LO SCUDO DELLA FEDE (88)

LO SCUDO DELLA FEDE (88)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA.

CAPITOLO XI

TERZA CAUTELA, BANDIRE IL MAL COSTUME

L’ignoranza e la superbia preparano pur troppo le vie a perdere la Fede, ma più ancora ne dà la spinta il vivere scostumato. Osservate, diceva S. Girolamo fin dai suoi tempi, osservate tutti quelli che nella S. Chiesa sorsero a spacciare eresie, osservate e non ne troverete uno che sia casto. Si fa poi ad enumerarli, incominciando da Simone il Mago e venendo giù a mano a mano fino ai suoi tempi e dimostra che tutti furono invischiati in passioni vituperose. Il Protestantismo però è così famoso in questa parte che ha superate tutte le antiche eresie. Il corifeo dei Protestanti levò la bandiera dell’incontinenza, sposando sacrilegamente una Religiosa; quelli che ne seguitarono la dottrina, tolsero subito ad imitarne l’esempio. Tutti i primi capi furono veduti assalire i conventi, e rubare e sedurre quante donne potevano. Le prime e più solenni adunanze di quei teologi si tennero in varie osterie fra il fumo della birra ed il nidore della cucina mescolato a discorsi così infami che se ne vergognerebbe un soldato onesto. In fatto poi di turpitudini e lussurie, la Riforma passò così sfrenatamente tutti i segni che a molti di quei che si erano sulle prime lasciati sedurre, bastò questo spettacolo per ritrarsi di nuovo in seno alla Cattolica Chiesa. – E da questa sfrenatezza appunto che permise anzi che inventò sulla terra, ripete il Protestantismo l’esito che ebbe di un gran numero di seguaci. Imperocché che cosa desidera chi è disonesto? Vuole gettarsi in braccio a tutti i godimenti sensuali e saziarsene senza la noia del rimorso. Ora il Protestantismo era tutto il caso. Lutero avendo negata la necessità delle buone opere, avendo proclamata l’impossibilità della continenza, avendo insegnato che per qualunque colpa non si poteva perdere la salute, purché altri credesse in Cristo, aveva con ciò solo dato ad ognuno piena libertà di sfogarsi a talento. Abrogata poi la Confessione, era anche tolta la noia del doversi confondere davanti ad un Sacerdote: abrogate leopere satisfattorie, era tolto l’obbligo di far penitenza. In questa dottrina comoda ogni sensuale trovava il suo conto. epperò tanti vi si gettavano dietro perdutamente. Ora quel che avvenne in passato può  avvenire anche al presente. A chi potranno queste dottrine perverse far gola, a chi svegliare la brama di abbracciarle? A tutti quelli che sono vaghi di libertà vergognose. – Epperò se voi mi domandaste chi sono quelli che corrono maggior pericolo di prevaricare, ecco quello che vi risponderei. Nelle città sono in maggior pericolo quei giovani, i quali scosso ogni freno ed abbandonato ogni timor divino passano i giorni loro in preda alle dissolutezze; le cui menti ed immaginazioni si dilettano di continuo di  fantasmi sozzi, le cui labbra si contaminano incessantemente di parlari immondi; i cui cuori si pascono sempre di compiacenze e di affetti indegni. Questi scostumati che anelano ad ogni sfogo brutale, amano di levarsi di dosso la Religione Cattolica. Ed anche perciò lo desiderano, perché dove è in onore il Cattolicismo, ivi trovano molti ostacoli ai loro infami desideri. Li avete talvolta sentiti predicare nelle vostre campagne, che il Cattolicismo non è buono? Sapete il perché? Perché fa loro incomodo. Sanno che fintantoché le vostre spose, le vostre fanciulle mantengono l’amore alla S. loro Fede, guardano anche caro il santo pudore. Ciò non fa i loro conti. Vorrebbero che fossero un poco più alla mano, un po’ meno selvatiche … mi avete capito? – Ecco donde nascono certe grandi convinzioni in favore del Protestantismo. Oh vergogna dell’umana natura! Nelle città ancora sono in pericolo quegli artieri, i quali non hanno voglia di lavorare ed hanno da alimentare mille vizi infami, che hanno da mantenere tresche, che hanno da contentare i capricci di questa e di quella, che rubano alla famiglia quel che gettano Iddio sa dove: anche questi sono in gran pericolo della Fede, perché riuscirebbe loro più comodo di non presentarsi alla Chiesa, alla Confessione, agli esercizi di pietà. Presso di voi nelle campagne chi sono quelli che vivono in pericolo di essere sedotti? Quei buoni contadini padri di famiglia, che vivono assennatamente, che vegliano sopra i figliuoli e le figliuole; o anche quei giovani onesti che fuggono il vizio e che aspettano con timor di Dio il tempo di collocarsi in un onesto matrimonio? Oh no davvero. – Questi amano la loro Religione, la rispettano, la praticano, e non entrano nelle cricche e nelle combriccole dei Protestanti. Quelli che corrono pericolo nella Fede sono certi che sono lo scandalo e la peste della parrocchia, o che sono invischiati in amorazzi indegni ed in pratiche vergognose, che hanno quelle boccacce sozze sempre piene di discorsi animaleschi: quelli che per conseguenza non hanno alcun sapore delle cose di Dio e della pietà, che bisogna cacciarli a fare la Pasqua con gli urti e con gli spintoni: quelli che stanno tutto il tempo della Messa sdraiati sopra una panca, e poi in Chiesa e fuori insultano tutte le donne che entrano ed escono. Sì, questi sono i bocconi buoni per la nuova religione. Io ho sentito uno di essi una volta dirlo assai chiaramente. Io vo’ farmi Protestante, perché così si fa una vita più comoda. La maggior libertà di vivere è quella che fa gola a tutti i viziosi. – Credereste? Perfino alcuni Ecclesiastici, alcuni Religiosi, sono giunti per questa via a perdere la Fede. Oh questo è uno scandalo, direte voi. Niente affatto: questa è una prova di più in favore della Fede Cattolica, la quale è tanto pura, tanto immacolata, che non può mantenere a lungo andare nel suo seno neppure gli Ecclesiastici quando si dimenticano al tutto della purezza del loro stato. Nei primi tempi del Protestantismo tutti i Religiosi e Sacerdoti che apostatarono, tutti il fecero per prender moglie sacrilegamente: tantoché quando si vedeva qualcuno d’essi vago di libertà e sfrenato di costumi, si diceva che doveva esser vicino ad andare in Ginevra a cambiare la fede: ed un bell’umore di quei tempi scrisse che l’affare della Riforma Protestante finiva sempre come la commedia, col matrimonio. – Ai tempi nostri è lo stesso. In Inghilterra ed in America vi sono alcuni Ecclesiastici fuggiti da noi, i quali hanno abiurata la Fede. Ebbene qual fu il loro grande motivo? Dopo di avere scandalizzato i nostri paesi con le loro sozzure si sono gettati tra i Protestanti per menare moglie. Ne sono testimonio il De Sanctis, l’Achilli, il Bonamici ed altri; ed alcuni di quelli che tocchi più tardi da miglior coscienza si sono ravveduti e tornarono alla male abbandonata Chiesa Cattolica, ebbero a confessare che non per convinzione che ne avessero, sebbene per soddisfare le loro passioni, si erano gettati in quel precipizio. Ora se il vizio della disonestà può giungere fino a fare prevaricare un Sacerdote, un Religioso, in che pericolo può mettere un rozzo, un ignorante, che non sa poi sopra qual fondamento saldissimo si appoggi la S. Fede? in quale un giovine che ha passata tutta la sua vita in divertimenti, e che ha il cuore snervato dai vizi? in quale una donna, una giovane le quali vivono d’immaginazione e di senso più che di ragione quando sono perdute nel vizio? Oh non vi ha sicurezza nessuna per chi si abbandona all’incontinenza e disonestà! Fu osservato da storici gravi, che la ragione verissima per cui nel secolo decimosesto fu accolta in tanti paesi la Riforma, altra non fu che quella di cui parliamo. Erano rilasciati i costumi, affranti i cuori, e riusciva sommamente gradevole una religione che toglieva il freno a chi lo portava tanto di mala voglia, e Dio a punire la scostumatezza di quelle misere genti permise che fosse loro tolta la S. Fede. Quel che è avvenuto altre volte può accadere di nuovo. Ci preservi Iddio da un flagello che sarebbe il più tremendo che potesse uscire dalle mani della sua giustizia [come oggi il Novus Ordo degli apostati modernisti della “contro-chiesa” vaticana, il più grande flagello di tutta la storia con cui Nostro Signore sta punendo l’umanità corrotta – ndr. -]: ma perché Iddio ci preservi da quel castigo, manteniamo noi la bella, la santa onestà.

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (7)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (7)

LEZIONE XI

Col darci e unirci di tutto cuore e con semplicità a Gesù Cristo nell’orazione, noi entriamo in comunione con le sue preghiere e tutti i suoi altri beni.

D. – In conclusione, dobbiamo essere ben convinti che sia necessario ricorrere a Nostro Signore Gesù Cristo, se vogliamo fare qualche preghiera che possa essere gradita a Dio; e che la preghiera fatta in unione con Gesù Cristo è oltremodo più vantaggiosa e potente che se la facessimo di per noi soli. Inoltre, è indifferente che si preghi in una lingua piuttosto che in un’altra, purché si rimanga uniti a Nostro Signore e in comunione col suo Spirito e la sua preghiera. Rimangono tuttavia due piccoli dubbi che vi propongo:

1°. Siamo noi proprio sicuri che, abbandonandoci a Gesù Cristo, partecipiamo, in comunione, alla sua virtù e alla grazia delle sue preghiere?

2°. Come possiamo sapere che siamo uniti a Lui?

R. – In risposta al primo dubbio, dovete ricordarvi ciò che dice la Scrittura: Basta cercare il Signore con semplicità di cuore. [Sentite de Domino in bonitate, et in simplicitate cordis quærite illum. (Sap., I , 1). Dobbiamo sapere che Nostro Signore è in noi e ci aspetta con le braccia aperte; basta, pertanto, che lo cerchiamo con tutta semplicità e che ci abbandoniamo a Lui per fare tutte le opere nostre e le nostre preghiere con Lui. Egli, infatti, abita appunto in noi per essere l’Ostia di lode di Dio; ci considera come i suoi templi per magnificare il Padre suo senza intermissione e per mezzo nostro, in noi e con noi; a tutti dice per bocca di Davide: Magnificate con me il Signore, ed esaltiamo insieme il suo nome. [Magnificate Dominimi mecum, et exaltemis nomen ejus in idipsum. – Ps. XXXIII, 4]. – Basta dunque che gli diciamo con tutta semplicità: Signor mio Gesù Cristo che siete la mia lode, [Laus mea tu es. -Jer., XVII, 14], mi compiaccio con viva gioia di tutte le lodi che Voi date al Padre vostro; mi unisco e mi dono a Voi per lodarlo e pregarlo per mezzo vostro e con Voi; voglio essere con Voi un’unica Ostia di lode per glorificare Iddio per tutta l’eternità. – Tanto basta, purché abbiamo nel cuore l’affetto e il desiderio che gli manifestiamo con le parole; ed è certo che allora siamo in comunione con Lui e con le sue preghiere.

D. – Ma questo è poi proprio vero?

R. – Certo; è tanto vero che se così facciamo con vera e pura carità, vi assicuro che ne ricaveremo frutti meravigliosi. Questa dottrina, è espressa nel simbolo degli Apostoli.

D. – Non mi ricordo di averla mai trovata nel Simbolo.

R. – Eppure vi è, benché molti non se ne accorgano quando recitano il Simbolo; si trova nella terza parte, la quale si riferisce alla persona dello Spirito Santo e alla sua azione nella Chiesa: Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la Comunione dei Santi:  [Credo in Spiritum Sanctum, sanctam Ecclesiam catholicam, sanctorum communionem. – Quest’ultima è l’espressione importante.

D. – Ma come mai nella Comunione dei Santi, può intendersi questa verità? So bene che lo Spirito Santo ha formato la Chiesa Cattolica; so che riempie il cuore di tutti i fedeli, e anche il cuore dei Santi del Paradiso; so che essendo lo Spirito Santo quello che riempie i Santi del Cielo e parimenti i giusti della terra, quando abbiamo la carità, abbiamo la medesima vita coi Santi; ma che siamo in comunione di vita anche con Gesù Cristo, non mi sembra cosa contenuta in quelle parole.

R. – L’espressione Comunione dei Santi in parte va intesa come avete detto; ma racchiude ancora un altro senso. Significa pure che nella Chiesa vi è per i fedeli una comunione a tutte le cose sante, che in quella sono contenute; e che come si partecipa, in comunione, al Corpo sacratissimo di Gesù Cristo e al suo Sangue, così si partecipa, in comunione, al suo Spirito quando a questo si ha divozione; e non solamente al suo Spirito, ma pure a tutte le cose sante che da questo Spirito sono operate; in quella guisa che ricevendo noi il santo Sacramento dell’Altare partecipiamo, in comunione, non soltanto al prezioso Corpo e al prezioso Sangue di Gesù Cristo, ma inoltre al suo Spirito e alle sante operazioni che questo Spirito diffonde nel Cuore di Gesù Cristo. Abbiamo qui un tesoro inestimabile, di cui non potremmo mai persuaderci senza la fede. Lo stesso avviene rispetto all’ammirabile interiore della SS. Vergine, di S. Giuseppe, di S. Giovanni o di qualsiasi altro Santo. Considerando infatti, per esempio, l’interiore tutto divino della santissima Vergine e le operazioni santificanti che lo Spirito di Dio diffondeva in quello, siamo bene spesso attratti a partecipare, in comunione spirituale, allo Spirito Santo e alle grazie interiori ch’Egli operava nell’anima santissima di Maria; ed è questo ancora un tesoro incomprensibile che non sarà mai penetrato dalle creature, avendone Dio riservato a sé la cognizione. [Non potremo mai comprendere quanto sia santo e perfetto l’interiore, ossia il Cuore della santissima Vergine, perché abbraccia tutte le perfezioni dell’ordine soprannaturale. È un oceano impenetrabile di bellezze soprannaturali]. Da tutto ciò che abbiamo detto, risulta dunque che possiamo a nostro piacimento partecipare, in comunione, alle preghiere di Gesù Cristo e alle altre operazioni del suo Spirito, purché ci uniamo a Lui con un semplice atto di fede e di carità.

LEZIONE XII.

Come possiamo noi sapere che nell’orazione siamo uniti a Gesù Cristo.

D. – Ma possiamo noi sapere e sentire che nell’orazione siamo uniti a Nostro Signore Gesù Cristo? E’ questo il secondo dubbio che vi ho proposto.

R. – È una difficoltà questa che alle anime devote dà occasione di molte colpe; perché ordinariamente per essere sicure delle cose sante e delle operazioni dello Spirito Santo, vogliono sentirle in se medesime. Orbene è questo un errore, il quale è troppo comune nella devozione e nuoce al progresso nella pietà. A questo riguardo il nostro divin Maestro, che è il vero dottore della divozione e il Padre della vita cristiana come della Religione vera, ci porge un grande insegnamento. Egli diceva che vi sarebbero stati degli adoratori in ispirito e in verità, i quali avrebbero adorato il Padre suo che è spirito, con operazioni di puro spirito, [Veri adoratores adorabunt Patrem in spiritu et veritate … Spiritus est Deus, et eos qui adorant eum, in spiritu et veritate oportet adorare. – Joann., IV, 23, 24] vale a dire per la fede e la carità. [Senza che c’entrino i sensi e il sentimento]. San Paolo insegna pure in altri termini la stessa cosa, quando dice che i Cristiani, per elevarsi a Dio non si servono che della fede e della carità: Fides quas per charitatem operatur. [Gal. V, 6]. Da ciò risulta che, quando vogliamo unirci a Nostro Signore, non servono, per conoscere ch’Egli è in noi, né le immaginazioni della fantasia, né i lumi sensibili della mente; dobbiamo contentarci della semplice fede e della carità, senza voler sentire altra cosa che ci attiri, né alcun effetto sensibile nel nostro cuore. La pura carità e la fede sono come i due animali spirituali che tirano il bel carro della Chiesa, di cui abbiamo detto sopra [Currus Dei… – Ps, LXVII, 18). – Onde persuaderci ancor più che non si richiedono nel nostro interiore disposizioni sensibili per unirci a Gesù Cristo ed entrare in comunione con la sua vita, osserviamo che, neppure quando ci accostiamo alla Comunione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, si richiedono tali disposizioni sensibili onde partecipare allo spirito e alla vita che Egli ci dà in questo Sacramento.

D. – Dovrò dunque ritenere che ci accostiamo alla Santa Comunione principalmente per ricevere in noi lo spirito, la vita e le virtù di Nostro Signore?

R. – Certo; il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo sono come un veicolo che ci porta il suo Spirito onde renderci partecipi della sua vita e delle sue divine operazioni, perché sia il nostro cibo e faccia crescere in noi tutte le sue virtù: Crescamus in illo per omnia, [Ephes., IV, 15].Insomma, perché infonda in noi la pienezza della sua vita interiore e ci faccia giungere persino alla pienezza di Dio: [Ut impleamini in omnem plenitudinem Dei. – Ephes., III, 19].

D. – Ma i Cristiani quando ricevono Gesù Cristo nella santa Comunione sentono forse queste cose? Sentono forse le operazioni del suo Spirito? Sentono la lode che Gesù Cristo rende a Dio nel loro cuore? Sperimentano forse sensibilmente le virtù che da Lui emanano nell’anima loro?

R. – No, perché Nostro Signore, essendo, dopo la sua Risurrezione, tutto spirito, anche le sue operazioni sono puramente spirituali: Spiritus et vita sunt, [Joann., VI, 64], perciò non sono sensibili. Quando prendiamo il nostro cibo corporale, non tutte le parti del corpo sentono l’effluvio segreto della virtù dell’alimento che si diffonde in esse; parimenti Nostro Signor Gesù Cristo, nostro alimento spirituale, non ha voluto rendersi sensibile per le anime nostre, ma le vivifica in un modo che non avvertiamo. Basta come abbiamo detto più volte, basta unirci con la nuda fede e la sola carità, a Nostro Signore, il quale è spirito in noi: Factus in spiritum vivificantem; [1 Cor., XV, 45]; così parteciperemo a Lui, ed entreremo in comunione col suo Spirito e con le sue divine operazioni. [II Servo di Dio era stato istruito in questa materia dal santo e celebre Padre de Condren, il quale gli aveva spiegato che, se nelle opere nostre, abbiamo il sentimento della presenza di Nostro Signore in noi, noi asseconderemo un tal pio sentimento e ci abbandoneremo a Lui. Che se non avremo nessun sentimento, ci uniremo a Nostro Signore con la disposizione del nostro cuore, desiderando avere i medesimi pensieri e le medesime disposizioni ch’Egli aveva nel fare azioni simili. Se non conosciamo tali disposizioni, o se stentiamo a formarle nell’anima nostra, ci uniremo semplicemente a Lui, in ispirito di fede, desiderando offrire a Dio le opere nostre con le sue. Cfr. Icard, Doctr. de M. Olier, pag. 231-232].

LEZIONE XIII.

Unendoci a Gesù Cristo, partecipiamo non solo allo Spirito Santo operante in Lui, ma anche a questo divino Spirito Santo in quanto è diffuso in ognuno dei Santi della Chiesa.

D. – Dove mai avete trovato che partecipiamo, in comunione, non solo allo Spirito Santo, ma anche alle sue operazioni in Gesù Cristo?

R. – Non solo vi ho detto che possiamo partecipare, in comunione, allo Spirito Santo e alle sue operazioni in Gesù Cristo; ma inoltre vi avevo già detto che possiamo partecipare, in comunione, allo Spirito Santo diffuso nella santa Chiesa e in tutti i suoi Santi, come per esempio nella Santissima Vergine; e il motivo è questo, che le cose sante emananti da Gesù Cristo sono depositate nella Chiesa come un bene comune a tutti i fedeli: Credo in Spiritum Sanctum, sanctorum Communionem: Credo lo Spirito Santo e la Comunione delle cose sante che sono nella Chiesa; perché chi partecipa al più, partecipa anche al meno; chi partecipa alla causa, partecipa anche agli effetti. Poiché dunque partecipiamo, in comunione, allo Spirito Santo, partecipiamo pure alle operazioni di Gesù Cristo, sia in se stesso, sia nella sua Chiesa, operazioni che sono un effetto di quel divino Spirito, il quale non ci viene dato fuorché secondo la misura della donazione di Gesù Cristo; secundum mensuram donationis Christi. Eph., IV, 7. « Si, tutte le cose sante, le quali emanano da Gesù Cristo, sono poste in comune nella Chiesa, perché la Chiesa forma una famiglia sola di cui Nostro Signore è il capo e il suo divino Spirito è la vita. Tutti i fedeli sono chiamati alla partecipazione di questa vita; tutti possono ricevere i Sacramenti ed hanno il medesimo fine ultimo. I Santi che trionfano nel Cielo, i giusti che combattono sulla terra, le anime che soffrono nelle espiazioni del purgatorio, sono unum in Christo. I meriti sono personali… ma servono a tutti i fedeli ed entrano nel tesoro della Chiesa, perché Dio li considera a favore di coloro che invocano i Santi ». Icard, Op. cit., pag. 250-256]. È questa l’abbondanza del mistico convito dell’Agnello con la varietà dei cibi ch’Egli ci presenta in sé e nei suoi membri; a questo banchetto Egli ci chiama tutti, e la mensa è servita lautamente; a noi la scelta secondo l’istinto dello spirito interiore che ci muove e ci fa scegliere quello spirituale cibo che a Lui piace e tutto per la consumazione dei Santi. [Ad consummationem sanctorum. – Ephes., IV, 12]. Abbiamo nella Scrittura una figura ammirabile di questa importante verità, ed è la manna che Dio dava al suo popolo nel deserto. La manna, benché fosse un cibo tutto della medesima qualità, aveva in sé il sapore di tutte le particolari vivande che i figli d’Israele potevano desiderare; e ciò esprime con tutta semplicità la Comunione dei Santi e delle cose sante, che noi abbiamo in Gesù Cristo, secondo il nostro desiderio. Quando, a cagione d’esempio, vogliamo accostarci ai santi Sacramenti e partecipare, in comunione, alle loro varie grazie, noi lo facciamo unendoci al Santo Spirito di Gesù Cristo, il quale è la sorgente di tutte le grazie. – Esiste pure nella Chiesa la pratica ordinaria di fare la santa Comunione in onore dei Santi, onde partecipare al loro spirito e alle loro grazie; e di fatto ne possiamo ricevere partecipazione, se ci uniamo a Gesù Cristo nel Santo Sacramento, con intenzione di onorare quella parte del suo Spirito ch’Egli diffonde in loro, e di esserne partecipi. – Ma ecco un altro mistero ben consolante; per questa medesima comunione, noi possiamo partecipare anche alle grazie dei giusti che vivono sulla terra. Quando per esempio, vediamo nei fedeli eminenti viri di umiltà, di castità, di pazienza, virtù le quali tutte da Gesù Cristo emanano nei loro cuori e dopo si manifestano nelle loro opere e nelle loro parole, invece di portar loro invidia e gelosia per tali virtù, ciò che accade sovente per suggestione del demonio e dell’amor proprio, ci uniremo al santo Spirito di Gesù Cristo nel santo Sacramento, onorando in Lui la fonte di tali virtù e domandandogli per noi la grazia di parteciparvi in comunione; se adotteremo una tal pratica, vedremo quanto ci sarà utile e vantaggiosa. – Troviamo ancora a questo proposito nella Scrittura una bella figura. Il profeta Isaia, in una misteriosa visione vide il Figlio di Dio tutto sfolgorante di gloria e di maestà; al suo cospetto i Serafini si coprivano il volto con le loro ali, ed Egli era circondato di una veste magnifica e oltremodo splendida, e ciò che era sotto di Lui riempiva il tempio: et ea quæ sub ipso erant replebant templum. – Isa., VI, 1]. Ciò che era sotto Gesù Cristo, ossia l’estremità delle sue vesti, rappresenta le divine operazioni dello Spirito Santo ch’Egli ha inviato sulla terra, le quali riempiono la Chiesa. Lo Spirito Santo abitava in pienezza in Gesù Cristo, corporalmente, come dice san Paolo, vale a dire ch’Egli era in Gesù Cristo come nel Capo e lo animava delle disposizioni che avrebbe poi diffuse nel Corpo della Chiesa; talmente che tutte le divine operazioni, che avvengono nei Santi del Cielo e nei giusti della terra, vengono da Gesù Cristo, il quale invia il suo Spirito per vivificare i suoi membri con la sua vita divina. È dunque cosa importantissima unirci di continuo allo Spirito Santo per compiere santamente le nostre azioni con i sentimenti medesimi di Gesù Cristo, contentandoci di unirci a Lui per la fede e per l’amore, onde troviamo l’aiuto nelle nostre debolezze e il fervore della carità in quel fiume di fuoco di cui parla la S. Scrittura [Dan. VII, 10], il quale usciva dalla faccia di Dio, ossia da Gesù Cristo medesimo. [Gesù Cristo viene chiamato faccia di Dio, perché  Dio si fa conoscere per mezzo del Figlio suo, il quale è l’immagine della sostanza del Padre]. Il fiume poi significa due cose: la via e la vita; perché il fiume è una via animata e vivente; essendo rapido e vivente, è la figura dell’impetuosità dell’amore col quale dobbiamo tendere a Dio, e della virtù dello Spirito che esce da Gesù Cristo per venire in noi ed essere la nostra via, la nostra verità e la nostra vita. Così operava lo Spirito Santo nei primi Cristiani, dei quali era stato detto profeticamente: Ubi erat impetus Spiritus, illuc gradiebantur [Ezech., I, 12]. Essi andavano dove li spingeva lo Spirito.

D. – Quanto è dolce per noi essere Cristiani, poiché abbiamo così potenti aiuti! Quanto è dolce abbandonarci all’amore ed essere condotti con tanta prontezza a Dio!

R. – Quanto altresì è importante abbandonarci al santo Spirito di Gesù Cristo, quando vogliamo operare o pregare! È questo un fiume delizioso; dobbiamo berne sovente l’acqua salubre, [Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris. – Isai., XII, 3], ossia unirci sovente allo Spirito Santo, procurando di farlo passare in noi come nostro cibo, onde diventiamo fuoco e amore per Dio. Così non opereremo più fuorché per questo unico principio invece di operare, come si fa comunemente, sotto l’azione dell’amor proprio e dell’uomo vecchio, che ci trascina al peccato.

LEZIONE XIV.

Quante volte e quando dobbiamo unirci allo Spirito di Gesù Cristo nella preghiera vocale e mentale.

D. – Non mi resta che pregarvi di volermi spiegare quante volte nella preghiera debbo unirmi a Gesù Cristo e al suo Spirito Santo.

R. – Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare una distinzione. Rispetto all’orazione mentale, dopo avere praticato questa unione nel darvi principio, sarà bene rinnovarla almeno a ogni parte della meditazione, e anche quando l’anima si troverà nell’aridità e nell’oscurità. Nell’orazione vocale e pubblica, bisogna fare o rinnovare questa unione almeno ogni volta che la Chiesa lo impone. Molti non riflettono che la Chiesa ci impone quest’unione con lo Spirito di Gesù Cristo, e pensano che si tratti di una pratica nuova e particolare; ma invece, noi non vogliamo in nessun modo introdurre novità nelle cose di Religione; si tratta qui, infatti della pratica della Chiesa, sia greca, sia latina. Chi avrà assistito qualche volta all’Ufficio del Mattutino, avrà osservato che il Sacerdote, con le prime parole, rivolgendosi a Gesu Cristo, così lo prega ad alta voce: Domine, labia mea aperies; e il coro risponde: Et os meum annuntiabit laudem tuam, vale a dire: Signore venite ad aprire le mie labbra, ond’io possa annunziare le vostre lodi, perché di per me non ne sono capace. Allora il Sacerdote, per attestare che non vuole punto lodare Dio col suo proprio spirito e con le sue proprie intenzioni, ma nello Spirito e nelle intenzioni di Gesù Cristo, il quale è l’ostia e la lode di tutti gli uomini; [… vale a dire l’unica ostia con cui gli uomini possano e debbano onorare Dio! l’unica lode che possano offrirgli. Gesù Cristo è la nostra adorazione, la nostra lode, la nostra preghiera, la nostra azione di grazie verso Dio];  soggiunge, pregando l’Eterno Padre: « Deus, in adjutorium meum intende, ossia: Dio mio, guardate Gesù Cristo il mio aiuto e il mio soccorso; non guardate me, ma il Figlio vostro in noi, il quale vuol essere il nostro aiuto e la nostra lode ». E la Chiesa, in quel punto, piena del sentimento della propria incapacità e indegnità, raddoppia le preghiere a Gesù Cristo dicendo: Domine, ad udjuvandum me festina: Signore, affrettatevi a soccorrermi. Ella invoca lo Spirito di Nostro Signore affinché le venga in aiuto secondo queste parole di san Giovanni: Spiritus et sponsa dicunt: Veni. Et qui audit dicat: Veni…, Domine Jesu. [Apoc., XXII, 17, 20].Dopo queste invocazioni, tutti, inchinandosi profondamente, soggiungono: Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto etc. L’inchino profondo, che nella Chiesa latina si fa dai Sacerdoti, risponde ai tre inchini che si usano nella Chiesa greca, quando il celebrante in principio dell’Ufficio solenne fa tre inchini davanti all’immagine di Gesù Cristo e tre altri davanti all’immagine della Santa Vergine: con questi inchini, i chierici intendono significare che si riconoscono incapaci e indegni di glorificare la Maestà di Dio uno in tre Persone, e che adorano Nostro Signore come la lode di Dio, e lo incaricano, unendosi a questo fine al suo Spirito, di glorificare la SS. Trinità.La Chiesa latina, nel medesimo spirito di questo rito della Chiesa greca, dice: Gloria Patri, ecc., con un profondo inchino, per esprimere che, siccome la gloria di Dio consiste nel conoscerlo e lodarlo in modo perfetto, essa ciò non può fare di per se medesima, protestando davanti a Gesù Cristo che Lui solo chiaramente conosce Iddio e solo può lodarlo degnamente nella sua Persona, poiché essendo Egli il carattere e lo splendore della gloria di Dio Padre, col suo essere dice tutto ciò che il Padre è in sé medesimo.Per la medesima ragione, prima di dar principio all’Ufficio, si dice il Pater e l’Ave per unirsi all’interiore di Gesù Cristo, in quanto è mediatore della lode della Chiesa, e a quello della sua santissima Madre. La ragione di questa pratica è fondata sul principio che tutta la religione consiste in due punti: l’uno nell’onorare il Padre, l’altro nel glorificare il Figlio, il quale per la sua risurrezione fu richiamato nella Divinità, [Perché la sua umanità, con la Risurrezione, entrò nel possesso della gloria divina a Lui dovuta, come dice sant’Ambrogio: Nunc per omnia Deus[De fide Resurrect.] e anche san Paolo: Prædestinatus Filius Dei ex resurrectione mortuorum; [Rom., I , 4] così pure san Giovanni nell’Apocalisse: L’Agnello è degno di ricevere la Divinità [Apoc., V, 12], vale a dire, merita gli onori dovuti a Dio. Questi due oggetti del nostro culto sono pure espressi nell’Apocalisse. San Giovanni, infatti, ci rivela il culto di religione che si pratica nel Cielo, di cui la nostra Chiesa su la terra è la vera immagine, [Umbram habens futurorum. – Hebr., X, 1], con queste parole: Primitiæ Deo et Agno.« [Apoc, XIV, 4]. I Vergini furono comperati di tra gli uomini primizie per Dio e per l’Agnello, vale a dire per Dio e per Gesù Cristo; e con queste altre: Sedenti in throno, et Agno benedictio, et honor et gloria. [Ibid. V, 13] – Benedizione, onore e gloria a Colui che siede sul trono e all’Agnello. Donde avviene che, siccome vi sono due oggetti della nostra religione, [Dio e Gesù Cristo, come l’Autore deduce dai due testi citati], abbiamo pure bisogno di due mediatori: uno presso il Padre, l’altro presso Gesù Cristo. Quando lodiamo Dio nelle sue grandezze e nelle sue opere, ricorriamo a Gesù Cristo perché sia il Mediatore della nostra lode; quando vogliamo onorare Gesù Cristo nella sua Persona e nei suoi misteri di cui sono ripieni i salmi di Davide, come dice Nostro Signore medesimo: Quæ scripta sunt in Psalmis de Mel, [Luc., XXIV, 44] noi abbiamo bisogno della SS. Vergine, nostra Mediatrice presso Gesù Cristo, e ci rivolgiamo a Lei, perché sola è degna di lodarlo degnamente. Ecco il motivo sul quale è fondata la recita del Pater e dell’Ave prima d’incominciare l’Ufficio.

D. – Perché si aggiunge il Credo?

R. – Per richiamare in compendio, nella mente dei fedeli, le opere principali di Dio Padre e di Dio Figlio; e affine di aver davanti agli occhi l’oggetto delle nostre lodi e così considerare nella verità ciò che si contiene più a lungo, ma in figura e in enigma, nei salmi di Davide. [Nell’Ufficio si recitano appunto i salmi]. Per ispirarvi poi un gran rispetto per i Salmi di Davide, che si cantano nell’Ufficio, vi dirò che questo gran Santo fu il Profeta dei Profeti, perché gli altri Profeti non fanno altro che descrivere e annunziare le opere di Dio o di Gesù Cristo e i suoi misteri, ma Davide è il panegirista di Dio e di Gesù Cristo; gli altri ne fanno la storia emblematicamente, ma Davide ne è il paraninfo e la lode; ci sembra che sia questa la ragione della differenza che Gesù Cristo medesimo fece in queste parole: Quello che sta scritto di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi.[Luc, XXIV, 14. Gesù Cristo fa menzione speciale dei Salmi]. Notiamo che un mezzo eccellente per recitare santamente i Salmi, è di tenersi unito allo spirito, alle intenzioni e al cuore di quel grande e santo Profeta che li compose.

LEZIONE XV

La felicità del Cristiano nell’adorazione e nella Santa Comunione si avvicina a quella dei Santi del Paradiso. – La devozione alla Madonna.

D. – Se ho ben capito ciò che mi avete spiegato in queste istruzioni, la nostra felicità, si avvicina a quella del Paradiso.

R. – Certamente; perciò Nostro Signore diceva ai suoi discepoli: Il Regno di Dio è dentro di voi. [Regnum Dei intra vos est. – Luc, XVII, 20]. Difatti, possedendo Gesù Cristo in noi nell’orazione o nella santa Comunione, noi possediamo tutto il Cielo. E non dobbiamo stupircene, poiché è questo il privilegio della fede secondo san Paolo: Est fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium. [Hebr., X, 1].- La fede ci dà la sostanza delle cose eterne, sebbene non ce ne dia la cognizione chiara, e non ce le faccia possedere nella medesima maniera in cui si possiedono nella gloria. Il Regno del Cielo, considerato nella sua sostanza, consiste nel contemplare Dio in tre Persone e la santa umanità di Gesù Cristo piena dei torrenti della Divinità; consiste pure nella visione della Santa Vergine, la quale è piena di Gesù Cristo, come Gesù Cristo è pieno del Padre suo; consiste inoltre nella visione dell’intera società dei Santi tutta rivestita di Gesù Cristo e da Lui posseduta, in una parola nella visione dell’intero corpo magnifico della Chiesa, tutta piena del suo sole, ch’è Gesù Cristo, [Mulier amicta sole. – Apoc, XII, 1]. Gesù Cristo è quel sole di cui è rivestita la Chiesa trionfante. il quale la compenetra di amore, di lode, di adorazione e di tutto il suo interiore, che glorifica e magnifica Dio suo Padre. Orbene, chi possiede Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento possiede quel medesimo Gesù Cristo che è nel Cielo. Gesù Cristo poi dovunque si trovi porta il santuario di Dio suo Padre, e la pienezza della religione verso di Lui e delle lodi che gli offre nei Santi. In una parola, la Chiesa della terra possiede con quella del Cielo i medesimi beni; ma con questa differenza che noi non vi partecipiamo così perfettamente come nel Cielo, perché Gesù Cristo non diffonde in noi tutta la pienezza dei suoi divini torrenti, non trovando in noi la capacità di riceverli. Inoltre, non abbiamo quaggiù la comunione della lode dei Santi come essi la sperimentano nel Cielo, dove i Beati sono affatto vuoti di se medesimi e hanno la capacità di contenersi a vicenda, a imitazione della circuminsessione [Questa espressione indica la reciproca abitazione delle tre divine Persone l’una nell’altra.] delle divine Persone tra loro. Ammiriamo la divina economia del mistero dell’Incarnazione, dove Dio osserva un ordine meraviglioso e una convenienza degna di sé: il Verbo incarnato su la terra era uguale al Padre, [San Paolo dice che Gesù Cristo non credette che fosse una rapina affermarsi eguale a Dio: Non rapinam arbitratus est esse se æqualem Deo. – Philipp., II, 6) e perciò degno di una medesima lode; la sua divinità, benché fosse nascosta, non era meno adorabile, perciò Dio volle che al suo Figlio (incarnato) tutte le creature rendessero gli onori e tutta la gloria ch’Egli medesimo riceveva da quelle. Ma siccome le creature, nella loro imperfezione, erano incapaci di lodarlo degnamente, Dio diffuse nell’anima di Gesù Cristo tutte le virtù e tutti i doni dello Spirito Santo, onde essa potesse perfettamente supplire alla deficienza delle creature e affinché il Verbo divino, per mezzo di quell’anima santissima, ricevesse, in unità col Padre e con lo Spirito Santo, un onore e una gloria superiore a quella che potesse ricevere dalle migliaia di Angeli nel Cielo. – Gesù Cristo, infatti, era ben superiore a tutti gli Angeli riuniti assieme; [Cui enim dixit aliquando Angelorum: Filius meus es tu? A qual degli Angeli disse Egli mai: Tu sei mio Figliuolo? (Hebr.: I, 5); l’anima sua era più capace che non gli Angeli di ricevere le operazioni della Divinità; era il tempio divino nel quale la Divinità era onorata in modo perfetto: talmente che, dovunque si portava la santa Umanità su la terra, Dio vi trovava il suo Cielo e il suo Paradiso e nella umiliazione di Lei trovava la sua gloria. – Dobbiamo ancora ammirare, nel mistero dell’Incarnazione, un altro effetto della sapienza di Dio: l’Umanità di Gesù Cristo, essendo l’arca ammirabile dove Dio desidera essere adorato, e dove Egli abita in pienezza per il bene delle sue creature, è ben degna essa pure di ricevere lodi e onori; perciò Dio volle provvederla di una Chiesa dove tali onori le fossero resi con tutta santità e perfezione; volle edificare per quella santa Umanità un tempio più glorioso di quello di Salomone. [Magna erit domus istius novissimae plus quam primæ. – Agg., II, 10). LQueste parole vennero dette dal Profeta Aggeo per indicare che il secondo tempio costruito dopo la schiavitù di Babilonia sarebbe stato più glorioso del tempio di Salomone perché Gesù Cristo vi sarebbe entrato. L’ autore le applica a Maria Vergine in senso accomodatizio. Questo tempio è la santa Vergine, la quale seguì dappertutto Gesù Cristo per lodarlo e glorificarlo. Come altre volte isacerdoti accompagnavano l’arca in ogni luogo, così pure la santa Vergine accompagnò Nostro Signore in tutti i suoi misteri, di modo ché era per Lui una Chiesa ambulante. Perciò vediamo che a Maria vengono attribuite tutte le qualità della Chiesa. In quella guisa che la Chiesa è da Dio destinata a onorare la santa Umanità di Gesù Cristo, così la Santa Vergine che contiene in eminenza tutte le grazie e tutte le virtù e soprattutto tutta la religione della Chiesa, venne da Dio destinata per glorificare in modo perfetto l’Umanità del Figlio suo e per accompagnarla, come abbiamo detto, in tutto il mistero dell’Incarnazione.

D. – Ma Gesù Cristo e gli Apostoli hanno forse parlato ai primi Cristiani della divozione a Maria?

R. – A dire il vero, non ne hanno parlato tanto esplicitamente; Nostro Signore si limitò a far conoscere il Padre suo; san Paolo poi non lavorava se non a far conoscere Gesù Cristo ch’Egli voleva dare come fondamento della Religione cristiana, [Fundamentum aliud nemo potest ponere præter id quod positum est, quod est Christus Jesus. ( I Cor., III, 11), ben sapendo che facendo conoscere Nostro Signore, ne faceva conoscere abbastanza quella di Lui Chiesa, che è la santa Vergine. – Ma dopo Gesù Cristo e san Paolo, i santi Padri hanno parlato eminentemente di Maria; ecco, tra gli altri, belle e importanti parole di sant’Ambrogio, uno dei più grandi Dottori della Chiesa latina e Padre spirituale di quel grande luminare della Chiesa che fu sant’Agostino: Che l’anima di Maria- dice quel santo Dottore- sia in ciascuno di noi, per magnificare il Signore; che lo Spirito di Maria sia in ciascuno per rallegrarsi in Dio?[Sit in singulis Mariae anima, ut magnificet Dominum: sit in singulis spiritus Mariæ, ut exsultet in Deo. – Lib. II, in Luc.]. Ci contentiamo di citare questo brano di sant’Ambrogio, ma in sant’Ambrogio noi citiamo la Chiesa intera, la quale ha sempre professato un gran rispetto per questo Santo, come per quello che meravigliosamente la illuminò con la luce della sua dottrina e delle sue virtù. Dio lo ebbe in tanto pregio che dalle sue ceneri volle far nascere nei nostri tempi, quella fenice di grazia per tutto il corpo del suo clero che fu san Carlo Borromeo, il quale aveva una divozione singolare e un particolare rispetto per questo santo e venerabile Padre e Patrono della sua Chiesa di Milano. Sant’Agostino l’onorò pure come Padre e Maestro, gli diede nei suoi scritti questi due gloriosi titoli e ne parlò sempre con elogi straordinari. [S. Aug., tui etiam mali doctoris ore laudatus Ambrosius, etc. Conv. Just., Lib. 1, cap. III) In sant’Ambrogio abbiamo sentito la Chiesa latina, e se ne avessi l’agio, potremmo sentire anche l’intera Chiesa greca nella sua liturgia. – Ma dovendo metter fine a queste istruzioni, diremo che dobbiamo procurare di unirci a Nostro Signore e di rinnovarci nel suo Spirito, non soltanto nei punti che abbiamo indicati nella preghiera vocale della Chiesa, per rendere più gradite a Dio le nostre preghiere; ma inoltre tutte le volte almeno che sentiremo il canto del Gloria Patri. Quando poi vedremo i Sacerdoti inchinarsi davanti al Santo Sacramento, faremo nel nostro cuore ciò che essi fanno esternamente nel coro della Chiesa; non mancheremo allora di umiliarci profondamente davanti a Nostro Signore che abita in noi; e unendoci a Lui, gli protesteremo che ci riconosciamo indegni di lodar Dio e che Egli solo essendo la lode vivente e vera della santissima Trinità, è degno di glorificarla.

Fine della seconda e ultima parte.

LO SCUDO DELLA FEDE (87)

LO SCUDO DELLA FEDE (87)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA.

CAPITOLO X

SECONDA CAUTELA PER NON PERDER LA S. FEDE: BANDIRE LA SUPERBIA

Come è nato il Protestantismo? Come tutte le altre eresie, da un grand’atto di superbia. Mentre tutta la S. Chiesa Cattolica credeva ad un modo, ad un modo intendeva la Religione, e convenivano in questo modo di credere e di intenderla cento e cento generazioni coi loro Vescovi, Prelati, Pontefici, Dottori e Santi; sorge tutt’improvviso un uomo e dice: Olà fermatevi tutti, tutti ascoltatemi: io vi fo sapere che voi tutti siete in errore, che non intendete niente della santa Fede, che non capite le Sante Scritture, che non conoscete quel che vi fate: io, io solo ho tutto capito, tutto conosciuto, io sono il maestro di tutti i maestri, io sono il dottore di tutti i dottori, nessuno mi giudichi, ma tutti mi obbediscano, e quello solo che io insegno, che io propongo, si dovrà d’ora innanzi tenere come verità. Con quest’atto diabolico incominciano tutte le eresie; e con quest’atto chiaro, espresso, formale incominciò nella persona di Lutero il Protestantismo. Miei cari, può trovarsi un atto di superbia più diabolica? – Ora com’è nato dalla superbia il Protestantismo, così con la superbia si è poi sempre mantenuto. E si vede chiaro da ciò che come Lutero per superbia si ribellò alla S. Chiesa, così i Protestanti suoi seguaci per superbia si ribellarono a lui. I susseguenti fecero lo stesso verso i loro maggiori e così di mano in mano fino a noi, i quali siam testimoni che al dì d’oggi avendo sempre lo stesso spirito, mai non finiscono gli uni di ribellarsi agli altri con nuovi scismi e divisioni. Ciò presupposto che è innegabile, qual sarà la cautela necessaria per non cadere nell’abisso in cui essi sono? Prendere uno spirito tutto contrario che è lo spirito di Gesù. Essi si sono perduti perché per orgoglio si ribellarono alla Chiesa; noi ci salveremo tenendoci con profonda umiltà sottomessi alla S. Chiesa. Voi avete letto più sopra che la S. Chiesa con l’assistenza che ha dello Spirito Santo non può errare, che quello che essa insegna è la verità: dunque noi riposati sul seno materno di lei viviamo con pieno abbandono e con totale fiducia senza darci pensiero di altro che di esserle figliuoli sottomessi ed obbedienti. – Quando però vengono da voi certi impronti e vi domandano: perché credete questo domma, perché credete quest’altro? E voi rispondete subito, perché così me l’ha detto la S. Chiesa. — Ma quel che vi ha detto la Chiesa non può essere, vi replicheranno. E voi saldi: se non può essere e voi ditelo alla Chiesa. Quando essa cambierà credenza, anch’io la cambierò. Gesù mi ha detto che io ascolti la Chiesa, non voi: se io non ascolterò la Chiesa, Gesù vuole che io sia tenuto in conto di un gentile, di un pubblicano, che è quanto a dire di uno che non gli appartiene: ma se non ascolto voi, non mi ha minacciato nessun male. – Gesù inoltre mi ha assicurato che chi ascolta i Pastori di S. Chiesa, è come ascoltasse Lui medesimo, che chi li disprezza, disprezza Lui ed il suo Padre che lo ha mandato. Son dunque certo che fino a tanto che non mi allontano dalla Chiesa e dai miei pastori, non posso correre verun pericolo per la mia salvezza. – Un’altra ragione per cui i superbi corrono pericolo della Fede è perché essa esige un terreno che gli sia adatto. Ditemi di grazia, voi che conoscete l’agricoltura, perché scegliete così per l’appunto i terreni in cui mettere le varie qualità di piante e di biade? Perché non mettete nel basso e nell’umido la vite? Perché non mettete nel poggio e nel greppo la rapa e la lattuga? Perché non proverebbero bene richiedendo ogni pianta il terreno a lei proprio. Ma è lo stesso della Fede: essa non alligna in ogni cuore, ma solo dove alberga la santa umiltà. Che però voi scoprirete da ciò l’origine dell’incredulità di molti. La S. Fede propone a tutti le stesse credenze, gli stessi doveri, e li propone al monarca ed al filosofo, all’artiere ed al bifolco. Di che certi spiriti superbi dicono poi indignati: oh! come! io che so tanto, che ho tanto letto, tanto studiato, debbo credere lo stesso che crede il poveretto, l’ignorante, la donnicciola? Io ho da dire le stesse preghiere, assistere alle stesse funzioni, confessarmi allo stesso modo, esercitarmi nelle stesse pratiche? Ohibò, ohibò! Il loro cuore s’inalbera, la superbia li fa stizzire, e ricusano di sottomettersi a quello, che crede il comune dei fedeli, e rigettano le comuni pratiche. Anzi credono di salire in tanto maggiore riputazione, quanto fanno più gli strani, quanto più mostrano di creder meno, quanto fingono di avere convinzioni più particolari: ed ecco l’origine da cui muove in molti l’irreligione e la perdita della fede. Infelicissimi ch’essi sono! Per un poco di vanità se ne vanno nel precipizio. Imitano in ciò Lucifero, il quale ancor esso non volle fare quello che facevano gli altri Angeli suoi compagni, di starsene sommessi a Dio, ma lo seguono poi anche nel castigo: perché come egli perdette il Paradiso a cui era vicino, così questi perdono al presente tutti i beni del terreno paradiso che è la Chiesa, per precipitare poi a suo tempo nel baratro di tutti i mali che è l’inferno. Atteniamoci dunque alla S. Umiltà. San Francesco d’Assisi sentendo a raccontare la caduta di uno che era stato un tempo suo compagno e che poi si era miseramente allontanato dalla S. Chiesa, si gettò in terra con gran fervore e si stringeva a quella molto fortemente. Interrogato perché facesse così, rispose: ah mi voglio molto, molto umiliare, perché quel misero ha perduta la fede per la sua superbia. Deh che non accada a noi una sì luttuosa disgrazia!

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (6)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (6)

LEZIONE VI.

Modo di fare la comunione spirituale e di unirsi in comunione con lo Spirito di Nostro Signore.

D. – Quale felicità e quale vantaggio se potessi fare spesso e bene la santa Comunione in ispirito durante la giornata! Ma, come farò?

R. – È veramente una pratica santa e vantaggiosissima, quella di comunicarsi spiritualmente con frequenza. Nostro Signore Gesù Cristo diceva ai suoi discepoli che il suo cibo spirituale era di fare la volontà del Padre suo [Meus cibus est ut faciam voluntatem ejus qui misit me, ut perficiam opus ejus. – Joann., IV, 34];  e che faceva tutto col Padre suo e nella virtù del Padre suo. [Pater meus usque modo operatur, et ego operor – Joann., V, 17]. Il mio Padre – diceva – fa ogni cosa in me e con me; e Io pure tutto faccio in Lui e con Lui, e le opere del Padre mio sono il mio cibo. Da queste parole dobbiamo imparare che, siccome Gesù Cristo tutto operava nel Padre suo e col Padre suo, così noi pure dobbiamo far tutto in Nostro Signore e con Nostro Signore, perché abita in noi per vivificarci in tutto e rendere tutte le nostre opere gradite a Dio suo Padre: così effondendosi in noi, Egli vuol essere il cibo delle anime nostre.

D. – Ma come avviene questo? Son cose che non intendo.

R. – Non meravigliatevene, è un mistero. Perciò Nostro Signore, prevenne i vostri lamenti e i vostri insoddisfatti desideri quando disse ai suoi discepoli: [In illo die vos cognoscetis quia ego sum in Patre meo, et vos in me, et ego in vobis. – Joan. XIV, 20]. Nel giorno del giudizio, conoscerete che, siccome il Padre mio dimorando in me, fa le opere mie, [idem, 10] così Io pure, dimorando in voi farò le opere vostre, e voi farete le mie come Io fo quelle del Padre mio.

D. – Ma se soltanto nel dì del giudizio avremo la cognizione di questo mistero, come potrò io giovarmene per operare in Gesù Cristo?

R. – Sebbene non conosciamo distintamente questa meraviglia e non la intendiamo, tuttavia la fede con tutta facilità ce la fa mettere in pratica. Basta la fede; non occorre né vedere, né conoscere chiaramente. Non è forse vero che crediamo i misteri che la fede ci insegna, senza che li vediamo? Contentiamoci pertanto di sapere che la fede ci impone di fare le nostre azioni in Gesù Cristo e con Gesù Cristo. – La Chiesa ce lo dice ogni giorno nella santa Messa con queste parole: Ogni gloria sia resa a Dio Padre onnipotente, per Gesù Cristo, con Gesù Cristo e in Gesù Cristo; [Per ipsum, et cum ipso, et in ipso, est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria. – Can. Missæ]. Qui basta credere, senza voler comprendere.

D. – Qual è dunque il modo con cui io possa operare in Nostro Signore e con Nostro Signore; poiché, è questo un mezzo che dalla fede mi viene suggerito per operare cristianamente?

R. – Proporremo altrove un piccolo esercizio cristiano su la pratica della santificazione di tutte le azioni della giornata, con le varie intenzioni della mente e le disposizioni del cuore onde poterle fare cristianamente. [Viventes autem Deo in Christo Jesu Domino nostro. – Rom., VI, 11]. Qui mi contenterò di darvi in proposito una breve lezione che potrete applicare a ogni vostra azione. La perfezione consiste nel compiere tutte le operazioni nostre a gloria di Dio in Nostro Signore e con Nostro Signore; ed è appunto ciò che san Paolo chiama vivere a Dio in Gesù Cristo. Come abbiamo già detto, seguendo l’Apostolo, Gesù Cristo abita in noi per la fede, ma con una presenza attiva, vuole pertanto che usiamo della fede per ricorrere a Lui e unirci a Lui, onde far tutto in Lui e con Lui, e che non facciamo le nostre azioni in noi stessi e per noi stessi, perché tutto ciò che è in noi e non è di Gesù Cristo, non conduce punto a Dio. Le nostre intenzioni e i nostri pensieri, in forza della corruzione della nostra natura, tendono al peccato; perciò, se opereremo in noi, assecondando l’inclinazione dei nostri sentimenti, tenderemo al peccato. Donde si capisce con quale impegno, al principio delle nostre azioni, dobbiamo aver cura di rinunciare a tutti i nostri sentimenti, a tutti i nostri desideri, a tutti i nostri pensieri, a tutte le nostre inclinazioni per far nostri, come dice ancora san Paolo, i sentimenti e le intenzioni di Gesù Cristo: Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu. Abbiate in voi – dice l’Apostolo – i medesimi sentimenti di Gesù Cristo, [Phil. II, 5] per vivere nella perfetta pietà e religione verso Dio, nella perfetta giustizia verso il prossimo, nella perfetta santità verso di noi medesimi e nella sobrietà verso le creature.(Abnegantes impietatem et sæecularia desideria, ut sobrie, et juste, et pia vivamus in hoc sæculo. – Tit. II, 12). È questo pure l’insegnamento che il Figlio di Dio aveva dato ai suoi discepoli con queste parole: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum… et sequatur me. [Matth. XIV, 24]  Se uno vuole seguirmi per vivere cristianamente, rinunci a se stesso in tutte le sue azioni, e aderisca al mio spirito per compiere tutto nella virtù di questo spirito a gloria di Dio mio. Padre.

LEZIONE VII.

Applicazione della precedente dottrina all’orazione mentale.

D. – Vi pregherei di rendermi facile la pratica che mi avete suggerita nella precedente lezione, facendone l’applicazione a qualche azione della giornata.

R. – Volentieri applicherò alla pratica dell’orazione mentale quanto ho detto in queste due lezioni, dapprima per dare una completa soluzione alle difficoltà che riguardano questa pratica: e inoltre perché non si parla mai troppo dell’orazione, essendo questa l’azione più importante in tutta la vita del Cristiano. – La prima cosa che dobbiamo fare nell’incominciare l’orazione mentale (ossia meditazione) è di rinunciare a noi stessi e alle nostre proprie intenzioni.

D. – Ma perché rinunciare alle mie proprie intenzioni quando mi inetto a pregare? La preghiera non è forse un’opera buona?

R. – Tutto ciò che la creatura fa di per sé è pieno di amor proprio e di segreto orgoglio. Quante persone, per esempio, si danno alla preghiera per implorare da Dio la sanità, la vincita di un processo, beni materiali o onori? E tutto ciò bene spesso per godere le voluttà del mondo, per soddisfare alla loro ambizione, o magari per vendicarsi dei loro nemici. In tutto questo non c’è niente per Dio, e per il bene dell’anima; tutte queste intenzioni tendono al peccato e alla soddisfazione dell’amor proprio. È quindi assolutamente necessario rinunciare a noi stessi e alle intenzioni cattive che si incontrano anche nelle opere buone.

D. – Ma come dovrò fare?

R. – Nel dar principio all’orazione, mettendovi in ginocchio e coprendovi di confusione per la malizia del vostro interiore (dei vostri sentimenti), direte, seguendo il consiglio di Nostro Signor Gesù Cristo: « Mio Dio e mio Tutto, rinuncio a me stesso e alle inclinazioni peccaminose di cui sono ripieno; vedo bene che non posso pregarvi in me stesso, né da me stesso; detesto con tutto il cuore tutto quanto può dispiacervi in me. – « Per coprire la mia iniquità e la mia malizia e avere in qualche modo accesso presso la vostra divina Maestà, mi dono a Gesù Cristo, vostro Figlio, il quale abita in me ed è la preghiera e la lode di tutta la vostra Chiesa: Laus mea tu es. [1 Jer., XVII, 14]. – Il profeta Davide, con tali sentimenti e tali disposizioni, si abbandonava allo Spirito di Gesù, il quale regnava in Lui, affine di fare la sua preghiera in questo divino spirito, che gli era dato in anticipazione. Perciò diceva a Dio: Come il vostro nome, o Signore, così la vostra lode si estende sino ai confini della terra.[Secundum nomen tuum, Deus, sic et laus tua in fines terræ. – Ps., XLV1I, 11]. Orbene, questa lode non è altro che Gesù Cristo, il quale rappresenta e dice in se stesso tutto ciò che Dio suo Padre è, e gli rende una gloria uguale a Lui medesimo: secundum nomen tuum, ita et laus tua. Oh, quanto è felice il Cristiano, per avere nelle sue mani il mezzo di offrire a Dio una gloria a Lui eguale, la quale comprende pure tutte le lodi che a Lui sono dovute! – Il medesimo profeta, parlando altrove, nel suo linguaggio profetico e pieno di figure, della preghiera della Chiesa, descrive questa Chiesa come un carro che porta migliaia di Cristiani, i quali lodano Dio e si rallegrano nella sua presenza, e soggiunge che lo spirito di Nostro Signore Gesù Cristo sta in mezzo a loro per essere il loro cantico: Currus Dei decem millibus multiplex, milia lætantium; Dominus in eis in Sina in sancto.[Ps., LXVII, 18].Il medesimo Gesù che lo da in loro, trovasi pure nel seno di Dio, e nel santo Sacramento, dove rende alla divina Maestà ogni possibile omaggio di rispetto e di onore, e dove inoltre fa sua la preghiera della Chiesa, per implorare le grazie convenienti ai bisogni e alle necessità di ciascun fedele. [Questa dottrina non si applica soltanto all’orazione, ma pure a tutte le nostre opere soprannaturali].

LEZIONE VIII.

Il metodo dell’orazione mentale, ossia della meditazione.

D. – Dopo aver rinunciato, nel dar principio all’orazione, a me stesso; dopo aver purificato il mio cuore ed essermi unito in ispirito a Nostro Signore, che cosa debbo fare?

R. – Due cose, come ci insegna l’orazione domenicale; la prima è di adorare, lodare e glorificare Iddio; la seconda di raccomandargli le vostre necessità. Sono queste le due parti dell’Orazione mentale, la prima si chiama adorazione, la seconda, comunione.

D. – Perchè si incomincia con l’adorazione?

R. – Incominciamo con l’adorazione, dapprima perché dei due fini dell’orazione, il primo e il principale è quello di onorare e glorificare Iddio. Inoltre perché così suol fare la santa Chiesa, al principio delle sue pubbliche preghiere, dicendo: Venite, adoremus, et procidamus ante Deum; Venite adoriamo e prostriamoci davanti a Dio.

D. – E perché chiamate voi adorazione questa prima parte?

R. – Questa prima parte si chiama adorazione, perché nella Scrittura questo termine bene spesso viene usato per esprimere gli atti di religione; questa infatti è quella virtù cristiana che inclina l’anima ad annientarsi davanti a Dio, ad ammirare la sua grandezza, a lodarlo, a ringraziarlo, ad amarlo, in una parola a tributargli ogni sorta di omaggi, come dobbiamo fare in questa prima parte dell’orazione.

D. – Perché chiamate voi la seconda parte comunione?

R. – Perché in questa parte l’anima si dà a Dio per godere della partecipazione di ciò ch’Egli è e da cui vuole animarci. Orbene, la partecipazione e la comunicazione che Dio dà dei suoi doni e delle sue perfezioni si chiama propriamente comunione; così usano soprattutto i Padri Greci, perché Dio in tal modo ci comunica, ossia ci rende comuni le sue ricchezze. La partecipazione al Corpo di Gesù Cristo dicesi Comunione sacramentale, perché questo Sacramento rende comuni (tra l Lui e noi) i beni di Gesù Cristo e ci comunica i suoi doni più preziosi. La partecipazione che avviene nell’orazione si dice comunione spirituale, a motivo dei doni che Dio in quella ci comunica per la sola intima operazione del suo Spirito. – L’anima che ha coscienza di qualche operazione segreta nel suo cuore, deve tenersi in quiete e silenzio, per ricevere, in tutta la loro estensione, i doni e le comunicazioni di Dio; senza voler agire da se medesima, né fare sforzi che disturberebbero le operazioni pure e sante del divino Spirito di Dio. – Nell’adorazione infine v’è una terza parte che da taluni viene detta risoluzione, ma più propriamente può chiamarsi cooperazione, la quale è il frutto dell’orazione e si estende a tutta la giornata.

D. – Che cosa significa e in che consiste questa cooperazione?

R. – Nella seconda parte, l’anima ha eccitato in se stessa un perfetto desiderio di imitare Nostro Signore nel mistero o nella virtù che aveva adorato in Lui nella prima parte, e gli ha domandato con viva istanza di fargliene la grazia, tenendosi alla sua presenza come un povero mendicante, che non si stanca mai di tendere la mano verso chi può soccorrerlo. La terza parte invece consiste nel corrispondere e cooperare fedelmente alla grazia che l’anima avrà ricevuta, epperò consiste nei fare buoni proponimenti, prevedendo anche le occasioni di metterli in pratica che potranno capitare durante la giornata e abbandonandosi pienamente alla virtù dello Spirito di Nostro Signor Gesù Cristo per obbedirgli, non solamente nel giorno presente, ma sempre, sino alla morte.

D. – Qual differenza passa tra cooperazione e risoluzione?

R. – Sono bensì la stessa cosa; ma l’espressione cooperazione mette più espressamente in rilievo la virtù dello Spirito Santo, perché da Lui le opere buone dipendono molto più che dalla nostra volontà, la quale non sarebbe capace di niente quando non fosse mossa e corroborata dalla virtù dello Spirito Santo; il termine risoluzione, al contrario, si riferisce più espressamente alla determinazione della nostra volontà e sembra attribuire meno la virtù e all’efficacia del potere dello Spirito, al quale tuttavia dobbiamo pienamente abbandonarci, affinché in seguito Egli agisca in noi in ogni occasione, ci faccia ricordare i suoi e ci dia amore e forza per adempierli. In tal modo dobbiamo chiudere l’orazione con un abbandono totale di noi stessi allo Spirito Santo, il quale sarà la nostra luce, il nostro amore, e la nostra virtù.

LEZIONE IX.

Possiamo pregar Dio, sebbene non lo conosciamo perfettamente e benché non conosciamo neppure tutte le nostre necessità; Nostro Signore non è soltanto mediatore di redenzione, ma anche di religione.

D. – Sono ben persuaso che dobbiamo adorare e glorificare Dio nell’anima nostra; ma come potrò io glorificare il Signore, mentre non lo conosco? Ignoro anche ciò che debbo domandargli per il bene dell’anima mia.

R. – È vero che sono questi i motivi per i quali Nostro Signore volle farsi, Egli medesimo, la preghiera della sua Chiesa, in generale e la nostra preghiera in particolare. Gesù Cristo medesimo disse: Nessuno conosce il Padre fuorché il Figlio  [Neque Patrem quis novit, nisi Filius». – Matth.. XI, 27], e così si vede quanto sia esigua la cognizione che abbiamo di Dio. San Paolo d’altra parte dice pure: Quid oremus, sicut oportet nescimus; non possiamo conoscere ciò che è bene per noi e ciò che dobbiamo domandare. Inoltre manchiamo di forza e di virtù per domandare da noi stessi. Orbene, san Paolo ci insegna che lo Spirito di Gesù Cristo deve supplire alla nostra ignoranza e alla nostra debolezza.

Lo Spirito di Dio – dice l’Apostolo – sostenta la nostra debolezza, ma lo Spirito stesso sollecita per noi con gemiti inesprimibili. E Colui che è scrutatore dei cuori conosce quel che brama lo Spirito, mentre Egli sollecita secondo Dio per i santi. [Rom. VIII, 26-27]. Pertanto, non abbiamo che da unirci a questo divino Spirito di Gesù Cristo; e Nostro Signore, il quale vive in noi, supplirà a tutto ciò che ci manca, poiché appunto a questo fine viene ad abitare in noi.

D. – Ma e come possiamo unirci allo Spirito Santo di Gesù Cristo?

R. – Il santo Spirito di Gesù è in noi come Sposo dell’anima nostra, pertanto non aspetta se non i nostri desideri e la nostra volontà; abbandoniamoci dunque a Lui per pregare a mezzo suo e in Lui, ed Egli sarà la nostra preghiera. – Nostro Signore, in qualità di Mediatore di religione, è la preghiera pubblica per Sé e per tutta la Chiesa; ma la Chiesa non prega in Gesù Cristo, se non unendosi a Lui; e deve far questo nella grazia di Gesù Cristo, e donarsi al santo Spirito di Gesù come lo Spirito Santo di Gesù si dona a lei.[Rom. V, 5]. – Nello sposalizio spirituale, ci vuole un dono reciproco e un mutuo consenso degli spiriti; Gesù nell’anima, l’anima in Gesù, tutti e due fanno la preghiera, la quale è il frutto principale dell’alleanza del santo Spirito di Gesù con le anime nostre; sicché le nostre preghiere sono come i frutti (i figliuoli) di questo spirituale connubio. Che se voi mi chiedete a chi va attribuita la preghiera, vi dirò che va attribuita all’anima in Gesù e a Gesù nell’anima; volerne saper di più, sarebbe come pretendere di violare il segreto di Gesù Cristo in noi, e penetrare un mistero ch’Egli vuole tener nascosto, tanto come quello delle operazioni del Padre nel Figlio, e del Figlio nel Padre. Di chi sono le opere di Gesù? Del Padre o del Figlio? Esse sono operazioni del Padre e del Figlio, e Dio non vuole che la creatura vi cerchi distinzione; ci basti sapere che Gesù le compie nel Padre, e il Padre con Gesù e in Gesù.

D. Avete detto che Gesù Cristo è Mediatore di religione, cosa significa questa espressione?

R. – Ordinariamente si dice che Nostro Signore è il Mediatore della nostra redenzione, ed è vero, perché Egli per la nostra salvezza ha offerto il suo sangue al Padre per mezzo dello Spirito Santo, e ha dato la sua vita per la nostra vita, la quale non era capace di redimerci. In tal modo Gesù Cristo ha supplito per il nostro debito principale, soddisfacendo a Dio per i nostri peccati, con la sua morte, la quale sola poteva soddisfare alla giustizia di Dio. Ma ciò non bastava: noi eravamo inoltre debitori a Dio di una infinità di omaggi religiosi che eravamo incapaci di rendergli di per noi stessi, come adorarlo, amarlo, lodarlo e pregarlo secondo il suo merito e secondo il nostro dovere: Magnus Dominus et laudabilis nimis. [Ps., XCV, 4; XLVII, 2; CXLIV, 3]. Avevamo bisogno pertanto che il nostro grande Signore e Maestro, nella sua carità, ci servisse pure di supplemento per i nostri doveri e fosse anche il Mediatore della nostra religione. Per questo, Egli volle rivivere dopo la sua morte, ed essere sempre vivente ad interpellandum prò nobis, dice san Paolo, [Hebr., VII, 25], vale a dire per lodare e pregare il Padre suo in vece nostra e per supplire alla nostra incapacità, Gesù Cristo fece questo nella Legge antica; lo fa nella Chiesa, e lo farà anche nel Cielo: Jesus Christus heri, et hodie, ipse et in sæcula. [Hebr., XIII]. Gesù Cristo, dice l’Apostolo, era ieri, è oggi ancora e sarà in tutti i secoli.Con la parola ieri, san Paolo intende la Legge: Mille anni tamquam dies hesterna quæ præteriit [Ps., LXXXIX, 4]. I secoli della Legge sono come un giorno passato; oggi è il tempo della Chiesa su la terra; in tutti i secoli, ecco l’eternità, nella quale Gesù Cristo sarà il supplemento delle creature e il Mediatore della nostra religione.

LEZIONE X.

Schiarimenti su le difficoltà che gli muovono alla preghiera pubblica della Chiesa in lingua latina.

D. – Dall’istruzione precedente riconosco la necessità di corrispondere al desiderio di Gesù Cristo e di unirci a Lui, poiché Egli tanto lo desidera ed è in noi questo, non aspettando che il nostro senso e la nostra corrispondenza. Quanto saremo infelici se, sentendo nell’intimo del nostro cuore la carità che a Lui ci  attira, non l’assecondassimo e non vi rispondessi! Credo sia questa la ragione per la quale  certi Santi paventavano i giudizi di Dio, non tanto per i loro peccati, quanto per le loro infedeltà alle attrattive della grazia. Si ritenevano colpevoli di aver in tal modo contristato bene spesso lo Spirito Santo e di aver privato Dio di molta gloria alla quale aveva diritto e che lo Spirito Santo voleva che gli fosse resa in noi e per mezzo di noi. –Forse sarà pure per questo che santa Caterina da Siena si accusava come colpevole dei peccati di tutto il mondo, dicendo, che per le sue infedeltà alla grazia e per aver mancato di obbedire allo Spirito Santo, il quale spesso l’invitava alla lode e alla preghiera, ella aveva privato il mondo di molte grazie, perché lo Spirito Santo avrebbe operato in Lei, se avesse corrisposto, molti sentimenti e molti atti capaci di placare Iddio e di attirare sui peccatori la sua misericordia e quindi l’effusione delle sue grazie efficaci e trionfanti. Questi pensieri mi coprono di confusione, perché pur troppo ho molti motivi di domandare mille volte perdono al Signore le mie infedeltà; e vi prego d’implorare la sua misericordia a mio favore e di colmare la sua giustizia perché pavento i suoi giudizi.

R. – Lodo il Signore perché si degna di darvi sentimenti così cristiani e così conformi a quelli che largì ai suoi Santi,. Inoltre, per confermare ancora più in voi questa verità donde li avete tratti, cioè che Nostro Signore non è solo Mediatore di redenzione, ma anche Mediatore di religione, aggiungerò che ne abbiamo una bella figura nel Sommo Sacerdote dell’antica Legge, quando entrava nel Santo dei Santi, portando il sangue delle vittime immolate e un turibolo fumante. [Levit., XVI; Hebr., IX]. Questo turibolo rappresentava i figli della Chiesa nelle loro preghiere, essendo essi figurati dai granelli d’incenso che venivano consumati dal fuoco, come i nostri cuori cono consumati dall’amore e dalla carità di Gesù Cristo nostro consumatore. [Thuribulum est… cor hominis; ignis, caritas seu fervor devotionis. (Durand). – Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc., XII, 49). – Abbiamo qui la soluzione di una difficoltà che gli eretici muovono contro la preghiera pubblica della Chiesa, burlandosi del popolo e delle sante religiose, perché  cantano in latino, salmodiando, secondo loro, senza frutto, in una lingua che non intendono. Gli eretici s’ingannano, poiché l’anima che si accinge a pregare non ha altro da fare che unirsi a Gesù Cristo, il quale è la preghiera e la lode di tutta la Chiesa; talmente che, essendo l’anima unita a Nostro Signore e aderendo col cuore a tutta la lode e a tutte le domande ch’Egli presenta al Padre suo, la preghiera non è mai senza frutto; al contrario, essa pregando in tal modo fa molto maggior bene che se pregasse nel suo spirito proprio e volesse impicciarsi di adorare, amare, lodare e pregar Dio da sé e con i suoi propri atti. [Eresia ripetuta oggi dagli usurpanti modernisti apostati mercenari del “Novus Ordo” Vaticano II – ndr. -]. L’anima per tale unione con Gesù Cristo, diventa più vasta del mare, estesa come l’anima e lo Spirito di Gesù Cristo che prega nella Chiesa intera. Di tal genere è la preghiera che si pratica in Cielo, poiché vediamo nell’Apocalisse [Apoc. VII, 12] che i Santi non fanno altro che rispondere Amen alle preghiere dell’Agnello, ciò che esprime l’unione dei loro cuori con Gesù Cristo, il quale è la loro preghiera. – I Santi in Cielo, riconoscendo la loro incapacità di lodar Dio in se stessi, s’inabissano in Gesù Cristo per dire a Dio tutto ciò che Gesù Cristo gli dice e in pari tempo tutto ciò che la Chiesa dice in Lui. A questo pure ci invita il profeta Davide dove dice: Magnificate Dominum mecum et exaltemus nomen ejus in idipsum. [Ps., XXXIII, 4). Venite, magnificate con me il Signore, ed esaltiamo insieme il suo nome. – Dobbiamo dunque fare anche noi come i fanciulli della fornace di Babilonia, i quali lodavano, glorificavano, e benedicevano il Signore con un medesimo spirito, una medesima volontà e. un medesimo cuore [Ibi tres ex uno laudabant, et glorificabant et benedicebant Deum – Dan. III, 51] e con le medesime intenzioni e disposizioni dello Spirito di Gesù Cristo; poiché il quarto che apparve insieme con loro nel fuoco è detto: Simile al Figlio di Dio: Similis Filio Dei. [Dan. III, 92].

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CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (5)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (5)

PARTE SECONDA

LA PREGHIERA, MEZZO PRINCIPALE PER ACQUISTARE E CONSERVARE LO SPIRITO CRISTIANO

LEZIONE I.

La preghiera è il mezzo principale di progredire nella vita cristiana. Dobbiamo pregare con umiltà e confidenza.

D. – Dopo avermi spiegato in che consista lo spirito cristiano, vorrei che mi suggeriste qualche mezzo per acquistarlo e conservarlo.

R. – Uno dei mezzi principali e più efficaci per acquistare e conservare lo spirito cristiano è la preghiera; Nostro Signore, infatti, ci assicura che Dio nostro Padre darà lo spirito buono, vale a dire lo spirito cristiano, a coloro i quali glielo chiederanno. [Joann., XVII].

D. – Ma allora insegnatemi come debbo regolarmi nella preghiera.

R. – Perché la preghiera sia fatta bene, bisogna apportarvi disposizioni simili a quelle con le quali Nostro Signore pregava Egli medesimo e che insegnò ai suoi discepoli: dobbiamo rivolgerci all’Eterno Padre con tutta umiltà e confidenza, a imitazione di Gesù medesimo nelle sue belle preghiere che leggiamo nel Vangelo [Pater vester de cœlo dabit spiritum bonum petentibus. – Luc., XI, 13], e come ci insegna ancora nel Pater: umiltà e confidenza.

D. – Che intendete per l’umiltà?

R. – L’umiltà è dapprima un sentimento di confusione a motivo della nostra indegnità per i nostri peccati che indispongono il Signore: Non siete punto un Dio che ami l’iniquità, dice il Salmista, [Ps. V, 5] rivolgendosi a Dio: ricordiamo pure queste altre parole: Dio non esaudisce i peccatori. [Joan. IX, 31].L’umiltà, inoltre è quel sentimento di vergogna e di confusione che deve nascere dalla nostra incapacità di pregare. La preghiera è un atto soprannaturale di cui non siamo capaci senza la grazia.

D. – E allora come potremo pregare con fiducia?

R. – Dio vi ha provveduto; e voglio rivelarvi qui il segreto della nostra fiducia, il quale è oltremodo glorioso per Dio e utile alla Chiesa. – Dopo esserci fermati per un po’ di tempo nel sentimento di umiltà che abbiamo spiegato dobbiamo raccoglierci nello spirito di Gesù Cristo, il quale dimora nel cuore di tutti i figli della Chiesa per elevarli alla preghiera. San Paolo, infatti, dice: Avete ricevuto lo spirito di adozione in figliuoli, per il quale gridiamo: Abba, Padre, [Accepistis spiritimi adoptionis in filiorum, in quo clamamus: Abba (Pater). – Rom., VIII, 15], vale a dire che in questo Spirito noi preghiamo con fiducia; e ciò viene indicato, sia dal nome di Padre che è ripetuto due volte; Abba, Pater, sia dal grido col quale ci prendiamo la libertà di innalzare sino a Lui le nostre preghiere: Clamamus; tutte espressioni che indicano la fermezza della fiducia e la forza dello zelo con cui chiediamo a Dio, per la sua gloria, tutto quanto ci è necessario. Aggiungeremo pure ciò che il medesimo Apostolo dice in un altro luogo: Lo Spirito medesimo domanda per noi con gemiti inenarrabili. [Ipse Spiritus postulat prò nobis gemitibus inenarrabilibus. – Rom., VII, 26].

D. – Ma come mai si può dire che lo Spirito Santo pianga ed emetta gemiti inenarrabili?

R. – Queste parole contengono un mistero, come per altro sono misteriose tutte le parole della Scrittura. San Paolo vuol dire che quando si prega in unione con lo Spirito, si ottiene molto di più che con tutti i gemiti e tutte le lacrime immaginabili. Nostro Signore inoltre, il quale abita in noi e compie l’ufficio dello Spirito Santo: Fatto spirito vivificante, [Factus in spiritum vivificantem. – I Cor., XV, 45], viene chiamato da Davide, in ispirito profetico: Hostiam vociferationis, [Immolavi in tabernaculo ejus hostiam vociferationis – Ps., XXVI, 6; vale a dire una vittima accompagnata da grida di gioia. – Fillion], Ostia risonante, vociferante.

D. – Che significano queste parole Ostia vociferante?

R. – Il Profeta Davide con questa espressione fa allusione al gran rumore che facevano con le loro grida gli animali che venivano immolati nel Tempio; questi animali erano la figura di Gesù Cristo agonizzante su la croce e abitante nei nostri cuori. Orbene, è scritto che Nostro Signore pregò per noi con forti grida e con lacrime; [Preces supplicationesque cum clamore valido et lacrymis offerens. – Hebr., IV, 7). e questo indicava la tenerezza del suo amore per noi, e la forza e la virtù del suo zelo nelle sue preghiere.

D. – Gesù Cristo fa dunque così anche nei nostri cuori?

R.- Certamente; Gesù Cristo dovunque si trovi continua a pregare in questo modo, nei nostri cuori e nel santo Sacramento, come nel seno di Dio Padre; ed eccone la ragione: ciò che lo Spirito Santo incominciò una volta nel Cuore di Gesù, in quello lo continuò durante tutta la vita mortale del Redentore, e lo continuerà tutta l’eternità. Le operazioni di santità nel Cuore di Gesù sono eterne, come pure quelle che lo Spirito Santo compie nei Santi in Paradiso, – Il grande segreto del Cristianesimo e tutto il motivo della confidenza dei figli  di Dio consiste in questo, che Gesù Cristo – come dice San Paolo – per noi è ogni cosa [Omnia et in omnibus Christus. – Colos., III, 2— Omnia in ipso Constant. – Ibid., I , 17]; la nostra preghiera, la nostra umiltà, la nostra pazienza, la nostra carità, ecc. – Ecco adunque le disposizioni con le quali dobbiamo pregare, e l’ordine che dobbiamo tenere nelle nostre domande. Dobbiamo presentarci umilmente a Dio nostro Padre, il quale è sempre pieno di carità e ci dice per bocca del Profeta Geremia: Ti ho amato di un amore eterno.[In caritate perpetua dilexi te. – Jer., XXXI, 3]. Sebbene i nostri peccati ci rendano indegni di comparire davanti a Lui, se tuttavia ci uniremo a Gesù Cristo, la nostra indegnità sarà coperta (velata, nascosta) davanti al Padre, il quale sentirà il profumo delle vesti del Figlio suo primogenito, Gesù Cristo Nostro Signore. Gesù ci coprirà come le sembianze di Esaù coprivano Giacobbe davanti ad Isacco [Allusione alla storia di Giacobbe. – Gen. XXVII]. Pertanto, dopo esserci trattenuti per un po’ di tempo in sentimenti di umiltà, ci daremo a una unione intimissima con Gesù, identificandoci, per così dire, con Lui come con Colui che è la nostra preghiera e ci uniremo a Lui, come al nostro avvocato. [Semper vivens ad interpellandum pro nobis. – Hebr,. VII, 25; — Advocatum habemus apud Patrem, Jesum Christum justum. – I Joann., II, 1).Animati in tal modo dallo Spirito di Gesù, presenteremo a Dio tutti i nostri omaggi e gli domanderemo tutto ciò checi abbisogna. Insomma, per dir tutto in poche parole, ciò che ritengo come condizione principale per la preghiera, dopo l’umiltà e la contrizione dei nostri peccati, è di metterci a pregare animati da una confidenza e da una fede perfetta, appoggiati a queste parole di Nostro Signore: Ciò che chiederete al Padre mio in mio nome, Egli ve lo concederà. [Joan. XVI, 23]. Nostro Signore in cielo, come vediamo nell’Apocalisse, sta davanti al Padre suo come un Agnello in piedi che si presenta come morto; [Et ecce in medio throni … Agnum stantem tamquam occisum – Apoc. V, 6]; ciò significa che Egli sta sempre davanti al trono del Padre suo, rivestito delle armi della sua Passione, domandando per noi, in virtù dei suoi divini misteri, tutto quanto ci abbisogna dicendogli come Davide: Memento, Domine, David, et omnis mansuetudinis ejus: [Ps. CXXXI, 1) « Padre mio, ricordatevi di tutta la dolcezza e pazienza che ebbi nella mia morte: vi supplico, in nome di tutta la mia vita penitente, di aver compassione dei miei figli ».

LEZIONE II.

Altro motivo di confidenza per le nostre preghiere, desunto dalla intercessione dei Santi, i quali pregano per noi in Gesù Cristo e per mezzo di Gesù Cristo.

D. – Ditemi qualche cosa ancora per accrescere la mia fiducia in Gesù Cristo.

R. – Un altro motivo di confidenza per noi è l’intercessione dei Santi, i quali pregano per noi in Gesù Cristo. Tutto quanto Gesù Cristo domanda al Padre suo, tutti i Santi lo domandano con Lui; perciò nell’Apocalisse è scritto: Udii una voce dal Cielo, come rumor di molte acque; e la voce che udii era come di citaristi che suonino le loro cetre. [Audivi vocem de caelo tamquam vocem aquarum multarum…, et vocem quam audivi sicut citharædorum citharizantium in citharis suis. – Apoc, XIV, 2]. Per intendere queste parole è da sapere che le acque nella Scrittura significano i popoli, [Aquæ quas vidisti… populi sunt. – Apoc., XVII, 15]e che i Santi, nelle loro celesti armonie, sono paragonati a suonatori di arpa. Orbene, i Santi e i giusti sono come l’eco che ripete a Dio la voce di Gesù Cristo, del quale sono pieni; talmente che tutto quanto Gesù Cristo domanda nella sua preghiera, quando voi pregate con Lui e in Lui, tutta la Chiesa del Cielo e della terra lo domanda pure insieme con Lui. Pensate se non è questo un gran motivo di confidenza e con qual fede dovete pregare.

D. – Ma, se le preghiere dei Santi non sono che l’eco della preghiera di Nostro Signore, pare che basti ricorrere a Gesù Cristo senza raccomandarci ai Santi?

R. – No; la Chiesa vuole che cerchiamo Gesù Cristo nei suoi Santi, perché cercandolo nei Santi, come, per esempio, nella SS. Vergine, in san Giuseppe, in san Giovanni, in san Pietro, ecc., siamo ben più sicuri di trovarlo che non cercandolo immediatamente di per noi medesimi. – Quando invochiamo Nostro Signore per mezzo della sua Madre Santissima, che la Chiesa chiama nostra avvocata presso di Lui, siamo sicuri secondo san Bernardo, [Ad Patrem verebaris accedere… Jesum tibi dedit mediatorem… Sed forsitan et in ipso majestatem vereare divinam… Advocatum habere vis et ad ipsum? Ad Mariam recurre… Nec dubius dixerim, exaudietur ex ipso prò reverentia sua. Exaudiet utique Matrem Filius, et exaudiet Filium Pater… Filioli, hæc peccatorum scala, hæc mea maxima fiducia est, hæc tota ratio spei meæ.- Serm, in Nativ. D. Mariæ, de aquæductu, n. 7], che subito Ella si mette in preghiera per noi presso il Figlio suo. Gesù poi si ricorda del potere che le ha dato sopra di Se medesimo in qualità di Madre, potere che non le sarà mai tolto, perché la grazia e la gloria perfezionano la natura, né mai le tolgono i suoi diritti. La Vergine santissima, pertanto subito ottiene che Gesù Cristo si metta in preghiera per noi, eserciti la sua funzione di Avvocato a nostro favore, così ci ottiene ciò che non saremmo capaci di ottenere da noi medesimi. Siamo indegnissimi di avvicinarci a Gesù, ed Egli, nella sua giustizia ha diritto di respingerci, perché essendo entrato, dopo la sua santa Risurrezione in tutti i sentimenti del Padre suo, [Nunc per omnia Deus. – S. Ambr. De Fide resurrectionis, n. 91], ha le medesime disposizioni del Padre contro i peccatori. La difficoltà è di far sì che Gesù cambi la sua qualità di Giudice in quella di Avvocato intercessore a nostro favore, e da giudicante farlo supplicante; e questo lo ottengono tutti i Santi e particolarmente la santissima Vergine. Non avete voi sentito spesso queste parole di san Paolo: Chiunque mangia e beve indegnamente il corpo e il sangue di Nostro Signore, mangia e beve la propria condanna? [1 Cor. XI, 29]. Gesù Cristo infatti, nel Santo Sacramento è nello stato glorioso in cui trovasi dopo la Risurrezione; perciò sebbene sia quello un Sacramento di bontà e di misericordia, tuttavia Gesù Cristo vi esercita i suoi giudizi con le condanne, le quali non vi sono rare. [Mors est malis, vita bonis]. – Bisogna dunque ricorrere a un Sacramento che sia puramente di misericordia, dove Gesù Cristo non sia per nulla giudice, e questo sacramento è la santissima Vergine: [La parola Sacramento qui va presa in senso lato e generico, come mezzo di comunicazione della grazia. Il venerando Autore vede una bellissima analogia tra la Madre di Dio e il SS. Sacramento dell’Altare. Nell’Eucaristia è presente Gesù Cristo, il quale vi dimostra il suo amore, ma vi esercita anche la sua giustizia con la condanna di coloro che si accostano a riceverlo senza le dovute disposizioni: nella Santissima Vergine abita pure Gesù Cristo e per mezzo di Lei, come da un trono a Lui caro e prezioso, diffonde le sue grazie, ma tutte di misericordia; Maria infatti è madre di misericordia, ma non esercita l’ufficio di Giudice. L’Autore perciò la chiama Sacramento di pura misericordia, vale a dire che per mezzo di Lei Gesù Cristo esercita soltanto la sua misericordia. Cfr. S. Bernardo, Sermo in Signum magnum] per mezzo di Maria pertanto possiamo avvicinarci a Gesù con tutta confidenza. Se gli eretici avessero inteso in questo modo la preghiera dei Santi, non avrebbero mai avuto l’ardimento di condannarla. Andiamo dunque a Gesù Cristo dovunque Egli si trova, cioè nella santa Vergine e nei Santi; andiamo alla Vergine e ai Santi con viva fede, perché sappiamo che sono perfettamente accetti a Gesù; supplichiamoli che lo preghino di intercedere per noi presso il Padre suo. Così ogni Santo, farà che tutta la Chiesa e tutti i Santi preghino per mezzo di Gesù Cristo, il quale, commosso dalle loro suppliche, riempirà tutta la Chiesa del suo Spirito e della sua preghiera.

LEZIONE III.

Il santo Sacrificio della Messa è quel medesimo della Croce. Nostro Signore ha le medesime disposizioni su l’altare come nella sua morte in Croce.

D. – Vorrei pregarvi di spiegarmi meglio ciò che avete detto sopra, che lo Spirito Santo continua sempre a operare nell’anima di Gesù Cristo i sentimenti che  incominciò una volta a produrvi e che Nostro Signore sempre e dappertutto è animato da questi sentimenti, sia nel cuore dei fedeli, sia nel santissimo Sacramento, sia nel seno di Dio suo Padre. [Dominus in eis in Sina in sancto. – Ps., LXVII, 18; il Signore è negli spiriti celesti che formano la sua corte come era sul Sinai].

R. – Domanda importantissima questa, perché gli schiarimenti su questo punto serviranno meravigliosamente a sciogliere tre grandi difficoltà: la prima rispetto al santo Sacrificio dell’Altare, l’altra relativamente alla santa Comunione dei fedeli e la terza relativamente all’orazione mentale, o vocale. – Dapprima bisogna ricordare questa verità fondamentale, che Nostro Signore è il capolavoro di Dio suo Padre, perciò la Scrittura lo chiama: Opus Dei, l’opera di Dio per eccellenza. [Domine, opus tuum, in medio annorum vivifica illud. – Habac., III, 2). Così lo chiamavano i Patriarchi e i Profeti, i quali sospiravano continuamente la sua venuta; il grande Profeta Davide poi diceva che è l’opera di Dio tutta ripiena di gloria e di magnificenza.[Confessio et magnificentia opus ejus. – Ps., CX, 3]. L’opera per eccellenza di Dio è Gesù Cristo, il cui interiore [possiamo dire anche l’anima o meglio il cuore] è tutto omaggio e riconoscenza per la grandezza del Padre suo. Da solo Egli lo loda in una maniera più perfetta che tutta la Chiesa del Cielo e della terra, più che gli Angeli e i Santi tutti riuniti insieme. Confessio et magnificentia opus ejus. Nostro Signore, l’Opera eccellenza di Dio, nel suo Cuore non solo proclama le lodi del Padre suo, ma inoltre è il tesoro di tutta la bontà e magnificenza di Dio su la Chiesa; secondo le espressioni di S. Paolo, in Lui e per mezzo di Lui, il Padre ha diffuso sopra di noi le sue sante benedizioni: Benedixit nos in omni benedictione spirituali, in cælestibus, in Christo; [Ephes. I, 3] Ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale del Cielo, in Cristo. Così incominciamo a comprendere qualche cosa di Gesù Cristo e a riconoscere ch’Egli è il capolavoro di Dio, il perfetto Santuario dello Spirito Santo, pieno di tutta la religione immaginabile verso Dio suo Padre, e di tutta la possibile carità per la sua Chiesa. Orbene, questo fuoco che lo Spirito Santo ha una volta acceso (nel Cuore di Gesù) non si estingue più; e quel medesimo fervore interiore di cui era animato Nostro Signore su la Croce per sacrificarsi alla gloria di Dio suo Padre e per operare la nostra salvezza, rimane in Lui ancora nel santo Sacrificio dell’altare; e continuerà sino alla fine del mondo. In tal modo si dà una esauriente risposta alla difficoltà degli eretici, i quali pretendono che il Sacrificio dell’altare non sia che una memoria del Sacrificio della Croce, perché nella loro malizia intendono falsamente queste parole: Fate questo in mia memoria. È  da sapere che nel santo Sacrificio dell’Altare, come su la Croce, viene offerta la medesima ostia, poiché è presente il medesimo Gesù Cristo con le medesime disposizioni del suo Cuore; pertanto il santo Sacrificio dell’altare non è altro che il medesimo sacrificio della Croce che si continua sino alla fine dei secoli, benché sotto apparenze differenti. Su la Croce, infatti, si vedeva Gesù che versava il suo Sangue, effondeva lacrime, gridava ad alta voce, mentre su l’altare Egli rimane in silenzio, e la sua natura umana non compare in modo sensibile. Perciò, quando disse agli Apostoli: Fate questo in mia memoria, volle soltanto avvertirli che, nell’offrire in questo vero sacrificio dell’altare la sua Persona nascosta sotto i veli del pane, si ricordassero di quella carità ch’Egli visibilmente manifestò sul Calvario e su la Croce, e della sua religione verso il Padre suo, la quale venne da Lui resa manifesta agli occhi del mondo intero col suo Sacrificio. Orbene, dobbiamo sapere che in Nostro Signore non altrimenti che in tutti i Cristiani, che sono i suoi membri, il principale non è l’esterno delle opere che si vedono. Ciò che va maggiormente considerato è l’operazione secreta e interiore dello Spirito Santo, il quale è l’Autore e il principio di tutte le opere buone. Questa azione interiore dello Spirito Santo è quella in cui Dio maggiormente si compiace. E siccome l’augusto interiore di Gesù Cristo [Ossia il complesso dei sentimenti del Cuore di Gesù Cristo] è il medesimo su la Croce e sul santo altare, sotto i veli del pane (sull’altare), come sotto il velo della carne (su la Croce), è quello ancora che dobbiamo più di tutto considerare e onorare nel sacrificio di Nostro Signore che ebbe principio su la Croce e si continua sul santo Altare. – Perciò, quando ascoltiamo la santa Messa, dobbiamo richiamarci la memoria della Passione e Morte di Nostro Signore e ricordare le prove visibili del suo amore, che Egli ci diede sul Calvario e su la Croce, mentre il medesimo Signore si trova presente su l’altare, sempre pieno di carità per noi; e questo ci deve potentemente eccitare a servire un tal Signore e a tutto soffrire per suo amore.

LEZIONE IV.

Efficacia della santa Comunione anche per il bene e l’utilità altrui.

D. – Datemi qualche schiarimento su la seconda difficoltà, di cui mi avete detto,cioè rispetto alla santa Comunione.

R. – È questa una difficoltà che purtroppo si diffonde (dai giansenisti) e turba anime nella loro divozione alla frequente Comunione. Molte anime buone che Nostro Signore si compiace di ammettere alla Comunione del suo Corpo e del suo Sangue, spesso sono attirate a questo Sacramento dal desiderio di sollevare le anime del Purgatorio, ovvero di procurare sollievo alle infermità dei loro fratelli, o anche per implorare più efficacemente da Dio qualche grazia importante per se medesime o per il bene del prossimo e la santificazione della Chiesa. Tuttavia si trovano persone, le quali condannano tali intenzioni, dicendo: « Qual gran bene può mai esservi nella adorazione e nella fede dell’anima che si comunica? La Comunione come potrebbe dar sollievo alle anime del Purgatorio? Come potrebbe attirar benedizioni sopra tutta la Chiesa » ? – Una tale difficoltà proviene unicamente dall’ignoranza rispetto al valore e al merito immenso della santa Comunione dei fedeli. Orbene ricordate queste grandi parole di Gesù, le quali contengono un grande insegnamento: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e Io in lui. [Joan VI, 57]. Queste sono parole di gran conforto per tutta la Chiesa e per ogni fedele che si accosta alla Comunione. Spiegano benissimo le intenzioni principali di Nostro Signore nel suo convito nuziale, dove fa festa all’anima e la tratta come sua sposa, attestando che, nella santa Comunione, Egli fa sue tutte le intenzioni della sua sposa. Così pure l’anima da parte sua, fa sue tutte le intenzioni di Gesù Cristo suo Sposo. È questa la perfezione del mistico sposalizio di Nostro Signore con l’anima, per il quale Gesù Cristo si fa una cosa sola con l’anima, e fa che l’anima sia una cosa sola con Lui medesimo, come Egli è una cosa sola con il Padre suo, e come il Padre è una cosa sola con Lui. Pertanto quando l’anima si comunica al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo, da quel momento è partecipe di tutti i disegni e di tutte le intenzioni di Nostro Signore, inoltre dispone di Gesù Cristo come di cosa sua propria; talmente che, ricevendo la santa Comunione con l’intenzione di dar sollievo a qualche anima del Purgatorio, ovvero di attirare benedizioni su tutta la Chiesa, ha diritto, in virtù di quel santo e mistico sposalizio che si compie nella Comunione, di usare di tutte le preghiere, dello zelo, del fervore, dei meriti e dei patimenti di Gesù Cristo, per il compimento delle proprie intenzioni; ha il diritto e il potere di dare alle preghiere di Gesù Cristo quello scopo che le piace, e di fare che Gesù Cristo domandi tutto quanto essa vuole per il bene della Chiesa. In tal modo ciò ch’essa non avrebbe il coraggio di domandare di per sé medesima, non essendo degna di ottenere la minima cosa, tutto domanda e ottiene per mezzo di Gesù Cristo. – Osserviamo bene che Colui che prega nell’anima che si comunica, è Colui medesimo che, nei giorni della sua carne, fu esaudito dal Padre per la sua riverenza [Hebr. V, 7] e che ciò ch’Egli domanda su la terra, tanto come nel seno del Padre suo, Egli l’ottiene in considerazione delle grandezze della sua Persona e della sua natura divina, e per i meriti infiniti delle sue preghiere, dei suoi patimenti e delle sue lacrime ch’Egli sempre tiene presenti a Dio Padre. L’Apostolo, infatti, dice: apparet vultui Dei prò nobis. [Hebr. IX, 24] Egli si tiene presente agli occhi di Dio Padre per le nostre intenzioni; e in altro luogo: Semper vivens ad interpellandum prò nobis. [Hebr. VII, 25]. Egli èsempre vivente onde intercedere per noi.Gesù Cristo volle sopravvivere a se stesso come Isacco e vivere dopo la sua morte, e dopo il suo Sacrificio della Croce, onde intercedere sempre per noi e per tutte le nostre necessità. [Nell’istesso modo che Isacco, il quale era una bella figura di Gesù Cristo, sopravvisse al sacrificio, perché gli venne sostituita un’altra vittima, così in senso più vero, Gesù Cristo sopravvisse al suo Sacrificio perché  il Padre lo risuscitò]. – Il cuore dell’anima che si comunica, è un tempio, è un altare, è un’immagine del seno di Dio Padre; e in questo cuore, Gesù Cristo Nostro Signore si offre a Dio come sul Calvario, e continua gli atti e le preghiere che faceva mentre moriva e con i medesimi sentimenti.

LEZIONE V.

Nostro Signore dimora in noi, perciò possiamo ad ogni tempo comunicarci spiritualmente a Lui.

D. – E’ dunque una gran cosa la santa Comunione! Portare in se Nostro Signor Gesù Cristo pieno della divinità del Padre suo e di tutti i tesori della sapienza e della  scienza divina, quale ricchezza immensa!

R. – Verissimo, e per questo san Paolo dice che in vasi di creta portiamo grandi tesori. [Habemus thesaumm in vasis fictilibus. – II Cor., IV, 7). È questo, come dice ancora l’Apostolo, quell’eccesso di carità col quale Dio volle manifestare l’abbondanza della ricchezza della sua grazia col darci il Figlio suo, che è il carattere della sua sostanza e lo splendore della sua gloria e della sua bellezza [Propter nimiam charitatem, qua dilexit nos… Ut ostenderet in sæculis supervenientibus abundantes divitias gratiæ suæ, in bonitate super nos, in Christo Jesu. – Eph., II, 4-7- . — Splendor gloriæ, et figura substantiæ ejus. – Hebr., I, 3), l’ammirabile Ostia di lode (che abbiamo nel santo Sacramento), la sorgente della vita divina e di tutto il merito della Chiesa. – Ma v’è un altro mistero che deve accrescere ancora il nostro amore verso Dio, ed è l’amore con cui Egli ci ha dato il Figlio suo perché dimori in noi, non solamente nel tempo in cui riceviamo, con la santa Comunione, il suo Corpo e il suo Sangue, ma pure in tutti i momenti della nostra vita. Quanti Cristiani ignorano queste meraviglie!

D. – Ma che dite mai? Gesù Cristo abita in noi, in altro modo che nella santa Comunione?

R. – Sì; la spiegazione di questa verità servirà di fondamento per sciogliere la terza difficoltà, di cui ho detto sopra, e che riguarda l’orazione. Che nostro Signore dimori in noi in altra maniera che per la santa Comunione, non è una mia opinione, lo insegna chiaramente san Paolo con queste parole: Christum habitare per fidem in cordibus vestris [Eph., III, 17], Cristo per la fede abita in noi. Gesù Cristo abita nelle anime nostre, operandovi la vita divina, la quale è tutta compresa sotto il nome di fede. Egli abita in noi non solamente per la sua immensità come Verbo, per darci la vita umana e compiere le opere naturali; ma inoltre come Cristo per la sua grazia, onde renderci partecipi della sua unzione e della sua vita divina.

D. – Allora, possiamo partecipare spesso alla grazia di Nostro Signore Gesù Cristo? Ma, se noi portiamo sempre Gesù Cristo in noi, e possiamo a nostro piacimento partecipare alla sua grazia, allora non vi dovrebbe più essere bisogno di riceverlo sacramentalmente?

R. – Questa sarebbe una conclusione sbagliata. Quantunque Nostro Signore abiti nei nostri cuori per diffondervi ad ogni momento le grazie della sua vita divina, questo non ci dispensa dall’accostarci al santo Sacramento, perché la santa Comunione ci dà grazie speciali e abbondanti assai più di quelle che riceviamo fuori di questo Sacramento per la comunione soltanto spirituale. Nel Sacramento le grazie ci vengono date secondo la misura della somma carità di Dio, i cui tesori sono infiniti; quelle invece che riceviamo quotidianamente per l’orazione e per i sospiri del nostro cuore, ci vengono date secondo che rinunciamo a noi stessi e a tutti gli intimi desideri della natura; e inoltre l’effetto dipende ancora dai sentimenti di fede, di carità, di umiltà e di altre particolari disposizioni; orbene siccome queste disposizioni troppo spesso sono guaste dalle infedeltà della creatura, le comunicazioni di Gesù Cristo e le comunioni alla sua vita interiore sono molto rare e molto deboli. La creatura guasta tutto e impedisce l’effettuazione dei grandi disegni di Dio sopra di noi. Oh, quanto desidererei che i Cristiani conoscessero la loro felicità, sapendo che possiedono in se stessi quel prezioso tesoro che è Gesù, nel quale e col quale possono compiere tante cose a gloria di Dio! – Riflettiamo dunque con una continua attenzione a questa grande verità, che Gesù Cristo è presente in noi per santificarci, sia in noi medesimi, sia in tutte le opere nostre, e per riempire di Lui stesso tutte le nostre facoltà. Gesù Cristo vuole essere la luce della nostra mente, l’amore e il fervore del nostro cuore, la forza e la virtù di ogni nostra facoltà, affinché in Lui possiamo conoscere, amare Dio suo Padre, adempiere la volontà di Lui, sia per far tutto in onore di Lui, sia per soffrire e sopportare ogni cosa per la sua gloria.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/11/21/catechismo-cristiano-per-la-vita-interiore-di-j-j-olier-6/

LO SCUDO DELLA FEDE (86)

LO SCUDO DELLA FEDE (86)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA

CAPITOLO IX

PRIMA CAUTELA PER NON PERDER LA S. FEDE: BANDIRE L’IGNORANZA.

Chi possiede un tesoro prezioso non si contenta che non gli venga rapito, ma fa quanto può perché non gli sia neppure insidiato. E così dovrebbero fare i Cattolici rispetto al dono mai non abbastanza pregiato della S. Fede. Epperciò se vi è cautela possibile ad adoperarsi a questo fine, non dovrebbero trascurarla. Il perché  io ve ne suggerirò qui alcune efficacissime a mio credere allo scopo. – La prima è sbandire dalla vostra mente l’ignoranza. Imperocché è osservazione fatta da vari autori, che fino dai primi tempi di Santa Chiesa tutti quelli che più conobbero la S. nostra Religione, che più la penetrarono, furono anche quelli che vi si attennero più strettamente, che più l’amarono e più ferventemente la praticarono. Il che mentre è una prova novella della sua verità, indica pure il modo con cui mantenerla nel nostro cuore. Di fatto chi conobbe a fondo la Religione più di S. Giustino, di S. Cipriano, di S. Epifanio, di S. Agostino, di S. Giovanni Grisostomo, di S. Gregorio, di S. Atanasio, di S. Tommaso e di tutti i Padri e Dottori della S. Chiesa, i quali tanto la meditarono e tanto di lei scrissero? Or tutti questi appunto perché la conoscevano così a fondo, tanto ancora l’ebbero in pregio ed amore. Se però ai nostri giorni tanti la trascurano, la disprezzano fino ad essere tentati di abbandonarla, qual ne sarà la cagione? Ah molte volte è che al tutto non la conoscono, oppure la travisano, tingendosela quello che non è. Io ben più d’una volta mi sono incontrato in alcuni che riprendevano altamente alcune dottrine che essi dicevano insegnate iniquamente dalla Chiesa: ma facendo poi loro toccare con mano, che la Chiesa non le aveva neppure mai sognate, restavano a guisa di smemorati. Certo se tutti costoro conoscessero la Religione, non bestemmierebbero, come dice S. Giacomo, quello che ignorano. – Saprebbero che la Chiesa Cattolica è divina nella sua fondazione, è divina nella sua propagazione, è divina nella sua conservazione: che nelle verità che ci propone a credere, nei dommi, nei misteri essa contiene tanta sublimità di cognizioni, tanta profondità, tanta armonia e conserto che chi una volta la ha anche per poco intravveduta, non può non andarne in estasi di ammirazione. La sua dottrina poi riguardo ai costumi è così pura, cosi immacolata, che tutti i suoi nemici, per quanto il vogliano, non possono appuntarla in nulla. Non vi dico del suo culto il quale risponde con tanta giustezza alla maestà del Signore non meno che alle nostre debolezze e meschinità. Non vi dico nulla dei suoi riti e delle sue cerimonie le quali sonopiene di misteri così profondi e di allusioni così sante che al tutto sono uno stupore. Non vi parlo neppure della sua costituzione ammirabilissima, della Gerarchia dei sacri pastori, della certezza che ha delle sue dottrine, dei tesori che possiede nei suoi Sacramenti, del congiungere che essa fa insieme la misericordia e la giustizia, la maestà di Dio e la miseria dell’uomo, il cielo colla terra, la nostra felicità spirituale ed eterna con quei beni temporali che è possibile godere quaggiù. Ma chi è tra i semplici Fedeli, che ponga mente a tante profondità sublimi, a tanti doni interiori, a tanti beni superni di grazia, sì che se ne formi in mente un concetto chiaro, e così dia conto a sé stesso di quel che crede, di quel che spera e di quel che ama? – Bisognerebbe conoscere quanto saldamente sia fondata la Chiesa Cattolica, come si appoggi sulle Sacre Scritture, come sulla Tradizione e come le prestino il suffragio suo la ragione coi discorsi, i sapienti con l’autorità. Bisognerebbe conoscere quanto al contrario siano luride tutte le sette divise dalla Chiesa Cattolica. – L’origine schifosa che esse ebbero, come incapparono tosto in ogni sorta di contraddizioni, come si divisero, lacerarono, sbranarono, scomunicarono fra di sé: che non hanno nulla di certo, nulla di vero, nulla di sodo nelle loro credenze: come sono abbandonate da tutte le grazie più preziose di Dio, dalla sua protezione, dai suoi doni anche esterni di santità quali sono le profezie, i miracoli, le guarigioni degl’infermi, l’interpretazione della Scrittura e andate dicendo. – Bisognerebbe conoscere sopra qual debole fondamento sta appoggiato tutto l’edifizio del Protestantismo e quanto è facile il dissolvere tutti i sofismi onde si arma e mantiene. – Con tutte queste cognizioni il Cattolico sarebbe così illuminato interiormente e così fortificato, che al sentirsi mettere in questione la sua Fede ne proverebbe orrore ed indignazione. Invece che cosa fa il più dei Cristiani, che cosa fate voi? I più ignorano affatto tutte queste verità. non le hanno mai neppur sospettate. Della Religione, se ne togliete quelle cognizioni scarse. Imperfette, superficiali clic ne hanno avuto nell’infanzia, non ne sanno altro. Dite la verità, non è questo il vostro caso? E qual meraviglia poi che ad ogni leggera difficoltà che vi muovano non sappiate più che rispondere, e che giungiate talvolta fino a credere che la Religione Cattolica non abbia risposta da dare alle costoro difficoltà? Ah se volete essere più saldo, più fermo nella vostra Fede, procurate di conoscerla un po’ meglio. – Non vi vergognate d’intervenire alla Chiesa, di ascoltare la spiegazione della Dottrina e del S. Vangelo, ed invece di leggere quei libracci che vi mettono di soppiatto nelle mani, procurate un qualche libro di soda pietà, per ammaestramento del vostro spirito e pascolo del vostro cuore. Quello che talvolta cagiona maggiore scandalo ai popoli della campagna è che a sparlare della Religione Cattolica siano an che alcuni che vengono dalla città e che hanno fama di dotti, perché sono stati agli studi. Miei cari, volete che io vi parli con sincerità? Ascoltate. Non tutti quelli che vengono a villeggiare presso di voi dalla città, sono molto più dotti di voi in fatto di Religione. Ve ne ha certamente di quelli che sanno più, ma questi tanto non disprezzano la Religione, che anzi l’hanno a cuore e per sé e pei loro dipendenti. Questi si sforzano anzi di aprire delle Cappelle e di mantenere le Chiese acciocché tutti abbiano comodità di giovarsene. Ma se ve ne ha di questi, ve ne sono poi molti altri che hanno il capo scarico ed il cervello vuoto ed il cuore guasto non si può dir quanto, che non hanno studiata la Religione punto più di voi: signori discoli ed irreligiosi, i quali pare che non siano sulla terra se non se all’alto fine di divertirsi e cercare gli spassi ed i sollazzi perfino nelle cloache: giovani leggeri e pieni d’ogni bruttura, che per levarsi un capriccio vituperoso rinnegherebbero e Padre e Principe e con tutta la terra ancor tutto il cielo. Saranno stati se volete alcuni di loro anche alle Università, avranno imparato a tastare il polso, a trarre sangue, ad impastare un cerotto, a trappolare un cliente, ma poi fuori di queste cose che hanno studiate il più delle volte poco e male, il tempo loro l’hanno logorato nei caffè, nei bagordi, nelle bestemmie, nel giuoco, nei teatri ed in qualche altra cosa più vituperosa ancora: ed in fatto di Religione sono ignoranti al pari di voi, se non anche peggio di voi; in quanto alla ignoranza aggiungono l’errore che hanno bevuto in mille libracci infami ed irreligiosi. Non vi fate dunque le meraviglie, che costoro parlino così, non toglietene scandalo, quasi son persone dotte che sparlino della Religione, perché son tutt’altro che dotte. Così avessero la vera dottrina, così conoscessero a fondo la Religione, che non potrebbero fare altro che quello che hanno fatto sempre i veri dotti, che fu il rispettare, amare e praticare la S. Religione Cattolica. Il celebre Laharpe fu sulle prime un empio, un incredulo, e peggio che Protestante; più tardi si convertì e divenne zelantissimo della S. Chiesa Cattolica. Perciò un empio che era stato suo antico compagno, tolse un giorno a burlarlo. Ma egli rispose queste sentite parole: Anch’io sventuratamente beffai un tempo la Religione, ma l’ho studiata poi, l’ho conosciuta e non posso più non amarla. Studiatela anche voi e vedrete se avrete poi il coraggio di deriderla e la forza di resisterle. Sia dunque la prima cautela di nostra Fede, la cognizione di essa.

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (4)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (4)

A cura del Sacerdote Maurilio Andreolotti

III edizione

EDITRICE ÀNCORA –MILANO

Visto: nulla osta per la ristampa

Genova, 21 maggio 1945. On. MARIO CARPANETO, Revis. Eccles.

IMPRIMATUR

Genuæ, die 25 V 1945. STEPHANUS FULLE, P. V

Proprietà Riservata – Editrice Ancora – Milano E. A. (Ge) R. n. 29 – 1 – 1944J

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (4)

LEZIONE XIX.

Dovere per noi in seguito al peccato, di sopportare la povertà, la quale è il terzo ramo della Croce.

D. – Le umiliazioni e le sofferenze, sono dunque le due prime parti della Croce che dobbiamo portare. Ma qual è la terza parte?

R. – È la povertà, terzo ramo del crocifisso e della croce dei Cristiani; e questa non è meno dolorosa delle umiliazioni e dei patimenti. È cosa facile comprendere che, in seguito al peccato, siamo obbligati a subire la povertà nel modo più stretto che si possa concepire. Lo impariamo anche dalle leggi della giustizia umana contro i delinquenti; perché essa non fa niente di giusto se non per partecipazione della giustizia di Dio medesimo, che contiene in sé ogni giustizia.

D. – Che cosa fa dunque la giustizia umana?

R. – Quando un uomo è stato convinto del delitto di lesa maestà, viene privato di tutti i suoi beni; le sue case sono rase; egli è spogliato di tutti i suoi diritti nello Stato, anzi ne viene spogliata anche tutta la sua famiglia, tutta la sua discendenza. Così Dio trattò il nostro primo padre e, dopo lui, tutta la di lui discendenza. In primo luogo, scacciò Adamo da quella dimora, da quel luogo di delizie che era il paradiso terrestre, il quale venne come spianato, distrutto per lui e per tutti i suoi figliuoli. In secondo luogo Dio spodestò Adamo dell’impero del mondo, lo spogliò di ogni diritto e lo ridusse a una schiavitù oltremodo infelice.

D. – E perché Dio toglie i suoi beni al peccatore?

R. – Perché non è giusto che un servo ribelle, goda dei beni del suo padrone; è giusto invece che il padrone gli tolga questi suoi beni, che lo scacci dalla sua casa, che non gli permetta più di sedere a mensa in sua compagnia; così è giustissimo che Dio tolga ai suoi nemici i beni che sono suoi e di cui ordinariamente essi non si servono se non per offenderlo.

D. – Ma allora, perché si vedono i peccatori usare ogni giorno dei beni di Dio? Perché Dio li lascia vivere con tutti i loro modi e magari nell’abbondanza di ogni cosa?

R. – Perché Iddio in questo mondo non esercita sopra di loro la sua giustizia, ma si riserva di castigarli nell’altro. Il più ricco degli uomini di quaggiù, nell’altra vita non avrà neppure una goccia d’acqua per rinfrescarsi la lingua, come disse Nostro Signore; [Luc. XIV, 24] allora i peccatori saranno così miserabili e indigenti che saranno spogli di tutto, saranno persino privi dell’uso delle loro facoltà naturali per l’eccesso dei tormenti e per la sottrazione dell’aiuto di Dio, il quale non li assisterà più nell’esercizio delle loro facoltà se non perché sentano più vivamente i loro supplizi.

D. – Sono dunque ben miserabili i demoni e i reprobi?

R. – Dio solo può conoscere la loro miria, non la comprendono essi medesimi, perché la loro pena eccede ogni pensiero, né lascia loro neppur un momento di tregua, per potervi pensare seriamente. Non fanno altro che urlare senza posa per la rabbia e la disperazione. Orbene, i peccatori, secondo l’ordine della giustizia di Dio, dovrebbero fin da questa vita avere la medesima sorte e pertanto essere poveri e spogli di tutto come i demoni i quali si ritengono troppo felici di poter impossessarsi di un capello o di un fuscellino, come si vede nelle ossessioni e nei malefizi. – I peccatori dovrebbero fin d’ora essere privi di tutte le facoltà corporali e spirituali, e spogli di ogni dono di Dio.

D. – Perché non subiscono tali privazioni?

R. – Perché Gesù Cristo ha fatto acquisto a loro favore dei diritti che avevano perduto; gli uomini non hanno nessun godimento se non per i meriti di Gesù Cristo; non godono nessun bene corporale o spirituale se non per pura misericordia di Dio e di Gesù Cristo. [Da Gesù Cristo tutto abbiamo, anche i beni naturali, perché, in virtù dei suoi meriti, potessimo diventare suoi membri, Dio ci ha conservato tali beni dopo il peccato di Adamo]. – Nostro Signore, infatti, mosso a compassione per gli uomini, venne su la terra a rivestirsi Egli medesimo della loro miseria e così, con la sua povertà, soddisfece a quella che tutti gli uomini avrebbero dovuto subire. Unicamente per i meriti e l’opera di Gesù Cristo, noi abbiamo l’uso delle nostre facoltà: luce nella nostra mente, attività nella nostra volontà, mentre per il nostro peccato in Adamo, avremmo dovuto perdere tutto. Ma in Gesù Cristo abbiamo ricuperato ciò che avevamo perduto, anzi abbiamo ricevuto grazie e beni più abbondanti assai di quelli che il peccato ci aveva tolto. Così per il merito di Gesù Cristo, ove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. (Ubi autem abundavit delictum, superabundavit gratiam. – Rom., V, 20).  Perciò la Chiesa canta: Felice quella colpa che ci ha procurato tale e sì grande Redentore! « felix culpa, quæ talem ac tantum meruit habere redemptorem! » (Bened. del Cereo pasquale).

LEZIONE XX.

Della grazia che viene operata nell’anima dai misteri di Gesù Cristo, ai quali dobbiamo partecipare – Del santo mistero dell’Incarnazione.

D. – Per essere perfetto Cristiano, basta avere le disposizioni che mi avete spiegate finora?

R. – No, i Cristiani, per essere veramente tali, devono inoltre partecipare a tutti i misteri di Gesù Cristo [Tutto lo scopo di questo Catechismo consiste nel indurre l’anima cristiana, per gradi, alla più alta perfezione cui si possa giungere su questa terra. Perciò, il Servo di Dio, dopo aver, per cosi dire, sgombrato il terreno con la pratica dell’abnegazione secondo l’insegnamento di Nostro Signore e di san Paolo, con la rinuncia all’amor proprio e alla sensualità, in questi ultimi capitoli della prima parte, introduce l’anima nella partecipazione dei misteri di Gesù Cristo dall’Incarnazione sino all’Ascensione, per elevarla sino alla via unitiva] i quali si compirono in Lui espressamente perché fossero sorgenti, nella Chiesa, di grazie abbondanti e particolarissime. Ogni mistero, infatti, acquistò a favore della Chiesa la grazia santificante e una grande varietà di stati e di grazie particolari che Dio diffonde nelle anime purificate, quando a Lui piace, ma più ordinariamente nel tempo in cui la Chiesa solennizza tali misteri. [Il Servo di Dio insegna, seguendo San Paolo, che i Cristiani sono destinati non solo ad essere membri di Gesù Cristo e a partecipare alla sua vita, ma inoltre ad essere copie viventi dei suoi vari misteri; e siccome gli aspetti di questi misteri sono innumerabili, ogni Cristiano è destinato a vivere della grazia speciale di qualcuno di quelli. Ognuno pertanto deve cercare di scoprire i disegni di Dio su l’anima propria, riconoscere qual è il mistero al quale è consacrato e adorarlo, incominciando a fare quaggiù ciò che dovrà poi fare nell’eternità; dovrà inoltre esprimere questo mistero nella sua vita, praticando la virtù che vi è contenuta, imitando Gesù e aver sempre su le labbra quel mistero e quella virtù. Cfr.: Olier, Fiori di dottrina, Editrice Àncora, 1935].

D. – Quanti sono i misteri principali ai quali può l’anima partecipare?

R. – L’anima cristiana può e deve generalmente partecipare a tutti i misteri della vita di Gesù Cristo, ma i principali sono sei: l’Incarnazione, la Crocifissione, la Morte, la Sepoltura, la Risurrezione e l’Ascensione.

D. – Quale grazia opera in noi il mistero dell’Incarnazione?

R. – Questo mistero opera in noi una grazia di annientamento di ogni proprio interesse e di ogni amor proprio.

D. – Che significano queste parole: annientamento di ogni amor proprio?

R. – Ve lo spiego. Per il mistero dell’Incarnazione la santa Umanità di Nostro Signore venne annientata nella propria Persona, [Vale a dire privata della personalità umana], dimodoché non cercava più se medesima, non aveva più interesse particolare, non agiva più per sé, poiché aveva in sé un’altra persona sostituita alla persona umana, cioè, la Persona del Figlio di Dio, la quale non cercava se non l’interesse del Padre suo, ch’Egli unicamente considerava sempre e in ogni cosa. Parimenti, noi pure dobbiamo essere annientati rispetto a tutti i nostri disegni e interessi, per considerare unicamente i disegni e gli interessi di Gesù Cristo, il quale dimora in noi, affinché viva in noi per il Padre suo. Sicut misit me vivens Pater, ego vivo propter Patrem; et qui manducat me et ipse vivet propter me. [Come mandò me quel Padre che vive, e Io vivo per il Padre: cosi chi mangerà me, vivrà anch’egli per me – Joann., VI, 58]. Come se dicesse « Come il Padre mio, quando mi inviò su la terra, tagliò in me ogni radice di ricerca di me stesso, togliendomi la personalità umana e sostituendovi la personalità divina col suo Spirito, affinché io vivessi per Lui; così, quando vi ciberete di me, vivrete voi pure unicamente per me e non più per voi, perché Io sarò vivente in voi e riempirò l’anima vostra dei miei desideri e della mia vita, la quale consumerà e annienterà in voi tutto quanto è proprio di voi; talmente che Io vivrò e desidererò tutto in voi in luogo vostro. Così, annientati in voi medesimi, sarete perfettamente rivestiti di me ». È questa appunto una seconda grazia del mistero dell’Incarnazione. Questo mistero, infatti, opera in noi uno spogliamento intero di tutto l’essere nostro e una completa rinuncia a noi stessi: Abneget semetipsum; ma insieme ci riveste di Nostro Signore per mezzo di una completa consacrazione a Dio, in quella guisa che nostro Signore nel giorno della sua Incarnazione si offrì e si consacrò tutto al Padre suo, in se stesso e in tutte le sue membra, usando fino d’allora nel suo Spirito di tutte le occasioni ch’Egli e le sue membra avrebbero avuto per servire e glorificare Iddio.

D. – Qual mistero ammirabile è mai questo!

R. – Sì; nel santissimo giorno della sua Incarnazione, Nostro Signore Gesù Cristo offrì a Dio suo Padre non solo la propria vita ma anche quella di tutti i membri del suo futuro Corpo mistico [Gesù abbracciò in una sola offerta tutti i particolari della propria vita e tutte le azioni soprannaturali delle membra del suo Corpo mistico]. – Egli continua sempre questa offerta, perché vive sempre nelle medesime disposizioni che ebbe durante tutta la sua vita mortale, né mai la interrompe. Egli si offre dunque sempre a Dio in se medesimo e in tutti i suoi membri, in tutte le occasioni ch’essi abbiano di servirlo, onorarlo e glorificarlo. Nostro Signore, nella sua divina Persona, è un altare sul quale tutti gli uomini di tutti i tempi vengono offerti a Dio con tutte le loro azioni e sofferenze. È questo l’altare d’oro sul quale si consuma ogni sacrificio perfetto: la natura umana di Gesù Cristo e quella di tutti i fedeli ne sono l’ostia; lo Spirito Santo ne è il fuoco; Dio Padre è Colui al quale viene offerto questo sacrificio e che in quello viene adorato in spirito e in verità.

LEZIONE XXI.

Del mistero della Crocifissione e della sua grazia.

D. – E il mistero della Crocifissione quale grazia opera in noi?

R. – Ci dà la grazia e la forza di crocifiggere tutte le nostre membra [Vale a dire tutti i nostri vizi; questa parola del Servo di Dio, come nel testo di san Paolo citato più sotto, è una metafora molto espressiva. I vizi sono rappresentati come membra del corpo carnale ossia della carne di cui si deve distruggere l’impero], per la virtù dello Spirito di Dio, il quale è come il nostro carnefice e l’esecutore della sentenza di condanna pronunciata contro la carne. I Chiodi ch’Egli adopera sono le virtù che affiggono alla croce il nostro amor proprio e i nostri desideri carnali. Questo stato di crocifissione suppone che l’anima sia vivente in se stessa e combatta tuttora, e che il divino Spirito usi la violenza e la forza per mortificare il corpo e crocifiggerlo. Mortificate le vostre membra che sono su la terra, dice S. Paolo. [Mortificate ergo membra vestra quæ sunt super terram. – Coloss., III, 5]. In un tale stato pertanto, la carne resiste allo spirito; spesso anzi da queste lotte risultano agonie nelle quali si suda e si soffre con pene gravissime.

D. – Che cosa bisogna fare quando in noi sorgono desideri così molesti?

R. – Bisogna rivolgerci allo Spirito, pregandolo di voler usare della sua potenza per domare la nostra carne e fare in noi da padrone; cheda parte nostra rinunciamo a tutti i nostri desideri e ci uniamo a Lui per lottare contro noi stessi nella sua virtù, per annientarci e confonderci per distruggere in noi, per quanto possiamo tutte queste ribellioni, trattando noi medesimi come un’ostia che Dio si compiace di vedere immolata alla sua giustizia.

LEZIONE XXII.

Del mistero della Morte e dello stato di morte ch’esso opera in noi.

D. – In che modo possiamo noi partecipare al mistero della Morte di Nostro Signore?

R. – Con la partecipazione alla grazia e allo stato di morte, che Gesù ci ha meritata con questo mistero.

D. – Ma che cosa è questo stato di morte?

R. – E’ uno stato nel quale il cuore è come morto e, nel suo intimo fondo, insensibile ai beni esterni; il mondo gli presenti pure le sue bellezze, gli onori e le ricchezze sarà come presentarle a un morto, il quale, non avendo più né moto, né desideri, non si commuove per nulla. Il Cristiano nello stato di morte interiore è interiormente irremovibile e insensibile a qualsiasi lusinga dei sensi e a qualunque assalto della malignità del mondo; finché si troverà in questa vita potrà essere agitato all’esterno, al di fuori, ma nell’interno sarà sempre in pace, insensibile a tutto, non farà più caso di nulla, considerando tutto come niente, perché è morto in Gesù Cristo Nostro Signore. [Mortui enim estis – Coloss., III, 3]. – Un cadavere può essere agitato esternamente e ricevere qualche movimento nel corpo; ma è agitazione tutta esterna; non proviene dall’interno, dove non c’è vita, né forza, né vigore. Parimenti l’anima che è morta interiormente, potrà certo subire assalti dalle cose esterne ed essere commossa superficialmente, ma dentro di sé rimarrà indifferente e come morta per tutto quanto potrà presentarsi. Non avendo più essa nel suo intimo fondo, nessuna vita per il mondo, il suo interiore è tutto insensibile e morto alla vanità del secolo, perché la vita divina, come dice l’Apostolo, assorbe ciò che è mortale in lei. [Ut absorbeatur quod mortale est a vita – II Cor, V, 4]

LEZIONE XXIII.

Del mistero della sepoltura e in qual modo la sua grazia è differente da quella della Morte.

D. – Qual è la grazia meritataci dal mistero della Sepoltura?

R. – La sepoltura di Nostro Signore ci porge una grazia differente da quella della sua Morte. Un morto, infatti, presenta ancora la figura del mondo e della carne; l’uomo compare ancora come una parte di Adamo, perciò talvolta si può muoverlo e il mondo ne ritrae ancora qualche soddisfazione. Ma seppellito che sia, nessuno ne fa più parola come di una cosa che non appartiene più agli uomini; non ha più nulla che possa piacere, è puzzolente invece e mette schifo, perciò lo vedete in un cimitero sotto i piedi di tutti, senza che nessuno se ne meravigli: tanto il mondo è convinto che un uomo sepolto ormai è niente e non conta più niente tra i suoi fratelli della terra. La sepoltura di cui parla san Paolo, quando dice che siamo sepolti in Cristo nel Battesimo [Consepulti enim sumus cum illo per baptismum in mortem. – Rom., VI, 4; — Consepulti ei in baptismo – Col., II, 12], è la stessa cosa che la putredine di cui parla Nostro Signore quando dice: « Se il granello di frumento caduto in terra non muore, cioè se non sì corrompe, resterà infecondo. [Nisi granum frumenti cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet: si autem mortuum fuerit, multum fructum affert. – Joann., XII, 24, 25]. – La differenza pertanto tra la sepoltura e la morte consiste in questo che lo stato di morte dice soltanto uno stato di immobilità, di inconsistenza, di insensibilità e di indifferenza; mentre lo stato di sepoltura o di putredine dice distruzione completa dell’essere e produzione del germe di una nuova vita. Il grano putrefatto è una tomba donde risorge una nuova vita; [Morire ad Adamo e vivere in Gesù Cristo sono cose inseparabili]; così dalla sepoltura o putredine di Adamo rinasce la vita dello spirito; il corpo del Cristiano, già condannato in Adamo a diventar putredine, vede da questa corruzione rinascere il germe di una vita divina, che lo Spirito Santo vi produce con tutti gli effetti e movimenti di santità che a questa nuova vita sono uniti. Questo mistero ha per fondamento la Sepoltura di Nostro Signore. Questa infatti, comprese la Morte e la Risurrezione li Lui, poiché, il divin Salvatore vide la sua vita rinascere dalla tomba, dove la morte aveva posto questo ammirabile granello di frumento degli eletti.

LEZIONE XXIV.

Del mistero della Risurrezione e della sua grazia in noi.

D. – E il mistero della Risurrezione, quale grazia opera in noi?

R. – Il santo mistero della Risurrezione ci dà la grazia di un grande distacco dalle cose terrene e dalla vita presente, grazia che ci fa sospirare verso la vita futura e aspirare continuamente al Cielo. Così Nostro Signore, dopo la sua risurrezione non poteva neppur vivere più con i suoi discepoli, né sopportare la loro incredulità e la durezza del loro cuore, tanto bramava e desiderava di essere col Padre suo, come già affermava Egli medesimo, durante la sua vita, con queste parole: Padre, glorificate il vostro Figlio.[Pater, venit hora: clarifica Filium tuum. – Joann., XVII, 1].

D. – Ma per vivere in tale stato, bisognerebbe essere già fuori di questo mondo?

R. – Scusatemi tanto. Nostro Signore dopo la sua Risurrezione era ancora in questo mondo, e si manifestava ai suoi discepoli; conversava con loro, ma più raramente; anzi prendeva ancora il cibo con loro, ma con ripugnanza e senza gusto. Questo stato non soffre alcun affetto alle creature; e lo vediamo nel contegno di Gesù rispetto a santa Maddalena; Egli ne rifiuta ogni testimonianza di affetto, non vuole neppure che gli baci i piedi; ma la respinge, perché lo stato di santità, a cui si eleva l’anima risuscitata, importa separazione da ogni creatura di quaggiù. Come se Gesù dicesse: « Siate santa, o Maddalena, perché Io sono santo; scioglietevi da ogni affetto alle cose terrene, perché, santo come sono, non potrei avvicinarle, come pure dovrò star lontano anche da voi, se conserverete qualche affetto per questa terra ».

LEZIONE XXV.

Il mistero dell’Ascensione e la sua grazia; il suo stato è quello dei perfetti.

Lo stato di Risurrezione importa separazione dalle creature e quindi unione e aderenza a Dio, ma non in modo così perfetto come il mistero dell’Ascensione.

D. – Che cosa è dunque lo stato e la grazia del mistero dell’Ascensione?

R. – L a grazia del santo mistero dell’Ascensione è uno stato di perfetta consumazione in Dio; uno stato di trionfo e di gloria compiuta; uno stato in cui non appare più nessuna infermità. – Nostro Signore dopo la sua Risurrezione conservava ancora qualche traccia di infermità; sembrava talvolta spogliarsi della gloria perfetta della sua consumazione in Dio e della sua totale somiglianza col Padre suo; si rendeva ancora palpabile e visibile per gli Apostoli nella sua natura umana e mangiava talvolta con loro. [Palpate et videte, quia spiritus carnem et ossa non habet, sicut me videtis habere… Et cum manducasset, etc. – Luc., XXIV, 39, 43]. – Dal giorno della sua Ascensione, invece, la sua gloria non ha più né interruzione, né sospensione; il suo splendore non può più sopportarsi dagli occhi mortali. – Gesù Cristo essendo per la sua Ascensione come rientrato nello splendore di Dio suo Padre, rimane nascosto nel di Lui seno, né più cade sotto i nostri sensi. Sebbene Egli conservi nel seno del Padre le qualità della natura umana, non le adatta più alla nostra infermità: nel seno del Padre è spirito vivificante, [Ossia che comunica alle anime la vita della grazia], essendo in perfetta partecipazione della vita e della natura del Padre suo glorioso, spirituale, e onnipotente. – Ne consegue che essendo entrato negli stati più intimi e più interiori del Padre, invia insieme con Lui lo Spirito Santo; entra nella fecondità e nell’unità del Padre, per dare al di fuori lo Spirito di Lui. Siccome il Verbo Eterno infinitamente uno col Padre suo con Lui e in Lui, per un principio interno e identico, dà origine allo Spirito Santo; così Gesù Cristo Nostro Signore, che, in certo qual modo, è fuori di Dio per la sua natura umana, riunendosi a Lui e rientrando nell’unità perfetta con Lui, dà origine allo Spirito Santo e col Padre lo manda agli Apostoli; ed ecco l’ammirabile meraviglia della divina Ascensione. [Mandare lo Spirito Santo significa distribuirne le grazie; ora le grazie vengono date per i meriti di Gesù Redentore]. Donde avviene che l’anima, la quale entra in questo stato della divina Ascensione, riceve, come dice la Chiesa, la partecipazione della Divinità [Est elevatus in cœlum, ut nos divinitatis suæ tribueret esse participes. – Præf. Missæ Ascen.], secondo il desiderio che Dio ne esprime nella Sacra Scrittura. [Divinæ consortes naturæ. – II Petr., I, 4]. O stato ammirabile, in cui l’anima è resa interiormente conforme e perfettamente simile a Dio, come dicono i Santi, perfettamente deiforme, vale a dire tutta ardente di amore e tutta luminosa della gloria medesima di Dio!In tale stato l’anima non decade più dall’unione o unità con Dio, per abbassarsi nella umana infermità; non la si vede più effondersi nelle passioni o nell’amor proprio; più non ammette in se stessa la trasformazione nella creatura; non lascia più che prenda radice in se stessa l’amore delle cose periture, per il quale, infatti, noi ci trasformiamo nella creatura, la vediamo in noi stessi e ci vediamo in quella, e in tal modo decadiamo dalla perfetta somiglianza con Dio e con Gesù Cristo salito al Cielo.Gesù Cristo, dopo la sua Ascensione, essendo tutto trasformato e consumato nel Padre suo, attira noi pure con Lui alla trasformazione e consumazione in Dio; perciò diceva a santa Maddalena: Non toccarmi, perché non sono ancora salito al Padre mio (Joann. XX, 17): aspetta ch’Io sia nello stato in cui ti attirerò al Padre mio perché tu sii trasformata e consumata in Lui. Ciò appunto Egli fa nel santissimo Sacramento, dove avendo perfettamente raggiunto la consumazione della sua potenza, consuma e trasforma in se stesso le anime. [Non tu me in te mutaberis, sed tu mutaberis in me. – Aug., Conf., I. VII, cap. X]. L’anima, nello stato di Ascensione, deve temere l’affetto, e perfino il solo avvicinarsi alle creature per paura di cadere col lasciarsi trasformare in quelle e diventar partecipe della loro essenza profana.

D. – Lo stato della santa Ascensione è dunque lo stato delle anime perfette?

R. – Sì; è lo stato delle anime perfette e interiormente consumate in Dio, nell’essere e nella vita del quale sono entrate per la virtù di una unione perfetta e intimissima.

D. – O stato ammirabile!

R. – La Chiesa chiama appunto ammirabile l’Ascensione di Nostro Signore, [Per admirabilem Ascensionem tuam. – Litanie dei Santi], perchè questo mistero conferisce alle anime inconcepibili stati di santità! In questo stato l’anima è impenetrabile alle frecce del mondo, non è più suscettibile dell’imperfezione delle creature; in se stessa è perfettamente separata da ogni cosa e da ogni impressione terrena; gode di una pace e tranquillità divina; nel suo interiore è sempre immutabile e inconcussa in faccia a qualsiasi cosa. Quando sia giunta in questo stato, si possono arditamente rivolgerle queste parole del Profeta: Non ti accadrà nessun male, e nessun flagello si avvicinerà alla tua dimora. [Non accedet ad te malum, et flagellum non appropinquabit tabernacolo tuo. – Ps. XC, 10]. – Si direbbe ch’essa, per una felice anticipazione, sia già entrata nello stato dell’eternità. È questo uno stato di ammirabile purezza, nel quale l’anima non ha più nessuna aderenza alle cose profane, né effusione sopra di queste. Ella vedrà intorno a sé, cambiarsi e alterarsi il suo uomo vecchio ela sua carne; ma sempre interiore e intima a se medesima, non decadrà dal suo felice stato e resterà ferma nella sua stabilità; anzi farà sempre nuovi progressi e la sua carne soltanto soffrirà mutazione. Benché il nostro uomo, che è al di fuori – dice l’Apostolo – si corrompa, l’uomo però che è al di dentro di giorno in giorno si rinnovella. [Licet is qui foris est, noster homo corrumpatur; tamen is qui intus est, renovatur de die in diem. – II Cor., IV,16]. L’uomo esteriore è il corpo con i suoi sensi e la sua carne mortale; l’uomo interiore è l’anima con le sue facoltà. – Il primo a poco a poco si usa e si consuma nelle fatiche dell’apostolato e San Paolo lo sentiva bene, ma ogni giorno sentiva pure l’anima sua riprendere una vita nuova sotto la benefica influenza della contemplazione della felicità del paradiso che si avvicinava per lui]. https://www.exsurgatdeus.org/2019/11/19/catechismo-cristiano-per-la-vita-interiore-di-j-j-olier-5/

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (3)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (3)

A cura del Sacerdote Maurilio Andreolotti

III edizione

EDITRICE ÀNCORA

MILANO

Visto: nulla osta per la ristampa Genova, 21 maggio 1945. On. MARIO CARPANETO, Revis. Eccles.

IMPRIMATUR Genuæ, die 25 V 1945. STEPHANUS FULLE, P. V

Proprietà Riservata – Editrice Ancora – Milano

E. A. (Ge) R. n. 29 – 1 – 1944

Approvazione del Vescovo di Pamiers.

(per la prima edizione).

LEZIONE XII.

A Dio solo è dovuto ogni onore. Come dobbiamo comportarci se ci avvenga di essere disprezzati e umiliati?

D. – Chi dunque merita di essere onorato?

R. – Dio solo. A Lui solo, dice S. Paolo, ogni lode e ogni onore;Soli Deo honor et gloria. (I Tim., I, 17). a noi la confusione, aggiunge il profeta Daniele. (Nobis autem confusio faciei. (Dan., IX, 7). Dio solo è degno di onore e di gloria, perché Dio solo è perfetto in se stesso, perciò Nostro Signore diceva: Nessuno è buono fuorché Dio. Nemo bonus nisi solus Deus. – Luc., XVIII, 19). Tutto ciò che non è Dio, da sé è niente e non ha nessun bene fuorché ciò che riceve da Dio; epperò Gesù Cristo diceva ancora: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato. (Mea doctrina non est mea, sed ejus qui misit me. – Joan., VII, 18).

D. – Ma non si onorano forse i Santi che sono nel Cielo? Anzi Dio medesimo vuole che siano onorati.

R. – L’onore che si rende ai Santi si rende a Dio, il quale abita nei Santi; e se si onorano i giusti su la terra, lo Spirito Santo è quello che si onora in essi, perché Egli abita in loro, li santifica e dà loro la grazia e la virtù di essere fedeli a Dio. – Perciò si dice nella Scrittura che Dio è ammirabile nei suoi Santi, [Ps. LXVII, 38], perché con la sua potenza innalza la loro debolezza a cose sublimi, e la loro ignoranza a grandi lumi, e nella loro bassezza fa risplendere la sua grandezza. Dio pertanto è quello che si onora nei Santi. Nostro Signore medesimo voleva che in Lui non fosse onorato se non il Padre suo; non voleva ricevere per sé nessuna lode, ma tutto rinviava al Padre suo. A quel giovane che lo chiamava Maestro buono, disse: «Perchè mi chiami tu buono? Nessuno è buono, se non Dio solo » – Luc., XVIII, 19-20), come se dicesse: « Vedete voi questa bontà che riluce in me? Essa viene dal Padre mio, da Lui ha origine; e se Egli non la diffondesse in me, Io non l’avrei. Prima che il Padre mio me l’avesse comunicata, Io ero niente e non avevo niente, non ero che niente come gli altri uomini; e la mia umanità venne tratta dal nulla, come le altre creature. Dio si effuse in me e in me versò tutta la pienezza dei suoi tesori, talmente che a Lui solo, appartengono, e tutto quanto di buono, di bello e di perfetto vi è in me, tutto è da Lui; tutto questo non è bene mio, ma bene di Dio, il quale è l’Autore di tutte le perfezioni e di tutte le bellezze che vedete in me. Egli deve essere onorato per le sue opere e soprattutto per questo capolavoro che è la mia Umanità ». Gesù Cristo, inoltre, dichiarava di essere obbrobrio degli uomini e rifiuto della plebe  [Ps. XXI, 7], perché in se stesso» come uomo, era niente, e di più perché era caricato dei peccati del mondo intero.

D. – Come dobbiamo dunque comportarci quando siamo umiliati, disprezzati e dimenticati?

R. – Quando non siamo considerati o siamo tenuti in nessun conto, dobbiamo rallegrarci dicendo nel nostro cuore: « Mio Dio, son ben contento di non essere osservato, né considerato dalla gente, e godo che nessuno pensi a me: così almeno, o mio Dio, non usurperò il vostro posto nei pensieri e nella mente degli uomini: se non occupo nessun posto nel loro cuore e non sono oggetto dei loro sguardi, — questo è per me un gran piacere ». – Tali erano i pensieri del gran martire di Antiochia, sant’Ignazio, quando prevedeva che sarebbe stato divorato dalle bestie e seppellito nel corpo di quelle: Le bestie saranno il mio sepolcro, diceva; così almeno, dopo la mia morte non occuperò il pensiero di nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà neppure il mio corpo. (Blanditiis demulcete ferus, ut mihi sepulcrum fiant, et nihil de corpore meo relinquant; ne, cum obdormiero, molestus cuiquam sim. Tunc ero vere Jesu Christi discipulus; quando mundus nec corpus meum videbit. – S. Ignat. Mart., Epist, ad Rom., n. 4).

LEZIONE XIII.

 Il funesto desiderio di essere onorato è desiderio comune e universale; modo di combatterlo e di rimediarvi.

D. – Spiegatemi meglio ancora questo punto, poiché si tratta di un desiderio troppo naturale.

R. –  È necessario infatti, insistere su questo punto, perché il desiderio di essere stimato, onorato e amato è talmente universale e comune, che non vi è quasi nessuno che, a meno di star bene attento, non parli e non operi sempre con questo spirito. Tutti abbiamo in noi questo desiderio funesto e idolatrico di riempire di noi tutto il mondo, di godere la stima di tutti i cuori, e così essere come idoli da tutti considerati, ammirati e amati. [Desiderio veramente idolatrico, perché tenta di mettersi al posto di Dio]. Tutti, nella nostra carne, siamo pieni di desideri che lo spirito maligno ci ha inoculati col peccato di Adamo; dimodochè la nostra carne ci spinge a tentare, come il demonio, di metterci al posto di Dio nel mondo; e mentre prima l’uomo voleva essere onorato come l’immagine di Dio e raccogliere in sé tutti gli omaggi delle creature per offrirli a Dio, dopo il peccato invece, ha voluto riceverli per sé e in tal modo essere idolatrato e adorato al posto di Dio. Gli uomini, per la maggior parte, non agiscono, né parlano se non col desiderio di essere stimati e di imprimere l’amore di se medesimi nel cuore delle persone che li ascoltano.

D. – Ma come si può fare per non cader in siffatto disordine?

R. – Bisogna, quando ci mettiamo a far qualche cosa o a parlare, rinunciare a noi stessi, ciò che si può fare nel modo seguente: « Mio Dio, in questa azione o in questa conversazione, rinuncio a ogni desiderio di comparire; rinuncio a ogni desiderio di essere stimato; rinuncio a tutti i tristi desideri della mia carne, la quale in ogni cosa non cerca che se stessa; rinuncio al mio amor proprio e a tutto l’orgoglio di cui sono impastato ». – Sarà necessario, inoltre fortificarci con l’abbandonarci allo Spirito di Nostro Signore, il quale dopo il Battesimo è in noi per fare con noi le nostre azioni, affinchè per facciamo opere di Gesù Cristo e non dell’uomo vecchio, opere dello spirito e non della carne; affinché in noi Dio in ogni cosa sia glorificato dal Figlio suo Gesù Cristo.

D. – Ecco una bella dottrina; ma la troviamo noi nella Scrittura?

R. – Certo, potrei citare molti testi che stabiliscono tali verità; mi contenterò di dirvi ciò che dice quel nostro maestro in Gesù Cristo che è san Pietro: Chi parla,  parli il linguaggio di Dio, come parola di Dio; chi ha un ministero, lo eserciti come per una virtù comunicata da Dio, affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo. (1 Piet. IV, II)

D. – Bisogna dunque far tutto nello Spirito di Gesù Cristo operante in noi?

R. – Appunto; bisogna uscire di noi medesimi [Ossia rinunciare a noi stessi e alle inclinazioni disordinate della nostra natura] per così dire, ed entrare nella virtù di Gesù Cristo, ossia unirci allo Spirito di Gesù e operare nella sua virtù (sotto la sua influenza) per onorare Iddio suo Padre; altrimenti siamo pieni di impurità e di intenzioni cattive le quali infettano tutte le nostre azioni.

D. – Quanto siamo infelici e miserabili, poiché rimanendo in noi stessi (ossia seguendo le nostre inclinazioni) non possiamo far nulla che possa piacere a Dio!

R. – La nostra carne è così corrotta che guasta e rovina tutto ciò in cui s’ingerisce. Perciò non meritiamo soltanto di essere dimenticati e disprezzati come il niente, ma ancora di essere perseguitati e calpestati. Insomma, da noi medesimi non possiamo meritare che l’inferno. (Tanquerey: De gratia, n. 30)

D. – Che dite mai? Come mi umiliate! Come annientate la confidenza ch’io avevo in me stesso!

R. – Eppure non ho detto nulla che non sia confermato dalla S. Scrittura.

LEZIONE XIV.

Del dovere di amare la sofferenza, che è il secondo braccio della Croce; perché da noi medesimi siamo peccato.

D. – Per amore di Dio spiegatemi meglio la verità che mi avete esposta, affinché sia talmente impressa nella mia mente che non ne esca mai più, e io possa amare il dolore, la sofferenza, la persecuzione, le calunnie, in una parola amare la penitenza che devo fare su la terra, la quale ne è il soggiorno.

R. – Il primo ramo della Croce sono le umiliazioni e dobbiamo sopportarle, tanto per giustizia come per spirito di Religione. Il secondo ramo della Croce è la sofferenza, e dobbiamo amare i patimenti e sopportare in pace la persecuzione, la calunnia ecc. non solo perché lo Spirito Santo che abbiamo ricevuto nel Battesimo, ci infonde tale inclinazione, ma anche per giustizia, a motivo del nostro demerito. Per essere persuasi di questa verità basta ricordarci che da noi stessi siamo peccato.

D. – Scusate; ho bensì sentito dire che siamo peccatori; ma che siamo anche peccato, non lo intendo.

R. – Eppure, non siamo soltanto peccatori, ma nella nostra carne siamo peccato (Rom. VII). [L’uomo caduto è carne (Gen., VI, 3), ma la carne è contraria alla legge di Dio, come dice San Paolo, per cui può chiamarsi peccato. L’uomo, inoltre, nasce colpevole del peccato originale, e soggetto alla concupiscenza che lo porta ad ogni sorta di peccati].

D. – Se così è, non v’è obbrobrio, né calunnia, né persecuzione che non ci sia dovuta, ma spiegatemi dunque in qual modo siamo peccato.

R. – Per questo, è necessario ricordarvi qualche punto di dottrina. L’uomo cristiano, come sempre insegna san Paolo, è composto di due cose; una si chiama carne, l’altra spirito. Così è diviso l’uomo nella Scrittura. Se non che queste espressioni non significano il corpo e l’anima. Infatti, con la parola spirito non s’intende l’anima, ma lo Spirito Santo con tutti i doni che sono nati dallo spirito, come la fede, la speranza, la carità, l’umiltà, la pazienza e altri doni, altre grazie e virtù simili: san Paolo chiama tutte queste virtù Frutti dello Spirito, (Galat., V, 22, 23), e Nostro Signore Gesù Cristo aveva già detto: Ciò che è nato dalla carne è carne, e ciò che è nato dallo Spirito è spirito. (Joann., III, 6).

D. – E per la parola carne cosa intendete?

R. – Lo vedete bene dalle citate parole di Nostro Signore; la carne è ciò che non è lo Spirito Santo, o che non è nato dallo Spirito, ma dalla carne. Perciò, nella Scrittura il corpo e l’amina sono chiamati carne. L’anima soprattutto quando segue la carne e le inclinazioni della carne; e anche il nostro spirito (la nostra mente, il complesso delle nostre facoltà spirituali) sono chiamati carne quando agiscono per giungere ai fini della carne; infine, tutti i loro pensieri sono chiamati carne perché nascono dalla carne; perciò la Scrittura li condanna come degni di morte (mortiferi): La prudenza della carne, dice san Paolo, è morta; (Rom VIII, 6) e in altro luogo: Ebbimo dei pensieri di carne. Facientes voluntatem carnis et cogitationum.(Ephes. II, 2). – Ma ciò che è nato dallo Spirito Santo e che si chiama spirito, non ci appartiene, non è nostro, non è noi, perché è Dio stesso, ed effetto della sua presenza, ossia la sua luce, la sua sapienza, il suo ardore, il suo amore ecc. Non abbiamo dunque motivo di gloriarcene, né di comprendere questi doni nel numero delle cose nostre; perché in noi sono doni della pura liberalità di Dio e della sua grande misericordia, mossa a compassione dalla nostra miseria e dalla carità del Figlio suo morto per noi su la Croce.

LEZIONE XV.

Spiegazione del medesimo argomento.

D. – Ma, insomma, che abbiamo noi di noi medesimi?

R. – Da noi non abbiamo che il niente e il peccato; siamo dunque ben poca cosa, e meritevoli di ogni pena e di ogni persecuzione. Che siamo niente, l’abbiamo già detto; da tutta l’eternità, infatti, cosa avevamo? Niente. L’essere che abbiamo è forse nostro? Mai più, Dio ce ne ha coperti, ma è suo e, quantunque ce ne abbia fatto dono, è suo ancora ed Egli vuole che glielo offriamo in omaggio, usandone per orarlo.

D. – Ma come mai siamo anche peccato?

R. – Vi spiegherò anche questo con la grazia di Dio. Il nostro primo padre Adamo, era stato creato nell’innocenza, ma peccò e in lui peccarono tutti gli uomini.

D. – In che modo intendete che tutti siamo peccatori in Adamo?

R. – Se un padre avesse fatto un contratto per sé e per tutta la sua famiglia, non è forse vero che tutti i suoi figli e successori sarebbero obbligati a osservare le condizioni ch’egli avrebbe pattuite?

D. – E’ vero.

R. – Orbene, il nostro primo padre fece con Dio il primitivo accordo a nome di tutti i suoi figli e di tutta la sua famiglia. Ma col suo peccato violò il patto concluso: perciò i suoi successori, ossia i suoi discendenti, furono tutti coinvolti con lui nel suo delitto, e ne hanno giustamente subito tutto il castigo. Ne consegue che siamo peccato anche noi. – Il peccato del primo padre ha fatto in noi un tale guasto, ha instillato in noi una irruzione tale che l’uomo, dopo la colpa originale, non è che carne e peccato. Perciò Dio disse: Il mio Spirito non rimarrà nell’uomo, perché è carne, (Gen. VI, 3) ossia perché il suo essere, spirituale e corporale, è infetto dal peccato; il suo spirito è divenuto carne, materiale come la carne, cieco come la carne; non cerca che gli appetiti della carne; è animale e terreno come la carne, è depravato e ha perduto la sua rettitudine; alieno dalle sue prime intenzioni, non ha più che desideri impuri, bassi e corrotti; in una parola non ha più niente della somiglianza con Dio. – L’uomo è talmente depravato nel suo fondo, che è tutto inclinato al male e al peccato; e per la miseria e il veleno del peccato originale, è così fortemente inclinato al male che è un abisso, un baratro di peccato, portando in sé il principio non solo di qualche peccato, ma di tutti i peccati.

D. – Ahimè! cos’è questo? Perché mai ci gloriamo della nostra carne? Se il Savio proibisce all’uomo di esser superbo perché è polvere e cenere, (Eccli. X, 9) quanto più sarà da condannare la superbia nella carne, poiché questa è tutta impastata di peccato!

LEZIONE XVI.

La nostra carne non è che peccato.

D. – Non potreste spiegarmi meglio questa miseria?

R. – Vi dirò ciò che penso. La carne è talmente peccato, che è tutta inclinazione e movimento al peccato, anzi a ogni sorta di peccato: dimodoché l’anima nostra, se lo Spirito Santo non la trattenesse con la sua assistenza e con l’aiuto della sua grazia, sarebbe trascinata dalle inclinazioni della carne, le quali tendono tutte al peccato e sono tutte seminate nell’anima, attesa la sua intima e stretta unione con la carne. [Notiamo come il Servo di Dio affermi la distinzione fra l’anima e la carne. L’anima, con l’aiuto della grazia, può resistere e non lasciarsi trascinare dalla carne.

D. – Dio mio! Ma cosa è dunque la carne?

R. – La carne è l’effetto del peccato e il principio del peccato; in una parola, si può dire della carne ciò che i Giudei dicevano del cieco nato, che è tutta nata nel peccato. [Joan. IX, 24]

D. – Ma, se è così perché non cadiamo ad ogni istante nel peccato?

R. – Effetto della misericordia di Dio, che ci trattiene, e dell’assistenza del suo divino Spirito che risiede in noi per sorreggerci.

D. – Siamo dunque obbligati a ringraziare il Signore con viva riconoscenza, anche per i peccati che non commettiamo?

R. – Certo, sant’Agostino lo riconosce per se medesimo nelle sue Confessioni ed è questo il sentimento ordinario dei Santi, perché la carne è inclinata al male con tale forza che Dio soltanto può trattenere l’uomo affinché non cada nel peccato. [Conf. L. II, c. VII]

D. – Ma come! A ciò non basterebbero la sapienza umana e la filosofia?

R. – No; anticamente, infatti, i più grandi filosofi e gli uomini più sapienti che mai siano vissuti, sebbene conoscessero la virtù e avessero grande orrore per il vizio, non mancarono tuttavia di cadere in gravissimi disordini, anzi precipitarono nei vizi più sozzi e più vergognosi alla natura. [Cfr. Rom., I , 18, 32]. Dobbiamo pertanto essere oltremodo riconoscenti a Gesù Cristo, perché ci ha dato il suo Spirito onde rialzar l’anima nostra e ritirarla dal fango del peccato e dalle inclinazioni della carne nelle quali è tutta immersa. Non potremo mai esprimere né intendere di quanta riconoscenza dobbiamo essere animati verso Gesù Cristo. È bene ripeterlo, non v’è sorta di peccato, non v’è imperfezione o disordine, non v’è errore o sregolatezza, di cui la carne non sia piena; non v’è pazzia di cui non sarebbe capace a ogni ora.

D. – Ma dunque, senza il soccorso di Dio, io sarei pazzo, anche in pubblico?

R. – Ciò sarebbe poco, perché sarebbe soltanto contro la civile società; ma sappiate che senza la grazia di Dio, senza la virtù dello Spirito di Dio, non v’è impurità, sozzura, infamia, ubriachezza, bestemmia; ecc., in una parola, non v’è peccato di cui l’uomo non si renderebbe colpevole. Per poco che vogliamo entrare in noi stessi, dovremo riconoscere che portiamo in noi una strapotente inclinazione al male, e ad ogni sorta di male e di peccato. Se non fossimo sostenuti dalla grazia di Dio, cadremmo nell’abisso di ogni peccato.

LEZIONE XVII.

La nostra carne è tutta contraria e ribelle a Dio e al suo Divino Spirito.

D. – Desidererei che mi spiegaste meglio questa verità, affinché possa concepire maggiormente orrore per la carne.

R. – La carne è peccato in quanto è tutta contraria a Dio, in quanto combatte contro lo Spirito, come dice san Paolo, e lo Spirito combatte pure contro di essa [Galat. VI, 17]. Perciò la carne è simile al demonio, il quale combatte contro Dio; la carne è della natura stessa del demonio. Non dobbiamo dunque stupirci se diciamo che dobbiamo odiare la nostra carne e aver orrore di noi medesimi; non dobbiamo stupirci se diciamo che l’uomo, nello stato in cui si trova, deve essere maledetto e perseguitato; in verità non v’è male che non debba giustamente cadere sopra di lui, per causa della sua carne. L’odio, la maledizione, le persecuzioni che colpiscono il demonio devono pure colpire la carne e tutte le sue tendenze.

D. – Ma, se il demonio è maledetto, ciò proviene dal fatto che non si convertirà mai a Dio, né mai potrà essergli sottomesso.

R. – Così anche la carne; per tutto il tempo della nostra vita quaggiù, sarà sempre talmente corrotta, immonda e perversa che non potrà mai convertirsi a Dio, [Finché sussisterà il peccato originale, l’uomo porterà in sé le inclinazioni perverse che lo portano al peccato.] né  sottomettersi alla legge di Dio: Legi Dei non est subjecta, nec enim potest. [Rom. VIII, 7]

D. – Ma in tal caso come è possibile che i Santi, i quali hanno una carne simile allanostra, servano Dio nella presente vita?

R. – Lo Spirito di Dio, cui aderisce l’anima dei Santi, e dal quale viene illuminata, mossa e fortificata, padroneggia la carne, e l’assoggetta a Dio malgrado la sua resistenza. La carne, infatti, sempre resiste a Dio in questa vita: che sebbene la grazia e l’effusione dello Spirito sopra di essa talvolta facciano sì che esulti in Dio, come dice la Scrittura, [Cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum Ps. LXXXIII],  tuttavia è sempre pronta a resistere e non si lascia quasi mai vincere, se non per forza.

D. – Ma i demoni cantano forse anche essi le lodi di Dio? Esultano forse anch’essi in Dio?

R. – Mai più, nella condizione in cui si trovano; Dio tuttavia, se volesse, con la sua potenza potrebbe fare che lo lodassero, malgrado la loro depravazione.

D. – Ma perché la nostra carne talvolta esulta in Dio e lo loda, mentre i demoni non lo lodano mai?

R. – La nostra carne, per l’azione dello Spirito Santo, può lodare Dio, a differenza dei demoni, perché questi non sono più in grado di sperare, né di meritare la gloria, mentre la carne viene data come compagna all’anima, la quale ogni giorno spera la gloria e la merita; dimodoché nell’uomo l’anima serve a Dio e gli aderisce nello Spirito, e la carne, suo malgrado, rimane assoggettata allo Spirito, benché non gli sia sottomessa. E qui ancora vi è una somiglianza tra la carne e il demonio. La carne, infatti, è come il demonio, il quale, malgrado la sua rabbia rimane soggetto per forza alla potenza del divino Spirito, tuttavia non vi è sottomesso; orbene la carne pure è disposta in tal modo. Mentre io prego Dio e mi sottometto a Lui, mentre mi elevo a Dio per la virtù dello Spirito Santo, in pari tempo la carne si distoglie da Dio volgendosi verso la creatura, si abbassa verso la terra e così spesso rimuove l’anima da Dio; [Deprimit sensum multa cogitantem. Il corpo corruttibile grava su l’anima, e la terrestre dimora deprime la mente che ha molti pensieri – Sap., IX, 15], mentre l’anima si mantiene nella purezza la carne si porta all’impurità e alla disonestà; mentre l’anima si investe della santità di Dio, la carne aderisce alla creatura, perciò si macchia e si guasta; insomma la carne, come il demonio, non cambia mai, né mai cessa di essere ciò che è.

LEZIONE XVIII.

La perversità della nostra carne merita ogni sorta di umiliazioni da parte di Dio e da parte di ogni creatura.

D. – Non verrà dunque mai quel tempo in cui l’uomo e la carne non saranno piùpeccato?

R. – Sì, questo avverrà nel Paradiso, nel giorno della risurrezione, quando Dio riformerà questo corpo vile, abietto e umiliato. [Reformabit corpus humilitatis nostræ. -Philip. III. 21]. Il corpo di nostra umiliazione, corpo umiliato, questa espressione di san Paolo è giustissima. L’uomo, infatti, merita ogni umiliazione; non v’è confusione che non gli sia dovuta. Se per esempio si dicesse di me, di voi e di chiunque altro : « Questo uomo è avaro », bisognerebbe sopportarlo, perché  tutti abbiamo in noi un principio di avarizia insaziabile, sebbene la grazia ne abbia forse soffocato il sentimento nell’anima nostra. Se si dicesse che siamo disonesti, lo dovremmo sopportare, perché il seme di ogni vizio e di ogni impurità si trova nella nostra carne, la quale trascinerebbe l’anima al peccato, se lo Spirito non la sorreggesse. Se si dicesse che siamo superbi, lo dovremmo sopportare, pensando che ciò è sempre vero ad onta degli effetti che la grazia di Gesù Cristo e del suo Spirito abbiano operato in noi; né ci si fa torto alcuno o ingiuria col chiamarci orgogliosi, perché la nostra carne rimane sempre la stessa, vale a dire sempre impastata di orgoglio e sempre pronta a produrre atti di superbia; talmente che non cessiamo mai di essere orgogliosi, benché non lo sentiamo, e che pratichiamo talvolta atti di umiltà. Così di tutti gli altri difetti che si possono concepire nell’uomo, perché la carne è la sorgente, la cloaca e come la fogna dove si raccoglie ogni impurità, ogni disordine e ogni peccato.

D. – Allora, non v’è sorta di ingiuria che non dobbiamo sopportare, persuasi che ci sono ben dovute. Le umiliazioni, le ingiurie, le calunnie non debbono punto turbarci.

R. – Dite vero; bisogna fare come quel Santo, il quale essendo condotto al patibolo per un delitto che non aveva commesso, non volle giustificarsi, dicendo nel suo cuore che, senza l’aiuto di Dio, avrebbe commesso quello e altri peggiori ancora. Coi medesimi sentimenti, dobbiamo sopportare ogni persecuzione. Se, come è nostro dovere, fossimo ben persuasi della malizia della nostra carne, la persecuzione ci sembrerebbe cosa ben giusta, anzi dovremmo desiderarla, per reprimere, con tali castighi, la continua ribellione di questa nostra carne contro Dio.

D. – Gli uomini, gli Angeli e Dio medesimo dovrebbero dunque incessantemente perseguitarci?

R. – Sì, così dovrebbe essere e così avverrà nel giorno del giudizio ai peccatori sopra i quali Dio eserciterà la sua vendetta per mezzo di tutte le creature nelle quali Egli abita, e delle quali ognuna sarà come uno strumento esecutore della sua giustizia. [Pugnabit cum illo orbis terrarum contra insensatos. – Sap., V , 21]. Pertanto, nelle malattie, nelle persecuzioni, nelle umiliazioni e in ogni afflizione, dobbiamo metterci dalla parte di Dio contro noi medesimi, e pensare che le meritiamo tutte e di più ancora, che Egli ha diritto di servirsi di tutte le creature per castigarci, e che adoriamo la grande misericordia ch’Egli in tal modo esercita adesso sopra di noi, sapendo che, quando verrà il tempo della sua giustizia, ci tratterà ben più rigorosamente.

D. – E quale sarà il tempo della sua giustizia?

R. – L’altra vita, sarà il tempo della sua giustizia, perché allora Dio non userà più misericordia; allora la sua giustizia non sarà più temperata dalla compassione per la nostra miseria; allora Dio ci tratterà secondo tutta la severità del suo santo giudizio. È cosa orribile, dice la Scrittura, cadere nelle mani del Dio vivente [Hebr. X, 31]. Allora non vi sarà più né croce, né afflizione, di cui l’anima e il corpo del peccatore non saranno cruciati.

D. – Ma allora non è forse più dolce portare adesso quella croce che la giustizia di Dio ci impone, in questo tempo di misericordia, in cui siamo sorretti dalla grazia e dalla virtù che la bontà di Dio ci largisce; piuttosto che aspettare quel tempo in cui il peccatore, mentre sarà oppresso da ogni sorta di tormenti, sarà privo di qualsiasi aiuto e di qualsiasi consolazione?

R. – Avete ben ragione. Nell’inferno, infatti, non vi è più nessun aiuto che sorregga, nessuna grazia che fortifichi, nessuna unzione che consoli e raddolcisca il giogo del rigore di Dio; non vi sarà più nessuno di questi beni, i quali sono, quaggiù il miglior sollievo delle nostre croci e i  nostri patimenti.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/11/14/catechismo-cristiano-per-la-vita-interiore-di-j-j-olier-4/

LO SCUDO DELLA FEDE (85)

LO SCUDO DELLA FEDE (85)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA.

CAPITOLO VIII.

COME SI DEBBANO IMPORTARE QUELLI CHE SVENTURATAMENTE SI SONO LASCIATI SEDURRE

Potrebbe per ultimo darsi il caso funesto che alcuno accostatosi troppo al fuoco, si fosse miseramente abbruciato. Voglio dire che o conversando con eretici o leggendo i loro libri si fosse lasciato sedurre, ed avesse poi o tacitamente rinunziato alle sue credenze od anche più manifestamente alla presenza di altri consumata la sua apostasia, sia con l’allontanarsi dalla S. Chiesa, sia con l’accostarsi ai templi dei Protestanti e con l’aver dato il nome a qualche setta. – Ora se un caso sì lagrimevole fosse avvenuto, quale sarebbe il rimedio opportuno? Prima d’ ogni altra cosa è necessario rientrare in se stesso, misurare con un guardo l’altezza dello stato da cui uno è caduto e l’abisso in cui si è precipitato. – Chi ha perduta la Santa Fede insieme a questo tesoro d’immenso valore ha perduta non solo la grazia santificante e la potestà di meritare, ma perfino la radice ed il principio con cui invocare il Signore a salute. Non può aspettarsi più altro che una vita di rimorsi e di colpe, una morte d’affanni e di strazi, un giudizio di collera e di rigore, un’eternità di pianti e di disperazione. E ciò per essersi cambiato in nemico quel Dio, che col dargli la S. Fede gli aveva preparato innumerabili altre grazie fino a portarlo nel più alto dei cieli. Ora il confronto di quello che ha perduto con quello che ha incontrato deve stimolare quest’anima infelice a rientrare profondamente in sè stessa ed a volere a qualunque costo ristorare la sua rovina e rimettersi nel pristino stato. Fatta questa risoluzione generosa convien mettere mano prontamente al lavoro. – S. Teresa osserva ingegnosamente, che tra gli altri peccatori e quei che han perduta la Fede corre la differenza che passa tra un cristallo intero ma appannato ed un cristallo spezzato. Il cristallo appannato, ma intero, cioè il peccatore ordinario, può con la penitenza mondarsi, tergersi, purificarsi; il cristallo rotto, cioè l’apostata , deve prima rimettersi nella fucina; che è quanto dire che deve ristorare prima in sé la Santa Fede per poter fare poi un’utile penitenza. Perciò si richiede da chi si è lasciato sedurre, che si ritragga dalla compagnia degli empi, che rompa con loro ogni tratto, ogni comunicazione: poi che messosi alla presenza di Dio con atti interni, rigetti con orrore tutte le passate infedeltà, prorompa in atti di viva fede protestando dinanzi a Dio con ogni sincerità, che egli crede tutto quello che crede la S. Chiesa, che rigetta tutto quello che la Chiesa rigetta e che in questa credenza con l’aiuto divino vuol vivere e morire. Ha poi da domandare mille e mille volte perdono di tutte le sue infedeltà. – Con queste disposizioni si presenti ad un Confessore savio e prudente, e gli manifesti con ogni sincerità tutto quello che ha commesso per essere dalla sua carità assistito, per conoscere tutto quello che gli resti da fare per la sua riconciliazione con la Chiesa e con Dio, per riparare allo scandalo dato, per premunirsi contro i pericoli avvenire. Ma questo costa non poco all’amor proprio, dirà taluno. Costi quello che vuole, che costa anche più un’eternità di fiamme penaci nell’inferno. Ma mi disprezzeranno poi quelli che furono compagni dei miei errori. Sì, ma vi loderanno e vi abbracceranno i vostri fratelli Cattolici in loro vece. Ma forse mi perseguiteranno e mi faranno del male quelli che io abbandono: sia pure, ma né tutti gli uomini, né tutti i demoni uniti insieme vi potrebbero fare un male più grave di quello che vi fate da voi medesimo stando lontano dalla Fede Cattolica. Posso almeno confidare che, se io fo tutto ciò, Iddio mi accoglierà e mi perdonerà questo grave fallo? Ma e potreste pur dubitar di quel buon Gesù che accolse con tanto amore S. Pietro che l’aveva negato, e tanti altri che nelle persecuzioni erano caduti e che fino ai dì nostri ne accoglie tanti con amore sì sviscerato? Vi dirò di più: non solo vi accoglierà, ma se voi prendete occasione da questa vostra caduta ad umiliarvi più, a fare più penitenza, ad amarlo con più fervore, potrete giungere anche ad uno stato di gran virtù, di perfezione, di santità. – Per dare animo a chiunque fosse caduto in questo fondo di mali a confidare nella misericordia, io vi ricorderò un avvenimento dei nostri giorni, raccontato da due autori anche viventi e maggiori di ogni eccezione i Padri Stoeger e Perrone. In un paese. dicono essi, che fa confine all’Alemagna settentrionale, vivevasi or sono otto o dieci lustri un prete immemore del santo suo stato e delle sue obbligazioni. Precipitando di peccato in peccato giunse tanto oltre, che fuggì dalla sua patria, apostatò dalla fede e si fece Protestante, accettò alla fine un posto di pastore Protestante e così da banditore della verità, divenne un maestro dell’errore. In questo stato d’inimicizia con Dio se la passò lo sventurato per parecchi anni. Un giorno fu egli invitato a pranzo da un predicatore di una gran città ove intervennero pure molti altri pastori di quelle contrade pure Protestanti. Mentre qui\ stavansi insieme in galloria e gaiezza venne a riferirsi al pastore padrone della casa, che era pretto a morire un pover’uomo, il quale pareva aver molto bisogno di soccorso spirituale. Un non so quale impedimento fece sì che quegli non accorresse dall’infermo, ed offrissi perciò il nostro nominato apostata a volerlo esso andare a visitare in vece sua. L’offerta fu accettata. Ei fu tosto menato in una gretta miserabile cameruccia, ove in una grande indigenza sdraiato sur un letto di paglia giaceva un vecchio, che in uno stato di disperazione era vicino a morire. Recitogli il pastore un paio di passi della Sacra Bibbia: e il moribondo non diede altra risposta che: io son perduto, guai a me, io son dannato! Confortavalo quel pastore ed animavalo ad aver fiducia. No no, soggiunse colui, non può nessuno prestarmi aiuto, io non posso andare in cielo, son troppo enormi i miei peccati, io deggio essere dannato. Ma per amor di Dio perché mai? di che vi sentite così aggravato il cuore? E il moribondo ripete sempre solo parole di disperazione. Per ultimo però si arrese alle calde istanze del pastore e soggiunse: vo’ dire perché non vi ha per me né salvazione né beatitudine: io sono un Sacerdote cattolico apostata: e tutti i peccati che con ciò vanno collegati, e tutta la resistenza alle chiamate della grazia, e tutte le misericordie che io respinsi … Ahimè! Questa mia colpa è troppo grande per potere rinvenire il perdono: io son perduto, nessuno mi può aiutare, sì non posso essere aiutato da nessuno. Un simile racconto contristò il cuore del pastore, il quale vedeasi qui dipingere lo stato della sua propria anima; gli si destò l’antica credenza e nella coscienza della potenza divina che nella Religione di Gesù è concessa all’uomo debole che è nominato Sacerdote, esclamò con gioia al moribondo: Amico, fratello! io, io posso aiutarti come è vero Iddio, io posso soccorrerti! Ebbene, io sono un prete cattolico, sì certo pur troppo! Sono un rinnegato, uno scomunicato pur io: ma col mio potere Sacerdotale posso schiudere però ad un moribondo il cielo. Allora fu pel vecchio infermo. come se dall’alto un angelo venisse a fermarglisi dappresso e gli recasse il salvamento. Vinto dalla grande misericordia di Dio che fino all’ultima ora di sua vita ancora gli offre il perdono, remissione e riconciliazione, e gli promette il cielo e la vita eterna, confessa in un sentimento del più intimo dolore e pentimento i suoi peccati, ne ottiene l’assoluzione e … muore nel bacio del Signore. Questo trionfo dell’amore di Dio che vuole beati gli uomini tutti, che anche dei più depravati va in cerca fino all’ultimo respiro della vita con la tenerezza di una madre, aveva talmente dato di piglio allo spirito di quel pastore e il suo cuore fu di repente tanto cangiato dalla onnipotenza della grazia, che in quello stesso momento risolvette la sua conversione. Ritorna dai commensali tutt’ora radunati e così parla loro. Addio, signori miei, io fo ritorno al grembo della mia Chiesa Cattolica, che io con tanta perfidia abbandonai. La misericordia di Dio mi chiama a penitenza, alla riconciliazione e . .. tanto è clemente con me Iddio, al cielo. Oltre a quelli che sono caduti, ve ne ha degli altri che vacillano e che sarebbero tentati di questo gran delitto. Or che cosa dirò a costoro? S’immaginino di stare intorno ad un pozzo anzi ad un abisso spaventosissimo e che il demonio venga a dir loro all’orecchio che vi si gettino a precipizio. Che cosa risponderebbero allora? Or lo stesso dicano qui al nemico infernale, richiamino tutta la loro virtù al cuore come si fa negli estremi cimenti, considerino un istante i Novissimi che ci aspettano, i beni che perderebbero, e con altissima indignazione rigettino tutti i dubbi che il demonio affaccia loro alla mente, protestando mille volte che non si dipartiranno dalla cattolica verità. Si ricordino che la nostra S. Fede è fondata sopra i Patriarchi ed i Profeti, sugli Apostoli ed i Martiri, sul consenso di tutte le genti, sopra miracoli senza numero, sopra la scienza di tutti i Dottori, sull’aperta protezione del cielo e sulla confermazione che loro malgrado ne han data spesse volte fino i demoni. Con queste generali considerazioni senza entrare in discussioni né con sé stessi né con le suggestioni diaboliche hanno da respingere ogni argomento che o le passioni o il demonio loro rappresenti. – Siccome però a rimuovere tutti questi dubbi intorno alla Fede vuolsi rimuoverne la cagione, le radici, il principio di essi; così ne discorreremo nei Capi seguenti.

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE DI J. J. OLIER (2)

J. J. OLIER

CATECHISMO CRISTIANO PER LA VITA INTERIORE (2)

LEZIONE IV.

Dello spirito e delle inclinazioni di Adamo, dalle quali è ben lontana la condizione dei Cristiani.

D. – Adamo aveva dunque altre inclinazioni che i Cristiani? Aveva forse uno spirito diverso da quello di Gesù Cristo? Lo Spirito Santo operava dunque in lui altri sentimenti differenti che in Gesù Cristo?

R. – Sì, Adamo era stato creato perché fosse simile a Dio nelle perfezioni, nell’onore e nella beatitudine, perciò venne creato nel Paradiso terrestre e costituito Re dell’Universo.

D. – Non è forse questo il destino anche dei Cristiani?

R. – No.

D. – Ma dunque, non sono forse creati a immagine di Dio?

R. – Sì, sono creati simili a Dio, nella sua giustizia e nella sua vera santità. (Secundum Deum creatus est, in justitia et sanctitate veritatis. – Ephes., IV, 24).

D. – Che significa: sono creati nella giustizia e nella vera santità?

R. – Significa che sono creati in Gesù Cristo (Creati in Christo Jesu – Ibid., I , 10), rinnovati e rigenerati dal Battesimo, per vivere poi nel distacco da ogni creatura.

R. – La condizione dei Cristiani è dunque molto differente da quella di Adamo, prima del peccato?

R. – Sì: Adamo nello stato d’innocenza, cercava Dio, lo serviva e lo adorava nelle creature; e i Cristiani, al contrario, devono cercare Dio per la fede, servirlo e adorarlo in quanto è ritirato in se stesso e nella sua santità, separato da ogni creatura ed elevato al di sopra di ogni cosa.

D. – I Cristiani devono dunque essere distaccati da tutto? Debbono dunque essere santi?

R. – Sì, certamente; devono essere, almeno nel loro cuore, separati da tutto: devono cercare Dio in Lui medesimo; perciò san Paolo li chiama Santi (Vocatis sanctis.- Rom. I, 7. La santità è uno stato in cui l’anima è tutta distaccata dalle creature, e unita a Dio con tutti i suoi affetti).

LEZIONE V

Come i Cristiani sono obbligati a mortificare in se stessi le inclinazioni di Adamo e della carne, e di crocifiggere l’uomo vecchio.

D. – Che debbono dunque fare i Cristiani i quali sentono in se stessi l’inclinazione a legarsi con l’affetto alle creature?

R. – Sono obbligati a reprimere queste inclinazioni e a rinunciarvi, poiché sono inclinazioni che vengono dalla carne, e poiché non siamo più debitori alla carne, come dice san Paolo, non dobbiamo vivere secondo la carne (Debitores sumus non carni, ut secundum carnem vivamus. – Rom., VIII, 12).

D. – Dopo il Battesimo, il quale è una seconda generazione, i Cristiani non devono dunque conformarsi al loro padre Adamo per vivere come lui?

R. – No, perché Iddio, essendosi fatto nostro Padre nel Battesimo, ci impone di vivere secondo Lui e secondo le sue inclinazioni, che il suo Spirito infonde in noi.

D. – E se viviamo secondo la carne, saremo noi salvati?

R. – No; san Paolo, infatti, ci dice espressamente che morremo, se non mortificheremo la nostra carne con tutti i suoi disordinati desideri, che sentiamo in noi (Si secundum camem vixeritis, moriemini. – Rom., VIII, 13).

D. – I Cristiani sono dunque obbligati a mortificare se stessi?

R. – Certamente, poiché secondo l’Apostolo, quelli che sono di Gesù Cristo, hanno crocifisso la loro carne coi suoi vizi e le sue cupidigie; hanno crocifisso l’uomo vecchio con tutte le sue opere e se ne sono spogliati (Qui sunt Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis. – Galat., V, 24; Expoliantes vos veterem hominem cum ætibus suis. – Colos., III, 9).

D. – Cos’è quest’uomo vecchio?

R . – È ancora la carne; ossia siamo noi medesimi l’uomo vecchio, con le inclinazioni che abbiamo ricevute da Adamo, per mezzo dei nostri genitori.

D. – Quali sono queste inclinazioni?

R. – Tutte le inclinazioni che ci portano al male e di cui siamo pieni; si possono ridurre a tre: l’inclinazione al piacere, l’inclinazione alle ricchezze e l’inclinazione all’onore.

D. – E dobbiamo noi reprimere tutti questi appetiti?

R. – Sicuramente; dobbiamo crocifiggere in noi l’uomo vecchio come i cattivi crocifiggono Gesù Cristo.

D. – Ma, insomma, cosa vuol dire propriamente crocifiggere l’uomo vecchio?

R. – Significa comprimere, anzi, soffocare nel nostro cuore tutti i desideri impuri e disordinati che sentiamo nella nostra carne.

D. – Ma cos’è questa carne?

R. – La nostra carne è tutta la vecchia creatura che noi siamo; tutto l’uomo in quanto non è rigenerato, ed è opposto allo spirito del Battesimo.

D. – Ma dunque, prima che siamo battezzati l’anima nostra in noi e il nostro spirito sono forse carne?

R. – Sì, e chiamo carne l’anima nostra perché essendo immersa nella carne, rimane partecipe di tutte le maligne inclinazioni di quella, dimodoché, se la grazia non la libera dalla carne, diventa una cosa sola con questa e perciò giustamente viene chiamata carne.

D. – Sarà forse per questo che Nostro Signore dice che dobbiamo odiare l’anima nostra? (Qui amat animam suam perdet eam; et qui odit animam suam in vitam æternam custodit eam. – Joann., XII, 25).

R. – Appunto; perché l’anima nostra, in quanto è una stessa cosa con la carne, e ne anima e vivifica l’impurità e la corruzione, è nemica di Dio e non merita altro che odio.

D. – E da sola la carne potrebbe peccare?

R. – No, poiché non può vivere senza l’anima, e l’anima, mentre dà vita alla carne, con questa cerca il male e si rende partecipe di tutta la corruzione di essa.

D. – E la nostra mente, può anch’essa essere chiamata carne?

R. – Sì, quando abbia pensieri conformi ai sentimenti e ai movimenti della carne; donde avviene che san Paolo dice che la prudenza della carne è una morte…  Prudentia carnis mors est. (Rom.. VIII, 6).

D. – Che cosa è la prudenza della carne?

R. – La prudenza della carne consiste nei pensieri e nei propositi che noi formiamo nella nostra mente, ossia nel nostro spirito, per giungere ai fini della carne, che sono le voluttà, gli onori e le ricchezze.

D. – Ma, anche la volontà sarà dunque chiamata carne?

R. – Sì, quando aderisce ai movimenti della carne (In desideriis carnis nostræ facientes voluntatem carnis. – Ephes., II, 3); san Paolo chiama appunto questi movimenti: desideri e volontà della carne.

D. – La carne è dunque di grande pregiudizio per l’uomo?

R. – Sì, perciò bisogna odiarla, crocifiggerla e farla morire. Gesù Cristo si lasciò crocifiggere, mettere a morte e seppellire per insegnarci che dobbiamo crocifiggere noi stessi nella nostra carne; che se Egli non volle risparmiare la sua carne innocente, la quale aveva soltanto l’apparenza del peccato, quanto più dobbiamo noi crocifiggere la nostra la quale è veramente peccatrice e tutta costituita nella malignità!

LEZIONE VI.

Della sorgente della grande malignità della carne, alla quale dobbiamo rinunciare.

D. – Donde viene la malizia della carne?

R. – Dal demonio, il quale istillò il suo veleno nell’anima dei nostri progenitori, che lo accolsero con piacere e in tal modo infettarono talmente la loro natura che tutta la discendenza loro nasce corrotta. I figli di Adamo sono come i figli di un lebbroso, la cui corruzione è così grande e la sostanza corrotta, che tutto quanto nasce da lui è corrotto, e tutti i suoi figli sono lebbrosi come lui. – Oppure immaginiamo una sorgente di acqua stagnante corrotta; i rivi che ne derivano sono pure tutti corrotti e partecipi della sua infezione.

D. – I nostri progenitori furono dunque viziati dalla malignità del demonio?

R. – Sì, e la nostra carne che viene da quella di Adamo come dalla sua sorgente è rimasta infetta di questa malignità.

D. – La corruzione e la malizia della nostra carne sono dunque della medesima natura di quella del demonio?

R. – Sicuramente, e Dio nutre appunto un grande odio contro la nostra carne perché essa è piena della malizia del demonio.

D. – Ma come mai? La malizia del demonio si consuma nell’inferno: la nostra carne si risente forse di una tale piena malizia?

R. – Sì, la nostra carne è capace di fare altrettanti mali come il demonio e, se fosse abbandonata da Dio e dal suo Santo Spirito, si porterebbe a tutti i mali che il demonio potrebbe fare.

D. – Dobbiamo dunque nutrire una estrema avversione e un grande orrore per la nostra carne?

R. – Dobbiamo odiarla come odiamo il demonio; anzi dobbiamo fuggirla più che non fuggiamo il demonio. Per questo motivo i Santi facevano strazio del proprio corpo, e, per l’odio che portavano alla loro carne, praticavano straordinarie macerazioni fino a scorticarsi a sangue. Così sfogavano la loro ira su la propria carne come sul nemico giurato di Dio. Oh, quanto dobbiamo fuggire la carne e rinunciare a tutto ciò che essa domanda e desidera da noi! Perciò Nostro Signore diceva che chiunque vuol essere suo discepolo deve rinunciare a se stesso. [Si quis vult post me venire, abnget semetipsum. Matth., XVI, 24).

D. – E che significa rinunciare a se stesso?

R. – Vuol dire rinunciare a tutte le cattive inclinazioni della carne, ossia al desiderio degli onori, dei piaceri e delle ricchezze, al desiderio di essere amato, ai desideri di vendetta, in una parola a tutti i desideri di peccato che sentiamo in noi e che sono contrari alla Croce di Gesù Cristo.

LEZIONE VII.

Dell’amore della croce, vale a dire, delle umiliazioni, delle sofferenze e della povertà, il quale ci viene dato dallo Spirito Santo nel Battesimo.

D. – Dobbiamo dunque portare la Croce di Gesù Cristo e far professione dellesue massime?

R. – Certamente è questa la seconda condizione che Gesù Cristo impose ai suoi discepoli e a tutti i Cristiani: portare la croce e compiacersi nelle sofferenze, nelle umiliazioni, nelle calunnie, nella povertà, ecc.

D. – Ma come mai può darsi che alitiamo l’umiliazione, la sofferenza, la povertà, in una parola la santa Croce di Gesù Cristo?. [« L’amore alla croce è un amore soprannaturale. Lo Spirito Santo ne è il principio, e la nostra volontà abbandonata a se stessa, non giungerebbe mai a produrne gli atti. Di sua natura non percepisce la sensibilità. Ama la croce chi vuole, con l’aiuto della grazia, portarla al seguito di Gesù Cristo; chi è permanentemente disposto a distruggere a poco a poco nell’animo proprio le perverse inclinazioni dell’uomo vecchio e a crocifiggerlo, secondo l’energica espressione dell’Apostolo »].

R. – Da noi medesimi non lo possiamo, sebbene per la virtù di Gesù Cristo e del suo Santo Spirito ch’Egli ci dà nel Battesimo. Lo Spirito Santo, in virtù del Battesimo, viene a riposare in noi, nel fondo del nostro cuore, per imprimervi i suoi sentimenti.

D. – Stranissimo mistero! Quali contraddizioni!

R. – È vero; perciò abbiamo da soffrire grandi lotte, quelle lotte di cui parla san Paolo quando dice che la carne combatte contro lo spirito e lo spirito combatte contro la carne. [Caro concupiscit adversus spiritum; spiritus autem adversus carnem; hæc enim sibi invicem adversantur. – Galat., V, 17]. Da una parte, lo Spirito Santo, che è in noi, ci porta all’umiliazione, alla povertà, alla sofferenza; dall’altra la nostra carne desidera onori, piaceri, ricchezze. L’anima nostra può andare da una parte all’altra a suo piacimento [Notiamo come il Servo di Dio afferma la libertà ad onta della corruzione che abbiamo ereditata dal nostro progenitore. L’anima è sempre capace di fare il bene, con l’aiuto della grazia aderire allo Spirito Santo con la grazia ch’Egli ci infonde, ovvero resistergli e aderire alla carne per causa della sua propria malizia].

D. – Ma come mai dite voi che lo Spirito di Dio ci dà l’amore dei patimenti, delle umiliazioni e della povertà? Quanto a me, non ho ancora provato il piacere di soffrire, la delizia nell’essere umiliato, il godimento nella povertà.

D. – Dite il vero; non sentite nella vostra carne questo piacere, questa delizia, questa gioia; e infatti lo Spirito Santo non è in voi per operare tali effetti nella vostra carne, per compiere un tal cambiamento nel vostro corpo, sebbene nell’intimo dell’anima vostra.

D. – E la carne, non troverà mai piacere nell’essere afflitta, nelle pene e nella croce?

R. – Mai, a meno che talvolta lo Spirito Santo estenda sino ad essa le inclinazioni che avrà effuse nell’anima e inebri il nostro corpo dei medesimi sentimenti di cui avrà riempito il nostro cuore; ma ciò accadrà raramente e per breve tempo.

D. – Il Battesimo dunque non produce nel corpo l’impressione che fa nell’anima?

R. – L’anima è quella che riceve le inclinazioni e le nuove impressioni dello Spirito: essa sola è rigenerata dal Battesimo.

LEZIONE VIII.

Della nostra prima generazione, in cui il demonio è padre delle nostre cattive inclinazioni; e della rigenerazione del Battesimo, nella quale Dio diventa nostro padre, comunicandoci la sua vita divina.

D. – Che cosa vuol dire che l’anima nostra è rigenerata dal Battesimo?

R. – Ciò vuol dire che nel Battesimo essa riceve inclinazioni e impressioni affatto nuove e differenti da quelle della sua prima generazione. – Per la prima sua generazione l’anima aveva inclinazioni perverse che l’allettavano al peccato, alle cose terrene e alle creature. Al contrario, per la rigenerazione dei Battesimo, riceve impressioni e inclinazioni affatto differenti, le quali la portano ad amare Iddio e ad adempiere verso di Lui i doveri di religione, a distaccarsi dalle creature e a ricevere le cose del Cielo. [Questi sono gli effetti delle virtù che il Battesimo infonde nell’anima, virtù delle quali tuttavia non abbiamo coscienza].

D. – Dopo il Battesimo dunque, l’uomo non è più nostro padre, né la carne, nostra madre?

R. – No, e non dobbiamo più seguirne le cattive inclinazioni, perché nostro padre è Iddio.

D. – In qual modo Dio diventa nostro Padre?

R. – Noi chiamiamo Dio nostro Padre e lo è in verità, perché nel Battesimo ci comunica, mediante il suo Santo Spirito, la sua natura e la sua vita divina. [Ut efficiamini divinæ consortes naturæ. ( II Petr., I. 4). — Ut filii Dei nominemur et simus. (I Joan., III, 1)].

D. – Ma il demonio non è egli pure il padre dell’uomo?

R. – Sì, nella prima generazione (naturale) il demonio è propriamente padre dell’uomo peccatore in Adamo, perché in esso ha seminato la sua propria vita e le proprie pessime inclinazioni, le quali ci furono trasmesse nella nostra prima nascita. Perciò Gesù Cristo disse ai maligni Farisei: Voi avete per padre il demonio e volete eseguire i desideri del padre vostro. Vos ex pntre diabulo estis, et desideria patris vestris vultis facere. (Joan., VIII, 44). – Nella seconda generazione, invece, che si compie nel Battesimo, tutto è divino, perché in questa nuova nascita l’Eterno Padre è il nostro Padre, che ci comunica le sue inclinazioni, i suoi sentimenti, la sua santità, per la virtù del suo Spirito, il quale da Lui ci viene dato ed è in noi il principio della vita santa e divina; vita divina che risplende poi nelle opere nostre, che sono simili a quelle di Dio e lo glorificano su la terra. – Pertanto, poiché nella nostra prima generazione il demonio è nostro padre e sappiamo che le sue perverse inclinazioni ci vennero trasmesse da Adamo, riconosciamo che siamo ben miserabili; la nostra miseria è tale che la parola umana non potrebbe esprimerla: Dio solo può comprenderla.

D. – E perchè?

R. – Perché Dio solo comprende quale sia la malizia del demonio e quale sia la miseria cui lo ha condannato la Divina Giustizia; perciò Lui solo può comprendere la miseria, la malizia e la povertà della nostra carne, la quale è ridotta ad uno stato così disgraziato che non solo è partecipe della maledizione del demonio, ma inoltre ha in sé varie debolezze, impurità e miserie di cui quello spirito maligno, per la sua propria natura, è immune.

D. – Ma se così stanno le cose, l’uomo per giustizia deve amare l’abiezione e compiacersi di essere umiliato e disprezzato?

R. – Certo; tutto ciò gli è ben dovuto.

LEZIONE IX.

Dell’obbligo di portare la croce e di conservarne l’amore, come risulta dallo spirito del Battesimo, che ha impresso in noi questo amore.

D. – La carne non può meritare che disprezzo, abiezione e contraddizioni?

R. – Non può meritare altro, e appunto per questo nel Battesimo viene infuso nel cuore dell’uomo l’amore del disprezzo, dei patimenti e della povertà. [Amore soprannaturale, per il quale dalla mano di Dio si accettano volentieri le croci e si riconosce che sono grazie e non castighi; amore tuttavia che non toglie la ripugnanza naturale per la sofferenza, le umiliazioni e la povertà]. L’uomo, infatti, non essendo in se stesso altro che niente e peccato, non deve avere altro desiderio fuorché quello di essere trattato secondo il suo merito, vale a dire di essere umiliato, povero e perseguitato.

D. – O ammirabile condotta della sapienza divina sui Cristiani! Non è senza ragione che la Scrittura chiama il mistero della Croce un mistero nascosto. (Et erat verbum istud absconditum ab eis. – Luc., XVIII, 34). Pochi intendono cosa sì giusta e ragionevole per il nostro stato e che siamo obbligati ad averne l’amore nel nostro cuore.

R. – È questa appunto la disgrazia e l’inganno del mondo; generalmente si pensa che l’amore della Croce sia una devozione riservata al chiostro, e non un obbligo per tutti i Cristiani. Ma san Paolo, come già abbiamo detto, dichiara che non siamo più debitori verso la carne sicché viviamo secondo le sue inclinazioni, ma siamo obbligati invece a vivere secondo lo spirito. Che se viviamo secondo lo spirito, dobbiamo camminare secondo lo spirito … Si spiritu vivimus, spiritu et ambulemus. – (Galat. V, 25),il quale ci imprime nel cuore l’inclinazione per la Croce e ci dà la forza di portarla.

D. – Ho sentito talvolta che questa verità ci viene insegnata dalle cerimonie che la Chiesa usa nel Battesimo; è vero?

R. – Verissimo, perché con l’Olio Santo si fanno due croci, una sul cuore, l’altra su le spalle del battezzato, per significare l’effetto dello Spirito Santo.

D. – Che rappresenta l’olio?

R. – L’olio santo rappresenta lo Spirito Santo.

D. – Che significa la croce che si fa sul cuore?

R. – Significa l’amore della croce, perché il cuore è la sede (almeno in apparenza e secondo la credenza generale) dell’amore.

D. – E quella che si fa su le spalle?

R. – Questa significa la forza di portare la croce, perché le spalle sono la sede della forza dell’uomo.

LEZIONE X.

Di un altro dovere di amare la croce, e in modo particolare l’umiliazione e l’abiezione, le quali formano il primo braccio della Croce; dovere che risulta dal fatto che l’uomo, nel suo fondo e da se stesso, è niente.

D. – E’ soltanto lo Spirito che abbiamo ricevuto nel Battesimo quello che ci obbligaad amare la Croce?

R. – No, vi siamo ancora obbligati per ciò che siamo da noi medesimi. Che cosa è l’uomo da se stesso e nel suo fondo? Ahimè, l’uomo da se stesso è niente! Che cosa era l’uomo prima che Dio vi avesse deposto il suo essere? (L’essere dell’uomo è essere di Dio in quanto viene da Dio per la creazione). Niente, assolutamente niente. — Ma il niente che cosa merita? — Niente; il niente merita il niente, quindi il disprezzo, l’abiezione, l’abbandono e la dimenticanza da parte di ogni creatura. Il niente non può essere considerato, perché non ha nulla che possa attirare lo sguardo e sul quale si possano porre gli occhi.

D. – Non dobbiamo adunque desiderare di essere considerati, veduti, stimati?

R. – No, dobbiamo desiderare di essere trattati secondo il nostro merito, perciò di essere disprezzati; ciò che è niente non merita neppure di essere disprezzato, poiché non è tale che si possa pensare a lui, né che se ne faccia l’oggetto di qualsiasi giudizio. Donde si vede che l’uomo, essendo niente per se stesso e nel suo fondo, non merita niente, nemmeno il disprezzo.

D. – Ahimè! siamo dunque ben poca cosa, mentre non meritiamo neppure che si pensi a noi, neanche per disprezzarci. Ma perché dite voi che l’uomo è niente, dal momento che ha un corpo e un’anima?

R. – Dico che l’uomo è niente in se stesso e per se stesso; ha bensì cose che ha ricevute e che appartengono ad altri (a Dio) ma, in se stesso, è sempre niente; e chi ha il merito di essere considerato e onorato, non è lui, ma quell’altro (Dio), al quale appartiene il bene che ne ha ricevuto.

D. – Donde ricavate voi queste verità?

R. – Dall’Apostolo san Paolo, il quale dichiara che se uno, mentre in verità è niente, crede di essere qualche cosa, s’inganna grossolanamente; e inoltre che non abbiamo motivo di gloriarci come se non avessimo ricevuto tutto ciò che abbiamo.(Si quis existimat se aliquid esse, cum nihil sit, ipse se seducit. – Galat., VI, 3 ). — Quid habes quod non accepisti ? Si autem accepisti, quid gloriaris quasi non acceperis? – I Cor., IV, 7).

D. – E dunque, da chi l’uomo ha ricevuto tutto il bene che possiede?

R. – Da Dio solo; perciò Dio solo deve essere onorato per qualsiasi bene che si trovi nell’uomo; in quella guisa che il pittore deve essere onorato per il quadro che ha dipinto, e non già la vecchia tela su la quale ha steso i suoi colori: così l’uomo non deve punto ricevere per sé le lodi che gli vengono date, ma tutto rivolgere a Dio, dicendo: « Mio Dio, a Voi riferisco tutte queste lodi, poiché Voi solo le meritate per tutti i vostri beni che deponete in me ».

D. – Ma quando l’uomo riconosce in sé dei doni e delle grazie di Dio, che cosa deve dunque fare?

R. – Deve fare tre cose:

1° Umiliarsi davanti a Dio, riconoscendo in Lui l’Autore di ogni bene che sia in noi;

2° Ringraziarlo della sua bontà per il bene che si è degnato di darci contro ogni nostro merito;

3° Pregarlo che glorifichi se stesso per mezzo dei suoi doni e che ne usi in noi per la sua gloria, poiché di per noi medesimi non sapremmo farne un buon uso degno di Lui.

D. – E i demoni, ebbero forse tali disposizioni quando ricevettero i doni di Dio?

R. – Mai più; se avessero usato così dei doni che avevano ricevuto da Dio, non si sarebbero dannati.

D. – Che fecero dunque per perdersi così miserabilmente in mezzo a tanti doni di Dio?

R. – Incantati dalle dolcezze dell’onore, vollero essere onorati per i doni che avevano ricevuti; e così, usurpando per sé le lodi dovute a Dio solo, vollero defraudare la sua Maestà della gloria che le era dovuta.

D. – Non dobbiamo dunque volere nessun onore per noi stessi?

R. – No, assolutamente.

LEZIONE XI.

Dell’orgoglio e del desiderio di essere onorati, al quale dobbiamo resistere.

D. – Non possiamo mai desiderare di essere onorati?

R. – No, perché chi desidera di essere onorato, desidera il bene altrui, poiché desidera il bene di Dio; è ladro e, secondo un’espressione di san Paolo, è colpevole di rapina; (Qui (Christus) cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratius est esse se æqualem Deo. (Philipp., II, 6); infatti, ruba a Dio ciò che Egli ha di più caro, quella gloria che Egli assicura di non voler cedere ad altri. (Gloriam meam alteri non dabo – Isa., XLVII, 8; XLVIII, 11)

D. – E’ dunque un furto sacrilego?

R. – Certamente, poiché è rubare su l’altare di Dio, e con mani sacrileghe rapirgli ciò che Egli non vuol dare, ciò che non darà a nessuno, come dichiara espressamente.

D. – La superbia è dunque un gran peccato?

R. – Sì, per questo nei demoni venne castigata con tanto rigore e sta scritto che Dio resiste ai superbi(Deus superbis resistit – 1 Petr. V, 5) come se volessero strappargli, a suo dispetto, il bene più caro ch’Egli abbia.

D. – Ma allora il castigo della superbia non è soltanto un effetto dell’ira di Dio, ma ben anche del suo furore.

R. – Sì, perché è una conseguenza della resistenza di Dio irritato contro il superbo, il quale vuole rapirgli il suo onore, e sul quale Egli scarica la sua ira, accesa e trasformata in furore.

D. – S’ingannano dunque molto gli uomini che ricevono gli onori, poiché non è lecito desiderarli?

R. – Verissimo; perché se ricevono qualche onore, non lo possono ritenere per sé, e non riferirlo a Dio, senza mettersi nel pericolo di offendere gravemente il Signore e di farlo entrare in furore.

D. – Che dobbiamo fare quando sentiamo in noi il desiderio di essere onorati, oppure quando sentiamo piacere per le lodi che ci vengono date o per la stima che gli altri dimostrano per noi?

R. – Dobbiamo rinunciare a tali sentimenti, e umiliarci con grande confusione, vedendo nella nostra carne desideri diabolici, sentimenti che vengono dall’inferno e sono simili a quelli che furono la causa della riprovazione dei demoni. Il demonio, infatti, fu precipitato nell’inferno perché bramava di essere stimato e onorato dai suoi compagni, anzi li spingeva a rendergli lodi e onori che riceveva con gioia. Prego il Signore che non abbiamo mai tali sentimenti, che furono la rovina degli angeli.

D. – Mi pare che non diciate bene, perché  fino alla morte sentiremo in noi il desiderio di essere onorati e stimati; e questo non è peccato, purché vi resistiamo.

R. – È vero anche questo; infatti, tutti gli Angeli furono assaliti dalla tentazione della superbia; ma gli uni cedettero, gli altri no; questi ne fecero il loro profitto e acquistarono la corona, mentre gli altri vi acconsentirono e furono condannati. Dobbiamo dunque almeno protestare che non vogliamo cedere ai sentimenti di superbia e che non ce ne compiaceremo mai.