TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (31): “Da INNOCENZO XIII a PIO VI -I -“

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (31)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar.

(da INNOCENZO XIII a PIO VI – I. –)

INNOCENZO XIII: 8 maggio 1721-7 marzo 1724.

BENEDETTO XIII: 29 maggio 1724-21 marzo 1724 febbraio 1730.

CLEMENTE XII: 12 luglio 1730-6 febbraio 1740.

Bolla “Apostolicae providentiae officio“, 2 ottobre 1733.

Libertà di insegnamento sull’efficacia della grazia.

2509. Par. 1… Poiché, tuttavia, conosciamo esattamente l’intenzione dei nostri predecessori (Clemente XI e Benedetto XIII), non vogliamo che, a causa delle lodi che Noi o loro abbiamo dato alla scuola tomistica, e che Noi confermiamo e rinnoviamo con i nostri ripetuti giudizi, le altre scuole cattoliche che, per spiegare l’efficacia della grazia divina, ne sostengano una concezione diversa, ed i cui meriti sono ugualmente eminenti nei confronti di questa Santa Sede, siano in qualche modo impedite di continuare a sostenere su questo argomento le concezioni che hanno finora sostenuto, insegnate e difese pubblicamente e liberamente ovunque, anche in pieno giorno in questa venerabile Città.

2510. Par. 2. Pertanto … Proibiamo, sotto pena di incorrere nelle stesse sanzioni, che qualcuno osi infliggere censure o censure teologiche, per iscritto, nell’insegnamento, nelle dispute o in qualsiasi altra occasione, a quelle scuole che hanno una posizione diversa, o attaccarle con rimproveri o invettive, fino a quando questa Santa Sede non riterrà necessario definire o pronunciarsi sull’argomento di queste controversie.

Lettera apostolica “In eminenti apostolatus specula“, 28 aprile 1738.

Franco-Massoni.

2511. Par. 1 … Abbiamo appreso che certe società, associazioni, riunioni, assemblee, unioni o conventicole comunemente chiamate “liberi muratori” o “franco-massoni” o designate con altro nome secondo la diversità delle lingue, avanzano dappertutto e si rafforzano di giorno in giorno. Uomini di qualsiasi religione o setta, che si accontentano di un’apparenza di onestà naturale, si uniscono a loro con un patto stretto e impenetrabile, secondo leggi e statuti da loro stabiliti; e allo stesso tempo sono tenuti, sia con un rigoroso giuramento giurato sulla Sacra Bibbia, sia con l’accumulo di severe sanzioni, a nascondere con un silenzio inviolabile ciò che fanno in segreto. Ma poiché è nella natura del crimine rivelarsi e produrre un clamore che lo tradisce, le suddette società o conventicole hanno suscitato nell’animo dei fedeli un sospetto così grande che per coloro che sono prudenti e onesti, unirsi a queste unioni è assolutamente la stessa cosa che contrarre la macchia della nefandezza e dell’infamia, perché se non agissero male, non avrebbero un tale odio per la luce. Questa voce si è ormai diffusa a tal punto che in molte regioni le suddette società sono state proscritte dalle potenze secolari come una minaccia per la sicurezza del regno, e che da tempo sono state soppresse con lungimiranza.

2512. Par. 2. Pertanto, considerando in cuor nostro il gravissimo danno che il più delle volte viene arrecato da tali società o conventicole, non solo alla tranquillità della società civile, ma anche alla salvezza spirituale delle anime, e che per questo motivo non si accordano in alcun modo né con le leggi civili né con quelle canoniche, e poiché ci viene insegnato dalla Parola divina … che bisogna fare attenzione affinché uomini di questo tipo non entrino nelle case come ladri, … affinché infatti non distorcano i cuori dei semplici per ostacolare l’amplissima via che in tal modo si potrebbe aprire, permettendo di commettere impunemente delle iniquità, e per altri giusti e ragionevoli motivi a Noi noti, su consiglio di alcuni … Cardinali e anche d’ufficio, decidiamo con la pienezza del Potere Apostolico che queste stesse società o conventicole che portano il nome di “liberi muratori” o “franco-massoni”, o qualsiasi altro nome, … sono da condannare e proibire…

2513. Par. 4 (Gli Ordinari locali e gli inquisitori sono pregati) di punire (i trasgressori) con pene appropriate in quanto fortemente sospettati di eresia.

BENEDETTO XIV: 17 agosto 1740-3 maggio 1758.

Dichiarazione “Matrimonia quae in locis“, 4 novembre 1741.

Matrimoni clandestini.

2515. La questione della validità o meno dei matrimoni celebrati abitualmente nelle regioni soggette all’autorità degli Stati federati del Belgio, sia tra eretici da una parte che dall’altra, o tra un uomo eretico da una parte ed una donna cattolica dall’altra, o viceversa, non osservando la forma prescritta dal Santo Concilio di Trento (decreto Tametsi, cf. 1813-1816) è stato dibattuto a lungo e più volte, e le convinzioni ed i giudizi degli uomini sono stati totalmente diversi su questo argomento. Per molti anni ciò ha provocato una messe sovrabbondante di timori e di pericoli. ..

2516. (1). Nostro Signore Santissimo… ha recentemente richiesto la stesura di questa dichiarazione e istruzione, che tutti i Vescovi del Belgio, i parroci ed i missionari di queste regioni, così come i vicari apostolici, dovranno d’ora in poi utilizzare in queste materie come regola e norma sicura.

2517. (2) Vale a dire, in primo luogo, per quanto riguarda i matrimoni celebrati dagli eretici tra di loro nelle regioni soggette all’autorità degli Stati Federati del Belgio, senza osservare la forma prescritta dal Concilio di Trento: anche se Sua Santità non ignora che, d’altra parte, in alcuni casi particolari e dopo un attento esame delle circostanze presentate in ciascun caso, la Sacra Congregazione del Concilio si sia pronunciata a favore della loro invalidità, e sapendo altrettanto bene che finora nulla di generale e universale riguardo a questi matrimoni sia stato stabilito dalla Sede Apostolica, e che, d’altra parte, per la preoccupazione dei fedeli che vivono in queste regioni e per prevenire molti danni molto gravi, sia assolutamente importante dichiarare ciò che si debba pensare in generale su questi matrimoni: Ha dichiarato e stabilito che i matrimoni finora celebrati tra eretici nelle suddette province federate del Belgio e quelli che saranno d’ora in poi celebrati, anche se non sia stata osservata la forma prescritta dal Concilio di Trento, sono da considerarsi validi, purché non vi siano altri impedimenti canonici, e ciò in modo tale che se i due sposi dovessero tornare nel seno della Chiesa, essi siano assolutamente legati dallo stesso vincolo coniugale di prima, anche se il loro reciproco consenso non venga rinnovato davanti ad un parroco cattolico; ma se uno solo dei coniugi – uomo o donna – si converte, nessuno dei due può contrarre un altro matrimonio finché l’altro sia ancora in vita.

2518. Ma per quanto riguarda i matrimoni, conclusi anche in queste province federate del Belgio nella forma prescritta dal Concilio di Trento, tra Cattolici ed eretici, sia che un uomo cattolico sposi una donna eretica, sia che una donna cattolica sposi un uomo eretico, Sua Santità prova innanzitutto un grande dolore per il fatto che ci siano alcuni tra i Cattolici che, vergognosamente sedotti da uno sciocco amore, non siano pieni di orrore nei loro cuori per questi detestabili matrimoni che la Santa Madre Chiesa ha sempre condannato e proibito, e che non pensino di doversene astenere completamente; . . perciò esorta vivamente e gravemente (i pastori) delle anime, e li avverte di dissuadere per quanto possibile i Cattolici di entrambi i sessi dal contrarre tali matrimoni a rischio della loro anima, e di sforzarsi di ostacolare tali matrimoni in ogni modo appropriato, e di prevenirli efficacemente. Ma se un matrimonio di questo tipo, senza l’osservanza della forma di Trento, sia già stato contratto in queste parti, o se (Dio non voglia) dovesse essere contratto in futuro, Sua Santità dichiara che tale matrimonio, finché non vi sia alcun impedimento canonico, debba essere considerato valido, e che nessuno dei due sposi, finché l’altro sia ancora in vita, possa in alcun modo contrarre un nuovo matrimonio, anche con il pretesto di un matrimonio di convenienza. Ma il coniuge cattolico, sia l’uomo che la donna, deve avere a cuore soprattutto di fare penitenza per la gravissima colpa commessa, di chiedere perdono a Dio e di cercare con tutte le sue forze di riportare nel seno della Chiesa Cattolica l’altro coniuge che si sta allontanando dalla vera fede e di conquistare la sua anima – che sarà anche di grande vantaggio per il perdono del torto commesso – sapendo, inoltre, come si è detto, che sarà legato per sempre dal vincolo di questo matrimonio.

2519. (4) (Questo vale) … anche per i matrimoni contratti al di fuori delle frontiere dei territori in cui l’autorità degli stessi Stati Federati è esercitata da coloro che appartengano agli eserciti o alle truppe militari, e che siano abitualmente inviati al di là di tali frontiere dagli stessi Stati Federati per difendere e proteggere le opere di frontiera, chiamate di Barriera; e ciò nel senso che i matrimoni ivi contratti sotto la forma di Trento – sia tra eretici da una parte e dall’altra, sia tra Cattolici ed eretici – restino validi finché uno degli sposi appartiene a queste truppe o eserciti. …

2520. (5) Infine, per quanto riguarda i matrimoni contratti sia nei territori dei principi cattolici, da persone che abbiano il loro domicilio nelle Province Federate, o nelle Province Federate da persone che abbiano il loro domicilio nei territori dei principi cattolici, Sua Santità ha ritenuto di non dover decidere o dichiarare nulla di nuovo; desidera, infatti, che se sorgesse una divergenza di opinioni su questo argomento, si decida secondo i principi canonici del diritto comune e le decisioni emesse in casi analoghi dalla Sacra Congregazione del Concilio, ed ha dichiarato, deciso e prescritto che in futuro ciò sia osservato da tutti.

Il Sacramento della Confermazione.

2522. Par. 3 (N. 1). I Vescovi devono confermare incondizionatamente i neonati e gli altri battezzati nelle loro diocesi e che sono stati segnati sulla fronte con il crisma da Sacerdoti greci; infatti, né dai nostri predecessori né da Noi è stato dato o viene dato il permesso ai Sacerdoti greci in Italia e nelle isole circostanti di conferire il Sacramento della Confermazione ai neonati battezzati. E, anzi, a partire dall’anno 1595 il nostro predecessore di felice memoria Clemente VIII proibì espressamente ai Sacerdoti greci di segnare i battezzati con il crisma (cf. 1990).

2523. (N. 4) Sebbene coloro che siano stati cresimati da un semplice Sacerdote non siano costretti a ricevere il Sacramento della confermazione da un Vescovo se tale costrizione causerebbe scandalo, poiché il Sacramento della confermazione non è di tale necessità che non ci si possa salvare senza di esso, tuttavia essi devono essere avvertiti dagli Ordinari locali che sono in stato di peccato grave se, potendo ricevere la confermazione, la rifiutano o la trascurano.

Estrema Unzione.

2524. 5 (N. 2) L’Estrema Unzione … sarà impartita agli ammalati. (N. 3) Non importa che questa Estrema Unzione sia eseguita da uno o più Sacerdoti, quando esiste tale consuetudine, purché si creda e si affermi che, se sono stati usati la. materia e la forma richieste, questo Sacramento è eseguito validamente e lecitamente da un solo Sacerdote. (N. 4). Lo stesso Sacerdote deve applicare ogni volta la materia e pronunciare la forma; quindi colui che conferisce l’unzione deve essere lo stesso che pronuncia la forma corrispondente, e non deve essere che uno conferisca l’unzione e l’altro pronunci la forma.

Costituzione “Nuper ad Nos“, 16 marzo 1743.

La professione di fede prescritta per gli Orientali.

2525. Io, N., credo con fede ferma e professo tutti e ciascuno degli articoli contenuti nel simbolo di fede usato da Santa Romana Chiesa, e cioè: Credo in un solo Dio… (Simbolo di Costantinopoli, cf. 150 o 1862).

2526. Inoltre venero e riconosco i Concili universali seguenti, cioè il primo di Nicea 125-129, e professo ciò che è stato definito lì contro Ario di infausta memoria, cioè che il Signore Gesù Cristo sia il Figlio di Dio, nato dal Padre unigenito, cioè nato dalla sostanza del Padre, non creato, consustanziale al Padre, e che queste empie asserzioni siano state giustamente condannate in quello stesso Concilio, cioè: “c’era un tempo in cui non era”, o “è stato fatto da ciò che non era, o da un’altra sostanza o essenza”, o “il Figlio di Dio è suscettibile di cambiamento o alterazione”.

2527. Il primo di Costantinopoli (cf. 150-151), il secondo nell’ordine, e professo ciò che sia stato definito lì contro Macedonio di infausta memoria, cioè che lo Spirito Santo non è schiavo ma Signore, non è creatura ma Dio, e che ha un’unica divinità con il Padre e il Figlio.

2528. Il primo di Efeso (cf. 250-268), terzo nell’ordine, e professo ciò che è stato definito lì contro Nestorio di lugubre memoria, cioè che la divinità e l’umanità, nell’unione inesprimibile e incomprensibile dell’unica Persona del Figlio di Dio, hanno formato per noi l’unico Gesù Cristo, e che per questo la beatissima Vergine è veramente Madre di Dio.

2529. Quello di Calcedonia (cf. 300-305), il quarto in ordine di tempo, e professo ciò che sia stato definito lì contro Eutiche e Dioscoro, entrambi di infausta memoria, cioè che un solo e medesimo Figlio di Dio, il nostro Signore Gesù Cristo, sia perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità, vero Dio e vero uomo, di anima e corpo ragionevoli, consustanziale al Padre nella divinità, consustanziale a noi nell’umanità, in tutto simile a noi tranne che nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli nella divinità, e negli ultimi giorni generato per noi e per la nostra salvezza dalla Vergine Maria, Madre di Dio, nell’umanità; un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, unigenito, che deve essere riconosciuto in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione, non essendo le differenze in alcun modo eliminate a causa dell’unione, essendo piuttosto le proprietà dell’una e dell’altra natura salvaguardate e contribuendo ad un’unica Persona e ad un’unica ipostasi, non essendo divise o scisse in due persone, ma un solo e medesimo Figlio, unigenito, Dio Verbo, il Signore Gesù Cristo; allo stesso modo, che la divinità dello stesso Gesù Cristo nostro Signore, secondo la quale è consustanziale al Padre e allo Spirito Santo, è impassibile e immortale, ma che lo stesso è stato crocifisso ed è morto solo secondo la carne, come è stato definito in questo stesso Concilio e nella lettera del santo Pontefice Romano Leone (v. 290-295), per bocca del quale ha parlato Pietro, come hanno gridato i padri di questo stesso Concilio; con questa definizione viene condannata l’empia eresia di coloro che nel Trishagion trasmesso dagli Angeli e cantato nel suddetto Concilio di Calcedonia: “Dio santo, santo forte, santo immortale, abbi pietà di noi” (cfr. Esd VI,3 ) aggiungevano: “tu che sei stato crocifisso per noi”, e affermavano così che la natura divina sia passibile e mortale.

2530. Il secondo di Costantinopoli (cf. 421-438), il quinto in ordine di tempo, in cui si rinnova la definizione del già citato Concilio di Calcedonia.

2531. Il terzo di Costantinopoli (cf. 550-559), il sesto in ordine di tempo, in cui professo ciò che sia stato definito lì contro i monoteliti, cioè che nell’unico e medesimo Gesù Cristo, nostro Signore, ci siano due volontà naturali e due attività naturali, senza divisione, senza cambiamento, senza separazione, senza confusione, e che la sua volontà umana non sia opposta ma soggetta alla sua volontà divina ed onnipotente.

2532. Il secondo di Nicea (cf. 600-609), il settimo nell’ordine, e professo ciò che sia stato definito lì contro gli iconoclasti, cioè che si debbano avere immagini di Cristo e della Vergine, Madre di Dio, così come degli altri Santi, e che si debba essere attaccati ad esse ed accordare loro l’onore e la venerazione dovuti.

2533. Il quarto di Costantinopoli (cf. 650-664), l’ottavo in ordine, e professo che Fozio sia stato giustamente condannato e sant’Ignazio restaurato come Patriarca.

2534. Inoltre venero e riconosco tutti gli altri Concili universali legittimamente celebrati sotto l’autorità dei Romani Pontefici e da essi confermati, in particolare il Concilio di Firenze del 1300-1353, e professo ciò che sia stato ivi definito….

(Quanto segue è tratto direttamente, o in forma di estratti, dal decreto di unione per i Greci e dal decreto per gli Armeni del Concilio di Firenze).

2535. Allo stesso modo venero e riconosco il Concilio di Trento (cf. 1500-1835), e professo ciò che sia stato definito e dichiarato in esso, in particolare che nella Messa è presentato a Dio il vero, puro e propiziatorio Sacrificio per i vivi e per i morti, e che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia, secondo la fede che è sempre esistita nella Chiesa di Dio, siano contenuti in modo vero, reale e sostanziale, il corpo ed il sangue, insieme all’anima ed alla divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e quindi il Cristo intero; e che in essa avvenga il cambiamento dell’intera sostanza del pane in Corpo e dell’intera sostanza del vino in Sangue, che la Chiesa Cattolica chiama giustamente transustanziazione, e che in ciascuna delle due specie, e dopo la loro separazione in ciascuna delle diverse parti di ciascuna delle specie, Cristo è contenuto nella sua interezza.

2536. Allo stesso modo, che i sette Sacramenti della Nuova Legge siano stati istituiti da Cristo nostro Signore per la salvezza del genere umano, anche se non tutti siano necessari per ciascuno, cioè Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordini sacri e Matrimonio; e che essi conferiscano la grazia e che tra di essi il Battesimo, la Cresima e gli Ordini sacri non possano essere ripetuti (senza sacrilegio). Allo stesso modo, che il Battesimo sia necessario per la salvezza e che quindi, se c’è pericolo di morte, debba essere conferito senza indugio, e che chiunque lo conferisca e in qualsiasi momento, è valido se sia stato conferito con la materia, la forma e l’intenzione richieste. Allo stesso modo, il vincolo del Sacramento del Matrimonio è indissolubile, e anche se può esserci separazione del corpo e della comunità di vita tra gli sposi per motivi di adulterio, eresia o altro, ciò non significa che sia loro permesso contrarre un altro matrimonio.

2537. Allo stesso modo, le tradizioni apostoliche ed ecclesiastiche devono essere riconosciute e venerate. E che Cristo ha dato alla Chiesa il potere delle indulgenze e che il loro uso è molto salutare per il popolo cristiano.

2538. Allo stesso modo riconosco e professo ciò che è stato definito dal suddetto Concilio di Trento in materia di peccato originale, di giustificazione, di elenco e di interpretazione dei libri sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

2539. (A richiesta di Leone XIII si aggiunge qui, con decreto della Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede del 16 luglio 1878:) Allo stesso modo, venero e riconosco il Concilio Ecumenico Vaticano, e accolgo e professo con la massima fermezza tutti e ciascuno degli articoli che sono stati trasmessi, definiti e dichiarati da esso, specialmente per quanto riguarda il primato del Romano Pontefice ed il suo Magistero infallibile).

2540. Allo stesso modo, riconosco e professo tutti gli altri articoli ricevuti e professati dalla santa Chiesa romana, e allo stesso tempo tutto ciò che si opponga ad essi, gli scismi e le eresie che sono stati condannati, respinti e anatematizzati da questa stessa Chiesa, anch’io li condanno, li respingo e li anatematizzo. Inoltre, prometto e giuro vera obbedienza al Romano Pontefice, successore del Beato Pietro, Principe degli Apostoli e Vicario di Gesù Cristo.

Breve “Suprema omnium Ecclesiarum“, 7 luglio 1745

Il nome del complice non deve essere richiesto.

2543. (1) Poco tempo fa … è giunta alle nostre orecchie la notizia che alcuni confessori di questa regione, che si sono lasciati trasportare da una falsa idea di cosa sia lo zelo, ma che vagano lontano dallo zelo illuminato dalla conoscenza (cfr. Rm 10,2 ), hanno iniziato a istituire e introdurre una pratica distorta e perniciosa nell’ascoltare le confessioni dei fedeli di Cristo e nell’amministrare il salutarissimo sacramento della penitenza: e cioè che quando si trovano occasionalmente in presenza di penitenti che hanno avuto un compagno o un complice nel loro crimine, sono soliti chiedere a questi penitenti il nome di questo compagno o complice, e che non è con la persuasione che non solo cercano di persuaderli a rivelarglielo, ma che, cosa ancora più abominevole, li spingono e li costringono minacciandoli di rifiutare l’assoluzione sacramentale se non lo rivelano; molto di più, pretendono addirittura che venga dato loro non solo il nome del complice, ma anche il luogo in cui vive; … Questa intollerabile imprudenza, non esitano ad abbellirla con lo specioso pretesto di dover correggere il complice e procurargli altri beni, e a giustificarla anche con un certo numero di pareri contraddittori di medici, mentre in realtà, sostenendo questi pareri falsi ed erronei, o applicandole male quando sono vere e valide, essi mettono in pericolo la propria anima e quella dei penitenti, e inoltre si rendono colpevoli di un grave danno davanti a Dio, Giudice eterno, di cui avrebbero dovuto prevedere la facile conseguenza.

2544 … (3) (Censura) Per non dare l’impressione di sottrarci al nostro ministero apostolico di fronte ad un così grande pericolo per le anime, e per non permettere che il nostro pensiero sull’argomento vi risulti oscuro o ambiguo, desideriamo che sappiate che la suddetta pratica è assolutamente da riprovare, e che con il presente documento, in forma di Breve, essa è da Noi riprovata e condannata come scandalosa e perniciosa, come lesiva del buon nome del prossimo e del Sacramento stesso, come tendente alla violazione del santissimo sigillo del Sacramento e come allontanante i fedeli dall’uso così utile e necessario del sacramento della penitenza.

Enciclica “Vix pervenit” ai Vescovi d’Italia, 1 novembre 1745.

L’usura.

2546. (Par. 3) 1 (Il concetto di usura) Il peccato detto di usura, il cui luogo proprio è il contratto di prestito, consiste nel fatto che qualcuno vuole che in virtù del prestito stesso – che per sua natura richiede che venga restituito solo quanto sia stato ricevuto – venga restituito più di quanto sia stato ricevuto, e che quindi si affermi che in virtù del prestito stesso sia dovuto un guadagno che va oltre il capitale (prestato). Per questo motivo, qualsiasi guadagno che superi il capitale (prestato) è illegale e usurario.

2547. (2) Per essere scagionati da questa contaminazione, non sarà possibile appellarsi né al fatto che questo guadagno non sia eccessivo e sconsiderato ma modesto, che non sia grande ma piccolo, né al fatto che la persona a cui si chiede questo guadagno per il solo motivo del prestito non sia povera ma ricca, e che non lascerà la somma prestata inoperosa ma la utilizzerà nel modo più utile per accrescere la sua fortuna, acquistare nuove proprietà o intraprendere un commercio fruttuoso. Chiunque, una volta stabilita questa uguaglianza, non teme di esigere la restituzione del prestito, agisce contro la legge del prestito, che consiste necessariamente nell’uguaglianza tra ciò che viene dato e ciò che viene restituito. Per questo, se ha ricevuto (qualcosa), sarà tenuto a restituire in virtù dell’obbligo di quella giustizia che si chiama commutativa e che ha il compito di assicurare in modo intangibile l’uguaglianza di tutti nei contratti umani, e di ristabilirla rigorosamente quando non sia stata rispettata.

2548. 3 Ciò non significa negare che al contratto di mutuo possano essere occasionalmente allegate altre garanzie, come si dice, che non siano inerenti e intrinseche a ciò che è comunemente la natura del mutuo stesso, ma che danno luogo ad una ragione perfettamente giusta e legittima per richiedere regolarmente più del capitale dovuto sulla base del mutuo. Allo stesso modo, non si nega che una persona possa spesso investire e utilizzare regolarmente il proprio denaro attraverso altri contratti, distinti per natura dal contratto di prestito, sia per ottenere un reddito annuale sia per intraprendere un commercio o un’attività lecita e riceverne guadagni onorevoli.

2549. 4. È certo che, se in vari contratti di questa forza non sia assicurata l’uguaglianza di ciascuna delle parti, tutto ciò che si riceve oltre il giusto si configura, se non come usura (poiché ogni prestito, sia esso coperto o dissimulato, ne è privo), almeno come un’altra vera e propria ingiustizia, che implica anche l’obbligo di restituzione; Tuttavia, se tutto viene fatto in modo regolare e viene pesato sulla bilancia della giustizia, non c’è dubbio che i vari modi di procedere leciti in questi contratti siano sufficienti a garantire ed animare le relazioni commerciali tra gli uomini e gli stessi affari fruttuosi, in vista del profitto di tutti. I Cristiani si guardino dal pensare in cuor loro che l’usura o altre ingiustizie indebite di questo tipo permettano di far prosperare un commercio ricco di profitti, poiché al contrario apprendiamo dalla stessa Parola divina che “la giustizia esalta un popolo, ma il peccato lo rende infelice” (Pr XIV, 34) .

2550. (5) Tuttavia, bisogna considerare attentamente che sarebbe falso ed avventato pensare che si possano sempre trovare e avere a portata di mano o altri titoli legittimi contemporaneamente al prestito, o, indipendentemente dal prestito, altri contratti giusti, in modo che per mezzo di questi titoli e di questi contratti, ogni volta che si presti denaro, guadagno o qualsiasi altra cosa di questo tipo a qualcuno, sia sempre permesso anche di ricevere un moderato sovrapprezzo che vada oltre la totalità e l’integrità del capitale (prestato). Se qualcuno la pensa in questo modo, è indubbiamente in conflitto non solo con gli insegnamenti divini ed il giudizio della Chiesa Cattolica sull’usura, ma anche con il buon senso e la ragione naturale. Infatti, almeno questo non può sfuggire a nessuno: che in molte circostanze un uomo è obbligato ad aiutare un altro con un semplice e nudo prestito, come insegna lo stesso Cristo, il Signore: “Se qualcuno vuole chiederti un prestito, non sottrarti” (Mt V,42) e che, allo stesso modo, in molte circostanze non ci può essere altro contratto vero e giusto oltre al singolo prestito. – Se qualcuno, dunque, desidera una regola per la sua coscienza, deve prima esaminare se esista davvero un altro titolo contemporaneamente al prestito, o se esiste davvero un altro contratto giusto rispetto al contratto di prestito, in virtù del quale potrà cercare il guadagno essendo libero e senza macchia.

Istruzione “Postremo mense”, 28 febbraio 1747.

Battesimo dei bambini contro la volontà dei genitori.

2552. 4. Per quanto riguarda la prima parte del primo capitolo, ossia se i bambini ebrei possano essere battezzati contro la volontà dei genitori, chiariamo che ciò è già stato definito da San Tommaso in tre passi, ossia nella Quodl. II, a. 7; II-II 10,12 dove esamina nuovamente la questione posta nella Quodlibeta: “I figli degli ebrei e degli infedeli devono essere battezzati a dispetto dei loro genitori?” e dove risponde così: “Ciò che possiede la massima autorità è la prassi della Chiesa, alla quale ci si deve attenere gelosamente in ogni cosa, ecc. Ora la prassi della Chiesa non ha mai ammesso che i figli degli ebrei siano battezzati a dispetto dei loro genitori…”; e in III 68,10 così si esprime: “Rispondo: i figli degli infedeli… Sarebbe dunque contrario alla giustizia naturale battezzare questi bambini contro la volontà dei loro genitori, così come sarebbe contrario alla giustizia naturale battezzare un uomo che ha l’uso della ragione. Inoltre, sarebbe pericoloso…”.

2553. 5. Nel Commento alle Sentenze IV, dist. 4, q. 9, n. 2, e nelle questioni riferite al n. 2, Scoto ritiene che un principe possa ordinare lodevolmente di battezzare anche i figli piccoli di ebrei e infedeli, nonostante i loro genitori, purché si faccia attenzione che questi stessi figli non vengano uccisi dai loro genitori. La sentenza di Tommaso ha prevalso, tuttavia, nei tribunali… ed è più diffusa tra i teologi e i giuristi….

2554. 7. Stabilito questo, cioè che non è lecito battezzare i figli degli ebrei contro la volontà dei loro genitori, dobbiamo ora – secondo l’ordine stabilito all’inizio – passare subito alla seconda questione, cioè se ci possa mai essere un’occasione in cui ciò sia permesso e opportuno.

2555. 8 … Se allo stesso modo un cristiano dovesse trovare un bambino ebreo vicino alla morte, penso che farà certamente una cosa lodevole e gradita a Dio procurando a quel bambino la salvezza eterna attraverso l’acqua purificatrice. …

2556. 9. Allo stesso modo, se dovesse accadere che un bambino ebreo venga scacciato e abbandonato dai genitori, secondo il sentimento di tutti, confermato da diverse sentenze, dovrebbe essere battezzato, anche se i genitori protestano e lo richiedono. …

2557. 14. Dopo aver esposto questi casi ovvi in cui questa nostra regola proibisce il battesimo dei figli di ebrei contro la volontà dei genitori, aggiungiamo alcune ulteriori spiegazioni su questa regola, la prima delle quali è: se i genitori sono assenti, ma i bambini sono stati affidati alla tutela di un ebreo, non possono in alcun modo essere battezzati legittimamente senza il consenso del tutore, poiché tutta la potestà dei genitori è passata ai tutori. 15. La seconda è: se un padre si converte al cristianesimo e ordina che il nipote sia battezzato, il bambino deve essere battezzato anche contro la volontà della madre ebrea, poiché il bambino deve essere considerato come sotto la potestà non della madre ma del padre… 16. La terza è: anche se una madre non ha figli propri, ma arriva alla fede in Cristo e presenta il bambino per il battesimo, anche se il padre ebreo protesta, deve comunque essere purificato dall’acqua del battesimo. 17. La quarta è: se dunque si ritiene certo che la volontà dei genitori è necessaria per il Battesimo dei bambini, sotto il termine “genitori” si colloca anche il nonno paterno: … ne consegue necessariamente che se il nonno paterno abbraccia la fede cattolica e conduce il suo figlioletto alla fonte del santo Battesimo, anche se, essendo il padre già morto, e la madre ebrea si opponga, il bambino debba essere battezzato senza alcun dubbio. …

2558. 18. Non è un’invenzione che un giorno un padre ebreo dica di voler abbracciare la Religione Cattolica e chieda di essere battezzato lui stesso ed i suoi nipoti, ma poi si penta della sua decisione e si rifiuti di far battezzare il figlio. Questo è successo a Mantova. … Il caso fu sottoposto alla Congregazione del Sant’Uffizio e… il 24 settembre 1699 il Sommo Pontefice decise che “i due bambini, uno di tre e l’altro di cinque anni, devessero essere battezzati. Gli altri, un figlio di otto anni e una figlia di dodici, siano collocati nella casa dei catecumeni, se esiste a Mantova, altrimenti presso una persona pia ed onesta per conoscere la loro volontà e istruirli”. …

Battesimo di bambini portati con cattive intenzioni.

2559. 19. Ci sono anche alcuni miscredenti che hanno l’abitudine di presentare i loro figli ai Cristiani affinché siano purificati dalle acque salutari, ma non perché entrino al servizio di Cristo, né perché il peccato originale sia rimosso dalle loro anime; ma lo fanno spinti da un’indegna superstizione, poiché pensano che il beneficio del Battesimo li liberi dagli spiriti maligni, dal cattivo odore o dalle malattie.

2560. 21. Dopo che l’esame di questa questione fu affidato a teologi e giuristi, furono proposti e discussi diversi casi. Alcuni infedeli, che si erano convinti che con la grazia del Battesimo i loro figli sarebbero stati liberati dalle malattie e dalle vessazioni del demonio, furono spinti ad una tale follia da minacciare di morte i Sacerdoti che, conoscendo la loro perversa intenzione, si rifiutavano con la massima fermezza di battezzare i loro figli. (Alcuni) pensano che, per evitare la morte, il Battesimo possa essere conferito a tutti, purché si usi solo la materia e non la forma. Ma a questa opinione si oppose la Congregazione del Sant’Uffizio, riunitasi alla presenza del Sommo Pontefice il 5 settembre 1625.

2561. “La Sacra Congregazione dell’Inquisizione Generale che si è tenuta alla presenza del Sommo Pontefice, dopo aver letto lo scritto del Vescovo di Antivari in cui chiedeva di risolvere il seguente dubbio: Quando i Sacerdoti sono costretti dai turchi a battezzare i loro figli, non perché diventino Cristiani, ma per la salvezza del loro corpo, affinché siano liberati dal cattivo odore, dall’epilessia, dai pericoli dei malefici e dei lupi, possono in tal caso battezzarli almeno fittiziamente, usando la materia del Battesimo senza la forma richiesta? Risposta: negativa, perché il Battesimo è la porta dei Sacramenti e la manifestazione della fede, e non può in alcun modo essere finto.”

Il Battesimo di bambini piccoli presentati da qualcuno che non ha autorità.

2562. Si tratta di coloro che non vengono presentati al Battesimo né dai genitori né da altri che hanno un diritto su di loro, ma da qualcuno che non ha alcuna autorità. Si tratta invece di coloro i cui casi non rientrano nella disposizione che consente di conferire il Battesimo anche se manca il consenso degli ascendenti: in questo caso non devono essere battezzati, ma consegnati a chi ha legittimamente la potestà su di loro e ne ha la custodia. – Se hanno già ricevuto il Sacramento, devono essere trattenuti o sottratti ai genitori ebrei e affidati ai fedeli di Cristo perché siano da loro educati in modo pio e santo; perché questo è l’effetto di un Battesimo illecito, che tuttavia è vero e valido.

Lettera “Dum præterito” al Grande Inquisitore di Spagna, 31 luglio 1748.

Libertà di insegnamento in materia di aiuti della grazia.

2564. Lei sa che sulle famose questioni della predestinazione, della grazia e di come conciliare la libertà umana con l’onnipotenza di Dio ci siano molte scuole e molte opinioni. I tomisti sono diffamati come distruttori della libertà umana e come seguaci non solo di Giansenio ma anche di Calvino; ma poiché danno un’eccellente risposta alle obiezioni e poiché la loro concezione non sia mai stata riprovata dalla Sede Apostolica, i tomisti vi restano attaccati impunemente e, allo stato attuale delle cose, nessun superiore ecclesiastico si permette di allontanarli dalla loro concezione. Gli agostiniani sono diffamati come seguaci di Baio e Giansenio. Essi rispondono che sono i sostenitori della libertà umana e respingono le obiezioni con tutte le loro forze; e poiché finora la loro concezione non è stata condannata dalla Sede Apostolica, non c’è nessuno che non veda che nessuno possa pretendere che essi si allontanino dalla loro concezione. – I discepoli di Molina e Suarez sono messi alla gogna dai loro avversari come se fossero semipelagiani; i Pontefici Romani non hanno ancora pronunciato alcuna sentenza riguardo a questo sistema molinista, ed è per questo che continuano a sostenerlo e possono continuare a sostenerlo.

2565. In una parola, i Vescovi e gli inquisitori non devono considerare le note con cui i dottori che disputano tra loro si qualificano a vicenda, ma considerare se queste note con cui si qualificano a vicenda siano state disapprovate dalla Sede Apostolica. La Sede Apostolica è favorevole alla libertà delle scuole e finora non ha disapprovato nessuno dei modi in cui è stato proposto di conciliare la libertà umana con l’Onnipotenza divina. Quando se ne presenta l’occasione, Vescovi e inquisitori devono comportarsi allo stesso modo, anche se come privati sono più favorevoli ad una visione che ad un’altra. Noi stessi, anche se come dottore privato propendiamo per una certa opinione in materia teologica, non per questo riproduciamo l’opinione contraria come Sovrano Pontefice, né permettiamo che sia riprovata da altri.

Breve “Singulari nobis” al Cardinale Henry, duca di York, 9 febbraio 1749.

Incorporazione alla Chiesa mediante il Battesimo.

2566. Par. 12 … Quando un eretico battezza qualcuno usando la forma e la materia legittima, … quest’ultimo è segnato con il carattere del Sacramento.

2567. Paragrafo 13. Allora anche questo è stabilito: chi ha ricevuto il Battesimo da un eretico in modo regolare diventa membro della Chiesa Cattolica in virtù di esso; infatti l’errore privato di colui che battezza non può privarlo di questa felicità, purché conferisca il Sacramento nella fede della vera Chiesa e si conformi alla disciplina per quanto riguarda ciò che fa parte della validità del Battesimo. Ciò è notevolmente confermato da Suarez nella sua Fidei catholicæ defensio contra errores sectæ Anglicanæ, libro I, cap. 24, dove dimostra che il battezzato diventa membro della Chiesa, e aggiunge anche che se un eretico – come spesso accade – purifichi un bambino incapace di compiere un atto di fede con l’acqua lustrale, non c’è alcun impedimento a che il bambino riceva l’habitus della fede attraverso il Battesimo.

2568. Par. 14. Infine, riteniamo certo che coloro che siano stati battezzati da eretici, quando hanno raggiunto l’età in cui possono distinguere da soli tra il bene e il male, e aderiscono agli errori di colui che li ha battezzati, sono certamente respinti dall’unità della Chiesa e privati dei beni di cui godono coloro che hanno la loro dimora nella Chiesa, ma non sono tuttavia liberati dalla sua autorità e dalle sue leggi, come afferma saggiamente Gonzales in “Sicut“, n. 12, a proposito degli eretici.

2569. Par. 15. Infatti, per quanto riguarda i disertori e i traditori, vediamo che le leggi civili escludono totalmente i sudditi fedeli dai privilegi. Allo stesso modo, le leggi ecclesiastiche non concedono privilegi clericali ai chierici che non rispettino i comandamenti dei sacri Canoni. Ma nessuno ritiene che i traditori o i chierici che violano i Canoni non siano soggetti all’autorità dei loro principi o prelati.

2570. Par. 16. Se non ci sbagliamo, questi esempi hanno a che fare con una questione come questa: anche gli eretici sono soggetti alla Chiesa e vincolati dalle leggi ecclesiastiche.

Costituzione “Detestabilem“, 10 novembre 1752.

Errori sul duello.

2571. 1. Un soldato che, per il fatto di non offrire o accettare un duello, fosse considerato timoroso, timoroso, privo di coraggio e inadatto ai doveri che sono propri dei soldati, e che per questo motivo fosse privato dell’ufficio che serve al suo mantenimento e a quello della sua famiglia, o fosse privato per sempre della speranza di una promozione che altrimenti gli spetterebbe o che meriterebbe, non incorrerà in alcuna colpa né in alcuna pena se offre o accetta un duello.

2572. 2. Possono essere scusati anche coloro che accettano un duello per proteggere il proprio onore o per evitare il disprezzo umano, o che lo provocano quando sanno con certezza che non ci sarà un combattimento perché sarà impedito da altri.

2573. 3. Il capo o l’ufficiale dell’esercito che accetta un duello per il grave timore di perdere la propria reputazione o il proprio ufficio non è passibile delle sanzioni ecclesiastiche imposte dalla Chiesa contro i duellanti.

2574. 4. È lecito, nello stato naturale dell’uomo, accettare un duello o provocarlo per conservare, insieme all’onore, la propria fortuna, quando la loro perdita non ppssa essere evitata con altri mezzi.

2575. 5. La legalità che vale per lo stato naturale può valere anche per lo stato di una città male ordinata quando, per negligenza o cattiva volontà delle autorità, la giustizia vi è apertamente negata.

(Censura: condannato e proibito come) falso, scandaloso e pernicioso.

CLEMENTE XIII: 6 luglio 1758-2 febbraio 1769.

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Cochin (India), 1° agosto 1759.

Privilegio paolino.

2580. Spiegazione: Spesso accade che uno dei due non credenti si converta alla fede, ma l’altro, in quel momento, non voglia convertirsi, ma intenda comunque convivere con il fedele senza disprezzare il Creatore e senza indurlo al peccato mortale, e anzi prometta di abbracciare egli stesso la fede in un secondo momento, che ritiene necessario rimandare per motivi particolari. Per questo il credente non lascia il non credente, ma continuano a vivere insieme come coniugi, e questo per un certo tempo e anche per diversi anni, ma in seguito il non credente, avendo cambiato idea, non solo non vuole più la conversione, ma cerca di attirare il credente al culto degli idoli, oppure si separa e non accetta più di vivere con lui, e addirittura contrae un’altra unione.

2581. Domande: 1. In questo caso, il fedele che è stato abbandonato può anche separarsi e contrarre un’altra unione, e vale allora il privilegio promulgato dall’Apostolo: “Se l’infedele si separa, si separi” (1Co VII: 15)?

2582. 2. Si applica solo quando un miscredente si separa per odio verso la fede, o anche quando si separa per discordia o per altre cause che non hanno nulla a che fare con la fede?

2583. 3. Il fedele può contrarre un’altra unione anche quando il non credente si sia separato da lui per qualsiasi motivo e non sia possibile sapere se sia ancora in vita o meno?

2584. 4. Un fedele che, in virtù di una dispensa, abbia contratto un matrimonio valido con un non credente, può contrarre un’altra unione se il non credente si separa, o non vuole convivere, o lo incita al peccato mortale?

2585. 5. In generale, e per quanto tempo, un credente può convivere con un non credente dopo la conversione senza essere privato della possibilità di contrarre un’altra unione?

(Risposte🙂

Per 1. nel caso in questione, sì.

Per 2. Dato che il coniuge convertito è favorevole alla fede, può usarla per qualsiasi motivo purché sia giusto, cioè se non ha dato all’altro coniuge un motivo giusto e fondato per la separazione, ma nel senso che il vincolo matrimoniale con il non credente sarà considerato sciolto solo se il coniuge convertito (l’altro, dopo essere stato interpellato, abbia rifiutato di convertirsi) contrae un’altra unione con una persona fedele.

Per 3. deve precedere un’interpellanza con la quale si chiede al coniuge non credente se voglia convertirsi: interpellanza di cui la Sede Apostolica fa a meno per giuste cause.

Per 4. Se un fedele, dopo la dispensa, abbia contratto matrimonio con un non credente, si considera che l’abbia contratto ad una condizione esplicita: a condizione, cioè, che il non credente sia disposto a coabitare con il non credente.

Pertanto, se il non credente non rispetta questa condizione, bisogna ricorrere a mezzi legali per fargliela rispettare; altrimenti, i due devono essere separati per quanto riguarda il letto e la convivenza, ma non per quanto riguarda il vincolo; quindi, in questo caso, finché il coniuge non credente rimanga in vita, il credente non può contrarre un’altra unione.

Per 5. Al momento della conversione, una persona che si è convertita alla fede non si considera sciolta dal vincolo matrimoniale che ha contratto con un non credente ancora in vita; acquista solo così il diritto di contrarre un’altra unione, ma con un fedele credente, e questo se, dopo l’interpellanza, il coniuge non credente rifiuta di convertirsi. Per il resto, il vincolo matrimoniale si scioglie solo quando il coniuge convertito entra effettivamente in un’altra unione. Tuttavia, se prima di ricevere il Battesimo il coniuge convertito avesse avuto più mogli, e la prima rifiutasse di abbracciare la fede, può allora legittimamente mantenerne una non appena questa diventi credente; ma in questo caso i contraenti devono rinnovare il loro reciproco consenso davanti al parroco e ai testimoni.

CLEMENTE XIV: 19 maggio 1769-22 settembre 1774

Istruzione per il Sacerdote che conferisce il Sacramento della Cresima per mandato della Sede Apostolica, 4 maggio 1774.

Il semplice Sacerdote come ministro della confermazione.

2588. Sebbene secondo la definizione del Santo Concilio di Trento (VII Sessione, Cresima, Can. 3: – cf. 1630) solo il Vescovo sia il ministro ordinario di questo Sacramento, tuttavia la Sede Apostolica è solita talvolta, per giusti motivi, concedere ad un semplice Sacerdote la facoltà di conferirlo come ministro straordinario.

Il Sacerdote, quindi, a cui sia stata concessa questa facoltà, avrà cura soprattutto di disporre del crisma consacrato da un Vescovo cattolico in comunione con questa stessa Sede, e deve sapere che non gli è mai permesso di amministrare la Cresima senza di esso, né di riceverla da vescovi eretici o scismatici (cf. 215)

PIO VI: 15 febbraio 1775-29 agosto 1799.

Lettera “Exsequando nunc” ai Vescovi del Belgio, 13 luglio 1782.

Assistenza dei parroci ai matrimoni misti.

2590. Se dopo una monizione… intesa a dissuadere la parte cattolica da questo matrimonio misto, questa persiste tuttavia nel desiderio di contrarlo, e se si prevede che il matrimonio seguirà inevitabilmente, il parroco cattolico può concedere la sua presenza fisica, ma è tenuto ad osservare le seguenti precauzioni:

In primo luogo, che non assista a tale matrimonio in un luogo sacro, che non sia vestito con alcun abito che faccia pensare ad un rito sacro, che non pronunci preghiere ecclesiastiche sui contraenti e che non li benedica in alcun modo.

In secondo luogo, richiede alla parte eretica una dichiarazione scritta in cui, sotto giuramento ed alla presenza di due testimoni che devono anch’essi firmare, si impegna a permettere al partner il libero esercizio della Religione Cattolica e a educare in questa stessa Religione tutti i figli che nasceranno, senza differenza di sesso.

In terzo luogo, la parte cattolica farà anche una dichiarazione scritta, firmata da lui stesso e da due testimoni, in cui promette che non solo non apostaterà mai dalla sua Religione Cattolica, ma che educherà in essa tutti i figli che nasceranno, e che tenderà in modo efficace alla conversione dell’altra parte, alla Religione Cattolica.

Breve “Super soliditate Petræ“, 28 novembre 1786.

Errori del febronianesimo sul potere supremo del Papa.

2592. Questi (Eybel) non temeva di chiamare “fanatica” la truppa di cui prevedeva che avrebbe lanciato queste grida alla vista del Pontefice: Ecco l’uomo che ha ricevuto da Dio le chiavi del regno dei cieli, con il potere di legare e sciogliere, al quale nessun altro Vescovo possa essere paragonato, dal quale i Vescovi stessi ricevono la loro autorità, come egli stesso ha ricevuto da Dio il suo supremo potere; egli è il vicario di Gesù Cristo, il capo visibile della Chiesa, il giudice supremo dei fedeli.

2593. È dunque fanatica – una cosa orribile dire la parola stessa di Cristo che ha promesso a Pietro le chiavi del Regno dei Cieli, con il potere di legare e sciogliere (Mt XVI, 19…??). O dovremmo chiamare fanatici tanti decreti solenni, così spesso rinnovati dai Pontefici e dai Concili romani, con i quali sono stati condannati coloro che hanno negato che nel beato Pietro, principe degli Apostoli, il Pontefice Romano, suo successore, sia stato stabilito da Dio il capo visibile della Chiesa e Vicario di Gesù Cristo, che gli è stato dato il pieno potere di governare la Chiesa, e che tutti coloro che portano il nome di Cristiani gli devono vera obbedienza; e che tale sia la virtù del primato che detiene per diritto divino, che egli è al di sopra di tutti gli altri Vescovi non solo per il grado di onore, ma anche per l’estensione del suo potere supremo? Dobbiamo deplorare ancora di più la temerarietà affrettata e cieca di colui che … si è applicato a far rivivere (i seguenti errori)… e li ha insinuati con molte deviazioni”:

2594. Ogni Vescovo è chiamato da Dio al governo della Chiesa tanto quanto il Papa, e non ha ricevuto un potere minore: Cristo ha dato da sé a tutti gli Apostoli lo stesso potere; qualunque cosa alcuni credano possa essere ottenuta solo dal Pontefice e come da lui concessa, questa stessa cosa, sia che dipenda dalla consacrazione o dalla giurisdizione ecclesiastica, può essere ottenuta ugualmente da ogni Vescovo.

2595. Cristo ha voluto che la Chiesa fosse amministrata come una repubblica; è vero che il suo governo ha bisogno di un presidente per il bene dell’unità, ma un presidente che non debba permettersi di interferire negli affari degli altri che governano allo stesso tempo. La virtù del Primato consiste nella sola prerogativa di supplire alle negligenze altrui, e di poter con le sue esortazioni e il suo esempio conservare l’unità; i Pontefici non possono fare nulla in una diocesi straniera, se non in un caso straordinario.

2596. Il Pontefice è il capo che trae la sua forza e la sua fermezza dalla Chiesa.

2597. La prescrizione che, tra le immagini che devono essere scartate in modo generale ed indiscriminato, perché danno occasione di errore agli ignoranti, condanna le immagini della Trinità incomprensibile, (è), per il suo carattere generale, avventata e contraria agli usi ed alle consuetudini pie.

Lettera “Deessemus nobis” al Sescovo di Mottola, 16 settembre 1788.

La competenza della Chiesa in materia di Matrimonio.

2598. Non ignoriamo che alcuni, che attribuiscono ai principi secolari un’autorità maggiore di quella che spetti loro e che interpretano in modo capzioso i termini di questo Canone (Concilio di Trento, XXIV sessione, Matrimonio, Can. 12, – cf. 1812 ), si sono presi la briga di dire che la Chiesa sia competente in materia di matrimonio. 12, 1812 ); si sono permessi di sostenere che, poiché i Padri di Trento non hanno usato la formula “davanti ai soli giudici ecclesiastici” o “tutte le cause matrimoniali”, avrebbero lasciato ai giudici laici la facoltà di conoscere almeno le cause matrimoniali che siano puramente di fatto.

Ma sappiamo che questo ragionamento altrettanto falso e questo modo fuorviante di cavillare sono privi di qualsiasi fondamento. Infatti, i termini del Canone sono così generali che includono e comprendono tutte le cause. E lo spirito, o la ragione della legge è così evidente, che non c’è spazio per eccezioni o limitazioni. Infatti, se l’unica ragione per cui queste cause siano sotto il giudizio esclusivo della Chiesa è che il contratto di matrimonio sia veramente e propriamente uno dei sette Sacramenti della legge evangelica, poiché questa ragione sacramentale è comune a tutte le cause matrimoniali, anche queste cause devono essere sotto la giurisdizione esclusiva dei giudici ecclesiastici.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (32): “PIO VI (2)”

LO SCUDO DELLA FEDE (256)

LO SCUDO DELLA FEDE (256)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (25)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

PARTE III

IL RINGRAZIAMENTO

Il Mistero è compiuto; e il dogma di Dio vuole le nostre virtù. Udendo il sacerdote, che dice: « Ite, Missa est » su alziamo il pensiero nostro a Gesù, che pare, ci dica, come allora che saliva al cielo: « ecco ch’Io vado al Padre e porto al suo cospetto le Piaghe mie per voi. Oh! ma non vi abbandono, rimango qui con voi fino alla consumazione dei secoli. Confidate; Io vinco il mondo, vi accompagnerò in tutte le battaglie, come vi precedo in trionfo. Siete piccolo gregge; ma non temete, la mia Chiesa vincerà sempre. » Gesù poi mantiene per bene la sua parola. Diffatto disse: « Andate, sono con voi. » Erano pochi quei meschinelli e nel cenacolo appiattatisi; ma Gesù era con loro nel Sacramento, e pregava con loro Maria. Eccoli, riempiti di Spirito Santo ruppero i cancelli del cenacolo, colla parola del miracolo predicarono alto ai Giudei di adorare Gesù da loro crocifisso: e l’adorarono a mille a mille. — Andate — Buon Dio! si scatenava contro essi l’inferno, e gli onnipotenti imperatori al suo servizio, colla spada che vinse il mondo, tagliavano codardi! la gola a femminette e a bimbi; ma Gesù era con loro nei sotterranei delle catacombe:e quando già si innalzava un monumento al vile Diocleziano per aver spento (vantavano) la cristiana superstizione, calava giù dal trono del mondo in quegli antri il più grande degli imperatori, Costantino, in ginocchio, a farsi mettere sulla corona imperiale la croce di Gesù trionfante. — Andate — Fiaccata la spada dei vincitori contro gli inermi, gli assalgono al cuore gli assassini delle anime, che sono gli eretici: ma Gesù è colla sua Chiesa; e da Ario che vantava di averla fatta ariana, fino al razionalismo, che or ora la dava già spenta, essa passando sempre sulle ossa dei dispersi nemici sempre vincitrice, va sicura alla maggior vittoria sulla rivoluzione, che si va sgominando. — Andate — Ahi! se le serra ai fianchi il cesarismo sterminato esercito di legulei , servidorame nella fortuna dei re bastardi, che le si dicono figli; e incatenatala a furia di leggi, si danno a credere d’averla sepolta; ma Gesù è con essa che risorge e col suo Gregorio VII getta a terra in camicia Enrico IV, e getta a piedi umiliato il Barbarossa col suo Alessandro III; e col suo Pio IX, mentre popoli e re adorano avviliti la forza, mette in salvo col Sillabo la dignità della coscienza umana dalla schiavitù degli Statolatri. — Andate — Ancora, ancora da tutte le parti gli adoratori del dio Numero orgogliosi fino alla pazzia sì hanno dato il convegno per fabbricare una nuova Babele, la società senza Dio. Aspettate: non s’intendono più! già si scannano gli uni cogli altri, fanno la rivoluzione universale! Ma Gesù è col mondo cattolico giubilante con Pio IX, che rinnovellandosi il di undici aprile nel 1869, prepara con Gesù la Pentecoste nel Concilio già proclamato. Ah! quando vediamo il Sacerdote, detto l’Ite, Missa est, inchinarsi al Ciborio, serriamoci coi cuori palpitanti sul Cuore del nostro Compagno Divino in questo peregrinaggio della vita col nostro invitto Capitano nelle nostre battaglie, Gesù, che tratta in cielo col Padre i nostri interessi; e qui nel Sacramento con noi vive, con noi porta la croce, con noi compie il Sacrifizio della carità, che è la somma di tutte le virtù: poiché il Sacrificio di Dio vuole da noi la virtù.

Sacrificio di Dio vuole la nostra virtù: e la Religione passione, e la Religione virtù.

Ben qui ci è dato comprendere la causa del più grande fenomeno, che piglia sempre un maggiore sviluppo negli annali dell’umanità, vogliamo dire il progresso incessante verso al bene della Religione Cattolica: sicché la storia della Religione Cattolica è la storia del più grande amore e della più generosa virtù. Per ben comprenderla giova considerare la Religione come passione, e la religione come virtù (Lacordaire: Conferenze). In quanto l’uomo prova il bisogno del soprannaturale, e si sente attirato al Creatore, al sommo Bene che sospira, la Religione è passione nobile, sublime, che lo distingue recisamente agli occhi di tutti da tutti gli altri esseri animati, e che già fece ad Aristotile definir l’uomo un animale religioso: ma è pur sempre passione. In quanto poi l’uomo si sforza, si purifica, castiga i sensi, perché non l’abbiano colle loro vibrazioni da disturbarlo nel salire a Dio (il che è il crocifiggersi in Gesù Cristo), e quasi diremmo, col cuore si eleva a Dio, e colla mano getta il mondo sotto de’ piedi, e vuol tutta la sua volontà smarrire in quella di Dio; in questo, Religione è virtù, che si deriva da una sola fonte, il Costato di Gesù Cristo. La Religione poi, come passione, è ingenita nell’umanità e si trova in fondo a tutti i cuori. È essa che costringe le nazioni a consecrar riti e Sacerdoti, e le spinge alle imprese generose: e quando slanciano quei tempii tanto alto sui loro casolari, fuori quasi dall’orizzonte della terra fin sulle frontiere della regione celeste, mostrano che sospirano a Dio, Dio ricchezza dell’umanità. Dio vogliono in mezzo di loro, combattente nelle loro guerre, partecipe dei loro trionfl, rifugio nei loro disastri. Che se un Dio Spirito Santissimo spaventa la grossezza delle loro menti, e gli sconcerta nei godimenti codardi; piuttosto che star senza Dio, transigono tra il bisogno di Dio e le brame della carnalità; si foggiano a genio un Dio alla loro portata, e mettono nei penetrali dei ternpli idoli di fango, manutengoli infami de’ loro delitti. È questa l’idolatria, meraviglioso trovato per ingannare la fame che hanno gli uomini di Dio, e troppo ben caro a quei corrotti, che tanto inferociti dovevan poi essere, quando loro veniva a guastarlo la Religione di un Dio-Uomo Crocifisso. Ma ecco pure il movente della eterna rabbia degli increduli snervati nei vizi. Ed invero, perchè tanto furore contro la nostra santa Religione e i suoi caritatevoli istituti? E che vi è mai di odioso tanto da non si poter più tollerare, in gruppi di persone, sovente ben care, che pregano insieme, si amano e vivono vita da Angeli in terra? Vogliamo dire nei monasteri sieno pur di alcune dozzine di femminette. Vi è l’idea di Dio, che li tormenta; e disperando ormai di poterla distruggere e farla finita colla bancarotta di Dio (come agognava lo schifoso Voltaire), gl’increduli dei nostri di’ sono pronti a far buon viso a qualunque fantasma di Religione, venisser pure Turchi a rizzar moschee, e Mormoni colle cento mogli; ma vogliono chiudere le chiese, e via le sacre vergini, e guerra a morte alla santa Religione benedetta. Quando poi si dispera di sostituire al Dio di Pio IX un altro dio, allora via qualunque dio di sorta: allora si stringono in orride società di liberi pensatori, solidari giurando in orgie di rifiutare ogni pensiero di Dio pur nella morte! Ma cacciata via ogni ombra dell’idea di Dio, s’alza smascherata la carnalità. Allora l’atea rivoluzione profonde gl’incensi alla Maillard, alla lupa della prostituzione parigina, sull’altare di Notre Dame. – No, il paganesimo non cadde mai in putridume tanto orrido di adorare la carne corrotta: adorava la bellezza, ma almeno l’adorava sotto la forma di una dea di marmo bianco! Noi, noi mettiamo le mani sul volto; se già prima dell’infernal tragedia che si va preparando, uno schifoso che vorrebbe abolito il Catechismo, proclama del bel paese d’Italia, in Parlamento, generose le prostitute! Deh in quale abisso ormai trabocchiamo! Ma, viva Dio! La Religione è passione ingenita: e dopo il pandemonio degli empi a distruggerla, se si scaccia via dalle scuole Dio, il fanciullo lo trova caro in seno alla madre, e lo sente amoroso in petto al prete-padre-maestro, a cui lo mena il buon senso di quella, ed anche del papà disingannato, ambedue bisognosi di Dio. Se i suoi nemici gli dicono: « vattene; » Dio sta loro dinanzi a dispetto della loro disperazione: mentre i poveri popoli traditi ritornano a cercarlo sull’altare cattolico e trovano tanto amabile il crocifisso buon Dio! Noi siamo missionari; e quando gl’invitiamo a corrergli in seno, l’Italia in rivoluzione vede i popoli affollarsi alle Comunioni generali; e noi esclarniam consolati: « Sì, la Religione è passione; ma questa passione trova un pascolo di paradiso solamente in Gesù Cristo. » Emmanuele! grideremo forte, sì veramente Dio è con noi; e la fonte di tutti i beni è sempre Dio! Ora, se il fiorellino apre la sua boccuccia verso del cielo, beve quel po’ di bene che Dio mise per esso nel sole, e brilla di quella luce dei colori dell’iride: se una nube color d’argento sorge incontro al sole d’oriente, e il sole la compenetra dei suoi raggi, anche la nube sembra un sole che risplende: se noi, nell’avvicinarci ad uomo d’eletta virtù, ne sentiam la benefica influenza a diventare migliori: ah! quando un’anima buona s’apre del cuore a Gesù, e Gesù lo compenetra in Sacramento, in questo amplesso della Divinità umanizzata, la Comunione; sì, anche il cadavere della nostra carne, ribelle alla virtù, si sente rivestire della gloria del Tabor, elevarsi alla potenza di sublimi virtù, e, vorremmo dire, divine. Allora la Religione passione diventa virtù nell’uomo incorporato in Gesù Cristo. Ah! maledetti i culti, che lasciano l’uomo giù nelle sue miserie: maledette le eresie, che lo lasciano nella viltà dell’umano orgoglio! Sì, certamente la più cara prova, che Dio è con noi nella Chiesa Cattolica in Sacramento, sono le virtù delle sue membra incorporate con Gesù Cristo. Sono mille ottocento ottanta anni, che questi buoni suoi figliuoli si gettano sul petto a Gesù, e ad una ad una gli ripassano le Piaghe, e inventano sempre nuovi proponimenti di virtù per consolarle ad una ad una, immensamente vari come son varie le miserie dell’umanità, e trovano sempre nuovi espedienti a domar la fierezza delle sciagure. Metton la bocca a quel Costato e s’inebriano all’entusiasmo del Sacrificio. Eccoli: sono uomini dell’eloquente parola? Corrono giù dall’altare ad accendere il fuoco della carità in questo mondo di gelo, o si slanciano in mezzo ai cannibali a sfidare le indescrivibili morti. Sono verginelle tenere, come i bottoncini fin allora tra le brattee delle madri piante che gli han generati? Metton il lor timido cuore nel Cuore di Gesù e diventano potenti eroine, fiere a martoriare la debole carne, affinché non impedisca di salire a Dio, o montano sulla testa alle tempeste per volare pel mondo universo come angioli, a raccogliere i bambini e i miserabili in seno al Salvatore. Il mondo che non intende il mistero, disperato di non poterli a pezza imitare: « sono pazzi, dice, questi frenetici. » Ed ha una tal quale ragione: L’amore è una vera pazzia: ma pazzia sublime, che ha inspirato nel Sommo Bene il sacrifizio della Divinità. Questa pazzia diventò epidemica, e si appiglia a chi si getta in cuore a Gesù, che lo assimila al suo amore. Conformità ammirabile tra i Santi e Gesù! (Lacord. Conferenze.) – Se si guarda da lontano Gesù crocifisso, e si ode il tuono della severa sua dottrina che rimbomba d’eternità, la debolezza umana, ributtare si sente e vorrebbe fuggire; ma, se li si avvicina nella pratica dei Sacramenti, in quel suo Cuore squarciato, l’uomo si smarrisce felicemente in quell’immenso amore. Se tu vedi i Santi crocifiggere se stessi e seppellirsi in Gesù Cristo, tu rifuggi inorridito da loro: e quando poi vedi santa Elisabetta, delicatissima Regina, baciare le piaghe ad un cancrenoso e berne la scolatura dell’acqua, con cui l’andava di sua mano tergendo, tu sei tentato a gridare: « Ah che fa mai questa pazza! » Ma quando la vedi correr giù dall’altar come un Angelo in mezzo a tutte le miserie e odi tutti i sofferenti gridare: « è la nostra cara, è la nostra cara! » ancor dopo secoli e secoli, tu devi dire piangendo: questa innamorata fuori di sè ha veduto il suo Gesù bere la feccia del calice delle umane miserie nel Sacrificio della Divinità; e anche essa sacrifica ogni senso umano per consolare nelle sue membra l’adorato Salvator suo Dio. Ite, missa est: adunque andiamo, andiamo a consumare nella carità il sacrificio di noi stessi per amore di Dio, perché la Religione Cattolica, come è sommo amore, così è la più generosa virtù. Nel Sacrificio divino finisce il santissimo dogma, e vuole la nostra virtù!

Il Placeat.

Il sacerdote si rivolge ancora all’altare per pregare secretamente a nome suo (Ben. XIV). Giacché ebbe la sorte di sollevarsi, per la sua missione divina, da questo santo altare sino al trono dell’altissimo Iddio; prima di scendere da quest’altezza si getta a piè del trono dell’augustissima Trinità, e porge per sè questa sua supplica nell’orazione che segue.

Orazione: Placeat.

« Vi piaccia, o santa Trinità, l’ossequio della mia servitù, concedete, che il Sacrificio, che ho offerto dinanzi agli occhi della divina Maestà, benché indegno, vi sia accettevole: e a me, e a tutti per cui l’ho offerto, ottenga propiziazione per Cristo Signor nostro. »

Esposizione dell’Orazione: Placeat.

Come si vede, in quest’orazione egli chiede tre grazie: la prima che Dio si degni di ricevere questo Sacrificio in ossequio di servitù. Vuole con ciò supplicarlo di perdonargli, se ardì tanto di esercitare così santissimo ministero divino. Per questo confessa con umiltà di essere stato niente di più che un istrumento in man dell’agente, che è Gesù Cristo, a cui si è dato in mano come cosa tutta sua, da farne ogni suo volere. Però prima di sorgere da piè del trono di Dio, innanzi a cui sta prostrato, rinnova la sua protesta, che solo egli è venuto su quell’altare sublime, perché lo spinse innanzi il comando divino. Deh! almeno accetti sempre quest’obbedienza in ossequio di servitù. La seconda grazia, che gli preme di chiedere è, che gli perdoni le miserie, che lo accompagnarono all’altare: poiché presentò così grande offerta, la grandezza dell’offerta abbia da far passar inosservata la povertà della mano dell’uomo, che l’ha teva presentata, indegno di tanta Maestà divina. divina. – Finalmente in terzo luogo supplica che gli sia concesso perdono, misericordia e grazia per sè, ed anche per tutti pel gran Sacrificio di propiziazione, che ha in sè tutti i meriti di Gesù Cristo.

Ultima Benedizione.

Dal gran Padre di tutti i beni, e dalle benedizioni di sua misericordia noi dobbiamo aspettare le grazie, di che abbisognano le anime nostre. Nella santa Messa è un continuo invocarle, mettendo, nel benedire, sempre tra noi e il cielo la croce di Gesù Cristo e la ragione de’ suoi meriti; ma in quest’ultima benedizione si vuol pregar Dio di coronare le sue grazie colla più grande sua misericordia infinita. – Il santo martire Giustino fino dal secolo II, nella sua apologia esposta agli imperatori romani, parla di questa benEdizione; sicché si ha ragione di dire, che non fu mai licenziato dall’altare, il popolo senza essere benedetto. Ciò giova ripetere, per dare sulla voce a certi ammodernatori , che vorrebbero raffazzonare la Chiesa alla moda, quasi si dovesse dare faccenda per correre dietro alla volubilità dell’umana leggerezza. Giova ripeterlo, che la Chiesa, come ha un sol Battesimo, una sola fede, un solo Iddio, e lo stesso Spirito che la vivifica; così ha sempre gli stessi doveri verso il Signore, e gli stessi bisogni nei figliuoli, che vuol raccogliere a beatitudine col suo Dio: anche i suoi riti conserva quasi sempre benché possa mutarli. Questa madre adunque, che colle mani piene del Sangue di propiziazione è dispensiera di grazie celesti, non poteva terminare questo cumulo di misteri, quest’azione divina, questo compendio di tutte le misericordie, altrimenti che con un’ultima benedizione santissima. Anche il patriarca Isacco , ristorato che s’ebbe, avendo ai piedi il figliuolo Giacobbe vestito delle vesti del figliuol primogenito con tanta cura dalla madre profumate, l’accolse in seno, e nel sentire il profumo letificante, confortava delle più larghe benedizioni il figliuolo a Dio diletto: cosi il celebrante esilarato dai profumi di santità del popolo identificato in Gesù Cristo, sente un bisogno di colmarlo di benedizioni. Il Sacerdote per benedire ritto sull’altare, come dall’alto trono di Dio, col popolo prostrato ai piedi, scuote l’anima potentemente , perché mette innanzi al pensiero Gesù tra il fulgore della gloria nell’atto di benedire gli eletti nell’universale giudizio. Tutto avrà fine: il tempo è breve e marcia a gran passi: ancora un poco, e il tempo delle misericordie è finito: verrà il dì dell’universale giudizio. Ecco, ecco s’apre il cielo: che splendore di vivissima luce! che mar di fuoco! A mille a mille discendon gli Angioli, e a mille si lascian travedere, e tra quei raggi di luce che piove sulla schiera degli eletti, il giudice inappellabile, l’inflessibile scrutatore delle coscienze, l’inesorabile esattor della legge viene portato in sulle nubi, terribile tanto a guardarsi allora, quanto è ora con noi infinito in bontà! Siede tra le milizie degli Angeli delle battaglie: dinanzi al suo volto un torrente di fuoco, e sotto i suoi passi tra il rombar di tuoni una tempesta di folgori e di saette e di carboni ardenti: passa pei cieli, e i cieli si fiaccano, come si piega la vela di un naviglio in mezzo alla burrasca. Rizza il tremendo tribunale in mezzo alle fiamme ed al fumo dello spento universo la tremenda Maestà; ecco sta per fare giudizio di tutti. Quando tra l’intonar delle angeliche trombe, terribile come mille oceani in tempesta, che chiamano gli eletti alla destra ed i reprobi alla sinistra, tra l’ulular dei disperati si ode un maestoso concerto: sono i principi del regno celeste, che portano cantando « Vexilla regis prodeunt, fulget crucis mysterium » in adorazione la Croce… Quella Croce è un fulmine per i dannati alla sinistra… ! Ah! non parliamo dei dannati: noi siamo tutti crocesegnati a quest’ora col Sangue, che il divino Gesù dalla croce versava sull’altare per le nostre persone! Quindi il Sacerdote segna dall’alto sopra la testa di tutti, quella gran croce. Pensiamo noi a Gesù: Egli nel tremendo di’ del giudizio avrà al fianco quella Croce, e sotto di essa tutti raccolti e tremanti anche noi, in mezzo all’universale terrore! Noi nondimeno da piè della croce guarderemo nelle sue Piaghe, cercando nel suo Costato il nostro asilo, che trovammo in terra con unirci a Lui nel santissimo Sacramento! Ancora un pensiero in questo istante così pieno di alti misteri. L’anima nostra tutta con Gesù benedetto pensa a Lui, quando l’amabilissimo Redentore in mezzo alla turba, che aspettava la parola di vita, salito sul monte, aperta la bocca, diceva: « Beati i poveri di spirito: beati i mansueti: beati i piangenti: beati gli affamati e sitibondi della giustizia : beati i misericordiosi: beati i puri di cuore: beati i pacifici: beati i perseguitati; » e a questi afflitti d’ogni maniera promettendo il regno dei cieli: « rallegratevi, qui conchiudeva, che la ricompensa vostra è copiosa in cielo. » Diceva poi altresì: « chi Mi segue non va nelle tenebre, ma avrà lume di vita. » Prendeva poi la croce e andava al Calvario a morire sopra di essa: e risorto raccomandava di fare quello che aveva egli comandato, ed il suo comandamento è la carità, che ci acquista meriti pel Paradiso. Ah! qui noi, nel segnarci di croce, corriamo ad abbracciare quelle croci, che Dio ci dà nella vita, per sacrificarci in amore di Dio nell’operare il bene. Diciamo intanto con tutto il fervore: « o, Gesù, dateci con questa solenne benedizione una caparra di quella benedizione con cui direte: o benedetti del Padre mio, al Paradiso, ch’Egli vi ha preparato. Su via! sorgiarn tutti in piedi, pronti ad obbedire a Gesù ora, per accorrere al suo invito allora. Sorgiano in piedi poichè croce segnati dalla Destra di Gesù, con Lui voleremo al Paradiso. Amen.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (29): “Da INNOCENZO XI ad ALESSANDRO VIII”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (29)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da INNOCENZO XI ad ALESSANDRO VIII)

Decreto del Santo Officio del 33 novembre 1670.

Errori relativi al dono dell’onnipotenza.

2170. (1) Dio ci fa il dono della sua onnipotenza perché ne facciamo uso, così come qualcuno regala ad un altro una casa o un libro.

2171. 2 – Dio ci sottopone alla sua onnipotenza. (Censura: proposizioni vietate in quanto nuove e azzardate).

Probabilismo e probabiliorismo

2175. …Dopo la relazione fatta dal P. Laurea su quanto contenuto nella lettera inviata dal P. Tirso Gonzalez, al Santissimo Signore, gli Eminentissimi Signori dissero che la stessa dovesse essere scritta dal Segretario di Stato al Nunzio Apostolico in Spagna, affinché significasse al suddetto P. Tirso che Sua Santità avesse preso in considerazione l’onnipotenza di Dio. Che Sua Santità aveva gentilmente accettato la sua richiesta e che, dopo che la sua lettera era stata letta non senza lodi, avesse ordinato che egli predicasse, insegnasse e difendesse con la penna l’opinione più probabile e che combattesse coraggiosamente la posizione di coloro che affermano che, quando un’opinione meno probabile e un’altra più probabile, conosciuta e giudicata come tale, si incontrano, è lecito seguire quella meno probabile; e che gli faccia sapere che tutto ciò che fa e scrive a favore dell’opinione più probabile piacerà a Sua Santità.

2176. Al Padre Generale della Compagnia di Gesù sarà data l’ingiunzione, per ordine di Sua Santità, non solo di permettere ai Padri di questa Compagnia di scrivere a favore dell’opinione più probabile e di combattere la posizione di coloro che affermino che quando un’opinione meno probabile e una più probabile si incontrano, conosciute e giudicate come tali, sia permesso seguire quella meno probabile; ma che scriva anche a tutte le università della Società che il sentimento di Sua Santità è che ognuno, come ritiene opportuno, scriva liberamente a favore dell’opinione più probabile e contro la suddetta opinione contraria; e che ordini loro di sottomettersi interamente al mandato di Sua Santità.

2177. (Aggiunta nell’autografo del Sant’Uffizio: ) 8 luglio 1680. Dopo che il suddetto ordine di Sua Santità è stato comunicato al Padre Generale della Compagnia di Gesù dall’assessore, egli ha risposto che avrebbe obbedito.

Tanto più che non gli era mai stato proibito, né da lui stesso né dai suoi predecessori, di scrivere a favore dell’opinione più probabile e di insegnarla.

Contemplazione e mediazione. – Errori del quietismo.

2181. 1. – A nessuno, dunque, che si dedichi alla preghiera meditativa o contemplativa, si deve permettere di disprezzare la preghiera vocale, istituita da Cristo Signore, osservata dagli Apostoli e da sempre utilizzata, in continua successione, in tutti i servizi divini, né di sminuirla come inutile e vana rispetto alla preghiera meditativa o contemplativa. Al contrario, poiché il Profeta insegna che il Signore debba essere lodato con inni e cantici, tutti devono lodarlo e raccomandarla pure con la preghiera mentale e contemplativa.

2182. 2. – Ma poiché nella casa del Padre ci sono molte dimore (Gv XIV,2) coloro che si dedicano alla meditazione e coloro che li dirigono non devono assolutamente disprezzare coloro che si occupano di contemplazione, né chiamarli pigri o, quel che è peggio, bollarli di eresia. Al contrario, facciano uso e godano santamente e piamente dei doni che Dio ha concesso a ciascuno di loro attraverso la meditazione, tanto più che la grazia della contemplazione è spesso ricevuta dai più grandi, spesso dai più piccoli, molto spesso da coloro che sono lontani, e talvolta anche da persone sposate.

2183. 3. Allo stesso modo, coloro che sono favorevoli alla contemplazione non disprezzino coloro che sono favorevoli alla meditazione, poiché di norma è per gradi di meditazione che si raggiunge la vetta della contemplazione; ma tutti nella carità glorifichino Dio, nostro Signore Gesù Cristo, sapendo che il tralcio dell’opera buona mantiene il suo verde solo se rimane nella radice della carità.

2184. 4. – Sebbene nessuno debba essere allontanato dalla grazia della contemplazione, per la quale Dio dà il suo aiuto, è tuttavia necessario che i direttori d’anime si preoccupino di non ammettere indiscriminatamente ogni età, grado, sesso o condizione alla pratica di questa dottrina e di questo esercizio, e che con un’assidua osservazione prendano prima la misura dello spirito, di ciò che sia in grado di sopportare e di fare, in modo da condurre alcuni alla meditazione, altri alla contemplazione, secondo lo spirito di ciascuno.

2185. 5. – Ma affinché la dottrina sull’orazione contemplativa, con la quale le anime dei fedeli sono elevate alla più alta unione con Dio, rimanga pura da ogni errore, onesta ed intatta, è necessario in primo luogo che i contemplativi si guardino dall’affermare o sostenere che la sola presenza di Dio sia ovunque l’oggetto della contemplazione o dell’orazione che essi chiamano “quiete”. Perché tutti gli oggetti della meditazione possono essere, anche se in modo diverso, oggetto di contemplazione; allo stesso modo non devono essere così audaci da affermare che coloro che pratichino la meditazione non abbiano il potere della contemplazione. Ed ugualmente non abbiano l’audacia di affermare che coloro che si esercitino nella meditazione, non possano mai raggiungere un certo grado di perfezione se non passano alla preghiera di contemplazione.

2186. 6. – E poiché siamo salvati e liberati dall’Incarnazione e dalla Passione di nostro Signore Gesù Cristo, i contemplativi si guardino dal dimenticare volontariamente e deliberatamente i misteri della vita, dell’azione, della Passione e della Redenzione di questo stesso Signore che è nostro, o dall’affermare che la loro considerazione è inutile e contraria allo stato di contemplazione; al contrario, sull’esempio di tutti i Santi, si applichino assiduamente a considerarli secondo le circostanze di tempo e di luogo.

2187. 7. – Così come non tolgano dai loro occhi, come inutili alla contemplazione, le immagini e le rappresentazioni, sia esterne che interne, di Cristo Signore, della beatissima Vergine Maria, la Madre, e degli altri Santi che regnano in cielo e che pregano per noi che ci troviamo in questa valle di lacrime. A volte, però, solo nell’atto della contemplazione e quando il nostro spirito, attraverso il quale scorrono i doni celesti, sia attirato verso la contemplazione delle realtà divine, sarà permesso, affinché l’anima non sia distratta, allontanarsi da queste figure.

2188. 8. – E poiché l’esercizio della contemplazione perfetta consiste principalmente nel fatto che nell’atto della contemplazione l’anima non faccia nient’altro, e tanto più, dimenticando poi tutte le creature, si elevi a Dio e alle realtà divine nella considerazione delle sublimi virtù della fede, speranza e carità, con le quali Dio è venerato al di sopra di tutto, i meditanti non devono avere l’audacia o la presunzione di trattare i contemplativi del popolo come oziosi e pigri.

2189. 9. D’altra parte, sia i contemplativi che i meditanti devono ricordare che non siano affatto esenti dai precetti di Dio e della Chiesa; al contrario, tutti, come i servi verso i loro padroni e le mogli verso i loro mariti, sono strettamente tenuti ad osservare i Comandamenti che devono essere osservati da ciascuno secondo il suo stato, poiché la virtù della preghiera porta all’umiltà ed all’obbedienza e non all’orgoglio ed alla presunzione.

2190. 10. Allo stesso modo, nel caso dei chierici, sia secolari che religiosi, e delle monache, si deve insegnare e ritenere che non debbano presumere che, con il pretesto della meditazione o della contemplazione, siano esenti o liberati dagli obblighi ecclesiastici e dai voti, dalle istituzioni e dalle regole della loro religione; infatti, anche se hanno raggiunto un certo grado di perfezione nella preghiera, non sono in alcun modo considerati esenti dall’osservarli.

2191. 11 Tutti, sia contemplativi che meditativi, devono sapere che non sono in alcun modo esonerati dagli obblighi esterni di religione e di pietà che sono abitualmente praticati dai fedeli nella Chiesa cattolica, e che sono l’uso dei sacramenti e dei sacramentali, le visite alle chiese, i riti, i riti, i riti, i riti e i riti. Al contrario, sarà un grande scandalo per i fedeli se alcune delle suddette pratiche saranno trascurate da loro con il pretesto della contemplazione o della meditazione.

2192. 12 È assolutamente empio, e indegno della purezza cristiana, affermare che non si debba resistere alle tentazioni e che i contemplativi non debbano vedersi imputati i peccati commessi durante la contemplazione, con la falsa idea che non siano i contemplativi stessi, ma il diavolo a commetterli attraverso le loro membra. Allo stesso modo è empio affermare che i contemplativi non debbano aprirsi su tali peccati nel Sacramento della penitenza e sottoporli alle chiavi della Chiesa. Infine, è empio affermare che la preghiera mentale, sia essa meditativa o contemplativa, sia necessaria per la salvezza pura e semplice.

Errore sul segreto della Confessione

2195. (Proposizione🙂 “È lecito fare uso della conoscenza acquisita nella confessione, purché ciò avvenga senza rivelazione diretta o indiretta e senza danno per il penitente, a meno che dal suo mancato uso non derivi un danno molto più grave, rispetto al quale il primo è giustamente ritenuto poco”; Dopo questo si aggiunge una spiegazione, o una limitazione, riguardo a ciò che si deve intendere per uso della conoscenza acquisita in confessione con danno per il penitente, e ad esclusione di qualsiasi rivelazione, e nel caso in cui il non uso comporti un danno molto maggiore per questo penitente. …(Censura: ) La suddetta proposizione, nella misura in cui ammette l’uso della suddetta conoscenza con danno per il penitente, deve essere assolutamente proibita, compresa la suddetta spiegazione o limitazione.

Errori quietisti di Miguel de Molinos

2201. (1) Le potenze dell’anima devono essere annientate, e questa è la via interiore.

2202. [2] – Voler agire attivamente significa offendere Dio, che vuole essere l’unico agente; per questo dobbiamo abbandonarci totalmente e senza riserve a Lui, per poi rimanere come un corpo inanimato.

2203. (3). Il voto di fare qualcosa è un ostacolo alla perfezione.

2204. (4). L’attività naturale è nemica della grazia e ostacola le operazioni di Dio e la vera perfezione, perché Dio vuole agire in noi senza di noi.

2205. (5). – Non facendo nulla, l’anima si annienta e ritorna al suo principio e alla sua origine, che è l’essenza di Dio in cui rimane trasformata e divinizzata, e allora Dio rimane in se stesso; perché allora non ci sono più due cose unite, ma una sola, e in questo modo Dio vive e regna in noi, e l’anima si annienta nell’Essere operativo.

2206. (6). – La via interiore è quella in cui non conosciamo né la luce, né l’amore, né la rassegnazione; e non è nemmeno necessario conoscere Dio; ed è in questo modo che camminiamo giustamente.

2207. (7) – L’anima non deve pensare alla ricompensa o alla punizione, al Paradiso o all’inferno, alla morte o all’eternità.

2208. (8) – L’anima non deve desiderare di sapere se cammina come Dio vuole, né se rimanga o meno conforme a quella volontà; e non è necessario che desideri conoscere il proprio stato, o il proprio nulla, ma deve rimanere come un corpo senza vita.

2209. (9) – L’anima non deve ricordarsi né di se stessa, né di Dio, né di nulla, e nel modo interiore ogni riflessione è dannosa, anche quella sulle proprie azioni umane e sui propri difetti.

2210. (10). – Se i propri difetti scandalizzano gli altri, non c’è bisogno di riflettere su di essi finché non c i sia il desiderio di scandalizzare, e non poter riflettere sui propri difetti è una grazia di Dio.

2211. (11). – Non c’è bisogno di pensare ai dubbi che sorgono se si sia sulla strada giusta o meno.

2212. (12). – Chi ha dato il suo libero arbitrio a Dio non deve più preoccuparsi di nulla, né dell’inferno né del Paradiso; non deve avere alcun desiderio della propria perfezione, né delle virtù, né della propria santificazione, né della propria salvezza, dalla quale deve espungere la speranza.

2213. (13) – Una volta consegnato a Dio il nostro libero arbitrio, dobbiamo anche abbandonare a Dio il pensiero e la cura di tutto ciò che ci riguarda, e lasciare che faccia la sua volontà divina in noi, senza di noi.

2214. (14). – Chi si è abbandonato alla volontà di Dio non deve chiedere nulla a Dio, perché chiedere è mendicare è un’imperfezione, perché è un atto di volontà e di scelta, e significa volere che la volontà divina si conformi alla nostra volontà e non la nostra alla volontà divina. E le parole del Vangelo: “Chiedete e vi sarà dato” (Gv 16,24) non sono state pronunciate da Cristo per le anime interiori che non vogliono avere una volontà; al contrario, queste anime sono in grado di non chiedere nulla a Dio.

2215. (15). Così come non devono chiedere nulla a Dio, non devono nemmeno ringraziarlo per nulla, perché entrambi sono atti della loro volontà.

2216. (16). Non è giusto chiedere indulgenze per la pena dovuta ai propri peccati; infatti è meglio soddisfare la giustizia divina che cercare la misericordia divina, perché la prima procede dal puro amore di Dio, mentre la seconda dall’amore egoistico per noi stessi, che non è quello che piace a Dio e non è meritorio, poiché è voler fuggire dalla croce.

2217. (17). Poiché il libero arbitrio è stato consegnato a Dio, e anche la cura e l’esame della nostra anima sono stati abbandonati a Lui, non c’è più motivo di preoccuparsi delle tentazioni, e non dobbiamo opporre ad esse altro che una resistenza negativa, senza sforzarci di più, e se la natura si muove, dobbiamo lasciarla muovere, poiché è la natura.

2218. (18). Chi nella preghiera usa immagini, figure, idee e concetti propri, non adora Dio in spirito e verità (Gv IV,23).

2219. (19). Chi ama Dio nel modo che la ragione esige o che l’intelligenza comprende, non ama il vero Dio.

2220. (20). – Dire che nella preghiera sia necessario essere aiutati da ragionamenti e pensieri, quando Dio non parla all’anima, è da ignoranti; Dio non parla mai, la sua parola è azione, e agisce sempre nell’anima quando questa non lo impedisce con i suoi ragionamenti, pensieri e operazioni.

2221. (21). Nell’orazione, dobbiamo rimanere nella fede oscura e universale, nel riposo e nell’oblio di ogni pensiero particolare e distinto dagli attributi di Dio e della Trinità, e dobbiamo così rimanere alla presenza di Dio per adorarlo, amarlo e servirlo, ma senza produrre atti, perché Dio non trova il suo piacere in questo.

2222. (22). Questa conoscenza per fede non è un atto prodotto dalla creatura, ma è una conoscenza data da Dio alla creatura, che la creatura non sa di avere e che poi non sa di aver avuto, e lo stesso vale per l’amore.

2223. (23).. I mistici distinguono con San Bernardo nella Scala claustralium quattro gradi: lettura, meditazione, oraison e contemplazione infusa. Chi rimane sempre nel primo non passa mai al secondo; chi rimane sempre nel secondo non arriva mai al terzo, che è la nostra contemplazione acquisita, nella quale dobbiamo persistere per tutta la vita, finché Dio non attira l’anima (anche se non lo desidera) alla contemplazione infusa; e quando questa cessa, l’anima deve tornare al terzo grado e rimanervi, senza tornare più al secondo o al primo.

2224. (24). Qualunque pensiero sorga nell’orazione, anche impuro, anche contro Dio, la fede e i sacramenti, se non viene volontariamente accolto e volontariamente respinto, ma sopportato con indifferenza e rassegnazione, non impedisce l’orazione di fede; al contrario, la rende più perfetta, perché l’anima è allora più rassegnata alla volontà divina.

2225. (25). Anche se viene il sonno e ci addormentiamo, saranno comunque presenti l’orazione e la contemplazione; perché l’orazione e la rassegnazione, la rassegnazione e l’orazione sono la stessa cosa; e finché dura la rassegnazione, dura anche l’orazione.

2226. (26). Le tre vie: purgativa, illuminativa e unitiva, sono la più grande assurdità che sia stata detta nella mistica, perché c’è una sola via, quella interiore.

2227. (27). Chi desidera e abbraccia la devozione sensibile, non desidera e cerca Dio, ma se stesso; e chi cammina nella via interiore agisce male quando la desidera e si sforza di averla, sia nei luoghi santi che nelle feste solenni.

2228. (28). Il disgusto per le cose spirituali è buono, poiché con esso si purifica l’amore propriamente detto.

2229. (29). È un buon segno quando l’anima interiore è disgustata dai discorsi su Dio e sulle virtù, e rimane fredda e non sente alcun fervore in essa.

2230. (30). Ogni cosa sensibile che sperimentiamo nella vita spirituale è abominevole, impura e sporca.

2231. (31). Nessuno di coloro che meditano pratica le vere virtù interiori, che non devono essere conosciute dai sensi. Le virtù devono essere perse.

2232. (32). Né prima né dopo la Comunione è richiesta altra preparazione o ringraziamento (per queste anime interiori) che rimanere nell’abituale rassegnazione passiva; perché questa sostituisce in modo più perfetto tutti gli atti di virtù che si possano fare e si facciano in modo ordinario. E se durante la Comunione sorgono movimenti di umiliazione, di supplica o di ringraziamento, essi devono essere soppressi quando non si riconosca che provengano da una particolare ispirazione di Dio; altrimenti sono movimenti della natura non ancora morta.

2233. (33). Per l’anima che percorre questo cammino interiore è sbagliato fare uno sforzo particolare nelle feste solenni per suscitare un sentimento di devozione, perché per l’anima interiore tutti i giorni sono uguali e sono tutti giorni di festa. E lo stesso si deve dire dei luoghi sacri, perché per queste anime tutti i luoghi sono uguali.

2234. (34). Ringraziare Dio con la parola e con la lingua non è adatto alle anime interiori, che devono rimanere in silenzio, senza porre alcun ostacolo al fatto che Dio operi in loro; e quanto più si abbandonano a Dio, tanto più sperimentano la loro impotenza nel recitare l’orazione domenicale o il Padre nostro.

2235. (35). Alle anime della via interiore non conviene compiere atti, anche virtuosi, di propria scelta e di propria attività, altrimenti non sarebbero morte, né compiere atti di amore verso la Beata Vergine, i Santi e l’umanità di Cristo, perché essendo questi oggetti sensibili, anche l’amore che li riguarda è sensibile.

2236. (36). Nessuna creatura, né la Beata Vergine né i santi, deve avere un posto nel nostro cuore, perché solo Dio vuole occuparlo e possederlo.

2237. (37). Nel caso di tentazioni anche violente, l’anima non deve compiere atti espliciti di virtù che si oppongano ad esse, ma rimanere nell’amore e nella rassegnazione di cui si parla.

2238. (38). La croce volontaria delle mortificazioni è un peso gravoso e infruttuoso, e perciò deve essere sgravata.

2239. (39). Le azioni e le penitenze più sante compiute dai Santi non bastano a togliere dall’anima anche un solo attaccamento.

2240. (40). La Beata Vergine non fece mai alcun lavoro esterno, eppure fu più santa di tutti i Santi. Ecco perché possiamo raggiungere la santità senza alcun lavoro esterno.

2241. (41). Dio permette e vuole, per umiliarci e condurci alla vera trasformazione, che certe anime perfette, anche se non possedute, siano violate dal demonio che fa loro commettere atti carnali, anche nello stato di veglia e senza alcun turbamento della coscienza, muovendo fisicamente le mani e le altre membra contro la loro volontà. E lo stesso si deve dire per altre azioni di per sé colpevoli, che in questo caso non sono peccati, perché non c’è consenso.

2242. (42). Ci possono essere casi in cui tale violenza che porta ad atti carnali si verifica contemporaneamente in due persone, cioè un uomo e una donna, e il risultato è un atto carnale per entrambi.

2243. (43). Dio, nelle epoche passate, faceva i santi con il ministero dei tiranni; ora, invece, li fa santi con l’aiuto dei demoni che, provocando in loro la violenza di cui si parla, li inducono a disprezzare e ad annientare ancora di più se stessi e ad abbandonarsi a Dio.

2244. (44). Giobbe bestemmiava, ma non peccava con le labbra, perché ciò avveniva per la violenza del demonio.

2245. 45. San Paolo soffrì nel suo corpo la violenza del diavolo; per questo scrisse: “Non faccio il bene che voglio fare, ma il male che non voglio fare lo faccio” (Rm VII, 19).

2246. (46). Questa violenza è il modo migliore per annientare l’anima e condurla alla trasformazione e alla vera unione, e non c’è altro modo per arrivarci. E questo è il modo più facile e sicuro.

2247. (47). Quando si verificano questi atti violenti, si deve permettere a satana di fare il suo lavoro senza alcuna resistenza o sforzo; al contrario, l’uomo deve rimanere in uno stato di nulla, e anche se ne derivano inquinamenti e atti osceni prodotti dalle mani e peggio, non c’è da preoccuparsi, ma si devono bandire scrupoli e paure, perché l’anima è più illuminata, rafforzata e pura, e si acquisisce la santa libertà. E soprattutto non c’è bisogno di confessare queste cose, e si agisce in modo molto sano non confessandole, perché è con questo mezzo che si trionfa sul diavolo e si acquisisce un tesoro di pace.

2248. (48). Satana, l’autore di questi abusi, suggerisce poi che si tratti di colpe gravi, affinché l’anima si inquieti e non avanzi nel cammino interiore; perciò, per indebolire le proprie forze, è meglio non confessarle, perché non sono peccati, neppure veniali.

2249. (49). Giobbe, per la violenza del diavolo, si contaminò con le proprie mani, nel momento in cui si rivolgeva a Dio, se interpretiamo così il passo del cap. 16 Gb 16,18.

2250. (50). Davide, Geremia e molti dei santi Profeti subirono tali violenze per queste azioni esterne impure.

2251. (51). Nelle Sacre Scritture ci sono molti esempi di violenza che portano ad atti esterni di peccato; così per Sansone che con la violenza si uccise con i Filistei (Gg XVI,29 s.) che sposò una donna straniera (Gg XIV,1-20), e che praticò la fornicazione con la prostituta Dalila (Gg XVI,4-22), che altrimenti era proibita e sarebbe stata peccaminosa; Giuditta mentì a Oloferne (Gdt XI,5-19), Eliseo maledisse i bambini (2R II,24) e bruciò due capi con le truppe del re Achab (2R 1,10-12). Non è certo, però, se la violenza sia stata fatta direttamente da Dio o attraverso il ministero dei demoni, come accade per altre anime.

2252. (52). Quando una violenza di questo tipo, anche impura, avviene senza che lo spirito ne sia oscurato, l’anima può allora unirsi a Dio e di fatto è sempre più unita a Lui.

2253. (53). Per sapere in pratica se un’azione in altre persone sia stata una violenza, la regola che ho in questa materia non è semplicemente la protesta di queste anime di non aver mai acconsentito a questa violenza o di non poter giurare di averla acconsentita, e di vedere che si tratti di anime che stanno avanzando lungo il cammino interiore; ma io vorrei prendere la mia regola da una certa luce attuale, superiore alla conoscenza umana e teologica, che mi fa sapere con certezza, con una certezza interiore, che una tale azione sia provocata dalla violenza, e sono certo che questa luce venga da Dio, perché mi viene insieme alla certezza che viene da Dio, e che non lascia in me nemmeno l’ombra di un dubbio contrario: dal modo in cui talvolta accade che Dio, quando rivela qualcosa, allo stesso tempo dà all’anima la certezza che è Lui stesso a rivelare, e che l’anima non può più avere alcun dubbio del contrario.

2254. (54). Gli spirituali della via ordinaria si troveranno nell’ora della morte derisi e confusi con tutte le passioni che dovranno essere purificate nell’altro mondo.

2255. (55). Per questa via interiore si riesce, anche se con grande difficoltà, a purificare ed estinguere tutte le passioni, fino al punto di non sentire più nulla, nulla, e di non avertire più alcuna inquietudine come un corpo morto e l’anima non è più turbata.

2256. (56). Le due leggi e le due concupiscenze, l’una dell’anima, l’altra dell’amor proprio, durano finché dura l’amor proprio: perciò quando esso è purificato e morto, come si fa nella via interiore, allora non ci sono più queste due vie e queste due concupiscenze, e non si sperimenta più alcuna caduta, né si sente nulla, neppure un peccato veniale.

2257. (57). Con la contemplazione acquisita si giunge a uno stato in cui non si commette più alcun peccato, né mortale né veniale.

2258. (58). Questo stato si raggiunge non riflettendo più sulle proprie azioni, perché le colpe nascono dalla riflessione.

2259. (59). La via interiore è indipendente dalla Confessione, dai confessori e dai casi di coscienza, dalla teologia e dalla filosofia.

2260. (60). Nel caso di anime avanzate che comincino a morire alla riflessione e siano giunte al punto di morte, Dio rende talvolta impossibile la Confessione e vi supplisce Lui stesso con una grazia che conserva ed è uguale a quella che riceverebbero nel Sacramento; per questo non è bene che tali anime si accostino al Dacramento della penitenza in un caso simile, perché è impossibile per loro.

2261. (61). Quando l’anima è giunta alla morte mistica, non può più volere altro che ciò che Dio vuole, perché non ha più volontà e Dio gliel’ha tolta.

2262. (62). Per la via interiore si raggiunge uno stato continuo e immobile in una pace che non può più essere disturbata.

2263. (63). Per la via interiore si giunge anche alla morte dei sensi; ed è addirittura segno che si è nello stato di annientamento, cioè di morte mistica, quando i sensi esterni non ci rappresentino più le cose sensibili; queste sono allora come se non lo fossero, perché non riescono più a far sì che la comprensione si applichi ad esse.

2264. (64). Il teologo ha una minore disposizione allo stato contemplativo rispetto all’ignorante, in primo luogo perché non ha una fede altrettanto pura; in secondo luogo perché non è altrettanto umile; in terzo luogo perché non si preoccupa altrettanto della propria salvezza; in quarto luogo perché la sua testa è piena di immaginazioni, rappresentazioni, opinioni e speculazioni, e la vera conoscenza non è più nella sua testa e la luce non può entrare in lui.

2265. (65). I superiori devono essere obbediti nelle cose esterne, e il voto di obbedienza dei religiosi si estende solo all’esterno. Nell’interno, invece, la situazione è diversa, dove entrano solo Dio e il direttore.

2266. (66). È degna di essere ridicolizzata questa nuova dottrina secondo la quale l’anima, in ciò che riguarda l’interno, dovrebbe essere governata dal Vescovo, e che se il Vescovo non sia sei ora a dormire devi togliere la messa e io lo tolgo e l’altro ha due o tre quattro senza la presa di coscienza sto bene grazie Ma come questa per la scuola per bambino e della scuola e due sessioni di bambini pure cinque giorni festivi a scuola hai visto i bambini vedono questa lingua italiana la stella di sucato dove crede ma che c’è silenzio sità e noi ehm arriva a casa direttamente se invece funziona la sicurezza nazionale Cioè quanti anni in grado di farlo, l’anima dovrebbe andare da lui con il suo direttore. Questa è una dottrina nuova, dico, perché né la Sacra Scrittura, né i Concili, né i canoni, né le bolle, né i Santi, né gli autori l’hanno mai insegnata, né hanno potuto insegnarla; perché la Chiesa non giudica delle cose nascoste, e l’anima ha il diritto e la facoltà di scegliere chi vuole.

2267. (67). Dire che sia necessario manifestare ciò che è interiore al tribunale esterno, e che sia un peccato non farlo, è un evidente inganno, perché la Chiesa non giudica le cose nascoste, e si danneggia la propria anima con questi inganni e ipocrisie.

2268. (68). Non c’è facoltà o giurisdizione al mondo che possa ordinare di comunicare le lettere del direttore che riguardino l’interno dell’anima, e per questo dobbiamo avvertire che si tratti di un oltraggio satanico.

(Censura): queste proposizioni le abbiamo condannate come eretiche secondo il caso 3, 13-15, 41-53, sospette; vicine all’eresia 21,23,(57),60; in odore di eresia: 2, 4-10, 12, 16-19, (31), (35), 55 s, (58) ed erronee 4-6, (8-10), 13-19, 21 s, (24), (32), (35), 41-53, (58), scandalose 6s, (9-11), 14-20, (24), 30-52, (54), (58-60), 63 s, (66), blasfeme 10, 14 s, 41- 53, 60, offensive per le orecchie pie 6, 30, (58), imprudenti 11, 14 s, 17-20, 23 s, 26 s, 30-35, (38s), 41-68, irritanti la disciplina cristiana 10, 16, 21 s, (24), (31), (35), (38s), 41-52, (59), (65s) e contraria (68), e sediziosa (65). Inoltre… abbiamo condannato tutti i libri e tutte le opere stampate, in qualsiasi luogo ed in qualsiasi lingua, nonché tutti i manoscritti dello stesso Miguel de Molinos.

ALESSANDRO VIII: 6 ottobre 1689 – 1 febbraio 1691

Articoli gallicani sui diritti del Papa

2281 (1). Il beato Pietro ed i suoi successori, Vicari di Gesù Cristo, e la Chiesa stessa hanno ricevuto da Dio il potere sulle cose spirituali che riguardano la salvezza eterna, e non sulle cose civili e temporali, avendo il Signore detto: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv XVIII, 36) e ancora “Date dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Lc XX,25); per questo restano ferme le parole dell’Apostolo: “Ogni anima sia sottomessa alle potenze superiori, perché non c’è potere che non venga da Dio; e quelli che esistono sono stati ordinati da Dio; perciò chi si oppone al potere si oppone a Dio” (Rm XIII, 1 ss.) I re e i sovrani non sono soggetti ad alcun potere ecclesiastico per ordine di Dio nelle cose temporali; non possono essere deposti direttamente o indirettamente dall’Autorità delle chiavi della Chiesa; i loro sudditi non possono essere dispensati dalla sottomissione e dall’obbedienza e sollevati dal giuramento di fedeltà. E questa dottrina, necessaria per la tranquillità pubblica e non meno necessaria per la Chiesa che per lo Stato, deve essere seguita inviolabilmente in quanto conforme alla Parola di Dio, alla tradizione dei Padri e agli esempi dei Santi.

2282. (2). La pienezza del potere che la Sede Apostolica e i successori di Pietro, Vicari di Cristo, hanno sulle questioni spirituali è tale che allo stesso tempo i decreti del Santo Concilio Ecumenico di Costanza, nella quarta e quinta sessione, sull’autorità dei Concili generali, approvati dalla Sede Apostolica, confermati dalla prassi degli stessi Romani Pontefici e della Chiesa nel suo insieme, e sempre religiosamente osservati dalla Chiesa gallicana, sono in vigore e rimangono immutabili. Ma non sono approvati dalla Chiesa gallicana coloro che mettono in dubbio la forza di questi decreti, come se la loro autorità fosse dubbia e fossero meno approvati, o che limitino le affermazioni del Concilio al solo tempo dello scisma.

2283. (3). Per questo motivo, l’esercizio della potestà apostolica deve essere regolato secondo i canoni stabiliti dallo Spirito di Dio e conservati dalla riverenza di tutto il mondo; le regole, la morale e le costituzioni ricevute dal regno e dalla Chiesa gallicana sono anch’esse valide, e i limiti stabiliti dai Padri rimangono immutati; ed è perfino della grandezza della Sede Apostolica che le leggi e le consuetudini che sono state confermate dal consenso di una Sede e di Chiese così importanti possiedano la stabilità che appartiene loro.

2284. (4). Anche in materia di fede il Papa ha la parte principale, e i suoi decreti sono validi per tutte e per ciascuna delle Chiese; il suo giudizio, tuttavia, non è irreformabile, a meno che non intervenga il consenso della Chiesa.

2285. (Sentenza della Bolla🙂 Tutte le cose che sono state decise e fatte dalla suddetta Assemblea del clero gallicano tenutasi nel 1682, sia per quanto riguardi l’estensione del diritto regale, sia per quanto riguardi la dichiarazione sulla potestà ecclesiastica e le quattro proposizioni in essa contenute, con le quali è stato deciso che il Papa sia il principale responsabile del potere ecclesiastico; tutti e ciascuno degli ordini, dei decreti, delle conferme, delle dichiarazioni, delle lettere, degli editti, dei decreti fatti o pubblicati da qualsiasi persona, sia ecclesiastica che laica, a qualunque titolo, e qualunque sia la sua autorità o il suo potere, e che richiederebbero anche una menzione particolare … Dichiariamo tutte queste cose nulle, invalide e inutili, completamente e totalmente prive di forza e di effetto fin dal loro inizio, e che lo sono tuttora e lo saranno in perpetuo; e che nessuno è tenuto ad osservarle, o a qualcuna di esse, anche se portano il sigillo di un giuramento.

Decreto del Sant’Uffizio, 24 agosto 1690.

Errori sul bene morale e sul peccato filosofico.

2290. (1) La bontà oggettiva consiste nella conformità dell’oggetto alla natura razionale; la bontà formale, invece, consiste nella conformità dell’atto alla regola della morale. Per questo è sufficiente che l’atto morale tenda al fine ultimo in modo interpretativo, e l’uomo non è obbligato ad amare questo fine né all’inizio né durante la sua vita morale.

2291. (2). Il peccato filosofico o morale è un atto umano non conforme alla natura umana e alla retta ragione; il peccato teologico, invece, è una libera trasgressione della Legge divina. Per quanto grave possa essere, questo peccato filosofico è, in chi non conosce Dio o non pensa attualmente a Dio, un peccato grave, ma non è un’offesa a Dio né un peccato mortale che fa perdere l’amicizia di Dio, e non merita la pena eterna.

2292. (Censura:) Propos. 1 : eretico. – 2 : scandaloso, avventato, offensivo per le orecchie pie, erroneo.

Decreto del Sant’Uffizio del 7 dicembre 1690.

Errori dei giansenisti.

2301. (1). Nello stato di natura decaduta, perché ci sia peccato mortale (formale) e demerito, è sufficiente quella libertà per cui il peccato è stato volontario e libero nella sua causa: il peccato di Adamo.

2302. (2). Anche se ci fosse un’ignoranza invincibile della legge naturale, nello stato di natura decaduta essa non scusa il peccato.

Non c’è peccato formale (materiale) per chi agisce in virtù di essa.

2303. (3). Non è lecito seguire un’opinione (probabile), o la più probabile tra quelle probabili.

2304. (4). Cristo si è offerto in sacrificio a Dio per noi, non per i soli eletti, ma per tutti i fedeli e solo per loro.

2305. (5). Gentili, ebrei, eretici e simili non ricevono alcun influsso da Gesù Cristo; e da ciò possiamo giustamente concludere che la volontà in loro è nuda e disarmata, senza alcuna grazia sufficiente.

2306. (6) La grazia sufficiente non è tanto utile quanto perniciosa nel nostro stato attuale, cosicché possiamo giustamente pregare: “Dalla grazia sufficiente, Signore, liberaci”.

2307. (7). Ogni azione umana deliberata è amore di Dio o amore del mondo; se è amore di Dio, è carità del Padre; se è amore del mondo, è concupiscenza della carne, cioè male.

2308. (8). Il non credente pecca necessariamente in tutte le sue opere.

2309. (9). Pecca veramente chi odia il peccato solo per la sua turpitudine e sconvenienza rispetto alla natura, senza considerare in alcun modo l’offesa a Dio.

2310. (10). L’intenzione di chi odia il male e persegue il bene solo per ottenere la gloria celeste non è né giusta né gradita a Dio.

2311. (11). Tutto ciò che non proviene da una fede cristiana soprannaturale che agisce per amore è peccato.

2312. (12). Quando nei grandi peccatori manca l’amore, manca anche la fede; e anche se sembra che credano, non è una fede divina ma umana.

2313. (13). Chi ama Dio, anche in vista della ricompensa eterna, se la carità gli viene meno, il vizio non gli viene meno, per quanto spesso agisca in vista della beatitudine.

2314. (14). La paura dell’inferno non è soprannaturale.

2315. (15). Il logorio concepito dal timore dell’inferno e delle pene, senza l’amore di Dio per se stesso, non è un movimento buono e soprannaturale.

2316. (16). L’ordinanza che antepone la soddisfazione all’assoluzione non è stata introdotta dalla disciplina o dall’istituzione della Chiesa, ma proviene dalla Legge e dalla prescrizione di Cristo stesso, come se fosse dettata dalla natura della cosa.

2317. (17). Con questa pratica di assolvere subito, l’ordinanza della penitenza è stata invertita.

2318. (18). L’usanza moderna relativa all’amministrazione della penitenza, sebbene sostenuta dall’autorità di molti uomini e confermata da un lungo periodo di tempo, non è tuttavia ritenuta dalla Chiesa un uso ma un abuso.

2319. (19). L’uomo deve fare penitenza per tutta la vita per il peccato originale.

2320. (20). Le confessioni fatte ai religiosi sono per lo più sacrileghe o invalide.

2321. (21). Un parrocchiano può sospettare che i religiosi mendicanti, che vivono di elemosine ordinarie, per ottenere o guadagnare un bene temporale, impongano una pena troppo leggera o mal proporzionata.

2322. (22). Chi pretende di avere diritto alla comunione prima di aver fatto una penitenza proporzionata ai propri peccati è da considerarsi empio.

2323. (23). Allo stesso modo, devono essere esclusi dalla Santa Comunione coloro che non hanno ancora un amore di Dio molto puro e non mescolato.

2324. (24). L’offerta che la Vergine Maria fece nel Tempio, nel giorno della purificazione, di due colombe, una per l’olocausto e l’altra per i peccati, attesta sufficientemente che aveva bisogno di purificazione e che il figlio che la presentò era macchiato dalle macchie della madre, secondo le parole della Legge.

2325. (25). Non è lecito per un cristiano collocare in un tempio cristiano un’immagine di Dio Padre (seduto).

2326 (26). Le lodi rivolte a Maria in quanto Maria, sono vane.

2327. (27). Un tempo era valido il Battesimo conferito in questa forma: “Nel nome del Padre, ecc.”, omettendo “Io ti battezzo”.

2328. (28). Un Battesimo è valido quando sia stato conferito da un ministro che osservi tutto il rito e la forma esterna, ma che interiormente, nel suo cuore e al di fuori di sé, decide: non intendo fare ciò che fa la Chiesa.

2329. (29). L’affermazione che il Papa abbia autorità sul Concilio ecumenico e infallibilità in materia di fede è inutile ed è stata più volte confutata.

2330. (30). Quando qualcuno ha trovato una dottrina chiaramente stabilita in Agostino, essa deve assolutamente essere sostenuta e insegnata, senza tener conto di alcuna bolla papale.

(Censura: condannate e proibite in quanto) a seconda dei casi, avventata, scandalosa, sconveniente, vicina all’eresia, in odore di eresia, erronea, scismatica ed eretica.

2331. (31). La bolla In eminenti di Urbano VIII fu ottenuta con l’inganno.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (30): “da INNOCENZO XII a CLEMENTE XI”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (28): “da ALESSANDRO VII ad INNOCENZO XI”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (28)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da ALESSANDRO VII ad INNOCENZO XI)

ALESSANDRO VII: 7 aprile 1655-22 maggio 1667

Costituzione “Ad sanctam beati Petri sedem“, 16 ottobre 1656.

Il giudizio della Chiesa sul significato delle parole di Cornelius Jansen.

2010. Par. 5… Poiché… con grande scandalo dei fedeli di Cristo, alcuni figli dell’iniquità non temono di affermare che le cinque proposizioni suddette o non si trovino nel suddetto libro del medesimo Cornelius Jansen, ma siano state riunite in modo fittizio e arbitrario, o siano state condannate non secondo il significato inteso da quest’ultimo…

2011. Par. 6. Noi, che abbiamo avuto sufficiente e accurata conoscenza di tutto ciò che sia avvenuto in questa materia, poiché siamo stati presenti (come Cardinale e come Commissario)… a tutte le assemblee in cui questa materia è stata discussa in virtù dell’Autorità Apostolica, e con una diligenza che non si potrebbe desiderare di più, volendo eliminare ogni dubbio in futuro su quanto sopra: Confermiamo, approviamo e rinnoviamo nel loro ordine la costituzione, la dichiarazione e la definizione del nostro predecessore Innocenzo inserite sopra,

2012. … e dichiariamo e definiamo che queste cinque proposizioni siano state tratte dal libro del suddetto Cornelius Jansen, Vescovo di Ypres, che porta il titolo di Augustinus, e che siano state condannate secondo il senso inteso dallo stesso Cornelius Jansen, e le condanniamo di nuovo come tali, cioè imprimendo su ognuna di esse lo stesso marchio che è stato impresso su ognuna di esse nella dichiarazione e nella definizione di cui sopra.

Risposta del Sant’Uffizio, 11 febbraio 1661

Nessuna leggerezza nelle questioni sessuali

2013. Domanda: Un confessore che sollecita (un peccato contro la castità) deve questo essere confessato, data la leggerezza della questione?

Risposta: Dato che nelle questioni sessuali non c’è materia leggera, e che se essa esistesse non esisterebbe in questo caso, si è ritenuto che esso debba essere confessato, e che l’opinione contraria non sia probabile.

L’Immacolata Concezione di Maria

2015. Par. 1. – Antica è la pietà dei fedeli di Cristo verso la beata Vergine Maria sua Madre, i quali credono che la sua anima, nel primo istante della sua creazione e infusione nel corpo, sia stata, per una speciale grazia e favore di Dio, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo suo Figlio, il Redentore del genere umano, pienamente preservata intatta dalla macchia del peccato originale, e che, in questo spirito, onorano e celebrano solennemente la festa della sua Concezione; e il loro numero è aumentato dopo la pubblicazione. …delle costituzioni di Papa Sisto IV di benedetta memoria del 1400, 1425, rinnovate dal Concilio di Trento. (Cf. 1516). Questa pietà è cresciuta e si è diffusa di nuovo… così che anche la maggior parte delle Accademie più famose si sono avvicinate a questa credenza, e quasi tutti i Cattolici l’hanno già abbracciata.

2016. Par. 2 – E poiché, in occasione dell’affermazione contraria nella predicazione, nell’insegnamento, nelle conclusioni e negli atti pubblici – cioè che questa stessa beatissima Vergine Maria è stata concepita senza il peccato originale – sono sorti scandali, liti e dissensi tra il popolo cristiano, come grande offesa a Dio, Papa Paolo V di venerabile memoria, anche nostro predecessore, ha proibito che l’opinione di questi autori contrari alla suddetta credenza fosse insegnata o predicata pubblicamente. Papa Gregorio XV di pia memoria, anch’egli nostro predecessore, estese questa proibizione ai colloqui privati, ordinando inoltre a favore di questa credenza che nella celebrazione del santissimo Sacrificio della Messa e dell’Ufficio divino, sia in pubblico che in privato, non si usasse altro termine che “Concezione”.

2017. Par. 4 – Considerando che la Santa Chiesa Romana celebra solennemente la festa della Concezione di Maria, senza macchia e sempre Vergine, e che da tempo ha istituito uno speciale Ufficio proprio per questa festa,… desiderando incoraggiare questa pia e lodevole devozione, così come la festa e il culto, rinnoviamo (i decreti) pubblicati a favore della convinzione che l’anima della Beata Vergine Maria, al momento della sua creazione ed infusione nel corpo, fosse adornata con la grazia dello Spirito Santo e preservata dal peccato originale…

Costituzione “Regiminis apostolici“, 15 febbraio 1665 (1664 secondo il computo della Formula di sottomissione proposta ai Giansenisti.

2020. “Io, N., mi sottometto alla Costituzione Apostolica del Sommo Pontefice Innocenzo X del 31 marzo 1653 e alla Costituzione del Sommo Pontefice Alessandro VII del 16 ottobre 1656, e respingo e condanno con cuore sincero le cinque proposizioni tratte dal libro di Cornelius Jansen che porta il nome di Augustinus, e nel senso inteso dallo stesso autore, come la Sede Apostolica le ha condannate con le dette Costituzioni, e perciò giuro: Così mi aiuti Dio e questi santi Vangeli. “

45 proposizioni condannate nei decreti del Sant’Uffizio del 24/9/1665 e del 18/3/1666.

Errori di una dottrina morale lassista

a) Proposizioni 1-28 del decreto del 24 settembre 1665

2021. (1) In nessun momento della sua vita un uomo è obbligato a compiere un atto di fede, speranza e carità in virtù dei precetti divini relativi a queste virtù.

2022. (2) Un cavaliere sfidato a duello può accettarlo per non essere accusato di codardia dagli altri.

2023. (3) La proposizione che la Bolla Coenae proibisca l’assoluzione per l’eresia e altri crimini solo quando sono pubblici, e che ciò non deroghi alla Facoltà di Trento quando si parla di crimini occulti, è stata tollerata durante il concistoro della Sacra Congregazione degli Eminenti Cardinali tenutosi il 18 luglio 1629.

2024. (4) I prelati regolari possono, per motivi di coscienza, assolvere tutti i secolari dall’eresia occulta e dalla scomunica che ne deriva.

2025. (5) Anche se per voi è evidente che Pietro è eretico, non siete obbligati a denunciarlo se non potete provarlo.

2026. (6). – Un confessore che, durante la Confessione sacramentale, dia al penitente un biglietto da leggere in seguito in cui lo esorta alla lussuria, non si suppone che l’abbia sollecitata in Confessione, e di conseguenza non siete obbligati a confrssarlo.

2027. (7)- Un modo per evitare l’obbligo di denunciare una sollecitazione è che colui che è stato sollecitato si confessi con colui che lo abbia sollecitato; quest’ultimo può assolverlo senza obbligarlo a denunciare.

2028. (8) Il Sacerdote può legittimamente accettare compensi per la stessa Messa, applicando anche a colui che ne fa richiesta il frutto specialissimo che spetta al celebrante stesso, a norma del decreto di Urbano VIII.

2029. (9) Dopo il decreto di Urbano VIII, un sacerdote a cui siano state date Messe da celebrare può soddisfarle dando ad un altro Sacerdote un compenso minore, tenendo per sé il resto del compenso.

2030. (10). Non è contrario alla giustizia accettare compensi per più Messe e offrire un unico Sacrificio. Né è contrario alla probità, anche se ho promesso, anche con giuramento, alla persona che ha dato il compenso, che non lo offrirò per nessun altro.

2031. (11). – Se nella Confessione sono stati omessi o dimenticati dei peccati, nell’urgenza di una situazione di pericolo di vita o per qualsiasi altro motivo, non siamo tenuti a dichiararli nella Confessione successiva.

2032. (12). I religiosi mendicanti possono assolvere i casi riservati ai Vescovi senza averne ricevuto la facoltà dai Vescovi.

2033. (13). Chi confessa un religioso presentato al Vescovo, ma da lui ingiustamente respinto, ha adempiuto al precetto della confessione annuale.

2034. (14). – Chi fa una Confessione volontariamente nulla, soddisfa il precetto della Chiesa (cf. 2155).

2035. (15). – Il penitente può, di sua autorità, sostituire qualcun altro nella penitenza.

2036. (16). Chi ha un beneficio curiale può scegliere come confessore un semplice Sacerdote non approvato dall’Ordinario.

2037. (17) È lecito ad un religioso o ad un chierico uccidere un calunniatore che minaccia di imputare gravi delitti a lui o alla sua famiglia religiosa, quando non ha altri mezzi di difesa, così come sembra che non ce ne siano se il calunniatore si mostri pronto a imputarli pubblicamente, e davanti agli uomini più eminenti, a questo religioso o alla sua famiglia religiosa, a meno che non venga ucciso.

2038. (18). È lecito uccidere il falso accusatore, i falsi testimoni e persino il giudice che è certamente minacciato da una sentenza ingiusta, quando un innocente non ha altri mezzi per evitare il danno.

2039. (19). Il marito non commette peccato quando uccide di sua autorità la moglie colta in adulterio.

2040. (20).- La restituzione imposta da Pio V ai titolari di benefici che non recitano l’Ufficio non è dovuta in coscienza prima della sentenza dichiarativa del giudice, trattandosi di una pena.

2041. (21). Chi detiene una cappella di cui ha ricevuto la collazione o qualsiasi altro beneficio ecclesiastico, se si dedica allo studio delle lettere soddisfa il suo obbligo quando fa recitare l’Ufficio ad un altro.

2042. (22). Non è contrario alla giustizia non conferire gratuitamente i benefici ecclesiastici, poiché il benefattore che li conferisce in cambio di denaro non richiede questo denaro per il conferimento del beneficio, ma, per così dire, per un vantaggio temporale che non era obbligato a fornire.

2043. (23). Chi rompe il digiuno della Chiesa a cui è tenuto, non pecca mortalmente, a meno che non lo faccia per disprezzo o disobbedienza, ad esempio perché non vuole sottostare al precetto.

2044. (24). La mollezza, la sodomia e la bestialità sono peccati dello stesso genere inferiore; pertanto è sufficiente dire in confessione che ci si sia procurati la contaminazione.

2045. (25). Chiunque abbia avuto rapporti carnali con una donna libera soddisfa il precetto di confessare, dicendo: Ho commesso un grave peccato contro la castità con una donna libera, senza menzionare esplicitamente questo rapporto.

2046. (26). – Quando le parti in causa hanno opinioni ugualmente probabili, il giudice può accettare denaro per pronunciare la sentenza a favore di una piuttosto che dell’altra.

2047. (27) – Nel caso di un libro di un autore recente e moderno, l’opinione di quest’ultimo è da considerarsi probabile, purché non sia stato accertato che sia stata respinta dalla Sede Apostolica come improbabile.

2048. (28) – Il popolo non pecca anche se, senza alcun motivo, non accoglie una legge promulgata dal principe.

2049. (29). Chi, in un giorno di digiuno, mangia spesso un po’, anche se alla fine ha mangiato una quantità considerevole, non rompe il digiuno.

2050. (30).- Tutti coloro che hanno un ufficio e lavorano corporalmente nella società sono esonerati dall’obbligo del digiuno e non devono indagare se il loro lavoro sia compatibile con il digiuno.

2051. (31). – Coloro che viaggiano a cavallo sono assolutamente esonerati dal precetto del digiuno, in qualsiasi modo intraprendano il viaggio, anche se questo viaggio non sia necessario e anche se lo completino in un solo giorno.

2052. (32).- Non è chiaro se l’usanza di non mangiare uova e latticini durante la Quaresima sia obbligatoria.

2053. (33).- La restituzione dei frutti per aver omesso la preghiera delle ore può essere compensata dall’elemosina che il beneficiario avrebbe fatto con i frutti del suo profitto.

2054. (34). – Chi recita l’Ufficio della Pasqua la Domenica delle Palme adempie al precetto.

2055. (35) I due precetti possono essere adempiuti con un unico ufficio, per lo stesso giorno e per il successivo.

2056. (36). I regolari possono, per amore della loro coscienza, avvalersi dei privilegi che sono stati loro espressamente concessi dalla Chiesa revocate dal Concilio di Trento.

2057. (37). – Le indulgenze concesse ai regolari e revocate da Paolo V vengono oggi riconfermate.

2058. (38). – L’ingiunzione fatta dal Concilio di Trento al Sacerdote che, per motivi di necessità, presenti il Sacrificio in stato di peccato mortale di confessarsi “al più presto” (cf. 1647) è un consiglio, non un precetto.

2059. (39). Con questa particella “appena possibile” si intende che il Sacerdote si confesserà alla sua ora abituale.

2060. (40). – È opinione probabile che un bacio dato per il piacere carnale e sensibile che il bacio procura, senza il rischio di un successivo consenso e inquinamento, sia un peccato solo veniale.

2061. (41). – Non si deve obbligare un concubino a licenziarla se è stata molto utile per il godimento del concubino – noto nel linguaggio popolare come regalo – poiché senza di lei sarebbe troppo doloroso per lui vivere, altre feste darebbero alla concubina grande disgusto e sarebbe difficile trovare un’altra serva.

2062. (42). È lecito che un creditore chieda qualcosa in aggiunta alla somma prestata se si impegna a non reclamare la somma per un certo periodo di tempo.

2063. (43)- Un legato annuale lasciato per l’anima di un defunto non dura più di dieci anni.

2064. (44).- Per quanto riguarda il foro della coscienza, quando l’accusato si è corretto e la sua contumacia è cessata, le censure cessano.

2065. (45). I libri proibiti “finché non siano stati espunti” possono essere conservati finché, con la dovuta diligenza, non siano stati corretti.

(Censura🙂 quanto meno scandalosi.

Decreto del Sant’Uffizio, 5 maggio 1667.

Libertà di insegnamento sul tema dell’attrizione.

2070. Avendo appreso, non senza grande tristezza, che alcuni teologi della scuola disputavano tra loro con troppa asprezza e con scandalo dei fedeli sul punto di sapere se l’attrizione concepita dal timore dell’inferno, che esclude la volontà di predicare ed è accompagnata dalla speranza del perdono, richieda ancora qualche altro atto di amore di Dio per ottenere la grazia nel Sacramento della penitenza, alcuni sostenendo questa opinione, altri negandola, alcuni censurando l’opinione contraria di altri, Sua Santità ordina… che se in futuro comporranno o pubblicheranno libri o scritti, se insegneranno o predicheranno o istruiranno in qualsiasi modo penitenti, studenti o altri, non si impegnino a notare con alcuna censura teologica, né a decriminare con alcun termine ingiurioso o offensivo, né l’una né l’altra delle due opinioni opposte: Né quella che nega la necessità di un atto d’amore verso Dio quando esista la suddetta attrizione concepita per paura dell’inferno, opinione oggi più diffusa nelle scuole, né quella che afferma la necessità di questo atto d’amore, prima che la Santa Sede abbia definito qualcosa al riguardo.

CLEMENTE XI: 20 giugno 1667-9 Dicembre 1669

Clemente X: 29 aprile 1670-22 luglio 1676.

INNOCENZO XI: 21 settembre 1676-12 agosto 1689.

Decreto della Sacra Congregazione del Concilio “Cum ad aures“,

12 febbraio 1679.

Comunione frequente e quotidiana.

2090. Sebbene l’usanza della Comunione frequente e quotidiana sia sempre stata approvata nella Chiesa dai santi Padri, tuttavia essi non hanno mai indicato giorni fissi nel mese o nella settimana per ricevere la Comunione più frequentemente o per astenersene, né il Concilio di Trento ne ha prescritto alcuno; ma quest’ultimo, come se considerasse la debolezza umana, pur non prescrivendo nulla, ha indicato ciò che desiderava quando ha detto: “Il santo Concilio vorrebbe certamente che i fedeli che partecipano ad ogni Messa . . ricevano la Comunione attraverso la ricezione sacramentale dell’Eucaristia” (cf. 1747). E giustamente, perché ci sono molti modi in cui le coscienze possano essere ritirate e molti modi in cui la mente possa essere distratta dagli affari; ma ci sono molti modi in cui le grazie e i doni di Dio siano elargiti ai piccoli; e poiché non possiamo esaminarli con occhi umani, non si può dire nulla con certezza sulla dignità e l’integrità di ogni persona, e quindi sul mangiare frequentemente o quotidianamente il pane della vita.

2091. Perciò, per quanto riguarda coloro che esercitano un’attività commerciale, il loro frequente accesso al ricevimento del sacro cibo deve essere lasciato al giudizio dei confessori che esplorano i segreti del cuore e che, secondo la purezza delle coscienze, il profitto della frequenza ed il progresso verso la pietà, si debbano prescrivere ai laici che esercitano un’attività commerciale e ai coniugati ciò che prevedono sia vantaggioso per la loro salvezza.

2092. Per quanto riguarda i coniugi, poiché il beato Apostolo non vuole che “si rifiutino l’un l’altro se non di comune accordo e per un certo tempo, per dedicarsi alla preghiera” (1Cor VII, 5), sarà tanto più ansioso di ammonirli a praticare la continenza per rispetto alla santissima Eucaristia e ad accostarsi alla Comunione al banchetto celeste con uno spirito più puro.

2093. In questa materia, dunque, la diligenza dei pastori non si preoccuperà tanto che alcuni siano dissuasi da una sola formula di precetto dal ricevere la santa Comunione frequentemente o quotidianamente, o che siano fissati in modo generale i giorni per riceverla, ma riterrà piuttosto che spetterà a se stessa, o ai parroci od ai pastori, decidere ciò che debba essere permesso a ciascuno, e impedirà assolutamente che qualcuno sia respinto dal santo banchetto, sia che sia membro o meno della congregazione, frequentemente o quotidianamente.

2094. Oltre alla diligenza dei parroci e dei confessori, sarà utile anche l’aiuto dei predicatori e concordare con loro che, quando i fedeli si accostano frequentemente al santissimo Sacramento (cosa che dovrebbero fare), facciano subito una predica sulla grandissima preparazione necessaria per riceverlo e che, in generale, mostrino a coloro che sono spinti da un pio zelo a ricevere frequentemente o quotidianamente il cibo salutare – siano essi laici impegnati negli affari o sposati o qualsiasi altra persona – che devono riconoscere la loro debolezza, affinché attraverso la dignità del Sacramento ed il timore del giudizio divino imparino a riverire il cibo spirituale che contiene Cristo; e se a volte dovessero sentirsi meno preparati, di astenersi da esso e di avcingersi ad una preparazione migliore. …

2095. Inoltre, i Vescovi e i parroci o confessori respingeranno coloro che affermano che la Comunione quotidiana sis di diritto divino…

65 proposizioni, condannate nel decreto del Sant’Uffizio del 2/3/1679.

Errori di una dottrina morale più lassista.

2101. (1) Nell’amministrazione dei Sacramenti non è proibito seguire l’opinione probabile sulla validità del Sacramento, lasciando quella più certa, a meno che ciò non sia proibito dal diritto o dalla convenzione, o ci sia pericolo di grave danno. È per questo che solo nel conferimento del Battesimo o dell’Ordinazione sacerdotale o episcopale non si debba ricorrere all’opinione probabile.

2102. (2). Ritengo probabile che un giudice possa giudicare secondo un’opinione ancora meno probabile.

2103. (3). – In generale, finché agiamo facendo affidamento su una probabilità, sia essa intrinseca o estrinseca, per quanto piccola, purché rimanga nei limiti della probabilità, agiamo sempre con molta prudenza.

2104. (4). – Il non credente che non crede è scusato per l’infedeltà, se si lascia guidare dall’opinione meno probabile.

2105. (5). Non osiamo dire se pecca mortalmente chi compie un atto di amore verso Dio una sola volta nella sua vita.

2106. (6). – È probabile che il precetto della carità verso Dio non imponga di per sé un obbligo rigoroso ogni cinque anni.

2107. (7). È vincolante solo quando siamo tenuti ad essere giustificati e non abbiamo altro modo per esserlo.

2108. (8).Mangiare e bere a sazietà e per il solo piacere non è peccato, purché non interferisca con la salute, perché l’appetito naturale può godere dei suoi atti in modo lecito.

2109. (9). L’atto di matrimonio compiuto solo per piacere è esente da qualsiasi colpa veniale.

2110. (10). – Non siamo tenuti ad amare il prossimo con un atto interiore o formale.

2111. (11). Possiamo adempiere al precetto di amare il prossimo solo con atti esteriori.

2112. (12). Sarebbe difficile trovare in coloro che vivono nel mondo e nei re qualcosa di superfluo per il loro stato. Perciò una persona non è tenuta a fare l’elemosina se è tenuta a dare solo ciò che sia superfluo.

2113. (13).- Se lo si fa con la necessaria moderazione, si può, senza peccare mortalmente, addolorarsi per la vita di qualcuno e rallegrarsi per la sua morte, desiderandolo con un desiderio inefficace, non perché la persona sia antipatica, ma per qualche vantaggio temporale.

2114. (14).- È lecito desiderare assolutamente la morte del padre, non per il male del padre, ma per il bene di chi la desidera, perché porterà una ricca eredità.

2115. (15). – È lecito che un figlio si rallegri di un parricidio commesso da lui in stato di ubriachezza, per la grande ricchezza che gli deriverà dall’eredità.

2116. (16). La fede non deve rientrare in nessun precetto particolare.

2117. (17). – Un singolo atto di fede nella propria vita è sufficiente.

2118. (18). – Se qualcuno è interrogato da un’autorità pubblica, consiglio che è glorioso per Dio e per la fede confessare apertamente la fede; non condanno come peccaminoso il silenzio.

2119. (19). La volontà non può rendere l’assenso della fede più solido del peso delle ragioni che lo spingono.

2120. (20). Qualcuno può quindi prudentemente rifiutare l’assenso che ha avuto soprannaturalmente.

2121. (21).- L’assenso di fede, soprannaturale e utile alla salvezza, esiste con la sola conoscenza probabile della rivelazione, e persino con il timore che Dio non abbia parlato.

2122. (22). Solo la fede in un unico Dio sembra essere necessaria come mezzo, ma non la fede esplicita nel Rimuneratore.

2123. (23). La fede in senso lato, che deriva dalla testimonianza delle creature o da un motivo simile, è sufficiente per la giustificazione.

2124. (24). Chiamare Dio a testimoniare una piccola menzogna non è un’irriverenza tale che Dio sia disposto o in grado di dannare un uomo a causa di essa.

2125. (25). – Quando c’è un motivo, è lecito giurare senza la disposizione interiore a giurare, sia che si tratti di una questione grave o leggera.

2126. (26). Se una persona, da sola o in presenza di altri, sia che venga interrogata o spontaneamente, sia che lo faccia per gioco o per qualche altro motivo, giura di non aver fatto una cosa che in realtà ha fatto, sottintendendo interiormente qualche altra cosa che non ha fatto, o qualche altro modo diverso da quello in cui l’ha fatta, o qualche aggiunta che è vera, non sta mentendo e non sta spergiurando.

2127. (27). Ci possono essere giusti motivi per ricorrere a queste anfibologie quando sia necessario o utile per difendere la propria vita, il proprio onore o i propri beni, o per qualche altro atto di virtù, cosicché l’occultamento della verità sia considerato utile e desiderabile.

2128. (28). Colui che, grazie ad una raccomandazione o ad un dono, sia stato promosso ad una magistratura o ad un ufficio pubblico, può prestare, senza restrizioni mentali, il giuramento che, per mandato del re, è normalmente richiesto a tali persone, senza tener conto dell’intenzione di chi lo richieda, perché non è tenuto a confessare un crimine occulto.

2129. (29). Un grave timore è un giusto motivo per simulare l’amministrazione dei Sacramenti.

2130. (30) – A un uomo d’onore è consentito uccidere un aggressore che cerchi di calunniarlo, se non si possa evitare altrimenti questa ignominia; la stessa cosa si deve dire se qualcuno dia uno schiaffo o colpisca con un bastone e fugga dopo aver dato lo schiaffo o colpito con il bastone.

2131. (31).- Posso, in senso giuridico, uccidere un ladro per tenere una sola moneta d’oro.

2132. (32). – Non solo è lecito difendersi con una difesa che uccide ciò che effettivamente si possiede, ma anche ciò che si ha il diritto e la speranza di possedere.

2133. (33). Un erede o un legatario può difendersi da chi gli impedisca ingiustamente di entrare in possesso dell’eredità o del legato, così come un avente diritto alla cattedra o alla prebenda può difendersi da chi gli impedisca ingiustamente di entrarne in possesso.

2134. (34) – È lecito procurare un aborto prima che il feto sia animato, per salvare dalla morte o dal disonore una ragazza rimasta incinta.

2135. (35). – Sembra probabile che ogni feto (finché sia nel grembo materno) sia privo di anima razionale e che cominci ad averne una solo quando nasce; per questo si deve dire che in nessun aborto si commetta omicidio.

2136. (36). È lecito rubare, non solo in caso di estrema necessità, ma anche in caso di grave necessità.

2137. (37). I domestici possono rubare segretamente ai loro padroni per compensare un lavoro che considerano più importante del salario che ricevono.

2138. (38) – Nessuno è obbligato, sotto pena di peccato mortale, a restituire ciò che sia stato preso con un furto, per quanto grande sia la somma totale.

2139. (39). – Una persona che esorti o inciti un’altra a causare un grave danno ad una terza non è tenuta a restituire il danno causato.

2140. (40). – Un contratto Mohatra è lecito anche se stipulato nei confronti della stessa persona e con una precedente clausola di rivendita con l’intento di trarne profitto.

2141. (41). – Poiché una somma pagata ha più valore di una somma da pagare, e poiché non c’è nessuno che non preferisca una somma presente a una somma futura, il prestatore può esigere dal debitore qualcosa in aggiunta al capitale prestato, ed essere esonerato dall’usura per questo motivo.

2142. (42). Non c’è usura quando si chiede qualcosa in aggiunta al capitale prestato a titolo di benevolenza e gratitudine, ma solo se lo si chiede a titolo di giustizia.

2143. (43).- Perché non dovrebbe essere un peccato veniale solo distruggere con una falsa accusa la grande autorità di un calunniatore che ti danneggia?

2144. (44). – È probabile che non pecchi mortalmente colui che lanci una falsa accusa contro qualcuno per difendere il proprio diritto ed il proprio onore. E se questo non è probabile, difficilmente ci sarà un’opinione probabile in teologia.

2145. (45). – Dare un bene temporale per un bene spirituale non è simonia quando il bene temporale non sia dato come prezzo ma solo come motivo per affidare o realizzare il bene spirituale, o anche quando il bene temporale sia solo un compenso gratuito per il bene spirituale e viceversa.

2146. (46)… Questo rimane vero anche se il bene temporale sia il motivo principale per dare il bene spirituale, così che il bene temporale sarebbe valutato più del bene spirituale.

2147. (47). Quando il Concilio di Trento dice che essi partecipano al peccato altrui e peccano mortalmente, che promuovono a cariche ecclesiastiche senza considerare queste persone come più degne e più utili alla Chiesa, il Concilio o, in primo luogo, sembra aver voluto significare solo con questo termine “più degni” la dignità di coloro che debbano essere scelti, usando il comparativo invece del positivo; o, in secondo luogo, usa l’espressione meno appropriata “più degni” per escludere coloro che siano indegni, ma non quelli che siano degni; o, in terzo luogo, parla solo del caso in cui sia coinvolto un concorso.

2148. (48).- Sembra così chiaro che la fornicazione non include di per sé alcuna malizia e che è un male solo perché è proibita, che il contrario sembra contraddire del tutto la ragione.

2149. (49). La mollezza non è proibita dalla legge naturale. Per questo, se Dio non l’avesse proibita, sarebbe spesso buona, e a volte sarebbe addirittura obbligatoria sotto pena di peccato mortale.

2150. (50).- L’unione con una donna sposata, con il consenso del marito, non è adulterio; per questo è sufficiente dire in confessione che si è fornicato.

2151. (51).- Un servo che consapevolmente aiuti il padrone a entrare dalla finestra per violentare una ragazza, facendolo salire sulle sue spalle, e che spesso lo assiste portando la scala, aprendo la porta o aiutandolo in altri modi simili, non pecca mortalmente se lo fa per paura di un danno significativo, ad esempio per non essere maltrattato dal padrone o per non essere guardato in cagnesca, o per non essere cacciato di casa.

2152. (52). – Il precetto di osservare i giorni di festa non è obbligatorio sotto pena di peccato mortale, a parte lo scandalo, se non ci sia disprezzo.

2153. (53). Chi ascolta due o anche quattro parti della Messa insieme, da celebranti diversi, soddisfa il precetto della Chiesa di ascoltare la Messa.

2154. (54). Chi non può recitare il Mattutino e le Lodi, ma può recitare le altre ore, non ha alcun obbligo; perché la parte maggiore attira a sé la parte minore.

2155. (55). – Il precetto della Comunione annuale è adempiuto dal mangiare sacrilego del Signore (cf. 2034).

2156. (56). La Confessione e la Comunione frequenti, anche da parte di chi vive da pagano, sono segni di predestinazione.

2157. (57). – È probabile che un’attribuzione naturale sia sufficiente se è onesta.

2158. (58). – Non siamo obbligati a dire al confessore, se ci interroga, l’abitudine di qualche peccato.

2159. (59). – È lecito assolvere sacramentalmente chi si sia confessato solo a metà quando c’è un grande afflusso di penitenti, come può accadere, ad esempio, nel giorno di una grande festa o di una indulgenza.

2160. (60)… Al penitente che abbia l’abitudine di peccare contro la legge naturale o ecclesiastica, anche se non c’è speranza di emendarsi, non si deve rifiutare o rimandare l’assoluzione se dichiari con la bocca di sentire dolore e di impegnarsi a riparare.

2161. (61). – L’assoluzione può essere talvolta concessa a una persona che si trova nel mezzo di un’imminente occasione di peccato che non può e non vuole evitare, e persino che cerca direttamente o deliberatamente, o in cui si getta.

2162. (62). Un’occasione imminente di peccato non va evitata quando c’è un motivo utile o onesto per non evitarla.

2163. (63). È lecito cercare direttamente la prossima occasione di peccato per il nostro bene spirituale o temporale, o per quello del nostro prossimo.

2164. (64). Un uomo è in grado di ricevere l’assoluzione qualunque sia la sua ignoranza dei misteri della fede, e anche se per negligenza, anche colposa, ignori il mistero della Santissima Trinità e dell’Incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo.

2165. (65) – È sufficiente aver creduto una volta in questi misteri.

(Censura: ) Tutte le proposizioni sono condannate e proibite, così come si presentano, almeno come scandalose e perniciose nella pratica.

(Conclusione del decreto🙂 Infine, affinché i dottori o gli scolastici e tutti gli altri si astengano d’ora in poi da ogni disputa dannosa, e affinché siano assicurate la pace e la carità, il medesimo Santissimo Pontefice ordina, in nome della santa obbedienza, che nei libri da stampare e nei manoscritti, così come nelle tesi, nelle dispute e nei sermoni, si astengano da qualsiasi censura o nota, così come qualsiasi invettiva contro le proposizioni che finora continuano ad essere oggetto di discussione tra i Cattolici, fino a quando la Santa Sede, dopo aver esaminato la questione, non avrà emesso un giudizio su queste proposizioni.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (29): “Da INNOCENZO XI ad ALESSANDRO VIII”

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (68): IL MODERNISMO (2)

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (68)

IL MODERNISMO (2)

DOCUMENTI DI S.S. PIO X CHE DENUNCIANO E CONDANNANO IL MODERNISMO

ENCICLICA “PASCENDI DOMINICI GREGIS”

“SUGLI ERRORI DEL MODERNISMO”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

PIO PP. X SERVO DEI SERVI DI DIO.

VENERABILI FRATELLI SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

L’officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le prone novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome. La quale provvidenza del Supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: stanteché per opera del nemico dell’umano genere, mai non mancarono “uomini di perverso parlare (Act. X, 30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Tim. III, 13)”. Pur nondimeno gli è da confessare che in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virtù avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Gesù Cristo. Per la qual cosa non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignità finora usata nella speranza di più sani consigli. Ed a rompere senza più gl’indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch’è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gettano su quanto vi ha di più santo nell’opera di Cristo, non risparmiando la Persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo. Fanno le meraviglie costoro perché Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potrà stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond’è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro. Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi questa radice della immortalità, continuano a far correre il veleno per tutto l’albero in guisa, che niuna parte risparmiano della cattolica verità, niuna che non cerchino di contaminare. Inoltre, nell’adoperare le loro mille arti per nuocere, niuno li supera di accortezza e di astuzia: giacché la fanno promiscuamente da razionalisti e da Cattolici, e ciò con sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto; e poiché sono temerari quanto altri mai, non vi è conseguenza da cui rifuggano e che non ispaccino con animo franco ed imperterrito. Si aggiunga di più, e ciò è acconcissimo a confonderle menti, il menar che essi fanno una vita operosissima, un’assidua e forte applicazione ad ogni fatta di studi, e, il più sovente, la fama di una condotta austera. Finalmente, e questo spegne quasi ogni speranza di guarigione, dalle stesse loro dottrine sono formati al disprezzo di ogni autorità e di ogni freno; e, adagiatisi in una falsa coscienza, si persuadono che sia amore di verità ciò che è infatti superbia ed ostinazione. Sì, sperammo a dir vero di riuscire quando che fosse a richiamar costoro a più savi divisamenti; al qual fine li trattammo dapprima come figli con soavità, passammo poi ad un far severo, e finalmente, benché a malincuore, usammo pure i pubblici castighi. Ma voi sapete, o Venerabili Fratelli, come tutto riuscì indarno: sembrarono abbassai la fronte per un istante, ma la rialzarono subito con maggiore alterigia. E potremmo forse tuttora dissimulare se non si trattasse che sol di loro: ma trattasi invece della sicurezza del nome cattolico. Fa dunque mestieri di uscir da un silenzio, che ormai sarebbe colpa, per far conoscere alla Chiesa tutta chi siano infatti costoro che così mal si camuffano. – E poiché è artificio astutissimo dei modernisti (ché con siffatto nome son chiamati costoro a ragione comunemente) presentare le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l’una dall’altra, allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono fermi e determinati; gioverà innanzi tutto raccogliere qui le dottrine stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni. E alfin di procedere con ordine in una materia di troppo astrusa, è da notare anzi tutto che ogni modernista sostiene e quasi compendia in sé molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore: e queste parti sono tutte bene da distinguersi una ad una, da chi voglia conoscere a dovere il lor sistema e penetrare i principî e le conseguenze delle loro dottrine. Prendendo adunque le mosse dal filosofo, tutto il fondamento della filosofia religiosa è riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell’agnosticismo. Secondo questa, la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per lo che non è dato a lei d’innalzarsi a Dio, né di conoscerne l’esistenza, sia pure per intromessa delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto istorico. Poste cotali premesse, ognuno scorge di leggieri quali siano le sorti della teologia naturale, dei motivi di credibilità, dell’esterna rivelazione. Tutto questo i modernisti tolgon via di mezzo, e ne fanno assegno all’intellettualismo, ridicolo sistema, come essi affermano, e tramontato già da gran tempo. Né in ciò ispira loro alcun ritegno il sapere che si enormi errori furono già formalmente condannati dalla Chiesa. Giacché infatti il Concilio Vaticano così ebbe definito: “Se qualcuno dirà, che Dio uno e vero, Creatore e Signor nostro, per mezzo delle cose create, non possa conoscersi con certezza col lume naturale dell’umana ragione, sia anatema“ (De Revel., can. I); e similmente: “Se alcuno dirà non essere possibile, o non convenire che, mediante divina rivelazione, sia l’uomo ammaestrato di Dio e del culto che Gli si deve, sia anatema” (Ibid., can. II); e finalmente: “Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perciò gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema” (De Fide, can. III). Di qual guisa poi i modernisti dall’agnosticismo, che è puro stato d’ignoranza, passino all’ateismo scientifico e storico, che invece è stato di positiva negazione; e con qual diritto perciò di logica, dal non sapere se Iddio sia intervenuto o no nella storia dell’uman genere si trascorra a spiegar tutto nella storia medesima ponendo Dio interamente da parte come se in realtà non fosse intervenuto, lo assegni chi può. Ma tanto è; per costoro è fisso e determinato che la scienza e la storia debbano esser atee; entro l’àmbito di esse non vi è luogo se non per fenomeni, sbanditone in tutto Iddio e quanto sa di divino. Dalla quale dottrina assurdissima vedremo bentosto che cosa siasi costretti di ammettere intorno alla Persona augusta di Gesù Cristo, intorno ai misteri della Sua vita e della Sua morte, intorno alla Sua Risurrezione ed Ascensione al Cielo. Vero è che l’agnosticismo non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa; la positiva sta tutta nell’immanenza vitale. Dall’una all’altra ecco con qual discorso procedono. La Religione, sia essa naturale o sopra natura, alla guisa di ogni altro fatto qualsiasi, uopo è che ammetta una spiegazione. Or, tolta di mezzo la naturale teologia, chiuso il cammino alla rivelazione per il rifiuto dei motivi di credibilità, negata anzi qualsivoglia esterna rivelazione, chiaro è che siffatta spiegazione indarno si cerca fuori dell’uomo. Resta dunque che si cerchi nell’uomo stesso; e poiché la religione non è altro infatti che una forma della vita, la spiegazione di essa dovrà ritrovarsi appunto nella vita dell’uomo. Di qui il principio dell’immanenza religiosa. Di più, la prima mossa, per così dire, di ogni fenomeno vitale, quale si è detta essere altresì la religione, è sempre da ascrivere ad un qualche bisogno; i primordi poi, parlando più specialmente della vita, sono da assegnare ad un movimento del cuore, o vogliam dire ad un sentimento. Per queste ragioni, essendo Dio l’oggetto della religione, dobbiamo conchiudere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, debba riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità. Il quale bisogno, non sentendosi dall’uomo se non in determinate ed acconce circostanze, non può di per sé appartenere al campo della coscienza: ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto ad imprestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza, ove la sua radice rimane occulta ed incomprensibile. Che se si chieda in qual modo da questo bisogno della divinità, che l’uomo provi in se stesso, si faccia poi trapasso alla religione, i modernisti rispondono così. La scienza e la storia, essi dicono, sono chiuse come fra due termini: l’uno esterno, ed è il mondo visibile; l’altro interno, ed è la coscienza. Toccato che abbiano o l’uno o l’altro di questi termini, non hanno come passare più oltre; al di là si trovano essi a faccia dell’inconoscibile. Dinanzi a questo inconoscibile, o sia esso fuori dell’uomo oltre ogni cosa visibile, o si celi entro l’uomo nelle latebre della subcoscienza, il bisogno del divino, senza verun atto della mente, secondo che vuole il fideismo, fa scattare nell’animo già inclinato a religione un certo particolar sentimento; il quale, sia come oggetto sia come causa interna, ha implicata in sé la realtà del divino e congiunge in certa guisa l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione. Ma non è qui tutto il filosofare, o, a meglio dire, il delirare di costoro. Imperocché in siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma colla fede e nella fede stessa quale da loro è intesa, sostengono che vi si trovi altresì la Rivelazione. E che infatti può pretendersi di vantaggio per una rivelazione? O non è forse rivelazione, o almeno principio di rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta d’un tratto nella coscienza? Non è rivelazione l’apparire, benché in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di più che, essendo Iddio in pari tempo e l’oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell’assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina. Se non che in tutto questo procedimento dal quale, a detta dei modernisti, saltan fuori la fede e la rivelazione, egli è mestieri tener d’occhio un punto, che è di capitale importanza per le conseguenze storico critiche, che essi ne derivano. Quell’inconoscibile, di cui parlano, non si presenta già alla fede come nudo in sé ed isolato; ma si bene congiunto strettamente a un qualche fenomeno, che, quantunque appartenga al campo della scienza e della storia, pure in certa guisa ne trapassa i confini. Tal fenomeno potrà essere un fatto qualsiasi della natura, che in sé racchiude alcun che di misterioso: potrà essere altresì un uomo, il cui carattere, i cui gesti, le cui parole mal si compongano colle leggi ordinarie della storia. Or bene la fede, attirata dall’inconoscibile racchiuso nel fenomeno, s’impadronisce di tutto intero il fenomeno stesso e lo penetra in certo qual modo della sua vita. Da ciò due cose conseguitano. La prima, una tal trasfigurazione del fenomeno, per una, diremmo, quasi elevazione sulle condizioni sue proprie, che lo renda acconcio, come materia, alla forma del divino che la fede v’introdurrà. La seconda, un certo sfiguramento, nato da ciò che avendo la fede tolto il fenomeno ai suoi aggiunti di tempo e di luogo, facilmente gli attribuisce quello che nella realtà delle cose non ha di fatto: il che soprattutto avviene quando si tratti di fenomeni di antica data, e tanto più se sono remoti. Da questi due capi i modernisti traggono per loro due canoni; i quali, uniti a un terzo già dedotto dall’agnosticismo, formano quasi la base della critica storica. Illustriamo il fatto con un esempio, preso dalla persona di Gesù Cristo. Nella persona di Cristo, dicono, la scienza e la storia non trovan nulla al di là dell’uomo. Dunque, in vigore del primo canone dato dall’agnosticismo, dalla storia di essa deve cancellarsi tutto quanto sa di divino. Più oltre, in conformità del. secondo canone, la persona di Cristo è stata trasfigurata dalla fede: dunque fa d’uopo spogliarla di tutto ciò che la innalza sopra le condizioni storiche. Per ultimo, la stessa è stata sfigurata dalla fede, secondo insegna il terzo canone: dunque non da rimuoversi da lei i discorsi, i fatti, tutto quello insomma che non risponde al suo carattere, alla sua condizione ed educazione, al luogo ed al tempo in cui visse. Strano per fermo parrà a noi questo modo di ragionare; ma qui sta la critica dei modernisti. Adunque il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza, è il germe di tutta la religione, ed è insieme la ragione di quanto fu o sarà per essere in qualsivoglia religione. Rude dapprima e quasi informe, a poco a poco, sotto l’influsso del misterioso principio che gli diede origine, esso e venuto perfezionandosi, a seconda dei progressi della vita umana. di cui, come si disse, e una forma. Ecco pertanto la nascita di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono che semplici esplicazioni dell’anzidetto sentimento. Né credasi già che diversa sia la sorte della religione cattolica; anzi in tutto pari alle altre: imperocché non altrimenti essa è nata, che per processo di vitale immanenza nella coscienza di Cristo, uomo di elettissima natura, quale mai altro simile si vide né mai si troverà. Nell’udir tali cose Noi trasecoliamo di fronte ad affermazioni cotanto audaci e sacrileghe! Eppure, Venerabili Fratelli, non sono esse un parlar temerario solamente d’increduli. Sono uomini cattolici, sono anzi sacerdoti non pochi che così la discorrono pubblicamente; e con siffatti delirii si dànno vanto di riformare la Chiesa! Qui, non trattasi più del vecchio errore, che alla natura umana concedeva quasi un diritto all’ordine soprannaturale. Si va assai più lungi; sino cioè ad afferrare che la religione nostra santissima, nell’uomo Cristo del pari che in noi, è frutto interamente spontaneo della natura. Del quale asserto non sappiamo qual sia mezzo più acconcio per sopprimere pgni ordine soprannaturale. Perciò con somma ragione il Concilio Vaticano pronunziò: “Se alcuno dirà, non poter l’uomo essere elevato da Dio a una conoscenza e perfezione che superi la natura, ma potere e dovere di per sé stesso, con un perpetuo progresso, giungere finalmente al possesso di ogni vero e di ogni bene, sia anatema” (De Revel., can. III). Fin qui però, o Venerabili Fratelli, non abbiam visto farsi punto luogo all’azione dell’intelletto. Eppure, secondo le dottrine dei modernisti, ha essa ancora la sua parte nell’atto di fede. E giova osservare in che modo. In quel sentimento, dicono, di cui sovente si è parlato, appunto perché egli è sentimento e non cognizione, Dio si presenta bensì all’uomo, ma in maniera così confusa che nulla o a malapena si distingue dal soggetto credente. Fa dunque d’uopo che sopra quel sentimento si getti un qualche raggio di luce, sì che Dio ne venga fuori per intero e pongasi in contrapposto col soggetto. Ora, è questo il compito dell’intelletto; di cui è proprio il pensare ed analizzare, e per mezzo del quale l’uomo prima traduce in rappresentazioni mentali i fenomeni di vita che sorgono in lui, e poi li significa con verbali espressioni. Di qui il detto volgare dei modernisti, che l’uomo religioso deve pensare la sua fede. L’intelletto adunque, sopravvenendo al sentimento, su di esso si ripiega e vi fa intorno un lavorio somigliante a quello di un pittore che illumina e ravviva il disegno di un quadro svanito per la vecchiaia. Il paragone è di uno dei maestri del modernismo. Doppio poi è l’operar della mente in siffatto negozio; dapprima, con un atto nativo e spontaneo, esprimendo la sua nozione con una proposizione semplice e volgare; indi, con riflessione e più intima penetrazione, o, come dicano, lavorando il suo pensiero, rende ciò che ha pensato con proposizioni secondarie, derivate bensì dalla prima, ma più affinate e distinte. Le quali proposizioni, ove poi ottengano la sanzione del magistero supremo della Chiesa, costituiranno appunto il dogma. – Con ciò, nella dottrina dei modernisti, ci troviamo giunti ad uno dei capi di maggior rilievo, all’origine cioè e alla natura stessa del dogma. Imperocché l’origine del dogma la ripongon essi in quelle primitive formole semplici; le quali, sotto un certo aspetto, devono ritenersi come essenziali alla fede, giacché la rivelazione, perché sia veramente tale, richiede la chiara apparizione di Dio nella coscienza. Il dogma stesso poi, secondo che paiono dire, è costituito propriamente dalle formole secondarie. A conoscere però bene la natura del dogma, è uopo ricercare anzi qual relazione passi fra le formole religiose ed il sentimento religioso. Nel che non troverà punto difficoltà, chi tenga fermo, che il fine di cotali formole altro non è, se non di dar modo al credente di rendersi ragione della propria fede. Per la qual cosa stanno esse formole come di mezzo fra il credente e la fede di lui; per rapporto alla fede, sono espressioni inadeguate del suo oggetto e sono dai modernisti chiamate simboli; per rapporto al credente, si riducono a meri istrumenti. Non è lecito pertanto in niun modo sostenere che esse esprimano una verità assoluta: essendoché, come simboli, sono semplici immagini di verità, e perciò da doversi adattare al sentimento religioso in ordine all’uomo; come istrumenti, sono veicoli di verità, e perciò da acconciarsi a lor volta all’uomo in ordine al sentimento religioso. E poiché questo sentimento, siccome quello che ha per obbietto l’assoluto, porge infiniti aspetti, dei quali oggi l’uno domani l’altro può apparire; e similmente colui che crede può passare per altre ed altre condizioni, ne segue che le formole altresì che noi chiamiamo dogmi debbano sottostare ad uguali vicende ed essere perciò variabili. Così si ha aperto il varco alla intima evoluzione dei dogmi. Infinito cumulo di sofismi che abbatte e distrugge ogni religione! E questa, non pur possibile, ma necessaria evoluzione e mutazione dei dogmi non solo i modernisti l’affermano arditamente ma è conseguenza legittima delle loro sentenze. Infatti fra i capisaldi della loro dottrina vi è ancor questo, tratto dal principio dell’immanenza vitale: che le formole cioè religiose, perché tali siano in verità e non mere speculazioni dell’intelletto, è mestieri che siano vitali e che vivano della stessa vita del sentimento religioso. Il che non è da intendersi quasiché tali formule, specie se puramente immaginative, siano costruite a bella posta pel sentimento religioso; giacché poco monta della loro origine, come altresì del loro numero e della loro qualità; ma cosi, che le stesse, fatte se occorre all’uopo delle modificazioni, vengano vitalmente assimilate dal sentimento religioso. E per dirla in altri termini, fa di mestieri che la formola primitiva sia accettata e sancita dal cuore, e che il susseguente lavorio per la formazione delle formole secondarie sia fatto sotto la direzione del cuore. Di qui procede che siffatte formole, perché siano vitali, debbano essere e mantenersi adatte tanto alla fede quanto al credente. Laonde, se per una ragione qualsiasi cotale adattamento venga meno, perdono elle il primitivo significato e vogliono essere cambiate. Or tale essendo il valore e la sorte mutevole delle formole dogmatiche, non reca stupore che i modernisti le abbiano tanto in dileggio; mentre al contrario non fanno che ricordare ed esaltare il sentimento religioso e la vita religiosa. Perciò pure criticano con somma audacia la Chiesa, accusandola di camminare fuor di strada, né saper distinguere fra il senso materiale delle formole e il loro significato religioso e morale, e attaccandosi con ostinazione, ma vanamente, a formole vuote di senso, lasciar che la religione precipiti a rovina. Oh! Veramente ciechi e conduttori di ciechi, che, gonfi del superbo nome di scienza, vaneggiano fino al segno di pervertire l’eterno concetto di verità e il genuino sentimento religioso: “spacciando un nuovo sistema, col quale, tratti da una sfrontata e sfrenata smania di novità, non cercano la verità ove certamente si trova; e disprezzate le sante ed apostoliche tradizioni, si attaccano a dottrine vuote, futili, incerte, riprovate dalla Chiesa, e con esse, uomini stoltissimi, si credono di puntellare e sostenere la stessa verità” (Gregorio XVI, Lett. Enc.”Singulari Nos“, 25 giugno 1834).

[Dopo aver esaminato il modernismo dal canto filosofico, il Santo Padre passa ad esaminare il modernismo che coinvolge il credente, e propinato a livello teologico che esclude Scolastica e Tomismo. Sua Santità è particolarmente meticoloso nel sottolineare tutti gli inganni e le astuzie del modernismo nel confondere termini e concetti spesso totalmente ribaltati nei loro significati. Tali inganni in realtà erano già stati condannati dalla Chiesa ed infatti Papa Sarto cita con sapienza Encicliche e Costituzioni apostoliche, ad iniziare da Gregorio IX, passando per il Concilio di Trento, da Pio VI a Pio IX [ il “Syllabus”], fino alla “Dei Filius” del Concilio Vaticano. Ma osservando bene, in realtà il modernismo, non era altro che un nuovo vestito indossato dalla teologia di satana, la “gnosi”, il solito cancro maligno che ha afflitto la Chiesa Cattolica fin dalla sua costituzione. Si ritrovano infatti i soliti artifici del panteismo, dell’immanentismo, dell’evoluzionismo, etc. etc.. La gnosi, come i nostri pochi lettori ben sanno, è come uno “satiro” che, nel periodo di carnevale cambia continuamente costume e maschera, lasciando però intravedere i suoi elementi caratterizzanti come la coda, gli arti zoccoluti, le corna, la lingua biforcuta, i canini sporgenti, la barba caprina. Ad un esame superficiale il satiro sembra avere un aspetto affascinante ed argomenti interessanti, ma man mano che si mostra, che parla, si agita, il cerone comincia a sciogliersi, la maschera a scomporsi, e compare la barba caprina, i canini affilati, e dal cappello mosso da una leggera brezza spuntano le immancabili corna! È la sempre medesima “solfa”, lo sterco ripugnante, che ci viene proposto da Simon mago, dalla scuola neoplatonica alessandrina, dalla cabala spuria, dalle apparentemente strambe filosofie del rinascimento del paganesimo, a Cartesio, all’illuminismo, da Kant ad Hegel, da Marx all’esistenzialismo, da Freud a Darwin ed oggi, in ambito teologico, da personaggi vari, a cominciare dai giansenisti per finire ai supermodernisti postconciliari come gli azzeccagarbugli Ratzinger col suo ventriloquo, il sig. Bergoglio. Leggiamo con calma questa parte di Enciclica e cerchiamo di farla nostra onde comprendere ed evitare le insidie ed i lacci del modernismo, la strada ampia che, a detta del divino Maestro, ci condurrà inevitabilmente ed indubbiamente al fuoco eterno! E se lo dice Lui … – ndr. -]

“E fin qua, o Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a considerarlo nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realtà divina, pure questa realtà non altrove l’incontra che nell’animo del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in sé medesima fuori di quel sentimento e di quell’affermazione, a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esista di fatto in se stessa, né punto dipenda da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell’opinione dei protestanti, degli pseudomistici. Così infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, è negata, ciò dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo più oltre come, con siffatte teorie, congiunte agli altri errori già mentovati, si spalanchi la via all’ateismo. Qui giova subito notare che, posta questa dottrina dell’esperienza unitamente all’altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl’idolatri, debba ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà possibile che tali esperienze s’incontrino in ogni religione? E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto i modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli Cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni siano vere. E che non possano sentire altrimenti, è cosa manifesta. Imperocché per qual capo, secondo i loro placiti, potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsità? Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsità del sentimento religioso, o per la falsità della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno: la formula poi intellettuale, perché sia vera, basta che risponda al sentimento religioso ed al credente, checché ne sia della forza d’ingegno in costui. Tutt’al più, nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la cattolica ha più di verità perché più vivente, e merita con più ragione il titolo di cristiana, perché risponde più pienamente alle origini del Cristianesimo. Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non può per fermo sembrare assurdo. Assurdissimo è invece che Cattolici e Sacerdoti, i quali, come preferiamo credere, aborrono da tali enormità, si portino in fatto quasi le ammettessero. Giacché tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a supporre che essi non onorIno già le persone, forse non prive di un qualche merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a tutt’uomo propagare. – Ma, oltre al detto, questa dottrina dell’esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità. Imperocché viene essa estesa ed applicata alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti è la tradizione così concepita che sia una comunicazione dell’esperienza originale fatta agli altri, mercé la predicazione, per mezzo della formula intellettuale. A questa formola perciò, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l’esperienza già avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l’esperienza. Di questa guisa l’esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; né solo nei presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi sì per mezzo dei libri e sì per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile comunicazione dell’esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca subito e muoia. Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione! Condotte fin qui le cose, o Venerabili Fratelli, abbiamo abbastanza in mano per conoscere qual ordine stabiliscano i modernisti fra la fede e la scienza; con qual nome di scienza intendano essi ancor la storia. E in primo luogo si deve tenere che l’oggetto dell’una è affatto estraneo all’oggetto dell’altra e da questo separato. Imperocché la fede si occupa unicamente di cosa che la scienza professa essere a sé inconoscibile. Quindi diverso il campo ad entrambe assegnato: la scienza è tutta nella realtà dei fenomeni, ove non entra affatto la fede: questa al contrario si occupa della realtà divina che alla scienza è del tutto sconosciuta. Dal che si viene a conchiudere che tra la fede e la scienza non vi possa essere mai dissidio: giacché, se ciascuna tiene il suo campo, non potranno mai incontrarsi, né perciò contraddirsi. Che se a ciò si opponga, nel mondo visibile esservi cose che pure appartengono alla fede, come la vita umana di Cristo; i modernisti rispondono negando. – Perché quantunque tali cose siano nel novero dei fenomeni, pure, in quanto sono vissute dalla fede e, nel modo già indicato, sono state da essa trasfigurate e sfigurate, furono tolte dal mondo sensibile e trasferite ad essere materia del divino. Quindi, qualora più oltre si ricercasse se Cristo abbia fatto veri miracoli e vere profezie, severamente sia risorto ed asceso al Cielo; la scienza agnostica lo negherà, la fede lo affermerà; né perciò vi sarà lotta fra le due. Imperocché lo negherà il filosofo qual filosofo parlando a filosofie considerando unicamente Cristo nella sua realtà storica; l’affermerà il credente come credente parlando a credenti e considerando la vita di Cristo quale è vissuta dalla fede e nella fede. – S’ingannerebbe però a partito chi, date queste teorie, si credesse autorizzato a credere, essere la fede e la scienza indipendenti l’una dall’altra. Si, della scienza ciò è fuori di dubbio; ma è ben altro della fede; la quale, non per uno ma per tre capi, deve andar soggetta alla scienza. Imperocché da riflettersi in primo luogo che in ogni fatto religioso, toltane la realtà divina e l’esperienza che di essa ha chi crede, tutto il rimanente ed in specialità le formole religiose, non escono dal campo dei fenomeni: e cadono quindi sotto il dominio della scienza. Esca pure il credente dal mondo, se gli vien fatto; finché però resterà nel mondo, non potrà mai sottrarsi, lo voglia o no, alle leggi, all’osservazione, ai giudizi della scienza e della storia. Di più, benché sia detto che Dio è oggetto della sola fede, ciò nondimeno debba solo intendersi della realtà divina, non già della idea di Dio. L’idea di Dio è pur essa sottoposta alla scienza; la quale, mentre spazia nell’ordine logico, si solleva fino all’assoluto ed all’ideale. È dunque diritto della filosofia o della scienza sindacare l’idea di Dio, dirigerla nella sua evoluzione, correggerla qualora vi si immischi qualche elemento estraneo: quindi il ripetere che fanno i modernisti che l’evoluzione religiosa debba essere coordinata colla evoluzione morale ed intellettuale; ossia, come insegna uno dei loro maestri, debba essere subordinata. Per ultimo è pur da osservare che l’uomo non soffre in sé dualismo: per la qual cosa il credente prova in se stesso un intimo bisogno di armonizzare siffattamente la fede colla scienza che non si opponga al concetto generale che scientificamente si ha dell’universo. Così dunque si evince essere la scienza affatto libera dalla libera fede; la fede invece, tuttoché si decanti estranea alla scienza, essere a questa sottoposta. Le quali cose tutte, Venerabili Fratelli, sono diametralmente contrarie a ciò che insegnava il Nostro Antecessore Pio IX: “Essere dovere della filosofia, in materia di religione, non dominare ma servire, non prescrivere ciò che si debba credere, ma abbracciarlo con ragionevole ossequio, né scrutar l’altezza dei misteri di Dio, ma piamente ed umilmente venerarla” (Breve al Vescovo di Breslavia, 15 giugno 1857). I modernisti invertono del tutto le parti. Ond’è che ad essi può applicarsi ciò che l’altro Nostro Predecessore Gregorio IX scriveva di taluni teologi del suo tempo: “Alcuni fra voi, gonfi come otri dello spirito di vanità, si sforzano con novità profana di valicare i termini segnati dai Padri; piegando alla dottrina filosofica dei razionali l’intelligenza delle pagine Celesti, non per profitto degli uditori ma per far pompa di scienza… Questi sedotti da dottrine diverse e peregrine, tramutano in coda il capo e costringono la regina a servire all’ancella” (Lettera ai maestri di Teologia di Parigi, 7 luglio 1223). Il che parrà più manifesto dalla condotta stessa dei modernisti, interamente conforme a quel che insegnano. Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina ora un’altra, talché si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto avvisatamente; per l’opinione cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si incontrino cose che ben direbbe un Cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista. Di qui, scrivendo storia, non fanno pur menzione della divinità di Cristo; predicando invece nelle chiese, l’affermano con risolutezza. Di qui parimente, nella storia non fanno nessun conto né di Padri né di Concilî; ma se catechizzano il popolo, li citano con rispetto. Di qui, distinguono l’esegesi teologica e pastorale dall’esegesi scientifica e storica. Similmente dal principio che la scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di storia, di critica, non avendo orrore di premere le orme di Lutero (Prop. 29, condannata da Leone X, Bolla. “Exsurge Domine“, 15 maggio 1520: “Ci si è aperta la strada per isnervare l’autorità dei Concilî e contraddire liberamente alle loro deliberazioni, e giudicare i lor decreti e confessare arditamente tutto ciò che ci sembra vero, sia approvato o condannato da qualunque Concilio“), fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del Magistero ecclesiastico: e se vengono di ciò ripresi, gridano alla manomissione della libertà. Da ultimo, posto l’aforisma che la fede debba soggettarsi alla scienza, criticano di continuo e all’aperto la Chiesa, perché con somma ostinatezza rifiuta di sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi, da parte loro, messa fra i ciarpami la vecchia teologia, si adoperano di porne in voga una nuova, tutta ligia ai deliramenti dei filosofi. Con che, Venerabili Fratelli, Ci si dà finalmente il passo per osservare i modernisti sull’arena teologica. Difficile compito: ma con poco potremo trarCi d’impaccio. Il fine da ottenere è la conciliazione della fede colla scienza, restando però sempre incolume il primato della scienza sulla fede. In questo affare il teologo modernista si giova degli stessissimi principî che vedemmo usati dalla filosofia, adattandoli al credente; ciò sono i principî dell’immanenza e del simbolismo. Ed ecco con quanta speditezza compie egli il suo lavoro. Ha detto il filosofo: “Il principio della fede è immanente“; il credente ha soggiunto: “Questo principio è Dio“; il teologo dunque conclude: “Dio è immanente nell’uomo“. Di qui l’essere dell’immanenza teologica. Parimente: il filosofo ha ritenuto come certo che le “rappresentazioni dell’oggetto della fede sono semplicemente simboliche“; il credente ha affermato che “l’oggetto della fede è Dio in se stesso“; il teologo adunque pronunzia: “Le rappresentazioni della realtà divina siano simboliche“. Di qui il simbolismo teologico. Errori per verità enormi; i quali quanto siano perniciosi, si vedrà luminosamente nell’osservarne le conseguenze. Infatti, per dir subito del simbolismo, i simboli essendo tali in relazione all’oggetto, ed in relazione al credente non essendo che istrumenti, fa mestieri innanzi tutto, così insegnano i modernisti, che il credente non si attacchi troppo alla formola, ma se ne giovi solo allo scopo di unirsi all’assoluta verità, di cui la formola rivela insieme e nasconde, si sforza cioè di esprimere ma senza mai riuscirvi. Vogliono in secondo luogo che il credente usi di tali formole tanto quanto gli siano utili, poiché sono date per giovamento e non per averne intralcio; salvo, s’intende, il rispetto che, per riguardi sociali, si debba alle formole giudicate acconce dal pubblico magistero ad esprimere la coscienza comune, finché però lo stesso Magistero non stabilisca altrimenti. Quanto poi all’immanenza, non è agevole determinare ciò che per essa intendano i modernisti; giacché diverse sono fra essi le opinioni. Altri la pongono in ciò, che Dio operante sia intimamente presente nell’uomo, più che non sia l’uomo a sé stesso; il che, sanamente inteso, non può riprendersi. Altri pretendono che l’azione divina sia una coll’azione della natura, come di causa prima con quella di causa seconda; e ciò distruggerebbe l’ordine soprannaturale. Altri per ultimo la spiegano in modo da dar sospetto di un senso panteistico; il che, a dir vero, è più coerente col rimanente delle loro dottrine. A questo postulato dell’immanenza un altro poi se ne aggiunge, che si può intitolare dalla permanenza divina: e l’una dall’altra si fa differire quasi a quel modo stesso, che l’esperienza privata differisca dall’esperienza trasmessa per tradizione. Un esempio illustrerà il concetto: e sia l’esempio della Chiesa e dei Sacramenti. La Chiesa, dicono, e i Sacramenti non si devon credere come istituiti da Cristo stesso. Vieta ciò l’agnosticismo, che in Cristo non riconosce nulla più che un uomo, la cui coscienza religiosa, come quella di ogni altro uomo, si è formata a poco a poco; lo vieta la legge dell’immanenza, che non ammette, per dirlo con una loro parola, esterne applicazioni; lo vieta pure la legge dell’evoluzione, che per lo svolgersi dei germi richiede tempo ed una certa serie di circostanze; lo vieta finalmente la storia, che mostra tale di fatto essere stato il corso delle cose. Però è da tenersi che Chiesa e Sacramenti fossero istituiti mediatamente da Cristo. Ma in qual modo? eccolo. Le coscienze tutte cristiane, essi dicono, furono virtualmente inchiuse nella coscienza di Gesù Cristo, come la pianta nel seme. Or poiché i germi vivono la vita del seme, così deve affermarsi che tutti i Cristiani vivano la vita di Cristo. Ma la vita di Cristo, secondo la fede, è divina; dunque anche quella dei Cristiani. Se pertanto questa vita, nel corso dei secoli, diede origine alla Chiesa e ai Sacramenti, con ogni diritto si potrà dire che tale origine è da Cristo ed è divina. Nello stesso modo provano esser divine le Scritture e divini i dogmi. E con ciò la teologia moderna può dirsi compiuta. Esigua cosa a dir vero, ma più che abbondante per chi professa doversi sempre ed in tutto rispettare le conclusioni della scienza. L’applicazione poi di queste teorie agli altri punti che verremo esponendo potrà ognuno farla di per sé stesso. Abbiam parlato finora della origine e della natura della fede. Ma molti essendo i germi di questa, e principali fra essi la Chiesa, il dogma, il culto, i Libri sacri, di questi eziandio è da conoscere ciò che insegnano i modernisti. E per farci dal dogma, l’origine e la natura di esso quale sia, si è già indicato più sopra. Nasce il dogma dal bisogno che prova il credente di lavorare sul suo pensiero religioso, sì da rendere la sua e l’altrui coscienza sempre più chiara. Tale lavorio consiste tutto nell’indagare ed esporre la formola primitiva, non già in se stessa e razionalmente, ma rispetto alle circostanze o, come più astrusamente dicono, vitalmente. Di qui si ha che intorno alla medesima si vadano formando delle formole secondarie, che poi sintetizzate e riunite in un’unica costruzione dottrinale, quando questa sia suggellata dal pubblico magistero come rispondente alla coscienza comune, si chiamerà dogma. Dal dogma son da distinguersi accuratamente le speculazioni teologiche; le quali però, benché non vivano della vita del dogma, pur tuttavia non sono inutili sì per armonizzare la religione colla scienza e togliere fra loro ogni contrasto, sì per lumeggiare esternamente e difendere la religione stessa; e chi sa che forse non giovino altresì per preparar la materia di un dogma futuro. Del culto poi non vi sarebbe gran che da dire, se sotto questo nome non venissero eziandio i Sacramenti, intorno ai quali sono gravissimi gli errori dei modernisti. Il culto vogliono che risulti da un doppio bisogno; giacché, torniamo ad osservarlo, nel loro sistema tutto va attribuito ad intimi bisogni. L’uno è quello di dare alla religione alcunché di sensibile; l’altro è il bisogno di propagarla, il che non potrebbe avvenire senza una qualche forma sensibile e senza atti santificanti, che diconsi Sacramenti. Quanto poi ai Sacramenti, essi pei modernisti si riducono a meri simboli o segni, non però privi di efficacia; efficacia che essi cercano di spiegare coll’esempio di certe cotali parole che volgarmente diconsi aver fatto fortuna, per avere acquistata la forza di diffondere talune idee potenti e che colpiscono grandemente gli animi. Come quelle parole sono ordinate alle dette idee, così i Sacramenti al sentimento religioso: nulla di vantaggio. Parlerebbero certamente più chiaro ove affermassero che i Sacramenti sono istituiti unicamente per nutrir la fede. Ma ciò è condannato dal Concilio di Trento (Sess. VII, de Sacramentis in genere, can. 5): “Se alcuno dirà che questi Sacramenti sono istituiti solo per nutrir la fede, sia anatema“. Della natura ancora e dell’origine dei Libri sacri già si è toccato. Secondo il pensare dei modernisti, si può ben definirli una raccolta di esperienze: non di quelle, che comunemente si hanno da ognuno, ma delle straordinarie e più insigni che siensi avute in una qualche religione. E così essi appunto insegnano a riguardo dei nostri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. A lor comodo però, notano assai scaltramente che, sebbene l’esperienza sia del presente, può tuttavolta prender materia dal passato ed eziandio dal futuro, in quanto che il credente o per la memoria rivive il passato a maniera del presente, o vive già per anticipazione l’avvenire. Ciò giova a dar modo di computare fra i Libri santi anche gli storici e gli apocalittici. Così adunque in questi libri parla bensì Iddio per mezzo del credente; ma, come vuole la teologia modernistica, solo per immanenza e permanenza vitale. Vorrà sapersi, in che consista dopo ciò l’ispirazione? Rispondono che non si distingue, se non forse per una certa maggiore veemenza, dal bisogno che sente il credente di manifestare a voce e per scritto la propria fede. È alcun che di simile a quello che si avvera nella ispirazione poetica; per cui un cotale diceva: È Dio in noi, da Lui agitati noi c’infiammiamo. È questo appunto il modo onde Dio deve dirsi origine della ispirazione dei Libri sacri. Affermano inoltre i modernisti che nulla vi è in questi libri che non sia ispirato. – Nel che potrebbe taluno crederli più ortodossi di certi altri moderni che restringono alquanto la ispirazione, come, a mo’ di esempio, nelle così dette citazioni tacite. Ma queste non sono che lustre e parole. Imperciocché se, secondo l’agnosticismo, riteniamo la Bibbia come un lavoro umano fatto da uomini per servigio di uomini, salvo pure al teologo di chiamarla divina per immanenza, come mai l’ispirazione potrebbe in essa restringersi? Sì, i modernisti affermano un’ispirazione totale: ma, nel senso cattolico, non ne ammettono in fatto veruna. – Più larga materia ci offre ciò che la scuola dei modernisti fantastica a riguardo della Chiesa. È qui da presupporre che la Chiesa secondo essi è frutto di due bisogni: uno nel credente, specie se abbia avuta qualche esperienza originale e singolare, di comunicare ad altri la propria fede; l’altro nella collettività, dopo che la fede si è fatta comune a molti, di aggrupparsi in società e di conservare, accrescere e propagare il bene comune. Che cosa è dunque la Chiesa? un parto della coscienza collettiva, ossia collettività di coscienze individuali; le quali, in forza della permanenza vitale, pendono tutte da un primo credente, cioè pei Cattolici da Cristo. Ora ogni società ha bisogno di un’autorità che la regga: il cui compito sia dirigere gli associati al fine comune, e conservare saggiamente gli elementi di coesione, i quali in una società religiosa sono la dottrina ed il culto. – Perciò nella Chiesa cattolica una triplice autorità: disciplinare, dogmatica, culturale. La natura poi di questa autorità dovrà desumersi dalla sua origine; e dalla natura si dovranno a loro volta dedurre i diritti e i doveri. Fu errore volgare dell’età passata che l’autorità sia venuta alla Chiesa dal di fuori, cioè immediatamente da Dio: e perciò era giustamente ritenuta autocratica. Ma queste sono teorie oggimai passate di moda. Come la Chiesa è emanata dalla collettività delle coscienze, cosi l’autorità emana vitalmente dalla stessa Chiesa. Pertanto l’autorità del pari che la Chiesa nasce dalla coscienza religiosa, e perciò alla medesima resta soggetta: e se venga meno a siffatta soggezione, si volge in tirannide. Nei tempi che corrono il sentimento di libertà è giunto al suo pieno sviluppo. Nello stato civile la pubblica coscienza ha voluto un regime popolare. Ma la coscienza dell’uomo, come la vita, è una sola. Se dunque l’autorità della Chiesa non vuol suscitare e mantenere una guerra intestina nelle coscienze umane, uopo è che si pieghi anch’essa a forme democratiche; tanto più che, a negarvisi, lo sfacelo sarebbe imminente. È da pazzo il credere che possa aversi un regresso nel sentimento di libertà quale domina al presente. Stretto e rinchiuso con violenza strariperà più potente, distruggendo insieme la religione e la Chiesa. Fin qui il ragionare dei modernisti: e la conseguenza è, che sono tutti intesi a trovar modi per conciliare l’autorità della Chiesa colla libertà dei credenti. Se non che non solamente fra le sue stesse pareti trova la Chiesa con chi doversi comporre amichevolmente, ma eziandio fuori. Non è sola essa ad occupare il mondo: l’occupano insieme altre società, colle quali non può aver uso e commercio. Convien dunque determinare quali siano i diritti e i doveri della Chiesa verso le società civili; e ben s’intende che tale determinazione debba esser desunta dalla natura della Chiesa stessa, quale i modernisti l’hanno descritta. Le regole perciò da usarsi son quelle stesse che sopra si adoperarono per la scienza e la fede. Ivi parlavasi di oggetti, qui di fini. Come adunque, per ragione dell’oggetto, si dissero la fede e la scienza vicendevolmente estranee, così lo Stato e la Chiesa sono l’uno all’altra estranei pel fine a cui tendono, temporale per lo Stato, spirituale per la Chiesa. Fu d’altre età il sottomettere il temporale allo spirituale; il parlarsi di questioni miste, nelle quali la Chiesa interveniva quasi signora e regina, perché la Chiesa si stimava istituita immediatamente da Dio, come autore dell’ordine soprannaturale. Ma la filosofia e la storia non più ammettono cotali credenze. Adunque lo Stato deve separarsi dalla Chiesa e per egual ragione il Cattolico dal cittadino. Di qui è, che il Cattolico, perché insieme cittadino, ha diritto e dovere, non curandosi dell’autorità della Chiesa, dei suoi desiderî, consigli e comandi, sprezzate altresì le sue riprensioni, di far quello che giudicherà espediente al bene della patria. Voler imporre al cittadino una linea di condotta sotto qualsiasi pretesto è un vero abuso di potere ecclesiastico da respingersi con ogni sforzo. Le teorie, o Venerabili Fratelli, onde promanano tutti questi errori, son quelle appunto che il Nostro Predecessore Pio VI già condannò solennemente nella Costituzione Apostolica “Auctorem Fidei” (Prop. 2). “La proposizione che stabilisce che la potestà è stata da Dio data alla Chiesa, perché fosse comunicata ai Pastori, che sono ministri di lei per la salute delle anime; così intesa, che la potestà del ministero e regime ecclesiastico si derivi nei Pastori dalla Comunità dei fedeli: eretica“. Prop. 3. “Inoltre quella che stabilisce il Romano Pontefice esser capo ministeriale; così spiegata che il Romano Pontefice, non da Cristo nella persona del Beato Pietro, ma dalla Chiesa abbia avuta la potestà del ministero, di cui come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa, gode nella Chiesa universale: eretica“). – Ma non basta alla scuola dei modernisti che lo Stato sia separato dalla Chiesa. Come la fede, quanto agli elementi fenomenici, deve sottostare alla scienza, così nelle cose temporali la Chiesa ha da soggettarsi allo Stato. Questo forse non l’asseriscono essi peranco apertamente; ma per forza di raziocinio sono costretti ad ammetterlo. Imperocché, concesso che lo Stato abbia assoluta padronanza in tutto ciò che è temporale, se avvenga che il credente, non pago della religione dello spirito, esca in atti esteriori, quali per mo’ di esempio, l’amministrarsi o il ricevere dei Sacramenti, bisognerà che questi cadano sotto il dominio dello Stato. E che sarà dopo ciò dell’autorità ecclesiastica? Siccome questa non si spiegasse non per atti esterni, sarà in tutto e per tutto assoggettata al potere civile. È questa ineluttabile conseguenza che trascina molti fra i protestanti liberali a sbarazzarsi di ogni culto esterno, anzi d’ogni esterna società religiosa, i quali invece si adoprano di porre in voga una religione che chiamano individuale. Che se i modernisti, a luce di sole, non si spingono ancora tant’oltre, insistono intanto perché la Chiesa si pieghi spontaneamente ove essi la voglion trarre e si acconci alle forme civili. Tutto ciò per l’autorità disciplinare. Più gravi assai e perniciose sono le loro affermazioni a riguardo dell’autorità dottrinale e dogmatica. Circa il Magistero ecclesiastico così essi la pensano: la società religiosa non può veramente essere una senza unità di coscienza nei suoi membri e senza unità di formola. Ma questa duplice unità richiede, per così dire, una mente comune, a cui spetti trovare e determinare la formola che meglio risponda alla coscienza comune: alla qual mente fa d’uopo inoltre attribuire un’autorità bastevole, perché possa imporre alla comunanza la formola stabilita. Or nell’unione è quasi fusione della mente designatrice della formola e dell’autorità che la impone, ritrovano i modernisti il concetto del magistero ecclesiastico. Poiché dunque in fin dei conti il Magistero non nasce che dalle coscienze individuali ed a bene delle stesse coscienze ha imposto un pubblico ufficio; ne consegue di necessità che debba dipendere dalle medesime coscienze e debba quindi avviarsi a forme democratiche. Il proibire pertanto alle coscienze degli individui che facciano pubblicamente sentire i loro bisogni; non soffrire che la critica spinga il dogma verso necessarie evoluzioni, non è già uso di potestà, data per pubblico bene, ma abuso. Similmente nell’uso stesso della potestà fa di mestieri serbare modo e misura. Sa di tirannide condannare un libro all’insaputa dell’autore, senza ammettere spiegazioni di sorta né discussione. Adunque qui pure è da ricercarsi una via di mezzo che salvi insieme i diritti dell’autorità e della libertà. Nel frattempo il Cattolico si regolerà in guisa che non lasci pubblicamente di protestarsi rispettosissimo dell’Autorità, continuando però sempre ad operare a suo talento. In generale vogliono ammonita la Chiesa che, poiché il fine della potestà ecclesiastica è tutto spirituale, disdice ogni esterno apparato di magnificenza con che essa si circonda agli occhi delle moltitudini. Nel che non riflettono che se la religione è essenzialmente spirituale non è tuttavia ristretta al solo spirito; e che l’onore tributato all’autorità ridonda su Gesù Cristo che ne fu istitutore. Per compiere tutta questa materia della fede e dei diversi suoi germi, rimane da ultimo, Venerabili Fratelli, che ascoltiamo le teorie dei modernisti circa lo sviluppo dei medesimi, e lor principio generale che in una religione vivente tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto. Di qui fanno passo a quella che è delle principali fra le loro dottrine, vogliam dire all’evoluzione. Dogma, dunque, Chiesa, culto, Libri sacri, anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri che sottostiano alle leggi dell’evoluzione. Siffatto principio non si udrà con istupore da chi rammenti quanto i modernisti siano venuti affermando intorno a ciascuno di questi oggetti. Posta pertanto la legge dell’evoluzione, i modernisti stessi ci descrivono in qual maniera l’evoluzione si effettui. E cominciamo dalla fede. La forma primitiva, essi dicono, della fede fu rudimentaria e comune indistintamente a tutti gli uomini; giacché nasceva dalla natura e dalla vita umana. Il progresso si ebbe per sviluppo vitale; che è quanto dire non per aggiunta di nuove forme apportate dal di fuori, ma per una crescente penetrazione nella coscienza del sentimento religioso. Doppio indi fu il modo di progredire nella fede: prima negativamente, col depurarsi da ogni elemento estraneo, come ad esempio dal sentimento di famiglia o di nazionalità; quindi positivamente, mercè il perfezionarsi intellettuale e morale dell’uomo, per cui l’idea divina si ampliò ed illustrò e il sentimento religioso divenne più squisito. Del progresso della fede non altre cause assegnar si possono che quelle stesse onde già si spiegò la sua origine. Alle quali però fa d’uopo aggiungere quei genii religiosi, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo fu il sommo; sì perché nella vita o nelle parole ebbero un certo che di misterioso, che la fede attribuiva alla divinità, e sì perché toccaron loro esperienze nuove ed originali in piena armonia coi bisogni del loro tempo. Il progresso del dogma nasce principalmente dal bisogno di superare gli ostacoli della fede, di vincere gli avversari, di ribattere le difficoltà, senza dire dello sforzo continuo di viemeglio penetrare gli arcani della fede. Così, per tacer di altri esempi, è avvenuto di Cristo; in cui, quel più o meno divino, che la fede in esso ammetteva, si venne gradatamente amplificando in modo, che finalmente fu ritenuto per Dio. Lo stimolo precipuo di evoluzione del culto sarà il bisogno di adattarsi agli usi ed alle tradizioni dei popoli; come altresì di usufruire della virtù che certi atti hanno ricevuto dall’usanza. La Chiesa finalmente trova la sua ragione di evolversi nel bisogno di accomodarsi alle condizioni storiche e di accordarsi colle forme di civil governo pubblicamente adottate. Così i modernisti di ciascun capo in particolare. E qui, innanzi di farCi oltre, bramiamo che ben si avverta di nuovo a questa loro dottrina dei bisogni; giacché essa, oltreché di quanto finora abbiam visto, è quasi base e fondamento di quel vantato metodo che chiamano storico. Or, restando tuttavia nella teoria della evoluzione, vuole di più osservarsi che quantunque i bisogni servano di stimolo per la evoluzione, essa nondimeno, regolata unicamente da siffatti stimoli, valicherebbe facilmente i termini della tradizione, e strappata così dal primitivo principio vitale, meglio che a progresso menerebbe a rovina. Quindi studiando più a fondo il pensiero dei modernisti, deve dirsi che l’evoluzione è come il risultato di due forze che si combattono, delle quali una è progressiva, l’altra conservatrice. La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L’esercizio di lei è proprio dell’autorità religiosa; e ciò, sia per diritto, giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi fermo il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al disopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, più a contatto della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato nella Chiesa come fattore di progresso. Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progressione, fra l’autorità cioè e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi. Le coscienze individuali, o talune di esse, fan pressione sulla coscienza collettiva; e questa a sua volta sull’autorità, e la costringe a capitolare ed a restare ai patti. Ciò ammesso, ben si comprendono le meraviglie che fanno i modernisti, se avvenga che siano biasimati o puniti. Ciò che loro si ascrive a colpa, essi l’hanno per sacrosanto dovere. Niuno meglio di essi conosce i bisogni delle coscienze perché si trovano con queste a più stretto contatto che non si trovi la potestà ecclesiastica. Incarnano quasi in sé quei bisogni tutti: e quindi il dovere per loro di parlare apertamente e di scrivere. Li biasimi pure l’Autorità, la coscienza del dovere li sostiene, e sanno per intima esperienza di non meritare riprensioni ma encomii. Pur troppo essi sanno che i progressi non si hanno senza combattimenti, né combattimenti senza vittime: e bene, saranno essi le vittime, come già i profeti e Cristo. Né perché siano trattati male, odiano l’Autorità: concedono che ella adempia il suo dovere. Solo rimpiangono di non essere ascoltati, perché in tal guisa il progredire degli animi si ritarda: ma verrà senza meno il tempo di rompere gl’indugi, giacché le leggi dell’evoluzione si possono raffrenare, ma non possono affatto spezzarsi. E così continuano il lor cammino, continuano benché ripresi e condannati, celando un’incredibile audacia col velo di un’apparente umiltà. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con più ardimento il loro lavoro. E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l’Autorità debba essere spinta, non rovesciata; si perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva; il che quando dicono, non si accorgono di confessare che la coscienza collettiva dissente da loro, e che quindi con nessun diritto essi si danno interpreti della medesima. Per detto adunque e per fatto dei modernisti nulla, o Venerabili Fratelli, vi deve essere di stabile, nulla di immutabile nella Chiesa. Nella qual sentenza non mancarono ad essi dei precursori, quelli cioè dei quali il Nostro Predecessore Pio IX già scriveva: “Questi nemici della divina rivelazione, che estollono con altissime lodi l’umano progresso, vorrebbero, con temerario e sacrilego ardimento, introdurlo nella cattolica Religione, quasi che la stessa Religione fosse opera non di Dio ma degli uomini o un qualche ritrovato filosofico che con mezzi umani possa essere perfezionato” (Enc. “Qui pluribus“, 9 nov. 1846). Circa la rivelazione specialmente e circail dogma, la dottrina dei modernisti non ha filo di novità; ma è quella stessa che nel Sillabo di Pio IX ritroviamocondannata, così espressa: “La divina rivelazione è imperfetta e perciò soggetta a continuo ed indefinito progresso, che risponda a quello dell’umana ragione” (Sillabo, Prop. V); più solennemente poi la troviamo riprovatadal Concilio Vaticano in questi termini: “Né la dottrina della fede, che Dio rivelò, è proposta agli umani ingegni da perfezionare come un ritrovato filosofico, ma come un deposito consegnato alla Sposa di Cristo, da custodirsi fedelmente e da dichiararsi infallibilmente. Quindi dei sacri dogmi altresì deve sempre ritenersi quel senso che una volta dichiarò la Santa Madre Chiesa, né mai deve allontanarsi da quel senso sotto pretesto e nome di più alta intelligenza” (Const. Dei Filius, cap. IV). Col che senza dubbio l’esplicazione nelle nostrecognizioni, anche circa la fede, tanto è lungi che venga impedita, che anzi ne è aiutata e promossa. Laondelo stesso Concilio prosegue dicendo: “Cresca dunque e molto e con slancio progredisca l’intelligenza, la scienza, la sapienza così dei singoli come di tutti, così di un sol uomo come di tutta la Chiesa coll’avanzare delle età e dei secoli; ma solo nel suo genere, cioè nello stesso dogma, nello stesso senso e nella stessa sentenza” (Loc. cit.).

[In questa parte dell’Enciclica, il Santo Padre continua a sviscerare gli errori dei modernisti, questa volta sottolineando il metodo operativo degli storici, dei critici della storia, degli apologeti, metodo nel quale è onnipresente la filosofia immanentista, con le teorie evoluzioniste, vitaliste ed agnostiche, … “metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei Cattolici, ma a trascinare i Cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione!”, come si legge nella lettera. L’analisi è lucida e stringente e non lascia spazio a farfugliamenti difensivi vani, ad ermeneutiche da “azzeccagarbugli” e ventriloqui vari in talare rosse o nera o bianca, perché sarebbero pura menzogna. Quel che più interessa oggi, è che chiunque abbia ancora un granello di sale “nella zucca” può constatare come queste immondezze teologiche, storiche, filosofiche, etc. siano di gran moda e siano tutte “cavalli di battaglia” della nuova falsa “chiesa dell’uomo”, quella edificata scaltramente dagli infiltrati della quinta colonna massonica, che detengono oggi nelle loro mani ciò che resta della Chiesa Cattolica apparente! Da queste osservazioni magisteriali contenute nella Pascendi, tutti possono capire con facilità, senza bisogno di altro aggiungere, da che parte è oggi la vera Chiesa, quella fondata da Gesù Cristo il Messia, contro il quale combattono gli avversari di sempre, atei, pagani, Giudei e kazari, infedeli, scismatici, ai quali si aggiungono gli avversari più subdoli attuali, gli gnostici di sempre infiltrati come “cavallo di Troia” nel Tempio santo di Dio, l’abominio della desolazione del “novus ordo”, istallato sugli altari delle chiese un tempo cattoliche, oggi appannaggio e pietre cancrenose della “sinagoga di satana”. Questo abominio della desolazione odierna ha un nome: è il modernismo postconciliare, mostro eruttante tutte le eresie possibili ed immaginabili …, non ultima la cancellazione del peccato contro lo Spirito Santo, quello che il Redentore dichiara non potersi perdonare né in cielo né in terra: il peccato impuro contro natura! Orrore! orrore! … che Dio, con l’ausilio della Santa Vergine e dell’Arcangelo Michele alla guida degli Angeli giustizieri, ci liberi! Ma leggiamo con calma ed intelletto – ndr. -].

“Ma ormai, dopo aver osservato nei seguaci del modernismo il filosofo, il credente, il teologo, resta che osserviamoparimente lo storico, il critico, l’apologista.Taluni dei modernisti, che si dànno a scrivere storia, paiono oltremodo solleciti di non passar per filosofi; cheanzi professano di essere affatto ignari di filosofia. È ciò un tratto di finissima astuzia: affinché nessuno credache essi siano infetti di pregiudizi filosofici e non siano perciò, come dicono, affatto obbiettivi. Ma il vero è, chela loro storia o critica non parla che con la lingua della filosofia; e le conseguenze che traggono, vengono digiusto raziocinio dai loro principî filosofici. Il che, a chi bene riflette, si fa subito manifesto. I primi tre canoni diquesti tali storici o critici sono quegli stessi principî, che sopra riportammo dai filosofi: cioè l’agnosticismo, ilteorema della trasfigurazione delle cose per la fede, e l’altro che Ci parve poter chiamare dello sfiguramento.Osserviamo le conseguenze che da ciascuno di questi si traggono. Dall’agnosticismo si ha che la storia, nonmeno che la scienza, si occupa solo dei fenomeni. Dunque, tanto Dio quanto un intervento qualsiasi divinonelle cose umane deve rimandarsi alla fede come di esclusiva sua pertinenza. Per lo che se trattasi di cosa incui s’incontri un duplice elemento, divino ed umano come Cristo, la Chiesa, i Sacramenti e simili, dovrà dividersie sceverarsi in modo che ciò che è umano si dia alla storia, ciò che è divino alla fede. Quindi quella distinzionecomune fra i modernisti, fra un Cristo storico ed un Cristo della fede, una Chiesa della storia ed unaChiesa della fede, fra Sacramenti della storia e Sacramenti della fede e via dicendo. Dipoi questo stesso elementoumano, che vediamolo storico prendersi per sé quale essa si porge nei monumenti, deve ritenersi sollevatodalla fede per trasfigurazione al di là delle condizioni storiche. Conviene perciò separarne di nuovo tuttele aggiunte fattevi: cosi, trattandosi di Gesù Cristo, tutto quello che passa la condizione dell’uomo sia naturale,quale si dà dalla psicologia, sia risultante dal luogo e dal tempo in che visse. Di più, per terzo principiofilosofico, pur quelle cose che non escono dalla cerchia della storia, le vagliano quasi e ne escludono, rimandandolo parimenti alla fede, tutto ciò che, secondo quanto dicono, non entra nella logica dei fatti o non era adatto alle persone. Di tal modo, vogliono che Cristo non abbia dette le cose che non sembrano essere alla portata del volgo. Quindi dalla storia reale di Lui cancellano e rimettono alla fede tutte le allegorie che incontransi nei suoi discorsi. Si vuol forse sapere con quali regole si compia questa cernita? Con quella del carattere dell’uomo, della condizione che ebbe nella società, della educazione, delle circostanze di ciascun fatto: a dir breve con una norma, se bene intendiamo, che si risolve per ultimo in mero soggettivismo. Si studiano cioé di prendere essi e quasi rivestire la persona di Gesù Cristo; ed a Lui ascrivono senza più quanto in simili circostanze avrebbero fatto essi stessi. Così dunque, per conchiudere, a priori, come suol dirsi, e coi principî di una filosofia, che essi ammettono ma ci asseriscono d’ignorare, nella storia che chiamano reale affermano Cristo non essere Dio né aver fatto nulla di divino; come uomo poi aver Lui fatto e detto quel tanto, che essi, riferendosi al tempo in cui Egli visse, Gli consentono di aver operato e parlato. Come poi la storia riceve dalla filosofia le sue conclusioni, così la critica le ha a sua volta dalla storia. Essendoché il critico seguendo gli indizi dati dallo storico, di tutti i documenti ne fa due parti. Tutto ciò che rimane, dopo il triplice taglio or ora descritto, lo assegna alla storia reale; il restante lo confina alla storia della fede, ossia alla storia interna. Giacché queste due storie distinguono diligentemente i modernisti; e, ciò che e ben da notarsi, alla storia della fede contrappongono la storia reale in quanto è reale. Perciò, come già si è detto, un doppio Cristo; l’uno reale, l’altro che veramente non mai esisté ma appartiene alla fede; l’uno che visse in determinato luogo e tempo, l’altro che solo s’incontra nelle pie meditazioni della fede; tale, per mo’ d’esempio, è il Cristo descrittoci nell’Evangelio giovanneo, il qual Vangelo, affermano, non è che una meditazione. Ma qui non si arresta il dominio della filosofia nella storia. Fatta, come dicemmo, la divisione dei documenti in due parti, si presenta di nuovo il filosofo col suo principio dell’immanenza vitale, e prescrive che tutto quanto è nella storia della Chiesa debba spiegarsi per vitale emanazione. E poiché la causa o condizione di qualsiasi emanazione vitale deve ripetersi da un bisogno, si avrà che ogni avvenimento si dovrà concepire dopo il bisogno, e dovrà storicamente ritenersi posteriore a questo. Che fa allora lo storico? Datosi a studiar di nuovo i documenti, tanto nei Libri sacri quanto ricevuti altronde, va tessendo un catalogo dei singoli bisogni che man mano si presentarono nella Chiesa sia per riguardo al dogma, sia per riguardo al culto od altre materie: e quel catalogo trasmette poscia al critico. E questi mette indi mano ai documenti destinati alla storia della fede e li distribuisce in guisa di età in età, che rispondano al datogli elenco; rammentando sempre il precetto che il fatto è preceduto dal bisogno e la narrazione dal fatto. Potrà ben darsi talora che talune parti della Sacra Scrittura, come le Epistole, siano esse stesse il fatto creato dal bisogno. Checché sia però, deve aversi per regola che l’età di un documento qualsiasi non può determinarsi se non dall’età in cui ciascun bisogno si è manifestato nella Chiesa. – Di più è da distinguere fra l’inizio di un fatto e la sua esplicazione; poiché ciò che può nascere in un giorno, non cresce se non col tempo. E questa è la ragione perché il critico debba nuovamente spartire in due i documenti già disposti per età, sceverando quelli che riguardano le origini di un fatto da quelli che appartengono al suo svolgimento, e questi eziandio ordini secondo il succedersi dei tempi. – Ciò fatto, entra di nuovo in scena il filosofo, ed impone allo storico di compiere i suoi studi a seconda dei precetti e delle leggi dell’evoluzione. E lo storico torna a scrutare i documenti, ricerca sottilmente le circostanze e condizioni nelle quali, col succedersi dei tempi, la Chiesa si è trovata, i bisogni così interni che esterni che l’hanno spinta a progresso, gli ostacoli che incontrò: a dir breve, tutto ciò che giovi a determinare il modo onde furono mantenute le leggi della evoluzione. Compiuto un tal lavoro, egli finalmente tesse nelle sue linee principali la storia dello sviluppo dei fatti. – Segue il critico, che a questo tema storico adatta il restante dei documenti. Si dà mano a stendere la narrazione: la storia è compiuta. Or qui chiediamo, a chi dovrà attribuirsi una simile storia? allo storico forse od al critico? Per fermo né all’uno all’altro, sì bene al filosofo. Tutto il lavoro di essa è un lavoro di apriorismo, e di apriorismo riboccante di eresie. Fanno certamente pietà questi uomini, dei quali l’Apostolo ripeterebbe: “Svanirono nei pensamenti… imperocché vantandosi di essere sapienti, son divenuti stolti” (Rom., I, 21, 22); ma muovono in pari tempo a sdegno, quando poi accusano la Chiesa di manipolare i documenti in guisa da farli servire ai propri vantaggi. Addebitano cioè alla Chiesa ciò che dalla propria coscienza sentono apertamente rimproverarsi. Dall’avere così disgregati i documenti e seminatili lungo le età, segue naturalmente che i Libri sacri non possano di fatto attribuirsi agli autori, dei quali portano il nome. E questo è il motivo perché i modernisti non esitano punto nell’affermare che quei libri, e specialmente il Pentateuco ed i tre primi Vangeli, da una breve narrazione primitiva, son venuti man mano crescendo per aggiunte o interpolazioni, sia a maniera di interpretazioni o teologiche o allegoriche, sia a modo di transizioni che unissero fra sé le parti. A dir più breve e più chiaro vogliono che debba ammettersi la evoluzione vitale dei Libri sacri, nata dalla evoluzione della fede e ad essa corrispondente. Aggiungono di più, che le tracce di cotale evoluzione sono tanto manifeste, da potersene quasi scrivere una storia. La scrivono anzi questa storia, e con tanta sicurezza che si sarebbe tentati a creder aver essi visto coi propri occhi i singoli scrittori che di secolo in secolo stesero la mano all’ampliazione delle sante Scritture. A conferma di che, chiamano in aiuto la critica che dicono testuale; e si adoprano di persuadere che questo o quel fatto, questo o quel discorso non si trovi al suo posto e recano altre ragioni del medesimo stampo. Direbbesi per verità che si sieno prestabiliti certi quasi-tipi di narrazioni o parlate, che servano di criterio certissimo per giudicare ciò che stia al suo posto e ciò che sia fuor di luogo. Con siffatto metodo stimi chi può come costoro debbano essere capaci di giudicare. Eppure, chi li ascolti ad oracolare dei loro studi sulle Scritture, pei quali han potuto scoprirvi si gran numero di incongruenze, è spinto a credere che nessun uomo prima di loro abbia sfogliato quei libri, né che li abbia ricercati per ogni verso una quasi infinita schiera di Dottori, per ingegno, per scienza, per santità di vita più di loro. I quali Dottori sapientissimi, tanto fu lungi che trovassero nulla da riprendere nei Libri santi, che anzi quanto più ringraziavano Iddio, che si fosse così degnato di parlare con gli uomini. Ma purtroppo i Dottori nostri non attesero allo studio delle Scritture con quei mezzi, onde son forniti i modernisti! Cioè non ebbero a maestra e condottiera una filosofia che trae principio dalla negazione di Dio, né fecero a se stessi norma di giudicare. Crediamo adunque che sia ormai posto in luce il metodo storico dei modernisti. Precede il filosofo; segue lo storico; tengon dietro per ordine la critica interna e la testuale. E poiché la prima causa questo ha di proprio che comunica la sua virtù alle seconde, è evidente che siffatta critica non è una critica qualsiasi, ma una critica agnostica, immanentista, evoluzionista; e perciò chi la professa o ne fa uso, professa gli errori in essa racchiusi e si pone in contraddizione colla Dottrina Cattolica. Per la quale cosa non può finirsi di stupire come una critica di tal genere possa oggidì aver tanta voga presso cattolici. Di ciò può assegnarsi una doppia causa: la prima è l’alleanza onde gli storici ed i critici di questa specie sono legati fra loro senza riguardi a diversità di nazioni o di credenze; la seconda è l’audacia indicibile, con cui ogni stranezza che uno di loro proferisca, dagli altri è levata al cielo e decantata qual progresso della scienza; con cui, se taluno voglia da se stesso verificare il nuovo ritrovato, serratisi insieme lo assalgono, se talun lo neghi lo trattano da ignorante, se lo accolga e lo difenda lo ricoprono di encomî. Così non pochi restano ingannati che forse, se meglio vedessero le cose, ne sarebbero inorriditi. Da questo prepotente imporsi dei fuorviati, da questo incauto assentimento di animi leggeri nasce poi un quasi corrompimento di atmosfera che tutto penetra e diffonde per tutto il contagio. – Ma passiamo all’apologista. Costui, nei modernisti, dipende ancor esso doppiamente dal filosofo. Prima indirettamente, pigliando per sua materia la storia scritta, come vedemmo, dietro le norme del filosofo: poi direttamente accettando dal filosofo i principî e i giudizî. Quindi quel comune precetto della scuola del modernismo che la nuova apologia debba dirimere le controversie religiose per via di ricerche storiche e psicologiche. Ond’è che gli apologisti dan capo al loro lavoro coll’ammonire i razionalisti che essi difendono la Religione non coi Libri sacri né con le storie volgarmente usate nella Chiesa e scritte alla vecchia moda; ma con la storia reale composta a seconda dei moderni precetti e con metodo moderno. E ciò dicono, non quasi argomentando ad hominem, ma perché difatti credono che solo in tale storia si trovi la verità. Non si curano poi, nello scrivere, di insistere sulla propria sincerità: sono essi già noti presso i razionalisti, sono già lodati siccome militanti sotto una stessa bandiera; della quale lode, che ad un Cattolico dovrebbe fare ribrezzo, essi si compiacciono o se ne fanno scudo contro le riprensioni della Chiesa. Ma vediamo in pratica come uno di costoro compia la sua apologia. Il fine che si propone è di condurre l’uomo che ancora non crede a provare in sé quella esperienza della Cattolica Religione che, secondo i modernisti, è base della fede. Due vie perciò gli si aprono, l’una oggettiva, l’altra soggettiva. La prima muove dall’agnosticismo; e tende a dimostrare come nella religione e specialmente nella cattolica vi sia tale virtù vitale, da costringere ogni savio psicologo e storico ad ammettere che nella storia di essa si nasconda alcun che di incognito. A tale scopo fa d’uopo provare che la Religione Cattolica qual è al presente, è la stessissima che Gesù Cristo fondò, ossia il progressivo sviluppo del germe recato da Gesù Cristo. Pertanto dovrà dapprima determinarsi quale esso sia questo germe. Pretendono di esprimerlo con la seguente formula: Cristo annunciò la venuta del regno di Dio, il quale regno dovrebbe aver fra breve il suo compimento, ed Egli ne sarebbe il Messia, cioè l’esecutore stabilito da Dio e l’ordinatore. Dopo ciò converrà dimostrare come questo germe, sempre immanente nella Religione Cattolica, di mano in mano e di pari passo con la storia, siasi sviluppato e sia venuto adattandosi alle successive circostanze, da queste vitalmente assimilandosi quanto gli si affacesse di forme dottrinali, culturali, ecclesiastiche; superando nel tempo stesso gli ostacoli, sbaragliando i nemici, e sopravvivendo ad ogni sorta di contraddizioni o di lotte. Dopo che tutto questo, cioè gl’impedimenti, i nemici, le persecuzioni, i combattimenti, come pure la vitalità e fecondità della Chiesa, siansi mostrati tali che, quantunque nella storia della stessa Chiesa si scorgano serbate le leggi della evoluzione, pure queste non bastano a pienamente spiegarla: l’incognito sarà dl fronte e si presenterà da sé stesso. Fin qui i modernisti. I quali, però, in tutto questo discorrere, non pongon mente a una cosa; e cioè, che quella determinazione del germe primitivo è tutto frutto dell’apriorismo del filosofo agnostico ed evoluzionista, e che il germe stesso è così gratuitamente da loro definito pel buon giuoco della loro causa. Mentre però i nuovi apologisti, cogli argomenti arrecati, si studiano di affermare e persuadere la Religione Cattolica, non han riguardo a concedere che in essa molte cose sono che spiacciono. Che anzi, con una mal velata voluttà, van ripetendo pubblicamente che anche in materia dogmatica ritrovano errori e contraddizioni; benché soggiungano, che tali errori e contraddizioni non solo meritano scusa, ma, ciò che è più strano, sono da legittimarsi e giustificarsi. Così pure, secondo essi, nelle sacre Scritture corrono moltissimi sbagli in materia scientifica e storica. Ma, dicono, non sono quelli, libri di scienza o di storia, sì bene di religione e di morale, ove la scienza e la storia sono involucri con cui si coprono le esperienze religiose e morali per meglio propagarsi nel pubblico; il quale pubblico non intendendo altrimenti, una scienza od una storia più perfetta sarebbe gli stata non di vantaggio ma di nocumento. Del resto, aggiungono, i Libri sacri, perché di lor natura religiosi, sono essenzialmente viventi: or la vita ha pur essa la sua verità e la sua logica; diversa certamente dalla verità e logica razionale, anzi di tutt’altro ordine, verità cioè di comparazione e proporzione sia coll’ambiente in cui si vive, sia col fine per cui si vive. Finalmente a tanto estremo essi giungono ad affermare, senza attenuazione di sorta, che tutto ciò che si spiega con la vita è vero e legittimo. – Noi, Venerabili Fratelli, pei quali la verità è una ed unica, e che riteniamo i sacri Libri come quelli che “scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno per autore Iddio” (Conc. Vat., De Rev. c. 2), affermiamo ciò essere il medesimo che attribuire a Dio la menzogna di utilità o officiosa; e con le parole di Sant’Agostino protestiamo che: “Ammessa una volta in così altissima autorità qualche bugia officiosa, nessuna particella di quei libri resterà che, sembrando ad alcuno ardua per costume o incredibile per la fede, con la stessa perniciosissima regola, non si riferisca a consiglio o vantaggio dell’autore menzognero” (Epist. 28). Dal che seguirà quel che lo stesso santo Dottore aggiunge: “In esse – cioè nelle Scritture – ciascuno crederà quel che vuole, quel che non vuole non crederà“. Ma i modernisti apologeti non si dàn pensiero di tanto. Concedono di più trovarsi talora nei Libri santi dei ragionamenti, per sostenere una qualche dottrina, che non si appoggiano a verun ragionevole fondamento, come son quelli che si basano sulle profezie. Vero è che anche questi menan per buoni come artifizî di predicazione legittimati dalla vita. Che più? Concedono, anzi sostengono, che Gesù Cristo stesso errò manifestamente nell’assegnare il tempo della venuta del regno di Dio: ma ciò, secondo essi, non può fare meraviglia, perché Egli ancora era sottoposto alle leggi della vita! Che sarà dopo ciò dei dogmi della Chiesa? Riboccano pur questi di aperte contraddizioni; ma, oltreché sono ammesse dalla logica della vita, non si oppongono alla verità simbolica; giacché si tratta in essi dell’infinito, che ha infiniti rispetti. A far breve, talmente approvano e difendono siffatte teorie, che non si peritano di dichiarare non potersi rendere all’infinito omaggio più nobile, come affermando di esso cose contraddittorie! Ed ammessa così la contraddizione, quale assurdo non si ammetterà? Oltre agli argomenti oggettivi, il non credente può essere disposto alla fede anche con soggettivi. In questo caso gli apologeti modernisti si rifanno sulla dottrina della immanenza. Si adoprano cioè a convincer l’uomo, che in lui stesso e negli intimi recessi della sua natura e della sua vita si cela il desiderio e il bisogno di una religione, né di una religione qualsiasi, ma tale quale è appunto la cattolica; giacché questa, dicono, è postulata onninamente dal perfetto sviluppo della vita. E qui di bel nuovo siam costretti a lamentarCi gravemente che non mancano Cattolici i quali, benché rigettino la dottrina dell’immanenza come dottrina, pure se ne giovano per l’apologetica; e ciò fanno con sì poca cautela, da sembrare ammettere nella natura umana non pure una capacità od una convenienza per l’ordine soprannaturale, ciò che gli apologisti cattolici, con le debite restrizioni, dimostrarono sempre, ma una stretta e vera esigenza. A dir più giusto però, questa esigenza della Religione Cattolica è sostenuta dai modernisti più moderati. Quelli fra costoro che potremmo chiamare integralisti, pretendono che si debba indicare all’uomo, che ancor non crede, latente in lui lo stesso germe che fu nella coscienza di Cristo e da Cristo trasmesso agli uomini. Ed eccovi, o Venerabili Fratelli, descritto per sommi capi il metodo apologetico dei modernisti, in tutto conforme alle loro dottrine: metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei cattolici, ma a trascinare i cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione! – Restano per ultimo a dir poche cose del modernista in quanto la pretende a riformatore. Già le cose esposte finora ci provano abbondantemente da quale smania di innovazione siano rôsi codesti uomini. E tale smania ha per oggetto quanto vi è nel cattolicismo. Vogliono riformata la filosofia specialmente nei Seminarî: sì che relegata la filosofia scolastica alla storia della filosofia in combutta cogli altri sistemi passati di uso, si insegni ai giovani la filosofia moderna, unica, vera e rispondente ai nostri tempi. A riformare la teologia, vogliono che quella, che diciamo teologia razionale, abbia per fondamento la moderna filosofia. Chiedono inoltre che la teologia positiva si basi principalmente sulla storia dei dogmi. Anche la storia chiedono che si scriva e si insegni con metodi loro e precetti nuovi. Dicono che i dogmi e la loro evoluzione debbano accordarsi con la scienza e la storia. Per il catechismo esigono che nei libri catechistici si inseriscano solo quei dogmi, che sieno stati riformati e che sieno a portata dell’intelligenza del volgo. Circa il culto, gridano che si debbano diminuire le devozioni esterne e proibire che si aumentino. Benché a dir vero, altri più favorevoli al simbolismo, si mostrino in questa parte più indulgenti. Strepitano a gran voce perché il regime ecclesiastico debba essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente pel disciplinare e il dogmatico. Perciò pretendono che dentro e fuori si debba accordare con la coscienza moderna, che tutta è volta a democrazia; perché dicono doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato, e decentrare, Ci si passi la parola, l’autorità troppo riunita e ristretta nel centro. Le Congregazioni romane si devono svecchiare: e, in capo a tutte, quella del Santo Officio e dell’Indice. Deve cambiarsi l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, talché si tenga essa estranea dai civili ordinamenti, ma pur vi si acconci per penetrarli del suo spirito. In fatto di morale, danno voga al principio degli americanisti, che le virtù attive debbano anteporsi alle passive, e di quelle promuovere l’esercizio, con prevalenza su queste. Chiedono che il clero ritorni all’antica umiltà e povertà; ma lo vogliono di mente e di opere consenziente coi precetti del modernismo. Finalmente non mancano coloro che, obbedendo volentierissimo ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che si lascia dunque d’intatto nella Chiesa, che non si debba da costoro e secondo i lor principî riformare? – In tutta questa esposizione della dottrina dei modernisti vi saremo sembrati, o Venerabili Fratelli, prolissi forse oltre il dovere. Ma è stato ciò necessario, sì per non sentirCi accusare, come suole, di ignorare le loro cose, e sì perché si veda che, quando parlasi di modernismo, non parlasi di vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove chi una cosa ammetta uopo è che accetti tutto il rimanente. Perciò abbiam voluto altresì far uso di una forma quasi didattica, né abbiamo ricusato il barbaro linguaggio onde i modernisti fanno uso. Ora, se quasi di un solo sguardo abbracciamo l’intero sistema, niuno si stupirà ove Noi lo definiamo, affermando esser esso la sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse proposto di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la fede furono sinora asseriti, non avrebbe mai potuto riuscire a far meglio di quel che han fatto i modernisti. Questi anzi tanto più oltre si spinsero che, come già osservammo, non pure il Cattolicesimo ma ogni qualsiasi religione hanno distrutta. Così si spiegano i plausi dei razionalisti: perciò coloro, che fra i razionalisti parlano più franco ed aperto, si rallegrano di non avere alleati più efficaci dei modernisti. E per fermo, rifacciamoci alquanto, o Venerabili Fratelli, a quella esizialissima dottrina dell’agnosticismo. Con essa, dalla parte dell’intelletto, è chiusa all’uomo ogni via per arrivare a Dio, mentre si pretende di aprirla più acconcia per parte di un certo sentimento e dell’azione. Ma chi non iscorge quanto vanamente ciò si affermi? Il sentimento risponde sempre all’azione di un oggetto, che sia proposto dall’intelletto o dal senso. Togliete di mezzo l’intelletto; l’uomo, già portato a seguire il senso, lo seguirà con più impeto. Di più, le fantasie, quali che esse siano, di un sentimento religioso non possono vincere il senso comune: ora questo insegna che ogni perturbazione od occupazione dell’animo non è di aiuto ma d’impedimento alla ricerca del vero; del vero, diciamo, quale è in se; giacché quell’altro vero soggettivo, frutto del sentimento interno e dell’azione, se è acconcio per giocare di parole, poco interessa l’uomo a cui soprattutto importa di conoscere se siavi o no fuori di lui un Dio, nelle cui mani una volta dovrà cadere. Ricorrono, a vero dire, i modernisti per aiuto all’esperienza. Ma che può aggiungere questa al sentimento? Nulla: solo potrà renderlo più intenso: dalla quale intensità sia proporzionatamente resa più ferma la persuasione della verità dell’oggetto. Ma queste due cose non faranno si che il sentimento lasci di essere sentimento, né ne cangiano la natura sempre soggetta ad inganno, se l’intelletto non lo scorga; anzi la confermano e la rinforzano, giacché il sentimento quanto è più intenso tanto a miglior diritto è sentimento. Trattandosi poi qui di sentimento religioso e di esperienza in esso contenuta, sapete bene, o Venerabili Fratelli, di quanta prudenza sia mestieri in siffatta materia e di quanta scienza che regoli la stessa prudenza. Lo sapete dalla pratica delle anime, di talune, in specialità, in cui domina il sentimento: lo sapete dalla consuetudine dei trattati di ascetica; i quali, quantunque disprezzati da costoro, contengono più solidità di dottrina e più sagacia di osservazione che non ne vantino i modernisti. A Noi per fermo sembra cosa da stolto o almeno da persona al sommo imprudente, ritener per vere, senza esame di sorta, queste intime esperienze quali dai modernisti si spacciano. Perché allora, lo diciamo qui di passata, perché, se queste esperienze hanno si grande forza e certezza, non l’avrà uguale quella esperienza che molte migliaia di cattolici affermano di avere, che i modernisti cioè battono un cammino sbagliato? Sola questa esperienza sarebbe falsa e ingannevole? La massima parte degli uomini ritiene fermamente e sempre riterrà che col solo sentimento e colla sola esperienza senza guida e lume dell’intelletto, mai non si potrà giungere alla conoscenza di Dio. Dunque resta di nuovo o l’ateismo o l’irreligione assoluta. Né i modernisti hanno nulla a sperar di meglio dalla loro dottrina del simbolismo. Imperciocché se tutti gli elementi che dicono intellettuali non sono che puri simboli di Dio, perché non sarà un simbolo il nome stesso di Dio o di personalità divina? E se è cosi, si potrà bene dubitare della stessa divina personalità, ed avremo aperta la via al panteismo. E qua similmente, cioè al puro panteismo, mena l’altra dottrina dell’immanenza divina. Giacché domandiamo: siffatta immanenza distingue o no Iddio dall’uomo? Se lo distingue, in che differisce adunque cotal dottrina dalla cattolica? o perché mai rigetta quella della esterna rivelazione? Se poi non lo distingue, eccoci di bel nuovo col panteismo. Ma difatto l’immanenza dei modernisti vuole ed ammette che ogni fenomeno di coscienza nasca dall’uomo in quanto uomo. Dunque di legittima conseguenza inferiamo che Dio e l’uomo sono la stessa cosa; e perciò il panteismo. Finalmente pari è la conseguenza che si trae dalla loro decantata distinzione fra la scienza e la fede. L’oggetto della scienza lo pongono essi nella realtà del conoscibile; quello della fede nella realtà dell’inconoscibile. Orbene l’inconoscibile è tale per la totale mancanza di proporzione fra l’oggetto e la mente. Ma questa mancanza di proporzione, secondo gli stessi modernisti, non potrà mai esser tolta. Dunque l’inconoscibile resterà sempre inconoscibile tanto pel credente quanto pel filosofo. Dunque se si avrà una religione, questa sarà della realtà dell’inconoscibile. La quale realtà perché poi non possa essere l’anima universale del mondo, come l’ammettono taluni razionalisti, noi nol vediamo. Ma basti sin qui per conoscere per quante vie la dottrina del modernismo conduca all’ateismo e alla distruzione di ogni religione. L’errore dei protestanti dié il primo passo in questo sentiero; il secondo è del modernismo: a breve distanza dovrà seguire l’ateismo. – A più intimamente conoscere il modernismo e a trovare più acconci rimedi a sì grave malore, gioverà ora, o Venerabili Fratelli, ricercare alquanto le cause, onde esso è nato ed è venuto crescendo. Non ha dubbio che la prima causa ed immediata sta nell’aberrazione dell’intelletto. Quali cause remote due Noi ne riconosciamo:la curiosità e la superbia. La curiosità, se non saggiamente frenata, basta di per sé sola a spiegare ogni fatta di errori. Per lo che il Nostro Predecessore Gregorio XVI a buon diritto scriveva (Lett. Enc. “Singulari Nos”, 25 giugno 1834): “È grandemente da piangere nel vedere fin dove si profondino i deliramenti dell’umana ragione, quando taluno corra dietro alle novità, e, contro l’avviso dell’Apostolo, si adoperi di saper più che saper non convenga, e confidando troppo in se stesso, pensi dover cercare la verità fuori della Chiesa cattolica, in cui, senza imbratto di pur lievissimo errore, essa si trova“. Ma ad accecare l’animo e trascinarlo nell’errore assai più di forza ha in sé la superbia: la quale, trovandosi nella dottrina del modernismo quasi in un suo domicilio, da essa trae alimento per ogni verso e riveste tutte le forme. Per la superbia infatti costoro presumono audacemente di se stessi e si ritengono e si spacciano come norma di tutti. Per la superbia si gloriano vanissimamente quasi essi soli possiedano la sapienza, e dicono gonfi e pettoruti: “Noi non siamo come il rimanente degli uomini“; e per non essere di fatto posti a paro degli altri, abbracciano e sognano ogni sorta di novità, le più assurde. Per la superbia ricusano ogni soggezione, e pretendono che l’autorità debba comporsi colla libertà. Per la superbia, dimentichi di se stessi, pensano solo a riformare gli altri, né rispettano in ciò qualsivoglia grado fino alla potestà suprema. No, per giungere al modernismo, non vi è sentiero più breve e spedito della superbia. Se un laico cattolico, se un sacerdote dimentichi il precetto della vita cristiana che c’impone di rinnegare noi stessi se vogliamo seguire Gesù Cristo, né sradichi dal suo cuore la mala pianta della superbia; sì costui è dispostissimo quanto mai a professare gli errori del modernismo! Per lo che, o Venerabili Fratelli, sia questo il primo vostro dovere di resistenza a questi uomini superbi, occuparli negli uffici più umili ed oscuri, affinché siano tanto più depressi quanto più essi s’inalberano, e, posti in basso, abbiano minor campo di nuocere. Inoltre, sia da voi stessi, sia per mezzo dei rettori dei Seminari, cercate con somma diligenza di conoscere i giovani che aspirano ad entrare nel clero; e se alcuno ne troviate di carattere superbo, con ogni risolutezza respingetelo dal sacerdozio. Si fosse cosi operato sempre, colla vigilanza e fortezza che faceva di mestieri! Che se dalle cause morali veniamo a quelle che spettano all’intelletto, la prima da notarsi è l’ignoranza. I modernisti, quanti essi sono, che vogliono apparire e farla da dottori nella Chiesa, esaltando a grandi voci la filosofia moderna e schernendo la scolastica, se hanno abbracciata la prima ingannati dai suoi orpelli, ne devono saper grado alla totale ignoranza in che erano della seconda, e dal mancare perciò di mezzo per riconoscere la confusione delle idee e ribattere i sofismi. Dal connubio poi della falsa filosofia colla fede è sorto il loro sistema, riboccante di tanti e si enormi errori. Alla propagazione del quale portassero almeno un minor zelo ed ardore di quel che fanno! Tanta invece è la loro alacrità, cosi indefesso il lavoro, che da strazio il vedere consumate tante forze a danno della Chiesa, le quali, rettamente usate, le sarebbero di vantaggio grandissimo. A trarre poi in inganno gli animi una doppia tattica essi usano: prima si sbarazzano degli ostacoli, poi cercano con somma cura i mezzi che loro giovino, ed instancabili e pazientissimi li mettono in opera. Degli ostacoli, tre sono i principali che più sentono opposti ai loro conati: il metodo scolastico di ragionare, l’autorità dei Padri con la tradizione, il magistero ecclesiastico. Contro tutto questo la loro lotta è accanita. Deridono perciò continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica. Sia che ciò facciano per ignoranza, sia che il facciano per timore o meglio per l’una cosa insieme e per l’altra; certo si è che la smania di novità va sempre in essi congiunta coll’odio della Scolastica; né vi ha indizio più manifesto che taluno cominci a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica. Ricordino i modernisti e quanti li favoriscono la condanna che Pio IX inflisse alla proposizione che diceva (Sillabo, Prop. 12): “Il metodo ed i principî, con cui gli antichi Dottori scolastici trattarono la teologia, più non si confanno ai bisogni dei nostri tempi ed ai progressi della scienza“. Sono poi astutissimi nello stravolgere la natura e l’efficacia della Tradizione, alfin di privarla di ogni peso e di ogni autorità. Ma starà sempre per i cattolici l’autorità del secondo Sinodo Niceno, il quale condannò “coloro che osano… secondo gli scellerati eretici, disprezzare le ecclesiastiche tradizioni ed escogitare qualsiasi novità o architettare con malizia ed astuzia di abbattere checché sia delle legittime tradizioni della Chiesa cattolica“. Starà sempre la professione del quarto Sinodo Costantinopolitano: “Noi dunque professiamo di serbare e custodire le regole, che tanto dai santi famosissimi Apostoli, quanto dagli uni versali e locali Concili degli ortodossi o anche da qualunque deiloquo Padre e Maestro della Chiesa, furono date alla santa cattolica ed apostolica Chiesa“. Per lo che i Romani Pontefici Pio IV e Pio IX nella professione di fede vollero aggiunto anche questo: “Io ammetto fermissimamente ed abbraccio le apostoliche ed ecclesiastiche tradizioni, e tutte le altre osservanze e costituzioni della medesima Chiesa“. Né altrimenti che della Tradizione giudicano i modernisti dei santissimi Padri dellaChiesa. Con estrema temerità li spacciano, come degnissimi bensì di ogni venerazione, ma ignorantissimi dicritica e di storia, scusabili solo pei tempi in che vissero. Si studiano infine e si sforzano di attenuare e svilirel’autorità dello stesso Magistero ecclesiastico, sia pervertendo ne sacrilegamente l’origine, la natura, i diritti,sia ricantando liberamente contro di essa le calunnie dei nemici. Del gregge dei modernisti sembra detto ciòche con tanto dolore scriveva il Predecessore Nostro (Motu proprio “Ut mysticam“, 14 marzo 1891): “Per rendere spregiata ed odiosa la mistica Sposa di Cristo, che è la luce vera, i figli delle tenebre furon soliti di opprimerla pubblicamente di una pazza calunnia, e, stravolto il significato e la forza delle cose e delle parole, chiamarla amica di oscurità, mentitrice d’ignoranza, nemica della luce e del progresso delle scienze“. Dopociò, Venerabili Fratelli, qual meraviglia se i cattolici, strenui difensori della Chiesa, son fatti segno dai modernisti di somma malevolenza e di livore? Non vi è specie d’ingiurie con cui non li lacerino: l’accusa più usuale è quella di chiamarli ignoranti ed ostinati. Che se la dottrina e l’efficacia di chi li confuta dà loro timore, ne incidono i nervi colla congiura del silenzio. E questa maniera di fare a riguardo dei cattolici è tanto più odiosa perché nel medesimo tempo e senza modo né misura, con continue lodi esaltano chi sta dalla loro; i libri di costoro riboccanti di novità accolgono ed ammirano con grandi applausi; quanto più alcuno si mostra audace nel distruggere l’antico, nel rigettare la tradizione e il magistero ecclesiastico, tanto più gli dàn vanto di sapiente; e per ultimo, ciò che fa inorridire ogni anima retta, se qualcuno sia con dannato dalla Chiesa non solo pubblicamente e profusamente lo encomiano, ma quasi lo venerano come martire della verità. Da tutto questo strepito di lodi e d’improperi colpiti e turbati gli animi giovanili, da una parte per non passare per ignoranti, dall’altra per parere sapienti spinti internamente dalla curiosità e dalla superbia, si dànno per vinti e passano al modernismo. Ma qui già siamo agli artifici con che i modernisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare gli adepti? Nei Seminari e nelle Università cercano di ottenere cattedre da mutare insensibilmente in cattedre di pestilenza. Inculcano le loro dottrine, benché forse velatamente, predicando nelle chiese; le annunciano più aperte nei congressi: le introducono e le magnificano nei sociali istituti. Col nome proprio o di altri pubblicano libri, giornali, periodici. Uno stesso e solo scrittore fa uso talora di molti nomi, perché gli incauti siano tratti in inganno dalla simulata moltitudine degli autori. Insomma coll’azione, colla parola, colla stampa tutto tentano, da sembrar quasi colti da frenesia. E tutto ciò con qual esito? Piangiamo pur troppo gran numero di giovani di speranze egregie e che ottimi servigi renderebbero alla Chiesa, usciti fuori dal retto cammino. Piangiamo moltissimi, che, sebbene non giunti tant’oltre, pure, respirata un’aria corrotta, sogliono pensare, parlare, scrivere più liberamente che non si convenga a cattolici. Si contano costoro fra i laici, si contano fra i sacerdoti; e chi lo crederebbe? si contano altresì nelle stesse famiglie dei Religiosi. Trattano la Scrittura secondo le leggi dei modernisti. Scrivono storia e sotto specie di dir tutta la verità, tutto ciò che sembri gettare ombra sulla Chiesa lo pongono diligentissimamente in luce con voluttà mal repressa. Le pie tradizioni popolari, seguendo un certo apriorismo, cercano a tutta possa di cancellare. Ostentano disprezzo per sacre Reliquie raccomandate dalla loro vetustà. Insomma li punge la vana bramosia che il mondo parli di loro; il che si persuadono che non sarà, se dicono soltanto quello che sempre e da tutti fu detto. Intanto si dànno forse a credere di prestare ossequio a Dio ed alla Chiesa; ma in realtà gravissimamente li offendono, non tanto per quel che fanno, quanto per l’intenzione con cui operano e per l’aiuto che prestano utilissimo agli ardimenti dei modernisti. A questo torrente di gravissimi errori, che di celato e alla scoperta va guadagnando, si adoperò con detti e con fatti di opporsi fortemente Leone XIII Predecessore Nostro di felice ricordanza, specialmente a riguardo delle sante Scritture. Ma i modernisti, lo vedemmo, non si lasciano spaventare facilmente: affettando il maggior rispetto ed una somma umiltà, stravolsero a loro senso le parole del Pontefice, e gli atti di Lui li fecero passare come diretti ad altri. Cosi il male è venuto pigliando forza ogni giorno più. – Abbiamo dunque deciso, o Venerabili Fratelli, di non tergiversare più oltre e di por mano a misure più energiche. Preghiamo perciò e scongiuriamo voi che, in negozio di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la vostra vigilanza e diligenza e fortezza. E quel che chiediamo ed aspettiamo da voi, lo chiediamo altresì e lo aspettiamo dagli altri pastori delle anime, dagli educatori e maestri del giovine clero, e specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.

I

La prima cosa adunque, per ciò che spetta agli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica. Bene inteso che, “se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili o fu alcun che trattato con poca considerazione; se fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti, ovvero in qualsivoglia modo non ammissibile; non è nostra intenzione che tutto ciò debba servir d’esempio da imitare anche ai di nostri” (Leone XIII, Enc. “Æterni Patris“). Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se è bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato. Se nei Seminari si sia ciò trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno. Posto così il fondamento della filosofia, si innalzi con somma diligenza l’edificio teologico. Venerabili Fratelli, promovete con ogni industria possibile lo studio della teologia, talché i chierici, uscendo dai Seminari, ne portino seco un’alta stima ed un grande amore e l’abbiano sempre carissimo. Imperocché “nella grande e molteplice copia di discipline che si porgono alla mente cupida di verità, a tutti è noto che alla sacra Teologia appartiene talmente il primo luogo, che fu antico detto dei sapienti essere dovere delle altre scienze ed arti di servirla e prestarle mano siccome ancelle” (Leone XIII, Lett. Ap. “In magna“, 10 dicembre 1889). Aggiungiamo qui, sembrarCi altresì degni di lode coloro, che, salvo il rispetto alla Tradizione, ai Padri, al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e con norme cattoliche (ciò che non sempre da tutti si osserva) cercano di illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia di vero nome. Certamente che alla teologia positiva deve ora darsi più larga parte che pel passato: ciò nondimeno deve farsi in guisa, che nulla ne venga a perdere la teologia scolastica, e si disapprovino quali fautori del modernismo coloro che tanto innalzino la teologia positiva da sembrar quasi spregiare la Scolastica. – In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz. 7 marzo 1580): “Adoperatevi strenuamente nello studio delle cose naturali: nel qual genere gl’ingegnosi ritrovati e gli utili ardimenti dei nostri tempi, come di ragione sono ammirati dai presenti, cosi dai posteri avranno perpetua lode ed encomio“. Questo però senza danno degli studi sacri: il che ammoniva lo stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole (Loc. cit.): “La causa di siffatti errori, chi la ricerchi diligentemente, sta principalmente in ciò che di questi nostri tempi, quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più son venute meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste infatti sono quasi poste in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, sono deturpate da prave sentenze e da enormi errori“. Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli studi delle scienze naturali.

II

A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro Antecessore fa mestieri volgere l’attenzione ognora che si tratti di scegliere i moderatori e maestri così dei Seminari come delle Università cattoliche. Chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo, senza riguardi di sorta si tenga lontano dall’ufficio cosi di reggere e cosi d’insegnare: se già si trovi con tale incarico, ne sia rimosso. Parimente si faccia con chiunque o in segreto o apertamente favorisce il modernismo, sia lodando modernisti, sia attenuando la loro colpa, sia criticando la Scolastica, i Padri, il Magistero ecclesiastico, sia ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da qualunque persona essa si eserciti; e similmente con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novità; e finalmente, con quelli altresì che non si curano degli studi sacri o paiono a questi anteporre i profani. In questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei maestri, non sarà mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; essendoché sull’esempio dei maestri si formano per lo più i discepoli. Poggiati adunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con prudenza sì ma con fortezza. Con non minore vigilanza e severità dovrete esaminare e scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero l’amore di novità: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci! A niuno in avvenire si conceda la laurea dì teologia o di diritto canonico, che non abbia prima compito per intero il corso stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ciò non ostante venisse concessa, sia nulla. Le ordinazioni che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò nell’anno 1896 pei chierici d’Italia dell’uno e dell’altro clero circa il frequentare le Università, stabiliamo che d’ora innanzi rimangano estese a tutte le nazioni. I chierici e sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo si è ciò permesso per il passato, ordiniamo che più non si conceda nell’avvenire. I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di siffatti cattolici Istituti o cattoliche Università veglino con ogni cura perché questi Nostri comandi vi si osservino costantemente.

III

È parimente officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano se sono già pubblicati, o, se non sono, proibire che si pubblichino. Qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovrà mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano. Né altrimenti si dovrà giudicare degli scritti di taluni Cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fa sì che tali libri siano letti senza verun timore e sono quindi più pericolosi per trarre a poco a poco al modernismo. – Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni più generali in sì grave materia, se nelle vostre diocesi corrono libri perniciosi, adoperatevi con fortezza a sbandirli, facendo anche uso di solenni condanne. Benché questa Sede Apostolica ponga ogni opera nel togliere di mezzo siffatti scritti, tanto oggimai ne è cresciuto il numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che la medicina giunga talora troppo tardi, quando cioè pel troppo attendere il male ha già preso piede. Vogliamo adunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, disprezzando il gridio dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, adempiano ciascuno le sue parti; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi“. Con queste parole si concede, è vero, un diritto: ma s’impone in pari tempo un dovere. Né stimi veruno di avere adempiuto cotal dovere, se deferisca a Noi l’uno o l’altro libro mentre altri moltissimi si lasciano divulgare e diffondere. Né in ciò vi deve rattenere il sapere che l’autore di qualche libro abbia altrove ottenuto l’Irnprimatur; sì perché tal concessione può essere simulata, sì perché può essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignità e per troppa fiducia nell’autore, il quale ultimo caso può talora avverarsi negli Ordini religiosi. Aggiungasi che, come non ogni cibo si confà a tutti egual mente, cosi un libro che in un luogo sarà indifferente, in un altro, per le circostanze, può tornare nocivo. Se pertanto il Vescovo, udito il parere di persone prudenti, stimerà di dover condannare nella sua diocesi anche qualcuno di siffatti libri, gliene diamo ampia facoltà, anzi glielo rechiamo a dovere. Intendiamo bensì che si serbino in tal fatto i riguardi convenienti, bastando forse che la proibizione si restringa talora soltanto al clero; ma eziandio in tal caso sarà obbligo dei librai cattolici di non porre in vendita i libri condannati dal Vescovo. E poiché Ci cade il discorso, vigilino i Vescovi che i librai per bramosia di lucro non spaccino merce malsana: il certo è che nei cataloghi di taluni di costoro si annunziano di frequente e con lode non piccola i libri dei modernisti. Se essi ricusano di obbedire, non dubitino i Vescovi di privarli del titolo di librai cattolici; similmente e con più ragione, se avranno quello di vescovili; che se avessero titolo di pontifici, si deferiscano alla Sede Apostolica. A tutti finalmente ricordiamo l’articolo XXVI della mentovata Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Tutti coloro che abbiano ottenuta facoltà apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono perciò autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali, se pure nell’indulto apostolico non sia data espressa facoltà di leggere e ritenere libri condannati da chicchessia“.

IV

Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; fa d’uopo impedirne altresì la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità. E poiché è grande il numero delle pubblicazioni, che, a seconda della Costituzione “Officiorum“, esigono l’autorizzazione dell’Ordinario, in talune diocesi si sogliono determinare in numero conveniente censori di officio per l’esame degli scritti. Somma lode noi diamo a siffatta istituzione di censura; e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. In tutte adunque le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall’uno e dall’altro clero, uomini di età, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano tenere il giusto mezzo. Spetterà ad essi l’esame di tutto quello che, secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di permesso per essere pubblicato. Il Censore darà per iscritto la sua sentenza. Se sarà favorevole, il Vescovo concederà la facoltà di stampa con la parola Imprimatur, la quale però sarà preceduta dal Nihil obstat e dal nome del Censore. Anche nella Curia romana non altrimenti che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio. L’elezione dei medesimi, dopo interpellato il Cardinale Vicario e coll’annuenza ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetterà al Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccherà determinare per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facoltà di stampa sarà concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale Vicario o dal suo Vicegerente, premesso però, come sopra si disse, il Nulla osta col nome del Censore. Solo in circo stanze straordinarie e rarissimamente si potrà, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la menzione del Censore. Agli autori non si farà mai conoscere il nome del Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinché il Censore stesso non abbia a patir molestia o mentre esamina lo scritto o in caso che ne disapprovi la stampa. Mai non si sceglieranno Censori dagli Ordini religiosi, senza prima averne secretamente il parere del Superiore provinciale, o, se si tratta di Roma, del Generale: questi poi dovranno secondo coscienza attestare dei costumi, della scienza e della integrità della dottrina dell’eligendo. Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di mai non permettere che alcun che si pubblici dai loro sudditi senza la previa facoltà loro e dell’Ordinario diocesano. Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha verun valore né mai si potrà arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo. Detto ciò generalmente, nominatamente ordiniamo una osservanza più diligente di quanto si prescrive nell’articolo XLII della citata Costituzione “Officiorum“, cioè: “È vietato ai sacerdoti secolari, senza previo permesso dell’Ordinario, prendere la direzione di giornali o di periodici“. Del quale permesso, dopo ammonizione, saràprivato chiunque ne facesse mal uso. Circa quei sacerdoti, che hanno titoli di corrispondenti o collaboratori,poiché avviene non raramente che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti di modernismo, vedano iVescovi che ciò non avvenga; e se avvenisse, ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso conogni autorità ammoniamo che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: i quali se si mostrassero in ciò trascurati,provvedano i Vescovi, con autorità delegata dal Sommo Pontefice. I giornali e periodici pubblicati dai Cattoliciabbiano, per quanto sia possibile, un Censore determinato. Sarà obbligo di questo leggere opportunamentei singoli fogli o fascicoli, dopo già pubblicati: se cosa alcuna troverà di pericoloso, ordinerà che sia corretto quanto prima. Lo stesso diritto avrà il Vescovo, anche in caso che il Censore non abbia reclamato.

V

Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici convegni come quelli nei quali i modernisti si adoprano di propalare e propagare le loro opinioni. I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di Sacerdoti. Se avverrà che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo. A tali convegni, che dovranno solo permettersi volta per volta e per iscritto o in tempo opportuno, non potrà intervenire Sacerdote alcuno di altra diocesi, se non porti commendatizie del proprio Vescovo. A tutti i Sacerdoti poi non passi mai di mente ciò che Leone XIII raccomandava con parole gravissime (Lett. Enc. “Nobilissima Gallorum“, 10 febbraio 1884): “Sia intangibile presso i sacerdoti l’autorità dei propri Vescovi; si persuadano che il ministero sacerdotale, se non si eserciti sotto la direzione del Vescovo, non sarà né santo, né molto utile, né rispettabile“.

VI

Ma che gioveranno, o Venerabili Fratelli, i Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osservino a dovere e con fermezza? Perché questo si ottenga, Ci è parso espediente estendere a tutte le diocesi ciò che i Vescovi dell’Umbria (Atti del Congr. dei Vescovi dell’Umbria, nov. 1849, tit. II, art. 6), molti anni or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: “Ad estirpare – così essi – gli errori già diffusi e ad impedire che più oltre si diffondano o che esistano tuttavia maestri di empietà, pei quali si perpetuino i perniciosi effetti originati da tale diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti il vigilare se e con quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e farne avvertito il Vescovo perché di concorde avviso prenda rimedi con cui il male si estingua fin dal principio e non si spanda di vantaggio a rovina delle anime, e, ciò che è peggio, si afforzi e cresca“. Stabiliamo adunque che un siffatto Consiglio, che si chiamerà di vigilanza, si istituisca quanto prima in tutte le diocesi. I membri di esso si sceglieranno colle stesse norme già prescritte pei Censori dei libri. Ogni due mesi, in un giorno determinato, si raccoglierà in presenza del Vescovo: le cose trattate o stabilite saranno sottoposte a legge di secreto. I doveri degli appartenenti al Consiglio saranno i seguenti: Scrutino con attenzione gl’indizi di modernismo tanto nei libri che nell’insegnamento; con prudenza, prontezza ed efficacia stabiliscano quanto è d’uopo per la incolumità del clero e della gioventù. Combattano le novità di parole, e rammentino gli ammonimenti di Leone XIII (S. C. AA. EE. SS., 27 gennaio 1901): “Non si potrebbe approvare nelle pubblicazioni cattoliche un linguaggio che ispirandosi a malsana novità sembrasse deridere la pietà dei fedeli ed accennasse a nuovi orientamenti della vita cristiana, a nuove direzioni della Chiesa, a nuove ispirazioni dell’anima moderna, a nuova vocazione del clero, a nuova civiltà cristiana“. Tutto questo non si sopporti così nei libri come dalle cattedre.Non trascurino i libri nei quali si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre Reliquie. Non permettano che tali questioni si agitino nei giornali o in periodici destinati a fomentare la pietà, né con espressioniche sappiano di ludibrio o di disprezzo né con affermazioni risolute specialmente, come il più delle volte accade,quando ciò che si afferma o non passa i termini della probabilità o si basa su pregiudicate opinioni. Circa le sacreReliquie si abbiano queste norme. Se i Vescovi i quali sono soli giudici in questa materia, conoscano con certezza che una reliquia sia falsa, la toglieranno senz’altro dal culto dei fedeli… Se le autentiche di una Reliquia qualsiasi, o pei civili rivolgimenti o in altra guisa siensi smarrite, non si esponga alla pubblica venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione. L’argomento di prescrizione o di fondata presunzione allora solo avrà valore quando il culto sia commendevole per antichità: il che risponde al decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e sacre Reliquie, in questi termini: “Le Reliquie antiche sono da conservarsi nella venerazione che finora ebbero, se pure in casi particolari non si abbiano argomenti certi che sono false o supposte“. Nel portar poi giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa materia fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione prescritta da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non perciò ammette la verità del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Così appunto la sacra Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent’anni addietro (Decreto 2 maggio 1877): “Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti“. Niun timore può ammettere chi a questa regola si tenga. Imperocché il culto di qualsivoglia apparizione, in quanto riguarda il fatto stesso e dicesi relativo, ha sempre implicita la condizione della verità del fatto: in quanto poi è assoluto, si fonda sempre nella verità, giacché si dirige alle persone stesse dei santi che si onorano. Lo stesso vale delle Reliquie. Commettiamo infine al Consiglio di vigilanza, di tener d’occhio assiduamente e diligentemente gl’istituti sociali come pure gli scritti di questioni sociali affinché nulla vi si celi di modernismo, ma ottemperino alle prescrizioni dei Romani Pontefici.

VII

Le cose fin qui stabilite affinché non vadano in dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poscia ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall’autorità dell’Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi a riguardo dei loro dipendenti. Queste cose, o Venerabili Fratelli, abbiam creduto di scrivervi per salute di ogni credente. I nemici della Chiesa certamente ne abuseranno per ribadire la vecchia accusa, per cui siamo fatti passare come avversi alla scienza ed al progresso della civiltà. A tali accuse, che trovano smentita in ogni pagina della storia della Chiesa, alfine di opporre alcun che di nuovo, è Nostro consiglio di accordare ogni favore e protezione ad un nuovo Istituto, da cui, coll’aiuto di quanti fra i Cattolici sono più insigni per fama di sapienza, ogni fatta di scienza e di erudizione, sotto la guida ed il Magistero della cattolica verità, sia promossa. Assecondi Iddio i Nostri disegni e Ci prestino aiuto quanti di vero amore amano la Chiesa di Gesù Cristo. Ma di ciò in altra opportunità. A Voi intanto, o Venerabili Fratelli, nella cui opera e zelo sommamente confidiamo, imploriamo di tutto cuore la pienezza dei lumi Celesti, affinché in tanto periglio delle anime per gli errori che da ogni banda s’infiltrano, scorgiate quel che far vi convenga; e con ogni ardore e fortezza lo eseguiate. Vi assista colla Sua virtù Gesù Cristo autore e consumatore della nostra fede; vi assista coll’intercessione e coll’aiuto la Vergine Immacolata profligatrice di tutte le eresie. – E Noi, come pegno della Nostra carità e delle divine consolazioni fra tante contrarietà, impartiamo con ogni affetto a voi, al vostro clero ed ai vostri fedeli l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 settembre 1907, nell’anno V del Nostro Pontificato.

“LAMENTABILI SANE EXITU”

“SUL PERICOLO COSTITUITO DA CERTI ESEGETI CHE, CON L’APPARENZA DI INTELLIGENZA E

COL NOME DI CONSIDERAZIONE STORICA, CORROMPONO LA DOTTRINA”

SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE

Con deplorevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede. – È da dolersi poi grandemente che, anche fra i cattolici, si trovino non pochi scrittori i quali, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi. – Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui. Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:

1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell’esegesi scientifica dei Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

2. L’interpretazione che la Chiesa dà dei Libri sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato giudizio e alla correzione degli esegeti.

3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati contro l’esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.

4. Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.

5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare sulle asserzioni delle discipline umane.

6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.

7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati.

8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.

9. Coloro che credono che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.

10. L’ispirazione dei Libri dell’Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.

11. L’ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.

12. L’esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l’origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.

13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo presso i giudei.

14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.

15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi, pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.

16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia, ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità storica.

17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché fossero più adatti a significare l’opera e la gloria del Verbo Incarnato.

18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo.

19. Gli esegeti eterodossi espresso più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.

20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall’uomo circa la sua relazione con Dio.

21. La Rivelazione, che costituisce l’oggetto della Fede cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.

22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l’interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.

23. Può esistere, ed esiste in realtà, un’opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi.

24. Non dev’essere condannato l’esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.

25. L’assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità.

26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.

27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce dal concetto di Messia.

28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a dimostrarlo.

29. Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede.

30. In tutti i testi evangelici, il nome “Figlio di Dio” equivale soltanto a nome “Messia” e non significa assolutamente che Cristo è vero e naturale Figlio di Dio.

31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnato da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.

32. Non è possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.

33. È evidente a chiunque non sia influenzato da opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.

34. Il critico non può affermare che la scienza di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi – non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale – secondo la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.

35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità messianica.

36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente trasse dagli altri.

37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale di Cristo presso Dio.

38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo non è evangelica, ma solo paolina.

39. Le opinioni sull’origine dei Sacramenti, di cui erano imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici del Cristianesimo dànno credito.

40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo, sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.

41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla mente dell’uomo la presenza sempre benefica del Creatore.

42. La comunità cristiana inventò la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli obblighi della professione cristiana.

43. L’uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un’evoluzione disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè il Battesimo e la Penitenza.

44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti, cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia del cristianesimo primitivo.

45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell’istituzione dell’Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto storico.

46. Il concetto della riconciliazione del cristiano peccatore, per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché era considerata come Sacramento vergognoso.

47. Le parole del Signore “Ricevete lo Spirito Santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali non li rimetterete non saranno rimessi” [Joh., 20, 22-23] non si riferiscono al Sacramento dellaPenitenza, anche se i Padri tridentini vollero affermarlo.

48. Giacomo, nella sua epistola [Jac., 5, 14 sqq.], non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione e il numero dei Sacramenti.

49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente andava assumendo l’indole di un’azione liturgica.

50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano l’ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o Vescovi per provvedere all’ordinamento necessario delle crescenti comunità, e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.

51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.

52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.

53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.

54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.

55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa.

56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.

57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.

58. La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui.

59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.

60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica; poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine ellenica e universale.

61. Si può dire senza paradosso che nessun passo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all’ultimo dell’Apocalisse, contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.

62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non avevano per i cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno per i cristiani del nostro tempo.

63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente l’etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con i progressi odierni.

64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione, della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.

65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un Cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.

Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X, Sua Santità approvò e confermò il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che tutte e singole le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.

Dato a Roma, presso il Palazzo del Sant’Uffizio, il giorno 3 del mese di Luglio dell’Anno 1907

Pietro Palombelli

Notaro della Sacra Inquisizione Romana ed Universale

SACRORUM ANTISTITUM

Motu proprio

che stabilisce alcune leggi per respingere il pericolo del modernismo

Acta Apostolicae Sedis, AAS 02 [1910], pp. 655-669,


Riteniamo che non sia sfuggito a nessuno dei santi Vescovi, che i modernisti, la maliziosissima categoria d’uomini che avevamo smascherato per loro nella Lettera enciclica Pascendi Dominici Gregis, non si sono astenuti dai propositi di turbare la pace della Chiesa.

Infatti hanno continuato ad adescare nuovi seguaci e a farli associare mediante un’alleanza segreta, e con essi ad inoculare nelle vene del cristianesimo il virus delle loro opinioni, pubblicando, anonimamente o sotto pseudonimi, libri ed articoli.

Se, riletta la summenzionata Nostra Lettera, si considera con più attenzione lo sviluppo di quest’audacia, per mezzo della quale Ci è arrecato tanto dolore, apparirà chiaramente che uomini di tale condotta non sono altro che quelli che abbiamo già descritto là, nemici tanto più temibili quanto più sono vicini; i quali abusano del loro ministero per porre sull’amo un’esca avvelenata con cui corrompere gli sprovveduti, divulgando un’apparenza di dottrina, in cui è contenuta la somma di tutti gli errori.

Dato che questa peste si sparge attraverso quella parte del campo del Signore da cui ci si aspetterebbero i frutti più lieti, se da un lato è proprio di tutti i Vescovi spendersi in difesa della fede cattolica, e vigilare con somma diligenza affinché l’integrità del deposito divino non riceva alcun danno, dall’altro lato a Noi è di massima pertinenza fare ciò che ha comandato Cristo Salvatore, il quale a Pietro (il cui principato, seppur indegnamente, Noi abbiamo ricevuto,) disse: Conferma i tuoi fratelli. Appunto per questa causa, cioè, affinché gli animi dei buoni siano confermati nell’affrontare la presente battaglia, abbiamo ritenuto opportuno riportare delle frasi e delle prescrizioni del Nostro suddetto documento, espresse con queste parole:

A queste cose, che chiaramente confermiamo tutte, pena un peso sulla coscienza per coloro che avranno rifiutato di ascoltare quanto detto, ne aggiungiamo altre, che sono specificamente riferite agli aspiranti sacerdoti che vivono nei Seminari e ai novizi degli istituti religiosi.

– Nei Seminari certamente occorre che tutte le parti dell’istituzione tendano al medesimo fine di formare un sacerdote degno di tale nome. Ed infatti non si può ritenere che simili tirocini si estendano solamente o agli studi o alla pietà. L’ammaestramento fonde in un tutto unico entrambi gli aspetti, ed essi sono simili a palestre finalizzate a formare la sacra milizia di Cristo con una preparazione duratura. Dunque affinché da essi esca un esercito ottimamente istruito, sono assolutamente necessarie due cose, la cultura per l’istruzione della mente, la virtù per la perfezione dell’anima. L’una richiede che la gioventù che si prepara al sacerdozio sia massimamente istruita in quelle scienze che hanno un legame più stretto con gli studi delle cose divine; l’altra esige una straordinaria eccellenza di virtù e di costanza. Vedano dunque i rettori quale aspettativa di disciplina e di pietà si possa nutrire riguardo agli allievi, e scrutino quale sia l’indole dei singoli; se seguono il loro istinto più giusto o se sembrano abbracciare delle disposizioni di spirito profane; se sono docili nell’obbedire, inclini alla pietà, umili, osservanti della disciplina; se aspirano alla dignità di sacerdote perché si sono prefissati il giusto obiettivo, o perché spinti da ragioni umane; se, infine, sono adeguatamente ricchi di santità di vita e di cultura; o se, mancando loro qualcosa di queste, si sforzano almeno di acquisirla con animo sincero e pronto. Né l’indagine presenta troppa difficoltà; giacché i doveri religiosi compiuti lamentandosi, e la disciplina osservata a causa del timore e non della voce della coscienza, rivelano immediatamente la mancanza delle virtù che ho elencato. Colui che tiene come principio il timore servile, o si infiacchisce per debolezza di carattere o disprezzo, è quanto mai lontano dalla speranza di poter esercitare santamente il sacerdozio. Infatti difficilmente si può credere che uno che disprezza le discipline domestiche non verrà poi meno alle leggi pubbliche della Chiesa. Se il rettore della scuola avrà individuato qualcuno con questa disposizione d’animo, e se, dopo averlo ammonito più volte, fatta una prova di un anno, avrà capito che quello non desiste dalla sua consuetudine, lo espella, in modo tale che in futuro non possa più essere accettato né da lui né da alcun Vescovo.

Dunque per promuovere i chierici si richiedano assolutamente queste due; l’onestà di vita unita alla sana dottrina: E non sfugga che quei precetti e moniti coi quali i Vescovi si rivolgono a coloro che stanno per ricevere gli ordini sacri, sono rivolti a questi non meno che a coloro che vi aspirano, allorché viene detto: “Si deve fare in modo che quelli scelti per tale compito siano illustri per saggezza spirituale, onestà di costumi e costante rispetto della giustizia … Siano onesti e assennati tanto nella scienza quanto nelle opere … splenda in essi la bellezza della santità nella sua interezza“.

E certamente dell’onestà di vita si sarebbe detto abbastanza, se questa potesse con poco sforzo essere separata dalla cultura e dalle opinioni, che ciascuno si sarà riservato di sostenere. Ma, come è nel Libro dei Proverbi: L’uomo è stimato secondo la sua cultura (Prov. XII, 8)e come insegna l’Apostolo: Chi… non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio (II Giov., 9). Quanto impegno sia da dedicare alle molte e varie cose da imparare bene, lo insegna persino la stessa pretesa dell’epoca attuale, la quale proclama che niente è più glorioso della luce dell’umanità che progredisce. Dunque quanti sono nelle file del clero, se vogliono dedicarsi al loro compito conformemente ai tempi;con frutto esortare gli altri nella sana dottrina e convincere quelli che la contraddicono (Tito, I,9); applicare le risorse dell’ingegno a vantaggio della Chiesa, devono necessariamente raggiungere una conoscenza delle cose tutt’altro che di basso livello, e avvicinarsi all’eccellenza nella cultura. Infatti c’è da lottare con nemici tutt’altro che inesperti, i quali aggiungono ai buoni studi un sapere spesso intessuto di trabocchetti, e le cui sentenze belle e vibranti sono proposte con grande abbondanza e rimbombo di parole, affinché in esse sembri risuonare quasi un qualcosa di esotico. Perciò bisogna predisporre opportunamente le armi, cioè, preparare abbondante foraggio di cultura per tutti coloro che, nella vita ritirata della scuola, si stanno accingendo ad assumere incarichi santissimi e difficilissimi.

E’ vero che, poiché la vita dell’uomo è circoscritta da limiti tali per cui da un fonte ricchissimo di conoscenze a stento è dato di assaggiare qualcosa a fior di labbra, bisogna anche temperare la sete di apprendimento e rammentare l’affermazione di Paolo: non è pio sapere tutto quanto necessita sapere, ma sapere in giusta misura (Rom. XII,3). Per cui, dato che ai chierici già sono imposti molti e pesanti studi, sia per quanto riguarda le sacre scritture, i fondamenti della Fede, le consuetudini, la conoscenza delle devozioni e delle celebrazioni, che vanno sotto il nome di ascetica, sia per quanto riguarda la storia della Chiesa, il diritto canonico, la sacra eloquenza; affinché i giovani non perdano tempo nel seguire altre questioni e non vengano distratti dallo studio principale, vietiamo del tutto a costoro la lettura di qualsiasi quotidiano e periodico, anche se ottimo, pena un onere sulla coscienza di quei rettori che non avranno vigilato scrupolosamente per impedirlo.

Inoltre per allontanare il sospetto che qualsiasi modernismo si introduca di nascosto, non solo vogliamo che siano assolutamente rispettate le cose prescritte sopra al n° II, ma comandiamo inoltre che ogni singolo insegnante, prima di cominciare le lezioni all’inizio dell’anno, mostri al suo Vescovo il testo che si propone di insegnare, o le questioni che tratterà, oppure le tesi; quindi che per quell’anno stesso sia tenuto sotto osservazione il metodo d’insegnamento di ciascuno; e se questo sembrerà allontanarsi dalla sana dottrina, sarà causa sufficiente per rimuovere quell’insegnante. Ed infine, che, oltre alla professione di fede, presti giuramento al suo Vescovo, secondo la formula sotto riportata, e firmi.

Questo giuramento, preceduto da una professione di fede nella formula prescritta dal Nostro Predecessore Pio IV, con allegate le definizioni del Concilio Vaticano, lo presteranno dunque davanti al loro Vescovo:

I. I chierici che stanno per ricevere gli ordini maggiori; ad essi singolarmente sia previamente consegnato un esemplare sia della professione di fede, sia della formula del giuramento da emettere, in modo che le conoscano in anticipo accuratamente, essendovi una sanzione, come si vedrà sotto, in caso di violazione del giuramento.

II. I sacerdoti destinati a raccogliere le confessioni, e i sacri predicatori, prima che sia loro concessa facoltà di svolgere tali compiti.

III. I Parroci, i Canonici, i Beneficiari prima di entrare in possesso del beneficio.

IV. Gli ufficiali nelle curie episcopali e nei tribunali ecclesiastici, inclusi il Vicario generale e i giudici.

V. Gli addetti ai sermoni che si tengono nei tempi quaresimali.

VI. Tutti gli ufficiali nelle Congregazioni Romane o nei tribunali, in presenza del Cardinale Prefetto o del Segretario di quella Congregazione o di quel tribunale.

VII. I Superiori e i Docenti delle Famiglie e Congregazioni religiose, prima di assumere l’incarico.

I documenti della professione di fede, di cui abbiamo detto, e dell’avvenuto giuramento siano conservati in appositi registri presso le Curie episcopali, e parimenti presso gli uffici di ciascuna Congregazione Romana. Se poi qualcuno osasse, Dio non voglia, violare qualche giuramento, costui sia deferito al tribunale del Sant’Uffizio.

FORMULA DEL GIURAMENTO

Io … fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal Magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.

Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.

Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell’origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.

Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.

Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell’evoluzione dei dogmi da un significato all’altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.

Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall’oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.

Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell’enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.

Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.

Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.

Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.

Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell’aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro documento profano.

Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c’è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.

Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli Apostoli (S. Ireneo, Adversus hæreses, 4, 26, 2: PG 7, 1053), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (Tertulliano, De præscriptione hæreticorum, 28: PL 2, 40).

Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (27): “Da S. PIO V ad URBANO VIII”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (27)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar.

(da S. PIO V a URBANO VIII)

S. Pio V: 7 Gennaio 1566 – 1 Maggio 1572

Bolla: “Ex omnibus afflictionis”- 1 Ottobre 1567

Errori di Michele Bajo sulla natura dell’uomo e sulla grazia.

1901. Par. 1 Né i meriti degli Angeli, né quelli del primo uomo che era ancora intatto, sono giustamente chiamati grazia.

1902. Par. 2 Come il male per sua natura merita la morte eterna, così le opere buone per loro natura meritano la vita eterna.

1903. Par. 3. Sia per gli Angeli che per il primo uomo, se avessero perseverato in questo stato fino alla fine della vita, la felicità sarebbe stata una ricompensa e non una grazia.

1904. Par. 4. La vita eterna è stata promessa all’Angelo e all’uomo integro in vista delle opere buone, e le opere buone, in virtù della legge di natura, sono sufficienti per ottenerla.

1905. Par. 5. Nella promessa fatta all’Angelo e al primo uomo è contenuto ciò che costituisce la giustizia naturale, in base alla quale ai giusti viene promessa la vita eterna per le buone opere, senza alcun’altra considerazione.

1906. Par. 6. Con la legge naturale è stato stabilito per l’uomo che, se persevererà nell’obbedienza, passerà alla vita in cui non potrà morire.

1907. Par. 7. I meriti del primo uomo, retto, erano nei doni della prima creazione; ma secondo il modo in cui parla la Scrittura, essi sono chiamati erroneamente grazia; per questo devono essere chiamati solo meriti e non anche grazia.

1908. Par. 8 In coloro che sono stati redenti dalla grazia di Cristo non si può trovare alcun buon merito che non sarebbe stato conferito gratuitamente ad una persona indegna.

1909. Par. 9 I doni dati all’uomo integro e all’Angelo possono essere chiamati grazia per un motivo che forse non è da disapprovare; ma poiché secondo l’uso della Scrittura il termine “grazia” è inteso solo per i doni che sono conferiti da Gesù a coloro che non li meritano e che ne sono indegni, ne consegue che né i meriti né la ricompensa dati loro debbano essere chiamati grazia.

1910. Par. 10. L’assoluzione della pena temporale che spesso rimane dopo il perdono del peccato e la risurrezione del corpo deve essere attribuita propriamente solo ai meriti di Cristo.

1911. Par. 11. Il fatto che dopo aver perseverato in questa vita mortale, fino alla fine della vita, nella pietà e nella giustizia, otteniamo la vita eterna, non è propriamente da attribuire alla grazia di Dio, ma all’ordinazione naturale stabilita fin dall’inizio della creazione secondo un giusto giudizio di Dio; E in questa ricompensa del bene non sono considerati i meriti di Cristo, ma solo la prima istituzione del genere umano, in cui secondo la legge naturale è stato stabilito da un giusto giudizio di Dio che la vita eterna sarebbe stata concessa dall’obbedienza ai Comandamenti.

1912. Par. 12. La proposizione secondo cui un’opera buona compiuta senza la grazia dell’adozione non meriti il regno celeste è pelagiana.

1913. Par. 13. Le opere buone compiute dai figli di adozione non sono meritorie perché sono compiute dallo spirito di adozione che abita nei cuori dei figli di Dio, ma solo perché sono conformi alla Legge e da loro la Legge è osservata.

1914. Par. 14. Le buone azioni dei giusti non ricevono, nel giorno dell’ultimo Giudizio, una ricompensa maggiore di quella che hanno meritato di ricevere secondo il giusto giudizio di Dio.

1915. Paragrafo 15. Insegna che il merito non consiste nel fatto che chi agisce bene abbia la grazia e lo Spirito Santo in sé, ma solo nel fatto che obbedisce alla Legge divina, e questa opinione la ripete spesso e la dimostra con molteplici ragioni in quasi tutto il libro.

1916. Par. 16. Nello stesso libro ripete spesso che non sia vera obbedienza alla Legge quella fatta senza carità.

1917. Par. 17. Dice che sono della stessa concezione di Pelagio coloro che affermano: fa necessariamente parte di ciò che è il merito il fatto che l’uomo sia elevato per grazia di adozione allo stato divino.

1918. 18. Dice: le opere dei catecumeni, come la fede e la penitenza che precedono la remissione dei peccati, sono meriti per la vita eterna; questa vita, i catecumeni non la ottengono se prima non vengano rimossi gli ostacoli legati alle colpe che hanno commesso in precedenza.

1919. 19. Sembra insinuare che le opere di giustizia e di temperanza compiute da Cristo non traggano maggior valore dalla dignità di chi le compie.

1920. 20. Non c’è peccato che sia veniale nella sua natura, ma ogni peccato merita la punizione eterna.

1921. 21. L’esaltazione e l’elevazione della natura umana alla partecipazione della natura divina è dovuta all’integrità dello stato primitivo, e quindi si deve dire che sia naturale e non soprannaturale.

1922. 22. È pensare come Pelagio di intendere dei Gentili che non aɓbiano fede: il testo dell’Apostolo ai Romani “I Gentili che non hanno la Legge fanno naturalmente ciò che la Legge comanda” Rm 2,14.

1923. 23. Assurda è l’opinione di coloro che affermano che fin dall’inizio, per un dono soprannaturale ed in qualche modo gratuito, l’uomo sia stato innalzato al di sopra della condizione di natura per onorare Dio in modo soprannaturale mediante la fede, la speranza e la carità.

1924. 24. È da uomini vani e oziosi, secondo la stoltezza dei filosofi, che sia stata inventata l’opinione secondo la quale l’uomo è stato costituito fin dall’inizio in modo tale che, grazie a doni aggiunti alla sua natura, sia stato elevato e adottato come figlio di Dio dalla liberalità del Creatore, e questa opinione deve essere ricondotta al pelagianesimo.

1925. 25 (26) Tutte le opere degli infedeli sono peccati e le virtù dei filosofi sono vizi.

1926. 26 (27) L’integrità della prima creazione non era un’elevazione indebita della natura umana, ma la sua condizione naturale. Questa opinione viene ribadita e dimostrata in diversi capitoli.

1927. 27 (28) Il libero arbitrio, senza l’aiuto della grazia di Dio, è buono solo per peccare.

1928. 28 (29) È un errore pelagiano affermare che il libero arbitrio sia in grado di evitare qualsiasi peccato.

1929. 29 (30) Non sono solo questi i “ladri” ed i “briganti” che negano che Cristo sia la via e la “porta” della verità e della vita, ma anche tutti coloro che dicono che si possa “raggiungere” la via della giustizia (cioè una qualche giustizia) “per un’altra via” che non sia quella che passi per Lui (cfr. Gv 10,1 ),

1930. 30 (30B) o che l’uomo possa resistere ad una tentazione senza l’aiuto della grazia stessa, in modo da non esserne indotto o vinto.

1931. 31. La carità perfetta e sincera, che nasce da “amore puro, buona coscienza e fede non finta” (1 Tm 1,5), si può trovare sia nei catecumeni che nei penitenti senza remissione dei peccati.

1932. 32. Questa carità, che è la pienezza della Legge, non è sempre unita alla remissione dei peccati.

1933. 33. Il catecumeno vive nella giustizia, nella rettitudine e nella santità, osserva i comandamenti di Dio e compie la Legge attraverso la carità, prima di aver ottenuto la remissione dei peccati che si riceve solo nel bagno battesimale.

1934. 34. Questa distinzione di un doppio amore, quello naturale con cui si ama Dio come Autore della natura e quello gratuito con cui si ama Dio come Colui che rende beati, è vana, inventata e volta a mettere in ridicolo le Sacre Scritture e molte testimonianze degli antichi.

1935. 35. Tutto ciò che fa un peccatore o uno schiavo del peccato è peccato.

1936. 36. L’amore naturale, che nasce dalle forze della natura, viene sostenuto da alcuni Dottori sulla base della sola filosofia, cedendo alla presunzione umana e facendo torto alla croce di Cristo.

1937. 37. È pensare come Pelagio di riconoscere un qualche bene naturale, cioè che abbia origine unicamente nelle forze della natura.

1938. 38. Tutto l’amore di una creatura ragionevole è o la viziosa cupidigia che ci fa amare il mondo e che è proibita da Giovanni, o la lodevole carità che, riversata dallo Spirito Santo nei cuori (cfr. Rm V,5), ci fa amare Dio.

1939. 39 Ciò che si fa volontariamente, anche se è necessario, è comunque fatto liberamente.

1940. 40. In tutte le sue azioni il peccatore serve l’avidità che domina.

1941. 41. Questo tipo di libertà che è liberata dalla necessità non si trova sotto il nome di libertà nella Scrittura, ma solo sotto il nome di libertà liberata dal peccato.

1942. 42. La giustizia con cui gli empi sono giustificati per fede consiste formalmente nell’obbedienza ai Comandamenti, che è una giustizia per opere, ma non in una grazia infusa con la quale l’uomo viene adottato come figlio di Dio, rinnovato secondo l’uomo interiore e reso partecipe della natura divina affinché, così rinnovato dallo Spirito Santo, possa poi vivere nel bene ed obbedire ai Comandamenti di Dio.

1943. 43. Nell’uomo che si pente prima del Sacramento dell’assoluzione e nel catecumeno prima del Battesimo viene data la vera giustificazione, ma separata dalla remissione dei peccati.

1944. 44. Con la maggior parte delle opere che vengono compiute dai fedeli per obbedire ai Comandamenti di Dio – come obbedire ai genitori, restituire i depositi, astenersi dall’omicidio, dal furto, dalla fornicazione – gli uomini sono certamente giustificati, perché si tratta di obbedienza alla Legge e di una vera giustizia della Legge, ma non ottengono con questo un aumento delle virtù.

1945. 45. Il Sacrificio della Messa non è un sacrificio in altro modo che in quello generale in cui si sacrifica “ogni opera che si debba compiere perché l’uomo sia unito a Dio nella santa società”.

1946. 46 (46A) La volontarietà non appartiene all’essenza e alla definizione del peccato, e non è una questione di definizione, ma di causa ed origine, se tutto il peccato debba essere volontario.

1947. 47(46B) Per questo il peccato originale ha davvero il carattere di peccato, senza alcuna relazione o riferimento alla volontà da cui abbia avuto origine.

1948. 48. (47A) Il peccato originale è volontario in ragione della volontà abituale del bambino, e domina abitualmente il bambino in ragione del fatto che non comporti alcuna volontà contraria.

1949. 49 (47B) E da questa volontà abitualmente dominante deriva che il bambino che muore senza il Sacramento della rigenerazione, dopo aver ricevuto l’uso della ragione, in realtà odia Dio, bestemmia Dio e resiste alla Legge di Dio.

1950. Par. 50.(48) I desideri cattivi a cui la ragione non acconsente e che l’uomo subisce suo malgrado, sono proibiti dal precetto: “Non desiderare” (Es XX,17).

1951. Par. 51.(49) La concupiscenza, o legge delle membra, e i suoi cattivi desideri che l’uomo prova contro la sua volontà, sono una vera disobbedienza alla Legge.

1952. Par. 52.(50) Ogni azione malvagia è di natura tale che possa contaminare il suo autore e tutti i suoi discendenti, come ha contaminato la prima trasgressione.

1953. Par. 53.(51) Per quanto riguarda l’entità del demerito derivante dalla trasgressione, coloro che nascono con vizi minori contraggono da chi li ha generati tanto quanto coloro che nascono con vizi maggiori.

1954. Par. 54.(52) Questa proposizione decisiva: Dio non ha comandato nulla di impossibile all’uomo, è falsamente attribuita ad Agostino, poiché proviene da Pelagio.

1955. Par. 55.(53) Dio non avrebbe potuto creare in origine un uomo come è nato ora.

1956. Par. 56.(54A) Nel peccato ci sono due cose: l’atto e la colpa; una volta compiuto l’atto, non resta che la colpa, o l’obbligo della pena.

1957. Par. 57.(54B) Da ciò consegue che nel Sacramento del Battesimo, o nell’assoluzione da parte del Sacerdote, propriamente si toglie solo la colpa incorsa nel peccato, e il ministero del Sacerdote assolve solo dalla colpa.

1958. Par. 58.(55) Il peccatore penitente non è vivificato dal ministero del Sacerdote che lo assolve, ma da Dio solo che, suggerendogli ed ispirandogli la penitenza, lo vivifica e lo fa risorgere; ma dal ministero del Sacerdote viene tolta solo la colpa.

1959. 59 (56) Quando con l’elemosina o con altre opere di penitenza soddisfiamo Dio per i dolori temporali, non offriamo a Dio un corrispettivo adeguato per i nostri peccati, come alcuni erroneamente affermano (perché altrimenti saremmo, almeno in qualche modo, dei redentori); ma facciamo qualcosa per cui la soddisfazione di Cristo venga applicata e comunicata a noi.

1960. 60 (57) Con le sofferenze dei Santi comunicate nelle indulgenze non si riscattano propriamente le nostre colpe, ma con la comunione della carità si partecipano le loro sofferenze per essere degni di essere liberati, attraverso il sangue di Cristo, dalle pene dovute ai peccati.

1961. 61 (58) Questa famosa distinzione dei Dottori secondo cui i Comandamenti della Legge divina sono adempiuti in un duplice modo, uno secondo la sola sostanza delle opere prescritte, l’altro secondo un certo modo, cioè il modo secondo il quale essi sono in grado di condurre al Regno eterno colui che li adempie (cioè secondo il modo del merito), è una distinzione inventata che debba essere respinta.

1962. 62 (59) Allo stesso modo, la distinzione secondo la quale un’opera è detta buona in due modi, o perché sia giusta e buona per il suo oggetto e per tutte le circostanze (ciò che di solito si chiama moralmente buona), o perché sia meritoria per il Regno eterno in quanto compiuta dallo Spirito di carità da un membro che mira a Cristo, è considerata da respingere.

1963. 63 (60) Analogamente questa distinzione di una doppia giustizia, l’una dovuta allo Spirito di carità che abita (nell’uomo), l’altra certamente dovuta all’ispirazione dello Spirito Santo che eccita la volontà di penitenza, ma che non abita ancora nel cuore diffondendo la carità attraverso la quale si compie la Legge divina, viene respinta nel modo più odioso e ostinato.

1964. 64 (61) Infine, anche questa distinzione che viene fatta tra una doppia vivificazione, quella per cui il peccatore è vivificato quando, per grazia di Dio, sia animato dalla penitenza e dal proposito e dall’inizio di una nuova vita, e l’altra per cui è vivificato colui che sia veramente giustificato e che diventi un tralcio vivo della vite di Cristo, è anch’essa inventata e non è affatto conforme alla Scrittura.

1965. 65 (62) È solo per un errore pelagiano che si posss ammettere che ci sia un uso del libero arbitrio che sia buono o non cattivo, e chi pensa ed insegna questo fa ingiustizia alla grazia di Cristo.

1966. 66 ( 63) Solo la violenza si oppone alla libertà dell’uomo naturale.

1967. 67 (64) L’uomo pecca in modo da meritare la dannazione anche in ciò che fa in modo necessario.

1968. 68 (65) L’infedeltà puramente negativa, in coloro ai quali non è stato predicato Cristo, è peccato.

1969. 69 (66) La giustificazione degli empi avviene formalmente con l’obbedienza alla Legge, e non con una comunicazione ed un’ispirazione nascosta della grazia che induca coloro che sono stati giustificati da essa ad adempiere la Legge.

1970. 70 (67) L’uomo che vive in peccato mortale o nella colpa che meriti la dannazione eterna può avere vera carità; e anche la carità perfetta può essere alleata con la colpa che meriti la dannazione eterna.

1971. 71 (68) Per la contrizione, anche se perfezionata dalla carità e unita al voto di ricevere il Sacramento, salvo il caso di necessità o di martirio, la colpa non è perdonata senza l’effettiva ricezione del Sacramento.

1972. 72 (69) Tutte le afflizioni dei giusti sono in tutto e per tutto punizioni per i loro peccati; per questo Giobbe ed i martiri che hanno sofferto, hanno sofferto a causa dei loro peccati.

1973. 73 (70) Nessuno, eccetto Cristo, è senza peccato originale; per questo la Beata Vergine morì a causa del peccato contratto da Adamo, e tutte le sue afflizioni in questa vita, come quelle degli altri giusti, furono punizioni per il peccato attuale o originale.

1974. 74 (71) In coloro che sono nati di nuovo e sono caduti in peccato mortale, la concupiscenza che ora li domina è peccato, così come le altre cattive abitudini.

1975. 75 (72) I movimenti disordinati della concupiscenza sono proibiti, dato lo stato dell’uomo decaduto, dal precetto “Non desiderare” (Es 20,17); perciò l’uomo che li prova, anche se non vi acconsente, trasgredisce il precetto “Non desiderare”, anche se la trasgressione non gli viene imputata come peccato.

1976. 76 (73) Finché in colui che ama rimane qualcosa della concupiscenza della carne, egli non adempie al precetto: “Amerai Dio con tutto il cuore” (Dt VI,5; Mt XXII,37).

1977. 77 (74) Le laboriose soddisfazioni di chi sia stato giustificato non sono in grado di espiare “de condigno” la pena temporale che rimanga dopo il perdono della colpa.

1978. 78 (75) L’immortalità del primo uomo non era un beneficio della grazia, ma la sua condizione naturale.

1979. 79 (76) L’opinione dei Dottori secondo cui il primo uomo potrebbe essere stato creato e stabilito da Dio senza la giustizia naturale è falsa.

(Censura): Queste proposizioni sono state soppesate con un esame rigoroso in nostra presenza; sebbene alcune di esse possano essere sostenute in una certa misura… nel senso rigoroso e proprio dei termini intesi da coloro che le affermano, con il presente documento le condanniamo, le qualifichiamo e le respingiamo in quanto, a seconda dei casi, eretiche, erronee, sospette, avventate, scandalose ed offensive per le orecchie pie, così come ciò che sia stato detto di esse a parole e per iscritto.

1981. In primo luogo, quindi, condanniamo tutte le cambiali dette fittizie (secche), la cui finzione consiste nel fatto che le parti contraenti fingono, su certi mercati o in altri luoghi, di concludere operazioni di cambio; coloro che ricevono il denaro consegnano certamente le loro cambiali, ma queste non vengono emesse, o vengono emesse in modo tale che, trascorso il tempo in cui erano valide, vengono rese inefficaci; o ancora, il denaro viene infine reclamato, con un guadagno, anche senza la consegna di cambiali di questo tipo, laddove il contratto era stato concluso: Infatti, tra chi dà e chi riceve era stato concordato fin dall’inizio, o almeno questa era l’intenzione, e non c’è nessuno che, sui mercati o nei luoghi suddetti, onorerebbe tali lettere una volta in loro possesso. Questo male è anche simile al seguente: quando si danno cambiali fittizie per denaro, o per un deposito, o sotto altro nome, in modo che più tardi, nello stesso luogo o altrove, possano essere restituite con profitto.

1982. Ma per le cambiali dette anche vere, ci è stato riferito che i cambiavalute a volte rinviano la data di pagamento precedentemente concordata, quando per tacito o espresso accordo si riceva un profitto o anche solo promesso. Noi dichiariamo che tutto ciò sia usurario e ne vietiamo la pratica.

1983. Perché… è lecito agli indiani infedeli avere più mogli che ripudiano anche per i motivi più insignificanti, ne consegue che, avendo ricevuto il Battesimo, è permesso loro di rimanere con la moglie che è stata battezzata con il marito; e poiché spesso accade che non sia la prima moglie, i ministri (dei Sacramenti) e i Vescovi sono tormentati da grandissimi scrupoli perché pensano che non si tratti di un vero matrimonio; ma poiché sarebbe molto crudele separarli dalle donne con cui questi indiani hanno ricevuto il Battesimo, e poiché sarebbe particolarmente difficile trovare la prima moglie, per queste ragioni, ansiosi di considerare con benevolenza e affetto paterno la situazione di questi indiani, liberiamo i Vescovi e i ministri da tali scrupoli, d’ufficio ed in virtù della nostra sicura conoscenza e della pienezza dei poteri apostolici, dichiariamo che quegli Indiani che, come si suppone, siano stati battezzati e saranno battezzati, possano rimanere con la donna che è stata o sarà battezzata con loro come con la loro legittima moglie, dopo aver congedato le altre, e che tale matrimonio esista tra loro legittimamente.

GREGORIO XIII:

13 maggio 1572-10 aprile 1585.

Professione di fede prescritta per i Greci.

1985. Io, N., credo e professo con fede ferma tutti e ciascuno degli articoli contenuti nel Simbolo di fede usato dalla Chiesa romana, cioè: Credo in un solo Dio… (come nel Simbolo di fede di Nicea – Costantinopoli, 150).

1986. Credo, accetto e confesso anche tutto ciò che sia stato definito e dichiarato dal Santo Concilio Ecumenico di Firenze riguardo all’unione delle Chiese d’Occidente e d’Oriente, cioè che lo Spirito Santo sia eternamente del Padre e del Figlio, che derivi la sua essenza ed il suo essere sussistente sia dal Padre che dal Figlio, e che proceda eternamente da entrambi come da un unico principio e da un’unica spirale; Infatti, ciò che dicono i santi Dottori e Padri, cioè che lo Spirito Santo proceda dal Padre attraverso il Figlio, tende a questa concezione: con ciò si intende che anche il Figlio sia, secondo i Greci, la causa, secondo i Latini, il principio della sussistenza dello Spirito Santo, così come il Padre. E poiché tutto ciò che appartiene al Padre, il Padre stesso lo ha dato al suo Figlio unigenito generandolo, eccetto il fatto di essere Padre, la stessa cosa che lo Spirito Santo procede dal Figlio, il Figlio stesso l’ha dal Padre dal quale è stato anche eternamente generato. E credo che la spiegazione contenuta in queste parole “e del Figlio (filioque)” sia stata aggiunta al Simbolo in modo lecito e ragionevole, per chiarire la verità e per una necessità che urgeva in quel momento.

1987. Inoltre, confesso e accolgo tutti gli altri articoli che la Santissima Chiesa Romana e Apostolica abbia prescritto di professare e ricevere in virtù dei decreti del Santo Concilio Ecumenico Generale di Trento, e che vanno oltre quanto contenuto nei suddetti simboli di fede. Accetto… (tutto il resto come nella professione di fede tridentina 1863).

Costituzione “Populis ac nationibus“, 25 gennaio 1585.

Privilegio paolino.

1988. È opportuno mostrare indulgenza, in materia di libertà di contrarre matrimonio, verso i popoli e le nazioni che si sono recentemente convertiti dall’errore del paganesimo alla fede cattolica, affinché gli uomini che non sono abituati a mantenere la continenza, non siano per questo meno disposti a perseverare nella fede, e affinché con il loro esempio non scoraggino altri dal riceverla. Poiché, dunque, accade spesso che molti infedeli di entrambi i sessi, ma soprattutto di sesso maschile, vengano catturati dai nemici dopo un matrimonio contratto secondo il rito pagano, e vengano portati in regioni molto lontane, lontano dalla loro patria e dai loro coniugi, in modo che sia i prigionieri stessi sia coloro che rimangono in patria, quando poi si convertono alla fede, non sono in grado, a causa della distanza troppo grande, di chiedere correttamente ai loro coniugi non Cristiani se desiderano vivere con loro senza insultare il Creatore, o perché a volte anche ai messaggeri sia negato l’accesso alle province ostili e barbare, o perché ignorano totalmente le regioni in cui siano stati trascinati, o perché la lunghezza del viaggio comporti grandi difficoltà, per questo motivo, tenendo presente che tali matrimoni contratti tra non credenti siano certamente considerati veri, ma non così conclusi da non poter essere sciolti in caso di necessità, concediamo agli Ordinari del luogo e ai parroci… la facoltà di dispensare 0 dall’interpellanza) tutti i fedeli Cristiani di entrambi i sessi che vivono in queste regioni e che in seguito si siano convertiti alla fede e anbiano contratto matrimonio prima di ricevere il Battesimo, in modo che tutti loro, anche se il coniuge non credente sia ancora vivo e non sia stato chiesto il suo consenso o non ci si aspettava la risposta, possano contrarre matrimonio con qualsiasi fedele, anche di altro rito, celebrarli solennemente davanti alla Chiesa e, dopo averli consumati con l’unione carnale, rimanervi lecitamente finché vivono, purché si accerti, anche sommariamente ed extragiudizialmente, che il coniuge che, come si presuppone assente, non è stato interpellato, o che, essendo stato interpellato, non abbia manifestato la sua volontà entro il termine fissato da questa monizione; e decidiamo che, anche se in seguito risultasse che i primi coniugi, che non erano credenti, non abbiano potuto manifestare la loro volontà perché impediti da un giusto motivo, e anche se si fossero convertiti alla fede al momento del secondo matrimonio, questi matrimoni non debbano mai essere abrogati per questo, e che la prole in essi concepita sia legittima.

SESTO V: 24 aprile 1585-27 agosto 1590.

URBANO VII: 15-27 settembre 1590

GREGORIO XIV: 5 dicembre 1590-17

ottobre 1591.

INNOCENZO IX: 29 ottobre 1591– 30, dicembre 1591.

Salvaguardia del segreto della confessione.

1989. (Cap. 4) Sia i superiori in carica che i confessori che saranno poi promossi al grado di superiori avranno la massima cura nel non fare uso, in vista del governo esterno, della conoscenza che possano avere avuto, in Confessione, dei peccati di altre persone. Ordiniamo quindi che questo venga osservato da tutti i superiori dei regolari, chiunque essi siano.

Il potere di benedire con il crisma e di cresimare.

1990. I Sacerdoti greci non devono segnare la fronte dei battezzati con il crisma, e per questo motivo le parole “E dopo l’orazione”, ecc.

1991. Par. 1. I Vescovi latini devono confermare i neonati o altri battezzati la cui fronte sia stata effettivamente segnata con il crisma da Sacerdoti greci, e sembra più sicuro che lo facciano con questa riserva e condizione, cioè: N., se sei confermato, non ti confermo; ma se non sei confermato, ti segno con il segno della croce e ti confermo con il crisma della salvezza nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; e questo soprattutto quando si possa dubitare con una certa probabilità che siano stati battezzati da Vescovi greci.

1992. Par. 3 I Sacerdoti greci non sono obbligati a ricevere gli olii santi, ad eccezione del crisma, dai Vescovi diocesani latini, poiché secondo il rito antico questi olii sono fatti o benedetti da loro nello stesso momento in cui vengono amministrati questi olii e i Sacramenti. Ma saranno obbligati a ricevere il crisma che, anche secondo il loro rito, può essere consacrato solo dal Vescovo.

Decreto del Sant’Uffizio, 20 giugno 1602.

Confessione e assoluzione di una persona assente.

1994. Il santissimo Signore… ha condannato e proibito la seguente proposizione, cioè “che sia lecito confessare sacramentalmente i peccati ad un confessore assente, per lettera o per messaggero, e ricevere l’assoluzione dallo stesso Sacerdote assente”, come falsa, avventata e scandalosa, e ha ordinato che d’ora in poi questa proposizione non debba più essere insegnata in corsi, lezioni o assemblee, privatamente o pubblicamente, e che non debba mai essere sostenuta, stampata o praticata in alcun modo, come probabile in alcuni casi.

1995. Domanda: La dottrina di P. Suarez contenuta nel 4° volume dei suoi Commentarri in 3am Partem D. Thomae disp. 21, sect. 4 dove, dopo la pubblicazione del decreto emanato dal nostro santissimo Signore l’anno scorso nel mese di giugno riguardo alla questione della Confessione sacramentale, discute di questa stessa questione e del significato di detto decreto, è apertamente contraria a ciò che questo decreto ordina? (Risposta): Dato che i termini del suddetto decreto mostrano chiaramente e con la loro forma che Sua Santità non solo abbia condannato la proposizione che sia lecito ricevere l’assoluzione da un Sacerdote assente, ma anche che sia lecito confessare sacramentalmente i peccati ad un confessore assente, e dato che la parola “è lecito”, come appare dagli altri elementi, è molto chiaramente usata per qualificare come illecito ciò che sia contrario all’istituzione e all’essenza del Sacramento (come Suarez stesso è costretto dalla verità a riconoscere), e poiché si tratta di una pura invenzione, senza alcun fondamento plausibile nei termini del decreto, dire che tutta questa ipotesi sia condannata in esso solo quando le cose sono collegate, cioè alla maniera di un’unica ipotesi, e che questa ipotesi da condannare debba essere intesa con una particella copulativa e non con una particella disgiuntiva, in modo che secondo il vero contenuto della formula entrambi i membri sarebbero soggetti a censura e non solo l’uno o l’altro, e poiché è un vano pretesto concludere da questo caso in cui, dagli unici segni di penitenza che sono stati dati e riferiti al Sacerdote che arriva, viene data l’assoluzione a uno che sta già morendo, a una confessione di peccati in assenza del Sacerdote – poiché la difficoltà che contiene è ben diversa: Per questo motivo i suddetti signori hanno ritenuto che la suddetta dottrina di p. Suarez si opponga apertamente a quanto definito dal Santissimo Padre.

LEONE XI: 1 aprile – 2 aprile

PAOLO V: 16 maggio 1605-28 giugno 1621.

Libertà di insegnamento in materia di ausili alla grazia.

1997. Per quanto riguarda gli aiuti (di grazia), il Sommo Pontefice ha dato la facoltà a coloro che stanno disputando, così come ai consiglieri, di tornare ai loro paesi e alle loro case; ed è stato aggiunto che Sua Santità avrebbe pubblicato la spiegazione e la decisione prevista a tempo debito. Ma lo stesso Santissimo Signore ha vietato severamente a chiunque di giudicare o censurare in qualsiasi modo la parte avversa quando si tratta di questa questione. Inoltre, desidera che si astengano dall’usare parole troppo dure nei confronti dell’altro e che mostrino l’amarezza dei loro cuori. In questa materia (cioè per quanto riguarda la decisione sulla questione dei sussidi della grazia) si è rimandato per tre motivi: primo, per essere assolutamente certi, e perché il tempo insegna e mostra la verità delle cose, essendo un grande giudice e censore delle cose. In secondo luogo, perché entrambe le parti sono d’accordo nella sostanza con la verità cattolica, cioè che Dio ci abbia fatto agire con l’efficacia della sua grazia, che fa volere gli uomini non volenti e che dirige e cambia le volontà degli uomini – ed è di questo che stiamo parlando – ma sono in disaccordo solo sul modo. I domenicani, infatti, sostengono che Egli predetermini la nostra volontà fisicamente, cioè in modo reale ed effettivo, mentre i gesuiti ritengono che lo faccia in modo appropriato e morale – opinioni che possono essere entrambe difese. In terzo luogo, perché in questi tempi in cui ci sono così tante eresie, è molto consigliabile preservare e mantenere la reputazione e il credito di questi due ordini, e perché se uno di essi viene messo in discredito può derivarne un grande danno. Ma se si dice che è bene sapere quale fede si debba avere in questa materia, la risposta è che sia necessario seguire e sostenere la dottrina del Concilio di Trento, nella VI sessione sulla giustificazione, che è chiara e limpida, che spiega l’errore e l’eresia dei pelagiani e dei semipelagiani, nonché quella di Calvino, e che insegna la dottrina cattolica secondo la quale “è necessario che il libero arbitrio sia mosso, suscitato e aiutato dalla grazia di Dio, e che possa liberamente assentire o non assentire”; e non si impegnò in questa questione relativa al modo in cui opera la grazia; fu toccata dal Concilio, ma fu abbandonata perché inutile e non necessaria, imitando in questo Celestino I che, dopo aver definito diverse questioni o proposizioni in questa materia, disse che non osava condannare né voleva affermarne altre, (di natura) più difficili e più sottili (cf. 249)

GREGORIO XV: 9 febbraio 1621-8 luglio 1623

URBANO VIII: 6 agosto 1623-29 luglio 1644.

Battesimo infantile conferito contro la volontà dei genitori.

1998. A proposito del Battesimo conferito alla bambina ebr giudea Alegreta all’età di circa tre anni… contro la volontà dei genitori,… (i Cardinali) ritennero che la bambina fosse veramente battezzata se materia, forma e intenzione fossero unite ed il Battesimo potesse essere attestato da un testimone e, sebbene i figli dei Giudei non debbano essere battezzati contro la volontà dei genitori, se tuttavia sono battezzati di fatto, il Battesimo è valido ed il carattere è impresso; la bambina battezzata deve essere educata con i Cristiani; per quanto riguarda il popolo, bisogna fargli capire che non sia permesso battezzare i figli dei Giudei contro la volontà dei genitori, perché anche se il fine è buono, i mezzi non sono leciti, tanto più che è in vigore la bolla di Giulio III, che impone una pena di mille ducati e la sospensione a chi battezzO i figli dei Giudei contro la volontà dei genitori.

Errore sulla doppia testa della Chiesa.

1999. Il Santissimo Signore (ha) la seguente proposizione: “San Pietro e San Paolo sono i due principi della Chiesa che sono uno”, oppure: “sono i due corifei della Chiesa Cattolica ed i suoi capi più eminenti che sono legati nella più grande unità”, oppure: “sono il doppio vertice della Chiesa universale, essendo uniti in uno nel modo più mirabile”, oppure: “sono i due supremi pastori e capi della Chiesa che formano una sola testa”, interpretata nel senso che suppone un’uguaglianza in tutti i punti tra San Pietro e San Paolo, senza subordinazione e sottomissione di San Paolo a San Pietro nel supremo potere e governo della Chiesa universale, il Santissimo Signore l’ha stimata e dichiarata eretica.

Costituzione “Cum occasione” a tutti i fedeli, 31 maggio 1653

Gli errori di Cornelius Jansen sul tema della grazia.

2001. 1 – Ci sono comandamenti di Dio che per gli uomini giusti, nonostante la loro volontà e i loro sforzi, sono impossibili da osservare, date le forze a loro disposizione, attraverso le quali questo sarebbe diventato possibile (cf. 1954).

2002. 2 – Nello stato di natura decaduta, la grazia interiore non resiste mai.

2003. 3 – Per meritare e demeritare nello stato di natura decaduto, non è necessario che l’uomo sia libero da ogni necessità, ma è sufficiente che sia libero da ogni costrizione.

2004. 4 – I semipelagiani ammettevano la necessità della grazia interiore preveniente per ogni atto particolare, anche per il consenso di fede; erano eretici in quanto volevano che questa grazia fosse tale che la volontà potesse resistere o obbedire.

2005. 5 – È semipelagiano affermare che Cristo sia morto o abbia versato il sangue per tutti gli uomini senza eccezioni.

2006. (Censura) Proposizione 1: La dichiariamo temeraria, empia, blasfema, condannata con anatema ed eretica, e la condanniamo come tale. – 2 eretica… – 3 : eretica… – 4: falsa ed eretica. 5: falsa, temeraria, scandalosa, ed intesa nel senso che Cristo è morto solo per i predestinati: empia, blasfema, infame, sprezzante della pietà divina ed eretica…

2007. Con questa dichiarazione e questa definizione relativa alle cinque proposizioni di cui sopra non intendiamo, tuttavia, approvare in alcun modo altre opinioni che siano contenute nel suddetto libro di Cornelius Jansen.

Decreto del Sant’Uffizio, 23 aprile 1654

Libertà di insegnamento in materia di aiuti alla grazia.

2008. In considerazione del fatto che circolano a Roma ed altrove alcune dichiarazioni e manoscritti, e forse documenti stampati, delle congregazioni tenute sotto Clemente VIII e Paolo V di felice memoria sul tema degli aiuti della grazia, sia sotto il nome di Francesco Pegna, già decano della Rota Romana, sia sotto quello di fr. Thomas de Lemos, op, e altri e teologi che, si dice, parteciparono alle suddette congregazioni, nonché un certo autografo o originale di una costituzione dello stesso Paolo V riguardante una definizione di questa questione degli aiuti della grazia e una condanna della concezione, o delle concezioni, di Luis de Molina, sj: Sua Santità dichiara e decreta che non si debba assolutamente dare credito alle dichiarazioni e agli atti sopra citati – sia a favore della concezione dei frati dell’Ordine di San Domenico, sia a favore di Luis de Molina e di altri membri della Compagnia di Gesù – né all’autografo o all’originale della citata presunta Costituzione di Paolo V. Al contrario, per quanto riguarda la suddetta questione, si devono osservare i decreti dei suoi predecessori.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (28): “da ALESSANDRO VII ad INNOCENZO XI”

LO SCUDO DELLA FEDE (255)

LO SCUDO DELLA FEDE (255)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (24)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

PARTE III

IL RINGRAZIAMENTO

CAPO I.

Ci affrettiamo qui di confessare, che ben conosciamo di non poter compiere l’opera nostra, massimamente in questa parte in che ci resta di trattare del Ringraziamento. I Santi stessi in Paradiso fanno principal officio di lor beatitudine rendere a Dio benedizioni e grazia, senza mai saziarsene per tutta l’eternità. Anche la Chiesa pare che pensi di non poterlo far pienamente. E di fatto si prova per poco con qualche devotissima giaculatoria, e poi si tace: quasi creda meglio lasciare alle anime, che si sfoghino sole con Dio, e gli dicano nel silenzio del labbro di quelle parole ineffabili, che lo Spirito Santo lor verrà suggerendo. Ma, per dirne pure qualche cosa, osserviamo con sant’ Agostino (Ephes.) , come dopo di aver partecipato a così gran Sacramento, lazione di grazie conchiude tutti i Misteri. La Chiesa poi per invitarci a questo ringraziamento mette in un’acclamazione, una tenerissima giaculatoria (e questa giaculatoria nel rito è detta Comunione). Poi saluta i bene amati suoi figli con ripetere: « Dominus vobiscum. » Così ai benedetti suoi figli dà un abbraccio per dire loro: « eh siamo ben fortunati ! » Li fa pregare ancora un istante, almeno con una parola di sfogo che dice al loro cuore invitandoli all’orazione detta Post-eommunio. Finalmente nel dare commiato coll’ Ite Missa est, li benedice solennemente, ed accennando loro nell’ultimo Vangelo di contemplare ancora il Verbo di Dio in Paradiso, e che abita ancor tra noi, li manda a ringraziare Dio per tutta la vita. Tratteremo di tutto questo nei seguenti articoli.

ART. I.

ORAZIONE DETTA: COMUNIONE.

In tutta questa operetta, con quella povertà di concetti alla meglio che per noi si é potuto, abbiam cercato di esporre, come ben sappia la Chiesa trattar con decoro lo sposo suo celeste, e mostrare la sua felicità di comunicare sull’altare con Dio. Noi lo abbiam contemplato. Qui bisogna dire che gli antichi sacerdoti santissimi coi fervorosi fedeli gustassero ben addentro il dono di Dio, e provassero beata sorte di questa comunione divina. Sull’altare per loro era il cielo, e sovrabbondanza di gaudio più che celeste, dove godevano intimamente Iddio. (Imit. Christi, l. 4). Quindi nell’estasi del loro gaudio, anche pel desiderio d’aver tutti a parte di tanta loro felicità, non sapevano fare altro che esclamare: « gustate et videte quoniarn suavis est Dominus! » Il perché vi fu un tempo, in questo versetto non si variava mai; ed in tutte le comunioni si sentiva ripetere: « fate prova, gustate e sentirete quanto é soave il Signore!» Quando poi la comunione del popolo era più numerosa, si recitava l’intiero salmo 33, da cui sono tratte quelle parole: e come si usa ancora, si cantavano altri salmi e cantici spirituali, per ammaestrare, consolare il popolo, ed interpretargli i suoi più intimi sentimenti col Signore, che tanto con lui si degna. – Ora la Chiesa sceglie un versetto dei libri santi, il quale si riferisce al mistero che si festeggia, ed alla grazia che Gesù comparte a chi degnamente lo riceve; od anche alle virtù che esercitarono in Gesù i Beati; e sovente alla grande beatitudine di essere uniti con Gesù Cristo, Redentore e Dio nostro, nel Sacramento. Ecco per lo più i sensi della orazione detta communio. Noi intanto pensiamo a quel popolo di comunicati: e nel loro fervore ci pare di sentirli ripetere: « lo proviamo, sì, lo proviamo, quanto è soave il Signore! »

La Comunione generale.

Anche ai di’ nostri non vi è più commovente spettacolo, né più edificante della Comunione generale di un intero popolo (È bella cosa far la Comunione Generale? Rispondiamoche puòessere utile quando si ha copia di confessori. Eppure anche in questo caso da’ luogo a disordini. L’esperienza ci ha allontanati da questa pratica. Noi ci rimettiamo alla prudente altrui pietà). Noi lo proviamo nelle missioni e negli esercizi spirituali. In quelle occasioni un missionario, vogliam dire un apostolo, o novello profeta del Signore, che nella sublime semplicità del Verbo di Dio rivela coll’eloquenza della carità i misteri delle anime, e dell’amor divino, richiama il popolo come una famiglia di figliuoli innanzi al Padre celeste. A loro mette davanti coi loro torti i loro doveri, e fa ad essi i più severi rimproveri: ma gli addolcisce colle lagrime di sua pietà: anche fa uso di tutto il terrore della parola divina, e coi più potenti colori fa loro vedere innanzi l’inferno, che sta per ingoiarli in peccato, in morte eterna; gli scuote, gli agita e fa che atterriti cerchino solleciti di gettarsi tra le braccia della misericordia di Dio, e di assicurarsi il Paradiso: e termina la sua missione con l’accoglierli in seno, confortarli colle più sicure speranze, e riconciliarli con Dio. Allora chi rappresenta il padre del popolo, il parroco, celebra il gran Sacrificio in mezzo a’ suoi fratelli commossi; ed a loro rivolto dice: « ecco Gesù, o cari amici: dai travagli che vi angustian la vita venite a ristorarvi in seno a Dio. » In questo mentre risuona la Chiesa di cantici spirituali; il Cielo è aperto sopra del tempio, i beati fan eco di Paradiso, e gli Angioli scendon a corteggiare il Signore, e fanno corona ammiranda ai fedeli che lo ricevono. Noi diciamo quello che abbiam sentito a ripeterci, « che per un buon pastore è questo il più bel giorno della sua vita. »

ART. II.

DOMINUS VOBISCUM.

Ritorniamo a contemplare il Dacerdote, che esilarato il suo cuore in questa giaculatoria (che figura l’allegrezza che ebbero i fedeli per la risurrezione (IInnoc. III , Myst. Miss. lib 6 c.10) del Signore, va in mezzo all’altare, v’imprime un bacio divoto, e si volge al popolo. – Il Sacerdote sembra proprio che faccia come la Maddalena ed i discepoli. Era già risorto Gesù. Maria Maddalena, quella benedetta, che già provate le consolazioni divine, seduta ai piedi del Salvatore, dovette tenergli dietro colla sua Madre fin sotto la Croce! Colei, che lo vide morire, e morto lo baciò in seno a Maria SS. e le membra lacerate unse dei balsami più preziosi e fasciò di bende, ed involtolo nella sindone, aiutò a comporlo nel sepolcro: colei adunque era tornata, dove la voleva il cuore prima del di: ma non trovato nel sepolcro Gesù, s’aggirava esterrefatta intorno a quella vuota tomba, e col suo guardare attonito pareva che interrogasse fino le piante e i sassi, se le sapessero dire del suo Diletto! Quando improvviso appare innanzi Gesù, che le dice, a farsi riconoscere: « Maria! » Ella mette un grido: « o Maestro!…» e gli cade ai piedi. E Gesù le disse d’andare e rallegrare i suoi discepoli, e dir loro che li avrebbe consolati di sua apparizione fra breve. Maddalena s’alza dai piedi di Gesù e corre ai discepoli (Giov. XX). Questi avvisati che il divino Maestro era risorto.., ed. oh! sel videro a porte chiuse apparire davanti in gloria di risurrezione… Pareva non credessero ai proprii occhi! E Gesù: « vedetemi, son proprio io qui con voi, toccatemi, in carne ed ossa risuscitato (XX,19): e tu, Tommaso, metti il dito nelle mie Piaghe, mettidentro la mano in questo mio Costato: » poi farsi conoscere nella frazione del pane (Luc.XXIV, 30-31) e mangiare con essi. Gli Apostoli rapiti a Lui in quella gloria, giubilavano del suo trionfo. Poi Gesù disse: ricevete lo Spirito Santo per rimettere tutti i peccati; quasi dicesse: mettetemi la mano nel Cuore, e col mio caldo Sangue lavatemi l’anime in confessione, e dite alle genti, che vengano a trovar la pace in cuore a me in Comunione, spingeteli a venire tutti a me colle più calde esortazioni. Consolanti misteri ricordati dal Sacerdote, che dopo la Comunione appare in mezzo all’altare: e rappresenta Gesù risuscitato che apparve a quei pii. Erede egli e depositario di tanto tesoro di grazie, col cuor diviso tra Dio e il popolo, come Gesù nell’istante di salire al Padre (Ben.XIV, lib. 2, c.24 n. 4), sfoga in Dio la pienezza del suo contento, ciò che non può far meglio che con un bacio mandare il cuore a Gesù (bacia l’altare). Poi si getta colle braccia larghe in seno al popolo a versargli l’abbondanza della Redenzione: e per dire tutto, non trova miglior espressione di questa: « Dominus vobiscum; il Signore sia con voi. » E il popolo con fervore intenerito rispondegli: « Et cum spiritu tuo; e collo spirito tuo sempre il Signore. » Trovandolo così seco in armonia di carità, « ah! preghiamo adunque, gli dice, ancora il nostro buon Dio insieme, Oremus; » e va al lato del crocifisso, cara immagine del suo Dio, del suo Diletto, che ha nel cuore, ad innalzare la preghiera in nome di tutti. Colla persona ben amata dinanzi quanto è cara cosa contemplare il ritratto! Nel Sacerdote ricordiamo Gesù.

ART. III.

IL POSTCOMMUNIO.

OREMUS.

Il Sacerdote fa qui le orazioni dette il Postcommunio, o vogliam dire le orazioni ordinate a ringraziare Dio, che di così grandi e divini misteri ci volle partecipi; e ad ottenere dopo la Comunione santissima gli effetti, i quali la Chiesa insegna, che da questo Sacramento si devono aspettare, e che sono l’oggetto delle più care speranze (Ben. XIV,lib.2 cap. 24 n.2). Si dicono queste orazioni nella parte destra dell’altare per indicare che gli avanzi dei Giudei si convertiranno alla fine del mondo: e ritornerà la legge santa donde era partita (Mansi: Il vero Eccles.vol 2, lib.5, cap. 9). Noi vorremmo qui poter dare tutte tradotte queste orazioni, che recita la Chiesa, variandole col variar delle feste. In esse per lo più si chiede che il benedetto Gesù, che in noi abita personalmente, ci faccia tradurre in atto, nella santità del costume, le sublimi verità che abbiam meditate, affinchè nella vita di noi, santificati che siamo, per l’unione con Lui, si renda da noi immagine delle sue virtù divine; ed eseguiamo l’avviso che Egli ci diede di esser perfetti, come è perfetto Dio, che noi chiamiamo nostro Padre in ispirito di adozione: figliuoli che Gli siamo in verità, perché in noi è il Sangue del suo Figliuolo. Sovente anche rammentiamo in queste orazioni i misteri della vita del Signore, e chiediamo che i suoi meriti siano a noi applicati, e siano di nostra ragione, come proprio meriti di noi, che vogliamo restar uniti col nostro gran Capo per sempre. O ricordiam Maria SS., e lo facciamo colla confidenza di veri Figli; o i Santi, e godiam della loro felicità, e vediamo in quella la caparra della nostra beatitudine. Sempre poi chiediamo a Dio, che questi suoi doni divini, di che ci fu così largo con misericordia infinita nel tempo, li conservi e gli aumenti nelle anime nostre qui, e poi coroni l’opera della sua misericordia colla beatitudine eterna: e conchiudiamo coll’esprimere la confidenza, che il Paradiso deve essere tutto per i meriti di questo Gesù Dio che teniamo in noi, tutto nostro. Il popolo risponde: « Amen » ah, così sia! Dobbiamo fermarci ad osservare, che nel Postcommunio si recitano orazioni corrispondenti in numero a quelle recitate nelle Collette prima dell’epistola. Nella quaresima una di più; e per recitarla s’invita il popolo ad umiliarsi prima dinanzi a Dio, dicendosi dal sacerdote: « Oremus; » Humiliate capita vestra Deo. » Cioè « preghiamo: umiliate le vostre teste a Dio. » Il perché si potrà comprendere da ciò che siamo per dire. Per molto tempo si usò anticamente di dispensare dopo la Comunione santissima anche il pane benedetto: il qual uso era una reliquia o monumento delle agapi, o santi conviti, in cui tutti i fedeli sedevano alla mensa comune di carità. Appunto dopo di aver ricevuto tante grazie dal Padre celeste, non si credeva potesse esservi miglior occasione di comunicare in carità, sia per far festa insieme, sia per rispondere in carità alla carità divina, e rappresentare subito in pratica un’immagine della divina bontà. Ciascun fedele pertanto portava in Chiesa qualche ben di Dio; e mangiavano insieme, e se ne mandava ai poveri assenti; veri fratelli , che si ricordavano, che il Padre nostro raccomanda di prendersi la cura di ciascun dei suoi figliuoli. Si conserva ancor un avanzo di questa disciplina nella distribuzione in alcune chiese: come si fa nel rito armeno; in cui, finita la Messa, si siede il Vescovo presso il cancello dell’altare, e distribuisce il pane benedetto a tutti i fedeli, che gli si presentano. Ecco ora il perché dell’humiliate ecc. perchè nella Quaresima, per rispetto al digiuno non si faceva questa distribuzione del pane; invece si recitava sopra il popolo un’ultima orazione, avvertendolo prima, di umiliarsi in ispirito di penitenza. Questa variazione di rito ci porge occasione di osservarne un’altra, che si pratica nei tempi di penitenza e di duolo; ed è il conchiudere , dopo di aver salutati i fedeli col:

Benedicamus Domino.

Nel corso della Quaresima e dell’Avvento (consecrato una volta a penitenza simile a quella della Quaresima, come si suole ancora in certi ordini religiosi), e nelle vigilie delle feste, terminato il Postcommunio, il Sacerdote sostituisce alla parola di commiato Ite Missa est, l’invito « Benedicamus Domino » Benediciamo il Signore; ed il popolo risponde: « Deo gratias, ringraziamo Dio » Pochi Cristiani conoscendo la ragione di questa differenza, noi per ispiegarla osserviamo con alcuni autori, che nei giorni di penitenza, come sono quelli che abbiam nominati, la Chiesa dopo il Sacrificio riteneva ancora nel luogo santo i fedeli e gli esercitava in opere di pietà e di mortificazione. – Ora avendo sempre la Chiesa lo stesso spirito che la vivifica in tutti i tempi, e non le mancando mai fedeli che si esercitano, variando i modi, nelle stesse virtù di umiltà e di penitenza; anche presentemente non licenziando, secondo il solito al fine della Messa il popolo, quasi gli restassero da adempiere ancora nel santuario altre opere di pietà, lo lascia partir col ricordo di eseguire con ispirito di penitente compunzione i doveri del loro stato particolare; chè il miglior modo di soddisfare il Signore nostro Padre sono le opere buone dalla parte nostra. Ognuno deve adunque, nel partire dall’altare, dire a se stesso: « ritorno ai doveri della vita: ma la Chiesa non ha ora finite le sue orazioni con me: mi lascia andare coll’avviso di continuarle tra le occupazioni di questi giorni di salute. » Quindi nel modesto contegno di un santo raccoglimento dobbiam portar l’immagine dell’uom che cammina con Dio: e a Dio dare soddisfazione in ispirito di penitenza: e se ora non ci fermiamo in chiesa come gli antichi Cristiani, continuiamo nel santuario delle nostre case il sacrificio delle opere di carità, specialmente delle più umili e più segrete nel commovente pensiero, che la Chiesa piange pei nostri peccati in questi di! Ed oh! quanto dovrebbe esser facile e dolce l’esercizio di tutte le virtù, quando abbiamo l’anima tutta compresa ed occupata ancora dal mistero santissimo, a cui assistemmo, ed avemmo parte! Insomma la religione nostra dobbiamo tradurla in pratica nel fare il bene col cuore uniti sempre con Gesù Cristo; e trattare i più meschini dei nostri fratelli , come tratteremmo Gesù nostro tutto piagato. Abbiamo tutti le nostre miserie da far esercitare la pazienza e le altre virtù ai fratelli. Veramente giunge al cuore tenerissima anche la osservazione del Cardinale Bellarmino, il quale dice (Tom. 3, Controvers. lib.6, de Misss c.27): che in tempi di mestizia ci si presenta qualche cosa di lugubre nel non licenziare pubblicamente il popolo accomiatandolo; ma sì nel lasciarlo andare senza dirgli parola: sicchè ciascuno di per sè se ne parta confuso, mesto e taciturno. Tutte le volte poi che non si licenzia il popolo coll’Ite, Missa est, avvertiamo che il Sacerdote non si rivolge ai fedeli come in atto di parlare a loro, ma così continuando la sua orazione con Dio, rivolto all’altare, invita il popolo seco a benedire a Lui, ed esclama: « Benedicamus Domino, benediciamo al Signore. » Il popolo risponde pronto: « sì, a Lui siano grazie. » Però anche nella Messa poi defunti non si licenzia coll’Ite, Missa est: ma compiuto il gran rito d’espiazione, esclamasi dall’uom di Dio: « Requiescant in pace; riposino in pace. » Ecco di questa commovente cerimonia la ragione. Le Messe pei defunti sono per lo più seguite dalle esequie, e raccomandazioni delle anime, che sono una continuazione dell’officiatura che si veniva a finire sopra le tombe situate allora tutto intorno all’ombra del santuario. Così terminata la Messa, il sacerdote col dire: requiescant in pace, fa invito a quelli che sono intervenuti ai santi misteri, di non partire sì tosto; ma di fermarsi con lui con calde suppliche a chiedere ancora la pace dei giusti troppo ben meritata dal Sacrificio di Gesù Cristo, sopra i sepolcri dei cari defunti. Difatto nelle esequie il Sacerdote dall’altare discende sulle tombe: pianta sopra esse la croce, e con acute grida, più che col canto, esclama: « libera nos; Signore, liberateci da morte eterna. » Mentre il suddiacono tiene la croce sulle ossa dei morti, il Sacerdote gira sopra esse, le sparge di acqua benedetta, le profuma a purificare quei poverini: prega insomma Gesù a cavare colla sua Mano insanguinata le anime da quel lago di tanti dolori! Poi grida: « raccogliamoci tutti sotto la croce pel di della grande ira di Dio, quando si fiaccheranno i cieli, e cadrà a nulla la terra: e Voi verrete a giudicar il mondo nel fuoco del vostro sdegno…. Ah! Signore, misericordia ai vivi e ai morti, per Gesù Cristo. Kyrie eleison, Christe, Kyrie. – Quanta tenerezza in questo rito! Sotto quelle alte volte del tempio, entro quelle pareti coperte a gramaglia, tra le colonne vestite di nero, alle grida del Sacerdote, allora cento e mille preganti rispondono coi loro clamori! Pare sentirsi i lai di quell’anime in tormento, che sono in purgatorio! e sono le grida di tutti, atterriti dal più tremendo dei giorni, il di del giudizio di Dio ! ! !… Ah ! e poi i fedeli abbracciati alla croce, colla bocca calda del Sangue di Gesù, si lamentano con Dio per le buone anime in tormento ed in seno a Dio vanno gridando: « Requiescant in pace! abbiano la pace in Voi. » Finalmente non vogliamo omettere qui anche, che autori di molta dottrina credono, che il non dire Ite, Missa est, sia segno eziandio dell’essere sempre state in uso le Messe private; e che in quelle, non essendovi presente in corpo il popolo, non si usasse di congedarlo; ma si terminasse col benedire e ringraziare il Signore. In tutte le altre Messe il Sacerdote, per congedare il popolo, va in mezzo all’altare, lo bacia umiliato, come per inchinarsi innanzi alla Maestà divina nell’atto di partirsi dal suo altare, o per trarne un saluto da dare al popolo colla benedizione e colla grazia che vuol augurargli, dicendo ancora; « il Signore sia con voi, » e risponde il popolo: « e collo spirito tuo. » E così quasi non potesse finire senza dire ancora, e il suo cuore non finirebbe mai di dire: « il Signore sia con voi. »

Ite, Missa est.

Andate ; la Messa è compiuta: la grande offerta nella Messa fu già mandata a Dio. Il divin Salvatore risorto dopo di aver soddisfatto alla giustizia di Dio, provveduto alla sua gloria coll’immortal Sacrificio, ed alla salute degli uomini col dar loro i mezzi nei Sacramenti di derivar le grazie guadagnate col preziosissimo Sangue, rivelati i suoi grandi misteri, come dice s. Leone pontefice: e costituita l’immancabile Chiesa, fermandola sopra l’incrollabile Pietro, ebbe compiuta la sua missione in terra. Raccolse tuei i suoi discepoli sul monte Oliveto e li confermò nella fede, dopo di aver fatto loro toccare con mano, che sì veramente era proprio desso, in carne ed ossa, da morte risorto. I discepoli cogli occhi nelle Piaghe gloriose, lo contemplavano giubilanti della gloriosa risurrezione, e partecipando del cuore cosi nella sua promessa, pareva loro già di risorgere con Esso a vita eterna. Ma Gesù disse loro: « andate, predicate l’evangelo a tutte le creature, ed insegnate ad osservare i miei comandamenti ». Li benedisse; e salì al cielo. Consolante spettacolo! Gesù ascende al cielo glorioso: e le anime cristiane si deliziano tutte del suo trionfo, quando a loro si presenta il ministro, che di Lui rende l’immagine sopra l’altare. Nell’atto di congedarle dice: « lie , Missa est, andate, lanMessa è compiuta, » ed accennando a Lui trionfante, pare che dica: « figliuoli, contemplatelo in cielo: Egli è nella gloria: e voi pigliate animo; ancora per poco; andate, compite la missione che vi assegna il Padre nella sua famiglia, coraggio: avete Gesù compagno sempre nei travagli della povera vita: con Lui giugnerete al termine della beatitudine nella gloria eterna, che vi è preparata. »

Così il dire che fa il Sacerdote , « andate, la Messa è compiuta. » più che un licenziare , è un dire ai fedeli: « Anime avventurate, figliuoli bene amati da Dio! avete avuta la grande grazia da Gesù: Lo avete con voi! Andate, raccontate le meraviglie della bontà del nostro Dio, tornate giù da questo Monte così santificati, e ciascun vi vegga in volto i raggi di quella consolazione nel vivere la vita con Dio, con esso godete la felicità della vita cristiana, iniziale dell’eterna beatitudine. » Ancora: « andate, ciascuno per l’ufficio a cui vi destina il Signor vostro; compite i vostri doveri con Gesù Cristo, portate con Lui le vostre croci. Tornerete poi alla fine della giornata della vita nostra a ricevere la ricompensa: fatevi del bene, con Gesù tornerete al dì del giudizio, a ricevere colla finale benedizione la corona promessa a chi ha fatto le belle opere di carità e che persevera fino alla fine. » – Quest’avviso di poter andare, che dà qui ora la Chiesa, ben debbe rammemorare, come vi sono in tutti i tempi delle anime innamorate di Dio, che corrono all’altare, e vi trovano delizie di paradiso; e che hanno bisogno di essere avvertite, quando è tempo di dipartirsi dal luogo santo. Esse hanno provato, che vai più un giorno passato nel tabernacolo del Signore, che non mille anni nelle tende dei peccatori (Salm. LXXXIII, 10). Esse, come gli Apostoli, quando videro Gesù trasfigurato in gloria sul monte Tabor, vorrebber rizzar tende e qui porre mansione a goder di quel gaudio con Gesù Cristo (Matt XVII). Ma Gesù agli Apostoli accennava che la risurrezione e la gloria dovevano venire dopo la sua passione ed il nostro combattimento (Leo Papa: Serm. de transfigur.). Il Sacerdote licenzia i fedeli, e manda ciascuno ai suoi doveri, volendo che tanta loro pietà traducano in atto nei saerifizi della carità di Dio e del prossimo, che esige Gesù da quelli, che voglion essere suoi discepoli. Quando adunque i fervorosi a malincuore dall’altare si allontanerebbero, il Sacerdote fa come gli Angeli (Act. 1) ai discepoli, che stavano attoniti a guardare il cielo. « Andate, pare adunque che debba dire, e confortati preparatevi; perche questo Gesù che vedete qui compiere sull’altare questo spettacolo di misericordia, verrà per raccogliere il frutto che deve dare la terra, che egli inaffia con tanto Sangue divino. »

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (26) “CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXIV al termine”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (26)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Concilio di Trento: Sessione XXIV- Fine)

Sessione XXIV, 11 novembre 1563.

Dottrina e canoni sul Sacramento del matrimonio.

1797. Sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, il primo padre della razza umana proclamò il legame perpetuo ed indissolubile del matrimonio quando disse: “Questo è ormai osso delle mie ossa, carne della mia carne. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e diventeranno due in una sola carne”. (Gn II,23 Mt XIX,5 Ep V,31 ).

1798. Cristo nostro Signore insegnò con sufficiente chiarezza che solo due esseri siano uniti da questo vincolo quando, ricordando queste parole pronunciate da Dio, disse: “Perciò non sono più due, ma una sola carne” (Mt XIX,6), e subito dopo confermò la solidità di questo vincolo proclamato tanto tempo prima da Adamo: “Perciò ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX,6 Mc X,9) .

1799. La grazia che avrebbe portato alla perfezione questo amore naturale, affermato questa unità indissolubile e santificato gli sposi, Cristo stesso, che ha istituito e portato alla perfezione i venerabili Sacramenti, l’ha meritata per noi con la sua Passione. È quanto ci suggerisce l’Apostolo Paolo quando dice: “Mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per essa” (Ef V,25), aggiungendo subito: “Questo sacramento è grande, dico, in Cristo e nella Chiesa” (Ef V,32).

1800. Poiché il matrimonio nella Legge del Vangelo ha la precedenza nella grazia, attraverso Cristo, sulle cerimonie matrimoniali dell’Antica Legge, i nostri santi Padri, i Concili e la tradizione della Chiesa universale hanno sempre giustamente insegnato che esso vada annoverato tra i Sacramenti della Nuova Legge. Contrariamente a questa tradizione, gli empi di questo secolo, essendo irragionevoli, non solo hanno sostenuto opinioni false su questo venerabile Sacramento, ma, come è loro abitudine, introducendo la libertà della carne sotto la copertura del Vangelo, per iscritto e oralmente, hanno diffuso molti elementi estranei al sentimento della Chiesa Cattolica e alle consuetudini approvate fin dai tempi degli Apostoli, e questo non senza grande danno per i fedeli. Volendo affrontare la temerarietà di questi uomini, il santo Concilio universale ha ritenuto che sia necessario sterminare le eresie ed i notevoli errori dei suddetti scismatici, affinché il loro pernicioso contagio non attiri a sé un gran numero di persone. Pertanto decreta i seguenti anatemi contro questi eretici ed i loro errori.

Canoni sul Sacramento del matrimonio.

1801. 1. Se qualcuno dice che il matrimonio non sia veramente e propriamente uno dei sette Sacramenti della Legge evangelica che Cristo nostro Signore habbia istituito, ma che sia stato inventato nella Chiesa dagli uomini e che non conferisce la grazia, sia anatema (cf. 1800).

1802. (2) Se qualcuno dice che è lecito per i Cristiani avere più di una moglie contemporaneamente, e che ciò non sia proibito da alcuna legge divina (Mt XIX,9), sia anatema (cf. 1798).

1803.3 Se qualcuno dice che solo i gradi di consanguineità e di affinità espressi nel Levitico, (Lev XVIII,6-18), possano impedire di contrarre un matrimonio e rendere nullo quello contratto, che la Chiesa non possa rinunciare a nessuno di essi né decidere che un numero maggiore sia causa di impedimento e di nullità: sia anatema (v. 2659).

1804. (4) Se qualcuno dice che la Chiesa non sia stata in grado di stabilire gli impedimenti al matrimonio, o che abbia sbagliato a stabilirli, sia anatema.

1805. (5) Se qualcuno dice che il vincolo del matrimonio possa essere spezzato a causa dell’eresia, o a causa di una vita insopportabile insieme, o a causa della deliberata assenza di un coniuge, sia anatema.

1806. (6) Se qualcuno dice che un matrimonio contratto e non consumato non sia annullato dalla professione religiosa solenne di uno dei coniugi, sia anatema.

1807. 7. Se qualcuno dice che la Chiesa sia in errore quando ha insegnato ed insegna, secondo l’insegnamento del Vangelo e dell’Apostolo (Mt 5,32 Mt 19,9 Mc 10,11-12 Lc 16,18 1Co 7,11) che il vincolo matrimoniale non possa essere spezzato dall’adulterio di uno dei coniugi e che nessuno dei due, anche quello innocente che non abbia dato motivo all’adulterio, possa, durante la vita dell’altro coniuge, contrarre un altro matrimonio; che sia adultero colui che sposa un’altra donna dopo aver allontanato l’adultera e colei che sposa un altro uomo dopo aver allontanato l’adultero: sia anatema.

1808. 8. Se qualcuno dice che la Chiesa sia in errore quando decreta che, per molte ragioni, i coniugi possano vivere separati, senza vita coniugale o senza vita in comune, per un tempo indefinito o definito: sia anatema.

1809. 9. Se qualcuno dice che i chierici che hanno ricevuto gli Ordini sacri o i regolari che hanno fatto professione solenne di castità, possano contrarre matrimonio, che tale matrimonio sia valido, nonostante la Legge della Chiesa o il loro voto, e che affermare il contrario non è altro che condannare il matrimonio; che tutti coloro che non sentono di avere il dono della castità (anche se hanno fatto voto di farlo) possono contrarre matrimonio: sia anatema. Poiché Dio non rifiuta questo dono a chi lo chiede correttamente, e non permette che siamo tentati oltre le nostre forze (1Co x,13).

1810. 10. Se qualcuno dice che lo stato di matrimonio debba essere posto al di sopra dello stato di verginità o di celibato, e che non sia né meglio né più felice rimanere nella verginità o nel celibato che contrarre matrimonio (Mt XIX,11 1Co VII,25 1Co VII,38-40)

1811. 11. Se qualcuno dice che la proibizione della solennità dei matrimoni in certi periodi dell’anno sia una superstizione tirannica derivata da una superstizione dei pagani, o se condanna le benedizioni e le altre cerimonie usate dalla Chiesa, sia anatema.

1812. 12. Se qualcuno dice che le cause matrimoniali non siano di competenza dei giudici ecclesiastici, sia anatema (v. 2598; 2659).

Canoni sulla riforma del matrimonio: Decreto “Tametsi”

1813. Cap. 1 (Motivo e contenuto della legge) Non si deve certo dubitare che i matrimoni clandestini, avvenuti con il libero consenso dei contraenti, siano matrimoni validi e veri, purché la Chiesa non li abbia resi invalidi; Coloro che negano che tali matrimoni siano veri e validi, e affermano falsamente che i matrimoni contratti dai figli di famiglia senza il consenso dei genitori siano invalidi, e che i genitori possano renderli validi o invalidi, devono quindi essere giustamente condannati, come il Santo Concilio li condanna con l’anatema. Tuttavia, la santa Chiesa, per ragioni molto giuste, ha sempre aborrito questi matrimoni e li ha proibiti.

1814. Ma il santo Sinodo si rende conto che questi divieti non servano più a nulla a causa della disobbedienza degli uomini; soppesa la gravità dei peccati che derivano da questi matrimoni clandestini, soprattutto per coloro che rimangono in uno stato di dannazione quando, dopo aver abbandonato la prima moglie con cui avevano contratto segretamente matrimonio, contraggano pubblicamente matrimonio con un’altra e vivono con lei in perpetuo adulterio; la Chiesa, che non giudica le cose segrete, non può porre rimedio a questi casi; può rimediare a questo male solo ricorrendo ad un rimedio più efficace. Pertanto, seguendo le orme del santo Concilio Lateranense (IV) tenutosi sotto Innocenzo III (cf. 817), il Concilio ordina quanto segue. In futuro, prima di contrarre matrimonio, in tre giorni festivi consecutivi, il parroco dei contraenti annuncerà pubblicamente in chiesa, durante la celebrazione della Messa, tra chi sarà contratto il matrimonio. Una volta fatti questi annunci, e se non ci sono legittimi impedimenti, il matrimonio sarà celebrato davanti alla Chiesa, dopo che l’uomo e la donna saranno stati interrogati; una volta accertato che abbiano dato il loro reciproco consenso, il parroco dirà: “Vi unisco in matrimonio, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”; oppure userà un’altra formula, secondo il rito ricevuto in ogni provincia.

1815. (Limitazione della legge) Se c’è il plausibile sospetto che il matrimonio possa essere impedito dalla malafede, se è preceduto da tanti annunci; o si farà un solo annuncio, o addirittura il matrimonio sarà celebrato alla presenza del parroco e di due o tre testimoni; poi, prima che il matrimonio sia consumato, gli annunci saranno fatti in chiesa, in modo che, se rimangano impedimenti, siano più facilmente scoperti, a meno che l’Ordinario stesso non ritenga opportuno omettere i suddetti annunci, cosa che il santo Concilio lascia alla sua prudenza e al suo giudizio.

1816. (Sanzione) Per quanto riguarda coloro che si impegnono a contrarre matrimonio al di fuori della presenza del parroco o di un altro Sacerdote autorizzato dal parroco o dall’Ordinario, e davanti a due o tre testimoni, il santo Concilio li rende assolutamente inadatti a contrarre in questo modo e decreta che tali contratti siano invalidi e nulli, così come con il presente decreto li rende invalidi e li annulla.

Sessione XXV, 3 e 4 dicembre 1563

Decreto sul Purgatorio, 3 dicembre 1563.

1820. La Chiesa Cattolica, istruita dallo Spirito Santo, sulla base della Sacra Scrittura e dell’antica tradizione dei Padri, ha insegnato nei santi Concili e da ultimo in questo Concilio Ecumenico che esista un purgatorio (cf. 1580) e che le anime che vi sono detenute siano aiutate dai suffragi dei fedeli, e soprattutto dal Sacrificio dell’altare tanto gradito a Dio (cf. 1743; 1753). Per questo motivo, il santo Concilio prescrive che i Vescovi facciano tutto ciò che sia in loro potere affinché la sana dottrina del Purgatorio, trasmessa dai santi Padri e dai Concili, sia oggetto della fede dei fedeli, che essi la conservino e che sia insegnata e proclamata ovunque. Le questioni più difficili e sottili, che non sono di alcuna utilità per l’edificazione e da cui la pietà il più delle volte non trae alcun beneficio, devono essere escluse dalla predicazione popolare tra i non istruiti. I punti incerti o apparentemente falsi non saranno divulgati o discussi. Tutto ciò che derivi da una certa curiosità o superstizione, o tutto ciò che abbia un inconfondibile sapore di profitto, sarà proibito come scandaloso ed offensivo per i fedeli. …

Decreto sull’invocazione, la venerazione e le reliquie dei Santi, e sulle immagini sacre, 3 dicembre 1563.

1821. Il santo Concilio ingiunge a tutti i Vescovi e a tutti coloro che hanno l’incarico ed il dovere di insegnare che, secondo l’uso della Chiesa Cattolica ed apostolica, ricevuto fin dai primi tempi della Religione cristiana, e in conformità al sentimento unanime dei santi Padri e ai decreti dei santi Concili, istruiscano diligentemente i fedeli, specialmente sull’intercessione dei Santi e sulla loro invocazione, sugli onori dovuti alle reliquie e sull’uso legittimo delle immagini. Insegneranno anche che i Santi che regnano con Cristo offrono le loro preghiere a Dio per gli uomini, che sia buono ed utile invocarli umilmente e, per ottenere benefici da Dio attraverso il suo Figlio Gesù Cristo nostro Signore, che è il nostro unico Redentore e Salvatore, ricorrere alle loro preghiere, al loro aiuto e alla loro assistenza. Chi nega che si debbano invocare i Santi, che godono della felicità eterna in Cielo; o chi dice che essi non preghino per gli uomini, o che invocarli per pregare per ciascuno di noi sia idolatria, o che vada contro la Parola di Dio e si opponga all’onore di Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini (1Tm II,5); o che sia stupido rivolgere suppliche vocali o mentali a coloro che regnano nei CIeli: tutti questi ragionamenti sono empi.

1822. I fedeli devono anche venerare i corpi santi dei martiri e degli altri Santi che vivono con Cristo, che sono stati membra vive di Cristo e tempio dello Spirito Santo (1Co III,16; 1Co VI,15; 1Co VI,19; 2Co VI,16) e che saranno da Lui risuscitati e glorificati alla vita eterna; attraverso di loro Dio elargisce molti benefici agli uomini. Pertanto, coloro che affermano che nessun onore o venerazione sia dovuto alle reliquie dei Santi, o che sia inutile per i fedeli onorare loro e altre sacre memorie, e che sia vano visitare i luoghi del loro martirio per ottenere il loro sostegno, devono essere totalmente condannati, così come la Chiesa li ha condannati in passato e li condanna ancora oggi.

1823. Inoltre, le immagini di Cristo, della Vergine Maria Madre di Dio e degli altri Santi devono essere conservate, soprattutto nelle chiese, e ricevere l’onore e la venerazione loro dovuti. Non perché crediamo che in esse vi sia una qualche divinità o virtù che ne giustifichi il culto, o perché dobbiamo chiedere loro qualcosa o riporre la nostra fiducia nelle immagini, come facevano i pagani di un tempo che riponevano la loro speranza negli idoli (Sal CXXXIV,15-17), ma perché l’onore loro tributato rimanda ai modelli originali che queste immagini rappresentano. Pertanto, attraverso le immagini che baciamo, davanti alle quali ci scopriamo e ci prostriamo, è Cristo che adoriamo e i Santi, di cui portano le sembianze, che veneriamo. Questo è ciò che è stato definito dai decreti dei Concili, in particolare dal Secondo Concilio di Nicea, contro gli oppositori delle immagini (v.600-603).

1824. I Vescovi insegnino con cura che, attraverso la storia dei misteri della nostra Redenzione, rappresentata da dipinti o da altri mezzi simili, il popolo viene istruito e rafforzato negli articoli di fede, che deve ricordare e venerare assiduamente. E da tutte le immagini sacre si ottengono anche grandi frutti, non solo perché si insegnano al popolo i benefici e i doni conferiti da Cristo, ma anche perché si portano davanti agli occhi dei fedeli i miracoli di Dio compiuti dai Santi e gli esempi salutari da loro dati, in modo che essi ne rendano grazie a Dio, conformino la loro vita ed i loro costumi all’imitazione dei Santi e siano spinti ad adorare e amare Dio e a coltivare la pietà. Se qualcuno insegna o pensa cose contrarie a questi decreti, sia anatema.

1825. Se alcuni abusi si sono insinuati in queste pratiche sante e salutari, il santo Concilio desidera vivamente che siano completamente aboliti, in modo che non venga esposta alcuna immagine che porti una falsa dottrina e che possa essere occasione di un pericoloso errore per la gente semplice. Se talvolta accade che le storie e i racconti delle Sacre Scritture siano espressi da immagini, perché ciò è utile per le persone non istruite, si insegnerà al popolo che esse non rappresentano la divinità, come se questa potesse essere vista con gli occhi del corpo o espressa da colori e forme. Si eliminerà quindi ogni superstizione nell’invocazione dei Santi, nella venerazione delle reliquie o nell’uso sacro delle immagini; si eliminerà ogni ricerca di guadagni vergognosi; si eviterà infine ogni indecenza, in modo che le immagini non siano né dipinte né adornate con bellezza provocante… Affinché ciò sia più fedelmente osservato, il santo Concilio stabilisce che a nessuno sia permesso, in nessun luogo… di collocare o far collocare alcuna immagine insolita, a meno che non sia stata approvata dal Vescovo. Nessun nuovo miracolo sarà riconosciuto, nessuna nuova reliquia sarà ricevuta senza l’esame e l’approvazione del Vescovo.

Decreto di riforma generale, 3 dicembre 1563.

Duello.

1830. Cap. 19. La detestabile pratica del duello, introdotta dagli artifici del diavolo per ottenere la perdita delle anime attraverso la morte cruenta dei corpi, deve essere completamente bandita dal mondo cristiano. L’imperatore, i re… e i signori temporali, qualunque sia il loro nome, che concedono nelle loro terre un luogo per il combattimento singolo tra Cristiani saranno, per questo stesso fatto, scomunicati… Quanto a coloro che combattono e a coloro che sono chiamati a sostenerli, incorreranno nella pena della scomunica… e dell’infamia perpetua. Dovranno essere puniti come omicidi, secondo i sacri Canoni; e se moriranno nel combattimento stesso, saranno per sempre privati della sepoltura ecclesiastica.

Decreto sulle indulgenze, 4 dicembre 1563

1835. Poiché il potere di conferire indulgenze è stato concesso da Cristo alla Chiesa, e la Chiesa ha usato questo potere divinamente comunicatole (cfr. Mt XVI,19; Mt XVIII,18 ), anche nei tempi più antichi, il santo Concilio insegna e ordina che l’uso delle indulgenze, molto salutare per il popolo cristiano e approvato dall’Autorità di questo santo Concilio, sia conservato. E colpisce con l’anatema sia coloro che affermano che sisno inutili, sia coloro che negano che la Chiesa abbia il potere di concederle. Tuttavia, vuole che siano concesse con moderazione… per evitare che la disciplina ecclesiastica sia indebolita da un’eccessiva facilità. Desiderando emendare e correggere gli abusi che si sono insinuati, ed in occasione dei quali questo bel nome di indulgenze viene bestemmiato dagli eretici, con il presente decreto il santo Concilio decreta in modo generale che tutti i deplorevoli traffici di denaro per ottenerle debbano essere assolutamente aboliti.

La dipendenza del Concilio ecumenico dal Papa.

1847. Finalmente abbiamo ottenuto ciò per cui abbiamo lottato giorno e notte e che abbiamo implorato con perseveranza dal “Padre delle luci” (Giacomo 1:17). Infatti, dopo che – convocati dalla nostra lettera e spinti anche dalla loro stessa pietà – un numero molto considerevole, degno di un Concilio ecumenico, di Vescovi e di altri illustri prelati di tutte le nazioni che portano il nome di Cristiani si era riunito da ogni parte in questa città, … Ci siamo mostrati così favorevoli alla libertà del Concilio che in una lettera ai nostri legati, abbiamo permesso al Concilio stesso, di nostra iniziativa, di trattare liberamente anche le questioni che fossero realmente riservate alla Sede Apostolica; così che ciò che rimaneva da trattare, definire e determinare riguardo ai Sacramenti e ad altre cose che apparivano necessarie al fine di confondere le eresie, rimuovere gli abusi e migliorare i costumi, è stato trattato liberamente e diligentemente dal santissimo Concilio, e definito, spiegato e determinato con cura ed estrema pertinenza…

1848. Ma poiché lo stesso santo Concilio, per riverenza verso la Sede Apostolica e seguendo le orme dei Concili precedenti, ha chiesto a Noi, con un decreto emanato su questo argomento in seduta pubblica, di confermare tutti i decreti emanati da esso nel nostro tempo ed in quello dei nostri predecessori, avendo preso conoscenza della richiesta del Concilio, avendo deliberato attentamente su di essa con i nostri venerabili fratelli, i Cardinali di Santa Romana Chiesa, e invocando soprattutto l’aiuto dello Spirito Santo, e avendo accertato che tutti questi decreti siano cattolici e utili e salutari per il popolo cristiano, a lode di Dio onnipotente e su consiglio e con l’approvazione dei nostri fratelli, oggi li abbiamo confermati tutti e ciascuno nel nostro concistoro segreto e abbiamo deciso che siano ricevuti e osservati da tutti i fedeli cristiani.

1849. Inoltre, per evitare il disordine o la confusione che potrebbero sorgere se a qualcuno fosse permesso di pubblicare, a suo piacimento, i propri commenti e le proprie interpretazioni dei decreti del Concilio, ordiniamo a tutti, in virtù della nostra Autorità Apostolica […], che nessuno osi osare pubblicare senza il nostro permesso commenti, glosse, annotazioni, spiegazioni e qualsiasi altra forma di interpretazione dei decreti di questo Concilio, in qualsiasi modo, o di stabilire qualcosa a nome di qualcuno anche con il pretesto di una migliore conferma o esecuzione dei decreti, o adducendo altre eminenti ragioni.

1850. Ma se a qualcuno sembri che qualcosa sia stato detto o stabilito in quella sede in modo troppo oscuro, e per questo motivo sembro che ci sia bisogno di un’interpretazione o di una decisione, deve salire al luogo che il Signore ha scelto, cioè alla Sede Apostolica, maestra di tutti i fedeli, la cui autorità il Concilio stesso ha riconosciuto con riverenza. Ci riserviamo infatti il diritto di chiarire e decidere su qualsiasi difficoltà o controversia che possa sorgere da questi decreti, come ha deciso lo stesso Santo Concilio…

1851. Regola 1: Tutti i libri che prima dell’anno 1515 hanno condannato Papi o Concili ecumenici, e che non compaiono in questo Indice, devono essere considerati come condannati allo stesso modo in cui sono stati condannati in passato.

1852. Regola 2: I libri degli eresiarchi, sia di quelli che dopo il suddetto anno abbiano inventato o dato origine ad eresie, sia di quelli che sono o sono stati i capi e le guide delle eresie,… sono totalmente proibiti. I libri di altri eretici, che trattano esplicitamente di religione, sono totalmente condannati. Quanto a quelli che non trattino di religione, sono consentiti se sono stati esaminati e approvati da teologi cattolici su richiesta di Vescovi ed inquisitori.

1853. Regola 3: Le traduzioni di scrittori anche ecclesiastici, finora pubblicate da autori condannati, sono consentite purché non contengano nulla di contrario alla sacra dottrina. Per quanto riguarda le traduzioni dell’Antico Testamento, esse possono essere permesse solo a uomini dotti e pii, secondo il giudizio del Vescovo, purché usino queste traduzioni come spiegazioni dell’edizione della Vulgata, al fine di comprendere la Sacra Scrittura, e non come un testo di per sé valido. Quanto alle traduzioni del Nuovo Testamento fatte da autori della prima classe di questo Indice, non saranno permesse a nessuno, perché di solito dalla loro lettura deriva poco profitto ma molto pericolo. Ma se i commentari circolano con le traduzioni permesse o con l’edizione della Vulgata, se sono stati espurgati di passi sospetti dalla facoltà di teologia di un’Università cattolica o dall’Inquisizione generale, possono essere permessi a coloro ai quali sono permesse anche le traduzioni. …

1854. Regola 4: Poiché l’esperienza insegna che quando la Sacra Bibbia in lingua volgare sia permessa ovunque indistintamente, dalla temerarietà degli uomini derivano più danni che benefici, spetta in questo caso al giudizio del Vescovo o dell’Inquisitore poter concedere, su consiglio del parroco o del confessore, la lettura della Bibbia tradotta in lingua volgare da autori cattolici a coloro che abbiano stabilito possano trarre da questa lettura non un danno, ma un aumento della fede e della pietà…

1855. Regola 5: Quei libri che a volte provengono dall’opera di autori eretici e nei quali non si aggiunge nulla o poco di proprio, ma che raccolgono le affermazioni di altri autori, e che comprendono lessici, concordanze, apostegmi…, se contengono qualcosa che abbia bisogno di correzione, sono permessi quando questo sia stato rimosso o migliorato su consiglio del Vescovo.

1866. I libri che trattano in lingua volgare delle controversie tra Cattolici ed eretici del nostro tempo, non devono essere permessi indiscriminatamente, ma si deve osservare nei loro confronti ciò che sia stato stabilito per la Bibbia scritta in lingua volgare. Per quanto riguarda quelli che sono stati composti in lingua volgare e che trattano del giusto modo di credere, contemplare, confessare o altri argomenti simili, se contengono una sana dottrina non c’è motivo di proibirli.

1857. Regola 7: I libri che trattino, raccontino o insegnino espressamente cose lussuriose o oscene sono assolutamente proibiti, poiché si deve tener conto non solo della fede ma anche della morale, che di solito viene facilmente corrotta dalla lettura di tali libri. I libri antichi, invece, scritti da pagani, saranno consentiti per l’eleganza e il carattere proprio del linguaggio, ma in nessun caso potranno essere letti ai bambini.

1858. Regola 8: I libri il cui contenuto principale sia buono, ma in cui occasionalmente sia inserito qualcosa che rientri nella categoria dell’eresia o dell’empietà, della divinazione o della superstizione, possono essere ammessi se sono stati espurgati da teologi cattolici.

1859. Regola 9: Tutti i libri e gli scritti che trattino di divinazione dalla terra, dall’acqua, dall’aria, dal fuoco, di interpretazione dei sogni, di chiromanzia, di negromanzia, o nei quali si parli di incantesimi, di fabbricazione di veleni, di auspici, di formule magiche, sono assolutamente condannati. I Vescovi, tuttavia, vigileranno diligentemente affinché non si leggano o si posseggano libri, trattati o indici di astrologia giudiziaria che, riguardo ai futuri successi, alle possibili disgrazie o a quelle azioni che dipendono dalla volontà umana, osino affermare che qualcosa di preciso accadrà.

1860. Regola 10: Per la stampa di libri o altri scritti si osservi quanto stabilito nel V Concilio Lateranense sotto Leone X, X sessione.

(Seguono particolari prescrizioni disciplinari per autori, editori e redattori di biblioteche).

1861. Infine, si ordina a tutti i fedeli che nessuno osi leggere o possedere libri di qualsiasi genere contro la prescrizione di queste regole o la proibizione di questo Indice. Ma se qualcuno legge o possiede libri eretici o scritti di autori condannati o proibiti per eresia o per sospetto di falsa dottrina, incorre immediatamente nella sentenza di scomunica.

Bolla “Iuiunctum nobis”, 13 novembre 1564.

Professione di fede triden

tina.

1862. IO, N., credo e professo che un’unica fede tiene fermi tutti e ciascuno degli articoli contenuti nel Simbolo di fede (di Costantinopoli cf. 150) utilizzato dalla Chiesa romana, e cioè: Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili; e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce della luce, vero Dio del vero Dio, generato, increato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, per mezzo dello Spirito Santo si incarnò nella Vergine Maria e si fece uomo; è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato; ha sofferto; è stato sepolto; è risorto il terzo giorno, secondo le Scritture; è salito al cielo; siede alla destra del Padre e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti; il suo Regno non avrà fine; e nello Spirito Santo, il Signore che dà la vita; che procede dal Padre e dal Figlio; che con il Padre ed il Figlio è congiuntamente adorato e glorificato; che ha parlato per mezzo dei Profeti. E in una sola Chiesa santa, cattolica e apostolica. Confessiamo il Battesimo per la remissione dei peccati. Aspettiamo la Risurrezione dei morti e la vita dell’età futura. Amen.

1863. Accetto e faccio mie con la massima fermezza le tradizioni apostoliche e le altre tradizioni della Chiesa, nonché tutte le altre osservanze e costituzioni della stessa Chiesa. Allo stesso modo accetto la Sacra Scrittura, secondo il significato che è stato ed è tenuto dalla nostra Madre Chiesa, che è responsabile di giudicare il vero significato e l’interpretazione della Sacra Scrittura. Non accetterò o interpreterò mai la Scrittura se non in accordo con il consenso unanime dei Padri.

1864. Professo anche che ci sono, propriamente e propriamente parlando, sette Sacramenti della Nuova Legge, istituiti da nostro Signore Gesù Cristo e necessari per la salvezza del genere umano, anche se non tutti sono necessari per tutti: Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine Sacro e Matrimonio. Essi conferiscono la grazia e, tra questi, il Battesimo, la Cresima e l’Ordine Sacro non possono essere ripetuti senza sacrilegio. Ricevo e accetto anche i riti ricevuti e approvati della Chiesa cattolica nell’amministrazione solenne dei suddetti Sacramenti.

1865. Abbraccio e accolgo tutti e ciascuno degli articoli che sono stati definiti e dichiarati nel Santo Concilio di Trento sul peccato originale e sulla Giustificazione.

1866. Professo inoltre che nella Messa venga offerto a Dio un vero Sacrificio, propriamente detto, propiziatorio per i vivi e per i morti, e che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia si trovino realmente, veramente e sostanzialmente il Corpo ed il Sangue, insieme all’anima ed alla divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e che si compia un cambiamento di tutta la sostanza del pane nel suo Corpo e di tutta la sostanza del vino nel suo Sangue, cambiamento che la Chiesa Cattolica chiama “transustanziazione”. Affermo anche che, sotto una sola delle specie, si riceva il Cristo intero e completo ed il vero Sacramento.

1867. Affermo senza tema di smentita che esista un Purgatorio e che le anime che vi si trovano siano aiutate dalle intercessioni dei fedeli. E che i Santi che regnano insieme a Cristo debbano essere venerati ed invocati; che essi offrono preghiere a Dio in nostro favore e che le loro reliquie debbano essere venerate. Dichiaro fermamente che le immagini di Cristo e della sempre Vergine Madre di Dio, così come quelle degli altri Santi, possano essere possedute e conservate, e che si debba rendere loro il dovuto onore e la dovuta venerazione. Affermo inoltre che il potere delle indulgenze sia stato lasciato da Cristo alla Chiesa e che il loro uso sia molto vantaggioso per il popolo cristiano.

1868. Riconosco la Chiesa romana santa, cattolica e apostolica come Madre e Maestra di tutte le Chiese. Prometto e giuro vera obbedienza al Romano Pontefice, successore del Beato Pietro, capo degli Apostoli e Vicario di Gesù Cristo.

1869. Ricevo e professo senza dubbio tutto ciò che sia stabilito nei santi Canoni e nei Concili ecumenici, specialmente nel santo Concilio di Trento e dal Concilio Ecumenico Vaticano, è stato trasmesso, definito e dichiarato (specialmente sul primato del Romano Pontefice e sul suo Magistero infallibile). Allo stesso tempo, condanno, respingo e anatematizzo anche tutto ciò che sia contrario ad esse ed ogni tipo di eresia condannata, respinta e anatematizzata dalla Chiesa.

1870. Questa vera fede cattolica, al di fuori della quale nessuno possa essere salvato, che io ora professo volentieri e sinceramente, io, N., prometto, mi impegno e giuro di mantenerla e confessarla, a Dio piacendo, intera e inviolata, con la massima fedeltà fino all’ultimo respiro, e di avere cura, per quanto mi sia possibile, che sia tenuta, insegnata e predicata da coloro che dipendono da me o da coloro sui quali il mio ufficio mi impone di vigilare. Così mi aiuti Dio e questi santi Vangeli.

[documento dottrinale di Paolo IV, extra corpo dei documenti tridentini].

Constit. ” Cum quorumdam hominum”, 7 agosto 1555

Trinità e Incarnazione (contro gli Unitari)

1880. (Desiderando) avvertire tutti e tutte coloro che hanno affermato, insegnato o creduto finora che il Dio onnipotente non sia in tre Persone, di un’unità di sostanza assolutamente senza composizione e indivisa, e uno nell’unica e semplice essenza della divinità; o che il nostro Signore non sia come vero Dio in tutto della stessa sostanza con il Padre e lo Spirito Santo; o che secondo la carne lo stesso non sia stato concepito nel grembo della beatissima Vergine Maria dello Spirito Santo, ma come gli altri uomini del seme di Giuseppe o che lo stesso nostro Signore e Dio Gesù Cristo, non abbia sofferto l’amarissima morte della croce per riscattarci dai peccati e dalla morte eterna e riconciliarci con il Padre per la vita eterna; o che questa stessa Beata Vergine Maria non sia veramente la Madre di Dio e non sia rimasta nell’integrità verginale prima, durante e perennemente dopo il parto, chiediamo e avvertiamo a nome di Dio Onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, per Autorità Apostolica. ..

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (27): “Da S. PIO V ad URBANO VIII”

TUTTI IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (25): Concilio di Trento Sess. XIX-XXIII.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (25)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Concilio di Trento: Sessione XIV- XXIII)

Dottrina sul sacramento dell’Estrema Unzione.

Preambolo

1694. Al santo Concilio è sembrato bene aggiungere alla precedente dottrina sulla Penitenza quella che segue sul Sacramento dell’Estrema Unzione, che i Padri considerano come la consumazione non solo del Sacramento della penitenza, ma anche di tutta la vita cristiana, che deve essere una penitenza perpetua. Per questo motivo, ecco cosa dichiara e insegna sulla sua istituzione. Il nostro misericordioso Redentore ha voluto che i suoi servi fossero sempre provvisti di rimedi salutari contro gli attacchi di tutti i nemici. Come negli altri Sacramenti ha preparato per i Cristiani il più grande aiuto per mantenersi liberi da ogni grave danno spirituale finché vivano, così con il Sacramento dell’Estrema Unzione ha rafforzato la fine della loro vita con una protezione molto solida (cf. 1716). Infatti, sebbene il nostro avversario cerchi e colga le occasioni durante tutta la nostra vita per divorare le nostre anime con tutti i mezzi possibili (1Pt V,8), non c’è momento in cui tenda con maggiore violenza tutti i fili della sua astuzia per perderci completamente e, se potesse, anche per allontanarci dalla fiducia nella misericordia divina, che quando vede che si avvicina per noi la fine della vita.

Capitolo 1. L’istituzione del Sacramento dell’Estrema Unzione

1695. Questa santa Unzione degli infermi fu istituita da Cristo nostro Signore come vero e proprio Sacramento della Nuova Alleanza; questo Sacramento fu indicato in Marco (Mc VI, 13), raccomandato e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore (cf. 1716). Egli disse: “Se qualcuno di voi è malato, chiami i presbiteri della Chiesa e questi preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel Nome del Signore. La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è peccatore, gli saranno rimessi i peccati” (Giacomo V:14-15). Con queste parole, come la Chiesa ha appreso, tramandate di mano in mano dalla tradizione apostolica, egli insegna quali siano la materia, la forma, il ministro adatto e l’effetto di questo Sacramento salutare. La Chiesa ha infatti compreso che la materia è l’olio benedetto dal Vescovo, perché l’Unzione rappresenta in modo molto appropriato la grazia dello Spirito Santo, con la quale l’anima del malato viene invisibilmente unta. E la forma è costituita da queste parole: “Per questa Unzione, ecc. “

Capitolo 2. L’effetto di questo Sacramento.

1696. La realtà e l’effetto di questo Sacramento sono spiegati da queste parole: “La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è in peccato, gli saranno rimessi i peccati” (Gc V,15) . La realtà è, infatti, la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione purifica le colpe, se ancora da espiare, ed i postumi del peccato; lenisce e rafforza l’anima del malato (cf. 1717), ispirando grande fiducia nella misericordia divina. Alleggerito da questa grazia, l’ammalato, da un lato, sopporta più facilmente le difficoltà e le sofferenze della malattia e, dall’altro, resiste più facilmente alle tentazioni del diavolo che cerca di morderlo al tallone (Gn III, 15) talvolta, infine, ottiene la salute del corpo, quando questa è utile per la salvezza dell’anima.

Capitolo 3. Il ministro di questo sacramento e il momento in cui viene amministrato.

1697. Ciò che è prescritto riguardo a coloro che devono ricevere e amministrare questo slSacramento ci è stato trasmesso senza ambiguità anche nelle parole citate sopra. Lì ci viene mostrato che i ministri di questo Sacramento sono i presbiteri della Chiesa (cf. 1719). Con questo nome non si intendono coloro che sono più anziani o più degni tra il popolo, ma i Vescovi o i Sacerdoti regolarmente ordinati da loro con “l’imposizione delle mani del presbiterio” (1Tm IV,14) – (cf. 1719).

1698. Si dice anche che questa unzione debba essere impartita agli ammalati, specialmente a quelli che sono in così grave pericolo da sembrare giunti alla fine della loro vita; per questo è anche chiamata Sacramento dei moribondi. Se i malati recuperano la salute dopo questa Unzione, possono essere nuovamente aiutati e sostenuti da questo Sacramento, nel caso in cui la loro vita si trovi nuovamente in un pericolo simile.

1699. Perciò, per nessun motivo dobbiamo ascoltare coloro che insegnano, contrariamente alla dichiarazione molto chiara ed evidente dell’apostolo Giacomo, (Giacomo V:14 ss.), che questa Unzione sia un’invenzione umana o un rito ricevuto dai Padri, non basato né su un comandamento di Dio né su una promessa di grazia (cf. 1716); né chi afferma che questa Unzione sia ormai finita, come se si riferisse solo alla grazia delle guarigioni nella Chiesa primitiva; né quelli che affermano che il rito e la consuetudine osservati dalla santa Chiesa romana nell’amministrazione di questo Sacramento siano il contrario di ciò che dice l’Apostolo Giacomo e debbano essere cambiati; né, infine, quelli che affermano che i fedeli possano senza peccato disprezzare questa Estrema Unzione (cf. 1718). In realtà, tutte queste proposizioni vanno molto chiaramente contro le chiare parole di un così grande Apostolo. La Chiesa romana, madre e maestra di tutte le altre, nell’amministrare questa Unzione, non fa certamente nulla di diverso da quanto prescritto da san Giacomo, per quanto riguarda la sostanza del Sacramento. Non si potrebbe disprezzare un così grande Sacramento senza commettere un grande crimine e senza insultare lo stesso Spirito Santo.

1700. Questo è dunque ciò che questo santo Concilio ecumenico professa e insegna sui Sacramenti della Penitenza e dell’Estrema Unzione, e ciò che propone a tutti i Cristiani di credere e mantenere. Dà i seguenti Canoni perché siano inviolabilmente osservati; condanna e anatematizza per sempre coloro che affermino il contrario.

Canoni sulle due dottrine.

Canoni sul Santissimo Sacramento della Penitenza.

1701. 1. Se qualcuno dice che nella Chiesa cattolica la penitenza non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo nostro Signore per riconciliare con Dio i fedeli ogni volta che cadano in peccato dopo il Battesimo, sia anatema (cf. 1668-1670).

1702. (2) Se qualcuno, confondendo i Sacramenti, dice che il Battesimo stesso sia il Sacramento della Penitenza, come se questi due Sacramenti non fossero distinti, e che quindi non sia giusto chiamare la Penitenza “seconda tavola di salvezza”: sia anatema (cf. 1542; 1671).

1703. 3. Se qualcuno dice che queste parole del Signore e Salvatore: “Ricevi lo Spirito Santo: A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; e a chi li conserverete, saranno conservati” (Gv XX, 22-23), non si devebba intendere il potere di rimettere e trattenere i peccati nel Sacramento della Penitenza, come la Chiesa cattolica ha sempre inteso fin dall’inizio, e, opponendosi all’istituzione di questo Sacramento, ne trasforma il significato in potere di predicare il Vangelo: sia anatema (cf. 1670).

1704. 4. Se qualcuno nega che, per una piena e perfetta remissione dei peccati, siano richiesti al penitente tre atti come materia per il Sacramento della penitenza, cioè la Contrizione, la Confessione e la Soddisfazione, che sono dette le tre parti della Penitenza; o se dice che ci siano solo due parti della Penitenza: I terrori che colpiscono la coscienza nel riconoscere il proprio peccato e la fede nata dal Vangelo o l’assoluzione con la quale si credono rimessi i propri peccati da Cristo: sia anatema (cf. 1673; 1675).

1705. Se qualcuno dice che la Contrizione preparata dall’esame, dal ricordo e dalla detestazione dei peccati, e con la quale uno pensa ai suoi anni nell’amarezza del suo cuore (Is 38,15), soppesando la gravità, l’abbondanza e la bruttezza dei suoi peccati, e la perdita della felicità eterna e la dannazione eterna in cui sono incorsi, con il fermo proposito di una vita migliore; che questa Contrizione non sia un vero ed utile dolore e non prepari alla grazia, ma che renda l’uomo ipocrita e più peccatore; che, infine, è un dolore forzato e non libero e volontario: sia anatema! (cf. 1456; 1676).

1706. 6 Se qualcuno nega che la Confessione sacramentale sia stata istituita o sia necessaria per la salvezza per diritto divino; o se dice che la confessione segreta al solo Sacerdote – che la Chiesa cattolica ha sempre osservato ed osserva fin dall’inizio – sia contraria all’istituzione e al comandamento di Cristo e che siacun’istituzione umana: sia anatema (cf. 1679- 1684).

1707. 7. Se qualcuno dice che nel Sacramento della Penitenza, per la remissione dei peccati, non sia necessario, per diritto divino, che si confessino tutti e ciascuno dei peccati mortali di cui ci si ricordi dopo una debita e seria riflessione, anche i peccati nascosti e quelli che sono contro gli ultimi due comandamenti del Decalogo, né le circostanze che cambiano il tipo di peccato, ma che questa Confessione serva solo ad istruire e consolare il penitente, e che in passato servisse solo per imporre una soddisfazione canonica; o se dice che chi si sforza di confessare tutti i suoi peccati non voglia lasciare nulla al perdono della misericordia divina; o che, infine, non sia permesso confessare i peccati veniali: sia anatema! (cf. 1679-1684).

1708. (8) Se qualcuno dice che la confessione di tutti i peccati, come osservata dalla Chiesa, sia impossibile e sia una tradizione umana che le anime pie devono abolire; o che ogni Cristiano di entrambi i sessi non sia obbligato a confessarsi una volta all’anno, secondo la costituzione del Grande Concilio Lateranense, e che, per questo motivo, i Cristiani debbano essere persuasi a non confessarsi nel periodo della Quaresima: sia anatema! (cf. 1682s.).

1709. 9. Se qualcuno dice che l’assoluzione sacramentale del Sacerdote non sia un atto giudiziario, ma un semplice ministero che pronuncia e dichiara che i peccati sono rimessi a chi li confessa, a condizione che egli creda di essere assolto, o se il Sacerdote non lo assolve seriamente, ma per scherzo; o se dice che non sia necessaria la Confessione del penitente perché il Sacerdote lo assolva: sia anatema! ( cf. 1462; 1685).

1710. 10. Se qualcuno dice che i Sacerdoti in stato di peccato mortale non abbiano il potere di legare e sciogliere, o che i Sacerdoti non siano gli unici ad essere ministri dell’assoluzione, ma che sia a tutti e a ciascuno dei Cristiani che è stato detto: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo” (Mt XVIII,18) e : “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Gv 20,23); che in virtù di queste parole chiunque p0ssa assolvere i peccati, quelli pubblici almeno con la correzione, con il consenso di colui che viene corretto, quelli segreti con la confessione spontanea: sia anatema (cf. 1684).

1711. 11. Se qualcuno dice che i Vescovi non abbiano il diritto di riservare le cause, se non per ciò che riguardi la disciplina esterna e che, di conseguenza, la riserva delle cause non impedisca ad un Sacerdote di assolvere veramente le cause riservate: sia anatema (cf. 1687).

1712. 12. Se qualcuno dice che ogni pena sia sempre rimessa da Dio contemporaneamente alla colpa, e che la Soddisfazione dei penitenti non sia altro che la fede con cui essi colgono che Cristo abbia soddisfatto per loro, sia anatema (cf. 1689).

1713. 13. Se qualcuno dice che, per quanto riguarda le pene temporali, Dio non sia in alcun modo soddisfatto per i peccati dai meriti di Cristo né per mezzo di pene inflitte da Dio e sopportate con pazienza, né per mezzo di quelle imposte dal Sacerdote, di preghiere, di elemosine o di altre opere di pietà, e che, di conseguenza, la migliore penitenza sia solo una nuova vita: sia anatema (cf. 169O-1692).

1774. 14. Se qualcuno dice che le soddisfazioni, con cui i penitenti riscattano i loro peccati per mezzo di Gesù Cristo, non siano un culto reso a Dio, ma tradizioni umane che oscurano la dottrina della grazia, il vero culto reso a Dio e il beneficio stesso della morte di Cristo: sia anatema (cf. 1692).

1715. 15. Se qualcuno dice che il potere delle chiavi sia stato dato alla Chiesa solo per sciogliere e non anche per legare, e che per questo motivo i Sacerdoti, imponendo pene a coloro che si confessano, agiscano contrariamente a questo potere e all’istituzione di Cristo; e che sia un’invenzione pensare che, una volta tolta la pena eterna con il potere delle chiavi, rimanga il più delle volte una pena temporale da espiare: sia anatema (cf. 1692).

Canoni sul sacramento dell’estrema unzione.

1716. (1) Se qualcuno dice che l’Estrema Unzione non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo nostro Signore, (Mc VI,13), e promulgato dall’Apostolo san Giacomo, (Gc 5,14-15), ma solo un rito ricevuto dai Padri o un’invenzione umana, sia anatema! (cf. 1695; 1699).

1717. 2 Se qualcuno dice che la santa Unzione degli infermi non conferisca la grazia, non rimetta i peccati, non allevia i malati, ma che non esiste più, come se un tempo fosse stata solo una grazia di guarigione, sia anatema (cf. 1696; 1699).

1718. 3 Se qualcuno dice che il rito e l’uso dell’Estrema Unzione, osservati dalla santa Chiesa romana, siano contrari alle parole del santo Apostolo Giacomo, e che quindi debbano essere cambiati, affinché possano essere disprezzati senza peccato dai Cristiani, sia anatema (cf. 1699).

1719. 4. Se qualcuno dice che i presbiteri della Chiesa, a cui san Giacomo raccomanda di portare l’unzione ad un malato, non siano Sacerdoti ordinati dal Vescovo, ma i più anziani di ogni comunità, e che per questo il ministro dell’Estrema Unzione non siav solo il Sacerdote, sia anatema (cf. 1697).

MARCELLO II: 9 aprile – 1 maggio 1555.

PAOLO IV: 23 maggio 1555 – 18 agosto 1559

Continuazione e fine del Concilio di Trento sotto Pio IV.

PIO IV : 25 dicembre 1559-9 dicembre 1565.

Sessione XXI.

Preambolo.

1725. Il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… ha ritenuto che, essendosi diffusi in vari luoghi, attraverso gli artifici del demonio i più perversi, vari mostruosi errori riguardanti il temuto e santissimo sSacramento dell’Eucaristia, errori che sembrano aver allontanato molti dalla fede e dall’obbedienza della Chiesa Cattolica in alcune province, fosse necessario stabilire qui ciò che riguardi la Comunione sotto le due specie e la Comunione dei bambini. Per questo motivo, a tutti i Cristiani è proibito osare in futuro credere, insegnare o predicare qualcosa su questo argomento che non sia quanto affermato in questo documento, spiegato e definito dai seguenti decreti.

Capitolo 1. I laici e i chierici che non celebrano non sono tenuti per diritto divino alla comunione sotto entrambe le specie.

1726. Perciò questo stesso santo Concilio, istruito dallo Spirito Santo, che è “Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di pietà” (Is XI,2), e secondo il giudizio e la consuetudine della Chiesa stessa, dichiara e insegna che nessun Comandamento divino obblighi i laici ed i chierici che non celebrano a ricevere il Sacramento dell’Eucaristia sotto le due specie; e che non si possa in alcun modo dubitare, senza ledere la fede, che la Comunione ad una delle due specie sia sufficiente per la loro salvezza.

1727. Infatti, senza dubbio, il Signore Cristo, nell’ultima cena, istituì e donò agli Apostoli questo venerabile Sacramento sotto le specie del pane e del vino (Mt XXVI,26-29 Mc XIV,22-25 Lc XXII,19 1Co XI,24). Tuttavia questa istituzione e questo dono non hanno per oggetto di obbligare tutti i Cristiani, per decreto del Signore, a ricevere le due specie (cf. 1731; 1732). E non concludiamo giustamente dalle parole che si trovano nel capitolo VI di Giovanni che la Comunione alle due specie sia stata comandata dal Signore (cf. 1733), per quanto le intendiamo seguendo le varie interpretazioni dei Santi e dei Dottori. Infatti, Colui che disse: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv VI,53) , disse anche: “Se uno mangia questo pane, vivrà in eterno” (Gv VI,58). E Colui che disse: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv VI,54) e disse anche: “Il pane che vi darò è la mia carne per la vita eterna” (Gv VI,51). Infine, Colui che ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui”, (Gv VI, 56), ha anche detto: “Chi mangia questo pane vivrà in eterno”, (Gv VI,58).

Capitolo 2. Il potere della Chiesa nell’amministrazione del Sacramento dell’Eucaristia.

1728. Il Concilio dichiara inoltre che nell’amministrazione dei Sacramenti la Chiesa ha sempre avuto il potere di decidere o di modificare, mantenendo intatta la sostanza di questi Sacramenti, ciò che avrebbe ritenuto più opportuno per l’utilità di coloro che li ricevono e per il rispetto dei Sacramenti stessi, secondo la diversità delle cose, dei tempi e dei luoghi. Ciò che l’Apostolo sembra indicare abbastanza chiaramente dicendo: “Siamo considerati ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio” (1Co IV,1). Ed è abbastanza chiaro che Egli stesso usasse questo potere per molte altre cose oltre che per questo stesso Sacramento, quando disse, dopo aver dato alcuni ordini riguardo al suo uso: “Il resto lo regolerò quando verrò” (1Co 11,34). Pertanto, sebbene all’inizio della Religione cristiana l’uso delle due specie non fosse infrequente, essendo questa usanza cambiata molto generalmente con il passare del tempo, la nostra santa Madre Chiesa, sapendo quale sia la sua autorità nell’amministrazione dei Sacramenti, è stata indotta da gravi e giuste cause ad approvare questa usanza di ricevere la Comunione sotto una delle due specie e a decretare che sarebbe stata una legge che non è permesso biasimare o cambiare a piacimento senza l’autorità della Chiesa stessa (cf. 1732).

Capitolo 3 Sotto ciascuna specie Cristo è ricevuto totalmente ed interamente.

1729. Dichiara inoltre che, sebbene il nostro Redentore, come si è detto sopra, nell’ultima cena abbia istituito e dato agli Apostoli questo Sacramento sotto entrambe le specie, tuttavia si deve riconoscere che anche sotto una sola delle due specie si riceva Cristo in modo completo ed integrale, così come il Sacramento in tutta verità, e che di conseguenza, per quanto riguarda il frutto del Sacramento, coloro che ricevono una sola specie non siano privi di alcuna grazia necessaria alla salvezza (cf. 1733).

Capitolo 4. I bambini non sono obbligati a ricevere la sacramentale Comunione.

1730. Infine, lo stesso santo Concilio insegna che nessuna necessità obblighi i bambini al di sotto dell’età della ragione a ricevere la Comunione sacramentale dell’Eucaristia (cf. 1734), poiché, rigenerati dal bagno del Battesimo (Tito 3,5) e incorporati a Cristo, a quell’età non possono perdere la grazia di figli di Dio che hanno ricevuto. E tuttavia non dobbiamo condannare il mondo antico per questo, anche se questa pratica era talvolta osservata in alcuni luoghi. Infatti, come questi santissimi Padri avevano un motivo lodevole per agire in conformità con i tempi, così dobbiamo certamente credere senza dubbio che agissero in questo modo senza alcuna necessità per la salvezza.

Canoni sulla comunione sotto le due specie e sulla comunione dei bambini.

1731. (1) Se qualcuno dice che per un comandamento di Dio, o per necessità di salvezza, tutti e tutti i Cristiani debbano ricevere le due specie del santissimo Sacramento dell’Eucaristia, sia anatema (cf. 1726 ss.).

1732. (2) Se qualcuno dice che la santa Chiesa Cattolica non sia stata condotta da giuste cause e ragioni al fine che i laici, così come i chierici che non celebrano, ricevano la Comunione sotto le sole specie del pane, o che essa abbia errato in questo, sia anatema (cf. 1728s.).

1733. 3 Se qualcuno nega che Cristo, fonte e autore di tutte le grazie, sia ricevuto in tutto e per tutto sotto le sole specie del pane, perché – come alcuni falsamente affermano – non è ricevuto sotto entrambe le specie secondo l’istituzione di Cristo stesso, sia anatema (cf. 1726s.).

1734. (4) Se qualcuno afferma che la Comunione eucaristica sia necessaria per i bambini prima che abbiano raggiunto l’età della ragione, sia anatema (cf. 1730).

Sessione XXII, 17 settembre 1562.

a) Dottrine e Canoni sul Sacrificio della Messa.

Preambolo.

1738. Affinché la fede e la dottrina antiche, assolute e in ogni modo perfette sul grande mistero dell’Eucaristia siano conservate nella santa Chiesa Cattolica e mantenute nella loro purezza, dopo aver respinto gli errori e le eresie, il santo Concilio ecumenico e generale di Trento… istruito dalla luce dello Spirito Santo, insegna, dichiara e decreta quanto segue, che deve essere predicato ai popoli fedeli, riguardo all’Eucaristia come vero e unico Sacrificio.

Capitolo 1. L’istituzione del sacrificio della Messa.

1739. Poiché la perfezione non era stata raggiunta con la prima Alleanza, secondo la testimonianza dell’Apostolo Paolo, a causa della debolezza del sacerdozio levitico, fu necessario, a Dio Padre delle misericordie, istituire il Sacrificio della Messa (Sal CIX,4 Eb V,6 Eb V,10 Eb VII,11 Eb VII,17 Gen XIV,18) per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo, che poteva portare a pienezza (Eb X,14) eD a perfezione tutti coloro che dovevano essere santificati.

1940. Senza dubbio Egli, il nostro Dio e Signore, si sarebbe offerto una volta per tutte a Dio Padre sull’altare della croce con la sua morte (Eb VII,27) per realizzare una Redenzione eterna per loro. Tuttavia, poiché non voleva che il suo sacerdozio si spegnesse con la morte (Eb VII,24), nell’ultima cena, “nella notte in cui fu tradito” (1 Cor XI,23), volle lasciare alla Chiesa, sua amata sposa, un Sacrificio visibile (come richiede la natura umana). Questo avrebbe rappresentato il Sacrificio cruento che si sarebbe compiuto una volta per tutte sulla croce, il cui ricordo sarebbe rimasto fino alla fine del mondo e la cui virtù salutare sarebbe stata applicata alla remissione di quei peccati che commentiamo ogni giorno. Dichiarandosi Sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedech (Sal CIX,4 Eb V,6 Eb VII,17) offrì il suo Corpo e il suo Sangue a Dio Padre sotto le specie del pane e del vino; sotto il simbolo di questi li diede agli Apostoli (che allora costituì Sacerdoti della Nuova Alleanza) perché li prendessero; e ad essi e ai loro successori nel Sacerdozio comandò di offrirli, pronunciando queste parole: “Fate questo in memoria di me” (Lc XXII:19 1Co XII:24) , ecc., come la Chiesa cattolica ha sempre inteso e insegnato (cf. 1752).

1741. Infatti, dopo aver celebrato l’antica Pasqua, che la moltitudine dei figli d’Israele sacrificava in ricordo della loro uscita dall’Egitto (Es 12), istituì la nuova Pasqua, nella quale Egli stesso doveva essere sacrificato dalla Chiesa per mezzo del ministero dei Sacerdoti, sotto segni visibili in ricordo del suo passaggio da questo mondo a suo Padre, quando, con lo spargimento del suo sangue, ci riscattò e “ci strappò dal potere delle tenebre e ci introdusse nel suo regno” (Col 1, 13).

1742. Questa è l’oblazione pura, che non può essere contaminata da alcuna indegnità o malizia da parte di coloro che la offrono, che il Signore aveva predetto per mezzo di Malachia che sarebbe stata offerta pura in ogni luogo nel suo Nome, che sarebbe stata grande tra le nazioni (Ml 1:11), che l’Apostolo Paolo ha designato in modo inequivocabile quando, scrivendo ai Corinzi, ha detto: Chi si è contaminato partecipando alla mensa dei demoni non può partecipare alla mensa del Signore (1Co X,21) intendendo con la parola “mensa”, in entrambi i casi, l’altare. Infine, è l’altare che, al tempo della natura e della Legge, era rappresentato dalle varie immagini dei sacrifici (Gn IV,4 Gn VIII,20 Gn XII,8 Gn 22,1-19 (Es: passim), in quanto contiene in sé tutti i beni che questi significano, essendo la consumazione e la perfezione di tutto.

Capitolo 2. Il sacrificio visibile, espiazione per i vivi e per i morti.

1743. Perché, in questo Sacrificio divino che si compie nella Messa, questo stesso Cristo è contenuto e immolato in modo incruento, Colui che si è offerto una volta per tutte in modo cruento sull’altare della croce (Eb IX,14 Eb IX,27) il santo Concilio insegna che questo Sacrificio sia veramente propiziatorio (cf. 1753) e che attraverso di esso, se ci avviciniamo a Dio con cuore sincero e fede retta, con timore e riverenza, contriti e penitenti, “otteniamo misericordia e la grazia di un aiuto tempestivo” (Eb IV,16).Appagato dall’oblazione di questo Sacrificio, il Signore, concedendo la grazia ed il dono della penitenza, perdona i delitti ed i peccati, anche quelli enormi. Si tratta, infatti, di una stessa vittima, la stessa che, offrendosi ora attraverso il ministero dei Sacerdoti, si offrì allora sulla croce, solo che il modo di offrire è diverso. I frutti di questa oblazione – quella cruenta – sono ricevuti abbondantemente per mezzo di questa oblazione incruenta; tanto che l’oblazione cruenta non toglie nulla a quella incruenta (cf. 1754). Perciò, secondo la tradizione degli Apostoli, essa viene legittimamente offerta, non solo per i peccati, i dolori, le soddisfazioni e le altre necessità dei fedeli viventi, ma anche per coloro che sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati (cf. 1753).

Capitolo 3: Messe in onore dei Santi.

1744. Sebbene la Chiesa sia solita celebrare alcune Messe in onore e memoria dei Santi, essa insegna che non è a loro che si offre il Sacrificio, ma a Dio solo che li ha incoronati.

1755. Così il Sacerdote non è solito dire: “Offro il sacrificio a voi, Pietro e Paolo”, ma, ringraziando Dio per le loro vittorie, ne implora la protezione, “… affinché si degnino di intercedere per noi in cielo proprio coloro che ricordiamo sulla terra”.

Capitolo 4. Il Canone della Messa.

1745. Poiché è opportuno che le cose sante siano amministrate con santità, e poiché il più santo di tutti è questo Sacrificio, che deve essere offerto e ricevuto con dignità e riverenza, molti secoli fa la Chiesa Cattolica istituì il santo canone, così puro da ogni errore (cf. 1756) che non c’è nulla in esso che non trasudi grandemente santità e pietà e non elevi a Dio lo spirito di coloro che lo offrono. È chiaro, infatti, che esso è fatto o dalle parole stesse del Signore, o dalle tradizioni degli Apostoli e dalle pie istruzioni dei santi Pontefici.

Capitolo 5. Le cerimonie del sacrificio della Messa

1746. La natura umana è tale che non possa facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni. Per questo la nostra pia Madre Chiesa ha istituito alcuni riti, in modo che nella Messa alcune cose siano dette a voce bassa (cf. 1759) ed altre a voce più alta. Ha anche introdotto cerimonie (cf. 1757) come le benedizioni mistiche, le luci, l’incenso, i paramenti e molte altre cose di questo tipo, ricevute dall’autorità e dalla tradizione degli Apostoli. In questo modo la maestà di un Sacrificio così grande sarebbe stata enfatizzata e le menti dei fedeli sarebbero state stimolate, per mezzo di questi segni visibili di religione e pietà, alla contemplazione delle cose più alte che sono nascoste in questo Sacrificio.

Capitolo 6. La Messa in cui solo il Sacerdote riceve la Comunione.

1747. Il Santo Concilio desidera certamente che i fedeli che partecipano ad ogni Messa ricevano la Comunione non solo per un desiderio spirituale, ma anche attraverso la ricezione sacramentale dell’Eucaristia, in modo da raccogliere frutti più abbondanti da questo santissimo Sacrificio, tuttavia, se ciò non avviene sempre, non condanna come private e illecite quelle Messe in cui solo il Sacerdote riceva la Comunione sacramentale; ma le approva e le raccomanda, poiché anche queste Messe devono essere considerate veramente pubbliche, in parte perché il popolo riceve la comunione spiritualmente, in parte perché sono celebrate da un ministro pubblico della Chiesa, non per sé solo, ma per tutti i fedeli che appartengono al Corpo di Cristo.

Capitolo 7. L’acqua mescolata al vino.

1748. Il santo Concilio avverte poi che la Chiesa abbia prescritto che i Sacerdoti mescolino l’acqua con il vino che deve essere offerto nel calice (cf. 1759), sia perché si ritiene che il Signore Cristo abbia fatto così, sia perché dal suo costato sgorgò l’acqua insieme al sangue (Gv XIX, 34) , che il Sacramento ricorda con questa mescolanza. E poiché, nell’Apocalisse di San Giovanni, si dice che le acque siano i popoli Ap. XVII,15), si rappresenta così l’unione del popolo fedele con Cristo, suo capo.

Capitolo 8. Rifiuto del linguaggio volgare nella Messa; spiegazione dei suoi misteri.

1749. Sebbene la Messa contenga una grande quantità di insegnamenti per i fedeli, non è sembrato bene ai Padri che venisse celebrata qua e là in lingua volgare. Per questo motivo, pur mantenendo ovunque il rito antico proprio di ogni Chiesa e approvato dalla santa Chiesa romana, Madre e maestra di tutte le Chiese, affinché le pecore di Cristo non muoiano di fame ed i piccoli non chiedano il pane e nessuno glielo dia (Lm IV,4), il santo Concilio ordina ai pastori ed a tutti coloro che hanno la cura delle anime di dare frequentemente, durante la celebrazione della Messa, alcune spiegazioni, da parte loro o di altri, dei testi letti nella Messa, e, tra l’altro, di illuminare il mistero di questo Sacrificio, specialmente nelle Domeniche e nelle feste.

Capitolo 9. Osservazioni preliminari ai canoni che seguono.

1750. Ma poiché oggi, contro questa antica fede fondata sul santo Vangelo, sulle tradizioni degli Apostoli e sull’insegnamento dei santi Padri, si sono diffusi molti errori e molte cose sono state insegnate e discusse da molti, il santo Concilio, dopo aver abbondantemente, seriamente e maturamente trattato queste cose, con l’unanimità di tutti i Padri, ha deciso di condannare ed eliminare dalla santa Chiesa ciò che vada contro questa purissima fede e questa santa dottrina, con i Canoni che seguono.

Canoni sul Santissimo Sacrificio della Messa.

1751. (1) Se qualcuno dice che nella Messa non venga offerto a Dio un vero e proprio Sacrificio, o che “essere offerto” non significhi altro che Cristo ci venga dato come cibo, sia anatema.

1752. 2 Se qualcuno dice che Cristo non abbia istituito gli Apostoli come Sacerdoti con queste parole: “Fate questo in memoria di me” (1 Cor. XI:25 1 Cor. XI:24), o che non abbia ordinato loro e agli altri Sacerdoti di offrire il suo Corpo ed il suo Sangue, sia anatema (cf. 1470).

1753. 3 Se qualcuno dirà che il Sacrificio della Messa sia solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o una semplice commemorazione del Sacrificio fatto sulla croce, ma non sia un Sacrificio propiziatorio; o che sia vantaggioso solo per chi riceve Cristo, e che non debba essere offerto per i vivi e per i morti, o per i peccati, le punizioni, le soddisfazioni ed altre necessità, sia anatema (cf.1743).

1754. 4 Se qualcuno dirà che con il Sacrificio della Messa si commetta una bestemmia contro il santissimo Sacrificio di Cristo fatto sulla croce, o che sia una diminuzione di esso, sia anatema (cf. 1743).

1755. 5 Se qualcuno dice che sia una frode celebrare la Messa in onore dei Santi ed ottenere la loro intercessione presso Dio, come intende la Chiesa, sia anatema (cf. 1744).

1756. 6 Se qualcuno dice che il canone della Messa contenga errori e debba essere abrogato, sia anatema (cf. 1745).

1757. 7. Se qualcuno dice che le cerimonie, i paramenti ed i segni esteriori usati dalla Chiesa nella celebrazione della Messa siano piuttosto beffe dell’empietà che segni di pietà, sia anatema (cf. 1746).

1758. 8 Se qualcuno dice che le Messe in cui solo il Sacerdote riceve la Comunione sacramentale siano illecite e quindi debbano essere abolite, sia anatema (cf. 1747).

1959. 9. Se qualcuno dice che il rito della Chiesa romana, secondo il quale parte del Canone e le parole della Consacrazione sono pronunciate a bassa voce, debba essere condannato; o che la Messa debba essere celebrata solo in lingua volgare; o che l’acqua non debba essere mescolata nel calice con il vino che deve essere offerto, perché ciò è contrario all’istituzione di Cristo: sia anatema (cf. 1746; 1748).

Decreto sulla richiesta di concessione del calice.

1760. Inoltre, lo stesso santo Concilio, nella sua ultima sessione, si è riservato di esaminare e definire in un altro momento, quando se ne presentasse l’occasione, due articoli che gli erano stati proposti in altre sedi e che non erano ancora stati discussi: Le ragioni per cui la santa Chiesa Cattolica sia stata indotta a dare la Comunione ai laici ed anche ai Sacerdoti che non celebrano, sotto la sola specie del pane, devono essere mantenute in modo che l’uso del calice non sia permesso a nessuno per nessuna ragione – e : Se l’uso del calice, per onesti motivi e secondo la carità cristiana, dovesse essere concesso ad un paese o ad un regno, a quali condizioni dovrebbe essere concesso? E quali sono queste condizioni? Volendo ora provvedere nel modo migliore alla salvezza di coloro per i quali è stata fatta la richiesta, il Concilio ha decretato che l’intera questione sia deferita al nostro Santissimo Padre, come la sta deferendo con il presente decreto; secondo la sua singolare prudenza, farà ciò che giudicherà utile per gli Stati cristiani e salutare per coloro che richiedano l’uso del calice.

Sessione XXIII, 15 luglio 1563 – Dottrina e canoni sul Sacramento dell’Ordine.

Sacramento dell’Ordine.

1763. Dottrina vera e cattolica sul Sacramento dell’Ordine per condannare gli errori del nostro tempo, decretata dal Concilio di Trento e pubblicata nella settima sessione (sotto Pio IV).

Capitolo 1. L’istituzione del Sacerdozio della Nuova Alleanza.

1764. Sacrificio e Sacerdozio sono stati così uniti da una disposizione di Dio che entrambi sono esistiti in ogni legge. Pertanto, poiché la Chiesa Cattolica ha ricevuto nel Nuovo Testamento, per istituzione del Signore, il santo Sacrificio visibile dell’Eucaristia, si deve anche riconoscere che in essa ci sia un nuovo Sacerdozio visibile ed esterno (cf. 1771) in cui è passato l’antico sacerdozio (Eb VII,12). Questo Sacerdozio è stato istituito dallo stesso Signore, il nostro Salvatore (cf.n1773); agli Apostoli e ai loro successori nel Sacerdozio è stato dato il potere di consacrare, offrire e amministrare il suo Corpo er il suo Sangue, così come di perdonare e trattenere i peccati: questo è ciò che mostra la Sacra Scrittura e ciò che la tradizione della Chiesa Cattolica ha sempre insegnato (cf. 1771).

Capitolo 2. I sette gradi dell’ordine.

1765. Poiché il ministero di un Sacerdozio così santo è una cosa divina, era opportuno, perché fosse esercitato più degnamente e con maggior rispetto, che vi fossero, nella struttura perfettamente ordinata della Chiesa, diversi ordini di ministero, che fossero, per la loro funzione, al servizio del Sacerdozio, distribuiti in modo tale che coloro che avrebbero ricevuto la tonsura clericale salissero dagli Ordini minori agli Ordini maggiori (cf. 1772). La Sacra Scrittura, infatti, non menziona chiaramente solo i Sacerdoti, ma anche i diaconi; essa insegna, con le espressioni più gravi, a che cosa dobbiamo stare molto attenti quando li ordiniamo (Act VI,5 Act XXI,8 1Tm III,8-13 Ph 1,1). Fin dagli inizi della Chiesa sappiamo che erano in uso, anche se in misura diversa, i nomi dei seguenti Ordini e dei ministeri propri di ciascuno di essi: suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori ed ostiari. In realtà, il suddiaconato viene accostato agli Ordini maggiori dai Padri e dai Santi Concili, nei quali leggiamo molto spesso riferimenti agli altri olOrdini inferiori.

Capitolo 3. La sacramentalità dell’ordine.

1766. Poiché la testimonianza della Scrittura, la tradizione apostolica e l’accordo dei Padri mostrano chiaramente che la sacra ordinazione, conferita con parole e segni esterni, conferisca la grazia, nessuno deve dubitare che l’Ordine sia veramente e propriamente uno dei sette Sacramenti della santa Chiesa (cf. 1773). L’Apostolo dice: “Vi esorto a ravvivare la grazia di Dio che è in voi mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timore, ma di forza, di amore e di moderazione” (2Tm I,6 1Tm VI,14).

Capitolo 4. La Gerarchia ecclesiastica e l’Ordinazione.

1767. Poiché nel Sacramento dell’Ordine, così come nel Battesimo e nella Confermazione, è impresso un carattere (cf. 1774) che non può essere distrutto o tolto, il santo Concilio condanna giustamente il pensiero di coloro che affermino che i Sacerdoti del Nuovo Testamento abbiano solo un potere temporaneo e che, una volta ordinati secondo le regole, possano tornare laici, se non esercitano il ministero della Parola di Dio (cf. 1771). Se qualcuno afferma che tutti i Cristiani, senza distinzione, siano Sacerdoti del Nuovo Testamento, o che tutti siano dotati dello stesso potere spirituale tra loro, sembra che non faccia altro che cancellare la Gerarchia ecclesiastica (cf..1776), che è come “un esercito schierato in battaglia” (Ct VI,3 Ct VI,9); come se, contrariamente all’insegnamento di san Paolo (1Cor XII,28-29; Eph IV,11) tutti fossero apostoli e tutti profeti, tutti evangelisti, tutti pastori, tutti maestri.

1768. Il santo Concilio dichiara quindi che, oltre agli altri gradi ecclesiastici, i Vescovi, che sono succeduti agli Apostoli, appartengano principalmente a questo ordine gerarchico; che siano stati posti (come dice lo stesso Apostolo) dallo Spirito Santo “per governare la Chiesa di Dio” (At XX,28; che siano superiori ai presbiteri; che conferiscano il Sacramento della Confermazione; che ordinalino i ministri della Chiesa; che possano fare molte altre cose per le quali altri di Ordine inferiore non hanno potere (cf. 1777).

1969. Inoltre, il santo Concilio insegna che nell’ordinazione dei Vescovi, dei Sacerdoti e degli altri Ordini non sia necessario né il consenso, né l’appello, né l’autorità del popolo o di qualsiasi potere o magistratura civile, come se l’Ordinazione fosse altrimenti nulla. Anzi, stabilisce che coloro che siano chiamati e istituiti dal popolo o da un potere o da una magistratura, salgono all’esercizio di questo ministero, e coloro che li prendono per sé, nella loro temerarietà debbano essere ritenuti, non come ministri della Chiesa, ma come ladri e briganti che non sono entrati dalla porta (Gv 10,1); (cf. 1778).

1770. Questo è ciò che sia sembrato bene al santo Concilio insegnare ai Cristiani in modo generale sul Sacramento dell’Ordine. Ha deciso di condannare nel modo seguente ciò che sia contrario a Canoni precisi e propri, affinché, con l’aiuto di Cristo, tutti, usando la regola della fede, in mezzo alle tenebre di tanti errori, possano più facilmente conoscere e conservare la fede cattolica.

Canoni sul Sacramento dell’Ordine.

1771. (1) Se qualcuno dice che nel Nuovo Testamento non ci sia un Sacerdozio visibile ed esterno, o che non ci sia il potere di consacrare e offrire il vero Corpo e Sangue del Signore e di rimettere o trattenere i peccati, ma solo una funzione e un semplice ministero di predicazione del Vangelo; o che coloro che non predicano non sono Sacerdoti, sia anatema (cf.1764; 1767).

1772. (2) Se qualcuno dice che, oltre al Sacerdozio, non ci siano altri Ordini maggiori e minori nella Chiesa cattolica, (cf. 1764; 1767), attraverso i quali, come per gradi, si avanzi al Sacerdozio: sia anatema (cf. 1765).

1773. 3 Se qualcuno dirà che la sacra Ordinazione non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo Signore, o che sia un’invenzione umana, escogitata da uomini che non capiscono nulla delle cose della Chiesa, o che sia solo un rito con cui si scelgono i ministri della Parola di Dio e dei Sacramenti, sia anatema (cf. 1766).

1774. 4 Se qualcuno dice che lo Spirito Santo non venga dato con la sacra Ordinazione, e che quindi sia vano che i Vescovi dicano: “Ricevi lo Spirito Santo”, o che l’Ordinazione non imprima un carattere, o che uno che sia diventato Sacerdote una volta per tutte possa tornare laico, sia anatema (cf. 1767).

1775. 5 Se qualcuno dice che l’unzione sacra che la Chiesa usa nell’Ordinazione non solo non sia necessaria, ma sia da disprezzare e sia perniciosa, e che lo stesso vale per le altre cerimonie dell’Ordine, sia anatema.

1776. 6 Se qualcuno afferma che nella Chiesa Cattolica non esista una Gerarchia istituita per disposizione divina, composta da Vescovi, Sacerdoti e ministri, sia anatema (cf. 1768).

1777. 7. Se qualcuno dice che i Vescovi non siano superiori ai Sacerdoti; o che non abbiano il potere di confermare e ordinare; o che il potere che hanno sia comune a loro con i Sacerdoti; o che le ordinazioni da loro conferite senza il consenso o l’appello del popolo o di qualche potere civile siano nulle; o che coloro che non sono stati legittimamente ordinati o inviati dall’autorità ecclesiastica e canonica, ma provengono da altrove, siano legittimi ministri della Parola e dei Sacramenti: sia anatema (cf. 1768s.).

1778. (8) Se qualcuno dice che i Vescovi scelti dall’autorità del Romano Pontefice non siano legittimi e veri Vescovi, ma un’invenzione umana, sia anatema.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (26) “CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXIV al termine”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII: (24) IL CONCILIO DI TRENTO. “SESSIONE VII”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (24)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

Il Concilio di Trento: Sess. VII – XIV

Sessione VII, 3 marzo 1547, decreto sui Sacramenti.

Preambolo

1600. Per completare questa salutare dottrina sulla giustificazione, promulgata nella sessione precedente con il consenso unanime di tutti i padri, è sembrato opportuno trattare dei santissimi sacramenti della Chiesa. È attraverso di essi che ogni vera giustizia inizia, o, una volta iniziata, aumenta, o, una volta persa, viene riparata. Per questo il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… desiderando eliminare gli errori ed estirpare le eresie che sono sorte ai nostri giorni riguardo ai santissimi Sacramenti, o che sono sorte da eresie già condannate dai nostri Padri, o che sono state addirittura scoperte, compromettendo grandemente la purezza della Chiesa cattolica e la salvezza delle anime, in contrasto con l’insegnamento delle Sacre Scritture, con le tradizioni apostoliche e con l’accordo unanime dei Padri di altri Concili, questo santo Concilio ha deciso di emanare e decretare i seguenti canoni. Quelli che restano per completare l’opera iniziata saranno, con l’aiuto dello Spirito Santo, pubblicati in seguito.

Canoni sui Sacramenti in generale.

1601. 1. Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non siano stati tutti istituiti da Gesù Cristo nostro Signore, o che ce ne siano più o meno di sette, cioè il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Estrema Unzione, l’Ordine e il Matrimonio, o che uno di questi sette non sia veramente e propriamente un Sacramento, sia anatema.

1602. 2 Se qualcuno dice che questi Sacramenti della nuova Legge differiscano da quelli dell’antica Legge solo perché le cerimonie sono diverse ed i riti esterni sono diversi, sia anatema.

1603. 3 Se qualcuno dice che questi sette sacramenti sono così uguali che in nessun modo uno è più degno dell’altro, sia anatema.

1604. (4) Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non sisno necessari per la salvezza, ma superflui, e che senza di essi, o senza il desiderio di essi, gli uomini ottengano da Dio la grazia della giustificazione (cf. 1559), essendo ammesso che non tutti per tutti: sia anatema..

1605. (5) Se qualcuno dice che questi Sacramenti siano stati istituiti solo per alimentare la fede, sia anatema.

1606. (6) Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non contengano la grazia che significano, o che non conferiscano questa stessa grazia a coloro che non la ostacolano (cf. 1451), come se fossero solo segni esteriori della grazia e della giustizia ricevute dalla fede, e segni della professione cristiana con cui i fedeli si distinguono dagli infedeli tra gli uomini, sia anatema.

1607. (7) Se qualcuno dice che con tali Sacramenti la grazia non sia data sempre e a tutti, per quanto riguarda Dio, anche se siano ricevuti come dovrebbero essere, ma solo a volte e ad alcuni, sia anatema.

1608. (8) Se qualcuno dice che la grazia non viene conferita “ex opere operato” da questi Sacramenti della Nuova Legge, ma che la sola fede nella promessa divina sia sufficiente per ottenere la grazia, sia anatema.

1609. 9. Se qualcuno dice che nei tre Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine Sacro non venga impresso nell’anima un carattere, cioè un marchio spirituale e indelebile tale da non poter essere ripetuto, sia anatema.

1610. 10. Se qualcuno afferma che tutti i Cristiani abbiano potere sulla parola e sull’amministrazione dei Sacramenti, sia anatema.

1611. 11. Se qualcuno dice che nei ministri, mentre compiono e conferiscono i Sacramenti, non sia richiesta l’intenzione di fare almeno ciò che fa la Chiesa: sia anatema.(cf. 1262).

1612. 12. Se qualcuno dice che un ministro in stato di peccato mortale, purché osservi tutto ciò che è essenziale riguardo al fare o al conferire il Sacramento, non faccia o conferisca il Sacramento: sia anatema (cf. 1154).

1613. 13. Se qualcuno dice che i riti ricevuti e approvati della Chiesa cattolica, in uso nella solenne amministrazione dei Sacramenti, possano essere disprezzati od omessi senza peccato, a volontà dei ministri, o cambiati in altri nuovi da qualsiasi pastore delle chiese, sia anatema.

Canoni sul Sacramento del Battesimo

1614. (1) Se qualcuno dice che il battesimo di Giovanni ha la stessa forza del battesimo di Cristo, sia anatema.

1615. (2) Se qualcuno dice che l’acqua vera e naturale non sia necessaria per il Battesimo, e quindi trasforma le parole di nostro Signore Gesù Cristo in una metafora: “Se uno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo”, Giovanni III: 5, sia anatema.

1616.3 Se qualcuno dirà che nella Chiesa romana, che è madre e maestra di tutte le Chiese, non si trovi la vera dottrina sul Sacramento del Battesimo, sia anatema.

1617.4 Se qualcuno dice che il Battesimo, anche se impartito dagli eretici nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, non sia vero battesimo, sia anatema.

1618.5 Se qualcuno dice che il battesimo è libero, cioè non necessario per la salvezza, sia anatema (cf. 1524).

1619. 6. Se qualcuno dice che il battezzato non possa, anche se volesse, perdere la grazia, per quanto numerosi siano i suoi peccati, a meno che non voglia credere, sia anatema (cf. 1544).

1620. 7. Se qualcuno dice che i battezzati, con il loro Battesimo, non siano obbligati solo alla fede, ma anche all’osservanza di tutta la Legge di Cristo, sia anatema.

1621. 8. Se qualcuno dice che coloro che sono battezzati sisno liberi rispetto a tutti i comandamenti della santa Chiesa, sia quelli scritti che quelli tramandati, in modo da non essere obbligati ad osservarli: sia anatema.

1622. 9. Se qualcuno dice che bisogna ricordare agli uomini il battesimo in modo che comprendano che tutti i voti fatti dopo il battesimo sono nulli, in virtù della promessa già fatta nel battesimo stesso, come se questi voti minassero sia la fede professata in quel momento sia il battesimo stesso, sia anatema.

1623. 10. Se qualcuno dice che tutti i peccati commessi dopo il Battesimo siano rimessi o resi veniali dal solo ricordo e dalla fede del Battesimo ricevuto, sia anatema.

1624. 11. Se qualcuno dice che il vero Battesimo, conferito secondo i riti, debba essere ripetuto per chi ha negato la fede di Cristo tra gli infedeli, quando si è convertito e ha fatto penitenza: sia anatema.

1625. 12. Se qualcuno dice che nessuno deve essere battezzato se non all’età in cui Cristo fu battezzato o in punto di morte, sia anatema.

1626. 13. Se qualcuno dice che i neonati, poiché non fanno atto di fede, non debbano essere annoverati tra i fedeli dopo aver ricevuto il Battesimo, e che per questo motivo debbano essere ribattezzati quando hanno raggiunto l’età della discrezione, o che sia preferibile omettere il loro Battesimo piuttosto che battezzarli nella sola fede della Chiesa, loro che non credono con un atto personale di fede: sia anatema.

1627. 14. Se qualcuno dice che a questi bambini battezzati in questo modo si dovrebbe chiedere, quando sono cresciuti, se vogliono ratificare ciò che i padrini hanno promesso a loro nome quando sono stati battezzati, e che coloro che rispondono che non vogliono farlo dovrebbero essere lasciati al loro libero arbitrio e non costretti da alcuna sanzione a condurre una vita cristiana, se non escludendoli dal ricevere l’Eucaristia e gli altri Sacramenti fino a quando non si emendano: sia anatema.

Canoni sul sacramento della Confermazione.

1628. 1 Se qualcuno dice che la Cresima dei battezzati sia una cerimonia vana e non un vero e proprio Sacramento, o che in passato non fosse altro che una catechesi, con la quale coloro che si avvicinavano all’adolescenza rendevano conto della loro fede in presenza della Chiesa, sia anatema.

1629. 2. Se qualcuno dice che chi attribuisce qualche virtù al santo crisma della Confermazione faccia ingiustizia allo Spirito Santo, sia anatema.

1630. 3. Se qualcuno dice che il ministro ordinario della confermazione non sia il solo Vescovo, ma qualsiasi semplice Sacerdote, sia anatema (cf.1318).

Continuazione del Concilio di Trento sotto Giulio III.

GIULIO III: 7 febbraio 1550 – 23 Marzo 1555.

Sessione XIII, 11 ottobre 1551: decreto sul sacramento dell’Eucaristia.

Preambolo

1635. Il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… si riunì, non senza essere particolarmente guidato e governato dallo Spirito Santo, allo scopo di esporre la vera e antica dottrina della fede e dei Sacramenti, e di rimediare a tutte le eresie e ad altri gravissimi danni che oggi purtroppo turbano la Chiesa di Dio e la dividono in molte e varie parti. Fin dall’inizio, però, si preoccupò soprattutto di estirpare le erbacce e gli scismi esecrabili che il nemico, in questi nostri tempi infelici, ha seminato (Mt XIII, 15) nella dottrina della fede e nell’uso e nel culto della Santa Eucaristia, che tuttavia nostro Signore ha lasciato nella sua Chiesa come simbolo di quell’unità e di quell’amore con cui ha voluto che tutti i Cristiani fossero uniti e legati tra loro. Ecco perché questo stesso santo Concilio, trasmettendo la sana e autentica dottrina riguardante questo venerabile e divino Sacramento dell’Eucaristia, che la Chiesa cattolica, istruita da Gesù Cristo nostro Signore, ha lasciato nella sua Chiesa come simbolo di quell’unità e di quell’amore con cui ha voluto che tutti i Cristiani fossero uniti e legati insieme. Così pure, il sacro Sinodo, traendo la sana e sincera dottrina di questo santo e venerabile Sacramento, la santa Chiesa dal Signore stesso e dagli Apostoli, istruita dallo Spirito Santo che le ricorda di giorno in giorno tutta la verità (Gv XIV, 26), ha sempre conservato e conserverà fino alla fine del mondo, proibisce a tutti i Cristiani d’ora in poi di osare credere, insegnare o predicare qualcosa sulla santissima Eucaristia che non sia quanto spiegato e definito dal presente decreto.

Cap. 1. La Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo nella santissima Eucaristia.

1636. In primo luogo, il santo Concilio insegna e professa apertamente e inequivocabilmente che nel venerabile Sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è realmente, veramente e sostanzialmente (cf. 1651) contenuto sotto l’apparenza di queste realtà sensibili. Infatti, non vi è alcuna opposizione al fatto che il nostro Salvatore sieda sempre in cielo alla destra del Padre, secondo un modo di esistenza che è soprannaturale, e che tuttavia Egli sia per noi sacramentalmente presente in molti altri luoghi nella sua sostanza, con un modo di esistenza che difficilmente possiamo esprimere a parole, e che tuttavia possiamo riconoscere e credere costantemente come possibile a Dio (Mt XIX,26; Lc XVIII, 27) grazie al nostro pensiero illuminato dalla fede.

1637. Infatti tutti i nostri antenati, che facevano parte della vera Chiesa di Cristo e che parlavano di questo santissimo Sacramento, professavano molto apertamente che il nostro Redentore istituì questo mirabile Sacramento nell’ultima cena, quando, dopo aver benedetto il pane e il vino, testimoniò in termini chiari e precisi che dava loro il proprio Corpo e il proprio Sangue. Queste parole, ricordate dai santi Evangelisti (Mt 26,26-29 Mc 14,22-25 Lc 22,19-20 e poi ripetute da san Paolo 1Cor 11,24-25), sono presentate in un senso molto chiaro e proprio, secondo quanto inteso dai Padri. È quindi uno scandalo indegno vedere certi uomini litigiosi e perversi ridurli a figure insulse e immaginarie, con le quali si nega la verità della Carne e del Sangue di Cristo, contro il sentimento universale della Chiesa, che come colonna e fondamento della verità ” (1Tm 3,15) detesta come sataniche queste invenzioni escogitate da uomini empi, ella che riconosce, con uno spirito che sa sempre ringraziare e ricordare, questo eccezionale beneficio di Cristo.

Cap. 2. Il motivo dell’istituzione di questo santissimo Sacramento.

1638. Perciò il nostro Salvatore, lasciando questo mondo per il Padre, istituì questo Sacramento nel quale riversò le ricchezze del suo amore divino per gli uomini, “lasciando un memoriale delle sue opere meravigliose” (Sal 110,4), e ci diede, ricevendo questo Sacramento, di celebrare la sua memoria (Lc 22,19 1Co 11,24) e di proclamare la sua morte fino a quando verrà lui stesso (1Co 11,26) a giudicare il mondo. Egli ha voluto che questo Sacramento fosse cibo spirituale per le anime (Mt 26,26) che nutre e rafforza coloro che vivono della sua vita (cf. 1655), Colui che ha detto “chi mangia me, vivrà egli stesso per mezzo di me” (Gv 6,57), e come antidoto che ci libera dalle colpe quotidiane e ci preserva dai peccati mortali. Volle anche che fosse il pegno della nostra gloria futura e della felicità eterna, nonché il simbolo dell’unico Corpo di cui egli stesso è il capo (1Co XI, 3; Eph V, 23)e al quale volle che noi, come sue membra, fossimo legati dai più stretti vincoli di fede, speranza e carità, in modo da dire tutti la stessa cosa e da non avere divisioni tra noi (1Co 1,10).

Cap. 3. L’eccellenza della Santissima Eucaristia rispetto agli altri Sacramenti.

Altri sacramenti.

1639. La santissima Eucaristia ha certamente qualcosa in comune con gli altri Sacramenti in quanto è “simbolo di una realtà santa e forma visibile di una grazia invisibile”. Ma ciò che è eccellente e particolare è che gli altri Sacramenti hanno la virtù di santificare quando si ricorre ad essi, mentre nell’Eucaristia si trova l’Autore stesso della santità prima di riceverla (cf. 1654).

1640. In effetti, gli Apostoli non avevano ancora ricevuto l’Eucaristia dalle mani del Signore (Mt 26,26 Mc 14,22), eppure Egli affermò che era veramente il suo Corpo quello che presentava; ed è sempre stata fede della Chiesa di Dio che, subito dopo la consacrazione, il vero Corpo ed il Sangue di nostro Signore si trovassero sotto le specie del pane e del vino insieme alla sua anima e alla sua divinità. Certamente, se il Corpo è sotto la specie del pane e il Sangue sotto la specie del vino in virtù delle parole, il Corpo stesso è anche sotto la specie del vino, e il Sangue sotto la specie del pane, e l’anima sotto entrambe le specie, in virtù di questa connessione naturale e di questa concomitanza che unisce tra loro le parti di Cristo Signore che, risorto dai morti, non muore più (Rm 6,9) La divinità è unita, per questa mirabile unione ipostatica, al suo corpo e alla sua anima (cf. 1651; 1653).

1641. Per questo è vero che Cristo è contenuto sotto l’una o l’altra specie e sotto entrambe le specie insieme. Infatti, Cristo è totalmente e integralmente sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie; allo stesso modo è totalmente sotto la specie del vino e sotto le sue parti (cf. 1653).

Cap. 4. Transustanziazione

1642. Poiché Cristo nostro Redentore ha detto che ciò che offriva sotto le specie del pane fosse veramente il suo corpo (Mt 26,26-29 Mc 14,22-25 Lc 22,19 1Co 11,24-26) si è sempre ritenuto nella Chiesa di Dio – e questo è ciò che questo santo Concilio dichiara anche oggi – che con la consacrazione del pane e del vino avviene un cambiamento di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo nostro Signore e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questo cambiamento è stato giustamente e propriamente chiamato, dalla santa Chiesa cattolica, transustanziazione (cf. 1652).

Cap. 5. Il culto e la venerazione dovuti a questo santissimo Sacramento.

1643. Perciò non c’è motivo di dubitare che tutti i cristiani, secondo la consuetudine che è sempre stata ricevuta nella Chiesa cattolica, venerino questo santissimo sacramento con il culto di latria che è dovuto al vero Dio 1656. Infatti questo sacramento deve essere venerato non meno perché è stato istituito da Cristo Signore per nutrirci (Mt 26,26-29). Crediamo infatti che in esso sia presente lo stesso Dio che l’eterno Padre introdusse nel mondo quando disse: “E tutti gli Angeli di Dio lo adorino” (Eb 1,6 Sal 7XCVI ,7) che i Magi adorarono prostrandosi 6(Mt 2,11) e a cui tutta la Scrittura testimonia che fu adorato in Galilea dagli apostoli (Mt 28,17 Lc 24,52).

1644. Inoltre, il santo Concilio dichiara che nella Chiesa di Dio è stata introdotta la consuetudine, devota e religiosa, di celebrare questo eminente e venerabile Sacramento con speciale venerazione e solennità ogni anno in un giorno festivo particolare, e di portarlo con riverenza ed onore in processione per le strade e le piazze pubbliche. (Cf. 846) Infatti, è giusto che ci siano dei giorni santi in cui tutti i Cristiani, con manifestazioni singolari e straordinarie, testimonino la loro gratitudine ed il loro ricordo al loro comune Signore e Redentore per un beneficio così ineffabile e veramente divino, con il quale sono rappresentati la sua vittoria e il suo trionfo sulla morte. E fu così che la verità, vittoriosa sulla falsità e sull’eresia, trionfò, cosicché i suoi avversari, di fronte a un così grande splendore e alla grande gioia della Chiesa universale, o si indebolirono e si spezzarono, o appassirono, o, sopraffatti dalla vergogna e dalla confusione, giunsero un giorno a rassegnarsi.

Cap. 6. Il Sacramento della Santa Eucaristia conservato e portato ai malati.

1645. L’usanza di conservare la Santa Eucaristia in un luogo sacro è così antica che il secolo del Concilio di Nicea la conosceva già. Inoltre, portare la Santa Eucaristia agli ammalati e conservarla con cura nelle chiese non solo è molto equo e conforme alla ragione, ma è anche prescritto da molti Concili e osservato da una consuetudine molto antica della Chiesa cattolica. Per questo motivo questo santo Concilio ha stabilito che questa salutare e necessaria usanza debba essere assolutamente mantenuta (cf. 1657).

Cap. 7. La preparazione da fare per ricevere degnamente la della santa eucaristia

1646. Se non conviene a nessuno accostarsi ad una funzione sacra se non in modo santo, certamente quanto più un Cristiano scopre la santità ed il carattere divino di questo Sacramento celeste, tanto più deve fare attenzione a non accostarsi ad esso per riceverlo se non con grande rispetto e santità (cf. 1661): “Chi mangia e beve indegnamente mangia e beve la sua condanna, non discernendo il corpo di Cristo” (1Co XI, 29). Per questo motivo, chi desidera ricevere la Comunione deve ricordarsi del comandamento: “L’uomo si metta alla prova” (1Cor XI, 28).

1647. La consuetudine della Chiesa mostra chiaramente che questa prova sia necessaria affinché nessuno che sia consapevole di un peccato mortale, per quanto si ritenga contrito, possa accostarsi alla santa Eucaristia senza una previa Confessione sacramentale. Questo santo Concilio ha decretato che ciò debba essere sempre osservato da tutti i Cristiani, anche dai Sacerdoti che sono tenuti per ufficio a celebrare, purché possano ricorrere a un confessore. Che se, per urgente necessità, un Sacerdote ha dovuto celebrare senza confessarsi, si confessi al più presto (cf. 2058).

Cap. 8. L’uso di questo mirabile sacramento.

1648. Per quanto riguarda l’uso, i nostri padri hanno giustamente e saggiamente distinto tre modi di ricevere questo santo Sacramento. Hanno insegnato che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente come peccatori. Altri lo ricevono solo spiritualmente: sono coloro che, mangiando per desiderio il pane celeste offerto loro con quella “fede” viva che “opera per mezzo dell’amore” (Gal V, 6), ne sentono il frutto e l’utilità. Infine, ci sono altri che lo ricevono sia sacramentalmente che spiritualmente (cf. 1658): sono coloro che si mettono alla prova e si preparano in modo tale da accostarsi a questa mensa divina dopo aver indossato la veste nuziale (Mt XXII,11-14). Nella ricezione dei Sacramenti, è sempre stata consuetudine della Chiesa di Dio che i laici ricevano la comunione dai Sacerdoti e che i Sacerdoti che celebrano ricevano essi stessi la comunione (cf. 1560); questa consuetudine, derivante dalla tradizione apostolica, deve essere giustamente e rettamente mantenuta..

1649. Infine, con affetto paterno, il Santo Concilio avverte, esorta, chiede e supplica, “per le viscere della misericordia di Dio” (Lc 1,78), tutti e ciascuno di coloro che portano il nome di Cristiano di riunirsi finalmente, formando un solo cuore, in questo “segno”, in questo “vincolo di carità”, in questo simbolo dell’accordo dei cuori; ricordando la grande maestà e l’ammirabile amore di nostro Signore Gesù Cristo, che ha dato la sua cara vita come prezzo della nostra salvezza, e il suo amore per noi (Gv VI, 48-58) affinché credano e venerino i santi misteri del suo Corpo e del suo Sangue con una fede così costante e salda, con un cuore così devoto, con una pietà e una riverenza tali da ricevere spesso questo pane supersostanziale (Mt VI,11). Che sia davvero la vita delle loro anime e la salute perpetua dei loro spiriti; che, forti del suo vigore 1Re 19,8 , possano completare il cammino del loro infelice pellegrinaggio ed entrare nella patria celeste, dove saranno nutriti senza alcun velo da questo pane degli angeli (Sal LXXII,25) che mangiano solo sotto i sacri veli.

1650. Poiché non basta dire la verità se non si rivelano e confutano gli errori, il santo Concilio decise di aggiungere i seguenti Canoni affinché tutti, una volta conosciuta la dottrina cattolica, comprendano anche quali eresie debbano essere scartate ed evitate.

Canoni sul Santo Sacramento dell’Eucaristia.

1651. (1) Se qualcuno dice che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia non siano contenuti realmente, veramente e sostanzialmente il Corpo ed il Sangue insieme all’anima ed alla divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e di conseguenza tutto il Cristo, ma dice che vi siano solo come in un segno o in una figura o virtualmente, sia anatema (cf. 1636; 1640).

1652. 2 Se qualcuno dice che nel santissimo Sacramento dell’Rucaristia la sostanza del pane e del vino rimanga con il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, e se nega questo mirabile e unico cambiamento di tutta la sostanza del pane nel suo Corpo e di tutta la sostanza del vino nel suo Sangue, mentre le specie del pane e del vino rimangono, cambiamento che la Chiesa cattolica chiama molto opportunamente transustanziazione, sia anatema (cf. 1642).

1653. 3 Se qualcuno nega che nel venerabile sacramento dell’eucaristia il Cristo intero è contenuto sotto ciascuna specie e sotto ciascuna delle parti di entrambe le specie dopo la loro separazione, sia anatema 1641.

1654. 4 Se qualcuno dice che il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo non siano nel mirabile Sacramento dell’Eucaristia dopo la consacrazione, ma solo quando vengano usati nel riceverli, né prima né dopo, e che il vero Corpo del Signore non rimanga nelle ostie o nelle porzioni consacrate che si conservano o rimangono dopo la comunione, sia anatema (cf.1639 s.).

1655. 5 Se qualcuno afferma che il frutto principale della Santissima Eucaristia sia la remissione dei peccati o che essa non produca altri effetti, sia anatema (cf. 1638).

1656. 6. Se qualcuno dice che nel santo Sacramento dell’Eucaristia, Cristo, l’unigenito Figlio di Dio, non debba essere adorato con un culto di latria, anche esteriore, e che, di conseguenza, non debba essere venerato con una particolare celebrazione festiva, né essere portato solennemente in processione secondo il lodevole ed universale rito o usanza della santa Chiesa, né essere offerto pubblicamente all’adorazione del popolo, essendo coloro che lo adorano idolatri: sia anatema (cf. 1643s.).

1657. 7 Se qualcuno dice che non sia lecito conservare la santa Eucaristia nel tabernacolo, ma che debba essere necessariamente distribuita ai presenti subito dopo la consacrazione, o che non sia lecito portarla con onore ai malati, sia anatema (cf. 1645).

1658. 8. Se qualcuno dice che il Cristo presentato nell’Eucaristia venganmangiato solo spiritualmente e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema (cf. 1648).

1659. 9. Se qualcuno nega che, una volta raggiunta l’età della discrezione, ogni Cristiano di entrambi i sessi sia tenuto a ricevere la Santa Comunione ogni anno almeno a Pasqua, secondo il comandamento della nostra santa madre Chiesa: sia anatema (cf. 812).

1660. 10. Se qualcuno dice che non sia lecito che il Sacerdote che celebra faccia egli stesso la Comunione, sia anatema (cf. 1648).

1661. 11. Se qualcuno dice che la sola fede sia una preparazione sufficiente per ricevere il Sacramento della santissima Eucaristia, sia anatema (cf. 1646). E affinché un così grande Sacramento non venga ricevuto indegnamente e quindi con morte e condanna, questo santo Concilio stabilisce e dichiara che coloro la cui coscienza sia gravata da peccato mortale, per quanto possano giudicarsi contriti, debbano necessariamente prima confessarsi sacramentalmente, se si può trovare un confessore. Se qualcuno avrà l’ardire di insegnare, predicare o affermare ostinatamente il contrario o addirittura di difenderlo nelle dispute pubbliche, sia per questo stesso fatto scomunicato (cf. 1647).

Sessione XIV, 25 novembre 1551

Dottrina sul Sacramento della penitenza.

1667. Il santo Concilio ecumenico e generale di Trento… parlò a lungo, in occasione del decreto sulla giustificazione (cf. 1542s; 1579), del Sacramento della Penitenza, che una certa necessità richiedeva a causa della relazione tra i soggetti. Tuttavia, la moltitudine di errori diversi riguardanti questo Sacramento è così grande che è difficile capire perché sia così importante …. [il Concilio] ha ritenuto di pubblica utilità dare una definizione più esatta e completa. In questo modo, una volta smascherati e respinti tutti gli errori, sotto la protezione dello Spirito Santo, la verità cattolica diventerà chiara ed inequivocabile. È questa verità che questo santo Concilio espone a tutti i Cristiani affinché la conservino sempre.

Capitolo 1: Necessità e istituzione del Sacramento della Penitenza.

1668. Se tutti i rigenerati fossero così grati a Dio da mantenere costantemente la giustizia ricevuta nel Battesimo dalla sua bontà e grazia, non ci sarebbe stato bisogno di istituire un Sacramento diverso da quello del Battesimo per la remissione dei peccati (cf. 1702). Ma poiché “Dio, ricco di misericordia” (Ef II,4), “sa di che pasta siamo fatti” (Sal CII,14), ha dato anche un rimedio che restituisca la vita a coloro che in seguito si sono abbandonati alla schiavitù del peccato ed al potere del diavolo: il sacramento della Penitenza (cf. 1701), con il quale la benedizione della morte di Cristo viene applicata a coloro che sono caduti dopo il Battesimo.

1669. Per tutti gli uomini che si sono macchiati di un qualsiasi peccato mortale, la Penitenza era certamente necessaria in ogni momento per ottenere la grazia e la giustizia, anche per coloro che avevano chiesto di essere lavati dal Sacramento del Battesimo, affinché, respinta ed emendata ogni perversità, detestassero una così grande offesa fatta a Dio, provando allo stesso tempo odio per il peccato ed un santo dolore nella loro anima. Così dice il Profeta: “Pentitevi e fate penitenza per tutte le vostre iniquità, e la vostra iniquità non sarà la vostra rovina” (Ezech XVIII, 30). Anche il Signore ha detto: “Se non fate penitenza, perirete tutti allo stesso modo” (Lc XIII,3). E il capo degli Apostoli, Pietro, nel raccomandare la penitenza ai peccatori che dovevano ricevere il Battesimo, disse: “Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato” (At II,38).

1670. Ma prima della venuta di Cristo, la penitenza non era un sacramento; e dopo la sua venuta, non è un sacramento per nessuno prima del battesimo. Il Signore istituì questo sacramento della penitenza quando, risorto dai morti, soffiò sui discepoli dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo e i peccati saranno rimessi a coloro ai quali li rimetterete e saranno trattenuti da coloro ai quali li tratterrete” (Gv X,22-23). I Padri hanno sempre unanimemente compreso (cf. 1703) che il potere di perdonare e trattenere i peccati, per riconciliare i fedeli decaduti dopo il Battesimo, è stato comunicato agli Apostoli e ai loro legittimi successori con un fatto così straordinario e con parole così chiare, e la Chiesa ha avuto ben ragione di respingere e condannare come eretici i Novaziani che, in passato, hanno ostinatamente negato il potere di perdonare i peccati. Perciò questo santo Concilio, approvando e facendo proprio questo autentico significato delle parole del Signore, condanna le false interpretazioni di coloro che falsamente deviano queste parole per applicarle al potere di predicare la Parola di Dio e il Vangelo di Cristo e per opporsi all’istituzione di questo sacramento.

Capitolo 2. Differenza tra il Sacramento della Penitenza e il Battesimo.

1672. Inoltre, si può notare che, sotto molti aspetti, questo Sacramento differisca dal Battesimo 1702. Infatti, a parte il fatto che la materia e la forma, che costituiscono l’essenza del zdacramento, siano molto diverse, è assolutamente chiaro che il ministro del Battesimo non debba essere un giudice, poiché la Chiesa non giudica nessuno che non sia entrato prima nella Chiesa attraverso la porta del Battesimo. “Infatti, che cosa ho da fare (dice l’Apostolo) per giudicare quelli che sono fuori? (1 Cor V,12). Lo stesso non vale per coloro che appartengono alla famiglia della fede, ,(Galati VI,10), che il Signore Cristo ha reso membra del suo Corpo una volta per tutte mediante il Battesimo (1 Corinzi XII,12-13). Infatti, era sua volontà che, se in seguito si fossero contaminati per qualche colpa, non venissero lavati con un Battesimo da ripetere, poiché ciò non è in alcun modo permesso nella Chiesa cattolica, ma che comparissero come colpevoli davanti a questo tribunale affinché, per sentenza dei Sacerdoti, fossero liberati, non una volta sola, ma ogni volta che, pentendosi dei peccati commessi, si rifugiassero in lui.

1672. Inoltre, il frutto del Battesimo è diverso da quello della Penitenza. In Ga III,27 diventiamo una nuova creatura in Lui, mentre otteniamo la piena e completa remissione di tutti i peccati. Non possiamo assolutamente raggiungere questa novità e integrità attraverso il Sacramento della Penitenza senza grandi lacrime e dolori da parte nostra, come richiede la giustizia divina. La Penitenza è stata quindi giustamente definita dai Padri “un Battesimo faticoso”. Questo Sacramento della Penitenza è necessario per la salvezza di coloro che sono caduti dopo il Battesimo, così come il Battesimo stesso lo è per coloro che non sono ancora stati rigenerati (cf. 1706).

Capitolo 3. Le parti e i frutti di questo Sacramento.

1673. Il santo Concilio insegna inoltre che la forma del Sacramento della Penitenza, in cui risiede principalmente la sua virtù, è posta in queste parole del ministro: “Ti assolvo, ecc.”, alle quali parole, secondo l’uso della santa Chiesa, si aggiungono lodevolmente alcune preghiere che, tuttavia, non riguardano in alcun modo l’essenza di questa forma e non sono necessarie per l’amministrazione di questo Sacramento. Gli atti del penitente stesso sono la quasi-materia di questo Sacramento di: contrizione, confessione e soddisfazione (cf. 1704). Nella misura in cui questi atti sono richiesti, perché di istituzione divina, nel penitente per l’integrità del sacramento, per una piena e perfetta remissione dei peccati, sono per questo detti parti della penitenza.

1674. Per quanto riguarda la virtù e l’efficacia del Sacramento, la riconciliazione con Dio è la sua realtà e il suo effetto; negli uomini pii che ricevono questo Sacramento con devozione, esso produce di solito pace e serenità ed una grande consolazione spirituale.

1675. Dicendo tutto questo sulle parti e sugli effetti di questo sacramento, il santo Concilio condanna allo stesso tempo le affermazioni di coloro che sostengono che i terrori che si impadroniscono della coscienza e della fede siano parti della penitenza (cf. 1704).

Capitolo 4 Contrizione.

1676. La Contrizione, che occupa il primo posto tra gli atti del penitente di cui si parla, è un dolore dell’anima ed una detestazione del peccato commesso, con il proposito di non peccare in futuro. Questo movimento di Contrizione è sempre stato necessario per ottenere il perdono dei peccati; in coloro che sono caduti dopo il Battesimo, prepara ancora alla remissione dei peccati se è unito alla fiducia nella misericordia divina e al desiderio di fare tutto il resto richiesto per ricevere questo Sacramento come si deve. Il Santo Concilio dichiara quindi che questa Contrizione comprende non solo l’abbandono del peccato, il proponimento e l’inizio di una nuova vita, ma anche l’odio della vecchia vita, secondo queste parole: “Gettate via da voi tutte le iniquità con cui avete prevaricato, e fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo” (Ezechiele 18,31). E certamente chiunque abbia considerato queste grida dei santi: “Contro te solo ho peccato e in tua presenza ho fatto il male” (Sal 50,6); “Ho faticato con gemiti, ogni notte bagno il mio letto” (Sal VI,7); “Ricorderò per te tutti i miei anni nell’amarezza dell’anima mia” (Is XXXVIII 15), e altre del genere, capirà facilmente che provenivano da un odio violento della vita passata e da una detestazione molto grande dei peccati.

1677. Il Santo Concilio insegna inoltre che, anche se talvolta accade che questa Contrizione sia resa perfetta dalla carità e riconcili l’uomo con Dio prima che questo Sacramento sia effettivamente ricevuto, questa riconciliazione non debba tuttavia essere attribuita a questa sola Contrizione senza il desiderio del Sacramento, desiderio che è incluso in essa.

1678. La contrizione imperfetta 1705, che si chiama Attrizione, perché generalmente è concepita o dalla considerazione della bruttezza del peccato o dalla paura dell’inferno e della pena, se esclude la volontà di peccare unita alla speranza del perdono, il Santo Concilio dichiara che non solo non rende l’uomo un ipocrita e un peccatore più grande (cf. 1456), ma che sia anche un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo che, non abitando ancora nel penitente, ma solo muovendolo, gli viene in aiuto, affinché prepari per sé il cammino verso la giustizia. E sebbene senza il Sacramento della Penitenza non possa di per sé condurre il peccatore alla giustificazione, tuttavia lo dispone ad ottenere la grazia di Dio nel Sacramento della Penitenza. Fu molto utilmente colpito da questo timore il popolo di Ninive che fece una penitenza completa alla terrificante predicazione di Giona e ottenne misericordia dal Signore (Gion 3). Per questo motivo gli scrittori cattolici vengono falsamente calunniati, come se avessero insegnato che il Sacramento della Penitenza conferisca la grazia senza alcun buon movimento da parte di chi lo riceve; la Chiesa di Dio non ha mai insegnato né pensato questo. Ma falsa è la dottrina che insegna che la contrizione sia estorta e forzata, e non libera e volontaria (cf. 1705).

Capitolo 5. La confessione.

1679. Dall’istituzione del Sacramento della Penitenza, che è già stata spiegata, la Chiesa universale ha sempre inteso che anche la piena confessione dei peccati era stata istituita dal Signore (Gc 5,16 1Gv 1,9 Lc 5,14) e che era per diritto divino necessaria per tutti coloro che cadevano dopo il Battesimo (cf. 1707). Mentre stava per salire dalla terra al cielo, nostro Signore Gesù Cristo lasciò ai Sacerdoti il compito di sostituirlo (Mt 16,19 Mt 18,18 Gv 20,23) come presidenti e giudici a cui riferire tutte le colpe mortali in cui sarebbero caduti i Cristiani, affinché, in virtù del potere delle chiavi, pronunciassero la sentenza che rimetteva o tratteneva i peccati. È ovvio, infatti, che i Sacerdoti non potrebbero esercitare questo giudizio se la causa non fosse a loro nota, e che non potrebbero agire equamente nell’ingiunzione delle pene se i penitenti dichiarassero i loro peccati in modo generico e non piuttosto specificandoli e precisandoli.

1680. Da ciò deriva che i penitenti debbano elencare in confessione tutti i peccati mortali di cui sono a conoscenza dopo un serio esame di se stessi, anche se questi peccati siano molto nascosti e commessi solo contro gli ultimi due comandamenti del Decalogo (Es 20,17 Dt 5,21 Mt 5,28): a volte questi feriscono l’anima più gravemente e sono più pericolosi di quelli commessi in piena vista degli altri. Quanto ai peccati veniali, che non ci escludono dalla grazia di Dio e nei quali cadiamo abbastanza frequentemente, sebbene sia giusto, utile e per nulla presuntuoso dirli nella Confessione (cf. 1707), come dimostra la pratica degli uomini pii, tuttavia possono essere taciuti senza colpa ed essere espiati con molti altri rimedi. Ma poiché tutti gli altri peccati mortali, anche se commessi con il pensiero, rendono gli uomini “figli dell’ira” (Ef 2,4) e nemici di Dio, è indispensabile chiedere perdono a Dio con una Confessione franca e sincera. Per questo, sforzandosi di confessare tutti i peccati che vengono in mente, i Cristiani li offrono tutti, senza alcun dubbio, al perdono della misericordia di Dio (cf. 1707). Chi faccia diversamente, e ne nasconda consapevolmente alcuni, non offre nulla alla bontà divina che possa essere perdonato attraverso l’intermediazione del Sacerdote. “Infatti, se il malato arrossisce di scoprire al medico una ferita di cui questi ignora l’esistenza, la medicina non guarirà”.

1681. Ne consegue, inoltre, che anche le circostanze che cambiano il tipo di peccato (cf. 1707) devono essere spiegate nella confessione, perché senza di esse questi peccati non sono pienamente esposti dai penitenti né conosciuti dai giudici; non è possibile che questi ultimi siano in grado di giudicare la gravità delle colpe e di imporre ai penitenti la punizione necessaria per queste colpe. È quindi senza motivo che si insegni che queste circostanze siano state inventate da uomini oziosi o che si debba confessare solo una circostanza, per esempio che si è peccato contro il proprio fratello.

1682. È inoltre empio dire che la Confessione che si prescrive di fare in questo modo sia una cosa impossibile (cf. 1708) o chiamarla una tortura delle coscienze; è evidente infatti che nella Chiesa non si richieda altro ai penitenti che, dopo aver esaminato seriamente se stessi e dopo aver esplorato i recessi e gli angoli segreti della coscienza, confessare i peccati con i quali si ricordino di aver offeso mortalmente il loro Signore ed il loro Dio. Quanto agli altri peccati che non si presentino alla mente di chiunque rifletta seriamente, s’intende che sisno inclusi nell’insieme di questa confessione; per essi diciamo con fede le parole del profeta: “Signore, purificami dai miei peccati nascosti”. La difficoltà di una tale Confessione e la vergogna di dover scoprire i propri peccati potrebbero sembrare gravose se non fossero alleggerite dal numero e dall’importanza dei vantaggi e delle consolazioni che l’assoluzione porta certamente a tutti coloro che si accostano degnamente a questo Sacramento.

1683. D’altra parte, per quanto riguarda la modalità della Confessione segreta al solo Sacerdote, senza dubbio Cristo non ha proibito la confessione pubblica delle proprie colpe come punizione delle proprie colpe e come atto di umiltà personale, sia per dare l’esempio agli altri sia per edificare la Chiesa offesa. Tuttavia, questo precetto non deriva da un comandamento divino, e non sarebbe saggio che una legge umana comandasse di rivelare le proprie colpe, specialmente quelle segrete, con una confessione pubblica. (cf. 1706). Pertanto, poiché i santissimi e antichissimi Padri, con un consenso generale ed unanime, hanno sempre raccomandato la Confessione sacramentale segreta, che la santa Chiesa ha usato fin dall’inizio ed usa tuttora, la vana calunnia di coloro che non confessano i loro peccati è manifestamente smentita, come aliena dal divino comandamento, ed invenzione umana e che è iniziata con i Padri riuniti nel (quarto) Concilio Lateranense (cf. 1708). Infatti, nel Concilio Lateranense, la Chiesa non stabilì che i Cristiani dovessero confessarsi – aveva capito che ciò fosse necessario e istituito per diritto divino – ma che il precetto della Confessione dovesse essere adempiuto almeno una volta all’anno da tutti e ciascuno di coloro che avevano raggiunto l’età della ragione. Da ciò deriva che, nella Chiesa universale e con grande frutto per le anime, si osserva questa salutare consuetudine di confessarsi nel santo e propiziatissimo periodo della Quaresima, consuetudine che questo santo Concilio approva e abbraccia grandemente come pia e giusta da conservare (cf. 1708; 812).

Capitolo 6. Il ministro di questo sacramento e l’assoluzione.

1684. A proposito del ministro di questo Sacramento, il santo Concilio dichiara che sono false e del tutto estranee alla verità del Vangelo tutte le dottrine che estendono in modo pernicioso il ministero delle chiavi a ogni tipo di uomo, oltre ai Vescovi e ai Sacerdoti (cf. 1710). I loro autori pensano che queste parole del Signore: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo, tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” (Mt 18,18) e : “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti”, (Gv XX,23), siano state dette a tutti i cristiani indifferentemente e indistintamente, in contraddizione con l’istituzione del Sacramento, in modo che chiunque abbia il potere di rimettere i peccati, quelli pubblici con la correzione, con il consenso di colui che viene corretto, quelli segreti con una confessione spontanea fatta a chiunque. Il Santo Concilio insegna inoltre che anche i Sacerdoti in stato di peccato mortale esercitino, come ministri di Cristo, la funzione di rimettere i peccati in virtù dello Spirito Santo che hanno ricevuto con l’ordinazione, e che è un’opinione errata sostenere che questo potere non esista nei sacerdoti cattivi.

1685. Sebbene l’assoluzione del Sacerdote sia la dispensazione di un beneficio che non gli appartiene, tuttavia non è il solo e semplice ministero di annunciare il Vangelo o di dichiarare che i peccati siano perdonati, ma è come un atto giudiziario in cui una sentenza sia pronunciata dal Sacerdote come da un giudice (cf. 1709). Per questo il penitente non deve fare tanto affidamento sulla propria fede da pensare che, anche se non c’è contrizione in lui o se il Sacerdote non intenda agire seriamente e assolverlo davvero, egli sia comunque veramente assolto davanti a Dio grazie alla sua sola fede. Infatti, la fede non procurerebbe la remissione dei peccati senza la Penitenza, e sarebbe molto negligente per la sua salvezza chi sapesse che un Sacerdote lo abbia assolto per scherzo e non cercasse con cura un altro che agisse seriamente (cf. 1462).

Capitolo 7. Riserva di cause

1686. Pertanto, poiché la natura e la costituzione di un giudizio richiedono che la sentenza sia portata avanti nei soggetti, si è sempre ritenuto nella Chiesa di Dio – e questo Concilio conferma che ciò sia verissimo – che l’assoluzione pronunciata da un Sacerdote su qualcuno su cui non abbia giurisdizione ordinaria o delegata, non debba avere alcun valore.

1687. Ma un punto è sembrato ai nostri santissimi Padri di particolare interesse per la disciplina del popolo cristiano: alcuni peccati, del tipo più atroce e grave, non possono essere assolti da nessun Sacerdote, ma solo da quelli di grado più elevato. È quindi a buon diritto che i Sommi Pontefici, in virtù del potere supremo loro conferito nella Chiesa universale, hanno potuto riservare al loro particolare giudizio alcuni reati più gravi. E non dobbiamo dubitare, dal momento che tutto ciò che venga da Dio è disposto per ordine (Rm XIII,1), che ciò sia permesso a ciascun Vescovo nella propria diocesi, “per l’edificazione, non per la distruzione” (2Cor X,8; 2Cor XIII,10) in virtù dell’autorità conferita loro sui sudditi e che supera quella degli altri Sacerdoti inferiori, soprattutto per le colpe a cui è legata la censura della scomunica. È in pieno accordo con l’Autorità divina che questa riserva di colpe abbia valore non solo nella disciplina esterna, ma anche davanti a Dio (cf. 1711).

1688. Tuttavia, affinché nessuno si perda per questo motivo, nella Chiesa di Dio si è sempre sostenuto con grande devozione che non c’è più alcuna riserva nell’ora della morte e che, di conseguenza, tutti i Sacerdoti possano assolvere tutti i penitenti da tutti i possibili peccati e censure. Al di fuori dell’articolo di morte, i Sacerdoti, non potendo fare nulla nei casi riservati, si sforzeranno solo di persuadere i penitenti a ricorrere a giudici superiori e legittimi per beneficiare dell’assoluzione.

Capitolo 8. Necessità e frutto della soddisfazione.

1689. Infine, a proposito della Soddisfazione: di tutte le parti della Penitenza, per quanto sia stata da sempre raccomandata al popolo cristiano dai nostri Padri, tanto ai nostri tempi è estremamente attaccata, essenzialmente sotto la copertura della pietà, da coloro che hanno l’apparenza della pietà, ma negano quella che è la sua forza 2Tm III, 5). Il Santo Concilio dichiara quindi chesia totalmente falso e contrario alla Parola di Dio affermare che il Signore non perdoni mai una colpa senza perdonare benevolmente anche l’intera pena. Ci sono infatti esempi chiari e noti nella Sacra Scrittura che, al di là della tradizione divina, confutano molto chiaramente questo errore (cfr. Gen III,16-19; Num XII,14 Num XX,11 2 Sam XII,13-14).

1690. Certamente il carattere della giustizia divina sembra richiedere che coloro che abbiano peccato per ignoranza prima del Battesimo entrino in grazia in modo diverso da coloro che, una volta liberati dalla schiavitù del peccato e del diavolo, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, non hanno avuto paura di violare consapevolmente il Tempio di Dio (1Co III,17) e di contraddire lo Spirito Santo (Ep IV, 30). È opportuno che la clemenza divina non ci perdoni i nostri peccati senza alcuna soddisfazione, in modo che, cogliendo l’occasione e considerando i nostri peccati abbastanza leggeri, cadiamo in quelli più gravi, offendendo e insultando lo Spirito Santo (Eb X,29), e accumulando tesori d’ira contro di noi per il giorno dell’ira (Rm II,5 Gc V,3). Non c’è dubbio, infatti, che queste punizioni espiatorie siano un grande deterrente dal peccato, agiscano da freno e rendano i penitenti più prudenti e vigili per il futuro; sono anche un rimedio per i postumi del peccato e rimuovono le abitudini viziose acquisite con una vita cattiva, facendo compiere azioni virtuose opposte a queste abitudini. E nessun modo è mai stato considerato più sicuro nella Chiesa di Dio per scongiurare il castigo minacciato dal Signore (Mt III,2 Mt III,8 Mt IV,17 Mt XI,21) che dedicarsi assiduamente a queste opere di penitenza con vero dolore del cuore. Inoltre, soffrendo quando siamo soddisfatti per i nostri peccati, diventiamo conformi a Cristo Gesù che ha soddisfatto per i nostri peccati (Rm V,10 Gv II,1-2) da cui proviene la nostra capacità (2Co III,5), avendo anche la certezza che se soffriamo con Lui, con Lui saremo glorificati (Rm VIII,17)

1691. Ma questa Soddisfazione, che paghiamo per i nostri peccati, non è nostra in modo tale che non avvrnga per mezzo di Gesù Cristo; perché noi, che da soli non possiamo fare nulla di ciò che viene da noi, con l’aiuto di Colui che ci fortifica possiamo fare ogni cosa (Ph 4,13). Così l’uomo non ha nulla di cui gloriarsi, ma tutta la nostra gloria è in Cristo (1Co I,31 2Co X,17 Ga VI,14) nel quale viviamo (Act XVII,28), nel quale meritiamo, nel quale soddisfiamo, rendendo degni i frutti della penitenza (Lc III,8 Mt III,8) che traggono la loro forza da Lui, sono offerti da Lui al Padre e sono accettati grazie a LLui dal Padre (cf. 1713ss.)

1692. I Sacerdoti del Signore devono quindi, per quanto lo Spirito e la prudenza suggeriranno, imporre le soddisfazioni salutari che sono appropriate, in relazione alla natura dei peccati ed alle possibilità dei penitenti. Se chiudessero gli occhi sui peccati e si mostrassero troppo indulgenti con i penitenti, imponendo opere molto leggere per colpe molto gravi, parteciperebbero ai peccati degli altri (1Tm V,22). Si ricordino che la soddisfazione che impongono non ha solo lo scopo di salvaguardare la vita nuova e di guarire la debolezza, ma anche di vendicare e punire i peccati del passato. Infatti, anche gli antichi Padri credevano ed insegnavano che il potere delle chiavi era dato ai Sacerdoti non solo per sciogliere, ma anche per legare (Mt 16,19 Mt 18,18 Gv 20,23) (cf. 1705). E non hanno ritenuto, per questo, che il Sacramento della Penitenza fosse un tribunale di ira e di dolori – cosa che nessun Cattolico ha mai pensato – né che, con tali soddisfazioni da parte nostra, la forza del merito di nostro Signore Gesù Cristo fosse oscurata o diminuita in parte. Non volendo capire questo, gli innovatori insegnano in modo tale che la migliore penitenza è una nuova vita (cf. 1457), che sopprimono ogni forza propria della soddisfazione e ogni ricorso ad essa (cf. 1713).

Capitolo 9. Opere di soddisfazione.

1693. Il Concilio insegna anche che la munificenza divina è così estesa che non solo le pene che ci infliggiamo spontaneamente come punizione per il peccato o che sono imposte dalla volontà di Dio, ma anche le pene che ci infliggiamo come punizione per il peccato e che sono imposte dalla volontà di Dio. secondo la misura della colpa, ma anche (che è il più grande segno di amore) che le prove temporali inflitte da Dio e da noi sopportate con pazienza, possano soddisfare presso Dio Padre per mezzo di Cristo Gesù (cf. 1713).

TUTTI IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (25): Concilio di Trento Sess. XIX-XXIII.