DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ (15): Il Sacro Cuore di Gesù e l’Incarnazione

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ, S. E. I. Ed. Torino,1920Imprim. Can. F. Duvina, Torino, 19 giugno, 1920]

DISCORSO XV.

Il Sacro Cuore di Gesù e l’Incarnazione.

Vi è una pagina del Santo Vangelo, che sant’Agostino avrebbe desiderato, che a caratteri d’oro venisse scolpita su tutte le chiese della terra. Questa pagina è la prima del Vangelo di S. Giovanni, ove quest’aquila degli Evangelisti, sollevando il suo volo sino all’altezza dei cieli, incomincia col dichiarare « l’inenarrabile » generazione del Verbo e termina col metterci innanzi « il grande mistero nascosto ai secoli il Dio, » il mistero della divina Incarnazione. « In principio era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio. Tutto fu fatto per Lui, e nulla fu fatto senza di Lui, e tutto ciò che fu fatto era vista in Lui …. E questo Verbo si fece carne ed abitò fra di noi, e noi abbiamo veduto la sua gloria, gloria del Figlio Unigenito del Padre, e ci apparve pieno di grazia di verità. » – Or bene, questo mistero principalissimo di nostra santa Religione, questo mistero così grande, così sublime, questo mistero, che ci dice quanto Iddio abbia amato l’uomo, che costituisce della carità divina per l’uomo la dimostrazione e la prova grande e classica per eccellenza, con maggior eloquenza ed efficacia, che non dalla prima pagina di S. Giovanni ci viene simboleggiato e predicato dal Cuore Sacratissimo Gesù. Ed in vero già molti secoli innanzi, Iddio annunziando agli uomini i mirabili effetti di tanto mistero, per mezzo del profeta Ezechiele aveva detto: E darovvi un nuovo cuore, porrò in mezzo a voi un nuovo spirito, e togliendo dalle vostre viscere il cuore di pietra, vidarò un cuore di carne: Dabo vobis cor novum … dabo vobis cor carneum, (XXXIX, 26) come per dire: Io muterò i vostri cuori così duri e così insensibili all’amor di Dio, e li ammollirò col metter loro innanzi il Cuore di carne di un Dio, che parlandovi della carità immensa, che questo Dio vi ha dimostrato nell’incarnarsi per voi, vi costringerà quasi per forza ad amarlo. Miei cari, dopo tutto ciò che abbiamo studiato intorno alla devozione del Sacro Cuore è tempo ornai che ci mettiamo in devota contemplazione di questo Cuore Sacratissimo. Ma questa contemplazione non ha da essere né inerte, né sterile. Gesù Cristo nel mostrare il suo Cuore a Santa Margherita Alacoque, dicendole: « Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini, » non glielo mostrò nudo e spoglio, quale si trova nell’umano petto. Ma invece glielo fece vedere sopra un trono di fiamme, contornato di spine, sormontato dalla Croce e con una larga ferita nel mezzo. E ciò fece Egli forse a caso? Oh no certamente! Con tutti questi simboli Egli volle indicarci la sua immensa carità per noi sia nel suo complesso sia nelle prove particolari. Epperò sono queste prove di carità che nella contemplazione del Cuore di Gesù e de’ suoi simboli dobbiamo metterci a meditare. E la prima che tra di esse ci si affaccia è appunto la Incarnazione redentrice. La Chiesa nel suo primo inno ad onore del Sacro Cuore di Gesù lo canta espressamente: « O autore beato del mondo, o Cristo di tutti Redentore, Lume dal Lume del Padre, Dio vero da Dio, fu il tuo amore che t’indusse a prendere un corpo mortale per riparare, novello Adamo, il danno cagionato dal primo: Amor coegit te tuus | Mortale corpus sumere \ novus Adam redderes | Quod vetus Me abstulerat. Prendiamo adunque oggi a considerare la gran prova di carità che ci ha dato Gesù Cristo nell’incarnarsi e farsi uomo per la nostra salute.

I. — Iddio da tutta l’eternità era infinitamente beato in se stesso, né aveva alcun bisogno di uscire dalla solitudine e creare. L’amore tuttavia ve lo indusse. Ed ecco, al suono dell’onnipotente suo fiat, uscir fuori la terra ed il cielo con tutte le loro immense meraviglie, sole, luna, stelle, mari, fiumi, laghi, montagne, piante, erbe, fiori, animali, quadrupedi, uccelli, pesci e rettili. Tutto ciò Egli faceva in sei giorni, o sei epoche, i cui la scienza ad onta delle sue ricerche non è ancora riuscita a determinare la durata. Ma a tutto ciò mancava ancora l’opera più bella. E d ecco che Iddio con infinito amore disse: « Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza.» E come disse, così fece: creò Adamo ed Eva; né contento di ciò li elevò ad uno stato soprannaturale, arricchendoli di grazia, di integrità, di scienza meravigliosa, e facendoli esenti dalla morte e da ogni miseria dell’anima e del corpo. In questo stato, dopo un tempo da Dio stabilito, avrebbero abbandonato questa terra in una dolce estasi di amore divino per passare ai godimenti del cielo per .tutta l’eternità. E tutto ciò Iddio aveva per tal modo congiunto alla natura umana, che i nostri progenitori, generando in quello stato soprannaturale dei figliuoli, insieme colla vita naturale avrebbero in loro trasfusi quegli stessi tesori di grazia, che essi possedevano. Ecco la condizione sublime, in cui il Signore volle costituire da principio i nostri progenitori; condizione che la Chiesa con una frase complessiva chiama giustizia originale. Tuttavia, quasi non bastasse ancora alla bontà ineffabile di Dio, prese per mano i nostri progenitori e li condusse a prender possesso del Paradiso terrestre e a farne il loro speciale soggiorno. Era questo un giardino deliziosissimo irrigato da limpidissimi fiumi e fornito di ogni sorta di piante belle a vedersi e di frutti dolci a mangiarsi, e persino di un albero chiamato della vita, i cui frutti dovevano servire a mantenere l’uomo in una perfetta giovinezza. Oh vita felicissima che doveva esser quella! Qual fortuna lo stare in seno a Dio, e trattare dimesticamente con Lui! Che bel respirare sotto un cielo sempre puro e splendido, non mai intorbidato di lampi, non mai armato di fulmini! Che bel godere sopra una terra, sempre fragrante di primavera, sempre ridente di fiori e di frutti! E poi quel comandare tutto intorno al creato, ai pesci del mare, agli uccelli dell’aria, alle fiere della foresta, e il farsi venire innanzi ora un leopardo, ora una pantera, ora un leone, e averli sotto la mano docili, miti, scherzevoli come agnelli! Oh che incanto! quale felicita! Ma ad un patto, E quale? « Tedi tu, disse Iddio ad Adamo, quell’albero in mezzo a questo Paradiso? È l’albero della scienza del bene e del male. Mangia pure di ogni frutto delle altre piante. Ma del frutto di quell’albero non mangiarne, imperocché in qualunque giorno ne mangerai, indubbiamente morrai. » Ecco la prova che Iddio esige dai nostri progenitori. E qui non vogliate, o miei cari, come taluni, giudicare questa prova come un gioco indegno della grandezza divina. Poiché v’hanno di quelli, i quali ripieni di leggerezza mondana ci dicono, deridendoci, che noi basiamo tutto l’ordinamento del mondo sopra il pomo d’Adamo. Nossignori! noi lo basiamo sulla fede alla parola di Dio e sulla obbedienza alla sua santa volontà. Imperciocché l’albero della scienza del bene e del male era desso nulla più che un albero? Esso era ben altro ancora. Esso era pure un’idea, un simbolo, il limite morale, che Dio aveva posto alla sovranità dell’uomo per provare, nella fede alla sua divina parola e nell’obbedienza al suo divin volere, se Adamo rispondeva ai suoi, benefizi con gratitudine e amore. Là in quell’albero doveva riconoscere, che se era re del mondo visibile, era tuttavia vassallo di Dio. Epperò mentre la proibizione di quel frutto, per una parte si indirizzava ai nostri sensi del corpo, per l’altra si riferiva alle facoltà dello spirito, esigendo per tal guisa una prova da tutto quanto l’uomo, che è corpo e spirito. Or bene, dice S. Agostino, qual precetto più breve da ricordarsi e più facile da eseguirsi? Eppure… quel precetto fu dimenticato e trasgredito. La donna ingannata dal serpente infernale spiccò del frutto vietato, ne mangiò essa, ne diede al marito, il quale ne mangiò esso pure. Così fu consumata la colpa fatale, e Dio non tardò a punirla pronunciando contro i nostri progenitori la condanna, che loro aveva minacciato. E a tale condanna Adamo perde l’originale giustizia e il diritto che aveva al cielo; diventa schiavo di satana e meritevole dell’inferno; e l’ignoranza, l’inclinazione al male, la morte e tutte le altre miserie si scagliano contro dl lui per castigarlo. E in quello stato di scadimento e di dannazione vengono al mondo tutti i suoi discendenti, perciocché egli non può più trasmettere ai suoi figli ciò che ha perduto e tutti gli uomini, secondo l’insegnamento di S. Paolo, sono morti in Adamo, e per natura figliuoli di ira. Quale adunque sarà la sorte dell’umanità? Dovrà essa irreparabilmente perire? Senza dubbio Iddio avrebbe potuto stabilire così. Ma così non volle. Dando alla giustizia quanto chiedeva, volle dare altresì ciò che chiedeva là misericordia,  volle cioè scampare l’umanità dall’eterna rovina. E come? Perdonando senz’altro le iniquità degli uomini senza veruna soddisfazione, oppure anche accontentandosi di una soddisfazione inadeguata alle loro colpe? Certamente anche ciò poteva farlo. Ma in tal caso non sembra che, almeno dinnanzi ai nostri occhi, la sua giustizia avrebbe perduto alcunché del suo splendore? Comunque sia la cosa, egli è corto, che Iddio stabilì di rialzare gli uomini dal loro stato di colpa è di dare agli stessi la salute, esigendo della colpa una adeguata riparazione. Ora se il peccato, come dice S. Tommaso, per ragione della maestà influita di quel Dio, contro del quale è rivolto, riveste una cotale infinità di milizia e se al dir di S. Paolo (Hebr. IX,22) non vi ha remissione senza spargimento di sangue, come mai il peccato poteva essere adeguatamente riparato? Forse col sangue di migliaia e migliaia di animali scannati sugli altari ed offerti in sacrificio di espiazione a Dio? Così credette l’umanità, e così credendo moltiplicava ogni anno le sue ecatombi. Ma indarno! essendo impossibile, come ancora si espresse S. Paolo, (Hebr. X, 4) che col sangue dei tori e dei capri si tolgano i peccati. Ed in vero, che cosa è mai il sangue anche di tutti gli animali del mondo per riparare adeguatamente una colpa di malizia infinita? Allora forse si riparerà con lo spargere il sangue degli uomini? Anche ciò si credette dagli antichi, e non esagero punto dicendo, che a tal fine furono immolate milioni di vittime umane. Talvolta erano uomini colpevoli, il più delle volte prigionieri di guerra, i quali rivestiti di abiti regali, adorno il capo di sacre bende, erano condotti agli altari, ed ivi fra il suono delle cetre e il canto dei sacerdoti venivano crudamente sacrificati. E quando sii pensò, che ciò non fosse ancor bastante per placare il cielo sdegnato si ricorse alle vittime innocenti. Teneri bambini, pudiche verginelle erano dessi, nel cui cuore si piantava il coltello nella folle e vana speranza di farne sgorgare un sangue riparatore. Ma come mai potevano piacere a Dio questi esecrandi delitti? Qual compenso potevano dargli del peccato commesso? Vi era forse una adeguata riparazione? No, assolutamente. Il sacrificio di tutto il genere umano non sarebbe bastato; perché richiedevasi una soddisfazione di una infinita efficacia. Era dunque necessario, che una tal soddisfazione fosse data da chi solo poteva darla, cioè da Colui che è infinito, ossia da Dio medesimo. Ma Iddio poteva egli patire e versare il sangue? No, o miei cari. Dunque la persona destinata a dare la conveniente riparazione del peccato non bastava che fosse Dio, bisognava ancora che fosse uomo, affinché come uomo potesse patire e morire; era necessario insomma, che la vittima d’espiazione di tutti i peccati degli uomini fosse ad un tempo uomo e Dio, uomo per potere acquistar meriti al cospetto di Dio, Dio per comunicare ai propri meriti un valore infinito, nella considerazione dei quali Iddio placasse la sua collera e ridonasse agli uomini la salute. Or bene questa vittima umana divina, che sola poteva salvare l’umanità peccatrice, che realmente l’ha salvata, è appunto Gesù Cristo, Verbo incarnato. Egli, con la sua divina Incarnazione entrando nel mondo, senza lasciare di essere vero Dio e prendendo ad essere vero uomo, congiunsein una sola Persona le due nature umana e divina. Ma questo divin Verbo non ha assunto l’umanità sana, impassibile, immortale, quale era nello stato d’innocenza: Egli l’ha assunta debole, malata, soggetta ai patimenti ed alla morte, quale era divenuta dopo il peccato. Egli ha preso una carne, dice S. Paolo, che senza essere intaccata dal peccato, aveva però tutta la esterna rassomiglianza con la carne del peccato: In similitudinem carnis peccati, (Rom. VIII, 3) e quindi capace di soffrire e di morire. Né solamente prese una carne esternamente simile a quella del peccato, ma sebbene « santo, innocente, senza macchia, segregato dai peccatori, » (Hebr. VII, 26)si sostituì al genere umano colpevole e, senza aver mai conosciuto il peccato, divenne, secondo l’energica espressione dell’Apostolo, il peccato vivente, (Cor. V, 21) poiché fece sue tutte le disobbedienze, tutte le ribellioni, tutte le empietà, tutti i sacrilegi, tutte le bestemmie, tutte le crudeltà, tutte le ingiustizie, tutte le brutture, tutte le colpe insomma che si commisero e si commetteranno da quel giorno, in cui prevaricò Adamo sino a quello in cui il mondo arso e distrutto darà principio all’eternità. Quindi è Lui, sopra del quale il divin Padre, sdegnato per le iniquità degli uomini, scatena le folgori della sua collera divina; è Lui, che nasce nella povertà di una spelonca, che, perseguitato a morte fin dal suo primo apparire su questa terra, prende la via dell’esilio, che per trent’anni soffre la fatica e gli stenti in una oscura bottega, che per tre anni è deriso, disprezzato, calunniato, cercato a morte. È lui, che agonizza in un orto trasudando vivo sangue, che è caricato di catene, satollato di obbrobri, trascinato come vile malfattore davanti ai tribunali, sputacchiato, flagellato, coronato di spine, calpestato. È lui, che è caricato d’una pesante croce, e la porta sulla vetta di un monte, che è spogliato nudo, inchiodatovi sopra, che fra i più atroci tormenti versa il suo sangue divino e muore, esclamando con ragione: Consummatum est: tutto è consumato; la redenzione dell’uman genere è compiuta! Sì, la redenzione del genere umano è compiuta, perché sotto le pelli odiose di Esaù, come osserva il grande S. Agostino, sotto il velo della carne di peccato, il vero Giacobbe, il Verbo eterno, ha conservato la sua voce divina, la santità, i meriti, i diritti, la dignità di Figlio di Dio. Ed essendo vero Dio ha potuto dare alle sue umiliazioni, ai suoi dolori, alla sua morte il valore e il merito munito delle azioni di Dio, ed offrire a Dio una soddisfazione infinita. E fu in questo modo, come aveva vaticinato Davide, che la verità dei decreti di Dio e la misericordia per l’uomo si andarono incontro, che la giustizia e la pace si baciarono a vicenda: Misericordia et veritas obviaverunt sibi: iustitia et pax osculatæ sunt;(Ps. LXXXIV, 11) fu così che ad ogni uomo di buona volontà venne restituita la grazia e l’amicizia di Dio, la vita, la libertà, la pace, l’onore e la fecondità dell’anima; fu così che venne strappato lo scettro alla morte, che fu rovinato l’impero di satana, che fu chiuso l’inferno a chi non si ostina di volervi discendere, che fu aperto il Paradiso a quanti vi vogliono entrare; fu così insomma che venne operato il grande mistero della nostra redenzione. O mio caro Gesù, vero Dio e vero uomo, come potrò io riguardare il simbolo del vostro Cuore, che così efficacemente mi parla della redenzione nostra, e non sentirmi commosso nelle più profonde viscere? Come potrò io pronunciare il vostro nome adorabile, che significa la mia salute, e non erompere nel più nobile e sublime cantico di gratitudine? Come potrò mirarvi così amante dell’anima mia e non istruggermi ancor io d’amore per voi?

II. — Ma se il simbolo del Cuore di Gesù Cristo ci dice con tanta efficacia, che il divin Verbo si è incarnato per operare la nostra salute, con efficacia non minore ci dice in secondo luogo, che si è incarnato per togliere la nostra miseria. Dopo il peccato di Adamo, la miseria di mente e di cuore, in cui cadde l’umanità, fu veramente orribile. In breve oscuratasi la vera nozione di Dio, dalla maggior parte degli uomini si cadde nella più turpe idolatria, adorandosi come divinità statue di legno, di pietra, di metallo, ed anche mostri irragionevoli ed altre cose insensate. Anzi per siffatto riguardo si calò così al basso, da supporre negli dei le più ributtanti passioni e da ritenere quale divinità gli stessi vizi e delitti. Quindi nelle loro più infami laidezze i pagani, a chi avesse cercato di riprenderli e farli vergognare delle loro turpitudini, potevano rispondere: Ciò che è lecito agli dei, perché deve essere illecito per noi? E per questo appunto satana faceva adorare i mostri di iniquità, perché gli uomini commettessero senza ripugnanza ogni sorta di scelleraggini. E così accadeva pur troppo, come attesta S. Paolo: « Gli uomini erano ricolmi di ogni iniquità, di malizia, di dissolutezza, di avarizia, di malvagità, di invidia, di omicidio, di frode, senza amore, senza legge, senza compassione. (Rom. I , 29) Si getti puro lo

sguardo sopra le città più famose: Ninive, Babilonia, Corinto, Efeso, Roma. Si entri pure nei palagi, nelle scuole, nei teatri e persino nei templi, ma da per tutto vedrete nefandità orribili. Vedrete l’uomo individuo impazzito sino al punto da voler essere riputato un Dio e volere come Dio altari, sacrifici ed incensi; talmente avvilito da lasciarsi dietro di gran lunga le bestie nei raffinamenti e negli abissi del male. Sardanapalo, Baldassarre, Nabucodònosor, Tiberio, Nerone, Eliogabalo, Vitellio, Lucullo sono nomi che dicono tutto. E insieme con l’individuo decaduta miseramente anche la famiglia! Il padre è un vero tiranno. La donna è stimata un nulla, tradita, disonorata, malmenata, ripudiata, venduta senza alcun riguardo per la sua dignità di sposa e di madre. Ma alla sua volta essa inferocisce contro dell’uomo, e se si vede ad un tratto il capo di casa impallidire e cadere esanime alla mensa, gli è, che al solo tempo di Cesare cento e settanta mogli avvelenarono i loro mariti. Il bambino che nasce, è palpato a guisa di un bruto e, se non promette di essere uomo robusto, è spietatamente dannato alla morte, e lo si getta a perire nel fondo delle cloache o nei campi ad essere divorato dai cani. I vecchi e gli infermi, come gente inutili, o sono precipitati da altissime torri, o sono scannati, cotti e mangiati per delizia in qualche convito fra i congiunti, sono rinchiusi in qualche isola a perire miseramente di dolore e di fame. Lo schiavo poi trattato come una bestia da soma, e la sua vita rimessa interamente al più stupido capriccio del suo padrone. E insieme con l’individuo e con la famiglia decaduta la società. Barbarie orribili e stragi spaventose durante la guerra; prepotenze, ingiustizie, rapine, concussioni ed usure durante la pace: ricchi sfondati e superbi di fronte a poveri ridotti all’estrema miseria, e cacciati dalla società come gente lurida ed insoffribile; popoli che gavazzano negli spettacoli di sangue e di pubblica dissolutezza, e re, che vorrebbero che l’umanità non avesse che una testa sola per procurarsi il piacere di troncarla di un colpo solo. È bensì vero, che in un mondo così corrotto di mente e di cuore non mancavano dei savi e dei filosofi, che sembravano sollevarsi da tale abbiezione, ma anzi tutto per riguardo alla loro vita per lo più non v’era che parvenza ed ipocrisia; giacché Aristotele, sebbene predicasse la virtù, tuttavia consacrò il furto, l’omicidio e il suicidio; Platone fece innocenti gli amori contro natura e la comunanza delle donne; Cicerone per avere il numero legale di morti, che doveva dar diritto agli onori del trionfo, fece trucidare in una sola notte seimila prigionieri di guerra; Catone così celebrato per la sua severa virtù, per attestato di Orazio, suo panegirista, compiacevasi di attingere le sue forze e il suo calore nel vino. Ecco quali erano le persone più oneste dell’antichità, quali erano i savi ed i filosofi che si sollevavano al disopra degli altri uomini, inspirandosi dal dio del vino e portando i loro omaggi alla dea della sozza voluttà. Per riguardo poi alla loro dottrina difettavano sempre di verità e di autorità. Poiché, sebbene una qualche verità fosse da loro conosciuta, cadevano tuttavia in gravissimi errori ed assurdi e, pur volendo ritrarre il popolo dallo scostumato vivere, non proponevano come premio della virtù come castigo del vizio, se non il passaggio dell’anima nel corpo di un animale bello o brutto, e l’andata ai campi Elisi o al Tartaro, cose al tutto inette e fantastiche. Ecco in qual miseria erasi caduti dopo la prima colpa, lungo il corso di quattromila anni. E tale miseria ora così profonda, che gli uomini stessi conoscendola, non facevano che sospirare da tutte le parti del mondo, dall’Oriente e dall’Occidente, da Bòrea e da Mezzodì, che venisse in sulla terra un universale restauratore. Ora, di fronte ad una miseria così grande, poteva essere che Iddio non ne sentisse pietà e non pensasse a toglierla dal mondo? Ah! il togliere l’altrui miseria, dice l’Angelico S.Tommaso, è cosa che massimamente compete a Dio, e la misericordia, come dice la Chiesa, è perfezione al tutto propria di Lui. Oh sì! Il Cuore di Dio è troppo amante degli uomini perché non si commuova allo stato, in cui sono caduti e non pensi di sollevarli; e se Egli parve essere insensibile per il corso di quattromila anni, ciò non fu, se non perché gli uomini sperimentassero meglio il bisogno che avevano della misericordia sua, e questa facendosi sentire, quando la miseria degli uomini fosse giunta al colmo, avesse a risplendere in tutta la sua grandezza. Ma in qual modo adunque Iddio prese a togliere la miseria dall’umanità? Col grande mistero della divina Incarnazione, attestatoci dal Cuore di carne di Gesù Cristo: propter nos homines et propter nostrani salutem descendit de cœlis, et incarnatus est…. et homo factus estPerciocché, come piacque a Dio creare il mondo per mezzo del divin Verbo, così ancora volle ristorare il mondo in questo Verbo incarnato: instaurare omnia in Christo. (Eph. I, 10)E per la divina Incarnazione « apparve la grazia del divin Salvatore a tutti gli uomini, ammaestrandoli a rinnegare l’empietà e i secolari desideri, e a vivere sobriamente, giustamente e piamente nella speranza della eterna beatitudine. (Tit. II) » Sì, o miei cari, Gesù Cristo, Verbo incarnato, suprema Verità e Maestro infallibile, si fa a predicare agli uomini la vera dottrina, e in opposizione al culto e alla molteplicità degli dei falsi e bugiardi insegna, che bisogna adorare un solo Dio in spirito e verità, amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la volontà, con tutte le forze; in opposizione ai vizi, che deturpano il cuore umano, alla superbia, all’egoismo, all’impudicizia, insegua l’umiltà, la carità, la purità; in opposizione al disprezzo dei poveri, dei meschini e dei sofferenti, insegna la beneficenza, l’amor fraterno, la generosità, il sacrificio; in opposizione allo spirito di ira e di vendetta, insegua la mansuetudine, la dilezione degli stessi nemici, in opposizione all’amore delle ricchezze, dei piaceri e degli onori, insegna la povertà, la pazienza, la mortificazione e l’importanza unica della salvezza dell’anima. E la sua predicazione non è sterile ed infeconda, anzi come per incanto opera i più meravigliosi mutamenti nelle idee e nei costumi degli uomini, e cangia quasi all’improvviso la faccia della terra, perciocché la sua è predicazione di un Dio, comprovata dai più strepitosi miracoli, e tutto ciò che Egli insegna agli altri, lo mostra prima praticato in se stesso nel grado più perfetto, e i premi che promette agli esecutori dei suoi insegnamenti e precetti, non si riducono a ricompense temporali, incerte e chimeriche, ma a ricompense spirituali, eterne e sicure. Né è la mente soltanto, che Egli prende a ristorare, ma con la mente altresì il cuore. Perciocché daimeriti infiniti della sua passione e morte trae fuori quegli immensi tesori di grazia, che scendono sul cuore degli uomini per i canali dei Santi Sacramenti, lo saneranno da tutte sue infermità, gli daranno la vera vita e lo rinforzeranno in ogni età e in ogni stato a combattere le inclinazioni della corrotta natura, e a mantenersi degno della compiacenza di Dio. Ah senza dubbio, anche dopo l’incarnazione dì Gesù Cristo, la miseria dell’errore e della corruzione ha continuato e continua ad esistere, ma non è già perché Gesù Cristo non abbia recato sulla terra ciò che era atto a toglierla, egli è bensì perché molti tra gli uomini hanno continuato e continua tuttora ad opporsi sciaguratamente alla sua opera di ristorazione. Che se tutta l’umanità riconoscendo l’immenso beneficio che Gesù Cristo, con la sua Incarnazione venne a farle, aprisse tutto il suo cuore ben disposto a goderne i frutti, la miseria del peccato, per virtù del Verbo Divino fatto Carne, non esisterebbe più in alcun angolo della terra e regnerebbe da per tutto la ricchezza della grazia. Quanto grande adunque è la prova d’amore, che ci ricorda il Simbolo del Sacro Cuoreparlandoci del mistero della divina Incarnazione!

III. — Ma per tal guisa, questo Sacratissimo Cuore, oltre al dirci che Gesù Cristo si è incarnato per operare la nostra redenzione e per togliere la nostra miseria, ci dice ancora in terzo luogo, che Gesù Cristo si è incarnato per esaltare la nostra natura. Ed invero, fin dalla creazione di Adamo Iddio aveva fatto dell’uomo un essere grande. Perciocché raccogliendo nel suo corpo gli elementi dispersi in tutte le altre creature della terra, ne fece come un compendio ammirabile di tutte, opperò a tutte superiore. Dotandolo poi di un’anima spirituale, intelligente e libera, con cui lo potesse conoscere, amare e servire, lo rese di poco inferiore agli Angeli stessi del Cielo, che sono puri spiriti, e per tal guisa l’uomo non fu più solamente un compendio delle creature terrene a lui inferiori, ma un insieme, più ammirabile ancora, delle creature terrene e delle creature angeliche. Sì, dice S. Gregorio Nazianzeno, l’uomo divenne come la pietra angolare, il centro misterioso, il rappresentante reale di tutto ciò che è stato creato e in cielo e in terra. Quale grandezza! Ha ben ragione il reale salmista di esclamare: Signore, nel tuo immenso amore per l’uomo lo hai coronato di onore e di gloria: Gloria et honore coronasti eum, Domine. (Ps. VIII, 6) Ma per il mistero dell’incarnazione divina l’uomo, già così grande fin dalla sua creazione, fu esaltato immensamente di più. – Avendo il divin Verbo stabilito di redimere il genere umano, di scendere perciò alla condizione delle sue creature, poteva senza dubbio, secondo l’insegnamento di S. Paolo, assumere natura angelica. Gli Angeli del paradiso, come dicono i santi Dottori e specialmente S. Tommaso, non sono, come l’uomo, individui di una stessa specie, ma ciascuno di essi istituisce una specie a sé, perciocché ciascuno differenzia dall’altro per intelligenza e bellezza, e tutti perciò sono l’uno più bello e più intelligente dell’altro. Ora quale degnazione avrebbe avuto Iddio, se per operare il mistero della redenzione  nostra, si fosse fatto simile al più bello ed al più intelligente degli Angeli! Sarebbe stata pur sempre una degnazione infinita, essendo pur sempre infinita la distanza, che passa tra il Creatore e la creatura, per quanto la più sublime. Ma Iddio, non solo non elesse di farsi simile all’Angelo più bello e più intelligente, ma neppure di farsi simile all’infimo di essi. Egli volle discendere tutta la scala delle creature ragionevoli ed arrivare fino all’uomo, incarnandosi e facendosi uomo ancor esso: Nusquam, angelos apprehendit, sed semen Abrahæ; (Hebr. II, 16) alla natura angelica ha preferito larazza di Abramo, la natura umana. Quale riguardo per l’uomo, quale amore! e quale elevatezza per la sua natura! Giacché, intendiamolo bene, pel mistero dell’Incarnazione la carne, che Gesù Cristo ha preso, è la carne nostra, la forma è la forma nostra, la vita è la vita nostra! Ecco adunque spiegato, secondo S. Paolo, il motivo, per cui Iddio alla creazione dell’uomo parve attaccare una speciale importanza ed applicavisi con una speciale attenzione; il primo Adamo era la figura del secondo, cioè di Gesù Cristo: Adæ, qui est form futuri; (Rom. V, 14) Gesù Cristo nel venire a compiere il grande mistero della redenzione avrebbe preso le sembianze dell’uomo, si sarebbe rivestito di un corpo umano.Ma ciò non è ancor tutto. Gli Angeli del Paradiso creati come l’uomo per l’eterna beatitudine, prima di essere ammessi definitivamente alla medesima dovettero sottostare ancor essi ad una prova. Ora lasciando pure da parte, che questa prova, secondo la più comune sentenza dei sacri dottori, dovette consistere nell’adorazione del divin Verbo Incarnato, che Iddio mostrò alle loro intelligenze nella pienezza dei tempi, il certo sì è che senza l’aiuto della grazia divina, nessuno di loro avrebbe potuto vincere la prova; e questa grazia non è loro mancata. Ma donde venne loro, se non da Gesù Cristo, Verbo Incarnato? Sono i meriti suoi, acquistati nella natura umana e resi di valore infinito dalla natura divina, che acquistarono tutte le grazie, che aiutano, adornano ogni creatura e la rendono degna della compiacenza di Dio. Epperò tutti gli Angeli del cielo, che sottostettero alla prova per loro da Dio stabilita, non lo fecero altrimenti se non mediante la fiducia nei meriti di Gesù Cristo, unito alla natura umana e fatto uomo. Il che ha fatto dire a S. Bernardo, che il medesimo Gesù Cristo, fu il Salvatore dell’uomo, fu ancora il Salvatore dell’Angelo: Idem quippe et angeli Salvator et hominis; (Serm. 1 de circum.) non già redimendoli dal peccato di Adamo, che non ha certamente potuto penetrare là dove non vi fu la generazionisua razza, ma aiutandoli colla sua grazia a non cadere, che, come spiega altrove, quel medesimo Gesù Cristo, il quale con la sua mano pietosa ha sollevato l’uomo dalla sua caduta, ha impedito all’Angelo di cadere, quello stesso Verbo incarnato, che ha spezzate le catene del servaggio dai polsi dell’uomo, ha impedito all’Angelo che diventasse schiavo. Così adunque l’umana natura per il mistero della divina Incarnazione non solamente è divenuta partecipe della natura divina, ma per sovrappiù ha servito ad apportare la grazia di salute a tutte le creature intelligenti, e agli uomini e agli Angeli. Poteva adunque essere sollevata a maggiore altezza? Ma finalmente pel mistero della divina Incarnazione l’umana natura divenne capace di rendere a Dio quell’onore infinito e quella infinita gloria, che gli sono dovuti. Qualunque creatura per quanto innocente, pura e perfetta, non avrebbe potuto giammai né onorare né amare Iddio come merita di essere onorato ed amato, perché per la condizione sua di creatura si sarebbe trovata mai sempre ad una distanza infinita dal Creatore. E per tal guisa mancando la creatura capace di rendere a Dio il culto proporzionato alla sua maestà e alla sua grandezza infinita, Egli sarebbe rimasto privo della gloria esterna di questo culto. Ora, sebbene Iddio sia infinitamente beato in se stesso, né abbia bisogno alcuno della gloria accidentale, che gli può venire dalle sue creature, non vi può tuttavia siccome Creatore rinunziare. E dunque, come gli sarà resa in quella misura, che gli si conviene? Come mai l’uomo, ente finito, potrà rendergli un onore e una gloria infinita? Questo mezzo ineffabile, che nessuna mente creata non avrebbe potuto immaginare giammai, l’ha trovato Iddio con la sua sapienza infinita e l’ha operato colla sua virtù, col mistero chiamato dal profeta (Hab. III, 2) l’opera di Dio per eccellenza: Opus tuum, e dall’Apostolo il capolavoro della sapienza e virtù di Dio: Dei virtutem et Dei sapientiam, (I Cor. I, 24) il mistero cioè dell’Incarnazione del Verbo. Per questo mistero si può dire: Un Dio è uomo, ed un uomo è Dio; ed in Gesù Cristo Verbo Incarnato, le cui azioni sono umano-divine, Iddio riceve dall’uomo un culto veramente infinito, perché l’uomo, che gli rende un tal culto, non è uomo soltanto, ma è pur vero Dio. Anzi siccome Gesù Cristo col mistero della divina Incarnazione è venuto a renderci figli di Dio, epperò suoi fratelli, e compartecipi delle sue grandezze, perciò tutti coloro, qui sunt in Christo Jesu, (Rom, VIII, 9) che sono incorporati a Gesù Cristo per mezzo della grazia, e formano le sue vive membra per l’efficacia dei meriti infiniti di Gesù Cristo applicati alle loro opere, anche nella più piccola di esse, rendono essi medesimi a Dio un onore infinito, del quale Iddio non può non infinitamente compiacersi. O grandezza, o dignità, o potenza veramente sublime, a cui l’uomo fu esaltato pel mistero della divina Incarnazione! Sì, il Cuore di Carne del divin Redentore ci predica una delle prove più grandi del suo amore per noi! Ma intanto se per questo mistero noi siamo sollevati ad una dignità così grande, e siamo fatti partecipi della divina natura, oseremo tralignare alla viltà della nostra antica origine? Per questo mistero avendo noi la carne, che Gesù Cristo ha divinizzata, ci sentiremo noi l’ardire di farla carne di peccato? Ah! no, o caro Gesù, noi vogliamo d’ora innanzi comportarci in modo degno della nostra grandezza; vogliamo d’ora innanzi rispettare il nostro essere, da voi sì altamente elevato; e per non dimenticare giammai questo sacrosanto dovere fisseremo sovente il nostro sguardo sopra il vostro Cuore adorabile, che così efficacemente ci simboleggia e ci ricorda l’amore che voi ci avete portato nel mistero della vostra Incarnazione. Aiutateci con la vostra grazia a conseguire da tale considerazione il frutto che desideriamo, cioè di non contaminare più mai il nostro essere con la macchia del peccato, ma di conservarlo invece adorno di quella grandezza e di quella beltà, di cui voi l’avete arricchito, e per cui speriamo renderci degni per sempre della vostra compiacenza.


LA COMUNIONE SPIRITUALE

[G. B. Scaramelli: DIRETTORIO ASCETICO, Trattato Primo

NAPOLI, LlBRERIA E TIPOGRAFIA SIMONIANA. Strada Quercia nº. 17. 1839.]

– CAPO VII.

Si parla brevemente della comunione spirituale, con cui devono le persone spirituali industriarsi di supplire alla mancanza delle comunioni sacramentali.

441. Giacché pochi son quelli, come ho già detto, a cui possa giustamente concedersi di ricever ogni giorno il Corpo Santissimo di Gesù Cristo sacramentalmente sotto le specie del pane; devono almeno tutti industriarsi di riceverlo spiritualmente con la comunione che chiamasi spirituale. Questa, dice S. Tommaso, consiste in un vivo desiderio di prendere il Santissimo Sacramento. Dicuntur baptizari, et communicari spiritualiter, et non sacramentaliter illi, qui desiderant hæc Sacramenta jam instituta sumere. (3 p. qu. 21, alias 8o, art. 1, ad 3.). E nell’articolo seguente: (in corp. Contingit spiritualiter manducare Christum, prout est sub speciebus hujus Sacramenti inquantum scilicet aliquis credit in Christum, cum desiderio sumendi hoc Sacramentum. Allora accade, dice l’Angelico, che alcuno mangi Spiritualmente Gesù Cristo ricoperto dalle specie sacramentali, quando crede in Cristo con desiderio di riceverlo in questo sacramento. E questo non solo è un ricevere spiritualmente Gesù Cristo, ma è un ricevere spiritualmente lo stesso Sacramento. Se queste brame siano molto fervide, e molto accese, la comunione fatta in spirito sarà tal volta più fruttuosa e più cara a Dio, che molte altre Comunioni reali fatte con tiepidezza, non per difetto del Sacramento, ma di chi freddamente lo riceve. S. Caterina da Siena, come si legge nella sua vita, bramava sì ardentemente di unirsi al suo Sposo sacramentato, e per la vivezza dei suoi desideri cadeva in dolci deliqui, e sollecitava il Beato Raimondo suo confessore a comunicarla per tempo su i primi albori del giorno, temendo di rimanere estinta dall’impeto delle sue brame. Gradiva tanto Gesù Cristo queste ansie amorose della devota Verginella, che una mattina, mentre il detto Raimondo celebrava la santa Messa, nell’atto di frangere l’Ostia sacra, ſe’ sì che gliene volasse dalle mani una parte; e andasse a posarsi su la lingua della santa, che si trovava presente al sacrifizio, e in questo modo appagò il signore i ferventi desideri della sua sposa. (S. Anton. 3 par. Chron. tit. 23, c. 14, S. 8.). Un simile avvenimento accadde in Venezia ad una Monaca avida della santa comunione. (Ber. Just. in ejus vita c. 8.). Non potendo questa comunicarsi nella solennità del Corpus Domini, mandò a significare al gran Patriarca S. Lorenzo Giustiniano il suo desiderio, ed a pregarlo, che almeno in tempo del santo sacrifizio la raccomandasse al Signore. Or mentre il santo celebrava a tutto il popolo la santa Messa in pubblica Chiesa, la detta Monaca se lo vide entrare nella sua cella con la santissima Eucarestia, e presentarle di propria mano il corpo santissimo del Redentore. Se poi questo accadesse replicandosi il santo in due luoghi o comparendo in ispirito dentro il monastero, non si sa. Due cose sole si sanno di certo: la prima che celebrando il santo non partì dall’altare; ma solo dopo l’elevazione dell’Ostia sacra fu veduto starsene lungamente estatico, ed alieno affatto da sensi: la seconda che interrogato su questo fatto, non lo negò, ma solo impose a chi n’era consapevole un rigoroso silenzio. Ho voluto tutto ciò riferire, acciocchè si veda quanto piacciono a Gesù Cristo queste comunioni spirituali: mentre opera talvolta miracoli, per unirsi realmente allo spirito di chi ardentemente la brama. – 442. Or queste comunioni spirituali possono farsi più volte, anzi cento volte in ciascun giorno con gran profitto: perché può l’anima devota spesso slanciarsi con l’affetto in Gesù sacramentato, e desiderare di riceverlo nel suo cuore, e d’incorporarsi col suo corpo santissimo. S. Ignazio Martire, scrivendo ai romani, dice loro così: Non voluptates hujus mundi desiderio; sed panem Dei, panem cœlestem, panem vitæ, qui est caro Jesu Christi Filii Dei vivi, et potum volo sanguinem eius, qui est dilectio incorruptibilis, et vita æterna. Io non bramo, diceva il santo martire, i piaceri vani, e caduchi di questo mondo: solo bramo il pane celeste, il pane divino, il pane di vita, che è la carne di Gesù Cristo, figliuolo di Dio vivo. Solo bramo quel sangue, che è un distillato di amore, ed un estratto di eterna vita. Nello stesso modo può la persona spirituale andar dicendo tra giorno, mentre le si presentano alla vista gli oggetti frali di questa terra, all’apparenza preziosi, deliziosi, e vaghi: Non voluptates hujus mundi desidero, sed panem Dei, panem coelestem, panem vitæ. Io non curo le delizie, le ricchezze, le bellezze, che dona il mondo ai suoi seguaci. Solo desidero ricevere il mio Gesù, che è le delizie degli angeli, che è un tesoro di ricchezze inesausto, che è un fiore di ogni bellezza. Solo bramo partecipare di quel corpo glorioso, che con la gloria del suo volto beato rallegra il Paradiso; di quel sangue, che fu tutto sparso per me; di quell’anima che per me spirò sulla croce; e di quella divinità, che è scaturigine di ogni bene. Cibus meus Christus est, et ego eius: come dice S. Bernardo: (Serm. 61 in Cant.). il mio cibo sia Gesù, ed io il suo: perché egli brama incorporarsi con me, ed io con Lui in questo divinissimo Sacramento. Con questi desideri aderà la persona rinnovando ad ogni ora comunioni spirituali, le quali tanto saranno più perfette, e tanto più profittevoli, quanto sanno più fervidi i suoi affetti verso Gesù Sacramentato.

443. Bisogna però almeno una volta al giorno fare questa comunione spirituale posatamente, a bell’agio, e con speciale apparecchio, acciocchè riesca con maggior divozione, e profitto, e in qualche modo compensi gli effetti della comunione sacramentale. Né per far questo v’è tempo più opportuno di quello, in cui si assiste al santo Sacrifizio della Messa; mentre può allora la persona unirsi col sacerdote a ricevere con l’affetto quel cibo divino, ch’egli riceve in effetto. Faccia dunque ella prima un atto di contrizione, e con esso ripulisca la stanza del suo cuore, dentro cui brama che venga a riposarsi il suo Signore. Poi avvivi la fede circa la presenza reale di Cristo nel santissimo Sacramento. Consideri (come abbiamo detto di sopra, parlando della comunione sacramentale) la grandezza, e la maestà di quel Dio, che sta nascosto sotto il velo di quegli accidenti eucaristici: ponderi quel grande amore, e quella somma bontà, per cui non solo non disdegna, ma brama di unirsi Seco: rifletta alla propria piccolezza, ed alle proprie miserie. Quindi seguano affetti misti di umiliazione, e di desiderio: di umiliazione in riguardo alla propria indegnità, di desiderio in riguardo alla infinita amabilità del suo Signore. Poi vedendo, che in quella mattina non è a lei permesso di unirsi realmente con esso Lui, per mezzo della comunione sacramentale; si abbandoni con l’affetto, e con Lui si unisca col vincolo d’un amore quieto, posato, e tranquillo; finalmente prorompa in affetti di ringraziamenti, e di lodi poiché se Gesù Cristo non è venuto effettivamente nel suo seno, non è rimasto da lui, giacché egli era pronto, anzi quanto è dal canto suo bramava questa congiunzione di amore con grande ardore di carità. Gli chieda quelle grazie, di cui si conosce necessitoso, e faccia quegli altri atti, che è solito di fare dopo le sue comunioni. Oltre l’utile, che di presente gli risulterà da tali comunioni di spirito, gliene proverrà anche questo vantaggio: che si troverà dispostissimo ad accendersi in divozione, qualunque volta avrà da accostarsi alla mensa Eucaristica, per cibarsi realmente delle carni santissime del Redentore. Poiché siccome un legno, che si conservi sempre caldo, e sempre disposto ad infiammarsi alla presenza del fuoco: così un cuore, che si mantenga sempre caldo di amore verso Gesù Cristo sacramentato, è facile a concepire fiamme di carità, avvicinandosi a quella fornace di amore, che arde sempre nel santissimo Sacramento.

444. Voglio aggiungere un fatto, in cui non solo vedrassi quanto siano accette al Redentore queste comunioni spirituali: ma an che il modo, con cui bisogna ad esse apparecchiarsi, acciocché gli riescano più gradite. Riferisce il padre maestro Giovanni Nider del l’ordine venerabile dei Predicatori, (in Formic. lib. 1, cap. 1) che nella città di Nuremberga v’era un uomo plebeo di nascita, ma di costumi illibato, di natura semplice, proclive alla pietà, dedito alla meditazione della passione del Redentore, alle opere di carità, ed alla macerazione del proprio corpo. Bramava questo ardentemente comunicarsi; ma non essendo nella sua patria in uso tra gli uomini la frequenza dei Sacramenti, non si arrischiava ad accostarsi alla sacra mensa, per non parer singolare, e per non essere dalla gente mostrato a dito.  Con tutto ciò sapendo, che Iddio gradisce non solo le opere buone, ma anche la buona volontà, procurava di supplire alle comunioni sacramentali con le comunioni fatte spiritualmente coi santi desideri. Avvicinandosi pertanto quei giorni, in cui avrebbe voluto comunicarsi, si preparava precedentemente con l’astinenza del cibo. La mattina poi se la passava in sante meditazioni, e in esse tutto s’infiammava in desideri del sacro cibo: ripuliva la coscienza con un’esatta confessione d’ogni suo mancamento, assistendo finalmente alla santa Messa si univa col sacerdote con tanto affetto, che nell’atto della comunione quasi che si avesse a comunicare anch’esso, si chinava profondamente, si percuoteva il petto, e apriva la bocca per ricevere la sacrosanta particola. Cosa veramente ammirabile! Nell’atto di aprire la bocca sentiva portarsi su le labbra l’Ostia sacra, e ad un tempo stesso diffondersi per tutto lo spirito una ineffabile soavità. Così Iddio premiava la viva fede: così saziava la santa fame di questo suo fedelissimo servo. Una mattina però quasi non credendo a se stesso, ed alle proprie esperienze, pose un dito nella bocca, per far prova col tatto della mano, s’era vero ciò, che pure esperimentava col tatto della lingua, e col sapore dello spirito; e in quel toccamento rimase al dito attaccata la sacra particola. Onde sempre più certificato del vero, la prese nuovamente con le labbra, e devotamente l’ingoiò.  – Non piacque però a Dio quell’atto non decente a persona secolare, e la poca fede, che in quell’atto aveva dimostrato: e perciò non tornò più il Signore a visitarlo, come aveva fatto per il passato con un sì prodigioso favore, quantunque per altro mantenesse sempre verso il santissimo Sacramento lo stesso sentimento di divozione, e di culto, e perseverasse sempre costante nello stesso tenore di vita santa. Apprenda dunque il lettore dagli altrui esempi ad affezionarsi a queste comunioni spirituali, ed a premetter loro, almeno una volta il giorno, qualche decente apparecchio, acciocchè riescano a Gesù Cristo più gradite, e ad esso più giovevoli. E apprendano i direttori ad insinuarle ai loro penitenti, e a consolare con essa la fame di queste anime buone, che vorrebbero accostarsi alla sacra mensa più spesso di quello che loro conviene.

DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ (14): Le altre promesse del Sacro Cuore

DISCORSO XIV.

Le altre promesse del Sacro Cuore di Gesù.

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ, S. E. I. Ed. Torino,1920Imprim. Can. F. Duvina, Torino, 19 giugno, 1920]

La fecondità meravigliosa della parola divina, che trovasi nei Santi Libri, è tale che anche i racconti in apparenza insignificanti racchiudono in sé dei grandi misteri, e delle importantissime figure. Tale ad esempio è il fatto, che si legge nel libro dell’Esodo. Avviandosi il popolo ebreo per il deserto alla terra promessa, non trovava acqua per estinguere l’ardente sua sete. Ma Iddio mosso a compassione di quel popolo, non ostante i suoi grandi demeriti, disse a Mosè: « Accostati alla pietra di Horeb e percuotila con la verga, con cui un giorno percuotesti il fiume Nilo, cangiandone l’acqua in sangue, ed io sarò con te con la mia virtù e l’acqua scaturirà dalla pietra perché il popolo possa bere. » Mosè fece come il Signore gli aveva detto, e da quella pietra sgorgò una fonte di acqua così abbondante, che tutto il popolo ebreo poté dissetarsi. Ora in questo fatto bensì sommamente miracoloso, ma in apparenza di ben poco significato, l’apostolo S. Paolo ha invece ravvisato il più grande di tutti i misteri, il mistero di Gesù Cristo, Redentore del mondo, il quale siccome pietra collocata in mezzo a tutti i secoli, per sua propria virtù ha fatto da sé scaturire l’acqua di grazia per gli uomini di tutti i tempi. Perciocché è alla grazia che scaturisce da una tal pietra, che tutti dovettero e devono bere per non perire miseramente nel viaggio, che da tutti si compie alla terra promessa del Paradiso; gli uomini dell’antica legge con la fede, con la speranza e con l’amore in Lui che doveva venire, quelli della legge nuova con la fede, con la speranza e con l’amore in Lui già venuto. – Or bene, in sulla scorta di S. Paolo, noi possiamo altresì in questa pietra miracolosa riconoscere una figura particolare del Sacratissimo Cuore di Gesù. Ed invero non è forse toccando questo Cuore con la verga della sua divozione, che noi possiamo farne scaturire le grazie più abbondanti e quelle specialmente che ci abbisognano nel faticoso cammino verso la nostra patria? Sì, o miei cari, lo stesso Gesù Cristo ci ha ammaestrati di questa consolantissima verità. Con le promesse da Lui fatte ai devoti del suo Cuore, egli in certo modo ha detto loro quel che un giorno il Signore disse a Mosè: Percuotete col vostro amore, con le vostre preghiere, con le vostre pratiche di pietà la pietra tenerissima del mio Cuore, ed uscirà da essa la grazia di ogni più eletta benedizione. Ed in vero, oltre ai vantaggi già così grandi, che in questa divozione abbiamo riconosciuto ieri, dobbiamo oggi riconoscerne altri più grandi ancora, espressi in queste altre magnifiche promesse di Gesù Cristo ai devoti del suo Cuore:

Darò grazie convenienti ai peccatori, ai tiepidi, ed ai fervorosi.

Sarò loro rifugio in vita e specialmente nell’ora della morte.

Scriverò i loro nomi nel mio Cuore, onde non saran mai più cancellati.

I. — Anima della vita umana è la speranza. Se la bella luce del sole cessasse di illuminare la terra, che abitiamo, ei sembra che in questo mondo non potremmo più vivere. Eppure noi vivremmo più facilmente senza la luce del sole, che non senza quella della speranza. Di tutti i bisogni nostri speranza è il più profondo, il più forte, il più costante, il più universale. Se la speranza non risplendesse sopra la culla del neonato, si maledirebbe alla sua venuta al mondo; se la speranza non ci sorreggesse negli anni giovanili, rifuggiremmo con orrore dall’entrare nella virilità: se la speranza non ci confortasse nelle sventure e sul declinar degli anni, si spezzerebbe senz’altro la catena insopportabile della vita. Insomma, tale è il bisogno della speranza che, piuttosto che non averne accettiamo persino il suo fantasma, quello che ci viene messo innanzi dall’illusione; e tanto la speranza fa parte essenziale della nostra vita terrena, che il luogo dove essa è irrevocabilmente sbandita, non è più terra, ma inferno. Ma se il bisogno della speranza provasi così grave in ogni circostanza della vita, vi ha un caso poi, nel quale provasi più grande che mai, quando cioè l’uomo ebbe la sventura di commettere un delitto. Allora questo solo può recargli conforto, la speranza di essere perdonato se non del tutto, almeno in parte, perché quando questa speranza non anima più un colpevole, egli allora abbandonandosi alla disperazione si sente il più infelice degli uomini. Eppure, o miei cari, è questa una terribile verità, che con l’esperienza della vita si apprende, che tra gli uomini cioè, per quanto vi siano delle tanto più nobili, tanto più rare eccezioni, pochi assai perdonano e perdonano assai poco. Ti si ha un bel dire, che sei stato perdonato di tutto, tu hai un bell’adoperarti a riparare la tua colpa, nell’agire dell’offeso o del rappresentante della legge offesa, ahi! Troppo facilmente tu tocchi con mano, che il tuo delitto non fudimenticato, ciò che ti costringe ad abbassare umiliata la fronte. Ma viva Dio! se tale è il cuor degli uomini, tale non è il Cuore di Gesù Cristo. Hai tu peccato? E chi è che non abbia peccato? Se noi, dice l’apostolo S. Giovanni, se noi dicessimo di non aver peccato, faremmo bugiardo Iddio stesso, il quale ha asserito, che perfino il giusto cade nella colpa: Si dixerimus quoniam non peccavimus, mendacem facimus eum. (I Jo. I, 10) E se tu hai peccato, certamente devi paventare la divina giustizia, come la paventarono i Santi dopo una lunghissima vita passata nelle più aspre penitenze. Ma per quanto tu abbia peccato, avessi pure commesse tutte le colpe del genere umano da che esso esiste e fino a quando esisterà, pentendoti sinceramente delle tue colpe, più ancora che paventare la divina giustizia, tu devi confidare nella divina misericordia, e ritenere che Iddio è pronto a perdonarti di tutto ed a cancellare interamente ogni tua iniquità. Sì, non solo tu puoi avere una tale speranza, ma la devi avere, perciocché Iddio nella sua infinita bontà è arrivato a tal punto da comandartela espressamente. Ma quanto più viva ancora, o povero peccatore, deve farsi in cuor tuo la speranza, se prendi ad essere devoto del Sacro Cuore di Gesù. A tutti gli altri motivi che valgono a vivificartela, questo si aggiunge della parola da Lui data: « I peccatori troveranno nel mio Cuore l’inesauribile sorgente delle misericordie. » Or dite, o miei cari, non è questo uno dei più consolanti vantaggi della divozione al Sacro Cuore di Gesù? Animo adunque, o poveri peccatori, oppressi dal pensiero delle vostre passate e numerose colpe, datevi alla devozione del Cuore di Gesù Cristo, e per essa aprite il vostro cuore alla più dolce speranza del perdono. L’Apostolo S. Pietro, vinto dal timore, rinnegò tre volte il suo divino Maestro nella notte della sua passione. Ma Gesù Cristo, passando vicino a lui, non fece altro che volgergli un’occhiata amorosa e compassionevole. E quell’occhiata bastò a cangiare gli occhi di Pietro in due fonti perenni di lagrime, sì che il pianto gli venne formando come due solchi sopra le guance. Ora, se anche voi avete rinnegato Gesù Cristo e invece di tre volte, ben anche tre milioni di volte, con la divozione al Sacro Cuore di Gesù mettetevi vicini a Lui, sì che Egli possa guardare ancor voi, e non dubitatene, lo sguardo di Gesù misericordioso opererà anche in voi lo stesso effetto che in S. Pietro, ed anche voi vi darete volentieri a versare lagrime per i vostri peccati, anche voi li andrete espiando e rendendovi sempre più sicuri di essere stati perdonati. – Ma supponiamo ora, che dopo d’avere pur troppo commessi dei gravi peccati, abbiamo vinta ogni difficoltà, ci siamo gettati con fiducia nel Cuore Santissimo di Gesù Cristo, e con una santa Confessione ne abbiamo ottenuto il perdono. Non potrebbe essere tuttavia, che ci fossimo intiepiditi assai dal primo fervore, che accompagnò la nostra conversione? E questo non sarebbe per noi un grave pericolo? Lo stato di tiepidezza è quello, in cui un’anima per tranquillizzarsi sulle colpe che commette, dice a sé medesima, che se non fa tutto il bene che dovrebbe fare, non fa neppure tanto male; che se trasgredisce certi suoi particolari doveri, non giunge però sino a violare i precetti di Dio, e che se non ha grandi virtù, non ha neppure alcun vizio. In altri termini la tiepidezza è un stato di determinazione nella condotta a trascorrere leggermente sulle colpe comuni ed ordinarie, a commetterle senza pena, a moltiplicarle senza rimorsi, a parlare senza circospezione, a mormorare senza scrupolo, a confessarsi senza emendazione, e comunicarsi senza fervore ed a non darsene pena, non si vede altro male che di non ricavarne alcun frutto. Or chi sa dire quanto dispiaccia a Dio? Lo ha dichiarato Egli medesimo nella maniera più formale. L’anima tiepida, Egli disse, gli diviene così insopportabile, che lo provoca ad una specie di vomito. Quia tepidus es… incipiam te evomere ex ore meo. (Ap. III, 16) Egli non la rigetta ancora, ma comincia a rigettarla, allontanandosi da essa. Dal che si vede che la tiepidezza è un principio di riprovazione, che è uno stato infinitamente pericoloso, dal quale perciò importa sommamente uscir fuori. Or bene, ecco un altro vantaggio della divozione al Sacro Cuore di Gesù: per questa divozione, come promise il divin Cuore, « le anime tiepide diventeranno ferventi. » Coraggio adunque, o povere anime, che vi siete intiepidite nella via del bene. Cominciate da parte vostra a pigliare i mezzi necessari per liberarvi dallo stato di tiepidezza, in cui siete cadute; e cioè considerate il vostro pericolo, ricercate le cause del vostro male, datevi una santa scossa e risolvete di combatterle col primiero fervore; e poi affidatevi al Cuore Santissimo di Gesù e ditegli ripetutamente con tutta fiducia: « O Cuore Santissimo, voi che siete onnipotente, ben potete mutarmi. Mutatemi adunque, e da trascurato e tiepido, quale io mi sono nel vostro divino servizio, rendetemi secondo la vostra promessa tutto sollecito e ardente. Questa è ora la grazia, che vi domando; fatemi tutto vostro, perché  non pensi più ad altro che a vivere per voi. » Ed il Cuore di Gesù non lascerà certamente di esaudire la vostra preghiera. Se non tutto ad un tratto, a poco a poco vi darà la forza di vincere i vostri mancamenti, a poco a poco rinnoverà il vostro cuore ed il vostro spirito, sicché possiate di nuovo riprendere slancio nella via della virtù e camminarvi a passi di gigante. Ma supponiamo in fine di essere per la grazia di Dio nel numero di quelle anime fortunate, che si chiamano giuste. Crediamo perciò di avere già sicura nelle mani la palma dell’eterno trionfo? Per tal guisa noi ci inganneremmo a partito. Fino a che ci rimane un fiato di vita noi corriamo pericolo di venir meno anche nella più elevata santità e perdere ad un tratto i meriti più abbondanti. Ci è indispensabile la perseveranza, perché solamente colui che avrà perseverato sino alla fine sarà salvo. Anzi non solo ci è necessaria la perseveranza nel bene, ma ci è d’uopo crescere in essa ogni giorno più. Il nostro morale perfezionamento è una legge espressa chiaramente nelle Sante Scritture: Chi è giusto, si faccia più giusto; chi è santo si faccia ancor più santo: Qui iustus est, iustificetur adhuc, et sanctus sanctificetur adhuc. (Ap. XX, 11) E la pratica di questa legge è necessaria al punto, che la sua inosservanza può condurre alla più fatale rovina, perciocché chi non attende a rendersi più virtuoso, non resta nello stesso grado di virtù, ma indietreggia spaventosamente nella via del vizio. Lo diceva già Salomone: Iustorum semita quasi lux erescit usque ad perfectum diem; via impiorum tenebrosa, nesciunt ubi corruant. Il cammino dei buoni si avanza sempre, come si avanza la luce dell’aurora sino al giorno perfetto; all’incontro la via dei tristi sempre più diventa ingombrata da tenebre, sino a che i miseri si riducono a camminare senza sapere dove vanno a precipitarsi. (Prov. IV, 18) Anche S. Agostino disse chiaro, che il non andare avanti nel cammino della virtù è la stessa cosa che tornare indietro. E S. Gregorio spiegò questa verità col dire che come chi stando nel fiume dentro d’una barchetta, e non curando di spingerla contro la corrente, necessariamente va indietro, dalla stessa corrente trascinato, così l’uomo dopo il peccato di Adamo, rimasta naturalmente fin dal suo nascere inclinato al male, se egli non si spinge avanti, e non si fa forza per rendersi migliore di quello che è, dalla stessa corrente delle sue concupiscenze sarà portato sempre indietro. Ed ecco perché si videro alle volte dei giusti, i quali arrivati quasi all’apice della santità, rallentatisi poscia nella via del bene, a poco a poco divennero pessimi sino ad essere lo scandalo altrui. – Or dunque come potremo facilmente perseverare e perfezionarci nel bene? Con la divozione al Sacro Cuore di Gesù! Questo Cuore, così ricco di bontà, dopo aver promessa la misericordia ai peccatori, che si vogliono convertire, dopo aver promesso il fervore alle anime tiepide, promise ancora il progresso alle anime ferventi: « Queste anime, Egli disse, faranno rapidi progressi nelle vie della perfezione. » Ecco adunque, anime giuste, dove voi pure dovete riporre ogni vostra fiducia. Gettatevi nel Cuore Santissimo di Gesù Cristo e racchiuse in questa arca benedetta non solo non patirete alcun danno per la vostra giustizia, ma la renderete ogni giorno più grande.

II. — Se non che, domanderete voi, in quale maniera il Sacratissimo Cuore di Gesù darà compimento a queste sue promesse, fatte a vantaggio dei giusti, dei tiepidi e dei peccatori, suoi devoti? Con l’adempierne un’altra, vi rispondo io, espressa in queste dolcissime parole: « Sarò loro rifugio in vita e specialmente nell’ora della morte. » – Pur troppo, ben giustamente la nostra vita fu chiamata una milizia: Militia est vita hominis. (Iob. VII, 1) Non appena noi siamo giunti all’età, in cui si può discernere il bene dal male, sentiamo farsi viva dentro di noi una lotta. La parte superiore di noi medesimi ci dice essere nostro dovere praticare esattamente quella santa legge, che Dio stesso ha inserito nel nostro cuore e ci ha manifestata con la sua rivelazione. La parte inferiore invece, la nostra carne, i nostri sensi fanno di tutto per ribellarci alla legge divina e trascinarci al peccato, sì che fin d’allora ciascuno di noi deve esclamare con l’Apostolo Paolo: Video aliam legem in membris meis, repugnantem legi mentis meæ et captivantem me in lege peccati, quæ est in membris meis. (Rom. VII, 23) Veggo un’altra legge nelle mie membra che si oppone alla legge della mia mente, e mi fa schiavo della legge del peccato, la quale è nelle mie membra. Ma per più a questa guerra interiore un’altra esteriore si aggiungeda parte del demonio. Vedendo che noi siamo destinati a possedere quella gloria, di dove egli fu precipitato con tutti i suoi seguaci, invidioso della nostra sorte, s’adopera con ogni tensione a trascinar ancor noi nella sua rovina; e a guisa di leone ruggente sempre ne circonda, cercando di divorarci. E non basta ancora! quasi fossero poco gagliardi i suoi assalti,per meglio riuscire nel suo intento, ei si serve dell’opera del suo più fidato ministro, il mondo, che mettendoci innanzi la sua gloria, i suoi onori, le sue ricchezze, i suoi piaceri, tenta ancor esso di indurci al peccato. Oh noi infelici! E potremo noi, con le sole nostre forze, superare tutti questi nemici e riportare vittoria? No certamente; non ostante tutte le brame più gagliarde della nostra santificazione, da cui possiamo essere animati, il certo si è, che la nostra vita per se stessa è da capo a fondo un intreccio ed un abisso spaventoso di debolezze, di miserie, di infedeltà e di incostanza; e se nell’ora del pericolo non abbiamo un rifugio sicuro, ove ripararci, miseramente cadremo. Or ecco dove specialmente i devoti del Cuore di Gesù troveranno non solo il rifugio nei pericoli, mail rinforzo efficace alla loro debolezza, onde poterli superare: nella divozione a questo Cuore Sacratissimo. Esso, come dice S. Bernardo, è il tempio della divinità, l’arca della nuova alleanza, il Santuario delle grazie, dove noi troveremo il riparo ad ogni nostra infermità, lo scampo da tutti i rischi, la forza e la sicurezza del vincere tutti gli assalti nemici. Esso può ben paragonarsi a quella torre di David, edificata coi baluardi, e dalla quale pendevano mille scudi, possente armatura dei forti: Sicut turris David… quæ aedificata est cum propugnaculis, mille clypei pendent ex ea: omnis armatura fortium. (Cant. VI, 4). – Ed invero, ecco quello, che Santa Margherita, così addentro al Cuore di Gesù Cristo, ebbe a scrivere in proposito:« Il cuore di Gesù Cristo è un abisso, dove troverete tutto: è un abisso singolarmente di amore in cui dobbiamo oseppellire ogni amor nostro e in ispecie il nostro amore proprio con i suoi mali affetti, che sono il rispetto umano e il desiderio di innalzarci e contentarci. Se voi siete un abisso di privamento e di desolazione, il divin Cuore è un abisso di ogni consolazione, entro al quale fa d’uopo, che noi ci perdiamo. — Se voi siete un abisso di aridità e di impotenza, andate ad internarvi nel Cuore di Gesù, abisso di potenza e di amore. — Se siete in un abisso di povertà spirituale e spogliati di ogni bene, gettatevi nel Cuore di Gesù: Egli è pieno di tesori, se lo lasciate fare vi arricchirà. — Se siete in un abisso di debolezza, di ricadute, di miserie, andate spesso al Cuore di Gesù, Egli è un abisso di misericordia e di fortezza, Egli vi rialzerà e fortificherà. — Se provate in voi un abisso di superbia e di vana stima di voi stessi, affondatela subitamente nelle umiliazioni profonde del Cuore di Gesù, quel Cuore è l’abisso dell’umiltà. — Se vi trovate in un abisso di ignoranza e dite tenebre, il Cuor di Gesù è un abisso di sapienza e di luce; imparerete singolarmente ad amarlo e far quel solo, che da voi Egli brama. — Se siete un abisso di infedeltà e di incostanza, Gesù lo è di costanza e di fedeltà; inabissatevi in Lui. — Se vi trovate in un abisso di ingratitudine, di agitazione, d’impazienza, di collera, di dissipazione, di malinconia, di turbamento, di timore, di pene. Sempre rifugiatevi nel Cuore di Gesù, e per ogni cosa sprofondatevi in quell’oceano di carità, e non ne uscirete più senza essere stati compenetrati dal fuoco, di cui esso è acceso, come il ferro nella fornace o la spugna caduta in mare è inzuppata dalle sue acque. » Così Santa Margherita. Epperò animati da queste confortanti parole, di che avremo ancora a temere anche nei più furiosi assalti del demonio, del mondo, delle passioni, se noi saremo sinceramente devoti del Sacro Cuore di Gesù? Ah! dobbiamo ben confidare, che Egli sarà sempre il nostro rifugio e la nostra virtù: refugium et virtus; (Ps. XLV, 2) né solamente in vita, ma specialmente al punto di morte. – Allora, dice la sacra Scrittura, sapendo il demonio, che gli rimane poco tempo per fare contro di noi le sue prove estreme, dispiega contro di noi tutto quanto il suo furore. Ci mette innanzi la vista dei peccati commessi nella passata vita, ci presenta il rigore dell’imminente giudizio, e tutto tentando ed ingrossando, cerca di trascinarci nell’abisso della disperazionee dell’impenitenza finale. Ma allora che temeremo noi se siamo stati veri devoti del Sacro Cuore di Gesù? Ah! inq quel pericoloso momento, Egli non solo si farà a soccorrere i suoi devoti moribondi, ma verrà loro spontaneamente dappresso ad essere il loro scudo e ad assicurar loro la vittoria. Perciocché avendoci Gesù lasciato il Sacramento di amore, mentre per noi già si incamminava alla morte, ha pur voluto che questo cibo di fortezza, di gioia e di vita eterna, ci fosse apprestano, quando noi pure fossimo giunti al gran passaggio dell’eternità. Ed allora penetrato ancor una volta nel nostro cuore o non permetterà, che abbiamo ad essere tentati, facendoci godere la calma e la tranquillità più perfetta, o se permetterà a nostro maggior merito la tentazione, ci darà forza as superarla gloriosamente. Consoliamoci adunque, che per quanto sia formidabile il demonio e terribile il suo assalto in quell’ultimo istante della nostra vita, il Cuore di Gesù, terribilis ut castrorum acies ordinata, più terribile di un esercito schierato a battaglia, sarà dentro al nostro petto, e la potenza del solo suo Nome varrà a far fuggire il demonio e a renderci vittoriosi.Ma consoliamoci anche di più, perché non contento di ciò, il Cuore di Gesù in quegli angosciosi momenti allevierà i nostri dolori e renderà meno grave il nostro passo all’eternità. E chi ha letto lo vita di un S. Bernardo, di un S. Luigi Gonzaga, di un S. Filippo Neri, di un S. Stanislao Kostka, di un S. Francesco di Sales, di un S. Alfonso de’ Liguori e di tanti altri Santi, chi ha assistito alla morte di qualche amante di Gesù, non ha bisogno di prove; allora si è toccato con mano, che al devoto del Cuore di Gesù Cristo è veramente dolce il morire. Or dunque è possibile ancora che non si studi ognuno di professare verso il cuore di Gesù la più tenera devozione?Chi trovi grave il fare quegli ossequi che gli tornano tanto graditi: come ascriversi alle sue associazioni, frequentare i Sacramenti, visitarlo ne’ suoi altari, ripararlo degli oltraggiche riceve, portare indosso la sua medaglia o il suo abitino;mettere in onore la sua immagine, consacrargli il venerdìe simili? Ah! fosse pure, ciònon è, che ci riuscissero gravosi tali ossequi, pur tuttavia noi dovremmo compierli conslancio perché riusciamo così ad assicurarci la sua protezionein quel punto, da cui dipende l’eternità!

III. — Ma siano grazie infinite al Sacro Cuore di Gesù! Mediante la sua divozione non riusciremo soltanto ad ottener il suo rifugio in vita e in morte, ma, ciò che è il massimo di tutti i vantaggi, una caparra sicura dell’eterna felicità. Se vi ha cosa, della quale noi siamo nella massima incertezza, senza dubbio quello, che riguarda la nostra eterna destinazione. I giusti ed i saggi, ha detto l’Ecclesiaste, sono sotto l’ombra di Dio e riposano con le opere loro sotto le protezione della sua mano. Ma sebbene sia vero, certo e notissimo, che Egli ama i giusti, è pur sempre dubbioso ed incerto, se un uomo sia veramente giusto dinnanzi a Dio, e per conseguenza, egli sia degno del suo amore o del suo odio, essendo troppo imperscrutabile a se medesimo il cuor dell’uomo; tutto rimane all’oscuro sino al tempo avvenire, cioè sino alla morte, quando Iddio illuminerà le tenebre e manifesterà i consigli del cuore: Nescit homo utrum amore an odio dignus sit, sed omnia in futurum servantur incerta. (Eccl. IX, 1-2). Epperò i Santi medesimi vivono su questa terra, anche con tutte le loro orazioni con tutte le loro penitenze, con tutto i loro digiuni e con tutte loro sante opere, devono sempre ripetere coll’Apostolo Paolo: Nihil mihi conteius sum, sed non in hoc iustificatus sum: qui autem iudicat me Dominus est; (I Cor. IV, 4) quantunque la coscienza non mi riprenda di alcuna cosa, non per questo ho un’infallibile certezza di essere giusto, molte cose potendo esservi nascoste alla mia ignoranza, per le quali, anzi che giusto, io sia peccatore innanzi a Dio. Non quindi è da meravigliarsi, se S. Bernardo, che pure al punto di morte chiese perdono al suo corpo d’averlo troppo maltrattato, così di spesso col capo chino, con la fronte abbattuta, con gli occhi lacrimosi, si andasse interrogando: Che sarà di me? mi salverò io, o mi dannerò? Sarò io cittadino del cielo, o tizzone dell’inferno? – È bensì vero che la Chiesa, affidata al Vangelo di Gesù Cristo ed ai meriti suoi infiniti, ha giustamente condannati quegli eretici crudeli, i quali negando che Gesù Cristo sia morto per tutti, ed asserendo, che una parte degli uomini sono positivamente da Dio destinati a perire per sfoggio della sua giustizia, gettavano l’animo del Cristiano nella più terribile costernazione. È vero ancora, che lo spirito della Chiesa è affatto contrario a quelle esagerate declamazioni, con cui dalle stesse cattedre di verità, interpretando assai poco esattamente le sentenze del Vangelo, sembrano taluni compiacersi di spaventare le anime, riducendo al numero più scarso possibile coloro che si salveranno. Perciocché la Chiesa in una sua bellissima orazione così prega il Signore: « O Dio, al quale solo è conosciuto il numero degli eletti da porre nella superna felicità, ne concedi di grazia, che per intercessione di tutti i tuoi Santi, il libro della beata predestinazione ritenga ascritti i nomi di tutti coloro che prendemmo a raccomandare nella preghiera, e quelli altresì di tutti i fedeli. » Ma sebbene sia verissimo tutto ciò, non lascerà mai di essere della somma importanza la raccomandazione dell’apostolo Paolo: Operate la vostra salute con timore e tremore: Cum metu et tremore salutem vestram operamini; (Philipp, II, 12) e quell’altra del Principe degli Apostoli: Applicatevi con la maggior sollecitudine a rendere certa con le buone opere la vostra vocazione ed elezione: Magis satagite ut per bona opera certam vestram vocationem et electionem faciatis. (II Petr. I, 10). Or bene, desideriamo noi pure, praticando queste raccomandazioni, di vivere con la minore ansietà e con la maggior certezza possibile intorno al nostro supremo destino? Siam devoti del Sacro Cuore di Gesù, e quanto possiamo, con le parole e con l’esempio, animiamo altri ancora a questa divozione, ed allora sarà anche per noi questa rassicurantissima parola di Gesù Cristo: «Di tutti coloro, che si adopereranno a propagare questa divozione, scriverò i nomi nel mio Cuore, donde non saranno giammai cancellati. » Oh promessa la più bella, la più magnifica, la più consolante di tutte! Avere il nome scritto nel Cuore di Gesù per modo che non si cancelli più mai, non vuol dire forse essere già così sicuro del paradiso, come se già si fosse in paradiso? Non vuol dire anzi per di più essere per tutta l’eternità i figliuoli prediletti del nostro celeste Padre? goderne le dolcissime preferenze? Ah! perché non mi è dato di scrivere queste dolcissime parole del Sacro Cuore di Gesù sulle mura di tutte le case, negli angoli di tutte le vie, sui frontoni di tutte le chiese, e più ancora nel cuore di tutti gli uomini? Deh! stampiamole almeno in tutte le anime nostre, e con queste parole in cuore, se finora non fummo devoti del Cuore di Gesù, facciamo di esserlo per l’avvenire; se già lo amavamo ed onoravamo, continuiamo a farlo con un fervore ognor più crescente. Imperciocché il Cuore Gesù è veramente il cuore più generoso e più fedele, e tutte quelle grazie temporali e spirituali, ch’Egli ha promesso ai suoi devoti, le riverserà copiose sopra di noi. Infelice pertanto chi non conosce un Cuore così ricco e così buono, o conoscendolo non gli professa tuttavia quella devozione che esso brama! Ma felicissimo invece colui, che conosce questo Cuore e lo ama, lo risarcisce, lo imita, lo consola! Nella sua divozione avrà trovato la pace e la gioia, qui in terra, ma più ancora la pace e la gioia, che non verran meno giammai lassù in cielo.

O Cuore Sacratissimo di Gesù, quale balsamo soave sono mai all’agitato nostro spirito questi cari riflessi! Noi siamo miseri e deboli, ma voi siete ricco e forte e lo siete per soccorrere alla miseria e alla debolezza dei vostri devoti. Noi siamo circondati da mille pericoli nel corso di nostra vita, ma voi siete infinitamente sollecito nello scamparcene. Noi tremiamo di spavento alla vista della nostra morte, ma voi ci ingenerate nell’animo la più viva fiducia di essere da Voi in quel terribile punto visitati e difesi. Noi raccapricciamo al pensiero dell’eterna nostra sorte, ma Voi ci assicurate, che, essendo veri vostri devoti, ci porterete scritti dentro di Voi stesso e non ne saremo mai più cancellati! Chi di noi adunque non vi onorerà, non vi amerà, non v i servirà, con tutte le sue forze? Ah Cuore dolcissimo, noi ci diamo interamente a Voi, noi siamo tutti vostri: lo siamo ora e vogliamo esserlo per sempre; noi vi onoreremo, vi ameremo, vi serviremo con tutte le nostre forze, e mercé questa sincera divozione confidiamo di essere veramente da Voi soccorsi nella nostra miseria, scampati dai tanti pericoli della nostra vita, confortati e difesi al punto della morte, assicurati di essere uniti a Voi in Cielo, a lodarvi e benedirvi per tutta l’eternità. Così sia.

AN ACT OF SPIRITUAL COMMUNION – L’ATTO DI COMUNIONE SPIRITUALE.

AN ACT OF SPIRITUAL COMMUNION

L’ATTO DI COMUNIONE SPIRITUALE

To the faithful who make an act of spiritual Communion, using any formula they may choose, there is granted:

 An indulgence of 3 years;

A plenary indulgence once a month on the usual conditions when the act is performed every day of the month (S. P. Ap., Mar. 7, 1927 and Feb. 25 1933).

The following forms of prayer are given as example of spiritual Communion:

a) My Jesus, I believe that Thou art present in the Blessed Sacrament. I love Thee above all things  and I desire Thee in my soul. Since I cannot now receive Thee sacramentally, come at least spiritually into my heart. As though thou wert already there, I embrace Thee and unite myself wholly to Thee; permit not that I should ever be separated from Thee.(St. Alphonsus Maria de’ Liguori).

b) At Thy feet, O my Jesus, I prostrate myself and I offer Thee the repentance of my contrite heart, which is humbled in its nothingness and in Thy holy presence. I adore Thee in the Sacrament of Thy love, the innefable Eucharist. I desire to receive Thee into the poor dwelling that my heart offers Thee. While waiting for the happiness of sacramental Communion, I wish to pocess The in spirit. Come to me, O my Jesus, since I, for my part, am coming to Thee! May Thy love embrace my whole being in life and in death. I believe in Thee, I hope in Thee, I love Thee. Amen. (Raphael Cardinal Merry del Val).

THE RACCOLTA
A MANUAL OF INDULGENCES PRAYERS AND DEVOTIONS
IN FAVOR OF ALL THE FAITHFUL IN CHRIST
OR OF CERTAIN GROUPS OF PERSONS AND
NOW OPPORTUNELY REVISED
Edited and in part newly translated into English from the 1950
official edition “Enchiridion Indulgentiarum – Preces et Pia Opera”
issued by the Sacred Penitentiary Apostolic.
By Rev. Joseph P. Christopher, Ph.D.
The Catholic University of America, Washington, D.C.
The Rt. Rev. Charles E. Spence, M.A. (Oxon.),
St. Gregory’s Seminary, Cincinnaty, Ohio
The Rt. Rev. John F. Rowman, D.D.,
St. Charles Seminary, Philadelphia, Pa.
By authorization of the Holy See
BENZIGER BROTHERS, Inc.
PRINTERS TO THE HOLY SEE  AND
THE SACRED CONGREGATION OF RITES
NEW YORK, BOSTON, CINCINNATI, CHICAGO, SAN FARNCISCO
1952. MADE IN U.S.A.
SACRA PAENITENTIARIA APOSTOLICA
OFFICIUM DE INDULGENTIIS
May 30, 1951. The Sacred Penitentiary Apostolic, by virtue of the faculties given it by His Holiness, Pope Pius XII, hereby graciously grants the petition as set forth, provided that His Eminence, the petitioner, is
sure of the fidelity of the translation. All to the contrary notwithstanding: By order of His Eminence.
N. Card. Canali, Major Penitentiary. S. Luzio, Regent
IMPRIMATUR. Francis Cardinal Spellman, Archbishop of New York
IN FESTO SANCTAE FRANCISCAE XAVERII CABRINI, 1951. pp. 95,96

When we cannot go really to Communion we can merit God’s grace by making a spiritual Communion. What is a spiritual Communion? It is an earnest desire to receive Communion. You prepare yourself as if you were really going to Communion; you try to imagine yourself going up, receiving the Blessed Sacrament, and returning to your place. Then you thank God for all His blessings to you as you would have done had you received. This is an act of devotion, and one very pleasing to God, as many holy writers tell us.

I cannot leave this lesson on the Holy Eucharist without telling you something of the devotion to the Sacred Heart of Jesus, now so universally practised and so closely connected with the devotion to the Blessed Sacrament. The Church grants many indulgences, and Our Lord Himself promises many rewards to those who honor the Sacred Heart. But what do we mean by the Sacred Heart? We mean the real natural heart of Our Lord, to which His divinity is united as it is to His whole body. But why do we adore this real, natural heart of Our Lord? We adore it because love is said to be in the heart, and we wish to return Our Lord love, and gratitude for the great love He has shown to us in dying for us, and in instituting the sacraments, especially the Holy Eucharist, by which He can remain with us in His sacred humanity. When Our Lord appeared to Saint Margaret Mary He said: “Behold this Heart, that has loved men so ardently, and is so little loved in return.” The first Friday of every month and the whole month of June are dedicated to the Sacred Heart.

AN EXPLANATION OF THE Baltimore Catechism
of Christian Doctrine
FOR THE USE OF Sunday-School Teachers and Advanced Classes
BY Rev. THOMAS L. KINKEAD
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO:
BENZIGER BROTHERS,
Printers to the Holy Apostolic See
Nihil Obstat. D. J. McMAHON, Censor Librorum
lmprimatur. + MICHAEL  AUGUSTINE, Archbishop of New York
New York, September 5, 1891
Nihil Obstat. ARTHUR J. SCANLAN, S.T.D., Censor Librorum
lmprimatur. + PATRICK J. HAYES, D. D. Archbishop of New York
New York, May 7, 1927
COPYRIGHT, 1891, 1921, BY BENZIGER BROTHERS
Printed in the United States of America
LESSON TWENTY-FOUR
ON THE SACRIFICE OF THE MASS p. 242

Spiritual Communion

Jesus, my Saviour and my God! I am not worthy to appear before Thee, for I am a poor sinner; yet I approach Thee with confidence, for Thou hast said, “Come to Me, all you that labor and are burdened, and I will refresh you.” Thou wilt not despise a contrite and humble heart. I am truly sorry for my sins, because by them I have offended Thee, Who art infinitely good. Whatever may have been my foolish transgressions in the past, I love Thee now above all things, and with all my heart. I desire, good Jesus, to receive Thee in holy communion, and since I can not now receive Thee in the Blessed Sacrament, I beseech Thee to come to me spiritually and to refresh my soul with Thy sweetness.

Come, my Lord, my God, and my All ! Come to me, and let me never again be separated from Thee by sin. Teach me Thy blessed ways; help me with Thy grace to imitate Thy example; to practise meekness, humility, charity, and all the virtues of Thy sacred Heart. My divine Master, my one desire is to do Thy will and to love Thee more and more; help me that I may be faithful to the end in Thy service. Bless me in life and in death, that I may praise Thee forever in heaven. Amen.

Shorter Acts for a Spiritual Communion

I

I BELIEVE that Thou, O Jesus, art in the Most Holy Sacrament! I love Thee and desire Thee! Come into my heart. I embrace Thee; oh, never leave me!

II

My Jesus, I love Thee with my whole heart, and I wish to live always united to Thee. As I can not now receive Thee sacramentally, I receive Thee in spirit. Come, then, into my soul; I embrace Thee, and I unite my entire self to Thee; and I beseech Thee never more to allow me to be separated from Thee.

III

O my Jesus, living in the blessed Eucharist,  come and live in my heart in the might of Thy love, by which all within me may become transformed. Reign in me over all my faculties, so that I may no longer live or act but by Thy life and movement. Be Thou, O my Love, the Life of my life, that so each day my heart may become more and more like Thine.

IV

My sweet Jesus, come into my poor heart and remain with me. Poor as it is, may it be to Thee a sanctuary from those who hate Thee, as Thy Heart is to me a refuge and a sanctuary from my enemies.

V

My heart is ready, O my Jesus, to receive Thee. Enter, and stay with me, for the day is far spent. Tribulation draws nigh and there is none to help, but if Thou art with me, I shall not fear.

WITH GOD A Book of Prayers anb Reflections
By Rev. F.X. Lasance
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO:
BENZIGER BROTHERS, Printers to the Holy Apostolic See 1911
Nihil Obstat. Remy Lafort, Censor Librorum.
lmprimatur. + JOHN M. FARLEY, Archbishop of New York
New York, June 7, 1911.
Copyright, 1911, by Benziger Brothers.
pp. 644-647

From the Most Rev. William Henry Elder, D. D., Archbishop of Cincinnati.

” … With very particular pleasure I welcome your new edition of Goffine’s Instructions, with an introduction by His Eminence Cardinal Gibbons. And I am glad that you offer it at a reduced price, for it is a book that I commonly recommend all our families to procure and keep and use diligently. Particularly for families living at a distance from church, and not able to attend Mass regularly, GOFFINE’S INSTRUCTIONS for the Sundays and Festivals will help them more than any other book that I know of to sanctify the Sunday in the spirit of the Church …”

From the Right Rev. John Dunne, D.D., Bishop of Wilcannia, Australia.

” … The edition is indeed worthy of your well-known firm, and reflects the highest credit on it. To the isolated family unable to hear Holy Mass on Sunday, it is especially to be recommended for devotion and instructions … “

From the Right Rev. N. Z. Lorrain, P.P., Vicar Apostolic of Pontiac, Ont.

” … No better book can be recommended to Catholic families, particularly to those living far away from the church, and, consequently, are unable to attend Mass every Sunday. I will do my best to have this good and instructive book introduced among the Catholic families of the Vicariate … “

A METHOD OF HEARING MASS SPIRITUALLY,

WHICH MAY BE USED BY THOSE WHO ARE PREVENTED
FROM GOING TO CHURCH.

A GOOD INTENTION BEFORE MASS.

I BELIEVE, Lord Jesus, that in the Last Supper Thou didst offer up a true sacrifice; I believe it because Thou hast made it known to us through the Catholic Church, which from the apostles’ times has constantly taught it to us. Since Thou didst command the apostles and the priests ordained by them, to do the same till the end of time, I therefore offer to Thee, with the priest, this holy sacrifice of the Mass (which I believe to be one with that offered on Mount Calvary), to Thy honor and glory, in acknowledgment of my most bounden service, in thanksgiving for the innumerable benefits which Thou hast con ferred upon me and upon the whole world, in satisfaction for my sins and the sins of all mankind, and for obtaining the grace of perfect contrition for my sins. I also offer to Thee this holy Mass for my friends, benefactors, for those for whom I am bound, and for whom Thou wiliest me to pray. I also offer it for my enemies, that they may be converted, for all the faithful departed, particularly for my parents and relatives, and for the welfare of all Christendom.

I. HEARTFELT DESIRE TO PARTICIPATE IN THE HOLY SACRIFICE.

Most Holy Trinity, God, Father, Son, and Holy Ghost, almighty source of all things; my best Father, my merciful Redeemer, the Fountain of my sanctification and happiness, I, Thy most unworthy creature, venture to appear before Thee, to show Thee, my true God and Creator, all honor, adoration, and trustful submission; to thank Thee for the innumerable benefits which I have received from Thee; to praise Thee for Thy glory (for I am created for Thy praise); to implore Thy mercies, and to appease Thy justice, because I have so often and so grievously sinned against Thee. All this I cannot do in a worthier and more perfect manner than by hearing, with faith and devotion, holy Mass. For in that holy sacrifice is offered to Thee the most sublime sacrifice of praise and thanksgiving, the most efficacious sacrifice of supplication and propitiation, the most worthy sacrifice of salvation for the living and the dead. But because I cannot this day be present bodily at the holy Mass, I will, at least in spirit, place myself before the altar where Jesus Christ in an unbloody manner offers Himself, O heavenly Father, to Thee. With this glorious sacrifice I unite my present prayer; I fervently desire, united with the Son of God, in the strongest manner to praise, love, supplicate Thee, O heavenly Father, to repair all the wrong and shame that I have wrought, and com pletely to accomplish all that can be accomplished by the holy sacrifice of the Mass. To this end give me Thy divine grace, and grant that I may perform all this with sincere devotion. Amen.

II. CONTRITION FOR SINS, WITH FAITH AND CONFIDENCE IN
JESUS CHRIST, AND AN OFFERING OF HIS PRECIOUS MERITS.

Holy Father, I confess with sorrow that I have seldom served Thee with an undivided heart, but rather have often offended Thee, and by my slothfulness and neglect have brought upon myself infinitely great guilt before Thee. I therefore take refuge in the merits of Thy beloved Son, now present upon the altar, Who so freely commends and imparts to us His grace and favor. In the holy sacrifice of the Mass Jesus offers to Thee, for me, the highest veneration and love, the most perfect praise, the most hearty thanksgiving, and the most kind expiation. For the perfect forgiveness of my sins, O heavenly Father, I offer to Thee the whole suffering and death of Jesus Christ, which now, in an unbloody manner, is renewed upon the altar. O most benign Father, Thy Son has suffered and died even for me, a poor sinner. With thankful love I bring before Thee as a precious and pleasing offering, the infinite merits of His suffering and death. I firmly trust that, on account of this inestimable sacrifice of Thy Son, Thou wilt not regard my guilt, and that Thou wilt increase in me Thy graces. Amen.

O Father of mercies, and God of all consolation, to Thee I turn for help and grace. Graciously look upon my misery and wretchedness, and let my supplications come before Thee. That I may the more surely be heard by Thee, I appear before the throne of Thy grace, which for our salvation, is set up in the holy sacrifice of the Mass, where the innocent Lamb of God is mysteriously offered up to Thee, holy Father, Almighty God, for the remission of our sins. Regard, I beseech Thee, the innocence of this holy sacrifice, and for the sake thereof extend to me Thy mercy. O my Saviour, how great is Thy love for me which, to make satisfaction for my sins, and to gain me the grace of Thy Father, impelled Thee to endure for me such bitter pains, and even death itself. Oh, how great is yet Thy love for me, which causes Thee, in every holy Mass to renew, in an unbloody manner, Thy death of propitiation, in order to apply and communicate to me Thy merits. With my whole heart I thank Thee for Thy great love, and from the depths of my soul I beseech Thee to make me a partaker of the fruits of it, and to strengthen and confirm me by the grace of the Holy Ghost, that I may detest sin and all unholy living, that I may crucify my flesh, with all its passions, deny myself, and follow in Thy foot steps, that all my thoughts and words, all that I do or leave un done, may be a living service of God, and a sacrifice well pleasing to Him. As Thou hast offered up Thyself to Thy heavenly Father, so take me also in the arms of Thy love and mercy, and present me, a poor erring sinner, as an offering to Thy Father, and let me no more be separated from His love. Amen.

III. ADORATION OF THE MOST HOLY BODY AND BLOOD OF JESUS
CHRIST, UNDER THE APPEARANCES OF BREAD AND WINE.

O most holy Jesus, before Thee the heavenly choirs kneel and adore; with them I lift up my voice and cry. Holy, holy, holy, art Thou, O Lord of hosts. Heaven and earth are full of Thy grace and glory. Thou art present, O Jesus, under the appearances of bread and wine. Hear, O hear my prayer. I strike my breast and confess my unworthiness; but with firm confidence I implore Thee, O Jesus, be merciful to me. O most benign Jesus, forgive me my sins. O holy blood, wash me from my sins. O precious blood of Jesus, O blood of Jesus, rich in grace, cry out to Heaven for mercy upon me. Most holy God, receive this precious blood, together with the love through which it was shed ; receive it as an offering of my love and thankfulness, for the greatest glory of Thy name; for the forgiveness of my sins; in satisfaction of the punishments which I have deserved; for the washing away of the stains of my guilt, as reparation for all my neglects, and as amends for all the sins which I have committed through ignorance or frailty; receive it also as a sacrifice for the consolation of the afflicted; for the conversion of sinners; for the recovery of the sick and suffering; for the strengthening of those who draw near to death; for the refreshment, purification, and deliverance of the souls of the departed in purgatory. Amen.

IV. UNSHAKEN CONFIDENCE IN JESUS CHRIST.

To Thee, O most benign Jesus, I lift up my eyes and my heart. Oh, turn upon me Thy gracious countenance, and Thy true love. Behold, O Lord, my manifest need, and the great danger of my soul. Oh, receive me, Thou Who art my only true mediator and helper. Be Thou, through the holy sacrifice of the Mass, my salvation, and obtain for me the entire remission of my sins. Oh, represent to Thy Father how cruelly Thou wast scourged, crowned, crucified, and put to death for us, and thereby reconcile with the strict justice of God me, a miserable sinner. Amen.

Our Father. Hail Mary.

V. HE WHO ASKS IN THE NAME OF JESUS SHALL RECEIVE.

O Lamb of God, Who suffered for us miserable sinners, have mercy upon me, and offer up to the Father Thy passion for the forgiveness of my sins. O Lamb of God, Who died for us miserable sinners, have mercy upon me, and offer up to God Thy death in satisfaction for my sins! O Lamb of God, Who didst sacrifice Thyself for us miserable sinners, have mercy upon me, and offer up Thy holy blood to the Father for the cleansing of my soul. Heavenly Father, I offer to Thee this precious and most worthy oblation. My sins are more in number than the hairs of my head, but, O just and merciful God, lay this precious offering in the one scale and my sins in the other, and that will far outweigh my guilt. O merciful, O holy God, give me Thy blessing before I end my prayer, and through this blessing let me obtain grace at once to begin to amend my life, and to re nounce whatever is sinful and displeasing to thee. Support me in my weakness; strengthen me when temptations assail me, and let me never forget that Thou art near me. O precious day! but perhaps the last of my life. O happy day! if it shall make me better. Holy Mother of God, Mary, holy angels and friends of God, pray for me and lead me in the way of truth. O God, grant Thy love to the living, and Thy peace to the dead. Amen.

GOFFINE’S DEVOUT INSTRUCTIONS
ON THE EPISTLES AND GOSPELS
FOR THE SUNDAYS AND HOLYDAYS;
WITH THE LIVES OF MANY SAINTS OF GOD,
EXPLANATIONS OF CHRISTIAN FAITH
AND DUTY AND OF CHURCH CEREMONIES,
A METHOD OF HEARING MASS, MORNING AND EVENING PRAYERS,
AND A DESCRIPTION OF THE HOLY LAND.
WITH A PREFACE BY HIS EMINENCE JAMES, CARDINAL GIBBONS,
ARCHBISHOP OF BALTIMORE.
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO
BENZIGER BROTHERS
Printers to the Holy Apostolic See
PUBLISHERS OF BENZIGER’S MAGAZINE
Nihil Obstat. THOMAS L. KINKEAD, Censor Librorum.
lmprimatur. + MICHAEL AUGUSTINE, Archbishop of New York.
New York, April 29, 1896.
Copyright, 1896, by BENZIGER BROTHERS
APPROBATIONS from sixty one Catholic bishops.
pp. 508-512

UN ATTO DI COMUNIONE SPIRITUALE

Ai fedeli che compiono un atto di comunione spirituale, usando qualsiasi formula che vogliano scegliere, si concede:

 Un’indulgenza di 3 anni;

Iindulgenza plenaria una volta al mese alle solite condizioni, se recitato per ogni giorno del mese (S. S. Pænit. Ap., 7 marzo 1927 e 25 febbraio 1933).

Si propongono le seguenti formule di preghiera come esempio di comunione spirituale:

a) Mio Gesù, credo che Voi siate presente nel Santissimo Sacramento. Vi amo sopra ogni cosa e Vi desidero nella mia anima. Poiché non posso ora ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, vi abbraccio e mi unisco a Voi; non permettere che io mi abbia a separare da Voi. (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori).

b) Ai vostri piedi, o mio Gesù, mi prostro e vi offro il pentimento del mio cuore contrito, che è umiliato nel suo nulla e nella vostra santa presenza. Vi adoro nel Sacramento del vostro amore, l’ineffabile Eucaristia. Desidero ricevervi nella povera dimora che il mio cuore vi offre. Nell’attesa della felicità della Comunione sacramentale, desidero processarvi in  spirito. Venite a me, o mio Gesù, poiché io, per parte mia, vengo a Voi! Che il vostro amore abbracci tutto il mio essere nella vita e nella morte. Io credo in Voi, spero in Voi, vi amo. Amen. (Cardinale Raffaele Merry del Val).

ENCHIRIDION INDULGENTIORUM

PRECES ET PIA OPERA – EDITIO ALTERA

TYPIS POLYGLOTTIS VATICANIS MCMLII

Quando non possiamo materialmente andare alla Comunione, possiamo meritare la grazia di Dio facendo una Comunione spirituale. Cos’è una comunione spirituale? È un desiderio sincero di ricevere la Comunione. Ci si prepara come se si stesse veramente andando alla Comunione; si immagina di andare, ricevere il Santissimo Sacramento e tornare al proprioo posto. Allora si ringrazia Dio per le Sue benedizioni su di noi come se l’avessimo ricevuto. Questo è un atto di devozione molto gradito a Dio, come ci dicono molti santi scrittori.

Non posso lasciare questa lezione sulla Santa Eucaristia senza dirvi qualcosa della devozione al Sacro Cuore di Gesù, ora così universalmente praticato e così strettamente connesso con la devozione al Santissimo Sacramento. La Chiesa concede molte indulgenze e Nostro Signore stesso promette molte ricompense a coloro che onorano il Sacro Cuore. Ma cosa intendiamo per il Sacro Cuore? Intendiamo il vero cuore naturale di Nostro Signore, al quale la Sua divinità è unita come lo è per tutto il Suo corpo. Ma perché adoriamo questo cuore reale e naturale di Nostro Signore? Lo adoriamo perché l’amore si dice che sia nel cuore e desideriamo restituire l’amore del Nostro Signore e la gratitudine per il grande amore che Lui ci ha mostrato morendo per noi e istituendo i Sacramenti, specialmente la Santa Eucaristia, mediante la quale Egli può rimanere con noi nella Sua sacra umanità. Quando Nostro Signore apparve a Santa Margherita Maria le disse: “Guarda questo Cuore che ha amato gli uomini così ardentemente, ed in cambio è così poco amato “. Il primo venerdì di ogni mese e l’intero mese di giugno sono dedicati al Sacro Cuore.

AN EXPLANATION OF THE Baltimore Catechism
of Christian Doctrine
FOR THE USE OF Sunday-School Teachers and Advanced Classes
BY Rev. THOMAS L. KINKEAD
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO:
BENZIGER BROTHERS,
Printers to the Holy Apostolic See
Nihil Obstat. D. J. McMAHON, Censor Librorum
lmprimatur. + MICHAEL  AUGUSTINE, Archbishop of New York
New York, September 5, 1891
Nihil Obstat. ARTHUR J. SCANLAN, S.T.D., Censor Librorum
lmprimatur. + PATRICK J. HAYES, D. D. Archbishop of New York
New York, May 7, 1927
COPYRIGHT, 1891, 1921, BY BENZIGER BROTHERS
Printed in the United States of America
LESSON TWENTY-FOUR
ON THE SACRIFICE OF THE MASS p. 242

Comunione spirituale

Gesù, mio ​​Salvatore e mio Dio! Non sono degno di comparire davanti a Te, perché sono un povero peccatore; eppure mi avvicino a Te con fiducia, poiché Tu hai detto: “Venite a me, tutti voi che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. Non disprezzerai un cuore contrito ed umile, sono veramente dispiaciuto per i miei peccati perché con essi ho offeso Te, sei infinitamente buono. Qualunque possa essere stato il mio insensato peccato nel passato, ti amo ora sopra ogni cosa e con tutto il mio cuore, desidero, Gesù buono, di riceverti nella santa Comunione, e poiché non posso ora riceverti nel Santissimo Sacramento, ti supplico di venire da me spiritualmente e di ristorare la mia anima con la Tua dolcezza.

Vieni, mio ​​Signore, mio ​​Dio e mio Tutto! Vieni da me, e non lasciare più che il peccato mi separi da te. Insegnami le tue sante vie; aiutami con la Tua grazia ad imitare il Tuo esempio: praticare la mansuetudine, l’umiltà, la carità e tutte le virtù del Tuo sacro Cuore. Mio divino Maestro, il mio unico desiderio è di fare la Tua volontà e di amarti sempre di più; aiutami ad essere fedele fino alla fine nel Tuo servizio. Benedicimi in vita e in morte, affinché io possa lodarti per sempre nei cieli. Amen.

Brevi atti per una comunione spirituale

I

IO CREDO che Tu, o Gesù, sia nel Santissimo Sacramento! Ti amo e ti desidero! Vieni nel mio cuore. Ti abbraccio; oh, non lasciarmi mai!

II

Mio Gesù, ti amo con tutto il mio cuore e desidero vivere sempre unito a Te. Poiché non posso ora riceverti sacramentalmente, Ti ricevo in spirito. Vieni, quindi, nella mia anima; Ti abbraccio e mi unisco con tutto me stesso a Te; e Ti prego di non permettermi mai più di essere separato da te.

III

O mio Gesù, vivendo nella benedetta Eucaristia, vieni e vivi nel mio cuore nella forza del Tuo amore, mediante il quale tutto in me può essere trasformato. Regna in me in tutte le mie facoltà, affinché io non possa più vivere o agire se non per la vita Tua ed le Tuoi azioni. Sii, o mio amore, la vita della mia vita, così che ogni giorno il mio cuore possa diventare sempre più simile al Tuo.

IV

Mio dolce Gesù, vieni nel mio povero cuore e resta con me. Povero com’è, possa essere per te un santuario per quelli che ti odiano, come il Tuo cuore è per me un rifugio ed un santuario per i miei nemici.

V

Il mio cuore è pronto, o mio Gesù, a riceverti. Entra, e resta con me, perché il giorno è ormai passato . La tribolazione si avvicina e non c’è nessuno che mi possa aiutare, ma se Tu sei con me, e non avrò paura.

WITH GOD A Book of Prayers anb Reflections
By Rev. F.X. Lasance
NEW YORK, CINCINNATI, CHICAGO:
BENZIGER BROTHERS, Printers to the Holy Apostolic See 1911
Nihil Obstat. Remy Lafort, Censor Librorum.
lmprimatur. + JOHN M. FARLEY, Archbishop of New York
New York, June 7, 1911.
Copyright, 1911, by Benziger Brothers.
pp. 644-647

Dal Rev. William Henry Elder, D.D., Arcivescovo di Cincinnati.

“… Con grande piacere, accolgo con favore la nuova edizione delle Istruzioni di Goffine, con un’introduzione di Sua Eminenza, il Cardinale Gibbons. E sono lieto che tu me la offra ad un prezzo ridotto, perché è un libro che raccomando di solito a tutte le famiglie di procurarsi e mantenere ed usare diligentemente. In particolare per le famiglie che vivono distanti dalla chiesa, e non sono in grado di frequentare regolarmente la Messa, le ISTRUZIONI di GOFFINE per la domenica e i giorni festivi li aiuteranno più di ogni altro libro che conosco per santificare la domenica nello spirito della Chiesa … “

Dal Rev. John Dunne, D.D., Vescovo di Wilcannia, Australia.

“… L’edizione è davvero degna della tua nota azienda, e riflette il più alto merito su di essa. È soprattutto da raccomandare per le devozione e le istruzioni … Alla famiglia isolata ed impossibilitata ad ascoltare la Santa Messa della Domenica, “

Dal Rev. N. Z. Lorrain, P.P., Vicario Apostolico di Pontiac, Ont.

“… Nessun miglior libro può essere raccomandato alle famiglie cattoliche, in particolare a coloro che vivono lontano dalla Chiesa, e, di conseguenza, non sono in grado di partecipare alla Messa ogni domenica. Farò del mio meglio per avere questo libro buono e istruttivo introdotto tra le famiglie cattoliche del Vicariato … “

UN METODO PER ASCOLTARE SPIRITUALMENTE LA MESSA CHE PUO’ ESSERE USATO DA COLORO CHE SONO IMPOSSIBILITATI AD ANDARE IN CHIESA

UNA BUONA INTENZIONE PRIMA DELLA MESSA

CREDO, Signore Gesù, che nell’Ultima Cena hai offerto un vero Sacrificio; lo credo perché ce lo hai fatto conoscere attraverso la Chiesa Cattolica, ché dai tempi degli Apostoli ci è stato costantemente insegnato. Poiché Tu hai comandato agli Apostoli e ai Sacerdoti ordinati da loro, di fare lo stesso fino alla fine dei tempi, io Ti offro così, mediante il Sacerdote, questo santo Sacrificio della Messa (che credo sia tuttuno con quello offerto sul Monte Calvario), a Tuo onore e gloria, in riconoscimento del mio servizio più profondo, in ringraziamento per gli innumerevoli benefici che Tu hai conferito a tutto il mondo, in soddisfazione dei miei peccati ed i peccati di tutta l’umanità, e per ottenere la grazia della perfetta contrizione dei miei peccati. Ti offro questa santa Messa per i miei amici, i miei benefattori, per coloro ai quali sono legato e per coloro i quali Tu mi imponi di pregare. La offro anche per i miei nemici, affinché possano convertirsi, per tutti i fedeli defunti, in particolare per i miei genitori e parenti e per il bene di tutta la cristianità.

I. IL DESIDERIO DEL CUORE DI PARTECIPARE AL SANTO SACRIFICIO

Santissima Trinità, Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo, fonte onnipotente di tutte le cose; il mio miglior Padre, il mio misericordioso Redentore, la Fonte della mia santificazione e della mia felicità, io, la tua più indegna creatura, mi permetto di comparire davanti a Te per mostrarmi a Te, mio ​​vero Dio e Creatore: a Te tutto ogni onore, adorazione e sottomissione fiduciosa; per ringraziarti degli innumerevoli benefici che ho ricevuto da Te; per lodarti per la tua gloria (poiché sono stato creato per la tua lode); per implorare la tua misericordia e per placare la tua giustizia, perché ho così spesso e gravemente peccato contro di Te. Tutto ciò non posso farlo che in modo più saggio e più perfetto che ascoltando, con fede e devozione, la Santa Messa. Perché in quel Santo Sacrificio è offerto a Te il sacrificio più sublime di lode e di ringraziamento, il sacrificio più efficace di supplica e propiziazione, il sacrificio più degno di salvezza per i vivi e per i morti. Ma poiché oggi non posso essere presente fisicamente alla santa Messa, lo farò, almeno in spirito, posto davanti all’altare dove Gesù Cristo in modo incruento offre Se stesso, a Te, o Padre celeste. Con questo glorioso Sacrificio unisco la mia attuale preghiera; io desidero con fervore, unito al Figlio di Dio, nel modo più forte, di lodare, amare, supplicare Te, o Padre celeste, per riparare a tutto il torto e le ignominie che ho operato, e realizzare pienamente tutto ciò che può essere compiuto dal santo Sacrificio della Messa. A tal fine dammi la tua grazia divina e concedici di compiere tutto questo con sincera devozione. Amen.

II. CONTRIZIONE PER I PECCATI, CON FEDE E FIDUCIA IN GESÙ CRISTO E UN’OFFERTA DEI SUOI MERITI PREZIOSI.

Santo Padre, confesso con dolore che raramente ti ho servito con tutto il cuore, ma piuttosto ti ho spesso offeso, e con la mia indolenza e negligenza ho riportato una colpa infinitamente grande davanti a Te. Mi rifugio quindi nei meriti del Tuo amato Figlio, ora presente sull’altare, che ci ha riscattato e ci ha dato la sua grazia e il suo favore. Nel sacro Sacrificio della Messa, Gesù offre a Te, per me, la più alta venerazione ed amore, la lode più perfetta, il ringraziamento più cordiale e l’espiazione efficace. Per il perdono perfetto dei miei peccati, o Padre celeste, ti offro tutta la sofferenza e la morte di Gesù Cristo, che ora, in modo incruento, si rinnova sull’altare. O padre benigno, il tuo Figlio ha sofferto ed è morto anche per me, povero peccatore. Con amore riconoscente ti porto davanti, come offerta preziosa e gradita, i meriti infiniti della sua sofferenza e morte. Confido fermamente che, a causa di questo inestimabile sacrificio del Tuo Figlio, Tu non considererai la mia colpa, ed aumenterai in me le Tue grazie. Amen.

O Padre di misericordia, e Dio di ogni consolazione, a Te chiedo aiuto e grazia. Guarda con benevolenza la mia miseria e disgrazia e lascia che le mie suppliche vengano a te. Che io possa essere ascoltato da Te, che appaia davanti al trono della Tua grazia che, per la nostra salvezza, è posto nel santo Sacrificio della Messa, dove l’innocente Agnello di Dio è misteriosamente offerto a Te, santo Padre, Dio Onnipotente, per la remissione dei nostri peccati. Riguardo, ti supplico, l’innocenza di questo santo Sacrificio, e per suo mezzo estendi a me la tua misericordia. O mio Salvatore, quanto è grande il Tuo amore per me che, per riparare i miei peccati e farmi guadagnare la grazia del Tuo Padre, ti ha spinto a sopportare per me tali dolori amari e persino la morte stessa. Oh, quanto è grande il Tuo amore per me, che ti spinge, in ogni Santa Messa a rinnovare, in modo incruento, la Tua morte propiziatoria, per applicarmi e comunicarmi i Tuoi meriti. Con tutto il mio cuore Ti ringrazio per il Tuo grande amore, e dal profondo della mia anima ti supplico di farmi partecipe dei suoi frutti, e di rafforzarmi e confermarmi per la grazia dello Spirito Santo, affinché io possa detestare il ​​peccato e tutto il vivere empio, perché io possa crocifiggere la mia carne, con tutte le sue passioni, negare me stesso e seguire i tuoi passi, affinché tutti i miei pensieri e le mie parole, tutto ciò che faccio o che non faccio, possano essere un servizio vivente di Dio e un sacrificio ben gradito a lui. Così come Tu hai offerto Te stesso al tuo Padre celeste, prendimi pure tra le braccia del Tuo amore e misericordia, e presentami, povero peccatore errante, come offerta al Padre, e non lasciare più che sia separato dal Suo amore. Amen.

III. ADORAZIONE DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI GESÙ CRISTO, SOTTO LE SPECIE DEL PANE E DEL VINO.

O santissimo Gesù, davanti a Te i Cori celesti si inginocchiano e ti adorano; con loro alzo la voce e piango. Santo, santo, santo, sei Tu, o Signore degli eserciti. Il cielo e la terra sono pieni della Tua grazia e della Tua gloria. Tu sei presente, o Gesù, sotto le specie del pane e del vino. Ascolta, ascolta la mia preghiera. Batto il mio petto e confesso la mia indegnità; ma con ferma fiducia ti imploro, o Gesù: sii misericordioso con me. O Gesù benigno, perdona i miei peccati. O Sangue santo, lavami dai miei peccati. O sangue prezioso di Gesù, Sangue di Gesù, ricco di grazia, grida al Cielo per pietà! Dio Santissimo, ricevi questo prezioso Sangue, con l’amore con cui è stato versato; ricevilo come offerta del mio amore e della mia gratitudine, per la maggior gloria del tuo Nome; per il perdono dei miei peccati; in soddisfazione delle pene che ho meritato; per lavare via le macchie della mia colpa, come riparazione per tutte le mie negligenze e come ammenda per tutti i peccati che ho commesso per ignoranza o fragilità; ricevilo anche come Sacrificio per la consolazione degli afflitti; per la conversione dei peccatori; per il conforto degli ammalati e dei sofferenti; per il rafforzamento di coloro che si avvicinano alla morte; per il ristoro, la purificazione e la liberazione delle anime dei defunti dal Purgatorio. Amen.

IV. INCROLLABILE FEDE IN GESÙ CRISTO.

A te, o benigno Gesù, alzo gli occhi e il cuore. Oh, rivolgimi il tuo grazioso aspetto e il tuo vero amore. Ecco, o Signore, il mio pressante bisogno ed il grande pericolo della mia anima. Oh, accoglimi, Tu che sei il mio unico vero Mediatore e Aiuto. Sii Tu, attraverso il santo Sacrificio della Messa, la mia salvezza, e ottienimi l’intera remissione dei miei peccati. Oh, rappresenta al tuo Padre quanto crudelmente Tu sia stato flagellato, incoronato, crocifisso e messo a morte per noi, e quindi riconcilia. con la rigida giustizia di Dio, me miserabile peccatore. Amen.

Pater noster…. Ave Maria….

V. CHI CHIEDE IN NOME DI GESÙ RICEVE …

O Agnello di Dio, che ti sei offerto per noi miseri peccatori, abbi pietà di me e offri al Padre la Tua passione per il perdono dei miei peccati. O Agnello di Dio, che sei morto per noi miseri peccatori, abbi pietà di me ed offri a Dio la tua morte in soddisfazione dei miei peccati! O Agnello di Dio, che ti sei sacrificato per noi miserabili peccatori, abbi pietà di me e offri il tuo Sangue santo al Padre per la purificazione della mia anima. Padre Celeste, Ti offro questa oblazione preziosa e degna. I miei peccati sono più numerosi dei miei capelli, ma, Dio giusto e misericordioso, pesa questa preziosa offerta in un piatto e i miei peccati nell’altro, ed essa supererà di gran lunga la mia colpa. O misericordioso, o santo Dio, dammi la tua benedizione prima che io finisca la mia preghiera, e attraverso questa benedizione fammi ottenere subito la grazia per cominciare a cambiare la mia vita, e per rimproverare ciò che è peccaminoso e ti dispiace. Sostienimi nella mia debolezza; rafforzami quando le tentazioni mi assalgono affinchè non dimentichi mai che Tu sei vicino a me. O preziosa giornata! … forse l’ultima della mia vita. O felice giorno! se mi renderà migliore. Santa Madre di Dio, Maria, santi Angeli e amici di Dio, pregate per me e guidatemi sulla via della verità. O Dio, concedi il Tuo amore ai viventi e la Tua pace ai defunti. Amen.GOFFINE’S DEVOUT INSTRUCTIONS
ON THE EPISTLES AND GOSPELS
FOR THE SUNDAYS AND HOLYDAYS;
WITH THE LIVES OF MANY SAINTS OF GOD,
EXPLANATIONS OF CHRISTIAN FAITH
AND DUTY AND OF CHURCH CEREMONIES,
A METHOD OF HEARING MASS, MORNING AND EVENING PRAYERS,
AND A DESCRIPTION OF THE HOLY LAND.
WITH A PREFACE BY HIS EMINENCE JAMES, CARDINAL GIBBONS,
ARCHBISHOP OF BALTIMORE.

Fr.UK, Sacerdote Cattolico.

[Trad. redaz. di G.D. G. ]

DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ (13): tre prime promesse del Sacro Cuore di Gesù.

DISCORSO XII.

[A. Carmagnola: Il Sacro Cuore di Gesù – S. E. I. Ed., Torino, 1920 – imprim.]

Tre prime promesse del Sacro Cuore di Gesù.

Uno dei più validi mezzi, di cui si servono gli uomini per eccitarsi gli uni gli altri a compiere opere di vicendevole gradimento, è senza dubbio quello delle promesse. Il padre ad ottenere dal figlio, che sia virtuoso, che si applichi seriamente allo studio, al lavoro, gli promette un qualche regalo. Il  maestro ad ottenere dal discepolo, che compia esattamente i suoi doveri, che gli presti la dovuta attenzione, che lo segua con diligenza nelle sue lezioni, gli promette la promozione negli esami e il premio. Il capitano ad ottenere dai soldati il coraggio e ben anche l’eroismo nella battaglia, promette loro i vantaggi e gli onori della vittoria. E persino l’uomo perverso, ad ottenere, che alcun altro compia in suo pro una scellerata azione gli promette qualche gran somma di denaro o qualche altra ricompensa. È bensì vero, che la maggior parte degli uomini dopo aver fatto altrui delle magnifiche promesse, in seguito non vi attende, ma quando le promesse partono da un cuore reputato sincero, chi sa dire di quanta efficacia riescano? Allora il figlio non risparmia sacrifici per domare le male inclinazioni, il discepolo non la perdona a fatiche per profittare nello studio, il soldato diventa leone contro i nemici della patria, e financo l’assassino va a tingere la sua mano di un sangue innocente. – Se pertanto le promesse riescono al cuore umano di tanta virtù e gli infondono tanto coraggio sia per praticare il bene, come pur troppo anche per compiere il male, il Sacratissimo Cuore di Gesù, desiderando di avere il maggior numero possibile di devoti, perché nel mondo si abbia a compiere per mezzo della sua divozione il maggior bene, non volle lasciare di valersi di un tanto mezzo per ottenerlo. E perciò parlando a Santa Margherita, le diceva un giorno: « Io ti prometto, che il mio «Cuore si dilaterà per diffondere in copia le fiamme del divino amore sopra coloro, che gli renderanno o procureranno che gli sia reso dagli altri onore e gloria. Io ho manifestato agli uomini il mio Cuore, dando ad essi in questi ultimi tempi tale estremo sforzo del mio amore, per aprir loro con tal mezzo tutti i tesori di amore, di grazia, di misericordia, di salute e di santificazione. » Ma non contento il Sacro Cuore di Gesù di queste promesse generali, con la stessa Santa Margherita discese a far promesse al tutto speciali, siccome quelle che avrebbero maggiormente toccato i nostri cuori. Ed è appunto intorno a queste speciali promesse che desidero prendere oggi ad intrattenervi. Già abbiamo riconosciuto la saldezza e l’eccellenza della divozione al Sacro Cuore di Gesù, l’oggetto, i fini e le pratiche di questa stessa divozione. Ora per animarci sempre più ad esercitarla dobbiamo considerarne i vantaggi. E questi noi li conosceremo appunto con lo svolgere le grandi promesse del Sacratissimo Cuore. Cominciamo oggi da quelle per cui furono assicurate ai devoti del Sacro Cuore: tutte le grazie spirituali e temporali di cui avranno bisogno nel loro stato; la pace nel seno delle loro famiglie; la consolazione nei loro patimenti.

I. — L’Apostolo S. Paolo ha scritto, che ciascuno ha il suo dono da Dio: unusquisque proprium donum habet ex Deo; (I Cor. VII, 7) vale a dire, come spiegano i sacri dottori, a ciascuno Iddio elegge quaggiù uno stato, in cui deve passar la sua vita. E così chiama taluni a seguirlo più davvicino nello stato religioso, chiama altri a dedicarsi al ministero del sacerdozio e dell’apostolato, chiama altri a vivere in mezzo al mondo nella vita pubblica per giovare ai loro fratelli nell’esercizio delle diverse arti e professioni, chiama altri a mantenersi nello stato di verginità, ed altri ad abbracciare lo stato coniugale per moltiplicare i figliuoli della Chiesa e i Santi del paradiso. Sì, ognuno ha da Dio la sua speciale vocazione. Ma qualunque sia lo stato, a cui Iddio chiami nei disegni della sua Provvidenza, sempre vuole che gli uomini in qualsiasi stato si facciano santi: Hæc est voluntas Dei, sanctificatio vestra. (I Tess. IV, 3) No, non è soltanto a qualche ceto particolare di persone, che Iddio imponga la santità, ma a tutti indistintamente. Egli la impone ai religiosi ed ai sacerdoti, e più a loro che agli altri, perché essi hanno da essere il sale della terra, la luce del mondo; ma la impone parimente ai secolari, ai coniugati, agli uomini della vita pubblica, a quelli che esercitano nobilissime arti e a chi lavora nell’officina o bagna dei suoi sudori la terra: a tutti Egli disse: Siate santi: Estote perfecti (Matth. V, 48) Né crediate perciò che Iddio imponga a taluni l’impossibile. Certamente se la santità, come taluni si danno facilmente a credere, consistesse soltanto in digiuni, in austerità, in flagellazioni, in portar vesti di sacco e cilici al fianco, in far miracoli, in aver contemplazioni ed estasi, allora non a tutti, in qualsiasi stato, sarebbe né facile, né possibile. Ma se tutto ciò può far parte e può essere dono della santità, non è propriamente ciò, in cui la santità consista; anzi, ciò potrebbe essere ben anche vanità ed ipocrisia, quando mancasse la santità vera e sostanziale, che consiste nell’amare Iddio con tutte le forze, e nell’osservare perciò la sua legge. Il che, o miei cari, è forse impossibile, od anche difficile? Lo stesso divino Maestro Gesù ci ha appreso che se l’osservanza de’ suoi santi precetti è un peso, non è tuttavia che un peso molto soave e leggiero: Iugum enim meum meum est, onus meum leve. (Matth.. XI, 30) E l’apostolo ed evangelista S. Giovanni ha detto chiaramente, che i comandi del Signore non sono gravi: Mandata eius gravia non sunt. (I Io., V, 3). Ed in vero qual cosa più conforme a giustizia poteva imporci Iddio che di amarlo e servirlo? E nel tempo stesso cosa più dolce e più cara? Non è questo amore e questa servitù che apporta la pace più gioconda alle anime nostre, secondo la bella osservazione del reale salmista: Pax multa diligentibus legem tuam? (Ps. CXVIII, 165) E non è al contrario cosa, che importa fatiche, affanni e tormenti il non amare Iddio e l’offenderlo? Ah! checché si pensi dal mondo, la verità è questa, che gli uomini che vivono lontani da Dio sono sempre costretti ad esclamare: Ci stancammo nelle vie di iniquità e di perdizione, e camminammo per vie difficili: Lassati sumus in via iniquitatis et perditionis, et ambulamus vias difficiles! (Sap. V, 7) Sì, il dannarsi importa penosissimi aggravi, mentre invece il santificarsi è cosa facile e soave. Ma sebbene la santificazione nostra sia soave e facile, è certo tuttavia, che noi con le sole, nostre forze naturali non possiamo operarla. È dottrina di fede, insegnataci dalla Chiesa e ripetutamente scritta nei Santi libri che noi, da noi medesimi,non possiamo far nulla in ordine alla nostra eterna salute, neppure concepire nell’anima un buon pensiero. Ma sia ringraziato Iddio! Egli che vuole la nostra santificazione, pieno di amore e di bontà, non lascia di darci i mezzi necessari ad operarla, ed il mezzo che tutti gli altri comprende, è quello della sua grazia. Sì certamente, Iddio dà a tutti gli uomini quella grazia, per mezzo della quale, in qualsiasi stato Dio li abbia chiamati, se essi risolutamente il vogliono, possono salvarsi ed essere un giorno nel novero dei Santi. E sevi hanno pur troppo di quelli, i quali si dannano, ciò non avviene perché sia loro mancato l’aiuto della grazia di Dio, ma bensì perché a questo aiuto della grazia essi non hanno corrisposto; sicché se le anime dannate dal fondo dell’inferno, ove si trovano, osassero muovere lamento contro la divina giustizia,il Signore potrebbe bene rispondere a ciascuna di esse:Taci là, che la tua perdizione è opera tua: Perditio tua ex te.(Os. XIII, 9) Ma come mai la grazia di Dio rende non solo possibile, ma facile eziandio la santità in qualsiasi stato? Ah! egli è perché la grazia è dotata di un prodigioso carattere, diun’ammirabile proprietà, di quella cioè di adattarsi e contemperarsialla condizione ed ai bisogni particolari di ciascuno. Nelle Sacre Scritture tante volte è chiamata col nome di rugiadae di pioggia, e tale essa è veramente, dice S. Agostino: Gratia pluvia est. La pioggia cadendo e penetrando nel terrenoassume poi il colore di ciascun fiore, e il sapore di ciascun frutto, in cui segretissimamente e per sottilissime vie si spandee s’insinua, e così nei prati si tinge di bellissimo verde, nei campi biancheggia con le spighe, nei giardini si smalta di nevenei gigli, fiammeggia di porpora nella rosa, si veste di azzurro nel giacinto, e nei frutteti si fa or agra or dolce, secondo ladiversità dei frutti. Or ecco il lavorio misterioso e molteplice che va facendo la grazia nei cuori umani. Essa si adatta a tutti gli stati, si accomoda a tutti i temperamenti, si congiunge a tutte leetà. Gettate lo sguardo sopra i fasti gloriosi della Chiesa, considerate la varietà dei Santi, che l’adornano, e toccherete con mano sì bella verità. Voi vedrete la grazia aver fatto dei Santi fra i Pontefici e fra i semplici sacerdoti, aver fatto dei Santi fra i religiosi del chiostro e fra i secolari del mondo, aver fatto dei Santi fra i vergini, fra i coniugati edi vedovi, aver fatto dei Santi fra i re e fra i sudditi, averfatto Santi fra i capitani e fra i soldati, averne fatto frai letterati e fra gli idioti, fra i ricchi e fra i poveri, fra i geni e tra i meschini, fra i vecchi e fra i giovani, fra tutti di qualsiasi stato, di qualsiasi età e condizione, senza eccezioni. Ma quei mirabili effetti, che la grazia ha operato nei Santi, sono sempre gli stessi che va operando in noi, sicchéin alcuno fra di noi, in qualsiasi stato si trovi, che per opera della grazia e per la fedele corrispondenza alla stessa non possa farsi Santo e gran Santo.Che se questa consolantissima verità è in pro di tutti gliuomini in generale, la è tuttavia in modo specialissimo per devoti al Sacro Cuore di Gesù. Giacche è ai suoi devoti che il Sacratissimo Cuore promise peculiarmente di dare tutte le grazie necessarie al loro stato. Oh bella felicità adunque che è questa! Sia pure che nell’adempimento delle loro obbligazioni idevoti del Sacro Cuore di Gesù incontrino ancor essi delle difficoltà, questo Cuore Sacratissimo con la sua grazia si farà loro a spianarle; sia pure che la loro volontà si infiacchisca nell’operare il bene, il Cuore di Gesù con la sua grazia si farà loro a fortificarla; sia pure che il demonio, le passioni, gli uomini del mondo si travaglino per indurli a tradire i loro doveri, il Cuore di Gesù con la sua grazia si farà a renderli vittoriosi. Pertanto volete voi, o giovani, che il Signore vi difenda dagli agguati del mondo, dalle lusinghe della carne e dagli assalti del demonio, sicché possiate mantenere intatta l’innocenza fra i pericoli, che ad ogni passo incontrate? Siate devoti al Sacro Cuore di Gesù. E voi, o coniugati, desideratevivere in santo amore, in incessante fedeltà fra di voi, allevare cristianamente la vostra prole, eseguire, esattamente i vostri obblighi che non sono né sì pochi né sì lievi? Siate devoti del Sacro Cuore di Gesù. O padri e madri, voi siete in trepidazioneed affanno sulla riuscita dei vostri figliuoli, e ben a ragione, perché innumerevoli seduttori si aggirano intorno agl’incauti, e con infiniti artifizi si adoprano a trascinarli lontani dall’amoredi Dio e vostro. Ma voi non cessate dal raccomandarlial Sacro Cuore di Gesù, e benedetti da Lui, essi formeranno conla lor buona condotta la vostra maggior consolazione in terra,la vostra più bella corona in cielo. E voi, o maestri, che nellascuola attendete ad erudire le menti ed a formare i cuori dei fanciulli e dei giovanetti, volete degnamente corrispondere allasublimità della vostra missione, ed ottenere efficacemente che la scuola sia chiesa e non tana? Siate devoti anche voi del Sacro Cuore di Gesù. E voi, padroni, voi elevati in dignitàe potere, voi amministratori delle cose pubbliche, voi magistrati, voi principi e sovrani, che desiderate esercitare con giustiziae con vero vantaggio dei vostri sudditi gli uffici vostri, amateanche voi quel Cuore, per cui: Reges regnant et legum conditores insta decernunt. (Prov. VIII, 15) E così voi operai, voi sudditi, voi servitori, nella divozione al Sacro Cuore di Gesù, troverete il mezzo per tollerare la condizione vostra ed esercitarecon amore i vostri doveri. Finalmente se voi siete persone viventi in Religione, ricordate che il Sacro Cuore di Gesù:ha detto a Santa Margherita: « Le persone religiose dalla devozione al Cuor mio caveranno tanti aiuti che non abbisogneranno più di altro mezzo per ristabilire il primitivo fervore e la più esatta osservanza nelle comunità meno regolate. E per condurre le altre alla più grande perfezione. » E se siete Sacerdoti, intenti a lavorare non solo per la salvezza vostra,ma ancora per la salvezza altrui, non dimenticate che lo stesso Sacro Cuore di Gesù ha pur detto: « I sacerdoti e gli uomini apostolici avranno l’arte di commuovere i cuori più indurati enelle loro fatiche avranno un esito ammirabile. » Dunque in qualsiasi stato, di qualsiasi condizione di vita, per quanto difficile, accostiamoci tutti con la massima confidenza a questo Cuore, fonte inesauribile di grazie, domandiamogli quelle cheabbiamo bisogno, per santificarci nel nostro stato; Egli ha promesso di darcele e la sua parola non verrà meno giammai. –  Ma sebbene l’affare più importante, il primo a cui dobbiamo attendere sia l’acquisto della nostra eterna salute mediante la nostra santificazione in qualsiasi stato ci troviamo, è certo tuttavia, che dobbiamo pure, per ragione della condizione cui Iddio ci ha posti quaggiù, mettere mano ad intraprese ed affari temporali, sia per acquistarci col lavoro il nutrimento per la vita, sia per procurarci un’onesta agiatezza, sia per arricchire la nostra mente di utili cognizioni, sia per esercitare le arti e compiere opere di comune vantaggio alla società, sia per non pochi altri giusti motivi. Ora a questo riguardo disse già assai bene un nostro poeta: A compir le belle imprese| L’arte giova, il senno ha parte,| ma vaneggia il senno e l’arte,| Quando amico il ciel non è. Il che non è altro se non la libera versione di quel pensiero delle Sante Scritture, che « se il Signore non edifica egli la casa, lavorano invano quelli, che la edificano, e se non custodisce la città, indarno veglia il soldato, che la custodisce. » Si, senza la benedizione del cielo amico, fallisce anche il meschino dei nostri affari. Ma non falliranno certamente neppure i più gravi ed importanti, se noi saremo devoti del Sacro Cuore di Gesù. Perciocché non si contentò di promettere ai suoi devoti le grazie necessarie a santificarsi e a raggiungere così il buon esito dell’affare supremo, dell’eterna salute, ma promise ancora, che li avrebbe benedetti negli altri affari. E così essendo, o carissimi, cerchiamo pure anzitutto il regno di Dio, come Gesù Cristo ci ha appreso, ma ponendo pur mano a quegli interessi, che sono richiesti dal nostro stato, e per nulla contrari all’acquisto del regno di Dio, ricordiamoci che, secondo la parola data da Dio medesimo, nella divozione al Sacro Cuore abbiamo l’assicurazione di essere da questo Cuore Santissimo benedetti e prosperati.

II. — Ma se già così grandi sono questi vantaggi promessi dal Cuore di Gesù ai suoi devoti, non lo è meno quello, di cui entro ora a parlarvi: la pace cioè nelle loro famiglie. Famiglia! E chi è mai, che a questo nome non si senta intenerire il cuore? Dopo la Religione la famiglia è quanto vi è di più bello, di più caro, di più. dolce, di più attraente sulla terra. Iddio, che sebbene uno nella essenza, per essere trino nelle Persone costituisce in cielo la Famiglia più perfetta, ha voluto nel suo amore per noi riprodurla quaggiù sulla terra. E per questo, dopo aver creato il cielo e la terra con tutte le meraviglie che l’adornano, dopo aver compiuto il capolavoro della creazione, l’uomo, volle coronare l’opera sua, creando la famiglia. Egli mandava un dolce sonno ad Adamo, e mentre questi dormiva gli traeva dal fianco la donna facendogliene un aiuto simile a lui, e dopo d’avergliela condotta innanzi, benediceva all’uno e all’altra, dicendo: Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra: Crescite et multiplicamini, et replete terram. (Gen. I, 28) Ed è lì, nella famiglia creata e benedetta da Dio, che due cuori vivono dolcemente incatenati fra di loro, dividendo le gioie e le sofferenze, le fatiche ed i riposi, gli abbattimenti ed i conforti, le pene e le consolazioni. È lì, che lo sposo pur essendo superiore alla sposa, non fa altro tuttavia che riguardarla come dolce consorte; ed è dove la donna forte, saggia, operosa, prudente, sottomessa affettuosa riempie di gioia il cuore del marito e raddoppia numero dei suoi anni. È lì ancora dove un padre ed una madre vedendo i loro figliuoli, come novelli virgulti di olivi circondare la loro mensa, posano sopra di essi le più belle speranze, e in essi si allietano delle più pure consolazioni; ed è lì alla loro volta, dove i figliuoli vivono beati nell’amore così intenso e così sicuro dei loro genitori! No, non vi ha felicità più bella, più pura, più grande di quella, che si gode  in seno della famiglia; essa è l’immagine più viva della felicità che si gode per sempre in cielo nella famiglia dei Santi. Se non che è egli vero, che in tutte le famiglie regni tal felicità? Ahimè! tutt’altro. In molte famiglie regna invece l’infelicità, e così grande da rendere immagine dell’infelicità dell’inferno. E qual è mai la ragione di ciò? Se a rendere felice una famiglia fossero necessarie le ricchezze, ben si comprenderebbe, come non mai lo possano essere le famiglie dei poveri. Se la felicità andasse compagna ai titoli ed agli onori, neppur vi sarebbe a stupire, che manchi nelle case degli umili e dei meschini. Così se ad essere felici bastasse esser sani e robusti, si vedrebbe il perché non lo siano le famiglie in cui vi hanno dei deboli e degli infermi. Ma come mai vi hanno pure infelici nelle famiglie di sani, di ricchi, di gente colma di titoli e di onori? La ragione si è, che la base della felicità domestica non è altro se non la pace, quella pace, che Gesù Cristo, nascendo faceva cantare dagli Angeli agli uomini di buona volontà, quella pace, che Egli stesso annunziava agli Apostoli non appena risuscitato da morte, quella pace, che agli stessi lasciava prima di salire al cielo, quella pace infine, che Egli loro ordinava di portar nelle famiglie, ogni volta che vi mettessero piede. Ed è la pace appunto, che in molte famiglie manca. Qua, distruggitori della pace domestica sono mariti inumani, che violando le più sante promesse fatte appiè degli altari, mentre per la compagna avuta da Dio non hanno che odio, disprezzo, fastidio ed abbandono, gettano negli amori più infami sanità, sostanze, onore ed anima. Là, distruggitrici della pace sono mogli implacabili, le quali tengono sempre le loro lingue armate di finissima punta per ribattere le osservazioni dei loro mariti e per ferire al vivo chi alla fin fine è il capo della casa e può e deve comandare. Altrove sono padri crudeli, che senza alcun giusto motivo trattano spietatamente i loro figliuoli o li lasciano nel più barbaro abbandono; ed altrove sono figliuoli, che appena arrivati ai primi anni dell’adolescenza più non piegano la fronte ad alcun comando di padre e di madre, insorgono anzi riottosi contro di loro e fanno a dispetto quel che ad essi è proibito. Insomma qua per un membro, altrove per un altro, in non poche famiglie invece della pace regnano sovrani il disamore, la gelosia, l’odio, la lite, la discordia, e per conseguenza l’infelicità. – Or bene, o carissimi, vogliamo noi tenere lontani dalle nostre famiglie questi mali, che distruggono la pace e la felicità? Siamo sinceramente devoti del Sacratissimo Cuore di Gesù. Questo è il secondo vantaggio, che egli promise ai cultori della sua devozione. Ed Egli senza dubbio farà onore alla sua parola. Se la pace non è mancata mai, Egli continuerà tenerla; se è venuta meno Egli non tarderà a ristabilirla. Questo Cuore Santissimo da noi amato, risarcito, imitato, invocato, non lascerà di toccare il cuore di chi è la causa dell’infelicità di nostra famiglia; egli arresterà quel marito sulle vie delle sue infedeltà e de’ suoi disordini, ammansirà quella moglie così superba ed iraconda, ammollirà quel padre sì duro e spietato, infrenerà quel figlio così caparbio e ribelle, richiamerà alla virtù ed alla fede chi se n’è allontanato, e cessata ogni burrasca, ricomparirà in ognuna delle nostre famiglie l’iride della serenità e della pace. Non dubitiamone punto; Gesù lo ha detto: « Io metterò la pace nelle famiglie dei miei devoti. »

III. — Adunque grazie spirituali e benedizioni temporali secondo le diversità dello stato in cui si vive, pace nel seno delle famiglie, ecco i bei vantaggi, che già abbiamo riconosciuto trovarsi nella divozione al Sacro Cuore. Ci rimane oggi a riconoscerne un altro ancora, così espresso da Gesù Cristo: « Io consolerò i devoti del mio Cuore nei loro patimenti. » Nessuno ignora, perché tutti tardi o tosto vengono a conoscerlo per esperienza, che sono senza numero le pene e le afflizioni che travagliano la nostra misera esistenza sia nel corpo che nell’anima; e queste pene accumulandosi le une sopra le altre finiscono talora per opprimere il nostro cuore. Allora noi con istinto irrefrenabile andiamo cercando un altro cuore per versarvi entro la piena del nostro; ma lo troviamo noi? Noi troviamo dei cuori chiusi ed insensibili; noi troviamo dei cuori, o già ricolmi delle afflizioni loro, o sì deboli da restar soffocati all’apprendimento delle afflizioni nostre; noi troviamo dei cuori ipocriti, che sembrano commuoversi per noi, ma che in fondo non sentono per noi compassione di sorta; noi troviamo dei cuori egoisti, che dopo aver ricevuto una volta le nostre confidenze ci fanno subire il martirio delle loro incessanti lamentele; noi troviamo dei cuori traditori, che delle nostre confidenze si valgono per mettere in piazza le nostre miserie; ecco ciò che noi troviamo. Eppure abbiam bisogno di effonderci, di sfogarci! Allora, andremo noi, come certe anime sventurate, ad affidar le nostre pene alle creature irragionevoli, alle stelle del cielo, alle onde del mare, alle piante della foresta, alle rocce d’un monte? Ma quale conforto ne trarremmo noi?… Miei cari! Vi è un cuore sempre aperto, sempre potente, sempre amico, sempre infinito, che sempre senza stanchezza, senza noia, anzi con piacere, con amore è disposto ad accogliere le espansioni del cuor nostro, le nostre lagrime, le nostre afflizioni, e questo cuore è il Cuore Sacratissimo di Gesù. –  Uno dei motivi, per cui Gesù Cristo volle assumere la nostra povera natura e assoggettarsi alle nostre miserie, come osserva San Paolo, è stato questo appunto di farsi a sentire più vivamente le afflizioni nostre per compatirle e recarcene consolazione! Non enim habemus Pontificem, qui non possit compati infirmitatibus nostris, tentatum autem per omnia prò similitudine, absque peccato. (Hebr. IV, 15) Sì, all’infuori del peccato, egli volle provare tutte le pene interiori ed esteriori, che possono squarciare un corpo o straziare un’anima, ed assomigliarsi ai suoifratelli per essere misericordioso: Unde debuit per omnia fratribus assimilari, ut misericors fieret. (Hebr. II, 17). Egli conosceva bene come il suo Cuore meglio si sarebbe impietosito dei patimenti nostri e più prontamente ci avrebbe confortati nei medesimi, sopportandoli Egli stesso; e per ciò Eglipiange appena nato nella capanna di Betlemme, piange nel prendere la via dell’esilio, soffre e piangenel ritiro misterioso della casa di Nazaret, soffre e piange nelle veglie solitarie della sua vita pubblica, soffre e piange sulla tomba di un amico, soffre e piange sull’ostinazione ed ingratitudine di Gerusalemme, soffre e piange nell’agonia del Getsemani, soffre e piange sulla Croce. Ah! Egli è veramente l’uomo dei patimenti: vir dolorum (Is. LIII, 3) E che altro mai lo ha fatto soffrire e piangere, se non l’amore per noi, ela brama di essere con noi pietoso? Unde debuit fratribus assimilari ut misericors fieret. Né solamente volle provare tutte le pene, ma ciò che è più volle sottostare alla massima desolazione. Con le parole del profeta ei poté dire: Il mio Cuore andò incontro agli obbrobri ad alle miserie, ed io cercando chi entrasse a parte della mia tristezza e mi consolassenon lotrovai: Improperium expectavit cor meum et miseriam, et sostinuit qui simul contristaretur, et non fuit, et qui consolati non inveni. (Ps. LXVIII, 21) Or dunque avendo Gesùsperimentato tutte le pene, e fra le altre anche quella desolazione, conosce per contrario quanto balsamo arrechi alle piaghe di un’anima afflitta la consolazione, e ciò conoscendo con un Cuore così ricco di amore e di compassione, tuttici invita, quando siamo afflitti, ad appressarci a Lui, per essere consolati: Venite ad me omnes, qui laboratis et onerati estis et ego reficiam vos. (Matth. XI, 28) Oh sì! il Cuore di Gesù si commuove ad ogni nostra lagrima, ed essendone in pieno potere, è pronto sempre a consolare efficacemente gli afflitti, a lenire le loro pene, a versare nel loro cuore ulcerato, siccome pietoso Samaritano, il balsamo di ogni migliore conforto.E non faceva così durante la sua mortal vita? Alla preghiera ed alle lagrime di Giairo si mette tosto in cammino per sanare la sua figlia, e trovatala già morta, a consolazione di quel padre, la risuscita. Portandosi alla sepoltura il figliuolo unico della vedova di Naim, questa sventurata madre gli teneva dietro con tale profluvio di lagrime, che avrebbe intenerito le pietre. E Gesù alla vista di quella madre piangente,tocco nel più intimo del suo Cuore, comanda ai portatori della bara di fermarsi, e consola lei pure col miracolo della risurrezionedel suo figlio. La Cananea ha una figlia invasata dal demonioe non reggendole il cuore di vederla in sì misero stato ricorre a Gesù. E Gesù, sebbene dapprima sembri non far conto della sua afflizione per far meglio spiccar la sua fede,lascia alfine libero corso alla piena del suo tenero afflitto e la consola concedendole quel che chiedeva, cioè la guarigione della figlia sua. Infelici ed infermi d’ogni maniera travagliati dai loro dolori si presentavano od erano presentati a Lui, ed Egli, eccolo qui a ridonare l’uso delle membra ai paralitici; là ristagnare il sangue della povera emorroissa, ove rendere la sanità al servo del centurione, ove guarir dalla febbre la suoceradi Pietro, ove raddrizzare gli storpi, illuminare i ciechi, dar l’udito ai sordi, la loquela ai muti, insomma segnare ogni suo passo con un nuovo tratto di sua bontà, con una novella consolazione ai miseri afflitti. Ma quanto Egli faceva nel corso di sua vita mortale, è quello che è pronto a fate, che fa tuttora dall’altezza dei cieli, ove si trova ammantato di gloria, e dall’umiltà del tabernacolo, ove trovasi nascosto sotto le specie dell’Eucaristico Sacramento. E per ciò se tanti e tanti, chemenano al mondo una vita misera e travagliosa e, come il feritodi Gerico, si vedono passar vicino più d’uno che non li cura, che non li mira, si facessero a raccontare a Lui le loro pene, a Lui mettessero innanzi le piaghe, che si vergognano di far conoscere a chicchessia, oh quale consolazione sentirebberospargersi sul cuore afflitto! Ma intanto, perché non si curanodi cercare la consolazione, dov’è di fatti, vivono i giornipiù desolati, e quando non si abbandonano alla più orribile disperazione, consumano di crepacuore, vengono meno di malinconia. Altri poi vivendo nella massima cecità, per essere sollevati dalle loro miserie, invece di accostarsi a questa consolazione, vanno in cerca di conversazioni mondane, di passatempi e piaceri terreni. Infelici! respirino pure un’aria libera in amena campagna, ricreino pure l’orecchio con la soavità delle musiche più scelte, pascan pure l’occhio con la varietà dei teatri, passinopure le ore tra le allegrie dei convitti, o tra gli scherzi di compagnie geniali; per un’ora, per un giorno entrerà loro in cuore una pace apparente; ma tosto vi ricomincerà la guerra, vi rinascerà il tormento, ed in mezzo alle feste del mondo si troveranno soli! No, la consolazione nei patimenti non può trovarsi che nel cuore di quel Gesù, che è: Deus totius consolationis, Dio di ogni consolazione, e che ciconsola realmente in ogni nostra tribolazione, qui consolatur nos in omni tribulatione nostra. (II Cor. I, 3-4)Ma se ciò è verissimo di tutti gli uomini, che sono nell’afflizione, lo è massimamente per i suoi devoti. Questa è pur una delle promesse da Lui fatte: « I miei devoti, li consolerò nei loro patimenti. » Epperò come una madre vedendo afflitto tra i suoi figliuoli chi maggiormente l’ama, si getta al suocollo, lo stringe al petto, lo copre di baci, lo inonda di lagrime, e solamente allora che è sicura d’averlo tornato in pace, respira e riposa, così il Cuore Sacratissimo di Gesù, quando vede travagliato un suo devoto, non tarda un istante a consolarlo con le finezze del suo amore e con la soavità delle sue grazie. E non faceva così durante la sua vita mortale? Amato di un amore singolare da taluni fra molti che lo conoscevano e lo seguivano, alla sua volta senza lasciare di consolare gli altri afflitti, si affrettava tuttavia a consolare questi suoi amici, e alle lagrime di Marta e di Maddalena piangeEglistesso e restituisce la vita al suo caro Lazzaro, ed a Giovanni oppresso dal dolore appiè della sua croce dà la consolazione dell’amor materno di Maria, ed agli Apostoli afflitti per la sua morte, appena risorto dà. con prestezza il confortodelle sue apparizioni. Ora quel costume che Egli ebbe quaggiù, non solo possiamo sperare, ma dobbiamo credere, checontinuerà a mantenerlo, avendocene datala sua indefettibileparola. Animo adunque, continuiamo in questa così utile devozione,accresciamone anzi ogni giorno il fervore, ed allora avremo con certezza tutte le grazie necessarie al nostrostato, godremo sempre la bella pace nel seno delle nostre famiglie, e potremo sempre ripetere col santo re Davide: Ad Dominum, cum tribularer, clamavi, et exaudivit me; (Ps. CXIX, 1), essendo tribolato sono ricorso al Cuore di Gesù, ed esso miha esaudito e consolato.Sì, o liberalissimo Gesù, è questo il santo proposito, che facciamo in questo giorno genuflessi ai piedi vostri, di volere praticare ed accrescere sempre più in noi la divozione al vostroSacratissimo Cuore. E Voi, nella infinita bontà e generosità vostra, degnatevi di spargere pur sempre sopra di noiquei grandi beni, che ne avete promesso. Dateci la grazia diadempiere esattamente le obbligazioni del nostro stato; donatealle nostre famiglie quella pace, che il mondo non può dare; e nelle nostre afflizioni consolateci e dateci la forza per soffrirle con piena rassegnazione alla vostra divina volontà; e così ci sia dato altresì di benedire mai sempre la divozione vostra, che è stata per noi fonte copiosa dei più salutevoli vantaggi”.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: MISERENTISSIMUS REDEMPTOR DI S. S. PIO XI

Questa Enciclica è uno dei documenti più importanti mai prodotti dal Magistero pontificio. Ricco di contenuti dottrinali, indica nella devozione al Cuore di Gesù uno dei mezzi più potenti contro l’empietà delle sette e del mondo odierno, coniugando la devozione alla pratica esatta e convinta della riparazione alle offese fatte a Gesù Signore nostro e Re di ogni Nazione e popolo. Chi non vede come il disconoscimento del potere regale del Cristo sia oggi il male peggiore dell’umanità che per questo sta precipitando in un baratro di immondi vizi, di abomini morali e materiali di ogni sorta, di apostasia della cattolica fede,  mascherata vergognosamente da pratiche sacrileghe e blasfeme, sostenute da chierici invalidamente e sacrilegamente consacrati, dagli ultimi fino agli usurpati uffici apicali. Pio XII, ci ricorda quanto il Signore Gesù aveva già richiesto a Santa Margherita Maria, richiesta oggi quanto mai indispensabile da esaudire per ribaltare una situazione umanamente irrecuperabile: la riparazione alle offese che si fanno al Cuore di Gesù, all’ingratitudine che anche spenti e dormienti sedicenti Cristiani dimostrano nell’ignoranza totale della dottrina cattolica e delle pratiche liturgiche e sacramentali, fonti di salvezza eterna, alla scarsissima attenzione per una Chiesa eclissata, e l’indifferenza verso la condizione del vero Vicario di Cristo imprigionato ed esiliato, sostituito sul suo seggio pietrino da uno spaventapasseri ventriloquo che proferisce mielosamente parole e concetti di indubitabile matrice gnostica e massonica, la teologia cabalista dei suoi mentori adoratori del lucifero-baphomet [Simon Mago al posto di Simon Pietro!!]. Tocca allora al “pusillus grex” utilizzare queste armi riparatorie apparentemente “ridicole” contro le atomiche della stampa e della satanica finanza mondialista, con la fiducia che animava il giovane e piccolo Davide, quando si accingeva ad affrontare  con una “ridicola” fionda un guerriero gigantesco ed armato fino ai denti. A noi quindi l’Ora di adorazione, a noi la Comunione del primo venerdì del mese, [… se non possiamo la Sacramentale, almeno la spirituale], a noi consacrarci “Anime-Ostie”, a noi recitare quotidianamente l’Atto di Riparazione posto alla fine del documento qui riportato. E ancora una volta, Davide abbatterà Golia, Costantino affosserà Massenzio, cadranno Nerone e Diocleziano, Lutero e Calvino, Wicleff e Giansenio, Federico II, Enrico VIII e Ottone di Bismark, Lenin, Stalin, e tutti i tiranni servi del demonio e … alla fine Maria “conteret caput”  del serpente maledetto, e la Chiesa di Cristo uscirà dall’eclissi attuale più bella e splendente che mai.

Pio XI
Miserentissimus Redemptor

INTRODUZIONE

Il Redentore divino presente alla sua Chiesa sempre

1. – Il nostro misericordiosissimo Redentore, dopo aver compiuto sul legno della croce la salvezza del genere umano, prima di ascendere da questo mondo al Padre, nell’intento di sollevare gli apostoli e i discepoli dalla loro afflizione, disse: a Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt XXVIII, 30).

Parole assai gradite e fonte di ogni speranza e di ogni sicurezza, che vengon da sé alla Nostra mente, Venerabili Fratelli, quando da questa, per chiamarla così, più alta specola, osserviamo la società umana afflitta da tanti mali e miserie, non che la Chiesa fatta oggetto, senza intermittenza, di attacchi e di insidie. Questa divina promessa, che sollevò gli animi abbattuti degli Apostoli e così rianimati li accese e li infervorò di zelo per andare a spargere su tutta la terra il seme della dottrina evangelica, ha anche sostenuto in seguito la Chiesa, fino a farla prevalere sulle potenze degli inferi. …ma in modo speciale nei tempi più critici

2. – Sempre il Signore Gesù Cristo ha assistito la sua Chiesa, ma più potente è stato il suo aiuto e più efficace la sua protezione quando la Chiesa s’è trovata in pericoli e sciagure più gravi. Fu allora che nella sua divina sapienza, che “si estende da un confine all’altro con forza e governa con bontà eccellente ogni cosa” (Sap VIII,1), offrì i rimedi più adatti alle esigenze dei tempi e delle circostanze. E non “si è accorciata la mano del Signore” (Is LIX, 1) in tempi a noi più vicini, come quando penetrò e largamente si diffuse l’errore che faceva temere che negli animi degli uomini, allontanati dall’amore e dalla familiarità con Dio, venissero a inaridirsi le fonti della vita cristiana.

Argomento dell’Enciclica: la riparazione

3. – C’è nel popolo cristiano chi ignora o non si cura di quel che l’amatissimo Gesù ha lamentato nelle sue apparizioni a Margherita Maria Alacoque e quel che ha indicato di aspettare e volere dagli uomini, in vista del loro stesso vantaggio. Perciò vogliamo, Venerabili Fratelli, trattenerci alquanto con voi a parlare di quella giusta riparazione che abbiamo il dovere di compiere verso il Cuore Sacratissimo di Gesù, affinché ciascuno di voi procuri diligentemente di insegnare ed esortare il proprio gregge a mettere in pratica quel che abbiamo in animo di esporvi.

LA RIVELAZIONE DEL CUORE DI GESÙ PER I NOSTRI TEMPI

Nel S. Cuore rivelate le ricchezze della bontà divina

4. – Fra le testimonianze della benignità infinita del nostro Redentore, emerge in maniera particolare il fatto che mentre nei cristiani s’andava raffreddando l’amore verso Dio, è stata proposta la stessa carità divina ad essere onorata con speciale culto, e sono state chiaramente rivelate le ricchezze di questa bontà divina per mezzo di quella forma di devozione con cui si onora il Cuore Sacratissimo di Gesù, “nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col ii,3).

Il Cuore di Gesù vessillo di pace e di amore

5. – Infatti, come un tempo al genere umano che usciva dall’arca di Noè, Dio volle far risplendere “l’arcobaleno che appare sulle nubi” (Gn II,14, in segno di alleanza e d’amicizia, così negli agitatissimi tempi più recenti, quando serpeggiava l’eresia giansenista -la più insidiosa fra tutte, nemica dell’amore e della pietà verso Dio- che predicava un Dio non da amarsi come padre ma da temersi come giudice implacabile, il benignissimo Gesù mostrò agli uomini il suo Cuore Sacratissimo, quasi vessillo spiegato di pace e di amore preannunziando certa vittoria nella battaglia..

Nel Cuore di Gesù tutte le nostre speranze

6. – Perciò, molto a proposito, il nostro predecessore di f. m., Leone XIII, nella sua Lettera Enciclica “Annum Sacrum” osservando la meravigliosa opportunità del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, non dubitò di affermare: “Quando la Chiesa nascente era oppressa dal giogo dei Cesari, apparve in cielo al giovine imperatore una croce, auspice e in pari tempo autrice della splendida vittoria che seguì immediatamente. Ecco che oggi si offre ai nostri sguardi un altro consolantissimo e divinissimo segno: il Cuore Sacratissimo di Gesù, sormontato dalla croce, rilucente di splendidissimo candore tra le fiamme. In esso sono da collocarsi tutte le speranze, da esso è da implorare ed attendere la salvezza dell’umanità”.

Il Cuore di Gesù compendio della Religione.

7. – Ed è giusto, Venerabili Fratelli. Infatti, in quel felicissimo segno e in quella forma di devozione che ne deriva, non è forse contenuto il compendio dell’intera Religione e quindi la norma d’una vita più perfetta, dal momento che essa costituisce la via più spedita per condurre le menti a conoscere profondamente Cristo Signore e il mezzo più efficace per muovere gli uomini ad amarlo più intensamente e a imitarlo più fedelmente? – Nessuna meraviglia, dunque, che i nostri predecessori abbiano sempre difeso questa ottima forma di culto dalle accuse dei denigratori e l’abbiano esaltata con grandi lodi e propagata con grande impegno, secondo le esigenze dei tempi e delle circostanze.

Provvidenziale l’incremento di questa devozione

8. – Ed è per ispirazione divina che la devozione dei fedeli verso il Cuore Sacratissimo di Gesù è andata crescendo di giorno in giorno, sono sorte pie Associazioni per promuovere il culto al divin Cuore, come pure la pratica, oggi largamente diffusa, di fare la Comunione ogni primo venerdì del mese, secondo il desiderio espresso da Gesù stesso.

LA CONSACRAZIONE AL CUORE Dl GESÙ

Significato della consacrazione

9. – Tra gli atti che sono propri del culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, emerge -ed è da rammentarsi- la consacrazione, con la quale offriamo al Cuore divino di Gesù noi e tutte le nostre cose, riferendole all’eterna carità di Dio, da cui le abbiamo ricevute. – E fu lo stesso Salvatore, il quale, mosso dal suo immenso amore per noi più che dal diritto che ne aveva, manifestò alla innocentissima discepola del suo Cuore, Margherita Maria quanto bramasse che tale ossequio di devozione gli venisse tributato dagli uomini. E lei per prima, insieme al suo padre spirituale Claudio de la Colombière, fece questa Consacrazione. Col tempo l’esempio fu seguito da singole persone, da famiglie private e associazioni, e poi anche da autorità civili, città e nazioni.

La consacrazione argine contro l’empietà dilagante.

10. – In passato, e anche nel nostro tempo, per l’azione cospiratrice di uomini empi, s’è giunti a negare la sovranità di Cristo Signore e a dichiarare apertamente guerra alla Chiesa con la promulgazione di leggi e mozioni popolari contrarie al diritto divino e naturale, fino al grido di intere masse: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi” (Lc XIX,14). Ma dalla consacrazione, di cui abbiamo parlato, erompeva e faceva vivo contrasto la voce unanime dei devoti del S. Cuore, intesa a rivendicarne la gloria e affermare i suoi diritti: a Bisogna che Cristo regni” (1 Cor XV,25), “Venga il tuo regno”! Di qui il gioioso avvenimento della consacrazione al Cuore Sacratissimo di Gesù di tutto il genere umano – che per diritto nativo appartiene a Cristo, nel quale si ricapitolano tutte le cose (Cf Ef 1,10) – che all’inizio di questo secolo, tra il plauso di tutto il mondo cristiano, fu compiuta dal nostro predecessore Leone XIII di f.m.

Consacrazione riaffermata con la festa di Cristo Re

11. – Queste felici e confortanti iniziative, Noi stessi, come dicemmo nella nostra Enciclica “Quas primas” abbiamo condotto, per grazia di Dio, a pieno compimento, quando aderendo agli insistenti desideri e voti di moltissimi Vescovi e fedeli, al termine dell’anno giubilare, abbiamo istituito la Festa di Cristo Re dell’universo, da celebrarsi solennemente da tutto il mondo cristiano. – Con questo atto non solo mettemmo in luce la suprema autorità che Cristo ha su tutte le cose, nella società sia civile che domestica e sui singoli uomini, ma pregustammo pure la gioia di quell’auspicatissimo giorno in cui il mondo intero, liberamente e coscientemente, si sottometterà al dominio soavissimo di Cristo Re. – Perciò ordinammo pure che in occasione di tale festa, ogni anno si rinnovasse questa consacrazione. nell’intento di raccoglierne più sicuramente e più copiosamente il frutto, e stringere nel Cuore del Re dei re e Sovrano dei dominatori, tutti i popoli, in cristiana carità e comunione di pace.

LA RIPARAZIONE

Alla consacrazione segue la riparazione

12. – A questi ossequi, e in particolare a quello della consacrazione – tanto fruttuosa in sé e che è stata come riconfermata con la solennità di Cristo Re – conviene che se ne aggiunga un altro, del quale, Venerabili Fratelli, vogliamo parlarvi alquanto più diffusamente: del dovere, cioè, della giusta soddisfazione o riparazione al Cuore Sacratissimo di Gesù. – Nella consacrazione s’intende, principalmente, ricambiare l’amore del Creatore con l’amore della creatura; ma quando questo amore increato è stato trascurato per dimenticanza o oltraggiato con l’offesa, segue naturalmente il dovere di risarcire le ingiurie qualunque sia il modo con cui sono state recate. È quel dovere che comunemente chiamiamo “riparazione”. Richiesta dalla giustizia e dall’amore

13. – Sono le medesime ragioni che ci spingono sia alla consacrazione che alla riparazione. Vero è però che al dovere della riparazione e dell’espiazione siamo tenuti per un titolo più forte di giustizia e di amore. Di giustizia, perché dobbiamo espiare l’offesa recata a Dio con le nostre colpe e ristabilire con la penitenza l’ordine violato; di amore al fine di patire insieme con Cristo sofferente e “saturato di obbrobri” e recargli, per quanto può la nostra debolezza, qualche conforto. – Siamo, infatti, peccatori e gravati di molte colpe; dobbiamo perciò rendere onore al nostro Dio non solo con quel culto che è diretto sia ad adorare, con i dovuti ossequi, la sua Maestà infinita, sia a riconoscere, mediante la preghiera, il suo supremo dominio e a lodare, con azioni di grazie, la sua infinita generosità; ma è necessario inoltre che offriamo anche a Dio giusto vindice, soddisfazioni per i nostri “innumerevoli peccati, offese e negligenze”. – Per questo, alla consacrazione per mezzo della quale ci offriamo a Dio e diventiamo a lui sacri – con quella santità e stabilità che è propria della consacrazione, come insegna l’Angelico (2-2, q. 81, a. 8, c.) – si deve aggiungere l’espiazione al fine di estinguere totalmente le colpe, affinché l’infinita santità e giustizia di Dio non abbia a rigettare la nostra proterva indegnità e rifiuti, anzi che gradire, il nostro dono.

Dovere che grava su tutto il genere umano

14. – Questo dovere di espiazione grava su tutto il genere umano, giacché, come insegna la fede cristiana, dopo la funesta caduta di Adamo, l’umanità, macchiata della colpa ereditaria, soggetta alle passioni e in stato di grave depravazione, avrebbe dovuto finire nell’eterna rovina. – Non ammettono questo stato di cose i superbi sapienti del nostro tempo, i quali, seguendo il vecchio errore di Pelagio, rivendicano alla natura umana una bontà congenita, che di suo interno impulso spingerebbe a perfezione sempre maggiore. – Ma queste false invenzioni della superbia umana sono respinte dall’Apostolo che ammonisce che a eravamo per natura meritevoli d’ira” (Ef II,3). E di fatti, fin dagli inizi, gli uomini, hanno riconosciuto in qualche modo il debito che avevano d’una comune espiazione e mossi da naturale istinto si adoperarono a placare Dio anche con pubblici sacrifici.

La riparazione adeguata fu offerta dal Redentore

15. – Nessuna potenza creata però era sufficiente ad espiare le colpe degli uomini, se il Figlio di Dio non avesse assunto la natura umana per redimerla. – È ciò che lo stesso Salvatore degli uomini annunziò per bocca del Salmista: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo” (Eb X,5-7). – E realmente “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; è stato trafitto per i nostri delitti” (Is LIII,4-5). a Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1 Pt 2,24), “annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Col II,14), “perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia” (1 Pt II,24).

È richiesta però anche la nostra riparazione

16. – È vero che la copiosa redenzione di Cristo ci ha abbondantemente perdonato tutti i peccati (Cf Col II,13), tuttavia, in forza di quella mirabile disposizione della divina Sapienza per cui si deve completare nella nostra carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa (Cf Col 1, 24), noi possiamo, anzi dobbiamo aggiungere le nostre lodi e soddisfazioni alle lodi e soddisfazioni che “Cristo tributò in nome dei peccatori”.

che ha valore per l’unione al sacrificio di Cristo

17. – Si deve però sempre tenere a mente che tutto il valore espiatorio dipende dall’unico Sacrificio cruento di Cristo, che senza intermittenza si rinnova nei nostri altari. Infatti “una sola e identica è la Vittima, il medesimo è l’Offerente che un tempo si offrì sulla croce e che ora si offre mediante il ministero dei Sacerdoti; differente è solo il modo di offrire” (Conc. Trid. Sess. XXII, c. 2). – A questo augustissimo Sacrificio Eucaristico, perciò, si deve unire l’immolazione sia dei ministri che dei fedeli, in modo che anch’essi si dimostrino a ostie viventi, sante e gradite a Dio” (Rm XII, 1). – Anzi S. Cipriano non dubita di affermare che “non si celebra il Sacrificio di Cristo con la conveniente santificazione, se alla passione di Cristo non corrisponde la nostra offerta e il nostro sacrificio” (Ep. 63, n. 381). – Perciò ci ammonisce l’Apostolo che “portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù” (2 Cor IV,10), e sepolti con Cristo e completamente uniti a Lui con una morte simile alla sua (Cf Rm VI,4-5), non solo crocifiggiamo la nostra carne con le sue passioni e i suoi desideri (Cf Gal V,24), fuggendo alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza” (2 Pt 1,4), ma anche che “la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2 Cor IV,10) e resi partecipi del suo sacerdozio eterno, offriamo “doni e sacrifici per i peccati” (Eb V,1).

Tutti i cristiani partecipi del sacerdozio di Cristo…

18. – Partecipi di questo misterioso sacerdozio e dell’ufficio di offrire soddisfazioni e sacrifici, non sono soltanto quelle persone delle quali il nostro Pontefice Cristo Gesù si serve come ministri per offrire l’oblazione pura al Nome divino, dall’oriente all’occidente in ogni luogo (Cf Ml 1,11), ma tutti i Cristiani – chiamati a ragione dal Principe degli Apostoli “stirpe eletta, il sacerdozio regale” (1 Pt II,9) – devono offrire per i peccati propri e per quelli di tutto il genere umano (Cf Eb V,2), a un di presso come ogni sacerdote e pontefice “scelto fra gli uomini viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio” (Eb V,1). – E quanto più perfettamente la nostra oblazione e il nostro sacrificio saranno conformi al sacrificio del Signore -cosa che si compie immolando il nostro amor proprio e le nostre passioni e crocifiggendo la carne con quel genere di crocifissione di cui parla l’ Apostolo- tanto più copiosi saranno i frutti di propiziazione e di espiazione che raccoglieremo per noi per gli altri.

…e per l’unione in Cristo si aiutano a vicenda.

19. – C’è, infatti, un mirabile legame dei fedeli con Cristo, simile a quello che vige tra il capo e le membra del corpo. Parimenti, per quella misteriosa comunione dei Santi, che professiamo per fede cattolica, sia gli uomini singoli che i popoli, non solo sono uniti fra loro, ma anche con Colui “che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità” (Ef IV, 15-16). Che è quel che lo stesso Mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù, vicino a morire, domandò al Padre: “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv XVII,23).

LA RIPARAZIONE NEL CULTO AL CUORE Dl GESÙ

La riparazione nell’intenzione di Gesù

20. – La consacrazione esprime e rende stabile l’unione con Cristo; l’espiazione inizia questa unione con la purificazione dalle colpe, la perfeziona partecipando alle sofferenze di Cristo e la porta all’ultimo culmine offrendo sacrifici per i fratelli. – Tale appunto fu l’intenzione che il misericordioso Signore Gesù ci volle far conoscere nel mostrare il suo Cuore con le insegne della passione e le fiamme indicanti l’amore, che cioè riconoscendo noi da una parte l’infinita malizia del peccato e dall’altra ammirando l’infinita carità del Redentore, detestassimo più vivamente il peccato e rispondessimo con maggior ardore al suo amore.

Preminenza della riparazione nel culto al S. Cuore

21. – Lo spirito di espiazione e di riparazione ha avuto sempre la prima e principale parte nel culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, e tale spirito è senza dubbio il più conforme all’origine, all’indole, all’efficacia e alle pratiche proprie di questa devozione, come appare dalla storia, dalla prassi, dalla liturgia e dagli atti dei Sommi Pontefici. – Infatti, nel manifestarsi a Margherita Maria, Gesù, mentre proclamava l’immensità del suo amore, al tempo stesso, in atteggiamento di addolorato, si lamentò dei molti e gravi oltraggi che gli venivano recati dagli uomini ingrati, e pronunziò queste parole che dovrebbero rimanere sempre scolpite nelle anime pie e mai dimenticate: “Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e li ha ricolmati di ogni genere di benefici, e che in cambio del suo amore infinito non solo non ha avuto alcuna gratitudine, ma, al contrario, dimenticanza, indifferenza, oltraggi, e questi recati, a volte, anche da coloro che sono tenuti per dovere, a rispondere con uno speciale amore”.

Atti di riparazione richiesti da Gesù stesso

22. – In riparazione di tali colpe, tra le molte altre cose, raccomandò questi atti, a Lui graditissimi; che cioè i fedeli, con l’intenzione di riparare si accostassero alla S. Comunione – chiamata perciò “Comunione riparatrice” – e compissero atti e preghiere di riparazione per un’ora intera, che per questo viene giustamente chiamata “Ora santa“. – Tali pratiche la Chiesa non solo le ha approvate ma le ha anche arricchite di favori spirituali. –

Come si può consolare il Cuore di Gesù glorioso

23. – Ma, se Cristo regna ora glorioso in cielo, come può venir consolato da questi nostri atti di riparazione? “Dà un’anima amante, e comprenderà ciò che dico”, rispondiamo con le parole di S. Agostino (Sul Vang. di Giovanni, tr XXVI, 4) che qui vengono a proposito. – Infatti, un’anima ardente di amor di Dio, guardando il passato vede e contempla Gesù affaticato per il bene dell’umanità, addolorato e sottoposto alle prove più dure; lo vede “per noi uomini e per la nostra salvezza” oppresso da tristezza, angoscia, quasi annientato dagli obbrobri, “schiacciato per le nostre iniquità” (Is LIII,5) e che con le sue piaghe ci guarisce. Queste cose le anime pie le meditano con maggiore aderenza alla realtà per il fatto che i peccati e i delitti, in qualsiasi tempo siano stati commessi, costituiscono la causa per cui il Figlio di Dio fu dato a morte, e anche al presente cagionerebbero a Cristo la morte accompagnata dai medesimi dolori ed angosce, dal momento che ogni peccato rinnova in qualche modo la passione del Signore: “Per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia” (Eb VI,6). – Pertanto, se a motivo dei nostri peccati che sarebbero stati commessi nel futuro, ma che furono previsti allora, l’anima di Cristo divenne triste fino alla morte, non vi può esser dubbio che abbia provato anche qualche conforto già da allora a motivo della nostra riparazione anch’essa prevista, quando “gli apparve un Angelo dal cielo” (Lc XXII,43) per consolare il suo Cuore oppresso dalla tristezza e dall’angoscia. – Sicché, anche ora, in modo mirabile ma vero, noi possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini ingrati. Ed è Cristo stesso, come si legge nella Liturgia, che si duole per bocca del Salmista dell’abbandono dei suoi amici: “L’insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno. Ho atteso compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati” (Sal LXVIII, 21).

Si consola Gesù anche nelle sue membra sofferenti.

24. – A ciò s’aggiunga che la passione espiatrice di Cristo si rinnova e in certo modo continua e si completa nel suo corpo mistico, che è la Chiesa. – Infatti, per servirci ancora delle parole di S. Agostino, “Cristo patì tutto quello che doveva patire; ormai nulla più manca al numero dei patimenti. Dunque i patimenti sono completi, ma nel capo; rimanevano ancora le sofferenze di Cristo da compiersi nel corpo” (In Sal. LXXXVI). – Che è quel che il Signore Gesù stesso ha voluto dichiarare quando, parlando a Saulo “sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli” (At IX, 1), disse: “Io sono Gesù, che tu perseguiti” (At IX,5). – Con ciò significò chiaramente che le persecuzioni mosse alla Chiesa, andavano a colpire e affliggere lo stesso capo della Chiesa. – Giusto, dunque, che Cristo, sofferente ancora adesso nel suo corpo mistico, voglia averci compagni della sua espiazione, cosa che richiede la stessa nostra unione con Lui, perché essendo noi “corpo di Cristo e sue membra” (1 Cor. XII, 27), ciò che soffre il capo bisogna che con lui soffrano anche le membra (Cf 1 Cor XII, 26).

LA RIPARAZIONE RICHIESTA PER I NOSTRI TEMPI

Offensiva attuale contro Dio e la cristianità

25. – Quanto sia urgente, specialmente in questo nostro tempo, l’espiazione o riparazione appare manifesto, come abbiamo detto all’inizio, a chiunque osservi con gli occhi e la mente questo mondo che giace sotto il potere del maligno” (1 Gv V,19). – Da ogni parte giunge a Noi il grido di popoli afflitti, dove capi e governanti sono, nel vero senso, insorti e congiurano insieme contro il Signore e contro la sua Chiesa (Cf Sal II,2). – Vediamo in quelle regioni calpestato ogni diritto divino e umano. I templi demoliti e distrutti, i religiosi e le sacre vergini cacciati dalle loro case, insultati, tormentati, affamati, imprigionati; strappati dal grembo della madre Chiesa schiere di fanciulli e fanciulle, spinti a negare e a bestemmiare Cristo e a commettere i peggiori crimini di lussuria; il popolo Cristiano gravemente minacciato e oppresso, e in continuo pericolo di apostatare dalla fede o andare incontro a morte anche la più atroce. – Cose tanto tristi, che con tali avvenimenti sembra si preannunzi e si anticipi fin da ora “l’inizio dei dolori”, quali apporterà “l’uomo iniquo che s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto” (2 Ts II,4).

Deficienze tra i Cristiani.

26. – Ma è ancor più doloroso il fatto, Venerabili Fratelli, che tra gli stessi Cristiani, lavati col sangue dell’Agnello immacolato nel Battesimo e arricchiti della sua grazia, ce ne siano tanti, appartenenti ad ogni classe, i quali ignorando in maniera incredibile le verità divine e infetti da false dottrine, vivono una vita viziosa, lontana dalla casa del Padre; una vita che non è illuminata dalla vera fede, non confortata dalla speranza nella futura beatitudine, non sostenuta né ravvivata dall’ardore della carità, sicché sembra davvero che costoro siano nelle tenebre e nell’ombra di morte. – Inoltre, va sempre più crescendo tra i fedeli la noncuranza della disciplina ecclesiastica e delle antiche istituzioni, da cui è sorretta tutta la vita cristiana, regolata la società domestica e difesa la santità del matrimonio. – Trascurata affatto è poi o deformata da troppe delicatezze e lusinghe l’educazione dei fanciulli e perfino tolta alla Chiesa la facoltà di educare cristianamente la gioventù. – Il pudore cristiano purtroppo dimenticato nel modo di vivere e di vestire, specialmente nelle donne. Insaziabile la cupidigia dei beni transitori, gli interessi civili predominanti, sfrenata la ricerca del favore popolare rifiutata la legittima autorità, disprezzata la parola di Dio, per cui la fede stessa vacilla o è messa in grave pericolo. Al complesso di questi mali si aggiunge l’ignavia e l’infingardaggine di coloro che, a somiglianza degli Apostoli addormentati o fuggitivi, mal fermi nella fede, abbandonano Cristo oppresso dai dolori e circondato dai satelliti di Satana. E c’è anche la perfidia di coloro che seguendo l’esempio di Giuda traditore, con sacrilega temerarietà si accostano all’altare o passano al campo nemico. – E così, anche senza volerlo, si presenta alla mente il pensiero che si stiano avvicinando i tempi predetti dal Signore: a Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà” (Mt XXIV,12).

Ci sono però anche confortanti reazioni

27. – Riflettendo su queste cose i buoni fedeli, infiammati d’amore per Cristo sofferente, non potranno fare a meno di dedicarsi ad espiare con maggiore impegno le proprie colpe e quelle commesse da altri, risarcire l’onore di Cristo e promuovere la salvezza delle anime. – E possiamo davvero descrivere la nostra età adattando in qualche modo il detto dell’Apostolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm V,20). – Infatti, è vero che è cresciuta di molto la perversità degli uomini, ma è anche vero che va meravigliosamente aumentando, per impulso dello Spirito Santo, il numero dei fedeli dell’uno e dell’altro sesso, i quali con animo volenteroso si adoperano a dare soddisfazione al divin Cuore per tante ingiurie che gli si recano e giungono anche ad offrire a Cristo le loro stesse persone come vittime. – Certo che chi riflette con spirito di amore a quanto abbiamo fin qui rammentato e l’imprime, per così dire, nell’intimo del cuore, arriverà non solo ad aborrire il peccato come il sommo dei mali e a fuggirlo, ma anche ad abbandonarsi totalmente alla volontà di Dio e risarcire l’onore leso della divina Maestà con la preghiera assidua, le volontarie penitenze e col sopportare pazientemente le eventuali calamità, fino a vivere tutta la vita in spirito di riparazione. – E così che sono sorte molte famiglie religiose di uomini e di donne, le quali, con ambito servizio, si propongono di fare in qualche modo, giorno e notte, le veci dell’Angelo che conforta Gesù nell’orto. – Di qui pure le pie associazioni di uomini, approvate dalla Sede Apostolica e arricchite di indulgenze, che si assumono il compito dell’espiazione con opportuni esercizi di pietà e atti di virtù. – Di qui, infine, per non parlare di altre, quelle pratiche religiose e solenni attestazioni d’amore, introdotte allo scopo di riparare l’onore divino violato, usate frequentemente non solo da singoli fedeli ma anche da parrocchie, diocesi e città.

Atto di riparazione da farsi nella festa del S. Cuore

28. – Ebbene, Venerabili Fratelli, come la pratica della Consacrazione, cominciata da umili inizi e poi largamente diffusasi, ha raggiunto lo splendore desiderato con la nostra conferma, così grandemente bramiamo che la pratica di questa espiazione o riparazione, già da tempo santamente introdotta e propagata, abbia con la nostra apostolica autorità il più fermo suggello e diventi più solenne e universale nel mondo cattolico. – Stabiliamo perciò e ordiniamo che tutti gli anni, nella festa del Cuore Sacratissimo di Gesù – che in questa occasione abbiamo disposto che sia elevata al grado di doppio di prima classe con ottava – in tutte le Chiese del mondo si reciti solennemente, con la formula di cui uniamo esemplare in questa Lettera, la preghiera espiatrice o ammenda onorevole, com’è chiamata, per esprimere con essa il pentimento delle nostre colpe e risarcire i diritti violati di Cristo sommo Re e Signore amatissimo.

Frutti che si sperano

29. – Non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che da questa pratica santamente rinnovata ed estesa a tutta la Chiesa, molti e segnalati siano i beni che ne verranno non solo alle singole persone, ma anche alla società religiosa, civile e domestica. Lo stesso Redentore nostro, infatti, ha promesso a Margherita Maria che “avrebbe colmato con l’abbondanza delle sue grazie celesti tutti coloro che avessero reso questo onore al suo Cuore”. – I peccatori “volgendo lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv XIX,37) e commossi dai gemiti e dalle lacrime di tutta la Chiesa, pentiti per le ingiurie recate al Sommo Re, “rientreranno in se stessi” (Cf Is XLVI, 8), perché non avvenga che ostinandosi nei loro peccati, quando vedranno “venire sulle nubi del cielo” (Mt XXVI, 64) colui che trafissero, troppo tardi e inutilmente piangano su di Lui (Cf Ap 1,7). I giusti diventeranno più giusti e più santi (Cf Ap XXII,11 ) e si consacreranno con rinnovato fervore al servizio del loro Re che vedono tanto disprezzato e combattuto e oggetto di tante e così gravi ingiurie. Soprattutto s’infiammeranno di zelo per la salvezza delle anime, nel meditare il lamento della vittima divina: “Quale vantaggio dal mio sangue” (Sal XXIX,10), e nel riflettere al gaudio che avrà quel Sacratissimo Cuore “per un peccatore convertito” (Lc XV,7). – Ma quel che principalmente desideriamo e speriamo è che la giustizia divina, la quale per dieci giusti avrebbe usato misericordia e perdonato a Sodoma, molto più voglia perdonare a tutto il genere umano, in vista delle suppliche e delle riparazioni che dappertutto innalza la comunità dei fedeli, insieme con Cristo Mediatore e Capo. –

Sia propizia Maria Riparatrice

30. – Sia propizia a questi nostri voti e a queste nostre disposizioni la benignissima Vergine Madre di Dio, la quale col dare alla luce il nostro Redentore, col nutrirlo e offrirlo come vittima sulla croce, per la mirabile unione con Cristo e per sua grazia del tutto singolare, è divenuta anch’essa Riparatrice e come tale è piamente invocata. – Noi confidiamo nella sua intercessione presso Cristo, il quale pur essendo il solo “Mediatore fra Dio e gli uomini” (1 Tm 2,5) volle associarsi la Madre come avvocata dei peccatori, dispensatrice e mediatrice di grazia.

L’apostolica benedizione

31. – Auspice dei divini favori e in testimonianza della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, e all’intero gregge affidato alle vostre cure, impartiamo di cuore l’apostolica benedizione.

Dato a Roma presso S. Pietro, il giorno 8 del mese di maggio dell’anno 1928, settimo del nostro Pontificato.

Pio Papa XI

ATTO DI RIPARAZIONE AL CUORE SACRATISSIMO Dl GESÙ

Prostrati dinanzi al tuo altare, noi intendiamo riparare con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini il tuo amatissimo Cuore.

Gesù dolcissimo: il tuo amore immenso per gli uomini viene purtroppo, con tanta ingratitudine, ripagato di oblio, di trascuratezza, di disprezzo.

Memori però che pure noi altre volte ci macchiammo di tanta ingratitudine, ne sentiamo vivissimo dolore e imploriamo la tua misericordia.

Desideriamo riparare con volontaria espiazione non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che, errando lontano dalla via della salvezza, ricusano di seguire Te come pastore e guida, ostinandosi nella loro infedeltà, o, calpestando le promesse del Battesimo, hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge.

E mentre intendiamo espiare il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare:

l’immodestia e le brutture della vita e dell’abbigliamento;

le insidie tese alle anime innocenti dalla corruzione dei costumi; la profanazione dei giorni festivi; le ingiurie scagliate contro di Te e i tuoi Santi;

gli insulti rivolti al tuo Vicario e l’ordine sacerdotale; le negligenze e gli orribili sacrilegi con i quali è profanato lo stesso Sacramento dell’amore divino e in fine le colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti e il Magistero della Chiesa da Te fondata.

Intanto come riparazione dell’onore divino conculcato, Ti presentiamo quella soddisfazione che Tu stesso offristi un giorno sulla croce al Padre e che ogni giorno si rinnova sugli altari: Te l’offriamo accompagnata con le espiazioni della Vergine Madre, di tutti i Santi e delle anime pie.

Promettiamo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto potremo, con l’aiuto della tua grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri e l’indifferenza verso sì grande amore, con la fermezza della fede, la santità della vita, l’osservanza perfetta della legge evangelica e specialmente della carità. – Inoltre d’impedire, con tutte le forze, le ingiurie contro di Te e attrarre quanti più potremo, a seguire e imitare Te. Accogli, te ne preghiamo, o benignissimo Gesù, per intercessione della B.V. Maria Riparatrice, questo volontario ossequio di riparazione, e conservaci nella fedele obbedienza a Te e nel tuo servizio fino alla morte, col dono della perseveranza, così che possiamo un giorno pervenire a quella patria, dove Tu col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni, Dio, per tutti i secoli dei secoli.

Amen.

VII

ACTUS REPARATIONIS ET CONSECRATIONIS

Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas, tanta oblivione, negligentia, contemptione, ingratissime rependitur, en nos, ante altaria [an: conspectum tuum] tua provoluti, tam nefariam hominum socordiam iniuriasque, quibus undique amantissimum Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus. Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque vehementissimo dolore commoti, tuam in primis misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria expiatione compensare fiagitia non modo quæ ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui, longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem ducemque sectari detrectant, in sua infìdelitate obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes, suavissimum tuæ legis iugum excusserunt. Quæ deploranda crimina, cum universa expiare contendimus, tum nobis singula resarcienda proponimus: vitae cultusque immodestiam atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas innocentium animis instructas, dies festos violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque sacerdotalem convicia irrogata, ipsum denique amoris divini Sacramentum vel neglectum vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a te institutæ iuribus magisterioque reluctantur. Quæ utinam crimina sanguine ipsi nostro eluere possemus! Interea ad violatum divinum honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita nostra aliorumque peccata ac tanti amoris incuriam firma fide, candidis vitæ moribus, perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum, observantia, quantum in nobis erit, gratia tua favente, nos esse compensaturos, tum iniurias tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos. Excipias, quæsumus, benignissime Iesu, beata Virgine Maria Reparatrice intercedente, voluntarium huius expiationis obsequium nosque in officio tuique servitio fidissimos ad mortem usque velis, magno ilio perseverantiæ munere, continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.

Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ssmo Sacramento sollemniter exposito, conceditur:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1 iun. 1928 et 18 mart. 1932).

[Indulg. 5 anni; Plenaria se recitata per un mese con Confessione, Comunione, Preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice, visita di una chiesa od oratorio pubblico. – Nel giorno della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, confessati e comunicati, recitata con le litanie de Sacratissimo Cuore, davanti al SS. Sacramento solennemente esposto: Indulgenza plenaria].

DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ (12): pietà verso il Sacro Cuore.

 

DISCORSO XII.

[A. Carmagnola: Il Sacro Cuore di Gesù – S. E. I., Torino, 1920 – imprim.]

Pietà verso il Sacro Cuore di Gesù.

Dopo che a Dio, o miei cari, l’uomo è tenuto prima che ad altri ai parenti ed alla patria; ai parenti che lo hanno generato e nutrito, alla patria per la quale si è nati e si vive. L’uomo pertanto, che sente abitualmente questo dovere, e si reca a coscienza di compierlo, rendendo ai parenti ed alla patria gli omaggi dovuti, è adorno di quella virtù morale tanto bella e tanto stimata, che si chiama pietà. Ma se la pietà è già così bella e stimabile in quanto ha per oggetto la patria ed i parenti, diventa oltre ogni dire sublime, quando non solo come virtù, ma come dono dello Spirito Santo, ha per oggetto Iddio, Padre nostro per eccellenza. Perciocché il Cristiano che la possiede, non riguardando Iddio soltanto come suo Creatore e padrone, ma riconoscendolo sopra tutto come il più affettuoso dei Padri, per un istinto prodotto in cuor suo dallo Spirito del Signore, sente verso di Lui un affetto veramente figliale, e si volge ad onorarlo come il più tenero dei figli. La pietà cristiana adunque è il più delicato, il più nobile, il più perfetto dei sentimenti cristiani; è la prima, la più grande, la più importante delle cristiane virtù; essa è la fioritura della fede, il profumo della speranza, lo splendore della carità; ed è perciò che S. Paolo ha detto, che la pietà è utile a tutto, che la pietà è tutto, ch’essa è la sorgente di tutte le grazie, di tutte le consolazioni nella vita presente ed il pegno più sicuro della salute nella vita avvenire: Pietas ad omnia utilis est, prommissionem habens vitæ quæ nunc est, et futuræ. (I Tim. IV, 6). Ma come vi ha l’oro vero e l’oro falso, così pure si dà una pietà vera ed una pietà falsa. Vi hanno taluni, che si danno a credere di avere della pietà, perché hanno le pareti delle loro case tutte adorne di sacre immagini, perché dicono ogni giorno una gran moltitudine di orazioni, e passano anche lunghe ore in chiesa; sebbene con tutto ciò siano sempre pieni di collera, di superbia e vadano privi di purezza, di carità; e di pazienza e di altre cristiane virtù. Costoro purtroppo non hanno che una falsa pietà, habentes speciem pietatis, virtutem autem abnegantes, (II Tim. III) perché, come dice S. Tommaso, le anime veramente pie sono anime veramente mansuete, umili, pure, caritatevoli e pazienti, e non può essere, che la pietà, che è il fiore delle cristiane virtù, vada da esse disgiunta. Ma come non vi è vera pietà in sole pratiche devote senza la base delle virtù cristiane, così non vi ha neppur vera pietà nell’apparenza delle virtù cristiane, senza le pratiche devote.No, non è che un assurdo il dire: Io credo, solamente non faccio le pratiche di pietà; perché non si può essere Cristiani a mezzo, ed il vero Cristiano è colui, che ha la fede con le opere, tra le quali tengono il primo posto le pratiche di pietà. Pertanto non recarsi alla chiesa, non assistere alla Messa, non ascoltar la parola di Dio, non frequentare i Sacramenti, non venerare le sante immagini e vantarsi Cristiano, non è che un illudersi grandemente e tralasciare una parte essenziale dei doveri cristiani. Ciò premesso, voi dovete tosto riconoscere, che se il devoto del Sacro Cuore di Gesù ad esercitare la pietà verso di Lui, che è cuore di padre, di fratello, di sposo e di amico, deve studiarsi anzi tutto di ricopiarne le più belle virtù, deve pure con sollecitudine compiere verso di Lui quelle pie pratiche, che più possono riuscirgli gradite. Epperciò dopo avervi animati nei passati giorni a seguire l’esempio delle speciali virtù del Divin Cuore, prendo oggi ad eccitarvi ad alcune pie pratiche in suo onore, e sono: 1° La venerazione della sua immagine. L’apostolato della preghiera. La visita al SS. Sacramento.

I. — Come la terra tende al sole con tutta la sua massa, così l’uomo tende a Dio con tutto il suo essere, vale a dire non solamente con lo spirito, ma anche col suo cuore materiale, con la sua carne e con le sue ossa, umiliate dal peccato; perciocché anche queste, come dice la Santa Scrittura, esultano alla presenza di Dio: Cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum. (Ps. LXXXIII, 3) Exsultabunt Domino ossa (Ps. L, 10) Per la qual cosa l’uomo non è, e non può essere appieno soddisfatto nel possedere Iddio nella sua intelligenza per la fede e nella sua anima per la grazia, ma egli aspira ancora a vederlo con i suoi occhi, a toccarlo con le sue mani, a stringerlo tra le sue braccia, a trovarsi insomma anche in relazioni sensibili con Lui. Ed è questa aspirazione così profonda e così invincibile, che ha indotto l’uomo lungo il corso dei secoli a dipingere e scolpire Iddio, a rappresentarselo cioè sotto forme sensibili. È questa aspirazione, che tra i popoli pagani ha moltiplicato all’infinito gli idoli e le immagini di falsi dèi, e ne ha riempiuti i loro templi, le loro case, le loro campagne, le loro ville, le loro piazze, tutti i loro pubblici edifìzi. Ma è pur questa aspirazione, che ha generato tra i Cristiani quella sollecitudine così viva di fare immagini senza numero, d’ogni qualità e grandezza, del vero Dio e dei Santi, veri amici di Dio, di porle ancor essi dappertutto, non solo nelle chiese, ma anche nelle case, negli angoli delle vie, nelle pubbliche piazze, e di portarle eziandio sopra se stessi, di stringerle al cuore, di baciarle e render loro un culto di religione e di amore. La qual cosa essendo così istintiva nel cuore umano, epperò così ragionevole e così piena di buon senso e di filosofia, come mai gli eretici e gli increduli osano beffare ed accusare di superstizione? Porse che non praticano essi la stessa cosa con quegli oggetti, che sostituiscono ed antepongono a Dio? Purtroppo, è quello che si vede tuttodì, l’uomo distolto dal figurare Iddio, figura satana; distolto dal rappresentare le magnifiche prosopopee della virtù, dipinge le orribili scene del vizio; distolto dal mettere nella sua casa e di portare su di sé le immagini di Gesù Cristo, della Vergine dei Santi, empie la sua casa di immagini indecenti ed impudiche, e porta sopra del cuore un simbolo od un ricordo di corruzione e di peccato. E così gli eretici e gli empi colle stesse pratiche, benché erronee e peccaminose, concorrono a confermare la convenienza e la bontà delle pratiche cristiane. – Se adunque il disegnare le immagini di Dio ed il venerarle è cosa sì conforme al cuor dell’uomo, bisogna riconoscere che è Dio stesso Colui che desidera che si segua una tal pratica, perciocché non è altri che Iddio, che ha posto nel cuor dell’uomo una tale aspirazione. E quando ne mancassero altre prove basterebbe per tutte quella che abbiamo in relazione all’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Ed in vero fu Gesù Cristo medesimo Colui, che a Santa Margherita Maria Alacoque espresse il desiderio, che si formasse l’immagine del suo Cuore e si prendesse a venerarla. Udite. L’anno 1674 nel giorno di S. Giovanni Evangelista, 27 dicembre, la Margherita, rapita in estasi d’amore, ricevette una grazia, somigliante a quella che ebbe il santo Apostolo nell’ultima cena con Gesù. E durante tale rapimento il divin Cuore le si rappresentò tutto fiamma e fuoco vibrante per ogni verso raggi luminosi, e trasparente come limpido cristallo. La trafittura ricevuta dalla lancia vi appariva visibilmente; una corona di spine lo circondava, ed una croce vi era piantata sopra. E fu allora che le disse, che gli sarebbe stato di piacere singolare l’essere onorato sotto la figura di quel Cuore, in una immagine esposta alla pubblica venerazione, per meglio toccare il cuore così insensibile degli uomini. E per ottenere che si eseguisse il suo così vivo desiderio, promise che là ove fosse esposta pubblicamente la sua immagine avrebbe sparso ogni sòrta di benedizioni. E questo desiderio di Gesù Cristo fu assecondato la prima volta il 20 luglio del 1685. La festa di S. Margherita, vergine e martire, cadeva in quell’anno, in giorno di venerdì e le novizie del monastero di Paray-le-Mouial, dipendenti da Santa Margherita Alacoque per festeggiarla nel modo più gradito alla loro Maestra, stabilirono fra di loro di offrire i primi onori pubblici al Sacratissimo Cuore. Ma tutto mancava, persino una sua immagine. Tuttavia quelle prime adoratrici del Cuore di Gesù non si perdettero d’animo. Presero un semplice foglio di carta, con penna ed inchiostro delinearono in fretta la figura di un cuore infiammato, circondato di spine, sormontato da una croce. Vi scrissero in mezzo la parola Charitas, e dintorno i benedetti nomi Iesus, Maria, Ioseph, Anna, Ioachim. Questa primitiva poverissima immagine, che si conserva tuttora nel monastero della Visitazione di Torino, fu collocata sopra un altarino, nella sala del noviziato, tutta adorna di fiori. E fu davanti a questa immagine, che Santa Margherita umilmente prostrata, con ardore da serafino consacrò se stessa e le sue novizie al Sacratissimo Cuore. In seguito propagandosi la divozione di questo Cuore Santissimo, si propagò eziandio la pratica di farne delle immagini, di esporle sopra degli altari, di porle nelle case e di portarle indosso. E il Sacro Cuore di Gesù fu mai sempre fedele alla sua promessa, e fece discendere mai sempre in gran copia le sue benedizioni là dove la sua immagine era venerata. – La storia ecclesiastica racconta che nell’anno 528 nella città di Antiochia essendovi delle scosse terribili di terremoto i Cristiani con fede scrivevano sopra le porte delle loro case queste parole: Christus nobiscum, state: Cristo è con noi, state in piedi; e per virtù di queste parole, le case non crollavano. Nella Storia Sacra poi leggiamo che l’Angelo del Signore, essendo disceso nell’Egitto a sterminare tutti i primogeniti degli Egiziani, non entrava tuttavia nelle case degli Ebrei, perché questi, dietro l’ordine di Dio, ne avevano segnate le porte col sangue dell’agnello. Or ecco il prodigioso benefizio, che arrecò mai sempre l’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Nel 1720, infierendo la peste nella città di Marsiglia, la venerabile serva di Dio Anna Maddalena Kemuzat sparge largamente fra i suoi concittadini l’immagine del Sacro Cuore di Gesù a forma di scapolare su cui stava scritto: « Fermati! Il Cuore di Gesù è con me. » E quanti portavano indosso una tal immagine erano scampati dal flagello il quale poi cessava del tutto, quando il vescovo Monsignor di Belzunce consacrava al Sacro Cuore tutta la città. Ma oltre a questo fatto pubblico, quanti altri privati se ne potrebbero raccontare! Se adunque Gesù benedetto ha espresso Egli medesimo il desiderio, che si onori l’immagine del Sacro Cuore ed ha promesso le benedizioni più elette a quelle abitazioni, dove sarà esposta, ed a quelle persone, che la porteranno con sé, che altro ci vorrà per animarci a questa pratica di pietà? Sia pur dunque che i mondani adornino le loro case di immagini profane e pur anche indecenti, noi le adorneremo di immagini di Dio, della Vergine e dei Santi, e soprattutto del Cuore Santissimo di Gesù. Sia pure che gli eretici e gli increduli portino presso di sé le immagini delle creature che adorano invece di Dio, ed i simboli di empietà e di superstizione, noi ci gloriamo di portare con noi le immagini e le medaglie del sacratissimo. Cuore, e seguendo questa prima pratica, così gradita a Gesù Cristo, siamo certi di averne in ricambio le più belle grazie. Ma passiamo alla seconda.

II. — La seconda pratica speciale di pietà, che noi posiamo esercitare ad onore del Sacro Cuore, e col suo più vivo gradimento, è l’apostolato della preghiera. Secondo l’insegnamento di S. Basilio, di S. Agostino, di S. Giovanni Crisostomo, di S. Clemente Alessandrino, e di molti altri Santi Padri, la preghiera è necessaria alla nostra eterna salute di necessità di mezzo: vale a dire senza pregare è a noi assolutamente impossibile il conservarci in grazia e salvarci. Ed in vero, essendo tanti i nemici dell’anima nostra, che continuamente ci combattono e noi essendo al contrario tanto deboli, se Iddio non ci soccorre con speciali aiuti, non possiamo certamente star lungo tempo in grazia, senza cadere in qualche colpa grave. Questa è dottrina di fede, dichiarataci dal sacro Concilio di Trento. Ora questi aiuti speciali a perorare in grazia, Iddio, almeno ordinariamente parlando, non li concede se non a chi glieli domanda. Quindi chiaro apparisce, che dopo il Battesimo, agli adulti la preghiera è un mezzo assolutamente indispensabile a conseguire l’eterna salute. Epperò è certo, che tutti i dannati dell’inferno si sono dannati perché non pregarono; se avessero pregato, non si sarebbero perduti; e tutti i santi del paradiso si son fatti santi col pregare: se non avessero pregato, non si sarebbero né santificati, né salvati. Ma quando pure si potesse mettere in dubbio, che la preghiera sia necessaria di necessità di mezzo, non si potrà certamente dubitare, che essa sia necessaria di necessità di precetto, vale a dire, perché ci fu comandata da Dio. Già ripetemmo più volte che il Cuore di Gesù è Cuore di Dio, di quel Dio, che è il nostro padrone assoluto. Come tale adunque ha tutti i diritti di comandarci quel che gli piace, e noi abbiamo tutto il dovere di obbedirlo senza ricercare minimamente il perché dei suoi comandi. Ora tra i vari comandi che il Cuore di Gesù ci ha fatto ripetutamente, tiene un posto principalissimo quello della preghiera: « Domandate, pregate, bisogna sempre pregare, » Egli ci ha detto: « Questa è la legge, che vi impongo, se da me volete ricevere i miei benefizi. Chi domanda riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. » E notate bene, o carissimi, che il divin Redentore non ci disse: « Vi invito a pregare, vi consiglio di pregare, vi esorto a pregare; » ma disse senz’altro: « pregate, domandate, bisogna pregare: » appunto perché intendessimo che questo era un comando formale ed assoluto, che noi avremmo avuto il dovere di praticare. Di fatti, anche durante la sua mortal vita, benché sì generoso e sì facile a largheggiare, tuttavia il più delle volte non concedeva le sue grazie, non dopo esserne stato richiesto con la preghiera, e non di rado, come col centurione, con la cananea e con altri sventurati la andava sollecitando col fingersi sordo alle pressanti loro istanze. – Ma quasi che il suo comando e la sua condotta non fossero ancor stato sufficienti a farci ben comprendere la sua volontà, volle aggiungere il suo illustre esempio. In mezzo alle sue apostoliche fatiche, alla sua vita di carità, soleva togliersi sovente di mezzo agli uomini, e ritirarsi in luogo solitario, al far che? Celo dice il Vangelo: a pregare il suo Divin Padre, e mentre spendeva il giorno in servizio delle anime, consacrava la notte ad un’assidua orazione: et erat pernoctans in oratione Dei. (Luc. VI, 12) E questa pratica così ammirabile Egli accentuò con atti più espressivi e solenni la vigilia della sua morte nel giardino degli ulivi, e nelle stesse ultime ore del sua agonia sulla croce. Ma forse che Egli avesse bisogno pregare? No, senza dubbio, ma Egli pregò pei bisogni nostri e per confermare con il suo esempio il comando della preghiera. Da ultimo perché nessun pretesto, neppur quello di non saper pregare, ci avesse potuto esimere dall’adempimento del suo precetto, il buon Gesù, così desideroso di donarci le sue grazie ci ha insegnato le formole, di cui dobbiamo valerci a domandarle, e in una delle sue escursioni apostoliche, fermandosi sul ciglio d’una strada con i suoi discepoli, apprende e a loro e a noi a recitare il Pater, quella preghiera così semplice così sublime, che contiene tutto quello, che possiamo desiderar e domandare da Dio. – Dopo tutto ciò vi potrebbe essere ancora alcun Cristiano che non attendesse alla pratica della preghiera colla massima sollecitudine? Eppure quanti vi sono, i quali per tutto il giorno aprendo il labbro alle più orride bestemmie, da anni ed anni non l’aprono alla più breve e più piccola preghiera! E quanti altri vi hanno, che sebbene preghino, tuttavia non recano che disgusto e nausea al Cuore di Gesù, tanto pregano malamente! Ah! se noi amiamo il Divin Cuore dobbiamo pregarlo con le dovute disposizioni. Dobbiamo pregarlo anzi tutto per noi, perché ci mantenga e ci accresca il suo amore, perché ci difenda nei pericoli e ci rafforzi nelle tentazioni, perché ci protegga e ci assista nei nostri interessi materiali e spirituali, perché sopra ogni altra grazia ci doni quella della perseveranza finale, onde possiamo andarlo un giorno a vedere e godere in cielo. – Ma il devoto del Sacro Cuore di Gesù non deve contentarsi di pregare per sé: non è soltanto la preghiera ch’ei deve praticare, ma l’apostolato della preghiera. Gesù Cristo è venuto sulla terra a morir sulla croce per salvare le anime: questa la brama ardentissima del suo Divin Cuore, e niun’altra cosa può attristarlo, che la perdita delle anime. Ora i suoi devoti non devono adoperarsi col massimo impegno per farne interessi e soddisfarne le brame? Noi dobbiamo dunque piegare oziando per la salute altrui, e massimamente per la conversione dei peccatori. Così fece lo stesso Cuore di Gesù durante la sua mortal vita: « Come il sacerdote, dice l’Apostolo, è preso di mezzo agli uomini, affinché offerisca sacrifici pei loro peccati, così Gesù Cristo, Sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech, nei giorni della sua carne offerse a Dio per i peccati nostri preghiere e suppliche con forti grida e con lacrime. (Hebr. v, 1-7) Così fa tuttora lassù in Cielo, tutto sfolgoreggiante della sua gloria, e quaggiù in terra tutto nascosto nel santo tabernacolo; Egli sembra, che non viva che per implorare pietà dal suo divin Padre per l’umanità peccatrice, mostrandogli il suo Cuore squarciato: Semper vivens ad interpellandum prò nobis. (Hebr. VII, 25) E così dobbiamo far noi, pregare ed offrire al Cuore di Gesù le nostre preghiere, perché si dissipino gli errori e le eresie, perché cessi l’incredulità ed il vizio, perché si convertano i peccatori e tornino a lui, e così trionfi la virtù e la Religione. E poiché Gesù ha detto che quando « due o tre persone si raduneranno a pregare nel suo nome, Egli si trova in mezzo a loro, » (MATT. XVIII, 20) così ad accrescere il merito della nostra preghiera facciamoci volentieri ascrivere all’Opera dell’Apostolato della preghiera, opera tanto commendata dal Romano Pontefice, e nella quale trovandosi uniti a pregare in uno stesso spirito e come con un sol cuore un numero immenso di devoti del Sacro Cuore, questi non mancherà di esser fedele alla sua promessa. Oh! il Cuore di Gesù è infinitamente ricco e infinitamente buono. Niuno per certo potrà mai misurare i tesori infiniti di grazia, che esso tiene presso di sé, per dispensarli a chi glieli domanda. Contiamo pure, se ci è possibile, le stelle del cielo, le arene del mare, le gocce d’acqua dell’oceano, i fiori e le foglie delle piante… Tuttavia i tesori di grazia, che il Cuore di Gesù possiede superano di gran lunga tutte le cifre, che possiamo mettere insieme, perché tali tesori sono muniti. Ma questo divin Cuore, non è già come tanti ricchi del mondo, che pur possedendo ingenti ricchezze le posseggono unicamente per sé, senza farne parte alcuna a quei poverelli che pur ne avrebbero diritto. Esso invece, oltre all’essere infinitamente ricco, è pure infinitamente buono e vuole nella sua infinita bontà distribuirci i suoi tesori. Mirate come Egli li distribuisce a tutto il creato. È desso il buon Gesù, che invia incessantemente la sua benedizione ai fiori ed alle piante della terra, agli uccelli dell’aria, ai pesci dell’acqua ed agli animali del bosco, e persino ai più piccoli insetti, che non contano che l’esistenza di una qualche ora. Lo disse il re Davide: Aperis tu manum tuam et imples ormne animal benedictione. (Ps. CXLIV) Che se tanta è la bontà che adopera verso le stesse creature irragionevoli, chi può dire la bontà con cui è pronto a trattar noi creature ragionevoli! Anzi noi, suoi particolari amanti? Oh sì! Questo Santissimo Cuore, mercé l’apostolato della preghiera, darà a noi tutte le grazie necessarie alla salute dell’anima nostra, e ci farà l’onore di salvarne delle altre.

III. — Finalmente la terza pratica di pietà, che può riuscire di sommo gradimento al Cuore Sacratissimo di Gesù, è la visita quotidiana al SS. Sacramento e la Comunione riparatrice. Oh quanto fu grande la bontà del Cuore di Gesù per noi! Benché infinitamente beato in se stesso, non gli parve tuttavia essere pienamente felice, se con l’istituzione della Santissima Eucaristia non trovava il modo di restare perpetuamente tra di noi e di diventare il cibo spirituale delle anime nostre. E per tale Sacramento egli anzitutto è naturalmente presente nel Santo Tabernacolo, come lo è in cielo, e finché vi sarà una zolla di terreno su cui si eriga un altare, ed un sacerdote che ne celebri il santo Sacrificio, Egli continuerà a tenere la sua abitazione fra noi. Che sterminato amore! E che cosa mai vi era di bello, di buono e di grande in noi da eccitare un Cuore divino a trovare la sua delizia nel fermare tra di noi la sua dimora? Ah! si accresca pure il nostro stupore, che ben ve n’ha ragione: ciò che ha indotto il Cuore di Gesù a restare con noi, tutt’altro che la nostra grandezza, è stata la nostra miseria. Egli ha considerato i nostri grandi bisogni, e pieno di compassione, come un dì si commoveva copra le turbe fameliche, così si commosse sopra le nostre necessità, sopra le nostre afflizioni, e per aiutarci e consolarci in esse, si è posto in mezzo a noi nel Santo Tabernacolo. E da quel Tabernacolo, che Egli a sé ci chiama continuamente col dire: Venite ad me omnes, qui laboratis et onerati estis et ego reficiam vos. (MATT. XI, 28) « Venite a me, voi che siete travagliati dalle sventure, dalle traversie, dalle infermità della vita, ed Io vi ristorerò. Venite a me, voi che già vi apprestate al tramonto della vita, ed io vi sosterrò nei vostri stanchi anni, e vi disporrò a ben compiere il passo da questo mondo all’eternità. Venite a me voi, o figliuoli, che siete ancor nel fior degli anni, ed Io vi insegnerò il santo timor di Dio, per mezzo del quale lascerete i piaceri della terra per inebriarvi soltanto di quelli del cielo. Venite a me, voi, o genitori, cui riesce sì arduo il compito dell’educazione cristiana dei vostri figli, ed Io svelandovene i segreti, ve lo alleggerirò. Venite a me, voi, o poverelli; Io di voi mi compiaccio, e tra voi ho chiamato i primi adoratori della mia umanità e del mio Cuore, e continuerò a evangelizzarvi, ad animarvi alla rassegnazione ed alla brama delle ricchezze imperiture del cielo. Venite a me, voi, o anime giuste, ed io vi arricchirò di nuova grazia perché abbiate a perseverare nelle vie della giustizia e della santità; venite anche voi, o anime peccatrici; Io sto qui come al pozzo di Sichem, aspettando che voi veniate a me, pentiti dei vostri traviamenti, per darvi a bere dell’acqua di vita eterna; venite, venite tutti, perché di tutti conosco i bisogni e per sovvenirli sono qui in mezzo a voi, aspettando solo che veniate a visitarmi. » Oh parole tenerissime! Oh dolcissimo invito! Ben a ragione la Chiesa, considerando questi amorosi accenti, nell’ufficiatura del Sacratissimo Cuore di Gesù, per spronarci ad assecondarne l’intento si volge a noi e ci dice: Auditis ut suavissimis – Invitet omnes vocibus? Udite, con che voci soavissime a sé c’invita, a sé ci chiama?Ora se questo è il motivo per cui Gesù Cristo è rimasto tra di noi nel SS. Sacramento dell’altare, e così grande è la sua brama che noi ci rechiamo a visitarlo e domandargli ivi le grazie di cui abbiamo bisogno, non ci faremo sollecitudine di venire almeno una volta ogni giorno a trovarlo? Ah! io dico, che un devoto del Sacro Cuore di Gesù, che non trovasse modo e tempo di fargli ogni dì anche una breve visita, avrebbe in cuor suo ben poco amore per Lui. Difatti i santi che amavano davvero Gesù trovavano le loro delizie in visitarlo di spesso, e nello sfogarsi con Lui in dolci affetti! S. Vincenzo de’ Paoli lo visitava più spesso che gli era possibile, e il principale sollievo che prendeva tra le gravi sue occupazioni, era quello di starsi lungo tempo dinnanzi al sacro Tabernacolo. Vi si tratteneva poi con un contegno così umile, modesto e devoto, che sembrava vedere co’ propri occhi la Persona adorabile di Gesù Cristo. Quando gli occorrevano negozi difficili, egli ricorreva, come Mosè, al sacro Tabernacolo per consultare l’oracolo della verità. Quando usciva di casa, andava a chiedergli la santa benedizione; appena ritornatovi, andava a ringraziarlo dei benefìci ricevuti ed a umiliarsegli per i mancamenti che poteva aver commessi. S. Luigi Gonzaga era tutto in festa quando poteva fare compagnia al suo caro Gesù: ivi, come dice S. Maddalena de’ Pazzi, saettava il Cuore del Verbo, e non sapeva partirsene che con pena. S. Francesco Saverio, in mezzo alle immense sue fatiche, trovava un grandissimo ristoro nel passare gran parte della notte avanti a Gesù Sacramentato. Lo stesso soleva fare S. Francesco Regis, il quale, trovando chiusa talvolta la chiesa, si tratteneva di fuori genuflesso avanti alla porta, esposto all’acqua e al freddo per far corteggio, almeno così da lontano, al suo Sacramentato Signore. Così facevano i veri amanti del Cuore di Gesù. E non faremo così anche noi? Sì, per amore di Gesù, prendiamo tutti questa bella pratica, ed anzi, per impegnarci sempre più alla stessa, facciamoci ascrivere altresì all’Adorazione quotidiana universale, la quale, sorta da pochi anni in Torino, città del SS. Sacramento, elogiata dai Vescovi, ed eretta in molte diocesi, fu ripetutamente benedetta ed arricchita di speciali indulgenze dal Sommo Pontefice. Chi vi si ascrive non si impone altro obbligo, che di entrare ogni giorno in una chiesa ove si conservi il SS. Sacramento per fermarvisi anche solo pochi minuti a recitarvi una preghiera, a rivolgere un pensiero, a mandare un sospiro al Cuore Sacramentato di Gesù. E chi mai, nell’andare o venire pe’ suoi interessi materiali, per i suoi negozi e pe’ suoi lavori, non incontra una chiesa, non trova un minuto almeno di tempo per passarvi entro a salutare Gesù?Ma æmulamini charismata meliora: (I Cor. VII, 31) aspirate a qualche cosa di meglio. Non contentatevi di visitare Gesù nel suo SS. Sacramento, ma recatevi ancora di spesso a riceverlo ne’ vostri cuori e ciò specialmente per ripararlo meglio che sia possibile delle gravissime ingiurie che in questo Sacramento di amore pur troppo riceve. Il medesimo Gesù nelle sue apparizioni a Santa Margherita Alacoque parlandole del modo di celebrare la sua festa, le raccomandò che in essa si riparassero colla comunione gli indegni trattamenti a cui è fatto segno nella SS. Eucaristia. Altra volta le suggerì allo stesso fine di comunicarsi ogni primo venerdì del mese e quante altre volte le fosse concesso dall’obbedienza. Quale contento adunque noi daremo al Cuore di Gesù soddisfacendo le sue ardentissime brame! E nel tempo stesso che gran bene arrecheremo alle anime nostre! Venite adunque, o devoti del Sacro Cuore, venite a questi altari ad unirvi ai Cori degli Angeli e a condividere il loro ufficio di star prostrati innanzi alla maestà di Dio; venite come pecorelle privilegiate a stringervi attorno al pastore delle anime; venite come discepoli prediletti a posare la vostra testa sul Cuore di Gesù, venite come Maddalene feriti di carità a trovar qui il vostro paradiso. Venite, e cibatevi di Lui, e adoratelo, e sfogate con Lui la vostra pietà, il vostro amore, piangendo ai suoi piedi i vostri peccati e i peccati di tutti gli uomini, offrendovi a Lui mille volte per risarcirlo delle offese che riceve, massime in questo Sacramento, implorando le sue grazie per voi, per i vostri cari, per i vostri parenti lontani da Dio, per tutti i peccatori, per i sacerdoti, per i Vescovi, per il Papa, per la Chiesa, per le anime sante del purgatorio. Oh voi felici! Mentre il Cuor vostro nella vicinanza e nell’unione di Gesù, come quello dei discepoli di Emmaus, arderà e languirà di amore per Lui, il Cuor suo spanderà in voi torrenti di luce, di benedizioni e di grazie; ed abituandovi a menar la vostra vita in unione alla sua, vi assicurerete ognor più la fortuna di essere a lui uniti per tutta l’eternità.Intanto prostrati dinnanzi all’immagine del Sacro Cuore di Gesù facciamogli queste belle promesse: O Cuore Santissimo, poiché conosciamo quanto vi torni gradita la venerazione dell’immagine vostra, e di quante benedizioni siete largo a chi in essa vi onora, non lasceremo di adornarne le nostre case e di coprirne le nostre persone. E dinnanzi alle vostre immagini noi eserciteremo con ardore l’apostolato della preghiera, affine di ottenere da voi la grazia di salvare l’anima nostra e quella ancora di guadagnacene moltissime altre. Ma soprattutto verremo sovente a visitarvi nei vostri santi tabernacoli, a disfogare ivi con voi il nostro cuore, a lodarvi, a benedirvi; verremo a ricevervi soventi nei nostri Cuori per ripararvi degli oltraggi, che ricevete da tanti cattivi Cristiani, e domandarvi quegli aiuti di cui abbisogniamo per mantenerci nella santa perseveranza. E voi, o Cuore amantissimo di Gesù, degnatevi di gradire in odore di soavità queste pratiche nostre e di compensarle con speciali aiuti, secondo la vostra divina parola.

DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ (11): modello di pazienza

DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ (11)

[A. Carmignola: il Sacro Cuore di Gesù; S.E.I. Ed. Torino, 1930-imprim. ]

DISCORSO XI

Il Sacro Cuore di Gesù modello di pazienza

Otto secoli prima che il divino Maestro, Gesù, venisse sulla terra, il profeta Isaia aveva vaticinato, che alla scuola di Lui gli uomini avrebbero profittato non solo colle orecchie, ma ancora con gli occhi, vale a dire non solo con l’apprendere per mezzo dell’udito i suoi santi insegnamenti, ma eziandio col considerare cogli occhi della fede, della pietà e dell’amore gli ammirabili suoi esempi. Et erunt oculi tui videntes præceptorem tuum. (Is. xxx, 20) Perciò appunto l’Apostolo san Paolo ci esorta non solo a ricordarci delle lezioni di Gesù Cristo, ma a tenere ancora fissi del continuo gli sguardi della nostra mente sopra delle sue opere, assicurandoci che per tal guisa noi ricaveremo frutti meravigliosi nella scienza della fede, e consumeremo l’opera importantissima della nostra salute: Aspicientes in auctorem fidei, et consnmmatorem Jesum. (Hebr. XII, 2). E quanto giusta sia questa esortazione noi da alcuni giorni l’andiamo toccando con mano, perché studiando le speciali virtù del Cuore Santissimo di Gesù Cristo veniamo a conoscere, che non solamente ce le ha insegnate con la dottrina, ma più ancora le ha col fatto praticate. Che se ciò è verissimo di tutte quante le virtù, a me sembra che lo sia in modo particolare della pazienza. E di fatti, che cosa fu mai tutta la vita mortale del Sacratissimo Cuore di Gesù, dal primo all’ultimo istante, se non un continuo patire, non solo vincendo ogni tristezza, ma ancora con amore e con gioia, non ostante che nei patimenti non avesse chi lo consolasse? E questa è appunto la pazienza eroica del Cuor suo, che Gesù molti secoli innanzi presentò alla considerazione degli uomini, quando disse per mezzo del santo re Davide: Il mio Cuore si aspettò obbrobri e miserie, e aspettai chi entrasse a parte di mia tristezza e non vi fu, e chi mi porgesse consolazione, e noi trovai: Improperium expectavit cor meum et miseriam, et sustinui qui simul contristar etur, et non fuit, et qui consolaretur, et non inverti. (Ps. LXVIII, 21) E questa è pure la pazienza che la Chiesa ci invita ad adorare in modo particolare nel dì della festa del Sacro Cuore di Gesù, dicendoci: Christum prò nobis passum, venite, adoremus: Venite, adoriamo Cristo, che è stato paziente per noi. È giusto adunque, che fra le virtù speciali del Cuore Sacratissimo di Gesù, io vi animi ad imitare ancor questa mettendovi in luce l’ammirabile esempio di pazienza datoci dal Sacro Cuore.

I. — Troppo giustamente, o miei cari, la terra sulla quale noi passiamo facendo il nostro viaggio per l’eternità, è chiamata valle di lagrime. Da tutti e da per tutto si piange, perché da tutti e da per tutto si soffre. Or è una lunga e grave malattia, or è la morte di un padre, di una madre, di un figlio, di uno sposo; or è un rovescio di fortuna, or è un’infame calunnia, or è la destituzione da un impiego, or è la mancanza del lavoro, or è la privazione di ciò che è più necessario alla vita, or son varie di queste cose insieme, che si rovesciano sopra del nostro capo e ci traggono dal labbro i dolorosi accenti del travagliato Idumeo: Che vita! che vita è mai la nostra! Breve e ripiena di molte miserie. Homo…. brevi vivens tempore repletur multis miseriis. (Job. XVI, 1). Tant’è; questa è la legge, che gravita sull’umanità peccatrice. Se l’umanità non avesse peccato, come sarebbe andata esente dalla morte, così sarebbe sfuggita agli assalti del dolore. Ma poiché l’umanità ha peccato in Adamo e continua pur troppo a peccare nei suoi discendenti, perciò essa è condannata alla morte, e a tutti i dolori fisici e morali, che la precedono e la producono. Sì, o miei cari: Homo nascitur ad laborem et avis ad volatum; (Job. v, 7) come agli uccelli è naturale il volo, così all’umanità peccatrice è naturale il patire. – Tuttavia secondo l’insegnamento cristiano i patimenti non sono soltanto una punizione della colpa originale e delle colpe nostre personali, ma sono ancora per divina bontà un gran mezzo di espiazione e di santificazione. Ma a tal fine è assolutamente necessaria la pazienza nei medesimi, quella virtù che modera la tristezza e l’affanno, che si genera nei nostri cuori dai travagli presenti. Sì, dice S. Paolo, la pazienza è necessaria, affinché, conformandoci al divino volere in mezzo alle avversità, giungiamo all’acquisto dei beni soprannaturali promessici da Dio in questa e nell’altra vita: Patientia vobis necessaria est, ut voluntatem Dei facientes, reportetis repromissionem. (Hebr. x, 36) E la ragione di questa necessità, insegna S. Tommaso, si è che non vi ha cosa, che tanto impedisca l’uso della ragione e tanto ritragga la volontà dal bene quanto la tristezza. Quanti per cagione della tristezza son divenuti siccome stolti o pazzi! E quanti ancora per la tristezza hanno perduto affatto il senno e si son data spontaneamente la morte! E non è per la tristezza, cagionata dai mali della vita, che molti infelici danno di mano ad una rivoltella e se la sparano al cuore, oppure vanno a lanciarsi sotto le ruote di un treno che corre, od a precipitarsi da una altura in fondo alle acque, o si tolgono altrimenti la vita? È necessario adunque, che in tempo delle tribolazioni, da cui non è possibile ad alcuno l’andare esente, vi sia una virtù, che sgombri dal cuore questa tristezza cotanto dannosa, mantenga in vigore la ragione e sostenga la volontà nell’esercizio del bene: e questa virtù è la santa pazienza. E qual cosa vi ha mai, che torni tanto utile quanto il sopportare con pazienza le tribolazioni? A che servono, a che riescono le tribolazioni pazientemente tollerate? Esse, servono anzitutto ad espiare, vale a dire a soddisfare la divina giustizia dei tanti peccati, che abbiamo commesso. Ponete mente: Dio è giusto e come la sua giustizia vuole premiata anche la più piccola delle nostre buone opere, così esige la punizione anche del nostro più leggiero peccato. Riandando pertanto la vostra vita e trovandovi ad esempio un peccato, benché sia un solo, voi dovete dire a voi medesimi : Ecco che ho dato a Dio una ragione per castigarmi; trovandovene due, quattro, dieci, voi dovete dire: Ecco due, quattro, dieci ragioni in mano a Dio per punirmi. E quando rivolgendovi addietro non vedeste che una tela continua di peccati, non dovreste riconoscere, che Egli ha tutte le ragioni per far gravare su di voi tutto il peso della sua mano punitrice? Ma se Egli ha tante ragioni di punirci, non è giusto, non è bene che Egli lo faccia? Ah, che direste di un padre, che ornai le desse tutte vinte al suo figlio, che non lo punisse più quando manca? Voi direste che un tal padre più non ama il suo figlio; e direste bene. Dunque guai a quei poveri peccatori, che Iddio più non castiga in questa vita ! Il loro più grave castigo è quello di non essere più castigati. Il vederli nuotare nelle comodità, nelle ricchezze, nei piaceri senza ombra di tribolazione è cosa che spaventa. Una felicità siffatta deve farci tremare. Se pertanto noi siamo peccatori, e Dio pietoso ci manda le tribolazioni, sopportandole con pazienza, ripariamo facilmente alle passate colpe. Ma non solo le tribolazioni servono ad espiare i peccati nostri, ma molte volte anche i peccati degli altri. Pensate a quel che Dio aveva detto ad Abramo: che se in Sodoma e Gomorra vi fossero stati anche solo dieci giusti, Egli avrebbe perdonato a tutte le migliaia di colpevoli, ed allora comprenderete qualche cosa dell’onnipotenza espiatrice del patire. Quel giovane ha scosso il giogo soave di Cristo, si è allontanato da Dio per correre senza freno le vie del più schifoso piacere. Il puzzo de’ suoi peccati sale al trono di Dio, e Dio ha già armato la sua destra per colpirlo. Ma quel giovane ha una madre, una madre che prega, che si strugge in lagrime per il suo pervertimento, e Dio si placa, e Dio lo risparmia, Dio lo aspetta. Quell’uomo è da dieci, venti, trent’anni, che più non dischiude il suo labbro alla preghiera, che più non prende la Pasqua, che più non rende a Dio alcun omaggio di sorta. E Dio n’è stomacato. Dio vorrebbe farla finita con lui, toglierlo di vita e precipitarlo nel baratro infernale. Ma quell’uomo ha una moglie, che piange il dì e la notte, delle figlie, che pregano, che partecipano alle lagrime della sconsolata loro madre, e questi dolori commuovono il Cuore di Dio e lo inducono a misericordia con quell’uomo traviato. E se i popoli non ostante tanti peccati che si commettono, vivono ancora, se essi non crollano sotto il peso delle loro iniquità, se Dio non manda d’un tratto i suoi fulmini dal Cielo ad incenerire le nuove Sodoma e Gomorra, egli è perché in mezzo a tanti peccatori vi sono ancora delle anime giuste, che sospirano, che gemono, che soffrono, che in uno coi patimenti di Gesù Cristo, offrono a Dio i patimenti loro in espiazione degli altrui peccati. – In secondo luogo le tribolazioni servono mirabilmente a distaccare il nostro cuore dal mondo e ad unirlo a Dio. La nostra vita sopra la terra è tutta piena di fantastiche illusioni, le quali tanto più si moltiplicano ed hanno forza per sedurci quanto più siamo allegri e viviamo nella prosperità. Oh quante vane sicurezze e quanta presunzione nell’uomo, dal momento che non sente più nulla che lo molesti o lo affligga! quante cose dimentica! quante altre ne immagina! Qual compiacenza prende del suo stato! Ah se egli sgraziatamente rimane così, senza alcuna sofferenza né fisica, né morale, anche solo per qualche anno, la terra avrà per lui tali incanti da fargli impallidire e persino eclissare quelli del Paradiso. Quest’uomo insomma diventerà del tutto cieco, non vedendo più né il suo fine, né la strada che lo conduce. Ma vengono le tribolazioni, ed allora che succede? Ecco i fantasmi svaniscono, ricompaiono le realtà, e ripigliano sul suo cuore l’imperio loro dovuto. Sì, come le ricchezze, i piaceri, gli onori, le prosperità mondane inebriano lo spirito, snervano il cuore, corrompono l’uomo e lo perdono, così per contrario l’umiliazione, la miseria, il dolore, l’avversità lo distaccano dal mondo e da se medesimo, lo guariscono e lo salvano. – In fine le tribolazioni sopportate con pazienza ci giovano efficacemente a santificarci. Ed in vero, come dicono i santi libri non si getta forse l’oro nella fornace affine di purificarlo? Non si batte il ferro a colpi ripetuti e non lo si passa sotto l’azione del bulino per pulirlo e farlo lucido? Non si martella il sasso per cavarne una bella statua? Non si squarciano le viscere della terra per renderla feconda? Non si tagliano spietatamente i rami della pianta per moltiplicarne i frutti? Non si batte con nodosi bastoni il grano per purgarlo dalle ariste e dalle paglie? Ecco altrettante graziose immagini per indicarci il concorso delle tribolazioni nella gran d’opera della santificazione nostra. E chi non sa per propria esperienza quanto più siasi inclinati al bene nelle ore dell’angoscia, che in quelle dell’allegrezza? Le tribolazioni anche in un’anima giusta mantengono l’umiltà, le fanno toccare con mano la propria debolezza, il grande bisogno che ha dell’aiuto del cielo, ad ottenerlo la inducono a rifuggire ognora più dalla terra, a ripararsi nel Cuore del Crocefisso, e colla semplicità di un fanciullo a sfogarsi con Lui, a chiedergli il suo aiuto, la sua assistenza: e chi può dire l’abbondanza di grazie, che ne riceve! Da questi sacri ritiri l’anima, sostenuta da una forza, di cui ella medesima non sa spiegare il valore, si alza risoluta, coraggiosa, intrepida a correre la via della giustizia e della santità. Sì, disse l’Apostolo, la virtù nel patire si perfeziona: virtus in infirmitate perficitur; (II Cor. XII, 8) la pazienza rende perfetta l’opera intorno a cui si travaglia, ha soggiunto S. Giacomo; patientiam opus perfectUm habet; (I, 4) e Gesù Cristo stesso assicurò nella pazienza la salute dell’anima: In patientia restra possidebitis animas vestras. (Luc. XXI, 19)

II. — Essendo adunque la pazienza nelle tribolazioni di tanta necessità per la nostra salute, il Cuore Sacratissimo di Gesù volle darcene il più ammirabile esempio. E ciò egli fece in tutto il corso della sua vita, dal primo all’ultimo istante, perciocché la concezione, la nascita, la puerizia, la fanciullezza, !a virilità, l’agonia e la morte furono sempre accompagnate da amarezze, da avversità, da contraddizioni, da travagli e da dolori. Tota vita Jesu crux fuit et martyrium, ha detto l’autore dell’Imitazione; tutta la vita di Gesù fu una crocifissione ed un martirio continuo; ma tutto in tutta la vita egli sopportò con la più eroica pazienza, anzi, tutto egli accettò liberamente, di sua propria volontà, potendone andare esente. No, Gesù Cristo non subì i patimenti, come noi figliuoli del peccato dobbiamo subirli; egli li assunse, perché così gli piacque per nostro amore e per nostro esempio. Entrando nel mondo Iddio Padre gli propose di salvare gli uomini patendo per essi o non patendo, godendo anzi ogni sorta di beni; e Gesù abbracciò il modo più eccellente e più sublime: Proposito sibi gaudio sustinuit crucem confusione contempta. (Hebr. XII, 2) Ed avendo scelto questo disegno, chi dirà come lo riducesse in atto? Parlando di ciò Mosè ed Elia sopra il Tabor, dice il Vangelo, che lo chiamarono un « eccesso. » Sì, dice S. Bonaventura, con ragione quanto patì Gesù Cristo per noi fu chiamato eccesso, perché fu veramente un eccesso di dolore da non potersi mai credere, se non fosse già avvenuto. Questo dolore fu veduto dai profeti così grande, che non sapendo a che cosa di più grande paragonarlo, lo paragonarono all’immensità del mare: Magna est velut mare contritio tua, (Thr. II, 13) e non dubitarono di mettere in bocca a Gesù Cristo queste fortissime espressioni: I torrenti delle afflizioni entrarono fino al fondo dell’anima mia: Intraverunt aquce usque ad animam meam; ( LXVIII) l’anima mia è ripiena di mali: Expleta est malis anima mea; (Ps. LXXXVII) o voi tutti, che passate lungo la via, fermatevi e vedete se vi è dolore simile al mio: 0 vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus. (Thr.. I, 12). – Ed in vero, quanto più si è sensibili e delicati, tanto più le afflizioni premono il cuore e lo fanno soffrire. Che soffre mai la pietra sotto i colpi dello scultore, essendo essa priva di sensazione? Che cosa soffre la vite sotto i l ferro del viticultore, che la pota? Allora sembra che versi qualche lagrima, ma in realtà non sente dolore alcuno. L’animale invece già soffre e si lamenta, quando vien ferito, perché esso sente, benché non abbia coscienza del dolore. Ma assai più dell’animale sente l’uomo, dotato di ragione e formato con un organismo tanto sensibile e delicato; e tra gli uomini sente maggiormente chi è dotato di maggior sensibilità e delicatezza. Or chi può dire quale fosse la sensibilità e la delicatezza del Cuore di Gesù Cristo? Chi può dire, per conseguenza, quanto gravitassero sopra del Cuor suo tutte le avversità, le contraddizioni, le privazioni, i travagli, i dolori, che dovette soffrire? A ciò si aggiunga, che sebbene egli avrebbe potuto da per se stesso raddolcire tutti i suoi patimenti, e porgersi una adeguata consolazione, tuttavia non volle punto farlo, ed in quella vece, rimossa prodigiosamente ogni consolazione e respinto ogni raddolcimento, lasciò che le afflizioni il tormentassero, ciascuna secondo il genere suo, il più che era possibile. Né si creda, che ciascuna di tali afflizioni tormentasse il Cuore di Gesù in quel tempo soltanto, che veniva realmente a piombargli sopra; no, ciascuna di quante ne dovette soffrire, lo travagliò sempre in ogni istante, perché sempre ed in ogni istante col suo sguardo profetico l’ebbe a sé dinnanzi. Sempre vide la sua povertà, il suo esilio, le sue privazioni, le sue fatiche, i suoi sudori; sempre vide la durezza dei suoi Apostoli, l’incostanza e l’ingratitudine delle turbe, la rabbia dei suoi nemici, le loro male arti contro di Lui; sempre vide il tradimento di Giuda, l’abbandono dei suoi Apostoli, la sua cattura, gl’insulti ai tribunali, la condanna di croce; sempre vide la flagellazione, la coronazione di spine, la crocifissione, l’agonia e la morte. E nel vedere sempre questi immensi mali, sempre li soffriva tutti insieme nella misura stessa, con cui ciascuno a suo tempo si fece sentire. Oh! ben a ragione Gesù Cristo fu chiamato l’uomo dei dolori per eccellenza, e che conosce a fondo l’afflizione, virum dolorum et scientem infirmitatem; (Is. LIII) ben a ragione ha detto un Santo, che i patimenti di Gesù Cristo sono sì grandi, che l’insieme di tutti i patimenti sofferti dagli uomini in loro confronto non è che un nulla. Eppure, come immense furono le infermità e le pene sofferte dal Cuore di Gesù Cristo, così immensa fu la pazienza, con cui andò loro incontro, le accettò, le prese e le sopportò. Quella espressione di tanta rassegnazione al divino volere, fattane uscir fuori nell’agonia del Getsemani: « Padre, non la mia. ma la tua volontà sia fatta, » è l’espressione, che continuamente,, in ogni istante della sua pazientissima vita, usciva dal suo Cuore Sacratissimo per salire al cielo quale nuvola di incenso al trono del suo divin Padre, perciocché, come dice S. Cipriano, tutta la vita di Gesù Cristo fu un continuo esercizio d’invitta pazienza, né vi fu atto in lui, che non fosse accompagnato da tale virtù.Di quale stimolo adunque deve esserci un tanto esempio! Ed in vero quale tribolazione può mai accadere a noi, che non abbia patito maggiore Gesù Cristo? Siamo noi per avventura afflitti da acerbi dolori e da penose infermità? Ma quanto più acerbi furono i dolori del Cuore di Gesù! quanto più penose le infermità sue! Siamo noi travagliati dalla povertà? Ma quanto più ne fu travagliato Gesù! Siamo stati abbandonati dagli amici, traditi dai confidenti? Ma quanto più fu abbandonato e tradito Gesù! Siamo stati defraudati della mercede di nostre fatiche? Siamo stati derubati dei nostri averi? Ma a Gesù furono tolte anche le vestimenta e fu fatto morire nudo in croce! Siamo stati ingiuriati, calunniati, disonorati? Ma a Gesù non è toccato mille volte peggio? Ci tocca convivere con persone dì carattere insopportabile, di maniere dure e ributtanti? Ma Gesù ha sofferto ogni sorta di rozzezze nel convivere per tre anni con gli Apostoli! Vanno fallite le nostre speranze intorno a chi fu oggetto delle nostre cure più affettuose? Ma anche per Gesù andò a male la brama di far del bene all’ingrata Gerusalemme! Ci accade di perdere una persona, che formava la consolazione e la dolcezza della nostra vita? Ma Gesù ha fatto il sacrificio di se stesso per noi! Qual cosa adunque potrà accaderci tanto penosa, che ad esempio del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo non possiamo soffrire anche noi con pazienza? E se Egli tanto ha sofferto per noi, Egli che è il Creatore, il principe, il padrone, noi che siamo le creature, i sudditi, i servi, non vorremo soffrire nulla per Lui? Di Abimelec si racconta, che dopo aver distrutta la città di Sichem, risolvette di espugnarne la fortezza col fuoco. E perché a ciò era necessario ammassare a pie’ delle mura grande quantità di tronchi e di rami, condotto il suo esercito presso una vasta e folta selva, cominciò egli con la scure a tagliar un grosso ramo ed a portarlo verso la fortezza, dicendo ai soldati: Fate ancor voi quello che vedete me a fare. E ad un esempio sì nobile i soldati tutti presero, gareggiando, a tagliar rami ed a seguire il capitano. Or ecco quel che fece il Sacratissimo Cuore di Gesù con noi. Egli sapeva, che in questa valle di lagrime avremmo tutti dovuto patire. E sebbene con autorità sovrana Egli avrebbe potuto, senza soffrir nulla egli, presentarsi a noi e dirci: « Patite; » tuttavia, perché noi nell’impazienza nostra gli avremmo forse risposto: Fa un bel dire a noi che patiamo, a Voi che nulla avete patito; che fece Egli? Prese Egli sulle spalle la croce più pesante e più dolorosa, si assoggettò a tutte le infermità della nostra natura, e chiudendo per tal guisa la bocca ad ogni nostro lamento, ci disse ad un tempo stesso: « E non vorrete far voi quello che ho fatto io? » Ah! dopo di ciò non ci resta più altro, che seguitare il sublime esempio del Cuore di Gesù Cristo e camminare sulle sue vestigia. Sì, esclama il principe degli Apostoli, Cristo ha patito per dare alla nostra pazienza il più grande esempio: Egli ha camminato per una strada di spine, perché ancor noi gli teniamo dietro e premiamo le sue pedate: Christus passus est prò nobis, vobis relinquens exemplum, ut sequamini vestigia ejus. ( I Pietr. n , 21). « Gesù Cristo, soggiunge S., Agostino, è stato come un medico pietoso, che sebben sano, appressa il primo le labbra ad un’amara medicina perché, sul suo esempio, non abbia difficoltà di trangugiarla l’infermo. Non diciamo adunque: Non ho voglia, non ho cuore, non ho forza di bere il calice dei patimenti, che Dio mi manda; poiché il nostro Salvatore è stato il primo a beverlo sino alla feccia: « Ne dicas non possum, non fero, non bibo; prior bibit medicus Jesus, ut bibere non dubitar et œgrotus » (Serm. 88 de Temp.) – Fissiamo adunque lo sguardo sopra il Cuore di Gesù Cristo e nel vederlo tanto paziente fra tanti dolori, fra tanti obbrobri, fra tanta povertà, fra tante ingiustizie e fra tanti torti, non lasciamo di dire ancor noi in mezzo alle pene nostre: Signore, sia fatta, non la mia, ma la vostra santa volontà! Lo sguardo alla pazienza di Gesù Cristo ha tenuto nella più invitta pazienza Maria ai pie’ della Croce, gli Apostoli tra le più aspre persecuzioni, i martiri tra i più orribili strazi, gli anacoreti tra le più acerbe mortificazioni, i confessori fra le più gravi avversità. Diceva S. Maria Maddalena de’ Pazzi: « Ogni gran pena riesce gustosa, quando si mira Gesù in Croce ». Giusto Lipsio trovandosi una volta molto afflitto dai dolori, uno degli astanti cercava di animarlo a soffrirli con prontezza, mettendogli innanzi l’esempio degli stoici; ma egli allora guardando il Crocifisso: « questa, disse, è la vera pazienza ». Volendo dire che l’esempio di un Dio, che tanto ha patito per nostro amore, questo basta per animarci a patire ogni pena per amor suo. – S. Eleazaro interrogato dalla vergine sua sposa, S. Afra, come egli soffrisse tante ingiurie da gente villana senza punto risentirsi, rispose: « Sposa mia, non pensare, che io sia insensibile a queste ingiurie; ben io le sento, ma mi rivolgo a Gesù Crocifisso e non lascio di mirarlo fino a che l’animo mio non si tranquilli. » Così lo sguardo alla pazienza del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo ingenererà ancora la pazienza del cuor nostro. In sull’esempio di questo Cuore, che ci importerà di agonizzare per l’anima nostra? di lottare contro l’impazienza nostra sino all’effusione del sangue? Che anzi, le tribolazioni non saranno ricevute da noi con gioia, e ricercate eziandio con amore, qualora ci mancassero?

III. — Ma oltre l’esempio del divin Cuore di Gesù, tre altri motivi devono spronarci all’esercizio della pazienza. Il primo si è il consolantissimo pensiero, che, essendo travagliati con le tribolazioni in questa vita, è segno che Dio ci vuol risparmiare le tribolazioni eterne: Et hœc mihi sit consolatio, diceva Giobbe, ut affligens me dolore non parcat: (VI, 10). Questa sia la mia consolazione, che il Signore mi affligga quaggiù e non mi perdoni, acciocché mi perdoni nell’altra vita. Ed in vero chi col peccato si è meritato l’inferno, come può lamentarsi, se Iddio gli manda qualche croce? Anche qualora nell’inferno non si avesse a soffrire che un piccolo dolore, pur tuttavia trattandosi di un dolore eterno, ben volentieri dovremmo essere disposti a patire quaggiù qualsiasi dolore grave che non è che temporale e che quanto prima ha da finire. Ma i dolori dell’inferno non sono tutti, oltrecché eterni, gravissimi? E supponiamo pure, che vi sia tra noi chi non abbia meritato l’inferno, per avere fortunatamente conservato l’innocenza battesimale, non avrà egli almeno meritato il purgatorio? E i patimenti del purgatorio non sono pur essi quanto mai terribili? Diceva S . Agostino, che dessi sono più tormentosi di qualsiasi dolore possa patirsi in questa vita. Tutti adunque contentiamoci di essere tribolati in questa vita per essere risparmiati nell’altra. Tanto più che in questa vita accettando le tribolazioni con pazienza, patiremo con merito, mentre invece nell’altra vita avremmo a patire di più e senza merito alcuno. Il secondo motivo che deve pure animarci alla pazienza è un altro pensiero più consolante ancora di quello che abbiamo testé ricordato, quello, cioè, che seguendo volentieri Gesù nei patimenti, lo seguiremo altresì nella gloria. Egli stesso ha detto di sé, che così gli convenne patire per entrare nella gloria, che gli appartiene: Oportuit Christum pati et ita intrare in gloriam suam. (Luc. XXIV, 26) E dal presente la sua gloria riceve dai patimenti della sua vita tanto splendore, che non può immaginarsi il più grande. Per questo, per la sua pazienza nel soffrire e nell’assoggettarsi ad ogni travaglio, fino a quello della morte, Iddio lo ha esaltato e gli ha dato un nome, che è al di sopra di ogni nome, al pronunziarsi del quale si piegano riverenti le creature del cielo, delle terra e degli abissi; per questo lo vediamo coronato di onore e di gloria: Videmus Jesum propter passionem mortis gloria et honore coronatum. (Hebr. II, 9) Ora di questa gloria saremo fatti partecipi ancor noi, se, come faceva S. Paolo, ai meriti della pazienza infinita del Cuore di Gesù, aggiungeremo i meriti della pazienza nostra. Ed al pensiero della gloria infinita che ci aspetta, come non sostenere volentieri e con coraggio qualsiasi pena? Il contadino negli stenti e nei sudori della seminagione si anima al pensiero del copioso raccolto; il soldato nei pericoli e nelle sofferenze del campo si anima nel pensiero della medaglia d’onore che gli sta preparata; il vero Cristiano, il vero devoto del Cuore di Gesù Cristo, imitatore delle sue virtù, si animerà a portare la croce dei patimenti, a bere il calice delle avversità, ripetendo con l’Apostolo: Il patire di questo mondo è nulla al confronto dell’eterno godere, che ci sta apparecchiato: Non sunt condignæ passiones huius temporis ad futuram gloriam, quæ revelabitur in nobis. (Rom. VIII, 18) – Le momentanee e leggere tribolazioni vanno operando in noi un cumulo eterno di gloria: Momentaneum et leve tribulationis nostræ, æternum gloriæ pondus operatur in nobis. (II Cor. IV,17). Ed è questo pensiero, che faceva dire a S. Agapito martire, giovinetto di quindici anni, quando il tiranno gli fece circondare la testa di carboni ardenti: « È cosa troppo dappoco, che mi sia bruciato questo capo, che ha da essere coronato in cielo. » È questo pensiero, che faceva ripetere a S. Francesco di Assisi: « Tanto è grande il ben che aspetto, che ogni pena mi è diletto. » È questo pensiero ancora, che fece giubilare quel romito, che giacendo in mezzo ad una selva, tutto coperto di piaghe e con le carni che gli cadevano a pezzi, pure allegramente cantava, ed interrogato da un guerriero, di là passato a caso, come mai avesse voglia di cantare in quello stato, rispondeva: « Con ragione io canto, perché tra me e il Cielo non si frappone che questo muro di fango del mio corpo, che cadendo a brani mi fa vedere più vicino il tempo dell’eterno godere. » Questo insomma è il pensiero, che tanto animava i Santi alla pazienza, e questo deve pur essere il pensiero, che conforti noi nelle tribolazioni nostre. – Ma da ultimo il motivo più nobile, che deve spingersi ad abbracciare con pazienza le pene, i dispiaceri, le infermità, la povertà, i disprezzi, le desolazioni ed ogni altro patimento di questa vita, ha da essere l’amore di questo Sacratissimo Cuore di Gesù e il conseguente desiderio di dargli gusto. Dice l’Ecclesiastico, che « vi hanno degli amici, che sono tali soltanto in tempo di prosperità, ma più non lo sono in tempo di tribolazione, (VI, 8) » Ma la testimonianza più certa dell’amore è il patir volentieri per la persona amata. Caritas patiens est, omnia suffert. (I Giov. XIII, 4) E l’amore al Cuore di Gesù Cristo fa abbracciare con pazienza tutte le croci, che Egli crede di mandarci. Perciò nella vita dei Santi, che tanto amavano Gesù Cristo, troviamo ancora, che questo era il gran motivo, che l’induceva non solo a patire con pazienza, ma a ricercare in ogni modo i patimenti. S. Caterina da Genova, dopo che fu ferita dal divino amore, diceva che non sapeva che cosa fosse patire, benché dovesse sottostare a gravissime pene. S. Geltrude asseriva, che tanto godeva nel patire che nessun tempo gli pareva più penoso di quello, in cui non aveva da patire. S. Procopio martire, quando il tiranno gli apparecchiava nuovi tormenti, prendeva a dirgli: Tormentami quanto vuoi; non sai tu, che a chi ama Gesù Cristo non vi è cosa più cara, che il patire per Lui? E S. Teresa non si fidava di vivere senza patire, sicché spesso esclamava: O patire, o morire. E Santa Maria Maddalena de’ Pazzi si avanzava a ripetere: patire e non morire! Tant’è, o miei cari: non già, come osserva S. Bernardo, che ai santi mancasse la sensibilità; ma l’amore, che portavano cosi ardente a Gesù Cristo faceva loro superare e disprezzare i dolori e le tribolazioni che sentivano. Amiamo adunque, amiamo ancor noi questo Cuore Sacratissimo, e l’amore renderà anche a noi facile ogni cosa.

Concludiamo. Giacché in questa vita, o di buona o di mala voglia si ha da patire, procuriamo di patire con merito, cioè con pazienza. Lasciamo che gli uomini del mondo, vittime insensate de’ suoi pregiudizi e degli inganni del demonio, rifuggano da ogni patire e si abbandonino ad ogni godere; deploriamo che nelle tribolazioni, cui sottostanno, si lamentino, imprechino e si disperino; noi invece, aspicientes in auctorem fidei et consummatorem Jesum, con lo sguardo rivolto al Cuore pazientissimo di Gesù, autore e consumatore di nostra fede, seguiremo volentieri il programma della vita cristiana, da Lui compilato e sottoscritto dal suo Sangue: « Patire qui in terra, godere lassù in cielo, amare dappertutto. » E perché si abbia ad essere realmente, prostrandoci ora dinnanzi al Sacro Cuore di Gesù diciamogli con affetto: O nostro Maestro e Modello Santissimo! Il vostro Cuore così trafitto e così paziente ci fa ben comprendere, come i patimenti sono in nostra mano un gran mezzo per espiare le nostre colpe, per conoscere le vostre vie, per santificare le nostre anime. Ma voi vedete la debolezza nostra! Se noi per tanto non abbiamo il coraggio di chiedervi, come facevano i Santi, di accrescere le nostre pene, proponiamo almeno per vostro amore di sopportare in pace quelle, che per la nostra salute ci invierete, e di offrirle al vostro Divin Padre insieme con le vostre pene. Deh! Dateci voi la forza necessaria per adempiere un sì santo proposito, affinché portando ora volentieri con voi la croce delle terrene tribolazioni, ci sia dato un giorno di essere partecipi delle vostri celesti ed eterne consolazioni.

LE INDULGENZE (ottava dei morti 2018)

 

Le Indulgenze.

[L. Faletti: I nostri morti e il Purgatorio – M. D’Auria ed. Napoli, 1924:– Imprim.]

TRATTENIMENTO XXXVII.

Sommario — Mezzo trascurato di suffragio — Che sono le Indulgenze? Non distruggono il peccato — Non dispensano dalla penitenza — Facoltà della Chiesa di concederle — Lunghesso i secoli — Leone X — Applicabili alle anime purganti — Donde il loro valore? — Plenarie e parziali — Condizioni per lucrarle — La B. Maria di Quito — Esempio.

Non è raro l’udire persone del mondo esclamare, fors’anche sinceramente: « Conosco l’eccellenza e la sublimità della divozione alle anime del Purgatorio; Dio sa quanto io vorrei poterle suffragare, ma ahimè! sono così povero, che mi è impossibile ogni specie di elemosina e di opere buone; così occupato, che non posso trovare tempo per darmi alle preghiere ed agli esercizi di pietà; così malandato in salute, che non mi è permesso di sopportare grandi digiuni e penitenze: che potrò io dunque fare per queste povere anime? » Si potrebbe anzitutto rispondere a queste persone che esse esagerano di molto le loro difficoltà, perché tanti, e così facili, e alla portata di tutti, come abbiamo dimostrato, sono i mezzi per suffragare le anime del Purgatorio che è impossibile trovare buone le scuse o i pretesti che si presentano per giustificarsi dal non farlo: ma anche dato, e non concesso, che sia vero quanto esse dicono, rimane sempre a loro disposizione un mezzo a cui possono, quando e come vogliono, ricorrere, pel quale possono abbondantemente ed efficacemente suffragare le povere anime, e questo è quello delle sante indulgenze. Sì, le sante indulgenze applicate alle anime del Purgatorio sono uno de’ mezzi più facili ed efficaci per venire loro in soccorso; e perciò, sì grande essendo la loro efficacia, ci par prezzo dell’ opera il parlarne di di proposito, spiegando che cosa desse siano, il potere che ha la Chiesa di accordarle ed in qual modo possiamo applicarle alle anime de’ nostri trapassati.

I.

Che cosa sono le indulgenze? Sono la remissione in tutto o in parte della pena temporale che, dopo aver ottenuto il perdono de’ nostri peccati, ci rimane a scontare o in questa vita con la penitenza, o col Purgatorio nell’altra. Scopo delle indulgenze non è quindi di rimettere la colpa o la pena eterna, in caso di peccato mortale, il che l’assoluzione soltanto può fare, ma unicamente la pena temporale, dovuta al peccato, sia mortale che veniale. E ciò è quanto mai necessario a ritenersi, perché non mancano i male intenzionati i quali, guidati da ignoranza o per meglio dire da malafede, equivocando sul peccato e sulla pena dovuta al peccato e confondendo l’uno con l’altra, vanno accusando la Chiesa ed i suoi Pastori d’incitare e d’incoraggiare per mezzo di esse i fedeli a commettere il male. « Ma ella è mai possibile, esclama ironicamente un illustre polemista de’ nostri giorni, una tale mostruosità? Oh! certamente, se fosse vera la definizione che costoro danno delle indulgenze « la remissione cioè del peccato, accordata in seguito al compimento d’una opera buona proposta dalla Chiesa » forse la si potrebbe ammettere, poiché la facilità di ottenere con un tal mezzo, abbastanza semplice, il perdono dei peccati, anche gravissimi, non potrebbe far a meno d’incoraggiare al mal fare; ma ben contraria è la dottrina della Chiesa Cattolica. Non insegna essa infatti che allora soltanto l’indulgenza interviene, quando il peccatore si mostra pentito dei peccati, che egli ha già confessato, e di cui già ha ottenuto il perdono con l’assoluzione? In altre parole: quando già si trova in istato di grazia, già ha detestato il peccato e ne ha deposto l’affetto? Dove sono in questo caso gli incoraggiamenti al male ? Io vorrei recarmi con costoro a visitare una di quelle case in cui vengono ricoverati i delinquenti ed i facinorosi e domandare loro se mai vennero condotti colà dalla pratica delle indulgenze!.. Dio volesse che ogni membro della società guadagnasse quotidianamente un’indulgenza plenaria, come l’intende la Chiesa Cattolica; e allora, oh sì, che si potrebbero senza timore alcuno distruggere tutte le prigioni! » – Tanto meno regge l’altra accusa che, a proposito delle indulgenze, si muove dai nemici della Chiesa Cattolica, cioè che esse distruggono la penitenza e quindi dispensano i peccatori dal farla. Ma quando mai la Chiesa ha insegnato un tale errore? Non solamente l’indulgenza, come abbiamo detto, non rimette nessun peccato, anche leggiero, e rimette solo la pena, ma è ancora da osservarsi che, nel rimettere la pena del peccato, intende di rimetterla ai veri penitenti, vere pœnitentibus, cioè a coloro che hanno fatto tutto il possibile per vedersi rimessa la colpa, anche indipendentemente dall’indulgenza, la quale perciò non è altro che un soccorso che la Chiesa porge alla nostra fiacchezza, non un incentivo alla rilassatezza: o meglio ancora un mezzo che Iddio, Padre di Misericordia, vedendo per una parte che noi ben difficilmente arriveremmo con la nostra penitenza ad iscontare tutta la pena temporale dovuta alle nostre colpe, e d’altra parte non potendo dispensarci totalmente dal soddisfare alla sua giustizia, ci offre per soccorrere alla nostra miseria e riparare questo difetto, per cui, giunti che saremo all’ora estrema della morte, potremo sperare di presentarci a Lui, non solo senza macchia e senza aver più nulla che meriti l’eterna dannazione, ma ancora sciolti da ogni debito colla sua giustizia. Quindi è che S. Cipriano scriveva: « La Chiesa non può usare clemenza che in favore di coloro che sono veramente penitenti, che si sforzano di soddisfare, che supplicano umilmente l’indulgenza della Chiesa; ed è per questi soli che possono servire le raccomandazioni de’ martiri e l’indulgenza dei sacerdoti». – Se fosse altrimenti, se cioè le indulgenze ci dispensassero veramente dal far penitenza, non dovremmo noi dire che desse riuscirebbero piuttosto perniciose che non utili ai peccatori? Non distruggerebbero in gran parte i benefici effetti delle opere soddisfattone, le quali non solo hanno per scopo d’ espiare i peccati, ma ancora di servir di rimedio e di preservativo per l’avvenire? Perciò in quella guisa che sarebbe nuocere ad un infermo il dispensarlo dal prendere un rimedio salutare, così sarebbe nuocere ai peccatori dispensarli dal fare opere di penitenza, destinate ad arrecare rimedio alla loro debolezza ed a premunirli contro le ricadute. La Chiesa adunque, col largirci le indulgenze, anziché esimerci dall’obbligo di soddisfare pei nostri peccati, intende eccitare in noi lo spirito di penitenza, premiare il nostro zelo e fervore e sovvenire alla nostra debolezza ed insufficienza.

II.

Ma ha veramente la Chiesa ricevuto da Dio il potere di concederci queste indulgenze? Non v’ha luogo al menomo dubbio, per poco che si consultino le Sacre Scritture: Gesù Cristo, infatti, disse a S. Pietro in particolare e a tutti gli altri Apostoli in generale: « Tutto quello che voi legherete sopra di questa terra, sarà pure legato in cielo; e tutto quello che voi scioglierete su questa terra, sarà pur sciolto in cielo ». Ora se queste parole, così magnifiche e così potenti, si prendono, come si devono prendere, nella loro ampia e nativa semplicità, è chiaro che Gesù Cristo per mezzo di esse diede a S. Pietro, e subordinatamente anche agli altri Apostoli, il potere di rimettere i peccati, non solo in quanto alla colpa ed alla pena eterna, ma eziandio in quanto alla pena temporale: ossia, in altri termini, ha dato alla Chiesa il potere di concedere qualunque indulgenza, sia plenaria di tutta la pena temporale dovuta ai peccati, sia parziale di una parte soltanto di tale pena. E così fu sempre ritenuto nella Chiesa lungh’esso i secoli, dal tempo degli Apostoli fino ai nostri giorni, come ci sarebbe facile provare colla storia Ecclesiastica alla mano; ed è perciò che, quando il protestantesimo, nella persona di Lutero, di Calvino e di altri eretici, si levò su a combattere le sante indulgenze e a negare alla Chiesa il potere di concederle, chiamando addirittura le indulgenze col nome di frodi, ed imposture dei Pontefici, il Concilio di Trento definì chiaramente e solennemente che « Gesù Cristo medesimo ha donato alla Chiesa il potere di conferire le indulgenze che fin dai tempi più antichi la Chiesa fece uso di tale potere, e che perciò questo uso, sommamente salutare al popolo cristiano e confermato dall’autorità dei santi Concili, deve essere conservato; e chiunque negasse l’utilità delle sante indulgenze o il potere che la Chiesa ha di conferirle, sia colpito d’anatema » . – Poteva il Concilio parlare più chiaramente per rivendicare alla Chiesa il potere di conferire le indulgenze e riconoscerne l’utilità? Non nego che nel corso dei secoli, anche nel conferimento delle indulgenze abbia potuto aver luogo qualche abuso, ingrandito ad arte dai nemici della Chiesa; ma ciò non toglie nulla all’opera in sé. Certo è che i Pontefici non possono distribuire a capriccio di questi tesori, e il Concilio di Trento a questo proposito ha solennemente dichiarato « che non bisogna accordarle che con molta moderazione, per timore che a motivo d’una troppo grande facilità i fedeli non ne traessero occasione per dispensarsi dal fare penitenza »; non sta però a noi il preoccuparci di questo caso, ma bensì ai pastori delle anime che debbono tutelare il bene delle pecorelle loro affidate: a noi deve bastare la sicurezza di non agire contro la volontà di Dio. – Quantunque non sia affatto provato, ammettiamo pure per un momento che Leone X abbia ecceduto nel potere delle chiavi, concedendo le indulgenze a coloro, che contribuivano con elemosine alla costruzione della basilica di S. Pietro: vuol dire che egli ne avrà dovuto rendere a Dio grave conto; ma intanto chi ha dato il diritto a Lutero ed ai Protestanti di giudicare le ragioni del Pontefice? Anche supposto che il Papa avesse ecceduto, perché scoraggiare i fedeli e toglierli dalla pratica di quelle buone opere che senza l’allettamento delle indulgenze non avrebbero forse compiute, e che pure erano opere molto meritorie dinanzi a Dio e di gran giovamento alle anime? Per un fatto isolato e particolare, perché si dovrà offendere un’intera istituzione, togliere alla Chiesa milioni di figli, gettare il turbamento e la lotta nel campo cristiano e, cosa che in questo momento più direttamente ci riguarda, privare le anime del Purgatorio di un sicuro ed efficace mezzo di suffragio? Così è: la tradizione infatti della Chiesa, confermata inoltre dal Concilio di Trento, sempre ha insegnato che le indulgenze, applicate alle anime dei defunti, sono loro di un gran sollievo; e che se è vero, come è vero, che queste povere anime possono essere sollevate dalle preghiere, dalle elemosine, dalle mortificazioni e da altre buone opere dei fedeli viventi, possono essere molto più per l’applicazione che loro viene fatta dei meriti sovrabbondanti di Gesù Cristo, della Tergine SS. e di tutti i Santi, dai quali le indulgenze traggono la loro virtù ed efficacia infinita. – Ho detto sovrabbondanti: ed invero egli è certo che Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, per il valore infinito di qualsiasi sua più piccola azione, avrebbe potuto con una sola goccia del suo sangue riscattare non solo questo mondo, ma mille e mille altri ancora, ma che tutto ciò non bastando al suo amore infinito per noi, volle invece versarlo tutto; e soffrendo ogni sorta di dolori e di angosce nella sua passione e nella sua morte, volle rendere infinitamente copiosa e sovrabbondante la sua redenzione. Or questi meriti infiniti e sovrabbondanti di Gesù Cristo, questi meriti che eccedono di gran lunga il prezzo della nostra salute, non sono andati perduti, ma sono rimasti in eredità alla Chiesa. Così pure proporzionatamente dicasi dei meriti della Vergine SS. e dei Santi, meriti tutti che uniti a quelli di Gesù , formano il gran tesoro di Dio, divenuto il tesoro nostro. Le chiavi di questo tesoro sono in mano della Chiesa, la quale, come il servo fedele, ne cava a tempo il bisognevole e distribuisce le sante indulgenze che da quel solo procedono, e consistono appunto nell’applicazione di questi meriti di loro natura esuberantissimi a soddisfare a Dio di qual si sia debito seco contratto, fosse anche pei peccati del mondo intero. Egli è però necessario osservare che la Chiesa, nell’usare del suo potere per l’applicazione delle indulgenze ai defunti, non procede nello stesso modo che nell’applicarle ai vivi. Poiché quando essa concede un’indulgenza ai suoi figli viventi sulla terra, essendo essi ancora soggetti alla giurisdizione del Papa, usa del suo potere, dirò così, giudiziario, e l’applica loro per mezzo di assoluzione; mentre in Purgatorio, non potendo esercitare la sua giurisdizione, l’applica a quelle anime per modo di suffragio, pregando cioè Iddio a trasferire a vantaggio del tal defunto l’indulgenza guadagnata da uno dei fedeli viventi. Se Iddio poi accetti sempre ed integralmente questo suffragio, alcuni teologi lo negano, altri l’affermano; io però credo con molti autori che Egli si sia riserbato su questo punto la più ampia libertà, e quindi non dobbiamo mai riposare tranquilli per la liberazione di un’anima nelle indulgenze che le si applicano. Ecco, infatti, come a questo riguardo ragiona un teologo: « Iddio accetta Egli sempre il prezzo che gli è offerto, come riscatto della pena dovuta al peccato? È questa una cosa che non si può sapere, tanto più che non si è certi se i vivi hanno sempre adempiute tutte le condizioni prescritte per guadagnare l’indulgenza. La minima omissione basta per non lucrarla, e quindi per trasferirne il merito ai defunti. Perciò, benché si sia sovente applicato a un defunto un certo numero d’indulgenze anche plenarie, egli è possibile che abbia ancora bisogno d’assistenza; per il che è bene continuare ad applicargliene ».

III.

Delle indulgenze poi altre si dicono plenarie, e cioè che rimettono l’intera pena temporale dovuta al peccato, e queste soltanto il Sommo Pontefice le dispensa e per tutta la Chiesa; altre parziali, che ne rimettono cioè una parte soltanto, e queste possono dispensarle anche i Vescovi, nei limiti loro assegnati e solo nelle loro diocesi. Circa queste ultime bisogna premunirsi da un grave errore, qual è quello di credere che un’indulgenza, per esempio, di tre anni, equivalga ad una diminuzione di pena di tre anni di Purgatorio. Noi non conosciamo i rapporti del tempo con l’eternità e quindi un tal paragone sarebbe falso. Nell’idea della Chiesa un’indulgenza di tre anni corrisponde semplicemente a tre anni di quella penitenza canonica ch’essa imponeva nei secoli di fervore ai fedeli pentiti, ma non ad altrettanto tempo di Purgatorio. Comunque sia, grande deve essere la nostra fiducia nelle indulgenze, più grande direi che non nelle nostre soddisfazioni, perché del valore di queste possiamo con ragione dubitare, a causa della nostra debolezza; ma quanto alle indulgenze non possiamo dubitare né del valore dei meriti di Gesù, e di Maria SS. e dei Santi che ne formano il capitale, né dell’autorità della Chiesa nel distribuirle. Se vogliamo però che siano veramente giovevoli alle anime del Purgatorio, egli è necessario che ci troviamo nelle condizioni volute per guadagnarle, la loro efficacia dipendendo dalle disposizioni di colui che le applica, e fors’anco da quelle del defunto pel quale vengono applicate. E queste condizioni possono ridursi a tre:

1) Bisogna assicurarsi che l’indulgenza non solo sia stata dalla Chiesa veramente largita, ma sia ancora in vigore ed espressamente applicabile ai defunti; ed inoltre che noi abbiamo l’intenzione di applicarla a questi, perché altrimenti il frutto non va a vantaggio di quelle anime, ma resta solo a nostro profitto.

2) Bisogna eseguire a puntino le condizioni prescritte, nulla omettendo né cangiando, se si vuole che il valore dell’ indulgenza non diventi nullo, e ciò ancorché si facessero opere migliori di quelle prescritte. Per lucrare l’indulgenza plenaria ordinariamente si richiede la confessione e comunione; ma le persone che hanno l’abitudine di confessarsi ogni settimana, possono con questa confessione guadagnare tutte le indulgenze che durante i sette giorni s’incontrano, eccettuato soltanto il giubileo, che richiede una confessione speciale. Così con una sola comunione si possono guadagnare in uno stesso giorno più indulgenze plenarie, quantunque concedute in varie volte. Ordinariamente, per lucrare tali indulgenze, si ingiunge l’obbligo di recitare qualche preghiera secondo l’intenzione del Sommo Pontefice, la quale preghiera è a scelta del Cristiano, e può essere, per esempio, la stessa penitenza sacramentale.

3) Bisogna essere in istato di grazia, almeno nel momento in cui si fa l’ultima opera ingiunta, ed avere una ferma volontà di soddisfare più che sia possibile per le proprie colpe. La ragione si è che per applicare l’indulgenza al defunto occorre sia prima guadagnata da chi vuole applicarla; quindi se il fedele fosse in peccato mortale, sarebbe inutile lucrarla, perché solo quando la colpa del peccato è stata rimessa con l’assoluzione e che il peccatore è veramente deciso a fare penitenza, la Chiesa concede questo favore. Da ciò risulta che non è tanto facile guadagnare integralmente un’indulgenza plenaria, essendo necessario di non avere sull’anima il più piccolo peccato veniale od affezione al peccato veniale, ed essere dominati da un gran fervore di carità, da una contrizione generale e da uno spirito di vera penitenza; onde si è che molte volte, a misura delle nostre disposizioni, si lucra solo una parte di detta indulgenza; e quindi a volere estinguere i nostri debiti sarebbe necessaria almeno la riunione di molte indulgenze plenarie. Dal lato poi dei defunti pei quali si applicano bisogna:

1° Che essi siano realmente in Purgatorio;

2° Che Dio accetti realmente questa indulgenza, riserbandosi egli talvolta ampia libertà nell’applicarla.

* *

Così spiegato che cosa siano le indulgenze, e quanto sia la loro efficacia a prò delle anime dei nostri fratelli defunti, perché non ne approfitteremo noi più sovente a loro profitto e suffragio? Dal profondo del loro carcere di fuoco esse le attendono ardentemente dalla nostra carità, e noi non vogliamo essere così crudeli dal defraudarle nei loro desideri. Con un po’ di buona volontà e di attenzione quanto non ci sarebbe facile farlo nel corso della giornata! Rapita in ispirito, la beata Maria di Quito vide in una gran piazza una tavola piena d’oro e d’ogni specie di preziose gemme e udì una voce che gridava : « Il tesoro è alla disposizione di tutti, chi ne vuole ne prenda e se ne valga ». Questo tesoro era immagine del tesoro delle sante indulgenze, esposto in tutti i giorni, a benefizio comune dei fedeli, nella Chiesa. Immaginiamoci che anche per noi sia fatto questo invito, ed attingendo a piene mani a questo tesoro, vogliamocene abbondantemente servire a prò dei fedeli defunti. Imitiamo in ciò lo zelo delle anime pie, di cui ancor tante, la Dio mercé, vivono a giorni nostri, che si fanno un dovere di guadagnare il più gran numero d’indulgenze che possono, affine di spopolare per così dire il Purgatorio e mandarle al Cielo. – Si racconta di un bravo capitano polacco, esiliato a Roma, che passava una parte della sua vita a visitare le Chiese, nelle quali poteva guadagnare delle indulgenze per le anime dei fedeli defunti. Quando egli pensava di averne con le applicazioni di esse liberata una, metteva sotto la sua protezione e confidava alla sua assistenza una persona di sua conoscenza, sia amica, sia nemica, che egli conosceva aver bisogno di soccorsi spirituali. Qual beli’ esempio degno di essere imitato! Ed in così bella divozione questo uomo ammirabile passò gli ultimi anni di sua vita praticando la carità in uno stesso tempo e verso i morti e verso i vivi!

ESEMPIO: Efficacia delle sante indulgenze.

Il celebre Mons. Gaume per farci comprendere la follia di coloro che trascurano le indulgenze, mezzo tanto facile ed efficace per pagare i nostri debiti alla divina Giustizia e per metterci al sicuro dal Purgatorio od almeno abbreviarne le pene, ricorre al seguente paragone: « Io suppongo che ci rechiamo a visitare una immensa prigione, in cui sta rinchiusa, una moltitudine di disgraziati, carichi di pesanti catene. Essi sono tutti condannati a pene terribili; gli uni per dieci anni, gli altri per venti, altri ancora per quaranta. Il loro stato ci muove a pietà, per cui diciamo loro: « Il re nella sua bontà vuole abbreviare la durata delle vostre pene, od anche rimettervele interamente a condizione però che facciate tale preghiera, tale pratica di pietà, molto breve e facilissima. Se accettate, le porte della prigione vi saranno aperte; potrete rivedere i vostri parenti, i vostri amici, le vostre famiglie ». Vi sarà forse un solo prigioniero che vorrà rifiutare una condizione sì vantaggiosa e dolce? Ebbene, questi prigionieri siamo noi, debitori incapaci a pagare da per noi stessi i debiti con la giustizia di Dio: la prigione è il Purgatorio. Le pene di questo mondo sono un bel nulla paragonate a quelle che là si soffrono. Ci si propone di liberarcene a condizioni facilissime, e noi non vorremmo accettarle? o accettandole le soddisferemo con scandalosa negligenza? … E se un giorno noi dovremo languire per anni ed anni nelle fiamme del Purgatorio, non è che alla nostra colpa che noi dovremo attribuirlo ». Così il dotto autore, il quale per farci comprendere il valore delle indulgenze ricorre al seguente fatto, tolto dalle Cronache dei Frati Minori. Il Beato Bertoldo, celebre predicatore francescano, aveva ottenuto dal Sommo Pontefice dieci giorni d’indulgenza per chiunque intervenisse alle sue prediche. Un giorno che egli aveva eloquentemente parlato sull’elemosina, una nobile signora che rovesci di fortuna avevano ridotto alla più squallida miseria, si presentò a lui per esporgli il suo triste stato e scongiurarlo di venirle in aiuto. Il buon religioso le fece la risposta dell’Apostolo: « Io non ho né oro, né argento: ma quanto posseggo ve lo do di buon cuore. Per il bene delle anime che io sono chiamato ad evangelizzare, il Santo Padre mi ha dato il privilegio di accordare dieci giorni d’indulgenza a chiunque viene ad ascoltarmi; andate dunque da tal banchiere, fin ora più preoccupato dei beni di quaggiù che dei tesori spirituali, offritegli, in cambio della elemosina che vi farà, di cedergli pei suoi propri peccati i dieci giorni d’indulgenza che avete guadagnati stamattina: il Signore mi fa conoscere che vi accoglierà favorevolmente. Per fortuna i banchieri d’allora non somigliavano punto a quelli dei nostri giorni, altrimenti chissà mai con quali scoppi di risa non sarebbe stata ricevuta! Costui invece accolse con bontà la povera donna: « E quanto domandate voi in cambio dei vostri dieci giorni d’indulgenza? — Né più, né meno di quello che essi pesano posti sulla bilancia, rispose quella animata da una forza interna. — E così sia; disse il banchiere; e fatta venire una bilancia: « Scrivete, riprese, su d’un pezzo di carta i vostri dieci giorni d’indulgenza e mettetelo su d’un piattello; io porrò sull’altro un reale (piccola moneta spagnuola del valore di circa 27 centesimi). O prodigio! il piattello delle indulgenze non solo si sollevò, ma trascinò anche l’altro. Stupito il banchiere aggiunse un altro reale, e poi cinque, dieci, cinquanta, ma i due piattelli non si equilibrarono che quando arrivò appunto a quella somma che la poveretta necessitava per far fronte ai suoi impegni. Fu questa una buona lezione per quel banchiere, il quale da quel giorno imparò per propria esperienza a fare maggiormente caso dei tesori spirituali. Ma oh! quanto maggior caso non ne fanno le povere anime purganti, le quali per la più piccola indulgenza darebbero volentieri tutto l’oro del mondo.

OTTAVARIO DEI MORTI (8); Il Purgatorio e l’amore

OTTAVARIO (8)

TRATTENIMENTO XXII.

Il purgatorio e l’amore. 

[L. Falletti: I nostri morti e il purgatorio; M. D’Auria Ed. Napoli, 1924 – impr. -]

Sommario — Triplice amore — Amor di Dio, amor di padre — Bando alle lagrime — Amor delle anime purganti — Sete di sofferenze per compenso del peccato—Amor dei viventi—Efficace ricordo — L’amor più potente — Esempio.

Allorquando si parla del Purgatorio, e si descrivono le pene terribili alle quali sono condannate le anime che non hanno ancora completamente pagati i debiti contratti con la divina Giustizia, egli è impossibile non sentirsi invadere l’animo da un sentimento di terrore e di spavento. Non devesi però esagerare e tanto meno parlare del Purgatorio e dei tormenti che vi si soffrono unicamente per gettare lo spavento negli animi, poiché se questo carcere di espiazione, secondo gli insegnamenti della fede, è un luogo di supplizi e di fuoco, non è men vero che vi ha pure qualche cosa che lo trasfigura ai nostri occhi, additandocelo come una sublime invenzione della carità divina. Dopo il cielo infatti, in quale altro luogo si incontra, in un grado più eminente, l’amore in tutto ciò che ha di più puro e di più generoso? E quando dico amore, io intendo, in realtà, un triplice amore: l’amore di Dio che l’ha fatto, l’amore delle anime che in esso sono racchiuse e vi soffrono e l’amore dei Cristiani che ne addolciscono e ne abbreviano le pene. Considerato sotto questo aspetto, non è egli vero che il Purgatorio perde tutto quanto ha di terrificante e di spaventoso e fa nascere invece nei nostri cuori i più dolci e consolanti pensieri? Quantunque questi pensieri, più o meno esplicitamente, siano stati già da noi espressi negli altri trattenimenti, nondimeno crediamo opportuno insistervi in modo speciale in questo trattenimento, a maggiore consolazione delle anime nostre e come conclusione di quanto da noi è stato detto in questa seconda parte.

I.

Sì, non si può negare che è la giustizia divina che ha scavato i profondi abissi del Purgatorio e vi ha acceso le fiamme espiatici, ma nono stante ciò non è contro verità il dire che questo luogo di purificazione, più che non opera della giustizia, è opera della misericordia e dell’amore. E non è difficile il capirlo. La Chiesa, interprete infallibile delle Sacre Scritture, insegna che nessuna anima potrebbe essere ammessa in Cielo, qualora avesse ancora qualche colpa da espiare, qualche debito da pagare, qualche macchia da purificare. Ora, tenuto conto della povera nostra natura piena d’imperfezione e di miseria e data la fragilità umana, come è egli mai possibile che siano numerose le anime, che, perdonate di tutte le loro colpe, sono riuscite a soddisfare la divina giustizia sino all’ultimo quadrante? Le anime che lasciano questo mondo interamente pure, senza un granello di polvere, senza una macchia che deturpi la loro bellezza? Ahimè! diciamolo pur francamente, quelle che così si presentano innanzi al tribunale di Dio non sono che gloriose e rarissime eccezioni. Le altre, quelle cioè che portano con loro nell’altra vita colpe leggiere, oppure non hanno offerto per le loro iniquità già perdonate che espiazioni insufficienti, costituiscono il più gran numero. E che addiverrà di esse? Se nulla di macchiato potrà entrare in Cielo, si dovrà, come già un dì gli Apostoli inquieti ed agitati, innalzare verso Dio questo grido: «Ma dunque, o Signore, chi mai potrà andar salvo? Quis poterit salvum fieri »? Oh! certamente, così pur troppo sembrerebbe dover essere, stando alla realtà delle cose; ma consoliamoci ! Iddio nel suo grande amore non ci ha ridotti a questa dura estremità di essere per sempre esclusi dal Cielo, se non siamo trovati pienamente degni di entrarvi nel punto di nostra morte. Egli che ha messo in sulle labbra di uno dei suoi profeti questa parola consolante: Io non voglio la morte del peccatore, Egli, dico, ha stabilito come una specie di transazione tra la sua giustizia e la sua bontà, la quale permette all’amore di avere l’ultima parola, e di riportare il trionfo finale. E questa transazione, che viene dal suo cuore, è appunto il Purgatorio. In esso vi hanno senza dubbio fiamme e bracieri ardenti, v’hanno tormenti che oltrepassano ogni immaginazione creata ed a petto dei quali tutti i tormenti di quaggiù non sono che un’ombra; ma nonostante ciò noi siamo sicuri che Dio non per altro castiga, se non perché egli ama. Ed infatti è il suo amore che gli riavvicina le anime che il peccato gli aveva allontanato; è il suo amore che le corregge delle imperfezioni della terra; è il suo amore che le rifa, le purifica, le abbellisce attraverso il fuoco. È ancora questo amore che loro toglie poco a poco tutte le macchie che le coprivano, e quando l’opera di espiazione sarà ultimata, ah! il suo amore non avrà più ritegni, chiamerà queste anime che sono diventate degne di lui ed hanno finalmente ottenuto di essere ammesse alle sublimi estasi della visione beatifica, loro spalancherà le porte del Cielo, ove le farà partecipi di tutti i beni di gloria. – Ecco che cosa è il Purgatorio! Oh! egli ha adunque ben ragione il celebre P. Faber di chiamare il Purgatorio l’ottavo Sacramento. Non sono infatti i Sacramenti prove tangibili dell’amore di Dio verso di noi? Ora vedendo Iddio che a moltissimi, per colpa loro, i Sacramenti che purificano sulla terra non bastano a conferire loro quella purità perfetta che Egli richiede, ha istituito questo ottavo Sacramento che completa meravigliosamente l’opera degli altri Sacramenti. Egli è vero che i Sacramenti che riceviamo in vita sono mezzi dolcissimi di purificazione, mentre il Purgatorio è un mezzo terribile e doloroso, ma ciò non impedisce che sia egualmente un effetto del suo amore. – Consoliamoci pertanto nel considerare queste verità, e per quanto impenetrabili siano i segreti della giustizia divina, rassicuriamoci sulla sorte dei nostri cari, pensando al Purgatorio. Quante volte forse, evocando alla nostra memoria il loro ricordo, non ci siamo domandati: « Quel padre, quella madre, quel fratello, quella sorella, quello sposo, quell’amico che la morte ci ha strappato all’improvviso, saranno andati salvi?» Ed ecco che una voce, la voce della Chiesa, si fa sentire al nostro cuore angosciato e ci dice: « Oh! si, confidate; quand’anco quell’anima che voi piangete fosse arrivata in punto di morte dopo molti traviamenti e carica di colpe, nondimeno se in quell’ora suprema si è ricordata di Gesù Cristo, e l’ha intravvisto, in un lampo, con la sua croce santa, e l’ha chiamato in suo soccorso, sì, ella è salva! L’amor di Dio ha accettato il suo pentimento, le ha fatto grazia, l’ha strappata agli abissi eterni, l’ha inviata in Purgatorio, ove non solo ella potrà nelle fiamme soddisfare tutti i suoi debiti, ma ancora imparerà, in mezzo ai suoi tormenti, ciò che non sapeva più fare quaggiù: benedire cioè ed amare la mano che la castiga ».

II.

Sì, così è, poiché il secondo amore che troviamo nel Purgatorio è l’amore delle anime che vi soffrono. Egli è di fede che ogni peccato domanda, esige una riparazione che gli si proporzionata: ora la riparazione naturale del peccato, sarebbe precisamente la soppressione del piacere che si è provato. Ma siccome non è in potere di alcuno sopprimere questo piacere, poiché già fu consumato nel suo stesso godimento, così è necessario ricorrere ad altro mezzo; e questo mezzo sarà appunto la sofferenza, la quale, essendo radicalmente opposta al piacere, diventa per questo fatto, di fronte alla legge divina violata, come un equo compenso dell’oltraggio arrecato. E non è forse ciò che c’insegna il Vangelo, ci dice anzi l’esempio stesso di Gesù Cristo? Disceso dal Cielo in terra il Figliuolo di Dio per riconciliare l’umanità colpevole col Padre suo, che altro mai ha fatto Gesù, in riparazione dei nostri falli, se non attirare su di sé tutti i dolori? Egli volle sì strettamente abbracciare la sofferenza da assumerla come compagna amata ed inseparabile di tutta la sua vita fino a volere morire tra le sue braccia, ottenendo in tal modo che fosse meglio compresa e per conseguenza meglio gustata nel mondo. Ed infatti lo fu; come ben ce lo dice lo spettacolo magnifico che ci presenta, dal dì della sua morte, lo stuolo innumerevole di anime eroiche e generose che, attraverso i secoli e presso tutti i popoli, non solo accettarono silenziosamente la sofferenza ma ancora la vollero e la ricercarono con tanto amore e con tanta passione da lamentarsi con Dio di non avere di che soffrire abbastanza a seconda dei loro desideri. « O patire o morire: patire e non morire » non fu forse questo il grido di tante anime sante? Ma se così pensarono ed agirono anime ancora prigioniera nei vincoli della carne, che cosa non bisognerà dire delle anime del Purgatorio che, sciolte da ogni legame terreno, non sospirano che al Cielo, e totalmente immerse negli splendori dell’eternità, hanno una piena intelligenza delle operazioni sublimi del dolore? Ah! certamente, non è senza provare un senso di viva compassione che ci facciamo a considerare i tormenti che soffrono; non si è senza sentirci straziare il cuore che ascoltiamo le loro grida imploranti pietà: « Miseremini mei, saltem vos amici mei!»: non dobbiamo però dimenticare che sotto i colpi della giustizia divina, per quanto violenti possano essere, le anime vibrano di ardente amore. Avendo offeso Dio durante il loro terrestre pellegrinaggio, avendo ferito il suo cuore sì tenero e misericordioso, non hanno ora altra preoccupazione che liberarsi dalle colpe che pesano su di esse e perciò da se stesse, spontaneamente e liberamente, si assoggettano e si abbandonano anzi alla giustizia vendicatrice dell’onore di Dio: invocano, reclamano i castighi che hanno meritato, domandano con gioia di bere la coppa del dolore fino all’ultima stilla. – Di più queste povere prigioniere, allo splendore soprannaturale dell’altro mondo, vedono le macchie che ancora le coprono e deturpano la loro bellezza. In tale stato come potrebbero presentarsi innanzi alla Maestà infinita di Dio ? No, egli è impossibile; che, dice S. Caterina da Genova, « si getterebbero più presto in mille inferni che trovarsi così macchiate in presenza di quella divina Maestà »; ed ecco quindi l’amore, che tutte le tiene e possiede, spingerle maggiormente ad inabissarsi nelle fiamme che hanno la virtù di purificarle. In quella guisa che l’oro si purifica nel crogiuolo e nel fuoco, così queste anime domandano di essere bruciate, consumate nell’incendio del Purgatorio, tanto si sentono appassionate di ritrovare l’innocenza e la bellezza che le renderanno degne del Cielo. Questo era il pensiero della Santa sopra citata: «Ah! diceva ella, le anime del Purgatorio soffrono le loro pene con tanta gioia che per nulla al mondo vorrebbero che loro ne fosse tolto il minimo atomo…. Il fuoco dell’amore è in esse sì vivo, sì violento che si precipiterebbero con gioia in un Purgatorio mille volte più terribile di quello che soffrono, se esse potessero in questo modo sopprimere più presto l’ostacolo che le impedisce di seguire il loro slancio verso Dio e di unirsi a lui. E se non trovassero questa ordinazione, atta a levar loro tale impedimento, si genererebbe in loro un inferno peggiore del Purgatorio, vedendo di non potersi accostare ed unire al loro fine, Iddio, il quale importa tanto che, in comparazione, il Purgatorio lo stimano quasi niente». Oh! non è egli adunque vero il dire che l’amore brucia e consuma di più queste anime sante che non tutte le fiamme del Purgatorio?

III.

Il terzo amore che troviamo nel Purgatorio è il nostro, quello cioè che testimoniamo noi alle povere anime che vi sono prigioniere. È insegnamento comune della Chiesa che noi possiamo mitigare ed abbreviare i loro tormenti; epperò siamo invitati a procurarci con le nostre preghiere e colle nostre buone opere il più gran numero di meriti che possiamo per pagare i loro debiti e così aprire loro le porte del Cielo. Quanto non li abbiamo amati i nostri cari defunti, quando godevamo ancora della loro presenza! Quante dimostrazioni d’affetto, quante dolci carezze, quante cure amorose, quanti amabili sorrisi non abbiamo avuti per essi! E quando la morte ce li strappò dal nostro seno, quanto non abbiamo sofferto, e quale strazio non provò il nostro cuore! Le nostre lagrime bagnarono le loro fredde spoglie, e i nostri gemiti, i nostri sospiri, le nostre preghiere li accompagnarono fino alla loro ultima dimora, ove in pace, in terra santa, sotto la guardia vigile della Chiesa aspettano la loro Risurrezione. Ed ancora oggidì, benché molti anni siano forse passati, e la morte sia riuscita a ridurre il loro corpo in polvere nel sepolcro, nulla ha potuto impedire che vivessero ancora nel nostro pensiero, nel nostro cuore. Orbene non basta che noi rimaniamo fedeli alla loro memoria, che conserviamo un culto per tutto ciò che di loro ci rimane, per la tomba che ricopre i loro resti mortali, per gli oggetti che loro hanno appartenuto e che non possiamo mirare o toccare senza portarli religiosamente alle labbra, come si fa per preziose reliquie; egli fa pur d’uopo che il nostro amore sorvoli le distanze che li separano da noi e se ne vada a cercarli fin nel carcere del Purgatorio, dove soffrono. Se durante il loro vivere mortale era per noi una gioia indicibile e soave, quando vedevamo che avevano bisogno di noi e del nostro aiuto, l’affrettarci a rendere loro i mille servizi che aspettavano dalla nostra amicizia, il prevenirli anzi nei loro più piccoli desideri, oh! Perché non faremo noi altrettanto e di più ancora, sapendoli nella più profonda afflizione e bisognosi del nostro soccorso; soccorso che ad alte grida e con la voce della Chiesa reclamano da noi? – In Purgatorio, in mezzo a fiamme ardenti che le divorano, le anime si trovano in preda a tormenti spaventosi: oh! sia il nostro amore che spanda su di loro la grazia refrigerante, i meriti infiniti del sangue di Gesù, che procuri loro il gran bene dell’eterno riposo. In Purgatorio, come mestamente cauta la Chiesa nell’Uffizio dei morti, esse si trovano come in una terra di miserie e di tenebre : terram miseriæ et tenebrarum, ebbene sia il nostro amore che faccia risplendere la visione del Cielo. In Purgatorio sono torturate dalla fame e dalla sete di Dio, e con accenti più dolorosi che non quelli di Assalonne, scacciato da Davide, vanno gridando: Ah! se io potessi vedere il padre mio! Ma Iddio le respinge, e non le vuole alla sua presenza fino a tanto che le fiamme espiatrici non avranno compito l’opera della loro purificazione. Ecco il loro più grande tormento: sapere che Iddio è loro così vicino, desiderarlo con tanto ardore, ed intanto non poterlo godere! Quale strazio! E mentre Dio fa là delizia dei Santi in cielo, ed in sulla terra si lascia accostare nei nostri tabernacoli, discende nei nostri cuori per consolarci, per benedirci, laggiù nel Purgatorio si nasconde, e sembra fuggire dinanzi alle suppliche che lo invocano. Ebbene sia il nostro amore che faccia loro la più grande, la più bella, la più sublime elemosina, che sola potrà pienamente soddisfarle e riempirle di gioia, l’elemosina di dare loro Iddio col dare loro il Paradiso.

* *

Resta così spiegato, come il Purgatorio, questo luogo che attira la nostra compassione, sia il convegno meraviglioso di un triplice amore, che abbellendo co’ suoi raggi luminosi questo carcere di espiazione e dissipandone in certo qual modo le tenebre, fa sì che possiamo considerarlo piuttosto come opera di carità infinita che non di giustizia. Ma se mirabile è l’amor di Dio, mirabile l’amore delle anime, oh! conveniamone: soltanto il nostro amore, quando erompe veramente dal cuore e si estrinseca in preghiere, in espiazioni, in buone opere è capace di aprire le porte degli eterni tabernacoli. Ed essendo di ciò convinti, saremo noi così crudeli da rifiutare a quelle anime doloranti, che pur tanto ci amano, questo nostro amore più giovevole a loro che non tutti i tesori del cielo e della terra? No, così non sarà; e in uno slancio d’amore diciamo loro: Noi vi amiamo, anime dilette e sante, e perché vi amiamo pregheremo, soffriremo, espieremo per voi. Noi lo sappiamo che tutti i vostri sospiri tendono unicamente al Cielo: sarà la nostra più grande gioia il pensare che dovrete al nostro amore il potervi entrare. Noi ne abbrevieremo il tempo fissato nei decreti della giustizia divina, e vi riuniremo a quel Padre che tanto vi tarda di vedere e di possedere. Sì, noi saremo col nostro amore i vostri introduttori nei gaudi eterni del Cielo; ma alla vostra volta voi ci coprirete coi meriti della vostra santa vita, affinché ancor noi un giorno possiamo raggiungervi e gustare in vostra dolce compagnia, tra le braccia e sul cuore di Dio, le gioie e felicità eterne.

ESEMPIO: La Beata Maria degli Angeli.

Esempio mirabile di devozione e di amore ardente verso le anime del Purgatorio fu la Beata Maria degli Angeli, carmelitana scalza di Torino, morta in sul principio del secolo XVIII. Sapendo quanto queste povere anime sono teneramente amate da Dio, e conoscendo d’altra parte quanto triste non sia il loro stato e quanto Grande non siano le loro sofferenze, non v’era cosa che ella tralasciasse per sollevarle e consolarle. Preghiere, digiuni, penitenze, nulla trascurava per raggiungere uno scopo sì cristiano, e non contenta d’impiegarvisi ella stessa, cercava ancora di stimolare ad un opera sì bella le sue consorelle e le persone secolari di sua conoscenza. Per essere in grado di far celebrare il più gran numero di Messe in loro suffragio, non badava a sacrificio alcuno e sovente la si vedeva stendere la mano ai ricchi, e darsi a lavori faticosi per raggranellare l’elemosina necessaria. Durante il tempo del suo priorato avvenne una notte che, cedendo ad uno slancio di fervore verso le povere anime, promise di far celebrare tutti i mesi cinque Messe in loro suffragio, fino a tanto che durasse in carica. Ma avendo al mattino comunicata questa sua promessa alle suore, queste le fecero osservare che il suo desiderio non poteva essere soddisfatto a causa dell’estrema povertà della loro comunità. Iddio però volle venire in aiuto della generosa priora in una maniera prodigiosa. Nel corso della giornata uno sconosciuto venne a trovarla; senza tanti preamboli le disse che egli era solito far celebrare un gran numero di Messe e che erasi sentito inspirato ad offrirle una elemosina, affinché ella ne facesse celebrare cinque ogni mese, lasciandole tutta la libertà di disporne l’intenzione a suo compiacimento. — Maria degli Angeli spingeva la sua carità verso le anime purganti fino al punto di offrirsi ella stessa a pagare per esse. Un anno, alla vigilia della Natività di Maria, manifestò alle sue suore il desiderio che tutti digiunassero con lei a pane ed acqua pel riposo dei poveri defunti. Tutte accettarono di gran cuore questo desiderio della madre loro; ma il confessore, per sue ragioni speciali, non permise loro di seguire questo fervore. Ora avvenne che la beata fu d’un tratto colta da un eccesso di febbre sì violento, che durante tutto il giorno ebbe a soffrire violentissimi dolori. Al giorno seguente le comparve un grande stuolo di anime che drizzando il volo verso il cielo la ringraziarono. Dio permetteva sovente che le anime del Purgatorio venissero a trovarla per domandarle suffragi, e, tra le altre, come ella stessa racconta, vi fu anche l’anima di Carlo Emanuele II, duca di Savoia.—Il 7 Settembre 1714, la Beata fu assalita da sì gravi sofferenze, che si vide ridotta ad una specie di agonia. Nel bel mezzo di questa crisi, del resto da Lei predetta, ebbe un’estasi in cui la si udì conversare con persone invisibili. Chiamato d’urgenza il P. Luigi di S. Teresa, suo direttore, venne da lui interrogata, stando sempre in estasi: « Con chi conversavate voi? le domandò.—Con una moltitudine d’anime del Purgatorio.— Tra esse ve n’ha che voi conoscete ?—Alcune si, altre non le conosco.— Ebbene, riprese il Padre, coraggio, riprendete i sensi, guarite, anche domani farete la santa Comunione, per ottenere la liberazione di queste anime ». La serva di Dio eseguì fedelmente quest’ordine; senza difficoltà poté comunicare il giorno seguente, ed in un’altra estasi che ebbe le fu dato di vedere volarsene al Cielo gran numero di quelle anime che con lei avevano conversato la sera prima.