LO SCUDO DELLA FEDE (173)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (IX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

I MISTERI

III. — Il mistero della Creazione.

c) La Natura.

D. All’opposto dello spirito puro, tu vedi la natura fisica?

R. Essa di fatto è all’opposto, pur serbandone il contatto.

D. Che cosa pensi della sua creazione? Ebbe essa luogo in una sola volta, o successivamente? per tappe, o continuatamente?

R. Secondo quello che abbiamo detto della creazione, pura relazione di dipendenza riguardo a Dio, la tua domanda non ha guari senso. Il mondo dipende in tutto il tempo: dunque è creato in tutto il tempo. Diciamo meglio: esso è creato secondo tutto îl tempo, cioè in tutti i termini della sua durata, in tutte le sue tappe; perché sappiamo che la creazione in se stessa è intemporale; sono solamente temporali il tempo stesso e ciò che il tempo misura.

D. Ecco che il mistero ritorna.

R. Io non ne posso niente. Tuttavia, aggiungo che il primo giorno del mondo in un certo senso è privilegiato. Esso non ha precedente; gli altri ne hanno. Si può dunque dire — in questo senso — che esso è nuovamente creato; che il mondo, in sé è tutto nuovo, benché le parole tutto nuovo e nuovamente abbiano l’aria di supporre una precessione illusoria e quel niente immaginario che noi abbiamo eliminato. In ragione di questo privilegio del giorno primo, si nota una differenza tra la «creazione continuata » o «conservazione » e la creazione iniziale, che è la stessa, ma riferita ad ogni istante.

D. Come si può continuare ciò che è intemporale, conservare ciò che dipende daell’intemporale?

R. Non si può. Questi sono modi di parlare. Ma io te ne dico l’intenzione. Si vuol notare una differenza tra ciò che comincia e ciò che prosegue, e questa differenza che non si trova nella creazione stessa e si trova solo nel suo effetto, la si riporta sulla creazione per concessione alle nostre abitudini di mente e di linguaggio, per assimilazione a ciò che avviene ordinariamente. E si dice: «Il mondo fu creato al principio del tempo »; oggi e sempre, esso è «conservato », «governato », il che non impedisce che dipenda incessantemente, e per conseguenza,  in quanto al contenuto essenziale della parola creazione, noti sia sempre creato.

D. Dunque resta il mio quesito. Ne modifico solo un poco i termini; e domando: Dio ha Egli dato alla natura un unico cominciamento, o questa ha conosciuto, in seguito, altri cominciamenti, che l’arricchiscono di nuove creature?

R. Certi pensatori stimano che vi sono sempre dei cominciamenti di questo genere; che le produzioni della natura sono perpetuamente nuove, imprevedibili, inventate sul posto; che vanno a ventaglio, sfoggiando sempre maggiori risorse. Ecco quello che, in Enrico Bergson, significa l’evoluzione creatrice. Questa creazione continua, non più nel senso d’una semplice conservazione, ma d’un accrescimento, non ha nulla che possa sorprendere un Cristiano. Noi vi aderiamo almeno in un caso particolare, quello dell’anima, come presto vedremo. Noi vi aderiamo anche, in maggioranza, quando si tratta del passaggio da un regno all’altro, supponendo che essi si dispongano a piani nel tempo. La vita non ha potuto uscire dalla materia inerte per un semplice sviluppo della materia inerte; assai meno ancora un’anima pensante può uscire da un organismo o da un’azione organica, dal momento che essa appartiene al mondo dello spirito, quantunque al più infimo titolo. In questi casi dobbiamo supporre un prestito nuovo dalla Sorgente creatrice, che Cristo ci dice perpetuamente attiva: « Mio Padre opera fino adesso ». L’eternità viene in soccorso del tempo, Se questo soccorso fosse permanente, noi non potremmo lagnarcene.

D. Credi tu per lo meno ai giorni della creazione, che siano giorni propriamente detti o giorni-periodi?

R. Qui non si può dar risposta perentoria. Quello che ne dice la Scrittura si presta a troppo diverse interpretazioni. Mosè, ancora una volta, non era incaricato d’insegnarci la cosmologia, ma di stringerci a Dio e di avviarci, col suo popolo, verso la Terra promessa.

D. Dunque, secondo te, resta libera la via per un’interpretazione della natura mediante l’evoluzione?

R. Sì, certamente; ma a due condizioni, delle quali ti ho già esposto sopra la prima, ed è che anzitutto l’evoluzione non pretenda di sostituire Dio; poi, che essa dia a Dio tutto il posto che gli può convenire nel corso stesso delle cose. In un sistema di evoluzione ben compreso, la natura ha due mezzi di effettuare l’opera sua: valersi delle risorse iniziali che ha dal Creatore, spiegando le sue virtualità segrete, le «sue ragioni seminali», direbbe S. Agostino; oppure, là dove il suo capitale acquisito non basta, attingere dalla Sorgente congiunta, o continuatamente, come vuole Bergson, o solamente alle grandi svolte; sia che vi si sorprendano soltanto dei piccoli cambiamenti, a guisa delle trasformazioni lamarckiane e darwiniane, oppure vi siano dei salti bruschi, delle varianti subitanee, come esige de Vries. In realtà, tutto questo per noi è uguale; se la intendano la scienza e la filosofia. Religiosamente, noi patrociniamo per Dio, rivendichiamo i diritti di Dio e allora si tratta della Causa, non del piano, e dei procedimenti di Spiegamento; si tratta del perché di tutto, non del come secolare e delle sue oscure vie. Non è inutile osservare qui che Lamarck e Geoffroy-Saint-Hilaire, i due creatori del trasformismo, non vedevano in esso se non «l’esecuzione d’un piano tracciato dalla volontà divina ».

d) L’Uomo.

D. L’uomo apparve subitaneamente sulla terra, oppure la sua venuta è il risultato d’una lenta elaborazione della vita?

E. L’uomo, propriamente parlando, non può essere un prodotto dell’evoluzione anteriore, poiché è costituito essenzialmente dalla ragione, fatto nuovo, fatto trascendente a ogni sviluppo materiale e che esige un apporto sui generis, veniente dal mondo dello Spirito,

D. Perché dici: L’uomo propriamente parlando?

R. Perché, quando ci si esprime con precisione, l’uomo vuol dire un’anima e un corpo formanti un solo essere. Ma, pur dicendo: l’uomo, si potrebbe pensare all’uomo quanto al suo corpo, all’uomo quanto alle sue preparazioni, quanto a’ suoi antecedenti corporali, e allora il problema posto sarebbe tutt’altro.

D. Che cosa intendi con questo?

R. Che il sapere se l’uomo è stato formato in una sola volta e tutto d’un pezzo, è una questione, e il sapere donde viene a lui, indipendentemente dal suo corpo, la parte principale del suo essere, quella che lo fa veramente uomo è un’altra questione.

D. Che diresti della prima questione?

E. È una questione di fatto. Si può pensare che il Genesi la dirima, con la storia della formazione di Adamo e del soffio di vita che Dio gl’infuse; e invero la scienza, quanto al presente, non vi contraddice affatto. Ma si può pensare all’opposto che per la Religione come per la scienza, il problema resti sospeso. Razionalmente parlando e atteso lo stato dei fatti da noi conosciuti, nulla impone e nulla vieta di credere che l’organismo umano sia stato elaborato nel seno della natura generale, nel corso delle età, e che, a suo tempo, Dio presente a tutte le cose abbia fornito la parte spirituale che costituisce l’uomo.

D. Si dirà allora che l’uomo « discende dalla scimmia ».

R. Sarebbe una grande stupidaggine; perché anzitutto non si tratta della « scimmia ». Ognora più la scienza crede di trovare le nostre origini fisiche lontano dalla linea scimmiesca. Sopra il tronco dei Primati, l’umanità sarebbe salita al centro, come un gran fiore, quando divergevano tutt’attorno, in vari sensi, dei rami di cui gli uni sono periti, e gli altri sussistono. Del resto è questa una considerazione secondarissima; ciò che importa è questo. L’uomo è l’uomo, non è soltanto il suo essere fisico, non è il suo corpo. Sarebbe piuttosto l’anima. In realtà, non è né l’uno né l’altro, ma il composto. Ora in quale momento nasce un composto? Senza dubbio si forma aggiungendo a un primo elemento quello che lo compie, specialmente se l’elemento complementare è di gran lunga il principale, se è l’essenziale. Non vi fu dunque uomo, uomo vero, se non in quel tempo, e la nascita dev’essere attribuita a Colui che è il padrone di quel momento, che ne fornisce la caratteristica umana, che ne fa una nascita d’uomo.

D. La nostra genealogia risalirebbe dunque a Dio, anche in questa ipotesi?

R. Così dicendo, tu incontri il Vangelo, tanto ammirato su questo punto da Chateaubriand. La genealogia di Cristo, in S. Luca, attraversa tutte le età, in addietro, da Giuseppe ad Adamo, e si getta in Dio. La nostra, in avanti, vi si raccorda.

D. Ma perché l’anima, o l’intelligenza non verrebbe al mondo per evoluzione, come ultimo stadio dell’evoluzione? Quando il legno è sufficientemente caldo, il ceppo s’infiamma.

R. Avresti ragione, se la fiamma e il ceppo di cui si tratta qui appartenessero, come nel tuo esempio, a uno stesso ordine di fatti. Scaldare un ceppo in un focolare, è semplicemente metterlo in un certo stato di vibrazione; se la vibrazione si accentua, è la fiamma; a un effetto di calore si unisce un effetto di luce; ma questi sono fenomeni dello stesso ordine, in continuità l’uno con l’altro, sullo stesso piano. All’opposto, il pensiero e la materialità sono d’un ordine opposto, esclusivi l’uno dell’altro.

D. Perché ciò?

R. Perché l’oggetto del pensiero è la natura delle cose, l’idea delle cose, la loro equazione interiore, se posso dire così, e l’equazione che i loro rapporti stabiliscono. Ora questo esorbita affatto da ogni materia e da ogni attributo materiale; questo non è più locale, temporale, individuale, come tutto ciò che spetta alla materia. Noi siamo qui al di sopra dell’evoluzione e delle sue varie realizzazioni, delle quali l’idea, in noi, ha il carattere  d’un piano intemporale, atto ad esser ripreso  quanto si vorrà, moltiplicato indefinitamente, e per conseguenza estraneo alla realtà che esso riflette.

D. Potresti darmi un esempio?

R. Lo prendo molto grosso; sarà più visibile. Due pomi si aggiungono a due pomi per farne quattro; io posso metterli in un paniere tutti e quattro; ma due e due fanno quattro, dove metterò io questo? dove questo si può collocare? in qual luogo, in qual tempo, in quali condizioni d’individualità che si possano prestare a una evoluzione materiale?

D. Non avviene lo stesso d’una sensazione animale?

R. Niente affatto. Una sensazione animale si evolve incessantemente; in ciascuno de’ suoi stati essa è insieme un punto di partenza e un termine, come tutto ciò che è movimento e tempo. Una sensazione ha per principio un’immagine, e un’immagine non è un’idea. L’immagine ha dei caratteri nettamente individualizzati, localizzati; essa è legata a una durata; trascorre; è estranea a quel potere di ripetizione e di reincarnazione indefinita che l’idea rivendica.

D. L’idea, all’origine, non è forse un’immagine, ma generalizzata per sovrapposizione d’immagini similari e per cancellamento dei loro contorni?

E. Tu perori bene; ma ciò non rende nessun conto dei fatti. L’immagine originale esiste; la sovrapposizione d’immagini anche, e ne risulta l’immagine generalizzata; osserviamo in noi tutto questo. Ma se vogliamo rifletterci, potremo anche osservare che nello schema così ottenuto noi vediamo tutt’altro che lo schema. L’idea d’un rapporto matematico, o d’una definizione, o d’una negazione, o l’idea di un’idea, quando il pensiero si ripiega su se stesso, tutto questo non ha nulla a che vedere con le immagini che sottendono il pensiero, ma non sono il pensiero. Lo schema immaginativo è caratterizzato da una generalità imprecisa, l’idea da una universalità precisa. Lo schema immaginativo è temporale e movente; segue il flusso del cervello; sotto un’idea identica, non è in due istanti il medesimo; ma l’idea si presenta come necessaria e intemporale, fosse pure l’idea d’un oggetto cangiante.

D. E che cosa pretendi di dedurre da questo?

R. Ecco. Gli esseri si caratterizzano per i loro poteri, i poteri per i loro atti, gli atti per i loro oggetti. Risalendo, si può determinare mediante il carattere degli oggetti quello degli atti, mediante quello degli atti, quello dei poteri, e mediante quello dei poteri quello degli esseri. L’idea non è forse d’un ordine a parte, estraneo al flusso materiale? lo stesso dunque avviene dell’ideazione, della facoltà d’ideazione, dell’anima. Tutto questo è necessariamente sopra la stessa linea, allo stesso livello, appartenente allo stesso ordine, allo stesso mondo, e questo mondo non è quello del flusso materiale. Se nel corso dei fatti di evoluzione, vi è inserzione d’una sola idea generale, io dico che l’evoluzione ha incontrato un’altra corrente, un altro ambiente, d’ordine spirituale; il mondo dello spirito lo ha toccato; una « virtù » è emanata dall’alto, che ha guarito la sua impotenza d’idealità, come Gesù guariva al contatto le malattie. In una parola, Dio è intervenuto, ha «infuso » un elemento nuovo. Ed è l’anima.

D. Lo sbocciare dell’anima sarebbe dunque un miracolo?

R. Non è un miracolo, perché primieramente questo non si vede e quindi non ha nulla di prodigioso; ma soprattutto perché questo appartiene al corso normale delle cose, tal quale Dio lo ha preveduto e preordinato. È cosa normale che, essendo un organismo stato preparato a ricevere un’anima, quest’anima vi si schiuda, e lo schiudersi non offrirà nulla di drammatico; e neppure di percettibile, salvo che per i suoi effetti. Tuttavia è un fatto interamente nuovo, un fatto il quale non ha luogo in virtù della sua sola preparazione, il quale, data la preparazione, ha luogo in ragione della perpetua presenza di Dio e della sua fedele provvidenza.

D. Così avviene, dicevi tu, di ciascun’anima individuale?

R. Sì. A questo riguardo l’umanità ricomincia in ciascuno di noi. Il ciclo delle preparazioni preadamiche, se è esistito, è ripreso in qualche modo dal ciclo generatore. La madre è la natura, che offre l’ambiente di schiudimento e le risorse nutritive; il semen è il fermento di vita la cui origine remota ci sfugge; lo sviluppo embrionale è l’evoluzione; il neonato, in cui una anima si schiude è come un nuovo Adamo, che alla sua volta darà principio a una discendenza.

D. Una tale dottrina deve avere vaste conseguenze.

R. Ha conseguenze immense, e in tutti gli ordini. Di lì viene, come vedremo, il nostro destino. L’anima, non appartenendo al ciclo della natura, non ne segue il corso, non vi riversa le sue energie proprie, ma fa ritorno al suo alto Principio, al quale anzi essa trascinerà, un giorno, come per diritto di conquista, il suo congiunto corporeo. Avendo così il suo fine individuale, e un fine trascendente al tempo, la persona umana ne diventerà sacra, esonerata dalla servitù completa che amerebbero d’imporle i padroni, di qualunque grado o di qualunque natura essi siano: padri autocrati, mariti oppressori, politici partigiani di uno statismo pagano, fautori o praticanti della schiavitù e de’ suoi derivati, etc., etc. Ciò si estende molto lontano e serve a risolvere una grande moltitudine di problemi. Il conflitto fra tante forze avverse che lottano nella nostra società moderna sovente prende di lì la sua origine.

D. Ritorno al caso della specie. Credi tu alla sua unità, cioè a uno stipite unico, a una coppia, donde sarebbero usciti tutti gli uomini e le varie razze d’uomini?

R. Sì; perché noi crediamo alla solidarietà morale dell’umanità intera; essa ci è attestata dai dogmi del peccato originale e della redenzione.

D. Per te, la solidarietà morale importa l’unità della specie?

R. Sì, perché, alla base, è fondata sull’eredità, come nelle famiglie. La morale ha sempre le sue radici profonde nella natura.

D. A quale data approssimativa potrebbe risalire la costituzione di questa coppia iniziale?

R. Non sappiamo.

D. Non cantate nel vostro cantico di Natale: Da quattromila anni...

R. Non si potrebbe affermare tutto quello che si canta. Vi son lì delle tracce di antichi stati di spirito che credevano di appoggiarsi sopra la Bibbia. Oggi è riconosciuto che a questo riguardo non vi è cronologia biblica.

D. Le vostre storie sono dunque false?

R. Le nostre storie non sono false; ma propriamente parlandonon sono storie, e affinché ogni falsità sia da esse eliminata, non è necessario che la serie dei tempi sia in esse registrata sotto una forma regolare e completa. Siffatta storia non ha neppure bisogno di essere esatta sotto l’aspetto propriamente scientifico, spesso assai estraneo a’ suoi autori; basta che essa sia esatta quanto al senso religioso dei fatti, il che non esige se non una storicità relativa, fatta di simboli reali, se posso dire così, intendo notazioni semplificate, a volte parabole, sacrificanti i particolari a vedute generali e sintetiche, percorrendo periodi interi, correndo alla meta, che è di segnare il senso della vita.

D. Ma qui quali supposizioni faresti?

R. Spetta alla scienza di rispondere. Pietro Termier, geologo eminente, membro dell’Accademia delle scienze e perfetto Cattolico, scrisse: « Nello stato attuale delle nostre cognizioni, non si può attribuire all’uomo meno di 35.000 anni di età; ed è possibile che la sua antichità reale raggiunga 40.000 o anche 50.000 anni ». (Anche le cognizioni di Termier non hanno basi biologiche, antropologiche, nè storiche – ndr. -)

D. E comprendi tu facilmente che l’evoluzione, ammessa or ora a titolo d’ipotesi, abbia così concentrato i suoi effetti sopra una sola coppia, invece di presentarli, qua e là, dispersi?

R. Noi crediamo a un intervento divino affatto speciale, alla culla della stirpe umana.

D. E come si manifestò questo intervento?

R. Per l’elezione della coppia iniziale capostipite dell’umanità futura e per il suo collocamento in uno stato di felicità affatto gratuita che si doveva disgraziatamente perdere. È quello che noi chiamiamo in teologia giustizia originale.

D. E in che consiste questo dono?

R. Nell’unione intima dell’essere umano col suo Dio, e, per conseguenza, in un’armonia interiore esclusiva di quella violenta propensione al male che domina l’umanità attuale, di quella cecità spirituale che l’ottenebra, di quella instabilità funzionale che produce la malattia e la morte.

D. La morte stessa, secondo te, doveva esser risparmiata al primo uomo?

R. Sì; perché la morte, per quanto naturale ci apparisca e sia nelle condizioni presenti, non di meno è, in un certo modo, innaturale. Per essa l’anima perde il suo corpo e si trova così in uno stato violento, per quanto felice sia la vita che vive da sola. Per questa ragione, noi troviamo naturale la risurrezione futura dei corpi, e naturale, all’inizio, l’immortalità dei corpi.

D. Ecco una cosa che urterà un sapiente.

R. Niente affatto se egli ci pensa. Osserverà che più di un fisiologista, attorno a sé, non dispera di vedere un giorno ritardare largamente la morte, se non di guarirla. Che cosa è la morte se non la caduta di un edificio lentamente minato da forze avverse, per mancanza di una coordinazione sufficientemente salda de’ suoi poteri interiori, cioè per mancanza di una dominazione reale dell’anima sopra il suo corpo?

D. Ma che cosa è che può rendere un’anima più potente sul suo corpo?

R. Per una parte la sua propria rettitudine; ma soprattutto, e per il fatto stesso della sua rettitudine, se la si suppone perfetta, la sua stretta unione con Dio, come ora l’ho espressa e come mi ci estenderò di più parlando della redenzione e della grazia. Quanto meglio io sono unito alla Sorgente di ogni forza, di ogni luce, di ogni armonia vitale, tanto maggiori ricchezze ricevo in me e tanto più le posso comunicare al mio ambiente congiunto, che è il mio corpo, anzi, al di là, all’ambiente esterno in cui si esercita la mia azione.

D. Era dunque la natura stessa che ne doveva sentire l’influsso?

R. Sì certamente. Noi crediamo a una specie di « giustizia» delle cose risultante dalla « giustizia originale » dell’umanità.

D. Puoi tu precisare?

R. Noi non possiamo precisare. S’impara a ritrovare il nostro Eden perduto, non a descriverlo.

D. Dunque lo ritroveremo?

R. Lo ritroveremo. Non ora, e ne dirò i motivi; ma il pieno ricupero temporale non è di grande importanza; solo l’eterno conta.

D. Come l’abbiamo perduto?

R. È un nuovo mistero, sul quale dovremo spiegarci con qualche ampiezza.

D. Prima di abbandonare l’idea di creazione, vorrei chiederti se tutto ciò che Dio ha creato costituisce a’ tuoi occhi un solo mondo?

R. Sì, se tu prendi queste parole in tutto il loro rigore. Un mondo può essere un sistema a parte, come il sistema solare; uno sciame di sistemi, come la via lattea o la nebulosa di Orione; la «goccia d’etere », cioè l’insieme delle realtà accessibili alla nostra esperienza. Ma se per mondo intendi l’universalità assoluta delle creature, noi pretendiamo che non vi sia che un solo mondo.

D. Perché non ce ne sarebbero parecchi? Limiti la potenza di Dio?

R. Non limitiamo la potenza di Dio, ma la potenza di Dio è anche sapienza, e la sapienza creatrice non ci pare compatibile con una pluralità assoluta di opere, perché non è punto compatibile con una pluralità assoluta di fini.

D. Qual fine attribuisci tu alla causalità creatrice?

R. La manifestazione del bene divino.

D. Ma questa manifestazione non si acconcia forse alla pluralità?

R. Sì certamente; ma a una pluralità ordinata; perché la pluralità, per se stessa, non ha alcun valore; il valore non si acquista se non con l’ordine.

D. Due universi non varrebbero dunque più di uno?

R. Due universi valgono più di uno se hanno una unità sintetica, se si completano, se i fatti dell’uno vengono in soccorso dell’altro per esprimere con maggiore pienezza il bene divino. Ma allora, dal punto di vista assoluto del termine, essi non formano che un solo universo. Se l’uno non aggiungesse niente all’altro, se fossero identici, la loro moltiplicazione perderebbe ogni ragione di essere e ripugnerebbe a servire da fine.

D. Un universo è dunque, per te, essenzialmente un ordine?

R. È quello che esprime la parola cosmo, che significa a un tempo ordine, ornamento e universo.

D. E ciò solo è un bene?

‘R. Ciò non solo è un bene; ma il miglior bene; è il bene prima di tutto voluto dal Creatore e del quale Egli applaude l’effettuazione nel Genesi, quando dice di ciascuna cosa in particolare che essa è buona, e di tutte collettivamente che sono molto buone. Tutte le cose sono buone come riflesso isolato del loro principio; tutte le cose sono molto buone come adatte l’una all’altra e al loro Principio, al quale rendono una comune testimonianza.

D. E questa comunanza, a tuoi occhi s’impone?

R. Sì; perché Dio, in ciò che lo riguarda, non può volere se non il miglior bene, che è l’ordine, si tratti dell’ordine interno di ciascuna cosa o dell’ordine del loro insieme. Riguardo alla sua creazione integrale, quello che Dio vuole anzitutto, non è questa o quella creatura, il cui valore limitato non si sostiene da sé e prende da tutto ciò che la circonda; ma sì l’armonia de’ suoi esseri, il cui insieme effettua la dose di perfezione e di bene che Egli ha deciso di produrre fuori di sé.

D. Questa legge si trova nelle nostre proprie creazioni?

R. Senza dubbio. Quello che vuole l’artista, non è questo o quell’elemento dell’opera sua, ma l’opera. Ciò che richiede un saggio governo, non è il successo di questa o quell’impresa particolare, ma il bene pubblico.

D. Ad ogni modo, il legame che tu supponi così tra gli universi non pare dover essere necessariamente d’un ordine fisico, anche in ciò che riguarda le creature fisiche.

R. È vero. Forse questo legame non è fisico di fatto, e forse non lo è neppure in ciò che riguarda le creazioni materiali. Rigorosamente parlando è possibile, che vi siano degli universi tagliati fuori d’ogni comunicazione con noi. Ma in ragione di ciò che ora ho spiegato, non sarà meno vero il dire con S. Tommaso d’Aquino: « Tutte le cose che vengono da Dio hanno un rapporto le une con le altre e un rapporto con Dio… È dunque necessario che tutte appartengano a un solo mondo ».

LA SUMMA PER TUTTI (24)

LA SUMMA PER TUTTI (24)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XLIX.

Della fine del mondo e di ciò che deve seguirla.

1864. È stato detto che quando l’ultimo eletto prescelto da Dio nel mistero della sua Predestinazione, per occupare un posto nel cielo avrà raggiunto il grado di preparazione e di merito che Dio vuole fargli raggiungere, il moto del mondo sarà fermato ed il mondo finirà. Ma in che consisterà la fine del mondo e che cosa le terrà dietro? Tutto si limiterà alla recezione dell’ultimo eletto in Paradiso ed alla simultanea assegnazione del posto motivato per gli altri dai loro meriti o dal loro stato, sia nell’Inferno che nel Limbo dei bambini?

Niente affatto; perché la fine del mondo sarà immediatamente seguita dai due più grandi avvenimenti che siano mai stati e che porranno il suggello a tutto nell’opera di Dio: la resurrezione ed il giudizio.

1865. E la fine del mondo in che cosa consisterà, ossia come avverrà?

L’ Apostolo S. Pietro ci insegna che ciò avverrà per mezzo del fuoco, nel momento stesso in cui Gesù Cristo ritornerà nella sua gloria per giudicare i vivi ed i morti (LXXIV, art. 1, 2).

1866. Questa conflagrazione universale che porrà fine al mondo attuale, avverrà come preparazione al giudizio?

Sì; ciò avverrà come preparazione al giudizio, per purificare tutte le cose e renderle degne del nuovo stato che dovrà metterle in armonia con la gloria degli eletti (LXXIV, 1).

1867. Il fuoco della conflagrazione finale agirà per la sua sola virtù, od anche come strumento della virtù divina?

Agirà anche come strumento della virtù divina, specialmente per la espiazione delle anime che avrebbero dovuto forse restare un tempo più o meno lungo nelle fiamme del Purgatorio (LXXIV, 3-8).

1868. Dunque queste anime si troveranno purificate e rese degne di essere ammesse fra gli eletti quasi istantaneamente?

Sì; quasi istantaneamente, perché la virtù del fuoco purificatore sarà graduata da Dio secondo il grado della espiazione da subire.

1869. Sappiamo noi quando avverrà questa finale conflagrazione?

No; noi non lo sappiamo, ma essa sarà tuttavia preceduta da certi segni che avvertiranno della prossima venuta del. Sommo Giudice.

1870. Quali saranno questi segni?

Saranno commozioni insolite in tutta la natura, per le quali gli uomini, secondo la parola del Vangelo, periranno di spavento.

1871. Possiamo noi determinare in modo preciso?

No; ma saranno tali che quando si produrranno le anime sante o semplicemente sincere e non ostinate nel male per volontario

accecamento, potranno riconoscere la prossima venuta del Giudice e prepararvisi.

Capo L

La Resurrezione.

1872. Subito dopo la conflagrazione finale, o nello stesso tempo, che cosa succederà?

Subito dopo la conflagrazione finale o nello stesso tempo, e forse come causa che la produrrà, echeggerà l’ordine, la voce, il suono della tromba di cui parla S. Paolo nella; prima lettera ai Tessalonicesi, che sveglierà i morti dai loro sepolcri e convocherà tutti gli uomini a comparire dinanzi al Giudice dei vivi e dei morti, che discenderà dal cielo in tutto lo splendore della sua maestà e della sua gloria (LXXV, 1).

1873. Chi sono coloro. che risusciteranno in questo momento?

Anzitutto quelli che erano morti prima; ma anche gli altri che all’apparire di Gesù Cristo tra le nubi del cielo ed al suono della tromba, saranno stati rinvenuti vivi.

1874. Questi ultimi risusciteranno essi pure come ritornando da morte a vita?

Sì; perché anche se tutto avviene quasi istantaneamente, come sembra notare S. Paolo nella prima lettera ai Corinti, cap. XV, v. 51, la virtù di Dio che agirà per mezzo delle creature sarà tale in questo momento, che gli uomini trovati vivi passeranno per una morte istantanea, e saranno subito ricostituiti nello stato definitivo che dovrà essere il loro, secondo i meriti, per tutta la eternità (LXXVIII, art. 1, 2).

1875. Dunque i corpi di tutte le anime che verranno dal cielo od usciranno dal Purgatorio, e di tutti i giusti che in quel momento saranno trovati vivi sulla terra, risusciteranno o saranno istantaneamente trasformati nello stato e con tutte le qualità dei corpi gloriosi?

Sì; e tutti insieme si troveranno subito schierati davanti al corpo glorioso di Gesù Cristo, la venuta del quale sarà stata la causa stessa della loro risurrezione.

1876. Ma questi corpi gloriosi risuscitati che saranno quelli di tutti gli eletti, saranno veramente gli stessi corpi che avevano prima vivendo sulla terra?

Sicuramente; saranno gli stessi loro corpi, con questa sola differenza che non avranno più nessuna delle imperfezioni e delle miserie che avevano allora, ed avranno invece tali proprietà e perfezioni che li renderanno in qualche modo spirituali (LXXIX- LXXXI).

1877. Come potrà avvenire tutto ciò?

Per la onnipotenza di Dio, che avendo una prima volta creato tutte le cose, può muoverle e trasformarle a suo piacimento.

1878. Quali saranno le nuove proprietà dei corpi risuscitati, che li renderanno in qualche modo spirituali?

Saranno la impassibilità, la sottilità, l’agilità e la lucentezza.

1879. Che cosa sarà la impassibilità dei corpi gloriosi?

Sarà il perfetto dominio e la padronanza assoluta dell’anima sul corpo, che non permetterà che il corpo possa essere in niente sottratto all’azione dell’anima su di esso, o possa trovarsi difettoso e sofferente (LXXXII, 1).

1880. Tale impassibilità sarà uguale in tutti?

Sì; nel senso che nessuno di essi potrà mai trovarsi in difetto o soffrire, sfuggendo al dominio dell’anima. Ma la virtù di questo dominio, ossia la sua potenza, sarà proporzionata alla gloria dell’anima che sarà diversa, secondo il grado della visione beatifica di ogni singolo eletto (LXXXII, 2).

1881. Conseguirà da questa impassibilità che i corpi gloriosi saranno insensibili?

Niente affatto: essi saranno invece di una squisita sensibilità, portata alla sua più alta potenza, ma senza alcuna mescolanza di inquietudine o di imperfezione. L’occhio del corpo glorioso vedrà con una vista infinitamente più acuta; il suo orecchio intenderà con un udito incomparabilmente più fine; tutti gli altri sensi percepiranno ciascuno il loro proprio oggetto, e tutti insieme i loro diversi oggetti sensibili comuni con una intensità di perfezione che ci è impossibile immaginare, senza che mai l’oggetto agente su di essi faccia altro che fornire materia alle più squisite percezioni (LXXXII, 3, 4).

1882. E la sottilità dei corpi gloriosi che cosa sarà?

La sottilità dei corpi gloriosi consisterà in una totale perfezione della loro natura, dovuta all’azione sovrana della loro forma sostanziale, l’anima glorificata, che lasciando in essi la natura propria dei veri corpi, non fantastici od aerei, darà loro qualche cosa di sì puro e di sì etereo, che essi non conserveranno più niente di ciò che ora li rende grossolani e spessi (LXXXIII, 1).

1883. Questa sottilità farà sì che essi potranno naturalmente trovarsi nel medesimo luogo occupato già da un altro corpo, o anche essere indipendenti da ogni luogo e non occupare alcuno spazio?

Niente affatto; essi conserveranno tutte e sempre le loro proprie dimensioni, e non occuperanno mai che un solo luogo che sarà loro, e non simultaneamente di altri corpi (LXXXIMI, 2).

1884. Dunque il corpo di Gesù Cristo risuscitato non entrò a porte chiuse nel cenacolo, in virtù od in forza della dote della sottilità che sarà propria dei corpi gloriosi?

No; ciò avvenne per la virtù divina cheera in Gesù Cristo, nello stesso modo che pervirtù divina il corpo di Gesù bambino era venutoal mondo senza nuocere in niente allaverginità di Maria sua Madre (LXXXIII, 2 ad 1).

1885. Che cosa si deve intendere per la agilità che sarà la proprietà dei corpi gloriosi?

L’agilità dei corpi gloriosi sarà una certa perfezione che dall’anima glorificata si riverserà sul corpo, assoggettandolo pienamente. all’anima in quanto essa è principio motore, e rendendolo per conseguenza atto e meravigliosamente pronto ad obbedire allo spirito in tutti i movimenti ed in tutte le azioni dell’anima (LXXXIV, 1).

1886. I santi si serviranno di questa dote del loro corpo glorioso?

Se ne serviranno certissimamente per ischierarsi intorno a Gesù Cristo nel momento del giudizio e per risalire con Lui al cielo. Ma anche una volta in cielo, è verosimile che essi si muoveranno qualche volta a loro volontà, per far risplendere la divina sapienza nell’uso anche di questa dote di agilità che avrà loro compartita, ed anche per saziare la loro vista della bellezza delle diverse creature di tutto l’universo, nelle quali brillerà in modo sopraeminente la sapienza di Dio (LXXXIV, 2).

1887. I corpi dei santi saranno mossi istantaneamente in virtù della loro agilità?

No; perché bisognerà che questo movimento avvenga in una certa durata di tempo. Soltanto, questa durata sarà impercettibile; tanto essa sarà breve ed il movimento rapido (LXXXIV, 3).

1888. Che cosa si deve intendere per la quarta proprietà dei corpi gloriosi che si chiama lucentezza?

Si deve intendere che dello splendore dell’anima glorificata si rifletterà sul corpo un raggio meraviglioso, che farà sì che questi corpi gloriosi saranno insieme luminosi e trasparenti: trasparenti come il cristallo più puro; luminosi ed abbaglianti di uno splendore simile a quello del sole, senza che tuttavia questo splendore nuoccia in niente al loro colore naturale ed a quello delle loro parti, ma che invece armonizzerà con la loro varietà per accrescerla, e dare ai corpi gloriosi nel loro insieme una bellezza più divina che umana {LXXXV, 1).

1889. Questa lucentezza dei corpi gloriosi sarà la stessa per tutti?

No; perché essa non sarà che il riverbero sul corpo della lucentezza dell’anima glorificata; e per conseguenza sarà proporzionata al grado di gloria che avrà l’anima. E per questo San Paolo, volendo farci intendere qualche cosa di questa varietà dei corpi gloriosi nello splendore della resurrezione, ci dice che di questi corpi gloriosi sarà come dei corpi celesti: «altro lo splendore del sole, altro lo splendore della luna ed altro lo splendore delle stelle; ed anche una stella differisce nello splendore da altra stella » (Lettera I ai Corinti, cap. XV, v. 41).

1890. La diversità dei corpi gloriosi formerà dunque un insieme di incomparabile bellezza?

Certamente; e tutti gli splendori del mondo materiale, in ciò che si dà di più magnifico, senza eccezione dei corpi celesti, non potrebbero darcene che una imperfettissima e lontanissima idea.

1891. La lucentezza dei corpi gloriosi potrà essere veduta con l’occhio dei corpi non gloriosi?

Sì; ed anche i corpi dei dannati la percepiranno in tutto il suo splendore (LXXXV, 2).

1892. Sarà però in facoltà dell’anima lasciar vedere o no questa lucentezza del suo corpo glorificato?

Sì; sarà in facoltà dell’anima lasciar vedere o no questa lucentezza del suo corpo glorificato, perché tale lucentezza verrà interamente dall’anima e le resterà totalmente soggetta (LXXXV, 3).

1893. In quale stato ed età risusciteranno i corpi dei beati?

Risusciteranno tutti nella età che deve essere quella della natura nel suo più perfetto sviluppo (LXXXI, 1).

1894. Sarà lo stesso per i corpi dei dannati?

Sì; con la differenza che i corpi dei dannati non avranno alcuna delle quattro qualità dei corpi gloriosi (LXXXVI, 1).

1895. Ne segue che i corpi dei dannati saranno corruttibili?

Niente affatto; perché il regno della corruttibilità e della morte sarà finito per sempre (LXXXVI, 2).

1896. Saranno dunque insieme passibili ed immortali?

Sì; perché Dio, nella sua giustizia e nella sua potenza, disporrà tutte le cose in modo che nessun. agente esteriore potrà agire sui corpi dei dannati per alterarli o distruggerli,

ed intanto tutto sarà per essi, specialmente il fuoco dell’Inferno, causa di dolore e di tormento (LXXXVI, 2, 3).

1897. Ed i bambini morti senza Battesimo, in quale stato ritroveranno i loro corpi nel momento della resurrezione?

Li ritroveranno in uno stato di intera perfezione naturale, ma senza alcuna qualità dei corpi gloriosi; con questo tuttavia che essi a differenza dei corpi dei dannati, non proveranno alcun dolore (Cfr. Appendice, t-2):

Capo LI.

Il Giudizio finale.

1898. Tutti gli uomini, appena risuscitati, si troveranno in presenza del Sommo giudice?

Sì; tutti gli uomini appena risuscitati si troveranno in presenza del Sommo Giudice  (LXXXIX, 5).

1899. Sotto quale forma comparirà il Sommo Giudice nel momento del giudizio?

Comparirà sotto la forma della sua santa umanità, in tutta la gloria che le deriva in virtù della sua unione con la Persona del Verbo, e del suo trionfo sopra tutte le potenze del male (XC, 1, 2).

1900. Tutti gli uomini vedranno questa gloria del Sommo Giudice che comparirà in tutto il suo splendore?

Sì; tutti gli uomini vedranno questa gloria del Sommo Giudice che comparirà in tutto il suo splendore (Ibid.).

1901. Lo vedranno tutti anche nella gloria della sua natura divina?

No; nella gloria della sua natura divina lo vedranno i soli eletti, l’anima dei quali godrà la visione beatifica (XC, 3).

1902. Tutti gli uomini che compariranno saranno compresi dinanzi al Sommo Giudice nel giudizio?

No; nel giudizio saranno compresi soltanto quelli che avranno avuto l’uso della ragione mentre vivevano sulla terra.

1903. Gli altri non saranno giudicati?

No; gli altri non saranno giudicati, ma saranno presenti perché ai loro occhi risplenda come agli occhi di tutti la somma giustizia dei giudizi di Dio e la gloria di Gesù Cristo, in tutto lo svolgimento dei misteri della Redenzione (LXXXIX, 5 ad 3).

1904. E gli uomini che mentre vivevano sulla terra avranno avuto l’uso della ragione, saranno tutti giudicati nel giorno del giudizio?

Saranno tutti giudicati in quanto alla divisione o separazione che ne sarà fatta, gli uni prendendo posto alla destra del Giudice per udire la sentenza di benedizione, e gli altri alla sua sinistra per udire la\sentenza di maledizione. Ma se si tratta del processo dei loro atti e del fatto di essere convinti della malvagità dei medesimi in faccia al cielo ed alla terra, saranno giudicati i soli reprobi (LXXXIX, 6, 7).

1905. La convinzione della malvagità dei loro atti in faccia al cielo ed alla terra, sarà per i reprobi di grande confusione?

Essa sarà per loro la suprema confusione ed una tortura indicibile. Specialmente perché in fondo ad ogni peccato, soprattutto ad ogni peccato grave, si cela un insopportabile orgoglio; e nel giorno del giudizio bisognerà confessare, nella piena luce del Sommo Giudice che non lascerà più niente di celato, i modi di agire o le mene più occulte di questo segreto orgoglio, padre di tutti i vizi.

1906. Tutto il male che nel corso della vita sarà stato fatto, sarà così messo a nudo in faccia a tutti nel giorno del giudizio?

Sì; tutto il male che sarà stato fatto nel corso della vita sarà messo a nudo in faccia a tutti nel giorno del giudizio, di qualunque specie possa essere stato questo male; sia nell’ordine della vita individuale e privata; sia nell’ordine della vita di famiglia o di società fra gli uomini, con tutto quanto questa vita di società abbia potuto avere di particolarmente nefasto in forza dell’azione pubblica ivi esercitata; sia nell’ordine del potere che in quello della parola e degli scritti. Vi sarà anche questa particolarità, che più si sarà stati applauditi sulla terra, o esaltati o lodati dal favore del mondo o dagli intrighi dei nemici di Dio, di Gesù Cristo e della sua Chiesa, più nel giorno del giudizio finale ci si sentirà calpestati sotto i piedi della riprovazione universale (LXXXVII, 1, 2, 3).

1907. Come avverrà questa manifestazione della vita intera di ciascuno in faccia al cielo ed alla terra, sotto gli occhi del Sommo Giudice?

Questa manifestazione avverrà mediante un colpo della stessa luce divina che nel momento del giudizio particolare mostra a ciascuno istantaneamente tutto lo svolgimento della sua vita morale; con questo di specialissimo, che tutte le coscienze si troveranno istantaneamente messe a nudo, agli sguardi di tutti, in questa assemblea unica alla quale saranno presenti tutti gli nomini che siano mai esistiti, dal principio del mondo sino alla fine (Ibid.).

1908. Anche la coscienza dei giusti, ossia tutto lo svolgimento della loro vita morale, sarà ugualmente manifestata agli occhi di tutti?

Sicuramente; ed è ciò che costituirà la sublime e divina rivincita della loro umiltà e del loro oscuramento sulla terra: in quel giorno, infatti, avrà il suo perfetto avveramento la parola di Gesù Cristo nel Vangelo: «Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (LXXXIX, 6).

1909. Si può dire che i giusti non saranno giudicati, in quanto riguarda la discussione dei loro atti?

Si può dire e si deve dire per quei giusti la vita dei quali è stata interamente santa, senza alcuna mescolanza di male notevole, come avviene per coloro che calpestando tutte le vanità del mondo, pongono ogni loro sollecitudine a vivere delle cose di Dio. Ma se si tratta di coloro che avranno amato le cose del secolo e si saranno trovati mischiati od implicati negli affari terreni, senza però preferirli a Gesù Cristo fino a perderlo per sempre, ma che si saranno invece applicati a riparare con la elemosina e la penitenza i torti che avranno potuto avere, essi avranno esposta agli sguardi di tutti la doppia parte della loro vita, affinché la preminenza del bene sul male sia pienamente manifestata a gloria della divina giustizia (Ibid).

1910. Tutte le colpe che si saranno commesse nel corso della vita, ma di cui si sarà fatta penitenza, saranno manifestate nel giorno del giudizio?

Sì; per la ragione che abbiamo detto. Ma tale manifestazione tornerà a gloria dei giusti, in forza della penitenza che avranno fatta per le loro colpe, e nella misura stessa che questa penitenza sarà stata più generosa e fervente (LXXXVII, 2 ad 3).

1911. Vi saranno dei giusti che nel giorno del giudizio, invece di essere giudicati, avranno essi stessi la qualità di giudici ed assisteranno il Giudice Sovrano nell’atto del suo giudizio?

Sì; saranno tutti coloro che ad esempio degli Apostoli di Gesù Cristo avranno tutto abbandonato per darsi a Dio, e la vita dei quali non sarà stata che una specie di confessione del Vangelo in tutta la sua perfezione (LXXXIX, 1, 2).

1912. Gli Angeli avranno essi pure nel giorno del giudizio la qualità di giudici?

No; gli Angeli non avranno nel giorno del giudizio la qualità di giudici, perché bisogna che gli assessori del Giudice rassomiglino a Lui. Ora: il Verbo di Dio esercita la sua funzione di Sommo Giudice come uomo, e non avrà dunque che uomini ad assisterlo in questo giudizio (LXXXIX, 7).

1913. Gli Angeli potranno essere giudicati nel giorno del giudizio?

No; propriamente parlando gli Angeli non saranno giudicati nel giorno del giudizio, perché il loro giudizio fu fatto già da principio, quando gli uni rimasti fedeli a Dio furono ammessi nel cielo, e gli altri ribelli furono precipitati all’inferno. Tuttavia in forza della parte che gli Angeli buoni avranno avuta nelle azioni dei giusti e gli angeli malvagi nelle azioni dei cattivi, si troveranno essi pure indirettamente compresi nel giudizio, per riceverne un aumento di felicità accidentale, oppure un aumento, di supplizio e di tortura (LXXXIX, 3).

1914. Come termineranno le solenni assise del giudizio finale?

Termineranno col pronunziamento della sentenza formulata dal Sommo Giudice.

1915. Sappiamo noi quale sarà questa sentenza?

Sì; perché quegli stesso che deve pronunziarla ce ne ha ammaestrato nel suo Vangelo.

1916. Quale sarà questa sentenza?

Eccola nel tenore stesso che ce la rivela il Vangelo: « Allora il Re dirà a coloro che sono alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio; possedete il regno preparato per voi dalla costituzione del mondo. — Dirà poi a quelli che saranno alla sua sinistra: Partite da me, maledetti, verso il fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli ».

1917. Quale sarà la conseguenza di questa duplice sentenza?

Sarà che «essi se ne andranno: questi al supplizio eterno, ed i giusti alla vita eterna ».

Capo LII.

Il supplizio eterno.

1918. La sentenza del sommo Giudice per i dannati sarà eseguita per mezzo dei demoni?

Sì; appena la sentenza del Giu dice sarà stata pronunziata, in virtù della sentenza stessa i dannati saranno abbandonati all’azione dei demoni, che essendo loro superiori per natura ed essendosi fatti obbedire nel male sulla terra, continueranno per tutta l’eternità ad esercitare su di essi, come giusto castigo, l’orribile impero della propria malvagità. (LXXXIX, 4).

1919. Il fatto di avere ritrovato il proprio corpo e di essere ormai nell’inferno  col corpo e con l’anima, sarà per i dannati una nuova e con l’anima, cagione di tormento?

Sì; perché ormai soffriranno non soltanto nell’anima come prima, ma anche nel corpo (XCVII).

1920. La tortura che essi subiranno nel corpo sarà universale ed intensa?

Sì; perché non esisterà niente nel luogo di tormento dove essi saranno, che non sia per loro, nella percezione stessa dei sensi, una causa di atroce tortura. Tuttavia tali torture non saranno le stesse per tutti, perché saranno proporzionate al numero ed alla gravità delle colpe commesse da ciascuno (XCVII, art. 1; 5 ad 3).

1921. Non vi sarà mai nessuna mitigazione alle torture dei dannati?

No; alle torture dei dannati non si darà mai alcuna mitigazione, perché la loro volontà essendo ostinata nel male, si troveranno sempre nello stesso stato di perversità che avrà determinato la loro sorte nel momento della morte e del giudizio (XCVIII, 1, 2; XCIX, 1).

1922. La volontà dei dannati ostinati nel male implicherà un odio universale di tutti e di tutto?

Sì; la volontà dei dannati ostinati nel male implicherà un odio universale di tutti e di tutto. Di modo che non penseranno né a cosa né a persona, si tratti di creature o si tratti di Dio, senza provare subito un odio orribile che farà loro desiderare il male di tutti e di tutto, fino al punto che se si potesse, essi vorrebbero vedere Dio stesso ed i suoi beati nell’inferno dove essi si trovano, e nella rabbia della loro disperazione non avranno altra risorsa che aspirare a vedersi annientati, senza che d’altra parte possano mai sperare che il niente risponda loro, sapendo senza poterne dubitare, che essi sono per sempre gravati dalla maledizione divina, e condannati senza possibilità di remissione al supplizio eterno (XCVIII, 3, 4, 5).

Capo LIII.

La vita eterna.

1923. Mentre i dannati saranno abbandonati dalla sentenza del Sommo Giudice all’azione dei demoni che li condurranno seco al luogo dell’eterno supplizio, quale effetto avrà la sentenza del medesimo rispetto agli eletti?

Quella sentenza farà che subito si apriranno per essi le porte del regno dei cieli, preparato loro dal Padre fino dalla costituzione del mondo.

1924. Gli eletti faranno immediatamente il loro ingresso nel cielo?

Sì; immediatamente ed appena che saranno tolte le solenni assise del giudizio finale, gli eletti faranno il loro ingresso nel cielo, dietro al loro Signore e Re Gesù Cristo, che li condurrà seco per far loro parte della sua felicità e della sua gloria.

1925. Questa felicità e questa gloria degli eletti saranno accresciute dall’avere ora essi ritrovato il loro corpo?

La felicità e la gloria degli eletti saranno accresciute in proporzioni, che ci è impossibile immaginare, dal fatto che essi hanno ora ritrovato il loro corpo, benché per l’avanti quelli che prima erano in Paradiso gustassero già, per il solo fatto della visione beatifica, una felicità in qualche modo infinita (XCIII, 1).

1926. Vi saranno in Paradiso delle sedi distinte, ove gli eletti formeranno una assemblea particolarmente bella in ragione della sua varietà ed armonica subordinazione?

Sì; perché il grado della carità e della grazia avrà determinato il grado della gloria. Ma in forza anche di questa carità, di cui il minimo grado basterà per fare entrare in cielo, ne seguirà che tutti i beati si comunicheranno in qualche modo la gioia della propria felicità, e tutti saranno così felici del bene di tutti, perché Dio nella sua infinita felicità sarà tutto in tutti, quantunque in gradi diversi (XCII, 2, 3).

1927. In questa assemblea degli eletti, gli uomini avranno qualche cosa che gli Angeli non avranno almeno allo stesso titolo?

Sì; perché gli uomini formeranno a titolo speciale la Chiesa trionfante che in cielo, e per tutta la eternità, si avrà a Gesù Cristo come una sposa al suo sposo, celebrando con Lui in mezzo a delizie ineffabili un eterno banchetto di nozze spirituali (XCV, 1, 2).

1928. Gli Angeli peraltro non saranno esclusi da tale banchetto di nozze spirituali?

No certamente; ma pure facendo tutti parte della Chiesa trionfante, essi non avranno con Gesù Cristo, Re della Chiesa stessa, lo stesso rapporto che avrà la parte della Chiesa trionfante costituita dagli uomini (XCV, 4).

1929. In che cosa consisterà questa differenza?

Consisterà in questo, che gli eletti o beati appartenenti alla specie umana converranno con Gesù Cristo nella stessa natura umana, ciò che mai si verificherà per gli Angeli. Ed ecco perché questi stessi eletti avranno con Gesù Cristo Re di tutti i beati un certo rapporto di intimità e di soavità che gli Angeli non avranno allo stesso titolo, quantunque i loro rapporti di intimità e di soavità col Verbo di Dio, nell’atto stesso della visione beatifica, debbano essere allo stesso titolo in tutti gli eletti ed in tutti i beati (XCV, 1-4).

1930. Che cosa ne segue da questo rapporto particolare che la Chiesa trionfante costituita dagli eletti di specie umana avrà con Gesù Cristo?

Ne segue che ad immagine e somiglianza di ciò che avviene fra noi sulla terra, quando la sposa viene introdotta nella casa dello sposo nel giorno delle nozze, la Trinità augusta doterà questa Chiesa sposa a Gesù Cristo, nel giorno del suo ingresso in Paradiso, ricolmandola dei doni e degli ornamenti più magnifici. affinché essa sia degna di celebrare con un tale Sposo, in mezzo, alle più ineffabili delizie, il banchetto eterno delle loro nozze spirituali (XCV, 1).

1931. Questa dotazione e questi doni ed ornamenti costituiscono le doti dei beati?

Sì; precisamente ciò costituisce quelle che si dicono le doti dei beati.

1932. Quali saranno queste doti dei beati?

Esse saranno tre nell’ anima glorificata, donde si riverseranno sul corpo stesso dei beati in forma delle quattro gloriose qualità di cui abbiamo già parlato (XCV, D).

1983. E le tre doti dell’anima glorificata quali saranno?

Saranno come una veste di luce è di divina sensibilità spirituale, che le disporrà a godere del Bene infinito posseduto dall’anima nella visione intuitiva che va a terminare al Verbo di Dio, in modo tale che nessuna felicità della terra né alcuna ebbrezza di quaggiù sarebbe capace di darci la più lontana idea di ciò che sarà la felicità degli eletti uniti Gesù Cristo mediante questa « visione », questa « possessione » e questa «fruizione». Tantoché non si può che ripetere la grande parola dell’Apostolo Paolo che era stato innalzato fino al terzo cielo, cioè fino al cielo stesso dei beati: Occhio umano non ha mai visto; orecchio umano non ha mai udito; il cuore non ha mai gustato ciò che Dio serba e tiene preparato per coloro che lo amano.

1934. Questa assemblea degli eletti e la felicità della vita eterna che sono paragonate, soprattutto per gli eletti della specie umana, come si è detto, ad un eterno banchetto di nozze spirituali, non sono chiamate anche col nome di Regno dei cieli?

Sì; ed è per fare intendere che tutti gli eletti costituiranno una assemblea reale, non soltanto per esser ivi sotto la dipendenza immediata di Dio Re dei re, ma ancora perché ciascuno di essi parteciperà alla qualità di re, essendo egli stesso rivestito della regale dignità, nel senso più alto e magnifico della parola (XCVI, 1).

1935. Ma come ed in che senso si può dire che tutti gli eletti saranno rivestiti nel cielo della dignità regale?

Perché la visione beatifica che li unisce a Dio e costituisce nel senso più formale la vita eterna, rende tutti i beati partecipi della divinità; e per conseguenza essendo Dio nel più alto senso il Re immortale dei secoli, a cui si deve ogni gloria, i beati partecipano in tutto alla sua Sovrana regalità ed alla sua gloria (XCVI, 1).

1936. È questo ciò che si deve intendere per la corona che sarà il retaggio di tutti i beati nel cielo?

Precisamente; la corona di gloria che sarà loro data e li renderà simili a Dio stesso sarà la loro corona regale (XCVI, 1).

1937. Non si parla anche di aureole per gli eletti nel cielo?

Sì; ma mentre la corona è per tutti, le aureole non appartengono che ad alcuni (XCVI, 1).

1938. Donde nasce questa differenza?

Nasce da questo che la corona non è altro che la irradiazione del bene essenziale consistente nella visione di Dio e che si trova in tutti a titolo di gloriosa ricompensa; mentre le aureole sono una irradiazione di ordine accidentale, cagionata dalla gioia che alcuni eletti provano per certe speciali opere meritorie da essi compiute sulla terra (XCVI, 1),

1939. Dunque soltanto dei beati tra gli uomini avranno le aureole?

Sì; perché gli Angeli non possono aver compiute siffatte opere meritorie (XCVI, 9).

1940. E quali saranno le speciali opere meritorie che fra gli uomini riceveranno l’aureola?

Saranno il martirio, la verginità e l’apostolato della dottrina (XCVI, 5, 6, 7).

1941. Perché queste tre specie di opere meritorie riceveranno l’aureola?

Perché esse fanno rassomigliare per un titolo speciale a Gesù Cristo, nella sua vittoria assoluta e perfetta sul triplice nemico della carne, del mondo e del demonio (Ibid.).

1942. Le aureole sono dunque un segno speciale di vittoria nella assemblea degli eletti e nel regno dei cieli?

Sì; ed in questo senso si può applicare in modo speciale ai martiri, ai vergini ed agli apostoli della dottrina la parola detta da Dio genericamente per tutti gli eletti: Colui che vincerà possederà tali cose: io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio (Apocalisse, cap. XXI, vers. 7.)

1943. Si trova nella Santa Scrittura una ultima parola che è come il riassunto di tutto, per quanto concerne la felicità degli eletti in Paradiso, nella vita eterna?

Sì; la troviamo nell’Apocalisse di S. Giovanni, al cap. XXII, vers. 5 ed è così formulata: Il Signore Dio sarà la luce che cadrà su di essi per illuminarli; ed essi regneranno nei secoli dei secoli.

CONCLUSIONE

1944. Al termine di questa esposizione catechistica delle tre parti della Somma Teologica di S. Tommaso di Aquino, potreste darmi una formula di preghiera che sia come una utilizzazione della sua luminosa dottrina, destinata ad assicurarcene il frutto?

Sì; ecco questa formula a modo di preghiera rivolta a N. S. Gesù Cristo:

PREGHIERA A N. S. GESÙ CRISTO

O Gesù, dolcissimo Figlio della gloriosa Vergine Maria e Figliuolo unico di Dio, che vivete insieme col Padre che Vi genera nel seno della Sua infinita natura da tutta la eternità e Vi comunica questa stessa natura infinita, e lo Spirito Santo che procede per mezzo Vostro dal Padre e che è il Vostro comune Spirito, il Vostro Amore vivente che riceve da Voi la stessa infinita natura, io Vi adoro e Vi riconosco per il mio Dio, il solo vero Dio, unico ed infinitamente perfetto, che dal niente ha creato tutto quanto è fuori li Sé, conservandolo e governandolo con infinita sapienza, o somma bontà e con suprema potenza. Io Vi domando, nel nome dei misteri compiuti nella Vostra santa umanità, di purificare nel Vostro Sangue tutti i miei peccati trascorsi; dispargere su di me l’abbondanza del Vostro Santo Spirito con la sua grazia, le sue virtù ed i suoi doni; di fare che io creda e speri in Voi, Vi ami, e procuri in ogni mia azione di meritare di possederVi; e di ammettermi un giorno a goderVi nello splendore della Vostra gloria, nella assemblea dei Vostri Santi. Così sia.

Con decreto del s. Uffizio del 22 Gennaio 1914,

S. S. Papa Pio X si degnò accordare in perpetuo 100 giorni di indulgenza applicabili alle anime del Purgatorio, da lucrarsi una volta il giorno da tutti i fedeli che con cuore contrito reciteranno devotamente la suddetta preghiera.

DEO GRATIAS

LA SUMMA PER TUTTI (23)

LA SUMMA PER TUTTI (23)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XLIV.

Stato intermedio delle anime dopo la morte in attesa della resurrezione finale. – Il Purgatorio.

1791. Mediante la meravigliosa economia dei sette Sacramenti Gesù Cristo comunica agli uomini il frutto della sua Redenzione, fuori della quale non vi è salute né vita morale perfetta ad essi possibile. I primi cinque, vale a dire il Battesimo, la Confermazione, la Eucarestia, la Penitenza e la Estrema Unzione, perfezionano l’uomo in quello che riguarda la sua propria persona; mentre gli altri due, l’Ordine ed il Matrimonio, lo perfezionano in vista del bene comune di tutta la società in cui vive, e che doveva in effetto avere in se stessa la virtù di moltiplisarsi e di continuare ad essere sorgente di vita soprannature per tutti gli uomini sino alla fine dei tempi. A qual fine poi Gesù Cristo stesso che per mezzo dello Spirito Santo che la inviato e che ne è l’anima, conduce il genere umano da Lui riscattato col proprio sangue?

Lo conduce al fine della vita immortale, che deve schiudersi nella gloria celeste per tutta la eternità.

1792. Gesù Cristo, mediante l’azione del suo governo redentore, conduce gli nomini alla gloria della vita immortale immediatamente, e per così dire incontanente?

No; perché sebbene i misteri compiuti nella sua santa umanità ed i Saramenti che ci uniscono a tali misteri avessero la virtù di farlo, era tuttavia conveniente alla divina Sapienza che la natura umana, condannata nel suo stesso fondo come natura peccatrice e decaduta a portare la pena di questo peccato di natura, non fosse restaurata come natura in tutta la sua pienezza nella persona dei diversi individui, che al termine del suo corso fra gli uomini. Ed ecco perché anche i battezzati, ossia sia tutti quelli che partecipano ai sacramenti di Gesù Cristo, anche dopo la loro personale santificazione; rimangono soggetti alle pene della vita presente; e specialmente alla più terribile di tutte, cioè alla morte (LXIX, 1).

1793. Dunque soltanto alla fine delle umane generazioni la morte stessa sarà definitivamente vinta, e tutti i redenti di Gesù Cristo potranno risuscitare ad una vita immortale che si manifesterà pienamente nella loro anima e nel loro corpo nel cielo per tutta la eternità?

Sì; sarà soltanto allora, e dal momento che muoiono restano in uno stato intermedio che è uno stato di attesa.

1794. Che cosa intendete quando dite che restano in uno stato intermedio che è uno stato di attesa?

Con questo si vuole intendere che essi, o non ottengono subito la ricompensa della loro vita meritoria, oppure se si trovano posti in grado di ricevere la ricompensa per i loro meriti, o il castigo per i loro demeriti, fino al giorno della resurrezione non avranno tale ricompensa o tale castigo in tutta la pienezza quale l’avranno eternamente a partire da quel giorno (LXIX, 2).

1795. Come chiamate il luogo intermedio dove si trovano dopo la morte coloro che non ottengono subito la ricompensa della loro vita meritoria?

Si chiama Purgatorio (LXXI, 6; Appendice, Il).

1796. Quali sono le anime che dopo la morte occupano questo luogo intermedio che è il Purgatorio?

Sono le anime dei giusti che muoiono nella grazia di Gesù Cristo, ma che nel momento della loro morte non hanno interamente soddisfatto alla giustizia di Dio per la pena temporale dovuta al peccato (Ibid.).

1797. Dunque il Purgatorio è un luogo di espiazione, dove con pene  proporzionate si deve soddisfare alla giustizia di Dio, prima di poter essere ammessi alla ricompensa nel cielo?

Precisamente; il Purgatorio è questo, e niente poteva essere più in armonia tanto con la misericordia che con la giustizia di Dio (Ibid.).

1798. Come ed in che cosa la misericordia di Dio si manifesta nella espiazione del Purgatorio?

Essa si manifesta in questo, che anche dopo la morte Dio dà alle anime dei giusti il mezzo di soddisfare alla sua giustizia e di prepararsi ad entrare in cielo libere da ogni debito verso questa giustizia. Ma essa si manifesta anche in questo, che per mezzo della comunione dei Santi, Dio permette ai vivi che sono sulla terra di offrire in forma di suffragio le proprie soddisfazioni e di applicare, guadagnando indulgenze per loro, le soddisfazioni di Gesù Cristo, della Ss.ma Vergine, e dei Santi, in luogo ed in vece delle soddisfazioni che le care anime del Purgatorio dovrebbero dare alla giustizia di Dio, e con questo affrettare il loro ingresso in paradiso (LXXI, 6).

1799. Fra tutti gli atti che i giusti viventi sulla terra possono fare o procurare per abbreviare la espiazione delle anime del Purgatorio, ve ne è uno più particolarmente efficace?

Sì; è l’oblazione del santo Sacrificio della Messa.

1800. Importa molto che, quando si fa o si procura questa oblazione per le anime del Purgatorio, abbiamo noi stessi un più grande fervore?

Sì; perché quando si tratta di soddisfare alla giustizia di Dio nell’ordine della remissione dei peccati, Dio guarda senza dubbio al valore di ciò che si offre — e nella offerta del santo Sacrifizio della Messa il valore è infinito —; ma guarda più ancora al fervore di colui che offre, sia che offra per se stesso come il sacerdote, od offra per la intromissione o per il ministero di altri, come i fedeli che domandano al sacerdote di offrire in loro nome e secondo la loro intenzione il santo Sacrifizio della Messa (LXXI, 9; Parte Terza LXXIX, 5).

1801. Dunque Dio misura l’applicazione del frutto del sacrifizio della Messa secondo il fervore di coloro che domandano al sacerdote di offrire secondo la loro intenzione il santo saerifizio stesso?

Sì; e questo dimostra quanto essi stessi debbano eccitarsi a fervore facendo questa domanda.

1802. Le opere satisfattorie che i giusti compiono sulla terra offrendole a Dio per modo di suffragio e con la intenzione di applicarle sia alle anime del Purgatorio in generale, sia ad un dato numero di anime, sia ad una determinata anima particolare, vengono applicate conforme alla loro intenzione?

Sì; e con quel grado di valore che dà loro il fervore del soggetto che le compie, e le offre in ispirito di carità (LXXI, 6).

1803. Si possono applicare, sia alle anime delPurgatorio in generale, sia ad un dato numero di anime, sia ad una anima in particolare, le indulgenze che si acquistano e che sono applicabili alle anime del Purgatorio?

Si può ugualmente; e qui tutto dipende dalla intenzione di chi le acquista, regolata essa stessa dalla intenzione della Chiesa manifestata nel tenore dei termini che stabiliscono la concessione (LXXI, 6; Codice, can. 930).

1804. Compiuta la soddisfazione che le anime trattenute in Purgatorio dovevano offrire a Dio per i loro peccati trascorsi, sono esse introdotte immediatamente in Paradiso?

Sì; subito dopo compiuta la loro soddisfazione, le anime dei giusti trattenute in Purgatorio ne sono tolte per essere introdotte in Paradiso (LXIX, 2; Appendice, II, 6).

Capo XLV.

Il Paradiso.

1805. Che cosa intendete per il Paradiso?

Intendo il luogo dove si trovano dal principio del mondo gli Angeli beati, e dove sono ammessi tutti i giusti redenti dal Sangue di Gesù Cristo, dal giorno in cui Gesù Cristo vi ha fatto la sua gloriosa ascensione.

1806. Che cosa ci vuole perché i giusti redenti dal Sangue di Gesù Cristo siano ammessi in Paradiso?

Bisogna che siano giunti al termine della loro vita mortale, e non abbiano alcun debito da pagare alla giustizia di Dio (LXIX, 2).

1807. Si danno delle anime che sono ammesse in Paradiso subito dopo la morte?

Sì; sono le anime che hanno ricevuto con pieno effetto l’applicazione dei meriti di Gesù Cristo, o che su questa terra hanno offerto a Dio, in unione con la soddisfazione di Gesù Cristo, tutta la pienezza di soddisfazione di cui potevano essere debitrici a Dio per i loro peccati (LXIX, 2).

1808. I bambini che muoiono dopo ricevuto il Battesimo e prima di arrivare alla età di poter peccare, sono ammessi in Paradiso subito dopo la morte?

Sì; perché non hanno più il peccato originale, che solo avrebbe potuto loro impedire di entrare in Paradiso.

1309. E sarebbe lo stesso per gli adulti. Che avendo già commesso dei peccati mortali, ricevessero il Battesimo con buone disposizioni e morissero subito dopo, oppure «prima di commettere altri peccati?

Sì; perché il sacramento del Battesimo applica in tutta la loro pienezza, ossia con pieno effetto i meriti della Passione di Gesù Cristo (Parte Terza, LXIX, 1, 2,7, 8).

1810. E coloro che dopo aver commesso dei peccati anche mortali dopo il Battesimo, senza averne ancora fatta penitenza sufficiente, almeno in quanto alla soddisfazione della pena, ma che in punto di morte offrissero la loro vita a Dio con un atto di carità perfetta, potrebbero essere ugualmente accolti in cielo subito dopo la morte?

Sì; specialmente quando questo atto di carità perfetta fosse il martirio (Parte Seconda – Sezione Seconda, CXXIV, 3).

1811. Che cosa divengono le anime dei giusti, dal momento del loro ingresso in Paradiso?

Esse vengono subito ammesse alla visione di Dio, che le ricolma di una felicità in qualche modo infinita (Parte Prima, XII, 11).

1812. Possono vedere Dio di per se stesse, oppure bisogna che esse ricevano a tale effetto una perfezione affatto nuova, oltre alle perfezioni di ordine soprannaturale che potevano già possedere mediante la grazia, le virtù ed doni?

Bisogna che ricevano una perfezione affatto nuova, che è come l’ultimo coronamento di tutte le altre perfezioni soprannaturali – che già possedevano (Ibid., XII, 5).

1813. Come si chiama questa perfezione e questo coronamento?

Si chiama il lume della gloria (ibid.).

1814. Che cosa intendete per questo lume della gloria?

Intendo una qualità prodotta da Dio nella intelligenza dei beati, che dà ad essa la potenza di ricevere in sé, come principio proprio del suo atto di visione, la divina essenza in tutto lo splendore della sua luce infinita (Ibid).

1815. Che cosa risulta per il beato da questa unione della divina essenza con la sua intelligenza, perfezionata dal lume della gloria?

Ne risulta che esso vede Dio come Dio vede se stesso (Ibid.).

1816. È questo ciò che si chiama la visione faccia a faccia?

Sì; è la visione faccia a faccia che ci è promessa nella S. Scrittura, e che rendendoci simili a Dio in quanto una creatura possa esserlo, doveva essere come l’ultima parola di tutto nella opera divina.

1817. Dio ha creato tutte le cose, è le governa nel corso della evoluzione del mondo dal principio alla fine, per questa visione di se stesso da comunicarsi ai beati, e per la infinita felicità che loro ne deriva?

Sì; precisamente per questo. E quando tutte le sedi da Lui fissate nel suo Paradiso saranno riempite; quando mediante l’azione del suo divino governo avrà compiuto la preparazione dell’ultimo eletto che nel mistero della sua libera e sovrana Predestinazione ha stabilito di introdurvi, allora l’andamento attuale del mondo finirà, e Dio ordinerà il mondo in un nuovo stato che sarà quello della resurrezione.

1818. Possiamo noi sapere quando avverrà la fine del mondo attuale, e quando Dio stabilirà il mondo nel nuovo stato della resurrezione?

No; perché questo dipende unicamente dal consiglio di Dio, in ciò che Egli ha di più intimo quale è l’ordine della sua Predestinazione.

1819. I beati che godono già la visione di Dio in cielo si interessano delle cose terrene e del mondo umano in cui essi non sono più?

I beati eletti che godono già la visione di Dio in cielo si interessano sommamente delle cose terrene e del mondo umano, quantunque essi non vi siano più; perché in questo mondo umano continua a svolgersi il grande mistero della divina Predestinazione, ed il compimento perfetto di questo mistero deve coincidere con l’ultimo perfezionamento della loro propria beatitudine, nel giorno della gloriosa resurrezione.

1820. Gli eletti che sono già in Paradiso vedono tutto quello che accade sulla terra?

Nella stessa visione di Dio essi vedono tutto quello che delle cose della terra si riferisce più particolarmente a loro, nel compimento del mistero della Predestinazione nel mondo.

1821. Conoscono le preghiere che si indirizzano loro, ed anche i bisogni spirituali e temporali di coloro che a loro appartengono più da vicino?

Sicuramente; e sono sempre disposti a rispondere a queste preghiere ed a provvedere a questi bisogni, intervenendo presso Dio con la loro intercessione onnipotente (LXXII, 1).

1822. Donde viene dunque che noi non risentiamo sempre l’effetto del loro intervento?

Perché questo intervento si effettua nella piena luce di Dio, dove ciò che a noi e per noi può sembrare un bene, forse non lo è secondo la verità, ossia nell’ordine delle disposizioni divine (LXXII, 83).

1823. In realtà può dunque esservi un commercio continuo fra noi che viviamo sulla terra, ed i Santi che sono in cielo a godere la visione di Dio?

Sì; questo commercio può essere continuo, perché non sta che a noi di evocare il ricordo di queste anime sante, per rallegrarci con esse della loro felicità, e pregarle di aiutarci con la loro intercessione a guadagnarla noi stessi.

Capo XLVI.

L’Inferno.

1824. All’estremo opposto del luogo di eterna felicità che è il Paradiso, esiste un altro luogo che è il luogo della eterna dannazione; e come si chiama?

Sì; questo luogo esiste e si chiama Inferno (LXIX, 2).

1825. Che cosa è dunque l’Inferno?

L’Inferno è un luogo di tormenti in cui sono condannati tutti coloro che con i propri delitti si sono ribellati contro l’ordine della Provvidenza o della Predestinazione, e sono rimasti così fissi in questi delitti, da non convertirsene mai.

1826. Chi sono coloro che si trovano in questo caso?

Fra gli angeli sono tutti quelli che hanno peccato, e fra gli nomini tutti coloro che sono morti nella impenitenza finale (LXIX, 2).

1827. Dal fatto che i dannati sono talmente stabiliti nel male da non poter più ritrarsi dalla loro ostinazione, che cosa ne segue?

Ne segue che le pene ed i tormenti che meritano per causa dei loro delitti, dureranno sempre e non finiranno mai.

1828. Ma Dio non potrebbe porre un termine a queste pene ed a questi tormenti?

Di potenza assoluta lo potrebbe, perché niente è impossibile alla sua onnipotenza. Ma nell’ordine della sua sapienza non lo farà perché secondo questo ordine ormai immutabile, le creature ragionevoli giunte al termine della loro vita di prova, si trovano fisse per sempre nel bene o nel male; e durando sempre il male, bisogna pure che ugualmente ne duri il castigo (XCIX, 1, 2).

1829. Dunque i dannati dovranno subire eternamente le pene dell’Inferno?

Sì; i dannati dovranno subire eternamente le pene dell’Inferno (Ibid.).

1830. E quali sono le pene che i dannati dovranno subire eternamente?

Queste pene sono di due specie, cioè: la pena del danno e quella del senso (XCVII, 1, 2).

1831. Che cosa si intende per pena del danno?

La pena del danno è costituita dalla privazione: del Bene infinito che si possiede in cielo nella visione beatifica.

1832. Questa pena è molto sensibile per i reprobi dell’Inferno?

Essa è e sarà eternamente il tormento indicibile dei reprobi dell’Inferno.

1833. Donde viene che questa pena sarà risentita sì crudelmente dai reprobi dell’Inferno?

Prima di tutto perché essendo giunti al termine, essi avranno veduto il nulla di tutti gli altri beni che avevano cercato a pregiudizio di quello, ed avranno allora la nozione esatta della grandezza del Bene da essi perduto. Poi dalla coscienza certissima che avranno di averlo perduto unicamente per propria colpa.

1834. La vista della loro coscienza e della loro responsabilità nella perdita del Bene infinito, è proprio ciò che il Vangelo indica sotto il nome di « verme roditore che non muore mai »?

Sì; perché questo verme roditore è ciò che si dà di più orribile per un essere cosciente, e non è altro che il rimorso, la stretta del quale dovrebbe ucciderlo mille volte se potesse morire (XCVII, 2).

1835. Si deve intendere anche in senso metaforico, ossia puramente spirituale, l’altra

pena di cui parla il Vangelo, che la chiama «il fuoco che non si estingue mai»?

No; questo fuoco si deve intendere nel senso di un fuoco materiale, perché indica propriamente la pena del senso (XCVII, 5).

1836. Ma come può agire un fuoco materiale su degli spiriti, ossia su delle anime separate dai loro corpi?

Per un ordine speciale della giustizia di Dio, che comunica a questo fuoco materiale, in ragione della sua propria azione di ciò che questa azione significa, la virtù preternaturale del giudizio di servire di strumento a questa giustizia LXX, 3).

1837. I dannati saranno tutti tormentati nella stessa guisa dal fuoco dell’Inferno?

No; perché essendo lo strumento della giustizia di Dio, l’azione di questo fuoco sarà proporziona alla natura al numero e alla gravità dei peccati commessi da ciascuno. (XCVII, 5 ad 3).

1838. Il supplizio dei dannati sarà accresciuto dalla spaventevole compagnia costituita dalla orribile società dove si troveranno tutti i malfattori ed i criminali del genere umano, mescolati ai demoni che avranno l’ufficio di tormentarli sotto il comando del primo di loro; capo supremo del regno del male?

Certissimamente; ed è ciò che sembra significare il Vangelo quando parla delle « tenebre  esteriori, deve è pianto e stridore di denti » (XCVII, 3, 4)

Capo XLVII.

Dell’atto che compie la divisione fra il Purgatorio, il Paradiso l’Inferno; ossia del giudizio.

1939. Per quale atto avviene la divisione tra coloro che vanno immediatamente in Paradiso, oppure in Purgatorio, oppure l’Inferno?

Questa divisione avviene mediante l’atto del giudizio.

1840. Che cosa intendete per giudizio?

Intendo quell’atto della giustizia di Dio, che sentenzia definitivamente sullo stato di un dato soggetto, in ordine alla ricompensa od al castigo da ricevere.

1841. Quando avviene questo atto sovrano della giustizia di Dio?

Avviene immediatamente dopo la morte, nel momento in cui l’anima si trova separata dal corpo.

1842. E dove avviene questo atto del giudizio?

Nello stesso luogo dove avviene la separazione dell’anima dal corpo, che costituisce la morte.

1848. Da chi si fa l’atto del giudizio?

L’atto del giudizio si fa da Dio stesso, la virtù del quale passa attraverso la santa umanità del Verbo fatto carne, dopo l’Ascensione di Gesù Cristo al cielo.

1844. L’anima che viene giudicata, vede Dio e la santa umanità di Gesù Cristo?

Non debbono vedere Dio nella sua essenza né la santa umanità di Gesù Cristo che è in cielo, se non le anime il cui giudizio porta una sentenza di ingresso immediato in Paradiso.

1845. Ed il giudizio delle altre anime come avviene?

Avviene come per mezzo di un colpo di luce, che mette istantaneamente sotto i loro occhi tutto lo svolgimento della loro vita, e mostra loro che il luogo che ricevono immediatamente o nell’inferno o nel Purgatorio, è quanto v’ha di più giusto e di più meritato.

1846. Dunque avviene quasi per un medesimo atto e come nel medesimo istante, che le anime appena separate dal corpo sono giudicate, ed in forza di questo giudizio, collocate o nell’Inferno o nel Purgatorio o in Paradiso?

Sì; quasi per lo stesso atto e come nel medesimo istante, perché tutto ciò avviene per onnipotenza di Dio che agisce istantaneamente.

1847. E su che cosa verte questo grande atto del giudizio, e che cosa mostra all’anima che è giudicata?

Questo atto verte su tutto lo svolgimento della vita morale e cosciente, dal primo momento in cui si è avuto l’uso della ragione, fino all’ultimo atto che ha preceduto la separazione dell’anima dal corpo.

1848. Questo ultimo atto che avrà preceduto la separazione dell’anima dal corpo, avrà potuto qualche volta decidere da sé solo della sorte di un’anima per tutta la eternità, e valerle l’acquisto del cielo?

Sì; ma non avviene mai che per misericordia specialissima di Dio, e perché, il più spesso, altri atti nella vita del soggetto avranno in qualche modo preparato questa grazia; oppure in forza delle preghiere di anime sante che avranno piegato Dio a tale atto di suprema misericordia.

1849. E che cosa vedrà l’anima che è così giudicata, in questa luce che mette istantaneamente sotto i suoi occhi tutto lo svolgimento della propria vita, e le mostra che il luogo che nello stesso momento riceve o nell’Inferno o nel Purgatorio o in Paradiso è quanto vi è di più giusto e di più meritato?

Essa vedrà fino nei loro più minuti particolari tutti gli atti compiuti, e di cui ha potuto essere responsabile nel corso di tutta la vita per quanto lunga possa essere stata, e per ciascun giorno del corso di questa vita e per ciascun momento di questi giorni: i suoi pensieri più intimi e svariati; le sue affezioni, qualunque sia stato il loro oggetto, il loro carattere, il loro moto interno ed esterno; le sue parole gravi o leggere, riflessive od inconsiderate, vane od oziose; i suoi atti e la parte che vi avranno avuto i suoi sensi, gli organi e le membra del proprio corpo. Nell’ordine di ciascuna virtù e di ciascun vizio, dalla virtù della temperanza con tutto quanto le si riferisce, passando per la virtù della fortezza e sue annesse, la virtù della giustizia e sue infinite ramificazioni, la virtù della prudenza e le sue applicazioni in ogni istante nella pratica delle virtù morali, sia che si tratti della pratica di queste virtù sotto la loro ragione di virtù naturali, o di virtù soprannaturali ed infuse; ma più ancora e soprattutto in ciò che riguarda le grandi virtù teologali della fede, della speranza e della carità, che dovevano tutto dominare nella sua vita. Essa vedrà ciò che avrà fatto del Sangue di Gesù Cristo e di tutti i misteri di salute congiunti con questo Sangue redentore, per mezzo dell’uso dei Sacramenti della grazia dispensati nella Chiesa Cattolica: come avrà trascurato o utilizzato la grande virtù della penitenza con le soddisfazioni che le offriva per l’intervento del potere sovrano delle chiavi. E sarà questa visione istantanea che le farà dire, o con la gioia riconoscente degli eletti nel Cielo, o con la rassegnazione amante dei giusti nel Purgatorio, o con la rabbia disperata dei dannati nell’Inferno: «Il vostro giudizio, o Dio, e la vostra sentenza sono la stessa giustizia».

Capo XLVIII.

Del luogo di coloro che non vengono giudicati: Il Limbo dei bambini.

1850. Vi sono degli esseri umani che al momento della morte non sono sottoposti al giudizio?

Sì; sono tutti i bambini che muoiono prima dell’uso della ragione, ed anche coloro che sebbene adulti, muoiono senza avere avuto l’uso della ragione (LXIX, 6).

1851. Non avviene una divisione fra i bambini e fra coloro che muoiono senza avere avuto l’uso della ragione?

Sì; ma non in ragione dei loro meriti o demeriti, e non per modo di giudizio.

 1852. Come avviene dunque questa divisione?

Avviene soltanto per questo, che gli uni hanno ricevuto il sacramento del Battesimo, e gli altri no.

1853. Dove vanno quelli che hanno ricevuto il sacramento del Battesimo?

Vanno immediatamente in Paradiso.

1854. E quelli che non l’hanno ricevuto, dove vanno?

Vanno in un luogo loro riservato, che si chiama Limbo.

1855. Il Limbo dei bambini morti senza Battesimo è un luogo distinto dall’Inferno e dal Purgatorio?

Sì; il Limbo dei bambini nati senza Battesimo è un luogo distinto, diverso dall’Inferno e dal Purgatorio, perché a differenza dell’Inferno e del Purgatorio, non è un luogo dove si soffre la pena del senso per causa di peccati personali (LXIX, 6).

1856. Nel Limbo, i bambini morti senza Battesimo subiscono la pena del danno?

Sì; perché essi si sanno privati eternamente del Bene infinito che è la visione di Dio. Ma questa pena non ha affatto per loro il carattere di suprema tortura che ha per i dannati dell’Inferno (Appendice, I, 2).

1857. Donde nasce questa differenza nel carattere della pena del danno per i bambini morti senza Battesimo?

Nasce da questo che se essi sanno di essere privati della visione di Dio, sanno pure che questa pena li colpisce non in ragione  di una colpa personale da essi commessa, ma soltanto in forza della loro discendenza da Adamo peccatore, ossia in ragione del peccato di natura che essi hanno personalmente contratto per il solo fatto della loro nascita (ibid.).

1858. Non esiste dunque per loro l’orribile verme roditore che tormenta i dannati nell’Inferno?

Niente affatto; ma uno stato che, senza implicare sofferenza o tristezza, fa tuttavia che essi abbiano coscienza della felicità che avrebbero potuto avere se i meriti della Redenzione fossero stati loro applicati, e che non potranno mai avere benché non per loro colpa, ma. per un giusto decreto degli inscrutabili consigli di Dio (Ibid.).

1859. Le anime di questi bambini morti senza Battesimo conoscono, i misteri della Redenzione?

Sicuramente; ma li conoscono con una conoscenza affatto esteriore, se così possiamo dire (Ibid).

1860. Si può dire che queste anime abbiano il lume della fede?

No: non si può dire che queste anime abbiano il lume della fede, nel senso di lume interiore soprannaturale che perfeziona la intelligenza, e le permette di penetrare in certa maniera l’intimo dei misteri rivelati con un tale gusto di ordine soprannaturale che porta a desiderarli con desiderio efficace. Esse non li conoscono che dal di fuori, un po’ come tutti quelli che non possono non confessare la verità dei misteri divini affermati da Dio, ma che non sono punto portati da un moto della grazia ad aderire in modo soprannaturale a questi misteri, e sono nella impotenza radicale di penetrarne il senso intimo.

1861. È dunque una specie di lume affatto esterno e freddo, quello che fa loro conoscere i misteri della fede?

Precisamente; è un lume che non è lume di ribellione come nei dannati dell’Inferno, né lume di adesione ardente che generi la speranza e la carità come quello dei giusti sulla terra, né ancor meno lume di visione inebriante come per gli eletti nel cielo. Ma un lume in qualche maniera spento nell’ordine soprannaturale, che non è né lume di vita, né lume di morte nel senso che lo è per i dannati: è lume senza speranza che non genera affatto il rimorso e neppure il rimpianto, e che soltanto fa prendere loro coscienza di una infinita felicità che non possederanno mai, senza che frattanto esista per loro né pianto né stridore di denti come per i dannati nell’Inferno. Di più, sarà per loro una gioia grandissima il pensiero dei beni di ordine naturale che hanno già ricevuto da Dio, o che riceveranno poi e per sempre nel momento della resurrezione (Ibid. ad 3).

1862. Accanto al Limbo dove stanno le anime dei bambini morti senza Battesimo, non vi è un altro Limbo di cui si fa menzione nel linguaggio della Chiesa?

Sì; è il Limbo dove una volta si trovavano i giusti che non avevano più alcun impedimento personale per ricevere la ricompensa del cielo, ma che per ottenerla dovevano aspettare la venuta del Redentore (LXIX, 7).

1863. Nel Limbo degli antichi giusti non vi è ora più nessuno?

Dal giorno in cui Gesù Cristo discese in questo Limbo nel momento della sua morte e ne risalì nel giorno della sua resurrezione, conducendo seco tutte le anime dei giusti che vi stavano rinchiuse, questo luogo non ha più e non può avere più il suo primitivo uso. Ma può essere che da allora sia adibito ricevere le anime dei bambini morti senza Battesimo, non formando più che una cosa sola col Limbo dei bambini.

LA SUMMA PER TUTTI (24)

LO SCUDO DELLA FEDE (173)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (IX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

1 MISTERI

III. — Il mistero della Creazione.

a) La Creazione stessa.

D. Perché chiami la creazione un mistero?

R. Perché Dio è un mistero, e benché non si tratti qui delle sue intimità, come nel mistero in senso proprio, tuttavia per noi, l’oscurità è grande altrettanto. Per capire la creazione, punto di sutura tra Dio e il mondo, bisognerebbe poter comprendere e il mondo e Dio.

D. Il mondo è dunque tratto da Dio?

R. Così dev’essere, in una certa maniera. Come quest’indigente si sarebbe arricchito d’essere, se non per un prestito dall’Essere perfetto?

D. Sei dunque partigiano delle emanazioni?

R. S. Tommaso usa questa parola, ma non nel senso degli emanatisti. Costoro fanno dell’universo, materiale e spirituale, una derivazione, un irradiamento necessario del primo Principio; la loro concezione è panteistica e più o meno trascina Dio nel divenire, distruggendo la sua trascendenza. Per il pensiero giudeo-cristiano, Dio è la causa del mondo e il mondo partecipa di Dio; ma l’essere del mondo non esce dall’essere di Dio; non ne è punto una parte; contuttociò non si addiziona con esso, e lì appunto sta il mistero.

D. Dio e il mondo non sono più che Dio solo?

R. No, nello stesso modo che, in matematica, l’infinito più un numero qualunque è uguale all’infinito. Del resto abbiamo già toccato questo problema e ne abbiamo riconosciuto la necessaria oscurità.

D. Non dici forse che il mondo fu tratto dal nulla?

R. È un modo di parlare. Il niente, non essendo niente, non se ne può trarre niente, né come si trae un’opera d’arte da una materia, né come si trae un oggetto dal vaso in cui era contenuto.

D. Forse vuoi dire che il niente è qui un punto di partenza?

R. È ben questo che si vuole dire; ma non è ancora se non un modo di parlare; perché il niente non può essere un punto di partenza più che un recipiente o una materia: il niente è niente e non potrebbe avere alcun compito positivo. Quando si menziona il termine, bisogna intenderlo negativamente, e ciò vuol dire che la creazione non presuppone nessuna materia, nessun punto di partenza, nessun antecedente qualsisia; essa dà tutto, e non vi sono materie, punti di partenza, antecedenti, se non dopo di essa; voglio dire in ragione di essa; perché dopo o prima della creazione, questo non ha senso.

D. La creazione non ha avuto luogo in un dato momento?

R. Dove si prenderebbe questo momento, poiché i momenti stessi hanno bisogno di essere creati? Il tempo non è un figlio di Dio come tutto il resto, un attributo delle cose, dunque anche una cosa?

D. Ma allora la creazione ha luogo eternamente!

R. La creazione, se si vuol significarla come azione, è di fatto un’azione eterna; è un’azione di Dio, e l’azione di Dio è Dio. Se Dio è immutabile ed eterno, la creazione presa dal suo lato, dev’essere tale; se non che l’effetto, che è il mondo, è temporale. Il tempo è posteriore alla creazione, come uno de’ suoi risultati; non può dunque fornirle il suo momento. Per la creazione, tutto si radica nell’eternità, anche la nostra durata effimera.

D. Ecco una cosa assai oscura!

R. Ti ho già detto che la creazione è un mistero.

D. Che cosa è, finalmente, in se stessa?

R. Presa attivamente, se si vuole, è come l’irradiamento d’un Centro ineffabile, in cui il tempo e gli oggetti del tempo prendono la loro origine. Passivamente è la connessione del raggio al suo focolare, cioè la sospensione del temporale all’eterno, la sua dipendenza totale; è dunque una pura relazione; ma questa relazione forma il nostro essere. Per noi, essere, o dipendere da Dio, o prendere da Dio, è la stessa cosa.

D. Ma se Dio «irradia» così nel mondo, tu ritorni alle emanazioni.

R. Ti ho avvertito che noi ci esprimiamo come possiamo. Ci rappresentiamo così le cose, perché la nostra mente, abituata alle relazioni reciproche, concepisce che vi è irradiamento dovunque vi è il raggio. Ma in realtà, qui, il raggio non discende, ma sale. Da Dio a noi le relazioni non sono reciproche; noi dipendiamo, ma Egli non dipende affatto, ciò che avrebbe luogo se Egli «irradiasse » in modo da comunicarci qualche cosa. Perché chi tocca è anche toccato; chi agisce nel senso umano del termine riceve anche un’azione; non vi è azione senza reazione, e quando io appoggio la mano sulla tavola, anche la tavola preme sopra di me.

D. Allora?

R. Allora, finalmente, rimovendo ogni immagine e ogni concessione al discorso, bisogna dire che la creazione è la dipendenza del mondo relativamente a Dio; essa non è altro.

D. Raccolgo le tue parole e dico: Il mondo è eterno.

R. Perché ciò?

D. Perché, secondo te, la creazione è una relazione del mondo riguardo a Dio che è eterno; perché, presa attivamente, la creazione è azione di Dio, vale a dire è Dio, che è eterno; perché, non essendovi « momento » per collocare l’azione creatrice, e la creazione-relazione non toccando alcun momento piuttosto che un altro, non si vede posto per un cominciamento del mondo, il che è veramente essere eterno.

R. Tutto ciò non ne segue in alcun modo. Che per la creazione il mondo dipenda da un Dio eterno, ciò non rende il mondo eterno come il dipendere da un uomo bianco non rende un oggetto bianco; la dipendenza del mondo essendo totale, dipende anche la sua durata, ed essa sarà quello che Dio vuole che essa sia. Presa attivamente, la creazione è Dio stesso, ma Dio operante per la sua volontà, non per una necessità della sua natura (il che sarebbe un ritornare al sistema delle emanazioni): la durata del mondo sarà dunque misurata dalla volontà di Dio, non misurata alla natura di Dio, all’eternità di Dio. Finalmente, non vi è momento estraneo al mondo, che possa servire a creare il mondo; ma vi sono momenti nel mondo, e vi può essere un primo momento del mondo. In altri termini, la creazione in se stessa è intemporale, ma tale non è il suo effetto. Il mondo dura. Quanto dura? la sua durata è finita in avanti, finita in addietro, infinita in avanti, infinita in addietro, ciò dipende dalla pura e semplice volontà di Dio.

D. E allora nulla impedisce di dirlo eterno.

R. Difatti nulla lo impedisce, stando però nei limiti del ragionamento; ma poiché ciò dipende dalla volontà di Dio, è naturale riferirsene a Dio, ed è quello che fanno i Cristiani, ammaestrati dai loro sacri testi. Nulla, per noi, è sempre esistito. Ma del rimanente, e bisogna notarlo bene, essere sempre esistito non vorrebbe dire, per il mondo, essere eterno nel senso proprio, essere eterno come Dio. L’eternità di Dio è un’immobilità, un’indivisibilità, una semplicità; la corsa infinita del tempo sarebbe una moltiplicità inesauribile. Una tale durata sarebbe, in certo modo, più lontana ancora dalla durata eterna che una corsa che incomincia. Se si volesse rappresentare con un’immagine quantitativa l’eternità e il tempo infinito, questo sarebbe figurato da una linea senza termine, l’eternità da un punto.

D. Mistero!

R. Mistero.

b) Gli Angeli e i Demonii.

D. Quali sono, per ordine, gli esseri che godono il benefizio della creazione?

R. Gli Angeli, che noi crediamo aver preceduto la creazione materiale; la creazione stessa materiale; l’uomo, e, se esistono, gli esseri ragionevoli che abitano negli altri mondi.

D. Credi tu veramente a questi esseri che non si vedono? non è un’illusione, un inganno?

R. L’uomo ingannato — ingannato da’ suoi sensi — è colui che non crede se non a quello che si vede.

D. Perché questo mondo supererogatorio, questa creazione di esseri supplementare?

R. Tu trovi cosa naturale che Shakespeare abbia creato Ariel, che è al di sopra dell’uomo, e Caliban, che è al di sotto; e ricusi a Dio di creare dei gradi tra lui e la carne terrestre?

D. I poeti hanno tutti i diritti.

R. Se i poeti sono poeti, è perché prima Dio fu poeta. Del resto l’antichità filosofica credette agli Angeli quanto l’antichità istintiva. Aristotile e Platone li fanno intervenire in cosmologia, Socrate in morale; gli Angeli custodi figurano in Esiodo e la caduta dei cattivi angeli in Empedocle.

D. Quello che mi stupisce è la tua concezione dello spirito puro.

E. Lo spirito puro è un intermedio affatto naturale tra il Super-Spirito e gli spiriti intenebrati di materia, quei « mostri » nel senso pascaliano, che hanno l’aria di appartenere a due mondi,

D. Tu evochi così la Scala degli esseri?

R. Questa antica nozione rischiarava molti problemi. Si poté dimenticarla; ma la sua attualità reale non è indebolita. Le specie di esseri sono manifestamente disposte a gradi secondo un ordine di valore crescente o di valore decrescente, secondo il punto di vista da cui si considerano. Il minerale, l’essere vegetale, l’essere sensitivo, l’essere pensante si dispongono a gradi e s’appoggiano l’un l’altro. In noi lo spirito si schiude appena; è attivo durante un periodo assai ridotto della vita; durante questo periodo, è intorpidito una buona metà del tempo; impigliato, sempre, nelle insidie dell’immaginazione; sfuggente a se stesso perfino nel suo migliore funzionamento, che non pochi errori sviano. Come credere che tutto si fermi qui, e che lo spirito non abbia se non questi magri trionfi!

D. Non è già assai bello che la materia si desti allo spirito?

R. È così bello che essa non vi si potrebbe destare affatto da sola, come diremo presto. Ma se ne giudica così guardando dal basso, ciò che è l’atteggiamento del panteismo evoluzionista. Guarda dall’alto, come un figliuolo di Dio; prendi l’occhio del Padre supremo, e vedrai, da Lui a noi, un immenso posto vuoto. La creazione saliente si ferma tronca, « lo Spirito artefice che fece il mondo », come dice Bossuet, non s’è veramente rappresentato.

D. Non dici l’uomo «a immagine di Dio »?

E. Sì, ma è principalmente per opposizione a tutto il resto di ciò che si vede, e ciò che si vede, sia pure l’uomo, non è a immagine di Dio come spirito. Noi non siamo spiriti, come un ossido non è ossigeno o un cloruro non è cloro; noi siamo dei misti. La nostra natura è una natura limitrofa. La nostra intelligenza, anziché parlare, balbetta; il discorso che le è naturale è un tragitto titubante, come un camminare puerile. Il procedimento naturale dello spirito sarebbe l’intuizione, cioè la visione dell’idea come abbiamo per gli occhi la visione dei corpi, e questo, noi non facciamo altro che presagirlo e tendervi, senza raggiungerlo. Dov’è dunque lo spirito vero, lo spirito tutto Spirito, lo spirito che funziona secondo la legge dello spirito, senza nebbia di materia? Questo grado di essere e di valore dovrebbe mancare alla creazione? Un uomo che crede in Dio non lo potrebbe veramente ammettere. Dio spirito dovette rivelarsi prima di tutto per via dello spirito, e non ridursi a una degradazione dello spirito, a una concrezione di spirito. Dopo tutto, lo stato normale dell’essere è appunto lo spirito, benché noi, esseri inferiori, non concepiamo l’essere che come corpo o sotto gli auspici del corpo.

D. Come spieghi che vi possano essere degli esseri di cui non abbiamo nessuna idea?

E. Ti risponde Pascal: « L’anima nostra è gettata nel corpo, dove trova tempo, numero, dimensioni; essa ragiona lì sopra e chiama questo natura, necessità, e non può credere ad altro ». E ancora: « L’assuefazione è la nostra natura… Chi dunque dubita che, essendo l’anima nostra abituata a vedere numero, spazio, movimento, creda questo e nient’altro che questo? ».

D. Tu dicevi sopra che la natura stessa è spirito.

R. La natura è spirito in questo senso che l’importante, in sè, sono le idee che vengono alla luce, le sue invenzioni, anziché le sue opere materiali, di cui si vede che essa fa così poco conto. Ma le idee della natura sono fugaci; passano incessantemente e corrono dietro all’esistenza, senza fissarvisi; è come un gioco di folgori, un fuoco artificiale. Io cerco il mondo dell’idea stabile, il mondo di Platone senza le illusioni di Platone; il mondo che non sia l’inutile duplicato di questo, ma un altro, uno più alto, uno più perfetto, più prossimo alla Sorgente ideale. E, come filosofo, sono tutto sollevato, quando la Chiesa mi dice: Ecco il tuo mondo: un nuovo ripiano partendo dall’uomo, invece di terminare a lui; dei gradini di spirito in spirito, fino al supremo Spirito, come tu hai dei gradini di corpo in corpo, fino al corpo animato da spirito; ecco le mie celesti « gerarchie »; ecco i « cori » degli Angeli.

D. Dunque i tuoi Angeli non sono tutti della stessa natura, non sono dunque uguali?

È. Sono uguali e della stessa natura negativamente, cioè sono tutti esenti da materia, tutti puri spiriti. Ma positivamente, non ce ne sono due della stessa natura, non ce ne sono due uguali; perché, non differendo che secondo lo spirito, rappresentano ciascuno, necessariamente, un’idea di natura differente, e un’idea, come tale, non si ripete. Si può effettuare due volte l’idea d’uomo; ma non si può effettuare due volte Socrate, e se tutto ciò che vi è in Socrate fosse contenuto nell’idea d’uomo, l’idea dell’uomo non si ripeterebbe neppur essa. Tal è il caso degli Angeli.

D. Li credi numerosissimi?

E. L’Apocalisse ne parla come di miriadi di miriadi. E non è forse naturale che la loro varietà oltrepassi di molto, nei loro gradi, la scala vivente e la scala chimica, se è vero che essi, per i primi, posseggono il diritto dell’essere, che rappresentano la creazione, che sono l’opera di Dio? Così ragiona S. Tommaso, e l’osservazione è giusta.

D. Gli Angeli hanno relazione con noi?

E. Tutti i gradi dell’essere comunicano; i regni si compenetrano e si rendono servizi scambievoli. Gli Angeli collocati tra noi e Dio, sono come gli ambasciatori di Dio, i suoi inviati, come indica la parola angelo. Sono anche i nostri, per l’incarico che si prendono delle nostre preghiere e dei nostri voti. Lo stato in cui si trovano relativamente a noi crea in essi un movimento inverso del nostro. Noi cerchiamo quello che non possediamo; i nostri sguardi vanno dal basso all’alto, verso le regioni superne. Essi, che posseggono, tendono a comunicare con benevolenza quello che posseggono a quelli che vi tendono ancora e potrebbero sbagliarne la via.

D. Ve ne sono tuttavia dei cattivi?

R. Tutti furono creati buoni; ma crediamo di fatto che ce ne sono dei decaduti, cioè di quelli che rigettarono il bene e scelsero il male, nella inevitabile opzione proposta dalla Provvidenza a ogni essere libero.

D. È questa una ragione perché essi nuocciano?

E. È naturale che un essere ancorato nel male volga a male la sua stessa perfezione; caduto, egli ama che si cada; grande nondimeno, egli è propenso a trascinare dei più deboli, e si fa loro tentatore.

D. Una tale credenza non è oggi un po’ scaduta?

R. Di’ piuttosto che è ignorata. I veri Cristiani sanno che essa è attuale più che mai; i Santi l’appoggiano sopra la loro esperienza; in quanto agli spiriti forti, si ridono del diavolo e lo servono a gara.

D. Com’è possibile servirlo senza credervi?

R. «Mentre non si può servire Dio se non credendo in Lui, il diavolo, da parte sua, non ha bisogno che si creda in lui per servirlo. Anzi, non si serve mai così bene come gnorandolo » (ANDREA GIDE).

D. Come può agire sopra di noi?

R. Non ha che da entrare nella corrente delle nostre proprie inclinazioni, nel sorriso delle cose che ci seducono; non ha che da premere sopra ciò che si piega, da impedire ciò che sale. La sua influenza si spande come un gas deleterio che si assorbe senza sentirlo.

D. Non si ha dunque coscienza di quest’azione?

R. No; perché essa passa per l’intermedio dei nostri propri poteri, in certo modo vi si confonde e non si presta punto da parte nostra a una sicura dissociazione.

D. Lo stesso avviene indubbiamente delle felici influenze.

R. Certamente; ma piamente si attribuisce loro un compito nei lumi subitanei, nelle consolazioni insperate, negli stimoli virtuosi, nelle diffidenze istintive che ci avvertono di un pericolo, nelle vedute superiori che si presentano a noi per giudicare di questo mondo e dell’altro, ecc. Senza che si possa precisare, è certo che non tutte le nostre impressioni segrete vengono dall’ambiente umano o dal lavoro spontaneo dello spirito.

D. Noi siamo dunque circondati da esseri invisibili?

R. La nostra vita è in pieno cielo. Se i nostri occhi s’aprissero, voglio dire che se avessimo quell’intuizione della mente che ci manca, noi saremmo come Giacobbe rinvenuto dal suo misterioso sonno; anche noi vedremmo delle moltitudini salire e scendere la scala simbolica, e percepiremmo, coi gradi dell’essere, gli scambi di attività che riallacciano tutto.

LA SUMMA PER TUTTI (22)

LA SUMMA PER TUTTI (23)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XLI

Del sacramento della Estrema Unzione.

1742. Fra i sacramenti della Chiesa, Ve ne è uno che ha per oggetto speciale di preparare l’uomo ad entrare in cielo quando sta per morire?

Sì; è il sacramento della Estrema Unzione (XXIX, 1).

1743. Che cosa intendete per Estrema Unzione?

Intendo quel sacro rito istituito da Gesù Cristo, che consiste nell’ungere con gli oli santi un infermo in pericolo di morte, chiedendo a Dio che tutto ciò che può restargli di debolezza spirituale per causa dei suoi peccati passati, gli venga rimesso per ricuperare la piena e perfetta salute spirituale che gli permetterà di entrare, nel pieno vigore dell’anima, nella vita della gloria in cielo, per godervi eternamente Dio (XXIX – XXXII).

1744. Questo sacramento ha per effetto di rimettere i peccati?

No; perché non è ordinato né contro il peccato originale come il Battesimo, né contro i peccati mortali come la Penitenza; oppure in un certo senso, contro i peccati veniali come la Eucarestia; ma a ristabilire le forze, tolto che sia stato il male del peccato. Tuttavia, in forza della grazia speciale che esso conferisce e che è incompatibile col peccato, può rimettere, per modo di conseguenza, i peccati che per caso si trovassero nell’anima, purché non vi siano ostacoli da parte del soggetto, vale a dire che egli sia in buona fede ed abbia già fatto da se stesso ciò che da lui dipendeva, perché questi peccati fossero rimessi (XXX, 1).

1745. Il sacramento della Estrema Unzione può rendere anche la sanità del corpo?

Sì; ed è questo un effetto proprio di questo sacramento. Di modo che se il soggetto che lo riceve non mette ostacoli alla virtù del sacramento, per la virtù sacramentale che gli è propria, il sacramento stesso rende le forze fisiche e la sanità corporale, nelle circostanze e nella misura che questo ritorno alla sanità corporale è utile alla perfetta sanità spirituale, che il sacramento ha per effetto primo e principale di produrre (XXX, 2).

1746. Quando si può e si deve ricevere questo sacramento?

Non si può ricevere che in istato di infermità o di debolezza corporale che induca pericolo di morte. Ma si deve fare tutto il possibile perché sia ricevuto in piena conoscenza e col più grande fervore (XXXII, 1, 2).

1747. Si può ricevere più volte il sacramento della Estrema Unzione?

Non si può ricevere più volte nello stesso pericolo di morte. Ma se dopo averlo ricevuto si ritorna in salute, o almeno si cessa di essere nel primo pericolo di morte, si può ricevere di nuovo, e tante volte quante il pericolo di morte, per diverse malattie o nel corso della stressa malattia che si prolunga, potesse rinnovarsi (XXXIII, 1, 2).

1748. Il sacramento della Estrema Unzione è l’ultimo dei sacramenti istituiti da Gesù Cristo, per assicurare agli uomini il benefizio della vita della sua grazia?

Sì; esso è l’ultimo dei sacramenti ordinati al bene della vita della grazia. In quanto l’individuo ne vive per se stesso. Ma vi sono ancora altri due sacramenti di somma importanza, ordinati per assicurare il bene di questa vita di grazia, in quanto gli uomini

Formano una società che può e deve estendersi fino alle estremità del mondo, e fino alla fine dei tempi.

1749. Quali sono questi altri due sacramenti?

Sono l’Ordine ed il Matrimonio.

CAPO XLII.

Del sacramento dell’ordine. – I sacerdoti, i Vescovi ed il Sommo Pontefice. La Chiesa madre delle anime.

1750. Che cosa si intende per sacramento dell’Ordine?

Intendo quel sacro rito istituito da Gesù Cristo, per conferire a certi uomini il poterer speciale di consacrare il suo Corpo reale, in ordine al suo corpo mistico (XXXVII, 2).

1751. Il potere che si conferisce nel sacramento dell’Ordine è unico o molteplice?

È molteplice; ma la sua molteplicità non nuoce alla unità del sacramento dell’Ordine, perché gli ordini inferiori non sono che una partecipazione dell’Ordine superiore (XXXVII, art. 2).

1752. Che cosa intendete per Ordine superiore?

Intendo 1’Ordine dei sacerdoti, che nella loro consacrazione ricevono il potere di consacrare la Eucarestia (XXXVII, 2).

1753. E gli Ordini inferiori quali sono?

Sono tutti gli Ordini fuori del presbiterato, che hanno per ufficio di servire il sacerdote nell’atto della consacrazione. Vengono prima i ministri che servono il sacerdote all’altare: essi sono i diaconi, i suddiaconi e gli accoliti. I primi arrivano sino alla facoltà di distribuire la Eucarestia almeno sotto le specie del vino, quando si distribuisce anche sotto questa specie; i secondi dispongono la materia del Sacramento nei vasi sacri; i terzi presentano la materia stessa. Quindi vengono i ministri aventi l’ufficio di preparare coloro che devono ricevere il sacramento; non mediante l’assoluzione sacramentale che il solo sacerdote è in grado di dare, ma allontanandone gli indegni, istruendone i catecumeni e liberando gli ossessi: uffici che avevano soprattutto la loro ragione di essere nella Chiesa primitiva, quando si andava formando fra gli infedeli, ma che la Chiesa conserva sempre per la integrità della sua gerarchia (XXXVII, 2).

1754. Dei sette ordini che sono stati enumerati, quali sono quelli che si chiamano maggiori e quali i minori?

Gli ordini maggiori sono quelli del Presbiterato, del Diaconato e del Suddiaconato Gli ordini minori sono gli altri quattro, cioè di quello degli accoliti; degli esorcisti, dei lettori e degli ostiari (XXXVII, 2; 3).

1755. Dove stanno ordinariamente i soggetti dei diversi ordino, ad eccezione del presbiterato?

Stanno ordinariamente negli stabilimenti ecclesiastici dove si formano i membri del clero, e dove si preparano a ricevere il supremo ordine del Presbiterato.

1756. Dunque quando un soggetto è sacerdote, è messo veramente a contatto col popolo fedele per lavorare alla sua santificazione?

Sì; i fedeli debbono propriamente trattare con i sacerdoti.

1757. Il sacerdote è rivestito di un carattere speciale, che nella Chiesa di Dio lo distingue dagli altri uomini?

Non soltanto il sacerdote, ma ogni membro della gerarchia ecclesiastica, fin dal primo ordine minore, è rivestito di un certo carattere speciale che gli viene impresso quando riceve il sacramento dell’Ordine. Tuttavia, tale carattere è più particolarmente impresso nei soggetti degli ordini maggiori, e più ancora in coloro che hanno ricevuto il Presbiterato, nel quale viene conferita la potestà di consacrare il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo e di rimettere i peccati.

1758. Dunque i fedeli debbono veramente tutto al sacerdote, nell’ordine dei beni di grazia e di salute annessi ai sacramenti della redenzione operata da Gesù Cristo?

1758. Sì; perché ad eccezione del solo sacramento della Confermazione che è ordinariamente riservato al Vescovo, appartiene di ufficio al sacerdote di amministrare ai fedeli i sacramenti che abbiamo detto essere ordinati al bene della vita individuale, cioè il Battesimo, la Eucarestia, la Penitenza e la Estrema Unzione. Come pure è il sacerdote che ha, come abbiamo detto, la potestà suprema e divina di rendere presente in mezzo agli uomini e di offrire in sacrifizio, mediante la consacrazione sacramentale, il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo.

1759. I fedeli non debbono pure al sacerdote il bene inapprezzabile della conoscenza dei misteri cristiani e delle verità di salute?

Sì; perché egli, mediante il suo ministero continuo, è applicato ad istruirli in questi misteri ed in queste verità.

1760. Ma il sacerdote stesso da chi riceve tutte le sue facoltà?

Le riceve dal Vescovo (XXXVIII,1;XL,4).

1761. In che cosa ed in che modo il Vescovo è superiore al sacerdote e può conferirgli le sue facoltà?

Il Vescovo è superiore al sacerdote in ciò che riguarda la consacrazione del Corpo reale di Gesù Cristo nella Eucarestia, ma in ciò che riguarda il corpo mistico di Gesù Cristo, vale a dire i fedeli che formano la Chiesa. La potestà episcopale è stata infatti costituita

da Gesù Cristo stesso propriamente e. direttamente in ordine a questo Corpo mistico. Di per sé essa comprende tutto ciò che è necessario per la creazione e la organizzazione del Corpo mistico, allo scopo di comunicargli nella sua pienezza la vita della grazia annessa ai sacramenti della Redenzione. Per conseguenza il Vescovo ha in sé, per il fatto della consacrazione episcopale, la pienezza del sacerdozio col potere non soltanto di consacrare il Corpo reale di Gesù Cristo come qualunque sacerdote, ma anche di amministrare senza riserva tutti gli altri sacramenti compresa la Confermazione, e di conferire ai sacerdoti stessi ed ai ministri inferiori la loro potestà di ordine, consacrandoli od ordinandoli; e la loro potestà di giurisdizione sui fedeli, affidando loro, nella misura che gli piacerà di determinare, la cura di questi stessi fedeli (XL, 4, 5).

1762. Dunque in qualche modo tutta la vita della Chiesa si riconcentra nella persona del Vescovo?

Precisamente: nella persona del Vescovo si riconcentra tutta la vita della Chiesa; e niente può appartenere a questa vita che non provenga da Lui, e non resti alla sua piena e perfetta dipendenza.

1763. Che cosa ci vuole perché il Vescovo sia questo principio di vita per la sua Chiesa?

Bisogna che Egli stesso sia in piena e perfetta comunione col Vescovo di Roma, Capo dell’universo di tutte le Chiese riunite per mezzo suo e sotto la sua suprema autorità e somma potestà in un solo tutto, che forma in senso puro e semplice la Chiesa di Gesù Cristo (XL, 6).

1764. Il Vescovo di Roma, ossia il Sommo Pontefice, ha dei poteri che gli altri Vescovi non hanno?

Se si tratta di atti gerarchici riflettenti l’amministrazione dei Sacramenti in quanto tali, i poteri del Sommo Pontefice, Vescovo di Roma, sono gli stessi di quelli degli altri Vescovi. Ma se si tratta del potere di giurisdizione che comprende tutto ciò che ha attinenza col governo della società che forma la Chiesa, e col diritto di amministrare, i sacramenti a determinati soggetti, questo potere si trova tutto intero e come nella sua origine nella persona del Sommo Pontefice, applicandosi di per sé a tutta la società della Chiesa Cattolica nell’intero universo; mentre negli altri Vescovi non si trova se non in rapporto a quella porzione della Chiesa universale che forma la Chiesa di cui essi sono i Vescovi, o che formano le Chiese più o meno dipendenti da loro nella organizzazione della società della Chiesa universale. Ed anche in rapporto a questa parte determinata che è affidata al loro governo, il loro potere, nella sua natura e nel suo esercizio, dipende dal potere supremo del Sommo Pontefice, da cui lo ricevono ed in dipendenza del Quale essi lo esercitano (XL, 6).

1765. Perché questo supremo potere, nell’ordine della giurisdizione ossia del governo della Chiesa, è assegnato al Sommo Pontefice?

Perché la perfetta unità della Chiesa richiedeva che fosse così. Ed è per questo che Gesù Cristo incaricò di pascere tutto il suo gregge, agnelli e pecorelle, il solo Simon Pietro, di cui il Romano Pontefice resta il solo legittimo successore sino alla fine dei tempi (XL, 6).

1766. Dunque dal solo Sommo Pontefice, Vescovo di Roma, dipende in tutto l’universo e dipenderà sino alla fine del mondo, per ogni uomo vivente sulla terra, la sua unione  Gesù Cristo per mezzo dei Sacramenti, per conseguenza la sua vita soprannaturale e la sua eterna salute?

Sì; perché se è vero che la grazia di Gesù Cristo non è in modo assoluto attaccata al ricevimento dei Sacramenti quando è impossibile riceverli, almeno per gli adulti, e che l’azione interiore dello Spirito Santo vi può supplire purché non vi sia malafede nel soggetto, d’altra parte è assolutamente certo che nessun essere umano che scientemente si separa dalla comunione del Sommo Pontefice, può partecipare della grazia di Gesù Cristo; e per conseguenza se muore in questo stato va irrimediabilmente perduto.

1767. Si dice in questo senso che nessuno può salvarsi fuori della Chiesa?

Sì; precisamente in questo senso si dice che nessuno può salvarsi fuori della Chiesa, ed ancora che non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre.

Capo XLIII.

Del sacramento del Matrimonio. – Sua natura.- Degli impedimenti. – Dei doveri. – Del divorzio. – Delle seconde nozze. – Degli sponsali.

1768. Accanto al sacramento dell’Ordine, destinato a perfezionare l’uomo in ordine alla vita sociale soprannaturale, per mezzo della potestà che gli conferisce di agire sugli altri uomini, per comunicare loro i beni della grazia di Gesù Cristo, quale è l’altro Sacramento istituito dallo stesso Gesù Cristo, per perfezionare l’uomo in ordine alla vita sociale sprannaturale?

È il sacramento del Matrimonio (XLII).

1769. Come è ordinato il sacramento del Matrimonio al bene della società soprannaturale?

Il sacramento del Matrimonio è ordinato al bene della società soprannaturale per la stessa ragione che è ordinato essenzialmente alla propagazione della specie umana, i cui membri sono chiamati a far parte della società soprannaturale (XLI, XLII).

1770. Che cosa intendete per il sacramento del Matrimonio?

Intendo la unione dell’uomo e della donna, indissolubile fino alla morte di uno dei due, coniugi, che esclude di per sé ogni partecipazione di terzi a questa unione, la quale si contrae tra soggetti battezzati mediante il consenso reciproco dei due soggetti che si danno l’uno all’altro, in ordine al diritto che acquisteranno ambedue di esigere di fare gli atti che hanno per effetto di dare alla patria terrena ed alla patria celeste membri degni che debbano popolarle (XLI, XLII).

1771. Perché questa unione, nel momento che si contrae tra battezzati, ha ragione di Sacramento?

Perché Gesù Cristo ha voluto così e l’ha elevata alla dignità di significare la propria unione con la Chiesa, uscita in certo modo dalle sue viscere sulla Croce, come la prima donna era stata da principio estratta da Dio dal primo uomo misteriosamente addormentato (XLII, 2).

1772. Che cosa ci vuole perché questi due soggetti battezzati abbiano il diritto di contrarre tale unione?

Bisogna che ambedue possano disporre di sé, e che non vi sia alcun ostacolo che si opponga alla loro unione.

1773. Quali sono gli ostacoli che possono opporsi alla unione matrimoniale?

Sono quelli che si chiamano impedimenti del matrimonio.

1774. Gli impedimenti del matrimonio sono tutti della stessa natura?

No; perché ve ne sono di quelli che non fanno che rendere il matrimonio illecito; ed altri che lo rendono nullo.

1775. Come si chiamano gli impedimenti che rendono il matrimonio illecito, e come si chiamano quelli che lo rendono nullo?

I primi si chiamano impedimenti proibenti o impedienti; i secondi, impedimenti dirimenti (Codice, can. 1036).

1776. Quali sono gli impedimenti impedienti?

Sono anzitutto il voto semplice di verginità, di castità, di non maritarsi o di ricevere gli ordini sacri e di abbracciare lo stato religioso; poi la parentela legale risultante dalla adozione, nei paesi dove la legge civile ne fa un impedimento impediente; finalmente quello che darebbe un matrimonio misto, quando uno dei due soggetti battezzati fosse affiliato ad una setta eretica o scismatica (Codice, can. 1058, 1059, 1060).

1777. Che cosa ci vuole perché il matrimonio si possa fare esistendo uno di questi impedimenti?

Bisogna che la Chiesa dispensi da questo impedimento, cosa che Essa non fa che per ragioni gravi, specialmente nel caso del matrimonio misto; e per questo caso esige l’assicurazione che la parte non cattolica escluda ogni pericolo di perversione per la parte cattolica, e che ambedue le parti procurino che tutti i figli ricevano il Battesimo e non altra educazione che la cattolica (Codice, Can. 1061).

1778. Se una delle due parti, senza appartenere ad una setta eretica o scismatica, fosse notoriamente empia, avendo ripudiato la fede cattolica, od essendosi iscritta in società condannate dalla Chiesa, vi sarebbe in questo caso impedimento per il matrimonio?

No; nel senso che vi sia bisogno di ricorrere ad una dispensa della Chiesa; ma la Chiesa vuole che i fedeli aborriscano dal contrarre tali unioni, per causa dei pericoli di ogni sorta che vi si trovano uniti (Codice, can. 1065).

1779. Potreste dirmi quali sono gli impedimenti dirimenti del matrimonio?

Eccoli quali sono determinati nel Codice del nuovo diritto canonico: 1° il difetto di età richiesta, vale a dire prima dei sedici anni compiuti per l’uomo, e dei quattordici parimente compiuti per la donna; 2° la impotenza anteriore al matrimonio e perpetua, tanto da parte dell’uomo che da parte della donna, conosciuta o non conosciuta, assoluta o relativa; 3° il fatto di essere già maritato, anche Se il matrimonio non è stato consumato; 4° la disparità del culto, quando una delle parti non è battezzata e l’altra è stata battezzata nella Chiesa Cattolica, o è venuta alla Chiesa convertita dallo scisma o dalla eresia; 5° il fatto di essere negli ordini sacri; 6° l’avere emesso voti solenni di religione, o anche voti semplici ai quali fosse unita, per una prescrizione speciale della S. Sede, la virtù di rendere nullo il matrimonio; 7° il ratto o la violenta detenzione della donna in ordine al matrimonio, finché la parte rapita o detenuta non sia restituita alla sua piena libertà; 8° il delitto di adulterio con promessa o tentativo di matrimonio anche solo civile, oppure l’adulterio seguito dal delitto di assassinio dell’altro coniuge commesso da uno dei due, oppure la cooperazione anche senza adulterio, sia fisica sia morale, all’assassinio del coniuge; 9° la consanguineità. in linea retta sempre, ed in linea collaterale fino al 3° grado, il quale impedimento si moltiplica tante volte quante si moltiplica lo stipite comune alle due parti; 10° la affinità in linea retta sempre, ed in linea collaterale fino al secondo grado inclusivamente; e questo impedimento si moltiplica in quanto si moltiplica l’impedimento di consanguineità che lo produce, oppure per il matrimonio susseguente con un consanguineo del coniuge defunto; 11° la pubblica onestà derivante da un matrimonio invalido, consumato o no, e dal concubinato. pubblico e notorio; questo dirime il matrimonio nel primo e secondo grado della linea retta fra l’uomo ed i consanguinei della donna e viceversa; 12° la parentela spirituale contratta fra il soggetto battezzato e colui che lo battezza, il padrino e la madrina; 13° la parentela legale proveniente dall’adozione, se la legge civile la riguarda come un ostacolo alla validità del matrimonio, diviene per diritto canonico un impedimento dirimente (Codice, can. 1067 a 1080; L-LXII).

1780. La Chiesa dispensa qualche volta da questi impedimenti dirimenti?

Non dispensa mai nè può dispensare dagli impedimenti dirimenti che sono di stretto diritto naturale o di diritto divino, quali ad esempio la impotenza, il matrimonio consumato, la consanguineità in linea retta o in linea collaterale troppo prossima. Ma dagli altri impedimenti che dipendono piuttosto da Lei, Essa può dispensare; cosa che peraltro non fa se non per gravi ragioni.

1781. Non esiste anche un altro impedimento dirimente, che non riguardi più la condizione delle parti contraenti, ma è qualche cosa di estrinseco?

Sì; è l’impedimento di clandestinità.

1782. Che cosa intendete per impedimento di clandestinità?

Intendo quella legge della Chiesa che dichiara nullo ogni matrimonio contratto fra loro da battezzati Cattolici che hanno appartenuto alla Chiesa cattolica; e da questi battezzati con dei non cattolici, battezzati o no; e dai latini con orientali: che non sia contratto davanti al Parroco della parrocchia o davanti all’Ordinario del luogo dove si celebra il matrimonio, davanti ad un sacerdote delegato dall’uno o dall’altro nei limiti del loro territorio, almeno alla presenza di due testimoni. Se il Parroco o l’Ordinario non potessero assolutamente o senza gravissime difficoltà essere chiamati e vi fosse pericolo di morte, oppure le difficoltà dovessero rendere impossibile per un mese questa chiamata, il matrimonio potrebbe contrarsi validamente con la sola presenza di due testimoni (Codice, can. 1094 a 1099).

1783. Quando da parte dei contraenti si trovano riunite tutte le condizioni richieste in ordine al sacramento del matrimonio, che cosa ci vuole perché essi ricevano di fatto questo sacramento e quale ne è il ministro?

Bisogna e basta che le due parti si diano luna all’altra, attualmente, mediante un consenso libero, ossia senza violenza e senza timore grave ed ingiusto incusso estrinsecamente, formale e reciproco, manifestato esternamente con parole o segni non equivoci; ed essi stessi. sono i ministri del Sacramento (Codice, can. 1081 a 1087; XLVII, 1-6).

1784. Il consenso che fa il matrimonio potrebbe essere infirmato ed annullato, se vi fosse errore da parte dei contraenti?

Se l’errore riguardasse la persona stessa, il matrimonio sarebbe nullo; se riguardasse le qualità della persona, sarebbe illecito (Codice, can. 1083).

1785. È cosa buona che nella occasione della celebrazione di questo Sacramento i contraenti assistano ad una Messa speciale, nella quale dal sacerdote sarà benedetta la loro unione?

Sì; anzi la Chiesa desidera vivamente che tutti i suoi figli, prima di ricevere questo grande Sacramento che deve loro accordare una grazia speciale in ordine ai doveri del matrimonio, si dispongano a ricevere questa grazia in tutta la sua pienezza, con una buona confessione ed una fervorosa Comunione (Codice, can. 1101).

1786. Quale è la grazia speciale unita al sacramento del Matrimonio?

E la grazia di una perfetta armonia coniugale ispirata ad un affetto vero, profondo, soprannaturale; tale da resistere a tutto ciò che potrebbe comprometterlo fino alla morte, e nel medesimo tempo la grazia di una generosità a tutta prova in ordine ai futuri piccoli esseri di cui la loro unione potrà essere benedetta da Dio, per non impedire la loro venuta, per vederli moltiplicati con santa gioia e per attendere con la cura più gelosa a tutto quanto potrà formare le loro anime ed i loro corpi, sia come membri della patria terrena sia come membri della patria celeste (XLI, 1-6).

1787. Il matrimonio una volta contratto, può essere sciolto dal divorzio civile?

Niente affatto; perché nessuna legge umana può separare ciò che Dio ha congiunto. Tanto che anche dopo il divorzio civile le due parti restano unite dal legame matrimoniale, e se l’una o l’altra passa a nuove nozze, la nuova unione agli occhi di Dio e della Chiesa è puramente concubinaria.

1788. Dopo la morte di uno dei coniugi è permesso alla parte che resta di contrarre un nuovo matrimonio?

Sì: la cosa è permessa quantunque lo stato di vedovanza sia di per se stesso più lodevole. Soltanto, nel caso di nuove nozze, la donna che ha già ricevuto la prima volta la solenne benedizione nuziale, non può riceverla di nuovo (LXIII; Codice, can. 1142, 1143).

1789. Gli sponsali celebrati prima del matrimonio sono cosa buona?

S’; essi consistono essenzialmente nella promessa che si fanno scambievolmente due aspiranti al matrimonio, in ordine al matrimonio stesso da contrarsi fra loro in avvenire. Perché siano validi, sia nel foro interno sia in quello esterno, bisogna che la promessa sia fatta in iscritto e firmata dalle due parti, dal Parroco o dall’Ordinario del luogo, o almeno da due testimoni. Se una delle parti non sapesse scrivere o non potesse farlo, bisognerebbe notarlo nell’atto ed addurre un altro testimone per firmare (XLIII, 1; Codice, can. 1017).

1790. Gli sponsali danno il diritto di usare del matrimonio prima che il matrimonio sia celebrato?

Niente affatto; ed i fidanzati che agissero siffattamente, oltre a commettere una colpa grave, si voterebbero da se stessi alla giustizia di Dio che potrebbe far loro pagar caro più tardi nel matrimonio l’abuso che avessero fatto della onestà degli sponsali.

LA SUMMA PER TUTTI (23)

LA SUMMA PER TUTTI (21)

LA SUMMA PER TUTTI (22)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XXXVII.

Il sacramento della Penitenza. – Sua natura – Virtù che esso implica.

1683. Che cosa intendete per il sacramento della Penitenza?

Intendo uno dei sette sacri riti, istituito da Gesù Cristo, per rendere agli uomini la vita della grazia già data ad es unsi per mezzo del Battesimo, comunicando loro di nuovo il frutto della sua Passione, quando hanno avuto la disgrazia di perderlo col peccato (LXXXIV, 1).

1684. In cosa consiste il sacramento della Penitenza?

Il sacramento della Penitenza consiste in certi atti ed in certe parole, che dimostrano da una parte che il peccatore ha abbandonato il peccato, e dall’altra che Dio rimette il peccato stesso per mezzo del ministero del sacerdote (LXXXIV, 2, 3)

1685. Questo sacramento è dunque cosa particolarmente preziosa per l’uomo, e questi deve averne una riconoscenza speciale a Gesù Cristo che lo ha istituito?

Sì certamente; perché attesa la fragilità della nostra natura decaduta, anche dopo aver ricuperato mediante la grazia del Battesimo la vita soprannaturale, era sempre possibile all’uomo di perderla. E se Gesù Cristo non avesse istituito il sacramento della Penitenza, l’uomo caduto non avrebbe avuto alcun mezzo esteriore sacramentale di rialzarsi. Bene a ragione quindi questo sacramento si chiama la seconda tavola di salute dopo il naufragio (LXXXIV, 6).

1686. E se l’uomo cade ancora dopo aver ricevuto questo sacramento, può ricorrervi di nuovo per rialzarsi?

Sì; perché Gesù Cristo nella sua infinita misericordia verso il peccatore e la sua miseria, non ha voluto mettere alcun limite al numero di volte che si può ricevere questo sacramento, che porta sempre seco il suo frutto di remissione e di perdono, con la sola condizione che l’uomo sia sincero e veramente pentito (LXXXIV, 10).

1687. Vi è una virtù speciale corrispondente a questo sacramento, il cui atto è imposto quando si riceve il sacramento stesso?

Sì; è la virtù della penitenza (LXXXV).

1688. In che cosa consiste la virtù della penitenza?

La virtù della penitenza è una qualità di ordine soprannaturale che induce la volontà dell’uomo, quando ha avuto la disgrazia di offendere Dio, a riparare a questa offesa, adoperandosi spontaneamente e di buon grado a soddisfare alla giustizia di Dio per ottenerne il perdono (LXXXV, 1, 5).

1689. La virtù della penitenza è isolata nel suo atto, oppure suppone il concorso delle altre virtù quando essa agisce?

La virtù della penitenza ha questo di specialissimo, che quando agisce implica il concorso di tutte le altre virtù. Implica infatti la fede nella Passione di Gesù Cristo, che è la causa della remissione dei peccati; implica la speranza del perdono; e l’odio dei vizi e dei peccati, in quanto si oppongono all’amore di Dio, il che suppone la carità. Essendo essa stessa una virtù morale suppone la virtù della prudenza, che ha l’ufficio di dirigere le virtù morali nei loro atti. D’altra parte, come specie della virtù di giustizia avente per oggetto di ottenere il perdono di Dio offeso, compensando la offesa con una soddisfazione volontaria, essa utilizza la temperanza quando si astiene da ciò che piace, e la fortezza quando si impone cose dure e difficili, oppure le sopporta (LXXXV, art. 3 ad 4).

1690. A che cosa mira la virtù della penitenza nel suo atto di giusta compensazione?

Essa mira a placare il Signore giustamente irritato; a rientrare in grazia presso il migliore dei Padri gravemente offeso: ed a riconquistare il più divino degli Sposi odiosamente tradito (LXXXV, 3).

1691. L’atto della virtù della penitenza è dunque qualche cosa di grande, e che non sarebbe mai troppo rinnovare quando si è avuta la disgrazia di offendere Dio?

L’atto della virtù della penitenza dovrebbe essere in qualche modo ininterrotto, soprattutto per quanto riguarda il dolore interiore di avere offeso Dio; e per quanto riguarda gli atti esteriori satisfattori, per quanto riguarda il dolore interiore di avere offeso Dio; e per quanto riguarda gli atti esteriori satisfattori, se è vero esservi una misura oltre la quale non si è più tenuti a soddisfare, siccome possiamo sempre temere  la nostra soddisfazione sia imperfetta, abbiamo ogni interesse a non tenersi mai per interamente sgravati presso Dio, per poterlo essere più sicuramente quando compariremo dinanzi a Lui. Con questo di più, che praticando la virtù della penitenza, noi pratichiamo a perfezione l’atto di tutte le virtù cristiane (LXXXIV,  art. 8, 9).

Capo XXXVIII

Effetti del sacramento della Penitenza.

1692. L’ effetto proprio del sacramento della Penitenza è quello di rimettere i peccati?

Sì; l’effetto proprio del sacramento della Penitenza è quello di rimettere i peccati a tutti coloro che lo ricevono con sentimenti di vera penitenza (LXXXVI, 1).

1693. Quali peccati rimette il sacramento della Penitenza?

Il sacramento della Penitenza rimette tutti i peccati che un uomo può avere sulla coscienza e che sono di natura tale da cadere sotto la potestà delle chiavi siccome commessi dopo il Battesimo (LXXXVI, 1).

1694. Questi peccati possono essere rimessi senza il sacramento della Penitenza?

Se si tratta di peccati mortali non possono essere mai rimessi, senza che il peccatore abbia la volontà almeno implicita di sottometterli al potere delle chiavi mediante la pratica del sacramento della Penitenza, in quanto gli sarà possibile di riceverlo. Ma per i peccati veniali, quando il soggetto è già in istato di grazia, basta un atto fervoroso di carità, senza che sia necessario di ricorrere al sacramento (LXXXVI, 2).

1695. Ne segue che soltanto coloro che hanno dei peccati mortali sulla coscienza debbono ricevere questo sacramento?

No; perché sebbene il sacramento sia necessario soltanto per essi, è però di grandissimo valore e di grandissimo aiuto anche per i giusti. Anzitutto per purificarli sempre più dei loro peccati passati, se ve ne sono stati dei mortali; ed inoltre per meglio aiutarli a purificarsi dei peccati veniali, ed a premunirsi contro di essi aumentando in loro la grazia (LXXXVII, 2 ad 2, 3).

1696. Se dopo aver ricevuto mediante il sacramento della Penitenza il perdono delle colpe passate, l’uomo ricade nelle medesime od in altre colpe gravi che gli fanno perdere la grazia del sacramento, il suo peccato ed il suo stato sono cosa più grave in forza di questa ricaduta?

Sì; il suo peccato ed il suo stato sono cosa più grave. Non che i peccati passati rimessi siano di nuovo imputati da Dio; ma per causa della ingratitudine e del disprezzo più grande della bontà di Dio che il peccato di ricaduta porta seco (LXXXVIII, 1, 2).

1697. Questo disprezzo della bontà di Dio e questa ingratitudine, sono un nuovo peccato speciale aggiunto al peccato di ricaduta?

Lo sarebbero se il peccatore si proponesse direttamente tale disprezzo della divina bontà e del bene ricevuto; ma in caso contrario essi non sono che una circostanza che aggrava il nuovo peccato (LXXXVII, 4).

1698. È dunque certo che il male distrutto mediante il sacramento della Penitenza, di per sé è distrutto per sempre, e Dio non lo imputa più in se stesso ed in quanto è stato perdonato?

Sì; è cosa del tutto certa, perché i doni di Dio sono senza pentimento (XXXVII, 1).

1699. Ed in rapporto al bene preesistente prima nel giusto, ma distrutto poi dal peccato; dobbiamo attribuire al sacramento della Penitenza qualche efficacia, in modo che per mezzo di esso questo bene possa rivivere?

Si; certamente il bene che preesisteva nel giusto, ma che il peccato aveva distrutto, può rivivere in virtù del sacramento della Penitenza. Di modo che per riguardo del bene essenziale che era la grazia ed il diritto alla visione di Dio, si ritrova lo stato primiero nella misura con la quale si riceve il sacramento con buone disposizioni. Se le disposizioni restassero al di sotto del primiero fervore, il bene essenziale sarebbe in grado minore; ma tutta la somma degli antichi meriti rivivrebbe nell’ordine della ricompensa accidentale (LXXXIX, 1-4; 5 ad 3).

1700. È dunque sommamente importante ricevere il sacramento della Penitenza nelle migliori disposizioni possibili?

Sì; ciò è sommamente importante, perché l’effetto del sacramento è proporzionato alle disposizioni di chi lo riceve.

Capo XXXIX.

Della parte del penitente nel sacramento della Penitenza: contrizione, confessione e soddisfazione.

1701. Chi riceve il sacramento della Penitenza, ha parte nell’effetto del sacramento stesso a titolo affatto speciale?

Sì; perché gli atti che produce fanno parte del sacramento (XC, 1)

1702. A qual titolo gli atti del penitente fanno parte del sacramento della Penitenza?

Gli atti del penitente fanno parte del sacramento della Penitenza, perché in questo sacramento in cui gli atti del ministro costituiscono la forma, quelli del penitente costituiscono la materia (XC, 1).

1703. Quali sono gli atti del penitente che sostituiscono la materia del sacramento?

Sono la contrizione, la confessione e la soddisfazione (XC, 2).

1704. Perché questi tre atti sono richiesti come materia del sacramento della Penitenza?

Perché il sacramento della Penitenza è il sacramento della riconciliazione tra il peccatore che aveva offeso Dio, e Dio che era stato offeso. Ora: in una siffatta riconciliazione bisogna che il peccatore offra a Dio un compenso che Dio accetti, in modo che l’offesa sia dimenticata ed il suo effetto distrutto. E per questo si richiedono tre cose: 1° che il peccatore abbia la volontà di offrire il compenso che piacerà a Dio di determinare; 2° che accetti dal sacerdote che tiene il luogo di Dio le condizioni di questo compenso; 3° che lo offra di fatto e soddisfaccia fedelmente. Queste tre cose si fanno appunto mediante la contrizione, la confessione e la soddisfazione (XC; 2).

1705. Potrebbe esistere il sacramento della Penitenza senza l’una o l’altra di queste parti?

Il sacramento della Penitenza non potrebbe esistere senza una qualche manifestazione esteriore queste diverse parti; ma può esistere senza la realtà interiore della contrizione o senza il compimento della soddisfazione. Tuttavia, la virtù del sacramento ne resta impedita o paralizzata (XC, 3).

1706. Che cosa intendete per contrizione?

Intendo quel dolore di ordine soprannaturale, per cui il peccatore si affligge al punto che la sua antica volontà cattiva ne sia come schiacciata pensando ai peccati commessi, per i quali si risolve a presentarsi al sacerdote ministro di Dio per confessarli, e riceverne una pena satisfattoria che si propone di compiere fedelmente (Supplemento, I: 1).

1707. Che cosa ci vuole perché questo dolore sia di Ordine soprannaturale?

Bisogna che sia causato da un motivo dell’ordine della grazia, potendo cominciare col timore dei castighi che Dio offeso, come si sa per fede, minaccia al peccatore, con la speranza di ottenere il suo perdono se si fa penitenza donde si passa a detestare il peccato in se stesso ed in quanto ostacola il bene soprannaturale e la vita perfetta; e soprattutto in ragione della offesa a Dio, oggetto supremo e sovrano del nostro amore. (I, 1, 2)

1708. Se si detestasse il peccato per il solo motivo dei castighi e delle pene del senso che attira sopra di noi da parte di Dio irritato, sia in questa vita che nell’altra, si avrebbe la contrizione?

No; perché per la contrizione bisogna che il peccato sia detestato per il male che arreca all’anima, avuto riguardo al Bene infinito che è Dio stesso, che può e deve essere posseduto da noi, quaggiù colla grazia ed in cielo colla gloria (I, 2).

1709. Come si chiama il primo dolore, anche soprannaturale, del peccato?

Si chiama dolore di attrizione (I, 2 ad 2)

1710 Dunque la contrizione e l’attrizione si distinguono tra loro a seconda dei motivi di dolore che si hanno dei propri peccati?

Si perché nell’attrizione il dolore non è causato che da un motivo di timore servile; mentre nella contrizione si ha, al termine del moto, un impulso di timore filiale (ossia di pura carità (I, 2)

1711. Basta l’attrizione per ottenere il perdono delle proprie colpe mediante il sacramento della Penitenza?

L’attrizione può bastare per accostarsi al sacramento. Ma sul punto di ricevere la grazia del sacramento coll’assoluzione del sacerdote, alla prima attrizione succede nell’anima la vera contrizione (a, 3; I 15 I, 1).

1712. Bisogna che la contrizione si estenda a tutti i peccati commessi?

Sì; bisogna che la contrizione si estenda a tutti i peccati commessi, specialmente al principio del suo moto e quando il peccatore concepisce dei peccati il dolore che a lui deve causare la malizia propria di ciascuno di essi, specialmente quando si tratta di peccati mortali. Ma al termine della sua azione ed allorchè il dolore è già informato dalla grazia, basta che si estenda a tutti in generale, detestandoli tutti sotto la loro comune ragione di offesa fatta a Dio (II, 3, 6).

1713. Potreste darmi una formula dell’atto di contrizione?

Sì; eccola per modo di omaggio Dio: Mio Dio, mi pento con tutto il cuore dei miei peccati, e li odio e detesto, come offesa della vostra Maestà infinita, cagione della morte del vostro divin Figliuolo Gesù, e mia spirituale rovina. Non voglio più commetterne in avvenire r propongo di fuggirne le occasioni. — Signore, misericordia, perdonatemi.

1714. Che cosa deve fare il peccatore dopo essersi eccitato al dolore dei suoi peccati per mezzo dell’attrizione o della contrizione, per ottenerne da Dio il perdono?

Deve confessarsene al sacerdote, quando la confessione gli è imposta sia per precetto della Chiesa, sia perché le circostanze in cui si trova gli fanno un dovere di confessarsi (VI, 1-5).

1715. Quando obbliga a confessarsi il precetto della Chiesa?

Per tutti i fedeli vi è l’obbligo una volta l’anno e preferibilmente nel tempo pasquale, in forza del precetto della Comunione pasquale, che nessuno ha diritto di ricevere senza essersi confessato, quando ha qualche peccato mortale sulla coscienza (VI, 5; Codice, Can. 906).

1716. Perché è necessaria la confessione per ricevere il sacramento della Penitenza?

Perché soltanto per mezzo della confessione il penitente può far conoscere al sacerdote i propri peccati, e metterlo in grado di pronunziarsi sia sull’attitudine del soggetto a ricevere l’assoluzione, sia sulla pena soddisfattoria che deve essere imposta per i peccati da parte di Dio, affinché dal peccatore venga offerta la giusta compensazione del suo ritorno in grazia (VI, 1).

1717. Come deve essere la confessione perché il sacramento sia valido?

Bisogna che in quanto è possibile il penitente faccia conoscere, secondo il numero e la specie, tutti i peccati mortali che ha commesso; e che compia questo atto in ordine all’assoluzione sacramentale che è venuto a domandare al sacerdote (IX, 2).

1718. Se nel momento in cui li accusa non avesse la contrizione o l’attrizione dei suoi peccati, questi potrebbero essere rimessi mediante l’assoluzione che il sacerdote potesse dare?

No; non lo potrebbero. Ma sarebbero confessati se la confessione fosse stata completa; e non vi sarebbe più bisogno di confessarli di nuovo perché fossero rime i per virtù del sacramento. Basterebbe che il peccatore supplisse alla mancanza di contrizione, e nella nuova confessione accusasse questa mancanza che aveva accompagnato la confessione precedente (IX, 1).

1719. Se uno in confessione avesse dimenticato senza propria colpa qualche peccato grave che in seguito ricorda, sarebbe tenuto a confessarlo nella prossima confessione?

Sì; perché ogni peccato grave deve essere direttamente sottomesso alla potestà delle chiavi (IX, 2).

1720. A quale titolo il sacerdote riceve la confessione del peccatore?

La riceve nel nome ed in luogo di Dio stesso. Di modo che nella sua vita, come uomo ed al di fuori del suo ministero di confessore, non ne deve niente conoscere e non ne deve fare assolutamente uso alcuno (XI, 1-5).

1721. Che cosa deve fare il penitente dopo la confessione?

Deve compiere con la massima cura la pena satisfattoria che il sacerdote gli ha imposto

nel nome di Dio, per il suo ritorno in grazia (XII, 1, 3).

1722. Si possono determinare le grandi specie di opere, alle quali si riducono tutte le pene satisfattorie?

Sì: esse si riducono tutte alla elemosina, al digiuno ed alla preghiera. Infatti, nella soddisfazione noi dobbiamo togliere qualche cosa per offrirlo a Dio in Suo onore. Ora: noi non abbiamo che tre specie di beni che possiamo offrire: i beni della fortuna, i beni del corpo ed i beni dell’anima. La offerta dei primi va sotto il nome generale di elemosina; quella dei secondi, sotto il nome generale di digiuno; la offerta dei terzi, sotto il nome generale di preghiera (XV, 3).

1723. Se non si compisse la penitenza sacramentale, ossia la pena satisfattoria imposta dal sacerdote nell’atto del sacramento, si perderebbe la grazia del sacramento stesso?

No; purché ciò non si faccia in onta al sacramento. Ma se ciò non avvenisse che per dimenticanza o anche per negligenza, la grazia della remissione ricevuta nel sacramento resterebbe. Tuttavia, si è sempre passibili, di  fronte alla giustizia di Dio, della pena dovuta al peccato, e bisogna scontarla in questa vita o nell’altra; e la grazia stessa del sacramento non riceve l’aumento annesso al compimento della soddisfazione sacramentale (Parte Terza, XC, art. 2 ad 2.)

Capo XL.

Del ministro del sacramento della Penitenza del potere delle chiavi.  Dell’assoluzione. -Delle indulgenze. – Della comunione dei Santi. – Della scomunica.

1724. Che cosa si deve intendere per potere delle chiavi?

Il potere delle chiavi non è altro che il potere di aprire la porta del regno dei cieli, rimuovendo l’ostacolo che chiude questa porta, vale a dire il peccato stesso e la pena che gli è dovuta (XVII, 1):

1725. Dove si trova questo potere?

Nella santissima Trinità come nella sua prima origine; poi nella santa umanità di Gesù Cristo, la Passione del quale ha meritato che questo doppio ostacolo fosse tolto e lo toglie essa stessa con la sua virtù. E poiché la efficacia della passione di Gesù Cristo rimane nei sacramenti, che sono come i canali della sua grazia per i quali rende gli uomini partecipi di tutti i suoi meriti, ne segue che i ministri della Chiesa che sono i dispensatori dei sacramenti, Sono essi pure i depositari del potere delle chiavi che hanno ricevuto da Gesù Cristo stesso (XVII, 1).

1726. Come si esercita il potere delle chiavi nel sacramento della Penitenza?

Il potere delle chiavi nel sacramento della Penitenza si esercita mediante l’atto del ministro che giudica lo stato del peccatore, e gli dà l’assoluzione ingiungendogli la penitenza, oppure gli nega l’assoluzione stessa (XVII, 2).

1727. Il sacramento della Penitenza produce il suo effetto di remissione unito al potere delle chiavi, nel momento della assoluzione data dal sacerdote e per la virtù dell’assoluzione stessa?

Sì; e senza questa assoluzione il sacramento non potrebbe esistere, né per conseguenza produrre il suo effetto di remissione o liberazione (X, 1, 2; XVIII, 1).

1728. Soltanto i sacerdoti hanno il potere delle chiavi?

Soltanto i sacerdoti ordinati validamente secondo il rito della Chiesa Cattolica, hanno il potere delle chiavi che aprono direttamente la porta del cielo, mediante la remissione delle colpe mortali nel sacramento della Penitenza (XIX, 3).

1729. Basta che il sacerdote sia ordinato validamente secondo il rito della Chiesa Cattolica, perché abbia questo potere delle chiavi rispetto a questo o quel battezzato, che vuol ricevere il sacramento della Penitenza?

No; bisogna che sia anche approvato dalla Chiesa per ascoltare le confessioni, e che il battezzato che ha da assolvere appartenga alla sua giurisdizione (XX, 1-3).

1730. Praticamente, ogni sacerdote che si trovi in qualche luogo con l’ufficio o la facoltà di ascoltare le confessioni, può assolvere tutti coloro che si presentano a lui con intenzione di ricevere il sacramento della Penitenza?

Sì; purché questi non accusino delle colpe riservate ad una potestà superiore; cosa che giudicherà egli stesso ascoltando la confessione del soggetto che si presenta.

1731. Esiste nella Chiesa un potere che si avvicina al potere delle chiavi, e che libera diversamente dall’assoluzione sacramentale e dalla ingiunzione di una compensazione che si fa per mezzo della penitenza sacramentale?

Sì; è l’ammirabile potere delle indulgenze (XXV, 1).

1732. In che cosa consiste questo potere?

Consiste nella facoltà che ha la Chiesa di prender dal tesoro infinito ed inesauribile di Gesù Cristo, della Santissima Vergine e dei Santi, nell’ordine della soddisfazione per il peccato, ciò che in tutto od in parte corrisponde alla soddisfazione che dovrebbe dare il peccatore alla giustizia di Dio, dopo la remissione del suo peccato sia in questo mondo che nell’altro; applicarlo a determinati soggetti, e per effetto di questa applicazione liberarli dal loro debito verso la giustizia di Dio (XXV, 1).

1733. Che cosa ci vuole perché possa farsi questa applicazione?

Ci vogliono tre cose: autorità in colui che la fa; stato di grazia o di carità in colui per il quale è fatta; ed un motivo di pietà come ragione per cui si fa, vale a dire qualche cosa che torni ad onore di Dio ed utilità della Chiesa. Tali sarebbero le pratiche di pietà, le opere di zelo e di apostolato, le elemosine e cose simili (XXV, 2).

1734. Le opere che sono la ragione ossia il motivo della indulgenza, ne sono forse il prezzo?

Niente affatto; perché la indulgenza non è una remissione della pena che si compra, e della quale si dà l’equivalente con altre pene satisfattorie. Essa è essenzialmente il trasferimento a determinati soggetti, per qualcuna delle ragioni di pietà che abbiamo enumerato, della pena o della soddisfazione che apparteneva ad altri, e che questi altri consentono di veder trasferire ad altri ancora in virtù della comunione dei Santi (XXV, 2).

1735. Solamente coloro che compiono la condizione apposta per la indulgenza, possono beneficiare di essa?

Possono essi stessi cederne il beneficio ad altro soggetto, guadagnandola per esso, se si tratta delle anime del Purgatorio, quando chi concede la indulgenza ne dà loro la facoltà (XXVII, 3 ad 2; Codice, can. 930).

1736. E chi dunque può concedere le indulgenze?

Colui soltanto al quale è stato affidato il tesoro dei meriti di Gesù Cristo e dei Santi, in forza della potestà che ha ricevuto di legare o di sciogliere rispetto a tutti coloro che appartengono al corpo mistico di Gesù Cristo su questa terra, vale a dire il Sommo Pontefice. Ma poiché i Vescovi sono ammessi a condividere la sua sollecitudine pastorale, preposti come sono a giudici nelle diverse parti della Chiesa, possono essi pure, nei limiti loro stabiliti dal Sommo Pontefice, accordare indulgenze ai loro sudditi (XXVI, 1-3).

1737. Che cosa consegue da una potestà così meravigliosa esistente nella Chiesa Cattolica ed in essa sola, in forza della Suprema autorità del Sommo Pontefice?

Da questa potestà meravigliosa, unita del resto a tutto ciò che è stato detto della potestà delle chiavi nel sacramento della Penitenza; ed in modo generale in tutto ciò che riguarda la comunicazione, per via di azione sociale e gerarchica, dei meriti della Passione di Gesù Cristo, ne consegue che non può esservi per l’uomo bene più grandesu questa terra che di essere incorporato mediante il Battesimo alla Chiesa Cattolica, e di poter partecipare a tutti i diritti conferiti dal Battesimo, essendo in perfetta comunione con tutti i membri della Chiesa Cattolica e col suo Capo ii Romano Pontefice, al quale solo sono stati affidati tutti i beni e tutti i tesori della vita soprannaturale da distribuirsi fra gli uomini.

1738. Può darsi che qualcuno, pur essendo incorporato nella Chiesa Cattolica mediante il Battesimo, non partecipi ai diritti che il Battesimo conferisce?

Si; è il caso di tutti quelli che cadono sotto le censure della Chiesa, specialmente sotto la più terribile di tutte che è la scomunica (XXI, 1, 2).

1739. Gli eretici e gli scismatici sono scomunicati?

Sicuramente. Tutti gli eretici e tutti gli scismatici sono scomunicati per il fatto stesso dello scisma e della eresia, e non hanno più parte alcuna alla comunione dei Santi.

1740. Non vi sono dunque che i soli Cattolici sottomessi al Pontefice Romano e non colpiti da censure, che possono pienamente godere i loro diritti in quello che concerne la partecipazione ai beni di Gesù Cristo nella Chiesa?

Sì: non vi sono che i Cattolici. Con questo di più che per partecipare a tali beni per via di indulgenza, bisogna essere pienamente, mediante la grazia e la carità, nella comunione dei Santi.

1741. Che cosa opera dunque questa comunione dei Santi quando esiste perfetta?

Essa fa sì che, ora per il tratto di unione vivente e personale che è lo Spirito Santo ed ora per l’azione gerarchica della Chiesa visibile di cui lo Spirito Santo è anima, tutti i membri del corpo mistico di Gesù Cristo viventi ancora sulla terra, o che si trovano nel Purgatorio o di già in cielo, possano continuamente comunicare insieme, in ordine alla eterna felicità che un giorno dovrà essere loro comune nella Patria celeste.

LA SUMMA PER TUTTI (20)

LA SUMMA PER TUTTI (20)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XXIX.

Necessità, natura ed effetti del Sacramento della Confermazione. – Doveri che impone. – Istruzione religiosa che richiede.

1594. Per condurre in tutta la sua perfezione una vita degna di Gesù Cristo, è sufficiente la grazia del Battesimo?

No, perché la grazia del Battesimo non è che una grazia di principio, per così dire. Essa ha per effetto di darci la vita di darci la vita di Gesù Cristo, ma non di farci  crescere in ess ossia di perfezionarvisi mantenendola (LXV, 1; LXXII, 7 ad 1).

1595. Quali altre grazie avranno tale effetto?

La grazia della Confermazione e la grazia della Eucarestia (LXV, 1).

1596. Che cosa intendete per Confermazione?

La Confermazione è precisamente quel sacramento della nuova legge, ordinato a conferirci la grazia che fa crescere nella vita di Gesù Cristo, ricevuta mediante la grazia del Battesimo (LXXII, 1).

1597. Di che consiste questo sacramento?

Consiste in una unzione fatta in forma di croce col sacro crisma sulla fronte del confermando, mentre il ministro del sacramento pronunzia le parole: «Io ti segno col segno della croce, e ti confermo col crisma della salute, nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia» (LXXII, 2, 4, 9).

1598. Che cosa significa il sacro crisma usato come materia di questo sacramento?

Significa la pienezza della grazia dello Spirito Santo che conduce il Cristiano alla età perfetta, e gli permette di spargere intorno a sé, mediante la pratica delle virtù, il buon odore di Gesù Cristo. Il sacro crisma, infatti, si compone di olio di oliva che simboleggia la grazia, e della pianta odorifera per eccellenza che è il balsamo (LXXII, 2).

1599. Che cosa comprendono le parole pronunziate dal ministro, e che sono la forma di questo sacramento?

Esse comprendono tre cose: la sorgente, ossia la causa donde proviene la forza spirituale, effetto del sacramento; questa causa ossia questa sorgente è la Santissima Trinità. Comprendono poi la forza stessa conferita dal sacramento quando si dice: «Io ti confermo col crisma della salute ». Comprendono finalmente la insegna che deve distinguere il soldato di Gesù Cristo, armato per tutti i grandi combattimenti della vita cristiana; e questa insegna e questo distintivo è il segno della croce, strumento del trionfo del nostro Capo e nostro Re Gesù Cristo (LXXII, 4).

1600. Il sacramento della Confermazione è dunque il sacramento della virilità cristiana, che rende il Cristiano-bambino Cristiano-uomo, capace di resistere contro tutti i nemici esterni della sua vita cristiana?

Sì; il sacramento della Confermazione è recisamente ciò. Ed è per questo motivo che ha per ministro ordinario il Vescovo, a cui appartiene di ufficio tutto ciò che riguarda la ars perfezione nella Chiesa di Dio (LXXII, 11).

1601. Poiché il sacramento della Confermazione è ciò che abbiamo ora detto, perché si dà ai confirmandi un padrino od una madrina come nel Battesimo?

Perché in ogni milizia si usa affidare i nuovi arruolati a degli istruttori per tutto quanto riguarda le cose della milizia e della guerra (LXXII, 10).

1602. Vi è dunque nella Confermazione un obbligo stretto per il padrino e per la madrina di occuparsi del nuovo confermato, e di iniziarlo alle cose della perfezione della vita cristiana e del combattimento spirituale?

 Certissimamente, e sarebbe da augurarsi che nella pratica ci si rendesse un conto più esatto di questo obbligo, per meglio adempirlo.

1603. Il sacramento della confermazione imprime un carattere?

Sì; ed appunto per questo non si può ricevere che una sola volta (LXXII, 5).

1604. Se quando si è ricevuto, non si fosse stati nelle disposizioni richieste per riceverne i frutti, si potrebbe in seguito rimediare a questo danno?

Sì; il carattere resta, ed il frutto del sacramento sarà ricevuto per mezzo di esso, quando si sarà tolto l’ostacolo che viu ci opponeva. Per la stessa ragione non sarebbe mai troppo rinnovarsi spesso nella grazia propria di questo sacramento; che è la grazia della forza spirituale, che ci mette in grado di combattere contro tutti i nemici esterni della fede cristiana.

1605. Questo sacramento è di speciale importanza quando si vive in una società, ossia in mezzo ad uomini particolarmente ostili alla fede cristiana cattolica?

Sì; perché soprattutto allora i veri figli della della Chiesa devono armarsi di coraggio virile, per restare fedeli essi stessi, e per difendere come conviene intorno a sé quello che tanti altri disprezzano o si ingegnano di distruggere.

1606. Che cosa ci vorrebbe in particolare, per assicurare questo gran bene, da parte del Cristiani confermati?

Bisognerebbe che tutti coloro che hanno avuto l’insigne onore di ricevere questo sacramento, e per mezzo di esso lo Spirito Santo con la pienezza dei suoi doni, si ricordassero sempre e richiamassero spesso alla mente che portano in fronte, impresso nell’anima con un segno indelebile, il glorioso carattere di soldati di Gesù Cristo; e che  se non vi è niente di più nobil di un soldato fedele al proprio capo, non vi è niente di più vile o di più odioso di un uomo vestito di una uniforme che disonora con la propria viltà.

1607. In ordine a tali obblighi che incombono ad un Cristiano confermato, si richiede che il soggetto che si presenta a ricevere il sacramento della confermazione sia particolarmente istruito nelle cose della fede e della vita cristiana?

Sì; perché bisogna che ne sia istruito non soltanto per viverne egli stesso nella propria vita personale ed individuale, ma ancora per potersene costituire difensore contro tutti coloro che esteriormente osassero attentarvi (LXXIII, 4 ad 3).

Capo XXX.

Quale dei due sacramenti richiede una maggiore istruzione: la Confermazione o l’Eucarestia?

1608. Non vi è un altro sacramento, per ben ricevere il quale sì richiede pure in modo speciale che il soggetto sia istruito nei misteri cristiani?

 Sì; è il sacramento dell’Eucarestia. Ed anzi, benché per coloro che ricevono il sacramento del Battesimo da adulti, la istruzione religiosa catechistica debba subito cominciare per prepararli ad esso, tuttavia la pratica, nei paesi cristiani ove i bambini vengono battezzati appena nati, la istruzione religiosa catechistica non è subito possibile od obbligatoria se non in ordine alla Confermazione ed alla Eucarestia, comprendendovi anche la Penitenza.

1609. Quale di questi due sacramenti, Confermazione ed Eucarestia, richiede maggiore istruzione?

Dovrà essere uguale per ambedue, se i soggetti sono in grado di ricevere la Confermazione ed infatti la ricevono quando già sono obbligati a ricevere la Eucarestia. Siccome però nella pratica accadere, e spesso accade, che la Eucaristia sia ricevuta prima della Confermazione, in questo caso dovremo dire che la Eucarestia ricevuta prima della Confermazione non richiede di per sé una grande istruzione religiosa catechistica: nella Confermazione, infatti, come abbiamo già notato, il soggetto deve essere istruito nelle cose religiose non soltanto per ciò che basta alla sua vita individuale, ma ancora per poterle difendere contro coloro che le combattono. Con questo però, che sia dopo aver ricevuto la prima volta la Eucarestia, sia dopo aver ricevuto la Confermazione, si deve continuare ad istruirsi con la più grande cura sui misteri cristiani.

Capo XXXI.

Del Sacramento dell’Eucarestia.

1610. Che cosa intendete per il sacramento della Eucarestia?

Intendo il convito misterioso in cui, sotto le specie ossia apparenze ed accidenti del pane e del vino, si dà a mangiare il Corpo di Gesù Cristo e si dà a bere il suo Sangue, dopo la consacrazione che ha reso realmente presente Gesù Cristo sotto forma sacramentale, nello stesso stato di vittima immolata come sul Calvario  (LXXIII – LXXXII).

1611. Questo sacramento è necessario per salvarsi?

Sì; perché significa ed effettua la unità della Chiesa, corpo mistico di Gesù Cristo, alla quale deve necessariamente appartenere chiunque deve salvarsi. Tuttavia il frutto del sacramento eucaristico può essere ricevuto per il semplice fatto che un dato soggetto ha la intenzione di ricevere questo sacramento, sia che abbia egli personalmente tale intenzione, sia che la Chiesa gliela comunichi mediante il sacramento del Battesimo, come avviene per i bambini (LXXIII, 3).

1612. Con quali nomi viene chiamato questo sacramento?

Avuto riguardo alla Passione di Gesù Cristo ultimata sul Calvario, che fu il sacrifizio per eccellenza e di cui questo sacramento è il memoriale, si chiama appunto « Sacrifizio ». Avuto riguardo alla unità della Chiesa, corpo mistico di Gesù Cristo, che effettua presentemente, si chiama « Comunione ». Avuto riguardo alla gloria della futura felicità che prefigura, si chiama «Viatico». E si chiama puramente e semplicemente « Eucarestia» cioè «buona grazia », perché contiene Gesù Cristo stesso, autore di ogni grazia sulla terra e nel cielo (LXXIII, 4).

1613. Quando è stato istituito questo sacramento?

La sera del Giovedì Santo, alla vigilia della Passione, per compensare e consolare gli uomini della partenza di Gesù Cristo, che dopo la Passione non doveva più vivere della nostra vita terrena; per indicare il rapporto di questo sacramento con la Passione di Gesù Cristo, unica sorgente della nostra salute; e perché in forza di queste circostanze sì commoventi, il culto di questo sacramento restasse eccezionalmente vivo in mezzo agli nomini (LXXIII, 5).

1614. Questo saramento era stato particolarmente raffigurato nella legge antica?

Sì; perché sotto la ragione di puro Segno esteriore era stato figurato dal pane e dal vino offerto da Melchisedecco. Sotto la ragione di sacramento del vero corpo di Gesù Cristo immolato, era stato figurato da tutti i sacrifizi dell’Antico Testamento, ed specialmente dal sacrifizio di espiazione che era il più solenne. Sotto forma di alimento spirituale che nutrisce le anime nostre col pane più soave, era stato figurato dalla manna che aveva in sé ogni sapore ed ogni soavità. Ma sotto tutte queste ragioni insieme era stato figurato in modo speciale dall’agnello pasquale che si mangiava con pane azzimo dopo che stato immolato; ed il cui sangue allontanava l’Angelo sterminatore (LXXIII, 6).

Capo XXXII

La materia e la forma del sacramento dell’Eucarestia. – La transustanziazione. – La presenza reale. Gli accidenti eucaristici,

1615. Quale è la materia del sacramento della Eucarestia?

La materia del sacramento dell’Eucarestia è il pane di frumento ed il vino di vite (LXXIV, 1, 2).

1616. Che cosa avviene nella materia di questo sacramento, quando si produce il sacramento stesso?

Avviene che il pane, nella sua sostanza di pane, cessa di essere pane; ed il vino, nella sua sostanza di vino, cessa di essere vino (LXXV, 2).

1617. Che cosa diventano la sostanza del pane e la sostanza del vino, che quando si produce il sacramento cessano di essere pane e vino?

La sostanza del pane si cambia nel Corpo di Gesù Cristo, e la sostanza del vino ,si cambia nel Suo Sangue (LXXV, 3, 4).

1618. Come si chiama questo cambiamento?

Si chiama « transustanziazione » (LXXV, 4).

1619. Che cosa significa la parola transustanziazione?

Significa precisamente il passaggio, ossia il cambiamento di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Gesù Cristo, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Suo Sangue.

1620. Come può avvenire questo passaggio, ossia questa transustanziazione?

Soltanto per la. onnipotenza di Dio (XXV, 4).

1621. Solo la sostanza del pane e la sostanza del vino si cambiano nel Corpo e nel Sangue Gesù Cristo; oppure anche tutto il pane e tutto il vino?

Solo la sostanza del pane del vino; gli accidenti rimangono (LXXV, 2ad3).

1622. Che cosa si intende per gli accidenti che rimangono?

Si intendono tutte le realtà di ordine esteriore che ai nostri sensi fanno apparire il pane ed il vino come erano precedentemente, cioè: la estensione ossia la quantità con la stessa forma e la stessa figura, il colore, il sapore, le proprietà di resistenza e cose simili.

1623. Perché gli accidenti del pane e del vino rimangono?

Gli accidenti del pane e del vino rimangono per assicurarci della presenza sacramentale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo (Somma contro i Gentili – lib. IV, cap. LXIII.)

1624. Che cosa succederebbe se anche gli accidenti del pane e del vino fossero cambiati nel corpo e nel sangue di Cristo?

Non ne rimarrebbe più niente; ma ciò che era del pane e del vino, sarebbe cambiato nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo (Ibid.).

1625. E che cosa avviene invece per il fatto che gli accidenti del pane è del vino rimangono, mentre la loro sostanza viene cambiata nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo?

Ne avviene che il rapporto che aveva a questi accidenti la loro sostanza, lo hanno ancora il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo mediante la loro sostanza. Dimodoché come prima della transustanziazione, avendo questi accidenti noi avevamo la sostanza del pane e la sostanza del vino, ora abbiamo, secondo il modo della loro sostanza, tuttociò che è del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo (Ibid)

1626. In virtù della transustanziazione, abbiamo noi il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo quali sono in se stessi e nella loro identica realtà?

Sì; in virtù della transustanziazione, noi abbiamo il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo quali sono in sé stessi e nella loro identica realtà (LXXV, 1).

1627. Gesù Cristo è tutto intero in questo sacramento?

Sì; Gesù è tutto intero in questo sacramento. Con questo però che sotto la specie del pane, in virtù delle parole sacramentali non si trova che il Corpo, e sotto la specie del vino non si trova che il Sangue. Ma per via di concomitanza, e perché ora il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo non sono né possono essere più separati, come lo furono sulla Croce, dove si trova il Corpo si trova anche il Sangue e l’anima, e dove si trova il Sangue si trova anche il Corpo unito all’anima. In quanto alla Persona ed alla Divinità del Figliuolo di Dio, esse dopo la Incarnazione non sono mai state separate da alcuna parte della natura umana di Gesù Cristo, neppure quando il Corpo e l’anima erano separate l’una dall’altra a causa della morte sulla Croce (LXXVI, 1, 2).

1628. Gesù Cristo si trova tutto intero in ciascuna parte della specie del pane ed in ciascuna parte della specie del vino?

Sì; Gesù Cristo si trova tutto intero, quale è in Se stesso, in ciascuna parte della specie del pane ed in ciascuna parte della specie del vino. Però la specie del pane e la specie del vino rimanendo indivise, Gesù Cristo non si trova in ciascuna di esse che una volta sola; mentre invece in ciascuna di queste specie si trova tante volte quante parti se ne fanno, quando si separano o si dividono (LXXVI, 3).

1629. Si può toccare il Corpo di Gesù Cristo come è in Se stesso, quando si toccano le specie accidenti eucaristici del pane e del vino?

Niente affatto; perché questi non sono gli accidenti del Corpo di Gesù Cristo, mediante i quali soltanto potremmo toccare la sua sostanza (LXXV, 4-3).

1630. Che cosa segue da questa verità?

Ne segue che gli accidenti eucaristici del pane e del vino sono insieme ciò che ci dà il Corpo di Gesù Cristo e ciò che lo tiene al sicuro. Cosicché se vi siano dei malvagi che vogliano profanare il Corpo di Gesù Cristo nel suo sacramento, profanano, sì, il sacramento, ma non possono toccare il Corpo di Gesù Cristo in se stesso.

1631. Questi accidenti eucaristici del pane e del vino rimangono sempre allo stato di accidenti eucaristici, dopo la consacrazione del pane e del vino?

No; perché dopo la comunione, ossia quando sono stati assorbiti per servire di cibo e di bevanda presto cominciano ad alterarsi e finiscono tosto per passare ad un altro stato. Essi possono anche alterarsi e corrompersi per il semplice fatto delle condizioni atmosferiche, quando rimangono troppo tempo senza essere rinnovati (LXXVII, 4).

1632. Che cosa accade quando gli accidenti eucaristici del pane e del vino cessano di essere gli accidenti del pane e del vino consacrati?

Accade che il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo cessano immediatamente di essere presenti con la loro presenza eucaristica, perché per lo stesso fatto cessa il rapporto che avevano a tali accidenti, e per mezzo loro al luogo dove gli accidenti stessi si trovavano (LXXVI, 6 ad 3).

1633. Dunque Gesù Cristo è presente con la sua presenza eucaristica unicamente in virtù della consacrazione del pane e del vino, e della permanenza degli accidenti del pane e del vino consacrati?

Sì; unicamente in virtù della consacrazione del pane e del vino e della permanenza degli accidenti del pane e del vino consacrati, Gesù Cristo è presente con la sua presenza eucaristica; perché le mutazioni operate nel pane e nel vino sono tutta la ragione di questa presenza, senza che il Corpo di Gesù Cristo sia mutato in niente (LXXVI, 6 ad 3).

1634. Come avviene la consacrazione del pane e del vino?

Essa avviene pronunziando nelle condizioni volute certe parole che sono la forma del sacramento dell’Eucarestia. (XXVII).

1635. Quali sono queste parole?

Per la specie del pane: « Questo è il mio Corpo. » Per la specie del vinono: «Questo è il calice del mio Sangue; del nuovo ed eterno Testamento, mistero di fede, sparso per voi e per molti in remissione dei peccati ».

Capo XXXIII.

Effetti del sacramento dell’Eucarestia.

1636. Il sacramento dell’Eucarestia ha degli effetti particolari che gli appartengono propriamente?

Sì; il sacramento della Eucarestia ha per effetto proprio quello di produrre nell’anima  tesori di grazia ordinati alla salute dell’uomo, che nessun altro sacramento può produrre  allo stesso titolo.

1637. Donde proviene al sacramento della Eucarestia questa efficacia, che gli è propria nell’ordine della grazia?

Proviene soprattutto e principalmente da questo, che esso contiene nella verità e nella realtà della Sua presenza Gesù Cristo stesso, autore di ogni grazia nell’ordine della salute. Proviene inoltre dal fatto che esso è il sacramento della Passione di Gesù Cristo, mediante la quale è stata operata la nostra salute e che lo rende presente in mezzo a noi. Proviene dal modo speciale con cui vi si partecipa, che consiste nel nutrirsi del Corpo di Gesù Cristo sotto la specie del pane, e nel dissetarsi del suo Sangue sotto la specie del vino. Finalmente proviene dal simbolismo speciale proprio di questo sacramento, che è quello di rappresentare la unità del corpo mistico di Gesù Cristo (LXXIX, 1).

1638. Queste diverse cause fanno sì che il conseguimento della gloria del cielo sia a titolo speciale effetto di questo sacramento?

Sì; perché noi dobbiamo il conseguimento della gloria a Gesù Cristo morto per noi. Ed

il convito eucaristico è la figura per eccellenza del convito celeste (LXXIX, 2).

1639. Il sacramento della Eucarestia ha per effetto di rimettere il peccato mortale?

Nessun dubbio che il sacramento della Eucarestia abbia la virtù di rimettere tutti i peccati mortali, contenendo Gesù Cristo stesso. Ma poiché Gesù Cristo si trova in questo sacramento sotto forma di alimento spirituale, e l’alimento non si dà che a coloro che sono in vita, chi si trova in peccato mortale non può ricevere l’effetto di questo sacramento. Tuttavia se alcuno si appressasse al sacramento, credendo in buona fede di essere in istato di grazia, mentre forse avrebbe ancora qualche peccato mortale non perdonato, la buona fede farebbe sì che il sacramento della Eucarestia scancellerebbe il peccato (LXXIX, 3).

1640. Il sacramento della Eucarestia ha per effetto di rimettere i peccati veniali?

Sì; il sacramento della Eucarestia ha per proprio effetto di rimettere i peccati veniali, essendo la sua grazia propriamente una grazia di refezione, destinata a riparare le perdite che tanto facilmente si producono nel corso della nostra vita quotidiana; ed è anche una grazia di fervore, la cui proprietà è di compensare la mancanza dell’atto di carità che implica ogni peccato veniale, incompatibile con tale atto (LXXIX, 4).

1641. Il sacramento della Eucarestia ha per effetto di rimettere tutta la pena dovuta al peccato?

Preso come sacramento, ossia in quanto è convito, il sacramento della Eucarestia non ha per effetto diretto di rimettere la pena dovuta al peccato, ma di ristorare spiritualmente, mediante una rinnovazione di fervore che unisce l’anima a Gesù Cristo ed agli altri membri del suo corpo mistico. Tuttavia, per modo di concomitanza ed in virtù del fervore di carità che produce, finisce col rimettere indirettamente la pena dovuta al peccato, non nella sua totalità, ma secondo il grado di fervore e di devozione prodotto nel soggetto. Come sacrifizio poi, ed in quanto vi si offre a Dio la vittima del Calvario, questo sacramento possiede una virtù satisfattoria. Solamente che nella soddisfazione non è tanto il valore di ciò che si offre quanto la devozione con la quale si offre, quello che conta. Ed ecco perché anche come sacrifizio, sebbene di valore infinito, non rimette tutta la pena dovuta al peccato, ma secondo la misura di fervore e di devozione di coloro che l’offrono, e di coloro per i quali si offre (LXXIX, 5).

1642. Il sacramento della Eucarestia preserva l’uomo dai peccati futuri?

Sì; ed è questo uno degli effetti più diretti e più ammirabili di questo sacramento. Perché come sacramento di nutrizione spirituale, ossia in quanto è cibo dell’anima, fortifica interiormente l’uomo contro ciò che tenderebbe ad alterare o distruggere la sua vita cristiana. E come sacramento della Passione di Gesù Cristo, è un segno che mette in fuga i demoni, vinti appunto da questa Passione medesima (LXXIX, 6).

1643. Il sacramento della Eucarestia produce qualche effetto in altri, che non siano coloro che lo ricevono?

Considerato come sacramento, ossia come nutrimento destinato a ristorare l’anima spiritualmente, non produce effetto proprio se non in chi lo riceve, perché questi solo ne è nutrito. Ma come sacramento della Passione di Gesù Cristo e come sacrifizio, può avere il suo effetto e lo ha realmente anche in tutti coloro per cui si offre, in quanto essi sono in istato di raccoglierne il frutto, uniti mediante la fede e la carità a Gesù Cristo ed agli altri membri del suo Corpo mistico (LXXIX, 7).

1644. I peccati veniali impediscono l’effetto del sacramento della Eucarestia?

Se i peccati. veniali vengono commessi nel momento stesso in cui si partecipa a questo sacramento, se per esempio si ha la mente distratta ed il cuore illecitamente occupato in altre cose, un effetto del sacramento della Eucarestia viene necessariamente impedito: quello, cioè, del ristoro spirituale, attualmente prodotto con una soavità tutta divina, unita al ricevimento di questo sacramento. Tuttavia, anche allora un certo aumento di grazia abituale si produce nell’anima. Che se si tratta poi di peccati veniali passati, questi non impediscono per niente l’effetto del sacramento dell’Eucarestia, quando nel momento in cui vi si partecipa, ci si accosta con gran fervore. (LXXIX, 1).

Capo XXXIV

Il ricevimento dell’Eucarestia.

 1645. Vi sono più maniere di ricevere il sacramento dell’Eucarestia?

Sì; si può ricevere spiritualmente e sacramentalmente (LXXX, 1)

1646. Che differenza passa tra queste due maniere di ricevere il sacramento della Eucarestia?

Passa questa differenza, che coloro che ricevono soltanto sacramentalmente della Fucarestia, non ne conseguono gli effetti; mentre coloro che lo ricevono spiritualmente ne conseguono gli effetti; sia in ragione del desiderio che ce li spinge – ed è ciò che si chiama propriamente la comunione spirituale – sia in ragione del ricevimento stesso del sacramento, che porta sempre seco una pienezza di effetti che il solo desiderio mon porta (LXXX, 1).

1647. Non vi è che l’uomo sulla terra che possa ricevere spiritualmente il sacramento della Eucarestia?

Sì; non vi è che l’uomo sulla terra che possa ricevere spiritualmente il sacramento della Eucarestia; perché soltanto gli uomini viventi sulla terra possono credere a Gesù Cristo col desiderio di riceverlo secondo che si trova in questo sacramento (LXXX, 2).

1648. Questo sacramento può essere ricevuto sacramentalmente anche dai peccatori?

Sì; i peccatori che hanno la fede o almeno la conoscenza di ciò che è il sacramento della Eucaristia nella Chiesa Cattolica, possono riceverlo sacramentalmente, se vi si accostano in maniera cosciente, qualunque colpa possano avere sulla loro coscienza (LXXX, 3).

1649. Il peccatore che riceve questo sacramento con la coscienza della propria indegnità, commette una colpa ricevendo sacramentalmente la Eucarestia?

Sì; egli commette un sacrilegio. Perché  ricevendo questo sacramento che contiene Gesù Cristo stesso e significa la unità del suo corpo mistico che non esiste se non mediante la fede e la carità, mentre egli non ha la carità che lo unisce a Gesù Cristo ed ai suoi membri, fa ingiuria al sacramento e lo profana, formando un disaccordo tra sé ed il saramento di cui falsifica il significato (LXXX, 4).

1650. Questo peccato è particolarmente grave?

Sì; questo peccato. è particolarmente grave, perché fa ingiuria alla umanità santa di Gesù Cristo nel suo sacramento d’amore, (LXXX, 5).

1651. È grave come la profanazione esteriore sacramento stesso?

No; perché questo ultimo peccato implica la formale intenzione di fare ingiuria a Gesù Cristo nel suo sacramento; e ciò costituisce un peccato molto più grave (LXXX, 5 ad 3).

1652. Cosa ci vuole per ricevere come si conviene sacramentalmente il sacramento della Eucarestia?

Ci vuole prima di tutto l’uso della ragione; quindi, insieme con lo stato di grazia, il desiderio di raccogliere i frutti di vita uniti al ricevimento sacramentale dell’Eucarestia (LXXX, 9, 10).

1653. Ci si può del tutto dispensare dal ricevere sacramentalmente la Eucarestia?

No; tranne la impossibilità di riceverla. E ciò perché nessuno può salvarsi se non possiede la grazia di questo sacramento; ora, non si può avere la grazia di questo sacramento se non si ha almeno il desiderio di riceverlo sacramentalmente, quando potrà presentarsene la occasione (LXXX, 11).

1654. Vi sono delle epoche o dei momenti determinati dalla Chiesa, in cui si è tenuti a ricevere sacramentalmente la Eucarestia?

Sì; queste epoche e questi momenti sono: per ogni uomo che ha raggiunto l’uso della ragione ed è sufficientemente istruito sulla natura di questo sacramento; nel corso della vita una volta ogni anno durante il tempo pasquale; e finalmente in pericolo di morte, in cui bisogna ricevere questo sacramento in forma di viatico (Codice, can. 854, 859, 864).

1655. Si può ricevere frequentemente ed anche tutti i giorni sacramentalmente il sacramento della Eucarestia?

Sì; si può ed è anche cosa sommamente eccellente, purché soltanto si sia nelle condizioni enumerate per riceverlo come si conviene (LXXX, 10).

1656. Si è tenuti a ricevere sacramentalmente il sacramento della Eucarestia sotto ambedue le specie del pane e del vino?

Soltanto i sacerdoti all’altare, nella celebrazione del sacramento della Eucarestia, sono tenuti a ricevere sacramentalmente questo sacramento sotto ambedue le specie del pane e del vino. In quanto ai fedeli, essi devono conformarsi in questo a ciò che la Chiesa prescrive; ed infatti nella Chiesa latina non si riceve la Eucarestia, che sotto la specie del pane (LXXX, 12).

1657. Quale è il momento più opportuno, ordinariamente ed in quanto è possibile, per ricevere sacramentalmente il sacramento della Eucarestia?

È il momento della celebrazione stessa del sacramento, quando il sacerdote è all’altare e lo ha ricevuto egli stesso; perché è il momento più in armonia con lo stato di Gesù Cristo immolato sacramentalmente nella celebrazione del sacramento della Eucarestia, al quale noi partecipiamo ricevendolo sacramentalmente.

1658. In quale disposizione di corpo bisogna essere per ricevere sacramentalmente il sacramento della Eucarestia.

Bisogna essere digiuni dalla mezzanotte (LXXX, 12)

1659. Non si può mai ricevere sacramentalmente il sacramento della Eucarestia senza essere digiuni?

Non si può che in pericolo di morte e quando si riceve in forma di viatico. Tuttavia stabilito che per gli ammalati che sono a letto da un mese, e per i quali non vi è speranza certa che si ristabiliscano presto, dietro prudente consiglio del confessore, la Santissima Eucaristia possa essere loro portata una volta o due la settimana, quando anche abbiano preso avanti qualche medicina o qualche alimento a modo di bevanda (Codice, Cal. 858).

Capo XXXV.

Il ministro del sacramento dell’Eucarestia.

1660. A chi appartiene propriamente ed esclusivamente di consacrare il sacramento della Eucarestia?

Al sacerdote validamente ordinato secondo il rito della Chiesa Cattolica, appartiene propriamente ed esclusivamente di consacrare il sacramento della Eucarestia (LXXXII, 1)

1661. Soltanto al sacerdote appartiene pure di distribuire questo sacramento?

Sì; con questo però che il diacono ha la potestà ordinaria di distribuire il prezioso Sangue contenuto nel calice, dove la Chiesa permettesse di comunicare sotto ambedue le specie. Egli potrebbe pure per delegazione del sacerdote, in caso di bisogno e come cosa straordinaria, distribuire la comunione sotto le specie del pane (LXXXII, 3).

1662. Ogni sacerdote, anche in istato di peccato mortale, può consacrare e distribuire il sacramento della Eucarestia?

Validamente lo può, nel senso che ciò non nuoce per niente alla verità ed alla efficacia del sacramento per i fedeli; ma pecca gravemente facendolo (LXXXII, 5).

1663. La Messa di un cattivo sacerdote ha meno valore di quella di un sacerdote buono?

Il valore della Messa è assolutamente lo stesso da una parte e dall’altra, per ciò che riguarda il sacramento della Passione di Gesù Cristo, che la consacrazione fatta dal sacerdote effettua. Ma per quanto riguarda le preghiere fatte durante la Messa, le preghiere del buon sacerdote, hanno una efficacia che non hanno quelle del sacerdote cattivo, in ragione della devozione del soggetto. Tuttavia anche per queste preghiere la efficacia è la stessa da parte della divozione della Chiesa, in nome della quale queste preghiere sono recitate da tutti i sacerdoti (LXXXII, 6).

1664. Un sacerdote eretico, scismatico o scomunicato può consacrare il sacramento della Eucarestia?

Non può lecitamente; ma validamente sì, se è veramente sacerdote ed ha l’intenzione di fare quello che fa Chiesa Cattolica nel celebrar questo sacramento (LXXXII, 7).

1665. Un sacerdote degradato, sarebbe veramente sacerdote e potrebbe consacrare validamente?

Sì; perché la degradazione non toglie il carattere del sacramento dell’Ordine che è di per se stesso indelebile (LXXXI, 8).

1666. Si può senza peccato ascoltare lka messa di un sacerdote eretico, scismatico, scomunicato o notoriamente peccatore ed indegno, e ricevere da lui la Comunione?

È assolutamente interdetto, sotto pena di peccato grave, ascoltare la Messa di un sacerdote eretico, scomunicato od anche notoriamente peccatore ed indegno, se il suo stato è reso pubblico da una sentenza della Chiesa che lo priva del diritto di celebrare. In caso contrario si potrebbe senza peccare ascoltare la Messa e ricevere da lui la Comunione (LXXXII, 9).

Capo XXXVI.

La celebrazione del sacramento dell’Eucarestia, ossia il sacrificio della Messa.

1667. Che cosa intendete per la celebrazione del sacramento dell’Eucarestia o santo sacrificio della Messa?

Ciò significa che l’atto mediante il quale questo sacramento viene prodotto costituisce un vero sacrifizio, che è anche il solo vero sacrifizio, nel senso di immolazione cultuale o rituale, esistente nella Religione Cattolica, sola vera religione il cui culto possa essere accettevole a Dio (LXXXIII, 1).

1668. In che cosa questo atto, mediante il quale si produce il sacramento della Eucarestia, costituisce il sacrifizio che avete detto?

In questo, che esso è la immolazione dell’unica vittima ora accetta a Dio, vale a dire Gesù Cristo stesso.

1669. Ed in che modo questo atto è la immolazione di Gesù Cristo?

Perché è il sacramento della Passione nella quale Gesù Cristo fu immolato sul Calvario (LXXXII, 1).

1670. Che cosa intendete dire dicendo che questo atto è il sacramento della Passione nella quale Gesù Cristo fu immolato sul Calvario?

Ciò vuol dire che come sul Calvario, nel momento in cui Gesù Cristo dette la sua vita per noi in espiazione dei nostri peccati, il suo Corpo il suo Sangue furono separati; l’atto mediante il quale si produce il sacramento della Eucarestia fa sì che dove si celebra questo sacramento, il Corpo di Gesù Cristo è sacramentalmente separato dal suo Sangue, mediante la consacrazione separata delle due specie del pane e del vino; e questa separazione sacramentale si produce in rapporto diretto alla reale separazione che ebbe luogo sul Calvario.

1671. Che cosa si deduce da questo fatto e da questo rapporto?

Si deduce che il sacrifizio della Messa è il medesimo di quello della Croce.

1672. Dobbiamo dire che ne è la riproduzione?

Propriamente parlando, no; perché il sacrifizio della Croce ha avuto luogo una volta e non deve più riprodursi. D’altra parte il sacrifizio della Messa non è un riproduzione di quel sacrifizio, ma il sacrifizio stesso.

1673. Si può dire che ne è la rappresentazione?

Sì; se con questo si vuole intendere che lo rende presente per noi. Ma sarebbe inesatto  se si volesse dire che non ne è se non una immagine, perché di fatto è quel sacrifizio stesso.

1674. Ma come può essere quel sacrifizio stesso, dal momento che quel sacrifizio non esiste più; e che d’altra parte, nel sacrifizio della Croce, Gesù Cristo ebbe la morte con la separazione del suo Corpo e del suo Sangue, mentre ora non muore più ed il Corpo ed il suo Sangue non Sono più separati?

In questo sacramento si verifica del sacrifizio della Croce quanto si verifica di Gesù Cristo stesso, cioè alla stessa guisa che Gesù Cristo è qui presente come sotto una diversa forma esteriore; perché è qui sotto la forma o le specie del sacramento, così parimente la Passione e la immolazione di Gesù Cristo che ebbe luogo altra volta sul Calvario, è qui non sotto la forma cruenta di allora, ma sotto la forma sacramentale. Nel senso che sotto questa forma sacramentale noi abbiamo, allo stato separato che costituisce la immolazione della vittima, il medesimo Corpo ed il medesimo Sangue di Gesù Cristo che furono realmente separati sul Calvario.

1675. È dunque vero che mediante l’atto che produce questo sacramento, la Passione e la immolazione di Gesù Cristo che ebbe luogo sul Calvario si ritrova realmente, sebbene in maniera sacramentale, dovunque si celebra questo sacramento?

Ciò è esattissimo: mediante l’atto che produce questo sacramento avviene che la Passione o la immolazione di Gesù Cristo che ebbe luogo sul Calvario, è resa sacramentalmente presente dovunque si celebra questo sacramento.

1676. Quando si assiste alla celebrazione di questo sacramento, è dunque come se si assistesse alla Passione, ossia alla immolazione di Gesù Cristo sul Calvario?

Sì; quando si assiste alla celebrazione di questo sacramento ossia al sacrifizio della Messa, è come se si assistesse alla Passione od immolazione di Gesù Cristo che ebbe luogo sul Calvario, mediante la quale fu operata la nostra salute e che è la sorgente di ogni grazia per noi, nello stesso tempo che è riguardo a Dio l’atto di religione per eccellenza, che lo onora e lo glorifica al di sopra di tutto.

1677. È per questo che la Chiesa è così desiderosa di vedere tutti i fedeli assistere il più spesso possibile al santo sacrifizio della Messa?

Sì; ed è anche per questo che fa a tutti obbligo di assistervi nei giorni di domenica e negli giorni di festa (Codice can. 1248)

1678 Che cosa ci vuole per non peccare contro questo precetto non assistendo alla Messa in tali giorni?

Ci vuole una ragione di impossibilità o di grave impedimento.

1679. E che cosa ci vuole per adempiere a questo precetto?

Bisogna essere presenti nel luogo dove si celebra, non facendo niente di incompatibile con la partecipazione a questo grande atto, e senza mancare a nessuna delle sue parti principali.

1680. Quali sono le parti principali della Messa che non si possono lasciare senza mancare in ordine al precetto?

Tutto quello che va dall’Offertorio alla comunione inclusivamente.

1681. Quale è il mezzo migliore per bene ascoltare la Santa Messa?

Quello di unirsi al sacerdote, seguendo punto per punto tutto ciò che è detto e fatto durante questa grande azione.

1682. I libri liturgici messi alla portata dei fedeli, come i libri della messa e di preghiere, sono di grande aiuto a questo proposito?

Tali libri sono del più grande aiuto per bene ascoltare la santa Messa, e sono tanto migliori quanto più sono conformi al messale del sacerdote.

LO SCUDO DELLA FEDE (172)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (VIII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

1 MISTERI

II. — Il mistero della SS. Trinita.

D. Qual è il più grande dei misteri?

R. È il mistero della SS. Trinità. Esso ha per effetto di sopraelevare la nozione di Dio, e di portarla assai oltre a ciò che potrebbero concepire le più potenti intelligenze.

D. In che cosa la mozione di Dio è sopraelevata per via della Trinità?

R. In ciò che, per la Trinità, Dio prende vita, invece di offrirsi come una grande X nella formula del mondo; in ciò che « rimanendo unico, non è più solitario secondo la felice formula d’Ilario di Poitiers; in ciò che, vedendo l’universo materiale e l’universo spirituale come un sistema di scambi, noi ne ritroviamo il tipo meglio definito, più perfetto negli scambi interni che ci si descrivono. Il Dio trino ed uno è come un universo eterno, necessario, infinito e vivente. Egli è la Realtà della quale ciò che noi chiamiamo universo in certo modo non è che una proiezione molteplice e fragile. Lo spandersi di Dio nella natura, non è che lo espandersi di Dio in se stesso che le relazioni trinitarie ci fanno percepire. La teodicea, senza essere alterata, è così trasportata sopra un nuovo piano e si apre in una regione meravigliosa, chiusa al « Dio dei filosofi e dei sapienti ».

D. Il Dio di Aristotile e di Platone non è già sublime?

Il Dio di Platone è grande, e a quello che egli dice dell’amore supremo aggiungendo le parole di Aristotile che definisce Dio il Pensiero del Pensiero, si avrebbe già una trinità in abbozzo.

D. La tua Trinità non verrebbe forse appunto da queste sorgenti remote, attraverso al filtro alessandrino?

R. Non vi è dubbio che le dottrine platoniche abbiano influito sopra i sistemi trinitari di spiegazione; ma l’origine del dogma ê tutt’altra, e non ha niente di metafisico. La Trinità ci è stata consegnata come un fatto; la dichiarazione di questo fatto per mezzo di Gest Cristo fu un affatto occasionale, tratta dalla necessita di definire la persona del Redentore e le condizioni dell’opera sua. La formula di missione usata da Gesù mentre disperdeva i suoi apostoli: « Andate e insegnate a tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo, dimostra bene il carattere pratico, costitutivo, rituale delle sue dichiarazioni trinitarie, che solo più tardi saranno sistemate e daranno luogo a un dogma, poi a una filosofia.

D. Dove si trova, nella Scrittura l’espressione più viva della Trinità?

R. In S. Giovanni, c. XIV, dove Gesù racconta, per così dire, la vita delle tre Persone tra loro e nell’anima dei veri Cristiani.

D. Sembra assai difficile vedere nella Trinità altro che dei modi di pensare Dio, dei punti di vista sopra Dio, come si dice: Dio potenza è il Padre; Dio sapienza è il Figliuolo, e Dio amore, lo Spirito.

R. Non è questo. In tali condizioni, non si parlerebbe di Persone.

D. Allora si tratta di emanazioni, e solo il Padre è Dio.

R. Non si tratta di emanazioni fuori di Dio; ma di emanazioni (o di processioni, secondo la parola consacrata) in Dio stesso. La vita di Dio si espande dentro come in tre centri di scaturigine, in tre termini di relazioni interiori, in tre io ugualmente divini. Il Padre è Dio fecondo secondo lo spirito; è la sua fecondità; è Dio stesso. Il Figliuolo è il frutto divino di questa fecondità di spirito, Verbo mentale, Idea reale, Assioma eterno, avrebbe detto Taine, e lo aveva sospettato anche Taine, è in Dio un soggetto sussistente; è Dio stesso. Lo Spirito Santo è il frutto della compiacenza che unisce il Padre e il Figliuolo, l’Intelligenza e l’idea, il Verbo e Colui che lo dice; perché il Verbo, espressione dell’infinito, infinito Lui stesso, implica un attraimento reciproco donde scaturisce l’amore. E questa compiacenza di Dio per Dio è altresì identica a Dio; essa è Dio, perché è essenziale e perfetta.

D. Come la perfezione può avere effetto la moltiplicazione?

R. Se il mio pensiero mi diventasse intimo e adeguato al punto di essere identico a me, e se la mia compiacenza in me stesso avesse la stessa intimità e la stessa perfezione, io diventerei trinità, e non ne sarei se non maggiormente uno, più semplicemente e indivisibilmente me stesso. Colui che conosce porta in sé idealmente quello che egli conosce; colui che ama porta in sé affettivamente, in impressione, quello che egli ama: se è me stesso che io conosco ed amo, dunque io sono in me triplicemente: per il mio essere, per la mia concezione di me stesso, per il mio amore. Se non che, una sola di queste tre cose è me sostanzialmente; le altre non sono che accidenti della mia sostanza. In Dio, dove nulla è accidentale, dove tutto è Dio perché tutto è perfetto, il pensiero è sostanziale, l’amore è sostanziale, ed essi sono Dio senza cessare di essere pensiero, amore, distinti dalla sorgente da cui procedono secondo che ne procedono identici ad essa secondo tutta la positività d’un essere comune.

D. Intendi con ciò di spiegare la Trinità?

R. La Trinità non si spiega; si può solo vedere, Un giorno la vedremo; intanto la esprimiamo, senza la minima pretesa esplicativa e soprattutto dimostrativa.

D. Almeno bisognerebbe allontanarne la contraddizione, che a prima vista appare manifesta.

R. Nella nozione del Dio trino ed uno non vi sarebbe contradizione a meno che il tre e l’uno si riferissero allo stesso termine. Ora noi diciamo: Una sostanza, tre persone, come diremmo: Un albero e tre rami; un vivente e tre organi; un’anima e tre facoltà, etc. l’unità nella pluralità, anziché importare una contradizione, sembra la legge e la misura di perfezione di tutte le cose naturali; l’accrescimento di questa contradizione apparente è la legge stessa del progresso. Alla sommità, non recherà meraviglia trovare la più perfetta unità, e anche la più perfetta pluralità perché è la più semplice, la più completa, la meglio chiusa sopra Se stessa, cioè la trinità. Non è forse noto che la pluralità trinitaria tiene in questo mondo un posto privilegiato? Si potrebbero fornire miriadi di esempi, sia nelle realtà materiali, sia nell’anima, nella famiglia e fino nella logica, dove il sillogismo ne offre un’espressione smagliante. Non vi è nulla da stupirsi che in Dio si trovi, certo ineffabilmente, ma, riflesso in gualche modo, il piano della sua Creazione.

D. Si, ma tu sostieni nello stesso tempo la semplicità di Dio. Ora come dire semplice quello che è trino, e come dire semplice quello che è uno da una parte, trio dall’altra, specialmente sé l’unità e la trinità sono perfette?

R. Noi affermiamo in Dio il massimo di unità; vi troviamo anche il massimo di distinzione, che è l’opposizione di persona a persona. Io non mi incarico, ancora una volta, di spiegarti il mistero, di descriverti « questa unità così inviolabile che il numero non vi può portare divisione, e questo numero così ben ordinato che l’unità non vi mette confusione » (BOSSUET). Ma alla tua difficoltà precisa, io rispondo: Essa non avrebbe corso salvo che in Dio l’uno e il molteplice fossero ugualmente positivi. Ma, di positivo in Dio, non vi ê chela sua sostanza, o il suo essere, cioè l’unità; la molteplicità delle persone è costituita da pure relazioni. Ho già detto che la parola persona dev’essere corretta quando si applica a Dio. Del resto, persone, relazioni, ricoprono ugualmente dei misteri.

D. Ti preme che non si comprenda?

R. « Se tu comprendi, non è quello », dice $. Agostino. Parlando di Dio, non sarebbe possibile eliminare il mistero. Che se per sfuggirlo si rifiuta la Trinità, lo si ritrova per la sua assenza. Come concepire Dio altrimenti che pensante, amante e beato? E come concepire, in Lui, un pensiero e un amore che non siano Dio stesso, e tuttavia distinti? Come concepire per Dio una felicita senza società, senza scambi, una felicità legata a quella spaventosa solitudine che sembrerebbe essere quella di un Dio senza universo — cosa eminentemente possibile — ed anche con un universo, che invero non gli aggiunge niente? Tuttavia la più severa delle filosofie non cristiane, quella di Aristotile, ha affermato la felicità di Dio, e ha definito Dio il Pensiero del Pensiero. Si può immaginare questo ritorno di Dio sopra Se stesso senza una certa molteplicità interiore, dove tuttavia l’unità eterna non s’interrompe? In fondo, quello che noi affermiamo è semplicemente la vita divina, la vita che consiste nell’individualizzare il suo pensiero perché esso sia perfetto, nell’individualizzare il suo amore perché esso sia perfetto. Il Dio Vivente, l’unità vivente, ecco la Trinità.

D. Pare che tu sprezzi l’universo come manifestazione di Dio, come vincolo di società con Dio.

R. Io non sprezzo niente quando Dio lo trova buono e lo fa. Ma è certissimo che l’attività di Dio non potrebbe avere il suo pieno effetto nella creazione contingente e imperfetta; essa si manifesta per mezzo del Figliuolo e dello Spirito Santo, nella stessa Divinità. L’arte divina non può esaurirsi e la paternità divina soddisfarsi se non nel Verbo, suo uguale e suo Figliuolo consostanziale, e solamente per lo Spirito contentarsi l’eterno amore.

D. Concepisci tu le tre Persone come operanti ciascuna a parte, e richiedono esse un culto a parte?

R. Ciascuna Persona, essendo Dio, merita l’adorazione; si adorano dunque tre Persone. Nondimeno l’adorazione è una, Laus tamen una. Quanto all’azione divina, essa è realmente una, poiché è la manifestazione dell’essere divino, che è uno; ma si usa appropriare una data natura d’azione a una data Persona divina che ne è il prototipo, come le azioni di sapienza al Verbo, come le opere di amore all’Amore vivente,

D. Ammetti realmente una grande importanza alla dottrina della Trinità?

R. Certamente! quale luce su Dio! quale modo decisivo di eliminare il Dio astratto, il Dio primo organismo del mondo, e di accendere la vita spirituale alla fiamma del Dio vivo!

D. Non è forse troppa vita, voglio dire una vita troppo umana?

R. La Trinità si oppone a un politeismo antropomorfico, e nello stesso tempo a un deismo freddo.

D. Il Dio d’amore è per te il Dio-Spirito?

R. Si, e per questo Dio arde, nel medesimo tempo che illumina, nel medesimo tempo che attrae. L’Amore, questa forza gloriosa che parte dal Padre verso il suo Uguale e  rimbalza tutta viva, attraversa nel suo slancio tutta la creazione; allaccia tutto al Padre e al Figliuolo, e compie tutte le cose, come compie Dio.

D. In tal condizioni, la Trinità deve tenere nel tuo dogma un posto eminente.

R. Già ti ho detto che essa è al centro di tutto. Come osserva il Catechismo del Concilio di Trento, essa fornisce gli “articoli”, cioè le articolazioni del Credo. Parte prima: Dio Padre e Creatore; parte seconda: Dio Figliuolo e Redentore; parte terza: Dio Spirito e Santificatore. La santificazione suppone la redenzione, questa l’incarnazione, questa la Trinità. Abbiamo già contato e conteremo ancora gli anelli di questa catena.

D. E praticamente?

R. Nella vita cristiana, tutto si fa nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Ogni preghiera rituale invoca la Trinità esplicitamente, e ogni preghiera privata vi si riferisce. Il Battesimo è conferito nel suo nome, il Gloria Patri, et Filo et Spiritui Sancto è il ritornello dei brani liturgici, e il Gloria in excelsis ne forma un sublime canto.

D. Tuttavia l’estetica del Dio uno tal quale il muezzin lo annunzia dall’alto del minareto mi apparisce superiore.

R. Quando si ascolta il muezzin o si legge il corano, si ha l’impressione di passare sotto un grande arco. Quando invece risuona il Credo o il Simbolo di S. Atanasio, si crede di camminare sotto le stelle.

LA SUMMA PER TUTTI (19)

LA SUMMA PER TUTTI (19)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Caro XXII.

La glorificazione di Gesù Cristo. La sua Resurrezione.

1550. Era necessario che Gesù Cristo risuscitasse dalla morte con una resurrezione gloriosa?

Sì: era cosa necessaria. Perché Dio doveva a Se stesso di manifestare la sua giustizia. esaltando Colui che si era umiliato fino alla morte di croce. Questa suprema testimonianza data alla divinità di Gesù Cristo occorreva anche per confermare la nostra fede, per rafforzare la mostra speranza, per fissare la nostra nuova vita, trasformata dopo la nostra resurrezione spirituale, ad immagine di Gesù risorto, e finalmente per far risplendere nella sua propria Persona le meraviglie della vita gloriosa che Egli ci riserba e che la sua Resurrezione già inizia (LIII, 1).

1551. Quale fu lo stato del corpo di Gesù Cristo resuscitato?

Il corpo di Gesù Cristo resuscitato fu assolutamente il medesimo che era stato deposto dalla Croce e messo nella tomba; ma in istato di gloria, con tutte le qualità di impassibilità, di sottilità, di agilità e di splendore che derivarono in Lui dalla sovrabbondanza della perfezione dell’anima, libera ormai di comunicare al corpo la sua perfezione in tutta la sua pienezza (LIV, 1-3).

1552. Il corpo di Gesù Cristo resuscitato conservò sempre le cicatrici della sua crocifissione, tanto ai piedi che alle mani ed al costato?

Si; perché ciò occorreva per la gloria di Gesù Cristo ed in segno della sua vittoria sulla morte; per convincere i discepoli della verità della sua resurrezione; per essere continuamente dinanzi al Padre una intercessione vivente a nostro favore; e per confondere i suoi nemici nel giorno del giudizio (LIV, 4).

Caro XXIII.

La sua Ascensione e la sua autorità alla destra del Padre.

1553. Dove si trova ora il corpo di Gesù Cristo resuscitato?

Il corpo di Gesù Cristo resuscitato si trova ora in Cielo, dove Gesù Cristo ascese quaranta giorni dopo la sua resurrezione alla presenza dei suoi discepoli, separandosi da loro sul monte degli Olivi (LVIL, 1).

1554. Perché ed in qual senso si dice che Gesù Cristo, resuscitato e salito al Cielo, siede alla destra del Padre?

Nel senso che Egli resta per sempre senza alcuna possibile alterazione nella pace eterna della beatitudine del Padre, in un grado di eccellenza affatto particolare, avendo col Padre umo stesso potere regale e giudiziario sopra tutte le cose, privilegio che appartiene Gesù Cristo assolutamente in proprio (LVII, LVIII).

1555. Perché ed in qual senso il potere giudiziario è specialmente attribuito a Gesù Cristo?

Perché Gesù Cristo in quanto Dio, è Sapienza del Padre; e l’atto di giudicare, è per eccellenza un atto di sapienza e di verità, anche perché come uomo, Gesù Cristo è una Persona divina che nella sua natura umana ha la dignità di Capo di tutta la Chiesa, e per conseguenza di tutti gli nomini che hanno da essere giudicati: ha in tutta la sua pienezza la grazia abituale che rende l’uomo spirituale e capace di giudicare. Finalmente era giusto che Colui che è stato giudicato in modo ingiusto e perché rivendicava i diritti della giustizia divina, fosse costituito giudice secondo questa stessa giustizia (LIX, 1-8).

1856. Il potere supremo di giudicare che appartiene a Gesù Cristo ed è la prerogativa per eccellenza della sua sovranità, lo esercita ancora e sempre, dopo la Sua Ascensione al Cielo e la presa di possesso del suo trono alla destra del Padre?

Sì; non vi è niente di ciò che accade nel mondo, dopo il giorno del suo trionfo, che non sia effetto del sovrano governo di Nostro Signore Gesù Cristo sedente alla destra del Padre. Egli non soltanto come Dio ed in forza della Provvidenza e del governo divino, ma anche come uomo ed in forza del potere sovrano che Gli appartiene come Figliuolo di Dio in persona, ed in quanto lo ha guadagnato con i meriti della Sua Passione e morte, dispone tutto, ordina tutto ed a Lui tutto è soggetto nel moto dell’universo, sia che si tratti delle cose umane nella loro evoluzione totale, sia  che si tratti anche delle creature inanimate, ed anche della parte che gli Angeli buoni o cattivi possono avere in questo moto dell’universo (LIX, 5).

1557. Questo giudizio quotidiano che Gesù Cristo esercita su tutti e su tutto dal giorno della sua Ascensione, avviene senza pregiudizio del giudizio finale e supremo che avverrà nell’ultimo giorno?

Sì; perché soltanto allora potrà esercitarsi in tutta la sua pienezza ed in tutta la sua perfezione il potere Supremo appartenente a Gesù Cristo. Soltanto allora infatti potranno essere apprezzate in tutto il loro valore le azioni delle creature soggette al potere regale e giudiziario di Gesù Cristo, ed a ciascuno potrà esser reso pienamente secondo i suoi meriti (LIX, 5).

1558. Gesù Cristo esercita ugualmente il suo potere di autorità tanto sugli uomini che sugli Angeli?

No: Gesù Cristo non esercita nella stessa maniera il suo potere sugli uomini e sugli Angeli. Perché se gli Angeli, buoni o cattivi, ricevono dal Figliuolo di Dio, in quanto Egli è Dio, la ricompensa essenziale della eterna beatitudine o la pena essenziale della eterna dannazione, né gli uni né gli altri ricevono questa ricompensa o questa pena dal Figliuolo di Dio in quanto è uomo. Tutti gli uomini invece, che hanno ottenuto da Lui, in quanto uomo, di giungere alla eterna beatitudine del cielo; ed ancora: nel giudizio finale la sentenza definitiva e completa che manderà i dannati agli eterni supplizi, sarà pronunziata dal Figliuolo di Dio Incarnato, anche in quanto è uomo. Ma gli angeli, Ma Ma gli Angeli, buoni o cattivi, ricompensati o puniti da principio, restano soggetti alla Sovrana autorità del Figlio di Dio Incarnato, anche in quanto è uom, dal giorno della sua Incarnazione, e più ancora dal giorno della Sua Ascensione e del suo trionfo. Tutto ciò che essi fanno per aiutare gli uomini o per tentarli, resta subordinato al potere sovrano e giudiziario di Gesù Cristo; e gli Angeli buoni riceveranno da Lui, anche in quanto uomo, il supplemento di ricompensa che meritano i loro buoni uffici, come gli Angeli malvagi il supplemento di castighi dovuto alla loro malvagità (LIX, 6)

Capo XXIV

Dei Sacramenti di Gesù Cristo che assicurano agli uomini che formano il Suo Corpo mistico, la Chiesa, i frutti dei misteri di salute Compiuti nella Persona del Salvatore. – Natura di questi Sacramenti. – Numero ed armonia. – Necessita ed efficacia.

1559. Gesù Cristo Figliuolo di Dio fatto uomo per la nostra salute, dopo i misteri compiuti nella sua Persona per la salute degli uomini, come assicura agli uomini stessi il frutto di tali misteri in ordine alla sua salute?

Per mezzo dei sacramenti che Egli stesso ha istituito, e che da Lui traggono la loro virtù (LX – Prologo).

1560. Che cosa intendete per sacramenti?

Intendo certe cose, certi atti di ordine sensibile, accompagnati da certe parole che ne precisano il senso, la cui proprieta è di significare e di produrre nell’anima determinate grazie, ordinate a riformare la vita in Gesù Cristo.

1561. Quanti sono i sacramenti?

Sono sette, e cioè: il Battesimo, la Confermazione, la Eucarestia, la Penitenza, la

estrema Unzione, l’Ordine ed il Matrimonio (LXV, 1).

1562. Possiamo stabilire gualche ragione che ci faccia intendere il perché di questi sette Sacramenti istituiti da Gesù Cristo?

Sì; questa ragione si deduce dalla analogia che passa tra la nostra vita spirituale per la grazia di Gesù Cristo, e la nostra vita naturale corporale. Infatti, la nostra vita corporale comprende due specie di perfezioni, secondo che si tratta della vita degli individui o della vita della società nella quale e per la quale essi vivono. Per quanto riguarda l’individuo, la sua vita si perfeziona direttamente o indirettamente: si perfeziona direttamente per il fatto di entrarvi, di crescervi e di nutrirsi; si perfeziona indirettamente col recuperare la salute se si fosse perduta, e con un completo risanamento se si fosse stati ammalati. Parallelamente, nell’ordine spirituale della vita della grazia, vi è un sacramento che ce la da, ed è il Battesimo; vi è un altro sacramento che ci fa crescere in essa, ed è la Confermazione: un terzo sacramento ci nutre in questa vita, ed è la Eucarestia. E quando si è perduta dopo il Battesimo, il sacramento della Penitenza è destinato a restituircela, come il sacramento della Estrema unzione è ordinato a fare scomparire le ultime tracce del peccato. Per quanto poi riguarda la società in cui questa vita si conserva, due sacramenti ne assicurano il bene e la perpetuità: il sacramento dell’Ordine per la parte spirituale di questa società, ed il sacramento del Matrimonio per la sua parte materiale e corporale (LXV, 1).

1663. Di tutti questi sacramenti quale è il più grande, ed in un Senso il più importante, ossia quello a cui tutti gli altri sono ordinati ed in cui in gualche modo tutti gli altri vanno a terminare?

È il sacramento della Eucarestia. In esso, infatti, come vedremo, Si contiene sostanzialmente Gesù Cristo Stesso, mentre in tutti gli altri non si trova che una virtù derivata da Lui. Cosicché tutti gli altri sembrano essere ordinati od a produrre questo sacramento, come l’Ordine; od a rendere degni o più degni di riceverlo come il Battesimo; la Confermazione la Penitenza, la Estrema Unzione; o almeno a significarlo come il Matrimonio. Similmente tutte le cerimonie relative al ricevimento degli altri sacramenti fanno capo quasi sempre al ricevimento della Eucarestia: anche per quanto

riguarda il Battesimo, quando si tratta di adulti (LXV, 8).

1564. I sacramenti istituiti da N. S. Gesù Cristo per assicurarci il frutto dei misteri compiti nella sua Persona per la nostra salute, sono di semplici consigli e facoltativi, o sono invece assolutamente necessari, ciascuno per ottenere la grazia che gli corrisponde?

questi sacramenti sono assolutamente necessari, nel senso che se per propria colpa si trascurasse di riceverli, non si avrebbe la grazia che loro corrisponde; e ve me sono tre, un effetto dei quali non viene mai prodotto se il sacramento non è ricevuto (LXV 4).

1565 Quali sono questi tre sacramenti e qual è l’effetto che ne dipende?

Sono il Battesimo, la Confermazione e l’Ordine; e l’effetto di cui si tratta è il carattere che questi sacramenti imprimono nell’anima.

1566. Che cosa si intende per carattere?

Si intende una certa qualità di ordine spirituale, che costituisce nella parte superiore ed intellettuale dell’anima una specie di potenza o di facoltà che rende partecipi del sacerdozio, oppure di essere ammessi a beneficiare degli atti gerarchici che dipendono da questo sacerdozio, oppure di essere ammessi a beneficiare degli atti gerarchici compiuti nella sfera di questo stesso sacerdozio (LXIII, 1-4).

1567. Il carattere è incancellabile nell’anima?

Sì; il carattere è incancellabile nell’anima, e rimarrà eternamente in tutti coloro che lo hanno una volta ricevuto; a loro gloria nel cielo se ne avranno usato bene e se ne sarnno mostrati degni; ed a loro eterna confusione nell’inferno se non vi avrannoi corrisposto come dovevano (LXIII).

1568. Quale di questi caratteri segna propriamente gli uomini nell’immagine di Gesù Cristo, e li rende puramente e semplicemente atti a partecipare nella Chiesa agli effetti del suo sacerdozio?

Il carattere del sacramento del Battesimo. (LXIII, 6).

Une source doctrinale : les encycliques

Capo XXV.

Del Sacramento del Battesimo.- La sua natura – Ministro di questo Sacramento.

1569. Che cosa intendete per il sacramento del Battesimo?

Intendo quel rito istituito da N. S. Gesù Cristo, consistente in una abluzione fatta con acqua naturale, nel tempo stesso che dalla persona che lo amministra si pronunziano sul soggetto getto che lo riceve le parole: « Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figluolo e dello Spirito Santo? » (LXVI, 1-5).

1570. Questo rito può essere rinnovato più volte sul medesimo soggetto?

No: il sacramento del Battesimo non può essere ricevuto che una volta sola, per causa del carattere indelebile che imprime nell’anima (LXVL, 9).

1571. Il Battesimo di acqua può essere supplito dal battesimo di sangue o di desiderio?

Il Battesimo di acqua può essere supplito dal battesimo di sangue che è il martirio, raffigurando la Passione di Gesù i Cristo; o dal battesimo di desiderio che consiste nel moto della carità dovuto all’azione dello Spirito Santo. Ciò nel senso che la grazia del Battesimo può essere ottenuta senza ricevere il sacramento stesso, quando il riceverlo sia impossibile; ma non nel senso che il carattere del sacramento possa essere ricevuto fuori del sacramento stesso. (LXVI, 11).

1572. Chi può amministrare e il sacramento del Battesimo?

Il sacramento del Battesimo può essere amministrato da ogni individuo umano che abbia l’uso della ragione, e compia esattamente il rito del sacramento con la intenzione di fare quello che fa la Chiesa sa cattolica nell’amministrarlo (LXVII).

1573. Perché il sacramento del Battesimo sia amministrato lecitamente, che cosa occorre da parte di chi lo amministra?

Bisogna che lo amministri nelle condizioni determinate dalla Chiesa cattolica (LXVII).

1574. Quali sono queste condizioni?

Perché il Battesimo possa essere amministrato lecitamente fuori delle condizioni ordinarie, nelle quali lo amministra il sacerdote stesso conformandosi alle prescrizioni del diritto canonico e del rituale, o lo fa amministrare straordinariamente da un diacono, bisogna che vi sia urgente necessità, vale dire pericolo di morte. In questo caso la prima persona disponibile può amministrare il Battesimo, si tratti di un sacerdote, di un chierico, di un laico, di un uomo, di una donna o anche di qualcuno che non fosse battezzato: tuttavia bisogna conformarsi all’ordine che abbiamo ora indicato; e soltanto in mancanza del precedente il seguente può battezzare (LXVII, 1-5)-

1575. E necessario che nel Battesimo; quando s’amministra in chiesa, nelle normali condizioni di Battesimo solenne, o quando si suppliscono le cerimonie del medesimo, vi sia sempre un padrino o una madrina pel nuovo battezzato?

Si; così ordina la Chiesa in virtù di un uso antichissimo, e perché ê proprio conveniente che il nuovo battezzato abbia qualcuno che sia specialmente ed ufficialmente incaricato di vegliare alla sua istruzione nelle cose della fede, e alla sua fedeltà agli impegni presi per lui e in suo nome nel Battesimo (LXVII, 7).

1576. L’ufficio di padrino e di madrina non è dunque una semplice formalità, ma invece  qualcosa di grave e di importante?

Sicuramente; e per il padrino e per la madrina vi è l’obbligo stretto di vigilare con ogni cura, perché il loro figlioccio o la loro figlioccia si dimostri in tutta la sua vita fedele a ciò che essi hanno promesso che esso od essa sarebbe di fatto (LXVII, 8).

Capo XXVI.

Chi può ricevere questo Sacramento – Della sua necessita per tutti.

1577. Tutti gli uomini sono obbligati a ricevere il Battesimo?

Sì; tutti gli uomini sono obbligati nel modo più assoluto a ricevere il Battesimo. Dimodoché se si tratta di adulti che potendolo ricevere non lo ricevono di fatto, è impossibile si salvino. E ciò perché mediante il Battessimo noi siamo incorporati a Gesù Cristo; e dopo il peccato di Adamo nessuno fra gli uomini può essere salvo se non è incorporato a Gesù Cristo (LXVIII, 1, 2).

1578. Ma non basta la fede e la carità per essere incorporati a Gesù Cristo per mezzo della grazia, e per conseguenza salvarsi?

Senza dubbio; soltanto che la fede non può essere sincera e la carità o la grazia non possono trovarsi nell’anima, se si separano per propria colpa dal Battesimo, che è il sacramento della fede e che è destinato a produrre nell’anima la prima grazia che ci unisce a Gesù Cristo (LXVIII, 2).

1579. Dunque si può ricevere il Battesimo quando si è ancora in stato di peccato, sia che si tratti del peccato originale per tutti, oppure di peccati gravi attuali per gli adulti?

Sì; e per questo il Battesimo è chiamato sacramento dei morti, non supponendo la grazia nell’anima come i sacramenti dei vivi, ma avendo per proprio effetto di apportarla a coloro che non l’hanno ancora. Tuttavia, se si tratta di adulti che hanno commesso dei peccati mortali, per ricevere il Battesimo con frutto, bisogna che abbiano rinunziato all’affetto del peccato (LXVIII, 4).

1580. Trattandosi a: adulti, bisogna anche abbiano la intenzione di ricevere il Battesimo?

Sicuramente: e senza di essa il sacramento risulterebbe nullo (LXVIII, 7).

1581. Bisogna ancora che abbiano la vera fede?

Ciò è necessario per ricevere la grazia del sacramento, ma non per ricevere il sacramento stesso ed il carattere che imprime (LXVIII, 8).

1582. Ed i bambini che non possono avere né l’intenzione né  la fede, possono essere battezzati?

Sì, lo possono, perché essi partecipano della intenzione e della fede della Chiesa, o di quelli che nella Chiesa li presentano al Battesimo (LXVIII, 9).

1583. Si possono dunque presentare al Battesimo nella Chiesa i bambini di tenera età, cioè prima che abbiano la età della ragione, contro la volontà dei loro genitori, quando questi siano ebrei od infedeli e non appartengano alla Chiesa?

No; non si Può, e se si facesse si peccherebbe; perché si andrebbe contro il diritto naturale in virtù del quale il bambino, finché non può disporre da se stesso, ê affidato dalla natura ai suoi genitori. Tuttavia se il bambino viene battezzato, il Battesimo è valido e la Chiesa ha su di esso tutti i diritti di ordine soprannaturale che sono conseguenza del Basttesimo (LXVIII, 10).

1584. In pericolo di morte si possono battezzare i bambini che sono ancora in seno alla madre?

No; neppure in pericolo di morte si possono battezzare i bambini che sono ancora in seno alla madre; perché fino a quando non siano venuti alla luce, essi non appartengono alla società degli uomini in modo da essere ammessi alla loro azione per il ricevimento dei sacramenti in ordine alla salute. In questo caso bisogna rimettersi a Dio ed al privilegio della sua azione, secondo che a Lui può piacere di esercitarlo (LXVII, 11 ad 1).

1585. I bambini venuti alla luce che muoiono senza ricevere il sacramento del Battesimo sono essere salvi?

No; i bambini venuti alla luce che muoiono senza ricevere il sacramento del Battesimo non possono essere salvi; perché secondo l’ordine stabilito da Dio nella società degli uomini, non esiste per essi che questo mezzo di essere incorporati a Gesù Cristo e di ricevere la sua grazia. senza la quale non vi è salute tra i figli di Adamo (LXVIII, 3).

1586. Se si trattasse di adulti privi dell’uso della ragione, come gli idioti ed i pazzi, potrebbero essere battezzati?

Se non hanno mai avuto l’uso della ragione si debbono paragonare ai bambini, e per conseguenza possono come quelli essere battezzati. Ma se hanno avuto l’uso della ragione, non possono essere battezzati in istato di demenza, se non a condizione che abbiano altra volta manifestato gualche desiderio o qualche volontà di ricevere il Battesimo (LXIII, 12).

CAPO XXVII.

Degli effetti di questo Sacramento.

1587. Quando il Battesimo è ricevuto senza che alcun ostacolo si opponga alla sua virtù, produce grandi effetti nell’anima?

Sì; perché incorporando l’uomo alla Passione di Gesù Cristo, fa, sì che questa Passione produca nell’omo tutto il suo frutto. Così fino da allora in colui che è battezzato non resta più alcuna traccia di peccato né alcuna obbligazione di soddisfare per i peccati passati. Di diritto sono tolte mediante il Battesimo anche tutte le penalità della vita presente; ma Dio le lascia fino alla resurrezione, affinché i battezzati possano rassomigliare a Gesù Cristo, acquistare numerosi meriti e testimoniare che vengono al Battesimo non per le comodità della vita presente, ma in vista della gloria futura (LXIX, 1-8).

1588. Il Battesimo produce nell’anima anche la grazia e le virtù?

Sì; perché unisce a Gesù Cristo come al Capo, alla pienezza di grazia e di virtù del quale partecipano tutte le membra. Con questo, d’altra parte, che in modo specialissimo vi si riceve una grazia di luce per conoscere la verità, e di divina fecondità per produrre opere buone, proprie della vita cristiana (LXIX, d, 5).

1589. Questi ultimi effetti sono prodotti mediante il Battesimo anche nell’anima dei bambini?

Sì; salvo che tutto questo non è in essi che allo stato di germe, ossia allo stato abituale, aspettando a manifestarsi in maniera attuale quando saranno in grado di vivere la vita della grazia e delle virtù (LXIX, 6).

1590. Dobbiamo dire che effetto proprio del Battesimo ê quello di aprire la porta del regno celeste?

Sì; perché il Battesimo non lascia niente del peccato o della pena dovuta al peccato; ed è questo il solo ostacolo che impedisce di entrare in cielo, da quando il cielo ci è stato riaperto per mezzo della Passione di Gesù Cristo (LXIX, 7).

1591. Un adulto che ricevesse il Battesimo in cattive disposizioni, me riceverebbe tutti gli effetti che abbiamo enumerato?

No; non riceverebbe che il carattere del sacramento. Ma in forza di questo carattere che resta, può ricevere tutti gli altri effetti del Battesimo, quando in seguito rinunzi alle sue cattive disposizioni (LXIX, 9, 10).

1592. Oltre a questi effetti propri del Battesimo, ve me sono altri legati alle cerimonie di questo sacramento?

Sì; ma sono effetti di ordine diverso, al di sotto della grazia propriamente detta. Essi mirano piuttosto a togliere gli ostacoli che impedirebbero di ricevere il Battesimo con tutti i suoi frutti, ossia di raccogliere questi frutti in tutta la loro purezza. Ed in forza di ciò le cerimonie battesimali non hanno ragione di sacramento, ma soltanto la ragopne che conviene ai sacramentali (LXXI, 3).

Capo XXVIII.

Dignità e doveri di chi ha ricevuto il Battesimo.

1593. Coloro che hanno ricevuto la grazia del Battesimo e ne portano sempre il carattere indelebile, hanno da questo lato una particolare eccellenza ed anche degli obblighi o dei doveri in armonia con questa eccellenza?

Coloro che hanno ricevuto la grazia del Battesimo e ne portano sempre il carattere indelebile, nella misura che sono fedeli alla grazia del loro Battesimo superano in dignità ed in eccellenza tutte le creature lasciate nella loro propria natura. Sono figliuoli di Dio e fratelli di Gesù Cristo; di più: sono come la continuazione di Gesù Cristo stesso che rivive in essi nei suoi membri, continuando per mezzo di essi la vita di infiniti meriti che aveva quando era personalmente sulla terra. Ma questa dignità così alta, obbliga a condurre una vita che le corrisponda;  e chiunque ha il bene di essere battezzato, non dovrebbe avere niente nella sua vita che non fosse degno di Gesù Cristo stesso, a cui il Battesimo lo incorpora.  

LA SUMMA PER TUTTI (20)

LA SUMMA PER TUTTI (18)

LA SUMMA PER TUTTI (18)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XVI.

Della venuta del Figliuolo di Dio nel mondo al tempo della sua Incarnazione. – La sua nascita dalla Beata Vergine Maria.

1514. Come ê venuto ed ha fatto l’ingresso in questo mondo il Figliuolo di Dio nella sua Incarnazione?

Il Figliuolo di Dio nella sua Incarnazione è venuto ed ha fatto l’ingresso nel mondo nascendo dalla gloriosa Vergine Maria Madre Sua, dalla quale era stato concepito. per opera tutta soprannaturale dello Spirito Santo.

1515. La gloriosa Vergine Maria che il Figliuolo di Dio in vista della sua Incarnazione aveva scelto pet Madre, era stata insignita di privilegi speciali in forza di questa maternità?

Sì; ed il più meraviglioso di tutti fu il privilegio della Immacolata Concezione (XXVII).

1516. Che cosa intendete per il privilegio della Immacolata Concezione?

Intendo il fatto che avuto riguardo alla sua dignità di creatura unica scelta per essere la Madre del Figliuolo di Dio Incarnato, la Santissima Vergine Maria, per la grazia unica che le applicava anticipatamente i meriti della Redenzione, ê stata preservata dalla macchia del peccato originale che avrebbe dovuto contrarre per la Sua discendenza da Adamo peccatore, per via di concezione naturale. Onde fin dal primo istante della sua creazione, la sua anima è stata rivestita ed ornata di tutta la pienezza dei doni soprannaturali della grazia (Pio IX: Definizione del dogma dell’Immacolata Concezione).

1517. Che cosa intendete col dire che il Figliuolo di Dio Incarnato è nato da Maria Vergine?

Intendo dire che la Madre del Figliuolo di Dio, ben lungi da perdere la verginità in forza della maternità, ha veduto invece consacrare divinamente questa verginità con la sua maternità; dimodoché, vergine prima della concezione del Figliuolo di Dio, è rimasta vergine in questa concezione, vergine quando lo ha dato alla luce, e vergine sempre dopo la sua nascita (XXVIII, 1, 2, 3).

1518. Avvenne dunque in modo affatto Soprannaturale e miracoloso, che la gloriosa Vergine Maria concepì in Sé per opera dello Spirito Santo il Figliuolo di Dio, che si vestiva della nostra natura umana nel seno verginale di Lei?

Sì: avvenne in modo tutto soprannaturale e miracoloso che la gloriosa,  Vergine Maria concepì in Sé per opera dello Spirito Santo il Figliuolo di Dio, che si vestiva della nostra natura umana nel seno verginale di Lei. Con questo, tuttavia, che nella concezione stessa la Santissima Vergine ebbe tutta intera la parte che hanno le altre madri nella concezione naturale dei loro figlinoli (XXXI 5; XXXII).

1519. Il Figliuolo di Dio si trovò cosi in un solo istante ed immediatamente rivestito della nostra natura umana nel seno verginale di Maria, con tutte le prerogative di grazia che abbiamo veduto avere Egli preso in questa natura umana unendosela ipostaticamente?

Sì; dal momento che la Vergine Maria ebbe pronunziato il « fiat » del Suo consenso nel giorno della Annunziazione, furono istantaneamente compiute nel suo Suo verginale, per opera onnipotente dello Spirito Santo, tutte le meraviglie che costituiscono il mistero della Incarnazione (XXXIII- XXXIV).

1820. Si deve dire che da questo primo momento il Figliuolo di Die Incarnato ebbe nella sua natura umana l’uso del libero arbitrio, e che poté subito cominciare a meritare?

Sì; da questo primo momento il Figliuolo di Dio Incarnato ebbe nella sua natura umana tutti gli splendori della scienza beatifica ed infusa di cui si è parlato più indietro; godé pienamente dell’uso del libero arbitrio e cominciò a meritare con merito perfetto (XXXIV, art, 1-3)

1521. Quando diciamo che il Figliuolo di Dio è nato da Maria Vergine, parliamo di una vera nascita riflettente la Persona del Figliuolo di Dio? E come essa si distingue dalla nascita per la quale diciamo che i1 Figliuolo stesso è nato dal Padre?

Quando diciamo che il Figliuolo di Dio è nato da Maria Vergine, parliamo di una vera e propria nascita riflettente la Persona del Figliuolo di Dio. Ma questa nascita si dice in forza della natura umana; mentre quando parliamo del Figliuolo di Die rispetto al Padre suo, parliamo di una nascita in ragione della natura divina che il Figliuolo riceva dal Padre da tutta l’eternità (XXXV, 1, 2).

1522. In forza della sua nascita da Maria Vergine, il Figliuolo di Dio può essere detto figlio di Maria e la Vergine Maria, sua madre?

 Certamente; perché tutto quanto una madre dà ad un bambino che è suo figlio, la Vergine Maria lo ha dato al Figliuolo di Dio (XXXV, 3).

1523. Ne segue che Maria Vergine sia Madre di Dio?

Senza alcun dubbio; perché Ella è veramente la Madre del Figliuolo di Dio che è Dio Egli pure, secondo la natura umana assunta da Lui (XXXV, 4).

Caro XVII.

Del nome di Gesù Cristo dato al Verbo Incarnato.

1324. Quando è stato dato il nome di Gesù al Figliuolo di Dio Incarnato, dopo la sua nascita dalla  gloriosa Vergine Maria?

Il nome di Gesù al Figliuolo di Dio Incanato fu dato otto giorni dopo la sua nascita, nella cerimonia della Circoncisione, conforme all’ordine portato dal Cielo a Maria e a Giuseppe dall’Angelo del Signore (XXXVII, 2).

1525. Che cosa significa il nome di Gesù, dato per scelta e per ordine del cielo al Figliuolo di Dio incarnato?

Questo nome significa la qualità essenziale che doveva avere il Figliuolo di Dio Incarnato nell’ordine della grazia, cioè quella di salvatore di tutti gli uomini.

1526. Perché al nome di Gesù si aggiunge la parola Cristo, per indicare il Figliuolo di Dio Incarnato?

Perché la parola Cristo significa “unto”, ed indica a perfezione la unzione divina che fa di Lui, a titolo eccezionale, il Santo, il Sacerdote ed il Re che tutto domina nell’ordine della salute (XXITL 1 ad 8).

1527. Si designa dunque tutto questo, quando si dice  « Gesù Cristo »?

Sì; quando si dice “Gesù Cristo” si designa il Figliuolo unico di Dio, che essendo da tutta la eternità col Padre e con lo Spirito Santo, il medesimo solo ed unico vero Dio da cui sono state create tutte le cose, e che le conserva e governa da Sovrano Signore, si è rivestito nel tempo della nostra natura umana, in forza della quale è veramente uomo come noi, continuando ad essere col Padre e con lo Spirito Santo il medesimo Dio che esiste da tutta la eternità. E ciò porta seco nella sua natura umana e gli assicura in quanto è uomo come noi, dei privilegi di grazia in qualche modo infiniti, fra i quali primeggia la sua qualità di Salvatore degli uomini; privilegi che lo costituiscono in quanto uomo Mediatore unico di Dio e degli uomini, sommo Sacerdote, Re supremo, Profeta senza uguale, e Capo di tutta la congregazione degli eletti, angeli ed uomini, formanti tutti il suo vero Corpo mistico.

Capo XVIII.

Del battesimo di Gesù Cristo.

1528. Donde viene che Gesù Cristo, essendo quale lo abbiamo precisato, ha voluto essere battezzato col battesimo di Giovanni, al principio della sua vita pubblica?

Precisamente per cominciare la sua missione, che era quella di compiere l’opera della nostra salute, la quale doveva consistere nella remissione dei peccati mediante il battesimo che Egli stava appunto per promulgare ed inaugurare. Ora: il suo battesimo doveva darsi nell’acqua, pel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo: e tutti gli uomini senza eccezione avrebbero dovuto riceverlo, essendo tutti peccatori. Ed appunto volendo mostrare questa necessita per tutti, domandò Egli stesso che non aveva peraltro se non la somiglianza della nostra carne di peccato, di ricevere il battesimo di Giovanni, semplice figura dell’altro battesimo. E ricevette questo battesimo dell’acqua, per santificarla col suo contatto e prepararla così ad essere la materia del sacramento: e tutta la Trinità si manifestò nel suo battesimo: Egli nella sua natura umana; Spirito Santo in forma di colomba; ed il Padre nella voce che si fece udire, per dichiarare ciò che sarebbe anche la forma del sacramento. Ne mostrò anche l’effetto, nel fatto che i cieli si aprirono sopra il suo capo; perché mediante il suo battesimo il Cielo doveva essere riaperto a noi stessi, in virtù del Battesimo di sangue in cui Egli laverebbe nella propria Persona il peccato del mondo (XXXIX, 1-8).

Capo XIX.

Svolgimento della vita di Gesù Cristo in mezzo a noi. – La sua tentazione. – La sua  predicazione. – I suoi miracoli. – La trasfigurazione.

1529. Questo ingresso di Gesù-Cristo nella vita pubblica col suo Battesimo, fu seguito dal corso che conveniva alla sua missione?

Sì; perché visse in mezzo agli uomini con una vita tutta di semplicità e di povertà perfetta, e dando compimento alla legge antica nella sua propria Persona, per preparare la via alla legge nuova che doveva essere la sua (XL, 1-4)

1530. Perché Gesù Cristo volle essere tentato dopo il battesimo ed al principio della sua vita pubblica?

Per nostro ammaestramento, per dimostrare anche a noi come dobbiamo resistere al nostro nemico; ed anche per rispondere con la sua vittoria sul demonio, alla sconfitta dei nostri primi genitori nella tentazione del Paradiso terrestre (XLI, 1).

1531. Il suo insegnamento e la sua predicazione furono ciò che dovevano essere nel corso della sua vita pubblica?

Sì; perché Egli personalmente percorse tutto il territorio del popolo di Dio, al quale era stato inviato dal Padre; e durante i tre anni della sua vita pubblica non cessò di far sentire la sua voce per comunicare agli uomini, in quanto erano alla loro portata, i misteri del Regno dei cieli (XLII, 1-4).

1532. I miracoli da Lui operati furono ciò che dovevano essere?

Sì; perché per il modo con cui li operava, e col dimostrare la sua onnipotenza rispetto alle creature spirituali, rispetto ai corpi celesti, rispetto alle miserie umane, rispetto alle stesse

creature inanimate, provò a perfezione chi Egli era, dando agli uomini il mezzo infallibile di conoscerlo (XLIII, XLIV).

1533. Fra questi miracoli, ve ne è uno di importanza tutta speciale per il suo carattere  e per le circostanze in cui fu operato?

Si: è quello della Trasfigurazione (XLV)

1534. Che cosa ha avuto di particolarmente notevole il miracolo della Trasfigurazione?

Ha avuto questo, che dopo avere annunziato ai suoi discepoli il mistero della sua Passione e della sua morte ignominiosa sulla Croce, dicendo loro la necessita che tutti i suoi lo seguano nella via del dolore, Gesù Cristo volle nella propria Persona manifestare ai tre privilegiati il termine glorioso dove questa via deve condurre tutti coloro che avranno il coraggio di camminarvi. E siccome tale insegnamento è il punto culminante dell’insegnamento di Gesù Cristo, la sua autorità eccezionale ed unica fra tutti i maestri doveva essere proclamata in questa circostanza particolarmente solenne, da una parte per il fatto che la legge personificata in Mosè ed i profeti personificati in Elia venivano a rendergli omaggio e ad oscurarsi dinanzi a Lui, e dall’altra per la voce del Padre stesso che lo dichiarava Suo Figliuolo diletto, Colui che bisognava ascoltare (XLV, 1-8).

1335. Perché la voce del Padre che proclamava la divina Filiazione di Gesù Cristo, si è fatta udire nel battesimo e nella Trasfigurazione di Gesù?

Perché questa divina Filiazione di Gesù Cristo è il modello cui deve conformarsi la nostra filiazione adottiva, che comincia con la grazia del battesimo per terminare nella gloria della Patria (XLV, 4 ad 2).

1536. Mosè ed Elia, comparendo nella gloria, non si intrattennero con Gesù sul Tabor precisamente sul grande mistero della Passione e della Morte di Gesù Cristo stesso?

Sì; ed è perciò che S. Luca chiama con una parola tanto bene scelta, « la partenza di Gesù » che doveva compiere in Gerusalemme (XLV, 3).

Capo XX.

La partensza di Gesù Cristo da questo mondo. – La sua Passione e la sua Morte. – La sua sepoltura.

1537. Che cosa comprende questa partenza di Gesù da questo mondo, che Egli doveva compiere in Gerusalemme?

Comprende quattro cose: la passione, la morte, la sepoltura e la discesa all’inferno (XLVI – LII).

1538. Perché Gesù Cristo ha voluto soffrire tutto ciò che ha sofferto nel corso della sua Passione fino alla morte sulla croce?

Gesù Cristo ha voluto soffrire tutte questo, prima per obbedire al Padre che aveva così determinato nei Suoi eterni decreti; ed inoltre perché pienamente consapevole di questi divini consigli sapeva che la sua Passione doveva essere il capo d’opera della sapienza e dell’amore di Dio, operando con questo mezzo la salute del mondo, in modo da confondere il suo mortale nemico, il demonio, e da dare agli uomini la suprema testimonianza del suo amore (XLVI, 1).

1539. Ciò che Gesù Cristo ha sofferto nel corso della sua Passione, supera tutto quanto sarà mai possibile trovare come colmo di sofferenza?

Sì; perché da una parte la sensibilità di Gesù Cristo era la più perfetta che si sia mai data, soggetta ad un insieme di cause di sofferenza di cui non si troverà mai l’uguale, senza che dall’alto della sua anima che godeva della perfetta visione beatifica scendesse alcun raggio di consolazione per raddolcire le pene della sua parte sensibile. Del resto, Gesù Cristo, portando in Sè la responsabilità di tutti i peccati del mondo che veniva a cancellare con la sua Passione, ha voluto prendersi una Somma tale di sofferenza che fosse proporzionata a questo fine (XLVI 5, 6).

1540. In qual modo la Passione di Gesù Cristo ha operato la mostra salute?

La Passione di Gesù Cristo considerata in rapporto di azione con la divinità, ed in quanto ne era lo strumento, ha operato la nostra salute per modo di “causa efficiente” compiendo essa stessa questa opera di salute. Considerata come accettata dalla sua volontà umana, ha operato la nostra salute per modo di “merito”. Considerata sotto il suo proprio aspetto di Passione e di sofferenza nella carne di Gesù Cristo, ossia nella sua parte sensibile, essa ha operato la nostra salute, per modo. Di “soddisfazione” , in quanto ci ha liberato dalla pena meritata dai nostri peccati; per modo di “redenzione” o di riscatto, in quanto ci ha liberato dalla schiavitù del peccato e del demonio; per modo di “sacrifizio”, in quanto per mezzo di essa ritorniamo in grazia di Dio e riconciliati eon Lui (XLVIII, 1-4).

1541. Si deve dire che ê proprio di Gesù Cristo essere Redentore del genere umano?

Si; perché il prezzo di questa Redenzione o di questo riscatto non è altro che il Sangue e la vita di Gesù Cristo, che Egli stesso ha offerto a Dio Padre ed a tutta la Trinità augusta, perché fosse rotta la catena che ci legava al peccato ed al demonio. Tuttavia, siccome la umanità del Salvatore doveva ripetere il Sangue e la vita dalla Trinità augusta, ed il moto con cui il Figliuolo di Dio Incarnato si portava, nella Sua umanità, ad offrire il prezzo della nostra redenzione, veniva in questa umanità come da prima origine dalla divinità, causa prima di ogni bene, ne segue che l’opera della Redenzione si attribuisce principalmente alla Trinità intera, come a prima Causa. benché come Causa immediata sia propria del Figliuolo di Dio fatto uomo (XLVIII 5).

1542. La Passione di Gesù Cristo ci ha liberato ad un titolo speciale dalla schiavitù del demonio, strappandoci alla sua potenza?

Sì; perché essa ha distrutto il peccato per il quale l’uomo, cedendo alla suggestione del demonio, aveva meritato di cadere sotto il suo dominio; ci ha riconciliato con Die che noi avevamo offeso e la giustizia del quale aveva abbandonato l’uomo al potere del demonio: finalmente essa ha indebolito il potere tirannico del demonio, permettendogli di abbandonarsi sul Figliuolo di Dio all’abuso di potere che ha commesso, facendolo mandare alla morte mentre era innocente (XLIX, 1-4).

1848. Si deve dire che effetto specialissimo della Passione di Gesù Cristo sia stato quello di aprirei le porte del cielo?

Sì; perché ciò che chiudeva a tutto il genere umano le porte del cielo era il duplice ostacolo dei peccati personali di ciascun individuo, e del peccato di natura comune a tutti gli uomini, in forza della loro origine da Adamo peccatore. Ora questo duplice ostacolo ê stato interamente tolto mediante 1a Passione di Gesù Cristo (XLIX, 5).

1544. Era necessario che nella sua Passione Gesù Cristo arrivasse sino a morire come ha fatto?

Si; niente era maggiormente in armonia con la sapienza dei divini consigli e del suo amore. Perché in tal modo eravamo noi stessi liberati dalla morte spirituale del peccato e dalla morte a noi inflitta come pena del peccato. Infatti morendo per noi, Gesù Cristo ha vinto la morte nella sua Persona e ci ha valso di poterne trionfare noi stessi, sia non temendola più, sapendo che non moriamo per sempre, sia assicurando la nostra vittoria su di essa per mezzo della nostra incorporazione nella morte sua (L, 1).

1545. Ma perché Gesù Cristo ha voluto essere sepolto dopo la sua morte?

Primieramente per ben dimostrare che Egli era realmente morto, perché nessuno è messo nella tomba se non quando la sua morte è stata debitamente constatata. In secondo luogo per assicurarci, mediante la Sua resurrezione dalla tomba, che tutti i morti risusciteranno un giorno ed usciranno dai loro sepolcri. In terzo luogo per insegnarci che morendo al peccato, noi dovevamo uscire di mezzo alla vita di peccato, per non vivere in avvenire che insieme con Lui nascosti in Dio (LI, 1).

Capo XXI.

La discesa all’Inferno.

1546. Perché Gesù Cristo volle scendere all’Inferno?

Per liberare noi dall’obbligo di scendervi: per trionfarvi del demonio, liberando coloro che vi stavano detenuti; per mostrare la sua potenza fino all’Inferno, visitandolo e spandendovi la sua luce (LII, 1).

1547. Ma quale è questo Inferno dove Gesù Cristo è disceso dopo la Sua morte?

Gesù Cristo dopo la sua morte ê disceso a quella parte del Inferno che era la dimora dei giusti che non avevano più alcuna pena da scontare per i loro peccati, ma erano ritenuti soltanto per il debito comune del peccato originale, ivi soltanto si recò per mostrarsi e per dare ai santi Patriarchi la gioia della sua presenza; ma di li fece sentire gli effetti della sua discesa anche all’Inferno dei dannati, confondendoli per la loro incredulità e per 1a loro malizia; e specialmente al Purgatorio consolando le anime che vi erano trattenute, con la speranza di essere ammesse nella gloria subito dopo la espiazione (LII, 2).

1548. Gesù Cristo rimase gualche tempo nell’Inferno dove era disceso?

Vi rimase tutto il tempo che il suo corpo rimase nella tomba (LII, 4).

1549. Gesù Cristo risalendo dall’Inferno, ha ricondotto seco le anime dei giusti?

Sì: perché fin dal suo arrivo in mezzo ad esse comunicò loro immediatamente la visione beatifica del cielo, di cui continuarono a godere con Lui per tutto il tempo che passò con loro. E quando la sua anima uscì dall’inferno per riunirsi al corpo nel momento della Resurrezione, fece uscire dall’Inferno tutte le anime dei giusti che non dovevano più separarsi da Lui (LII, 5).

LA SUMMA PER TUTTI (19)