UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XI – QUADRAGESIMO ANNO (2)

Continua l’analisi dettagliata della questione sociale secondo la dottrina della Chiesa Cattolica, dottrina che scaturisce dagli insegnamenti cristico-evangelici e dalla Tradizione apostolica. Nel contempo si denunciano le aberranti ideologie social-comuniste, di ispirazione gnostico-satanica, che oggi trionfano, dopo un’apparente eclissi politica, nel mondialismo di stampo massonico mascherato da governo unico mondiale e democrazia (o meglio demonocrazia) globalista, organismo asservito gli interessi dei kazari, i falsi Giudei che si pretendono tali ma … non lo sono, e che hanno infestato tutte le istituzioni nazionali e mondiali pseudo-filantropiche finanche falso-religiose, come appunto l’antichiesa del Novus Ordo e tutte le sette protestanti e sedevacantiste anticristiane, il cui obiettivo unico è la rimozione o la negazione del Vicario di Cristo, oggi impedito e sostituito da due caricature da opertetta buffa, “il gatto e la volpe” di memoria fiabesca come il burattino creato dall'”apprendista” Collodi impegnato nel descrivere il cammino nelle logge di perdizione. La lettera è un vero trattato di dottrina sociale e merita uno studio attento soprattutto da parte di coloro che reggono le sorti politiche, economiche e sociali dei popoli. La via del benessere materiale e spirituale è loro indicata con chiarezza ed infallibilità perenne. Chi non si atterrà, nel governo del popolo a queste direttive scaturite dalla tradizione divina, si apre la porta dell’inferno e l’apre ai suoi sottoposti che non hanno seguito la via salvifica indicata dal Verbo divino incarnato, anzi fanno già esperienza in anticipo della condizione infernale, come oggi tutti possiamo constatare nei Paesi apostati un tempo cristiani, in particolare nella nostra Italia, culla del Cristianesimo, terra del Vicario di Cristo estromesso il 26 ottobre del 1958, e che è quindi la prima a pagare un debito immenso per le colpe commesse e che commette tuttora contro il “dolce Cristo in terra”, S. S. Gregorio XVIII.

LETTERA ENCICLICA

QUADRAGESIMO ANNO (2)

DEL SOMMO PONTEFICE

PIO XI

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI

CHE HANNO PACE E COMUNIONE

CON LA SEDE APOSTOLICA,

SULLA RICOSTRUZIONE DELL’ORDINE SOCIALE

NEL 40° ANNIVERSARIO DELLA RERUM NOVARUM

(2)

III – MUTAZIONI PROFONDE DELLA SOCIETA’ DOPO LEONE XIII

100. E veramente profonde sono le mutazioni che dai tempi di Leone XIII in qua hanno subìto tanto il regime economico quanto il socialismo. E anzitutto, che le condizioni economiche siano profondamente trasformate è una cosa a tutti evidente. E voi sapete, venerabili Fratelli e diletti Figli, che il Nostro Predecessore di f. m. nella sua enciclica contemplava soprattutto quell’ordinamento economico con cui generalmente si contribuisce all’attività economica dagli uni col capitale, dagli altri con il lavoro, secondo che egli definiva con felice espressione: Non può esservi capitale senza lavoro né lavoro senza capitale (enc. Rerum novarum, n. l5).

1 – Mutazioni nell’ordinamento economico

a) relazioni fra capitale e operai

101. Orbene, Leone XIII adottò ogni mezzo per disciplinare questo ordinamento economico, secondo le norme della rettitudine; sicché è evidente che esso non è in sé da condannarsi. E infatti non è di sua natura vizioso: allora però viola il retto ordine, quando il capitale vincola a sé gli operai, ossia la classe proletaria, col fine e con la condizione di sfruttare a suo arbitrio e vantaggio le imprese e quindi l’economia tutta, senza far caso, né della dignità umana degli operai, né del carattere sociale dell’economia, né della stessa giustizia sociale e del bene comune.

102. Vero è che neppure oggi è questo il solo ordinamento economico vigente in ogni luogo; un’altra forma vi è che abbraccia ancora grande moltitudine di persone, importante per numero e potere, quale, ad esempio, la classe degli agricoltori, in cui la maggior parte del genere umano si procura con probo e onesto lavoro quanto è necessario alla vita. Anche essa ha le sue angustie e le sue difficoltà, alle quali allude il Nostro Predecessore in parecchi tratti della sua enciclica e Noi pure in questa vi abbiamo più di una volta accennato.

b) capitalismo industriale

103. Ma, l’ordinamento capitalistico dell’economia, col dilatarsi dell’industrialismo per tutto il mondo, dopo l’enciclica di Leone XIII si è venuto esso pure allargando per ogni dove, a tal punto da invadere e penetrare anche nelle condizioni economiche e sociali di quelli che si trovano fuori della sua cerchia, introducendovi in certo modo la sua impronta.

104. Perciò quando invitiamo a studiare le trasformazioni che l’ordinamento capitalistico dell’economia subì dopo il tempo di Leone XIII, non solamente procuriamo il bene di coloro che abitane in paesi dominati dal capitale e dall’industria, ma di tutto intero il genere umano.

c) concentrazione della ricchezza

105. E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento.

106. Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare.

107. Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica della economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza.

108. A sua volta poi la concentrazione stessa di ricchezze e di potenza genera tre specie di lotta per il predominio: dapprima si combatte per la prevalenza economica; di poi si contrasta accanitamente per il predominio sul potere politico, per valersi delle sue forze e della sua influenza nelle competizioni economiche; infine si lotta tra gli stessi Stati, o perché le nazioni adoperano le loro forze e la potenza politica a promuovere i vantaggi economici dei propri cittadini, o perché applicano il potere e le forze economiche a troncare le questioni politiche sorte fra le nazioni.

d) funeste conseguenze

109. Ultime conseguenze dello spirito individualistico nella vita economica sono poi quelle che voi stessi, venerabili Fratelli e diletti Figli, vedete e deplorate; la libera concorrenza cioè si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è sottentrata la egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l’economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele. A ciò si aggiungono i danni gravissimi che sgorgano dalla deplorevole confusione delle ingerenze e servizi propri dell’autorità pubblica con quelli della economia stessa: quale, per citarne uno solo tra i più importanti, l’abbassarsi della dignità dello Stato, che si fa servo e docile strumento delle passioni e ambizione umane, mentre dovrebbe assidersi quale sovrano e arbitro delle cose, libero da ogni passione di partito e intento al solo bene comune e alla giustizia. Nell’ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l’imperialismo economico; dall’altra non meno funesto ed esecrabile, l’internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene.

e) i rimedi

110. Ora, con quali mezzi si possa rimediare a un male così profondo, già l’abbiamo indicato nella seconda parte di questa enciclica, dove ne abbiamo trattato di proposito sotto l’aspetto dottrinale: qui ci basterà ricordare la sostanza del Nostro insegnamento. Essendo dunque l’ordinamento economico moderno fondato particolarmente sul capitale e sul lavoro, devono essere conosciuti e praticati i precetti della retta ragione, ossia della filosofia sociale cristiana, concernenti i due elementi menzionati e le loro relazioni. Così, per evitare l’estremo dell’individualismo da una parte, come del socialismo dall’altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro. Le relazioni quindi fra l’uno e l’altro devono essere regolate secondo le leggi di una esattissima giustizia commutativa, appoggiata alla carità cristiana. È necessario che la libera concorrenza, confinata in ragionevoli e giusti limiti, e più ancora che la potenza economica siano di fatto soggetti all’autorità pubblica, in ciò che concerne l’ufficio di questa. Infine le istituzioni dei popoli dovranno venire adattando la società tutta quanta alle esigenze del bene comune cioè alle leggi della giustizia sociale; onde seguirà necessariamente che una sezione così importante della vita sociale, qual è l’attività economica, verrà a sua volta ricondotta ad un ordine sano e bene equilibrato.

2 – Trasformazione del socialismo

111. Non meno profonda che quella dell’ordinamento economico è la trasformazione che dal tempo di Leone XIII ebbe il socialismo, con cui specialmente lottò il Nostro Predecessore. Allora infatti esso poteva quasi dirsi uno e propugnatore di principi dottrinali ben definiti o raccolti in un sistema: ora invece va diviso in due partiti principali, discordanti per lo più fra loro e inimicissimi, ma pur tali che nessuno dei due si scosta dal fondamento proprio di ogni socialismo, e contrario alla fede cristiana.

a) socialismo più violento o comunismo

112. Un partito infatti del socialismo andò soggetto alla trasformazione stessa che abbiamo spiegato sopra, rispetto all’economia capitalistica, e precipitò nel comunismo; il quale insegna e persegue due punti, né già per vie occulte o per raggiri, ma alla luce aperta e con tutti i mezzi, anche più violenti una lotta di classe la più accanita e l’abolizione assoluta della proprietà privata. E nel perseguire i due intenti non v’ha cosa che esso non ardisca, niente che rispetti: e dove si è impadronito del potere, si dimostra tanto più crudele e selvaggio, che sembra cosa incredibile e mostruosa. Di che sono prova le stragi spaventose e le rovine che esso ha accumulato sopra vastissimi paesi dell’Europa Orientale e dell’Asia. Quanto poi sia nemico dichiarato della santa Chiesa, e di Dio stesso, è cosa purtroppo dimostrata dall’esperienza e a tutti notissima. Non crediamo perciò necessario premunire i figli buoni e fedeli della Chiesa contro la natura empia e ingiusta del Comunismo; ma non possiamo tuttavia, senza un profondo dolore, vedere l’incuria e l’indifferenza di coloro che mostrano di non dar peso ai pericoli imminenti, e con una passiva fiacchezza lasciano che si propaghino per ogni parte quegli errori, da cui sarà condotta a morte la società tutta intera con le stragi e la violenza. Ma soprattutto meritano di essere condannati coloro che trascurano di sopprimere o trasformare quelle condizioni di cose, che esasperano gli animi dei popoli e preparano con ciò la via alla rivoluzione e alla rovina della società.

b) socialismo più mite

113. Più moderato è l’altro partito che ha conservato il nome di socialismo; giacché non solo professa di rigettare il ricorso alla violenza, ma se non ripudia la lotta di classe e l’abolizione della proprietà privata, la mitiga almeno con attenuazioni e temperamenti. Si direbbe quindi che, spaventato dei suoi principi e delle conseguenze che ne trae il comunismo, il socialismo si pieghi e in qualche modo si avvicini a quelle verità che la tradizione cristiana ha sempre solennemente insegnate; poiché non si può negare che le sue rivendicazioni si accostino talvolta, e molto da vicino, a quelle che propongono a ragione i riformatori cristiani della società.

c) la lotta di classe

114. La lotta di classe, infatti, quando si astenga dagli atti di inimicizia e dall’odio vicendevole, si trasforma a poco a poco in una onesta discussione, fondata nella ricerca della giustizia: discussione che non è certo quella felice pace sociale che tutti vagheggiano, ma che può e deve essere un punto di partenza per giungere alla mutua cooperazione delle classi. Così anche la guerra dichiarata alla proprietà privata si viene sempre più calmando e restringendosi a tal segno, che alla fine non viene più assalita in sé la proprietà dei mezzi di produzione, ma una certa egemonia sociale, che la proprietà contro ogni diritto si è arrogata e usurpata. E infatti tale supremazia non deve essere propria dei semplici padroni, ma del pubblico potere. Con ciò si può giungere insensibilmente fino al punto che le massime del socialismo più moderato non discordino più dai voti e dalle rivendicazioni di coloro che, fondati sui princìpi cristiani, si studiano di riformare la società umana. E in verità si può ben sostenere, a ragione, esservi certe categorie di beni da riservarsi solo ai pubblici poteri, quando portano seco una tale preponderanza economica, che non si possa lasciare in mano ai privati cittadini senza pericolo del bene comune.

115. Cotali giuste rivendicazioni e desideri non hanno più nulla che ripugni alla verità cattolica e molto meno sono rivendicazioni proprie del socialismo. Quelli dunque che a queste sole mirano, non hanno ragione di dare il nome al socialismo.

116. Né perciò si dovrà credere che quei partiti o gruppi di socialisti, che non sono comunisti, si siano ricreduti tutti a tal segno, o di fatto o nel loro programma. No, perché essi per lo più, non rigettano né la lotta di classe, né l’abolizione della proprietà, ma solo la vogliono in qualche modo mitigata. Senonché, essendosi i loro falsi princìpi così mitigati e in qualche modo cancellati, ne sorge, o piuttosto viene mosso da qualcuno, il dubbio: se per caso anche i princìpi della verità cristiana non si possano in qualche modo mitigare o temperare, per andare così incontro al socialismo e quasi per una via media accordarsi insieme. E vi ha di quelli che nutrono la vana speranza di trarre a noi in questo modo i socialisti. Vana speranza, diciamo. Quelli, infatti, che vogliono essere apostoli tra i socialisti, devono professare apertamente e sinceramente, nella sua pienezza e integrità, la verità cristiana, ed in nessuna maniera usare connivenza con gli errori. Che, se veramente vogliono essere banditori del Vangelo, devono studiarsi anzitutto di far vedere ai socialisti che le loro rivendicazioni, in quanto hanno di giusto, si possono molto più validamente sostenere coi princìpi della fede cristiana e molto più efficacemente promuovere con le forze della cristiana carità.

d) socialismo e Cristianesimo

117. Ma che dire nel caso che, rispetto alla lotta di classe e alla proprietà privata, il socialismo sia realmente così mitigato e corretto da non aver più nulla che gli si possa rimproverare su questi punti? Ha con ciò forse rinunziato ai suoi princìpi, alla sua natura contraria alla religione cristiana? Qui sta il punto, su cui molte anime si trovano esitanti. E non pochi sono pure i cattolici, i quali ben conoscendo come i princìpi cristiani non possono essere né abbandonati, né cancellati, sembrano rivolgere lo sguardo a questa Santa Sede e domandare con ansia, che decidiamo se questo socialismo si sia ricreduto dei suoi errori a tal segno, che senza pregiudizio di nessun principio cristiano, si possa ammettere e in qualche modo battezzare. Ora per soddisfare, secondo la Nostra sollecitudine paterna, a questi desideri, proclamiamo che il socialismo, sia considerato come dottrina, sia considerato come fatto storico, sia come « azione », se resta veramente socialismo, anche dopo aver ceduto alla verità e alla giustizia su questi punti che abbiamo detto, non può conciliarsi con gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Giacché il suo concetto della società è quanto può dirsi opposto alla verità cristiana.

118. Infatti, secondo la dottrina cristiana, il fine per cui l’uomo dotato di una natura socievole, si trova su questa terra, è questo che, vivendo in società e sotto un’autorità sociale ordinata da Dio (cfr. Rom 13,1), coltivi e svolga pienamente tutte le sue facoltà a lode e gloria del Creatore; e adempiendo fedelmente i doveri della sua professioni o della sua vocazione, qualunque sia, giunga alla felicità temporale ed insieme alla eterna. Il socialismo al contrario, ignorando o trascurando del tutto questo fine sublime, sia dell’uomo come della società, suppone che l’umano consorzia non sia istituito se non in vista del solo benessere.

119. Infatti, da ciò che una divisione conveniente del lavoro, più efficacemente che lo sforzo diviso degli individui, assicura la produzione, i socialisti deducono che l’attività economica, nella quale essi considerano solamente il fine materiale, deve per necessità essere condotta socialmente. E da siffatta necessità, secondo essi, deriva che gli uomini sono costretti, per ciò che riguarda la produzione, a sottomettersi interamente alla società; anzi il possedere una maggiore abbondanza di ricchezze che possa servire alle comodità della vita, è stimato tanto che gli si debbono posporre i beni più alti dell’uomo, specialmente la libertà, sacrificandoli tutti alle esigenze di una produzione più efficace. Questo pregiudizio dell’ordinamento « socializzato » della produzione portato alla dignità umana, essi credono che sarà largamente compensato dall’abbondanza dei beni, che gli individui ne ritrarranno per poterli applicare alle comodità e alle convenienze della vita secondo i loro piaceri. La società dunque, qual è immaginata dal socialismo, non può esistere né concepirsi disgiunta da una costrizione veramente eccessiva, e d’altra parte resta in balia di una licenza non meno falsa, perché mancante di una vera autorità sociale: poiché questa non può fondarsi sui vantaggi temporanei e materiali, ma solo può venire da Dio Creatore e fine ultimo di tutte le case (enc. Diuturnum del 9 giugno 1881).

120. Che se il socialismo, come tutti gli errori, ammette pure qualche parte di vero (il che del resto non fu mai negato dai Sommi Pontefici), esso tuttavia si fonda su una dottrina della società umana, tutta sua propria e discordante dal vero cristianesimo. Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini contraddittori: nessuno può essere buon cattolico ad un tempo e vero socialista.

121. Tutte queste verità pertanto, da Noi richiamate e confermate solennemente con la Nostra autorità, si debbono applicare del pari a una totale nuova forma o condotta del socialismo poco nota finora in verità, ma che al presente si va diffondendo tra molti gruppi di socialisti. Esso attende soprattutto a informare di sé gli animi e i costumi; particolarmente alletta sotto colore di amicizia la tenera infanzia per trascinarla, seco, ma abbraccia altresì la moltitudine degli uomini adulti; per formare in fine « l’uomo socialistico », sul quale vuole appoggiare l’umana società plasmata secondo le massime del socialismo.

122. Senonché, avendo Noi spiegato già largamente nella Nostra enciclica Divini illius Magistri su quali princìpi si fondi e quali fini intenda l’educazione cristiana (enc. Divini illius Magistri del 31 dicembre 1929), è tanto chiaro ed evidente che ad essi contraddice quanto fa e cerca il socialismo educatore, che non occorre altra dichiarazione. Ma quanto siano gravi e terribili i pericoli che questo socialismo porta seco, sembra che l’ignorino o non vi diano gran peso coloro che non si curano punto di resistervi con zelo e coraggio secondo la gravità della cosa. È Nostro dovere pastorale quindi mettere costoro in guardia dal danno gravissimo e imminente, e si ricordino tutti che di cotesto socialismo educatore è padre bensì il liberalismo, ma l’erede è e sarà il bolscevismo.

e) diserzione dei Cattolici verso il socialismo 

123. Da ciò, venerabili Fratelli, voi potete intendere, con quanto dolore vediamo, in taluni paesi specialmente, non pochi dei Nostri figli – di cui non possiamo persuaderci che abbiano abbandonato del tutto la vera fede e la buona volontà – aver disertato il campo della Chiesa per passare alle file del socialismo: gli uni professandosi apertamente socialisti e professandone le dottrine; gli altri per indifferenza, o anche con ripugnanza, per aggregarsi alle associazioni che si professano o sono di fatto socialistiche.

124. Con paterna ansietà Noi andiamo pensando e investigando come sia potuto accadere una tanta aberrazione, e Ci sembra di sentire che molti di essi Ci rispondano a loro scusa: la Chiesa e quelli che alla Chiesa si proclamano più aderenti, favoriscono i ricchi, trascurando gli operai e non se ne dànno pensiero alcuno: perciò questi hanno dovuto, al fine di provvedere a sé, aggregarsi alle schiere dei socialisti.

125. Ed è questa, senza dubbio, cosa ben lacrimevole, venerabili Fratelli, che vi siano stati e ancora vi siano di quelli che, dicendosi cattolici, quasi non ricordino la legge sublime della giustizia e della carità, la quale non solamente ci prescrive di dare a ciascuno quello che gli tocca, ma ancora di soccorrere ai nostri fratelli indigenti come a Cristo medesimo (Lett. di S. Giacomo, c. 2); e, cosa ancora più grave, per ansia di guadagno non temono di opprimere i lavoratori. E vi ha pure chi abusa della religione stessa, facendo del suo nome un paravento alle proprie ingiuste vessazioni per potersi sottrarre alle rivendicazioni pienamente giustificate degli operai. Noi non cesseremo mai di riprovare una simile condotta; poiché sono costoro la causa per cui la Chiesa, senza averlo punto meritato, ha potuto aver l’apparenza, e quindi essere accusata, di prendere parte per i ricchi e di non aver alcun senso di pietà per le pene di quelli che si trovano come diseredati della loro parte di benessere in questa vita. Ma che questa apparenza e questa accusa sia immeritata ed ingiusta, tutta la storia della Chiesa dà testimonianza; e l’enciclica stessa, di cui celebriamo l’anniversario, è la più splendida prova della somma ingiustizia di simili contumelie e calunnie, lanciate contro la Chiesa e i suoi insegnamenti.

f) paterno invito a ritornare

126. Ma per quanto provocati dagli insulti e trafitti nel cuore di padre, siamo ben lungi dal rigettare da Noi questi figli, sebbene così miseramente traviati e lontani dalla verità e dalla salvezza. Con tutto l’ardore anzi e con tutta la più viva sollecitudine li invitiamo a ritornare al materno seno della Chiesa. E Dio faccia che prestino orecchio alla Nostra voce! Ritornino donde sono partiti, alla casa cioè del Padre e ivi perseverino dove è il loro proprio luogo, tra le file cioè di quelli che seguendo gli insegnamenti di Leone XIII, da Noi ora solennemente rinnovati, si studiano di restaurare la società secondo lo spirito della Chiesa, rassodandovi la giustizia e la carità sociale. E si persuadano essi che non potranno mai trovare altrove una felicità maggiore, anche su questa terra, se non vicino a Colui che per amore nostro « essendo ricco, diventò povero, affinchè dalla povertà di Lui diventassimo ricchi » (2 Cor VIII, 9), che fu povero e in mezzo alle fatiche fino dalla sua giovinezza, che invita a sé tutti gli oppressi dalla fatica e dalle afflizioni per dar loro un pieno conforto nella carità del suo Cuore (Mt XI, 28); e che infine, senza accettazione di persone, richiederà di più da quelli ai quali avrà dato di più (cfr. Luc 12,48), e renderà a ciascuno secondo il suo operato (Mat XVI, 27).

3 – Rinnovamento dei costumi

127. Ma se consideriamo la cosa con più diligenza e più a fondo, chiaramente vediamo che a questa tanto desiderata restaurazione sociale deve precedere l’interno rinnovamento dello spirito cristiano, dal quale purtroppo si sono allontanati tanti di coloro che si occupano di cose economiche; se no, tutti gli sforzi cadranno a vuoto, non costruendosi l’edificio sulla roccia, ma su la mobile arena (cfr. Mat 7,24).

128. E infatti, venerabili Fratelli e diletti figli, abbiamo dato uno sguardo all’odierno ordinamento economico, e l’abbiamo trovato guasto profondamente. Di poi, richiamato a nuovo esame il comunismo e il socialismo, e tutte le loro forme, anche più mitigate, abbiamo trovato che sono molto lontani dagli insegnamenti del Vangelo.

129. Quindi, per usare le parole del Nostro Predecessore, se un rimedio si vuole dare alla società umana, questo non sarà altro che il ritorno alla vita e alle istituzioni cristiane (enc. Rerum novarum, n. 22). Giacché questo solo può distogliere gli occhi degli uomini affascinati e al tutto immersi nelle cose transitorie di questo mondo, e innalzarli al cielo: questo solo può portare efficace rimedio alla troppa sollecitudine per i beni caduchi, che è l’origine di tutti i vizi. Del quale rimedio chi può negare che la società umana non abbia al presente un sommo bisogno?

a) il principale disordine dell’odierno sistema: il danno delle anime

130. Tutti restano quasi unicamente atterriti dagli sconvolgimenti, dalle stragi, dalle rovine temporali. Ma se consideriamo i fatti con occhio cristiano, com’è dovere, che cosa sono tutti questi mali in paragone della rovina delle anime? Eppure si può dire senza temerità essere tale oggi l’andamento della vita sociale ed economica, che un numero grandissimo di persone trova le difficoltà più gravi nell’attendere a quell’uno necessario all’opera capitale fra tutte, quella della propria salute eterna.

131. Di queste innumerevoli pecorelle costituiti Pastore e Tutore dal Principe dei Pastori, che le redense col suo sangue, non possiamo contemplare con indifferenza tale sommo pericolo; che anzi, memori dell’ufficio pastorale, con paterna sollecitudine andiamo di continuo ripensando come recare ad esse aiuto, ricorrendo altresì allo studio indefesso di altri, che vi sono impegnati per debito di giustizia e di carità. Che cosa gioverebbe infatti che gli uomini con più saggio uso delle ricchezze si rendessero più capaci di fare acquisto anche di tutto il mondo, se poi ne ricevessero danno per l’anima? (cfr. Mat 15,26). Che cosa gioverebbe insegnar loro sicuri princìpi intorno alla economia, se poi si lasciano trascinare dalla sfrenata cupidigia e dal gretto amore proprio a tal segno che pur avendo udito gli ordini del Signore, abbiano poi a fare tutto all’opposto! (cfr. Fudic. 2,17).

b) cause del danno spirituale

132. Questa defezione della vita sociale ed economica dalla legge cristiana e l’apostasia che ne consegue di molti operai dalla fede cattolica, hanno la loro radice e la loro fonte negli affetti disordinati dell’anima, triste conseguenza del peccato originale che ha distrutto l’equilibrio meraviglioso delle facoltà umane; sicché l’uomo facilmente trascinato da perverse cupidigie, viene fortemente spinto ad anteporre i beni caduchi di questo mondo a quelli imperituri del cielo. Di qui una sete insaziabile di ricchezze e di beni temporali che, se in ogni tempo fu solita a spingere gli uomini a trasgredire le leggi di Dio e calpestare i diritti del prossimo, oggi col moderno ordinamento economico, offre alla fragilità umana incentivi assai più numerosi. E poiché l’instabilità della vita economica e specialmente del suo organismo, richiede uno sforzo sommo e continuo di quanti vi si applicano, alcuni vi hanno indurito la coscienza a tal segno che si danno a credere lecita l’aumentare i guadagni in qualsiasi modo e difendere poi con ogni mezzo dalle repentine vicende della fortuna le ricchezze accumulate con tanti sforzi. I facili guadagni, che l’anarchia del mercato apre a tutti, allettano moltissimi allo scambio e alla vendita, e costoro unicamente agognando di fare guadagni pronti e con minima fatica, con la sfrenata speculazione fanno salire e abbassare i prezzi secondo il capriccio e l’avidità loro, con tanta frequenza, che mandano fallite tutte le sagge previsioni dei produttori. Le disposizioni giuridiche poi, ordinate a favorire la cooperazione dei capitali, mentre dividono la responsabilità e restringono il rischio del negoziare, hanno dato ansa alla più biasimevole licenza; giacché vediamo che, scemato l’obbligo di dare i conti, viene attenuato il senso di responsabilità nelle anime, e sotto la coperta difesa di una società che chiamano anonima, si commettono le peggiori ingiustizie e frodi, e i dirigenti di queste associazioni economiche, dimentichi dei loro impegni, tradiscono non rare volte i diritti di quelli di cui avevano preso ad amministrare i risparmi. Né per ultimo si può omettere di condannare quegli ingannatori che, non curandosi di soddisfare alle oneste esigenze di chi si vale dell’opera loro, non si peritano invece di aizzare le cupidigie umane, per venirle poi sfruttando a proprio guadagno.

133. Questi così gravi inconvenienti non potevano essere emendati, o piuttosto prevenuti, se non da una severa disciplina morale, rigidamente mantenuta dall’autorità sociale. Ma questa purtroppo mancò. Infatti, avendo il nuovo ordinamento economico cominciato appunto quando le massime del razionalismo erano penetrate in molti e vi avevano messo radici, ne nacque in breve una scienza economica separata dalla legge morale; e per conseguenza alle passioni umane si lasciò libero il freno. Quindi avvenne che in molto maggior numero di prima furono quelli che non si diedero più pensiero di altro che di accrescere ad ogni costo la loro fortuna, e cercando sopra tutte le cose e in tutto i loro propri interessi, non si fecero coscienza neppure dei più gravi delitti contro gli altri. I primi poi che si misero per questa via larga. che conduce alla perdizione (cfr. Mat 7,13), trovarono molti imitatori della loro iniquità sia per l’esempio della loro appariscente riuscita, sia per il fasto insolito delle loro ricchezze, sia per il deridere che fecero, quasi vittima di scrupoli insulsi, la coscienza altrui, sia infine schiacciando i loro competitori più timorosi.

134. Così, traviando dal retto sentiero i dirigenti della economia, fu naturale che anche il volgo degli operai venisse precipitando nello stesso abisso, e ciò tanto più che molti sovraintendenti delle officine sfruttavano i loro operai, come semplici macchine, senza curarsi delle loro anime, anzi neppure pensando ai loro interessi superiori. E in verità fa orrore il considerare i gravissimi pericoli a cui sono esposti nelle moderne officine i costumi degli operai (dei giovani specialmente) e il pudore delle giovani e delle donne, gli impedimenti che spesso il presente ordinamento economico e soprattutto le condizioni affatto irrazionali dell’abitazione recano all’unione e alla intimità della vita di famiglia; alle difficoltà di santificare debitamente i giorni di festa; all’universale indebolimento di quel senso veramente cristiano, onde prima anche persone rozze e ignoranti, sapevano elevarsi ad alti ideali, laddove ora è sottentrata l’unica ansia di procacciarsi comecchessia la vita quotidiana. E così il lavoro corporale, che la divina Provvidenza, anche dopo il peccato originale, aveva stabilito come esercizio in bene del corpo insieme e dell’anima, si viene convertendo in uno strumento di perversione: la materia inerte, cioè esce nobilitata dalla fabbrica, le persone invece si corrompono e si avviliscono.

a) cristianizzazione della vita economica

135. A una strage così dolorosa di anime, che durando farà cadere a vuoto ogni sforzo di rigenerazione della società, non si può rimediare altrimenti se non col ritorno manifesto e sincero degli uomini alla dottrina evangelica, ai precetti cioè di Colui che solo ha parole di vita eterna (cfr. Giov VI, 70), e quindi parole tali che, passando cielo e terra, esse non passeranno mai (cfr. Mat. XXIV, 35). Così quanti sono veramente sperimentati nelle cose sociali, invocano con ardore quella che chiamano perfetta « realizzazione » della vita economica. Ma un tale ordinamento, che Noi pure ardentemente desideriamo e con fervido studio promuoviamo, riuscirà incompleto e imperfetto, se tutte le forme dell’attività umana amichevolmente non si accordano ad imitare ed a raggiungere, per quanto è dato all’uomo, la meravigliosa unità del disegno divino; quell’ordine perfetto, diciamo, che a gran voce la Chiesa proclama e la stessa retta ragione richiede: che cioè le cose tutte siano indirizzate a Dio come a primo supremo termine di ogni attività creata, e tutti i beni creati siano riguardati come semplici mezzi, dei quali in tanto si deve far uso in quanto conducono al fine supremo.

136. Né si deve credere che perciò le professioni lucrative siano meno stimate ovvero ritenute come poco conformi alla dignità umana. Al contrario, anzi, noi impariamo a riconoscere in esse con venerazione la manifesta volontà del Creatore, il quale ha posto l’uomo sulla terra perché la venga lavorando, facendola servire alle sue molteplici necessità. Né si proibisce a quelli che attendono alla produzione, l’accrescere nei giusti e debiti modi la loro fortuna; anzi la Chiesa insegna essere giusto che chiunque serve alla comunità e l’arricchisce con l’accrescere i beni della comunità stessa, ne divenga anch’egli più ricco, secondo la sua condizione, purché tutto ciò si cerchi col debito ossequio alla legge di Dio e senza danno dei diritti altrui e se ne faccia un uso conforme all’ordine della fede e della retta ragione.

137. Che se queste norme saranno da tutti, in ogni luogo e sempre mantenute, non solamente la produzione e l’acquisto dei beni, ma anche l’uso delle ricchezze, che ora si vede così spesso disordinato, verrà tosto ricondotto nei limiti della equità e della giusta distribuzione. Così alla sordida cupidigia dei soli interessi propri, che è l’obbrobrio e il grande peccato del nostro secolo, si opporrà davvero e col fatto la regola, soavissima insieme ed efficacissima, della moderazione cristiana, onde l’uomo deve cercare anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, ritenendo per certo che i beni temporali gli saranno dati per giunta, in quanto avrà bisogno, in forza della sicura promessa della liberalità divina (cfr. Mat VI, 33).

b) legge della carità

138. Se non che per assicurare appieno queste riforme, è necessario che si aggiunga alla legge della giustizia, la legge della carità la quale è il vincolo della perfezione (Col 3,14). Quanto dunque s’ingannano quei riformatori imprudenti, i quali solo curando l’osservanza della giustizia e della sola giustizia commutativa, rigettano con alterigia il concorso della carità! Certo, la carità non può essere chiamata a fare le veci della giustizia, dovuta per obbligo e iniquamente negata. Ma quando pure si supponga che ciascuno abbia ottenuto tutto ciò che gli spetta di diritto, resterà sempre un campo larghissimo alla carità. La sola giustizia, infatti, anche osservata con la maggiore fedeltà, potrà bene togliere di mezzo le cause dei conflitti sociali, non già unire i cuori e stringere insieme la volontà.

139. Ora tutte le istituzioni ordinate a consolidare la pace e promuovere il mutuo soccorso tra gli uomini, per quanto sembrino perfette, hanno il loro precipuo fondamento di sodezza nel legame vicendevole, delle volontà onde i soci vanno uniti fra loro; e mancando questo, come spesso vediamo per esperienza, riescono vane le migliori prescrizioni. Una vera intesa di tutti ad uno stesso bene comune non potrà dunque aversi altrimenti, che quando tutte le parti della società sentano di essere membri di una sola grande famiglia e figli di uno stesso Padre celeste, anzi di essere un solo corpo in Cristo e membri gli uni degli altri (Rom. XII, 20) in modo che se un membro patisce, patiscono insieme tutti gli altri (1 Cor. XII, 26). Allora soltanto i ricchi e gli altri dirigenti muteranno la primitiva loro freddezza verso i loro fratelli più poveri, in calda e operosa affezione; ne accoglieranno le giuste domande con volto benigno e cuore largo, e, al bisogno, ne perdoneranno anche cordialmente le colpe e gli errori. Gli operai poi, dal loro canto, deposto sinceramente ogni sentimento di odio e di invidia, che i fautori della lotta di classe sfruttano tanto astutamente, non solo non disdegneranno il posto loro assegnato dalla Provvidenza divina nella società umana, ma l’avranno anzi in gran pregio, perché ben consapevoli di cooperare davvero utilmente e onoratamente, ciascuno secondo il proprio grado e ufficio, al bene comune, e seguendo in ciò più da vicino gli esempi di Colui che, essendo Dio, ha voluto essere sulla terra un operaio e stimato figlio di operaio.

c) difficoltà dell’impresa

140. Da questa nuova diffusione pertanto dello spirito evangelico nel mondo, che è spirito di moderazione cristiana, e di carità universale, sorgerà, speriamo, quella piena e desideratissima restaurazione della umana società in Cristo e quella pace di Cristo nel regno di Cristo a cui fin dall’inizio del Nostro Pontificato abbiamo fermamente proposto di consacrare tutte le Nostre cure e la Nostra pastorale sollecitudine (cfr. lett. enc. Ubi arcano del 23 dicembre 1922). E voi pure, venerabili Fratelli, che insieme con Noi per mandato dello Spirito Santo governate la Chiesa di Dio (cfr. At XX, 28), con molto lodevole zelo allo stesso intento, come a cosa capitale e al presente più necessaria che mai, indefessamente lavorate, in tutte quante le parti del mondo, anche nei paesi delle sacre Missioni tra gl’infedeli. A voi dunque siano date le meritate lodi, ed insieme con voi a quelli tutti, siano chierici o laici, che vediamo con gioia esservi ogni giorno compagni e validi cooperatori della stessa opera grandiosa. Diciamo i diletti figli Nostri iscritti all’Azione Cattolica, i quali con particolare studio si occupano con Noi della questione sociale, in quanto questa spetta e compete alla Chiesa, per la sua stessa divina istituzione. E Noi li esortiamo tutti caldamente. nel Signore che non tralascino fatiche, non si lascino vincere da difficoltà, ma crescano ogni giorno più nello zelo e nel vigore (cfr. Deut XXXI, 7). Ardua, per certo, è l’impresa che loro proponiamo, giacché ben sappiamo che da una parte e dall’altra, sia tra le classi superiori come tra le inferiori della società, si oppongono in gran numero ostacoli e difficoltà da superare; ma non perciò si perdano essi di animo, né si lascino a nessun conto distogliere dal proposito. L’affrontare aspre battaglie è proprio dei cristiani; sostenere gravi fatiche è proprio di quelli che, quali buoni soldati di Cristo, lo seguono più da vicino (cfr. 2 Tim. II, 3).

141. Fidati, dunque, nell’onnipotente aiuto di Colui che vuole salvi gli uomini tutti (cfr. Tim. 2,4), procuriamo con tutte le forze di giovare a quelle anime infelici, lontane da Dio, e distaccandole dalle cure temporali, nelle quali troppo si avviluppano, insegniamo loro a volgere con fiducia il desiderio alle cose eterne. Il che talvolta si otterrà più agevolmente di quanto a prima vista non sembrava forse sperabile; poiché, se nell’intimo dell’uomo anche più rotto all’iniquità si nascondono, come favilla sotto la cenere, delle mirabili forze spirituali, testimoni non dubbi di quell’anima naturalmente cristiana, quanto più nel cuore di tanti altri che furono indotti in errore piuttosto per ignoranza e per le circostanze esteriori.

142. Del resto, alcuni lieti indizi di sociale rinnovamento si presagiscono già nelle stesse ordinate schiere degli operai, tra cui con somma Nostra allegrezza, vediamo anche folti stuoli di giovani cattolici, i quali con docilità ricevono le ispirazioni della grazia divina e con incredibile zelo si studiano di guadagnare a Cristo i propri compagni. Né meritano minor lode i capi delle associazioni operaie, i quali, posposti i propri interessi e unicamente solleciti del bene dei propri compagni si sforzano di conciliare e promuovere con prudenza le loro giuste rivendicazioni con la prosperità di tutta la maestranza, né per qualsivoglia impedimento o aspetto si lasciano rimuovere da questo nobile impiego. Che anzi vediamo pure in gran numero giovani destinati o per ingegno o per ricchezze ad occupare tra poco un bel posto tra i dirigenti della società, i quali si applicano con più intenso studio alle questioni sociali, e danno liete speranze di dedicarsi un giorno pienamente all’opera della restaurazione sociale.

d) la via da seguire

143. Le condizioni presenti, venerabili Fratelli, ci additano la via che occorre tenere. Come in altre età della storia della Chiesa, noi dobbiamo lottare con un mondo ricaduto in gran parte nel paganesimo. Ora per ricondurre a Cristo le classi diverse di uomini che l’hanno rinnegato, è necessario anzitutto scegliere nel loro seno e formare ausiliari della Chiesa, che ne comprendano lo spirito e i desideri e sappiano parlare ai loro cuori con senso di fraterno amore. I primi ed immediati apostoli degli operai, devono essere operai; industriali e commercianti, gli apostoli degli industriali e degli uomini di commercio.

144. A Voi soprattutto, venerabili Fratelli, e al vostro Clero spetta cercare con diligenza, scegliere con prudenza, formare ed istruire con opportunità questa schiera di laici apostoli, sia di operai come di padroni. Un’opera certamente ardua s’impone ai sacerdoti, e per sostenerla, tutti quelli che crescono nelle speranze della Chiesa, debbono venirsi preparando con lo studio assiduo delle cose sociali. Ma soprattutto è necessario che quelli da Voi applicati in modo particolare a questo ministero, si mostrino tali, cioè forniti di tanto squisito senso di giustizia, da opporsi con una costanza del tutto virile, alle rivendicazioni esorbitanti ed alle ingiustizie, da qualunque parte vengano; è necessario che siano segnalati per prudenza e discrezione lontana da qualsiasi esagerazione; ma specialmente che siano intimamente compenetrati della carità di Cristo, che sola vale a sottomettere con forza e soavità i cuori e le volontà degli uomini alle leggi della giustizia e dell’equità. Questa è la via già più di una volta raccomandata dal felice esito, e che ora si deve seguire con ogni alacrità e senza titubanze.

145. Quanto poi ai cari figli Nostri scelti ad un’opera così grande, vivamente li esortiamo nel Signore a consacrarsi totalmente alla formazione delle anime loro affidate; e nell’adempimento di questo ufficio il più sacerdotale ed apostolico, con opportunità si avvalgano di tutti i mezzi più efficaci dell’educazione cristiana, come istruzione della gioventù, istituzione di cristiane associazioni, fondazioni di circoli di studio, conformi alla regola della fede. Ma soprattutto facciano grande stima e applichino al bene dei loro discepoli quel mezzo preziosissimo di rinnovamento individuale e sociale che Noi abbiamo additato negli Esercizi spirituali con l’enciclica Mens Nostra. Nella quale enciclica abbiamo esplicitamente ricordato e caldamente raccomandato, con gli Esercizi a pro dei laici tutti, anche i Ritiri in specie utilissimi per gli operai (enc. Mens Nostra del 20 dicembre 1929). In questa scuola dello spirito infatti non solo si formano gli ottimi cristiani, ma anche si addestrano i veri apostoli per qualsiasi condizione di vita, riscaldandosi alla fiamma del Cuore di Gesù Cristo. Da questa scuola, come gli Apostoli dal Cenacolo di Gerusalemme, usciranno uomini fortissimi nella fede, di costanza invitta nelle persecuzioni, ardenti di zelo e premurosi unicamente di propagare per ogni dove il regno di Cristo.

146. E certamente, ai nostri tempi più che mai si ha bisogno di tali valorosi soldati di Cristo che si affatichino con tutte le forze a preservare la famiglia umana dalla spaventosa rovina che la incoglierebbe, se, col disprezzo degli insegnamenti del Vangelo, si lasciasse prevalere un ordine di cose che conculcano le leggi della natura non meno che quelle di Dio. La Chiesa di Cristo, edificata sulla pietra incrollabile, non ha nulla da temere per sé, ben sapendo che le porte dell’inferno non prevarranno mai contro di essa (cfr. Mat XVI, 18); sicura come è, per la prova dell’esperienza di tanti secoli, che dalle tempeste anche più violente uscirà sempre più forte e gloriosa di nuovi trionfi. Ma il suo cuore di madre non può non commuoversi ai mali innumerevoli che queste tempeste accumulerebbero sopra migliaia di uomini, e soprattutto agli enormi danni spirituali che ne sgorgherebbero a rovina di tante anime redente dal sangue di Cristo.

147. Tutto, dunque, deve essere tentato per distogliere la società umana da mali così grandi. A ciò debbono tendere le nostre fatiche, a ciò le nostre cure e le nostre continue e ferventi preghiere a Dio. Perché mediante il soccorso della grazia divina noi abbiamo in mano la sorte della famiglia umana.

148. Non permettiamo dunque, venerabili Fratelli e diletti Figli, che i figliuoli di questo secolo si mostrino più accorti, nel loro genere, di noi i quali per divina bontà siamo i figliuoli della luce (cfr. Luc XVI, 18). Noi infatti vediamo con quale meravigliosa sagacia si adoperino a scegliersi aderenti operosi e formarseli atti a diffondere sempre più largamente i loro errori fra tutte le classi e in tutte le parti del mondo. Quando poi prendono ad impugnare la Chiesa di Cristo, li vediamo mettere a tacere le varie loro interne dissezioni e costituire come un solo concorde esercito per raggiungere con l’unione delle forze il comune intento.

e) unione e cooperazione di tutti i buoni

149. Ora, nessuno certamente ignora a quante e quanto grandi opere si stenda dappertutto l’indefesso zelo dei cattolici, sia in ordine al bene sociale ed economico, sia in materia scolastica e religiosa. Ma questa azione mirabile e faticosa non di rado perde di efficacia per la troppa dispersione delle forze. Si uniscano dunque tutti gli uomini di buona volontà quanti sotto la guida dei Pastori della Chiesa amano di combattere questa buona e pacifica battaglia di Cristo; e tutti, sotto la guida ed il magistero della Chiesa, secondo il genio, le forze, la condizione di ciascuno, cerchino di contribuire in qualche misura a quella cristiana restaurazione della società, che Leone XIII auspicò con l’immortale enciclica Rerum novarum; non mirando a se stesso e agli interessi propri, ma a quelli di Gesù Cristo (cfr. Fil 2,21); non, pretendendo di imporre le proprie idee, comunque belle ed opportune esse sembrino, ma mostrandosi disposti a rinunziarvi per il bene comune, affinché in tutto e soprattutto Cristo regni, Cristo imperi, e al quale sia onore e gloria e potere nei secoli (cfr. Apoc V, 13).

Benedizione finale

150. E perché così felicemente avvenga, a Voi tutti, venerabili Fratelli e diletti figli, quanti fate parte dell’immensa famiglia cattolica a Noi affidata, ma con un particolare affetto del Nostro cuore agli operai e a quanti altri lavorano nelle arti manuali, dalla divina Provvidenza a Noi più vivamente raccomandati, come pure ai padroni ed imprenditori cristiani, impartiamo con paterno amore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso san Pietro, il 15 maggio 1931, anno decimo del Nostro Pontificato.

PIO PP. XI

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XI – “QUADRAGESIMO ANNO” (1)

Questa Lettera Enciclica « Quadragesimo anno » [che, per la sua lunghezza, divideremo in due parti], è uno dei documenti ecclesiastici più importanti dell’era moderna riguardanti la questione sociale, questione che è come il compendio, il corollario dell’azione della Chiesa sul Corpo mistico che Essa è chiamata a regolare dall’alto del suo Magistero divinamente ispirato, e che scaturisce dagli insegnamenti evangelici applicati al bene civile e materiale, ma soprattutto al bene spirituale ed ai fini salvifici dei popoli dell’orbe terrestre. Quanti spunti meravigliosi di riflessione per tutti, governanti, ricchi industriali, operai modesti e famiglie intere di ogni condizione.! Il richiamo alla Rerum Novarum di S. S. Leone XIII è costante proponendosi, la nuova enciclica, come la naturale e retta evoluzione pratica della stessa per i tempi mutati del primo dopoguerra. La lettera si commenta largamente da sola, a noi resta il rammarico di vedere che la Chiesa eclissata attuale non possa, per divina permissione a nostro castigo, reggere e dirigere adeguatamente le questioni morali e sociali che rapidamente si vanno ponendo in un mondo corrotto che corre come un cavallo impazzito senza freno verso la sua eterna catastrofe, illuso ed abbagliato dalle luci spettrali che le sette infernali spandono in combutta con gli adepti dell’infame “palla di sterco” dell’antichiesa del novus ordo (senza escludere sedevacantisti, lefebvriani e cani sciolti senza capezza… ), che impedisce alla luce della Chiesa vera e al Santo Padre impedito di risplendere a perenne guida dei popoli. Ma i loro bagliori social-mondialisti – ultimo ritrovato del dragone infernale – avranno presto fine e si spegneranno nello stagno di fuoco che li brucerà tutti, le bestie laiche e finto-clericale, i falsi profeti usurpanti, i kazari tronfi e malati della rabbia impotente del perdente finale, perché sanno in cuor loro che … infine il Cuore di Maria, la Santissima Madre di Dio, trionferà schiacciandoli – col candido verginale tallone – come vermi schifosi.

LETTERA ENCICLICA

QUADRAGESIMO ANNO

DEL SOMMO PONTEFICE

PIO XI

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA,

SULLA RICOSTRUZIONE DELL’ORDINE SOCIALE NEL 40° ANNIVERSARIO DELLA RERUM NOVARUM

(1)

INTRODUZIONE

1. Quarant’anni sono passati dalla pubblicazione della magistrale enciclica Rerum novarum di Leone XIII, Nostro Predecessore di v. m., e tutto il mondo cattolico, mosso da un impeto di calda riconoscenza, ha preso a celebrarne la commemorazione con uno splendore degno del memorabile documento.

2. Vero è che a quell’insigne testimonianza di sollecitudine pastorale il Nostro Predecessore aveva già in certo modo spianata la via con altre encicliche, come quella sui fondamenti della società umana, la famiglia cioè e il venerando Sacramento del matrimonio (enc. Arcanum del 10 febbraio 1880); sull’origine del potere civile (enciclica Diuturnum del 29 giugno 1881); sull’ordine delle sue relazioni con la Chiesa (enc. Immortale Dei del 1° novembre 1885); sui principali doveri del cittadino cristiano (enc. Sapientiae Christianæ del 10 gennaio 1890); contro gli errori del socialismo (enc. Quod apostolici muneris del 28 dicembre 1878) e la prava dottrina intorno all’umana libertà (enc. Libertas del 20 giugno 1888) e altre di ugual genere, dove Leone XIII aveva già espresso ampiamente il suo pensiero. Ma l’enciclica Rerum novarum, rispetto alle altre, ebbe questo di proprio, che allora appunto quando ciò era sommamente opportuno e anzi necessario, diede a tutto il genere umano norme sicurissime, per la debita soluzione degli ardui problemi della società umana, che vanno sotto il nome di questione sociale.

L’occasione della « Rerum Novarum »

3. E veramente, verso la fine del secolo XIX, il nuovo sistema economico da poco introdotto e i nuovi incrementi dell’industria erano giunti a far sì che la società in quasi tutte le nazioni apparisse sempre più recisamente divisa in due classi: l’una, esigua di numero, che godeva di quasi tutte le comodità in sì grande abbondanza apportate dalle invenzioni moderne; l’altra, composta da una immensa moltitudine di operai i quali, oppressi da rovinosa penuria, indarno s’affannavano per uscire dalle loro strettezze.

4. A tale condizione di cose non trovavano certo difficoltà ad adattarsi coloro che, ben forniti di ricchezze, la ritenevano effetto necessario delle leggi economiche e perciò volevano affidata soltanto alla carità la cura di sovvenire agli indigenti, come se alla carità toccasse l’obbligo di stendere un velo sulla violazione manifesta della giustizia, sebbene tollerata non solo, ma talvolta sancita dai legislatori. Ma di tale condizione invece erano più che mai insofferenti gli operai oppressi dalla ingiusta sorte e perciò ricusavano di restare più a lungo sotto quel giogo troppo pesante. Alcuni perciò, abbandonandosi all’impeto di malvagi consigli, miravano a una totale rivoluzione della società, mentre altri, trattenuti da una solida educazione cristiana a non trascorrere in così insani propositi, persistevano tuttavia nel credere che molte cose in questa materia fossero da riformare interamente e al più presto.

5. Né altrimenti pensavano quei molti Cattolici, e sacerdoti e laici, i quali, mossi da un sentimento di una carità certamente ammirabile, si sentivano già da lungo tempo sospinti a lenire l’immeritata indigenza dei proletari, né riuscivano in alcun modo a persuadersi come un così forte e ingiusto divario nella distribuzione dei beni temporali potesse davvero corrispondere ai disegni del sapientissimo Creatore.

6. In tale disordine lacrimevole della società essi cercavano bensì con sincerità un pronto rimedio e una salda difesa contro i pericoli peggiori: ma per la fiacchezza della mente umana anche nei migliori, vedendosi respinti da una parte quasi perniciosi novatori, dall’altra intralciati dagli stessi compagni di opere buone, ma seguaci di altre idee, esitando tra le varie opinioni, non sapevano dove rivolgersi.

7. In così grande urto e dissenso di animi, mentre dall’una parte e dall’altra si dibatteva, e non sempre pacificamente, la controversia, gli occhi di tutti, come in tante altre occasioni, si volgevano alla Cattedra di Pietro, deposito sacro di ogni verità, da cui si diffondono le parole di salute in tutto il mondo; e accorrendo, con insolita frequenza, ai piedi del Vicario di Cristo in terra, sì gli studiosi di cose sociali, come i datori di lavoro e gli stessi operai, andavano supplicando unanimi perché fosse loro finalmente additata una via sicura.

8. Tutto ciò il prudentissimo Pontefice ponderò a lungo tra sé al cospetto di Dio, richiese consiglio ai più esperti, vagliò attentamente gli argomenti che si portavano da una parte e dall’altra, e in ultimo, ascoltando la voce della coscienza dell’ufficio Apostolico (enc. Rerum novarum del 15 maggio 1891), per non sembrare, tacendo, di mancare al proprio dovere (cfr. Rerum novarum n. 13), deliberò in virtù del divino Magistero, a lui affidato, di rivolgere la parola a tutta la Chiesa, anzi a tutta l’umana società.

9. Risonò dunque, il 15 maggio 1891, quella tanto desiderata voce, la quale, non atterrita dalle difficoltà dell’argomento, né affievolita dalla vecchiaia, ma anzi rafforzata da ridestato vigore, ammaestrò l’umana famiglia a tentare nuove vie in materia di dottrina sociale.

Punti fondamentali della « Rerum Novarum »

10. Voi conoscete, venerabili Fratelli e diletti Figli, anzi avete familiare la mirabile dottrina onde l’enciclica Rerum novarum resterà gloriosa nei ricordi dei secoli. In essa l’ottimo Pastore, lamentando che una sì grande parte degli uomini, si trovano ingiustamente in uno stato misero e calamitoso, con animo invitto prende a tutelare egli stesso in persona la causa degli operai che le circostanze hanno consegnati soli e indifesi alla inumanità dei padroni e alla sfrenata cupidigia della concorrenza (enc. Rerum novarum, n. 2), senza chiedere aiuto alcuno né al liberalismo né al socialismo, dei quali l’uno si era mostrato affatto incapace di dare soluzione legittima alla questione sociale, l’altro proponeva un rimedio che, di gran lunga peggiore del male, avrebbe gettato in maggiori pericoli la società umana.

11. Il Pontefice, dunque, nel pieno esercizio del suo diritto e quale buon custode della Religione e dispensatore di quanto con essa in stretto vincolo si connette, trattandosi di un problema del quale nessuna soluzione plausibile si potrebbe dare, senza richiamarsi alla Religione e alla Chiesa (cfr. enc. Rerum novarum, n. 13), partendo unicamente dagli immutabili principi attinti dal tesoro della retta ragione e della divina Rivelazione, con tutta sicurezza e come avente autorità (Mt VII,29), indicò e proclamò i diritti e i doveri dai quali conviene che vicendevolmente si sentano vincolati e ricchi e proletari, e capitalisti e prestatori d’opera (enc. Rerum novarum, n. 12), come pure le parti rispettive della Chiesa, dei poteri pubblici e anche di coloro che più vi si trovano interessati.

12. Né quella voce apostolica risonò invano; che anzi l’udirono con stupore e l’accolsero con il più grande fervore non solo i figli obbedienti della Chiesa, ma anche un buon numero di uomini lontani dalla verità e dall’unità della fede e quasi tutti coloro che d’allora in poi s’occuparono della questione sociale ed economica, sia come studiosi privati, sia come pubblici legislatori.

13. Ma più di tutti accolsero con giubilo quell’enciclica gli operai cristiani, i quali si sentirono patrocinati e difesi dalla più alta Autorità della terra, e tutti quei generosi, i quali già da lungo tempo sollecitati di recare sollievo alla condizione degli operai, sino allora non avevano trovato quasi altro che la noncuranza degli uni e persino gli odiosi sospetti, per non dire l’aperta ostilità di molti altri. Meritatamente, dunque, tutti costoro d’allora in poi tennero sempre in tanto onore quell’enciclica che è venuto in uso di commemorarla ogni anno nei vari paesi con varie manifestazioni di gratitudine.

14. Tuttavia la dottrina di Leone XIII, così nobile, così profonda e così inaudita al mondo, non poteva non produrre anche in alcuni Cattolici una certa impressione di sgomento, anzi di molestia e per taluni anche di scandalo. Essa infatti affrontava coraggiosamente gli idoli del liberalismo e li rovesciava, non teneva in nessun conto pregiudizi inveterati, preveniva i tempi oltre ogni aspettazione; ond’è che i troppo tenaci dell’antico disdegnavano questa nuova filosofia sociale, i pusillanimi paventavano di ascendere a tanta altezza; taluno anche vi fu, che pure ammirando questa luce, la riputava come un ideale chimerico di perfezione più desiderabile che attuabile.

Scopo della presente enciclica

15. Per queste ragioni, venerabili Fratelli e diletti Figli, mentre con tanto ardore da tutto il mondo, e specialmente dagli operai cattolici, che d’ogni parte convengono in quest’alma Città, si va solennemente celebrando la commemorazione del quarantesimo anniversario della enciclica Rerum novarum, stimiamo opportuno di servirCi di questa ricorrenza, per ricordare i grandi beni che da quella enciclica ridondarono alla Chiesa, anzi a tutta l’umana società; per rivendicare la dottrina di tanto Maestro sulla questione sociale ed economica, contro alcuni dubbi sorti in tempi recenti e per svolgerla con maggior ampiezza in questo o in quel punto; e infine, dopo una accurata disamina dell’economia moderna e del socialismo, per scoprire la radice del presente disagio sociale, e insieme additare la sola via di una salutare restaurazione, cioè la cristiana riforma dei costumi.

Queste cose, che ci proponiamo di trattare, costituiranno i tre punti, nell’esposizione dei quali si svolgerà tutta intera la presente enciclica.

I – Frutti dell’enciclica « RERUM NOVARUM »

16. E anzitutto, per cominciare di là donde avevamo appunto in animo di esordire, seguendo l’avvertimento di sant’Ambrogio che diceva non esservi nessun dovere maggiore del ringraziare (S. Ambrogio, De excessu fratris sui Satyri, lib. I, 44), non possiamo trattenerci dal rendere amplissime grazie a Dio onnipotente per gli insigni benefici dell’enciclica Leoniana, provenuti alla Chiesa e all’umana società. I quali benefici se volessimo anche di volo accennare, dovremmo richiamare alla memoria quasi tutta la storia dell’ultimo quarantennio per quanto riguarda la questione sociale. Ma li possiamo tutti ridurre a tre capi principali, secondo le tre classi di aiuti che il Nostro Antecessore desiderava per il compimento della sua grande opera restauratrice.

1 – L’opera della Chiesa

17. In primo luogo lo stesso Leone XIII aveva splendidamente dichiarato che cosa si dovesse aspettare dalla Chiesa: Difatti la Chiesa è quella che trae dal Vangelo dottrine atte a comporre o certo a rendere assai meno aspro il conflitto; essa procura con gli insegnamenti suoi, non pur di illuminare la mente, ma d’informare la vita e i costumi di ognuno; essa con un gran numero di benefiche istituzioni migliora le condizioni medesime del proletario (enc. Rerum novarum, n. 13).

a) nella dottrina

18. Ora la Chiesa non lasciò stagnare nell’inerzia queste preziose fonti, ma a esse attinse copiosamente per il bene comune della pace desiderata. Lo stesso Leone, infatti, e i suoi Successori non desistettero mai dal proclamare e inculcare ripetutamente, ora a voce, ora con gli scritti, la dottrina stessa dell’enciclica Rerum novarum sulle materie sociali ed economiche, e adattarla opportunamente secondo le esigenze delle circostanze dei tempi, mostrando sempre carità di padri e costanza di pastori nella difesa massima dei poveri e dei deboli. Lo stesso fecero tanti Vescovi, spiegando la medesima dottrina con assiduità e saggezza, chiarendola con i loro commenti, e applicandola alle condizioni dei paesi diversi, giusta la mente e le istruzioni della Santa Sede.

19. Non fa quindi meraviglia che sotto il Magistero e la guida della Chiesa molti uomini dotti, ecclesiastici e laici, prendessero a trattare con ardore la scienza sociale ed economica secondo le esigenze dei nostri tempi, mossi particolarmente dall’intento di opporre con più efficacia la dottrina immutata e immutabile, della Chiesa alle nuove necessità.

20. Così, additata e rischiarata la via dall’enciclica Leoniana, ne sorse una vera sociologia cattolica, che viene ogni giorno alacremente coltivata e arricchita da quelle scelte persone che abbiamo chiamato ausiliari della Chiesa. E questi non la lasciano già confinata all’ombra di eruditi convegni, ma la espongono alla pubblica luce, come ne danno splendida prova le scuole istituite e frequentate con molta utilità nelle Università cattoliche, nelle Accademie, nei Seminari; e i congressi o « settimane » sociali, tenuti con una certa frequenza e fecondi di lieti frutti; e l’istituzione di circoli di studi e infine la larga e industriosa diffusione di scritti sani e opportuni.

21. Né va ristretto a questi limiti il bene derivato dal documento Leoniano; perché gli insegnamenti della enciclica Rerum novarum a poco a poco fecero breccia anche in persone che, stando fuori della cattolica unità, non riconoscono il potere della Chiesa; sicché i principi cattolici della sociologia penetrarono a poco a poco nel patrimonio di tutta la società. E non raramente avviene che le eterne verità, tanto altamente proclamate dal Nostro Predecessore di f. m., non solamente siano riferite e sostenute in giornali e libri anche Cattolici, ma altresì nelle Camere legislative e nelle aule dei Tribunali.

22. Che più? Dopo l’immane guerra, quando i governanti delle nazioni principali, al fine di reintegrare una vera e stabile pace con un totale riassetto delle condizioni sociali, ebbero sancito fra le altre norme allora stabilite quelle che dovevano regolare secondo equità e giustizia il lavoro degli operai, tra quelle norme non ne ammisero forse molte, così concordanti coi principi e i moniti Leoniani, da sembrare di proposito dedotte da quelli? E veramente l’enciclica Rerum novarum resta un monumento memorando a cui si possono applicare con diritto le parole di Isaia: Alzerà un vessillo alle nazioni (Is. 11, 12).

b) nella pratica applicazione

23. Frattanto, mentre le prescrizioni Leoniane, previe le investigazioni scientifiche, avevano larga diffusione nelle menti, si venne pure alla loro applicazione pratica. E anzitutto con un’operosa benevolenza si rivolsero tutte le cure alla elevazione di quella classe di uomini, che, per i moderni progressi dell’industria cresciuti immensamente, non occupava ancora nella società umana un posto o grado conveniente, e perciò giaceva quasi trascurata e disprezzata; la classe operaia, diciamo, alla cui cultura, seguendo l’esempio dell’Episcopato, lavorarono assai alacremente con gran profitto delle anime, sacerdoti dell’uno e dell’altro clero, quantunque già sopraffatti da altre cure pastorali. E questa costante fatica, intrapresa per informare a spirito cristiano gli operai, proponendo loro con chiarezza i diritti e i doveri della propria classe, giovò pure in gran maniera a renderli più consapevoli della loro vera dignità e abili a progredire per vie legittime e feconde nel campo sociale ed economico, e a divenire altresì guide degli altri.

24. Quindi un più sicuro rifornimento di più copiosi mezzi di vita; giacché non solo si moltiplicarono mirabilmente le opere di beneficenza e di carità secondo le esortazioni del Pontefice, ma si vennero pure istituendo dappertutto associazioni nuove e sempre più numerose nelle quali, col consiglio della Chiesa e per lo più sotto la guida di sacerdoti, si danno e ricevono mutua assistenza e aiuto operai, artieri, contadini, salariati di ogni specie.

2 – L’opera dello Stato

25. Quanto al potere civile, Leone XIII, superando arditamente i limiti segnati dal liberalismo, insegna coraggiosamente che esso non è puramente un guardiano dell’ordine e del diritto, ma deve adoperarsi in modo che con tutto il complesso delle leggi e delle politiche istituzioni ordinando e amministrando lo Stato, ne risulti naturalmente la pubblica e privata prosperità (enc. Rerum novarum, n. 26). E’ bensì vero che si deve lasciare la loro giusta libertà di azione alle famiglie e agli individui, ma questo senza danno del pubblico bene e senza offesa di persona. Spetta poi ai reggitori dello Stato difendere la comunità e le parti di essa, ma nella protezione dei diritti stessi dei privati si deve tener conto principalmente dei deboli e dei poveri. Perché, come dice il Nostro Antecessore, il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa: le misere plebi invece, che mancano di sostegno proprio, hanno somma necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. E però agli operai, che sono nel numero dei deboli e bisognosi, deve lo Stato a preferenza rivolgere le cure e la provvidenza sua (enciclica Rerum novarum, n. 29).

26. Non neghiamo che alcuni reggitori di popoli, anche prima dell’enciclica di Leone XIII, provvidero ad alcune necessità più urgenti degli operai e repressero le ingiustizie più atroci a loro fatte. Ma è certo che allora finalmente, quando risonò dalla Cattedra di Pietro la parola pontificia per tutto il mondo, i reggitori dei popoli, fatti più consci del proprio dovere, rivolsero i pensieri e l’attenzione loro a promuovere una più intensa politica sociale.

27. In verità l’enciclica Rerum novarum, mentre vacillavano le massime del liberalismo, che da lungo tempo intralciavano l’opera efficace dei governanti, mosse i popoli stessi a promuovere con più sincerità e più impegno la politica sociale, e indusse i migliori tra i Cattolici a prestare in questo il loro utile concorso ai reggitori dello Stato sicché spesso si dimostrarono nelle Camere legislative sostenitori illustri di questa nuova politica; anzi le stesse leggi sociali moderne furono non di rado proposte ai voti dei rappresentanti della nazione e la loro esecuzione fu richiesta e caldeggiata da ministri della Chiesa, imbevuti degli insegnamenti Leoniani.

28. Da tale continua ed indefessa fatica sorse un nuovo ramo della disciplina giuridica del tutto ignorato nei tempi passati, il quale difende con forza i sacri diritti dei lavoratori che loro provengono dalla dignità di uomini e di Cristiani; giacché queste leggi si propongono la protezione degli interessi dei lavoratori, massime delle donne e dei fanciulli: l’anima, la sanità, le forze, la famiglia, la casa, le officine, la paga, gli infortuni del lavoro; in una parola tutto ciò che tocca la vita e la famiglia dei lavoratori. Che se tali statuti non si accordano dappertutto e in ogni cosa con le norme di Leone XIII, non si può tuttavia negare che in molti punti vi si sente una eco dell’enciclica Rerum novarum, alla quale pertanto è da attribuirsi in parte assai notevole la migliorata condizione dei lavoratori.

3 – L’opera delle parti interessate 

29. Insegnava per ultimo il sapientissimo Pontefice come i padroni e gli operai medesimi possono recarvi un gran contributo, con istituzioni cioè ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisognosi e ad avvicinare e unire le due classi tra loro (enc. Rerum novarum, n. 36). Ma il primo posto tra tali istituzioni egli voleva attribuito alle corporazioni che abbracciano o i soli operai o gli operai e i padroni insieme. E nell’illustrarle e raccomandarle insiste a lungo, dichiarandone con mirabile sapienza, la natura, la causa, l’opportunità, i diritti, i doveri, le leggi.

30. Quegli insegnamenti furono pubblicati in un tempo veramente opportuno; quando in parecchie nazioni i pubblici poteri, totalmente asserviti al liberalismo, poco favorivano, anzi avversavano apertamente le menzionate associazioni di operai: e mentre riconoscevano consimili associazioni di altre classi e le proteggevano, con ingiustizia esosa negavano il diritto naturale di associarsi proprio a quelli che più ne avevano bisogno per difendersi dallo sfruttamento dei potenti. Né mancava tra gli stessi Cattolici chi mettesse in sospetto i tentativi di formare siffatte organizzazioni, quasi sapessero di un certo spirito socialistico o sovversivo.

a) associazioni dei lavoratori

31. Sono dunque sommamente raccomandabili le norme date autorevolmente da Leone XIII, perché valsero a infrangere le opposizioni e dissipare i sospetti. E d’importanza anche maggiore riuscirono per aver esse esortato i lavoratori cristiani a stringere fra di loro simili organizzazioni, secondo la varietà dei mestieri insegnandone loro il modo, e molti di essi validamente rassodarono nella via del dovere, mentre erano fortemente adescati dalle associazioni dei socialisti, le quali, con incredibile impudenza, si spacciavano per uniche tutrici e vindici degli umili e degli oppressi.

32. Ma assai opportunamente l’enciclica Rerum novarum dichiarava che, nel fondare tali associazioni, queste si dovevano ordinare e governare in modo da somministrare i mezzi più adatti e spediti al conseguimento del fine, il quale consiste in questo, che ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico, economico, morale; ed è evidente che bisogna avere di mira, come. scopo principale il perfezionamento religioso e morale, e che a questo perfezionamento vuolsi indirizzare tutta la disciplina sociale (enc. Rerum novarum, n. 42). Poiché, posto il fondamento nella religione, è aperta la strada a regolare le mutue attinenze dei soci per la tranquillità della loro convivenza e per il loro benessere economico (enc. Rerum novarum, n. 43).

33. Ad istituire simili sodalizi, si consacrarono dappertutto con lodevole ardore sacerdoti e laici in gran numero, bramosi di attuare davvero integralmente il disegno di Leone XIII. E così queste associazioni formarono dei lavoratori schiettamente cristiani, i quali sapevano ben congiungere insieme la diligente pratica del loro mestiere coi salutari precetti della religione, e difendere con efficacia e fermezza i propri interessi e diritti temporali, mantenendo il debito ossequio alla giustizia e il sincero intento di cooperare con le altre classi della società al rinnovamento cristiano di tutta la vita sociale.

34. Questi consigli poi e questi moniti di Leone XIII, furono messi in atto dove in un modo dove in un altro, secondo le varie circostanze nei vari luoghi. Così in alcuni paesi una stessa associazione si propose di raggiungere tutti quanti gli scopi assegnati dal Pontefice; in altre, così richiedendo e consigliando le condizioni locali, si venne a una certa divisione di lavoro e furono istituite distinte associazioni, di cui le une si assumessero la difesa dei diritti e dei legittimi vantaggi dei soci nei contratti di lavoro, altre si occupassero del vicendevole aiuto da prestarsi nelle cose economiche, altre finalmente si dedicassero tutte alla cura dei doveri morali e religiosi e di altri obblighi simili.

35. Questo secondo metodo fu adoperato principalmente là dove i Cattolici non potevano formare sindacati cattolici, perché impediti o dalle leggi del paese o da altre tali istituzioni economiche, o da quel lacrimevole dissidio delle intelligenze e dei cuori, tanto largamente disseminato nella società moderna, e dalla stringente necessità di resistere con fronte unico alle schiere irrompenti dei partiti sovversivi. In tali circostanze pare che i Cattolici siano quasi costretti ad iscriversi a sindacati neutri, i quali tuttavia professino sempre la giustizia e l’equità e lascino ai loro soci cattolici la piena libertà di provvedere alla propria coscienza e di obbedire alle leggi della Chiesa. Spetta però ai Vescovi, dove secondo le circostanze credano necessarie tali associazioni e le vedano non pericolose per la Religione, acconsentire che gli operai cattolici vi aderiscano, avendo sempre l’occhio ai principi e alle garanzie, che il Nostro Predecessore Pio X, di s. m., raccomandava (Pio X, enc. Singulari quadam, del 24 sett. 1912): delle quali garanzie la prima e principale sia questa, che insieme con quei sindacati, sempre vi siano altri sodalizi, i quali si adoperino con diligenza a educare profondamente i loro soci nella parte religiosa e morale, affinché questi possano di poi compenetrare le associazioni sindacali di quel buono spirito, con cui si devono reggere in tutta la loro condotta; e così avverrà che tali sodalizi rechino ottimi frutti, anche oltre la cerchia dei loro soci.

36. All’enciclica Leoniana dunque si deve attribuire se queste associazioni di lavoratori fiorirono dappertutto in tal modo, che ormai, sebbene purtroppo ancora inferiori di numero alle corporazioni dei socialisti e dei comunisti, raccolgono una grandissima moltitudine di operai e possono vigorosamente rivendicare i diritti e le aspirazioni legittime dei lavoratori cristiani, tanto nell’interno della propria nazione, quanto in convegni più estesi, e con ciò promuovere i salutari principi cristiani intorno alla società.

b) associazioni fra altre classi

37. Oltre ciò, le verità tanto saggiamente discusse e validamente propugnate da Leone XIII, circa il diritto naturale di associazioni, si cominciarono ad applicare con facilità anche ad altre associazioni e non solo a quelle degli operai; onde alla stessa enciclica Leoniana si deve in non poca parte il tanto rifiorire di simili utilissime associazioni; anche tra agricoltori e altre classi felicemente si unisce al vantaggio economico la cultura delle anime.

c) associazioni padronali

38. Non si può dire lo stesso delle Associazioni vivamente desiderate dal Nostro Antecessore, tra gli imprenditori di lavoro e gli industriali. Che se di queste dobbiamo lamentare la scarsezza, ciò non si deve attribuire unicamente alla volontà delle persone, ma alle difficoltà molto più gravi che si oppongono a consimili associazioni e che Noi conosciamo benissimo e teniamo nel giusto conto. Ci arride tuttavia la ferma speranza che anche questi impedimenti si possano tra breve rimuovere, e fin d’ora con intima consolazione del cuore Nostro salutiamo alcuni non inutili tentativi fatti in questa parte, i cui frutti copiosi ripromettono una più ricca messe in avvenire (cfr. Lettera della Sacra Congregazione del Concilio al Vescovo di Lilla, 5 giugno 1929).

4 – Conclusione: la « Rerum Novarum » Magna Charta dell’ordine sociale

39. Tutti questi benefici dell’enciclica Leoniana, venerabili Fratelli e diletti Figli, da noi accennati piuttosto che ricordati, sorvolando piuttosto che illustrando, sono tanti e così grandi che dimostrano chiaramente come quell’immortale documento sia ben lungi dal rappresentarci un ideale di società umano bellissimo sì, ma fantastico e troppo lontano dalle vere esigenze economiche dei nostri tempi e per ciò stesso inattuabile. Per contrario, essi dimostrano che il Nostro Antecessore attinse dal Vangelo, e perciò da una sorgente sempre viva e vitale, quelle dottrine che possono, se non subito comporre, mitigare almeno in gran parte quella lotta esiziale e intestina che dilania la famiglia umana. Che poi una parte di quel buon seme, tanto copiosamente sparso or sono quaranta anni, sia caduta in terra buona, vediamo dalle messi lietissime che la Chiesa di Cristo, e quindi l’intero gregge umano, con la grazia di Dio, ne ha raccolto a sua salvezza. E ben a ragione si può dire che l’enciclica Leoniana nella lunga esperienza si è dimostrata come la Magna Charta, sulla quale deve posare tutta l’attività cristiana del campo sociale come sul proprio fondamento. Coloro poi che mostrano di fare poco conto di quell’enciclica e della sua commemorazione, bisogna ben dire che, o bestemmiano quel che non sanno, o non capiscono quello di cui hanno solo una superficiale cognizione, o se la capiscono meritano d’essere solennemente tacciati d’ingiustizia e di ingratitudine.

40. Se non che, nello stesso decorso di anni, essendo sorti alcuni dubbi circa la retta interpretazione di parecchi punti dell’enciclica Leoniana o circa le conseguenze da trarsene, dubbi che hanno dato origine a controversie non sempre serene fra gli stessi cattolici; e d’altra parte le nuove necessità dei nostri tempi e la mutata condizione delle cose richiedendo una più accurata applicazione della dottrina Leoniana o anche qualche aggiunta, cogliamo ben volentieri questa opportuna occasione per soddisfare, quanto è da Noi, ai dubbi e alle esigenze dei tempi moderni, secondo l’apostolico Nostro mandato per cui siamo a tutti debitori (cfr. Rom 1, 14).

II – LA DOTTRINA DELLA CHIESA IN MATERIA SOCIALE ED ECONOMICA

41. Ma prima di iniziare a dare queste spiegazioni, occorre premettere il principio, già da Leone XIII con rara chiarezza stabilito, che cioè risiede in Noi il diritto e il dovere di giudicare con suprema autorità intorno a siffatte questioni sociali ed economiche (enc. Rerum novarum, n. 13). Certo alla Chiesa non fu affidato l’ufficio di guidare gli uomini a una felicità solamente temporale e caduca, ma all’eterna. Anzi non vuole né deve la Chiesa senza giusta causa ingerirsi nella direzione delle cose puramente umane (enc. Ubi arcano del 23 dicembre 1922). In nessun modo però può rinunziare all’ufficio da Dio assegnatole, d’intervenire con la sua autorità, non nelle cose tecniche, per le quali non ha né i mezzi adatti né la missione di trattare, ma in tutto ciò che ha attinenza con la morale. Infatti in questa materia, il deposito della verità a Noi commesso da Dio e il dovere gravissimo impostoCi di divulgare e di interpretare tutta la legge morale ed anche di esigerne opportunamente ed importunamente l’osservanza, sottopongono ed assoggettano al supremo Nostro giudizio tanto l’ordine sociale, quanto l’economico.

42. Sebbene l’economia e la disciplina morale, ciascuna nel suo ambito, si appoggino sui principi propri, sarebbe errore affermare che l’ordine economico e l’ordine morale siano così disparati ed estranei l’uno all’altro, che il primo in nessun modo dipenda dal secondo. Certo, le leggi, che si dicono economiche, tratte dalla natura stessa delle cose e dall’indole dell’anima e del corpo umano, stabiliscono quali limiti nel campo economico il potere dell’uomo non possa e quali possa raggiungere, e con quali mezzi; e la stessa ragione, dalla natura delle cose e da quella individuale e sociale dell’uomo, chiaramente deduce quale sia il fine da Dio Creatore proposto a tutto l’ordine economico.

43. Soltanto la legge morale è quella la quale, come ci intima di cercare nel complesso delle nostre azioni il fine supremo ed ultimo, così nei particolari generi di operosità ci dice di cercare quei fini speciali, che a quest’ordine di operazioni sono stati prefissi dalla natura, o meglio, da Dio, autore della natura, e di subordinare armonicamente questi fini particolari al fine supremo. E ove a tal legge da noi fedelmente si obbedisca, avverrà che tutti i fini particolari, tanto individuali quanto sociali, in materia economica perseguiti, si inseriranno convenientemente nell’ordine universale dei fini, e salendo per quelli come per altrettanti gradini, raggiungeremo il fine ultimo di tutte le cose, che è Dio, bene supremo e inesauribile per se stesso e per noi.

1 – Il dominio o diritto di proprietà

44. Ed ora, per venire ai singoli punti, cominciamo dal dominio o diritto di proprietà. Voi conoscete, venerabili Fratelli e diletti Figli, come il Nostro Predecessore di f. m., abbia difeso gagliardamente il diritto di proprietà contro gli errori dei socialisti del suo tempo, dimostrando che l’abolizione della proprietà privata tornerebbe, non a vantaggio, ma a estrema rovina della classe operaia. E poiché vi ha di quelli che, con la più ingiuriosa delle calunnie, accusano il Sommo Pontefice e la Chiesa stessa, quasi abbia preso o prenda ancora le parti dei ricchi contro i proletari, e poiché tra i Cattolici stessi si riscontrano dissensi intorno alla vera e schietta sentenza Leoniana, Ci sembra bene ribattere ogni calunnia contro quella dottrina, che è la cattolica, su questo argomento, e difenderla da false interpretazioni.

a) sua indole individuale e sociale

45. In primo luogo, si ha da ritenere per certo, che né Leone XIII né i teologi che insegnarono sotto la guida e il vigile Magistero della Chiesa, negarono mai o misero in dubbio la doppia specie di proprietà, detta individuale e sociale, secondo che riguarda gli individui o spetta al bene comune; ma hanno sempre unanimemente affermato che il diritto del dominio privato viene largito agli uomini dalla natura, cioè dal Creatore stesso, sia perché gli individui possano provvedere a sé e alla famiglia, sia perché, grazie a tale istituto, i beni del Creatore, essendo destinati a tutta l’umana famiglia, servano veramente a questo fine; il che in nessun modo si potrebbe ottenere senza l’osservanza di un ordine certo e determinato.

46. Pertanto occorre guardarsi diligentemente dall’urtare contro un doppio scoglio. Giacché, come negando o affievolendo il carattere sociale e pubblico del diritto di proprietà si cade e si rasenta il cosiddetto « individualismo », così respingendo e attenuando il carattere privato e individuale del medesimo diritto, necessariamente si precipita nel « collettivismo » o almeno si sconfina verso le sue teorie. E chi non tenga presente queste considerazioni, va logicamente a cadere negli scogli del modernismo murale, giuridico e sociale, da Noi denunciati nella Nostra prima enciclica (enc. Ubi arcano del 23 dicembre 1922). E di ciò si persuadano coloro specialmente che, amanti delle novità, non si peritano d’incolpare la Chiesa con vituperose calunnie, quasi abbia permesso che nella dottrina dei teologi s’infiltrasse il concetto pagano della proprietà, al quale bisognerebbe assolutamente sostituire un altro, che con strana ignoranza essi chiamano cristiano.

b) doveri inerenti alla proprietà

47. Per contenere poi nei giusti limiti le controversie, sorti ultimamente intorno alla proprietà e ai doveri a essa inerenti, rimanga fermo anzitutto il fondamento stabilito da Leone XIII: che il diritto cioè di proprietà si distingue dall’uso di esso (enc. Rerum novarum, n. 19). La giustizia, infatti, che si dice commutativa, vuole che sia scrupolosamente mantenuta la divisione dei beni, e che non si invada il diritto altrui col trapassare i limiti del dominio proprio; che poi i padroni non usino se non onestamente della proprietà, ciò non è ufficio di questa speciale giustizia, ma di altre virtù, dei cui doveri non si può esigere l’adempimento per vie giuridiche (cfr. enc. Rerum novarum, n. 19). Onde a torto certuni pretendono che la proprietà e l’onesto uso di essa siano ristretti dentro gli stessi confini; e molto più è contrario a verità il dire che il diritto di proprietà venga meno o si perda per l’abuso o il non uso che se ne faccia.

48. Per il che compiono opera salutare e degna di ogni encomio tutti quelli che, salva la concordia degli animi e l’integrità della dottrina, quale fu sempre predicata dalla Chiesa, si studiano di definire l’intima natura e i limiti di questi doveri, coi quali o il diritto stesso di proprietà ovvero l’uso o l’esercizio del dominio vengono circoscritti dalle necessità della convivenza sociale. S’ingannano invece ed errano coloro che si studiano di sminuire talmente il carattere individuale della proprietà, da giungere di fatto a distruggerla.

c) poteri dello Stato sulla proprietà

49. E veramente dal carattere stesso della proprietà, che abbiamo detta individuale insieme e sociale, si deduce che in questa materia gli uomini debbono aver riguardo non solo al proprio vantaggio, ma altresì al bene comune. La determinazione poi di questi doveri in particolare e secondo le circostanze, e quando non sono già indicati dalla legge di natura, è ufficio dei pubblici poteri. Onde la pubblica autorità può con maggior cura specificare, considerata la vera necessità del bene comune e tenendo sempre innanzi agli occhi la legge naturale e divina, che cosa sia lecito ai possidenti e che cosa no, nell’uso dei propri beni. Anzi Leone XIII aveva sapientemente sentenziato: avere Dio lasciato all’industria degli uomini e alle istituzioni dei popoli la delimitazione delle proprietà private (enc. Rerum novarum, n. 7). E invero, come dalla storia si provi che, al pari degli altri elementi della vita sociale, la proprietà non sia affatto immobile. Noi stessi già lo dichiarammo con le seguenti parole: Quante diverse forme concrete ha avuto la proprietà dalla primitiva forma dei popoli selvaggi, della quale ancora ai dì nostri si può avere una certa esperienza, a quella proprietà nei tempi e nelle forme patriarcali, e poi via via nelle diverse forme tiranniche (diciamo nel significato classico della parola), poi attraverso le forme feudali, poi in quelle monarchiche e in tutte le forme susseguenti dell’età moderna (Alloc. al Comitato dell’A.C. per l’Italia, 16 maggio 1926). La pubblica autorità però, come è evidente, non può usare arbitrariamente di tale suo diritto; poiché bisogna che rimanga sempre intatto e inviolato il diritto naturale di proprietà privata e di trasmissione ereditaria dei propri beni, diritto che lo Stato non può sopprimere, perché l’uomo è anteriore allo Stato (enc. Rerum novarum, n. 6), ed anche perché il domestico consorzio è logicamente e storicamente anteriore al civile (enc. Rerum novarum, n. l0). Perciò il sapientissimo Pontefice aveva già dichiarato non essere lecito allo Stato di aggravare tanto con imposte e tasse esorbitanti la proprietà privata da renderla quasi stremata. Poiché non derivando il diritto di proprietà privata da legge umana, ma da legge naturale, lo Stato non può annientarlo, ma semplicemente temperarne l’uso e armonizzarlo col bene comune (enc. Rerum novarum, n. 35). Quando poi la pubblica autorità mette così d’accordo i primati domini con le necessità del bene comune, non fa opera ostile ma piuttosto amichevole verso i padroni privati, come quella che in tal modo validamente impedisce che il privato possesso dei beni, voluto dal sapientissimo Autore della natura a sussidio della vita umana, generi danni intollerabili e così vada in rovina; né abolisce i privati possessi, ma li assicura; né indebolisce la proprietà privata, ma la rinvigorisce.

d) i redditi liberi

50. Non sono neppure abbandonate per intero al capriccio dell’uomo le libere entrate di lui, quelle cioè di cui egli non abbisogna per un tenore di vita conveniente e decorosa; ché anzi la sacra Scrittura e i santi Padri chiarissimamente e continuamente denunciano ai ricchi il gravissimo precetto da cui sono tenuti, di esercitare l’elemosina, la beneficenza, la liberalità.

51. L’impiegare però più copiosi proventi in opere che diano più larga opportunità di lavoro, purché tale lavoro sia per procurare beni veramente utili, dai principi dell’Angelico Dottore (cfr. S. Thom., Summ. Theol., II-II, q. 134) si può dedurre che non solo ciò è immune da ogni vizio o morale imperfezione, ma deve ritenersi per opera cospicua della virtù della magnificenza, in tutto corrispondente alle necessità dei tempi.

e) titoli della proprietà

52. Che la proprietà poi originariamente si acquisti e con l’occupazione di una cosa senza padrone (res nullius) e con l’industria e il lavoro, ossia con la « specificazione », come si suol dire, è chiaramente attestato sia dalla tradizione di tutti i tempi, sia dall’insegnamento del Pontefice Leone XIII, Nostro Predecessore. Non si reca infatti torto a nessuno, checché alcuni dicano in contrario, quando si prende possesso di una cosa che è in balia del pubblico, ossia non è di nessuno; l’industria poi che da un uomo si eserciti in proprio nome e con la quale si aggiunga una nuova forma o un aumento di valore, basta da sola perché questi frutti si aggiudichino a chi vi ha lavorato attorno.

2 – Capitale e lavoro

53. Assai diversa è la natura del lavoro, che si presta ad altri e si esercita sopra il capitale altrui. A questo lavoro soprattutto si addice quel che Leone XIII disse essere cosa verissima: cioè che non d’altronde è prodotta la pubblica ricchezza, se non dal lavoro degli operai (enc. Rerum novarum, n. 37). Non vediamo noi, infatti, con gli occhi nostri, come l’ingente somma dei beni, di cui è fatta la ricchezza degli uomini, esce prodotta dalle mani degli operai, le quali o lavorano da sole, o mirabilmente moltiplicano la loro efficienza valendosi di strumenti, ossia di macchine? Non v’è anzi chi ignori come nessun popolo mai dalla penuria e dall’indigenza sia arrivato a una migliore o più alta fortuna, se non mediante un grande lavoro compiuto insieme da tutti quelli del paese, tanto da coloro che dirigono, quanto da coloro che eseguiscono. Ma non meno chiaro apparisce che quei sommi sforzi sarebbero riusciti del tutto inutili, anzi non sarebbe stato neppure possibile il tentarli, se Dio Creatore di tutti non avesse prima largito, per sua bontà, le ricchezze e il capitale naturale, i sussidi e le forze della natura. Che cosa è infatti lavorare se non adoperare ed esercitare le forze dell’animo e del corpo, circa queste cose e con queste cose medesime? Richiede poi la legge di natura e la volontà di Dio, dopo la promulgazione di questa legge, che si osservi il retto ordine nell’applicare agli usi umani il capitale naturale; e tale ordine consiste in ciò, che ogni cosa abbia il suo padrone.

54. Di qui avviene che, tolto il caso che altri lavorino intorno al proprio capitale, tanto l’opera altrui quanto l’altrui capitale debbono associarsi in un comune consorzio, perché l’uno senza l’altro non valgono a produrre nulla. Il che fu bene osservato da Leone XIII, quando scrisse: Non può sussistere capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale (enc. Rerum novarum, n. 16). Per cui è del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l’opera unita dell’uno e dell’altro; ed è affatto ingiusto che l’uno arroghi a sé quel che si fa, negando l’efficacia dell’altro.

a) ingiuste rivendicazioni del capitale

55. Per lungo tempo certamente il capitale troppo aggiudicò a sé stesso. Quanto veniva prodotto e i frutti che se ne ricavavano, ogni cosa il capitale prendeva per sé, lasciando appena all’operaio tanto che bastasse a ristorare le forze e a riprodurre. Giacché andavano dicendo che per una legge economica affatto ineluttabile, tutta la somma del capitale apparteneva ai ricchi, e per la stessa legge gli operai dovevano rimanere in perpetuo nella condizione di proletari, costretti cioè a un tenore di vita precario e meschino. È bensì vero che con questi princìpi dei liberali, che volgarmente si denominano di Manchester, l’azione pratica non si accordava né sempre né dappertutto; pure non si può negare che gli istituti economico-sociali avevano mostrato di piegare verso quei princìpi con vero e costante sforzo. Ora, che queste false opinioni, questi fallaci supposti siano stati fortemente combattuti, e non da coloro solo che per essi venivano privati del naturale diritto di procurarsi una migliore condizione di vita, nessuno vi sarà che se ne meravigli.

b) ingiuste rivendicazioni del lavoro

56. Perciò agli operai angariati, si accostarono i cosiddetti intellettuali, contrapponendo a una legge immaginaria un principio morale parimenti immaginario: che cioè quanto si produce e si percepisce di reddito, trattone quel tante che basti a risarcire e riprodurre il capitale, si deve di diritto all’operaio. Questo errore, quanto è più lusinghevole di quello di vari socialisti, i quali affermano che tutto ciò che serve alla produzione si ha da trasfondere allo Stato, o come dicono da « socializzare », tanto è più pericoloso e più atto a ingannare gli incauti: blando veleno, che fu avidamente sorbito da molti, che un aperto socialismo non aveva mai potuto trarre in inganno.

c) principio direttivo di giusta ripartizione

57. Certo, ad impedire che con queste false teorie non si chiudesse l’adito alla giustizia e alla pace tanto per il capitale quanto per il lavoro, avrebbero dovuto giovare le sapienti parole del Nostro Predecessore, che cioè la terra, sebbene divisa tra i privati, resta nondimeno a servizio e utilità di tutti, (enc. Rerum novarum, n. 7). E ciò stesso Noi pure abbiamo insegnato poc’anzi nel riaffermare che la spartizione dei beni in private proprietà è stabilita dalla natura stessa, affinché le cose create possano dare agli uomini tale comune utilità stabilmente e con ordine. Il che conviene tenere di continuo presente, se non si vuole uscire dal retto sentiero della verità.

58. Ora, non ogni distribuzione di beni e di ricchezze tra gli uomini è tale da ottenere il fine inteso da Dio o pienamente o con quella perfezione che si deve. Onde è necessario che le ricchezze le quali si amplificano di continuo grazie ai progressi economici e sociali, vengano attribuite ai singoli individui e alle classi in modo che resti salva quella comune utilità di tutti, lodata da Leone XIII, ovvero, per dirla con altre parole, perché si serbi integro il bene comune dell’intera società. Per questa legge di giustizia sociale non può una classe escludere l’altra dalla partecipazione degli utili. Che se perciò è violata questa legge dalla classe dei ricchi, quando spensierati nell’abbondanza dei loro beni stimano naturale quell’ordine di cose, che riesce tutto a loro favore e niente a favore dell’operaio; è non meno violata dalla classe proletaria, quando, aizzata per la violazione della giustizia e tutta intesa a rivendicare il suo solo diritto, di cui è conscia, esige tutto per sé, siccome prodotto dalle sue mani, e quindi combatte e vuole abolita la proprietà e i redditi o proventi non procacciati con il lavoro, di qualunque genere siano o di qualsiasi ufficio facciano le veci nell’umana convivenza, e ciò non per altra ragione se non perché son tali.

59. E a questo proposito occorre osservare che fuori di argomento e bene a torto applicano alcuni le parole dell’Apostolo: chi non vuole lavorare non mangi (2 Tess III, 10), perché la sentenza dell’Apostolo è proferita contro quelli che si astengono dal lavoro, quando potrebbero e dovrebbero lavorare, e ammonisce a usare alacremente del tempo e delle forze del corpo e dell’anima, né aggravare gli altri, quando da noi stessi ci possiamo provvedere; ma non insegna punto che il lavoro sia l’unico titolo per ricevere vitto e proventi (cfr. 2 Tess III, 8-10).

60. A ciascuno, dunque, si deve attribuire la sua parte di beni e bisogna procurare che la distribuzione dei beni creati, la quale ognuno vede quanto ora sia causa di disagio, per il grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti, venga ricondotta alla conformità con le norme del bene comune e della giustizia sociale.

3 – La elevazione dei proletari

61. Tale è l’intento che il Nostro Predecessore proclamò doversi raggiungere: la elevazione del proletario. E ciò si deve asserire tanto più forte e ripetere tanto più instantemente, in quanto non di rado le prescrizioni così salutari del Pontefice furono messe in dimenticanza, o perché di proposito passate sotto silenzio, o perché l’eseguirle si reputò non possibile, mentre pure e si possono e si debbono eseguire. Né sono esse diventate ai nostri giorni meno sagge ed efficaci perché meno imperversa oggi quell’orrendo « pauperismo » da Leone XIII considerato. Certo, la condizione degli operai s’è fatta migliore e più equa. massime negli Stati più colti e nelle Nazioni più grandi, dove non si può dire che tutti gli operai siano afflitti dalla miseria o travagliati dal bisogno. Ma dopo che le arti meccaniche e le industrie dell’uomo sono penetrate e si sono diffuse con tanta rapidità in regioni senza numero, tanto nelle terre che si dicono nuove, quanto nei regni del lontano Oriente, già famosi per antichissima civiltà, è cresciuta smisuratamente la moltitudine dei proletari bisognosi, e i loro gemiti gridano a Dio dalla terra. S’aggiunga il grandissimo esercito di braccianti della campagna, ridotti ad una infima condizione di vita e privi di speranza d’ottenere mai alcuna porzione di suolo (enc. Rerum novarum, n. 35) e quindi sottoposti in perpetuo alla condizione proletaria, se non si adoperino rimedi convenevoli ed efficaci.

62. Ma benché sia verissimo che la condizione proletaria debba ben distinguersi dal pauperismo, pure la stessa foltissima moltitudine dei proletari è un argomento ineluttabile, che le ricchezze tanto copiosamente cresciute in questo nostro secolo detto dell’industrialismo, non sono rettamente distribuite e applicate alle diverse classi di uomini.

63, È necessario dunque con tutte le forze procurare che in avvenire i capitali guadagnati non si accumulino se non con equa proporzione presso i ricchi, e si distribuiscano con una certa ampiezza fra i prestatori di opera, non perché questi rallentino nel lavoro, essendo l’uomo nato al lavoro come l’uccello al volo, ma perché con la economia aiutino il loro avere, e amministrando con saggezza l’aumentata proprietà possano più facilmente e tranquillamente sostenere i pesi della famiglia, e usciti da quell’incerta sorte di vita, in cui si dibatte il proletariato, non solo siano in grado di sopportare le vicende della vita, ma possano ripromettersi che alla loro morte saranno convenientemente provveduti quelli che lasciano dopo di sé.

64. Tutti questi suggerimenti furono dal Nostro Predecessore non soltanto insinuati, ma apertamente proclamati e Noi con questa Nostra Enciclica torniamo a vivamente inculcarli. Che se ora non si prende finalmente a metterli in esecuzione senza indugio e con ogni vigore, niuno potrebbe ripromettersi passibile un’efficace difesa dell’ordine pubblico e della tranquillità sociale contro i seminatori di novità sovversive.

4 – Il giusto salario

65. Ma tale attuazione non sarà possibile se i proletari non giungeranno, con la diligenza e con il risparmio, a farsi un qualche modesto patrimonio, come abbiamo detto riferendoci alla dottrina del Nostro Predecessore Leone XIII. Orbene, chi per guadagnarsi il vitto e il necessario alla vita altro non ha che il lavoro, come potrà, pur vivendo parcamente, mettersi da parte qualche fortuna se non con la paga, che trae dal lavoro? Affrontiamo dunque la questione del salario, da Leone XIII definita assai importante (enc. Rerum novarum, n. 34), svolgendone e dichiarandone, ove occorra, la dottrina e i precetti.

A) il contratto di lavoro non è di sua natura ingiusto

66. E da prima l’affermazione che il contratto di offerta di prestazione d’opera sia di sua natura ingiusto, e quindi si debba sostituire con contratto di società, è affermazione gratuita e calunniosa contro il Nostro Predecessore, la cui enciclica Rerum novarum non solo lo ammette, ma ne tratta a lungo sul modo di disciplinarlo secondo le norme della giustizia.

67. Tuttavia, nelle odierne condizioni sociali, stimiamo sia cosa più prudente che, quando è possibile, il contratto del lavoro venga temperato alquanto col contratto di società, come già si è incominciato a fare in diverse maniere, con non poco vantaggio degli operai stessi e dei padroni. Così gli operai diventano cointeressati o nella proprietà o nell’amministrazione, e compartecipi in certa misura dei lucri percepiti.

68. Né la giusta proporzione del salario deve calcolarsi da un solo titolo, ma da più, come già sapientemente aveva dichiarato Leone XIII scrivendo: Il determinare la mercede secondo la giustizia dipende da molte considerazioni (enc. Rerum novarum, n. 17). Con le quali parole fin da allora confutò la leggerezza di coloro i quali credono facilmente, ricorrendo a un’unica misura, e questa, ben lontana dalla realtà.

69. Sono certamente in errore coloro i quali non dubitano di proclamare come principio, che tanto vale il lavoro ed altrettanto deve essere rimunerato, quanto valgono i frutti da esso prodotti, e perciò il prestatore del lavoro ha il diritto di esigere quanto si è ottenuto col suo lavoro: principio la cui assurdità apparisce anche da quanto abbiamo esposto, trattando della proprietà.

B) carattere individuale e sociale del lavoro

70. Ora è facile intendere che oltre al carattere personale e individuale deve considerarsi il carattere sociale, come della proprietà, così anche del lavoro, massime di quello che per contratto si cede ad altri; giacché se non sussiste un corpo veramente sociale o organico, se un ordine sociale e giuridico non tutela l’esercizio del lavoro, se le varie parti, le une dipendenti dalle altre, non si collegano fra di loro e mutuamente non si compiono, se, quel che è più, non si associano, quasi a formare una cosa sola, l’intelligenza, il capitale, il lavoro, l’umana attività non può produrre i suoi frutti; e quindi non si potrà valutare giustamente né retribuire adeguatamente, dove non si tenga conto della sua natura sociale e individuale.

C) tre punti da tener presenti

71. Da questo doppio carattere, insito nella natura stessa del lavoro umano, sgorgano gravissime conseguenze, a norma delle quali il salario vuole essere regolato e determinato.

a) il sostentamento dell’operaio e della sua famiglia

72. In primo luogo, all’operaio si deve dare una mercede che basti al sostentamento di lui e della sua famiglia (cfr. enc. Casti connubii del 31 dicembre 1930). È bensì giusto che anche il resto della famiglia, ciascuno secondo le sue forze, contribuisca al comune Sostentamento, come già si vede in pratica specialmente nelle famiglie dei contadini, e anche in molte di quelle degli artigiani e dei piccoli commercianti; ma non bisogna che si abusi dell’età dei fanciulli né della debolezza della donna. Le madri di famiglia prestino l’opera loro in casa sopra tutto o nelle vicinanze della casa, attendendo alle faccende domestiche. Che poi le madri di famiglia, per la scarsezza del salario del padre, siano costrette ad esercitare un’arte lucrativa fuori delle pareti domestiche, trascurando così le incombenze e i doveri loro propri, e particolarmente la cura e l’educazione dei loro bambini, è un pessimo disordine, che si deve con ogni sforzo eliminare. Bisogna dunque fare di tutto perché i padri di famiglia percepiscano una mercede tale che basti per provvedere convenientemente alle comuni necessità domestiche. Che se nelle presenti circostanze della società ciò non sempre si potrà fare, la giustizia sociale richiede che s’introducano quanto prima quelle mutazioni che assicurino ad ogni operaio adulto siffatti salari. Sono altresì meritevoli di lode tutti quelli che con saggio e utile divisamento hanno sperimentato e tentano diverse vie, onde la mercede del lavoro si retribuisca con tale corrispondenza ai pesi della famiglia, che, aumentando questi, anche quella si somministri più larga; e anzi, se occorra, si soddisfaccia alle necessità straordinarie.

b) la condizione dell’azienda

73. Nello stabilire la quantità della mercede si deve tener conto anche dello stato dell’azienda e dell’imprenditore di essa; perché è ingiusto chiedere esagerati salari, quando l’azienda non li può sopportare senza la rovina propria e la conseguente calamità degli operai. È però vero che se il minor guadagno che essa fa è dovuto a indolenza, a inesattezza e a noncuranza del progresso tecnico ed economico, questa non sarebbe da stimarsi giusta causa per diminuire la mercede agli operai. Che se l’azienda medesima non ha tante entrate che bastino per dare un equo salario agli operai, o perché è oppressa da ingiusti gravami, o perché è costretta a vendere i suoi prodotti ad un prezzo minore del giusto, coloro che così la opprimono si fanno rei di grave colpa; perché costoro privano della giusta mercede gli operai; i quali, spinti dalla necessità, sono costretti a contentarsi di un salario inferiore al giusto.

74. Tutti adunque, e operai e padroni, in unione di forza e di mente, si adoperino a vincere tutti gli ostacoli e le difficoltà, e siano aiutati in quest’opera tanto salutare dalla sapiente provvidenza dei pubblici poteri. Che se poi il caso fosse arrivato all’estremo, allora dovrà deliberarsi se l’azienda possa proseguire nella sua impresa, o se sia da provvedere in altro modo agli operai. Nel qual punto, che è certo gravissimo, bisogna che si stringa ed operi efficacemente una certa colleganza e concordia cristiana tra padroni e operai.

c) La necessità del bene comune

75. Finalmente la quantità del salario deve contemperarsi col pubblico bene economico. Già abbiamo detto quanto giovi a questa prosperità o bene comune, che gli operai mettano da parte la porzione di salario, che loro sopravanza alle spese necessarie, per giungere a poco a poco a un modesto patrimonio; ma non è da trascurare un altro punto di importanza forse non minore e ai nostri tempi affatto necessario, che cioè a coloro i quali e possono e vogliono lavorare, si dia opportunità di lavorare. E questo non poco dipende dalla determinazione del salario; la quale, come può giovare là dove è mantenuta tra giusti limiti, così alla sua volta può nuocere se li eccede. Chi non sa infatti che la troppa tenuità e la soverchia altezza dei salari è stata la cagione per la quale gli operai non potessero aver lavorato? Il quale inconveniente, riscontratosi specialmente nei tempi del Nostro Pontificato in danno di molti, gettò gli operai nella miseria e nelle tentazioni, mandò in rovina la prosperità delle città e mise in pericolo la pace e la tranquillità di tutto il mondo. È contrario, dunque, alla giustizia sociale che, per badare al proprio vantaggio senza aver riguardo al bene comune, il salario degli operai venga troppo abbassato o troppo innalzato; e la medesima giustizia richiede che, nel consenso delle menti e delle volontà, per quanto è possibile, il salario venga temperato in maniera che a quanti più è possibile, sia dato di prestare l’opera loro e percepire i frutti convenienti per il sostentamento della vita.

76. A ciò parimenti giova la giusta proporzione tra i salari; con la quale va strettamente congiunta la giusta proporzione dei prezzi, a cui si vendono i prodotti delle diverse arti, quali sono stimate l’agricoltura, l’industria e simili. Con la conveniente osservanza di queste cautele, le diverse arti si comporranno e si uniranno come in un sol corpo, e come tra membra si presteranno vicendevolmente aiuto e perfezione. Giacché allora l’economia sociale veramente sussisterà e otterrà i suoi fini, quando a tutti e singoli i soci saranno somministrati tutti i beni che si possono apprestare con le forze e i sussidi della natura, con l’arte tecnica, con la costituzione sociale del fatto economico; i quali beni debbono essere tanti quanti sono necessari sia a soddisfare ai bisogni e alle oneste comodità, sia promuovere tra gli uomini quella più felice condizione di vita, che, quando la cosa si faccia prudentemente, non solo non è d’ostacolo alla virtù, ma grandemente la favorisce (cfr. S. Th., De regimine principum, 1, 15; enc. Rerum novarum, n. 27).

5 – Restaurazione dell’ordine sociale

77. Le indicazioni finora date intorno all’equa divisione dei beni e alla giustizia dei salari riguardano gli individui e solo per indiretto toccano l’ordine sociale, alla cui restaurazione soprattutto secondo i principi della sana filosofia e i precetti altissimi della legge evangelica che lo perfezionano, applicò ogni sua cura e attenzione il Nostro Antecessore Leone XIII.

78. Fu allora aperta la via; ma perché siano perfezionate molte cose che ancora restano da fare e ne ridondino più copiosi ancora e più lieti vantaggi all’umana famiglia, sono soprattutto necessarie due cose: la riforma delle istituzioni e la emendazione dei costumi.

a) riforma delle istituzioni

79. E quando parliamo di riforma delle istituzioni, pensiamo primieramente allo Stato, non perché dall’opera sua si debba aspettare tutta la salvezza, ma perché, per il vizio dell’individualismo, come abbiamo detto, le cose si trovano ridotte a tal punto, che abbattuta e quasi estinta l’antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso di associazioni diverse, restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato. E siffatta deformazione dell’ordine sociale reca non piccolo danno allo Stato medesimo, sul quale vengono a ricadere tutti i pesi, che quelle distrutte corporazioni non possono più portare, onde si trova oppresso da una infinità di carichi e di affari.

80. È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche delle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle.

81. Perciò è necessario che l’autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell’attività sociale, tanto più forte riuscirà l’autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso.

82. Questa poi deve essere la prima mira, questo lo sforzo dello Stato e dei migliori cittadini; mettere fine alle competizioni delle due classi opposte, risvegliare e promuovere una cordiale cooperazione delle varie professioni dei cittadini.

b) concordia delle classi

83. La politica sociale porrà dunque ogni studio a ricostruire le professioni stesse; giacché la società umana si trova al presente in uno stato violento, quindi instabile e vacillante, perché appunto si fonda su classi di diverse tendenze, fra loro opposte e propense, quindi, a lotte e inimicizie.

84. E per verità, quantunque il lavoro, come spiega egregiamente il Nostre Predecessore nella sua enciclica (enc. Rerum novarum, n. 16), non sia una vile merce, anzi vi si debba riconoscere la dignità umana dell’operaio e quindi non sia da mercanteggiare come una merce qualsiasi, tuttavia, come stanno ora le cose, nel mercato del lavoro l’offerta e la domanda divide gli uomini come in due schiere; e la disunione che ne segue trasforma il mercato come in un campo di lotta, ove le due parti si combattono accanitamente. E a questo grave disordine, che porta al precipizio l’intera società, ognuno vede quanto sia necessario portare rimedio. Ma la guarigione perfetta si potrà ottenere allora soltanto, quando, tolta di mezzo una tale lotta, le membra del corpo sociale si trovino bene assestate, e costituiscano le varie professioni, a cui ciascuno dei cittadini aderisca non secondo l’ufficio che ha nel mercato del lavoro, ma secondo le diverse parti sociali. che i singoli esercitano. Avviene infatti per impulso di natura che, siccome quanti si trovano congiunti per vicinanza di luogo si uniscono a formare municipi, così quelli che si applicano ad un’arte medesima formino collegi o corpi sociali; di modo che queste corporazioni, con diritto loro proprio, da molti si sogliono dire, se non essenziali alla società civile, almeno naturali.

85. Siccome poi l’ordine, come ragiona ottimamente san Tommaso (cfr. S. Thom., Contra Gent., 3, 71; cfr. Summ. Theol., I, q. 65, a. 2, i. c.), è l’unità che risulta dall’opportuna disposizione di molte cose, il vero e genuino ordine sociale esige che i vari membri della società siano collegati in ordine ad una sola cosa per mezzo di qualche saldo vincolo. La qual forza di coesione si trova infatti tanto nell’identità dei beni da prodursi o dei servizi, da farsi, in cui converge il lavoro riunito dai datori e prestatori di lavoro della stessa categoria, quanto in quel bene comune, a cui tutte le varie classi, ciascuna per la parte sua, devono unitamente e amichevolmente concorrere. E questa concordia sarà tanto più forte e più efficace, quanto più fedelmente i singoli uomini e i vari corpi professionali si studieranno di esercitare la propria professione e di segnalarsi in essa.

86. Dal che facilmente si deduce che in tali corporazioni primeggiano di gran lunga le cose che sono comuni a tutta la categoria. Tra esse poi principalissima è il promuovere più che mai intensamente la cooperazione della intiera corporazione dell’arte al bene comune, cioè alla salvezza e prosperità pubblica della nazione. Quanto agli affari invece, in cui si devono specialmente procurare e tutelare i vantaggi e gli svantaggi speciali dei padroni e degli artieri, se occorrerà deliberazione, dovrà farsi dagli uni e dagli altri separatamente.

87. Appena occorre ricordare che, con la debita proporzione, si può applicare alle corporazioni professionali quanto Leone XIII insegnò circa la forma del regime politico, che cioè resta libera la scelta di quella forma che meglio aggrada, purché si provveda alla giustizia e alle esigenze del bene comune (enc. Immortale Dei del 1° novembre 1885).

88. Orbene, a quel modo che gli abitanti di un municipio usano associarsi per fini svariatissimi, e a tali associazioni ognuno è libero di dare o non dare il suo nome, così quelli che attendono all’arte medesima, si uniranno pure fra loro in associazioni libere per quegli scopi che in qualche modo vanno connessi con l’esercizio di quell’arte. Ma poiché su tali libere associazioni già furono date ben chiare e distinte spiegazioni nell’enciclica del Nostro Predecessore di illustre memoria, crediamo che basti ora inculcare questo solo: che l’uomo ha libertà non solo di formare queste associazioni che sono di ordine e di diritto privato, ma anche di introdurvi quell’ordinamento e quelle leggi che si giudichino le meglio conducenti al fine (enc. Rerum novarum, n. 42). E la stessa libertà si ha da rivendicare per le fondazioni di associazioni che sorpassino i limiti delle singole arti. Le libere associazioni poi, che già fioriscono e portano frutti salutari, si debbono aprire la via alla formazione di quelle corporazioni più perfette, di cui abbiamo già fatto menzione, e con ogni loro energia promuoverle secondo le norme della sociologia cristiana.

c) principio direttivo dell’economia

89. Un’altra cosa ancora si deve procurare, che è molto connessa con la precedente. A quel modo cioè che l’unità della società umana non può fondarsi nella opposizione di classe, così il retto ordine dell’economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza delle forze. Da questo capo anzi, come da fonte avvelenata, sono derivati tutti gli errori della scienza economica individualistica, la quale dimenticando o ignorando che l’economia ha un suo carattere sociale, non meno che morale, ritenne che l’autorità pubblica la dovesse stimare e lasciare assolutamente libera a sé, come quella che nel mercato o libera concorrenza doveva trovare il suo principio direttivo o timone proprio, secondo cui si sarebbe diretta molto più perfettamente che per qualsiasi intelligenza creata. Se non che la libera concorrenza, quantunque sia cosa equa certamente e utile se contenuta nei limiti bene determinati; non può essere in alcun modo il timone dell’economia; il che è dimostrato anche troppo dall’esperienza, quando furono applicate nella pratica le norme dello spirito individualistico. È dunque al tutto necessario che l’economia torni a regolarsi secondo un vero ed efficace suo principio direttivo. Ma tale ufficio molto meno può essere preso da quella supremazia economica, che in questi ultimi tempi è andata sostituendosi alla libera concorrenza; poiché, essendo essa una forza cieca e una energia violenta, per diventare utile agli uomini ha bisogno di essere sapientemente frenata e guidata. Si devono quindi ricercare più alti e più nobili principi da cui questa egemonia possa essere vigorosamente e totalmente governata: e tali sono la giustizia e la carità sociali. Perciò è necessario che alla giustizia sociale si ispirino le istituzioni dei popoli, anzi di tutta la vita della società; e più ancora è necessario che questa giustizia sia davvero efficace, ossia costituisca un ordine giuridico e sociale a cui l’economia tutta si conformi. La carità sociale poi deve essere come l’anima di questo ordine, alla cui tutela e rivendicazione efficace deve attendere l’autorità pubblica; e lo potrà fare tanto più facilmente se si sbrigherà da quei pesi che non le sono propri, come abbiamo sopra dichiarato.

90. Che, anzi, conviene che le varie nazioni, unendo propositi e forze insieme, giacché nel campo economico stanno in mutua dipendenza e debbono aiutarsi a vicenda, si sforzino di promuovere con sagge convenzioni e istituzioni una felice cooperazione di economia internazionale.

91. Pertanto, se le membra del corpo sociale saranno così rinfrancate, e ne verrà raddrizzato il principio direttivo quale timone della economia sociale, si potrà dire in qualche modo dell’ordine sociale ciò che dice l’Apostolo del corpo mistico di Gesù Cristo: che tutto il corpo compaginato e connesso per via di tutte le giunture di comunicazione, in virtù della proporzionata operazione sopra di ciascun membro, prende l’aumento proprio del corpo per la sua perfezione mediante la carità (Ef  IV, 16).

92. Recentemente, come tutti sanno, venne iniziata una speciale organizzazione sindacale e corporativa, la quale, data la materia di questa Nostra Lettera enciclica, richiede da Noi qualche cenno e anche qualche opportuna considerazione.

93. Lo Stato riconosce giuridicamente il sindacato e non senza carattere monopolistico, in quanto che esso solo, così riconosciuto, può rappresentare rispettivamente gli operai e i padroni, esso solo concludere contratti e patti di lavoro. L’iscrizione al sindacato è facoltativa, ed è soltanto in questo senso che l’organizzazione sindacale può dirsi libera; giacché la quota sindacale e certe speciali tasse sono obbligatorie per tutti gli appartenenti a una data categoria, siano essi operai o padroni, come per tutti sono obbligatori i contratti di lavoro stipulati dal sindacato giuridico. Vero è che venne autorevolmente dichiarato che il sindacato giuridico non escluse l’esistenza di associazioni professionali di fatto.

94. Le Corporazioni sono costituite dai rappresentanti dei sindacati degli operai e dei padroni della medesima arte e professione, e, come veri e propri organi ed istituzioni di Stato, dirigono e coordinano i sindacati nelle cose di interesse comune.

95. Lo sciopero è vietato; se le parti non si possono accordare, interviene il Magistrato.

96. Basta poca riflessione per vedere i vantaggi dell’ordinamento per quanto sommariamente indicato; la pacifica collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati socialisti, l’azione moderatrice di une speciale magistratura. Per non trascurare nulla in argomento di tanta importanza, ed in armonia con i principi generali qui sopra richiamati, e con quello che inibito aggiungeremo, dobbiamo pur dire che vediamo non mancare chi teme che lo Stato si sostituisca alle libere attività invece di limitarsi alla necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo ordinamento sindacale e corporativo abbia carattere eccessivamente burocratico e politico, e che, nonostante gli accennati vantaggi generali, possa servire a particolari intenti politici piuttosto che all’avviamento ed inizio di un migliore assetto sociale.

97. Noi crediamo che a raggiungere quest’altro nobilissimo intento, con vero e stabile beneficio generale, sia necessaria innanzi e soprattutto la benedizione di Dio e poi la collaborazione di tutte le buone volontà. Crediamo ancora e per necessaria conseguenza che l’intento stesso sarà tanto più sicuramente raggiunto quanta più largo sarà il contributo delle competenze tecniche, professionali e sociali e più ancora dei principi cattolici e della loro pratica, da parte, non dell’Azione Cattolica (che non intende svolgere attività strettamente sindacali o politiche), ma da parte di quei figli Nostri che 1’Azione Cattolica squisitamente forma a quei principi ed al loro apostolato sotto la guida ed il Magistero della Chiesa; della Chiesa, la quale anche sul terreno più sopra accennato, come dovunque si agitano e regolano questioni morali, non può dimenticare o negligere il mandato di custodia e di magistero divinamente conferitole.

98. Se non che, quanto abbiamo detto circa la restaurazione e il perfezionamento dell’ordine sociale, non potrà essere attuato in nessun modo, senza una riforma dei costumi come la storia stessa ce ne dà splendida testimonianza. Vi fu un tempo, infatti, in cui vigeva un ordinamento sociale che, sebbene non del tutto perfetto e in ogni sua parte irreprensibile, riusciva tuttavia conforme in qualche modo alla retta ragione, secondo le condizioni e la necessità dei tempi. Ora quell’ordinamento è già da gran tempo scomparso; e ciò veramente non perché non abbia potuto, col progredire, svolgersi e adattarsi alle mutate condizioni e necessità di cose e in qualche modo venire dilatandosi, ma perché piuttosto gli uomini induriti dall’egoismo ricusarono di allargare, come avrebbero dovuto, secondo il crescente numero della moltitudine, i quadri di quell’ordinamento, o perché, traviati dalla falsa libertà e da altri errori e intolleranti di qualsiasi autorità, si sforzarono di scuotere da sé ogni restrizione.

99. Resta adunque che, dopo aver nuovamente chiamato in giudizio l’odierno regime economico, e il suo acerrimo accusatore, il socialismo, e aver dato giusta ed esplicita sentenza sull’uno e sull’altro, indaghiamo più a fondo la radice di tanti mali e ne indichiamo il primo e più necessario rimedio, cioè la riforma dei costumi.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – OPTATISSIMA PAX

In piena fase postbellica, dopo tragedie di ogni tipo, il Sommo Pontefice Pio XII, l’ultimo Pontefice che liberamente si è potuto esprimere prima dell’invasione massonica nella Chiesa della sinagoga di satana del 1958, scriveva questa breve lettera per pacificare gli animi ancora esacerbati dalle recenti vicende che avevano portato a conflitti non ancora sopiti tra popoli e Nazioni, anche tra quelle un tempo accomunate da una stessa fede cristiana, ricordando subito la vera causa della tragedia appena conclusa …  «Ricordino tutti che quella congerie di mali, che negli anni trascorsi abbiamo dovuto sopportare, si è abbattuta sull’umanità principalmente perché la divina Religione di Gesù Cristo, che è fautrice di mutua carità tra i cittadini, i popoli e le genti, non regolava, come sarebbe stato necessario, la vita privata, domestica e pubblica.» Poche ma chiare parole con le quali il Vicario della Sapienza incarnata inchiodava tutti i fautori della aperta ribellione di popoli ingrati al sommo ed eterno Creatore, all’unigenito Figlio di Dio Redentore, ed alla sua unica Chiesa, faro di verità e di luce dei popoli e delle società. Ed ancor questa è e sarà la causa di ulteriori ed ancor più drammatici eventi che si stanno svolgendo proprio oggi davanti ai nostri occhi attoniti, eventi che hanno una portata spirituale immensa, capace di sprofondare milioni, o meglio miliardi di anime nel fuoco della eterna dannazione, anime ingannate da chi avrebbe dovuto proteggerle, averne cura, nutrirle con il latte divino della dottrina di Cristo, portarle al benessere spirituale e, Dio permettendo, al benessere materiale che potesse liberare l’uomo dalle necessità corporali che ostacolano l’unione con Dio medesimo. – A questi folli innamorati di satana, laici delle conventicole mondialiste (politici, medici, giornalisti, economisti dediti ai culti esoterici)  e soprattutto ai conniventi religiosi finti o veri (questi ultimi ancora pochi invero) che occupano – usurpandoli – tutti i posti che il Signore aveva stabilito a salvezza dei suoi figli adottivi, ricordiamo che il loro mentore, il baphomet-signore dell’universo, è il serpente falso ingannatore, loro crudele nemico e che, al momento in cui arriverà dall’Oriente come un baleno il Giudice divino in tutto il suo splendore, saranno bruciati dal soffio della sua bocca e sprofondati nello stagno di fuoco in eterno, membri della bestia o del falso profeta che siano. Tornate alla fede di Cristo, pentitevi, rinnegate il vostro falso “dio” cornuto, fate penitenza ed il Signore misericordioso vi salverà.  Svegliatevi da questo sogno che vivete, prima che sia troppo tardi, quando al risveglio vi troverete con le mani vuote di quei beni che credevate di avere. Fumo, sterco, paglia bruciata .. questo vi ritroverete nel mare di fuoco e nelle tenebre nelle quali in eterno rimpiangerete di avere amato il vostro ventre, gonfiato di aria il vostro orgoglio, rubato vili metalli, pietre dure, carta stampata, palazzi di fango.

PIO XII

EPISTOLA ENCICLICA

OPTATISSIMA PAX

PUBBLICHE PREGHIERE PER LA PACIFICAZIONE DEI POPOLI

La pace desideratissima, che deve essere «la tranquillità dell’ordine» e la «tranquilla libertà», dopo le cruente vicende di una lunga guerra ancora oscilla incerta, come tutti notano con tristezza e trepidazione, e tiene come sospesi in un’ansia angosciosa gli animi dei popoli; mentre invece in non poche Nazioni – già devastate dal conflitto mondiale e dalle rovine e dalle miserie che ne sono state la conseguenza dolorosa – le classi sociali vicendevolmente agitate da un acre odio, con innumerevoli tumulti e turbolenze, minacciano, come tutti vedono, di scalzare e sovvertire gli stessi fondamenti degli stati. Davanti a questo funesto e miserevole spettacolo l’animo Nostro è oppresso da somma amarezza e Ci sembra che il paterno e universale mandato, che abbiamo da Dio ricevuto, non solo Ci muova a esortare tutte le genti a volere estinguere i segreti odi e a rinnovare felicemente la concordia, ma anche ad ammonire tutti coloro che sono Nostri figli in Cristo, perché vogliano sollevare al cielo più ferventi preghiere; sappiamo infatti che ciò che viene fatto senza la propiziazione divina riesce manchevole e sterile, secondo la sentenza del salmista: «Se non è il Signore che edifica la casa, inutilmente lavorano coloro che la costruiscono» (Sal 126,1). – Immensi sono i mali, cui è necessario porre rimedio, rimedio che non può essere ulteriormente prorogato. Poiché da una parte l’economia in molte nazioni, per causa delle ingenti spese militari e delle enormi distruzioni belliche, è in stato di tale incertezza ed esaurimento che spesso non è in grado di risolvere i problemi che si prospettano e di alimentare quelle opere opportune, con le quali si potrebbe dar lavoro a quanti sono, purtroppo, costretti contro la loro volontà ad un ozio infruttuoso; dall’altra parte, purtroppo, non mancano coloro che esasperano e sfruttano la miseria delle classi proletarie, con segreto ed astuto calcolo, e impediscono quindi quei nobili sforzi con i quali si cerca di ricostruire, con retto ordine e con giustizia, le fortune andate disperse. Ma è necessario, finalmente, che tutti comprendano che non con le discordie, con i tumulti, con le stragi fraterne si possono riacquistare i beni perduti o salvare quelli in pericolo, ma soltanto con operosa concordia, con mutua cooperazione, con pacifico lavoro. – Coloro che, con piano premeditato, sollevano in modo inconsulto la folla eccitandola a tumulti, a sedizioni e a offese della libertà altrui, senza dubbio non giovano a mitigare l’indigenza del popolo, ma piuttosto l’accrescono e provocano l’estrema rovina, esacerbando l’odio e interrompendo il corso delle opere della vita cittadina. Infatti le lotte tra fazioni «furono e saranno per molti popoli una calamità più grande della stessa guerra, della fame e delle epidemie». – Ma in pari tempo è doveroso che tutti comprendano che la crisi sociale è tanto grande al presente e tanto pericolosa per l’avvenire da rendere necessario che ciascuno – e specialmente chi ha beni maggiori – anteponga il bene comune ai vantaggi e alle utilità private. – E prima d’ogni altra cosa è assolutamente urgente pacificare gli animi, riportarli a un fraterno consenso, a una mutua comprensione, a una cooperazione vicendevole, in modo da poter attuare quelle dottrine e quelle norme direttive che sono consentanee agli insegnamenti cristiani e alle condizioni dell’ora presente. – Ricordino tutti che quella congerie di mali, che negli anni trascorsi abbiamo dovuto sopportare, si è abbattuta sull’umanità principalmente perché la divina Religione di Gesù Cristo, che è fautrice di mutua carità tra i cittadini, i popoli e le genti, non regolava, come sarebbe stato necessario, la vita privata, domestica e pubblica. Se dunque, per questo allontanamento da Cristo, la retta via è stata smarrita, è necessario far ritorno a Lui sia nella vita pubblica sia in quella privata; se l’errore ha ottenebrato le menti, è necessario ritornare a quella verità, che essendo stata divinamente rivelata, indica il cammino che conduce al cielo; se finalmente l’odio ha apportato frutti mortiferi, occorre riaccendere quell’amore cristiano che può da solo sanare tante piaghe mortali, superare tanti paurosi pericoli, addolcire tante angosciose sofferenze. – E poiché già si avvicinano le soavi solennità natalizie, che ci conducono alla contemplazione del Bambino Gesù che vagisce nel presepio e dei cori angelici imploranti sugli uomini la pace, riteniamo opportuno rivolgere una viva esortazione a tutti i cristiani e in particolar modo a coloro che sono nel fiore dell’età, affinché visitino numerosi il sacro presepio e qui preghino, per ottenere dal divino Bambino che voglia benigno estinguere e allontanare le fiamme che sono minacciosamente agitate dall’odio nelle sedizioni e nei tumulti. Egli illumini con la sua luce celeste le menti di quelli che spesso, piuttosto che mossi da ostinata malizia, sono tratti in inganno da errori ammantati dalle piacevoli apparenze della verità; egli reprima e plachi negli animi l’odio, componga le discordie, faccia rivivere e crescere la carità cristiana. A coloro che godono di molti beni, egli insegni una provvida generosità verso i poveri; a coloro poi che tribolano per le loro condizioni povere e disagiate, egli, con il suo esempio e con il suo aiuto, apporti le spirituali consolazioni e li conduca a desiderare soprattutto quei beni celesti, che sono i beni migliori e che non verranno mai meno. – Nelle presenti angustie, Noi confidiamo molto nelle preghiere dei bambini innocenti, che il divin Redentore in modi particolari accoglie e predilige. Innalzino dunque essi verso di lui, durante le solennità natalizie, le loro candide voci e le loro esili manine, simbolo dell’interiore innocenza, implorando pace, concordia, mutua carità. E oltre alle fervide preghiere uniscano quegli esercizi di pietà cristiana e quelle offerte generose, con le quali la divina giustizia, offesa da tante colpe, possa essere placata, e in pari tempo gli indigenti possano ricevere – nella misura che le disponibilità di ciascuno permette – gli opportuni aiuti. – Abbiamo piena fiducia, venerabili fratelli, che con solerte impegno e diligenza, di cui abbiamo tante prove, voi farete sì che queste Nostre paterne esortazioni siano attuate e ottengano felici frutti e che tutti, in modo speciale i fanciulli, corrispondano, con volenteroso trasporto, a questi Nostri inviti che voi farete vostri. – Confortati da questa soave speranza, sia a voi singolarmente e universalmente venerabili fratelli, sia ai greggi affidati alle vostre cure, impartiamo con effusione d’animo l’apostolica benedizione, quale attestato della Nostra paterna benevolenza e auspicio delle grazie celesti.

Roma, presso San Pietro, il 18 dicembre, dell’anno 1947, IX del Nostro pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. CLEMENTE XIII – QUAM GRAVITER

Questa breve lettera enciclica è una protesta che il Sommo Pontefice Clemente XIII elevava nei confronti del Re definito Cristianissimo francese contro le leggi e le misure emesse contro i legittimi interessi della Chiesa in quel Paese. La Francia, prima figlia della Chiesa Cattolica, mostrava le prime crepe prodotte nella popolazione e nell’ordine statale dalle sette eretiche e dalle logge dei liberi muratori operanti con alacrità contro il nemico di sempre: la Chiesa Cattolica.  È un odio feroce che ha sempre spinto gli aderenti alla bestia satanica ad accanirsi contro il Corpo mistico di Cristo onde ferirlo, lacerarlo e – se possibile – distruggerlo. Questa lotta, iniziata all’indomani della Resurrezione e dell’Ascensione del divin Redentore, si concluderà alla fine dei tempi con il ritorno glorioso del Cristo, che annienterà i suoi nemici riducendoli a sgabello dei suoi piedi e sprofondandoli nello stagno di fuoco per l’eterna punizione. Ma il castigo, per i popoli si compie anche qua sulla terra, e la Francia ne è un lampante esempio con rivoluzione, guerre che hanno cancellato intere generazioni, destabilizzazione dell’ordine sociale, fino alla perdita attuale dell’identità culturale per cui l’islam ha soppiantato il Cristianesimo glorioso ed antico, ed una profondissima crisi economica sta già riducendo allo stremo una terra beneficata in ogni modo da Dio e dalla Mamma celeste. L’Apostasia poi dalla fede cattolica è evidente ed irreversibile per i costumi pagani ed epicurei inculcati in tutti gli strati sociali. Ma il conto sta già arrivando e sarà ancor più salato alla fine dei tempi, quando gran parte della popolazione, salvo un miracolo strepitoso dell’Altissimo, finirà con i suoi falsi profeti e le membra della “bestia” nello stagno di fuoco.

ENCICLICA
QUAM GRAVITER
DEL SOMMO PONTEFICE
CLEMENTE XIII

Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi riuniti a Parigi in Assemblea generale.

Il Papa Clemente XIII.
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

1. Quanto gravemente siamo stati colpiti, allorché abbiamo letto i tre Decreti (Arrêts, come li chiamano) dello scorso 24 maggio, pubblicati dal Regio Consiglio del Re Cristianissimo, vi sarà facile comprendere; come li ricevemmo, fummo al contempo colpiti e sconcertati. Infatti, che sarà in seguito del divino potere della Chiesa se, quando le occorrerà praticare e valersi del suo diritto, e vorrà richiamare i fedeli all’obbedienza, dovrà soggiacere totalmente al cenno della laica potestà e non potrà esigere dai fedeli obbedienza maggiore di quella che torna a vantaggio del potere secolare? Quale linea di demarcazione stabiliremo, al fine di riconoscere i limiti di entrambi i poteri, se è nelle mani e nell’arbitrio del potere laico la facoltà di annullare qualunque decreto della Chiesa circa la Fede o la disciplina o le norme di comportamento? Voi vedete, Venerabili Fratelli, quanto la Chiesa sia oppressa in questa sorta di servaggio, e da quale grave iattura finirà per essere funestata la vigna del Signore. Inoltre non sfuggirà alla vostra perspicacia quale flagello si debba paventare, posto che il potere secolare rivendica a sé il diritto di riesaminare le Costituzioni degli Ordini Regolari e di affrontarne la riforma, senza consultare questa Santa Sede del beato Pietro, alla quale nessuno nega che occorra rivolgersi, trattandosi di siffatte questioni, come testimoniano gli esempi, non così rari, in codesto Regno.

2. Peraltro siamo convintissimi che al Re Cristianissimo non è stato prospettato quanti gravi abusi possono aver origine da quegli editti contro la Chiesa; e non dubitiamo che la sua grande rettitudine e il suo singolare rispetto verso la Chiesa provano ripugnanza per tali abusi. Pertanto a voi compete il dovere di sottoporre alla vista di quella Maestà Regia la prova evidente di quegli abusi, descritta a vivaci colori, e voi dovete compiere tale atto con particolare sollecitudine in quanto lo stesso Re Cristianissimo ha espressamente dichiarato di voler porgere benevolo e indulgente ascolto alle vostre eventuali recriminazioni, se vorrete rivolgervi a lui. Affinché Voi possiate più agevolmente essere ammessi al suo cospetto, Venerabili Fratelli, Noi scriviamo a quella Maestà Reale rivelandogli il profondo dolore che Ci provenne da quegli editti e Lo richiamiamo al suo sentimento religioso perché Vi ascolti con animo sereno, quando solleciterete il suo reale soccorso in modo che si rivelino alla Chiesa la sua forza operante e il potere che egli ebbe da Cristo Signore. E a Voi, Venerabili Fratelli, di cui non loderemo mai abbastanza l’ardentissimo zelo e l’amore verso Dio e la Sposa di Gesù Cristo, impartiamo l’Apostolica Benedizione con tutto l’affetto del Nostro animo.

Dato a Roma, il 25 giugno 1766, ottavo anno nel Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – “OFFICIO SANCTISSIMO”

« Officio sanctissimo » è una magnifica lettera Enciclica densa di contenuti spirituali, dottrinali, sociali, pedagogici, storico-culturali che il Santo Padre Leone XIII scrisse all’Episcopato ed al popolo della Baviera, Regno da sempre Cattolico e fedelissimo alla Sede Apostolica – anche se tristemente noto per essere la patria degli Illuminati, infernale setta massonica. Ogni rigo è fonte di stupore e di meraviglia nel rilevare le considerazioni del Pontefice che sono applicabili non solo alla cristiana nazione, ma a tutte le Nazioni anche di oggi, che vogliono progredire nella vita materiale, sociale, spirituale. Energica è poi la difesa dei diritti della Chiesa Cattolica, fonte di ogni bene, ed accorata l’invocazione, rivolta prima alla Gerarchia ecclesiastica, e poi a tutti i Cristiani, nel serbare la dottrina cattolica, nell’insegnarla correttamente, con passione e con chiarissimo esempio promuovendo soprattutto la formazione dei giovani, sia chierici che laici. Non c’è che da leggere: si resta ammirati e commossi dai paterni accenti accorati del Pontefice rivolti a tutti gli strati della popolazione perché abbiano luce e benessere dalla santa Madre Chiesa, voluta da Dio, sgorgata dal fianco di Cristo ed arca unica di eterna salvezza. I tanti insegnamenti rivolti ai governanti di allora, sono tutti ancora perfettamente validi, e bene farebbero gli attuali reggitori delle sorti dei popoli, ad apprendere la vera scienza politica, quella che discende da Dio, dalla retta Teologia Scolastica, dal Magistero pontificio, dalla dottrina della Chiesa, e proprio in questi tempi in cui i servi del dragone e della bestia infernale, siedono – pilotati dalle logge di perdizione – sugli scanni di tutti i governi mondiali, spalleggiati dai rappresentanti del « falso profeta » insediato nei palazzi romani in luogo del legittimo reggente cacciato … esiliato … Al piccolo resto degli indomiti Cattolici non resta che la preghiera, il sacrificio e la ferma pazienza nell’attesa della desiderata parusia del Signore nostro Gesù Cristo che, con il soffio della bocca brucerà l’anticristo sprofondando nello stagno di fuoco la bestia, il falso profeta ed infine il drago maledetto, schiacciato dal calcagno virginale della Santissima Vergine Madre di Dio… et IPSA conteret caput tuum … Così è scritto, così sarà. … patientia pauperum non peribit in finem. Exsurge, Domine; non confortetur homo (Ps. IX, 19-20).

Leone XIII

Officio sanctissimo

Lettera Enciclica

Indotti dal dovere santissimo dell’ufficio Apostolico, Noi Ci siamo sforzati grandemente e a lungo, come voi ben sapete, perché migliorasse la situazione della Chiesa cattolica in Prussia e perché, riportata al rango e alla dignità che le competono, riacquistasse e ampliasse il suo antico prestigio. Questi Nostri propositi e sforzi, sorretti dall’aiuto e dall’ispirazione divina, hanno consentito di attenuare il precedente conflitto e di coltivare la speranza che in quel paese si potrà realizzare la piena e tranquilla libertà per i Cattolici. – Ora però è Nostra intenzione rivolgere la Nostra attenta sollecitudine, con intensità del tutto particolare, ai Bavaresi. Non certo perché riteniamo che la situazione religiosa sia in Baviera la stessa che in Prussia, ma perché speriamo e desideriamo che anche in codesto regno, che si gloria di professare il Cattolicesimo fin dal tempo dei più remoti antenati, sia opportunamente contrastato qualsiasi impedimento che possa insidiare o sminuire la libertà della Chiesa Cattolica. Per realizzare un così salutare proposito, Noi vogliamo esplorare ogni possibile occasione che Ci si offra, ed utilizzare senza indugio tutta l’autorità e tutto il potere di cui disponiamo. Ci appelliamo a voi, Venerabili Fratelli, e per vostro tramite Ci appelliamo a tutti i Nostri carissimi figli di Baviera, perché Ci sia dato di partecipare, secondo il Nostro potere, a tutto quanto sembri concernere l’interesse e la promozione della fede religiosa fra la vostra gente, e perché su questa materia possiamo darvi consigli, e rivolgere fiduciose sollecitazioni agli stessi poteri civili. – Negli annali sacri della Baviera – ricordiamo fatti che non vi sono sconosciuti – vi sono molti momenti nei quali Chiesa e Stato hanno trovato motivo di concorde letizia. Infatti la fede cristiana, da quando la sua divina semenza fu sparsa nel grembo della vostra regione mediante l’opera ed il sommo zelo del santo abate Severino (che fu l’apostolo del Norico) e degli altri predicatori del Vangelo, pose e fissò così profonde radici che in seguito nessuna smisurata superstizione, né alcun disordine e rivolgimento pubblico hanno potuto svellerla interamente. Per questo, alla fine del settimo secolo, quando Ruperto, santo vescovo di Worms, si accinse a risvegliare e a propagare la fede cristiana in tali regioni su invito di Theodone duca di Baviera, trovò indubbiamente, pur in mezzo alla superstizione, sia molti che già coltivavano la fede, sia molti che desideravano abbracciarla. E lo stesso insigne principe Theodone, mosso dall’ardore della fede, intraprese il viaggio verso Roma, e prosternato davanti al sepolcro dei Santi Apostoli e ai piedi dell’augusto Vicario di Gesù Cristo, per primo diede nobilissima testimonianza della pietà e della comunione della Baviera con questa Sede Apostolica: esempio che altri egregi principi hanno in seguito religiosamente imitato. Circa nello stesso periodo il Cardinale Martiniano, vescovo di Sabina, fu dal santo Pontefice Gregorio II inviato in Baviera per aiutare e rafforzare il campo cattolico; come compagni gli furono assegnati Giorgio e Doroteo, entrambi Cardinali della Chiesa romana. Non molto tempo si recò a Roma, presso il sommo Pontefice, Corbiniano, vescovo di Frisinga, uomo insigne per santità di vita e per abnegazione, che confermò ed accrebbe i risultati apostolici di Ruperto con uno zelo di pari intensità. Ma colui al quale si deve prima che ad ogni altro la gloria di aver alimentato e coltivato la fede in Baviera è senz’altro san Bonifacio, Arcivescovo di Magonza: lo stesso che viene celebrato come padre, apostolo, martire della Germania cristiana, con lodi assolutamente veritiere e immortali. Questi ricoperse l’ufficio di legato per i Pontefici romani Gregorio II e III, e Zaccaria, presso i quali egli godette sempre di grande favore; in nome loro e con l’autorità conseguente egli divise in diocesi le regioni della Baviera; avendo in tal modo stabilito l’ordinamento gerarchico, assicurò in perpetuo la fede che altri vi avevano introdotta. “Il campo del Signore – scrive San Gregorio II allo stesso Bonifacio – che giaceva incolto e che si era coperto di spine a causa dell’infedeltà, arato dal vomere della tua dottrina, accolse il seme del Verbo e produsse una fertile messe di fedeltà” . – Da quel tempo la religione dei Bavaresi, per quanto duramente insidiata nel corso dei secoli, resistette salda e costante attraverso tutte le vicende civili. Invero seguirono i ben noti turbamenti e le lotte dell’impero contro il sacerdozio: lotte aspre, lunghe, calamitose. Tuttavia in tali frangenti la Chiesa ebbe più da rallegrarsi che da dolersi, in Baviera. Questa infatti, col favore dell’autorità sovrana, si schierò a fianco del legittimo Pontefice Gregorio XI, senza lasciarsi in alcun modo smuovere dall’audacia sfrenata dei dissidenti che inutilmente minacciavano, e – cosa che era particolarmente difficile – per lungo tempo gli abitanti serbarono intatta la fede dei padri e la comunione con la Chiesa romana, per nulla intimiditi dalla violenta aggressività dei Novatori. Questo valore, questa fermezza dei vostri padri sono tanto più da celebrare ora che la nuova setta ha sventuratamente assoggettato quasi tutti i popoli a voi vicini. Certamente ai bavaresi che vissero in quei tempi calamitosi ben si addicevano le parole di meritata lode che molto tempo prima lo stesso Gregorio II aveva rivolto alla popolazione cattolica della Turingia, istruita nella dottrina cristiana da San Bonifacio, in una lettera ai governanti: “Riconoscendo la costanza della vostra magnifica fede in Cristo, di cui siamo ben informati, e come abbiate risposto, con fede piena, ai pagani che volevano spingervi a venerare gli idoli, di voler felicemente morire piuttosto che violare anche solo in parte la fede in Cristo abbracciata una volta per tutte; ripieni di straordinaria esultanza, rendiamo le dovute grazie al nostro Dio e redentore, dispensatore di ogni bene, con l’aiuto della cui grazia auspichiamo che voi possiate raggiungere le migliori e le più desiderabili mete; possiate rafforzare il proposito della vostra fede di mantenervi uniti e con animo pio alla santa Sede Apostolica e, quando lo esigano le necessità della santa Religione, possiate chiedere conforto alla santa Sede Apostolica, madre spirituale di tutti i fedeli, così come si conviene a figli coeredi di un regno nei confronti del regale genitore” . – In verità, anche se la grazia di Dio misericordioso, che nel passato ha protetto e benignamente abbracciato la vostra gente, Ci fa trarre i migliori auspici e concepire le migliori speranze per l’avvenire, nondimeno dobbiamo, ciascuno per la propria parte, apprestare tutte quelle difese che appaiano più efficaci sia a rimediare i danni già recati alla religione, sia ad impedire i pericoli che la possano sovrastare, in modo che la dottrina cristiana e le più sacre istituzioni morali possano rinvigorirsi ogni giorno di più e produrre frutti sempre più abbondanti. Non diciamo questo come se la causa cattolica potesse desiderare presso di voi più idonei o meno timidi difensori, ché anzi ben sappiamo, Venerabili Fratelli, che voi – e insieme con voi la parte maggiore e più integra del clero e dei fedeli laici – non vi siete mostrati né freddi né oziosi di fronte alle battaglie e ai pericoli dai quali è assediata e premuta la vostra Chiesa. Perciò, come per un motivo non dissimile il Nostro predecessore Pio IX, in un’amorevolissima lettera indirizzata ai Vescovi della Baviera, esaltò con grandi lodi il rilevante impegno da loro profuso in difesa dei sacri diritti della Chiesa, allo stesso modo Noi rivolgiamo volentieri spontanee, giuste e pubbliche lodi a quanti tra i Bavaresi hanno coraggiosamente intrapreso e sostengono la difesa della religione avita. In verità, nei periodi nei quali il previdentissimo Iddio permette che la sua Chiesa sia scossa da violente tempeste, Egli stesso richiede ben a ragione da parte nostra animi più vigili e forze più pronte alla bisogna. Tutti voi concordemente, Venerabili Fratelli, vedete con dolore come Noi, in che tempi ostili e iniqui la Chiesa sia caduta; vedete soprattutto in quali condizioni si trovino i vostri affari, e in quali difficoltà voi stessi vi dibattiate. Quindi comprendete per esperienza come i vostri doveri siano oggi maggiori che nel passato, e come dobbiate, per esercitarli, sforzarvi di applicare la vigilanza e l’operosità, la forza e la prudenza cristiane. – In primo luogo vi esortiamo e vi sollecitiamo a preparare e a qualificare il clero. Non c’è dubbio che il clero sia come un esercito, il quale, dal momento che i suoi regolamenti e i suoi compiti impongono che, sotto la guida dei Vescovi, si trovi in contatto quasi costante col popolo cristiano, sarà in grado di dare onore e sostegno tanto maggiori alla cosa pubblica quanto più si segnalerà per numero e per disciplina. Per questo fin dai tempi più antichi fu sempre speciale cura della Chiesa scegliere ed educare al sacerdozio quegli adolescenti “la cui indole e forza di volontà fanno sperare che si dedicheranno per sempre ai compiti ecclesiastici” ; ed altresì “che gli adolescenti siano avviati fin dagli anni più teneri alla pietà e alla Religione, prima che l’abitudine dei vizi possieda tutti gli uomini” ; per loro fondò appositi istituti e collegi, e fissò regolamenti pieni di sapienza, specialmente col santo Concilio Tridentino , “perché questo collegio dei ministri di Dio sia un seminario perpetuo” . Ora, vi sono luoghi in cui sono state stabilite e sono in vigore leggi che, se non impediscono del tutto, pongono ostacoli a che il clero si formi spontaneamente o venga educato secondo una specifica disciplina. Riguardo a questo problema, che riveste la massima importanza, riteniamo che ora, come in altre occasioni, occorra che Noi esprimiamo apertamente il Nostro pensiero e che ricorriamo a qualunque mezzo in Nostro possesso per conservare santo e inviolato il diritto della Chiesa. Non v’è dubbio che sia diritto originario della Chiesa, come società perfetta nel suo genere, di ordinare e di istruire le sue truppe, che non sono di danno ad alcuno e sono di aiuto a molti, nel pacifico regno che Gesù Cristo ha fondato sulla terra per la salvezza del genere umano. – Il clero però dovrà assolvere ai propri doveri nel modo assolutamente più rigoroso e completo, quando, sorretto dall’aiuto dei Vescovi, avrà acquisito nei sacri seminari una tale disciplina dell’animo e della mente quale richiedono la dignità del sacerdozio cristiano e le circostanze dei tempi e dei costumi; occorre cioè che esso eccella con lode nella dottrina e, ciò che è più importante, con somma lode nell’esercizio della virtù, affinché sappia trarre a sé l’animo degli uomini e suscitare in loro un sentimento di deferenza. – È necessario che la sapienza cristiana, splendente di mirabile luce, brilli negli occhi di tutti, affinché, disperse le tenebre dell’ignoranza, che è la maggior nemica della Religione, la verità si diffonda largamente in ogni dove e felicemente regni. Occorre altresì che siano confutati e sbaragliati i molteplici errori che, sorti o dall’ignoranza o dalla disonestà o dai pregiudizi, distolgono perversamente la ragione degli uomini dalla verità cattolica e la mostrano in una luce fastidiosa per l’animo. Quel compito grandissimo che consiste nell’”esortare alla sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono” (Tt 1, 9) spetta all’ordine dei Sacerdoti, che lo ricevettero legittimamente da Cristo Signore, quando Egli li inviò, con la sua divina potestà, ad istruire tutte le genti: “Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo a tutte le creature” (Mc XVI, 15); intendendo chiaramente che i Vescovi, scelti quali successori degli Apostoli, presiedano come maestri nella Chiesa di Dio, e che i Sacerdoti li affianchino come aiutanti. Riguardo a queste sante incombenze, si provvide nel modo quanto più compiuto e perfetto nei primi tempi della nostra Religione e nei secoli successivi, durante quell’acerbissima lotta che divampò così a lungo contro la tirannide della superstizione pagana: da quel conflitto trasse sì grande gloria la classe sacerdotale, e gloria ancor più grande il santissimo ordine dei Padri e dei Dottori, la cui sapienza ed eloquenza risplenderanno nella memoria e nell’ammirazione di tutti. In verità, attraverso loro, la dottrina cristiana, più sottilmente trattata, con più facondia spiegata, col massimo coraggio difesa, si rivelò in tutta la sua verità e la sua eccellenza, assolutamente divina; per contro cadde la dottrina degli idolatri, confutata e disprezzata anche dagli indotti come totalmente assurda, insufficiente, incoerente. – Inutilmente poi gli avversari si coalizzarono per ritardare e ostacolare il corso della sapienza cattolica; inutilmente le contrapposero le scuole della filosofia greca, sopra tutte la platonica e l’aristotelica, esaltandole con magnifiche espressioni di lode. I nostri infatti, non sottraendosi neppure a siffatto genere di contesa, applicarono l’ingegno anche allo studio dei filosofi pagani; ciascuno di loro se ne occupò, li approfondì con diligenza quasi incredibile, li esaminò ad uno ad uno, li soppesò, li confrontò; molte proposizioni furono da loro respinte o corrette; non poche, com’era giusto, approvate ed accolte; fu infatti da loro chiarito e proclamato il concetto secondo cui soltanto ciò che appare falso alla ragione e all’intelligenza dell’uomo è contrario alla dottrina cristiana, sicché colui che vuole opporsi e resistere a questa dottrina in realtà necessariamente si oppone e resiste alla sua stessa ragione. – Di tal fatta furono le battaglie combattute da quei nostri padri; significative vittorie furono ottenute non solo col valore e le armi della fede, ma anche con l’aiuto della ragione umana: la quale, avanzando nella luce della sapienza celeste, dall’ignoranza di moltissime cose, e quasi da una foresta d’errori, era entrata a passo sicuro nel cammino della verità. – Questa veramente ammirevole concordia ed alleanza di fede e ragione, per quanto onorate nei meditati studi di molti, risplendono tuttavia al massimo grado, come raccolte in un solo edificio ed esposte unitariamente, nell’opera di Sant’Agostino De Civitate Dei, e similmente nell’una e nell’altra Summa di San Tommaso d’Aquino: libri nei quali sono racchiusi certamente tutti i più acuti pensieri e le dissertazioni di tutti i sapienti, e nei quali si possono ricercare i fondamenti e le sorgenti di quella eminente dottrina che chiamano teologia cristiana. – Il ricordo di esempi tanto insigni deve essere assolutamente ripreso e favorito in quei tempi dal clero, ora che vecchie armi sono qua e là rimesse in uso da opposti partiti e si riaccendono quasi le stesse vecchie battaglie. Però, mentre in passato i pagani respingevano la religione cristiana per il fatto che non volevano essere allontanati dai loro riti e dalle loro istituzioni religiose ancestrali, ora invece l’opera nefasta di uomini scellerati tende proprio ad estirpare dalle radici, tra i popoli cristiani, tutti quegli insegnamenti divini e indispensabili che furono inculcati in loro attraverso la santità della fede, e a ridurli in uno stato peggiore di quello dei pagani e a trascinarli alla più degradante miseria, vale a dire al disprezzo e alla distruzione di ogni fede e religione. – L’origine di questa impura peste, della quale nessun’altra è più detestabile, è da ricercarsi in coloro che attribuirono all’uomo, esclusivamente in virtù della propria natura, la facoltà di conoscere e giudicare, ciascuno in base al proprio giudizio razionale, in materia di dottrina rivelata: con ciò sottraendosi del tutto all’autorità della Chiesa e del Pontefice romano, ai quali soltanto spetta invece, per divino mandato e prerogativa, di custodire tale dottrina, tramandarla, e sentenziare intorno ad essa in assoluta verità. Si apriva così rapidamente – e infatti si aperse rovinosamente per loro – la via che porta a porre in dubbio e a rifiutare tutte le verità che sono poste oltre la natura delle cose e la capacità intellettiva dell’uomo; giunsero a tal punto d’impudenza da negare che vi sia qualche autorità che promani da Dio, e che Dio stesso esista, scadendo infine, nella teoria insulsa dell’Idealismo e in quella particolarmente abietta del Materialismo. Coloro che si chiamano Razionalisti, così come i Naturalisti, non si peritano di chiamare questo pervertimento dei massimi principi col falso nome di progresso della scienza e progresso della società umana; al contrario, tutto ciò prepara la rovina e la distruzione dell’una e dell’altra. – Pertanto, Venerabili Fratelli, voi ben sapete e comprendete con quali strumenti e metodi occorre che vengano educati alle più alte dottrine gli alunni della Chiesa, affinché essi si applichino ai propri doveri secondo quanto richiedono la convenienza e l’utilità dei tempi. È bene però che essi, una volta plasmati e affinati attraverso le discipline umanistiche, non si accostino ai più complessi studi della sacra teologia prima di aver acquisito una scrupolosa preparazione nello studio della filosofia. Ci riferiamo a quella filosofia profonda e solida, indagatrice delle cause ultime, valida patrona della verità; in forza di essa, eviteranno di fluttuare e di venir trascinati “da qualsiasi vento dottrinario suggerito dalla malvagità degli uomini, con l’astuzia ingannatrice dell’errore” (Ef. IV, 14), e sapranno fornire alla verità l’ausilio anche di altre dottrine, dopo aver discusso e confutato le teorie ingannevoli e capziose. A questo scopo abbiamo già raccomandato che le opere del grande Aquinate siano nelle loro mani e costantemente ed abilmente commentate, ed abbiamo più volte reiterato tale consiglio con le parole più solenni. Il Nostro animo confida che da quei testi il clero abbia già tratto ottimi frutti, e nutriamo la ferma speranza che ne trarrà degli ancor più ricchi e copiosi. Non v’è dubbio che l’insegnamento del Dottor Angelico è mirabilmente idoneo a formare le menti: fornisce mirabile perizia nel commentare, nel filosofare e nel disertare in modo stringente e invincibile. Infatti mostra lucidamente le cose singole l’una derivante dall’altra in una serie continua, tutte tra loro connesse e coerenti, tutte in relazione con i principi supremi; così essa innalza alla contemplazione di Dio, che di tutte le cose è causa efficiente e forza e sommo modello, al quale infine ogni filosofia e quanto v’è di grande nell’uomo debbono riferirsi. Così, invero, attraverso Tommaso la scienza delle cose divine e umane, e delle cause che le contengono, viene ammirevolmente illustrata e stabilmente fondata; nel tentativo di contrastarne la disciplina, le antiche sette degli errori si ritrovarono completamente distrutte; e così pure le nuove, diverse da quelle più nel nome e nell’apparenza che nella sostanza, non appena ebbero sollevata la testa ricaddero, soccombendo sotto i suoi colpi: come già è stato dimostrato da più d’uno dei nostri scrittori. – Indubbiamente la ragione umana vuole addentrarsi con sguardo acuto e libero nella conoscenza della natura intima e recondita delle cose, e non può non volerlo: ma sotto la guida e il magistero dell’Aquinate tale percorso le è reso più facile e più libero perché del tutto sicuro, al riparo dal pericolo di oltrepassare i confini della verità. Né del resto si potrebbe onestamente definire libertà quella che consiste nel seguire e nello spargere opinioni secondo l’arbitrio e il capriccio, ma al contrario soltanto licenza dissoluta, scienza menzognera e fallace, disonore e schiavitù dell’animo. Peraltro egli è il sapientissimo Dottore che sa mantenersi entro i limiti della verità; colui che non solo non combatte mai con Dio, principio e somma di ogni verità, ma che a Lui si mantiene sempre unito, sempre devoto a Lui che in ogni modo gli rivela i Suoi arcani misteri; colui che non meno santamente è docile alla parola del Pontefice romano, venera in lui l’autorità divina, ed è assolutamente convinto che “la sottomissione al Pontefice romano è necessaria alla salvezza” . Alla sua scuola dunque sia formato il clero, e si eserciti nella filosofia e nella teologia: ne uscirà sicuramente dotto e al massimo grado armato per le sante battaglie. – Infine a malapena si può esprimere l’immensa utilità di diffondere presso ogni ordine sociale, tramite il clero, la luce della dottrina, se essa rifulge come da un candelabro di virtù. Infatti, nei precetti che si propongono di correggere i costumi umani, sono quasi più efficaci gli esempi che le parole dei maestri: nessuno avrà mai una gran fiducia in colui le cui azioni discordino con le sue parole e i suoi insegnamenti. Fissiamo gli occhi e la mente in Gesù Cristo Signore, il quale, poiché è la verità ci insegnò le cose in cui dobbiamo credere, e poiché è la vita e la via, propose se stesso a noi come l’esempio assoluto, sul quale modellarci per condurre onestamente la vita e per tendere con zelo al bene ultimo. Egli stesso volle i suoi discepoli formati e perfetti secondo il suo esempio con queste parole: “La vostra luce, cioè la dottrina, risplenda agli occhi degli uomini quando essi vedono le vostre opere buone”, non diversamente dagli argomenti della dottrina, “e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt V, 16), abbracciando insieme la dottrina e la morale del Vangelo, che affidava loro perché lo diffondessero. – Sono appunto questi i principi divini sui quali occorre che si modelli e si orienti la vita dei Sacerdoti. È assolutamente opportuno e necessario che essi abbiano quasi scolpita nell’animo la convinzione che ormai non appartengono più al secolo, ma sono stati scelti veramente per disposizione di Dio perché, pur conducendo la loro esistenza in comunione col secolo, vivano tuttavia la vita di Cristo Signore. Se davvero vivranno di Lui e in Lui, non ricercheranno mai le cose proprie, ma si dedicheranno totalmente alle cose che appartengono a Gesù Cristo (Fil II, 21), e non si sforzeranno di procurarsi il vano favore degli uomini, ma ricercheranno il duraturo favore di Dio; si asterranno, provandone disgusto, da ogni genere di bassezza e corruttela; procurandosi larga messe di beni celesti, li diffonderanno copiosamente e lietamente intorno a sé, come si addice alla santa carità; né accadrà mai più che al giudizio e al volere dei Vescovi oppongano o antepongano il proprio, ma obbedendo e assecondando coloro che rappresentano la persona di Cristo, lavoreranno con grande felicità nella vigna del Signore, con abbondanza di sceltissimi frutti produttivi della vita eterna. Invero, chiunque si separi con la parola e con la volontà dal suo pastore e dal Pastore supremo, il romano Pontefice, non può in alcun modo essere congiunto a Cristo: “Chi ascolta voi ascolta me; e chi disprezza voi disprezza me” (Lc X,16), e chiunque è lontano da Cristo dissipa, anziché raccogliere. – Da ciò scaturisce inoltre quali forme e modi di obbedienza siano dovuti agli uomini, che sono preposti alla cosa pubblica. Ebbene, non si vuole assolutamente negare o limitare i loro diritti; piuttosto sono da seguire, da parte di tutti gli altri cittadini, e con maggior diligenza da parte dei sacerdoti, le parole “Date a Cesare quello che è di Cesare” (Mt. XXII, 21). Infatti sono nobilissimi e degni di onore i doveri che Dio, Signore e Rettore supremo, impose ai Principi acciocché con la saggezza, con la ragione, con ogni osservanza della giustizia essi regolino, conservino, accrescano lo Stato. Per questo il clero deve adempiere e svolgere ogni singolo dovere dei cittadini, in modo non servile ma rispettoso; per religione e non per paura; col giusto ossequio pur conservando la propria dignità: cittadini e insieme Sacerdoti di Dio. Ché se poi talora accada che il potere civile usurpi i diritti di Dio e della Chiesa, allora venga dai Sacerdoti un insigne esempio di come il Cristiano si debba mantenere fermo al proprio posto, anche in tempi terribili per la Religione: sopporti in silenzio, con fermo coraggio; sia cauto nel sopportare azioni inique, e non dia in alcun modo il proprio assenso né la propria comprensione ai malvagi; e se si ponesse la stringente alternativa, o di disobbedire ai comandi di Dio o di compiacere agli uomini, egli faccia propria con libera voce quella memorabile e degnissima sentenza degli Apostoli: “Occorre obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At V, 29). A questo modello appena abbozzato di un metodo educativo per giovani ecclesiastici, Ci piace e Ci pare opportuno aggiungere considerazioni che riguardano la gioventù in generale: Ci sta grandemente a cuore, infatti, che l’educazione di essa si compia nel modo migliore e più completo, sia riguardo allo sviluppo della mente, sia alla perfezione dell’animo. La Chiesa ha sempre avvolto in un materno abbraccio l’età giovanile; in sua difesa ha sempre impiegato molte amorevoli energie e apprestato molteplici sussidi; tra questi, molte Congregazioni di religiosi che istruissero gli adolescenti nelle arti e nelle dottrine, e soprattutto li nutrissero della sapienza e della virtù cristiana. Così, sotto tali auspici accadeva facilmente che sgorgasse nei teneri animi la pietà verso Dio, e che per questo tramite il senso del dovere dell’uomo verso se stesso, verso gli altri e verso la patria, ricevuto in giovane età, altrettanto precocemente facesse sperare nei migliori frutti. – Pertanto, ora è giusta causa di dolore per la Chiesa il vedere che i propri figli le sono strappati nella più tenera infanzia e costretti in quelle scuole dove o viene messa del tutto a tacere ogni nozione di Dio, oppure ne viene esposta qualche idea imprecisa e mista a perversità, e dove non v’è alcun riparo contro il diluvio di errori, alcuna fede nella rivelazione divina, alcuno spazio perché la verità possa difendersi da se stessa. – È dunque somma ingiustizia escludere l’autorità della Chiesa Cattolica dalle sedi delle lettere e delle scienze, poiché è da Dio che è stato attribuito alla Chiesa il compito dell’insegnamento della Religione, cioè di quello strumento senza il quale nessuno può acquistare la salvezza eterna. A nessun’altra comunità umana è stato assegnato tale incarico, e nessuna comunità può attribuirselo: per questo e con ragione essa lo reclama come suo proprio diritto, e si duole nel vederlo colpito. Oltre a ciò occorre prestare grande attenzione e ad ogni costo evitare che, nelle scuole che si sono sottratte in tutto o in parte dalla giurisdizione della Chiesa, la gioventù corra pericoli e subisca influenze dannose per la sua fede cattolica e per la sua dirittura morale. A questo fine avrà particolare valore la sollecitudine del clero e delle persone oneste, sia se opereranno perché l’insegnamento religioso non solo non venga escluso da quelle scuole, ma perché vi occupi il ruolo che gli spetta, e perché venga affidato a maestri idonei e di specchiata virtù; sia se sapranno ideare e organizzare altri accorgimenti didattici che consentano di insegnare ai giovani tale dottrina con limpidezza e chiarezza. Avranno anche grande valore i consigli e la cooperazione dei padri di famiglia. Conseguentemente è opportuno rivolgere a questi un ammonimento e un’esortazione, con la maggiore solennità: non dimentichino quanto grande e santo dovere essi contraggano con Dio riguardo ai loro figli; come li debbano educare alla conoscenza della Religione, ai buoni costumi, al pio timor di Dio; come potrebbero danneggiarli, affidando giovani ingenui e incauti alle mani di precettori sospetti. Collegati con tali doveri, che si sono assunti con la procreazione dei figli, i padri di famiglia sappiano che esistono altrettanti diritti, secondo natura e secondo giustizia, e sono di tal fatta che non è lecito né sottrarsene né farsene espropriare da alcuna autorità umana, dal momento che è proibito all’uomo sciogliersi dagli obblighi ai quali è tenuto verso Dio. – I genitori ricordino dunque che, se sopportano un grande peso, quello della protezione dei figli, ne sopportano uno molto maggiore, quello di educarli alla più alta e più degna vita, che è la vita spirituale. Quando non sono in grado di svolgere da sé questo compito, sono tenuti ad assicurarsi l’opera vicaria di altri, in modo che i figli ricevano il necessario insegnamento religioso da maestri preparati. Ormai non è infrequente quel davvero meraviglioso esempio di pietà e di munificenza fornito – nei luoghi dove non esistono altre scuole pubbliche, se non quelle che vengono chiamate neutrali – da quei Cattolici che hanno aperto proprie scuole a costo di grandi sacrifici e rilevanti spese e che con pari costanza le mantengono in attività. È da augurarsi vivamente che siano fondati molti altri di questi mirabili e sicuri rifugi per la gioventù, ovunque se ne veda l’opportunità secondo i luoghi e le possibilità. – Né si deve passare sotto silenzio il fatto che l’educazione cristiana della gioventù risulta anche della massima utilità per la società stessa. È del tutto evidente come siano da temersi innumerevoli e ingenti pericoli in quello Stato in cui i metodi didattici e l’ordinamento degli studi escludano la Religione, oppure, ciò che è anche più dannoso, le si oppongano. Infatti, non appena sia trascurato o spregiato quel supremo e divino Magistero, che ci ammonisce a venerare l’autorità di Dio, e, fidando in Lui, ad attenerci con incrollabile fede ai suoi Comandamenti, ecco che subito si apre per la scienza umana la rovinosa via dei più perniciosi errori, e particolarmente quelli del naturalismo e del razionalismo. Ne consegue che ciascuno si ritiene libero nel giudicare e nel valutare, sia che si tratti di idee, sia, e con maggior facilità, che si tratti di azioni; per questo l’autorità pubblica dei governanti ne risulta indebolita e mortificata. Ci sarebbe infatti da stupirsi considerevolmente se persone che abbiano fatta propria la perversa convinzione di non essere in alcun modo obbligate al dominio e al governo di Dio, accettassero e tollerassero il governo di un uomo. Una volta che siano stati distrutti i fondamenti sui quali poggia qualsiasi autorità, la società dell’umano consorzio si dissolve e si disperde: non vi sarà più Stato; si estenderà ovunque il feroce dominio della violenza e del delitto. Può forse lo Stato sventare una sì funesta calamità contando solo sulle proprie forze? Può farlo rifiutando l’aiuto della Chiesa? Può farlo combattendo la Chiesa? La risposta è chiara e manifesta a chiunque sia dotato di saggezza. La stessa prudenza politica quindi suggerisce che si debba lasciare ai Vescovi e al clero un ruolo nell’istruzione e nella formazione della gioventù; e che si debba prestare particolare attenzione a che non vengano chiamati al nobilissimo ufficio di educatori uomini di tiepido o scarso sentimento religioso, o apertamente avversi alla Chiesa. E sarebbe poi oltremodo intollerabile che uomini di siffatte inclinazioni fossero scelti per l’insegnamento più alto di tutti, quello delle scienze religiose. – È inoltre della massima importanza, Venerabili Fratelli, che avvertiate e cerchiate di respingere i pericoli che minacciano i vostri fedeli per il contagio dei massoni. Già altra volta, in un’apposita lettera Enciclica, mettemmo in rilievo quanto i propositi e le arti di questa tenebrosa setta siano pieni di nequizia ed esiziali per la società, ed indicammo i mezzi per indebolirne e soffocarne il vigore. – Né si avvertiranno mai abbastanza i Cristiani di guardarsi da tale scellerata società; essa infatti, sebbene fin da principio abbia concepito un profondo odio verso la Chiesa Cattolica e l’abbia poi riaffermato più aspramente e continui ogni giorno ad attizzarlo, tuttavia non manifesta sempre un’aperta inimicizia, ma più spesso agisce in modo ipocrita e ingannevole, e sventuratamente irretisce soprattutto gli adolescenti, che sono ingenui e poco smaliziati, attraverso una simulazione di pietà e di carità. Circa il modo di cautelarsi contro coloro che sono lontani dalla fede Cattolica, attenetevi scrupolosamente ai precetti della Chiesa, perché la consuetudine con le loro perverse opinioni non si risolva in un danno per il popolo cristiano. Vediamo bene, e ne siamo assai addolorati, che né Noi né voi abbiamo capacità pari alla volontà e allo zelo, per stornare completamente questi pericoli; nondimeno non riteniamo inopportuno fare appello alla vostra sollecitudine pastorale e insieme spronare all’impegno i Cattolici, perché associando i nostri sforzi possiamo allontanare o rendere meno pesanti gli ostacoli che si oppongono ai nostri voti comuni. Per esortarvi con le parole del Nostro santo predecessore Leone Magno, “Armatevi di pio zelo e religiosa sollecitudine, e che l’opera di tutti i fedeli si coalizzi contro i più minacciosi nemici delle anime” . Pertanto, dopo aver rimosso qualsiasi residuo di pigrizia e torpore che possano albergare nell’animo, tutti i buoni assumano come propria la causa della Religione e della Chiesa; e per essa combattano con fede e con perseveranza. Accade infatti che i malvagi vedano rafforzata la propria malizia e libertà di nuocere dall’inerzia e dalla pavidità dei buoni, ed anzi se ne vantino. Accadrà anche che gli sforzi e lo zelo dei Cattolici raggiungano talora risultati inferiori ai propositi e alle attese: saranno serviti tuttavia all’uno o all’altro scopo, a trattenere cioè gli avversari e a rinvigorire i deboli e i vili, oltre che procurare grande giovamento a chi ha la sicura coscienza del dovere compiuto. Del resto non sapremmo neppure concedere facilmente che possa mancare un esito felice alla solerzia e all’operosità dei Cattolici, quando siano guidate da un proposito giusto, perseguito con tenacia. Infatti è sempre successo, e accadrà sempre, che imprese che si presentano irte di gravi difficoltà e ostacoli abbiano infine il più felice esito, quando siano affrontate, come dicemmo, con audacia e intrepidezza, accompagnate e guidate da cristiana prudenza. È certamente inevitabile che prima o poi la verità, cui l’uomo per natura tende con grande passione, finisca per conquistare la mente; può essere attaccata e sommersa da turbolenze e malattie dello spirito, ma non può essere annientata. – Queste considerazioni appaiono convenire particolarmente alla Baviera, e per più di una ragione. In questa regione, infatti, dato che per grazia divina è annoverata tra i Regni Cattolici, non si tratta tanto di ricevere la santa fede quanto di custodire ed accrescere quella tramandata dai padri; inoltre, sono in gran parte Cattolici coloro che investiti di una pubblica carica sono autori delle leggi dello Stato; ed essendo parimenti Cattolici in maggioranza i cittadini e gli abitanti, non abbiamo il minimo dubbio sul fatto che essi vorranno aiutare e soccorrere con ogni mezzo la loro madre Chiesa nell’ora del pericolo. Dunque, se tutti collaboreranno con l’energia e la partecipazione dovute, potremo senza dubbio rallegrarci, con l’aiuto di Dio, dell’esito favorevole dei loro sforzi. E raccomandiamo ancora la collaborazione di tutti, perché, come nulla è più nefasto della discordia, così nulla è più potente ed efficace del consenso e della concordia degli animi quando, unendo le loro forze, tendano tutti ad uno scopo comune. In questo senso ai Cattolici si offre, attraverso le leggi, un mezzo opportuno per chiedere un miglioramento nelle condizioni e nelle forme della cosa pubblica, e per desiderare e volere una costituzione che, anche se non prevede favori e privilegi per la Chiesa e per loro, come pure sarebbe assai giusto, almeno non sia loro duramente ostile. Né sarà giusto che alcuno accusi e biasimi quelli tra noi che chiedono tali riconoscimenti, dato che di simili benefici avevano la consuetudine di servirsi licenziosamente i nemici del nome cattolico per ottenere e quasi estorcere dai governanti leggi avverse alla libertà civile e a quella religiosa. Perché non dovrebbe essere concesso ai Cattolici di servirsi degli stessi mezzi, e di servirsene nel modo più onesto, per la difesa della Religione, e per salvaguardare quei beni, privilegi e diritti che sono stati per volontà divina conferiti alla Chiesa e che da tutti, governanti e sudditi, devono essere guardati con molto rispetto? Tra i beni della Chiesa, che Noi dobbiamo sempre e ovunque conservare e difendere da ogni offesa, il più importante è certamente quello di poter fruire di tutta quella libertà d’azione di cui abbisognano la cura e la salvezza delle anime. Questa libertà è sicuramente divina, promossa dalla volontà dell’unigenito Figlio di Dio, che fece sorgere la Chiesa dall’effusione del proprio sangue, la volle perpetua tra gli uomini e volle porsene Egli stesso a capo: essa è a tal punto essenziale alla Chiesa, all’opera perfetta e divina, che chi agisce contro questa libertà agisce contro Dio e contro il dovere. – Come già dicemmo altrove più di una volta, Dio stabilì la sua Chiesa affinché si assumesse il compito di difendere, perseguire e donare largamente alle anime i beni supremi, immensamente superiori per natura ad ogni altra cosa; e affinché, con gli strumenti della fede e della grazia, infondesse da Cristo nuova vita negli uomini: una vita apportatrice di salvezza eterna. – Ma poiché le caratteristiche e i diritti di ogni società sono determinati essenzialmente dalle ragioni dalle quali trae origine e dalle mete alle quali tende, ne consegue naturalmente che la Chiesa è una società tanto distinta dalla società civile in quanto sono diverse le loro ragioni d’essere e le loro mete; essa è una società necessaria, che si offre all’intero genere umano, dato che tutti sono chiamati alla vita cristiana, in modo tale che chi la rifiuta o l’abbandona sarà separato in perpetuo, ed escluso dalla vita celeste; essa è soprattutto una società autonoma, e la più alta di tutte, per la stessa eccellenza dei beni celesti e immortali ai quali tutta intera tende. – È evidente a chiunque, d’altra parte, che le libere istituzioni devono avere libertà nell’impiego di tutti gli strumenti necessari. E gli strumenti idonei e necessari per la Chiesa sono la facoltà di trasmettere a sua discrezione la dottrina cristiana, di assicurare i santissimi Sacramenti, di esercitare il culto divino, di disporre e governare tutta la disciplina del clero, cioè tutti quei compiti e privilegi di cui Dio, nella sua infinita provvidenza, volle la Chiesa, ed essa sola, investita e dotata. A lei sola dispose che fossero affidate, come in deposito, tutte le cose rivelate agli uomini; lei sola infine stabilì come interprete, garante, maestra di verità, la più sapiente e sicura, i cui insegnamenti devono ascoltare e seguire tanto gli individui quanto gli Stati; similmente è certo che Egli stesso diede libero mandato alla Chiesa di giudicare e di prendere quelle deliberazioni che più ritenesse convenienti ai propri fini. Per questo, non v’è ragione che i poteri civili guardino con sospetto e ostilità alla libertà della Chiesa, dal momento che identico è il principio sia del potere civile, sia di quello religioso, e proviene unicamente da Dio. Perciò i due poteri non possono né divergere, né ostacolarsi, né annullarsi a vicenda, dato che non può essere che Dio non sia in armonia con se stesso, né possono essere in contrasto tra loro le Sue opere: ché anzi esse rivelano mirabile accordo di cause ed effetti. È chiaro inoltre che la Chiesa Cattolica, mentre porta i suoi vessilli sempre più lontani e sicuri tra le genti, obbedendo ai comandi del suo Fondatore, non invade in alcun modo il territorio del potere civile, né interferisce per nulla nel suo campo d’azione; ma anzi si pone a difesa e a salvaguardia delle genti; a somiglianza di quanto accade con la fede cristiana, che, lungi dall’oscurare la luce della ragione umana, le aggiunge piuttosto splendore, sia con l’allontanarla dall’errore, in cui è facile che l’uomo possa cadere, sia perché la introduce in un mondo di idee più vasto e più elevato. – Per quanto riguarda la Baviera, sono intervenuti particolari accordi tra questa Sede Apostolica e detto Paese: accordi ratificati e consacrati da reciproche convenzioni. La Sede Apostolica, sebbene abbia fatto larghe concessioni relativamente ai propri diritti, ha sempre rispettato tali accordi, come suole fare, integralmente e religiosamente; né ha mai fatto nulla che desse occasione di rimostranze. Per questo è assolutamente auspicabile che le convenzioni siano mantenute e scrupolosamente rispettate da entrambe le parti, sia nella lettera, sia ancor più nello spirito secondo il quale sono state stipulate. – È accaduto in realtà che la concordia venisse turbata e che nascesse un’occasione di conflitto: tuttavia Massimiliano I con un decreto l’attenuò, e successivamente Massimiliano II agì secondo giustizia, sancendo alcune opportune modifiche. Ora apprendiamo che queste disposizioni in tempi recenti sono state abrogate; tuttavia confidando sulla religione e sulla prudenza del Principe che governa il regno di Baviera, speriamo che colui che ha ricevuto come gloriosa eredità il ruolo e la religione dei Massimiliano vorrà personalmente e prontamente provvedere alla difesa dei beni cattolici e, allontanando ogni ostacolo, promuoverne lo sviluppo. Sicuramente gli stessi Cattolici (che costituiscono la maggior parte della popolazione: quella parte che senza alcun dubbio si segnala per l’amor di patria e per l’atteggiamento rispettoso verso i governanti) se si vedranno tenuti in giusta considerazione ed esauditi in una questione di tanta importanza, testimonieranno ulteriormente ossequio e lealtà verso il loro Principe, quasi come figli verso il padre, e con accresciuto fervore seguiranno i suoi propositi volti al bene e al prestigio del regno, e si conformeranno pienamente ad essi con tutte le loro forze. – Questo è quanto siamo stati indotti a comunicarvi, Venerabili Fratelli, spinti dal Nostro ufficio Apostolico. Ci rimane da implorare tutti insieme e a gara l’aiuto di Dio, e da invocare come intercessori presso di Lui la gloriosissima Vergine Maria e i Celesti patroni del regno di Baviera, perché Egli annuendo benigno ai nostri comuni voti doni alla Chiesa una tranquilla libertà e conceda alla Baviera di godere di crescente gloria e prosperità. A voi, Venerabili Fratelli, al clero e a tutto il popolo affidato alla vostra sollecitudine impartiamo con grande affetto l’Apostolica Benedizione, come auspicio dei doni celesti e come testimonianza della Nostra particolare benevolenza.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 dicembre 1887, nel decimo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – SPECTATA FIDE

In questa breve lettera enciclica, S. S. Leone XIII, si compiace per l’opera della Gerarchia cattolica inglese a favore dell’educazione cattolica dei fanciulli, sottolineando come essa sia garanzia, oltre che di progresso spirituale per il popolo, di stabilità e pace sociale per la Nazione intera. Questo è uno dei punti più importanti sui quali le “sette di perdizione” dei giorni nostri agiscono per destabilizzare tutto l’ordine sociale degli Stati cristiani le cui fondamenta morali sono già in via di demolizione avanzata, avendo messo in moto la ruspa pseudo liberista e panteista per abbattere se possibile l’intero Cristianesimo. Ciò che il Santo Padre deprecava in questo documento, è quanto oggi si è invece stabilito e consolidato, a partire dalle aberranti ideologie naturaliste della moderna pedagogia che istilla il sadico veleno della non educazione dei giovani lasciandoli inermi in balia di una presunta libertà dell’errore che tutto giustifica e tutto concede senza la benché minima osservanza di regole o di autorità, come da precetti satanico-gnostico-massonici e teologico-modernisti, idolatranti la libertà-libertinaggio assoluta, l’indipendenza selvaggia e violenta da chicchessia, ed il rifiuto di ogni tradizione culturale pregressa di ispirazione cristiana, per cui  « … il pernicioso errore di coloro i quali preferiscono che i fanciulli crescano senza alcuna educazione religiosa distrugge infatti tutta l’antica saggezza e reca danno allo stesso fondamento del vivere felice. » Quello che maggiormente oggi atterrisce è l’atteggiamento dei falsi pastori della sinagoga di satana infiltrata nelle logge vaticane, ove Simon Mago usurpa Simon Pietro, basta vedere i frutti delle scuole un tempo cattoliche, ricettacolo di perverse ideologie moderniste condannate da sempre dal Magistero Pontificio e Conciliare. Ma stiano attenti i servi della « Bestia che sembrava uccisa e rivive », gli adepti del dragone, che affettando santità siedono nelle tenebre e nell’ombre di morte coinvolgendo e dannando un’infinità di anime. Cosa pensate di ottenere dal vostro padrone che servite con tante solerzia. Il vostro premio sarà la morte eterna dell’anima, la morte, non la sparizione, ma il fuoco dello stagno eterno vi divorerà senza consumarvi. Pentitevi e tornate al vero Dio, lasciate perdere il baphomet-signore dell’universo, il corona-lucifero che vi ha sedotto ed al quale giurate eterna fedeltà … il serpente è omicida e falsario … 

Leone XIII

Spectata fides

Lettera Enciclica

La vostra provata fede e la vostra singolare devozione verso questa Sede Apostolica mirabilmente risplendono nella lettera comune che di recente abbiamo ricevuto da voi. Essa giunge a Noi molto più gradita in quanto conferma chiaramente ciò che già sapevamo: che cioè gran parte della vostra solerzia e dei vostri pensieri è rivolta ad un’attività per la quale nessun impegno può essere tanto grande, da ritenere che nessun altro possa essere considerato di maggiore importanza. Ci riferiamo alla educazione cristiana dei vostri adolescenti, su cui di recente, ascoltati i consigli, avete preso utili provvedimenti che decideste di riferire a Noi. – Davvero è per Noi motivo di letizia che in un’impresa tanto importante voi, Venerabili Fratelli, non operiate da soli. Infatti non ignoriamo quanto sia dovuto, in proposito, all’intero ordine dei vostri Presbiteri, i quali ebbero cura di aprire scuole per i fanciulli, con somma carità e con animo indomito di fronte alle difficoltà; essi poi, assunto il compito di educare, con impegno e assiduità mirabile dedicano la loro attività ad indirizzare i giovani alla morale cristiana e ai primi studi letterari. Perciò, per quanto può la Nostra voce incoraggiare ancor più o contribuire a una meritata lode, continuino i vostri sacerdoti a rendersi benemeriti nei riguardi dei fanciulli e godano dell’approvazione e del particolare Nostro affetto, in attesa di ben altra consolazione da Dio Signore, per la cui causa essi si prodigano. Né riteniamo degna di minore considerazione la generosità dei Cattolici a tal riguardo. Sappiamo per certo che essi con alacre impegno sono soliti provvedere a tutto il necessario per la tutela delle scuole; che ciò non è opera soltanto dei più dotati di censo ma anche dei meno abbienti e dei poveri; è atto nobile e magnanimo trovare spesso nella stessa povertà i mezzi da offrire lietamente per l’educazione dei fanciulli. Invero, in tempi come questi, in cui tanti e diversi pericoli incombono ovunque sulla ingenua e tenera età dei fanciulli, a malapena si potrebbe escogitare alcunché di più opportuno che congiungere l’educazione letteraria con l’insegnamento della dottrina della fede e della morale. Più di una volta abbiamo detto che approviamo cordialmente siffatte scuole, che chiamano libere, in Francia, in Belgio, in America, nelle colonie dell’Impero Britannico, istituite per generoso intervento di privati, e desideriamo che, per quanto è possibile, esse si diffondano e crescano per frequenza di alunni. Noi stessi, considerata la condizione della città, non desistemmo dal curare col massimo impegno e con grandi spese che un buon numero di queste scuole fosse a disposizione dei fanciulli romani. In esse e per mezzo di esse, infatti, si tramanda quella suprema e ottima eredità che ricevemmo dai nostri maggiori, cioè l’integrità della fede Cattolica; inoltre, in esse si provvede alla libertà dei genitori e si educa per lo Stato una buona generazione di cittadini, ciò che in tanta licenza di opinioni e di comportamenti è quanto mai necessario: nessuno, infatti, può far meglio di chi fin dalla fanciullezza ha accolto la fede cristiana nel pensiero e nei costumi. I principi e, per così dire, i semi di tutta la civiltà che Gesù Cristo divinamente trasmise al genere umano consistono nella educazione cristiana dei fanciulli: perciò le città non saranno in futuro diverse da quanto la prima educazione ha infuso nei fanciulli. Il pernicioso errore di coloro i quali preferiscono che i fanciulli crescano senza alcuna educazione religiosa distrugge infatti tutta l’antica saggezza e reca danno allo stesso fondamento del vivere felice. Perciò comprendete, Venerabili Fratelli, con quanta preveggenza i padri di famiglia debbano evitare che i loro figli siano affidati a quelle dispute letterarie in cui non possono trovar posto i precetti religiosi. Per quanto riguarda la vostra Inghilterra, ci risulta che non solo voi ma in generale molti dei vostri seguaci sono non poco solleciti nell’educare i fanciulli alla religione. – Sebbene essi non concordino con Noi in ogni parte, comprendono tuttavia quanto importi, sia al privato, sia alla collettività, la sopravvivenza del patrimonio della sapienza cristiana che i vostri proavi ricevettero dal Predecessore Nostro Gregorio Magno tramite Sant’Agostino e che le fiere tempeste scatenate in seguito non distrussero completamente. Sappiamo che oggi vi sono molte persone che con eccellente disposizione d’animo si preoccupano di conservare, con tutto lo zelo possibile, la fede avita e spargono non pochi né esigui frutti di carità. Ogni volta che riflettiamo su questo fatto, Ci sentiamo commossi: seguiamo infatti con amore paterno codesta Isola che meritatamente è stata definita nutrice di santi: e in tale disposizione d’animo, cui accennammo, scorgiamo la più viva speranza e quasi un pegno sicuro della salute e della prosperità degli Inglesi. Quindi perseverate, Venerabili Fratelli, a curare soprattutto gli adolescenti; estendete ovunque la vostra missione episcopale, e con alacrità e fiducia coltivate la buona semente ovunque pensiate che sia: Dio poi darà un ricco accrescimento di misericordia. – Come auspicio di celesti doni e come testimonianza della Nostra benevolenza, a voi, al clero e al popolo a ciascuno di voi affidato, con grande affetto, nel nome del Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 27 novembre 1885, nell’anno ottavo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – SERTUM LÆTITIÆ

Una delle prime lettere del suo Pontificato, il Santo Padre, il Sommo Pontefice Pio XII, la scrive in occasione dei primi 150 dall’istituzione della Gerarchia Cattolica negli Stati Uniti d’America. Non potevano mancare, dopo i ricordi storici, le paterne esortazioni ad una vita sociale e personale retta e serena, alla luce dei precetti evangelici e della dottrina della Chiesa Cattolica, «… questa, nata dal cielo, con i suoi insegnamenti e con le sue leggi è destinata a condurre gli uomini all’eterna felicità; ma è pure incontestabile che essa ricolma la vita di quaggiù di tanti benefici, che non potrebbe largirne di più, se la principale ragione della sua esistenza fosse di rendere beati gli uomini durante la loro breve giornata terrena … »; eccone uno dei passaggi più significativi: « … se invece si sprezzano i divini comandamenti, non solo non è conseguibile la felicità posta al di là del breve giro di tempo assegnato all’esistenza terrena, ma vacilla la stessa base della civiltà verace nel suo contenuto e non si possono attendere che rovine, su cui si dovranno spargere tardive lagrime. Come infatti possono avere garanzia di stabilità il pubblico bene e la gloria del vivere civile, quando sono sovvertiti i diritti e sono spregiate e derise le virtù? Ma Dio come è la sorgente del diritto, così è l’ispiratore e il premio delle virtù: nessuno è simile a lui tra i legislatori (cf. Gb. XXXVI, 22). Questa – secondo la confessione di tutti coloro che hanno buon intendimento – è dappertutto la radice amara e fertile di mali: il disconoscimento della divina Maestà, la trascuratezza delle leggi morali di origine superna o una detestabile incostanza, che fa vacillare tra il lecito e l’illecito, tra la giustizia e l’iniquità. Da ciò lo smodato e cieco egoismo, la sete dei piaceri, l’alcoolismo, la moda impudica e dispendiosa, la criminalità non insolita neanche nei minorenni, la libidine del potere, l’incuria a riguardo dei poveri, la cupidigia di inique ricchezze, la diserzione dalle campagne, la leggerezza nel contrarre il matrimonio, i divorzi, la disgregazione delle famiglie, il raffreddamento del mutuo affetto tra genitori e figli, la denatalità, l’infiacchimento della stirpe, l’illanguidirsi del rispetto verso le autorità, il servilismo, la ribellione, l’abbandono dei doveri verso la patria e il genere umano …». – Dopo quasi un secolo, vediamo però che questi consigli sono stati totalmente negletti e disattesi, il Cattolicesimo affondato da una apostasia generale dalla fede divina cattolica totalmente sovvertita ed eclissata da un Cristianesimo antievangelico, comodo e (finto) misericordioso che manda tutti all’inferno, e l’impero del pensiero delle lobby sioniste, degli usurai kazari e delle conventicole di perdizione, tutte unite – membri, o meglio tentacoli della bestia del mare, la piovra satanica – nello scardinare, se possibile, l’edificio mistico di Cristo, fondato sulla pietra di Cristo e del suo Vicario in terra. Di quel quadro ideale abbozzato da Papa Pacelli, che conosceva personalmente quella realtà, oggi resta una società totalmente asservita alle logiche materialiste, edoniste, schiaviste imposte da una classe dirigente ipocrita e corrotta fino alla fibra più intima che pretende di portare tutta l’umanità in un nuovo ordine di dominazione mondiale, il demoniaco diktat massonico modernista della libertà – (dalle leggi divine, morali, naturali) – dell’uguaglianza (senza gerarchie né civili, né tantomeno religiose), e della fraternità (cioè l’accondiscendenza a tutte le bestiali aberrazioni dei sensi e della carne), inganno già sperimentato in altri tempi funesti, che porta alla perdita dell’unica vera libertà, la libertà dal peccato, dal dragone maledetto, e dallo stagno del fuoco eterno… il tutto appoggiato da chi vuole sovvertire il Vangelo spacciandosi per angelo di luce sulla Cattedra di s. Pietro.

LETTERA ENCICLICA

SERTUM LÆTITIÆ

DEL SOMMO PONTEFICE PIO XII

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA:

150° ANNIVERSARIO DELLA GERARCHIA ECCLESIASTICA NEGLI STATI UNITI D’AMERICA

Desiderosi di rendere più radiosa una corona di santa letizia, col pensiero varchiamo la sterminata vastità del mare. Ed eccoCi in spirito in mezzo a voi, che insieme con tutti i vostri fedeli celebrate il fausto compimento di un secolo e mezzo da quando è stata costituita la gerarchia ecclesiastica negli Stati Uniti. E facciamo questo molto volentieri, perché l’occasione che ora Ci si presenta di dimostrare con un pubblico documento la Nostra stima e il Nostro affetto verso il popolo americano, illustre e vigoroso di giovinezza, Ci è tanto più gradita quanto più è solenne, e perché essa viene a coincidere con i primordi del Nostro pontificato. A coloro che aprono gli annali della vostra storia e indagano le cause profonde degli avvenimenti di cui questa s’intesse, appare evidente che a portare la vostra patria alla gloria e alla prosperità che essa attualmente gode, non poco ha contribuito il trionfale sviluppo della divina Religione. È ben vero che questa, nata dal cielo, con i suoi insegnamenti e con le sue leggi è destinata a condurre gli uomini all’eterna felicità; ma è pure incontestabile che essa ricolma la vita di quaggiù di tanti benefici, che non potrebbe largirne di più, se la principale ragione della sua esistenza fosse di rendere beati gli uomini durante la loro breve giornata terrena. Ci piace richiamare alla memoria fatti noti. Quando Pio VI diede ai vostri connazionali il primo Vescovo nella persona del cittadino americano John Carrol, preponendolo alla sede di Baltimora, in quel luogo il numero dei cattolici era esiguo e insignificante e le condizioni degli Stati Uniti così pericolose, che la loro compagine e la loro stessa unità politica erano minacciate da grave crisi; a causa infatti della lunga ed estenuante guerra l’erario era oppresso da debiti, le industrie languivano e gli abitanti per l’esasperazione cagionata dalle calamità si erano scissi in opposti partiti. A situazione così dolorosa, anzi rovinosa, pose rimedio il celeberrimo George Washington, uomo dal carattere fermo e di penetrante sagacia di mente. Egli era unito da salda amicizia con il menzionato presule di Baltimora. Così il padre della patria e il primo sacro pastore della Chiesa in codesta terra, a Noi tanto diletta, avvinti da legami di benevolenza, a perpetuo esempio dei posteri e ad insegnamento delle età venture più lontane, quasi stringendosi le destre, indicavano che il popolo americano doveva ritenere sacra e solenne norma di vita il rispetto della fede cristiana, la quale, tutelando e avvalorando i supremi principi etici, è la salvaguardia del pubblico bene e contiene forze di vero progresso. – Molte furono le cause a cui si deve ascrivere la fioritura della Chiesa Cattolica nella vostra regione; ne vogliamo mettere in luce una, degna di attenzione. Sacerdoti costretti ad approdarvi per l’infuriare delle persecuzioni, vennero a recare al menzionato sacro Pastore un aiuto a lui graditissimo e con la loro collaborazione attiva nel ministero spirituale sparsero una semente preziosa, dalla quale crebbe una bella messe di virtù. Alcuni di essi divennero poi Vescovi e così meritarono ancor più consolanti progressi della causa cattolica del regno di Dio. Avvenne ciò che, come la storia dimostra, suole avvenire: il temporale delle persecuzioni non estingue, ma sparge su più vasta superficie il fuoco apostolico, quello che, alimentato da una fede libera da ipocrisie umane e da carità sincera, accende il petto delle persone generose. – Trascorsi cent’anni da quell’avvenimento che adesso vi riempie di legittima esultanza, papa Leone XIII di felice memoria con la sua lettera Longinqua oceani, volle misurare il cammino ivi percorso dalla Chiesa dal suo inizio e alla sua rassegna aggiunse esortazioni e direttive nelle quali la sua benevolenza è pari alla saggezza. Quanto fu allora scritto dal Nostro augusto predecessore è degno di perenne considerazione. In questi cinquant’anni il progresso della Chiesa non si è arrestato, ma ha avuto larghe espansioni e robusti accrescimenti. – Rigogliosa è la vita che la grazia dello Spirito Santo fa fiorire nel sacrario del cuore; consolante la frequenza alle chiese; alla mensa dove si riceve il Pane degli angeli, cibo dei forti, si accostano numerosi i fedeli; con grande ardore si fanno gli esercizi spirituali ignaziani; molti, docili all’invito della voce divina che li chiama a ideali di vita più alta, ricevono il sacerdozio o abbracciano lo stato religioso. Attualmente diciannove sono le province ecclesiastiche, centoquindici le diocesi, quasi duecento i seminari, innumerevoli i templi, le scuole elementari, quelle superiori, i collegi, gli ospedali, i ricoveri per i poveri, i monasteri. A ragione gli stranieri ammirano il sistema organizzativo che presiede alle varie categorie delle vostre scuole, alla cui esistenza i fedeli provvedono generosamente, seguite con assidua attenzione dai presuli, perché da esse esce gran numero di cittadini morigerati e saggi, i quali, rispettosi delle leggi divine e umane, sono giustamente considerati la forza, il fiore e l’onore della Chiesa e della Patria. Le opere missionarie, poi, specialmente la Pontificia Opera della propagazione della fede, bene stabilite e attive, con le preghiere, con le elemosine e con altri aiuti di vario genere esemplarmente collaborano con i predicatori dell’Evangelo impegnati a far penetrare nelle terre degli infedeli il vessillo della croce, che redime e salva. Sentiamo il bisogno in questa circostanza di dare pubblico attestato di lode alle opere missionarie tipiche della vostra nazione, le quali con attivo interessamento si curano della diffusione del Cattolicesimo. Esse si contrassegnano con questi nomi: Catholic Church Extension Society, società circondata di un’aureola di gloria per la sua pia beneficenza; Catholic Near East Welfare Association, che presta provvidenziali ausili agli interessi del Cristianesimo in Oriente, dove i bisogni sono tanti; Indians and Nigroes Mission, opera sancita dal Terzo Concilio di Baltimora, che Noi confermiamo e avvaloriamo, perché la esige proprio una ragione di carità squisita verso i vostri concittadini. Vi confessiamo che Ci sentiamo penetrati da particolare affetto paterno, che certo Ci ispira il Cielo, verso i negri dimoranti tra voi perché, quanto ad assistenza spirituale e religiosa, sappiamo che sono bisognosi di speciali cure e di conforti: del resto, essi ne sono ben meritevoli. Invochiamo pertanto copiose le benedizioni divine e auguriamo fecondità di successi a coloro che, mossi da generosa virtù, si dimostrano solleciti dei negri stessi. Inoltre i vostri connazionali, per rendere in maniera opportuna ringraziamenti a Dio per il dono inestimabile della fede integra e vera, desiderosi di santi ardimenti inviano forti manipoli all’esercito formato dai missionari: essi con la tolleranza della fatica, con la pazienza invitta e con l’energia posta in nobili iniziative per il regno di Cristo raccolgono meriti, che la terra ammira e che il Cielo coronerà di adeguati premi. – Né minore forza vitale hanno le opere, che sono di utilità ai figli della Chiesa entro i confini della patria; gli uffici diocesani di carità, organizzati con criteri di saggia praticità, per mezzo dei parroci e con il concorso delle famiglie religiose, portano ai poveri, ai bisognosi, agli infermi i doni della cristiana misericordia, sollevano le miserie: nell’assolvere tale ministero di così grande importanza con gli occhi della fede dolci e penetranti, si vede Cristo presente negli indigenti e negli afflitti, che del benignissimo Redentore sono le mistiche membra doloranti. Fra le associazioni laiche – enumerarle tutte sarebbe troppo lungo – si acquistarono corone di non caduca gloria l’Azione cattolica, le Congregazioni mariane, la Confraternita della dottrina cristiana, liete di frutti promettenti ancor più lieta messe nell’avvenire, e così pure l’Associazione del Santo Nome, che è eccellente guida nel promuovere il culto e la pietà cristiana. A tale molteplice operosità dei laici, che si spiega in vari settori secondo le esigenze dei tempi, è preposta la National Catholic Welfare Conference, la quale al vostro ministero episcopale procura mezzi pronti e adeguati. Le principali di tutte queste istituzioni potemmo vedere partitamente nell’ottobre del 1936, quando, intrapreso il viaggio attraverso l’Oceano, avemmo la gioia di conoscere personalmente voi e il campo della vostra attività. Incancellabile e giocondo rimarrà sempre nel Nostro cuore il ricordo di quanto ammirammo allora con i Nostri occhi. – Ben conviene adunque che, con sentimenti di adorazione, di tutto ciò rendiamo con voi grazie a Dio e che gli eleviamo il cantico della riconoscenza: «Date lode al Dio del cielo: perché la misericordia di lui è in eterno» (Sal. CXXXV, 26). Il Signore, la cui bontà non è circoscritta da limiti, come ha riempito la vostra terra della liberalità dei suoi doni, così alle vostre chiese ha concesso un ardore fattivo e ha condotto a maturità di risultati i loro impegni. Sciolto il debito tributo di riconoscenza a Dio, onde ogni bene ha principio, riconosciamo, dilettissimi, che questa fecondità prosperosa che con voi oggi ammiriamo si deve anche allo spirito d’iniziativa e alla costanza nelle imprese dei sacri pastori e dei fedeli, che formano questa porzione del gregge di Cristo; riconosciamo che si deve pure al vostro clero, che, proclive all’operare deciso, con zelo esegue i vostri mandati, ai membri di tutti gli ordini e di tutte le congregazioni, che distinguendosi in virtù si prodigano a gara nella coltura del campo delle anime, alle religiose innumerevoli, che spesso silenti e ignote agli uomini, spinte da una interiore vampa di carità, si consacrano con esemplare dedizione alla causa dell’evangelo, veri gigli del giardino di Cristo, motivo di soave compiacenza dei santi. Però vogliamo che questa Nostra lode sia salutare. La considerazione del bene operato non deve produrre un allentamento che avvii alla neghittosità, non deve generare la nociva dolcezza della vanagloria, ma invece agire da stimolante, perché con rinnovate energie si impediscano i mali e perché con più robusta consistenza crescano quelle iniziative che sono utili, pròvvide e degne di encomio. Il Cristiano, se fa onore al nome che porta, sempre è apostolo; disdice al soldato di Cristo il discostarsi dalla battaglia, perché solo la morte pone fine alla sua milizia. Voi ben sapete dove occorre che più oculata sia la vostra vigilanza e quale programma d’azione conviene tracciare ai sacerdoti e fedeli, affinché la Religione di Cristo, superati gli ostacoli, sia guida luminosa alle menti, regga i costumi e, unica causa di salute, penetri gli ambiti più nascosti e le arterie della società umana. Il progresso dei beni esterni e materiali, quantunque sia da tenersi in non poco conto per le utilità molteplici e apprezzabili, che esso apporta alla vita, tuttavia non basta all’uomo, nato a più alti e fulgidi destini. Questi infatti, creato a immagine e somiglianza di Dio, cerca Dio con incoercibile aspirazione e si addolora e versa segreto pianto, se nella scelta del suo amore esclude la Somma Verità e il Bene infinito. Ma a Dio, dal quale chi si allontana muore, al quale chi si converte vive, nel quale chi si ferma s’illumina, non si accede superando spazi corporei, ma, guidati da Cristo, con la pienezza della fede sincera, con la coscienza intemerata di una volontà diritta, con la santità delle opere, con l’acquisto e l’uso di quella libertà genuina, le cui sacre norme si trovano promulgate nell’Evangelo. Se invece si sprezzano i divini comandamenti, non solo non è conseguibile la felicità posta al di là del breve giro di tempo assegnato all’esistenza terrena, ma vacilla la stessa base della civiltà verace nel suo contenuto e non si possono attendere che rovine, su cui si dovranno spargere tardive lagrime. Come infatti possono avere garanzia di stabilità il pubblico bene e la gloria del vivere civile, quando sono sovvertiti i diritti e sono spregiate e derise le virtù? Ma Dio come è la sorgente del diritto, così è l’ispiratore e il premio delle virtù: nessuno è simile a lui tra i legislatori (cf. Gb XXXVI, 22). Questa – secondo la confessione di tutti coloro che hanno buon intendimento – è dappertutto la radice amara e fertile di mali: il disconoscimento della divina Maestà, la trascuratezza delle leggi morali di origine superna o una detestabile incostanza, che fa vacillare tra il lecito e l’illecito, tra la giustizia e l’iniquità. Da ciò lo smodato e cieco egoismo, la sete dei piaceri, l’alcoolismo, la moda impudica e dispendiosa, la criminalità non insolita neanche nei minorenni, la libidine del potere, l’incuria a riguardo dei poveri, la cupidigia di inique ricchezze, la diserzione dalle campagne, la leggerezza nel contrarre il matrimonio, i divorzi, la disgregazione delle famiglie, il raffreddamento del mutuo affetto tra genitori e figli, la denatalità, l’infiacchimento della stirpe, l’illanguidirsi del rispetto verso le autorità, il servilismo, la ribellione, l’abbandono dei doveri verso la patria e il genere umano. – Eleviamo inoltre il Nostro paterno lamento, perché costì in tante scuole spesso si sprezza o si ignora Cristo, si restringe la spiegazione dell’universo e del genere umano nella cerchia del naturalismo e del razionalismo, e si cercano nuovi sistemi educativi, i quali nella vita intellettuale e morale della nazione non potranno non recare tristi frutti. Del pari la vita domestica, come, osservata la legge di Cristo, fiorisce di vera felicità, così, ripudiato l’evangelo, miseramente perisce ed è devastata dai vizi: «Chi cerca la legge sarà colmato di beni: ma chi opera con finzione, troverà in essa occasione di inciampo» (Eccli XXXII,19). – Che cosa vi può essere in terra di più sereno e lieto che la famiglia cristiana? Sorta presso l’altare del Signore, dove l’amore è stato proclamato santo vincolo indissolubile, nello stesso amore, che la grazia superna nutre, si solidifica e cresce. Ivi «onorato è il connubio presso tutti e il talamo è immacolato» (Eb XIII,4); le pareti tranquille non risuonano di litigi, né sono testimoni di segreti martìri per la rivelazione di astuti sotterfugi di infedeltà; la solidissima fiducia allontana la spina del sospetto; nella vicendevole benevolenza si sopiscono i dolori, si accrescono le gioie. Ivi i figli non sono considerati gravi pesi, ma dolci pegni; né un vituperevole motivo utilitario o la ricerca di sterile voluttà fanno sì che sia impedito il dono della vita e venga in dissuetudine il soave nome di fratello e sorella. Con quale studio i genitori si dànno premura, perché i figli non soltanto crescano vigorosi fisicamente, ma perché seguendo le vie degli avi, che spesso loro sono ricordati, siano adorni della luce che deriva dalla professione della fede purissima e dall’onestà morale. Commossi per tanti benefici, i figli ritengono loro massimo dovere quello di onorare i genitori, di assecondare i loro desideri, di sostenerli nella vecchiaia con il loro fedele aiuto, di rendere lieta la loro canizie con un affetto che, non spento dalla morte, nella reggia del cielo sarà reso più glorioso e più completo. I componenti la famiglia cristiana, non queruli nelle avversità, non ingrati nella prosperità, sono sempre pieni di confidenza in Dio, al cui impero obbediscono, nel cui volere s’acquietano e il cui soccorso non invano aspettano. A costituire e a mantenere le famiglie secondo la norma della sapienza evangelica esortino dunque spesso i fedeli coloro, che nelle chiese hanno funzioni direttive o di magistero e che pertanto si industriano con assidua cura per preparare al Signore un popolo perfetto. Per la stessa ragione bisogna pure sommamente attendere a questo, che il dogma cioè dell’unità e indissolubilità del matrimonio da quanti accedono alle nozze sia conosciuto in tutta la sua importanza religiosa e santamente rispettato. Che tale capitale punto della dottrina cattolica abbia una valida efficacia per la salda compagine familiare, per le progressive sorti della società civile, per la santità del popolo e per una civiltà, la cui luce non sia falsa e fatua, riconoscono pure non pochi, i quali, sebbene lontani dalla nostra fede, sono ragguardevoli per senno politico. Oh, se la patria vostra avesse conosciuto per esperienza di altri e non già da domestici esempi il cumulo di danni che produce la licenza dei divorzi! Consigli la riverenza verso la Religione, consigli la pietà verso il grande popolo americano energiche azioni, perché il morbo purtroppo imperversante sia curato radicalmente. Le conseguenze di tale male così sono state descritte da papa Leone XIII, con termini che scolpiscono il vero: «A causa dei divorzi il patto nuziale è soggetto a mutabilità; si indebolisce l’affetto; sono dati perniciosi incentivi all’infedeltà coniugale; ricevono danno la cura e l’educazione della prole; si offre facile occasione a scomporre la società domestica; si gettano semi di discordie tra le famiglie; è diminuita e depressa la dignità della donna la quale corre pericolo di essere abbandonata dopo che ha servito come strumento di piacere al marito. E poiché a rovinare la famiglia, a minare la potenza dei regni nulla tanto vale quanto la corruzione dei costumi, facilmente si intuisce che il divorzio è quanto mai nocivo alla prosperità delle famiglie e degli stati». – Quanto alle nozze, nelle quali l’una e l’altra parte dissenta circa il dogma cattolico o non abbia ricevuto il sacramento del battesimo, Noi siamo sicuri che voi osserverete esattamente le prescrizioni del Codice di diritto canonico. Tali matrimoni infatti, come a voi consta per larga esperienza, sono raramente felici e sogliono cagionare gravi perdite alla Chiesa Cattolica. – Ad ovviare a danni sì gravi, ecco il mezzo efficace: che i singoli fedeli ricevano in tutta la sua pienezza l’insegnamento delle verità divine e i popoli abbiano chiaro il cammino che conduce alla salvezza. Esortiamo pertanto i sacerdoti a cercare che la loro scienza delle cose divine e umane sia copiosa: non vivano contenti delle cognizioni intellettuali acquisite nell’età giovanile; con attenta indagine considerino la legge del Signore, i cui oracoli sono più puri dell’argento; continuamente gustino e assaporino le caste delizie della sacra Scrittura; col progredire degli anni studino con maggior profondità la storia della chiesa, i dogmi, i sacramenti, i diritti, le prescrizioni, la liturgia, la lingua di essa, in modo che in loro il progresso intellettuale proceda di pari passo con quello delle virtù. Coltivino pure gli studi letterari e delle discipline profane, specialmente quelle che sono maggiormente connesse con la religione, affinché con lucido pensiero e labbro facondo possano impartire l’insegnamento di grazia e di salute, capaci di piegare anche i dotti ingegni al lieve peso e giogo dell’evangelo di Cristo. Felice la Chiesa se così «sarà fondata sugli zaffiri» (cf. Is LIV, 11). Le esigenze dei tempi attuali inoltre richiedono che anche i laici, specialmente quelli che coadiuvano l’esercizio dell’apostolato gerarchico, si procurino un tesoro di cognizioni religiose, non povero ed esile, ma solido e ricco, mediante le biblioteche, le discussioni, i circoli di cultura: così trarranno grande giovamento per se stessi, potranno insegnare agli ignoranti, confutare gli avversari caparbi ed essere utili agli amici buoni. – Con molta gioia abbiamo appreso che la stampa propugnatrice dei principi cattolici è davvero presso di voi valorosa e che la radio marconiana – meravigliosa invenzione, eloquente immagine della fede apostolica che abbraccia tutto il genere umano – spesso e utilmente viene usata, perché fatti e insegnamenti ecclesiastici abbiano la più larga risonanza. Lodiamo il bene compiuto. Ma coloro, che disimpegnano tale ministero, nel proporre e promuovere la dottrina sociale, si prendano a cuore di aderire alle direttive del magistero della chiesa; dimentichi del proprio tornaconto, sprezzanti della vana gloria, non partigiani, parlino «come da Dio, davanti a Dio, in Cristo» (2 Cor. II,17). – Desiderosi che il progresso scientifico in tutto il suo complesso si affermi sempre più, ora che Ci si presenta una circostanza opportuna, vogliamo anche significarvi il Nostro cordiale interessamento per l’Università cattolica di Washington. Ben sapete con quali ardenti voti papa Leone XIII salutasse questo preclaro tempio del sapere, quando esso sorgeva, e quanti ripetuti attestati di particolare affetto gli desse il Romano Pontefice Nostro immediato predecessore, il quale era intimamente persuaso che, se questo grande istituto già lieto di risultati si solidificherà ancor più e otterrà rinomanza ancora maggiore, ciò non solamente gioverà agli incrementi della chiesa, ma anche alla gloria e alla prosperità civile dei vostri connazionali. Partecipi della stessa speranza, Ci rivolgiamo a voi con questa Nostra lettera per raccomandarvi tale università. Fate del vostro meglio, perché questa, protetta dalla vostra benevolenza, superi le sue difficoltà e con avanzamenti più felici compia le speranze in essa riposte. Gradiamo anche molto il vostro proposito di rendere più spaziosa e decorosa la sede del Pontificio Collegio che a Roma accoglie, per l’educazione ecclesiastica, gli alunni degli Stati Uniti. Se è cosa utile che i giovani di più eletto ingegno per affinare il loro sapere si rechino in lontani paesi, una lunga e felice esperienza dimostra che questo vantaggio è sommo, quando i candidati al sacerdozio sono educati nell’Urbe presso la sede di Pietro, dove purissimo è il fonte della fede, dove tanti monumenti dell’antichità cristiana e tante vestigia di santi incitano i cuori generosi a magnanime imprese. Vogliamo toccare un’altra questione di poderosa importanza: la questione sociale che, insoluta, da lungo tempo agita fortemente gli stati e sparge nelle classi dei cittadini semi di odio e di mutua ostilità. Quale aspetto essa assuma presso di voi, quali asprezze, quali torbidi produca, voi ben conoscete, e non occorre perciò diffonderci su tale argomento. Punto fondamentale della questione sociale è questo, che i beni da Dio creati per tutti gli uomini equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità. Le memorie di ogni età testimoniano che vi sono sempre stati ricchi e poveri; e l’inflessibile condizione delle cose umane fa prevedere che così sempre sarà. Degni di onore sono i poveri che temono Dio, perché di loro è il regno dei cieli e perché facilmente abbondano di grazie spirituali. I ricchi poi, se sono retti e probi, assolvono l’ufficio di dispensatori e procuratori dei doni terrestri di Dio; essi in qualità di ministri della Provvidenza aiutano gli indigenti, a mezzo dei quali spesso ricevono i doni che riguardano lo spirito e la cui mano – così possono sperare – li condurrà negli eterni tabernacoli. Dio, che a tutto provvede con consigli di suprema bontà, ha stabilito che per l’esercizio delle virtù e a saggio dei meriti vi siano nel mondo ricchi e poveri; ma non vuole che alcuni abbiano ricchezze esagerate e altri si trovino in tali strettezze da mancare del necessario alla vita. Buona madre però e maestra di virtù è la onesta povertà, che campa col lavoro quotidiano, secondo il detto della Scrittura: «Non darmi (o Dio) né mendicità né opulenza: ma provvedimi soltanto del necessario al mio sostentamento» (Pro XXX, 8). Se quanti possiedono con larghezza fondi e mezzi pecuniari devono, mossi da facile misericordia, aiutare i bisognosi, per ragione ancor più grave devono agli stessi dare il giusto. Gli stipendi degli operai, come è conveniente, siano tali che bastino ad essi e alle loro famiglie. Gravi sono in proposito le parole del Nostro predecessore Pio XI: «Bisogna dunque fare di tutto perché i padri di famiglia percepiscano una mercede tale, che basti per provvedere convenientemente alle comuni necessità domestiche. Se nelle presenti circostanze della società ciò non sempre si potrà fare, la giustizia sociale richiede che s’introducano quanto prima mutamenti che assicurino ad ogni operaio adulto siffatti salari. Sono altresì meritevoli di lode tutti coloro che con saggio e utile atteggiamento hanno esperimentato e tentano vie, onde la mercede del lavoro si retribuisca con tale corrispondenza ai pesi della famiglia, che aumentando questi, anche quella si somministri più larga: e anzi, se occorra, si soddisfaccia alle necessità straordinarie» [3]. Avvenga che ognuno il quale sia in forze ottenga l’equa possibilità di lavorare per guadagnare per sé e per i suoi il vitto quotidiano. Esprimiamo tutta la nostra compassione per la sorte di coloro, da voi molto numerosi, i quali, sebbene robusti, capaci e volenterosi, non possono avere occupazione pur cercandola affannosamente. La sapienza dei reggitori, una lungimirante larghezza da parte dei datori di lavoro, insieme con il ristabilimento di più favorevoli condizioni esterne, la cui effettuazione auguriamo sollecita, facciano sì che tali giusti desideri trovino compimento a vantaggio di tutti. – Essendo poi la socievolezza bisogno naturale dell’uomo, ed essendo lecito con forze unite promuovere quanto è onestamente utile, non si può senza ingiustizia negare o diminuire come ai produttori, così alle classi operaie e agricole, la libertà di unirsi in associazioni le quali possano difendere i propri diritti e acquistare miglioramenti circa i beni dell’anima e del corpo, come pure circa gli onesti conforti della vita. Ma alle corporazioni di tal genere, che nei secoli passati hanno procurato al Cristianesimo gloria immortale e alle arti inoffuscabile splendore, non si può imporre in ogni luogo una stessa disciplina e struttura, la quale perciò per diversa indole dei popoli e per le diverse circostanze di tempo può variare; però le corporazioni in parola traggano il loro moto vitale da principi di sana libertà, siano informate dalle eccelse norme della giustizia e dell’onestà e, ispirandosi a queste, agiscano in tal guisa che nella cura degli interessi di classe non ledano gli altrui diritti, conservino il proposito della concordia, rispettino il bene comune della società civile. – Ci fa piacere conoscere che la citata enciclica Quadragesimo anno, come pure quella del Sommo Pontefice Leone XIII Rerum novarum, dove si indica la soluzione della questione sociale secondo i postulati dell’evangelo e della filosofia perenne, sono presso di voi oggetto di attenta e prolungata considerazione da parte di persone di elevato ingegno, che generoso volere spinge alla restaurazione sociale e al rinvigorimento dei vincoli di amore tra gli uomini, e che alcuni datori di lavoro stessi hanno voluto comporre, secondo le norme di quelle, le controversie tendenti sempre a rinnovarsi con i loro operai, rispettando la comune utilità e la dignità della persona umana. Quale vanto sarà per la gente americana, per natura proclive alle grandiose imprese e alla liberalità, se pienamente e bene scioglierà la annosa e ardua questione sociale secondo le sicure vie illuminate dalla luce dell’Evangelo e così getterà le basi di più felice età! Affinché ciò avvenga conformemente ai voti, le forze non devono essere dissipate con la disunione, ma accresciute con la concordia. A questa salutare congiunzione di pensieri e di consensi, portatrice di azioni magnifiche, secondando un impulso di carità, invitiamo pure coloro, che la madre Chiesa lamenta da sé staccati. Molti di essi, quando il Nostro glorioso predecessore si addormentò nel sonno dei giusti e Noi dopo breve tempo dalla sua morte, per arcana disposizione della divina pietà, salimmo sul trono di san Pietro, molti di essi – ciò non Ci è sfuggito – hanno espresso parlando o scrivendo sentimenti pieni di ossequio e di grande elevatezza. Da questo atteggiamento – vi confessiamo apertamente – abbiamo concepito una speranza, che il tempo non rapisce, che Ci si trasforma talvolta in presagio e che Ci consola nella dura e aspra fatica del ministero universale. – La grandezza del lavoro, che converrà intraprendere con fervore per la gloria del benignissimo Redentore e per la salvezza delle anime non vi sgomenti, o dilettissimi, ma vi stimoli, facendovi confidare nell’aiuto divino: le opere grandi generano più robuste virtù, producono meriti più splendidi. Gli sforzi con cui i nemici a schiere serrate cercano di abbattere lo scettro di Cristo siano di incitamento, perché con concordi intenti curiamo lo stabilimento e l’avanzamento di questo regno. Nulla di più felice può toccare agli individui, alle famiglie, alle nazioni, che obbedire all’Autore dell’umana salute, eseguire i suoi mandati, accettare il suo regno, nel quale diventiamo liberi e ricchi di buone opere: «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Augurando di cuore che voi e il gregge spirituale, al cui bene provvedete come solerti pastori, progrediate sempre verso mete migliori e più alte, e che anche dalla presente solenne celebrazione raccogliate fecondi proventi di virtù, vi impartiamo la benedizione apostolica, attestato della Nostra benevolenza.

Roma, presso San Pietro, festa di Tutti i santi 1939, anno I del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XI – “QUINQUAGESIMO ANTE ANNO”

Il  Santo Padre Pio XI in questa lettera scrive con un animo traboccante di gioia e di gratitudine per il buon Dio per i frutti della devozione e della pacificazione auspicati dalla Chiesa Cattolica e dal Vicario di Cristo in particolare, che nell’anno trascorso si erano realizzati con piena umana soddisfazione di popoli ed autorità, in particolare i patti Lateranensi … « Spetta a Dio Onnipotente e misericordioso far sì che suoni finalmente questa lieta ora, feconda di tanto bene, sia per la restaurazione del Regno di Cristo, sia per un più giusto riordinamento delle cose d’Italia e di tutto il mondo; ma tocca agli uomini di buona volontà far sì che essa non suoni invano … ». – Tutto sembrava procedere verso un’era tranquilla e spiritualmente protesa alla glorificazione di Dio e della sua Chiesa che riuniva tutti i popoli in unico gregge sotto un solo Pastore. Ma il nemico di Dio e del genere umano non dormiva, anzi approfittava di qualche naturale momento di rilassatezza e di abbandono della guardia alta – secondo il gergo pugilistico – per seminare zizzania nel campo del paterfamilias e spargere i veleni dell’eresia modernista e delle mortifere dottrine razionaliste degli increduli settari o il naturalismo pestifero degli aderenti alle logge di perdizione che andavano progressivamente prendendo le leve di comando in ogni settore della vita pubblica, sociale, economica, politica, culturale ed infine anche negli edifici sacri fino all’esplosione dell’apostasia conciliare e postconciliare e del colpo di stato del Conclave del 1958. A quel punto la società è stata facilmente addomesticata e condotta ad una corruzione ed un paganesimo tale da fare impallidire quello dell’antica Roma, scardinato dal sangue di martiri e dalle invasioni barbariche. Una volta soffocata la vera fede nei paesi cristiani, sostituita da un simulacro di falso Cristianesimo panteista aperto a tutti gli influssi cosiddetti ecumenici – in realtà al masso-protestantesimo ed alle demoniache superstizioni orientali … omnes dii gentium dœmonia … avvertiva già il Re- Profeta nel salmo XCV. Oggi siamo giunti all’imposizione di un nuovo modo di pensare ed agire totalmente opposto a quello della società cristiana, cosa che ci porterà a breve ad una dittatura mondiale, al cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale che imporrà la religione noachide unica obbligatoria controllata dal marchio della bestia che coprirà il chip quantico che mostrerà gli aderenti al regno dell’anticristo adoranti la statua della bestia posta nel tempio santo … parola di S. Giovanni che ha visto il tutto nelle sue profetiche visioni descritte nell’Apocalisse.

LETTERA ENCICLICA

QUINQUAGESIMO ANTE ANNO

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI, NONCHÈ A TUTTI I DILETTI FIGLI CRISTIANI DEL MONDO CATTOLICO:

IN OCCASIONE DELLA CHIUSURA

DELL’ANNO GIUBILARE.

PIO PP. XI

VENERABILI FRATELLI

SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Quando, or sono cinquant’anni, nel fiore dell’età fummo ordinati sacerdoti nella Basilica Lateranense, madre e centro di tutte le Chiese — ed in questi giorni specialmente il ricordo Ci commuove e soavemente Ci conforta — nessuno certamente avrebbe immaginato, e tanto meno Noi, che per arcano disegno della divina Provvidenza la Nostra umile persona sarebbe stata elevata a così alto fastigio, e che quel medesimo tempio sarebbe diventato un giorno la cattedrale del Nostro Episcopato romano. – A questo proposito, mentre ammiriamo con animo dimesso la somma degnazione del Signor Nostro Gesù Cristo, Principe dei Pastori, verso di Noi, non potremo mai abbastanza degnamente esaltare i grandi benefìci con i quali Egli ha voluto confortare il suo Vicario in terra, quantunque immeritevole, durante il corso del suo Pontificato; tanto più che, quasi a coronamento di questi benefìci, Egli ha voluto che l’anno del Nostro giubileo sacerdotale fosse rallegrato da molti avvenimenti lieti e consolanti. Pertanto affinché quest’anno non trascorresse privo di frutti salutari — cioè, allo scopo di richiamare i fedeli alla santità dei costumi e la stessa società ad un più giusto apprezzamento dei beni spirituali, e conciliare con questi mezzi la misericordia divina verso la Chiesa militante — fin dal principio dell’anno, mossi da un sentimento di amore paterno, indicemmo per tutto l’Orbe cattolico un altro Anno Santo « extra ordinem » in forma di grande Giubileo. Ed oggi possiamo dire, che, con la grazia di Dio, le speranze che Noi riponevamo in questa santa crociata di preghiere, non solo non vennero deluse, ma anzi sono state pienamente soddisfatte. Ripensando infatti ai molti attestati di pietà e di gratitudine filiale, all’incremento che ha avuto la causa cattolica, ai celebri avvenimenti che si sono potuti compiere durante il corso di un solo anno, Ci sembra di poter dire ben a ragione che il benignissimo Iddio, dal quale « deriva ogni cosa ottima e ogni dono perfetto » [1], ha voluto che questo breve periodo di tempo apparisse a tutti veramente provvidenziale. Ci piace quindi oggi, quasi facendo il bilancio di questi dodici mesi, più diffusamente ricordare i grandi benefìci da Dio derivati al popolo cristiano, e ciò allo scopo di invitarvi tutti, Venerabili Fratelli, diletti figli, a ringraziare insieme con Noi l’Onnipotente, il quale, muovendo gli animi dei mortali con fortezza e soavità, dirige ai suoi scopi i tempi e gli avvenimenti. – E per cominciare da quelle cose, che appunto perché toccano più da vicino la Santa Sede e lo stesso governo della Chiesa affidato, per divina disposizione, al Sommo Pontefice, sembrano avere maggiore importanza delle altre, crediamo anzitutto opportuno ricordare alcuni tratti della Nostra prima Enciclica « Ubi arcano ». In essa Noi uscivamo in questo lamento: « Appena occorre dire con quanta pena all’amichevole convegno di tanti Stati vediamo mancare l’Italia, la carissima patria Nostra, il paese nel quale la mano di Dio, che regge il corso della storia, poneva e fissava la sede del suo Vicario in terra, in questa Roma che, da capitale del meraviglioso ma pur ristretto romano impero, veniva fatta da Lui la capitale del mondo intero, perché sede di una sovranità divina che, sorpassando ogni confine di nazioni e di Stati, tutti gli uomini e tutti i popoli abbraccia. Richiedono però l’origine e la natura divina di tale sovranità, richiede l’inviolabile diritto delle coscienze di milioni di fedeli di tutto il mondo, che questa stessa sovranità sacra sia ed appaia manifestamente indipendente e libera da ogni umana autorità o legge, sia pure una legge che annunci guarentigie ».  – Dopo avere poi rinnovato da parte Nostra quelle proteste che i Nostri Predecessori, dopo l’occupazione dell’Urbe, onde tutelare ed affermare i diritti e la dignità della Sede Apostolica avevano successivamente fatto, e dopo aver proclamato l’impossibilità di restaurare la pace trascurando le ragioni della giustizia, aggiungevamo: « Spetta a Dio Onnipotente e misericordioso far sì che suoni finalmente questa lieta ora, feconda di tanto bene, sia per la restaurazione del Regno di Cristo, sia per un più giusto riordinamento delle cose d’Italia e di tutto il mondo; ma tocca agli uomini di buona volontà far sì che essa non suoni invano … ». – Orbene, questo lietissimo giorno è finalmente spuntato ed è giunto prima di quanto comunemente si pensava, giacché le molte e gravi difficoltà, che lo impedivano, facevano credere quasi a tutti che fosse ancora molto lontano: è giunto, diciamo, con quelle Convenzioni che il Romano Pontefice e il Re d’Italia, per mezzo dei loro ministri plenipotenziari, stipularono nel Palazzo Lateranense — donde presero il nome — e quindi ratificarono in Vaticano. – In tal modo abbiamo veduto finalmente terminare quell’intollerabile e ingiusta condizione di cose, in cui si trovava fino allora la Sede Apostolica, dato che, negata e contrastata con ogni mezzo la necessità del Principato civile, la continuità di questo era stata interrotta di fatto in maniera che il Romano Pontefice non appariva più nella sua legittima indipendenza. Non è qui il luogo di trattare in particolare le ragioni che Noi Ci siamo proposti nell’accingerCi a questa grave impresa, nello svolgere le   trattative e nel condurle in porto; più di una volta infatti e non oscuramente, anzi con parole chiarissime, abbiamo esposto a quale unico scopo tendessero i Nostri propositi e i Nostri desideri, e cioè quali beni desiderassimo e sperassimo ardentemente, mentre, innalzate le Nostre assidue e fervide preghiere all’Altissimo, portavamo tutte le forze dell’animo Nostro alla soluzione dell’arduo problema. Questo però vogliamo, sia pure brevemente, accennare, e cioè che, assicurata la piena sovranità del Romano Pontefice, riconosciuti e solennemente sanciti i suoi diritti, e resa in tal modo all’Italia la pace di Cristo, nelle altre cose Noi Ci mostrammo paternamente benevoli e condiscendenti fin dove il dovere Ce lo permetteva. Apparve così anche più chiaramente, seppure ve ne era bisogno, come Noi, nel rivendicare i sacrosanti diritti della Sede Apostolica, conforme a quanto avevamo affermato nella surricordata Enciclica, mai eravamo stati mossi da vana cupidigia di un regno terreno, ma avevamo sempre avuto « pensieri di pace e non di afflizione ». Quanto poi al Concordato, che abbiamo parimenti stipulato e ratificato, come espressamente proclamammo, così oggi di nuovo affermiamo e proclamiamo che esso non si deve considerare come una tal quale garanzia del Trattato con cui si è definita la cosiddetta Questione Romana, ma sì bene devesi ritenere che ambedue — Trattato e Concordato — per l’identico principio fondamentale da cui derivano, formano un insieme talmente inscindibile e inseparabile, che o tutti e due restano, o ambedue necessariamente vengono meno. Pertanto, tutti i Cattolici del mondo, che tanto si preoccupavano della libertà del Romano Pontefice, accolsero questo memorabile avvenimento con un concorde plebiscito che si espresse ovunque in inni di ringraziamento a Dio e in attestati di congratulazioni a Noi rivolti. Ma grandissima soprattutto fu la gioia degli Italiani, alcuni dei quali, dopo la felice composizione dell’antico dissidio, deposero i vecchi pregiudizi verso la Sede Apostolica e riconciliarono la loro anima a Dio; e molti altri si rallegrarono perché non si poteva più ormai dubitare del loro amore di patria, come si faceva in passato quando i nemici della Chiesa non volevano credere a questo loro amore, per il fatto che essi si dichiaravano figli devoti del Pontefice. Tutti poi i Cattolici, italiani e stranieri, compresero che stavano per sorgere felicemente una nuova era ed un nuovo ordine di cose, soprattutto perché pensavano che, essendo state quelle convenzioni concluse nel 75° anno della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione e precisamente firmate nel giorno in cui, pochi anni dopo, la Vergine Immacolata apparve nella Grotta di Lourdes, sembravano essere prese sotto il particolare patrocinio della Madre di Dio; e così pure essendo state ratificate nella festa del Sacro Cuore di Gesù Cristo pareva quasi che portassero il contrassegno della sua approvazione. E ciò ben a ragione; giacché se tutte le cose di comune consenso pattuite saranno coscienziosamente e con fedeltà portate ad effetto, come del resto è giusto sperare, non v’è dubbio che gli accordi stabiliti recheranno il massimo bene alla causa cattolica, alla patria nostra e a tutta l’umana famiglia. – Pertanto, dopo avere illustrato questo fausto avvenimento più diffusamente per la sua singolare importanza, crediamo che sia opportuno aggiungere almeno brevemente che per disposizione della divina Provvidenza abbiamo pure, durante quest’anno, potuto stipulare e ratificare con altre Nazioni altre convenzioni e trattati, che, mentre provvedono alla libertà della Chiesa, allo stesso tempo conferiscono non poco al bene degli Stati medesimi. Infatti, oltre la convenzione pattuita con la Repubblica del Portogallo (la quale consiste nello stabilire i confini e le prerogative della Diocesi di Meliapor) siamo venuti alla conclusione di un Concordato prima con la Romania, poi con la Prussia, in modo da evitare per l’avvenire ogni ragione di conflitto, ed in modo altresì da far convergere ambedue le potestà, civile e religiosa, in mutuo accordo verso il maggior bene del popolo cristiano. Certamente nella trattazione di queste convenzioni concordatarie non mancarono molte e gravi difficoltà, per il fatto che si trattava di stabilire secondo legge il regime della Chiesa Cattolica presso popoli in maggioranza acattolici; tuttavia riconosciamo volentieri che per superare queste difficoltà le pubbliche autorità di quelle Nazioni prestarono volonterosamente la loro opera. Se dunque, giunti al termine dell’anno, rivolgiamo all’intorno il Nostro sguardo, Ci rallegriamo sommamente nel vedere che molte Nazioni hanno già stretto, con una pubblica convenzione, relazioni di amicizia con questa Sede Apostolica, oppure si accingono alla trattazione o al rinnovo di un Concordato. E mentre proviamo profondo dolore al pensare che nelle vaste regioni dell’Europa Orientale ancor oggi infierisce la più terribile guerra non solo contro la Religione cristiana, ma altresì contro ogni diritto divino ed umano, Ci sentiamo d’altra parte grandemente confortati per il fatto che l’orribile persecuzione inflitta al clero e al popolo cattolico del Messico sembra ormai placata, in maniera da far fin da ora in qualche modo sperare che la sospirata pace non sarà molto lontana. – Né minor diletto e consolazione Ci ha recato il vedere che, durante il corso di questo fausto anno giubilare, la Chiesa Orientale ha voluto mostrare ancora più stretti i vincoli di attaccamento con la Sede Apostolica, prendendo questa occasione per darCi aperta e pubblica testimonianza del suo ardente amore per l’unità della Chiesa; e in far ciò, i Nostri figli della Chiesa Orientale Ci hanno certamente voluto rendere un tributo di gratitudine, giacché Noi, dietro l’esempio dei Nostri Predecessori, abbiamo sempre nutrito per i popoli orientali grande benevolenza e carità. Ci hanno infatti inviato lettere piene di affetto e di venerazione, ed hanno manifestato con attestati pubblici e solenni la loro gioia e i loro rallegramenti; i Patriarchi ed i Vescovi di quelle Chiese, o personalmente o per mezzo di loro rappresentanti, si sono recati a farCi visita per testimoniare più chiaramente, anche a nome del gregge loro affidato, l’amore verso il supremo Pastore delle anime. Seguendo l’esempio dei Vescovi Armeni, che lo scorso anno tennero in Roma il loro convegno per discutere qui, presso la Cattedra di Pietro, circa gli opportuni provvedimenti con cui mitigare i mali che affliggono la loro Nazione, poco tempo fa i Vescovi Ruteni, che mai tutti insieme erano convenuti a Roma, hanno deciso di tenere le loro adunanze qui presso di Noi, quasi per dimostrare con la stessa scelta del luogo e del tempo, l’affettuoso attaccamento dell’intera Chiesa Rutena verso il Successore del Principe degli Apostoli. E il risultato delle loro adunanze fu veramente tale da soddisfare pienamente le Nostre speranze. Infatti trattarono in esse di questioni importantissime, sottoponendo a Noi, come si conviene, le loro deliberazioni; e cioè del corso degli studi per il giovane clero, dell’istituzione di Seminari Minori, dell’istruzione catechistica del popolo da svolgersi in un certo periodo di anni, del modo di concorrere alla codificazione del Diritto Canonico Orientale, e nei mezzi opportuni per promuovere fra i loro fedeli l’Azione Cattolica secondo le Nostre direttive; ed in tutte queste cose riconosciamo che essi non potevano prendere determinazioni più salutari per il loro clero e per il loro popolo. – Benché le cose di cui abbiamo fin qui parlato sembrino di maggiore importanza e attirino più facilmente l’attenzione e l’ammirazione del pubblico, tuttavia pensiamo che non conferiscano meno al bene della Chiesa quelle opere e istituzioni che il Signore, quasi per colmare la Nostra letizia, Ci ha permesso, dandocene i mezzi, o di condurre a termine o almeno di cominciare durante quest’anno. E infatti, oltre le molte case canoniche fatte costruire in varie parrocchie per provvedere ad un più decoroso disimpegno dell’ufficio parrocchiale, ed oltre i Collegi Internazionali, che per i loro giovani alunni hanno edificato le Congregazioni religiose dei Servi di Maria e di San Francesco di Paola — Collegi che già si sono inaugurati ed hanno aperto i corsi scolastici — è certo che i Collegi fondati qui in Roma per la formazione culturale e religiosa del giovane clero in questo breve spazio di tempo sono stati tanti, che appena altrettanti si sarebbero potuti veder sorgere in un lungo periodo di anni: tali sono il nuovo Collegio di Propaganda Fide, quello Lombardo, quello Russo e quello per la Nazione Cecoslovacca, già finiti e completamente arredati. E non vogliamo tralasciare di accennare né alla nuova sede del Seminario Etiopico, che abbiamo voluto appositamente fosse edificata qui presso il Vaticano — né agli altri due di cui già si è posta la prima pietra — cioè al Collegio Ruteno e al Brasiliano — né infine alla nuova sede del Seminario Romano Vaticano, di cui saranno prossimamente iniziati i lavori. E a proposito di queste numerose e crescenti istituzioni, le quali tanto da vicino interessano la salvezza delle anime, che Cristo Redentore ha procurato con la effusione del suo sangue, Noi abbiamo la più grande fiducia che, col divino aiuto, esse otterranno questo salutare risultato, e cioè che avremo schiere più addestrate e più numerose di leviti per l’evangelizzazione dei popoli. E parimenti non v’è dubbio che questi nuovi leviti, i quali qui nel centro dell’orbe cattolico vengono educati alla purezza della dottrina di Cristo e si esercitano all’acquisto delle virtù sacerdotali, un giorno, divenuti sacerdoti e tornati ai loro paesi, si adopereranno validamente a rendere ancora più stretti i vincoli d’unione dei loro concittadini con la Sede Apostolica, oppure, se questi sono separati dalla Chiesa di Roma, a richiamarli a poco a poco all’antica unione con essa o, se ancora si trovano involti nelle tenebre e nell’ombra di morte, procureranno con ogni sforzo di recare loro la luce dell’evangelica verità, allargando sempre più i confini del regno di Cristo. E veramente la speranza di questi lieti frutti è per Noi di tanto conforto, che non possiamo abbastanza esaltare Colui che Ci ha dato tanta consolazione e Ci ha concesso di portare a compimento queste grandi cose per il bene della Chiesa. – Vogliamo poi anche, Venerabili Fratelli e diletti figli, ricordare insieme a voi altri avvenimenti, che per divina disposizione hanno reso quest’anno ancor più memorabile; abbiamo detto per divina disposizione, giacché niente può avvenire a caso, essendo tutte queste cose da Dio ordinate e regolate. Poiché infatti gli uomini, per la loro stessa natura, al compiersi di certi periodi di anni più volentieri si soffermano a ricordare benefìci già da Dio destinati alla cristiana società, e ne traggono incitamento a proseguire con alacrità maggiore la via intrapresa, così è avvenuto che i fedeli durante questi dodici mesi hanno preso tutte le occasioni di quel genere che loro si presentarono per indirizzare l’espressione della loro gratitudine e del loro amore verso Iddio Ottimo Massimo e verso il Padre comune in queste particolari circostanze. E da parte Nostra, per ricambiare con paterno animo tali attestati di filiale pietà, volemmo essere presenti a queste solenni celebrazioni e renderle ancor più splendide, inviando a questo scopo le Nostre Lettere e i Nostri Legati. – Così questa Apostolica Sede non poteva non favorire la insigne famiglia del Padre e Legislatore San Benedetto, mentre essa si preparava a commemorare il secolo decimo quarto dalla fondazione dell’Archicenobio Cassinese « principale palestra della regola monastica » e tanto benemerito e da sì lungo tempo verso la stessa Santa Sede non meno che verso la umana civiltà. E ciò dicendo e ripetendo, diciamo cosa non soltanto conosciutissima dai dotti e dagli eruditi, ma divulgata oggi anche in mezzo al popolo che si è ormai formato di tali meriti un giusto concetto. Infatti, non solamente al popolo, in particolare nella nostra Italia, si suole ripetere in esempi la massima del santissimo Patriarca, « ora et labora », ma non v’è chi ignori che i monaci dell’Archicenobio, e con essi tutti gli altri della famiglia di San Benedetto, promossero le belle arti e trasmisero in perpetuo alla posterità i monumenti della umana non meno che della divina sapienza, e inviarono predicatori del Vangelo in regioni anche lontanissime con tale vantaggio della Fede cristiana e della civiltà che il Nostro Predecessore Pio X, di felice memoria, volendo brevemente sì, ma efficacemente insieme esprimere i meriti acquistatisi dal monastero Cassinese, poté dire con giusta ragione « che i suoi fasti sono in gran parte la storia stessa della Chiesa Romana ». Per la qual cosa non è da meravigliarsi se, in occasione delle feste celebrate nella vetustissima Arciabbazia, tanti visitatori da ogni parte facessero a gara per salire a quel sacro monte e venerarvi le memorie del Santo Padre Benedetto e purificare con la penitenza le anime loro. – Alquanto meno lontano nella storia della Chiesa è l’avvenimento celebrato a Stoccolma, città capitale della Svezia, con insolito splendore per quanto era concesso, dato il numero dei cattolici: la venuta di Sant’Ansgario, che mille e cento anni or sono approdò nella Svezia, dopo avere con instancabile zelo evangelizzato la Danimarca. – Fu celebrato un triduo solenne; vi assistevano, rappresentanti, se così può dirsi, di quattordici nazioni diverse, due Cardinali, alcuni Vescovi e Abbati dell’Ordine di San Benedetto e più di mille fedeli; vi furono tenuti discorsi sulle opere compiute da Ansgario e sul suo mirabile apostolato secondo le più recenti ricerche: vi furono lette, fra il comune plauso, le lettere che avevamo mandate con la Nostra benedizione; tutti i convenuti furono ricevuti con grande onore nella stessa sede municipale di Stoccolma; a Noi e al Re di Svezia furono inviati messaggi con ossequi ed auguri. E questa commemorazione centenaria non deve parere di poca importanza, se si pensa che fino a settanta anni addietro le cose procedevano nella Svezia così contrarie alla religione Cattolica che il passaggio alla Chiesa Romana era ancora punito con l’esilio e con la perdita dello stesso diritto di eredità. A tale proposito giova qui ricordare che in quei paesi, recentemente, abbracciarono la Religione Cattolica diversi fra donne e uomini dei più colti, e in Islanda, che dipende dalla Danimarca, quest’anno medesimo l’E.mo Cardinale Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide felicemente dedicò la nuova Chiesa Cattedrale. Pertanto fra i benefìci divini di quest’anno annoveriamo pure la lieta speranza da Noi nutrita che, auspice Sant’Ansgario, da qui innanzi molto più copiosa sarà la messe che raccoglieranno i Vicari Apostolici, i sacerdoti, i religiosi dell’uno e dell’altro sesso che spargono i loro sudori in quella sì ampia parte della vigna del Signore. – Come poi avevamo inviato a Montecassino, quale nostro rappresentante, un Eminentissimo Cardinale che assistesse alle solennità ivi celebrate, così anche ordinammo che un Nostro legato « a latere », scelto pure nel Sacro Collegio, si recasse in Francia dove si commemorava l’anniversario cinque volte secolare del giorno in cui Giovanna d’Arco, vergine santissima e tanto benemerita della sua nazione, era entrata trionfalmente nella città d’Orléans. E perché la memoria e il ricordo di tale trionfo riuscissero a tutti i cittadini più graditi e ai Cattolici più fruttuosi, dovette certamente giovare la quasi presenza Nostra nella persona del legato. – Credemmo pure dovere del Nostro ufficio intervenire per mezzo del Nostro Nunzio Apostolico alle feste con cui i sudditi della repubblica Cecoslovacca celebrarono il secondo centenario della canonizzazione di San Giovanni Nepomuceno e specialmente il millenario dalla morte di San Venceslao, inclito duca di Boemia e Patrono celeste della stessa Repubblica, ucciso per mano del fratello. Come poi abbiamo detto nella recente Allocuzione Concistoriale, apprendemmo con grande letizia che alle feste celebrate in onore del Martire Venceslao presero parte non solamente cittadini e forestieri in grandissimo numero, ma gli uomini stessi del Governo e i principali della Repubblica. Ora di un così comune fervore di animi come non dovevamo Noi rallegrarCi? Infatti ai pubblici sconvolgimenti che, dopo cessata la guerra immane, avevano condotto ad estremo pericolo l’unità e l’azione cattolica, susseguivano in quei giorni una grande pace e serenità, ed una tale condizione di vita pubblica sembrava incominciata, quale, al sopraggiungere delle feste, Noi avevamo supplicato da Dio che di fatto incominciasse, e col patrocinio e intercessione di San Venceslao si mantenesse in avvenire. Oh! se gli eventi rispondessero a questi Nostri desideri! perché non v’è chi non intenda quanto gioverebbe alla vera prosperità di quella nazione l’opera concorde delle due potestà, ecclesiastica e civile. – Mirabile poi Ci è parso il modo col quale i figli a Noi carissimi d’Inghilterra, di Scozia e d’Irlanda, a nessuno secondi nell’attaccamento fervido alla propria fede e nell’ardore della pietà, hanno fatto onore al cinquantesimo anno del Nostro sacerdozio. Con un apparato quanto mai splendido e un concorso, che ha dell’incredibile, di popolo venuto da ogni parte, si è commemorato il compimento di un secolo da che i Cattolici, che in altri tempi erano perseguitati e ferocemente maltrattati e che ancor più tardi, in tempi un poco migliori, rimasero esclusi dai diritti civili, finalmente per pubblico riconoscimento, rientrarono in quei diritti e riebbero la libertà di professare la propria religione. E con molto piacere abbiamo visto che gl’Inglesi, gli Scozzesi e gl’Irlandesi hanno celebrato tali solennità, non come se, col ricordare antichi fatti, accusassero qualcuno delle passate ingiustizie, ma studiando piuttosto come dirigere la libertà ricuperata, prima in parte e poi in più ampia misura, sia nell’osservanza più fedele e nella più larga dilatazione della legge di Cristo, sia nel bene della pubblica cosa, naturalmente con la debita sottomissione al potere civile. Né fu una sola la causa che Ci indusse a voler per Noi una parte non piccola nella celebrazione centenaria dell’evento; poiché se è sempre conveniente che il Vicario di Gesù Cristo si associ alla letizia santa dei figli, molto più ciò lo era in questa congiuntura, ricorrendo la memoria del termine finalmente posto alle pene che i generosi e nobilissimi avi di quei cattolici avevano con costanza e valore sostenute per la difesa della propria fede e della loro unione alla Chiesa Romana. Anzi, per bontà di Dio Ci toccò in sorte di accrescere la letizia dei Nostri figli d’Inghilterra, di Scozia e d’Irlanda con solennità rispondenti a quelle da essi celebrate. Infatti, dopo avere con rigore esaminato ogni cosa conforme alle regole, inserimmo, non è molto, nell’albo dei Beati quella valorosa schiera di uomini che nella ricordata lunga persecuzione contro i Cattolici avevano qui combattuto, non in uno stesso tempo, ma per la stessa causa di Cristo e della Chiesa, e ciò in virtù di quella medesima autorità Pontificia, per difendere la quale essi avevano incontrato l’illustre martirio. E così avvenne che il cinquantesimo anno del Nostro sacerdozio, a cui erano già stati di tanto ornamento gli onori decretati al beato martire Cosma da Carbognano, Armeno zelantissimo dell’unità ecclesiastica sino allo spargimento del sangue, s’affrettasse al suo termine ancor più adorno per la riconosciuta palma del martirio a così numerose vittime e per il culto ad esse tributato. – Che una forza e una virtù perenne dello Spirito Santo s’insinuino e scorrano per le vene, diciamo così, della Chiesa, appare manifesto dalla stessa compiuta vittoria di questi martiri. Ma non fu ciò chiaro anche quando nel mese di giugno proponemmo al culto e all’imitazione dei fedeli altri eroi di santità? – Basta poi appena accennare a quanta moltitudine di cittadini e di forestieri hanno venerato con Noi, nella maestà della Basilica Vaticana, i recentemente beatificati: cioè Claudio de la Colombière, quell’illustre figlio della Compagnia di Gesù, che Gesù stesso non solo chiamò « servo fedele » e lo destinò consigliere di Margherita Maria Alacoque, ma anche gli affidò l’incarico di propagare il culto verso il suo Cuore in mezzo al popolo cristiano; Teresa Margherita Redi, Carmelitana, di famiglia Fiorentina e fiore di gioventù e d’innocenza; Francesco Maria da Camporosso, quel religioso Cappuccino, il quale, può dirsi del tempo nostro, avendo per quaranta anni fatto l’ufficio di questuante, con l’esempio della sua vita intemerata, con consigli pieni di una celeste prudenza e con esortazioni soavissime alla santità, parve sia al popolo sia agli ottimati così somigliante a San Francesco d’Assisi che i Genovesi, dopo averlo amato e onorato vivo, anche morto l’hanno fatto segno sin qui di grato ricordo e di venerazione. In qual modo potremmo poi descrivere la consolazione di cui fummo inondati, quando, dopo aver ascritto Giovanni Bosco tra i beati, lo venerammo pubblicamente nella medesima Basilica Vaticana? Giacché richiamando la cara memoria di quegli anni nei quali, all’alba del sacerdozio, godemmo della sapiente conversazione di tanto uomo, ammiravamo la misericordia di Dio veramente « mirabile nei Santi suoi » per aver opposto il beato così a lungo e così provvidenzialmente ad uomini settari e nefasti, tutti intesi a scalzare la Religione Cristiana e a deprimere con accuse e contumelie la suprema autorità del Romano Pontefice. Egli infatti, che da giovinetto era solito convocare altri della sua età per pregare insieme e per ammaestrarli negli elementi della dottrina cristiana, dopo che divenne sacerdote prese a rivolgere tutti i suoi pensieri e sollecitudini alla salvezza della gioventù che più era esposta agli inganni dei malvagi; ad attrarre a sé i giovani, tenendoli lontani dai pericoli, istruendoli nei precetti della legge evangelica e formandoli alla integrità dei costumi; ad associarsi compagni per ampliare tanta opera e ciò con sì lieto successo, da procacciare alla Chiesa una nuova e foltissima schiera di militi di Cristo; a fondare collegi ed officine per istruire i giovani negli studi e nelle arti fra noi e all’estero; e infine a mandare gran numero di missionari a propagare tra gl’infedeli il regno di Cristo. Ripensando Noi a queste cose durante quella visita alla basilica di San Pietro, non solo riflettevamo con quali opportuni aiuti il Signore, specialmente nelle avversità, sia solito soccorrere e rinvigorire la sua Chiesa, ma anche Ci veniva in mente come per una speciale provvidenza dell’Autore di tutti i beni fosse avvenuto che il primo a cui decretammo gli onori celesti, dopo che avevamo concluso il patto della desideratissima pace con il Regno d’Italia, fosse Giovanni Bosco, il quale, deplorando fortemente i violati diritti della Sede Apostolica, più volte si era adoperato perché, reintegrati tali diritti, si componesse amichevolmente il dolorosissimo dissidio per il quale l’Italia era stata strappata al paterno amplesso del Pontefice. – Ed ora, Venerabili Fratelli e figli carissimi, dobbiamo pure accennare qualche cosa dello stragrande numero di Cattolici che, pellegrini, vennero a Roma nel corso dell’anno, benché quasi non vi sia ragione di chiamarli pellegrini o stranieri, poiché nessuno può considerarsi estraneo nella casa del Padre comune. Avemmo davvero innanzi agli occhi uno spettacolo a Noi graditissimo per vari titoli. Infatti, proprio il consenso di tante nazioni, pur fra loro divise per indole, sentimenti, costumi, nella stessa fede e nella stessa venerazione al supremo Pastore delle anime, non proclamava pubblicamente e apertamente l’unità e l’universalità, che il divino Fondatore volle impresse nella sua Chiesa, come note a lei proprie? Ma si può dire che in alcuni tempi dell’anno non sorse giorno in cui Roma non vedesse affluire e piamente visitare i suoi più illustri templi, schiere di fedeli accorsi dalle diocesi d’Italia, dalle altre nazioni di Europa e persino dalle regioni separate dalla quasi infinita distesa dell’Oceano. Né si deve tacere che i cittadini di Roma, i quali sono più vicini al Romano Pontefice, loro Vescovo, non si lasciarono vincere dai pellegrini e dagli stranieri in questa gara, come nelle frequenti processioni per la visita delle Basiliche, al fine di acquistare il giubileo offerto al mondo cattolico. Di questi figli della Nostra diocesi convenne così grande numero, il primo dicembre, nella basilica di San Pietro, per ottenervi il perdono giubilare, che forse Noi non vedemmo mai tanto gremito il vastissimo tempio. – E ad essi tutti, che supplicavano in folla di venire a Noi, ben volentieri accondiscendendo, molto fummo allietati della loro presenza; le parecchie migliaia di uomini, e specialmente di giovani, che ammettemmo, gli uni dopo gli altri, prestarono orecchio alle Nostre parole con tale attenzione e, per così dire, impeto di affetto, manifestarono l’amore ardentissimo, che a Noi li portava, con tali grida di plauso, che Noi tenemmo per certo di avere realmente ottenuto quanto Ci eravamo proposto nell’indire un nuovo anno santo. Infatti, come in principio notammo, non ad altro miravamo Noi, che ad aprire felicemente la via ad una più profonda emendazione dei costumi privati e pubblici, risvegliando a maggior fervore la fede e la pietà nel popolo cristiano, poiché, secondo la sentenza del Nostro predecessore Leone XIII di f. m., «Quanto più gli individui cresceranno nella perfezione, tanto maggiore onestà e virtù dovrà necessariamente risplendere nei pubblici costumi e nella vita sociale ». Orbene, quanti splendidi esempi di pietà e di virtù non vedemmo dati nel corso dell’anno, con la nobile gara sorta ovunque tra i fedeli per attingere le ricchezze, che durano eterne, dal sacro deposito a Noi affidato e da Noi aperto con paterna generosità, mentre pure intorno non mancava chi faceva mostra di leggerezza e di cupidigia dei beni terreni? Tutti costoro, e primi quelli che, sebbene potessero più facilmente valersi in patria dei mezzi di salvezza loro offerti, preferirono invece sopportare gl’incomodi e le spese del viaggio, non proclamavano essi col fatto che vi sono dei beni superiori assai a questi beni vani e passeggeri del mondo e più degni di un’anima immortale, all’acquisto dei quali dobbiamo perciò tendere con più intenso desiderio? A questa consolazione se ne aggiunse un’altra: cioè, dai quasi quotidiani Nostri colloqui con tanta moltitudine di figli potemmo constatare che essi molto generosamente oggi si adoperano con ogni mezzo per consolidare il regno di Cristo nelle nazioni cattoliche o per introdurlo tra i popoli ignari della dottrina e della civiltà nostra. Ne seguirono in quest’anno nuovi incrementi dell’Azione Cattolica, diretta ad aiutare e sostenere l’apostolato del clero, e si ebbero più abbondanti offerte per l’opera dei missionari: e qui diamo ogni lode alla pia liberalità di coloro che, a ricordo di questo Nostro fausto giubileo, offrirono a Noi in gran copia suppellettile varia e vasi e ornamenti sacri ad uso delle Missioni. – Infine, il desiderio che manifestammo nell’esordire, Venerabili Fratelli e figli carissimi, ve lo ripetiamo nel terminare la Nostra lettera: cioè che insieme con Noi ringraziate assai Iddio, perché, avendoCi concesso tanto lungo decorso di vita sacerdotale, Ci sostenne con efficacissimi aiuti e Ci sollevò con ogni genere di conforti, specialmente in quest’anno. Ma, dopo avere attribuito a Dio, come è giusto, un così grande cumulo di benefìci ringraziamo vivamente anche coloro che Egli adoperò, nella sua benigna provvidenza, quali strumenti per colmarCi di tanti favori: diciamo i capi di governo, che manifestarono la loro deferente benevolenza verso di noi, regalandoCi doni preziosi e rendendo più facile la venuta a Noi dei loro concittadini; diciamo tutta la grande famiglia dei cattolici, che l’offerta indulgenza plenaria lucrarono sia in patria sia in Roma, dando splendide testimonianze della loro fede e pietà non solo al Padre comune, ma anche a tutti gli altri fedeli. E questi frutti di virtù, come potrebbero venire meno ed affievolirsi con il passare del tempo? Ché anzi, mentre supplichiamo a tale scopo il divino Fondatore e reggitore del genere umano, speriamo che, mitigati dalla cristiana carità dappertutto i dissidi dei partiti e regolati secondo i precetti evangelici i costumi privati e pubblici, i cittadini conserveranno intatta tale concordia tra di loro e con la potestà civile, e si mostreranno allo sguardo di tutti ornati di tali virtù da compiere felicemente il corso del terreno pellegrinaggio alla patria celeste. – Quanti da varie parti e più volte Ci pregarono nei mesi scorsi di prolungare alquanto la letizia di tali frutti spirituali, chiesero una cosa che non si suole normalmente concedere, ma che siamo spinti a consentire, indotti dalla Nostra sollecitudine per il bene comune e dal desiderio di manifestare più ampiamente la Nostra gratitudine. Perciò, con la Nostra autorità apostolica proroghiamo, nonostante qualunque cosa in contrario, a tutto il mese di giugno del prossimo anno 1930, quello stesso pienissimo perdono dei peccati, da lucrarsi alle stesse condizioni, che largimmo il 6 gennaio, indicendo un secondo anno santo « extra ordinem » con la Costituzione Apostolica « Auspicantibus Nobis ». – Frattanto, auspice di quella pace che Gesù Cristo nascendo portò agli uomini, ed insieme quale testimone della paterna Nostra benevolenza, a voi, Venerabili Fratelli e figli carissimi, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 23 dicembre 1929, anno ottavo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – “PASTORALIS VIGILANTIÆ”

In questa lettera Enciclica, il Sommo Pontefice Leone XIII, esprime il suo compiacimento per i risultati del Convegno di Braga, in Portogallo, tenuto da prelati e laici cattolici. Tra le altre, vi sono espressioni di grande forza utili anche agli scellerati governanti attuali dei Paesi un tempo Cristiani, oggi apostati manifesti dalla fede Cattolica, e particolarmente a quelli del nostro Paese che indubbiamente ha tenuto il peggior comportamento possibile nei confronti della Chiesa – defraudata dei suoi territori e dei suoi beni – e del suo vero Vicario di Cristo, estromesso, cacciato e sostituito da un « fantoccio » precursore dell’anticristo, espressione delle logge fin dal 28 ottobre del 1958 « … È per questo motivo che si provvede in modo saggio e accorto al bene dello Stato quando si permette alla Chiesa di avvalersi di quella libertà d’azione che essa rivendica a buon diritto, e le si apre benevolmente la strada perché possa ampiamente far valere la sua benefica influenza e mettere a disposizione del bene comune tutti i mezzi di cui è dotata. » La monarchia italiana è stata cancellata e travolta dall’ignominia, dallo scandalo vergognoso e dallo stesso esilio a cui aveva costretto il Santo Padre circa un secolo prima. La Repubblica costuzional-massonica, tentacolo della piovra mondialista, farà una fine ancor peggiore, proprio quando crederà di aver trionfato sulla Chiesa e sul Cristianesimo. « … Tutte le persone assennate ed oneste sono infatti concordi nel riconoscere che non esiste un rimedio più sicuro e più valido della Dottrina Cattolica contro i mali che affliggono il nostro tempo ed i pericoli che incombono, sempreché essa sia accettata completa ed integra, e gli uomini uniformino il loro modo di vivere alle norme che la stessa propone. » … ergo, le persone dissennate e disoneste (… cioè le marionette mai elette) attuano una politica sociale imposta dalle conventicole di perdizione, cioè un massonismo pratico, ateo e luciferino in combutta con la setta della « bestia che sembra uccisa ma è risorta », quella quinta colonna infiltrata e poi dominante sull’orbe ipocrito-cattolico. Ma tanto peggio per loro, a noi Cattolici del pusillus grex, tocca pure il dovere di rispettarli come per volontà divina a nostro castigo e punizione per le infinite colpe di cui ci siamo macchiati noi ed i nostri padri. Ma tutto questo un giorno finirà e si avvieranno i superstiti perseveranti con pazienza del pusillus grex verso la Gerusalemme celeste, e gli orgogliosi ipocriti servi del maledetto serpente primordiale allo… stagno di fuoco eterno, preparato per essi, il falso profeta ed il diavolo, e là sarà pianto e stridor di denti…

Leone XIII

Pastoralis vigilantiæ

Lettera Enciclica

La Lettera, oltremodo gradita, che annunciava la felice conclusione del nobile Convegno svoltosi di recente a Braga, a Noi inviata da quanti, tra voi, vi hanno presenziato, Ci ha procurato una nuova e significativa testimonianza dello zelo pastorale con il quale vi impegnate nel difendere e nel promuovere la religione. – Durante la lettura siamo stati pervasi da sentimenti di gioia, sia per lo zelo e la dedizione del Pastore della città che ha accolto i membri del Convegno e ha assunto in prima persona il compito di organizzarlo e di gestirlo in modo da poterne trarre gli auspicati frutti, sia per l’impegno e la pietà dei Vescovi che l’affiancarono, o che inviarono al loro posto uomini degni di stima che li rappresentassero al Convegno, sia infine per l’imponente affluenza di uomini tra i più rappresentativi del clero e del popolo fedele, segnalati per la dottrina, per la virtù e per il prestigio. – Codesto Convegno Ci tornò ancor più gradito, perché vi ha preso forma un mirabile accordo su decisioni particolarmente utili alla grandezza della Chiesa e al successo del Cattolicesimo. Né vogliamo passare sotto silenzio il fatto che, tra le altre cose opportunamente approvate con voto unanime, tenendo conto della condizione del tempo e del luogo, Ci hanno procurato conforto quei capitoli che attestavano la piena deferenza dei convenuti verso questa Sede Apostolica, e il loro ardente desiderio di vederla onorata come richiede la sua dignità e per nulla sminuita nel suo onore e nei suoi diritti. Nutriamo senz’altro la lieta speranza che quanto è stato deliberato e definito in codesta sede, se sarà attuato con impegno e costanza, produrrà una grande abbondanza di frutti salutari, senza tuttavia dimenticare che resta ancora un vasto terreno che rivendica la vostra attenzione e la vostra operosità. Per questo motivo, anche se in una lettera a voi inviata poco tempo fa vi abbiamo parlato della situazione religiosa nel regno del Portogallo e della linea di condotta da adottare per potervi opportunamente far fronte, Ci torna tuttavia gradito aggiungere al contenuto di quella lettera alcune cose che vale la pena di farvi sapere, anche perché, essendosi presentata un’occasione per scrivervi, non corriamo il rischio di essere venuti meno, per pigrizia al Nostro dovere. – Non vi sfugge certo, diletti Figli e Venerabili Fratelli, come nel Convegno di Braga sia emerso, in tutta chiarezza, che si è giunti al punto in cui la fede stessa è messa in pericolo presso molti, e s’impone quindi l’obbligo di impedire, per quanto è possibile, che l’ignoranza e la rilassatezza la estirpino dagli animi o la lascino illanguidire, ma occorre impegnarsi perché resti ben fissa nei cuori e dia vita ad una consolante quantità di opere buone e di perfetta virtù, nonché alla dolcezza dei frutti più eccelsi. Ci si deve opporre ai tentativi dei nemici della verità, perché non abbia a diffondersi il malefico contagio che si sprigiona dai loro cattivi esempi e dalle loro idee disseminate per ogni dove. Ci sono da sanare molte ferite che il loro nefasto operare e la malvagità dei tempi hanno inferto nei greggi affidati alle vostre cure; molte sono le cose che giacciono inerti da far rivivere; molti sono ancora i bisogni che assillano le anime e che, se non possono essere del tutto rimossi, occorre almeno lenire. Tutto questo che reclama, come abbiamo ricordato, le vostre cure e la vostra sollecitudine, potrà essere attuato con maggiore efficacia e con più facilità se la concordia tra i Vescovi diventerà ogni giorno più profonda e se questi, di comune intesa, opereranno per scoprire i bisogni del clero e dei fedeli, per proporre suggerimenti e prendere, con le decisioni, che tutti insieme vedranno meglio accordarsi con le situazioni delle singole diocesi, anche quelle di più ampia portata e di maggior peso per provvedere alla prosperità e alla salvezza dell’intero popolo. L’opportunità di un più stretto raccordo tra i Vescovi non sfuggì alla saggezza di chi si riunì a Braga. Trovano quindi la Nostra piena approvazione le decisioni prese in quel nobile Convegno con il proposito di favorire quest’unità di intenti, capace di garantire al popolo cristiano i più importanti e duraturi benefìci che si ripromette dai suoi Presuli, che sono le sue guide e i suoi pastori. – Ma per rendere veramente stabile questo rapporto, non vi è mezzo più efficace del ricorso alla consolidata prassi, già recepita in altre regioni, di tenere ogni anno, in aggiunta alle riunioni che prevedono la presenza anche dei laici (di tal fatta era il Convegno di Braga), speciali adunanze di Vescovi. È un’usanza che sta prendendo piede anche presso di voi; un’usanza che vi sta a cuore e che Noi auspichiamo con tutte le forze perché, come testimoniano le numerose e documentate esperienze, è possibile trarne benefìci per la religione. – Di sicuro, con la frequente convocazione di tali assemblee prende anzitutto forma, come abbiamo ricordato, il più rilevante e unanime concorso di energie che può garantire esiti positivi alle iniziative intraprese, ma ravviva anche l’entusiasmo ad agire dei Vescovi convenuti, rafforza la fiducia e illumina le menti con il confronto delle idee e con lo scambio vicendevole del frutto della saggezza. Con queste assemblee si apre come una strada sia per tenere Sinodi diocesani e provinciali, sia per riunire un Convegno nazionale, la celebrazione del quale – notiamo con grande gioia – fa parte dei vostri desideri. La ripetuta esperienza dei vantaggi derivati da Convegni similari già svolti, li consiglia con forza, e le disposizioni dei Sacri Canoni le raccomandano con sincera convinzione. Inoltre alle menzionate assemblee annuali dei Vescovi farà seguito un evento di somma importanza. I laici infatti, spinti da nuovi stimoli, si sforzeranno di proseguire con più decisione sulla strada intrapresa; si riuniranno a loro volta in assemblee; confronteranno le loro idee e, facendo leva sulle energie collegate, si adopereranno per difendere la comune causa della religione e, seguendo le indicazioni dei loro Pastori, metteranno in pratica gl’insegnamenti e gl’incoraggiamenti ricevuti. – Per la verità, nelle riunioni annuali che farete non mancheranno i problemi ai quali dedicare il vostro zelo e le vostre energie. Infatti, oltre i problemi specifici che eventualmente riguarderanno le singole diocesi e che potranno essere più adeguatamente risolti con l’apporto chiarificatore della comune esperienza, sarà oggetto del vostro prudente esame un vasto campo di decisioni e di deliberazioni relative ai mezzi maggiormente idonei per dar vigore all’impegno dei sacerdoti che già lavorano nella vigna del Signore, per educare i giovani che un giorno dovranno risplendere nella casa di Dio per la luce di una solida dottrina, per il merito di uno schietto spirito ecclesiastico e per il corredo di tutte le virtù sacerdotali. – La vostra paterna vigilanza si farà anche carico di una meticolosa ricerca su tutto ciò che è sommamente utile per trasmettere correttamente al popolo i rudimenti della fede, per correggerne i costumi, per divulgare scritti atti a seminare la sana dottrina e a inculcare i principi della virtù, per dar vita ad istituzioni che diffondano i benefìci della carità e per rendere ancor più fiorenti quelle già istituite. – Un ultimo importantissimo punto, che dovrà essere oggetto delle vostre decisioni, vi sarà offerto dall’opportunità di fondare e di accogliere nel Regno del Portogallo delle Congregazioni religiose. Al riguardo abbiamo notato con gioia quanto fosse forte l’impegno di tutti i presenti al Convegno di Braga. – Queste Congregazioni, infatti, non solo potranno offrire al clero, che nelle vostre diocesi si è votato alla sacra milizia di Cristo, delle forze per così dire, ausiliarie, ma saranno anche in grado, ed è ciò che più conta, di preparare uomini animati da spirito apostolico che si faranno carico del ministero missionario nelle regioni d’oltremare soggette al dominio portoghese. L’assolvimento di questo compito, mentre contribuirà all’ampliamento del Regno di Cristo sulla terra, darà anche lustro e onore al Portogallo. Si sono veramente procurati una gloria imperitura i vostri Principi e i vostri antenati quando, con l’aiuto e il favore della Sede Apostolica, portarono la luce della dottrina evangelica e una forma di vita più civile in tutte le vostre terre scoperte. – Occorre dunque, per mantenere vive la natura e la forza delle iniziative intraprese e per non lasciarle decadere dal primitivo stato di persistente floridezza, far leva sulla costante vigilanza e sulle virtù di uomini pienamente affidabili che, mentre si oppongono, pieni di spirito divino, agli ostili attacchi degli acattolici, indirizzino tutta la loro attenzione e la loro energia a far sì che i beni giunti dal Portogallo in quelle contrade non vadano completamente perduti, ma riprendano vita come per nuovo vigore. – Sarà compito di questi uomini che, chi già crede in Dio, sia confermato nella fede, e chi vi è ben ancorato possa anche distinguersi per l’onestà dei costumi, per la pratica della religione, per la scrupolosa osservanza dei doveri, affinché chi è ancora nelle tenebre si disponga ad accogliere la luce del vangelo. – Le Congregazioni religiose potranno senz’altro offrire molti di questi uomini ardenti di santo zelo, poiché i loro membri, sulla scorta del giudizio di persone assennate confermato da testimonianze di tutti i tempi, seppero sempre svolgere questo compito con impegno ed efficacia. Infatti il sistema e la disciplina delle Congregazioni in cui sono inseriti, nonché la pratica costante della virtù che ognuno si impone, li rendono più adatti di ogni altro a svolgere un così importante lavoro. – Siamo pienamente convinti che il Governo del Portogallo, accogliendo con favore le vostre proposte e attribuendo grande valore a quei beni che sopravanzano gli altri, si deciderà anche a rimuovere gli ostacoli che intralciano la libertà dei Sodalizi religiosi e, con la sua autorità, favorirà i vostri propositi che mirano a restituire il pieno vigore e a far rifiorire doviziosamente, con la gloria degli antenati, la religione cattolica in Portogallo e in tutti i paesi sottoposti al suo dominio. – Questa Nostra convinzione è resa più forte dal fatto che nessuno ormai ignora, e anche voi ne avete piena coscienza, quali siano al riguardo i Nostri sentimenti e i Nostri auspici, che sono sicuramente rivolti al bene della religione, ma si propongono anche la piena prosperità del popolo portoghese. Sono questi il compito e la funzione che il Divino Fondatore ha assegnato alla Chiesa: porsi nel cuore della società umana come vincolo di pace e garanzia di salvezza.

La Chiesa non toglie nulla all’autorità di chi è posto a capo dello Stato e ne detiene il potere, anzi lo difende e lo rafforza, affiancando alle leggi emanate l’obbligo religioso dell’osservanza, riconducendo il dovere di sottostare alle pubbliche autorità nell’ambito degli obblighi voluti da Dio, esortando i cittadini a tenersi lontano dai moti sediziosi e da ogni altra forma di sovvertimento dello Stato, insegnando a tutti di coltivare la virtù e di assolvere con cura tutto ciò che richiede il proprio stato e la propria condizione. La Chiesa è dunque il migliore censore dei costumi; la sua salutare disciplina prepara uomini retti, onesti, devoti verso la patria, fedeli e pienamente solidali con i principi, tali cioè da costituire un solido sostegno del pubblico ordinamento degli Stati, in grado di mettere a loro disposizione indomite energie per affrontare imprese ardue e gloriose. È per questo motivo che si provvede in modo saggio e accorto al bene dello Stato quando si permette alla Chiesa di avvalersi di quella libertà d’azione che essa rivendica a buon diritto, e le si apre benevolmente la strada perché possa ampiamente far valere la sua benefica influenza e mettere a disposizione del bene comune tutti i mezzi di cui è dotata. – Anche se un simile assunto riguarda tutte le genti, esso si rivela particolarmente indicato per il popolo portoghese, presso il quale la Religione cattolica svolse un ruolo di primaria importanza nel plasmare, da molto tempo, i costumi e le menti degli uomini, nel promuovere gli studi delle scienze, delle lettere e delle arti, nell’infiammare gli animi a compiere ogni sorta di imprese memorabili in pace e in guerra, quasi da sembrare la madre e la nutrice, donata dal cielo, per generare e far crescere tutto ciò che di splendido prese forma, in tale popolo, nel campo della civiltà, della dignità e della gloria. – Ci siamo intrattenuti più diffusamente con voi su questo argomento nella citata Lettera enciclica che vi abbiamo recentemente indirizzata. Ora però è bene ricordare questa sola cosa: la forza e il valore della Religione non possono in alcun modo venir meno, perché i principi dottrinali che essa trasmette, in quanto voluti da Dio, non sono condizionati dalle leggi del tempo e dello spazio, ma sono rivolti alla salvezza e al conforto di tutti i popoli. Per questo motivo, allo scopo di favorire il benessere e la prosperità della vostra nobilissima gente, la Religione è ancora in grado di fornire quegli straordinari benefìci e quei validi aiuti che mise a disposizione in passato. Specialmente in questo tempo malvagio, nel quale la debolezza e il turbamento degli animi si sono fatti così grandi che i fondamentali principi che garantiscono l’ordine e la pace della società umana non solo vengono messi in dubbio, ma sono apertamente avversati, non vi è nessuno che non comprenda la necessità di far ricorso all’aiuto della Religione e ai suoi sacri precetti e insegnamenti. Tutte le persone assennate ed oneste sono infatti concordi nel riconoscere che non esiste un rimedio più sicuro e più valido della dottrina cattolica contro i mali che affliggono il nostro tempo e i pericoli che incombono, sempreché essa sia accettata completa ed integra, e gli uomini uniformino il loro modo di vivere alle norme che la stessa propone. – Per tutto questo, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, non dubitiamo che, in forza dello zelo pastorale che vi distingue, vi affretterete, con animo deciso e con impegno costante, all’opera che vi abbiamo raccomandato. Sarà per voi, dediti al lavoro, un titolo di sommo onore e di meritata riconoscenza, l’aver potuto conseguire altissime benemerenze verso la Religione, che assorbe tutto il vostro interesse, verso la patria e verso il vostro popolo, per il quale auspicate, con un’intensità non inferiore alla Nostra, una stabile pace e un futuro rispondente alle attese. – Mentre eleviamo la Nostra supplica a Dio perché vi colmi dei suoi doni e assecondi le vostre iniziative, impartiamo, con sincero affetto nel Signore, la Benedizione Apostolica, testimonianza del Nostro paterno amore, a voi, al clero e ai fedeli affidati alle vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 giugno 1891, quattordicesimo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – “SACRA VIRGINITAS”

Questa lettera enciclica è quanto ognuno dovrebbe conoscere e far suo sul soggetto della verginità e della castità, virtù cristiane per eccellenza, oggi tanto vituperate e soffocate sotto la melma e l’immondizia ributtante di certe ideologie moderne pseudoscientiche imposte dalla bestia satanica e dalle sue membra, segnatamente la politica atea mondialista, la finanza usuraia e le conventicole di perdizione, nonché dal falso profeta nella figura delle sette protestanti, occultiste e la modernista della sinagoga del Novus Ordo montiniano del vat’inganno. Utili a tal proposito sono pure le parole dell’ultimo vero Sommo Pontefice che ha potuto liberamente esprimersi:  « … Il Nostro cuore paterno si volge con paterna commozione verso quei sacerdoti, quei religiosi e quelle religiose, che coraggiosamente confessano la loro fede fino al martirio. » Dopo aver compiuto un escursus storico apologetico dottrinale – un vero patrimonio dell’umanità ben differente dalle pietre o da sconci edifici antichi diroccati, considerati tali da organismi affiliati alle conventicole –  il Santo Padre termina con una stupenda espressione atta a suscitare lo stupore di un Cristiano sincero: «… Ma per custodire illibata e perfezionare la castità, esiste un mezzo la cui meravigliosa efficacia è confermata dalla ripetuta esperienza dei secoli: e, cioè, una devozione solida ed ardentissima verso la vergine Madre di Dio ». Questa devozione è la stessa che ci preserverà dalle grinfie dello schifoso serpente che, dopo avere avuto il capo schiacciato dal calcagno della Vergine casta, sarà precipitato nello stagno di fuoco con tutti i suoi adepti e con coloro che non hanno amato la verità preferendo credere alla menzogna ed allo spirito di inganno di cui sono schiavi.

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

SACRA VIRGINITAS

LA CONSACRATA VERGINITÀ

INTRODUZIONE

La sacra verginità e la castità perfetta consacrata al servizio di Dio sono certamente, per la Chiesa, tra i tesori più preziosi che il suo Autore le abbia lasciato, come in eredità. Per questo motivo i santi Padri sottolineavano che la verginità perpetua è un bene eccelso di carattere essenzialmente cristiano. Essi osservano a buon diritto che, se i pagani dell’antichità richiedevano dalle vestali un tale tenore di vita, questo era temporaneo; e quando nell’Antico Testamento si comanda di conservare e praticare la verginità, si trattava soltanto di una condizione preliminare al matrimonio (cf. Es XXII, 16-17; Dt XXII, 23-29; Eccle XLII, 9); sant’Ambrogio aggiunge: «Noi leggiamo che anche nel tempio di Gerusalemme vi erano delle vergini. Ma che cosa dice l’apostolo? “Tutte queste cose avvenivano ad essi in figura” (1 Cor X, 11) per preannunciare il futuro». – E, certamente, fin dai tempi apostolici questa virtù cresce e fiorisce nel giardino della Chiesa. Quando negli Atti degli apostoli (At XXI, 9) si dice che le quattro figlie del diacono Filippo furono vergini, più che la loro giovinezza, si vuole indicare uno stato di vita. Non molto tempo dopo, Sant’Ignazio di Antiochia ricorda nel suo saluto le vergini, che costituivano già, insieme con le vedove, un elemento importante della comunità cristiana di Smirne. Nel II sec. – come attesta s. Giustino – «molti e molte, di sessanta e settant’anni, si conservano intatti sin dall’infanzia, per l’insegnamento di Cristo». Poco alla volta si accrebbe il numero di uomini e donne che avevano consacrato a Dio la loro castità; e nello stesso tempo il loro compito nella Chiesa acquistò importanza maggiore, come più diffusamente abbiamo esposto nella Nostra costituzione apostolica Sponsa Christi. – Inoltre i santi padri – come Cipriano, Atanasio, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Girolamo e Agostino e non pochi altri – nei loro scritti celebrarono la verginità con altissimi elogi. Questa dottrina dei santi Padri, arricchita nel corso dei secoli dai dottori della Chiesa e dai maestri dell’ascetica cristiana, influisce certo molto tra i Cristiani d’ambo i sessi nel suscitare e confermare il proposito di consacrarsi a Dio con la perfetta castità e di perseverare in essa fino alla morte. Il numero dei fedeli così consacrati a Dio, dall’origine della Chiesa fino ai nostri giorni, è incalcolabile: gli uni hanno conservato intatta la loro verginità, gli altri hanno votato al Signore la loro vedovanza dopo la morte del consorte; altri, infine, hanno scelto una vita casta dopo aver fatto penitenza dei loro peccati; ma tutti hanno questo di comune tra loro: che si sono impegnati ad astenersi per sempre, per amore di Dio, dai piaceri della carne. Ciò che i santi Padri hanno proclamato circa la gloria e il merito della verginità, sia a tutte queste anime consacrate di invito, di sostegno e di forza a perseverare fermamente nel sacrificio e a non sottrarre e prendere per sé una parte anche minima dell’olocausto offerto sull’altare di Dio. – La castità perfetta è la materia di uno dei tre voti che costituiscono lo stato religioso ed è richiesta nei chierici della Chiesa latina ordinati negli ordini maggiori e nei membri degli istituti secolari, ma è praticata pure da numerosi laici, uomini e donne che, pur vivendo al di fuori dello stato pubblico di perfezione, rinunziano completamente, di proposito o per voto privato, al matrimonio e ai piaceri della carne per poter servire più liberamente il loro prossimo e unirsi a Dio più facilmente e intimamente. – A tutti i dilettissimi figli e figlie, che in qualsiasi modo hanno consacrato a Dio il loro corpo e la loro anima, rivolgiamo il Nostro cuore paterno e li esortiamo vivamente a confermarsi nel loro santo proposito e a restarvi diligentemente fedeli. – Vi sono, però, oggi alcuni che, allontanandosi in questa materia dal retto sentiero, esaltano tanto il matrimonio da anteporlo alla verginità; essi disprezzano la castità consacrata a Dio e il celibato ecclesiastico. Per questo crediamo dovere del Nostro apostolico Ufficio proclamare e difendere, al presente in modo speciale, l’eccellenza del dono della verginità, per difendere questa verità cattolica contro tali errori.

I.

VERA IDEA DELLA CONDIZIONE VERGINALE

Anzitutto vogliamo osservare che la parte essenziale del suo insegnamento circa la verginità, la Chiesa l’ha ricevuta dalle labbra stesse dello Sposo divino. Quando infatti i discepoli si mostrarono colpiti dai gravissimi obblighi e fastidi del matrimonio che il Maestro aveva loro esposto, gli dissero: «Se tale è la condizione dell’uomo verso la moglie, non conviene sposarsi» (Mt XIX, 10). Gesù Cristo rispose che non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è concesso; alcuni infatti sono impossibilitati al matrimonio per difetto di natura, altri per la violenza e la malizia degli uomini, altri invece si astengono da esso spontaneamente e di propria volontà «per il regno dei cieli»; e concluse: «Chi può comprendere, comprenda» (Mt XIX, 11-12). – Il Maestro divino allude non agli impedimenti fisici per il matrimonio ma al proposito della libera volontà di astenersi per sempre dalle nozze e dai piaceri del corpo. Facendo il paragone tra coloro che spontaneamente rinunciano ai piaceri del corpo e quelli che sono costretti a rinunciarvi dalla natura o dalla violenza umana, non c’insegna forse il divin Redentore che la castità deve essere perpetua, affinché sia realmente perfetta? I santi padri, inoltre, e i dottori della chiesa hanno insegnato apertamente che la verginità non è una virtù cristiana se non la si abbraccia «per il regno dei cieli» (Mt XIX, 12), cioè per poter attendere più facilmente alle cose celesti, per conseguire più sicuramente l’eterna salvezza, per poter condurre infine più speditamente, con diligente operosità, anche gli altri al regno dei cieli. Non possono, quindi, arrogarsi il merito della verginità quei Cristiani e quelle Cristiane che si astengono dal matrimonio o per egoismo o per sfuggirne gli oneri, come avverte sant’Agostino, o anche per ostentare con superbia farisaica l’integrità dei loro corpi: il concilio di Gangra (Asia Minore) condanna chi si astiene dal matrimonio come da uno stato abominevole, e non per la bellezza e la santità della verginità. – L’apostolo delle genti, ispirato dallo Spirito Santo, ammonisce: «Chi non è sposato, è sollecito delle cose di Dio, del modo di piacere a lui… E la donna non sposata e vergine pensa alle cose di Dio per essere santa di corpo e di spirito» (1 Cor VII, 32.34). Ecco lo scopo principale, la prima ragione della verginità cristiana: aspirare unicamente alle cose divine e dirigervi la mente e lo spirito; voler piacere a Dio in tutto; pensare a Lui intensamente, e consacrargli totalmente corpo e spirito. I santi Padri hanno sempre interpretato in questa maniera la parola di Cristo e la dottrina dell’Apostolo delle genti: fin dai primi tempi della Chiesa si stimava verginità la consacrazione fatta a Dio del corpo e dell’anima. San Cipriano richiede dalle vergini «che, per essersi consacrate a Dio, si astengano da ogni piacere carnale, consacrino a Dio il corpo e l’anima … e non siano sollecite di abbigliarsi o di piacere ad alcuno, tranne che al loro Signore». Il Vescovo di Ippona precisa: «La verginità non è onorata perché tale, ma perché consacrata a Dio … e noi non lodiamo le vergini perché tali, ma perché sono vergini consacrate a Dio con devota continenza». I prìncipi dei teologi, san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura si richiamano all’autorità di sant’Agostino per insegnare che la verginità non ha la fermezza della virtù, se non si fonda sul voto di conservarla sempre illibata. Difatti la dottrina di Cristo intorno all’astinenza perpetua del matrimonio viene praticata nel modo più ampio e perfetto da coloro che si obbligano con voto perpetuo alla sua osservanza: né si può giustamente affermare che sia migliore e più perfetto il proposito di coloro che intendono riservarsi la possibilità di liberarsi dall’impegno. I santi Padri hanno considerato questo vincolo di castità perfetta come una specie di matrimonio spirituale fra l’anima e Cristo; alcuni di essi, anzi, sono giunti fino a paragonare con l’adulterio la violazione del voto fatto. Perciò sant’Atanasio scrive che la Chiesa Cattolica è solita chiamare le vergini: spose di Cristo. E sant’Ambrogio, scrivendo concisamente della vergine esclama: «La vergine è sposa di Dio». Gli scritti del dottore di Milano attestano, già al VI secolo, la grande somiglianza tra il rito della consacrazione delle vergini e quello della benedizione nuziale, ancora in uso oggi. Perciò i santi Padri esortano le vergini ad amare il loro Sposo divino più di quanto amerebbero il proprio marito e a conformare sempre i loro pensieri e le loro azioni alla sua volontà. «Amate di tutto cuore il più bello dei figli degli uomini – scrive loro sant’Agostino – voi ne avete tutta la facoltà: il vostro cuore è libero dai legami del matrimonio… Dal momento che avreste dovuto portare un grande amore ai vostri sposi, quanto più dovete amare Colui per amore del quale voi avete rinunziato agli sposi? Sia fisso nel vostro cuore Colui che per voi è stato infisso sulla croce». Tali sono, d’altra parte, i sentimenti e le risoluzioni che la chiesa stessa richiede dalle vergini il giorno della loro consacrazione, quando le invita a pronunciare le parole rituali: «Ho disprezzato il regno del mondo e tutto il fasto del secolo per amore di nostro Signore Gesù Cristo, che ho conosciuto, che ho amato, e nel quale ho amorosamente creduto». È quindi solo l’amore di lui che spinge con dolcezza la vergine a consacrare interamente il suo corpo e la sua anima al divin Redentore, secondo le bellissime espressioni che san Metodio d’Olimpo fa dire a una di esse: «O Cristo, tu sei tutto per me. Io mi conservo pura per te e, portando una lampada splendente, vengo incontro a te, o Sposo mio». Sì, è l’amore di Cristo che spinge la vergine a ritirarsi, e per sempre, dentro le mura del monastero per contemplarvi e amare con maggiore speditezza e facilità il suo Sposo celeste, e la stimola potentemente a impegnarsi con tutte le forze fino alla morte nelle opere di misericordia in favore del prossimo. Riguardo poi agli uomini «che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini» (Ap. XIV, 4) l’apostolo san Giovanni afferma che essi seguono l’Agnello dovunque egli vada. Meditiamo l’esortazione che fa loro sant’Agostino: «Seguite l’Agnello, perché la carne dell’Agnello è anch’essa vergine… voi avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della carne, dovunque vada. Che cos’è infatti seguire se non imitare? perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice san Pietro apostolo, “affinché seguiamo le sue orme” (1 Pt II, 21)». Tutti questi discepoli infatti e tutte queste spose di Cristo hanno abbracciato lo stato di verginità, come dice san Bonaventura, per la conformità allo Sposo Cristo, al quale esso rende conformi i vergini». La loro ardente carità verso Cristo non poteva contentarsi di semplici vincoli di affetto con Lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l’imitazione delle sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere umano. Se i sacerdoti, se i religiosi e le religiose, se tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno consacrato la vita al servizio di Dio, osservano la castità perfetta, questo è in definitiva perché il loro divino Maestro è rimasto egli stesso vergine fino alla morte. «È proprio il Figlio unico di Dio – esclama san Fulgenzio – e Figlio unico della Vergine, l’unico Sposo di tutte le sacre vergini, frutto, ornamento e ricompensa della santa verginità, che lo ha dato alla luce e spiritualmente lo sposa e dal quale è resa feconda senza lesione dell’integrità, ornata per rimanere sempre bella, incoronata per regnare gloriosa nell’eternità». – Qui crediamo opportuno, venerabili fratelli, spiegare più diffusamente e con maggiore accuratezza per quali ragioni l’amore di Cristo spinga le anime generosamente a rinunciare al matrimonio e quali legami segreti esistano fra la verginità e la perfezione della carità cristiana. L’insegnamento di Cristo, ricordato più sopra, faceva già capire che la perfetta rinunzia al matrimonio libera gli uomini da oneri pesanti e da gravi doveri. Ispirato dallo Spirito di Dio, l’apostolo dei gentili ne dà la ragione in questi termini: «Io vorrei che voi foste senza inquietudini… Chi invece è sposato, si preoccupa delle cose del mondo, del modo di piacere alla moglie ed è diviso» (1 Cor VII, 32-33). Si deve tuttavia notare che l’Apostolo non biasima gli uomini perché si preoccupano delle loro consorti, né le spose perché cercano di piacere al marito; ma afferma piuttosto che il loro cuore è diviso tra l’amore del coniuge e l’amore di Dio e che sono troppo oppressi dalle preoccupazioni e dagli obblighi della vita coniugale, per potersi dare facilmente alla meditazione delle cose divine. Poiché s’impone loro la legge chiara e imperiosa del matrimonio: «saranno due in una carne sola» (Gn II, 24; cf. Mt XIX, 5). Gli sposi infatti sono legati l’uno all’altro negli avvenimenti tristi e in quelli lieti (cf. 1 Cor VII, 39). Si comprende quindi facilmente perché le persone, che desiderano consacrarsi al servizio di Dio, abbraccino lo stato di verginità come una liberazione, per potere cioè servire più perfettamente Dio e dedicarsi con tutte le forze al bene del prossimo. Per citare infatti alcuni esempi, come avrebbero potuto affrontare tanti disagi e fatiche quell’ammirabile predicatore dell’evangelo che fu san Francesco Saverio, quel misericordioso padre dei poveri che fu san Vincenzo de’ Paoli, un san Giovanni Bosco, insigne educatore dei giovani, una santa Francesca Saverio Cabrini, instancabile «madre degli emigranti», se avessero dovuto pensare alle necessità materiali e spirituali del proprio coniuge e dei propri figli? – Vi è però un’altra ragione per la quale le anime che ardentemente desiderano consacrarsi al servizio di Dio e alla salvezza del prossimo, scelgono lo stato di verginità. Essa è addotta dai santi padri, quando trattano dei vantaggi di una completa rinunzia ai piaceri della carne allo scopo di gustar meglio le elevazioni della vita spirituale. Senza dubbio – come essi hanno chiaramente notato – tali piaceri, legittimi nel matrimonio, non sono per sé da condannarsi; anzi il casto uso del matrimonio è nobilitato e santificato da un sacramento speciale. Tuttavia, bisogna egualmente riconoscere che in seguito alla caduta di Adamo le facoltà inferiori della natura resistono alla retta ragione e talora spingono l’uomo ad agire contro i suoi dettami. Secondo l’espressione del dottore angelico, l’uso del matrimonio «trattiene l’animo dal darsi interamente al servizio di Dio». – Proprio perché i sacri ministri possano godere di questa spirituale libertà di corpo e di anima e per evitare che si immischino in affari terreni, la chiesa latina esige da essi che si assumano volontariamente l’obbligo della castità perfetta. «Se poi una tale legge – come affermava il Nostro predecessore d’immortale memoria Pio XI – non vincola nella stessa misura i ministri della Chiesa orientale, anche presso di essi il celibato ecclesiastico è in onore, e in certi casi – soprattutto quando si tratta dei gradi più alti della gerarchia – è necessariamente richiesto e imposto». – I ministri sacri, però, non rinunciano al matrimonio unicamente perché si dedicano all’apostolato, ma anche perché servono all’altare. Se i sacerdoti dell’Antico Testamento già dovevano astenersi dall’uso del matrimonio mentre servivano nel tempio per non contrarre un’impurità legale, come gli altri uomini (cf. Lv XV, 16-17; 22,4; 1 Sam XXI, 5-7), quanto maggiore non è la necessità della perpetua castità per i ministri di Gesù Cristo, i quali offrono ogni giorno il sacrificio eucaristico? Riguardo a questa perfetta continenza dei sacerdoti ecco quanto dice in forma interrogativa san Pier Damiani: «Se il nostro Redentore ha amato tanto il fiore del pudore intatto che non solo volle nascere dal seno di una Vergine, ma volle essere affidato anche alle cure di un custode vergine, ciò quando, ancora fanciullo, vagiva nella culla, a chi, dunque, ditemi, vuole egli confidare il suo corpo, ora che Egli regna, immenso, nei cieli?». – Per questo motivo soprattutto, secondo l’insegnamento della chiesa, la santa verginità supera in eccellenza il matrimonio. Già il divin Redentore ne aveva fatto un consiglio di vita più perfetta ai discepoli (cf. Mt XIX, 10-11). E l’Apostolo san Paolo, dopo aver detto di un padre che dà a marito la sua figlia «egli fa bene», aggiunge subito: «Chi però non la dà a marito, fa meglio ancora» (1 Cor VII, 38). Nel corso del suo paragone tra il matrimonio e la verginità, l’Apostolo più di una volta mostra il suo pensiero, soprattutto quando dice: «Io vorrei che tutti voi foste come me… dico poi ai celibi e alle vedove: è conveniente per essi restare come sono io» (1 Cor VII, 7-8; cf.1 et 26). Se dunque la verginità, come abbiamo detto, è superiore al matrimonio, questo avviene senza dubbio, perché essa mira a conseguire un fine più eccelso; essa poi è un mezzo efficacissimo per consacrarsi interamente al servizio di Dio, mentre il cuore di chi è legato alle cure del matrimonio resta più o meno «diviso» (cf. 1 Cor VII, 33). – L’eccellenza della verginità risalterà ancor maggiormente se ne consideriamo l’abbondanza dei frutti: «poiché dal frutto si riconosce l’albero» (Mt XII, 33). – Il Nostro animo si riempie di immensa e soave letizia al pensiero della falange innumerevole di vergini e di apostoli che, dai primi tempi della Chiesa fino ai giorni nostri, hanno rinunciato al matrimonio per consacrarsi più liberamente e più completamente alla salvezza del prossimo per amore di Cristo, e hanno sviluppato iniziative veramente mirabili nel campo della Religione e della carità. Non vogliamo certo disconoscere i meriti di quelli che militano nell’Azione cattolica, né i frutti del loro apostolato: con le loro opere, essi possono spesso raggiungere delle anime che sacerdoti e religiosi o religiose non avrebbero potuto avvicinare. Ma, senza alcun dubbio, si deve far risalire a questi ultimi la maggior parte delle opere di carità. Costoro, infatti, con grande generosità seguono e dirigono la vita degli uomini in ogni età e condizione; e quando vengono meno per la stanchezza o per malattia, lasciano ad altri, come in eredità, la continuazione della loro missione. Così avviene che il bambino, appena nato, trova sovente delle mani verginali che l’accolgono e non gli fanno mancare quanto l’intenso amore materno potrebbe dargli; fatto grandicello e giunto all’età della ragione, è affidato a educatori o educatrici che vegliano alla sua istruzione cristiana, allo sviluppo delle sue facoltà e alla formazione del suo carattere. Se si ammala, troverà sempre qualcuno che, spinto dall’amore di Cristo, lo curerà premurosamente. L’orfanello, il misero, il prigioniero, non mancheranno di conforto e aiuto: i sacerdoti, i religiosi, le sacre vergini vedranno in lui un membro sofferente del corpo mistico di Gesù Cristo, memori delle parole del divin Redentore: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero pellegrino e mi avete ospitato, nudo e mi avete rivestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi… In verità vi dico, tutto ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt XXV, 35-36.40). Che diremo in lode di tanti missionari, che si consacrano, a costo delle maggiori fatiche e lontani dalla loro patria, alla conversione delle masse infedeli? Che delle spose di Cristo, le quali dànno loro una preziosa collaborazione? A tutti e a ciascuno di essi ripetiamo volentieri le parole della Nostra esortazione apostolica Menti Nostræ: «Per la legge del celibato, il sacerdote, ben lontano dal perdere interamente la paternità, l’accresce all’infinito, perché egli genera figliuoli, non per questa vita terrena e caduca, ma per la celeste ed eterna». – La verginità non è solamente feconda per le opere esteriori a cui permette di dedicarsi più facilmente e più pienamente; essa lo è anche per le forme più perfette di carità verso il prossimo, quali sono le ardenti preghiere e i gravi disagi volontariamente e generosamente sopportati a questo scopo. A ciò hanno consacrato tutta la loro vita i servi di Dio e le spose di Cristo, quelli specialmente che vivono nei monasteri. – Infine, la verginità consacrata a Cristo è per se stessa una tale espressione di fede nel regno dei cieli e una tale prova d’amore verso il divin Redentore, che non c’è da meravigliarsi nel vederla arrecare frutti così abbondanti di santità. Numerosissimi sono le vergini e gli apostoli, votati alla castità perfetta, che sono l’onore della Chiesa per l’alta santità della loro vita. La verginità, infatti, dà alle anime una forza spirituale capace di condurle fino al martirio e questo è l’insegnamento della storia che propone alla nostra ammirazione tante schiere di vergini, da Agnese di Roma a Maria Goretti. – A tutta ragione la verginità è detta virtù angelica; san Cipriano scrivendo alle vergini afferma giustamente: «Quello che noi saremo un giorno, voi già cominciate ad esserlo. Voi fin da questo secolo godete la gloria della risurrezione, passate attraverso il mondo senza contagiarvene. Finché perseverate caste e vergini, siete eguali agli angeli di Dio». All’anima assetata di purezza e arsa dal desiderio del regno dei cieli, la verginità viene presentata «come una gemma preziosa», per la quale un tale «vendette tutto ciò che aveva e la comprò» (Mt XIII, 46). Coloro che sono sposati e perfino quelli che stanno immersi nel fango dei vizi, quando vedono le vergini, ammirano spesso lo splendore della loro bianca purezza e si sentono spinti verso un ideale che superi i piaceri del senso. Lo afferma l’Aquinate scrivendo: «Alla verginità … si attribuisce la bellezza più sublime», e questo è senza dubbio il motivo per cui le vergini sono di esempio a tutti. Difatti tutti costoro, uomini e donne, con la loro perfetta castità non dimostrano forse chiaramente che il dominio dell’anima sul corpo è un effetto dell’aiuto divino e un segno di provata virtù? – Ci piace ancora sottolineare un altro frutto soavissimo della verginità: le vergini manifestano e rendono pubblica la perfetta verginità della stessa loro madre la Chiesa, e la santità dei loro vincoli strettissimi con Cristo. A ciò sapientemente si ispirano le espressioni del Pontefice nel rito della consacrazione delle vergini e nelle preghiere rivolte al Signore: «Affinché vi siano anime più sublimi che, disdegnando nel matrimonio i piaceri della carne, ne cerchino il significato recondito, e invece di imitare ciò che si fa nel matrimonio, amino quanto in esso è simboleggiato». Gloria altissima per le vergini è, certo, l’essere delle immagini viventi in quella perfetta integrità, che unisce la Chiesa al suo Sposo divino. Esse inoltre offrono un segno mirabile della fiorente santità e di quella spirituale fecondità, in cui eccelle la società fondata da Gesù Cristo, alla quale è motivo di una gioia quanto mai intensa. A questo proposito sono magnifiche le espressioni di san Cipriano: «La verginità è un fiore che germoglia dalla Chiesa, decoro e ornamento della grazia spirituale, gioia della natura, capolavoro di lode e di gloria, immagine di Dio che riverbera la santità del Signore, porzione più eletta del gregge di Cristo. Se ne rallegra la chiesa, la cui gloriosa fecondità in esse abbondantemente fiorisce: e quanto più cresce lo stuolo delle vergini tanto più grande è il gaudio della Madre».

II.

CONTRO ALCUNI ERRORI

La dottrina che stabilisce l’eccellenza e la superiorità della verginità e del celibato sul matrimonio, come già dicemmo, annunciata dal divin Redentore e dall’Apostolo delle genti, fu solennemente definita dogma di fede nel concilio di Trento e sempre concordemente insegnata dai santi Padri e dai dottori della Chiesa. I Nostri predecessori, e Noi stessi, ogni qualvolta se ne presentava l’occasione, l’abbiamo più e più volte spiegata e vivamente inculcata. Tuttavia, poiché di recente vi sono stati alcuni che hanno impugnato con serio pericolo e danno dei fedeli questa dottrina tramandataci dalla Chiesa, Noi, spinti dall’obbligo del Nostro ufficio, abbiamo creduto opportuno nuovamente esporla in questa enciclica, indicando gli errori, proposti spesso sotto apparenza di verità. – Anzitutto, si discostano dal senso comune, che la Chiesa ebbe sempre in onore, coloro che considerano l’istinto sessuale come la più importante e maggiore inclinazione dell’organismo umano e ne concludono che l’uomo non può contenere per tutta la vita un tale istinto, senza grave pericolo di perturbare il suo organismo, soprattutto i nervi, e di nuocere quindi all’equilibrio della personalità. – Come giustamente osserva san Tommaso, l’istinto più profondamente radicato nel nostro animo è quello della propria conservazione, mentre l’inclinazione sessuale viene in secondo luogo. Spetta inoltre all’impulso direttivo della ragione, privilegio singolare della nostra natura, regolare tali istinti fondamentali e nobilitarli dirigendoli santamente. – È vero, purtroppo, che le facoltà del nostro corpo e le passioni, sconvolte in seguito al primo peccato di Adamo, tendono al dominio non solo dei sensi ma anche dell’anima, offuscando l’intelligenza e debilitando la volontà. Ma la grazia di Gesù Cristo, principalmente attraverso i sacramenti, ci viene data proprio perché, vivendo la vita dello spirito, teniamo a freno il corpo (cf. Gal V, 25; 1 Cor IX, 27). La virtù della castità non pretende da noi l’insensibilità agli stimoli della concupiscenza, ma esige che la sottomettiamo alla retta ragione e alla legge di grazia, tendendo con tutte le forze a ciò che nella vita umana e cristiana vi è di più nobile. Per acquistare poi questo perfetto dominio sui sensi del corpo, non basta astenersi solamente dagli atti direttamente contrari alla castità, ma è assolutamente necessario rinunciare volentieri e con generosità a tutto ciò che, anche lontanamente, offende questa virtù: l’anima potrà allora regnare pienamente sul corpo e condurre una vita spirituale tranquilla e libera. Come non vedere, alla luce dei principi cattolici, che la castità perfetta e la verginità, lungi dal nuocere allo sviluppo e progresso naturale dell’uomo e della donna li accrescono e li nobilitano? – Abbiamo recentemente condannato con tristezza l’opinione che presenta il matrimonio come il solo mezzo di assicurare alla personalità umana il suo sviluppo e la sua perfezione naturale. Alcuni infatti sostengono che la grazia, concessa dal sacramento ex opere operato, santifica l’uso del matrimonio fino a farne uno strumento più efficace ancora che la verginità, per unire le anime a Dio, poiché il matrimonio cristiano è un sacramento, mentre la verginità non lo è. Noi denunziamo in questa dottrina un errore pericoloso. Certo, il sacramento accorda agli sposi la grazia d’adempiere santamente i loro doveri coniugali e consolida i vincoli dell’amore reciproco che li unisce, ma non fu istituito per rendere l’uso del matrimonio quasi il mezzo in sé più atto ad unire a Dio l’anima degli sposi col vincolo della carità. Quando l’Apostolo san Paolo riconosce agli sposi il diritto di astenersi per qualche tempo dall’uso del matrimonio per attendere alla preghiera (cf. 1 Cor VII, 5), non viene precisamente a dire che una tale rinunzia procura all’anima maggiore libertà per attendere alle cose divine e pregare? Infine non si può affermare – come fanno alcuni – che il «mutuo aiuto» ricercato dagli sposi nel matrimonio, sia un aiuto più perfetto per giungere alla santità che la solitudine del cuore delle vergini e dei celibi. Difatti, nonostante la loro rinuncia a un tale amore umano, le anime consacrate alla castità perfetta non impoveriscono per questo la propria personalità umana, poiché ricevono da Dio stesso un soccorso spirituale immensamente più efficace che il «mutuo aiuto» degli sposi. Consacrandosi interamente a Colui che è il loro principio e comunica loro la sua vita divina, non si impoveriscono, ma si arricchiscono. Chi, con maggiore verità che i vergini, può applicare a sé la mirabile espressione dell’apostolo san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me»? (Gal II, 20). Questa è la ragione per cui la Chiesa sapientemente ritiene che si deve mantenere il celibato dei Sacerdoti, poiché sa bene quale sorgente di grazie spirituali esso costituisca per una sempre più intima unione con Dio. – Crediamo opportuno ricordare brevemente un altro errore ancora: alcuni allontanano i giovani dai seminari e le giovani dagli istituti religiosi sotto pretesto che la Chiesa abbia oggi maggior bisogno dell’aiuto e dell’esercizio delle virtù cristiane da parte di fedeli uniti in matrimonio e viventi in mezzo agli altri uomini, che non da parte di Sacerdoti e di vergini, che per il voto di castità vivono come appartati dalla società. Tale opinione, venerabili fratelli, è evidentemente quanto mai falsa e perniciosa. Non è Nostra intenzione, certamente, negare che gli sposi cattolici con una vita esemplarmente cristiana possano produrre frutti abbondanti e salutari in ogni luogo e in ogni circostanza con l’esercizio delle virtù. Chi però consigliasse, come preferibile alla consacrazione totale a Dio, la vita matrimoniale, invertirebbe e confonderebbe il retto ordine delle cose. Senza dubbio, venerabili fratelli, Noi auspichiamo ardentemente che si istruiscano convenientemente quanti aspirano al matrimonio e i giovani sposi, non solo sul grave dovere di educare rettamente e diligentemente i figli, ma anche sulla necessità di aiutare gli altri, secondo le possibilità, con la professione della fede e l’esempio della virtù. Dobbiamo, tuttavia, per dovere del Nostro ufficio condannare energicamente coloro che si applicano a distogliere i giovani dall’entrare in seminario, negli ordini o congregazioni religiose o dall’emissione dei santi voti, insegnando loro che sposandosi faranno un bene spirituale maggiore con la pubblica professione della loro vita cristiana, come padri e madri di famiglia. Si farebbe molto meglio a esortare col maggiore impegno possibile i molti laici sposati, affinché cooperino con premura alle imprese d’apostolato laico, piuttosto che cercare di distogliere dal servizio di Dio nello stato di verginità quei giovani, troppo rari, purtroppo, oggi, che desiderano consacrarvisi. Molto opportunamente scrive a questo proposito sant’Ambrogio: «È stato sempre proprio della grazia sacerdotale spargere il seme della castità e suscitare l’amore per la verginità». Inoltre giudichiamo opportuno avvertire che è completamente falsa l’asserzione, secondo cui le persone consacrate a una vita di castità perfetta diventano quasi estranee alla società. Le sacre vergini che spendono tutta la loro vita al servizio dei poveri e dei malati, senza distinzione di razza, di condizione sociale e di religione, non partecipano forse intimamente alle loro miserie e alle loro sofferenze, e non li compatiscono forse con la tenerezza di una mamma? E il Sacerdote non è forse il buon pastore che, sull’esempio del divin Maestro, conosce le sue pecorelle e le chiama per nome? (cf. Gv X, 14; X, 3). Ebbene, è proprio in forza della castità perfetta, da loro abbracciata, che questi Sacerdoti, religiosi e religiose possono dedicarsi interamente a tutti gli uomini e amarli del medesimo amore di Cristo. E anche quelli di vita contemplativa contribuiscono certamente molto al bene della Chiesa, con le supplici preghiere e con l’offerta della loro immolazione per la salvezza altrui; sono anzi sommamente da lodare perché, nelle circostanze presenti, si consacrano all’apostolato e alle opere di carità secondo le norme da Noi date nella lettera apostolica Sponsa Christi, né possono quindi venir considerati come estranei alla società, dal momento che doppiamente ne promuovono il bene spirituale.

III.

LA VERGINITÀ È UN SACRIFICIO

Passiamo ora, venerabili fratelli, alle conseguenze pratiche della dottrina della Chiesa circa l’eccellenza della verginità. Innanzi tutto, bisogna dire chiaramente che, dalla superiorità della verginità sul matrimonio, non segue che essa sia mezzo necessario alla perfezione cristiana. È possibile giungere alla santità anche senza consacrare a Dio la propria castità, come lo prova l’esempio di tanti santi e sante, fatti oggetto di culto pubblico dalla Chiesa, i quali furono coniugi fedeli, eccellenti padri e madri di famiglia; e non è raro incontrare anche oggi persone coniugate, che tendono alla perfezione, con grande impegno. Si osservi, inoltre, che Dio non impone la verginità a tutti i cristiani, come insegna l’apostolo san Paolo: «Intorno alle vergini non ho nessun comando di Dio, ma do un consiglio» (1 Cor VII, 25). La castità perfetta, quindi, non è che un consiglio, un mezzo capace di condurre più sicuramente e più facilmente alla perfezione evangelica e al regno dei cieli quelle anime «a cui è stato concesso» (Mt XIX,11). «Essa non è imposta, ma proposta», nota sant’Ambrogio. – La castità perfetta come, da parte dei Cristiani, esige una libera scelta prima della loro offerta totale al Signore, così, da parte di Dio, richiede un dono e una grazia. Già lo stesso divin Redentore l’aveva annunciato: «Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli a cui è concesso. … Chi può comprendere, comprenda» (Mt XIX, 11.12). Commentando le parole di Cristo, san Girolamo invita «ciascuno a valutare le proprie forze, e vedere se gli sarà possibile adempiere gli obblighi della verginità e della castità. Di per sé, infatti, la castità è soave e attira a sé tutti. Ma bisogna ben misurare le forze, affinché chi può comprendere, comprenda. È come se la voce del Signore chiamasse i suoi soldati e li invitasse alla ricompensa della verginità. Chi può comprendere, comprenda: chi può combattere, combatta, vinca e trionfi». – La verginità è una virtù difficile. Perché la si possa abbracciare, non basta solamente aver fatta la risoluzione ferma e decisa d’astenersi per sempre dai piaceri leciti del matrimonio: bisogna anche saper padroneggiare e domare con una vigilanza e una lotta costanti le rivolte della carne e le passioni del cuore; fuggire le allettative del mondo e vincere le tentazioni del demonio. Aveva ben ragione san Giovanni Crisostomo di affermare: «La radice e il frutto della verginità è una vita crocifissa». Al dire di sant’Ambrogio, la verginità è quasi un sacrificio e la vergine è «l’ostia del pudore, la vittima della castità». San Metodio d’Olimpo giunge a paragonare le vergini ai martiri e san Gregorio Magno insegna che la castità perfetta sostituisce il martirio: «Il tempo delle persecuzioni è passato, ma la nostra pace ha un suo martirio: anche se non mettiamo più il nostro collo sotto il ferro, tuttavia noi uccidiamo con la spada dello spirito i desideri carnali della nostra anima». La castità consacrata a Dio esige, quindi, anime forti e nobili, pronte al combattimento e alla vittoria, «per il regno dei cieli» (Mt XIX, 12). – Prima di incamminarsi per questo arduo sentiero, chi per propria esperienza si sentisse impari alla lotta, ascolti umilmente l’avvertimento di san Paolo: «Coloro che non possono contenersi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare» (1 Cor VII, 9). Per molti, infatti, la continenza perpetua sarebbe un peso troppo grave, per poterla ad essi consigliare. Così i Sacerdoti, direttori spirituali di giovani che credono di avere una vocazione sacerdotale o religiosa hanno lo stretto dovere di esortarli a studiare attentamente le loro disposizioni e di non lasciarli entrare per tale via, qualora presentino poche speranze di poter camminare fino alla fine con sicurezza e buon esito. Tali Sacerdoti esaminino prudentemente le attitudini dei giovani e – se parrà opportuno – chiedano il consiglio dei medici. Se, infine, restasse ancora qualche serio dubbio, soprattutto nei riguardi della loro vita passata, intervengano con fermezza per farli desistere dall’abbracciare lo stato di castità perfetta o per impedire la loro ammissione agli ordini sacri o alla professione religiosa. Benché la castità consacrata a Dio sia una virtù ardua, la sua pratica fedele, perfetta, è possibile alle anime che, dopo aver bene considerato ogni cosa, hanno risposto con cuore generoso all’invito di Gesù Cristo e fanno quanto è loro possibile per conservarla. Infatti, per l’impegno assunto nello stato di verginità o di celibato esse riceveranno da Dio una grazia sufficiente per poter mantenere la loro promessa. Perciò, se vi fosse qualcuno che non sentisse d’aver ricevuto il dono della castità (anche dopo averne fatto voto),(52) non cerchi di mettere innanzi la sua incapacità di soddisfare all’obbligazione assunta. «Perché “Dio non comanda l’impossibile, ma, comandando, ammonisce di fare quanto puoi e di chiedere quello che non puoi” e ti aiuta affinché possa». Ricordiamo questa verità, tanto consolante, anche a quei malati che sentono infiacchita la loro volontà in seguito ad esaurimenti nervosi e ai quali certi medici, talora anche cattolici, consigliano troppo facilmente di farsi dispensare dai loro obblighi, sotto pretesto di non poter osservare la castità senza nuocere al proprio equilibrio psichico. Quanto invece più utile e più opportuno sarebbe aiutare tali infermi a rinforzare la volontà e convincerli che la castità non è impossibile neppure per essi! «Fedele è Dio, il quale non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione provvederà anche il buon esito dandovi il potere di vincere» (1 Cor X, 13). I mezzi raccomandati dal divin Redentore stesso per difendere efficacemente la nostra virtù sono: una vigilanza continua, con la quale facciamo quanto ci è possibile da parte nostra e una costante preghiera con la quale chiediamo a Dio ciò che noi non possiamo fare a causa della nostra debolezza: «Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione, lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt XXVI, 41). – Una tale vigilanza, che si estenda ad ogni tempo e circostanza della nostra vita, ci è assolutamente necessaria: «la carne, infatti ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito desideri contrari alla carne» (Gal V, 17). Se alcuno cedesse, anche leggermente, alle lusinghe del corpo, facilmente si sentirebbe trascinato a quelle «opere della carne» (cf. Gal V, 19-21), enumerate dall’Apostolo, che costituiscono i vizi più abominevoli dell’umanità. Perciò dobbiamo anzitutto vigilare sui movimenti delle passioni e dei sensi, dobbiamo dominarli anche con una volontaria asprezza di vita e con le penitenze corporali, in modo da renderli sottomessi alla retta ragione e alla legge di Dio: «Quelli che sono di Cristo, hanno crocifisso la loro carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze» (Gal V, 24). Lo stesso Apostolo delle genti confessa di sé: «Maltratto il mio corpo e lo rendo schiavo, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso diventi reprobo» (1 Cor XIX, 27). Tutti i santi e le sante hanno vegliato attentamente sui movimenti dei sensi e delle loro passioni e li hanno rintuzzati, talora con somma asprezza, secondo il consiglio del divin Maestro: «Ma io dico a voi, che chiunque avrà guardato una donna con cattivo desiderio, in cuor suo ha già peccato con lei. Se il tuo occhio destro ti scandalizza, strappalo e buttalo via da te: è meglio per te che perisca una delle tue membra piuttosto che mandare tutto il tuo corpo all’inferno» (Mt V, 28-29). Con tale raccomandazione è chiaro quello che richiede da noi il divin Redentore: non dobbiamo, cioè, neppur col pensiero cedere mai al peccato e dobbiamo allontanare energicamente da noi tutto ciò che possa macchiare, anche leggermente, questa bellissima virtù. E in questo nessuna diligenza è troppa; nessuna severità è esagerata. Se la salute malferma o altre cause non permettono a qualcuno maggiori austerità corporali, non lo dispensino mai tuttavia dalla vigilanza e dalla mortificazione interiore. A questo proposito giova anche ricordare quello che i santi Padri e i dottori della Chiesa insegnano: è più facile vincere le lusinghe e le attrattive della passione, evitandole con una pronta fuga, che affrontandole direttamente. A custodia della castità, dice san Girolamo, serve più la fuga che la lotta aperta: «Per questo io fuggo, per non essere vinto». E tale fuga consiste non solo nell’allontanare premurosamente le occasioni del peccato, ma soprattutto nell’innalzare la mente, durante queste lotte, a Colui al quale abbiamo consacrato la nostra verginità. «Rimirate la bellezza di Colui che vi ama», ci raccomanda sant’Agostino. – Tutti i santi e le sante hanno sempre considerato la fuga e l’attenta vigilanza per allontanare con diligenza ogni occasione di peccato come mezzo migliore per vincere in questa materia: purtroppo, però, sembra che oggi non tutti pensino così. Alcuni sostengono che tutti i Cristiani, e soprattutto i Sacerdoti, non devono essere segregati dal mondo, come nei tempi passati, ma devono essere presenti al mondo e, perciò, è necessario metterli allo sbaraglio ed esporre al rischio la loro castità, affinché dimostrino se hanno o no la forza di resistere. Quindi i giovani chierici devono tutto vedere, per abituarsi a guardare tutto tranquillamente e rendersi così insensibili ad ogni turbamento. Per questo permettono loro facilmente di guardare tutto ciò che capita, senza alcuna regola di modestia; di frequentare i cinematografi, persino quando si tratta di pellicole proibite dai censori ecclesiastici; sfogliare qualsiasi rivista, anche oscena; leggere qualsiasi romanzo, anche se messo all’Indice o proibito dalla stessa legge naturale. E concedono questo perché dicono che ormai le masse di oggi vivono unicamente di tali spettacoli e di tali libri; e, chi vuole aiutarle, deve capire il loro modo di pensare e di vedere. Ma è facile comprendere quanto sia errato e pericoloso questo sistema di educare il giovane clero per guidarlo alla santità del suo stato. «Chi ama il pericolo, perirà in esso» (Eccli. III, 27). Viene opportuno l’avviso di sant’Agostino: «Non dite di avere anime pure, se avete occhi immodesti, perché l’occhio immodesto è indizio di cuore impuro». – Un metodo di formazione così funesto, poggia su un ragionamento molto confuso. Certo, Cristo nostro Signore disse dei suoi Apostoli: «Io li ho mandati nel mondo» (Gv XVII, 18); ma prima aveva anche detto di essi: «Essi non sono del mondo, come neppure io sono del mondo» (Gv XVII, 16), e aveva pregato con queste parole il suo Padre divino: «Non ti chiedo che li tolga dal mondo, ma che li liberi dal male» (Gv XVII, 15). La Chiesa quindi, che è guidata dai medesimi principi, ha stabilito norme opportune e sapienti per allontanare i sacerdoti dai pericoli in cui facilmente possono incorrere, vivendo nel mondo; con tali norme la santità della loro vita viene messa sufficientemente al riparo dalle agitazioni e dai piaceri della vita laicale. – A più forte ragione i giovani chierici, per essere formati alla vita spirituale e alla perfezione sacerdotale e religiosa, devono venire segregati dal tumulto secolaresco, prima di essere inseriti nella lotta della vita; restino pure a lungo nel seminario o nello scolasticato per ricevervi un’educazione diligente e accurata, imparando poco alla volta e con prudenza a prendere contatto con i problemi del nostro tempo, conforme a quanto scrivemmo nella Nostra esortazione apostolica Menti Nostræ. Quale giardiniere esporrebbe alle intemperie delle giovani piante esotiche, col pretesto di sperimentarle? Ora, i seminaristi e i giovani religiosi sono pianticelle tenere e delicate, da tenersi ben protette e da allenare progressivamente alla lotta. Gli educatori del giovane clero faranno opera ben più lodevole e utile, inculcando a questi giovani le leggi del pudore cristiano. Non è forse il pudore la migliore difesa della verginità, tanto da potersi chiamare la prudenza della castità? Esso avverte il pericolo imminente, impedisce di esporsi al rischio e impone la fuga in occasioni, a cui si espongono i meno prudenti. Il pudore non ama le parole disoneste o volgari e detesta una condotta anche leggermente immodesta; fa evitare attentamente la familiarità sospetta con persone di altro sesso, poiché riempie l’anima di un profondo rispetto verso il corpo, che è membro di Cristo (cf. 1 Cor VI, 15) e tempio dello Spirito Santo (cf. 1 Cor VI, 19). L’anima veramente pudica ha in orrore il minimo peccato di impurità e tosto si ritrae al primo risveglio della seduzione. Il pudore inoltre suggerisce e mette in bocca ai genitori e agli educatori i termini appropriati per formare la coscienza dei giovani in materia di purezza. «Pertanto – come in una recente allocuzione abbiamo ricordato – tale pudore non deve essere spinto fino ad un silenzio assoluto, sino ad escludere dalla formazione morale qualsiasi prudente e riservato accenno a tale problema». Tuttavia, troppo spesso, ai giorni nostri, alcuni educatori si credono in dovere di iniziare fanciulli e fanciulle innocenti a segreti della procreazione, in una maniera che offende il loro pudore. Ora proprio il pudore cristiano esige in questa materia una giusta misura. – Esso poi è alimentato dal timore di Dio, quel timore filiale che si basa su una profonda umiltà e che ispira orrore per il minimo peccato. San Clemente I, Nostro predecessore, già l’aveva affermato: «Chi è casto nel suo corpo, non se ne vanti, ben sapendo che da un altro gli viene il dono della continenza». Nessuno forse, meglio di sant’Agostino, ha dimostrato l’importanza dell’umiltà cristiana per salvaguardare la verginità: «La perpetua continenza, e molto più la verginità, sono uno splendido dono dei santi di Dio; ma con somma vigilanza bisogna vegliare che la superbia non lo corrompa… Quanto maggiore è il bene che io vedo, tanto più temo che la superbia non lo rapisca. Tale dono della verginità nessuno lo custodisce meglio di Dio che l’ha concesso; e “Dio è carità” (1 Gv IV, 8). La custode, quindi, della verginità è la carità, ma l’abitazione di tale custode è l’umiltà». Un altro consiglio ancora è da ricordarsi: per conservare la castità non bastano né la vigilanza né il pudore. Bisogna anche ricorrere ai mezzi soprannaturali: alla preghiera, ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia e ad una devozione ardente verso la santissima Madre di Dio. La castità perfetta, non dimentichiamolo, è un eccelso dono di Dio. «Esso è stato dato (cf. Mt XIX, 11) – osserva acutamente san Girolamo – a quelli che l’hanno chiesto, a quelli che l’hanno voluto, a quelli che si sono preparati a riceverlo. Perché a chi chiede sarà dato, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto (cf. Mt VII, 8)». Sant’Ambrogio aggiunge che la fedeltà delle vergini al loro Sposo divino dipende dalla preghiera. E, come insegna sant’Alfonso de’ Liguori, così ardente nella sua pietà, nessun mezzo è più necessario e più sicuro per vincere le tentazioni contro la bella virtù, che un ricorso immediato a Dio. Alla preghiera, tuttavia, bisogna aggiungere la pratica frequente del sacramento della penitenza: esso è una medicina spirituale che ci purifica e ci guarisce. Così pure bisogna nutrirsi del pane eucaristico: il Nostro predecessore d’immortale memoria Leone XIII lo additava come il migliore «rimedio contro la concupiscenza». Quanto più un’anima è pura e casta, tanto più ha fame di questo Pane, da cui attinge forza contro ogni seduzione impura e col quale si unisce più intimamente al suo Sposo divino: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui» (Gv VI, 57). – Ma per custodire illibata e perfezionare la castità, esiste un mezzo la cui meravigliosa efficacia è confermata dalla ripetuta esperienza dei secoli: e, cioè, una devozione solida e ardentissima verso la vergine Madre di Dio. In un certo modo, tutti gli altri mezzi si riassumono in tale devozione: chiunque vive la devozione mariana sinceramente e profondamente, si sente spinto certamente a vegliare, a pregare, ad accostarsi al tribunale della penitenza e all’eucaristia. Perciò esortiamo con cuore paterno i sacerdoti, i religiosi e le religiose a mettersi sotto la speciale protezione della santa Madre di Dio, Vergine delle vergini; ella, che – secondo la parola di sant’Ambrogio – è «la maestra della verginità» e la madre potentissima soprattutto delle anime consacrate al servizio di Dio.

Sant’Atanasio osserva che la verginità è entrata nel mondo per Maria,(70) e sant’Agostino insegna: «La dignità verginale ebbe i suoi esordi con la Madre di Dio». Seguendo il pensiero di sant’Atanasio, sant’Ambrogio propone alle vergini la vita di Maria vergine come modello: «O figliuole, imitate Maria! La vita di Maria rappresenti per voi, come in un quadro, la verginità; in tale vita contemplate la bellezza della castità e l’ideale della virtù. Prendetene l’esempio per la vostra vita: poiché in essa, come in un modello, sono espresse le lezioni della santità; vedrete ciò che avete da correggere, copiare, conservare… Essa è l’immagine della verginità. Maria, infatti, fu tale che basta la vita di lei sola a formare l’insegnamento per tutti… Sia, dunque, Maria a regolare la vostra vita». «Tanto grande fu la grazia sua, che ella non riservava solo per sé il dono della verginità, ma anche a quelli che vedeva conferiva il pregio dell’integrità». Sant’Ambrogio aveva ben ragione di esclamare: «O ricchezze della verginità di Maria!». A motivo di tali ricchezze, ancora oggi alle sacre vergini, ai religiosi e ai sacerdoti è quanto mai utile contemplare la verginità di Maria, per osservare con più fedeltà e perfezione la castità del loro stato.

La meditazione delle virtù della beata Vergine non vi basti, tuttavia, dilettissimi figli e figlie: ricorrete a lei con una confidenza assoluta, e seguite il consiglio di san Bernardo che esorta: «Chiediamo la grazia e chiediamola per mezzo di Maria». In modo particolare durante quest’anno mariano affidate a Maria la cura della vostra vita spirituale e della perfezione, seguendo l’esempio di san Girolamo che asseriva: «Per me la verginità è una consacrazione in Maria e in Cristo».

IV.

TIMORI E SPERANZE

Nelle gravi difficoltà, che la chiesa sta attraversando, è di grande consolazione al Nostro cuore di pastore supremo, venerabili fratelli, vedere la stima e l’onore tributati alla verginità, che fiorisce nel mondo intero, anche oggi, come sempre nel passato, nonostante gli errori ai quali abbiamo accennato e che vogliamo credere passeggeri. Non nascondiamo, tuttavia, che alla Nostra gioia fa ombra una certa tristezza, perché vediamo che, in non poche nazioni, va man mano diminuendo il numero di coloro che, rispondendo alla chiamata divina, abbracciano lo stato della verginità. Ne abbiamo già accennato sufficientemente le cause principali, e non c’è motivo di ripeterle. Confidiamo piuttosto che gli educatori della gioventù, caduti in questi errori, si ravvedano al più presto, li ripudino e si sforzino di ripararli. Essi aiuteranno con tutto l’impegno i giovani che si sentono chiamati da una forza soprannaturale al sacerdozio o alla vita religiosa e li assisteranno del loro meglio perché possano raggiungere questo alto ideale della loro vita. Piaccia al Signore che novelle e folte schiere di sacerdoti, di religiosi e di religiose sorgano al più presto proporzionate in numero e santità ai bisogni presenti della chiesa, per coltivare la vigna del Signore. Inoltre, come esige la coscienza del Nostro ministero apostolico, esortiamo i genitori ad offrire volentieri al servizio di Dio quei loro figli che vi si sentissero chiamati. Se questo costa a loro, se ne provano tristezza o amarezza, meditino le riflessioni indirizzate da sant’Ambrogio alle madri di famiglia di Milano: «Parecchie fanciulle io ho conosciuto, che volevano essere consacrate vergini, ma le loro madri vietavano loro perfin di uscire… Se le vostre figlie volessero amare un uomo, potrebbero legittimamente scegliersi chi loro piace. E così, chi ha il diritto di scegliere un uomo, non ha il diritto di scegliere Dio?» Ripensino, quindi, i genitori al grande onore di avere un figlio sacerdote o una figlia che ha consacrato allo Sposo divino la sua verginità. «Voi avete capito, o genitori! – esclama ancora sant’Ambrogio a riguardo delle sacre vergini -. La vergine è un dono di Dio, un’oblazione del padre; è il sacerdozio della castità. La vergine è l’ostia della madre, il cui sacrificio quotidiano placa la collera divina». -Non vogliamo terminare questa lettera enciclica, venerabili fratelli, senza volgere in modo speciale il Nostro pensiero e il Nostro cuore verso le anime consacrate a Dio che, in non poche nazioni, soffrono dure e terribili persecuzioni. Prendano esse esempio da quelle vergini della primitiva Chiesa, che con invitto coraggio subirono il martirio per la loro verginità. – Perseverino tutti con fortezza d’animo nella loro santa risoluzione di servire a Cristo «fino alla morte» (Fil II, 8). Si ricordino del grande valore che le loro sofferenze fisiche e morali e le loro preghiere hanno al cospetto di Dio per l’avvento del suo regno nelle loro nazioni e nella chiesa intera. Si confortino, infine, nella certezza che «chi segue l’Agnello ovunque vada» (Ap. XIV, 4), canterà eternamente un «cantico nuovo» (Ap XIV, 3), che nessun altro potrà cantare. – Il Nostro cuore paterno si volge con paterna commozione verso quei sacerdoti, quei religiosi e quelle religiose, che coraggiosamente confessano la loro fede fino al martirio. Noi preghiamo per essi come anche per tutte le anime consacrate, in ogni parte del mondo, al servizio divino, perché Dio le confermi, le fortifichi, e le consoli, e vi invitiamo ardentemente, venerabili fratelli, insieme con i vostri fedeli, a pregare in unione con Noi, al fine di ottenere a tali anime le consolazioni celesti e i soccorsi divini. – Frattanto, a voi, venerabili fratelli, a tutti i sacerdoti e religiosi, a tutte le sacre vergini, in modo speciale a tutti quelli «che soffrono persecuzioni per la giustizia» (Mt V, 10), e a tutti i vostri fedeli, impartiamo di gran cuore l’apostolica benedizione, come pegno delle grazie divine e attestato della Nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, nella festa dell’Annunciazione della santissima Vergine, il 25 marzo 1954, anno XVI del Nostro pontificato.

PIO PP. XII