LO SCUDO DELLA FEDE (258)

LO SCUDO DELLA FEDE (258)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (1)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

PREFAZIONE

In ogni tempo v’ebbe peccati e peccatori, ed il dire il contrario è solenne follia, smentita da tutte le storie e dalla esperienza di tutti i secoli. Se vi ha qualche cosa di singolare nell’età nostra, è il non volersi riconoscere siccome male e peccato quello che é veraamente male e peccato: tantochè dove una volta chi aveva commessa la colpa, almeno si riconosceva per peccatore; ai di nostri chi si contamina con essa, fa come la donna descritta dallo Spirito Santo, la quale tergendosi il volto dice: non ho fatto nulla di male: Tergens os sicut dicit, non sum operata malum. Che anzi, per iscusare meglio la colpa, si mettono in campo assiomi, massime, principii più rei ancora che non gli stessi atti che si vogliono difendere. A darne un qualche saggio al lettore, ecco quel che interviene frequentemente. Poniamo per esempio che alcuno vinto alla noia, alla tepidezza trascuri o in tutto o in parte le pratiche del divin culto, egli non si tiene già come una volta per negligente e per trascurato, ma per iscusare e difendere la sua accidia e la sua trascuratezza, ricorrerà a principii fallaci, quali sono, che Dio non cura di siffatte pratiche, che non sono necessarie, che a Dio basta il cuore e somiglianti. Allo stesso modo nel passato, quando un Cristiano aveva la sventura di cedere alla corruzione del suo cuore, almeno ne provava qualche rimorso, ed in faccia alla propria coscienza si riconosceva per quel dissoluto che pure era. Ora non più così; ancora egli va mendicando ragioni, ancor egli stabilisce principii, in virtù dei quali si dichiara innocente, ed afferma che non è un male seguitare gl’impulsi della natura, e che tutti fanno così, e che non si può fare a meno, ed andate dicendo. Quel che io osservo di questi due casi particolari, voi stendetelo ad una moltitudine sterminata di prevaricazioni, per ognuna delle quali si sono trovati detti, sentenze, principii appropriatissimi a scusarle, a levarne l’orrore, a giustificarle ancor pienamente. Ad accrescere poi il numero di questi principii iniqui, due cause concorrono con grande efficacia: le passioni da una parte ed il protestantesimo dall’altra. Le passioni in questi ultimi anni si sono sfrenate in modo singolare alle aure della libertà che spirano gagliardamente, e così domandano uno sfogo. Per abbandonarsi a questo impunemente, bisogna svellersi dal cuore ogni rimorso ed attutire la coscienza. Or come ottenere ciò? Coll’aiuto degli assiomi e dei nuovi principii che s’inventano e si proclamano, col chiamare cioè bene il male e male il bene; e dove non si può mutare la intrinseca perversità delle azioni che si vogliono commettere, illudersi almeno, cambiando loro il nome. – L’ altra cagione non meno efficace è il protestantismo, il quale, sebbene non dimori fra noi abitatore pacifico, pure si tratta da passeggiero e da ospite. Corrono le nostre contrade e libri e trattati e romanzi, i quali sono infetti di spirito protestantico, e le massime che in essi si contengono proclamate, ripetute ogni giorno, si fanno largo a mano a mano nello spirito di molti incauti. Come il respirare continuo un’aria malsana e corrotta guasta la sanità meglio temperata, così l’intendere ogni giorno principii e massime erronee vizia a lungo andare anche i più sani intelletti. Così, a cagione d’esempio, sono protestantici affatto quei detti che corrono per tante bocche, che ogni religione è buona, che un valentuomo non cambia di religione, che a Dio basta il cuore, che basta far bene, che la Confessione è un’invenzione dei preti, che non sono necessarli tanti riti e tante pratiche esteriori. Sentono di protestantismo ed il riprendere la magnificenza dei sacri templi, e l’avversione al clero vuoi secolare vuoi regolare, ed il non far caso delle preghiere fatte in comune, e soprattutto quel malignare sempiterno intorno ai Papi ed ai sacri Pastori. Sono di spirito protestantico tutte quelle libertà che si proclamano ai di nostri di pesare, di parlare, di credere, di operare. Da che ognuno vede quato vasta materia il protestantismo abbracci, e qanto vasta sorgente sia di massime pernisiosissime. Nè la vastità del danno, che lo spirito protestantico arreca, è sola a compiangersi, poichè profondissime sono poi le ferite che esso fa. Imperocchè dove esso entra coi suoi principii, scuote sino dalle radici i punti vitali delle nostre credenze, quali sono il Primato di S. Pietro, l’autorità della Chiesa, la verità dei Sacramenti, la santità del Sacrifizio, l’invocazione dei Santi e simile. Distrugge ogni esercizio di religione, perchè questo non può aver luogo dove non è profonda la persuasione della verità di essa e della necessità di ridurla in atto, conduce i fedeli ad essere Cattolici poco più che di nome, mentre la loro vita è vita al tutto di eterodosso. – E tuttavolta senza fare piagnistei e treni di Geremia inutilmente, chiunque conosca alcun poco la società attuale, sa fino a qual punto tutto ciò si verifichi in essa. Abbiamo famiglie intiere, le quali si stimerebbero insultate se si recasse in dubbio la loro fede, le quali hanno in capo massime sì strane e principii così tutto protestantici, che non potrebbero più se fossero state allevate in mezzo a Londra o Berlino. Molti giovani cresciuti nelle moderne università tolgono a difendere nelle conversazioni e nei crocchi le teorie più contrarie al Cattolicismo che mai abbiano insegnato i regalisti, i dottrinarii, i volteriani. Perfino delle fanciulle, non al tutto perverse, si fanno sentire con certe proposizioni che mettono orrore: e tanto le hanno sentite a ripetere, tanto a sostenere, che non sospettano neppure che esse siano quelle perversità che pur sono. – Che se perfino quelli che si chiamano buoni ed anche sono, posta la buona fede con che parlano ed operano, sono rimasti infetti da tante massime perverse, può fare ognuno ragione di quelli, i quali non la guardano così per sottile in fatto d’anima e di religione. Qual sia la perversità di costoro è impossibile a descriversi. Altri di loro professano a sangue freddon il volterianismo più sfacciato, altri vi encomiano come la migliore di tutte le religioni quella negazione di ogni religione che è il protestantismo. Chi vi spaccia apertamente il socialismo, chi il comunismo, e perfino le sozzure di Fourier e di Saint Simon trovano lodatori e seguaci. Le quali cose tutte considerando io da qualche tempo e deplorandole con tutto il cuore, investigava meco medesimo, se non si dovesse trovare qualche riparo a tanta inondazione di mali. Chi sa, diceva io tra me, che se non quelli che errano a ragion veduta, almeno quelli che errano perché ingannati, non dovessero ritirarsi dall’errore, dove alcuno caritatevolmente ne li avvisasse? Chi sa che essi all’intendere che quelle massime che ripetono bonamente, imprudentemente, sono massime perverse, contrarie alla purezza della cattolica fede, non dovessero prenderne orrore e ripudiarle? Per certo da molti si può sperare un simil frutto, posta la bontà della loro vita e l’amore che ancor portano alla verità. Or se è sperabile un tanto bene, perchè non tentarlo? Sopra queste considerazioni, mi cadde in pensiero di tessere come un catalogo degli errori precipui che vanno attorno in materia di religione, e disposto con qualche ordine metterlo sott’occhio: affinchè come i marinai riscontrano nelle carte marittime gli scogli e i renai che debbono sfuggire; così essi ravvisasero in queste carte i principii e le massime, contro i quali la fede o la coscienza potrebbero far naufragio. – Solo dubitai un momento se fosse a farsi di ognuno di quegli nerrori una piena ro confutazieme, oppor se dovesse bastare l’accenno che non era cattolico quel modo di sentire. Questa seconda via era più piana e spedita, ma lasciava forse desiderare ai lettori ragionevoli qualche cosa. Conciossiachè anche i Cattolici, per quanto siano disposti a sottomettersi nelle cose di fede all’Autorità della Chiesa, pure trovano un conforto all’intendere quelle ragioni che mostrano l’assennatezza e la prudenza della loro madre nel comandare. L’altra via era certamente più larga e più perfetta, ma richiedeva talvolta disquisizioni lunghe e sottili, che facilmente s’intendono da tutti. Il perchè mi sono finalmente risoluto a tenere una via di mezzo, per cui nè facessi sopra ogni materia un trattato, nè lasciassi al tutto indietro qualche buona e salda ragione che dimostrasse la falsità del principio che io toglieva a condannare. – Soprattutto però ho trascelte quelle ragioni che mi parveronpiù popolari. Imperocchè, senza dir nulla che le ragioni più popolarinsono spesso le più efficaci, che cosa gioverebbe il perdersi in ragionamenti sottili, se questi poi non fossero intesi? Le persone dotte non perdono nulla, se sono semplici i ragionamenti che loro si fanno; perderebbe tutto il popolo, se fossero sottili. E perciò niuno vorrà far le maraviglie se più di una volta vedrà messe in disparte ragioni saldissime, che si trovano allegate presso i sacri Dottori e che al tutto avrebbero vinta la causa, ed invece ne troverà addotte altre, di cui non tutti fan uso. La ragione è che disperai talora di rendere popolari le prime, e sperai invece che meglio potessero afferrarsi dal popolo le seconde. – Eccoti, o lettore, tutto il mio divisamento. Non è dunque un trattato quello che ti presento, il quale provi a fondo le verità di cui ragiono: sono risposte, le quali sciolgono le difficoltà popolari contro quelle verità che io suppongo già provate, già stabilite. Se piacerà a sua Divina Maestà il concedermene il tempo e le forze, ti presenterò forse più tardi anche la dimostrazione di quelle verità in un’opera di maggior mole, a cui ho posto mano da qualche tempo: per lo scopo presente confido che quello che ne ho accennato, possa bastare. Inoltre, o lettore, ti avviso che troverai in questa quarta edizione, oltre a molte correzioni, ancora l’aggiunta di alcuni capi. Come nella seconda edizione alle difficoltà che impediscono il credere, ho fatto seguire quelle che impediscono il ben operare, così in questa, oltre l’aver ordinate in alcuni capi le cose dette qua e là intorno al Dominio temporale del Sommo Pontefice, ho pur tolto ad esame i celebri principii del non intervento, delle nazionalità, dei fatti compiuti, ecc. che da qualche tempo in qua fanno tanto rumore. Di che confido che questo qualunque lavoro, rispondendo sempre più alle attuali necessità, debba riuscirne meno imperfetto. – Faccia or Iddio, per la cui gloria solo ho impresa questa tenue fatica, che ella riesca veramente di qualche vantaggio ai lettori, sia con lo scoprire loro quelle falsità da cui avessero l’animo ottenebrato, sia col far balenare limpida al loro sguardo qualche verità che non conoscessero: ma ciò unicamente io lo spero da chi solo può dare a tutti i buoni desiderii il compimento.

CAPO I.

PROVVIDENZA DI DIO

I. Come è provvido Iddio se vediamo alcuni ricchi, ed altri poveri? II. I buoni giacciono oppressi, gli empii sono prosperati.

La Religione cristiana si travaglia principalmente nella grand’opera di dare agli uomini una conoscenza meno imperfetta della divinità: poiché essendo questa il fondamento del retto sentire, è ancora il sostegno del vivere ed operare. In ciò fare incede con gran franchezza e sicurtà, poichè essendosi degnato il Figliuolo di Dio di parlarci di propria bocca e di propria bocca ammaestrarci, or basta porgergli orecchio per giungere intallibibaente alla verità. La miscredenza invece fa tutto l’opposto: si adopera ad oscurare prima d’ogni altra cosa in noi il concetto di Dio, denigrando la sua Provvidenza, infamando la sua giustizia e falsando il concetto della sua bontà, e così ci toglie subito l’oggetto di tutta la nostra religione; togliendoci lo stesso Dio; perocchè non è Dio un Essere che non è provvido, non è giusto, non è buono infinitamente. – Quello che però offende principalmente intorno alla provvidenza divina, è la distribuzione sì differente che si vede nel mondo dei beni terreni. Come è provvido Iddio, domandano alcuni, se noi vediamo alcuni deliziare in ogni agiatezza, ed altri stentare miseramente il tozzo di pane che li tiene in vita? Inoltre, come ha cura di noi se vediamo certi scellerati, che fanno d’ogni erba un fascio, prosperare ogni giorno più, laddove altri, che temono il Signore, stan sempre in fondo? E di ciò si scandalizzano, ne mormorano e non sanno darsene pace. Ora per rispondere ai primi, osservate.

I. Essi si lagnano, che mentre abbondano alcuni, stentino gli altri; ma se Dio nell’ordinare il mondo avesse voluto che tutti gli uomini fossero stati scarsi di beni temporali, appunto come quelli che stentano, non avrebbe potuto far questa legge? Certamente Egli era il padrone di tutti, e se avesse voluto per loro prova, per esercizio della loro fedeltà e per condizione necessaria all’ingresso del Paradiso esigere quelle sofferenze, l’avrebbe potuto senza ingiustizia. Ora che torto fa Egli a coloro dai quali lo pretende, come sono i poveri? Forse perchè non tiene questa condotta con alcuni, quali sono i ricchi, farà torto agli altri coi quali non la tiene? Ma Gesù Cristo ha già risposto a questa difficoltà. Un ricco signore, disse egli nel suo Vangelo, mandò, diversi lavoratori nella sua vigna ad ore diverse, alcuni sul far del mattino, altri presso al mezzogiorno, ed altri quasi in sulla ultima ora del lavoro. Alla sera poi volle dare a questi ultimi la stessa paga che aveva data ai primi. Questi mormoravano, perchè avendo sopportato il caldo e la fatica di tutto il giorno venissero pareggiati a quelli che avevano lavorato tanto meno di loro: ma il padrone li fece ammutolire dicendo: E che torto fo io a voi, quando vi do quello che abbiamo pattuito, se voglio dare anche agli altri la stessa mercede? Forse perchè io son buono, voi mi vorrete male, e mi porterete invidia perchè io son benefico? Il simile può dirsi a quelli che si lamentano delle ricchezze altrui. Iddio aveva diritto di lasciare tutti nella povertà, perchè questa servisse loro di prova, di esercizio di virtù; che torto fa a voi se ha voluto esentare alcuni? Del resto è poi per benefizio comune che ha voluti gli uni poveri e gli altri ricchi. Imperocchè, senza questa varietà, il mondo, la società non potrebbe andare innanzi. Nel corpo umano l’uffizio degli occhi, del capo, è più nobile che quello delle mani e dei piedi; tuttavia questo non è meno necessario di quello, perocchè tutte le membra sono ugualmente richieste alla perfezione dell’uomo. Ora lo stesso avviene nella società: i poveri non sono meno necessari dei ricchi, sebbene gli uffizii degli uni e degli altri siano differenti. Nella società ci vogliono di quelli che comandino, che studiino, che esercitino le discipline più difficili, più ardue, che promuovano il pubblico bene. Tutto ciò non può farsi senza il tempo necessario e talvolta lunghissimo di studii, e quindinsenza le opportune comodità: bisogna dunque che sieno costoro abbastanza agiati di beni di fortuna. Ma nella società bisogna ancora esercitare le arti servili, coltivare la terra, difender colle armi il proprio paese, lavorare, tessere, esercitare tutte le professioni che servono al quotidiano sostentamento: ora chi scenderebbe a fornire tutte queste parti, che, sebbene meno nobili, sono ancora più necessarie delle anzidette? Niuno per certo, se non vi fosse condotto dalla necessità. Fu dunque grandissima provvidenza di Dio, che molti vi fossero applicati dalla scarsezza del vivere, dalla famiglia, dalla nascita, in una parola, dal bisogno in cui si trovano di vivere. Il perchè non solo non è mancamento di provvidenza che gli uni abbondino e gli altri scarseggino, ma sarebbe mancamento di provvidenza se così non fosse. Un costruttore di organi forma tutte le canne di diversa lunghezza e larghezza. Ora fingete che un uomo rozzo, il quale vedesse quel lavoro, prendesse a riprendere l’artefice perchè non le ha fatte tutte uguali, che ha perduta così la simmetria, che cosa gli si avrebbe a rispondere? Che non sa quel che si dice, nè quel che biasima. Dove le canne dell’organo fossero tutte di una dimensione non sarebbe più possibile l’armonia. Ora lo stesso vuol dirsi di chi riprende la varietà degli stati nel mondo. Tolta che fosse questa, perirebbe con lei tutto il conserto armonico della società. Senzaclhè a molti che si lagnano della povertà e di molte altre miserie che si giacciono, si potrebbe dare mia ben altra risposta. Siate ora nelle angustie, nella povertà, nelle afflizioni sì, ma perchè ve le siete cercate? Iddio non è obbligato a far miracoli ad ogni momento al servizio vostro. Ci ha dato il lume della ragione, ci ha dato la guida dei superiori, ci ha fatta risplendere la gran fiaccola della fede, ed ora vuole che noi camminiamo a questo splendore. Ora perché non l’avete fatto? – Vi ha spesse volte dei giovani rimasti a mezzo la carriera dei loro studii, inutili a sè ed agli altri, senza sapere dove dare del capo per vivere onoratamente, i quali bestemmiano la Provvidenza divina; ma di chi è la colpa se sono in quella infelicissima condizione? Perchè non hanno studiato quando era tempo, perchè non hanno voluto mai saper di altro che di spassi e divertimenti? Perchè non hanno dato retta ai genitori, ai maestri, alla coscienza, alla voce della Religione, che ne li rimproverava? Incolpino la propria trascuratezza, la propria malvagità, che ne hanno bene il motivo. Così vi ha delle donne cariche di figliuoli, con un marito bestiale al fianco che dà loro più percosse che bocconi di pane, le quali ora bestemmiano la provvidenza; ma perchè non si ricordano più che da fanciulle erano state avvertite, che quell’uomo non faceva per loro? Perchè non hanno dato retta ai genitori e persino agli amici di casa che ne le sconsigliavano? Perchè andavano sulle furie allora e gridavano che volevano fare a loro modo, e che, come sel toglievano, così se lo sarebbero sopportato? Non incolpino dunque la Provvidenza, ma pur sè stesse. Dite lo stesso di tanti bottegai, di tanti artieri, di tanti servi, che sul lastrico della via pubblica dove ora sono, si sfrenano in bestemmie, quasi lor manchi la Provvidenza. Questi avrebbero a rammentare che invece di attendere al lavoro, alla bottega, al servizio, correvano tutto il giorno le osterie, i caffè, le compagnie degli amici e delle amiche, che frodavano sul peso e sulla misura, che erano scioperati ed oziosi, onde a poco a poco perdettero ogni credito: che, venuti per loro colpa in mala riputazione, più niuno si fidava di loro, e così si ridussero a povertà. Dite lo stesso di certi un tempo signori ed or ridotti alla miseria; che colpa ne ha la Provvidenza, se hanno voluto sfoggiare in lusso più di quello che portavano le loro entrate, se hanno imbandite mense squisite, se hanno voluto levarsi tutti i capricci di teatri, di giuochi, di viaggi, di vizii? Questi e tanti altri simili a questi hanno pure mal garbo a lagnarsi della Provvidenza, quando la colpa è tutta loro. Ora chi mirasse con occhi attenti lo stato della società, vedrebbe ben chiaro che delle miserie che opprimono i più, i nove decimi non hanno altra sorgente che questa: di che vede ognuno quanto sia iniquo il prendersela contro Dio. E tuttavia queste ragioni che sono sì chiare, sono ancora le infime. Imperocchè per chi è capace di sollevare un momento l’animo dalle cose terrene, si apre un campo molto più vasto a considerare. Qual è il fine per cui Iddio ci ha collocati pochi momenti sopra la terra? Per godere, per tripudiare? No certamente; ma perchè questa vita brevissima fosse per noi uno stato di prova, nel quale ognuno mostrasse a Lui la sua fedeltà, e quelli che a Lui si mantengono obbedienti e fedeli conseguissero l’eterna vita, l’eterna felicità: quelli al contrario che fossero trovati infedeli e disobbedienti incorressero la pena che si fossero meritata. Questo intendimento divino ben compreso è la chiave che apre tutti i segreti della divina Provvidenza sopra la terra: perocchè allora si vede subito perché vi sieno i grandi ed i piccoli, i ricchi ed i poveri, e tutte le altre disuguaglianze sociali che tanto travagliano e fanno inabissare alcuni ciechi ed appassionati. È necessaria questa varietà, perché Iddio vuole che quel giorno in cui porremo il piede nel regno dei cieli abbiamo non solo da ringraziare e glorificare Iddio come Autore e fonte di sì gran dono, ma che possiamo eziandio consolarci di ricevere una mercede dovuta alle nostre fatiche, ai nostri meriti. È necessaria questa warietà, perchè lo scampare dai mali eterni ha da essere non solo liberalità amorosa di Dio, ma anche frutto delle nostre operazioni. È necessaria questa varietà perchè è necessario l’esercizio delle virtù, che non possono trovare campo più bello che nell’intreccio dei vani stati. In questa disuguaglianza Iddio prova i ricchi, prescrivendo loro il distacconinteriore da quei beni sensibili, onde sono intorniati, comandando loro la compassione, la liberalità, le limosine verso quelli che abbisognano, e vietando loro il sacrificare tutto a sè stessi, alle proprie passioni e cupidigie. E nel tempo stesso prova i poverelli, poiché pretende da loro l’umiltà, la pazienza, la soggezione, l’uniformità al volere divino, le virtù che accompagnano quello stato. – In questa disuguaglianza prova i grandi e gl’imperanti prescrivendo loro la modestia e l’umiltà in mezzo al lusso ed alle pompe, e la sollecitudine pei poverelli e pel pubblico bene: e prova i popolani ed i sudditi col richiedere da essi la sommissione e la tolleranza. In questa guisa ha luogo l’intreccio delle virtù sociali, civili, morali, religiose, e gli uni e gli altri colla fedeltà ai doveri del proprio stato, con la costanza nelle lotte a cui sono esposti per mantenersi fedeli, mostrano a Dio che lo amano sopra ogni cosa e che a qualunque costo si sottomettono al suo volere, e si procacciano la salute. Tanto è dunque falso che questa varietà di condizioni si opponga alla Provvidenza, che è anzi il mezzo onde il Signore mette in campo la sua maravigliosissima Provvidenza. Solo coloro possono lagnarsi di quest’ordine di cose, che non intendono perchè noi siamo sulla terra. Sì, chi credesse che nostro fine sia il godere, di tripudiare pochi momenti, senza darci alcun pensiero di anima o di eternità, non potrebbe comprendere la differenza degli stati: ma costui non è maraviglia che non intenda ciò, perchè non intenderebbe neppure di essere superiore alle bestie, le quali sole hanno un fine terreno: però di chi sarebbe la colpa? La nostra fede ci parla abbastanza chiaro che, non habemus hic manentem civitatem; che non abbiamo qui una patria permanente, che ne ricerchiamo una futura; sed futurani inquirimus; che quella sola è eternamente durevole: or se alcuno non lo vuol credere, che colpa ne ha l’eterna Verità? Nè niuno credesse poi che in quella prova o in quell’esercizio, in cui Iddio mette i ricchi ed i poveri, i più vantaggiati dovessero essere i doviziosi. Se noi crediamo all’eterna Verità, quelli che scarseggiano dei beni di questa vita, quei che soffrono, quei che gemono ne stanno meglio. Imperocchè, se i ricchi ed i poveri sono provati, ciascuno al proprio cimento, la prova dei ricchi è molto più ardua a sostenersi che non quella dei poveri. Più difficile è che chi abbonda si mantenga nel dovere, di quello che si mantenga nella pazienza chi è povero. Le ricchezze gonfiano il cuore, disoccupano la vita, infiammano le passioni, offrono l’occasione pronta per disfogarle, sicchè riesce oltremodo difficile il non tuffare il labbro in quel calice di piacere che risplende dinanzi. Laddove la povertà, naturalmente, abbassa lo spirito, aiuta a tenere il cuore distaccatd dai beni della terra, sbandisce la oziosità, ed introducendo l’umiltà nel cuore, dispone a tutte le grazie e virtù. – Gesù Cristo ha insegnate tutte queste verità con tanta chiarezza nel santo Vangelo, che è una maraviglia che si posano ignorare da quelli che si professano Cristiani. Ha chiamato perciò mille volte beati i poveri, ha fatto annunciare dai profeti, ch’egli avrebbe evangelizzati i poveri, ha trascelto sempre di trattenersi di preferenza coi poveri, ha scelto per sè stesso lo stato di povero, ha dato per consiglio a chi aspirasse alla perfezione di seguitare la povertà, ha assicurato che era dei poveri il regno dei cieli, ha fatto sapere che in compagnia dei poveri avrebbe giudicate le nazioni; in una parola, tutte le grazie sue più speciali volle offrire ai poveri particolarmente. Laddove tenne coi ricchi ben altro stile. Minacciò guai terribili, se non distribuissero il soverchio ai poverelli, assicurò che avrebbero pianto un giorno quelli che ora godevano; giunse fino a dire, essere molto difficile che entrassero nel regno di Dio, e richiedersi perciò l’onnipotenza divina. Ora queste cose essendo così, come oseranno ancora certi sciocchi Cattolici, i quali pur professano di credere a Gesù Cristo. „ lamentarsi che i ricchi siano di tanto avvantaggiati sopra di loro? Se qualcuno dovesse aver motivo di doglianza, sarebbero piuttosto i ricchi; imperocché se sono avvantaggiati nel presente, sono disaiutati nell’avvenire; se sono prosperati nei beni manchevoli, nol sono altrettanto nei duraturi ed eterni. Che se neppure essi possono lagnarsi, è solo perciò che è sempre posto in loro facoltà lo scuotere di dosso quel fardello che troppo li aggrava e proseguire più speditamente, come tanti Santi hanno fatto, la via del cielo.

II. L’altra difficoltà contro la provvidenza divina, la tolgono alcuni dal veder prosperati talvolta gli empii, mentre i buoni giacciono oppressi e schiacciati. Ebbene neppure questi hanno ragione di tanto scandalizzarsi. Imperocchè lasciando stare le ragioni sopraccennate che soddisfanno anche a questa difficoltà; in primo luogo io vi domando: è poi egli vero che siano solamente i buoni a patire angustie e che i malvagi sempre ne siano inamuni? Quelle disgrazie che sono comuni agli uomini, come le infermità, le pestilenze, le carestie,. le guerre, la fame, colpiscono gli uni e gli altri indifferentemente senza alcun dubbio. Ma anche quelle disgrazie che sono individuali, colpiscono più i malvagi che i buoni. Se anche met uomo dabbene è talora messo in fondo per la perdita delle sostanze senza una colpa, molto più è ordinaria una tal rovina agli ingiusti, ai rapaci, ai truffatori, ai beoni, ai giocatori, ai femminieri, i quali danno fondo alle loro sostanze coi loro medesimi vizi come vediamo ogni giorno: laddove i buoni per la stessa loro bontà prosperano,o o almeno conservano i loro patrimonii. – Le infermità, le morti premature non colpiscono di preferenza i viziosi? – Chi non è al tutto nuovo delle cose di questo mondo, sa che ai nostri giorni una gran parte della gioventù scende nella tomba prima del tempo, appunto per conseguenza delle sue dissolutezze ed abominazioni. E non è questo un castigo gravissimo proprio ai soli malvagi? Gli esilii, le carceri, le confische dei beni e cento altre infamie che vengono inflitte dalle leggi umane, sopra chi piombano d’ordinario? Voglio bene accordare che talvolta ne sia vittinià anche un innocente per altrui prepotenza; ma d’ ordinario non sono proprie che ai soli malvagi, mentre i buoni ne sono esenti. È dunque falsissimo che universalmente gli empii siano prosperati sopra dei buoni. E poi tutti quelli che si stimano buoni sono veramente tali? E che? Non vi sono nel mondo tanti sepolcri imbiancati, i quali mentre hanno un’apparenza esteriore di gran mondezza, internamente ed agli occhi di Dio non sono altro che una massa di putredine e di vermi schifosi? Voglio dire che hanno vizi segreti, delitti segreti, abomitazioni segrete che armano la destra di Colui che vede fin dentro ai cuori? Oh quante volte credei mondo che sia un giusto quello che soffre, mentre è un gravissimo peccatore! Ed intanto che noi siamo tentati di mormorare contro la divina giustizia che lo punisce, dovremmo glorificare invece la divina misericordia che per quella via lo chiama a penitenza. Ma sia pure anche un giusto quegli che soffre al presente, fu però egli sempre giusto? Non avrebbe forse negli anni passati commesse di molte colpe? Non avrebbe ancor egli nella gioventù rotte le sue lance contro di Dio; cioè dato di gravi scandali, profanate chiese, commesse ingiustizie, e non sarebbesi anche contaminato di laidezze e carnalità? Se ciò fosse, ancorchè al presente sia emendato, sia corretto, non sarebbe, invece di una ingiustizia, una grande misericordia fargli al presente espiare le sue colpe, per non riserbargliele nell’avvenire? Ora se le rivolge anche a merito, perchè ne intende il fine divino e lo accetta e vi si rassegna: allora sarebbe mera soddisfazione senza nessun aumento di merito o di premio. – Queste poche osservazioni bastano ad appagare chiunque sia ragionevole: ma la nostra fede discopre in questo proposito un altro grande mistero che merita d’essere considerato. Noi sappiamo che niuno può giungere al cielo se non rendendosi somigliante a Gesù: Quos praescivit, hos et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui. Il mondo lo intende poco, ma la verità è che niuno arriverà mai al cielo senza questa conformità con Gesù Cristo. Or Gesù fu povero; fu umiliato, fu perseguitato; Gesù faticò tutta sua vita, patì fame, freddo, stenti fino alla morte e morte di croce: quelli che hanno da salvarsi, hanno da ricopiare in sè quei divini lineamenti; e però quelli che Gesù Cristo ama singolarmente, li conduce per questa via onde più presto e perfettamente si rassomiglino a Lui. Con la tribolazione inoltre fa espiare loro i peccati trascorsi, e viepiù li purifica, Colla tribolazione li tiene da sè più dipendenti, e così li preserva da molte cadute. Una pianta, che deve essere collocata in un giardino signorile, si pota, si taglia, si cima, si ripulisce, perché debba a suo tempo comparir bene; come al contrario un albero che dee servire solo a far fuoco si trascura e si abbandona. E così appunto lo insegna Gesù, facendoci sapere che il suo Padre celeste purgherà l’albero buono perchè faccia più frutto. Laddove agli empii accade tutto l’opposto. Non sono piante di pregio, non sono piante da trasportare nel giardino; epperò non si curano. Quando Iddio è nel colmo della sua collera, quando non vuol più punire da padre, ma da giudicare, che cosa fa egli? Getta, annostro modo di parlare, la briglia sul collo al peccatore, lo lascia imperversare e più nol corregge. Avete osservato quel che fa unnpadre terreno con un figliuolo discolo, che quando è più ammonito, ripreso, minacciato, castigato, tanto più imperversa? Il padre finalmente non parla più, ma nel testamento disconoscendolo per suo figliuolo, gli toglie l’eredità. Così fa Iddio quando è nel colmo della sua collera; non parla più coi castighi, lascia imbaldanzire il peccatore; ma poi, quando l’ora è giunta, gli toglie la eternaneredità. – Con che Iddio ottiene due sapientissirni fini. Con quella qualunque prosperità temporale compensa al peccatore quel poco di bene che può aver mescolato al molto male che ha commesso; giacché è impossibile sulla terra che uno commetta solamente del male. Pai glorifica la sua giustizia col punire di pena eterna chi se n’è reso meritevole con le sue colpe. – Il perché, chi ben considerasse le cose, al vedere un empio che prospera, non solo non dovrebbe essere tocco d’invidia, ma dovrebbe gelare d’orrore. Un prepotente a cui tutte riescono le sue trame; una donna che sguazza nelle sue tresche; un dissoluto che si avvolge nelle sue laidezze; un giudice che ingrassa mercanteggiaado la giustizia; un settario che si avanza sempre più nelle sue macchine; un ministro di Stato che si sorregge a furia d’iniquita’; un peccatore qualunque che impingua delle sue nequizie, ci dovrebbono parere altrettanti infelici con un alito d’inferno già in volto, e come dannati che camminano, che vivono in mezzo a noi. – Sono prosperati? Dunque Dio li riserba alla vendetta eterna. Sono prosperati? Dunque Dio ha sottratto loro il mezzo più potente che li richiami alla conversione. Sono prosperati? -Dunque essi si confermano sempre più nella via lubrica del vizio. Sono prosperati? Dunque non si fermeranno finchè non sieno in fondo all’inferno. Gli invidii pure chi vuole, se ne scandalizzi chi il può, chiami pure ingiustizia, se gli basta l’animo, un simile procedere; che agli occhi di chi non abbia perduta affatto la fede, sarà sempre una tale prosperità l’opera più tremenda di giustizia che Iddio eserciti verso di un peccatore. Io per me prego al lettore di queste carte, ben altra grazia: che Iddio tenga lontano misericordiosamente da ogni colpa; ma dove per alta sventura egli venga a cadere in essa, che almeno nol lasci prosperare in quella; e, visitandolo nel tempo con rigore, lo risparmii con misericordia per tutta l’eternità.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (35): “PIO IX, 1864-1868”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (35)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(PIO IX, 1864- 1868)

Enciclica “Quanta cura”, 8 dicembre 1864.

Naturalismo e socialismo.

2890. Infatti, quando si bandisce la religione dalla società civile e si rifiuta la dottrina e l’autorità della Rivelazione divina, si oscura e si perde anche la vera nozione di giustizia e di diritto umano, e la vera giustizia e il diritto legittimo vengono sostituiti dalla forza bruta; E allora diventa chiaro perché alcuni, ignorando i principi più certi della sana ragione, osano dire che “la volontà del popolo, manifestata da quella che chiamano opinione pubblica o in altro modo, costituisce la legge suprema, indipendente da ogni diritto divino e umano, e che, nell’ordine politico, i fatti compiuti, per il fatto stesso di essere compiuti, hanno valore di legge”. Ma chi non vede e sente chiaramente che una società umana sottratta ai vincoli della religione e della vera giustizia non potrà proporsi altro fine che quello di acquisire e accumulare ricchezze, e non potrà seguire altra legge nelle sue azioni che il desiderio sfrenato del cuore di servire le proprie passioni e i propri vantaggi?

2891. Non contenti di aver bandito la religione dalla società pubblica, volevano anche escluderla dalle famiglie private. Insegnando e professando lo stesso fatale errore del comunismo e del socialismo, essi affermano che “la società domestica o la famiglia trae tutta la sua ragion d’essere unicamente dal diritto civile, e che di conseguenza è dal diritto civile che derivano e dipendono tutti i diritti dei genitori sui figli, primo fra tutti quello di istruirli ed educarli”.

2892. Con queste empie concezioni e macchinazioni, questi uomini pieni di inganni mirano soprattutto a sottrarre completamente l’istruzione e l’educazione della gioventù alla salutare dottrina e all’influenza della Chiesa.

L’indipendenza dell’autorità della Chiesa nei confronti dell’autorità civile.

2893. Altri, che ripetono le false invenzioni tante volte condannate dagli innovatori, hanno la vergognosa impudenza di sottomettere la suprema autorità che la Chiesa e questa Sede Apostolica hanno ricevuto da Cristo Signore all’arbitrio dell’autorità civile, e di negare tutti i diritti di questa Chiesa e di questa Sede in materia di ordine esterno.

2894. Affermano senza il minimo pudore che “le leggi della Chiesa non si applicano in coscienza se non sono state promulgate dal potere civile; che gli atti e i decreti dei Romani Pontefici riguardanti la religione e la Chiesa hanno bisogno della sanzione e dell’approvazione, o almeno del consenso, del potere civile; che le Costituzioni Apostoliche con le quali sono state condannate le società segrete – sia che sia richiesto o meno il giuramento di segretezza – e con le quali sono stati anatematizzati i loro seguaci e coloro che le favoriscono, non hanno alcun valore in quelle parti del mondo in cui associazioni di questo tipo sono state tollerate dal governo civile.

2895. Né si vergognano di professare altamente e pubblicamente l’affermazione e il principio degli eretici da cui derivano tante false concezioni ed errori. Essi ripetono infatti che “il potere ecclesiastico non è, in virtù del diritto divino, distinto e indipendente dal potere civile, e che tale distinzione e indipendenza non può esistere senza che i diritti essenziali del potere civile siano monopolizzati e usurpati dalla Chiesa”. Né possiamo passare sotto silenzio l’audacia di coloro che… affermano che “per le sentenze e i decreti della Sede Apostolica, che si dichiara abbiano per oggetto il bene generale della Chiesa, nonché i suoi diritti e la sua disciplina, purché non tocchino i dogmi della fede e della morale, si può rifiutare di aderirvi e di obbedirvi senza peccato e senza alcun pregiudizio per la professione della fede cattolica”…

2896. Per questo motivo, ognuna delle false opinioni e dottrine descritte nella presente lettera, Noi le riproduciamo, le proscriviamo e le condanniamo in virtù della nostra autorità apostolica, e vediamo e ordiniamo che tutti i figli della Chiesa cattolica le ritengano riprovevoli, proscritte e condannate.

Sillabo di Pio IX, o Catalogo degli errori condannati in diverse dichiarazioni di Pio IX, pubblicato l’8 dicembre 1864.

Par. I Panteismo, Naturalismo e Razionalismo assoluto.

2901. 1. Non esiste un essere divino supremo, pieno di sapienza e di provvidenza, distinto da questo universo di cose; e Dio è la stessa cosa della natura delle cose, soggetta quindi al cambiamento; e in realtà Dio diventa nell’uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio e della stessa sostanza di Dio; e Dio è con il mondo una sola e medesima cosa, come lo sono, quindi, lo spirito e la materia, la necessità e la libertà, la verità e la falsità, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto.

2902. (2) Ogni azione di Dio nell’uomo e nel mondo deve essere negata.

2903. 3 La ragione umana, non avendo alcun conto da rendere a Dio, è l’unico arbitro della verità e della falsità, del bene e del male; essa è la propria legge e basta con le sue forze naturali per procurare il bene all’uomo e ai popoli.

2904. 4. tutte le verità della religione derivano dalla forza nativa della ragione umana; per questo la ragione è la norma sovrana con cui l’uomo può e deve acquisire la conoscenza delle verità di qualsiasi genere. (2775-2786).

2905. 5 La Rivelazione divina è imperfetta, e per questo soggetta a un progresso continuo e indefinito che corrisponde allo sviluppo della ragione umana (2775-2786).

2906. 6 La fede in Cristo è in contraddizione con la ragione; e la Rivelazione divina non solo non serve a nulla, ma addirittura nuoce alla perfezione dell’uomo (2775-2786).

2907. 7 Le profezie e i miracoli esposti e raccontati nelle Sacre Scritture sono favole dei sacerdoti, e i misteri della fede cristiana sono frutto di invenzioni filosofiche; e nei libri dei due Testamenti sono contenute invenzioni mitiche; e Gesù Cristo stesso è una finzione mistica (2775-2786).

Par. II. Razionalismo moderato.

2908. 8 Poiché la ragione umana è uguale alla Religione stessa, le discipline teologiche devono essere trattate alla stregua di quelle filosofiche.

2909. 9. Tutti i dogmi della religione cristiana, senza distinzione, sono oggetto di scienza naturale o filosofica; e la ragione umana, attrezzata solo in modo storico, può, con le sue forze e i suoi principi naturali, arrivare a una vera conoscenza di tutti i dogmi, anche i più nascosti, non appena questi dogmi sono stati proposti alla ragione come suo oggetto. 2857, 2878

2910. 10. Poiché esiste un altro filosofo e un’altra filosofia, egli ha il diritto e il dovere di sottomettersi a un’autorità che egli stesso ha riconosciuto come giusta; la filosofia, invece, non può e non deve sottomettersi a nessuna autorità 2858.

2911. 11. La Chiesa non solo non deve mai censurare la filosofia, ma deve addirittura tollerare gli errori della filosofia stessa e permetterle di correggersi (2868).

2912. 12. I decreti della Sede Apostolica e delle Congregazioni Romane impediscono il libero progresso della scienza (cf. 2875).

2913. 13. Il metodo e i principi secondo i quali gli antichi dottori scolastici coltivavano la teologia non corrispondono in alcun modo alle esigenze del nostro tempo e al progresso delle scienze (cf. 2876).

2914. 14. La filosofia deve essere trattata senza tener conto della rivelazione soprannaturale (cf. 2875-2880).

N.B. Gli errori di Anton Günther, che sono stati condannati, sono in gran parte legati al sistema del razionalismo (Cfr. 2828-2831).

Par. III. Indifferentismo, latitudinarietà.

2915. 15. È lecito ad ogni uomo abbracciare e confessare la religione che ha ritenuto vera, guidato dal lume della ragione.

2916. 16. Gli uomini possono trovare la via della salvezza eterna e ottenere la salvezza eterna in qualsiasi religione (2775-2786).

2917. 17. Dobbiamo avere almeno una buona speranza per la salvezza eterna di tutti coloro che non sono affatto nella vera Chiesa di Cristo (cf. 2865-2867).

2918. 18. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della stessa vera Religione cristiana, nella quale è dato di piacere a Dio come nella Chiesa Cattolica.

Par. IV. Socialismo, comunismo, società segrete, bibliche, clerico-liberalisono riprovevoli (cf. 2775-2786), (cf. 2865-2867).

Par. V. Errori riguardanti la Chiesa e i suoi diritti.

2919. 19. La Chiesa non è una società vera e perfetta, pienamente libera, né gode dei diritti propri e costanti conferitile dal suo Fondatore divino, ma spetta al potere civile definire quali siano i diritti della Chiesa ed i limiti entro i quali essa può esercitarli.

2920. 20. L’autorità ecclesiastica non deve esercitare la propria autorità senza il permesso ed il consenso dell’autorità civile.

2921. 21. La Chiesa non ha il potere di definire dogmaticamente che la Religione Cattolica sia l’unica vera religione.

2922. 22. L’obbligo da cui i maestri e gli scrittori cattolici sono assolutamente vincolati è limitato solo a quelle cose che sono state proposte dal giudizio infallibile della Chiesa come dogmi di fede da credere da tutti (cf. 2879).

2923. 23. I Romani Pontefici e i Concili Ecumenici hanno oltrepassato i limiti del loro potere, hanno usurpato i diritti dei principi e hanno persino sbagliato nel definire le questioni di fede e di morale.

2924. 24. La Chiesa non ha il potere di usare la forza, né alcun potere temporale diretto o indiretto.

2925. 25. Oltre alla potestà inerente all’episcopato, un’altra potestà, quella temporale, le è stata concessa espressamente o tacitamente dall’autorità civile, che per questo motivo è revocabile dall’autorità civile a sua discrezione.

2926. 26. La Chiesa non ha il diritto nativo e legittimo di acquisire e possedere.

2927. 27. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice devono essere assolutamente esclusi da ogni questione e possesso di cose temporali.

2928. 28. Ai Vescovi non è consentito promulgare neppure le lettere apostoliche senza il permesso del governo.

2929. 29. Le grazie concesse dal Romano Pontefice sono da considerarsi nulle se non sono state utilizzate per lo scopo per cui siano state concesse, se non richieste dal governo.

2930. 30. L’immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ha origine nel diritto civile.

2931. 31. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, sia civili che penali, deve essere assolutamente abolito anche senza consultare la Sede Apostolica e nonostante la sua opposizione.

2932. 32. L’immunità personale in virtù della quale gli ecclesiastici sono esenti dall’onere del servizio militare può essere abrogata senza alcuna violazione del diritto naturale e dell’equità; e il progresso esige tale abrogazione, soprattutto in una società costituita in forma liberale.

2933. 33. Non spetta solo al potere ecclesiastico di giurisdizione, per diritto proprio e nativo, dirigere in materia teologica (cf. 2875-2880).

2934. 34. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice a un libero principe che agisce in tutta la Chiesa è una dottrina che ha prevalso nel Medioevo.

2935. 35. Nulla impedisce che il Pontificato sovrano sia trasferito dall’Urbe ad un altro Vescovo o ad un’altra città per decisione di un consiglio generale o del popolo nel suo insieme.

2936. 36. La definizione di Concilio nazionale non ammette ulteriori discussioni, e l’amministrazione civile può richiedere la cosa secondo le sue determinazioni.

2937. 37. Possono essere istituite Chiese nazionali, esenti dall’autorità del Romano Pontefice e totalmente separate da esso.

2938. 38. Troppi atti arbitrari dei Romani Pontefici hanno contribuito alla divisione della Chiesa in orientale e occidentale.

Par. VI. Errori riguardanti la società civile considerata in sé.

2939. 39. In quanto origine e fonte di tutti i diritti, lo Stato gode di un diritto che non è circoscritto da alcun limite.

2940. 40. La dottrina della Chiesa Cattolica si oppone al bene e agli interessi della società umana (cf. 2775).

2941. 41. Il potere civile, anche se esercitato da un detentore infedele, ha un potere indiretto negativo nell’ambito delle cose sacre; pertanto non ha solo il diritto chiamato “exsequatur“, ma anche il diritto chiamato “ab abusu“.

2942. 42. In caso di conflitto di leggi tra i due poteri, prevale il diritto civile.

2943. 43. Il potere secolare ha la facoltà di annullare, dichiarare nulli gli accordi solenni (chiamati “concordati”) conclusi con la Sede Apostolica in merito all’uso dei diritti relativi all’immunità ecclesiastica, senza il suo consenso e persino contro la sua opposizione.

2944. 44. L’autorità civile può interferire nelle questioni riguardanti la Religione, la morale e il governo spirituale. Può quindi giudicare le istruzioni che i pastori pubblicano, in conformità al loro ufficio, come una norma per le coscienze, e può anche pronunciarsi sull’amministrazione dei Sacramenti e sulle disposizioni necessarie per riceverli.

2945. 45. Tutta la direzione delle scuole pubbliche in cui viene educata la gioventù di uno Stato cristiano, ad eccezione, in una certa misura, dei Seminari episcopali, può e deve essere attribuita all’autorità civile, e ciò in modo tale che non si riconosca a nessun’altra autorità il diritto di interferire nella disciplina delle scuole, nell’ordinamento degli studi, nel conferimento dei diplomi, nella scelta o nell’approvazione degli insegnanti.

2946. 46. Inoltre, nei Seminari dei chierici stessi, il metodo da seguire negli studi deve essere sottoposto all’autorità civile.

2947. 47. È necessario, per il miglioramento della società civile, che le scuole popolari aperte a tutti i bambini di qualsiasi classe del popolo, e in generale le istituzioni pubbliche destinate a impartire le lettere e le discipline più rigorose e a provvedere all’educazione dei giovani, siano sottratte ad ogni autorità, regolamentazione e influenza della Chiesa, e che siano pienamente soggette alla decisione dell’autorità civile e politica, secondo quanto piace ai governi ed in conformità all’opinione comune del tempo.

2948. 48. I Cattolici possono approvare un metodo di formazione dei giovani al di fuori della fede cattolica e del potere della Chiesa, che consideri solo, o principalmente, la conoscenza delle cose della natura ed i fini della vita sociale terrena.

2949. 49. La società civile può impedire ai Vescovi ed ai fedeli del popolo di comunicare liberamente con il Romano Pontefice e tra loro.

2950. 50. L’autorità laica ha di per sé il diritto di presentare Vescovi e può esigere che essi inizino ad amministrare le diocesi prima di aver ricevuto l’istituzione canonica e le lettere apostoliche dalla Santa Sede.

2951. 51. Il governo laico ha persino il diritto di revocare ai Vescovi l’esercizio del loro ministero pastorale, e non è tenuto ad obbedire al Romano Pontefice per quanto riguarda l’istituzione di vescovati e diocesi.

2952. 52. Il governo può, di sua iniziativa, modificare l’età prescritta dalla Chiesa per la professione religiosa sia delle donne che degli uomini, e può imporre a tutte le famiglie religiose di non ammettere nessuno ai voti solenni senza la sua autorizzazione.

2953. 53. Le leggi che riguardano la tutela dello stato delle famiglie religiose, dei loro diritti e dei loro doveri, devono essere abrogate; il governo civile può anche offrire assistenza a tutti coloro che desiderino abbandonare lo stato di vita religiosa che hanno abbracciato e violino i loro voti solenni; allo stesso modo può abolire completamente le famiglie religiose così come le chiese collegiali ed i semplici benefici, anche con il diritto di patronato, e sottoporre e attribuire i loro beni e le loro entrate all’amministrazione ed al controllo del potere civile.

2954. 54. I re e i principi non solo sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma nel decidere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.

2955. 55. La Chiesa deve essere separata dallo Stato e lo Stato dalla Chiesa.

Par. VII. Errori sulla morale naturale e cristiana.

2956. 56. Le leggi in materia di morale non hanno bisogno della sanzione divina, e non è affatto necessario che le leggi umane siano conformi alla legge naturale o ricevano la loro forza vincolante da Dio.

2957. 57. Le scienze filosofiche e morali, così come le leggi civili, possono e devono prescindere dall’Autorità divina ed ecclesiastica.

2958. 58. Non si devono riconoscere poteri diversi da quelli dati in materia, ed ogni disciplina dei costumi e dell’onestà deve consistere nell’accumulare e accrescere le ricchezze in ogni modo e nel soddisfare i piaceri.

2959. 59. Il diritto consiste in un fatto materiale, e tutti i doveri degli uomini rappresentano una parola vuota, e tutti i fatti umani hanno forza di legge.

2960. 60. L’autorità non è altro che la somma dei numeri e della forza materiale.

2961. 61. Il successo dell’ingiustizia di un fatto non pregiudica il carattere inviolabile del diritto.

2962. 62. Il cosiddetto principio di non intervento deve essere proclamato ed osservato.

2963. 63. È lecito rifiutare l’obbedienza ai principi legittimi e persino ribellarsi ad essi (cf. 2775-2786).

2964. 64. Sia la violazione di un giuramento, per quanto sacro possa essere, sia qualsiasi azione criminale e vergognosa contraria alla legge eterna, non solo non è da biasimare, ma è del tutto lecita e va celebrata con grande lode, purché sia fatta per amore della patria.

Par. VIII. Errori sul matrimonio cristiano.

2965. 65. Non si può ammettere in alcun modo che Cristo abbia elevato il matrimonio alla dignità di sacramento.

2966. 66. Il Sacramento del matrimonio non è altro che un accessorio del contratto che può essere separato da esso, e il Sacramento stesso risiede unicamente nella benedizione nuziale.

2967. 67. In virtù della legge naturale, il vincolo matrimoniale non è indissolubile e in vari casi il divorzio vero e proprio può essere sancito dall’autorità civile.

2968. 68. La Chiesa non ha il potere di introdurre impedimenti al matrimonio, ma questo potere appartiene all’autorità civile che deve rimuovere gli impedimenti esistenti.

2969. 69. Nel corso dei secoli la Chiesa ha iniziato ad introdurre impedimenti dirimenti, non in virtù di un diritto proprio, ma utilizzando un diritto preso in prestito dall’autorità civile.

2970. 70. I canoni del Concilio di Trento che censurano con anatema coloro che osano negare alla Chiesa il potere di introdurre impedimenti dirimenti (cf. 1803 ss.) o non sono dogmatici o devono essere intesi in termini di questo potere mutuato.

2971. 71. La forma prescritta da Trento 1813-1816 non è vincolante a pena di nullità quando la legge civile prescrive un’altra forma e vuole che il matrimonio sia valido per mezzo di questa nuova forma.

2972. 72. Bonifacio VIII fu il primo ad affermare che il voto di castità emesso al momento dell’ordinazione rende nullo il matrimonio.

2973. 73. In virtù del contratto civile, un matrimonio in senso proprio può esistere tra cristiani, ed è falso dire o che il contratto matrimoniale tra cristiani è sempre un sacramento, o che il contratto è nullo se il sacramento è escluso.

2974. 74. Le cause relative al matrimonio e al fidanzamento sono per loro natura soggette alla giurisdizione civile.

N.B. – Si possono qui citare altri due errori riguardanti l’abolizione del celibato dei chierici e la preferenza da dare allo stato di matrimonio rispetto a quello di verginità. Sono stati confutati, il primo (2775-2786); il secondo.

Par. IX. Errori riguardanti la sovranità civile del Romano Pontefice.

2975. 75. La questione della compatibilità tra la sovranità civile e la sovranità spirituale è contesa tra i figli della Chiesa cristiana e Cattolica.

2976. 76. L’abrogazione del potere civile di cui gode la Sede Apostolica contribuirebbe notevolmente alla libertà e alla felicità della Chiesa.

N.B. – Anche altre dichiarazioni su questo tema.

Par. X. Errori relativi al liberalismo di oggi.

2977. 77. Nel nostro tempo non è più opportuno che la Religione Cattolica sia considerata l’unica religione dello Stato, escludendo tutti gli altri culti.

2978. 78. È quindi lodevole che in alcune regioni dette cattoliche la legge abbia previsto che gli immigrati possano esercitare pubblicamente le loro rispettive fedi.

2979. È infatti falso che la libertà civile di tutte le religioni, così come la piena facoltà concessa a tutti di manifestare pubblicamente e alla luce del sole le proprie opinioni ed i propri pensieri, porti più facilmente a corrompere la morale e le menti e a diffondere la piaga dell’indifferentismo.

2980. 80. Il Romano Pontefice può e deve essere conciliato con il progresso, il liberalismo e la cultura moderna.

Istruzione della Sacra Penitenzieria, 15 gennaio 1866.

Il matrimonio civile.

2990. (2) La Sacra Penitenzieria ritiene superfluo ricordare a chiunque che è un dogma ben noto della nostra santissima Religione che il matrimonio sia uno dei sette Sacramenti istituiti da Cristo, il Signore, e che di conseguenza la sua amministrazione appartenga unicamente alla Chiesa stessa, alla quale lo stesso Cristo ha affidato la dispensazione dei suoi divini misteri; inoltre, ritiene superfluo ricordare ad alcuno la forma prescritta dal Concilio di Trento (XXIV sessione, Riforma del matrimonio, cap. 1: (cf. 1813-1816), e senza l’osservanza della quale, nei luoghi in cui sia stata promulgata, in nessun caso il matrimonio può essere validamente contratto.

2991. (3) Ma sulla base di questi ed altri principi e dottrine cattoliche, i pastori devono elaborare istruzioni pratiche con le quali persuadere i fedeli di ciò che il nostro santissimo Signore ha proclamato nel concistoro segreto del 27 settembre 1852: “Tra i fedeli non vi può essere matrimonio che non sia al tempo stesso un Sacramento; e quindi ogni altra unione tra Cristiani tra un uomo e una donna al di fuori del sacramento, anche conclusa in virtù delle leggi civili, non è altro che un concubinato vergognoso e disastroso”.

2992. (4) E da ciò si può facilmente dedurre che davanti a Dio e alla sua Chiesa l’atto civile non solo non può essere considerato un sacramento, ma neppure può essere considerato, in alcun modo, come un contratto, e così come il potere civile non ha la capacità di legare i fedeli nel matrimonio, non ha neppure la capacità di scioglierli; ed è per questo che qualsiasi sentenza pronunciata da un’autorità secolare in merito alla separazione di coniugi che siano stati uniti da un matrimonio legittimo davanti alla Chiesa non ha alcun valore; ed un coniuge che, abusando di questa sentenza, osasse unirsi ad un’altra persona, sarebbe veramente adultero, così come sarebbe veramente concubinario colui che avesse la presunzione di rimanere nel matrimonio in virtù di un atto civile; ed entrambi non sono degni dell’assoluzione finché non giungano alla resipiscenza e non si convertano alla penitenza sottomettendosi alle prescrizioni della Chiesa.

2993. (5) (Tuttavia, per evitare sanzioni, per il bene dei discendenti e per evitare il pericolo della poligamia, è permesso che i fedeli, dopo aver contratto legittimamente il matrimonio davanti alla Chiesa, vadano a compiere l’atto imposto dal diritto, ma con l’intenzione…, quando si presentano davanti al funzionario governativo, di non fare altro che celebrare una cerimonia civile.

Lettera apostolica “Iam vos omnes” a tutti i protestanti e a tutti i non cattolici. 13 sett. 1868.

La necessità della Chiesa per la salvezza.

2997. Nessuno può negare o dubitare che Cristo Gesù stesso, per applicare a tutte le generazioni umane il frutto della sua redenzione, abbia edificato quaggiù sulla terra la sua unica Chiesa su Pietro, cioè la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, e che le abbia conferito tutto il potere necessario per mantenere intatto e puro il deposito della fede, e che questa stessa fede sia trasmessa a tutti i popoli, le razze e le nazioni, in modo che attraverso il battesimo tutti gli uomini siano aggregati al suo Corpo mistico, …. … e che questa stessa Chiesa, che costituisce il Corpo Mistico, rimanga sempre salda e immutabile nella sua stessa natura fino alla fine dei tempi…

2998. Ora, chiunque consideri e mediti attentamente lo stato in cui si trovano le varie società religiose, divise tra loro e separate dalla Chiesa cattolica, … si convincerà facilmente che nessuna di queste società, né tutte insieme, costituiscono o sono in alcun modo quell’unica e cattolica Chiesa che Cristo Signore ha fondato ed edificato e che ha voluto che esistesse; né possono in alcun modo essere considerate come un membro o una parte di quella stessa Chiesa, dal momento che sono visibilmente separate dall’unità cattolica. Poiché queste società sono di fatto prive di quell’autorità vivente stabilita da Dio che insegna agli uomini in particolare le realtà della fede e la regola della morale, e che li dirige e governa in tutto ciò che riguarda la loro salvezza eterna, ne consegue che queste società hanno continuamente variato le loro dottrine, e questa mobilità e questa instabilità non cessano mai in queste società. Tutti comprendono facilmente… che ciò è in completa opposizione alla Chiesa istituita da Cristo Signore…

2999. Pertanto, tutti coloro che non possiedono l’unità della Chiesa Cattolica colgano l’opportunità di questo Concilio con il quale la Chiesa cattolica, alla quale appartenevano i loro antenati, dà una nuova prova della sua intima unità e della sua invincibile vitalità, e, rispondendo alle necessità dei loro cuori, cerchino di uscire da questo stato in cui non possono essere sicuri della loro salvezza.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (36): “PIO IX, 1864-1870”

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA DELLA SINAGOGA DI sATANA (3)

  18 giugno 1968: Fondazione della gerarchia nella sinagoga di satana. (3)

(Studio redazionale dal comitato internazionale “Rore sanctifica”)

Continuiamo a discutere con le idee un po’ più chiare, circa l’Invalidità intrinseca del rito del “Pontificalis Romani”, per quanto concerne la consacrazione episcopale. Ricordiamo in quali termini San Tommaso d’Aquino pone la questione: “Dio è il solo a realizzare l’effetto interno al Sacramento? Risposta: « Ci sono due modi di realizzare un effetto: in qualità di agente principale o in qualità di strumento. Secondo la prima maniera, è Dio solo che realizza l’effetto del Sacramento. Ecco perché Dio solo penetra nelle anime ove risiede l’effetto del Sacramento, e un essere non può agire direttamente là dove Egli non c’è. Anche perché appartiene solo a Dio il produrre la “grazia”, che è l’effetto interiore del Sacramento (Sum. Theol. I-II, Q.112, a. 1). Inoltre, il carattere, effetto interiore di certi Sacramenti, è una virtù strumentale derivante dall’Agente principale, che è qui Dio. Ma, nella seconda maniera, cioè agendo in qualità di ministro, l’uomo può realizzare l’effetto interiore del Sacramento; perché il ministro e lo strumento hanno la stessa definizione: l’azione dell’uno conduce ad un effetto interiore sotto la mozione dell’Agente principale che è Dio. » (Summa theologiæ III, Q.64, 1). In poche parole, l’uomo non è che il ministro, lo strumento dell’azione di Dio in un Sacramento. E qui sorge la domanda: “Chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che Dio agisca al meglio in un rito creato nel 1968”?

Seguiamo ancora San Tommaso, che si chiede: “L’istituzione dei Sacramenti ha solo Dio per Autore? – « È a titolo di strumento, lo si è visto, che i Sacramenti realizzino degli effetti spirituali. Ora lo strumento trae la sua virtù dall’Agente principale. Vi sono due agenti, nel caso di un Sacramento: Colui che lo istituisce, e colui che usa del Sacramento già instituito applicandolo quanto a produrre il suo effetto. Ma la virtù del Sacramento non può venire da colui che non fa che usarne, perché non si tratta così se non al modo di un ministro. Rimane dunque che la virtù del Sacramento gli viene da Colui che l’ha instituito. La virtù del Sacramento non venendo che da Dio, ne risulta che Dio solo abbia istituito i Sacramenti. » Summa theologiæ (III, Q.64, 1). Dio solo ha istituito i Sacramenti, e allora, ripetiamo la domanda: Chi ci assicura in modo assolutamente certo che un rito creato nel 1968 trasmetta la “virtù” di un Sacramento che ha solo Dio come autore? – “Gli elementi necessari istituiti dal Cristo secondo San Tommaso d’Aquino: L’istituzione dei sacramenti ha Dio solo per autore?« Obiezione n°1: Non sembra, perché è la Santa Scrittura che ci fa conoscere le istituzioni divine. Ma ci sono alcuni elementi dei riti sacramentali che non si ritrovano menzionati nella Santa Scrittura, come la santa Cresima, con la quale si da’ la confermazione, e l’olio con cui si ungono i Sacerdoti, e certe altre parole e gesti che sono in uso nei Sacramenti. Risposta all’obiezione n° 1: Gli elementi del rito sacramentale che sono d’istituzione umana non sono necessari al Sacramento, ma contribuiscono alla solennità di cui lo si circonda per eccitare devozione e rispetto in quelli che lo ricevono. Quanto agli elementi necessari ai Sacramenti, essi sono stati istituiti dal Cristo stesso, che è nello stesso tempo Dio ed uomo; e se essi non ci sono tutti rivelati nelle Scritture, la Chiesa comunque li ha ricevuti dall’insegnamento ordinario degli Apostoli [la tradizione – ndr. – ]; è così che San Paolo scrive (1 Co XI, 34) : « Per gli altri punti, io li regolerò alla mia venuta ». (Summa theologiæ III, Q.64, 1). Se gli elementi del rito “necessari” al Sacramento sono stati istituiti dal Cristo stesso, ci domandiamo ancora più perplessi, chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che gli elementi del rito creato  (… nientemeno che da dom B. Botte su commissione di Buan 1365/75!?!) nel 1968 contengano effettivamente gli elementi necessari al Sacramento istituito dallo stesso N.S. Gesù Cristo? Ricordando, al proposito, il giudizio di San Pio X « … allorché si sappia bene che la Chiesa non ha il diritto di innovare nulla che tocchi la sostanza del Sacramento » [San Pio X, 26 dicembre 1910, “Ex quo nono”]. Quindi veniamo alle “1+3” condizioni di validità del Sacramento di consacrazione: 1) Perché una consacrazione episcopale sia valida, si richiede innanzitutto che il consacratore abbia egli stesso il potere d’ordine, cioè che egli sia validamente (ed ontologicamente) Vescovo. Successivamente, sono necessarie 3 condizioni all’esistenza del Sacramento della consacrazione episcopale (vale a dire alla sua validità) : • la materia e la forma: « I Sacramenti della nuova legge devono significare la grazia che essi producono e produrre la grazia che essi significano. Questo significato deve ritrovarsi … in tutto il rito essenziale, e cioè nella materia e nella forma; ma esso appartiene particolarmente alla “forma”, perché la materia è una forma indeterminata per se stessa, ed è la “forma che la determina” ». [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. • l’intenzione del consacratore: « la forma e l’intenzione sono egualmente necessarie all’esistenza del Sacramento », «Il pensiero o l’intenzione, dal momento che è una cosa interiore, non cade sotto il giudizio della Chiesa; ma Essa deve giudicarne la manifestazione esteriore » [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. E il Santo Padre Pio XII sottolinea efficacemente la questione alla Conclusione dei lavori del 1° congresso internazionale della liturgia pastorale d’Assisi, il 22 settembre 1956: «Ricordiamo a questo proposito ciò che Noi diciamo nella Nostra Constituzione Apostolica “Episcopalis Consecrationisdel 30 novembre 1944 (Acta Ap. Sedis, a. 37, 1945, p. 131-132). Noi vi determiniamo che nella consacrazione episcopale i due Vescovi che accompagnano il Consacratore, debbano avere l’intenzione di consacrare l’Eletto, e che essi debbano per conseguenza compiere i gesti esteriori e pronunciare le parole, per mezzo delle quali il potere e la grazia da trasmettere siano significate e trasmesse. Non è dunque sufficiente che essi uniscano la loro volontà a quella del Consacratore principale e dichiarino che essi fanno proprie le sue parole e le sue azioni. Essi stessi devono compiere quelle azioni e pronunziare le parole essenziali. »! E allora, quali sono state le modifiche o le soppressioni “sospette” (per usare un eufemismo) del rito montiniano. Ecco cosa è stato soppresso: – 1) Il giuramento del futuro Vescovo che promette a Dio « di promuovere i diritti, gli onori, i privilegi dell’autorità della santa Chiesa romana… d’osservare con tutte le sue forze, e di farle osservare agli altri, le leggi dei santi Padri, i decreti, le ordinanze, le consegne ed i mandati apostolici … di combattere e di perseguire secondo il suo potere gli eretici [una delle principali funzioni del Vescovo!!!], gli scismatici ed i ribelli verso il nostro San Pietro: il Papa ed i suoi successori ». – 2) L’esame attento del candidato sulla sua fede, comprendente la domanda di confermare ciascuno degli articoli del credo. – 3) L’istruzione del Vescovo: « Un Vescovo deve giudicare, interpretare, consacrare, ordinare, offrire il sacrificio, battezzare e confermare ». In nessuna parte quindi, il nuovo rito menziona che la funzione del Vescovo sia quella di ordinare, di confermare e di giudicare (di slegare e legare). -.4) La preghiera che precisa le funzioni del Vescovo, dopo la preghiera consacratoria. Nel Pontificalis Romani, si definisce quindi una forma essenziale insufficiente. Per Pio XII, la forma deve significare in modo univoco l’intenzione del rito di fare un Vescovo per ordinare dei preti: « allo stesso modo, la sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in un modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tali» [Pio XII, Sacramentum Ordinis, 1947]. –

[la vera formula consacratoria di sempre in uso nella Chiesa Cattolica]

La forma designata come “essenziale” da Paolo VI non indica né il potere d’ordine, né la grazia dello Spirito-Santo come grazia del Sacramento:

« La forma consiste nelle parole di questa preghiera consacratoria; tra di esse, ecco quelle che appartengono alla natura “essenziale”, sicché sono quelle esatte perché l’azione sia valida:

« Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo, quem ipse donavit sanctis apostolis, qui constituerunt Ecclesiam per singula loca, ut sanctuarium tuum, in gloriam et laudem indeficientem nominis tui »

[ed ora effondi su questo eletto quella virtù che viene da Te, lo Spirito “principale”, che desti al Figlio tuo diletto, e che Egli donò ai suoi Apostoli, perché si costituisse la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode del tuo Nome …]. (Inoltre non è specificato di quale spirito si tratti! “Principalem”, in latino, significa pure: “del principe” [si consulti un normale vocabolario della lingua latina]… quindi non è per caso che ci si riferisca, viste le referenze degli autori, allo … spirito del “principe … di questo mondo”?) – (Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968.]. I termini supposti per definire il Vescovo figurano in un’altra parte del prefazio: «ut distribuát múnera secúndum præcéptum tuum » [Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968). Alla maniera degli anglicani, i difensori del rito montiniano devono allora invocare l’“unità morale” del rito. Nel Pontificalis Romani, la forma essenziale è senza dubbio, insufficiente. Il Sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa!!! « La sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere d’ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tale». [Pio XII, Sacramentum ordinis, 1947]. Le parole del prefazio del Pontificalis romani “non” significano affatto il potere d’ordine: “Ut distribuant munera secundum praeceptum tuum”. [Che essi distribuiscano dei “doni” (!?! forse come santa Claus o la befana !?) secondo il tuo comandamento]. Il termine adottato “distribuant munera” è equivoco, esso esprime dei doni, dei carichi, delle funzioni (vedere il diz. Gaffiot per “munus”), si tratta di un termine profano che non esprime nemmeno lontanamente il potere d’ordine. Dom Botte traduce il greco κλήρους (Klerous) con ‘carichi’ (La Tradition apostolique, Ed. Sources chrétiennes, maggio 1968). Ora un “carico” ecclesiastico non è un ordine. Un anglicano può accettare l’espressione di distribuzione di carichi, un luterano ugualmente. Questa ambiguità è voluta … siamo ben lontani dalle parole essenziali del rito latino (comple sacerdote tuo). Queste parole esprimono in modo univoco il potere d’ordine (Episcopum oportet … ordinare – il Vescovo deve ordinare!). Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significhi e quindi la forma è da considerarsi “difettosaA questo punto, a differenza di tutti i riti precedentemente adottati, è patente la “contro-intenzione” del rito, quella di “non” significare il potere di ordinazione dei Sacerdoti, e quindi la volontà di non ordinare! Si mette dunque in evidenza una contro-intenzione a livello della forma del rito, contro-intenzione che appare in un contesto ecumenico-modernista che fornisce la “chiave” per la comprensione della posa in atto di questo rito. Non a caso Jean Guitton, scriveva: « Questa Chiesa ha cessato di chiamarsi cattolica per chiamarsi ecumenica », ed il massone Bugnini (col nome d’arte BUAN, sempre lui, quello della messa del baphomet “signore dell’universo”!) dichiarava sull’Osservatore Romano del 19 marzo del 1965: Noi dobbiamo spogliare le nostre preghiere Cattoliche e la liturgia Cattolica da tutto ciò che potrebbe rappresentare l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri “fratelli” separati (quelli che la “vera” Chiesa ha sempre chiamato “eretici” e “scismatici”, vale a dire i Protestanti.”).

Un caso simile, a proposito delle false ordinazioni anglicane, fu inesorabilmente ed infallibilmente stroncato da un Papa “vero”, Leone XIII nella sua famosa lettera Enciclica del 1896 (oggi occultata con ogni mezzo dagli apostati modernisti conciliari!), la già più volte citata “Apostolicæ curæ” nella quale si dimostravano 4 punti: –

1) La forma del Sacramento è stata rimpiazzata da una forma ambigua che non significa precisamente la grazia che produce il Sacramento [appunto come l’attuale -ndr. -]. –

2) Il rito anglicano è stato composto e pubblicato in circostanze di odio del Cattolicesimo ed in uno spirito settario ed eterodosso (come quello ecumenico e neoterico della setta modernista, ampiamente scomunicato da Papi di felice memoria, uno tra tutti: Pio II in Execrabilis– ndr, – ); –

3) Le espressioni del rito anglicano non possono avere un senso cattolico (esattamente come quello esaminato –ndr. – ).–

4) L’intenzione del rito anglicano è contraria a ciò che fa la Chiesa • Una conclusione infallibile e senza appello!!!.

Tale conclusione, viste le premesse, può essere tranquillamente e serenamente applicata, con identica fermezza, a quella del rito di Montini e del “trio blasfemo”. Si tratta come si vede, di una ulteriore impostura sacrilega a-canonica ed a-cattolica introdotta a devastazione della Gerarchia cattolica, e la formazione di una nuova gerarchia farlocca, completata di li a poco (1972) dall’abolizione indebita della tonsura ecclesiastica, e che ha “confezionato”, come vedremo, dei laici mai consacrati, dei prelati-zombi, ridicoli travestiti ed usurpanti ignobilmente titoli e giurisdizioni!

.- Continuiamo a parlare di questa cosa gravissima, della quale pochi sono a conoscenza, e chi sa e la conosce, si guarda ovviamente bene dal farne parola, e cioè della INVALIDITA’ formale e materiale della consacrazione episcopale del “Pontificalis Romani”, che sta producendo in apparenza, l’estinzione dell’Ordine sacerdotale cattolico e di conseguenza di tutti i Sacramenti: quella che oggi appare essere la Chiesa Cattolica, è costituita in realtà da un esercito di “zombi” spirituali, da “finti” e presunti sacerdoti e vescovi che stanno lentamente ma inesorabilmente soppiantando i pochi veri “residui” Vescovi e Sacerdoti, oramai solo ultraottantenni, e cioè i Vescovi ordinati con il “rito Cattolico” di sempre contenuto nel Magistero irreformabile ed eterno, o i Sacerdoti ordinati da “veri” Vescovi a loro volta ordinati prima del fatidico 18 giugno 1968. – L’Apostolicità della Chiesa Cattolica, prosegue nelle “catacombe” in cui è relegato il vero Pontefice Romano, successore di S.S. Gregorio XVII, Giuseppe Siri, che anche se con estrema difficoltà e prudenza ordina e garantisce l’operato dei Vescovi da lui nominati.

Adesso discorreremo addirittura delle ERESIE contenute nella formula del rito del “Pontificalis Romani”!! Effettivamente costateremo nella “forma” essenziale: 1) un‘eresia monofisita, 2) un’eresia anti-filioque, 3) un’eresia anti-Trinitaria, tali da configurare una forma essenziale “kabbalista e gnostica” (la Gnosi in generale, e quella talmudica-cabbalista in particolare, è propriamente la “teologia” di lucifero), e creare quindi un perfetto “eletto manicheo”. Una forma quindi, che non solo rende invalida ed illecita ogni presunta consacrazione, ma ne inverte i valori spirituali, consacrando cioè un “servo di lucifero”. E allora ci chiediamo: ma se è così come sembra, e come ci accingiamo a dimostrare, cosa pensare del prossimo “santo” G.B. Montini, Paolo VI? Possiamo affermare, con piglio categorico, sicuro e senza … peli sulla lingua: il “dannato subito” della “sinagoga di satana”, infiltrata lentamente fraudolentemente nella Chiesa Cattolica, è da ritenersi come il più grande eresiarca della storia di tutti i tempi, al cui confronto Lutero, Calvino, Fozio, Ario, Krenmer, Soncino e compagnia cantando, sono dilettanti di serie Z, di ultima categoria!”.

PORTRAIT DE CALVIN

gli eretici dilettanti e…

… Il più grande eresiarca di tutti i tempi!

C’è chi ha attaccato la Chiesa dal tetto, chi dalle mura esterne, chi dal portone e dalle finestre, ma Montini “la ruspa” L’ha praticamente rasa al suolo (si fieri potest), scardinandone i pilastri portanti: la Santa Messa, la Consacrazione episcopale, la tonsura abolita e quindi Sacerdozio cattolico abolito, con la conseguente invalidità di tutti i Sacramenti e di ogni rito! Ma torniamo alla invalida ed illecita consacrazione episcopale, alla blasfema formula di ispirazione fanta-copto-etiopica, come dimostrato in precedenza: « Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo » [Pontificalis Romani, 1968 (forma essenziale)]. Qui è palese l’affermazione dell’eresia monofisita, l’eresia dei monofisiti etiopici [che negano cioè la natura divina di Cristo]. Queste due righe citati infatti si ritrovano tal quali nel loro rito abissino di consacrazione episcopale. Questa eresia consiste nel considerare che il Cristo abbia bisogno di ricevere dal Padre lo Spirito-Santo per divenire ’Figlio di Dio’, e per poter comunicare a sua volta, lo Spirito-Santo ai suoi Apostoli. Il Figlio riceve lo Spirito ad un dato momento (al battesimo secondo gli Etiopi), cosa quindi che nega la natura del “Fiat” della Santissima Vergine Maria, “Fiat” che permette nello stesso momento la sua verginale Concezione, realizzando così il Mistero centrale della Fede Cattolica: l’Incarnazione di Nostro Signore Gesù-Cristo, vero Uomo e vero Dio per mezzo dello Spirito-Santo). Quindi: negazione totale della verità cattolica dell’Incarnazione del Verbo! Ma nella “forma essenziale” c’è anche spazio per l’eresia anti-Filioque [l’eresia di Fozio e dei sedicenti “Ortodossi”, che negano il procedere dello Spirito-Santo dal Padre “e” dal Figlio]. In questa forma, infatti, si afferma l’eresia anti-Filioque etiopica, secondo la quale “Non è più il Figlio che spira, con il Padre, lo Spirito-Santo (cf. il “Filioque” del Simbolo di Nicea), ma è il Figlio che riceve dal Padre lo Spirito-Santo. Si tratta di un’inversione (secondo un tipico costume satanico), delle relazioni nella Santa Trinità tra il Figlio e lo Spirito-Santo. Incredibile! Pensare che al Credo della Messa “di sempre” la Chiesa ci fa cantare a proposito dello Spirito-Santo « qui ex Patre Filioque procedit »! Questa formula esprime la fede della Chiesa nello Spirito Santo come terza Persona della Santa Trinità. Lo Spirito-Santo procede dal Padre e dal Figlio come da un solo Principio e possiede, con il Padre ed il Figlio, gli stessi attributi di onnipotenza, di eternità, di santità; Esso è uguale al Padre ed al Figlio a causa della divinità che è Loro propria. L’utilizzazione del termine Puer Jesus Christus nella “forma”, in Ippolito, «modello» del rito della consacrazione dei Vescovi riformato da Montini (il sedicente marrano Paolo VI), è rimpiazzato da: “dilectus Filius” = tuo Figlio diletto, Gesù Cristo. Malgrado tutto, questa correzione indica ancora e sempre una inferiorità del Figlio poiché il Cristo è designato anche, come nei Greci scismatici, come canale transitorio dello Spirito-Santo. Manca dunque allo Spirito-Santo la relazione essenziale in seno alla Santa Trinità come Persona emanante dal Padre e dal Figlio dall’eternità. Un errore grossolano, fondamentale, che rende, una volta di più, la forma dell’ordinazione intrinsecamente inoperante e dunque assolutamente invalida! Ed anche se la rettitudine della fede del Vescovo consacrante fosse certa, questa non potrebbe “sopperire” né correggerebbe la forma e l’intenzione che è normalmente veicolata dal rito.

Ma non è ancora finita: la “forma” inventata da B. Botte per Bugnini, su richiesta di Montini, proclama anche una eresia anti-Trinitaria! Ed infatti il « Signore » che è: Dio, il Padre; il Figlio Gesù-Cristo, consustanziale al Padre; e « lo Spirito che fa i capi (!?!) e che Tu hai dato al tuo Figlio diletto, Gesù-Cristo » non costituiscono affatto una designazione teologicamente corretta delle tre Persone divine nell’unità della sostanza e distinte per le loro Relazioni proprie! Qui il discorso è sottile e non alla portata di ogni mente non abituata (e dove sono più oramai?) al “tomismo” (la teologia di S. Tommaso), ma è palese il voler rinnegare la formulazione di San Tommaso quando dice: Pater et Filius et Spiritus Sanctus dicuntur “unum” et non unus. (Quodl. 6,1+2) [si dicono un “unico” e non uno]. Di conseguenza la nuova formula di consacrazione episcopale è egualmente invalida a causa di questa eresia antitrinitaria.

Ma c’è ancora dell’altro: questa “forma” sembra a ragione, provenire addirittura da un sistema gnostico e kabbalista! Riportiamo ancora la formula: « Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo» Con la modifica di “Spiritus principalis” in “Spiritum principalem”: cioè un genitivo che diviene un accusativo, l’essere dello Spirito è assimilato ad una qualità (forza), lo Spirito diviene cioè una sorta d’ “energia”, e non più una “Persona”. Questo concetto eretico deriva da un sistema “gnostico” immanentista panteista (il discorso sui concetti della “gnosi spuria” e di kabbala “spuria”, richiederebbe un’opera monumentale). La messa in equivalenza mediante un accusativo, proprio della “fabbricazione” di Dom Botte (“originalità” luciferina che non si ritrova né presso gli etiopi, né nella sinossi della ’Tradizione apostolica’ e neppure nelle Costituzioni apostoliche), tra la “forza” (virtus) che viene dal Padre e lo Spiritus principalis, fa nuovamente assimilare la Persona dello Spirito-Santo ad una semplice “qualità” proveniente da Dio, ma senza essere Dio. Questo è nuovamente un negare lo Spirito-Santo come Persona divina e quindi la sua consustanzialità divina. Ma addirittura in certe traduzioni “diocesane” lo Spirito vi appare con una minuscola, ed egualmente il ’Figlio’ vi appare con una minuscola: “Signore, spandi su Colui che tu hai scelto la tua forza, lo spirito sovrano che tu hai dato a tuo figlio”. Facendo il legame di questi elementi con la concezione kabbalista di Elia Benamozegh (cf. le sue opere in proposito), si arriva alla riduzione dello Spirito e del Figlio a due “eoni” inviati da Dio, ma che non sono Dio, bensì degli “éoni” [coppia di entità che Dio manderebbe ogni tanto per illuminare gli uomini], come nel sistema dell’eretico gnostico Valentino (o della neognosi massonica attuale), o delle forze semplici, “virtù” o energie spirituali. Questo riduce la Santa Trinità ad un concetto puramente simbolico, espressione di un sistema gnostico sotto le apparenze monoteiste (monoteismo appunto del “signore dell’universo”: lucifero, cosa di cui ci ha informato il sig. Margiotta, massone ex 33° del palladismo di Pike e Mazzini). Questo lascia trasparire la profonda conoscenza che il “marrano” Patriarca degli Illuminati di Baviera dell’epoca, Montini [la cui famiglia materna era giudaica] aveva della kabbala e della gnosi spuria che egli ha travasato nel Cattolicesimo facendola apparire “cristiana” agli “ignari” fiduciosi della sua (finta) infallibilità! A chi ne volesse sapere di più, si consiglia : “Dell’Origine dei Dogmi Cristiani”, di Elia Bénamozegh. Cap. III. Caratteri dello Spirito-Santo, pag. 271, e, sempre dello stesso rabbino, gli: Atti del convegno di Livorno (settembre 2000) Alessandro Guetta (ed.), Edizioni Thalassa de Paz, Milano, coop srl. – Dicembre 2001 Via Maddalena, 1 – 20122 Milano. Quindi la SS. Trinità è intesa seconda la “gnosi spuria”: « Non è più la Trinità di Persone nell’unità della sostanza, ma è l’Infinito, l’Assoluto, l’Eternità, l’Immensità incomprensibile, inintelligibile, vuota e senza alcuna forma, l’“ensof” in cui le tre Persone non sono più che delle emanazioni temporali (…). Secondo il paganesimo, l’Essere primordiale, che è nello stesso tempo il Non-essere, si differenzia e si rivela solamente dopo un certo tempo, facendo emanare dal suo vuoto interiore le tre divinità che i pagani hanno adorato. Così si elimina la S.S. Trinità in vista della religione noachide. E qui il discorso si allargherebbe a dismisura esulando dalle intenzioni di questo scritto. Ricordiamo solo che la negazione dell’eternità della Trinità divina è la negazione della creazione “ex nihilo”, è la negazione della differenza essenziale tra Dio e l’universo; è l’abbassamento del Creatore al livello della sua creatura o la deificazione della creatura, in particolare dell’uomo… è il panteismo» In verità questa è stata sempre la costante del “falso” pontificato di Montini: sostituire l’uomo a Dio, sostituire alla Redenzione di Gesù-Cristo, la redenzione gnostico-cabalista della triplice e blasfema trinità massonica.

Oltre a queste chiare eresie e l’intento noachide, la “forma” montiniana, nasconde un’ulteriore intenzione “occulta”, quella di designare un « Eletto » manicheo, aggiungendo l’espressione: “super hunc Electum”. “Electus” ha due sensi (cristiani) secondo il Gaffiot (termine electus) • scelto da Dio per la salvezza: VULG. Luc. XVIII,7 • scelto per ricevere il Battesimo: AMBR. Hel. 10, 34. Poi il Gaffiot aggiunge un ultimo senso: • membro d’élite della setta dei manichei, [eretici gnostici, seguaci di Mani]: MINUC. 11,6. Ora, essendo gnostica la natura del sistema dal quale deriva questa formula, questo è il vero senso, e cioè l’intenzione del rito d’ordinazione episcopale di sua satanità Paolo VI è un rito che conferisce dei poteri ad un eletto manicheo! A questo punto abbiamo bisogno di respirare aria pura, non ne possiamo più di tutti questi inganni! Certo, non vorremmo ritrovarci nei panni “infuocati” di un vescovo (falsamente) consacrato dopo il 1968, cioè un “eletto manicheo” anti-Cristo! Alla prossima per ricapitolare il tutto!

Quali sono le origini del Pontificalis Romani, da dove proviene questa formula dell’antipapa Paolo VI? Le Ragioni addotte da Paolo VI nel Pontificalis Romani per promulgare questa riforma ufficialmente sono: – « … Si è giudicato bene di ricorrere, tra le fonti antiche, alla preghiera consacratoria che si trova nella “Tradizione apostolica di Ippolito di Roma”, documento dell’inizio del terzo secolo, e che, in una grande parte, è ancora osservata nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti ed i Siriaci occidentali. In tal modo, si rende testimonianza, nell’atto stesso dell’ordinazione, dell’accordo tra la tradizione orientale ed occidentale sul carico apostolico dei Vescovi » Paolo VI (Pontificalis Romani,1968). L’inganno è palese, poiché è provato (come vedremo più avanti) che: – La pretesa (*) Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito di Roma, o ad altri autori, è un tentativo di ricostituzione fatto da Dom Botte dopo il 1946, ed « in modo costruttivo », secondo l’espressione di R.P. Hanssens, nel 1959. – La Tradizione apostolica d’Ippolito suscita dal 1992 un dibattito tra specialisti che la qualificano come di « pretesa Tradizione apostolica », quindi quantomeno dubbia, se non fantomatica! Questa controversia divenne oggetto di un seminario nel 2004 nel quale si concluse che: –1) La preghiera di consacrazione di Paolo VI si ispira, ma non s’identifica, con la pretesa Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito; essa rappresenta una creazione “artificiale” di Dom Botte nel 1968. 2) La preghiera consacratoria di Paolo VI, la cui forma essenziale è ispirata alla pretesa (*) Tradizione Apostolica d’Ippolito, presenta delle similitudini con i riti Abissini, riti di eretici “monofisiti”, i quali non costituiscono dei riti validi, ma piuttosto dei riti risultanti da dibattiti teologici nati alla fine del XVII secolo. 3) I riti copto e siriaco non utilizzano affatto la formula detta d’Ippolito, (dello stesso avviso è perfino Dom Botte!). inoltre i riti utilizzati dal siriaco al copto, ai quali ci si è falsamente ispirati, venivano utilizzati per insediare un Patriarca già consacrato Vescovo, e quindi non conferivano in alcun caso il Sacramento dell’Ordine!  – 4) La formula di Paolo VI non manifesta alcun « accordo tre le tradizioni orientale ed occidentale», ma viene recuperata piuttosto da una pretesa (*) ‘Tradizione apostolica d’Ippolito’, testo che secondo alcuni proviene invece da ambiti egiziano-alessandrini, nei quali i riti traducono, secondo Burton Scott Easton, le influenze della sinagoga (The Apostolic Tradition of Hippolytus, Burton Easton, 1934, pag. 67 ed. del 1962, Archon Books).

(*) [Noi abbiamo preferito scrivere, in accordo con il comitato internazionale “rore sanctifica”: La ‘pretesa’ Tradizione apostolica a proposito di questo documento denominato “la Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito” (o a diversi autori “Ippoliti”), conformandoci così alla denominazione dei lavori Scientifici ed universitari che si è imposta da un paio di decenni nel mondo degli specialisti che trattano di questo soggetto.]

In sostanza, la “contestazione d’Ippolito”, conosciuta dagli specialisti già dal 1946, ossia ben 22 anni prima del Pontificalis Romani, continua nel 1990 ed oltre, anche da parte dei Bollandisti (Gesuiti seguaci di Bolland, particolarmente eruditi nelle documentazioni ecclesiastico-liturgiche). Sarebbe troppo lungo e noioso riportare tutti i documenti, veri o presunti, ed i dibattiti successivi sul tema, ma a quanti, incuriositi, volessero delle indicazioni precise, consigliamo di consultare il sito del comitato “Rore Sanctifica” o i diversi Tomi di “Démontration et bibliographie” editi da ESR. In conclusione, la preghiera consacratoria di Paolo VI s’ispira, ma non riproduce affatto neppure quella della pretesa (*) “Tradizione Apostolica d’Ippolito’ che è stata quindi solo un po’ di “fumo negli occhi”, un “bluff” per prendere tempo in attesa di tempi migliori e … di nuove invenzioni, e costituisce pertanto una creazione artificiale di Dom Botte nel 1968. L’inganno verrà meglio compreso successivamente, quando qualche “topo di biblioteca”, un inopportuno ed inatteso “figlio di topa….” va a scovare le formule ed i riti orientali nelle lingue originali, fraudolentemente addotti essere un modello di ispirazione onde fondere le consuetudini liturgiche occidentali ed orientali, sicuri che nessuno mai andasse a verificarle, fidandosi della perizia dei falsi e ben oleati “sapienti” incaricati. Per il momento ci fermiamo qui, ma le sorprese continuano: “Esse ci fanno capire la volontà sottile con la quale si sia perpetrato l’inganno tra l’indifferenza, l’insipienza e, non voglia Iddio, la connivenza di tanti presunti “conoscitori di cose divine”, mollemente adagiati nei loro dorati e comodi giacigli, magari in compagnia di qualche “amichetto”.. Tremate, il giudizio arriverà anche per voi … come un ladro, quanto meno lo aspettate … e lì sarà pianto e stridor di denti!

     Concludiamo con una certa tensione il nostro esame circa la totalmente invalida e blasfema consacrazione episcopale la cui “forma” è contenuta nel (falso) pontificalis romani del 1968, forma progettata, redatta e confezionata ad arte dal trio massonico-modernista BBM [Botte, Buan 1365/75, Montini], esame che ci ha messo a conoscenza di cose sconvolgenti e scrupolosamente celate da chi “sa”, cose che descrivono una realtà totalmente artefatta ed ingannevole. A riguardo degli attuali falsi-vescovi vaticano-secondisti (compreso quelli “sedicenti” di Roma), è bene rileggere le parole, oggi tragicamente attuali, contenute in una lettera famosa che reca le firme delle più belle ed appropriate penne del Cattolicesimo, ossia di trentatré Vescovi, tra i più insigni dell’epoca della peste giudaico-ariana abbattutasi sulla Cristianità, tra i quali Melezio di Antiochia, primo presidente del Concilio Ecumenico di Costantinopoli, di S. Gregorio Nazianzeno, grande Padre della Chiesa, che presiedette il suddetto Concilio Ecumenico alla morte di Melezio, San Basilio, anch’esso Padre della Chiesa, S. Giovanni Crisostomo, ed altre personalità insigni per fama e santità. La lettera famosa riporta quanto segue: “… si getta lo scompiglio nei dogmi della Religione, si confondono le leggi della Chiesa. L’ambizione di coloro che non temono il Signore li spinge a scavalcare le autorità e ad attribuirsi l’Episcopato quale premio alla più sfacciata empietà, di modo che colui che proferisce le più gravi bestemmie venga ritenuto il più adatto per reggere il popolo come Vescovo. È scomparsa la serietà episcopale. Mancano pastori che pascolino con coscienza il gregge del Signore. I beni dei poveri sono costantemente impiegati dagli ambiziosi per proprio tornaconto e regalati senza riguardo. Il fedele compimento dei canoni si è oscurato (….) Per tutto questo gli increduli ridono, i deboli vacillano nella fede, la fede stessa è dubbiosa, l’ignoranza si distende sulle anime, quindi assumono aspetto credibile coloro che insozzano la divina parola con loro malizia, visto anche che la bocca dei più osserva il silenzio” [Opere di S. Giovanni Crisostomo. Bibliot. di Autori Cristiani. La Editorial Catolica S. A., introd. Pag. 7 -grassetto e sottolineatura redaz.-]. Nulla è cambiato oggi rispetto alla quella tragica situazione, anzi oggi è ancora peggio, perché abbiamo da un lato 1°- finti vescovi non-consacrati dell’ecumenico-modernismo, setta oggi padrona illegittima usurpante nella Chiesa; dall’altro altrettanto 2° – finti non-vescovi mai consacrati, a cominciare dal cavaliere kadosh A. Lienart, massone 30° già quattro anni prima della sua sacrilega ed invalida consacrazione, invalida poiché un Sacramento non può operare in un pluriscomunica scomunicato “latæ sententiæ” od imprimere il sigillo del sacerdozio anche ordinario in uno che grida alzando un pugnale al cielo: “Adonay nokem” [Adonai vendetta], nei brindisi inneggianti a lucifero delle agapi massoniche. (Inutile e falso dire che anche Giuda fosse stato costituito Vescovo da Gesù-Cristo, malgrado le sue intenzioni nefaste, ma il Salvatore ha lasciato fare, perché sapeva già a quale fine il reprobo traditore andasse incontro … da lì a poco). Invalida quindi la sua consacrazione, invalide tutte quelle da lui operate e quelle operate dai suoi falsi consacrati, a cominciare dal “santo” “Marcello” Giuda-Lefebvre, ben consapevole della cosa, e che oltretutto poi, senza alcun mandato, contravvenendo a tutte le regole ed ai Canoni della Chiesa, ed in dispregio a qualunque autorità, anche alle false, ha sacrilegamente ed invalidamente “finto” di consacrare, con cognizione di causa, altri poveri disgraziati peggiori di lui, destinati anch’essi alla fine di Giuda, che continuano il turpe ed infame costume di perdizione delle anime incaute. Delle pittoresche balorde consacrazioni di mons. Thuc, ai limiti della patologia psichiatrica, che in preda ad enfasi misticheggianti, ha consacrato cani e p…., senza mandato apostolico e giurisdizione, avallando scismatici ed eretici movimenti sedevacantisti pseudo-tradizionalisti, non è neppure il caso di accennare. E qui non abbiamo Santi come il Crisostomo, Basilio, Gregorio Nazianzeno. Ci resta solo la Santissima Vergine e la potentissima arma del Rosario… Ella ce l’ha promesso … “Ma alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!!!” [Messaggio di Fatima].

Ricordiamo pure come il grande autore cattolico francese Dom Guéranger (quando in Francia c’erano ancora Sacerdoti cattolici! … bei tempi …) nelle “Instituzioni Liturgiche”, presenta in 12 punti fondamentali la «Marcia dei pretesi riformatori del cristianesimo» : – Egli dimostra che l’eresiarca antiliturgista odia la Tradizione, rimpiazza le formule liturgiche con i testi della Scrittura Santa per interpretarli a suo modo, introduce delle formule «perfide», rivendica i diritti dell’antichità di cui si fa beffe cambiandone il rito, sopprime tutto ciò che esprime i misteri della fede cattolica, rivendica l’uso della lingua volgare, sopprime le genuflessioni ed altri atti di pietà della liturgia cattolica, odia la Potenza Pontificia Romana, organizza la distruzione dell’episcopato, rigetta l’autorità di Roma per gettarsi nelle braccia del principe temporale. Alla luce delle considerazioni di dom Guéranger, della cui retta dottrina c’è da essere assolutamente certi, siamo quindi alla presenza di eresie antiliturgiste, e del maggiore eresiarca antiliturgista mai comparso sulla faccia della terra: G. B. Montini, il marrano sedicente Paolo VI, “giustamente” pseudo-canonizzato, “santo” della attuale “sinagoga di satana” [si legga: “dannato” della chiesa Cattolica] che oggi domina la Sede di Pietro ed i Sacri palazzi dell’urbe e dell’orbe così come da visione “purtroppo” profetica del Santo Padre S. S. Leone XIII! – Ma torniamo al nostro argomento, facendo un po’ di riepilogo. Ci pare di aver capito, nella nostra grossolana ignoranza, che il rito Romano, soppresso il 18 giugno del 1968, sia un rito antico, invariabile nella sua forma essenziale da più di 17 secoli, ed infatti tutti i Vescovi cattolici di rito latino (tra i quali Santi straordinari, tipo S. Francesco di Sales o S. Alfonso Maria de’ Liguori, tanto per citarne qualcuno), sono stati consacrati con questo rito. Che cosa ha questo nuovo Rito che non va? Ecco la risposta pronta: “ Il rito di Pontificalis Romani è stato creato nel 1968 e non è MAI stato utilizzato nella Chiesa. Nessun Vescovo cattolico è mai stato consacrato in questo rito. Questo rito non possiede gli «elementi necessari», secondo la teologia sacramentale. (v. San Tommaso): Esso è INTRINSECAMENTE invalido. Questo non è un rito cattolico!!! A tal proposito cerchiamo, prima di un riepilogo dettagliato sulla questione, di comprendere meglio cosa si intendesse, accennando all’“eletto manicheo”, che sarebbe in realtà l’unico titolo che il rito, o meglio questa “pantomima”, spacciata per consacrazione episcopale, conferirebbe! Gli “eletti” manichei, o “i perfetti”, costituivano, nell’ambito del Manicheismo, una “religione” di carattere gnostico che annoverava influssi disparati derivanti da tradizioni giudaiche, iraniane, ed afro-orientali, in un “minestrone” ecumenico comprendente elementi di buddismo, cristianesimo, zoroastrismo, tradizioni iraniche, giudaismo talmudico e paganesimo variegato, il tutto ben cementato dalla cosmogonia e teogonia gnostica, in un sistema codificato secondo presunte “rivelazioni” spirituali di un “paracleto”, il presunto “spirito gemello” di Mani (da cui Manicheismo, definire compiutamente il quale richiederebbe tempo e spazio), nobile personaggio vissuto nel III secolo d.C. In Persia: gli “eletti”, erano un gruppo ristretto di religiosi osservanti rigorose norme morali e comportamentali, che libererebbero le “fiammelle” divine imprigionate nei corpi materiali creati da un “demiurgo” malefico, il Dio dei Cristiani [sempre la stessa “solfa” gnostica]: agli “eletti” si contrapponevano gli “auditores” che erano i collaboratori degli “eletti”, verso i quali avevano doveri servili (elemosine), che non li avrebbero però liberati dalla materia, continuando così essi, poverini, ad essere obbligati a trasmigrare in corpi diversi (metempsicosi gnostica e teosofica!). L’obiettivo inconfessato della sceneggiata della “falsa” consacrazione cattolica episcopalele, non è altro quindi che la blasfema “istituzione” di eletti manichei (vescovi della chiesa gnostica) nell’ambito della dottrina gnostica, “gnosticismo” del quale è infarcito il talmudismo “spurio” giudaico, al quale si “abbeverava”, per tradizione familiare, l’apostata Montini. – Chiudiamo allora con il riepilogo succinto di quanto abbiamo cercato di esporre in questa serie di scritti dedicati alle “false consacrazioni episcopali” iniziate il 18 giugno del 1968. I fatti e gli argomenti precedentemente riportati hanno dimostrato quanto segue, per il rito di consacrazione episcopale promulgato dal falso Papa, l’antipapa Giovan Battista Montini, sedicente Paolo VI, il 18 giugno 1968 a Roma, nel Pontificalis Romani:

1) Questo rito non è antico, ma è stato creato nel maggio 1968 da diversi materiali.

2) Questo rito rivendica una origine oggi contestata dagli specialisti (veri) della questione

3) Questo rito non riproduce affatto quello della pretesa (*) “Tradizione apostolica” attribuita ad Ippolito.

4) Questo rito non è, e non lo è mai stato, praticato in Oriente, presso i copti ed i siriaci occidentali.

5) Questo rito si rivela, dall’inchiesta, non essere null’altro che una “costruzione” puramente umana di Dom Botte.

6) Questo rito possiede una “forma” essenziale insufficiente.

7) Questo rito non esprime l’intenzione di conferire il potere di ordinare dei sacerdoti cattolici.

8) Questo rito subisce le condanne che Leone XIII infallibilmente indirizzò (in “æa Trinità.

9) Questo rito nega l’unione ipostatica delle due nature nella Persona di N.S. Gesù Cristo.

10) Questo rito nega la “spirazione” dello Spirito dal Figlio, nega cioè il “Filioque”.

11) Questo rito veicola una concezione kabbalista e gnostica dello Spirito-Santo.

12) Questo rito rilancia, nel 1968, l’attacco contro lo Spirito-Santo sviluppato mezzo secolo prima dal rabbino di Livorno, Elia Benamozegh (1828-1900).

13) Questo rito serve a creare, in modo sacrilego e blasfemo, gli “eletti” Manichei, e quindi vescovi gnostici!

   Ne risulta da ciò che precede, così come dai testi infallibili di Leone XIII, di Pio XII e del Magistero tutto della Chiesa di sempre, che sia assolutamente IMPOSSIBILE considerare un rito tale come INTRINSECAMENTE VALIDO e capace di consacrare dei veri Vescovi cattolici, veri successori degli Apostoli di Nostro Signore Gesù-Cristo. In tal modo quindi, come da copione scritto nelle retro logge giudaico-massoniche, e recitato dai pupazzi della “quinta colonna” ecclesiastica infiltrata, si è cercato di distruggere l’Apostolicità della Chiesa Cattolica Romana, almeno spiritualmente, lasciando poi che si distruggesse materialmente, con opportune guerre inventate per i più futili motivi, anche l’Apostolicità delle chiese orientali greco-Cattoliche, ad esempio in Ucraina, Libano, Siria, Egitto, etc., che non hanno modificato il loro rito antichissimo, così come la Messa di S. Basilio e S. Giovanni Crisostomo degli uniati.

L’Apostolicità è unicamente conservata solo nella Chiesa d’occidente, la Chiesa Cattolica Romana, dalla Gerarchia in esilio, che da Gregorio XVII, Cardinal Siri, Papa “impedito”, in poi è rimasta l’unico filo conduttore che da San Pietro in poi giunga ai nostri giorni e continuerà la serie ininterrotta dei Papi, come da Magistero solenne (v. C. A. Pastor Æternus in Conc. Vaticano), e da promessa del divin Salvatore Gesù-Cristo. A Lui sia onore e gloria, a Lui che vive e regna, con il Padre e lo Spirito Santo, per tutti secoli dei secoli.

Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat!

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA NELLA SINAGOGA DI sATANA (2)

18 giugno 1968: Fondazione della gerarchia nella sinagoga di satana. (2)

(Studio redazionale dal comitato internazionale “Rore sanctifica”)

   Cerchiamo di esaminare più da vicino la questione riguardante la formula di Consacrazione dei Vescovi. Intanto ci cominciamo a chiedere chi ne siano stati gli autori. Guarda caso, ci troviamo a che fare con personaggi già noti, fortemente compromessi con istituzioni massoniche e ferocemente anticristiane, al centro delle apparenti stravaganze già note della cosiddetta “nuova messa”, un rito di ispirazione vagamente anglicano-protestante, osannante il massonico e gnostico “dio signore dell’universo”, e fuorviando totalmente dal contesto teologico tridentino, pertanto carico di anatemi imperituri, in particolare per chi ne ha o ne dovrebbe avere consapevolezza. Non paghi dello “scoop” sacrilego anticattolico ed antiliturgico, di per se stesso già gravissimo, e mirando a radere al suolo totalmente la Gerarchia cattolica, e quindi la Chiesa stessa (si fieri potest …), avviano questa nuova “pratica” che confondendo tradizioni apostoliche inesistenti, costruite in biblioteca per attribuirsi un’aureola di sapienza (un “baro” da falsi sapienti), e mescolando riti orientali, siriaci ed africani, di difficile controllo documentale, ed oltretutto già rigettati nel passato perché eretici e blasfemi, creano questo nuovo rito gettando fumo negli occhi con ignobili menzogne e contraffazioni. E allora, chi sono gli autori del Pontificale Romano? Eccoli: 1) Giovanni Battista Montini, detto Paolo VI, figura arcinota, il cui ruolo, decisivo nella contro-Chiesa, è riconosciuto ormai da tutti come determinante. Non ci dilungheremo affatto su tale figuro, e così rinviamo i lettori al trittico di Don Luigi Villa che lo ha “degnamente” e compiutamente descritto con dovizia di particolari ed abbondante documentazione.

L’altro degno losco figuro, già noto ai lettori attenti del blog, è il mons. (?) 2) Annibale Bugnini, il tristemente noto BUAN 1365/75 (nome in codice di appartenenza alla “loggia”) il “grande prestigiatore” che ebbe la “sfortuna”, poverino!, … di dimenticare ad una conferenza in Vaticano, su una sedia, una borsa che malauguratamente fu rinvenuta da un giornalista che ne rivelò il contenuto (oh, questi giornalisti non si fanno mai i fatti propri!): erano documenti segreti della loggia di appartenenza alla conventicola dell’incauto “figlio della vedova”. Così “sgamato”, fu inviato come nunzio apostolico in Iran, per chiudere ingloriosamente la sua turpe carriera.

Ma l’incarico più “tecnico” fu assunto da un oscuro benedettino, 3) dom. Bernard Botte, OSB, di cui nessuno aveva mai saputo nulla, e che qualche anno prima del nuovo pontificale, pubblicava un libro in cui illustrava una strana e fino ad allora oscura, presunta “tradizione di Ippolito”, un Ippolito che non si capisce chi fosse stato, o forse “Ippoliti”, visto che se ne contano due o tre (!?!), la stessa “tradizione” già implicata fraudolentemente nella stesura della “messa di BUAN” (l’attuale rito rosa+croce spacciato per Messa cattolica dalla setta modernista, attualmente usurpante il Soglio di Pietro).

Nell’immagine si vede l’antipapa marrano che, per tranquillizzare i suoi “sostenitori” indossava l’efod, paramento che indossava il sommo sacerdote della sinagoga quando condannò a morte Gesù …

Il “Pontificalis Romani” (nuovo Sacramento dell’Ordine) è stato promulgato dal “beato” marrano kazaro Giovanni Battista Montini, l’anti-papa, sedicente Paolo VI, il 18 giugno 1968. – Montini nomina Annibale Bugnini, che fu quindi l’artefice dei due documenti liturgici essenziali del suo “ruspante” falso pontificato demolitore: 1) il Pontificalis Romani, promulgato il 18 giugno 1968 e 2): in Cena Domini, promulgato il 03 Aprile 1969. Il 07 gennaio 1972, Montini ha poi egli stesso premiato Bugnini, ordinandolo” all’Episcopato (ovviamente in modo invalido e sacrilego!!), e nominandolo poi, il 15 gennaio 1976, Arcivescovo titolare di Dioclentiana. Ma davanti allo scandalo della sua nota e divulgata appartenenza massonica fin dal 23 aprile del 1963 sotto il nome in codice di ’Buan 1365/75’, lo “esilia” come pro-Nunzio apostolico a Teheran … oramai il burattino logoro e “sgamato” si poteva mettere da parte, con un bel calcio nel fondo schiena!

Dom Bernard Botte, benedettino dell’abbazia del Mont-César (Belgio) fu, sotto l’autorità di Bugnini, il principale artigiano del testo, inventando la rocambolesca ricostruzione di un fantomatico rito, da una pretesa tradizione apostolica di Ippolito (ma non sa nemmeno lui di quale Ippolito si tratti!), nota evidentemente a lui solo.., e di cui non si era mai sentito parlare in precedenza nella Chiesa se non come frammento storico da decifrare … una favola partorita dalla fervida fantasia di questo strano benedettino, e subito fatta propria da chi intendeva distruggere la Gerarchia, il Sacerdozio ed i Sacramenti cattolici.

 Siamo così vicini a dipanare una “matassa” complicata, ma della quale si iniziano ad scorgere le terminazioni del filo, lasciando intravedere una trama interessante e che suscita curiosità anche per gli “indifferenti”, soprattutto per coloro che amano i thriller spionistici, nei quali appunto gli inganni si intrecciano vorticosamente. Ci siamo lasciati sulla vicenda della “pretesa costituzione apostolica di Ippolito”, che stava per scoppiare come una bolla di sapone vuota e fragile mostrandosi chiaramente come una “bufala” inventata da uno strano benedettino, un certo Dom Bernard Botte, su commissione di un personaggio ormai noto ai nostri lettori: il frammassone Annibale Bugnini, il famigerato BUAN 136575, intimo amico e fratello di loggia, anche se di più basso livello, dell’illuminato G.B. Montini. Ma il “nostro” trio cerca di ricorrere ai ripari con altre invenzioni, ancora peggiori come si vedrà, per giustificare una formula assurda nonché eretica e blasfema, gettando così ancora fumo negli occhi dei poveri Cattolici, ignari del “piattino” che si stava loro preparando. La nuova “trovata” è questa: la nuova formula si ispira ai riti antichi orientali, il siriaco, l’egiziano e l’etiopico, ed addirittura abissino! [si vede che avevano acquistato un nuovo atlante geografico]. Osservando la giustapposizione dei riti succitati, ne esce una grande similitudine, anche se confusa, tra il rito di Montini e “l’ordinanza ecclesiastica” nella sua recensione etiopica ed i riti abissini, e la preghiera consacratoria, la cui formula essenziale era inizialmente considerata essere parte della pretesa’Tradizione apostolica d’Ippolito’, è similare ai riti abissini! Ma questo “archeologismo storico-geografico” è manifestamente essere una eresia monofisita e quindi antitrinitaria! Infatti i riti abissini devono essere letti nel contesto del “monofisismo: Nunc autem effunde desuper virtutem Spiritus principalis, quem dedisti dilecto Filio tuo Jesu Christo [… allora dunque effondi dall’alto la virtù dello Spirito principale, che hai dato al Figlio tuo diletto Gesù Cristo]. Ciò vale ugualmente per la forma dell’Ordinanza ecclesiastica di recensione etiopica: … Et nunc effunde eam quae a te est virtutem principalis spiritus, quem dedisti dilecto puero tuo Iesu Christo … [… ed ora effondi quella che da te è la virtù dello Spirito principale …]. Perché questa formula afro-orientale, è sostanzialmente eretica, anzi blasfema, applicata ad una Consacrazione vescovile. L’enigma che si pone nella formula, riguarda lo “spiritus principalis”, che designerebbe lo Spririto-Santo, il quale viene trasmesso al Figlio, e questo significherebbe quindi, nel contesto etiope-abissino, che Gesu-Cristo diviene Figlio di Dio per mezzo di questa “operazione” che è per essi dunque una unzione divinizzante o meglio una “adozione” seguita da una “unione deificante”, quindi una “sola” natura sussistente, ciò che corrisponde appunto al “monofisismo”, eresia condannata dal Concilio di Calcedonia nel 451, che “riconosceva” al Cristo la sola natura divina, negando che la natura umana di Cristo fosse sostanzialmente la nostra, fatto che quindi impedirebbe la nostra Redenzione attraverso di Lui. [Si tratta della solita teologia gnostico-satanica, quella della “G” massonica, che fa capolino, come un serpente biforcuto, a firmare l’impresa]. Esso ancora oggi è praticato dalle chiese orientali copte di Egitto ed Etiopia e dalle maronite della Siria occidentale.  – Queste concezioni alle quali si è accennato, debordano inoltre dal quadro della Cristologia per estendersi alla Teologia trinitaria, poiché secondo questa formula così malamente manipolata, lo Spirito-Santo non sarebbe consustanziale al Figlio. L’affermazione è pertanto “anti-trinitaria” ed “anti-filioque”. In parole povere c’è una aberrante similitudine tra il rito dell’antipapa Montini ed i riti appartenenti agli eretici monofisiti! – Questi riti di consacrazione, ai quali si richiama il Montini, appartengono nei fatti a “chiese” eretiche che adottano principi già condannati abbondantemente dal Magistero cattolico, principi antitrinitari e cristologicamente a-cattolici. – Senza volerci addentrare ulteriormente in questioni molto “specialistiche”, alle quali rimandiamo i più interessati, possiamo sintetizzare dicendo che alla fin fine il rito del trio Botte-Bugnini-Montini, non è né copto, né maronita occidentale, essendo essi confusamente sovrapposti tra loro ma non coincidenti, e quel che più è evidente, è che la preghiera consacratoria (la forma del Sacramento) non riprende nemmeno quella della pretesa “tradizione apostolica” del fantomatico Ippolito; dissimili sono pure il rito nestoriano ed armeno. Un vero pastrocchio al quale però tutti, ancora oggi, ricorrono per rivestirsi sacrilegamente di una carica usurpata ai legittimi pretendenti! (A proposito del trio, ben si confa’ la profezia del re-Profeta: “1 – Ecce parturiit injustitiam; 2- concepit dolorem, et 3 – peperit iniquitatem” … che subito dopo aggiunge: “Lacum aperuit, et effodit eum; et incidit in foveam quam fecit” (Ps. VII, 15-16) e più in là completa: “Dominus autem irridebit eum, quoniam prospicit quod veniet dies ejus” – Ps. XXXVI, 13!)

Questi fatti succintamente riferiti, contraddicono quindi la parola del pinocchio-Montini (c.d. Paolo VI, l’antipapa usurpante, rappresentante di satana in carne ed ossa, contrapposto al vero Papa in esilio, Gregorio XVII), secondo la quale: “ … si è ben giudicato di ricorrere, tra le fonti antiche alla preghiera consacratoria che si trova nella tradizione apostolica di Ippolito di Roma, documento dell’inizio del III secolo, e che, per una gran parte è ancora osservata nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti e i Siriani occidentali”. No, non è Pinocchio a Bengodi, ma Paolo VI in “Pontificalis Romani”. In realtà sappiamo oggi benissimo, e chiunque può costatarlo, che i riti copto e siriaco occidentale non utilizzino affatto la “prefabbricata” preghiera consacratoria della pretesa “Tradizione apostolica di Ippolito”. Lo stesso Dom Botte, in opere successive, aggiungeva fandonie a menzogne per giustificare il suo strampalato operato chiaramente in malafede. Ad esempio in un’opera del 1957 opponeva la “tradizione apostolica di Ippolito” alla tradizione siriaca autentica. [“La formula di ordinazione – la grazia divina nei riti orientali”; in “l’Oriente siriano”, abst., vol. II, fasc. 3, 3° trim. 1957, Parigi, pag. 285-296]. Si tratta alla fine, di un inaudito abuso, quello perpetrato il 18 giugno 1968 dall’anti-Papa sedicente Paolo VI, [solo un falso papa poteva avallare tali bestialità]: egli ha avuto il “temerario ardimento” di rimpiazzare un rito latino antico invariabile nella sua forma essenziale da oltre 17 secoli, con una creazione artificiale ricavata da una ricostruzione di Dom Botte apparsa negli anni 1950, e poi nel 1990 contestata dagli specialisti (quelli veri!). Il Montini si è giustificato con un sedicente ritorno alle origini, un falso archeologismo, riproducendo il metodo degli anglicani utilizzato in passato e nei confronti del quale Leone XIII scriveva bollandoli severamente: « essi hanno grandemente sfigurato l’insieme della liturgia conformemente alle dottrine erronee dei novatori, con il pretesto di ricondurla alla sua forma primitiva ». (Apostolicae curæ, 1896). Si è preteso giustificarsi con delle menzogne [avendo per padre il diavolo, non poteva essere altrimenti!]; concludendo:

1) la forma citata “non” riproduce affatto la forma della pretesa ’Tradizione apostolica’ attribuita ad Ippolito.

2) la forma citata non è stata “mai” in uso nei riti copto e siriano occidentale.

3) Si è commesso un attentato contro lo Spirito-Santo, avendo avuto, come detto, l’audacia inaudita di rimpiazzare con una creazione puramente umana e mal congegnata, un rito invariabile nella sua forma essenziale e quasi bi-millenaria, di cui lo Spirito-Santo è stato garante della costanza, coronata poi dalla decisione infallibile di Pio XII (Sacramentum ordinis) meno di 21 anni prima dell’atto ignobile del marran Montini, (e quindi irreformabile da parte di un vero Papa – un vero Papa non avrebbe mai apportato, né poteva, una modifica al Magistero definito da un suo predecessore!). Ecco quindi le origini smascherate di un rito aberrante: une creazione puramente umana!

Allen Brent: Hippolytus & the Roman Church in the Third Century, Communities in tension before the Emergence of a Monarch-Bishop, Allen Brent, E.J.Brill, 1995

Stewart-Sykes, Hippolytus: On the Apostolic Tradition:

An English Version with Introduction and Commentary,

(New York: St. Vladimir’s Press 2001.)

J.A. Cerrato, Hippolytus Between East and West: The Commentaries

and the Provenance of the Corpus, (Oxford: U.P. 2002).

Bradshaw, M.E. Johnson, and L.E. Phillips, The

Apostolic Tradition; A Commentary, (Minneapolis

MN: Fortress Press 2002).

Alcuni volumi di specialisti che contestano con fatti evidenti la “pretesa” costituzione apostolica di Ippolito”! Ma anche questi sono superati dalle nuove menzogne … siriache ed abissine!

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA DELLA SINAGOGA DI sATANA (3)

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA NELLA “SINAGOGA DI sATANA” (1)

18 giugno 1968: Fondazione della gerarchia nella sinagoga di satana. (1)

(Studio redazionale dal comitato internazionale “Rore sanctifica”)

18 giugno del 1968? Che cosa è successo in questa data, vi chiederete? Alla maggior parte delle persone, e soprattutto a coloro che, militando nella anti-chiesa conciliare, infiltrata palesemente dalla sinagoga di satana, si reputano ancora cattolici, nonostante l’evidenza dei fatti dimostri che essi siano modernisti ultra-protestanti e non abbiano più alcuna idea di che cosa significhi essere Cattolici, non conoscendo più il Catechismo, la Tradizione dei Padri, e soprattutto il Magistero della Chiesa, credendo che il tutto si risolva nella frequentazione di un rito paganeggiante, protestantizzato, per certi aspetti demoniaco, blasfemo e sacrilego, che ancora essi osano definire “Messa”, della quale non hanno nemmeno la più pallida idea, o avvezzi a sacramenti canonicamente invalidi e illeciti somministrati da falsi sacerdoti invalidamente ordinati da falsi vescovi. A queste persone – dicevo – questa data non dice alcunché! Molto si dibatte sul “novus ordo missæ”, nuovo vero “mostro conciliare”, dal tenore gnostico-luciferino, schiaffo cruento a tutta la dogmatica cattolica ed ai dettami evangelici, oltre che alla tradizione bi-millenaria della Santa Chiesa Cattolica, rito mutuato dai rosa+croce, 18° livello massonico, che offrono nelle loro agapi sataniche un agnello decollato al “signore dell’universo”, cioè a lucifero, quale sacrificio redentivo … qualche sprovveduto ancora obietta: “ … ma non è stato concesso con il “summorum pontificum” del 2007 di celebrare in “forma straordinaria” la Messa antica?” A parte il fatto che questa è stata un’ennesima “presa per i fondelli” (mi si passi l’espressione rustica), il considerare cioè la “vera” Messa solo un rito straordinario, da celebrare “una tantum” per accontentare gli inguaribili antiquati e trogloditi legati alla tradizione, alla domanda si può rispondere tranquillamente così: “Quando sono oramai scomparsi i Sacerdoti validamente consacrati, ecco che i modernisti apostati hanno permesso la celebrazione della Messa “in latino”. Questo significa che viene permesso il rito cattolico “di sempre”, ma esso è comunque sacrilego, invalido ed illecito, perché celebrato da un falso prete, un laico travestito, mai consacrato, sia perché mai tonsurato, come la Chiesa ha sempre stabilito irreformabilmente nel Concilio di Trento, sia perché ordinato oltretutto da un finto vescovo, a sua volta mai consacrato, per il semplice motivo che il rito di consacrazione dei vescovi è totalmente mutato dal 18 giugno del 1968, dal momento che la formula valida, fissata infallibilmente ed immutabilmente da Pio XII nel 1947, è stata sostituita da una formula assurda, blasfema, eretica, offensiva per le pie orecchie, offensiva verso la Chiesa di Cristo e tuttala Tradizione apostolica pregna di definizioni antitrinitarie, anti-filoque, atta a consacrare un “eletto manicheo”, cioè un servo dell’anticristo, come vedremo più in avanti. In tal modo si è cercato di scardinare la Chiesa ed il Cristianesimo divino tutto, distruggendo la gerarchia cattolica, invalidando – oltretutto – il Sacramento della Cresima, quello che rende veri “soldati” i battezzati in Cristo, motivo principale per cui i giovani attualmente sono assolutamente privi delle manifestazioni dei Doni dello Spirito Santo, quelli che rendono un battezzato un vero Cristiano attivo e pronto a difendere la propria fede ed a comportarsi secondo i dettami della Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo, con i risultati che tutti possiamo osservare. Una “fava” che ha permesso di prendere due “grossi” piccioni: la Gerarchia e la gioventù cattolica, oramai entrambe “quasi” distrutte, materialmente l’una e spiritualmente l’altra. Questa verità sconvolgente purtroppo si è realizzata sotto una sapiente regia, non solo umana, come vedremo, ma anche e soprattutto luciferina!

     Ma procediamo con ordine, trattandosi di un argomento molto delicato, cioè della “consacrazione dei Vescovi”, la cui formula è stata modificata ed applicata appunto per la prima volta, nel fatidico, ormai lontano 18 giugno 1968, formula che costituisce un passaggio fondamentale ed obbligato nella costruzione della Gerarchia cattolica, nonché la base di tutti i Sacramenti. Scardinando con machiavellica lucidità questa “Consacrazione”, con il renderla cioè invalida nella “forma” e nella “intenzione”, tutto l’edificio Cattolico umanamente, crolla inesorabilmente nel giro di pochi decenni, esattamente come è accaduto negli ultimi anni, lasciando veramente la Chiesa Cattolica, come annunziato dalla Vergine alle apparizioni de La Salette, oscurata da una eclissi mostruosa: “… la Chiesa sarà eclissata!” …

L’argomento è della somma importanza in riferimento alla salvezza della nostra anima, che nella maggior parte dei casi è, nel mondo cattolico, affidata (si fa per dire …) a semplici laici travestiti, come da sacrilego carnevale, da vescovi, cardinali o preti (che in verità hanno già “coerentemente” dismesso l’abito sacerdotale, come ognuno può constatare). –  Iniziamo da considerazioni teologiche apparentemente barbose, ma indispensabili per una corretta comprensione dell’argomento. Dalla teologia dei Sacramenti apprendiamo che “L’ordinazione episcopale è fondamentale essendo la “sorgente” di tutti i Sacramenti, sia direttamente, [pensiamo alla Cresima e all’Ordine sacerdotale], sia Indirettamente: [i Sacerdoti ordinati amministrano a loro volta: Eucarestia, Battesimo, Confessione, Matrimonio, Unzione degli infermi].”

Affinché un Sacramento abbia validità, sono necessarie tre cose: “la materia, la forma e l’intenzione”. Ad esempio, per il Battesimo occorre l’acqua (materia), poi è indispensabile la forma (cioè le parole: “io ti battezzo nel Nome della Santissima Trinità … etc.”, ed infine l’intenzione conforme a quella della Chiesa Cattolica. Se nel bagnare la testa al bambino, l’officiante dice: “ io ti lavo la testa …”, pur in una cerimonia in chiesa con tutti gli elementi circostanti abituali validi, il Sacramento non ha alcuna efficacia, e rappresenta al massimo il tentativo di uno shampoo per il battezzando. Allo stesso modo se il celebrante dicesse: “io ti battezzo nel nome di Draghi, Bill Gates e Bergoglio, il Sacramento non sarebbe valido, poiché non conforme alle intenzioni della Chiesa che sono quelle di battezzare nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. A tutti è chiaro, allo stesso modo, che nel Sacramento dell’Eucaristia la “materia” è il pane azzimo e, se per caso si usasse un’ostia di cioccolato bianco, ci sarebbe invalidità del Sacramento anche nel proferire la “vera” formula della Transustanziazione. Nel caso del Sacramento dell’Ordine, la materia è rappresentata dal “contatto” fisico tra l’impositore ed il ricevente l’Ordine, come spiega mirabilmente San Tommaso nella “Summa” e quindi dall’imposizione delle mani. La sostanza di una “forma” sacramentale costituisce una cosa che è indipendentemente dagli accessori o cose accidentali che la circondano (v. tab. 1). Pertanto la “sostanza” di una forma sacramentale è il suo significato. “Il significato deve corrispondere alla grazia prodotta dal Sacramento”. Nel Concilio di Trento si definisce (Denziger 931): «Il concilio dichiara, inoltre, che nella somministrazione dei Sacramenti c’è sempre nella Chiesa il potere di decidere o modificare, lasciando salva la sostanza di questi sacramenti, così come Essa giudichi meglio convenire all’utilità di coloro che li ricevono, e nel rispetto dei Sacramenti stessi, secondo la diversità delle cose, dei tempi e dei luoghi.»

   Veniamo a chiarire già da subito che cosa sia la significatio “ex adjunctis” di un Sacramento, [significato adiuvante] elemento, questo, che costituisce il punto centrale della questione e di cui discuteremo pure ampiamente in seguito. Per il momento ci basti sapere:

• Il valore o l’efficacia dei Sacramenti viene da Cristo, non dalla Chiesa; e il Cristo ha voluto che essi si comportino nella maniera degli agenti naturali, “ex opere operato”.

.- Un ministro indegno o anche eretico amministra validamente i Sacramenti se utilizza “scrupolosamente” la materia e la forma proprie a ciascuno con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

.- L’utilizzazione della materia e della forma del Sacramento, con l’integralità della “significatio ex adjunctis” garantisce che il ministro manifesti l’intenzione della Chiesa.

.- La “significatio ex adjunctis” deve esprimere il significato del Sacramento; se le modifiche introducono una “contraddizione”, il Sacramento non ha efficacia perché manca manifestamente l’intenzione.

.- Se la “significatio ex adjunctis” è tronca, il Sacramento può essere dubbio perché l’intenzione può praticamente mancare. – In questi casi è legittimo ricercare le intenzioni di coloro che hanno modificato il rito per valutare la sua validità (cf. notazione di Leone XIII in Apostolicæ Curæ).

In quel fatidico nefando giorno, il “18 giugno 1968” si è perpetrata l’“Eliminazione radicale” del rito romano antico, consacrato “infallibilmente” da Pio XII nel 1947! [Sacramentum ordinis]. Fortunatamente, con l’aiuto della Provvidenza, si è costituito un “piccolo resto” di consacrati “isolati”, in costante pericolo di vita, Vescovi, Cardinali e Sacerdoti usciti dalla “scuola” e dalle “mani” del Cardinale Siri (eletto per ben 4 volte in Conclave all’unanimità come Gregorio XVII e subito reso inoperante dalla “conventicola” abbondantemente infiltrata nel Conclave), che potranno così perpetuare, ad onta dei marrani-massoni, attuali usurpanti, la Chiesa Cattolica, l’unica Chiesa fondata da Cristo, fuori dalla quale non c’è salvezza eterna (extra Ecclesia nulla salus!), ed adempiere a tutte le promesse di “indefettibilità” (di assistenza continua) che il Signore Gesù ci ha fatto nel Santo Vangelo! Come questo sia potuto succedere, chi siano stati gli infami autori di questo sfregio alla Santa Chiesa Cattolica, e quindi a N.S. Gesù Cristo stesso, a Dio Padre Creatore, ed allo Spirito Santo (con una specifica eresia “anti-filioque” nella formula di non consacrazione), con quali assurdi e per certi aspetti ridicoli pretesti abbiano compiuto questo sacrilego aberrante misfatto, lo considereremo a breve.

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Tab. I

La sostanza di una forma sacramentale:

Sostanza:

– ciò che costituisce una cosa indipendentemente dagli accessori o cose accidentali che la circondano.

– La sostanza di una forma sacramentale è il suo significato.

– Il significato deve corrispondere alla grazia prodotta dal Sacramento-

– Il significato “attiene” particolarmente alla forma – Leone XIII in Apostolicæ curæ.

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Stiamo esaminando una delle questioni più inquietanti che sconvolgono i fedeli attenti della “tradizione” cattolica, che devono prendere atto ancor più, come se non bastassero le quotidiane eresie moderniste della “contro-chiesa” della setta del “va t’inganno”, attraverso i suoi “mediatici” ben oleati rappresentanti, che essi si trovino oramai al cospetto di una contro-religione totalmente “A-cattolica” di impostazione gnostico-luciferina, nella quale è stato reso “invalido” il Rito della Consacrazione episcopale, con la conseguente invalidità di TUTTE le Ordinazioni sacerdotali e di tutti i “Sacramenti”, in modo particolarmente “criminale” la Confermazione, sacramenti falsi, amministrati quindi illecitamente, invalidamente e sacrilegamente da laici, consapevoli o meno, “finti” preti e vescovi da operetta! Persino occupanti recenti ed attuali del “Soglio di Pietro”, non hanno mai ricevuto una Ordinazione sacerdotale e/o vescovile valida! “Si è trattato di un’operazione chirurgica mirata, di un cesello orafo “a sfregio”, della rimozione dell’ingranaggio fondamentale di tutto l’impianto gerarchico-ecclesiastico, strutturato come un perfetto “orologio svizzero”, e di cui l’orologiaio “perfido” conosceva esattamente il meccanismo, tutto incentrato sulla Consacrazione episcopale: rimuovendo la ruotina “cardine”, si è avviata una caduta con effetto “domino” che sta portando inesorabilmente alla distruzione totale della Gerarchia ecclesiastica, con la creazione conseguente di una falsa gerarchia composta da semplici laici, cosa della quale purtroppo non ci si è resi ancora conto in pieno ( … sperando che non ce se ne renda conto solo una volta sprofondati nell’inferno, quando cioè sarebbe troppo tardi!) … per non parlare poi della gioventù attuale, privata del Sacramento della Cresima, che li avrebbe resi “soldati” di Cristo, e che così non potranno mai sviluppare i doni dello Spirito Santo ricevuti al Battesimo, ed ottenerne i “frutti”. Dei frutti “marci” e putridi seminati tra i giovani, siamo tutti oramai tristemente testimoni. Ma veniamo ai fatti!

Già in precedenza abbiamo ricordato sommariamente i capisaldi teologici dei Sacramenti Cattolici, ma brevemente vogliamo ricordarli a noi stessi ed ai “distratti” [repetita juvant], soffermandoci in particolare ancora sul significato dell’“ex adjunctis”, elemento essenziale di un Sacramento. Che cos’è allora la “Significatio ex adjunctis” di un Sacramento (significato delle parole aggiunte)? Cominciamo col fissare alcuni punti essenziali:

.- Il valore o l’efficacia dei Sacramenti viene da Cristo, non dalla Chiesa; e il Cristo ha voluto che essi si comportino nella maniera degli agenti naturali, “ex opere operato” (attuati mediante un’operazione).

.- Un ministro indegno o anche eretico, amministra validamente i Sacramenti se utilizza scrupolosamente la materia e la forma proprie a ciascuno con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

.- L’utilizzazione della materia e della forma del sacramento, con l’integralità della “significatio ex adjunctis” garantisce che il ministro manifesti l’intenzione della Chiesa.

.- La “Significatio ex adjunctis” deve esprimere il “significato del sacramento”; se le modifiche introducono una contraddizione, il Sacramento non ha efficacia perché “manca manifestamente l’intenzione”.

.- Se la significatio ex adjunctis è tronca, il Sacramento può essere dubbio perché l’intenzione può praticamente mancare.

– In questi casi è legittimo ricercare le intenzioni di coloro che hanno modificato il rito per valutare la sua validità (cf. notazione di Leone XIII in Apostolicæ Curæ, un’Enciclica dalla quale attingeremo abbondantemente in seguito, e che costituisce la “chiave” Magisteriale per risolvere l’apparente arcano).

L’antichità del rito tradizionale.

.- Il Padre Jean Morin (1591-1659), sapiente oratore, pubblicava nel 1655 un’opera rimarchevole sul soggetto degli “ordines” latini ed Orientali. Si tratta del: “Commentarius de sacris Ecclesiæ ordinationibus secundum antiquos et recentiores Latinos, Græcos, Syros et Babylonios in tres partes distinctus”, la cui seconda edizione apparve ad Amsterdam nel 1695.

.- Più tardi, un benedettino di Saint-Maur, Dom Martene (1654-1739), pubblicava nel 1700, una sapiente edizione, notevole per rigore, raccogliendo i “Pontificali” di ordinazione della Chiesa Cattolica antecedenti all’anno ‘300 fino alla sua epoca. – Si tratta del ”De antiquis Ecclesi ritibus libri quatuor”. Dom Martene fu discepolo di Dom Martin, e fu diretto per molto tempo da Dom Mabillon. Su queste autorevoli basi, e su una tradizione millenaria, S.S. Papa Pacelli, Pio XII, definì con Magistero solenne, “infallibile” ed “irreformabile” la formula definitiva (formula, si badi bene, che aveva consacrato un elenco lunghissimo di “fior” di Papi, Cardinali e Vescovi, Santi per vita, fede e dottrina, avallati da fatti straordinari e miracoli veri ovviamente!).

La decisione infallibile di Pio XII

.- I lavori scientifici di recensione e di giustapposizione dei riti (Padre Morin, Dom Martène, etc.) hanno permesso di identificare la “forma invariabile, essenziale, nel rito latino, da più di 17 secoli”. • A partire da tali lavori, Pio XII ha designato “infallibilmente” le parole del “prefazio” che costituiscono la “forma” essenziale del Sacramento (in: Costituzione Apostolica “Sacramentum Ordinis”, punto 5, del 30 nov. 1947). Eccole:

   “Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore sanctifica”. (« Compi nel tuo sacerdozio la pienezza del tuo ministero, e, rivestitolo con le insegne della più alta dignità, santificalo con la rugiada del celeste unguento »).

Pio XII cioè non ha creato o inventato un rito, Egli ha semplicemente designato la forma essenziale del Sacramento in un Rito di tradizione quasi bi-millenaria. Al termine della Costituzione Apostolica citata, chiude con le terribili parole, che dovrebbero far tremare l’inferno (ma non hanno fatto tremare il “santo-dannato” della sinagoga di satana: il marrano e capo degli “Illuminati di Baviera”, G.B. Montini, il sedicente Paolo VI, l’anti-Papa insediato al posto del Cardinale Siri, validamente eletto con il nome di Gregorio XVII, sotto minaccia atomica … ma questa è un’altra storia … l’abbiamo già raccontata in altra sede!): “Nulli igitur homini liceat hanc Constitutionem a Nobis latam infringere vel eidem temerario ausu contraire” (… a nessun uomo pertanto è lecito infrangere questa Costituzione o modificarla con temerario ardimento)…  quindi in realtà Pio XII non ha creato nulla: egli ha semplicemente constatato e quindi definito infallibilmente ed irreformabilmente la “forma essenziale” nel Prefazio del Rito di Consacrazione nel Pontificale (il volume che contiene tutte le cerimonie presiedute dai Vescovi ed Autorità Superiori).

A questo punto, incomprensibilmente, apparentemente senza motivazioni apostoliche, teologiche, liturgiche, il RIBALTONE!!!:

l’illecita “Eliminazione radicale della forma essenziale del rito latino”.

21 anni dopo la promulgazione infallibile di Pio XII della “forma” essenziale, rimasta invariata per oltre 17 secoli, G.B. Montini (il sedicente antipapa Paolo VI) la sopprime totalmente.

Pio XII, nel 1947, in”Sacramentum ordinis” ha designato le parole del prefazio che costituiscono la “forma” essenziale, le riportiamo ancora:Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore santifica”. Paolo VI, con un ribaltone senza precedenti, naturalmente illecito, sacrilego ed invalido, ha designato nel 1968 nel Pontificalis romani un’altra forma essenziale che non conserva NULLA della forma essenziale fissata “infallibilmente” da Pio XII. Ecco la nuova “assurda” formula: “Et nunc effúnde super hunc Eléctum eam virtútem, quæ a te est, Spíritum principálem, quem dedísti dilécto Fílio tuo Iesu Christo, quem ipse donávit sanctis Apóstolis, qui constituérunt Ecclésiam per síngula loca ut sanctuárium tuum, in glóriam et laudem indeficiéntem nóminis tui”. « Questo è un fatto di portata senza pari!! Non resta una sola parola, una sola sillaba della “forma” che S.S. il Papa Pio XII aveva (nel 1947) definito infallibilmente come essenziale ed assolutamente richiesta per la validità del sacro episcopato!

In breve … « la “forma” essenziale e necessaria alla validità è stata TOTALMENTE soppressa dal nuovo ordinale del “beato” marrano Paolo VI!» (Abbé V.M. Zins, 2005). Questo il fatto nudo e crudo, vedremo prossimamente gli infami autori di tale sfregio sacrilego e le blasfeme e ridicole ragioni addotte a sostegno del ribaltone, che è tra l’altro veicolo sottile di eresie perniciose e gravissime, contro la SS. Trinità, contro l’Incarnazione redentiva del Cristo, e contro lo Spirito Santo, configurando un assurdo gnostico-manicheo, peraltro già intrufolato nell’anglicanesimo e nel giansenismo, un movimento novatore, pre-modernista del 1700, condannato giustamente come eretico, e contro il quale il nostro S. Alfonso Maria de Liguori è stato un martello tenace ed implacabile nella sua denuncia e demolizione. Chi pensa che con questo rito, o partecipando a pseudo-funzioni (o meglio “finzioni”?!?) tenute da laici, falsi consacrati da questo rito, faccia parte della Chiesa Cattolica, è un illuso, poiché pensando di marciare sotto il vessillo di Cristo, in realtà segue lo stendardo fetido di satana. Aprite gli occhi, fratelli, il vostro pensiero costante, l’unico che conti per davvero, sia sempre e solo la conquista della salvezza dell’anima, che si ottiene con laboriosità ininterrotta, mediante la vigilanza, la prudenza, la preghiera incessante e la conoscenza della Tradizione Apostolica, delle Sacre Scritture, rigorosamente e correttamente interpretate ed approvate dalla Chiesa, e del Magistero autentico della Chiesa, Maestra di vita. Non c’è posto per la falsa misericordia che chiude i due occhi sul vizio impuro, l’adulterio amnistiato, la sacrilega peccaminosità, sull’apostasia ecumenista, misericordia che elude il pentimento e la penitenza, e prospettando infine … l’inferno gratis per tutti!!! … venite avanti c’è posto…

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA NELLA SINAGOGA DI sATANA (2)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S PIO XII (34): “PIO IX 1854-1864”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (34)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar.

(PIO IX, 1854-1864)

BOLLA “Ineffabilis Deus” 8 Dic. 1854.

L’eccellenza della B. Maria Vergine in generale.

2800. Dio ineffabile, … fin da principio e prima dei secoli, scelse e preordinò al suo Figlio una madre, nella quale si sarebbe incarnato e dalla quale poi, nella felice pienezza dei tempi, sarebbe nato; e, a preferenza di ogni altra creatura, la fece segno a tanto amore da compiacersi in lei sola con una singolarissima benevolenza. Per questo mirabilmente la ricolmò, più di tutti gli Angeli e di tutti i Santi, dell’abbondanza di tutti i doni celesti, presi dal tesoro della sua divinità. Così ella, sempre assolutamente libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, possiede una tale pienezza di innocenza e di santità, di cui, dopo Dio, non se ne può concepire una maggiore, e di cui, all’infuori di Dio, nessuna mente può riuscire a comprendere la profondità.

2801. E certo era del tutto conveniente che una Madre così venerabile risplendesse sempre adorna dei fulgori della santità più perfetta, e, immune interamente dalla macchia del peccato originale, riportasse il più completo trionfo sull’antico serpente; poiché a essa Dio Padre aveva disposto di dare l’unigenito suo Figlio — generato dal suo seno, uguale a se stesso e amato come se stesso — in modo tale che egli fosse, per natura, Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; poiché lo stesso Figlio aveva stabilito di renderla sua madre in modo sostanziale; poiché lo Spirito Santo aveva voluto e fatto sì che da lei fosse concepito e nascesse colui, dal quale egli stesso procede.

2802. Infatti la Chiesa di Cristo, custode e vindice delle dottrine a lei affidate, non le ha mai alterate, né con aggiunte né con diminuzioni; ma tratta con tutti gli accorgimenti e la sapienza quelle che l’antichità ha delineato e i padri hanno seminato; e cerca di limare e affinare quelle antiche dottrine della divina rivelazione, in modo che ricevano chiarezza, luce e precisione. Così, mentre conservano la loro pienezza, la loro integrità e il loro carattere, si sviluppano soltanto secondo la loro propria natura, ossia nello stesso pensiero, nello stesso senso.

2803. a onore della Santa e indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, a esaltazione della fede cattolica, e a incremento della religione cristiana, con l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei beati apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, pronunziamo e definiamo: La dottrina, che sostiene che la Beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale, è stata rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente e inviolabilmente da tutti i fedeli.

2804. Quindi, se qualcuno (che Dio non voglia!) deliberatamente presumerà di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito, conosca e sappia di essere condannato dal suo proprio giudizio, di aver fatto naufragio nella fede, di essersi separato dall’unità della Chiesa, e di essere inoltre incorso da sé, «per il fatto stesso», nelle pene stabilite dalle leggi contro colui che osa manifestare oralmente o per iscritto, o in qualsiasi altro modo esterno, gli errori che pensa nel suo cuore.

Decr. S. Cgr. Indicis, 11 (15) iun. 1855.

Tesi contro il tradizionalismo di Bonnetty.

2811. 1 “Anche se la fede è al di sopra della ragione, non ci può mai essere un vero dissenso o discordia tra loro, poiché entrambe derivano da una stessa fonte di verità immutabile ed eterna, Dio buonissimo e grandssimo, e si aiutano a vicenda” (cf..2776; cfr. 3019).

2812. 2 Il ragionamento può dimostrare con certezza l’esistenza di Dio, la spiritualità dell’anima e la libertà umana. La fede viene dopo la Rivelazione, quindi non può essere usata per dimostrare l’esistenza di Dio ad un ateo, né per dimostrare la spiritualità dell’anima ragionevole e la sua libertà ai sostenitori del naturalismo e del fatalismo (cfr. 2751, 2754).

2813. 3 L’uso della ragione precede la fede e conduce l’uomo ad essa con l’aiuto della Rivelazione e della grazia (cf. 2755).

2814. 4 Il metodo usato da San Tommaso, da San Bonaventura e da altri scolastici dopo di loro, non porta al razionalismo, né è stato la causa dell’inclinazione della filosofia nelle scuole di oggi verso il naturalismo ed il panteismo. Per questo motivo non si può rimproverare a questi Dottori e maestri di utilizzare questo metodo, soprattutto con l’approvazione, almeno, dei loro maestri della Chiesa.

Istruzione del Sant’Uffizio al Vicario Apostolico del Siam, 4 luglio 1855.

Privilegio paolino.

2817. È assolutamente proibito che una donna cristiana sposi un pagano; ma se, dopo che la dispensa dalla disparità di culto sia stata ottenuta dalla Santa Sede, dovesse accadere che tale matrimonio abbia luogo, si sa che sarà indissolubile per quanto riguarda il vincolo, e che solo talvolta potrà essere sciolto per quanto riguarda il letto… Per questo motivo una donna cristiana non potrà mai contrarre un secondo matrimonio durante la vita di quest’uomo non credente, anche se è concubino.

2818. Ma se è la moglie pagana di un concubino pagano, e si converte, in questo caso, una volta fatta l’interpellanza (come sopra), se lui rifiuta di convertirsi o di convivere senza insultare il Creatore, e quindi di rinunciare al concubinato (nel quale non è certo possibile vivere senza insultare il Creatore), potrà avvalersi del privilegio concesso a favore della fede.

2819. In generale, se la conversione del coniuge ha preceduto il matrimonio con un infedele, contratto dopo la dispensa apostolica, non è assolutamente possibile usufruire del privilegio concesso a favore della fede; ma se il matrimonio ha preceduto la conversione, allora la parte che si sia convertita può usufruire di questo privilegio, a scanso di equivoci, come si è detto.

2820. Per quanto riguarda gli impedimenti dirimenti, bisogna anche considerare che l’ignoranza invincibile o la buona fede non sono sufficienti per contrarre validamente il matrimonio. Anche se a volte (ma questo deve essere considerato raramente nella pratica) questa ignoranza e questa buona fede possano scusare il peccato, mai però possono rendere valido un matrimonio che sia stato concluso nonostante un impedimento dirimente.

Enciclica del Sant’Uffizio ai Vescovi, 4 agosto 1856.

Abuso del magnetismo.

2823. Su questo tema la Santa Sede ha già dato alcune risposte in relazione a casi particolari, in cui sono stati condannati come illeciti gli esperimenti finalizzati ad uno scopo che non è quello del magnetismo. Per questo motivo è stato decretato in casi simili mercoledì 21 aprile 1841: “L’uso del magnetismo, così come viene presentato, non è lecito”. Allo stesso modo la Sacra Congregazione ha deciso di proibire alcuni libri che si ostinano a diffondere errori di questo tipo.

2824. Ma poiché era necessario andare oltre i casi particolari e trattare l’uso del magnetismo in generale, mercoledì 28 luglio 1847 fu stabilito quanto segue come regola: “Escluso ogni errore, ogni incantesimo, ogni invocazione del demonio, sia esplicita che implicita, non è moralmente proibito l’uso del magnetismo, cioè il semplice atto di usare mezzi fisici altrimenti leciti, purché non tenda ad un fine illecito o non sia deviato in alcun modo. Ma l’applicazione di principi e mezzi puramente fisici a cose ed effetti realmente soprannaturali, in modo che possano essere spiegati fisicamente, non è altro che un inganno assolutamente illecito ed eretico”.

2825. Sebbene con questo decreto generale sia stato sufficientemente spiegato il carattere lecito o illecito dell’uso o dell’abuso del magnetismo, la malizia degli uomini è aumentata a tal punto che, trascurando la lecita ricerca della conoscenza, preferiscono attaccarsi a cose strane con grande danno della loro anima ed a scapito della società civile, e che si vantano di aver acquisito un principio di magia o di divinazione. È così che donne di pochi mezzi, trascinate da gesti non sempre decorosi, si diffondono affermando che, grazie ai privilegi del sonnambulismo e di quella che chiamano chiaroveggenza, vedono ciò che è invisibile, e in questa loro temeraria impresa hanno l’ardire di lanciarsi in osservazioni sulla Religione stessa, di evocare le anime dei morti, di ricevere risposte, di rivelare cose sconosciute o remote e di indulgere in altre pratiche superstiziose di questo tipo, in modo da assicurare a se stessi e ai loro padroni un grande profitto grazie a sicure divinazioni. Ma qualunque sia l’arte o l’illusione usata in tutto questo: non appena si usano mezzi fisici per ottenere effetti che non sono naturali, siamo in presenza di un inganno assolutamente illecito ed eretico, e di uno scandalo che offende i buoni costumi.

BreveEximiam tuamall’Arcivescovo di Colonia, 15 giugno 1857.

Errori di Anton Günther.

2828. Soprattutto infatti notiamo non senza dispiacere che in queste opere predomina l’erroneo e perniciosissimo sistema del razionalismo, spesso condannato dalla Sede Apostolica; e allo stesso modo notiamo che in questi stessi libri e tra l’altro se ne possono leggere parecchi che non si discostano di poco dalla fede cattolica e da una corretta spiegazione della sostanza divina in tre Persone distinte ed eterne. Allo stesso modo abbiamo imparato che ciò che viene detto sul mistero del Verbo incarnato non sia migliore o più esatto, come dell’unità della Persona divina del Verbo in due nature, divina ed umana. Notiamo che in questi stessi libri si attacca la concezione e la dottrina cattolica sull’uomo, che è costituito da un corpo e da un’anima in modo tale che l’anima, cioè l’anima razionale, è in sé la forma vera ed immediata del corpo. E sappiamo che in questi libri ci sono insegnamenti e affermazioni che contraddicono totalmente la dottrina cattolica sulla sovrana libertà di Dio, al di là di ogni necessità, nella creazione delle cose.

2829. Dobbiamo anche condannare fermamente il fatto che nei libri di Günther la ragione umana e la filosofia, che in materia di Religione non devono dominare ma rimanere totalmente sottomesse, vengano incautamente insignite del diritto di magistero, e che per questo motivo ciò che deve rimanere ben saldo venga disturbato, sia per quanto riguarda la distinzione tra scienza e fede, sia per quanto riguarda il carattere costantemente immutabile della fede, che è sempre una e rimane la stessa, mentre la filosofia e le discipline umane non rimangono sempre identiche a se stesse, né sono esenti da una grande varietà di errori.

2830. A ciò si deve aggiungere che i Santi Padri non sono considerati con la riverenza che i Canoni dei Concili prescrivono e che queste luci più brillanti della Chiesa meritano, né ci si astiene da quei sarcasmi contro le scuole cattoliche che il nostro predecessore Pio VI, di venerata memoria, ha solennemente condannato (cf.2679).

2831. Né passeremo sotto silenzio il fatto che nei libri di Günther il sano modo di parlare è ferito al massimo, come se fosse lecito dimenticare le parole dell’Apostolo Paolo (2Tm 1,13) o quelle con cui Agostino ci ammonisce con grande fermezza: “Ma a noi conviene parlare secondo una regola precisa, per evitare che una libertà troppo grande nelle parole generi un’opinione empia sulle cose che esse designino”.

Lettera apostolicaDolore haud mediocri” al Vescovo di Breslau, 30 aprile 1860.

L’anima razionale come principio di vita dell’uomo.

2833. È stato incriminato… il fatto che Baltzer…, dopo aver ridotto l’intera controversia alla questione se il corpo possieda un principio di vita proprio, distinto in sé dall’anima razionale, sia arrivato a una tale imprudenza da definire eretica la posizione opposta, e abbia spiegato con numerose affermazioni che essa debba essere considerata tale. Questo non può che essere fortemente disapprovato, se si considera che la concezione secondo cui nell’uomo esista un unico principio di vita, cioè l’anima razionale, attraverso la quale anche il corpo riceve il suo movimento e tutta la sua vita e le sue sensazioni, è molto comune nella Chiesa di Dio, e che la maggior parte dei Dottori – e soprattutto i più approvati – la considerino talmente legata al dogma della Chiesa, che è l’interpretazione legittima e l’unica vera, e che di conseguenza non può essere negata senza errore nella fede.

Istruzione del Sant’Uffizio al Vicario Apostolico di Tche-Kiang, 1° (3°) agosto

Ricezione regolare del Battesimo

2835. Spiegazione: (Un missionario, che voglia tener conto sia del rispetto dovuto al Sacramento sia della salvezza eterna di un malato già prossimo alla morte, conferisce il Battesimo con questa condizione: “Se sei veramente disposto”, intendendo così non battezzare se non esistono le giuste disposizioni.

Domanda: questo modo di conferire il Battesimo è lecito o no?

2836. Risposta: È assodato che per ricevere regolarmente il Battesimo siano necessarie tre disposizioni in un adulto: la fede, il pentimento e l’intenzione di riceverlo. È certamente necessaria la fede, con la quale l’adulto debba essere sufficientemente istruito, nella misura della sua comprensione, sui misteri della Religione cristiana, e con la quale deɓa credere fermamente ad essi; è necessario anche il pentimento, con il quale debba provare dolore per i suoi peccati ed anche realizzare la contrizione e l’abbandono; e in terzo luogo, è necessariamente richiesta l’intenzione o la volontà di ricevere questo Sacramento, e se manca, il carattere battesimale non è impresso nell’adulto.

2837. Ora, la fede ed il pentimento sono richiesti in un adulto per ricevere il Sacramento in modo lecito e per ottenere il frutto del Sacramento; l’intenzione, invece, è richiesta per ottenerlo in modo valido, cosicché chi viene battezzato da adulto senza fede e pentimento è sì illecito, ma in modo valido, e d’altra parte chi viene battezzato senza la volontà di ricevere il Sacramento non è battezzato né lecitamente né validamente.

2838. Ciò presupposto, sarà facile riconoscere che nel caso in questione il missionario non abbia agito giustamente quando, amministrando il Battesimo ad un adulto moribondo, ha dato lo stesso valore alle disposizioni richieste per amministrare il Battesimo lecitamente e a quelle necessarie per riceverlo validamente. Infatti, se c’è qualche dubbio sul fatto che l’adulto prossimo alla morte sia sufficientemente istruito sui misteri della fede e creda sufficientemente in essi, e sul fatto che egli stesso desideri veramente ricevere il battesimo, e se dopo un esame diligente rimane ancora qualche dubbio su questa intenzione, il Battesimo deve essere conferito con questa condizione: nella misura in cui sia in grado di essere battezzato.

2839. D’altra parte, il missionario non ha agito giustamente quando, battezzando condizionatamente, ha inteso non battezzare se non ci sono le giuste disposizioni nella persona che riceve il Battesimo, perché in questo caso il missionario deve intendere battezzare solo nella misura in cui la persona che riceve il Battesimo sia capace di essere battezzata, cioè vuole riceverlo sinceramente.

Decreto del Sant’Uffizio, 18 settembre 1861.

Errori degli ontologisti.

Domanda: Si possono insegnare con certezza le seguenti proposizioni?

2841. 1. La conoscenza immediata di Dio, almeno abituale, è essenziale all’intelletto umano, tanto che non può conoscere nulla senza di essa: è infatti la luce dell’intelletto stesso.

2842. 2 Questo essere che conosciamo in tutte le cose, e senza il quale non conosciamo nulla, è l’Essere divino.

2843. 3. gli universali, considerati nella loro realtà oggettiva, non si distinguono realmente da Dio.

2844. 4. la conoscenza innata di Dio come Essere puro e semplice include in modo eminente tutte le altre conoscenze; così che, per mezzo di essa, conosciamo implicitamente tutto l’Essere sotto qualsiasi aspetto sia conoscibile.

2845. 5 Tutte le altre idee non sono altro che modificazioni dell’idea con cui Dio è conosciuto come Essere puro e semplice.

2846. 6 Le cose create sono in Dio come la parte nel tutto, non naturalmente nel tutto formale, ma nel tutto infinito, perfettamente semplice, che pone le sue parti al di fuori di sé senza divisione o diminuzione di sé.

2847. 7 La creazione può essere spiegata come segue: Dio produce la creatura con quell’atto speciale con cui comprende e vuole essere distinto da una creatura determinata, per esempio l’uomo. Censura del Sant’Uffizio: negativo.

Lettera “Gravissimas inter” all’Arcivescovo di Monaco-Frisinga. 11 dicembre 1862.

Errori di Jakob Frohschammer sulla libertà della scienza.

2850. (La Sacra Congregazione dell’Indice ha giudicato che l’autore) si allontani dalla verità cattolica. E questo soprattutto in un duplice modo, in primo luogo perché l’autore attribuisce alla ragione umana forze che non le appartengono affatto; in secondo luogo perché concede a questa stessa ragione una libertà di giudicare tutto, e sempre di osare tutto, tale da far scomparire completamente i diritti, i doveri e l’autorità della Chiesa stessa.

2851. L’autore infatti insegna in primo luogo che la filosofia, se si ha una nozione esatta di essa, possa non solo conoscere e comprendere i dogmi cristiani che la ragione naturale ha in comune con la fede (cioè come oggetto comune di conoscenza), ma anche quelli che siano principalmente e propriamente costitutivi della Religione e della fede cristiana, cioè il fine soprannaturale dell’uomo stesso e tutto ciò che lo riguardi, nonché il santissimo mistero dell’Incarnazione del Signore, siano nel dominio della ragione e della filosofia, e che la ragione, una volta dato l’oggetto, possa raggiungerli con piena cognizione di causa attraverso i suoi stessi principi. Anche se l’autore introduce una distinzione tra questi dogmi ed i primi, e se è con minor diritto che questi ultimi vengano attribuiti alla ragione, egli insegna tuttavia molto chiaramente ed apertamente che anch’essi facciano parte dei dati che costituiscono l’oggetto proprio della scienza e della filosofia.

2852. Possiamo e dobbiamo quindi concludere con l’opinione dell’autore che, anche nei misteri più nascosti della sapienza e della bontà di Dio, anche in quelli della sua libera volontà – purché sia dato l’oggetto della Rivelazione – la ragione possa da sola arrivare alla conoscenza ed alla certezza, e questo non dal principio dell’Autorità divina, ma dai suoi principi e capacità naturali. Quanto sia falsa ed erronea la dottrina di questo autore, chiunque può vedere subito…

2853. Se questi sostenitori della filosofia difendessero i veri principi e diritti della ragione e della filosofia da soli, dovrebbero ricevere un meritato elogio. Infatti, la vera e sana filosofia occupa un posto di tutto rispetto, poiché il suo compito è quello di ricercare accuratamente la verità, di addestrare con giustizia e serietà la ragione umana, oscurata senza dubbio, ma non per questo spenta per colpa del primo uomo, e di illuminarla; cogliere il suo oggetto di conoscenza ed un gran numero di verità, comprenderle bene, approfondirle e dimostrarne molte, come l’esistenza, la natura e gli attributi di Dio, che anche la fede propone di credere, con argomenti tratti da principi, giustificarli, difenderli e, in questo modo, aprire la strada affinché questi dogmi siano sostenuti più esattamente dalla fede e persino i dogmi più nascosti, che solo la fede può conoscere, possano essere compresi in un certo modo dalla ragione. Di questo deve occuparsi l’austera ma bellissima scienza della vera filosofia…

2854. Ma in questa materia importantissima non possiamo mai tollerare che tutto si confonda indistintamente, né che la ragione invada e turbi le realtà che sono nel dominio della fede, mentre ci sono confini ben precisi e perfettamente noti a tutti, oltre i quali la ragione non ha mai potuto avanzare, né può avanzare, di per sé. In particolare, questi dogmi includono chiaramente ciò che riguardi l’elevazione soprannaturale dell’uomo e la sua relazione soprannaturale con Dio, nonché ciò che venga rivelato a questo scopo. E poiché questi dogmi trascendono la natura, ne consegue che non possano essere raggiunti né dalla ragione naturale né dai principi naturali. La ragione non potrà mai essere resa capace di affrontare questi dogmi con piena cognizione di causa. Ma se alcuni osano affermare ciò in modo avventato, sappiano che non si separano dall’opinione di qualche Dottore, ma dalla dottrina comune della Chiesa, che non è mai cambiata.

2855. È infatti stabilito dalle divine Scritture e dalla tradizione dei santi Padri che l’esistenza di Dio e molte altre verità possano certamente essere conosciute alla luce della ragione naturale (Rm 1), anche da coloro che non abbiano ancora ricevuto la fede, ma che Dio solo ha rivelato i dogmi più nascosti, poiché ha voluto far conoscere il mistero che era rimasto nascosto per secoli e generazioni (Col 1,26)…

2856. … Nel trasmettere la dottrina della Chiesa, i santi Padri si sono costantemente preoccupati di distinguere la conoscenza delle realtà divine, che è comune a tutti in virtù dell’intelligenza naturale, dalla conoscenza di queste cose che si riceva per fede attraverso lo Spirito Santo, ed hanno costantemente insegnato che attraverso la fede ci vengano rivelati in Cristo quei misteri che superano non solo la filosofia umana ma anche la conoscenza naturale degli Angeli, e che, anche se sono conosciuti attraverso la Rivelazione divina e ricevuti per fede in essa, rimangono tuttavia coperti dal sacro velo della fede e da un’oscurità tenebrosa finché in questa vita mortale camminiamo lontani dal Signore.

2857. Tutto ciò dimostra che l’opinione in cui lo stesso Frohschammer non esita ad affermare che tutti i dogmi della Religione cristiana siano immediatamente oggetto della conoscenza naturale o della filosofia, e che, non appena questi dogmi siano proposti alla ragione come suo oggetto, la ragione umana, che è solo esperta di storia, sia in grado, in virtù delle sue capacità naturali e del suo principio, di arrivare ad una vera conoscenza di tutti i dogmi, compresi quelli più nascosti, è totalmente estranea alla dottrina della Chiesa cattolica (cf. 2909).

2858. Ma negli scritti di questo autore che sono stati citati prevale un’altra concezione, che è del tutto contraria alla dottrina ed al senso della Chiesa cattolica. Infatti, egli attribuisce alla filosofia una libertà che non debba essere considerata come una libertà della scienza, ma come una licenza che debba essere interamente riprovata e che non possa essere tollerata. Distinguendo tra filosofo e filosofia, egli dà al filosofo il diritto ed il dovere di sottomettersi ad un’autorità che egli stesso ha riconosciuto come vera, ma nega entrambe le cose alla filosofia in quanto afferma, senza tener conto della dottrina rivelata, che quest’ultima non possa e non debba mai sottomettersi ad un’autorità.

2859. Questo sarebbe tollerabile e forse ammissibile se si parlasse solo del diritto che la filosofia ha di fare uso dei suoi principi e metodi e delle sue conclusioni, come fanno anche le altre scienze, e se la sua libertà consistesse nell’usare questo diritto nel senso che non ammetterebbe in sé nulla che non sia stato acquisito da essa stessa secondo le proprie condizioni o che le sia estraneo. Ma questa giusta libertà della filosofia deve riconoscere e verificare i suoi limiti. Infatti, non solo al filosofo, ma anche alla filosofia, non sarà mai permesso né di dire qualcosa che sia contrario a ciò che insegnino la Rivelazione divina e la Chiesa, né di mettere in dubbio qualcosa perché non la comprenda, né di rifiutare un giudizio che l’autorità della Chiesa abbia deciso di dare su una conclusione della filosofia.

2860. A ciò si aggiunga che lo stesso autore difende la libertà della filosofia, o meglio la sua libertà senza limiti, in modo così vivace e spregiudicato che non teme di affermare che la Chiesa non solo non debba mai biasimare la filosofia, ma che debba addirittura tollerare gli errori della filosofia e lasciarla libera di correggersi da sola (cf. 2911), da cui consegue che i filosofi partecipano necessariamente a questa libertà, e che per questo siano essi stessi liberati da ogni legge…

2861. Ecco perché, in virtù del potere conferitole dal suo divino fondatore, la Chiesa ha non solo il diritto, ma soprattutto il dovere non di tollerare, ma di proibire gli errori, quando lo richiedano l’integrità della fede e la salvezza delle anime, ed è dovere di ogni filosofo che voglia essere figlio della Chiesa, e anche della filosofia, non dire mai nulla contro ciò che la Chiesa insegni, e ritrattare tutto ciò su cui abbia ricevuto una monizione. D’altra parte, affermiamo e dichiariamo che la concezione che insegna il contrario sia totalmente errata, e che fa il massimo torto alla fede stessa, alla Chiesa ed alla sua autorità.

Enciclica “Quanto conficiamur mœrore” ai Vescovi d’Italia, 10 agosto 1863

Indifferentismo.

2865. Ancora una volta dobbiamo menzionare e biasimare il gravissimo errore in cui, purtroppo, si trovano alcuni cattolici, che pensano che uomini che vivono nell’errore e lontani dalla vera fede e dall’unità cattolica possano ottenere la vita eterna (cf. 2917). Questo è contrario in sommo grado alla dottrina cattolica.

2866. Sappiamo, come voi, che coloro che soffrono di un’ignoranza invincibile riguardo alla nostra santissima Religione, osservando attentamente la legge naturale e i suoi precetti, incisi da Dio nei cuori di tutti, e che siano disposti a obbedire a Dio ed a condurre così una vita onesta e retta, possono, con l’aiuto della luce e della grazia divine, acquisire la vita eterna. Infatti Dio, che vede, scruta e conosce perfettamente gli spiriti, le anime, i pensieri e le qualità di tutti, nella sua grandissima bontà e pazienza, non permette che qualcuno sia punito con i tormenti eterni senza che sia colpevole di qualche colpa intenzionale.

2867. Ma conosciamo perfettamente anche il dogma cattolico, e cioè che al di fuori della Chiesa cattolica nessuno possa salvarsi, e che non possano ottenere la salvezza eterna coloro che siano ribelli all’Autorità di questa stessa Chiesa ed alle sue definizioni, e che sono ostinatamente separati dall’unità di questa Chiesa e dal Romano Pontefice, successore di Pietro, al quale è stato affidato il governo e la cura della vigna.

Lettera “Tuas libenter” all’Arcivescovo di Monaco-Freising, 21 dicembre 1863

Sottomissione al Magistero della Chiesa.

2875. Abbiamo appreso… che alcuni dei Cattolici che si dedicano allo studio delle scienze più elevate, troppo fiduciosi nei poteri della mente umana, non anniano temuto che, affermando una libertà della scienza spuria e per nulla autentica, i pericoli dell’errore li avrebbero portati oltre i limiti che l’obbedienza dovuta al Magistero della Chiesa, istituito per custodire l’interezza di tutta la verità rivelata, non consenta. Il risultato è che i Cattolici, purtroppo così ingannati, si trovino spesso d’accordo con coloro che inveiscono contro i decreti di questa Sede Apostolica e delle nostre Congregazioni, affermando che essi ostacolano il libero progresso della scienza (cf. 2912), e si espongono al pericolo di rompere quei vincoli di obbedienza con i quali, per volontà di Dio, sono legati a questa stessa Sede Apostolica che è stata istituita da Dio stesso come maestro e protettore della verità.

2876. Non ignoriamo neppure che in Germania si è sviluppata una falsa opinione contro l’antica scuola e contro la dottrina di quegli eminenti dottori (cf. 2912) che la Chiesa universale venera per la loro mirabile sapienza e la santità della loro vita. Con questa falsa opinione si mette in dubbio l’autorità della Chiesa stessa, che non solo ha permesso per secoli che la scienza teologica fosse coltivata secondo il metodo di questi Dottori e secondo i principi sanciti dal consenso riconosciuto di tutte le scuole cattoliche, ma ha anche molto spesso elogiato la loro dottrina teologica e l’ha raccomandata con forza come il più forte baluardo della fede ed un’arma formidabile contro i suoi nemici. …

2877. Poiché, tuttavia, tutti gli uomini di questo Congresso… hanno affermato che il progresso della scienza ed il buon successo nello sforzo di evitare e confutare gli errori del nostro triste tempo dipendano interamente dall’adesione interiore alle verità rivelate insegnate dalla Chiesa Cattolica, essi stessi hanno riconosciuto e professato questa verità che i veri Cattolici, che si sono dedicati all’elaborazione ed allo sviluppo della scienza, hanno sempre sostenuto e tramandato. Ed è sulla base di questa verità che questi uomini colti e veramente cattolici hanno potuto sviluppare queste scienze in modo sicuro, spiegarle e renderle utili e certe. Ma questo non si può ottenere se la luce della ragione umana, circoscritta da limiti, anche quando esplora le verità che possa raggiungere con le proprie forze e facoltà, non veneri al massimo grado, come dovrebbe, la luce infallibile ed increata dell’Jntelligenza divina che risplende così mirabilmente ovunque nella Rivelazione divina. Infatti, sebbene queste discipline naturali si basino su principi propri riconosciuti dalla ragione, i Cattolici che le coltivano devono comunque avere davanti agli occhi la Rivelazione divina come stella polare, affinché, illuminati da essa, si guardino dalle insidie e dagli errori quando, nelle loro ricerche e riflessioni, si accorgano di essere portati, come molto spesso accade, ad affermare ciò che contraddica più o meno la verità infallibile delle cose rivelate da Dio.

2878. Per questo non vogliamo dubitare che gli uomini di questo Congresso, poiché riconoscano e professino questa verità, abbiano voluto, proprio in questo momento, respingere e riprovare questo recente e distorto modo di fare filosofia che, pur ammettendo la Rivelazione divina come fatto storico, tuttavia subordina le verità ineffabili proposte dalla stessa Rivelazione divina ad una verità più o meno infallibile, alle indagini della ragione umana, come se queste verità fossero soggette alla ragione, o se la ragione, con i suoi poteri ed i suoi principi, potesse arrivare a conoscere e a comprendere tutte le verità della nostra santissima fede, che sono così al di sopra della ragione che la ragione non potrà mai essere resa capace di comprenderle o di dimostrarle con i suoi principi naturali (cf. 2909).

2879. Vogliamo persuaderci che essi non abbiano voluto che l’obbligo a cui sono totalmente soggetti i maestri e gli scrittori cattolici, si limitasse unicamente a quegli argomenti che il giudizio infallibile della Chiesa propone a tutti di credere come dogmi di fede (cf. 2922). È anche nostra convinzione che essi non abbiano voluto dichiarare che questa perfetta adesione alle verità rivelate, che hanno riconosciuto come assolutamente necessaria per il vero progresso della scienza e per la confutazione degli errori, possa essere ottenuta accontentandosi di concedere fede e rispetto a tutti i dogmi espressamente definiti dalla Chiesa. Infatti, anche se questa fosse la missione che deve essere manifestata dall’atto di fede divina, essa non può limitarsi a ciò che sia stato definito dalla Chiesa. Essa non può limitarsi a ciò che sia stato definito dai decreti espliciti dei Concili Ecumenici o dei Romani Pontefici di questa Sede Apostolica, ma debba estendersi anche a ciò che il Magistero ordinario di tutta la Chiesa diffusa nell’universo trasmette come divinamente rivelato e, di conseguenza, che sia ritenuto da un consenso unanime e universale dei teologi cattolici, come appartenente alla fede.

2880. Ma quando si tratta di questa sottomissione che obbliga in coscienza tutti i Cattolici che si dedicano alle scienze della mente, a rendere nuovi servizi alla Chiesa con i loro scritti, i membri di questo congresso devono riconoscere che non sia assolutamente sufficiente che gli studiosi cattolici ricevano e riveriscano i dogmi della Chiesa di cui abbiamo parlato, ma che sia anche necessario sottomettersi alle decisioni di dottrina decretate dalle Congregazioni pontificie, così come ai punti di dottrina che il consenso comune e costante dei Cattolici considera verità teologiche e conclusioni così certe che le opinioni contrarie ad esse, anche se non possano essere chiamate eretiche, meritano comunque qualche censura teologica.

Lettera del Sant’Uffizio ai Vescovi d’Inghilterra, 16 settembre 1864.

L’unità della Chiesa.

2885. (L’Associazione per la Promozione della Riunificazione del Cristianesimo eretta a Londra nel 1857) professa espressamente che tre comunità cristiane, la Cattolica Romana, la greco-sciamatica e l’anglicana, sebbene separate e divise tra loro, rivendichino con lo stesso diritto per sé il nome di Cattolica. L’accesso ad esso è quindi aperto a tutti, ovunque vivano, siano essi Cattolici, greco-scismatici o anglicani, a questa condizione però che a nessuno sia permesso di discutere sui vari capitoli di dottrina che li dividono, e che ognuno sia libero di conformarsi in tutta tranquillità ai principi della propria confessione religiosa. Tuttavia, chiede a tutti i suoi membri di recitare preghiere e ai Sacerdoti di celebrare sacrifici secondo la sua intenzione: cioè che le tre comunioni cristiane, che, come si suggerisce, costituiscono tutte insieme la Chiesa cattolica, possano finalmente riunirsi per formare un unico corpo. …

2886. Il fondamento su cui si basa questa associazione è tale da rovesciare completamente la costituzione divina della Chiesa. Essa presuppone essenzialmente che la vera Chiesa di Gesù Cristo sia composta in parte dalla Chiesa romana, diffusa ed estesa in tutto il mondo, e in parte dallo scisma di Fozio e dall’eresia anglicana, per la quale, proprio come per la Chiesa romana, c’è “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef IV,5).

2887. Sicuramente nulla dovrebbe stare più a cuore ad un Cattolico che vedere la radicale soppressione degli scismi e delle discordie tra i Cristiani, e in tutti i Cristiani la “preoccupazione di conservare l’unità dello Spirito nel vincolo della pace” (Ef IV, 3)… Ma che i fedeli e gli ecclesiastici preghino per l’unità dei Cristiani sotto la guida di eretici e, quel che è peggio, con un’intenzione profondamente contaminata e infettata dall’eresia, non può essere in alcun modo tollerato.

2888. La vera Chiesa di Cristo è costituita dall’Autorità divina e riconosciuta da quattro note che, nel Credo, affermiamo essere credute. Ognuna di queste note è così intimamente unita alle altre che non può essere separata da esse. Da ciò consegue che la Chiesa veramente cattolica e chiamata tale deve manifestare allo stesso tempo le prerogative di unità, santità e successione apostolica. La Chiesa Cattolica è dunque una, con una notevole e perfetta unità in tutto il mondo e tra tutte le nazioni, un’unità il cui principio, la cui radice e la cui origine indefettibile sono Pietro, la casa degli Apostoli, l’autorità sovrana dei suoi successori sulla cattedra di Roma e la sua “origine superiore”. Non c’è altra Chiesa Cattolica se non quella costruita su Pietro, in un corpo unito e riunito, (Ef IV,16) che sta nell’unità della fede e della carità.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (35): “PIO IX, 1864-1868”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (33): “da PIO VII a PIO IX (1846-1851)”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (33)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da PIO VII a PIO IX, 1846- 1851)

Pio VII: 14 marzo 1800-20 agosto 1823

Breve “Etsi fraternitatis” all’Arcivescovo di Magonza, 8 ottobre 1803.

Il tentativo di sciogliere un Matrimonio.

2705 . Risposta del Sommo Pontefice ad alcune domande: Condanna da parte di corti e tribunali laici.

I Cattolici che, in particolare, dichiarano nulli i matrimoni e tentano di sciogliere il legame tra loro, non possono avere alcun valore o portata davanti alla Chiesa. …

2706. È una colpa molto grave e un tradimento del loro sacro ministero che i parroci approvino questi matrimoni con la loro presenza e li confermino con la loro benedizione. Inoltre, non dovrebbero essere chiamati Matrimoni, ma piuttosto unioni adulterine. …

LETTERA “Magno et acerbo” all’Arcivescovo di Moghilev, 3 settembre 1816.

Traduzione della Bibbia.

2710. Avreste dovuto… avere davanti agli occhi… “che se la Sacra Bibbia viene ammessa ovunque nella lingua volgare, senza discriminazioni, ne deriverà più danno che bene” (cf. 1854). Poiché, inoltre, in virtù della nota prescrizione del Concilio di Trento (cf. 1506), la Chiesa romana riconosce solo l’edizione della Vulgata, rifiuta le traduzioni in altre lingue e ammette solo quelle redatte con annotazioni tratte opportunamente dagli scritti dei Padri e dei Dottori cattolici, affinché un così grande tesoro non sia aperto alle concezioni degli innovatori e la Chiesa diffusa in tutto il mondo usi la stessa lingua e le stesse parole (Gn XI,1 ).

2711. Poiché, infatti, troviamo molte differenze, diversità e cambiamenti nella lingua volgare, una libertà sfrenata nelle traduzioni della Bibbia minerebbe di fatto quell’immutabilità che è la caratteristica della testimonianza divina, e la fede stessa vacillerebbe, soprattutto perché a volte una sola sillaba decide della verità di un dogma. Ecco perché, nelle loro bieche e abominevoli macchinazioni, gli eretici erano soliti pubblicare Bibbie in lingua volgare (la cui stupefacente diversità e le cui contraddizioni, tuttavia, li spingono ad accusarsi e a dilaniarsi a vicenda), cercando di imporre subdolamente i rispettivi errori ammantandoli della più santa magnificenza della Parola divina. “Le eresie, infatti,” dice Agostino “traggono la loro origine dal semplice fatto che le Scritture, che sono buone, non sono rettamente comprese, e che ciò che non è stato rettamente compreso in esse viene inoltre affermato in modo audace e avventato”. E se siamo afflitti dal fatto che non di rado uomini stimati per la loro pietà e saggezza hanno fallito nell’interpretazione delle Scritture, cosa non dovremmo temere se le Scritture tradotte in una qualsiasi lingua volgare fossero lasciate alla libera lettura del comune ignorante, che il più delle volte non giudica in virtù di una scelta, ma in virtù di una certa temerarietà”.

2712. (Si fa poi riferimento alla famosa lettera di Innocenzo III ai fedeli della Chiesa di Metz: “I misteri nascosti della fede… per non essere pretenziosi”: )771 Ma conosciamo bene le costituzioni non solo di Innocenzo III, appena citato, ma anche di Pio V, Clemente VIII e Benedetto XIV… . Quanto a ciò che la Chiesa pensa della lettura e dell’interpretazione delle Scritture, la vostra fraternità lo troverà molto chiaramente nella famosissima costituzione Unigenitus dell’altro nostro predecessore, Clemente XI, in cui queste dottrine sono state esplicitamente riprovate, affermando che è utile e necessaria in ogni tempo, in tutti i luoghi e a tutti i tipi di persone conoscere i misteri della Sacra Scrittura – la cui lettura si affermava essere per tutti – e che è dannoso escludere il popolo cristiano da essa, e che, inoltre, è chiudere la bocca di Cristo ai fedeli strappando loro dalle mani il Nuovo Testamento v. 2479-2485.

Risposta della Sacra Penitenzieria: 23 aprile 1822.

L’uso onanistico del matrimonio.

2715. Domanda: Può una pia moglie permettere al marito di avvicinarsi a lei quando sa per esperienza che egli si comporta nel modo infame di Onan…, soprattutto se la moglie rifiutandosi si espone al rischio di abusi o teme che il marito vada a prostitute? Risposta: Dato che in questo caso la moglie, da parte sua, non sta facendo nulla contro natura e sta compiendo una cosa lecita, e che tutto il disordine dell’atto deriva dalla malizia dell’uomo che, invece di consumare l’atto, si ritira e si riversa fuori dal recipiente, quando, dopo le opportune ammonizioni, la donna non ottiene nulla e l’uomo persiste, minacciando morte, percosse o altri gravi danni, ella può (come insegnano i medici provati) abbandonarsi passivamente senza peccare, perché in queste condizioni non fa altro che permettere il peccato del marito, e questo per un grave motivo che la giustifica; perché l’amore con cui sarebbe tenuta a impedirlo non la obbliga se include un tale danno.

Breve “Adorabile Eucharistiae” al Patriarca di Antiochia e ai Vescovi dei Greci Melchiti, 8 maggio 1822.

Inefficacia dell’Epiclesi per la Consacrazione.

2718. (Una grande causa di dolore e di paura è stata causata da coloro che diffondono) questa nuova opinione, sostenuta dagli scismatici, che insegna che la forma con cui si compie questo sacramento vivificante… non consiste nelle sole parole di Gesù Cristo, che sia i sacerdoti latini che quelli greci usano durante la consacrazione, ma che, affinché la consacrazione sia perfetta e completa, è necessario aggiungere questa formula di preghiera, che nel nostro caso precede le parole citate, ma che nella vostra liturgia le segue… In virtù della santa obbedienza… prescriviamo… che non abbiano più l’ardire di ritenere che, per questa mirabile conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue, sia necessario che, oltre alle parole di Cristo, si reciti anche questa formula di preghiera ecclesiastica, che abbiamo già citato più volte…

LEONE XII: 28 settembre 1823-10 febbraio 1829.

Enciclica “Ubi primum” 5 maggio 1824.

Indifferentismo.

2720. (Una certa setta) che si presenta sotto un’accattivante apparenza di pietà e di liberalità, professa e propugna il tollerantismo (così dicono) o l’indifferentismo, non solo in campo civile, di cui qui non parliamo, ma anche in campo religioso, insegnando che è stata data da Dio a ciascuno un’ampia libertà, che permette a ciascuno di abbracciare o adottare, senza pericolo per la sua salvezza, la setta o l’opinione che gli conviene secondo il suo giudizio privato. (Si fa riferimento, contro questo, a Rm. XVI,17 s.).

Pio VIII: 31 marzo 1829-30 Novembre 1830.

Risposta S. Pontef. al Vescovo di Rennes, 18 agosto 1830.

Usura.

2722. Expos.: (I confessori non sono d’accordo) sul tema del guadagno ottenuto con il denaro prestato agli uomini d’affari per il loro beneficio. Il significato dell’enciclica Vix pervenit (cfr. 2546-2550) è stato oggetto di un acceso dibattito. Da una parte e dall’altra sono state addotte ragioni a sostegno della posizione sostenuta: a favore o contro un guadagno di questo tipo. Il risultato sono liti, dissensi, rifiuto dei sacramenti per la maggior parte degli imprenditori che cercano di arricchirsi in questo modo, e innumerevoli danni alle anime.

2723. Per evitare danni alle anime, alcuni confessori credono di poter mantenere una via di mezzo tra le due posizioni. Quando qualcuno li consulta per un guadagno di questo tipo, cercano di dissuaderlo. Se il penitente persevera nell’intenzione di prestare denaro agli uomini d’affari e obietta che la posizione a favore di tale prestito ha molti sostenitori, e inoltre che non è stata condannata dalla Santa Sede, che non è stata consultata una sola volta sull’argomento, In questo caso i confessori chiedono al penitente di promettere che si sottometterà con filiale obbedienza al giudizio del Sommo Pontefice, se si pronuncerà, qualunque esso sia, e se ottengono questa promessa, non rifiutano l’assoluzione, anche se ritengono più probabile la posizione contraria a tale prestito. Se il penitente non confessa nulla riguardo a un guadagno che ha origine da tale prestito e appare in buona fede, questi confessori, anche se sanno altrimenti che tale guadagno è stato ricevuto e continua a essere ricevuto, gli danno l’assoluzione senza averlo interrogato al riguardo, quando temono che il penitente, se avvertito di dover restituire tale guadagno o rinunciarvi, si rifiuterebbe di farlo.

2724. Domande: 1. Può egli (il Vescovo) approvare il modo di fare di questi ultimi confessori? 2. Quando altri confessori più rigorosi si rivolgono a lui per un consiglio, può esortarli a seguire il modo di fare dei primi fino a quando la Santa Sede non emetterà un giudizio esplicito sulla questione?

Risposta del Sommo Pontefice: Per 1: Non devono preoccuparsi. – Per 2: La risposta è al punto 1.

GREGORIO XVI; 2 febbraio 183l – 1 giugno 1846.

Risposta della Sacra Penitenzieria all’Arcivescovo di Besançon, 5 luglio 1831.

2725. Risposta S. Penitenziera all’Arcivescovo di Besançon.

L’Autorità di S. Alfonso Maria dei Liguori nella morale.

L’Arcivescovo di Besancon desidera chiarimenti sulla dottrina morale di S. Alfonso, insegnata nelle sue diocesi, se sia lassa, pericolosa per la salvezza e contraria alla sana dottrina. Propone due dubbi da risolvere:

2726. 1. Secondo l’opinione di qualche professore di teologia che si è avvalso della teologia morale di S. Alfonso, può essere seguito tutto ed avvalersene?

2727. 2. Non conoscendo accuratamente la dottrina del beato Dottore, esistendo diverse opinioni, si può stimare prudentemente che questa dottrina, che non abbia ricevuto censure, sia sana e non abbia nulla di contrario alla santità evangelica?

(Risposta) 22 lug, 183. Alla 1.: Affermativa, essendo opinione seguita da scrittori approvati da Servi di Dio. Alla 2.: Negativa, essendo nella mente della Santa Sede l’approvazione degli scritti del Servo di Dio per la causa della Canonizzazione.

Ep. Encic.”Mirari vos”, 15 Agos. 1832.

L’indifferentismo ed il razionalismo.

1730. Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’indifferentismo ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i costumi si conformano alla norma del retto e dell’onesto…. da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscien.

2731. Errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osi vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione.

1731. Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione. «Ma qual morte peggiore può darsi all’anima della libertà dell’errore?» esclamava Sant’Agostino [Ep. 166].

2732. Abbracciando con paterno affetto coloro che si applicano agli studi filosofici, e più ancora alle sacre discipline, inculcate loro premurosamente che si guardino dal fidarsi delle sole forze del proprio ingegno per non lasciare il sentiero della verità e prendere imprudentemente quello degli empi. Si ricordino che Dio «è il duce della sapienza e il perfezionatore dei sapienti» (Sap VII,15), e che non può mai avvenire che senza Dio conosciamo Dio, il quale per mezzo del Verbo insegna agli uomini a conoscere Dio [S. Ireneo, lib. 14, cap. 10].

Breve “Sum acerbissimas”, 26 sett. 1835.

Errori di Giorgio Hermes.

2738. … costoro infatti, con peregrine e riprovevoli dottrine, contaminano i sacri studi, e per di più non esitano a profanare il pubblico Magistero docente se insegnano in scuole ed accademie, e si distinguono nell’adulterare lo stesso sacrosanto deposito della fede che si vantano di custodire. Tra i maestri di tali errori si annovera per fama costante, diffusa in Germania, Giorgio Hermes che, deflettendo audacemente dalla retta via che tracciarono l’universale tradizione ed i Santi Padri, nell’esporre e difendere le verità della fede, anzi superbamente disprezzandola e condannandola, apre un’altra tenebrosa via all’errore di qualsiasi genere. Egli pone nel dubbio positivo la base di ogni ricerca teologica, e stabilisce che nella ragione consista la norma principale, l’unico mezzo con il quale l’uomo posasa conseguire la conoscenza delle verità soprannaturali.

2739. … essi [i Cardinali incaricati] giudicarono che l’autore si perdeva nelle sue meditazioni, e nelle opere citate metteva insieme parecchie assurdità, estranee alla dottrina della Chiesa Cattolica: in particolare, circa la natura della fede e la norma di quanto sia oggetto di fede secondo la sacra Sscrittura, la tradizione, la rivelazione e il Magistero della Chiesa; circa i motivi di credibilità; circa gli argomenti coi quali si era soliti fondare e confermare l’esistenza di Dio; circa l’essenza, la santità, la giustizia, la libertà dello stesso Dio e il fine delle Sue opere che dai teologi sono chiamate «ad extra»; inoltre, circa la necessità della grazia e la ripartizione dei suoi doni; circa l’attribuzione dei premi e delle pene; circa la condizione dei progenitori, il peccato originale e le forze dell’uomo caduto.

2740. I Cardinali decisero che tali libri fossero da proibire e da condannare in quanto contenenti dottrine e proposizioni false, temerarie, capziose, tali da indurre allo scetticismo e all’indifferentismo, erronee, scandalose, offensive verso le scuole cattoliche, eversive della divina fede, in odore di eresia e contenenti altre dottrine già condannate dalla Chiesa.

Resp. S. Officio al Vescovo di Nizza. 17 luglio 1838.

L’usura.

2743. Domanda (9 settembre 1837): I penitenti che, sulla base di un titolo legale, abbiano ottenuto un modesto guadagno da un prestito e che dubitano in coscienza o hanno cattiva coscienza, possono ricevere l’assoluzione sacramentale senza essere obbligati a restituirlo, purché almeno provino un sincero dolore per il peccato che hanno commesso nel dubbio o con cattiva coscienza, e siano disposti a conformarsi con fedele obbedienza ai comandi della Santa Sede?
Risposta: Sì, almeno nella misura in cui siano disposti a conformarsi ai comandamenti della Santa Sede.

Cost. “In supremo apostolatus fastigio”, 3 dicembre 1839.

2745. … abbiamo ritenuto essere compito della Nostra pastorale sollecitudine adoperarci per distogliere completamente i fedeli dall’indegno mercato dei Neri e di qualsiasi altro essere umano… Numerosi Pontefici di venerata memoria, Nostri Predecessori, come doverosa opera del loro ministero non tralasciarono mai di condannare tale delitto, contrario alla salvezza spirituale di chi lo compie, e disonorevole per il nome Cristiano, prevedendo che le tribù degl’infedeli si sarebbero confermate sempre più nell’odio contro la vera Nostra Religione.

2746. Questi interventi e queste sanzioni dei Nostri Predecessori giovarono non poco, con l’aiuto di Dio, agli Indiani e agli altri predetti per difenderli dalla crudeltà e dalla cupidigia degli invadenti, ossia dei mercanti cristiani, ma non abbastanza per far sì che questa Santa Sede potesse rallegrarsi del pieno esito dei suoi sforzi in questo settore; così che la tratta dei Negri, benché sia notevolmente diminuita in molte parti, tuttavia è ancora esercitata da numerosi cristiani. Per tale ragione Noi, volendo far scomparire detto crimine da tutte le terre cristiane, dopo aver considerato maturamente la cosa, utilizzando anche il consiglio dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, seguendo le orme dei Nostri Predecessori, con la Nostra Apostolica autorità ammoniamo e scongiuriamo energicamente nel Signore tutti i fedeli cristiani di ogni condizione a che nessuno, d’ora innanzi, ardisca usar violenza o spogliare dei suoi beni o ridurre chicchessia in schiavitù, o prestare aiuto o favore a coloro che commettono tali delitti o vogliono esercitare quell’indegno commercio con il quale i Negri vengono ridotti in schiavitù, quasi non fossero esseri umani, ma puri e semplici animali, senza alcuna distinzione, contro tutti i diritti di giustizia e di umanità, destinandoli talora a lavori durissimi. Inoltre, chi propone una speranza di guadagno ai primi razziatori di Negri, provoca anche rivolte e perpetue guerre nelle loro regioni. Noi, ritenendo indegne del nome cristiano queste atrocità, le condanniamo con la Nostra Apostolica autorità: proibiamo e vietiamo con la stessa autorità a qualsiasi ecclesiastico o laico di difendere come lecita la tratta dei Negri, per qualsiasi scopo o pretesto camuffato, e di presumere d’insegnare altrimenti in qualsiasi modo, pubblicamente o privatamente, contro ciò che con questa Nostra lettera apostolica abbiamo dichiarato.

Resp. S. Congr. Indulgentiarum, 28 lug. 1840-

2750. (Domanda): Se l’indulgenza annessa all’altare privilegiato debba essere intesa come indulgenza plenaria liberante l’anima da ogni pena del purgatorio o come indulgenza applicata secondo il beneplacito della divina misericordia?

(Risposta).: Per l’indulgenza annessa all’altare privilegiato, se la mente del concedente è l’uso della potestà delle chiavi, si intende essere l’indulgenza plenaria che libera subito dalle pene del Purgatorio; Secondo, tuttavia, l’applicazione dell’effetto, è da intendere che l’indulgenza risponda applicazione deve essere un’indulgenza, la cui misura corrisponde alla misura del beneplacito ed accettazione divina.

Tesi sottoscritte al suo Vescovo, da Ludovico Eugenio Beautain, 8 sett. 1840.

2751. Il ragionamento può provare con certezza l’esistenza di Dio e l’infinità delle sue perfezioni [!]. – La fede, dono del cielo, suppone la rivelazione; essa dunque non può essere convenientemente invocata nei confronti di un ateo come prova dell’esistenza di Dio (cf. 2812).

2752. La divinità della rivelazione mosaica si prova con certezza con la tradizione scritta ed orale della sinagoga e del Cristianesimo.

2753. La prova della (rivelazione cristiana) derivata dai miracoli di Gesù Cristo, sensibile ed evidente per i testimoni oculari, non ha perduto la sua forza ed il suo splendore davanti alle generazioni successive. Noi troviamo queste prove con ogni certezza nell’autenticità del nuovo Testamento [!], nella tradizione orale e scritta di tutti i Cristiani. È per questa doppia tradizione che noi dobbiamo dimostrarla all’incredulità che la rigetta o a coloro che senza ammetterla ancora, la desiderano.

2754. Non si ha il diritto di attendere da un incredulo che egli ammetta la resurrezione del Nostro Salvatore, prima di avergliene somministrate le pro certe; e queste prove sono dedotte dalla stessa tradizione con il ragionamento.

2755. su queste diverse questioni, la ragione precede la fede e ci deve condurvi. [L’uso della ragione precede la fede e vi conduce l’uomo con la rivelazione e la grazia] (cf- 2813)

2756. Per quanto debole ed oscura sia divenuta la ragione a causa del peccato originale, le resta ancora molta chiarezza e forza per guidarci con certezza all’esistenza di Dio, alla rivelazione fatta a ai Giudei da Mosè, ed ai Cristiani dal nostro adorabile Uomo-Dio [La  ragione può provare con certezza l’autenticità della rivelazione fatta ai Giudei da Mosè ed ai Cristiani da Gesù Cristo].

Resp. S. Penitenziaria, 8 giugno 1842. Diretto al Vescovo di Le Mans.

L’uso onanistico del matrimonio.

2758. Domande: 1) I coniugi che usano il matrimonio in modo da impedire il concepimento commettono un atto di per sé moralmente sbagliato?

2759. 2) Se l’atto deve essere considerato moralmente cattivo, i coniugi che non se ne accusano possono essere considerati in quella buona fede che giustifica il peccato grave?

2760. 3) Dobbiamo approvare il modo di fare dei confessori che, per non ferire i coniugi, non li interrogano sul modo in cui usano i diritti del matrimonio? …

Risposta: 1) Dato che tutto il disordine dell’atto deriva dalla malizia dell’uomo che, invece di consumare l’atto, si ritira ed effonde extra vas, non appena dopo le opportune ammonizioni la donna non ottiene nulla e l’uomo persiste minacciando colpi o la morte, essa può, come insegnano i dottori provati, semplicemente lasciarlo fare senza peccato, e questo per un grave motivo che la giustifica; perché l’amore con cui è tenuta a impedirlo non la obbliga se include un tale danno. …

Per i punti 2) e 3)… il confessore si ricordi di questo adagio: le cose sante devono essere trattate con santità; e consideri anche le parole di Sant’Alfonso Liguori, uomo dotto e molto esperto in queste materie, che nella Praxis confessariorum, (cap. I) Par. IV, n. 41: “Per quanto riguarda i peccati dei coniugi relativi al dovere coniugale, il confessore non è tenuto ad interrogare nel dialogo ordinario, e questo non è opportuno, se non per le mogli – e questo nel modo più riservato – per sapere se lo hanno adempiuto. Per il resto, che taccia, a meno che non venga interrogato. E non manchi di consultare altri autori comprovati.

Resp. S. Officii, 14 sett, 1842

La Materia dell’unzione degli infermi.

2762. Dom.: In caso di necessità, può il parroco, per validare l’Estrema Unzione, benedire da sé l’olio?

Risp. Negativo.

2763. Propos.: Si può validamente amministrare il Sacramento dell’Estrema Unzione con l’olio non consacrato con la benedizione episcopale.

Dichiar. S. Officio: proposizione temeraria e prossima all’errore.

Tesi sottoscritte da Ludovico Eugenio Bautain, su mandato S. Congreg. dei Vescovi e dei Religiosi. 26 aprile 1844.

La dimostrazione della Religione cristiana e l’indifferenza verso le forme di governo civile.

2765… Noi promettiamo oggi e per l’avvenire:

1. … di non insegnare mai che con le sole luci della retta ragione, fatta astrazione dalla rivelazione divina, si possa dare una vera dimostrazione dell’esistenza di Dio;

2766. 2. che con la sola ragione non si possa dimostrare la spiritualità e l’immortalità dell’anima, o ogni altra verità puramente naturale, razionale o morale;

2767. 3. che con la sola ragione non si possa avere la scienza dei principi o della metafisica, come delle verità che ne dipendono, come scienza affatto distinta dalla teologia soprannaturale che non si fondi sulla rivelazione divina;

2768. 4. che la ragione non possa acquistare una vera e piena certezza dei motivi di credibilità, cioè di quei motivi che rendono credibile la rivelazione divina, come sono specialmente i miracoli e le profezie, e particolarmente la Resurrezione di Gesù-Cristo.

2769. 5. Che la Religione cristiana non possa adattarsi ad ogni forma legittima di governo politico, restando sempre la medesima religione cristiana e cattolica, completamente indifferente a tutte le forme di regime politico, non favorendo l’uno più che l’altro, ed non escludendone alcuno.

Lettera Enciclica “Inter precipuas machinationes” 8 maggio 1844.

Le versioni della s. Scrittura.

2771. Neppure ignorate quanta diligenza e quanta sapienza siano necessarie nel tradurre fedelmente in altra lingua le parole del Signore; onde nulla di più facile che, o per ignoranza, o per frode di tanti interpreti, s’insinuino gravissimi errori nelle innumerevoli versioni delle Società Bibliche: errori che per la loro moltitudine e varietà restano nascosti a lungo, a danno di molti. A queste Società Bibliche non importa un gran che se coloro che leggono la Bibbia nelle diverse traduzioni cadono in diversi errori, purché a poco a poco acquistino l’abitudine d’interpretare il senso delle Scritture secondo il proprio giudizio, disprezzando le divine tradizioni custodite nella Chiesa Cattolica secondo l’insegnamento dei Padri, anzi rigettando lo stesso magistero ecclesiastico.

2772. Pertanto, nelle regole scritte dai Padri del Concilio Tridentino a ciò delegati, approvate da Pio IV di felice memoria, Nostro Predecessore [In Constit. Dominici gregis XXIV martii MDLXIV] e premesse all’Indice dei libri proibiti, con disposizione generale fu stabilito che la Bibbia nella lingua volgare non venisse permessa se non a coloro ai quali la lettura potesse recare qualche «profitto della fede e della pietà» [In Regulis Indicis III et IV]. A questa regola, temperata poi di nuove cautele per il perseverare degli attacchi degli eretici, l’autorità di Benedetto XIV aggiunse una dichiarazione che permette la lettura nelle versioni popolari soltanto nelle «edizioni approvate dalla Sede Apostolica» o recanti «annotazioni desunte dai Santi Padri della Chiesa o da dotti uomini cattolici» [In Addition. ad dict. Regul. IV ex Decreto Congregationis Indicis XVII junii MDCCLVII].

Pio IX 16 GIUGNO 1846 – 7 FEBBRAIO 1878

Lett. Encycl. “Qui pluribus”, 9 novem. 1846.

L’errore del Razionalismo.

2775. (Dz 1634) Perché sapete, Venerabili Fratelli, che questi nemici ostili al nome cristiano, infelicemente presi da una certa forza cieca di folle empietà, procedono con questa imprudenza di pensiero che “aprendo la bocca alle bestemmie contro Dio” (cfr. Ap 13,6) con un’audacia del tutto sconosciuta, non si vergognano di insegnare apertamente e pubblicamente che i santissimi misteri della nostra religione sono finzioni e invenzioni di uomini; che l’insegnamento della nostra religione è una finzione e un’invenzione di uomini; che l’insegnamento della nostra religione è un’invenzione di uomini. Ap 13,6) con un’audacia del tutto sconosciuta, non si vergognano di insegnare apertamente e pubblicamente che i santissimi misteri della nostra religione sono finzioni e invenzioni degli uomini; che l’insegnamento della Chiesa cattolica è contrario [cfr. n. 1740] al bene e al vantaggio della società, e non temono neppure di abiurare Cristo stesso e Dio. E, per illudere più facilmente il popolo e ingannare soprattutto gli incauti e gli inesperti, trascinandoli con sé nell’errore, pretendono che le vie della prosperità siano note solo a loro; e non esitano ad arrogarsi il nome di filosofi, come se la filosofia, che si occupa interamente di indagare la verità della natura, dovesse rifiutare quelle verità che lo stesso Dio supremo e clementissimo, autore di tutta la natura, si è degnato di manifestare agli uomini con singolare bontà e misericordia, affinché gli uomini possano ottenere la vera felicità e la salvezza.

2776. Quindi con fallace e confuso argomento non cessano mai di magnificare la forza e l’eccellenza della ragione umana contro la fede santissima di Cristo, e audacemente blaterano che la medesima ripugna alla ragione umana. Del che niente si può pensare od immaginare né di più stolto, né di più empio, né di più ripugnante alla ragione medesima. Sebbene infatti la fede sia al di sopra della ragione, pur tuttavia fra di esse non si può trovare nessuna vera discordanza e nessun dissidio, quando ambedue prendono origine da una stessa fonte d’immutabile ed eterna verità, da Dio Ottimo Massimo; e per tale motivo vicendevolmente si aiutano, di modo che la retta ragione dimostra e difende la verità della fede, e la fede libera la ragione da ogni errore e mirabilmente la illustra, la rafforza e la perfeziona con la cognizione delle cose divine.

2777. Né con minore fallacia certamente, Venerabili Fratelli, questi nemici della divina rivelazione, con somme lodi esaltando il progresso umano, vorrebbero con temerario e sacrilego ardimento introdurlo perfino nella Religione cattolica; come se essa non fosse opera di Dio, ma degli uomini, ovvero invenzione dei filosofi, da potersi con modi umani perfezionare. Contro siffatto delirare possiamo ben ridire la parola con cui Tertulliano rimproverava i filosofi della sua età, “che fecero il Cristianesimo Stoico, o Platonico, o Dialettico” [Tertulliano, De Praescript, cap. VIII]. E certamente poiché non è la nostra santissima Religione un risultato della ragione umana, ma fu da Dio clementissimamente manifestata agli uomini, ognuno intende facilmente che dall’autorità di Dio medesimo essa acquista ogni sua forza, né la ragione umana può mutarla o perfezionarla.

2778. Bensì alla umana ragione appartiene il cercare con ogni diligenza il fatto della rivelazione, affinché non sia ingannata ed erri in una cosa di tanta importanza, e per rendere a Dio un ossequio ragionevole, come sapientissimamente insegna l’Apostolo, quando sia certa che Iddio le ha parlato. Chi, infatti, ignora o può ignorare che a Dio che parla si debba prestare ogni fede, e che alla ragione medesima niente sia più conforme che l’acquietarsi e l’aderire fermamente alle cose che si conoscano rivelate da Dio il quale non può essere né ingannato né ingannatore?

2779. Ma quanti meravigliosi e splendidi argomenti esistono per convincere l’umana ragione che la Religione di Cristo sia divina e che “ogni principio dei nostri dogmi venga dal Signore dei Cieli” [S. Joann. Chrysost., Homil. I in Isaiam]; e però della nostra fede niente sia più certo, più sicuro, più santo ed edificato sopra più soldi fondamenti! Questa fede, maestra della vita, guida della salvezza, liberatrice di tutti i vizi, feconda madre e nutrice di virtù, fu sigillata con la nascita, la vita, la morte, la resurrezione, la sapienza, i prodigi, le predizioni del suo autore e perfezionatore Gesù Cristo. Sfolgoreggiante da ogni parte di una luce di soprannaturale dottrina; arricchita dei tesori delle celesti dovizie; ampiamente illustre ed insigne per i vaticini dei profeti, per lo splendore di tanti miracoli, per la costanza di tanti martiri, per la gloria di tutti i santi; questa fede vivificata dalle salutari leggi di Cristo, ritraendo sempre nuova vita dalle stesse crudelissime persecuzioni, con il solo vessillo della Croce percorse l’orbe universo e per terra e per mare, dal luogo ove nasce sin dove muore il sole. Dileguata la fallacia degli idoli, sgombrata la caligine degli errori, trionfando di ogni sorta di nemici, illuminò con la luce delle dottrine e assoggettò al soavissimo giogo di Cristo medesimo popoli, genti, nazioni quantunque barbare per ferocia, e diverse d’indole, di costumi, di leggi, d’istituti, annunziando a tutti la pace, annunziando beni. Le quali cose certamente risplendono da ogni parte di tanta luce, di sapienza e di potenza divina, che la mente ed il pensiero di ciascuno facilmente intendono che la fede di Cristo è opera di Dio.

2780. [Obbligo di credere]. Pertanto la ragione umana, conoscendo chiaramente per siffatti argomenti splendidissimi e fermissimi, che Dio è l’autore della fede, non può sospingersi più oltre, ma, tolta ogni difficoltà e rimosso ogni dubbio, conviene che presti ossequio alla fede medesima, tenendo per cosa data da Dio tutto ciò che essa propone da credere e da fare.

L’infallibilità del Romano Pontefice.

2781. E di qui si vede chiaro quanto errino coloro che, abusando della ragione e stimando opera umana la parola di Dio, a loro arbitrio osano spiegarla ed interpretarla, quando Iddio medesimo ha costituito una viva autorità, la quale insegni e stabilisca il vero e legittimo senso della sua celeste rivelazione, e con infallibile giudizio definisca ogni controversia di fede e di costumi, affinché i fedeli non siano raggirati da ogni turbinio di dottrina, né siano per umana nequizia indotti in errore. La quale viva ed infallibile autorità è in quella sola Chiesa che da Cristo Signore fu edificata sopra Pietro, Capo, Principe e Pastore della Chiesa universale, la cui fede, per divina promessa, non verrà mai meno, ma sempre e senza intermissione durerà nei legittimi Pontefici i quali, discendendo dallo stesso Pietro ed essendo collocati nella sua Cattedra, sono anche eredi e difensori della sua medesima dottrina, della dignità, dell’onore e della sua potestà. E poiché “ove è Pietro ivi è la Chiesa” [S. Ambros., In Psal. 40], e“Pietro parla per bocca del Romano Pontefice” [ Conc. Chalced., Act. 2], e “sempre vive nei suoi successori, e giudica” [Synod. Ephes., Act. 3], e “appresta la verità della fede a coloro che la cercano” [S. Petr. Chrysol., Epist. ad Eutich.], perciò le divine parole sono da interpretare nel senso che ha tenuto e tiene questa Romana Cattedra del beatissimo Pietro; “la quale, madre di tutte le Chiese e maestra” [Conc. Trid., sess. 8 De Baptis.], sempre serbò la fede consegnatale da Cristo Signore integra ed inviolata, ed in quella ammaestrò i fedeli, mostrando a tutti la via della salute e la dottrina dell’incorrotta verità. Ed è questa appunto la “principale Chiesa donde nacque l’unità sacerdotale” [S. Cyprian., Epist. 55 ad Cornel. Pontif.]; questa la metropoli della pietà “nella quale è intera e perfetta la solidità della Religione cristiana” [Litt. Sin. Joan Constan. ad Hormis. Pontif., et Sozom, Hist., lib. 2, cap. 8], “nella quale sempre fiorì il principato della Cattedra Apostolica” [S. August., Epist. 162], “cui a motivo del suo primato è necessario che si stringa ogni altra Chiesa, cioè dovunque sono i fedeli” [S. Irenaeus, lib. 3 Contra haereses, cap. 3], “perché chi non raccoglie con lei, disperde” [S. Hieronym., Epist. ad Damas. Pontif.].

Altri errori del tempo.

2782. Conoscete ancora, Venerabili Fratelli, altre mostruosità di errori ed altre frodi, con cui i figli del secolo acerbamente impugnano la divina autorità e le leggi della Chiesa, per conculcare insieme i diritti della potestà civile e di quella sacra. A questo mirano inique macchinazioni contro questa Romana Cattedra del Beatissimo Pietro, nella quale Cristo pose l’inespugnabile fondamento della sua Chiesa.

2783. A questo mirano altresì quelle sette segrete che occultamente sorsero dalle tenebre per corrompere gli ordini civili e religiosi, e che dai Romani Pontefici Nostri Predecessori più volte furono condannate con lettere apostoliche [Clemens XII, Const. In eminenti; Benedict. XIV, Const. Providas; Pius VII, Const. Ecclesiam a Jesu; Leo XII, Const. Quo graviora] che Noi, con la pienezza della Nostra Potestà Apostolica, confermiamo …

2784. Questo vogliono le scaltrissime società Bibliche mentre, rinnovando le vecchie arti degli eretici, senza badare a spese non si peritano di spargere fra gli uomini anche più rozzi i libri delle divine Scritture, volgarizzati contro le santissime regole della Chiesa e sovente corrotti con perverse spiegazioni, affinché, abbandonate la divina tradizione, la dottrina dei Padri e l’autorità della Chiesa cattolica, tutti interpretino la parola del Signore secondo il loro privato giudizio e, guastandone il senso, cadano in errori gravissimi. Gregorio XVI di santa memoria, al quale seppure con minori meriti siamo succeduti, emulando gli esempi dei suoi Predecessori, con sua lettera apostolica riprovò tali società [Greg. XVI, Litt. Encycl. Inter præcipuas machinationes], e Noi parimenti le vogliamo condannate.

2785. Altrettanto diciamo di quel sistema che ripugna allo stesso lume della ragione naturale, che è l’indifferenza della Religione, con il quale costoro, tolta ogni distinzione fra virtù e vizio, fra verità ed errore, fra onestà e turpitudine, insegnano che qualsivoglia religione sia ugualmente buona per conseguire la salute eterna, come se fra la giustizia e le passioni, fra la luce e le tenebre, fra Cristo e Belial potesse mai essere accordo o comunanza.

2786. A questo punta la nefanda dottrina del Comunismo, come dicono, massimamente avversa allo stesso diritto naturale; una volta che essa sia ammessa, i diritti di tutti, le cose, le proprietà, anzi la stessa società umana si sconvolgerebbero dal fondo.

Decr. S. Officii 21 magg. 1851.

L’uso onanistico del matrimonio.

2791. Domanda: Quale nota si deve attribuire alle seguenti tre proposizioni?

1. Per motivi onesti è lecito che i coniugi usino il matrimonio nel modo in cui lo usava Onan? (Gen XXXVIII, 8ss.).

2792. 2. È probabile che questo uso del matrimonio non sia proibito dalla legge naturale.

2793. 3. Non è mai consigliabile interrogare i coniugi di entrambi i sessi su questo argomento, anche se prudentemente si può temere che i coniugi, l’uomo o la donna, abusino del matrimonio.

Risposta: Per 1.: scandalosa, errata e contraria al diritto naturale del Matrimonio.

Per 2.: Scandalosa, e già implicitamente condannata in un’altra occasione da Innocenzo XI, proposizione 49 (cf. 2149).

Per 3. Così com’è, la proposizione è falsa, troppo permissiva e pericolosa nella pratica.

Resp. S. Officii 6 (19) Apr. 1853

Uso onanistico del matrimonio.

2795. Domanda 1) È lecito il ricorso al matrimonio non consumato, sia esso onanistico o condomistico (cioè con l’uso di uno strumento empio comunemente chiamato “condom”), come nel caso in questione? …2) Una donna che ne è a conoscenza può concedersi passivamente ad un’unione condomistica? …

Risposta (decreto del 6, pubblicato il 19 aprile):

Per 1): No, la cosa è infatti intrinsecamente malvagia. …

Per 2): No, la donna parteciperebbe infatti a qualcosa di intrinsecamente illecito.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S PIO XII (34): “PIO IX 1854-1864”.

LO SCUDO DELLA FEDE (257)

LO SCUDO DELLA FEDE (257)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (26)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

PARTE III

IL RINGRAZIAMENTO

ART. IV

LA S. MESSA COMPIUTA.

« Nel nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo. »

Così nella santa Messa, in questo vero compendio di tutta la religione, in questo vero spettacolo di misericordia divina, di che fummo con infinita pietà graziati da Dio, in sul presentarci ed assistervi peccatori, cademmo confusi nell’abisso delle nostre miserie dinanzi all’altare del santissimo Iddio. Qui per noi non si poteva far altro, che gridare col pubblicano dell’Evangelo: « Signore abbiate di noi pietà, che siamo peccatori! » E Dio si degnava di volgersi clemente alle nostre grida col risponderci di perdono nei riti di propiziazione, che ci preparavano alla santa azione. (Così dal principio fino al Kyrie.) Tra le braccia del perdono di Dio, alimentati della speranza della vita beata, noi abbiarn voluto allora il nostro al cantico degli Angioli associare, per dare gloria al Salvatore, che in cielo col Divin Padre riconcilia noi colpevoli. (Dal Kyrie fino all’ Evangelo). – Come tale Ei ci istruiva di sua bocca, e coi misteri di sua vita spirava nelle anime nostre la carità, che doveva consumare il Sacrificio aceettevole sull’altare del Dio vivente. (Dal Valgelo fino all’offerta del Sacrificio). Così istruiti, allora ci lasciavamo dalla madre Chiesa condurre per mano sul monte santo; e qui, Dio della misericordia! a che abbiamo mai assistito! Egli stesso, il Figliuolo di Dio, ci cadeva innanzi sacrificato: e placato Dio, ci riapriva il paradiso. (Dall’Offerta fino al Pater noster). Poi a farci poggiare così alto , si fermò tra noi Egli stesso, ci accolse in seno, ci porse l’alimento divino da poter con esso salire e vivere a vita eterna. (Dal Pater noster fino al Postcommunio). Noi nell’unione con Dio godiamo qui un saggio iniziale della beatitudine, che il Redentore ci prepara nel cielo, nostra patria. Oh quanta gloria a Dio per tanta sua bontà! Noi adunque che la gloria di Dio abbiamo veduto, corriamo ora dal monte a raccontare le meraviglie della bontà di Dio: e passando peregrini sulla terra, diamo la mano ai fratelli, per ravviarli al Padre nostro amorosissimo, che abbiamo in Cielo. Quando la buona famiglia di Tobia trattava ancora colla più tenera gratitudine il benedetto compagno e duca del periglioso viaggio del figlio, l’Angelo Raffaele, perchè di tanti beni li aveva ricolmi; e se lo guardavano in mezzo di loro quei pii, come una vera benedizione mandata da Dio: e all’improvviso se lo videro sollevarsi in aria, benedirli, salire al cielo; esclamarono attoniti: « egli era un Angelo! » E non seppero far altro, che gettarsi sul suolo atterriti ad adorare la maestà del Signore così buono con loro. Anche la gran famiglia cristiana nel santo Sacerdote, degli eccelsi doni di Dio dispensatore, riconosce l’Angelo del nuovo Testamento, che dalla croce, ove lo saldò Gesù col Sangue, deriva la maggiore benedizione nel Nome del Padre, che ci creò; e ci vuole salvi col darci a Redentore il proprio Figlio: nel Nome del Figlio, che è la nostra salute: nel Nome dello Spirito Santo, che di grazia ci vivifica nel tempo, e ci alimenterà di beatitudine nella eternità. La famiglia non può far altro che cadere per terra esclamando: amen, amen. » Sia in noi fermata tanta benedizione colla croce di Gesù, di cui si fa appunto il segno, per dare sopra di noi la benedizione col Sangue di Gesù Cristo. (Dal Postcommunio fino all’ultima benedizione).

Col Dominus vobiscum ancor con un saluto ci dà un amplesso il Sacerdote. Oh! il cuore nella foga dell’ affetto ama ripetere le sue più calde espressioni: ed una madre non finisce mai di dire la parola più cara nel cuore del figlio delle sue viscere; ed il Sacerdote nello stringerci in seno ancora una volta dice col palpito del cuore che palpita in Gesù: « su, su la mente, il cuore, il corpo coperto dalle Piaghe di Gesù! su, su tutti in Dio, a contemplare nella fonte della Divinità i misteri che abbiamo meditato. »

Principio del santo Evangelo secondo Giovanni.

Legge l’ultimo evangelo.

Adoriamo! è il santo Apostolo dell’amore, é l’amico dello sposo, è il diletto Giovanni, che riposò nel convito della carità sul petto a Gesù Cristo. Facciamoci appresso, chè, dice s. Agostino, ciò che bevette in seno a Dio, ora lo riversa sull’anime purificate. Ben fortunati anche noi, che riposiamo sul petto a Gesù, e lo teniamo stretto in cuore! Ora con Gesù prima di scendere dal santo monte contempliamo ancor la gloria di Dio. Abbiamo detto: è il bisogno che ci spingeva a cercarlo su questo altare: ora giacché tanto ci è dato, solleviam le anime nostre; varchiamo i mondi del tempo, spingiamo in alto il pensiero a contemplare in quel trono d’inaccessibile luce l’altissimo Iddio! E qui come nell’aurora sulla vetta del monte s’innalza di candidissima nube di argento leggiera leggiera, e vola in seno al ciel d’oriente, e fra le vampe di quella luce dorata par che vagheggi con amore il sole; e il sole di splendore la investe e la compenetra tutta, e la incorona, di raggianti baleni in mezzo al firmamento, ed ella riflette la sua luce color di rosa sopra gli oggetti a cui sovrasta: così a temperare l’ardenza di quello splendore, che sfolgorerebbe il pensiero, per noi Gesù si frammette, ed infrange quei dardi di luce divina, gli spezza e spande in noi come adattati alla forma della mente umana: e noi pel Verbo contempliamo Iddio.

Principio dell’evangelo secondo Giovanni.

« Nel principio era il Verbo ecc. »

Dio virtù onnipotente, sapienza infinita, e lume eterno, conosce se stesso, e genera il Verbo sua Immagine sostanziale. Così Dio Padre genera il Figliuolo Divino, il quale era già ab eterno, quando il tempo ebbe principio. Era questo Figliuolo suo Verbo, e sua Sapienza Divina, che il Signore ebbe seco nel principio del suo operare, già prima che cominciasse ogni cosa (Prov. VIII,22).

Il Verbo era appresso Dio ecc.

Questo eterno Figliuolo, Unigenito del Padre e sua Immagine, è figura della sua Sostanza, il che vuol dire suo Verbo. Non è già come l’immagine e l’espressione del pensiero umano, semplice atto che passa nell’anima che è la stessa che pensa; ma essendo Immagine Sostanziale, è una Persona distinta dal Padre. Era adunque appresso a Dio Padre: ben dice che era; e non già che nel principio è, perchè non si potesse credere che cominciasse ad essere, quando ebbero principio le cose; ma nel principio Egli era già. Nè dice che fu; perché non si potesse mai credere, che di poi abbia cessato di essere; ma si dice era, colla quale voce espresse l’eterna immutabile esistenza del Verbo (Martini, nota a questo versetto in Nuovo Test.); così ab eterno generato dal Padre della stessa Natura e Sostanza del Padre.

« Il Verbo era Dio, questo era nel principio appresso a Dio ecc. »

Dopo espressa l’unità dell’Essenza, e la distinzione della Persona del Verbo, si dà ora un saggio della Trinità. Poiché nell’essersi detto la prima volta che il Verbo era nel principio, ed era appresso Dio, si ha voluto dire, che il Verbo era nel Padre che è Dio; e ripetendosi ora che il Verbo era appresso Dio, si vuol dire che Esso è ancora nello Spirito Santo. Così può intendersi l’unione e la distinzione delle tre Divine Persone.

« Tutte le cose furono fatte per Esso, e senza di Esso niente fu fatto di ciò che è stato fatto ecc. »

Dio Padre vede nel suo Figlio tutte le cose, siccome scorgeva il disegno di tutto l’universo nel suo Eterno Creatore Pensiero. Egli così pel suo Verbo, che è la Sapienza, concepiti gli esseri, disse la sua parola di creazione; ed è questa creatrice parola di Dio tradotta in atto, che dà esistenza a tutte le cose. Adunque pel Verbo tutte le cose furono fatte, e senza di Esso non fu fatto niente di ciò che è stato fatto. Ecco, ecco la ragione di tutte le cose create. Rivolgiamo lo sguardo sopra di noi, interroghiamo noi stessi: come noi siamo fatti? come abbiamo noi cominciato ad esistere? Dove era, per dir così, il disegno, in cui si vedevano tutte le parti minute, così ordinate, perché risultare ne dovesse la nostra persona? Interroghiamo tutte le cose che ci circondano: dicano esse, perché esistono così: come, quando non erano, han potuto cominciare ad essere? Povera ragione umana! Ella dispera di poter concepire, come una cosa, che prima non era, cominciò ad essere. Dall’essere al non essere vi è una distanza, un abisso infinito, che la mente umana non può misurare. Quel tutto, che può la ragione, è il poter esclamare ragionando col filosofo: non eran le cose, non eravamo noi: noi siamo adesso; vi è adunque una Cagione Somma, che produsse tutti questi effetti. Fermiamoci un istante vediamo dappertutto accadere movimenti, e questi non esistevano in prima. Esiste pertanto il moto? Dunque può ancora la ragione come Aristotile esclamare: se esiste il moto, esistere deve il Motore che lo ha prodotto. Ma la fede ci rivela, che il disegno di tutte le cose è la ragione della loro esistenza, cioè il perché esistono esse come sono create, la Cagione Prima è il gran Motore di tutto, è il Verbo, per cui tutto è fatto, perché in Lui sono le idee archetipe di ogni cosa. In Lui dunque come in principio ed in fonte risiedeva la vita, tanto naturale, che Egli comunica agli esseri animati, quanto la spirituale, che Egli dona alle anime vivificandole all’immortalità, giustificandole alla vita eterna. – Qui poi l’Evangelista, manifestato il Principio di tutto, entra ad esporre la più grande delle opere del Verbo eterno di Dio, cioè il discendere che fece dal seno del Padre per dar la vita alle anime degli uomini giacenti nelle tenebre e nelle ombre di morte. Dimostra (così s. Ireneo) come pel Verbo il Padre eseguita la creazione dell’universo, pure pel Verbo dona vita e salute agli uomini da Lui creati.

« La vita era la luce degli uomini ecc. »

Cóme in mezzo alla creazione il Verbo lasciando correre un raggio della sua Luce divina, e comunicando un’immagine del suo Pensiero questo raggio di luce celeste, quest’immagine della Sostanziale Immagine di Dio diede vita al pensiero umano, per cui noi siamo uomini, che portiamo qualche cosa in noi che viene di Cielo, e nel Cielo siain destinati a trovar tutto che qui sentiamo mancarci: così per questa luce, che splende in noi, vediamo nelle creature uno specchio magnifico del Creatore, e gli esseri esistenti ci servono di scala per salire a quell’altezza.

« E la Luce splende tra le tenebre, e le tenebre non l’hanno compresa ecc. ecc.

Ma quando cademmo in basso, quel lume di ragione dato da Dio oscurossi così, e restò così ombrato dalle passioni, Che l’anima era nelle tenebre sepolta, senza quasi un raggio di luce che le facesse scorgere dove sono collocati i suoi sublimi destini. Il Verbo vivificante, che era luce per gli uomini là nella creazione, nel ristorare e ricreare gli uomini è là é per noi vera luce celestiale e divina, che scorge l’uomo a vita eterna. Ma le tenebre non l’hanno riconosciuta: perché gli uomini acciecati aman le tenebre più che la luce; e non vollero prevalersi di questa Luce. Benediciamo a Dio noi, che eravamo tenebre una volta ma ora poi, dice l’Apostolo, siamo luce nel Signore.

« Fu un uomo mandato da Dio, che nomavasi Giovanni: questi venne qual testimonio, affine di rendere testimonianza alla Luce, affinché per mezzo di lui tutti credessero. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza della Luce ecc. »

Dopo di aver esposta la divina generazione del Verbo, che è la vera Luce dell’universo, comincia a raccontare la storia della sua generazione umana, col dire come venne mandato da Dio il precursore Giovanni. Quest’uomo nel venire a compiere la missione, si presenta mostrando di essere mandato da Dio, coi miracoli della sua nascita, colla sua vita ammirabile, colla santità della sua dottrina. Era egli adunque l’uomo più idoneo a rendere testimonianza. Ei predicava che Gesù, che si presentava qual semplice uomo, era il Cristo di Dio, venuto ad illuminare il mondo. Quando poi tutti accorrevano alla predicazione di Giovanni, e ammiravano i doni di Dio nell’uomo straordinario così, che già credevano fosse il Messia; nel sentirsi a dire subito da lui medesimo: « No, che non sono

io il Messia: ma io non sono altro che una povera voce; e sono venuto nel deserto per dirvi che vi prepariate, » intendevano che non era esso la Luce: ma sì della Luce il foriero ed il precursore, a cui dovevano credere, perché era già dal profeta Isaia predetto.

« Quegli era la Luce vera che illumina ogni uomo, che viene in questo mondo ecc. »

Egli era la vera Luce, eterna, increata, da cui ogni luce procede, per cui resta illuminato ogni uomo che viene in questo mondo. Io venni Luce nel mondo, disse Gesù, affinché chi crede in me non rimanga (Jo. XII,46) in tenebre. Chi mi segue non camminerà nelle tenebre; perché, dice san Paolo (Hebr. 1, 3.- Tim. VI, 16) Egli è lo Splendore della eterna gloria, il Candore della luce eterna, che illumina terra e cielo.

« Era nel mondo, ed il mondo per Lui fu fatto: e il mondo non lo conobbe. »

Questa Luce, vera Sapienza del Padre, era già nel mondo, perché in tutte le create cose riflette un raggio della Sapienza divina, che dà di Dio la più degna cognizione che per gli uomini aver si possa.

« Ma il mondo non la conobbe. »

vero pur troppo, che gli uomini, benché conservati tra le braccia dell’ammirabile provvidenza di Dio, voltarono le spalle al loro Creatore, che è benedetto in eterno; per loro l’aspetto medesimo del firmamento non ebbe più una voce a narrare la gloria del suo Fattore: ed abbandonati al reprobo senso, adorarono invece le creature: e quando comparve il Figliuolo di Dio, non lo vollero conoscere.

« Venne nella propria casa, ed i suoi non Lo ricevettero ecc.

Benché Egli sia comparso in mezzo al popolo suo, sua eredità e depositario dei segreti di Dio nella rivelazione affidati; i suoi non Lo vollero ricevere. Seppure non si vuol intendere qui, che il Verbo divino si preparava nella creazione la casa, dove voleva porre la sua delizia nell’abitare coi figliuoli degli uomini (Prov. VIII,31), volendo anche dei gentili fare sua eredità, porzione sua. Ma gli uomini tutt’ora non vogliono che entri in possesso del suo regno. Come i Giudei non volevano che regnasse Cristo sopra di loro, così non vogliono che regni certi potenti della terra, che Lo escludono dai loro governi, regolandosi con una politica, che non ha per fondamento la legge di Dio ed il rispetto alla sua Chiesa: non vogliono che regni gli educatori alla moda, che non prendono per fine di condurre i loro allievi colla loro coltura a conoscerlo e servirlo con amare Iddio nell’adempimento dei loro doveri: non vogliono che regni in certe famiglie molti individui pei quali servire a Dio non pare ormai che sia più tutto il dovere della vita umana. Nei pensieri di tutti questi Dio non deve entrare più, quasi non abbia più diritto sopra di loro. Per eseguire i loro disegni fanno continua guerra alla verità; affinché non si stabilisca il regno di Dio, ed essi possan vivere indipendenti: e per poco non dicono chiaro; allontanatevi, o Dio, chè siamo noi gli Dei.

« Ma a tutti quelli che lo ricevettero, diede di poter diventare figliuoli di Dio, a quelli che credono nel suo nome ecc. ecc.

Si, in tutte le nazioni, a quelli di buona volontà, che accolgono il verbo di Dio, concede grazia per Lui di diventare figliuoli di Dio in adozione, e come a tali concede loro il diritto all’eredità del regno celeste per virtù della fede, la quale è il fondamento della giustificazione.

« I quali, non per via di sangue, nè per volontà della carne; nè per volontà d’uomo, ma da Dio son nati ecc. »

Significa che la fede non ha origine dalla generazione della carne: ma bensì dalla grazia dello Spirito di .Dio; per mezzo della quale le prave inclinazioni si correggono, la mente si illumina, si purifica il cuore nell’amor santo di Dio. Non vale adunque essere figlio di Abramo secondo il sangue, nè valgono le forze della natura, né il libero arbitrio a renderci figliuoli di Dio. E solo per volontà di Dio, la Chiesa, rigenerata nel Sangue di Gesù Cristo, genera in tutte le nazioni dell’ universo i figli, che andran nella società degli eletti in Cielo a vita eterna, per virtù del Sangue di Gesù Cristo.

« Ed il Verbo si è fatto carne ecc. »

Ecco il miracolo che la fede ci rivela: un Dio incarnato, Un Dio-Uomo, fino a poter dire che si è fatto carne. Così la Carne dell’uomo nella Persona del Redentore è veramente carne di Dio, e nel beato istante, in cui fu concepita questa Carne Verginale, si trovò penetrata, dice s. Paolo, dell’unzione di Dio, non avendo altra sussistenza che quella del Verbo di Dio. La beatissima Vergine concepì, dice s. Ambrogio, ed il Verbo si è fatto carne, a fine che la carne diventasse Dio: Tunc in utero Virgo concepit, et Verbum Caro factum est, ut caro fieret Deus. Quale espressione! Prodigio divino, che la Chiesa credette di dovere far meditare sull’altare ancor rosso del Sangue di Gesù Cristo! Tra quella Carne di Gesù, ed il Verbo niente è diviso: quello che è vero dell’uno, per comunicazioni di attributi è vero dell’altra. Così perché la Carne di Gesù è stata passibile, il Verbo di Dio fatto uomo veramente ha patito: come pure perché il Verbo è eguale a Dio Padre; perciò quella Carne è assisa alla destra del medesimo; perché la natura umana sussiste nel Verbo insieme colla divina. Il Verbo adunqne si è incarnato! Qui il Sacerdote col popolo s’inginocchia in segno di grande umiltà. Poiché, come dice s. Atanasio, se non possiate sapere come il Verbo si sia incarnato, non ci è permesso tuttavia ignorare che siasi incarnato ed abbia preso carne somigliante alla nostra. Qui in luogo d’invilupparci in una ricerca inutile che sorpassa tutte le umane vedute, in luogo di voler penetrare in questi ineffabili arcani della divina Incarnazione, mentre neppure conosciamo noi stessi: quello che abbiamo da fare sopratutto, si è di benedire mille volte la misericordia infinita del nostro Dio, disceso per noi dalla sua gloria e fattosi uomo come noi siamo; e di umiliar l’intelletto a credere il Mistero, fondamento di nostra salute, e di umiliar noi stessi confusi innanzi a Dio. Questo esprimiamo nello inginocchiarci. – Ora qui a noi resta di applicare il mistero del Verbo al mistero del Sacrificio, dicendo a noi stessi; Quel Corpo, che abbiamo sacrificato e ricevuto, è la Carne di Dio! e noi siam destinati ad essere come Maria Santissima il tempio vivo, dove Dio fatto carne vuol abitare.

« Ed abitò tra noi ecc. »

« Ah! Signore, esclamiamo, per salvar l’uomo Voi, che siete la Santità Sostanziale, vi avete eletta « una Vergine, e a Lei concepita nella santità madaste lo Spirito Santo a santificarla nuovamente con grazie più abbondanti.» Eppure, dopo questa nuova santificazione, la Chiesa canta che (Hym. Te Deum) crede di non offender Maria, quando fa le meraviglie, che Voi non abbiate avuto orrore di chiudervi nel seno di tal SS. Vergine. Noi compresi da tali sentimenti entreremo in noi stessi; e giacché siamo destinati a portare nel seno il medesimo Iddio, il prepararci a questo Sacramento sarà la più grande, e la più grave occupazione della nostra vita; il trarne giovamento sarà il più ardente dei nostri desiderii; e l’abusarne il più terribile dei nostri terrori. Verremo alla santa Mensa coi cuori infiammati d’amore, qual leoni spiranti fuoco di carità, dice il Grisostomo; quali aquile, soggiunge s. Agostino, sollevate al di sopra della terra da pensieri affatto celesti. Adoperandoci per ricevere il Dio della ,gloria col medesimo spirito con cui la Benedetta fra tutte le creature lo concepì; l’esempio della SS. Immacolata sarà la nostra regola. Così pel dovere di comunicarci e di aver parte al Sacrificio sentiamo il dovere di santificarci “(Bourdaloue, Serm. dell’Annunziata). « Abbiamo veduto la sua gloria, gloria come dell’Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.» Si, l’hanno veduta gli Apostoli la gloria di Lui, e nel Battesimo suo, e ne’ suoi miracoli e sul Tabor, e fin sul Calvario ed al Sepolcro, poi nella Risurrezione e nella Ascensione; l’ha veduta la sua gloria il mondo intero, salvato dalla univérsale corruzione: l’ha ;veduta la sua gloria ne’miracoli dei Santi, eroi del Cristianesimo, nell’abolizione della schiavitù, nella santità del costurne, che il mondo.non conosceva, ne’prodigi dell’Apostolato e della carità: dappertutto si vede, si prova la grazia e la verità, che il Verbo diffonde sulla terra colla pienezza -del suo Spirito.

« Deo gratias! »

Grazie a Dio! Ma chi renderà degne grazie a Lui? Nessun altro, o Gesù, fuori di Voi, che restaste qui fra noi nelle nostre chiese, compagno del nostro peregrinaggio. Ringraziatelo Voi, o Maria SS. Noi getteremo la penna nell’impotenza di ringraziare Dio in modo degno dell’infinita sua bontà! Noi fortunati! Il gran Mistero d’Amore si chiama appunto da tutta la Chiesa Eucaristia, che vuo dire rendimento di grazie; non ci resta altro che immedesimarci qui con Gesù, per render grazie che siano degne di Dio. Quest’opera fu intrapresa per dar segno d’amore

a Gesù Sacramentato; siam pertanto contenti di condurci in fine a contemplare Gesù, che sta con noi nel Sacramento: e per Lui amare ed onorare, a Lui dedichiamo la nostra povera persona, indirizziamo.ed ordiniamo tutte le Opere nostre. Preghiamo con Maria tutti i Beati a ringraziar Dio.

CONCLUSIONE.

Noi finiamo questa 2 edizione dopo il di undici dell’aprile dell’anno 1869, festa della Messa Nuova del quinquagenario sacerdozio di Pio IX. Ci giunge un articolo della Civiltà Cattolica (giornale) scritto coi palpiti di un figlio, che non ne può più della gioia in mezzo al tripudio dei rappresentanti del mondo cattolico in Roma, come in famiglia intorno alla mensa del padre di tutti. Già l’Unità Cattolica (giornale), quando vide l’annunzio di questa festa di casa rapido come corrente elettrica per tutta la superficie della terra scuotere tutti i cuori alla preghiera, presentiva un miracolo. Il miracolo è già avvenuto; l’universo n’è testimonio. Da ogni piccol paese i popoli, nazioni anche nel terror delle rivoluzioni, presidenti di repubbliche, re, imperatori cattolici e non cattolici, tutti a gara di cuore a Roma, a Roma a consolarsi col padre, come figli giubilanti di vederlo per poco ringiovanito. La diplomazia incantata vede per la prima volta sprezzare le esigenze della fredda etichetta, e col fervore dei cuori comandarsi agli ambasciatori di correre subito a portare i saluti della tenerezzane i belli regali dell’amore per la cara festa di famiglia al gran Padre dell’umanità cristiana. I fedeli rapiti al grande spettacolo della più grande unione in preghiera nell’istesso istante preciso, che mai sia avvenuto nella storia dell’umanità, esclamano in estasi: « È qui Dio, è qui Dio; nessun può negarlo! » Noi eravamo in missione, a cui dedicammo la vita: ed abbiamo annunciato predicando a città e borghi la Messa nuova del santo Padre: e i popoli all’improvviso sorsero, come un sol uomo, si affollarono nelle chiese. Qui d’ogni condizione persone si disputano urtandosi; a fare che?… a gettarsi per terra ai preti tanto calunniati, a picchiarsi il petto, a dirsi peccatori in colpa e dimandare in carità di essere purificati; perché sospirano tanto di gettarsi in braccio a Gesù in Comunione, proprio alle otto ore, quando nella sua Messa Nuova il Padre nostro in terra va a trattare col Padre nostro in cielo i nostri interessi nel Costato di Gesù Cristo!

Dio Salvatore! È dunque forse vicina l’ora della vostra grande misericordia!… (esclamiamo colle lagrime della più consolante speranza). I poveri popoli, divorati dai mali crescenti, non ne ponno più della vita; e pare che gridino, come quel meschinello fortunato: « abbiamo ancora un padre… e in casa del padre tutti stan bene! » Solenne istante! Tra un passato che crolla e un avvenire che si paventa e si spera, ma è imminente, la società corre con lena non mai tanto affannata… L’istmo di Suez le è aperto, la via ferrata mondiale del Pacifico è compiuta; i telegrafi, come la rete di nervi le sensazioni, colla rapidità del baleno diffondono i pensieri per tutto il mondo, e portano dagli antipodi gli evviva al Papa. Ebbene? in questo vortice di movimento universale ristanno i popoli incantati un istante!… Or par che dicano: « A chi andiam noi a cercare il ben che sospiriamo: ad quem ibimus? Oh! abbastanza la filosofia incredula colle sue fole ci ha ingannato, la politica ci sugge il sangu e, il liberalismo c’incatena, la rivoluzione ci ruba danari, pane, fede, moralità, fino un resto di dignità umana, e dopo averci acclamati sovrani, ci getta un motto di scherno: ve’ che siete scimmie brutte! Intanto la guerra mondiale ci si minaccia in permanenza: colla coscrizione universale ci portano via tutti, tutti i nostri poveri figli: ahi! ahi! crudeli, ci vogliono nei figli uccidere fino le nostre speranze. In questo negro orizzonte la tremenda bufera guizza qua e là lampi sanguigni! Padre Santo, salvateci voi! Coraggio, o popoli; Pietro è qui, e stringe fra le braccia Gesù, che è solito d’incatenare le tempeste sotto del suo piede! Nella Chiesa vige lo

spirito di profezia: e noi osserviamo che quando questa, la più paurosa delle rivoluzioni, scoppiava in Francia, Pio VI pigliava la Pisside e col Sacramento sul cuore, strascinato andava a morir in esilio: ma moriva invitto colla Pisside sul cuore. – Pio IX raccolse quella Pisside, e con essa scappava salvo dagli assassini, e ritornava invitto a Roma. Ora che questo mostro di rivoluzione divora se stesso e nel fremito della morte minaccia sterminio universale, Pio IX alza nel calice del Sacramento Gesù in Sacrificio e grida piangendo: « Miei figliuoli, pigliate cuore; QUI È LA VITA! »

Si, questa è la vita dell’umanità immortale, che è la Chiesa. Gesù Cmisto in Sacramento! Anche i fenomeni, che questo Verbo nella creazione produce in natura, sono sovente i veli di questo più gran Mistero del suo amore. In vero voi, che scrutate la natura, per scoprire che cosa sia questo misterioso fenomeno, la vita; e credete trovarla nei vegetali: o botanici, diteci voi che cosa sia la vita nei vegetali? E un vortice nell’organismo, che si sviluppa per l’elettricità, assorbe e ributta gli elementi. Vel concediamo: ma vedete questa è immagine della vita di questo gran corpo, la Chiesa, che vive in Gesù! In essa, qual organismo in perfezione! quanto dell’elettrico nella carità! quanta azione di vita, che assorbe i buoni, rigetta i mali e fiorisce sempre in prosperità! Psicologici, voi credete comprendere la vita negli esseri animali, e la dite essere l’attuazione del sentimento nell’organismo elaborato degli animali. Ve lo lasciam dire; ma voi vedete come questo fenomeno dimostri somma la potenza di vita in questa attuazione di sentimento, che scote tutta la cristianità per l’orbe, e si unifica nel suo Capo! Anatomici, voi poi vi compatiamo; se cercate la vita cogli scalpelli in mano, e confessate che è un quid misterioso che vi sfugge sempre! ma vel diremo noi che cosa è la vita, (noi che colla luce mistica dei nostri santi misteri vediam fin dentro nei tenebrosi misteri, in cui le scienze vostre vi inabissano), noi vi diremo: Che la vita è l’azione di Dio, è il soffio della Divinità! È la vita nel Verbo di Dio, che sostiene tutto che per Lui fu fatto; ed il Verbo Divino è qui in Sacramento. È qui dunque nell’Essenza Divina la vita. No, non abbiam paura della morte noi che viviamo unificati col Capo il Papa, in Gesù Cristo. Ecco: ora i popoli sono raccolti in orazione paurosi come gli Apostoli nel Cenacolo insieme con Maria; e il Pontefice dell’Immacolata, mentre la Babele della rivoluzione cade in rovina, sull’altare del santo Cenacolo pubblica la Bolla del Concilio Ecumenico, e proclama la Pentecoste: che rinnova il mondo in Gesù Cristo.

Noi concludiamo quest’Opera dicendo col pianto della consolazione: LA VITA dell’umanità, che ci salva, È GESU’ CRISTO IN SACRIFICIO NEL SACRAMENTO!

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (32): “PIO VI (2)”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (32)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(PIO VI – 2)

Costituzione “Auctorem fidei” a tutti i fedeli, 28 agosto 1794.

Errori del Sinodo di Pistoia.

Premessa.

2600. … Dopo che il Sinodo di Pistoia è uscito dalle tane in cui era rimasto nascosto per qualche tempo, non c’è stato nessuno tra coloro che hanno sentimenti pii e saggi riguardo alla religione più eminente, che non percepisse subito che il disegno degli autori era quello di riunire in un unico corpus i semi delle false dottrine che avevano precedentemente diffuso per mezzo di molti libellisti, di far rivivere errori da tempo proscritti e di negare ogni credibilità e autorità ai decreti apostolici con cui erano stati proscritti.

(Ansiosi di soffocare il male emergente) … Abbiamo prima sottoposto gli Atti del Sinodo pubblicati dal Vescovo (Scipione de Ricci) all’esame di quattro Vescovi assistiti da altri teologi del clero secolare; poi abbiamo addirittura incaricato una commissione composta da diversi reverendissimi Cardinali e altri Vescovi di esaminare attentamente gli Atti nella loro interezza, raccogliendo i passaggi che si contraddicono, e di discutere le proposte selezionate. Abbiamo ricevuto le posizioni espresse oralmente o per iscritto in nostra presenza; tutti erano del parere che fosse necessario sia respingere il sinodo nella sua interezza, sia qualificare come censure più o meno severe la maggior parte delle proposte che vi erano state raccolte, alcune in sé, altre tenendo conto delle relazioni tra le proposte; dopo aver ascoltato le osservazioni e averle esaminate con attenzione, ci siamo anche preoccupati che alcuni argomenti principali tratti dal sinodo nel suo complesso, e ai quali sono principalmente collegate, in modo diretto o indiretto, le posizioni da rimproverare diffuse dal sinodo, siano messi in un certo ordine, e che ciascuno sia colpito dalla censura che gli è propria.

(Per scongiurare ogni artificioso tentativo di discolpa, sostenendo) … che ciò che è stato detto con troppa severità in un luogo possa essere spiegato o corretto meglio altrove, … si è seguita la strada migliore, che consiste nell’esporre quelle proposizioni che nascondono sotto il manto dell’ambiguità differenze di significato pericolose o sospette, in modo da portare alla luce la falsa concezione alla cui base si trova un errore riprovato dalla concezione cattolica …

Sull’oscuramento delle verità nella Chiesa.

2601. 1. La proposizione che afferma: “Negli ultimi secoli si è diffuso un generale oscuramento su verità di grande importanza che riguardano la religione e che sono alla base della fede e della dottrina morale di Gesù Cristo” (è) eretica.

Del potere attribuito alla comunità della Chiesa di essere comunicata con i suoi Pastori.

2602. 2. La proposizione che afferma: “Il potere è stato dato da Dio alla Chiesa per essere comunicato ai pastori che sono i suoi ministri per la salvezza delle anime”, se si intende in questo senso che il potere del ministero e del governo ecclesiastico derivi dalla comunità dei fedeli ai pastori, (è) eretica.

Dalla denominazione di “capo ministeriale” attribuita al Pontefice Romano.

2603. 3. D’altra parte (la proposizione) che dichiara: “Il Romano Pontefice è il capo ministeriale”, se viene spiegata nel senso che non è da Cristo, nella persona del beato Pietro, ma dalla Chiesa che il Romano Pontefice riceva il potere del suo ministero con il quale, come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo della Chiesa, ha potere su tutta la Chiesa, (è) eretica.

Dal potere della Chiesa di stabilire e sancire una disciplina esterna.

2604. 4. La proposizione che afferma: “È un abuso dell’autorità della Chiesa trasferirla oltre i limiti della dottrina e della morale a cose esterne, ed esigere con la forza ciò che dipende dalla persuasione e dal cuore”, e anche: “È molto meno appropriato esigere con la forza una sottomissione esterna ai suoi decreti”, se con questi termini indefiniti “estendere alle cose esterne” considera un abuso dell’autorità della Chiesa l’uso del potere che ha ricevuto da Dio e che gli stessi Apostoli hanno usato per stabilire e sancire una disciplina esterna, (è) eretica.

2605. 5. Nella parte in cui (il Sinodo) insinua che la Chiesa non abbiia l’autorità di esigere la sottomissione ai suoi decreti con mezzi diversi da quelli della persuasione, nella misura in cui intende dire che la Chiesa “non abbia ricevuto da Dio, oltre al potere di dirigere con il consiglio e l’esortazione, anche quello di comandare con le leggi e di giudicare e costringere con giudizi esterni e pene salutari coloro che deviano e persistono”, si inoltra in un sistema già condannato come eretico.

I diritti indebitamente attribuiti ai Vescovi.

2606. 6. La dottrina del sinodo che afferma: “Siamo convinti che il Vescovo abbia ricevuto da Cristo tutti i diritti necessari per il buon governo della diocesi”, come se per il buon governo di una diocesi non fossero necessarie norme più elevate sia in materia di fede e di morale che di disciplina generale, e che i sovrani Pontefici ed i Concili generali abbiano il diritto di emanare per tutta la Chiesa, (è) scismatica, quanto meno errata.

2607. 7. Allo stesso modo, quando esorta il Vescovo a “ricercare con zelo uno stato più perfetto della disciplina ecclesiastica”, e questo “contro tutte le consuetudini contrarie, le esenzioni, le riserve che contrastano con il buon ordine della diocesi, per la maggior gloria di Dio e la maggior edificazione dei fedeli”, perché suppone che sia permesso al Vescovo di governare e decretare secondo il proprio giudizio e secondo la propria volontà, contro le consuetudini, le esenzioni e le riserve che esistono, sia nella Chiesa nel suo insieme sia in una provincia, senza l’approvazione e senza l’intervento del potere gerarchico superiore da cui provengono o da cui sono state approvate e a cui hanno dato forza di legge, (questa dottrina) porta allo scisma e al sovvertimento del governo gerarchico, ed è erronea.

2608. 8. Allo stesso modo, poiché afferma di essere convinta che “i diritti che il Vescovo ha ricevuto da Gesù Cristo per governare la Chiesa non possano essere né alterati né impediti, e (che) se dovesse accadere che l’esercizio di questi diritti sia stato interrotto per qualsiasi motivo, il Vescovo può sempre e deve recuperare i suoi diritti originari ogni volta che il bene della Chiesa lo richieda”, nella misura in cui suggerisce che l’esercizio dei diritti episcopali non possa essere limitato da alcun potere superiore ogni qualvolta il Vescovo, a suo giudizio, lo ritenga meno adatto al bene superiore della Chiesa, (esso) conduce allo scisma e alla sovversione del governo gerarchico ed è erronea”.

Il diritto falsamente attribuito ai Sacerdoti dell’ordine inferiore per i decreti della fede e della disciplina.

2609. 9. La dottrina che dichiara: “La riforma degli abusi riguardanti la disciplina ecclesiastica debba dipendere in egual misura, nei sinodi diocesani, dal Vescovo e dai parroci, ed essere decisa da loro in egual misura, e senza che la sottomissione decisionale non sia dovuta ai suggerimenti ed agli ordini dei Vescovi”, (è) falsa, temeraria, lede l’autorità episcopale, sovverte il governo gerarchico, promuove l’eresia ariana che fu rinnovata da Calvino.

2610. 10. Allo stesso modo la dottrina in cui si dice che i parroci e gli altri Sacerdoti riuniti in sinodo sono giudici della fede insieme al Vescovo, e in cui allo stesso tempo si insinua che il giudizio in materia di fede appartenga a loro come un diritto proprio, ricevuto ugualmente con l’ordinazione, (è) falsa, temeraria, sovverte l’ordine gerarchico, mette in discussione la fermezza delle definizioni e dei giudizi dogmatici della Chiesa, quantomeno erronea.

2611. 11. La proposizione che afferma che secondo una disposizione degli antichi, risalente al tempo degli Apostoli e conservata fino ai secoli più belli della Chiesa, si riceveva “che i decreti, o le definizioni, o le decisioni anche delle sedi più grandi, non erano accettate se non erano riconosciute e approvate dal sinodo diocesano” (è) falsa, avventata, deroghi nella sua generalità all’obbedienza dovuta alle costituzioni apostoliche, ma anche alle decisioni emanate dal legittimo potere gerarchico, favorendo lo scisma e l’eresia.

Calunnie contro alcune decisioni in materia di fede emanate da alcuni secoli.

2612. 12. Le affermazioni del Sinodo che si riferiscono in toto a decisioni in materia di fede prese alcuni secoli fa, e che presenta come decreti provenienti da una singola Chiesa particolare o da alcuni pastori, senza essere supportati da sufficiente autorità, come idonei a corrompere la purezza della fede e a suscitare problemi, e come imposti con la forza, e in virtù dei quali si continuano ad infliggere nuove ferite, (sono) false, capziose, avventate, scandalose, dannose per i Romani Pontefici e per la Chiesa, deroghino all’obbedienza dovuta alle Costituzioni Apostoliche, (siano) scismatiche, perniciose e quanto meno erronee.

Della pace detta di Clemente IX.

2613. 13. La proposizione riportata negli Atti del Sinodo, che insinua che Clemente IX abbia ristabilito la pace nella Chiesa approvando la distinzione tra diritto e fatto nella sottoscrizione della forma prescritta da Alessandro VII, (è) falsa, avventata e ingiuriosa per Clemente IX.

2614. 14. Ma nella misura in cui approva questa distinzione, lodando coloro che vi aderiscono e vituperando i suoi oppositori, (è) avventata, perniciosa, dannosa per i sovrani Pontefici, e promuove lo scisma e l’eresia.

Sulla formazione del corpo della Chiesa.

2615. 15. La dottrina che propone di considerare la Chiesa “come un unico Corpo mistico, formato da Cristo che ne è il capo e dai fedeli che ne sono le membra, grazie a quell’ineffabile unione che ci fa diventare in modo mirabile un solo Sacerdote con Lui, una sola vittima, un solo perfetto adoratore di Dio Padre in spirito e verità”, se si intende in questo senso che solo coloro che sono perfetti adoratori in spirito e verità appartengano al corpo della Chiesa, (è) eretica.

Sullo stato di innocenza.

2616. 16. La dottrina del Sinodo sullo stato di felice innocenza, così come è presentato in Adamo prima del peccato, come comprendente non solo l’integrità ma anche la rettitudine interiore con l’impulso verso Dio attraverso l’amore della carità e la santità originaria che è stata in qualche modo ripristinata dopo la caduta, in quanto, nel suo insieme, suggerisce che questo stato sia una conseguenza della creazione, un debito derivante dall’esigenza e dalla condizione naturale della natura umana, e non un beneficio gratuito di Dio, (è) falsa, già condannata in Baio (cf.1901-1980) ed in Quesnel (cf. 2434-2437), erronea e favorisce l’eresia di Pelagio.

Sull’immortalità considerata come condizione naturale dell’uomo.

2617. 17. La proposizione enunciata nei seguenti termini: “Insegnato dall’Apostolo, consideriamo la morte non già come condizione naturale dell’uomo, ma come in realtà la giusta pena del peccato originale”, in quanto implica falsamente, sotto il nome dell’Apostolo, che la morte, inflitta nello stato presente come giusta pena del peccato con la giusta sottrazione dell’immortalità, non fosse la condizione naturale dell’uomo, come se l’immortalità non fosse un beneficio gratuito ma la condizione naturale, (è) capziosa, avventata, offensiva nei confronti dell’Apostolo e già condannata (cf. 1978).

2618 18. La dottrina del Sinodo che dichiara: “Dopo la caduta di Adamo, Dio annunciò la promessa di un futuro liberatore e volle consolare il genere umano con la speranza della salvezza che Gesù Cristo avrebbe portato”, e d’altra parte: “Dio ha voluto che il genere umano passasse attraverso vari stati prima che arrivasse la pienezza dei tempi”; e in primo luogo perché nello stato di natura “l’uomo lasciato ai propri lumi impari a diffidare della ragione cieca e abbandoni le sue aberrazioni per desiderare l’aiuto di una luce superiore”, questa dottrina, così com’è, (è) capziosa; e se viene intesa come desiderio di aiuto di una luce superiore in vista della salvezza promessa da Cristo, e verso la quale – si suppone – l’uomo avrebbe potuto muoversi con ciò che restava delle proprie luci, (è) sospetta, favorendo l’eresia semipelagiana.

Sulla condizione dell’uomo sotto la legge.

2619. 19. Allo stesso modo (la dottrina) che segue, affermando che l’uomo sotto la legge, “essendo impotente ad osservarla, divenne trasgressore, non certo per colpa della legge, che era molto santa, ma per colpa dell’uomo che sotto la legge senza la grazia divenne sempre più trasgressore” e che aggiunge che “la legge, se non guarì il cuore dell’uomo, fece (tuttavia) sì che egli conoscesse i suoi mali e che, convinto dei suoi mali, desidera la grazia di un mediatore”, in quanto implica in modo generale che l’uomo è diventato trasgressore per la mancata osservanza della legge che non era in grado di osservare, come se “colui che è giusto potesse comandare qualcosa di impossibile, o che colui che è buono condannasse l’uomo per qualcosa che non poteva evitare”: (è) falsa, scandalosa, empia, condannata in Baio (cf. 1954).

2620.. 20. Nella misura in cui si dà ad intendere che l’uomo sotto la legge potrebbe senza la grazia concepire il desiderio della grazia del mediatore ordinata alla salvezza promessa da Cristo, come se “non fosse la grazia stessa a farcela chiedere” (II Concilio di Orange, Can. 3, – cf. 373) la proposizione, così com’è, (è) capziosa, sospetta, favorisce l’eresia semipelagiana.

Sulla grazia illuminante ed eccitante.

2621. 21. La proposizione che afferma: “La luce della grazia, quando è sola, fa conoscere solo la disgrazia della nostra condizione e la gravità del nostro male; in tal caso la grazia produce lo stesso effetto che produceva la legge; per questo è necessario che Dio crei nel nostro cuore un santo amore e ispiri una santa dilezione contraria all’amore che domina in noi; questo santo amore e questa santa dilezione sono propriamente la grazia di Gesù Cristo, l’ispirazione della carità con la quale facciamo di un santo amore ciò che abbiamo riconosciuto. Questa è la radice da cui germogliano le opere buone; questa è la grazia del Nuovo Testamento che ci libera dalla schiavitù del peccato, costituendoci figli di Dio”, nella misura in cui intende dire che è propriamente grazia di Gesù Cristo solo quella grazia che crei nel cuore il santo amore e ci faccia agire, o ancora: con la quale l’uomo liberato dal peccato è costituito figlio di Dio, e che non è propriamente grazia di Cristo anche quella grazia con la quale il cuore dell’uomo sia toccato dall’illuminazione dello Spirito Santo (Trento,VI sessione, cap. 5 1525), e che non c’è una grazia che non sia quella di Cristo. (5 1525), e che non esista una vera grazia interiore di Cristo a cui si resista, (è) falsa, capziosa, porta all’errore condannata come eretica nella seconda proposizione di Giansenio e lo rinnova (cf. 2002).

Sulla fede come prima grazia.

2622. 22. La proposizione che insinua che la fede “con la quale inizia la serie delle grazie e con la quale, come con una prima voce, siamo chiamati alla salvezza e alla Chiesa” è essa stessa la virtù più eccellente della fede con la quale gli uomini sono chiamati fedeli e sono, come se non ci fosse prima questa grazia che, “come precede la volontà, precede anche la fede”, (è) sospetta di eresia, sa di eresia, già condannata in Quesnel (cf. 2427),

l doppio amore.

2623. 23. La dottrina del Sinodo sul doppio amore della cupidigia dominante e della carità dominante, che afferma che l’uomo, senza la grazia,sia sotto l’impero del peccato e che in questo stato, a causa dell’influsso generale della cupidigia dominante, infetti e corrompa tutte le sue azioni, in quanto insinua che finché è soggetto alla servitù, o in stato di peccato, privato di questa grazia con la quale è liberato dalla servitù del peccato e costituito figlio di Dio, l’uomo sia talmente dominato dalla cupidigia che per l’influsso generale di essa tutte le sue azioni siano infette e corrotte in sé, o che tutte le opere compiute prima della giustificazione, qualunque sia il loro principio, siano peccati, come se in tutte le sue azioni il peccatore fosse soggetto alla cupidigia dominante, (è) falsa, perniciosa, che conduce nell’errore, condannata come eretica dal Concilio di Trento, e condannata nuovamente in Baio, (art. 40 1557,1940).

2624. 24. Ma poiché così, tra la cupidigia dominante e la carità dominante, non si pongono gli affetti medi, impiantati dalla natura stessa e lodevoli nella loro stessa natura, che, con l’amore della beatitudine e la tendenza naturale al bene, “sono rimasti per così dire gli ultimi contorni e resti dell’immagine di Dio”, come se “tra l’amore divino che ci conduce al Regno e l’amore umano illecito che è condannato” non ci fosse un “amore umano lecito che non sia condannato”, (questa dottrina è) falsa, già condannata (cf. 1938, 2307).

Del timore servile.

2625. 25. La dottrina che afferma che il timore delle pene in modo generale “poossa dirsi non un male solo se almeno contribuisca a frenare la mano, come se lo stesso timore dell’inferno, che la fede insegna debba essere inflitto per il peccato, non fosse di per sé buono e utile, in quanto dono soprannaturale e movimento ispirato da Dio che prepara all’amore della giustizia”, (è) falsa, avventata, pernicioa, lesiva dei doni divini, già condannata (cf. 1456), contraria alla dottrina del Concilio di Trento (cf. 1526, 1678), nonché all’opinione comune dei Padri secondo cui “è necessario”, secondo l’ordine abituale di preparazione alla giustizia, “che entri prima il timore, attraverso il quale viene la carità: il timore è la medicina, la carità è la salute”.

Sulla punizione di coloro che muoiono con il solo peccato originale.

2626. 26. La dottrina che respinge come una favola pelagiana questo luogo degli inferi (che i fedeli chiamano comunemente il limbo dei bambini) in cui le anime di coloro che sono morti con il solo peccato originale sono punite con la pena della dannazione, senza la pena del fuoco, come se coloro che rifiutano la pena del fuoco introducessero con ciò questo luogo e questo stato intermedio, senza colpa e senza pena, tra il Regno di Dio e la dannazione eterna, di cui i pelagiani hanno fabbricato, (è) falsa, temeraria, offensiva per le scuole cattoliche.

Della forma sacramentale accompagnata da una condizione.

2627. 27. La decisione del sinodo che, con il pretesto di conformarsi agli antichi canoni, manifesta l’intenzione, nel caso di un Battesimo dubbio, di omettere ogni menzione della forma condizionata, (è) avventata, contraria alla prassi, alla legge e all’autorità della Chiesa.

Partecipazione al Sacrificio della Messa.

2628. 28. La proposta del Sinodo che, dopo aver stabilito che “la partecipazione alla vittima è parte essenziale del sacrificio”, aggiunge che “tuttavia non condanna come illecite quelle Messe in cui gli assistenti non ricevano la Comunione sacramentale perché partecipano, anche se in modo meno perfetto, alla vittima stessa ricevendola spiritualmente”, nella misura in cui insinua che manchi qualcosa all’essenza del sacrificio in questo sacrificio che viene presentato senza che nessuno vi partecipi o senza che coloro che vi partecipano partecipino sacramentalmente o spiritualmente alla vittima, e come se si dovessero condannare come illecite le Messe in cui comunica solo il Sacerdote e in cui non partecipa nessuno che si comunichi sacramentalmente o spiritualmente, (è) falsa, erronea, sospetta di eresia e sa di eresia.

Sull’efficacia del rito di consacrazione.

2629. 29. La dottrina del Sinodo, che si impegna a presentare la dottrina della fede relativa al rito della consacrazione, trascurando le questioni scolastiche sul modo in cui Cristo è nell’Eucaristia – questioni dalle quali i parroci, che hanno l’ufficio di insegnare, sono esortati ad astenersi -, si limita a queste due sole proposizioni 1) dopo la consacrazione Cristo è veramente, realmente e sostanzialmente sotto le specie; 2) allora cessa tutta la sostanza del pane e del vino e rimangono solo le specie, e omette del tutto di menzionare la transustanziazione o conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue, che il Concilio di Trento ha definito come articolo di fede (cf. 1642, 1652), e che è contenuta nella professione solenne di fede (cf. 1866), in quanto con questa omissione sconsiderata e molto sospetta si sottrae la conoscenza di un articolo che appartiene alla fede, nonché di un termine consacrato dalla Chiesa per proteggere la sua confessione di fede dalle eresie, e si tende così a dimenticarlo come se fosse una questione puramente scolastica, (essa) è perniciosa, deroga all’esposizione della verità cattolica sul dogma della Transustanziazione e favorisce gli eretici.

Sull’applicazione del frutto del sacrificio.

2630. 30. La dottrina del Sinodo con cui professa “di credere che l’oblazione del Sacrificio si estenda a tutti, in modo tale però che nella liturgia si possa fare una speciale commemorazione di alcuni fedeli, vivi o defunti, pregando Dio in modo particolare per loro”, ma subito dopo aggiunge “ma non perché crediamo che sia in potere del Sacerdote applicare il frutto del sacrificio a chi vuole; al contrario, condanniamo questo errore come gravemente offensivo dei diritti di Dio, che solo può distribuire i frutti del Sacrificio a chi vuole e secondo la misura che gli piace, e di conseguenza dichiariamo che è una “falsa opinione, destinata al popolo, che coloro che fanno l’elemosina al Sacerdote a condizione che celebri una Messa ne ricevano un frutto speciale”, se si intende nel senso che, oltre alla particolare commemorazione e preghiera, un’offerta o un’applicazione speciale del Sacrificio fatta dal Sacerdote non è più utile, a parità di altre condizioni, a coloro per i quali egli offre il Sacrificio che a tutti gli altri, come se nessun frutto speciale venisse dall’applicazione speciale che la Chiesa raccomanda e prescrive di fare per particolari persone o ordini di persone, specialmente da parte dei pastori per le loro pecore – il che deriva, per così dire, da un precetto divino ed è stato espressamente dichiarato dal santo Concilio di Trento (XXIII Sessione, De la reforme, cap. 1), (è) falsa, avventata, perniciosa, dannosa per la Chiesa, e conduce all’errore già condannato da Wyclif (cf. 1169).

Sull’ordine da osservare nel culto.

2631. 31. La proposta del Sinodo secondo cui, per l’ordinamento degli Uffici divini, e secondo l’antica consuetudine, è opportuno che in ogni chiesa vi sia un solo altare, e che sia gradito al Sinodo che questa consuetudine venga ristabilita, (è) avventata, lesiva di un’antichissima e pia consuetudine, in vigore e approvata da molti secoli nella Chiesa, soprattutto in quella latina.

2632. 32. Allo stesso modo, la prescrizione che vieta di porre sugli altari recipienti contenenti reliquie sacre e fiori (è) avventata, lesiva del pio e sperimentato uso della Chiesa.

2633. 33. La proposta del Sinodo di rimuovere le cause che hanno in parte portato a trascurare i principi dell’ordine della liturgia, “richiamandola ad una maggiore semplicità di riti, celebrandola in lingua volgare e dicendola ad alta voce”, come se l’ordine della liturgia ricevuto e approvato dalla Chiesa derivasse in parte da una dimenticanza dei principi da cui deve essere governato, (è) avventata, offensiva per le orecchie pie, oltraggiosa per la Chiesa, e favorisce i rimproveri degli eretici nei suoi confronti.

Sull’ordinanza della penitenza.

2634. 34. La dichiarazione del sinodo in cui, dopo aver detto che l’ordinanza della penitenza canonica è stata stabilita dalla Chiesa antica sull’esempio degli Apostoli in modo tale da essere comune a tutti, e non solo per la colpa, ma soprattutto per disporre alla grazia, aggiunge che “riconosce in questa venerabile e mirabile ordinanza tutta la dignità del Sacramento così necessario, liberata da tutte le sottigliezze che vi sono state aggiunte nel corso del tempo”, come se con l’ordinanza secondo la quale questo Sacramento venga abitualmente amministrato in tutta la Chiesa, senza il completamento del tempo della penitenza canonica, la sua dignità fosse stata diminuita, (è) avventata, scandalosa, che porta al disprezzo della dignità del Sacramento come è abitualmente amministrato in tutta la Chiesa, e dannoso per la Chiesa stessa.

2635. 35. La proposta si riassume nei seguenti termini “Se la carità è troppo debole all’inizio, per ottenere un aumento di questa carità è necessario che il Sacerdote faccia precedere abitualmente quegli atti di umiliazione e di penitenza che sono sempre stati raccomandati dalla Chiesa; ridurre questi atti a qualche preghiera o a qualche digiuno dopo l’assoluzione ricevuta sembra essere più un desiderio materiale di mantenere questo Sacramento sotto il semplice nome di “penitenza” che un mezzo illuminato capace di aumentare il fervore della carità che deve precedere l’assoluzione. – Siamo certamente lontani dal disapprovare la pratica di imporre penitenze da eseguire dopo l’assoluzione; se tutte le nostre opere buone hanno sempre i loro difetti, dobbiamo temere a maggior ragione di aver lasciato trapelare molte imperfezioni nell’opera così difficile e così importante della nostra riconciliazione, nella misura in cui ciò fa pensare che le penitenze imposte da compiere dopo l’assoluzione siano da considerare più come un supplemento per le colpe commesse nell’opera della nostra riconciliazione che come penitenze veramente sacramentali e soddisfacenti per i peccati confessati, come se, per conservare la vera realtà del Sacramento e non solo il suo nome, fosse ordinariamente necessario che gli atti di umiliazione e di penitenza imposti come modalità di soddisfazione sacramentale precedano l’assoluzione, (è) falsa, avventata, offensiva della prassi della Chiesa, che porta all’errore definito eresia da Pierre d’Osma (cf. 1415 ; cfr. 2316).

Sulla disposizione preliminare necessaria per ammettere i penitenti alla riconciliazione.

2636. 36. La dottrina del sinodo che, dopo aver detto: “Quando ci sono segni inequivocabili della predominanza dell’amore di Dio nel cuore di un uomo, egli può essere giustamente giudicato degno di essere ammesso alla partecipazione al sangue di Gesù Cristo che si attua nei Sacramenti”, aggiunge: “le conversioni presunte che si realizzano per logoramento non sono di solito né efficaci né durature”, di conseguenza “il pastore d’anime deve insistere su segni inequivocabili della predominanza della carità prima di ammettere i suoi penitenti ai Sacramenti” – segni di cui si dice poi (par. 17) che “il pastore può dedurli da una stabile lontananza dal peccato e dal fervore nelle opere buone”, mentre d’altra parte questo “fervore di carità” viene presentato (Decreto sulla penitenza Par. 10) come la disposizione che deve precedere l’assoluzione”, se si intenda in questo senso che non è richiesta solo la contrizione imperfetta che talvolta viene chiamata “attrizione”, anche se unita all’amore con cui l’uomo comincia ad amare Dio come fonte di ogni giustizia (cfr. 1526), né solo la contrizione formata dalla carità, ma che sia richiesto anche il fervore della carità dominante in modo generale e assoluto, provato da una lunga esperienza attraverso il fervore per le opere buone, perché un uomo sia ammesso ai Sacramenti e perché i penitenti in particolare siano ammessi al beneficio dell’assoluzione, (è) falsa, avventata, di natura tale da turbare la pace delle anime, contraria alla prassi sicura e provata della Chiesa, pregiudizievole per l’efficacia dei Sacramenti e ingiuriosa.

Potere di assolvere.

2637. 37. La dottrina del Sinodo che dice del potere di assolvere ricevuto con l’ordinazione: “dopo l’istituzione delle diocesi e delle parrocchie è opportuno che ciascuno eserciti questa giurisdizione sulle persone a lui soggette o per territorio o per diritto personale, perché altrimenti ne deriverebbero disordine e confusione”, nella misura in cui dopo l’istituzione delle diocesi e delle parrocchie dice solo “è opportuno, per evitare la confusione, che il potere di assoluzione sia esercitato sui sudditi”, se ciò sia inteso nel senso che per l’uso valido di questo potere non c’è bisogno di questa giurisdizione ordinaria o delegata senza la quale, secondo la dichiarazione del Concilio di Trento (cf. 1886 s), l’assoluzione data da un Sacerdote non abbia valore, (è) falsa, avventata, perniciosa, contraria al Concilio di Trento e dannosa, erronea.

2638. 38. Allo stesso modo la dottrina in cui il Sinodo, dopo aver professato che “non può non ammirare quella disciplina così venerabile dell’antichità che (dice) non ammettesse così facilmente, e forse mai, qualcuno che, dopo il primo peccato e la prima riconciliazione, fosse ricaduto in una colpa”, aggiunge “con il timore dell’esclusione perpetua dalla comunione e dalla pace, anche in punto di morte, si impone un potente freno a coloro che considerano troppo poco il male del peccato e non lo temono molto”, (è) contraria al can. 13 del primo Concilio di Nicea (cf. 129), alla decretale di Innocenzo I a Esuperio di Tolosa (cf. 212), nonché alla decretale di Celestino I ai Vescovi di Vienne e Narbonne (cf. 236), e sa di perversità di fronte alla quale il santo Pontefice ha orrore in questa decretale.

2639. 39. La dichiarazione del Sinodo sulla confessione dei peccati veniali, che si vuole non sia così frequente per evitare che tali confessioni diventino troppo spregevoli, (è) avventata, perniciosa, contraria alla pratica dei santi e delle persone pie approvata dal santo Concilio di Trento (cf. 1680).

Indulgenze.

2640. 40. La proposizione che afferma che “l’indulgenza, secondo la sua precisa nozione, non sia altro che la remissione di quella parte della penitenza che i Canoni avevano stabilito per il peccatore”, come se l’indulgenza, oltre alla pura remissione della pena canonica non si applicasse anche alla remissione della pena temporale dovuta per i peccati attuali davanti alla giustizia divina, (è) falsa, avventata, lesiva dei meriti di Cristo, condannata da tempo nell’articolo 19 di Lutero (cf. 1469).

2641. 41. Allo stesso modo, quando si dice in ciò che segue che “gli scolastici, gonfiati dalla loro sottigliezza, abbiano introdotto l’equivoco tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi, ed hanno sostituito alla chiara nozione di assoluzione dalle pene canoniche quella confusa e falsa dell’applicazione dei meriti”, come se i tesori della Chiesa dai quali il Papa concede le indulgenze non fossero i meriti di Cristo e dei santi, (la proposizione è) falsa, lesiva dei meriti di Cristo e dei santi, condannata da tempo nell’articolo 17 di Lutero (cf. 1467).

2642. 42. Allo stesso modo, quando si aggiunge che “è ancora più deplorevole che si sia voluto trasferire questa chimerica applicazione ai defunti”, (la proposizione è) falsa, avventata, offensiva per le orecchie pie, ingiuriosa per i Pontefici Romani e per la pratica ed il senso della Chiesa universale, e conduce all’errore qualificato come eretico da Pietro d’Osma (cf. 1416), e nuovamente condannato nell’articolo 22 di Lutero (cf. 1472).

2643. 43. Infine, quando attacca nel modo più sfacciato le favole delle indulgenze, gli altari privilegiati, ecc. (è) temerario, offensivo per le orecchie pie, scandaloso, oltraggioso nei confronti dei sovrani Pontefici e della prassi diffusa in tutta la Chiesa.

Sulla riserva dei casi.

2644. 44. La proposta del Sinodo che afferma: “La riserva dei casi, ai nostri giorni, non è altro che un impedimento sconsiderato per i Sacerdoti inferiori e un suono vuoto per i penitenti abituati a non tenere conto di questa riserva, (è) falsa, temeraria, malsonante, perniciosa, contraria al Concilio di Trento (cf. 1697), e lede il superiore potere gerarchico”.

2645. 45. Allo stesso modo l’auspicio espresso che “dopo una riforma del rito e dell’ordine della Penitenza non ci sarà più spazio per tali riserve”, nella misura in cui questi termini volutamente generici implichino che una riforma del rito e dell’ordine della Penitenza fatta da un Vescovo o da un Sinodo possa abolire i casi di cui il Concilio di Trento (XIV sessione, cap. 7 1687) dichiara che il rito e l’ordine della Penitenza non possano essere aboliti, (cf. 1687) dichiara che i sovrani Pontefici possano riservarli al loro giudizio in ragione del loro supremo potere su tutta la Chiesa, la proposta è falsa, temeraria, deroga al Concilio di Trento e all’Autorità dei sovrani Pontefici e li danneggia.

Censure.

2646. 46. La proposizione che afferma che “l’effetto della scomunica sia solo esterno perché per sua natura esclude solo dalla comunione esterna della Chiesa”, come se la scomunica fosse solo una pena spirituale, che lega al cielo e obbliga le anime, (è) falsa, perniciosa, condannata nell’articolo 23 di Lutero (cf. 1473), quanto meno erronea.

2647. 47. Allo stesso modo (la proposizione) che afferma che è necessario, secondo le leggi naturali e divine, che, sia per la scomunica che per la sospensione, ci sia un esame personale preventivo, e che di conseguenza le sentenze dette ipso facto non abbiano altra portata che quella di una grave minaccia senza alcun effetto reale, (è) falsa, avventata, perniciosa, lesiva dell’autorità della Chiesa, erronea.

2648. 48. Allo stesso modo, l’affermazione che “la formula introdotta qualche secolo fa, che assolve generalmente i fedeli dalle scomuniche in cui sarebbero potuti cadere, è inutile e vana” (è) falsa, avventata, lesiva della prassi della Chiesa.

2649. 49. Allo stesso modo quella che condanna come nulle e invalide le “suspenses ex informata conscientia“, (è) falsa, perniciosa, offensiva nei confronti del Concilio di Trento.

2650. 50. Allo stesso modo, quando si insinua che non spetti solo al Vescovo usare il potere conferitogli dal Concilio di Trento (sess. XIV, can. 1, De reformatione) per imporre legittimamente una sospensione ex informata conscientia, si lede la giurisdizione dei prelati della Chiesa.

Ordinazione.

2651. 51. La dottrina del Sinodo che afferma che, per la promozione agli Ordini, secondo la consuetudine e le disposizioni dell’antica disciplina, si seguisse di solito la seguente regola: “Se un chierico si distingueva per la santità della sua vita e veniva giudicato degno di accedere agli Ordini sacri, veniva di solito promosso al diaconato o al Sacerdozio anche se non avesse ricevuto gli Ordini inferiori; e tale ordinazione non si diceva “per salto”, come sarebbe stata chiamata in seguito”.

2652. 52. Allo stesso modo (la dottrina) che suggerisce che non ci fosse altro titolo per l’ordinazione se non quello della designazione per un ministero particolare, come prescritto dal Concilio di Calcedonia (Can. 6), e prosegue (Par. 6) affermando che finché la Chiesa si è conformata a questi principi nella scelta dei Ministri sacri, l’Ordine ecclesiastico ha prosperato; ma che questi giorni felici sono passati, e che in seguito sono stati introdotti nuovi principi con i quali la disciplina nella scelta dei ministri del santuario sia stata corrotta.

2653. 53. Allo stesso modo, quando si nota, tra questi stessi principi di corruzione, che ci si sia allontanati dall’antica prassi con la quale – si dice (par. 5) – la Chiesa, seguendo le orme degli Apostoli, aveva stabilito che non fosse ammesso al Sacerdozio chi non avesse conservato l’innocenza battesimale: nella misura in cui si suggerisce che la disciplina sia stata corrotta da decreti e istituzioni che: – 1 hanno proibito le ordinazioni “per salto” – 2 o hanno approvato, per la necessità e la convenienza delle Chiese, le ordinazioni senza il titolo di un ministero particolare, come è avvenuto in particolare, da parte del Concilio di Trento, l’ordinazione per titolo patrimoniale, fatta salva l’obbedienza in virtù della quale coloro che sono stati ordinati in questo modo devono servire le necessità delle Chiese accettando gli uffici a cui, secondo i tempi e i luoghi, il Vescovo può chiamarli, come era consuetudine al tempo degli Apostoli nella Chiesa primitiva – 3 sia stata stabilita, nel diritto canonico, la distinzione dei crimini che rendono irregolari coloro che li hanno commessi, come se con questa distinzione la Chiesa si fosse allontanata dallo spirito degli Apostoli non escludendo, in modo generale e senza alcuna distinzione, dal ministero ecclesiastico tutti coloro che non abbiano conservato l’innocenza battesimale, questa dottrina (è) falsa nelle sue varie parti, temeraria, distrugge l’ordine stabilito per la necessità e la convenienza delle Chiese, reca danno alla disciplina approvata dai Canoni e in particolare dai decreti del Concilio di Trento.

2654. 54. Allo stesso modo (la dottrina) che condanna come un abuso vergognoso la concessione di qualsiasi elemosina per la celebrazione della Messa o l’amministrazione dei Sacramenti, e l’accettazione di qualsiasi reddito chiamato “dovere di stola” e, in generale, di qualsiasi tributo o onorario che possa essere offerto in occasione di suffragi o di qualsiasi funzione parrocchiale, come se i ministri della Chiesa dovessero essere accusati del reato di abuso vergognoso quando, secondo la consuetudine e le regole ricevute e approvate dalla Chiesa, si avvalgono del diritto promulgato dall’Apostolo di ricevere beni temporali da coloro ai quali amministrano i beni spirituali (Ga. VI,6) , (è) falsa, temeraria, lede il diritto ecclesiastico e pastorale, fa ingiustizia alla Chiesa ed ai suoi ministri.

2655. 55. Allo stesso modo, quando uno dichiara di desiderare ardentemente che si trovi il modo di allontanare dalle cattedrali e dalle collegiate il “clero minore” (come vengono chiamati i chierici degli Ordini inferiori) provvedendo altrimenti – per esempio, con laici di probità e di età avanzata, e assegnando loro uno stipendio adeguato – al ministero di servire le Messe e ad altri uffici come quello di accolito, ecc, come si faceva un tempo, si dice, quando tali uffici non erano ridotti a mera apparenza, in vista della ricezione degli Ordini maggiori, in quanto si biasima un’istituzione con la quale si deve garantire che le funzioni degli Ordini minori siano svolte ed esercitate solo da coloro che sono stati istituiti in essi, e questo secondo il desiderio del Concilio di Trento (Sess. XXII, cap. 17) “che le funzioni degli Ordini sacri, dal diaconato all’ostiariato, ricevute nella Chiesa con lode fin dai tempi apostolici e omesse per un certo tempo in diversi luoghi, siano ripristinate secondo i santi Canoni e non siano più derise come inutili dagli eretici”, il suggerimento (è) temerario, offende le orecchie pie, disturba il ministero ecclesiastico, diminuisce il decoro che deve essere conservato il più possibile nella celebrazione dei misteri, danneggia gli uffici e le funzioni degli Ordini minori e la disciplina approvata dai Canoni e soprattutto dal Concilio di Trento, incoraggia gli attacchi e le calunnie degli eretici contro di essa.

2656. 56. La dottrina secondo cui sembra opportuno che per gli impedimenti canonici che derivano da reati menzionati dal diritto, non si debba mai concedere o ammettere alcuna dispensa, offende l’equità e la moderazione canonica approvata dal santo Concilio di Trento, e deroga all’autorità ed alle disposizioni del diritto della Chiesa.

2657. 57. La prescrizione del Sinodo che respinge come abuso, in modo generale e senza distinzioni, qualsiasi dispensa volta a conferire ad una stessa persona più di un beneficio residenziale; anche quando aggiunge che sia certo che secondo lo spirito della Chiesa nessuno possa godere di più di un beneficio, anche semplice, deroga per la sua generalità alla moderazione del Concilio di Trento (sess. VII; cap. 5, e sess. XXIV, cap. 17).

Promessa di matrimonio e il fidanzamento.

2658. 58. La proposizione che il fidanzamento propriamente detto sia un atto puramente civile, preparatorio alla celebrazione del matrimonio, e che sia interamente soggetto alla prescrizione del diritto civile, come se un atto che prevede il Sacramento non fosse sotto questo aspetto soggetto al diritto della Chiesa, è falsa, mina il diritto della Chiesa per quanto riguarda gli effetti che derivano anche dal fidanzamento in virtù delle disposizioni canoniche, e deroga alla disciplina stabilita dalla Chiesa.

2659. 59. La dottrina del Sinodo, che afferma che “spetti solo alla suprema potestà civile, in modo originale, apporre al contratto matrimoniale impedimenti che lo rendono nullo e che sono chiamati dirimenti”; che, inoltre, questo “diritto originario” sia “legato nella sua essenza al diritto di dispensare”, aggiungendo che “è con l’assenso o la connivenza dei principi che la Chiesa ha giustamente potuto stabilire impedimenti che dirimono il contratto di Matrimonio stesso, come se la Chiesa non avesse sempre potuto e non potesse sempre stabilire di suo diritto per il Matrimonio dei Cristiani impedimenti che non solo impediscono il Matrimonio, ma lo rendono anche nullo per quanto riguarda il vincolo, e da cui i Cristiani sono legati anche in terre infedeli, e anche dispensarlo, rovescia i canoni 3, 4, 9 e 12 della XXIV sessione del Concilio di Trento (Cf. 1803 f. 1809, 1812), ed è eretica.

2660. 60. Allo stesso modo la richiesta rivolta dal Sinodo al potere civile di “sopprimere tra gli impedimenti la parentela spirituale e l’impedimento dell’onestà pubblica, la cui origine si trova nella raccolta di Giustiniano”; poi di “restringere l’impedimento di affinità e parentela, sia che provenga da un’unione libera o illecita, al quarto grado secondo il modo di calcolo civile, in linee laterali e oblique, in modo tale, tuttavia, che non rimanga alcuna speranza di ottenere una dispensa”, nella misura in cui concede al potere civile il diritto di abolire o restringere gli impedimenti stabiliti od approvati dall’autorità della Chiesa. Allo stesso modo, nella misura in cui presuppone che la Chiesa possa essere privata dal potere civile del diritto di dispensare da impedimenti stabiliti o approvati da essa, sovvertea la libertà e il potere della Chiesa, sia contraria al Concilio di Trento e derivi dal principio eretico condannato sopra (cf. 1803-1812).

Sull’adorazione dell’umanità di Cristo.

2661. 61. La proposizione che afferma: “adorare direttamente l’umanità di Cristo, e ancor più una parte di essa, sarà sempre un onore divino dato ad una creatura”, in quanto con questa parola “direttamente” intende riprovare il culto di adorazione che i fedeli rivolgono all’umanità di Cristo, come se tale adorazione, con cui si adora la stessa umanità e carne vivificante di Cristo – non per se stessa e come semplice carne, ma come carne unita alla divinità – fosse un onore divino conferito a una creatura e non piuttosto l’unica e stessa adorazione con cui si adora il Verbo incarnato con la sua stessa carne (2° Concilio di Costantinopoli, Can. 9 431; 259), è falsa, capziosa, deprezza il pio culto che è dovuto e deve essere reso all’umanità di Cristo e gli fa torto.

2662. 62. La dottrina che respinge la devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù tra le devozioni che vengono presentate come nuove, erronee e per lo meno pericolose, se si intende questa devozione come è stata riprovevole dalla Sede Apostolica, (è) falsa, avventata, perniciosa, offende le pie orecchie e fa ingiustizia alla Sede Apostolica.

2663. 63. Allo stesso modo, rimproverando anche ai devoti del Cuore di Gesù di non aver notato che la carne santissima di Cristo, o una sua parte, o anche l’intera umanità, non possa essere adorata se è separata o scissa dalla divinità, come se i fedeli adorassero il Cuore di Gesù separandolo o scindendolo dalla divinità, mentre lo adorano in quanto è il cuore di Gesù, cioè il cuore della Persona del Verbo a cui è inseparabilmente unito, così come il Corpo di Cristo dissanguato durante i tre giorni di morte – senza essere separato o scisso dalla divinità – era adorabile nella sepoltura, (questa dottrina è) capziosa, fa ingiustizia ai fedeli devoti del Cuore di Cristo.

Sull’ordine prescritto per il compimento dei pii esercizi.

2664. 64. La dottrina che accusa di essere totalmente superstiziosa “qualsiasi efficacia attribuita ad un determinato numero di preghiere e di pie salutazioni”, come se si dovesse considerare superstiziosa l’efficacia che deriva non da un numero considerato in sé, ma dal precetto della Chiesa che prescrive un determinato numero di preghiere o di azioni esteriori per ottenere le indulgenze, per il compimento delle penitenze e, in generale, per il giusto e ordinato svolgimento del culto sacro e religioso, (è) falsa, avventata, scandalosa, perniciosa, lesiva della pietà dei fedeli, derogatoria dell’autorità della Chiesa, erronea.

2665. 65. La proposizione che afferma: “il frastuono irregolare delle nuove istituzioni chiamate esercizi o missioni, … quasi mai, o almeno molto raramente, si traduce in una conversione assoluta; e i segni esteriori che sono apparsi non sono stati altro che lampi passeggeri di una scossa naturale”, (è) avventata, sconveniente, offensiva nei confronti di un uso praticato in modo pio e salutare dalla Chiesa e fondato nella Parola di Dio.

Su come unire la voce del popolo a quella della Chiesa nella preghiera pubblica.

2666. 66. L’affermazione secondo cui “è contrario alla prassi apostolica ed ai consigli di Dio non preparare vie più agevoli perché il popolo unisca la sua voce a quella di tutta la Chiesa”, se intesa nel senso di introdurre l’uso della lingua volgare nelle preghiere liturgiche, (è) falsa, avventata, sconvolge l’ordine prescritto per la celebrazione dei misteri e produce facilmente molti mali.

Sulla lettura della Sacra Scrittura.

2667. 67. La dottrina che afferma che solo la vera incapacità giustifichi la mancata lettura delle Scritture, aggiungendo che l’oscurità sulle verità primarie della Religione che è nata dalla negligenza di questo precetto continua a diffondersi, è falsa, temeraria e disturba la tranquillità delle anime, è già stata condannata in Quesnel (cf. 2479-2485).

Sulla lettura pubblica dei libri proibiti in Chiesa.

Immagini sacre.

2668. 68 L’alto elogio con cui il Sinodo raccomanda i commentari di Quesnel sul Nuovo Testamento e altre opere favorevoli agli errori di Quesnel, anche se sono proscritti, e propone ai parroci di leggerli al popolo nelle parrocchie, dopo altre funzioni, perché contengono solidi principi di Religione, (è) falso, scandaloso, temerario, sedizioso, danneggia la Chiesa, promuove lo scisma e l’eresia.

2669. 69. La prescrizione che, tra le immagini da respingere in modo generale ed indiscriminato, perché danno occasione di errore agli ignoranti, condanna le immagini della Trinità incomprensibile, (è), per il suo carattere generale, avventata e contraria all’uso pio e consueto della Chiesa, come se non ci fossero immagini della Santissima Trinità comunemente approvate e che possano essere tranquillamente permesse.

2670. 70. Allo stesso modo, la dottrina e la prescrizione che, in modo generale, disapprovino qualsiasi culto speciale che i fedeli sono soliti rendere ad un’immagine particolare, alla quale ricorrono più che a qualsiasi altra, è avventata, perniciosa e dannosa per la pia consuetudine della Chiesa, così come per la disposizione della provvidenza per la quale “Dio non ha voluto che queste cose avvengano in tutti i santuari dei Santi, Lui che distribuisce a ciascuno ciò che è suo, come vuole”.

2671. 71. Allo stesso modo (la dottrina) che proibisce che le immagini in particolare della Beata Vergine, siano distinte da titoli, ad eccezione delle denominazioni che corrispondono ai misteri di cui si fa espressa menzione nella Sacra Scrittura, come se non fosse possibile dare a queste immagini altre pie denominazioni, che la Chiesa nelle stesse preghiere pubbliche approva e raccomanda, (è) avventata, offende le pie orecchie, fa del male alla venerazione dovuta specialmente alla Beata Vergine.

2672. 72. Allo stesso modo chi vuole sradicare come un abuso l’usanza di tenere velate certe immagini (è la dottrina) avventata, contraria alla pratica in uso nella Chiesa e introdotta per promuovere la pietà dei fedeli.

Le feste.

2673. 73. L’affermazione che l’istituzione di nuove feste abbia origine dalla negligenza nell’osservanza delle antiche e da false nozioni sulla natura e lo scopo di queste solennità (è) falsa, avventata, scandalosa, dannosa per la Chiesa e promuove gli attacchi degli eretici contro le feste celebrate dalla Chiesa.

2674. 74. La decisione del Sinodo di trasferire le feste istituite nell’anno alla Domenica, e questo in virtù del diritto che, secondo esso, spetta al Vescovo in materia di disciplina ecclesiastica nell’ordine delle cose puramente spirituali, e quindi anche di abrogare il precetto di ascoltare la Messa nei giorni in cui, secondo un’antica legge della Chiesa, questo precetto sia ancora in vigore ora; e poi in ciò che si aggiunge a proposito del trasferimento, da parte dell’autorità episcopale, al tempo di Avvento dei digiuni prescritti dalla Chiesa durante l’anno, in quanto si afferma che sia permesso al Vescovo, per diritto proprio, di trasferire i giorni prescritti dalla Chiesa per la celebrazione delle feste o per il digiuno, o di abrogare il precetto di ascoltare la Messa, (è una) proposizione falsa, che offende il diritto dei Concili generali e dei sovrani Pontefici, scandalosa, e promuove lo scisma.

Giuramenti.

2675. 75. La dottrina che afferma che nei tempi beati della Chiesa i giuramenti sembravano così contrari agli insegnamenti del Maestro divino e all’aurea semplicità del Vangelo, che “il fatto stesso di giurare senza un’estrema e ineluttabile necessità fosse considerato un atto irreligioso, indegno dell’uomo cristiano”; e d’altra parte che “la successione ininterrotta dei Padri dimostra che i giuramenti fossero considerati dal senso comune come cose proibite”; e da qui arriva a disapprovare i giuramenti che la curia ecclesiastica ha adottato – seguendo, dice, la giurisprudenza feudale – per le investiture e le Ordinazioni sacre dei Vescovi stessi; e che stabilisce che sarebbe addirittura necessario implorare dal potere secolare una legge per abolire i giuramenti che siano richiesti anche nelle curie ecclesiastiche per ricevere cariche ed uffici, ed in modo generale per qualsiasi atto della curia, (è) falsa, lede la Chiesa, lede il diritto ecclesiastico, sovverte la disciplina stabilita e approvata dai Canoni.

Conferenze ecclesiastiche.

2676. 76. La disapprovazione del Sinodo nei confronti della Scolastica, considerata come quella che “ha aperto la strada all’invenzione di sistemi nuovi e contraddittori riguardo a verità di grandissimo valore, e che alla fine ha portato al probabilismo e al lassismo”, nella misura in cui imputa alla Scolastica le colpe di alcuni in particolare che possano averne abusato o che ne abbiano abusato, (è) falsa, temeraria, offensiva nei confronti dei Dottori più santi che hanno coltivato la Scolastica per il maggior bene della Religione Cattolica, incoraggia i rimproveri ostili degli eretici contro di essa.

2677. 77. Allo stesso modo, quando si aggiunge che: “il cambiamento della forma di governo ecclesiastico, in virtù del quale i ministri della Chiesa siano arrivati a dimenticare i loro diritti, che sono allo stesso tempo i loro doveri, ha portato in ultima analisi a dimenticare il significato primitivo del ministero ecclesiastico e della sollecitudine pastorale, come se con un cambiamento di governo che è in conformità con la disciplina stabilita e approvata della Chiesa il significato primitivo del ministero ecclesiastico o della sollecitudine pastorale potesse essere dimenticato e perso, (questa è una) proposizione falsa, avventata ed errata”.

2678. 78. La prescrizione del Sinodo sull’ordine delle questioni da trattare nelle conferenze che, dopo aver detto: “in ogni articolo è necessario distinguere ciò che appartenga alla fede e all’essenza della Religione da ciò che sia proprio della disciplina”, aggiunge “in quello stesso articolo è necessario distinguere ciò che sia necessario o utile per mantenere i fedeli nello spirito da ciò che sia inutile o più gravoso di quanto la libertà dei figli della Nuova Alleanza possa sopportare, e ancor più da ciò che sia pericoloso o dannoso perché porta alla superstizione od al materialismo”, in quanto, a causa del carattere generale dei termini, comprende e sottopone ad esame anche la disciplina stabilita o approvata dalla Chiesa – come se la Chiesa, che è governata dallo Spirito di Dio, potesse stabilire una disciplina che non solo sia inutile e più gravosa di quanto la libertà cristiana possa sopportare, ma addirittura pericolosa, dannosa, che porta alla superstizione e al materialismo, (è) falsa, temeraria, scandalosa, offende le orecchie divine, fa ingiustizia alla Chiesa e allo Spirito di Dio da cui è governata, quantomeno erronea.

Rimproveri contro alcune opinioni sostenute finora nelle scuole cattoliche.

2679. 79. L’affermazione che attacca con rimproveri ed invettive alcune opinioni che si tengono nelle scuole cattoliche e sulle quali la Sede Apostolica ha ritenuto finora di non dover definire o pronunciarsi, (è) falsa, temeraria, dannosa per le scuole cattoliche e deroga all’obbedienza dovuta alle Costituzioni Apostoliche.

Delle tre norme stabilite dal Sinodo come base per la riforma dei regolari.

2680. 80. Regola I, che stabilisce in modo generale e senza distinzioni: “Lo stato regolare o monastico per sua natura non può entrare in composizione con la cura delle anime e con i compiti della vita pastorale, e quindi non può avere parte nella Gerarchia ecclesiastica senza essere in contrasto con i principi della stessa vita monastica”, (è) falsa, perniciosa, fa torto ai santi Padri ed ai capi della Chiesa che hanno associato gli istituti di vita religiosa ai compiti dell’Ordine clericale, contrariamente all’uso pio, antico e approvato della Chiesa e alle ordinanze dei sovrani Pontefici, come se “i monaci, raccomandati dalla gravità dei loro costumi e dalla santa istituzione della loro vita e della loro fede”, non fossero stati “associati agli uffici dei chierici” giustamente, non solo senza danno per lo stato religioso, ma anche per la grande utilità della Chiesa.

2681. 81. Allo stesso modo, quando si aggiunge che i Santi Tommaso e Bonaventura fossero così impegnati a proteggere gli istituti dei mendicanti contro uomini illustri che si sarebbe voluto meno calore e più cura nelle loro difese, (questa affermazione è) scandalosa, fa ingiustizia ai santissimi Dottori e incoraggia le empie invettive di autori condannati.

2682. 82. Regola II: “La moltiplicazione degli Ordini e la loro diversità producono naturalmente disordine e confusione” anche nel par. 4 che precede: “i ‘fondatori’ dei regolari che vennero dopo gli istituti monastici” aggiungendo ordini a ordini, riforme a riforme, non fecero altro che sviluppare sempre più la causa prima del male”, se si intende riferirsi a ordini ed istituti approvati dalla Santa Sede, come se la distinta varietà di compiti pii intrapresi da ordini separati dovesse, per sua natura, produrre disordine e confusione, (è) falsa, calunniosa ed un insulto ai Santi fondatori e ai loro fedeli seguaci, così come agli stessi Sommi Pontefici.

2683. 83. La Regola III che, dopo aver detto: “un piccolo corpo che rimane all’interno della società civile senza farne veramente parte, e che costituisce nello Stato una piccola monarchia, è sempre pericoloso”, per questo accusa i monasteri privati, raggruppati dal vincolo di un istituto comune, sotto un unico capo, di essere tante monarchie particolari, pericolose e dannose per la repubblica civile, (è) falsa, temeraria, dannosa per gli istituti regolari approvati dalla Santa Sede per il progresso della Religione, favorendo gli attacchi e le calunnie degli eretici nei confronti di questi istituti.

Dal sistema o insieme di ordinanze derivate dalle suddette regole, ridotto ai seguenti otto articoli per la riforma dei regolari.

2684. Art. I. Si conservi un solo Ordine nella Chiesa e si scelga tra gli altri la Regola di San Benedetto, sia per la sua eccellenza che per gli illustri meriti di quest’Ordine, in modo però che tra le cose che forse appaiono meno conformi alle condizioni del momento, la disposizione di vita istituita a Port-Royal faccia luce che permetta di esaminare ciò che si debba aggiungere o togliere.

2685. Art. II. Coloro che entreranno a far parte di questo ordine non diventeranno membri della Gerarchia ecclesiastica, né saranno promossi agli Ordini sacri, ad eccezione di uno o due al massimo che saranno istituiti parroci o cappellani del monastero, mentre gli altri rimarranno nel semplice stato di laici.

2686. Art. III. In ogni città sarà ammesso un solo monastero, che dovrà essere collocato fuori dalle mura della città, in luoghi remoti e fuori mano.

2687. Art. IV. Tra le occupazioni della vita monastica, si mantenga intatto il lavoro delle mani, ma si lasci tempo sufficiente per dedicarsi alla salmodia ed anche, se lo si desidera, allo studio delle lettere; la salmodia sia moderata, perché una lunghezza eccessiva porta alla fretta, all’inquietudine e alla distrazione; quanto più sono aumentate la salmodia, le orazioni e le preghiere, tanto più sono sempre diminuite, nella stessa proporzione, il fervore e la santità dei regolari.

2688. Art. V. Non si deve fare distinzione tra i monaci destinati al coro e quelli destinati ai ministeri; questa distinzione ha sempre dato luogo a conflitti ed alle più grandi discordie, e ha allontanato lo spirito di carità dalle comunità.

2689. Art. VI. Non sarà mai ammesso il voto di stabilità perpetua, ma la consolazione della Chiesa e l’ornamento del Cristianesimo, non lo hanno conosciuto; i voti di castità, povertà e obbedienza non saranno ammessi come regola comune e stabile. Se qualcuno vuole fare questi voti, alcuni o tutti, chieda il consiglio e il permesso del Vescovo, che però non permetterà mai che siano perpetui, né che non superino il limite di un anno; gli sarà data solo la facoltà di rinnovarli alle stesse condizioni.

2690. Art. VII. Il Vescovo avrà piena ispezione sulla loro vita, sui loro sforzi e sul loro progresso nella pietà; sarà suo compito ammettere i monaci e dimetterli, ma sempre dopo aver ricevuto il parere di quelli della comunità.

2691. Art. VIII. I regolari degli ordini rimasti, anche Sacerdoti, possono essere ammessi in questo monastero purché intendano dedicarsi alla propria santificazione nel silenzio e nella solitudine; in questo caso interverrà una dispensa dalla regola generale stabilita al n. II, ma in modo da non far loro condurre una forma di vita distinta dagli altri, in modo che non si celebrino più di una o al massimo due Messe al giorno, e che sia sufficiente che gli altri Sacerdoti concelebrino con la comunità. – Lo stesso vale per la riforma delle monache.

2692. “I voti perpetui non siano ammessi prima del quarantesimo o quarantacinquesimo anno”; le monache si dedichino agli esercizi di buon carattere, soprattutto al lavoro, e si allontanino dallo spirito carnale da cui la maggior parte è distratta; Il sistema sovverte la disciplina vigente, approvata e ricevuta già da tempo; è pernicioso, si oppone alle costituzioni apostoliche e a quelle di diversi Concili, anche generali, e poi in particolare alle disposizioni del Concilio di Trento e fa loro torto, incoraggia gli attacchi e le calunnie degli eretici contro i voti monastici e gli istituti religiosi dediti alla professione più stabile dei consigli evangelici.

Sulla convocazione di un Concilio nazionale.

2693. 85. La proposizione che afferma che anche la minima conoscenza della storia della Chiesa sia sufficiente a far riconoscere a tutti che la convocazione di un Concilio nazionale sia uno dei modi canonici con cui si possa porre fine alle controversie in materia di Religione nella Chiesa delle nazioni interessate, se viene inteso nel senso che le controversie riguardanti la fede e la morale che sorgono in una determinata Chiesa possano essere messe a tacere da un Concilio nazionale mediante una sentenza irrefragabile, come se l’inerranza nella fede e nella morale appartenesse ad un Concilio nazionale, (è) scismatica, eretica.

Comandamenti e sanzioni della Bolla.

2694. Chiediamo quindi a tutti i fedeli di Cristo, di entrambi i sessi, di non avere l’ardire di pensare, insegnare o predicare le suddette proposizioni e dottrine contrarie a quanto dichiarato nella nostra Costituzione: in modo che chiunque le insegni. le difenda o le pubblichi, o qualcuna di esse, in toto o separatamente, o ne tratti in una disputa, in pubblico o in privato – a meno che non sia per combatterle – incorrerà ipso facto e senza ulteriori dichiarazioni nelle censure ecclesiastiche e nelle altre pene previste dal diritto contro chi commette atti simili.

2695. D’altronde, nel riprovare espressamente le suddette proposizioni e dottrine, non intendiamo in alcun modo approvarne altre contenute nello stesso Libro: tanto più che in esso sono state mantenute diverse proposizioni e dottrine che o sono vicine a quelle condannate sopra, o manifestano uno spregiudicato disprezzo per la dottrina e la disciplina comune ed approvata, nonché lo spirito più ostile ai Romani Pontefici ed alla Sede Apostolica.

2696. Riteniamo, tuttavia, di dover biasimare in modo particolare due proposizioni relative all’augustissimo mistero della santissima Trinità – par. 2 del Decreto sulla Fede – che, se non sono dovute ad uno spirito malvagio, sono certamente dovute all’imprudenza del Sinodo, e che potrebbero facilmente indurre in errore soprattutto persone non istruite e ignoranti:

2697. In primo luogo, in quanto, dopo aver detto che Dio rimane uno e semplicissimo nel suo Essere, aggiunge subito che Dio stesso è distinto in tre Persone, allontanandosi così falsamente dalla formula comune e approvata negli insegnamenti della dottrina cristiana in cui l’unico Dio è detto sì “in tre Persone distinte”. Cambiando questa formula, a causa del significato delle parole, si può introdurre un pericolo di errore, cioè di pensare che l’Essenza divina sia distinta in Persone, mentre la fede cattolica la professa una in Persone distinte, in modo da proclamare allo stesso tempo che essa è assolutamente indistinta in se stessa.

2698. In secondo luogo, quando dice delle tre Persone divine stesse che, secondo le loro proprietà personali e incomunicabili, sarebbero espresse o chiamate con termini più esatti Padre, Verbo e Spirito Santo, come se l’appellativo “Figlio” fosse meno proprio e meno esatto, mentre è consacrato da tanti passi della Scrittura, dalla voce stessa del Padre che viene dal cielo e dalla nube, poi dalle formule del Battesimo prescritte da Cristo, poi anche da quella bella Confessione per cui Pietro fu chiamato beato da Cristo stesso; né ricorderemmo ciò che lo stesso Dottore angelico, istruito da Agostino, ha insegnato: “Nel Nome “Verbo” è significata la stessa proprietà che nel Nome “Figlio””, mentre Agostino diceva: “Si chiama Verbo per la stessa ragione per cui si chiama Figlio”.

2699. Né si può passare sotto silenzio la temerarietà insignificante e piena di inganni del Sinodo che ebbe l’ardire non solo di lodare la dichiarazione dell’assemblea gallicana (cf. 2281-2285) dell’anno 1682 già disapprovata dalla Sede Apostolica, ma anche – per darle maggiore autorità – di inserirla subdolamente nel decreto intitolato “De la foi”, di adottare apertamente gli articoli in essa contenuti e di suggellare con la pubblica e solenne professione di questi articoli ciò che aveva già fatto la Sede Apostolica, ma anche – per conferirle maggiore autorità – di inserirla subdolamente nel decreto De la foi, di adottare apertamente gli articoli in essa contenuti e di suggellare con la professione pubblica e solenne di questi articoli ciò che era stato trasmesso in modo sparso da questo stesso decreto. Di conseguenza, non solo ci è stato dato un motivo ancora più grave per lamentarci del Sinodo di quanto non sia stato dato ai nostri predecessori per lamentarsi di questa assemblea, ma la stessa Chiesa gallicana è stata colpita da un’offesa non da poco, dal momento che il Sinodo ha ritenuto degno di appellarsi alla sua autorità per coprire con il suo patrocinio gli errori di cui questo decreto è macchiato.

2700. Poiché gli atti dell’assemblea gallicana, subito dopo la loro pubblicazione, il nostro venerato predecessore Innocenzo XI con una lettera in forma di breve, Paternae caritati, dell’11 aprile 1682, e poi Alessandro VIII ancora più chiaramente il 5 agosto nella costituzione Inter multiplices (cf. 2281-2285) li hanno disapprovati, abrogati e dichiarati nulli in virtù del loro Ufficio apostolico, la sollecitudine pastorale esige da Noi ancora più urgentemente che l’accettazione che ne è stata fatta in un Sinodo inficiato da così tanti difetti, Noi la riproviamo e la condanniamo come avventata, scandalosa – e specialmente dopo i decreti dei nostri predecessori – come sovranamente dannosa per questa Sede Apostolica, come la riproviamo e la condanniamo in questa costituzione che è nostra, e vogliamo che sia ritenuta riprovata e condannata.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (33): “da PIO VII a PIO IX (1846-1851)”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (30): “da INNOCENZO XII a CLEMENTE XI”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (30)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da INNOCENZO XII a CLEMENTE XI)

INNOCENZO XII: 12 LUGLIO 1691-27 settembre 1700.

Risposta del Sant’Uffizio ai missionari cappuccini, 23 Luglio 1698.

Il matrimonio come Sacramento.

2340. Domanda: Il matrimonio tra persone che hanno apostatato dalla fede e che in precedenza sono state regolarmente battezzate, se viene contratto dopo l’apostasia in modo pubblico secondo l’uso dei pagani e dei maomettani, è veramente un matrimonio e un Sacramento?

Risposta: Se c’è un patto di dissolubilità, non è né un matrimonio né un Sacramento; se non c’è tale patto, è un matrimonio e un Sacramento.

Errori di François de Fénelon sull’amore di Dio.

2351. (1) – Esiste uno stato abituale di amore di Dio, che è pura carità e senza alcuna mescolanza di motivi di interesse personale. Né il timore del castigo né il desiderio di ricompensa hanno parte in questo amore: non amiamo più Dio per il merito, né per la perfezione, né per la felicità che troviamo nell’amarlo.

2352. 2 Nello stato di vita contemplativa o unitiva, perdiamo ogni motivo di timore o di speranza.

2353. 3 – L’essenziale nella direzione è seguire la grazia passo dopo passo con infinita pazienza, cautela e delicatezza. Dobbiamo limitarci a lasciare che Dio faccia ciò che vuole, e non parlare mai di amore puro finché Dio, attraverso un’unzione interiore, non cominci ad aprire il cuore a questa parola, così dura per le anime ancora attaccate a se stesse, e così capace di scandalizzarle e gettarle nel turbamento.

2354. 4 Nello stato di santa indifferenza, l’anima non ha più desideri volontari e deliberati per il proprio interesse, se non nelle occasioni in cui non cooperi fedelmente con l’insieme della grazia.

2355. 5 In questo stato di santa indifferenza, non vogliamo nulla per noi stessi, ma vogliamo tutto per Dio; non vogliamo nulla per essere perfetti o beati per noi stessi, ma vogliamo ogni perfezione e ogni beatitudine, nella misura in cui piace a Dio farci desiderare queste cose con l’impressione della sua grazia.

2356. 6. In questo stato di santa indifferenza, non vogliamo più la salvezza come salvezza nostra, come liberazione eterna, come ricompensa dei nostri meriti, come il più grande di tutti i nostri interessi; ma la vogliamo con piena volontà, come gloria e piacere di Dio, come qualcosa che Egli voglia e vuole che noi vogliamo per Lui.

2357. (7) L’abbandono non è altro che l’abnegazione che Gesù Cristo ci chiede nel Vangelo, dopo che abbiamo lasciato tutto fuori. Questa abnegazione di noi stessi è solo per il nostro bene. … Le prove in cui si deve esercitare questa abnegazione sono le tentazioni con cui un Dio geloso vuole purificare l’amore, non facendogli vedere alcuna risorsa o speranza per il proprio interesse, anche eterno.

2358. (8) Tutti i sacrifici che le anime più disinteressate fanno abitualmente per la loro beatitudine eterna sono condizionati. Ma questo sacrificio non può essere assoluto nello stato ordinario: c’è solo il caso delle ultime prove in cui questo sacrificio è in qualche modo assoluto.

2359. 9. Nelle ultime prove, un’anima può essere invincibilmente persuasa, con una persuasione ponderata che non è l’intimo della coscienza, di essere giustamente messa alla prova da Dio.

2360. 10. Allora l’anima, divisa da se stessa, spira sulla croce con Cristo, dicendo: “O Dio mio, perché mi hai abbandonato? ” (Mt XXVII,46) In questo stesso sentimento involontario di disperazione, essa compie il sacrificio assoluto del proprio interesse per l’eternità.

2361. 11. In questo stato, l’anima perde ogni speranza per se stessa; ma non perde mai nella sua parte superiore, cioè nei suoi atti diretti e intimi, la speranza perfetta che è il desiderio disinteressato delle promesse.

2362. 12. Il direttore può quindi permettere a quest’anima di accettare semplicemente la perdita del proprio interesse e la giusta condanna che crede che Dio le abbia dato.

2363. 13. La parte inferiore di Gesù Cristo sulla croce non ha comunicato il suo disturbo involontario alla parte superiore.

2364. 14. Nelle ultime prove, per la purificazione dell’amore, c’è una separazione della parte superiore dell’anima da quella inferiore… Gli atti della parte inferiore, in questa separazione, sono di un disordine del tutto cieco ed involontario, perché tutto ciò che è intellettuale e volontario è della parte superiore.

2365. 15. La meditazione consiste in atti discorsivi facili da distinguere l’uno dall’altro. … Questa composizione di atti discorsivi e riflessivi è propria dell’esercizio dell’amore interessato.

2366. 16. C’è uno stato di contemplazione così alto e così perfetto che diventa abituale: così che ogni volta che un’anima va in preghiera vera e propria, la sua preghiera è contemplativa e non discorsiva; allora non ha più bisogno di tornare alla meditazione o ai suoi atti metodici.

2367. 17. Le anime contemplative sono private della vista distinta, sensibile e riflessiva di Gesù Cristo in due momenti diversi. In primo luogo, nel fervore nascente della loro contemplazione; in secondo luogo, un’anima perde la vista di Gesù Cristo nelle prove finali.

2368. 18. Nello stato passivo esercitiamo tutte le virtù distinte senza pensare che siano virtù; pensiamo solo a fare ciò che Dio vuole; e l’amore geloso fa sì che non vogliamo più essere virtuosi per noi stessi, e non siamo mai così virtuosi come quando non siamo attaccati ad esserlo.

2369. (19) In questo senso si può dire che l’anima passiva e disinteressata non vuole più nemmeno l’amore in quanto perfezione e felicità propria, ma solo in quanto è ciò che Dio vuole da noi.

2370. 20. Le anime trasformate devono, nella confessione, detestare le loro colpe, condannarle e desiderare la remissione dei loro peccati, non come propria perfezione e liberazione, ma come qualcosa che Dio voglia e che vuole che noi vogliamo per la sua gloria.

2371. 21. – I santi mistici escludevano la pratica della virtù dallo stato di anime trasformate.

2372. 22. – Sebbene questa dottrina (dell’amore puro) fosse la perfezione pura e semplice del Vangelo, segnata in tutta la tradizione, gli antichi pastori erano soliti proporre ai sudditi comuni solo le pratiche dell’amore egoistico, proporzionate alla loro grazia.

2373. 23. – Solo l’amore puro fa la vita interiore, e allora diventa l’unico principio e l’unico movente di tutti gli atti deliberati e meritori.

2374. (Censura) … Il suddetto libro…, la cui lettura e il cui uso possono indurre i fedeli a poco a poco in errori già condannati dalla Chiesa Cattolica, e che inoltre contiene proposizioni che, sia nel loro senso ovvio, sia considerando il loro contesto, sono rispettivamente avventate (1 s, 8, 10, 15-20, 22), scandalose (7, 10, 12, 19-21), sgradevoli (4-6, 23), offensive per le orecchie pie (8, 18), perniciose nella pratica (2, 14, 17) e persino erronee (1-7, 10 s,13 ,17-19 , 22 s), con la presente condanniamo e riproviamo e… vietiamo la stampa di questo libro.

CLEMENTE XI : 23 novembre 1700 – 19 marzo 17

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Québec, 25 gennaio 1703.

Verità necessarie da credere, perché comunicano la salvezza.

2380. Domanda: Prima di conferire il Battesimo a un adulto, il ministro è obbligato a spiegargli tutti i misteri della nostra fede, soprattutto se è moribondo, poiché questo disturberebbe la sua mente? O non sarebbe sufficiente che il moribondo promettesse che, non appena guarito dalla malattia, si prenderà cura di ricevere istruzioni per mettere in pratica ciò che gli è stato prescritto? Risposta: La promessa non è sufficiente, e il missionario è tenuto, anche per una persona moribonda, se non è in uno stato di totale incapacità, a spiegare i misteri della fede che sono necessari (per la salvezza) per una necessità di mezzi, come sono principalmente i misteri della Trinità e dell’Incarnazione.

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Québec, 10 maggio 1703.

Fede e intenzione in coloro che ricevono il Sacramento.

2381. Domanda 2: È possibile battezzare un adulto non istruito e stupido, come è accaduto a un barbaro, se gli si comunica solo la conoscenza di Dio e di alcuni suoi attributi, in particolare quello della giustizia premiante e vendicativa, secondo il passo dell’Apostolo: Chi si avvicina a Dio deve credere che egli è e che premia (Ebr.XI,6) da cui si deduce che in caso di urgente necessità un adulto possa essere battezzato anche se non crede esplicitamente in Gesù Cristo?

Risposta: Un missionario non può battezzare qualcuno che non creda esplicitamente nel Signore Gesù Cristo, ed è tenuto ad istruirlo su tutte le cose necessarie (per la salvezza) di necessità di mezzi, secondo la capacità di colui che deve essere battezzato.

2382. Domanda 8: Si può somministrare il viatico o l’Estrema Unzione ad adulti moribondi che abbiamo ritenuto idonei a ricevere il Battesimo, ma non la Comunione e gli altri Sacramenti?

Risposta: Il viatico non deve essere somministrato ad un neofita moribondo se non distingue almeno tra nutrimento spirituale e corporeo, riconoscendo e credendo nella presenza di Cristo Signore nell’ostia. Allo stesso modo, il Sacramento dell’Estrema Unzione non deve essere conferito ad un neofita morente che il missionario abbia ritenuto idoneo a ricevere il Battesimo, a meno che non abbia almeno l’intenzione di ricevere la santa Unzione destinata al bene dell’anima al momento della morte.

Costituzione “Vineam Domini Sabaoth“, 16 luglio 1705.

Silenzio obbediente sui fatti dogmatici.

2390. Par. 6 o 25. Affinché d’ora in poi sia completamente eliminata ogni occasione di errore e tutti i figli della Chiesa Cattolica imparino ad ascoltare questa stessa Chiesa, non solo tacendo (perché anche i nemici tacciono nelle tenebre (Is. II,9 ), ma anche con l’obbedienza interiore, che è la vera obbedienza dell’uomo alla retta fede, Noi decidiamo, dichiariamo, determiniamo e ordiniamo in virtù della stessa Autorità Apostolica con questa Costituzione che è nostra e che sarà sempre valida, che l’obbedienza dovuta alla suddetta Costituzione Apostolica non sia in alcun modo soddisfatta da questo rispettoso silenzio; ma che il senso condannato nelle cinque proposizioni di Giansenio sopra citate, che i termini di queste esprimono come è espresso, debba essere respinto e condannato come eretico da tutti i fedeli, non solo con la bocca, ma con il cuore; e che la suddetta forma non possa essere legittimamente sottoscritta con altra intenzione, spirito o convinzione, cosicché tutti coloro che su tutti questi punti e su ciascuno in particolare pensino, sostengano, insegnino oralmente o per iscritto, o affermino qualcosa di diverso o di opposto, trasgrediscono la suddetta Costituzione Apostolica e sono quindi soggetti a tutte e a ciascuna delle censure in essa contenute.

CostituzioneUnigenitus Dei Filius“, 8 settembre 1713.

Errori giansenisti di Pasquier Quesnel.

2400. Par. 2 … Sappiamo benissimo che ciò che di molto pernicioso ci sia in questo libro si diffonde e si accresce soprattutto perché è nascosto all’interno, e uscirà fuori, come una cattiva materia saniosa, solo se l’ulcera venga perforata; perché il libro stesso seduce il lettore a prima vista con una certa apparenza di pietà…

2401. Par. 3. 1. Che cosa resta a un’anima che ha perso Dio e la sua grazia, se non il peccato e le sue conseguenze, una povertà orgogliosa ed una pigra indigenza, cioè una generale impotenza a lavorare, a pregare e a qualsiasi opera buona? Questa proposizione si trova nelle Osservazioni morali di Quesnel su Lc XVI,3.

2402. 2. la grazia di Gesù Cristo, principio efficace di ogni tipo di bene, è necessaria per ogni opera buona; senza di essa, non solo non si fa nulla, ma non si può fare nulla. – (Gv XV,5: ed. del 1693).

2403. 3 Invano comandi, Signore, se tu stesso non dai ciò che comandi. – (At XVI,10).

2404. 4 Sì, Signore, tutto è possibile a colui al quale tu rendi possibile ogni cosa facendola in lui. – (Mc IX,22).

2405. 5 Quando Dio non ammorbidisce il cuore con l’unzione interiore della sua grazia, le esortazioni e le grazie esterne servono solo a indurirlo ancora di più. – (Rm IX,18 ed. 1693).

2406. 6 La differenza tra l’alleanza giudaica e quella cristiana è che nella prima Dio esigeva che il peccatore rinunciasse al peccato e adempisse alla Legge, lasciandolo impotente, mentre nella seconda Dio dà al peccatore ciò che comanda, purificandolo con la sua grazia. – (Rm XI,27).

2407. 7 Qual è il vantaggio per l’uomo nell’Antica Alleanza, dove Dio lo ha abbandonato alla propria infermità quando gli ha imposto la Legge? Ma che benedizione è essere ammessi in un’Alleanza in cui Dio ci dà ciò che chiede. – (Eb VIII,7).

2408. 8 Apparteniamo alla Nuova Alleanza solo in quanto partecipiamo alla nuova grazia, che opera in noi ciò che Dio comanda. – (Eb VIII,10).

2409. 9. La grazia di Cristo è la grazia suprema, senza la quale non possiamo mai confessare Cristo e con la quale non possiamo mai negarlo. – (1Co XII,3 ed. del 1693).

2410. 10. La grazia è l’operazione della mano di Dio che nulla può impedire o ritardare. – (Mt XX,34).

2411. 11. La grazia non è altro che la volontà onnipotente di Dio che comanda e fa ciò che comanda. – (Mc II,11).

2412. 12. Quando Dio vuole salvare l’anima, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, l’effetto inequivocabile segue la volontà di Dio. – (Mc II,12).

2413. 13. Quando Dio vuole salvare un’anima e la tocca con la mano interiore della sua grazia, nessuna volontà gli resiste. – (Lc V,13 ed. del 1693).

2414. 14. Per quanto un peccatore ostinato possa essere lontano dalla salvezza, quando Gesù si mostra a lui con la luce salvifica della sua grazia, deve arrendersi, correre, umiliarsi e adorare il suo Salvatore. – (Mc V,67 ed. del 1693).

2415. 15. Quando Dio accompagna il suo comandamento e la sua parola esteriore con la sua grazia, produce nel cuore l’obbedienza che richiede. – (Lc IX,60).

2416. 16 Non ci sono incantesimi che non cedano al fascino della grazia, perché nulla resiste all’Onnipotente. (At VIII,12).

2417. 17. La grazia è quella voce del Padre che insegna agli uomini interiormente e li fa venire a Gesù Cristo. Chi non viene a Lui dopo aver ascoltato la voce interiore del Figlio non è istruito dal Padre. – (Gv VI,45)

2418. 18. Il seme della parola che la mano di Dio innaffia porta sempre frutto. – (Atti XI:21).

2419. 19. La grazia di Dio non è altro che la sua volontà onnipotente: questa è l’idea che Dio stesso ci dà in tutte le sue Scritture. – (Rm XIV,4 edizione 1693).

2420. 20. La vera idea della grazia è che Dio vuole che gli si obbedisca, e se gli si obbedisce; comanda e tutto si fa; parla come un padrone e tutto gli è sottomesso. – (Mc IV,39).

2421. 21. La grazia di Gesù Cristo è una grazia forte, potente, sovrana, invincibile, poiché è l’operazione della volontà onnipotente, una continuazione ed un’imitazione di Dio che incarna ed eleva suo Figlio. (2Co V,21 éd. del 1693).

2422. 22. L’accordo dell’operazione onnipotente di Dio nel cuore dell’uomo con il libero consenso della volontà, ci viene mostrato immediatamente nell’Incarnazione, come nella fonte e nel modello di tutte le altre operazioni di misericordia e di grazia, tutte gratuite e dipendenti da Dio come questa stessa operazione originale. – (Lc 1,48).

2423 23. Dio stesso ci ha dato l’idea dell’operazione onnipotente della sua grazia, indicandola con quella con cui fa nascere le creature dal nulla e dà la vita ai morti. – (Rm IV, 17).

2424. 24. L’idea corretta del centurione dell’onnipotenza di Dio e di Gesù Cristo di guarire i corpi con il solo movimento della sua volontà è l’immagine dell’idea che dobbiamo avere dell’onnipotenza della sua grazia per guarire le anime dalla cupidigia. – (Lc VII,7).

2425. 25. Dio illumina l’anima e la guarisce, così come il corpo, con la sua sola volontà: comanda ed è obbedito. – (Lc XVIII,42).

2426. 26. Nessuna grazia viene data se non per fede. – (Mc XI,25).

2427. 27. La fede è la prima grazia e la fonte di tutte le altre. – (2Pt 1,3)

2428. 28. La prima grazia che Dio concede al peccatore è il perdono dei peccati. – (Mc XI,25).

2429. 29. Nessuna grazia viene concessa al di fuori della Chiesa. – (Lc X, 35-36)

2430. 30. Tutti coloro che Dio vuole salvare attraverso Gesù Cristo sono infallibilmente salvati. – (Gv VI,40).

2431. 31. I desideri di Gesù Cristo hanno sempre il loro effetto: egli porta la pace nell’intimo dei cuori quando quando lo desidera. – (Gv XX,19).

2432. 32. Gesù si è consegnato alla morte per liberare con il suo sangue i primogeniti, cioè gli eletti, dalla mano dell’Angelo della distruzione per sempre.

2433. 33. Oh, quanto bisogna aver rinunciato alle cose della terra e a se stessi per avere la sicurezza di appropriarsi, per così dire, di Cristo Gesù, del suo amore, della sua morte, del suo mistero, come fa Paolo quando dice: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”. ” – .

2434. 34. La grazia di Adamo ha prodotto solo meriti umani. – (2Co V,21 ed. 1693).

2435. 35. La grazia di Adamo è una conseguenza della creazione ed era dovuta ad una natura santa e retta. – (2Co V,21).

2436. 36. La differenza essenziale tra la grazia di Adamo e lo stato di innocenza e la grazia cristiana è che ognuno avrebbe ricevuto la prima nella propria persona, mentre la seconda non si riceve se non nella persona di Gesù Cristo risorto, con il quale siamo uniti. – (Romani VII:4).

2437. 37. La grazia di Adamo, poiché lo santificava, era proporzionata a lui; la grazia cristiana, santificandoci in Gesù Cristo, è onnipotente e degna del Figlio di Dio. – (Ef 1,6).

2438. 38. Il peccatore è libero solo per il male senza la grazia del liberatore. – (Lc VIII,9).

2439. 39. La volontà che non è avvertita dalla grazia non ha luce se non per smarrirsi, non ha ardore se non per precipitarsi, non ha forza se non per farsi del male. È capace di ogni male e incapace di ogni bene. – (Mt XX,34).

2440. 40. Senza la grazia non possiamo amare nulla, se non per la nostra condanna. – (2Ts III,18; ed. 1693).

2441. 41. Ogni conoscenza di Dio, anche naturale, anche nei filosofi pagani, può venire solo da Dio, e senza la grazia produce solo presunzione, vanità e opposizione a Dio stesso, invece di sentimenti di adorazione, gratitudine e amore. – (Rm 1,19).

2442. 42. Solo la grazia rende l’uomo idoneo al sacrificio della fede: senza di essa, nient’altro che impurità, nulla e nient’altro che indegnità. Atti XI:9).

2443. 43. Il primo effetto della grazia battesimale è quello di farci morire al peccato, in modo che la mente, il cuore e i sensi non abbiano più vita per il peccato di quanta ne abbia un uomo morto per le cose del mondo. – (Rm VI,2: ed. del 1693).

2444. 44. Ci sono solo due amori da cui scaturiscono tutte le nostre volontà e azioni: l’amore di Dio che fa tutto per Dio e che Dio ricompensa, e l’amore con cui amiamo noi stessi ed il mondo, che non riporta a Dio ciò che dovrebbe essere riportato a Lui, e che per questo stesso fatto diventa cattivo. – (Gv V,29).

2445. 45. Quando l’amore di Dio non regna più nel cuore dei peccatori, vi regna necessariamente l’avidità carnale che corrompe tutte le loro azioni. – (Lc XV,13: ed. del 1693).

2446. 46. L’avidità o la carità rendono buono o cattivo l’uso dei sensi. – (Mt V,28).

2447. 47. L’obbedienza alla Legge deve scaturire da una fonte, che è la carità. Quando l’amore di Dio è il principio interiore e la sua gloria il suo fine, allora ciò che è esterno è puro; altrimenti è solo ipocrisia e falsa giustizia. – (Mt XXV,26 ed. del 1693).

2448. 48. Che altro possiamo essere se non tenebre, errore e peccato, senza la luce della fede, senza Cristo e senza amore? – (Ef V,8)

2449. 49. Come non c’è peccato senza amore per noi stessi, così non c’è opera buona senza amore per Dio. – (Mc VII, 22-23).

2450. 50. Invano gridiamo a Dio: “Padre mio”, se non è lo spirito di carità a gridare. – (Rm VIII, 15).

2451. 51. La fede giustifica quando opera, ma opera solo attraverso l’amore. – (At XIII, 39).

2452. 52. Tutti gli altri mezzi di salvezza sono contenuti nella fede come nel loro germe e nel loro ma non è una fede senza amore e fiducia. – (Atti 10:43).

2453. 53. Solo la fede porta alla realizzazione cristiana (azioni cristiane) attraverso la nostra relazione con Dio e con Gesù Cristo. – (Col III,14).

2454. 54. È solo la carità che parla a Dio; è solo essa che Dio ascolta. – (1Co XIII,1).

2455. 55. Dio incorona solo l’amore; chi corre in virtù di un altro movimento e per un altro motivo, corre invano. (1Co IX,24).

2456. 56. Dio premia solo la carità; solo la carità onora Dio. – Mt 25,36.

2457. 57. Il peccatore manca di tutto quando manca di speranza; e non c’è speranza in Dio se non c’è amore di Dio. – (Mt XXVII,5)

2458. 58. Non c’è Dio né religione dove non c’è carità – (1Gv IV,8).

2459. 59. La preghiera degli empi è un nuovo peccato; e ciò che Dio concede loro è un nuovo giudizio per loro. – (Gv X,25 ed. del 1693).

2460. 60. Se il pentimento è motivato solo dalla paura del tormento, quanto più violento è il pentimento, tanto più porta alla disperazione. – (Mt XXVII,5).

2461. 61. La paura ferma solo la mano; il cuore, invece, si abbandona al peccato finché non è guidato dall’amore. – (Lc XX,19).

2462. 62. Chi si astiene dal male solo per paura del castigo lo commette nel suo cuore, ed è già colpevole davanti a Dio. – (Mt XXI,46).

2463. 63. Un battezzato è ancora sotto la Legge come ebreo, se non adempie alla Legge o se la adempie solo per paura. – (Rm VI,14).

2464. 64. Sotto la maledizione della Legge non si fa mai il bene, perché si pecca o facendo il male o evitandolo solo per paura. –

2465. 65. Mosè, i profeti, i sacerdoti e i maestri della Legge sono morti senza aver dato figli a Dio, perché hanno reso schiavi solo per paura. – (Mc XII,19).

2466. 66. Chi vuole avvicinarsi a Dio non deve venire a lui con pensieri brutali, né comportarsi per istinto naturale o per paura, come le bestie, ma per fede e amore come i figli. – (Eb XII,20 ed. del 1693).

2467. 67. Il timore servile immagina Dio solo come un padrone duro, imperioso, ingiusto, intrattabile. – (Lc XIX,21; ed. del 1693).

2468. 68. Dio ha abbreviato la via della salvezza includendo tutto nella fede e nella preghiera. – (At II,21).

2469. 69. La fede, l’uso, l’incremento e la ricompensa della fede, tutto questo è un dono della pura liberalità di Dio. – Mc 9,22.

2470. 70. Dio non affligge mai l’innocente, e le afflizioni servono sempre o a punire il peccato o a purificare il peccatore. – Gv 9,3 .

2471. 71. L’uomo può, per la propria conservazione, rinunciare a questa legge che Dio ha stabilito per il suo bene. – (Mc II,28).

2472. 72. La nota della Chiesa è che essa è cattolica, comprendendo tutti gli angeli del cielo, tutti gli eletti e i giusti della terra e di tutti i tempi. – (Eb XII,22-24).

2473. 73. Che cos’è la Chiesa se non l’assemblea dei figli di Dio che abitano nel suo seno, adottati in Gesù Cristo, sussistenti nella sua Persona, redenti dal suo sangue, viventi del suo Spirito, agenti della sua grazia, e in attesa della pace dell’età futura? – (2Th 1,1 s ed. del 1693).

2474. 74. La Chiesa, o il Cristo intero, ha come capo il Verbo incarnato e come membri tutti i santi. – (1Tm III,16).

2475. 75. La Chiesa è un solo uomo, composto da molte membra, di cui Cristo è il capo, la vita, la sostanza e la persona: un Cristo composto da molti santi di cui è il santificatore. – (Ef II, 14-16).

2476. 76. Nulla è più spazioso della Chiesa, poiché tutti gli eletti e i giusti di tutti i tempi la compongono. – (Ef II, 22).

2477. 77. Chi non conduce una vita degna di un figlio di Dio e di un membro di Cristo, cessa di avere Dio come Padre e Cristo come capo. – (1Gv 2,24 éd. del 1693).

2478. 78. Ci si separa dal popolo eletto, di cui il popolo ebraico era la figura e di cui Cristo è il capo, sia non vivendo secondo il Vangelo sia non credendo al Vangelo. – Atti 3:23.

2479. 79. È utile e necessario in ogni tempo, in ogni luogo e per ogni genere di persone studiare e conoscere lo spirito, la pietà e i misteri della Sacra Scrittura. – (1Co XIV,5).

2480. 80. La lettura della Scrittura è per tutti. – (At VIII,28).

2481. 81. La santa oscurità della Parola di Dio non è motivo per i laici di rinunciare alla sua lettura. – (At VIII,28).

2482. 82. La domenica deve essere santificata dalla lettura devozionale, soprattutto delle Sacre Scritture. È riprovevole voler escludere i Cristiani da questa lettura.

2483. 83. È un’illusione immaginare che la conoscenza dei misteri della Religione non debba essere comunicata alle donne attraverso la lettura dei libri sacri. Non è dalla semplicità delle donne, ma dalla scienza orgogliosa degli uomini, che le Scritture sono state abusate e che sono sorte le eresie. – (Gv IV,26).

2484. 84. Strappare il Nuovo Testamento dalle mani dei Cristiani o tenerlo loro chiuso, privandoli dei mezzi per comprenderlo, significa chiudere loro la bocca di Cristo. – (Mt V,2).

2485. 85. Vietare ai cristiani di leggere la Sacra Scrittura, e in particolare il Vangelo, significa vietare l’uso della luce ai figli della luce e far loro subire una sorta di scomunica. – (Lc 11,33 ed. del 1693).

2486. 86. Togliere ai semplici la consolazione di unire la loro voce a quella di tutta la Chiesa è una pratica contraria alla prassi apostolica e al disegno di Dio. – (1Co XIV,16).

2487. 87. È una condotta piena di saggezza, di luce e di carità, quella di dare alle anime il tempo di sopportare con umiltà e di sentire lo stato di peccato, di chiedere lo spirito di penitenza e di contrizione e di cominciare, almeno, a soddisfare la giustizia di Dio, prima di riconciliarle. – Atti 8:9.

2488. 88. Non sappiamo cosa siano il peccato e la vera giustizia quando vogliamo essere immediatamente restituiti al possesso dei beni di cui il peccato ci ha privato e non vogliamo sopportare la confusione di questa separazione. – (Lc XVII,11-12).

2489. 89. Il quattordicesimo grado della conversione del peccatore consiste nel fatto che, quando è già stato riconciliato, abbia il diritto di assistere al Sacrificio della Chiesa. – (Lc XV, 23).

2490. 90. La Chiesa ha l’autorità di scomunicare, che deve essere esercitata dai primi pastori con il consenso, almeno presunto, di tutto il corpo. – (Mt XVIII,17).

2491. 91. Il timore di una scomunica ingiusta non deve mai impedirci di compiere il nostro dovere; non lasciamo mai la Chiesa, anche quando ci sembra di esserne espulsi dalla malvagità degli uomini, finché siamo legati a Gesù Cristo e alla Chiesa dalla carità. – (Gv IX, 22-23)

2492. 92. Piuttosto che tradire la verità, è meglio subire in pace la scomunica e l’anatema ingiusto: questo è imitare san Paolo; è ben lontano dal mettersi contro l’autorità o dal rompere l’unità. (Rm IX,3).

2493. 93. Gesù talvolta guarisce le ferite che la fretta dei primi pastori infligge al suo ordine; Gesù ripristina ciò che essi tolgono con uno zelo sconsiderato. – (Gv XVIII,11).

2494. 94. Niente dà un’opinione peggiore della Chiesa ai suoi nemici che vederla esercitare il dominio sulla fede dei fedeli e mantenere le divisioni su cose che non colpiscono né la fede, né la morale. – (Rm XIV,16).

2495. 95. Le verità sono diventate come una lingua straniera per la maggior parte dei Cristiani e il modo in cui vengono predicate è come una lingua sconosciuta, così lontana dalla semplicità degli Apostoli e al di là della comune comprensione dei fedeli; e non si apprezza abbastanza che questa carenza è uno dei segni più sensibili della vetustà della Chiesa e dell’ira di Dio sui suoi figli.

2496. 96. Dio permette che tutte le potenze si oppongano ai predicatori della verità, in modo che la sua vittoria possa essere attribuita solo alla grazia divina. – (Atti XVII:8).

2497. 97. Troppo spesso accade che i membri più santi e più strettamente uniti alla Chiesa siano considerati e trattati come indegni di essere nella Chiesa, o come separati da essa. Ma “il giusto vive per fede” (Rm 1,17) e non per l’opinione degli uomini. – (Atti IV:11).

2498. 98. Subire persecuzioni e punizioni come eretico, odioso ed empio, è di solito l’ultima e più meritoria prova, perché rende l’uomo più conforme a Gesù Cristo. – (Lc XXII,37).

2499. 99. La testardaggine, il pregiudizio, l’ostinazione a non voler esaminare nulla o ad ammettere di essere in errore, cambiano ogni giorno per molti in odore di morte ciò che Dio ha posto nella sua Chiesa per essere un odore di vita, ad esempio i buoni libri, le istruzioni, i santi esempi, ecc. che sono un segno di vita. – (2Co II,16).

2500. 100. Un tempo deplorevole in cui pensiamo di onorare Dio colpendo la verità e i suoi discepoli! Quel tempo è arrivato… Essere considerati e trattati dai ministri della Religione come empi e indegni di trattare con Dio, come un membro putrido capace di corrompere tutto nella società dei santi, è per gli uomini pii una morte più terribile della morte del corpo. Invano qualcuno si lusinga della purezza delle sue intenzioni e del suo zelo per la Religione, se perseguita gli uomini onesti con il fuoco e il ferro, se si lascia accecare dalla passione o trasportare da quella degli altri, perché non vuole esaminare nulla. Spesso pensiamo di sacrificare a Dio un senza Dio, ma sacrifichiamo al diavolo un servo di Dio. – (Gv XVI,2).

2501. 101. Non c’è nulla di più contrario allo spirito di Dio e all’insegnamento di Gesù Cristo che rendere comuni i giuramenti nella Chiesa, perché questo moltiplica le occasioni di spergiuro, tende trappole ai deboli e agli ignoranti, e talvolta fa sì che il nome e la verità di Dio servano agli empi. – Mt 5,37.

2502. (Censura)… Dichiariamo, condanniamo e disapproviamo le proposizioni precedenti in quanto, a seconda dei casi, false, capziose, sconvenienti, offensive per le orecchie pie, scandalose, perniciose, temerarie, dannose per la Chiesa e i suoi usi, oltraggiose, non solo per lei, ma anche per i poteri secolari, sediziose, empie, blasfeme, sospetto di eresia, in odore di eresia, favorevole agli eretici e alle eresie, e persino a uno scisma, erroneo, vicino all’eresia, e spesso condannato, infine, come eretico e rinnovatore di varie eresie, principalmente quelle contenute nelle famose proposizioni di Johannius, prese nel senso in cui sono state condannate.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (31): “Da INNOCENZO XIII A BENEDETTO XIV -I -“