Domande e risposte sulla salvezza

Domande e risposte sulla salvezza

di Padre Michael Muller, C.SS.R.

[Nota di redazione: Padre Michael Muller è stato uno dei teologi più letti del 19° secolo. Padre Muller ha presentato sempre le sue opere a due teologi redentoristi ed ai suoi superiori religiosi prima della pubblicazione, quindi siamo sicuri della solidità dottrinale dei suoi insegnamenti. In questo articolo, pubblicato nel 1875, c’è uno delle migliori trattazioni della verità dottrinale secondo la quale il Signore ha fondato una sola vera Chiesa, la cattolica, al di fuori della quale non c’è salvezza!]

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.1. – Tutti ammettono che la Chiesa cattolica sia la prima e la più antica chiesa, e, di conseguenza, che essa sia la Chiesa fondata da Gesù Cristo?

R.- Che la Chiesa cattolica sia la prima e la più antica, e di conseguenza sia la Chiesa fondata da Gesù Cristo, è e deve essere ammesso da tutti, perché è un fatto chiaramente dimostrato dalla Scrittura e dalla storia.

.2 – Chi sono coloro che testimoniano questo dato?

R – Lo testimoniano li Ebrei ed i Gentili, ed anche i protestanti lo riconoscono, perché, se infatti chiediamo loro perché essi stessi si chiamano protestanti, rispondono: “Perché noi protestiamo contro la Chiesa cattolica.”

.3 – Qual è la conseguenza di questa risposta?

R.- Che la Chiesa cattolica è più antica del Protestantesimo, altrimenti non avrebbero potuto protestare contro di Essa.

.4 – Se andiamo ancora più indietro e chiediamo alla Chiesa greca come e perché essa esista, quale sarà la risposta? –

– La Chiesa greca deve rispondere: “Abbiamo iniziato a separarci dalla Chiesa cattolica nel IX secolo.

.5 Qual ne è allora la conseguenza? –

R.- Che la Chiesa Cattolica esisteva già ottocento anni prima che nascesse la Chiesa greca, e di conseguenza, Essa è più antica della Chiesa greca.

.6 Risalendo ai giorni degli stessi Apostoli, che cosa riscontriamo nel modo in cui sono sorte le sette religiose? –

R- Se andiamo indietro ai giorni degli stessi Apostoli, troviamo che ogni setta si è separata sempre dalla Chiesa Cattolica, e quindi vediamo calvinisti, metodisti Kilhamiti, quaccheri, metodisti, riformati metodisti, metodisti tedeschi, metodisti Wesleyani, Battisti, Battisti riformati, Battisti Hardshell, Battisti Softshell, battisti Gallon, Anabattisti, Mennoniti, Milleriti, Universalisti, congregazionalisti, presbiteriani, mormoni, epicopali, cristiani perfezionisti, ecc, ecc, ecc.

.7 Dio non è  sempre lo stesso, qualunque religione professi una persona?

R- Se fosse sempre lo stesso Dio per qualunque religione professi una persona, Dio non avrebbe proibito, nel primo comandamento, di adorarLo in modo diverso dalla vera religione. E Cristo ha solennemente dichiarato: “Colui che non vuole ascoltare la Chiesa, sia per te come un pagano ed un pubblicano.” (Matteo XVIII:17).

.8 Chi, poi, sarà salvato? –

R. – Gesù-Cristo ha solennemente dichiarato che saranno salvati solo quelli che hanno fatto la volontà di Dio sulla terra, come spiegato, non mediante l’interpretazione privata, ma secondo l’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica Romana; “Non colui, afferma Cristo, che dice, Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli: questi entrerà nel regno dei cieli “. (S. Matt. VII:21) La volontà del Padre celeste è che tutti gli uomini ascoltino e credano in suo Figlio, Gesù Cristo. “Questi è il mio Figlio diletto. Ascoltatelo!”(S. Luca IX,35). – Ora Gesù Cristo ha detto ai suoi Apostoli e per essi a tutti i loro legittimi successori: “Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me, e chi disprezza me, disprezza il Padre celeste, che mi ha mandato”. (S. Luca X: 16) Quindi tutti coloro che non ascoltano Gesù Cristo che parla loro attraverso San Pietro e gli Apostoli nei loro Successori legittimi, disprezzano Dio Padre. Non facendo la sua volontà, il cielo non sarà mai loro parte.

.9  Tutti coloro che desiderano essere salvati, devono quindi morire uniti alla Chiesa cattolica? –

R. – Tutti coloro che desiderano essere salvati, devono morire uniti alla Chiesa Cattolica. Fuori di Essa non c’è salvezza, perché solo Essa insegna ciò che Gesù Cristo richiede a tutti per essere salvati, e perché solo ad Essa Cristo ha lasciato i mezzi per ottenere tutte le grazie necessarie alla salvezza. Ecco perché Gesù disse ai Suoi apostoli e a tutti i loro legittimi successori: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni: insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandato. Chi non crede a tutte queste cose sarà condannato. “(S. Matteo XXVIII: 20, S. Marco XVI:16). Il nostro Divino Salvatore dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me.” (S. Giovanni XIV: 6) Se poi vogliamo entrare in Paradiso, dobbiamo essere uniti a Cristo, al suo [mistico] Corpo, che è la Chiesa, come dice san Paolo. Pertanto, al di fuori della Chiesa non c’è salvezza. Ancora una volta, Gesù Cristo dice: “Chi non ascolta la Chiesa, sia considerato come un pagano e un pubblicano” (S. Mt XVIII:17), cioè un grande peccatore.  Pertanto, al di fuori della Chiesa non c’è salvezza. – La Sacra Scrittura dice: “Il Signore ogni giorno aggiungeva alla Chiesa coloro che dovevano essere salvati.” (Atti II:47) Perciò gli Apostoli hanno creduto e le Sacre Scritture insegnano che “non c’è salvezza fuori dalla Chiesa”.

.10 Cosa dicevano Sant’Agostino e gli altri vescovi dell’Africa, al Concilio di Zirta, nel 412, della salvezza di coloro che muoiono al di fuori della Chiesa cattolica romana?

R. Essi hanno detto che “chiunque è separato dalla Chiesa cattolica, quantunque la sua vita possa essere giudicata lodevole, per il solo motivo che è separato dalla unione con Cristo, non la vita, bensì l’ira di Dio dimora su di lui. “(S. Giovanni III:36).

.11 Che cosa dice san Cipriano circa la salvezza di coloro che muoiono al di fuori della Chiesa cattolica romana? –

R. – San Cipriano dice: “Chi non ha la Chiesa per sua madre non può avere Dio per Padre”. E con lui i Padri della Chiesa in generale dicono che: “come tutti quelli che non erano nell’arca di Noè perirono nelle acque del diluvio, così periranno tutti coloro che sono fuori della vera Chiesa “.

.12. Chi sono coloro che si trovano fuori dall’ambito della Chiesa cattolica romana?

R. – Fuori dal limite della Chiesa Cattolica romana, sono tutti i non battezzati e tutte le persone scomunicate, tutti gli apostati, i non credenti, e gli eretici.

Infedeli ed apostati

.13 Come facciamo a sapere che le persone non battezzate non vengono salvate?

R. – Che le persone non battezzate non vengano salvate, lo sappiamo da Cristo che ha detto: “Se uno non nasce da acqua e Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio” (S. Giovanni III: 5). Dio non può unire Se stesso a tali anime in cielo a causa del peccato originale da cui sono contaminati.

.14 Come facciamo a sapere che le persone giustamente scomunicate, che non sono disposte a fare ciò che è loro richiesto prima di essere assolte, non vengono salvate?

R. – Le persone giustamente scomunicate, che non sono disposte a fare ciò che è richiesto loro per essere assolte, non vengono salvate, perché il peccato di grande scandalo, per il quale erano come delle membra morte, le ha espulse dalla comunione della Chiesa, e le esclude dal Regno del Paradiso.

.15 Quali cattolici sono scomunicati? –

R. – Sono scomunicati tutti quei cattolici membri di società segrete che sono state scomunicate [condannate] dalla Chiesa, come la Massoneria ed altre società affiliate ad essa sotto vari nomi.

.16 Perché diversi Papi hanno solennemente scomunicato tutti gli aderenti alla massoneria? –

R. – Tutti i massoni sono stati solennemente scomunicati da vari Papi a causa dell’oggetto principale e dello spirito della Massoneria, che vuole ristabilire il Paganesimo o la Chiesa di satana in tutto il mondo: a) Con sconvolgimento dei governi per avocare a sé il potere di governare e di fare leggi empie per i sudditi; b) Cercando di rovesciare la Chiesa cattolica che insegna e mantiene i diritti e le leggi di Dio e della società civile; c) Diffondendo i principi immorali ed empi attraverso la stampa infedele ed altri mezzi satanici; d) Stabilendo scuole pubbliche per l’educazione dei giovani all’infedeltà.

.17 È noto a tutti i massoni questo oggetto principale e lo spirito che li anima?

R. – Questo oggetto satanico e lo spirito della massoneria è noto solo ai membri dei più alti gradi della stessa. Ma sono sufficientemente noti a tutti le opere ed gli argomenti dei massoni, e quindi tutti i membri, anche dei gradi più bassi, sono colpevoli delle nefandezze di questa società satanica.

.18 Come facciamo a sapere che gli apostati non vengono salvati? –

R.- Gli apostati dalla fede cattolica non vengono salvati, perché allontanarsi dalla fede è un gran peccato che fa perdere il regno dei cieli.

.19 Ci sono molti tipi di infedeli o di non credenti? –

R.- Ci sono tre tipi di infedeli o non credenti: (a) Coloro che sono colpevoli del peccato di infedeltà; (b) coloro che non sono colpevoli del peccato di infedeltà, ma commettere altri grandi peccati; (c) coloro che non sono colpevoli del peccato di infedeltà, ma vivono in base ai dettami della loro coscienza.

20. Quali tipi di infedeli sono colpevoli del peccato di infedeltà?

R. – 1) Sono colpevoli tutte quelle persone che, non battezzate, non abbracciano la vera religione, anche se le verità di essa siano stata fatte loro sufficientemente conoscere, così come per molti dei Giudei dei quali Nostro Signore ha detto che non avevano alcuna scusa per i loro peccati, perché Egli stesso aveva parlato loro. – 2) Sono colpevoli tutte quelle persone che, non battezzate, e che hanno ricevuto la luce sufficiente per conoscere la verità, o almeno per capire il pericolo della loro posizione e che avevano l’obbligo di svolgere indagini diligenti per accertarsene e abbracciare la verità, hanno trascurato di farlo. – 3) Sono colpevoli del peccato di infedeltà tutti coloro che volontariamente negano la verità e ostinatamente vi resistono. – “Dobbiamo ricordare e condannare ancora una volta che l’errore più pernicioso che sia stato fatto proprio da molti cattolici è quello di essere del parere che: le persone che vivono in errore e non hanno la vera fede e sono quindi separate dall’unità cattolica, possano ottenere ugualmente la vita eterna. Ora questa opinione è la più contraria alla fede cattolica, come è evidente dalle semplici parole di Nostro Signore, (S. Mt XVIII:17; S. Mc XVI,16; S. Lc X:16; S. Giovanni III:18), come anche dalle parole di San Paolo (2 Tim II:11) e di San Pietro (2 Pietro II: 1) per cui “intrattenere opinioni contrarie a quelle della fede cattolica significa essere empio”. –

pio IX

S. S. Papa Pio IX

.21 Perché gli infedeli “positivi” non vengono salvati?

R. – Gli infedeli positivi non vengono salvati perché, “l’infedeltà positiva, essendo un’ostinazione volontaria, è una palese contraddizione, in quanto il disprezzo pubblico della rivelazione divina e dei precetti del Vangelo, costituisce uno dei peccati più gravi al cospetto di Dio e della Sua Santa Chiesa, come dice san Tommaso d’Aquino.

.22 Perché è enorme la gravità del peccato di infedeltà?

R. – Il peccato mortale è una deviazione dalla virtù e dalla legge divina. Il peccato più grave, quindi, è quello che separa l’uomo da Dio più di ogni altro. Ora, il peccato come l’infedeltà positiva provoca una grande separazione da Dio. Quando l’intelletto è in errore e abbandona la conoscenza di Dio, la volontà lo segue ed aumenta la malizia nella misura in cui l’intelletto si allontana dal sentiero della verità, della giustizia e della carità. Ogni passo che un uomo fa nel buio dell’infedeltà, aumenta la distanza che lo separa da Dio. Un ritorno da quel percorso pericoloso è molto difficile, perché quando l’intelletto è in errore e la volontà è piena di malizia e depravazione, tutti i legami in grado di unire l’uomo a Dio sono distrutti. – Se tali uomini muoiono con questa disposizione di spirito, sono infallibilmente perduti, dice san Tommaso. “Senza la fede è impossibile piacere a Dio.” (Eb. XI: 6).

.23 Chi sono gli infedeli non colpevoli del peccato di infedeltà, ma che commetteno altri gravi peccati?

R. – Coloro che non sono colpevoli del peccato di infedeltà, ma commettono altri peccati gravi, sono tutte quelle persone non battezzate che non hanno mai avuto l’occasione di conoscere la vera religione, o di prendere coscienza dell’obbligo di cercarla ed abbracciarla, e vivono secondo i dettami della loro coscienza.

.24 Questa classe di infedeli andrà persa?

R. – Questa classe di infedeli sarà persa, non a causa della loro infedeltà, che non era il loro peccato, ma a causa di altri gravi peccati che hanno commesso contro la loro coscienza. “Perché coloro che hanno peccato senza la legge”, dice san Paolo, “periranno senza la legge.” (Romani II:12).

.25 Saranno persi quegli infedeli che non sono colpevoli del peccato di infedeltà e vivono secondo la loro coscienza?

R. – Di questi infedeli che non sono colpevoli del peccato di infedeltà e sono fedeli nell’obbedire alla voce della loro coscienza, San Tommaso d’Aquino dice: “Se qualcuno è stato portato nel deserto o tra i bruti, e se ha seguito la legge della natura nel desiderare ciò che è buono, e nell’evitare ciò che è malvagio, dobbiamo certamente credere che Dio, con un’ispirazione interiore, gli abbia rivelato quello che deve credere, o abbia mandato qualcuno a predicargli la fede, così come mandò Pietro a Cornelio. ”

 L’eresia

.26 Qual è il significato della parola “eretico”?

R. – La parola “eretico” deriva dal greco e significa “un selettore”, “colui che sceglie”

.27 Che cos’è un eretico?

R. – Un eretico è un qualsiasi battezzato, che professa il cristianesimo, e che sceglie da sé cosa credere e cosa non credere a suo piacimento, in opposizione ostinata ad alcuna particolare verità che egli sa essere insegnata dalla Chiesa Cattolica come verità rivelata da Dio.

.28. Quali sono le cose che ci fanno ritenere che una persona si sia resa colpevole del peccato di eresia?

R. -Per ritenere una persona colpevole del peccato di eresia, sono necessarie tre cose: a) Egli deve essere battezzato e professare il cristianesimo; Questo lo distingue da un Ebreo e da un idolatra; – b) Deve rifiutare di credere una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come rivelata. – c) Deve ostinatamente aderire all’errore, preferendo il proprio giudizio privato, in materia di fede e di morale, all’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica.

.29. Quanti tipi di eretici (o protestanti) ci sono?

R. – Ci sono essenzialmente tre tipi di eretici: – a) Coloro che sono colpevoli del peccato di eresia; – b) Coloro che non sono colpevoli del peccato di eresia, ma commettono altri gravi peccati; – c) Coloro che non sono colpevoli del peccato di eresia e che vivono secondo i dettami della loro coscienza.

.30. Chi sono quindi i colpevoli del peccato di eresia?

R. – Del peccato di eresia sono colpevoli: -a) Tutte quelle persone battezzate, che professano il Cristianesimo ed ostinatamente rifiutano una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come così rivelata; – .b) Coloro che abbracciano un parere contrario alla fede, mantenendola ostinatamente, e rifiutano di sottomettersi all’autorità della Chiesa cattolica; -c) coloro che dubitano volontariamente della verità di un articolo di fede, e con tale dubbio intenzionale mettono in dubbio la conoscenza e la verità di Dio: questo è l’essere colpevole di eresia- .d) Chi riconosce la Chiesa Cattolica essere l’unica vera Chiesa, ma non abbraccia la sua fede; – e) Coloro che potevano conoscere la Chiesa, se l’avessero candidamente ricercata, ma che, attraverso l’indifferenza ed altri motivi colpevoli, hanno omesso di farlo; – f) Chi, come gli anglicani, pensano che si avvicinano molto alla Chiesa cattolica, perché le loro preghiere e le cerimonie sono simili a molte preghiere e cerimonie della Chiesa cattolica, e perché il loro credo è il Credo apostolico. Questi sono eretici in linea di principio, perché: “La vera personalità che professa eresie”, dice san Tommaso d’Aquino, “consiste nella mancanza di sottomissione all’autorità dell’insegnamento divino che è il Capo della Chiesa.”

.32. Perché si perdono i veri eretici?

R. I veri eretici si perdono perché rifiutando il divino Maestro – la Chiesa Cattolica – essi rifiutano tutti gli insegnamenti divini, commettendo così uno dei più grandi peccati. Ecco perché il Papa Pio IX ha parlato del protestantesimo in tutte le sue forme come “della grande rivolta contro Dio”, essendo esso un tentativo di sostituire un essere umano all’autorità divina, ed una dichiarazione di indipendenza della creatura dal Creatore. Per questo motivo la Sacra Scrittura condanna l’eresia con la massima fermezza. “Dopo una o due ammonizioni sta’ lontano da chi è fazioso, ben sapendo che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stessa. E ancora dice: “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema “. (Gal I: 8,9). – “Rifiutare, anche un solo articolo di fede insegnato dalla Chiesa”, dice san Tommaso d’Aquino, “è sufficiente a distruggere la fede, come un solo peccato mortale è sufficiente a distruggere la Carità”.La virtù della fede non consiste semplicemente nell’adesione alla Sacra Scrittura e riverirla come Parola di Dio; essa consiste principalmente nel sottoporre il nostro intelletto e la volontà all’autorità divina della vera Chiesa incaricata da Gesù Cristo di esporla.”Non crederei alle Sacre Scritture”, dice S. Agostino, “se non fosse per l’autorità divina della Chiesa”. Colui, pertanto, che disprezza e respinge questa autorità, non può avere la vera fede. Se ammette qualche verità soprannaturale, queste sono delle semplici opinioni, delle verità che dipendono dal suo giudizio privato. – E poiché la fede divina è l’inizio della salvezza, il fondamento e la fonte della giustificazione che si trova solo nella vera Chiesa, è chiaro che non c’è salvezza per tutto il tempo che si è eretici.

L’eresia nega ogni fede

.33. Gli eretici hanno fede in Gesù Cristo?

R. – Tommaso d’Aquino dice: “E ‘assurdo per un eretico dire di credere in Gesù Cristo. Credere in una persona significa dare il nostro pieno consenso alla sua parola e a tutto ciò che insegna. Vera fede, dunque, è la fede assoluta in Gesù Cristo e in tutto ciò che Egli ha insegnato. Quindi, chi non aderisce a tutto ciò che Gesù Cristo ha prescritto per la nostra salvezza, non possiede la dottrina di Gesù Cristo e della sua Chiesa, così come fanno i pagani, gli ebrei e i turchi” – “Egli è “, dice Gesù Cristo “, un pagano e un pubblicano”; e quindi sarà condannato all’inferno.

.34. Si dimostri come i protestanti non abbiano fede assoluta in Cristo.

– Gesù Cristo dice: “Ascoltate la Chiesa”. – “No”, dicono Lutero e tutti i protestanti, “non ascoltate la Chiesa; protestate contro di Essa con tutte le forze.” (S. Matteo XVIII:17) – Gesù Cristo dice: “Se qualcuno non ascolta la Chiesa, si consideri come un pagano e un pubblicano.” – “No”, dice il protestantesimo, “se qualcuno non ascolta la Chiesa, si consideri un apostolo, un ambasciatore di Dio. “(S. Matteo XVIII:17) ; Cristo dice: “Le porte dell’inferno non prevarranno contro la mia Chiesa”.- “No”, dice il protestantesimo.-  ‘Questo è falso, le porte dell’inferno hanno prevalso contro la Chiesa per più di mille anni ed oltre.” (S. Matteo XVI:18). – Gesù Cristo ha dichiarato San Pietro e ogni successore di San Pietro – il Papa – essere suo Vicario in terra. “No”, dice il protestantesimo, “il Papa è anti-Cristo”. (S. Matteo 16:18) – Gesù Cristo dice: “Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero”. (S. Matt XI:30). “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “è impossibile osservare i comandamenti.” Gesù Cristo dice: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. (S. Matt XIX:17). – “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “la sola fede, senza le buone opere, è sufficiente per entrare nella vita eterna.” -Gesù Cristo dice: “Se non fate penitenza, tutti similmente perirete” (S. Luca XIII: 3) – “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “il digiuno e le altre opere di penitenza non sono necessarie in soddisfazione del peccato.” – Gesù Cristo dice: “Questo è il mio corpo”. – “No”, ha detto Calvino, “questa è solo la figura del corpo di Cristo; diventerà il suo Corpo non appena si riceve “(1 Cor XI, 23-26) – Gesù Cristo dice: “Io vi dico che chiunque manda via sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; e colui che sposerà la donna ripudiata, commette adulterio “(Mt XIX: 9)”. – No, “dicono Lutero e tutti i protestanti ad un uomo sposato,” puoi ripudiare tua moglie, ottenere il divorzio, e sposarne un’altra.” – Gesù Cristo dice ad ogni uomo:. “Non rubare” – “No”, ha detto Lutero ai principi secolari, “Vi do il diritto di appropriarvi delle proprietà della Chiesa cattolica romana” (Mt XIX,18).

.35. Gli eretici parlano anche di Spirito Santo e degli Apostoli?

R. – Sì, loro lo fanno. Lo Spirito Santo dice nella Sacra Scrittura: ” L’uomo non conosce né l’amore né l’odio; davanti a lui tutto è vanità. ” (Eccles. IX: 1) “Chi può dire: Il mio cuore è pulito, io sono puro dal peccato?” (Pr XX, 9) e: ” attendete alla vostra salvezza con timore e tremore (Filip II:12) “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “ma chi crede in Gesù Cristo, è in stato di grazia.” – San Paolo dice: “se avessi tutta la fede, in modo da poter trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.” (1 Cor. XIII: 2) – “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “la sola fede è sufficienti per salvarci.” – San Pietro dice che nelle Lettere di san Paolo ci sono molte cose “difficili da capire, che ignoranti e instabili le travisano, come anche le altre Scritture, per loro propria perdizione.” (2 Pt. III,16) – “No, hanno detto Lutero e Calvino, “le Scritture sono molto semplici e facili da essere capite “. – San Giacomo dice: “C’è qualcuno malato fra voi? – Lasciate che vengano i sacerdoti della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore.” (S. Giac. V, versetto 14) – ” No “, hanno detto Lutero e Calvino,” questa è un cerimonia vana e inutile. ”

.36. Ora, pensi che Dio Padre farà entrare in cielo coloro che contraddicono in tal modo suo Figlio Gesù Cristo, lo Spirito Santo, e gli Apostoli?

R. – No, Egli lascerà che loro abbiano la loro parte con Lucifero all’inferno, che per primo si ribellò contro Cristo, e che è il padre dei bugiardi.

.37. Può un cristiano essere salvato, dopo aver lasciato la vera Chiesa di Cristo, la Santa Chiesa Cattolica?

R. No, perché la Chiesa di Cristo è il regno di Dio sulla terra, e chi lascia quel regno, si esclude dal regno di Cristo in cielo. (1 Tim 3:15; Matt 18:17) (1 Tm III,15; Mt XVIII:17).

38. I protestanti lasciarono la vera Chiesa di Cristo?

R. – I protestanti hanno lasciato la vera Chiesa di Cristo nei loro fondatori, che hanno lasciato la Chiesa cattolica sia per orgoglio, sia per la passione della lussuria e della cupidigia.

39. What will be the punishment of those who willfully rebel against the Holy Catholic Church38. Quale sarà la punizione di coloro che volontariamente si ribellano alla Santa Chiesa Cattolica?

R. Coloro che si ribellano volontariamente alla Santa Chiesa Cattolica, finiranno come Lucifero e gli altri angeli ribelli, saranno cioè gettati nelle fiamme eterne dell’inferno. “Chi non ascolta la Chiesa”, dice Cristo, “sia per te come un pagano e un pubblicano”. (S. Matt. XVIII:17).

.40. Ma se un protestante dovesse dire: “Non ho nulla a che fare con Lutero o Calvino o Enrico VIII o John Knox, io attingo dalla Bibbia,” cosa gli risponderesti?

R. In questo caso, si adottano e passano i principi e lo spirito degli autori delle eresie, e si cambia la Parola scritta da Dio nella parola dell’uomo, perché si interpreta la Sacra Scrittura alla nostra privata maniera, dandole quel significato che si sceglie di dare, e quindi, invece di credere alla parola di Dio, si crede piuttosto alla propria interpretazione personale di essa, che non diventa pertanto altro che la parola dell’uomo. Quindi, Sant’Agostino dice: “Voi che credete quel vi piace, e rifiutate quel che volete, credete a voi stessi ed alla vostra fantasia, piuttosto che al Vangelo”.

L’ignoranza non-colpevole

.41. Quali protestanti non sono colpevoli del peccato di eresia, ma commettono altri grandi peccati?

R. – Coloro che sono protestanti, senza colpa loro e che non hanno mai avuto l’opportunità di miglior conoscenza, non sono colpevoli del peccato di eresia; ma se vivono secondo i dettami della loro coscienza, essi saranno persi, non a causa della loro eresia, che per loro non era peccato, ma a causa di altri gravi peccati commessi.

42. Saranno salvati quegli eretici che non sono colpevoli del peccato di eresia, ma sono fedeli nel vivere secondo i dettami della loro coscienza? L’ignoranza non-colpevole della vera religione, scusa un pagano dal peccato di infedeltà, e un protestante dal peccato di eresia.Ma tale ignoranza non è mai stata un mezzo di salvezza.Dal fatto che una persona che vive secondo i dettami della sua coscienza, e che non può peccare contro la vera religione a causa della ignorante di essa, molti hanno tratto la falsa conclusione che tale persona è salvata, o, in altre parole, è in stato di grazia santificante, rendendo così inutile ogni mezzo di salvezza o di giustificazione. Se non vogliamo sinceramente fare grandi errori nello spiegare la grande verità rivelata, “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”, dobbiamo ricordare:a) che per ottenere la salvezza ci sono quattro grandi verità, che tutti devono conoscere e credere per essere salvati; b)che non si può andare in Paradiso a meno che non ci si trovi in uno stato di grazia santificante; c) che, al fine di ricevere la grazia santificante, l’anima deve essere preparata dalla fede divina, dalla Speranza e Carità, da un vero dolore per il peccato con il fermo proposito di fare tutto ciò che Dio chiede all’anima di credere e di fare, al fine di essere salvati; d) che questa preparazione dell’anima non può essere operata dall’ignoranza non– E se tale ignoranza non può disporre l’anima a ricevere la grazia della giustificazione, tanto meno essa può dare questa grazia all’anima. L’ignoranza non-colpevole non è mai stata un mezzo di grazia o di salvezza, nemmeno per le persone che ignorando la colpa, vivono secondo la loro coscienza. Ma per questa classe di persone ignoranti diciamo, con San Tommaso d’Aquino, che Dio nella sua misericordia porterà queste anime alla conoscenza delle verità necessarie alla salvezza, anche inviando loro un Angelo, se necessario, per istruirli, piuttosto che lasciare che essi muoiano senza colpa loro. Se accettano questa grazia, verranno salvati come cattolici.

 Altre domande

43. Ma non è una dottrina molto caritatevole il dire che nessuno possa essere salvato fuori della Chiesa?

R. Al contrario, si tratta di un atto di carità molto grande l’affermare a gran forza, che fuori della Chiesa Cattolica non c’è salvezza possibile;  Gesù Cristo ed i suoi Apostoli hanno insegnato questa dottrina con un linguaggio molto semplice: chi cerca sinceramente la verità è felice di sentirla e abbracciarla, al fine di essere salvato.

.44. Ma non è detto nella Sacra Scrittura: “Chi teme Dio, ed opera la giustizia, è accettabile a Lui?”

R. – Ma chi non crede a tutte le verità che Dio ha rivelato, ma crede o rifiuta ciò che vuole, non teme Dio e non può abbracciare la giustizia. “Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Chi non crede a Dio, fa di Lui un bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio”, dice san Giovanni (1 S. Giovanni V, 10); e per questo motivo, viene condannato all’inferno.

.45. Ma non ci sono molti che perderebbero l’affetto dei loro amici, le loro case confortevoli, i loro beni temporali, le prospettive nel mondo degli affari, qualora diventino cattolici? Non li scuserebbe Gesù Cristo, in tali circostanze, per non voler diventare cattolici?

R. Per quanto riguarda l’affetto di amici, Gesù Cristo ha solennemente dichiarato: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me “(S. Matteo X, 37). E per quanto riguarda la perdita di guadagno temporale, Egli ha così risposto: “Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e poi perde la sua anima? “(S. Mc VIII,36).

.46. Ma non sarebbe sufficiente essere cattolico solo di cuore, senza professare pubblicamente la propria religione?

R. No, perché Gesù Cristo ha solennemente dichiarato che, “Chi si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando Egli verrà nella sua maestà, e quella di suo Padre, e degli Angeli santi . “(S. Luca IX,26). 46. But might not such a one safely put off being received into the Church till the hour of deat

.47. Ma potrebbe un tale così tranquillamente rimandare all’ora della morte l’essere ricevuto nella Chiesa?

R.- Rimandare l’entrata nella Chiesa Cattolica fino all’ora della morte è abusare della misericordia di Dio, ed esporsi al pericolo di perdere la luce e la grazia della fede, e morire da reprobo.

.48. Che altro trattiene molti dal diventare cattolici?

R. -Molti sanno bene che, se diventano cattolici, devono condurre una vita onesta ed essere sobri, puri, controllare le loro passioni peccaminose, e questo non hanno proprio voglia di farlo. “Gli uomini preferiscono le tenebre alla luce”, dice Gesù-Cristo, “perché le loro opere sono il male.” Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!

.49. Cosa comporta il fatto che la salvezza possa essere trovata solo nella Chiesa cattolica romana?

R. – Ne consegue che è cosa molto empia per chiunque, il pensare ed il dire che poco importa ciò che un uomo crede, a condizione che sia un uomo onesto.

.50. Che risposta si può dare ad un uomo che parla così?

R. – Ad un uomo che dice: “poco importa quello che un uomo crede, a condizione che egli sia un uomo onesto”, vorrei chiedere se crede o non che la sua onestà e la giustizia siano così grandi, al di sopra di quella degli scribi e dei farisei nel Vangelo. Essi erano perseveranti nella preghiera, pagavano le decime secondo la legge, davano generose elemosine, digiunavano due volte alla settimana, e facevano il giro del mare e della terra per ottenere un convertito e portarlo alla conoscenza del vero Dio.

.51. Cosa dice Gesù Cristo di questa giustizia dei farisei?

R. Egli dice: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. (S. Matt 5,20).

.52. Era, quindi, la giustizia dei farisei molto difettosa agli occhi di Dio?

R. – La loro giustizia era tutta nel mostrarsi e nell’ostentare esternamente. Facevano opere buone solo per essere lodati ed ammirati dagli uomii. Erano ipocriti, volgari, nascondevano i loro grandi vizi sotto la bella apparenza dell’amore per Dio, la carità ai poveri, e la severità per se stessi. La loro devozione consisteva in atti esteriori, e disprezzavano tutti quelli che non vivevano come facevano loro. Erano rigorosi nelle osservanze religiose delle tradizioni umane, ma non si facevano scrupolo nel violare i Comandamenti di Dio.

53. Che cosa dobbiamo dunque pensare di quelli che dicono: «Poco importa ciò che un uomo crede, purché egli sia onesto?”

R. – Di quelli che dicono questo, pensiamo che la loro onestà esteriore, come quella dei Farisei, possa essere sufficiente a tenerli fuori dal carcere, ma non dall’inferno.

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–18 giugno 1968

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   Continuiamo a discutere con le idee un po’ più chiare, circa l’Invalidità intrinseca del rito del “Pontificalis Romani”, per quanto concerne la consacrazione vescovile. Ricordiamo in quali termini San Tommaso d’Aquino pone la questione: “Dio è il solo a realizzare l’effetto interno al Sacramento? Risposta: «Ci sono due modi di realizzare un effetto: in qualità di agente principale o in qualità di strumento. Secondo la prima maniera, è Dio solo che realizza l’effetto del Sacramento. Ecco perché Dio solo penetra nelle anime ove risiede l’effetto del Sacramento, e un essere non può agire direttamente la dove Egli non c’è. Anche perché appartiene solo a Dio il produrre la “grazia”, che è l’effetto interiore del Sacramento ( Sum. Theol. I-II, Q.112, a. 1). Inoltre, il carattere, effetto interiore di certi Sacramenti, è una virtù strumentale derivante dall’agente principale, che è qui Dio. Ma, nella seconda maniera, cioè agendo in qualità di ministro, l’uomo può realizzare l’effetto interiore del Sacramento; perché il ministro e lo strumento hanno la stessa definizione: l’azione dell’uno conduce ad un effetto interiore sotto la mozione dell’Agente principale che è Dio. » (Summa theologiae III, Q.64, 1). In poche parole, l’uomo non è che il ministro, lo strumento dell’azione di Dio in un Sacramento. E qui sorge la domanda: “Chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che Dio agisce al meglio in un rito creato nel 1968”? Seguiamo ancora San Tommaso, che si chiede: “L’istituzione dei sacramenti ha solo Dio per autore? – « È a titolo di strumento, lo si è visto, che i Sacramenti realizzano degli effetti spirituali. Ora lo strumento trae la sua virtù dall’Agente principale. Vi sono due agenti, nel caso di un Sacramento: Colui che lo istituisce, e colui che usa del Sacramento già instituito applicandolo quanto a produrre il suo effetto. Ma la virtù del Sacramento non può venire da colui che non fa che usarne, perché non si tratta così se non al modo di un ministro. Rimane dunque che la virtù del Sacramento gli viene da Colui che l’ha instituito. La virtù del Sacramento non venendo che da Dio, ne risulta che Dio solo ha istituito i Sacramenti. » Summa theologiae (III, Q.64, 1). Dio solo ha istituito i sacramenti, e allora: Chi ci assicura in modo assolutamente certo che un rito creato nel 1968 trasmette la “virtù” di un Sacramento che ha solo Dio come autore? – “Gli elementi necessari istituiti dal Cristo secondo San Tommaso d’Aquino: L’istituzione dei sacramenti ha Dio solo per autore? « Obiezione n°1: Non sembra, perché è la Santa Scrittura che ci fa conoscere le istituzioni divine. Ma ci sono alcuni elementi dei riti sacramentali che non si ritrovano menzionati nella Santa Scrittura, come la santa Cresima, con la quale si da’ la confermazione, e l’olio con cui si ungono i sacerdoti, e certe altre parole e gesti che sono in uso nei Sacramenti. Risposta all’obiezione n° 1: Gli elementi del rito sacramentale che sono d’istituzione umana non sono necessari al Sacramento, ma contribuiscono alla solennità di cui lo si circonda per eccitare devozione e rispetto in quelli che lo ricevono. Quanto agli elementi necessari ai Sacramenti, essi sono stati istituiti dal Cristo stesso, che è nello stesso tempo Dio ed uomo; e se essi non ci sono tutti rivelati nelle Scritture, la Chiesa comunque li ha ricevuti dall’insegnamento ordinario degli Apostoli [la tradizione – ndr. – ]; è così che San Paolo scrive (1 Co XI, 34) : «Per gli altri punti, io li regolerò alla mia venuta». Summa theologiae (III, Q.64, 1). Se gli elementi del rito “necessari” al Sacramento sono stati istituiti dal Cristo stesso, chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che gli elementi del rito creato  (… nientemeno che da dom B. Botte su commissione di Buan 1365/75!?!) nel 1968 contengano effettivamente gli elementi necessari al Sacramento istituito dallo stesso N.S. Gesù Cristo? Ricordando, al proposito, il giudizio di San Pio X « … allorché si sappia bene che la Chiesa non ha il diritto di innovare nulla che tocchi la sostanza del sacramento » [San Pio X, 26 dicembre 1910, “Ex quo nono”]. Quindi veniamo alle “1+3” condizioni di validità del Sacramento di consacrazione: 1) Perché una consacrazione episcopale sia valida, si richiede innanzitutto che il consacratore abbia egli stesso il potere d’ordine, cioè che egli sia validamente (ed ontologicamente) Vescovo. Successivamente, sono necessarie 3 condizioni all’esistenza del Sacramento della consacrazione episcopale (vale a dire alla sua validità) : • la materia e la forma: « I sacramenti della nuova legge devono significare la grazia che essi producono e produrre la grazia che essi significano. Questo significato deve ritrovarsi … in tutto il rito essenziale, e cioè nella materia e nella forma; ma esso appartiene particolarmente alla “forma”, perché la materia è una forma indeterminata per se stessa, ed è la “forma che la determina” ». [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. • l’intenzione del consacratore: «la forma e l’intenzione sono egualmente necessarie all’esistenza del Sacramento », «Il pensiero o l’intenzione, dal momento che è una cosa interiore, non cade sotto il giudizio della Chiesa; ma Essa deve giudicarne la manifestazione esteriore » [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. E il Santo Padre Pio XII sottolinea efficacemente la questione alla Conclusione dei lavori del 1° congresso internazionale della liturgia pastorale d’Assisi, il 22 settembre 1956: «Ricordiamo a questo proposito ciò che Noi diciamo nella Nostra Constituzione Apostolica “Episcopalis Consecrationis” del 30 novembre 1944 (Acta Ap. Sedis, a. 37, 1945, p. 131-132). Noi vi determiniamo che nella consacrazione episcopale i due Vescovi che accompagnano il Consacratore, devono avere l’intenzione di consacrare l’Eletto, e che essi devono per conseguenza compiere i gesti esteriori e pronunciare le parole, per mezzo delle quali il potere e la grazia da trasmettere siano significate e trasmesse. Non è dunque sufficiente che essi uniscano la loro volontà a quella del Consacratore principale e dichiarino che essi fanno proprie le sue parole e le sue azioni. Essi stessi devono compiere quelle azioni e pronunziare le parole essenziali. »! E allora, quali sono state le modifiche o le soppressioni “sospette” (per usare un eufemismo) del rito montiniano. Ecco cosa è stato soppresso: – 1) Il giuramento del futuro vescovo che promette a Dio «di promuovere i diritti, gli onori, i privilegi dell’autorità della santa Chiesa romana… d’osservare con tutte le sue forze, e di farle osservare agli altri, le leggi dei santi Padri, i decreti, le ordinanze, le consegne ed i mandati apostolici … di combattere e di perseguire secondo il suo potere gli eretici [una delle principali funzioni del vescovo!!!], gli scismatici ed i ribelli verso il nostro San Pietro: il Papa ed i suoi successori». – 2) L’esame attento del candidato sulla sua fede, comprendente la domanda di confermare ciascuno degli articoli del credo. – 3) L’istruzione del vescovo: « Un vescovo deve giudicare, interpretare, consacrare, ordinare, offrire il sacrificio, battezzare e confermare». In nessuna parte quindi, il nuovo rito menziona che la funzione del vescovo sia quella di ordinare, di confermare e di giudicare (di slegare e legare). -.4) La preghiera che precisa le funzioni del vescovo, dopo la preghiera consacratoria. Nel Pontificalis Romani, si definisce quindi una forma essenziale insufficiente. Per Pio XII, la forma deve significare in modo univoco l’intenzione del rito di fare un Vescovo per ordinare dei preti: «allo stesso modo, la sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in un modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tali» [Pio XII, Sacramentum Ordinis, 1947]. –

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[la vera formula consacratoria di sempre in uso nella Chiesa Cattolica]

La forma designata come “essenziale” da Paolo VI non indica il potere d’ordine, né la grazia dello Spirito-Santo come grazia del Sacramento: « La forma consiste nelle parole di questa preghiera consacratoria; tra di esse, ecco quelle che appartengono alla natura “essenziale”, sicché sono quelle esatte perché l’azione sia valida: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo, quem ipse donavit sanctis apostolis, qui constituerunt Ecclesiam per singula loca, ut sanctuarium tuum, in gloriam et laudem indeficientem nominis tui» [ed ora effondi su questo eletto quella virtù che viene da Te, lo Spirito “principale”, che desti al Figlio tuo diletto, e che Egli donò ai suoi Apostoli, perché si costituisse la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode del tuo Nome …]. (Inoltre non è specificato di quale spirito si tratti! “Principalem”, in latino, significa pure: “del principe” [si consulti un normale vocabolario della lingua latina]… quindi non è per caso che ci si riferisca, viste le referenze degli autori, allo spirito del “principe … di questo mondo”?) – (Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968.]. I termini supposti per definire il Vescovo figurano in un’altra parte del prefazio: «ut distribuát múnera secúndum præcéptum tuum » [Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968). Alla maniera degli anglicani, i difensori del rito montiniano devono allora invocare l’“unità morale” del rito. Nel Pontificalis Romani, la forma essenziale è senza dubbio, insufficiente. Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa!!! « La sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere d’ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tale». [Pio XII, Sacramentum ordinis, 1947]. Le parole del prefazio del Pontificalis romani “non” significano affatto il potere d’ordine: “Ut distribuant munera secundum praeceptum tuum”. [Che essi distribuiscano dei “doni” (!?! forse come santa Claus o la befana !?) secondo il tuo comandamento]. Il termine adottato “distribuant munera” è equivoco, esso esprime dei doni, dei carichi, delle funzioni (vedere il diz. Gaffiot per “munus”), si tratta di un termine profano che non esprime nemmeno lontanamente il potere d’ordine. Dom Botte traduce il greco κλήρους (Klerous) con ‘carichi’ (La Tradition apostolique, Ed. Sources chrétiennes, maggio 1968). Ora un “carico” ecclesiastico non è un ordine. Un anglicano può accettare l’espressione di distribuzione di carichi, un luterano ugualmente. Questa ambiguïtà è voluta … siamo ben lontani dalle parole essenziali del rito latino (comple sacerdote tuo). Queste parole esprimono in modo univoco il potere d’ordine (Episcopum oportet … ordinare – il vescovo deve ordinare!). Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa e quindi la forma è da considerarsi “difettosa A questo punto, a differenza di tutti i riti precedentemente adottati, è patente la “contro-intenzione” del rito, quella di “non” significare il potere di ordinazione dei preti, e quindi la volontà di non ordinare! Si mette dunque in evidenza una contro-intenzione a livello della forma del rito, contro-intenzione che appare in un contesto ecumenico che fornisce la “chiave” per la comprensione della messa in atto di questo rito. Non a caso Jean Guitton, scriveva: «Questa Chiesa ha cessato di chiamarsi cattolica per chiamarsi ecumenica», ed il massone Bugnini (col nome d’arte BUAN, sempre lui, quello della messa del baphomet “signore dell’universo”!) dichiarava sull’Osservatore Romano del 19 marzo del 1965: Noi dobbiamo spogliare le nostre preghiere Cattoliche e la liturgia Cattolica da tutto ciò che potrebbe rappresentare l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri “fratelli” separati (quelli che la “vera” Chiesa ha sempre chiamato “eretici” e “scismatici”, vale a dire i Protestanti.”). Un caso simile, a proposito delle false ordinazioni anglicane, fu inesorabilmente ed infallibilmente stroncato da un Papa “vero”, Leone XIII nella sua famosa lettera Enciclica del 1896(oggi occultata con ogni mezzo dagli apostati modernisti conciliari!), la già più volte citata “Apostolicae curae” nella quale si dimostravano 4 punti: – 1) La forma del sacramento è stata rimpiazzata da una forma ambigua che non significa precisamente la grazia che produce il sacramento [appunto come l’attuale -ndr. -]. –2) Il rito anglicano è stato composto e pubblicato in circostanze di odio del cattolicesimo e in uno spirito settario ed eterodosso (come quello ecumenico e neoterico della setta modernista, ampiamente scomunicato da Papi di felice memoria, uno tra tutti: Pio II –ndr. – ); – 3) Le espressioni del rito anglicano non possono avere un senso cattolico (esattamente come quello esaminato –ndr. – ).– 4) L’intenzione del rito anglicano è contraria a ciò che fa la Chiesa • Una conclusione infallibile e senza appello!!!. Tale conclusione, viste le premesse, può essere tranquillamente e serenamente applicata, con identica fermezza, a quella del rito di Montini e del “trio” dei blasfemi. Si tratta come si vede, di una ulteriore impostura sacrilega a-canonica ed a-cattolica introdotta a devastazione della gerarchia, completata di li a poco (1972) dall’abolizione indebita della tonsura ecclesiastica, e che ha “confezionato”, come vedremo, dei laici mai consacrati, dei prelati-zombi, ridicoli travestiti ed usurpanti ignobilmente titoli e giurisdizione!

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DIVINA MATERNITÀ’ DI MARIA SS.

11 OTTOBRE.

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Questa festa fu istituita dal Sommo Pontefice Pio X I nel 1931, in occasione del XV Centenario del Concilio Efesino, coll’Enciclica « Lux Veritatis». Nostro Signore Gesù Cristo, generato dal Padre, discese dal Cielo con un procedimento nuovo e con una nuova natività, per salvare gli uomini e condurli alla eterna felicità. – Nacque da una Vergine senza concorso di padre terreno, senza perdita della verginità della madre, perché tale nascita conveniva al futuro Salvatore degli uomini, il Quale, benché avesse in sé vera natura umana ne ignorasse però le sozzure. Ciò che crediamo è fuori dell’uso e consuetudine umana, ma è sostenuto dalla potenza divina, che una Vergine è diventata Madre, Vergine ha dato alla luce, Vergine è rimasta. – Questa Vergine è Maria SS., scelta dalla stirpe regale di Davide come fu predetto nelle Sacre Scritture: « Ecco che una Vergine concepirà nel suo seno e partorirà un Figlio a cui sarà posto il nome di Emanuele, che significa: Dio con noi ». La fede della Chiesa nel dogma della Divina Maternità di Maria SS., cominciando dal giorno stesso in cui S. Elisabetta, illuminata dallo Spirito Santo, La salutò per prima «Madre del mio Signore», si conservò interrotta attraverso tutti i secoli. – Infatti fin dai primi tempi, allorché Nestorio osò opporsi a coloro che davano a Maria il titolo di Madre di Dio, il popolo ne fu così scandalizzato ed indignato, che s’alzò nella chiesa stessa a protestare contro la sua falsa dottrina. E quando, tre anni dopo, il Concilio radunato in Efeso, condannò l’eresiarca, la folla immensa che attendeva ansiosa di vedere solennemente riconosciuto il proprio amore e la propria fede nella Beatissima Madre di Dio, acclamò con la gioia più viva alle decisioni dei Padri del Concilio, e li accompagnò trionfalmente alle loro dimore. E noi crediamo fermamente in questo dogma, non solo perché così ci insegna la Santa Chiesa che è infallibile, ma anche per la testimonianza della S. Scrittura e di tutta la storia. – Il titolo di Madre di Dio è per Maria SS. il fondamento, la ragione e la sorgente di tutte le sue grandezze. « È Madre di Dio, dice Cornelio a Lapide: dunque essa è immensamente più eccelsa di tutti gli Angeli, anche dei Cherubini e dei Serafini; è Madre di Dio, e perciò è la più pura, la più santa, così che, dopo Dio, non si può immaginare purezza maggiore; è Madre di Dio, e perciò possiede in grado molto più elevato tutti i privilegi concessi a qualsiasi altro santo ». – Ma, mentre è Madre di Dio, Maria è pure benignissima Madre nostra, sia perché Gesù ci ha comandato di esserLe figli docili ed amorosi, sia perché ce la diede realmente per Madre quando, pendendo dalla Croce, disse a Giovanni ed in lui a ciascuno di noi: « Ecco tua Madre »; e sia perché Maria esercitò veramente gli uffici di Madre, dapprima verso gli Apostoli e poi verso tutta la Chiesa e verso ciascuno dei fedeli. E chi mai non sente di amare e non confida in una Madre così buona e così potente? In Lei trovano la difesa più sicura le anime innocenti, in Lei trovano il conforto gli afflitti, in Lei riposano tutte le speranze di chi, caduto in peccato, vuole risorgere e ritornare al Signore: per le sue mani passano tutte le grazie.

FRUTTO. — Maria SS. meritò di diventare Madre di Dio per la sua purezza e per la sua umiltà. PreghiamoLa a volerci concedere la grazia di queste due virtù così preziose.

PREGHIERA. — O Dio, il quale volesti che il Tuo Verbo, all’annunzio dell’Angelo, prendesse l’Umanità nel seno della Beata Vergine Maria, concedi a noi suoi supplicanti, che, come crediamo ch’Ella è veramente la Madre di Dio, così veniamo aiutati dalla sua intercessione presso di Te. Così sia.

[Un santo per tutti i giorni dell’anno. Roma- Alba, 1930]

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II OTTOBRE

MATERNITÀ” DELLA B. V. MARIA

[Dom Gueranger: “l’anno liturgico”, vol. II.]

Il titolo di Madre di Dio.

Il titolo di Madre di Dio, fra tutti quelli che vengono attribuiti alla Madonna, è il più glorioso. Essere la Madre di Dio è per Maria la sua ragion d’essere, il motivo di tutti i suoi privilegi e delle sue grazie. Per noi il titolo racchiude tutto il mistero della Incarnazione e non ne vediamo altro che più di questo sia sorgente per Maria di lodi e per noi di gioia. Sant’Efrem pensava giustamente che credere e affermare che la Santissima Vergine Maria è Madre di Dio è dare una prova sicura della nostra fede. – La Chiesa quindi non celebra alcuna festa della Vergine Maria senza lodarla per questo privilegio. E così saluta la beata Madre di Dio nell’Immacolato Concepimento, nella Natività, nell’Assunzione e noi nella recita frequentissima dell’Ave Maria facciamo altrettanto.

L’eresia nestoriana.

« Theotókos », Madre di Dio, è il nome con cui nei secoli è stata designata Maria Santissima. Fare la storia del dogma della maternità divina sarebbe fare la storia di tutto il cristianesimo, perché il nome era entrato così profondamente nel cuore dei fedeli che quando, davanti al Vescovo di Costantinopoli, Nestorio, un prete che era il suo portavoce, osò affermare che Maria era soltanto madre di un uomo, perché era impossibile che Dio nascesse da una donna, il popolo protestò scandalizzato. – Era allora vescovo di Alessandria san Cirillo, l’uomo suscitato da Dio per difendere l’onore della Madre del suo Figlio. Egli tosto manifestava il suo stupore: « Mi meraviglia che vi siano persone, che pensano che la Santa Vergine non debba essere chiamata Madre di Dio. Se nostro Signore è Dio, Maria, che lo mise al mondo, non è la Madre di Dio? Ma questa è la fede che ci hanno trasmessa gli Apostoli, anche se non si sono serviti di questo termine, ed è la dottrina che abbiamo appresa dai Santi Padri ».

Il Concilio di Efeso.

Nestorio non cambiò pensiero e l’imperatore convocò un concilio, che si aprì ad Efeso il 22 giugno del 431 sotto la presidenza di san Cirillo, legato del Papa Celestino. Erano presenti 200 vescovi i quali proclamarono che « la persona di Cristo è una e divina e che la Santissima Vergine deve essere riconosciuta e venerata da tutti quale vera Madre di Dio ». I cristiani di Efeso intonarono canti di trionfo, illuminarono la città e ricondussero alle loro dimore con fiaccole accese i vescovi « venuti – gridavano essi – per restituirci la Madre di Dio e ratificare con la loro santa autorità ciò che era scritto in tutti i cuori ». – Gli sforzi di satana avevano raggiunto, come sempre, un risultato solo, cioè quello di preparare un magnifico trionfo alla Madonna e, se vogliamo credere alla tradizione, i Padri del Concilio, per perpetuare il ricordo dell’avvenimento, aggiunsero all’Ave Maria le parole: « Santa Maria, Madre di Dio, pregate per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte ». Milioni di persone recitano ogni giorno quella preghiera e riconoscono a Maria la gloria di Madre di Dio, che un eretico aveva preteso negare.

La festa dell’undici ottobre.

Il 1931 ricorreva il XV centenario del Concilio di Efeso e Pio XI pensò che sarebbe stata « cosa utile e gradita per i fedeli meditare e riflettere sopra un dogma così importante » come quello della maternità divina e, per lasciare una testimonianza perpetua della sua devozione alla Madonna, scrisse l’Enciclica “Lux veritatis”, restaurò la basilica di Santa Maria Maggiore in Roma e istituì una festa liturgica, che « avrebbe contribuito a sviluppare nel clero e nei fedeli la devozione verso la grande Madre di Dio, presentando alle famiglie come modelli. Maria e la sacra Famiglia di Nazareth », affinché siano sempre più rispettati la santità del matrimonio e l’educazione della gioventù. – Che cosa implichi per Maria la dignità di Madre di Dio lo abbiamo già notato nelle feste del primo gennaio e del 25 marzo, ma l’argomento è inesauribile e possiamo fermarci su di esso ancora un poco.

« Godi, o Vergine, perché da sola hai sterminato nel mondo intero le eresie ». L’antifona della Liturgia insegna che il dogma della maternità divina è sostegno e difesa di tutto il cristianesimo. Confessare la maternità divina è confessare la natura divina e l’umana nel Verbo Incarnato in unità di Persona ed è altresì affermare la distinzione delle Persone in Dio nell’unità di natura ed è ancora riconoscere tutto l’ordine soprannaturale della grazia e della gloria.

Maria vera Madre di Dio.

Riconoscere che Maria è vera Madre di Dio è cosa facile. « Se il Figlio della Santa Vergine è Dio, scrive Pio XI nell’Enciclica Lux veritatis, Colei che l’ha generato merita di essere chiamata Madre di Dio; se la Persona di Gesù Cristo è una e divina, tutti, senza dubbio, devono chiamare Maria Madre di Dio e non solamente di Cristo uomo. Come le altre donne sono chiamate e sono realmente madri, perché hanno formato nel loro seno la nostra sostanza mortale, e non perché abbiano creata l’anima umana, così Maria ha acquistato la maternità divina per aver generato l’unica Persona del Figlio suo ».

Conseguenze della maternità divina.

« Derivano di qui, come da sorgente misteriosa e viva, la speciale grazia di Maria e la sua suprema dignità davanti a Dio. La beata Vergine ha una dignità quasi infinita, che proviene dal bene infinito, che è Dio, dice san Tommaso. E Cornelio a Lapide spiega le parole di san Tommaso così: Maria è la Madre di Dio, supera in eccellenza tutti gli Angeli, i Serafini, i Cherubini. È la Madre di Dio ed è dunque la più pura e più santa di tutte le creature e, dopo quella di Dio, non è possibile pensare purezza più grande. È Madre di Dio, sicché, se i Santi ottennero qualche privilegio (nell’ordine della grazia santificante) Maria ebbe il suo prima di tutti ».

Dignità di Maria.

Il privilegio della maternità divina pone Maria in una relazione troppo speciale ed intima con Dio, perché possano esserle paragonate dignità create di qualsiasi genere, la pone in un rapporto immediato con l’unione ipostatica e la introduce in relazioni intime e personali con le tre Persone della Santissima Trinità.

Maria e Gesù.

La maternità divina unisce Maria con il Figlio con un legame più forte di quello delle altre madri con i loro figli. Queste non operano da sole la generazione e la Santa Vergine invece ha generato il Figlio, l’Uomo-Dio, con la sua stessa sostanza e Gesù è premio della sua verginità e appartiene a Maria per la generazione e per la nascita nel tempo, per l’allattamento col quale Lo nutrì, per l’educazione che Gli diede, per l’autorità materna esercitata su di Lui.

Maria e il Padre.

La maternità divina unisce in modo ineffabile Maria al Padre. Maria infatti ha per Figlio il Figlio stesso di Dio, imita e riproduce nel tempo la generazione misteriosa con la quale il Padre generò il Figlio nell’eternità, restando così associata al Padre nella sua paternità. – « Se il Padre ci manifestò un’affezione così sincera, dandoci suo Figlio come Maestro e Redentore, diceva Bossuet, l’amore che aveva per Te, o Maria, gli fece concepire ben altri disegni a tuo riguardo e ha stabilito che Gesù fosse tuo come è suo e, per realizzare con Te una società eterna, volle che tu fossi la Madre del suo unico Figlio e volle essere il Padre del tuo Figlio » (Discorso sopra la devozione alla Santa Vergine).

Maria e lo Spirito Santo.

La maternità divina unisce Maria allo Spirito Santo, perché per opera dello Spirito Santo ha concepito il Verbo nel suo seno. In questo senso Leone XIII chiama Maria Sposa dello Spirito Santo (Encicl. Divinum munus, 9 maggio 1897) e Maria è dello Spirito Santo il santuario privilegiato, per le inaudite meraviglie che ha operate in lei, « Se Dio è con tutti i Santi, afferma san Bernardo, è con Maria in modo tutto speciale, perché tra Dio e Maria l’accordo è così totale che Dio non solo si è unita la sua volontà, ma la sua carne e con la sua sostanza e quella della Vergine ha fatto un solo Cristo, e Cristo se non deriva come egli è, né tutto intero da Dio, né tutto intero da Maria, è tuttavia tutto intero di Dio e tutto intero di Maria, perché non ci sono due figli, ma c’è un solo Figlio, che è Figlio di Dio e della Vergine. L’Angelo dice: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con Te. È con Te non solo il Signore Figlio, che rivestisti della tua carne, ma il Signore Spirito Santo dal Quale concepisti e il Signore Padre, che ha generato Colui che Tu concepisti. È con Te il Padre che fa sì che suo Figlio sia tuo Figlio; è con Te il Figlio, che, per realizzare l’adorabile mistero, apre il tuo seno miracolosamente e rispetta il sigillo della tua verginità; è con te lo Spirito Santo, che, con il Padre e con il Figlio santifica il tuo seno. Sì, il Signore è con te » (3.a Omelia super Missus est)

L’amore di Gesù per la Madre.

« Se fosse permesso spingere tanto innanzi l’analisi del suo sviluppo umano, si direbbe che in Gesù, come in altri, vi fu qualcosa dell’influenza della Madre sua. La grazia, la finezza squisita, la dolcezza indulgente appartengono solo a Lui, ma proprio per tali cose si distinguono coloro, che spesso hanno sentito il cuore come addolcito dalla tenerezza materna e lo spirito ingentilito, per la conversazione con la donna venerata e amata teneramente, che si compiaceva iniziarli alle sfumature più delicate della vita. Gesù fu davvero, come Lo chiamavano i concittadini, il « Figlio di Maria».  Egli tanto ha ricevuto da Maria, perché l’amò infinitamente. Come Dio, La scelse e le donò prerogative uniche di verginità, di purezza immacolata, e nello stesso tempo la grazia della maternità divina; come uomo, l’amò tanto fedelmente che sulla croce, in mezzo alle spaventevoli sofferenze, l’ultimo pensiero fu per lei: Donna, ecco tuo figlio. Ecco tua Madre.» Ma il doppio amore gli fece scegliere per la Madre una parte degnissima di Lei. Il profeta aveva preannunziato lui come il Servo di Jahvè e la Madre fu la Serva del Signore nell’oblio di sé, nella devozione e nel perfetto distacco: « vi è più gioia nel dare che nel ricevere ». Cristo, che aveva presa per sé questa gioia, la diede alla Madre e Maria comprese così bene questo dono che nei ricordi d’infanzia segnò con attenzione particolare i rapporti che a un lettore superficiale sembrano duri: « Perché mi cercavate? Non sapevate che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio? » E più tardi: « Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?… » Gesù vuole insegnarci il distacco che da noi esige e darcene l’esempio » (Lebreton. La Vie et Venseignement de J. C. N. S., p. 62).

Maria nostra Madre.

Salutandoti oggi col bel titolo di Madre di Dio, non dimentichiamo che «avendo dato la vita al Redentore del genere umano, sei per questo fatto stesso divenuta Madre nostra tenerissima e che Cristo ci ha voluti per fratelli. Scegliendoti per Madre del Figlio suo, Dio Ti ha inculcato sentimenti del tutto materni, che respirano solo amore e perdono » (Pio XI Enc. Lux veritatis). – « O Vergine tutta santa, è per i tuoi figli cosa dolce dire di Te tutto ciò che è glorioso, tutto ciò che è grande, ma ciò facendo dicono solo il vero e non riescono a dire tutto quello che tu meriti (Basilio di Seleucia, Omelia 39, n. 6. P. G. 85, c. 452). Tu sei infatti la meraviglia delle meraviglie e di quanto esiste o potrà esistere, Dio eccettuato, niente è più bello di Te » (Isidoro da Tessalonica. Discorso per la Presentazione di Maria P. G. 189, c. 69). – Dalla gloria del cielo ove sei, ricordati di noi, che Ti preghiamo con tanta gioia e confidenza. «L’Onnipotente è con Te e Tu sei onnipotente con Lui, onnipotente per Lui, onnipotente dopo di Lui », come dice san Bonaventura. Tu puoi presentarti a Dio non tanto per pregare quanto per comandare, Tu sai che Dio esaudisce infallibilmente i tuoi desideri. Noi siamo, senza dubbio, peccatori, ma Tu sei divenuta Madre di Dio per causa nostra e « non si è mai inteso dire che alcuno di quelli che sono ricorsi a Te sia stato abbandonato. Animati da questa confidenza, o Vergine delle vergini, o nostra Madre, veniamo a Te gemendo sotto il peso dei nostri falli e ci prostriamo ai tuoi piedi. Madre del Verbo incarnato, non disprezzare le nostre preghiere, degnati esaudirle » (San Bernardo).

Infine chiudiamo in bellezza con il santo Magistero, che è parola di Dio, rileggendo l’enciclica, già citata sopra, di S.S. Pio XI, nella quale tra l’altro c’è un passaggio significativo sul ruolo primario del Santo Padre, oggi misconosciuto dai modernisti apostati, dagli eretici-scismatici sedevacantisti dichiarati o criptici, e i sedicenti sede-privazionisti!

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LETTERA ENCICLICA

LUX VERITATIS

DEL SOMMO PONTEFICE

PIO XI

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI

CHE HANNO PACE E COMUNIONE

CON LA SEDE APOSTOLICA,

NEL XV CENTENARIO

DEL CONCILIO DI EFESO CHE PROCLAMÒ

LA MATERNITÀ DIVINA DI MARIA

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Concilio di Efeso

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

La storia, luce di verità e testimonio dei tempi, se rettamente consultata e diligentemente esaminata, insegna che la promessa fatta da Gesù Cristo: « Io sono con voi … fino alla consumazione dei secoli » [1], non è mai venuta meno alla sua Chiesa e non verrà quindi mai a mancare in avvenire. Anzi quanto più furiosi sono i flutti dai quali è sbattuta la nave di Pietro, tanto più pronto e vigoroso essa sperimenta l’aiuto della grazia divina. E ciò in modo singolarissimo avvenne nei primi tempi della Chiesa, non solo quando il nome cristiano era ritenuto delitto esecrabile da punirsi con la morte, ma anche quando la vera fede di Cristo, sconvolta dalla perfidia degli eretici che imperversavano soprattutto in Oriente, fu messa in gravissima prova. Infatti, come i persecutori dei cristiani, l’uno dopo l’altro, miseramente scomparvero, e lo stesso Impero romano cadde in rovina, così tutti gli eretici, quasi tralci inariditi [2] perché recisi dalla vite divina, più non poterono succhiare la linfa vitale né fruttificare. – La Chiesa di Dio invece, fra tante procelle e vicissitudini di cose caduche, unicamente confidando in Dio, proseguì in ogni tempo il suo cammino con passo fermo e sicuro, né mai cessò di difendere vigorosamente l’integrità del sacro deposito della verità evangelica affidatole dal divino Fondatore. – Questi pensieri si riaffacciano alla Nostra mente, Venerabili Fratelli, nell’accingerCi a parlarvi in questa Lettera di quel veramente faustissimo avvenimento che fu il Concilio celebrato ad Efeso quindici secoli fa, nel quale, come fu smascherata l’astuta protervia degli erranti, così rifulse la inconcussa fede della Chiesa, sorretta dall’aiuto divino. – Sappiamo che per Nostro consiglio furono costituiti due Comitati di uomini insigni [3], incaricati di promuovere nel modo più solenne commemorazioni di questo centenario, non solo qui in Roma, capitale dell’orbe cattolico, ma in ogni parte del mondo. Né ignoriamo che le persone alle quali affidammo tale incarico speciale si adoperarono alacremente di promuovere la salutare iniziativa, senza risparmio di fatiche o di sollecitudini. Di questa alacrità dunque — assecondata, si può dire, dappertutto dal volenteroso e veramente mirabile consenso dei Vescovi e dei migliori fra i laici — non possiamo che grandemente congratularCi, perché confidiamo che ne abbiano a derivare, anche per l’avvenire, grandi vantaggi per la causa cattolica. – Ma considerando Noi attentamente questo avvenimento storico e i fatti e le circostanze ad esso connessi, stimiamo conveniente all’ufficio apostolico affidatoCi da Dio, rivolgerCi personalmente a voi con un’Enciclica in quest’ultimo scorcio del centenario e nella ricorrenza del tempo sacro in cui la B. V. Maria per noi « diede alla luce il Salvatore », e intrattenerCi con voi intorno a questo argomento che certo è della massima importanza. Nel fare ciò nutriamo ferma speranza che non solo le Nostre parole torneranno gradite ed utili a voi e ai vostri fedeli, ma, se esse verranno attentamente meditate con animo desideroso di verità da quanti Nostri fratelli e figli dilettissimi sono separati dalla Sede Apostolica, confidiamo che essi, convinti dalla storia maestra della vita, non potranno non provare almeno la nostalgia dell’unico ovile sotto l’unico Pastore, e del ritorno a quella vera fede, che gelosamente si conserva sempre sicura e inviolata nella Chiesa Romana. Infatti, nel metodo seguito dai Padri e in tutto lo svolgimento del Concilio di Efeso nell’opporsi all’eresia di Nestorio, tre dogmi della fede cattolica specialmente brillarono agli occhi del mondo nella piena loro luce, e di essi Noi tratteremo in modo speciale. Essi sono: che in Gesù Cristo unica è la Persona, e questa divina; che tutti devono riconoscere e venerare la B. V. Maria come vera Madre di Dio; e infine, che nel Romano Pontefice risiede, per divina istituzione, l’autorità suprema, somma e indipendente, su tutti e singoli i cristiani, nelle questioni concernenti la fede e la morale.

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S. Cirillo di Alessandria

I

Per procedere dunque con ordine nella trattazione, facciamo Nostra quella sentenziosa esortazione dell’Apostolo delle genti agli Efesini: « Riuniamoci finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità » [4]. Le quali esortazioni dell’Apostolo, come furono seguite con sì mirabile unione d’animo dai Padri del Concilio di Efeso, così vorremmo che tutti, senza distinzione, facendo tacere ogni pregiudizio, le ritenessero come a sé rivolte e le mettessero felicemente in pratica. – Come è universalmente risaputo, autore di tutta la controversia fu Nestorio; non però nel senso che la nuova dottrina sia sbocciata tutta dal suo ingegno e dal suo studio, avendola egli certamente derivata da Teodoro, vescovo di Mopsuestia; ma egli, svolgendola poscia con maggiore ampiezza, e rimessala a nuovo con una certa apparenza di originalità, si diede a predicarla e a divulgarla con ogni mezzo con grande apparato di parole e di sentenze, dotato com’era di facondia singolare. Nato a Germanicia, città della Siria, si recò da giovane ad Antiochia per istruirsi nelle scienze sacre e profane. In questa città, allora celeberrima, professò dapprima la vita monastica; ma poi, volubile com’era, abbandonato questo genere di vita e ordinato sacerdote, si dedicò totalmente alla predicazione, cercandovi, più che la gloria di Dio, il plauso umano. La fama della sua eloquenza destò tanto favore nel pubblico e talmente si diffuse che, chiamato a Costantinopoli, allora priva del suo Pastore, fu elevato alla dignità episcopale, fra la più grande aspettazione comune. In questa così illustre sede, anziché astenersi dalle massime perverse della sua dottrina, continuò anzi a insegnarle e a divulgarle con maggiore autorità e baldanza. – Per bene intendere la questione, giova qui accennare brevemente ai principali capi dell’eresia nestoriana. Quell’uomo arrogante, giudicando che due ipostasi perfette, vale a dire la umana di Gesù e la divina del Verbo, si fossero riunite in una comune persona, o « prosopo » (com’egli si esprimeva), negò quell’ammirabile unione sostanziale delle due nature, che chiamiamo ipostatica; pertanto insegnò che l’Unigenito Verbo di Dio non s’era fatto uomo, ma si trovava presente nell’umana carne per la sua inabitazione, per il suo beneplacito e per la virtù della sua operazione. Di qui, non doversi Gesù chiamare Dio, ma « Theophoros » ossia Deifero; in modo non molto dissimile da quello per cui i profeti e gli altri santi possono chiamarsi Deiferi, cioè per la grazia divina loro concessa. – Da queste perverse massime di Nestorio seguiva doversi riconoscere in Cristo due persone, l’una divina e l’altra umana; e così ne scendeva necessariamente che la B. V. Maria non era veramente Madre di Dio, ossia « Theotócos », ma piuttosto Madre di Cristo uomo, ossia « Christotócos », o al più Accoglitrice di Dio, ossia « Theodócos » [5]. – Questi empi dogmi, predicati non più nell’oscurità del segreto da un uomo privato, ma apertamente in pubblico dallo stesso Vescovo di Costantinopoli, produssero negli animi, massime nella Chiesa orientale, una gravissima perturbazione. E fra gli oppositori dell’eresia nestoriana, che non mancarono nemmeno nella capitale dell’Impero di Oriente, tiene certamente il primo posto quell’uomo santo e vindice della cattolica integrità che fu Cirillo, Patriarca di Alessandria. Questi, non appena conosciuta l’empia dottrina del Vescovo di Costantinopoli, zelantissimo com’era non soltanto dei figli suoi, ma altresì dei fratelli erranti, difese validamente presso i suoi la fede ortodossa, e si adoperò con animo fraterno di ricondurre Nestorio alla norma della verità, indirizzandogli una lettera. – Riuscito vano questo caritatevole tentativo a motivo della pervicace ostinazione di Nestorio, Cirillo, non meno buon conoscitore che fortissimo assertore dell’autorità della Chiesa Romana, non volle spingere più oltre la discussione né sentenziare di sua autorità in una causa tanto grave, senza prima domandare e udire il giudizio della Sede Apostolica. Scrisse perciò « al Beatissimo e a Dio dilettissimo Padre Celestino », una lettera piena di deferenza, dicendogli fra l’altro: « L’antica consuetudine delle Chiese ci induce a comunicare alla Tua Santità simili cause … » [6]. « Né vogliamo abbandonare pubblicamente la comunione di lui (Nestorio), prima di farne cenno alla Tua pietà. Degnati pertanto di significarci la Tua sentenza, onde chiaramente ci possa constare se convenga che noi comunichiamo con uno che favorisce e predica una siffatta erronea dottrina. Quindi l’integrità della Tua mente e il Tuo parere su questo argomento deve venire esposto chiaramente per iscritto ai vescovi piissimi e a Dio devotissimi della Macedonia e ai Pastori di tutto l’Oriente » [7]. – Nestorio stesso non ignorava la suprema autorità del Vescovo di Roma su tutta la Chiesa; e di fatto ripetutamente scrisse a Celestino, sforzandosi di provare la sua dottrina e di guadagnarsi e accattivarsi l’animo del santo Pontefice. Ma indarno; perché gli stessi scritti incomposti dell’eresiarca contenevano errori non lievi; e il Capo della Sede Apostolica non appena li scorse, mettendo subito mano al rimedio perché la peste dell’eresia non divenisse, temporeggiando, più pericolosa, li esaminò giuridicamente in un Sinodo, e solennemente li riprovò e ordinò che parimenti da tutti fossero riprovati. – E qui desideriamo, Venerabili Fratelli, che riflettiate attentamente quanto, in questa causa, il modo di procedere del Romano Pontefice differisca da quello seguito dal Vescovo di Alessandria. Questi infatti, pur occupando una sede stimata la prima della Chiesa Orientale, non volle, come abbiamo detto, dirimere da sé una gravissima controversia concernente la fede cattolica, prima di aver ben conosciuto il pensiero della Sede Apostolica. Celestino invece, riunito a Roma un Sinodo, esaminata ponderatamente la causa, in forza della suprema e assoluta sua autorità su tutto il gregge del Signore, pronunziò solennemente questa decisione sul Vescovo di Costantinopoli e sulla dottrina di lui: « Sappi dunque chiaramente », così scrisse a Nestorio, « che questa è la nostra sentenza: se di Cristo, Dio nostro, non predichi ciò che affermano la Chiesa Romana e Alessandrina e tutta la Chiesa cattolica, come anche ottimamente sostenne la sacrosanta Chiesa di Costantinopoli fino a te, e se entro dieci giorni da computarsi da quello in cui avrai avuto notizia di questa intimazione, non ripudierai, con una confessione chiara e per iscritto, quella perfida novità che tenta di separare ciò che la Sacra Scrittura unisce, sei cacciato dalla comunione di tutta la Chiesa cattolica. Il testo del nostro giudizio su di te abbiamo inviato, per mezzo del ricordato figlio mio il diacono Possidonio, con tutti i documenti, al santo mio consacerdote Vescovo della predetta città di Alessandria, che di tutto questo affare con maggior pienezza C’informò, perché, in nostra vece, faccia in modo che questa nostra decisione venga conosciuta da te e da tutti i fratelli; perché tutti debbono sapere quanto si fa, quando si tratta della causa di tutti » [8]. – L’esecuzione di questa sentenza fu poi demandata dal Romano Pontefice al Patriarca di Alessandria con queste gravi parole: « Pertanto, forte dell’autorità della nostra Sede, tenendo le nostre veci, eseguirai, con forte vigore questa sentenza: o entro dieci giorni, da computarsi dal giorno di questa intimazione, egli condannerà con una professione scritta le sue perverse dottrine e confermerà di ritenere intorno alla natività di Cristo, Dio nostro, la fede professata dalla Chiesa Romana, da quella della tua santità e dall’universale sentimento; oppure, se ciò non farà, subito la tua santità, provvedendo a quella Chiesa, sappia ch’egli dev’essere in tutti i modi rimosso dal nostro corpo » [9]. – Alcuni scrittori antichi e moderni, quasi per eludere la chiara autorità dei documenti riferiti, vollero su tutta questa controversia proferire giudizio, spesso con un’orgogliosa iattanza. Anche ammesso, così vanno sconsideratamente dicendo, che il Pontefice Romano abbia pronunciato una sentenza perentoria ed assoluta, provocata dal Vescovo di Alessandria emulo di Nestorio, e quindi da lui ben volentieri fatta sua, resta però il fatto che il Concilio, riunitosi più tardi ad Efeso, tornò a giudicare da capo tutta la causa, già giudicata e assolutamente condannata dalla Sede Apostolica, e con la suprema sua autorità stabili ciò che da tutti doveva ritenersi in tale questione. Quindi credono di poter concludere che il Concilio Ecumenico gode di diritti assai maggiori e più forti che non l’autorità del Vescovo di Roma. – Ma chi con lealtà di storico e con animo spoglio di pregiudizi riguardi diligentemente ai fatti e ai documenti scritti, non può non riconoscere che tale obiezione posa sul falso ed è solo una simulazione di verità. Anzitutto conviene avvertire che quando l’imperatore Teodosio, anche in nome del suo collega Valentiniano, indisse il Concilio Ecumenico, la sentenza di Celestino non era ancora giunta a Costantinopoli, e quindi non vi era per nulla conosciuta. In secondo luogo avendo Celestino appreso della convocazione del Concilio di Efeso da parte degli Imperatori, non si mostrò affatto contrario; anzi scrisse a Teodosio [10] e al Vescovo di Alessandria [11] lodando il provvedimento e annunziando la scelta del Patriarca Cirillo, dei Vescovi Arcadio e Proietto e del prete Filippo, quali suoi legati, perché presiedessero al Concilio. Nel fare ciò il Romano Pontefice non rilasciò tuttavia all’arbitrio del Concilio la causa come non ancora giudicata, ma fermo restando, come si espresse, « quanto da Noi già si è stabilito » [12], affidò l’esecuzione della sentenza da lui pronunciata ai Padri del Concilio, in modo che essi, se fosse stato possibile, dopo essersi insieme consultati e aver pregato Iddio, si adoperassero per ricondurre all’unità della fede il Vescovo di Costantinopoli. Infatti, avendo Cirillo domandato al Pontefice come regolarsi in quell’affare, se cioè « il Sacro Sinodo dovesse riceverlo (Nestorio) nel caso che condannasse quanto aveva predicato; oppure valesse la sentenza già da tempo pronunziata, per essere ormai spirato il tempo dell’indugio », Celestino gli rispose: « Sia questo l’ufficio della tua santità insieme col venerando Concilio dei fratelli, di reprimere cioè gli strepiti sorti nella Chiesa, e di far sapere che, con l’aiuto divino, il negozio si è concluso con la desiderata correzione. Né diciamo già di non essere presenti al Concilio, non potendo non essere presenti a coloro con i quali, ovunque essi si trovino, Noi siamo congiunti per l’unità della fede … Costì Noi ci troviamo, perché pensiamo a ciò che costì si tratta per il bene di tutti; trattiamo presenti in ispirito ciò che non possiamo trattare presenti di corpo. Penso alla pace cattolica, penso alla salute di chi perisce, purché questi voglia confessare la sua malattia. E ciò diciamo perché non sembri che veniamo meno a chi forse vuole correggersi … Provi egli che Noi non abbiamo i piedi veloci ad effondere il sangue, conoscendo che anche per lui è offerto il rimedio » [13]. – Queste parole di Celestino ne dimostrano l’animo paterno e attestano chiaramente ch’egli non bramava di meglio se non che rifulgesse alle menti accecate il lume della fede, e che la Chiesa fosse rallegrata dal ritorno degli erranti; tuttavia le prescrizioni da lui fatte ai legati in partenza per Efeso, sono certamente tali da manifestare la cura sollecita con cui il Pontefice ordinò che fossero mantenuti intatti i divini diritti della Sede Romana. Si legge infatti, tra l’altro: « Comandiamo che si debba custodire l’autorità della Sede Apostolica; poiché così parlano le istruzioni che vi sono state date, che cioè dobbiate esser presenti al Concilio e che se si venga alla discussione, voi dobbiate giudicare delle loro opinioni, non già entrare nella lotta » [14]. – Né diversamente si comportarono i legati, col pieno consenso dei Padri del Concilio. Infatti, ubbidendo con fermezza e fedeltà ai predetti ordini del Pontefice, giunti ad Efeso, quando già era finita la prima tornata, chiesero che fossero loro consegnati tutti i decreti della precedente riunione, perché potessero venire ratificati in nome della Sede Apostolica: «Domandiamo che vogliate esporci quanto fu trattato in questo santo Sinodo prima del nostro arrivo, affinché, secondo la mente del beato nostro Papa e di questo santo Concilio, anche noi lo confermiamo …» [15]. – E il prete Filippo pronunciò dinanzi a tutto il Concilio quella famosa sentenza sul primato della Chiesa Romana, che viene riferita nella Costituzione dogmatica « Pastor Aeternus » del Concilio Vaticano [16]. Essa dice: «Nessuno dubita, anzi tutti i secoli conoscono, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette le chiavi del regno dal Signor Nostro Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, e che a lui fu data la potestà di sciogliere e legare i peccati; ed egli fino a questo tempo e sempre vive nei suoi successori ed esercita il giudizio » [17]. – Che più? Forse che i Padri del Concilio Ecumenico si opposero a questo procedere di Celestino e dei suoi legati? Assolutamente no. Anzi rimangono documenti scritti che ne manifestano chiarissimamente la riverenza e l’ossequio. Quando infatti i legati pontifici, nella seconda tornata del Concilio, leggendo la lettera di Celestino, dissero fra l’altro: «Abbiamo inviato, nella nostra sollecitudine, i santi fratelli e consacerdoti, Arcadio e Proietto, Vescovi, e il nostro prete Filippo, uomini specchiatissimi e concordi con Noi, perché intervengano alle vostre discussioni ed eseguano ciò che già da noi è stato stabilito; e ad essi non dubitiamo che la vostra santità debba dare l’assenso …»[18], i Padri, lungi dal ricusare questa sentenza come di giudice supremo, l’applaudirono anzi unanimemente e salutarono il Romano Pontefice con queste onorifiche acclamazioni: «Questo è il giusto giudizio! A Celestino, nuovo Paolo, a Cirillo nuovo Paolo, a Celestino custode della fede, a Celestino concorde col Sinodo, a Celestino tutto il Concilio rende grazie: un solo Celestino, un solo Cirillo, una sola la fede del Sinodo, una sola la fede del mondo » [19]. – Come poi si venne alla condanna e alla riprovazione di Nestorio, i medesimi Padri del Concilio non credettero di poter liberamente giudicare da capo la causa, ma apertamente professarono di essere stati prevenuti e « costretti » dal responso del Romano Pontefice: « Conoscendo … che egli (Nestorio) sente e predica empiamente, costretti dai canoni e dalla lettera del Santissimo Padre nostro e consacerdote Celestino, Vescovo della Chiesa Romana, versando lacrime, veniamo necessariamente a questa lugubre sentenza contro di lui. Pertanto Gesù Cristo, nostro Signore, assalito dalle blasfeme voci di lui, per mezzo di questo santo Sinodo ha definito il medesimo Nestorio privato della dignità episcopale e separato da ogni consorzio e riunione sacerdotale »[20]. – Questa fu altresì la professione fatta da Fermo, Vescovo di Cesarea, nella seconda sessione del Concilio, con le seguenti chiare parole: « L’Apostolica e Santa Sede del santissimo Vescovo Celestino, con la lettera indirizzata ai religiosissimi Vescovi, prescrisse anche in precedenza la sentenza e la regola intorno a questo caso; conformemente ad esse … giacché Nestorio, da noi citato, non è comparso, mandammo ad effetto quella condanna, proferendo contro di lui il giudizio canonico ed apostolico »[21]. – Orbene, i documenti finora da noi ricordati provano in modo così ovvio e significativo la fede già allora comunemente in vigore in tutta la Chiesa intorno all’autorità indipendente ed infallibile del Romano Pontefice su tutto il gregge di Cristo, che Ci richiamano alla mente quella nitida e splendida espressione di Agostino sul giudizio pochi anni prima pronunziato dal papa Zosimo contro i Pelagiani nella sua Epistola Tractoria: « In queste parole la fede della Sede Apostolica è tanto antica e fondata, tanto certa e chiara è la fede cattolica, che non è lecito a un cristiano dubitare di essa » [22]. – È così avesse potuto intervenire al Concilio di Efeso il santo Vescovo di Ippona! come vi avrebbe illustrato i dogmi della verità cattolica con quell’ammirabile sua acutezza d’ingegno, vedendo il pericolo delle discussioni, e come li avrebbe difesi con la sua forza d’animo! Ma quando i legati degli Imperatori giunsero ad Ippona per consegnargli la lettera di invito, non poterono far altro che piangere estinto quel chiarissimo luminare della sapienza cristiana e la sua sede devastata dai Vandali. – Non ignoriamo, Venerabili Fratelli, che alcuni di coloro che, specialmente ai nostri giorni, si dedicano alle ricerche storiche, si affannano non solo ad assolvere Nestorio di ogni taccia di eresia, ma ad accusare il santo Vescovo di Alessandria Cirillo quasi che questi, mosso da iniqua rivalità, calunniasse Nestorio e si adoperasse con tutte le sue forze a provocarne la condanna per dottrine non mai da lui insegnate. E i medesimi difensori del Vescovo di Costantinopoli non si peritano di lanciare la medesima gravissima accusa al beato Nostro antecessore Celestino, della cui imperizia Cirillo avrebbe abusato, e allo stesso sacrosanto Concilio di Efeso. – Ma contro un siffatto attentato, non meno vano che temerario, proclama unanime la sua riprovazione la Chiesa tutta, la quale in ogni tempo riconobbe come meritamente pronunziata la condanna di Nestorio, ritenne ortodossa la dottrina di Cirillo, annoverò sempre e venerò il Concilio Efesino tra i Concili Ecumenici celebrati sotto la guida dello Spirito Santo. – Ed infatti, pur tralasciando molte altre eloquentissime testimonianze, valga quella di moltissimi seguaci dello stesso Nestorio. Essi videro svolgersi gli eventi sotto i propri occhi, né erano legati a Cirillo da vincolo alcuno; eppure, benché spinti alla parte contraria dall’amicizia con Nestorio, dalla grande attrattiva dei suoi scritti e dall’acceso ardore delle dispute, nondimeno, dopo il Sinodo Efesino, come colpiti dalla luce della verità, a poco a poco abbandonarono l’eretico Vescovo di Costantinopoli, che appunto secondo la legge ecclesiastica era da evitare. Ed alcuni di essi certamente sopravvivevano ancora, allorché il Nostro predecessore di f. m. Leone Magno, così scriveva al Vescovo di Marsala Pascasino, suo legato al Concilio di Calcedonia: «Tu ben sai che tutta la Chiesa Costantinopolitana, con tutti i suoi monasteri e molti Vescovi, prestò il suo consenso e sottoscrisse alla condanna di Nestorio e di Eutiche, e dei loro errori » [23]. – Nella lettera dogmatica, poi, all’imperatore Leone, egli accusa apertissimamente Nestorio come eretico e maestro di eresia, senza che alcuno gli contraddica. Egli scrive: « Si condanni dunque Nestorio, che opinò la Beata Vergine Maria essere madre soltanto dell’uomo e non di Dio, stimando altra essere la persona umana ed altra la divina, e non ritenendo un solo Cristo nel Verbo di Dio e nella carne, ma separando e proclamando altro essere il figlio di Dio, altro il figlio dell’uomo » [24]. Né alcuno può ignorare che questo stesso fu solennemente sancito dal Concilio di Calcedonia, il quale riprovò nuovamente Nestorio e lodò la dottrina di Cirillo. Così pure il santissimo Nostro predecessore Gregorio Magno, non appena fu innalzato alla cattedra del beato Pietro, dopo avere ricordato — nella sua Lettera sinodica alle Chiese orientali — i quattro Concili Ecumenici, cioè il Niceno, il Costantinopolitano, l’Efesino e il Calcedonese, si esprime intorno ad essi con questa, nobilissima ed importantissima sentenza: «… Su di essi si innalza, come su pietra quadrata, l’edificio della santa fede; su di essi poggia ogni vita ed azione; chi non si appoggia ad essi, anche se sembri essere pietra, giace tuttavia fuori dell’edificio » [25]. – Tutti dunque ritengano come certo e manifesto che veramente Nestorio propalò errori ereticali, che il Patriarca Alessandrino fu invitto difensore della fede cattolica, e che il Pontefice Celestino, col Concilio di Efeso, difese l’avita dottrina e la suprema autorità della Sede Apostolica.

II

Ma è tempo ormai, Venerabili Fratelli, che passiamo a considerare più profondamente quei punti di dottrina, i quali, mediante la condanna stessa di  Nestorio, furono apertamente professati e autorevolmente sanciti dal Concilio Ecumenico di Efeso. Orbene, oltre la condanna dell’eresia Pelagiana e dei suoi fautori, tra i quali senza dubbio era Nestorio, l’argomento principale che vi fu trattato, e che fu solennemente e unanimemente confermato da quei Padri, riguardava la sentenza del tutto empia e contraria alle Sacre Scritture, propugnata da questo eresiarca; ond’è che fu proclamato come assolutamente certo ciò che egli negava, e cioè in Cristo essere una sola persona, la persona divina. Nestorio infatti, come dicemmo, ostinatamente sosteneva che il Divin Verbo si unisce all’umana natura in Cristo, non già sostanzialmente e ipostaticamente, bensì mediante un vincolo meramente accidentale e morale; e i Padri di Efeso, condannando appunto il Vescovo di Costantinopoli, proclamarono apertamente la vera dottrina dell’Incarnazione, che deve essere da tutti fermamente ritenuta. Ed invero Cirillo, nelle sue epistole e nei suoi capitoli, già in precedenza indirizzati a Nestorio e poi inseriti negli Atti di quel Concilio, accordandosi mirabilmente con la Chiesa di Roma, con chiare e ripetute parole ne difende la dottrina: « Pertanto in nessun modo è lecito scindere l’unico Signor nostro Gesù Cristo in due figli … La Scrittura infatti non dice che il Verbo ha associato a sé la persona umana, ma che si è fatto carne. Il dire che il Verbo si è fatto carne, significa che egli, come noi, si è unito con la carne e col sangue; egli dunque fece suo il nostro corpo e nacque uomo dalla donna, senza nondimeno abbandonare la divinità e la filiazione dal Padre: restò quindi, nella stessa assunzione della carne, quello che era » [26]. – Infatti, come sappiamo dalle Sacre Scritture e dalla tradizione divina, il Verbo di Dio Padre non si congiunse con un uomo, già in sé sussistente, ma uno stesso e medesimo Cristo è il Verbo di Dio esistente ab aeterno nel seno del Padre e l’uomo fatto nel tempo. Poiché la mirabile unione della divinità e dell’umanità in Cristo Gesù, Redentore del genere umano, la quale a ragione vien detta ipostatica, è appunto quella che è inconfutabilmente espressa nelle Sacre Lettere, allorché lo stesso unico Cristo, non solo è appellato Dio ed uomo, ma viene anche descritto in atto di operare e come Dio e come uomo, ed infine, di morire in quanto uomo e di risorgere glorioso dalla morte in quanto Dio. In altri termini, quello stesso che è concepito per virtù dello Spirito Santo nel seno della Vergine, nasce, giace nel presepe, si dice figlio dell’uomo, soffre, e muore confitto in croce, è quello stesso appunto che dall’Eterno Padre, in modo miracoloso e solenne è proclamato « mio Figlio diletto » [27], dà con potere divino il perdono dei peccati [28], restituisce per virtù propria la sanità agli infermi [29] e richiama i morti alla vita [30]. Ora tutto ciò, mentre dimostra ad evidenza essere in Cristo due nature, dalle quali procedono operazioni umane e divine, non meno evidentemente attesta uno essere Cristo, Dio e Uomo nello stesso tempo, per quella unità della persona divina, per la quale è detto « Theànthropos ». – Inoltre, non vi è chi non veda come questa dottrina, costantemente insegnata dalla Chiesa, sia comprovata e confermata dal dogma della Redenzione umana. Infatti, come avrebbe potuto Cristo essere chiamato « primogenito fra molti fratelli » [31], essere ferito a causa della nostra iniquità [32], redimerci dalla schiavitù del peccato, se non fosse stato dotato di natura umana, come noi? E parimenti come avrebbe Egli potuto del tutto placare la giustizia del Padre celeste, offesa dal genere umano, se non fosse stato insignito, per la sua persona divina, di una dignità immensa e infinita? – Né è lecito negare questo punto della verità cattolica per la ragione che, se si dicesse che il Redentore nostro è privo della persona umana, per ciò stesso potrebbe sembrare che alla sua natura umana mancasse qualche perfezione, e quindi diventerebbe, come uomo, inferiore a noi. Poiché, come sottilmente e sagacemente osserva l’Aquinate, « la personalità in tanto appartiene alla dignità e alla perfezione di qualche cosa, in quanto appartiene alla dignità e alla perfezione di quella cosa l’esistere per se stessa, il che si intende col nome di persona. Però è più degno, per qualcuno, esistere in un altro di sé più elevato, che esistere per sé; quindi la natura umana è in maggiore dignità in Cristo, che non lo sia in noi, perché in noi, esistendo quasi per sé, ha la propria personalità; in Cristo, invece, esiste nella persona del Verbo. Così pure l’essere completivo della specie appartiene alla dignità della forma; tuttavia la parte sensitiva è più nobile nell’uomo per la congiunzione ad una più nobile forma completiva, che non lo sia nel bruto animale, nel quale essa stessa è forma completiva »[33]. – Inoltre è bene qui notare che, come Ario, quell’astutissimo sovvertitore dell’unità cattolica, impugnò la natura divina del Verbo, e la sua consostanzialità con l’Eterno Padre, così Nestorio, procedendo per una via del tutta diversa, rigettando cioè l’unione ipostatica del Redentore, negò a Cristo, sebbene non al Verbo, la piena ed integra divinità. Infatti, se in Cristo la natura divina fosse stata unita con quella umana solamente con vincolo morale (come egli stoltamente vaneggiava) — ciò che, come abbiamo detto, hanno in certo qual modo conseguito anche i profeti e gli altri eroi della santità cristiana, per la propria intima unione con Dio — il Salvatore del genere umano poco o nulla differirebbe da coloro che egli ha redenti con la sua grazia e col suo sangue. Rinnegata dunque la dottrina dell’unione ipostatica, sulla quale si fondano ed hanno solidità i dogmi dell’Incarnazione e della redenzione umana, cade e rovina ogni fondamento della religione cattolica. – Però non Ci meravigliamo se, alla prima minaccia del pericolo dell’eresia Nestoriana, tutto l’orbe cattolico ha tremato; non Ci meravigliamo se il Concilio Efesino vivamente si è opposto al Vescovo di Costantinopoli che combatteva con tanta temerità ed astuzia la fede avita, ed eseguendo la sentenza del Romano Pontefice lo ha colpito col tremendo anatema. – Noi pertanto, facendo eco, in armonia di animo, a tutte le età dell’era cristiana, veneriamo il Redentore del genere umano non come « Elia… o uno dei profeti » nei quali abita la divinità per mezzo della grazia, ma ad una voce col Principe degli Apostoli, che ha conosciuto tale mistero per rivelazione divina, confessiamo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente » [34]. – Posta al sicuro questa verità dogmatica, se ne può facilmente dedurre che l’universale famiglia degli uomini e delle cose create è stata elevata dal mistero dell’Incarnazione a tale dignità, da non potersene certamente immaginare una maggiore, certo più sublime di quella alla quale fu innalzata con l’opera della creazione. Poiché in tal maniera nella discendenza di Adamo vi è uno, cioè Cristo, il quale perviene proprio alla sempiterna e infinita divinità, e con la stessa è congiunto in modo arcano e strettissimo; Cristo, diciamo, fratello nostro, dotato della natura umana, ma anche Dio con noi, ossia Emmanuele, che con la sua grazia e i suoi meriti, riconduce tutti noi al divino Autore, e ci richiama a quella beatitudine, dalla quale eravamo miseramente decaduti a causa del peccato originale. Nutriamo dunque per lui sensi di gratitudine, seguiamo i suoi precetti, imitiamone gli esempi. Così saremo consorti della divinità di colui « che si è degnato farsi partecipe della nostra umanità »[35]. – Se però, come abbiamo detto, in ogni tempo, nel corso dei secoli la vera Chiesa di Gesù Cristo ha con somma diligenza difeso pura e incorrotta tale dottrina dell’unità di persona e della divinità del suo Fondatore, non così, purtroppo, avviene presso coloro che miseramente vagano fuori dell’unico ovile di Cristo. Infatti, ogni volta che qualcuno con pertinacia si sottrae al magistero infallibile della Chiesa, abbiamo da lamentare in lui anche una graduale perdita della sicura e vera dottrina intorno a Gesù Cristo. In realtà, se alle tante e così diverse sette religiose, a quelle in modo speciale sorte dal secolo XVI e XVII in poi, le quali si gloriano ancora del nome cristiano e al principio della loro separazione confessavano fermamente Cristo Dio e uomo, domandassimo che cosa ora ne pensano, ne avremmo risposte del tutto dissimili e fra loro contraddittorie; perché, sebbene pochi di essi abbiano conservato una fede piena e retta riguardo alla persona del nostro Redentore, quanto agli altri però, se in qualche maniera affermano qualcosa di simile, questo sembra piuttosto un residuo di quel prezioso aroma di antica fede, di cui ormai hanno perduto la sostanza. – Infatti essi presentano Gesù come un uomo dotato di divini carismi, congiunto in un certo modo misterioso, più degli altri, con la divinità, e a Dio vicinissimo; ma sono molto lontani dalla intera e genuina professione della fede cattolica. Altri infine, non riconoscendo nulla di divino in Cristo, lo dichiarano semplice uomo, adorno sì di esimie doti di corpo e di animo, ma soggetto anche ad errori e alla fragilità umana. Da ciò appare manifesto che tutti costoro, allo stesso modo di Nestorio, vogliono con ardire temerario « separare Cristo » e pertanto, secondo la testimonianza dell’Apostolo Giovanni, « non sono da Dio » [36]. – Noi dunque, dal supremo fastigio di questa Sede Apostolica, esortiamo con cuore paterno tutti coloro che si gloriano di essere seguaci di Cristo, e che in Lui ripongono la speranza e la salute sia dei singoli sia dell’umano consorzio, ad aderire ogni giorno più fermamente e strettamente alla Chiesa Romana, nella quale si crede Cristo con fede unica, integra e perfetta, lo si onora con sincero culto di adorazione, lo si ama con perenne e vivida fiamma di carità. Si ricordino costoro, in modo speciale coloro che governano il gregge da Noi separato, che quella fede dai loro antenati solennemente professata in Efeso, è conservata immutata, e viene strenuamente difesa, come nell’età passata così al presente, da questa suprema Cattedra di verità; si ricordino che una tale purezza e unità di fede è fondata ed ha fermezza nella sola pietra posta da Cristo, e parimenti che solo per mezzo della suprema autorità del Beato Pietro e dei suoi Successori si può conservare incorrotta. – E quantunque di questa unità della religione cattolica abbiamo trattato più diffusamente pochi anni addietro nell’Enciclica Mortalium animos, gioverà tuttavia richiamarla qui brevemente in memoria, poiché l’unione ipostatica di Cristo, confermata in modo solenne nel Concilio Efesino, propone e rappresenta il tipo di quella unità di cui il nostro Redentore volle ornato il suo corpo mistico, cioè la Chiesa, « un solo corpo » [37], « ben compaginato e connesso » [38]. E veramente, se la personale unità di Cristo è l’arcano esemplare al quale Egli stesso volle conformare l’unica compagine della società cristiana, ogni uomo di senno comprende che questa non può affatto sorgere da una certa vana unione di molti discordanti fra loro, ma unicamente da una gerarchia, da un unico e sommo magistero, da un’unica regola del credere, da un’unica fede dei cristiani [39]. – Questa unità della Chiesa, che consiste nella comunione con la Sede Apostolica, fu nel Concilio di Efeso splendidamente affermata da Filippo, legato del Vescovo Romano, il quale, parlando ai Padri Conciliari che ad una voce plaudivano alla lettera inviata da Celestino, proferì queste memorande parole: « Rendiamo grazie al santo e venerabile Sinodo, perché letta a voi la lettera del santo e beato Papa nostro, voi, membra sante, vi siete congiunti al capo santo con le vostre sante voci e con le vostre sante acclamazioni. Infatti la vostra beatitudine non ignora che il beato Apostolo Pietro è capo di tutta la fede ed anche degli Apostoli » [40]. – Più che in passato, ora maggiormente, Venerabili Fratelli, è necessario che tutti i buoni siano stretti in Gesù Cristo e nella sua mistica sposa, la Chiesa, da un’unica, medesima e sincera professione di fede, poiché dappertutto tanti uomini cercano di scuotere il soave giogo di Cristo, respingono la luce della sua dottrina, calpestano le fonti della grazia, e infine ripudiano la divina autorità di Colui, che è diventato, secondo il detto evangelico, « il segno di contraddizione » [41]. – Siccome da tale lacrimevole defezione da Cristo provengono innumerevoli mali che vanno ogni giorno crescendo, tutti cerchino l’opportuno rimedio da Lui, che « è stato dato agli uomini sulla terra e nel quale solamente possiamo avere salvezza » [42]. – Così soltanto con l’aiuto del Sacro Cuore di Gesù, potranno spuntare tempi più felici per gli animi dei mortali, tanto per i singoli uomini, quanto per la società domestica e per la stessa società civile, al presente così profondamente sconvolta.

III

Dal punto della dottrina cattolica fin qui toccato, necessariamente deriva quel dogma della divina Maternità, che predichiamo, della B. Vergine Maria: «non già come ammonisce Cirillo, che la natura del Verbo o la sua divinità abbia tratto il principio della sua origine dalla Vergine Santissima, ma nel senso che da Lei trasse quel sacro corpo informato dall’anima razionale, dal quale il Verbo di Dio, unito secondo la ipostasi, si dice sia nato secondo la carne » [43]. Invero se il figlio della B. Vergine Maria è Dio, per certo Colei che Lo generò deve chiamarsi con ogni diritto Madre di Dio; se una è la persona di Gesù Cristo, e questa divina, senza alcun dubbio Maria deve da tutti essere chiamata non solamente Genitrice di Cristo uomo, ma Deipara, « Theotòcos ». Colei dunque che da Elisabetta sua cugina è salutata «Madre del mio Signore » [44], della quale Ignazio Martire dice che ha partorito Iddio [45], e dalla quale Tertulliano dichiara che è nato Iddio [46], quella stessa noi veneriamo come alma Genitrice di Dio, cui l’eterno Iddio conferì la pienezza della grazia e che elevò a tanta dignità. – Nessuno poi potrebbe rigettare questa verità, tramandataci fin dall’inizio della Chiesa, per il fatto che la B. Vergine abbia fornito sì il corpo a Gesù Cristo, senza però generare il Verbo del Padre celeste; infatti, come a ragione e chiaramente già fin dal suo tempo risponde Cirillo [47], a quel modo che tutte le altre donne nel cui seno si genera il nostro terreno composto ma non l’anima, si dicono e sono veramente madri, così Ella ha similmente conseguito la divina maternità dalla sola persona del Figlio suo. – Giustamente quindi il Concilio Efesino ancora una volta riprovò solennemente l’empia sentenza di Nestorio, che il Romano Pontefice, mosso dallo Spirito divino, aveva condannato un anno prima. – E il popolo di Efeso era compreso da tanta devozione e ardeva di tanto amore per la Vergine Madre di Dio, che appena apprese la sentenza pronunziata dai Padri del Concilio, li acclamò con lieta effusione di animo e, provvedutosi di fiaccole accese, a folla compatta li accompagnò fino alla loro dimora. E certo, la stessa gran Madre di Dio, sorridendo soavemente dal cielo ad un così meraviglioso spettacolo, ricambiò con cuore materno e col suo benignissimo aiuto i suoi figli di Efeso e tutti i fedeli del mondo cattolico, perturbati dalle insidie dell’eresia nestoriana. – Da questo dogma della divina Maternità, come dal getto d’un’arcana sorgente, proviene a Maria una grazia singolare: la sua dignità, che è la più grande dopo Dio. Anzi, come scrive egregiamente l’Aquinate: « La Beata Vergine, per il fatto che è Madre di Dio, ha una dignità in certo qual modo infinita, per l’infinito bene che è Dio » [48]. Il che più diffusamente espone Cornelio a Lapide con queste parole: « La Beata Vergine è Madre di Dio; Ella dunque è di gran lunga più eccelsa di tutti gli Angeli, anche dei Serafini e dei Cherubini. È Madre di Dio; Ella perciò è la più pura e la più santa, così che dopo Dio non si può immaginare una purezza maggiore. È Madre di Dio; perciò qualsiasi privilegio concesso a qualunque Santo, nell’ordine della grazia santificante, Ella lo ha al di sopra di tutti » [49]. – E allora perché i Novatori e non pochi acattolici riprovano così acerbamente la nostra devozione alla Vergine Madre di Dio, quasi riducessimo quel culto che solo a Dio è dovuto? Ignorano forse costoro, o non attentamente riflettono come nulla possa riuscire più accetto a Gesù Cristo, che certamente arde di un amore grande per la Madre sua, quanto il venerarla noi secondo il merito, premurosamente riamarla e studiarci, con l’imitazione dei suoi esempi santissimi, di guadagnarcene il valido patrocinio? – Non vogliamo però passare sotto silenzio un fatto che Ci riesce di non lieve conforto, come cioè ai nostri tempi, anche alcuni tra i Novatori siano tratti a conoscere meglio la dignità della Vergine Madre di Dio, e mossi a venerarla ed onorarla con amore. E questo certamente, quando nasca da una profonda sincerità della loro coscienza e non già da un larvato artificio di conciliarsi gli animi dei cattolici, come sappiamo che avviene in qualche luogo, Ci fa del tutto sperare che, con l’aiuto della preghiera, la cooperazione di tutti e con l’intercessione della B. Vergine che ama di amore materno i figli erranti, questi siano finalmente un giorno ricondotti in seno all’unico gregge di Gesù Cristo e, per conseguenza, a Noi che, sebbene indegnamente, ne sosteniamo in terra le veci e l’autorità. – Ma nella missione della maternità di Maria, ancora un’altra cosa, Venerabili Fratelli, crediamo doveroso ricordare: una cosa che torna certamente più dolce e più soave. Avendo Ella dato alla luce il Redentore del genere umano, divenne in certo modo madre benignissima, anche di noi tutti, che Cristo Signore volle avere per fratelli [50]. Scrive il Nostro Predecessore Leone XIII di f.m.: «Tale ce la diede Iddio: nell’atto stesso in cui la elesse a Madre del suo Unigenito, le ispirò sentimenti del tutto materni, che nient’altro effondessero se non misericordia ed amore; tale da parte sua ce l’additò Gesù Cristo, quando volle spontaneamente sottomettersi a Maria e prestarle obbedienza come un figlio alla madre; tale Egli dalla croce la dichiarò allorché, nel discepolo Giovanni, le affidò la custodia e il patrocinio su tutto il genere umano; tale infine si dimostrò Ella stessa, quando, raccolta con animo grande quella eredità d’un immenso travaglio lasciatale dal Figlio moribondo, si diede subito a compiere ogni ufficio di madre » [51]. – Per questo avviene che a Lei veniamo attratti come da un impulso irresistibile, e a Lei confidiamo con filiale abbandono ogni cosa nostra — le gioie cioè, se siamo lieti; le pene se siamo addolorati; le speranze se finalmente ci sforziamo di risollevarci a cose migliori —; per questo avviene che se alla Chiesa si preparano giorni più difficili, se la fede viene scossa perché la carità si è raffreddata, se volgono in peggio i privati e pubblici costumi, se qualche sciagura minaccia la famiglia cattolica e il civile consorzio, a Lei ci rifugiamo con suppliche, per chiedere con insistenza l’aiuto celeste; per questo, infine, quando nel supremo pericolo della morte, non troviamo più da nessuna parte speranza ed aiuto, a Lei innalziamo gli occhi lacrimosi e le mani tremanti, chiedendo fervidamente, per mezzo di Lei al Figlio suo, il perdono e l’eterna felicità nei cieli. – A Lei, dunque, ricorrano tutti con più acceso amore nelle presenti necessità dalle quali siamo travagliati; a Lei domandino con suppliche pressanti « di impetrare che le fuorviate generazioni tornino all’osservanza delle leggi, nelle quali è riposto il fondamento d’ogni pubblico benessere, e donde promanano i benefìci della pace e della vera prosperità. A Lei chiedano molto intensamente ciò che tutti i buoni devono avere in cima ai loro pensieri: che la Madre Chiesa ottenga il tranquillo godimento della sua libertà, la quale non indirizza ad altro che alla tutela dei supremi interessi dell’uomo, e dalla quale, come gli individui, così la società, anziché danno, trasse in ogni tempo i più grandi e inestimabili benefìci » [52]. – Ma sopra ogni altra cosa, un particolare e certamente importantissimo beneficio desideriamo che da tutti venga implorato, mediante la intercessione della celeste Regina. Ella cioè, che è tanto amata e tanto devotamente onorata dagli Orientali dissidenti, non permetta che questi miseramente fuorviino e che sempre più si allontanino dall’unità della Chiesa e quindi dal Figlio suo, del quale Noi facciamo le veci sulla terra. Tornino a quel Padre comune, la cui sentenza accolsero tutti i Padri del Concilio Efesino e salutarono con plauso unanime quale « custode della Fede »; facciano ritorno a Noi, che per tutti loro portiamo un cuore assolutamente paterno, e volentieri facciamo Nostre quelle tenerissime parole con le quali Cirillo si sforzò di esortare Nestorio, affinché « si conservasse la pace delle Chiese e rimanesse indissolubile tra i sacerdoti di Dio il vincolo della concordia e dell’amore » [53]. – Voglia il Cielo che spunti quanto prima quel lietissimo giorno in cui la Vergine Madre di Dio, fatta ritrarre in mosaico dal Nostro antecessore Sisto III nella Basilica Liberiana (opera che Noi stessi abbiamo voluto restituire al primitivo splendore), possa vedere il ritorno dei figli da Noi separati, per venerarLa insieme con Noi, con un solo animo e una fede sola. Cosa che certamente Ci riuscirà oltre ogni dire gioconda. – Riteniamo inoltre di buon augurio l’essere toccato a Noi di celebrare questo quindicesimo centenario; a Noi, vogliamo dire, che abbiamo difeso la dignità e la santità del casto connubio contro i cavillosi assalti d’ogni genere [54]; a Noi che abbiamo solennemente rivendicato alla Chiesa i sacrosanti diritti dell’educazione della gioventù, affermando ed esponendo con quali metodi dovesse impartirsi, a quali princìpi conformarsi [55]. – Infatti questi due Nostri insegnamenti trovano sia nelle mansioni della divina maternità, sia nella famiglia di Nazaret un esimio modello da proporsi all’imitazione di tutti. Effettivamente, per servirci delle parole del Nostro Predecessore Leone XIII di f. m., « i padri di famiglia hanno in Giuseppe una guida eccellentissima di paterna e vigile provvidenza; nella Santissima Vergine Madre di Dio, le madri hanno un insigne modello di amore, di verecondia, di spontanea sottomissione e di fedeltà perfetta; in Gesù poi, che era a quelli sottomesso, i figli trovano un modello di ubbidienza tale da essere ammirato, venerato ed imitato » [56]. – Ma è particolarmente giovevole soprattutto che quelle madri dei tempi moderni, le quali, infastidite della prole e del vincolo coniugale, hanno avvilito e violato i doveri che si erano imposti, sollevino lo sguardo a Maria, e seriamente considerino a quanto grande dignità il compito di madre sia stato da Lei innalzato. Così si può allora sperare che, con la grazia della celeste Regina, siano indotte ad arrossire dell’ignominia inflitta al grande sacramento del matrimonio, e che siano salutarmente animate a conseguire con ogni sforzo i pregi ammirabili delle virtù di Lei. – E qualora tutto ciò avvenga secondo i Nostri desideri, se cioè la società domestica — principio fondamentale di tutto l’umano consorzio — verrà ricondotta a così degnissima norma di probità, senza dubbio potremo affrontare e porre finalmente un riparo a quello spaventoso cumulo di mali da cui siamo travagliati. In tal modo avverrà « che la pace di Dio, la quale supera ogni intendimento, custodirà i cuori e le intelligenze di tutti » [57], e che l’auspicatissimo regno di Cristo venga dovunque e felicemente ristabilito, mediante la mutua unione delle forze e delle volontà. Né vogliamo por fine a questa nostra Enciclica senza manifestarvi, Venerabili Fratelli, una cosa che certamente riuscirà a tutti gradita. Desideriamo cioè che non manchi un ricordo liturgico di questa secolare commemorazione: un ricordo che giovi a rinfervorare nel Clero e nel popolo la più grande devozione verso la Madre di Dio. Perciò abbiamo ordinato alla Sacra Congregazione dei Riti che vengano pubblicati l’Ufficio e la Messa della Divina Maternità, da celebrarsi in tutta la Chiesa universale. – Intanto a ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro, come auspicio dei celesti favori e quale pegno del Nostro cuore paterno, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 dicembre, nella festa della Natività di N. S. Gesù Cristo, dell’anno 1931, decimo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

[1] Matth., XXVIII, 20.

[2] Ioann., XV, 6.

[3] Epist. ad Emos Card. B. Pompilj et A. Sincero, d. XXV Dec. MDCCCCXXX.

[4] Ephes. IV, 13-16.

[5] Mansi, Conciliorum Amplissima Collectio, IV, c. 1007; Schwartz, Acta Conciliorum Oecumenicorum, I, 5, p. 408.

[6] Mansi, l.c., IV, 1011.

[7] Mansi, l.c., IV, 1015.

[8] Mansi, l.c., IV, 1034 sq.

[9] Migne, P. L., 50, 463; Mansi, l.c., IV, 1019 sq.

[10] Mansi, l.c., IV, 1291.

[11] Mansi, l.c., IV, 1292.

[12] Mansi, l.c., IV, 1287.

[13] Mansi. l.c., IV, 1292.

[14] Mansi, l.c., IV, 556.

[15] Mansi, l.c., IV, 1290.

[16] Conc. Vatic., sess. IV, cap. 2.

[17] Mansi, l.c., IV, 1295.

[18] Mansi, l.c., IV, 1287.

[19] Mansi, l.c. IV, 1287.

[20] Mansi, l.c., IV, 1294 sq.

[21] Mansi, l.c., IV, 1287 sq.

[22] Epist. 190; Corpus Scriptorum ecclesiasticorum latinorum, 57, p. 159 sq.

[23] Mansi, l.c., VI, 124.

[24] Mansi, l.c., VI, 351-354.

[25] Migne, P. L., 77, 478; Mansi, l.c., IX, 1048.

[26] Mansi, l.c., IV, 891.

[27] Matth., III, 17; XVII, 5; II Petr., 17.

[28] Matth., IX, 2-6; Luc., V, 20-24; VII, 48 et alibi.

[29] Matth., VIII, 3; Marc, I, 41; Luc., V, 13; Ioann., IX et alibi.

[30] Ioann., XI, 43; Luc., VII, 14 et alibi.

[31] Rom., VIII, 29.

[32] Isai., LIII, 5; Matth., VIII, 17.

[33] Summ. Theol., III, q. II, a. 2.

[34] Matth., XVI, 14.

[35] Ordo Missae.

[36] I Ioann., IV, 3.

[37] I Cor., XII, 12.

[38] Ephes., IV, 16.

[39] Litt. Encycl. Mortalium animos.

[40] Mansi, l.c., 1290.

[41] Luc., II, 34.

[42] Act., IV, 13.

[43] Mansi, l.c., IV, 891.

[44] Luc., I, 43.

[45] Ephes., VII, 18-20.

[46] De carne Chr., 17, P. L., II, 781.

[47] Mansi, l.c., IV, 599.

[48] Summ Theol., I, q. XXV, a. 6.

[49] In Matth., I, 6.

[50] Rom., VIII, 29.

[51] Epist. Encyl. Octobri mense adventante, die XXII Sept. MDCCCXCI.

[52] Epist. Encycl. s. c.

[53] Mansi, l.c., IV, 891.

[54] Litt. Encycl. Casti connubii, die XXI Decemb. MDCCCCXXX.

[55] Litt. Encycl: Divini illius Magistri, die XXI Decemb. MDCCCCXXIX;

[56] Litt. Apost. Neminem fugit, die XIV Ian. MDCCCXXXXII.

[57] Phil., IV, 7.

FESTA DEL SANTO ROSARIO

Per le festa del SS. Rosario, vogliamo ricordare, tra i tanti, due documenti del Magistero della Chiesa particolarmente importanti. Sono due lettere encicliche di S. S. LEONE XIII, un Papa particolarmente devoto alla Vergine Santissima. Per queste parole non servono commenti, sono voce del Vicario di Cristo in terra … voce di Dio!, oggi più attuali che mai, vista la situazione della Chiesa in mano agli apostati ecumenisti. ma anche questa volta il Rosario sarà l’arma vincente …

“… e il mio Cuore Immacolato alla fine trionferà! 

 rosario

“SUPREMI APOSTOLATUS”

DEL SOMMO PONTEFICE LEONE XIII

“SULLA RECITA DEL SANTO ROSARIO

NEL MESE DI OTTOBRE”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

DEL MONDO CATTOLICO

AVENTI GRAZIA E COMUNIONE

CON L’APOSTOLICA SEDE

LEONE PP. XIII

SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Dall’ufficio del Supremo Apostolato che esercitiamo, e dalla condizione durissima di questi tempi siamo ogni giorno più stimolati e quasi sospinti a provvedere con tanta maggiore sollecitudine alla tutela e all’incolumità della Chiesa quanto più essa è travagliata da gravi calamità. Perciò, mentre Ci sforziamo, per quanto Ci è possibile, di difendere in tutti i modi i diritti della Chiesa, e di prevenire e respingere i pericoli che sovrastano o ci circondano, non desistiamo dall’implorare i celesti soccorsi, dai quali unicamente Ci possiamo attendere che le Nostre cure e le Nostre fatiche raggiungano il desiderato scopo. – Per ottenere questo, nulla stimiamo più valido ed efficace che di renderci degni, con devozione e pietà, del favore della Gran Madre di Dio Maria Vergine, la quale, come mediatrice della nostra pace presso Dio e dispensatrice delle grazie celesti, è collocata in cielo nel più eccelso trono di potere e di gloria, perché conceda il suo patrocinio agli uomini, che fra tante pene e pericoli si sforzano di giungere alla patria sempiterna. – Per la qual cosa, essendo ormai prossima la solennità annuale in cui si celebrano i moltissimi e sommi benefici concessi al popolo cristiano attraverso le preghiere del Santissimo Rosario di Maria, vogliamo che, quest’anno, tutto il mondo cattolico, con particolare devozione, rivolga la stessa pia preghiera alla Grande Vergine, affinché, per la sua intercessione, possiamo avere la gioia di vedere il suo Figlio placato e mosso a compassione dalle nostre miserie. – Per tale motivo abbiamo creduto bene, Venerabili Fratelli, indirizzarVi questa Lettera, perché, conosciute le Nostre intenzioni, Voi possiate, con la Vostra autorità e con il Vostro zelo, spronare la pietà dei fedeli a corrispondere pienamente ad esse. – Fu in ogni tempo lodevolissimo ed inviolabile costume del popolo cattolico ricorrere nei trepidi e dubbiosi eventi a Maria e rifugiarsi nella sua materna bontà. Ciò dimostra la fermissima speranza, anzi la piena fiducia, che la Chiesa cattolica ha sempre a buon diritto riposto nella Madre di Dio. Infatti la Vergine Immacolata, prescelta ad essere Madre di Dio, e per ciò stesso fatta corredentrice del genere umano, gode presso il Figlio di una potenza e di una grazia così grande che nessuna creatura né umana né angelica ha mai potuto né mai potrà raggiungerne una maggiore. E poiché la gioia per Lei più gradita è quella di aiutare e consolare ogni singolo fedele che invochi il suo soccorso, non vi può essere dubbio che Ella voglia molto più volentieri accogliere, anzi esulti nel soddisfare i voti di tutta la Chiesa. – Ma questa così ardente e fiduciosa devozione verso l’augusta Regina del cielo più chiaramente apparve quando la violenza degli errori largamente diffusi, o la corruzione strabocchevole dei costumi, o l’impeto di potenti nemici, parve mettere in pericolo la Chiesa militante di Dio. – Le memorie antiche e moderne, e i sacri fasti della Chiesa ricordano le pubbliche e private preghiere e i voti innalzati alla Gran Madre di Dio, nonché i soccorsi, la pace e la tranquillità concessi da Dio per sua intercessione. Da qui ebbero origine quei titoli insigni con i quali i popoli cattolici la salutarono Ausiliatrice dei cristiani, Soccorritrice, Consolatrice, Arbitra delle guerre, Trionfatrice, Apportatrice di pace. Fra tali titoli si vuole in primo luogo ricordare quello così solenne del Rosario, con cui furono consacrati all’immortalità i sommi suoi benefici verso l’intera cristianità. Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, quanto travaglio e lutto apportassero alla santa Chiesa di Dio, sullo scorcio del secolo XII, gli eretici Albigesi, i quali, generati dalla setta degli ultimi Manichei, riempirono di perniciosi errori le contrade meridionali della Francia ed altre regioni del mondo latino. – Spargendo in tutti i luoghi il terrore delle armi, contavano di poter dominare incontrastati con stragi e rovine. Contro siffatti nemici crudelissimi, il misericordioso Iddio, come è noto, suscitò un santissimo uomo, l’inclito padre e fondatore dell’Ordine Domenicano. Egli, grande per la purezza della dottrina, per la santità della vita, per le fatiche dell’Apostolato, prese a combattere intrepidamente per la Chiesa cattolica, confidando non nella forza né nelle armi, ma più di tutto in quella preghiera che egli per primo introdusse col nome del santo Rosario e che, o direttamente o per mezzo dei suoi discepoli, diffuse ovunque. Per ispirazione e per impulso divino, egli ben sapeva che con l’aiuto di questa preghiera, potente strumento di guerra, i fedeli avrebbero potuto vincere e sconfiggere i nemici, e costringerli a cessare la loro empia e stolta audacia. Ed è noto che gli avvenimenti diedero ragione alla previsione. Infatti, da quando tale forma di preghiera insegnata da San Domenico fu abbracciata e debitamente praticata dal popolo cristiano, cominciarono a rinvigorire la pietà, la fede e la concordia, e furono dappertutto infrante le manovre e le insidie degli eretici. Inoltre moltissimi erranti furono ricondotti sulla via della salvezza, e la follia degli empi fu schiacciata da quelle armi che i cattolici avevano impugnate per rintuzzare la violenza. – L’efficacia e la potenza della stessa preghiera furono poi mirabilmente sperimentate anche nel secolo XVI, allorché le imponenti forze dei Turchi minacciavano di imporre a quasi tutta l’Europa il giogo della superstizione e della barbarie. In quella circostanza il Pontefice San Pio V, dopo aver esortato i Principi cristiani alla difesa di una causa che era la causa di tutti, rivolse innanzi tutto ogni suo zelo ad ottenere che la potentissima Madre di Dio, invocata con le preghiere del Rosario, venisse in aiuto del popolo cristiano. E la risposta fu il meraviglioso spettacolo, allora offerto al cielo e alla terra, spettacolo che incatenò le menti e i cuori di tutti. Da una parte, infatti, i fedeli pronti a dare la vita e a versare il sangue per la salvezza della religione e della patria, aspettavano intrepidi il nemico non lontano dal golfo di Corinto; dall’altra, uomini inermi in pia e supplichevole schiera invocavano Maria, e con la formula del Rosario ripetutamente salutavano Maria, affinché assistesse i combattenti fino alla vittoria. – E la Madonna, mossa da quelle preghiere, li assistette. Infatti, avendo la flotta dei cristiani attaccato battaglia presso le isole Curzolari, senza gravi perdite sbaragliò ed uccise i nemici [a Lepanto] e riportò una splendida vittoria. Per questo motivo il santissimo Pontefice, ad eternare il ricordo della grazia ottenuta, decretò che il giorno anniversario di quella grande battaglia fosse considerato festivo in onore di Maria Vincitrice, e tale festa Gregorio XIII consacrò poi col titolo del Rosario. – Parimenti sono note le vittorie riportate sulle forze dei Turchi, durante il secolo scorso, una volta presso Timisoara in Romania, e l’altra presso l’isola di Corfù, in due giorni dedicati alla grande Vergine e dopo molte preghiere a Lei offerte secondo il pio rito del Rosario. Questa fu la ragione che mosse il Nostro Predecessore Clemente XI a stabilire che, in attestato di riconoscenza, tutta la Chiesa celebrasse ogni anno la solennità del Rosario. – Pertanto, poiché risulta che questa preghiera è tanto cara alla Vergine, e tanto efficace per la difesa della Chiesa e del popolo cristiano, nonché per impetrare da Dio pubblici e privati benefici, non stupisce che anche altri Pontefici Nostri Predecessori si siano adoperati con parole di altissimo encomio per diffonderla. Così Urbano IV affermò che “per mezzo del Rosario pervengono nuove grazie al popolo cristiano”. Sisto IV proclamò che questa forma di preghiera “torna opportuna, non solo a promuovere l’onore di Dio e della Vergine, ma anche ad allontanare i pericoli del mondo”; Leone X la disse “istituita contro gli eresiarchi e contro il serpeggiare delle eresie”; e Giulio III la chiamò “ornamento della Chiesa di Roma”. Parimenti Pio V, parlando di questa preghiera, disse che “al suo diffondersi, i fedeli, infiammati da quelle meditazioni e infervorati da quelle preghiere, cominciarono d’un tratto a trasformarsi in altri uomini; le tenebre delle eresie cominciarono a dileguarsi, ed a manifestarsi più chiara la luce della fede cattolica”. Infine, Gregorio XIII dichiarò che il “Rosario fu istituito da San Domenico per placare l’ira di Dio e per ottenere l’intercessione della Beata Vergine”. – Mossi da queste considerazioni e dagli esempi dei Nostri Predecessori, riteniamo assai opportuno, nelle presenti circostanze, ordinare solenni preghiere affinché la Vergine augusta, invocata col santo Rosario, ci impetri da Gesù Cristo, Suo Figlio, aiuti pari ai bisogni. – Voi vedete, Venerabili Fratelli, le incessanti e gravi lotte che travagliano la Chiesa. La pietà cristiana, la pubblica moralità e la stessa fede – il più grande dei beni, e fondamento di tutte le altre virtù – sono esposte a pericoli sempre più gravi. Così pure Voi non solo conoscete la Nostra difficile situazione e le Vostre molteplici angustie, ma per la carità che a Noi sì strettamente Vi unisce, Voi le soffrite insieme con Noi. Ma il fatto più doloroso e più triste di tutti è che tante anime, redente dal sangue di Gesù Cristo, come afferrate dal turbine di questa età aberrante, vanno precipitando in un comportamento sempre peggiore, e piombano nell’eterna rovina. – Il bisogno dunque del divino aiuto non è certamente minore oggi di quando il glorioso San Domenico introdusse la pratica del Rosario Mariano per guarire le piaghe della società. Egli, illuminato dall’alto, vide chiaramente che contro i mali del suo tempo non esisteva rimedio più efficace che ricondurre gli uomini a Cristo, che è “via, verità e vita”, mediante la frequente meditazione della Redenzione, ed interporre presso Dio l’intercessione di quella Vergine a cui fu concesso di “annientare tutte le eresie”. – Per questo motivo egli compose la formula del sacro Rosario in modo che fossero successivamente ricordati i misteri della nostra salvezza, e a questo dovere della meditazione s’intrecciasse un mistico serto di salutazioni angeliche, intercalate dalla preghiera a Dio, Padre del Nostro Signore Gesù Cristo. – Noi dunque, che andiamo ricercando un uguale rimedio a simili mali, non dubitiamo che la stessa preghiera, introdotta dal santo Patriarca con così notevole vantaggio per il mondo cattolico, tornerà efficacissima nell’alleviare anche le calamità dei nostri tempi. – Per la qual cosa non solo esortiamo caldamente tutti i fedeli affinché, o in pubblico o in privato, ciascuno nella propria casa e famiglia, si studino di praticare la devozione del Rosario, senza mai tralasciarne l’uso, ma vogliamo altresì che l’intero mese d’ottobre del corrente anno sia dedicato e consacrato alla celeste Regina del Rosario.

Decretiamo pertanto e comandiamo che in questo stesso anno la solennità della Madonna del Rosario sia celebrata con speciale devozione e splendore di culto in tutto il mondo cattolico, e che dal primo giorno del prossimo ottobre sino al due del successivo novembre in tutte le Chiese parrocchiali del mondo e, se gli Ordinari dei luoghi lo riterranno utile ed opportuno, anche in altre Chiese ed Oratori dedicati alla Madre di Dio, si recitino devotamente almeno cinque decine del Rosario, con l’aggiunta delle Litanie Lauretane. Desideriamo poi che quando il popolo si raccoglie per tali preghiere, o si offra il santo Sacrificio della Messa, oppure si esponga solennemente il Santissimo Sacramento, e alla fine s’impartisca ai presenti la Benedizione con l’Ostia sacrosanta. – Vivamente approviamo che le Confraternite del Rosario, seguendo un’antica tradizione, facciano solenni processioni per le vie delle città, a pubblica dimostrazione della loro fede. Ma dove, per l’avversità dei tempi, ciò non sia possibile, Noi non dubitiamo che quanto sarà tolto da questa parte al culto pubblico sarà compensato con una più numerosa frequenza ai sacri templi, e che il fervore della pietà si manifesterà con una più diligente pratica delle cristiane virtù. – A favore poi di coloro che faranno quanto sopra abbiamo ordinato, apriamo volentieri i celesti tesori della Chiesa, nei quali essi possano trovare al tempo stesso stimoli e premi alla loro pietà. Pertanto a coloro che, entro il tempo stabilito, parteciperanno alla pubblica recita del Rosario con le Litanie, e pregheranno secondo la Nostra intenzione, concediamo per ogni volta l’Indulgenza di sette anni e di sette quarantene. Vogliamo parimenti che di tale beneficio possano godere coloro che, impediti per legittima causa dal compiere il pio esercizio in pubblico, lo praticheranno in privato, e pregheranno anch’essi Iddio secondo la Nostra intenzione. – A coloro poi che, entro il suddetto tempo, per almeno dieci volte, compiranno la medesima pratica o in pubblico nelle Chiese, o, per giusti motivi, nelle loro case, concediamo l’Indulgenza plenaria, purché alla pia pratica congiungano la Confessione e la Comunione. – Questa Indulgenza plenaria delle loro colpe concediamo anche a quanti, nella stessa solennità della Beata Vergine del Rosario o in uno degli otto giorni successivi, si saranno parimenti accostati al tribunale della Penitenza ed alla mensa del Signore, ed in qualche Chiesa avranno pregato Dio e la Madonna seco la Nostra intenzione, per le necessità della santa Chiesa. Orsù dunque, Venerabili Fratelli, per quanto avete a cuore l’onore di Maria e il benessere della società, studiatevi di alimentare la devozione e di accrescere la fiducia dei popoli verso la Grande Vergine. Noi pensiamo che sia da attribuire a divino favore il fatto che, anche in momenti tanto burrascosi per la Chiesa come questi, si siano mantenute salde e fiorenti nella maggior parte del popolo cristiano l’antica venerazione e la pietà verso la Vergine augusta. Ma ora Noi speriamo che, incitati da queste Nostre esortazioni ed infiammati dalle Vostre parole, i fedeli si metteranno con sempre più ardente entusiasmo sotto la protezione e l’assistenza di Maria, e continueranno ad amare con crescente fervore la pratica del Rosario, che i nostri padri solevano considerare non solo come un potente aiuto nelle calamità, ma anche come un nobile distintivo della cristiana pietà. La celeste Patrona del genere umano accoglierà benigna le umili e concordi preghiere, e agevolmente otterrà che i buoni si rinvigoriscano nella pratica della virtù; che gli erranti ritornino in sé e si ravvedano; e che Dio, vindice delle colpe, piegato a misericordiosa clemenza, allontani i pericoli e restituisca al popolo cristiano e alla società la tanto desiderata tranquillità. – Confortati da questa speranza, con i più accesi voti del Nostro cuore preghiamo vivamente Iddio, per l’intercessione di Colei in cui ha riposto la pienezza di ogni bene, affinché elargisca a Voi, Venerabili Fratelli, le più abbondanti grazie celesti, delle quali è auspicio e pegno l’Apostolica Benedizione che impartiamo di cuore a Voi, al Vostro Clero ed ai popoli affidati alle Vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’1 settembre 1883, anno sesto del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII

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Leone XIII

Octobri mense

Lettera Enciclica

 

Con l’approssimarsi del mese di ottobre, sacro alla beatissima Vergine del Rosario, Ci ritornano gradite alla memoria le calorose esortazioni a voi rivolte negli anni scorsi, Venerabili fratelli, affinché tutti i fedeli, senza eccezione, incitati dalla vostra autorità e dal vostro zelo si applicassero con rinnovata devozione al culto della gran Madre di Dio, potente ausiliatrice della cristianità, ed a Lei si rivolgessero supplichevoli per tutto il mese, invocandola con la santissima pratica del Rosario, che la Chiesa non ha mai mancato di esercitare e di diffondere, specialmente in situazioni d’incertezza e in tempi di grandi difficoltà, ottenendo sempre l’esito desiderato. – È Nostra intenzione, anche quest’anno, rivolgerci a voi per ribadire e raddoppiare le stesse esortazioni, come Ci consiglia e Ci spinge a fare l’amore verso la Chiesa, le cui tribolazioni, invece di affievolirsi aumentano ogni giorno di numero e di gravità. I mali che deploriamo sono noti a tutti: i sacrosanti dogmi che la Chiesa custodisce e tramanda sono sistematicamente attaccati; la purezza della morale cristiana che essa difende è derisa; in molti modi si calunnia e si offende l’ordine dei Vescovi e soprattutto il romano Pontefice; si arriva al punto di attaccare lo stesso Gesù Cristo con spudorata audacia e infame empietà, allo scopo di abbattere e cancellare ciò che nessuna forza riuscirà mai a distruggere, ossia la divina opera della Redenzione. In verità, la Chiesa militante è avvezza a tali prove; come Gesù aveva predetto agli Apostoli, deve quotidianamente affrontare la battaglia per insegnare agli uomini la verità e condurli alla salvezza eterna. Infatti combatte impavida attraverso i secoli fino al martirio, soprattutto lieta e onorata di offrire il proprio sangue insieme a quello del suo Fondatore, in cui è riposta la certissima speranza della vittoria promessa. – Tuttavia è pur vero che questa continua guerra riempie di profonda mestizia i buoni. Sicuramente è causa di grande tristezza vedere come la malvagità degli errori e la protervia contro Dio allontanino molti dalla retta via e li spingano verso il precipizio. Così pure vedere tanti altri, ai quali è indifferente qualsiasi forma di religione, abbandonare da un momento all’altro la vera fede; ancora, non sono pochi i cattolici che si considerano tali solo di nome e che non curano affatto le pratiche religiose. Inoltre, avvilisce e addolora ancor più il constatare che questa luttuosa situazione è nata soprattutto dal fatto che nelle istituzioni sociali o non si dà alcuna importanza alla Chiesa o se ne contrasta volutamente il benefico influsso. In questo stato di cose si ravvisa la grande e giusta punizione di Dio, che permette l’ottundimento delle nazioni, le quali, con miserevole cecità mentale, si allontanano da Lui. – Per tutto questo, la situazione afferma di giorno in giorno, con maggior forza, l’assoluta necessità che i cattolici si rivolgano a Dio con assidue, fervorose preghiere e suppliche “incessantemente”) (1Ts 5,17) Facciano ciò non soltanto in privato, ma soprattutto riuniti nei luoghi sacri, e implorino con tutte le loro forze che Dio misericordioso liberi la Chiesa “dagli indesiderabili e dai malvagi” (2Ts 3,2) e riporti alla ragione le genti traviate, mediante la luce e la carità di Cristo. – Cosa meravigliosa, straordinaria, in verità! Se gli uomini, pur sorretti dal lavoro, dalla forza, dalle armi, dall’ingegno riescono a fatica a percorrere la loro strada, la Chiesa, per contro, procede nei secoli con passo fermo e sicuro confidando unicamente in Dio, al quale innalza gli occhi e le mani con incessante preghiera. Infatti, pur non trascurando prudentemente tutti gli strumenti umani che, con l’aiuto divino, il tempo le offre, non in questi ripone la sola speranza, bensì nella preghiera, nella supplica, nella fervida invocazione a Dio. Ne deriva che alimenta e rinvigorisce il suo spirito vitale, perché, con l’assidua preghiera, può felicemente staccarsi dalle miserie umane. In perpetua unione con Dio, può godere della stessa vita di Cristo e continuare a vivere in piena tranquillità, quasi come Cristo stesso, al quale la crudeltà dei tormenti, che egli sopportò per il bene di tutti, non tolse né diminuì la gioia e la visione beatifica. – Queste grandi testimonianze della saggezza cristiana furono sempre tenute in considerazione e religiosamente seguite da tutti i buoni cristiani. Le loro preghiere al Signore solevano essere più frequenti e più intense ogni volta che la santa Chiesa o la sua più alta guida venivano colpite dal violento attacco degli inganni o dalla sciagurata azione di uomini iniqui. Resta come straordinario esempio quello dei fedeli della Chiesa nascente, degno, senza dubbio, di essere proposto all’imitazione dei posteri, affinché lo seguano. Pietro, vicario di Cristo Signore, capo supremo della Chiesa, era stato tradotto in carcere per ordine dell’empio Erode e destinato a morte certa. Non c’era alcun mezzo né aiuto esterno che potessero favorire la sua evasione. Non gli mancava, però, quell’aiuto che una fervida preghiera ottiene da Dio; la Chiesa, infatti, come riporta la storia sacra, pregava intensamente per la sua salvezza. “Da parte della Chiesa si rivolgeva a Dio una incessante supplica per lui” (At 13,5), e tutti pregavano con tanto maggior impegno quanto più acuta era la pena per così grave sciagura. È risaputo che le preghiere dei supplicanti ebbero successo: il popolo cristiano celebra sempre con grande gioia il ricordo della miracolosa liberazione di Pietro. – Inoltre, un esempio divino ancora più fulgido fu fornito da Gesù Cristo quando non solo con i precetti, ma impegnando tutto se stesso, volle preparare e indirizzare la sua Chiesa verso la piena santità. Infatti, nel tempo della sua vita terrena, si dedicò spesso e diffusamente alla preghiera. Anzi, nell’ora estrema, quando nell’orto di Getsemani, con l’animo invaso da profonda amarezza, si sentiva venir meno al pensiero della morte imminente, non solo pregava, ma “pregava con maggior fervore” (Lc XXII, 43). Non fece questo per il proprio bene, perché, come Dio, non aveva nulla da temere né da desiderare, ma lo fece per noi e per la sua Chiesa, le cui preghiere e sofferenze future rendeva feconde di grazia, facendole generosamente sue. – Non appena ottenuta la salvezza del genere umano col sacrificio della Croce, la Chiesa, dopo la resurrezione di Cristo, fu fondata in terra e solennemente consolidata; da quel momento ebbe inizio, per il nuovo popolo, un ordine di Provvidenza Divina prima sconosciuto. Conviene tener conto, con grande rispetto, dei consigli divini. – L’eterno Figlio di Dio volle assumere la natura umana per la redenzione e l’onore dell’uomo, e con ciò avviare un mistico connubio con il genere umano. Non lo volle fare senza aver prima ottenuto il pieno, libero consenso della Madre predestinata, che in certo qual modo rappresentava l’intera umanità, secondo la giustissima e nobile definizione dell’Aquinate: “Per l’annunciazione si aspettava il consenso della Vergine, per conto dell’umanità intera” . Per questo, è lecito affermare, a piena ragione, che dell’immenso tesoro di ogni grazia che il Signore ci ha procacciato, poiché “la grazia e la verità provengono da Cristo” (Gv 1,17), nulla ci viene dato direttamente se non attraverso Maria, per volere di Dio. Dato che nessuno può andare al Sommo Padre se non per mezzo del Figlio, così, di regola, nessuno può avvicinarsi a Cristo se non attraverso la Madre. – Quanta luce di sapienza e di misericordia risplende in questo disegno divino! Quanta insipienza, invece, e fragilità nell’uomo! Come noi lodiamo l’infinita misericordia di Dio e crediamo in essa, così ne riconosciamo e temiamo l’infinita giustizia; come ricambiamo l’amore del nostro Salvatore, che per noi diede anima e sangue, così lo temiamo come inflessibile giudice. Perciò, trepidanti perché consapevoli delle nostre azioni, necessariamente ci occorre un protettore e patrocinatore che goda di tutta la grazia di Dio e che sia di tanta generosità da non rifiutare la difesa di nessuno e da ridare agli avviliti e agli afflitti la speranza nella misericordia divina. Con estrema chiarezza, è proprio il caso di Maria: certamente potente perché madre dell’Onnipotente, ma, ed è ciò che risulta più gradevole perché compiacente, benigna, indulgente al massimo grado. Tale ce la offrì Dio stesso quando la elesse madre del suo Unigenito, instillandole veri sentimenti materni, di null’altro animati se non di amore e perdono. Così ce la mostrò Gesù Cristo nei fatti, quando volle spontaneamente viverle accanto, in sottomissione e obbedienza, come un figlio con la madre. Così la consacrò dalla Croce, quando le affidò, nel discepolo Giovanni, la cura e il sostegno dell’umanità intera; come tale, infine, si offerse ella stessa quando, accettando con grande forza d’animo l’eredità dell’immenso impegno affidatole dal figlio morente, cominciò subito a riversare su tutti le sue cure di madre. – Fin dall’inizio, i Santi Apostoli e i primi cristiani accolsero con immensa gioia l’iniziativa di tanta benevola misericordia, presa per volontà divina e confermata dalle ultime parole di Cristo. La capirono e l’insegnarono anche i Venerabili Padri della Chiesa e, in ogni tempo, ebbe il consenso di tutte le popolazioni cristiane. Pur se ogni ricordo, ogni documento tacesse, una voce erompente dal petto dei cristiani parlerebbe alta e chiara. Da nessun’altra parte, se non certamente da una fede divina, può provenire quel prepotente impulso che dolcemente ci attrae e che ci spinge verso Maria, tanto non c’è nulla di più importante e di più gradito che affidarci alla sua protezione e assistenza. Riporre in Lei progetti e opere, purezza e pentimento, gioie e dolori, preghiere e voti, insomma, ogni cosa di noi, con serena, fiduciosa speranza che tutto ciò che sarebbe meno gradito da Dio se presentato da noi, indegni, risulterebbe graditissimo e ben accetto se presentato da Maria santissima. Come grande è la consolazione dell’animo per la verità e la dolcezza di queste cose, altrettanta è la mestizia pensando a coloro che, privi di fede, non riveriscono né considerano Maria come madre. Maggiormente ci addolora la miseria di quelli che, pur essendo partecipi della fede, osano rimproverare i buoni di rivolgere a Maria eccessivi ed esagerati onori: perciò tradiscono profondamente quel sentimento d’amore che dovrebbero avere come figli. – Pertanto ora, nella tempesta delle avversità da cui la Chiesa è afflitta, tutti i figli a lei fedeli capiscono facilmente quanto siano obbligati da un sacro dovere a pregare Dio sempre più fervorosamente e quale sia la miglior strada da seguire affinché queste preghiere possano ottenere il massimo effetto. Seguendo l’esempio dei devotissimi padri e antenati nostri, rifugiamoci in Maria Santissima, Signora nostra; rivolgiamoci a Maria, madre di Cristo e nostra, e tutti insieme supplichiamo: “Dimostra di essere madre; fa che per merito tuo accolga le nostre preghiere Colui che, nato per noi, accettò di essere tuo figlio” . – Ora però, se fra le tante forme e maniere di onorare la divina Madre sono da preferire quelle considerate più degne di lei e a lei più gradite, piace qui indicare espressamente e vivamente raccomandare il Rosario. Questo modo di pregare è comunemente chiamato “corona”, anche perché esso rappresenta un felice intreccio dei grandi misteri di Gesù e di Maria, dei gaudi, dei dolori, dei trionfi. È incredibile quanto giovamento possano trarre i fedeli dalla devota meditazione di questi sublimi misteri, ripassati e contemplati uno per uno, sia per alimentare la fede e proteggerla dall’ignoranza o da errori funesti, sia per risollevare e rafforzare i valori morali. In questo modo, il pensiero e la memoria di colui che prega, illuminati dalla fede, si dedicano a questi misteri con gioioso trasporto e, compenetrandoli e discutendoli, possono considerare con ammirazione la meravigliosa opera dell’umano riscatto ottenuto a sì gran prezzo e attraverso una lunga serie di avvenimenti. In verità, l’animo, di fronte a queste manifestazioni di carità divina, si infiamma di amore e di riconoscenza, rafforza e aumenta la speranza e, ansioso, tende ad ottenere il premio celeste predisposto da Cristo per coloro che si uniranno a lui, seguendone l’esempio e condividendone i dolori. Qui trovano posto le preghiere insegnate dal Signore stesso, dall’Arcangelo Gabriele e dalla Chiesa: preghiere che, ricche di lodi e di salutari voti, riscoperte ripetute seguendo un ordine ben preciso e vario, daranno sempre nuovi e graditi frutti di pietà. – È da credere, tra l’altro, che la stessa Regina celeste valorizzi in special modo, col suo appoggio, l’efficacia della preghiera del Rosario, proprio perché, per sua iniziativa e suggerimento, fu istituita e divulgata dal famoso Patriarca Domenico, in un periodo tristissimo per il Cattolicesimo, non molto diverso dall’attuale, quasi come un’arma da guerra validissima per sconfiggere i nemici della fede. La setta degli eretici Albigesi, infatti, aveva invaso molte regioni, sia in forma clandestina, sia manifesta; orribile emanazione dei Manichei, ne rinnovava gli spaventosi errori e ne ripeteva le violenze, le ipocrisie e il più accanito odio verso la Chiesa. Contro questa arrogante e pericolosissima moltitudine ben poco si poteva sperare dalle forze degli uomini, quando giunse l’aiuto direttamente da Dio per merito del Rosario. E così, col favore della Vergine, gloriosa vincitrice di tutte le eresie, furono annullate e distrutte le forze degli empi e salvata la fede di tanti. Molti altri fatti simili a questo, accaduti presso diverse popolazioni, come pericoli allontanati o benefìci ottenuti, sono sufficientemente noti e la storia li ricorda, sia in passato, sia in tempi recenti, con splendide testimonianze. – A ciò si aggiunge, inoltre, un’altra valida, convincente argomentazione: da quando fu istituita, la pratica del Rosario fu subito accettata e resa operante ovunque, presso ogni classe sociale. In verità, con nobili appellativi e in molti modi la devozione dei cristiani rende onore alla Madre di Dio, che unica fra tutte le creature rifulge per tanti meriti. Tuttavia, la recita del Rosario, questa particolare preghiera nella quale sembrano concentrarsi la testimonianza della fede e il culto dovuto alla Madonna, è sempre stata singolarmente amata. Al Rosario, sia in privato, sia in pubblico, nelle case e nelle famiglie, è stata dedicata una speciale attenzione, costituendo associazioni, consacrando altari, promuovendo processioni, nella convinzione che non esista una preghiera che possa meglio onorare la Vergine nelle sue solennità e ottenerne la protezione e i favori. – A questo proposito, non si può passare sotto silenzio un fatto che evidenzia il sorprendente, provvidenziale intervento della nostra Protettrice. Quando, col passare degli anni, ci si accorse che presso certe popolazioni si andava spegnendo il sentimento religioso e si trascurava la stessa consuetudine di questa preghiera, nel momento in cui gli eventi pubblici si stavano avviando verso una situazione pericolosa e incombevano bisogni urgenti, con generale consenso venne ripristinata, a preferenza di altre pratiche religiose, la preghiera del Rosario, che recuperò il suo posto d’onore e riacquistò ovunque il suo valore salvifico. Non occorre cercare testimonianze di ciò in tempi lontani: abbiamo luminosi esempi al presente. In questa nostra età che, come abbiamo ricordato all’inizio è veramente ostile alla Chiesa, a Noi, che per volere divino siamo incaricati di governarla, è dato però di osservare e ammirare con compiacimento che in ogni luogo, fra le popolazioni cattoliche, si onora e si tiene in grande considerazione la pratica del Rosario. Ciò è da attribuire esclusivamente a Dio, che guida e regge le sorti degli uomini, e non alla saggezza e allo zelo di questi ultimi. Di conseguenza il Nostro animo, mentre si rallegra e si riconforta, nutre un’incrollabile fiducia in ulteriori e più grandi trionfi della Chiesa, auspice Maria. – Tuttavia ci sono alcuni che, pur convinti di tutto ciò che noi abbiamo giustamente ricordato, non vedendo fino ad ora realizzato nulla di quanto avevano sperato, specialmente riguardo alla pace e alla tranquillità della Chiesa, anzi, constatando che forse i tempi tendono al peggio, abbandonano, stanchi e sfiduciati, la buona abitudine di pregare con convinzione. Stando così le cose, gli uomini dovrebbero prima controllare se le preghiere che rivolgono a Dio possiedono, secondo il precetto di Cristo Signore, le giuste virtù: se così fosse, considerino che è indegno e illecito voler imporre a Dio il modo e il tempo di venirci in aiuto. Egli nulla ci deve, e quando esaudisce le nostre preghiere e “corona i meriti nostri, non corona altro che i suoi doni” . Quando non asseconda del tutto le nostre richieste, si comporta saggiamente come un buon padre con i figli, perdonando la loro stoltezza e avendo cura del loro benessere. – In realtà, le nostre preghiere, tese ad ottenere, con il sostegno di tutti i Santi del Paradiso, il favore di Dio per la sua Chiesa, sono sempre ben accette e ascoltate da lui, sia che riguardino l’aspetto spirituale, cioè il bene massimo ed eterno, sia che si riferiscano all’aspetto temporale, meno importante, ma sempre a lei necessario. Sicuramente a queste invocazioni aggiunge grande importanza e sicura efficacia, sia per le preghiere, sia per i suoi meriti, Cristo Signore, che “amò la Chiesa e sacrificò se stesso per lei, al fine di santificarla… per mostrarla a se stesso vestita di gloria” (Ef 5,25-27); egli, sommo Pontefice di questa Chiesa, santo e innocente, “vive sempre per intercedere in nostro favore”: noi sappiamo per fede che il suo intervento e la sua preghiera ottengono immancabilmente buon esito. – Per ciò che riguarda poi i beni temporali della Chiesa e la sua vita, è palese che essa si trova di fronte nemici formidabili per avversione e potenza. Da questi è spogliata purtroppo dei suoi averi, ostacolata ed oppressa nella sua libertà, perseguitata e disprezzata nella sua autorità e, infine, esposta a danni e fatta segno ad atti ostili di ogni genere. Se ci si chiede perché la malvagità di questi avversari non arrivi alla violenza, non raggiunga, cioè, lo scopo degli sforzi profusi e perché, invece, la Chiesa, in tante vicissitudini, continui ad emergere, seppur in modi diversi, e a crescere in magnificenza e gloria, sia nell’uno come nell’altro caso, è giusto ritenere che il motivo principale consista nella lodevole consuetudine della Chiesa di pregare Dio. La ragione umana, infatti, non può sufficientemente rendersi conto di come mai un odio così potente non riesca a superare confini, che pur sono ristretti, e la Chiesa, al contrario, senza libertà di movimento, riesca ugualmente ad ottenere magnifiche vittorie. La stessa cosa diventa più evidente se si tratta dei beni con i quali la Chiesa indirizza gli uomini al conseguimento dell’ultimo fine. Dal momento che essa è nata proprio con questo compito, deve avere molto peso con le sue preghiere affinché la provvidenza e la misericordia divina abbiano un perfetto risultato. Tale che gli uomini, pregando con la Chiesa e per la Chiesa, possano ottenere ciò che “Dio onnipotente, fin dall’eternità, stabilì di donare” . – La mente umana non può capire, per ora, i superiori disegni della Provvidenza divina, ma al momento opportuno, quando le ragioni e le concatenazioni delle cose saranno benignamente palesate da Dio stesso, risulterà chiaro quanto grandi, in proposito, siano state l’efficacia e l’utilità della preghiera. Sarà per merito suo se molti, nella corruzione di un’epoca depravata, si conservarono immuni e incontaminati “da ogni lordura della carne e dello spirito, portando a compimento la santificazione nel timore di Dio” (2Cor VII,1); se altri, già in procinto di abbandonarsi al disonore, seppero fermarsi in tempo e da quella stessa pericolosa prova ottennero doni di maggiore virtù; se altri, già caduti, trovarono la forza interiore di rialzarsi e di riabbracciare Dio misericordioso. Facciamo voti che tutti, consapevoli di ciò, non cedano agl’inganni dell’antico nemico, né abbandonino per nessun motivo la pratica della preghiera, ma si mantengano costanti nell’orazione, “incessantemente”. La loro prima preoccupazione sia per il sommo bene, ossia l’eterna salvezza di tutti, e per l’incolumità della Chiesa; dopo si possono chiedere a Dio gli altri beni relativi alle necessità della vita, purché ci si adegui alla sua sempre giusta volontà, e parimenti si ringrazi il munifico Padre, sia che conceda o neghi le cose richieste. Infine ci si rivolga a Dio con amore e devozione, come è giusto e doveroso che sia, così come erano soliti fare i Santi e come si comportò lo stesso nostro Redentore e Maestro, “con alte grida e lacrime” (Eb V,7). – Ora, il dovere e l’amore paterno ci spingono ad implorare Dio, dispensatore di ogni bene, affinché infonda in tutti i figli della Chiesa non solo il desiderio della preghiera, ma anche quello di una sincera penitenza. Al tempo stesso, dal profondo del cuore esortiamo tutti e ciascuno a praticare, con lo stesso impegno, questa virtù, strettamente connessa all’altra. È evidente, infatti, che se la preghiera dà conforto allo spirito, lo agguerrisce e lo avvicina a Dio, la penitenza ci rende padroni di noi stessi, specialmente del corpo che, per colpa del peccato originale, è l’acerrimo nemico della ragione e della legge evangelica. Non c’è dubbio che queste virtù si collegano perfettamente tra loro, si sostengono a vicenda e tendono insieme al medesimo scopo: distogliere l’uomo, nato per il cielo, dalle cose terrene, quasi ad innalzarlo ad una celeste intimità con Dio. Al contrario, se lo spirito si abbandona alle passioni e non resiste alle lusinghe, così debilitato rifiuterà le dolcezze delle cose celesti, e la preghiera non sarà altro che una voce debole e fredda, certamente indegna di essere ascoltata da Dio. – Tutti conosciamo gli esempi di penitenza dei Santi, le cui preghiere e suppliche, proprio per queste mortificazioni, non solo risultavano estremamente gradite a Dio, ma addirittura operavano miracoli, come apprendiamo dai sacri scritti. Essi sapevano guidare la mente e l’animo; sapevano dominare, senza cedimenti, le passioni; non mancavano di ubbidire, con pieno consenso e sottomissione, alla dottrina di Cristo e agli insegnamenti e ai precetti della Sua Chiesa. Nulla desideravano e nulla respingevano se prima non si erano resi conto della volontà di Dio, e non miravano ad altro, con le loro azioni, se non ad aumentare la Sua gloria, a reprimere energicamente e a vincere le voglie insane, a trattare duramente e senza riguardi il proprio corpo, ad astenersi, per amore della virtù, anche da cose piacevoli, di per se stesse lecite. Per tutto questo, potevano, a buon diritto, ripetere ciò che l’Apostolo Paolo diceva di sé: “Dopo tutto, la nostra cittadinanza è in cielo” (Fil 3,20). È per questo motivo che le loro preghiere risultavano tanto efficaci nel propiziare la benevolenza e il favore di Dio. – Naturalmente è chiaro che non tutti possono né debbono fare altrettanto, tuttavia, che ognuno debba controllare la sua condotta di vita, compatibilmente col proprio sentire, lo esigono le ragioni della giustizia divina, a cui, per i nostri peccati, ci si deve rigorosamente attenere. È auspicabile, mentre si è in vita, imporsi volontarie mortificazioni le quali, così, acquistano il merito della virtù. – Inoltre, dal momento che tutti facciamo parte del corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa, ne deriva, secondo San Paolo, che quando un membro si allieta per una qualsiasi ragione anche gli altri si rallegrano con lui; parimenti, se è addolorato, tutti partecipano al suo dolore e allora, se i fratelli cristiani sono ammalati nell’animo o nel corpo, gli altri debbono spontaneamente intervenire in loro aiuto e, a seconda delle possibilità, prendersene cura. “Abbiano le membra una vicendevole sollecitudine… Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro esulta, tutte le membra godono della sua esultanza. Ecco, voi siete il corpo di Cristo e membri di uno stesso membro” (1Cor XII,25-27). Ora, in questa prova di carità, che ci indica il dovere di espiare le colpe del prossimo, sull’esempio di Cristo, che diede la vita con immenso amore per la redenzione dei peccati di tutti noi, sta proprio il grande vincolo di perfezione col quale i fedeli sono legati fra di loro, coi Santi e intimamente con Dio. In conclusione, la pratica di una santa penitenza è tanto varia, operosa e si estende talmente in largo che ognuno, solo con un po’ di coscienza e di buona volontà, può esercitarla di frequente senza troppa fatica. – È scontato, Venerabili Fratelli, che, data la vostra straordinaria e ammirevole devozione verso la Santissima Madre di Dio, la solerzia e la carità verso il gregge dei cristiani, dall’opera vostra, dopo i Nostri richiami e le Nostre esortazioni, Noi Ci aspettiamo un esito sicuramente ottimo. Esulta il Nostro cuore nel prevedere gli stessi frutti, già ora copiosi e fecondi, che più volte ottenne la manifesta devozione dei cattolici per Maria. Dunque, per le chiamate, le sollecitazioni, i suggerimenti vostri, i fedeli convengano numerosi, specialmente nel prossimo mese, agli altari rituali dell’augusta Regina e amorevolissima Madre e, secondo l’usanza filiale, intreccino e le offrano mistiche ghirlande, recitando il Rosario sicuramente gradito. Ferme restando le norme da Noi stessi precedentemente fissate al riguardo, e le sacre indulgenze concesse). – Come sarà grande ed esaltante vedere nelle città, nei villaggi, nelle campagne, in terra, in mare e in ogni angolo del mondo cattolico molte centinaia di migliaia di fedeli, accomunati nelle preghiere e nelle lodi, con una sola voce e un solo intento, in tutte le ore del giorno acclamare Maria, implorare Maria e sperare di ottenere ogni bene per merito di Maria! A lei, fiduciosi, chiedano con forza, dopo aver supplicato il Figlio, che le popolazioni allontanatesi dalla giusta via ritornino ai principii e ai precetti cristiani, sui quali poggia il benessere pubblico e da cui sgorgano copiosi i frutti della invocata pace e della vera beatitudine. A lei chiedano con insistenza ciò che deve essere intensamente ambìto da tutti i buoni, cioè che Madre Chiesa possa ottenere la sua libertà e ne possa godere tranquillamente. Essa non chiede altro che poter realizzare i maggiori benefìci per l’umanità; da lei, sia i singoli individui, sia le comunità, non ricevettero mai alcun danno, bensì sempre numerosi e grandissimi vantaggi. – Ora, Venerabili Fratelli, con l’intercessione della Regina del Santissimo Rosario, Iddio sia prodigo con voi di grazie celesti affinché abbiate, il più a lungo possibile, forze e protezione per attendere santamente ai doveri del vostro ufficio pastorale. Ne sia auspicio e pegno l’Apostolica Benedizione che a voi, al clero e ai fedeli affidati alle vostre cure affettuosamente impartiamo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 settembre 1891, quattordicesimo anno del Nostro Pontificato

Invito alla confessione.

Invito alla confessione.

confessione

[Manuale di Filotea, del  sac. G. Riva, Milano 1888 – imprim. -]

Un povero carcerato il quale col laccio al collo aspettasse d’ora in ora di andare al supplizio, non aspirerebbe a fortuna maggiore che di campare la vita. E se gli venisse recata la nuova che il principe gli perdona, e di più lo adotta e lo fa erede del suo regno appena lo crederebbe, e credendolo correrebbe rischio che l’allegrezza gli togliesse la vita che non gli tolse il carnefice. Ora se si possono paragonare le cose piccole alle grandi e le temporali alle eterne, questa è la mutazione che in un peccatore si opera con la santa Confessione. Dallo stato di reo, di schiavo, di condannato ad essere in eterno ludibrio di satanasso, egli è sublimato alla dignità di figliuolo adottivo di Dio. Miglior sorte è questa che non fu quella di Giuseppe cavato dal fondo di una torre è posto la nell’Egitto a sedere sul trono. Qui è che si può dire: “meraviglia! il re mandò a liberarlo nella prigione e non contento di ciò, lo costituì padrone per la sua casa e sovrintendente a tutto i suoi poderi. Voi forse non sarete finora mai giunto a capire quanto male sia vivere in peccato mortale; e per questo io non mancherò in farlo vedere delle susseguenti meditazioni. Frattanto vi basti sapere che il peccato mortale è sommo male, la somma disgrazia e la somma disavventura che possa accadere all’anima nostra. È più miserabile un uomo con un solo peccato mortale sulla coscienza che non sarebbe se egli avesse addosso per suo tormento tutti i demoni che bruciano nell’inferno e ne fosse per tutta la vita invasato. Poco male sarebbe rispetto a questo l’essere cambiato in un mostro. Voi vi stupite tanto quando sentite un Nabunodonosor, re di Babilonia, trasfigurato in un bue, un Tridate re dell’Armenia tramutato in un porco. Eppure questo è un nulla rispetto a ciò che è nell’anima di un peccatore. Egli è proprio come un demonio, onda di uno di questi disse il Signor: “uno di voi è un demonio perché, come dice San Tommaso, il demonio non è altro che una creatura intelligente in stato di peccato mortale. Se si potesse mai offrire ad questa elezione, o di precipitare senza colpa all’inferno, o di salire al cielo con la colpa, non sarà ammesso il modo non avrebbe affrettarsi a dire animosamente: piuttosto all’inferno con l’innocenza, che nel cielo con l’iniquità! Ma che dissi con S. Anselmo? l’Ecclesiastico quando parlò della colpa non disse forse chiaro: “meglio di lei è l’inferno? Né è meraviglia, perché il male della pena si oppone alla volontà della creatura, il male della colpa alla volontà del Creatore; ora guardate voi se vi può essere paragone. D’altra parte chi può misurare l’altezza della grazia per mezzo della quale noi siamo costituiti figliuoli adottivi di Dio? È la grazia divina un bene tanto grande che più vale un minimo grado di essa, che non vale tutta la nobiltà, tutta la sapienza, tutta la bellezza, tutto il potere, tutta la Santità, tutte le ricchezze, e quanto mai hanno posseduto di bene tutti gli uomini, anzi quanto è dovuto alla natura stessa degli Angeli. – E così se per acquistar un grado di questa grazia fosse necessario subissare la terra, sprofondar cieli e tutto in un momento distruggere la natura tutta, questa rovina sarebbe bene impiegata per tanto acquisto. Più, la giustificazione, che è quella per la quale si infonde la grazia nell’anima nostra, supera tutto quello che è nell’ordine della natura si fa dall’onnipotenza divina, e più fra Dio quando converte un solo peccatore che non fece quando diede il moto alle stelle, quando creò l’universo e quando ne creasse uno di nuovo ad ogni secolo. “Non est digna ponderatio continentis animae (dice il Signore nella Sapienza), non v’è prezzo che eguagli un’anima giusta. Che vi pare dunque della felicità di chi da tanta miseria passa ad un tale stato? Pigliate questo termine PECCATO, ponderatelo attentamente e poi mettetelo a paragone della GRAZIA, e consideratene la differenza. Inteso questo, voi subito capirete quanto bene a noi venga dalla Confessione sacramentale per mezzo della quale si effettua questa grande mistificazione e stupirete, anzi stordirete in vedere che tuttavia pur si trovino i peccatori i quali si confessino tanto di rado, contenti di riposare la loro somma miseria come animali che molto più volentieri stanno a giacere nelle proprie lordure di quello che mai farebbero in letti d’oro. Oh quanta ragione ebbe Dio in gridare contro costoro con Sofonia: “anderò a cercare gli uomini fitti nelle loro immondezze!” Che se poi questa giustificazione è già effettuata, non è perciò che la santa Confessione rimanga senza il suo frutto imperocché quella grazia della quale un minimo grado, come avete già sentito, vale tanto, sempre viene ad avvalorarsi, ad aumentarsi, a moltiplicarsi. “Chi è giusto si giustifichi di più” come si fa nell’Apocalisse. Per animarvi dunque a confessarvi frequentemente e superare quel poco di vergogna che si prova nell’esporre candidamente le proprie debolezze, considerate che cosa opera in noi la Confessione ben fatta.

Effetti della confessione ben fatta.

1) Ci libera dalla colpa, dalla schiavitù del demonio, dalla pena eterna.

2) Ci restituisce l’amicizia di Dio, la pace dell’anima, e meriti moltiplicati.

3) Ci fortifica per estirpare ogni abito cattivo, per superare ogni tentazione, per praticare ogni virtù.

Cose necessarie a ben confessarsi

I. – ORAZIONE per impetrare: 1° – I lumi onde conoscere, 2° la contrizione onde detestar .- 3° l’umiltà onde confessare sinceramente i propri peccati. – 4° Una volontà risoluta di farne la debita penitenza, e di non commettere peccato veruno in avvenire.

II. – ESAME diligente, universale, imparziale.

III. – DOLORE interno, sovrannaturale, sommo, universale, animato dalla speranza del perdono.

IV. – PROPONIMENTO fermo, universale, efficace.

V. – CONFESSIONE intera, umile, sincera.

VI. – SODDISFAZIONE pronta, intera, devota.

Orazioni prima dell’esame

confessione-2

A Gesù Cristo

Gesù dolcissimo che mettete la vostra gloria nel far sovrabbondare la grazia là dove ha abbondato l’iniquità, gettate uno sguardo di compassione sopra quest’anima peccatrice che, umiliata ai vostri piedi, da voi implora soccorso. Pastore amantissimo delle anime nostre, che sollecito hanno andate in cerca delle pecorelle smarrite, non rigettate per pietà quest’anima infelice che, stanca dei suoi deviamenti desidera ritornare al vostro seno per non abbandonarvi mai più. La mia naturale cecità, raddoppiata dalle passioni che ho finora assecondate m’impedisce adesso di comprendere il numero e la grandezza delle commesse iniquità. Voi adunque che illuminate ogni uomo che viene al mondo, illuminate adesso la mia mente con un raggio della vostra luce, affinché riconosca tutte le mie colpe in quell’aspetto in cui me le farete conoscere nel giorno del Giudizio; non permettete che il mio amor proprio mi seduca nascondendomi sotto falsi pretesti i miei difetti. Io resterò confuso, lo preveggo, nel riconoscere l’orrendo abuso delle vostre grazie e le infinite violazioni della vostra legge; ma la mia confusione sarà salutare perché alla vista di tanti eccessi più facilmente sarà mosso il mio cuore ha detestar con l’amarezza della contrizione. Tuttavia come posso io permettermi di detestare i miei peccati se da me solo non posso nemmeno né richiamarli né riconoscerli? Voi dunque siete il solo da cui procede il volere e l’operare, compite adesso la grande opera della mia conversione, da cui per pura vostra misericordia mi avete ispirato il desiderio; io mi getto ai vostri piedi come un reo davanti al suo giudice, come un suddito ribelle davanti al suo Re. Voi comunicate all’anima mia parte di quella contrizione che per me avesse nell’orto, allorché piangeste le mie colpe con lacrime di sangue in tutto il corpo. Deh! Con quella voce onnipotente che chiamò a vita i defunti comandate adesso all’anima mia di uscire dal sepolcro dei miei peccati e tosto si romperanno quei lacci che la tengono schiava dei suoi nemici, e rinnovata e santificata comincerà a vivere una vita tutta nuova per non morire mai più. Voi prestatemi dunque un’assistenza speciale affinché questo Sacramento a cui solo per accostarmi sia da me ricevuto con tutte quelle disposizioni che sono indispensabili a partecipare agli infiniti vantaggi pei quali voi l’avete istituito.

A Maria

Vergine Santissima, Madre di misericordia, arbitra di ogni grazia, che godete di essere chiamata il soccorso dei cristiani ed il rifugio dei poveri peccatori, impetratemi adesso dal vostro Figlio divino lume alla mente e contrizione al cuore acciocché mediante il suo aiuto io possa riconciliarmi in questo Sacramento con la sua offesa bontà e cominciar poi una vita tutta conforme alla sua legge, modellata sui vostri esempi, che furono sempre frutti preziosi di grazia e di virtù, di onore e di onestà.

All’angelo custode

Angelo Santo, amorosissimo custode dell’anima mia, voi che, specchiandovi di continuo nel beatifico volto del vostro Dio, vedete con chiarezza tutte le azioni degli uomini, ma specialmente di me che la divina pietà si è compiaciuto di affidare alla paterna vostra premura, leggete adesso in questo specchio divino ed infallibile tutta la serie dei miei disordini per suggerirmeli fedelmente alla memoria. E siccome foste vostro malgrado il testimone delle mie cadute, così aiutatemi adesso a rialzarmi e ad ottenere per mezzo di questo Sacramento la grazia di non più ricadere.

Ai santi protettori.

E voi tutti, o santi del cielo, e specialmente miei avvocati e protettori che con tanta rettitudine camminaste nelle vie del Signore e con asprissima penitenza cancellaste i minimi vostri falli, aiutatemi adesso con la vostra potente intercessione a risorgere dallo stato di colpa in cui miseramente mi trovo, affinché santificata l’anima mia in questo Sacramento di riconciliazione e di pace, diventi poi imitatrice fedele della vostra virtù sulla terra per partecipare al premio eterno che, in unione con voi, mi ha la divina misericordia già preparato nel cielo.

confessione-3

ESAME DI COSCIENZA

[Per ogni sorta di persone, massime in occasione di confessione generale o straordinaria].

Dei precetti del decalogo

I° adorare un Dio solo

Se volontariamente avete dubitato delle cose di fede o le avete impugnate o poste in burla o trascurato di impararle; se letti libri proibiti senza licenza; se avete peccato sulla fiducia del perdono o disperato della divina misericordia o presunto di salvarvi senza pentirvi; se avete criticato la divina Provvidenza o vi siete di essa rammaricati per travagli della vita; si avete dato fede a sogni, a sortilegi, o avete osservato qualche superstizione con invocazione, o tacita od espressa del demonio o adoperate cose sacre a questo effetto; se trascurato il bene per rispetto umano; se avete mancato di adorare Dio in tutti giorni e attribuirGli ogni vostro bene, spirituale e temporale; si avete profanate le chiese, la cose sante, oltraggiato le persone consacrate a Dio; si avete abusato delle parole della Sacra Scrittura o delle cerimonie della Chiesa in cose ridicole o in ischerzi profani; se avete tralasciato di fare gli atti di fede, ecc., nei templi nelle circostanze in cui ne correva l’obbligazione.

2°: Non usare il nome di Dio invano.

Se avete giurato in nome di Dio o dei Santi colla bugie o senza bisogno<, giurato di fare qualche male cosa indifferente o santa con l’intenzione di mancare alla parola; si avete bestemmiato Dio o la Vergine o i Santi, se avete nominato il Nome del Signore con irriverenza; se avete detto delle imprecazioni contro voi stessi o contro il prossimo desiderandone la morte, dannazione o altro male; se avete indotto a giurare il falso o dato occasione di bestemmiare; se non avete osservato i voti o siete è stato negligente dell’adempirli.

3°: Santificare le feste.

Se avete tralasciato di ascoltare la Santa Messa nel giorno di festa o se l’avete ascoltata discorrendo, o volontariamente distratto; se avete lavorato o fatto lavorare per tempo notabile senza necessità e licenza; se vi siete portato con irriverenza in chiesa ridendo facendo altre cose illecite; se avete consumato il tempo in giuochi o in viziose intemperanti ricreazioni; se avete profanato i giorni di festa col far dei contratti o trascurato di santificarli con esercizi di Pietà; se avete lasciato di far osservare questo precetto ai vostri subalterni o impedito ad altre persone in modo che non potessero osservarlo.

4° Onora il padre e la madre.

Se avete portato odio ai vostri genitori, ai parenti e superiori, con il rattristarvi del loro bene o compiacervi del loro male; si avete giudicato di loro temerariamente e mancato di rispetto con parole ingiuriose, con minacce con gesti o fatti; se avete ad essi disubbidito, se avete disprezzato nel loro correzione, rubato robe di casa o se non li avete soccorsi nel loro bisogni; se essendo voi padri o madri di famiglie avete odiato qualcuno dei vostri figli o scagliato contro di loro delle imprecazioni, se avete trascurato di istruire o di far istruire quelli che erano sotto la vostra direzione, se li avete amati con ingiusta parzialità, corretti con troppo violenza o per rabbia; o non dato loro il necessario mantenimento, se avete trascurato di applicarvi a qualche vile esercizio o di far loro frequentare i SS. Sacramenti, o si avete dato loro mal esempio con parole o con patenti omissioni dei vostri doveri; se, essendo padrone, avete mancato in qualcuna delle cose suddette verso i vostri servi o lavoranti.

5°: Non fare omicidio.

Se avete battuto o ferito alcuno, se avete eccitato risse o protetto gente perversa; si vi siede esposto a qualche pericolo di morte senza necessità, per soddisfare le passioni di vendetta, di incontinenza, di intemperanza; se avete portato odio, invidia o mostrato disprezzo al prossimo, procurandogli, desiderandogli del male o compiacendovi di esso o rattristandovi del bene avvenutogli; se avete ricusato di perdonare e di riconciliarvi con chi vi ha fatto qualche torto; se avete litigato con animosità lasciandovi trasportare dalla collera con segni esterni mandando anche imprecazioni e maledizione con desiderio che si avverassero o anche senza questo desiderio; si avete procurato o fomentato dissezioni; se avete indotto qualcuno al peccato con cattivi esempi, malvagi consigli o in altro modo qualunque; se avete mancato di riprendere con carità il vostro prossimo quando ve ne correva la obbligazione, o se l’avete adulato nelle sue passioni, o burlato nelle sue opere buone.

6° Non fornicare.

Se vi siete volontariamente trattenuto con pensieri disonesti, con compiacenza amorosa o con desiderio di compierne l’opera; se avete amoreggiato o discorso di cose impudiche; letti o dati a leggere libri osceni, tenute pitture o immagini scandalose e qui riflettete che si può peccare disonestamente con tutti il sensi del corpo, con sguardi, con baci, parole dette od ascoltate, scritti, cenni, ambasciate ecc. Se avete indossato vestiti immodesti, se frequentate le chiese con fini disonesti. Si deve spiegare la qualità della persona che fa e di quella cosa con cui si fa o si desidera di fare tali brutture; se siete persona coniugata pensate se avete fatto qualche cosa contro i doveri del vostro stato.

7° Non rubare.

Se avete danneggiato il prossimo nella roba con frode o violenza, rubando, vendendo o comprando imprestando, litigando per ripicca o vendetta, o non congnizione manifesta del torto, o cooperando all’altrui danno, ecc.; se avete praticate usura o altre ingiustizie, si avete desiderato l’altrui danno e l’altrui roba con pregiudizio del prossimo; se avete negato, ritardato o diminuito ingiustamente il salario agli operai; se potendo non avete restituito o pagato giusto il dovere i creditori, i legati, le decime, ecc.; se avete mandato a male la roba altrui affidata alla vostra cura; se avete trascurato di fare l’elemosina secondo il vostro stato e il bisogno dei poveri; se avete ingannato nel giuoco o fatti giochi proibiti; se siete stato avaro, rammaricandovi delle spese necessarie a voi e alla vostra famiglia, o trascurandole totalmente; se avete differito senza giusto motivo il pagamento dei debiti o trascurato i mezzi opportuni per abilitarvi a compiere questo dovere.

8° Non fare testimonio falso.

Si avete giurato il falso in giudizio o indotto altri allo spergiura, o prodotto scritture false; si avete dette bugie, e se da esse derivò danno al prossimo; si avete calunniato, mormorato, specialmente di persone distinte, o giudicato temerariamente, se avete sospettato male senza motivo o ingiuriato o deriso il prossimo; si avete ascoltato volentieri chi mormorava, oppure potendo o dovendo non l’avete impedito; se avete violato il segreto, si avete composto, venduto o dato a leggere libri proibiti, fogli infamatorii; se avete mancato di riparare il danno fatto all’onore, alla vita, alla roba del prossimo con le calunnie e con le mormorazioni.

9° Non desiderare la donna d’altri

10º Non desiderare la roba di altri degli altri.

I peccati contro questi due precetti si sono già annotati nel sesto e settimo precetto ove si parla non solo delle parole e delle opere, ma ancora dei pensieri che si oppongono alla castità e alla modestia compresi nel “non fornicare”, oppure alla giustizia e alla carità comprese nel “non rubare”.

Avvertenza

Inoltre esaminatevi se avete mangiato senza licenza cibi proibiti o trascurando i digiuni comandati o ecceduto nel mangiare e nel bere, se avete trascurato il precetto pasquale, se si avete taciuto qualche peccato mortale delle confessioni passate o cercato confessori da voi giudicati troppo indulgenti o fatte confessioni sacrileghe per mancanza di esame, di dolore o di proposito, oppure tacendo qualche peccato mortale: se ricevuti indegnamente la SS. Comunione o altri Sacramenti; se avete trascurato le penitenze imposte delle confessioni o se avete tralasciato di mettere in pratica gli avvisi del confessore. In più deve ciascuno esaminarsi sopra gli obblighi del proprio stato. – Ricordatevi finalmente che dei peccati mortali si deve cercare per quanto è possibile, anche il numero alfin di evitare l’inconveniente di coloro che credono di aver fatto tutto, quanto hanno detto: “alle volte certe”, “in certe occasioni”, “quando sono in compagnia”, “quando sono in collera”, ecc. ed altre simili formule, le quali non bastano per dare al confessore una giusta idea dello Stato del penitente.

Altro esame di coscienza

[per chi si confessa frequentemente]

Verso Dio

Se non avete adempito con prontezza e devozione la imposta; penitenza se non vi siete dato premura di emendarvi dei soliti mancamenti; o di mettere in pratica i suggerimenti del confessore; se per umano rispetto o per accidia o per altri vani motivi avete omesso o fatto senza spirito di devozione le solite pratiche di pietà, ecc. Come vi siete riportato nella chiesa, se avete per mera curiosità girato intorno gli occhi o ciarlato senza bisogno, o dato agli altri a volte occasione di divagarsi, di ridere, di scherzare; se nelle vostre occupazioni non avete mai procurato di innalzare la mente a Dio, oppure lo faceste più pel vostra soddisfazione che per sua gloria; se ascoltato con poco raccoglimento o senza intenzione di approfittare o forse anche trascurato senza legittimo motivo, la divina parola nelle prediche, nella dottrina, ecc.; se nominato con poco rispetto Iddio, Maria Vergine e i Santi. Se trascurate le ispirazione che vi insinuavano la fuga del male e la pratica della virtù necessarie al vostro stato; se perduto il tempo in ozio o in occupazioni affatto inutili, se mancato di rassegnazione o di confidenza nelle disgrazie, nelle malattie, nelle tentazioni, ecc.

Verso il prossimo.

Con pensieri – Se avete giudicato temerariamente del prossimo; se fomentati i sentimenti di avversione, di disprezzo o di invidia; se invece di perdonare prontamente avete nella vostra mente ruminate le offese ricevute pensando al modo di risentirvi, o vi siete compiaciuto delle vendette già fatte<, se avete desiderato disordinatamente o con altrui pregiudizio la roba non vostra. – Con parole – Di poco rispetto ai maggiori, di poca carità con gli uguali o coi minori, se vi siete ostinati nell’opinione in cose anche di poca importanza, se sparlaste del prossimo, manifestando i suoi difetti nascosti, se ascoltaste con piacere le altrui maldicenze; se avete violato il segreto promesso; s’è detto bugie anche per semplice passatempo o con qualche danno degli altri, se preferiste parole un po’ libere o poco edificanti. – Con opere – Se avete fatto tra qualche vendetta qualche scherzo spiacevole al vostro prossimo, se avete preso o ritenuto ingiustamente la roba altrui; se avete fatta con dispetto o con negligenza le opere comandate. – Con omissione – Se per puro capriccio o per altro storto motivo avete ricusato di prestare al prossimo il servizio a voi richieste; se siete stato negligente nell’istruire, correggere, edificare i vostri dipendenti come figli, servi, lavoranti, scolari ecc.; Se non avete con la dovuta prontezza, precisione e ilarità obbedito ai vostri superiori, se avete ritardato senza giusto motivo la mercede agli operai o il salario ai domestici; si avete trascurato il pagamento dei debiti.

Verso se stesso:

Superbia. – se vi siete internamente compiaciuto oppure con altri vantati dei talenti della fortuna o delle opere vostre cose corporali come spie di suo si avete desiderato o cercate o ascoltate compara compiacenza le vostre lodi.

Avarizia. – se pensate molto l’interesse desiderando con anzianità uno stato poco mediante spesso sui mezzi meditando spesso sui mezzi di accrescere la vostra sostanza se provaste dispiacere nel far quello che l’elemosina e le spese necessarie se mi inquieta aste per ogni perdita anche minima di ciò che ci aperti ciò che vi appartiene.

Lussuria. – Se avete avvertitamente fermati i pensieri o gli sguardi sopra oggetti pericolosi; si avete usata soverchia familiarità anche con persone di sesso uguale; se avete fomentato attacchi troppo sensibili ad altre creature; se non avete usato la debita modestia nello spogliarvi e nel vestirvi; se avete tenuto in propria stanza, pitture, carte, statue, libri poco decenti.

Ira. – Se vi siete facilmente spazientito o se avete esternato la vostra impazienza con un volto oscuro, con parlar risoluto, con tratto dispettoso; se avete secondato il malumore.

Gola. – Se avvertitamente avete mangiato o bevuto più del bisogno o se da ciò provenne qualche disordine o scandalo; se siete stato poco mortificato nel vostro gusto assecondando sempre i suoi desideri oppure lagnandovi dei cibi non troppo bene preparati.

Invidia. – Si avete riguardato di mal occhio o disprezzare le persone che vi avanzarono in merito o in dignità; se avete avuto volontariamente rammarico dall’altrui fortuna o gusto dell’altrui male.

Sull’esame dei peccati veniali.

Non trascurate all’esame dei peccati veniali perché vi assicura l’ecclesiastico che chi sarà infedele poco diverrà presto infedele nel motto come gli incendi terribili hanno d’ordinario origina da una scintilla così i più gravi disordini hanno sempre il loro principio nelle genialità trascurato chiuso arrivò al segno di vendere e di tradire il proprio maestro perché non studio di reprimere nei suoi principi la passione dell’interesse. Ma non c’è nemmeno di coloro che si mettono in un mare di angustie per trovare il numero preciso e tutte le circostanze del minimo a loro con. Questo non è assolutamente necessario né sempre possibile non è necessario perché lo della confessione riguarda che i peccati mortali non è sempre possibile perché le tenebre attuali del nostro intelletto non ci permettono di vedere con la bramata chiarezza il fondo della nostra coscienza. Cercate adunque senza inquietudine i peccati veniali dei quali sentite vero rimorso poi contentatevi di esclamare col cuore che con la lingua signore perdonatemi nella vostra misericordia tutti i peccati che io non conosco e datemi grazie di accusare un umile sincerità tutti quelli che a voi è piaciuto di farmi conoscere. Non impiegate adunque un tempo eccessivo per questo esame mentre San Francesco di Sales us vi assicuro che perché si confessa ogni otto giorni basta un semplice quarto d’ora. Mettete piuttosto ogni vostro studio dell’eccitare un vero dolore tanto indispensabile anche per i soli peccati veniali che senza di esso quando non sia sacrilega è perlomeno non ad assicurare la validità ed il frutto delle vostre confessioni non abbiate sulla coscienza e peccati veniali portate il vostro dolore su qualche peccato mortale della vostra vita passata ancorché perdonato.

Doveri del penitente dopo l’esame di coscienza.

confessione-5

Prima della confessione.

Come un buon coltivatore di campi non basta scoprire quei malefici insetti che con il velenoso lor dente tolgono la bellezza e la vita alle sue piantagioni, ma gli occorre eziandio di adoperare ogni arte per sterminarli, perché non si rinnovi nelle sue piantagioni successive il guasto avvenuto già nelle prime, così al cristiano che vuole efficacemente rimediare per mezzo della confessione ai guasti avvenuti nella mistica vigna della sua anima, non basta scoprir con l’esame quei peccati che gliela rovinarono da cima a fondo ma deve inoltre darsi premura di sterminarli dal primo all’ultimo col mezzo tanto facile e sicuro, altrettanto indispensabile, di un sincero dolore e ciò deve applicarsi un tanto più di premura, in quanto che nel detto dolore consiste sostanzialmente la bontà della confessione, né vale il desiderio di averlo quando non lo si abbia realmente, né può supplirsi al di lui mancamento con alcun altro mezzo. Finché non odiate il malfatto, non si può far pace con Dio, non si può ottenere il perdono. Questo dolore ottiensi col domandarlo umilmente e replicatamente al Signor per i meriti del suo sangue, e col ponderare la gravezza del peccato, riguardo a Dio e a voi stesso. Procurate poi con ogni studio che questo dolore sia perfetto, cioè procurate di muovervi a pentimento, non solo per timore dell’inferno, per la speranza del Paradiso, per la bruttezza del peccato, ma ancor e principalmente perché il peccato è un’offesa di Dio e di ingiuria alla sua suprema maestà, e contraria a quella bontà infinita che merita l’amore di tutti i cuori. Un’altra condizione deve avere il vostro dolore, senza questa esso non varrebbe: deve essere “efficace”, cioè congiunto con un proposito fermo di non commettere più peccato in nessun tempo in nessuna occasione né per fuggire qualunque male, né per acquistare qualunque bene. Non basta dunque dire: “io vorrei emendarmi”, bisogna dire “io voglio”; poiché di quelli che vorrebbero è pieno l’inferno, e solo di quelli che vogliono si riempie il Paradiso; solamente di questo proposito ha paura il demonio e come egli contro di questo rivolge tutte le sue macchine in disturbarlo, così voi impiegate tutte le vostre diligenze per concepirlo, chiedendone aiuto al Signore, con la cui grazia si può ogni cosa. Soprattutto conviene avvertire che questo proposito sia efficace in quanto a lasciar l’occasione prossima di peccare, che è quel pericolo di cadere nel quale quando voi vi ponete, cadete frequentemente. Se andate in una casa o per passatempo o per i vostri affari, se date da lavorare ad una persona, e molto più se la tenete in casa vostra, quando ella vi sia occasione di peccare, o lasciate di confessarvi. o disponetevi di vero cuore a levare quella comodità che presenta alla vostra concupiscenza l’abitazione, la familiarità, l’amore o qualsiasi altra circostanza già sperimentata fatale. Né dite: basta che io prometto di non peccare più, del resto che m’importa che io lascio questa amicizia? Non dite così, che questo è fare una legge a modo proprio e non osservare la legge fatta da Dio, il Quale per mezzo della Scrittura e per bocca di tutti i Dottori ci dichiara troppo espressamente l’obbligazione di fuggire questo pericolo prossimo di cadere. Piuttosto dite: io non mi curo del Paradiso, non m’importa dell’anima, rinunzio all’amicizia di Dio anziché rinunziare all’affetto portato ad una miserabile creatura che ora è un letamaio coperto, e di qui a poco sarà un ammasso di vermi e putredine, e direte il vero, ma vi accorgerete tra poco del cambio stoltissimo che avete fatto.

Nell’atto della confessione.

L’abito poi del quale deve comparire un peccatore a questo tribunale è l’umiltà e la confusione. Questa umiltà farà che manifestiate sinceramente i vostri falli senza scusarli, senza darne ad altri la colpa, senza fuggire da quei confessori che vi riprendono e vi danno a conoscere il vostro male. Ha pur poca voglia di guarire quell’infermo che va cercando un medico ignorante per essere curato nella sua malattia. Che concetto volete dunque che io faccia di voi se a bello studio vi eleggete un confessore senza lingua, uno di coloro che sono da Gesù ripresi quasi cani muti, perché non rivelando al peccatore la sua iniquità, gli impediscono di ridursi ad una sincera penitenza? Bisogna dire che non vi dispiace il peccato e dell’anima nulla v’importa.

Dopo la confessione.

Tre cose finalmente vi restano a fare dopo la confessione, l’una verso Dio, l’altra verso il prossimo e l’ultima verso voi stesso. – Verso Dio. Poi dovete umilmente ringraziarLo perché si è compiaciuto di rimettervi nella sua amicizia e cancellare quella sentenza di eterna morte e di severissima temporal punizione che aveva scritto il vostro peccato secondo che adesso fu mortale o veniale. Indi tornate a giurarGli di nuovo fedeltà come a vostro supremo Signore implorando il suo aiuto per avvalorare la vostra debolezza contro ogni assalto di tentazione. – Verso il prossimo. Vedete se siete tenuto a qualche restituzione o di fama o di roba, ed eseguitela prontamente, giacché lo stesso differirla, senza sufficiente cagione, anche in coloro che hanno vera volontà di compirlo, è nuova colpa. – Verso voi stesso. Applicatevi seriamente a soddisfare la penitenza con devozione se è tale che si possa soddisfar prontamente. Indi pensate di quali mezzi si potreste prevalere per non tornare al peccato. Questi mezzi che ben usati ottengono la sicurezza, la perseveranza nel bene incominciato, sono tre, cioè 1) l’orazione, 2) la fuga delle occasioni e 3) la frequenza ai Sacramenti. Proponete dunque di nuovo di voler almeno mattina e sera raccomandarvi al Signore e alla sua SS. Madre, perché vi tenga costante nelle vostre risoluzioni di non peccare mai più, né gravemente, né leggermente, proponete di non voler star più solo con quella persona, di voler rompere affatto quell’amicizia, proponete di voler tornare presto alla Confessione, cioè prima che la tentazione vi riconduca a qualche nuova colpa prendendo con questo Sacramento e con l’Eucaristia ogni dì nuova lena contro il demonio. Soprattutto fate, vi prego, per quanto avete cara l’anima vostra, fate il proposito di non servirvi mai della medesima Confessione per facilitare il peccato, come fanno molti, che se una volta cadono: già m’ho da confessare, dicono, posso peccar quanto voglio. Si può trovare discorso più ingiurioso al Signore, più dannoso alla nostra salute? “Più ingiurioso al Signore”, perché per moltiplicare i peccati vi servire di quel sangue medesimo che vi tiene apparecchiato alla Confessione per distruggerli; “più dannoso a voi”, perché non siete mai sicuro di confessarvi bene e quand’anche vi confessaste come si deve, ad ogni modo, anche dopo la Confessione rimangono ordinarie nell’anima molti cattivi effetti del peccato già distrutto in quella maniera che dopo che è partita la febbre restano in un convalescenza molte reliquie della passata malattia, se non rimanesse altro, rimane l’abito cattivo, cioè il maggiore impedimento che abbia un’anima a salvarsi. Intendetela dunque bene, voi che dite: farò questo peccato e poi mi confesserò. Quanto più commettere peccati, tanto più è difficile che vi salviate, ancorché vi confessate bene. La mente più si annebbia, la volontà sempre più s’indura, gli aiuti divini sempre più si demeritano, le forze del demonio sempre più si accrescono, le forze proprie sempre più mancano e quello sforzo che era sovrabbondante per poche colpe, riesce scarso in allora che sono cresciute a dismisura protestando il Signore per Amos: dopo le tre scelleraggini avrò misericordia di Damasco, e dopo le quattro io non lo richiamerò.

Avvertenza sull’atto di pentimento

Siccome il dolore alla parte più essenziale del Sacramento della Penitenza così ho creduto opportuno dargli qualche estensione non perché le molte parole facciano il dolore, ma perché le parole recitate con pause e con devozione passano facilmente al cuore, e quindi non servono solo ad esprimere, ma anche ad eccitare il pentimento. Chi però scarseggiasse di tempo potrà usare piacere qualunque atto più breve, ricordandosi che Davide fu giustificato con un solo “peccavi”, e la Maddalena e Pietro ottennero il perdono senza nemmeno parlare. Tanto è vero che tutto dipende dal cuore, di cui le parole non sono sempre come esser dovrebbero, la espressione la più sincera.

Atto di pentimento

Dal profondo abisso delle mie iniquità io alzo a Voi, Signore, la mia debole voce. Deh! non siate inesorabile alle mie preghiere. Se nel rigore della vostra giustizia pesate le mie colpe, io non ardisco più sperare perdono, perché esse han sorpassato il numero dei miei capelli, e contengono un eccesso di ingratitudine e di malizia che non ha esempio. Ma voi avete promesso di non disprezzare giammai il cuore contrito ed umiliato che Vi domanda pietà. Esaudite dunque le suppliche di un peccatore che unicamente confida nella vostra misericordia. Io ho peccato contro il cielo è contro di Voi. Creatura ingrata e ribelle ho disprezzata in Voi il mio Creatore, il mio Redentore, il mio Santificatore, il mio Dio. Come il prodigo del Vangelo, ho abbandonato in Voi il più sincero degli amici, il più tenero tra i padri, il più liberale tra i benefattori, per farmi schiavo miserabile dei vostri più odiati nemici, i quali altro non cercano se non la mia perdizione. Lungi da Voi amato mio bene, ho dissipato quei tesori di grazia che sono il Prezzo della vostra Passione e della vostra morte, e che voi mi accordaste unicamente per operare la mia salvezza. A somiglianza di Giuda, io Vi ho tradito nell’atto stesso in cui ad un altro non pensavate che a ricolmarmi dei vostri favori ed a stampare sulla mia fronte il bacio dolcissimo della vostra amicizia. Anzi ho abusato dei vostri doni per offenderVi, per oltraggiarVi; ho calpestato quel sangue che fu versato sulla Croce per mia salute: ho profanato quel tempio in cui Vi degnaste di fermare le vostre compiacenze; e quel che è peggio, Vi ho offeso, Vi ho oltraggiato sotto gli occhi santissimi della vostra adorabile Maestà. Sì si alla vostra presenza, o Signore, io non mi sono vergognato di commettere quelle indegnità che arrossirei di commettere innanzi all’uomo più vile di questa terra. Voi mi promettesse il paradiso se Vi rimaneva fedele, mi minacciaste l’inferno si aveva l’ardire di offenderVi; ed io insensato ho rinunciato alle promesse della vostra eredità, ho disprezzato le minacce della vostra collera, per assecondare i pessimi desideri del corrotto mio cuore. Me infelice! che non per altro Vi ho conosciuto se non per offenderVi con più malizia ed oltraggiarVi con più sconoscenza! Ah! La terra doveva aprire il suo seno per ingoiarmi vivo nell’abisso, il cielo doveva scagliare i suoi fulmini per distruggermi ed annientarmi! Ma la vostra bontà che sorpassa tutta la malvagità degli uomini, ha sospeso il braccio della giustizia che stava per calare sopra il mio capo. Sia infinitamente benedetta la vostra misericordia che mi ha risparmiato l’inferno in cui dovevo essere precipitato a spasimare per tutta l’eternità. Deh! Giacché tanto forse liberale verso di me, nonostante tutti i miei demeriti, coronate adesso la vostra pazienza con l’accordarmi un generoso perdono di tutti i commessi delitti. Anzi Voi che, infinito nella vostra potenza, sapete trarre la luce dal mezzo delle tenebre, fate adesso che la vista della moltitudine e dell’enormità dei miei trascorsi, risvegli nel cuore più viva e sincera la contrizione, affinché dolendosi tanto, quanto lo meritano i miei peccati, e tanto amandoVi quanto Vi ho offeso, possa sentirmi da Voi ripetere le consolanti parole dirette già alla penitente Maddalena: “ti sono rimessi molti peccati, perché molto hai amato”. Signore, Vi dirò adunque col pubblicano, “siate propizio a me, il più miserabile tra i peccatori”; e con Davide vero modello dei penitenti, “abbiate pietà di me secondo la grandezza della vostra misericordia”; lavate col vostro sangue tutte le macchie dell’anima mia, affinché, santificata dalla vostra Grazia diventi più candida della neve. Conosco adesso il gran male che ho fatto con i miei peccati, e li detesto e li abomino sopra ogni male, non tanto perché per essi ho perduto il Paradiso e meritato l’inferno, quanto perché con essi ho offeso Voi, sommo bene, che siete un Dio di infinita grandezza e degno dell’amore di tutte le creature. Vorrei poter ora morire per risarcirvi di tanti affronti. Ma giacché Voi gradite più assai il sacrificio del cuore, che quello della vita, ascoltate, Vi prego, i gemiti del mio cuore contrito ed umiliato; rimettetemi di nuovo nella vostra amicizia, ché risolutamente Vi prometto di non abbandonarVi mai più. Non sono degno di essere trattato da figlio vostro, ben lo comprendo; ma non ricusate almeno di ricevermi come l’ultimo dei vostri servi. Sono stanco, Signore di vivere lontano da Voi; ridonatemi il bacio del vostro amore perché Vi eleggo per mia porzione in tutto il tempo avvenire, disposto a soffrire anche la morte piuttosto che offenderVi un’altra volta.

Atto di proponimento

Mio Signore e mio Dio, sin da questo momento io propongo e risolvo, con l’aiuto della vostra santa grazia, con la quale posso ogni cosa, e senza di cui non mi è possibile cosa alcuna, propongo e risolvo di non peccare mai più, ed evitare con egual diligenza le occasione del peccato, di resistere coraggiosamente a tutte le tentazioni dei miei nemici, e finalmente di morire piuttosto mille volte che offendere nuovamente la vostra adorabile Maestà. Unico bene dell’anima mia, se gli uomini Vi conoscessero maggiormente ogni dì, non Vi offenderebbero. Fate dunque, o Signore, che io Vi conosca maggiormente ogni dì, e che io pensi sempre a Voi, affinché Vi ami costantemente fino alla morte. Fate che la ricordanza di Voi sia la delizia della mia memoria, che la cognizione di Voi sia la fiaccola della mia mente, e l’amor vostro sia la vita del mio cuore, affinché possa con verità esclamare con il Profeta: “ho detto e cominciato!”, “ego dixi et coepi”. Oggi, sì oggi mio Dio, ho cominciato davvero ad amarVi, a dichiarare guerra alle mie passioni e a tutto ciò che si oppone alla vostra legge santissima. Ma ohimè! Voi ben conoscete la mia fiacchezza, la mia incostanza e la malizia del mio cuore volubile con una foglia ad ogni leggero soffio di vento. Con tutto ciò i cuori degli uomini sono poi nelle vostre mani e Voi potete ammollire i più duri e piegare i più ostinati. Datemi adunque quello che Voi comandate: poi comandatemi quello che Voi volete. La vostra Grazia, o mio Dio, mi prevenga, mi accompagni mi segua in tutti i miei pensieri, in tutte le mie parole, in tutte le mie azioni, al fine di preservarmi da tutto ciò che può danneggiare la mia coscienza, allontanando da me tutto quello che può da Voi separarmi. Purità del mio Dio purificatemi! Santità del mio Dio, salvatemi. Date per misericordia il perdono a colui che potete condannar per giustizia, poiché sono risoluto di far penitenza, e di dare agli Angeli ed a Voi tanto diletto con la mia conversione, quanto a Voi e ad essi ho cagionato di dispiacere coi miei passati traviamenti.

Preghiera da aggiungersi

Oh mio Dio che avete sì misericordiosamente perdonato al pubblicano le sue frodi, alla Maddalena i suoi scandali, al ladro i suoi misfatti e avete con tanta bontà ricevuto il figlio prodigo, abbiate ancora di me pietà, e in questo Sacramento lavate l’anima mia col sangue di Gesù Cristo da ogni macchia di peccato; e rimettetemi e conservatemi poi sempre nella vostra amicizia, sì ché insieme con essi abbia ad esaltare per sempre le vostre misericordie in Paradiso, come spero dalla vostra bontà infinita e per i meriti del mio Redentore. Con questi sentimenti di confidenza nella vostra misericordia io vado ai piedi del confessore. Siate, o Signore nel mio cuore e nella mia lingua acciò detesti ed accusi sinceramente tutti i miei peccati e siate nella mente e nel cuore del Sacerdote, vostro ministro, affinché diriga l’anima mia secondo la vostra volontà.

Formula per le colpe veniali

Grande Iddio, che per la bontà e maestà vostra infinita, e per l’amore immenso che a noi portate per i grandi benefici che ci compartite tutto giorno, e ci andate ancor preparando a vera ed eterna felicità nel Cielo, meritate da noi ogni corrispondenza ed amore, qual confusione non è per me il riconoscere di averVi in cambio per tante maniere offeso e disgustato? Ah! mio Signore, me ne pento e mi dolgo con tutto il cuore, e vorrei dolermene ancor maggiormente, prima per il gran torto che ho fatto a Voi nel mancarVi di fedeltà ed amore, e poi per il gran danno arrecato all’anima mia, facendo sì poco conto del tempo, della grazia, dell’amor vostro, e dei meriti che potevo impiegare a maggior corona nel cielo, per meritarmi in quella vece le pene atrocissime del Purgatorio, lungi da Voi e dalla vostra gloria, amato mio bene. O la freddezza o la poca fede che è mai stata la mia nell’abbandonarmi con tanta facilità ad una colpa che offende un Dio di tanta grandezza e bontà, e reca l’anima mia mali sì grandi! Or la conosco e detesto; ed in avvenire sono risoluto con la vostra Grazia di schivare ogni cosa che sia di vostra offesa e di volervi amare con tutto il mio cuore, con tutta l’anima mia e con tutte le mie forze, per continuare poi ad amarvi più perfettamente insieme con i Santi in Paradiso, come per Gesù Cristo prego e spero di ottenere dalla vostra misericordia.

 

A TE, O BEATO GIUSEPPE

 

 

san-giuseppe-beatoPer il mese di ottobre, mese dedicato in particolare alla recita del Santo Rosario, S.S. Leone XIII raccomandò, per i bisogni impellenti della Chiesa, di recitare alla fine del Rosario stesso, la preghiera a San Giuseppe che egli medesimo inserì a conclusione della Enciclica sottostante nella quale tra l’altro, si pone come modello del proletariato il santo Patriarca, padre putativo di Gesù Cristo, sposo della Vergine Maria, Madre di Dio, e protettore della Santa Chiesa Cattolica. Oggi i mali della Chiesa sono molto più gravi di quelli del tempo dell’enciclica [1889], e la preghiera a San Giuseppe è sempre più trascurata. I “veri” cattolici devono conservare invece tale consuetudine, anzi imporsela come obbligo nel sovvenire alle necessità della Chiesa oggi eclissata, secondo la profezia mariana de La Salette “ … la Chiesa sarà eclissata …”, e a protezione della Gerarchia vera in “esilio” con il Santo Padre Gregorio XVIII impedito nelle sue legittime funzioni apostoliche. Rileggiamo con attenzione la lettera enciclica di Papa Leone XIII e poniamo in atto quanto raccomandato a sostegno del Santo Padre e della Chiesa Cattolica attuale, chiedendo infine a Dio la rapida soluzione della eclisse e dell’apostasia in atto.

 leone-xiii

LEONE XIII

Quamquam pluries

Lettera Enciclica

Roma, 15 agosto 1889

Quantunque abbiamo già ordinato più volte che si facessero in tutto il mondo particolari preghiere e si raccomandassero a Dio nel modo più ampio gl’interessi della cattolicità, tuttavia nessuno si stupirà se riteniamo opportuno anche oggi ribadire nuovamente questo stesso dovere. Nei tempi funesti, soprattutto quando il potere delle tenebre sembra possa osare tutto a danno della cattolicità, la Chiesa è sempre stata solita supplicare Dio, suo autore e garante, con maggiore fervore e perseveranza, invocando pure l’intercessione dei Santi e particolarmente dell’augusta Vergine, madre di Dio, nel patrocinio dei quali vede il massimo della propria sicurezza. Presto o tardi il frutto delle preghiere e della speranza nella bontà divina si evidenzia. – Ora vi è ben noto, Venerabili Fratelli, che il tempo presente non è meno calamitoso di quelli più tristi già subiti dalla cristianità. Vediamo infatti perire in moltissimi la fede, che è il principio di tutte le virtù cristiane; vediamo raffreddarsi la carità, e la gioventù degradarsi nei costumi e nelle idee; dovunque si osteggia con violenza e con perfidia la Chiesa di Gesù Cristo; si combatte atrocemente il Pontificato; e con tracotanza ogni giorno più sfrontata si tenta di scalzare le stesse fondamenta della religione. Dove si sia precipitati e che cosa ancora si vada agitando negli animi è più noto di quanto sia necessario spiegarlo con le parole. – In questa difficile e miserabile situazione, poiché i mali sono più forti dei rimedi umani, non resta che chiedere la guarigione alla potenza divina. Pertanto ritenemmo opportuno spronare la pietà del popolo cristiano perché implori con nuovo fervore e nuova costanza l’aiuto di Dio onnipotente. Quindi, avvicinandosi il mese di ottobre, che in passato abbiamo già decretato sacro alla Vergine Maria del Rosario, vi esortiamo calorosamente a che quest’anno tutto il mese suddetto venga celebrato con la maggior devozione, pietà e partecipazione possibili. Sappiamo bene che nella materna bontà della Vergine è pronto il rifugio, e siamo certi che le Nostre speranze non sono invano riposte in Lei. Se tante volte Ella ci fu propizia nei fortunosi tempi del cristianesimo, perché temere che non voglia ripetere gli esempi del suo potere e della sua grazia, ove sia umilmente costantemente invocata con preghiere comuni? Anzi, tanto più speriamo che in mirabile modo ci assista, quanto più a lungo volle essere pregata. – Se non che un’altra cosa Ci siamo pure proposta, e per essa voi, Venerabili Fratelli, Ci presterete, come al solito, la vostra diligente cooperazione: per meglio rendere Iddio favorevole alle nostre preci e perché Egli, supplicato da più intercessori, porga più rapido e largo soccorso alla sua Chiesa, riteniamo che sia sommamente conveniente che il popolo cristiano si abitui a pregare con singolare devozione e animo fiducioso, insieme alla Vergine Madre di Dio, il suo castissimo sposo San Giuseppe: il che abbiamo particolari motivi di credere che debba tornare accetto e caro alla stessa Vergine. Quanto a questo argomento che per la prima volta trattiamo pubblicamente, ben sappiamo che la pietà popolare, poco favorevole, venne successivamente aumentando da quando i romani Pontefici, fin dai primi secoli, si impegnarono gradualmente a diffondere maggiormente e per ogni dove il culto di Giuseppe: abbiamo visto che esso è venuto aumentando ovunque in questi ultimi tempi, soprattutto da quando Pio IX, Nostro antecessore di felice memoria, su richiesta di moltissimi Vescovi, ebbe dichiarato il santissimo Patriarca patrono della Chiesa cattolica. Nondimeno, poiché è di tanto rilievo che il suo culto metta profonde radici nelle istituzioni e nelle abitudini cattoliche, vogliamo che il popolo cristiano anzitutto riceva nuovo impulso dalla Nostra voce e dalla Nostra autorità. – Le ragioni per cui il beato Giuseppe deve essere patrono speciale della Chiesa, e la Chiesa ripromettersi moltissimo dalla tutela e dal patrocinio di lui, nascono principalmente dal fatto che egli fu sposo di Maria e padre putativo di Gesù Cristo. Da qui derivarono tutta la sua grandezza, la grazia, la santità e la gloria. Certamente la dignità di Madre di Dio è tanto in alto che nulla vi può essere di più sublime. Ma poiché tra Giuseppe e la beatissima Vergine esistette un nodo coniugale, non c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto nessun altro mai. Infatti il matrimonio costituisce la società, il vincolo superiore ad ogni altro: per sua natura prevede la comunione dei beni dell’uno con l’altro. Pertanto se Dio ha dato alla Vergine in sposo Giuseppe, glielo ha dato pure a compagno della vita, testimone della verginità, tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, mercé il patto coniugale, all’eccelsa grandezza di Lei. – Così pure egli emerge tra tutti in augustissima dignità, perché per divina disposizione fu custode e, nell’opinione degli uomini, padre del Figlio di Dio. Donde consegue che il Verbo di Dio modestamente si assoggettasse a Giuseppe, gli obbedisse e gli prestasse quell’onore e quella riverenza che i figli debbono al padre loro. – Ora, da questa doppia dignità scaturivano naturalmente quei doveri che la natura prescrive ai padri di famiglia; per cui Giuseppe fu ad un tempo legittimo e naturale custode, capo e difensore della divina famiglia. E questi compiti e uffici egli infatti esercitò finché ebbe vita. S’impegnò a tutelare con sommo amore e quotidiana vigilanza la sua consorte e la divina prole; procacciò loro di continuo con le sue fatiche il necessario alla vita; allontanò da loro i pericoli minacciati dall’odio di un re, portandoli al sicuro altrove; nei disagi dei viaggi e nelle difficoltà dell’esilio fu compagno inseparabile, aiuto e conforto alla Vergine e a Gesù. – Ora la casa divina, che Giuseppe con quasi patria potestà governava, era la culla della nascente Chiesa. – La Vergine santissima, in quanto Madre di Gesù Cristo, è anche Madre di tutti i cristiani, da Lei generati, in mezzo alle atrocissime pene del Redentore sul Calvario; così pure Gesù Cristo è come il primogenito dei cristiani, che Gli sono fratelli per adozione e redenzione. – Ne consegue che il beatissimo Patriarca si consideri protettore, in modo speciale, della moltitudine dei cristiani di cui è formata la Chiesa, cioè di questa innumerevole famiglia sparsa in tutto il mondo sulla quale Egli, come sposo di Maria e padre di Gesù Cristo, ha un’autorità pressoché paterna. È dunque cosa giusta e sommamente degna del beato Giuseppe che, come Egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazaret, così ora col suo celeste patrocinio protegga e difenda la Chiesa di Cristo. – Queste cose, Venerabili Fratelli, come sapete, trovano riscontro in ciò che pensarono parecchi Padri della Chiesa, d’accordo con la sacra liturgia, e cioè che l’antico Giuseppe, figlio del patriarca Giacobbe, anticipasse la persona e il ministero del nostro, e col suo splendore simboleggiasse la grandezza del futuro custode della divina famiglia. Per la verità, oltre all’avere entrambi lo stesso nome, non privo di significato, corrono tra loro ben altre chiarissime rassomiglianze a voi ben note: prima di tutte quella che l’antico Giuseppe si guadagnò in modo singolare la benevolenza e la grazia del suo signore, e che, avendo da lui avuto il governo della casa, tutte le prosperità e le benedizioni piovevano, per riguardo a Giuseppe, sul suo padrone. Ma v’è di più: egli, per volontà del monarca, governò con poteri sovrani tutto il regno, e nel tempo di pubblica calamità, per mancati raccolti e per la carestia, sovvenne con così stupenda provvidenza agli Egizi e ai popoli confinanti, che il re decretò si chiamasse salvatore del mondo. – Così in quell’antico Patriarca è possibile ravvisare la figura del nostro. Come quegli fu benefico e salutare per la casa del suo padrone e poi per tutto il regno, così questi, destinato alla custodia della cristianità, si deve reputare difensore e tutore della Chiesa, la quale è veramente la casa del Signore e il regno di Dio in terra.

Tutti i cristiani, di qualsivoglia condizione e stato, hanno ben motivo di affidarsi e abbandonarsi all’amorosa tutela di San Giuseppe. In Giuseppe i padri di famiglia hanno il più sublime modello di paterna vigilanza e provvidenza; i coniugi un perfetto esemplare d’amore, di concordia e di fede coniugale; i vergini un esempio e una guida dell’integrità verginale. I nobili, posta dinanzi a sé l’immagine di Giuseppe, imparino a serbare anche nell’avversa fortuna la loro dignità; i ricchi comprendano quali siano i beni che è opportuno desiderare con ardente bramosia e dei quali fare tesoro. – I proletari poi, gli operai e quanti sono meno fortunati, debbono, per un titolo o per diritto loro proprio, ricorrere a San Giuseppe, e da Lui apprendere ciò che devono imitare. Infatti Egli, sebbene di stirpe regia, unito in matrimonio con la più santa ed eccelsa tra le donne, e padre putativo del Figlio di Dio, nondimeno passa la sua vita nel lavoro, e con l’opera e l’arte sua procura il necessario al sostentamento dei suoi. – Se si riflette in modo avveduto, la condizione abietta non è di chi è più in basso: qualsiasi lavoro dell’operaio non solo non è disonorevole, ma associato alla virtù può molto, e nobilitarsi. Giuseppe, contento del poco e del suo, sopportò con animo forte ed elevato le strettezze inseparabili da quel fragilissimo vivere, dando esempio al suo figliuolo, il quale, pur essendo signore di tutte le cose, vestì le sembianze di servo, e volontariamente abbracciò una somma povertà e l’indigenza. – Di fronte a queste considerazioni, i poveri e quanti si guadagnano la vita col lavoro delle mani debbono sollevare l’animo, e rettamente pensare. A coloro ai quali, se è vero che la giustizia consente di potere affrancarsi dalla indigenza e levarsi a migliore condizione, tuttavia né la ragione né la giustizia permettono di sconvolgere l’ordine stabilito dalla provvidenza di Dio. Anzi, il trascendere alla violenza e compiere aggressioni in genere e tumulti è un folle sistema che spesso aggrava i mali stessi che si vorrebbero alleggerire. Quindi i proletari, se hanno buon senso, non confidino nelle promesse di gente sediziosa, ma negli esempi e nel patrocinio del beato Giuseppe, e nella materna carità della Chiesa la quale si prende ogni giorno grande cura del loro stato. – Pertanto, Venerabili Fratelli, ripromettendoci moltissimo dalla vostra autorità e dal vostro zelo episcopale, né dubitando che le pie e buone persone intraprendano molte altre cose, e anche maggiori di quelle comandate da Noi, decretiamo che in tutto il mese di ottobre si aggiunga nella recita del Rosario, da Noi già prescritto altre volte, l’orazione a San Giuseppe, il cui testo riceverete insieme con quell’Enciclica, e così si faccia ogni anno in perpetuo.

A coloro, poi, che devotamente reciteranno la suddetta orazione, concediamo ogni volta l’indulgenza di sette anni e altrettante quarantene. È anche proficuo e sommamente apprezzabile il consacrare, come già avviene in vari luoghi, con giornalieri esercizi di pietà il mese di marzo in onore del Santo Patriarca. Dove poi ciò non si possa fare agevolmente, sarebbe almeno desiderabile che prima della sua festa, nel tempio principale di ciascun luogo, si celebrasse un triduo di preghiere. – Raccomandiamo inoltre a tutti i fedeli dei paesi nei quali il 19 marzo, giorno sacro a San Giuseppe, non è compreso nel novero delle feste di precetto, che non trascurino tuttavia per quanto è possibile, di santificarlo almeno privatamente, ad onore del celeste Patrono, quasi fosse giorno festivo.

Frattanto, auspice dei celesti doni e pegno della Nostra benevolenza verso di voi, Venerabili Fratelli, impartiamo di tutto cuore nel Signore l’Apostolica Benedizione a voi, al Clero e al vostro popolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 agosto 1889, anno duodecimo del Nostro Pontificato.

 

Orazione a San Giuseppe

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua Santissima Sposa. – Deh! per quel sacro vincolo di carità che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, guarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni. – Proteggi, o provvido Custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo; allontana da noi, o Padre amantissimo, la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità: e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché sul tuo esempio, e mercé il tuo soccorso, possiamo vivere virtuosamente, piamente morire, e conseguire l’eterna beatitudine in cielo. Così sia”.

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18 giugno 1968

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   Cerchiamo di esaminare più da vicino la questione riguardante la formula di consacrazione dei vescovi. Intanto ci cominciamo a chiedere chi ne siano stati gli autori. Guarda caso, ci troviamo a che fare con personaggi già noti, fortemente compromessi con istituzioni massoniche e ferocemente anticristiane, al centro delle apparenti stravaganze già note della cosiddetta “nuova messa”, un rito di ispirazione vagamente anglicano-protestante, osannante il massonico e gnostico “dio signore dell’universo”, e fuorviando totalmente dal contesto teologico tridentino, pertanto carico di anatemi imperituri, in particolare per chi ne ha o ne dovrebbe avere consapevolezza. Non paghi dello “scoop” sacrilego anticattolico ed antiliturgico, di per se stesso già gravissimo, e mirando a radere al suolo totalmente la Gerarchia cattolica, e quindi la Chiesa stessa, avviano questa nuova “pratica” che confondendo tradizioni apostoliche inesistenti, costruite in biblioteca per attribuirsi un’aureola di sapienza (un “baro” da falsi sapienti), e mescolando riti orientali, siriaci ed africani, di difficile controllo documentale, ed oltretutto già rigettati nel passato perché eretici e blasfemi, creano questo nuovo rito gettando fumo negli occhi con ignobili menzogne e contraffazioni. E allora, chi sono gli autori del Pontificale Romano ? Eccoli: 1) Giovanni Battista Montini, detto Paolo VI, figura arcinota, il cui ruolo, decisivo nella contro-Chiesa, è riconosciuto ormai da tutti come determinante. Non ci dilungheremo affatto su tale figuro, e così rinviamo i lettori al trittico di Don Luigi Villa che lo ha “degnamente” e compiutamente descritto con dovizia di particolari ed abbondante documentazione.

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L’altro degno losco figuro, già noto ai lettori attenti del blog, è il mons. (?) 2) Annibale Bugnini, il tristemente noto BUAN 1365/75 (nome in codice di appartenenza alla “loggia”) il “grande prestigiatore”che ebbe la “sfortuna”, poverino!, … di dimenticare ad una conferenza in Vaticano, su una sedia, una borsa che malauguratamente fu rinvenuta da un giornalista che ne rivelò il contenuto (oh, questi giornalisti non si fanno mai i fatti propri!): erano documenti segreti della loggia di appartenenza massonica dell’incauto. Così “sgamato”, fu inviato come nunzio apostolico in Iran, per chiudere ingloriosamente la sua turpe carriera.

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Ma l’incarico più “tecnico” fu assunto da un oscuro benedettino, 3) dom. Bernard Botte, OSB, di cui nessuno aveva mai saputo nulla, e che qualche anno prima del nuovo pontificale, pubblicava un libro in cui illustrava una strana e fino ad allora oscura, presunta “tradizione di Ippolito”, un Ippolito che non si capisce chi fosse stato, o forse “Ippoliti”, visto che se ne contano due o tre (!?!), la stessa “tradizione” già implicata fraudolentemente nella stesura della “messa di BUAN”( l’attuale rito rosa+croce spacciato per Messa cattolica dalla setta modernista, attualmente usurpante il Soglio di Pietro).

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Il “Pontificalis Romani” (nuovo Sacramento dell’Ordine) è stato promulgato dal “beato” marrano Giovanni Battista Montini, l’anti-papa, sedicente Paolo VI, il 18 giugno 1968. – Montini nomina Annibale Bugnini, che fu quindi l’artefice dei due documenti liturgici essenziali del suo “ruspante” falso pontificato demolitore: 1) il Pontificalis Romani, promulgato il 18 giugno 1968 e 2): in Cena Domini, promulgato il 03 Aprile 1969. Il 07 gennaio 1972, Montini ha poi egli stesso premiato Bugnini,ordinandolo”  all’Episcopato (ovviamente in modo invalido e sacrilego!!), e nominandolo poi, il 15 gennaio 1976, Arcivescovo titolare di Dioclentiana. Ma davanti allo scandalo della sua nota e divulgata appartenenza massonica fin dal 23 aprile del 1963 sotto il nome in codice di ’Buan 1365/75’, lo “esilia” come pro-Nunzio apostolico a Teheran … oramai il burattino logoro e “sgamato” si poteva mettere da parte, con un bel calcio nel fondo schiena!

Dom Bernard Botte, benedettino dell’abbazia del Mont-César (Belgio) fu, sotto l’autorità di Bugnini, il principale artigiano del testo, inventando la rocambolesca ricostruzione di un fantomatico rito, da una pretesa tradizione apostolica di Ippolito (ma non sa nemmeno lui di quale Ippolito si tratti!), nota evidentemente a lui solo.., e di cui non si era mai sentito parlare in precedenza nella Chiesa se non come frammento storico da decifrare … una favola partorita dalla fervida fantasia di questo strano benedettino, e subito fatta propria da chi intendeva distruggere la Gerarchia, il Sacerdozio ed i Sacramenti cattolici.

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Montini con l’efod, simbolo del gran sacerdote della sinagoga che condannò a morte Gesù-Cristo, simbolo dell’anticristo deicida! … più chiaro di così? … il prossimo “santo” della sinagoga di satana!

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Tomba Alghisi a Verolavecchia (BS), -famiglia materna-

disegnata dal “nostro” gran maestro e pontefice degli “illuminati”, con una complessa simbologia massonico-cabalistica, inneggiante alla “triplice trinità massonica” [decodificata dall’ing. F. Adessa in Chiesa Viva]. (Il Montini aveva giurato alla madre, sedicente ebrea, in realtà Kazara, odio e vendetta verso i cristiani, realizzando la profezia di Davide: Alienati sunt peccatores a vulva; erraverunt ab utero, locuti sunt falsa.  Furor illis secundum similitudinem serpentis, sicut aspidis surdae et obturantis aures suas, -Ps. LVII, 4-5)

Quali sono le origini del Pontificalis Romani, da dove proviene questa formula di Paolo VI ? Le Ragioni addotte da Paolo VI nel Pontificalis Romani per promulgare questa riforma ufficialmente sono: – « … Si è giudicato bene di ricorrere, tra le fonti antiche, alla preghiera consacratoria che si trova nella “Tradizione apostolica di Ippolito di Roma”, documento dell’inizio del terzo secolo, e che, in una grande parte, è ancora osservata nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti ed i Siriaci occidentali. In tal modo, si rende testimonianza, nell’atto stesso dell’ordinazione, dell’accordo tra la tradizione orientale ed occidentale sul carico apostolico dei Vescovi » Paolo VI (Pontificalis Romani,1968). L’inganno è palese, poiché è provato (come vedremo più avanti) che : – La pretesa (*) Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito di Roma, o ad altri autori, è un tentativo di ricostituzione fatto da Dom Botte dopo il 1946, ed « in modo costruttivo », secondo l’espressione di R.P. Hanssens, nel 1959. – La Tradizione apostolica d’Ippolito suscita dal 1992 un dibattito tra specialisti che la qualificano come di «pretesa Tradizione apostolica», quindi quantomeno dubbia, se non fantomatica! Questa controversia divenne oggetto di un seminario nel 2004 nel quale si conclude che: –1) La preghiera di consacrazione di Paolo VI si ispira, ma non s’identifica, con la pretesa Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito; essa rappresenta una creazione “artificiale” di Dom Botte nel 1968. 2) La preghiera consacratoria di Paolo VI, la cui forma essenziale è ispirata alla pretesa (*) Tradizione Apostolica d’Ippolito, presenta delle similitudini con i riti Abissini, riti di eretici “monofisiti”, i quali non costituiscono dei riti validi, ma piuttosto dei riti risultanti da dibattiti teologici nati alla fine del XVII secolo. 3) I riti copto e siriaco non utilizzano affatto la formula detta d’Ippolito, (dello stesso avviso è perfino Dom Botte!). inoltre i riti utilizzati dal siriaco al copto, ai quali ci si è falsamente ispirati, venivano utilizzati per insediare un Patriarca già consacrato Vescovo, e quindi non conferivano in alcun caso il Sacramento dell’ordine!  – 4) La formula di Paolo VI non manifesta alcun «accordo tre le tradizioni orientale ed occidentale», ma viene recuperata piuttosto da una pretesa (*) ‘Tradizione apostolica d’Ippolito’, testo che secondo alcuni proviene invece da ambiti egiziano-alessandrini, nei quali i riti traducono, secondo Burton Scott Easton, le influenze della sinagoga (The Apostolic Tradition of Hippolytus, Burton Easton, 1934, pag. 67 ed. del 1962, Archon Books).

(*) [Noi abbiamo preferito scrivere, in accordo con il comitato internazionale “rore sanctifica”: La ‘pretesa’ Tradizione apostolica a proposito di questo documento denominato “la Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito” (o a diversi autori “Ippoliti”), conformandoci così alla denominazione dei lavori Scientifici ed universitari che si è imposta da un paio di decenni nel mondo degli specialisti che trattano di questo soggetto.]

In sostanza, la “contestazione d’Ippolito”, conosciuta dagli specialisti già dal 1946, ossia ben 22 anni prima del Pontificalis Romani, continua nel 1990 ed oltre, anche da parte dei Bollandisti (Gesuiti seguaci di Bolland, particolarmente eruditi nelle documentazioni ecclesiastico-liturgiche). Sarebbe troppo lungo e noioso riportare tutti i documenti, veri o presunti, ed i dibattiti successivi sul tema, ma a quanti, incuriositi, volessero delle indicazioni precise, consigliamo di consultare il sito del comitato “Rore Sanctifica” o i diversi Tomi di “Démontration et bibliographie” editi da ESR. In conclusione, la preghiera consacratoria di Paolo VI s’ispira, ma non riproduce affatto neppure quella della pretesa (*) “Tradizione Apostolica d’Ippolito’ che è stata quindi solo un po’ di “fumo negli occhi”, un “bluff” per prendere tempo in attesa di tempi migliori e … di nuove invenzioni, e costituisce pertanto una creazione artificiale di Dom Botte nel 1968 L’inganno verrà meglio compreso successivamente, quando qualche “topo di biblioteca”, un inopportuno ed inatteso “figlio di topa….” va a scovare le formule ed i riti orientali nelle lingue originali, fraudolentemente addotti essere un modello di ispirazione onde fondere le consuetudini liturgiche occidentali ed orientali, sicuri che nessuno mai andasse a verificarle, fidandosi della perizia dei falsi e ben oleati “sapienti” incaricati. Per il momento ci fermiamo qui, ma le sorprese continuano: “Esse ci fanno capire la volontà sottile con la quale si sia perpetrato l’inganno tra l’indifferenza, l’insipienza e, non voglia Iddio, la connivenza di tanti presunti “conoscitori di cose divine”, mollemente adagiati nei loro dorati e comodi giacigli, magari in compagnia di qualche “amichetto”.. Tremate, il giudizio arriverà anche per voi … come un ladro, quanto meno lo aspettate … e lì sarà pianto e stridor di denti!

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Stiamo esaminando una delle questioni più inquietanti che sconvolgono i fedeli attenti della “tradizione” cattolica, che devono prendere atto ancor più, come se non bastassero le quotidiane eresie moderniste della “contro-chiesa” della setta del “vat’inganno”, attraverso i suoi “mediatici” ben oleati rappresentanti, che essi si trovino oramai al cospetto di una contro-religione totalmente “A-cattolica”, nella quale è stato reso “invalido” il Rito della Consacrazione vescovile, con la conseguente invalidità di TUTTE le Ordinazioni sacerdotali e di tutti i “Sacramenti”, in modo particolarmente “criminale” la cresima, sacramenti falsi, amministrati quindi illecitamente, invalidamente e sacrilegamente da laici, consapevoli o meno, “finti” preti e vescovi da operetta! Persino occupanti recenti ed attuali del “Soglio di Pietro”, non hanno mai ricevuto una ordinazione vescovile valida! “Si è trattato di un’operazione chirurgica mirata, di un cesello orafo “a sfregio”, della rimozione dell’ingranaggio fondamentale di tutto l’impianto gerarchico-ecclesiastico, strutturato come un perfetto “orologio svizzero”, e di cui l’orologiaio “perfido” conosceva esattamente il meccanismo, tutto incentrato sulla Consacrazione vescovile: rimuovendo la ruotina “cardine”, si è avviata una caduta con effetto “domino” che sta portando inesorabilmente alla distruzione totale della Gerarchia ecclesiastica, con la creazione conseguente di una falsa gerarchia composta da semplici laici, cosa della quale purtroppo non ci si è resi ancora conto in pieno ( … sperando che non ce se ne renda conto solo una volta sprofondati nell’inferno, quando cioè oramai è troppo tardi!) … per non parlare poi della gioventù attuale, privata del Sacramento della Cresima, che li avrebbe resi “soldati” di Cristo, e che così non potranno mai sviluppare i doni dello Spirito Santo ricevuti al Battesimo, ed ottenerne i “frutti”. Dei frutti “marci” e putridi seminati tra i giovani, siamo tutti oramai tristemente testimoni. Ma veniamo ai fatti!

La volta scorsa abbiamo ricordato sommariamente i capisaldi teologici dei Sacramenti Cattolici, e brevemente li ricorderemo a noi stessi ed ai “distratti”, soffermandoci in particolare sul significato dell’“ex adjunctis”, elemento essenziale di un Sacramento. Che cos’è allora la “Significatio ex adjunctis” di un Sacramento (significato delle parole aggiunte)? Cominciamo col fissare alcuni punti essenziali:

  • Il valore o l’efficacia dei Sacramenti viene da Cristo, non dalla Chiesa; e il Cristo ha voluto che essi si comportino nella maniera degli agenti naturali, “ex opere operato” (attuati mediante un’operazione).
  • Un ministro indegno o anche eretico, amministra validamente i Sacramenti (anche illecitamente, e quindi in modo sacrilego!) se utilizza scrupolosamente la materia e la forma proprie a ciascuno con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.
  • L’utilizzazione della materia e della forma del sacramento, con l’integralità della “significatio ex adjunctis” garantisce che il ministro manifesti l’intenzione della Chiesa.
  • La “Significatio ex adjunctis” deve esprimere il “significato del sacramento”; se le modifiche introducono una contraddizione, il Sacramento non ha efficacia perché “manca manifestamente l’intenzione”.
  • Se la significatio ex adjunctis è tronca, il Sacramento può essere dubbio perché l’intenzione può praticamente mancare.

– In questi casi è legittimo ricercare le intenzioni di coloro che hanno modificato il rito per valutare la sua validità (cf. notazione di Leone XIII in Apostolicæ Curæ, un’enciclica dalla quale attingeremo abbondantemente in seguito, e che costituisce la “chiave” Magisteriale per risolvere l’apparente arcano).

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L’antichità del rito tradizionale.

  • Il Padre Jean Morin (1591-1659), sapiente oratore, pubblicava nel 1655 un’opera rimarchevole sul soggetto degli “ordines” latini ed Orientali. Si tratta del: “Commentarius de sacris Ecclesiæ ordinationibus secundum antiquos et recentiores Latinos, Graecos, Syros et Babylonios in tres partes distinctus”, la cui seconda edizione apparve ad Amsterdam nel 1695.
  • Più tardi, un benedettino di Saint-Maur, Dom Martene (1654-1739), pubblicava nel 1700, una sapiente edizione, notevole per rigore, raccogliendo i “Pontificali” di ordinazione della Chiesa Cattolica antecedenti all’anno ‘300 fino alla sua epoca. – Si tratta del ”De antiquis Ecclesiae ritibus libri quatuor”. Dom Martene fu discepolo di Dom Martin, e fu diretto per molto tempo da Dom Mabillon. Su queste autorevoli basi, e su una tradizione millenaria, S.S. Papa Pacelli, Pio XII, definì con Magistero solenne, “infallibile” ed “irreformabile” la formula definitiva (formula, si badi bene, che aveva consacrato un elenco lunghissimo di “fior” di Papi, Cardinali e Vescovi, Santi per vita, fede e dottrina, avallati da fatti straordinari e miracoli (veri ovviamente!).

La decisione infallibile di Pio XII:

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  • I lavori scientifici di recensione e di giustapposizione dei riti (Padre Morin, Dom Martène, etc.) hanno permesso di identificare la “forma invariabile, essenziale, nel rito latino, da più di 17 secoli”. • A partire da tali lavori, Pio XII ha designato “infallibilmente” le parole del “prefazio” che costituiscono la “forma” essenziale del Sacramento (in: Costituzione Apostolica “Sacramentum Ordinis”, punto 5, del 30 nov. 1947). Eccole:

   “Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore sanctifica”. («Compi nel tuo sacerdozio la pienezza del tuo ministero, e, rivestitolo con le insegne della più alta dignità, santificalo con la rugiada del celeste unguento») .

Pio XII cioè non ha creato un rito, Egli ha semplicemente designato la forma essenziale del Sacramento in un Rito di tradizione quasi bi-millenaria. Al termine della Costituzione Apostolica citata, chiude con le terribili parole, che dovrebbero far tremare l’inferno (ma non hanno fatto tremare il “santo” della sinagoga di satana: il marrano e capo degli “Illuminati di Baviera”, noto omosessuale e spia del K.G.B., G.B. Montini, il sedicente Paolo VI, l’anti-Papa insediato al posto del Cardinale Siri, validamente eletto con il nome di Gregorio XVII, sotto minaccia atomica … ma questa è un’altra storia … la racconteremo in altra sede!): “Nulli igitur homini liceat hanc Constitutionem a Nobis latam infringere vel eidem temerario ausu contraire” (… a nessun uomo è lecito infrangere questa Costituzione o modificarla con temerario ardimento)…  quindi in realtà Pio XII non ha creato nulla: egli ha semplicemente constatato e quindi definito infallibilmente ed irreformabilmente la “forma essenziale” nel Prefazio del Rito di Consacrazione nel Pontificale (il volume che contiene tutte le cerimonie presiedute dai Vescovi ed Autorità Superiori).

A questo punto, incomprensibilmente, apparentemente senza motivazioni apostoliche, teologiche, liturgiche, il RIBALTONE!!!:

l’illecita “Eliminazione radicale della forma essenziale del rito latino”.

21 anni dopo la promulgazione infallibile di Pio XII della “forma” essenziale, rimasta invariata per oltre 17 secoli, G.B. Montini (il sedicente antipapa Paolo VI) la sopprime totalmente.

Pio XII, nel 1947, in ”Sacramentum ordinis” ha designato le parole del prefazio che costituiscono la “forma” essenziale, le riportiamo ancora:Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore santifica”. Paolo VI, con un ribaltone senza precedenti, naturalmente illecito, sacrilego ed invalido, ha designato nel 1968 nel Pontificalis romani un’altra forma essenziale che non conserva NULLA della forma essenziale fissata “infallibilmente” da Pio XII. Ecco la nuova “assurda” formula: “Et nunc effúnde super hunc Eléctum eam virtútem, quæ a te est, Spíritum principálem, quem dedísti dilécto Fílio tuo Iesu Christo, quem ipse donávit sanctis Apóstolis, qui constituérunt Ecclésiam per síngula loca ut sanctuárium tuum, in glóriam et laudem indeficiéntem nóminis tui”. « Questo è un fatto di portata senza pari!! Non resta una sola parola, una sola sillaba della “forma” che S.S. il Papa Pio XII aveva (nel 1947) definito infallibilmente come essenziale e assolutamente richiesta per la validità del sacro episcopato!

In breve … « la “forma” essenziale e necessaria alla validità è stata TOTALMENTE soppressa dal nuovo ordinale del “beato” marrano Paolo VI!» (Abbé V.M. Zins, 2005) Questo il fatto nudo e crudo, vedremo prossimamente gli infami autori di tale sfregio sacrilego e le blasfeme e ridicole ragioni addotte a sostegno del ribaltone, che è tra l’altro veicolo sottile di eresie perniciose e gravissime, contro la SS. Trinità, contro l’Incarnazione del Cristo, e contro lo Spirito Santo, configurando un assurdo gnostico-manicheo, peraltro già intrufolato nell’anglicanesimo e nel giansenismo, un movimento novatore, pre-modernista del 1700, condannato giustamente come eretico, e contro il quale il nostro S. Alfonso Maria è stato un martello tenace ed implacabile nella sua denuncia e demolizione. Chi pensa che con questo rito, o partecipando a pseudo-funzioni (o meglio “finzioni”?!?) tenute da laici, falsi consacrati da questo rito, faccia parte della Chiesa Cattolica, è un illuso, poiché pensando di marciare sotto il vessillo di Cristo, in realtà segue lo stendardo di satana. Aprite gli occhi, fratelli, il vostro pensiero costante, l’unico che conti per davvero, sia sempre e solo la conquista della salvezza dell’anima, che si ottiene con laboriosità ininterrotta, mediante la vigilanza, la prudenza, la preghiera incessante e la conoscenza della Tradizione Apostolica, delle Sacre Scritture, rigorosamente e correttamente interpretate, e del Magistero autentico della Chiesa, Maestra di vita. Non c’è posto per la falsa misericordia che chiude i due occhi sul vizio impuro, l’adulterio amnistiato, la sacrilega peccaminosità, sull’apostasia ecumenista, eludendo il pentimento e la penitenza, e prospettando infine … l’inferno gratis per tutti!!! … venite avanti c’è posto…

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18 giugno 1968

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   18 giugno del 1968? Che cosa è successo in questa data, vi chiederete? Alla maggior parte delle persone, e soprattutto a coloro che, militando nella anti-chiesa conciliare, infiltrata palesemente dalla sinagoga di satana, si reputano ancora cattolici, nonostante l’evidenza dei fatti dimostri che essi siano modernisti ultraprotestanti e non abbiano più alcuna idea di che cosa significhi essere cattolici, non conoscendo più il Catechismo, la Tradizione dei Padri, e soprattutto il Magistero della Chiesa, credendo che il tutto si risolva nella frequentazione di un rito paganeggiante, protestantizzato, per certi aspetti demoniaco, blasfemo e sacrilego, che ancora essi osano definire “Messa”, della quale non hanno nemmeno la più pallida idea, o avvezzi a sacramenti francamente invalidi e illeciti somministrati da falsi sacerdoti invalidamente ordinati da falsi vescovi, a queste persone, dicevo, questa data non dice alcunché! Molto si dibatte sul “novus ordo missae”, nuovo vero “mostro conciliare”, dal tenore gnostico-luciferino, schiaffo cruento a tutta la dogmatica cattolica ed ai dettami evangelici, oltre che alla tradizione bi-millenaria della Santa Chiesa Cattolica, rito mutuato dai rosa+croce, 18° livello massonico, che offrono nelle loro agapi sataniche un agnello decollato al “signore dell’universo”, cioè a lucifero, quale sacrificio redentivo … qualche sprovveduto ancora obietta: “ … ma non è stato concesso con il “summorum pontificum” del 2007 di celebrare in “forma straordinaria” la Messa antica?” A parte il fatto che questa è stata un ennesima “presa per i fondelli” (mi si passi l’espressione rustica), il considerare cioè la “vera” Messa solo un rito straordinario, da celebrare “una tantum” per accontentare gli inguaribili antiquati e trogloditi tradizionalisti, alla domanda si può rispondere tranquillamente così: “Quando sono oramai scomparsi i sacerdoti validamente consacrati, ecco che i modernisti apostati hanno permesso la celebrazione della Messa “in latino” . Questo significa che viene permesso il rito cattolico “di sempre”, ma esso è comunque sacrilego, invalido ed illecito, perché celebrato da un falso prete, un laico travestito, mai consacrato, sia perché mai tonsurato, come la Chiesa ha sempre stabilito, sia perché ordinato oltretutto da un finto vescovo, a sua volta mai consacrato, per il semplice motivo che il rito di consacrazione dei vescovi è totalmente mutato dal 18 giugno del 1968, dal momento che la formula valida, fissata infallibilmente ed immutabilmente da Pio XII nel 1947, è stata sostituita da una formula assurda, blasfema, eretica, pregna di definizioni antitrinitarie, antifiloque, atta a consacrare un “eletto manicheo”, cioè un servo dell’anticristo, come vedremo più in avanti. In tal modo si è cercato di scardinare la Chiesa ed il Cristiamesimo tutto distruggendo la gerarchia cattolica, ed invalidando il Sacramento della Cresima, quello che rende veri “soldati” i battezzati in Cristo, motivo principale per cui i giovani attualmente sono assolutamente privi delle manifestazioni dei Doni dello Spirito Santo, quelli che rendono un battezzato un vero cristiano attivo e pronto a difendere la propria fede ed a comportarsi secondo i settami della Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo, con i risultati che tutti possiamo osservare. Una “fava” che ha permesso di prendere due piccioni: la gerarchia e la gioventù cattolica, oramai entrambe “quasi” distrutte, materialmente l’una e spiritualmente l’altra. Questa verità sconvolgente purtroppo si è realizzata sotto una sapiente regia, non solo umana, come vedremo, ma anche e soprattutto luciferina! Ma procediamo con ordine, trattandosi di un argomento molto delicato, cioè della “consacrazione dei vescovi”, la cui formula è stata modificata ed applicata appunto per la prima volta, nel fatidico 18 giugno 1968, formula che costituisce un passaggio fondamentale ed obbligato nella costruzione della Gerarchia cattolica, nonché la base di tutti i Sacramenti. Scardinando con machiavellica lucidità questa “Consacrazione”, con il renderla cioè invalida nella “forma” e nella “intenzione”, tutto l’edificio Cattolico umanamente crolla inesorabilmente nel giro di pochi decenni, esattamente come è accaduto negli ultimi anni, lasciando veramente la Chiesa Cattolica, come annunziato dalla Vergine alle apparizioni de La Salette, oscurata da una eclissi mostruosa: “… la Chiesa sarà eclissata!” …

L’argomento è della somma importanza in riferimento alla salvezza della nostra anima, che nella maggior parte dei casi è, nel mondo cattolico, affidata (si fa per dire …) a semplici laici travestiti, come da sacrilego carnevale, da vescovi, cardinali o preti (che in verità hanno già “coerentemente” dismesso l’abito sacerdotale, come ognuno può constatare). –  Iniziamo da considerazioni teologiche apparentemente barbose, ma indispensabili per una corretta comprensione dell’argomento. Dalla teologia dei Sacramenti apprendiamo che “L’ordinazione vescovile è fondamentale essendo la “sorgente” di tutti i Sacramenti, sia direttamente, [pensiamo alla Cresima e all’Ordine sacerdotale], sia Indirettamente: [i Sacerdoti ordinati amministrano a loro volta: Eucarestia, Battesimo, Confessione, Matrimonio, Unzione degli infermi].”

Affinché un Sacramento abbia validità, sono necessarie tre cose: “la materia, la forma e l’intenzione”. Ad esempio, per il Battesimo occorre l’acqua (materia), poi è indispensabile la forma (cioè le parole: “io ti battezzo nel Nome … etc.”, ed infine l’intenzione conforme a quella della Chiesa Cattolica. Se nel bagnare la testa al bambino, l’officiante dice: “ io ti lavo la testa …”, pur in una cerimonia in chiesa con tutti gli elementi circostanti abituali validi, il Sacramento non ha alcuna efficacia, e rappresenta al massimo il tentativo di uno shampoo per il battezzando. Allo stesso modo se il celebrante dicesse: “io ti battezzo nel nome di Renzi, Berlusconi e Bersani, il Sacramento non sarebbe valido, poiché non conforme alle intenzioni della Chiesa che sono quelle di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. A tutti è chiaro allo stesso modo che nel Sacramento dell’Eucaristia la “materia” è il pane azzimo e, se per caso si usasse un’ostia di cioccolato bianco, ci sarebbe invalidità del Sacramento anche nel proferire la “vera” formula della Transustanziazione. Nel caso del Sacramento dell’Ordine, la materia è rappresentata dal “contatto” fisico tra l’impositore ed il ricevente l’ordine, come spiega mirabilmente San Tommaso nella “Summa” e quindi dall’imposizione delle mani. La sostanza di una “forma” sacramentale costituisce una cosa che è indipendentemente dagli accessori o cose accidentali che la circondano (v. tab. 1). Pertanto la “sostanza” di una forma sacramentale è il suo significato. “Il significato deve corrispondere alla grazia prodotta dal Sacramento”. Nel Concilio di Trento si definisce (Denziger 931): «Il concilio dichiara, inoltre, che nella somministrazione dei Sacramenti c’è sempre nella Chiesa il potere di decidere o modificare, lasciando salva la sostanza di questi sacramenti, così come Essa giudichi meglio convenire all’utilità di coloro che li ricevono, e nel rispetto dei Sacramenti stessi, secondo la diversità delle cose, dei tempi e dei luoghi.»

   Veniamo a chiarire già da subito che cos’è la significatio “ex adjunctis” di un Sacramento, [significato adiuvante] elemento, questo, che costituisce il punto centrale della questione e di cui discuteremo pure ampiamente in seguito. Per il momento ci basta sapere: • Il valore o l’efficacia dei Sacramenti viene da Cristo, non dalla Chiesa; e il Cristo ha voluto che essi si comportino nella maniera degli agenti naturali, “ex opere operato”.

  • Un ministro indegno o anche eretico amministra validamente i Sacramenti se utilizza “scrupolosamente” la materia e la forma proprie a ciascuno con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.
  • L’utilizzazione della materia e della forma del Sacramento, con l’integralità della “significatio ex adjunctis” garantisce che il ministro manifesti l’intenzione della Chiesa.
  • La “significatio ex adjunctis” deve esprimere il significato del Sacramento; se le modifiche introducono una “contraddizione”, il Sacramento non ha efficacia perché manca manifestamente l’intenzione.
  • Se la “significatio ex adjunctis” è tronca, il Sacramento può essere dubbio perché l’intenzione può praticamente mancare. – In questi casi è legittimo ricercare le intenzioni di coloro che hanno modificato il rito per valutare la sua validità (cf. notazione di Leone XIII in Apostolicae Curae).

In quel fatidico nefando giorno, il “18 giugno 1968” si è perpetrata l’“Eliminazione radicale” del rito romano antico, consacrato “infallibilmente” da Pio XII nel 1947! Fortunatamente, con l’aiuto della Provvidenza, si è costituito un “piccolo resto” di consacrati “isolati”, in costante pericolo di vita, vescovi, Cardinali e sacerdoti usciti dalla “scuola” e dalle “mani” del Cardinale Siri (eletto per ben 4 volte in Conclave all’unanimità come Gregorio XVII), che potranno così perpetuare, ad onta dei marrani-massoni, attuali usurpatori, la Chiesa Cattolica, l’unica Chiesa fondata da Cristo, fuori dalla Quale non c’è salvezza eterna (extra Ecclesia nulla salus!), ed adempiere a tutte le promesse di “indefettibilità” (di assistenza continua) che il Signore Gesù ci ha fatto nel Santo Vangelo! Come questo sia potuto succedere, chi siano stati gli infami autori di questo sfregio alla Santa Chiesa Cattolica, e quindi a N.S. Gesù Cristo stesso, a Dio Padre Creatore, ed allo Spirito Santo (con una specifica eresia “anti-filioque” nella formula), con quali assurdi e per certi aspetti ridicoli pretesti abbiano compiuto questo sacrilego aberrante misfatto, lo vedremo prossimamente.

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Tab. I

La sostanza di una forma sacramentale

  • Sostanza:

– ciò che costituisce una cosa indipendentemente dagli accessori o cose accidentali che la circondano.

  • La sostanza di una forma sacramentale è il suo significato.
  • Il significato deve corrispondere alla grazia prodotta dal Sacramento.
  • Il significato «attiene particolarmente alla forma» (Leone XIII in “Apostolicæ curæ”)
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GIORNI di QUATEMPORA

GIORNI di QUATEMPORA

pane-e-acqua

Introduzione

 I giorni di “Quattro tempora” sono quattro gruppi separati di tre giorni nella stessa settimana – in particolare, il Mercoledì, il Venerdì, ed il Sabato – grosso modo equidistanti nell’arco dell’anno, che vengono riservati al digiuno ed alla preghiera. Questi quattro serie di settimane-tempora corrispondono ai digiuni delle quattro stagioni. – I giorni di “quatempora” (così chiamati per la consuetudine dei nostri antenati di praticare il digiuno in quei determinati giorni rivestiti di sacco e col capo cosparso di cenere, alimentandosi con dolci cotti sotto la brace) sono il Mercoledì, il Venerdì ed il Sabato della prima settimana di Quaresima, della settimana successiva alla Pentecoste, della terza settimana di settembre (dopo l’Esaltazione della Santa Croce – 14 settembre), e della terza settimana di Avvento (dopo la festa di Santa Lucia – 13 dicembre).  Lo spirito della Chiesa è quello di invogliare i suoi figli, in questi tempi stabiliti, alla preghiera, alla penitenza, alla pratica di opere buone, onde chiedere a Dio che conceda buoni Pastori alla sua Chiesa; il Sabato della settimana di quatempora è il giorno stabilito per l’ordinazione e la consacrazione di novelli sacerdoti al sacro ministero. Nello stesso tempo si chiede la benedizione di Dio sui frutti della terra, e Gli si rende grazie per quelli che si sono già ricevuti.

Source: The Divine Office for the Use of Laity, Volume I, Edition 1806

Le leggi della Chiesa sul digiuno e l’astinenza

 Le norme uniformi per il digiuno e l’astinenza adottate nel 1951 dai vescovi degli Stati Uniti, sono state in qualche modo modificate nel novembre del 1956. La normativa in materia prevede quanto segue:

 ASTINENZA:

1. Ogni individuo dai sette anni di età è tenuto ad osservare le leggi dell’astinenza.

2. L’astinenza completa è da osservarsi il venerdì, il Mercoledì delle Ceneri, il Sabato Santo, e le vigilie dell’Immacolata Concezione e di Natale. Nei giorni di astinenza completa non possono essere utilizzati: la carne e tutti i brodi, gli estratti ed i sughi a base di carne!

3. L’astinenza parziale deve osservarsi nel mercoledì e sabato di quatempora, e alla Vigilia di Pentecoste. – Nei giorni di astinenza parziale, la carne ed il brodo o sugo a base di carne può essere assunto solo una volta al giorno al pasto principale.

Digiuno:

1. Ogni individuo oltre i 21 e sotto i 59 anni di età è anche tenuto ad osservare la legge del digiuno.

2. I giorni di digiuno sono i giorni della settimana di Quaresima, tra cui il Sabato Santo, i giorni di quatempora, la Vigilia di Pentecoste, dell’Immacolata Concezione e di Natale.

3. Nei giorni di digiuno, è consentito un solo pasto completo. – Altri due refezioni senza carne, sufficienti a mantenersi in forza, possono essere assunte secondo le proprie esigenze, ma insieme non dovrebbero eguagliare un altro pasto completo.

4. Le carni possono essere prese al pasto principale in un giorno di digiuno, tranne che il venerdì, il Mercoledì delle Ceneri, il Sabato Santo, e le vigilie dell’Immacolata Concezione e di Natale.

5. Non è consentito mangiare tra i pasti, ma sono permessi alimenti liquidi, compreso il latte e i succhi di frutta. Niente alcoolici.

6. Qualora la salute o la capacità di lavorare dovessero essere gravemente minacciate, la legge non obbliga. In caso di dubbio riguardante il digiuno o l’astinenza, dovrebbe essere consultato un parroco o confessore.

* Non vi è alcun obbligo di digiuno o astinenza in una festa di precetto, anche se essa dovesse cadere di Venerdì.