UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: OFFICIORUM AC MUNERUM

Officiorum ac munerum” è un documento di importanza straordinaria per l’argomento che tratta: quello della stampa e delle pubblicazioni in ambito religioso cattolico, tant’è che ancora S. Pio X ne fa un riferimento essenziale nella sua straordinaria Enciclica antimodernista “Pascendi”. Qui ci sono tutte le caratteristiche e le regole alle quali devono attenersi tutti, prelati e laici, nella pubblicazione di scritti pretesi cattolici. Inutile dilungarsi sulla premesse, è indispensabile leggere attentamente il documento e farlo proprio, specie nella situazione attuale di marasma dottrinale, in cui ognuno si sente in diritto di esprimere pareri ed idee con “imprimatur” personale e “nihil obstat” sostituito da un improbabile “mihi  placeat”, spesso in contrasto con la fede e la Dottrina cattolica, senza premurarsi di ottenere una “garanzia” da parte di un’autorità vigilante, quasi da comporre un “magistero personale” che spesso non ha nulla da invidiare a quello dei più esagitati eresiarchi. Per tutti coloro che non si attengono alle disposizioni del documento, c’è la SCOMUNICA IPSO FACTO!

LEONE XIII

COSTITUZIONE APOSTOLICA

OFFICIORUM AC MUNERUM

Il Vescovo Leone,
Servo dei servi di Dio.
A perpetua memoria.

Fra gli uffici e i doveri che in questa Apostolica Sede occorre osservare con la massima diligenza e religiosità, fondamento e compendio di ogni altro è vigilare assiduamente ed adoperarsi con tutte le forze, perché l’integrità della fede e dei costumi cristiani non soffra alcun danno. Se questo nel passato fu talora necessario, in specialissimo modo lo è ai giorni nostri, nei quali — menti e costumi travolti dalla licenza — quasi tutta la dottrina che il Salvatore degli uomini Gesù Cristo affidò in custodia alla sua Chiesa per la salute del genere umano, viene trascinata ogni giorno in dispute pericolose. Nelle quali certamente sono diverse ed innumerevoli le astuzie dei nemici e le arti del nuocere; ma soprattutto è piena di pericoli la smania dello scrivere e di disseminare nel popolo ciò che malvagiamente fu scritto. Infatti nulla si può pensare di più pernicioso a corrompere gli animi che eccitare il disprezzo per la religione e proporre molte lusinghe al peccato. Per la qual cosa la Chiesa, vindice e custode dell’incolumità della fede e dei costumi, preoccupata di tanto male, comprese ben presto che era necessario un rimedio contro tale peste. Perciò si adoperò a che gli uomini, per quanto poteva, stessero lontani come da un pessimo veleno dalla lettura dei libri cattivi. Fin dai tempi apostolici si vide in ciò manifesto l’ardente zelo di San Paolo, e i secoli successivi ammirarono la vigilanza dei Santi Padri, gli ordini dei Vescovi e i decreti dei Concilii. – Principalmente poi gli antichi scritti attestano con quanta cura e diligenza i Romani Pontefici si impegnarono affinché gli scritti degli eretici non serpeggiassero impunemente a pubblico danno. L’antichità ci fornisce copiosi esempi. Anastasio I condannò severamente gli scritti più perniciosi di Origene; Innocenzo I quelli di Pelagio; Leone Magno tutte le opere dei Manichei. In proposito sono pure note le lettere decretali sui libri da ammettere e da respingere date opportunamente da Papa Gelasio. Similmente, nel corso dei secoli la Sede Apostolica proscrisse i libri pestilenziali dei Monoteliti, di Abelardo, di Marsilio Patavino, di Wycliffe e di Huss. – Nel secolo decimoquinto, poi, dopo l’invenzione dell’arte della stampa, non solo si pose mente agli scritti dannosi che erano venuti alla luce, ma si pose attenzione a che opere di tal genere non venissero più pubblicate. – Tale provvedimento in quei tempi era suggerito non da lievi ragioni, ma dalla necessità di tutelare l’onestà e la salute pubblica; perché un’arte per sé ottima, apportatrice di grandissimi vantaggi, nata per propagare la civiltà cristiana fra i popoli, rapidamente era stata rivolta dai più a strumento di grandi rovine. Il grave danno dei cattivi scritti era diventato maggiore a causa della maggiore velocità nel diffonderli. – Pertanto, con provvida decisione, sia Alessandro VI, sia Leone X, Nostri Predecessori, emanarono apposite leggi, adatte a quei tempi e ai costumi dell’epoca, che disciplinassero i doveri degli editori. – Più tardi, essendo insorte più pericolose procelle, si riconobbe necessaria una più solerte vigilanza per impedire il veleno dell’eresia. Per questo lo stesso Leone X e successivamente Clemente VII emanarono severissime leggi affinché a nessuno fosse lecito leggere o conservare i libri di Lutero. Ma siccome, per la nequizia di quell’epoca, crebbe a dismisura e si sparse per ogni dove l’immonda colluvie di libri cattivi, fu necessario ricorrere a più grave e più efficace rimedio. Del quale certamente si servì a proposito per primo Paolo IV, Nostro Predecessore, col pubblicare cioè un elenco degli scritti e dei libri dalla cui lettura i fedeli dovevano astenersi. Così, poco tempo dopo, i Padri del Concilio Tridentino s’adoprarono per reprimere la sfrenata licenza dello scrivere e del leggere. Pertanto, per volontà e comando degli stessi Padri, distinti prelati e teologi si impegnarono non soltanto ad aumentare e a perfezionare l’Indice che Paolo IV aveva fatto pubblicare, ma dettarono altresì norme da osservarsi nella stampa, nella lettura e nell’uso dei libri; a tali norme Pio IV diede forza con la propria autorità apostolica. – La stessa ragione della salute pubblica, che aveva dato origine alle Regole Tridentine, col passare delle età impose alcune variazioni. Pertanto i Romani Pontefici, e particolarmente Clemente VIII, Alessandro VII, Benedetto XIV, conoscitori dei tempi e rispettosi della prudenza, decretarono molte cose che valsero a chiarire e ad adattare le norme ai nuovi tempi. – Ciò chiaramente dimostra che le particolari sollecitudini dei Romani Pontefici furono di continuo dedicate a tenere lontano dalla civile società degli uomini gli errori delle opinioni e la corruttela dei costumi, questa duplice rovina delle città che di solito viene causata e diffusa dai cattivi libri. E l’esito coronò l’opera sino a che nell’amministrazione della pubblica cosa la legge eterna fu guida ai governanti, e l’autorità Civile si mantenne d’accordo con l’autorità Ecclesiastica. – Nessuno ignora quanto accadde successivamente. Infatti, col tempo essendo a poco a poco mutate le condizioni delle cose e degli uomini, la Chiesa, giusta il suo costume, fece prudentemente quello che, considerati i tempi, le parve più conveniente ed utile alla salute degli uomini. Parecchie prescrizioni delle Regole dell’Indice che parevano superate rispetto alla originaria opportunità, essa stessa abrogò con decreto o lasciò benignamente e sapientemente che, per il costume e l’uso qua e là introdotti, andassero in desuetudine. Recentemente, con lettera agli Arcivescovi ed ai Vescovi dello Stato Pontificio, Pio IX mitigò in gran parte la Regola X. Inoltre poco prima del gran Concilio Vaticano, diede l’incarico a dotti personaggi competenti a preparare la materia, che rivedessero ed esaminassero tutte le Regole dell’Indice e dessero il loro parere sul da farsi. Essi indicarono concordemente ciò che si doveva cambiare. La stessa cosa apertamente giudicavano e richiedevano al Concilio molti Padri. Esistono tuttora le lettere dei Vescovi di Francia, che ritenevano essere cosa necessaria e da farsi senza indugio, che “quelle Regole e tutto l’Indice in genere fossero riformate secondo i bisogni dell’età presente e rese più facili da osservare. Contemporaneamente, lo stesso giudizio fu espresso dai Vescovi della Germania, che domandavano chiaramente che le “Regole dell’Indice… fossero sottoposte ad una nuova revisione e redazione. A questi facevano eco molti Vescovi dell’Italia e d’altre regioni. – Certamente le domande di costoro, tenuto conto dei tempi, delle istituzioni civili e dei costumi dei popoli, sono giuste e adeguate alla materna carità della Santa Chiesa. Infatti, in così rapidi progressi degl’ingegni non v’è campo della scienza che non sia percorso sfrenatamente dalle lettere; di qui la quotidiana colluvie di pestilentissimi libri. E, ciò che è peggio, non solo le leggi pubbliche sono conniventi a tanto male, ma concedono la più ampia licenza. Quindi, da una parte gli animi di molti sono dubbiosi in materia di religione; dall’altra esiste un’impunita abbondanza di letture di ogni specie. – Noi pertanto, ad ovviare a questi inconvenienti, giudicammo opportuno fare due cose, da cui tutti possano ricavare una norma certa e chiara per sapersi regolare in tale materia. Cioè, fare una revisione diligentissima dell’Indice dei libri, la cui lettura è riprovata; ed ora, essendo compiuto il lavoro, darlo alle stampe così rivisto. Inoltre rivolgemmo l’attenzione alle Regole stesse e, salva la loro natura, le rendemmo alquanto più miti, in modo che, per chi non abbia animo cattivo, non sia cosa grave ed ardua osservarne le prescrizioni. In ciò Noi, non solo seguiamo gli esempi dei Nostri Antecessori, ma seguiamo il materno zelo della Chiesa, che nulla più desidera se non mostrarsi benigna; essa provvide e provvede sempre a sanare i suoi figli con tale amore e sollecitudine da compatirne pietosamente le debolezze. – Pertanto, con matura deliberazione, dopo aver consultato i Cardinali di Santa Chiesa Romana addetti alla sacra Congregazione dell’Indice, abbiamo stabilito di pubblicare i Decreti Generali che seguono, e che formano una cosa sola con questa Bolla; ad essi la stessa sacra Congregazione d’ora innanzi unicamente si ispiri, e i cattolici di tutto il mondo religiosamente ubbidiscano. Vogliamo che soltanto questi Decreti abbiano forza di legge, e restino abrogate le Regole pubblicate d’ordine del sacrosanto Concilio di Trento, le Osservazioni, l’Istruzione, i Decreti, i Moniti, e qualsiasi altro decreto istituito dai Nostri Predecessori concernenti questa materia, eccettuata la sola Costituzione di Benedetto XIV Sollicita et provida, la quale, come fu finora in vigore, così intendiamo lo sia integralmente in avvenire.

DECRETI GENERALI
SULLA PROIBIZIONE E LA CENSURA DEI LIBRI

TITOLO I
Sulla proibizione dei libri

Capitolo I. Sui libri proibiti degli apostati, degli eretici, degli scismatici e di altri scrittori

Tutti i libri condannati dai Sommi Pontefici o dai Concilii ecumenici, prima dell’anno 1600, rimangono proibiti nello stesso modo, tranne quelli permessi da questi decreti generali.

Sono assolutamente proibiti i libri degli apostati, degli eretici, degli scismatici e di qualsiasi scrittore propugnanti l’eresia o lo scisma, o tendenti a scalzare in qualsiasi modo gli stessi fondamenti della religione.

Sono proibiti i libri degli acattolici che trattano ex professodi religione, a meno che consti che in essi non è contenuto alcunché di contrario alla fede cattolica.

I libri dei medesimi autori, che non trattano di proposito di religione, ma solo occasionalmente toccano le verità della fede, per diritto ecclesiastico non s’intendono proibiti, a meno che non lo siano per decreto speciale.

Capitolo II. Delle edizioni del testo originale e delle versioni della Sacra Scrittura in lingue non volgari

Le edizioni del testo originale e delle antiche versioni cattoliche della Sacra Scrittura, comprese quelle della Chiesa Orientale, pubblicate da qualsiasi acattolico, benché appaiano fedelmente ed integralmente riprodotte, sono permesse soltanto a coloro che attendono agli studi teologi o biblici, purché però nei prolegomeni o nelle note non s’impugnino i dogmi della fede cattolica.

Nel medesimo modo e alle medesime condizioni si permettono le altre versioni della Bibbia in latino o in altra lingua non volgare, pubblicate dagli acattolici.

Capitolo III. Delle versioni volgari della Sacra Scrittura

Poiché l’esperienza insegna che se la Sacra Bibbia viene permessa indistintamente in lingua volgare ne deriva, a causa della imprudenza degli uomini, più danno che utilità; conseguentemente tutte le versioni in lingua volgare, anche pubblicate da persone cattoliche, sono assolutamente proibite, a meno che non siano approvate dalla Santa Sede, o pubblicate sotto la vigilanza dei Vescovi con note desunte dai Santi Padri della Chiesa e da dotti scrittori cattolici.

Sono proibite tutte le versioni dei Sacri Libri in qualsiasi lingua volgare fatte dagli acattolici, quali che siano, e principalmente quelle divulgate dalle Società Bibliche più volte condannate dai Romani Pontefici, perché in esse vengono completamente trascurate le saluberrime leggi della Chiesa intorno alla pubblicazione dei sacri libri. Tuttavia tali versioni si permettono a coloro che attendono agli studi teologici o biblici, osservando però ciò che di sopra (n. 5) è stabilito.

Capitolo IV. Dei libri osceni

Sono assolutamente proibiti i libri che di proposito trattano, narrano, o insegnano cose lascive, ossia oscene, poiché non solo è necessario preservare la fede ma anche i costumi, che facilmente sogliono corrompersi con la lettura di tali libri.

I libri di autori, sia antichi sia moderni, che chiamano classici, qualora siano infetti da questa stessa macchia di turpitudine, sono permessi, a motivo dell’eleganza o proprietà della lingua, soltanto a coloro che ne abbisognano per ragione del loro ufficio o magistero; però per nessun motivo potranno darsi o spiegarsi ai fanciulli o ai giovani, se non siano con solerte cura purgati.

Capitolo V. Di alcuni libri di argomento speciale

Sono condannati i libri nei quali si dice male di Dio o della Beata Vergine Maria o dei Santi o della Chiesa Cattolica e del suo culto, o dei Sacramenti, o della Sede Apostolica. Alla medesima proibizione soggiacciono quelle opere, nelle quali il concetto dell’ispirazione della Sacra Scrittura viene pervertito e la sua estensione troppo ristretta. Parimenti sono proibiti i libri che di proposito vituperano la Gerarchia ecclesiastica o lo stato clericale oppure quello religioso.

È proibito pubblicare, leggere o conservare i libri in cui s’insegnano o si raccomandano i sortilegi, la divinazione, la magia, l’evocazione degli spiriti e altre simili superstizioni.

Sono proibiti i libri o gli scritti che narrano nuove apparizioni, rivelazioni, visioni, profezie, miracoli, o che introducono nuove devozioni, anche sotto il pretesto che siano private, qualora siano pubblicati senza legittima licenza dei Superiori della Chiesa.

Sono proibiti i libri che affermano essere lecito il duello, il suicidio o il divorzio; quelli che trattano delle sette massoniche e di altre simili società e sostengono che esse sono utili e niente affatto perniciose alla Chiesa e alla civile società; e quelli che difendono gli errori condannati dalla Sede Apostolica.

Capitolo VI. Delle Sacre Immagini e delle Indulgenze

Sono assolutamente proibite le immagini, comunque impresse, di Nostro Signore Gesù Cristo, della Beata Vergine Maria, degli Angeli e dei Santi o di altri Servi di Dio, difformi dal sentimento e dai decreti della Chiesa. Le nuove immagini poi, abbiano o no annesse delle preghiere, non si pubblichino senza licenza dell’autorità ecclesiastica.

È proibito a chiunque di divulgare indulgenze apocrife e dalla Santa Sede condannate, o comunque revocate. Quelle che fossero già divulgate, si tolgano di mano dei fedeli.

È vietato pubblicare qualsiasi libro, sommario, libretto, foglietto e simili, in cui siano contenute concessioni di indulgenze, senza il permesso della legittima autorità.

Capitolo VII. Dei libri di liturgia e di preghiera

Nessuno presuma di mutare alcunché nelle edizioni autentiche del Messale, del Breviario, del Rituale, del Cerimoniale dei Vescovi, del Pontificale Romano, e degli altri libri liturgici approvati dalla Santa Sede Apostolica; se ciò avvenisse, queste nuove edizioni sono proibite.

Non si pubblichino litanie senza revisione ed approvazione dell’Ordinario, che di solito si cantano, tranne le antichissime e comuni che si trovano nei Breviari, Messali, Pontificali e Rituali, e quelle della Beata Vergine nella sacra Casa di Loreto, nonché quelle del nome Santissimo di Gesù già approvate dalla Santa Sede.

Nessuno, senza il permesso della legittima autorità, pubblichi libri o libretti di preghiere, di devozione, o di dottrina e d’istruzione religiosa, di morale, di ascetica, di mistica o altri simili, quantunque sembrino fatti per fomentare la pietà del popolo cristiano; altrimenti si abbiano per proibiti.

Capitolo VIII. Dei giornali, fogli e libretti periodici

I giornali, i fogli e i libretti periodici che di proposito combattono la religione o i buoni costumi, si tengano per proibiti non solo per diritto naturale ma anche per l’ecclesiastico. Attendano gli Ordinari, ove occorra, ad avvisare opportunamente i fedeli del pericolo e del danno di tali letture.

Nessun cattolico, specialmente se ecclesiastico, pubblichi alcunché in siffatti diari o fogli o libretti periodici, a meno che lo richieda un giusto e ragionevole motivo.

Capitolo IX. Della facoltà di leggere e conservare libri proibiti

Potranno leggere e conservare libri che siano stati proibiti o da decreti speciali o da decreti generali soltanto coloro che ne avranno avuto opportuna facoltà dalla Santa Sede o da quelli cui questa avrà delegato le sue veci.

I Romani Pontefici preposero la Sacra Congregazione dell’Indice a concedere la facoltà di leggere e conservare qualsiasi libro proibito. Però della medesima facoltà godono sia la Suprema Congregazione del Santo Uffizio, sia la Santa Congregazione di Propaganda Fide per le regioni soggete al suo regime. Questa facoltà compete anche al Maestro del Sacro Palazzo Apostolico, ma per Roma soltanto.

I Vescovi e gli altri Prelati aventi giurisdizione quasi episcopale possono concedere licenza per qualche libro in particolare, e soltanto nei casi urgenti. Se i medesimi abbiano ottenuto dalla Sede Apostolica facoltà generale di dar licenza ai fedeli di leggere e di conservare i libri proibiti, non l’accordino però che con discerimento e per giusto e ragionevole motivo.

Nessuno di coloro che abbia avuto dalla Santa Sede la facoltà di leggere e conservare libri proibiti, può, per ciò stesso, leggere e conservare qualsiasi libro o effemeride proibiti dagli Ordinari dei luoghi, a meno che nell’indulto apostolico sia espressa la potestà di leggere e conservare libri proibiti. Coloro che hanno ottenuto licenza di leggere i libri proibiti si rammentino inoltre che sono legati dal grave precetto di custodire talmente siffatti libri, che non capitino in mano di altri.

Capitolo X. Della denuncia dei libri cattivi

Quantunque sia dovere di ogni cattolico, massime di quelli che eccellono per dottrina, denunciare i libri perniciosi ai Vescovi od alla Sede Apostolica, ciò però appartiene per titolo speciale ai Nunzi, ai Delegati Apostolici, agli Ordinari dei luoghi ed ai Rettori delle Università fiorenti per lode di dottrina.

È bene che nel denunciare i libri cattivi non solo s’indichi il titolo del libro, ma altresì, per quanto è possibile, si espongano i motivi per cui si crede che il libro sia degno di censura. Quelli poi che riceveranno la denuncia abbiano per sacro dovere di mantenere segreti i nomi dei denuncianti.

Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si studino di proibire e togliere dalle mani dei fedeli i libri ed altri scritti nocivi stampati o diffusi nella loro diocesi. Rimettano al giudizio Apostolico quelle opere o quegli scritti che richiedono un più minuto esame, per i quali, al fine di ottenere un salutare effetto, sembri richiedersi la sentenza della suprema autorità.

TITOLO II
Della censura dei libri

Capitolo I. Dei Prelati preposti alla censura dei libri

Da ciò che sopra è stato detto (n. 7), appare chiaro chi abbia la potestà di approvare e permettere le edizioni e le versioni dei libri sacri.

Nessuno osi dare nuovamente alla luce i libri proscritti dalla Sede Apostolica. Se, per grave e ragionevole motivo, sembri doversi fare in ciò qualche singolare eccezione, ciò però non si farà mai se non dopo avere ottenuto licenza dalla Sacra Congregazione dell’Indice, ed osservando le condizioni da essa prescritte.

Non si possono pubblicare, senza il permesso della Sacra Congregazione dei Riti, quelle cose che, comunque sia, appartengono alle cause delle beatificazioni e canonizzazioni dei Servi di Dio.

Lo stesso deve dirsi delle Collezioni dei decreti delle singole Congregazioni Romane; queste Collezioni, cioè, non possono pubblicarsi, se non dopo averne ottenuto la licenza, e osservando le condizioni prescritte dai moderatori di ciascuna Congregazione.

I Vicari ed i Missionari Apostolici osservino fedelmente i decreti della Sacra Congregazione di propaganda intorno ai libri da pubblicarsi.

L’approvazione dei libri, la censura dei quali in forza dei presenti decreti non è riservata alla Sede Apostolica od alle Romane Congregazioni, appartiene all’Ordinario del luogo dove si pubblicano.

I Regolari ricordino che, oltre la licenza del Vescovo, sono obbligati, per decreto del Sacro Concilio di Trento, ad ottenere la facoltà di pubblicare un libro dal Superiore, da cui dipendono. L’una e l’altra concessione dovranno essere stampate al principio o alla fine dell’opera.

Se un autore dimorante in Roma voglia stampare un libro non quivi ma altrove, oltre l’approvazione del Cardinale Vicario di Roma e del Maestro del Sacro Palazzo Apostolico, non ne deve richiedere un’altra.

Capitolo II. Dell’ufficio dei censori nel preventivo esame dei libri

I Vescovi, a cui spetta di concedere la facoltà d’imprimere i libri, per l’esame di questi cerchino di servirsi di uomini di riconosciuta pietà e dottrina, dalla cui fede e integrità possano ripromettersi che nulla faranno per favore o per odio, ma che, messa da parte ogni umana considerazione, non mireranno che alla gloria di Dio e all’utilità del popolo fedele.

Sappiano i censori che essi debbono giudicare delle varie opinioni e sentenze (giusta il precetto di Benedetto XIV) con animo scevro da qualsiasi pregiudizio. Pertanto allontanino da sé ogni affetto di nazione, di famiglia, di scuola, d’istituto, e depongano ogni spirito di parte. Abbiano unicamente dinanzi agli occhi i dogmi della santa Chiesa, e la dottrina comune dei cattolici, la quale è contenuta nei decreti dei Concilii generali, nelle Costituzioni dei Romani Pontefici e nel consenso dei Dottori.

Compiuto l’esame, se niente sembri ostare alla pubblicazione del libro, l’Ordinario conceda all’autore, per iscritto e affatto gratuitamente, la licenza di pubblicarlo; tale licenza dovrà essere stampata al principio od alla fine del libro.

Capitolo III. Dei libri da sottoporre alla preventiva censura

Tutti i fedeli sono tenuti a sottomettere alla preventiva censura ecclesistica almeno quei libri che riguardano le divine Scritture, la sacra Teologia, la Storia ecclesiastica, il Diritto canonico, la Teologia naturale, l’Etica, ed altre simili discipline religiose o morali, e in generale tutti gli scritti che s’interessano specialmente della religione e dell’onestà dei costumi.

Le persone del clero secolare non pubblichino, senza consultare i loro Ordinari, neanche i libri che trattano delle arti o delle scienze meramente naturali, onde dare esempio di animo ossequente verso di loro. – Agli stessi è proibito accettare la direzione di giornali e fogli periodici, senza il previo permesso dell’Ordinario.

Capitolo IV. Dei tipografi e degli editori di libri

Non si stampi alcun libro sottoposto alla censura ecclesistica, senza che esso porti nel frontispizio sia il nome e cognome dell’autore, sia quelli dell’editore, nonché il luogo e l’anno della stampa e dell’edizione. Se in qualche caso, per giusti motivi, sembri opportuno doversi tacere il nome dell’autore, sia in facoltà dell’Ordinario il permetterlo.

Sappiano i tipografi e gli editori che le nuove edizioni di un’opera già approvata richiedono una nuova approvazione, e che l’approvazione data all’opera originale non basta per le versioni in altra lingua.

I libri condannati dalla Sede Apostolica si abbiano per proibiti dovunque, ed in qualunque idioma si traducano.

I venditori di libri, massime quelli che si gloriano del nome di cattolici, non vendano, né prestino, né conservino libri trattanti di proposito di cose oscene; gli altri libri proibiti non li vendano, se non dopo aver ottenuto la licenza della Sacra Congregazione dell’Indice impetrata per mezzo dell’Ordinario, e soltanto a coloro che prudentemente ritengano essere in possesso del diritto di acquistarli.

Capitolo V. Delle pene stabilite contro i trasgressori dei decreti generali

Tutti e singoli coloro che scientemente leggono, senza autorizzazione della Sede Apostolica, i libri degli apostati e degli eretici propugnanti l’eresia, nonché i libri di qualsiasi autore nominantamente proibiti con Lettere Apostoliche, e coloro che conservano, imprimono e comunque difendono i medesimi libri, incorrono ipso facto nella scomunica riservata al Romano Pontefice in modo speciale.

Coloro che senza l’approvazione dell’Ordinario stampano o fanno stampare libri delle Sacre Scritture, o annotazioni o commentari delle medesime, incorrono ipso facto nella scomunica non riservata ad alcuno.

Chi poi trasgredirà alle rimanenti disposizioni stabilite da questi Decreti Generali, secondo la diversa gravità della colpa sia seriamente ammonito dal Vescovo e, qualora sembri opportuno, venga altresì punito con le pene canoniche. –

Decretiamo poi che le presenti lettere e tutte quelle cose che in esse sono contenute, in nessun tempo possano venir tacciate o impugnate di surrezione o di orrezione, sia per vizio di Nostra intenzione, sia per qualsiasi altro difetto; ma che sempre siano valide e rimangano in vigore, e da tutti, di qualunque grado e dignità, siano, in giudizio e fuori giudizio, osservate senza violazione; dichiariamo inoltre ìrrito e falso qualunque attentato che chiunque, con qualsivoglia autorità o pretesto, scientemente o non, potrà commettere a pregiudizio delle medesime, nonostante qualsiasi contraria consuetudine. – Vogliamo pure che alle copie di questo documento, ancorché stampate, ma sottoscritte per mano di un Notaio e munite del sigillo di persona insignita di dignità ecclesiastica, si presti la stessa fede, quale espressione della Nostra volontà, come se venisse mostrato il presente. – Nessuno dunque si faccia lecito d’alterare questa pagina della Nostra Costituzione, ordinazione, limitazione, derogazione, volontà, né temerariamente ad essa si opponga. Se qualcuno avrà la presunzione di far ciò, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1897, il 25 gennaio, decimonono del Nostro Pontificato.

 

LEONE PP. XIII

CUM EX APOSTOLATUS OFFICIO: una breve precisazione.

Una breve risposta alla domanda di un lettore:

Domanda:

“Penso di avere una non corretta comprensione della bolla:  ” Cum Ex Apostolatus Officio ” di Paolo IV e mi piacerebbe poterne avere una corretta interpretazione; potreste quindi spiegarmela nei dettagli? – “All’inizio mi sembrava abbastanza chiara, ma ora non riesco a trovare nulla che riguardi la nullità degli ordini (l’ordinazione) ricevuti da un eretico, a meno che questi non sia stato pubblicamente colpito da censura ed interdetto per irregolarità”.

 Risposta di Fr.UK:

Bene, esaminiamo allora subito l’articolo VI della summenzionata Bolla Papale, del 15 marzo 1559, [Confermata esplicitamente da S. Pio V con un’altra bolla, la Inter multiplices curas, del 21, XII, 1566 – ndr. -]:

6 – Nullità della giurisdizione ordinaria e pontificale in tutti gli eretici.

… Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere talvolta che un Vescovo, anche agendo in qualità di Arcivescovo o di Patriarca od anche un Cardinale della Chiesa  Romana, come detto, od un legato, o anche lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a Cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o lo avesse suscitato), prima della sua promozione o elevazione a Romano Pontefice, la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i Cardinali, è nulla,  invalida e senza alcun valore (“nulla, irrita et inanis existat”); neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso conseguente della carica e dell’amministrazione, ovvero per l’incoronazione o adorazione (“adoratio”) dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza a lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa (la sua promozione o elevazione) potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare (“nullam … facultatem”) a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza (“viribus careant”) tutte e ciascuna (“omnia et singula”) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (nullam prorsus firmitatem nec ius), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere (auctoritate, officio et potestate).

La bolla promulgata da S. S. Papa Paolo IV, seguì la bolla “Decet  Romanum Pontificem” del 3 gennaio 1521, di Papa Leone X, bolla di scomunica di Martin Lutero e dei suoi seguaci, quando l’eresia di Lutero causò un terribile disastro nella Chiesa cattolica in Germania ed in gran parte dell’Europa. I furiosi seguaci del condannato Lutero allora, sequestrarono ed occuparono migliaia di chiese, di conventi e monasteri. Più di dieci milioni di anime a quell’epoca caddero nell’eresia luterana, circa 50.000 persone furono uccise durante la cosiddetta “guerra dei contadini” in Germania, provocata appunto dallo stesso Lutero.  – La predicazione di Lutero consentì che il divorzio e le  convivenze impure cominciassero ad essere una “norma” per i tedeschi e per gli altri eretico-scismatici. Il processo distruttivo aumentava sempre più e si diffondeva, e molti chierici cattolici divennero segretamente eretici, restando apparentemente cattolici e continuando così ad occupare cattedrali e parrocchie di contrade, usando pertanto i pulpiti delle chiese per diffondere l’eresia luterana: in tal modo essi continuarono l’opera di distruzione e di devastazione della Chiesa Cattolica. – Quindi, per fermare il catastrofico processo di distruzione, causato dall’aggressione degli eretici luterani, e salvare così milioni di anime, Papa Paolo IV pubblicò la bolla “Cum Ex Apostolatus Officio”. –

L’insegnamento cattolico circa la validità dei Sacramenti, dichiara che ogni Sacramento, qualora fosse dubbio, non possa essere considerato valido, e quindi dovrebbe essere ripetuto in modo condizionale o assoluto. Tuttavia i Sacramenti del Matrimonio e dell’Ordine non possono essere ripetuti se non esistono impedimenti specifici, proibitivi e dirimenti, per cui non si possa essere dispensati. –

Ogni “sacramento”, amministrato dagli eretici è dubbio:

1. per Intenzione, 2. per Forma o 3. per Materia, sia da parte del ministro che da parte del ricevente. – Quindi, in particolare l’articolo VI della bolla “Cum ex Apostolatus Officio”, pubblicata da Paolo IV, denuncia l’invalidità del “Sacramento della consacrazione” per un eretico,  attenendosi a questo principio cattolico. –

È noto che Lutero essenzialmente cambiò l’insegnamento sui Sacramenti, ed in particolare la sua concezione eretica del “sacerdozio” era che ogni uomo è un “sacerdote”, e tale “sacerdozio comune” pertanto non è più per lui e per i suoi seguaci, un Sacramento. È per questo che la Chiesa Cattolica riconosce gli “ordini” luterani essere totalmente invalidi.

Ovviamente il Papa ha operato al meglio quando ha emesso la bolla “Cum ex Apostolatus Officio”. A proposito, tornando ad essa, ci sono due dettagli essenziali da mettere in rilievo:

“… È nulla, vuota e senza valore … neppure dalla ricezione della consacrazione  [“nulla, irrita et inanis existat”];

“Senza ulteriori dichiarazioni da fare” [… absque aliqua desuper facienda declaratione]. –

 Lo stesso principio, che la Chiesa Cattolica attribuisce al “sacerdozio” luterano, è ugualmente applicato al “sacerdozio” del Vaticano II “… senza ulteriori dichiarazioni da farsi”, perché la concezione del Vaticano II del “sacerdozio” è la copia esatta della concezione di Lutero. – Un’altra precisazione che occorre fare, è che la bolla papale “CUM EX APOSTOLATUS OFFICIO” è un insegnamento infallibile del Magistero che non necessita pertanto di ulteriore approvazione. Tutti possono vederlo dall’articolo IX e dall’articolo X:

“IX-Mandato di pubblicazione solenne – Affinché‚ pervenga notizia delle presenti lettere a coloro che ne hanno interesse, vogliamo che esse, od una loro copia (che dovrà essere autenticata mediante sottoscrizione di un pubblico notaio e con l’apposizione del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica), siano pubblicate ed affisse sulle porte della Basilica del Principe degli Apostoli in Roma e della Cancelleria Apostolica e messe sul confine di Campo dei Fiori da uno dei nostri corrieri e che una copia di esse sia lasciata affissa nello stesso luogo, che l’ordine di pubblicazione e di affissione e di lasciare affisse le copie sia sufficiente allo scopo e sia pertanto solenne e legittima la pubblicazione, senza che si debba richiedere o aspettare altra.

X – Illiceità degli Atti contrari e sanzioni penali e divine: Pertanto, a nessun uomo sia lecito (liceat) infrangere questo foglio di nostra approvazione, innovazione, sanzione, statuto, derogazione, volontà e decreto, né contraddirlo con temeraria audacia. Che se qualcuno avesse la presunzione d’attentarvisi, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo.”

Quindi, la dichiarazione di Infallibilità papale è molto semplice e chiara e non ha bisogno di spiegazioni ulteriori. Qualunque “consacrazione ” amministrata da un eretico del Vaticano II “ è nulla, invalida, senza altre ulteriori dichiarazioni da fare”.

Fr.UK, sacerdote una cum Gregorio XVIII

[Trad. G. d. G.]

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “UT FIDES NOSTRA”

“Ut fides nostra catholica”

Concilio di Trento, Sessio V [17 giugno 1546] – S. S. Paolo III

Il Concilio di Trento in una delle primissime sessioni, volle ribadire e sottolineare i fondamenti della fede cattolica, per cui non poteva non iniziare che dalla “questione” del peccato originale, poiché è proprio il peccato originale che rende necessaria, per la salvezza dell’uomo, le Redenzione operata dall’Incarnazione del Figlio di Dio, N. Signore Gesù-Cristo. È questo il caposaldo della nostra fede Cattolica, pilastro su cui è fondato tutto l’edificio teologico della Chiesa Cattolica. – Oggi infatti, nella demolizione del Cristianesimo e di tutta l’impalcatura dottrinale, è questo pilastro che si tenta di demolire, abbattere “si fieri potest”, mediante tutti i tentativi bislacchi della “gnosi” comunque travestita, sia essa platonica, neoplatonica, giudaico-talmudica, manicheo-buddhista, induista, taoista, musulmana, neopagana rinascimentale, fino alla gnosi cartesiana e modernista. Ma coloro che maggiormente soffrono di “indigestione” e “blocco enterico” nell’accostarsi al dogma biblico del peccato originale, sono gli aderenti a tutte le obbedienze massoniche, che addirittura computano il peccato originale, udite, udite … a Jeowah, il Dio dei Cristiani, e attribuiscono la redenzione dell’umanità al loro “falso” dio, il signore dell’universo, il serpente, baphomet-lucifero; è questa la blasfema, oltre che ridicola, “redenzione gnostica” di lucifero, il [falso] “signore dell’universo”. Queste deliranti proposizioni, purtroppo fanno capolino in diversi teologi della Nouvelle Theologie, quelli che, un tempo condannati, sono in gran rispolvero presso la setta del “novus ordo” usurpante il trono di S. Pietro. Senza addentrarci in questa melma maleodorante delle concezioni gnostiche [di cui si parla in altra serie del blog], vogliamo riproporre ai pochi veraci Cattolici del “pusillus grex”, le definizioni del Sacrosanto Concilio di Trento, definizioni inalterabili, infallibili, immodificabili in eterno, come tutta la parola di Dio, di Cui il Concilio, riunito sotto la guida del Vicario di Cristo, è l’espressione più compiuta. Fissiamo allora nella nostra mente, riguardandoli di tempo in tempo, questi santi decreti della Sessione V del Tridentino, la cui inosservanza ci carica di anatemi “ipso facto”, e la cui ignoranza non è ammessa in persone capaci di leggere, intendere e volere, pena l’eterna dannazione.

 CONCILIO DI TRENTO

SESSIONE V (I7 giugno 1546)

Decreto sul peccato originale.

Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a Dio (Eb XI, 6.), rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il popolo cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina (Ef IV, 14) dal momento che l’antico, famoso serpente (Cfr. Ap XII, 9; 20, 2), sempre nemico del genere umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la Chiesa di Dio in questi nostri tempi, ha suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del peccato originale e dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale Concilio Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della Sede Apostolica, volendo richiamare gli erranti e confermare gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre scritture, dei santi padri, dei concili più venerandi ed il giudizio e il consenso della Chiesa stessa, stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul peccato originale.

  1. Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitù di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio (Eb II, 14); e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema.
  2. Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua

discendenza; che perdette per sé soltanto, e non anche per noi, la santità e giustizia che aveva ricevuto da Dio; o che egli, inquinato dal peccato di disobbedienza, abbia trasmesso a tutto il genere umano solo la morte e le pene del corpo, e non invece anche il peccato, che è la morte dell’anima: sia anatema. Contraddice infatti all’apostolo, che afferma: Per mezzo di un sol uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte, e così la morte si trasmise a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono (Rm V, 12).

  1. Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua origine, trasmesso con la generazione e non per imitazione, che aderisce a tutti, ed è proprio di ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura umana, o con altro mezzo, al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il signore nostro Gesù-Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue (Cfr. Rm 5, 9-10), diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione (1 Cor 1, 30.); o nega che lo stesso merito di Gesù-Cristo venga applicato sia agli adulti che ai bambini col sacramento del battesimo, rettamente conferito secondo il modo proprio

della Chiesa: sia anatema. Perché non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvi (At IV, 12.). Da cui l’espressione: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (Gv 1, 29) e l’altra: Tutti voi che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo (Gal III, 27).

  1. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser battezzati, anche se figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi sono battezzati per la remissione dei peccati, ma che non contraggono da Adamo alcun peccato originale, che sia necessario purificare col lavacro della rigenerazione per conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma del battesimo per la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa sia anatema. Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice l’apostolo: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col peccato la morte, così la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli uomini hanno peccato (Rm V, 12.), se non nel senso in cui la Chiesa cattolica universale l’ha sempre inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione apostolica anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (Gv III, 5).
  2. Chi nega che per la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, conferita nel Battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se asserisce che tutto quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma solo cancellato o non imputato (Cfr. AGOSTINO, Contra duas epistolas Pelagianorum I, 13 (26) (CSEL 60, 445).) sia anatema. In quelli infatti che sono rinati a nuova vita Dio non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione per coloro (Cfr. Rm VIII, 1.) che col Battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte (Cfr. Rm VI, 4.), i quali non camminano secondo la carne (Rm VIII, 1 (solo nella vulgata).), ma spogliandosi dell’uomo vecchio e rivestendosi del nuovo (Cfr. Col 3, 9-10; Ef 4, 24.), che è stato creato secondo Dio, sono diventati innocenti, immacolati, puri, senza macchia, figli cari a Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo (Rm VIII, 17.); di modo che assolutamente nulla li trattiene dall’ingresso nel cielo. Questo santo Sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane la concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta, non può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, chi avrà combattuto secondo le regole, sarà coronato (II Tm II, 5.). – Il santo Sinodo dichiara che mai la Chiesa cattolica ha inteso che venga chiamato “peccato” la concupiscenza, qualche volta chiamata dall’apostolo peccato (Cfr. Rm VII, 14, I7, 20.), per il fatto che nei rinati alla grazia non è un vero e proprio peccato, ma perché ha origine dal peccato e ad esso inclina. Chi pensasse il contrario sia anatema.
  3. Questo santo Sinodo dichiara tuttavia, che non è sua intenzione comprendere in questo decreto, dove si tratta del peccato originale, la beata ed immacolata vergine Maria, madre di Dio, ma che si debbano osservare a questo riguardo le costituzioni di Papa Sisto IV (Cc. 1 e 2, III, 12, in Exstrav. comm. (Fr 2, 770); C. 12. D. XXXVII (Fr 1, 139).), di felice memoria, sotto pena di incorrere nelle sanzioni in esse contenute che il Sinodo rinnova.

 

 

 

 

 

 

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: PROBE NOSTIS

Questa breve enciclica di Gregorio XVI, inizia mettendo in rilievo la situazione della Chiesa Cattolica, attaccata frontalmente da ogni genere di empietà, e riaffermando la fiducia nel Signore Nostro Gesù-Cristo che ha promesso solennemente che la sua Chiesa non potrà mai soccombere sotto qualsiasi genere di sventura, o dagli attacchi portati da nemici frontali, o peggio ancora, infiltrati nel suo interno come una “quinta colonna”. Elogia poi il ruolo di “Propaganda Fidei” e dei missionari che pure all’epoca, impavidi e coraggiosi anche di fronte alla morte, diffondevano il Vangelo di Salvezza loro affidato dal Divino Maestro a tanti fratelli lontani altrimenti destinati all’eterna dannazione. Il Sommo Pontefice incita tutti i cristiani veri, alla battaglia contro il demonio, divenuta aspra e senza quartiere. – Oggi tale battaglia deve essere ancor più decisa di allora, perché il demonio opera in tutte le istituzioni, finanche nei palazzi e nelle strutture un tempo della Chiesa, oggi travestite con abito cattolico, ma al servizio del maligno che ha fatto il suo ingresso ufficiale in Vaticano il 29 giugno del 1963 nella Cappella Palatina, e che oggi vi domina incontrastato con i suo “giullari”, buffoni, sguatteri e burattini. C’è effettivamente da restare sgomenti nel constatare i “successi” della “scimmia” di Dio, che ha rimesso tutto in discussione, ha fatto che venissero impugnate, senza battere ciglio, tutte le Verità conosciute, ha prodotto uno stato di confusione impressionante coinvolgendo anche i pochi in buona fede, benché ipovedenti e che non vogliono rendersi conto della situazione oramai chiarissima più dell’acqua di fonte cristallina, preferendo tenere, come gli struzzi, la testa sotto la sabbia. Ma proprio da questo “Breve”, il vero Cattolico del “pusillus grex” deve trarre fiducia nel leggere le parole del Sommo Pontefice Leone Magno ivi riportate, davanti alle tragiche difficoltà dell’ora presente: « è necessario che noi tutti non dobbiamo preoccuparci di non poterle superare con le nostre forze, poiché Cristo è il nostro consiglio e la nostra forza, e senza di Lui nulla possiamo, mentre con Lui possiamo tutto. Egli, nel confermare i predicatori del Vangelo e i ministri dei Sacramenti, disse: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli”. E ancora: “Vi ho detto queste parole perché in me abbiate pace; sarete oppressi nel mondo, ma abbiate fiducia: Io ho vinto il mondo”. Essendo senza dubbio manifeste queste promesse, non dobbiamo lasciarci intimidire dagli scandali per non apparire ingrati verso la scelta che ha fatto Dio, il cui aiuto è tanto potente quanto sono vere le sue promesse… »  – E allora, resistiamo fiduciosi senza mai perdere la fede, restando aggrappati ben saldi alla Roccia della Dottrina, della Tradizione Apostolica, della Scrittura interpretata dai Padri, del Magistero Apostolico invariabile ed infallibile, ed al timoniere dell’Arca di salvezza, il Vicario di Cristo in terra, il Santo Padre “in esilio” sì, ma vivo e vegeto dal 3 maggio del 1991, S. S. Gregorio XVIII, successore di Cardinal Siri, il “vero” Papa eletto il 26 ottobre del 1958, col nome di Gregorio XVII., sostituito truffaldinamente dagli agenti giudaico-massonici. Non abbiamo timore alcuno, e come San Paolo ai Romani, diciamo:  “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? [O forse la massoneria dell’empietà, o forse gli gnostici della setta vaticana, o gli antipapi servi del baphomet? o forse il gran kahal dei rigettati con la turpe finanza mondialista?] … Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di Colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore, e … della sua “vera” Chiesa Cattolica. [Rom. VIII]

BREVE
DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI

PROBE NOSTIS

A tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi.

Il Papa Gregorio XVI.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Sapete bene, Venerabili Fratelli, da quante sciagure, in quest’epoca funesta, sia oppressa da ogni dove la Chiesa Cattolica e in che deplorevole modo sia perseguitata; e neppure ignorate da quale colluvie di errori d’ogni sorta, da quale sfrenata audacia di corrotti sia come battuta la santa Religione e con quale astuzia e con quali frodi gli eretici e gli increduli tentino di pervertire i cuori o le menti dei fedeli. Vi è noto, in una parola, come quasi non vi sia genere d’impresa o di tentativi ai quali non si ricorra pur di distruggere dalle fondamenta, se fosse possibile, l’incrollabile edificio della Città Santa. Infatti, tralasciando ogni altra considerazione, forse che non siamo noi costretti a vedere in ogni dove (oh, dolore!) moltiplicarsi impunemente i più scaltri nemici della verità, i quali non solo coprono la Religione di scherno, la Chiesa di contumelie e i cattolici d’insulti e di calunnie, ma invadono anche città e villaggi, vi istituiscono scuole di errore e di empietà, e vi spargono con la stampa i veleni delle loro dottrine anche con l’uso delle scienze naturali e delle più recenti invenzioni per nascondere maggiormente l’inganno? Forse che non entrano nei tuguri dei poveri, non percorrono le campagne e non s’insinuano familiarmente fra l’infima plebe e i contadini? Pertanto nulla lasciano d’intentato, pur di attrarre nelle loro congreghe e di indurre ad abbandonare la fede cattolica il popolo ignorante e soprattutto la gioventù, ora con bibbie alterate e in volgare, ora con giornali pestiferi e con altri libelli di piccolo formato, ora con capziosi discorsi o con simulata carità o, infine, con elargizioni di danaro. – Accenniamo ad una realtà, Venerabili Fratelli, che non solo vi è nota, ma di cui voi stessi siete testimoni; voi che con dolore ma senza tacere (come è vostro dovere pastorale) siete costretti a tollerare nelle vostre diocesi i predetti propagatori di eresie e di incredulità e quegli arroganti araldi che, procedendo talvolta sotto le vesti di agnelli, sono nell’intimo lupi rapaci che non cessano di insidiare il gregge e di farne strage. Che altro? Non esiste ormai nel mondo una remota regione presso la quale le ben note centrali degli eretici e degli increduli, senza badare a spese, non inviino i loro agenti ed emissari che in modo subdolo o palese, a ranghi serrati e sfrontatamente, muovono guerra alla Religione Cattolica, ai suoi pastori e ai suoi ministri, strappano i fedeli dal grembo della Chiesa, ed impediscono agli infedeli di entrarvi. – Quindi è facile intuire quante tribolazioni affliggano notte e giorno Noi che, oberati dalla cura di tutto l’ovile di Cristo e dalla sollecitudine verso tutte le Chiese, dobbiamo rendere ragione di ogni cosa al divino Principe dei pastori. Pertanto con questa lettera, Venerabili Fratelli, abbiamo deciso di ricordare a Noi e a Voi le cause dei comuni affanni, affinché in raccoglimento ripensiate quanto giovi alla Chiesa che tutti i sacri Vescovi, raddoppiando il loro impegno, concentrando le loro fatiche e compiendo ogni sforzo, contrastino l’impeto di tanti frementi nemici della Religione, rendano inservibili i loro dardi, ammoniscano e premuniscano i fedeli contro le lusinghe seduttrici di cui essi fanno uso frequente. Noi, come sapete, Ci siamo adoperati per volgere a questo fine ogni occasione, né desisteremo da tale assunto: così non ignoriamo in che modo anche voi avete agito finora, e confidiamo che vi impegnerete ancora con crescente zelo. – Tuttavia, perché il coraggio non ci venga meno fra le difficoltà, «è necessario che noi tutti non dobbiamo preoccuparci di non poterle superare con le nostre forze, poiché Cristo è il nostro consiglio e la nostra forza, e senza di Lui nulla possiamo, mentre con Lui possiamo tutto. Egli, nel confermare i predicatori del Vangelo e i ministri dei Sacramenti, disse: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli”. E ancora: “Vi ho detto queste parole perché in me abbiate pace; sarete oppressi nel mondo, ma abbiate fiducia: Io ho vinto il mondo”. Essendo senza dubbio manifeste queste promesse, non dobbiamo lasciarci intimidire dagli scandali per non apparire ingrati verso la scelta che ha fatto Dio, il cui aiuto è tanto potente quanto sono vere le sue promesse»(circa con queste parole San Leone M. s’indirizzò per lettera a Rustico di Narbonne). – Ora, chi non vede anche in questa nostra età palesi frutti della divina promessa, che non vennero né verranno mai meno alla Chiesa? Essi appaiono manifesti nella irremovibile fermezza della Chiesa tra tante aggressioni dei nemici suoi, nel diffondersi della Religione tra tanti sconvolgimenti e pericoli, e nella consolazione con cui «il Padre delle misericordie e il Dio di ogni consolazione ci consola in ogni nostra tribolazione». Mentre infatti per un verso dobbiamo piangere sul danno che in alcune regioni ha patito e patisce la Religione Cattolica, d’altra parte dobbiamo rallegrarci dei frequenti trionfi che anche in quelle regioni (come sappiamo) si sono celebrati e si celebrano grazie all’invitta costanza dei cattolici e dei loro pastori: così, grande gioia Ci recano, tra tanti ostacoli, i suoi felici e mirabili progressi, a tal punto che anche i suoi avversari si rendono conto che l’oppressione e le angherie subite dalla Chiesa, non di rado contribuiscono alla sua gloria e a confermare sempre più i fedeli nella Religione Cattolica. – Ma parliamo ora delle missioni cattoliche: quale motivo di letizia non offrono a Noi e alla Chiesa tutta i copiosi frutti di quelle missioni e i progressi della fede in America, nelle Indie e anche in altre terre d’infedeli? Non ignorate infatti, Venerabili Fratelli, come, anche nei Nostri tempi, in quelle regioni siano ampiamente cresciuti il numero e lo zelo indefesso di uomini apostolici che senza alcun sostegno di danaro e di armi, ma muniti soltanto dello scudo della fede, non solo con la voce e con gli scritti, in privato e in pubblico non temono di combattere, con grande successo, «le battaglie del Signore» contro le eresie e l’incredulità, ma anche infiammati dall’ardore di carità e per nulla dissuasi dalle asperità del cammino o dal peso delle fatiche, per terra e per mare cercano coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte per chiamarli alla luce e alla vita della Religione Cattolica. Perciò, intrepidi al cospetto di ogni pericolo, percorrono con grande coraggio le selve e le caverne dei barbari, li attirano a poco a poco con soavità cristiana alla vera fede e li dispongono alla vera virtù: infine col lavacro rigeneratore li sottraggono alla schiavitù del demonio e li restituiscono alla libertà dei figli adottivi di Dio. – Non possiamo, senza lacrime di dolore, esecrare la crudeltà dei persecutori e dei carnefici, ma con lacrime di consolazione contempliamo invece l’eroica costanza dei confessori della fede che qui ricordano le gloriose gesta compiute dai recenti martiri dell’Estremo Oriente, le lodi dei quali abbiamo pronunciato, non molto tempo addietro, in un’Allocuzione concistoriale. Fumigano ancora le contrade del Tonchino e della Cocincina del sangue di numerosi sacri prelati, di presbiteri e di fedeli colà residenti, che, rinnovando gli esempi dei martiri cristiani, (da cui trassero luce i primi secoli della Chiesa) sono andati incontro, con animo impavido tra i tormenti, a una crudelissima morte per Cristo e per testimonianza di fede. Quale può darsi, dunque, più luminoso trionfo della Chiesa e della Religione? Quale maggiore vergogna per coloro che la perseguitano, che il vedere, anche in questi tempi, confermate nei fatti le divine promesse di protezione e di aiuto eterni per cui (usando le parole di San Leone) «la Religione fondata sul Sacramento della Croce di Cristo non può essere distrutta da alcun genere di crudeltà»? – Tutto ciò che abbiamo fin qui ricordato, Venerabili Fratelli, è motivo di consolazione e di gloria per la Religione Cattolica; ma non mancano altri motivi di conforto, fra le tante tribolazioni che affliggono la Chiesa: le pie istituzioni che si estendono per il bene della Religione e della comunità cristiana, e che talora sono un aiuto e un sostegno per le stesse sacre missioni apostoliche. Infatti, quale vero cattolico non gioisce considerando la provvidenza di Dio onnipotente che, come ha promesso, assiste e protegge sempre la sua Chiesa, e secondo l’opportunità dei tempi, dei luoghi e delle altre circostanze, suscita in essa nuove comunità le quali, sotto l’autorità della stessa Chiesa, ciascuna a proprio modo, contribuiscono con forze congiunte ai doveri della carità, alla istruzione dei fedeli e alla diffusione della fede? – Tra l’altro, un lieto spettacolo per il mondo cattolico e motivo di stupore per gli stessi acattolici offrono quelle tante e tanto diffuse comunità di pie donne che, vivendo insieme secondo le regole di San Vincenzo de’ Paoli o in altri istituti approvati, e segnalandosi per lo splendore delle loro cristiane virtù, si dedicano tutte alacremente o a distogliere le donne dalla via della perdizione, o a educare le fanciulle alla Religione, alla solida pietà, e a lavori adatti alla loro condizione, o a mitigare in ogni modo le afflizioni del prossimo, senza che siano trattenute o dalla naturale fragilità del sesso o dal timore di qualsivoglia pericolo. – Né arrecano minor gioia a Noi e a tutti i buoni le altre associazioni di fedeli che del pari si sono formate in molte tra le più illustri città; il loro scopo e il loro impegno consistono nell’opporre ai libri perversi le loro o le altrui opere utili, alle aberrazioni intellettuali la purezza della dottrina, alle ingiurie e alle calunnie la mansuetudine e la carità. – Infine, come si potrà parlare, senza grande lode, di quella celebre Società che non solo nei Paesi cattolici ma anche in terre di acattolici e di infedeli raggiunge sempre nuovi sviluppi e a tutti i fedeli di ogni condizione apre una facile via per rendersi benemeriti delle missioni apostoliche e per diventare essi pure partecipi dei beni spirituali che ne derivano? Già avete compreso che stiamo parlando della notissima società che va sotto il nome di «Propagazione della Fede». – Ora, dopo aver confidato a Voi, Venerabili Fratelli, le angosce che Ci provengono dalle sventure, ma anche le consolazioni che Ci procurano i trionfi della Religione Cattolica, non resta che comunicare a voi la sollecitudine, che Ci assilla, per la maggiore prosperità delle Società tanto benemerite verso la Religione. Pertanto vi esortiamo caldamente nel Signore di favorire, proteggere e accrescere quelle Società entro i confini delle vostre diocesi. – Soprattutto poi vi raccomandiamo la ricordata società di «Propagazione della Fede» fondata fin dall’anno 1822 nell’antichissima e nobilissima città di Lione e poi diffusa ovunque con mirabile rapidità e successo. Né certo con minor calore seguiamo le altre consimili comunità che, formatesi a Vienna o altrove, sia pure con altro nome, concorrono con pari entusiasmo a questa opera di propagazione della fede, sorretta anche dal favore religiosissimo dei Principi cattolici. Opera, questa, veramente grande e santissima, che si sostiene, si allarga, si accresce con le modeste offerte e con le quotidiane preci innalzate a Dio dagli amici di quella; opera che, rivolta a sostenere gli operai apostolici, a esercitare la carità cristiana verso i neofiti, a liberare i fedeli dall’impeto delle persecuzioni, è da Noi considerata degnissima di ammirazione e di amore da parte di tutti i buoni. Né si può credere che senza un particolare disegno della Provvidenza divina sia toccato alla Chiesa, in questi ultimi tempi, un vantaggio, una utilità così grande. Mentre infatti con artifici di ogni genere il nemico infernale tormenta la diletta Sposa di Cristo, nulla di più opportuno poteva accaderle che la difesa e gli sforzi congiunti di tutti i fedeli che sono infiammati dal desiderio di diffondere la verità cattolica e di guadagnare tutti a Cristo. – Perciò Noi, collocati, benché indegni, nella suprema specola della Chiesa, non abbiamo tralasciato alcuna opportunità per testimoniare chiaramente (seguendo le vestigia dei Nostri Predecessori) la Nostra propensione per tale insigne opera e per spronare verso di essa, con opportuni incitamenti, la carità dei fedeli. Anche Voi dunque, Venerabili Fratelli, che siete stati chiamati a condividere la Nostra sollecitudine, agite con impegno affinché quell’opera così grande raggiunga di giorno in giorno un maggiore incremento nel gregge a ciascuno affidato. «Suonate la tromba in Sion», e fate sì che con le ammonizioni e con la persuasione paterna, coloro che non si sono ancora uniti come compagni a questa piissima Società, vi entrino gioiosamente, e che coloro che già ne fanno parte, perseverino nel loro proposito. – Per certo è questo il tempo «in cui, incrudelendo il diavolo in tutto il mondo, la schiera cristiana deve combattere» (circa con queste parole San Leone M. s’indirizzò per lettera a Rustico di Narbonne); perciò questo è il tempo di provvedere con ogni cura che ai sacerdoti che piangono, pregano e soffrono per la fede, si uniscano in questa santa cospirazione i fedeli. Pertanto Noi Ci innalziamo alla fermissima speranza che Dio continuerà a sostenere, con la destra della sua onnipotenza, la sua Chiesa in un frangente così grave per la Religione e in una battaglia così dura e duratura contro i nemici, e che la rallegrerà con la costanza, la carità e la devozione dei fedeli; propiziato dalle insistenti preghiere e dalle pie azioni dei pastori e del gregge, possa Egli concederle finalmente con misericordia la pace e la tranquillità desiderate. – Frattanto a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i chierici e laici affidati alle vostre cure, impartiamo con affetto l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 18 settembre 1840, anno decimo del Nostro Pontificato.

 

 

 

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIO IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: APOSTOLICÆ NOSTRÆ

Il Santo Padre, Pio IX,  ben conscio degli inganni dei figli delle tenebre, che seminavano discordie e minavano la santa Religione e la stabilità degli Stati, soprattutto con l’indifferentismo religioso e l’incredulità, chiede a tutti uno sforzo supplementare mediante la preghiera alla estirpazione di tali pestiferi mali. A sostegno della sua richiesta generale, fatta a religiosi, prelati, laici fedeli, cita le parole del Crisostomo … “è fonte e radice e madre di innumerevoli beni, la forza della preghiera vinse la furia del fuoco, trattenne il furore dei leoni, compose le guerre, spense le battaglie, quietò le tempeste, mise in fuga i demoni, aprì le porte del cielo, spezzò i vincoli della morte, scacciò le malattie, respinse i danni, consolidò le città scosse; la preghiera ha eliminato le piaghe inflitte dal cielo e le insidie degli uomini: in definitiva tutti i mali“, e concede indulgenza plenaria in forma di giubileo. Si raccomanda in particolare di far ricorso alla Vergine Maria nelle preghiere fatte secondo le intenzioni del Papa, e cioè per l’esaltazione e la prosperità della Santa Madre Chiesa e della Sede Apostolica, per l’estirpazione delle eresie, per la pace e la concordia dei Principi cristiani, per la pace e l’unità di tutto il popolo cristiano e si chiedono, se possibili, digiuni ed elemosine. Queste esortazioni fatte da un Papa “cattolico” sono valide ancor più oggi, almeno per il “pusillus grex”, il residuo gregge Cattolico, Apostolico, Romano, che non deve dimenticare nel corso della giornata di dedicare preghiere ed offrire possibilmente digiuni ed elemosine, con le intenzione del Santo Pontefice, Gregorio XVIII, soprattutto per l’estirpazione delle eresie moderniste e la prosperità e l’esaltazione della santa Chiesa “eclissata”, affinché possa  rapidamente rioccupare i luoghi e gli spazi usurpati. Che dire oggi, quando la Chiesa di Cristo vive tra catacombe, sotterranei ed anfratti, perseguitata dai soliti nemici: marrani, massoni, satanisti di ogni genere, laicisti, radicali, comunisti etc., ai quali si sono aggiunti, con rinnovato ardore ed accanimento estremo, i modernisti del novus ordo con le loro stampelle, cioè i sedevacantisti, i fallibilisti gallicani ed i finti tradizionalisti che reggono “il moccolo” agli antipapi insediati dalle conventicole al guinzaglio del gran kahal? Non ci resta che ricorrere alla preghiera come rimedio efficace secondo le parole del Crisostomo, giustamente ricordate dal Sommo Pontefice. Non c’è tempo da perdere, fratelli del pusillus grex, la situazione umanamene è irrecuperabile, ma proprio questo fa pensare che l’intervento del Signore per raddrizzare una situazione apparentemente compromessa, sarà potente ed impensabile, nella sua semplicità, alla mente umana. Leggiamo l’enciclica e teniamo già pronti Rosario, Salterio, libro delle devozioni e delle preghiere.

Apostolicæ nostræ

di S. S. pio IX

Contemplando l’intero mondo cattolico con la sollecitudine e l’affetto della Nostra carità Apostolica, possiamo a malapena esprimere con le parole, Venerabili Fratelli, da quale intimo dolore siamo afflitti, quando vediamo lo stato cristiano e civile turbato, oppresso e tormentato da ogni parte, in modo compassionevole, da calamità gravissime di ogni sorta. Infatti sapete benissimo come i popoli cristiani siano afflitti e sconvolti o da cruentissime guerre, o da dissidi intestini; o da morbi pestiferi, o da violenti terremoti o da altri gravissimi mali. Questo soprattutto riempie di dolore: che fra tanti lutti e danni mai abbastanza pianti, i figli delle tenebre, che nella loro generazione sono più cauti dei figli della luce, di giorno in giorno si sforzano sempre più, con ogni inganno, arte e preparazione, di condurre una guerra durissima contro la Chiesa cattolica e la sua dottrina salvifica; di stravolgere e distruggere l’autorità d’ogni potere legittimo; di indurre al male e corrompere le menti e gli animi di tutti; di propagare dovunque il veleno mortale dell’indifferentismo e dell’incredulità; di sconvolgere tutti i diritti divini e umani; di eccitare ed alimentare i dissensi, le discordie e i moti di empie ribellioni; di consentire qualunque malvagia scelleratezza e crudelissima azione; di non lasciare nulla d’intentato affinché – se potesse mai accadere – la nostra santissima religione sia tolta di mezzo e la stessa società umana sconvolta dalle fondamenta. – Pertanto, in una situazione tanto rischiosa, ben sapendo che a Noi, per beneficio singolare di Dio misericordioso, con la preghiera è data facoltà di ottenere tutti i beni dei quali abbiamo bisogno e di allontanare i mali che temiamo, non abbiamo tralasciato di alzare i Nostri occhi al monte eccelso e santo, dal quale confidiamo giungerà per Noi ogni aiuto. Nell’umiltà del Nostro cuore, non smettiamo di pregare e supplicare, con sentite e fervide orazioni, Dio ricco di misericordia, affinché – portando via le guerre fino ai limiti della terra e rimuovendo tutti i dissidi – dia pace, concordia e tranquillità ai Principi cristiani ed ai loro popoli, e conceda soprattutto agli stessi Principi il virtuosissimo impegno di sempre meglio proteggere e propagare la fede e la dottrina cattolica, nelle quali propriamente consiste la felicità dei popoli; affinché allontani gli stessi Principi e le popolazioni da tutti i mali da cui sono afflitti e li rallegri con ogni autentica felicità; affinché elargisca agli erranti i doni della Sua grazia celeste, cosicché dalla via della perdizione tornino sui sentieri della verità e della giustizia e con sincero cuore si rivolgano a Dio stesso. – Anche se in questa Nostra alma città abbiamo già ordinato che si alzino preghiere per implorare la divina misericordia, tuttavia, seguendo le illustri orme dei Nostri Predecessori, abbiamo deciso di ricorrere anche alle preghiere vostre e di tutta la Chiesa. Così, Venerabili Fratelli, vi scriviamo questa lettera, con la quale chiediamo insistentemente alla vostra esimia e sperimentata devozione di spronare con ogni mezzo, per i motivi già ricordati, i fedeli affidati alle vostre cure, affinché – deponendo il peso dei peccati attraverso la vera penitenza – tentino di placare con suppliche, digiuni, elemosine ed altre opere di pietà l’ira provocata in Dio dalla nequizia degli uomini. In modo conforme alla vostra egregia devozione ed alla vostra saggezza spiegate agli stessi fedeli di quanta grande misericordia sia generoso Dio verso tutti coloro che lo invocano e quanto grande sia la forza delle preghiere, se ci rivolgiamo al Signore senza aver consentito alcun accesso al nemico della nostra salvezza. La preghiera infatti – per usare le parole di Crisostomo – “è fonte e radice e madre di innumerevoli beni, la forza della preghiera vinse la furia del fuoco, trattenne il furore dei leoni, compose le guerre, spense le battaglie, quietò le tempeste, mise in fuga i demoni, aprì le porte del cielo, spezzò i vincoli della morte, scacciò le malattie, respinse i danni, consolidò le città scosse; la preghiera ha eliminato le piaghe inflitte dal cielo e le insidie degli uomini: in definitiva tutti i mali” . Desideriamo inoltre con forza, Venerabili Fratelli, che, mentre fervide preghiere vengono rivolte al clementissimo Padre delle misericordie per i citati motivi, Voi non tralasciate – così come dispone la Nostra Lettera Enciclica inviatavi da Gaeta il 2 febbraio 1849 – di pregarlo insieme ai vostri fedeli, con l’animo più che mai ardente e supplice, affinché illumini propizio la Nostra mente con la luce del Suo Santo Spirito, cosicché a proposito della Concezione della Immacolata Vergine Maria, Santissima Madre di Dio, Noi possiamo al più presto stabilire ciò che si attaglia alla maggior gloria di Dio ed a lode della stessa Vergine, Madre amorevolissima di noi tutti. – Inoltre, affinché i fedeli a Voi affidati elevino le loro preghiere con carità più fervente e con più ricchi frutti, abbiamo deciso di mettere a disposizione ed erogare i tesori dei doni celesti, la cui dispensazione Ci è stata affidata dall’Altissimo. Perciò, fiduciosi nella misericordia di Dio onnipotente e nell’autorità dei Suoi Apostoli, beati Pietro e Paolo, sulla base di quella facoltà di sciogliere o legare che – per quanto immeritevoli – Dio Ci ha concesso, con questa Lettera concediamo ed elargiamo l’indulgenza plenaria di tutti i peccati, in forma di Giubileo (che potrà essere applicata anche in suffragio delle anime del Purgatorio) a tutti ed a ciascun fedele delle vostre Diocesi, di entrambi i sessi, che, entro lo spazio di tre mesi – che ciascuno di voi deve stabilire da un giorno che ciascuno di voi avrà individuato – dopo aver confessato umilmente i propri peccati, detestandoli dal profondo, ed averli espiati con l’assoluzione sacramentale, accolga con reverenza il santissimo Sacramento dell’Eucaristia; visiti devotamente o tre Chiese da voi designate o tre volte una di esse, ed ivi rivolga al Signore per un determinato tempo devote preghiere secondo le Nostre intenzioni, per l’esaltazione e la prosperità della Santa Madre Chiesa e della Sede Apostolica, per l’estirpazione delle eresie, per la pace e la concordia dei Principi cristiani, per la pace e l’unità di tutto il popolo cristiano; oltre a tutto ciò, nello stesso lasso di tempo, digiuni una volta ed eroghi elemosina ai poveri proporzionalmente alla propria devozione. – Affinché possano lucrare questa indulgenza anche le Monache, o per meglio dire le altre persone che risiedono perennemente nei chiostri, nonché coloro che sono in carcere o che per un’infermità fisica o per qualunque altro ostacolo sono impediti dal portare a compimento una delle opere indicate, attribuiamo ai Confessori la facoltà di trasformarla in un’altra opera di devozione o di prorogarne il compimento ad un momento successivo, con l’ulteriore facoltà di dispensare dalla Comunione i fanciulli che non siano ancora stati ammessi alla prima Comunione. A questo proposito Vi conferiamo la potestà, limitatamente a questa occasione e soltanto nello spazio predetto di tre mesi, di attribuire ai Confessori delle vostre Diocesi, per Nostra autorità Apostolica, tutte le medesime facoltà che furono da Noi conferite nell’altro Giubileo concesso con la Nostra Lettera Enciclica a Voi mandata il 21 novembre 1851, data alle stampe e che inizia con le parole “Ex aliis Nostris”; restando sempre valide tutte le eccezioni che Noi indicammo nella medesima Lettera. – Inoltre Vi attribuiamo il potere di concedere ai fedeli delle vostre Diocesi, sia laici sia ecclesiastici, secolari e regolari, di qualunque istituto, anche a statuto speciale, la facoltà di scegliersi in questo caso come Confessore qualunque Sacerdote, secolare o regolare, fra quelli approvati, e la stessa facoltà può essere concessa anche alle Monache sottratte alla giurisdizione dell’Ordinario ed alle altre donne che vivono in clausura. – Operate, dunque, Venerabili Fratelli, poiché siete stati chiamati a condividere la Nostra sollecitudine e siete stati collocati come custodi sulle mura di Gerusalemme. Non smettete di invocare umilmente insieme con Noi, giorno e notte, in ogni preghiera e supplica, con l’aiuto della Grazia, il Signore Dio Nostro, e di implorare la Sua misericordia divina, affinché benevolmente allontani i flagelli della Sua ira, che meritiamo per i nostri peccati, e con clemenza distribuisca su tutti le ricchezze della Sua bontà. Non abbiamo alcun dubbio che vi accingerete a soddisfare con la maggior pienezza questi Nostri desideri e richieste, e siamo certi che soprattutto gli Ecclesiastici, i Religiosi, i Consacrati e gli altri Laici fedeli che, vivendo religiosamente in Cristo, degnamente camminano sulla strada della vocazione dalla quale sono stati chiamati, eleveranno senza interruzione le loro supplici preghiere a Dio, con lo zelo più ardente. E affinché Dio, invocato, tanto più facilmente inclini il suo orecchio alle nostre preghiere, non tralasciamo, Venerabili Fratelli, di chiedere il suffragio di coloro che, già coronati, detengono la palma, e per prima invochiamo incessantemente l’Immacolata Deipara Vergine Maria: presso Dio non c’è nessuna mediatrice più adatta e potente di Lei, che è madre di grazia e di misericordia; invochiamo inoltre la protezione dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, di tutto il consesso dei Santi che con Cristo regnano nei cieli. Nulla sia per Voi più fondamentale, più urgente che esortare con raddoppiato impegno i fedeli affidati alle vostre cure, ammonirli, stimolarli affinché si confermino di giorno in giorno più solidi ed incorruttibili nella professione della religione cattolica; evitino con ogni cura le insidie, le fallacie e gl’inganni dei nemici e con piede progressivamente più veloce avanzino per i sentieri dei comandamenti di Dio; si astengano con ogni cura dai peccati dai quali si moltiplicano tutti i mali per il genere umano.- Perciò non smettete mai d’infiammare in ogni momento, soprattutto, lo zelo dei Parroci, affinché – soddisfacendo con impegno e devozione al proprio incarico – non interrompano mai di ammaestrare accuratamente e di istruire il popolo Cristiano loro affidato nei santissimi rudimenti e nei precetti della nostra fede divina; di nutrirli puntualmente con l’amministrazione dei sacramenti e d’incitarli tutti nella sana dottrina. – Da ultimo, come anticipazione di tutti i beni celesti e testimonianza della Nostra ardentissima carità nei vostri confronti, ricevete la Benedizione Apostolica, che con grande amore impartiamo dal profondo del cuore a Voi personalmente, Venerabili Fratelli, a tutti i Chierici ed ai fedeli Laici affidati alla vostra cura.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° agosto 1854, anno nono del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE I MODERNISTI APOSTATI DI TORNO: Breve « Neminem fugit »

In questa domenica dedicata alla festa della Sacra Famiglia di Nazaret, leggiamo parte della lettera Apostolica di S. S. LEONE XIII “Neminem fugit” nella quale appunto si elogia la Sacra Famiglia invitando tutti: padri, madri, figli, operai, ricchi, etc., a trarne esempio per la propria vita e renderla modello di operato cristiano. Quanto distante è il modello della famiglia cristiana dipinto nel quadro della povera abitazione di Nazaret, dai fallaci ed ingannevoli modelli prospettati dalle moderne ideologie (?!?) sostenute dai falsi prelati del satanico “novus ordo” modernista della setta vaticana degli impostori “marrani”, che propongono: “secondi matrimoni”, “divorzi cattolici brevi”, “unioni di fatto” compresi i rapporti impuri sodomitici contro natura, da sempre condannati dalla Chiesa Cattolica come “peccato che grida vendetta agli occhi di Dio”. Questa sovversione luciferina dei valori naturali, divini, ed ecclesiastici, viene sfacciatamente sbandierata come “rinnovamento” nella Chiesa, senza specificare però che si tratta della falsa chiesa dell’uomo, quella insediata in modo truffaldino il 26 ottobre del 1958 con il colpo di mano della massoneria degli Illuminati, diretta dal B’nai B’rith e dal Gran Kahal [evento ufficialmente rifiutato ma noto oramai a tutti: ad ipovedenti per convenienza, a miopi volontari, agli affetti da cataratta gnostica marcescens, ai cani in talare muti e dormienti, ai mercenari tronfi e grassi che aprono le porte ai lupi famelici mentre essi si affannano a contendersi l’osso nella scodella, agli adepti vari tra i quali i falsi tradizionalisti di ogni risma, gallicani, fallibilisti, sedevacantisti scismatici ed eretici tesisti]. – Per le orecchie cattoliche del pusillus grex, questa lettera è musica soave che dalle orecchie passa direttamente al cuore ed all’anima che vibrano all’unisono di intensa commozione perché sentono affermare e risuonare la VERITA’, l’unica Verità, la sola Verità che l’Uomo-Dio, Egli stesso VERITA’, Via di salvezza e Vita, ha da sempre insegnato attraverso la sua unica e vera CHIESA, la Chiesa Una, Santa, Cattolica Apostolica Romana, Sposa mistica di Cristo, Maestra infallibile e luce di tutti i popoli e di ogni uomo che viene in questo mondo …

LEONE XIII

Breve « Neminem fugit » 14 junii 1892 [ASS 25, 8-10]

Ex Lítteris Apostólicis Leónis Papæ décimi tertii

… Allorché giunse il tempo fissato dai suoi decreti per il compimento della grand’opera dell’umano riscatto, che i secoli da tempo attendevano, il Dio di misericordia ne dispose in tal guisa l’ordine e l’economia, che gl’inizi di quest’opera offrissero al mondo l’augusto spettacolo d’una Famiglia divinamente costituita, nella quale tutti gli uomini potessero contemplare l’esemplare più perfetto della società domestica e d’ogni virtù e santità. Tale fu infatti questa famiglia di Nazaret, in cui, prima d’irradiare su tutte le nazioni lo splendore della sua piena luce, il Sole di giustizia, cioè il Cristo Dio nostro Salvatore, dimorò nascosto colla Vergine sua Madre e Giuseppe, uomo santissimo, che ricopriva a riguardo di Gesù l’ufficio di padre. Quanto alle mutue prove d’amore, alla santità di costumi, all’esercizio della pietà nella società famigliare e nelle relazioni abituali di quelli che vivono sotto un medesimo tetto, non si può senza verun dubbio trovare a celebrare alcuna virtù che non rifulgesse in sommo grado in questa sacra Famiglia destinata a divenire il modello di tutte le altre. E la Provvidenza la stabilì così nel suo disegno pieno di bontà, perché tutti i cristiani, di qualsiasi condizione o patria, possano facilmente, se la riguardano con attenzione, avere e l’esempio di ogni virtù e un invito a praticarla. – I padri di famiglia hanno sicuramente in Giuseppe un modello ammirabile della vigilanza e sollecitudine paterna: le madri hanno nella santa Vergine, Madre di Dio, un esempio insigne di amore, di rispetto modesto e della sottomissione d’un’anima di fede perfetta: i figli di famiglia hanno in Gesù, sottomesso ai suoi genitori, un divino esempio d’obbedienza d’ammirare, onorare, imitare. Quelli che sono nati nobili, apprenderanno da questa Famiglia di sangue reale a conservare la moderazione nella prosperità e la dignità nelle afflizioni: i ricchi riconosceranno a questa scuola quanto siano da stimarsi meno le ricchezze che le virtù. Gli operai poi e tutti quelli che soffrono tanto per le angustie del sostegno d’una famiglia e d’una condizione povera, se guardano ai membri santissimi di questa società domestica, non mancherà loro né motivo né occasione di rallegrarsi della sorte loro toccata piuttosto che di rattristarsene. Difatti le fatiche loro sono ad essi comuni colla Sacra Famiglia, e comuni con essa le cure della vita quotidiana: anche Giuseppe dové provvedere guadagnandosi il pane, al sostegno dei suoi; e anzi, le stesse mani divine s’esercitarono al lavoro di un’arte meccanica. Non è dunque a stupire se uomini sapientissimi aventi copiose ricchezze, abbiano voluto rinunziarvi per scegliere la povertà e trovarsi uniti con Gesù, Maria e Giuseppe. – Per tutti questi motivi a buon dritto il culto della Sacra Famiglia, prontamente affermatosi fra i cattolici, ogni giorno più prende sviluppo. Come lo provano sia le associazioni cristiane istituite sotto il nome della Sacra Famiglia, sia gli onori singolari che le furono resi, e soprattutto i privilegi e favori spirituali accordati dai nostri predecessori per eccitare verso di essa lo zelo della pietà. Questo culto pertanto fu in grande onore fin dal secolo XVII, e propagato ovunque in Italia, Francia e Belgio si sparse quasi in tutta Europa; quindi valicate le immensità degli Oceani, si estese nella regione del Canada nell’America per fiorirvi sotto i più felici auspici. Niente infatti si può trovare di più salutare e più utile per le famiglie cristiane che l’esempio della Sacra Famiglia, la quale abbraccia la perfezione e l’insieme di tutte le virtù domestiche. Implorati così in seno alle famiglie, Gesù, Maria e Giuseppe verranno in loro aiuto, vi conserveranno la carità, vi regoleranno i costumi e ne provocheranno; membri ad imitarne la virtù e addolciranno o renderanno sopportabili le mortali prove che ci minacciano da ogni parte.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “Christianæ reipublicæ”

Il Santo Padre Clemente XIII prendeva atto, già ai suoi tempi, della diffusione di scritti, stampati e libri diretti a confondere la mente dei dotti e soprattutto dei semplici fedeli di Cristo, il gregge della Chiesa Cattolica, per deviarne il retto pensiero ed i princîpi della fede salvifica. La proliferazione di tali pestiferi libri era giustamente avvertita come minaccia all’integrità della fede, e quindi minaccia alla eterna salvezza dell’anima, per cui si stimolavano i Vescovi, in particolare, a vigilare onde arrestare la diffusione della mortale zizzania. Tale breve enciclica deve essere ricordata opportunamente nei nostri tempi, nei quali oramai i libri empi e malvagi vengono scritti e diffusi anche da chi si spaccia falsamente come difensore della Chiesa, in realtà sgretolandola e minandola ancor più profondamente. Bisogna rendersi conto che nei giorni attuali, nei quali non esiste alcuna garanzia su ciò che la stampa ed i mezzi di comunicazione diffondono a piene mani ed in modo virulento, gli unici scritti che possono dirigerci verso le eterne verità, sono quelli che ancora sono muniti di “imprimatur” e “nihil obstat” ecclesiastico, cioè i libri pubblicati fino alla metà del secolo scorso, antecedenti all’instaurarsi della falsa chiesa degli antipapi succedutesi dal 28 ottobre del 1958, con la soppressione del Santo Officio e dell’Index librorum annesso! Solo queste opere hanno garanzia di fede retta e salvifica da cui attingere a piene mani per l’edificazione del proprio spirito e per la crescita nelle virtù cristiane. Tutto quanto invece non ha garanzia ecclesiastica, anche nei mezzi di diffusione di massa e di comunicazione elettronica, è da evitare come la peste, anche da menti (oramai sempre di meno) educate cristianamente; infatti anche le persone che osservano norme igieniche corrette, al contatto con lebbrosi, appestati o con i loro umori, aliti ed escrementi, vengono colti dal morbo crudele dell’eresia e dell’incredulità, senza accorgersene se non quando è oramai tardi o quando poi occorre sottoporsi a dolorose e spesso inefficaci “terapie”. Da evitare, naturalmente tutti gli scritti di agnostici, atei, gnostici, massoni, acattolici, eretici e scismatici vari, soprattutto di coloro che si spacciano per cristiani, quest’ultimi ancor più insidiosi: ci riferiamo qui alla valanga di scritti di esponenti di ogni categoria del “novus ordo”, cioè della falsa chiesa dell’uomo della setta modernista-apostatica post-(s)concilio vaticana, ed agli esponenti dei falsi tradizionalisti gallicano-fallibilisti reduci da Ecône, nonché degli eretici sedevacantisti di sfumature varie, ma tutte spiritualmente tragiche. Attenzione, quindi, ascoltiamo il Santo Padre in questa enciclica e guardiamoci dal contaminarci lo spirito, perché da questo potrebbe dipendere la salvezza o la dannazione eterna dell’anima nostra.

Clemente XIII
Christianæ reipublicæ

La salvezza del popolo cristiano, della quale ricevemmo il mandato dal Principe dei Pastori e Vescovo della anime, Ci spinge a prestare attenzione perché la sfacciata e pessima licenziosità dei libri, emersa da segreti nascondigli e giunta a recare grave danno e di notevole ampiezza, non diventi tanto più dannosa quanto più si espande di giorno in giorno. L’esecrabile perversità dell’errore e l’audacia di uomini nemici, che in mezzo al frumento seminano zizzania in gran quantità con lo scritto e con la parola, soprattutto in questi giorni si sono estese a tal punto, che se non poniamo la falce alla radice e non stringiamo in fasci i cattivi germogli per gettarli nel fuoco, poco manca che le spine della malvagità, sviluppatesi, tentino di soffocare la piantagione del Signore degli eserciti celesti. Infatti, certi uomini scellerati convertitisi alle fandonie e non aderenti alla sana dottrina, da ogni parte invadono la rocca di Sion, e per mezzo del pestifero contagio dei libri, dai quali siamo quasi sommersi, vomitano dai loro petti veleno di aspidi a rovina del popolo cristiano; infangano le pure sorgenti della fede; sradicano le fondamenta della Religione. Resisi detestabili nei loro intenti, sedendo fra le insidie, di nascosto lanciano dalla faretra dardi con i quali dolosamente colpiscono i retti di cuore. Cosa vi è di talmente Divino, Santo e consacrato dall’antichissima pietà di tutti i tempi, da cui abbiano tenuto lontano le loro menti empie, e su cui non abbiano esercitato bellicosamente le loro lingue, taglienti come spade? Si lanciarono fin dall’inizio con alterigia contro Dio, e armati di doviziosa menzogna si sono irrobustiti contro l’Onnipotente. Suscitando dalle ceneri le follie degli empi tante volte demolite, non per ottusa incapacità d’ingegno, ma per sola decisione della loro volontà depravata, negano l’esistenza di Dio che parla di sé ovunque e appare ogni giorno davanti agli occhi; oppure descrivono Dio incapace ed ozioso, del quale non onorano la provvidenza e non temono la giustizia.

Con ripugnante licenza di pensiero, assolutamente pazza, sostengono mortale, o per lo meno minorata rispetto agli Angeli, l’origine e la natura dell’anima nostra, creata ad immagine del supremo Fondatore. Nell’universo delle cose create ritengono che non esista nessuna cosa all’infuori della materia, sia che la giudichino creata, sia eterna e non sottoposta a causa alcuna; oppure, costretti ad ammettere la coesistenza dello spirito con la materia, declassano tuttavia l’anima da questa celeste condizione, non volendo ammettere, in questa debolezza nella quale siamo immersi, alcunché di spirituale e d’incorrotto in forza del quale intendiamo, agiamo, vogliamo e con il quale prevediamo anche il futuro, contempliamo il presente e ricordiamo il passato.

Altri invece, benché capiscano molto bene che la debolezza dei ragionamenti umani deve essere ripudiata e che il fumo della sapienza umana deve essere respinto dall’occhio di una Fede illuminata, tuttavia osano giudicare con pesi umani i reconditi Misteri della Fede che superano ogni umana percezione: creatisi giudici della maestà, non temono di venire oppressi dalla gloria. Viene derisa la Fede dei semplici; sono sventrati gli arcani di Dio; le questioni sulle altissime verità sono discusse temerariamente; l’audace ingegno del ricercatore usurpa per sé ogni cosa; tutto indaga, nulla riservando alla fede, della quale nega il valore, mentre cerca la controprova nella ragione umana. Forse non ci si deve sdegnare anche con coloro che, con turpissima oscenità di fatti e di parole, con somma scelleratezza corrompono costumi severi e pudichi, suggeriscono detestabile leggerezza del vivere alle menti inesperte ed arrecano i massimi danni alla pietà? Che di più? Cospargono i loro scritti di una certa ricercata nitidezza e scorrevole fioritura di discorso e civetteria, in modo che quanto più facilmente saranno penetrati negli animi tanto più profondamente li potranno inquinare col veleno dell’errore. Così agli sprovveduti propinano il fiele del drago nel calice di Babilonia: questi, attratti ed accecati dalla soavità del discorso, non avvertono il veleno a causa del quale periscono. Chi infine non sarà colpito da acerbissima tristezza nel vedere che i terribili nemici, dopo aver superato qualsiasi limite di modestia e di rispettoso ossequio, stampando libri offensivi ora in modo aperto, ora in modo ambiguo, si lanciano contro la stessa Sede di Pietro, che il Redentore del forte Giacobbe pose come colonna ferrea e muraglia di bronzo contro i principi delle tenebre? I nemici forse sono spinti dal malvagio pensiero che, una volta stroncato il capo, più facilmente potranno far strage delle membra della Chiesa.

Pertanto, Venerabili Fratelli, che lo Spirito Santo pose quali Vescovi a reggere la Chiesa di Dio ed ammaestrò circa il singolare sacramento dell’umana salvezza, non possiamo, in così grande corruzione di libri, che eccitare, secondo quanto è il Nostro compito, lo zelo della vostra fedeltà, affinché – chiamati a partecipare della cura pastorale – applichiate in questa il vostro maggior sforzo possibile. Si deve lottare accanitamente, come richiede la circostanza stessa, con tutte le forze, al fine di estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi facinorosi di pravità non periscano bruciati. Fatti dispensatori dei Misteri di Dio ed armati della sua potenza per distruggere i luoghi fortificati, fate in modo che il gregge a voi affidato, redento dal sangue di Cristo, sia allontanato dai pascoli avvelenati. Se infatti è necessario tenersi lontano dalla compagnia degli uomini perversi, perché le loro parole spingono all’empietà ed il loro discorso si insinua come cancro, quale distruzione opererà la pestilenza di libri che, preparati in maniera acconcia e pieni di astuzia, durano perpetuamente, rimangono sempre con noi, con noi passeggiano, con noi restano in casa e penetrano nelle stanze, dove non è vietato l’ingresso ad alcun cattivo ed occulto autore?

Costituiti Ministri di Cristo fra le genti, per santificare il suo Vangelo, datevi da fare, lavorate e, per quanto è nelle vostre possibilità, con l’opera e con le parole tagliate le radici dell’inganno, ostruite le corrotte fonti dei vizi, suonate la tromba, perché le anime che passano non siano strappate dalla mano del custode. Lavorate in virtù del posto che avete, in virtù della dignità di cui siete insigniti, in forza della potestà che avete ricevuto dal Signore. Inoltre, poiché nessuno può e deve essere segregato dal partecipare a simile tristezza e, in così grande pericolo di fede e di religione, unica e comune è la motivazione di angustiarsi e di portare aiuto, dove sia il caso implorate l’avita pietà dei Principi cattolici; esponete la causa della Chiesa che geme, e spingete i suoi amorosi figli, per tanti motivi sempre egregiamente benemeriti verso di lei, a portare aiuto; e siccome non senza motivo portano la spada, dopo aver congiunte l’autorità del Sacerdozio e quella dell’Impero, frenino e distruggano energicamente gli uomini malvagi che combattono contro le falangi d’Israele. Conviene soprattutto, Venerabili Fratelli, che rimaniate fermi come muro, perché non sia posto fondamento diverso da quello costituito, e difendiate il santissimo deposito della Fede, a custodia della quale dedicaste con giuramento voi stessi durante la solenne iniziazione. Siano fatte conoscere al popolo fedele le volpi che demoliscono la vigna del Signore; si avvisi il popolo in modo che non si lasci trascinare dai nomi splendidi di certi autori, perché non sia abbindolato dalla cattiveria e dall’astuzia degli uomini verso l’inganno dell’errore; in una parola, detesti i libri nei quali si trovi qualcosa che offenda il lettore, o contrasti con la Fede, la Religione, i buoni costumi e non rispecchi l’onestà cristiana. In questo veramente ci congratuliamo gioiosamente con molti di voi che, aderendo alle istituzioni Apostoliche, quali valorosi vindici delle leggi ecclesiastiche, forti e vigilanti posero ogni zelo per allontanare tale peste, impedendo che gl’ingenui dormissero con i serpenti.

Certamente Noi, che abbiamo la cura di tutte le Chiese e della salvezza del popolo cristiano, non risparmiandoci fatica alcuna, Ci ripromettiamo in così grande pericolo di essere aiutati da voi. Frattanto, nell’umiltà del Nostro cuore non cesseremo d’invocare Dio perché aiuti voi dal suo santuario ad evitare l’astuzia degli uomini insidiosi, e perché possiate adempiere tutte le mansioni del vostro ministero.

In auspicio di tale desiderato evento, molto volentieri impartiamo a voi ed al vostro gregge l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 25 novembre 1766, nell’anno nono del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: A QUO PRIMUM

Benedetto XIV
A quo primum

Il popolo che doveva accogliere il Messia come suo liberatore dalla schiavitù del demonio, e farlo conoscere a tutti i popoli della terra perché anch’essi venissero liberati dalle catene di satana, fallì miseramente nell’espletamento della propria missione, essendosi consegnato alle suggestioni gnostiche e pagane, preferendo alla gloria di Dio, il “vitello d’oro” del deserto, e tanti secoli di preparazione accurata da parte dei profeti, non servirono a far riconoscere il Messia atteso, che fu anzi messo a morte vigliaccamente. Tale disconoscimento vige tuttora sempre più ostinato, e l’odio per il Messia si è riversato sui popoli cristiani in modo sempre più feroce. I Sommi Pontefici hanno sempre cercato, nel corso della storia, di arginare la marea montante di quest’odio profondo fin quando Sisto V, spinto da una misericordia dimostratasi poi imprudente, iniziò a demolire la diga eretta e resistita fino ai suoi immediati predecessori: da quel momento in poi i “marrani” hanno, con pazienza e scaltrezza, minato la Chiesa Cattolica nei suoi fondamenti fino ad insidiarvi la “sinagoga di satana” dal 26 ottobre del 1958! In questa breve enciclica, Papa Benedetto XIV richiama al popolo polacco alcuni principi che la Chiesa cattolica aveva già attuato in passato per difendersi dalle malefiche infiltrazioni, misure che sono state solo dei pannicelli caldi che hanno sortito nel tempo effetti modesti o nulli, fino ad assistere oggi alla devastazione ed all’apparente totale rovina  della Chiesa di Cristo. Ma con la certezza che Dio “irridebit eos”, leggiamo con serena fiducia la lettera “A quo primum” di Papa Lambertini.

Da quando la suprema bontà di Dio si compiacque di porre le fondamenta della nostra Santa Religione Cattolica nel Regno di Polonia, evento che si compì verso la fine del decimo secolo, durante il papato del nostro Predecessore Leone VIII e per opera del sovrano Miecislao e della cristiana sua moglie Dambrowka, secondo quanto racconta Dlugoss, autore dei vostri Annali (lib. 2, p. 94); fin da quell’epoca la pia e devota Nazione Polacca con tanta costanza perseverò nell’intrapreso culto della Santa Religione, tanto ebbe in dispregio ogni genere di sette religiose, sebbene nessun tentativo queste tralasciassero per introdursi in codesto Regno, per elevarsi a fede comune e per spargervi i semi dei loro errori, delle eresie o di aberranti opinioni; tanto più tenacemente la costanza dei Polacchi si oppose ai tentativi di quelle sette e offrì più luminose testimonianze della sua fedeltà.

1. Sicuramente ciò è del tutto conforme al nostro proposito e da ritenere di per sé del massimo valore. Non solo infatti perdura quella gloriosa memoria di Martiri, di Confessori, di Vergini, di Uomini insigni per fama di santità, ai quali toccò in sorte di nascere, di essere educati e di morire nel Regno di Polonia (memoria che è annoverata tra i fasti della Santa Chiesa); ma altrettanto memorabili sono i molti Concili e i Sinodi ivi celebrati e condotti a felice conclusione, per cui con somma gloria fu riportata vittoria sui Luterani, i quali esperirono ogni modo ed ogni via pur di penetrare e di trovare ricetto in codesto Regno. In verità già allora nel grande Concilio Petrocoviense (che fu celebrato al tempo del grande Predecessore e Concittadino nostro Gregorio XIII, e presieduto dal presule Lipomano, Vescovo di Verona e Nunzio Apostolico) a maggior gloria di Dio fu soppressa la libertà di coscienza che cercava adito e dimora in quel Regno; allora infine furono raccolte in ampio volume le Costituzioni Sinodali della provincia Gnesnense, in cui sono trascritti tutti gli utili e sapienti provvedimenti previsti e presi dai Vescovi polacchi affinché nei Popoli affidati al loro governo la Religione Cristiana non fosse contaminata dalla perfidia Giudaica, tenuto conto che la qualità dei tempi comporta che sia i Cristiani, sia anche i Giudei convivano nelle stesse città e villaggi. Ciò conferma con luminosa evidenza (già lo si è detto) quanto merito abbia la Nazione Polacca nell’aver sempre cercato di conservare integra e protetta la Santa Religione tramandata, tanti secoli innanzi, dai suoi Antenati.

2. Anche se molti sono i capitoli delle Costituzioni di cui testé facemmo menzione, di nessuno vi è ragione di dolerci, tranne che dell’ultimo: al punto che siamo costretti ad esclamare con voce di pianto: “È mutato l’ottimo aspetto“. E invero, sia per i fatti che a Noi furono esposti da serie e fededegne persone, esperte di vicende polacche, sia per le rimostranze di coloro che vivono nel Regno e che spinti da sacro zelo fecero ricorso a Noi e a questa Santa Sede, siamo venuti a sapere quanto costì si sia moltiplicato il numero dei Giudei, al punto che non pochi luoghi, città e villaggi che, come appare dai ruderi, erano prima opportunamente protetti da mura e che, come appare dalle antiche Tavole o dai Regesti, erano popolati da un grande numero di abitanti Cristiani, si trovano ora diroccati, sconci per l’abbandono e lo squallore e tuttavia gremiti di un gran numero di Giudei e quasi del tutto deserti di Cristiani. Abbiamo appreso inoltre che nello stesso Regno un certo numero di Parrocchie (i cui fedeli sono sensibilmente diminuiti e di conseguenza il reddito di esse si è contratto) sono già prossime ad essere abbandonate dai loro Parroci. Inoltre, ogni traffico di utili merci, quale quello dei liquori e anche del vino, è gestito dagli stessi Ebrei, i quali sono ammessi ad amministrare il reddito pubblico; per di più essi posseggono osterie, poderi, villaggi, beni per cui, conseguito il potere padronale, non solo fanno lavorare senza posa, esercitando un dominio crudele e disumano, i miseri uomini Cristiani addetti alle attività agricole e li costringono al trasporto di pesi immani; ma anche infliggono pene; coloro che sono sottoposti alle staffilate, ne riportano il corpo piagato. Come può accadere che quegli infelici dipendano dall’autorità dell’uomo Giudeo, quali sudditi sottomessi al cenno e al volere del Signore? Come può essere che nell’infliggere queste pene si lasci loro far uso di una funzione propria del Ministro Cristiano, al quale appartiene la facoltà di punire? Ma poiché questi, per non essere allontanato dall’incarico, è costretto ad eseguire gli ordini del padrone Giudeo, così gli ordini tirannici finiscono per essere rispettati.

3. Oltre alle pubbliche cariche che, come or ora dicemmo, sono ricoperte dai Giudei (la gestione di osterie, di villaggi, di poderi, dal governo dei quali beni tanti danni ricadono sugli uomini Cristiani) si aggiungono altri assurdi fatti che, se rettamente valutati, possono recare maggior danno e iattura a coloro cui furono fatti conoscere. È una cosa assolutamente riprovevole che gli stessi Giudei siano accolti nelle case dei Magnati con l’incarico di amministrare sia gli affari domestici, sia quelli economici (e ciò comporta il titolo di sovrintendente della casa), per cui trovandosi a coabitare in una stessa casa con i Cristiani, con pervicacia impongono e ostentano sopra di questi una sorta di dominio. Ormai, in verità, nelle città e nelle campagne non solo è dato vedere in ogni dove i Giudei frammisti ai Cristiani, ma si aggiunge l’assurdo che i primi per nulla si vergognano di tenere in cassa anche Cristiani di ambo i sessi addetti come famiglie al loro servizio. Inoltre gli stessi Giudei, essendo dediti all’esercizio della mercatura e dopo che in tal modo accumularono una grande somma di danaro, con la smodata pratica dell’usura prosciugano censo e patrimoni dei Cristiani: e benché essi prendano a prestito danaro dagli uomini Cristiani con pesante ed eccessivo tasso d’interesse e con la garanzia delle loro Sinagoghe, risulta chiaro ad ogni osservatore che quel prestito è da loro contratto per questa ragione: dopo aver ottenuto dai Cristiani una somma di danaro e dopo averla investita nell’attività commerciale, non solo da essa traggono tanto guadagno, quanto sarebbe bastevole ad estinguere il prestito ed insieme ad accrescere, in tal modo, le proprie ricchezze; ma nello stesso tempo quanti sono i loro creditori, altrettanti sono considerati Patroni delle loro Sinagoghe e di loro medesimi.

4. Il famoso monaco Radulfo, sospinto una volta da eccesso di zelo, a tal punto s’infiammò contro i Giudei che nel secolo dodicesimo, in cui visse, percorse la Gallia e la Germania e, predicando contro gli stessi Giudei, in quanto nemici della nostra Santa Religione, infiammò anche i Cristiani a tal segno che li distrussero fino allo sterminio: e questo fu il motivo per cui i Giudei furono massacrati in gran numero. E che cosa mai si ritiene che quel monaco farebbe o direbbe oggi se fosse tra i vivi e se vedesse ciò che accade attualmente in Polonia? A questo eccessivo e furente zelo di Radulfo si oppose quel grande San Bernardo, che nella sua Epistola 363, inviata al Clero e al Popolo della Gallia Orientale, così lasciò scritto: “Non si deve perseguitare gli Ebrei, non si deve ucciderli, ma nemmeno cacciarli. Interrogateli circa le Divine pagine. Ho inteso la profezia che nel Salmo si legge circa i Giudei: Dio mi pose sopra ai miei nemici, dice la Chiesa, non perché li uccidessi, neppure quando si dimenticano del mio Popolo. Senza dubbio le vive scritture ci rappresentano la Passione del Signore. Perciò gli Ebrei sono dispersi in tutte le terre e, fin tanto che non avranno espiato la giusta pena per l’immane delitto, siano testimoni della nostra Redenzione“. Poi, nella epistola 365 ad Enrico, Arcivescovo di Magonza, così egli scrive: “Forse che ogni giorno la Chiesa non trionfa sui Giudei o convincendoli o convertendoli e quindi con più frutto che se in un sol tratto e insieme li annientasse con la punta della spada? Forse che vanamente è stata composta quella universale preghiera della Chiesa che viene innalzata a favore dei perfidi Giudei, dall’alba fino al tramonto, affinché il Dio e Signore strappi il velame dai loro cuori, in modo che dalle loro tenebre siano condotti alla luce della verità? Se infatti fosse vana la speranza che essi, increduli quali sono, diverranno credenti, superfluo e vano parrebbe pregare per essi“.

5. Contro Radulfo anche l’Abate cluniacense Pietro, nello scrivere a Ludovico Re dei Franchi, lo esortò a non permettere che si compissero eccidi di Giudei. E invero al tempo stesso lo incitò a rivolgere l’attenzione verso di loro per i loro eccessi e a spogliarli dei loro beni, o carpiti ai Cristiani o accumulati con l’usura, e a trasferire il loro danaro in uso e beneficio della Santa Religione, come si può leggere negli Annali del Venerabile Cardinale Baronio “nell’anno di Cristo 1146“.

Noi pure, non meno in questa questione che in tutte le altre, abbiamo assunto la stessa norma di comportamento che tennero i Romani Pontefici Nostri Predecessori. Alessandro III, minacciando gravi pene, proibì ai Cristiani di prestare servizio continuato alle dipendenze di Giudei: “Non si offrano ai Giudei in assiduo servizio per alcuna mercede“. Il motivo di ciò è esposto dallo stesso Alessandro III con le parole che seguono: “Perché i costumi dei Giudei e i nostri non concordano affatto; gli stessi (ossia i Giudei) facilmente attraggono gli animi delle persone semplici alla loro perfida superstizione con la continua convivenza e con l’assidua familiarità“; così si legge nel Decretale: Ad hæc, de Judæis. Innocenzo III, dopo aver spiegato per qual motivo i Giudei erano accolti dai Cristiani nelle loro città, ammonisce che il metodo e la condizione di tale accoglienza devono essere regolati in modo che essi non ricambino il beneficio con il maleficio. “Coloro che per misericordia sono ammessi alla nostra familiarità, ci ripagano con quella ricompensa che erano soliti offrire ai loro ospiti, secondo un proverbio popolare: un sorcio in bisaccia, un serpente in grembo e fuoco nel seno“. – Lo stesso Pontefice, aggiungendo che è conveniente che i Giudei siano asserviti ai Cristiani e non già che questi prestino orecchio a quelli, così prosegue:”Che i figli di una donna libera non siano al servizio dei figli di un’ancella, ma come servi riprovati da Dio, in quanto tramarono crudelmente per farlo morire, si riconoscano almeno servi di coloro che la morte di Cristo rese liberi, e quelli servi per effetto del loro operato“. Queste parole si trovano nel suo Decretale: Etsi Judaeos. In altri Decretali ancora: Cum sit nimis sotto lo stesso titolo De Judaeis et Saracenis affinché i Giudei non siano assunti in pubblici impieghi, prescrive: “Sia vietato preferire i Giudei in pubblici uffici, poiché in tale veste sono dannosi soprattutto ai Cristiani“. – Anche Innocenzo IV, mentre scriveva al Santo Ludovico Re dei Franchi che aveva intenzione di espellere i Giudei dai confini del suo Regno, approva una tale decisione poiché essi non rispettavano affatto quelle disposizioni che erano prescritte dalla Sede Apostolica nei loro confronti: “Noi, con tutti i nostri sentimenti aspirando alla salute delle anime, concediamo a Te, con l’autorità dettata dalle circostanze, la facoltà di cacciare i predetti Giudei o per opera tua o di altri, soprattutto perché non rispettano (come ci risulta) gli Statuti promulgati contro di essi dalla predetta Sede“. Così si legge presso Rainaldo (Anno di Cristo 1253, n. 34).

6. Se poi si chiede quali siano quelle cose che dall’Apostolica Sede sono proibite ai Giudei che vivono dentro le stesse città in cui abitano i Cristiani, diciamo che si permettono ad essi quelle stesse facoltà che oggi nel Regno di Polonia sono loro concesse e che da noi sono esposte più sopra. Evidentemente per acquisire tale verità non vi sarà bisogno di una vasta lettura di libri. È sufficiente scorrere il titolo dei Decretali De Judaeis et Saracenis, dei Romani Pontefici Nostri Predecessori Nicola IV, Paolo IV, San Pio V, Gregorio XIII e Clemente VIII. Le Costituzioni sono a disposizione e sono custodite nel Bollario Romano. Voi infatti, Venerabili Fratelli, per comprendere chiaramente tali questioni non avete neppure la necessità di affrontare l’impegno della lettura. Vi soccorrono tutte le prescrizioni e le decisioni prese nei Sinodi dei vostri predecessori; poiché essi certamente non omisero di inserire nelle loro Costituzioni tutte quelle disposizioni che – per quanto riguarda l’attuale materia – furono sancite ed ordinate dai Romani Pontefici.

7. Tuttavia il colmo della difficoltà consiste in ciò che o dilegua la memoria delle Sanzioni Sinodali, oppure viene negletta l’esecuzione di esse. Su di voi, pertanto, Venerabili Fratelli, incombe l’onere di rinnovarle. Ciò richiede la natura del vostro ufficio: che insistiate con solerzia nella applicazione di esse. In questa impresa, come è bene e giusto, cominciate dagli uomini Ecclesiastici, per i quali è doveroso mostrare agli altri la via comportandosi rettamente, e con l’esempio far luce ad altri ancora. Per grazia della Divina pietà, a Noi giova sperare che il buon esempio degli Ecclesiastici ricondurrà sul retto sentiero i Laici che si sono sviati. Invero, quelle disposizioni da voi poterono essere accolte e annunciate tanto più facilmente e fiduciosamente in quanto (in base al contributo recato da affidabili e capaci informatori) mi giunse notizia che né i vostri beni né i vostri diritti sono stati da voi concessi in appalto ai Giudei; che nessun affare intercorre con essi, né quello di dare danaro in prestito né di riceverlo; che in breve Voi siete del tutto liberi e immuni da ogni traffico con essi.

8. Il criterio e il metodo prescritti dai Sacri Canoni per esigere la dovuta obbedienza dai ribelli, nei processi della massima importanza e specialmente attuali, consistono nell’applicare le Censure e, inoltre, nel provvedere che tra i casi riservati siano da ascrivere anche coloro che si suppone possano minacciare un esiziale scisma religioso. Certamente vi è noto che il Sacro Concilio Tridentino provvide alla stabilità della vostra giurisdizione allorché a Voi stessi attribuì il diritto d’intervento in casi riservati; né quei casi restrinse soltanto ai pubblici delitti, ma li estese e li ampliò anche ai più gravi ed atroci, purché non siano soltanto affari privati. – Più volte dunque dalle Congregazioni di questa nostra alma Urbe, in vari Decreti e in Lettere Encicliche, fu deciso e deliberato che fra i casi più gravi ed atroci si dovessero annoverare quelli verso cui gli uomini sono più proclivi e che sono il flagello, ad un tempo, sia della disciplina Ecclesiastica sia della salute delle Anime che sono affidate alla cura del Vescovo; come Noi abbiamo diffusamente dimostrato nel nostro trattato De Synodo Dioecesana (Lib. 5, cap. 5).

9. A questo fine non sopporteremo che da parte Nostra si faccia desiderare cosa che sia d’aiuto per Voi e per risolvere le difficoltà che senza dubbio incontrerete se Voi dovrete procedere contro quegli Ecclesiastici che si sono sottratti alla Vostra giurisdizione. Noi al Venerabile Fratello Arcivescovo di Nicea e costà Nostro Nunzio abbiamo assegnato gli opportuni incarichi circa la stessa questione, perché prenda i necessari provvedimenti nei limiti delle facoltà a lui attribuite. Ad un tempo vi promettiamo che Noi, quando si presenterà l’occasione, con ogni premura e con ogni energia non tralasceremo di trattare questa questione anche con coloro che possono fare in modo che dal nobile Regno Polacco siano cancellate una macchia e una ignominia di tal natura. Inoltre voi, Venerabili Fratelli, invocate anzitutto la protezione da Dio, che è l’artefice di ogni bene, con la più fervente commozione del cuore. – E ancora da Lui implorate con le vostre preci l’aiuto per Noi e per questa apostolica Sede; e mentre vi abbracciamo con pienezza di carità, amorevolmente impartiamo alle Vostre Fraternità e ai Greggi affidati alle Vostre cure l’Apostolica Benedizione.

Dato da Castel Gandolfo, il giorno 14 giugno 1751, undicesimo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: IN DOMINICO AGRO

S. S. Clemente XIII

In questa Lettera Enciclica, il Santo Padre Clemente XIII, propone all’attenzione dei fedeli un argomento centrale per la fede cattolica: il Catechismo! Opportuna ne è la diffusione e la spiegazione, da parte di persone competenti e pieni di amore per le anime da salvare. Non a caso, è infatti pure il motivo per il quale i modernisti usurpanti, insediati dal 1958 nella Chiesa Cattolica ai livelli più elevati (o più abissali), trasformata in sinagoga di satana, hanno provveduto a compilare un catechismo falso, in cui accanto a verità che non potevano essere cancellate senza dar manifesti sospetti, hanno trovato posto espressioni sibilline, biforcute, che dicono una cosa negandola dopo due righi, cose mai contemplate nè dalla tradizione, nè dalla Sacra Scrittura, nè dal Magistero Apostolico … senza parlare dei pseudo-catechismi olandesi di chiara fattura gnostico-massonica, allegramente sdoganati dalle false autorità della setta gnostico-massonica vaticana, infestante tutto l’orbe un tempo cristano [l’urbe è diventata invece una indegna babilonia pagana …!]. Pertanto, ligi alle disposizioni dei Sommi Pontefici, Clemente XIII e successori, abbiamo tutti l’obbligo “sub gravi”, di abbeverarci al catechismo del Concilio di Trento, a quello del Bellarmino, o a quello del Santo Pio X, e fuggire come la peste e la lebbra, i catechismi di lucifero, quelli cioè concepiti, scritti e diffusi dopo l’infame conciliabolo c. d. Vaticano II, soprattutto il deviante e devastante C.C.C., vero obbrobrio e abominio agli occhi di Dio e … dei veri cattolici. Nell’attesa di procurarci, per chi non li possedesse ancora, onde studiarli con somma attenzione e profitto, i testi non manipolati dei Catechismi della Chiesa Cattolica, leggiamo il documento Apostolico ricco di importanti indicazioni ed insegnamenti infallibili ed irreformabili.

In Dominico agro

1. Nel coltivare il campo del Signore, cui per divina provvidenza siamo preposti, nulla richiede sì vigile cura e perseverante attività quanto la custodia del buon seme gettato, cioè della dottrina cattolica affidata da Cristo Gesù agli Apostoli ed a noi consegnata. Se questa viene trascurata a causa di pigra oziosità o inerte accidia, mentre gli operai dormono il nemico del genere umano vi semina sopra zizzania; motivo per cui avviene che al tempo della mietitura, invece di trovare ciò che si deve riporre nei granai, si trova ciò che deve essere bruciato dalle fiamme. – A difendere la fede una volta consegnata ai Santi, Ci spinge ardentemente il beatissimo Paolo, il quale scrive a Timoteo che custodisca il buon deposito (2Tm 1,14), perché sovrastano tempi pericolosi dal momento che si trovano nella Chiesa uomini cattivi, e seduttori, per opera dei quali l’insidioso tentatore cerca di inficiare le menti incaute con questi errori, che sono nemici della verità evangelica.

2. In verità se (come spesso accade) nella Chiesa di Dio cercano di farsi strada idee tendenziose le quali, pur contrastanti tra di loro, in questo solo collimano, nel minacciare in qualche modo la purezza della fede cattolica, allora davvero è molto difficile, nel cautelarci tra l’uno e l’altro nemico, calibrare talmente il nostro discorso da sembrare di aver voltato le spalle a nessuno di loro, ma invece di aver evitato e condannato egualmente l’uno e l’altro nemico di Cristo. Talvolta avviene che facilmente una diabolica falsità, con una certa sembianza di vero, si ricopra di menzogne colorate, mentre l’efficacia delle sentenze viene corrotta da brevissima aggiunta o da mutamento, sì che la testimonianza che portava salvezza, talora con sottile passaggio porta alla morte.

3. Perciò da questi sentieri sdrucciolevoli e angusti, sui quali difficilmente puoi camminare od entrare senza caduta, sono da tenere lontani i fedeli e specialmente coloro che hanno ingegno più rozzo e più semplice: le pecore non si devono guidare ai pascoli attraverso vie impraticabili, né si devono proporre loro talune singolari opinioni, anche di Dottori cattolici; ma deve essere loro insegnata la parte certissima della verità cattolica, la totalità della dottrina, la tradizionale, quella sulla quale c’è consenso. Inoltre, non potendo il volgo salire il monte (Es 19,12) sul quale è scesa la gloria del Signore, e poiché nel tentativo di violare i confini per contemplarla perirebbe, i Dottori devono fissare al popolo i limiti di un circuito, in modo che il discorso non vada oltre quelle cose che sono necessarie o almeno molto utili alla salvezza, ed i fedeli obbediscano al suggerimento dell’Apostolo: “Non voler conoscere più di quanto è necessario, ma conoscere a sufficienza” (Rm 12,3).

4. I Romani Pontefici Nostri Predecessori, conoscendo perfettamente ciò, posero tutto il loro impegno per stroncare non solo con la spada dell’anatema i germi velenosi degli errori fin dal loro nascere, ma anche per amputare certe idee effervescenti che, magari per eccesso, impedissero nel popolo cristiano un più generoso frutto di fede, o potessero nuocere agli animi dei fedeli per un’eccessiva vicinanza all’errore. Perciò, dopo che il Concilio di Trento condannò quelle eresie che avevano cercato allora di offuscare lo splendore della Chiesa, e riportò la cattolica verità in più chiara luce, avendo in certo modo allontanato la nebbia degli errori; i medesimi Nostri Predecessori, avendo compreso che quel sacro Convegno della Chiesa universale aveva adoperato sì prudente saggezza e tanta discrezione nell’astenersi dal riprovare opinioni fondate sull’autorità dei Dottori della Chiesa; secondo il pensiero del medesimo sacro Concilio vollero dar mano ad un’altra opera che comprendesse tutta la dottrina sulla quale era opportuno che i fedeli fossero istruiti, e che fosse assolutamente lontana da qualsiasi errore. Divulgarono, stampato, un libro intitolato Catechismo Romano, e per questo meritano doppia lode. Infatti in esso riposero la dottrina che è comune nella Chiesa ed è lontana da qualsiasi pericolo; e proposero con eloquenti parole di farla conoscere al popolo, obbedendo così al precetto di Cristo Signore, che ordinò agli apostoli di divulgare nella luce (Mt 10,27) ciò che egli avesse detto nelle tenebre, e ciò che avevano udito in un orecchio lo predicassero sopra i tetti, fedeli alla Chiesa sposa, conforme all’espressione: “Dimmi dove riposi nel meriggio” (Ct 1,6). Dove infatti non sia meriggio, e quindi la luce non sia così chiara che apertamente si conosca la verità, facilmente al suo posto si recepisce la falsità a causa di un certa verosimiglianza, che nell’oscurità difficilmente si discerne dal vero. Sapevano infatti che c’erano stati precedentemente, e ci sarebbero stati nel futuro, coloro che potevano invitare i pascenti e promettere più abbondanti pascoli di sapienza e di scienza: verso questi, molti sarebbero accorsi, perché le acque furtive sono più dolci ed il pane nascosto è più soave (Pr 9,17). – Perché dunque la Chiesa sedotta non vagasse al seguito di greggi di complici, vagabondi essi stessi, privi di alcuna certezza di verità, sempre discenti (2Tm III,7) e non mai giunti ad una scienza di verità, proposero fosse chiaramente ed in forma trasparente spiegato e consegnato al popolo cristiano soltanto quello che fosse necessario e sommamente utile per la salvezza.

5. In verità l’amore di novità danneggiò questo libro preparato con non indifferente fatica e zelo, approvato dal consenso comune e ricevuto con le massime lodi in questi tempi dalle mani dei Pastori: furono esaltati altri Catechismi in nessun modo paragonabili col Romano. Ne derivarono due danni: nello stesso insegnamento fu quasi tolto quel consenso, e fu offerto ai pusilli d’animo un certo scandalo, al punto che non sembrava loro di trovarsi sulla stessa faccia della terra (Gen XI,1) e con un linguaggio unico; il secondo, poi, che dai diversi modi d’insegnare la verità cattolica sorsero delle contese; dalla emulazione, mentre uno si dice seguace di Apollo, un altro di Cefa, un altro di Paolo, nacquero divisioni di animi e grandi dissidi. Riteniamo che niente sia più dannoso nel diminuire la gloria di Dio che la crudezza di tali dissensi, niente più rovinoso per impedire di cogliere i frutti che giustamente i fedeli potrebbero ottenere dalla disciplina cristiana. Infine, per allontanare dalla Chiesa questo doppio malanno, ritenemmo opportuno ritornare colà donde alcuni, con poco prudente consiglio, guidati dalla superbia, vantandosi di essere i più saggi nella Chiesa, avevano appunto allontanato il popolo fedele. Ritenemmo opportuno offrire di nuovo ai Pastori d’anime il medesimo Catechismo Romano, in modo che le menti dei fedeli siano distolte il più possibile, anche ora, dalle nuove idee non suffragate da consenso o da tradizione, e siano corroborate in quella che fu la fede cattolica e nella dottrina della Chiesa, che è colonna di verità (1Tm III,15). Affinché fosse più facile avere il libro, emendato dai difetti che aveva contratto per colpa dei lavori, decidemmo che fosse nuovamente stampato con somma diligenza nell’alma città di Roma, sull’esempio di quello che il Nostro Predecessore San Pio V divulgò con decreto del Concilio di Trento; il testo che per ordine del medesimo San Pio fu tradotto in lingua volgare e stampato, ben presto parimenti sarà di nuovo edito per ordine Nostro.

6. Dunque è vostro dovere, Venerabili Fratelli, fare in modo che nel presente difficilissimo tempo della Cristianità questo libro sia ricevuto dai fedeli quale sussidio molto opportuno, offerto per cura e diligenza Nostra, per rimuovere gl’inganni di false opinioni e propagandare e rafforzare la vera e santa dottrina. Pertanto, Venerabili Fratelli, vi raccomandiamo questo libro, quasi norma di fede Cattolica e di cristiana disciplina perché, anche nel modo di riportare la dottrina, vi appare il consenso di tutti i Romani Pontefici: vi esortiamo ardentemente nel Signore perché diate ordine che sia adoperato da tutti coloro che hanno cura delle anime nell’insegnare la verità Cattolica ai popoli, affinché siano conservate l’unità di erudizione, la carità e la concordia degli animi. È compito vostro provvedere alla tranquillità di tutti: questi sono i doveri del Vescovo: il quale perciò deve avere gli occhi attenti perché qualcuno agendo superbamente per la propria gloria, non procuri scismi, dopo aver rotto la compagine dell’unità.

7. Questi libri non porteranno certamente alcun frutto utile, o ben poco, se coloro che devono presentarli e spiegarli agli ascoltatori saranno scarsamente idonei all’insegnamento. Pertanto importa assai che per questo compito d’insegnare la dottrina cristiana al popolo scegliate degli uomini non solo provvisti di scienza delle cose sacre, ma molto più di umiltà e di zelo per la santificazione delle anime, e ardenti di carità. Infatti, tutta la disciplina cristiana consiste non nell’abbondante eloquio, non nell’astuzia del disputare, non nell’appetito di lode e di gloria, ma nella vera e volontaria umiltà. Vi sono infatti taluni che una scienza maggiore innalza, ma disgiunge dalla comunità degli altri; e quanto più sanno, tanto più mancano della virtù della concordia: essi sono ammoniti dalla sapienza stessa, dalla parola di Dio: “Abbiatesale in voi (Mc IX,49) e abbiate pace tra noi“: così infatti è da ritenersi il sale della sapienza, affinché da esso l’amore del prossimo sia custodito, e le debolezze siano temperate. Se essi sono animati dallo zelo della sapienza e sono distolti dalla cura del prossimo ed orientati verso le discordie, essi hanno un sale senza pace, non dono di virtù, ma motivo di dannazione; quanto più sanno, tanto peggio peccano. Li condanna veramente la sentenza di Giacomo apostolo con quelle parole: “Se avete una rivalità amara, e nei vostri cuori albergano contese, non vantatevi di essere mendaci verso la verità: codesta sapienza non viene dall’alto, ma è terrena, animale, diabolica” (Gc 3,14): dove infatti ci sono invidia e contesa, colà si trovano incostanza e ogni opera cattiva. Ma la sapienza che viene dall’alto è anzitutto pudica, quindi pacifica, modesta, docile, consenziente nel bene, piena di misericordia e di frutti buoni, non ipercritica, senza emulazione.

8. Mentre dunque preghiamo Dio con umiltà di cuore e animo afflitto, perché conceda indulgenza alla nostra diligenza ed agli sforzi del nostro operare, e larghezza di misericordia, affinché il dissenso non turbi il popolo fedele, e affinché nel vincolo della pace e nella carità di spirito conosciamo tutti, lodiamo e glorifichiamo un solo Dio e il Signore Nostro Gesù Cristo, salutiamo Voi, Venerabili Fratelli, nel bacio santo; a Voi tutti, e parimenti a tutti i fedeli delle vostre Chiese, con grande affetto impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Castel Gandolfo, il 14 giugno 1761, nell’anno terzo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLI IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “SACRORUM ANTISTITUM”

In questo nuovo documento, “Sacrorum Antistitum“, il Santo Padre S. Pio X, constatato che, nonostante le disposizioni con gli obblighi ed i divieti imposti nell’Enciclica Pascendi e nel decreto Lamentabili, per molti le sue raccomandazioni sono rimaste lettera morta, continuando la loro “semina” blasfema di sapore gnostico-luciferino, ribadisce con la maggior fermezza possibile, quanto già in essi riportato, aggiungendo la formula di un giuramento, reso obbligatorio per tutti gli operatori ecclesiastici, in primo luogo per coloro che, nei seminari, si accingono a diventare ministri della Chiesa, e per coloro che devono ammaestrarli ed educarli nelle “cose sacre”. Tale formula del “Giuramento antimodernista” è una vera professione di fede cattolica che, rimossa ovviamente dai supermodernisti, manducatori del frutto bacato e marcio del conciliabolo roncalli-montiniano, appare oggi quanto mai opportuno recitare quotidianamente, insieme allo studio del Santo Catechismo Cattolico dello stesso S. Pio X, per recuperare un minimo di senso e credo cattolico da parte di coloro che sono impregnati, loro malgrado, e senza averne consapevolezza, di modernismo ed indifferentismo religioso, sparso a larghe mani dagli apostati fautori ed operatori sacrileghi del “novus ordo”. Facciamo allora entrare tra le nostre meditazioni e preghiere quotidiane, questo santo “giuramento”, così da poter immediatamente comprendere, decodificare, smascherare e fuggire gli inganni del “nemico” che utilizza oggi apertamente, otre agli gnostici delle conventicole massoniche di ogni risma, i suoi “schiavi”, i falsi prelati in talare nera, rossa o bianca, per poterci alfine portare con sé nel fuoco eterno, ma … Ipsa conteret caput suum! Leggiamo il documento ed impariamo a memoria o mettiamo sul comodino, a portata di mano e di occhi, la formula del Giuramento Antimodernista:

Sacrorum antistitum

Motu proprio che stabilisce alcune leggi per respingere il pericolo del modernismo

Acta Apostolicæ Sedis, AAS 02 [1910], pp. 655-669.

Riteniamo che non sia sfuggito a nessuno dei santi Vescovi, che i modernisti, la maliziosissima categoria d’uomini che avevamo smascherato per loro nella Lettera enciclica Pascendi Dominici Gregis, non si sono astenuti dai propositi di turbare la pace della Chiesa. – Infatti hanno continuato ad adescare nuovi seguaci e a farli associare mediante un’alleanza segreta, e con essi ad inoculare nelle vene del Cristianesimo il virus delle loro opinioni, pubblicando, anonimamente o sotto pseudonimi, libri ed articoli. – Se, riletta la summenzionata Nostra Lettera, si considera con più attenzione lo sviluppo di quest’audacia, per mezzo della quale Ci è arrecato tanto dolore, apparirà chiaramente che uomini di tale condotta non sono altro che quelli che abbiamo già descritto là, nemici tanto più temibili quanto più sono vicini; i quali abusano del loro ministero per porre sull’amo un’esca avvelenata con cui corrompere gli sprovveduti, divulgando un’apparenza di dottrina, in cui è contenuta la somma di tutti gli errori. – Dato che questa peste si sparge attraverso quella parte del campo del Signore da cui ci si aspetterebbero i frutti più lieti, se da un lato è proprio di tutti i Vescovi spendersi in difesa della fede cattolica, e vigilare con somma diligenza affinché l’integrità del deposito divino non riceva alcun danno, dall’altro lato a Noi è di massima pertinenza fare ciò che ha comandato Cristo Salvatore, il quale a Pietro (il cui principato, seppur indegnamente, Noi abbiamo ricevuto,) disse: Conferma i tuoi fratelli. Appunto per questa causa, cioè, affinché gli animi dei buoni siano confermati nell’affrontare la presente battaglia, abbiamo ritenuto opportuno riportare delle frasi e delle prescrizioni del Nostro suddetto documento, espresse con queste parole: «Perciò vi preghiamo e scongiuriamo che, in una questione di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la vostra vigilanza e diligenza e fortezza. E quel che chiediamo ed aspettiamo da voi, lo chiediamo e lo aspettiamo anche dagli altri pastori d’anime, dagli educatori e maestri del giovane clero, e specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.

I. Per ciò che riguarda gli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica. Bene inteso che, “se dai Dottori scolastici qualcosa fu ricercato troppo sottilmente o trattato con poca avvedutezza; se fu detta cosa poco coerente con dottrine accertate dei secoli seguenti, o in qualsiasi modo non ammissibile; non è nostra intenzione che tutto ciò sia proposto come esempio da imitare anche ai nostri giorni” (Leone XIII, Enc. “Æterni Patris”). – Ciò che conta anzitutto è che come filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si deve precipuamente intendere quella di San Tommaso d’Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno vigore e, se necessario, lo rinnoviamo e confermiamo, e ordiniamo severamente che sia da tutti osservato. Se nei Seminari ciò si è trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in futuro si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno. Un errore piccolo in principio, così si possono utilizzare proprio le parole dell’Aquinate stesso, è grande alla fine. (De Ente et Essentia, proem.) – Posto così il fondamento della filosofia, si innalzi con somma diligenza l’edificio teologico. Venerabili Fratelli, promuovete con ogni sforzo possibile lo studio della teologia, affinché i chierici, uscendo dai Seminari, ne portino con sé un’alta stima ed un grande amore e l’abbiano sempre carissimo. Infatti “nella grande e molteplice abbondanza di discipline che si porgono alla mente assetata di verità, a tutti è noto che alla sacra Teologia appartiene il primo posto, tanto che fu antico detto dei sapienti, che è dovere delle altre scienze ed arti di servirla ed aiutarla come ancelle” (Leone XIII, Lett. Ap. “In magna”, 10 dicembre 1889). Aggiungiamo qui, che Ci sembrano degni di lode anche coloro che, mantenendo intatto il rispetto alla Tradizione, ai Padri e al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e utilizzando le norme cattoliche (cosa che non è da tutti) cercano di illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia. Alla teologia positiva deve ora darsi più larga parte che in passato: ciò nondimeno deve farsi in modo tale che la teologia scolastica non ne venga a perdere nulla, e si disapprovino quali fautori del modernismo coloro che innalzano tanto la teologia positiva da sembrar quasi spregiare la Scolastica. – In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz. “Pergratus Nobis” 7 marzo 1880): “Adoperatevi strenuamente nello studio delle scienze naturali, nel cui campo gli ingegnosi ritrovati e gli utili ardimenti dei nostri tempi sono, a ragione, ammirati dai contemporanei, cosi come avranno perpetua lode ed encomio dai posteri”. Questo però senza danno degli studi sacri: cosa di cui ammoniva lo stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole (Loc. cit.): “Ad una ricerca più attenta, si comprenderà come la causa di simili errori stia principalmente nel fatto che in questi nostri tempi, quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più vengono meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste, infatti, sono quasi cadute in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, sono inficiate da opinioni sbagliate e da enormi errori”. Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli studi delle scienze naturali.

II. A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro Predecessore occorre volgere l’attenzione ogni qual volta si tratti di scegliere i rettori e gli insegnanti dei Seminari e delle Università cattoliche. Chiunque in alcun modo sia contaminato da modernismo, sia tenuto lontano senza riguardi di sorta sia dall’incarico di reggere sia da quello d’insegnare: se già si trova con tale incarico, ne sia rimosso: si faccia lo stesso con coloro che in segreto o apertamente favoriscono il modernismo, o lodando modernisti e giustificando la loro colpa, o criticando la Scolastica, i Padri e il Magistero ecclesiastico, o ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da chiunque essa sia rappresentata; lo stesso con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novità; e infine, con quelli che non si curano degli studi sacri o paiono anteporre a questi i profani. In questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei maestri, non sarà mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; dato che sull’esempio dei maestri si formano per lo più i discepoli. Poggiati dunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con prudenza sì, ma con fortezza. – Con pari vigilanza e severità dovrete esaminare e scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero l’amore di novità: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e arroganti! A nessuno in futuro si conceda la laurea in teologia o in diritto canonico, se non ha prima completato per intero il corso stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ciò nonostante venisse concessa, sia nulla. Le disposizioni che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò, nell’anno 1896, per i chierici d’Italia secolari e regolari, circa il frequentare le Università, stabiliamo che d’ora innanzi siano estese a tutte le nazioni. I chierici e sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo ciò si è permesso per il passato, ordiniamo che non si conceda più nell’avvenire. I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di tali cattolici Istituti o Università veglino con ogni cura perché questi Nostri comandi vi si osservino costantemente.

III. È parimenti compito dei Vescovi impedire che vengano letti gli scritti modernisti, o che sanno di modernismo, se già pubblicati, o, se non lo sono ancora, proibire che si pubblichino. Non si dovrà mai permettere alcun libro o giornale o periodico di tal genere né agli alunni dei Seminari né agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne verrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano. Lo stesso si dovrà giudicare degli scritti di taluni cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che, digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fanno sì che tali libri siano letti senza alcun timore e risultino quindi più pericolosi, attraendo al modernismo a poco a poco. – Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni più generali in materia tanto grave, se nelle vostre diocesi sono in vendita libri dannosi, adoperatevi con forza a bandirli, facendo anche uso di solenni condanne. Benché questa Sede Apostolica si adoperi in ogni modo per togliere di mezzo simili scritti, ormai ne è tanto cresciuto il numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che la medicina giunga talora troppo tardi, quando cioè, per il troppo attendere, il male ha già preso piede. Vogliamo dunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, trascurando lo strepito dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, facciano ciascuno la sua parte; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella Costituzione Apostolica “Officiorum”: “Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi”. Con queste parole si concede, è vero, un diritto: ma s’impone al contempo un dovere. E nessuno reputi di aver adempiuto a tale dovere se ha deferito a Noi l’uno o l’altro libro, mentre moltissimi altri si lasciano divulgare e diffondere. Né in ciò vi deve trattenere, Venerabili Fratelli, il sapere che l’autore di qualche libro abbia ottenuto altrove la facoltà comunemente detta Imprimatur; sia perché tale concessione può essere simulata, sia perché può essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignità e troppa fiducia nell’autore, caso questo che può talora avverarsi negli Ordini religiosi. Si aggiunga che, come non ogni cibo si confà a tutti egualmente, così un libro che in un luogo sarà indifferente, in un altro, per le circostanze, può risultare nocivo. Se pertanto il Vescovo, udito il parere di persone prudenti, stimerà di dover condannare nella sua diocesi anche qualcuno di tali libri, gliene diamo ampia facoltà, anzi gliene facciamo un dovere. La cosa sia fatta convenientemente, restringendo la proibizione soltanto al clero, se questo basta; ma in tal caso sarà obbligo dei librai cattolici non porre in vendita i libri condannati dal Vescovo. E dal momento che Siamo in argomento, i Vescovi vigilino che i librai, per bramosia di lucro, non spaccino merce malsana: è certo che nei cataloghi di alcuni di essi vengono proposti di frequente, e con non poca lode, i libri dei modernisti. Se essi rifiutano di obbedire, i Vescovi non esitino a privarli del titolo di librai cattolici; tanto più, se avranno quello di vescovili; e se avessero titolo di pontifici, siano deferiti alla Sede Apostolica. A tutti infine ricordiamo l’articolo XXVI della menzionata Costituzione Apostolica “Officiorum”: “Tutti coloro che abbiano ottenuto facoltà apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono per questo autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali, se nell’indulto apostolico non sia data espressa facoltà di leggere e ritenere libri condannati da chiunque”.

IV. Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; occorre anche impedirne la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità. E poiché è grande il numero delle pubblicazioni, che, secondo la Costituzione “Officiorum“, esigono l’autorizzazione dell’Ordinario, e il Vescovo non le può revisionare tutte da solo, in talune diocesi si sogliono determinare in numero adeguato censori d’ufficio per l’esame degli scritti. Somma lode noi diamo a tale istituzione di censura; e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. Dunque in tutte le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall’uno e dall’altro clero, uomini di età, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano tenere il giusto mezzo. Spetterà ad essi l’esame di tutto quello che, secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di permesso per essere pubblicato. Il Censore darà per iscritto la sua sentenza. Se sarà favorevole, il Vescovo concederà la facoltà di stampa con la parola Imprimatur, la quale però sarà preceduta dalla formula Nihil obstat e dal nome del Censore. Anche nella Curia romana non diversamente che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio. L’elezione dei medesimi, una volta interpellato il Cardinale Vicario e coll’assenso ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetterà al Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccherà determinare per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facoltà di stampa sarà concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale Vicario o dal suo Vicegerente, premesso però, come sopra si disse, il Nulla osta col nome del Censore. Solo in circostanze straordinarie e molto di rado si potrà, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la menzione del Censore. Agli autori non si farà mai conoscere il nome del Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinché il Censore stesso non abbia a patir molestia mentre esamina lo scritto o in caso che ne disapprovi la stampa. Non si sceglieranno mai Censori dagli Ordini religiosi, senza prima aver sentito segretamente il parere del Superiore provinciale: questo dovrà secondo coscienza attestare dei costumi, della scienza e della integrità della dottrina del candidato. Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di non permettere mai che alcunché sia pubblicato dai loro sottoposti senza la previa facoltà loro e dell’Ordinario diocesano. Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha alcun valore né mai si potrà arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo. – Detto ciò in generale, ordiniamo espressamente un’osservanza più diligente di quanto si prescrive nell’articolo XLII della citata Costituzione “Officiorum”, cioè: “È vietato ai sacerdoti secolari, senza previo permesso dell’Ordinario, assumere la direzione di giornali o di periodici”. Del quale permesso, dopo ammonizione, sarà privato chiunque ne facesse cattivo uso. Circa quei sacerdoti, che hanno titoli di corrispondenti o collaboratori, poiché avviene non raramente che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti da modernismo, vedano i Vescovi che ciò non avvenga; e se avvenisse, ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso ammoniamo con ogni autorità che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: e se questi si mostrassero in ciò trascurati, provvedano i Vescovi, con autorità delegata dal Sommo Pontefice. I giornali e periodici pubblicati dai cattolici abbiano, per quanto sia possibile, un Censore determinato. Sarà obbligo di questo leggere integralmente e con attenzione i singoli fogli o fascicoli, dopo che sono stati pubblicati: se troverà qualcosa di pericoloso, ordinerà che sia corretto nel foglio o fascicolo successivo. Lo stesso diritto avrà il Vescovo, anche nel caso in cui il Censore non abbia reclamato.

V. Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici convegni, in cui i modernisti si adoprano di propalare e propagare le loro opinioni. I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di sacerdoti. Se avverrà che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo. A tali convegni, che dovranno permettersi solo di volta in volta e per iscritto e al momento adatto, non potrà intervenire alcun sacerdote di altra diocesi, se non porta una lettera di raccomandazione del proprio Vescovo. A tutti i sacerdoti poi non passi mai di mente ciò che Leone XIII raccomandava con parole gravissime (Lett. Enc. “Nobilissima Gallorum”, 10 febbraio 1884): “Sia intangibile presso i sacerdoti l’autorità dei propri Vescovi; si persuadano che il ministero sacerdotale, se non si esercita sotto la direzione del Vescovo, non sarà né santo, né molto utile, né rispettabile”.

VI. Ma che gioveranno, o Venerabili Fratelli, i Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osserveranno a dovere e con fermezza? Perché questo si ottenga, Ci è parso espediente estendere a tutte le diocesi ciò che i Vescovi dell’Umbria (Atti del Congr. dei Vescovi dell’Umbria, nov. 1849, tit. II, art. 6), molti anni or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: “Per estirpare – così essi dicono – gli errori già diffusi e per impedire che si diffondano ulteriormente, o che rimangano ancora maestri di empietà, attraverso i quali si perpetuano i perniciosi effetti originati da quella diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti controllare se e con quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e informarne il Vescovo, così che questi, raccolti i suggerimenti, possa prendere rimedi estinguendo il male già sul nascere, senza lasciare che si diffonda sempre più a rovina delle anime, e, ciò che è peggio, si rafforzi e cresca col passar del tempo”. Stabiliamo dunque che un siffatto Consiglio, che si chiamerà di vigilanza, si istituisca quanto prima in tutte le diocesi. I membri di esso si sceglieranno con le stesse norme già prescritte per i Censori dei libri. Ogni due mesi, in un giorno determinato, si radunerà in presenza del Vescovo: le cose trattate o stabilite saranno sottoposte a legge di segreto. I doveri degli appartenenti al Consiglio saranno i seguenti: Scrutino con attenzione gli indizi di modernismo tanto nei libri che nell’insegnamento; con prudenza, prontezza ed efficacia stabiliscano quanto è necessario per l’incolumità del clero e della gioventù. Combattano le novità di parole, e rammentino gli ammonimenti di Leone XIII (S. C. AA. EE. SS., 27 gennaio 1901): “Non si potrebbe approvare nelle pubblicazioni cattoliche un linguaggio che, ispirandosi a malsana novità, sembrasse deridere la pietà dei fedeli ed accennasse a un nuovo ordinamento della vita cristiana, a nuove prescrizioni della Chiesa, a nuove necessità dell’anima moderna, a nuova vocazione sociale del clero, a nuova civiltà cristiana, e molte altre cose di questo genere”. Non sopportino tutto questo, né nei libri né dalle cattedre. Non trascurino i libri nei quali si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre Reliquie. Non permettano che tali questioni si agitino nei giornali o in periodici destinati a fomentare la pietà, né con espressioni che sappiano di ludibrio o di disprezzo né con affermazioni definitive specialmente, come il più delle volte accade, quando ciò che si afferma o non passa i termini della probabilità o si basa su pregiudicate opinioni. Circa le sacre Reliquie si abbiano queste norme. Se i Vescovi, i quali sono i soli giudici in questa materia, sanno con certezza che una reliquia è falsa, la toglieranno senz’altro dal culto dei fedeli. Se le autentiche di una Reliquia qualsiasi sono andate smarrite o per i disordini civili o in altro modo, essa non si esponga alla pubblica venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione. L’argomento di prescrizione o di fondata presunzione avrà valore solo quando il culto sia commendevole per antichità: il che risponde al decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e sacre Reliquie, in questi termini: “Le Reliquie antiche sono da conservarsi nella venerazione che finora ebbero, salvo nel caso particolare in cui si abbiano argomenti certi che sono false o supposte”. Nel portar poi giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa materia fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione prescritta da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non per questo ammette la verità del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Così appunto la sacra Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent’anni addietro (Decreto 2 maggio 1877): “Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti”. Nessun timore può ammettere chi a questa regola si tenga. Infatti il culto di qualsiasi apparizione, quando riguarda il fatto stesso ed è detto relativo, ha sempre implicita la condizione della verità del fatto: quando invece è assoluto, si fonda sempre nella verità, giacché si dirige alle persone stesse dei santi che si onorano. Lo stesso vale delle Reliquie. Diamo mandato infine al Consiglio di vigilanza, di tener d’occhio assiduamente e diligentemente gl’istituti sociali come pure gli scritti di questioni sociali affinché non vi si celi nulla di modernista, ma ottemperino alle prescrizioni dei Romani Pontefici.

VII. Affinché le cose fin qui stabilite non vadano in dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poi ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall’autorità dell’Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi a riguardo dei loro sottoposti».

A queste cose, che chiaramente confermiamo tutte, pena un peso sulla coscienza per coloro che avranno rifiutato di ascoltare quanto detto, ne aggiungiamo altre, che sono specificamente riferite agli aspiranti sacerdoti che vivono nei Seminari e ai novizi degli istituti religiosi.

– Nei Seminari certamente occorre che tutte le parti dell’istituzione tendano al medesimo fine di formare un sacerdote degno di tale nome. Ed infatti non si può ritenere che simili tirocini si estendano solamente o agli studi o alla pietà. L’ammaestramento fonde in un tutto unico entrambi gli aspetti, ed essi sono simili a palestre finalizzate a formare la sacra milizia di Cristo con una preparazione duratura. Dunque affinché da essi esca un esercito ottimamente istruito, sono assolutamente necessarie due cose, la cultura per l’istruzione della mente, la virtù per la perfezione dell’anima. L’una richiede che la gioventù che si prepara al sacerdozio sia massimamente istruita in quelle scienze che hanno un legame più stretto con gli studi delle cose divine; l’altra esige una straordinaria eccellenza di virtù e di costanza. Vedano dunque i rettori quale aspettativa di disciplina e di pietà si possa nutrire riguardo agli allievi, e scrutino quale sia l’indole dei singoli; se seguono il loro istinto più giusto o se sembrano abbracciare delle disposizioni di spirito profane; se sono docili nell’obbedire, inclini alla pietà, umili, osservanti della disciplina; se aspirano alla dignità di sacerdote perché si sono prefissati il giusto obiettivo, o perché spinti da ragioni umane; se, infine, sono adeguatamente ricchi di santità di vita e di cultura; o se, mancando loro qualcosa di queste, si sforzano almeno di acquisirla con animo sincero e pronto. Né l’indagine presenta troppa difficoltà; giacché i doveri religiosi compiuti lamentandosi, e la disciplina osservata a causa del timore e non della voce della coscienza, rivelano immediatamente la mancanza delle virtù che ho elencato. Colui che tiene come principio il timore servile, o si infiacchisce per debolezza di carattere o disprezzo, è quanto mai lontano dalla speranza di poter esercitare santamente il sacerdozio. Infatti difficilmente si può credere che uno che disprezza le discipline domestiche non verrà poi meno alle leggi pubbliche della Chiesa. Se il rettore della scuola avrà individuato qualcuno con questa disposizione d’animo, e se, dopo averlo ammonito più volte, fatta una prova di un anno, avrà capito che quello non desiste dalla sua consuetudine, lo espella, in modo tale che in futuro non possa più essere accettato né da lui né da alcun Vescovo. – Dunque per promuovere i chierici si richiedano assolutamente queste due: l’onestà di vita unita alla sana dottrina. E non sfugga che quei precetti e moniti coi quali i Vescovi si rivolgono a coloro che stanno per ricevere gli ordini sacri, sono rivolti a questi non meno che a coloro che vi aspirano, allorché viene detto: “Si deve fare in modo che quelli scelti per tale compito siano illustri per saggezza spirituale, onestà di costumi e costante rispetto della giustizia … Siano onesti e assennati tanto nella scienza quanto nelle opere … splenda in essi la bellezza della santità nella sua interezza“. – E certamente dell’onestà di vita si sarebbe detto abbastanza, se questa potesse con poco sforzo essere separata dalla cultura e dalle opinioni, che ciascuno si sarà riservato di sostenere. Ma, come è nel Libro dei Proverbi: L’uomo è stimato secondo la sua cultura (Prov. XII, 8) e come insegna l’Apostolo: Chi… non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio (II Giov., 9). Quanto impegno sia da dedicare alle molte e varie cose da imparare bene, lo insegna persino la stessa pretesa dell’epoca attuale, la quale proclama che niente è più glorioso della luce dell’umanità che progredisce. Dunque quanti sono nelle file del clero, se vogliono dedicarsi al loro compito conformemente ai tempi; con frutto esortare gli altri nella sana dottrina e convincere quelli che la contraddicono (Tito, I,9); applicare le risorse dell’ingegno a vantaggio della Chiesa, devono necessariamente raggiungere una conoscenza delle cose tutt’altro che di basso livello, e avvicinarsi all’eccellenza nella cultura. Infatti c’è da lottare con nemici tutt’altro che inesperti, i quali aggiungono ai buoni studi un sapere spesso intessuto di trabocchetti, e le cui sentenze belle e vibranti sono proposte con grande abbondanza e rimbombo di parole, affinché in esse sembri risuonare quasi un qualcosa di esotico. Perciò bisogna predisporre opportunamente le armi, cioè, preparare abbondante foraggio di cultura per tutti coloro che, nella vita ritirata della scuola, si stanno accingendo ad assumere incarichi santissimi e difficilissimi. – E’ vero che, poiché la vita dell’uomo è circoscritta da limiti tali per cui da un fonte ricchissimo di conoscenze a stento è dato di assaggiare qualcosa a fior di labbra, bisogna anche temperare la sete di apprendimento e rammentare l’affermazione di Paolo: non è pio sapere tutto quanto necessita sapere, ma sapere in giusta misura (Rom. XII,3). Per cui, dato che ai chierici già sono imposti molti e pesanti studi, sia per quanto riguarda le sacre scritture, i fondamenti della Fede, le consuetudini, la conoscenza delle devozioni e delle celebrazioni, che vanno sotto il nome di ascetica, sia per quanto riguarda la storia della Chiesa, il diritto canonico, la sacra eloquenza; affinché i giovani non perdano tempo nel seguire altre questioni e non vengano distratti dallo studio principale, vietiamo del tutto a costoro la lettura di qualsiasi quotidiano e periodico, anche se ottimo, pena un onere sulla coscienza di quei rettori che non avranno vigilato scrupolosamente per impedirlo.

Inoltre per allontanare il sospetto che qualsiasi modernismo si introduca di nascosto, non solo vogliamo che siano assolutamente rispettate le cose prescritte sopra al n° II, ma comandiamo inoltre che ogni singolo insegnante, prima di cominciare le lezioni all’inizio dell’anno, mostri al suo Vescovo il testo che si propone di insegnare, o le questioni che tratterà, oppure le tesi; quindi che per quell’anno stesso sia tenuto sotto osservazione il metodo d’insegnamento di ciascuno; e se questo sembrerà allontanarsi dalla sana dottrina, sarà causa sufficiente per rimuovere quell’insegnante. Ed infine, che, oltre alla professione di fede, presti giuramento al suo Vescovo, secondo la formula sotto riportata, e firmi.

Questo giuramento, preceduto da una professione di fede nella formula prescritta dal Nostro Predecessore Pio IV, con allegate le definizioni del Concilio Vaticano, lo presteranno dunque davanti al loro Vescovo:

I. –  I chierici che stanno per ricevere gli ordini maggiori; ad essi singolarmente sia previamente consegnato un esemplare sia della professione di fede, sia della formula del giuramento da emettere, in modo che le conoscano in anticipo accuratamente, essendovi una sanzione, come si vedrà sotto, in caso di violazione del giuramento.

II.– I sacerdoti destinati a raccogliere le confessioni, e i sacri predicatori, prima che sia loro concessa facoltà di svolgere tali compiti.

III. I Parroci, i Canonici, i Beneficiari prima di entrare in possesso del beneficio.

Gli ufficiali nelle curie episcopali e nei tribunali ecclesiastici, inclusi il Vicario generale e i giudici.

Gli addetti ai sermoni che si tengono nei tempi quaresimali.

Tutti gli ufficiali nelle Congregazioni Romane o nei tribunali, in presenza del Cardinale Prefetto o del Segretario di quella Congregazione o di quel tribunale.

VII. I Superiori e i Docenti delle Famiglie e Congregazioni religiose, prima di assumere l’incarico. – I documenti della professione di fede, di cui abbiamo detto, e dell’avvenuto giuramento siano conservati in appositi registri presso le Curie episcopali, e parimenti presso gli uffici di ciascuna Congregazione Romana. Se poi qualcuno osasse, Dio non voglia, violare qualche giuramento, costui sia deferito al tribunale del Sant’Uffizio.

FORMULA DEL GIURAMENTO

Io … fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal Magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.

 Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.

 Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell’origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.

 Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.

 Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell’evoluzione dei dogmi da un significato all’altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.

 Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall’oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.

 Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell’enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.

 Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.

 Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.

 Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.

 Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell’aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro documento profano.

 Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c’è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.

 Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli Apostoli (S. Ireneo, Adversus hæreses, 4, 26, 2: PG 7, 1053), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (Tertulliano, De præscriptione hæreticorum, 28: PL 2, 40).

 Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.