiste. – 6. Che vi sia la libertà del voto . – 7. Quand’è finito deve essere confermato dal Papa: questa conferma è garanzia ai fedeli della legittimità del concilio, e assicurazione che ogni cosa vi si è fatta canonicamente.

 

Graves ac diuturnae: ATTENTI AL LUPO!

Pio IX

Graves ac diuturnae

pio IX

“Le gravi e diuturne insidie, e gli sforzi che ogni giorno più compiono in codesta regione i neo-eretici, che si dicono vecchi cattolici, per ingannare e strappare dall’avita fede il popolo fedele, Ci muovono, per dovere del supremo Nostro Apostolato, a portare con ogni zelo le cure e le sollecitudini paterne in difesa della salute spirituale dei Nostri Figli. Ci è noto infatti, Venerabili Fratelli, e con dolore lo deploriamo, che i predetti scismatici ed eretici, nel territorio della diocesi di Basilea, ed in altri luoghi di codesta regione, mentre la libertà religiosa dei cattolici è pubblicamente oppressa dalle leggi scismatiche, essi, col favore dell’autorità civile, esercitano il ministero della condannata loro setta, e, occupate violentemente le parrocchie e le chiese da preti apostati, non tralasciano alcun genere di frode e di artificio per attirare miseramente nello scisma i Figli della Chiesa cattolica. Siccome poi fu sempre proprio e peculiare degli eretici e degli scismatici l’usare simulazione ed inganni; così questi Figli delle tenebre (che debbono annoverarsi fra coloro ai quali fu detto dal Profeta: “Guai a voi, figli disertori, che nutrite fiducia nella Protezione dell’Egitto: avete respinto il Verbo e avete confidato nella calunnia e nel disordine“) nulla hanno maggiormente a cuore che d’ingannare gl’incauti e gl’ignoranti, e trarli negli errori con la simulazione e l’ipocrisia, ripetendo pubblicamente che non respingono la Chiesa cattolica e il suo Capo visibile, ma anzi desiderano la purezza della dottrina cattolica, e sono essi soli cattolici ed eredi dell’antica fede. Di fatto essi non vogliono riconoscere tutte le prerogative del Vicario di Cristo in terra, né sono ossequienti al supremo magistero di Lui. – Per diffondere poi ampiamente le loro dottrine eretiche, sappiamo pure che alcuni di essi hanno assunto l’ufficio d’insegnare la sacra teologia nell’Università di Berna, sperando in tale modo di potere guadagnare fra la gioventù cattolica nuovi seguaci della loro condannata fazione. Noi abbiamo già riprovato e condannato questa deplorabile setta. Con la Nostra lettera pubblicata il 21 novembre dell’anno 1873, abbiamo detto e dichiarato che quegli infelici, i quali a tale setta appartengono e ad essa danno adesione e favore, sono segregati dalla comunione della Chiesa e devono ritenersi scismatici. Dichiarando ora di nuovo e pubblicamente questa stessa cosa, crediamo Nostro dovere, Venerabili Fratelli, di rivolgerci a voi affinché, con quello specchiato vostro zelo e con quella egregia vostra virtù, di cui avete dato splendidi esempi nel sostenere tribolazioni per la causa dl Dio, in ogni modo possibile difendiate l’unità della fede nei vostri fedeli, e richiamiate alla loro memoria che si guardino con ogni attenzione da quegl’insidiosi nemici del gregge di Cristo e dai loro pascoli velenosi; rifuggano assolutamente dai loro riti religiosi, dalle istruzioni, dalle cattedre di pestilenza, erette per insegnare impunemente le sacre dottrine; dai loro scritti e da qualunque contatto; non sopportino alcuna convivenza e relazione coi preti intrusi ed apostati dalla fede, i quali osano esercitare gli uffici del ministero ecclesiastico, e sono privi di legittima missione e di qualsiasi giurisdizione; aborriscano dai medesimi come da estranei e da ladri, i quali vengono solo per rubare, per uccidere, per rovinare. Infatti i Figli della Chiesa debbono pensare che si tratta di custodire il preziosissimo tesoro della fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio, ed insieme di conseguire il fine della fede, la salvezza delle anime proprie, seguendo la retta via della giustizia. – E poiché conosciamo che costì, oltre alle altre leggi ostili alla divina costituzione ed all’autorità della Chiesa, ne sono state emanate altre dall’autorità civile, assolutamente contrarie alle prescrizioni canoniche relative al matrimonio cristiano, e che con queste leggi sono del tutto conculcate l’autorità e la giurisdizione ecclesiastica, non possiamo fare a meno, Venerabili Fratelli, di esortarvi nel Signore affinché con opportune istruzioni spieghiate ai vostri fedeli la dottrina cattolica sul matrimonio cristiano, e ricordiate loro ciò che molte volte nelle Nostre Lettere Apostoliche o nelle Allocuzioni, specialmente in quelle del 9 e 27 settembre 1852, abbiamo inculcato intorno a questo Sacramento, ond’essi conoscano pienamente la santità e la forza di questo Sacramento, e in ciò conformandosi piamente alle leggi canoniche, possano evitare quei mali che derivano nelle famiglie e nella umana società dalla dispregiata santità del matrimonio. – Confidiamo poi moltissimo nel Signore che voi, diletti Figli Parroci ed ecclesiastici (che vi trovate, non solo per la vostra ma anche per l’altrui santificazione e salvezza, in così grande cospirazione degli empi e in mezzo a tanti pericoli di seduzioni) secondo la vostra pietà e il vostro zelo, di cui abbiamo avuto splendide prove, sarete di efficace conforto ed aiuto ai vostri Vescovi, e sotto la loro guida vi adoprerete con coraggio ed alacrità per difendere diligentemente la causa di Dio, della Chiesa e della salvezza delle anime, per confermare la virtù dei fedeli che resistono alle prove, per soccorrere la debolezza dei vacillanti, e per accrescere ogni giorno più quei meriti presso Dio, che avete acquistato con la pazienza, con la costanza, con la forza sacerdotale. Sono pur gravi le fatiche che in questo tempo debbono sostenere coloro che rappresentano le veci di Gesù Cristo; ma la Nostra fiducia dev’essere riposta in Colui che vinse il mondo e che aiuta chi fatica nel suo nome, e lo ricompensa nei cieli con immarcescibile corona di gloria. – Voi poi, fedeli tutti, Nostri Figli diletti dimoranti nella Svizzera, cui, solleciti come siamo della vostra salute, con paterno affetto dirigiamo la parola, voi, che ben comprendete quanto sia prezioso il dono della fede cattolica che Dio vi ha elargito, non risparmiate cura e fatica, al fine di custodire fedelmente tale dono e conservare incolume ed integra la gloria della religione che riceveste dai vostri maggiori. Perciò vi raccomandiamo vivamente di stare con fermezza e costanza uniti ai vostri legittimi Pastori, i quali da questa Sede Apostolica ricevettero la loro missione e vegliano per le anime vostre, dovendo renderne conto a Dio; vi raccomandiamo di ascoltare obbedienti la loro voce, avendo sempre dinnanzi agli occhi queste parole dell’eterna Verità, “chi non è con me è contro di me; chi non raccoglie con me, disperde” Siate ossequienti alle dottrine di essa, ed amanti del soave suo giogo, respingendo lontano da voi con energia coloro dei quali il Redentore nostro disse: “Guardatevi dai falsi Profeti che vengono a voi in veste di agnelli, in verità nell’intimo sono lupi rapaci“. Forti della fede, resistete adunque all’antico nemico del genere umano, “finché la destra di Dio onnipotente annienti tutte le armi del diavolo, al quale per questo viene concesso di osare qualunque cosa affinché derivi dalla vittoria maggior gloria ai fedeli di Cristo… poiché dove la verità è maestra, non mancano mai le consolazioni divine” (San Leo, in Epistola ad Martinum Presbyterum). – Scrivervi queste cose, Venerabili Fratelli e diletti Figli, stimammo che fosse dovere del Nostro ministero, in forza del quale siamo tenuti a salvare tutto il gregge di Cristo da qualsivoglia pericolo di frode, ed a tutelare la sua salute nonché l’unità della fede e della Chiesa. Siccome pertanto ogni ottima concessione ed ogni dono perfetto emanano direttamente dal Padre dei lumi, dal profondo del cuore invochiamo Lui a confortare nella lotta le vostre forze, a sostenervi con la sua protezione e col suo presidio, ed a guardare con occhio propizio codesta regione, affinché, sgominati gli errori e i consigli degli empi, essa possa godere tranquilla la pace della verità e della giustizia. Né tralasciamo di implorare il supremo Lume anche per i miseri traviati, affinché desistano dall’accumulare a loro danno lo sdegno divino, per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, ma, finché sono in tempo, si convertano con una sincera penitenza dalla via dell’errore. – Voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, unite le vostre alle fervide Nostre preci, acciocché otteniamo misericordia e grazia nell’aiuto opportuno, e ricevete l’Apostolica Benedizione che dal profondo del cuore, quale pegno di singolare Nostra carità, a tutti e ai singoli affettuosamente impartiamo nel Signore.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 23 marzo 1875, anno ventinovesimo del Nostro Pontificato.

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Come allora, oggi ancor più, in Svizzera e un po’ dappertutto, imperversano i falsi “veri cattolici” della tradizione, i “falsi Profeti” in veste di agnello. Attenzione dunque ai “figli delle tenebre”, ai lupi in cuor loro rapaci, a coloro che si proclamano i veri cattolici legati alla tradizione, magari solo perché celebrano la Messa di sempre (in vero sacrilegamente, perché pseudo-preti laici mai consacrati validamente da Vescovi validi e nominati dalla Sede Apostolica), ma che aderiscono comunque all’apostasia della setta conciliare-modernista riconoscendone il capo come vero Papa, al quale però si dicono in diritto di disobbedire, contraddicendo il Magistero alla sua base, Magistero che essi dicono di osservare, ma evidentemente solo per quello che fa loro comodo, ed eludendo allegramente ciò che riguarda il POTERE DI GIURISDIZIONE, la nomina autonoma ed incontrollata di falsi vescovi e la MISSIONE CANONICA  di falsi sacerdoti, la fondazione di scuole e SEMINARI mai autorizzati dalla Sede apostolica, nemmeno da quella fasulla! … senza contare le radici massoniche del falso-cardinale Lienart, che da buon 30° grado, cioè scomunicato abbondantemente “ipso facto”, non ha mai consacrato validamente alcun sacerdote e Vescovo! – Attenzione pure ai lupi sedevacantisti o ai subdoli sedeprivazionisti, tutti invalidamente consacrati spesso da ridicoli e pittoreschi vescovi auto referenziati, senza alcuna giurisdizione. Essi ritengono Gesù Cristo un bugiardo quando ha asserito che Egli sarebbe stato con noi fino all’ultimo giorno del mondo, e ritengono falsi i santi Padri conciliari presieduti da S.S. Pio IX al concilio Vaticano, quando nella “Pastor Aeternus” hanno ribadito infallibilmente che:Se qualcuno dunque affermerà che non è per disposizione dello stesso Cristo Signore, cioè per diritto divino, che il beato Pietro abbia per sempre successori nel Primato sulla Chiesa universale […]: sia anatema [Cap. II]. – Ascoltiamo allora la voce della Chiesa attraverso il Magistero autentico, e lasciamo le suggestioni sentimentali, le affezioni amicali, il rispetto umano, la millantata autenticità ed il falso tradizionalismo, le auto-rivelazioni mariane taroccate, etc. Il Magistero è chiaro, bisogna solo leggerlo, ma … nella sua interezza, e possibilmente senza gli occhiali da sole o … le travi negli occhi!

La bolla che inchioda il Vaticano II, manda tutti all’inferno!

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La bolla che inchioda il Vaticano II, manda tutti all’inferno!

     Come è stato possibile che nel corso del c.d. concilio Vaticano II) si sia acconsentito, senza alcuna remora, ad eretiche ed assurde proposizioni ottenendone l’obbedienza dei Vescovi in tutto il mondo? Come poter comprendere che i prelati della Chiesa Cattolica abbiano potuto accettare dalla “setta modernista del v-2” atti ed insegnamenti completamente contrari a tutto ciò che Cristo ha affidato alla sua Chiesa? È successo questo indubbiamente perché i sacerdoti odierni hanno perso la conoscenza, lo zelo e la vigilanza apostolica. Sono stati praticamente smarriti l’Amore per la Tradizione Apostolica, l’amore per la parola di Dio, e il risultato? Oggi abbiamo sacerdoti che non hanno più l’amore dovuto agli insegnamenti della Chiesa cattolica, né lo zelo per sostenerne la Verità verso la quale mancano di rispetto nell’osservanza delle sue sentenze, che anzi vengono, in un’abissale e raccapricciante ignoranza, disconosciute e calpestate. Dopo aver perso la conoscenza Apostolica della parola di Dio, la gerarchia [o presunta tale] si è unita con i nemici della Chiesa Apostolica nella soppressione del suo Primato e della sua Sovranità. Privi di conoscenze apostoliche, teologiche, scritturali e patristiche, essi non accettano la religione Cattolica Apostolica Romana come l’unica e divina Religione che Dio ha rivelato all’umanità. Non credono più che la Religione Cattolica abbia dei diritti che gli altri non hanno perché aderenti a false e mistificanti spiritualità demoniache. Il clero cioè non crede più che l’uomo sia legato in coscienza ad accettare ed a credere che questa sia l’unica religione divina e che non ce ne sia nessun’altra, se non false religioni guidate dal “signore dell’universo”, il demonio, come recita il salmo XCV. Ma c’è un conto molto salato da pagare nell’aldilà da coloro che negano alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana, il suo primato e la sovranità: a coloro che osano contestare o attaccare la parola di Dio o l’interpretazione divinamente istituita e docente di questa parola, è inflitta una terribile punizione. Per rendercene conto basta dare un’occhiata alla bolla “Execrabilis” di S.S. Pio II. È inutile chiedere ai nostri abulici parroci modernisti che ignorano totalmente e colpevolmente il magistero della Chiesa e che, sollecitati, non si danno nemmeno la briga di consultare documenti oramai alla portata di tutti. La loro protervia anzi supera pure la loro ignoranza, ed interrogati risponderanno solo con offese, calunnie, e ridicole e non comprovate asserzioni. Ciò che ci spinge non è certo lo spirito di polemica, bensì il desiderio di trarli fuori, essi ed i loro (in)fedeli dalla fornace eterna nella quale, senza rendersene probabilmente conto, sono abbondantemente immersi, anche se non credono oramai neppure più all’inferno e ai castighi dai quali il divino Maestro ci ha messo in guardia. In tal modo poi, come se non bastasse, commettono uno delle più gravi colpe contro lo Spirito Santo: “impugnare la verità conosciuta”, per arrivare poi all’ostinazione nel peccato e all’impenitenza finale. Ora tutto questo è di fede nella Chiesa Cattolica, e quel che è veramente agghiacciante, è che coloro che si professano cattolici, ormai non hanno più nemmeno un’idea approssimativa di cosa comporti questa fede divinamente rivelata dall’Uomo-Dio, e che si basa su un Magistero eterno che non può essere modificato da chicchessia. E a questo proposito vogliamo riportare qualche breve sentenza che potrebbe dare qualche dritta nel deviare la vertiginosa corsa verso l’inferno. Ecco quindi alla ribalta il concetto della inappellabilità ed irreformabilità di una opinione o sentenza definitiva del Santo Padre, benché avvenuta secoli o millenni orsono. Il Concetto è questo: il Santo Padre, assistito dallo Spirito Santo e voce di Gesù Cristo in terra, possedendo (de fide) l’infallibilità in materia di fede e di morale, una volta che si sia espresso, emette una sentenza definitiva, che nessun altro può modificare, poiché non esiste un’autorità superiore. Un successivo Papa non ha bisogno di modificare una sentenza precedente che, essendo infallibile, può essere solo confermata o estesa. Questo banale concetto da “scuola dell’infanzia”, purtroppo non è compreso, o non vuole essere compreso, da chi invece appoggia, soprattutto tra chierici ed ecclesiastici, modifiche in nome di un “aggiornamento” che, oltre che inopportuno, contrasta con dogmatica, morale, teologia e legge divina. Ed invocare un Concilio, o conciliabolo che dir si voglia, per ribaltare quanto per millenni si è creduto, si vedrà che è una grave eresia punita con la scomunica “ipso facto” e “latae sententiae”, la cui remissione cioè richiede l’intervento di un Papa … “vero”… naturalmente. In questa sede accenniamo a tre documenti fondamentali, e di facile reperibilità documentale. Una prima sentenza ufficiale (circa 860 d. C.) fu quella di S. Niccolò Magno [Papa negli anni 858-867], che si trovò a gestire, tra le altre vicende in cui fu coinvolto, la difesa dell’Autorità Papale contro gli imperatori ed i sinodi vescovili locali che rivendicavano una loro superiorità. S. Niccolò I (canonizzato da Urbano VIII): in Ep. Ad Michaelem Imperatorem; “Decretali” o Constitutum Constantini, egli tenne già a precisare che il giudizio del Papa, che detiene la più alta autorità (sia religiosa, nei confronti di sinodi o assemblee vescovili, sia rispetto a quella civile degli imperatori e regnanti). “È evidente che il giudizio della Sede Apostolica, che detiene la più alta autorità non può essere rimesso in questione da alcuno né sottoposto ad esame da parte di chicchessia” [… Ep. Nicolai I ad Michaelem Imperatorem,] Nel Sinodo di Quedlinburg (1085) si riaffermò la superiore autorità papale! Passiamo poi al 1459 con Silvio Enea Piccolomini, Papa Pio II, che emanò la celeberrima bolla “Execrabilis” ….: “Ai nostri tempi si sta verificando un esecrabile abuso, sconosciuto in età precedenti, e precisamente che gente, imbevuta dello spirito di ribellione, presuma di appellarsi contro il Pontefice di Roma, – il Vicario di Gesù Cristo, cui fu detto nella persona del santo Pietro: «Nutri il  mio gregge» e «Qualunque cosa tu legherai in terra, sarà legata anche in Cielo»: – non certo per  desiderio di più alta giustizia, ma al solo scopo di sfuggire le conseguenze dei loro peccati, ad un  futuro Concilio, (…) si dà esca alla ribellione contro la più alta Sede, si concede la libertà ai delinquenti e la disciplina ecclesiastica e l’ordine gerarchico vengono confusi (…) condanniamo i ricorsi in appello di tal genere, col consiglio e il consenso dei nostri venerabili fratelli Cardinali e di tutti i prelati e giureconsulti della legge Divina ed umana, appartenenti alla Curia, e sulla base della nostra sicura conoscenza li denunziamo come falsi e detestabili, li infirmiamo nell’eventualità che qualcuno di tali appelli, esistente al momento, sia scoperto e dichiariamo e decretiamo che essi – come vani e pestilenziali – siano privi di alcun significato. Quindi noi diffidiamo chiunque dal ricorrere con tali appelli, sotto qualunque pretesto, contro le nostre ordinanze, sentenze e provvedimenti, o contro quelle dei nostri successori, o di aderire a tali appelli, fatti da altri, od infine di fame uso in qualsiasi modo. Se alcuno di qualsiasi stato, rango, condizione od ordine esso sia, anche se insignito della dignità Imperiale, regia o Papale contravverrà a ciò dopo lo scadere di due mesi dalla pubblicazione di questa Bolla nella Cancelleria Papale, egli incorrerà «ipso facto » nella sentenza di anatema, da cui potrà essere assolto, solo dal Pontefice di Roma ed in punto di morte ( …) . – Le Università o corporazioni verranno colpite da interdetto ecclesiastico, e nondimeno, corporazioni ed Università, come le suddette e tutte le altre persone, incorreranno in quelle penalità e censure, in cui incorrono gli offensori che abbiano commesso «crimen laesae maiestatis», ed i promotori di depravazioni eretiche. Inoltre scrivani e testimoni, che abbiano sottoscritto atti di tal genere ed in generale tutti coloro che abbiano coscientemente dato consigli, aiuto od appoggio a tali appellanti, saranno puniti con le medesime pene. Perciò non è permesso ad alcuno di contravvenire o di opporsi con impudenti perversioni a questo documento della nostra volontà, con cui noi abbiamo condannato, riprovato, infirmato, annullato, decretato, dichiarato ed ordinato quanto sopra. Se tuttavia alcuno oserà, sappia che incorrerà nello sdegno dell’Onnipotente Iddio e dei santi Apostoli Pietro e Paolo”. Data a Mantova nell’anno 1459 dell’Incarnazione di nostro Signore, nel quindicesimo giorno prima delle calende di febbraio, nel primo anno del nostro Pontificato (18 gennaio 1459). [per il testo completo si veda nel blog: “la mina vagante nel tempo – execrabilis …”] – Questa è una sentenza dagli effetti devastanti, perché denunzia qualsiasi rimessa in discussione di sentenze o disposizioni emanate dall’Autorità del Papa, foss’anche da parte di un Concilio o di una successiva Autorità apostolica [o ritenuta tale]! E commina la Scomunica maggiore “ipso facto”, che può essere rimessa solo dal Sovrano Pontefice, o in punto di morte, da un vero sacerdote, ordinato validamente da un vescovo a sua volta valido [cosa quasi impossibile al giorno d’oggi!]. Strano che in Vaticano nel 1960 non lo sapessero… o facevano finta di non saperlo. Ma non è finita qui, perché il XX Concilio Ecumenico Vaticano, condotto da Pio IX (e conclusosi repentinamente nel 1870 per lo scoppio della guerra franco-prussiana che provocò la partenza da Roma della guarnigione francese a difesa del Papa, consentendo così l’invasione della città da parte degli avidi, vigliacchi ed incapaci “buzzurri” piemontesi, dei carbonari rivoluzionari e delle loro guide, (cioè i soliti marrani della quinta colonna), conferma con altrettanta incisività la disposizione del Piccolomini (Pio II). Nella stupenda e “cattolica” Costituzione dogmatica “Pastor Aeternus” (18 luglio 1870) gioiello per gli occhi e per l’anima del Cristiano, al capitolo III leggiamo ribadito sia – 1) il giudizio di S. Niccolò I: “È evidente che il giudizio della Sede Apostolica, che detiene la più alta autorità, non può essere rimesso in questione da alcuno né sottoposto ad esame da parte di chicchessia [Ep. Nicolai I ad Michaelem Imperatorem]; sia – 2) quello di: .2) “Execrabilis”: “Si discosta quindi dal retto sentiero della verità chi afferma che è possibile fare ricorso al Concilio Ecumenico, come se fosse investito di un potere superiore, contro le sentenze dei Romani Pontefici”. Tornando alla Bolla “mitraglia”, o “ghigliottina”, visto l’attitudine rivoluzionaria dei marran-massoni che indussero con minacce pesanti, anche di tipo atomico, la assemblea del conciliabolo c.d. Vaticano II, essa abbraccia, radicalmente la dogmatica, la dottrina, l’insegnamento ed il culto cattolico, tutte tematiche appannaggio del Magistero Papale. – Così è coinvolto ogni giudizio della Chiesa che riguardi la fede e la morale. Condannate sono tutte le soppressioni, innovazioni, modifiche e false dottrine introdotte dal Concilio Vaticano II, tra cui il tentativo di cambiare il pensiero e l’atteggiamento dei cattolici sulla fede e sulla morale. Questa legge è una difesa contro chi tenta di modificare le decisioni della Chiesa contro l’ebraismo rabbinico, (radice di ogni male per la Cristianità), il naturalismo, la Massoneria, il comunismo, l’umanesimo, il supernaturalismo, favole ed immondezze varie. Per ora chiudiamo qui, sperando che qualche “chierico-trombone”, bravo ad aprir bocca solo per sparlare, offendere, ridicolizzare, calunniare, vincendo la propria infingardia accidiosa, apra finalmente qualche libro, ed infine gli occhi, per vedere, capire e cominciare a condurre il suo oramai “sparuto” gregge sui “pascoli erbosi”. … Riassumendo, chiunque accetta, difenda, propagandi e divulghi in qualsiasi modo, i documenti aberranti del Vaticano II incorre “ipso facto” in una scomunica “maggiore” che pone fuori dalla Chiesa Cattolica spianandosi il cammino verso il fuoco eterno … ma siamo fiduciosi ad oltranza … preghiamo … la speranza è l’ultima a morire!

Per rinfrescare la memoria del cattolico

Per rinfrescare la memoria del cattolico antimodernista che vuole conservare intatta ed integra la fede dei Padri

Riportiamo i principali simboli di fede cattolica antimodernista, simboli che possono essere usati come memoriale ma anche come preghiere di lode a DIO e di fedeltà alla Chiesa Cattolica fondata da N.S. GESU CRISTO.

Sant_Atanasio

(Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium) Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem: Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit. Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti: Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna maiéstas. Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus. Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus. Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus. Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus. Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus. Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus. Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus. Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur. Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus. Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus. Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil maius aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles. Ita ut per ómnia, sicut iam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat. Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Iesu Christi fidéliter credat. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Iesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est. Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus. Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens. Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem. Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum. Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos. Ad cuius advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum. Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit. V. Glória Patri, et Fílio, * et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, * et in sǽcula sæculórum. Amen.

[Chiunque vuol esser salvo, * prima di tutto bisogna che abbracci la fede cattolica. Fede, che se ognuno non conserverà integra e inviolata, * senza dubbio sarà dannato in eterno. La fede cattolica consiste in questo: * che si veneri, cioè, un Dio solo nella Trinità [di Persone] e un Dio trino nell’unità [di natura]. Senza però confonderne le persone, * né separarne la sostanza. Giacché altra è la persona del Padre, altra quella del Figlio, * altra quella dello Spirito Santo; Ma del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo unica è la divinità, * eguale , la gloria, coeterna la maestà. Quale è il Padre, tale il Figlio, * e tale lo Spirito Santo. Increato è il Padre, increato il Figlio, * increato lo Spirito Santo. Immenso è il Padre, immenso il Figlio, * immenso lo Spirito Santo. Eterno è il Padre, eterno il Figlio, * eterno lo Spirito Santo. Pur tuttavia non vi sono tre [esseri] eterni, * ma uno solo è l’eterno. E parimenti non ci sono tre esseri increati, né tre immensi, * ma uno solo l’increato, uno solo l’immenso. Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, * onnipotente lo Spirito Santo. E tuttavia non ci sono tre [esseri] onnipotenti, * ma uno solo è l’onnipotente. Così il Padre è Dio, il Figlio è Dio, * lo Spirito Santo è Dio. E tuttavia non vi sono tre Dèi, * ma un Dio solo. Così il Padre è Signore, il Figlio è Signore, * lo Spirito Santo è Signore. Però non vi sono tre Signori, * ma un Signore solo. Infatti, come la fede cristiana ci obbliga a professare quale Dio e Signore separatamente ciascuna Persona; * così la religione cattolica ci proibisce dì dire che ci sono tre Dèi o tre Signori. Il Padre non è stato fatto da alcuno, * né creato e neppure generato. Il Figlio è dal solo Padre; * non è stato fatto, né creato, ma generato. Dal Padre e dal Figlio è lo Spirito Santo, * che non è stato fatto, né creato, né generato, ma che procede. Dunque c’è un solo Padre, non tre Padri; un solo Figlio, non tre Figli; * un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi. In questa Triade niente vi è di prima o di dopo, niente di più a meno grande; * ma tutte e tre le Persone sono fra loro coeterne e coeguali. Talché, come si è detto sopra, * si deve adorare sotto ogni riguardo nella Trinità l’unità, e nella unità la Trinità. Pertanto chi si vuol salvare, * così deve pensare della Trinità. Ma per la salute eterna è necessario * che creda di cuore anche l’Incarnazione di nostro Signor Gesù Cristo. Or la vera fede consiste nel credere e professare * che il Signor nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo. È Dio, generato, sin dall’eternità, dalla sostanza del Padre, * ed è uomo, nato nel tempo, dalla sostanza d’una madre. Dio perfetto e uomo perfetto * che sussiste in un’anima razionale e in un corpo umano. È eguale al Padre secondo la divinità, * è minore del Padre secondo l’umanità. Il Figlio quantunque sia Dio e uomo, tuttavia non sono due, ma è un Cristo solo. Ed è uno non perché la divinità si è convertita nell’umanità, * ma perché Iddio s’è assunta l’umanità. Uno assolutamente, non per il confondersi di sostanza; * ma per l’unità di persona. Ché come l’uomo, anima razionale e corpo, è uno: * così il Cristo è insieme Dio e uomo. Il quale patì per la nostra salvezza, discese agli inferi, * e il terzo giorno risuscitò da morte. Salì al cielo, siede ora alla destra di Dio Padre onnipotente, * donde verrà a giudicare i vivi ed i morti. Alla cui venuta tutti gli uomini devono risorgere con i loro corpi, * e dovranno rendere conto del loro proprio operato. E chi avrà fatto opere buone avrà la vita eterna; * chi invece opere cattive subirà il fuoco eterno. Questa è la fede cattolica, * fede che se ciascuno non avrà fedelmente e fermamente creduto non si potrà salvare. V. Gloria al Padre, e al Figlio, * e allo Spirito Santo. R. Come era nel principio è ora e sempre * nei secoli dei secoli. Amen.]

PROFESSIO FIDEI

Professione di Fede stabilita da Papa Pio IV
sulla base del Concilio di Trento

1545-1563

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Ego N.… firma fide credo et profiteor omnia et singula, quae continentur in symbolo fidei, quo sancta Romana Ecclesia utitur, videlicet: – Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem coeli et terræ, visibilium omnium et invisibilium. Et in unum Dominum Jesum Christum, Filium Dei unigenitum. Et ex Patre natum ante omnia sæcula. Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero. Genitum, non factum, consubstantialem Patri: per quem omnia facta sunt. Qui propter nos homines, et propter nostram salutem fdescendit de coelis. Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine: et homo factus est. Crucifixus etiam pro nobis; sub Pontio Pilato passus, et sepultus est. Et resurrexit tertia die, secundum Scripturas. Et ascendit in coelum: sedet ad desteram Patris. Et iterum venturus est cum gloria judicare vivos et mortuos: cujus regni non erit finis. Et in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem: qui ex Patre Filioque procedit. Qui cum Patre, et Filio simul adoratur et conglorificatur: qui locutus est per Prophetas. Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum. Et exspecto resurrectionem mortuorum. Et vitam venturi sæculi. Amen. – Apostolicas et ecclesiasticas traditiones reliquasque eiusdem Ecclesiae observationes et constitutiones firmissime admitto et amplector. Item sacram Scripturam iuxta eum sensum, quem tenuit et tenet sancta mater Ecclesia, cuius est iudicare de vero sensu et interpretatione sacrarum Scripturarum admitto, nec eam umquam, nisi iuxta unanimem consensum patrum accipiam et interpretabor. – Profiteor quoque septem esse vere et proprie sacramenta Novae Legis a Iesu Christo Domino nostro instituta atque ad salutem humani generis, licet non omnia singulis necessaria, scilicet Baptimam, Confirmationem, Eucharistiam, Poenitentiam, extremam Unctionem, Ordinem et Matrimonium, illaque gratiam conferre, et ex his Baptismum, Confirmationem et Ordinem sine sacrilegio reiterari non posse. Receptos quoque et adprobatos Ecclesiae catholicae ritus in supradictorum omnium sacramentorum sollemni administratione recipio et admitto. – Omnia et singola, quae de peccato originali et de iustificatione in sacrosancta Tridentina synodo definita et declarata fuerunt, amplector et recipio. – Profiteor pariter in missa offerri Deo verum, proprium et propitiatorium sacrificium pro vivis et defunctis, atque in sanctissimo Eucharistiae sacramento esse vere, realiter et substantialiter corpus et sanguinem una cum anima et divinitate Domini nostri Iesu Christi, fierique conversionem totius substantiae panis in corpus, et totius substantiae vini in sanguinem, quam conversionem catholica Ecclesia transsubstantiationem ap pellat. Fateor etiam sub altera tantum specie totum atque integrum Christum verumque sacramentum sumi. – Constanter teneo purgatorium esse, animasque ibi detentas fidelium suffragiis iuvari; similiter et sanctos una cum Christo regnantes venerandos atque invocandos esse, eosque orationes Deo pro nobis offerre, atque eorum reliquias esse venerandas. Firmiter assero, imagines Christi ac Deiparae semper virginis, nec non aliorum sanctorum, habendas et retinendas esse, atque eis debitum honorem ac venerationem impertiendam; indulgentiarum etiam potestatem a Christo in Ecclesia relictam fuisse, illarumque usum Christiano populo maxime salutarem esse affirmo. – Sanctam catholicam et apostolicam Romanam Ecclesiam omnium Ecclesiatum matrem et magistram agnosco; Romanoque pontifici, beati Petri apostolorum principis successori ac Iesu Christi vicario veram oboedientiam spondeo ac iuro. – Cetera item omnia a sacris canonibus et oecumenicis conciliis, ac praecipue a sacrosaneta Tridentina synodo [et ab oecumenico concilio Vaticano, tradita, definita ac declarata, praesertim de Romani pontificis primatu et infallibili magisterio], indubitanter recipio atque profiteor; simulque contraria omnia, atque haereses quascumque ab Ecclesia damnatas et reiectas et anathematizatas ego pariter damno, reicio et anathematiz

[Io N.… con fede sicura credo e professo tutto e singolarmente quanto è contenuto nel simbolo di fede di cui fa uso la santa romana Chiesa, cioè: Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili; ed in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio, e nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non fatto, consustanziale al Padre; per mezzo di lui furono create tutte le cose; egli per noi uomini e per la nostra salvezza discese dai cieli, e s’incarnò per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine, e si fece uomo; fu anche crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, patì e fu sepolto; e risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture, e salì al cielo, siede alla destra del Padre, e tornerà di nuovo con gloria a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà mai fine; (credo) nello Spirito Santo, Signore e vivificante, che procede dal Padre e dal Figlio; il quale è adorato e glorificato insieme col Padre e col Figlio; il quale parlò per mezzo dei profeti; e (credo) nella Chiesa una, santa cattolica e apostolica. Professo esservi un solo Battesimo per la remissione dei peccati, ed aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen. – Fermissimamente ammetto ed accetto le tradizioni ecclesiastiche e le altre osservanze e costituzioni della stessa Chiesa. – Ammetto pure la sacra Scrittura secondo l’interpretazione che ne ha dato e ne dà la santa madre Chiesa, alla quale compete giudicare del senso genuino e dell’interpretazione delle sacre Scritture, né mai l’intenderò e l’interpreterò se non secondo l’unanime consenso dei padri. – Confesso anche che sono sette i veri e propri sacramenti della Nuova Legge istituiti da Gesù Cristo nostro Signore e necessari, sebbene non tutti a tutti, per la salvezza del genere umano, cioè: Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Penitenza, estrema Unzione, Ordine e Matrimonio; e che infondono la grazia, e che di essi il Battesimo, la Confermazione e l’Ordine non si possono reiterare senza sacrilegio. Accetto e riconosco inoltre i riti ammessi ed approvati della Chiesa cattolica per la solenne amministrazione di tutti i sacramenti sopra elencati. – Accolgo e accetto in ogni parte tutto quanto è stato definito e dichiarato nel sacrosanto concilio di Trento riguardo il peccato originale e la giustificazione. – Ritengo senza esitazione che esiste il purgatorio e che le anime ivi rinchiuse sono aiutate dai suffragi dei fedeli; similmente poi che si devono venerare e invocare i santi che regnano con Cristo, che essi offrono a Dio le loro preghiere per noi e che le loro reliquie devono essere venerate. Dichiaro fermamente che si possono ritrarre e ritenere le immagini di Cristo e della sempre vergine Madre di Dio, come pure degli altri santi, e che ad esse si deve tributare l’onore dovuto e la venerazione; affermo inoltre che da Cristo è stato conferito alla Chiesa il potere delle indulgenze e che il loro uso è della massima utilità al popolo cristiano. – Riconosco la santa, cattolica ed apostolica Chiesa Romana come madre e maestra di tutte le Chiese, e prometto e giuro obbedienza al romano Pontefice, successore di san Pietro principe degli apostoli e vicario di Gesù Cristo. – Accetto e professo ancora senza dubbi tutte le altre cose insegnate, definite e dichiarate dai sacri canoni e in particolare dal sacrosanto concilio di Trento [e dal concilio ecumenico Vaticano] [specialmente quanto al primato e al magistero infallibile del romano Pontefice]: nel contempo anch’io condanno, rigetto e anatematizzo tutte le dottrine contrarie e qualunque eresia condannata, rigettata ed anatematizzata dalla Chiesa. – Io N.… prometto, mi impegno e giuro, con l’aiuto di Dio, di mantenere e conservare tenacissimamente integra ed immacolata fino all’ultimo respiro di vita questa stessa vera fede cattolica, fuori della quale nessuno può essere salvo, che ora spontaneamente professo e ammetto con convinzione, e di procurare, per quanto sta in me, che sia ritenuta, insegnata e predicata ai miei soggetti e a coloro di cui mi sarà affidata la cura nel mio ministero: così faccio voto, così prometto e giuro; così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.].

 

IL GIURAMENTO ANTIMODERNISTA

voluto da San Pio X,

[Acta Apostolicæ Sedis, 1910, pp. 669-672]

SanPioX

[N.B.:il giuramento fu soppresso, per motivi ovvi, dall’antipapa iper-modernista Paolo VI nel 1966, dopo il Conciliabolo demolitivo della Chiesa, il c.d. Vaticano II]

Contro l’attuale folle e ben congegnata apostasia, il cattolico che vuole restare tale per accedere alla vita eterna e salvare la propria anima, deve ripetere frequentemente, con attenzione, oltre ai simboli di fede riportati, quanto è racchiuso nel giuramento antimodernista impegnandosi scrupolosamente ad osservarne i contenuti, onde conservare intatta la fede per la salvezza dell’anima. 

Io N. N. fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente. Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti. Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell’origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi,compreso quello in cui viviamo. Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli. Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la, fantasiosa eresia dell’evoluzione dei dogmi da un significato all’altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito. -Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall’oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, Creatore e Signore nostro, ha detto, attestato e rivelato. – Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell’enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi. – Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana. – Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati. Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema. Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell’aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro documento profano. Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c’è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli. Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli apostoli3, non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa. -Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.

cfr. Acta Apostolicæ Sedis, 1910, pp. 669-672 – 3 IRENEO, Adversus haereses, 4, 26, 2: PG 7, 1053 – 4 TERTULLIANO, De praescriptione haereticorum, 28: PL 2, 40.

 

 

 

GIURISDIZIONE EPISCOPALE e la SEDE ROMANA

Tonsura

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In risposta alle sette F.T. (False tradizionali): nessuna Tonsura = nessun prete cattolico!

Secondo i canoni 107 e 108 del C.J.C., decreti di legge divina, c’è una netta distinzione tra laici e clero. Questa distinzione è contrassegnata dall’ingresso nello stato clericale. Questa entrata garantisce la “vocazione” di un candidato al sacerdozio ad un Vescovo legittimo in comunione con il Pontefice Romano, ed il cui Seminario sia stato eretto con ordinanza dello stesso Pontefice e con l’approvazione della Santa Sede. Il rito della tonsura è solo un rito. Non si tratta di un ordine che comporti la necessità della trasmissione apostolica. Il rev. Charles Augustine, nel suo “Commentario di diritto canonico” afferma che la tonsura è chiaramente un atto giurisdizionale che deriva interamente dalla facoltà giurisdizionali del Vescovo. Un vescovo che non ha mai ricevuto tale giurisdizione non può esercitarlo per conferire la tonsura. Senza tonsura, un individuo non può diventare un chierico e solo i chierici sono in grado di essere ordinati, (canoni 108 [qui divinis ministeriis per primam saltem tonsuram mancipati sunt, clerici dicuntur]; 118): solo i sacerdoti possono diventare pastori e ottenere un ufficio, (canoni 154, 453). Non c’è nessun “tradizionalista” [Nota: i nemici più accaniti del “vero” Papato in esilio], intruppato in fraternità, istituti e pseudo-chiesette varie, o agente da “cane sciolto” liberamente scorrazzante, che oggi possa vantare una missione con “Giurisdizione canonica” e facoltà speciali ricevuta da un Vescovo consacrato sotto Papa Pio XII, l’ultimo Papa validamente eletto che abbia potuto esercitare liberamente il suo ufficio; così tutti questi attuali pretesi, sedicenti “vescovi”, innegabilmente mancano di giurisdizione, che solo può derivare loro dal Romano Pontefice (Papa Pio XII in “Mystici Corporis” e “Ad Sinarum Gentum“).

Infatti “… lui [il S.P. Papa Pio XII] ha insegnato per certo [ancora una volta ai duri di cervice – n.d.r.] che il Vicario di Cristo sulla terra è l’ unico dal quale tutti gli altri Pastori nella Chiesa cattolica ricevono direttamente la loro competenza e la loro missione .’ …

Monsignor Alfredo Ottaviani, cardinale del Santo Uffizio, dichiarava che questo insegnamento… “deve ora essere osservato come interamente ridefinito con certezza, a motivo di ciò che ha detto il Papa Pio XII.”- [fr. Joseph C. Fenton, vero teologo cattolico, 1949.

È peccato mortale: l’ “elusione” e la violazioni della legge sul mandato papale.

Greg. magno

 “Preferirei piuttosto essere condotto alla morte, che ricevere il Sacramento della Comunione dalla mano di un eretico”.  (Papa San Gregorio Magno, Padre e Dottore della Chiesa).

 I pseudo-traditionalisti/sedevacantisti sono sordi al fatto che il Papa Pio XII abbia condannato le “consacrazioni” prive di Mandato papale – anche per “gravi emergenze” o per un presunto, così detto, “stato di necessità”.

Pio XII in Ad Apostolorum Principis non ha riconosciuto valide le consacrazioni senza mandato papale “anche” nel caso di supposta emergenza, adducendo il pretesto che s’era ritenuto “lecito nei secoli precedenti”. Vedere Pio XII: enciclica sul crimine delle consacrazioni imposte senza mandato papale, promulgata il 29 giugno 1958!

Questo insegnamento infallibile di Pio XII stronca, annientandoli col Magistero della Chiesa, i gruppi eretici che, con falsi e pretestuosi sofismi, cercano pateticamente di giustificare il loro reato scismatico nel consacrare vescovi senza mandato pontificio, sostenendo che tale pratica si fosse verificata in passato, “nei secoli precedenti”!

Tentare di consacrare un vescovo senza Mandato Pontificio fa incorrere nella scomunica “ipso facto” (1) (automatica) latae sententiae (2) per il (falso) consacrato ed il consacrante. Questo significa che la scomunica avviene nel momento stesso della tentata consacrazione sacrilega: l’atto stesso comporta la pena della scomunica.

(1) ipso facto: non è necessaria un’accusa formale o altra prova per determinarne la colpevolezza.

(2) latae sententiae: è una scomunica che solo il Papa (vero) può rimuovere!

La censura più severa (la pena di scomunica): lo scomunicato non può partecipare al culto pubblico né ricevere il Corpo di Cristo o uno qualsiasi dei sacramenti. Inoltre, se egli sia un chierico, gli è proibito di amministrare un rito sacro o di esercitare un atto di autorità spirituale. Questa condanna (scomunica) si applica estendendosi a a tutti coloro che appartengono o sostengono e partecipano agli atti sacrileghi di queste sette scismatiche antipapali. La chiesa dichiara lo scisma stesso, essere un’eresia!

“Tale dovrebbe essere la nostra sottomissione alla Chiesa, che se apparisse visibile una cosa bianca, che Essa aveva dichiarato nero, noi dovremmo ritenerla nera. (S. Ignazio di Loyola, “Esercizi spirituali”)

 “Noi dovremmo costantemente ringraziare il Signore per averci concesso il dono della vera fede, associandoci come figli della Santa Chiesa Cattolica. Quanti sono gli infedeli, gli eretici e gli scismatici che non godono la felicità della “vera” fede! La terra è piena di costoro che sono tutti persi!” Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, dottore della Chiesa.

Giurisdizione episcopale e la sede romana di p. Fenton

Da:

American Ecclesiastical Review

Vol. CXX, gennaio-giugno 1949

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Uno dei contributi più importanti alla sacra teologia negli ultimi anni è quello che riguarda l’insegnamento del Santo Padre sull’origine immediata della giurisdizione episcopale nella Chiesa cattolica. Nella sua grande enciclica Mystici corporis, pubblicata il 29 giugno 1943, il Papa Pio XII ha parlato del potere ordinario della giurisdizione dei Vescovi cattolici come qualcosa che viene “conferito su di loro direttamente” dal sovrano Pontefice. [1] Più di un anno prima della pubblicazione della Mystici corporis il Santo Padre ha portato la stessa verità nella sua allocuzione pastorale per i parroci e i predicatori quaresimali di Roma. In questo discorso ha insegnato che il Vicario di Cristo sulla terra è quella da cui tutti gli altri pastori nella Chiesa cattolica “ricevono immediatamente la loro giurisdizione e la loro missione.” [2] . – Nell’ultima edizione della sua opera classica, Institutiones iuris publici ecclesiastici, Monsignor Alfredo Ottaviani dichiara che questo insegnamento, che precedentemente era considerato come “probabilior” o anche come “communis,” ora debba essere ritenute come interamente certo a motivo di ciò che Papa Pio XII ha affermato. [3] La tesi che deve essere accettata e insegnata come certa è un elemento estremamente importante nell’insegnamento cristiano circa la natura della vera Chiesa. La negazione o anche la sola negligenza di questa tesi, inevitabilmente impedirà un’accurata ed adeguata comprensione teologica della funzione di nostro Signore come Capo della Chiesa e dell’unità visibile del Regno di Dio sulla terra. Nel definire questa dottrina, conferendole lo status di istruzione “sicuramente certa”, il Santo Padre ha tratto il lavoro della sacra teologia.  – La tesi che vescovi derivano il loro potere di giurisdizione immediatamente dal Sommo Pontefice non è affatto un insegnamento nuovo. Nel suo breve Super soliditate, rilasciato, il 28 novembre 1786 e diretto contro gli insegnamenti del canonista Joseph Valentine Tony, Papa Pio VI ha aspramente censurato il Tony per gli attacchi insolenti di quell’autore sull’insegnamento secondo il quale il romano Pontefice è colui “dal quale i Vescovi stessi derivano la loro autorità” [4]. Papa Leone XIII, nella sua enciclica “Satis cognitum”, datata 29 giugno 1896, ha messo in evidenza un punto fondamentale in questo insegnamento quando ha ribadito, con riferimento a quei poteri che gli altri governanti della Chiesa tengono in comune con San Pietro, l’insegnamento del Papa San Leone I secondo il quale “tutto ciò che Dio aveva dato a questi altri, lo aveva dato attraverso il Principe degli Apostoli. [5]. – Simile insegnamento è enunciato esplicitamente in una comunicazione della Chiesa Romana del Papa S. Innocenzo I, nella sua lettera ai Vescovi africani, rilasciata il 27 gennaio 417. Questo grande Pontefice ha dichiarato che “l’episcopato stesso e tutta la potenza di questo nome” provengono da San Pietro. [6] la dottrina proposta da Papa San Innocenzo ero abbastanza familiare alla gerarchia africana. Era stata sviluppata e insegnata già dai predecessori di coloro ai quale scrisse, nella prima spiegazione sistematica ed estesa dell’Episcopato della Chiesa cattolica. Verso la metà del terzo secolo St Cipriano, il martire – vescovo di Cartagine, aveva elaborato il suo insegnamento sulla funzione di San Pietro e della sua “cattedra” come base dell’unità della Chiesa. [7] S. Optatus, vescovo di Milevi, ed un eccezionale difensore della Chiesa contro gli attacchi dei Donatisti, aveva scritto, intorno all’anno 370, che la “cattedra” di Pietro era la sede verso cui “l’unità dovesse essere mantenuta da tutti,” [8] e che, dopo la sua morte, Pietro aveva “da solo ha ricevuto le chiavi del Regno dei cieli, che dovevano essere consegnate anche (communicandas) per gli altri.” [9] Durante gli ultimi anni del quarto secolo Papa San Siricio aveva asserito l’origine Petrina dell’Episcopato nella sua lettera, Cum in unum, quando designava il Principe degli Apostoli come colui “Da cui l’apostolato e l’episcopato in Cristo derivavano la loro origine.” [10] ed ha introdotto questo concetto nel suo scritto come qualcosa di cui, coloro ai quali era stata indirizzata la sua epistola, avevano perfetta familiarità. Questo era ed è rimasto l’insegnamento tradizionale e comune della Chiesa cattolica. La tesi che vescovi derivano il loro potere di giurisdizione immediatamente dal romano Pontefice, anziché immediatamente da nostro Signore stesso, ha avuto una storia lunga e tremendamente interessante nel campo della teologia scolastica. San Tommaso d’Aquino ha citato nei suoi scritti, senza, tuttavia, dilungarsi eccessivamente [11] due altri scolastici medievali eccezionali, Richard di Middleton [12] e Durandus [13], seguendo il loro esempio. Il trattato teologico di eccezionale valore pre-tridentino sulla Chiesa di Cristo, la Summa de ecclesia del Cardinale John de Turrecremata è esaminato la questione nei minimi dettagli. [14] Turrecremata ha elaborato la maggior parte degli argomenti che i teologi successivi hanno poi utilizzato per dimostrare la tesi. Tommaso de Vio, cardinale Cajetano, ha contribuito molto allo sviluppo dell’insegnamento nel periodo immediatamente precedente al Concilio di Trento. [15]

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“Di gran lunga la fonte più importante della dottrina riaffermata  da Papa Pio XII è da considerarsi il Concilio di Trento…”

Durante il Concilio di Trento, la tesi è stata discussa dagli stessi padri conciliari. [16] il più forte La presentazione di gran lunga più vigorosa della dottrina in ultimo definita dal Papa Pio XII, è stata fatta nel Concilio di Trento del grande teologo gesuita, James Laynez. [17]. Su diversi argomenti, quelle di Laynez in: “quaestiones, De origine jurisdictionis episcoporum e De modo quo compete un summo pontifice in episcopos derivi”, rimangono le migliori fonti di informazione teologiche sulle relazioni degli altri Vescovi della Chiesa cattolica al Romano Pontefice fino ad oggi.Durante il secolo dopo il Concilio di Trento, tre dei teologi scolastici classici hanno scritto magnifiche spiegazioni con prove della tesi che l’autorità episcopale nella Chiesa di Dio deriva immediatamente dal Vicario di Cristo sulla terra. S. Roberto Bellarmino ha trattato la questione con la sua abituale chiarezza e certezza, [18] utilizzando un approccio un po’ diverso da quello impiegato da Turrecremata e Laynez e più vicino a quella di Gaetano. Francis Suarez ha trattate la tesi “in extenso” nel suo Tractatus de legibuse impostando alcune spiegazioni che completano l’insegnamento del Laynez stesso. [19] Francis Sylvius, nel suo: “polemiche”, riassume i risultati dei suoi grandi predecessori in questo campo e ha compilato quella che rimane fino ad oggi probabilmente la più efficace e completa presentazione dell’insegnamento di tutta la letteratura scolastica. [20] Durante lo stesso periodo una trattazione molto breve ma teologicamente valida dello stesso argomento è stato dato dal portoghese francescano Francis Macedo nel suo Clavibus De Petri. [21] due dei principali teologi del sedicesimo secolo, il tomista, Dominic Soto [22] e Dominic Bannez, [23] ugualmente includono questo insegnamento nel loro “commentari.”. – Il Papa Benedetto XIV acclude una trattazione eccellente di questa tesi nella sua grande opera De synodo diocesana. [24]. Tra le autorità più recenti che hanno affrontato la questione in un modo degno di nota sono i due teologi gesuiti Dominic Palmieri [25] ed il Cardinale Louis Billot. [26]; pure il Cardinale Joseph Hergenroether tratta l’argomento in modo efficace e preciso nella sua grande opera “Chiesa cattolica e stato cristiano.” [27] – L’opposizione più importante alla tesi, come era prevedibile, è venuta dai teologi gallicani Bossuet [28] e Regnier [29] che hanno difeso la causa su questa questione. Anche altri, non infettati dal “virus” Gallicano, si sono opposti a questo insegnamento in tempi passati. Degni di nota tra questi avversari sono stati Francis de Victoria e Gabriel Vasquez. Victoria, sebbene fosse un insigne teologo, sembra avere male interpretato la questione in esame, immaginando che, in qualche modo, nell’insegnamento tradizionale fosse coinvolto l’implicazione che tutti i vescovi fossero stati collocati nella loro sede su indicazione di Roma. [30]. Vasquez, d’altra parte, è stato attratto da una teoria ora desueta, per cui le giurisdizione episcopale era assolutamente inseparabile dal carattere episcopale, e che l’autorità del Santo Padre sui suoi compagni vescovi nella Chiesa di Cristo deve essere spiegata dal suo potere di rimuovere o sostituire la materia o i soggetti sui quali tale competenza viene esercitata. [31] – L’insegnamento del Papa Pio XII sull’origine della giurisdizione episcopale, sicuramente non è un riaffermare che San Pietro e i suoi successori alla romana Sede hanno sempre nominato direttamente ogni altro vescovo all’interno della Chiesa di Gesù Cristo. Significa, tuttavia, che ogni altro vescovo che è l’ordinario di una diocesi, occupa la sua posizione con il consenso e a almeno la tacita approvazione della Santa Sede. Inoltre, significa che il vescovo di Roma può, secondo la costituzione divina della Chiesa stessa, rimuovere in casi particolari, la giurisdizione dei Vescovi e trasferirli ad altra giurisdizione. Finalmente sta a significare che ogni vescovo che non sia in Unione con il Santo Padre non ha alcuna autorità sui fedeli. – Questo insegnamento in alcun modo coinvolge la negazione del fatto che la Chiesa cattolica sia essenzialmente gerarchica e monarchica nella sua costruzione. Non sta d’altra parte nemmeno in conflitto con la verità che i Vescovi residenziali hanno giurisdizione ordinaria, piuttosto che una giurisdizione semplicemente delegata nelle loro chiese. In realtà è certamente la vera spiegazione dell’origine di tale giurisdizione ordinaria nei consacrati che governano le singole comunità dei fedeli, come successori degli Apostoli e come soggetti del Collegio apostolico. Vuol dire quindi che il potere di giurisdizione di questi uomini viene a loro dal nostro Signore, ma attraverso il suo Vicario sulla terra, nel quale soltanto la Chiesa trova il suo centro visibile di unità in questo mondo.

[Joseph Clifford Fenton: L’Università Cattolica d’America – Washington, D.C.1949.]

NOTE DI CHIUSURA:

[1] Cfr. l’edizione di NCWC, n. 42.

[2] Cfr. Osservatore Romano, 18 febbraio 1942.

[3] Cfr Institutiones iuris publici ecclesiastici, 3a edizione (Typis Polyglottis Vaticanis, 1948), I, 413.

[4] Cfr. DB, 1500.

[5] Cfr Codicis iuris canonici fontes, modificato dal cardinale Pietro Gasparri (Typis Polyglottis Vaticanis, 1933), III, 489 f. La dichiarazione del Papa San Leone si trova nel suo sermone sia nel quarto, che nel secondo anniversario della sua elevazione all’ufficio papale.

[6] DB, 100.

[7] Cfr Adhemar D’Ales, La theologie de Saint Cyprien (Paris: Beauchesne, 1922), pp. 130 ff.

[8] Cfr. Libri sesso contra Parmenianum Donatistam, II, 2.

[9] Cfr ibid., VII, 3.

[10] Cfr EP. V.

[11] S. Tommaso ha insegnato nel suo Summa contra gentiles, lib. IV, cap. 76, che, per preservare l’unità della Chiesa, il potere delle chiavi deve essere trasmesso, mediante Pietro, agli altri pastori della Chiesa. Gli scrittori successivi fanno anche riferimento al suo insegnamento della Summa Theologiae, in IIa-IIae, q. 39, art. 3, nel suo commento sulle sentenze di Pietro Lombardo, IV, Dist. 20, art. 4 e al suo commento al Vangelo secondo Matteo, in cap. XVI, n. 2, a sostegno della tesi che i vescovi derivano loro potere di giurisdizione immediatamente dal Sovrano Pontefice.

[12] di cfr Richard commento sulle condanne, lib. IV, Dist. 24.

[13] Cfr D. annulipes a Sancto Porciano Ord. Praed. et Meldensis Epiccopi nei libri di Petri Lombardi sententias theologicas IIII (Venezia, 1586), lib. IV, Dist. 20, d. 5, n. 5, p. 354.

[14] Cfr Summa de ecclesia (Venezia, 1561), lib. II, capitoli 54-64, pp. 169-188. Tesi di Turrecremata sono identiche a quelle stabilite dal Papa Pio XII, anche se la sua terminologia è diverso. Il Santo Padre parla dei Vescovi che ricevono il loro potere di giurisdizione “immediatamente” dalla Santa Sede, cioè, dal nostro Signore attraverso il sovrano Pontefice. Turrecremata, d’altra parte, parla dei Vescovi come riceventi il loro potere di giurisdizione “mediatamente” o “immediatamente” del Santo Padre, cioè, da lui direttamente o da un altro il potere di agire nel suo nome. Di [15] Cf. Cajetan de comparatione auctoritatis Papae et concilii, cap. 3, nella edizione di p. Vincent Pollet della sua Scripta theologica (Roma: The Angelicum, 1935), I, 26 f.

[16] Cfr Sforza Pallavincini Histoire de concile de Trente (Montrouge: Migne, 1844), lib. XVIII, capitoli 14 ff; Lib. XXI, capitoli 11 e 13, II, 1347 ff; III, 363 ff; Hefele-Leclercq, Histoire des conciles(Parigi: Letouzey et Ane, 1907 ff), IX, 747 ff; 776 ff.

[17] nell’edizione di Hartmann Grisar di Laynez’ Disputationes Sebastian (Innsbruck, 1886), I, 97-318.

[18] Cfr. De Romano Pontifice, lib. IV, capitoli 24 e 25.

[19] Cfr. Lib IV, cap. 4, in Theologiae cursus completus (MTCC) XII di Migne, note di Suarez FF. 596 su questa materia nel suo trattato De Summo Pontifice nel suo Opus de triplici virtute theologica, De fide, tratto. X, sezione I. [20] Cfr. lib. IV, q. 2, art. 5, Opera omnia (Anversa, 1698), V, 302 ff.

[21] Cfr. clavibus De Petri (Roma, 1560), Lib. I, cap 3, 36 pp. ff.

[22] Cfr. In quartam sententiarum (Venezia, 1569), Dist. 20, d. 1, art. 2, 4, I, 991 conclusio.

[23] Cf. Scholastica commentaria in secundam secundae Angelici Doctoris D. Thomae (Venezia, 1587), in d. 1, art. 10, dub. 5, concl. 5, colonne 497 ff. [24] Cfr. In Lib. I, cap. 4, n. 2 ff, in MTCC, XXV, 816 ff.

[25] Cfr Tractatus de Romano Pontifice (Roma, 1878), 373 ff.

[26] Cfr Tractatus de ecclesia Christi, 5a edizione (Roma: l’Università Gregoriana, 1927) I, 563 ff.

[27] Cf. Chiesa cattolica e stato cristiano (Londra, 1876), I, 168 ff.

[28] Cfr Defensio declarationis cleri Gallicani, lib. VIII, capitoli 11-15, nelle Oeuvres complètes (Paris, 1828), XLII, 182-202.

[29] Cfr Tractatus de ecclesia Christi, pars. II, sez. I, nel MTCC, IV, 1043 ff. [30] Cfr. Relectiones undecim, in rel. II, De potestate ecclesiae (Salamanca, 1565), pp 63 ff. [31] Cfr. In primam secundae Sancti Thomae (Lyons, 1631), II, 31.

“È necessario per la salvezza che tutti i fedeli di Cristo siano soggetti al Romano Pontefice.” (Concilio Lateranense V)