CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO 2022

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO 2022

…. Il suo desiderio più ardente fu appunto di versare il Sangue per la salute dell’umano genere. A questo già anelava quando incarnandosi nel purissimo seno di Maria veniva di Sangue riempiendo le vene. Ed appena poi nato affrettavasi nella Circoncisione a spargerne le prime stille, che erano il preludio di quel molto, che un dì avrebbe versato e nell’Orto, e nel Pretorio e in sul Calvario. Ed in seguito? Egli non visse, e non respiro che per la croce; egli non fè che parlar di battesimo di Sangue: Baptismo habeo baptizari, et quomodo coarctor, usquedum perficiatur? (Luc XII), ed avvicinandosi l’ora della sua passione, non può più contenerei suoi ardenti desiderj, e bisogna che li manifesti con quelle celebri parole: Desiderio desideravi hoc Pascha manducare vobiscum, antequam patiar (S. Luc. XXII). Ed allorché poi tutto appar sanguinoso sotto la fiera tempesta dei flagelli, e Sangue in gran copia gli cavan le spine, che trafiggongli il capo, e rivi di Sangue mandano e mani e piedi trapassati da chiodi, si lamenta fors’Egli di sì barbara crudeltà? Ah! no, miei cari uditori. Qual agnello mansueto sotto le forbici di chi lo tosa non manda un lagno, perché Egli da sé volenteroso a tanto patir si assoggetta, Oblatus est, quia ipse voluit (Is. LIII); perché vede così finalmente compiute le sue brame, ed operata la redenzione. Onorate pur dunque con pie considerazioni ed ossequj il Sangue di Gesù Cristo, e siate sicuri, di dar gusto al suo cuore, tanto più ch’Egli stesso ve lo raccomanda. Hoc facite in meam commemorationem, (S. Luc. XXII) Ei disse, instituendo  lasciandovi la santa Eucaristia: voleva cioè, che voi aveste memoria della sua acerba passione, della sua morte dolorosa e del Sangue sparso nella medesima.

[D. Massimiliano M. Mesini: Sermoni al Sangue Preziosissimo di Gesù Cristo per il mese di Giugno (poi Luglio) – Tip. Malvolti, RIMINI, 1884]

217

Fidelibus, qui mense iulio pio exercitio, in honorem pretiosissimi Sanguinis D. N. I. C. publice peracto, devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis, si diebus saltem decem eidem exercitio adstiterint.

lis vero, qui præfato mense preces aliave pietatis obsequia in honorem eiusdem pretiosissimi Sanguinis privatim præstiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel singulis diebus;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem pietatis obsequium obtulerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento, quominus exercitio publico intersint

(S. C. Indulg., 4 iun. 1850; S. Pæn. Ap., 12 maii 1931).

ORATIONES

218

0 Sangue prezioso di Gesù, prezzo infinito del riscatto dell’umanità peccatrice, bevanda e lavacro delle anime nostre, che proteggete continuamente la causa degli uomini presso il trono della suprema Misericordia, profondamente io vi adoro, e vorrei per quanto mi e possibile compensarvi delle ingiurie e degli strapazzi, che Voi ricevete di continuo dalle umane creature e specialmente da quelle, che ardiscono temerariamente di bestemmiarvi. E chi non benedirà questo Sangue di infinito valore? Chi non si sentirà infiammato d’affetto verso Gesù che lo sparse? Chi sarei io, se non fossi stato ricomprato da questo Sangue divino? Chi l’ha cavato dalle vene del mio Signore fino all’ultima stilla? Ah! questo è stato certamente l’amore. O amore immenso, che ci ha donato questo balsamo salutevolissimo! 0 balsamo inestimabile scaturito dalla sorgente di un amore immenso, deh! Fa’ che tutti i cuori, tutte le lingue ti possano lodare, encomiare e ringraziare adesso e per sempre. Amen.

Indulgentia quingentorum dierum (Pius VII, 18 oct. 1815; S. Pæn. Ap., 25 iun. 1932).

219

Eterno Padre, io vi offro il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo in isconto dei miei peccati, in suffragio delle anime sante del purgatorio e per i bisogni di santa Chiesa.

Indulgentia quingentorum dierum.

Indulgentia trium annorum, si mense vertente iulio oratio recitata fuerit.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem oblationis actus elicitus fuerit (Pius VII, 22 sept. 1817; S. Pæn. Ap., 10 mart. 1933 et 3 apr. 1941).

220

I. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per la propagazione ed esaltazione della mia cara Madre la santa Chiesa, per la conservazione e prosperità del suo Capo visibile il Sommo Pontefice Romano, per i Cardinali, Vescovi e Pastori di anime, e per tutti i Ministri del Santuario.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto e ringraziato Gesù, che col suo Sangue ci ha salvato.

II. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per la pace e concordia dei Re e dei Principi cattolici, per l’umiliazione dei nemici della santa Fede e per la felicità del popolo cristiano.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

III. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per il ravvedimento degli increduli, per l’estirpazione di tutte le eresie e per la conversione dei peccatori.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

IV. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti i miei parenti, amici e nemici, per gl’indigenti, infermi e tribolati, e per tutti quelli, per cui sapete che io debbo pregare e volete che io preghi.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

V. Eterno Padre, io vi offro, i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti quelli, che quest’oggi passeranno all’altra vita, affinché li liberiate dalle pene dell’inferno e li ammettiate con la maggior sollecitudine al possesso della vostra gloria.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

VI. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti quelli che sono amanti di sì gran tesoro, per quelli che sono uniti con me nell’adorarlo ed onorarlo e per quelli in fine che si adoprano nel propagarne la devozione.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, eco.

VII. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti i miei bisogni spirituali e temporali, in suffragio delle sante anime del purgatorio, e specialmente di quelle che sono state più devote del prezzo della nostra redenzione e dei dolori e delle pene della nostra cara Madre Maria santissima.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

Viva il Sangue di Gesù adesso e sempre e per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo oblationis actus per integrum mensem quotidie reiteratus fuerit (Pius VII, 22 sept. 1817; S. Pæn. Ap., 12 maii 1931).

221

Domine Iesu Christe, qui de caelis ad terram de sinu Patris descendisti et Sanguinem tuum pretiosum in remissionem peccatorum nostrorum fudisti: te humiliter deprecamur, ut in die iudicii ad dexteram tuam audire mereamur: Venite benedicti. Qui vivis et regnas in sæcula sæculorum. Amen (ex Missali Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidiana orationis recitatio in integrum mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

222

Omnipotens sempiterne Deus, qui unigenitum Filium tuum mundi Redemptorem constituisti, ac eius Sanguine placari voluisti: concede quæsumus, salutis nostræ pretium solemni cultu ita venerari, atque a præsentis vitae malis eius virtute defendi in terris, ut fructu perpetuo lætemur in cælis. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen (ex Missali Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem devote repetita (S. Pæn. Ap., 15 iul. 1935).

Queste sono le feste del mese di Luglio 2022:

1 Luglio Pretiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis

PRIMO VENERDI’

2 Luglio In Visitatione B. Mariæ Virginis    Duplex II. classis *L1*

PRIMO SABATO

                    Commemoratio: Ss. Processi et Martiniani Martyrum

3 Luglio Dominica IV Post Pentecosten  – Semiduplex Dominica minor

5 Luglio S. Antonii Mariæ Zaccaria Confessoris    Duplex

7 Luglio Ss. Cyrilli et Methodii Pont. et Conf.    Duplex

8 Luglio S. Elisabeth Reg. Portugaliæ Viduæ    Semiduplex

9 Luglio Sanctae Mariae Sabbato    Simplex

10 Luglio Dominica V Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I*

               Ss. Septem Fratrum Martyrum, ac Rufinæ et Secundæ Virginum et Martyrum    Semiduplex

11 Luglio S. Pii I Papæ et Martyris    Feria

12 Luglio S. Joannis Gualberti Abbatis  –  Duplex

13 Luglio S. Anacleti Papæ et Martyris  –  Semiduplex

14 Luglio S. Bonaventuræ Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris  – Duplex

15 Luglio S. Henrici Imperatoris Confessoris  –  Semiduplex

16 Luglio Beatæ Mariæ Virginis de Monte Carmelo  – Feria

17 Luglio Dominica VI Post Pentecosten  –  Semiduplex Dominica minor

       S. Alexii Confessoris    Simplex

18 Luglio S. Camilli de Lellis Confessoris  – Duplex

19 Luglio S. Vincentii a Paulo Confessoris  –  Duplex

20 Luglio S. Hieronymi Æmiliani Confessoris  – Duplex

21 Luglio S. Praxedis Virginis    Feria

22 Luglio S. Mariæ Magdalenæ Pœnitentis –  Duplex *L1*

23 Luglio S. Apollinaris Episcopi et Martyris   – Duplex

24 Luglio Dominica VII Post Pentecosten –  Semiduplex Dominica minor *I*

              S. Christinæ Virginis et Martyris    Simplex

25 Luglio S. Jacobi Apostoli    Duplex II. classis

              Commemoratio: S. Christophori Martyris

26 Luglio S. Annæ Matris B.M.V.    Duplex II. classis

27 Luglio S. Pantaleonis Martyris    Feria

28 Luglio Ss. Nazarii et Celsi Martyrum, Victoris I Papæ et Martyris ac Innocentii  I Papæ et Confessoris    Duplex

29 Luglio S. Marthæ Virginis    Duplex

30 Luglio S. Abdon et Sennen Martyrum    Feria

31 Luglio Dominica VIII Post Pentec. I. Augusti –  Semiduplex Dom. minor *I*

        S. Ignatii Confessoris  – Duplex majus

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GIUGNO 2022

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GIUGNO 2022

GIUGNO è il mese che la Chiesa Cattolica dedica al

Sacratissimo CUORE DI GESÙ

Indulgenze per il mese di giugno:

252

a) Fidelibus, qui prima cuiusvis mensis feria sexta pio exercitio, in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto, devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione,

sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis.

Si autem eadem feria sexta aliquas preces ad reparandas hominum iniurias Ssmo Cordi Iesu illatas privatim recitaverint, conceditur:

Indulgentia plenaria suetis conditionibus; at ubi pium

exercitium publice completur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint.

b) Fidelibus vero, qui ceteris per annum feriis sextis aliquas preces, ut supra, pie recitaverint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel qualibet feria sexta (in ogni venerdì della settimana)

(S. C. Indulg., 7 sept. 1897; S. Pæn. Ap., 1 iun. 1934 et 15 maii 1949).

253

Mensis sacratissimo Cordi Iesu dicatus

Fidelibus, qui mense iunio (vel alio, iuxta Rev.mi Ordinari prudens iudicium), pio exercitio in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint. Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia divino Cordi Iesu privatim præstiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (S. C. Indulg., 8 maii 1873 et 30 maii 1902; S. Pæn. Ap., 1 mart. 1933).

(A coloro che nel mese di giugno praticano un pio esercizio in onore del Sacro Cuore di Gesù in pubblico, si concedono 10 anni, ed in privato 7 anni, e Indulgen. Plenaria se esso verrà praticato almeno per 10 giorni con le s. c.).

Altre indulgenze ove viene celebrato solennemente il Cuore Sacratissimo di Gesù con corso di predicazione.

650

Invocatio

Seigneur Jesus, couvrez de la protection de votre divin Coeur notre Tres Saint Pere le Pape. Soyez sa lumiere, sa force et sa consolation.

(Signore Gesù, ricoprite della protezione del vostro divin Cuore il nostro santissimo Papa – Gregorio XVIII -. Siate sua luce, sua forza, sua consolazione).

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap 18 ian. 1924 et 19 iun. 1933).

LITANIAE

245

Kyrie, eleison.

Christe, eleison.

Kyrie, eleison.

Christe, audi nos.

Christe, exaudi nos.

Pater de cælis, Deus, miserere …

Fili, Redemptor mundi, Deus, miserere …

Spiritus Sancte, Deus, miserere …

Sancta Trinitas, unus Deus, misere

Cor Iesu, Filii Patris æterni, miserere

Cor Iesu, in sinu Virginis Matris a Spiritu Sancto formatum, miserere

Cor Iesu, Verbo Dei substantialiter unitum, miserere

Cor Iesu, maiestatis infinitæ, miserere

Cor Iesu, templum Dei sanctum, miserere

Cor Iesu, tabernaculum Altissimi, miserere

Cor Iesu, domus Dei et porta cæli, miserere

Cor Iesu, fornax ardens caritatis, miserere

Cor Iesu, iustitiæ et amoris receptaculum, miserere

Cor Iesu, bonitate et amore plenum, miserere

Cor Iesu, virtutum omnium abyssus, miserere

Cor Iesu, omni laude dignissimum, miserere

Cor Iesu, rex et centrum omnium cordium, miserere

Cor Iesu, in quo sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ, miserere

Cor Iesu, in quo habitat omnis plenitudo divinitatis, miserere

Cor Iesu, in quo Pater sibi bene complacuit, miserere

Cor Iesu, de cuius plenitudine omnes nos accepimus, miserere nobis.

Cor Iesu, desiderium collium æternorum, miserere

Cor Iesu, patiens et multae misericordiæ, miserere

Cor Iesu, dives in omnes qui invocant te, miserere

Cor Iesu, fons vitæ et sanctitatis, miserere

Cor Iesu, propitiatio pro peccatis nostris, miserere

Cor Iesu, saturatum opprobriis, miserere

Cor Iesu, attritum propter scelera nostra, miserere

Cor Iesu, usque ad mortem obediens factum, miserere

Cor Iesu, lancea perforatum, miserere

Cor Iesu, fons totius consolationis, miserere

Cor Iesu, vita et resurrectio nostra, miserere

Cor Iesu, pax et reconciliatio nostra, miserere

Cor Iesu, victima peccatorum, miserere

Cor Iesu, salus in te sperantium, miserere

Cor Iesu, spes in te morientium, miserere

Cor Iesu, deliciæ Sanctorum omnium, miserere

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,  parce nobis, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,  exaudi nos, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

y. Iesu, mitis et humilis Corde,

Jf. Fac cor nostrum secundum Cor tuum.

Oremus.

Omnipotens sempiterne Deus, respice in Cor dilectissimi Filii tui et in laudes et satisfactiones, quas in nomine peccatorum tibi persolvit, iisque misercordiam tuam petentibus, tu veniam concede placatus in nomine eiusdem Filii tui Iesu Christi: Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculorum. Amen.

Indulgentia septem annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem litaniae cum versiculo et oratione pia mente repetitæ fuerint (S. Rituum C., exhib. doc. 2 apr. 1899; S. Pæn. Ap., 10 mart. 1933).

 Queste sono le feste del mese di GIUGNO 2022

2 Giugno Ss. Marcellini, Petri, atque Erasmi Martyrum  – Feria

3 Giugno      PRIMO VENERDI’

4 Giugno Sabbato in Vigilia Pentecostes  Feria privilegiata *I*

                   S. Francisci Caracciolo Confessoris    Duplex

                      PRIMO SABATO

5 Giugno Dominica Pentecostes    Duplex I. classis

8 Giugno Feria Quarta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

9 Giugno Ss. Primi et Feliciani Martyrum    Semiduple

10 GiugnoS. Margaritæ Reginæ Viduæ    Semiduple

        Feria Sexta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

11 Giugno S. Barnabæ Apostoli  –  Semiduplex

         Sabbato Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

12 Giugno Dominica Sanctissimæ Trinitatis    Duplex I. classis

13 Giugno S. Antonii de Padua Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 Giugno S. Basilii Magni Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Giugno Ss. Viti, Modesti atque Crescentiæ Martyrum    Feria

16 Giugno Festum Sanctissimi Corporis Christi    Duplex I. classis

18 Giugno S. Ephræm Syri Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

19 Giugno Dominica II Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                      S. Julianæ de Falconeriis Virginis    Duplex

20 Giugno S. Silverii Papæ et Martyris    Feria

21 Giugno S. Aloisii Gonzagæ Confessoris    Duplex

22 Giugno S. Paulini Episcopi et Confessoris    Duplex

24 Giugno Sanctissimi Cordis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis

25 Giugno In Nativitate S. Joannis Baptistæ    Duplex I. classis *L1*

26 Giugno Dominica III Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

Ss. Joannis et Pauli Martyrum    Duplex

28 Giugno S. Irenæi Episcopi et Martyris    Duplex

29 Giugno SS. Apostolorum Petri et Pauli    Duplex I. classis *L1*

30 Giugno In Commemoratione S. Pauli Apostoli    Duplex *L1*

31 MAGGIO (2022): FESTA DI MARIA REGINA

31 MAGGIO (2022)

FESTA DI MARIA REGINA

(B. Baur O.S.B. :  I Santi dell’Anno Liturgico, Herder ed., Roma, 1958)

.1. – Nel pomeriggio del 31 ottobre 1954 a Roma l’immagine miracolosa della « Salus populi Romani » fu solennemente trasportata in lunga processione dal suo trono in S. Maria Maggiore a S. Pietro. 480 stendardi mariani dei più noti santuari del mondo e 280 stendardi mariani d’Italia accompagnarono l’immagine miracolosa. Già il 24 ottobre era cominciato a Roma il congresso mariologico internazionale che trovò il suo vertice e la sua conclusione nella proclamazione della nuova festa di Maria Regina e nell’incoronazione dell’immagine romana. Il Santo Padre Pio XII fissò come giorno per la celebrazione della nuova festa della Regalità di Maria il 31 maggio. – In tale giorno deve anche essere rinnovata la consacrazione dell’umanità a Maria. Alla proclamazione della festa della Regalità di Maria il Santo Padre unì l’incoronazione dell’immagine miracolosa. Incoronando l’immagine di Cristo egli pregò: « Come noi ti incoroniamo con le nostre mani sulla terra, così si possa noi esser fatti degni di venir coronati da Te in cielo con onore e gloria »; incoronando l’immagine di Maria con un diadema di dodici stelle: « Come noi t’incoroniamo con le nostre mani, così si possa noi esser da te fatti degni di venir coronati da Gesù, tuo Figlio, in cielo con onore e gloria ».

2. – Già da lunghi secoli la Chiesa confessa la propria fede nella regalità di Maria in varie preghiere e forme, specialmente nel Rosario e nelle litanie lauretane. Nel Rosario lodiamo Maria come colei che è stata dal Signore assunta in cielo e ivi coronata Regina. Nelle litanie lauretane l’invochiamo co Regina degli Angeli, dei Patriarchi, dei Profeti, gli Apostoli, dei Martiri, dei Confessori, delle Vergini e di tutti i Santi, come Regina concepita senza macchia di peccato originale, come Regina assunta in cielo, come Regina del santo Rosario e Regina della pace. Tanto è viva in noi la fede nella regalità di Maria. Da ben mille anni salutiamo Maria, nell’Ufficio della Chiesa come nella nostra preghiera personale, col « Salve Regina, vita dolcezza e speranza nostra, salve ». Con la Chiesa cantiamo in tutte le feste mariane il salmo 44, il canto profetico sul misterioso sposalizio di Cristo, lo sposo regale, con Maria sua sposa. « Effonde il mio cuore una soave parola, canto i miei versi al re » a Cristo, il Signore.  Il tuo trono, o Dio sta per i secoli dei secoli. Figlie di re ti vengono incontro, alla destra sta la regina ornata d’oro di Ofir. Ascolta figlia, guarda e porgi il tuo orecchio; il re si è invaghito della tua bellezza. Egli è il tuo Signore a Lui t’inchina. La gente di Tiro viene con doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo favore. La figlia del re fa il suo ingresso in ornamenti smaglianti. Il suo abito è intessuto d’oro. In vesti variopinte è condotta al re. Vergini la seguono. Sono condotte con gioia ed esultanza, entrano nel palazzo del re » (Ps. XLIV) – Maria la sposa del re. Ella, la nuova Eva, sta al fianco del secondo Adamo, di Cristo, del re, nella gloria di sublime e incomparabile Regina. « Salve, Santa Madre, che hai generato il Re il quale regge nei secoli dei secoli il cielo e la terra » (Introito di molte feste mariane). Il Santo Padre ha dunque ragione di dire che con la festa della Regalità di Maria non introduce niente di nuovo se « nelle presenti circostanze confessa e corona dinanzi al mondo una verità che può aiutarci a superare il male del mondo e a proteggere i Cristiani ». – La dignità regale di Maria e il suo potere regale riposano sul suo stretto legame con Cristo. Fondamentale in proposito è il fatto che all’annuncio dell’Angelo Ella pronunciò il suo « fiat » divenendo la Madre del Figlio di Dio, di quel Re e Signore al quale « è dato ogni potere in cielo e sulla terra (Matt. XXVIII, 18). Ella è la Madre del Re divino e prende quindi parte, anche se in maniera più limitata e subordinata, alla dignità regale del Figlio suo. Essendo poi Cristo nostro Re perché, come nuovo Adamo, è nostro Redentore, allora anche Maria è, a suo modo, Regina. Poiché Ella fu associata da Dio, come nuova Eva a Cristo Redentore nella sua opera di redenzione e a quest’opera doveva cooperare tanto che a buon diritto vien detta « corredentrice », così è confacente che le sia data dal Signore una certa signoria sui redenti. Cristo è Re per natura per la sua dedizione nella morte redentrice. Maria è Regina per grazia, per Cristo e in Cristo, In virtù del suo Stretto legame con Lui, Ella Possiede una dignità e un’elevazione Su ‘tutti gli esseri creati, insieme al potere. di trasmettere a noi uomini i tesori che Cristo ci ha meritati e di ottenerci, in virtù di una intercessione materna che a Lei sola compete, grazia e aiuto da Dio.

3. – Il potere di Maria Regina è un potere sul  cuore: di Cristo Re: amandola Egli si inchina a Lei ed esaudisce le Preghiere che Ella il compito ed il potere di Presentargli a nome nostro per la salute delle nostre anime. Il potere di Maria è un Potere sugli uomini da Lei accolti come figli e che Ella desidera ardentemente di guidare e plasmare affinché Cristo prenda forma in noi e si possa così entrare nel beato regno del Figlio suo. Un potere sulla nostra volontà perché Segua il bene: un Potere sui nostri occhi perché  cerchino ed amino quello che Dio vuole. – Il potere regale di Maria è un potere e una signoria su tutto il creato, principalmente sull’umanità, su tutti e su ogni singolo, sia esso in cammino verso Dio, sia esso caduto in errore. Per tutti le è concessa dal Signore una potestà materna per collaborare efficacemente affinché raggiungano la loro eterna salvezza, per ottener loro perdono, grazia, luce e forza. – Il Potere regale di Maria è un potere e una signoria sugli spiriti maligni e sulle potenze dell’inferno, del peccato e di satana. Già nel Paradiso terrestre Ella fu indicata come Colei che avrebbe calpestato il Capo al serpente (Gen. III, 15). – Il potere regale di Maria è il potere d’intervenire in modo miracoloso nel corso del mondo e nelle leggi della natura, di guarire malattie e d’impedire disgrazie. Ne sono testimonianze Lourdes, Fatima, Loreto, Alttoetting, i molti santuari e luoghi di pellegrinaggio mariani con le loro migliaia e migliaia di ex-voto, di gruccie ecc.: Maria ha dovunque soccorso! Chiare prove del potere regale di Maria! Il potere regale di Maria è un potere materno e una signoria sulla santa Chiesa, sulle diocesi, sulle parrocchie, le famiglie, gli ordini religiosi e i chiostri, come ben dimostra la storia della Chiesa, delle famiglie, degli ordini e dei monasteri come anche quella degli stati e dei paesi cristiani. « Vincitrice in tutte le battaglie di Dio » contro i pagani (guerre contro i Turchi!) e contro le eresie di tutti i tempi. – Quanto dobbiamo stimarci felici che il Signore ci abbia dato Maria come nostra Regina e ci abbia sottoposti al suo potere regale e alla sua signoria. Con quanta fiducia dobbiamo rivolgerci a Lei, noi suoi diletti figliuoli, dicendo con san Bernardo : « Ricordati, piissima Vergine Maria, non essersi udito al mondo che qualcuno ricorrendo alla tua protezione sia rimasto abbandonato ». Pio IX nella sua Bolla sull’Immacolata Concezione ci dice inoltre: « In ogni bisogno, angustia, pericolo dobbiamo ricorrere a Lei, avvicinarci a Lei fiduciosi. Stabilita dal Signore Regina del cielo e della terra, Ella sta alla destra del Figlio suo e lo assedia con le sue materne preghiere. Ciò che Maria desidera ottenere da Lui trova esaudimento, il suo richiedere non è mai vano ».

Preghiera

O Maria, Madre di Dio e Madre nostra, tu sei la Regina del cielo e della terra. Con grande fiducia poniamo noi stessi, con tutta quello che siamo ed abbiamo, sotto la tua particolare protezione. Sii tu Signora e Regina sulle nostre anime e il nostro corpo, sul nostro cuore e il nostro spirito, sulla nostra famiglia e la nostra casa. Tutto sia a te consacrato, ti appartenga ed esperimenti la tua materna benedizione. Amen.

Omelia di s. Bonaventura vescovo
Sermone sulla regia dignità della Beata Maria Vergine

La beata vergine Maria è diventata madre del sommo Re mediante una maternità del tutto singolare, secondo quanto si sentì dire dall’angelo: «Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio»; e inoltre: «Il Signore gli darà il trono di David suo padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà fine». È come se dicesse apertamente: Concepirai e darai alla luce un figlio che è re, che eternamente abita sul suo trono regale, e per questo tu regnerai come madre del Re, e come Regina siederai tu pure sul trono regale. Se infatti è giusto che il figlio onori la madre, è altrettanto giusto che partecipi ad essa il trono regale; per questo, per il fatto cioè che la vergine Maria ha concepito colui che porta scritto sul suo femore «Re dei re e Signore dei dominanti», nell’istante stesso in cui concepì il Figlio di Dio, divenne Regina non soltanto della terra, ma anche del cielo. E questo era stato preannunciato nell’Apocalisse dove si dice : «Un grande prodigio apparve nel cielo: una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle».

Anche riguardo alla sua gloria, Maria è Regina illustre. Il Profeta esprime ciò in modo adeguato in quel salmo, che si riferisce in modo particolare a Cristo e alla vergine Maria. In esso si afferma in un primo luogo di Cristo: «Il tuo trono, o Dio, è eterno». Poco dopo si dice della Vergine: «Alla tua destra è assisa la Regina». Ciò si riferisce alle qualità più elevate, e perciò viene attribuito alla gloria del cuore. Poi il testo prosegue: «Vestita in laminato d’oro»: qui si intende il vestito di quella gloriosa immortalità che Maria acquistò con l’assunzione. Non si può credere che il vestito che aveva circondato il Cristo e che sulla terra era stato santificato totalmente dal Verbo incarnato, fosse distrutto dalla corruzione. Come fu opportuno che Cristo donasse a sua Madre la grazia totale quando ella fu concepita, così fu pure opportuno che donasse la gloria completa con l’assunzione di sua Madre. Ne consegue che è da ritenere vero il fatto che la Vergine, entrata nella gloria con l’anima e con il corpo, sia assisa accanto al Figlio.

Maria è Regina e distributrice di grazie: ciò fu. intuito nel libro di Ester, dove è scritto: «La fonte crebbe diventando fiume, e poi si trasformò in luce e in sole». La vergine Maria, raffigurata nella persona di Ester, è paragonata al dilatarsi dell’acqua e della luce, proprio perché diffonde la grazia che aiuta l’azione e la contemplazione. La stessa grazia di Dio che curò l’umanità, fu comunicata a noi attraverso Maria, come attraverso un acquedotto: è un compito della Vergine distribuire la grazia, non perché sia creatrice di grazia, ma perché ce la guadagna con i suoi meriti. Giustamente, quindi, la vergine Maria è regina nobile di fronte al suo popolo, proprio perché ci ottiene il perdono, vince le difficoltà, distribuisce la grazia e finalmente, introduce nella gloria.

Dalla Lettera Enciclica del Papa Pio XII
Enciclica Ad cæli Reginam, 11 Ottobre1954


Dai monumenti dell’antichità cristiana, dalle preghiere liturgiche, dall’innata devozione del popolo cristiano, dalle opere d’arte, da ogni parte abbiamo potuto raccogliere espressioni ed accenti, secondo i quali la vergine Madre di Dio consta primeggiare per la sua dignità regale; ed abbiamo anche provato come le ragioni che la sacra teologia ha dedotto dal tesoro della fede, confermino pienamente questa verità. Di tali testimonianze riportate si forma un concerto, la cui eco risuona larghissimamente per celebrare il sommo fastigio della regale dignità della Madre di Dio e degli uomini, che è al di sopra di ogni cosa creata, e che è stata «innalzata sopra i cori degli angeli, ai regni celesti». Essendoci poi fatta la convinzione, dopo mature e ponderate riflessioni, che verranno grandi vantaggi alla Chiesa, se questa verità, solidamente dimostrata, risplenderà più evidente davanti a tutti – quasi lucerna più luminosa posta sul suo candelabro – con la nostra autorità apostolica, decretiamo e istituiamo la festa di Maria Regina, da celebrarsi in tutto il mondo il giorno 31 maggio di ogni anno.

FESTA DELL’ASCENSIONE (2022)

ASCENSIONE DEL SIGNORE (2022).

Stazione a S. Pietro,

Doppia di I cl. con ottava privilegiata di III ord. – Paramenti bianchi.

Nella Basilica di S. Pietro, dedicata a uno dei principali testimoni dell’Ascensione del Signore, si celebra oggi (Or.) l’anniversario di questo mistero, che segna il termine della vita terrena di Gesù. Durante i quaranta giorni, che seguirono la sua Risurrezione, il Redentore pose le basi della sua Chiesa, alla quale doveva poco dopo mandare lo Spirito Santo. L’Epistola e il Vangelo di questo giorno riassumono tutti gli insegnamenti del Maestro. Gesù lascia quindi questa terra, e tutta la Messa è la celebrazione della Sua gloriosa elevazione in cielo dove gli fanno scorta le anime liberate, dal Limbo (Ali.) che entrano al suo seguito nel regno celeste, ove partecipano più ampiamente alla sua divinità (Pref.). — L’Ascensione ci predica il dovere di innalzare i nostri cuori a Dio e infatti, l’Orazione ci fa chiedere di abitare in ispirito con Gesù nelle regioni celesti, dove siamo chiamati ad abitare un giorno con il corpo. Durante tutta l’Ottava si recita il Credo: «Credo in un solo Signore Gesù Cristo Figlio unico di Dio… che è asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre ». Il Gloria dice pure: « Signore, Figlio unico di Dio Gesù Cristo, tu che siedi alla destra  del Padre, abbi pietà di noi. Nel Prefazio proprio che si recita fino alla Pentecoste, si rendono grazie a Dio pel fatto che « il Cristo risorto, dopo essere apparso a tutti i suoi discepoli, si sia innalzato in cielo sotto i loro sguardi ». Durante tutta l’Ottava si recita ugualmente un Communicantes proprio a questa festa; con esso la Chiesa ci ricorda che « celebra il giorno sacrosanto nel quale Nostro Signore, Figlio unico di Dio, si degnò di introdurre nella gloria e porre alla destra del Padre la nostra fragile carne ». alla quale si era unito nel Mistero dell’Incarnazione. – Ogni giorno la liturgia ci ricorda, all’Offertorio (Suscipe Sancta Trinitas) e al Canone (Unde et memores) che essa, secondo l’ordine del Signore, offre il Santo Sacrificio « in memoria della beatissima passione di Gesù Cristo, della sua risurrezione dalla tomba, e della sua gloriosa Ascensione al cielo ». Infatti l’uomo è salvato solo per l’unione dei misteri della Passione e della Risurrezione con quello dell’Ascensione. « Per la tua morte e per la tua sepoltura, per la tua santa risurrezione, per la tua mirabile Ascensione, liberaci, Signore » (lit. dei Santi). — Offriamo a Dio il Sacrifizio divino « in memoria della gloriosa Ascensione del Figliuol Suo » affinché, liberati dai mali presenti, giungiamo con Gesù alla vita eterna (Secr.).

Incipit


In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus


Acta 1:11.
Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.


[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps XLVI:2
Omnes gentes, pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exsultatiónis.


[Applaudite, o genti tutte: acclamate Dio con canti e giubilo.]

Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.

[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui hodiérna die Unigénitum tuum, Redemptórem nostrum, ad coelos ascendísse crédimus; ipsi quoque mente in coeléstibus habitémus.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che noi, che crediamo che oggi è salito al cielo il tuo Unigenito, nostro Redentore, abitiamo anche noi col nostro spirito in cielo].

Lectio

Léctio Actuum Apostólorum.
Act 1:1-11

Primum quidem sermónem feci de ómnibus, o Theóphile, quæ coepit Iesus facere et docére usque in diem, qua, præcípiens Apóstolis per Spíritum Sanctum, quos elégit, assúmptus est: quibus et praebuit seípsum vivum post passiónem suam in multas arguméntis, per dies quadragínta appárens eis et loquens de regno Dei. Et convéscens, præcépit eis, ab Ierosólymis ne discéderent, sed exspectárent promissiónem Patris, quam audístis -inquit – per os meum: quia Ioánnes quidem baptizávit aqua, vos autem baptizabímini Spíritu Sancto non post multos hos dies. Igitur qui convénerant, interrogábant eum, dicéntes: Dómine, si in témpore hoc restítues regnum Israël? Dixit autem eis: Non est vestrum nosse témpora vel moménta, quæ Pater pósuit in sua potestáte: sed accipiétis virtútem superveniéntis Spíritus Sancti in vos, et éritis mihi testes in Ierúsalem et in omni Iudaea et Samaría et usque ad últimum terræ. Et cum hæc dixísset, vidéntibus illis, elevátus est, et nubes suscépit eum ab óculis eórum. Cumque intuerétur in coelum eúntem illum, ecce, duo viri astitérunt iuxta illos in véstibus albis, qui et dixérunt: Viri Galilaei, quid statis aspiciéntes in coelum? Hic Iesus, qui assúmptus est a vobis in coelum, sic véniet, quemádmodum vidístis eum eúntem in coelum.

“Io primieramente ho trattato, o Teofìlo, delle cose che Gesù prese a fare e ad insegnare in fino al dì, ch’Egli fu accolto in alto, dopo aver dato i suoi comandi per lo Spirito Santo agli Apostoli ch’Egli aveva eletti. Ai quali ancora, dopo aver sofferto, si presentò vivente, con molte e sicure prove, essendo da loro veduto per lo spazio di quaranta giorni e ragionando con essi delle cose del regno di Dio. E trovandosi con essi, comandò loro che non si partissero da Gerusalemme, ma aspettassero la promessa del Padre, che, diss’Egli, avete da me udita. Perocché Giovanni battezzò con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni. Essi adunque, stando con Lui, lo domandarono, dicendo: Signore, sarà egli in questo tempo, che tu restituirai il regno ad Israele? Ma Egli disse loro: Non spetta a voi conoscere i tempi e le stagioni, che il Padre serba in poter suo. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo, che verrà sopra di voi e mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino alle estremità della terra. E dette queste cose, levossi a vista loro: e una nuvola lo ricevette e lo tolse agli occhi loro. E com’essi tenevano ancora fissi gli occhi in cielo, mentre se ne andava, ecco due uomini si presentarono loro in candide vesti e dissero loro: Uomini Galilei, perché state riguardando verso il cielo? Questo Gesù che è stato accolto in cielo d’appresso voi, verrà nella stessa maniera che l’avete veduto andarsene in cielo -.

Alleluia


Allelúia, allelúia.

Ps XLVI:6.8
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ. Allelúia.

[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Ps LXVII:18-19.
V. Dóminus in Sina in sancto, ascéndens in altum, captívam duxit captivitátem.
Allelúia.

 [Il Signore dal Sinai viene nel santuario, salendo in alto, trascina schiava la schiavitú. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia
sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc XVI:14-20

In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, prædicáte Evangélium omni creatúræ. Qui credíderit et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, hæc sequéntur: In nómine meo dæmónia eiícient: linguis loquantur novis: serpentes tollent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super ægros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in cœlum, et sedet a dextris Dei. Illi autem profécti, prædicavérunt ubíque, Dómino cooperánte et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

“In quel tempo: Gesú apparve agli undici, mentre erano a mensa, e rinfacciò ad essi la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: Andate per tutto il mondo: predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo: chi poi non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio Nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, maneggeranno serpenti, e se avran bevuto qualcosa di mortifero non farà loro male: imporranno le mani ai malati e questi guariranno. E il Signore Gesù, dopo aver parlato con essi, fu assunto in cielo e si assise alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la loro parola con i miracoli che la seguivano.”

Recitato il Vangelo, viene spento il Cero pasquale, né più si accende, se non il Sabato di Pentecoste per la benedizione del Fonte.

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

IL MONDO INVISIBILE

Siamo al quarantesimo giorno della Risurrezione. Gesù condusse gli Apostoli fuori della città e li menò in cima al Monte Oliveto, rifacendo il cammino che aveva percorso con loro esattamente sei settimane addietro, la sera del Giovedì santo. Ma quale differenza di spirito! Allora verso la notte dell’agonia, ora verso il giorno del trionfo. Sulla cima Egli alzò un’ultima volta le mani a benedire i suoi Apostoli, poi i piedi forati si staccarono da terra, ed elevandosi in alto, partì da loro. Tutti tenevano il volto rivolto in su, guardando Lui che rimpiccioliva nella profondità del Cielo, illagato di luce; poi venne una nuvola e lo tolse alla loro vista, Cristo ormai era nella gloria del Padre, seduto alla sua destra. Quando gli Apostoli abbassarono gli occhi sulla terra che parve a loro sempre scolorata, sentirono che i desideri del cuore erano rimasti lassù, dietro allo scomparso, né giammai li potevano distogliere di lassù. A noi sarebbe parso meglio che Gesù non se ne fosse andato, che tutti avessero potuto vederlo con gli occhi, toccarlo con le mani, ascoltarlo con le orecchie. Ma se così fosse avvenuto la nostra fede avrebbe avuto minor merito, inoltre il nostro amore sarebbe stato meno puro e ancor troppo sensibile. Infine, v’è un’altra ragione, sulla quale intendo insistere. Se Gesù fosse rimasto in questo mondo visibile, non ci saremmo più abituati a sollevare pensieri e desideri al mondo invisibile che è il più importante, « poiché le cose visibili sono temporanee, mentre le cose invisibili sono eterne » (II Cor., IV, 18). Come una madre si nasconde per farsi cercare dai suoi piccini, così Gesù si è nascosto nel mondo invisibile perché noi ci sforzassimo di cercarlo « pur andando a tastoni » e di cercarlo là dove importa tenere il cuore, cioè il mondo invisibile. « Ricercate, dunque, le cose dell’alto, ove il Cristo dimora » (Col. III, 1). E perché ci fosse più facile questo contatto col mondo invisibile, Egli partendo promise di mandare lo Spirito Santo. Questa invisibile Persona divina avrebbe aiutato i buoni a distaccarsi dai beni passeggeri e insufficienti della terra, ed avrebbe condannato i cattivi che si avvinghiano perdutamente a questo mondo che si vede e che si tocca.

1. L’ESISTENZA DEL MONDO INVISIBILE

Ci sono dunque due mondi e lo diciamo nel « Credo » della Santa Messa: quello delle cose visibili e quello delle cose invisibili. Noi siamo nati in mezzo al primo, e sappiamo bene di che cosa sia formato: del sole e delle stelle, dell’aria e dell’acqua, dei monti. e delle pianure, delle piante e delle bestie, e soprattutto degli uomini e delle loro nazioni. Ma c’è pure un altro mondo, assai più vero di questo, assai più meraviglioso, assai più vicino a noi. Anzi ci viviamo in mezzo, eppure le nostre mani non lo toccano, e i nostri occhi non lo vedono, i nostri orecchi non lo sentono. Non meravigliamoci se i nostri sensi sono incapaci di percepire il mondo invisibile, perché essi non colgono che una minima parte di ciò che esiste: la più grande, la più bella realtà sfugge a loro. Se io dicessi ad un buon uomo della Etiopia, ignaro ancora della civiltà europea, che intorno a lui, anzi attraverso il suo stesso corpo passano parole misteriose, grida di gioia e urli di dolore, suoni d’ogni strumento e cori poderosi, egli mi guarderebbe stupefatto e penserebbe ch’io intenda raccontargli favole. Non può credere perché non ha mai visto le valvole per captare le onde marconiane. Prima che scoprissimo la radio, anche a noi europei simili cose apparivano un sogno irrealizzabile. Ebbene, Cristiani: se a qualcuno sentendomi parlare del mondo invisibile venisse il sospetto che sia tutto un sogno, si ricordi che noi ora siamo nelle condizioni di quel buon uomo d’Etiopia. Ci mancano le valvole adatte per captare le realtà del mondo invisibile. Ma un giorno, il giorno della nostra morte, le avremo. Intanto viviamo di fede; la fede nell’ascensione di Cristo nel mondo invisibile.

2. LE REALTÀ DEL MONDO INVISIBILE

a) La prima realtà del mondo invisibile è Dio. Colui che ha creato i cieli visibili, il sole abbarbagliante, i fiori coloriti, gli uomini che si vedono tra di loro, è invisibile. Il Dio onnipotente che esiste più realmente e più intensamente di tutti noi, non lo possiamo trovare coi nostri sensi. Un Vescovo francese al tempo di Luigi XIV, andò a visitare un’illustre famiglia e là domandò a un fanciullo di 8 anni, un ragazzetto sveglio, dopo d’aver preso un’arancia da un cestello che era sulla tavola: « Fanciullo mio ti voglio dare questa arancia, se tu mi dici dov’è Dio ». « E io, Mons. Vescovo, vi darò un intiero cestello pieno d’arance, se voi mi dite dove Dio non è ». Dio è dappertutto, eppure non lo vediamo. « Se uno è solo — è scritto nella Sacra Scrittura — io sono con lui. Rimuovi la pietra e li mi troverai, incidi il legno ed io son lì ». Anzi S. Paolo ha detto che noi siamo immersi in Dio: in Lui siamo, viviamo e respiriamo. Persuadiamoci, dunque di questa verissima realtà: non siamo mai soli, mai inosservati. Un Padre amorosissimo ci accompagna, un terribile osservatore ci scruta ogni momento la mente e il cuore. Ma una volta, il Dio invisibile ha voluto diventare una cosa che si vede. Per sua somma ineffabile misericordia, prese umana carne nel seno della Vergine Maria, e nacque in questo mondo sensibile. Per più di trent’anni visse come uno qualunque di noi: parlava; beveva, mangiava, camminava, soffriva. Poi ritornò nel suo mondo invisibile, dove ci ha promesso di preparare un posto per ciascuno di noi. Da allora più nessuno l’ha potuto vedere, eccetto qualche rarissimo e fortunato uomo. Lo vide, pochi anni dopo la sua scomparsa, Paolo quando nelle vicinanze di Damasco fu da Lui improvvisamente assalito, gettato nella polvere, disarmato e vinto amorosamente. Lo vide ancora, molti secoli dopo, Francesco d’Assisi sulla cima di una montagna, mentre sorgeva il sole, e si ebbe nel cuore uno smisurato amore per gli uomini, e nel corpo cinque piaghe spasimose. Lo vide pure, tre secoli fa, un’umile suora nel suo convento, Margherita Maria Alacoque e a lei diede grazia di rivelare le promesse e la devozione del suo Sacro Cuore. Per tutti noi però è come s’Egli non si fosse mostrato mai, tanto poca è l’esperienza che abbiamo della sua presenza. Ma nelle inesauste risorse del suo amore ci ha dato un segno che si vede e che si tocca, per dirigerci senza sbagliare verso la sua Persona che non si vede e non si tocca. Questo segno è la bianca e sottile Ostia consacrata: dove c’è quella, possiamo dire con certezza più che matematica che ivi c’è Gesù, vivo e vero, che non visto ci vede, che non udito ci ascolta. L’Eucarestia è il ponte che congiunge il mondo visibile col mondo invisibile. Con che amore, con che tremore dovremmo desiderarla e riceverla!

b) La seconda realtà del mondo invisibile sono gli Angeli. Voi tutti sapete che una notte alcuni pastori di Betlemme hanno visto gli Angeli, li hanno sentiti parlare, li hanno sentiti cantare mentre trasvolavano a schiere, e a schiere. Dicevano: « Gloria a Dio nel cielo, pace in terra agli uomini di buona volontà ». Tutti ricordano ancora che mentre S. Pietro dormiva nella prigione di Gerusalemme, proprio nella notte precedente il giorno fissato per ucciderlo, sopraggiunse un Angelo, che lo svegliò scuotendolo nel fianco, gli tolse le catene e gli disse. « Presto: buttati addosso il mantello e vieni con me ». Pietro senza rendersi conto di quello che faceva, ubbidì. Credeva fosse un sogno, ma si trovò nella strada libero e solo sotto le stelle. che illanguidivano ai primi soffi dell’alba (Atti, XII, 6-10). – Non so, se avete sentito che S. Filippo Neri volendo scansare una carrozza che gli veniva incontro in una corsa indiavolata, stava per cadere in una fossa profonda. E vi sarebbe caduto se una mano energica e pronta non l’avesse afferrato per un braccio: guardò e vide un Angelo che lo teneva stretto. Che meraviglie sono queste? Ma dunque degli Esseri splendidi e buoni ci sono ai fianchi senza che li possiamo vedere? Sì; essi vigilano sulle parrocchie, sulle nostre case, su ciascuno di noi. Nel regno del mondo sono soltanto i ricchi che possono permettersi il lusso di farsi servire; nel regno di Dio, tutti, anche il più miserrimo e diseredato, ha per servo e custode un Angelo. Come? chi è da più serve chi è da meno? Sì, perché il regno di Dio è regno d’Amore e non c’è gioia più cara che rendersi utili e donare agli altri. Vicini a noi miseri e indegni c’è sempre un Angelo splendido, amoroso, vigile, fedele, pronto all’aiuto: e non ci pensiamo. Vicino a ciascuna persona c’è un Angelo: e non ci badiamo. Nella nostra casa ci sono tanti Angeli: e non ce ne curiamo. Che perversa e ingrata ignoranza! c) Nel mondo invisibile abita infine la Madonna coi Santi. La Madre di Gesù, la tenerissima Madre nostra, essa pure è a noi invisibile. Si lasciò vedere nel secolo scorso a una fanciulla dalla grotta di Lourdes, ed ora spesse volte in quel luogo tocca e guarisce chi la chiama con fede e con amore, senza però farsi vedere. E con Lei sono tutti i Santi della Chiesa; con Lei son tutti i nostri cari morti che ci hanno preceduti col segno della fede. Non dobbiamo illuderci che siano lontani, che siano in un mondo al di là delle stelle, distaccati da noi fino alla nostra morte: no, ci sono vicini, facciamo con loro una medesima famiglia, che vive della medesima vita, che ama col medesimo Amore. Solo che essi non si rendono più presenti ai nostri sensi: come attori usciti dalla scena, ma che sono ancora là, sul palco, invisibili dietro le quinte.

CONCLUSIONE

Un poeta inglese ha immaginato l’impressione di Adamo quando. vide per la prima volta discendere l’oscurità della notte. Tutte le cose cominciarono a trascolorare, a perdere i loro contorni, a liquefarsi in una massa informe e scura. Sembrava che fosse la fine di tutto il mondo. Ma ecco improvvisamente luccicare la prima stella della sera. Espero; ecco l’esercito degli astri, ecco inaspettato sorgere il prodigio della luna. Tutta la creazione si fè più vasta allo sguardo del primo uomo attonito. Come avrebbe potuto immaginare che celate nella luce del giorno ci fossero tutte quelle cose? Come avrebbe potuto sapere, mentre erano visibili moscerini, insetti e foglie, che palpitavano nel cielo innumerevoli e immensi astri? (JOSEPH BLANCO WHITE, To Night). – Cristiani, quando intorno a noi discenderà la sera della morte, nessuna paura ci sgomenti: se questo mondo opaco delle cose visibili sembrerà svanire nel buio, da quel buio un altro mondo splendidissimo, e immenso, e beato affiorirà: il mondo invisibile. E lo vedremo. Vedremo Dio come è: vedremo la dolce e adorabile umanità di Cristo; vedremo il posto che Egli è salito a prepararci; ed ivi abiteremo con la Madonna, gli Angeli e i Santi e i nostri cari. E ripensando a questi giorni terreni, esclameremo attoniti: « Com’era poca e pallida cosa quella vita che allora ci sembrava tutto! ».

IL CREDO

Offertorium


Orémus
Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Secreta


Súscipe, Dómine, múnera, quæ pro Fílii tui gloriósa censióne deférimus: et concéde propítius; ut a præséntibus perículis liberémur, et ad vitam per veniámus ætérnam.

[Accetta, o Signore, i doni che Ti offriamo in onore della gloriosa Ascensione del tuo Figlio: e concedi propizio che, liberi dai pericoli presenti, giungiamo alla vita eterna.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Ps LXVII: 33-34
Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem, allelúia.

[Salmodiate al Signore che ascende al di sopra di tutti i cieli a Oriente, allelúia.]

Postcommunio


Orémus.
Præsta nobis, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut, quæ visibílibus mystériis suménda percépimus, invisíbili consequámur efféctu.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente e misericordioso, che di quanto abbiamo ricevuto mediante i visibili misteri, ne conseguiamo l’invisibile effetto].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: MAGGIO 2022

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: MAGGIO 2022

MAGGIO È IL MESE CHE LA CHIESA DEDICA ALLA SS. VERGINE MARIA, LA MADRE DI DIO.

Motivi per far bene il mese di Maggio.

Il mese di Maggio consacrato a Maria dalla pietà cristiana è una scelta di preziosi ossequi che si presentano dai Fedeli a Madre sì amabile. Voi che vi accingete a praticarlo già li conoscete e già siete persuaso che Maria dopo Gesù meriti tutto il nostro amore, e che l’onorarla affettuosamente debba riuscirvi d’immenso vantaggio; tuttavolta, perché lo imprendiate più animosamente, vi perseveriate con più costanza e ne raccogliate frutti più copiosi, considerate di questo bel mese 1.°la convenienza, 2.° il merito, 3.° gli effetti.

I. La convenienza. La divozione alla $s. Vergine deve essere nella Chiesa, siccome è chiaro, di ogni stagione, di ogni età, di ogni condizione di persone. In tutti i tempi una madre ha diritto all’amore de’ suoi figliuoli, in tutti i tempi una Regina ha diritto all’ossequio dei suoi sudditi, una benefattrice alla riconoscenza di chi da lei ha ricevuto favori, come in ogni tempo il debole, il povero, il derelitto ha bisogno di chi può difenderlo, accoglierlo ed arricchirlo. Però è anche vero essere necessario, acciocché non si raffreddi l’amore e non si intepidisca la servitù, che a quando a quando con una dirò così comunicazione più affettuosa si stringano i legami soavi dell’amore e della dipendenza. Ma allora qual cosa più opportuna che consacrare al culto affettuoso di lei un intero mese, qual cosa più conveniente che scegliere di tutto l’anno quel mese appunto che è il più bello, il più gradito di tutti, quando cioè le nuove bellezze onde si riveste la natura, c’ invitano a sollevarci sino all’opera più meravigliosa della grazia qual è Maria?

II. Il merito poi di questo esercizio voi potete raccoglierlo sia dall’oggetto nobilissimo a cui è diretto, sia dall’oblazione che voi le fate. L’oggetto  è quella gran donna che fu sì altamente onorata dalla Trinità sacrosanta, dal divin Padre che la scelse a primogenita, dal divin Figliuolo che la volle per madre, dal divino Spirito che la elesse per sposa. L’oggetto è quello che tutti gli Angeli riconoscono per loro Regina e tutte le generazioni chiamano beata. Quando dunque potrete ergere dopo Dio i vostri pensieri ad oggetto in sé più nobile ed eccellente? L’oblazione che voi le fate è degli atti più sublimi che abbia la Religione cristiana. In primo luogo per amore di Lei voi attenderete per un intero mese alla considerazione della divina legge, di quella legge cioè chiamata dal Profeta legge immacolata, legge che converte le anime, testimonio fedele del Signore, fonte di sapienza pei parvoli: Lex Domini immaculata, convertens animas, testimonium Domini fidele, sapientiam præstans parvulis (Ps. XVIII. 8), la cui meditazione come è stata sì altamente inculcata da Gesù Cristo, così è stata sempre il pascolo più delizioso dei Santi, la salvaguardia più sicura contro ogni vizio e l’eccitamento più gagliardo ad ogni anche più eccelsa virtù. Colla considerazione delle verità della fede si congiunge l’efficacia della santa orazione, la quale impetra quello che nella meditazione si è scoperto a noi necessario. E chi può dire quello che vaglia ad impetrar di grazie un popolo intero che raccolto ai piè di Maria, e adoperandola quale Interceditrice efficace, si rivolge alla Misericordia di Dio? Aggiungete quegli atti di virtù che sotto nome di ossequi e di fiori spirituali si presentano a Maria i quali tanto accrescono il valore della preghiera: aggiungete i sacramenti che nel corso del mese od almeno in sul termine si ricevono devotamente: aggiungete l’acquisto delle sante Indulgenze che i sommi Pontefici hanno conceduto sì largamente: aggiungete il rispetto umano che altri vince nel mostrarsi assiduo alla Chiesa, la diligenza che esercita, il buon esempio che porge, ed intenderete di quanto merito debba riuscir presso Dio questo ossequio renduto alla sua gran Madre.

III. E da questo merito raccogliete poi gli effetti che ne proverranno. Per me due ve ne propongo in particolare. Chiunque voi vi siate imprendete questo bel mese non può fallire che siate o giusto o peccatore. Se foste del novero di questi, che cosa non dovete sperare per la vostra riconciliazione con Dio? Maria è l’esca dolcissima secondoché rivelò essa stessa a santa Brigida, con cui Iddio trae a sé i peccatori: ed Ella imitando il suo figliuolo ne corre in traccia eziandio quando come pecorelle smarrite essi fuggono dal suo seno materno. Pensate come accoglierà poi quelli che non solo non la fuggono, ma le si avvicinano, ma quasi non dissi coi lor belati la cercano e le domandano aiuto! Oh come parlerà al loro cuore, oh come le stringerà al suo seno! Se per converso siete di quelli che già possiedono la divina amicizia, quanto non dovete sperare un aumento singolar di fervore ed una copia maggiore di aiuti per la vostra perseveranza? Se Maria ha tanta cura che non si perdano neppure i peccatori, quanta non ne avrà che perseverino i giusti che Lei invocano, che a Lei si affidano? Gesù dice che nessuno gli rapirà quelli che sono suoi. Non rapiet eas quisquam de manu mea (Joan. VIII. 28); ma crediamonoi che Maria lascerà che le siano involatii suoi cari? Finalmente non può Marianon coprir col manto della sua protezionepiù affettuosa quelli che la onorano con unmese intero di ossequi. E come no? Se anchetalora pel piccolo ossequio d’un’invocazione, diuna limosina, di un digiuno, di un benché minimoatto di virtù, ha ottenuto le grazie piùpreziose ai suoi devoti, possiamo noi pensareche un’accolta di tanti ossequi e così nobilidebbano rimaner senza una di quelle occhiateche bastano a salute? Lo creda chi può pensarcosì meschinamente di sì grande Signora. Pernoi risolviamo solo di dedicarle con tutto l’affetto e con tutta la costanza questo bel mesee non temiamo ch’Ella sia mai per deludere lanostra fiducia. – Nel che del resto non sarà neppur per mancarci la sua amorosa assistenza. Saprà ben essa rendercelo soave, rendercelo utile sia colle parole che dirà Ella al nostro cuore, sia colle grazie che ci otterrà da Gesù. Chi ne ha fatto già l’esperienza altre volte sa che io dico il vero, chi non l’ha fatta ancora, si provi a farlo con fervore e lo vedrà. Per me non dubito che giunto al termine potrà ognuno sperar che questo mese sia quello che l’abbia a consolare ne’ secoli eterni.

(S. Franco: Il mese di Maggio, Venezia, Tip. Emiliana Editr. 1865)

PIA EXERCITIA

325

Fidelibus, qui mense maio pio exercitio in honorem beatæ Mariæ Virginis publice peracto devote interfuerint, conceditur :

Indulgentia septem annorum quolibet mensis die:

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea sacramentalem confessionem instituerint, ad sacram Synaxim accesserint et ad mentem Summi Pontificis oraverint.

Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia beatæ Mariæ Virgini privatim præstiterint, conceditur: Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint ; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (Secret. Mem. 21 mart, 1815; S. C. Indulg., 18 iun. 1822; S. Pænit. Ap., 28 mart. 1933).

[Ai fedeli che praticheranno un pio esercizio in onore della Beata Vergine Maria, si concedono 7 anni (se in pubblico) o 5 anni (se in privato) di indulgenza per ogni giorno del mese, e indulgenza plenaria s. c. se praticato per almeno 10 giorni]

CANTICUM, HYMNI ET ANTIPHONAE

320

Magnificat

anima mea Dominum:

Et exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo.

Quia respexit humilitatem ancillæ suæ: ecce

enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes.

Quia fecit mihi magna qui potens est: et sanctum nomen eius.

Et misericordia eius a progenie in progenie timentibus eum.

Fecit potentiam in brachio suo: dispersit superbo mente cordis sui.

Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles.

Esurientes implevit bonis: et divites dimisit inanes.

Suscepit Israel puerum suum, recordatus misericordia è suæ.

Sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius in sæcula.

(Luc., I, 46).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia quinque annorum, si canticum in festo Visitationis B. M. V. vel quolibet anni sabbato recitatum fuerit.

(5 anni nella festa della Visitazione e in qualsiasi sabato dell’anno)

Indulgentia plenaria s. c.  

(20 sept. 1879 et 22 febr. 1888; S. Paen. Ap., 18 febr. 1936 et 12 apr. 1940).

321

Ave maris stella,

Dei Mater alma,

Atque semper Virgo,

Felix caeli porta.

Sumens illud Ave

Gabrielis ore,

Funda nos in pace

Mutans Hevae nomen.

Solve vincla reis,

Profer lumen caecis,

Mala nostra pelle,

Bona cuncta posce.

Monstra te esse matrem,

Sumat per te preces

Qui pro nobis natus

Tulit esse tuus.

Virgo singularis,

Inter omnes mitis,

Nos culpis solutos

Mites fac et castos.

Vitam praesta puram,

Iter para tutum,

Ut videntes Iesum

Semper collaetemur.

Sit laus Deo Patri,

Summo Christo decus,

Spiritui Sancto,

Tribus honor unus. Amen.

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria s. c. per un mese.

(S. C. Indulg., 27 ian. 1888; S. Pæn.

Ap ., 27 mart. 1935).

322

0 gloriosa Virginum,

Sublimis inter sidera,

Qui te creavit, parvulum

Lactente nutris ubere.

Quod Heva tristis abstulit,

Tu reddis almo germine:

Intrent ut astra flebiles,

Caeli recludis cardines.

Tu regis alti ianua,

Et aula lucis fulgida:

Vitam datam per Virginem

Gentes redemptæ plaudite.

Iesu, tibi sit gloria,

Qui natus es de Virgine,

Cum Patre et almo Spiritu,

In sempiterna sæcula. Amen.

( e x Brev. Rom.).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria s. c. per un mese.

(S . Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

323

Alma Redemptoris Mater,

quæ pervia cæli

Porta manes, et stella maris, succurre cadenti,

Surgere, qui curat, populo: tu quæ genuisti,

Natura mirante, tuum sanctum Genitorem,

Virgo prius ac posterius, Gabrielis ab ore

Sumens illud Ave, peccatorum miserere.

(ex Brev. Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, s. c. per l’intero mese

(S. Pæn. Ap., 15 febr. 1941).

QUESTE SONO LE FESTE del mese di MAGGIO 2022

1 Maggio S. Joseph Opificis    Duplex I. classis *L1*

                 Dominica II Post Pascha    Semiduplex Dominica minor

2 Maggio S. Athanasii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

3 Maggio Inventione Sanctæ Crucis    Duplex II. classis *L1*

4 Maggio S. Monicæ Viduæ    Duplex

5 Maggio S. Pii V Papæ et Confessoris    Duplex

6 Maggio S. Joannis Apostoli ante Portam Latinam    Duplex majus *L1*

7 Maggio S. Stanislai Episcopi et Martyris    Duplex

8 Maggio Dominica III Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                 In Apparitione S. Michaëlis Archangeli    Duplex majus

9 Maggio S. Gregorii Nazianzeni Episcopi Conf. et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

10 Maggio S. Antonini Episcopi et Confessoris    Duplex

11 Maggio Ss. Philippi et Jacobi Apostolorum    Duplex II. classis *L1*

12 Maggio Ss. Nerei, Achillei et Domitillæ Virg. atque Pancratii Mart. Semiduplex

13 Maggio S. Roberti Bellarmino Episcopi Conf. et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 Maggio S. Bonifatii Martyris    Feria

15 Maggio Dominica IV Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                  S. Joannis Baptistæ de la Salle Confessoris    Duplex

16 Maggio S. Ubaldi Episcopi et Confessoris    Semiduplex

17 Maggio S. Paschalis Baylon Confessoris    Duplex

18 Maggio S. Venantii Martyris    Duplex

19 Maggio S. Petri Celestini Papæ et Confessoris    Duplex

20 Maggio S. Bernardini Senensis Confessoris    Semiduplex

22 Maggio Dominica V Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I

23 Maggio Feria Secunda in Rogationibus    Ferial

24 Maggio Feria Tertia in Rogationibus    Ferial

25 Maggio Feria Quarta in Rogationibus in Vigilia Ascensionis    Ferial

                   S. Gregorii VII Papæ et Confessoris    Duplex

26 Maggio In Ascensione Domini    Duplex I. classis *I*

27 Maggio S. Bedæ Venerabilis Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

28 Maggio S. Augustini Episcopi et Confessoris    Duplex

29 Maggio Dominica post Ascensionem    Semiduplex Dominica minor *I*

                   S. Mariæ Magdalenæ de Pazzis Virginis    Semiduplex

30 Maggio S. Felicis I Papæ et Martyris    Feria

31 Maggio Beatæ Mariæ Virginis Reginæ    Duplex II. classis *L1*

                   Commemoratio: S. Petronillæ Virginis

UFFICIO DELLE TENEBRE DEL TRIDUO

UFFICIO DELLE TENEBRE DEL TRIDUO

Gli Uffici notturni dei tre giorni del triduo pasquale possono costituire un momento di intensa preghiera e di meditazione della Passione di Cristo anche fuori dal tempo pasquale, nei momenti di prova e nelle difficoltà della vita, in particolare in questi tempi spiritualmente tenebrosi.

L’UFFICIO DELLE TENEBRE.

(p. Pio Parsch)

Chi ama la liturgia impiegherà ogni momento libero per prepararsi bene alle funzioni della Settimana santa. Nelle parrocchie la preparazione è certamente incominciata da molto tempo. I parroci dovettero già, durante la Quaresima, spiegare ai loro parrocchiani il contenuto spirituale della Settimana santa. Ma in questi due giorni è assolumente necessario e urgente portare a termine la preparazione. Oggi consideriamo in modo particolare il Mattutino dei tre ultimi giorni, l’Ufficio delle tenebre. Che cosa è il Mattutino? È una parte della preghiera liturgica del Breviario e precisamente la preghiera notturna della Chiesa, che considera nel Mattutino la festa del giorno seguente. La Chiesa raccoglie in essa i pensieri e i sentimenti di tutta la giornata liturgica. E  poiché i tre ultimi giorni della settimana racchiudono per noi Cristiani gli avvenimenti più importanti dell’anno, è logico che al Mattutino relativo si debba avere una speciale ricchezza di contenuto. In realtà vi è quanto di più bello e commovente può avere la Chiesa nel tesoro delle sue preghiere. I tre Mattutini rappresentano le tre parti del dramma della Passione. La prima parte è il Mattutino del Giovedì santo; imponente introduzione al dramma grandioso, il pensiero centrale è la Passione intima del Signore, la Passione nelle sue cause. Le scene dominanti sono: l’agonia nell’orto degli ulivi; il tradimento di Giuda e l’istituzione della SS. Eucarestia. – La seconda parte è il Mattutino del Venerdì santo, il quale ci fa considerare il momento culminante del dramma della croce. L’azione si svolge sul Golgota. Questo Mattutino è anche il più impressionante e il più triste di tutti. – La terza parte ci infonde già un senso di sollievo. Dal Mattutino del Sabato santo traspira la pace dopo la tempesta; ci sentiamo trasportati a poco a poco verso le speranze della resurrezione, malgrado abbia ancora espressioni di dolore allorché considera le ferite sanguinose del grande Sacrificato! Fermiamoci, solo un momento, a considerare le Lamentazioni e i Responsori.

Le lamentazioni sono canti nei quali il profeta Geremia ha trasfuso il più amaro cordoglio per la distruzione di Gerusalemme e la prigionia del popolo giudeo. Nel Mattutino sentiamo le voci di dolore della umanità penitente, la sposa infedele, per la quale lo sposo soffre e muore. Nelle Lamentazioni, la Chiesa vuole metterci davanti la nostra anima nella quale, come in uno specchio, possiamo riconoscere la miseria spaventosa del peccato. Perciò ogni canto si chiude col grido impressionante: « Gerusalemme, Gerusalemme, convertiti al Signore Dio tuo! ». Le Lamentazioni si cantano su di una melodia piena di mestizia, la cui eco si perde nella lontananza dei tempi, forse nell’antico evo giudaico. Si ripercuotono nella nostra stessa anima le note lente e severe ripetute sempre alla stessa maniera senza mai cessare, quelle note che hanno toccato e commosso migliaia di cuori ed hanno suscitato l’estatica ammirazione dei più famosi artisti: « perché siede così abbandonata la città che fu un tempo sì popolosa? / La regina dei popoli è diventata una vedova, / la regina delle nazioni è diventata suddita… / o voi tutti, che passate per la via, guardate / se c’è un dolore simile al mio dolore… / A chi posso paragonarti, a chi dirti simile, figlia di Gerusalemme? / Chi posso mettere al tuo fianco per confortarti, vergine figlia di Sion?/ Poiché il tuo dolore è grande come il mare… ». Anche i Responsori vengono cantati solennemente dopo le Lamentazioni. Che cosa sono i Responsori? Dopo ogni lezione la Chiesa ha cura di non passare immediatamente alla lezione successiva, ma fra l’una e l’altra intercala un canto che è al tempo stesso un’eco della lezione. Anche nella Messa, dopo l’Epistola segue un Responsorio: il Graduale. I Responsori nel Mattutino della Settima santa sono tra i passi più belli. Vi sentiamo accenti di dolore che escono, ora dalla bocca stessa del Salvatore sofferente, ora da quella della Chiesa. Sono canti sempre alternati, ora semplici, ora lirici, ora altamente drammatici.

Gli esempi seguenti ci danno un’idea di questi canti. Al Giovedì santo la Chiesa dice di Giuda: « Giuda, anima miserabile, venale, / tradì il Signore con un bacio. / Il Signore, come Agnello innocente, / non ricusò il bacio di Giuda. / Per pochi denari lo consegnò ai giudei. / Meglio sarebbe stato per lui che non fosse nato ». –

Al Venerdì santo la Chiesa ricorda la morte di Cristo: / « Si fece notte, / allorché i giudei crocifissero Gesù; / e verso l’ora nona Gesù gridò con gran voce: / Mio Dio, perché mi hai abbandonato? / E, chinato il capo, rese lo spirito. / Gesù gridò con gran voce: / Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito ».

Il Mattutino del Sabato santo è il lamento della Chiesa alla tomba del suo sposo:

« Gerusalemme sorgi, deponi gli abiti da festa, / copriti con la cenere e col cilicio, / perché in te è stato ucciso il Salvatore d’Israele».

Quando comincia il Mattutino si mette davanti all’altare un candelabro con quindici candele, quattordici gialle e una bianca. Queste candele si spengono una per una, dopo il canto di ciascun salmo (nove nel Mattutino e cinque nelle Lodi). La candela bianca resta accesa, ma alla fine essa viene portata dietro l’altare e poi di nuovo ripresa dopo che il coro ha fatto del rumore. – Originariamente questa cerimonia aveva uno scopo pratico. Nel Medio Evo il Mattutino si recitava nella notte perciò si chiama anche Tenebræ. Allorchè si spegneva una candela, i fedeli capivano che era finito un salmo. Più tardi a quest’uso fu dato un significato simbolico: le candele gialle indicano i di quali uno dopo l’altro se ne andarono; la candela bianca, Gesù, la cui luce fu bensì oscurata per breve tempo dalla morte, ma poi riapparve luminosa nella resurrezione. Il rumore deve significare il terremoto al momento della sua Resurrezione. È specialmente commovente la chiusa dell’Ufficio delle tenebre. Allorché tutte le candele anche quelle sull’altare sono spente e la Chiesa si trova avvolta nella completa oscurità, tutti genuflettono. Allora si canta il versetto: « Cristo si è fatto per noi obbediente fino alla morte » (al Venerdì santo si aggiunge : « fino alla morte di Croce »: al Sabato si fa una nuova aggiunta: Perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è superiore a tutti gli altri nomi »). Poi si recita o si canta il salmo di penitenza, il Miserere, davanti all’immagine del Crocifisso. Tutti si alzano ed escono uno dopo l’altro, in profondo silenzio. ….

3. Dal MATTUTINO DEL GIOVEDI’ SANTO .

Verso sera cantiamo il primo Ufficio delle tenebre. Il Mattutino del Giovedì santo è il primo della trilogia, il prologo del grande dramma. Il pensiero fondamentale è questo: La intera passione di Cristo nelle sue cause e nei suoi effetti: a) Presso i Giudei la morte di Cristo è ormai decretata; b) Giuda tradisce il suo Maestro: e di lui appunto oggi si parla diffusamente: c) l’agonia nell’orto e l’intera passione di Gesù nella sua anima e nella sua volontà; d) L’istituzione della SS. Eucarestia, è viva rappresentazione della Passione di Cristo. L’azione si svolge la sera del primo Giovedì santo: essa non prosegue secondo l’ordine cronologico come in un dramma, no: i pensieri partono di qui e sempre vi ritornano; alludono a scene della passione anche dei giorni seguenti: è come un mosaico di preghiera la cui unità è costituita dalla Passione di Cristo in generale, con speciale riferimento agli avvenimenti odierni.

I SALMI – Di solito nel Mattutino delle feste come nel Mattutino dei due giorni seguenti, i salmi sono propri, cioè dal tesoro dei 150 salmi si cercano quelli che nei pensieri e nei sentimenti s’adattano meglio alla ricorrenza. Ma oggi non è così: si recitano i salmi dal LXVIII fino al LXXVI. In una serie ininterrotta, quantunque non tutti si riferiscano alla passione (l’antico Mattutino feriale del mercoledì finiva col salmo LXVII, e perciò quello del giovedì cominciava col salmo LXVIII). – Forse si sono scelti appositamente questi salmi che non si riferiscono al pensiero della passione perché servano d’introduzione alla trilogia. – Abbiamo già parlato delle Lamentazioni. Sotto l’allegoria di Gerusalemme abbiamo sentito la sposa infedele, il lamento dell’umanità e dell’anima peccatrice che gemono sopra la propria indegnità e sul castigo meritato. Nelle preghiere dell’ufficio ascoltiamo il Signore che soffre; nelle Letture, l’umanità si batte il petto esclamando: « È per me che egli ha patito tanto! ».

I Responsori. – Nulla eguaglia la bellezza e la poesia dei Responsori dell’Ufficio delle tenebre, pur così semplici. Essi conferiscono drammaticità al Mattutino e ne mantengono l’unità d’azione. Già nel primo Mattutino si da un certo ordine e una gradazione. Nel primo Notturno si parla dell’agonia di Cristo nell’orto degli ulivi; nel secondo di Giuda; nel terzo dei discepoli addormentati e del piano di morte tramato dai. Giudei. L’ultimo Responsorio di tutti e tre i Mattutini ci dà il quadro della situazione nel momento in cui l’azione arriva al parossismo. – Durante i tre giorni Geremia ha la parola nel primo Notturno; S. Agostino nel secondo; S. Paolo nel terzo. C’è anche in questo una ragione? Geremia rappresenta il Salvatore sofferente; Agostino e Paolo hanno sperimentato in loro stessi, al massimo grado, l’effetto della Passione di Cristo nella grazia della conversione. – Se consideriamo i Mattutini nel loro complesso, riscontriamo una bella unità d’azione.

Nocturn I.


Ant.
Zelus domus tuæ * comédit me, et oppróbria exprobrántium tibi cecidérunt super me.
Psalmus 68 [1]
68:2 Salvum me fac, Deus: * quóniam intravérunt aquæ usque ad ánimam meam.
68:3 Infíxus sum in limo profúndi: * et non est substántia.
68:3 Veni in altitúdinem maris: * et tempéstas demérsit me.
68:4 Laborávi clamans, raucæ factæ sunt fauces meæ: * defecérunt óculi mei, dum spero in Deum meum.
68:5 Multiplicáti sunt super capíllos cápitis mei, * qui odérunt me gratis.
68:5 Confortáti sunt qui persecúti sunt me inimíci mei injúste: * quæ non rápui, tunc exsolvébam.
68:6 Deus, tu scis insipiéntiam meam: * et delícta mea a te non sunt abscóndita.
68:7 Non erubéscant in me qui exspéctant te, Dómine, * Dómine virtútum.
68:7 Non confundántur super me * qui quǽrunt te, Deus Israël.
68:8 Quóniam propter te sustínui oppróbrium: * opéruit confúsio fáciem meam.
68:9 Extráneus factus sum frátribus meis, * et peregrínus fíliis matris meæ.
68:10 Quóniam zelus domus tuæ comédit me: * et oppróbria exprobrántium tibi cecidérunt super me.
68:11 Et opérui in jejúnio ánimam meam: * et factum est in oppróbrium mihi.
68:12 Et pósui vestiméntum meum cilícium: * et factus sum illis in parábolam.
68:13 Advérsum me loquebántur, qui sedébant in porta: * et in me psallébant qui bibébant vinum.
68:13 Ego vero oratiónem meam ad te, Dómine: * tempus benepláciti, Deus.
68:14 In multitúdine misericórdiæ tuæ exáudi me, * in veritáte salútis tuæ:
68:15 Éripe me de luto, ut non infígar: * líbera me ab iis, qui odérunt me, et de profúndis aquárum.
68:16 Non me demérgat tempéstas aquæ, neque absórbeat me profúndum: * neque úrgeat super me púteus os suum.
68:17 Exáudi me, Dómine, quóniam benígna est misericórdia tua: * secúndum multitúdinem miseratiónum tuárum réspice in me.
68:18 Et ne avértas fáciem tuam a púero tuo: * quóniam tríbulor, velóciter exáudi me.
68:19 Inténde ánimæ meæ, et líbera eam: * propter inimícos meos éripe me.
68:20 Tu scis impropérium meum, et confusiónem meam, * et reveréntiam meam.
68:21 In conspéctu tuo sunt omnes qui tríbulant me: * impropérium exspectávit cor meum, et misériam.
68:21 Et sustínui qui simul contristarétur, et non fuit: * et qui consolarétur, et non invéni.
68:22 Et dedérunt in escam meam fel: * et in siti mea potavérunt me acéto.
68:23 Fiat mensa eórum coram ipsis in láqueum, * et in retributiónes, et in scándalum.
68:24 Obscuréntur óculi eórum ne vídeant: * et dorsum eórum semper incúrva.
68:25 Effúnde super eos iram tuam: * et furor iræ tuæ comprehéndat eos.
68:26 Fiat habitátio eórum desérta: * et in tabernáculis eórum non sit qui inhábitet.
68:27 Quóniam quem tu percussísti, persecúti sunt: * et super dolórem vúlnerum meórum addidérunt.
68:28 Appóne iniquitátem super iniquitátem eórum: * et non intrent in justítiam tuam.
68:29 Deleántur de libro vivéntium: * et cum justis non scribántur.
68:30 Ego sum pauper et dolens: * salus tua, Deus, suscépit me.
68:31 Laudábo nomen Dei cum cántico: * et magnificábo eum in laude:
68:32 Et placébit Deo super vítulum novéllum: * córnua producéntem et úngulas.
68:33 Vídeant páuperes et læténtur: * quǽrite Deum, et vivet ánima vestra.
68:34 Quóniam exaudívit páuperes Dóminus: * et vinctos suos non despéxit.
68:35 Laudent illum cæli et terra, * mare et ómnia reptília in eis.
68:36 Quóniam Deus salvam fáciet Sion: * et ædificabúntur civitátes Juda.
68:36 Et inhabitábunt ibi, * et hereditáte acquírent eam.
68:37 Et semen servórum ejus possidébit eam: * et qui díligunt nomen ejus, habitábunt in ea.

Ant. Zelus domus tuæ comédit me, et oppróbria exprobrántium tibi cecidérunt super me.

Ant. Avertántur retrórsum, * et erubéscant, qui cógitant mihi mala.

Psalmus 69 [2]


69:2 Deus, in adjutórium meum inténde: * Dómine, ad adjuvándum me festína.
69:3 Confundántur et revereántur, * qui quǽrunt ánimam meam.
69:4 Avertántur retrórsum, et erubéscant, * qui volunt mihi mala.
69:4 Avertántur statim erubescéntes, * qui dicunt mihi: Euge, euge.
69:5 Exsúltent et læténtur in te omnes qui quǽrunt te, * et dicant semper: Magnificétur Dóminus: qui díligunt salutáre tuum.
69:6 Ego vero egénus, et pauper sum: * Deus, ádjuva me.
69:6 Adjútor meus, et liberátor meus es tu: * Dómine, ne moréris.
Gloria omittitur

Ant. Avertántur retrórsum, et erubéscant, qui cógitant mihi mala.

Ant. Deus meus, * éripe me de manu peccatóris.

Psalmus 70 [3]
70:1 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: * in justítia tua líbera me, et éripe me.
70:2 Inclína ad me aurem tuam, * et salva me.
70:3 Esto mihi in Deum protectórem, et in locum munítum: * ut salvum me fácias,
70:3 Quóniam firmaméntum meum, * et refúgium meum es tu.
70:4 Deus meus, éripe me de manu peccatóris, * et de manu contra legem agéntis et iníqui:
70:5 Quóniam tu es patiéntia mea, Dómine: * Dómine, spes mea a juventúte mea.
70:6 In te confirmátus sum ex útero: * de ventre matris meæ tu es protéctor meus.
70:7 In te cantátio mea semper: * tamquam prodígium factus sum multis: et tu adjútor fortis.
70:8 Repleátur os meum laude, ut cantem glóriam tuam: * tota die magnitúdinem tuam.
70:9 Ne proícias me in témpore senectútis: * cum defécerit virtus mea, ne derelínquas me.
70:10 Quia dixérunt inimíci mei mihi: * et qui custodiébant ánimam meam, consílium fecérunt in unum.
70:11 Dicéntes: Deus derelíquit eum, persequímini, et comprehéndite eum: * quia non est qui erípiat.
70:12 Deus, ne elongéris a me: * Deus meus, in auxílium meum réspice.
70:13 Confundántur, et defíciant detrahéntes ánimæ meæ: * operiántur confusióne, et pudóre qui quǽrunt mala mihi.
70:14 Ego autem semper sperábo: * et adíciam super omnem laudem tuam.
70:15 Os meum annuntiábit justítiam tuam: * tota die salutáre tuum.
70:16 Quóniam non cognóvi litteratúram, introíbo in poténtias Dómini: * Dómine, memorábor justítiæ tuæ solíus.
70:17 Deus, docuísti me a juventúte mea: * et usque nunc pronuntiábo mirabília tua.
70:18 Et usque in senéctam et sénium: * Deus, ne derelínquas me,
70:18 Donec annúntiem brácchium tuum * generatióni omni, quæ ventúra est:
70:19 Poténtiam tuam, et justítiam tuam, Deus, usque in altíssima, quæ fecísti magnália: * Deus, quis símilis tibi?
70:20 Quantas ostendísti mihi tribulatiónes multas et malas: et convérsus vivificásti me: * et de abýssis terræ íterum reduxísti me:
70:21 Multiplicásti magnificéntiam tuam: * et convérsus consolátus es me.
70:22 Nam et ego confitébor tibi in vasis psalmi veritátem tuam: * Deus, psallam tibi in cíthara, Sanctus Israël.
70:23 Exsultábunt lábia mea cum cantávero tibi: * et ánima mea, quam redemísti.
70:24 Sed et lingua mea tota die meditábitur justítiam tuam: * cum confúsi et revériti fúerint, qui quærunt mala mihi.

Ant. Deus meus, éripe me de manu peccatóris.

Lectio 1
Incipit Lamentátio Jeremíæ Prophétæ
Lam 1:1-5
1 Aleph. Quómodo sedet sola cívitas plena pópulo: facta est quasi vídua dómina géntium: princeps provinciárum facta est sub tribúto.
2 Beth. Plorans plorávit in nocte, et lácrimæ ejus in maxíllis ejus: non est qui consolétur eam ex ómnibus caris ejus: omnes amíci ejus sprevérunt eam, et facti sunt ei inimíci.
3 Ghimel. Migrávit Judas propter afflictiónem, et multitúdinem servitútis: habitávit inter gentes, nec invénit réquiem: omnes persecutóres ejus apprehendérunt eam inter angústias.
4 Daleth. Viæ Sion lugent eo quod non sint qui véniant ad solemnitátem: omnes portæ ejus destrúctæ: sacerdótes ejus geméntes: vírgines ejus squálidæ, et ipsa oppréssa amaritúdine.
5 He. Facti sunt hostes ejus in cápite, inimíci ejus locupletáti sunt: quia Dóminus locútus est super eam propter multitúdinem iniquitátum ejus: párvuli ejus ducti sunt in captivitátem, ante fáciem tribulántis.
Jerúsalem, Jerúsalem, convértere ad Dóminum Deum tuum.

R. In monte Olivéti orávit ad Patrem: Pater, si fíeri potest, tránseat a me calix iste:
* Spíritus quidem promptus est, caro autem infírma.
V. Vigiláte, et oráte, ut non intrétis in tentatiónem.
R. Spíritus quidem promptus est, caro autem infírma.

Lectio 2
Lam 1:6-9
6 Vau. Et egréssus est a fília Sion omnis decor ejus: facti sunt príncipes ejus velut aríetes non inveniéntes páscua: et abiérunt absque fortitúdine ante fáciem subsequéntis.
7 Zain. Recordáta est Jerúsalem diérum afflictiónis suæ, et prævaricatiónis ómnium desiderabílium suórum, quæ habúerat a diébus antíquis, cum cáderet pópulus ejus in manu hostíli, et non esset auxiliátor: vidérunt eam hostes, et derisérunt sábbata ejus.
8 Heth. Peccátum peccávit Jerúsalem, proptérea instábilis facta est: omnes, qui glorificábant eam, sprevérunt illam, quia vidérunt ignomíniam ejus: ipsa autem gemens convérsa est retrórsum.
9 Teth. Sordes ejus in pédibus ejus, nec recordáta est finis sui: depósita est veheménter, non habens consolatórem: vide, Dómine, afflictiónem meam, quóniam eréctus est inimícus.
Jerúsalem, Jerúsalem, convértere ad Dóminum Deum tuum.

R. Tristis est ánima mea usque ad mortem: sustinéte hic, et vigiláte mecum: nunc vidébitis turbam, quæ circúmdabit me:
* Vos fugam capiétis, et ego vadam immolári pro vobis.
V. Ecce appropínquat hora, et Fílius hóminis tradétur in manus peccatórum.
R. Vos fugam capiétis, et ego vadam immolári pro vobis.

Lectio 3
Lam 1:10-14
10 Jod. Manum suam misit hostis ad ómnia desiderabília ejus: quia vidit gentes ingréssas sanctuárium suum, de quibus præcéperas ne intrárent in ecclésiam tuam.
11 Caph. Omnis pópulus ejus gemens, et quærens panem: dedérunt pretiósa quæque pro cibo ad refocillándam ánimam. Vide, Dómine, et consídera, quóniam facta sum vilis.
12 Lamed. O vos omnes, qui transítis per viam, atténdite, et vidéte, si est dolor sicut dolor meus: quóniam vindemiávit me, ut locútus est Dóminus in die iræ furóris sui.
13 Mem. De excélso misit ignem in óssibus meis, et erudívit me: expándit rete pédibus meis, convértit me retrórsum: pósuit me desolátam, tota die mæróre conféctam.
14 Nun. Vigilávit jugum iniquitátum meárum: in manu ejus convolútæ sunt, et impósitæ collo meo: infirmáta est virtus mea: dedit me Dóminus in manu, de qua non pótero súrgere.


Jerúsalem, Jerúsalem, convértere ad Dóminum Deum tuum.

R. Ecce vídimus eum non habéntem spéciem, neque decórem: aspéctus ejus in eo non est: hic peccáta nostra portávit, et pro nobis dolet: ipse autem vulnerátus est propter iniquitátes nostras:
* Cujus livóre sanáti sumus.
V. Vere languóres nostros ipse tulit, et dolóres nostros ipse portávit.
R. Cujus livóre sanáti sumus.
R. Ecce vídimus eum non habéntem spéciem, neque decórem: aspéctus ejus in eo non est: hic peccáta nostra portávit, et pro nobis dolet: ipse autem vulnerátus est propter iniquitátes nostras: * Cujus livóre sanáti sumus

Nocturn II.


Ant.
Liberávit Dóminus * páuperem a poténte, et ínopem, cui non erat adjútor.

Psalmus 71 [4]
71:2 Deus, judícium tuum regi da: * et justítiam tuam fílio regis:
71:2 Judicáre pópulum tuum in justítia, * et páuperes tuos in judício.
71:3 Suscípiant montes pacem pópulo: * et colles justítiam.
71:4 Judicábit páuperes pópuli, et salvos fáciet fílios páuperum: * et humiliábit calumniatórem.
71:5 Et permanébit cum sole, et ante lunam, * in generatióne et generatiónem.
71:6 Descéndet sicut plúvia in vellus: * et sicut stillicídia stillántia super terram.
71:7 Oriétur in diébus ejus justítia, et abundántia pacis: * donec auferátur luna.
71:8 Et dominábitur a mari usque ad mare: * et a flúmine usque ad términos orbis terrárum.
71:9 Coram illo prócident Æthíopes: * et inimíci ejus terram lingent.
71:10 Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: * reges Árabum et Saba dona addúcent.
71:11 Et adorábunt eum omnes reges terræ: * omnes gentes sérvient ei:
71:12 Quia liberábit páuperem a poténte: * et páuperem, cui non erat adjútor.
71:13 Parcet páuperi et ínopi: * et ánimas páuperum salvas fáciet.
71:14 Ex usúris et iniquitáte rédimet ánimas eórum: * et honorábile nomen eórum coram illo.
71:15 Et vivet, et dábitur ei de auro Arábiæ, et adorábunt de ipso semper: * tota die benedícent ei.
71:16 Et erit firmaméntum in terra in summis móntium, superextollétur super Líbanum fructus ejus: * et florébunt de civitáte sicut fænum terræ.
71:17 Sit nomen ejus benedíctum in sǽcula: * ante solem pérmanet nomen ejus.
71:17 Et benedicéntur in ipso omnes tribus terræ: * omnes gentes magnificábunt eum.
71:18 Benedíctus Dóminus, Deus Israël, * qui facit mirabília solus:
71:19 Et benedíctum nomen majestátis ejus in ætérnum: * et replébitur majestáte ejus omnis terra: fiat, fiat.

Ant. Liberávit Dóminus páuperem a poténte, et ínopem, cui non erat adjútor.

Ant. Cogitavérunt ímpii, * et locúti sunt nequítiam: iniquitátem in excélso locúti sunt.
Psalmus 72 [5]
72:1 Quam bonus Israël Deus, * his, qui recto sunt corde!
72:2 Mei autem pæne moti sunt pedes: * pæne effúsi sunt gressus mei.
72:3 Quia zelávi super iníquos, * pacem peccatórum videns.
72:4 Quia non est respéctus morti eórum: * et firmaméntum in plaga eórum.
72:5 In labóre hóminum non sunt, * et cum homínibus non flagellabúntur:
72:6 Ídeo ténuit eos supérbia, * opérti sunt iniquitáte et impietáte sua.
72:7 Pródiit quasi ex ádipe iníquitas eórum: * transiérunt in afféctum cordis.
72:8 Cogitavérunt, et locúti sunt nequítiam: * iniquitátem in excélso locúti sunt.
72:9 Posuérunt in cælum os suum: * et lingua eórum transívit in terra.
72:10 Ídeo convertétur pópulus meus hic: * et dies pleni inveniéntur in eis.
72:11 Et dixérunt: Quómodo scit Deus, * et si est sciéntia in excélso?
72:12 Ecce, ipsi peccatóres, et abundántes in sǽculo, * obtinuérunt divítias.
72:13 Et dixi: Ergo sine causa justificávi cor meum, * et lavi inter innocéntes manus meas:
72:14 Et fui flagellátus tota die, * et castigátio mea in matutínis.
72:15 Si dicébam: Narrábo sic: * ecce, natiónem filiórum tuórum reprobávi.
72:16 Existimábam ut cognóscerem hoc, * labor est ante me:
72:17 Donec intrem in Sanctuárium Dei: * et intéllegam in novíssimis eórum.
72:18 Verúmtamen propter dolos posuísti eis: * dejecísti eos dum allevaréntur.
72:19 Quómodo facti sunt in desolatiónem, súbito defecérunt: * periérunt propter iniquitátem suam.
72:20 Velut sómnium surgéntium, Dómine, * in civitáte tua imáginem ipsórum ad níhilum rédiges.
72:21 Quia inflammátum est cor meum, et renes mei commutáti sunt: * et ego ad níhilum redáctus sum, et nescívi.
72:23 Ut juméntum factus sum apud te: * et ego semper tecum.
72:24 Tenuísti manum déxteram meam: et in voluntáte tua deduxísti me, * et cum glória suscepísti me.
72:25 Quid enim mihi est in cælo? * et a te quid vólui super terram?
72:26 Defécit caro mea, et cor meum: * Deus cordis mei, et pars mea Deus in ætérnum.
72:27 Quia ecce, qui elóngant se a te, períbunt: * perdidísti omnes, qui fornicántur abs te.
72:28 Mihi autem adhærére Deo bonum est: * pónere in Dómino Deo spem meam:
72:28 Ut annúntiem omnes prædicatiónes tuas, * in portis fíliæ Sion.
Gloria omittitur

Ant. Cogitavérunt ímpii, et locúti sunt nequítiam: iniquitátem in excélso locúti sunt.

Ant. Exsúrge, Dómine, * et júdica causam meam.
Psalmus 73 [6]
73:1 Ut quid, Deus, repulísti in finem: * irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?
73:2 Memor esto congregatiónis tuæ, * quam possedísti ab inítio.
73:2 Redemísti virgam hereditátis tuæ: * mons Sion, in quo habitásti in eo.
73:3 Leva manus tuas in supérbias eórum in finem: * quanta malignátus est inimícus in sancto!
73:4 Et gloriáti sunt qui odérunt te: * in médio solemnitátis tuæ.
73:5 Posuérunt signa sua, signa: * et non cognovérunt sicut in éxitu super summum.
73:6 Quasi in silva lignórum secúribus excidérunt jánuas ejus in idípsum: * in secúri et áscia dejecérunt eam.
73:7 Incendérunt igni Sanctuárium tuum: * in terra polluérunt tabernáculum nóminis tui.
73:8 Dixérunt in corde suo cognátio eórum simul: * Quiéscere faciámus omnes dies festos Dei a terra.
73:9 Signa nostra non vídimus, jam non est prophéta: * et nos non cognóscet ámplius.
73:10 Úsquequo, Deus, improperábit inimícus: * irrítat adversárius nomen tuum in finem?
73:11 Ut quid avértis manum tuam, et déxteram tuam, * de médio sinu tuo in finem?
73:12 Deus autem Rex noster ante sǽcula: * operátus est salútem in médio terræ.
73:13 Tu confirmásti in virtúte tua mare: * contribulásti cápita dracónum in aquis.
73:14 Tu confregísti cápita dracónis: * dedísti eum escam pópulis Æthíopum.
73:15 Tu dirupísti fontes, et torréntes: * tu siccásti flúvios Ethan.
73:16 Tuus est dies, et tua est nox: * tu fabricátus es auróram et solem.
73:17 Tu fecísti omnes términos terræ: * æstátem et ver tu plasmásti ea.
73:18 Memor esto hujus, inimícus improperávit Dómino: * et pópulus insípiens incitávit nomen tuum.
73:19 Ne tradas béstiis ánimas confiténtes tibi, * et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.
73:20 Réspice in testaméntum tuum: * quia repléti sunt, qui obscuráti sunt terræ dómibus iniquitátum.
73:21 Ne avertátur húmilis factus confúsus: * pauper et inops laudábunt nomen tuum.
73:22 Exsúrge, Deus, júdica causam tuam: * memor esto improperiórum tuórum, eórum quæ ab insipiénte sunt tota die.
73:23 Ne obliviscáris voces inimicórum tuórum: * supérbia eórum, qui te odérunt, ascéndit semper.
Gloria omittitur

Ant. Exsúrge, Dómine, et júdica causam meam.

Pater noster

Lectio 4

Ex tractátu sancti Augustíni Epíscopi super Psalmos
In Psalmum 54 ad 1 versum
Exáudi, Deus, oratiónem meam, et ne despéxeris deprecatiónem meam: inténde mihi, et exáudi me. Satagéntis, sollíciti, in tribulatióne pósiti, verba sunt ista. Orat multa pátiens, de malo liberári desíderans. Súperest ut videámus in quo malo sit: et cum dícere cœ́perit, agnoscámus ibi nos esse: ut communicáta tribulatióne, conjungámus oratiónem. Contristátus sum, inquit, in exercitatióne mea, et conturbátus sum. Ubi contristátus? ubi conturbátus? In exercitatióne mea, inquit. Hómines malos, quos pátitur, commemorátus est: eandémque passiónem malórum hóminum exercitatiónem suam dixit. Ne putétis gratis esse malos in hoc mundo, et nihil boni de illis ágere Deum. Omnis malus aut ídeo vivit, ut corrigátur; aut ídeo vivit, ut per illum bonus exerceátur.

R. Amicus meus ósculi me trádidit signo: Quem osculátus fúero, ipse est, tenéte eum: hoc malum fecit signum, qui per ósculum adimplévit homicídium.
* Infélix prætermísit prétium sánguinis, et in fine láqueo se suspéndit.
V. Bonum erat ei, si natus non fuísset homo ille.
R. Infélix prætermísit prétium sánguinis, et in fine láqueo se suspéndit.

Lectio 5

Utinam ergo qui nos modo exércent, convertántur, et nobíscum exerceántur: tamen quámdiu ita sunt ut exérceant, non eos odérimus: quia in eo quod malus est quis eórum, utrum usque in finem perseveratúrus sit, ignorámus. Et plerúmque cum tibi vidéris odísse inimícum, fratrem odísti, et nescis. Diábolus, et ángeli ejus in Scriptúris sanctis manifestáti sunt nobis, quod ad ignem ætérnum sint destináti. Ipsórum tantum desperánda est corréctio, contra quos habémus occúltam luctam: ad quam luctam nos armat Apóstolus, dicens: Non est nobis colluctátio advérsus carnem et sánguinem: id est, non advérsus hómines, quos vidétis, sed advérsus príncipes, et potestátes, et rectóres mundi, tenebrárum harum. Ne forte cum dixísset, mundi, intellégeres dǽmones esse rectóres cæli et terræ. Mundi dixit, tenebrárum harum: mundi dixit, amatórum mundi: mundi dixit, impiórum et iniquórum: mundi dixit, de quo dicit Evangélium: Et mundus eum non cognóvit.

R. Judas mercátor péssimus ósculo pétiit Dóminum: ille ut agnus ínnocens non negávit Judæ ósculum:
* Denariórum número Christum Judǽis trádidit.
V. Mélius illi erat, si natus non fuísset.
R. Denariórum número Christum Judǽis trádidit.

Lectio 6

Quóniam vidi iniquitátem, et contradictiónem in civitáte. Atténde glóriam crucis ipsíus. Jam in fronte regum crux illa fixa est, cui inimíci insultavérunt. Efféctus probávit virtútem: dómuit orbem non ferro, sed ligno. Lignum crucis contuméliis dignum visum est inimícis, et ante ipsum lignum stantes caput agitábant, et dicébant: Si Fílius Dei est, descéndat de cruce. Extendébat ille manus suas ad pópulum non credéntem, et contradicéntem. Si enim justus est, qui ex fide vivit; iníquus est, qui non habet fidem. Quod ergo hic ait, iniquitátem: perfídiam intéllege. Vidébat ergo Dóminus in civitáte iniquitátem et contradictiónem, et extendébat manus suas ad pópulum non credéntem et contradicéntem: et tamen et ipsos exspéctans dicébat: Pater, ignósce illis, quia nésciunt quid fáciunt.

R. Unus ex discípulis meis tradet me hódie: Væ illi per quem tradar ego:
* Mélius illi erat, si natus non fuísset.
V. Qui intíngit mecum manum in parópside, hic me traditúrus est in manus peccatórum.
R. Mélius illi erat, si natus non fuísset.
Gloria omittitur
R. Unus ex discípulis meis tradet me hódie: Væ illi per quem tradar ego: * Mélius illi erat, si natus non fuísset.

Nocturn III.


Ant. Dixi iníquis: * Nolíte loqui advérsus Deum iniquitátem.
Psalmus 74 [7]
74:2 Confitébimur tibi, Deus: * confitébimur, et invocábimus nomen tuum.
74:3 Narrábimus mirabília tua: * cum accépero tempus, ego justítias judicábo.
74:4 Liquefácta est terra, et omnes qui hábitant in ea: * ego confirmávi colúmnas ejus.
74:5 Dixi iníquis: Nolíte iníque ágere: * et delinquéntibus: Nolíte exaltáre cornu:
74:6 Nolíte extóllere in altum cornu vestrum: * nolíte loqui advérsus Deum iniquitátem.
74:7 Quia neque ab Oriénte, neque ab Occidénte, neque a desértis móntibus: * quóniam Deus judex est.
74:8 Hunc humíliat, et hunc exáltat: * quia calix in manu Dómini vini meri plenus misto.
74:9 Et inclinávit ex hoc in hoc: verúmtamen fæx ejus non est exinaníta: * bibent omnes peccatóres terræ.
74:10 Ego autem annuntiábo in sǽculum: * cantábo Deo Jacob.
74:11 Et ómnia córnua peccatórum confríngam: * et exaltabúntur córnua justi.
Gloria omittitur

Ant. Dixi iníquis: Nolíte loqui advérsus Deum iniquitátem.

Ant. Terra trémuit * et quiévit, dum exsúrgeret in judício Deus.

Psalmus 75 [8]

75:2 Notus in Judǽa Deus: * in Israël magnum nomen ejus.
75:3 Et factus est in pace locus ejus: * et habitátio ejus in Sion.
75:4 Ibi confrégit poténtias árcuum, * scutum, gládium, et bellum.
75:5 Illúminans tu mirabíliter a móntibus ætérnis: * turbáti sunt omnes insipiéntes corde.
75:6 Dormiérunt somnum suum: * et nihil invenérunt omnes viri divitiárum in mánibus suis.
75:7 Ab increpatióne tua, Deus Jacob, * dormitavérunt qui ascendérunt equos.
75:8 Tu terríbilis es, et quis resístet tibi? * ex tunc ira tua.
75:9 De cælo audítum fecísti judícium: * terra trémuit et quiévit,
75:10 Cum exsúrgeret in judícium Deus, * ut salvos fáceret omnes mansuétos terræ.
75:11 Quóniam cogitátio hóminis confitébitur tibi: * et relíquiæ cogitatiónis diem festum agent tibi.
75:12 Vovéte, et réddite Dómino, Deo vestro: * omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera.
75:13 Terríbili et ei qui aufert spíritum príncipum, * terríbili apud reges terræ.
Gloria omittitur

Ant. Terra trémuit et quiévit, dum exsúrgeret in judício Deus.

Ant. In die tribulatiónis * meæ Deum exquisívi mánibus meis.

Psalmus 76 [9]

76:2 Voce mea ad Dóminum clamávi: * voce mea ad Deum, et inténdit mihi.
76:3 In die tribulatiónis meæ Deum exquisívi, mánibus meis nocte contra eum: * et non sum decéptus.
76:4 Rénuit consolári ánima mea, * memor fui Dei, et delectátus sum, et exercitátus sum: et defécit spíritus meus.
76:5 Anticipavérunt vigílias óculi mei: * turbátus sum, et non sum locútus.
76:6 Cogitávi dies antíquos: * et annos ætérnos in mente hábui.
76:7 Et meditátus sum nocte cum corde meo, * et exercitábar, et scopébam spíritum meum.
76:8 Numquid in ætérnum proíciet Deus: * aut non appónet ut complacítior sit adhuc?
76:9 Aut in finem misericórdiam suam abscíndet, * a generatióne in generatiónem?
76:10 Aut obliviscétur miseréri Deus? * aut continébit in ira sua misericórdias suas?
76:11 Et dixi: Nunc cœpi: * hæc mutátio déxteræ Excélsi.
76:12 Memor fui óperum Dómini: * quia memor ero ab inítio mirabílium tuórum.
76:13 Et meditábor in ómnibus opéribus tuis: * et in adinventiónibus tuis exercébor.
76:14 Deus, in sancto via tua: quis Deus magnus sicut Deus noster? * tu es Deus qui facis mirabília.
76:15 Notam fecísti in pópulis virtútem tuam: * redemísti in brácchio tuo pópulum tuum, fílios Jacob et Joseph.
76:17 Vidérunt te aquæ, Deus, vidérunt te aquæ: * et timuérunt, et turbátæ sunt abýssi.
76:18 Multitúdo sónitus aquárum: * vocem dedérunt nubes.
76:18 Étenim sagíttæ tuæ tránseunt: * vox tonítrui tui in rota.
76:19 Illuxérunt coruscatiónes tuæ orbi terræ: * commóta est, et contrémuit terra.
76:20 In mari via tua, et sémitæ tuæ in aquis multis: * et vestígia tua non cognoscéntur.
76:21 Deduxísti sicut oves pópulum tuum, * in manu Móysi et Aaron.
Gloria omittitur

Ant. In die tribulatiónis meæ Deum exquisívi mánibus meis.

V. Exsúrge, Dómine.
R. Et júdica causam meam.

Pater noster

Lectio 7
De Epístola prima beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios
1 Cor 11:17-22
17 Hoc autem præcípio: non laudans quod non in mélius, sed in detérius convenítis.
18 Primum quidem conveniéntibus vobis in Ecclésiam, áudio scissúras esse inter vos, et ex parte credo.
19 Nam opórtet et hǽreses esse, ut et qui probáti sunt, manifésti fiant in vobis.
20 Conveniéntibus ergo vobis in unum, jam non est Domínicam cenam manducáre.
21 Unusquísque enim suam cenam præsúmit ad manducándum. Et álius quidem ésurit, álius autem ébrius est.
22 Numquid domos non habétis ad manducándum et bibéndum? aut Ecclésiam Dei contémnitis, et confúnditis eos, qui non habent? Quid dicam vobis? Laudo vos? In hoc non laudo.

R. Eram quasi agnus ínnocens: ductus sum ad immolándum, et nesciébam: consílium fecérunt inimíci mei advérsum me, dicéntes:
* Veníte, mittámus lignum in panem ejus, et eradámus eum de terra vivéntium.
V. Omnes inimíci mei advérsum me cogitábant mala mihi: verbum iníquum mandavérunt advérsum me, dicéntes.
R. Veníte, mittámus lignum in panem ejus, et eradámus eum de terra vivéntium.

Lectio 8

1 Cor XI: 23-26
23 Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Jesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem,
24 Et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem.
25 Simíliter et cálicem, postquam cœnávit, dicens: Hic calix novum testaméntum est in meo sánguine: hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem.
26 Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc, et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis donec véniat.

R. Una hora non potuístis vigiláre mecum, qui exhortabámini mori pro me?
* Vel Judam non vidétis, quómodo non dormit, sed festínat trádere me Judǽis.
V. Quid dormítis? súrgite, et oráte, ne intrétis in tentatiónem.
R. Vel Judam non vidétis, quómodo non dormit, sed festínat trádere me Judǽis.

Lectio 9

1 Cor XI: 27-34
27 Itaque quicúmque manducáverit panem hunc, vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini.
28 Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo edat, et de cálice bibat.
29 Qui enim mandúcat et bibit indígne, judícium sibi mandúcat et bibit, non dijúdicans corpus Dómini.
30 Ideo inter vos multi infírmi et imbecílles, et dórmiunt multi.
31 Quod, si nosmetípsos dijudicarémus, non útique judicarémur.
32 Dum judicámur autem, a Dómino corrípimur, ut non cum hoc mundo damnémur.
33 Itaque, fratres mei, cum convenítis ad manducándum, ínvicem exspectáte.
34 Si quis ésurit, domi mandúcet: ut non in judícium conveniátis. Cétera autem, cum vénero, dispónam.

R. Senióres pópuli consílium fecérunt,
* Ut Jesum dolo tenérent, et occíderent: cum gládiis et fústibus exiérunt tamquam ad latrónem.
V. Collegérunt pontífices et pharisǽi concílium.
R. Ut Jesum dolo tenérent, et occíderent: cum gládiis et fústibus exiérunt tamquam ad latrónem.
Gloria omittitur
R. Senióres pópuli consílium fecérunt, * Ut Jesum dolo tenérent, et occíderent: cum gládiis et fústibus exiérunt tamquam ad latrónem.

Oratio
Réspice, quǽsumus, Dómine, super hanc famíliam tuam, pro qua Dóminus noster Jesus Christus non dubitávit mánibus tradi nocéntium, et crucis subíre torméntum:

6. DAL MATTUTINO DEL VENERDI’ SANTO. –

La seconda parte della trilogia e il punto culminante di essa, è il Mattutino del venerdì santo. Potremmo chiamarlo: la morte di Cristo sulla croce. Quantunque l’azione non si svolga in ordine cronologico, possiamo stabilire come scena centrale Gesù pendente dalla croce e considerare le altre scene di questo giorno come figure e ricordi che passano davanti allo sguardo del Salvatore crocifisso. I sentimenti espressi nel Mattutino scelti tra i salmi più cupi e desolati del Salterio sono profondamente tristi; le Lamentazioni sembrano voler accrescere il dolore; altrettanto tristi, quanto belli, sono i Responsori.

Rappresentiamoci il Signore in croce e ascoltiamo le espressioni del suo affetto e del suo dolore: ora è l’abbandono senza conforto; ora il lamento desolato; pensiamo alle scene dei giorni trascorsi o della sera precedente che Egli rievoca.

Rileviamo i passi più belli del Mattutino:

Al primo Notturno comincia il combattimento dei Giudei e dei Gentili contro Dio e il suo Cristo (salmo Il). Poi vediamo la divina vittima sulla croce: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? ». Cantiamo il salmo messianico XXI: « Si sono divise le mie vesti tra loro e tirarono a sorte la mia tunica ». Questo canto è uno dei passi più importanti del Mattutino. Segue un salmo di calma fiducia, il quale esprime i sentimenti dell’anima del Signore in mezzo all’angoscia mortale: « Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di che temerò? ». – Nelle letture vediamo la sposa disonorata: « A chi ti paragonerò, a qual cosa ti somiglierò, o figlia di Gerusalemme?… poiché grande come il mare è il tuo dolore ».  La liturgia spiega di nuovo una scena del Golgota: « il velo del Tempio si squarciò, e tutta la terra tremò; gridò il ladrone dalla croce: ricordati di me, o Signore, quando sarai giunto nel tuo regno. Le rupi si spezzarono e si aprirono i sepolcri, molti corpi di santi, che erano addormentati, risorsero ». Nella terza lettura ecco l’Uomo dei dolori, Cristo: « Io sono l’Uomo che conosce la miseria sotto la verga dell’ira. Mi ha trascinato e condotto nelle tenebre e non nella luce ».

Nel secondo Notturno recitiamo il salmo della flagellazione XXXVII: « Non c’è parte sana nella mia carne a cagione dell’ira tua; non hanno pace le mie ossa a causa dei mici peccati ». Nulla è così commovente come la preghiera di Cristo sulla croce (salmo XXXIX). –

Nelle lezioni ascoltiamo nuovamente S. Agostino che applica il salmo LXIII alla Passione di Cristo. Il quinto Responsorio, a metà del Mattutino, descrive la morte del

Signore. – Nel terzo Notturno il salmo LXXXVII, profondamente triste, ci mette davanti al punto culminante del dramma: « La mia anima è piena di dolori e presso al sepolcro è la mia vita ». – Le lezioni portano un pensiero affatto nuovo: Cristo è il nostro eterno Pontefice che sull’altare della croce compì il suo Sacrificio unico, il sacrificio perfetto perché ad un tempo Egli fu sacerdote e vittima. – L’ultimo Responsorio mostra il quadro finale: Cristo all’estremo dei suoi dolori:

« Si sono offuscati i miei occhi nel pianto, poiché s’è allontanato da me colui che mi consolava. Mirate, o popoli tutti, se vi è dolore simile al mio dolore ».

Nocturn I.

Ant. Astitérunt reges terræ, * et príncipes convenérunt in unum, advérsus Dóminum, et advérsus Christum ejus.

Psalmus 2 [1]

2:1 Quare fremuérunt gentes: * et pópuli meditáti sunt inánia?
2:2 Astitérunt reges terræ, et príncipes convenérunt in unum * advérsus Dóminum, et advérsus Christum ejus.
2:3 Dirumpámus víncula eórum: * et proiciámus a nobis jugum ipsórum.
2:4 Qui hábitat in cælis, irridébit eos: * et Dóminus subsannábit eos.
2:5 Tunc loquétur ad eos in ira sua, * et in furóre suo conturbábit eos.
2:6 Ego autem constitútus sum Rex ab eo super Sion montem sanctum ejus, * prǽdicans præcéptum ejus.
2:7 Dóminus dixit ad me: * Fílius meus es tu, ego hódie génui te.
2:8 Póstula a me, et dabo tibi gentes hereditátem tuam, * et possessiónem tuam términos terræ.
2:9 Reges eos in virga férrea, * et tamquam vas fíguli confrínges eos.
2:10 Et nunc, reges, intellégite: * erudímini, qui judicátis terram.
2:11 Servíte Dómino in timóre: * et exsultáte ei cum tremóre.
2:12 Apprehéndite disciplínam, nequándo irascátur Dóminus, * et pereátis de via justa.
2:13 Cum exárserit in brevi ira ejus: * beáti omnes qui confídunt in eo.
Gloria omittitur

Ant. Astitérunt reges terræ, et príncipes convenérunt in unum, advérsus Dóminum, et advérsus Christum ejus.

Ant. Divisérunt sibi * vestiménta mea, et super vestem meam misérunt sortem.

Psalmus 21 [2]

21:2 Deus, Deus meus, réspice in me: quare me dereliquísti? * longe a salúte mea verba delictórum meórum.
21:3 Deus meus, clamábo per diem, et non exáudies: * et nocte, et non ad insipiéntiam mihi.
21:4 Tu autem in sancto hábitas, * laus Israël.
21:5 In te speravérunt patres nostri: * speravérunt, et liberásti eos.
21:6 Ad te clamavérunt, et salvi facti sunt: * in te speravérunt, et non sunt confúsi.
21:7 Ego autem sum vermis, et non homo: * oppróbrium hóminum, et abjéctio plebis.
21:8 Omnes vidéntes me, derisérunt me: * locúti sunt lábiis, et movérunt caput.
21:9 Sperávit in Dómino, erípiat eum: * salvum fáciat eum, quóniam vult eum.
21:10 Quóniam tu es, qui extraxísti me de ventre: * spes mea ab ubéribus matris meæ. In te projéctus sum ex útero:
21:11 De ventre matris meæ Deus meus es tu, * ne discésseris a me:
21:12 Quóniam tribulátio próxima est: * quóniam non est qui ádjuvet.
21:13 Circumdedérunt me vítuli multi: * tauri pingues obsedérunt me.
21:14 Aperuérunt super me os suum, * sicut leo rápiens et rúgiens.
21:15 Sicut aqua effúsus sum: * et dispérsa sunt ómnia ossa mea.
21:15 Factum est cor meum tamquam cera liquéscens * in médio ventris mei.
21:16 Áruit tamquam testa virtus mea, et lingua mea adhǽsit fáucibus meis: * et in púlverem mortis deduxísti me.
21:17 Quóniam circumdedérunt me canes multi: * concílium malignántium obsédit me.
21:17 Fodérunt manus meas et pedes meos: * dinumeravérunt ómnia ossa mea.
21:18 Ipsi vero consideravérunt et inspexérunt me: * divisérunt sibi vestiménta mea, et super vestem meam misérunt sortem.
21:20 Tu autem, Dómine, ne elongáveris auxílium tuum a me: * ad defensiónem meam cónspice.
21:21 Érue a frámea, Deus, ánimam meam: * et de manu canis únicam meam:
21:22 Salva me ex ore leónis: * et a córnibus unicórnium humilitátem meam.
21:23 Narrábo nomen tuum frátribus meis: * in médio ecclésiæ laudábo te.
21:24 Qui timétis Dóminum, laudáte eum: * univérsum semen Jacob, glorificáte eum.
21:25 Tímeat eum omne semen Israël: * quóniam non sprevit, neque despéxit deprecatiónem páuperis:
21:25 Nec avértit fáciem suam a me: * et cum clamárem ad eum, exaudívit me.
21:26 Apud te laus mea in ecclésia magna: * vota mea reddam in conspéctu timéntium eum.
21:27 Edent páuperes, et saturabúntur: et laudábunt Dóminum qui requírunt eum: * vivent corda eórum in sǽculum sǽculi.
21:28 Reminiscéntur et converténtur ad Dóminum * univérsi fines terræ:
21:28 Et adorábunt in conspéctu ejus * univérsæ famíliæ géntium.
21:29 Quóniam Dómini est regnum: * et ipse dominábitur géntium.
21:30 Manducavérunt et adoravérunt omnes pingues terræ: * in conspéctu ejus cadent omnes qui descéndunt in terram.
21:31 Et ánima mea illi vivet: * et semen meum sérviet ipsi.
21:32 Annuntiábitur Dómino generátio ventúra: * et annuntiábunt cæli justítiam ejus pópulo qui nascétur, quem fecit Dóminus.

Ant. Divisérunt sibi vestiménta mea, et super vestem meam misérunt sortem.

Ant. Insurrexérunt in me * testes iníqui, et mentíta est iníquitas sibi.

Psalmus 26 [3]

26:1 Dóminus illuminátio mea, et salus mea, * quem timébo?
26:1 Dóminus protéctor vitæ meæ, * a quo trepidábo?
26:2 Dum apprópiant super me nocéntes, * ut edant carnes meas:
26:2 Qui tríbulant me inimíci mei, * ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.
26:3 Si consístant advérsum me castra, * non timébit cor meum.
26:3 Si exsúrgat advérsum me prǽlium, * in hoc ego sperábo.
26:4 Unam pétii a Dómino, hanc requíram, * ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ:
26:4 Ut vídeam voluptátem Dómini, * et vísitem templum ejus.
26:5 Quóniam abscóndit me in tabernáculo suo: * in die malórum protéxit me in abscóndito tabernáculi sui.
26:6 In petra exaltávit me: * et nunc exaltávit caput meum super inimícos meos.
26:6 Circuívi, et immolávi in tabernáculo ejus hóstiam vociferatiónis: * cantábo, et psalmum dicam Dómino.
26:7 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: * miserére mei, et exáudi me.
26:8 Tibi dixit cor meum, exquisívit te fácies mea: * fáciem tuam, Dómine, requíram.
26:9 Ne avértas fáciem tuam a me: * ne declínes in ira a servo tuo.
26:9 Adjútor meus esto: * ne derelínquas me, neque despícias me, Deus, salutáris meus.
26:10 Quóniam pater meus, et mater mea dereliquérunt me: * Dóminus autem assúmpsit me.
26:11 Legem pone mihi, Dómine, in via tua: * et dírige me in sémitam rectam propter inimícos meos.
26:12 Ne tradíderis me in ánimas tribulántium me: * quóniam insurrexérunt in me testes iníqui, et mentíta est iníquitas sibi.
26:13 Credo vidére bona Dómini * in terra vivéntium.
26:14 Exspécta Dóminum, viríliter age: * et confortétur cor tuum, et sústine Dóminum.

Ant. Insurrexérunt in me testes iníqui, et mentíta est iníquitas sibi.

V. Divisérunt sibi vestiménta mea.
R. Et super vestem meam misérunt sortem.

Pater noster

Lectio 1
De Lamentatióne Jeremíæ Prophétæ
Lam 2:8-11
8 Heth. Cogitávit Dóminus dissipáre murum fíliæ Sion: teténdit funículum suum, et non avértit manum suam a perditióne: luxítque antemurále, et murus páriter dissipátus est.
9 Teth. Defíxæ sunt in terra portæ ejus: pérdidit, et contrívit vectes ejus: regem ejus et príncipes ejus in géntibus: non est lex, et prophétæ ejus non invenérunt visiónem a Dómino.
10 Jod. Sedérunt in terra, conticuérunt senes fíliæ Sion: conspersérunt cínere cápita sua, accíncti sunt cilíciis, abjecérunt in terram cápita sua vírgines Jerúsalem.
11 Caph. Defecérunt præ lácrimis óculi mei, conturbáta sunt víscera mea: effúsum est in terra jecur meum super contritióne fíliæ pópuli mei, cum defíceret párvulus et lactens in platéis óppidi.
Jerúsalem, Jerúsalem, convértere ad Dóminum Deum tuum.

R. Omnes amíci mei dereliquérunt me, et prævaluérunt insidiántes mihi: trádidit me quem diligébam:
* Et terribílibus óculis plaga crudéli percutiéntes, acéto potábant me.
V. Inter iníquos projecérunt me, et non pepercérunt ánimæ meæ.
R. Et terribílibus óculis plaga crudéli percutiéntes, acéto potábant me.

Lectio 2
Lam 2:12-15
12 Lamed. Mátribus suis dixérunt: Ubi est tríticum et vinum? cum defícerent quasi vulneráti in platéis civitátis: cum exhalárent ánimas suas in sinu matrum suárum.
13 Mem. Cui comparábo te? vel cui assimilábo te, fília Jerúsalem? cui exæquábo te, et consolábor te, virgo fília Sion? Magna est enim velut mare contrítio tua: quis medébitur tui?
14 Nun. Prophétæ tui vidérunt tibi falsa et stulta, nec aperiébant iniquitátem tuam, ut te ad pœniténtiam provocárent: vidérunt autem tibi assumptiónes falsas, et ejectiónes.
15 Samech. Plausérunt super te mánibus omnes transeúntes per viam: sibilavérunt, et movérunt caput suum super fíliam Jerúsalem: Hǽccine est urbs, dicéntes, perfécti decóris, gáudium univérsæ terræ?
Jerúsalem, Jerúsalem, convértere ad Dóminum Deum tuum.

R. Velum templi scissum est,
* Et omnis terra trémuit: latro de cruce clamábat, dicens: Meménto mei, Dómine, dum véneris in regnum tuum.
V. Petræ scissæ sunt, et monuménta apérta sunt, et multa córpora sanctórum, qui dormíerant, surrexérunt.
R. Et omnis terra trémuit: latro de cruce clamábat, dicens: Meménto mei, Dómine, dum véneris in regnum tuum.

Lectio 3

Lam 3:1-9
1 Aleph. Ego vir videns paupertátem meam in virga indignatiónis ejus.
2 Aleph. Me minávit, et addúxit in ténebras, et non in lucem.
3 Aleph. Tantum in me vertit, et convértit manum suam tota die.
4 Beth. Vetústam fecit pellem meam, et carnem meam, contrívit ossa mea.
5 Beth. Ædificávit in gyro meo, et circúmdedit me felle et labóre.
6 Beth. In tenebrósis collocávit me, quasi mórtuos sempitérnos.
7 Ghimel. Circumædificávit advérsum me, ut non egrédiar: aggravávit cómpedem meum.
8 Ghimel. Sed et, cum clamávero et rogávero, exclúsit oratiónem meam.
9 Ghimel. Conclúsit vias meas lapídibus quadris, sémitas meas subvértit.
Jerúsalem, Jerúsalem, convértere ad Dóminum Deum tuum.

R. Vínea mea elécta, ego te plantávi:
* Quómodo convérsa es in amaritúdinem, ut me crucifígeres et Barábbam dimítteres?
V. Sepívi te, et lápides elégi ex te, et ædificávi turrim.
R. Quómodo convérsa es in amaritúdinem, ut me crucifígeres et Barábbam dimítteres?
Gloria omittitur
R. Vínea mea elécta, ego te plantávi: * Quómodo convérsa es in amaritúdinem, ut me crucifígeres et Barábbam dimítteres?

Nocturn II.

Ant. Vim faciébant, * qui quærébant ánimam meam.
Psalmus 37 [4]
37:2 Dómine, ne in furóre tuo árguas me, * neque in ira tua corrípias me.
37:3 Quóniam sagíttæ tuæ infíxæ sunt mihi: * et confirmásti super me manum tuam.
37:4 Non est sánitas in carne mea a fácie iræ tuæ: * non est pax óssibus meis a fácie peccatórum meórum.
37:5 Quóniam iniquitátes meæ supergréssæ sunt caput meum: * et sicut onus grave gravátæ sunt super me.
37:6 Putruérunt et corrúptæ sunt cicatríces meæ, * a fácie insipiéntiæ meæ.
37:7 Miser factus sum, et curvátus sum usque in finem: * tota die contristátus ingrediébar.
37:8 Quóniam lumbi mei impléti sunt illusiónibus: * et non est sánitas in carne mea.
37:9 Afflíctus sum, et humiliátus sum nimis: * rugiébam a gémitu cordis mei.
37:10 Dómine, ante te omne desidérium meum: * et gémitus meus a te non est abscónditus.
37:11 Cor meum conturbátum est, derelíquit me virtus mea: * et lumen oculórum meórum, et ipsum non est mecum.
37:12 Amíci mei, et próximi mei * advérsum me appropinquavérunt, et stetérunt.
37:12 Et qui juxta me erant, de longe stetérunt: * et vim faciébant qui quærébant ánimam meam.
37:13 Et qui inquirébant mala mihi, locúti sunt vanitátes: * et dolos tota die meditabántur.
37:14 Ego autem tamquam surdus non audiébam: * et sicut mutus non apériens os suum.
37:15 Et factus sum sicut homo non áudiens: * et non habens in ore suo redargutiónes.
37:16 Quóniam in te, Dómine, sperávi: * tu exáudies me, Dómine, Deus meus.
37:17 Quia dixi: Nequándo supergáudeant mihi inimíci mei: * et dum commovéntur pedes mei, super me magna locúti sunt.
37:18 Quóniam ego in flagélla parátus sum: * et dolor meus in conspéctu meo semper.
37:19 Quóniam iniquitátem meam annuntiábo: * et cogitábo pro peccáto meo.
37:20 Inimíci autem mei vivunt, et confirmáti sunt super me: * et multiplicáti sunt qui odérunt me iníque.
37:21 Qui retríbuunt mala pro bonis, detrahébant mihi: * quóniam sequébar bonitátem.
37:22 Ne derelínquas me, Dómine, Deus meus: * ne discésseris a me.
37:23 Inténde in adjutórium meum, * Dómine, Deus, salútis meæ.
Gloria omittitur

Ant. Vim faciébant, qui quærébant ánimam meam.

Ant. Confundántur * et revereántur, qui quærunt ánimam meam, ut áuferant eam.

Psalmus 39 [5]

39:2 Exspéctans exspectávi Dóminum, * et inténdit mihi.
39:3 Et exaudívit preces meas: * et edúxit me de lacu misériæ, et de luto fæcis.
39:3 Et státuit super petram pedes meos: * et diréxit gressus meos.
39:4 Et immísit in os meum cánticum novum, * carmen Deo nostro.
39:4 Vidébunt multi, et timébunt: * et sperábunt in Dómino.
39:5 Beátus vir, cujus est nomen Dómini spes ejus: * et non respéxit in vanitátes et insánias falsas.
39:6 Multa fecísti tu, Dómine, Deus meus, mirabília tua: * et cogitatiónibus tuis non est qui símilis sit tibi.
39:6 Annuntiávi et locútus sum: * multiplicáti sunt super númerum.
39:7 Sacrifícium et oblatiónem noluísti: * aures autem perfecísti mihi.
39:7 Holocáustum et pro peccáto non postulásti: * tunc dixi: Ecce, vénio.
39:8 In cápite libri scriptum est de me ut fácerem voluntátem tuam: * Deus meus, vólui, et legem tuam in médio cordis mei.
39:10 Annuntiávi justítiam tuam in ecclésia magna, * ecce, lábia mea non prohibébo: Dómine, tu scisti.
39:11 Justítiam tuam non abscóndi in corde meo: * veritátem tuam et salutáre tuum dixi.
39:11 Non abscóndi misericórdiam tuam et veritátem tuam * a concílio multo.
39:12 Tu autem, Dómine, ne longe fácias miseratiónes tuas a me: * misericórdia tua et véritas tua semper suscepérunt me.
39:13 Quóniam circumdedérunt me mala, quorum non est númerus: * comprehendérunt me iniquitátes meæ, et non pótui ut vidérem.
39:13 Multiplicátæ sunt super capíllos cápitis mei: * et cor meum derelíquit me.
39:14 Compláceat tibi, Dómine, ut éruas me: * Dómine, ad adjuvándum me réspice.
39:15 Confundántur et revereántur simul, qui quærunt ánimam meam, * ut áuferant eam.
39:15 Convertántur retrórsum, et revereántur, * qui volunt mihi mala.
39:16 Ferant conféstim confusiónem suam, * qui dicunt mihi: Euge, euge.
39:17 Exsúltent et læténtur super te omnes quæréntes te: * et dicant semper: Magnificétur Dóminus: qui díligunt salutáre tuum.
39:18 Ego autem mendícus sum, et pauper: * Dóminus sollícitus est mei.
39:18 Adjútor meus, et protéctor meus tu es: * Deus meus, ne tardáveris.
Gloria omittitur

Ant. Confundántur et revereántur, qui quærunt ánimam meam, ut áuferant eam.

Ant. Aliéni * insurrexérunt in me, et fortes quæsiérunt ánimam meam.

Psalmus 53 [6]

53:3 Deus, in nómine tuo salvum me fac: * et in virtúte tua júdica me.
53:4 Deus, exáudi oratiónem meam: * áuribus pércipe verba oris mei.
53:5 Quóniam aliéni insurrexérunt advérsum me, et fortes quæsiérunt ánimam meam: * et non proposuérunt Deum ante conspéctum suum.
53:6 Ecce enim, Deus ádjuvat me: * et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ.
53:7 Avérte mala inimícis meis: * et in veritáte tua dispérde illos.
53:8 Voluntárie sacrificábo tibi, * et confitébor nómini tuo, Dómine: quóniam bonum est:
53:9 Quóniam ex omni tribulatióne eripuísti me: * et super inimícos meos despéxit óculus meus.

Ant. Aliéni insurrexérunt in me, et fortes quæsiérunt ánimam meam.

Pater noster

Lectio 4

Ex tractátu sancti Augustíni Epíscopi super Psalmos
In Psalm LXIII ad versum 2
Protexísti me, Deus, a convéntu malignántium, a multitúdine operántium iniquitátem. Jam ipsum caput nostrum intueámur. Multi Mártyres tália passi sunt, sed nihil sic elúcet, quómodo caput Mártyrum: ibi mélius intuémur, quod illi expérti sunt. Protéctus est a multitúdine malignántium, protegénte se Deo, protegénte carnem suam ipso Fílio, et hómine, quem gerébat: quia fílius hóminis est, et Fílius Dei est. Fílius Dei, propter formam Dei: fílius hóminis, propter formam servi, habens in potestáte pónere ánimam suam, et recípere eam. Quid ei potuérunt fácere inimíci? Occidérunt corpus, ánimam non occidérunt. Inténdite. Parum ergo erat, Dóminum hortári Mártyres verbo, nisi firmáret exémplo.

R. Tamquam ad latrónem exístis cum gládiis et fústibus comprehéndere me:
* Cotídie apud vos eram in templo docens, et non me tenuístis: et ecce flagellátum dúcitis ad crucifigéndum.
V. Cumque injecíssent manus in Jesum, et tenuíssent eum, dixit ad eos.
R. Cotídie apud vos eram in templo docens, et non me tenuístis: et ecce flagellátum dúcitis ad crucifigéndum.

Lectio 5
Nostis qui convéntus erat malignántium Judæórum, et quæ multitúdo erat operántium iniquitátem. Quam iniquitátem? Quia voluérunt occídere Dóminum Jesum Christum. Tanta ópera bona, inquit, osténdi vobis: propter quod horum me vultis occídere? Pértulit omnes infírmos eórum, curávit omnes lánguidos eórum, prædicávit regnum cælórum, non tácuit vítia eórum, ut ipsa pótius eis displicérent, non médicus, a quo sanabántur. His ómnibus curatiónibus ejus ingráti, tamquam multa febre phrenétici, insaniéntes in médicum, qui vénerat curáre eos, excogitavérunt consílium perdéndi eum: tamquam ibi voléntes probáre, utrum vere homo sit, qui mori possit, an áliquid super hómines sit, et mori se non permíttat. Verbum ipsórum agnóscimus in Sapiéntia Salomónis: Morte turpíssima, ínquiunt, condemnémus eum. Interrogémus eum: erit enim respéctus in sermónibus illíus. Si enim vere Fílius Dei est, líberet eum.

R. Ténebræ factæ sunt, dum crucifixíssent Jesum Judǽi: et circa horam nonam exclamávit Jesus voce magna: Deus meus, ut quid me dereliquísti?
* Et inclináto cápite, emísit spíritum.
V. Exclámans Jesus voce magna, ait: Pater, in manus tuas comméndo spíritum meum.
R. Et inclináto cápite, emísit spíritum.


Lectio 6
Exacuérunt tamquam gládium linguas suas. Non dicant Judǽi: Non occídimus Christum. Etenim proptérea eum dedérunt júdici Piláto, ut quasi ipsi a morte ejus videréntur immúnes. Nam cum dixísset eis Pilátus: Vos eum occídite: respondérunt, Nobis non licet occídere quemquam. Iniquitátem facínoris sui in júdicem hóminem refúndere volébant: sed numquid Deum júdicem fallébant? Quod fecit Pilátus, in eo ipso quod fecit, aliquántum párticeps fuit: sed in comparatióne illórum multo ipse innocéntior. Institit enim quantum pótuit, ut illum ex eórum mánibus liberáret: nam proptérea flagellátum prodúxit ad eos. Non persequéndo Dóminum flagellávit, sed eórum furóri satisfácere volens: ut vel sic jam mitéscerent, et desínerent velle occídere, cum flagellátum vidérent. Fecit et hoc. At ubi perseveravérunt, nostis illum lavísse manus, et dixísse, quod ipse non fecísset, mundum se esse a morte illíus. Fecit tamen. Sed si reus, quia fecit vel invítus: illi innocéntes, qui coëgérunt ut fáceret? Nullo modo. Sed ille dixit in eum senténtiam, et jussit eum crucifígi, et quasi ipse occídit: et vos, o Judǽi, occidístis. Unde occidístis? Gládio linguæ: acuístis enim linguas vestras. Et quando percussístis, nisi quando clamástis: Crucifíge, crucifíge?

R. Animam meam diléctam trádidi in manus iniquórum, et facta est mihi heréditas mea sicut leo in silva: dedit contra me voces adversárius, dicens: Congregámini, et properáte ad devorándum illum: posuérunt me in desérto solitúdinis, et luxit super me omnis terra:
* Quia non est invéntus qui me agnósceret, et fáceret bene.
V. Insurrexérunt in me viri absque misericórdia, et non pepercérunt ánimæ meæ.
R. Quia non est invéntus qui me agnósceret, et fáceret bene.
R. Animam meam diléctam trádidi in manus iniquórum, et facta est mihi heréditas mea sicut leo in silva: dedit contra me voces adversárius, dicens: Congregámini, et properáte ad devorándum illum: posuérunt me in desérto solitúdinis, et luxit super me omnis terra: * Quia non est invéntus qui me agnósceret, et fáceret bene.

Nocturn III.

Ant. Ab insurgéntibus in me * líbera me, Dómine, quia occupavérunt ánimam meam.

Psalmus 58 [7]

58:2 Éripe me de inimícis meis, Deus meus: * et ab insurgéntibus in me líbera me.
58:3 Éripe me de operántibus iniquitátem: * et de viris sánguinum salva me.
58:4 Quia ecce cepérunt ánimam meam: * irruérunt in me fortes.
58:5 Neque iníquitas mea, neque peccátum meum, Dómine: * sine iniquitáte cucúrri, et diréxi.
58:6 Exsúrge in occúrsum meum, et vide: * et tu, Dómine, Deus virtútum, Deus Israël,
58:6 Inténde ad visitándas omnes gentes: * non misereáris ómnibus, qui operántur iniquitátem.
58:7 Converténtur ad vésperam: et famem patiéntur ut canes, * et circuíbunt civitátem.
58:8 Ecce, loquéntur in ore suo, et gládius in lábiis eórum: * quóniam quis audívit?
58:9 Et tu, Dómine, deridébis eos: * ad níhilum dedúces omnes gentes.
58:10 Fortitúdinem meam ad te custódiam, quia, Deus, suscéptor meus es: * Deus meus, misericórdia ejus prævéniet me.
58:12 Deus osténdet mihi super inimícos meos, ne occídas eos: * nequándo obliviscántur pópuli mei.
58:12 Dispérge illos in virtúte tua: * et depóne eos, protéctor meus, Dómine:
58:13 Delíctum oris eórum, sermónem labiórum ipsórum: * et comprehendántur in supérbia sua.
58:13 Et de exsecratióne et mendácio annuntiabúntur in consummatióne: * in ira consummatiónis, et non erunt.
58:14 Et scient quia Deus dominábitur Jacob: * et fínium terræ.
58:15 Converténtur ad vésperam: et famem patiéntur ut canes, * et circuíbunt civitátem.
58:16 Ipsi dispergéntur ad manducándum: * si vero non fúerint saturáti, et murmurábunt.
58:17 Ego autem cantábo fortitúdinem tuam: * et exsultábo mane misericórdiam tuam.
58:17 Quia factus es suscéptor meus, * et refúgium meum, in die tribulatiónis meæ.
58:18 Adjútor meus, tibi psallam, quia, Deus, suscéptor meus es: * Deus meus, misericórdia mea.

Ant. Ab insurgéntibus in me líbera me, Dómine, quia occupavérunt ánimam meam.

Ant. Longe fecísti * notos meos a me: tráditus sum, et non egrediébar.

Psalmus 87 [8]

87:2 Dómine, Deus salútis meæ: * in die clamávi, et nocte coram te.
87:3 Intret in conspéctu tuo orátio mea: * inclína aurem tuam ad precem meam:
87:4 Quia repléta est malis ánima mea: * et vita mea inférno appropinquávit.
87:5 Æstimátus sum cum descendéntibus in lacum: * factus sum sicut homo sine adjutório, inter mórtuos liber.
87:6 Sicut vulneráti dormiéntes in sepúlcris, quorum non es memor ámplius: * et ipsi de manu tua repúlsi sunt.
87:7 Posuérunt me in lacu inferióri: * in tenebrósis, et in umbra mortis.
87:8 Super me confirmátus est furor tuus: * et omnes fluctus tuos induxísti super me.
87:9 Longe fecísti notos meos a me: * posuérunt me abominatiónem sibi.
87:9 Tráditus sum, et non egrediébar: * óculi mei languérunt præ inópia.
87:10 Clamávi ad te, Dómine, tota die: * expándi ad te manus meas.
87:11 Numquid mórtuis fácies mirabília: * aut médici suscitábunt, et confitebúntur tibi?
87:12 Numquid narrábit áliquis in sepúlcro misericórdiam tuam, * et veritátem tuam in perditióne?
87:13 Numquid cognoscéntur in ténebris mirabília tua, * et justítia tua in terra obliviónis?
87:14 Et ego ad te, Dómine, clamávi: * et mane orátio mea prævéniet te.
87:15 Ut quid, Dómine, repéllis oratiónem meam: * avértis fáciem tuam a me?
87:16 Pauper sum ego, et in labóribus a juventúte mea: * exaltátus autem, humiliátus sum et conturbátus.
87:17 In me transiérunt iræ tuæ: * et terróres tui conturbavérunt me.
87:18 Circumdedérunt me sicut aqua tota die: * circumdedérunt me simul.
87:19 Elongásti a me amícum et próximum: * et notos meos a miséria.

Ant. Longe fecísti notos meos a me: tráditus sum, et non egrediébar.

Ant. Captábunt * in ánimam justi, et sánguinem innocéntem condemnábunt.

Psalmus 93 [9]

93:1 Deus ultiónum Dóminus: * Deus ultiónum líbere egit.
93:2 Exaltáre, qui júdicas terram: * redde retributiónem supérbis.
93:3 Úsquequo peccatóres, Dómine, * úsquequo peccatóres gloriabúntur:
93:4 Effabúntur, et loquéntur iniquitátem: * loquéntur omnes, qui operántur injustítiam?
93:5 Pópulum tuum, Dómine, humiliavérunt: * et hereditátem tuam vexavérunt.
93:6 Víduam, et ádvenam interfecérunt: * et pupíllos occidérunt.
93:7 Et dixérunt: Non vidébit Dóminus, * nec intélleget Deus Jacob.
93:8 Intellégite, insipiéntes in pópulo: * et stulti, aliquándo sápite.
93:9 Qui plantávit aurem, non áudiet? * aut qui finxit óculum, non consíderat?
93:10 Qui córripit gentes, non árguet: * qui docet hóminem sciéntiam?
93:11 Dóminus scit cogitatiónes hóminum, * quóniam vanæ sunt.
93:12 Beátus homo, quem tu erudíeris, Dómine: * et de lege tua docúeris eum,
93:13 Ut mítiges ei a diébus malis: * donec fodiátur peccatóri fóvea.
93:14 Quia non repéllet Dóminus plebem suam: * et hereditátem suam non derelínquet.
93:15 Quoadúsque justítia convertátur in judícium: * et qui juxta illam omnes qui recto sunt corde.
93:16 Quis consúrget mihi advérsus malignántes? * aut quis stabit mecum advérsus operántes iniquitátem?
93:17 Nisi quia Dóminus adjúvit me: * paulo minus habitásset in inférno ánima mea.
93:18 Si dicébam: Motus est pes meus: * misericórdia tua, Dómine, adjuvábat me.
93:19 Secúndum multitúdinem dolórum meórum in corde meo: * consolatiónes tuæ lætificavérunt ánimam meam.
93:20 Numquid adhǽret tibi sedes iniquitátis: * qui fingis labórem in præcépto?
93:21 Captábunt in ánimam justi: * et sánguinem innocéntem condemnábunt.
93:22 Et factus est mihi Dóminus in refúgium: * et Deus meus in adjutórium spei meæ.
93:23 Et reddet illis iniquitátem ipsórum: et in malítia eórum dispérdet eos: * dispérdet illos Dóminus, Deus noster.

Ant. Captábunt in ánimam justi, et sánguinem innocéntem condemnábunt.

  Locúti sunt advérsum me lingua dolósa.
R. Et sermónibus ódii circumdedérunt me, et expugnavérunt me gratis.

Pater noster

Lectio 7


De Epístola beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos
Heb 4: 11-15
11 Festinémus íngredi in illam réquiem: ut ne in idípsum quis íncidat incredulitátis exémplum.
12 Vivus est enim sermo Dei, et éfficax et penetrabílior omni gládio ancípiti: et pertíngens usque ad divisiónem ánimæ ac spíritus, compágum quoque ac medullárum, et discrétor cogitatiónum et intentiónum cordis.
13 Et non est ulla creatúra invisíbilis in conspéctu ejus: ómnia autem nuda et apérta sunt óculis ejus, ad quem nobis sermo.
14 Habéntes ergo Pontíficem magnum, qui penetrávit cælos, Jesum Fílium Dei: teneámus confessiónem.
15 Non enim habémus Pontíficem, qui non possit cómpati infirmitátibus nostris: tentátum autem per ómnia pro similitúdine absque peccáto.

R. Tradidérunt me in manus impiórum, et inter iníquos projecérunt me, et non pepercérunt ánimæ meæ: congregáti sunt advérsum me fortes:
* Et sicut gigántes stetérunt contra me.
V. Aliéni insurrexérunt advérsum me, et fortes quæsiérunt ánimam meam.
R. Et sicut gigántes stetérunt contra me.

Lectio 8

Heb 4:16; 5:1-3
16 Adeámus ergo cum fidúcia ad thronum grátiæ: ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.
1 Omnis namque Póntifex ex homínibus assúmptus, pro homínibus constitúitur in iis, quæ sunt ad Deum, ut ófferat dona, et sacrifícia pro peccátis:
2 Qui condolére possit iis, qui ignórant et errant: quóniam et ipse circúmdatus est infirmitáte:
3 Et proptérea debet quemádmodum pro pópulo, ita étiam pro semetípso offérre pro peccátis.

R. Jesum trádidit ímpius summis princípibus sacerdótum, et senióribus pópuli:
* Petrus autem sequebátur eum a longe, ut vidéret finem.
V. Adduxérunt autem eum ad Cáipham príncipem sacerdótum, ubi scribæ et pharisǽi convénerant.
R. Petrus autem sequebátur eum a longe, ut vidéret finem.


Lectio 9

Heb 5:4-10
4 Nec quisquam sumit sibi honórem, sed qui vocátur a Deo, tamquam Aaron.
5 Sic et Christus non semetípsum clarificávit ut Póntifex fíeret, sed qui locútus est ad eum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te.
6 Quemádmodum et in álio loco dicit: Tu es sacérdos in ætérnum, secúndum órdinem Melchísedech.
7 Qui in diébus carnis suæ preces, supplicationésque ad eum, qui possit illum salvum fácere a morte, cum clamóre válido et lácrimis ófferens, exaudítus est pro sua reveréntia.
8 Et quidem cum esset Fílius Dei, dídicit ex iis, quæ passus est, obediéntiam:
9 Et consummátus, factus est ómnibus obtemperántibus sibi causa salútis ætérnæ,
10 Appellátus a Deo Póntifex juxta órdinem Melchísedech.

R. Caligavérunt óculi mei a fletu meo: quia elongátus est a me, qui consolabátur me: Vidéte omnes pópuli,
* Si est dolor símilis sicut dolor meus.
V. O vos omnes, qui transítis per viam, atténdite et vidéte.
R. Si est dolor símilis sicut dolor meus.
R. Caligavérunt óculi mei a fletu meo: quia elongátus est a me, qui consolabátur me: Vidéte omnes pópuli, * Si est dolor símilis sicut dolor meus.

Oratio
Réspice, quǽsumus, Dómine, super hanc famíliam tuam, pro qua Dóminus noster Jesus Christus non dubitávit mánibus tradi nocéntium, et crucis subíre torméntum:
Et sub silentio concluditur
Qui tecum…

DAL MATTUTINO DEL SABATO SANTO.

È la terza parte della grandiosa trilogia: Cristo giace nella tomba e la Chiesa, seduta accanto al suo sepolcro, fa sentire i suoi lamenti. Dopo l’aspro combattimento, Cristo riposa in pace, e noi vediamo sul suo corpo le tracce dei suoi indicibili dolori. Mentre ieri i Responsori erano i lamenti che uscivano dalla bocca stessa di Cristo, oggi essi sono di solito l’espressione del cordoglio della Chiesa. Dalle lamentazioni, però, traspare la speranza: oggi l’orizzonte è più tranquillo e più rischiarato, solo verso la fine il Mattutino torna alle note di dolore e ciò non ci deve destar meraviglia, poiché il Mattutino deve rappresentare la Chiesa che piange, perché le fu portata via lo sposo divino. Ancora si vedono le ferite sanguinanti; esse invocano continuamente il castigo sopra l’infedele Israele; i nemici si accaniscono con Gesù e con menzogne e calunnie cercano di cancellare perfino la memoria del Maestro; Maria e i discepoli sono nel più profondo cordoglio; e la Chiesa deve constatare con immenso strazio che molti dei suoi figli scendono dal Golgota nella freddezza e nell’indifferenza. – La differenza che troviamo in questo Mattutino in confronto con gli altri sta in un progressivo svolgimento dell’azione; e questo specialmente si nota nelle antifone « Il mio corpo riposa nella speranza » (salmi). – Si potrebbe dividere il dramma sacro in sei parti: mentre la Chiesa sta presso il sepolcro, passano davanti al suo spirito sei scene:

1.  La pace del Sepolcro (I Notturno): « In pace dormirò e mi riposerò ». « Egli riposerà sul monte santo ». « Il mio corpo riposa nella speranza » (salmi).

2. L’ingresso dell’anima di Gesù nel Limbo (II Notturno): «Alzatevi, o porte eterne, che entrerà il Re della gloria » (salmo XXIII).

3. La speranza della resurrezione: « Credo che vedrò il Signore nella terra dei viventi ». « Tu traesti fuor dall’inferno l’anima mia » (Salmi XXVI e XXIX).

4. Il sigillo apposto alla tomba (lettura del II Notturno).

5. Gesù vincitore dei suoi nemici (III Notturno, salmi LII e LXXV).

6. Riassunto delle impressioni: Profondo cordoglio e lamentazioni: « Come uomo senza soccorso, inviato tra i morti » (salmo LXXXVII). Inoltre i Responsori: I, II, III. IV, V. VI, VII; l’ultimo ci dà la scena di chiusa del Sabato Santo: Gesù nella tomba e i soldati chefanno la guardia. –  Osserviamo ancora la parte importante, assegnata inquesto Mattutino alle Antifone. Certi salmi non sonostati scelti per il loro contenuto completo, ma anche per un solo versetto (p. es.: salmi IV, XIV, XXIII).L’azione prosegue fino alla soglia della resurrezione pasquale. Ma poi d’un tratto mentre attendiamo il lietoAlleluia, torna il pianto accorato sul Morto, quasi adirci: Fermati! Vedi, il Signore è ancor nella tomba.

Il Mattutino ha un fascino speciale, che si può comprendere solo con una sentita compartecipazione alla passione del Signore. E forse il suo fascino sta proprio nei vari sentimenti che esso suscita nel cuore: di dolore, di speranza, di trepida gioia.

Nocturn I.


Ant. In pace * in idípsum, dórmiam et requiéscam.

Psalmus 4 [1]

4:2 Cum invocárem exaudívit me Deus justítiæ meæ: * in tribulatióne dilatásti mihi.
4:2 Miserére mei, * et exáudi oratiónem meam.
4:3 Fílii hóminum, úsquequo gravi corde? * ut quid dilígitis vanitátem, et quǽritis mendácium?
4:4 Et scitóte quóniam mirificávit Dóminus sanctum suum: * Dóminus exáudiet me cum clamávero ad eum.
4:5 Irascímini, et nolíte peccáre: * quæ dícitis in córdibus vestris, in cubílibus vestris compungímini.
4:6 Sacrificáte sacrifícium justítiæ, et speráte in Dómino. * Multi dicunt: Quis osténdit nobis bona?
4:7 Signátum est super nos lumen vultus tui, Dómine: * dedísti lætítiam in corde meo.
4:8 A fructu fruménti, vini, et ólei sui * multiplicáti sunt.
4:9 In pace in idípsum * dórmiam, et requiéscam;
4:10 Quóniam tu, Dómine, singuláriter in spe * constituísti me.
Gloria omittitur

Ant. In pace in idípsum, dórmiam et requiéscam.

Ant. Habitábit * in tabernáculo tuo, requiéscet in monte sancto tuo.

Psalmus 14 [2]

14:1 Dómine, quis habitábit in tabernáculo tuo? * aut quis requiéscet in monte sancto tuo?
14:2 Qui ingréditur sine mácula, * et operátur justítiam:
14:3 Qui lóquitur veritátem in corde suo, * qui non egit dolum in lingua sua:
14:3 Nec fecit próximo suo malum, * et oppróbrium non accépit advérsus próximos suos.
14:4 Ad níhilum dedúctus est in conspéctu ejus malígnus: * timéntes autem Dóminum gloríficat:
14:5 Qui jurat próximo suo, et non décipit, * qui pecúniam suam non dedit ad usúram, et múnera super innocéntem non accépit.
14:5 Qui facit hæc: * non movébitur in ætérnum.
Gloria omittitur

Ant. Habitábit in tabernáculo tuo, requiéscet in monte sancto tuo.

Ant. Caro mea * requiéscet in spe.

Psalmus 15 [3]

15:1 Consérva me, Dómine, quóniam sperávi in te. * Dixi Dómino: Deus meus es tu, quóniam bonórum meórum non eges.
15:3 Sanctis, qui sunt in terra ejus, * mirificávit omnes voluntátes meas in eis.
15:4 Multiplicátæ sunt infirmitátes eórum: * póstea acceleravérunt.
15:4 Non congregábo conventícula eórum de sanguínibus, * nec memor ero nóminum eórum per lábia mea.
15:5 Dóminus pars hereditátis meæ, et cálicis mei: * tu es, qui restítues hereditátem meam mihi.
15:6 Funes cecidérunt mihi in præcláris: * étenim heréditas mea præclára est mihi.
15:7 Benedícam Dóminum, qui tríbuit mihi intelléctum: * ínsuper et usque ad noctem increpuérunt me renes mei.
15:8 Providébam Dóminum in conspéctu meo semper: * quóniam a dextris est mihi, ne commóvear.
15:9 Propter hoc lætátum est cor meum, et exsultávit lingua mea: * ínsuper et caro mea requiéscet in spe.
15:10 Quóniam non derelínques ánimam meam in inférno: * nec dabis sanctum tuum vidére corruptiónem.
15:10 Notas mihi fecísti vias vitæ, adimplébis me lætítia cum vultu tuo: * delectatiónes in déxtera tua usque in finem.
Gloria omittitur

Ant. Caro mea requiéscet in spe.

V. In pace in idípsum.
R. Dórmiam et requiéscam.

Pater noster

Lectio 1
De Lamentatióne Jeremíæ Prophétæ
Lam III: 22-30
22 Heth. Misericórdiæ Dómini quia non sumus consúmpti: quia non defecérunt miseratiónes ejus.
23 Heth. Novi dilúculo, multa est fides tua.
24 Heth. Pars mea Dóminus, dixit ánima mea: proptérea exspectábo eum.
25 Teth. Bonus est Dóminus sperántibus in eum, ánimæ quærénti illum.
26 Teth. Bonum est præstolári cum siléntio salutáre Dei.
27 Teth. Bonum est viro cum portáverit jugum ab adulescéntia sua.
28 Jod. Sedébit solitárius, et tacébit: quia levávit super se.
29 Jod. Ponet in púlvere os suum, si forte sit spes.
30 Jod. Dabit percutiénti se maxíllam, saturábitur oppróbriis.
Jerúsalem, Jerúsalem, convértere ad Dóminum Deum tuum.

R. Sicut ovis ad occisiónem ductus est, et dum male tractarétur, non apéruit os suum: tráditus est ad mortem,
* Ut vivificáret pópulum suum.
V. Trádidit in mortem ánimam suam, et inter scelerátos reputátus est.
R. Ut vivificáret pópulum suum.

Lectio 2

Lam IV:1-6
1 Aleph. Quómodo obscurátum est aurum, mutátus est color óptimus, dispérsi sunt lápides sanctuárii in cápite ómnium plateárum?
2 Beth. Fílii Sion íncliti, et amícti auro primo: quómodo reputáti sunt in vasa téstea, opus mánuum fíguli?
3 Ghimel. Sed et lámiæ nudavérunt mammam, lactavérunt cátulos suos: fília pópuli mei crudélis, quasi strúthio in desérto.
4 Daleth. Adhǽsit lingua lacténtis ad palátum ejus in siti: párvuli petiérunt panem, et non erat qui frángeret eis.
5 He. Qui vescebántur voluptuóse, interiérunt in viis: qui nutriebántur in cróceis, amplexáti sunt stércora.
6 Vau. Et major effécta est iníquitas fíliæ pópuli mei peccáto Sodomórum, quæ subvérsa est in moménto, et non cepérunt in ea manus.
Jerúsalem, Jerúsalem, convértere ad Dóminum Deum tuum.

R. Jerúsalem, surge, et éxue te véstibus jucunditátis: indúere cínere et cilício,
* Quia in te occísus est Salvátor Israël.
V. Deduc quasi torréntem lácrimas per diem et noctem, et non táceat pupílla óculi tui.
R. Quia in te occísus est Salvátor Israël.


Lectio 3
Incipit Orátio Jeremíæ Prophétæ
Lam V: 1-11
1 Recordáre, Dómine, quid accíderit nobis: intuére, et réspice oppróbrium nostrum.
2 Heréditas nostra versa est ad aliénos: domus nostræ ad extráneos.
3 Pupílli facti sumus absque patre, matres nostræ quasi víduæ.
4 Aquam nostram pecúnia bíbimus: ligna nostra prétio comparávimus.
5 Cervícibus nostris minabámur, lassis non dabátur réquies.
6 Ægýpto dédimus manum, et Assýriis, ut saturarémur pane.
7 Patres nostri peccavérunt, et non sunt: et nos iniquitátes eórum portávimus.
8 Servi domináti sunt nostri: non fuit qui redímeret de manu eórum.
9 In animábus nostris afferebámus panem nobis, a fácie gládii in desérto.
10 Pellis nostra quasi clíbanus exústa est a fácie tempestátum famis.
11 Mulíeres in Sion humiliavérunt, et vírgines in civitátibus Juda.
Jerúsalem, Jerúsalem, convértere ad Dóminum Deum tuum.

R. Plange quasi virgo, plebs mea: ululáte, pastóres, in cínere et cilício:
* Quia venit dies Dómini magna, et amára valde.
V. Accíngite vos, sacerdótes, et plángite, minístri altáris, aspérgite vos cínere.
R. Quia venit dies Dómini magna, et amára valde.
Gloria omittitur
R. Plange quasi virgo, plebs mea: ululáte, pastóres, in cínere et cilício: * Quia venit dies Dómini magna, et amára valde.

Nocturn II.

Ant. Elevámini, * portæ æternáles, et introíbit Rex glóriæ.

Psalmus 23 [4]

23:1 Dómini est terra, et plenitúdo ejus: * orbis terrárum, et univérsi qui hábitant in eo.
23:2 Quia ipse super mária fundávit eum: * et super flúmina præparávit eum.
23:3 Quis ascéndet in montem Dómini? * aut quis stabit in loco sancto ejus?
23:4 Ínnocens mánibus et mundo corde, * qui non accépit in vano ánimam suam, nec jurávit in dolo próximo suo.
23:5 Hic accípiet benedictiónem a Dómino: * et misericórdiam a Deo, salutári suo.
23:6 Hæc est generátio quæréntium eum, * quæréntium fáciem Dei Jacob.
23:7 Attóllite portas, príncipes, vestras, et elevámini, portæ æternáles: * et introíbit Rex glóriæ.
23:8 Quis est iste Rex glóriæ? * Dóminus fortis et potens: Dóminus potens in prǽlio.
23:9 Attóllite portas, príncipes, vestras, et elevámini, portæ æternáles: * et introíbit Rex glóriæ.
23:10 Quis est iste Rex glóriæ? * Dóminus virtútum ipse est Rex glóriæ.
Gloria omittitur

Ant. Elevámini, portæ æternáles, et introíbit Rex glóri

Ant. Credo vidére * bona Dómini in terra vivéntium.

Psalmus 26 [5]

26:1 Dóminus illuminátio mea, et salus mea, * quem timébo?
26:1 Dóminus protéctor vitæ meæ, * a quo trepidábo?
26:2 Dum apprópiant super me nocéntes, * ut edant carnes meas:
26:2 Qui tríbulant me inimíci mei, * ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.
26:3 Si consístant advérsum me castra, * non timébit cor meum.
26:3 Si exsúrgat advérsum me prǽlium, * in hoc ego sperábo.
26:4 Unam pétii a Dómino, hanc requíram, * ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ:
26:4 Ut vídeam voluptátem Dómini, * et vísitem templum ejus.
26:5 Quóniam abscóndit me in tabernáculo suo: * in die malórum protéxit me in abscóndito tabernáculi sui.
26:6 In petra exaltávit me: * et nunc exaltávit caput meum super inimícos meos.
26:6 Circuívi, et immolávi in tabernáculo ejus hóstiam vociferatiónis: * cantábo, et psalmum dicam Dómino.
26:7 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: * miserére mei, et exáudi me.
26:8 Tibi dixit cor meum, exquisívit te fácies mea: * fáciem tuam, Dómine, requíram.
26:9 Ne avértas fáciem tuam a me: * ne declínes in ira a servo tuo.
26:9 Adjútor meus esto: * ne derelínquas me, neque despícias me, Deus, salutáris meus.
26:10 Quóniam pater meus, et mater mea dereliquérunt me: * Dóminus autem assúmpsit me.
26:11 Legem pone mihi, Dómine, in via tua: * et dírige me in sémitam rectam propter inimícos meos.
26:12 Ne tradíderis me in ánimas tribulántium me: * quóniam insurrexérunt in me testes iníqui, et mentíta est iníquitas sibi.
26:13 Credo vidére bona Dómini * in terra vivéntium.
26:14 Exspécta Dóminum, viríliter age: * et confortétur cor tuum, et sústine Dóminum.

Ant. Credo vidére bona Dómini in terra vivéntium.

Ant. Dómine, * abstraxísti ab ínferis ánimam meam.

Psalmus 29 [6]

29:2 Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me: * nec delectásti inimícos meos super me.
29:3 Dómine, Deus meus, clamávi ad te, * et sanásti me.
29:4 Dómine, eduxísti ab inférno ánimam meam: * salvásti me a descendéntibus in lacum.
29:5 Psállite Dómino, sancti ejus: * et confitémini memóriæ sanctitátis ejus.
29:6 Quóniam ira in indignatióne ejus: * et vita in voluntáte ejus.
29:6 Ad vésperum demorábitur fletus: * et ad matutínum lætítia.
29:7 Ego autem dixi in abundántia mea: * Non movébor in ætérnum.
29:8 Dómine, in voluntáte tua, * præstitísti decóri meo virtútem.
29:8 Avertísti fáciem tuam a me, * et factus sum conturbátus.
29:9 Ad te, Dómine, clamábo: * et ad Deum meum deprecábor.
29:10 Quæ utílitas in sánguine meo, * dum descéndo in corruptiónem?
29:10 Numquid confitébitur tibi pulvis, * aut annuntiábit veritátem tuam?
29:11 Audívit Dóminus, et misértus est mei: * Dóminus factus est adjútor meus.
29:12 Convertísti planctum meum in gáudium mihi: * conscidísti saccum meum, et circumdedísti me lætítia:
29:13 Ut cantet tibi glória mea, et non compúngar: * Dómine, Deus meus, in ætérnum confitébor tibi.
Gloria omittitur

Ant. Dómine, abstraxísti ab ínferis ánimam meam.

V. Tu autem, Dómine, miserére mei.
R. Et resúscita me, et retríbuam eis.

Pater noster

Lectio 4
Ex Tractátu sancti Augustíni Epíscopi super Psalmos
In Psalmum 63 versum 7
Accédet homo ad cor altum, et exaltábitur Deus. Illi dixérunt: Quis nos vidébit? Defecérunt scrutántes scrutatiónes, consília mala. Accéssit homo ad ipsa consília, passus est se tenéri ut homo. Non enim tenerétur nisi homo, aut viderétur nisi homo, aut cæderétur nisi homo, aut crucifigerétur, aut morerétur nisi homo. Accéssit ergo homo ad illas omnes passiónes, quæ in illo nihil valérent, nisi esset homo. Sed si ille non esset homo, non liberarétur homo. Accéssit homo ad cor altum, id est, cor secrétum, obíciens aspéctibus humánis hóminem, servans intus Deum: celans formam Dei, in qua æquális est Patri, et ófferens formam servi, qua minor est Patre.

R. Recéssit pastor noster, fons aquæ vivæ, ad cujus tránsitum sol obscurátus est:
* Nam et ille captus est, qui captívum tenébat primum hóminem: hódie portas mortis et seras páriter Salvátor noster disrúpit.
V. Destrúxit quidem claustra inférni, et subvértit poténtias diáboli.
R. Nam et ille captus est, qui captívum tenébat primum hóminem: hódie portas mortis et seras páriter Salvátor noster disrúpit.

Lectio 5
Quo perduxérunt illas scrutatiónes suas, quas perscrutántes defecérunt, ut étiam mórtuo Dómino et sepúlto, custódes pónerent ad sepúlcrum? Dixérunt enim Piláto: Sedúctor ille: hoc appellabátur nómine Dóminus Jesus Christus, ad solátium servórum suórum, quando dicúntur seductóres: ergo illi Piláto: Sedúctor ille, ínquiunt, dixit adhuc vivens: Post tres dies resúrgam. Jube ítaque custodíri sepúlcrum usque in diem tértium, ne forte véniant discípuli ejus, et furéntur eum, et dicant plebi: Surréxit a mórtuis: et erit novíssimus error pejor prióre. Ait illis Pilátus: Habétis custódiam, ite, custodíte sicut scitis. Illi autem abeúntes, muniérunt sepúlcrum, signántes lápidem cum custódibus.

R. O vos omnes, qui transítis per viam, atténdite, et vidéte,
* Si est dolor símilis sicut dolor meus.
V. Atténdite, univérsi pópuli, et vidéte dolórem meum.
R. Si est dolor símilis sicut dolor meus.

Lectio 6
Posuérunt custódes mílites ad sepúlcrum. Concússa terra Dóminus resurréxit: mirácula facta sunt tália circa sepúlcrum, ut et ipsi mílites, qui custódes advénerant, testes fíerent, si vellent vera nuntiáre. Sed avarítia illa, quæ captivávit discípulum cómitem Christi, captivávit et mílitem custódem sepúlcri. Damus, ínquiunt, vobis pecúniam: et dícite, quia vobis dormiéntibus venérunt discípuli ejus, et abstulérunt eum. Vere defecérunt scrutántes scrutatiónes. Quid est quod dixísti, o infélix astútia? Tantúmne déseris lucem consílii pietátis, et in profúnda versútiæ demérgeris, ut hoc dicas: Dícite quia vobis dormiéntibus venérunt discípuli ejus, et abstulérunt eum? Dormiéntes testes ádhibes: vere tu ipse obdormísti, qui scrutándo tália defecísti.

R. Ecce quómodo móritur justus, et nemo pércipit corde: et viri justi tollúntur, et nemo consíderat: a fácie iniquitátis sublátus est justus:
* Et erit in pace memória ejus.
V. Tamquam agnus coram tondénte se obmútuit, et non apéruit os suum: de angústia et de judício sublátus est.
R. Et erit in pace memória ejus.
Gloria omittitur
R. Ecce quómodo móritur justus, et nemo pércipit corde: et viri justi tollúntur, et nemo consíderat: a fácie iniquitátis sublátus est justus: * Et erit in pace memória ejus.

Nocturn III.

Ant. Deus ádjuvat me, * et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ.
Psalmus 53 [7]
53:3 Deus, in nómine tuo salvum me fac: * et in virtúte tua júdica me.
53:4 Deus, exáudi oratiónem meam: * áuribus pércipe verba oris mei.
53:5 Quóniam aliéni insurrexérunt advérsum me, et fortes quæsiérunt ánimam meam: * et non proposuérunt Deum ante conspéctum suum.
53:6 Ecce enim, Deus ádjuvat me: * et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ.
53:7 Avérte mala inimícis meis: * et in veritáte tua dispérde illos.
53:8 Voluntárie sacrificábo tibi, * et confitébor nómini tuo, Dómine: quóniam bonum est:
53:9 Quóniam ex omni tribulatióne eripuísti me: * et super inimícos meos despéxit óculus meus.

Ant. Deus ádjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ.

Ant. In pace * factus est locus ejus, et in Sion habitátio ejus.

Psalmus 75 [8]

75:2 Notus in Judǽa Deus: * in Israël magnum nomen ejus.
75:3 Et factus est in pace locus ejus: * et habitátio ejus in Sion.
75:4 Ibi confrégit poténtias árcuum, * scutum, gládium, et bellum.
75:5 Illúminans tu mirabíliter a móntibus ætérnis: * turbáti sunt omnes insipiéntes corde.
75:6 Dormiérunt somnum suum: * et nihil invenérunt omnes viri divitiárum in mánibus suis.
75:7 Ab increpatióne tua, Deus Jacob, * dormitavérunt qui ascendérunt equos.
75:8 Tu terríbilis es, et quis resístet tibi? * ex tunc ira tua.
75:9 De cælo audítum fecísti judícium: * terra trémuit et quiévit,
75:10 Cum exsúrgeret in judícium Deus, * ut salvos fáceret omnes mansuétos terræ.
75:11 Quóniam cogitátio hóminis confitébitur tibi: * et relíquiæ cogitatiónis diem festum agent tibi.
75:12 Vovéte, et réddite Dómino, Deo vestro: * omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera.
75:13 Terríbili et ei qui aufert spíritum príncipum, * terríbili apud reges terræ.
Gloria omittitur

Ant. In pace factus est locus ejus, et in Sion habitátio ejus.

Ant. Factus sum * sicut homo sine adjutório, inter mórtuos liber.

Psalmus 87 [9]

87:2 Dómine, Deus salútis meæ: * in die clamávi, et nocte coram te.
87:3 Intret in conspéctu tuo orátio mea: * inclína aurem tuam ad precem meam:
87:4 Quia repléta est malis ánima mea: * et vita mea inférno appropinquávit.
87:5 Æstimátus sum cum descendéntibus in lacum: * factus sum sicut homo sine adjutório, inter mórtuos liber.
87:6 Sicut vulneráti dormiéntes in sepúlcris, quorum non es memor ámplius: * et ipsi de manu tua repúlsi sunt.
87:7 Posuérunt me in lacu inferióri: * in tenebrósis, et in umbra mortis.
87:8 Super me confirmátus est furor tuus: * et omnes fluctus tuos induxísti super me.
87:9 Longe fecísti notos meos a me: * posuérunt me abominatiónem sibi.
87:9 Tráditus sum, et non egrediébar: * óculi mei languérunt præ inópia.
87:10 Clamávi ad te, Dómine, tota die: * expándi ad te manus meas.
87:11 Numquid mórtuis fácies mirabília: * aut médici suscitábunt, et confitebúntur tibi?
87:12 Numquid narrábit áliquis in sepúlcro misericórdiam tuam, * et veritátem tuam in perditióne?
87:13 Numquid cognoscéntur in ténebris mirabília tua, * et justítia tua in terra obliviónis?
87:14 Et ego ad te, Dómine, clamávi: * et mane orátio mea prævéniet te.
87:15 Ut quid, Dómine, repéllis oratiónem meam: * avértis fáciem tuam a me?
87:16 Pauper sum ego, et in labóribus a juventúte mea: * exaltátus autem, humiliátus sum et conturbátus.
87:17 In me transiérunt iræ tuæ: * et terróres tui conturbavérunt me.
87:18 Circumdedérunt me sicut aqua tota die: * circumdedérunt me simul.
87:19 Elongásti a me amícum et próximum: * et notos meos a miséria.
Gloria omittitur

Ant. Factus sum sicut homo sine adjutório, inter mórtuos liber.

V. In pace factus est locus ejus.
R. Et in Sion habitátio ejus.

Pater noster

Lectio 7
De Epístola beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos
Heb IX: 11-14
11 Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis:
12 Neque per sánguinem hircórum, aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta.
13 Si enim sanguis hircórum, et taurórum, et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis:
14 Quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti?

R. Astitérunt reges terræ, et príncipes convenérunt in unum,
* Advérsus Dóminum, et advérsus Christum ejus.
V. Quare fremuérunt gentes, et pópuli meditáti sunt inánia?
R. Advérsus Dóminum, et advérsus Christum ejus.


Lectio 8

Heb IX: 15-18
15 Et ídeo novi testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem eárum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis.
16 Ubi enim testaméntum est: mors necésse est intercédat testatóris.
17 Testaméntum enim in mórtuis confirmátum est: alióquin nondum valet, dum vivit qui testátus est.
18 Unde nec primum quidem sine sánguine dedicátum est.

R. Æstimátus sum cum descendéntibus in lacum:
* Factus sum sicut homo sine adjutório, inter mórtuos liber.
V. Posuérunt me in lacu inferióri, in tenebrósis, et in umbra mortis.
R. Factus sum sicut homo sine adjutório, inter mórtuos liber.


Lectio 9


Heb 9:19-22
19 Lecto enim omni mandáto legis a Móyse univérso pópulo: accípiens sánguinem vitulórum, et hircórum cum aqua et lana coccínea, et hyssópo: ipsum quoque librum, et omnem pópulum aspérsit,
20 Dicens: Hic sanguis testaménti, quod mandávit ad vos Deus.
21 Etiam tabernáculum, et ómnia vasa ministérii sánguine simíliter aspérsit:
22 Et ómnia pene in sánguine secúndum legem mundántur: et sine sánguinis effusióne non fit remíssio.

R. Sepúlto Dómino, signátum est monuméntum, volvéntes lápidem ad óstium monuménti:
* Ponéntes mílites, qui custodírent illum.
V. Accedéntes príncipes sacerdótum ad Pilátum, petiérunt illum.
R. Ponéntes mílites, qui custodírent illum.
Gloria omittitur
R. Sepúlto Dómino, signátum est monuméntum, volvéntes lápidem ad óstium monuménti: * Ponéntes mílites, qui custodírent illum.

Oratio 
Réspice, quǽsumus, Dómine, super hanc famíliam tuam, pro qua Dóminus noster Jesus Christus non dubitávit mánibus tradi nocéntium, et crucis subíre torméntum:
Et sub silentio concluditur
Qui tecum…

EXSULTET

Exsúltet jam Angélica turba cœlórum: exsúltent divína mystéria: et pro tanti Regis victória tuba ínsonet salutáris.

Gáudeat et tellus tantis irradiáta fulgóribus: et ætérni Regis splendóre illustráta, totíus orbis se séntiat amisísse calíginem.

Lætétur et mater Ecclésia, tanti lúminis adornáta fulgóribus: et magnis populórum vócibus hæc aula resúltet.

Quaprópter astántes vos, fratres caríssimi, ad tam miram hujus sancti lúminis claritátem, una mecum, quæso, Dei omnipoténtis misericórdiam invocáte.

Ut, qui me non meis méritis intra Levitárum númerum dignatus est aggregáre: lúminis sui claritátem infúndens, Cérei huius laudem implére perfíciat.

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Fílium suum: qui cum eo vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus: Per omnia sǽcula sæculórum.

IL SACRO TRIDUO (3) IL SABATO SANTO 2022

IL SACRO TRIDUO (3)

SABATO SANTO

( P. PIO PARSCH O.S.A.: L’ANNO LITURGICO – VOL. III – IV Ed. Soc. Ed. VITA E PENSIERO, MILANO, 1949)

Stazione a S. Giovanni in Laterano

(doppio di I classe)

1. VIGILIA DI PASQUA

– Il Sabato Santo è il gran giorno del riposo del Signore; lo si potrebbe dire il secondo sabato dopo la creazione. La Chiesa lo chiama Sabato Santo. Questo giorno è, e dovrebbe essere, il giorno più silenzioso dell’anno liturgico; fino al Medio Evo non si celebrava la Messa. Le funzioni che si fanno nella mattina di oggi, sono le funzioni che si celebravano, una volta, nella notte della vigilia, dal sabato alla domenica; in realtà la liturgia del Sabato Santo è ormai liturgia di Pasqua. Un grande compito di rinnovamento liturgico sarebbe quello di ridare al mondo cattolico la sua seconda notte santa (come quella del Natale): la notte di Pasqua, la « madre di tutte le vigilie », come dice S. Agostino, che l’assenza dello spirito e del sentimento liturgico negli ultimi quattro secoli, ha soppresso. Celebriamo la liturgia del Sabato Santo trasportandoci spiritualmente nella notte come fossimo catecumeni. Assistiamo al drammatico svolgersi della Resurrezione del Signore, alla vittoria della luce sopra le tenebre. È anche la festa di resurrezione della nostra anima: in ognuno di noi Cristo risorge! La descrizione che segue si riferisce ad una celebrazione notturna.

a) Il cereo pasquale. Durante la giornata la chiesa rimane vuota e silenziosa: l’altare spoglio, la costernazione dell’anima non consentiva né parole, né cerimonie. Il giorno trascorse così nel dolore intimo e raccolto. Siamo alla seconda sera dacché il Signore giace nella tomba. – La casa di Dio è immersa nelle tenebre. I fedeli si raccolgono nella chiesa senza luce. Il clero sosta davanti alla porta della chiesa dove dalla pietra si cava fuoco, che viene benedetto. Questa cerimonia (Lucernarium) con la processione relativa si faceva un tempo prima di ogni funzione notturna, poiché la Chiesa voleva usare per il culto solamente il fuoco benedetto. Nella casa di Dio ogni luce è senta: è finito l’Antico Testamento. Ora spunterà la vera luce del mondo: Cristo. Il fuoco che esce dalla pietra in un modo, per così dire, verginale, è simbolo di Cristo che uscì dal seno della Vergine; in questa notte di Pasqua. Egli esce dalla tomba chiusa in tutta la sua gloria. Non è veramente maestra la Chiesa nella scelta dei suoi simboli?

Comincia la festa della Resurrezione. –

Dopo aver benedetto il fuoco, si procede alla benedizione dei cinque grani d’incenso che vengono poi fissati al cereo pasquale. Essi rappresentano le cinque piaghe gloriose del Signore. Si accende quindi una candela al fuoco benedetto e con essa il clero entra nella chiesa ancora immersa nell’oscurità. Il diacono si presenta in dalmatica bianca, segno di gioia: egli è l’araldo della Pasqua. Il corteo muove lentamente attraverso la chiesa; il diacono porta una canna con candelabro a tre braccia, chiamato arundine e accende una alla volta le tre candele cantando: « Lumen Christi ». Il canto si eleva per tre volte di tono e la chiesa si fa sempre più chiara: simbolismo pieno d’arte e di espressione della luce che s’avanza! Il corteo ha raggiunto l’altare e il diacono si prepara ad annunziare solennemente la Risurrezione del Signore per mezzo del famoso canto del prœconium paschale: « Exultet » e benedice ìl cereo pasquale. L’« Exultet » è uno dei canti liturgici più importanti tanto per la poesia quanto per la musica. La dignità e il mistero di questa santa notte e nello stesso tempo la grandezza della redenzione di Cristo vengono magnificamente ed illustrate dal testo pieno d’alta poesia: « O amore, che superi ogni amore! Per riscattare il servo hai dato il tuo stesso Figlio!… O felice colpa, che ci meritò un tale Salvatore! ».

Il cereo pasquale, simbolo del Salvatore risorto, che lasciò la sua tomba nel fulgore della sua maestà, si accenderà durante le sacre funzioni da oggi fino alla festa dell’Ascensione. Mentre il diacono fissa i grani d’incenso e accende il cereo pasquale, vengono pure accese tutte le luci della chiesa: l’annunzio solenne della Resurrezione!

b) Benedizione del fonte.

Dopo questo solenne invitatorio pasquale si va al fonte battesimale. Dapprima vengono lette dodici profezie, che rappresentano, in un grandioso insieme, gli effetti del Battesimo e la grandezza della vita cristiana. Lo scopo è di ricordare ancora una volta ai catecumeni l’importanza della grazia che ad essi viene concessa con l’amministrazione del santo Battesimo. – Si procede alla benedizione del fonte battesimale. Ed eccoci arrivati al punto culminante della funzione: il Battesimo dei Catecumeni che di solito non s’impartisce al sabato santo. Presenziamo alla sacra funzione coi sentimenti dei catecumeni e rinnoviamo le nostre promesse battesimali. – I sacerdoti, processionalmente, si recano al fonte battesimale, insieme ai catecumeni, preceduti dal cereo pasquale. Durante il tragitto si canta: « Come il cervo desidera la sorgente, così l’anima mia anela a te, mio Dio. La mia anima ha sete del Dio vivente. Quando verrò e mirerò la faccia di Dio? Sono le mie lacrime mio pane giorno e notte, mentre continuamente mi si dice: Dove è il tuo Dio? ». – Questo canto ci fa sentire l’ardente aspirazione dei catecumeni alla grazia del Battesimo, la benedizione del fonte battesimale si canta nel tono del Prefazio. Nelle preghiere c’è la storia dell’acqua benedetta: « O Dio, il cui spirito al principio del mondo si librava sopra le acque… Con l’acqua hai lavato i delitti del mondo e nelle acque del diluvio hai raffigurato la nostra rigenerazione, affinché nel mistero del medesimo elemento avessero fine i vizi e origine la grazia ». Il sacerdote si rivolge all’acqua: « Iddio ti ha fatta scaturire ha ordinato di bagnare con quattro fiumi tutta la terra.. – Ti benedico anche nel nome di Gesù Cristo… il quale, in Cana di Galilea, con un miracolo della sua potenza ti ha cambiata in vino; che coi suoi piedi camminò sopra di te, e che da Giovanni in te fu battezzato nel Giordano; che ti ha fatta dal fonte del Paradiso e ti ha fatto uscire dal suo costato insieme al sangue; che ha comandato ai suoi discepoli che i credenti fossero con te battezzati ». – Il sacerdote immerge nell’acqua il cereo acceso « Discenda nella pienezza di questo fonte la virtù dello Spirito Santo ». Il sacerdote alita sull’acqua in forma di PSI greco (Ψ) il segno dello Spirito Santo: versa nell’acqua l’olio dei catecumeni e il sacro crisma, perché veramente vi abiti la pienezza delle benedizioni della Chiesa.

c) Il Battesimo.

Siamo arrivati al punto saliente della cerimonia, il Battesimo dei catecumeni. Raffiguriamoci l’impressione profonda che deve aver fatto in antico ai fedeli quando la schiera dei battezzandi già adulti — uomini arrivati alla Fede attraverso la lotta, vergini che forse avevano dovuto rinunciare ad un ricco matrimonio, che erano state diseredate dai loro genitori — venivano ad essere rigenerati a nuova vita nelle acque battesimali. Purtroppo, oggi avviene raramente che si amministri un Battesimo in questo momento, malgrado il desiderio della Chiesa che nelle sue prescrizioni dice: « Se ci sono battezzandi vengano ora battezzati ». Ad ogni modo è questo il momento in cui i fedeli devono rinnovare le promesse battesimali e rivivere così la grande grazia del loro Battesimo. Dopo il Battesimo, i neo-battezzati ricevono la veste candida e la lampada accesa; la veste battesimale è, in un certo senso, una veste sacerdotale; poiché essi hanno ricevuto il potere sacerdotale inteso nel senso largo del comune sacerdozio; da questo momento sono autorizzati a partecipare al sacrificio incruento e a prender parte al celeste Banchetto. Come dev’esser stato commovente il vedere la schiera dei catecumeni venire processionalmente, con le lampade accese, dal battistero di S. Giovanni in Laterano per entrare nella casa di Dio! era davvero un Introito solenne alla Messa di Pasqua. Durante la processione si cantavano e si cantano anche oggi, le litanie dei santi. Esse sono una preghiera di intercessione per i nuovi battezzati, l’espressione della nostra coscienza religiosa collettiva; e ci ricordano la comunione dei santi.

d) La Messa della notte di Pasqua.

Dalle litanie si passa subito alla Messa alla quale i sacerdoti si presentano in paramenti bianchi. È la Messa della vigilia di Pasqua, simile alla prima Messa di Natale e, come questa, dovrebbe essere celebrata a mezzanotte. Il giubilo pasquale si manifesterà, pieno, domani alla Messa solenne di Pasqua. Questa della notte pasquale è la Messa del Battesimo. È la primizia del sacrificio dei nuovi figli della Chiesa, che ora sono invitati per la prima volta alla mensa dell’Agnello. Possa essere anche per noi una Messa di Battesimo nella quale rinnoviamo le promesse battesimali. Questa Messa ha alcune particolarità: vi mancano : l’Introito, il Kyrie, l’Offertorio, l’Agnus Dei; essa rappresenta l’antica forma della Messa, nella quale questi canti non erano ancora stati introdotti. Funge da Introito il canto delle Litanie dei Santi che nelle celebrazioni stazionali, precedeva sempre la Messa; esso termina col Kyrie. Appena si intona il Gloria si suonano tutte le campane, e la gioia, la grande gioia pasquale, si diffonde nel mondo! Il Gloria, riservato una volta alla sola Messa di Pasqua, è il vero canto pasquale. La Colletta allude alla resurrezione avvenuta ed è una supplica per i nuovi battezzati perché possano pienamente conservare in loro lo spirito cristiano. L’Epistola (Col. III, 1-4) è un insegnamento: « Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù ». Ed eccoci di nuovo ad un momento particolarmente commovente. Per tre volte risuona l’Alleluia, il vero canto pasquale. Esso taceva dalla Settuagesima, ma ora ci accompagnerà fedelmente durante tutto l’anno. Il Vangelo (Matth. XXVIII,1-7) è il primo messaggio pasquale. Non a caso fu scelto questo passo: « Ma alla sera del sabato, mentre si schiariva già il primo giorno della settimana… ». Celebriamo la Messa all’albeggiare e veniamo con Maria Maddalena a visitare la tomba e apprendiamo la buona novella. – Oggi, dopo la Comunione del Sacerdote, (anche i fedeli possono ricevere la Comunione) si canta un bellissimo inno di ringraziamento: il Magnificat, l’inno di ringraziamento che proruppe dal cuore e dalle labbra di Maria per la sua dignità di Madre di Dio. Esso costituisce il Vespro del giorno. Ancora una volta sentiamo il solenne Alleluia, dopo l’Ite Missa est e ci troviamo nel pieno giubilo della Pasqua: Cristo è risorto nei nuovi battezzati (e in noi). – La notte è trascorsa; e spunta l’aurora che ha visto la Resurrezione.

2. LE DODICI PROFEZIE.

– Le letture del Sabato santo sono state per lo più tenute in poco conto fino ad oggi, poiché considerate come un prolungamento inopportuno della sacra funzione. In esse noi vediamo in primo luogo un’antica forma di vigilia o di Mattutino; i salmi erano piuttosto Responsori o l’eco delle letture; i tre Notturni sono ancora accennati poiché noi abbiamo tre gruppi di quattro letture ciascuno.

Il primo Notturno (Prof. I-IV) è tolto dal libro di Mosè e mostra ai catecumeni quattro simboli del regno di Dio. Sono simboli cari all’antica Chiesa, e che poi spesso incontriamo nelle catacombe: Profezia l*. La creazione è simbolo della nuova creazione : redenzione e Grazia battesimale. Nei primi tempi la lettura si estendeva anche alla caduta dei primi uomini. Profezia II°. L’Arca è simbolo della Chiesa. Noè rappresenta Cristo: la rinnovazione del mondo fatta da Cristo. Profezia III°. Il sacrificio di Isacco raffigura il sacrificio della croce: Abramo è padre di tutti i fedeli. Profezia IV°. Il passaggio del Mar Rosso è il simbolo del Battesimo. – In queste quattro figure è simboleggiato il regno di Cristo nei suoi punti più salienti. I quattro grandi Patriarchi, Adamo, Noè, Abramo e Mosè sono i principali annunziatori della rivelazione e nello stesso tempo sono figure di Cristo. Li conosciamo dalle tre domeniche del Tempo di Settuagesima e dalla quarta domenica di Quaresima. – Osserviamo l’Orazione che segue sempre alle letture, è per lo più un commento alle stesse. Così il primo gruppo ha una magnifica fusione; esso si chiude col canto di lode di Mosè, che rappresenta la preghiera di ringraziamento dei Catecumeni e della Chiesa per la grazia della redenzione.

Nel secondo Notturno (Prof. V-VIII) ci parlano i Profeti (dunque Mosè e i Profeti rendono testimonianza di Cristo). Questo secondo gruppo non ha l’unità del primo. Forse la quarta Orazione ci dà il filo per intenderlo. Tutti i privilegi e le direttive del popolo di Israele si realizzano per la Chiesa nel senso più alto della Profezia V.. Il Profeta Isaia ci descrive i tesori del regno di Dio: l’acqua del Battesimo, il vino e il miele dell’Eucaristia; la guida di Cristo, la misericordia di Dio nella remissione dei peccati. Profezia VI. La vera sapienza abita nella Chiesa; i battezzandi hanno gustato il sale della sapienza; ora vedranno la stessa sapienza incarnata, Cristo. Profezia VII. Il profeta Ezechiele vede un campo seminato di morti che al soffio di Dio riprendono la vita. Magnifico quadro della missione redentiva di Cristo. Nuova vita dell’anima nel santo Battesimo; e la resurrezione dei corpi, da Lui che esce dalla tomba come il primo nato tra i morti. Profezia VIII. Isaia predice al popolo eletto una grande felicità dopo il tempo della miseria e del peccato. Questa felicità trova il compimento nel Nuovo Testamento. Oggi sorge la nuova razza eletta del Signore. Ogni Cristiano è « santo » e viene iscritto nel libro della celeste Gerusalemme. La nube e la colonna di fuoco ci richiamano alla vera presenza di Cristo nella Chiesa. Il canto che chiude il secondo gruppo, ne riassume i pensieri; il nuovo Israele, la vera vigna di Dio è la Chiesa.

Terzo notturno (Prof. IX-XII). Queste Profezie offrono numerose narrazioni e figure. Profezia IX. Il simbolo dell’agnello pasquale che ci fu proposto il Venerdì santo si applica alla SS. Eucaristia. Profezia X: Giona è figura di Cristo; i Niniviti penitenti rappresentano i catecumeni. Profezia XI: Il discorso di congedo di Mosè suona come un ammonimento materno della Chiesa a perseverare nel bene. A questa penultima profezia segue un canto che esalta la fedeltà del Signore. È la lieta adesione dei catecumeni e dei fedeli all’invito della Chiesa. L’ultima profezia è chiusa della vigilia e ormai già canto dell’aurora. I fanciulli nella fornace sono figure predilette della Chiesa primitiva che non mancavano mai negli Uffici notturni; la loro storia preparava la celebrazione eucaristica del mattino. Essi erano nella antica Chiesa simbolo di resurrezione e incoraggiamento al martirio. La breve scorsa data alle Profezie ci dice quanto meritino di essere prese in considerazione. Forse potrebbero essere lette e spiegate nella Quaresima, oppure nel Tempo pasquale.

IL PRIMO ALLELUIA.

– In questa magnifica melodia,  (ammesso che essa sia data nella forma autentica e cantata bene) c’è qualche cosa di indicibilmente bello. Dapprima, quasi timida ricerca, il canto si eleva con un intervallo di terza di terza, si culla poi ripetutamente sulla finale (sol), quasi volesse allenarsi allo slancio, e finalmente si innalza, con un salto di quarta trionfante. Questo canto di giubilo,  ripetuto tre volte, è come il primo grido che lo Spirito Santo fa erompere dal cuore dei nuovi Cristiani; è come il primo palpito della vita divina creata in loro dalla SS. Trinità. E come è bello questo alternarsi del celebrante che intona e del coro che risponde! – La santa Chiesa insegna ai suoi figli a pronunciare il primo Alleluia, che poi risuonerà per sempre nelle vie della Gerusalemme celeste. E anche noi, già da tempo battezzati, impariamo ogni anno di nuovo, dalla bocca della madre Chiesa, il nostro cantico nuovo (canticum novum).

IL SACRO TRIDUO (2) IL VENERDI’ SANTO (2022)

IL SACRO TRIDUO (2)

il VENERDI’

( P. PIO PARSCH O.S.A.: L’ANNO LITURGICO – VOL. III – IV Ed. Soc. Ed. VITA E PENSIERO, MILANO, 1949

VENERDI’ SANTO

STAZIONE A S. CROCE IN GERUSALEMME

(doppio di I classe)

Per. il legno della Croce venne la gioia nel mondo

PARASCEVE, GIORNO DI PREPARAZIONE.

– Noi lo diciamo Venerdì santo; è il gran giorno di lutto della cristianità. È l’unico giorno nella liturgia romana, nel quale non si celebra la Messa poiché in questo giorno l’eterno Pontefice diede se stesso in olocausto cruento sull’altare della croce. Le due Antifone ci trasportano sul Calvario: « E gli posero sopra la testa una scritta col motivo della sua condanna: Gesù di Nazareth Re dei Giudei » (Antifona Ben.).

« Preso che ebbe l’aceto disse: Tutto è compiuto! E chinato il capo, rese lo spirito » (Antif. Magnificat)

I. LE SACRE FUNZIONI DEL MATTINO.

– La chiesa stazionale è oggi l’antichissimo santuario di S. Croce in Gerusalemme, dove sono conservate anche le reliquie della santa croce, che oggi per noi rappresenta il Calvario. Entriamo: la Chiesa è deserta, spoglia di ogni ornamento; il tabernacolo è aperto e vuoto. Sull’altare c’è una croce velata di nero, tutto è espressione del cordoglio della nostra anima. La funzione comincia, non c’è Introito, non candele accese sull’altare, silenzio profondo; (oggi la Chiesa accentua il linguaggio dei suoi simboli). I sacerdoti si presentano in paramenti neri e si buttano in ginocchio ai gradini dell’altare. Questo loro atteggiamento è la espressione della desolazione dell’umanità prima della redenzione. La funzione è antichissima e si divide in tre parti.

La prima parte è una Messa dei catecumeni, un vero e venerando ricordo della Messa dei catecumeni quale si celebrava nell’antica liturgia. La seconda parte è l’adorazione della croce, il punto saliente del giorno; la terza è la Comunione. Il popolo la chiama: « Messa secca »; la liturgia : « Missa prœsantificatorum » la Messa delle offerte già consacrate, (presantificate) poiché l’ostia fu consacrata la vigilia.

a) La Messa dei catecumeni. La funzione del mattino ha inizio con una delle più antiche Messe dei catecumeni quale si celebrava nei primi quattro secoli. Non c’era ancora l’Introito; i sacerdoti si prostravano in silenzio sui gradini dell’altare. Le letture erano tre; tra l’una e l’altra venivano cantati, quali Responsori, salmi interi. Seguiva la predica e poi venivano le preghiere per tutti i bisogni dei Cristiani. La prima parte della liturgia del Venerdì santo ci ha conservato questa venerata pratica antica e noi dovremmo recitare con tutto il rispetto queste preghiere che sono le stesse che si recitavano nelle Catacombe.

La prima lettura del profeta Osea (Os., VI, 1-6) deve suscitare in noi un dolore profondo e un sincero pentimento. Vi sentiamo già l’annunzio della Pasqua: « Fra due giorni ci sarà data una nuova vita; al terzo risorgeremo ». Segue il Tratto tolto dal profeta Abacuc (Abac. III): « Signore, udii il tuo messaggio e ne ho timore; considerai le tue opere e ne sono atterrito. Ti manifesterai fra due animali ». Inorridendo, il profeta vede il Signore crocifisso fra due ladroni. La seconda lettura ci dà il commovente simbolo dell’agnello (Ex. XII, 1-11), oggi il simbolo è realtà, il vero Agnello pasquale, Cristo, viene immolato! Non è a caso che Cristo compie il suo sacrificio proprio nel giorno della festa pasquale dei Giudei. Alle 3, nel momento in cui nel tempio si scannavano gli agnelli, il Signore esalava l’anima sua! Il salmo che segue descrive il tradimento di Giuda e la passione di Gesù. Dopo il simbolo assistiamo al compiersi della realtà. Si canta la storia della Passione. Ed è l’Apostolo prediletto, S. Giovanni, che ce la narra (Joan. XVIII, 1-40; XIX, 1-42). L’Apostolo S. Giovanni stette con la Madre di Gesù sotto la croce, testimonio oculare dei grandi avvenimenti. Mentre gli altri evangelisti ci descrivono la parte umana della Passione, S. Giovanni ci mostra il Salvatore sofferente quale Dio e Re. La sua descrizione ha qualche cosa di assolutamente poderoso: Il Re sul trono della Croce! Il Passio è anche oggi cantato, quand’è possibile, da tre sacerdoti o da tre diaconi (seguiamolo rispettosamente).

Tre voci sono giunte al nostro orecchio: la parola del Profeta, quella della Legge, e quella del Vangelo. Ora sentiamo le preghiere antichissime per ogni stato della umanità. Queste preghiere sono proprio al loro posto oggi, in cui Cristo è « elevato » e « chiama tutti a sè ». Gesù, novello Adamo, dorme il sonno della morte e dal costato esce le seconda Eva, la Chiesa. – Preghiamo dunque in primo luogo per la Chiesa, sposa di Cristo; poi ricorderemo tutti gli uomini, anche quelli che sono fuori della Chiesa, gli eretici, e gli scismatici. Ad ogni preghiera sacerdoti e popolo si inginocchiano alla esortazione del diacono: Flectamus genua (pieghiamo le ginocchia) e sorgono all’invito del diacono: Levate! (alzatevi!). Solo alla preghiera per i perfidi Giudei si tralascia la genuflessione, poiché essi in questo giorno sacrilegamente si inginocchiano davanti a Gesù per deriderlo. – Si prega per la Chiesa, per il Papa, capo della Chiesa, per i diversi ordini di sacerdoti e di laici, per i catecumeni, per tutti i bisogni spirituali e temporali del mondo intero, per gli scismatici e gli eretici, per i Giudei e infine per i pagani. E con ciò si chiude la prima parte delle cerimonie del mattino.

b) L’adorazione della Croce. Forma il punto culminante della giornata, la venerazione della croce, strumento della nostra salvezza. Anche questa cerimonia è di uso antichissimo ed ebbe origine a Gerusalemme, dove si venerava e si baciava il vero legno della croce. Il sacerdote, deposta la pianeta, si mette dalla parte dell’Epistola e si accinge allo scoprimento della croce. Nei giorni della Passione, la croce era venerata appunto perché oggi la Chiesa potesse solennemente scoprirla e scuotere così le nostre anime. – Il diacono scopre l’immagine del Crocifisso in tre tempi; perciò si canta in tre toni sempre più alti: « Ecco il legno della croce sul quale è morto il Salvatore del mondo ». Il popolo si prostra adorando e ripete: « Venite, adoriamo ». La croce viene deposta sopra un cuscino sui gradini dell’altare. I sacerdoti si levano le scarpe e si avvicinano, dopo tre genuflessioni, a baciare le ferite del Crocifisso per onorare così il Salvatore e il segno della nostra redenzione. Anche il popolo si avvicina e bacia la croce. Siamo ora al momento più solenne del Venerdì santo. Cristiano, adora il tuo Redentore coperto di sangue e nel tuo bacio rinnovagli l’offerta di tutto te stesso! Durante l’adorazione della croce il coro eseguisce un canto impressionante. Sono i così detti Improperi, lamentazioni e rimproveri, che Gesù rivolge al suo popolo; gli ricorda, con la dolce potenza dei suoi lamenti i suoi benefici nell’Antico Testamento, e gli rinfaccia la sua inspiegabile ingratitudine. Pensiamo che anche a noi sono rivolti i lamenti e le esortazioni di Cristo: e davanti alla sua morte formiamo seri propositi di emendarci. Continuamente sentiamo ripetere: « Popolo mio, popolo mio, che t’ho io fatto? In che ho potuto contristarti? Rispondimi! ». Non c’è nulla che possa scendere così profondamente al cuore come questo lamento! – C’è ancora un altro canto assai più antico, che esalta Cristo Dio. Questo canto si eseguisce in due lingue, in greco e in latino: « Agios o TheòsSancte Deus » « Dio santo, santo e forte, santo e immortale, abbi pietà di noi ». È il riconoscimento di Dio, davanti al segno glorioso della redenzione. In chiusa, si canta anche un cantico di gioia alla croce e alla redenzione del Signore: « La tua croce adoriamo, o Signore, e la tua santa resurrezione lodiamo e glorifichiamo: ecco che dal legno della croce è venuto il gaudio sul mondo intero ».

c) Dalla Messa dei Presantificati.

La terza parte della liturgia del Venerdì santo è la Comunione, Fin dai tempi antichissimi non si celebra oggi il Sacrificio della Messa; ma i primi Cristiani non volevano rinunciare alla Comunione. Nella Messa del giovedì venivano perciò consacrati molti pani e conservati per oggi. Questa Comunione senza il Sacrificio della Messa, che spesso troviamo presso i Greci nel tempo di Quaresima, si chiamava Messa dei Presantificati. – Nei primi tempi tutti i fedeli si comunicavano; oggi si comunica solo il sacerdote celebrante. In processione solenne si trasporta il calice con la S. Ostia ieri consacrata, dall’altare dove si è conservata all’altare maggiore.

Il coro canta il Vexilla Regis: « Del Re il vessillo spiegasi… », poiché si deve intendere chiaramente che ora si porta il Corpo sacrificato del Signore che fu tolto dalla croce. Il  sacerdote pone l’Ostia sul corporale; il diacono versa il vino nel calice e il suddiacono l’acqua. Il vino però non si consacra; serve solo all’abluzione. Si incensano l’Ostia e l’altare come nelle Messe cantate; il sacerdote si lava le mani in silenzio e recita poi la preghiera dell’offerta di sé e l’Orate Fratres, al quale non si risponde. È una parte dell’Offertorio. Il Canone è omesso per intero e il sacerdote incomincia subito il Pater e aggiunge ad alta voce la preghiera per la liberazione dal male (Libera nos). Quindi il sacerdote alza con la mano destra la S. Ostia per mostrarla al popolo, la spezza in tre parti come di solito e mette la più piccola nel calice; recita l’ultima preghiera di preparazione alla S. Comunione (poiché in essa si parla soltanto della recezione del Corpo del Signore), e dopo aver ripetuto per tre volte il « Domine, non sum dignus », si comunica con la S. Ostia, prende il vino e purifica il calice. E con ciò si chiude la Messa, che in realtà è la comunione del celebrante.

Diamo uno sguardo riassuntivo all‘Ufficio divino del Venerdì santo: nel Mattutino abbiamo visto Cristo nel suo annientamento umano « come un verme, l’obbrobrio degli uomini ». Nella Messa dei Presantificati ci viene incontro come Salvatore, anzi come re sul trono della croce. E questo in tre parti: nella prima parte nel Passio di S. Giovanni e nelle invocazioni; nella seconda con lo scoprimento e l’adorazione della croce; nella terza alla Comunione, nell’Agnello immolato e glorificato.

2. DAL MATTUTINO DEL SABATO SANTO.

– E’ la terza parte della grandiosa trilogia: Cristo giace nella tomba e la Chiesa, seduta accanto al suo sepolcro, fa sentire i suoi lamenti. Dopo l’aspro combattimento, Cristo riposa in pace, e noi vediamo sul suo corpo le tracce dei suoi indicibili dolori. Mentre ieri i Responsori erano i lamenti che uscivano dalla bocca stessa di Cristo, oggi essi sono di solito l’espressione del cordoglio della Chiesa. Dalle lamentazioni, però, traspare la speranza: oggi l’orizzonte è più tranquillo e più rischiarato, solo verso la fine il Mattutino torna alle note di dolore e ciò non ci deve destar meraviglia, poiché il Mattutino deve rappresentare la Chiesa che piange, perché le fu portata via lo sposo divino. Ancora si vedono le ferite sanguinanti; esse invocano continuamente il castigo sopra l’infedele Israele; i nemici si accaniscono con Gesù e con menzogne e calunnie cercano di cancellare perfino la memoria del Maestro; Maria e i discepoli sono nel più profondo cordoglio; e la Chiesa deve constatare con immenso strazio che molti dei suoi figli scendono dal Golgota nella freddezza e nell’indifferenza. – La differenza che troviamo in questo Mattutino in confronto con gli altri sta in un progressivo svolgimento dell’azione; e questo specialmente si nota nelle antifone « Il mio corpo riposa nella speranza » (salmi). – Si potrebbe dividere il dramma sacro in sei parti: mentre la Chiesa sta presso il sepolcro, passano davanti al suo spirito sei scene:

.1.  La pace del Sepolcro (I Notturno): « In pace dormirò e mi riposerò ». « Egli riposerà sul monte santo ». « Il mio corpo riposa nella speranza » (salmi).

2. L’ingresso dell’anima di Gesù nel Limbo (II Notturno): «Alzatevi, o porte eterne, che entrerà il Re della gloria » (salmo XXIII).

3. La speranza della resurrezione: « Credo che vedrò il Signore nella terra dei viventi ». « Tu traesti fuor dall’inferno l’anima mia » (Salmi XXVI e XXIX).

4. Il sigillo apposto alla tomba (lettura del II Notturno).

5. Gesù vincitore dei suoi nemici (III Notturno, salmi LII e LXXV).

6. Riassunto delle impressioni: Profondo cordoglio e lamentazioni: « Come uomo senza soccorso, inviato tra i morti » (salmo LXXXVII). Inoltre i Responsori: I, II, III. IV, V. VI, VII; l’ultimo ci dà la scena di chiusa del Sabato Santo: Gesù nella tomba e i soldati chefanno la guardia. –  Osserviamo ancora la parte importante, assegnata inquesto Mattutino alle Antifone. Certi salmi non sonostati scelti per il loro contenuto completo, ma anche per un solo versetto (p. es.: salmi IV, XIV, XXIII).L’azione prosegue fino alla soglia della resurrezione pasquale. Ma poi d’un tratto mentre attendiamo il lietoAlleluia, torna il pianto accorato sul Morto, quasi adirci: Fermati! Vedi, il Signore è ancor nella tomba.

Il Mattutino ha un fascino speciale, che si può comprendere solo con una sentita compartecipazione alla passione del Signore. E forse il suo fascino sta proprio nei vari sentimenti che esso suscita nel cuore: di dolore, di speranza, di trepida gioia.

SETTIMANA SANTA: IL SACRO TRIDUO (2022)

IL SACRO TRIDUO

( P. PIO PARSCH O.S.A.: L’ANNO LITURGICO – VOL. III – IV Ed. Soc. Ed. VITA E PENSIERO, MILANO, 1949

I tre ultimi giorni della Settimana santa si chiamano spesso triduo sacro (triduum sacrum). Si possono meditare in tre modi:

a) Essi sono, anzitutto, centro e fine del tempo in preparazione alla Pasqua. La Chiesa è maestra nell’arte di condurre ad ascendere a poco a poco; dalla Settuagesima in poi, noi abbiamo seguito un continuo crescendo: prima tappa, il Tempo di Settuagesima; poi la Quaresima, nella quale abbiamo avuta una continua spinta a progredire; poi il Tempo di Passione. Un’altra tappa fu la Domenica delle palme con l’entrata nella Settimana santa. Ora entriamo nel Santo dei santi: È triduo sacro.

b) Questi tre giorni appartengono ormai alla Pasqua; poiché la morte e la Resurrezione di Cristo sono inseparabili e formano i misteri pasquali. Così noi facciamo il passaggio dalla Settimana santa alla settimana di Pasqua, quasi senza accentuarlo. La solennità del Sabato santo è già celebrazione della resurrezione e del Battesimo.

c) I tre giorni possono essere considerati come una unità; un vero triduo o trilogia, un dramma unico in tre parti: il dramma della redenzione di Cristo. Sotto questo punto di vista abbiamo già considerato anche il Mattutino. Altrettanto si può dire degli altri uffici. L’Ufficio delle tenebre accentua piuttosto la « Passione dolorosa » e i lamenti del Signore morente; mentre gli altri uffici hanno diverso contenuto ed esprimono un diverso atteggiamento dell’anima. Essi celebrano soprattutto la « Beata Passio » e hanno per oggetto l’aspetto vittorioso della redenzione di Cristo. Il Mattutino, del resto, sono di origine relativamente recente (VIII, IX secolo), mentre gli altri uffici risalgono ai tempi più antichi. – Il contenuto principale della trilogia dei Mattutini è: l’agonia, la morte di croce, la pace della tomba. Invece gli altri uffici trattano: dell’Eucaristia, del trionfo della croce, del Battesimo e della Resurrezione. In tal modo trova alimento tanto la pietà soggettiva, quanto la pietà oggettiva. Nella nostra anima si alternano la « Passione dolorosa » e la gloria della croce. – Nel Medio Evo questi tre giorni erano giorni di risoso; sospeso il lavoro, il popolo poteva tranquillamente prender parte alle sacre funzioni. I Cristiani dovrebbero comprendere che la celebrazione di queste giornate, le più ricche di sacre memorie, esige una conveniente preparazione e l’anima quieta. Purtroppo le circostanze attuali impongono, alla maggioranza, di non poter seguire appieno le cerimonie di questi giorni. In qualche regione almeno il Venerdì santo è giorno di riposo; e di ciò approfittano i parroci zelanti per la celebrazione della odierna liturgia. In ogni caso è raccomandabile il possibile per tenersi un po’ liberi in questi tre giorni. Chi può andare alla parrocchia, seguirà lì le sacre cerimonie. Le donne di casa facciano in modo di aver terminata la pulizia per la Pasqua almeno il mercoledì. Si veda nelle famiglie la buona disposizione a vivere degnamente questi giorni. I pastori di anime dovrebbero disporre l’orario delle sacre funzioni in modo da rendere possibile l’intervento anche agli uomini che sono occupati. È così triste tenere le sacre nella Chiesa quasi vuota, oppure solo davanti a vecchi e bambini.

GIOVEDI SANTO

(doppio di I classe)

Stazione  a  S. GIOVANNI IN LATERANO.

La passione di Gesù, il corpo di Gesù, l’amore di Gesù

Nella liturgia romana questo giorno si chiama: « La Cœna Domini, la cena del Signore », e spiega già l’avvenimento principale del giorno: l’istituzione del santissimo Sacramento durante l’ultima Cena. Mentre nel Mattutino si è considera specialmente l’agonia di Gesù nell’orto, nelle cerimonie del giorno il punto centrale è dato dall’ultima cena. Richiamiamo brevemente alla nostra memoria gli avvenimenti dell’ultima cena: al mattino Gesù manda i suoi due Apostoli prediletti Pietro e Giovanni, da Betania a Gerusalemme per preparare il primo Sacrificio della Messa. Nel tardo pomeriggio, Gesù lascia Betania, prende congedo dalla Madre, passa attraverso il monte degli ulivi; si reca nella sala del banchetto. – Dopo il tramonto del sole comincia la cena. Ecco l’ordine degli avvenimenti: 1) La cena di Pasqua (Agnello pasquale); 2) La lavanda dei piedi; 3) La denunzia del traditore; 4) L’istituzione della SS. Eucarestia; 5) Il discorso di addio e la preghiera sacerdotale. Le cerimonie si dividono in quattro parti: l) La Messa; 2) La consacrazione degli Olii santi; 3) La spogliazione degli altari; la lavanda dei piedi.

LA RICONCILIAZIONE DEI PENITENTI.

– Nel Pontificale romano c’è ancora oggi questa cerimonia commovente: che se non è più in uso, tuttavia essa può insegnarci lo spirito di penitenza, e la gioia della riconciliazione. Il Vescovo col suo clero in vesti di penitenza violacee, si ginocchia davanti all’altar maggiore e tutti recitano i salmi penitenziali e le litanie dei Santi. Intanto i penitenti attendono fuor della porta, a piedi nudi, prostrati al suolo, tenendo in mano una candela spenta. Alle prime invocazioni delle litanie dei Santi, il Vescovo manda due suddiaconi con candele accese incontro ai penitenti. I suddiaconi, sulla soglia della chiesa, alzano la mano e mostrano le loro candele accese e, davanti ai penitenti, cantano il primo messaggio di pace: l’Antifona: « Come è vero che Dio vive, io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva ». Ciò detto, spengono i ceri e tornano dal Vescovo. Subito il Vescovo manda due altri suddiaconi incontro ai pubblici penitenti; e dalla loro bocca risuona, dalla soglia della chiesa, il secondo messaggio di pace, l’Antifona: « Il Signore dice: fate penitenza, ché il Regno dei cieli è vicino »; spente le loro candele, anch’essi tornano dal Vescovo nell’interno della chiesa. Ma ora è finita l’attesa dei penitenti. – All’Agnus Dei delle litanie, il Vescovo invia uno dei diaconi più attempati, con un cero acceso. Appena egli, ritto sulla soglia della chiesa, ha cantato l’Antifona « Alzate il vostro capo, ecco è prossima la vostra salvezza », accende con la sua le candele dei penitenti e non spegne più il cero, ma torna con esso al Vescovo che l’ha inviato. Come è ben simboleggiata nelle tre Antifone l’efficacia delle litanie dei Santi per i penitenti! Dopo il canto delle litanie segue la cerimonia della riconciliazione fatta dal Vescovo stesso. Egli lascia l’altare e si reca con tutto il clero nel mezzo della navata. Lì siede sopra una sedia senza spalliera e il clero si schiera in due file alla porta di entrata. L’arcidiacono, vestito solennemente, va verso i penitenti che stanno fuori delle porta e li chiama forte: « Fate silenzio ed ascoltate attentamente ». Si rivolge al Vescovo e gli legge un lungo discorso, nel quale allude al giorno della grazia, che sta per sorgere: « È giunto, o venerato pastore, il tempo pieno di grazia, il giorno della bontà divina e del soccorso, il giorno in cui, atterrata la morte, comincia la vita eterna. Nella vigna del Signore degli eserciti i nuovi tralci devono essere potati, per purificare i vecchi tronchi ». A queste parole il Vescovo si alza e passando attraverso le file del clero, si mette davanti al portale della chiesa. Qui egli stesso tiene un breve discorso alla schiera dei penitenti, ai quali ricorda la bontà divina e il sacrificio del perdono; annunzia loro che quanto prima saranno riammessi nella Chiesa e spiega ad essi quale dovrà essere d’or innanzi la loro vita. Dalle parole egli passa al canto: un canto di paterno invito: « Venite, venite, o figli, venite, voglio insegnarvi il timor santo del Signore ». Il diacono, che è dalla parte dei penitenti risponde: « Inginocchiamoci ». E tutti i penitenti genuflettono. Il diacono che è dalla parte del Vescovo, ordina: « Alzatevi » e ancor due volte i penitenti si inginocchiano e si alzano all’invito del diacono. È ormai prossima l’entrata della processione coi penitenti. Lentamente il Vescovo varca il portale e prende posto nell’interno della chiesa, presso il portale stesso: « Entrate e sarete illuminati; e il vostro volto non dovrà arrossire ». Subito viene intonata un’Antifona (tolta dal  salmo XXXIII), che descrive la fedeltà accordata a coloro che temono il Signore. Durante questo canto i penitenti si prostrano al suolo e vi rimangono tra le lacrime finchè è terminato il salmo. Allora l’arcidiacono presenta, leggendola, al Vescovo la replica per la riconciliazione dei penitenti: « Apostolico pastore, degnati di ridar loro ciò che per le istigazioni del demonio essi avevano perduto. In forza delle preghiere e dei tuoi meriti, siano riavvicinati a Dio questi uomini, per la Grazia del perdono divino. Molto hanno sofferto per i loro traviamenti, ma ora il Signore li vuole nella terra dei viventi e possono perciò aspirare alla felicità, essendo debellato l’autore della loro morte ». Il  Vescovo fa alcune domande per sapere se i penitenti siano degni del perdono e, alla risposta affermativa ha luogo il solenne ingresso nella chiesa. Ancor una volta si leva la voce del diacono: « Alzate il vostro capo » I penitenti si alzano. Il Vescovo porge la mano ad uno di loro, il quale a sua volta prende la mano del vicino e così tutti in fila, tenendosi per mano; sotto la guida del Vescovo, entrano nella chiesa. Che singolare corteo! Che magnifica impressionante scena liturgica! – Con la mano libera il Vescovo tiene il pastorale mentre i fedeli portano ceri accesi. Precede il vescovo nei paramenti violacei, seguono i penitenti nei loro lunghi sai di penitenza. È un passaggio suggestivo dalla severità alla gioia della penitenza. Il coro canta lietamente l’Antifona: « Io vi dico che gli Angeli del cielo fanno festa per un solo peccatore che si converta! ». Il Vescovo, nel mezzo della chiesa, parla ai penitenti che lo circondano e ricorda la gioia del padre per il ritorno del figliol prodigo e prosegue cantando: « Rallegrati, figlio mio, perché tuo fratello era morto ed ora vive, era perduto ed è stato ritrovato ». Ritrovato poiché ora si compie la riconciliazione. Il Vescovo canta una preghiera, nel tono del Prefazio: ricorda al Padre celeste che il Redentore è morto per sanare tutte le ferite « perché risorgiamo per la sua benignità », e supplica il Padre di perdonare i peccati degli uomini. La scena cambia d’un tratto: è il grande momento in cui viene pronunciata la sentenza di una piena riconciliazione: tutti s’inginocchiano: il Vescovo sopra un tappeto, clero e popolo sul terreno. Si intona l’Antifona « Cor mundum »: « Crea in me, o Signore, un cuore mondo e rinnova in me lo spirito di perseveranza », si cantano i salmi L (il grande Miserere), LV (la fiducia in Dio nelle stringenti necessità), LVI (la vittoria della fiducia). Quindi il Vescovo si alza e recita sopra i penitenti sei lunghe preghiere per impetrare la remissione dei peccati e finalmente impartisce l’assoluzione solenne: « Nostro Signore Gesù Cristo per mezzo mio, suo servo, vi assolva da tutti i vostri peccati, e dopo avervi assolti, vi conduca per sua misericordia nel suo Regno celeste! ». Poi egli asperge i penitenti per la prima volta rendendo loro gli onori liturgici perduti, con l’acqua benedetta, e li incensa, dicendo: « Alzatevi voi che dormite, alzatevi dalla morte e Cristo vi illuminerà! ». In chiusa egli concede loro l’indulgenza plenaria e la benedizione pontificale. E con ciò essi sono pienamente riammessi nella comunità della grazia e della vita liturgica.

2. – DELLA MESSA.

La Messa del giovedì santo ha una specialissima importanza, perché si celebra in memoria dell’ultima cena ed è oltremodo commovente e suggestivo, nello spirito della liturgia, essere partecipanti e non semplici spettatori; dobbiamo sostituirci ai discepoli che nel cenacolo erano raccolti intorno al Maestro che lavava loro i piedi e porgeva ad essi il suo Corpo e il suo Sangue. – La Messa ha una doppia intonazione: lieta e triste. Lieta: l’altare è adorno; la Croce sopra l’altar maggiore velata di bianco; i sacerdoti vengono alla Messa in bianche vesti; sì canta gioiosamente il Gloria, che manca da molto tempo. E, per l’ultima volta, tutte le campane suonano a festa, ma le campane tacciono presto in segno di dolore. Sulla festosità di questo giorno consacrato all’istituzione della SS. Eucarestia, si tende un velo di lutto, oggi può essere celebrata in ogni chiesa una sola Messa. Il sacerdote, che nel rango ecclesiastico è superiore agli altri, prende il posto di Cristo; gli altri si mettono tra i discepoli e ricevono la santa Comunione dalle mani di lui. La Messa dovrebbe essere una vera festa di famiglia, che riunisce il parroco, i soi coadiutori e tutti i fedeli — Cristo e i suoi discepoli — attorno alla tavola del Signore.

La stazione oggi è a S. Giovanni in Laterano. la vera Chiesa parrocchiale della cristianità. Così, secondo la liturgia è l’intera famiglia della Chiesa romana che si riunisce per la celebrazione dell’ultima cena. All’Introito sentiamo la fiera affermazione di Paolo: « Noi dobbiamo gloriarci della croce di Cristo… ». Tutta la felicità della redenzione si rivela al nostro sguardo. Quasi dimentichiamo la parte dolorosa della Passione per vedere solo la Resurrezione, il pensiero della quale si prolunga nella Colletta e nel Graduale (« perciò Dio l’ha esaltato ». La Messa appartiene dunque già alla solennità pasquale. – La Colletta porta due pensieri che si riferiscono alle due persone di Giuda e del buon ladrone. Il buon ladrone rappresenta i penitenti che oggi vengono riconciliati; perciò l’Offertorio parla in loro nome: « Io non  morrò, ma vivrò e racconterò le opere del Signore ». Di Giuda e della sua condanna la liturgia parla in alcuni passi: nella Epistola (Cor. XI, 20-32) (almeno nell’allusione alle Comunione indegna) e nel Vangelo « quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota il pensiero di tradirlo… ». Osserviamo il contrasto nel Canone: « Nel giorno nel quale il nostro Signore Gesù Cristo fu dato (=traditus) per noi… » nel giorno  tesso « nel quale il nostro Signore Gesù Cristo commise (= « tradidit ») ai suoi discepoli la celebrazione dei suoi Misteri… ». Il Vangelo (Joan. XIII, 1-15) racconta l’atto di umiltà di Gesù che lavò i piedi agli Apostoli. È un’eloquente lezione di amor del prossimo che Egli ci dà. Le due letture sono il testamento del Maestro che si congeda: Egli ci lascia il suo corpo e il suo amore. Oggi non si dà il bacio di pace; i liturgisti del Medio Evo ne vedono la ragione nel bacio di Giuda; il vero motivo però dovrebbe essere un altro, poiché il bacio non c’è nemmeno nel Sabato santo; dunque è omesso durante tutto il rito. – Con la Comunione si collega il ricordo di ambedue le grandi prove di amore date in questo giorno dal Signore: l’Eucarestia e la lavanda dei piedi; questa ultima forma l’oggetto dell’Antifona. C’è in questo un pensiero profondo: noi non possiamo imitare la oblazione eucaristica; ma l’amore vicendevole e servizievole che si manifesta nella lavanda dei piedi, sì. Questo amore è la espressione e il compimento di quella unità con Cristo e coi fratelli che l’Eucaristia stabilisce in noi. Dopo la Messa le particelle consacrate vengono riposte in una cappella a parte; e questo vuol dirci: lo sposo è portato via; la Chiesa è vuota! Il pensiero della Chiesa primitiva era diverso, la processione con le particole consacrate che rimanevano dopo ogni Messa, veniva ripetuta ogni giorno, poiché la Eucaristia non era conservata, come oggi, nelle chiese. La chiesa non resta vuota, Cristo è presente, raffigurato nell’altare e la Casa di Dio è l’abitazione augusta della SS. Trinità!

3. CONSACRAZIONE DEGLI OLII. SANTI.

– È raro poter assistere alla cerimonia della consacrazione degli Olii santi, poiché si fa solo nelle chiese cattedrali dove officina il Vescovo. Per Pasqua la materia di tutti i sacramenti deve essere rinnovata; e poiché alla vigilia occorrono già gli Olii santi per la benedizione del fonte battesimale, così il Vescovo li consacra oggi.

Sappiamo che ci sono tre specie di Olii nella Chiesa. L’olio per l’estrema Unzione, l’Olio per i catecumeni e il sacro Crisma.

L’Olio dei catecumeni si adopera per la benedizione del fonte battesimale, per l’amministrazione del Battesimo, per la consacrazione dei sacerdoti e per quella degli altari. – Il sacro Crisma è il più santo tra tutti gli Olii, perché è, in certo senso, tramite dello Spirito Santo; si adopera nel Battesimo, nella Cresima, nella consacrazione episcopale, in quella delle chiese, dei calici, delle patene e delle campane. La consacrazione degli Olii santi si compie in modo solennissimo. Secondo l’uso antico vi partecipano dodici sacerdoti, sette diaconi, e sette suddiaconi, cioè i rappresentanti di tutti gli Ordini maggiori. In primo luogo si benedice l’Olio per l’estrema Unzione e precisamente alla fine del canone della Messa, prima del Pater Noster, nella stesso punto in cui, nel tempo antico, si benedicevano le offerte non consacrate; gli altri due Olii vengono benedetti dopo la Comunione. L’efficacia di questi Oli è espressa nelle preghiere della benedizione. L’Olio dei catecumeni serve di « purificazione dell’anima e del corpo » e deve sgominare l’influenza delle dodici potenze infernali. – Il sacro Crisma porta la grazia e la santificazione. Dove prende il suo nome da Cristo, che vuole dire Unto; è l’Olio dei sacerdoti, dei re, dei profeti, dei martiri; per mezzo del sacro Crisma i fedeli « vengono investiti della dignità regale, sacerdotale e profetica e rivestiti col manto della Grazia incorruttibile ».

4. LA SPOGLIAZIONE DEGLI ALTARI.

Dopo la Messa si spogliano gli altari; cioè si tolgono le tovaglie e perfino le reliquie. Quest’uso nei tempi antichi era quotidiano, poiché allora si considerava l’altare come la tavola, che si copre solo per il banchetto, come si fa per la mensa nelle case private. Questo uso antico si è conservato nella Settimana santa, insieme ad altri dell’antica Chiesa, in memoria della Passione del Signore. L’altare è figura di Cristo. La spogliazione dell’altare allude alla spogliazione di Cristo prima della sua crocifissione, perciò durante la cerimonia si canta il salmo XXI, col ritornello: « Si sono divise le mie vesti e tirarono a sorte la mia tunica ». Il salmo XXI è il salmo messianico della Passione, nel quale Davide contempla l’abbandono di Gesù sulla croce. La Chiesa, spoglia di ogni ornamento, dà oggi l’impressione della desolazione e della solitudine. Il S. Sacrificio si interrompe fino alla resurrezione del Signore.

5. LA LAVANDA DEI PIEDI.

– Nelle chiese cattedrali e in quelle dei monasteri si conserva un uso venerando che negli antichi tempi non era limitato al solo Giovedì santo: la lavanda dei piedi; cerimonia chiamata anche « mandatum » cioè comando del Signore. Mentre il Vescovo o l’Abate lava i piedi a dodici vecchi (o a dodici fanciulli), il coro canta un bellissimo inno all’amor del prossimo: Dove c’è l’amore e la carità fraterna, ivi è Dio; / rallegriamoci e giubiliamo in lui. / Temiamo e amiamo Dio, che è vita / e amiamoci scambievolmente con cuore puro ». C’è in questo canto un senso di freschezza, di pace, di amabilità, di serenità ingenua. È  veramente il canto dei figli di Dio, della famiglia di Dio unita nella carità. La lavanda dei piedi non deve essere considerata come uno spettacolo qualunque, ma deve darci insegnamenti per la nostra vita. Abbiamo visto che una parrocchia potrebbe, in questo giorno offrire il pranzo a dodici dei suoi poveri più anziani e che gli uomini più autorevoli potrebbero servirli, oppure i singoli fedeli potrebbero invitare un povero alla loro mensa e mentre mangi leggergli il Vangelo della lavanda dei piedi e parlargli dell’amore del prossimo. – L’Ufficio divino del Giovedì santo può essere riassunto in tre parole: il corpo di Gesù, la passione di Gesù, l’amore di Gesù.

6. DAL MATTUTINO DEL VENERDI’ SANTO.

– La seconda parte della trilogia e il punto culminante di essa, è il Mattutino del venerdì santo. Potremmo chiamarlo: la morte di Cristo sulla croce. Quantunque l’azione non si svolga in ordine cronologico, possiamo stabilire come scena centrale Gesù pendente dalla croce e considerare le altre scene di questo giorno come figure e ricordi che passano davanti allo sguardo del Salvatore crocifisso. I sentimenti espressi nel Mattutino scelti tra i salmi più cupi e desolati del Salterio sono profondamente tristi; le Lamentazioni sembrano voler accrescere il dolore; altrettanto tristi, quanto belli, sono i Responsori.

Rappresentiamoci il Signore in croce e ascoltiamo le espressioni del suo affetto e del suo dolore: ora è l’abbandono senza conforto; ora il lamento desolato; pensiamo alle scene dei giorni trascorsi o della sera precedente che Egli rievoca.

Rileviamo i passi più belli del Mattutino:

Al primo Notturno comincia il combattimento dei Giudei e dei Gentili contro Dio e il suo Cristo (salmo Il). Poi vediamo la divina vittima sulla croce: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? ». Cantiamo il salmo messianico XXI: « Si sono divise le mie vesti tra loro e tirarono a sorte la mia tunica ». Questo canto è uno dei passi più importanti del Mattutino. Segue un salmo di calma fiducia, il quale esprime i sentimenti dell’anima del Signore in mezzo all’angoscia mortale: « Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di che temerò? ». – Nelle letture vediamo la sposa disonorata: « A chi ti paragonerò, a qual cosa ti somiglierò, o figlia di Gerusalemme?… poiché grande come il mare è il tuo dolore ».  La liturgia spiega di nuovo una scena del Golgota: « il velo del Tempio si squarciò, e tutta la terra tremò; gridò il ladrone dalla croce: ricordati di me, o Signore, quando sarai giunto nel tuo regno. Le rupi si spezzarono e si aprirono i sepolcri, molti corpi di santi, che erano addormentati, risorsero ». Nella terza lettura ecco l’Uomo dei dolori, Cristo: « Io sono l’Uomo che conosce la miseria sotto la verga dell’ira. Mi ha trascinato e condotto nelle tenebre e non nella luce ».

Nel secondo Notturno recitiamo il salmo della flagellazione XXXVII: « Non c’è parte sana nella mia carne a cagione dell’ira tua; non hanno pace le mie ossa a causa dei mici peccati ». Nulla è così commovente come la preghiera di Crito sulla croce (salmo XXXIX). –

Nelle lezioni ascoltiamo nuovamente S. Agostino che applica il salmo LXIII alla Passione di Cristo. Il quinto Responsorio, a metà del Mattutino, descrive la morte delSignore. – Nel terzo Notturno il salmo LXXXVII, profondamente triste, ci mette davanti al punto culminante del dramma: « La mia anima è piena di dolori e presso al sepolcro è la mia vita ». – Le lezioni portano un pensiero affatto nuovo: Cristo è il nostro eterno Pontefice che sull’altare della croce compì il suo Sacrificio unico, il sacrificio perfetto perché ad un tempo Egli fu sacerdote e vittima. – L’ultimo Responsorio mostra il quadro finale: Cristo all’estremo dei suoi dolori:

« Si sono offuscati i miei occhi nel pianto, poiché s’è allontanato da me colui che mi consolava. Mirate, o popoli tutti, se vi è dolore simile al mio dolore ».

SETTIMANA SANTA: MERCOLEDI’ (2022)

(PIO PARSCH O.S.A.

L’ANNO LITURGICO –

VOL. III – IV Ed. Soc. Ed. VITA E PENSIERO, MILANO, 1949)

L’UFFICIO DELLE TENEBRE. –

Chi ama la liturgia impiegherà ogni momento libero per prepararsi bene alle funzioni della Settimana santa. Nelle parrocchie la preparazione è certamente incominciata da molto tempo. I parroci dovettero già, durante la Quaresima, spiegare ai loro parrocchiani il contenuto spirituale della Settimana santa. Ma in questi due giorni è assolutamente necessario e urgente portare a termine la preparazione. Oggi consideriamo in modo particolare il Mattutino dei tre ultimi giorni, l’Ufficio delle tenebre. Che cosa è il Mattutino? È una parte della preghiera liturgica del Breviario e precisamente la preghiera notturna della Chiesa, che considera nel Mattutino la festa del giorno seguente. La Chiesa raccoglie in essa i pensieri e i sentimenti di tutta la giornata liturgica. E  poiché i tre ultimi giorni della settimana racchiudono per noi Cristiani gli avvenimenti più importanti dell’anno, è logico che al Mattutino relativo si debba avere una speciale ricchezza di contenuto. In realtà vi è quanto di più bello e commovente può avere la Chiesa nel tesoro delle sue preghiere. I tre Mattutini rappresentano le tre parti del dramma della Passione. La prima parte è il Mattutino del Giovedì santo; imponente introduzione al dramma grandioso, il pensiero centrale è la Passione intima del Signore, la Passione nelle sue cause. Le scene dominanti sono: l’agonia nell’orto degli ulivi; il tradimento di Giuda e l’istituzione della SS. Eucarestia. – La seconda parte è il Mattutino del Venerdì santo, il quale ci fa considerare il momento culminante del dramma della croce. L’azione si svolge sul Golgota. Questo Mattutino è anche il più impressionante e il più triste di tutti. – La terza parte ci infonde già un senso di sollievo. Dal Mattutino del Sabato santo traspira la pace dopo la tempesta; ci sentiamo trasportati a poco a poco verso le speranze della resurrezione, malgrado abbia ancora espressioni di dolore allorché considera le ferite sanguinose del grande Sacrificato! Fermiamoci, solo un momento, a considerare le Lamentazioni e i Responsori.

Le lamentazioni sono canti nei quali il profeta Geremia ha trasfuso il più amaro cordoglio per la distruzione di Gerusalemme e la prigionia del popolo di Israele. Nel Mattutino sentiamo le voci di dolore della umanità penitente, la sposa infedele, per la quale lo sposo soffre e muore. Nelle Lamentazioni, la Chiesa vuole metterci davanti la nostra anima nella quale, come in uno specchio, possiamo riconoscere la miseria spaventosa del peccato. Perciò ogni canto si chiude col grido impressionante: « Gerusalemme, Gerusalemme, convertiti al Signore Dio tuo! ». Le Lamentazioni si cantano su di una melodia piena di mestizia, la cui eco si perde nella lontananza dei tempi, forse nell’antico evo giudaico. Si ripercuotono nella nostra stessa anima le note lente e severe ripetute sempre alla stessa maniera senza mai cessare, quelle note che hanno toccato e commosso migliaia di cuori ed hanno suscitato l’estatica ammirazione dei più famosi artisti: « perché siede così abbandonata la città che fu un tempo sì popolosa? / La regina dei popoli è diventata una vedova, / la regina delle nazioni è diventata suddita… / o voi tutti, che passate per la via, guardate / se c’è un dolore simile al mio dolore… / A chi posso paragonarti, a chi dirti simile, figlia di Gerusalemme? / Chi posso mettere al tuo fianco per confortarti, vergine figlia di Sion?/ Poiché il tuo dolore è grande come il mare… ».

Anche i Responsori vengono cantati solennemente dopo le Lamentazioni. Che cosa sono i Responsori? Dopo ogni lezione la Chiesa ha cura di non passare immediatamente alla lezione successiva, ma fra l’una e l’altra intercala un canto che è al tempo stesso un’eco della lezione. Anche nella Messa, dopo l’Epistola segue un Responsorio: il Graduale. I Responsori nel Mattutino della Settima santa sono tra i passi più belli. Vi sentiamo accenti di dolore che escono, ora dalla bocca stessa del Salvatore sofferente, ora da quella della Chiesa. Sono canti sempre alternati, ora semplici, ora lirici, ora altamente drammatici. Gli esempi seguenti ci danno un’idea di questi canti. Al Giovedì santo la Chiesa dice di Giuda: « Giuda, anima miserabile, venale, / tradì il Signore con un bacio. / Il Signore, come Agnello innocente, / non ricusò il bacio di Giuda. / Per pochi denari lo consegnò ai giudei. / Meglio sarebbe stato per lui che non fosse nato ». – Al Venerdì santo la Chiesa ricorda la morte di Cristo: / « Si fece notte, / allorché i giudei crocifissero Gesù; / e verso l’ora nona Gesù gridò con gran voce: / Mio Dio, perché mi hai abbandonato? / E, chinato il capo, rese lo spirito. / Gesù gridò con gran voce: / Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito ».

Il Mattutino del Sabato santo è il lamento della Chiesa alla tomba del suo sposo: « Gerusalemme sorgi, deponi gli abiti da festa, / copriti con la cenere e col cilicio, / perché in te è stato ucciso il Salvatore d’Israele».

Quando comincia il Mattutino si mette davanti all’altare un candelabro con quindici candele, quattordici gialle e una bianca. Queste candele si spengono una per una, dopo il canto di ciascun salmo (nove nel Mattutino e cinque nelle Lodi). La candela bianca resta accesa, ma alla fine essa viene portata dietro l’altare e poi di nuovo ripresa dopo che il coro ha fatto del rumore. – Originariamente questa cerimonia aveva uno scopo pratico. Nel Medio Evo il Mattutino si recitava nella notte perciò si chiama anche Tenebræ. Allorchè si spegneva una candela, i fedeli capivano che era finito un salmo. Più tardi a quest’uso fu dato un significato simbolico: le candele gialle indicano i discepoli, i quali uno dopo l’altro se ne andarono; la candela bianca, Gesù, la cui luce fu bensì oscurata per breve tempo dalla morte, ma poi riapparve luminosa nella resurrezione. Il rumore deve significare il terremoto al momento della sua Resurrezione. È specialmente commovente la chiusa dell’Ufficio delle tenebre. Allorché tutte le candele anche quelle sull’altare sono spente e la Chiesa si trova avvolta nella completa oscurità, tutti genuflettono. Allora si canta il versetto: « Cristo si è fatto per noi obbediente fino alla morte » (al Venerdì santo si aggiunge : « fino alla morte di Croce »: al Sabato si fa una nuova aggiunta: Perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è superiore a tutti gli altri nomi »). Poi si recita o si canta il salmo di penitenza, il Miserere, davanti all’immagine del Crocifisso. Tutti si alzano ed escono uno dopo l’altro, in profondo silenzio. ….

ATTIVA PARTECIPAZIONE ALLA SETTIMANA SANTA. –

Possiamo condurre i fedeli ad un’attiva partecipazione alla liturgia della Settimana santa? È già certo un buon risultato arrivare a far sì che tutti prendano parte passivamente, cioè senza spiegare una certa attività, ma col cuore e col sentimento, al dramma della Settimana santa. Anche per questo occorre una preparazione che deve cominciare almeno alcune settimane prima. Pensiamo quanti sono i salmi, le letture, le profezie. Ci sono molti cultori della liturgia che vanno a trascorrere questa settimana in qualche abbazia. Nelle abbazie la liturgia della Settimana santa si spiega in tutto il suo splendore; ed è una profonda gioia dello spirito prendervi parte. Ma il nostro desiderio vorrebbe spingersi più oltre: alla partecipazione attiva dei fedeli. Nella Domenica delle palme abbiamo già dato alcune indicazioni. Anche il laico riceve il ramo d’ulivo, anch’egli accompagna il Re dei martiri nella sua città; anch’egli lo adora dietro l’arco trionfale del tempio; anch’egli prende parte al canto drammatico della Passione: nella Domenica delle palme egli si sente il discepolo che accompagna «il Signore nella sua Passione e nella sua morte. L’Ufficio delle tenebre dovrebbe essere recitato e cantato dal popolo nelle parrocchie. -Il Giovedì santo è la vera festa eucaristica della famiglia; il parroco, i sacerdoti, tutti i fedeli intorno alla sacra mensa. Questo nella Chiesa primitiva avveniva ogni domenica. Purtroppo, attualmente, in questo giorno la maggior parte dei Cristiani riceve la S. Comunione fuori della Messa! – La cerimonia della lavanda dei piedi è ora cerimonia pontificale. Nelle parrocchie, dove essa potrebbe incontrare delle difficoltà, dovrebbe almeno essere osservato lo spirito del comandamento. (La lavanda dei piedi si chiama mandatum, comando). Sarebbe assai significativo, se il consiglio parrocchiale oppure qualche fedele potesse in quel giorno invitare a pranzo dodici vecchi, serviti a tavola dai sacerdoti o dai parrocchiani più distinti. – Nel Venerdì santo c’è la così detta predica del Venerdì santo, che dovrebbe essere inclusa nella liturgia, quale commento alla Passione dopo il Vangelo. Così, dopo le letture e i canti drammatici della Passione, i fedeli ascolterebbero la parola del sacerdote per preparare le anime all’adorazione della croce. Anche in questa edificante cerimonia il popolo non deve essere semplice spettatore. Dopo l’adorazione del sacerdote, la liturgia prevede che i fedeli vengano a baciare la croce. Le funzioni del Sabato santo appartengono invece alla notte di Pasqua.

MERCOLEDI SANTO

Stazione a S. MARIA MAGGIORE

Giuda, il traditore

Come al tempo di S. Leone I (m. 461), la Chiesa legge oggi il Passio secondo S. Luca, Le Antifone del giorno parlano di S. Pietro; la tradizione della Chiesa ricorda in questo giorno, come del resto in ogni mercoledì, il doloroso tradimento di Giuda.

Al mattino diciamo « Simone dormi? Non hai potuto vegliare un’ora sola con me? » (Lodi). Alla sera: «La serva disse a Pietro: Tu pure sei veramente uno di quelli; il tuo linguaggio stesso ti dà a conoscere (Vespro).

I. Dalla Messa (In nomine). – La stazione è oggi nella basilica di S. Maria Maggiore, una delle più grandi chiese di Roma. Questo fatto e la circostanza che la Messa ha tre letture, denota che essa è molto antica. La scelta delle letture è dovuta alla chiesa stazionale? S. Luca, l’evangelista del Passio odierno, fu quello che meglio dipinse la Madre di Dio. È certo che nessun evangelista ci diede un profilo così bello della Vergine santissima come seppe fare S. Luca. Pensiamo alla storia dell’infanzia di Gesù! Anche il profeta della nascita verginale di Gesù, Isaia, ha due volte la parola nella Messa. Un trittico dunque: nel mezzo la Madonna e ai lati Isaia e S. Luca. Ecco il quadro della Messa. L’inizio è solenne: il triplice regno di Dio si prostra, adorando, davanti al Signore obbediente fino alla morte di croce. Qui è la Chiesa, tutta la Chiesa trionfante, militante, purgante! Ma essa vede già il Redentore glorioso alla destra del Padre. Anche oggi un salmo (il salmo CI, accompagna la Messa; e questo pure è indice della sua antichità; lo conosciamo, perché appartiene ai salmi penitenziali e lo recitiamo per intero. Il canto viene messo sulle labbra del Salvatore sofferente, al quale si unisce il popolo. Osserviamo, nell’Introito, il grande contrasto tra l’antifona e il salmo: in quella vediamo il Signore che siede glorioso alla destra del Padre; nel salmo egli ci appare nel più profondo annientamento, come colui che ha obbedito fino alla morte di Croce. Alla Comunione rileviamo la relazione tra il salmo e la bevanda eucaristica: « Mescolai con lacrime la mia bevanda; perché tu dall’alto, mi scagliasti lungi da te… ». Quali dolori infatti è costata a Gesù l’eucaristica bevanda! Le due letture ci danno due profezie del profeta Isaia sulla Passione (Isai. LXII, 11; LXIII, 1-7 et LIII. 1-12). La prima parla del divino vendemmiatore: « Chi è costui che viene da Edom e da Bosra con le vesti tinte di rosso? Egli viene nel suo abbigliamento e avanza bello di potenza e maestà. Io sono (il Messia), che prometto la giustizia; io, che castigo, solo per salvare. Perché dunque è rosso il tuo vestito e le tue vesti sono come quelle di colui che pigia l’uva nello strettoio? Da me solo ho premuto il torchio e nessuna delle genti è con me. Io ho premuto i popoli nella mia collera  e li ho oppressi nel mio furore. Il loro sangue sprizzò sulle mie vesti e ne fu macchiato il mio mantello ». Cristo ha spremuto nel torchio della sua passione il vino eucaristico per noi. – Specialmente impressionante è la seconda lettura che descrive: « l’Uomo dei dolori » sul quale Dio ha caricato i peccati del mondo. « Disprezzato egli era, l’ultimo degli uomini, l’Uomo dei dolori che conosce il patire. Quasi nascosto era il suo volto e vilipeso onde noi non ne facemmo alcun conto. Veramente egli prese sopra di sé i nostri dolori e noi lo riportammo come un lebbroso e come percosso e umiliato da Dio. Ma egli è stato piagato per le nostre iniquità, è stato stritolato per le nostre scelleratezze. Per la nostra salute trovò i flagelli, per le sue lividure noi fummo sanati. Noi tutti, come pecore erranti, abbiamo deviato dalle sue vie. Il  Signore pose su di lui le iniquità di noi tutti. Egli fu sacrificato, perché ha voluto e non ha aperto bocca, come pecorella sarà condotta ad essere ucciso, come un agnello sta muto davanti a chi lo tosa ». Il Passio è il brano del Vangelo (Luc. XXII e XXIII) dell’amore misericordioso, nel quale troviamo alcune scene profondamente commoventi, per esempio, la parola di perdono rivolta da Cristo in croce al buon ladrone. Alla Comunione sentiamo per la prima volta la bella preghiera che ci accompagnerà durante il sacro triduo: « Riguarda benigno, o Signore, a questa tua famiglia, per la quale il nostro Signore Gesù Cristo non esitò a darsi nelle mani degli empi e a sopportare il tormento della Croce ».

2. Dal Divino Ufficio. –

L’Ufficio è pure pieno delle lamentazioni di Cristo. Osserviamo come oggi sono mesti i salmi, specialmente quelli delle Ore minori intonati proprio ai sentimenti del giorno. Così nel salmo LIV (a Terza) sul tradimento di Giuda: « Se m’avesse insultato un mio nemico l’avrei facilmente sopportato; se un avversario mi avesse oltraggiato, mi sarei nascosto davanti a lui. Ma tu, mio familiare, mio amico e mio confidente, che sedevi alla mensa con me e gustavi il dolce cibo, d’accordo andavamo alla casa di Dio… ». Nelle lezioni ha di nuovo la parola il profeta Geremia.

« Tutti quelli che ti abbandonano saranno confusi; quelli che si allontanano da te saranno scritti sulla sabbia, perché hanno abbandonato il Signore, sorgente di acqua viva. Risanami, Signore, e sarò guarito; perché tu sei la gloria mia!… Siano confusi quelli che mi perseguitano; essi e non io, siano presi da spavento; manda su loro il giorno dell’afflizione e percuotili con doppio flagello ».

« Signore, ascoltami; e ascolta la voce dei miei avversari. Così dunque si rende male per bene, poiché essi m’hanno scavata la fossa? Ricordati che mi sono presentato al tuo cospetto per intercedere per loro per stornare da essi l’ira tua! ».

La liturgia mette in bocca a Cristo queste parole. Anche i Responsori sono lamenti del Signore sofferente:

« Uomini empi mi circondarono e mi batterono con flagelli senza motivo. / Ma tu, Signore mia fortezza, proteggimi: / Il bisogno è estremo e non c’è alcuno che mi dia aiuto ».

3. Dal Mattutino del Giovedì santo. – Verso sera cantiamo il primo Ufficio delle tenebre. Il Mattutino del Giovedì santo è il primo della trilogia, il prologo del grande dramma. Il pensiero fondamentale è questo: La intera passione di Cristo nelle sue cause e nei suoi effetti: a) Presso i Giudei la morte di Cristo è ormai decretata; b) Giuda tradisce il suo Maestro: e di lui appunto oggi si parla diffusamente: c) l’agonia nell’orto e l’intera passione di Gesù nella sua anima e nella sua volontà; d) L’istituzione della SS. Eucarestia, è viva rappresentazione della Passione di Cristo. L’azione si svolge la sera del primo Giovedì santo: essa non prosegue secondo l’ordine cronologico come in un dramma, no: i pensieri partono di qui e sempre vi ritornano; alludono a scene della passione anche dei giorni seguenti: è come un mosaico di preghiera la cui unità è costituita dalla Passione di Cristo in generale, con speciale riferimento agli avvenimenti odierni.

I SALMI – Di solito nel Mattutino delle feste come nel Mattutino dei due giorni seguenti, i salmi sono propri, cioè dal tesoro dei 150 salmi si cercano quelli che nei pensieri e nei sentimenti s’adattano meglio alla ricorrenza. Ma oggi non è così: si recitano i salmi dal LXVIII fino al LXXVI. In una serie ininterrotta, quantunque non tutti si riferiscano alla passione (l’antico Mattutino feriale del mercoledì finiva col salmo LXVII, e perciò quello del giovedì cominciava col salmo LXVIII). – Forse si sono scelti appositamente questi salmi che non si riferiscono al pensiero della passione perché servano d’introduzione alla trilogia. – Abbiamo già parlato delle Lamentazioni. Sotto l’allegoria di Gerusalemme abbiamo sentito la sposa infedele, il lamento dell’umanità e dell’anima peccatrice che gemono sopra la propria indegnità e sul castigo meritato. Nelle preghiere dell’ufficio ascoltiamo il Signore che soffre; nelle Letture, l’umanità si batte il petto esclamando: « È per me che egli ha patito tanto! ».

I Responsori. – Nulla eguaglia la bellezza e la poesia dei Responsori dell’Ufficio delle tenebre, pur così semplici. Essi conferiscono drammaticità al Mattutino e ne mantengono l’unità d’azione. Già nel primo Mattutino si da un certo ordine e una gradazione. Nel primo Notturno si parla dell’agonia di Cristo nell’orto degli ulivi; nel secondo di Giuda; nel terzo dei discepoli addormentati e del piano di morte tramato dai Giudei. L’ultimo Responsorio di tutti e tre i Mattutini ci dà il quadro della situazione nel momento in cui l’azione arriva al parossismo. – Durante i tre giorni Geremia ha la parola nel primo Notturno; S. Agostino nel secondo; S. Paolo nel terzo. C’è anche in questo una ragione? Geremia rappresenta il Salvatore sofferente; Agostino e Paolo hanno sperimentato in loro stessi, al massimo grado, l’effetto della Passione di Cristo nella grazia della conversione. – Se consideriamo i Mattutini nel loro complesso, riscontriamo una bella unità d’azione.

4. DAI VESPERI. – L’agonia nell’orto occupa il primo posto; ce lo dicono i Salmi LXVIII, LXIX, LXX, LXXVI.

2. L’ultima Cena è ricordata nell’ottava lezione e anche nel salmo LXXI.

3. Singole scene della sera.

a) Giuda: nei Responsorî 4, 5, 6, 8.

b) Il sonno degli Apostoli: Responsorio 8.

c) I nemici: Responsorio 9.

4. Finalmente la Passione di Gesù in generale nei  Salmi LXXII, LXXIII, LXXIV, LXXV. Sesta lezione.

Passi classici: in primo luogo tutti i Responsori, belli il salmo LXVIII e l’ottava lezione. Le Lamentazioni sono sublimi.