IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO TERZO

LIBRO TERZO

SUI CAPITOLI SEI E SETTE

Apertura e spiegazione dei sette sigilli; della consolazione per la Chiesa trionfante e militante delle tribolazioni passate

SEZIONE I.

SUL CAPITOLO VI.

DELL’APERTURA E DELLA SPIEGAZIONE DEI PRIMI SEI SIGILLI.

I. San Giovanni, dopo aver descritto a sufficienza la natura della Chiesa di Gesù Cristo, la costituzione universale del suo regno e la maestà che ne deriva con la rivelazione divina che gli è stata fatta, passa a descrivere in dettaglio i particolari che segnaleranno il progresso della Chiesa fino alla consumazione dei tempi. Egli enumera, per esempio, le orribili persecuzioni, le eresie, i regni dei tiranni; così come le consolazioni che la Chiesa riceverà, ciascuna a suo tempo. Tutte queste cose sono rivelate all’apertura dei sette sigilli. Ma prima di cominciare, è opportuno osservare qui: 1° Che i cavalli e coloro che li cavalcano significano, in questa descrizione, una guerra spirituale tra il regno di Cristo ed il regno di questo mondo. 2°. L’Apostolo raffigura quattro tipi di cavalieri, per significare che questa guerra spirituale avrà luogo nelle quattro parti del mondo. 3°. Egli divide questa guerra generale in due periodi principali: – a. quello dei Giudei e dei Gentili; e – b. quello degli eretici e dell’Anticristo, fino alla consumazione dei tempi. La prima era è contenuta e descritta nell’apertura dei primi sei sigilli; e la seconda nel settimo ed ultimo, come dimostrerà il seguito. 4 ° Le voci dei quattro Evangelisti sono aggiunte qui come testimonianza della verità che deve essere predicata nelle quattro parti del mondo, ed è questa testimonianza che sarà l’occasione di tutte le guerre e le persecuzioni dei tiranni.

§ 1.

Dell’apertura dei primi quattro sigilli e dei quattro cavalieri che furono mostrati a San Giovanni all’apertura di questi sigilli.

CAPITOLO VI. – VERS. 1-8 .

Et vidi quod aperuisset Agnus unum de septem sigillis, et audivi unum de quatuor animalibus, dicens tamquam vocem tonitrui: Veni, et vide. Et vidi: et ecce equus albus, et qui sedebat super illum, habebat arcum, et data est ei corona, et exivit vincens ut vinceret. Et cum aperuisset sigillum secundum, audivi secundum animal, dicens: Veni, et vide. Et exivit alius equus rufus: et qui sedebat super illum, datum est ei ut sumeret pacem de terra, et ut invicem se interficiant, et datus est ei gladius magnus. Et cum aperuisset sigillum tertium, audivi tertium animal, dicens: Veni, et vide. Et ecce equus niger: et qui sedebat super illum, habebat stateram in manu sua. Et audivi tamquam vocem in medio quatuor animalium dicentium: Bilibris tritici denario et tres bilibres hordei denario, et vinum, et oleum ne læseris. Et cum aperuisset sigillum quartum, audivi vocem quarti animalis dicentis: Veni, et vide. Et ecce equus pallidus: et qui sedebat super eum, nomen illi Mors, et infernus sequebatur eum, et data est illi potestas super quatuor partes terræ, interficere gladio, fame, et morte, et bestiis terræ.

[E vidi come l’Agnello aveva aperto uno dei sette sigilli, e sentii uno dei quattro animali che diceva con voce quasi di tuono: Vieni, e vedi. E mirai: ed ecco un caval bianco, e colui che v’era sopra aveva un arco, e gli fu data una corona, e uscì vincitore per vincere. E avendo aperto il secondo sigillo, udii il secondo animale che diceva: Vieni, e vedi. E uscì un altro cavallo rosso: e a colui che v’era sopra fu dato di togliere dalla terra la pace, affinché si uccidano gli uni e gli altri, e gli fu data una grande spada. E avendo aperto il terzo sigillo, udii il terzo animale che diceva: Vieni, e vedi. Ed ecco un cavallo nero: e colui che v’era sopra aveva in mano una bilancia. E udii come una voce tra i quattro animali che diceva: Una misura di grano per un denaro, e tre misure d’orzo per un denaro, e non far male al vino, né all’olio. E avendo aperto il quarto sigillo, udii la voce del quarto animale che diceva: Vieni, e vedi. Ed ecco un cavallo pallido: e colui che vi era sopra ha nome la Morte, e le andava dietro l’inferno, e le fu data potestà sopra la quarta parte della terra per uccidere colla spada, colla fame, colla mortalità e colle fiere terrestri.]

I. L’apertura del primo sigillo è la spedizione bellica di Gesù Cristo, il quale, venendo in questo mondo per fargli guerra, decretò con le più giuste ragioni di sottometterlo al suo potere e di piegare sotto il giogo della fede tutti i suoi nemici. L’esercito che inviò in tutto il mondo a questo scopo era composto dai dodici Apostoli e dall’assemblea di tutti i fedeli. Perciò San Giovanni dice:

Vers. 1. – E vidi, nell’immaginazione e nello spirito, che l’Agnello aveva aperto ed eseguito l’uno, il primo ed il principale dei sette sigilli, secondo la volontà del Padre suo, che ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, fatto uomo, e lo costituì Re dell’universo. Ma poiché né i Giudei né i Gentili lo avrebbero accolto, Cristo fu obbligato a prendere l’offensiva e a fare la guerra contro di loro con il suo esercito, per poter entrare nel suo regno e nella sua gloria. Ed io intesi, ancora in immaginazione e in spirito, l’uno, il primo, dei quattro animali, cioè dei quattro Evangelisti; e cioè, San Matteo, che dice nello stesso capitolo in cui descrive la terribile guerra che Gesù Cristo conduceva contro il mondo: « Ecco, Io vi invio come pecore in mezzo ai lupi. » E udii una dei quattro animali che diceva come con voce di tuono: in effetti San Matteo, il primo testimone della verità evangelica, annuncia a gran voce la terribile guerra che seguirà la predicazione del Vangelo, … dicendo: Vieni e vedi. Questo è un modo di parlare per attirare l’attenzione di qualcuno su qualcosa. Ho guardato, in spirito e nell’immaginazione.

Vers. 2. – E vidi un cavallo bianco. E colui che vi sedeva sopra aveva un arco, e gli fu data una corona, ed egli uscì vittorioso per conquistare.

II. Questo testo descrive il generale in capo di questo esercito e il suo potere e la sua forza. E ho visto un cavallo bianco. Questo cavallo è l’assemblea degli Apostoli e dei discepoli di Cristo. Si dice che sia bianco per metafora, a causa del candore, della purezza, della verità, della semplicità e della santità del suo esercito. Perché come il cavallo bianco deriva il suo nome e colore dal candore dei suoi crini, così i Santi ottengono la loro santità, il candore della loro purezza, dalla grazia santificante. Sono paragonati ad un cavallo, a causa della forza e della velocità con cui hanno viaggiato in tutto il mondo in un tempo molto breve ed hanno predicato il Vangelo ed il Nome di Nostro Signore Gesù Cristo. Queste parole si applicano a Cristo, che è il grande Condottiero di questa guerra, e che è rappresentato come assiso sopra i suoi, che dirige con il freno del timore del Signore, e sprona con gli stimoli dell’amore per Dio e per il prossimo, e con l’aiuto della sua santa Grazia, di cui gli Apostoli e gli altri discepoli della Chiesa primitiva erano abbondantemente forniti. L’arco designa la virtù e le armi con cui Cristo doveva combattere i suoi nemici. Queste armi sono la predicazione ed i miracoli. Infatti Cristo dirigeva la predicazione degli Apostoli come l’arco dirige la freccia verso il suo bersaglio (Marco, XVI, 20): « Essi partirono e predicarono ovunque, il Signore operava con loro e confermava la sua parola con i miracoli che l’accompagnavano. » L’efficacia e la potenza invincibile della parola è espressa di nuovo nella Lettera agli Ebrei, IV, 12: « La parola di Dio è viva ed efficace, e più penetrante di una spada a doppio taglio. » E gli fu data una corona, che significa il potere regale, perché a Cristo è stato dato tutto il potere in cielo e in terra. Gesù Cristo è dunque il Re dei re, il Signore dei dominatori, ed ha ricevuto da Padre suo la corona del regno eterno, la corona della vittoria che ha ottenuto, nella sua Risurrezione e Ascensione, su tutti i re, sui tiranni di questo mondo e su tutte le potenze infernali. E uscì su quel cavallo bianco con i suoi Apostoli e discepoli, per andare attraverso il mondo come un conquistatore, e per sottomettere i suoi avversari. Si recò prima in Giudea, dove in un giorno il suo Apostolo San Pietro convertì tremila uomini, (Act. II), e in un altro giorno cinquemila, (Atti IV), … Egli partì … per conquistare il mondo intero, mettendo i governanti delle nazioni sotto il suo dominio e sotto il giogo della fede. Perché in breve tempo, attraverso la predicazione degli Apostoli e degli altri discepoli il Signore « che agiva con loro e confermava la sua parola con i miracoli che l’accompagnavano », il Vangelo fu predicato e la fede cattolica si diffuse fino alle estremità della terra, già durante la vita di San Pietro, come si vede nella storia e negli Atti degli Apostoli, e come è annunciato nel libro dei Salmi, (XVIII, 4): « Il suo splendore si diffuse in tutto l’universo; risuonò fino ai confini della terra. »

Verss. 3 e 4.E quando ebbe aperto il secondo sigillo, sentii il secondo animale dire: “Vieni e vedi”. E subito uscì un altro cavallo rosso; e fu dato a colui che lo cavalcava di bandire la pace dalla terra e di consegnare gli uomini alla spada gli uni degli altri; e gli fu data una grande spada. Con queste parole, l’Apostolo descrive il primo ed uno dei più terribili tiranni della Chiesa, Domiziano Nerone, che osò, su istigazione di satana, fare guerra agli Apostoli ed attaccare i Cristiani, che sono l’armata di Gesù Cristo. Questo crudele nemico diede alle fiamme, nel buio della notte, gran parte della città di Roma per il piacere di rappresentare l’incendio di Troia. Egli approfittò di questa occasione per accusare i Cristiani di Roma, ed eccitare contro di loro la prima persecuzione, che infuriò soprattutto nella città. Il suo odio arrivava al punto di servirsi come giocattoli delle vittime che cadevano. Li si vestiva con pelli di animali, per eccitare la furia dei cani contro di essi; o li si crocifiggeva e venivano cosparsi di pece per servirsene come torce notturne. Il numero di Cristiani bruciati in questa persecuzione, fu così grande che era impossibile per loro essere salvati. Il numero di Cristiani bruciati in questa persecuzione fu così grande che il grasso umano ne lasciava traccia scorrendo nell’arena degli anfiteatri. Questo crudele tiranno fece morire San Pietro, San Paolo, Seneca, il suo precettore, e non risparmiò nemmeno sua madre, né sua moglie, né suo fratello e le sue sorelle. L’Apostolo, quindi, applica giustamente a lui la descrizione data sopra. E quando ebbe aperto il secondo sigillo, io intesi il secondo animale che diceva: “vieni e vedi”. Questo secondo animale è San Luca, che qui testimonia la verità dei santi martiri che Nerone fece sgozzare; infatti, è stato detto sopra che questo animale era come un vitello, poiché il suo Vangelo inizia con il sacerdozio, per cui i vitelli venivano sacrificati come ostia gradita al Signore Dio. E così i giusti ed i Cristiani furono sacrificati dagli empi, e il loro sangue e la loro morte furono un sacrificio molto gradito a Dio Padre, attraverso il suo Figlio Gesù, che fu immolato per tutti noi.

III. Vers. 4. – E subito uscì un altro cavallo rosso.  Questo cavallo è il popolo romano sotto Domiziano-Nerone. È chiamato propriamente rosso a causa dell’incendio della città di Roma e del rogo di tanti Cristiani; inoltre, a causa dello spargimento del loro sangue, come è stato detto sopra. E fu dato a colui che vi sedeva sopra, cioè Dio permise all’imperatore Nerone, che sedeva a Roma nell’anno 53, di essere così crudele con i Cristiani. È nello stesso senso che Gesù Cristo disse a Pilato, (Jo. XIX, 11): « Tu non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. » – E fu dato a colui che lo montava di bandire la pace dalla terra, 1° nei confronti dei Cristiani che egli aveva perseguitato e messo in fuga, soprattutto a Roma ed ancora altrove. 2°. Anche a quanto riguardo del suo impero, che era turbato da malefici, crudeltà, carneficine e cieca tirannia. Per questo si dice di lui che bandì la pace dalla terra che Ottaviano Augusto aveva dato a tutto l’universo. E per consegnare gli uomini alla spada, gli uni degli altri.  Questo si verificò in occasione della sua perfidia. Nerone fu assassinato, Sergio Galba, il maggiore, usurpò l’impero ed adottò come figlio Pisone il Giovane, di costumi corrotti, che designò come suo successore. Quest’ultimo fu ucciso nel foro dai soldati del fazioso Ottone. Tre mesi dopo, lo stesso Ottone, sconfitto dall’esercito di Vitellio, si diede la morte da sé. E l’anno non è ancora finito che Vitellio, sconfitto in tre battaglie combattute a Roma dai partigiani di Vespasiano, fu trascinato nudo per le strade della città, sgozzato e infine gettato nel Tevere. E gli si diede una grande spada, cioè il potere di uccidere i Cristiani. Infatti, Nerone fu il primo degli imperatori romani a sollevare la persecuzione contro la Chiesa, e ad uccidere i principali Apostoli, Pietro e Paolo, e un gran numero di Cristiani sia nella città che in tutto l’impero.

IV . Vers. 5. Quando ebbe levato il terzo sigillo, udii il terzo animale dire: “Vieni e vedi”; ed ecco un cavallo nero, e colui che vi sedeva sopra aveva in mano una bilancia.

Vers. 6. E udii una voce come di mezzo ai quattro animali, che diceva: Una misura di frumento è venduta per una dracma, e tre misure d’orzo per una dracma. Non rovinate il vino e l’olio.  – Queste parole descrivono il sacco della città di Gerusalemme e lo sterminio della sinagoga dei Giudei, che doveva avvenire per adempiere la parola di Cristo. (Matth. XXIII e Lc. XIII). Quando ebbe sollevato il terzo sigillo, udii il terzo animale dire: “Vieni e vedi”. – Con questo terzo animale si intende l’evangelista San Marco, che è stato paragonato sopra ad un leone, perché il suo Vangelo inizia con la predicazione della penitenza di San Giovanni Battista ai Giudei, che rigettarono la sua parola come rifiutarono quella di Gesù Cristo stesso. È dunque per una giusta conseguenza della durezza dei loro cuori che Cristo rivela qui a San Giovanni questo castigo e lo sterminio della nazione e della sinagoga dei Giudei. Ed ecco un cavallo nero. Questo cavallo nero è la città di Gerusalemme con i suoi abitanti. È nero: 1° a causa della cecità dei Giudei e della sinagoga, che uccisero il nostro Signore Gesù Cristo, rifiutarono di credere nella sua divinità e resistettero allo Spirito Santo, anche dopo aver assistito alla Risurrezione del Salvatore. 2°. Questo cavallo è nero a causa della carestia inaudita che, secondo il rapporto dello storico giudeo Giuseppe, uccise fino a 1.100.000 anime a Gerusalemme. Tito, figlio di Vespasiano, bloccò la città e la circondò con un muro di quaranta stadi (5.000 passi, circa due leghe), e costruì tredici forti fuori dalle mura, ognuno di 1.250 passi di circonferenza, per ridurre più facilmente gli abitanti. Quest’opera immensa fu terminata in tre giorni, cioè con una velocità ben al di là delle forze umane, in modo che la parola di Cristo potesse compiersi. (Luca, XIX, 43): « Poiché i giorni verranno su di te, ed i tuoi nemici ti circonderanno di mura, e ti chiuderanno dentro, e ti schiacceranno da ogni parte. E ti getteranno a terra, te ed i tuoi figli che sono in te, e non lasceranno in te pietra su pietra. » –  Questo è ciò che si adempì alla lettera, quando Tito rivoltò la città di Gerusalemme da cima a fondo e la occupò. E colui che lo montava fu Flavio Vespasiano, che salì sul trono dell’Impero nell’anno di Gesù Cristo 69. Fu suo figlio ad assediare la città ed a portare la città e tutta la nazione giudaica sotto il suo potere nell’anno 79. … e aveva in mano una bilancia: era la bilancia della giustizia divina, di cui egli era l’esecutore. Perché fu per ordine di Dio che questo figlio di Vespasiano distrusse miseramente la nazione giudaica con la carestia, con la spada e con la cattività, per punirli della loro incredibile malizia e crudeltà, e per vendicare la morte di Gesù Cristo. (Luca, XIX, 44). – Questa vendetta non era, infatti, lo scopo di Tito e del suo esercito, perché rovinassero questa nazione in quanto che si era ribellata all’Impero romano, come vediamo nella storia di Giuseppe, (De bello Jud.). Perciò il testo dice: Aveva una bilancia in mano, non nella sua mente o nella sua intenzione e volontà. Perché lui era solo lo strumento della giustizia divina, che usava la mano di Tito per eseguire i suoi decreti. E udii una voce come dal mezzo dei quattro animali, che diceva, ecc. Queste parole contengono la sentenza di condanna pronunciata dalla giustizia divina contro il popolo giudaico, a causa del suo inaudito crimine. – Ed ho sentito una voce, la voce della giustizia divina, come dal mezzo dei quattro animali, bestie, cioè dal trono di Dio, attorno al quale vi sono i quattro animali, sia nel regno militante che nel regno trionfante di Cristo. E udii una voce come dal mezzo dei quattro animali, cioè i quattro animali pronunciarono questa sentenza di giustizia divina, nella loro illustre veste di arcicancellieri del regno di Gesù Cristo. Queste parole mostrano anche che Tito, in ciò che fece contro i Giudei, era solo l’esecutore della vendetta divina: perché è da Dio solo che viene la punizione dei crimini. (Amos, III, 6): « Si farà forse del male nella città, che non l’abbia fatto il Signore? » – Una misura di grano è venduta per una dracma, e tre misure di orzo per una dracma. Per comprendere queste parole, dobbiamo notare ciò che Ugo di Firenze dice sulla fine della guerra romana contro i Giudei: « I romani, stanchi alfine di tanta carneficina, cercarono di vendere i loro prigionieri come schiavi. Ma, poiché c’erano molti più venditori che compratori, si videro presentare spesso casi in cui si consegnavano fino a trenta schiavi Giudei per un pezzo d’argento. I Giudei avevano comprato il loro Padrone per trenta denari. Così, invece, ed al contrario, se ne vendettero fino a ben trenta per un solo denaro ». – 2°. Bisogna anche notare che la parola del testo latino bilibris è composta da bis, due, e libra, libbre, cioè due libbre che compongono un denaro. – 3 ° Infine, si deve sapere che cinque Giudei designano un libro, perché i cinque libri di Mosè furono accettati da tutti i Giudei e da ciascuno di loro in particolare. Gli altri libri, chiamati Sadducei, non sono accettati dai Giudei. – 4°. Il grano significa il più potente, il più abile e il più nobile dei Giudei; l’orzo, invece, che è un tipo di grano inferiore, indica la classe bassa di questo popolo. – 5 ° Con il vino e con l’olio, che il testo raccomanda di non alterare, intendiamo i Cristiani che furono effettivamente risparmiati dall’esercito di Tito. Infatti, prima dell’assedio di Gerusalemme, i Cristiani che erano in città ed in Giudea furono avvertiti da un Angelo e attraversarono il Giordano per rifugiarsi nella città di Pella, che faceva parte del regno di Agrippa, alleato dei Romani. Inoltre, il vino significa metaforicamente la carità verso Dio, e l’olio, la carità verso il prossimo. Da tutto quello che si è appena detto, si può capire questo passaggio: La misura di grano, cioè dieci tra principali dei Giudei, è venduta per una dracma, e tre misure d’orzo, cioè trenta persone del basso popolo, una dracma. Non rovinare il vino e l’olio, cioè i Cristiani dovevano essere perseverati.

V. Vers. 7. – Quando ebbe sollevato il quarto sigillo, udii la voce della quarta bestia che diceva: “Vieni, e vedi”.

Vers. 8. –  Ed ecco un cavallo pallido, e colui che lo cavalcava si chiamava Morte, e l’inferno lo seguiva, e gli fu dato il potere sulle quattro parti della terra di uccidere gli uomini con la spada, con la carestia, la mortalità e le bestie selvatiche. – Dopo che la nazione giudaica, acerrima nemica di Gesù Cristo e di tutti i Cristiani, fu sconfitta e distrutta, Domiziano sollevò la seconda persecuzione generale e scatenò una guerra crudele contro il Cristianesimo. Quando ebbe tolto il quarto sigillo, sentii la voce del quarto animale che diceva: “Vieni e vedi”. Questa è la persona stessa di San Giovanni Evangelista, considerata in particolare, come occupante il quarto posto di onore e dignità nel regno militante e trionfante di Cristo, e come confermante, con la sua testimonianza la verità del Vangelo. Ed ecco un cavallo pallido. È il popolo romano che è pallido per la paura del tiranno Domiziano, un principe crudele e avido. Questo imperatore spinse la sua furia fino a farsi chiamare Dio. Inoltre, mandò in esilio o fece massacrare un gran numero di senatori e nobili, imputando loro dei crimini per impadronirsi dei loro beni. Di conseguenza, tutto il resto del popolo, sia a Roma che nelle province, concepì il più grande timore di essere trattato nello stesso modo. Ora, siccome la paura produce il pallore, qui si dice veramente che il popolo romano di allora assomigliava ad un cavallo pallido. E colui che la cavalcò, l’imperatore Domiziano, che fu elevato all’impero nell’anno di Gesù Cristo 81, fu chiamato Morte: 1°. Perché, come è stato detto, fece massacrare un gran numero di innocenti, soprattutto Cristiani, contro i quali sollevò la seconda persecuzione, che può essere considerata una continuazione e una conseguenza di quella di Nerone. 2°. Perché gli fu teso un agguato e fu ucciso egli stesso dal liberto del console Clemente, che egli aveva condannato con il pretesto di empietà; e così scomparve e la sua stessa memoria fu cancellata. E l’inferno lo seguiva. Cioè, essendo morto nella sua empietà in modo improvviso e imprevisto, questo disgraziato fu gettato nelle voragini dell’inferno. E gli fu dato il potere sulle quattro parti della terra, in cui si estendeva allora l’Impero Romano, di uccidere gli uomini con la spada, con la carestia, con la moria e con le bestie selvatiche. Queste parole mostrano la crudeltà di questa persecuzione attraverso la varietà dei tormenti ed i vari tipi di morte che l’accompagnavano. Questo tiranno fece morire gli uomini: – 1°. Con la spada. Fu per suo ordine, infatti, che un gran numero di Cristiani morirono di spada in tutte le parti del suo impero. – 2° Con la fame, poiché molti morirono in prigione, divorati dalla fame. – 3° con la mortalità. Queste parole designano in generale i diversi supplizi che si inflissero ai Cristiani per metterli a morte: li si impiccava, si affogavano, venivano bruciati e soffocati. – 4°. E con le bestie selvatiche, cioè si dilettarono in quel particolare tipo di tormento che consisteva nell’esporre i Cristiani, per scherno e per divertimento, ad essere divorati dalle bestie feroci. Basta leggere, per esserne convinti, le storie ecclesiastiche, il martirologio e le vite dei Santi.

§ II.

Sull’apertura del quinto sigillo.

CAPITOLO VI. – VERSETTI 9-11.

Et cum aperuisset sigillum quintum, vidi subtus altare animas interfectorum propter verbum Dei, et propter testimonium, quod habebant: et clamabant voce magna, dicentes: Usquequo Domine (sanctus et verus), non judicas, et non vindicas sanguinem nostrum de iis qui habitant in terra? Et datæ sunt illis singulae stolae albæ: et dictum est illis ut requiescerent adhuc tempus modicum donec compleantur conservi eorum, et fratres eorum, qui interficiendi sunt sicut et illi.

[E avendo aperto il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che avevano, e gridavano ad alta voce, dicendo: Fino a quando. Signore santo e verace, non fai giudizio, e non vendichi il nostro sangue sopra coloro che abitano la terra? E fu data ad essi una stola bianca per uno: e fu detto loro che si dian pace ancor per un poco di tempo sino a tanto che sia compito il numero dei loro conservi e fratelli, i quali debbono essere com’essi trucidati.]

Vers. 9. – All’apertura del quinto sigillo ho visto sotto l’altare le anime di coloro che hanno dato la loro vita per la parola di Dio e per renderne testimonianza.

Vers. 10. E tutti gridarono a gran voce, dicendo: “O Signore, che sei santo e verace, fino a quando tarderai a giudicare e a vendicare il nostro sangue su coloro che abitano sulla terra?

Vers. 11. – E a ciascuno di loro fu data una veste bianca. E fu detto loro di riposare ancora un po’, finché il numero di coloro che servivano Dio come loro fosse completato, così come il numero dei loro fratelli che dovevano soffrire la morte come loro.All’apertura del quinto sigillo, vediamo la continuazione delle persecuzioni contro i Cristiani, persecuzioni che continuarono dall’imperatore Traiano a Diocleziano, cioè per lo spazio di duecento anni. Infatti, nell’anno 98 d.C. Ulpio Traiano, di origine spagnola, sollevò la terza persecuzione contro la Chiesa di Cristo. Questo principe immaginava di aver ottenuto il suo trono da Giove stesso, che aveva sempre venerato con grande pietà; e siccome era pure molto superstizioso nel culto degli idoli, fu il primo a richiamare l’antica religione alla memoria del senato, facendosi un dovere di preservarla. il primo a ricordare al senato l’antica religione e a farne un dovere di conservazione, perché a quel tempo, secondo Giovenale e Plutarco, i Cristiani si stavano moltiplicando in tutto il mondo e gli idoli stavano cadendo nell’oblio e nel disprezzo, le vittime non trovavano più compratori e la maggior parte degli oracoli erano diventati muti. Questo è ciò che diede origine alla terza persecuzione dei Cristiani. La Chiesa, tuttavia, godette di un momento di riposo sotto Adriano ed Antonino Pio, che non emise alcun editto contro di essa. Ma nell’anno di Cristo 161, Marco Aurelio Antonio, salito al trono, scatenò una nuova tempesta contro il Cristianesimo, e questa quarta persecuzione portò via Policarpo, Giustino ed un numero considerevole di fedeli. Sotto i principi Commodo, Antonio, Elio, Pertinace e Tito Giuliano, la Chiesa fu di nuovo in pace per un periodo, fino al regno di Settimio Severo, nell’anno 193. Allora iniziò la quinta persecuzione, in cui morì, tra gli altri, Sant’Ireneo. Questo tiranno era così terribile che molti fedeli lo consideravano l’Anticristo. Antonio Bassanio Caracalla, Macrino, Eliogabalo e Marco Aurelio Severo non esercitarono alcuna nuova ostilità. L’autore della sesta persecuzione fu Giulio Massimiano. Questa venne attribuita alla grande gelosia di questo principe contro la famiglia alessandrina, diversi membri della quale professavano la fede di Gesù Cristo. Egli salì al trono nell’anno 235. Decio, un altro acerrimo nemico dei Cristiani, iniziò a regnare nell’anno 249, e fu l’autore della settima persecuzione. Dio la permise a causa del lassismo della disciplina ecclesiastica. Questo è chiaramente dimostrato da San Cipriano, un testimone oculare, nella sua opera Liber de lapsis, quando dice: « Sono venuti i tormenti, tormenti infiniti senza via d’uscita, che non procurano il sollievo della morte. Supplizi che non conducono facilmente alla corona di gloria, ma che fanno gemere le vittime fino a indebolirle, tranne alcune che Dio, nella sua misericordia, si degna di chiamare alla gloria eterna con una morte più rapida della tortura. » Gregorio di Nissa, il taumaturgo, dice anche: « Il potere civile non ha omesso alcun mezzo, né pubblico né privato, per catturare i fedeli e punire coloro che praticavano le massime della fede. – Si metteva tutto in opera, il terrore delle minacce, e l’infinita varietà dei supplizi: la spada, il fuoco, i pozzi, gli strumenti e i dispositivi per strappare le membra, le sedie di ferro arroventate dal fuoco, i cavalletti, gli artigli di ferro, ed altri innumerevoli tormenti venivano costantemente escogitati per terrorizzare gli uomini, ancor prima di essere messi alla prova. L’unica preoccupazione di coloro che esercitavano il loro potere in questo modo era che non si potesse superare la loro raffinatezza e scelleraggine. Gli uni si facevano denunciatori, altri giudici ed altri ancora inquisitori di coloro che fuggivano. Questi tiranni gettano occhi bramosi sui beni dei fedeli per impadronirsene; oppure perseguivano, con un pretesto di pietà e religione, quelli che abbracciavano la fede. » – Un gran numero di Cristiani furono costretti ad abbandonare la loro patria ed a ritirarsi nelle solitudini delle montagne e nelle regioni deserte. Tra questi, viene menzionato Paolo, il principe degli anacoreti. Inoltre, molti di questi sventurati rinunciarono alla fede in questa persecuzione, alcuni sacrificando pubblicamente agli idoli, ed altri, pur senza rinnegare direttamente la religione, accettarono i libelli per debolezza (Certificati per mezzo dei quali alcuni Cristiani si ripararono mettevano al riparo dalle persecuzioni) dai prefetti e dagli impiegati civili, per non essere costretti a sacrificare pubblicamente agli dei. Nell’anno 254, Licinio Valerio divenne imperatore e, seguendo il consiglio di un mago d’Egitto, ordinò l’ottava persecuzione, in cui morì San Cipriano, Vescovo di Cartagine. Questa persecuzione fu così grave che Dionigi di Alessandria (Apud Eusebium, Hist. 1. 7, c. 9.) credeva che il più terribile dei tempi fosse arrivato, e che la profezia sull’anticristo, contenuta nell’Apocalisse di San Giovanni, si fosse avverata con Valerio. La nona persecuzione ebbe luogo sotto Galliano nell’anno 262. – Varie calamità, tuttavia, lo costrinsero a rallentare la sua furia. Ma questa persecuzione fu riaccesa nell’anno 272 da Valerio Aureliano, che la continuò. Ci furono molti altri imperatori intermedi che regnarono tra di questi tiranni, e sotto i quali molti Cristiani ottennero la corona del martirio; ma sono da distinguere da quelli che abbiamo menzionato, perché attaccarono e perseguitarono più che altro la Chiesa con gli editti che emanarono o rinnovarono, mentre quelli non lo facevano. Questo era il volto della Chiesa, che per un lasso di trecento anni nuotò continuamente nel sangue dei suoi martiri, e questo, per un sorprendente permesso di Dio contro i suoi amici ed il suo Sposo che gli è sì caro. Queste persecuzioni ci spiegano quel grande grido e stupore dei Santi di Dio sotto l’altare, di cui si parla nel seguito.

Vers. 9All’apertura del quinto sigillo, cioè di queste persecuzioni quasi continue, ho visto, in immaginazione e in spirito, sotto l’altare, le anime di coloro che hanno dato la loro vita, cioè le anime dei martiri, i cui corpi giacevano sotto l’altare. È un modo di parlare che troviamo in Esodo (I, 5): « Tutte le anime (cioè tutti gli uomini) che sono nati da Giacobbe, ecc. » Sotto il regno di questi tiranni non c’erano chiese o altari fissi, ma altari di legno che venivano eretti in luoghi segreti, soprattutto nelle cripte dei martiri, dove venivano deposti i loro corpi. Ecco perché l’Apostolo dice di aver visto, sotto l’altare, le anime di coloro che avevano dato la loro vita per la parola di Dio. Queste parole si applicano ai dottori che hanno subito il martirio per la predicazione della parola di Dio e per averne dato testimonianza.  Lo stesso si dice dei semplici fedeli che furono sacrificati, perché, lungi dal voler rinnegare Gesù Cristo, proclamavano a gran voce di credere in Lui.

Vers. 10. – E tutti gridarono con un grande urlo, dicendo, ecc. Queste parole devono essere interpretate moralmente, come è detto in Genesi, IV, 10: « La voce del sangue di tuo fratello grida dalla terra a me. » Ora, la voce del sangue innocente dei martiri grida al Signore ancora più forte, perché la persecuzione ed il potere degli empi era più generale, più crudele e più lungo. Tutti questi martiri gridavano forte, dicendo: “Signore, che sei santo e verace, fino a quando ritarderai?” Cioè, fino a quando Tu, Signore, che sei santo e verace, che sei giusto, che vedi l’iniquità degli empi, permetterai che gli innocenti siano puniti? Queste parole esprimono grande stupore che Dio permetta che la sua amata e santa Chiesa nuoti nel sangue di così tanti martiri per tre secoli, mentre gli empi trionfano. Questo stato dei Santi dovrebbe insegnarci a soffrire per il Nome di Gesù; e questo passaggio ci mostra che Dio non dimostra sempre il suo amore in questo mondo con consolazioni e prosperità, ma spesso, al contrario, con tribolazioni, persecuzioni e il disprezzo degli uomini.  Signore, che sei santo e verace, fino a quando ritarderai a giudicare e a vendicare il nostro sangue su coloro che abitano sulla terra? cioè sui tiranni ed i loro ministri che governano il mondo.

Vers. 11.E a ciascuno di loro fu data una veste bianca. Queste vesti bianche significano la gloria celeste che fu data ad ogni martire e santo, secondo la misura dei loro meriti. Ecco perché è detto nel testo che una veste bianca fu data a ciascuno, cioè la gloria eterna a ciascun martire in particolare. Fu detto loro di riposare ancora un po’, finché il numero di coloro che servivano Dio come loro non fosse stato completato, così come il numero dei loro fratelli che dovevano soffrire la morte come loro. – Con queste parole, Dio consola la sua Chiesa, di cui i santi martiri erano i rappresentanti, appellandosi e rivendicando la giustizia divina, e le promette il riposo, che la Chiesa ha effettivamente ottenuto poi sotto Costantino il Grande. È fu detto loro, cioè che questi martiri ricevettero una risposta divina. 1° Riguardo alla Chiesa militante, fu detto loro di essere pazienti e di sottomettersi alla volontà divina, che si è compiaciuta da tutta l’eternità di permettere queste persecuzioni per la maggior gloria dei suoi servi. Inoltre, è stato detto loro, di aspettare ancora un po’, fino all’ultima persecuzione, che fu la più crudele di tutte, e che fu sollevata da Diocleziano e Massimiano, come vedremo più avanti. Fino a quando il numero di coloro che hanno servito Dio come loro, così come il numero dei loro fratelli, cioè, fino a quando il numero degli altri martiri che avevano servito Dio come loro nel ministero di Cristo, e dei loro fratelli nell’amore di Gesù Cristo, e che dovevano soffrire la morte al tempo di Diocleziano, nell’ultima delle dieci principali persecuzioni, così come pure quelli che furono sacrificati nelle persecuzioni precedenti, fosse stato completato. 2º Questi Martiri hanno ricevuto una risposta divina sulla Chiesa trionfante. Fu detto loro che dovevano riposare, che i loro corpi dovevano rimanere nei loro sepolcri ancora per un po’, fino al giorno dell’ultimo giudizio. Un po’ più a lungo, vale a dire che questo tempo è breve rispetto all’eternità. (I Giov. 2, 18): « Figlioli, questa è l’ultima ora. » È allora che questi martiri risorgeranno con corpi gloriosi e riceveranno la seconda veste, che è la gloria del corpo. Fu detto loro di riposare ancora un po’, fino a quando il numero di coloro che servivano Dio come loro fosse completato, così come il numero dei loro fratelli che dovevano soffrire la morte, cioè fino alla consumazione dei secoli, in modo che tutti fossero sacrificati come loro per il Nome di Gesù Cristo.

§ III.

L’apertura del sesto sigillo.

CAPITOLO VI. – VERSETTI 12-17.

Et vidi cum aperuisset sigillum sextum: et ecce terraemotus magnus factus est, et sol factus est niger tamquam saccus cilicinus: et luna tota facta est sicut sanguis: et stellæ de cælo ceciderunt super terram, sicut ficus emittit grossos suos cum a vento magno movetur:   et cælum recessit sicut liber involutus: et omnis mons, et insulæ de locis suis motæ sunt: et reges terræ, et principes, et tribuni, et divites, et fortes, et omnis servus, et liber absconderunt se in speluncis, et in petris montium: et dicunt montibus, et petris: Cadite super nos, et abscondite nos a facie sedentis super thronum, et ab ira Agni: quoniam venit dies magnus irae ipsorum: et quis poterit stare?

[E vidi, aperto che ebbe il sesto sigillo: ed ecco si fece un gran terremoto, e il sole diventò nero, come un sacco di pelo: e la luna diventò tutta come sangue: “e le stelle del cielo caddero sulla terra, come il fico lascia cadere i suoi fichi acerbi quand’è scosso da gran vento. E il cielo si ritirò come un libro che si ravvolge, e tutti i monti e le isole furono smosse dalla sede: e i re della terra, e i principi, e i tribuni, e i ricchi, e i potenti, e tutti quanti servi e liberi si nascosero nelle spelonche e nei massi delle montagne: e dicono alle montagne ed ai massi: Cadete sopra di noi, e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello: perocché è venuto il gran giorno della loro ira: e chi potrà reggervi?].

I. Vers. 12 . E vidi, quando il sesto sigillo fu aperto, che ci fu un grande terremoto, e il sole divenne nero come i capelli, e tutta la luna divenne come il sangue. All’apertura di questo sesto sigillo, l’Apostolo descrive la decima e ultima persecuzione, istigata da Diocleziano e dal suo collega Massimiano, nell’anno di Gesù Cristo 303. San Giovanni ne fa l’oggetto di un sigillo separato, perché fu la più crudele, la più lunga persecuzione, e fu l’ultima. Essa durò dodici anni, fino all’impero di Costantino il Grande, che sconfisse Massenzio. Lo storico Sulpicio la descrive in questi termini: « Quasi tutta la terra fu cosparsa del sangue dei martiri in questa orribile tempesta. I fedeli cercarono allora questa morte gloriosa con più foga di quanto non facciano ora per i vescovadi, con deplorevoli intrighi. Mai guerra ha stancato di più il mondo, mai abbiamo ottenuto un trionfo più brillante, ed è quello che non siamo stati sconfitti in dieci anni di massacri. Per quanto riguarda il numero di vittime cadute in questo terribile disastro, se il resto della sua durata può essere giudicato dal quadro di un solo mese, il numero di martiri salirebbe senza dubbio a una cifra esorbitante; infatti, è riportato nel libro dei Pontefici romani che in soli trenta giorni perirono ben 17.000 Cristiani. Ed è tutt’altro che certo che questo furore sia diminuito in seguito, perché, al contrario, non faceva che aumentare di giorno in giorno con i nuovi editti che apparivano. Si sa che solo in Egitto, al tempo di Diocleziano, 144.000 persone furono messe a morte e 72.000 mandate in esilio. In tutte le altre province prevalse lo stesso furore, tranne forse in quelle governate da Costanzo Cloro, padre di Costantino il Grande, che, sebbene pagano, trattò le sue province con meno rigore. Nessuno poteva vendere o comprare prima di aver bruciato incenso davanti agli idoli posti nelle varie località. C’erano agenti nelle isole, nei porti e nei villaggi, per impedire la fornitura di farina o acqua a tutti coloro che non volevano sacrificare agli dei. » (Vide Baron). – Di tutte le persecuzioni, la più grande fu quella in cui si bruciarono tutti i libri che si potevano ottenere, costringendo i Cristiani a consegnarli. Quelli di loro che erano spaventati dall’atrocità delle torture e rinunciavano ai loro libri erano chiamati traditori. Il numero di essi era considerevole. Ma era infinitamente più grande il numero di quelli che preferirono la morte più crudele a questo tradimento. La Chiesa Cattolica celebra una festa in onore di questi il 2 gennaio di ogni anno, sotto il titolo: Commemorazione a Roma di un gran numero di santi martiri che, disprezzando l’editto dell’imperatore Diocleziano, con il quale si ingiungeva loro di consegnare i sacri canoni, preferirono consegnare i loro corpi ai carnefici, piuttosto che gettare le cose sacre ai cani. – In mezzo a tante atrocità, molti Cristiani fuggirono verso i barbari, dove furono accolti con benevolenza, anche se ne divennero schiavi. I loro padroni tollerarono almeno il loro libero esercizio della religione. Si veda l’editto di Costantino a favore dei Cristiani, in Eusebio, 1. II, 15 (Vide Baron.). – Poiché gli imperatori erano determinati a far scomparire completamente la Religione cristiana, pensarono che fosse necessario iniziare dai loro stessi soldati, per evitare che, nel far rispettare i loro editti in tutto l’impero, ci fossero Cristiani armati a resistere. – Fu in questa occasione che l’intera Legione Tebana, comandata da San Maurizio, fu massacrata dai soldati dell’imperatore. Una notte di Natale, 20.000 Cristiani furono bruciati nei loro templi. Tra questi santi martiri si nomina San Marcellino Papa, San Sebastiano, Serena la moglie di Diocleziano, e i santi Luciano, Vincenzo, Cristoforo, Biagio, Gervasio, Protasio, Cosma e Damiano, Quirino, Gorgone, Agnese, Lucia, Pantaleone, Bonifacio, Metodio, Clemente, Augrano, Eufemia, Giorgio, Barbara, e un numero infinito di altri. Le chiese furono distrutte e devastate in tutto il mondo; i Cristiani di tutti i ranghi furono massacrati, così che in molte province non si poté trovare alcuna traccia della fede di Cristo. Fu ordinato che il giorno della Pasqua o della resurrezione di Nostro Signore, tutti i Cristiani fossero messi a morte e le loro chiese devastate. Arrivarono persino a far violentare le vergini e poi a costringerle a vivere in case pubbliche, dove venivano trascinate con la forza. È in questa occasione che San Basilio scrive, 1. De Virg.: « Nel pieno della persecuzione, delle vergini scelte a causa della loro fedeltà allo Sposo divino, furono consegnate ad aguzzini empi per servire loro da trastullo; ma esse riuscirono a conservare la loro verginità, anche quella fisica, aiutate dalla grazia di Colui per il quale erano così gelose di farlo, poiché Egli le difese, le protesse e le rese pure da ogni contaminazione, respingendo tutti gli sforzi dei loro infami aggressori. » Fu anche in questa persecuzione che ad Augusta, Affra, che era stata una pubblica peccatrice, e sua madre Ilaria, e tre giovani ragazze, Digna, Eupomia ed Eutropia, insieme a tutte le altre persone di entrambi i sessi in quella famiglia, si convertirono alla fede di Gesù-Cristo, e successivamente ottennero la corona del martirio. L’Apostolo continua quindi con ragione con queste parole:

II. Vers. 12 E vidi quando il sesto sigillo fu aperto, e ci fu un grande terremoto. Con questo terremoto si intende una profonda agitazione, un disturbo molto grande, uno stato di agitazione e di convulsione nel regno di Gesù Cristo sulla terra, perché in tutte le parti dell’Impero Romano, i giudici e i prefetti furono eccitati dagli editti e dai decreti di Diocleziano e Massimiano al massacro e all’annientamento dei fedeli. Il sole divenne nero come un cilicio. Il “sole” si riferisce a Cristo, che è il sole della giustizia e la luce della verità. Il sole è il Nome di Cristo, che è il Sole di Rettitudine e la Luce della Verità. Egli fu denigrato nella sua stessa reputazione e nei suoi membri, i Cristiani, che furono accusati di essere avvelenatori e maghi. E si diceva che i maestri che li avevano istruiti e addestrati in questi vizi fossero Gesù Cristo e gli Apostoli, così come gli altri discepoli. In questo modo i gentili denigravano il Nome di Gesù più che potevano. Tutta la luna divenne come sangue. Qui la “luna” significa la Chiesa; perché come la luna riceve la sua luce come dal sole, così la Chiesa riceve la luce della verità da Gesù Cristo, che è il sole della giustizia. Inoltre, la Chiesa, come la luna, va e viene con i tempi, e sotto la tirannia di Diocleziano e Massimiano, la Chiesa divenne tutta rossa per il sangue dei martiri; infatti, come abbiamo detto sopra, innumerevoli Cristiani venivano allora massacrati come animali in tutte le parti della terra.

Vers. 13. – E le stelle caddero dal cielo sulla terra, come quando il fico, scosso da un grande vento, lascia cadere i suoi fichi verdi. Queste stelle sono i personaggi eminenti nel regno di Cristo, che essendo stati scossi dalla paura della morte e dei supplizi, caddero nell’idolatria. Tra questi vi fu Papa Marcellino, anche se poi fece penitenza e subì coraggiosamente il martirio per la fede di Gesù Cristo. Anche molti altri caddero. La furia di questa persecuzione fu così grande che la sede di Roma rimase vacante per sette anni e mezzo. Come quando il fico lascia cadere i suoi fichi verdi. Qui i Cristiani sono paragonati a fichi verdi, a causa della loro debolezza, essendo esposti a tante crudeltà. Infatti, come i fichi verdi sono i primi frutti acerbi dell’albero di fico, e sono facilmente spazzati via da un grande vento; così i Cristiani che non avevano ancora sviluppato profonde radici nell’amore di Gesù Cristo, e quelli che non erano ancora maturi nella pazienza, si staccarono dall’albero della Chiesa, e furono gettati a terra dal vento di quella orribile e così tempestosa persecuzione.

Vers. 14. – Il cielo disparve come un libro arrotolato. Qui il “cielo” significa il regno e la Chiesa di Cristo, che furono dispersi dal vento di quella furiosa tempesta, e gettati ai quattro venti del cielo come i fogli di un libro strappato. Infatti, la sede di San Pietro cessò di esistere a Roma, e i Cristiani furono dispersi; alcuni si nascosero nelle grotte, altri si rifugiarono sulle montagne; alcuni si ritirarono nei deserti, altri cercarono riparo tra le nazioni barbare. Allo stesso modo, come abbiamo detto sopra, i libri sacri da cui i Cristiani traevano la loro dottrina furono, per ordine dell’imperatore, strappati, bruciati e distrutti. – E tutte le montagne e le isole furono scosse dai loro posti. Qui dobbiamo prendere il contenitore per il contenuto. Infatti, come è stato ripetuto più di una volta, la furia di questa persecuzione fu così grande che i Cristiani fuggirono sui monti e sulle isole, che erano quasi inaccessibili, e fu fatta ogni possibile diligenza per scoprirli lì, cosa che non si era mai vista nelle altre persecuzioni. E quando finalmente venivano trovati, venivano trascinati alla tortura e alla morte. E così vediamo da quanto precede, che questi due imperatori avevano cospirato con tutto il mondo per sterminare completamente il Cristianesimo. Per questo l’Apostolo dice: “E tutti i monti e le isole furono scossi dai loro posti da questa guerra crudele di Diocleziano e Massimiano, che tentarono di sottomettere all’Impero Romano quasi tutti i regni, principati, isole e nazioni, e anche i luoghi più fortificati dell’Oriente e dell’Occidente. Essi e i loro colleghi estesero i limiti dell’Impero, ad est fino alle Indie, a sud fino all’Etiopia, a nord fino alle nazioni selvagge e barbare dei Sarmati, e a ponente fino al regno di Genserico, e all’Oceano Britannico. È in conseguenza di tutto questo che l’Apostolo aggiunge:

III. Vers. 15. – I re della terra, i principi, i tribuni, i ricchi, i forti e tutti gli uomini liberi o schiavi si nascosero nelle grotte e nelle rocce dei monti.

Vers. 16.- E dissero ai monti e alle rocce: Cadeteci addosso e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello:

Vers. 17 Perché il gran giorno della loro ira è venuto; e chi potrà resistere? Queste parole esprimono l’angoscia prodotta dalla tirannia di quei tempi, quando tutti i Cristiani furono messi alle strette. Infatti, come è stato detto, non erano al sicuro nelle isole delle nazioni, né nei luoghi più fortificati, né nelle montagne deserte, né tra i barbari dove si erano rifugiati; poiché questi tiranni si erano resi padroni di tutte le nazioni, occupando tutte le terre, penetrando in tutto il mondo, e nessun paese era riuscito a sfuggire al loro dominio. Perciò questi miseri fedeli furono costretti a nascondersi nelle grotte e nelle rocce delle montagne. I re della terra, i principi, i tribuni e i ricchi, i forti e tutti gli uomini, liberi o schiavi, ecc. L’Apostolo menziona qui sette classi di uomini, forti e deboli, tutti oggetto della crudeltà del tiranno, per mostrare con ciò la differenza di questa persecuzione dalle altre, nelle quali, per la maggior parte, solo i prelati, i capi delle chiese ed i predicatori erano perseguitati, o quelli che si esponevano volontariamente; mentre in questa, tutti furono puniti. In seguito, per “re”, designa il Pastore sovrano della Chiesa ed i Patriarchi; per principi, indica i Vescovi; per tribuni, designa gli altri Prelati; per ricchi: i nobili e la classe distinta del popolo; per forti, i soldati cristiani; per schiavi, i fedeli che erano fuggiti ai barbari ai quali si erano dati in schiavitù; infine, per liberi, indica tutto il resto del popolo cristiano, suddito dell’Impero Romano. – E dissero ai monti e alle rocce: Cadeteci addosso e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono. Queste parole esprimono il desiderio dei Cristiani di morire in tale angoscia; poiché non erano al sicuro nelle grotte e nelle rocce delle montagne, dove molti si erano rifugiati come un estremo rifugio; dovevano persino temere di essere cercati, scoperti, traditi o denunciati, ed infine trascinati ad una morte orribile. Questi miserabili desideravano morire ed essere schiacciati sotto le rocce, piuttosto che essere esposti alle lunghe e crudeli torture per rinnegare la fede di Gesù Cristo, come era purtroppo successo a molti dei loro fratelli. – E dissero ai monti e alle rocce: Cadete su di noi e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono; cioè liberateci dall’orribile persecuzione di Diocleziano e Massimiano, che sedevano sul trono dell’Impero Romano. E salvateci dall’ira dell’Agnello, cioè dall’ira di Gesù Cristo, che i Cristiani pensavano fosse irritato con la sua Chiesa, perché permetteva che fosse perseguitata così a lungo e così crudelmente. Si credeva anche che Diocleziano fosse l’anticristo; che fosse arrivato l’ultimo giorno del giudizio, e che la Chiesa e il regno di Gesù Cristo sulla terra fossero finiti, tanto era deplorevole la posizione di tutta la cristianità. Per questo il testo aggiunge: Perché è venuto il gran giorno della loro ira, cioè il tempo dell’ultima persecuzione che Gesù Cristo descrive in San Matteo, XXIV. Questo regno di Diocleziano è chiamato un grande giorno, a causa della tirannia che superava tutto ciò che si era visto fino ad allora. Questo permesso di Dio è espresso dall’ira dell’Agnello, perché Gesù Cristo castiga i suoi eletti come se fosse in collera, e lo fa per far ad essi espiare i loro peccati e per aumentare la loro gloria e la ricompensa nei cieli. Dio, nella sua bontà, permette queste punizioni temporali per impedire ai suoi fedeli di perire eternamente e di essere gettati con gli empi nei tormenti dell’inferno. E chi può sopravvivere! Questo è un grido di debolezza umana. Questo grido esprime anche la difficoltà di resistere al tiranno ed ottenere la vittoria del martirio, come ne abbiamo un esempio nella caduta del santo Papa Marcellino.

SEZIONE II.

SUL CAPITOLO VII.

LA CONSOLAZIONE DELLA CHIESA MILITANTE E DELLA CHIESA TRIONFANTE PER LE TRIBOLAZIONI PASSATE.

I. Vers. 1. – Poi vidi quattro angeli in piedi ai quattro angoli della terra, che trattenevano i quattro venti, per impedire che soffiassero sulla terra e sul mare e su qualsiasi albero. L’Apostolo, dopo aver descritto la persecuzione di Diocleziano, parla della consolazione che fu concessa alla Chiesa di Dio al tempo di Costantino il Grande, figlio di S. Elena. Questo capitolo deve essere considerato sotto due rapporti, e contiene due parti: in primo luogo, vediamo descritta la consolazione concessa alla Chiesa militante, come si può vedere nel versetto seguente:

Vers. 2. E vidi un altro Angelo che saliva da oriente, portando il segno del Dio vivente, ecc. In secondo luogo, questo capitolo descrive la consolazione della Chiesa trionfante, come segue:

Vers. 9. Dopo questo vidi una grande moltitudine, ecc. …. con le palme in mano.

§ I.

Della consolazione e della liberazione della Chiesa militante dal giogo e dalle persecuzioni dei tiranni.

CAPITOLO VII. VERSETTI 1-8.

Post hæc vidi quatuor angelos stantes super quatuor angulos terræ, tenentes quatuor ventos terræ, ne flarent super terram, neque super mare, neque in ullam arborem. Et vidi alterum angelum ascendentem ab ortu solis, habentem signum Dei vivi: et clamavit voce magna quatuor angelis, quibus datum est nocere terrae et mari, dicens: Nolite nocere terræ, et mari, neque arboribus, quoadusque signemus servos Dei nostri in frontibus eorum. Et audivi numerum signatorum, centum quadraginta quatuor millia signati, ex omni tribu filiorum Israel. Ex tribu Juda duodecim millia signati: ex tribu Ruben duodecim millia signati: ex tribu Gad duodecim millia signati: ex tribu Aser duodecim millia signati: ex tribu Nephthali duodecim millia signati: ex tribu Manasse duodecim millia signati: ex tribu Simeon duodecim millia signati: ex tribu Levi duodecim millia signati: ex tribu Issachar duodecim millia signati: ex tribu Zabulon duodecim millia signati: ex tribu Joseph duodecim millia signati: ex tribu Benjamin duodecim millia signati.

[Dopo queste cose vidi quattro Angeli che stavano sui quattro angoli della terra, e ritenevano i quattro venti della terra, affinché non soffiassero sopra la terra, né sopra il mare, né sopra alcuna pianta. E vidi un altro Angelo che saliva da levante, e aveva il sigillo di Dio vivo: e gridò ad alta voce ai quattro Angeli, ai quali fu dato di far del male alla terra e al mare, dicendo: Non fate male alla terra e al mare, né alle piante, fino a tanto che abbiamo segnati nella loro fronte i servi del nostro Dio. E udii il numero dei segnati, cento quarantaquattro mila segnati, di tutte le tribù dei figliuoli d’Israele. Della tribù dì Giuda dodici mila segnati: della tribù di Ruben dodici mila segnati: della tribù di Gad dodici mila segnati: della tribù di Aser dodici mila segnati: della tribù di Neftali dodici mila segnati: della tribù di Manasse dodicimila segnati: della tribù di Simeone dodici mila segnati: della tribù di Levi dodici mila segnati: della tribù di Issacar dodicimila segnati: Mella tribù di Zàbulon dodici mila segnati: della tribù di Giuseppe dodici mila segnati: della tribù di Beniamino dodici mila segnati.]

I. Vers. 1. – Poi vidi quattro Angeli in piedi ai quattro angoli della terra, che trattenevano i quattro venti, per impedire che soffiassero sulla terra e sul mare e su qualsiasi albero. Queste parole suggeriscono una breve continuazione della persecuzione precedente, da parte dei quattro imperatori che allora regnavano nelle quattro parti dell’Impero Romano, e che erano: Galerio, Massenzio, Massimino e Licinio. Perciò l’Apostolo dice: “Dopo questo, cioè dopo la persecuzione di Diocleziano e Massimiano, che deposero le redini dell’impero, vidi quattro angeli, cioè i quattro imperatori e persecutori della Chiesa sopra menzionati, in piedi e che governavano o regnavano ai quattro angoli della terra, nelle quattro parti dell’Impero Romano, che si estendeva fin quasi alle estremità del mondo. Li ho visti trattenere i quattro venti, per impedire che soffiassero sulla terra, cioè impedissero a tutti i dottori della Chiesa di predicare il Vangelo e la parola di Dio. Di questo vento si parla nel libro del Cantico dei Cantici (IV, 16): « Aquilone, alzati; vieni, vento del sud, soffia nel mio giardino, esalta tutti i suoi profumi. » Infatti come la terra è resa feconda dai venti, così il giardino della Chiesa militante è reso fecondo dal soffio della predicazione. Li ho visti trattenere i quattro venti, per impedire che soffiassero sulla terra e sul mare e su qualsiasi albero. Qui l’Apostolo scambia il contenitore per il contenuto. Infatti, alcuni Cristiani vivevano nei deserti, altri nelle isole, altri ancora nelle foreste, per paura delle persecuzioni. Ora tutti questi luoghi sono designati dalle parole mare, terra e alberi.

II. Vers. 2E vidi un altro Angelo che saliva da levante. San Giovanni descrive ora la soppressione di questi quattro tiranni da parte dell’imperatore Costantino il Grande, nell’anno di Cristo 312. E vidi un altro Angelo, che è cioè un Angelo opposto ai primi; questo fu Costantino il Grande, che salì dall’Oriente; che salì all’Impero per disposizione di Cristo, che è il Sole di giustizia, per riportare la pace nella Chiesa. Infatti, mentre Massenzio, che aveva ucciso Severo, esercitava la sua tirannia a Roma, la nobiltà chiese a Costantino, figlio di Costanzo Cloro, allora governatore nelle Gallie, di liberare la città dalla servitù di Massenzio. Questo Angelo, che stava salendo da levante, portava il segno del Dio vivente, cioè il segno di Cristo. È infatti riportato (Hist. ecc. 1. IX), che Costantino, venendo a Roma per opporsi alla tirannia di Massenzio, meditava spesso sulle disposizioni da prendere in questa guerra; e, sebbene non avesse ancora ricevuto il Battesimo, stava tuttavia pregando Dio per ottenere la vittoria, quando, alzando gli occhi al cielo, vide lo stendardo della croce brillare nell’aria. E mentre questa straordinaria visione lo colpiva con stupore, sentì gli Angeli che circondavano la croce che gli dicevano: « Con questo segno tu vincerai ». Rassicurato della vittoria, fece mettere il segno della croce sulle bandiere dei suoi soldati, proprio come gli era apparso; ed essendosi mosso contro Massenzio, lo sconfisse e ne risultò trionfante.

Vers. 3E gridò ad alta voce ai quattro Angeli ai quali era stato dato di danneggiare la terra e il mare. Dicendo: “Non fate del male alla terra, al mare e agli alberi, finché non abbiamo segnato sulla fronte i servi del nostro Dio”. Queste parole descrivono la potenza, la grande pietà e l’ardente zelo di Costantino il Grande per la Religione cristiana. E gridò ad alta voce ai quattro Angeli, cioè a quei quattro persecutori e ai loro ministri stabiliti nelle quattro parti dell’impero. E comandò a loro e a tutti i sudditi dell’impero di chiudere i templi del paganesimo, di rinunciare agli idoli, e di abbracciare la fede dei Cristiani. Ordinò anche la costruzione di chiese in tutto la terra, ed egli stesso costruì a Roma la basilica di San Giovanni in Laterano e molti altri edifici sacri, che adornò con grandi spese e riempì di immense ricchezze. Egli emanò delle leggi contro il culto degli idoli, mise a tacere i falsi oracoli, impedì l’erezione di nuovi simulacri e mise fine ai sacrifici occulti. Proibì i combattimenti tra gladiatori nelle città, …e non permise che esse fossero contaminate da sangue umano. Il culto del Nilo da parte di uomini effeminati non fu più tollerato. Ecco perché proibì la morte degli ermafroditi come colpevoli di adulterio. Diede anche delle leggi ai governatori delle province, per la santificazione della Domenica, e per far rispettare le feste dei martiri. (Hist. Eccl., 1. IV. De vita Constantini.). Riservò certi diritti in tutte le città, sul tributo che dovevansi pagare; e ne assegnò le entrate alle chiese e al clero di ogni località, assicurandone il possesso in perpetuo. La decisione delle difficoltà sollevate dai tribunali civili contro la Chiesa, fu devoluta ai Vescovi, e volle che tutte le loro sentenze avessero forza di legge. Egli diede anche ai Vescovi piena giurisdizione sui loro chierici. Stabilì dappertutto le immunità ecclesiastiche, favorì le belle lettere, istituì numerose scuole e fondò delle biblioteche. Accordò ai professori molti privilegi ed immunità, e dotò le loro cattedre di considerevoli ritenute. È così che questo Imperatore gridò ad alta voce, dicendo: “Non danneggiate la terra, il mare o gli alberi, impedendo e rovinando la fede e la Religione di Cristo; … e così soppresse il potere dei quattro tiranni e dei loro ministri, in modo che non fosse più possibile per loro danneggiare i Cristiani. Infatti, combatté contro Massenzio e lo uccise. La stessa sorte toccò a Licinio, che maltrattò crudelmente i fedeli ad Alessandria e in Egitto; gli altri due tiranni dovettero cedere al suo potere. Così che, per quanto la Chiesa di Gesù Cristo fosse stata precedentemente nell’abiezione, nella desolazione e nelle avversità, allo stesso modo fu onorata, esaltata e consolata dal grande Costantino, principe tanto pio quanto potente, il cui regno durò trentatré anni. Non danneggiate la terra, etc. … , finché non avremo segnato sulla fronte i servi del nostro Dio. Queste parole significano la pratica pubblica del santo Battesimo che Costantino stesso ricevette da San Silvestro, e che introdusse in tutto l’impero con i suoi decreti, così come con il suo esempio. Infine, relegò all’inferno ed ebbe completamente rovinato gli idoli insozzati da tanti orrori e falsità. – Si deve osservare qui che queste parole, finora citate nel testo, non sono da prendere in un senso ristretto ma illimitato, così come quando si dice: quest’uomo non si è pentito mentre viveva, si intende dire che è morto senza fare penitenza, poiché non ci si può più pentire dopo la morte. Così questo passaggio, fino a quando abbiamo segnato sulla fronte, ecc., deve essere inteso in questo senso: che questi quattro tiranni non debbano mai più nuocere ai Cristiani.

III. Vers. 4E sentii che il numero di coloro che erano stati segnati era di centoquarantaquattromila, da tutte le tribù dei figli d’Israele. Vediamo qui il risultato di questa repressione dei tiranni, che fu la moltiplicazione dei Cristiani sotto il regno di Costantino il Grande. E sentii (in immaginazione e in spirito) che il numero di coloro che furono segnati, cioè il numero di coloro che furono battezzati e credettero, era di centoquarantaquattromila. L’Apostolo cita un numero finito per un numero infinito, come spesso accade nella Sacra Scrittura. Perché il numero di Battesimi in tutto l’impero superò di gran lunga questa cifra a quel tempo della Chiesa. Di tutte le tribù dei figli d’Israele. Il nome d’Israele appartiene ora, nel suo vero senso, a tutte le nazioni rigenerate in Gesù Cristo mediante il Battesimo, secondo questa parola di Osea (II, 24): « E io dirò a colui che è stato chiamato “non mio popolo”: Tu sei il mio popolo. » Possiamo anche citare qui quest’altro passo di Isaia, (XLIV, 3): « Farò scendere il mio spirito sulla tua razza e la mia benedizione sui tuoi discendenti. I vostri figli cresceranno tra le piante, come salici presso i ruscelli. Uno dirà: Io sono del Signore; un altro si glorierà nel nome di Giacobbe; un altro scriverà con la sua mano: Io sono del Signore; e si glorierà nel nome d’Israele. » Ora questo passaggio si applica alle nazioni convertite a Gesù Cristo. Allo stesso modo l’Apostolo dice (Rom. II, 28): « Il Giudeo non è colui che lo è esteriormente, né la circoncisione è quella che si fa nella carne, e che è solo esteriore; ma Giudeo è colui che è Giudeo interiormente », attraverso la fede di Gesù Cristo e la circoncisione spirituale del cuore. Ce n’erano dodicimila della tribù di Giuda. In conseguenza di ciò che è stato appena detto, queste dodici tribù devono essere intese letteralmente come i dodici Apostoli del Nuovo Testamento, che corrispondono e sono assimilati ai dodici Patriarchi del Vecchio Testamento. Infatti, come attraverso questi, tutte le generazioni d’Israele discendono da Giacobbe secondo la carne, così attraverso gli Apostoli, tutte le generazioni dei Cristiani discendono da Gesù Cristo, secondo la seconda promessa e secondo lo Spirito. – E al posto della tribù di Dan, dalla quale si dice che nascerà l’Anticristo, l’Apostolo pone qui la tribù di Giuseppe, come San Mattia prese il posto di Giuda il prevaricatore.

§ II.

La consolazione della Chiesa trionfante per le passate tribolazioni, e le vittorie ottenute dai santi Martiri nelle persecuzioni.

CAPITOLO VII. VERSETTI 9-17.

Post hæc vidi turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus, et tribubus, et populis, et linguis: stantes ante thronum, et in conspectu Agni, amicti stolis albis, et palmae in manibus eorum: et clamabant voce magna, dicentes: Salus Deo nostro, qui sedet super thronum, et Agno. Et omnes angeli stabant in circuitu throni, et seniorum, et quatuor animalium: et ceciderunt in conspectu throni in facies suas, et adoraverunt Deum, dicentes: Amen. Benedictio, et claritas, et sapientia, et gratiarum actio, honor, et virtus, et fortitudo Deo nostro in saecula saeculorum. Amen. Et respondit unus de senioribus et dixit mihi: Hi, qui amicti sunt stolis albis, qui sunt? et unde venerunt? Et dixi illi: Domine mi, tu scis. Et dixit mihi: Hi sunt, qui venerunt de tribulatione magna, et laverunt stolas suas, et dealbaverunt eas in sanguine Agni. Ideo sunt ante thronum Dei, et serviunt ei die ac nocte in templo ejus: et qui sedet in throno, habitabit super illos: non esurient, neque sitient amplius, nec cadet super illos sol, neque ullus æstus: quoniam Agnus, qui in medio throni est, reget illos et deducet eos ad vitæ fontes aquarum, et absterget Deus omnem lacrimam ab oculis eorum.

[Dopo questo vidi una turba grande che ninno poteva noverare, di tutte le genti, e tribù, e popoli, e lingue, che stavano dinanzi al trono e dinanzi all’Agnello, vestiti di bianche stole con palme nelle loro mani: e gridavano ad alta voce, dicendo: La salute al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello. E tutti gli Angeli stavano d’intorno al trono, e ai seniori, e ai quattro animali: e si prostrarono bocconi dinanzi al trono, e adorarono Dìo, dicendo: Amen. Benedizione, e gloria, e sapienza, e rendimento di grazie, e onore, e virtù, e fortezza al nostro Dio pei secoli dei secoli, così sia. E uno dei seniori mi disse: Questi, che sono vestiti di bianche stole, chi sono? e donde vennero? E io gli risposi: Signor mio, tu lo sai. Ed egli mi disse: Questi sono quelli che sono venuti dalla grande tribolazione, e hanno lavato le loro stole, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Perciò sono dinnanzi al trono di Dio, e lo servono dì e notte nel suo tempio: e colui che siede sul trono abiterà sopra di essi: non avranno più fame, né sete, né darà loro addosso il sole, né calore alcuno: poiché l’Agnello, che è nel mezzo del trono, li governerà, e li guiderà alle fontane delle acque della vita, e Dio asciugherà tutte le lacrime dagli occhi loro.]

Vers. 9. Poi vidi una grande moltitudine che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, in piedi davanti al trono, ecc. In queste e nelle seguenti parole, l’Apostolo descrive e rivela lo stato beato di tutti i santi Martiri esistenti nella Chiesa trionfante, che, al tempo di Diocleziano e dei tiranni che lo precedettero, passarono alla vita eterna attraverso molte tribolazioni ed una morte crudele. Lo scopo di questa descrizione di San Giovanni è di confortare e consolare i soldati cristiani che dovranno ancora soffrire fino alla consumazione dei secoli, per la fede, per la giustizia e per la gloria di Dio nella Chiesa militante, ecc. Dopo questo: queste due parole devono essere intese, secondo l’ordine delle cose rivelate, ho visto una grande moltitudine di martiri e santi che, nei primi tre secoli della Chiesa, sono arrivati alla gloria celeste. Che nessuno poteva contare. L’Apostolo non specifica il numero di questi martiri, per far capire che era immenso, come si può vedere da quanto detto sopra: … da ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Egli cita questi quattro diversi tipi di moltitudini per dire che una moltitudine di uomini di tutte le nazioni della terra, nelle quattro parti del mondo, è giunta alla vita eterna attraverso il martirio, e anche per farci capire che nessuna classe di uomini è esclusa dalla gloria celeste. Ho visto questa moltitudine in piedi davanti al trono. Queste parole esprimono lo stato di quei Santi che godono della visione beatifica di Dio e della stabilità del riposo eterno. – E davanti all’Agnello, cioè godendo della presenza dell’umanità di Gesù Cristo, che potranno contemplare in tutta la misura dei loro desideri. Essi saranno anche rivestiti di vesti bianche, etc., cioè arricchiti della gloria, delle ricompense e delle aureole speciali proporzionate alle loro lotte, alle loro opere e ai loro meriti. Infine, staranno davanti al trono, … con le palme delle mani, come segno della loro completa vittoria, che non potrà mai essere raggiunta nella vita presente, poiché i più grandi Santi devono sempre combattere quaggiù, in qualsiasi situazione si trovino. Si vede quindi, da quanto appena detto, che questa descrizione non può che riferirsi allo stato della Chiesa trionfante in cielo.

Vers. 10. – E gridarono a gran voce. Queste parole indicano l’ufficio speciale dei Santi in cielo, insieme alla veemenza e all’ardore dell’amore con cui lodano e glorificano Dio e l’Agnello, per la gratitudine della loro salvezza, di cui sono sicuri per tutta l’eternità, dicendo: La salvezza è del nostro Dio seduto sul trono e dell’Agnello, cioè che la salvezza, la felicità e tutte le cose buone di cui godono vengono da Dio e dall’Agnello.

II. Vers. 11. – E tutti gli Angeli stavano intorno al trono, i vegliardi ed i quattro animali, e si prostravano con la faccia davanti al trono e adoravano Dio. E seguì un applauso generale di tutti i santi Angeli per la salvezza di questi gloriosi martiri. E tutti gli Angeli stavano in piedi, pronti ad eseguire ogni volontà divina, intorno al trono, agli anziani e ai quattro animali. Questi Angeli della Chiesa trionfante formano tre gerarchie, divise in nove cori. Erano in piedi intorno al trono di Dio e ai Vegliardi, cioè i Profeti, gli Apostoli, i quattro animali, i quattro Evangelisti e i dottori, dove essi sono continuamente pronti a servire Dio loro Creatore, come indica l’espressione “in piedi”. Si prostrarono con la faccia davanti al trono e adorarono Dio. Queste parole esprimono la più perfetta sottomissione, il rispetto e l’umiltà con cui questi spiriti angelici adorano, per tutta l’eternità, Gesù Cristo, vero Dio e uomo allo stesso tempo, dandogli ogni lode e gloria per lo stato della loro beatitudine, ed esprimendo la loro gratitudine a Lui per il trionfo dei santi Martiri, dicendo: “Amen“.

Vers. 12. – Benedizione, gloria, sapienza, azioni di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Così sia. Ciò significa che questi Angeli benedicono Dio, lo lodano e ne glorificano la potenza, il Nome e la sapienza, in ciò che concerne i suoi attributi eterni. Essi gli rendono azioni di grazie per le tribolazioni che questi santi Martiri hanno sopportato e che hanno dato loro una così grande gloria. Onore, nelle chiese pubbliche e sugli altari che furono costruiti in tutto l’universo dopo l’ultima persecuzione di Diocleziano. Potenza, nei miracoli compiuti come testimonianza della fede. Forza, nella resistenza ai tiranni e ai persecutori della Chiesa. Infine, l’ammirevole costanza dei santi Martiri, il cui numero quasi infinito di entrambi i sessi ha trionfato su tutti i tormenti e ha raggiunto il regno celeste. Ora, questi santi Angeli dichiarano che tutti questi trionfi devono essere attribuiti al Signore, unica fonte e oceano di ogni bene; poi finiscono con la parola Amen. Così sia, per esprimere il loro ardente desiderio che sia così.

III. VERSETTO 13. – Allora uno degli anziani rispose e disse: “Chi sono questi che appaiono in vesti bianche e da dove vengono? È con la più grande saggezza che uno degli anziani qui fa una domanda su queste persone, su ciò che siano e come siano pervenute allo stato di beatitudine. Egli pone questa domanda per la consolazione, la gioia e la speranza dei giusti, in mezzo a tutte le avversità che soffriranno sulla terra, per mano degli empi, per permesso di Dio. Lo fa anche per farci capire che il martirio e la morte dei giusti non sono una disgrazia per loro, ma piuttosto il passaggio ad uno stato che è la riunione di ogni bene e di ogni gloria. (Sap. III, 1): « Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e il tormento della morte non le toccherà. Apparivano morti agli occhi degli stolti, la loro partenza dal mondo era considerata un colmo di afflizioni e la loro partenza dal mondo come un grande dolore, e la loro separazione da noi come una completa rovina; eppure, essi sono in pace. » Questo è ciò che gli empi saranno costretti a confessare e a deplorare loro stessi all’ultimo giudizio, per la loro vergogna eterna; ma … sarà troppo tardi. (Sap. V, 1): «Allora i giusti insorgeranno con grande fermezza contro coloro che li hanno tormentati ed hanno tolto loro il frutto del loro lavoro. A questa vista gli empi saranno turbati e avranno grande paura; saranno stupiti quando vedranno improvvisamente i giusti salvati contro le loro aspettative. Diranno dentro di sé nel loro cuore, presi dal rimpianto e sospirando: Questi sono coloro che un tempo venivano derisi da noi e che noi additavamo ad esempio di persone degne di ogni tipo di oppressione. Insensati com’eravamo, la loro vita ci sembrava una follia e la loro morte un’onta. Eppure eccoli elevati al rango di figli di Dio, e la loro porzione è con i santi. » Allora uno dei vegliardi prendendo la parola mi disse, etc. Questo vegliardo è San Pietro, il primo dei prelati della Chiesa. Chi sono questi che appaiono vestiti di bianco e da dove vengono?

Vers. 14. – Io gli risposi: Signore, voi lo sapete. San Giovanni ricevette immediatamente dalla Verità Eterna una risposta piena di istruzioni per noi.  Ed egli mi disse: Questi sono coloro che sono venuti qui dopo grandi afflizioni; cioè, sono coloro che sono stati il rimprovero degli uomini sulla terra, e che hanno sopportato ogni sorta di tormento: le ruote, il fuoco, le bestie, la spada, la prigione e l’esilio; ed anche coloro che sono usciti da questo mondo per il martirio, al tempo delle terribili tribolazioni di Diocleziano, Massimiano e degli altri tiranni loro predecessori, e che hanno lavato e rese bianche le loro vesti nel sangue dell’Agnello. Queste parole esprimono l’aureola del martirio che fu loro conferito a causa della testimonianza che diedero alla fede di Gesù Cristo. Perché il sangue dei Martiri è moralmente preso per il sangue dell’Agnello, perché quel sangue è il sangue delle sue membra, nelle quali Egli soffre la persecuzione, come Egli stesso dice (Atti, IX, 4): – « Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? » Si dice anche che hanno lavato e rese bianche le loro vesti nel sangue dell’Agnello, perché tutti i meriti e la morte dei Santi sono fondati sui meriti, la morte ed il Sangue dell’Agnello Gesù Cristo, nel quale sono radicati, come il tralcio nella vite, e al quale sono uniti come il frutto all’albero, e come la pianta alla semenza, etc.

Vers. 15. – Perciò essi sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, etc. Qui segue la degna e piena ricompensa che è data loro in proporzione alle loro tribolazioni, e che è espressa da queste parole: … è per questo. Queste parole specificano ulteriormente le otto beatitudini che corrispondono agli otto gradi di virtù che sono difficili da raggiungere, e le otto vittorie principali che i Cristiani devono vincere per raggiungere il regno celeste. Queste sono le otto ricompense o beatitudini che Gesù Cristo ha promesso ai suoi soldati in Matteo V. Questo numero otto designa anche l’universalità e la sazietà di tutti i beni del cielo, come vedremo.

IV. Il primo grado delle virtù cristiane è la povertà di spirito di cui il Cristiano deve essere armato, in modo che sia disposto a perdere tutti i beni temporali piuttosto che negare la fede. Deve anche essere pronto, in mezzo alla persecuzione, a distribuire i suoi beni ai poveri, come fecero San Lorenzo e tutti gli altri Martiri quando i tiranni perseguitavano i fedeli nei loro beni temporali. Ora è a questo generoso sacrificio di tutti i beni temporali che Gesù Cristo promette il regno dei cieli, che è la stabilità eterna nella gloria e nella felicità. Anche San Giovanni aggiunge in questa occasione: Perciò essi sono davanti al trono di Dio, durante l’eternità, e lo vedono faccia a faccia, così com’è. – Il secondo grado è la mitezza, la dolcezza e la pazienza con cui i santi Martiri sopportarono il giogo e soffrirono la tirannia dei re della terra, seguendo l’esempio di Gesù Cristo loro maestro. Si sono lasciati immolare come agnelli senza lamentarsi, vincendo così il male con il bene. Ora, è come ricompensa per questa virtù che viene loro promessa la seconda beatitudine che consiste nel possesso della terra, cioè nella perfetta libertà e nel godimento eterno del sovrano Bene; poiché essi regneranno con Gesù Cristo loro Capo per tutti i secoli dei secoli, così come regnano con Lui sulla terra, poiché è per regnare che servono Dio. Per questo San Giovanni aggiunge: E lo servono giorno e notte nel suo tempio, cioè lo servono giorno e notte nel riposo, nella libertà e nella beatitudine eterna, lodando il loro Creatore, senza avere mai nulla da temere. (Ps. LXXX, 5): « Beati coloro che abitano nella la tua casa, o Signore, essi ti loderanno per sempre. » Per “tempio” intendiamo qui l’Empireo, il palazzo del Re eterno, il tabernacolo incorruttibile, in cui Dio abita con i Santi e con gli Angeli, come vedremo nel capitolo XXI. – Il terzo grado è il pianto dei giusti ed il loro gemito nelle avversità, nell’instabilità, nei tormenti, nelle tentazioni e nelle innumerevoli miserie e calamità di questo mondo. Ma, d’altra parte, viene loro promessa la piena consolazione e la perfetta felicità, che consisterà nell’essere con Gesù Cristo, e di regnare con questo Monarca infinitamente giusto, santo e potente, la cui bontà, potenza e regno rimarranno fissi ed immutabili per tutta l’eternità. Ecco perché San Giovanni dice: E colui che siede sul trono regnerà su di loro. Poiché non saranno più soggetti a nessun re della terra per servirlo, né il loro felice stato cambierà più nei secoli dei secoli, perché il nostro Signore Gesù Cristo, il Re dei re, il Signore dei signori, il cui giogo è facile e il cui fardello è leggero, sarà il loro re. Egli regnerà su di loro per tutta l’eternità ed essi non saranno mai più separati da Lui. – Il quarto grado è lo zelo della giustizia, al quale è promessa la perfetta soddisfazione di tutti i desideri e la sazietà di tutti i beni. Perché i giusti ed i Santi di Dio sulla terra, vedendo che questo mondo è pieno di mali, provano una tale afflizione di spirito nel non potervi porre rimedio, che può essere paragonata agli ardori della fame e della sete. Perché quale grande dolore provano quando vedono l’oppressione dei poveri, degli orfani e delle vedove, e quando vedono gli empi prevalere sui giusti! Sono testimoni delle follie dei malvagi e del disprezzo dei saggi; contemplano con dolore tutti i beni la cui realizzazione è impedita: tante anime che periscono, tante guerre e processi ingiusti; infine, essi sono costretti a riconoscere, senza potervi porre rimedio, che non c’è né giustizia, né verità, né timore di Dio, né carità, né buona fede nella maggior parte degli uomini! Ora è a queste persone giuste che San Giovanni applica queste parole consolanti:

Vers. 16. – Non avranno più fame né sete, perché saranno pienamente soddisfatti e contenti in tutti i loro desideri, conoscendo dall’alto i decreti della volontà divina. (Sal. XVI, 17): « Quanto a me, o Signore, rivestito di giustizia, vedrò il tuo volto; sarò soddisfatto quando la tua immagine mi apparirà. »  Questi giusti non saranno più soggetti alle infermità del corpo per tutta l’eternità. – Il quinto grado delle virtù cristiane è essere misericordiosi amando i poveri, i miserabili, gli afflitti, le vedove e gli orfani; aiutando i bisognosi, ed essendo mite, gentile, benevolo e compassionevole verso il prossimo, nella carità di Gesù Cristo. Per questa virtù l’Apostolo promette a coloro che la praticano la misericordia di Dio, che li preserverà dalle pene dell’inferno e li rassicurerà contro ogni tribolazione nei secoli dei secoli. Infatti, aggiunge: E il calore del sole e di nessun altro fuoco li disturberà più; cioè, Gesù Cristo, il Sole di Giustizia, tormenterà nell’inferno solo gli empi, i tiranni e gli uomini senza pietà; e nessuna delle grandi e numerose tribolazioni di questo mondo disturberà coloro che hanno mostrato misericordia. – Il sesto grado è una vita santa, immacolata, casta, sobria e pia in questo mondo. Questa virtù sarà ricompensata con la visione eterna di Dio nel suo regno, dove nulla di contaminato può entrare.

Vers. 17. – Perché l’Agnello, che è in mezzo al trono, sarà il loro pastore. Per Agnello si intende qui l’umanità di Cristo, nella quale e attraverso la quale, come in una luce ardente, i beati vedranno eternamente lo splendore della Divinità. Perché l’Agnello che è in mezzo al trono, cioè al cielo, (Matth. V), nel quale il Signore nostro Gesù Cristo si manifesterà glorioso e mirabile a tutti i Santi. L’Agnello ….. sarà il loro pastore, perché è attraverso l’umanità di Cristo, posta tra la Divinità e le creature, che i beati godranno della visione beatifica; e anche perché i giusti saranno diretti dalla volontà ineffabile di Gesù Cristo, da cui dipenderanno assolutamente. E il Signore non permetterà più loro di sbagliare o di peccare durante tutta l’eternità. Ma rimarranno perfettamente uniti al loro Creatore nel perfetto riposo, e saranno come assorbiti in lui in modo ineffabile. Ora, è attraverso l’aiuto dell’umanità di Cristo che essi godranno eternamente di questa felicità infinita. Per questo non dovranno più temere di perdere la visione beatifica di cui godranno con un piacere sempre nuovo, perché non c’è nulla che possano ancor più possedere. – Il settimo grado è una certa libertà e una santa pace sulla terra, per mezzo della quale i giusti domineranno i loro affetti malvagi e conterranno le loro passioni nella calma e nella sottomissione. È da questo che essi resteranno saldi nelle calamità, nelle avversità e nelle persecuzioni, non perdendo mai la calma e la pace del cuore, e riposando in Dio, sulla testimonianza della loro buona coscienza. L’Apostolo promette loro la figliolanza di Dio, con la quale i desideri dei Santi saranno pienamente realizzati e soddisfatti, poiché non c’è nulla di più grande che essi possano possedere, niente di più degno che possano desiderare, niente di più dolce di cui si possa godere, niente di più meraviglioso che possano contemplare, questo loro Dio con tutte le sue perfezioni! E li condurrà alle fonti delle acque vive, cioè all’immortalità e alla sazietà di tutti i beni e di tutti i desideri possibili. È per esprimere questa varietà e molteplicità di beni che San Giovanni dice al plurale: Li condurrà alle fonti di acque vive. Di conseguenza, otterremo questa pienezza di felicità e questa filiazione divina dopo la resurrezione universale dei corpi, quando saremo chiamati figli di Dio, e vedremo il nostro Creatore faccia a faccia e così come Egli è. – Infine, l’ottavo grado delle virtù consiste nel soffrire con pazienza e con umiltà le persecuzioni, le avversità, le catene, il carcere, la perdita dei beni temporali e persino la morte, per amore della giustizia e della fede di Gesù Cristo. È di quest’ultimo grado che San Giovanni dice: E Dio asciugherà dai loro occhi ogni lacrima, cioè Dio non permetterà più alcun motivo di afflizione contro di essi, ma concederà loro una consolazione piena e perfetta. Per quanto hanno sofferto, di tanto saranno consolati; così che nessuno di loro si lamenterà delle loro passate tribolazioni ed avversità, poiché godranno dei beni eterni che avranno ottenuto in proporzione ai dolori che hanno sopportato ed ai sacrifici che hanno dovuto fare.

FINE DEL TERZO LIBRO

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO QUARTO

UNA FONTE DOTTRINALE: LE ENCICLICHE (1)

Dom PAUL NAU

Monaco di Solesmes

UNA FONTE DOTTRINALE: LE ENCICLICHE

Saggio sull’autorità del loro insegnamento

Les Editions du Cèdre 13, Rue Mazarine

PARIS

NIHIL OBSTAT Solesmis, die 24 Apr. 1952.Fr. Georgius FRENAUD, m. b. Cens. dep.

IMPRIMI POTEST Solesmis, die 25 Apr. 1952. t Fr. Germanus COZIEN, Abbas S. Petri de Solesmis.

IMPRIMATUR. die 24 Aug. 1952. t GEORGIUS Archiep. Episc. Cenomanensis.

L’enciclica Humani generis ha recentemente scoperto che il punto di partenza delle deviazioni dottrinali che essa è venuta a correggere è stata la mancanza di attenzione all’insegnamento enciclicale dei Pontefici. È stato proprio per risvegliare questa attenzione che sono stati scritti i tre articoli qui raccolti. Erano in procinto di essere pubblicati quando è apparsa la Lettera Pontificia, che confermò le loro conclusioni con la sua impareggiabile autorità. L’autore, nel rispondere alle richieste di ristamparle in forma di libretto, non ha avuto altro scopo che quello di aiutare le persone a comprendere meglio e più ampiamente la portata esatta delle encicliche, e quindi di introdurle ad una lettura più attenta di questi grandi documenti dell’insegnamento ordinario del Romano Pontefice.

I.  

I testi

Nel 1849, il Dictionnaire de Droit et de Jurisprudence civile et ecclésiastique dell’Encyclopédie Théologique, di Migne, dedica alle Encicliche solo questa infausta nota: « La parola Enciclica è nuova in Francia. Oggi questo nome viene dato alle Lettere Apostoliche che il Papa indirizza a tutti i Vescovi di un paese o a tutti i Vescovi dell’universo. La ricezione ufficiale e la pubblicazione di queste lettere è soggetta alle stesse formalità delle bolle, delle memorie o dei rescritti.  Dopo un secolo, non è solo il termine, ma le encicliche stesse che hanno acquisito il diritto di essere lette dai lettori francesi. Gli oratori e gli editori cattolici non sono i soli a contribuire alla loro pubblicità;  (Anche se ci si limita alla Francia, è impossibile citarli tutti. Conosciamo almeno i testi della Documentation catholique e la raccolta di Encicliche e Documenti Pontifici della “Lionne Presse”, così come le monografie pubblicate da “Spes” e le varie edizioni dell’Action catholique. La Cité Chrétienne, di Henri BRUN, e la sua continuazione L’Ordre et l’Amour il Catechismo di Leone XIII, di Padre CERCEAU, possono sempre essere consultati con profitto. Non è necessario richiamare l’attenzione sull’evidente importanza di questi testi e sull’importanza della fondazione all’Istituto Cattolico di Parigi di una cattedra destinata a far conoscere gli insegnamenti pontifici, compito al quale giornali come La France Catholique aprono ampiamente le loro colonne e che La Pensée Catholique ha inserito nella prima pagina del suo programma.). Esse hanno animato i dibattiti della Camera dei Deputati e persino quelli delle logge massoniche (è in seguito all’emozione suscitata al “Grande Oriente” dalla pubblicazione della Rerum Novarum che fu deciso di ridurre la quota d’iscrizione, fino ad allora molto elevata, esatta dai membri di questa obbedienza e che ne impedivano l’entrata ai meno fortunati); solo recentemente la Revue des deux Mondes ha dedicato loro un articolo (Jean DE SAINT-CHAMANT, Les Encycliques et le marxisme, Revue des deux Mondes du 1e r agosto 1948.) e sull’una o sull’altra delle loro collezioni si possono leggere nomi così indipendenti come quello di Dalloz o così insospettabili di favoritismi religiosi come quello di Rieder (Encycliques et messages sociaux, textes choisis et préface par Henri GUITTON, Dalloz, 1948 ; Les textes pontificaux sur la Démocratie et ta société moderne, les éditions Rieder, 1928.). Ma se le Encicliche sono molto discusse, la loro vera natura è generalmente meno conosciuta, e gli stessi teologi talvolta esitano sull’esatta portata della loro autorità dottrinale. Più di quindici anni prima della data in cui l’Enciclopedia del Migne descriveva questo termine come una “parola nuova, un’Enciclica, Mirari vos, aveva già condannato le dottrine de l’Avenir, e Lamennais, preludendo alla sua rottura definitiva, si rifugiò in distinzioni tendenziose: « Il nostro amico di Coriolis – scrisse a Vitrolles – aveva ragione di dirvi che non ero minimamente scosso nelle mie opinioni, che non ne abbandonavo nessuna e che, al contrario, vi ero più attaccato che mai. La lettera del Papa, che non ha carattere dogmatico, che è… solo un atto di governo, potrebbe benissimo impormi momentaneamente l’inazione ma non una fede… (Lettera del 15 novembre 1832 a Vitrolles, citata da Paul Du DON, Lamennais et le Saint-Siège, Paris, 1911, p. 220.).  – Nel 1864, la pubblicazione dell’enciclica Quanta Cura e il Sillabo ad essa allegato risvegliarono la disputa. La definizione dell’infallibilità papale da parte del Concilio Vaticano avrebbe dovuto, a quanto pare, porvi fine; ha semplicemente chiarito il punto in discussione. Il Concilio aveva affermato che il Romano Pontefice è infallibile quando, parlando ex cathedra, definisce un punto di dottrina. Era questo il caso delle Encicliche? Potrebbero essere considerati come atti pronunciati ex cathedra, come giudizi o definizioni della dottrina rivelata? Non è necessario ripetere qui i dettagli delle discussioni che si tennero sull’Ami du Clergé, sugli Etudes, sulla Revue Thomiste (Ami du Clergé, 1903, p. 801 ss., 1907, p. 91 ss, 1908, p. 193 ss e 530 ss; Revue thomiste, 1904, p. 513 ss.; Etudes religieuses, 5 agosto 1907, 5 gennaio 1908), da parte di teologi come Mons. Perriot, P. Pègues, O. P. e P. Choupin, S. J. Quest’ultimo le ha riassunte in un’opera (Lucien CHOUPIN, S. J., Valore delle decisioni dottrinali e disciplinari della Santa-Sede, terza edizione, Parigi, 1929), che è ormai un’autorità e che permetterà a chi lo desidera di riferirsi facilmente ai punti concreti del dibattito. Ci basterà qui riassumerne le conclusioni. Le due parti si accordarono facilmente per negare alle encicliche il carattere di definizioni ex cathedra. Ma mentre questi documenti perdevano per sé stesse, agli occhi dei padri Choupin e Pègues, il privilegio dell’infallibilità, l’editore dell’Ami du Clergé, basandosi su un testo del cardinale Billot, rifiutò di accettare quest’ultima conclusione e continuò a riconoscerne degli atti infallibili. La controversia da allora sembra aver fatto pochi progressi. L’articolo “Enciclica” nel Dictionnaire de Théologie catholique, firmato da M. Mangenot, coincide, almeno in gran parte (… le Encicliche “non costituiscono definizioni ex cathedra, di autorità infallibile. Il Sommo Pontefice potrebbe però, se volesse, fare definizioni solenni nelle encicliche…), con la tesi di P. Choupin, cui si può paragonare il capitolo molto meno sfumato di P. J. Villain, S.J., in Les études: du prêtre d’aujourd’hui (Lo studio delle encicliche, di R. P. J. VILLAIN S. J., in Les études du prêtre d’aujourd’hui, pubblicato dall’ “Union Apostolique“, con una prefazione del cardinale Suhard, Parigi, 1945. Si può anche leggere nello stesso senso: A. CHAVAS, SB” La vera concezione dell’infallibilità pontificale, in Eglise et Unité, Lille, 1948). D’altra parte, il P. Riquet, S.J., in Tu es Petrus (Il Papa, erede dei poteri di Pietro, di R. P. Michel RIQUET S. J., in Tu es Petrus, encyclopédie populaire sur la Papauté, Paris, 1944, p. 56.) sembra mantenere la posizione precedentemente difesa dall’Amico e che pone le Encicliche tra gli atti della Santa Sede, che, senza essere definizioni, sono tuttavia documenti infallibili. Queste divergenze, appena escono dal dominio della pura speculazione teologica, rischiano purtroppo di degenerare in liti di tendenze. J.-M. Vacant lo sottolineava dal 1895, nei suoi Studi Teologici sulle Costituzioni del Concilio Vaticano. Di fronte ad eretici, razionalisti e infedeli, i difensori della verità si sono… sempre, ma oggi più che mai, lasciati dominare da due preoccupazioni diverse, che li hanno fatti camminare in due direzioni opposte. Alcuni cercano soprattutto di proteggere i fedeli dalle seduzioni dell’errore e di salvaguardare l’integrità della fede; perciò, moltiplicherebbero volentieri i punti che la Chiesa ha condannato. Altri sono profondamente preoccupati dal desiderio di attirare alla dottrina cattolica coloro che la rifiutano; così, per una tendenza contraria, vorrebbero eliminare tutti i punti che i miscredenti trovano difficili da ammettere e ridurre i dogmi ad una sorta di minimo. (Etudes théologiques sur les Constitutions du concile du Vatican, par J. M. A. VACANT, Paris-Lyon 1895, tome II, p. 116, n° 650). Più recentemente H. P. J. Villain, nell’opera già citata, ha indicato a sua volta, come ancora attuali, di cui l’esperienza ha dimostrato non essere chimerica, quello di un rigorismo… che rende talvolta odiosa la dottrina, e quello di un laicismo che permette di vedere nelle encicliche solo documenti di nessun valore pratico, dichiarazioni platoniche, semplici dissertazioni del Sovrano Pontefice che non vi attribuirebbe lui stesso grande importanza (Loc. cit.,p. 191).  Nel corso di una discussione, si fa talvolta riferimento a un testo pontificio e la risposta, senza ulteriore qualificazione, è: “È solo un’Enciclica”. Queste discussioni possono continuare senza una soluzione, con grande danno per l’unità di vedute dei Cattolici, finché rimarranno intaccate da un difetto di metodo. Una dottrina può essere vera, anche sovranamente opportuna, senza che il documento che la richiama sia dotato del carisma dell’infallibilità. Al contrario, una verità, anche se proviene da un documento autenticamente e inequivocabilmente infallibile, è improbabile che trovi un pubblico facile tra coloro la cui mentalità è destinata a riformare. Le stesse controversie teologiche difficilmente avranno successo, se rimangono rinchiuse nel regno del “a priori” o del puro metodo deduttivo. Si potrà discutere a lungo sull’autorità delle encicliche se non ci si prenda la briga di interrogarle personalmente. È al Magistero che dobbiamo chiedere quale grado di credito dobbiamo dare ai suoi atti. Pin effetti la loro autorità divina non è una verità puramente razionale, ma appartiene al regno della rivelazione; è quindi il solo organo vivente della rivelazione che può apportarci luce. – Non è d’altronde la questione di principio che è in gioco qui; l’autorità sovrana del Magistero pontificio è una dottrina riconosciuta da tutti i Cattolici. Si tratta solo di sapere fino a che punto il Sommo Pontefice, scrivendo un’Enciclica, impegna questa autorità. È al Sommo Pontefice e alle stesse encicliche che dobbiamo innanzitutto chiedere la risposta. Pertanto, prima di qualsiasi tentativo di sistematizzazione teologica, sembra necessario esaminare attentamente i testi. Questo è precisamente lo scopo di questo documento. Dopo un rapido inventario delle Encicliche stesse, esamineremo il loro atto di nascita, e poi chiederemo alla storia di ricordarci il ruolo che hanno avuto nel preservare il deposito e l’unità della fede. Una volta completato questo esame, sarà forse possibile precisare meglio il ruolo delle Encicliche nella teologia del Magistero, determinarne il credito esatto necessario, secondo la materia che trattano, riconoscere infine se devono essere viste come semplici indicazioni pastorali rapidamente “superate“, o se al contrario, e in che misura, devono essere accolte come autentici atti del Magistero, esigendo l’adesione del pensiero dei Cattolici o addirittura della loro fede. Prima ancora di discutere il contenuto delle Encicliche, possiamo già farci un’idea dell’importanza attribuita loro dal Sommo Pontefice con un semplice sguardo ai fogli stampati che ce le riportano. Dal 1908, la Santa Sede ha un organo ufficiale, gli Acta Apostolicæ Sedis, in cui sono inseriti i principali atti del Sommo Pontefice e delle Congregazioni Romane. È in questo organo che appaiono le Encicliche. Il posto che vi occupano sarà quindi indicativo della loro importanza in relazione agli altri atti del Papa o della Curia. Le Litteræ Encyclicæ sono inserite per prime, seguite immediatamente dalle Epistolæ Encyclicæ, che sono un po’ meno solenni (Contrariamente alla recente affermazione del Dict. D. Can. art. “Encyclicæ”). Gli atti giuridici o amministrativi, come le Costituzioni Apostoliche che promulgano un giubileo o che regolano la nuova erezione di una diocesi, prendono posto solo dopo, intervallati dalle Encicliche e dalle altre Lettere pontificie. Questa è almeno la regola generale. Essa non fu infranta fino al 1944 e al 1949, quando, nell’indice degli Atti, le encicliche lasciarono il posto alle Decretali o Bolle di canonizzazione di diversi Santi, che ripresero allora il primo posto (Cfr. A. A. S., 15 marzo 1950). Questa semplice disposizione materiale è abbastanza eloquente di per sé, e potrebbe, in assenza di un testo preciso, fornirci già una preziosa indicazione. Ma non mancano le dichiarazioni esplicite dei Pontefici nelle loro encicliche. Dovremo tornare tra poco alla condanna formale delle « Parole di un credente » da parte di Gregorio XVI nell’enciclica Singulari nos. Basterà per il momento indicare il titolo invocato per la pronuncia di questa sentenza. Non è altro che la “pienezza del potere apostolico, deque apostolicæ potestatis plenitudine“; un appello che è ulteriormente sottolineato dal considerando precedente: « Chi ci proibisce di tacere, è Colui stesso che Ci ha posto come sentinella in Israele, affinché denunciamo l’errore a coloro che l’Autore e consumatore della nostra Fede, Gesù, ha affidato alle nostre cure » (Singulari Nos del 25 giugno 1834, Acta Gregorii Papæ XVI, Romæ, 1901, t. I, p. 434.). – Non appena fu elevato alla sede pontificia, Pio IX indirizzò un’enciclica all’episcopato di tutto il mondo. In esso egli indica gli errori e i pericoli che minacciano la Chiesa. Possiamo già notare l’espressione che usa per confermare le precedenti condanne contro le società segrete. È di nuovo “la pienezza del potere apostolico” che viene invocata: quas nos apostolicæ nostræ potestatis plenitudine confirmamus (Qui Pluribus del 9 novembre 1846, in Lettere apostoliche di Pio IX, Gregorio XVI, Pio VII, Parigi, 5, rue Bayard, p. 184). È a questa raccolta che di solito rimanderemo i nostri lettori, indicandola con l’abbreviazione BP., mentre le cifre successive indicano la pagina, e il volume in questione, indicando l’uno il tomo, l’altro la pagina, per i Pontificati successivi). Nel 1864 nell’enciclica Quanta cura, la formula non è meno solenne: « Perciò, in mezzo a questa perversità di opinioni depravate, penetrati dal dovere del nostro ufficio apostolico, apostolici nostri officii probe memores, e pieni di sollecitudine per la nostra santa Religione, per la sana dottrina, per la salvezza delle anime che ci è affidata dall’alto e per il bene stesso della società umana, abbiamo ritenuto nostro dovere alzare ancora una volta la voce (Quanta Cura, 8 dicembre 1864, BP. 13). È una formula simile che Leone XIII usa a sua volta, quando, fin dai primi anni del suo pontificato, ritiene necessario mettere in guardia il mondo cattolico contro il pericolo delle dottrine comuniste e socialiste: « Avendo Dio voluto affidarci il governo della Chiesa Cattolica, custode e interprete della dottrina di Gesù Cristo, Noi riteniamo, Venerabili Fratelli, che sia Nostro dovere in questa veste ricordare pubblicamente gli obblighi che la morale cattolica impone a tutti in questo ordine di doveri. Cum regendæ Ecclesiæ catholicæ, doctrinarum Christi custodi et interpreti, Dei beneficio praepositi simus, auctoritatis Nostræ esse judicamus, V. F., publice commemorare quid a quoquam in hoc genere officii catholica veritas exigat » (Diuturnum, 29 giugno 1881, BP.1.143). Ma non è necessario fermarsi ad ogni lettera di Leone XIII per precisarne i termini. Uno di essi è particolarmente significativo. In occasione del suo giubileo sacerdotale, il Papa, rivolgendosi contemporaneamente ai Vescovi, a tutti i fedeli dell’Universo, lascia per una volta il modo serio e solenne ordinario delle encicliche, per assumere un tono più familiare e paterno. Egli ritiene necessario spiegare questa derogazione, che serve solo a sottolineare più fortemente il carattere d’insieme dell’insegnamento enciclicale. « Dall’alto di questo supremo grado dell’ufficio apostolico in cui la bontà di Dio ci ha posto, Noi abbiamo spesso, secondo il nostro dovere, preso la difesa della verità, e ci siamo particolarmente sforzati di esporre quei punti della dottrina che ci sembrano di più attuale interesse per il bene pubblico… Oggi vogliamo parlare a tutti i Cristiani, come un buon padre parla ai suoi figli, e con un’esortazione familiare, esortare ciascuno di loro a regolare la propria vita in modo santo… » (Exeunti jam Anno, 30 dicembre 1888, BP.2.229.1). I successori del grande Papa hanno interpretato i suoi avvertimenti nel senso di atti vincolanti al Magistero papale. Nella sua enciclica Quadragesimo Anno, che commemora il quarantesimo anniversario della Rerum Novarum, Pio XI mostra Leone XIII, in forza del suo diritto e della missione specialissima che ha ricevuto di vigilare sulla Religione e sugli interessi ad essa connessi, jure suo plane usus tuque probe lenens religionis custodiam dispensationemque earum rerum, quæ cum illa arcto vinculo sociantur, sibi potissimum commissas fuisse… Poi continua: Basandosi unicamente sui principi immutabili della ragione e della rivelazione divina, il Pontefice definisce e proclama con autorità sicura di sé (il latino è più forte e allude chiaramente all’autorità stessa di Cristo: tamquam potestatem habens) i diritti e i doveri… (Quadragesimo Anno, 15 maggio 1931, BP.7.94). Qualche riga più sotto Pio XI descrive l’insegnamento papale come « vox apostolica », e si dà il compito di “vendicare contro le false imputazioni di cui è oggetto“, la dottrina del Papa che si identifica con la dottrina stessa della Chiesa: “visum est eam, id est catholicam de hac re doctrinam et a calumniis vindicare et a falsis interpretationibus tueri (ibid., BP.7.113). Nello stesso senso Divini Redemptoris: “Hæc est Ecctesiæ doctrina“, BP. PIE XI, 15.66). Questa autorità che riconosce chiaramente nelle parole del suo predecessore, Pio XI l’aveva rivendicata anche in un’altra Enciclica commemorativa, Casti connubii, dove l’accumulo di termini non può lasciare dubbi sull’intenzione di impegnare in questo documento tutto il potere del Magistero: « In ragione del Nostro ufficio di Vicario di Cristo in terra, del Nostro supremo pastorato e del Nostro Magistero, abbiamo giudicato che appartiene alla Nostra missione apostolica alzare la voce, per allontanare dai pascoli avvelenati le pecorelle a Noi affidate e, per quanto è in Noi, preservarle da essi. Pro Christi in terris Vicarii ac supremi Pastoris et Magistri munere, Nostrum esse duximus Apostolicam attollere vocem... » (Casti Connubii, 31 dicembre 1930, B.P.6.24.5). E come se queste parole non fossero abbastanza chiare e potessero ancora lasciare spazio a qualche esitazione, egli identifica, come aveva fatto per Leone XIII, la dottrina dell’Enciclica con quella della Chiesa stessa: « La Chiesa Cattolica, investita da Dio stesso della missione di insegnare e difendere l’integrità della morale e l’onestà, la Chiesa cattolica, in piedi in mezzo a queste rovine morali, alza forte la sua voce attraverso la nostra bocca, come segno della sua missione divina, per mantenere la castità del legame nuziale al sicuro da questa profanazione e promulga ancora: Ecclesia catholica.., in signum legationis suæ divinæ, altam per os Nostrum extollit vocem atque denuo promulgat… (Ibidem, 276). Poi il Papa, per ricordare ai sacerdoti il loro dovere di istruire i fedeli, si appella di nuovo « alla suprema autorità e alla cura di tutte le anime: pro suprema Nostra auctoritate et omnium animarum salutis cura » (Ibid.). Il tono, senza dubbio, si alza raramente a questa altezza; tuttavia, tali affermazioni non sono eccezionali. Non è solo nella dottrina pontificia sui doveri coniugali, ma anche in quella che tratta dei problemi sociali, che dobbiamo cercare il pensiero della Chiesa. All’inizio dell’Enciclica Divini Redemptoris sul comunismo ateo, il Papa spiega le sue intenzioni: « il suo primo scopo sarà quello di fare una breve sintesi del comunismo e dei suoi metodi di azione, e poi – aggiunge Pio XI – a questi falsi principi opporremo la luminosa dottrina della Chiesa » (Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, BP.15.39. 4), la vera nozione della città umana… come ci viene insegnata dalla ragione e dalla rivelazione attraverso la Chiesa Magistra gentium (Ibidem, 15.54). – Non dobbiamo più stupirci del termine serio scelto dal Pontefice per designare l’enciclica. Paragonandolo ai suoi precedenti avvertimenti, lo chiama “un documento di maggior solennità, majoris gravitatis documentum“:  « Il pericolo sta aggravandosi ogni giorno. Perciò è Nostro dovere alzare ancora la voce in un documento più solenne, secondo l’abitudine della Sede Apostolica, maestra di verità, idque facimus per hoc majoris gravitatis documentum, quemadmodum huic Apostolicæ Sedi veritatis magistræ, moris est » (Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, B.P.15.S9.).  È un’espressione quasi simile “pontificalis magisterii documentum” che Pio XII userà per descrivere un’altra lettera del suo predecessore, e forse sottolinea ulteriormente lo stretto legame che il Papa vedeva tra l’insegnamento delle encicliche e il Magistero affidato al Romano Pontefice. È tanto più importante notare che la parola non si applica solo alla Quadragesimo Anno, ma anche espressamente alla Rerum Novarum. « Siamo lieti di sapere che il suddetto documento del Magistero Pontificio (Quadragesimo Anno), come pure la lettera enciclica dello stesso genere, Rerum Novarum, di Papa Leone XIII, siano oggetto di attento esame da parte vostra » (Sertum Lætitiæ, 1 novembre 1939, BP.1.284.). Pio XII era anche consapevole del dovere aper il quale si sforzava di essere fedele, quando scriveva le sue encicliche. Già nella sua lettera inaugurale si era espresso così: « Come Vicario di Colui che, in un’ora decisiva, davanti al rappresentante della massima autorità terrena del tempo, pronunciò la grande parola: Sono nato e venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità, chi è della verità ascolti la mia voce, non c’è nulla di cui ci sentiamo più debitori al nostro ufficio e al nostro tempo, che rendere testimonianza alla verità con fermezza apostolica, Nihil Nos muneri Nostro Nostræque ætati magis debere profitemur quam testimonium perhibere veritati » (Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939, BP. 1 .210. 3) ». – Questo è precisamente il compito che le Encicliche permetteranno di affrontare. Nel suo discorso all’udienza del 21 gennaio 1942, il Santo Padre rivendica come primo dovere il “ministero della Parola“, affidato agli Apostoli e ai loro successori dal Signore stesso: « Andate e insegnate a tutte le nazioni quello che Io stesso vi ho insegnato. » Questo ministero, che gli sta tanto a cuore, non rinuncia a compierlo rivolgendosi direttamente e in tutta semplicità ai fedeli, ai nuovi sposi inginocchiati ai suoi piedi, ma non dimentica di ricordare il primo e più importante modo di esercitarlo: « Senza dubbio esercitiamo un tale ministero in primo luogo quando, in occasioni solenni, ci rivolgiamo a tutta la Chiesa, ai Vescovi, ai Nostri Fratelli nell’episcopato… » (Discorso La Gradita Vostra Presenza, udienza del 21 gennaio 1943, vedi Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Milano, 1942, t. III, p. 355. ) » in una parola, nelle Encicliche. Dopo queste ripetute affermazioni che sottolineano l’identità della parola pontificia inscritta nelle Encicliche con l’esercizio del Magistero, quella della dottrina che esse contengono con la dottrina stessa della Chiesa, non ci si può più stupire di vedere i Papi esigere dai fedeli il completo assenso ai loro insegnamenti; ma piuttosto si potrà cogliere da essi una preziosa conferma dell’autorità delle Encicliche, che abbiamo visto così fortemente affermata. Si è fatto riferimento sopra all’atteggiamento di Lamennais nei confronti della condanna di l’Avenir da parte di Mirari vos. Essendo la sottomissione totale, inizialmente promessa, lenta a venire, Gregorio XVI scrisse un Breve all’arcivescovo di Rennes il 5 ottobre 1833. In essa esprime innanzitutto il suo disappunto per non vedere la pubblicazione dell’atto di adesione all’Enciclica con la quale si renderebbe manifesto al mondo cattolico che (Lamennais) mantiene fermamente e seriamente e che professa la sana dottrina che Noi abbiamo esposto nelle Nostre Lettere a tutti i Vescovi della Chiesa, ipsum firme et graviter tenere, ac profiteri sanam Ulani doctrinam, quam nos nostris ad uni-versos Ecclesiæ Antistites Litteris proposuimus (Breve Litteras Accepimus, del 5 ottobre 1838. Ad Gregorii XVI, t. I, p. 311). Le sue prevaricazioni sono una prova che se egli riverisce l’autorità della Santa Sede, non si è ancora sottomesso al suo giudizio e alle dottrine da essa esposte, judicio, hac in re nostro, doctrinisque per nos traduis (ibid.). Per porre fine a questi dubbi il Santo Padre precisa il minimo richiesto a Lamennais: ut sciticet doctrinam nostris encyclicis Litteris traditam… se unice et absolute sequi confirmet, nihilque ab illa alienum se aut scripturum esse aut probaturum; seguire senza riserve ed esclusivamente la dottrina dell’enciclica e non scrivere o approvare nulla di estraneo ad essa (Ibidem). – Un’esigenza simile è espressa nell’Enciclica Immortale Dei di Leone XIII, ma questa volta non è più rivolta a un caso particolare ma si applica all’intero insegnamento pontificale: « Se quindi… i Cattolici ci ascoltano… sapranno esattamente quali sono i doveri di ciascuno sia in teoria che in pratica. In teoria, prima di tutto, è necessario aderire con incrollabile aderenza (judicio stabili) a tutto ciò che i Romani Pontefici hanno insegnato o insegneranno, e, ogni volta che le circostanze lo richiedono, farne pubblica professione » (Immortale Dei, 1 novembre 1885, BP.2.47).  – Poi applica questo principio generale agli errori denunciati nella presente Enciclica: « Soprattutto per quanto riguarda le libertà moderne, come vengono chiamate, ognuno deve attenersi al giudizio della Sede Apostolica e pensare come lui stesso pensa. Et in opinando qiiidem quæcnmqne Pontífices Romani tradiderint vel tradituri sunt, singula necesse est tenere judicio stabili comprehensa, et palam quoties res postulaverit, profiteri. Ac nomi natim de his, quas libértales vocant novissimo tempore qiiæsitas, oporlet Apostolicæ Sedis stare judicio, et quod ipsa senserit idem sentire singulos » (Ibid.). È inutile sottolineare l’importanza del futuro “vel tradituri sunt“, e della “judicio stabili“. Si potrebbero moltiplicare le citazioni dello stesso Papa; basterà raccogliere qualche altro testo. Rivolgendosi agli operai francesi poco dopo la pubblicazione della Rerum Novarum, un documento che definì “un atto del nostro ufficio di Pastore universale di anime“, Leone XIII chiese ai Cattolici « piena adesione e obbedienza agli insegnamenti della Chiesa e del suo Capo » (Udienza del 19 settembre 1891. Cfr. Acta Præcipua Leonis Papæ XIII, Desclée, Paris-Tournai, t. V, p. 3. ). Alcuni anni dopo, scrivendo ai vescovi d’America, indicò le sue precedenti Encicliche come la fonte dove i fedeli potevano trovare « gli insegnamenti che devono seguire e obbedire, quæ sequantur et quibus pareant catholici (Longinqua Oceani, 6 gennaio 1895, BP.4.172) ». Un anno dopo, avendo un giornalista francese osato mettere in discussione le decisioni della lettera pontificia Apostolicæ Curæ, sulle ordinazioni anglicane, il Sommo Pontefice scrisse all’Arcivescovo di Parigi per chiedergli di ricordare ai Cattolici il loro dovere di totale obbedienza alla dottrina pontificia, come definitivamente ferma, stabilita, irrevocabile: catholici omnea nummo dehent obsequio unplecti tamquam perpetua firmom, ratam, irrevocabilem (Lettera Religioni apua Anglos, 5 novembre 1896. Cfr. Acta præcipua…, vol. VI, p. 225). Pio X non parlerà con altro linguaggio. Di fronte alla dottrina esposta da Leone XIII nelle sue Encicliche, il dovere dei Cattolici ai suoi occhi è chiaro: « Noi proclamiamo altamente che il dovere di tutti i Cattolici – un dovere che deve essere adempiuto religiosamente e inviolabilmente in tutte le circostanze della vita sia privata che pubblica – è di custodire fermamente e di professare senza timidezza, tenere firmiter profiterique, i principi della verità cristiana insegnati dal Magistero della Chiesa Cattolica, quelli specialmente che il Nostro predecessore ha formulato così saggiamente nell’Enciclica Rerum Novarum” » (Singulari Quadam, 24 settembre 1912, BP.7.273). – In Ubi Arcano, Pio XI insisterà a sua volta nel definire “modernismo” l’atteggiamento di coloro che rifiutano di ammettere « gli insegnamenti o gli ordini promulgati in tante occasioni dai Pontefici, specialmente da Leone XIII, Pio X e Benedetto XV », o che “agiscono esattamente come se” questi insegnamenti “avessero perso il loro valore primario o addirittura non dovessero più essere presi in considerazione affatto (Ubi Arcano, 28 dicembre 1922, BP.1.172. ) ». – Possiamo stupirci di questa severità quando sentiamo lo stesso Papa dare le sue stesse Encicliche come regola di pensiero e di azione per i Cattolici, « aride catholici accipiant quid sibi sentiendum agendumque » (Mortalium Animos, 6 gennaio 1928, BP.4.67.). – Il carattere normativo delle Encicliche nei confronti del pensiero cristiano è ancora indirettamente evidente dalle condanne formali che questi documenti talvolta portano. Condannare una dottrina è proibirla, e quindi dirigere autorevolmente l’intelligenza. Abbiamo già avuto occasione di alludere alla condanna delle Parole di un credente da parte di Gregorio XVI nell’enciclica Singulari Nos, in cui si appellava alla « pienezza del potere apostolico ». Dobbiamo citare qui l’intero passaggio. Dopo aver esposto i fatti che motivano la condanna, il Papa si esprime così: « Perciò, avendo sentito diversi Nostri venerabili Fratelli, i Cardinali di Santa Romana Chiesa, di nostra iniziativa (Motu proprio), avendo acquisito la certezza dei fatti e usando la pienezza del potere apostolico Noi rimproveriamo, condanniamo, e vogliamo e ordiniamo che il suddetto libro sia ritenuto riproverato e condannato in perpetuo (reprobamus, damnamus ac prò reprobato et damnato in perpetuum haheri valumus atque decernimus), intitolato Parole di un credente, in cui, con un empio abuso della parola di Dio, i popoli si impegnano a rompere tutti i vincoli dell’ordine pubblico, a minare l’autorità, a suscitare sedizioni nel cuore degli imperi, a fomentare movimenti insurrezionali e ribellioni; Questo libro contiene proposizioni, rispettivamente false, calunniose, sconsiderate, favorevoli all’anarchia, contrarie alla parola divina, empie, scandalose, erronee, alle quali la Chiesa ha già mirato nelle sue condanne dei Valdesi, dei seguaci di Wicleff e Huss o di altri eretici dello stesso genere « (Librum) ideo propoitiones respective falas, calumniosas, temerarias, inducentes in anarchiam, contrarias verbo Dei, impias, scandalosas, erroneas, iam ab Ecclesia præsertim Valdensibus Viclefitis, Hussitis aliisque id generis hæreticis damnamus continentem, reprobamus, damnamus ac prò reprobato et damnato in perpétuant baberi volumus atque decernimus » ( Singulari Nos 25 giugno 1834, Acta Gregorii XVI -. 1-434-). Pio IX, a sua volta, nella sua prima Lettera all’Episcopato, ricorda, per confermarle, le precedenti condanne delle Società Bibliche: Il Pontefice di gloriosa memoria al quale succediamo… Gregorio XVI, seguendo in questo l’esempio dei suoi predecessori, ha riprovato queste società con le sue Lettere Apostoliche; anche noi le vogliamo condannate, et nos pariter damnatas esse volumus (Qui Pluribus, 9 novembre 1846, BP.186). (Quanta Cura, 8 dicembre 1864, BP.5). –  Poi, dopo aver descritto gli errori a cui l’Enciclica cerca di porre rimedio, il Papa pronuncia nuovamente il suo solenne ripudio: « Pieni del dovere del Nostro ufficio apostolico e pieni di sollecitudine per la nostra santa religione, per la santa dottrina, per la salvezza delle anime che ci è affidata dall’alto e per il bene stesso della società umana, abbiamo ritenuto nostro dovere alzare di nuovo la voce. Perciò, per la Nostra autorità apostolica, Noi rimproveriamo, Noi proscriviamo, Noi condanniamo, Noi vogliamo e ordiniamo che tutti i figli della Chiesa Cattolica tengano come riproverati, proscritti e condannati ognuna delle cattive opinioni e dottrine descritte nelle lettere precedenti, auctoritate nostra apostólica, reprobamas, proscribimus atque damnamm, easque ab omnibus catholicæ Ecclesiæ fîliis, veluti repróbatas, proscriptas, atque damnatas omnino haberi volumus atque mandanus.»– Ibid 13.). – Se i termini impiegati da Leone XIII, nell’enciclica Inscrutabili, sono meno formali, assumono un valore singolare per la loro connessione con le condanne del Concilio Vaticano che pretendono di confermare: « I Romani Pontefici, i nostri predecessori e in particolare Pio IX, di santa memoria, specialmente nel Concilio Vaticano…, non trascurarono, ogni volta che fu necessario, di rimproverare gli errori che irrompevano e di colpirli con censure apostoliche. Anche noi, seguendo le loro orme, confermiamo e rinnoviamo tutte queste condanne di questa Sede Apostolica della verità, … has condamnationes omnes, Nos, ex hac Apostolica veritatis Sede confirmamus et iteramus » (Inscrutabili, 21 aprile 1878, BP.1.19). – Allo stesso modo, nell’Enciclica Humanum Genus contro la massoneria: « Tutti i decreti emessi dai nostri predecessori… tutte le sentenze pronunciate da loro… Intendiamo ratificarli di nuovo sia in generale che in particolare » (Humanum Genus, 20 aprile 1884, BP.1.269). Le sentenze e i decreti, ai quali qui si fa riferimento, comprendevano oltre alle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII, Pio VII e Leone XII, le encicliche di Pio VIII, Gregorio XVI e Pio IX (Ibid. 1.245). – La disapprovazione di Pio X per il principio della separazione tra Chiesa e Stato non è meno chiara: « Che sia necessario separare lo Stato dalla Chiesa è una sentenza assolutamente falsa, e in sommo grado perniciosa, profecto falsissima, maximeque perniciosa sententia est (Vehementer, 11 febbraio 1906, BP.2.126). L’Enciclica sulle associazioni di lavoratori è un altro giudizio definitivo, un divieto formale, che i Vescovi tedeschi hanno ricevuto: Poiché abbiamo sollevato questa causa e, dopo aver consultato i vescovi, spetta a Noi pronunciare la sentenza, ingiungiamo a tutti i buoni uomini di astenersi d’ora in poi da ogni controversia… (Singulari Quadam, 24 ottobre 1912, BP.7.278). – Un altro esempio di condanna formale è fornito dalla prima lettera Enciclica di un Papa il cui brevissimo Pontificato, interamente assorbito dalla sollecitudine della guerra, gli permette raramente di essere citato. Dopo aver ricordato che la Chiesa si aspetta dai suoi difensori qualcosa di diverso dalle vane dispute, ma chiede loro al contrario di lavorare con tutte le loro forze per conservare la fede nella sua integrità e per proteggerla da ogni alito di errore, seguendo principalmente Colui che Gesù Cristo ha costituito custode e interprete della verità, Benedetto XV denuncia coloro che, « preferendo il proprio giudizio all’autorità della Chiesa, sono arrivati nella loro temerarietà a giudicare i misteri divini e tutte le verità rivelate secondo la propria comprensione, non esitando ad adattarle al gusto dei tempi presenti. » Poi aggiunge: «  Così nacquero i mostruosi errori del modernismo, che il Nostro predecessore proclamò giustamente la somma di tutte le eresie e che condannò solennemente. Questa condanna, V. F., la rinnoviamo in tutta la sua estensione. Decessor Noster omnium hæreseon collectum edixit esse et solemniter condemnavit. Eam Nos igitur condemnationem… qnantacumque est, hic iteramus » (Ad Beatissimi, 1 novembre 1914, BP. 1.43,44.). – Per evitare queste condanne, il modernismo cambierà il suo metodo e assumerà una forma più capziosa. Evitando affermazioni di principio, si rifletterà solo nel campo dei fatti, dove non si terrà conto delle condanne dottrinali dei Pontefici. Pio XI lo perseguirà fino a questo punto pericoloso: denunciando coloro che  agendo esattamente come se gli insegnamenti e gli ordini promulgati tante volte dai Pontefici, in particolare da Leone XIII, Pio X e Benedetto XV, avessero perso il loro valore primario o addirittura non dovessero più essere presi in considerazione,  conclude con un giudizio formale: « Questo fatto rivela una sorta di modernismo morale, giuridico e sociale; lo condanniamo formalmente come il modernismo dogmatico. Quod quid quidem una cum modernismo illo dogmático, impense reprobamus » (Ubi Arcano, 28 dicembre 1922, BP. 1.172.). Quando, alla fine dello stesso pontificato, la sollecitudine del Papa si rivolse a un altro errore, il comunismo ateo, l’enciclica che lo denunciava iniziò con il riferimento alle precedenti riprovazioni di questo errore, sia di Pio IX che dello stesso Pio XI: “Ad communistarum errores quod attinet, jam. . decessor noster… eos solemniter reprobavit, reprobationemque suam subinde per Syllabum confirmavit  (Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, BP.15,36 )… denuntiavimus, improbauimus… solemniter expostulando conquesti sumus » (Ibid. 37,38). – A questo dossier  già imponente a favore dell’autorità delle Encicliche, si è appena aggiunta una pagina della Humani generis, la cui importanza non si saprebbe mai abbastanza stimare:  « Né si deve pensare che ciò che viene proposto nelle Encicliche non richieda di per sé un assenso, poiché i Papi esercitano in esse il potere supremo del loro magistero. A ciò che viene insegnato dal Magistero ordinario si applica anche il detto: “Chi ascolta voi, ascolta me“; e il più delle volte ciò che viene esposto nelle Encicliche appartiene già d’altra parte alla dottrina cattolica. Se i Papi giudicano espressamente nei loro atti una questione che prima era controversa, tutti capiscono che questa questione nel pensiero e nella volontà dei Pontefici non è più da considerare come una questione libera tra i teologi (Neque putandum est, ea quæ in Encyclicis Litteris proponuntur assensum per se non postulare, cum in iis Pontífices supremam sui Magisterii potestatem non exerceant. Magisterio enim ordinario haec docentur de quo illud etiam valet:Qui vos audit, me audit”, (Luc, X, 16); ac plemmque quae in Encyclicis Litteris proponuntur et inculcantur, jam aliunde ad doctrinam catholicam pertinent. Quod si Summi Pontífices in actis suis de re hactenus controversa data opera sententiam ferunt, omnibus patet rem ìllam, secundum mentem et voluntatem eorumdem Pontificum, quæstionem liberge inter theologos disceptationis jam haberi non posse. (A. A. S. t. XLII, p. 561). Diamo nel testo la traduzione. Bonne Presse, p. 10).  Dovremo esaminare questo testo in dettaglio più avanti; ci basta qui raccogliere due affermazioni che confermano ciò che avevamo già appreso dalla nostra rapida indagine. Quando ascoltiamo l’insegnamento delle Encicliche, espressione del magistero ordinario, sentiamo Cristo stesso: Chi ascolta voi, ascolta me. Quindi, se i Papi esprimono un giudizio dottrinale in essi, la causa deve essere considerata come ascoltata.

* * *

Queste linee molto formali della Humani generis iniziano però con una formula che ci invita a completare la nostra troppo lunga spogliazione dei testi. Se non vogliamo rimanere di parte, è importante che, accanto alle affermazioni a favore dell’autorità delle Encicliche, si abbia cura di sottolineare il carattere proprio di queste lettere, che più di una volta ha confuso i teologi abituati a cercare l’espressione della Regola di fede nei Canoni dei Concili o nelle Definizioni contenute nelle solenni Costituzioni Apostoliche. In un caso, infatti, una formula volutamente concisa, almeno sempre circostanziata, della dottrina. Essa non dibatte, ma è attentamente soppesata per esprimere, con rigorosa precisione, un’affermazione dottrinale il cui rifiuto o accettazione decide tra la comunione della Chiesa o l’anatema solenne; nell’Enciclica, invece, c’è un’esposizione della dottrina a volte prolissa, ma sempre dettagliata. Non si tratta tanto, sembra, di una sfida al credente a scegliere tra accettare o rifiutare un articolo di fede, quanto di un invito all’intelletto a fare proprio il pensiero pontificale, a coglierne la validità e a farsi illuminare dalla sua luce (Se viene redatta una lista di proposizioni condannate, è spesso in un documento di accompagnamento, piuttosto che nell’Enciclica stessa. Così il Sillabo, inviato ai vescovi contemporaneamente alla Quanta Cura).  – Se si tratta di mettere in guardia contro un errore, l’Enciclica cercherà prima di tutto di scoprirne la causa, di mostrare i motivi che hanno animato i suoi autori, di denunciare le sue disastrose conseguenze. Poi arriva la condanna, ma si sforzerà di esporre i suoi motivi in modo ampio, e soprattutto vorrà opporre alle concezioni erronee, la solida sintesi della dottrina cattolica, che il documento pontificio a volte si soffermerà a spiegare in dettaglio, e spesso ne stabilirà la validità con una dimostrazione in regola. – Leone XIII, in Quod apostolici muneris, vuole bloccare la strada al socialismo. La lettera inizia con un’esposizione dell’obiettivo perseguito dai fautori dell’errore, e poi passa a cercare le cause dell’errore, senza temere di ripercorrere i secoli per riuscirci nel modo più completo. La confutazione arriva solo dopo: di fronte al socialismo, che distrugge l’ordine sociale, il Papa dipinge un quadro della dottrina sociale cristiana. Tutta la fine dell’enciclica sarà lo sviluppo di questa opposizione, che sarà perseguita fino alle sue conseguenze finali. Tra queste due concezioni della società, il popolo sarà finalmente invitato a scegliere, ed i Vescovi ad insegnare ampiamente la dottrina sociale della Chiesa. – L’enciclica Arcanum, scritta nel gennaio 1880, meno di due anni dopo quella che abbiamo appena analizzata, è un altro vero trattato, questa volta sul matrimonio cristiano. La stessa ricchezza di dottrina, la stessa abbondanza di prove. Solo l’ordine di presentazione è qui invertito: la dottrina cattolica è la prima ad essere presentata nel suo sviluppo storico e nella sua sintesi. La seconda parte della lettera è dedicata alla critica dell’errore, il cui punto di partenza il Papa prima denuncia, per poi istituire una vigorosa confutazione. Questo sarà ancora l’ordine seguito da Libertas. Inizia esaminando la nozione cristiana di libertà e la necessaria distinzione tra libertà psicologica e morale. Una volta chiarita questa nozione equivoca, il Papa passa alla critica del liberalismo e delle false libertà che ha sostenuto. La lettera si conclude con uno studio dei casi pratici che possono presentarsi per una coscienza cristiana. – Uno degli esempi più caratteristici è senza dubbio quello dell’Enciclica Pascendi, dedicata interamente a combattere le dottrine moderniste. La codificazione degli errori in formule precise era già stata fatta al momento della sua pubblicazione; il decreto Lamentabili, il 4 luglio 1907, aveva appena condannato 65 proposizioni che esprimevano il pensiero di autori modernisti. Due mesi dopo, l’8 settembre, la lettera pontificia fu a sua volta indirizzata ai Vescovi. Questa volta non si trattava più di un breve catalogo, ma di un vero e proprio trattato. L’Enciclica inizia denunciando il pericolo che i nuovi errori fanno correre alla Chiesa, e poi, in pagine che non rifuggono dalle spiegazioni più dettagliate, indica i vari aspetti, spesso complessi, della dottrina incriminata; tenta persino di penetrare la psicologia profonda di coloro che, più o meno consapevolmente, si fanno suoi propagandisti. Sappiamo come Pio X ci sia riuscito; le stesse persone di cui ha rivelato il pensiero con più precisione di quanto fossero state capaci di analizzare loro stesse, lo hanno confessato. Sembra, leggendo questa Lettera con il senno di poi che abbiamo oggi, che il Beato Pontefice abbia voluto, per allontanare il pericolo, riversare sulla Chiesa un immenso fiume di luce. In essa, coloro che si sono smarriti, possono riconoscere i loro errori e ritrovare la strada verso la verità, i Cattolici possono tenersi in guardia, e soprattutto i Vescovi avrebbero potuto agire di concerto per salvaguardare il gregge comune. Le ultime pagine dell’Enciclica indicavano loro con precisione i mezzi da adottare per un’azione efficace.  Senza formulare proposte, senza alcun apparato giuridico, questa lunga e ricca esposizione condannava il modernismo in una prospettiva diversa da quella del decreto, e allo stesso tempo offriva alla Chiesa una fonte incomparabile di dottrina. Osservazioni simili potrebbero essere fatte su quasi tutte le Encicliche. Uno delle più recenti, Mediator Dei, è un esame e un chiarimento estremamente dettagliato di tutto il problema liturgico. Il Papa si rivela un vero Pastore e Dottore universale, mettendo in guardia il suo gregge contro le insidiose apparenze dell’errore, e per ottenere questo, egli stesso distribuisce loro il pane della sana dottrina con magistrale ampiezza. Tuttavia, se le deviazioni vengono denunciate, se la verità viene richiamata con forza, coloro che “si sono allontanati dalla retta via non vengono colpiti da alcun anatema. Il Papa li esorta soltanto a “rettificare il loro modo di parlare e di agire“, affinché l’unità di fede tra tutti i membri della comunità cristiana sia assicurata senza fallo intorno al pensiero pontificio. I Pontefici hanno ripetutamente presentato questo disegno di insegnare in senso proprio, “esponendo la verità e confutando l’errore” come la ragione per scrivere le loro Encicliche. All’inizio della Rerum Novarum, per esempio, Leone XIII specifica lo scopo di questa nuova lettera, simile a quelle che abbiamo appena analizzato: “confutare le opinioni erronee e fallaci“. Quod alias consuevimus, Venerabiles Fratres, datis ad vos litteris de imperio político, de libértate humana, de civitatum constitutione christiana, aliisque non dissimili genere, quæ ad refutandas opinionum fallacias opportuna videbantur, idem nunc faciendum de conditione opificum iisdem de causis duximus (Rerum Novarum, 16 maggio 1891, BP.3.18). ” – Quod Apostolici Muneris, per stessa ammissione del Papa, si proponeva a sua volta “di avvertire pubblicamente i Cattolici dei profondi errori nascosti nelle dottrine del socialismo e dei pericoli che esse ponevano, non solo ai beni esterni, ma anche alla probità dei costumi e alla religione (Graves de Communi, 8 gennaio 1901, BP.6.205)”. Pio XI non interpretò diversamente lo scopo di Leone XIII in Arcanum, vedendolo come “quasi interamente dedicato a provare l’istituzione divina del matrimonio (Casti Connubii, 31 dicembre 1930, BP.6.246. )”. Ritornando sullo stesso argomento, amplia l’affermazione del suo predecessore: “Abbiamo quindi deciso di parlarvi… della natura del matrimonio cristiano, della sua dignità, dei vantaggi e dei benefici che esso apporta alla famiglia e alla stessa società umana, dei gravissimi errori contrari a questa parte della dottrina evangelica, dei vizi che sono contrari alla vita matrimoniale, e dei principali rimedi ai quali è necessario ricorrere” (Ibid., 244). -Abbiamo visto sopra lo stesso Papa, in una delle sue ultime Encicliche, quella diretta contro il comunismo ateo, usare per ricordare le condanne di Pio IX il termine « solemniter reprobavit » e designare i propri avvertimenti con le espressioni: denuntiavimus, improba-vimus, solemniter expostulando conquesti sumus. L’enciclica Divini Redemptoris, che si presenta come il majoris gravitatis documentum, indica chiaramente il suo scopo. In essa, il Sommo Pontefice non si propone di condannare, ma di riassumere tutti gli errori comunisti per opporsi ad essi con la forza della dottrina della Chiesa: «Volumus denuo communistarum inventa… summatim breviterque attingere atque explanare; iisdemque… perspicuam Ecclesiæ doctrinam opponere » (Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, BP.15.39-41).  Pio XII dà così il vero carattere dell’insegnamento enciclico quando, nella sua lettera inaugurale, precisa la natura del dovere pontificio di testimoniare la verità: « Questo dovere include necessariamente l’esposto e la confutazione degli errori e delle colpe che è necessario conoscere per poterli curare e guarire. Hoc officium, cui satis Nos apostolica firmitudine opus est, id necessario postulat ut errores hominumque culpas ita exponamus ac refutemus, ut iisdem perspectis ac cognitis fas sit medicinam curationemque præbere » (Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939, BP.1.210)”. – A questo insieme di affermazioni, la Humani generis fornisce una preziosa conferma. Non esclude la possibilità di giudizi dottrinali nelle Encicliche. È questo anche espressamente menzionato. Tuttavia, il più delle volte, plerumque, si afferma, il ruolo delle lettere pontificie è quello di un richiamo della dottrina, e abbiamo visto quanto spesso sia magistrale e dettagliato. Normalmente le Encicliche ci portano l’insegnamento nel senso usuale del termine, e sono gli strumenti del « magistero ordinario, magisterio ordinario hæc docentur », di cui appaiono come i documenti maggiori. Torneremo più tardi su questo testo, così pieno di dottrina. – Alla fine di questa prima parte del nostro studio, ci basta ritenere le due caratteristiche che il nostro esame troppo rapido delle Encicliche ci ha permesso di scoprire: prima di tutto quella della grandissima parte di esse, cioè la « pienezza dell’autorità che la Santa Sede impegna. » Più di una volta abbiamo visto i Sommi Pontefici appellarsi con le loro stesse parole alla “pienezza dell’autorità apostolica“, chiamandoli “documenti del Magistero Pontificio“. Abbiamo notato molti passaggi che, o per l’accettazione richiesta ai fedeli o per la fermezza delle condanne, portano alla stessa conclusione.  L’altro carattere scoperto nelle Encicliche sembra a prima vista un po’ opposto al primo: l’assenza in questi documenti, o almeno la scarsità di definizioni precise, censure rigorose e anatemi, così familiari nei Canoni Conciliari o anche nelle Costituzioni dogmatiche. Al contrario, il loro modo di insegnare è quello di un’esposizione ampia e completa della dottrina della Chiesa, così come degli errori che vi si oppongono, esposizione che è spesso accompagnata da tutto un apparato di prove metodiche, pronostici per il futuro, ricerca delle cause, indicazioni pratiche ed esortazioni. Ma c’è una vera opposizione tra questi due aspetti? Forse è stato creduto troppo facilmente e ammesso senza ragioni valide. Questo potrebbe spiegare le divergenze notate sopra tra i teologi sull’autorità delle Encicliche. Alcuni, attenti soprattutto al modo di espressione di questi documenti, avrebbero concluso senza un esame sufficiente che esse erano puramente indicativi. Altri, colpiti al contrario dall’appello che i Papi facevano alla loro autorità sovrana, li avrebbero trattati come definizioni ex cathedra, forse un po’ frettolosamente.  L’esame dei testi, come abbiamo appena visto, ci obbliga, al contrario, a riconoscere entrambe queste caratteristiche delle Encicliche, anche se sembra difficile mostrare il legame tra di esse. La loro coesistenza sembra essere il fatto primario davanti al quale ogni studio coscienzioso dell’autorità dottrinale delle Encicliche deve inchinarsi. È solo dopo averla registrata fedelmente che il teologo può cercare di risolvere l’apparente paradosso che essa pone. Sarebbe sbagliato, inoltre, lasciarsi scoraggiare dalla difficoltà o cercare di evitarla abbandonando l’uno o l’altro aspetto del fatto fondamentale. La soluzione richiederà senza dubbio ulteriore attenzione. Ma questo sarà un nuovo beneficio. Rileggendo ancora una volta queste Lettere Pontificie, interrogando i testi in cui i Pontefici hanno potuto chiarire il loro pensiero sull’intenzione che le ha dettate, forse potremo scoprire, contemporaneamente alla spiegazione del doppio carattere riconosciuto alle Encicliche, nuovi chiarimenti sulla loro natura e sul titolo esatto della loro autorità.

UNA FONTE DOTTRINALE: LE ENCICLICHE (2)

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO SECONDO

LIBRO SECONDO

SUI CAPITOLI QUATTRO E CINQUE

Della natura della Chiesa che è il Regno di Gesù-Cristo; del libro dei segreti di Dio, sulle rivelazioni che vengono fatte a San Giovanni.

SEZIONE I

SUL CAPITOLO IV

LA NATURA GERARCHICA DELLA CHIESA MILITANTE.

VERS. 1. – Dopo questo vidi, ed ecco, una porta si aprì nel cielo; e la voce che avevo udito la prima volta, mi parlò con un suono forte come una tromba, dicendo: “Vieni qui e ti mostrerò le cose che oramai devono accadere”.

§ 1

Osservazioni preliminari, necessarie alla comprensione dei due capitoli seguenti, e di altri ancora.

I. Prima di continuare con questa interpretazione dell’Apocalisse, bisogna sapere: 1. Che “il cielo” a volte esprime la Chiesa militante, e altre volte la Chiesa trionfante; in alcuni casi significa anche l’una e l’altra in modo indistinto. Questo può essere compreso dal soggetto dell’oggetto trattato.

II. La “Chiesa militante sulla terra” è un’immagine o figura della Chiesa trionfante in cielo. Perciò succede che San Giovanni descriva l’una con l’altra; e così egli descrive anche il regno militante di Cristo sulla terra con il suo regno trionfante in cielo. Dice, per esempio, che questo regno militante gli fu mostrato in cielo da un trono; e Colui che sedeva su quel trono gli fu mostrato da quattro animali e ventiquattro anziani, che sedevano e adoravano davanti al trono, adorando Colui che vive nei secoli dei secoli. Ora tutte queste cose sono, e si fanno a modo loro, nel regno di Cristo sulla terra.

III. Come l’universalità delle chiese, i sigilli, gli angeli, le trombe, le piaghe, gli spiriti, ecc., rappresentano il bene e il male che sopravvengono in tempi diversi nel regno militante di Gesù Cristo, in adempimento della volontà divina, e come sono numerate sette, così i quattro animali rappresentano l’universalità dei dottori, dei predicatori, dei primati; così come i ventiquattro anziani designano l’universalità dei Vescovi, Arcivescovi e altri prelati. Infine, le ventiquattro sedi rappresentano l’universalità delle sedi dei Vescovi, delle sedi episcopali e arcivescovili, sulle quali tutti i Pontefici sono stati e saranno seduti e stabiliti in tutto il pianeta, fino alla consumazione dei secoli, sotto l’autorità di un solo Capo visibile, che siede egli stesso su un trono, che è la Cattedra di San Pietro.

IV. Anche se ci sono stati diversi Vangeli, solo quattro sono stati e sono accettati dalla Chiesa, e questi quattro Vangeli sono rappresentati dai quattro animali, Ezech, I. e Apocal. IV. Inoltre, gli Evangelisti sono paragonati a quattro fabbri, Ezech. I; allo stesso modo a quattro carri, Ezech. VI; poi a quattro tavole, Ezech. XL. Infine, questi quattro Evangelisti erano rappresentati da Mosè, Aronne, Nadab e Abiu, (Esodo, XXIV), ai quali Dio ordinò, così come ai 70 anziani, di venire sul monte. La ragione della scelta di questo numero quattro, nei Vangeli è tratta dalle quattro parti del mondo, dove dovevano essere predicati. I quattro Evangelisti ci hanno trasmesso, in senso unanime, la vera dottrina di Gesù Cristo, alla quale tutta la Chiesa deve conformarsi e si è sempre conformata nella fede e nella predicazione. Da ciò si può concludere che questi quattro Evangelisti, sebbene già nella Chiesa trionfante in cielo, tuttavia continuano ad esistere moralmente e con la loro autorità, come maestri del primo ordine, arcicancellieri, e come principi degli anziani nella Chiesa militante.

V. Come il regno celeste, Nostro Signore Gesù Cristo ha costituito il suo regno terreno come una Monarchia perfetta, con la più ammirevole e saggia Gerarchia possibile. Ha stabilito prima un capo unico, poi i quattro Evangelisti, poi gli Apostoli, poi i maestri insegnanti, ecc. Fu sulla base di questo primo modello che Egli costituì anche il Sommo Pontefice come capo universale della Chiesa militante, e che poi istituì i Patriarchi e Primati, poi Arcivescovi, Vescovi, prelati, decani, pastori, ecc. in ordine di subordinazione.

VI. Il significato letterale della Scrittura non è sempre quello che è immediatamente espresso dalle parole, ma è spesso quello che è designato dalle immagini, e che può essere distinto dalla proprietà degli oggetti o delle parole da cui deve essere estratto. Così, per esempio, è detto in Giudici, IX, 8: « Gli alberi andarono un giorno ad eleggere un re, e dissero all’ulivo: “Mandaci a chiamare”. » Il significato letterale non è da intendersi per gli alberi, ma per gli uomini di Sichem, rappresentati dagli alberi, che elessero Abimelech come loro re.

VII. Sebbene le visioni e le rivelazioni di San Giovanni dei segreti di Dio gli siano state fatte con la differenza di tempi passati, presenti e futuri, tuttavia sono rappresentate come presenti alla mente, e come se dovessero durare solo un giorno, cioè il giorno in cui sono state rivelate da Dio; e quindi il Profeta usa espressioni che li rappresentano come ancora esistenti o duraturi. La stessa osservazione deve essere fatta per le persone e le cose che possono essere menzionate nel testo.

VIII. Gli uomini e gli spiriti, buoni o cattivi, secondo che siano mandati o permessi da Dio, sono tutti indifferentemente chiamati angeli nell’Apocalisse.

IX. Non si deve sempre osservare l’ordine in cui si fa una cosa, ma l’ordine di visione e perché accade spesso che le cose che devono essere verificate in anticipo siano rivelate o rappresentate dopo dai Profeti; e così sono scritte nello stesso ordine in cui sono state rivelate, come vediamo esempi di questo nell’Antico e nel Nuovo Testamento.

X. In questo libro dell’Apocalisse, la parola trono è presa per indicare qualsiasi tipo di sede, come, per esempio il potere secolare, spirituale, temporale, eterno. Così, nel corso delle descrizioni, il trono è preso a volte per una sede temporale, altre volte per la sede pontificia della Chiesa militante sulla terra; altre volte, infine, per la sede della Maestà divina nella Chiesa trionfante in cielo.

XI. Nella descrizione di un mistero ci sono a volte diversi altri misteri che avverranno in tempi diversi. Ne consegue che una stessa cosa o le stesse parole possono avere diversi significati letterali, alcuni di uguale importanza e altri di minore importanza. Questo viene dalla conoscenza essenzialmente unica e indivisibile di Dio, che comprende tutte le cose nel modo più perfetto. E così Dio rivelò e mostrò a San Giovanni, in questo libro dell’Apocalisse, come egli dovesse comprendere, sotto un’unica figura, varie persone o cose che, sebbene dovessero esistere in tempi diversi, dovevano tuttavia operare le stesse cose, o cose simili tra loro per o contro la Chiesa; e così anche una persona o una cosa che ha un proprio significato in o da sé, poteva allo stesso tempo essere figura di un’altra persona o cosa. Ne abbiamo un esempio in Daniele e in altri profeti che predissero molte delle circostanze della sinagoga, circostanze che dovevano essere comprese alla lettera della Chiesa di Gesù Cristo.

§ II

Sulla natura della Chiesa di Gesù Cristo, quale fu rivelata e manifestata a San Giovanni.

CAPITOLO IV. VERSETTI 1-11.

Post hæc vidi: et ecce ostium apertum in cælo, et vox prima, quam audivi tamquam tubae loquentis mecum, dicens: Ascende huc, et ostendam tibi quae oportet fieri post haec. Et statim fui in spiritu: et ecce sedes posita erat in caelo, et supra sedem sedens. Et qui sedebat similis erat aspectui lapidis jaspidis, et sardinis: et iris erat in circuitu sedis similis visioni smaragdinæ. Et in circuitu sedis sedilia viginti quatuor: et super thronos viginti quatuor seniores sedentes, circumamicti vestimentis albis, et in capitibus eorum coronæ aureæ. Et de throno procedebant fulgura, et voces, et tonitrua: et septem lampades ardentes ante thronum, qui sunt septem spiritus Dei. Et in conspectu sedis tamquam mare vitreum simile crystallo: et in medio sedis, et in circuitu sedis quatuor animalia plena oculis ante et retro. Et animal primum simile leoni, et secundum animal simile vitulo, et tertium animal habens faciem quasi hominis, et quartum animal simile aquilae volanti. Et quatuor animalia, singula eorum habebant alas senas: et in circuitu, et intus plena sunt oculis: et requiem non habebant die ac nocte, dicentia: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus omnipotens, qui erat, et qui est, et qui venturus est. Et cum darent illa animalia gloriam, et honorem, et benedictionem sedenti super thronum, viventi in sæcula sæculorum, procidebant viginti quatuor seniores ante sedentem in throno, et adorabant viventem in sæcula sæculorum, et mittebant coronas suas ante thronum, dicentes: Dignus es Domine Deus noster accipere gloriam, et honorem, et virtutem: quia tu creasti omnia, et propter voluntatem tuam erant, et creata sunt.

[Dopo di ciò vidi, ed ecco una porta aperta nel cielo, e quella prima voce che udii come di tromba che parlava con me, dice: Sali qua, e ti farò vedere le cose che debbono accadere in appresso. E subito fui rapito in ispirito: ed ecco che un trono era alzato nel cielo, e sopra del trono uno stava a sedere. E colui che stava a sedere era nell’aspetto simile a una pietra di diaspro e di sardio e intorno al trono era un’iride, simile d’aspetto a uno smeraldo. E intorno al trono ventiquattro sedie: e sopra le sedie sedevano ventiquattro seniori, vestiti di bianche vesti, e sulle loro teste corone di oro: e dal trono partivano folgori, e voci, e tuoni: e dinanzi al trono sette lampade ardenti, le quali sono i sette spiriti di Dio. E in faccia al trono come un mare di vetro somigliante al cristallo: e in mezzo al trono, e d’intorno al trono, quattro animali pieni di occhi davanti e di dietro. E il primo animale (era) simile a un leone, e il secondo animale simile a un vitello, e il terzo animale aveva la faccia come di uomo, ed il quarto animale simile a un’aquila volante. E i quattro animali avevano ciascuno sei ali: e all’intorno e di dentro sono pieni d’occhi: e giorno e notte senza posa, dicono: Santo, santo, santo il Signore Dio onnipotente, che era, che è, e che sta per venire. E mentre quegli animali rendevano gloria, e onore, e grazia a colui che sedeva sul trono, e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro seniori si prostravano dinanzi a colui che sedeva sul trono, e adoravano colui, che vive nei secoli dei secoli, e gettavano le loro corone dinanzi al trono, dicendo: Degno sei, o Signore Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore, e la virtù: poiché tu creasti tutte le cose, e per tuo volere esse sussistono, e furono create.]

I. Dopo che San Giovanni, illuminato dalla rivelazione divina, ebbe descritto in generale le sette età della Chiesa dalla sua origine alla consumazione dei tempi, e dopo aver dato un’istruzione sufficiente ed anche necessaria per ciascuna di queste età, Dio lo introdusse, per così dire, nel santuario della casa e del regno di Gesù Cristo, che è la Chiesa, e in questo quarto capitolo gli mostrò la natura, il governo e la costituzione interna di questa Chiesa. Poi gli rivelò in particolare i suoi mirabili segreti ed i suoi eterni consigli, proprio come un re che introducendo un favorito nel suo palazzo, gli aprirebbe la porta segreta del gabinetto dove sono conservati preziosamente i tesori ed i segreti particolari del suo regno. Ne consegue che:

Vers. 1. Dopo questo vidi: ed ecco una porta aperta nel cielo. Qui per cielo si intende il regno e la Chiesa militante di Gesù Cristo, la cui porta è aperta a San Giovanni. Vale a dire, il segreto della volontà divina che si riferisce a questa Chiesa gli viene mostrato e manifestato. E la voce che avevo sentito prima, che mi aveva parlato con un suono squillante come una tromba, e che diceva: Queste parole mostrano la gravità di colui che invita San Giovanni a penetrare e ricevere i segreti di Dio: è l’arcangelo San Michele che parla dal cielo e che sta per rivelare importanti misteri sulla Chiesa militante, la cui cura è affidata a lui. Dice: Vieni qui nello spirito e ti mostrerò le cose che devono accadere d’ora in poi. L’Arcangelo dice a San Giovanni di salire, cioè di elevarsi all’altezza delle cose meravigliose che gli promette di manifestargli e che devono verificarsi sulla terra prima della fine dei tempi.

Vers. 2Subito fui assunto in spirito e vidi un trono posto nel cielo. Questo trono è la sede apostolica e monarchica; ed è anche il potere e la giurisdizione ecclesiastica. Gesù Cristo ha posto questo trono, in cielo, cioè nella sua Chiesa, quando istituì il suo regno sulla terra. (Matth. XVI, 18): « E io ti dico che tu sei una roccia e su questa roccia edificherò la mia chiesa, ecc. E io ti darò le chiavi del regno dei cieli, ecc. Ciò che si scioglie sulla terra sarà sciolto in cielo. » Poi il testo continua: E uno seduto sul trono. 1º Colui che San Giovanni dice che è seduto sul trono è il capo visibile che governa la Chiesa di Dio sulla terra. Il primo a sedere su questo trono fu San Pietro, che ebbe dei successori senza interruzione fino ad oggi, e avrà successori fino alla fine del mondo, perché … le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa.

2°. Colui che siede sul trono è ancora il capo invisibile della Chiesa militante, Nostro Signore Gesù Cristo, che esercita il suo impero sul suo Corpo mistico con la sua continua assistenza e grazia, secondo San Matteo, (XXVIII, 20): « Io sono con voi fino alla consumazione dei secoli. » E secondo San Giovanni (XIV, 18): « Non vi lascerò orfani. » Infatti Gesù Cristo è seduto sul trono del suo regno, come Dio e come uomo, per governare la Chiesa con la sua potenza ed autorità divina: « Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. » (Matteo, XXVIII).

3°. Infine, Colui che siede sul trono è ancora Dio, uno in tre Persone, che è adorato e glorificato nella Chiesa Cattolica, come Signore sovrano di tutte le cose, attraverso suo Figlio Gesù Cristo, che ha costituito suo erede universale.

Vers. 3. colui che sedeva era come una pietra di diaspro e di sardonio; intorno al trono c’era un arcobaleno, simile ad una visione di smeraldo. Il diaspro è una pietra molto dura e di colore verdastro: ha la virtù di rafforzare la vista. Il sardonio è di un colore rosso tenue, e metaforicamente significa il fuoco della carità. È a queste due pietre che somiglia Colui che San Giovanni vide seduto sul trono. Queste due pietre lo rappresentano con i loro colori, a causa della verità e della carità di Dio che è in lui; verità e carità con cui rafforzerà ed infiammerà la Chiesa fino alla fine dei tempi. Inoltre, la conserverà con i principi immutabili ed infallibili della fede, con i suoi santi precetti e con la sua perfetta carità verso Dio ed il prossimo. Infatti, questo è ciò che accade quando il capo visibile della Chiesa definisce e dichiara le verità della fede dalla cattedra di San Pietro; quando promulga leggi e decreta ciò che è fondato sulla carità di Dio e del prossimo. Gesù Cristo, da parte sua, e Dio uno in tre Persone, che è il capo invisibile di questa Chiesa, illumina le menti dei fedeli e li infiamma con la grazia della pietà, in virtù del patto esistente tra Dio e la sua Chiesa, (Matth. XXVIII): « Io sono con voi », etc. Da lì, seguono immediatamente queste parole: C’era un arcobaleno intorno al trono, simile ad una visione di smeraldo. L’arcobaleno significa il patto di Gesù Cristo con la sua Chiesa, come vediamo in Genesi IX, con l’arcobaleno posto tra il cielo e la terra, fu anche preso come segno dell’alleanza che Dio fece con gli uomini. Ora questo era il tipo e la figura del nuovo patto spirituale. Si dice che questo arco nel cielo era intorno al trono, perché questo patto tra Cristo e la sua Chiesa si manifesterà a chiunque voglia riconoscerla. Basterà vedere e sentire che questa Chiesa è sempre esistita pura e senza macchia in mezzo a tante eresie e avversità, e che è stata immutabile nella sua verità e carità. Questo è un chiaro segno che solo la Chiesa romana è la vera sposa di Gesù Cristo, con la quale Egli ha stretto un’alleanza eterna, dandole in pegno il santo anello della verità e della carità. Si dice che questo arcobaleno sia simile una visione di smeraldo; infatti, come il colore verdastro dello smeraldo è superiore a tutti gli altri colori dello stesso genere, così la verità della fede e del patto di Gesù Cristo con la sua Chiesa è superiore a tutte le verità e a tutti i trattati naturali. E come il colore dello smeraldo è molto piacevole agli occhi, sebbene sia di una tonalità scura, così anche la verità di questo patto è molto piacevole agli occhi degli uomini saggi ed intelligenti, e allo stesso tempo sembra molto oscuro ai cuori carnali, a causa delle avversità e delle calamità che Dio permette contro la sua Chiesa.

Vers. 4.Intorno al trono ci sono ventiquattro troni, e sui troni siedono ventiquattro anziani, vestiti di abiti bianchi, con corone d’oro sul capo. Dopo la descrizione della testa o del Capo, segue la descrizione del corpo della Chiesa significata dai ventiquattro anziani. I ventiquattro troni sono tutte le sedi arcivescovili ed episcopali; ed i ventiquattro vegliardi sono gli Arcivescovi, i Vescovi e i dottori. Sono rappresentati seduti su troni, il che si verifica quando sono legittimamente riuniti in un Concilio generale, uniti al loro capo e portando delle corone d’oro, cioè rivestiti di una speciale dignità, che è l’autorità, la maestà ed il potere apostolico. Allo stesso modo, i ventiquattro anziani sono intesi qui come i dodici Profeti dell’Antico Testamento e i dodici Apostoli del Nuovo. Si dice che siedano su troni a causa dell’autorità sovrana della loro dottrina e della santità della loro vita. In effetti la Chiesa Cattolica ha un riguardo speciale per queste due qualità degli Apostoli quando Essa definisce articoli di fede o di morale nei Concili generali. E sebbene questi santi siano stati levati da questo mondo, continuano tuttavia a risplendere in esso per la loro autorità apostolica e divina. Ci sono, in verità anche un gran numero di dottori nella Chiesa, ma questo non impedisce che la loro universalità sia perfettamente rappresentata dai ventiquattro vegliardi; infatti, la santa Scrittura si serve di un numero determinato per esprimere un numero indeterminato. – Questi ventiquattro anziani erano vestiti con abiti bianchi, ecc. L’abito bianco designa il celibato e la castità sacerdotale, poiché questa virtù è l’ornamento speciale che fa brillare i sacerdoti ed i principi della Chiesa e che li distingue dalle potenze del secolo. I vegliardi apparvero a San Giovanni con corone d’oro sulla testa. Queste parole designano la dignità ed il potere ecclesiastico, apostolico e sacerdotale, perché gli Apostoli ed il sacerdozio in generale sono i principi delle Chiese e regnano sulla terra. Ecco perché San Giovanni ci dice che avevano corone d’oro sul capo, come è detto di Aronne (Ecclesiastico, XLV, 14): « Una corona d’oro sormontava la sua mitra, contrassegnata dal nome della santità e della gloria sovrana ». Ora è così che i rappresentanti del sacerdozio di Gesù Cristo portano sul loro capo corone d’oro, che sono le corone della scienza, dell’età e della maturità; perché questi sono gli attributi con cui Nostro Signore Gesù Cristo adornò i principi ed i maestri della Sua Chiesa.

II. Vers. 5. – Dal trono uscirono lampi, tuoni e voci. Per lampi intendiamo qui la luce della saggezza, la luce dei miracoli, che terrorizzano ed illuminano: la proclamazione di ricompense per le opere di giustizia, la comminazione di pene e tormenti, gli anatemi, le scomuniche e le sentenze ecclesiastiche pronunciate contro i malvagi. Le voci sono le definizioni degli articoli di fede ed i precetti ecclesiastici, per introdurre e mantenere la santità della morale. I tuoni, infine, sono le scomuniche e le punizioni ecclesiastiche che colpiscono ipso facto gli eretici ed i ribelli che non ascoltano le minacce e le definizioni della Chiesa e le disprezzano. Ora, tutte queste cose procedono dal trono, cioè dalla Sede Apostolica; poiché il Sommo Pontefice è il giudice delle controversie in materia di fede ed il legislatore della regola dei buoni costumi. – E c’erano sette lampade che ardevano davanti al trono; questi sono i sette Spiriti di Dio. In queste parole vediamo l’assistenza dello Spirito Santo che governa ed ispira la Chiesa Cattolica in ogni momento, per evitare che essa fallisca nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Questa assistenza dello Spirito Santo deve servire anche alla Chiesa nei consigli che ne riceve e che deve mettere in pratica per vincere il male e anche per non sbagliare in materia di fede.

Vers. 6 E davanti al trono un mare trasparente come vetro e simile al cristallo. Questo mare di vetro è il Battesimo, in cui tutte le anime che ricevono la vita spirituale, esistono, vegetano, vivono e si muovono. Si dice che questo mare fosse simile al cristallo, sia per il candore, la purezza e la santità che si riceve da esso, sia per l’immobilità di questo mare di cristallo a cui si paragona il Battesimo, perché imprime un carattere indelebile, che non permette di essere reiterato. E al centro del trono ed intorno al trono, quattro animali, pieni di occhi davanti e dietro. Con i quattro animali sono designati i quattro tipi di arcicancellieri del regno di Gesù Cristo che ottennero i primi posti dopo il Capo della Chiesa. Questi sono i quattro Evangelisti con i loro quattro Vangeli, che sono in mezzo al trono ed intorno al trono, cioè si diffondono ovunque e percorrono il mondo intero per mezzo dei predicatori. Il Salmista, parlando della predicazione del Vangelo, dice, (Sal. XVIII, 4): « Il suo splendore si è diffuso in tutto l’universo; ed ha risuonato fino alle estremità della terra. » I quattro Evangelisti sono al centro del trono, perché la Chiesa diffusa in tutto il mondo si basa sulla dottrina contenuta nei quattro Vangeli. Questi quattro animali sono pieni di occhi davanti e dietro, a causa della chiarezza della dottrina e della verità di Cristo, che l’Antico ed il Nuovo Testamento contengono. Gli occhi davanti sono la conoscenza e la comprensione soprannaturale per mezzo della quale essi penetrarono e correggono gli errori della sinagoga, conservando le cose necessarie alla salvezza. Gli occhi dietro sono la stessa conoscenza soprannaturale ed un’intelligenza soprannaturale, i cui raggi raggiungeranno la fine dei tempi attraverso la loro dottrina. Fu con l’assistenza dello Spirito Santo che gli Apostoli scrissero la legge evangelica che ricevettero dalla bocca di Gesù per la salvezza delle nazioni.

Vers. 7. – Il primo animale era come un leone, il secondo come un vitello; il terzo aveva una faccia come di un uomo ed il quarto come un’aquila in volo. In primo luogo, i quattro Evangelisti sono paragonati a quattro animali, perché descrivono la natività di nostro Signore, la sua predicazione, la sua passione e la sua ascensione. Infatti, Cristo è rappresentato nella sua natività come uomo, nella sua predicazione come leone, nella sua passione come vitello e nella sua ascensione come aquila. Il primo animale con cui viene descritto San Marco è detto essere come un leone, perché il suo Vangelo inizia raccontando la predicazione di San Giovanni, una predicazione che fu come un ruggito di leone, per la sua meravigliosa efficacia. (Marco, 1: 45): « E vennero a lui da tutte le parti, ecc. » Il secondo animale rappresenta San Luca, che viene paragonato ad un vitello, perché il suo Vangelo inizia con il sacerdozio, in cui il vitello, ed ogni primogenito, veniva sacrificato al Signore. Il terzo animale è il tipo di San Matteo, che è rappresentato con una figura quasi come quella di un uomo, perché il suo Vangelo inizia con la generazione di Gesù Cristo, della razza di Davide. Il quarto animale, infine, che rappresenta San Giovanni come sotto un velo, è paragonato ad un’aquila, a causa della sublimità del suo Vangelo, che sale al cielo, penetra la terra ed ogni generazione umana e naturale, ed arriva con il suo volo fino alla generazione del Padre, dicendo: « In principio era il Verbo, ecc. »

Vers. 8. I quattro animali avevano sei ali ciascuno. La prima ala è la legge naturale, la seconda la legge di Mosè, la terza gli oracoli dei profeti, la quarta le istituzioni e gli atti degli Apostoli, la quinta le loro Tradizioni e la sesta, infine, i decreti generali dei Concili. – Si dice che questi quattro animali abbiano sei ali ciascuno, perché queste ali sono il fondamento ed il complemento di tutta la dottrina evangelica. Allo stesso modo, è con queste sei ali che la Chiesa vola nelle quattro parti del mondo e raggiunge le regioni più alte; ed è da esse che i predicatori ricevono il fondamento di tutta la pura e vera dottrina. Perciò aggiunge immediatamente: E intorno e dentro erano pieni di occhi; vale a dire, che gli occhi di questi animali penetrano nella legge perfetta che le sei ali di cui stiamo parlando costituiscono; ed è per questo che aggiunge, di proposito, che questi animali erano pieni di occhi e intorno e dentro. Perché le parole di dentro si riferiscono alla carità e alla contemplazione di Dio, e le parole di fuori indicano la carità verso il prossimo, e la vita attiva in cui gli evangelizzatori ed i predicatori dovrebbero eccellere. E non cessavano mai di dire giorno e notte: Santo, santo, santo, il Signore Dio onnipotente, che era, che è e che viene. In queste parole seguono l’incarico e l’ufficio di questi animali, che è quello di dare gloria, onore e benedizione al Signore Dio, con la preghiera e la predicazione. E non cessavano di parlare giorno e notte. Poiché la parola di Dio è libera, e la predicazione del Vangelo così come la glorificazione del Nome di Gesù continueranno fino alla consumazione dei secoli. Questo è il motivo per cui non si finirà mai di ascoltare il ruggito del leone, il muggito del vitello, la voce dell’uomo ed il grido dell’aquila. Giorno e notte, cioè nei tempi malvagi, e nell’ora delle tenebre sollevate dagli eretici e dai persecutori della verità evangelica. Saranno ascoltati di giorno, cioè nel tempo della vera luce, quando la Chiesa godrà della pace. Si sentirà dire e gridare dalla bocca dei predicatori, e nel santo Sacrificio della Messa, e anche nei servizi divini, giorno e notte; dicendo per tutto il mondo: Santo, Santo, Santo, il Signore Dio Onnipotente, che era, che è, e che viene. – La parola santo è ripetuta tre volte per significare la trinità delle Persone. E queste parole, il Signore Dio Onnipotente, designano l’unità dell’essenza. Perché le tre Persone non sono che un solo Dio, il Signore Onnipotente, che è, che era e che viene. Queste ultime parole esprimono l’eternità di Dio, che era prima del tempo, che è nel tempo e che sarà dopo il tempo, cioè da tutta l’eternità e nei secoli dei secoli.

III. Vers. 9. E così questi animali diedero gloria e onore e benedizione a Colui che siede sul trono, che vive nei secoli dei secoli.

Vers. 10I ventiquattro anziani si inchinarono a Colui che siede sul trono. Con Colui che siede sul trono si intende Dio, uno in tre Persone, e Gesù Cristo nella sua qualità di Monarca di tutto l’universo, e come Capo invisibile della Chiesa, che Egli governa e regola, e al quale, in unione con il Capo visibile della Chiesa, si sottomettono tutti i dottori, i predicatori, gli Apostoli, i profeti ed i principi delle Chiese per tutto il mondo. Gettarono le loro corone davanti al trono in segno di rispetto, umiltà e profonda sottomissione, e anche perché il potere, l’onore, la gloria, la dignità e l’autorità ecclesiastica e apostolica dei Vescovi, dei dottori e dei prelati, significati dalle corone d’oro, come abbiamo detto sopra, derivano dal trono, che è la Cattedra di Pietro. Infatti, ricordiamo che le corone d’oro rappresentano il potere e la dignità sacerdotale. Questi ventiquattro vegliardi gettano dunque le loro corone davanti al trono, come segno dell’intima unione e sottomissione che esiste necessariamente nella Chiesa, perché il regno di Gesù Cristo sulla terra costituisce una monarchia della natura più perfetta. Essi gettano anche le loro corone davanti al trono, per mostrare che la Chiesa ha tutta la luce, la potenza, la sapienza e tutta la gloria sulla terra. Perché Gesù Cristo, vero Dio con il Padre e lo Spirito Santo, è, come Capo invisibile della Chiesa, la fonte di ogni sapienza, verità e potenza, riversata dallo Spirito Santo sulla sua Chiesa. Per questo gli rendiamo il culto dovuto alla sua essenza divina. Perciò l’Apostolo continua … dicendo:

Vers. 11. – Tu sei degno, o Signore nostro Dio, di ricevere gloria, l’onore e la potenza. Non è che Dio acquisisca qualcosa di più dalle opere e dalle lodi umane; ma gli uomini, in gratitudine per i benefici che hanno ricevuto da Lui, sono tenuti a lodare e a glorificare l’eccellenza, la bontà, la saggezza e la potenza dell’eterna Maestà, che, per mezzo del sangue del Suo Figlio Gesù, ha fondato quella monarchia così perfetta, così gloriosa, così ammirevole e così potente della Chiesa, contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno mai. E i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti a colui che siede sul trono e adorarono colui che vive nei secoli dei secoli. – È allora che gli animali, di cui si parla, hanno dato gloria, onore, potere e benedizione a Colui che siede sul trono; perché hanno conoscenza di questa verità dai Vangeli, che solo un vero Dio è da adorare, con il suo unigenito Figlio Gesù Cristo. Voi siete degno, o Signore nostro Dio, di ricevere gloria, onore e potenza, perché avete creato dal nulla tutte le cose, l’universo e tutto ciò che esso contiene; e perché poi avete stabilito e coordinato questo regno della Chiesa sulla terra con la vostra infinita sapienza e nella bontà della vostra eterna volontà. E che per vostra volontà erano e sono state create. Queste parole indicano che è nel beneplacito della volontà divina che tutte le creature, tutti i regni, in una parola tutto l’universo, tendono a questo primo ed ultimo fine, e che Egli dirige verso di esse, tutto l’onore, la gloria, il potere e l’impero, etc., come una freccia è diretta al suo bersaglio. E che per la vostra volontà erano, cioè prima di essere create, esse erano da tutta l’eternità nella libera disposizione della vostra bontà, o Signore, e nella volontà della vostra sapienza, come una casa esiste già nell’immaginazione dell’architetto prima della sua costruzione. Ed esse sono state create, cioè prodotte ed eseguite nel tempo, dalla volontà divina della vostra saggezza, dalla vostra bontà libera e pura, e non da una necessità della natura.

LIBRO II.

SEZIONE II.

SUL CAPITOLO V.

DEL LIBRO SIGILLATO CON SETTE SIGILLI, L’ACCLAMAZIONE E GLI APPLAUSI FATTI A GESÙ CRISTO ALL’APERTURA DI QUESTO LIBRO.

Vers. 1. E vidi nella mano destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto dentro e fuori, sigillato con sette sigilli.

§ 1.

Che cos’è questo libro scritto dentro e fuori, sigillato con sette sigilli.

CAPITOLO V.

VERSETTI 1-4.

Et vidi in dextera sedentis supra thronum, librum scriptum intus et foris, signatum sigillis septem. Et vidi angelum fortem, prædicantem voce magna: Quis est dignus aperire librum, et solvere signacula ejus? Et nemo poterat neque in cælo, neque in terra, neque subtus terram aperire librum, neque respicere illum. Et ego flebam multum, quoniam nemo dignus inventus est aperire librum, nec videre eum.

[E vidi nella mano destra di colui, che sedeva sul trono, un libro scritto dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un Angelo forte, che con gran voce gridava: Chi è degno di aprire il libro, e di sciogliere i suoi sigilli? E nessuno né in cielo, né in terra né sotto terra, poteva aprire il libro, né guardarlo. E io piangevo molto, perché non si trovò chi fosse degno di aprire il libro, né di guardarlo.]

I. Dopo che San Giovanni ha descritto la maestà, la natura e la costituzione intrinseca della Chiesa Cattolica, gli si apre in qualità di segretario intimo del regno di Gesù Cristo sulla terra, il libro dei segreti e delle disposizioni di Dio a riguardo della sua Chiesa.

Questo libro contiene tutto ciò che deve accadere fino alla consumazione dei tempi. Queste rivelazioni sono state fatte nel particolare e nell’ordine; e contengono un’istruzione profonda, salutare e molto necessaria. La sapienza del Padre celeste ha lasciato questo libro ai suoi amati figli, come un monarca prudente è solito fare prima della sua morte, lasciando al figlio suo, oltre ai segreti del suo regno, dei consigli particolari sul modo di governare. Lo avverte, per esempio, delle guerre che possono insorgere, dei nemici che maggiormente sono da temere, e infine di ciò che si debba fare o evitare nei casi difficili che possono presentarsi. Ora, è in questo modo, e con molta più saggezza, che Dio, nel suo paterno amore e sollecitudine per i suoi eletti, ci ha permesso di penetrare, per così dire, nell’abisso della sua ineffabile prescienza, mostrando a San Giovanni le desolazioni, le consolazioni e gli avvenimenti più notevoli ed essenziali che accadranno nella Chiesa fino alla consumazione dei secoli.

Vers. 1.E vidi nella mano destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto dentro e fuori, sigillato con sette sigilli, ecc. Queste parole annunciano la profondità dei divini segreti contenuti in questo libro. In effetti, vi troviamo una conoscenza, una disposizione divina ed un’intenzione particolare riguardo alla sua Chiesa. Si dice che tutto è descritto in forma metaforica. E come gli scritti importanti di un regno sono conservati con cura negli archivi, così le cose che Dio ha decretato di fare e di permettere, nella sua assoluta volontà, rimangono fissate ed immutabili. Dobbiamo ammettere innanzitutto che si fondano sulla teologia: 1°che Dio conosce tutte le cose possibili nel modo più certo e perfetto, anche se non sono mai esistite o mai esisteranno. 2° Che vede tutte le cose esistenti o contingenti, senza essere limitato da alcuna differenza dei tempi, passato, presente o futuro. 3°. Oltre ai due tipi di conoscenza appena menzionati, ce n’è un terzo che sta nel mezzo: si riferisce a cose che possono accadere condizionatamente. Ora, nella descrizione delle sette età della Chiesa, data nei capitoli II e III, molte cose sono rivelate secondo quest’ultima scienza o conoscenza di Dio; il che non impedisce, tuttavia, che le cose che questo libro contiene siano state scritte secondo la scienza della visione; infatti, tutte queste cose sono rivelate secondo la scienza della visione; in quanto tutte queste cose esistono nel potere operativo di Dio, e sono decretate dalla sua volontà divina, come debbano essere fatte o permesse nel tempo. Si dice che San Giovanni vide questo libro nella mano destra di Colui che sedeva sul trono. Ora la mano destra di Dio significa metaforicamente il suo potere operativo. E così come noi agiamo con la nostra mano destra, così Dio agisce con la sua volontà. Perché Egli ha parlato e tutte le cose sono state fatte; Egli ha comandato e tutte le cose sono state create. (Sal. XXXII, 9): « Il Signore dissipa i consigli delle genti, rende vani i pensieri dei popoli e rovescia i consigli dei principi. Ma il consiglio del Signore rimane in eterno e i pensieri del suo cuore durano per tutte le generazioni. » E (Ps. CXIII, 11): « Il nostro Dio è nei cieli; qualunque cosa voglia, l’ha fatta. » E ancora (Ps. CXLVIII, 5): « Poiché Egli ha parlato, e tutte le cose sono state create. Li ha stabiliti per durare nei secoli dei secoli. Egli ha dato loro i suoi ordini, che non mancheranno di essere eseguiti. » Colui che sedeva sul trono. Questi è di nuovo il Signore Dio, cioè Gesù Cristo invisibilmente seduto sulla Sede apostolica, che governa la sua Chiesa e viene adorato da tutti i Cristiani nella sua umanità. E vidi nella mano destra di Colui che sedeva sul trono un libro scritto dentro e fuori. Con le cose scritte nel libro si intendono quelle che sono più oscure e astratte per la mente umana, e che devono essere completate nel corso delle epoche della Chiesa, e specialmente negli ultimi tempi, secondo la rivelazione che fu fatta a San Giovanni. Con le cose scritte fuori dal libro si designano quelle che sono le più chiare e visibili, e che San Giovanni stesso ha spiegato; ed anche quelle che erano già compiute quando l’Apocalisse fu scritta, e ancora quelle che dovevano compiersi poco dopo. Quest’ultima categoria è abbastanza numerosa, come vedremo nelle pagine seguenti. E vidi nella mano destra di Colui che sedeva sul trono un libro sigillato con sette sigilli. Il sigillo viene messo sulle lettere, per evitare che vengano lette. Si mette anche sugli atti, sui testamenti e sui libri, per dare loro più autorità. È così che i re mettono il loro sigillo sui loro editti, e vogliono anche che i loro ambasciatori lo usino per accreditare i loro atti. – Il sigillo di Dio è la sua volontà divina, che ha nascosto fin dall’inizio del mondo, e che conserva come un segreto nel suo tesoro, le sue opere divine, mirabili o terribili, e tutto ciò che, per suo permesso, deve accadere alla sua Chiesa, fino alla fine dei tempi. Ora, questi segreti dell’Apocalisse, non li ha rivelati a nessun profeta, a nessun patriarca, né a nessun uomo, nemmeno agli Angeli, fino all’arrivo di suo Figlio Gesù Cristo, alla cui umanità li ha rivelati mostrandogli questi sette sigilli e dandogli il potere di romperli. Per questo è detto di seguito: Nessuno poteva in cielo, per quanto riguarda gli Angeli, né sulla terra, per quanto riguarda gli uomini, né sotto terra, per quanto riguarda i patriarchi che erano nel limbo, aprire il libro, né rimuovere i suoi sette sigilli, né guardarvi dentro. Sebbene il sigillo o il segreto divino sia considerato in se stesso, tuttavia si dice, in relazione all’esterno, che questo libro dei segreti di Dio fosse sigillato con sette sigilli, per significare la diversità dei tempi e delle epoche della Chiesa, durante i quali Gesù Cristo doveva manifestare le meraviglie ed i prodigi conosciuti da Dio. Questo è quello che doveva operare effondendo i sette doni del suo Spirito, secondo la diversità dei tempi, degli uomini e delle età della sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli, per la salvezza dei suoi eletti. E questo libro è detto essere sigillato con sette sigilli, che Gesù Cristo doveva rompere, per darci una testimonianza di fede ed una garanzia del compimento dei segreti divini.

Vers. 2 . E vidi un Angelo forte che gridava ad alta voce: Chi è degno di aprire il libro e di scioglierne i sigilli? Queste parole esprimono la difficoltà di comprendere ed eseguire i decreti di Dio riguardanti la Sua Chiesa. Questo Angelo forte è l’arcangelo Gabriele, il cui nome significa potenza e forza di Dio. Questo Angelo è l’inviato speciale della divinità ed il legato di Cristo; ed è in questa veste che annunciò l’incarnazione del Verbo. (Luca, I).

Vers. 3. – E nessuno poteva aprire il libro o guardarci dentro, né in cielo per quanto riguarda gli Angeli, né sulla terra per quanto riguarda gli uomini, né sottoterra per quanto riguarda i Patriarchi, i Profeti e gli antichi che erano nel limbo. Perché nessun potere finito potrebbe penetrare, o rivelare, o realizzare i segreti di Dio riguardanti la Chiesa ed il regno di Cristo. Niente di meno che la sapienza e il potere della Divinità erano necessari per questo. Per questo l’arcangelo Gabriele dice (Luca, I, 31-32): « Concepirai nel tuo grembo e partorirai un figlio e lo chiamerai col nome di Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre, ed Egli regnerà sulla casa di Giacobbe per sempre. » Anche per questo i teologi insegnano nel Trattato sull’Incarnazione che l’opera di redenzione del genere umano non poteva essere affidata a nessun uomo comune, né a nessun Angelo. La ragione di ciò è: 1°. Che nessun uomo o Angelo ordinario potrebbe soddisfare degnamente la giustizia divina. 2°. Nessun uomo, per quanto santo, né alcun Angelo, poteva conformarsi alla volontà divina, né riconoscerla nelle orribili tribolazioni e mali con cui la Chiesa fu afflitta, quando, per esempio, dovette nuotare nel sangue dei suoi innumerevoli martiri per trecento anni. Nessun uomo o Angelo avrebbe mai potuto concepire le molte eresie con le quali la Chiesa ha dovuto gemere così tanto, e le prove ancora più sorprendenti che dovrà subire alla fine dei tempi, se Gesù Cristo non ci avesse dato un esempio nella Sua passione, e se non ci avesse avvertito e istruito su di esse nel Vangelo e in questo libro dell’Apocalisse. Perché gli uomini più santi non sono capaci di risolvere questo enigma da soli. 3°. Il potere e l’astuzia di questo mondo erano così pieni di malizia, che il regno della Chiesa militante, ridotto alle sue forze umane, non avrebbe mai potuto giungere alla fine e svilupparsi pienamente senza la virtù onnipotente del Figlio di Dio.

Vers. 4. – E io piansi amaramente, perché nessuno fu trovato degno di aprire il libro, né di guardarvi dentro. Queste lacrime esprimono il desiderio e la sollecitudine di San Giovanni di penetrare nel meraviglioso segreto delle epoche della Chiesa, un segreto la cui conoscenza e sviluppo era al di là di ogni potere umano, e dal quale tuttavia dipendeva la salvezza dei giusti. Perciò dice: E io piansi amaramente, perché nessuno fu trovato degno di aprire il libro, cioè di adempiere i suoi segreti, o di guardarvi dentro, per conoscere la volontà di Dio.

§ II.

Sull’acclamazione fatta a Cristo a motivo dell’apertura del libro sigillato.

CAPITOLO V. – VERSETTI 5-14.

Et unus de senioribus dixit mihi: Ne fleveris: ecce vicit leo de tribu Juda, radix David, aperire librum, et solvere septem signacula ejus. Et vidi: et ecce in medio throni et quatuor animalium, et in medio seniorum, Agnum stantem tamquam occisum, habentem cornua septem, et oculos septem: qui sunt septem spiritus Dei, missi in omnem terram. Et venit: et accepit de dextera sedentis in throno librum. Et cum aperuisset librum, quatuor animalia, et viginti quatuor seniores ceciderunt coram Agno, habentes singuli citharas, et phialas aureas plenas odoramentorum, quae sunt orationes sanctorum: et cantabant canticum novum, dicentes: Dignus es, Domine, accipere librum, et aperire signacula ejus: quoniam occisus es, et redemisti nos Deo in sanguine tuo ex omni tribu, et lingua, et populo, et natione: et fecisti nos Deo nostro regnum, et sacerdotes: et regnabimus super terram. Et vidi, et audivi vocem angelorum multorum in circuitu throni, et animalium, et seniorum: et erat numerus eorum millia millium, dicentium voce magna: Dignus est Agnus, qui occisus est, accipere virtutem, et divinitatem, et sapientiam, et fortitudinem, et honorem, et gloriam, et benedictionem. Et omnem creaturam, quae in cælo est, et super terram, et sub terra, et quae sunt in mari, et quae in eo : omnes audivi dicentes: Sedenti in throno, et Agno, benedictio et honor, et gloria, et potestas in sæcula sæculorum. Et quatuor animalia dicebant: Amen. Et viginti quatuor seniores ceciderunt in facies suas: et adoraverunt viventem in sæcula sæculorum.

[E uno dei seniori mi disse: Non piangere: ecco il leone della tribù di Giuda, la radice di David, ha vinto di aprire il libro, e sciogliere i suoi sette sigilli. E mirai: ed ecco in mezzo al trono, e ai quattro animali, e ai seniori, un Agnello sui suoi piedi, come scannato, che ha sette corna e sette occhi: che sono sette spiriti di Dio spediti per tutta la terra. E venne: e ricevette il libro dalla mano destra di colui che sedeva sul trono. – E aperto che ebbe il libro, i quattro animali, e i ventiquattro seniori si prostrarono dinanzi all’Agnello, avendo ciascuno cetre e coppe d’oro piene di profumi, che sono le orazioni dei santi: E cantavano un nuovo cantico, dicendo: Degno sei tu, o Signore, di ricevere il libro, e di aprire i suoi sigilli: dappoiché sei stato scannato, e ci hai ricomperati a Dio col sangue tuo di tutte le tribù, e linguaggi, e popoli, e nazioni: E ci hai fatti pel nostro Dio re e sacerdoti: e regneremo sopra la terra. E mirai, e udii la voce di molti Angeli intorno al trono, e agli animali, e ai seniori: ed era il numero di essi migliaia di migliaia, i quali ad alta voce dicevano: È degno l’Agnello, che è stato scannato, di ricevere la virtù, e la divinità, e la sapienza, e la fortezza, e l’onore, e la gloria, e la benedizione. E tutte le creature che sono nel cielo, e sulla terra, e sotto la terra, e nel mare, e quante in questi (luoghi) si trovano: tutte le udii che dicevano: A colui che siede sul trono e all’Agnello la benedizione, e l’onore, e la gloria, e la potestà pei secoli dei secoli. E i quattro animali dicevano: Amen. E i ventiquattro seniori si prostrarono bocconi, e adorarono colui, che vive pei secoli dei secoli.]

Vers. 5 – Ma uno degli anziani mi disse: Non piangere, perché questo è il leone della tribù di Giuda, il germoglio di Davide, che con la sua vittoria ha ottenuto il potere di aprire il libro e di sciogliere i sette sigilli. Queste parole devono consolarci in tutte le tribolazioni. Uno di questi vegliardi è San Pietro, il primo tra gli Apostoli, come è detto, (Genesi, I, 5): « E fu sera e fu  mattino, e fu fatto un giorno », cioè il primo giorno. Ecco il leone della tribù di Giuda…; che ha ottenuto con la sua vittoria, ecc. Questo leone della tribù di Giuda è il Cristo della razza di Davide secondo la carne, in cui si compie la profezia di Giacobbe (Gen. XLIX, 8): « Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi oserà farlo alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti per il latte. » Ecco… la progenie di Davide, cioè il Cristo, Del seme di Davide secondo la carne, di cui Isaia profetizzò, (Is. XI, 1): « Un germoglio uscirà dal tronco di Iesse, un fiore spunterà dalle sue radici. Lo spirito del Signore si poserà su di lui, ecc. »  È con questo seme divino che San Pietro consola tutta la Chiesa nella persona di San Giovanni, quando dice: « Ecco il leone della tribù di Giuda, la discendenza di Davide, che ha ottenuto con la sua vittoria, ecc. ». Vale a dire che Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente ha vinto il mondo, la carne, il diavolo, la morte, tutto il potere e la sapienza del mondo e tutta la tirannia, ecc. il germoglio di Davide, che con la sua vittoria ha ottenuto il potere di aprire il libro, cioè di rivelare alla sua santa Chiesa il pensiero e la volontà del Padre suo, circa i mali e le persecuzioni che avrebbe dovuto subire. E di aprirne i sette sigilli; per compiere ogni cosa a suo tempo per mezzo dei sette doni dello Spirito Santo che escono dalla sua bocca, per la salvezza dei suoi eletti e per la conservazione della sua Chiesa, finché il secolo fosse consumato ed il numero dei suoi eletti completo.

II. Vers. 6. E vidi; ed ecco in mezzo al trono e ai quattro animali ed in mezzo ai vegliardi, un Agnello in piedi come se fosse stato ucciso, con sette corna e sette occhi, che sono i sette Spiriti di Dio mandati in tutta la terra. Questo Agnello è Cristo nostro Signore. Si dice che è in mezzo al trono, ai quattro animali e ai vegliardi, perché la Chiesa universale gli appartiene come se fosse il suo trono. Egli l’ha fatta pascere come si pascono gli animali, in quanto Egli è il suo pastore. La Chiesa è onorata come lo sono i vegliardi incaricati di giudicare dalla sede della pietà. Questa Chiesa, essendo costruita su Cristo, è esaltata dai sette corni della sua potenza ed illuminata da sette occhi, cioè dai suoi miracoli e dalle sue virtù. Poiché Cristo è costantemente in mezzo alla sua Chiesa, come è detto in San Matteo, (XXVIII, 20): « Ecco, Io sono sempre con voi, fino alla consumazione dei secoli. » Come Cristo fu chiamato “leone” a causa della sua risurrezione, così qui è chiamato “agnello”, perché è stato ucciso. Egli è rappresentato in piedi essendo resuscitato alla vita eterna. (Rom. VI, 9): « Gesù Cristo risorto dai morti non muore più. » Questo Agnello è ancora rappresentato in piedi, perché combatte con i suoi santi sulla terra e veglia sulla sua Chiesa. È così che, nel suo martirio, Santo Stefano vide Gesù Cristo in piedi alla destra della potenza di Dio. Seguono queste parole: avendo sette corna e sette occhi, che sono gli Spiriti di Dio inviati per tutta la terra. Questi Spiriti sono quelli descritti in Isaia, XI. Questi spiriti poggiano su Cristo, e sono metaforicamente designati da corna e da occhi: da corna per la potenza divina; e da occhi per il bagliore della verità con cui quegli occhi brillano. Cristo combatte con queste corna contro i suoi nemici, ed è anche con questi occhi che illumina i suoi servi. Queste corna e questi occhi sono in numero di sette, per designare tutta la virtù e tutta la potenza che Cristo mostra nelle varie epoche, fino alla consumazione dei secoli, a favore della sua Chiesa. L’Agnello è rappresentato come immolato:

-1°. Perché è sacrificato ogni giorno quando l’ostia del corpo e del sangue di Gesù Cristo è offerta a Dio Padre nel santo Sacrificio della Messa, in memoria della sua immolazione secondo la carne. Ecco perché non si dice semplicemente immolato, ma “come” immolato. – 2°. Egli è rappresentato “come” immolato, a causa della pazienza e della longanimità con cui permette ai suoi nemici e a tutti gli empi di dominare e affliggere la Sua Chiesa sulla terra. Questa pazienza e questa longanimità del Cristo è portata al punto che i malvagi e persino i deboli, che non comprendono appieno questo modo di procedere della divina provvidenza, lo considerano scandalo per la fede. Sono tentati di credere che Gesù Cristo non esista, o che non si preoccupi affatto della sua Chiesa, quando non manifesta la sua potenza con atti esterni della sua protezione.

Vers. 7Ed Egli venne e ricevette il libro dalla mano destra di Colui che sedeva sul trono. Non si deve intendere con queste parole che Gesù Cristo ricevette la conoscenza dei destini della Chiesa. Perché Cristo, dal momento del suo concepimento, in cui la divinità fu unita in modo meraviglioso all’umanità nell’unità della sua Persona, aveva una perfetta conoscenza di tutte le cose che Dio stesso conosce con la scienza della visione. Ora, tra queste cose conosciute in questo modo sono contenuti anche i destini della Chiesa, come vediamo da ciò che è stato detto sopra. Dal fatto poi che San Giovanni ha visto Gesù Cristo aprire il libro, dobbiamo comprendere:

1° Che la conoscenza già infusa nell’anima di Gesù Cristo dal principio della sua creazione, doveva essere comunicata a San Giovanni e, nella sua persona, a tutta la Chiesa. 2° Con l’accettazione del libro dalla mano destra di Colui che sedeva sul trono, si intende l’effettiva esecuzione e realizzazione dei segreti divini riguardo alla Chiesa, manifestati all’esterno. Ed è perché la conoscenza e l’esecuzione di queste cose superano tutte le forze naturali che San Giovanni pianse fino a quando gli fu mostrato che Cristo, come un leone terribile e come un agnello dolcissimo, avrebbe risolto ed eseguito tutte le cose con la sua dolcezza e con la sua potenza.

Vers. 8E quando l’ebbe aperto, i quattro animali ed i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all’Agnello, ciascuno con delle arpe e delle coppe d’oro piene d’incenso, che sono le preghiere dei Santi, etc. – Queste parole contengono l’applauso, la gloria, il giubilo, l’onore e l’adorazione della Chiesa militante e trionfante nei riguardi del suo Capo Gesù Cristo. Queste parole ci fanno vedere inoltre quale omaggio d’amore e di riconoscenza la Chiesa Cattolica debba rendere al Cristo. E quando l’ebbe aperta, per rivelare e realizzare nel loro tempo i destini della Chiesa, i quattro animali, cioè tutti i predicatori nelle quattro parti del mondo, ed i ventiquattro vegliardi, che sono i Patriarchi, i Primati, gli Arcivescovi, i Vescovi, i prelati, i sacerdoti, e così via, si prostrarono davanti all’Agnello, cioè adoravano l’Agnello, il loro vero Dio e il Signore di tutte le cose. Ognuno con delle arpe, cioè con la mortificazione dei vizi e della concupiscenza. Infatti, nell’arpa ci sono il legno e le corde. Il legno designa la croce di Cristo e le corde significano la carne crocifissa e mortificata dei Santi. Ora queste corde, tese su un legno così nobile, e messe in vibrazione dai vari tormenti che la Chiesa militante deve sopportare, producono un dolce accordo ed una dolce armonia per le orecchie di Gesù Cristo. E con delle coppe d’oro piene di profumi, che sono le preghiere dei Santi. Essi cantavano un Cantico nuovo. Nell’Antico Testamento, molti inni furono composti in onore ed a gloria di coloro che operarono la salvezza di Israele, oppure in lode del Dio Onnipotente che così spesso fece cose meravigliose per il Suo popolo. Ma qui si tratta di un cantico nuovo, inno con il quale l’uomo adora e glorifica Dio, che non solo ci ha fornito la salvezza e la redenzione nel tempo, ma anche nell’eternità redimendoci dalla prigionia, dalla servitù e dalla tirannia del diavolo. Di modo che il Signore Dio non ha mai fatto, dall’origine del mondo, cose così ammirevoli e così grandi nel suo amore come quelle di inviare il suo unico Figlio fatto uomo sulla terra, che doveva redimerci con la sua passione e morte ed inviarci, dopo la sua risurrezione, lo Spirito Santo. Ecco perché:

Vers. 9. – Cantavano un nuovo canto, dicendo: Tu sei degno, o Signore, di ricevere il libro e di scioglierne i sigilli; cioè, è giusto e opportuno, o Signore, che tu riceva da Dio Padre il potere universale ed eterno sulla tua Chiesa, perché Tu ne sei il fondatore e il protettore. È così che dissero i figli d’Israele a Gedeone, (Judic., VIII, 22): « Comandaci, tu e tuo figlio ed il figlio di tuo figlio, perché ci hai liberati dalla mano di Madian. » Ora la Chiesa applaude Gesù Cristo con molta più ragione e gli dice: Tu sei degno, Signore, di ricevere il libro e di scioglierne i sigilli, perché siete stato messo a morte e ci avete riscattati, riconciliandoci con Dio infinitamente offeso, e ci avete riscattato con il vostro sangue (di un prezzo infinito) da ogni tribù, lingua, popolo e nazione; perché la Chiesa è l’assemblea di tutte le nazioni e di tutte le tribù. La tribù è composta da tre ordini, in ognuno dei quali ci sono 72 lingue. In queste lingue ci sono molti popoli, e in questi popoli molte nazioni.

Vers. 10. – E Voi ci hai fatti re e sacerdoti per il nostro Dio, radunandoci da tutte le nazioni, e sottomettendoci al servizio e alla volontà del Padre per mezzo della legge evangelica, noi che eravamo sotto il dominio dei demoni per l’infedeltà e l’idolatria, e sotto il giogo della legge di Mosè. – E Voi ci avete fatti sacerdoti, non come quelli del Vecchio Testamento, che offrivano la carne e il sangue degli animali, o come quelli del mondo pagano, che sacrificavano ai demoni attraverso i loro idoli; ma Voi ci avete fatto sacerdoti secondo l’ordine di Melchisedeck, per offrire quotidianamente il vostro prezioso corpo e sangue nel Sacrificio della Messa, Sacrificio che Voi, Signore e Sommo Sacerdote, avete offerto per primo sull’albero della croce. E noi regneremo sulla terra … nel vostro regno militante, su ogni tribù e lingua e popolo e su ogni nazione. E ci siederemo su ventiquattro seggi, cioè sui seggi patriarcali, arcivescovili, episcopali, ecc.

Vers. 11. – E vidi, ed udii intorno al trono, agli animali e ai vegliardi, la voce di molti Angeli, il cui numero era di migliaia di migliaia, che dicevano ad alta voce, ecc. Questo si riferisce a tutti gli Angeli ministri delle chiese, delle province e di tutto il mondo cristiano, il cui numero si estende senza dubbio a migliaia di migliaia; e tutti loro hanno ricevuto una missione ed un comando da Dio, per vegliare sulla nostra salvezza e quella di tutta la Chiesa. È per questo che si dice di quelli che sono intorno al trono, degli animali e dei vegliardi, a causa dell’assistenza speciale che essi offrono alle chiese, ai predicatori e ai Vescovi, dicendo a voce alta:

Vers. 12. – L’Agnello che è stato ucciso è degno di ricevere virtù, divinità, sapienza, forza, onore, gloria e benedizione. Questa acclamazione è rivolta all’umanità di Cristo, a causa della sua ipostasi divina, dagli Angeli, che proclamano degno proprio Colui che giudicò indegno lucifero, con i suoi apostati, fin dall’inizio della creazione. Da questo possiamo vedere che ciò che conviene solo alle tre Persone divine è attribuito all’umanità di Gesù Cristo.

Vers. 13. E ho sentito tutte le creature che sono nel cielo. Queste parole annunciano il potere di Cristo sulla Chiesa trionfante; sulla terra, cioè ancora il suo potere sulla Chiesa militante; sotto la terra, sui corpi dei martiri e dei morti, nell’ambito della morte; e quelli che sono sul mare, sui navigatori; e nel mare, cioè il suo potere sui corpi dei santi martiri che vi ci furono gettati. Questa acclamazione può anche essere compresa da tutte le creature, anche da quelle prive di ragione e di comprensione. Li ho sentiti tutti dire: A Colui che siede sul trono, a Dio, uno in tre Persone, e all’Agnello, cioè all’umanità di Gesù Cristo, che è la luce in cui brilla ora come in uno specchio, e in cui Dio, uno in tre Persone, brillerà nell’eternità, quando i Santi lo vedranno e lo contempleranno faccia a faccia.

Vers. 14. – Benedizione, onore, gloria e potenza siano nei secoli dei secoli. E i quattro bestie dissero: Così sia. Questa è un’acclamazione della verità che è appropriata ed appartiene ai quattro Evangelisti e ai predicatori. E i ventiquattro vegliardi si prostrarono sulle loro facce, umiliandosi per il potere e l’autorità che era stata loro concessa sulla terra, e adorarono colui che vive nei secoli dei secoli.

FINE DEL SECONDO LIBRO.

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO TERZO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA CARITÀ

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sulla Carità.

(Frammenti)

Diliges Deum tuum in toto corde tuo.

( MATTH. XXII, 37).

Por servire il buon Dio perfettamente, ah! non basta credere in Lui. È vero che la fede ci fa credere tutte le verità che la Chiesa ci insegna, e che mancando la fede, tutte le nostre azioni sono senza merito agli occhi di Dio. La fede ci è adunque assolutamente necessaria per salvarci. Tuttavia, questa fede preziosa che ci mostra anticipatamente le bellezze del cielo, un giorno verrà meno, perché nell’altra vita non vi saranno più misteri. La speranza, che è dono del cielo, è anch’essa necessaria per farci operare con intenzioni rette e pure, pel solo fine di piacere a Dio in quanto facciamo, sia per meritare il cielo, sia per evitare l’inferno. Ma la carità ci conduce ad amar Dio, perché è infinitamente buono ed amabile, e merita perciò d’essere amato. Ma, direte voi, come adunque conoscere se abbiamo questa bella virtù tanto accetta a Dio e che ci fa operare con tanta generosità: cioè che ci porta ad amare Dio non per timore delle pene dell’inferno, né per la speranza del cielo, ma unicamente per le sue perfezioni infinite? — Ciò che ci deve indurre a desiderare e a domandare a Dio questa bella virtù, si è che essa ci seguirà nell’eternità. Più ancora: è la carità che deve formare tutta la nostra felicità, poiché la felicità dei beati consiste nell’amare. Questa virtù così bella, così capace di renderci fedeli anche in questo mondo, vediamo, Fratelli miei, se l’abbiamo, e cerchiamo i mezzi di acquistarla.

I . Se domandassi ad un fanciullo: Che cos’è la carità? Egli mi risponderebbe: È una virtù che ci viene dal cielo, per la quale amiamo Dio con tutto il nostro cuore, ed il prossimo come noi stessi, per amore di Dio. — Ma, mi domanderete voi, che cos’è amare il buon Dio al disopra di tutte le cose, e più di se stesso? — È preferirlo a quanto v’è di creato: è l’essere disposti a perdere le sostanze, la reputazione, i parenti, gli amici, i figli, il marito o la moglie ed anche la stessa vita, piuttosto che commettere il minimo peccato mortale.S. Agostino ci dice che l’amare Iddio perfettamente, è amarlo senza misura, quand’anche non vi fosse il cielo da sperare, né l’inferno da temere: è amarlo con tutta la potenza del cuore. Se me ne domandate la ragione, è questa: che Dio è infinitamente amabile e degno d’essere amato. Se l’amiamo davvero, né i patimenti, né le persecuzioni, né il disprezzo, né la vita, né la morte potranno rapirci l’amore che dobbiamo a Dio. Noi stessi lo sentiamo, F. M., che se non amiamo Dio noi siamo esseri sventurati, troppo sventurati. Se l’uomo è creato per amare Dio, non può trovare la sua felicità che in Dio solo. Fossimo pure padroni del mondo, se non amiamo Dio, non possiamo essere che infelici per tutta la nostra vita. Se volete meglio convincervene, vedete, interrogate coloro che vivono come se Dio non fosse. Vedete quelli che abbandonano la frequenza ai Sacramenti e la preghiera, vedeteli quando li colpisce un dolore, o la perdita d’una persona cara: ahimè! maledicono se stessi, sono nello strazio, o muoiono d’angoscia. Un avaro quando possiede molto, non è più felice di quando possedeva poco. Un ubriacone è forse più felice, dopo aver bevuto la tazza di vino nella quale credeva trovare tutto il suo piacere? È ancora lo stesso infelice. Un orgoglioso non ha mai quiete: teme sempre d’essere disprezzato. Un vendicativo, perché cerca di vendicarsi non dorme, né giorno né notte. Osservate altresì un infame impudico che crede di trovare la sua felicità nei piaceri della carne: arriva persino, non dico a perder la riputazione, ma gli averi, la sanità e l’anima, senza perciò poter trovarsi contento. E perchè, F. M., non possiamo esser felici possedendo quanto sembrerebbe doverci accontentare? Ah! perché, non essendo creati che per Iddio, non v’ ha che Lui solo che possa soddisfarci, cioè renderci felici quanto è possibile l’esserlo su questa povera terra. Ciechi che siamo ci attacchiamo alla vita, alla terra, ai suoi beni, ahimè! ai piaceri; diciamo meglio, ci attacchiamo a tutto quanto può renderci infelici! Come, F. M., furono più saggi di noi i Santi, che hanno tutto sprezzato per non cercar che Dio solo. Chi ama davvero il buon Dio fa poco conto di quanto v’ha sulla terra! – Quanti grandi del mondo, anche principi, re, imperatori, non vediamo noi, che tutto lasciarono per servire Iddio più liberamente nei deserti o nei monasteri! Quanti altri per mostrare al buon Dio il loro amore, salirono sui patiboli, come vincitori sul trono! Ah! F. M., quanto è felice chi ha la fortuna di staccarsi dalle cose del mondo per non attaccarsi che a Dio solo! Ahimè! quanti ve ne sono fra noi che hanno venti o trent’anni, e non domandarono mai a Dio quest’amore che è un dono del cielo, come ve lo insegna il catechismo. Non dobbiam quindi meravigliarci, F. M., se siamo così terreni e così poco spirituali! Questo modo di comportarci non può che condurci ad una fine ben sventurata: la separazione da Dio nell’eternità! Ah! F. M., è possibile che non vogliamo rivolgerci verso il nostro vero bene, che è Dio solo? Ma lasciamo quest’argomento, sebbene tanto interessante.

I ..La carità forma tutta la gioia e la felicità dei Santi in cielo. Ah! “bellezza antica e sempre nuova, „ quando non ameremo che voi sola? Se domandassi ora ad un fanciullo: “Che cos’è la carità verso il prossimo? „ Egli mi risponderebbe: La carità verso Dio deve farcelo amare più dei nostri beni, la sanità, la riputazione, e della stessa vita: la carità che dobbiam avere pel prossimo deve farcelo amare come noi stessi, di modo che tutto il bene che possiam desiderare a noi, dobbiam desiderarlo al nostro prossimo, se vogliamo aver questa carità, senza della quale non si può sperare né il cielo né l’amicizia di Dio. Ahimè! Quanti Sacramenti profanati da questa mancanza di carità, e quante anime condotte all’inferno! Ma che devesi intendere con questa parola: il nostro prossimo? Niente di più facile a comprendersi. Questa virtù si estende a tutti, anche a coloro che ci hanno fatto del male, che hanno danneggiato la nostra riputazione, ci hanno calunniati e fatto qualche torto, quand’anche avessero attentato alla nostra vita. Dobbiamo amarli come noi stessi, ed augurare a loro tutto il bene che possiamo desiderare a noi. Non solo ci è proibito di voler loro alcun male, ma dobbiamo render loro servizio ogni volta che ne hanno bisogno, e lo possiamo. Dobbiam rallegrarci quando riescono nei loro affari, rattristarci quando sono vittima di qualche disgrazia, di qualche perdita; prendere le loro difese quando se ne parla male, dire il bene che ne sappiamo, non fuggire la loro compagnia, anzi trattenerci piuttosto con loro che con quelli che ci hanno reso qualche servizio: ecco, F. M., come il buon Dio vuole che amiamo il nostro prossimo. Se non facciamo così, possiam dire di non amare né il prossimo né Dio; siamo cattivi Cristiani; ed andremo dannati. Vedete, F. M., la condotta che tenne Giuseppe verso i fratelli, che avevano voluto farlo morire, che l’avevan gettato in una cisterna, e dipoi venduto a mercanti stranieri. Solo consolatore gli rimase Iddio. (Gen. XXXVII). Ma siccome il Signore non abbandona chi l’ama, quanto Giuseppe era stato umiliato, altrettanto fu esaltato. Divenuto quasi padrone del regno dei Faraoni, i suoi fratelli, ridotti alla più gran miseria, vennero da lui senza conoscerlo. Giuseppe vede arrivar coloro che avevano attentato alla sua vita, e l’avrebbero fatto morire se il primogenito non li avesse dissuasi. Egli ha in mano tutti i poteri da Faraone, potrebbe farli prendere e farli morire. Nulla poteva impedirlo: al contrario era anzi cosa giusta punire i delinquenti. Ma Giuseppe che cosa fa? … la carità che ha nel cuore gli fa dimenticare i maltrattamenti ricevuti. Non pensa che a beneficarli… piange di gioia, domanda subito notizie del padre e degli altri fratelli: per meglio far loro sentire la grandezza del suo amore, vuole che vengano per sempre presso di lui (Gen. XLII – XLVII). – Ma, mi direte, come si può conoscere se si ha questa bella e preziosa virtù, senza la quale la nostra religione non è che un fantasma? Anzitutto, F. M., chi ha la carità non è orgoglioso, non cerca di dominare sugli altri: non l’udrete mai biasimare la loro condotta, non parla di ciò ch’essi fanno. Chi ha la carità non esamina l’intenzione degli altri nelle loro azioni, non crede mai di far meglio di essi; non si mette al di sopra del suo vicino; anzi crede che gli altri facciano sempre meglio di lui. Non si inquieta se altri vengano preferiti a lui; se è disprezzato non è meno contento, perché pensa di meritare anche un disprezzo maggiore. Chi ha la carità evita, per quanto il può, di dar pena ad altri, perché la carità è un manto regale che sa nascondere le colpe dei fratelli, e non lascia mai credere che si sia migliori di loro. Inoltre quelli che hanno la carità ricevono con pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio, tutte le disgrazie che posson loro capitare, le malattie, le avversità, pensando che tutto ciò ci ricorda che siamo peccatori, e che la nostra vita quaggiù non è eterna. Nei dispiaceri, nelle pene, nelle malattie o nella perdita dei beni li vedete sempre sottomessi alla volontà di Dio, e non si disperano mai, pensando che adempiono la divina volontà. Vedete il santo Giobbe sul suo letamaio (Job. II, 8): non è contento? Mi domandate perché non si lascia andare alla disperazione? Perché ha la carità nell’anima e sottomettendosi alla volontà di Dio, acquista meriti pel cielo. Vedete ancora il santo Tobia che divien cieco dando sepoltura ai morti (Tob. II, 11): non si dispera ed è tranquillo. Perché questa tranquillità? sa di fare la volontà di Dio, e di glorificarlo in questo stato… Poi chi ha la carità non è avaro, e non cerca d’ammassare beni di questo mondo. Lavora perché Dio lo vuole, ma senza attaccarsi al lavoro, né al desiderio di accumulare per l’avvenire; si riposa con fiducia nella Provvidenza, la quale mai abbandona chi l’ama. Regnando la carità nel suo cuore, tutte le cose della terra sono nulla per lui: vede che tutti coloro che corron dietro ai beni del mondo sono i più infelici. Per suo conto, impiega, quanto può, in opere buone, per redimere i suoi peccati e meritarsi il cielo. È caritatevole verso tutti, e non ha preferenze per alcuno: tutto il bene che fa, lo fa in nome di Dio. Assiste il povero bisognoso, sia amico o nemico. Egli imita S. Francesco di Sales, che allorché non poteva fare che una sola elemosina la offriva a chi gli aveva fatto qualche affronto, piuttosto che a chi gli aveva reso servigi. La ragione di questa condotta è che tale azione era a Dio assai più accetta. Se avete la carità, non esaminate mai se quelli ai quali date, vi hanno fatto alcun torto, o vi hanno talvolta ingiuriato; se sono buoni o no. Vi domandano a nome di Dio: date. Ecco quanto bisogna fare perché le vostre elemosine sian degne di ricompensa. Leggiamo nella vita di S. Ignazio, che un giorno, preoccupato da un affare, rifiutò l’elemosina ad un povero. Ma bentosto corse dietro al povero per fargliela, e da allora promise al buon Dio di non mai rifiutare l’elemosina, quando gli fosse domandata in suo nome. Ma, penserete voi, se si dà a tutti i poveri, ben presto diventeremo poveri anche noi. Ascoltate quanto disse il santo Tobia al figliuol suo: “Non ritener mai il salario degli operai, pagali sempre la sera dopo il lavoro; e, quanto ai poveri, dà a tutti se lo puoi. Se hai molto, dà molto: se poco, dà poco: ma sempre di buon cuore; perché l’elemosina cancella i peccati e spegne le fiamme del purgatorio. „ (Tob. IV). Del resto possiam dire che una casa che dà ai poveri non cadrà mai in rovina, perché il buon Dio farà un miracolo piuttosto che permetterlo. Vedete S. Antonio che vende i suoi beni per darli ai poveri, e che va in un deserto, dove si abbandona interamente nelle mani della Provvidenza. Vedete un S. Paolo eremita, un Alessio che si spogliano completamente dei loro beni per condur vita povera e disprezzata (Ribadeneira). Vedete un S. Serapione, che non solo vende beni e vestiti, ma anche se stesso per riscattare un prigioniero (Vita dei Padri del deserto. S. Serapione il Sindonita). – Quanto siamo colpevoli, quando non facciamo l’elemosina, e disprezziamo i poveri, respingendoli, diciamo che sono fannulloni, che possono ben lavorare!… F. M., facciamo l’elemosina quanto possiamo, perché è la cosa che ci deve rassicurare al punto di morte; e se ne dubitate, leggete il Vangelo, dove Gesù Cristo ci parla del giudizio: ” Ebbi fame etc.. ,, (Matth. XXV). Volete lasciare dopo di voi figli buoni e felici? Date loro l’esempio d’essere elemosinieri e caritatevoli verso i poveri, vedrete un giorno come Dio li  benedirà. Questo aveva capito bene santa Bianca, quando diceva: “Figlio mio, saremo sempre abbastanza ricchi se amiamo il buon Dio, e procuriamo di far del bene ai fratelli. „ – Se abbiamo veramente la carità, questa virtù così cara a Dio, non ci comporteremo come i pagani, i quali fanno del bene a chi ne fa loro, o a quelli da cui ne sperano: ma faremo del bene al prossimo, solamente per piacere a Dio e soddisfare ai nostri peccati. Che ci siano riconoscenti o no, ci facciano del bene o del male, ci disprezzino o ci lodino, non ce ne deve importar affatto. Vi sono molti che operano con mire puramente umane; se hanno fatto un’elemosina, reso un servigio ad alcuno, e non sono ricambiati, si indispettiscono, e si rimproverano d’essere stati ingenui. Siete puro, avete fatto le vostre opere buone per Iddio, o pel mondo? Se le avete fatte per essere stimati e lodati dagli uomini, avete ragione di voler esser pagati con la riconoscenza: ma se le faceste solo per redimere i vostri peccati e piacere a Dio, perché lamentarvi? È da Dio solo che ne aspettate la ricompensa. Dovete piuttosto ringraziare il buon Dio di vedervi compensati con ingratitudine, perché la vostra ricompensa sarà più grande. Ah! quanto siamo fortunati! Perché avremo dato qualche piccola cosa, il buon Dio ci darà in cambio il cielo! Le nostre piccole elemosine ed i nostri piccoli servigi saranno dunque ben ricompensati. Sì, F. M., preferiamo sempre fare del bene a chi non potrà mai rendercelo, perché se ci vien reso arrischiamo di perderne il merito. – Volete sapere se avete la vera carità? Eccone il segno: Vedete a chi preferite di far l’elemosina o di render qualche servizio. Forse a coloro che vi han fatto alcun torto… od a coloro che vi sono attaccati, che vi ringraziano? Se a questi, non avete la virtù della carità, e nulla avete a sperare per l’altra vita: tutto il merito delle buone azioni è dunque perduto. (Far l’elemosina agli amici, render loro servigio, è una carità minore senza dubbio della prima, ma che non manca d’un certo merito, d’un certo diritto alla ricompensa nell’altra vita, purché sia fatta con intenzione soprannaturale). Sono persuaso che se volessi entrare nei particolari di tutti i difetti nei quali cadiamo a questo riguardo, non troverei quasi nessuno che abbia nell’anima questa virtù, così come la vuole Iddio. Per esser premiati del bene che facciamo al prossimo, cerchiamo solo Dio, e operiamo solo per Lui. – Quanto è rara questa virtù fra i Cristiani. Diciam meglio: è tanto difficile trovarla, come è difficile trovare dei santi. E perché meravigliarsi? Dove sono quelli che la domandano a Dio, che fanno qualche preghiera o qualche opera buona per ottenerla? Quanti hanno già raggiunto i venti ed anche i trent’anni, e non l’hanno domandata? La prova ne è convincente. L’hanno domandata coloro che hanno solo vedute umane? Vedete voi stessi quale ripugnanza sentite di far subito del bene a chi vi ha fatto qualche torto od ingiustizia. Non conservate un certo rancore, od almeno freddezza a suo riguardo? A mala pena lo salutate, ed acconsentite di parlargli come fate con ogni altro. Ahimè! mio Dio! quanti Cristiani conducono una vita tutta pagana, eppur si credono buoni Cristiani: aihmè! come si troveranno disillusi quando il buon Dio farà loro vedere che cos’è la carità, e le qualità che doveva avere per render meritorie le loro azioni. – Non è necessario mostrarvi che una persona che ha la carità è libera dal vizio infame dell’impurità, perché una persona che ha la fortuna d’aver questa preziosa virtù nell’anima, è talmente unita al buon Dio, ed agisce secondo la sua santa volontà, che il demonio dell’impudicizia non può entrare nell’anima sua. Il fuoco dell’amor divino infiamma talmente il cuore di lei, l’anima ed i sensi tutti, che resta sicura dagli assalti del demonio dell’impurità. Sì, F. M., possiamo dire che la carità rende una persona pura in tutti i suoi sensi. O felicità ineffabile, chi ti comprenderà mai ?… La carità non è invidiosa: non soffre tristezza pel bene che può capitare al prossimo, sia nello spirito, sia nel corpo. Non vedrete mai chi ha la carità rattristarsi perché un altro riesce meglio di lui, o perché più amato, più stimato. Lungi dall’affliggersi della fortuna del suo prossimo, ne benedice il Signore. Ma, mi direte, non sono afflitto che il mio prossimo faccia bene i suoi affari, che sia ricco, felice. — Convenite però con me che sareste più contenti, se questo capitasse piuttosto a voi che a lui. — Sì, certamente. — Ebbene! se è così, non avete la carità quale il buon Dio vuole che l’abbiate, come vi comanda, e per piacergli… Chi ha la carità non è soggetto alla collera, perché S. Paolo ci dice che la carità è paziente, buona, dolce con tutti (1 Cor. XIII, 4). Vedete come siamo ben lontani dall’aver questa carità. Quante volte per un nulla ci affliggiamo, mormoriamo, ci adiriamo, parliamo con arroganza e stiamo in collera per più giorni!… — Ma, mi direte, è il mio modo di parlare: non sono adirato per questo. — Dite allora piuttosto che non avete la carità, che è paziente, dolce; e che non agite da buon Cristiano. Ditemi, se aveste la carità nell’anima, non sopportereste forse con pazienza, ed anche con piacere, una parola che si dice contro di voi, un’ingiuria, od anche un piccolo torto che vi si fa? — Egli intacca la mia riputazione. — Ahimè! amico mio, qual buona stima volete si abbia di voi dopo che tante volte l’avete demeritata?… Non dobbiamo considerarci fin troppo fortunati che ci si sopporti tra le creature, dopo che abbiam trattato così indegnamente il Creatore?… Ah! F. M., se avessimo questa carità, saremmo sulla terra quasi come i Santi in cielo! Chi, dunque, sa donde ci vengono tutti questi affanni che proviamo gli uni e gli altri; e perché tanti nel mondo soffrono ogni sorta di miserie? Tutto questo è perché non abbiamo carità. Sì, F. M., la carità è una virtù così bella, rende tutto ciò che facciamo così accetto al buon Dio, che i santi Padri non sanno quali frasi adoperare per farcene conoscere tutta la bellezza ed il valore. La assomigliano al sole, che è il più bell’astro del firmamento, e dà agli altri tutto il loro splendore e la loro beltà. Al pari di esso, la virtù della carità comunica a tutte le altre virtù la loro bellezza e purezza, e le rende meritorie ed infinitamente più care a Dio. La assomigliano al fuoco, che è il più nobile ed attivo di tutti gli elementi. La carità è la virtù più nobile ed attiva di tutte: porta l’uomo a disprezzare tutto ciò che è vile e  spregevole e di poca durata, per non attaccarsi che a Dio solo ed ai beni che non periranno mai. La assomigliano ancora all’oro, il più prezioso dei metalli, e che forma l’ornamento e la bellezza di quanto abbiamo di prezioso sulla terra. La carità forma la bellezza e l’ornamento di tutte le altre virtù: il più piccolo atto di dolcezza o di umiltà, fatto con la carità nel cuore , è d’un pregio che sorpassa quanto possiamo pensare. Dio ci dice nella sacra Scrittura (Cant. IV, 9) che la sua sposa. gli aveva ferito il cuore con uno de’ suoi capelli; per farci comprendere che la minima opera buona fatta con amore, con la carità nell’animo, gli è tanto cara, che gli trapassa il cuore. La minima azione, per quanto piccola, gli è sempre accetta, niente infatti vi è di così piccolo come i capelli del capo. O bella virtù! quelli che ti possiedono quanto sono felici; ma, ahimè, quanto son rari! … I Santi la assomigliano ancora alla rosa, che è il più bello di tutti i fiori, ed il più odoroso. Similmente, ci dicono, la carità è la più bella delle virtù: il suo profumo arriva fino al trono di Dio. Diciam meglio: la carità ci è tanto. necessaria per piacere a Dio e render tutte le nostre azioni meritorie; quanto l’anima nostra è necessaria al nostro corpo. Una persona che non ha la carità nel cuore è un corpo senz’anima. Sì, F. M., è la carità che sostiene la fede e la ravviva: senza la carità, questa è morta. La speranza, come la fede, non è che una virtù languente, che senza la carità non durerà a lungo.

II. — Comprendiamo ora, F. M., il valore di questa virtù, e la necessità di possederla per salvarci. Abbiamo almeno premura di domandarla tutti i giorni a Dio, poiché senza di essa non facciamo nulla per la nostra salute. Possiamo dire che quando la carità entra in un cuore, vi porta con sé tutte le altre virtù; essa purifica e santifica tutte le nostre azioni; essa perfeziona l’anima; essa rende le nostre opere degne di meritare il cielo. Sant’Agostino ci dice che tutte le virtù sono nella carità, e la carità è in tutte le virtù. È la carità, ci dice, che conduce le nostre azioni a termine, e dà loro accesso presso Dio. S. Paolo, che fu ed è ancora il luminare del mondo, tanta è la confidenza e la stima che aveva di questa virtù, da dirci che essa sorpassa tutti i doni del cielo. Scrivendo ai Corinti, esclama: “Quand’anche parlassi la lingua degli Angeli, se non ho la carità, sono simile ad un cembalo risonante, il quale non dà altro che suono. Quand’anche avessi il dono della profezia e tanta fede da poter trasportare le montagne da un luogo ad un altro, se non ho la carità, sono un nulla. Quand’anche distribuissi tutto il mio ai poveri, ed abbandonassi il mio corpo alle sofferenze, tutto questo non mi servirebbe a nulla se non ho la carità nel cuore, e se non amo il prossimo come me stesso „ Comprendete ora, F. M., quale necessità abbiamo di domandare a Dio con tutto il cuore questa incomparabile virtù, poiché tutte le altre sono nulla senza di essa? – Ne volete un bell’esempio? Vedete Mosè: quando suo fratello Aronne e sua sorella Maria, mormorarono contro di lui, il Signore li punì; ma vedendo Mosè sua sorella ricoperta di lebbra in pena della sua ribellione: O Signore! disse, perché punite mia sorella? sapete bene che giammai v’ho domandato vendetta; perdonatele, di grazia. Perciò lo Spirito Santo ci dice che egli era il più dolce degli uomini che fossero allora sulla terra (Num. XII – Act. VII, 59). Ecco, F. M., un fratello che ha veramente la carità nel cuore, poiché si affligge di veder punita la sorella. Ditemi, se vedessimo punito qualcuno che ci ha fatto qualche oltraggio, faremmo noi come Mosè? ci affliggeremmo noi, domanderemmo al buon Dio di non punirlo? Ahimè! quanto sono rari quelli che hanno nell’anima questa carità di Mose! F. M. Ma, mi direte, quando ci si fanno delle azioni che non meritiamo, è ben difficile amarne gli autori. — Difficile F. M.?… Vedete S. Stefano: mentre lo si uccide a colpi di pietre, alza le mani e prega Iddio di perdonare ai carnefici, che gli tolgon la vita, il peccato che commettono (Act.).— Ma, pensate voi, S. Stefano era un Santo. — Era un Santo, F. M.? Ma se non siamo santi, è gran disgrazia per noi: bisogna che lo diventiamo; e sino a quando non avremo la carità nel cuore, non diventeremo mai santi. Quanti peccati, F. M., si commettono contro l’amor di Dio e del prossimo! Desiderate sapere quanto spesso pecchiamo contro l’amore che dobbiamo a Dio? – L’amiamo noi con tutto il nostro cuore? Non gli abbiam spesso preferito i parenti, gli amici nostri? Per andare a visitarli senza necessità non abbiam sovente tralasciato le funzioni, i vespri, il catechismo, la preghiera della sera? Quante volte avete fatto tralasciar le orazioni ai vostri figli, per timore di far loro perdere qualche minuto? Ahimè! Per guidar al pascolo le vostre gregge?… Mio Dio! qual preferenza indegna!… Quante volte abbiamo tralasciato anche noi le preghiere nostre: o le abbiam recitate stando a letto, vestendoci, camminando? Ci siamo dati cura di riferire a Dio tutte le nostre azioni. tutti i nostri pensieri, desiderii? Ci siamo consacrati a Lui dall’uso della ragione, e gli abbiamo dato quanto avevamo? S. Tommaso ci dice che i padri e le madri debbono aver gran cura di consacrare i loro figli a Dio, fin dall’età più tenera, e che, ordinariamente, i figli consacrati a Dio dai loro parenti, ricevono una grazia ed una benedizione particolarissima, che altrimenti non riceverebbero. Ci dice che se le madri avessero ben a cuore la salvezza dei loro figliuoli li offrirebbero a Dio prima che venissero al mondo. – Ho detto che quelli che hanno la carità ricevono con pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio tutto quanto può loro accadere, le malattie, le calamità, pensando che tutto questo ci ricorda che siamo peccatori, e la nostra vita quaggiù non è eterna… Noi pecchiamo ancora contro l’amor di Dio, quando stiamo troppo a lungo senza pensare a Lui. Quanti, ahimè! passano una parte ed anche la metà del giorno senza fare una elevazione del loro cuore verso Dio, per ringraziarlo di tutti i suoi benefizi, soprattutto di averli fatti Cristiani, di averli fatti nascere nel grembo della sua Chiesa, di averli preservati dall’essere morti in peccato. L’abbiamo ringraziato di tutti i Sacramenti che ha istituiti per la nostra santificazione, della nostra vocazione alla fede? L’abbiamo ringraziato di quanto ha fatto per la nostra salvezza, della sua Incarnazione, Passione e della sua Morte? Non abbiamo invece avuto indifferenza pel servizio di Dio, trascurando, sia di frequentare i Sacramenti, sia di correggerci, sia di ricorrere spesso alla preghiera? Non abbiam omesso di istruirci sul modo di comportarci per piacere al Signore? Quando abbiamo udito qualcuno bestemmiare il santo Nome di Dio, o veduto commettere altri peccati, non siamo stati indifferenti, come se ciò non ci riguardasse? Non abbiamo pregato senza gusto, senza intenzione di piacere a Dio; piuttosto per toglierci l’imbarazzo d’un dovere che ci incomba che per attirare le sue misericordie su di noi, e nutrire la povera anima nostra? Non abbiam passato il santo giorno di Domenica, accontentandoci della Messa, dei Vespri; senza fare alcun’altra preghiera, né la visita al Ss. Sacramento, né la lettura spirituale? Abbiamo provato disgusto quando dovemmo mancare alle funzioni? Abbiam procurato di supplirvi con tutte le preghiere che ci era possibile? Avete fatto perdere le funzioni ai vostri figli, ai domestici senza gravi ragioni?… Abbiam combattuto tutti quei pensieri di odio, di vendetta, di impurità? Per amare il buon Dio, F. M., non basta dire che lo si ama: bisogna, per ben assicurarci se è vero, vedere se osserviamo i suoi comandamenti, e li facciamo osservare a coloro, dei quali abbiamo la responsabilità davanti a Dio. Ascoltate nostro Signore: “In verità vi dico, non colui che dirà: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma colui che farà la volontà del Padre mio„ (Matth. VII,21). Noi amiamo Dio, quando cerchiamo di piacergli in tutto ciò che facciamo. Non si deve desiderare né la vita, né la morte; tuttavia, si può desiderare la morte per aver la felicità d’andare a Dio (Desìderium habens dissolvi, et esse cum Chriti, multo magis melius. Philipp, I, 3). S. Ignazio aveva un sì gran desiderio di veder Dio, che quando pensava alla morte, ne piangeva di gioia. Tuttavia, aspettando questa gran fortuna, diceva a Dio, che resterebbe sulla terra quanto voleva. Gli premeva tanto la salute delle anime, che un giorno, non potendo convertire un peccatore ostinato, andò ad immergersi fino al collo in uno stagno ghiacciato per ottenere da Dio la conversione di quel disgraziato. Andando a Parigi, un suo scolaro gli rubò in viaggio tutto il denaro che aveva. Ammalatosi costui a Rouen, il buon Santo fece il viaggio da Parigi a questa città, a piedi e senza scarpe, per ottenere la guarigione di chi gli aveva rubato tutto il denaro. Ditemi, M. F., non è questa carità perfetta? Certo pensate dentro di voi, che in questo caso era già molto l’aver perdonato. Eppur fareste la medesima cosa, se aveste la medesima carità di questo buon Santo. Se troviamo che sono così poche le persone che farebbero ciò, F. M., è perché assai poche hanno la carità nel cuore. Quanto è consolante poter amare Dio ed il prossimo, senza essere sapienti o ricchi! Abbiamo il cuore: esso basta per questo amore.Leggiamo nella storia che due solitari domandavano a Dio da lungo tempo, che volesse loro insegnare il modo di amarlo, e di servirlo a dovere, giacché non avevano abbandonato il mondo che per questo. Intesero una voce che disse loro d’andare ad Alessandria, dove dimoravano un uomo chiamato Eucaristo, e la sua moglie che si chiamava Maria. Costoro servivano Dio più perfettamente dei solitari, ed avrebbero loro insegnato come si doveva amarlo. Contentissimi di questa risposta, i due solitari si recano in fretta ad Alessandria. Arrivati, chiedono informazioni, durante parecchi giorni, ma senza poter trovare quelle due sante persone. Temendo che la voce li avesse ingannati, stavano per tornare al loro deserto, quando scorsero una donna sulla porta di sua casa. Le domandarono se non conoscesse per caso un uomo chiamato Eucaristo. “È mio marito, rispose ella. „ — “Voi dunque vi chiamate Maria? le dissero i solitari. „ — “Chi v’ha detto il mio nome? „ — “L’abbiam saputo, come quello di vostro marito, da una voce soprannaturale, e veniamo qui per parlarvi. „ Sulla sera arriva il marito, conducendo un piccolo gregge di montoni. I solitari corsero tosto ad abbracciarlo, e lo pregarono di dir loro qual fosse il suo metodo di vita. “Ah! padri miei, io non sono che un povero pastore. „ — “Non è questo che vi domandiamo, gli dissero i solitari; diteci come vivete, e come voi e vostra moglie servite il Signore. „ — “Padri miei, tocca a voi di dirmi che cosa occorra per servire il buon Dio: io non sono che un povero ignorante. „ — “Non importa! siam venuti da parte di Dio a domandarvi come lo servite. „ — “Poiché me lo comandate, ve lo dirò. Ebbi la fortuna d’aver una madre timorosa di Dio, che fin dalla mia infanzia mi raccomandò di tutto fare e tutto soffrire per amor di Dio. Io soffriva le piccole correzioni che mi erano fatte, per amor di Dio; riferivo tutto a Dio: al mattino, alzandomi, facevo la mia orazione e tutto il mio lavoro per amor suo. Per suo amore oggi ancora prendo il mio riposo ed il cibo, soffro la fame, la sete, il freddo e il caldo, le malattie e tutte le altre miserie. Non ho figli: vissi con mia moglie come con una sorella, e sempre in gran pace. Ecco tutta la mia vita e così quella di mia moglie. „ I solitari, ammirati di trovar anime così accette a Dio, gli domandarono se possedesse. “Io ho poco, ma questo piccolo gregge di montoni che mio padre mi lasciò è per me sufficiente, me ne avanza. Faccio tre parti della mia piccola rendita: ne do una parte alla Chiesa un’altra ai poveri, ed il resto serve a mia moglie ed a me. Mi nutro poveramente: ma non mi lamento mai; soffro tutto per amor di Dio. „ — “Avete dei nemici, gli chiesero i solitari? „ — “Ahimè, padri miei, chi non ne ha? Procuro di far loro tutto il bene che posso, cerco di far loro piacere in ogni circostanza, e mi sforzo di non far male a nessuno.„ A queste parole, i due solitari furon colmi di gioia per aver trovato un mezzo così facile di piacere a Dio e d’arrivare ad alta perfezione. Vedete, F. M., che per amare il buon Dio ed il prossimo non è necessario d’essere né sapienti né ricchi: basta cercare soltanto di piacere a Dio in tutto ciò che facciamo: di far del bene a tutti, ai cattivi come ai buoni, a quelli che lacerano la nostra riputazione, come a quelli che ci amano, e che prendiamo Gesù Cristo per nostro modello: vedremo quello che ha fatto per tutti gli uomini, e particolarmente pe’ suoi persecutori. Vedete come domanda perdono, misericordia per loro: li ama, offre per loro i meriti della sua Passione e Morte; promette loro il perdono. Se non abbiamo questa virtù della carità non abbiamo nulla: non siamo che larve di Cristiani. O ameremo tutti, anche i nostri più accaniti nemici, o saremo riprovati. Ah! F. M., poiché questa bella virtù viene dal cielo, rivolgiamoci adunque al cielo per domandarla, e siamo sicuri di ottenerla. Se possediamo la carità, tutto in noi piacerà a Dio, e con ciò ci assicureremo il paradiso. È la felicità che vi auguro.

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: INTRODUZIONE E LIBRO PRIMO

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: INTRODUZIONE E LIBRO PRIMO

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE, che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

PREFAZIONE DALL’AUTORE FRANCESE.

Il lavoro che pubblichiamo oggi, comprende il testo dell’Apocalisse, cioè la rivelazione dei grandi misteri che Gesù Cristo ha fatto a San Giovanni Evangelista, uno dei quattro Arcicancellieri del suo regno. Questa rivelazione contiene tutti i principali eventi che si sono già realizzati in gran parte, e che continueranno a realizzarsi nella Chiesa di Gesù Cristo, fino alla consumazione dei tempi. Molte persone hanno creduto e credono ancora che questo libro sacro non sarà mai spiegato, a causa dello stile enigmatico e figurato in cui è scritto. Ma questo è un errore assurdo come è assurdo credere che Dio abbia voluto parlare agli uomini, per non essere mai compreso. La parola Apocalisse, derivata dal greco, significa rivelazione; ora, se questo libro non si doveva mai interpretare, avrebbe portato un titolo che lo avrebbe escluso immediatamente dal codice sacro. – Un venerabile servo di Dio, Barthélemi Holzhauser, restauratore della disciplina ecclesiastica in Germania, dopo i primi disastri causati alla Chiesa dall’eresia di Lutero, ha intrapreso, con il l’aiuto delle luci celesti che lo hanno illuminato, l’interpretazione di questo libro. Già famoso per le sue profezie, Holzhauser si è distinto ulteriormente per una scienza approfondita della storia del mondo, che è stato in grado di applicare in un modo veramente ammirevole alle vaste conoscenze che possedeva delle Sacre Scritture. Questo illustre ecclesiastico, tanto dotto quanto pio, fondò in Germania vari istituti che erano un baluardo inespugnabile contro il protestantesimo che allora minacciava la completa rovina dell’Europa. Oltre a diverse opere che uscirono dalla sua penna, redasse in latino la sua famosa Interpretazione dell’Apocalisse tra le montagne del Tirolo, nel mezzo delle più grandi prove, e immerso nella meditazione, nel digiuno e nella preghiera. Il suo lavoro ha già ottenuto gli onori dell’immortalità. Infatti, se ne trovano antichi esemplari non solo nelle biblioteche della Germania, ma anche in quelle di varie parti d’Europa. La società colta dei Mechitaristi ha pubblicato una nuova edizione di quest’opera nel 1850. Seguendo il parere del dotto professore dell’università di Monaco, il Dr. Haneberg, osiamo affermare che il lavoro di Holzhauser offre la migliore interpretazione che sia mai apparsa dell’Apocalisse. Questo illustre scrittore non fa che ripetere con altre parole quello che abbiamo letto in una vecchia copia della vita di Holzhauser, ove si dice che tutti gli altri commentatori che hanno scritto su questo libro sacro (per quanto dotti fossero), sembrano dei bambini rispetto a questo genio. Potremmo raccogliere molte testimonianze di profonda stima in favore del nostro autore, se entrassimo nei dettagli e dicessimo tutto quello che abbiamo sentito dire di lui da illustri uomini di varie nazioni. La sua interpretazione offre un quadro completo del piano della saggezza divina nella grande opera di redenzione. Il lettore vi troverà un intero corso di teologia; vi vedrà in più, un riassunto prezioso della storia del mondo applicata e comparata alla storia della Chiesa. Noi crediamo di poter affermare che mai opera sia riuscita a riunire così vaste materie per presentarle in una luce così interessante. Se l’uomo non ha tanto a cuore che regolare la sua vita presente per raggiungere il suo destino futuro, non avrà mai trovato un mezzo così perfetto di soddisfare i suoi ardenti desideri che il leggere attentamente quest’opera. Infatti, essa racchiude un gran numero di quadri che offrono, sotto diversi punti di vista, tutto ciò che è più capace di interessarci nel passato, presente ed avvenire. – L’autore ha diviso la sua materia, in sette principali epoche nelle quali riassume tutta la storia del mondo con quella della Chiesa, che egli compara continuamente l’una all’altra, facendoci penetrare i segreti più reconditi di questa guerra accanita che lucifero intraprese contro il genere umano nel paradiso terrestre, e che terminerà sulla soglia dell’eternità con la caduta dell’Anticristo e con il cataclisma del mondo. È allora che il buon grano sarà separato dalla paglia per sempre, e che ciascuno di essi andrà ad occupare il posto che il Vangelo gli assegna. Tutto ciò che l’autore propone è tratto dall’Apocalisse stesso, ed ha come base la verità eterna di Dio. È così per la sua divisione delle epoche o degli Angeli della sua storia di cui dà dapprima uno scorcio generale e particolare per ognuno dei suoi Angeli; la sua divisione, diciamo noi, è fondata sulle sette Chiese, i sette candelabri, i sette angeli, i sette sigilli, i sette spiriti, le sette trombe e le sette piaghe dell’Apocalisse. Ed è nello sviluppo delle grandi verità contenute sotto questi diversi enigmi, che l’autore ci dimostra, in una maniera ammirevole e stupefacente, la concatenazione di tutti i grandi fatti che collegano la storia antica alla storia moderna e futura. È così ancora che egli ci fa vedere i legami stretti che uniscono l’umanità alla divinità, il tempo all’eternità. Poi egli termina la sua descrizione con dei particolari estremamente interessanti che furono rivelati a San Giovanni sul regno di Maometto e dell’anticristo, sull’antipapa che lacererà la Chiesa d’Occidente, sul trionfo della Chiesa, sulla prossima estirpazione delle eresie, etc., etc. – Questa è l’idea generale che noi diamo, come di passaggio, sul contenuto di quest’opera per non uscire dai limiti di una prefazione. Il lettore che avrà letto e riletto attentamente quest’opera resterà convinto che, lungi dall’avere esagerato, siamo stati piuttosto parsimoniosi negli elogi che merita. Tra i nostri lettori se ne troverà qualcuno forse la cui fede non è ferma. Noi lo preghiamo di considerare attentamente l’applicazione che l’autore fa dell’Apocalisse alla storia in generale ed in particolare; e noi gli chiediamo di voler spiegare come sia potuto accadere che San Giovanni, che redasse la sua rivelazione diciotto secoli fa, abbia potuto riuscire a comporre la sua opera se non fosse stato che un uomo ordinario, di maniera che tutti questi enigmi non trovino il loro chiarimento ed il loro posto che in ciascuna dei grandi tratti della storia del genere umano; e questo agli occhi della più grande e durevole società del mondo, agli occhi cioè della società cristiana? Non si riconosce forse essere questa la chiave del tesoro infinitamente prezioso della verità eterna di Dio? Sì, che coloro che non credono, o che si rifiutano ostinatamente di vedere la luce eterna che brilla nella Chiesa Cattolica, cerchino di risolvere questo problema, rendendosi conto delle ragioni che possono avere per non credere come gli altri uomini; che si sforzino, se appena prendono la briga di applicare l’intero testo dell’Apocalisse a qualche setta, a qualche monarchia o a qualunque storia sia, in modo che ogni frase, e persino ogni parola nella sua interezza, possa essere chiarita dall’applicazione che ne avranno fatto, e noi li pregheremo di sottomettere come noi la loro produzione al giudizio degli uomini, per avere preferenza sulla nostra, se possibile. – Non nascondiamo la difficoltà che abbiamo incontrato nel nostro lavoro; ma questa stessa difficoltà ne è la pietra angolare, e se la verità della più lunga e varia storia del mondo non avesse coinciso in tutti i suoi punti con la verità della profezia, sarebbe stato impossibile per noi farci leggere e farci comprendere. – Dobbiamo avvertire il lettore che le età della Chiesa non si presentano tutte in unica volta come un colpo teatrale all’occhio dei contemporanei, è così che la sesta età, ad esempio, che l’autore latino annuncia cominciare con il santo Pontefice ed il grande Monarca che dominerà in Oriente e in Occidente, e di cui il potere si estenderà sulla terra e sul mare; questa sesta età, noi diciamo, si concatena a tutte le altre in modo così certo e reale, che apparirà lenta agli occhi degli uomini. – In secondo luogo, dobbiamo fare osservare che molti fatti che caratterizzano un’età non devono essere compresi in maniera talmente assoluta da escludere l’esistenza di altri fatti che sono loro opposti. È così, ad esempio, che l’impenitenza, che dovrebbe essere uno dei pronostici della quinta età, non escludeva la conversione di un grande numero di uomini di quest’epoca, non più di quanto la conversione dei peccatori, che è uno dei caratteri della sesta, non escluderà l’ostinazione di molti empi. È con l’analisi universale e la comparazione di diversi pronostici tra loro, che si può conoscere la differenza delle età. Ma lo storico non può fare uscire il carattere di un’età se non verso la fine, o almeno dopo il suo pieno sviluppo. La precipitazione che noteremo negli avvenimenti che segnalano la nostra epoca conferma in maniera stupefacente i passaggi di questo libro nei quali il venerabile Holzhauser ci informa che le due ultime età saranno molto brevi. – Noi faremo osservare infine che, benché la Chiesa debba godere di una grande prosperità nella sesta età, il mondo non cesserà di avere il suo regno; ed è sempre su questo mare più o meno agitato che il vascello della Chiesa continuerà a vogare fino alla fine. Tali sono le considerazioni che dobbiamo fare e che concludiamo con ciò che segue: si sa che il venerabile Holzhauser non completò la sua opera e che si fermò al quarto versetto del quindicesimo capitolo; restavano quindi ancora quasi otto capitoli da spiegare. Quando i suoi discepoli ne chiesero la ragione egli rispose loro ingenuamente che … non si sentiva animato dallo stesso spirito e non poteva continuare. Poi aggiunse che avrebbe desiderato che qualcuno dei suoi, dopo di lui, completasse la sua opera e la coronasse. Noi ignoravamo questo passaggio della sua vita quando abbiamo iniziato questo lavoro; altrimenti non avremo mai osato realizzare questo progetto di pubblicazione che abbiamo concepito otto anni orsono. Dal momento che siamo stati informati del contenuto di questo passaggio, abbiamo preso consiglio da un dottore in teologia, che ha voluto prendersi carico di ricevere la nostra redazione, e ci ha incoraggiato a continuare. Noi non pretendiamo con questo essere la persona prevista dal venerabile Holzhauser; ma siccome siamo stati presi di ammirazione per la sua opera, ci siamo sentiti irresistibilmente spinti a farla conoscere al pubblico come un mezzo efficace per edificare i fedeli e procurare la salvezza delle anime. Ecco perché, dal momento che abbiamo ritrovato un momento di calma, dopo gli avvenimenti di cui fummo vittima nei disastri che provarono sì crudelmente la Svizzera cattolica nel 1847, ci siamo messi presto ad eseguire il nostro piano. Ed è per raggiungere con maggior sicurezza al nostro scopo, che ci siamo serviti della lingua più generalmente conosciuta in Europa. Abbiamo ripartita la nostra materia in nove libri, in onore dei nove cori degli Angeli. La traduzione dei primi quindici capitoli, che riproduciamo testualmente, ci è servita come modello e soccorso indispensabile nella continuazione di quest’opera della quale il nostro maestro ha tutto il merito e tutta la gloria. Non dissimuliamo tuttavia le grandi difficoltà che abbiamo incontrato sia nella traduzione sia, soprattutto, nella continuazione di questa “Interpretazione”; ma ci siamo continuamente sentiti soccorsi ed animati da una gioia spirituale inesprimibile che compensava le nostre fatiche. Oltretutto il frutto che ci promettiamo dai nostri sforzi nell’opera di santificazione delle anime, ci è servito sempre di appoggio per non soccombere nei nostri deboli mezzi umani. Se malauguratamente ci è sfuggito qualcosa che possa in qualunque modo essere di contrasto alla retta dottrina, noi lo ritrattiamo da subito. Protestando la nostra perfetta ed umile sottomissione alla nostra santa Madre, la Chiesa romana. È con questi sentimenti e con la coscienza della purezza e della rettitudine della nostra intenzione, che ci raccomandiamo all’indulgenza ed alle preghiere dei nostri lettori. Augurando a tutti la salvezza eterna in Gesù Cristo e per Gesù-Cristo. Così sia.

NOTIZIE SULLA VITA DELL’AUTORE LATINO

Crediamo che il lettore ci sarà grato dell’idea avuta di porre in capo a questa nuova edizione un compendio della vita di Holzhauser che uno scrittore anonimo ci ha lasciato in un libro pubblicato a Bamberg, nell’anno 1799, Crediamo che il lettore ci sarà grato dell’idea avuta di porre in capo a questa nuova edizione un compendio della vita di Holzhauser che uno scrittore anonimo ci ha lasciato in un libro pubblicato a Bamberg, nell’anno 1799. – Questo vero servo di Dio, di origine sveva, nacque in un umile villaggio chiamato Longnau, situato a qualche lega da Augsbourg, nell’anno di grazia 1613, nel mese di agosto. Suo padre era calzolaio. Nella sua infanzia si fece notare per l’innocenza dei costumi. Non essendoci scuole nel suo villaggio, frequentò assiduamente quella della piccola città di Verding situata a qualche lega circa dalla casa paterna dove si dedicò in particolare allo studio della lingua tedesca. Era solito abbreviare la lunghezza del cammino con la preghiera ed i santi cantici di cui faceva la sua delizia, nell’anno 1624, all’età di undici anni, iniziò lo studio della lingua latina ad Augsburg, ove la sua povertà lo costringeva a cercare sussistenza da porta a porta. In seguito, continuò i suoi studi a Neubourg, sul Danubio, dove trovò miglior sorte nella protezione dei padri della Società di Gesù. Infine, terminò la sua carriera letteraria a Ingolstadt. – Fin dai primi anni fu favorito da celesti visioni. Confessò pubblicamente di essere stato liberato dalla peste per intercessione della Madre di Dio, per la quale era animata dalla più grande devozione. Egli invocò soprattutto questa Madre di buon consiglio nella scelta di un confessore e dello stato di vita; ed è per sua ispirazione che si confermò sempre più nella risoluzione che prese di entrare nella carriera ecclesiastica. Animato da un grande zelo per la preghiera, forte nella fede, e pieno di fiducia in Dio, superò in modo ammirevole le numerose difficoltà che incontrò il suo progetto. Benché povero egli stesso, non si mostrò meno ardente nella sua carità verso gli indigenti e misericordioso e benevolo nei riguardi del prossimo. Non calcolando alcun danno, distribuiva le sue cure ed i suoi soccorsi a tutti gli sventurati di guerra e degli altri flagelli che l’accompagnano. Nel fervore del suo zelo insegnava la dottrina cristiana agli ignoranti, consolava gli afflitti, fortificava i deboli, sollevava coloro che si erano lasciati abbattere, correggeva gli abusi; e nelle frequenti ingiurie che riceveva dai malvagi si mostrava pieno di gioia per essere stato trovato degno di soffrire per il nome di Gesù Cristo. – a queste prime virtù, Barthélemi aggiunse la pratica della mortificazione, dell’abnegazione, della castità, dell’umiltà, della dolcezza e della pazienza, e si mostrò per questo il vero tipo dello studente cristiano, non perdendo mai di vista quest’oraciolo dello Spirito Santo: Adolescens juxta viam suam ambulans, etiam cum senuerit, non revedet ab ea. Prov. XXII, 6. Dai primi anni fu favorito da celesti visioni. Confessò pubblicamente di essere stato liberato dalla peste per intercessione della Madre di Dio, per la quale era animata dalla più grande devozione. Egli invocò soprattutto questa Madre di buon consiglio nella scelta di un confessore e dello stato di vita; ed è per sua ispirazione che si confermò sempre più nella risoluzione che prese di entrare nella carriera ecclesiastica. Animato da un grande zelo per la preghiera, forte nella fede e pieno di fiducia in Dio, superò in modo ammirevole le numerose difficoltà che incontrò il suo progetto. Benché povero egli stesso, non si mostrò meno ardente nella sua carità verso gli indigenti e misericordioso e benevolo nei riguardi del prossimo. Non calcolando alcun danno, distribuiva le sue cure ed i suoi soccorsi a tutti gli sventurati di guerra e degli altri flagelli che l’accompagnano. Nel fervore del suo zelo insegnava la dottrina cristiana agli ignoranti, consolava gli afflitti, fortificava i deboli, sollevava coloro che si erano lasciati abbattere, correggeva gli abusi; e nelle frequenti ingiurie che riceveva dai malvagi si mostrava pieno di gioia per essere stato trovato degno di soffrire per il nome di Gesù Cristo. – a queste prime virtù, Barthélemi aggiunse la pratica della mortificazione, dell’abnegazione, della castità, dell’umiltà, della dolcezza e della pazienza, e si mostrò per questo il vero tipo dello studente cristiano, non perdendo mai di vista quest’oracolo dello Spirito Santo: Adolescens juxta viam suam ambulans, etiam cum senuerit, non revedet ab ea. (Prov. XXII, 6). – Appena ebbe terminato il suo corso di studi, ispirato dai segni manifesti della volontà divina di lavorare per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, deliberò di entrare in un nuovo stato di vita, e si fece iscrivere nei ruoli della milizia ecclesiastica. Nel corso del suo terzo anno di studi teologici, si preparò al sacerdozio; e nell’anno1639 fu ordinato sacerdote nella città episcopale di Eichstadt sul Danubio, e celebrò la sua prima messa ad Ingolstadt nel giorno della Pentecoste, nella stessa cappella di Notre-Dame de la Victoria ove aveva spesso offerto il suo cuore a Dio, consacrandogli tutti i suoi beni con ferventi preghiere. Non tardò nell’ascoltar confessioni ed esercitare le altre funzioni del santo ministero, e ciò con tal successo che un gran numero di penitenti affluivano al suo confessionale. Temendo di esaurire le sue forze nella cura della vigna del Signore, cercò di associarsi dei collaboratori zelanti, capaci di continuare e propagare la sua opera. – A questo scopo nell’anno 1640 ingaggiò tre curati più anziani di lui per seguire certe regole che s’imposero tra loro. Questi continuarono tuttavia a restare nel loro presbiterio finché non avessero ottenuto dai loro superiori il permesso di aderire pienamente all’invito di Barthélemi. – terminati gli studi teologici e guarito da un’angina con l’aiuto manifesto di Dio, partì con uno dei suoi associati per Salzbourg ove, guidato da un’ispirazione divina, fondò il suo primo istituto nel 1636. Si mise lungo la strada a piedi e senza sacco, con poco denaro; cammin facendo incontrò un quarto associato, con l’aiuto della divina provvidenza arrivò al termine del suo viaggio.  L’autorità ecclesiastica gli fece una buona accoglienza; poco tempo dopo ottenne un canonicato a Tittmoning, città dell’Arcivescovato di Salzbourh, vicino alla Baviere sulla Salza. Questa città ha una cittadella molto antica con una collegiata dedicata a san Lorenzo. Essa è la più insigne delle città circostanti. Da quando fu stabilito come canonico in cura di anime, ottenne per lui ed i suoi una vasta casa, la stessa che aveva visto in sogno quando si trovava ad Ingolstadt. Il numero dei suoi compagni cresceva di giorno in giorno, e senza incontrare ostacoli da parte dei confratelli, guadagnò un numero infinito di anime a Gesù Cristo con la parola di Dio e con la sua carità verso i poveri ed i malati. – più tardi lasciò un certo numero dei suoi a Tittmoning per andare a mettersi alla testa di una parrocchia e di un decanato a San Giovanni, in Leogenia, vallata del Tirolo, sulla strada da Innsbruck e Salzbourg, il giorno della Purificazione della Santa Vergine, nell’anno 1642. Come sempre fece ogni sforzo per mettere tutto nel migliore ordine possibile, insegnando la dottrina cristiana ai bambini ed anche agli adulti, visitando le scuole, e non ometteva nulla per ristabilire la disciplina ecclesiastica. Per questo non tardò a riconciliarsi la stima di tutti gli abitanti del luogo. – Avendo osservato quanto importante fosse che i giovani destinati allo stato ecclesiastico venissero imbevuti di solidi principi e virtù cristiane, fece in modo da stabilire dei seminari ove potessero formarsi sacerdoti esemplari. Il primo dei suoi seminari fu fondato nell’anno 1643 a Salzbourg; più tardi per gravi motivi fu trasportato ad Ingolstadt nell’anno 1649. Nel contempo stabilì il suo istituto a Augsbourg, a Gerlande, poi a Ratisbona, dopo avere ottenuto un’approvazione a Roma con l’appoggio del duca Massimiliano di Baviera, del quale ricevette la seguente lettera nell’anno 1646: « È della divina bontà il suscitare sacerdoti il cui unico scopo è quello di procurare alla Chiesa degli uomini che, vivendo secondo le regole dei santi Canoni e della disciplina ecclesiastica, si dedichino interamente e con cuore puro, alle funzioni sacerdotali; e che vegliando su se stessi, cercando di perfezionarsi, lavorino sinceramente alla gloria di Dio ed alla salvezza delle anime. » E per giungere a questo scopo Barthélemi prescrisse tre cose: la coabitazione e la conversazione fraterna, l’allontanamento delle donne e la comunità dei beni. Tuttavia, non fu che nel gennaio 1670 che ricevette dalla sacra congregazione dei Vescovi e regolari, l’approvazione desiderata, nei termini seguenti: « Questa pia e santa istituzione non ha bisogno di approvazione, poiché non prescrive null’altro di ciò che si praticava nel clero della Chiesa primitiva. » – Nella carestia che afflisse il Tirolo verso l’anno 1649, lavorò con grande successo nell’alleviare i bisognosi. Dopo avere esercitato il santo ministero per dieci anni nella vallata di Leogenia, si trovò in una gran penuria per la sua casa per la soppressione delle decime ed a causa dell’aggravio delle imposte straordinarie. Lungi dal lasciarsi abbattere, questo venerabile servo di Dio non trovò che uno stimolante in queste probe, e si rimisero, egli ed i suoi, tra le mani della divina provvidenza. – Come ricompensa della sua fedeltà e pazienza, Dio dispose gli avvenimenti in tal sorta che Barthélemi potette lasciare queste montagne ove il suo nome è ancora benedetto, per traferirsi nella Franconia e nei dintorni di Magonza. L’anno 1654, fece fondare dai suoi, un seminario a Wurzbourg; e su invito dell’elettore di Maigonza, che lo ammise più tardi nella sua intimità, divenne curato e decano a Bingen sul Reno. – Quando Carlo, re d’Inghilterra, che si trovava allora esiliato in Germania, si disponeva a tornare in patria, colpito dalla reputazione di Barthélemi che aveva predetto cose strabilianti in Inghilterra, mostrò un gran desiderio di vederlo, discendendo il Reno. Avendolo dunque fatto chiamare, si intrattenne con lui per un’ora per ascoltare dalla sua bocca ciò che prediceva del suo reame e del proprio regno. Questo servo di Dio aveva predetto che questo reame si sarebbe ridotto nelle più grandi miserie; che il re non sarebbe stato risparmiato; ma che dopo il ritorno della pace gli Inglesi, convertiti alla fede cattolica, avrebbero fatto per la Chiesa più di quanto non avessero fatto dopo la loro prima conversione. Ora non deve passare sotto silenzio che dall’anno 1658, l’esercizio della Religione Cattolica fosse proibito in questa isola sotto pena di morte; e che questo decreto fu in seguito abolito nel 1778. È quello che Barthélemi aveva annunziato in maniera ammirabile nell’anno 1635, nei seguenti termini: et intellexi juge sacrificium centum et viginti annis ablatum esse. « Ho inteso che il Sacrificio eterno sarebbe stato soppresso per centoventi anni. » È impossibile il dire quanto desiderasse questa conversione. Nulla aveva più a cuore che andare egli stesso, disprezzando ogni pericolo per la sua vita, a cominciare questa opera. Tuttavia, ne fu impedito, malgrado lui, dalle cure che dovette dare alla sua parrocchia ed alle scuole latine che egli stava per aprire a Bingen, per il maggior vantaggio degli abitanti di questa città e dei luoghi circostanti. – Nel mentre era occupato ad adempiere ai suoi doveri del buon pastore, prodigando ai suoi collaboratori ed ai suoi istituti tutte le sollecitudini di un padre, fu colpito da una febbre mortale, e levando gli occhi verso il cielo, girato verso i suoi che piangevano e pregavano, spirò il 20 maggio 1658 nel 45mo anno di vita, diciannovesimo del suo sacerdozio e 18 anni dopo la fondazione del suo istituto. Il suo corpo riposa nella chiesa parrocchiale di Bingen davanti all’altare della santa croce, in una tomba chiusa che porta questo apitaffio: « Venerabilis vir Dei servus Bartholomæus Holzhauser, SS. Theologiæ Licentiatus, Ecclesiæ Bigensis pastor et decanus, Vitæ Clericorum sæcularium in communi viventium in superiore Germania restitutor, obiit anno 1658, die Maji 20. »  – Oltre alle virtù ammirabili della sua giovinezza che portò in seguito ai gradi più alti di perfezione nella sua carriera ecclesiastica, Holzhauser era dotato di una scienza profonda e favorita dal dono della profezia; ecco ciò che nessuno negherà. Ce ne possiamo convincere dalle sue opere delle quali molte ci sono rimaste, e più particolarmente la sua interpretazione dell’Apocalisse, di cui diamo qui la traduzione francese. Si noterà in quest’opera una singolare ed ammirabile connessione dei tempi e degli avvenimenti, stabilenti o manifestanti il più bel sistema generale di tutta la Chiesa, estesa dalle sue origini fino alla consumazione dei secoli. Egli scriveva questa interpretazione nel Tirolo, mentre era afflitto dalle prove più grandi, passando così le sue giornate interamente nel digiuno e nella preghiera, separato da ogni commercio con gli uomini. Siccome egli non terminò la sua opera e non interpretò l’Apocalisse che fino al quindicesimo capitolo, i suoi sacerdoti ne chiesero la ragione: egli rispose loro che non sentiva più l’ispirazione, che non poteva continuare (Parve a Dio, per ragioni particolari, che volesse riservare il resto dei suoi segreti ad un’altra epoca). Poi aggiunse che qualcuno si sarebbe occupato più tardi della sua opera e l’avrebbe completata. – Questo è il compendio che diamo della vita di Holzhauser, affinché non sembrasse che volessimo nascondere al lettore quanto piacque alla divina bontà di assistere gli uomini di buona volontà nei tempi più difficili. Egli visse in mezzo agli orrori della guerra dei 30 anni che durò dal 1614 al 1648. – Noi non pretendiamo di elevarci sopra il giudizio degli uomini; e ci sottomettiamo con reverenza filiale alla santa Chiesa Romana in tutto ciò che potrebbe essere giudicato da Essa circa quest’opera. Quanto al secolo presente, cosa dobbiamo attenderci da esso? Ahimè! Siccome ogni carne ha corrotto le sue vie, e lo spirito ha orrore di tutto ciò che non colpisce gradevolmente i sensi, possiamo prevenire in anticipo il giudizio del mondo. Tuttavia, tutti gli uomini non pensino come il secolo, e si sappia che è piaciuto alla divina provvidenza il suscitare degli uomini eminenti per il loro talento e la loro pietà per eccitare gli altri alla penitenza ed alla pazienza con l’esempio e la parola. Noi non ignoriamo quanti uomini, toccati dalla storia e dall’esempio dei Maccabei hanno trovato nella Scrittura coraggio e consolazioni. Chi oserà dunque farci un rimprovero per esserci sforzati nel soccorrere i nostri fratelli in questi tempi pieni di prove rudi e calamità. Non sempre ci è stato permesso, né sempre lo sarà, il dare il pane a coloro che hanno fame, e acqua agli assetati, quando il medico lo permette o lo ordina? – Noi dunque ti preghiamo, caro lettore di accogliere con benevolenza il nostro umile lavoro, e ti auguriamo ogni specie di prosperità per il corpo e per l’anima. Addio, dunque, e tutto ti sia propizio!

LIBRO PRIMO

SUI TRE PRIMI CAPITOLI

Descrizione dei sette Angeli della Chiesa Cattolica da Gesù-Cristo fino alla consumazione dei secoli, figurate dalle sette Chiese dell’Asia, dalle sette Stelle e dai sette Candelabri.

SEZIONE I.

SUL CAPITOLO I

L’INTRODUZIONE DEL LIBRO DELL’APOCALISSE

§ I.

L’iscrizione, l’autorità, lo scopo, e la materia del libro dell’Apocalisse.

CAPITOLO I, VERSETTI 1-8

Apocalypsis Jesu Christi, quam dedit illi Deus palam facere servis suis, quae oportet fieri cito: et significavit, mittens per angelum suum servo suo Joanni, qui testimonium perhibuit verbo Dei, et testimonium Jesu Christi, quæcumque vidit. Beatus qui legit, et audit verba prophetiæ hujus, et servat ea, quæ in ea scripta sunt : tempus enim prope est. Joannes septem ecclesiis, quae sunt in Asia. Gratia vobis, et pax ab eo, qui est, et qui erat, et qui venturus est: et a septem spiritibus qui in conspectu throni ejus sunt:  et a Jesu Christo, qui est testis fidelis, primogenitus mortuorum, et princeps regum terræ, qui dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo, et fecit nos regnum, et sacerdotes Deo et Patri suo: ipsi gloria et imperium in sæcula sæculorum. Amen. Ecce venit cum nubibus, et videbit eum omnis oculus, et qui eum pupugerunt. Et plangent se super eum omnes tribus terrae. Etiam: amen. Ego sum alpha et omega, principium et finis, dicit Dominus Deus: qui est, et qui erat, et qui venturus est, omnipotens.

[Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per far conoscere ai suoi servi le cose che debbono tosto accadere: ed egli mandò a significarla per mezzo del suo Angelo al suo servo Giovanni, il quale rendette testimonianza alla parola di Dio, e alla testimonianza di Gesti Cristo in tutto quello che vide. Beato chi legge, e chi ascolta le parole di questa profezia: e serba le cose che in essa sono scritte: poiché il tempo è vicino. Giovanni alle sette Chiese che sono nell’Asia. Grazia a voi, e pace da colui, che è, e che era, e che è per venire: e dai sette spiriti, che sono dinanzi al trono di lui: e da Gesù Cristo, che è il testimone fedele, il primogenito di tra i morti, e il principe dei re della terra, il quale ci ha amati, e ci ha lavati dai nostri peccati col proprio sangue, e ci ha fatti regno, e sacerdoti a Dio suo Padre: a lui gloria, e impero pei secoli dei secoli: così sia. Ecco che egli viene colle nubi, e ogni occhio lo vedrà, anche coloro che lo trafissero. E si batteranno il petto a causa di lui tutte le tribù della terra: così è: Amen. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e il fine, dice il Signore Iddio, che è, e che era, e che è per venire, l’onnipotente].

La rivelazione di Gesù-Cristo. Che Dio gli ha dato per rivelare ai suoi servi ciò che deve presto accadere: lo ha manifestato inviando il suo Angelo a Giovanni, suo servo.

I. La maggior parte degli scrittori ha cura di mettere in testa dei loro libri dei titoli o delle iscrizioni, per invogliare tutti coloro tra le mani dei quali cadono i loro scritti, a leggerli ed a servirsene. È così e con altre buone ragioni che ha fatto la divina Sapienza nel presente Libro dell’Apocalisse, come si vede nel primo versetto che racchiude:

1. Iscrizione e titolo del Libro.

2. La sua autorità

3. La facoltà del Superiore.

4. Scopo di quest’opera.

5. Soggetto del libro.

6. Volontà del Re che lo permette.

7. Brevità del tempo.

8. Modo della rivelazione.

9. Nome dello scrittore.

10. Persona dell’assistente.

II. Il primo ed il secondo punto si trovano in queste parole: La rivelazione di Gesù-Cristo. In effetti il lettore scorge nel titolo ciò che è questo libro, cioè la rivelazione dei segreti e dei misteri celesti fatta non da un uomo o da un re terreno che può mentire o ingannarsi, ma da Gesù-Cristo che non può né ingannare né essere ingannato. Queste parole dimostrano tutta la dignità e tutta l’autorità di questo libro.

III.  DIO in tre Persone, ha dato a Gesù-Cristo, inferiore al Padre secondo l’umanità, la facoltà di scrivere questo libro, affinché i fedeli pii e devoti che sono stati, che sono e che saranno nella Chiesa Cattolica, che si deve considerare come il regno di Gesù-Cristo, fossero sufficientemente prevenuti delle tribolazioni che Dio ha voluto che essi soffrissero per provarli ed aumentare la loro gloria. Egli ha permesso tutto questo dall’eternità, affinché fossimo premuniti come dallo scudo di una prescienza necessaria contro tutte le avversità, tanto presenti che future, egli ha voluto che fossimo consolati dalla brevità delle nostre tribolazioni, rispetto all’eternità, resistendo con la forza più grande, confidando pienamente nel buon piacere della volontà e del permesso divino che non potrebbe eseguirsi, come si vede con le parole del testo: che Dio gli ha dato per scoprire ai suoi servi ciò che deve succedere presto.

IV. La maniera in cui Nostro Signore Gesù-Cristo ha rivelato tutte queste cose a San Giovanni fu la più perfetta, tale che non fu mai più perfetta, tale che non fu mai simile presso alcun profeta; perché essa consiste in queste tre cose:  

1. Visione immaginativa;

2. Intelligenza piena di misteri;

3. Assistenza di un Angelo.

Ora, san Giovanni ebbe questi tre soccorsi scrivendo questo libro dell’Apocalisse, come risulta dalla fine del testo: Egli lo ha manifestato inviando il suo Angelo a Giovanni, suo servo: vale a dire, Egli inviò l’Angelo (San Michele) che tenendo il posto di Cristo, a mo’ di un ambasciatore reale, apparve a San Giovanni Evangelista, per rivelargli i misteri di Dio riguardanti la sua Chiesa militante sulla terra e trionfante nel cielo, e per istruirlo esteriormente (exterius), comunicando a lui una piena intelligenza di tutte queste cose.

V. Vers. 2. –  Che ha reso testimonianza alla parola di Dio e a tutto ciò che ha visto di Gesù-Cristo. Queste parole annunciano l’autorità dello scrittore che non fu altri che San Giovanni Evangelista, questo discepolo caro al suo Maestro più di tutti gli altri, che ha reso testimonianza alla parola di Dio sulla sua generazione eterna (Jo., I): « In principio era il Verbo, ed il Verbo era con Dio, ed il Verbo era Dio; » e sulla sua incarnazione temporale: « Ed il Verbo si è fatto carne, ed ha abitato tra noi, e noi abbiamo visto la sua gloria, etc. etc. » Ecco perché egli ha aggiunto: Che ha reso testimonianza … a Gesù-Cristo … e a tutto ciò che ha visto nella sua conversazione, nei suoi miracoli, nella sua morte e nella sua resurrezione, come lo si vede nel Vangelo. Egli ha reso questa stessa testimonianza nella persecuzione di Domiziano,  confessando e predicando con la forza più grande nei tormenti, che Gesù-Cristo crocifisso è veramente Figlio di Dio e Figlio dell’uomo.

VI. Vers. 3. – Felice colui che legge ed ascolta le parole di questa profezia, e che conserva tutto ciò che vi trova scritto: perché il tempo è vicino. L’Apostolo rende qui gli ascoltatori attenti sull’utilità di questo libro il cui scopo è quello di farci acquisire la beatitudine celeste. Felice colui che legge. Questo si applica ai dottori che insegnano agli altri, con le parole di questa profezia, la giustizia e il timore del Signore, e che li fortificano nelle avversità per l’amore di Gesù-Cristo e per la ricompensa della vita eterna. Perché felici sono coloro che insegnano agli altri la giustizia, essi brilleranno come stelle nell’eternità. E felice colui che ascolta. Egli si rivolge qui ai discepoli pii e semplici che credono alle parole di questa profezia, conservando nel loro cuore la giustizia e la pazienza di Gesù-Cristo che vi sono descritte. E chi conserva tutto ciò che vi si trova scritto. Vale a dire, felice chi sopporterà i travagli e le tribolazioni, sopportandole con pazienza fino alla consumazione. Felice è l’uomo che sopporta la tentazione, quando sarà stato provato, riceverà la corona di vita che Dio promette a coloro che lo amano. Perché il tempo è vicino. Vale a dire, passa rapidamente. È come se volesse dire: il lavoro della pazienza è breve, e la ricompensa della beatitudine è eterna. Da qui le parole dell’Apostolo ai Romani, (VIII, 18) : « … perché io sono persuaso che le sofferenze della vita presente non hanno alcuna proporzione con questa gloria che sarà un giorno rivelata in noi. “

VII. Vers. 4-8Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: …. Questa Asia è una grande provincia dell’Asia Maggiore ove c’erano sette città, ed in queste città sette chiese con sette Vescovi, la cui metropoli era Efeso. San Giovanni scrisse ed inviò questo libro dell’Apocalisse a queste sette chiese che gli errano state assegnate nella separazione degli Apostoli. Questo numero sette, come per altre cose, rappresenta perfettamente l’universalità di tutte le chiese. E l’autore, volendosi conciliare la loro benevolenza ed invitandoli ad estenderla ed a leggerla, li saluta con umiltà non prendendo altro titolo che il suo nome: Giovanni alle sette Chiese, etc. . Questo nome non di meno era gradevole e riempiva di una gioia spirituale coloro  che l’ascoltavano.

VIII. Dopo questo saluto viene l’augurio di beni, come tanti mezzi per accattivarsi la benevolenza: la grazia e la pace siano con voi: come a dire, io vi auguro la grazia di perseverare nel bene, la consolazione nelle avversità, il coraggio nelle prove, così come la pace del cuore e l’unità negli spiriti e la fede all’interno ed all’esterno, infine il riposo eterno. Ora tutte le cose sono dono di Dio secondo san Giacomo, (I, 17) : « Ogni grazia eccellente ed ogni dono perfetto viene da Dio e discende dal Padre dei lumi. » Ecco perché San Giovanni indica subito la fonte della vera pace e della grazia, dicendo: La grazia e la pace siano con voi. Da parte di Colui che è, che era e che deve venire. Queste parole non esprimono altra Persona che Dio, così come la sua perfezione e la sua autorità; e questa differenza del tempo passato, presente e futuro, non si vi si trova che per noi, che siamo incapaci di comprendere le cose altrimenti. Il senso di queste parole è dunque: grazie e pace a voi vengono da Dio che è ora, e che era da tutta l’eternità; che deve venire al giudizio con i suoi Santi e che deve vivere nell’eternità per sé, in sé, di sé, e per sé.

IX. E da parte dei sette spiriti che sono davanti al suo trono. 1° Con questi sette spiriti sono designati i sette doni dello Spirito Santo, che si effuse sugli Apostoli nel giorno di Pentecoste sotto forma di lingue di fuoco, e fu inviato in tutto il mondo. È per Lui che ogni grazia ed ogni pace vera fu comunicata alla Chiesa. Benché lo Spirito Santo sia vero Dio, seduto sul trono con il Padre ed il Figlio nella medesima gloria e maestà, è tuttavia detto qui che Esso è alla presenza del trono, a causa della distribuzione dei doni e delle grazie spirituali fatte sotto la forma delle lingue di fuoco. Lo Spirito Santo distribuisce questi doni secondo l’eterna volontà del Padre per la nostra salvezza; similmente è detto della Persona del Verbo: « Egli discese dal cielo per noi uomini e per la nostra salvezza. » 2° Per i sette spiriti si intende anche l’universalità dei santi Angeli che sono costituiti davanti al trono e sempre presenti, come ministri di Dio, a lavorare per la nostra salvezza, assistendo i Vescovi nel governo della Chiesa, secondo i bisogni del tempo.

X. E da parte di Gesù-Cristo, il testimone fedele della gloria, della maestà e della verità del Padre. Il testimone fedele, nella predicazione divina, essendo il Verbo di Dio, il testimone fedele, nei suoi miracoli e nell’effusione del sangue prezioso, essendosi reso obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Ecco perché Egli è chiamato il primo nato dai morti, vale a dire, il primo tra i resuscitati dai morti, destinato a divenire la causa o lo strumento, ed il testimone fedele della nostra resurrezione futura, dopo che avremo sofferto, gemuto e pianto in questa valle di lacrime. Ed il Principe dei re della terra: vale a dire il principe delle potenze terrestri. Avendo il potere di abbattere per l’utilità dei suoi eletti, o di conservarli a castigo dei peccatori, permettendo che essi servano e trionfino, come dice il detto San Matteo, XXVIII, 18, a consolazione della Chiesa: « Ogni potenza mi è stata data nel cielo e sulla terra. » Che ci ha amato per primo, quando eravamo suoi nemici; e che ci amato al punto da lavare i nostri peccati, sia l’originale che gli attuali, con il suo sangue innocente. E che è stato tradito e messo a morte dai nostri peccati e per i nostri peccati. Nel suo sangue, perché il Sacramento del Battesimo e la Penitenza, che lavano il peccato originale ed i peccati attuali, traggono la loro efficacia dalla sua passione benedetta. Ed ha fatto di noi il regno ed i sacerdoti. Noi fummo rigettati e cacciati dal paradiso, dal regno di Dio; e ci trovammo tenuti in schiavitù nel legami dei nostri peccati e nella servitù del demonio. Ora, il nostro Re Gesù-Cristo ci ha riscattati e ci ha costituito in un regno, o principato monarchico, qual è la Chiesa Cattolica; regno santo, mirabile e forte contro il quale le porte degli inferi non prevarranno qualunque siano gli sforzi dei nemici. E ha fatto di noi un regno, perché ci ha costituito sotto la legge santa del regno celeste, affinché Dio, il Padre del Signore Nostro Gesù-Cristo, regnasse su di noi. E noi, noi siamo popolo per l’obbedienza come Lui è nostro Re per l’impero. E di noi ha fatto un reame; vale a dire, che ha voluto riceverci come cittadini del regno celeste, di modo che non fossimo stranieri ed ospiti, ma concittadini di Santi, i servi di Dio, edificati sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, e su Gesù-Cristo stesso che è la pietra angolare. – E sacerdoti, che non offrono più il sangue degli animali, ma che offrono con Lui, sull’altare della croce sacra, il corpo ed il sangue prezioso di Gesù-Cristo; sacrificio infinitamente santo ed accettabile, che gli Angeli stessi desiderano contemplare, e che placa la collera di Dio, che ci hanno attirato i nostri peccati. Ed i sacerdoti che non si saziano più, come nell’antica legge, della carne degli animali o della manna del deserto; ma del corpo e del sangue prezioso di Gesù-Cristo, l’Agnello senza macchia che si offrì per essere nutrimento e bevanda spirituale delle nostre anime. Ed i sacerdoti offrono le ostie come un sacrificio di lode gradito a Dio, cioè alla Santissima Trinità, ed a Dio Padre, per la gloria del quale il Figlio ha disposto ogni cosa. A lui sia la gloria in se stesso, e l’impero su tutte le cose nei secoli dei secoli, cioè nell’eternità. Così sia. Che sia così o che questo si faccia.

XI. E perché il nostro cuore è inquieto, ed il tempo in cui gli empi trionfano su di noi ci sembra troppo lungo, finché saremo costituiti cittadini del regno di Dio, l’autore rileva le nostre anime inquiete con ammirevole efficacia con le seguenti parole: Egli verrà sulle nubi; il testo latino dice: Ecce venit cum nubibus, come se volesse dire: ecco, il tempo è molto breve in rapporto alla pena o alla gloria eterna. Ecce, ecco: levate gli occhi della vostra anima verso i tempi passati; Essi sono passati come se non fossero mai stati, verso i tempi presenti; come passano rapidamente! E verso i tempi futuri; siccome questi si avvicinano e tutto si compie, benché noi non ci pensiamo! Pure la Scrittura dice: « Benché tardi, attendetelo; Egli vieni presto e non tarderà. » Eccolo che viene sulle nubi; il testo latino si serve del tempo presente, per far ben comprendere alla debolezza del nostro spirito che, per quanto lungo ci sembri il tempo che ci separa dal giorno del giudizio, esso è tuttavia, in rapporto all’eternità come un tempo presente, nel quale Gesù-Cristo verrà ed apparirà. « È così che verrà, etc., » Matth., XXIV, 30. La parola latina “ecce”, ecco, che è spesso impiegata in questo libro, vuol dire, nel pensiero dello Spirito Santo, che noi dobbiamo elevare le nostre anime ed eccitare la nostra immaginazione per comprendere qualche cosa di serio, di mirabile, amabile od orribile. –

XII. Ed ogni occhio lo vedrà, perché apparirà visibile a tutti. Ed ogni occhio lo vedrà: l’uomo libero e lo schiavo, il ricco ed il povero, il re ed il principe, i nobili ed i plebei, i sapienti e gli ignoranti, i giusti e gli empi, etc. ma tutti lo vedranno in maniera differente; perché la sua apparizione sarà infinitamente gradita ai giusti, come quella di uno sposo alla sua sposa, di un padre o di una madre a suo figlio, di un fratello ad un fratello, di un amico all’amico, e soprattutto di un salvatore ad un salvato. In effetti, Egli si presenterà ai giusti in qualità di sposo, di salvatore, di padre, di madre, di fratello e di amico. Luc. XXI, 28: « Ora, quando queste cose cominceranno ad avverarsi, sollevate la testa e guardate in alto, » (aprite i vostri cuori), « perché la vostra redenzione si avvicina.  » L’apparizione di Gesù-Cristo, al contrario, sarà terribile per gli empi e coloro che lo hanno inchiodato, come i Giudei che lo crocifissero, i soldati che lo hanno coronato di spine e flagellato il suo sacro corpo, Pilato che lo ha giudicato, Erode che lo ha deriso, il Sommi Sacerdoti che lo hanno bestemmiato trattandolo come un ladro; e noi che lo abbiamo trafitto con i nostri peccati. E coloro che lo hanno trafitto nelle sue sante membra, nei pupilli, nelle vedove, negli orfani, negli sventurati, nei poveri di cui è il protettore, l’avvocato ed il padre, e coloro che lo hanno trafitto calunniando, condannando, rifiutando, disprezzando e trattando indegnamente le persone e le cose sante e sacre, come i tiranni, che versarono il sangue innocente dei martiri a causa della fede e della giustizia; i principi, i re, i magistrati, i giudici, i tutori che avranno soverchiato e oppresso i pupilli, le vedove, etc.. Tali sono anche i dispregiatori, i detrattori, coloro che danno cattivi giudizi, gli impudichi, gli eretici, i venefici, etc..  È a tutti i malvagi che non avranno fatto penitenza che Egli apparirà come un giudice terribile, al punto da dire alle montagne: « Cadete su di noi; ed alle colline: copriteci perché non vediamo la faccia di Colui che è seduto sul trono. »

XIII. E tutte le tribù della terra vedendolo si batteranno il petto, il testo latino dice plangent se, essi piangeranno su se stessi vedendo le ricchezze della propria gloria dalle quali si vedranno privati così vergognosamente. Essi piangeranno su se stessi, gemeranno vedendo coloro che si saranno fondati su Gesù-Cristo. E diranno, pentendosi e gemendo nell’angoscia del loro spirito: « Questi sono quelli che sono stati altra volta l’oggetto delle nostre riprovazioni. » Sap. V, 3. Si, così sia. Queste parole esprimono un’affermazione. La prima è di etimologia greca e significa le nazioni; la seconda derivata dall’ebraico, designa i Giudei; esse sono congiunte per persuadere dell’irrefragabile verità della resurrezione e dell’ultimo giudizio, perché in questo giorno tanto le nazioni che i Giudei, vedranno Gesù-Cristo come un giudice che renderà a ciascuno secondo le proprie opere, il bene o il male. E questa verità angelica è l’unica che possa meglio frenare la nostra volontà pervertita contro i piaceri proibiti della vita presente, ed esercitare in noi il timore di Dio e l’amore del bene futuro. Ecco perché questa verità è confermata efficacemente da queste due parole: Etiam, Amen. Si, così sia. Da ciò queste parole di Gesù-Cristo, Matth., V, 18: « Io vi dirò in verità, fino a che la terra ed il cielo passino, un solo iota o un solo punto non passerà che tutte queste cose avvengano. » Io sono l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine, dice il Signore Dio, che è, che era e che deve venire; volendo con ciò dire: la mia sentenza non può essere né cambiata né annullata; perché prima di me nessuno fu, e tutte le cose sono cominciate, cominciano e cominceranno da me, e non senza di me, al quale tutti converge. Egli è chiamato l’alfa e l’omega; perché l’alfa è la prima lettera dell’alfabeto greco, e l’omega l’ultima, volendo con ciò significare con queste parole che Dio è l’inizio e la fine di tutte le creature, che tutto gli è subordinato, allo stesso modo del mare da dove escono tutte le acque e dove tutte le acque finiscono. Che è, che era, e che deve venire; queste ultime espressioni si spiegano come più in alto.

§ II.

Dell’Autore dell’Apocalisse. Come San Giovanni ha visto e scritto questo libro.

CAPITOLO I. Vers. 9-12

Ego Joannes frater vester, et particeps in tribulatione, et regno, et patientia in Christo Jesu: fui in insula, quae appellatur Patmos, propter verbum Dei, et testimonium Jesu: fui in spiritu in dominica die, et audivi post me vocem magnam tamquam tubæ, dicentis: Quod vides, scribe in libro: et mitte septem ecclesiis, quæ sunt in Asia, Epheso, et Smyrnæ, et Pergamo, et Thyatirae, et Sardis, et Philadelphiæ, et Laodiciæ. Et conversus sum ut viderem vocem, quæ loquebatur mecum: et conversus vidi septem candelabra aurea:

[lo Giovanni vostro fratello, e compagno nella tribolazione, e nel regno, e nella pazienza in Gesù Cristo, mi trovai nell’isola che si chiama Patmos, a causa della parola di Dio, e della testimonianza di Gesù. Fui in ispirito in giorno, di domenica, e udii dietro a me una grande voce come di tromba, che diceva: Scrivi ciò, che vedi, in un libro: e mandalo alle sette Chiese che sono nell’Asia, a Efeso, e a Smirne, e a Pergamo, e a Tiatira, e a Sardi, e a Filadelfia, e a Laodicea. E mi rivolsi per vedere la voce che parlava con me: e rivoltomi vidi sette candelieri d’oro.]

XIV. (Vers. 9- 11) – Dopo il saluto, San Giovanni passa immediatamente alla narrazione: egli fa di nuovo menzione, come di passaggio, della sua persona, del luogo ove ha ricevuto la rivelazione, della ragione per la quale è stata fatta questa rivelazione in questo luogo, del tempo e del modo. Egli rende innanzitutto gli uditori attenti, come ha costume di fare sempre negli esordi. Io Giovanni, vostro fratello, non per legami del sangue, ma per la rigenerazione spirituale operata col sacramento del Battesimo. Vostro fratello nell’unità e la comunione dei Santi, nella carità, in Gesù-Cristo e per Gesù-Cristo, che è il Padre comune di noi tutti, secondo la rigenerazione nella vita eterna. Che ha parte alla tribolazione, ed al regno, ed alla pazienza di Gesù-Cristo. Perché è in Gesù-Cristo, che è nostro Capo, che è fondato ogni merito; ed è per l’unità della fede e della carità, che è nella comunione dei Santi, che derivano, come per una partecipazione di parentela o di sangue, i meriti dei giusti in ciascuno dei membri. Che ha parte alla tribolazione, cioè che è stato perseguitato a causa della fede di Gesù-Cristo come gli altri Apostoli, quando fu immerso in una caldaia di olio bollente. Io ho sopportato il martirio, finché mi è stato possibile, a causa del Regno celeste nel quale non posso entrare se non per molte tribolazioni, così come lo stesso Gesù ha dovuto soffrire per entrare nella sua gloria. (Bisogna distinguere il senso di queste parole, per spiegarle con le parole mediatamente ed immediatamente: non tutti sono chiamati a subire le tribolazioni tali come l’autore le definisce, in maniera immediata, cioè personale, ma mediata, per cui i meriti dei Martiri ci vengono applicati per la comunione dei Santi). – Da qui risulta che colui che non imita Gesù nelle tribolazioni, non lo seguirà nel suo regno. E la pazienza di Gesù-Cristo, vale a dire a causa di Gesù-Cristo che dà la pazienza, e ci consola nella tribolazione. La tribolazione differisce dalla pazienza, in quanto la tribolazione (che deriva dalle parole latine tribula, tribulatio), indica una persecuzione dei tiranni lunga, veemente e variata, per la quale l’anima paziente è messa in uno stato di angoscia di cui geme la Chiesa; mentre la pazienza esprime la sopportazione delle miserie comuni a tutti gli uomini. La parola tribolazione significa anche i tormenti di ogni genere con i quali i Santi sono provati come i grappoli sotto il torchio. E la pazienza è la virtù che la fa sopportare con uno spirito di calma. Io sono stato nell’isola di Patmos; infatti, San Giovanni essendo stato messo in una caldaia di olio bollente, non fu bruciato, ma piuttosto come un forte atleta, ne uscì più vigoroso. Egli fu inviato in esilio a Patmos da Domiziano, che successe a Tito, suo fratello, nell’anno di Gesù-Cristo 82. Ed è nel suo esilio che Dio rivelò a San Giovanni questi misteri dell’Apocalisse. Io sono stato nell’isola, etc., queste parole designano il luogo ove ricevette questa rivelazione, cioè un’isola sotto la cui figura è molto ben rappresentata la Chiesa di Gesù-Cristo; perché nella Chiesa, le cose celesti sono aperte ai fedeli come un’isola è generalmente accessibile da qualunque lato; e come un’isola è continuamente esposta alle ingiurie del mare, così la Chiesa è continuamente afflitta dalle persecuzioni del demonio, della carne e del mondo.

XV. Per la parola di Dio, e per la testimonianza resa a Gesù-Cristo. Con queste parole San Giovanni indica di passaggio la causa del suo esilio, perché non volle negare Gesù-Cristo, né cessare di predicarlo. In seguito, egli aggiunge il modo della sua visione: Io fui rapito io cielo, vale a dire in estasi, nel giorno del Signore, che è il giorno destinato alla contemplazione divina. Io ho sentito nell’immaginativo, dietro di me. Per comprendere queste parole, occorre sapere che, presso i Profeti, le parole “davanti a me” designano un tempo passato; “in me” un tempo presente; e “dietro di me“, un tempo futuro; ora, siccome i principali misteri che furono rivelati a San Giovanni, quando scrive questo libro, dovranno compiersi in un tempo futuro, ecco perché egli dice: … io ho inteso dietro di me una voce immaginaria, forte e squillante come una tromba. Queste ultime parole fanno vedere la virtù e l’autorità dell’Angelo che parla a nome di Gesù-Cristo, dicendo: ciò che tu vedi, vale a dire, ciò che tu che vedrai nella presente rivelazione. … ciò che tu vedi nella tua immaginazione e con l’intelletto, con piena intelligenza, scrivilo in un libro, per l’istruzione dei fedeli, ed indirizzalo alle sette Chiese che sono in Asia: ad Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia ed a Laodicea. Con queste sette Chiese sono designate il sette Angeli della Chiesa Cattolica, vale a dire sette epoche diverse nel corso delle quali il Signore compirà ogni cosa, e schiaccerà la testa di molti sulla terra; ed il secolo sarà consumato. Ecco perché queste sette Chiese dell’Asia Minore furono il tipo delle sette ere avvenire della Chiesa, fino alla fine del mondo. San Giovanni scrive innanzitutto a queste sette Chiese, e descrive le cose di cui esse erano il tipo, come lo si vedrà più chiaramente nella spiegazione di ogni avvenimento in particolare.

XVI. Vers. 12. – Ed io mi voltai per vedere chi mi parlava. E nello stesso tempo, io vidi sette candelieri d’oro. Ed io mi girai; cioè voltai il mio pensiero, o applicai il mio spirito, per comprendere i misteri delle cose avvenire. Queste parole ci insegnano che, nella rivelazione delle cose celesti, occorre allontanare il proprio spirito dagli oggetti terrestri, e volgerli verso Dio. Per vedere chi mi parlava, il testo latino dice: ut viderem vocem, per vedere la voce, cioè vedere colui che parlava, prendendo l’effetto come causa. Come è scritto, Exod. XX, 18: Cunctus autem populus videbat voces, etc.,tutto il popolo vedeva la luce, vale a dire, intendeva.

XVII. Avvertimento sulla maniera in cui San Giovanni scrive l’Apocalisse. Ci sono tre modi di vedere, di intendere o percepire qualche cosa con i sensi. Il primo è quella di vedere con gli occhi, o intendere con le orecchie, con l’operazione dei sensi; è così che noi vediamo le stelle del cielo, etc.; ed i compagni di Saul (di Paolo) intesero la voce di Gesù-Cristo. – La seconda è quando, addormentati o svegli, vediamo in spirito, o noi comprendiamo, per delle visioni o immaginazione, delle cose che ne figurano un’altra. In questi casi, i nostri sensi esteriori sono elevati dal Signore in maniera sì ammirabile ed ineffabile, che la persona che è messa in stato di estasi, comprende gli oggetti che gli sono presentati, d’una maniera più certa e più perfetta di quanto alcun uomo potrebbe vedere, intendere, sentire o capire un oggetto qualunque, fosse pure dotato dei sensi migliori. – La terza maniera ed intellettuale, è come quando vediamo una cosa con il solo pensiero, senza il soccorso delle immagini per le quali le cose si presentano a noi come figurate. Ora tutto ciò ha luogo presso i Profeti, per volontà di Dio, in quattro maniere:

1° Con l’oscurità della fede; quando il Profeta non riconosce evidentemente che Dio parla; ma essendo elevato al di sopra della natura da una luce celeste, rimarca che è Dio che parla.

2° Con l’evidenza in colui che attesta. È allorché l’animo del Profeta è elevato ed illuminato da un tal soccorso, così che riconosce evidentemente che è Dio o un Angelo che gli parla.

3° Se non scrive le cose che vede così.

4° Infine, se lo stile naturale e l’eloquenza del Profeta sono elevati in ciò che egli scrive, di modo che la sua penna corra, per così dire, con la più grande rapidità, e l’uomo scriva senza fatica, e conosca in tutto o in parte ciò che scrive, a seconda che Dio lo voglia per il suo buon piacere o per la nostra utilità. – Ora questa Apocalisse fu rivelata a San Giovanni l’Evangelista, il più grande di tutti i Profeti, nella maniera più perfetta. Infatti, egli vede e comprende tutti questi misteri, per delle visioni immaginarie e per il soccorso dell’Angelo che lo assisteva ed illuminava evidentemente la sua anima. È per questo che dice: Io sono stato rapito in spirito, nel giorno del Signore. Volendo significare, con queste parole, che la sua santa anima, rapita in estasi, vide, intese e comprese, con il soccorso dello stesso Angelo, tutto ciò che ha scritto in questo libro.

§ III.

Descrizione della Chiesa militante rivelata a San Giovanni per la sua somiglianza a Gesù-Cristo.

CAPITOLO I. – Versetto 13-20

… et in medio septem candelabrorum aureorum, similem Filio hominis vestitum podere, et præcinctum ad mamillas zona aurea: caput autem ejus, et capilli erant candidi tamquam lana alba, et tamquam nix, et oculi ejus tamquam flamma ignis: et pedes ejus similes auricalco, sicut in camino ardenti, et vox illius tamquam vox aquarum multarum: et habebat in dextera sua stellas septem: et de ore ejus gladius utraque parte acutus exibat: et facies ejus sicut sol lucet in virtute sua. Et cum vidissem eum, cecidi ad pedes ejus tamquam mortuus. Et posuit dexteram suam super me, dicens: Noli timere: ego sum primus, et novissimus, et vivus, et fui mortuus, et ecce sum vivens in osæcula sæculorum: et habeo claves mortis, et inferni. Scribe ergo quæ vidisti, et quæ sunt, et quae oportet fieri post hæc. Sacramentum septem stellarum, quas vidisti in dextera mea, et septem candelabra aurea: septem stellæ, angeli sunt septem ecclesiarum: et candelabra septem, septem ecclesiæ sunt.

[… e in mezzo ai sette candelieri d’oro uno simile al Figliuolo dell’uomo, vestito di abito talare, e cinto il petto con fascia d’oro: e il suo capo e i suoi capelli erano candidi come lana bianca, e come neve, e i suoi occhi come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi simili all’oricalco, qual è in un’ardente fornace, e la sua voce come la voce di molte acque: e aveva nella sua destra sette stelle: e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli: e la sua faccia come il sole (quando) risplende nella sua forza. E veduto che io l’ebbi, caddi ai suoi piedi come morto. Ed egli pose la sua destra sopra di me, dicendo: Non temere: io sono il primo e l’ultimo, e il vivente, e fui morto, ed ecco che sono vivente pei secoli dei secoli, ed ho le chiavi della morte e dell’inferno. Scrivi adunque le cose che hai vedute, e quelle che sono, e quelle che debbono accadere dopo di queste: il mistero delle sette stelle, che hai vedute nella mia destra, e i sette candelieri d’oro: le sette stelle sono gli Angeli delle sette Chiese: e i sette candelieri sono le sette Chiese].

XVIII. Ed io mi voltai … e vidi sette candelabri d’oro; vale a dire, sette chiese piene di olio delle buone opere, ardenti di fuoco e carità, illuminate dalla saggezza del Verbo divino. E brillanti, agli occhi del mondo, come lampade e candelabri. In effetti, Gesù-Cristo istituì la sua Chiesa, affinché venisse in soccorso degli indigenti con l’olio delle opere di misericordia; ché gli infermi fossero unti e fortificati; coloro che sono freddi fossero riscaldati dal fuoco della carità; che i ciechi fossero rischiarati dalla saggezza celeste; e le opere delle tenebre prendessero la fuga davanti alle opere di luce e di santa condotta. Candelieri d’oro;vale a dire: fusi nella scienza della discrezione e nella prudenza celeste, perché, così come l’oro è più stimato degli altri metalli dai re, dai principi e dagli altri uomini; e così come ha grande efficacia, in medicina, per guarire gli infermi; così pure la discrezione e la prudenza sono non solamente stimatissimi dagli uomini, ma ancor più necessari alla medicina spirituale, con la correzione fraterna. Candelieri d’oro, per mezzo dei quali sono rappresentati lo splendore, la ricchezza, la maestà, l’onore e la gloria esteriore di Gesù-Cristo, suo Sposo e renderlo splendente agli occhi del mondo, secondo la diversità dei tempi. Candelieri d’oro,cioè puliti e ben lavorati; perché come l’oro è provato col fuoco, ed il candelabro prende la sua forma sotto lo strumento dell’artigiano, così la Chiesa si consuma e si estende in longanimità, purgata dalle tribolazioni e dai colpi della tentazione.

XIX. Vers. 13. – Ed in mezzo ai sette candelieri d’oro (io vidi) uno che somigliava al Figlio dell’uomo, vestito con una veste talare, stretta al di sotto delle mammelle, da una cintura d’oro. Questo testo descrive alla lettera la persona del Cristo, che l’Angelo rappresentava, essendo costituito da Dio Padre, per essere il Sommo Sacerdote ed il Giudice dei viventi e dei morti. Questa persona del Cristo figura anche la persona, il governo e la natura della Chiesa, sua Sposa. Ed in mezzo ai sette candelieri d’oro, uno che somigliava al Figlio dell’uomo; vale a dire un Angelo che non era Cristo in persona, ma un Angelo da Lui inviato, che rappresentava la persona del Cristo: simile al Figlio dell’uomo; vale a dire, offrendo un’immagine, una similitudine o una idea di Gesù-Cristo, secondo la quale formò la sua Chiesa simile a Lui. Simile al Figlio dell’uomo; designando con ciò lo Spirito di Cristo, che mantiene e vivifica spiritualmente il corpo della sua Chiesa, come l’anima vivifica il suo corpo. Ecco perché San Giovanni scrive queste parole: in mezzo ai sette candelieri d’oro.  In effetti, il Cristo, la cui Persona è rappresentata dall’Angelo, è in mezzo alla sua Chiesa come un Capo invisibile, governandola, sostenendola, vivificandola, istruendola, consolandola, difendendola ed amandola; come un maestro è in mezzo ai suoi discepoli, un padre in mezzo ai suoi figli, un re in mezzo ai suoi sudditi, ed un capitano un mezzo ai suoi soldati, secondo quanto è scritto, (Matth., XXVIII, 20): « Io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli. » I suoi Angeli sono così in mezzo alla Chiesa, come dei ministri preordinati da Dio per essere a nostra tutela, nostra salvezza e nostro soccorso. Infine, quest’Angelo che è in mezzo ai sette candelieri d’oro, è anche il prototipo di tutti gli altri Angeli.

XX. Vestito di una veste talare, e con sotto il petto di una cintura d’oro. Queste parole designano questo essere simile al Figlio dell’uomo; e questa descrizione ci rivela la natura ed il governo della Chiesa Cattolica, Sposa di Cristo. 1° San Giovanni dice che lo vede vestito di una veste talare; ora, la lunga veste o abito sacerdotale che discende fino ai piedi, è l’alba. Questo abito designa l’umanità di Gesù-Cristo sotto la quale si mostrò agli uomini, essendosi reso simile a noi, coperto da un abito come un uomo e come un pontefice che potesse compatire le nostre infermità. Fu costituito da Dio Padre, Sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech, essendosi offerto al Padre una volta, sulla croce, come ostia vivente; ed offrendosi ogni giorno per noi nel Sacrificio della Messa. Ora, tale è anche la Chiesa Cattolica: essa offre, in effetti, una viva immagine del Cristo, e ci dà un’idea o un prototipo del suo divino sposo, essa è ornata da una lunga veste, cioè dalla dignità e dall’abito sacerdotale talare, per rappresentare il sacerdozio che continuerà fino alla consumazione del secolo. Il candore di questa lunga veste indica la purezza di coscienza, la semplicità dell’anima, l’umiltà di spirito e la castità del corpo, che devono sempre accompagnare il sacerdozio, E cinto sotto il petto una cintura d’oro, della cintura di giustizia e della verità di Gesù. Isaia, XI, 5: « La giustizia sarà la cintura dei suoi reni, e la fede l’armatura di cui sarà cinto » (le due parole latine lumbi e renessignificano i reni, e la scrittura se ne serve ordinariamente per designare il centro della forza, come anche la concupiscenza.). Cintura d’oro, vale a dire che il sacerdote avrà molto da soffrire dal mondo a causa della giustizia e della verità, e sarà provato come l’oro nella fornace. Ora, è così che si può dire della Chiesa di Cristo, cinta sotto il petto, con i reni cinti, si comprende la mortificazione della carne, così come era prescritta nell’Antico Testamento; e per il torace cinto sotto il petto, si intende la mortificazione dell’anima, così come è ordinata nella nuova Legge. Infatti, sotto la Legge nuova, Gesù-Cristo orna e cinge nuovamente la Chiesa, sua sposa, come una cintura di oro prezioso. (Matth., V, 27): « Avete appreso che è stato detto agli anziani: voi non commetterete adulterio; ma io vi dico chi chiunque avrà guardato una donna con desiderio ha già commesso adulterio nel suo cuore. »

Vers. 14. – La sua testa ed i suoi capelli erano bianchi come la lana bianca e come la neve. È conveniente che la testa del sacerdote, come quella del giudice, abbia il candore della maturità e della saggezza. È per questo che vien detto che colui che era simile al Figlio dell’uomo aveva la testa ed i capelli bianchi come la lana bianca e come la neve. La testa rappresenta il Verbo di Dio, la sapienza eterna. Ed è detto che la sua testa era bianca come per rappresentare l’età, perché Egli è eterno, ed è la sapienza eterna del Padre. Ecco perché il Profeta Daniele dice del Cristo, (cap. VII, 9): « Ero attento a ciò che vedevo, fin quando furono posti i troni e l’Antico dei giorni si assise ». I capelli significano i Santi ed i giusti formano una folla sì grande di tutte le nazioni che nessuno può contare, etc.. In più, i capelli crescono sulla testa, sono aderenti. E ne sono l’ornamento; ora, è così che i Santi ed i giusti di Dio sono stati prodotti dalla divina Sapienza, avendo per capo Gesù-Cristo, sul quale essi si fondano; per di più gli sono connessi con la fede, la speranza e la carità, e ne sono come l’ornamento esterno o al di fuori. Perché Dio è glorificato dai suoi Santi che hanno vinto per Lui il mondo, la carne ed il demonio, per giungere al regno eterno. Infine, si è qui parlato di due tipi di candore: 1° Bianco come la lana bianca; 2° bianco come la neve. 1° per i capelli bianchi come la lana bianca, si comprende tutti coloro che diverranno bianchi per le molte prove, e furono lavate come la lana nelle acque delle tribolazioni, che non potettero spegnere la loro carità. Sotto questa specie sono comprese anche coloro che si infangarono su questa terra con la melma del peccato mortale, e si lavarono in seguito come Maria Maddalena ed altri Santi nelle acque del Giordano e della penitenza, nel modo in cui si lavano le pecore prima di essere tosate. – 2° Per i capelli bianchi come la neve, si comprende le vergini e tutti quelli che, avendo conservato la loro primitiva innocenza, la porteranno in cielo al loro Sposo Gesù-Cristo. Questo come nell’Apocalisse (XIV, 5): Non si è trovata menzogna nella loro bocca, perché sono puri, davanti al trono di Dio, come la neve. In tutte queste cose, il suo capo invisibile è Gesù-Cristo, che ha formato il suo corpo, e che gli comunica interiormente la pienezza della grazia e della verità. Il suo capo visibile è, per successione continua, il sovrano Pontefice, anch’egli sacerdote e rappresentante del sacerdozio in tutti i sacerdoti che gli sono subordinati. In questi sono compresi tutti i prelati che, assistite dalla grazia dello Spirito Santo, governano e reggono la Chiesa sulla terra per Gesù-Cristo. Il capo visibile della Chiesa ha pure il candore dell’età, poiché è esistito con una successione continua dopo Gesù-Cristo fino a questo giorno, avendo schiacciato la testa a tutti i capi delle eresie. Egli ha il candore della maturità, perché la sua dottrina fu sempre sana, ragionevole e santa, e che la Chiesa cattolica ha sempre osservato un ordine magnifico nelle sue cerimonie ed in tutte le altre cosa sacre. 3° Ed i suoi occhi sembravano come fiamma di fuoco; ciò che significa la vivacità di intelletto nella conoscenza della verità. Infatti, come l’uomo possiede naturalmente due occhi, il destro ed il sinistro; così Gesù-Cristo, che è perfetto come Dio e come uomo, ha due occhi puri e perspicaci, che sono tutta la scienza della divinità e dell’umanità. Questi occhi di Gesù-Cristo sono di una vista e di una intelligenza infinita, perché Egli scruta intimamente e vede tutte le cose tanto sovrannaturali che naturali, sia buone che cattive, nel passato, presente ed avvenire. Con l’occhio destro vede i buoni con le loro buone opere, e con l’occhio sinistro vede i malvagi e le loro iniquità. (Ps. XXXIII, 18): « Gli occhi del Signore veglia sui giusti, e le sue orecchie sono aperte alle loro preghiere. Ma lo sguardo del Signore è su coloro che fanno il male, per cancellare dalla terra il loro ricordo. » Ecco perché San Giovanni aggiunge: Come una fiamma di fuoco; perché come il fuoco è un elemento semplice e terribile che prova l’oro e lo purifica, che rischiara le tenebre e rivela le loro opere, che divora e penetra tutto; gli occhi di Dio sono terribili, quando scrutano i reni ed i cuori; essi vedono e rischiarano tutto, le tenebre e le opere delle tenebre in qualunque modo nascoste. Gli occhi di Dio penetrano fin nei segreti dell’inferno, la nostra santa madre Chiesa cattolica ha pur’essa due occhi perfettamente simili. Il primo dei suoi occhi è divino; è l’assistenza dello Spirito Santo. Gesù-Cristo domandò quest’occhio al Padre, e lo donò alla sua sposa. (Jo., XIV, 16): « Io pregherò mio Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, affinché dimori eternamente con voi. Lo spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce; ma voi, voi lo conoscerete perché Esso resterà in voi e sarà in voi. » L’altro occhio della Chiesa è la santa Scrittura, i santi Canoni, gli scritti dei Padri Santi, i Santi Concili, la teologia, la fonte di tutte le altre scienze sia naturali che soprannaturali, alle quali si fa riferimento nelle definizioni e nelle sentenze. E questi due occhi di verità e di chiarezza della Chiesa sono magnifici. (Cantic., IV, 1): « Come sei bella, mia diletta! Come sei bella! I tuoi occhi sono gli occhi della colomba. » Ora, tali sono gli occhi della Sposa di Gesù-Cristo, con i quali si discerne il bene ed il male, la verità e l’errore, le tenebre della luce, che fanno il giudizio, la giustizia e la verità, e sono questi occhi che, come fiamma ardente, hanno ucciso tutti gli eretici, hanno vinto il demonio, il padre della menzogna, il dragone, la bestia, e che penetrano fino ai segreti dell’inferno.

Vers. 15.  – I suoi piedi erano simili al bronzo fine, quando è nella fornace ardente. Queste parole significano il fervore dello zelo nel procurare l’onore di Dio e la salvezza delle anime. Zelo infinito in Gesù-Cristo che discende dai cieli per noi e per la nostra salvezza, sopportando per questo scopo la fame e la sete per trentatré anni, etc. calpestò sotto i piedi il torchio della sua passione e delle tribolazioni. (Isai., LXIII, 3): « Io ero solo a pigiare il vino senza che alcun uomo tra tutti i popoli fosse venuto con me. » Conseguentemente con i piedi si intende la forza del Cristo nelle fatiche e nelle tribolazioni, e la sua pazienza invincibile per mezzo delle quali calpestava, come di passaggio, e vinceva tutte le difficoltà e le avversità che si presentarono a lui sul cammino della vita e soprattutto della sua passione. Ecco perché i suoi piedi sono chiamati simili al bronzo fine quando è in una fornace ardente. Perché come il bronzo fine che è un metallo molto duro, resiste ad ogni ardore del fuoco, e che più vi si espone, e più il suo colore diventa bello; così brillano nell’ardore delle tribolazioni e della sua passione la forza, la pazienza ed il fervore di Gesù Cristo. Ed è ancora così che i piedi della Chiesa sono il fervore della carità, che anima i Santi per procurare la salvezza delle anime. Perché la pazienza e l’umiltà dei Santi sostengono la Chiesa sulle tracce di Gesù Cristo; ed è con queste due virtù che sono come i loro piedi, che i Santi calpestano l’avversità e la felicità di questo mondo. Questi piedi di bronzo sono molto forti e durissimi nell’avversità e nella prosperità; essi bruciano del fuoco della carità, e sono esposti a questo fuoco nelle tribolazioni del mondo, della carne e del demonio. E vi resistono. Ecco perché la Scrittura dice con ragione: (Rom. X, 15) : « Oh come son belli i piedi di coloro che evangelizzano  la pace, di coloro che evangelizzano i veri beni! ». E la sua voce (era) come la voce di grandi acque. Queste parole significano l’efficacia della Parola nella predicazione e nella correzione. Perché la voce di Cristo è la predicazione, e anche il suo Vangelo dice nella sua Epistola agli Ebrei, (IV, 12): « La parola di Dio è vivente ed efficace, e più penetrante di una spada a doppio taglio e penetra anche nei più intimi recessi dell’anima e dello spirito, anche nelle giunture e nelle midolla; essa svela i pensieri e i movimenti del cuore. »  I profeti hanno parlato molto di questa voce, chiamandola verga, e anche lo spirito, o soffio della sua bocca. Questa voce è anche la grazia di Dio, di Gesù Cristo, che illumina ed eccita l’anima e che parla al cuore. Come la voce di grandi acque, come l’acqua che penetra, purifica, irrora ed è spiritualmente fertile. Si parla dell’efficacia di questa voce, che è come la voce di molte acque, nel libro dei Salmi, (Ps. XXVIII, 3): « La voce del Signore tuonò sulle acque; il Dio della maestà ha tuonato, il Signore si è fatto intendere su una grande abbondanza di acque. La voce del Signore è accompagnata da forza; la voce del Signore è piena di magnificenza. La voce del Signore infrange i cedri, perché il Signore spezzerà i cedri del Libano, e li farà a pezzi come se fossero giovani tori del Libano, o i piccoli degli unicorni. La voce del Signore fa scaturire fiamme e fuochi. La voce del Signore scuote il deserto, perché il Signore si muoverà e agiterà il deserto di Kadesh. La voce del Signore prepara [al parto] il cervo, e scoprirà i luoghi oscuri e densi, e tutti nel suo tempio manifesteranno la sua gloria. » La Chiesa ha anche una tale voce, ed è la voce dei predicatori che gridano nel deserto di questo mondo; questa voce è anche la parola di Dio espressa nell’antico e nel Nuovo Testamento. Queste voci sono le definizioni e i decreti dei Concili della Chiesa, i santi canoni e la voce del Sommo Pontefice e degli altri prelati che parlano ai fedeli. Isaia, (XLIX, 2) dice di questa voce: « Egli ha reso la mia bocca come una spada penetrante. Mi ha protetto sotto l’ombra della sua mano; mi ha tenuto in serbo come una freccia scelta; mi ha tenuto nascosto nella sua faretra. »

Vers. 16. – 7° Aveva sette stelle nella sua mano destra. Queste sette stelle significano l’universalità dei Vescovi, che vengono chiamati stelle, perché devono illuminare la Chiesa con la loro vita e la loro dottrina. (Dan. XII, 3): « Coloro che avranno istruito molti nella via della giustizia, brilleranno come stelle nell’eternità . » Viene detto di essi, che sono nella destra del Cristo, perché senza di Lui, essi non possono fare nulla di retto. (Giov. XV, 5): « Senza di me non potete far nulla. » Anche è detto che sono nella sua destra, perché posti sotto la sua potenza mediante la quale Egli a volta esalta, altre volte umilia, a volte eleva, talvolta abbassa sulla terra colui che deve essere calpestato dai piedi degli uomini. È così che Gesù-Cristo contiene nella sua grazia e nella sua potenza, designate qui con la sua destra. La Chiesa ha pure una simile destra, che è l’autorità del sovrano Pontefice, o la giurisdizione universale e gerarchica sotto la quale si trovano tutti gli altri Vescovi. 8° Dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio. Con la spada intendiamo la giustizia, essendo Gesù Cristo il Giudice dei vivi e dei morti. Questa spada è a due tagli, perché questo Giudice sarà giusto, non conoscendo né il re, né il povero; Egli giudicherà il giusto e l’ingiusto, e darà a ciascuno secondo le sue azioni. È necessario che questa spada esca dalla sua bocca, poiché la sentenza di un giudice è pronunciato dalla bocca. Infatti, (San Matteo, XXV, 34), parlando di Gesù Cristo, dice: « Allora il Re dirà a quelli alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio”, possedete il regno preparato per voi fin dall’inizio del mondo. Perché io avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere. Ero forestiero e tu mi avete ospitato. Ero nudo e tu avete vestito; Ero malato e mi avete visitato; ero in prigione, e siete venuti da me, ecc. » (Ibidem, V, 41): « Allora Egli dirà a coloro che sono alla sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli, ecc. ecc. »  – Anche la Chiesa possiede una tale spada, poiché Gesù Cristo l’ha stabilita come giudice delle controversie che possono sorgere in certi momenti riguardo alla giustizia e alla fede. (Matth. XVI, 18) : « Tu sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. E Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; e qualunque cosa tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo; e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto in cielo. » La Chiesa giudica dunque le cose della giustizia secondo i santi canoni, e decide ciò che è di fede, dichiarando il legittimo significato delle Sacre Scritture e di emettere sentenze di scomunica e di anatema contro gli ostinati. È quindi con ragione che chiamiamo il potere della Chiesa cattolica di pronunciare anatema e la scomunica, un potere che essa ha sempre usato e che sempre possiederà. 9°. E Il volto era luminoso come il sole nella sua forza. Il volto di Gesù Cristo trionfante in cielo è la sua gloriosissima umanità, da cui si irradia la luce che è in lui, così come lo splendore della gloria eterna, volto che anche gli Angeli desiderano contemplare, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Giov. I, 9).  Ecco perché aggiunge: come il sole nella sua forza. Infatti, come il sole illumina il mondo, lo riscalda, lo feconda, e penetra con la sua forza le montagne, i mari e tutte le cose, così Gesù-Cristo, che è lo splendore della luce eterna. Irrora tutto ciò che è arido, con la rugiada della gloria divina; secca tutto ciò che è umido, con il calore dei desideri celesti; riscalda tutto ciò che è freddo con il fuoco del suo amore; Infine, riempie tutto con la sua bontà. Si dice del suo volto nel libro dei Salmi, (CIII, 29): « Se tu volgi la tua faccia da loro di loro, saranno turbati; toglierai loro toglierai loro lo spirito e cadranno in uno stato di debolezza e si trasformano nella loro polvere. » Il volto della Chiesa, la sposa di Gesù Cristo, è magnifica per lo splendore dello Spirito Santo, che fu versato su di essa nel giorno di Pentecoste; perciò brilla come il sole nella sua forza, cioè in un ordine molto bello, nella conformità di tutte le cose, nella magnificenza dei suoi riti e cerimonie, ecc. Brilla come il sole nella sua forza e nella magnificenza dei suoi riti e delle sue cerimonie, ecc. Brilla come il sole nella sua forza, cioè nelle sue leggi sacre in conformità con Dio, la natura e l’uomo. Come il sole nella sua forza, cioè nell’integrità, purezza e verità della sua fede. Ed è per questo che lei illumina ogni uomo che viene in questo mondo; così che se i pagani, gli eretici e gli altri infedeli guardasse il volto della Chiesa cattolica, essi potrebbero essere facilmente illuminati e convertiti alla vera fede.

XXI. Dopo avere sufficientemente descritto, dalla testa ai piedi, Colui che era simile ai Figlio dell’uomo, San Giovanni aggiunge:

Vers. 17. – Quando io lo vidi, caddi come morto ai suoi piedi. Con queste parole, si vede il terrore e la paura quasi mortale da cui fu colto San Giovanni. – Aggiunge, quindi, che cadde ai suoi piedi, affinché con questo lo Spirito di Cristo ci mostrasse che i piedi della sua Chiesa, che sono, come abbiamo detto sopra la forza e la pazienza, sarebbe stati sorprendenti e terribili, poiché la Chiesa doveva calpestare, fino alla fine del mondo il torchio delle tribolazioni, e camminare nel sangue dei martiri. Queste due parole, sorprendenti e terribili, sono davvero l’espressione dei sentimenti che si provano alla vista dei meravigliosi eventi che segnano le varie epoche della Chiesa. Infatti, che cosa terribile sono i mali che Dio permette contro la sua Chiesa onde provarla! Ma anche qual cosa strabiliante e mirabile è l’intervento della sua bontà, della sua pazienza e del suo amore in favore dei suoi eletti, in queste prove terribili! Dopo la paura ed il terrore, viene ordinariamente la consolazione.

XXIIE pose la mano destra su di me. La sua destra designa la grazie e la potenza del Cristo, che Egli pose su San Giovanni, rappresentante qui la persona della Chiesa; cioè Egli pose la sua destra sulla sua Chiesa ed i suoi membri, dicendo: Non temete; come per dire: Non abbiate timore, poiché voi dovete subire orribili persecuzioni e traversare il torrente del sangue dei martiri, torrente che è piaciuto al Padre da tutta l’eternità che io bevessi per la gloria dei suoi eletti; perciò ho posto la mia mano destra su di voi, cioè la mia grazia. – La mia destra, cioè il mio potere, che non permetterà mai che vi si imponga al di là di ciò che possiate fare e sopportare. La mia destra, perché io sarò con voi in tutte le vostre tribolazioni, fino alla consumazione dei secoli.

XXIII. Vers. 18. – Io sono il primo e l’ultimo; Io sono Colui che vive; io ero morto ma sono vivente nei secoli dei secoli. Con queste parole eccita la Chiesa e noialtri che ne siamo i membri, con il suo esempio, il più ammirevole possibile, a sopportare tutti i mali; e ci conforta dicendo: Io sono il primo. Cioè Io sono Dio ed il principio di tutte le creature; e tuttavia, Io sono l’ultimo dei viventi. (Isa., LIII, 2): «Noi l’abbiamo visto, e non aveva nulla che attirasse lo sguardo, e lo abbiamo misconosciuto. Ci è sembrato un oggetto di disprezzo, l’ultimo degli uomini, un uomo di dolore, che da ciò che cos’è soffrire. Il suo viso era come nascosto. Sembrava disprezzabile e non lo abbiamo riconosciuto. Egli ha preso i nostri languori su di Lui, e si è caricato dei nostri dolori. Lo abbiamo considerato come un lebbroso, come un uomo colpito da Dio ed umiliato. Eppure è stato trafitto da ferite per le nostre iniquità, è stato annientato per i nostri crimini. Il castigo che dovrebbe darci la pace si è abbattuto su di lui, e siamo stati guariti dalle sue piaghe. » – Io sono colui che vive: Io ero morto; intendendo con queste parole: “Ecco, io sono morto davvero sulla croce, e sono stato deposto in una tomba; disperavano della mia vita e della mia resurrezione; eppure io sono veramente risorto e Io vivo, Io che ero morto. Ed ecco, Io sono vivo nei secoli dei secoli. Con queste parole, Nostro Signore Gesù Cristo ci mostra l’immortalità, e vuole convincerci e persuadere le nostre anime a sopportare morte pure con amore, dicendoci: Eccomi qui, Io, che ho sofferto un po’, sono vivo nei secoli dei secoli; cioè sono eternamente immortale e immutabile, secondo questa parola di Romani (VI:10): « Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. » È in considerazione dell’immortalità che i santi Martiri e le vergini delicate vinsero e sopportarono con pazienza tutti i tormenti e tutte le tentazioni del secolo.

XXIV.E ho le chiavi della morte e dell’inferno. Le chiavi significano la potenza. Ho le chiavi della morte: testimonia il profeta Osea, (XIII, 14): « Morte, io sarò la tua morte. » E altrove il Signore dice anche: « La morte consegnerà i suoi morti al mio comando, al suono della tromba. Essa li renderà vivi, ecc. …. Alzatevi, morti, ecc. …. Venite al giudizio. » Farò in modo che la morte dei fedeli sia preziosi agli occhi del Signore, qualunque ne sia il genere. Ho le chiavi… dell’inferno. Vale a dire, il potere sul demone che, come il leone ruggente, gira intorno a noi, cercando di divorarci; e a cui dobbiamo resistere, forti della fede. – Dell’inferno, cioè del principe di questo mondo, sia dei suoi ministri e membri che cercano con tutti i mezzi possibili di ridurvi in loro potere e portarvi via da me con innumerevoli tormenti. Ma questo principe è già stato respinto, ed è per questo che voi non dovete temere i suoi ministri. Questo è ciò che Gesù Cristo ci dice ancora in San Luca, (XII, 4): « Non temete quelli che uccidono il corpo ….. temete colui che, dopo aver tolto la vita, ha il potere di gettare nell’inferno. » Della morte e dell’inferno, perché quando quelli che sono i ministri del diavolo avranno perseguitato abbastanza, la morte li farà a pezzi per mio ordine e l’inferno li inghiottirà vivi. Non perseguiteranno contro la mia volontà, perché non permetterò che siate tentati oltre le vostre forze e renderò meritorie le vostre tentazioni. Chi ha la chiave della casa vi fa entrare chi vuole e ne esclude anche chi vuole.

Vers. 19. Scrivi dunque le cose hai viste, cioè, i mali passati che ti ho rivelato, quelli presenti o imminenti; e quelli che, per permesso di Dio, sono già cominciati o stanno per arrivare per provare la Chiesa; e quelli che devono arrivare in seguito, per provare la Chiesa. I mali che devono seguire o che arriveranno alla fine dei tempi, affinché con gli esempi di pazienza e di forza invincibile dei primi perseguitati, e di quelli che li seguiranno, e gli ultimi fedeli siano sufficientemente incoraggiati.

Vers. 20. Ecco il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia mano destra, e dei sette candelabri d’oro. Vale a dire, ecco il mistero che Egli ci espone e ci insegna come con la proprietà delle cose e delle parole, e con le allegorie dobbiamo comprendere ed interpretare le altre cose. Con i sette Angeli si comprende dunque l’universalità dei vescovi che esisteranno nelle sette età della Chiesa. – I sette candelabri ci fanno comprendere le sette età venture della Chiesa nel corso delle quali sarà consumato il secolo, tutto sarà ridotto in rovine; e la testa di colui che ha dominato il mondo sarà schiacciata. Le sette stelle sono i sette Angeli delle sette Chiese, e i sette candelabri sono le sette Chiese. San Giovanni descrive tutte queste cose nel seguito.

SEZIONE II.

SUL CAPITOLO II.

LE QUATTRO PRIME ERE DELLA CHIESA MILITANTE.

§ 1.

La prima era della Chiesa militante, che si può chiamare l’era della semina (seminativus), da Gesù Cristo e gli Apostoli, fino a Nerone.

Cap. II. Vers. 1-7.

CAPITOLO II – VERSETTO 1.

I. All’angelo della Chiesa di Efeso scrivi: “Questo è ciò che dice colui che tiene le sette stelle nella sua mano destra, che cammina tra i sette candelabri d’oro: Le sette Chiese a cui si rivolge San Giovanni sono, come è stato detto, il tipo sotto il quale sono descritte le sette età della Chiesa Cattolica, in vari momenti del futuro; perché è di proposito che egli aggiunge: … E mi voltai… e vidi sette candelabri; cioè, sette stati futuri della Chiesa. È a queste età che si riferiscono i sette giorni del Signore quando creò il mondo; come anche le sette età del mondo, e i sette spiriti o doni del Signore inviati il giorno di Pentecoste. Il Signore mandò il giorno di Pentecoste su ogni carne. Perché come il Signore nostro Dio ha chiuso il corso di tutte le generazioni e delle cose naturali in sette giorni e sette età, così consumerà la rigenerazione nelle sette età della Chiesa, in ognuna delle quali diffonderà, germoglierà e farà fiorirà nuovi tipi di grazie allo scopo principale di mostrare le ricchezze della sua gloria, come vedremo in seguito. Infatti, sebbene la Chiesa di Gesù Cristo sia una, è tuttavia divisa in sette età, a causa dei grandi eventi che si susseguiranno in essa in tempi diversi, fino alla consumazione dei secoli, per permesso divino. Ogni epoca che segue un’altra è solita iniziare prima della fine della precedente: e mentre la prima si spegne gradualmente, la seconda comincia a svilupparsi successivamente. Ed è con questo mezzo che possiamo distinguere le varie età.

II. La prima età della Chiesa è l’età della semina, dal latino (seminativus); è l’età in cui la destra di Dio piantò la sua vigna sul Figlio dell’Uomo Gesù Cristo. Jo. XV, 1: « Il Padre mio è un vignaiolo. » Questa epoca comprende il tempo che va da Gesù Cristo e gli Apostoli fino a Nerone, il primo persecutore della Chiesa, e a Lino, il suo sovrano Pontefice. Fu in questa prima epoca che il demonio fu sconfitto negli idoli, e che gli uomini passarono dalle tenebre del paganesimo alla luce e alla verità della fede: poiché la luce della Sapienza eterna venne nel mondo e illuminò le menti degli uomini per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, e attraverso gli Apostoli che Egli scelse a questo scopo. In quest’epoca fu seminato il seme di senape, cioè la parola di Dio fu predicata in tutto il mondo e seminata sulla terra. Atti XIII, 49: « E la parola di Dio andò per tutto il paese. » Poiché gli Apostoli partirono per spargere il buon seme nel campo di Gesù Cristo, e questo grano si elevò sopra tutte le altre piante. È a questo primo stato o età della Chiesa che si applicano le due parabole del seminatore. Matth. XIII. È anche a questa prima età che si riferisce il primo dono del Signore; cioè il dono della sapienza celeste che è la vera fede in Gesù Cristo, con cui contempliamo i beni della gloria futura, come in uno specchio e come in un enigma, e con cui disprezziamo anche tutte le cose deperibili di questo mondo. Perciò è detto, Isai, XI, 1: « E un germoglio uscirà dal tronco di Iesse, un fiore sorgerà dalle sue radici. E lo spirito del Signore si poserà su di lui: lo spirito di saggezza e di comprensione, ecc. »

III. Il primo giorno della creazione fu la figura di questa prima età della Chiesa; quando lo Spirito del Signore si posò sulle acque; Dio creò la luce e la separò dalle tenebre. Perché fu nella prima epoca della Chiesa che nacque e venne Gesù Cristo, la vera luce, che illuminava il mondo, nel quale c’erano solo tenebre; Egli divise la luce della fede dall’ombra e dalle tenebre della sinagoga e dagli errori del paganesimo. Un tipo di questa prima epoca fu anche la prima epoca del mondo da Adamo a Noè; perché fu in questa prima epoca che Abele fu ucciso da Caino, e Seth fu sostituito a questo primo figlio; e così la generazione fratricida di Caino fu separata dalla generazione dei figli di Dio. Questa prima età del mondo fu, inoltre, il tempo della generazione e della propagazione della razza umana secondo la carne. Ora troviamo nella prima età della Chiesa la realizzazione di queste figure: perché Cristo fu messo a morte dalla sinagoga, e la sinagoga fu così separata dal Figlio di Dio; e al suo posto fu istituita la santa Chiesa secondo la promessa in Gesù Cristo. Inoltre, questa prima epoca fu anche il tempo della rigenerazione e della propagazione della razza umana secondo lo spirito, attraverso Gesù Cristo, il Padre comune di tutti, di cui Adamo era la figura. Infine, il tipo di quest’epoca era la Chiesa di Efeso. Infatti, la parola Efeso significa consiglio; la mia volontà; e grande caduta; e queste tre diverse interpretazioni sono appropriate alla prima età della Chiesa. Infatti, gli Apostoli e i primi Cristiani erano molto Santi, non avendo che un cuore solo ed una anima sola, facendo la volontà del Padre e del suo Cristo.  – Questi grandi Santi cominciarono subito ad osservare i consigli evangelici di povertà, umiltà, obbedienza, continenza e disprezzo di tutte le cose del mondo; e fin da quella prima età superarono il mondo, la carne ed il diavolo con questa santa osservanza, e così raggiunsero il regno; e perché la sinagoga, rifiutando lo scandalo che incontrava nel predicare il nome di Gesù, come dice San Paolo in I Corinzi, I, 23: « Perché noi predichiamo Gesù Cristo crocifisso, uno scandalo per i Giudei, ecc. » La diffusione del Vangelo fu dunque l’occasione di una grande caduta e rovina di questa Sinagoga, che fu ricacciata dalla faccia di Dio nelle tenebre esteriori; e così la nascita della Chiesa fu la morte della Sinagoga.

IV. Scrivi all’Angelo della Chiesa di Efeso. I sacerdoti sono chiamati Angeli in Malachia, II, 7: « Le labbra del sacerdote saranno le depositarie della conoscenza, e dalla sua bocca si cercherà la conoscenza della legge, perché egli è l’angelo del Signore degli eserciti. » L’angelo di Efeso è il suo stesso vescovo Timoteo e i suoi successori. I Vescovi sono chiamati angeli a causa del loro ufficio episcopale e pastorale per il quale sono inviati da Dio. Poiché la parola Angelo è interpretata come inviato. Ecco perché i malvagi e coloro che hanno l’abitudine di danneggiare la Chiesa sono chiamati angeli senza distinzione, così come coloro che la edificano. Perché come i buoni sono mandati, così i malvagi sono mandati da Dio per la prova e la maggior gloria dei suoi eletti. Timoteo era un angelo buono e santo che edificava grandemente la Chiesa a lui affidata e la governava in modo santissimo, anche versando il suo prezioso sangue per essa. Così che questo Angelo, e poiché questa prima età è giustamente proposta come regola ed esempio delle altre, San Giovanni non omette nulla nella descrizione che dà di ciò che appartiene al buon governo della Chiesa, come il seguito mostrerà.

V. Questo è ciò che dice colui che ha le sette stelle nella sua mano destra, camminando tra i sette candelabri d’oro. L’eterna Sapienza del Padre, Nostro Signore Gesù Cristo, si è costruito una dimora, cioè una Chiesa, e ha scolpito sette pilastri su cui questa Chiesa è fondata, costruita e posta. Il primo pilastro è la solidità della fede in Gesù Cristo; il secondo, il timore del Signore; il terzo, la fiducia in Dio; il quarto, la presenza di Dio; il quinto, il ministero di Cristo; il sesto, l’assistenza dello Spirito Santo; il settimo, l’amore dello Sposo. Il primo si trova in queste parole del testo: Questo è ciò che dice Cristo, che è la via, la verità e la vita. Queste parole indicano l’autorità infinita, sulla quale siamo molto solidamente fondati, e per la quale la Chiesa, la sposa di Gesù Cristo, deve credere soprattutto nel suo Sposo. Perché questa parola esprime molta enfasi, e i grandi, così come coloro che godono di una certa autorità e credito presso il popolo, hanno l’abitudine di usarla a principio dei loro dei loro editti. Così un re che invia un’ambasciata a una regina lo usa, dicendo: Questo è ciò che dice il re. E allo stesso modo lo Sposo agisce verso la sua Sposa Colui che tiene le sette stelle nella sua mano destra, cioè che ha sotto il suo potere tutti i Vescovi e i prelati della Chiesa, con cui li spezza come un vaso di creta. Ma li preserva anche con la sua grazia, significata dalla sua mano destra, per evitare che falliscano nella via della verità e della giustizia. Da queste parole possiamo dedurre la seconda e la terza colonna, cioè il santo timore del Signore e la perfetta fiducia in Gesù Cristo. Chi sta in piedi, stia attento a non cadere. E chi è caduto, non disperi, confidando nella destra di Gesù Cristo, che solleva i poveri dal loro letamaio. Che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro, cioè in mezzo a tutte le Chiese, come ha promesso in Matteo XXVIII, 20: « Ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo. » – Che cammina in mezzo, che vede e considera tutti i pensieri, le parole e le opere che sono e vengono fatte nella Chiesa. E come Dio camminava in mezzo al paradiso nell’ora del giorno in cui si alzava un vento leggero, (Genesi III, 8); così è detto qui che Nostro Signore Gesù Cristo cammina in mezzo alla sua Chiesa con la sua assistenza, la sua presenza, la sua onnipotenza, la sua conoscenza e il suo amore, come un consolatore in mezzo agli afflitti, un re in mezzo ai suoi sudditi, un sommo sacerdote in mezzo ai suoi ministri, Dio in mezzo alle sue creature, un padre in mezzo ai suoi figli, un guardiano in mezzo ai suoi figli, un maestro in mezzo a tra i suoi figli, un tutore tra i suoi protetti, un ricco tra i poveri, un giudice tra gli oppressi, un medico tra i malati, come un ammiraglio tra le sue navi, un avvocato tra i colpevoli. Da queste parole, si devono fissare gli altri quattro pilastri su cui la Chiesa e tutti noi che ne siamo membri, cioè: la presenza di Dio Onnipotente, Gesù Cristo, che è il quarto pilastro, e se ci concentriamo su di esso, agiamo in tutto e ovunque in modo retto. Poi il ministero dell’altare e del nostro stato (la quinta colonna), che dobbiamo compiere con il più grande timore, riverenza, attenzione e religione; offrendo a lode e gloria di Colui che cammina in mezzo a noi come un ministero di dolce odore. E rallegriamoci e confortiamoci in mezzo alle onde del mare dell’epoca, sul quale viaggiamo nell’ineffabile assistenza dello Spirito Santo (che è la sesta colonna), dicendo: Tu non ci lascerai orfani, o Signore! Infine, rallegriamoci nell’amore (settima colonna) per il nostro amato consolatore, Gesù Cristo, nostro Re e Sommo Sacerdote, nostro Giudice e Padre, nostro guardiano e protettore, nostro amico e nostro medico, il nostro Conduttore e il nostro governatore, il nostro avvocato e il nostro amato sposo.

VI. Avendo posto questo fondamento della sua Chiesa, Dio ci prescrive la forma della correzione fraterna, che, sebbene necessaria nella Chiesa di Dio, deve essere discreta. Ora, questa qualità richiede: 1° una superiorità nella persona. 2°. che questo superiore sia un buon dottore, che conosca le buone qualità così come i difetti di coloro che vuole correggere, e che goda di autorità, rispetto e amore nei loro confronti. E tutto questo è contenuto in queste parole: “Questo è ciò che dice colui che tiene le sette stelle nella sua mano destra, che cammina tra i sette candelabri d’oro: Io conosco le tue opere. 3°. Come un medico prudente non dà al suo paziente una dose pura di assenzio o di rabarbaro, ma la mescola con vino, manna, zucchero, o qualche altro additivo piacevole; così un prelato che desidera ottenere un risultato favorevole nella correzione fraterna, non dovrebbe immediatamente rivolgersi al peccatore con un rimprovero amaro (come l’assenzio), ma dovrebbe addolcire il suo rimprovero parlando prima in modo vantaggioso del bene che scopre in lui, e poi, nel concludere il suo rimprovero, aggiungere qualche incoraggiamento che possa alleggerire la sua coscienza, parlando ad esempio dell’occasione della caduta del peccatore, della sua causa, ecc. e insegnandogli la distinzione tra bene e male. Ecco perché troviamo nel testo queste parole:

VERS . 2 e 3. Io conosco le tue opere, il tuo lavoro e la tua pazienza, e so che tu non puoi sopportare gli empi; tu hai provato quelli che dicono di essere apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi; tu sei paziente, hai sofferto per amore del mio nome e non ti sei scoraggiato. Questa è la lode. …

Vers. 4. Ma io ho contro di te il fatto che sei caduto dal tuo primo amore. Questo è il rimprovero!

VERS. 6 . – Ma tu hai dalla tua che odi le azioni dei Nicolaiti, come le odio io. Questa è la consolazione nell’ammonizione. La causa e l’occasione, che fecero raffreddare la carità reciproca alla fine di questa prima età della Chiesa, furono i dogmi perversi di Nicola, Cerinto, Ebione, Simon Mago e di altri eretici che sorgevano tra i Cristiani. Infatti, ogni volta che si discute la verità della dottrina, le menti anche dei più devoti concepiscono un certo zelo per l’assurdità e la malizia degli errori. Ora lo zelo eccita il fuoco dell’emulazione, l’emulazione fa nascere il risentimento; e così si spegne a poco a poco la carità, quella carità dei Cristiani che fa desiderare e volere il bene anche dei nemici. Qui, dunque, Gesù Cristo corregge la sua Chiesa e le mostra la causa e l’occasione della sua caduta. Le fa discernere il bene dal male con queste parole: Ma tu hai per te stesso l’odiare le azioni dei Nicolaiti. È come se dicesse: « È giusto che tu odi le azioni dei Nicolaiti, come le odio io; ma è sbagliato che abbandoni la carità che dovresti avere per le loro anime, per le quali sono sceso dal cielo, mi sono incarnato ed ho sofferto la morte. Come un buon medico prescrive una dieta adatta al suo paziente per ristabilirne la salute, così un prelato prescrive la penitenza ed i rimedi necessari per cancellare la macchia del peccato, in modo che i suoi inferiori, che hanno avuto la sfortuna di cadere, possano recuperare la loro prima perfezione di vita, ed evitare qualsiasi ricaduta in futuro. Ora questo antidoto si trova nelle seguenti parole:

Vers. 5. – Ricordati, dunque, da dove sei caduto, fai penitenza e agisci come facevi prima. Infine, affinché il paziente osservi la dieta prescritta, il medico lo minaccia di morte e lo incoraggia con la speranza di guarigione. Così un buon prelato, nella correzione dei vizi, propone sia la punizione che la ricompensa. Il primo si trova nelle parole del quinto verso. In caso contrario, verrò presto ad avvertirti; e se non farai penitenza, porterò la tua luce in un altro luogo.

Vers. 7. – Io concederò al vincitore di mangiare dal frutto dell’albero della vita, che è nel Paradiso del mio Dio.

VII. In ogni regno ben organizzato ci sono nove condizioni che lo rendono felice, santo e giusto: – a. L’osservanza delle leggi. – b. Un lavoro sostenuto a beneficio di tutti. – c. La sopportazione dei mali per il bene pubblico. – d. La spada della giustizia. – e. Una polizia vigile contro i malfattori. – f. Il discernimento del bene e del male. – g. Il coraggio nei contrattempi e nelle avversità. – h. La longanimità nelle cose ben iniziate. – i. Infine la perseveranza nelle cose oneste. Ora, tutte queste condizioni si devono trovare nel regno di Dio sulla terra. È soprattutto a causa di queste condizioni che Gesù Cristo loda la prima epoca della sua Chiesa; e sono proprio queste le condizioni che propone come regola di condotta. La prima si trova qui: Conosco le sue opere! Questo è il modo di parlare dei grandi, i quali, quando vogliono lodare o biasimare i loro servi, sono soliti dire: I vostri servizi ci sono noti, e non ignoriamo la vostra fedeltà, i vostri buoni consigli, ecc. Allo stesso modo Gesù Cristo loda la prima epoca della Chiesa per le sue buone opere, per aver respinto la falsa giustizia dei farisei, il giogo della legge di Mosè e l’impudenza dei gentili, e la loda ancora per la sua osservanza della legge perfetta del Vangelo, per l’onore che rende al suo legislatore, per la sua fedeltà nell’onorarlo e per la sua gratitudine nel servirlo. Questa, dunque, è la prima condizione che si trova in ogni regno ben organizzato: l’osservanza delle leggi. Quando le leggi non sono ben osservate in un paese, esso è vicino alla rovina, perché il risultato è solo il disprezzo del legislatore. – La seconda condizione è che la parola di Dio e il Vangelo di Gesù Cristo siano seminati e propagati. E questo è ciò che la Chiesa fece nella sua prima epoca, agendo con ardore come un soldato coraggioso, un buon agricoltore, un vero pastore e un abile operaio: Tim. II – a. Come un soldato; poiché gli Apostoli e i loro successori hanno combattuto giorno e notte con un lavoro instancabile contro la carne, il mondo ed il diavolo. – b. Come un agricoltore, poiché è scritto, Ps., CXXV, 7: “Uscivano piangendo, gettando il seme. Ma torneranno con gioia, portando i covoni del loro raccolto.” – c. Come un pastore; poiché essi conducevano le loro pecore, che erano Giudei e gentili, alle acque della vita battesimale; e le nutrivano tutto il giorno, cioè fino alla morte, con salutari ammonizioni della loro dottrina e dei loro santi esempi. d. Infine, come un operaio; perché hanno lavorato come operai nella vigna del Signore per costruire la Chiesa. Inoltre, lavoravano con le proprie mani per provvedere a se stessi e agli altri le necessità della vita, secondo San Paolo (I. Cor. IV, 12). E tutto questo solo per la salvezza comune di tutti.: « Io soffro per Gesù Cristo fino ad essere in catene come un criminale, ma la parola di Dio non è incatenata. Soffro ogni cosa per il bene degli eletti, affinché ottengano, come noi, la salvezza che è in Cristo Gesù, con la gloria del cielo. » (II. Tim, II, 9). La terza condizione è indicata in queste parole: e la vostra pazienza nelle avversità; la quale pazienza è necessaria per tutti i soldati di Gesù Cristo, per i buoni agricoltori e per i pastori di anime, così come è necessaria ai soldati, ai pastori ed agli agricoltori nelle cose temporali, per poter sopportare le fatiche, le avversità, le tentazioni e tutte le tribolazioni che sono solite assalire tutti coloro che desiderano vivere piamente nel Signore. E fu così che i primi fondatori della Chiesa Cattolica si comportarono in modo ammirevole, dandoci l’esempio, conducendo una vita errante, coperti di pelli di pecora e di capra, in mezzo a insulti e fustigazioni; gettati in catene e prigioni; privi di tutto, afflitti, abbandonati, perseguitati, ecc. E hanno sopportato tutte queste cose, a imitazione del loro capo Gesù Cristo, per la salvezza comune della società cristiana. La pazienza è sempre stata necessaria nella Chiesa, affinché i fedeli di Gesù Cristo fossero padroni di se stessi. E so che tu non puoi sopportare i malvagi nel comunicare con essi: queste parole designano la spada della giustizia, o lo zelo e l’ardore con cui gli Apostoli e i loro successori hanno sempre fatto guerra ai falsi Cristiani, correggendo i loro vizi senza nasconderli, ed escludendoli dalla Chiesa di Dio se li trovassero ostinati nelle loro false dottrine, come si vede in San Paolo, (I. Timot., I, 20): « Di questo numero fanno parte Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a satana. » Ora questo zelo è così necessario in ogni governo politico e religioso che, senza di esso, i membri e il corpo diventano corrotti. Infatti, appena i vizi sono dissimulati e non castigati, si pecca impunemente e i crimini si moltiplicano come un torrente che inonda il corpo e lo perdono, corrompendolo successivamente; e questo a tal punto che non si sa dove trovare un rimedio. – Quinta condizione: poiché la spada dell’anatema e lo zelo della giustizia sono strumenti ciechi, è necessario che siano diretti da una sufficiente conoscenza dei mali. Così, in ogni regno ben organizzato, il principe deve avvalersi di una forza di polizia vigile che sorvegli tutti i suoi sudditi, anche quelli da cui pensa di avere meno da temere, per seguire le orme dei malvagi e scrutare le loro azioni. Ora questo è ciò che si intende con queste parole: Avete messo alla prova coloro che si chiamano apostoli e non lo sono. Cioè, avete messo alla prova ed esaminato coloro che, a causa della loro vita e della loro dottrina, si vantavano di essere mandati da Gesù Cristo e dagli Apostoli, e di avere lo Spirito di Dio per insegnare al popolo; ma non erano apostoli, bensì confondevano i fedeli, come Ebione, Cerinto, Menandro, Nicolas, Simone il mago ed altri eretici, sorti in Asia in quel tempo. Tali erano anche i falsi apostoli che, sotto San Pietro e San Giacomo, sostenevano di essere stati inviati dagli Apostoli a Gerusalemme e vi insegnavano, sotto questo falso titolo, che l’osservanza delle leggi di Mosè, insieme a quella del Vangelo, era necessaria per la salvezza, come si vede in diversi passi delle Epistole di San Paolo. – Sesta condizione: Il principe prudente e giusto, dopo aver riconosciuto con un esame sufficiente la malizia e la falsità di qualcuno, deve giudicarlo e condannarlo. Questo si vede nelle parole: E li hai trovati bugiardi, non solo nel loro insegnamento ma anche nelle loro azioni, perché fingevano di essere giusti esteriormente per ingannare più facilmente i buoni. – Per questo motivo la Chiesa rigettò questi eretici dal suo seno, e qui si dice che, trovandoli bugiardi, pronunciò una sentenza di anatema dalla cattedra di San Pietro, e dichiarò che nessuno di loro aveva ricevuto una missione da Dio, da Gesù Cristo o dagli Apostoli, e che non insegnavano la vera dottrina, né provavano con fatti veri che la giustizia legale è necessaria per la salvezza. – Settimo: Accade talvolta che i malvagi resistano alla spada della giustizia e della verità con la ribellione, la persecuzione e altri mezzi di resistenza. Infatti, la Chiesa, nella sua origine, ha dovuto sopportare molte avversità e tribolazioni nelle sue membra per mano degli eretici che sorgevano a quel tempo, e ha sopportato tutto con il più grande coraggio, sostenendo e mantenendo le cose necessarie alla salvezza con sentenze di giustizia e verità. Ora è questa forza della Chiesa che viene lodata in queste parole: Tu sei paziente. – Ottavo: Ma poiché alcune avversità sono di lunga durata, o per permesso di Dio o a causa dell’iniquità dei malvagi, la forza del principe deve essere sostenuta dalla sua longanimità, in modo che possa essere in grado di resistere contro qualsiasi avversità che le si presentasse in qualsiasi momento per amore della giustizia e della verità. Per questo la Chiesa primitiva viene lodata con le parole: « E avete sofferto per amore del mio nome ». Queste parole esprimono la causa e la conseguenza di queste sofferenze, cioè la gloria del nome di Gesù Cristo, che gli eretici e i Giudei bestemmiavano negando la Sua Divinità e Umanità, la Sua venuta e le Sue opere, come vediamo nelle epistole di San Paolo. – Nona condizione: Infine, poiché ci sono alcuni mali e avversità che non possono essere completamente sradicati, il principe deve essere perseverante nella giustizia e nella verità. Ora è soprattutto nella Chiesa di Dio, dove i problemi cresceranno con il buon grano fino al giorno della raccolta, e dove ci saranno continue eresie, che il prelato deve essere perseverante in tutte le avversità, lavorando sempre per vincere il male col bene, appena sia entrato. Questa, dunque, è la regola che viene qui lodata e proposta alla Chiesa universale con queste parole: E non vi siete scoraggiati.

VIII. Dopo la lode e l’enumerazione delle buone qualità, segue il rimprovero dei difetti.

Vers. 4. – Ma io ho contro di voi il fatto che siete caduti dalla vostra prima carità. Ogni istituzione sulla terra, per quanto santa e ben ordinata possa essere, è destinata ad appassire e a cadere a causa dei difetti quotidiani e della fragilità dei suoi membri. Questo è ciò che accadde nella prima epoca della Chiesa descritta sotto il titolo della Chiesa di Efeso. – Essa abbandonò la sua prima carità. La prima carità dei Cristiani consisteva nell’unione perfetta e nella comunità dei beni. (Atti IV, 32): « La moltitudine di coloro che credevano era di un cuore solo e di un’anima sola, e nessuno considerava suo ciò che possedeva, ma tutte le cose erano comuni a loro. » Questa primitiva carità dei Cristiani consisteva anche in opere di carità e di misericordia, poiché erano soliti sostenere i loro poveri con fervore e devozione, e mandare elemosine ai fedeli che vivevano a Gerusalemme e altrove, e che avevano venduto i loro beni per sostenere i fedeli, o che ne erano stati derubati per la fede di Gesù Cristo (Atti IV, 34): « Nessuno era povero tra loro, perché tutti coloro che possedevano campi o case li vendevano e portavano il prezzo di ciò che veniva venduto. E lo deponevano ai piedi degli Apostoli, e fu distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. » Ora questa prima carità si raffreddò dopo la morte degli Apostoli e di Timoteo, Vescovo di Efeso. Infatti, dopo sorsero gradualmente degli empi e dei falsi fratelli che trasformarono questa carità in amarezza, appropriandosi fraudolentemente di questi beni, dissipandoli, ingannando il popolo e insegnando loro cose perverse. È un’esperienza tanto frequente quanto deplorevole vedere la carità raffreddarsi nelle discussioni che sorgono sui dogmi della fede, e negli intrighi che si fanno per le nomine a Vescovi, a cattedre, prelature e prebende.

IX. Dopo questo rimprovero, segue una salutare ammonizione sulla riforma di vita, così come sul modo di fare questa riforma. Questo modo consiste in tre cose: – a. Conoscere la propria colpa od omissione e riflettere su ciò che ne è stata l’occasione. – b. Fare delle opere di penitenza. – c. Infine, ritornare al proprio stato primario. Questo è ciò che vedremo più avanti.

Vers. 5. Ricordati, dunque, da dove sei caduto. Cioè, riconosci la tua colpa, ricordati delle tue prime opere e quanto ti sia allontanato dalla perfezione e dal fervore. Fa’ qualche ricerca riflettendo su ciò che è stata l’occasione della tua caduta e su ciò che ti ha fatto abbandonare la carità. E fa’ penitenza per la perdita di un bene così grande; e correggiti con prudenza, evitando le occasioni che fecero diminuire questa carità in te.

Agisci come agivi in passato, cioè torna al tuo primo stato, riprendi il vostro primo fervore, ricomincia le tue prime opere di misericordia, il tuo primo amore, la tua primitiva unione; e impara a superare nel bene i mali degli eretici e dei falsi fratelli che ti hanno fatto abbandonare la semplicità della carità. In caso contrario, verrò presto ad avvertirti, e se non farai penitenza… porterò la tua luce in un altro luogo. Con queste parole esprime la comminazione della pena che è richiesta anche sotto forma di correzione fraterna. Altrimenti, se non ti correggi nel modo indicato, verrò presto ad avvertirti; il testo latino dice al presente, vengo (venio), per far capire alla Chiesa che la vendetta divina è sempre pronta ed anche presente, ed arriva nel momento in cui meno ci pensiamo. E se non fai penitenza, porterò la tua luce in un altro luogo. Aggiunge qui il tipo di pena e di punizione, che indica al futuro, per farci capire la longanimità di Dio nell’attendere la nostra penitenza, e per mostrarci i castighi che ci minacciano da lontano e a lungo, fino a quando infine la nostra prevaricazione, portata al suo colmo, farà esplodere la sua ira. E io porterò la tua luce in un altro luogo; cioè, Io permetterò delle tribolazioni, delle guerre, delle eresie e dei tiranni che toglieranno dal suo posto la Chiesa che vi è stata affidata, o che la priveranno della sua dignità e del suo riposo. Questo è in effetti, ciò che fece più tardi con i dieci tiranni che agitarono e scossero così terribilmente la Chiesa che così raggiunse una grande perfezione ed una grande carità: ne sono testimoni i milioni di martiri di entrambi i sessi che sono morti per amore di Gesù. – Io rimuoverò il vostro candelabro dal suo posto, il tuo Episcopato, le tue ricchezze, le tue dignità e la tua Chiesa dal luogo dove si trova ora, se ti rifiuti di pentirti dei peccati che ti sono noti, e di farne penitenza. È così che Egli agisce nei confronti della Chiesa greca, dell’Inghilterra, della Terra Santa e della Germania; questo è ciò che ha cominciato a fare e che continuerà a fare in futuro nei confronti della Chiesa latina e di tutto l’Occidente, se non facciamo penitenza.

Vers. 6. – Ma tu hai dalla tua parte, che odi le azioni dei Nicolaiti, proprio come le odio Io. Con queste parole addolcisce la prima reprimenda, così che, secondo l’usanza del buon samaritano, l’olio ammorbidente fosse mescolato con il vino della mortificazione. Ma tu hai di buono e degno di raccomandazione, di odiare le azioni dei Nicolaiti, cioè la fornicazione e l’uso comune delle donne. Poi Egli aggiunge il modo giusto e la misura dell’odiare, che raccomanda alla sua Chiesa secondo il suo esempio, dicendo: odiare le azioni dei Nicolaiti, come Io stesso le odio. Intende e insinua tacitamente che non dobbiamo mai odiare le persone, per quanto cattive possano essere; ma solo le loro azioni malvagie, per la loro salvezza e dell’onore che è dovuto a Dio, secondo l’esempio di Gesù Cristo, che odia il peccato al di sopra di ogni cosa, e tuttavia ama così tanto la persona del peccatore, che è sceso dal cielo per morire tra due ladroni e cancellare i nostri peccati. – In terzo luogo, insegna alla sua Chiesa quale fu l’occasione che le fece abbandonare la sua prima carità: perché, non distinguendo bene le persone ed i loro atti, essa perse l’affetto ed il fervore della carità verso di loro. Per questo anche la scusa per il suo delitto; e come un medico ben prudente, addolcisce il suo rimprovero con queste parole: Ma tu odi le azioni dei Nicolaiti; Io stesso le odio.

X.- Vers. 7. Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Questo è un modo di parlare che significa la difficoltà di fare qualcosa, o l’elevazione dei misteri che devono compiersi nella Chiesa, mentre nel contempo, ci fa conoscere la fragilità della nostra carne e la corruzione della nostra intelligenza; volendo farci capire che tutto ciò che è scritto in questo libro dell’Apocalisse contiene la sapienza, e che c’è una grande difficoltà a capirlo. È allo stesso modo che Gesù Cristo, raccomandando alla sua Chiesa la continenza come una cosa difficile, dice, (Matth. XIX, 12): « Chi può intendere, intenda. ». Io darò a colui che vince di mangiare del frutto dell’albero della vita, che è nel paradiso del mio Dio. Con queste parole aggiunge il premio, e assegna la ricompensa, per invitare più efficacemente la sua Chiesa alla penitenza. Egli vuole dire al vincitore, « al vincitore sulle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo … : » gli darò da mangiare del frutto dell’albero della vita; gli darò di godere della bontà di Gesù Cristo, che è il vero albero della vita, di cui l’albero della vita nel paradiso terrestre era la figura. Mangiare del frutto dell’albero della vita: cioè godere della visione felice e beatifica con l’immortalità. Perché l’albero della vita significa metaforicamente l’immortalità (Gen. III) che è nel paradiso del mio Dio, cioè nel paradiso celeste; vale a dire, nella celeste patria preparata per tutti coloro che hanno combattuto legittimamente.: « Chi combatte nei giochi pubblici è incoronato solo dopo avendo combattuto valorosamente. » (II. Tim, II, 5).

§ II

La seconda età della Chiesa militante, chiamate età d’irrigazione (dal latino irrigativus); comprendente il tempo delle dieci persecuzioni, fino a Costantino Magno.

CAPITOLO II. – VERSETTI 8-11

Et angelo Smyrnæ ecclesiæ scribe: Hæc dicit primus, et novissimus, qui fuit mortuus, et vivit: Scio tribulationem tuam, et paupertatem tuam, sed dives es: et blasphemaris ab his, qui se dicunt Judæos esse, et non sunt, sed sunt synagoga Satanae. Nihil horum timeas quæ passurus es. Ecce missurus est diabolus aliquos ex vobis in carcerem ut tentemini: et habebitis tribulationem diebus decem. Esto fidelis usque ad mortem, et dabo tibi coronam vitæ. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis: Qui vicerit, non lædetur a morte secunda.

[E all’Angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, il quale fu morto, e vive: So la tua tribolazione e la tua povertà, ma sei ricco: e sei bestemmiato da quelli che si dicono Giudei, e non lo sono, ma sono una sinagoga di satana. Non temere nulla di ciò che sei per patire. Ecco che il diavolo caccerà in prigione alcuni di voi, perché siate provati: e sarete tribolati per dieci giorni. Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita. Chi ha orecchio, ascolti quel che lo Spirito dica alle Chiese: Chi sarà vincitore, non sarà offeso dalla seconda morte.]

I. E all’Angelo della chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice colui che è il primo e l’ultimo, che era morto ed è vivo: Io conosco la tua afflizione e la tua povertà; ma tu sei ricco e sei calunniato da coloro che dicono di essere ebrei e non lo sono, ma formano la sinagoga di satana. Non abbiate paura di ciò che dovrete soffrire. Il diavolo metterà presto alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e dovrete soffrire per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita. Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: Chi sarà vittorioso non soffrirà la seconda morte, ecc. – La seconda età della Chiesa è chiamata età dell’irrigazione (irrigativus). Infatti, la Chiesa del Signore è una vite che nutre tanti tralci quanti sono i santi che produce. Questa vite, piantata nella prima epoca da Gesù Cristo e dagli Apostoli, fu innaffiata nella seconda da un torrente di sangue dei Martiri, che fu come una fontana che sorge dalla terra e innaffia tutta la superficie della Chiesa. Questo spargimento di sangue dei Cristiani durò dieci giorni, cioè avvenne durante i dieci regni dei principali tiranni della terra, che il diavolo sollevò contro il Cristianesimo, cercando di distruggere ed estinguere la fede di Gesù con questo mezzo, fede di Gesù Cristo, che non aveva potuto impedire con la gelosia dei Giudei. Dio permise queste lunghe e terribili persecuzioni per la maggior gloria dei suoi soldati scelti, e per rafforzare meglio la verità della fede cattolica, che rimase pura nonostante queste orribili persecuzioni. Essa fu addirittura elevata e nobilitata dalla crescita che stava procedendo ogni giorno. Allora Dio permise queste persecuzioni per suscitare la Chiesa alla carità perfetta, che, al tempo dei Martiri, era davvero perfetta, come si vede da quanto detto sopra. È a questa età della Chiesa che si riferisce la parabola di San Giovanni: « Se il chicco di grano non muore dopo essere stato gettato in terra, rimane solo, ma quando è morto, porta molto frutto. » (Joan. XII, 24). È anche a quest’epoca che si riferisce il Salmo CIX, 8: « Lungo il cammino si disseta al torrente, perciò solleva alta la testa. » Questo significa che il Padre celeste ha voluto che noi bevessimo dal torrente di sangue dei Martiri sulla via di questa vita presente, ed è per dare un esempio ai suoi Soldati, che ha esaltato suo Figlio Gesù Cristo, il loro capo, sulla croce!

II. È a quest’epoca che si applica il secondo Spirito o dono del Signore, cioè lo Spirito di Fortezza e di pazienza invincibile nelle difficoltà e nelle avversità. Ed è con questo scudo che i Santi di Dio di entrambi i sessi hanno superato il mondo ed hanno raggiunto il Regno celeste. Questa seconda era è anche rappresentata dal secondo giorno della creazione, quando Dio stabilì il firmamento in mezzo alle acque. Questo firmamento rappresenta la fermezza e la forza dei Martiri, che Dio ha posto in mezzo alle acque di tutte le tribolazioni che non potevano spegnere la loro carità. Poi, come nel secondo giorno della creazione, il firmamento fu posto nel cielo; allo stesso modo, nella seconda epoca, la Chiesa, che è rappresentata dal cielo, fu stabilita molto saldamente sulla testimonianza dei Martiri, che è come il fondamento della Chiesa. È ancora a questa seconda età della Chiesa che si diporta la seconda epoca del mondo, da dopo Noè fino ad Abramo; perché così come Noè ed i suoi discendenti cominciarono in questa seconda età ad offrire vittime a Dio, così nella seconda epoca ecclesiastica i Cristiani furono indistintamente immolati. L’effusione del loro sangue e la loro morte, offerti in odore di soavità, erano molto preziosi e molto graditi a Dio Padre, che è Egli stesso vittima nel suo Figlio Gesù. Questa epoca di tribolazione e di martirio è quindi descritta sotto lo stato della Chiesa di Smirne. Infatti, la parola Smyrne significa canto e mirra. Ora, questa parola, in entrambi i suoi significati, è appropriata a questa epoca di Martiri: come “cantico”, poiché i Cristiani di entrambi i sessi correvano, per così dire, al martirio esultando di gioia, come vediamo nella storia della Chiesa e negli Atti degli Apostoli: « E se ne andarono pieni di gioia, fuori dal sinedrio, perché erano stati giudicati degni di soffrire un rimprovero per il nome di Gesù. » (Act. V, 41). Le tribolazioni e la morte dei santi Martiri sono anche un inno graditissimo, in cui Dio si diletta, gli Angeli si rallegrano e tutti i Santi lodano il Figlio di Dio. – La parola “mirra” è anche appropriata per questa epoca della Chiesa; perché come la mirra è amara e preserva dalla putrefazione, così le tribolazioni e le persecuzioni sono amare. Esse preservano la Chiesa e i suoi membri dalla putrefazione dei vizi, delle voluttà e del peccato; e rendono robusto il suo corpo mediante la pazienza, la povertà, l’umiltà, il disprezzo di questo mondo, la carità verso Dio e l’amore per i beni futuri. Inoltre, la mirra ha un odore soave, ed è usata nei sacrifici offerti a Dio; e così il sangue dei Martiri e la loro morte hanno un odore molto soave, e sono un sacrificio il cui buon odore sale continuamente alla presenza di Dio.

Vers. 8Scrivi anche all’Angelo della chiesa di Smirne. Nella lettera questo significa: Scrivi al Vescovo della Chiesa di quel luogo, e, sotto questo tipo, a tutti i Vescovi, Pontefici e prelati, e anche a tutti i Cristiani che vivranno in quest’epoca dei Martiri della Chiesa. Queste sono le parole di Colui che è il “primo e l’ultimo”, che è morto ed è vivente. Queste parole devono essere intese nello stesso senso di cui sopra. Sono posti a capo per indicare l’esempio che Gesù Cristo, il Figlio di Dio nostro Re, ci ha dato con le sofferenze che ha dovuto sopportare per entrare nella sua gloria. Allo stesso modo i suoi eletti devono soffrire e morire se vogliono vivere con Lui nell’eternità, e questo è ciò che ha ispirato milioni di Martiri di entrambi i sessi nel seguire coraggiosamente l’esempio del loro Sposo e Re Gesù Cristo. Così grande è l’efficacia dell’esempio di un capo!

Vers. 9Conosco la vostra afflizione e la vostra povertà. Queste due espressioni sono messe qui come due proprietà o segni dello stato dei Martiri. Perché la parola tribolazione contiene molta enfasi, e viene dalla parola latina tribula (una specie di traino, che veniva fatto rotolare sulle spighe di grano, per separare il grano dalla pula, prima dell’uso dei vagli), esprimendo avversità di ogni tipo, persecuzioni, oltraggi, tormenti, inganni, che erano per i Martiri tanti tipi diversi e orribili di morte. La povertà, invece, significa spoliazione dei beni temporali, l’esilio, l’espulsione dalle sedi episcopali, dalla Chiesa, dalla casa paterna, ecc. Ora, questo è ciò che i Santi di Dio hanno sopportato con gioia per amore del loro Sposo Gesù Cristo, dai tiranni che hanno imperversato contro di loro per più di trecento anni, come vediamo nella storia ecclesiastica. Ma voi siete ricchi di tesori spirituali, nei vostri meriti, nelle vostre virtù eroiche, nell’oro della carità, nel ferro della forza, nell’eredità del Regno celeste, o nella gloria eterna che vi è preparata in cielo per aver perso il possesso transitorio dei beni di questo mondo. Voi siete ricchi, perché siete amici di Dio, e i vostri nomi sono scritti nel cielo. Al contrario, i grandi uomini del mondo che vi maltrattano e vi perseguitano sono poveri, perché dopo questa vita di passaggio andranno nei tormenti eterni dove soffriranno orribilmente. E tu sei calunniato da quelli che si chiamano Giudei e non lo sono, ma formano la sinagoga di satana. Per Giudei si intende qui: – a. i resti dei Giudei e della sinagoga dell’Antico Testamento, che furono respinti da Dio e nei quali non c’è salvezza. Per questo aggiunge: Che si chiamano Giudei, cioè eletti, perché sono della razza di Abramo; ma che non sono in realtà eletti, poiché appartengono alla sinagoga di satana, cioè all’assemblea dei reprobi; Dio ha consegnato i Giudei al potere di satana, di cui sono membri, a causa della loro incredulità e della loro ostinazione nel male. Perché questo popolo che ha rinnegato Gesù Cristo non gli apparterrà più. (Dan. IX). – b. Questo nome di Giudei è passato ai Cristiani. Ed è per questo che, per allegoria, indica i cattivi Cristiani che dicono di essere scelti e confessano di conoscere Dio, mentre lo negano con le loro opere. (Rom. I): L’Apostolo dice di entrambi: (Rom. II, 28): « Il giudeo non è colui che è circonciso esteriormente, né la circoncisione è quella che si fa alla carne, che è solo esteriore, ma il giudeo è colui che è circonciso interiormente; la circoncisione del cuore è fatta dallo spirito, non dalla lettera, e questo giudeo deriva la sua gloria non dagli uomini, ma da Dio. » – Queste parole del testo dell’Apocalisse, … che si dicono Giudei, si applicano dunque alla lettera ai veri Giudei della razza di Abramo secondo la promessa; ma per allegoria dobbiamo intendere che sono dei Cristiani, secondo la promessa in Gesù Cristo (secundum repromissionem in Christo). È attraverso tutti loro che la Chiesa di Dio è blasfemata negli eletti e nei Santi che ne sono membri. Poiché i Giudei dicono che se la fede in Gesù Cristo fosse vera, e se Gesù Cristo fosse veramente il Messia e il vero Figlio di Dio Onnipotente, Egli non permetterebbe che i suoi eletti ed i suoi amici siano afflitti e uccisi come bestiame. I Giudei consideravano la morte di Gesù Cristo come un’ignominia e la sua croce come uno scandalo, secondo San Paolo, (I. Cor. 1,23): « Noi infatti predichiamo Gesù Cristo crocifisso, uno scandalo per i Giudei, una stoltezza per i gentili. » Anche i cattivi Cristiani e gli eretici dei primi secoli bestemmiavano la Chiesa di Dio con le loro azioni malvagie e la loro dottrina perversa. Questo fece apparire la Chiesa ancora più vile agli occhi dei Giudei, dei gentili e dei tiranni. Ecco come i falsi Cristiani hanno esposto i membri della Chiesa ad un gran ridicolo, e questi ultimi sopportarono persecuzioni ancor più crudeli.

Vers. 10. Non temere nulla di ciò che dovrai soffrire. Con queste parole Gesù Cristo incoraggia la sua Chiesa a sopportare senza paura tutti i mali, per quanto lunghi e crudeli possano essere. E poiché i colpi previsti sono meno pericolosi, e poiché consideriamo come più tollerabili i mali di questo mondo che conosciamo in anticipo, è in questo modo che dobbiamo sopportare le prove che è piaciuto alla volontà divina di permettere, a beneficio della sua Chiesa, per quanto grande e durevole possa essere la tribolazione, e qualunque siano le persone che la infliggono. Il diavolo metterà presto alcuni di voi in prigione perché siate giudicati, e soffrirete dieci giorni, etc. ….. Il diavolo metterà presto. Il diavolo è qui rappresentato come la causa determinante, a causa della sua abituale gelosia contro i fedeli, per cui susciterà i re e i principi alla tirannia, ecciterà i Giudei, e farà sì che i falsi e malvagi Cristiani parlino male di voi, per far sì che alcuni, cioè un gran numero di voi siano messi in prigione, e, se fosse possibile, tutti i Cristiani che vivranno in questa seconda età della Chiesa. Tutti questi uomini malvagi saranno come i littori del diavolo: ecco perché il testo latino dice: Il diavolo manderà alcuni di voi in prigione per mezzo dei suoi satelliti che sono i principi di questo mondo, e di cui si serve per soddisfare la sua insaziabile passione di nuocere ai pii membri di Gesù Cristo. I satelliti del diavolo sono anche le opere degli empi sulla terra. In prigione; questa parola significa: 1°. La durata delle tribolazioni a venire; perché chi è messo in prigione non ne esce presto; come quando uno dice di mettere il suo denaro nella cassa pubblica, per dire che vi rimane per lungo tempo. 2°. Questa parola prigione designa anche tutti i tipi di mali che i Santi e gli eletti di Dio dovevano subire. Perché la prigione è come un’officina di tutte le tribolazioni. Infatti, chi è messo in prigione è separato dagli uomini come un criminale, e lì può sperimentare la fame, il freddo, il caldo, le catene, la nudità, la spoliazione dei suoi beni, le torture, i tormenti, le fruste, i flagelli, l’obbrobrio, le veglie, la povertà, l’angoscia, i cattivi odori. Dalla prigione si esce per subire la sentenza di una condanna ingiusta, per essere messi su vasi di terracotta rotti, o per essere picchiati, crocifissi, fatti a pezzi, gettati in acqua, mandati in esilio o esposti alle belve, agli orsi, ai leoni, tigri, leopardi, ecc. Ecco perché Gesù Cristo indica la prigione, dicendo: … Il diavolo metterà presto alcuni di voi in prigione. E questo con il permesso del Padre celeste, affinché siate provati come oro nella fornace. Questa prova non è nell’intenzione del diavolo, che non ha in mente il bene di coloro che vengono messi alla prova; ma è Dio, che vuole trarre il bene dal male, e che sa come estrarre dalla crudeltà dei tiranni la pazienza dei martiri, che Egli ricompensa con una corona di gloria. Egli fa ancora subire alla Chiesa queste prove ai nostri giorni, quando i suoi prelati e i suoi membri abbandonano i loro cuori al peccato, alla voluttà e alle ricchezze temporali. E dovrete soffrire per dieci giorni, cioè per dieci regni consecutivi dei principali tiranni, che si susseguiranno come giorni, durante i quali puniranno i Cristiani. Con questi dieci giorni si intende il tempo da Nerone, il primo persecutore della Chiesa, fino a Costantino il Grande, un periodo di trecento anni, durante il quale la Chiesa ha nuotato continuamente nel sangue dei suoi Martiri dell’uno e dell’altro sesso, come l’arca di Noè nuotava nelle acque del diluvio, finché finalmente, dopo queste dieci persecuzioni, la Chiesa poté riposare sull’alto monte di Costantino il Grande. La prima persecuzione ebbe luogo sotto Nerone; la seconda sotto Domiziano; la terza sotto Traiano; la quarta sotto Marco Aurelio-Antonio; la quinta sotto Severo; la sesta sotto Massimino; la settima sotto Decio, che fu continuata da Gallo e Volusiano; l’ottava sotto i due Valerio e Gallieno; la nona sotto Aureliano; la decima, infine, sotto Diocleziano e il suo collega Massimiano, che fu la più spaventosa di tutte. Vedere i dettagli nella storia ecclesiastica.

III. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita. Con queste parole, Gesù Cristo esorta la sua Chiesa, mostrandole la ricompensa promessa per la perseveranza nelle tribolazioni; e questa esortazione è una consolazione offerta dalla clemenza divina contro il rigore e la durata dei mali che Dio stava per infliggere ai suoi Santi ed amici. Sii fedele fino alla morte; cioè, sii costante e perseverante nella tribolazione fino alla morte. Sii fedele, ecc., nella fede, nella speranza e nella carità, e guardati dal non scandalizzarti per i molti e lunghi tormenti che Io permetto contro di voi. E Io vi darò la corona della vita, cioè l’aureola del martirio, secondo la misura delle tribolazioni che avete sopportato per causa mia. La corona della vita, la corona di un trionfatore in cielo, che non ti sarà mai tolta. Perché non sarà incoronato nessuno che non abbia combattuto legittimamente. La corona della vita: il regno o la libertà dei figli di Dio, affinché non siate mai più sottomessi ad alcun re terreno.

 Vers. 11. – Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Queste parole sono spiegate come sopra. Con questo vuole sempre stimolare la nostra intelligenza a cercare, in relazione alla sua Chiesa, un significato astratto e pieno di misteri celesti, che deve essere spiegato e chiarito dalla proprietà delle parole e delle cose. Chi è vittorioso non soffrirà la seconda morte, cioè l’inferno o la morte eterna dell’anima. La dannazione è chiamata una seconda morte, perché segue la morte corporale di questa vita passeggera, che è la prima morte. Gesù Cristo aggiunge queste parole come una leva molto potente di perseveranza nell’angoscia delle tribolazioni. Perché se consideriamo gli orribili tormenti dell’inferno e la dannazione eterna degli empi, si sopporteranno volentieri e facilmente tutte le tribolazioni, e anche la morte temporale, per evitare le tribolazioni e la morte eterna. Fu in considerazione di queste verità, che essi avevano sempre davanti agli occhi, che i servi di Dio superarono tutti i tormenti attraverso i quali arrivarono al Regno celeste.

§ III.

Della terza età della Chiesa, o dei Dottori; da Papa Silvestro e l’imperatore Costantino, a Leone il Grande e Carlo Magno.

CAPITOLO II. VERSETTI 12-17.

Et angelo Pergami ecclesiæ scribe: Hæc dicit qui habet rhomphæam utraque parte acutam: Scio ubi habitas, ubi sedes est Satanæ: et tenes nomen meum, et non negasti fidem meam. Et in diebus illis Antipas testis meus fidelis, qui occisus est apud vos ubi Satanas habitat. Sed habeo adversus te pauca: quia habes illic tenentes doctrinam Balaam, qui docebat Balac mittere scandalum coram filiis Israel, edere, et fornicari: ita habes et tu tenentes doctrinam Nicolaitarum. Similiter pœnitentiam age: si quominus veniam tibi cito, et pugnabo cum illis in gladio oris mei. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis: Vincenti dabo manna absconditum, et dabo illi calculum candidum: et in calculo nomen novum scriptum, quod nemo scit, nisi qui accipit.

[E all’Angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice colui che tiene la spada a due tagli: So in qual luogo tu abiti, dove satana ha il trono: e ritieni il mio nome, e non hai negata la mia fede anche in quei giorni, quando Antipa, martire mio fedele, fu ucciso presso di voi, dove abita satana. Ma ho contro di te alcune poche cose: attesoché hai costì di quelli che tengono la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac a mettere scandalo davanti ai figliuoli d’Israele, perché mangiassero e fornicassero: Così anche tu hai di quelli che tengono la dottrina dei Nicolaiti. Fa parimenti penitenza: altrimenti verrò tosto a te, e combatterò con essi colla spada della mia bocca. Chi ha orecchio, oda quel che dica lo Spirito alle Chiese: A chi sarà vincitore, darò la manna nascosta, e gli darò una pietra bianca: e sulla pietra scritto un nome nuovo non saputo da nessuno, fuorché da chi lo riceve.]

I. La terza età della Chiesa fu l’età dei dottori. Essa iniziò da Costantino il Grande e Papa Silvestro, e durò fino a Carlo Magno e Leone III. In quest’epoca le eresie furono estirpate e la Religione Cristiana fu stabilita saldamente quasi in tutto l’universo. Quest’epoca è chiamata illuminativa (illuminativus), a causa della purificazione che ebbe luogo in essa dei principali misteri della fede cattolica, della Santa Trinità, della divinità di Gesù Cristo, della sua umanità, della sua filiazione, della processione dello Spirito Santo, etc. E man mano che le cose contrarie furono esposte l’una di fronte all’altra diventano sempre più chiare; Dio, per illuminare la sua Chiesa, le diede i dottori più illustri, come Sant’Ambrogio, Sant’Agostino, San Girolamo, San Giovanni Crisostomo, San Leone, Beda, e molti altri Padri della Chiesa greca e latina; e d’altra parte, permise che si elevassero contro di essi gli eretici più malvagi, come Ario, Donato, Macedonio, Pelagio, Eutiche, Nestorio, ecc. Questi eresiarchi erano sostenuti, per la maggiore prova degli eletti, da potenti principi, come gli imperatori Costantino, Giuliano l’Apostata, Valentino, Leone, Zenone, Enrico re dei Vandali, Teodorico re degli Ostrogoti, Anastasio re dei Daci, Costanzo, Leone III, Costantino V, Leone IV, Costantino VI, e un numero considerevole di Arcivescovi e Vescovi, ecc. È a questa terza epoca che si riferisce il terzo Spirito del Signore, lo spirito dell’intelletto, che illuminò la Chiesa e le permise di essere in grado di purificare i più alti misteri della Santa Trinità, l’Incarnazione e altre numerose verità, sulle quali la Chiesa si pronunciò, dopo aver condannate, espulse e rimosse le tenebre degli eretici. – Il terzo giorno della creazione del mondo è anche giustamente considerato in questo capitolo come il vero tipo di questa terza età. Perché come il terzo giorno della creazione le acque dovettero, per volontà di Dio, essere separate dalla terra e riunite in un solo luogo; così le tribolazioni, di cui le acque sono spesso la figura, e che la Chiesa ebbe a subire da parte dei tiranni del paganesimo, dovettero infine cedere al potere di Costantino il Grande, che relegò i loro autori nel fuoco dell’inferno. E ancora, come il terzo giorno della creazione la terra produsse piante verdi con semi e alberi fruttiferi, ciascuno secondo la sua specie, ed un numero infinito di altre piante che portavano semi, sia per l’ornamento della terra che per l’uso e il godimento degli uomini, così, nella terza età della Chiesa, l’acqua del Battesimo fece nascere erba verde (i bambini e gli adulti che diventarono Cristiani), alberi (i maestri) e alberi da frutto, le entrate assicurate e gratuite della Chiesa, di cui il detto imperatore l’arricchì; poiché la dotò ulteriormente di molti altri beni, come i principati, appropriandosi di poteri anche terreni, e aiutandola nel costruirne a proprie spese, o permettendo e ordinando di costruire su tutta la superficie del pianeta una moltitudine di edifici sacri. – Un altro tipo di questa terza età della Chiesa si trova nella terza età del mondo, che durò da Abramo a Mosè e Aronne. Perché come in quell’epoca i Sodomiti furono sommersi nel Mar Morto, e gli Egiziani nel Mar Rosso; come Korah, Dathan e Abiron, e gli altri scismatici della casa d’Israele furono distrutti, e fu data al popolo una legge che dichiarava e spiegava meglio la legge naturale; così, nella terza età della Chiesa, il popolo cristiano passò dal martirio alla terra della pace. La concupiscenza del mondo e l’idolatria delle nazioni furono sommerse nel sangue di Gesù Cristo e dei suoi Martiri; molti scismatici ed eretici furono cacciati dal seno della Chiesa; la legge del Vangelo e la verità della fede cristiana furono dichiarate e proclamate, etc. Furono stabilite le leggi civili e le costituzioni dei principi, e furono promulgati i sacri canoni dei Concili; e l’imperatore Giustiniano decretò che tutte queste cose avessero forza di legge. Infine, l’ultimo tipo di questa terza età fu la Chiesa di Pergamo. Infatti, la parola Pergamo è interpretata come divisione delle corna (dividens cornua): queste corna crebbero alla Chiesa in questa terza età, sotto Costantino il Grande, e queste corna erano il potere temporale e spirituale di cui essa godeva. – Questa doppia potenza è metaforicamente significata dalle corna, in cui si trova la forza degli arieti e degli altri animali. Pergamo significa anche dividere le corna, perché poco dopo questa forza e potenza della Chiesa fu divisa e spaccata da Ario e dagli altri eretici. Le corna combattevano tra loro: la sinistra (gli eretici) contro la destra (i Cattolici). D’altra parte, il primo è il corno della dannazione e il secondo è il corno della salvezza, che Dio ha innalzato nella casa di Davide in suo Figlio (Gesù Cristo), sempre respingendo il corno degli eretici all’inferno.

II. Vers. 12. – Scrivi all’Angelo della chiesa di Pergamo. Queste parole devono essere spiegate come sopra. Questo è ciò che dice colui che porta la spada a due tagli. La spada a due tagli significa la sentenza del Signore, con la quale condannerà i malvagi nel loro corpo e nella loro anima. Le altre parole sono spiegate come sopra, § 3, cap. I, versetto 16. Questa spada a due tagli è posta qui all’inizio della descrizione di questa terza età: 1° per spaventare i malvagi con la spada della vendetta, e per consolare i buoni con la spada della protezione di Cristo; 2°. perché nella sua terza età, la Chiesa ha dovuto combattere con gli eretici. Questo è il motivo per cui furono celebrati molti Concili ecumenici e provinciali; perciò sono stati tenuti molti Concili, sia ecumenici che provinciali, e molti eretici sono stati colpiti con la spada dell’anatema, respinti dalla sentenza di scomunica e tagliati fuori dal corpo della Chiesa, la quale, come giudice delle controversie in materia di fede, porta sulla terra la stessa spada di Cristo suo Sposo nei cieli, come abbiamo visto sopra.

Vers. 13. – So dove vivi: In mezzo alla nazione perversa degli eretici, sia di Ario, di Macedonio e degli altri, che sono membri del diavolo, satelliti di lucifero, amanti delle tenebre, conduttori di ciechi, alberi autunnali o infruttuosi, canne agitate dal vento dell’orgoglio, già proscritti anzitempo a causa della loro malvagità, e relegati all’inferno, dove lucifero ha potere, e dove abita l’antico nemico della verità e della giustizia eterna di Dio. Il diavolo possiede questi eretici, li governa, li istruisce, li ispira e li domina. Ecco perché essi sono il suo regno, ed egli è il loro re e capo, per combattere attraverso di loro (che sono le porte dell’inferno) contro l’amata Chiesa di Dio. Ecco perché il testo aggiunge: Dove si trova il trono di satana. Perché il trono significa il potere reale, o piuttosto la residenza di un re, di un principe, ecc.; un trono che satana possiede negli eresiarchi. Avete conservato il mio Nome, cioè la confessione del mio Nome, e non avete rinunciato alla mia fede nella persecuzione e nei tormenti, ma avete perseverato nella mia fede. È con buona ragione che Cristo loda per appropriazione, nei prelati della sua Chiesa, la confessione del suo Nome e la perseveranza della fede nel suo Nome; infatti, in quell’epoca la Divinità e l’Umanità di Cristo, la sua venuta e la sua dottrina dei misteri della paternità, della filiazione e della processione dello Spirito Santo, erano fortemente combattuti da Ario, Macedonio, Nestorio e gli altri eresiarchi. La fede cattolica e i suoi difensori ebbero incredibilmente a soffrire in questo periodo: ne è testimone Sant’Atanasio, un uomo ammirevole e amabile, che, per il Nome di Gesù e la sua divinità, e anche per la Santissima Trinità, fu costretto a nascondersi per anni in una vecchia cisterna, e per un anno e qualche mese nel sepolcro di suo padre. Questo Santo ha dovuto subire grandi prove, come molti altri Vescovi che hanno sopportato la prigione, le catene, l’esilio, la morte, etc, come vediamo nella storia ecclesiastica. Quando Antipa, mio fedele testimone, soffrì la morte tra voi, dove abita satana. Come esempio della confessione lodata sopra, e della perseveranza nella fede del Cristo, San Giovanni cita qui il santo martire Antipa, che fu messo a morte per la confessione della fede di Gesù Cristo, vicino a Costantinopoli, dove si era alzata la tempesta dell’eresia di Ario, sia tra il popolo che tra i Vescovi; poiché l’ambizione, non meno del fuoco della gelosia, era penetrata nelle sedi episcopali. Ecco perché questa città e questo paese sono chiamati la residenza di satana, perché è soprattutto in Oriente che imperversavano gli ariani, i macedoniani e gli empi difensori delle altre eresie Ecco perché si dice: allorquando o, secondo il testo latino, in diebus illis, in quei giorni, cioè in quella tempesta causata dall’eresia di Ario per amore del mio Nome, Antipa fu il mio testimone fedele, fino alla morte e al sangue, con cui suggellò la sua testimonianza per la verità, e perché Io sono il Figlio di Dio, veramente uguale al Padre mio da tutta l’eternità.

Vers. 14. – – Ma ho qualche rimprovero da farti. Ora arriviamo al solito rimprovero, che troviamo nelle seguenti parole:

Vers. 15.C’è che voi permettete che si insegni in mezzo a voi la dottrina di Balaam, che insegnava a Balac a creare scandalo davanti ai figli d’Israele, per far loro mangiare cose impure e farli cadere nella fornicazione. Anche tu soffri assai che si insegni la dottrina dei Nicolaiti. Abbiamo la storia di Balaam… nel libro dei Numeri, dove vediamo che Balac, re dei Moabiti, della setta di Balaam, mandò delle donne vicino all’accampamento degli Ebrei, affinché questo popolo, spinto alla lussuria, fosse sedotto e attratto all’idolatria dalla loro bellezza, per far sì che tutto il popolo offendesse Dio. Questa storia è raccontata solo a titolo di paragone e di esempio, come si può vedere dalle parole che seguono: Tu soffri anche che venga insegnata la dottrina dei Nicolaiti. Ruperto abate, sull’Apocalisse, dice di loro: I Nicolaiti portano i vasi del Signore, e non sono meno incontinenti; essi rigettano il matrimonio legittimo come proibito dalle leggi della Chiesa: essi fanno ancora di peggio, rompono la fede coniugale tanto quanto lor piace, e non avendo un vero talamo nuziale, corrono qua e là, per non essere accusati di aver rotto il vincolo matrimoniale. Ora questi sono colpevoli delle stesse fornicazioni e si consacrano a Belphegor, e che, sull’esempio dei Nicolaiti, si danno audacemente all’incesto e all’adulterio. Dicendo dunque: “Tu soffri anche che si insegni la dottrina dei Nicolaiti“, innanzitutto rivolge un rimprovero alla chiesa di Pergamo, nella quale c’erano alcuni magistrati perversi che seguivano l’errore dei Nicolaiti e scandalizzavano il popolo con la loro conversazione impure e lo seducevano. Sotto il tipo della chiesa di Pergamo, Cristo rimprovera anche la terza età della Chiesa, in cui molti insegnavano e mettevano in pratica la dottrina dei Nicolaiti riguardo alla mescolanza illegale dei sessi. Infatti, quando le tribolazioni dei gentili e dei pagani ebbero fine, la Chiesa era in riposo, e grazie alla munificenza di Costantino il Grande e di altri benefattori, i sacerdoti godevano di un reddito considerevole dai profitti. La Chiesa, diventata così ricca ed ingrandita, abbandonò Dio suo Creatore e trascurò la sua salvezza. Molti dei suoi membri indulgevano nella voluttà delle donne attraverso un commercio illecito, infiammati com’erano dalla loro concupiscenza. Ecco perché Dio afflisse la Chiesa con così tante eresie, la agitava o la tormentava per evitare che si corrompesse tra le delizie e la voluttà. Ed è così che un marito prudente, che conosce la cattiva propensione della sua amata moglie, si sforzerà di mantenerla in linea con i suoi doveri fornendole un’occupazione moderata nella cura e nel lavoro della casa. Dio, nella sua paterna bontà, agirà con la stessa saggezza verso la sua Chiesa fino alla fine dei tempi, imponendole dei beffardi, degli importuni detrattori, degli agitatori, calunniatori, eretici e tiranni, per evitare che sia corrotta interamente nelle ricchezze, negli onori e nei piaceri della carne.

Vers. 16. Fate penitenza allo stesso modo. Questo passaggio è spiegato come sopra a proposito della chiesa di Efeso. In caso contrario, cioè se si trascura di correggersi con una vera penitenza, Io verrò presto da voi con il flagello ed il castigo che vi è dovuto, sia in vita che in morte, e nell’ultimo giudizio. Per questo usa il tempo futuro, perché, come abbiamo detto sopra, le piaghe di Dio spesso ci minacciano da lontano e cadono su di noi quando meno ce lo aspettiamo. E combatterò contro di loro con la spada della mia bocca, cioè, con la spada della vendetta, la spada della morte, la spada del giudizio particolare e finale, la spada della dannazione eterna, e anche con queste terribili parole, (Matth. XXV): « Andate, maledetti, al fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli ».

Vers. 17. Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: Io darò a colui che vince la manna nascosta, e gli darò una pietra bianca, ed un nome nuovo scritto sulla pietra, che nessuno conosce tranne colui che lo riceve. Alla comminazione della punizione, segue la promessa della ricompensa e della gloria. La prima ricompensa è: gli darò (al vincitore) la manna nascosta, che significa figurativamente la beatitudine celeste, che è lo stato perfetto e la somma di tutti i beni. Perché proprio come la manna conteneva la vita del popolo d’Israele con il sapore di tutti i cibi; così ci viene promessa, nella beatitudine celeste, l’abbondanza di tutti i beni di cui saremo pienamente soddisfatti, e di cui godremo eternamente. – Si dice che questa manna è nascosta, perché, secondo San Paolo, (I Corinzi II: 9), « … l’occhio non ha mai visto, né orecchio mai udito, né il cuore dell’uomo ha mai compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. » Questa manna è nascosta in Dio. (Colossesi III, 5): « La vostra vita è nascosta in Dio con Gesù Cristo. Quando Gesù Cristo, che è la vostra vita, apparirà, anche voi apparirete con Lui nella gloria. Mettete dunque a morte le membra dell’uomo che è in voi: fornicazione, impurità, passioni disoneste, desideri malvagi e avarizia, che è idolatria ». La seconda ricompensa è la gloria: Io gli darò una pietra bianca, cioè la gloria, cioè lo splendore del corpo, senza macchia né difetto. … e un nuovo nome scritto sulla pietra, che nessuno conosce tranne colui che lo riceve. Con questo nuovo nome, comprendiamo l’eccellenza speciale che Dio concederà a ciascuno, secondo ciò che ha fatto nel suo corpo. Perché la chiarezza delle vergini è diversa da quella dei martiri; la chiarezza degli sposi è diversa ancora; la chiarezza degli Apostoli non è la stessa di quella dei Profeti; una vergine differisce da un’altra per luminosità, un Apostolo da un altro, un confessore da un altro, un Martire da un altro, un Profeta da un altro, e tutti differiscono tra loro per la luminosità della loro gloria, come vediamo nella prima Lettera di San Paolo ai Corinzi (XV, 41): « Il sole ha la sua luminosità, la luna ha la sua luminosità, le stelle la loro; e tra le stelle l’una è più luminosa dell’altra. Lo stesso vale per la resurrezione dei morti ». Per questo il testo aggiunge: … che nessuno conosce se non colui che lo riceve, cioè l’eccellenza propria di ciascuno. Nessuno vi parteciperà se non colui che l’ha ricevuta, proprio come l’individualità che è propria di ciascuno, senza che nessun altro possa averla e parteciparvi. Questa parola “conoscere” non deve essere presa letteralmente, ma metaforicamente; perché un Santo conoscerà senza dubbio l’eccellenza e la gloria di un altro, come vediamo dalla teologia. … e un nome scritto, cioè stabilito e inciso con il bulino di ferro dell’eternità, in modo tale che non potrà mai essere rimosso.

§ IV.

Dalla quarta età della Chiesa militante, chiamata pacifica, dal  S. P. Leone III e l’Imperatore Carlomagno, fino Leone X e Carlo-Quinto.

CAPITOLO II. – VERSETTI 18-29.

Et angelo Thyatirœ ecclesiœ scribe: Hœc dicit Filius Dei, qui habet oculos tamquam flammam ignis, et pedes ejus similes auricalco: Novi opera tua, et fidem, et caritatem tuam, et ministerium, et patientiam tuam, et opera tua novissima plura prioribus. Sed habeo adversus te pauca: quia permittis mulierem Jezabel, quœ se dicit propheten, docere, et seducere servos meos, fornicari, et manducare de idolothytis. Et dedi illi tempus ut pænitentiam ageret: et non vult poenitere a fornicatione sua. Ecce mittam eam in lectum: et qui moechantur cum ea, in tribulatione maxima erunt, nisi pænitentiam ab operibus suis egerint. Et filios ejus interficiam in morte, et scient omnes ecclesiae, quia ego sum scrutans renes, et corda: et dabo unicuique vestrum secundum opera sua. Vobis autem dico, et ceteris qui Thyatirœ estis: quicumque non habent doctrinam hanc, et qui non cognoverunt altitudines Satanœ, quemadmodum dicunt, non mittam super vos aliud pondus: tamen id quod habetis, tenete donec veniam. Et qui vicerit, et custodierit usque in finem opera mea, dabo illi potestatem super gentes, et reget eas in virga ferrea, et tamquam vas figuli confringentur, sicut et ego accepi a Patre meo: et dabo illi stellam matutinam. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Tiatira scrivi: Queste cose dice il Figliuolo di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco ed i piedi del quale sono simili all’oricalco: So le tue opere, e la fede, e la tua carità e il ministero, e la pazienza, e le tue ultime opere più numerose che le prime. Ma ho contro di te poche cose, poiché permetti alla donna Jezabele, che si dice profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi, perché cadano in fornicazione, e mangino carni immolate agli idoli. E le ho dato tempo di far penitenza: e non vuol pentirsi della sua fornicazione. Ecco che io la stenderò in un letto: e quelli che fanno con essa adulterio, saranno in grandissima tribolazione, se non faranno penitenza delle opere loro: ‘e colpirò di morte i suoi figliuoli e tutte le Chiese sapranno che io sono lo scrutatore delle reni e dei cuori: e darò a ciascuno di voi secondo le sue azioni. Ma a voi, io dico, e a tutti gli altri dì Tiatira, che non hanno questa dottrina, e non hanno conosciuto le profondità, come le chiamano, di satana, non porrò sopra dì voi altro peso: Ritenete però quello che avete, sino a tanto che io venga. E chi sarà vincitore, e praticherà sino alla fine le mie opere, gli darò potestà sopra le nazioni, e le reggerà con verga di ferro, e saranno stritolate come vasi dì terra, come anch’io ottenni dal Padre mio: e gli darò la stella del mattino. Chi ha orecchio, oda quello che lo Spirito dica alle Chiese.]

I. – Vers. 18Scrivi ancora all’Angelo della Chiesa di Tiatira: Ecco ciò che dice il Figlio di Dio. La quarta età della Chiesa iniziò con Carlo Magno ed il santo Papa Leone III, e durò fino a Carlo V e Leone X. In quest’epoca fiorirono molti grandi santi tra re ed imperatori, ed ecclesiastici tanto dotti quanto pii; e fu incontaminata dall’eresia per più di 200 anni. È quindi giustamente chiamata l’età pacifica e illuminativa (pacificus). Ne troviamo il tipo di questo nella descrizione della Chiesa di Tiatira: perché la parola Tiatira è interpretata nel senso di illuminata e ostia vivente, come fu la quarta età della Chiesa. È a questa quarta epoca che si riferisce il quarto giorno della creazione, quando Dio fece i corpi luminosi e le stelle che pose in cielo. È anche a questa età che conviene al quarto Spirito di pietà che Dio ha poi riversato abbondantemente sulla sua Chiesa. – Allo stesso modo, possiamo anche appropriare a questa quarta età della Chiesa, la quarta epoca del mondo, che durò da Mosè fino al completamento del tempio di Salomone. Infatti, come Davide allora compose dei salmi ed implementò il culto divino; e suo figlio Salomone costruì un tempio molto grande e ordinò i vasi più preziosi per il servizio degli altari e del tempio; e stabilì un ordine ammirevole nelle cose sacre, ed elevò la maestà dei sacrifici con la buona disciplina dei ministri; ed infine, regnò pacificamente senza avere alcun nemico; così, nella quarta età, furono celebrati i Concili più utili per ricostruire la Chiesa decaduta. La Religione cristiana fiorì ovunque e la Chiesa visse in pace, libera di tutti i nemici e dalle eresie. Il canto, i salmi, il breviario, i riti, le cerimonie e il ministero dell’altare furono riportati ad un ordine migliore, e anche ad una certa perfezione. Perciò seguono queste parole: “Scrivi ancora all’Angelo della chiesa di Tiatira: Queste cose dice il Figlio di Dio, i cui occhi sono come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi sono come ottone rilucente. Egli è qui chiamato Figlio di Dio, perché i misteri della Sua Divinità e Umanità erano già stati chiariti e purificati dagli errori di Ario e degli altri eretici. È dunque con buona ragione che, vittorioso sui suoi nemici in questa quarta epoca della Chiesa, il Cristo trionfante dice: “Questo è ciò che dice il Figlio di Dio. Con gli occhi, come una fiamma di fuoco, si intende la perfetta conoscenza della verità; e con i piedi, simili a bronzo brillante, si intende la stabilità e la fermezza del corpo di Cristo, che è la Chiesa. Perché i tiranni del paganesimo sono stati sconfitti e le tenebre degli eretici sono scomparse, la Chiesa gode del riposo, nella perfetta conoscenza della verità della fede cattolica, più saldamente stabilita, e protetta dal potere dei principi e dei re. Ecco perché non dice più qui: come l’ottone quando è in una fornace ardente, ecc., ma semplicemente come l’ottone lucente, cioè già purificato da tante persecuzioni e messa alla prova dalla spaventosa crudeltà dei tiranni e degli eretici.  – Queste due cose sono poste in testa, come trofei e bottino della vittoria che Cristo ha ottenuto sui suoi nemici, da parte dei membri della Chiesa, la sua amata sposa, e dei suoi fedeli soldati. Aggiunge … come una fiamma di fuoco. Infatti, la fede di Cristo e la verità brillarono nella quarta epoca e si diffusero in tutto l’universo.

Vers. 19Io conosco le tue opere, la tua fede, la tua carità, il tuo ministero, la tua pazienza, e le tue ultime opere più abbondanti delle prime. Segue la raccomandazione abituale che consiste in sei punti che sono: le opere della Chiesa, la perfezione della sua fede, la sua carità, il suo ministero, la sua pazienza e la sua perseveranza nel bene. – La prima raccomandazione si trova in queste parole: Conosco le altre tue opere di giustizia, pietà e misericordia, che sono sante e fatte con un’intenzione pura. La seconda è la tua fede. Infatti, qui Egli loda la Chiesa per la sua fede, come una speciale prerogativa e perfezione; poiché nella quarta epoca la fede cattolica era unanime, perfetta e diffusa, per così dire, in tutto l’universo. E la Chiesa fu libera dall’eresia per più di duecento anni, finché Berengario, al tempo dell’imperatore Enrico III, sorse in Gallia, nell’anno 1048, e insegnò che nella santa Eucaristia non vi sono il Corpo e il Sangue di Cristo. Distrutta questa eresia, la Chiesa godette di nuovo del suo riposo, fino all’anno 1117, come vediamo nella storia ecclesiastica. – La terza, la tua carità verso Dio e il tuo prossimo. La quarta, il tuo ministero dell’altare e la cura dei poveri, ministero che era florido in quel periodo. Infatti, non solo vi fu un numero considerevole di grandissimi Santi ecclesiastici, ma anche di imperatori, re, principi e altre alte persone, che fondarono ospedali e si presero cura dei poveri, che essi stessi servivano. Inoltre, costruirono chiese, ripararono quelle in rovina, edificarono monasteri, chiese collegiate, vescovadi, templi, altari, e fecero tutto il possibile per promuovere il culto di Dio. Anche di notte, le sacre lodi risuonavano nelle chiese collegiate e nei chiostri. Ecco perché il ministero dell’altare e dei poveri era santo, ben ordinato e prezioso davanti al il Signore. La quinta, la tua pazienza nei digiuni, il cilicio, le veglie e gli altri rigori di penitenza che i Santi di quel tempo praticavano costantemente per amore di Gesù Cristo. Tra questi ci sono: San Vigilio, San Ruperto e i suoi dodici compagni, San Wilibaldo, San Wuniwelde, Santa Walburga, San Luigi, re; Ottone, Vescovo di Bamberga; Lotario, imperatore; Ottone il Grande; il Beato Nilo; Santo Stefano, primo re d’Ungheria; San Venceslao, principe di Boemia; e altri che, con il loro lavoro instancabile e la loro pazienza, convertirono i resti dei gentili alla fede cattolica. – Infine, la sesta raccomandazione: E le tue ultime opere più abbondanti delle prime. Queste parole lodano la perfezione e la santità che, nella quarta età, risplendevano costantemente nei Santi: come Enrico e Cunegonda, San Wolfgango, San Bruno, San Romualdo, San Roberto, San Bernardo, San Francesco, San Domenico con le loro famiglie, San Ivo Vescovo, e altri che, nella successione dei tempi, hanno illustrato la Chiesa: ciò che fu senza dubbio una benedizione ammirevole di Dio ed una prerogativa speciale concessa a quest’epoca. Per questo aggiunge: “E le tue opere di giustizia, fede, pietà, carità, ministero, lavoro, pazienza e santità. Le tue ultime opere sono più abbondanti delle prime.”. Questo è un modo di parlare con cui siamo abituati a lodare l’abbondanza dei frutti, la moltiplicazione dei beni, la perfezione, la fedeltà e la costanza delle virtù e delle azioni degli uomini.

II. Vers. 20. – Ma Io ho qualcosa da rimproverarti: tu permetti a Jezebel, quella donna che si dice profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi, per indurli alla fornicazione e per far loro mangiare vivande sacrificate agli idoli. Mentre la Chiesa si riposava in mezzo a ricchezze ed onori, e si credeva sicura sotto il patrocinio di imperatori, re e principi pii, essa si rilassò, a poco a poco, nella disciplina ecclesiastica, e si introdusse tra i Cristiani una certa mollezza effeminata, che è qui metaforicamente designata dalla donna. Allora la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l’orgoglio della vita aumentarono anche nei ministri della Chiesa. Perché questi, sicuri dell’indulgenza di un’epoca corrotta e credendosi in sicurezza, si abbandonarono alla voluttà e caddero nella presunzione, come succede in questi casi. Ora questi furono i vizi di Jezebel, la moglie di Achab, che la Scrittura chiama cortigiana. Ecco la concupiscenza della carne. In seguito questa donna si impossessò della vigna di Naboth e lo uccise: questa è la concupiscenza degli occhi. Poi si adornò il viso e gli occhi: ecco l’orgoglio della vita. Infine, vedendo che era al sicuro dei suoi peccati, divenne presuntuosa e fece uccidere i Profeti. Ella tese trappole ad Elia per metterlo a morte, rifiutando di credere alla sua parola quando egli le predisse tutte le disgrazie della sua casa, disgrazie che lei stessa vide in parte avverarsi, come la carestia. Infatti, essa diceva in cuor suo: “Questi mali non cadranno su di noi”. Ora è così che noi, miserabili peccatori, immersi nelle cose di questo mondo, siamo soliti dormire nella morte del peccato, finché alla fine l’ira di Dio scoppia sulle nostre teste. Jezebel è così citata qui come esempio e paragone in questo senso: Voi permettete a poco a poco, non chiudendo accuratamente le cinque porte dei vostri sensi, attraverso le quali la morte entra in voi come attraverso le finestre. Voi permettete, non prestando alcuna attenzione alla disciplina ecclesiastica, non vigilando sui vostri subordinati, non visitandoli e prendendo poca o nessuna cura di loro. Voi permettete, non castigando debitamente. Voi permettete questo, non castigando debitamente il vizio, ma favorendolo con vile connivenza, nascondendolo con una falsa filosofia, e lasciando tutto impunito. Voi permettete, trascurando la correzione fraterna, occupandovi solo dei vostri interessi particolari, indulgenti con voi stessi, e senza preoccuparvi del bene pubblico. Voi permettete, concedendo facilmente dispense in ogni cosa, e rilassando i santi Canoni. Voi permettete, non illuminando gli altri con il buon esempio, e non istruendo i vostri inferiori nella sana parola di Dio. Voi permettete dicendo: “Queste cose sono permesse”, mentre non lo sono, e così incoraggiate la dissoluzione e i vizi. Fu così, che la convivenza delle donne, la lussuria ed il concubinaggio furono introdotti nella Chiesa. Fu anche attraverso la sovrabbondanza di ricchezze particolari che si propagò l’avarizia, che è idolatria. Inoltre, gli onori e le dignità a cui Imperatori, re e principi elevarono gli ecclesiastici, incoraggiarono l’orgoglio della vita. Infine, la libertà nel modo di vivere e nella disciplina faceva nascere l’ozio; e l’ozio rendeva la morale dissoluta. Voi permettete alla donna, cioè alla mollezza e al modo di vivere effeminato, di entrare nella vostra casa; difetto o vizio generalmente designato dalla donna. Il testo aggiunge Jezebel, per significare dei vizi più speciali che furono gradualmente introdotti in quest’epoca della Chiesa, come la concupiscenza della carne, l’avarizia, l’orgoglio e la presunzione. Egli aggiunge anche: che si definisce una profetessa, che cioè, in mezzo a questa vita licenziosa, la Chiesa si è promessa sicurezza e ha detto: non vedrò più il rigore dei tiranni e degli eresiarchi, perché sono ricca e potente; e sono in pace: ho imperatori, re e principi pii e potenti che mi proteggono; ecco perché non vedrò più il lutto. Così profetizzò questa generazione corrotta.

III. Perciò seguono queste parole: “Tu permetti che Jezebel, ecc., insegni e seduca i miei servi con il cattivo esempio della lussuria, dell’avarizia e dell’orgoglio. Insegna e seduce, promettendo la sicurezza della pace e della felicità; non annunciando al popolo l’ira di Dio e il castigo che lo minaccia da lontano, a causa dei peccati della carne, dell’avidità, dell’irreligione e della dimenticanza di Dio: castigo imminente tuttavia che la Chiesa e noi tutti, miserabili come siamo, continuiamo a subire in questa quinta era, ed in cui i nostri denti sono allegati (Una sorta di proverbio che indica che i figli sono puniti per i peccati dei loro padri – Enciclopedia Teologica dell’Abbé Migne). Per indurli alla fornicazione e per far loro mangiare le vivande immolate agli idoli. La fornicazione fu portata ad un tale eccesso nella Chiesa greca, che essa giunse al punto di insegnare che essa è lecita. E questa funesta dottrina dei Greci fu messa in pratica da molti membri della Chiesa latina, che non si vergognavano del commercio illecito che purtroppo si fa ancora ai nostri giorni con le concubine. E per far loro mangiare le vivande sacrificate agli idoli. Questo passaggio è da intendersi anche come quando San Paolo chiama idolatria l’avarizia. Infatti, i guadagni e i profitti vergognosi, le esazioni dei poveri, la simonia, i doni interessati e i servizi ingiustamente ricompensati, sono tutti abusi di cui sono colpevoli gli impiegati indegni delle loro cariche e gli uomini avidi; e tutti questi abusi sono metaforicamente designati da queste parole: E per far loro mangiare carni sacrificate agli idoli.

IV. Vers. 21. – Gli ho dato del tempo per fare penitenza. Queste parole designano la longanimità della misericordia di Dio, che ha aspettato la penitenza della Chiesa greca per secoli, finché finalmente, questa Chiesa, rifiutando di obbedire al Signore e non volendo tornare all’unità, perì sotto Maometto II, che uccise Costantino Paleologo e prese Costantinopoli, la capitale dell’Impero d’Oriente. È con la stessa pazienza che Dio ha anche aspettato pazientemente la penitenza della Chiesa latina nella quarta epoca, da Carlo Magno fino a Berengario il Sacramentario, che fu il prodromo del prossimo flagello di Dio. Dopo di lui, la Chiesa fu di nuovo tranquilla e libera dall’eresia, fino all’imperatore Enrico V, sotto il quale apparve Durando Vuldoch, di Marsiglia, nell’anno 1117. Poi le eresie si susseguirono l’una all’altra, come precursori del flagello di Dio. Queste eresie furono tuttavia distrutte per la bontà dei principi e la provvidenza di Dio; fin quando finalmente, sotto Carlo V e Leone X, nell’anno 1517, Lutero, quell’orribile eresiarca, il flagello della Chiesa latina, convocò tutte le eresie dell’inferno e le vomitò dalla sua bocca impura su quasi l’intera Europa; Gesù-Cristo infine dice: Io gli ho dato del tempo per fare penitenza, ed essa non vuole pentirsi della sua prostituzione. Queste parole annunciavano che la Chiesa latina avrebbe perseverato nei vizi indicati sopra, e che non avrebbe fatto alcun passo verso la penitenza anche di fronte alle sue calamità. Ed è per questo che anche il suo castigo le viene predetto al futuro assoluto; mentre nelle epoche precedenti, questo castigo era solo predetto in modo comminatorio. Infatti, l’Apostolo continua con queste parole:

V. Vers. 22. La colpirò con la malattia sul suo letto; cioè, la colpirò con la tribolazione sul suo letto di dolore e di lutto; sul suo letto di lebbra e di malattie spirituali, che sono le eresie; sul suo letto di pestilenza, di carestia e di guerre; sul suo letto di tenebre, di angoscia e di povertà; sul suo letto di lacrime e di desolazione; sul suo letto di oppressione, di amarezza e di cattività, da cui non potrà alzarsi; e sul suo letto di dannazione eterna. E quelli che commettono adulterio con lei, cooperando alle sue azioni malvagie, imitandola, consigliandola, tollerandola o non impedendola quando lo possono e lo devono. Tutti questi saranno nella più grande afflizione, nell’afflizione temporale, come abbiamo appena detto, e nell’afflizione eterna, oltre la quale non c’è niente di più grande. Ma Gesù Cristo, tuttavia, aggiunge: Se non fanno penitenza per le opere a cui partecipano personalmente. Perché spesso una punizione temporale qualunque ed una rovina che è assegnata ai regni ed alle epoche della Chiesa in modo generale e assoluto, come nel letto menzionato sopra, può essere evitato, almeno per quanto riguarda la condanna e la punizione del fuoco dell’inferno, se i membri della Chiesa, presi singolarmente, fanno una salutare e degna penitenza.

Vers. 23. – Colpirò a morte i suoi figli. Con queste parole, Gesù Cristo ci minaccia di guerre, sedizioni, carestie e pestilenze, castighi che la giustizia divina ha l’abitudine di mandare nella sua vendetta, colpendo la posterità ed i figli dei figli impenitenti. Questo è ciò che noi sfortunati sperimentiamo fin troppo bene in questa quinta età, nel vedere su tutta la superficie del pianeta, solo guerre, sedizioni e disgrazie, come vedremo più avanti. E tutte le Chiese sapranno che Io sono colui che sonda i reni e i cuori: i reni, cioè, Io sono colui che conosce gli effetti della concupiscenza e delle opere carnali; e i cuori; perché tutti i pensieri malvagi sono davanti ai miei occhi. Quanti uomini, in questa quarta epoca della Chiesa, hanno abusato della longanimità di Dio, che li aspettava alla penitenza, per riguardo ai meriti ed alle preghiere dei Santi loro contemporanei? E questi peccatori incalliti caddero profondamente nei loro peccati, dimenticando Dio, il loro Creatore, e si diedero sfrenatamente al libertinaggio, come se non ci fosse un Dio capace di sondare l’iniquità dei malvagi. Il Signore permise che nella quinta epoca della Chiesa sorgessero anche uomini carnali che, non contenti di portare alla luce una schiera di nuove sette, riprodussero e richiamarono dall’inferno tutte quelle che erano apparse prima. Ed è a queste malefiche sette che siamo debitori delle più terribili tribolazioni: guerre, sedizioni, massacri, carestie, pestilenze ed altri mali incalcolabili che hanno riversato sulla Chiesa. E Dio ha permesso che queste disgrazie costringessero i fedeli ad aprire finalmente gli occhi e a riconoscere che non ci sono mali in Israele che il Signore non abbia inflitto nella sua vendetta. Perciò è detto: “E tutte le Chiese sapranno che Io sono colui che scruta le reni e i cuori”. Cioè, Io sono colui che esamina e punisce la concupiscenza ed i pensieri perversi. E renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere. La prima cosa che è stata detta sulla punizione temporale è che i giusti soffriranno insieme con i malvagi; cosa che Dio permette per far loro acquisire più meriti. E spesse volte i giusti sono più afflitti dalle tribolazioni degli empi, come dimostra l’esperienza quotidiana. – Ma Gesù Cristo parla in secondo luogo della pena eterna che attende solo gli empi e gli impenitenti; e questa è una differenza che deve essere la più grande consolazione per i giusti, ed un immenso terrore per i malvagi. Perciò aggiunge: E io renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere e senza distinzione di persone. Egli infliggerà una punizione eterna a coloro che servono il mondo, la carne ed il diavolo; e darà la gloria eterna a coloro che vivono in Dio, osservando i suoi comandamenti.

VI. Vers. 24. Ma io dico a voi e agli altri che sono a Tiatira: A tutti quelli che non seguono questa dottrina e non conoscono le profondità di satana secondo il loro linguaggio, non imporrò altri pesi su di voi. Qui Cristo consola i suoi amici per il male che ha dovuto permettere per il bene della sua Chiesa. E i suoi amici erano molti, come abbiamo detto dei Santi di Dio, in questa quarta epoca. Ma Io dico a voi, amici miei, e agli altri che sono a Tiatira; cioè dico a tutti coloro che si mostreranno ostia vivente del Padre mio, e che vivranno la vita spirituale, in questa quarta età della Chiesa; a tutti questi che non seguono questa dottrina, cioè a tutti coloro che temono il Signore e non si sono lasciati persuadere dalla presunzione del peccato. Questa presunzione o sicurezza è chiamata dottrina a causa della falsa credenza dei malvagi, che si persuadono volentieri nei loro peccati che non verrà loro alcun male che nessun danno li colpirà, guardando solo alla felicità e alla durata dei tempi prosperi concessi agli empi dalla longanimità e dalla bontà di Dio. E chi …… non conosce le profondità di satana. La profondità di satana può essere considerata sotto tre aspetti, e cioè la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l’orgoglio della vita; perché è in questo che il demonio da osato tentare Cristo, l’eterna sapienza del Padre. Queste tentazioni sono chiamate profondità, a causa dell’elevazione e della difficoltà degli oggetti con cui satana tenta gli uomini; oggetti che egli presenta ai nostri deboli occhi, come se fossero gli unici beni possibili, facendoci dimenticare gli unici veri beni a venire. La parola sapere è intesa qui metaforicamente per aderire, amare, essere legato, come si dice di per un uomo nella Scrittura, il conoscere sua moglie (cognoscere uxorem, ecc.). Ecco perché Gesù Cristo dice: E chi ….. non conosce le profondità di satana; cioè, chi non ha commesso fornicazione con questi tre idoli di satana che Jezebel predica o insegna. Non metterò nessun altro peso su di te. Gesù Cristo parla qui, di sfuggita, della presunzione degli eretici e dei cattivi Cristiani, che sono soliti profetizzare e sedurre il popolo con le loro falsità, dicendo, per esempio: La Chiesa non durerà per sempre; essa diventerà sterile, perirà e sarà distrutta. Ora, contrariamente a questa falsa credenza dei malvagi, una credenza che di solito fa sprofondare i buoni nella desolazione, a causa delle tante e lunghe calamità che li affliggono, Cristo conforta qui la sua Chiesa dicendo: Non ti darò un peso maggiore di quello che sta scritto nel libro dei Salmi, (LXXXVIII, 31 e segg.): « Che se i suoi figli ripudiano la mia legge, ecc….. con una verga visiterò le loro iniquità, etc ….. Ma non ritirerò mai da lui la mia misericordia, etc. … »

Vers. 25. – Ciononostante, conserva fedelmente ciò che hai finché Io venga. Gesù Cristo qui esorta i buoni affinché, superando il male mescolato al bene, e disprezzando le calamità dei tempi, possano conservare la loro innocenza e perseverare nell’essere il buon seme che il Padre celeste ha sempre riservato per sé, anche in mezzo alla zizzania. L’innocenza dei costumi è soprattutto necessaria per i prelati della Chiesa; e quando le disgrazie temporali ci minacciano, e la prevaricazione è al suo colmo, essi devono prudentemente superare il male introdotto nel bene, e sforzarsi di mantenere la loro coscienza e quella del loro gregge nella massima purezza. Possiamo anche collegare perfettamente a questo passaggio la parabola della zizzania, che si deve lasciar sussistere fino alla mietitura. (Matth. XII). Infatti, è detto: Tuttavia conservate fedelmente ciò che voi avete, fino a che Io venga; vale a dire: aspettate fino a che Io venga a distruggere gli empi, a punire i malvagi e a scatenare la mia ira nei flagelli che ho preparato a suo tempo per il rinnovamento e l’emendamento della mia Chiesa. Allo stesso modo, … finché non verrò, nel giudizio universale, a rendere a ciascuno secondo le sue opere. Finché non verrò a restaurare la Chiesa con una morale santa e pura.

Vers. 26. – Colui che sarà vittorioso e conserverà le mie Opere fino alla fine. Con queste parole Egli esorta alla costanza e alla longanimità; virtù che sono essenzialmente necessarie per la Chiesa Cattolica in ogni tempo. Ma queste due virtù saranno particolarmente necessarie nella quinta età, a causa della durata dei mali che sopporterà e a causa del potere, della malizia e dell’insolenza degli eretici e degli altri falsi Cristiani che la affliggeranno. Da qui queste parole: Colui che sarà vittorioso e conserverà le mie opere fino alla fine. È per disegno che aggiunge le mie opere, perché, come in ogni epoca, certi misteri erano più particolarmente combattuti; così, nella quinta epoca, le sue opere sulla libertà umana, la grazia e la predestinazione saranno attaccate in modo particolare. Le mie opere, il concorso della volontà umana, i sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, i precetti del Decalogo, il celibato e tutto ciò che è onesto, ecc. Le mie opere; cioè i miracoli, la canonizzazione dei Santi, ecc. ecc. che sono tutte opere di Cristo; opere che Egli indica a tutte le persone buone che vivranno nella quinta età della Chiesa, per proteggerle e per esortarle a conservare queste opere.

Vers. 27. – A colui che sarà vittorioso e conserverà le mie opere fino alla fine, gli darò potere sulle nazioni. Egli le governerà con uno scettro di ferro, ed esse saranno frantumate come un vaso d’argilla.

Vers. 28. – Secondo quello che ho ricevuto dal Padre mio. A queste parole, per confermare i suoi servi nella pazienza e a sostegno delle calamità che ci predice in anticipo, segue una grandissima consolazione spirituale ed una ricca ricompensa nella conversione dei Gentili e degli eretici alla vera fede. Questa conversione avrà luogo nella sesta età della Chiesa. Perché la quinta è un’epoca di afflizione, di punizione e defezione, come vedremo più avanti. Per questo dice: gli darò potere sulle nazioni; potere spirituale ai prelati nell’unità della fede, e potere temporale ai re nella monarchia e nell’unità dei popoli. Ed esse saranno frantumate come un vaso d’argilla; dalla durezza dei loro cuori si convertiranno al pastore delle loro anime. E anche le repubbliche che hanno disertato saranno dissolte, e ai ribelli mancherà la potenza. Questo potere sarà infranto dal mio potentissimo Unto, che manderò, etc. Tutto questo è spiegato nel seguito in modo ampio e dettagliato. Secondo quello che ho ricevuto dal Padre mio. Gesù Cristo aggiunge queste parole per la consolazione dei suoi servi; la più grande consolazione che ci possa essere. (Filippo, II, 8): « Gesù Cristo ha umiliato se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, fino alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un Nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e negli inferi, ed ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria del Padre suo. » Secondo quello che ho ricevuto dal Padre mio. Perché con la sua pazienza Gesù Cristo ha vinto tutte le cose; ha sottomesso tutte le creature, e con le gloriose battaglie dei Martiri, ha frantumato tutte le nazioni come un vile e spregevole vaso d’argilla, etc. E Io gli darò la stella del mattino. Qui promette alla Chiesa Cattolica una nuova luce, che apparirà nella sesta epoca, e che è designata dalla stella del mattino. Perché la stella del mattino significa che la notte è passata ed il giorno è arrivato. E Io gli darò la stella del mattino, cioè la luce della vera fede, la fede cattolica, che brillerà con tutto il suo splendore, deve iniziare nella sesta età della Chiesa, dopo che le tenebre di tutte le eresie saranno state consegnate all’inferno. E Io gli darò la stella del mattino, cioè, dopo le tenebre di questa vita, darò a ciascuno, in particolare, la luce celeste, nella quale contemplerà la verità eterna senza fine.

Vers. 29. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Questo passaggio è spiegato come sopra.

SEZIONE III


SUL CAPITOLO III


DELLE TRE ULTIME ETÀ DELLA CHIESA MILITANTE.

§ I.


La quinta era della Chiesa militante, chiamata era di afflizione, iniziata dopo Leone X e Carlo Quinto, va fino al Pontefice santo ed al Monarca potente.


Cap. III. VERSETTI. 1-6.

Et angelo ecclesiæ Sardis scribe: Hæc dicit qui habet septem spiritus Dei, et septem stellas: Scio opera tua, quia nomen habes quod vivas, et mortuus es. Esto vigilans, et confirma cetera, quae moritura erant. Non enim invenio opera tua plena coram Deo meo. In mente ergo habe qualiter acceperis, et audieris, et serva, et pœnitentiam age. Si ergo non vigilaveris, veniam ad te tamquam fur et nescies qua hora veniam ad te. Sed habes pauca nomina in Sardis qui non inquinaverunt vestimenta sua: et ambulabunt mecum in albis, quia digni sunt. Qui vicerit, sic vestietur vestimentis albis, et non delebo nomen ejus de libro vitæ, et confitebor nomen ejus coram Patre meo, et coram angelis ejus. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Sardi scrivi: Queste cose dice colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle: Mi sono note le tue opere, e come hai il nome di vivo, e sei morto. Sii vigilante, e rafferma il resto che sta per morire. Poiché non ho trovato le tue opere perfette dinanzi al mio Dio. Abbi adunque in memoria quel che ricevesti, e udisti, e osservalo, e fa penitenza. Che se non veglierà! verrò a te come un ladro, né saprai in qual ora verrò a te. Hai però in Sardi alcune poche persone, le quali non hanno macchiate le loro vesti: e cammineranno con me vestiti di bianco, perché ne sono degni. Chi sarà vincitore, sarà così rivestito di bianche vesti, né cancellerò il suo nome dal libro della vita, e confesserò il suo nome dinanzi al Padre mio e dinanzi ai suoi Angeli. Chi ha orecchio, oda quello che dica lo Spirito alle Chiese.]

Vers. 1. – Scrivi all’Angelo della Chiesa di Sardi: Ecco ciò che dice Colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle: Conosco le tue opere.

I. –  La quinta età della Chiesa è iniziata sotto l’imperatore Carlo V ed il Papa Leone X intorno all’anno 1520 e durerà fino al Santo Pontefice e al potente Monarca che verrà nella nostra epoca e che sarà chiamato l’Aiuto di Dio, cioè restauratore di tutte le cose. La quinta età è un’età di afflizione, desolazione, umiliazione e povertà per la Chiesa, e può essere giustamente chiamata un’età purgativa. (purgativus). Infatti, in quest’epoca Gesù Cristo ha purgato e purgherà il suo frumento con guerre crudeli, con sedizioni, con carestie e pestilenze, ed altre orribili calamità, affliggendo ed impoverendo la Chiesa latina con molte eresie, e anche con cattivi Cristiani che le toglieranno un gran numero di vescovadi, un numero quasi innumerevole di monasteri, ricchissime prepositure, etc. La Chiesa sarà sopraffatta e impoverita dalle imposizioni e dalle esazioni dei principi cattolici, così che possiamo giustamente gemere ora, e dire con il profeta Geremia, nel suo libro delle Lamentazioni, (I, 1.): « La regina delle città è tributaria. » Poiché la Chiesa è umiliata e svilita, poiché è bestemmiata dagli eretici e dai cattivi Cristiani, i suoi ministri sono disprezzati e non c’è più onore né rispetto per loro. In questo modo Dio purificherà il suo grano e getterà la pula nel fuoco, mentre raccoglierà il buon grano mettendolo nel suo granaio. Infine, questa quinta epoca della Chiesa è un’epoca di afflizione, un’epoca di sterminio, un’epoca di defezione piena di calamità. Saranno pochi i Cristiani rimasti sulla terra ad essere risparmiati dal ferro, dalla carestia o dalla pestilenza. I regni combatteranno contro i regni, e tutti gli Stati saranno desolati per le lotte intestine. Principati e monarchie saranno rovesciati; ci sarà un impoverimento quasi generale ed una grande desolazione nel mondo. Queste disgrazie si sono già in parte compiute e si stanno compiendo ancora. Dio le permetterà con un giustissimo giudizio, a causa della piena misura dei nostri peccati che noi ed i nostri padri avremo commesso nel tempo della sua liberalità nell’aspettarci di fare penitenza. La Chiesa di Sardi è un tipo di questa quinta epoca. Perché la parola “Sardi” significa principio di bellezza, cioè principio della perfezione che seguirà nella sesta età. Infatti, la tribolazione, l’impoverimento e le altre avversità sono l’inizio e la causa della conversione degli uomini, come il timore del Signore è l’inizio della sapienza. Ecco che noi temiamo Dio ed apriamo gli occhi, quando le acque e i flutti della tribolazione vengono su di noi. Quando invece siamo nella felicità, ognuno sotto il suo fico, nella sua vigna, all’ombra degli onori, nella ricchezza e nel riposo, ci dimentichiamo di Dio, il nostro Creatore, e pecchiamo in tutta sicurezza. Ecco perché la divina provvidenza ha saggiamente ordinato che la Sua Chiesa, che Egli vuole conservare fino alla fine dei secoli, sia sempre irrorata dalle acque della tribolazione, proprio come un giardiniere che innaffia le sue piante in tempi di siccità. A questa epoca è anche legato il quinto Spirito del Signore, che è lo Spirito di consiglio. Infatti, Egli usa questo spirito per allontanare le calamità o per impedire mali maggiori. Lo usa anche per conservare il bene o per procurare un bene ancora maggiore. – Ora la Saggezza divina comunicò lo Spirito di consiglio alla sua Chiesa, principalmente nella quinta età:

1°. Affliggendola, affinché non fosse corrotta interamente dalle ricchezze, dalla voluttà e dagli onori, e per evitare che perisse.

2°. Interponendo il Concilio di Trento come una luce nelle tenebre, affinché i Cristiani che la vedessero sapessero in cosa credere nella confusione di tante sette che l’eresiarca Lutero diffuse nel mondo. Senza questo Concilio di Trento, molti più Cristiani avrebbero abbandonato la fede cattolica, tanto grande era la divergenza di opinioni a quel tempo. Gli uomini sapevano a malapena a cosa dovessero credere.

3°. Opponendosi diametralmente a questo eresiarca ed alla massa degli empi di quel tempo, Sant’Ignazio e la sua Società, con il loro zelo, la loro santità e la loro dottrina, impedirono che la fede cattolica si estinguesse completamente in Europa.

4°. Con il Suo saggio consiglio, Dio fece anche in modo che la fede cattolica e la Chiesa, che era stata bandita dalla maggior parte dell’Europa, fosse portata in India, in Cina, in Giappone ed in altre terre lontane dove ora fiorisce e dove il santo Nome del Signore è conosciuto e glorificato.  – Questa quinta età è anche rappresentata dalla quinta epoca del mondo, che durò dalla morte di Salomone alla cattività babilonese compresa. – In effetti: a.) Come in quella quinta epoca del mondo Israele cadde nell’idolatria per il consiglio di Geroboamo, e solo Giuda e Beniamino rimasero nel culto del vero Dio, così nella quinta epoca una grandissima parte della Chiesa latina abbandonò la vera fede e cadde nelle eresie, lasciando in Europa solo un piccolo numero di buoni Cattolici. b.) Come a causa della sua condotta, la sinagoga e l’intera nazione giudaica furono afflitte dai gentili e furono spesso lasciate alle rapine, così ora i Cristiani, l’Impero Romano e gli altri regni da quali calamità non sono afflitti? L’Inghilterra, la Boemia, l’Ungheria, la Polonia, la Francia e gli altri stati d’Europa non ci servono come testimoni e non devono deplorare i loro mali con lacrime amare e persino con lacrime di sangue? – c.) Proprio come Ashur venne da Babilonia con i Caldei per impadronirsi di Gerusalemme, distruggere il suo tempio, bruciare la città, spogliare il santuario e condurre il popolo di Dio in cattività, ecc., così, in questa quinta epoca, non dobbiamo forse temere che i turchi irrompano presto e covino sinistri piani contro la Chiesa latina, e questo a causa della ricolma portata dei nostri crimini e delle nostre più grandi abominazioni? d.). Come nella quinta età il regno d’Israele e il regno di Giuda furono molto indeboliti, e divennero sempre più deboli, finché alla fine, prima il regno d’Israele e poi quello di Giuda, furono completamente distrutti; così anche, in questa quinta età, vediamo che l’Impero Romano fu diviso, ed è ora in un tale tumulto, che dobbiamo temere che perisca, come l’impero orientale perì nell’anno 1452. – Infine, a questa quinta età si riferisce anche il quinto giorno della creazione del mondo, quando Dio comandò che le acque producessero tutti i tipi di pesci e rettili, e quando creò gli uccelli dell’aria. Ora questi due tipi di animali figurano la più grande libertà. Perché cosa c’è di più libero del pesce nell’acqua e dell’uccello nell’aria? Così troviamo metaforicamente in questa quinta età la terra e l’acqua piena di rettili e di uccelli. Infatti, vi abbondano gli uomini carnali che, avendo abusato della libertà di coscienza, e non essendo contenti delle concessioni che erano state loro accordate in precedenza nel trattato di pace, strisciano e volano dietro gli oggetti della loro voluttà e della loro concupiscenza. Ognuno crede e fa quello che vuole. È a loro che si riferiscono le parole dell’Apostolo San Giuda, al v. 10 nella sua Epistola Cattolica, quando dice: « Questi bestemmiano tutto ciò che non conoscono, e si corrompono in tutto ciò che conoscono naturalmente, come bestie irragionevoli. Il disordine regna nei loro festini; mangiano senza ritegno, pensano solo a nutrir se stessi, vere nuvole senza acqua che il vento porta qua e là, alberi autunnali, alberi sterili due volte, morti e sradicati, onde furiose del mare che spargono la loro confusione come schiuma; stelle erranti, alle quali è riservato un turbinio di tempeste per l’eternità….. Mormoratori inquieti, che camminano secondo i loro desideri, e la cui bocca proferisce orgoglio; ammiratori di persone secondo il profitto che ne sperano… Uomini che si separano da se stessi, uomini sensuali che non hanno lo spirito di Dio. » – Ed è così che in questa miserabile epoca della Chiesa, ci si rilassa sui precetti divini e umani, la disciplina è indebolita, i sacri Canoni non contano a nulla, le leggi della Chiesa non sono meglio osservate dal clero che le leggi civili tra il popolo. Perciò da questo noi siamo come rettili sulla terra e nel mare, e come uccelli nell’aria: ognuno è portato a credere e a fare ciò che vuole, secondo l’istinto della carne.

II. Da cui segue: Questo è ciò che dice Colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle. Questi sette Spiriti di Dio sono i sette doni dello Spirito Santo, che Gesù Cristo mandò in tutto il mondo e rivelò alle nazioni nella verità della fede. Le sette stelle designano l’universalità dei Vescovi e dei Dottori, come dimostrato sopra. Questo è ciò che dice Colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle; cioè, che Gesù, il Figlio di Dio, al quale è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra, ha in suo potere i sette spiriti della verità della fede, e le sette stelle: i prelati ed i Dottori, che Egli può toglierci e portare nelle Nazioni lontane, a causa dei nostri grandi crimini e a causa della durezza dei nostri cuori e della nostra incredulità. Questo è quello che fece quando permise alla luce della fede di lasciare la maggior parte dell’Europa e di essere portata fino alle più lontane Indie, che erano immerse nelle tenebre del paganesimo. Egli illuminò queste Nazioni attraverso il ministero di San Francesco Saverio e di altri dottori. Se non facciamo penitenza al più presto, conformando la nostra vita a quella di Gesù Cristo, c’è da temere che questa luce della fede ci venga completamente tolta. Con queste parole, Cristo vuole suscitare nella sua Chiesa un timore salutare, perché il timore del Signore è l’inizio della sapienza. E poiché Dio non può mandarci un flagello più grande come quello di accecare il suo popolo togliendogli il dono della vera fede per mezzo di falsi dottori, che Egli suscita al posto di quelli veri, come punizione delle nostre abomini e dei nostri cuori impenitenti, dobbiamo dunque, mossi da santo timore e coperti di sacco e cenere, venire a prostrarci umilmente ai piedi di Gesù Cristo, e dirgli, con il Re-Profeta (Sal, L; 13=: « Non cacciarmi dalla tua presenza e non ritirare il tuo spirito da me. Ridammi la gioia che viene dalla tua salvezza e rafforzami con uno spirito di potenza, ecc. » – Conosco le tue opere. Con queste parole Egli rimprovera le opere di questa quinta epoca. Io conosco, cioè: le vostre opere malvagie non mi sono ignote, le vostre opere piene di imperfezioni, le vostre opere false ed ipocrite, che hanno l’apparenza della pietà, ma non hanno la verità della carità. Le vostre opere, cioè il vostro fasto, il tuo splendore e la tua santità esterna. Io conosco le vostre opere: Io, che sono il cercatore di cuori, non ignoro che in generale le vostre opere sembrano buone all’esterno, ma all’interno sono cattive e mortali. Per questo dice e aggiunge: Tu hai il nome di vivente, ma tu sei morto. Ora, possiamo acquistarci nome di vivere spiritualmente in Gesù Cristo, come principio di vita, in tre modi: – 1° dalla fede in Gesù Cristo, e da questo portiamo il nome di Cristiani; – 2° dalle opere di giustizia e carità in Gesù Cristo, della cui vita vive chiunque non sia in stato di peccato mortale, ed è in grazia di Dio; – 3° dall’osservanza dei consigli evangelici, dai sacri Ordini dell’Episcopato, del Sacerdozio, ecc. Con i voti che si fanno dedicandosi specialmente alla vita religiosa, abbandonando i fasti, le ricchezze ed i piaceri del mondo, e consacrandosi a Dio solo e al suo Cristo. Ora, Gesù Cristo rimprovera soprattutto la quinta età di essere macchiata dal vizio particolare di attribuirsi falsamente il nome di vivere in Lui, mentre si vive ben diversamente. Questo è dimostrato per induzione: – 1°. Tutti gli eretici, che nella quinta epoca sono numerosi come le locuste sulla terra, si vantano del Nome di Cristo; dicono di essere veri Cristiani e di vivere in Gesù Cristo, eppure sono tutti morti e moriranno eternamente a meno che non facciano penitenza e rientrino in se stessi. Hanno Dio ed il Figlio suo Gesù solo sulle loro labbra, mentre hanno il diavolo nei loro cuori ed il mondo tra le loro braccia. 2°. Quante migliaia di Cristiani si sono raffreddate in questa epoca calamitosa, che, considerando solo il felice successo ottenuto in ogni cosa dagli eretici, e osservando malignamente i costumi degli ecclesiastici ed il loro modo di vivere, conservano il nome di Cattolici per un certo timore e rispetto umano, ma che sono morti dentro nell’ateismo e nell’indifferentismo, nel calvinismo e nello pseudo-politicismo, e nel loro odio per i preti? Essi hanno il nome di viventi, perché pretendono di avere la religione, perché affettano pietà, fanno sembiante di aver religione, si pretendono come persone coscienziose, comunicando con i Cattolici e confessando di appartenere alla vera fede, alla presenza dei principi e dei grandi. Si lasciano persino impegnare in opere pie e le promuovono; vedono i religiosi e li frequentano, fanno mostra di zelo con le loro parole, con i loro consigli, e anche con un certo zelo esteriore per la costruzione di monasteri e collegi, per esempio; ma essi fanno tutto questo per avere il nome di esseri viventi, e per mettersi nel favore presso gli uomini ed i grandi. Cercano di conquistare la fiducia del mondo con questa apparenza di pietà e religione, per riuscire più facilmente nelle loro trame e nei progetti oscuri. 3°. Se esaminiamo in dettaglio il piccolo numero dei Cattolici, la loro rettitudine ci apparirà disgustosa come la biancheria sudicia; perché la maggior parte di loro non è dedita ad altro che alla voluttà, ed è morta nel peccato. Essi badano solo alle apparenze; si gloriano delle cose esteriori, e sembrano ignorare il fatto che “non possa riceversi una pecora senza lana”; la loro carità cristiana, infatti, è diventata fredda, e ricercano solo il loro benessere ed i propri vantaggi. Di solito non c’è né giustizia né equità nei tribunali, ma piuttosto l’accettazione di persone e di regali, che porta a processi interminabili. L’umiltà è quasi sconosciuta in questo secolo, che ha ceduto il passo al fasto ed alla vanagloria, giustificati dalla convenienza e dal rango. La semplicità cristiana è ridicolizzata come stoltezza e stupidità, mentre è considerato come sapienza l’elevato sapere ed il talento di oscurare con questioni insensate ed argomenti complicati tutti gli assiomi della legge, i precetti della morale, i santi Canoni ed i dogmi della Religione; così che non c’è più alcun principio per quanto possa essere sì santo, sì autentico, sì antico e sì certo, che sia esente da censure, critiche, interpretazioni, modifiche, delimitazioni e discussioni da parte degli uomini, etc. si frequentano le verità della Chiesa, ma non si mostra rispetto alla presenza di Dio onnipotente, ridono, parlano, guardano qua e là, scherzano, si provocano a vicenda con i loro sguardi, ecc. – Il corpo è adornato da begli abiti, mentre l’anima è macchiata dalle lordure del vizio. La parola di Dio è trascurata, disprezzata e ridicolizzata. La Sacra Scrittura non è più tenuta in considerazione; solo Machiavelli, Bodin e tutti i loro simili sono stimati ed apprezzati. Solo la mente, non il cuore, viene coltivata nell’educazione dei bambini, che divengono così disobbedienti, dissoluti, chiacchieroni, litigiosi e irreligiosi. I genitori li amano con un amore disordinato, nascondendo i loro difetti, non correggendoli e non facendo lor rispettare la disciplina domestica. Si dovrebbe fare del bambino un figlio semplice, buono, amante della verità, un Cristiano vero, retto e giusto; ma ci si preoccupa invece molto di più che diventi un politico o un sapiente. Solo quando parlerà diverse lingue e sarà stato addestrato nei costumi stranieri, sarà considerato un giovane di buone speranze e un cittadino di successo. Si esigerà da lui il saper fingere, il dissimulare, il parlare e sentire in modo nuovo, il fare tutto e imitare tutto, come un istrione. Infine, non dovrà cercare i suoi piaceri che nelle novità, etc. Ora, è così che quest’epoca fa consistere la sua giustizia e la sua vita nella falsità, nel fasto esterno, nella moda e nell’applauso degli uomini, mentre trascura la vera ed interiore giustizia, che sola possa piacere a Dio. 4°. Non dirò nulla su come siano miserabili gli ecclesiastici ed i religiosi; ecco perché molti di loro hanno nome di viventi, ma sono morti, etc. Questo dettaglio dovrebbe bastare per provare che Gesù Cristo rimprovera giustamente questa quinta età della Chiesa, dicendole: Tu hai il nome di un vivente, ma sei morto. Oh! quanti pochi uomini ci sono in quest’epoca che sono veramente vivi, servono il Signore loro Dio e sono amici del suo Cristo! Il significato di queste parole è dunque: Hai il nome di un uomo vivo, ma sei morto nella falsa dottrina, sei morto nell’ateismo e nello pseudo-politicismo, sei morto nell’ipocrisia e nella pretesa giustizia, tu sei morto nei tuoi peccati occulti, nel segreto delle tue abominazioni, sei morto nelle voluttà e nelle delizie, sei morto nella sfrontatezza, nella gelosia e nell’orgoglio; tu sei morto nei peccati della carne, nell’ignoranza dei misteri e delle cose necessarie alla salvezza; sei morto nell’irreligione e nel disprezzo della parola di Dio, perché ogni carità, che è l’unica vera vita in Cristo Gesù, si è raffreddata in te.

III. Vers. 2. – Sii vigilante, e conferma tutti coloro che sono vicini alla morte. Con queste parole esorta i Pontefici, i Prelati e i Dottori alla vigilanza e alla sollecitudine pastorale, che deve essere tanto più grande perché i tempi sono peggiori e più difficili, e perché molti lupi si sono insinuati nel mondo tra le pecore. Le pecore sono dunque più esposte alla corruzione, all’avidità ed al pericolo di perire, se non trovano un solido sostegno nella vigilanza e nella sollecitudine dei Prelati. È dunque con disegno che dice: Sii vigilante nel pregare Dio per quelli che ti sono stati affidati e per quelli che sono deboli nella fede; sii vigilante nell’amare i peccatori. Ora, il fondamento della vera vigilanza e della sollecitudine pastorale consiste nel pregare frequentemente, umilmente e devotamente per il proprio gregge: per i buoni, perché si conservino; per i deboli, perché siano alleviati e fortificati; per i cattivi, perché siano ricondotti alla verità e alla giustizia, ecc. – Sii vigilante sulla tua persona, affinché i tuoi pensieri, le tue parole e le tue opere siano sante ed irreprensibili; affinché tu sia casto, sobrio, modesto; e affinché tu non sia collerico, focoso e tiranno. Sii vigilante sulla tua casa e sulla tua famiglia, affinché la tua casa sia santa e pura da ogni fornicazione e dallo scandalo. Sii vigilante nel mantenere la sana ed ortodossa dottrina, in modo da poterla predicare agli adulti ed insegnarla ai bambini. Sii vigilante, e che ognuno faccia il suo dovere; il Vescovo, il Prelato, etc. Sii vigilante ed abbi cura di visitare, esaminare, correggere, esortare, consolare e proteggere i prelati, i curati ed i predicatori che sono sotto la tua giurisdizione. Sii vigilante nel procurare a che tutti i tuoi subordinati siano nella sana dottrina, dei buoni Vescovi, dei buoni Prelati, dei buoni parroci e altri buoni pastori delle anime. Sii vigilante contro la malizia degli eretici, contro i cattivi libri, contro i falsi Cristiani, contro i costumi depravati, i vizi pubblici, lo scandalo, il furto, l’adulterio, ecc. e conferma; vale a dire, conserva ciò che resta dei Cattolici che, cadendo a poco a poco nell’eresia e nell’ateismo, stanno morendo per mancanza di vigilanza pastorale, ecc. – Il testo dice deliberatamente in senso condizionale: Conferma tutti coloro che erano vicini alla morte; perché: – 1° come è stato detto, i resti dei Cattolici sono stati conservati in Europa con l’aiuto del Concilio di Trento, della Compagnia di Gesù e altri uomini pii; e senza questi rimedi tutti sarebbero caduti nell’eresia e sarebbero morti spiritualmente. – 2º Queste parole sono poste in senso condizionale, affinché i Vescovi, i prelati e gli altri pastori di anime comprendano che non è dal caso o da una cieca predestinazione di Dio che dipenda la salvezza o la morte delle anime redente dal prezioso sangue di Gesù Cristo, come possono immaginare i lassi e gli empi. Sappiano, al contrario, che la vita delle anime dipende dalla vigilanza e dalla sollecitudine, e che la morte eterna prviene dallo scandalo e dall’incuria dei pastori.

IV. Sii vigilante e conferma tutti coloro che erano vicini alla morte. Qui di nuovo, Gesù Cristo ci intima, attraverso la voce del Profeta, la necessità di vegliare, perché siamo in tempi malvagi ed in un’epoca piena di pericoli e di calamità. L’eresia sta prendendo il sopravvento ovunque e sta alzando la testa; il suo corpo sta diventando più forte che mai ed i suoi seguaci hanno guadagnato potere quasi ovunque. Essi sono trionfanti nell’Impero, nei regni e nelle repubbliche, e si sono arricchiti con il bottino della Chiesa. Questo è ciò che fa sì che molti Cattolici diventino tiepidi, che i tiepidi disertino e che molti concepiscano lo scandalo nei loro cuori. La guerra è anche causa di ignoranza, anche nelle cose essenziali della fede. La corruzione della morale è in aumento nei campi e tra i soldati, che raramente ricevono buoni pastori, buoni predicatori e buoni catechisti. Da ciò deriva che la generazione resta rude, grossolana ed inflessibile, ignorante di tutto o di quasi tutte le cose; dimentica di Dio e dell’onestà; non conoscente altro che la rapina, il furto, la bestemmia e la menzogna, e in studio solo per aggirare il suo vicino, ecc. Nella fede cattolica, la maggioranza è tiepida, ignorante ed aggirata dagli eretici, che applaudono e si rallegrano della propria felicità, e deridono i veri fedeli, che vedono afflitti, impoveriti e desolati. Allo stesso tempo, nessuno studia le scienze sacre, perché i genitori sono poveri e non c’è altro che desolazione nella maggior parte dei seminari, che non godono più delle entrate e delle rendite delle loro fondazioni. Da ciò che è stato appena detto, e anche da altre miserie, è chiaro quanto grande sia il pericolo per la fede cattolica nell’Impero Romano. – Siate dunque vigili, o voi Vescovi e Prelati della Chiesa di Dio! Prendete consiglio da voi stessi e riflettete attentamente con il vostro gregge sui mezzi di procurare loro, in questa urgente necessità, dei sacerdoti pii, zelanti e dotti che, con le loro sane parole ed i buoni esempi, brillino come una luce agli occhi delle loro pecore, per condurle al buon pascolo e confermarle nella fede cattolica. Sii vigile e conferma tutti coloro che erano vicini alla morte, perché non trovo le tue opere piene davanti a Dio. Qui Nostro Signore Gesù Cristo parla come uomo e come Capo invisibile della Chiesa. La Divinità, nell’infinito abisso della sua eterna prescienza, rivelò le colpe ed i peccati dei pastori e degli altri futuri membri della Chiesa, e allo stesso tempo conferì la missione di correggerli. – Gesù Cristo basa dunque il suo rimprovero sulla mancanza di vigilanza e di sollecitudine pastorale di cui sopra, che Dio tuttavia esige dai Vescovi e dai Prelati della Chiesa. Ecco perché si serve della congiunzione “perché”, che unisce ciò che precede con ciò che segue; cioè: sii vigilante …; perché non trovo le vostre opere piene davanti al mio Dio. Cioè, non fai il tuo dovere come potresti e dovresti; non sei abbastanza vigilante, e non hai abbastanza sollecitudine per le pecore che ti sono state affidate; perché le tue opere non sono piene, cioè perfette nella carità; e perché hai poca cura della salvezza delle anime. Perché non trovo le tue opere piene, per quanto riguarda le ordinazioni, le istituzioni, le promozioni, le visite pastorali e la disciplina. Non trovo le tue opere piene, perché tu non cammini come mi è stato comandato dal Padre mio, e come Io stesso ho camminato nell’umiltà, nella povertà e nel rinnegamento delle pompe del secolo. Perciò Gesù Cristo dice: … perché non trovo piene le tue opere, per esprimere che esse: non sono gradite alla sua volontà, contro la quale tu agisci, preoccupandoti solo di te stesso, usando indulgenza verso la tua persona nell’accecamento del tuo amor proprio e delle tue voluttà. Tu sei affezionato ai fasti, sei gonfio di onori, profondi il mio patrimonio nel lusso della tavola, nella brillantezza delle corti, nello splendore dei palazzi, in una numerosa servitù; nel lusso dei cavalli e delle carrozze; nei mezzi per esaltare e arricchire i tuoi parenti; in una parola, nella pompa del secolo. Mentre, al contrario, dovresti usare le tue entrate per nutrire i poveri, per consolare le vedove e gli orfani, e per aiutare i Cattolici nei paesi dove sono stati impoveriti e derubati dalle depredazioni degli eretici e degli altri nemici della Religione, e dove gemono sotto il giogo, privi di soccorso umano. Dovresti anche usare i tuoi profitti per promuovere gli studi dei giovani che non hanno mezzi, onde compensare la penuria di buoni pastori; e anche per restaurare le chiese in rovina. E poiché tutte queste opere appartengono al dovere pastorale, e tuttavia non le fai, non trovo le tue opere piene davanti al mio Dio, che conosce le tue colpe, che ti renderanno inescusabile al suo giudizio.

V. Vers. 3 – Da cui prosegue: Ricordati, dunque di ciò che hai ricevuto e di ciò che hai udito, e conservalo, e fa’ penitenza. Qui applica il rimedio al male. Questo rimedio è composto da cinque cose: – 1°. Ricorda dunque … Queste parole raccomandano la frequente meditazione di una verità grave ed importante, ed il costante e fermo ricordo del dovere pastorale. Questo ricordo e questa meditazione sono un dovere tanto serio quanto importante per i Vescovi, i Prelati e gli altri pastori, che dovrebbero farne il soggetto abituale delle loro riflessioni e inciderle profondamente nella loro memoria. Il fondamento ed il primo rimedio, quindi, è che i Prelati correggano le loro colpe e negligenze, che studino e conoscano i doveri del loro ufficio. Ecco perché dice in secondo luogo: … Ricordatevi dunque di ciò che avete ricevuto. Con queste parole Gesù Cristo designa la qualità dell’ufficio e del dovere episcopale e pastorale, che sono santi, e sono stati ricevuti dal ministero degli Angeli; e che Dio ha affidato agli uomini, non come un regno o per un vantaggio terreno, ma per la salvezza delle anime, per le quali Io – Egli dice – l’eterno Figlio di Dio, il Re dei re ed il Dominatore dei dominatori, sono disceso dal cielo, mi sono fatto uomo, sono nato in una stalla, ho vissuto tra gli animali, ho vissuto in povertà ed umiltà, conversando con gli uomini sulla terra per trentatré anni, e sono stato crocifisso tra due ladroni. – O tu, dunque, Prelato e pastore, non hai ricevuto questo ufficio per essere onorato e lodato dagli uomini, per indulgere nei piaceri e nelle delizie dei festini, per accumulare oro e argento, per esaltare ed arricchire i tuoi parenti, né per cercare il fasto del secolo o la vanità del mondo, ma per essere mio imitatore. Se vuoi essere ammesso nel numero dei miei eletti, devi essere puro ed immacolato tra gli uomini, dei quali devi essere un modello tanto più distinto, poiché il ministero che hai ricevuto in eredità è più alto, più santo e più perfetto. Il tuo fardello è pesante, pieno di doveri, sollecitudini e pericoli. Esige una vigilanza esatta, il timore di Dio, una preghiera continua ed instancabile, una casta sobrietà, ecc. – Ricordati, dunque, di ciò che hai ricevuto, cioè per quale scopo sei stato nominato Pontefice, Vescovo e Prelato, cioè per pascere il gregge che ti è stato affidato, per brillare come una luce nelle tenebre, per essere il sale della terra e per condire spiritualmente le anime e gli spiriti degli uomini; infine per essere il capo o la guida che dà vita ai membri e al corpo ecclesiastico. Ricordati, dunque, di ciò che hai ricevuto dal mio Dio: tanti doni di natura, di fortuna e di grazia dati gratuitamente, non per godere arbitrariamente di questi vantaggi, ma per farli fruttare come un servo fedele ed utile. Tu non hai ricevuto questi doni per nasconderli nel lino (espressione biblica) del tuo amore, o per sotterrarli nella terra dei piaceri e degli onori, ma per farli fruttificare e beneficiare spiritualmente il mio Dio con le tue opere di misericordia e di carità: tu devi servirtene per le vedove e gli orfani, per sostenere i poveri e gli indigenti sull’esempio dei vostri Santi. – Da questo deriva il terzo ingrediente del rimedio: Ricordati, dunque, di ciò che hai ascoltato nel mio Vangelo: come sono andato tra gli uomini e ho dato la mia vita per le mie pecore. Ricordati … di quello che hai sentito negli atti e nella vita dei miei Apostoli, di come si sono comportati, di quello che hai sentito dai tuoi padri, dai tuoi predecessori: i Pontefici, i Vescovi ed i Prelati della mia Chiesa. Perché tu sai che erano umili, poveri, prudenti, sobri, casti, solleciti ed adorni di ogni virtù. Perciò, seguendo l’esempio del tuo Signore e Maestro, degli Apostoli, degli altri Santi ed amici del mio Dio, devi vivere come essi hanno vissuto, e comportarti come essi si sono comportati in questo mondo. Ricorda … quello che hai sentito, la vita e la condotta che i santi Canoni, gli scritti dei santi Padri, i Concili generali, provinciali e diocesani. prescrivono. Ricorda … ciò che hai sentito recentemente nel Concilio di Trento, tutti i suoi statuti sulla vita, l’onestà e la riforma che devono essere osservati. Perciò aggiunge immediatamente il – 4° quarto rimedio: … e conservalo. Queste parole ci esortano ad osservare ciò che è stato detto sopra, e allo stesso tempo contengono un rimprovero particolare sul vizio di questa epoca, che consiste nel fatto che quasi nessuno di questi doveri venga osservato. Perché il nostro secolo è carnale e delicato; si vanta di molte cose, specialmente delle sue sublimi scienze. E poiché sa così tanto, pensa di avere il diritto di non osservare nulla. Noi abbiamo in effetti, tanti santi Canoni, tanti salutari Concili generali e sinodali, tante buone leggi civili, tanti libri spirituali, tanti interpreti delle Sacre Scritture, tanti scritti dei santi Padri pieni di forza e di dottrina; infine, tanti esempi di Santi. Eppure, facciamo così poco nelle opere buone! Ah, è perché siamo figli di un’epoca carnale! – È per questo che Cristo ci esorta ed esorta ad imitare e seguire con le nostre azioni il giusto cammino che conosciamo e nel quale Lui e i suoi Santi hanno camminato, servendoci da esempio. – 5° Il quinto rimedio è contenuto nelle seguenti parole: E fa’ penitenza. La penitenza che egli prescrive qui contiene tre punti, cioè: 1° L’uomo deve riconoscere e confessare la sua colpa. 2. Deve chiedere perdono a Dio con un cuore contrito e umiliato. 3. Deve correggere i suoi peccati, riformare la sua vita e la sua condotta, e pagare la soddisfazione dovuta per le sue colpe. Ora, poiché la generazione perversa di questa quinta epoca della Chiesa non fa niente di tutto questo,  ecco perché Cristo esorta la sua Chiesa sopra ogni cosa a fare una salutare penitenza, che ci propone non solo come l’unico rimedio necessario per restituire alla vita spirituale le nostre anime morte nel peccato, ma anche come mezzo per placare l’ira di Dio, per allontanare da noi i mali che Egli ha riversato su questa generazione, e che ancora riverserà a torrenti all’infinito, se non facciamo penitenza! Nonostante tutto questo, nessuno vuole convertirsi, come si può dimostrare per induzione. Infatti: 1. Gli eretici che sono morti nei loro errori disprezzano la penitenza e non riconoscono o non vogliono riconoscere il loro stato miserabile, anzi se ne vantano e dicono che stanno bene anche se … sono morti. 2. Tra i Cattolici, sono pochi quelli che riconoscono le proprie colpe ed i loro peccati. Tutti i Vescovi, Prelati e pastori di anime dicono che fanno sempre bene il loro dovere, che vegliano e vivono come si addice al loro stato. Allo stesso modo, gli imperatori, i re, i principi, i consiglieri ed i giudici, si vantano di aver agito bene e di continuare ad agire bene. Tutti gli Ordini sacri si proclamano innocenti. Infine, il popolo stesso, dal primo all’ultimo, è abituato a dire: … cosa ho fatto di male e cosa faccio di male? Ed è così che tutti si giustificano. Così, affinché la Sapienza e la Bontà divine riportassero alla penitenza questa generazione pervertita e corrotta al massimo grado, essa mandò quasi continuamente su di essa i mali della guerra, della peste, della carestia ed altre calamità. Fu per questo motivo che afflisse di nuovo tutta la Germania con trent’anni di continue e straordinarie calamità, per farci finalmente aprire gli occhi e obbligarci a riconoscere i nostri peccati e ad implorare il perdono e la misericordia di Dio con un cuore contrito ed umiliato; e anche per impegnarci a riformare la nostra vita e la nostra condotta, ognuno secondo gli obblighi del suo stato. Ma invece di far tutto questo, siamo diventati peggiori, e siamo così accecati che non vogliamo nemmeno credere che siamo immersi in questi mali a causa dei nostri peccati, mentre la Sacra Scrittura dice: « Non ci sono mali in Israele che il Signore non abbia mandato. » Perciò c’è da temere che il Signore si esasperi ancora di più nella sua ira, di cui ci minaccia con le parole che seguono:

VI. Vers. 3. … perché se tu non veglierai, io verrò a te come un ladro e tu non saprai a che ora verrò. 1° Dopo la prescrizione del rimedio segue una terribile minaccia contro la Chiesa di Dio. Perché se non vegliate, dopo che vi sarete finalmente svegliati dal sonno profondo della vostra voluttà, della vostra pigrizia e dei vostri peccati, in cui avete dormito fino ad ora, Io verrò da voi e vi porterò sventura. Si esprime al tempo futuro, perché, come è stato spesso detto, l’ira di Dio, nella longanimità della sua bontà spesso ci minaccia da lontano e per molto tempo. Ma poiché non pensassero di essere al sicuro dai suoi colpi a causa della sua lentezza, egli dice: Verrò a voi in modo sicuro e infallibile. La Scrittura ci avverte allo stesso modo, (in Abacuc II, 3): « Aspettatelo; egli verrà e non tarderà. » 2 ° Verrò a voi ….. come un ladro. Qui paragona la sua visita e l’invio dei suoi mali all’arrivo di un ladro. Infatti, – a. il ladro è solito arrivare all’improvviso e senza preavviso; – b. arriva durante il sonno; – c. irrompe nella casa; – d. infine, saccheggia e ruba tutto. Ora, tale sarà il carattere del male che Dio solleverà contro la Sua Chiesa. Questo male saranno gli eretici ed i tiranni, che arriveranno all’improvviso e inaspettatamente, che irromperanno nella Chiesa mentre i Vescovi, i Prelati ed i pastori dormono; che si impadronirà e ruberà o saccheggerà i vescovadi, le prelature, i beni ecclesiastici, come vediamo con i nostri occhi quel che hanno fatto in Germania e nel resto d’Europa. Ed è anche pericoloso che essi continuino a dominare e portare via tutto ciò che rimane. Verrò a voi come un ladro, suscitando contro di voi le nazioni barbare ed i tiranni, che verranno come un ladro, improvvisamente e inaspettatamente, mentre voi dormite nelle vostre vecchie abitudini di voluttà, di impurità e di abominio. Irromperanno e penetreranno anche nelle fortezze e nelle guarnigioni. Entreranno in Italia, devasteranno Roma, bruceranno i templi e mineranno tutto, se non farete penitenza e se non vi sveglierete finalmente dal sonno dei vostri peccati. E tu non saprai a che ora verrò. Gesù Cristo lo indica qui, come di passaggio, l’accecamento con cui Dio è solito colpire i governanti del popolo, in modo che essi non possano prevedere, e di conseguenza prevenire, i mali che li minacciano. Perché nasconde ai loro occhi, intorpiditi dal sonno della voluttà, i mali e la vendetta che li deve colpire. È in questo senso che dice: … e tu non saprai a quale ora Io verrò; cioè, il tempo della sua visita sarà nascosto ai tuoi occhi; e tu non potrai prevenire il male, né prepararti alla battaglia, perché il nemico verrà rapidamente, e inonderà tutte le cose come le acque di un fiume impetuoso, come una freccia scoccata nell’aria, come un fulmine e come un cane veloce.

Vers. 4Tu hai pochi uomini a Sardi che non hanno contaminato le loro vesti. Ora segue la lode ordinaria dei pochi, in relazione alla moltitudine di uomini che sono sulla terra. Perché per quanto afflitta e desolata possa essere la Chiesa, e per quanto malvagio possa essere il mondo, il Signore Dio ha sempre riservato per sé, e sempre riserva per sé, alcuni dei Santi suoi amici, che brillano come una luce o un faro in mezzo al mondo, per impedire che tutte le cose siano corrotte e tutte le cose siano avvolte nelle tenebre. Tu hai un piccolo numero di uomini a Sardi che non hanno contaminato le loro vesti. Con queste parole, Egli indica il tipo di iniquità di cui tutto l’universo è macchiato e infettato, con poche eccezioni. Egli designa questa specie d’iniquità per la sua somiglianza con gli indumenti contaminati. Ora, si contaminano le proprie vesti: 1°. con il fango e lo sterco che si trovano camminando per le strade 2°. Col sudiciume di diverse immondizie che si usano per la conservazione della propria vita. 3°. Con la peste e con la lebbra. Queste tre metafore significano l’universalità dei gravi peccati e delle iniquità in cui il mondo quasi intero è miseramente piombato e nelle quali langue di malattie spesso mortali. In effetti, questa generazione è completamente perversa, delicata, effeminata, molle, carnale, avara e superba. È da lì che è sprofondata nel pantano della voluttà e del piacere, nell’eresia e nella dimenticanza di Dio suo Creatore. Tra i tanti stati diversi ed i tanti uomini nel mondo, ce ne sono solo alcuni che fanno eccezione e che credono ancora con tutto il cuore nel Signore Dio, che è in nei cieli. Sono pochi quelli che sperano nella sua Provvidenza, che servono Gesù Cristo secondo la loro vocazione e che amano Dio ed il prossimo. Perciò dice: pochi! Il testo latino esprime i nomi (nomina), cioè così pochi da poter essere chiamati facilmente con i loro nomi. Come è detto nella Scrittura, « Quelli i cui nomi sono scritti nel libro della vita », a causa del piccolo numero di coloro che saranno salvati. « Perché ci saranno molti chiamati e pochi eletti (in relazione alla massa degli empi e degli increduli) ». E cammineranno con me vestiti di bianco, perché ne sono degni. L’Apostolo indica qui la condotta di Cristo sulla terra, il cui esempio questi pochi amici seguiranno. Cristo camminava in bianco, 1°. Perché visse tra gli uomini nella più grande mitezza, purezza, umiltà, povertà, pazienza ed abbandono; e tutte queste virtù di Gesù sono rappresentate dalla sua veste bianca. 2°. Camminava in bianco, quando, essendo disprezzato da Erode nella sua beata passione, Erode lo fece rivestire di una veste bianca, e dopo averlo fatto sembrare pazzo, lo rimandò a Pilato. Ora questo è il modo in cui i pochi eletti che rimangono immacolati in mezzo al mondo camminano come Cristo sulla terra, in grande umiltà, in povertà e mitezza, e gemono nei loro cuori davanti al Signore loro Dio. Hanno molto da soffrire e sono disprezzati e derisi dal mondo, perché la loro vita e la loro condotta non sono considerate altro che follia. Perché è così in effetti che il mondo ha sempre trattato i Santi di Dio, e come li ha sempre giudicati, e non si è vergognato di giudicare lo stesso unico Figlio di Dio, sceso dal cielo per la salvezza degli uomini. Ecco perché Gesù Cristo disse, per consolare i suoi amici, Jo. XV, 17: « Quello che vi ordino è che vi amiate gli uni gli altri. Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma poiché non siete del mondo, e Io vi ho scelti dal mondo, ecco perché il mondo vi odia. Ricordate quello che vi ho detto, che il servo non è più grande del padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. » Perché l’amicizia di questo mondo è inimicizia davanti al Signore, e l’amicizia con Dio è inimicizia con il mondo. Perciò il testo dice: Camminano con me vestiti di bianco, perché ne sono degni. L’amicizia e la stima di Dio per i suoi giusti e i suoi amici ci stupisce, in quanto Egli vuole e permette che essi vaghino per il mondo coperti di pelli di pecora, disprezzati, impoveriti, vili, in mezzo a tribolazioni, persecuzioni, insulti, offese, tentazioni, freddo, nudità, ecc. Al contrario, il mondo e coloro che appartengono al mondo, prosperano nelle delizie, vivono nella gloria e nelle ricchezze, ridono e si rallegrano nell’abbondanza di ogni bene. Ora questa è l’amicizia di Dio per i suoi eletti, di cui il mondo non è degno. Da qui questo passo di San Paolo agli Ebrei, XI, 35: « Alcuni furono crudelmente tormentati, non volendo riscattare la loro vita presente per trovarne una migliore nella risurrezione. Altri hanno subito insulti e flagellazioni, catene e prigioni; sono stati lapidati, sono stati segati, sono stati sottoposti alle prove più dure; sono morti a fil di spada; hanno condotto una vita errante, coperti di pelli di pecora e di capra, abbandonati, afflitti, perseguitati, loro di cui il mondo non era degno. » Questo lo sapevano bene i santi Apostoli di Dio, che tornarono dal sinedrio pieni di gioia, perché erano stati trovati degni di subire oltraggi per il Nome di Gesù.

VII. Vers. 5.Colui che vincerà sarà vestito di bianco. Queste parole contengono la promessa di una ricompensa, ricompensa e piena consolazione nell’altra vita. È con questa promessa che Egli esorta noi, i suoi soldati, e ci sprona alla vittoria. Colui che vince il mondo, la carne e il diavolo; colui che vince sfuggendo al giogo del diavolo, al quale era precedentemente sottomesso a causa dei suoi peccati e delle sue voluttà, e che fa penitenza; colui che vince praticando la carità verso Dio ed il prossimo, che cancella la moltitudine dei suoi peccati; colui che vince perseverando nella vera fede cattolica in mezzo a tante defezioni, scandali e afflizioni tra i Cristiani; … chi vince le persecuzioni, le tribolazioni, le angosce e le calamità inflitte dagli eretici e dai cattivi Cristiani; chi vince le astuzie, gli inganni e le falsità con prudenza e vera semplicità cristiana; infine, chi vince perseverando nella sana dottrina, con santi costumi e la sincerità della carità, sarà vestito di bianco, cioè sarà pienamente ricompensato secondo la misura delle sue sofferenze. Perché quanto uno è stato disprezzato in questo mondo, tanta gloria gli sarà data nell’altro; tanta tribolazione, … tanta consolazione. Quanto più uno è stato oppresso nell’umiltà, povertà, nudità, sete, miseria, persecuzioni, tribolazioni e avversità di questo mondo, tanto più sarà esaltato nell’altra vita. Si abbonderà di ricchezze celesti, si sarà rivestiti della stella dell’immortalità, saziati della pienezza di tutte le delizie, che non saranno mai più tolte. È dunque per una maggiore consolazione degli afflitti che aggiunge la postilla: “E non cancellerò il suo nome dal libro della vita“. Il libro della vita è la predestinazione, cioè la prescienza eterna di Dio, con la quale Egli ha disposto il suo regno per i suoi eletti, da tutta l’eternità, in modo certo ed infallibile, secondo le opere di ciascuno. – Così, tale è la promessa che fa qui per la consolazione dei suoi amici e dei giusti: Io non cancellerò il suo nome dal libro della vita; cioè, egli sarà scritto come erede nel testamento dell’eredità eterna, che nessuno gli toglierà per i secoli dei secoli. E confesserò il suo nome davanti al Padre mio e ai suoi Angeli. La confessione di Cristo sarà il più grande onore dei Santi in cielo. Questa confessione, che è spesso ripetuta dagli Evangelisti, è promessa qui a coloro che hanno confessato il suo santo Nome sulla terra, e che lo hanno conservato non solo con la bocca, ma anche con il cuore e le azioni. Ora, questa confessione degli uomini per il santo Nome di Gesù davanti al mondo, è del tutto estranea alla generazione perversa del nostro tempo; poiché quasi tutti confessano con la bocca di conoscere Cristo, e Lo negano con le loro azioni. Ma questa confessione di Cristo davanti a Suo Padre è promessa qui solo ai Suoi servi fedeli, come una ricompensa speciale, come uno stimolo ai suoi soldati alla vittoria, e come il più grande onore che riserva loro: essere lodati e confessati da Lui, anche davanti a Suo Padre il Re dei re, il Signore dei signori, ed alla presenza di milioni di Angeli e di tutti i Santi di Dio.

§ II.

Della sesta età della Chiesa, che sarà un’età di consolazione, e che inizierà con il santo Pontefice e il potente Monarca, e durerà fino alla comparsa dell’Anticristo.

CAPITOLO III. VERSETTI 7-13.

Et angelo Philadelphiæ ecclesiæ scribe: Hæc dicit Sanctus et Verus, qui habet clavem David: qui aperit, et nemo claudit: claudit, et nemo aperit: Scio opera tua. Ecce dedi coram te ostium apertum, quod nemo potest claudere: quia modicam habes virtutem, et servasti verbum meum, et non negasti nomen meum. Ecce dabo de synagoga Satanæ, qui dicunt se Judæos esse, et non sunt, sed mentiuntur: ecce faciam illos ut veniant, et adorent ante pedes tuos: et scient quia ego dilexi te, quoniam servasti verbum patientiæ meæ, et ego servabo te ab hora tentationis, quæ ventura est in orbem universum tentare habitantes in terra. Ecce venio cito: tene quod habes, ut nemo accipiat coronam tuam. Qui vicerit, faciam illum columnam in templo Dei mei, et foras non egredietur amplius: et scribam super eum nomen Dei mei, et nomen civitatis Dei mei novae Jerusalem, quae descendit de caelo a Deo meo, et nomen meum novum. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così dice il Santo e il Verace, che ha la chiave di David: che apre, e nessuno chiude: che chiude, e nessuno apre: Mi sono note le tue opere. Ecco io ti ho messo davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere: perché hai poco di forza, ed hai osservata la mia parola e non hai negato il mio nome. Ecco io (ti) darò di quelli della sinagoga di satana, che dicono d’essere Giudei, e non lo sono, ma dicono il falso: ecco io farò sì che vengano e s’incurvino dinanzi ai tuoi piedi: e sapranno che io ti ho amato. Poiché hai osservato la parola della mia pazienza, io ancora ti salverò dall’ora della tentazione, che sta per sopravvenire a tutto il mondo per provare gli abitatori della terra. Ecco che io vengo tosto: conserva quello che hai, affinché niuno prenda la tua corona. Chi sarà vincitore, lo farò una colonna nel tempio del mio Dio, e non ne uscirà più fuori: e scriverò sopra di lui il nome del mio Dio, e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme, la quale discende dal cielo dal mio Dio, e il mio nuovo nome. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dica alle Chiese.]

I. Vers. 7. – Scrivi anche all’Angelo della chiesa di Filadelfia. La sesta età della Chiesa inizierà con il potente Monarca ed il santo Pontefice di cui si è già parlato, e durerà fino alla comparsa dell’anticristo. Quest’epoca sarà un’epoca di consolazione (consolativus), in cui Dio consolerà la sua santa Chiesa per le afflizioni e le grandi tribolazioni che ha sopportato nella quinta epoca. Tutte le nazioni saranno restaurate all’unità della fede cattolica. Il sacerdozio fiorirà più che mai, e gli uomini cercheranno il regno di Dio e la sua giustizia con tutta la sollecitudine. Il Signore darà alla Chiesa buoni pastori. Gli uomini vivranno in pace, ognuno nella sua vigna e nel suo campo. Questa pace sarà loro concessa perché saranno stati riconciliati con Dio stesso. Vivranno all’ombra delle ali del potente Monarca e dei suoi successori (S. S. Pio IX e successori fino a Pio XII – ndr.-). Troviamo il tipo di questa età, nella sesta epoca del mondo, che iniziò con l’emancipazione del popolo d’Israele e la restaurazione del tempio e della città di Gerusalemme, e durò fino alla venuta di Gesù Cristo. Perché come in quel tempo il popolo d’Israele fu confortato al massimo grado dal Signore loro Dio, con la liberazione dalla cattività; come Gerusalemme ed il suo tempio furono restaurati; che i regni, le nazioni e i popoli sottomessi all’Impero Romano furono sconfitti e soggiogati da Cesare Augusto, un monarca potentissimo e distinto, che li governò per 56 anni, ristabilì la pace nell’universo e regnò da solo fino alla venuta di Nostro Signore Gesù Cristo, ed anche dopo; così nella sesta epoca Dio gioirà della Sua Chiesa con la più grande prosperità. Infatti, sebbene nella quinta età non vediamo altro che le più deplorevoli calamità ovunque: mentre tutto è devastato dalla guerra; mentre i Cattolici sono oppressi dagli eretici e dai cattivi Cristiani; mentre la Chiesa e i suoi ministri sono resi tributari; mentre i principati sono sconvolti; mentre i monarchi sono uccisi, i soggetti rigettati, e tutti gli uomini cospirano per erigere delle repubbliche, avviene un cambiamento strabiliante per mano di Dio onnipotente, come nessuno può umanamente immaginare (si ricordi anche lo stato dell’Europa nel 1848). Infatti, questo potente Monarca, che verrà come messaggero di Dio, distruggerà le repubbliche da cima a fondo; sottometterà tutto al suo potere (sibi subjugabit omnia) ed userà il suo zelo per la vera Chiesa di Cristo. Tutte le eresie saranno consegnate all’inferno. L’impero dei Turchi sarà spezzato e questo Monarca regnerà in Oriente ed in Occidente. Tutte le nazioni verranno ad adorare il Signore loro Dio nella vera fede Cattolica Romana. Molti santi e maestri fioriranno sulla terra. Gli uomini ameranno il giudizio e la giustizia. La pace regnerà in tutto l’universo, perché la potenza divina legherà satana per molti anni, ecc; finché non verrà il figlio della perdizione, che lo slegherà di nuovo, ecc. È anche a questa sesta età che, per la somiglianza della sua perfezione, si riferisce il sesto giorno della creazione, quando Dio fece l’uomo a sua somiglianza, e gli sottomise tutte le creature del mondo per essere loro Signore e padrone. Ora questo Monarca regnerà su tutte le bestie della terra, cioè sulle nazioni barbare, sui popoli ribelli (si sa che la Svizzera è composta da diverse repubbliche, la maggior parte delle quali sono protestanti), e su tutti gli uomini che sono dominati dalle loro cattive passioni. È anche a questa sesta epoca che si riferisce il sesto Spirito del Signore, cioè: lo spirito di sapienza, che Dio riverserà in abbondanza su tutta la superficie del pianeta in quel tempo. Infatti, gli uomini temeranno il Signore, il loro Dio, osserveranno la sua legge e lo serviranno con tutto il loro cuore. Le scienze saranno moltiplicate e perfezionate sulla terra. La Sacra Scrittura sarà unanimemente compresa, senza controversie e senza errori di eresie. Gli uomini saranno illuminati sia nelle scienze naturali che in quelle celesti. Infine, la Chiesa di Filadelfia è il tipo di questa sesta epoca; perché Filadelfia significa amore del fratello (amor fratris sulutans), e ancora, conservare l’eredità, in unione con il Signore (hæreditatem salvans adhærente Domino). Ora, tutti questi personaggi sono perfettamente adatti a questa sesta epoca, in cui ci sarà amore, concordia e pace perfetta, ed in cui il potente Monarca potrà considerare quasi tutto il mondo come sua eredità. Egli libererà la terra, con l’aiuto del Signore suo Dio, da tutti i suoi nemici, dalla rovina e da ogni male.

II. Questo è ciò che dice il Santo e Vero, che ha la chiave di Davide, che apre e nessuno chiude; che chiude e nessuno apre. Come è solito fare nella descrizione di ogni epoca, San Giovanni indica di nuovo, con queste prime parole, alcune delle insegne di Nostro Signore Gesù Cristo; insegne che Egli non solo indossa su se stesso, ma che fa anche risplendere esteriormente nelle sue membra e nel suo Corpo, che è la Chiesa, in modo particolare alla sesta età. Questo è ciò che dice il Santo dei Santi ed il vero Dio e uomo. È a causa di queste insegne, infine, che sono la santità e la verità, e che appartengono a Nostro Signore Gesù Cristo dall’ipostasi divina, che ogni ginocchio deve inchinarsi a Lui in cielo, in terra e negli inferi, ecc. Qui è anche chiamato Santo e Verace, come capo delle sue membra e del suo corpo, che è la Chiesa, e anche perché la sua Chiesa sarà particolarmente santa e vera nella sesta epoca. Sarà santa perché gli uomini cammineranno allora con tutto il loro cuore nelle vie del Signore e cercheranno il regno di Dio con tutta sollecitudine. La Chiesa sarà vera, perché dopo che tutte le sette saranno state consegnate all’inferno, sarà riconosciuta come vera su tutta la faccia della terra. – Che ha la chiave di Davide. Con queste parole si intende il potere regale e universale che Cristo possiede sulla sua Chiesa, un potere che manterrà fino alla consumazione dell’epoca, in esecuzione della volontà e del consiglio di Dio Padre. (Matth. XXVIII, 18): « Mi è stata data ogni autorità in cielo e in terra. » – Vedi Libro II, capitolo 4 -. Inoltre, si dice qui che Cristo ha la chiave di Davide, perché Davide e il suo regno erano figura di Gesù Cristo e del suo regno, come vediamo nei libri dei Profeti. – Che chiude e nessuno apre. Queste parole esprimono qual sia il potere di questa chiave di Cristo. È un potere illimitato, costituito dalla sua sola potenza, che può distribuire beni e mali secondo la sua volontà. Per questo si dice: … apre la porta ai beni diffondendoli, e apre la porta ai mali permettendoli. E nessuno chiude, cioè nessuno può impedire che i decreti della sua volontà divina si compiano in cielo, sulla terra e negli inferi. Il malvagio non può impedire il bene, ed i buoni non saprebbero impedire i mali. Infatti è detto dei malvagi in San Matteo, XVI, 18: « Le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. » E dei giusti in Ezechiele, (XIV, 14): « Che se questi tre uomini, Noè, Daniele e Giobbe, saranno trovati in mezzo a quella terra (di una nazione che avrà peccato contro il Signore), essi libereranno le loro anime con la loro propria giustizia, dice il Signore degli eserciti, ecc. » Che chiude e nessuno apre, vale a dire, di contro, che rimuove a suo tempo i mali della sua Chiesa e le restituisce i beni. Poi Egli permette di nuovo i castighi, e non c’è nessuno che possa toglierli dalla Sua mano o impedirli, come è scritto (Ps. CIII, 28): « …. Quando date loro del cibo, lo raccolgono immediatamente. Quando apri la mano, sono tutti pieni dei tuoi beni. Ma se tu distoglierai il tuo volto da loro, saranno turbati. Tu toglierai loro lo spirito ed essi torneranno alla loro polvere. Manderai il tuo spirito e saranno ricreati, e rinnoverai la faccia della terra, etc. » – Conosco le tue opere. Queste parole sono un elogio generale delle opere della sesta età, come hanno espresso sopra un rimprovero sulle opere della quinta. Conosco le tue opere, che sono tutte sante, buone, perfette e piene di carità, come il seguito farà vedere.

Vers. 8: Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere, perché tu hai poca forza, eppure hai mantenuto la mia parola e non hai abbandonato il mio nome, etc. Queste parole sono piene di consolazione; esse descrivono la felicità che verrà nella sesta epoca, una felicità che consisterà in: – 1° L’interpretazione vera, chiara e unanime delle Sacre Scritture. Perché allora le tenebre dell’errore e le false dottrine degli eretici, che non sono altro che la dottrina dei demoni, saranno dissipate e scompariranno. I fedeli di Cristo, sparsi su tutta la superficie del pianeta, saranno i fedeli di Cristo, sparsi su tutta la superficie del pianeta, saranno attaccati alla Chiesa nel cuore e nello spirito, nell’unità della fede e nell’osservanza dei buoni costumi. Ecco perché si dice: ho aperto una porta davanti a voi, cioè la comprensione chiara e profonda delle Sacre Scritture. Che nessuno può chiudere, intendendo dire che nessun eretico potrà pervertire il senso della parola di Dio, perché in questa sesta epoca ci sarà un Concilio ecumenico, il più grande che abbia mai avuto luogo, nel quale, per un favore speciale di Dio, per il potere del Monarca annunciato, per l’autorità del santo Pontefice e per l’unità dei pii principi, tutte le eresie e l’ateismo saranno proscritte e bandite dalla terra (Concilio Vaticano, 1869-70. – ndr.-). Il legittimo significato delle Sacre Scritture sarà dichiarato, ed esse saranno credute ed accettate. – 2°. Questa felicità consisterà in un immenso numero di persone fedeli, perché in quel tempo tutti i popoli e le nazioni si riuniranno in un solo ovile ed entreranno attraverso l’unica porta della vera fede. Così si compirà la profezia di San Giovanni X: 16: « Ci sarà un solo pastore e un solo ovile ». E anche quello di San Matteo, XXIV, 14: « Questo Vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo come testimonianza a tutte le nazioni, e poi verrà la fine. » Ora, è anche in questo senso che è detto qui: Ho aperto una porta davanti a voi, la porta della fede e della salvezza delle anime, che fu chiusa a innumerevoli uomini nella quinta epoca a causa delle eresie e degli abomini dei peccatori. Ecco perché l’ovile era allora limitato, svilito, umiliato e disprezzato al massimo grado. Ma ora la porta è aperta davanti a voi; è aperta a tutti, come la grande porta di un palazzo reale, quando non ci sono né nemici né sedizione da temere. – 3°. Questa felicità consisterà nella moltitudine dei predestinati. Infatti, un gran numero di fedeli sarà salvato in quel tempo, perché la vera fede brillerà in splendore e la giustizia abbonderà. Ho aperto una porta davanti a voi, la porta del cielo, che nessuno può chiudere fino al tempo fissato. Il testo latino inizia con la particella “ecce”, ecco, perché, come è già stato detto altrove, questa parola eccita il nostro spirito a concepire qualcosa di grande e ammirevole in questa opera che Dio compirà per la nostra consolazione, per la nostra felicità e la nostra gioia spirituale. Perché tu hai poca forza, eppure hai mantenuto la mia parola. Questo passaggio indica tre cause o tre meriti particolari, per i quali Dio avrà pietà della sua Chiesa e aprirà la porta della sua misericordia in questa sesta epoca. Il primo merito è messo al presente: Perché hai poca forza. Queste parole esprimono l’industria dei servi di Dio che useranno con prudenza e zelo le poche forze che hanno ricevuto da Lui, e otterranno così frutti molto grandi attraverso la conversione dei peccatori e degli eretici. Ed è questo grande sforzo che avranno fatto, soprattutto all’inizio della sesta epoca, per realizzare queste conversioni, che Gesù Cristo ricompenserà con una grande prosperità. Il secondo e il terzo merito sono messi al passato: Hai mantenuto la mia parola e non hai rinnegato la mia fede. Con questo designa la costanza e la perseveranza dei suoi servi nel suo amore e nella sua fede. Perché verso la fine del tempo della quinta età, questi, avendo poca forza, si solleveranno tuttavia contro i peccatori che hanno rinnegato la fede per amore dei beni terreni. Si solleveranno anche contro certi preti che, essendosi lasciati sedurre dalla bellezza e dalle attrazioni delle donne, vorranno abbandonare il celibato. Ora, nel momento in cui il diavolo godrà di una libertà quasi assoluta ed universale, e quando la più grande tribolazione imperverserà sulla terra, questi fedeli servitori, uniti tra loro dai legami più forti, proteggeranno il celibato mantenendosi puri in mezzo al mondo. Saranno considerati vili agli occhi degli uomini e saranno disprezzati e rifiutati dal mondo, che li ridicolizzerà. Ma il Salvatore Gesù Cristo, nella sua bontà, guarderà con favore la loro pazienza, la loro industria, la loro costanza e la loro perseveranza, e li ricompenserà nella sesta età assistendo e favorendo i loro sforzi nella conversione dei peccatori e degli eretici. Perché tu hai poca forza, sei misconosciuto e senza potere, senza ricchezze e senza gloria; e perché la grazia di Dio non vi è stata data e distribuita che solo in misura; tuttavia, avete fatto i più grandi sforzi nel vostro zelo e nella vostra ardente carità per il santo Nome di Gesù, per la sua Chiesa e per la salvezza delle anime. Ecco perché Cristo, nella sua misericordia, verrà finalmente in vostro aiuto e aprirà la porta della vera fede e della penitenza agli eretici ed ai peccatori. Eppure hai conservato la mia parola. – La parola di Cristo è presa qui come la speciale dottrina e conoscenza di un precetto o consiglio che non era contenuto nella vecchia legge e che era del tutto contrario al mondo. Ora il Vangelo contiene tre parole di questo tipo: la prima è il precetto dell’amore per i propri nemici e della carità fraterna. Il secondo è il consiglio della continenza e del celibato. (Matth. XIX, 12): « Ci sono alcuni che si sono fatti eunuchi. » La terza parola è la pazienza che dobbiamo praticare. (Matteo V, 39): « Se qualcuno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra. E a colui che vuole discutere con te nel giudizio e toglierti la tunica, tu lasciagli pure il tuo mantello. » Ora è detto nel testo: E tuttavia hai mantenuto la mia parola, cioè la parola dell’amore fraterno, del celibato, della pazienza e della mitezza, che Dio ha pronunciato con la sua bocca benedetta e che Lui stesso ha osservato. E tu non hai abbandonato il mio Nome. Il testo latino dice: Non hai rinnegato la mia fede. Ora la fede è più spesso rinnegata per amore della ricchezza, dell’onore e del piacere. Ma i servi di Cristo disprezzeranno queste tre concupiscenze verso la fine della quinta età, e condurranno una vita umile, senza cercare dignità o potere. Saranno disprezzati ed ignorati dai grandi, e se ne rallegreranno. Sacrificheranno le loro entrate per i poveri e per l’edificazione e la propagazione della Chiesa cattolica, che ameranno come loro Madre. Cammineranno in semplicità di cuore alla presenza di Dio e degli uomini; e per questo la loro vita appartata sarà considerata una follia. La saggezza di questo mondo consiste nel conservare ciò che si ha e nell’accrescerlo; questi veri credenti, al contrario, disprezzeranno i beni e gli onori terreni e si preserveranno dalla contaminazione con le donne. La loro conversazione sarà conforme alla santità della loro vocazione. Quando, quindi, vedranno i loro simili apostatare e rinnegare la fede di Gesù Cristo per amore delle ricchezze, degli onori e dei piaceri, gemeranno nei loro cuori davanti al loro Dio, e persevereranno nei veri principi della fede cattolica. Gesù Cristo li elogia giustamente: E voi non avete rinnegato la mia fede.

III. Vers. 9Vi darò alcuni della sinagoga di satana, che si chiamano Giudei e non lo sono, ma sono bugiardi. Farò in modo che vengano ad adorare ai tuoi piedi, e sapranno che ti amo, etc. Ora segue la promessa della grazia più abbondante di Dio, che è solito aiutare e coronare con successo gli sforzi pii dei suoi servitori, e ricompensarli per i loro sforzi e premiare la loro fedeltà, costanza e perseveranza nel bene che fanno. Il testo latino, citato sopra, contiene la particella ecce tre volte, come segue 1° Ecce dedi coram te ostium apertum. Ti ho aperto la porta. 2º Ecce dabo. Ecco Io darò. 3º Ecce faciam. Lo farò. È ciò per elevare il nostro spirito e farci concepire quanto grande e ammirevole siano le opere della misericordia divina, che manifesteranno le ricchezze della sua gloria, della sua grazia e della sua infinita bontà. 1° Ecce, ecco. si rivolge dapprima ai suoi servi e dice loro: Ecco i frutti del vostro lavoro e delle vostre opere. 2°. Ecce dabo. Vi darò ciò che avete così a lungo invocato con le vostre lacrime ed i vostri pii gemiti. 3° Ecce. Ecco, Io farò ciò che nessuno credeva. Consolati dunque adesso, ecc.; perché Io ti darò alcuni della sinagoga di satana, che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono mendaci. Ora nella sinagoga di satana ci sono i Giudei e coloro che errano nella fede ammettendo la falsa dottrina del demonio, il padre della menzogna. Allo stesso modo, per Giudei, intendiamo anche in senso figurato e per allegoria, gli eretici e gli scismatici che si definiscono Cristiani, ma che non lo sono, e che sono bugiardi. Gesù Cristo promette dunque qui la conversione degli eretici, degli scismatici e di tutti coloro che errano nella fede. E questa conversione avrà luogo nella sesta epoca, quando la Chiesa greca sarà di nuovo unita alla Chiesa latina. Li farò venire ad adorare ai tuoi piedi. Queste parole esprimono la forza, l’efficacia e l’abbondanza della grazia e della bontà di Dio, che farà sì che intere nazioni, e persino tutti i popoli, vengano ad adorarlo, sottomettendosi alla Chiesa Cattolica, che diventerà la loro Madre. E li farò venire alla luce della mia grazia spontaneamente e non più costretti dalla guerra e dal ferro. Li farò inchinare ai tuoi piedi, cioè umiliarsi e sottomettersi al tuo potere spirituale. Da ciò che è stato appena detto, possiamo vedere quale fede e fiducia debbano avere tutti i Prelati ed i pastori di anime nella grazia di Dio, senza la quale nulla è possibile e nulla si fa. Da quasi cento anni combattiamo contro gli eretici, non solo con discussioni forti e accorate e con gli scritti più dotti, ma anche con la forza delle armi… senza successo! Non ci resta quindi altro da fare che ricorrere al Signore nostro Dio, umiliarci, condurre una vita santa e lavorare ardentemente per preservare i resti del Cattolicesimo, finché piaccia a Gesù Cristo avere finalmente pietà della sua Chiesa, che non può dimenticare, ed avere riguardi agli sforzi dei Suoi servi, che continuano a temerlo ed a servirlo. Riponiamo dunque la nostra speranza e la nostra viva fiducia nella grazia onnipotente di Gesù Cristo, che può illuminare le menti accecate di miserabili peccatori ed eretici con un solo raggio della sua luce. È questa fiducia che ci raccomanda il Salmista, (Salmo XXX, dal versetto 3 al 7) … e sapranno che io ti amo, cioè confesseranno che tu sei la mia unica sposa scelta e amata, la vera Chiesa ed erede del regno celeste, fuori dalla quale non c’è salvezza. Perché nella sesta epoca la Chiesa cattolica sarà esaltata all’altezza della sua gloria temporale, e sarà esaltata da un mare all’altro: allora non ci saranno più controversie né questioni tra gli uomini su quale sia la vera Chiesa. Ecco perché si dice: “Sapranno“, cioè che ciò che è così controverso e discusso nella nostra quinta epoca sarà portato alla luce nella sesta età. È così che la bontà divina sa far uscire il bene dal male permettendo eresie e tribolazioni, affinché il Suo santo Nome sia meglio conosciuto. – Ne abbiamo un esempio in tutti gli errori che sono apparsi nelle varie epoche e che, per quanto spaventosi fossero, sono scomparsi di nuovo per la potenza della verità divina. Citeremo solo quella di Ario contro la divinità di Gesù Cristo. Ce n’era forse una simile per ostinazione? Ma l’eresia moderna può certamente essere paragonata ad essa.

Vers. 10. Perché hai conservato la parola della mia pazienza, e Io ti preserverò dall’ora della tentazione, che sta per venire su tutto il mondo per mettere alla prova coloro che abitano sulla terra. L’ora della tentazione che deve venire, e che qui è predetta, è il tempo della persecuzione dell’Anticristo, che Nostro Signore ha profetizzato in San Matteo, XXIV, e in Daniele, XI e XII. Egli la chiama l’ora della tentazione, perché durerà un tempo breve, e la settima età della Chiesa sarà breve, come vedremo più avanti. La bontà divina ha l’abitudine di preservare i suoi eletti dall’ora della tentazione, e dai tempi delle calamità, con due mezzi:

1°. Chiamandoli a sé in pace, attraverso una morte naturale, prima che i mali e le tribolazioni li sorprendano. Essa accordò questa grazia ad Ezechia, Giosia e ad altri santi dell’Antico e del Nuovo Testamento. – 2°. Essa conserva anche i suoi, senza toglierli da questo mondo, ma liberandoli dal male. (Jo. XVII, 18): « Non vi prego di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male »; così Gesù Cristo mandò i suoi Apostoli e discepoli in mezzo ai lupi. Ora, è con questi due mezzi che Dio preserverà la sua Chiesa, nella sesta epoca, dall’ora della tentazione dell’Anticristo. 1° Chiamandola a sé, perché alla fine della sesta età, la carità si raffredderà, i peccati cominceranno a moltiplicarsi, e sorgerà gradualmente una generazione perversa e di figli infedeli. I giusti, i santi, i buoni Prelati ed i buoni pastori saranno allora portati via, in gran numero, da una morte naturale, ed al loro posto verranno uomini tiepidi e carnali, che si preoccuperanno solo di se stessi, e saranno come alberi senza frutti, stelle erranti e nuvole senza acqua. 2°. Gesù Cristo preserverà la sua Chiesa dal male senza toglierla dal mondo; perché la Chiesa durerà fino alla fine dei tempi, ed in confronto alla grande moltitudine di uomini malvagi rimarranno pochi santi e maestri, che Dio manderà in mezzo ai lupi per insegnare a molti la verità e la giustizia. Questi cadranno di spada, tra le fiamme, nelle catene e nella rovina. (Dan, XI): « Dio conserverà così questi ultimi eletti dall’ora della tentazione, liberandoli dal male, cioè impedendo loro di acconsentire all’empietà del tiranno furioso, e aiutandoli a morire per la verità, per la giustizia e per la fede di Gesù Cristo.»

Vers. 11. – Verrò presto, conserva ciò che hai, per evitare che qualche altro riceva la tua corona.  Queste parole contengono un salutare avvertimento dell’arrivo improvviso ed inaspettato di Gesù Cristo, così come un’esortazione ai fedeli a continuare sulla retta via. E questi sono come due scudi di prima necessità, che ci presenta prima di tutto contro l’ultima tribolazione descritta in San Matteo. 1°. Perché allora gli uomini penseranno che il regno dell’anticristo sarà di durata eccessiva, a causa della grande felicità e potenza di questo tiranno. I Giudei e gli altri miscredenti che lo riceveranno come Messia crederanno che il suo regno durerà per sempre. Ora, è per abbattere questa presunzione, e per distruggere questa falsità, che Egli dice qui: Io verrò presto. 2°. Come al tempo dell’orribile persecuzione di Diocleziano, che fu il prototipo vivente dell’anticristo, molti fedeli rinunciarono alla fede di Gesù Cristo e sacrificarono agli idoli; tra questi il S. P. Marcellino stesso, che poi fece penitenza e subì coraggiosamente il martirio; come anche i quaranta martiri (di Sebaste) al tempo dell’imperatore Licinio, uno dei quali disertò, e la cui corona fu poi data a Janitor, … così sarà nella persecuzione della fine dei tempi, ed anche peggio, perché supererà tutte quelle precedenti. Ecco perché Gesù Cristo, come un generale in capo, si preoccupa di avvertire in anticipo i suoi soldati, armandoli con lo scudo sovranamente necessario della forza, della costanza e della perseveranza. Egli quindi li esorta dicendo loro:

Vers. 12. – Conserva ciò che hai, affinché nessun altro riceva la tua corona. Chiunque prevarrà, lo farò diventare una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà più; e scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, la nuova Gerusalemme, che scende dal cielo dal mio Dio, e il mio nuovo Nome. Per dare più forza ai suoi amati soldati, e per confermarli ancor più nell’ultima e più terribile persecuzione, Nostro Signore Gesù Cristo fa seguire nel contesto, la promessa dei più grandi beni, come una ricompensa proporzionata alle difficili vittorie che i giusti avranno ottenuto sul tiranno. La prima di queste vittorie sarà la fermezza e la costanza, con cui saranno come colonne di perseveranza nella Chiesa di Cristo. Resisteranno alla furia del tiranno, ai suoi falsi miracoli ed alle sue invenzioni diaboliche, e sacrificheranno i loro corpi, il loro sangue e le loro vite per la verità e la giustizia. La seconda vittoria sarà la confessione del vero Dio, che ha creato il cielo e la terra e tutto ciò che essi racchiudono; ed è contro questa confessione che l’anticristo infurierà principalmente, e si costituirà il dio degli dei. La terza vittoria sarà la ferma fede e la fedeltà della Chiesa di Cristo, che l’anticristo respingerà come un’impostura, e disperderà nella sua furia ai quattro venti del cielo, sulle montagne aride e nelle caverne. Infine, il quarto sarà la confessione del Nome di Gesù Cristo, contro il quale si eleverà il tiranno. Egli si glorificherà nei suoi falsi miracoli, che compirà per mezzo di artifici diabolici. Si proclamerà il Messia, e sarà ricevuto come tale dai Giudei, secondo le parole di Gesù Cristo stesso, in San Giovanni, V, 43: « Sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete. Se un altro viene nel suo proprio nome, lo riceverete. » A queste quattro virtù, meriti e vittorie del giusto, Dio promette, in proporzione, quattro tipi di ricompense e di glorie. – Il primo è contenuto in queste parole: Lo farò diventare una colonna nel tempio del mio Dio e non se ne allontanerà. Le colonne sono collocate nei palazzi dei re per sostenere la massa dell’edificio per esserne la gloria e l’ornamento, e per amplificarne lo splendore: ora è così che i giusti di Dio, che nel tempio di Cristo, cioè nella Chiesa militante, saranno stati, per la fermezza della loro fede, colonne della verità e della giustizia di Gesù Cristo, difendendola, predicandola, combattendo e morendo per essa; è così, diciamo ancora, nel tempio di Dio e nella Chiesa trionfante, i giusti saranno anche colonne eterne, splendenti di gloria, alla presenza di tutti i Santi e di tutti gli Angeli del cielo. Allora, come questi giusti saranno rimasti fedelmente e costantemente nel tempio di Dio sulla terra, cioè nella Chiesa Cattolica, senza mai lasciarla per andare nelle sette dell’anticristo e di altri eretici, abbandonando la vera fede; così rimarranno nel tempio eterno di Dio, senza mai lasciarlo. Saranno immortali, impeccabili, stabili e immutabili per l’eternità! Non avranno più dolori da soffrire e non verseranno più lacrime. Infine, la morte, la fame, la sete e tutte le altre miserie del corpo e dell’anima non avranno più alcuna presa su di loro. La seconda ricompensa si trova in queste parole: Scriverò su di lui il Nome del mio Dio. Poiché essi saranno come Lui, secondo San Giovanni, III, 3, e saranno persino chiamati Dei, come vediamo nel Salmo LXXX, 6: « Ho detto: voi siete dei, voi tutti figli dell’Altissimo. » La terza ricompensa si esprime così: E scriverò su di lui….. il Nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo dal mio Dio. Cioè, i giusti saranno il tempio di Dio, in cui il Re dei re e il Signore dei signori si degneranno di abitare, e lo possederanno per tutta l’eternità, attraverso la visione beatifica. La quarta ricompensa, infine, si trova in queste parole: Scriverò su di lui ….. il mio Nuovo Nome; cioè, che onorerà i giusti con il suo Nome; perché saranno chiamati figli di Dio, secondo San Giovanni, III, 1.

Vers. 13. – Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Stessa spiegazione di cui sopra.

§ III.

Della settima e ultima età della Chiesa, che sarà l’età della desolazione, che inizierà all’apparizione dell’Anticristo e durerà fino alla fine del mondo.

CAPITOLO III. – VERSETTI 14-22.

Et angelo Laodiciaæ ecclesiæ scribe: Hæc dicit: Amen, testis fidelis et verus, qui est principium creaturæ Dei. Scio opera tua: quia neque frigidus es, neque calidus: utinam frigidus esses, aut calidus: sed quia tepidus es, et nec frigidus, nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo: quia dicis: Quod dives sum, et locupletatus, et nullius egeo: et nescis quia tu es miser, et miserabilis, et pauper, et caecus, et nudus. Suadeo tibi emere a me aurum ignitum probatum, ut locuples fias, et vestimentis albis induaris, et non appareat confusio nuditatis tuae, et collyrio inunge oculos tuos ut videas. Ego quos amo, arguo, et castigo. Aemulare ergo, et poenitentiam age. Ecce sto ad ostium, et pulso: si quis audierit vocem meam, et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum, et coenabo cum illo, et ipse mecum. Qui vicerit, dabo ei sedere mecum in throno meo: sicut et ego vici, et sedi cum Patre meo in throno ejus. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’amen, il testimone fedele e verace, il principio delle cose create da Dio. Mi sono note le tue opere, come non sei né freddo, né caldo: oh fossi tu freddo, o caldo: ma perché sei tiepido, e né freddo, né caldo, comincerò a vomitarti dalla mia bocca. Perciocché vai dicendo: Sono ricco, e dovizioso, e non mi manca niente: e non sai che tu sei un meschino, e miserabile, e povero e cieco, e nudo. Tì consiglio a comperare da me dell’oro passato e provato nel fuoco, onde tu arricchisca, e sia vestito delle vesti bianche, affinché non comparisca la vergogna della tua nudità, e ungi con un collirio i tuoi occhi acciò tu vegga. Io, quelli che amo, li riprendo e li castigo. Abbi adunque zelo, e fa penitenza. Ecco che io sto alla porta, e picchio: se alcuno udirà la mia voce, e mi aprirà la porta, entrerò a lui, e cenerò con lui, ed egli con me. Chi sarà vincitore, gli darò di sedere con me sul mio trono: come Io ancora fui vincitore, e sedei col Padre mio sul trono. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dica alle Chiese.]

I. Vers. 14. – All’Angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice colui che è la verità stessa, il testimone fedele e verace, che è il principio della creatura di Dio. – La settima e ultima età della Chiesa inizierà all’apparizione dell’anticristo e durerà fino alla fine del mondo. Sarà un’epoca di desolazione, in cui ci sarà una defezione totale della fede, (Luca XVIII, 8): « Ma quando il Figlio dell’Uomo verrà, pensate che troverà la fede sulla terra? » È in quest’epoca che si compirà l’abominio della desolazione descritto in San Matteo, XXIV, e in Daniele, XI e XII. È anche allora che l’epoca finirà e che la parola della volontà divina si compirà. A questa età si rapporta il settimo giorno della creazione del mondo, quando Dio finì la Sua opera e si riposò il settimo giorno, (Genesi II). Ora, nella settima epoca della Chiesa, Dio completerà la Sua opera spirituale, che ha decretato di compiere attraverso il Figlio Suo Gesù Cristo. E poi si riposerà con i suoi Santi per tutta l’eternità. Questa epoca è anche rappresentata dal settimo Spirito del Signore, lo Spirito di scienza. Perché in quel tempo si saprà chiaramente, dopo che l’anticristo sarà stato distrutto e gettato nell’inferno, che Gesù Cristo è venuto sulla terra come uomo. E poi quelli dei Giudei che rimarranno, faranno penitenza. Questa età è anche rappresentata dal settimo Spirito del Signore, perché allora la Scienza si moltiplicherà sulla terra, secondo Daniele: XII, 4. Allora apparirà il segno del Figlio dell’uomo nel cielo, ed ogni occhio lo vedrà. Inoltre, questa settima età è rappresentata dalla settima epoca del mondo. Perché come questa epoca sarà l’ultima a finire il secolo, così la settima epoca sarà l’ultima della Chiesa. Infine, il tipo di questa epoca è la Chiesa di Laodicea, che si spiega con “vomito”. Ora, questa parola è appropriata per l’ultima epoca, durante la quale, in attesa che l’anticristo salga al potere, la carità si raffredderà, la fede verrà meno, tutti i regni saranno in subbuglio ed in agitazione, e si divideranno tra loro; sorgerà una razza di uomini egoisti, accidiosi e tiepidi. I pastori, i Prelati ed i principi saranno ingannevoli, simili agli alberi d’autunno, senza foglie e senza frutti di buone opere; essi saranno come stelle erranti, nuvole senza acqua. E allora Cristo comincerà a vomitare dalla sua bocca la Chiesa, e permetterà a satana di essere sciolto e di spargere il suo potere in tutti i luoghi; e il Figlio della perdizione entrerà nel regno, che è la Chiesa.

II. Questo è ciò che dice Colui che è la verità stessa, il testimone fedele e verace, che è il principio della creatura di Dio. Le prime parole di questo testo contengono nuovi attributi o distintivi di Gesù Cristo. Questo è ciò che dice Colui che è la verità stessa. Il testo latino esprime queste prime parole con la parola amen. “Amen” è una parola ebraica, che significa vero. Questa parola si adatta perfettamente a Cristo, a causa della divinità che ha da sé, e che è la sua essenza, perché è la prima Verità. Per questo San Giovanni, (XIV, 6) dice: « Io sono la via, la verità e la vita. » Questo attributo non può adattarsi a nessun uomo comune, perché ogni uomo è mendace, e solo Dio è verace, il testimone fedele e verace della gloria e della maestà del Padre, al Quale ha reso testimonianza, essendo il Figlio suo stesso e rimanendogli fedele fino alla morte, e alla morte di croce. Che è il principio della creatura di Dio, perché, secondo San Giovanni, I.: 2, «… tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui, e senza di Lui non è stato fatto nulla di ciò che è stato fatto ».  – L’Apostolo inizia esprimendo questi attributi ed insegne divine, per confermare le menti dei suoi servi nella verità del Vangelo, contro l’empietà dell’Anticristo, che, vantandosi di essere il Signore Dio del cielo e della terra, bestemmierà in modo orribile, dicendo che Gesù Cristo non è Dio, che non si è fatto carne e che né la sua testimonianza né il suo Vangelo sono veri, ecc.

Vers. 15. – Conosco le tue opere. Con queste parole, che l’Apostolo ha l’abitudine di usare, egli rimprovera le opere di questo tempo, come è chiaro da ciò che segue: Non sei né freddo né caldo, cioè non avete né il timore di Dio né il fervore della carità, con cui mettereste in pratica la giustizia e la verità. Il freddo e il caldo sono metafore che distinguono queste due virtù. Perché negli ultimi giorni l’iniquità abbonderà e l’amore di molti si raffredderà. (Matteo, XXIV, 12). È dunque con ragione che Gesù-Cristo rimprovera a questa età della Chiesa di non essere né fredda né calda. Piacesse a Dio che tu fossi freddo o caldo! Queste parole contengono una sorta di augurio con cui Nostro Signore Gesù Cristo, nel suo affetto paterno, lamenta il triste stato della sua Chiesa, come un padre o una madre sono soliti lamentare la morte di un figlio o di una figlia, e come un marito piange la moglie che ha amato.

Vers. 16. – Ma poiché siete tiepidi, cioè perché languite e perdete la fede, la speranza e l’amore, e quindi non osservate più i miei comandamenti, facendo opere di giustizia, Io vi vomiterò dalla mia bocca. L’uomo è solito buttare fuori dalla sua bocca ciò che gli appare cattivo e sgradevole, come, per esempio, l’acqua tiepida, che rappresenta, con una vera metafora, il fedele che langue nella fede, nella speranza e nella carità, e che non è più Cristiano se non solo di nome. Per questo dice: ti vomiterò dalla mia bocca. Il testo latino dice: Incipiam, comincerò a vomitarti dalla mia bocca, cioè comincerò a poco a poco a respingerti da me, a dimenticarti, ad abbandonarti e a lasciarti cadere nelle eresie. Vi vomiterò dalla mia bocca, cioè permetterò alle nazioni e all’anticristo di calpestarti, come si usa calpestare la saliva e l’acqua tiepida che si getta a terra. Il popolo cristiano è nella bocca di Cristo attraverso la fede nella sua parola e nel suo Vangelo, e Gesù Cristo lo vomita a causa della follia delle sue abominazioni, permettendo loro di cadere nell’errore e di abbandonare la giustizia. Questo è ciò che Gesù Cristo comincerà a fare verso la fine della sesta epoca, ed è ciò che continuerà a fare nella settima, quando la carità si raffredderà, l’iniquità abbonderà e quasi tutti gli uomini perderanno completamente la loro fede.

Vers. 17. – Tu dici: Io sono ricco ed opulento e non ho bisogno di nulla; e non sai che sei un miserabile, un infelice, povero, cieco e nudo.

Vers. 18. – Io ti consiglio di comprare da me dell’oro provato nel fuoco per arricchirti, e delle vesti bianche per vestirti, affinché non appaia la vergogna della tua nudità; e applica ai tuoi occhi un rimedio affinché tu possa vedere. Gesù Cristo rivela qui, sotto la forma di una correzione paterna, i vizi ed i difetti di quest’epoca, contro i quali dà allo stesso tempo un consiglio salutare ed un rimedio opportuno. Il primo di questi vizi sarà una colpevole presunzione della mente, basata sulla propria conoscenza, che accecherà talmente gli uomini da non riconoscere nemmeno i loro peccati o i loro errori. Diventeranno così induriti nei loro vizi, nelle loro voluttà e menzogne che si giustificheranno e ignoreranno la sana dottrina. Questo è ciò che Gesù Cristo esprime con queste parole: tu dici con falsa iattanza e vana presunzione: Io sono ricco, cioè sono dotato di giustizia, di verità e delle più perfette e belle scienze. Io sono opulento nella conoscenza e nella pratica di tutte le arti. La mia esperienza supera quella di tutti i secoli. E non ho bisogno di nulla. Non ho bisogno di essere istruito da altri. Questo è anche lo spirito satanico degli pseudo-politici e dei falsi Cristiani del nostro tempo, i quali, disprezzando ogni vera scienza, ogni sana dottrina, e non ascoltando più i direttori delle anime, si giustificano in ogni cosa, e seguono solo gli impulsi del loro amor proprio e della loro volontà perversa. In questo modo corrono così verso la loro stessa perdizione. Ne consegue che: E voi non sapete, cioè non riconoscete di essere infelici. Perché tu sei davvero miserabile a causa della tua cecità, della tua mancanza di grazia e della vera luce, e di conseguenza sei anche miserabile a causa dell’inimicizia di Dio, che è la più grande di tutte le miserie. Ma la tua miseria è tanto più grande perché non sai, o non vuoi riconoscere il male, né vuoi usare il rimedio che Io o altri ti proponiamo. Sei infelice a causa della pena che ne seguirà. Inoltre, sei povero di meriti spirituali, meriti che non possono sussistere nello stato di inimicizia in cui ti trovi con Dio. Sei cieco, perché non vedi, e non riconosci i tuoi difetti, i tuoi vizi, la tua povertà e la tua miseria. E tu sei nudo e spoglio delle virtù della vera fede, della speranza, della carità, della giustizia e della religione; perché le virtù sono come l’abito dell’anima. Il secondo vizio di quest’epoca sarà la vana fiducia nelle ricchezze, nei tesori, negli oggetti preziosi, nei ricchi ornamenti, nella magnificenza degli edifici e dei templi, e nello splendore esterno delle cose spirituali e temporali. E poiché tutti questi vantaggi non saranno uniti alla carità verso Dio, non piaceranno a Gesù Cristo. Perché anche i sacrifici dell’Antico Testamento non erano accettati da Dio senza la misericordia. Tutti questi beni diventeranno preda dell’anticristo, che godrà dei tesori delle chiese, dei re, di principi e dei grandi. Egli calpesterà tutto ciò che è santo e sacro; consegnerà alle fiamme e rovinerà completamente i templi più magnifici. Allora ci sarà la più grande desolazione ed abominazione che ci sia mai stata; perché tutto ciò che è santo sarà consumato. Questo è ciò che dal fuoco è ridotto in cenere. È contro tali disgrazie che Gesù Cristo dà qui un consiglio salutare ed un avvertimento prezioso: Ti consiglio, già morente ed in lotta contro la morte, di comprare da me, invece di tutti questi tesori, dell’oro provato dal fuoco della carità e della sapienza celeste, con delle opere di misericordia, con delle elemosine e con delle pie fondazioni. Vi consiglio di comprare da me l’oro provato, che il tiranno non può portarti via e che nessuno può corrompere, come fecero San Lorenzo ed altri Santi martiri che, avvicinandosi alla morte e nell’ora della tentazione, distribuirono ai poveri i tesori della Chiesa e comprarono l’oro provato della carità, la cui fiamma ardente li aiutò a sopportare il fuoco e tutti gli altri supplizi dei tiranni. Questo è ciò che i santi di Dio devono fare, specialmente in questi ultimi tempi di calamità, dopo i quali non ci sarà più tempo e non ci sarà bisogno di oro, argento, vasi preziosi o di tesori. Così ci esorta paternamente Nostro Signore Gesù Cristo. Per arricchirti, cioè per arricchirci di tesori celesti che nessuno può o potrà toglierci nell’eternità, se facciamo di noi stessi il sacrificio di questi beni deperibili e di breve durata. Io ti consiglio di comprare da me …. abiti bianchi per vestirti, cioè abiti di virtù e vantaggi che Dio ti darà come ricompensa per la tua carità e le tue opere di misericordia. Compra questo oro, per non mostrare la vergogna della tua nudità. Copri i tuoi peccati, che sono come la nudità dell’anima; perché la carità ci ottiene il perdono della moltitudine dei nostri peccati.

 E applica sui tuoi occhi il collirio che ti faccia vedere. Il collirio è un rimedio; gli occhi dell’anima sono la memoria e l’intelletto. Ora, questi occhi dell’anima sono spesso oscurati ed accecati dal richiamo dei beni terreni. Il rimedio che Dio propone qui come medicina spirituale contro queste due malattie degli occhi, per preservarci dalla cecità spirituale, consiste soprattutto nella considerazione degli ultimi fini, e nella meditazione sulle Sacre Scritture. Questi rimedi saranno particolarmente necessari in questi ultimi tempi ai soldati di Gesù Cristo, a causa dell’orrore dei tormenti, degli errori e degli inganni dei falsi profeti, ed anche a causa degli scandali e della perdita totale della fede. È dunque per il nostro bene che Gesù Cristo ci avverte, dicendo: Applica un rimedio ai tuoi occhi, cioè, applica gli occhi della tua anima alla meditazione dei tuoi ultimi fini; scruta le sacre Scritture, per distinguere meglio la vanità dei beni presenti dalla solidità dei beni futuri. Cerca di distinguere anche la verità dall’iniquità del tiranno, che cercherà di sedurti con false promesse, con l’adulazione, con falsi prodigi e miracoli.

Vers. 19. – Io rimprovero e castigo coloro che amo; cioè, come un padre avverte i suoi figli amati, così Io vi rimprovero, vi avverto e vi informo dei difetti che dovete correggere e dei pericoli che dovete evitare. E Io castigo coloro che amo, permettendo avversità, tribolazioni e persecuzioni contro di loro in questa vita; e li sottopongo al potere degli empi, secondo il Salmista, Ps. LXV, 12: « Tu hai sollevato gli uomini sulle nostre teste, siamo passati attraverso il fuoco e l’acqua, e ci hai portato al luogo di ristoro. »

III. Riaccendi il tuo zelo, allora, e fai penitenza. Queste parole contengono due ordini da seguire, e che Gesù Cristo intima ai fedeli che vivranno in quest’ultima prova, cioè il buon esempio e la penitenza. Riaccendete il vostro zelo, imitate i miei coraggiosi e prudenti soldati, che soffrirono simili persecuzioni sotto Diocleziano ed altri tiranni. E fa’ penitenza per i tuoi peccati, rialzati prontamente dalla tua caduta, come fece Papa Marcellino, che, dopo aver sacrificato agli dèi nel timore dei tormenti e della morte, fece nondimeno penitenza.

Vers. 20. – Io sono alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. Queste parole ci annunciano l’arrivo ed il pasto dell’Agnello, al quale ci invita dicendo: Sono alla porta e busso. Gesù Cristo sarà alla porta della Sua Chiesa quando verrà per il giudizio alla fine del mondo. E busserà quando gli uomini vedranno i segni e la grande tribolazione che ha predetto in Matteo XXIV, 32, dove aggiunge, nella parabola del fico: « Imparate e sappiate che quando vedrete queste cose, il Figlio dell’uomo è vicino ed è alla porta. » – Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta. In quel tempo si sentiranno due voci: una vera e santa, che sarà quella di Gesù Cristo, e l’altra falsa ed empia, che sarà quella dell’Anticristo e dei suoi seguaci; poiché essi diranno che l’Anticristo è il Messia. È contro quest’ultima voce che Gesù Cristo ci mette in guardia quando dice in San Matteo, XXIV, 23: « Se dunque qualcuno vi dice che Cristo è qui o là, non credetegli. » L’altra voce è quella di Gesù Cristo, che dice nella Sacra Scrittura di essere veramente il Messia ed il Figlio di Dio. Questa voce sarà udita per bocca di Enoch ed Elia, e degli altri servi di Dio, che allora resisteranno all’anticristo, e predicheranno che Gesù Cristo è il vero Messia, che Egli è Dio e uomo, e che si è fatto carne, etc. È quindi con ragione che Gesù Cristo ci dice qui: Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta del suo cuore, credendo in me, Io entrerò in lui con la grazia della mia consolazione, in mezzo a tutti i tormenti e a tutte le avversità. E Io cenerò con lui ed egli con me. La cena corporale è il ristoro che l’uomo prende prima del sonno, così come la Cena del Signore è il ristoro dell’anima prima del sonno, come la santa cena è la refezione dell’anima prima della morte. È in questo senso che Gesù Cristo dice: Io mangerò con lui, cioè lo ristorerò, lo rafforzerò nella morte con la grazia della perseveranza … e si nutrirà con me, cioè sopporterà i tormenti fino alla morte, per ottenere la corona dell’immortalità.

Vers. 21. – A colui che sarà vincitore del mondo, della carne, del demonio e della morte, Io gli darò di sedere con me sul mio trono, come Io stesso ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono. Queste parole promettono ai soldati di Gesù Cristo, che saranno stati vittoriosi nell’ultima agonia di questo mondo, il potere e l’onore di giudicare i vivi e i morti, proprio come Gesù Cristo ha promesso ai suoi Apostoli in Matteo XIX, 28: « In verità vi dico che voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo siederà sul trono della gloria nel tempo della rigenerazione, anche voi siederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. » Ora, Gesù Cristo promette ai suoi servi dell’ultima epoca una insigne distinzione in cielo, che sarà il potere giudiziario e la gloria di sedere su di un trono, come ricompensa per la difficile vittoria che avranno ottenuto nella più grande delle persecuzioni.

Vers. 22. Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo spirito dice alle chiese.

FINE DEL PRIMO LIBRO

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO SECONDO

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI INFAMI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “EXULTAVIT COR NOSTRUM”

Il Sommo Pontefice Pio IX in questa breve Enciclica si felicita con i Vescovi di tutta la Cristianità, per i buoni risultati spirituali del Giubileo appena trascorso e cerca di prolungarli con un nuovo Giubileo foriero di grazia per i peccatori pentiti e lavati dal lavacro della Confessione e dal sacramento dell’Eucaristia. Ma non dimentica di elencare, almeno parzialmente, i mali che affliggono la Cristianità tutta da parte dei soliti “noti”: i nemici di Dio, della sua Chiesa e della Sede Apostolica, e quindi, di tutta l’umanità, come giustamente li definisce l’Apostolo delle geni « … infatti, nessuno fra Voi, Venerabili Fratelli, ignora con quante subdole arti, con quali mostruosi strumenti di opinione, con quali nefande macchinazioni i nemici di Dio e del genere umano cercano di pervertire le menti di tutti e si sforzano di corrompere i costumi, onde, se fosse loro possibile, distruggere ovunque la Religione e svellere i vincoli della civile società e distruggerla dalle fondamenta…». Vediamo che dopo quasi due secoli, i propositi sono ancora gli stessi, amplificati e centuplicati dall’azione di una élite mondialista cabalista che ha occupato tutte le leve mondiali di comando, finanche  (dal 1958) quelle usurpate alla Santa Chiesa Cattolica Romana ove è stato imposta una serie di ridicole marionette dedite a culti osceni o francamente satanici (si pensi al baphomet-signore dell’universo), che conducono gli sprovveduti, ma colpevolmente ignoranti pseudo-fedeli, come pecore al macello tra eresie indicibili, apostasie “ecumeniche” vergognose e culti scismatici sacrileghi, il tutto con l’ausilio di complici prelati – veri e falsi – infedeli che occupano usurpandole, tutte le sedi diocesane e l’intero cardinalato modernista. La “bestia” e tutti i suoi adepti ha riconquistato, almeno all’apparenza, il primato nel mondo, quel principato che Gesù Cristo aveva strappato al drago maledetto alla sua prima parusia, con la morte in croce e con la sua gloriosa Resurrezione. Ma non perdiamoci d’animo, una persecuzione terribile ci aspetta, Dominus irridebit eos… ma alla fine ci sarà la seconda e definitiva parusia del Signore che brucerà con il soffio della sua bocca le bestie, i suoi adepti ed il dragone infernale nell’anticristo.


S. S. Pio IX
Exultavit cor nostrum

Esultò il Nostro cuore nel Signore, Venerabili Fratelli, e abbiamo reso le più umili e grandi grazie al clementissimo Padre di tutte le misericordie e al Dio di ogni consolazione perché, fra le assidue e gravissime angustie dalle quali siamo oppressi in questa e così grande malvagità di tempi, abbiamo ricevuto notizie da molte Vostre testimonianze circa i lieti e abbondanti frutti del Sacro Giubileo da Noi concesso: frutti che, con il favore della Grazia divina, ridondarono sui popoli affidati alle Vostre cure. – Ci avete comunicato infatti che in questa occasione le popolazioni fedeli delle vostre Diocesi sono accorse ai sacri templi con somma frequenza e in ispirito di umiltà e con l’animo contrito, per assistere alla predicazione della Parola di Dio e per accedere alla Mensa Divina dopo aver purificato le loro anime dalle sozzure del peccato per mezzo del Sacramento della riconciliazione; contemporaneamente hanno elevato a Dio Ottimo Massimo fervide preghiere secondo le Nostre intenzioni. È dunque avvenuto che non pochi, con l’aiuto della Grazia divina, da una condotta viziosa hanno intrapreso un salutare cammino di vita seguendo i sentieri della verità. Tutte queste notizie Ci procurarono grande consolazione e gioia, poiché grandemente ansiosi e solleciti per la salvezza di tutti gli uomini a Noi affidati da Dio, nulla più ardentemente desideriamo e chiediamo a Dio con tutti i voti e con preghiere di giorno e di notte nell’umiltà del Nostro cuore, che tutti i popoli, le genti e le nazioni, camminando ogni giorno più nelle vie della fede, arrivino a riconoscerlo e Lo amino, e adempiano la Sua santissima legge e perseverino nella via che conduce alla vita. – Sebbene, Venerabili Fratelli, da una parte dobbiamo grandemente allietarci per il fatto che le popolazioni delle Vostre Diocesi abbiano ricevuto grandi benefici spirituali dal sacro Giubileo, d’altra parte non poco dobbiamo dolerci quando vediamo quale aspetto luttuoso e di afflizione presentano la nostra santissima Religione e la civile società in questi miserabilissimi tempi. Infatti, nessuno fra Voi, Venerabili Fratelli, ignora con quante subdole arti, con quali mostruosi strumenti di opinione, con quali nefande macchinazioni i nemici di Dio e del genere umano cercano di pervertire le menti di tutti e si sforzano di corrompere i costumi, onde, se fosse loro possibile, distruggere ovunque la religione e svellere i vincoli della civile società e distruggerla dalle fondamenta. – Di qui dobbiamo deplorare una caligine di errori diffusa nelle menti di molti; una guerra aspra contro tutta la cattolicità e contro questa Sede Apostolica; l’odio terribile contro la virtù e l’onestà; i peggiori vizi considerati onesti con nome menzognero; una sfrenata licenza di tutto opinare, di vivere e di tutto osare; l’insofferente intolleranza di qualsiasi autorità, potere o comando; il disprezzo e il ludibrio per tutte le cose sacre, per le leggi più sante e per le migliori istituzioni; una miseranda corruzione dell’improvvida gioventù; una colluvie pestifera di cattivi libri, di libelli volanti, di giornali e riviste che insegnano a peccare; il mortifero veleno dell’incredulità e dell’indifferentismo; i moti di empie cospirazioni e ogni diritto, sia umano, sia divino, disprezzato e deriso. E non Vi è ignoto, Venerabili Fratelli, quali ansietà, quali dubbi, quali esitazioni e quali timori sollecitino e angustino per conseguenza gli animi di tutti, specialmente dei benpensanti, poiché sono da temere i peggiori mali per il costume pubblico e privato allorché gli uomini, allontanandosi miseramente dalle norme della giustizia, della verità e della religione, e servendo alle malvagie e indomite passioni, tramano nel loro cuore qualsiasi nefandezza. – In così grave frangente ognuno può vedere che tutte le nostre speranze devono essere poste in Dio, nostra salvezza, e che si devono rivolgere a Lui fervide e continue preghiere, affinché, effondendo su tutti i popoli le ricchezze della sua misericordia e illuminando le menti di tutti col lume della sua celeste grazia, si degni ricondurre gli erranti sulla via della giustizia e convertire a Sé le volontà ribelli dei suoi nemici, infondendo in tutti l’amore e il timore del suo Santo Nome, e donando lo spirito di pensare e agire sempre cercando tutto ciò che è buono, tutto ciò che è vero, tutto ciò che è pudico, tutto ciò che è giusto e santo. – E poiché il Signore è soave, mite, misericordioso e generoso verso tutti coloro che Lo invocano, guarda con benevolenza all’orazione degli umili e manifesta la sua onnipotenza specialmente perdonando e usando misericordia, andiamo, o Venerabili Fratelli, con fiducia al trono della Grazia per conseguire misericordia e trovare grazia nell’aiuto opportuno. Infatti, chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e a chi bussa viene aperto (Mt VII, 8). E prima di tutto rendiamo grazie imperiture al Signore delle misericordie e con labbro di esultanza lodiamo il suo Santo Nome, poiché si degna di compiere azioni mirabili di misericordia in molte regioni dell’orbe cattolico. Poi non desistiamo di pregare e supplicare il Signore, incessantemente e umilmente, tutti animati da ferma speranza, da sincera fede e ardente carità, affinché liberi la Sua Chiesa santa da tutte le calamità, e ampliandola l’accresca in tutto il mondo e la esalti ogni giorno più, e purifichi il mondo da tutti gli errori, e conduca tutti gli uomini alla conquista della verità e sulla via della salvezza; allontani i flagelli della sua ira, che abbiamo meritato con i nostri peccati; comandi al vento e al mare e riporti la tranquillità e conceda a tutti la tanto sospirata pace e salvi il suo popolo e benedica la sua eredità e la diriga e la conduca ai beni celesti. – Affinché poi Dio più facilmente pieghi il suo orecchio alle nostre preghiere e ascolti le nostre suppliche, alziamo i nostri occhi e le nostre supplici mani alla santissima e immacolata Madre di Dio, la Vergine Maria, che è anche Madre nostra, della quale non c’è altro più continuo e valido aiuto e patrocinio presso Dio; anzi, come Madre nostra amantissima e nostra massima speranza, è la ragione di ogni nostra fiducia, poiché quello che Ella cerca lo trova, e non può essere delusa. Cerchiamo inoltre l’aiuto sia del Principe degli Apostoli (a cui Cristo stesso ha consegnato le chiavi del Regno dei Cieli e che ha costituito come pietra e fondamento della sua Chiesa, contro la quale mai potranno prevalere le potenze dell’inferno), sia del suo coapostolo Paolo e di tutti i Santi Patroni delle singole città e regioni e di tutti gli altri Santi, affinché il Signore elargisca a tutti copiosamente i doni della sua bontà. – Pertanto, Venerabili Fratelli, mentre Noi ordiniamo che si facciano pubbliche preghiere in questa Nostra alma Città, con questa lettera richiamiamo Voi stessi e le popolazioni a Voi affidate ad unirsi a Noi nelle preghiere e suppliche, e facciamo appello alla egregia Vostra devozione e pietà affinché anche nelle Vostre Diocesi procuriate di indire pubbliche orazioni per implorare la divina clemenza. E affinché i fedeli con più ardente animo si dedichino a queste preghiere che Voi stabilirete, abbiamo decretato di offrire ancora una volta i celesti tesori della Chiesa, sotto forma di Giubileo, come potrete chiaramente comprendere dall’altra Nostra Lettera aggiunta a questa. E così Ci solleviamo a quella speranza, Venerabili Fratelli, che gli Angeli della pace, che hanno in mano le coppe d’oro e il turibolo aureo, offrano al Signore sul Suo Altare le umili nostre preghiere e quelle di tutta la Chiesa e che Egli, accettandole con volto benigno e approvando i Nostri voti, i Vostri e quelli di tutti i fedeli, voglia dissipare tutte le tenebre, disperdere le tempeste di tutti i mali, porgere la Sua destra ausiliatrice alla causa sia della cristianità, sia della società civile, e far sì che in tutti gli uomini ci sia un unico orientamento delle menti, un’unica pietà di azioni, un unico amore per la fede religiosa, per la virtù, per la verità e per la giustizia; un unico intento di pacificazione, un unico vincolo di carità; e così si amplifichi il Regno dell’Unigenito suo Figlio e Signore nostro, Gesù Cristo, in tutto il mondo e sia sempre più solido ed esaltato. – Infine, auspice di tutti i doni celesti e dell’ardentissima carità nei Vostri confronti, ricevete l’Apostolica Benedizione che impartiamo con tutto l’affetto del cuore a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i Chierici e ai Laici affidati alla Vostra vigilanza.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 21 novembre 1851, nell’anno sesto del Nostro Pontificato.

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE – 2021 –

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La storia di Tobia che si legge nell’Officio divino a questa epoca, coincide spesso con questa Domenica. Sarà dunque cosa utile, continuare a studiare la Messa in relazione col biblico racconto. Tobia sarebbe vissuto, sembra, sotto il regno di Salmanasar, verso la fine del secolo VIII prima di Cristo, al tempo della deportazione degli Israeliti in Assiria. Come Giobbe, questo santo personaggio, diede prova di costanza e di fedeltà a Dio in mezzo a tutte le sue afflizioni. « Non abbandonò mai la via della verità, distribuendo ogni giorno quanto poteva avere ai fratelli e a quelli della sua nazione, che con lui erano in prigionia e, quantunque egli fosse il più giovane nella tribù di Nephtali, nulla di puerile riscontravasi nei suoi atti ». Il Salmo dell’Introito può essergli applicato, poiché parla di un adolescente che fin dai suoi più teneri anni ha camminato nella legge del Signore. Fino dagli anni della sua fanciullezza, dice la Sacra Scrittura, «Tobia osservava ogni cosa conformemente alla legge di Dio. Sposata una donna della sua tribù, per nome Anna, ne ebbe un figlio cui diede il proprio nome e al quale insegnò fin dall’infanzia a temere Iddio e ad astenersi da ogni peccato. Condotto prigioniero a Ninive, Tobia di tutto cuore si ricordò di Dio, visitando gli altri prigionieri e dando loro buoni consigli, consolandoli e distribuendo a tutti del proprio avere, secondo quello che poteva. Nutriva chi aveva fame, vestiva quelli che erano nudi, e seppelliva con cura quelli che erano morti o che erano stati uccisi». Dio permise che divenisse cieco, affinché la sua pazienza servisse di esempio alla posterità come quella del sant’uomo Giobbe. « Avendo sempre temuto il Signore fin dalla sua infanzia ed avendo osservato i suoi comandamenti, non si rattristò contro Dio per essere stato colpito da questa cecità, ma rimase fermo nel timore di Dio, rendendogli grazie tutti i giorni della sua vita ». « Noi siamo figli dei santi, soleva dire, e attendiamo quella vita che Dio deve dare a coloro che non hanno mai cambiato la loro fede verso di Lui ». E poiché sua moglie insultava alla sua disgrazia, Tobia proruppe in gemiti e cominciò a pregare con lagrime (Allel.), dicendo parole che sono identiche a quelle dell’Introito: «Tu sei giusto, Signore, tutti i giudizi tuoi sono equi e tutti i tuoi disegni sono misericordiosi. Ed ora, o Signore, trattami secondo la tua volontà ». E, parlando a suo figlio Tobia, disse: « Figlio mio, abbi sempre in mente Dio tutti i giorni della tua vita, e guardati bene dall’acconsentire ad alcun peccato. Fa’ elemosina dei tuoi beni e non distogliere il tuo volto dal povero. Sii caritatevole in quel grado che puoi e quello che ti dispiacerebbe fosse fatto a te, guardati bene dal farlo ad altri ». Questo precetto dell’amore di Dio e del prossimo e la sua attuazione sono inculcati dall’Epistola e dal Vangelo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, tutta l’anima tua e tutto il tuo spirito, e il prossimo tuo come te stesso» (Vang.). «Camminate in umiltà, dolcezza e pazienza, sopportandovi a vicenda con carità, sforzandovi di mantenere l’unità di spirito nei vincoli della pace » (Ep.). Tobia mandò suo figlio presso Gabelo a Rages, sotto la guida dell’Arcangelo Raffaele. Per via, l’Angelo disse a Tobiolo di prendere un pesce che lo aveva voluto divorare e di serbarne il fegato per scacciare ogni specie di demoni e gli indicò inoltre il mezzo per prendere in moglie Sara, senza che il demonio, che aveva già uccisi i suoi primi sette mariti, potesse fargli del male. « Il demonio, spiegò l’Arcangelo, ha potere su coloro che nel contrar matrimonio bandiscono Dio dal loro cuore e ad altro non pensano se non a soddisfare la loro passione». L’Orazione prega Iddio di dare al suo popolo la grazia di evitare i contatti diabolici, « affinché possa con puro cuore essere unito a te solo che sei il suo Dio ». « Come figli di Dio, noi non possiamo, dissero Tobia e Sara, sposarci come pagani, che non conoscono Dio», e «pregarono insieme istantemente il Signore che ha fatto il cielo e la terra, il mare, le sorgenti ed i fiumi con tutte le creature che contengono ». E Dio « benedisse il loro matrimonio, come aveva benedetto quello dei patriarchi, affinché essi avessero dei figli della stirpe di Abramo » (Graduale). Tobia ritornò con Sara e guarì suo padre dalla cecità e questi allora intonò un cantico di ringraziamento, una specie di Benedictus o di Magnificat, nel quale scoprì le grandiose aspettative messianiche: « Gerusalemme tu castigata per le sue opere malvagie, ma essa brillerà di fulgida luce e si rallegrerà nei secoli dei secoli. Dai lontani paesi verranno verso lei le nazioni, portandole delle offerte e adoreranno in essa il Signore. Maledetti saranno coloro che la disprezzeranno e quelli che la bestemmieranno saranno condannati. Beati, continua egli, coloro che ti amano! Io sarò felice se qualcuno della mia stirpe sopravvivrà per vedere lo splendore di Gerusalemme. Le sue porte saranno di zaffiri e di smeraldi e tutta la cinta delle sue mura sarà di pietre preziose. Tutte le pubbliche piazze saranno lastricate di pietre bianche e pure e nelle strade si canterà: Alleluia. La rovina di Ninive è vicina, poiché la parola di Dio non resta senza effetto ». È questo il « cantico nuovo che troviamo nel Salmo del Graduale « Dio è fedele alla sua parola; Egli dissipa i progetti delle nazioni e rovescia i consigli dei principi. Beato il popolo che Egli ha scelto per suo retaggio. Palesa, o Signore, la tua misericordia su di noi, secondo la speranza che abbiamo posta in te ». E il Salmo del Communio aggiunge: « Dio ha infranto tutte le forze nemiche, i re superbi sono stati abbattuti e i loro eserciti distrutti. Offrite dunque sacrifizi di ringraziamento a questo Dio terribile », poiché, continua l’Offertorio, « Egli ha gettato uno sguardo favorevole sul popolo in favore del quale il suo Nome è stato invocato ». – Gerusalemme, ove il popolo di Dio regna e ove affluiscono tutte le nazioni per lodare il Signore, è il regno di Dio, è la Gerusalemme celeste. Tutti vi sono chiamati con una comune vocazione a formarvi « un solo corpo », la Santa Chiesa, che è una nuova creazione, dice S. Gregorio Magno, e che è animata da « un solo Spirito, una sola speranza, un solo battesimo e una sola fede in un solo Signore » (Epistola). È Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di David, che il « Dio unico e Padre di tutti gli uomini, ha fatto sedere alla sua destra fino al giorno in cui tutti i suoi nemici, vinti, saranno sgabello ai suoi piedi». Questo Dio « sia benedetto nei secoli dei secoli » (Epistola). – L’unità della nostra fede, del nostro battesimo e delle nostre speranze, come pure dello Spirito Santo, di Cristo e di Dio Padre, dice S. Paolo, fa a tutti noi un dovere di essere uniti dai vincoli della carità, sopportandoci a vicenda. Il comandamento di Dio di amare il prossimo è simile a quello che ci fa amare Dio, poiché è per amor suo che amiamo il prossimo. « Doppio è il comandamento, dichiara S. Agostino, ma una è la carità ». E per consolidare il suo insegnamento agli occhi dei farisei, Gesù Cristo dà loro, in un testo di David, una prova della sua divinità. Dobbiamo dunque, nella fede e nell’amore, essere uniti a Cristo Gesù. « Interrogato circa il primo comandamento, Gesù rivela il secondo, che non è inferiore al primo, facendo loro comprendere che lo interrogavano soltanto per odio, poichéla carità non è invidiosa » (I Cor. XIII, 4). Egli dimostra inoltre il suo rispetto per la Legge ed i Profeti. Dopo aver risposto, Cristo interrogò a sua volta, e dimostra che pur essendo figlio di David, ne è il Signore, essendo Egli il Figlio unico del Padre, e li spaventa dicendo che un giorno avrebbe trionfato su tutti coloro che si oppongono al suo regno, poiché Iddio farà dei suoi nemici sgabello ai suoi piedi. Con ciò dimostra la concordia e l’unione che esiste fra Lui e il Padre » (S. Giov. Crisostomo – Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CXVIII: 137;124
Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini retti: che procedono secondo la legge del Signore.]

Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secundum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Oratio

Oremus.
Da, quǽsumus, Dómine, populo tuo diabólica vitáre contágia: et te solum Deum pura mente sectári.

[O Signore, Te ne preghiamo, concedi al tuo popolo di evitare ogni diabolico contagio: e di seguire Te, unico Dio, con cuore puro.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 1-6


“Fatres: Obsecro vos ego vinctus in Dómino, ut digne ambulétis vocatióne, qua vocáti estis, cum omni humilitáte et mansuetúdine, cum patiéntia, supportántes ínvicem in caritáte, sollíciti serváre unitátem spíritus in vínculo pacis. Unum corpus et unus spíritus, sicut vocáti estis in una spe vocatiónis vestræ. Unus Dóminus, una fides, unum baptísma. Unus Deus et Pater ómnium, qui est super omnes et per ómnia et in ómnibus nobis. Qui est benedíctus in sæcula sæculórum. Amen.”

[“Fratelli: Io prigioniero nel Signore vi scongiuro che abbiate a diportarvi in modo degno della vocazione, cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi con carità scambievole, solleciti di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un sol corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati a una sola speranza per la vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra tutti, che opera in tutti, che dimora in tutti. Egli sia benedetto nei secoli dei secoli. Così sia.”]

LA VOCAZIONE.

Come sono solenni e dense di significato le poche battute con cui si apre il brano domenicale della Epistola agli Efesini! Vi scongiuro, — dice l’Apostolo, e perché lo scongiuro sia più efficace e commovente, si chiama prigioniero di Dio (in Dio), — a camminare degnamente in quella che è la vostra vocazione. E il pensiero corre subito alla «vocazione » di Cristiani, quali erano proprio e tutti i suoi primi, immediati lettori. C’è sotto alle parole dell’Apostolo, una grande, una nobilissima idea di questa vocazione cristiana. È Iddio che chiama i suoi figli dalle tenebre del paganesimo, dalla penombra della religione naturale, alla luce del Cristianesimo. Ogni Cristiano è un chiamato da Dio. Molti lo hanno dimenticato, lo dimenticano. Credono che l’essere Cristiani sia la cosa più naturale del mondo: che si nasca Cristiani come si nasce bimani o bipedi, che la vocazione sia un privilegio di pochi, e precisamente di quei pochi che si avviano al Sacerdozio, oppure entrano in un Monastero. Idee piccole e false. Dio ci ha chiamati, tutti e ciascuno, noi Cristiani alla Religione nostra, al Cristianesimo, al Vangelo che è e rimane una grazia! Ci vuole Lui Cristiani. Manda i Suoi apostoli a battezzarci, a istruirci, a convertirci. Nobilissima vocazione, perché Dio ci chiama nel Cristianesimo mercè del Battesimo, ci chiama ad essere suoi figlioli: «ut fili Dei nominemur et simus. » Basta pronunciare bene, sillabando, meditando, questa parola fili Dei, per capire l’altezza di questa dignità e la gravità degli obblighi che ne conseguono. Bisogna rendersi, in qualche modo, degni del nome e del carattere di figli, ricevuti nel Santo Battesimo, con la bontà delle opere. Bisogna vivere da figli di Dio; vivere veramente da buoni Cristiani. C’è qui tutto un programma, riassunto ancor più largamente nelle parole di un Santo Pontefice, grande anima romana e cristiana, San Leone Magno: — Riconosci, o Cristiano, la tua dignità, e, diventato partecipe della natura divina (non è forse il figlio della stessa natura del padre?) non volere con una condotta degenere tornare all’antica bassezza e viltà. — Sentiamola questa dignità di Cristiani oggi meglio d’allora, oggi dopo quasi duemila anni di esperienza, dopo che, con la loro vita, milioni di Santi e di Eroi, ci hanno mostrato che cosa può produrre di eroico il Vangelo in un’anima, in una società. Diventare Cristiani col Battesimo, oggi, vuol dire ricevere una eredità gloriosa di bene, inserirsi in una corrente luminosa, calda, satura di ciò che vi è al mondo di più sacro e più augusto. E ciò non toglie che ciascuno di noi abbia anche una vocazione, una destinazione, una destinazione provvidenziale in un altro senso. Perché ognuno è chiamato poi dal Padre a servirLo in modo speciale. Nella Casa del Padre, ci sono molte mansioni, o funzioni, come in tutte le case bene ordinate, e ciascuno ha la sua, e tutte sono materialmente diverse ma tutte sono spiritualmente belle e nobili, perché nulla è ignobile nella casa del Padre Celeste, Iddio. E noi dobbiamo stare al nostro posto, fedeli e valorosi come soldati che montano la guardia, e lavorano, e combattono, sapendo di contribuire veramente a una sola, grande vittoria: la vittoria di Dio.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXII: 12;6
Beáta gens, cujus est Dóminus Deus eórum: pópulus, quem elégit Dóminus in hereditátem sibi.

[Beato il popolo che ha per suo Dio il Signore: quel popolo che il Signore scelse per suo popolo.]

Alleluja

Verbo Dómini cœli firmáti sunt: et spíritu oris ejus omnis virtus eórum. Allelúja, allelúja

[Una parola del Signore creò i cieli, e un soffio della sua bocca li ornò tutti. Allelúia, allelúia]


Ps CI: 2
Dómine, exáudi oratiónem meam, et clamor meus ad te pervéniat. Allelúja.

[O Signore, esaudisci la mia preghiera, e il mio grido giunga fino a Te. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. XXII: 34-46

“In illo témpore: Accessérunt ad Jesum pharisæi: et interrogávit eum unus ex eis legis doctor, tentans eum: Magíster, quod est mandátum magnum in lege? Ait illi Jesus: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo et in tota ánima tua et in tota mente tua. Hoc est máximum et primum mandátum. Secúndum autem símile est huic: Díliges próximum tuum sicut teípsum. In his duóbus mandátis univérsa lex pendet et prophétæ. Congregátis autem pharisæis, interrogávit eos Jesus, dicens: Quid vobis vidétur de Christo? cujus fílius est? Dicunt ei: David. Ait illis: Quómodo ergo David in spíritu vocat eum Dóminum, dicens: Dixit Dóminus Dómino meo, sede a dextris meis, donec ponam inimícos tuos scabéllum pedum tuórum? Si ergo David vocat eum Dóminum, quómodo fílius ejus est? Et nemo poterat ei respóndere verbum: neque ausus fuit quisquam ex illa die eum ámplius interrogare”.

[“In quel tempo, accostandosi i Farisei a Gesù, avendo saputo com’Egli aveva chiusa la bocca ai Sadducei, si unirono insieme: e uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: Maestro, qual è il gran comandamento della legge? Gesù dissegli: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti pende tutta quanta la legge, e i profeti. Ed essendo radunati insieme i Farisei, Gesù domandò loro, dicendo: Che vi pare del Cristo, di chi è egli figliuolo? Gli risposero: di Davide. Egli disse loro: Come adunque Davide in ispirito lo chiama Signore dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, sino a tanto che io metta i tuoi nemici per sgabello ai tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come è Egli suo figliuolo? E nessuno poteva replicargli parola; né vi fu chi ardisse da quel dì in poi d’interrogarlo”.]

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’amore di Dio.

“Diliges Dominum Deum tuum.”

(Luc. x, 27).

Leggiamo nell’Evangelo, Fratelli miei, che un giovane presentatosi a Gesù Cristo, gli disse: “Maestro, che cosa bisogna fare per conseguire la vita eterna? „ Gesù Cristo gli rispose: ” Che cosa sta scritto nella Legge? „ — “Amerai il Signore Dio tuo, replicò il giovine, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le tue forze, ed il prossimo tuo come te stesso: tutto questo io lo faccio. „ — “Ebbene – soggiunsegli Gesù Cristo – va, vendi quanto hai, dallo ai poveri, ed avrai un tesoro in cielo. „ Questa espressione di Gesù: vendi quanto hai e dallo ai poveri, lo afflisse grandemente. Gesù Cristo voleva mostrargli che colle opere e non colle parole soltanto facciamo vedere se amiamo davvero Iddio. Se per amarlo, ci dice S. Gregorio, bastasse dire che lo si ama, l’amor divino non sarebbe tanto raro quanto lo è, perché non vi è nessuno che interrogato se ama il buon Dio, non risponda subito che lo ama con tutto il suo cuore: lo dirà il giusto ed anche il peccatore; il giusto lo dirà solo tremando, ad esempio di S. Pietro (Joann. XXI, 17); mentre il peccatore lo dirà forse con una franchezza che sembra persuaderne la sincerità; ma s’inganna assai, perché l’amor di Dio non consiste nelle parole, ma nelle opere (Joann. III, 18). Sì, F. M., amare Iddio con tutto il cuore è cosa tanto giusta, ragionevole, ed, in certo qual modo, naturale, che quelli di noi, la cui vita è più opposta all’amor del Signore, non lasciano però di pretendere e d’essere persuasi di amarlo. Perché tutti credono d’amar Dio, sebbene la loro condotta sia affatto contraria a quest’amore divino? Ah! F. M., perché tutti cercano la loro felicità, e solo questo amore può procurarla; perciò tutti vogliono persuadersi d’amare Iddio. Eppure, non v’è cosa tanto rara quanto questo amore divino. Vediamo adunque in che consista quest’amore, e come possiamo conoscere se amiamo Dio. – E per meglio intenderlo, consideriamo:

1°, da una parte, quanto Gesù Cristo ha fatto per noi;

2°, dall’altra, che cosa dobbiamo fare per Lui.

I. —  È  certissimo, F. M., che Dio ci ha creati per amarlo e servirlo. Tutte le creature della terra sono fatte per amare Iddio, perché, F. M., Dio ci ha dato un cuore, i cui desiderii sono così vasti e così estesi, che nessuna cosa è capace di saziarlo. E per sforzarci, in certo modo, a non attaccarci che a Lui, a non amare che Lui; perché, Egli solo, può farci contenti. Quand’anche possedesse l’universo intero, l’uomo non sarà mai pienamente soddisfatto: gli resterà sempre qualche cosa da desiderare, sicché nessuna cosa creata lo potrà mai saziare. Sì, noi siamo così persuasi d’esser creati per la felicità, che non cessiamo neppure per un istante della nostra vita dal cercarla, e dal fare quanto dipende da noi per procurarla. Da che deriva adunque che malgrado tutte le nostre ricerche, e fatiche, e cure, non ci troviamo ancora contenti? Ahimè! È perché non volgiamo i nostri sguardi o i movimenti del nostro cuore verso l’oggetto che solo è capace di colmare la vasta estensione dei nostri desideri, Dio solo. No, F. M., non potrete mai essere soddisfatti e pienamente felici, almeno quanto è possibile esserlo in questo mondo, se non disprezzate, almeno col cuore, le cose create per attaccarvi soltanto a Dio. Dobbiamo adunque rivolgere tutte le nostre cure ed i movimenti del cuore a non desiderare né cercare che Dio solo in quanto facciamo; altrimenti la nostra vita passerà nel cercare invano una felicità che non troveremo giammai. Ci siamo adunque ingannati sino ad ora; poiché, malgrado quanto abbiamo fatto per esser felici, non ci siamo riusciti. Credetemi, F. M., cercate l’amicizia di Dio, ed avrete trovato la vostra felicità. Mio Dio! come l’uomo è cieco di non amarvi; poiché Voi potete così bene soddisfare il suo cuore! Ma, F. M., per impegnarvi ad amare un Dio così buono, degno di essere amato, e capace di soddisfare tutti gli affetti del nostro cuore, diamo uno sguardo a quanto Egli ha fatto per noi; seguiamolo nel corso della sua vita mortale, e anche dopo la sua morte. – Vedetelo, F. M., dal momento della sua Incarnazione fino all’età di trent’anni: non sono grandi le prove del suo amore per noi? Che cosa ha fatto nell’Incarnazione? Si è fatto uomo come noi e per noi. Colla sua nascita ci ha elevati alla dignità più eminente, alla quale una creatura possa essere innalzata; è divenuto nostro fratello!… Ah, qual amore per noi! l’abbiamo mai compreso bene? Nella Circoncisione si è fatto nostro Salvatore, Mio Dio! quanto è grande la vostra carità!.. . Nella Epifania divenne nostra luce, nostra guida. Nella Presentazione al tempio, divenne nostro pontefice, nostro dottore: oh! che dico, F. M.? Si è offerto al Padre suo per redimerci tutti. Più tardi, cioè nella casa di S. Giuseppe, divenne nostro modello nell’amore e rispetto che dobbiamo ai nostri genitori e superiori. Dirò ancor più: ci ha mostrato che dobbiamo condurre una vita nascosta e sconosciuta al mondo, se vogliamo piacere a Dio suo Padre. Seguiamo Gesù Cristo nella sua vita pubblica, quanto ha fatto, tutto lo fece per noi: le sue preghiere, le sue lagrime, le sue veglie, i digiuni, le predicazioni, i viaggi, le conversazioni, i miracoli: sì, tutto questo è stato fatto per noi. Vedete, F. M., con quale zelo ci ha cercati, nella persona della Samaritana (Joann. IV, 6); vedete con quale tenerezza accoglie i peccatori, — e tutti siamo di questo numero — nella persona del figliuol prodigo; vedete con qual bontà si oppone alla giustizia del Padre suo, che vuol punirci nella persona della peccatrice.

2. Nella sua Passione, ahimè! quante ingiurie, quanti tormenti Egli ha sofferto? Fu legato, flagellato, accusato, condannato, ed infine crocifisso per noi. Non è Egli morto per noi in mezzo ad obbrobri e dolori ineffabili? – Ah! F. M., chi potrebbe comprendere quanto il suo buon cuore ha fatto per noi?… Entriamo più addentro nella piaga di questo Cuore pietoso. Sì, Gesù Cristo poteva soddisfare alla giustizia del Padre suo pei nostri peccati con una stilla del suo sangue, con una lagrima; che dico? con un solo sospiro: ma ciò che bastava a placare la giustizia del Padre suo, non bastava a soddisfare la tenerezza del suo Cuore per noi. E il suo amore per noi gli ha fatto soffrire anticipatamente nel giardino degli Ulivi i patimenti che doveva provare sulla croce. O abisso di amore d’un Dio per le sue creature!… Gesù Cristo si è accontentato di amarci sino alla fine? No, F. M., no. Dopo morto, la lancia, o meglio il suo amore, squarciò il suo Cuore divino per aprirci come un asilo, in cui andremo a ripararci e a consolarci nelle nostre pene, nei dolori, nelle miserie nostre. Ma proseguiamo ancora, F. M. Questo divin Salvatore vuole spargere per noi fino l’ultima goccia del suo sangue prezioso, per lavarci di tutte le nostre iniquità. Dopo espiati i nostri peccati di orgoglio coll’incoronazione di spine; col fiele e coll’aceto i peccati che abbiam la disgrazia di commettere colla lingua e che sono tanto numerosi; tutti i peccati d’impurità colla crudele e dolorosa flagellazione; tutti quelli commessi colle cattive azioni, colle piaghe dei piedi e delle mani; volle altresì espiare tutti i nostri peccati colla ferita al suo divin Cuore, perché dal cuore nascono tutti i peccati. O prodigio d’amore d’un Dio per le sue creature!… È stato offeso da noi e si lascia punire per noi; e sopra sé medesimo fa vendetta delle offese che gli abbiamo fatto!… Ahimè! se non fossimo ciechi come siamo, riconosceremmo che le nostre   mani veramente l’hanno immolato sulla croce! Ma, ancora una volta, F. M., io chiedo a voi, perché tanti prodigi d’amore? Ah! lo sapete: è per liberarci da ogni sorta di mali, e meritarci ogni sorta di beni nell’eternità. E se ciò non ostante torniamo ancora ad offenderlo, vediamo che è pronto a perdonarci, ad amarci, ed a ricolmarci di ogni bene se vogliamo amarlo. O quanto amore per creature così insensibili e così ingrate! Ma il suo amore va anche più lontano. Vedendo che la morte lo separava da noi, e volendo restare in mezzo a noi, fece un miracolo grande: istituì il gran Sacramento d’amore, in cui ci lascia il suo Corpo adorabile ed il suo Sangue prezioso per non abbandonarci più sino alla fine del mondo. Quale amore per noi, F. M., che un Dio voglia nutrire l’anima nostra colla propria sostanza e farci vivere della sua vita! – Per mezzo di questo grande ed adorabile Sacramento Egli si offre ogni giorno alla giustizia del Padre suo, soddisfa di nuovo pei nostri peccati, e ci attira ogni sorta di grazie. – Vedete altresì, F. M., questo tenero Salvatore, che morto per la nostra salvezza ci apre il cielo. Per condurvici tutti vuol essere Lui stesso il nostro Mediatore; Egli stesso presenta le nostre preghiere al Padre (Hebr. VII, 6), e chiederà grazia per noi ogni volta che sventuratamente cadremo in peccato. Egli, F. M., ci aspetta nel luogo della felicità, in quel soggiorno dove lo si ama sempre e non si pecca mai… – No, F.  M., voi non avete mai considerato bene quanto amore Dio ha verso di noi. Possibile viver solo per offenderlo, mentre amandolo possiamo esser felici? Se io vi domandassi: Amate voi Iddio? Senza dubbio, mi rispondereste che l’amate: ma non basta; bisogna darne la prova. Ma dove sono, F. M., queste prove che manifestano la sincerità del nostro amore per il buon Dio? Dove i sacrifici fatti per Lui? Dove le penitenze? Ahimè, il poco bene che facciamo, è in gran parte senza fervore, senza retta intenzione. Quante viste umane!… quante buone opere fatte per sola inclinazione naturale, e senza vera divozione! Ahimè, F. M., che miseria!…

II. — Ora, F. M., se volete sapere come possiamo conoscere se amiamo davvero Iddio, ascoltate bene quanto sono per dirvi, poi giudicherete voi stessi se veramente l’amate. Ecco quanto ci dice Gesù Cristo medesimo: ” Chi mi ama osserva i miei comandamenti (Joan, XIV), ma chi non mi ama non li osserva. „ Vi è quindi facile sapere se amate il Signore. I comandamenti di Dio, e la sua volontà, F. M., non sono che la medesima cosa. Vi ordina e vuole che adempiate esattamente tutti i doveri del vostro stato, con intenzioni pure e rette, senza malumore, impazienza, negligenza, frodi contro la verità o la buona fede. Dobbiamo avere un amore generoso verso il buon Dio, amore che ci faccia preferire la morte alla infedeltà. Di ciò, F. M., ne abbiamo esempi all’infinito in tutti i Santi, e specialmente nei martiri, dei quali molti si lasciarono tagliare a pezzi, piuttosto che cessare d’amar Dio. Eccone un bell’esempio nella persona della casta Susanna ~Dan. XIII ~ . Andata un giorno al bagno, due vecchioni, giudici del popolo d’Israele, avendola vista, decisero di sollecitarla al peccato: la inseguirono, e le manifestarono il loro infame desiderio, del quale essa ebbe orrore. Alzando gli occhi ai cielo, disse: “Signore, sapete che vi amo, sostenetemi. „ — “Mi veggo in angustia d’ogni parte, disse ai vecchioni; siamo qui alla presenza di Dio, che ci vede: se ho la disgrazia d’acconsentire alla vostra passione vergognosa, non sfuggirò alla mano di Dio; Egli è il mio giudice, so che dovrò rendergli conto d’una azione così infame e peccaminosa. Se invece non acconsento ai vostri desideri, non sfuggirò al vostro rancore; veggo bene che mi farete morire: ma preferisco morire anziché offendere Dio. „ Quei miserabili, vedendosi così respinti, partirono incolleriti, e pubblicarono che Susanna era stata colta in adulterio, che essi avevano visto un giovane commettere del male con lei. Sventuratamente, ahimè! furono creduti, e sulla loro testimonianza fu condannata a morte. Mentre veniva condotta al supplizio, un fanciullo di dodici anni, il piccolo Daniele, gridò in mezzo alla folla: Che fai, popolo d’Israele; perché condanni il giusto? vi dichiaro ch’io non prendo parte al delitto che state per commettere, versando il sangue di questa innocente. „ Il giovine Daniele, avvicinatosi, disse: “Fate venire i due vecchi. „ Separatili l’uno dall’altro, li interrogò. Si contraddissero nelle loro parole in tal guisa, da non potersi dubitare che essi erano i colpevoli, e non Susanna: e ambedue furono condannati a morte. Così fa, F. M., chi ama il buon Dio, mostrando alla prova di amarlo veramente, di amarlo più di se stesso. Susanna non poteva darne segno più grande, poiché preferì la morte al peccato. Non v’ha dubbio che quando bastano delle parole per dire che si ama Dio, non costa fatica. Tutti credono d’amare Dio, ed osano persuadersene: ma se Dio li mettesse alla prova, quanto pochi avrebbero la fortuna di resistervi! Vedete ancora quanto accadde sotto il regno di Antioco (II Macc. VI). Questo tiranno crudele comandò ai Giudei, sotto pena di morte, di mangiare carne proibita dal Signore. Un santo vecchio di nome Eleazaro, che era vissuto nel timore e nell’amor di Dio, rifiutò coraggiosamente d’obbedire; e fu condannato a morte. “Non dipende che da te, dissegli un amico, il salvar la vita, come facemmo noi. Ecco della carne che non fu offerta agli idoli: mangiane; questa piccola dissimulazione calmerà il tiranno. „ Il santo vecchio rispose: “Credete ch’io sia tanto attaccato alla vita da preferirla all’amore che debbo al mio Dio? E quand’anche sfuggissi al furore del tiranno, credete ch’io possa sfuggire alla giustizia di Dio? No, no, amici miei, preferisco morire che offendere il mio Dio che amo più di me stesso. No, non si dirà mai che a novant’anni io abbia abbandonato il mio Dio e la sua santa legge. „ Mentre lo si conduceva al supplizio, ed il carnefice lo tormentava crudelmente, fu inteso esclamare: “Mio Dio, sapete ch’io soffro per voi. Sostenetemi; sapete che è perché vi amo: sì, mio Dio, per vostro amore io soffro! „ Tale fu il suo coraggio nel veder maltrattare e straziare il suo povero corpo. Ebbene, F. M., eccovi ciò che si chiama amare veracemente il Signore. Questo buon vecchio, che dà la sua vita con tanta gioia per Iddio, non si accontenta di dire che l’ama; ma lo mostra colle opere. Tutti noi, è vero, diciamo d’amare il buon Dio; ma quando tutto va a seconda dei nostri desideri, quando niente contraddice al nostro modo di pensare, di parlare e di agire. Quante volte una sola parola, un’aria di disprezzo, od anche solo di freddezza, un pensiero di rispetto umano non ci fanno abbandonare Dio? Ho detto, F. M., che se vogliamo dimostrare a Dio di amarlo, dobbiam compiere la sua santa volontà, la quale esige che siamo sottomessi, rispettosi coi nostri parenti, superiori e con tutti coloro che Dio pose sopra di noi per guidarci. La volontà di Dio è che i superiori dirigano i loro inferiori senza alterigia, senza asprezza: ma con carità e bontà, come vorremmo esser trattati noi; è volontà di Dio che siamo buoni e caritatevoli verso tutti; e se veniamo lodati, invece di crederci qualche cosa, pensiamo che veniam burlati, come ci dice benissimo S. Ambrogio: “Se veniamo disprezzati, non dobbiamo affliggerci, ma pensare che se si conoscesse bene che cosa siamo, si direbbe assai più male di noi, di quanto se ne dice. „ O come ci dice S. Giovanni: “Se ci insultano, è volontà di Dio che perdoniamo di buon cuore e subito: e che siam pronti a render servigio ogni volta se ne presenti l’occasione. „ È volontà di Dio che nei pasti non ci lasciamo andare alla intemperanza; che nelle conversazioni procuriamo di nascondere e scusare i difetti del prossimo, e che preghiamo per lui. È volontà di Dio che nelle nostre pene non mormoriamo, ma le sopportiamo con pazienza e rassegnazione; cioè Dio vuole che in tutto quello che facciamo ed in tutto quello che ci manda, ricordiamo che tutto viene veramente da Lui, e tutto è pel nostro bene, se sappiamo farne buon uso. Ecco, F. M., che cosa ci ordinano i comandamenti di Dio. Se amate Dio, come dite, voi farete tutto questo, vi comporterete in questo modo; altrimenti, potete ben dire d’amarlo: ma san Giovanni vi dice che siete menzogneri, e la verità non trovasi sulle vostre labbra (I Joan. II, 4) . Esaminiamo, F. M., la nostra condotta e la vita nostra, e vediamo minutamente tutte le nostre azioni. Non bisogna fermarsi ai buoni pensieri, ai buoni desideri ed agli affetti sensibili che proviamo, come ad esempio quando ci sentiam commossi leggendo un libro buono, od ascoltando la parola di Dio e facciamo ogni sorta di belle risoluzioni: questo non è che illusione, se poi non ci impegniamo a fare quanto Dio ci ordina coi suoi comandamenti, e se non evitiamo quanto ci proibisce. Vedete, F. M., come siete in contraddizione con voi stessi. Mattina e sera giungendo le mani per pregare, voi dite: “Mio Dio, vi amo con tutto il mio cuore e sopra ogni cosa; „ credete di dir la verità? Eppure alcuni momenti dopo le mani vostre sono occupate nel rubare al prossimo, o forse in qualche azione vergognosa. Quante volte non avete adoperato queste mani a riempirvi di vino ed abbandonarvi alle gozzoviglie; questa stessa bocca che ha pronunciato un atto d’amor di Dio, eccola, appena presentasi l’occasione, imbrattarsi con bestemmie, delazioni, maldicenze, calunnie, ed ogni sorta di discorsi che offendono o disonorano quello stesso Dio, al quale avete detto che l’amate con tutto il vostro cuore. Ahimè! F. M., diciamo di amare Dio con tutto il cuore! dove sono le prove che ci assicurano esser vero quanto diciamo? Si dice comunemente che i veri amici si conoscono nell’occasione: è vero, che occorrono delle prove per sapere se gli amici sono sinceri; lo si comprende facilmente. Infatti, se vi dicessi che sono vostro amico, e non facessi niente per mostrarvelo, al contrario facessi mille cose per farvi dispetto; se in tutte le occasioni in cui potessi attestarvi il mio attaccamento, non vi dessi che segni di avversione, voi non vorreste credere che vi amo, sebbene ve l’abbia detto di frequente; altrettanto, F. M., riguardo a Dio. Potete ben dirgli cento volte al giorno: “Mio Dio, vi dono il mio cuore; „ non basta. Bisogna dargliene le prove in quanto facciamo ogni giorno, perché non ve n’ha alcuno in cui non siamo obbligati a fare qualche sacrificio pel buon Dio, se non vogliamo offenderlo, e se vogliamo amarlo. Quante volte il demonio ci manda pensieri d’orgoglio, di odio, di vendetta, d’ambizione, di gelosia; moti di collera e d’impazienza; quanti pensieri o desideri contro la santa virtù della purità! ed altre volte, quanti pensieri e desideri d’avarizia! Ahimè! il nostro miserabile corpo ci porta senza posa al male, mentre la voce della coscienza e le ispirazioni della grazia ci spingono al bene. Ebbene! F. M., ecco che cos’è piacere a Dio, amarlo: è combattere, resistere coraggiosamente a tutte le tentazioni. Ecco come daremo le prove dell’amore che abbiamo per Iddio: ecco quanto ci metterà nella disposizione continua di tutto sacrificare piuttosto che offenderlo. Dite di amare Dio, od almeno che desiderate di amarlo: siete un bugiardo. Perché adunque lasciate entrare nel vostro cuore quel pensiero di orgoglio? perché vi abbandonate a quelle mormorazioni, a quelle gelosie, a quelle maldicenze, a quelle compiacenze di voi stesso? Perché siete un ipocrita. Voi ne siete spiacenti; lo credo: voi ne sarete ben afflitti… Ahimè! quanto pochi amano Dio!… Diciamolo, a disonore del Cristianesimo, quasi nessuno lo ama di questo amore di preferenza, sempre pronto a sacrificare tutto per piacergli, e sempre timoroso di offenderlo. Vedete, F. M., come si diportò S. Eustachio con tutta la sua famiglia; vedete la sua costanza ed il suo amore per Iddio. Si narra nella sua vita ~ Ribadeneira  20 sett.~ che trovandosi alla caccia inseguiva un cervo di straordinaria grandezza: slanciatosi su d’una roccia e cercando il mezzo di raggiungerlo, scorse tra le sue corna un bel crocifisso, che gli disse d’andare a ricevere il battesimo e ritornare, che gli farebbe conoscere quanto doveva soffrire per suo amore; che perderebbe i beni, la riputazione, la moglie, i figli, e finirebbe coll’essere arso vivo. S. Eustachio ascoltò tutto questo senza la minima paura o ripugnanza, e senza fare alcun lamento. Infatti, poco dopo scoppiò la peste nelle sue gregge e nei suoi schiavi, non risparmiandone neppur uno. Tutti cominciavano a fuggirlo, e nessuno voleva dargli aiuto. Vedendosi ridotto così misero e disprezzato, decise d’andare in Egitto, dove aveva ancora qualche possedimento. Egli e la sua consorte presero per mano i loro bambini e si affidarono alla provvidenza di Dio. Passato il mare, il padrone della nave in pagamento del viaggio si ritenne la moglie di Eustachio, e lasciati il padre ed i figli a terra, fece vela per altri lidi. Ecco S. Eustachio privato di una delle sue maggiori consolazioni. Sopportando tutto, senza mai lamentarsi della condotta di Dio a suo riguardo, ci dice l’autore della sua vita, prese un piccolo crocifisso tra le sue mani, e baciandolo rispettosamente continuò la sua via. Un po’ più avanti dovette attraversare un fiume abbastanza largo ecc…. Questo, M. F., possiamo chiamare amore vero, poiché nulla è capace di separare Eustachio da Dio. Aggiungo inoltre, F. M., che se amiamo davvero il buon Dio, dobbiam desiderare grandemente di vederlo amato da tutti. Ne abbiamo un bell’esempio nella storia, esso ci offre una bella scena di amore per Iddio. Fu vista nella città di Alessandria, una donna che teneva in una mano un vaso pieno d’acqua, e nell’altra una fiaccola accesa. Quelli che la osservarono, stupiti le chiesero che cosa pretendeva fare con quell’apparato. Vorrei, rispose essa, con questa fiaccola incendiare il cielo e tutti i cuori degli uomini, e coll’acqua spegnere il fuoco dell’inferno, affinché d’ora innanzi non si amasse più il buon Dio per la speranza della ricompensa, o per timore del castigo riservato ai peccatori: ma unicamente perché Egli è buono e degno d’essere amato. „ Bei sentimenti, F. M., degni della grandezza d’un’anima che conosce che cosa è Dio, e come Egli merita tutti gli affetti del nostro cuore. – Si racconta nella storia dei Giapponesi, che quando si annunciava loro il Vangelo, e venivano istruiti intorno a Dio, specialmente quando si insegnavano loro i grandi misteri della nostra santa Religione, e tutto ciò che Dio ha fatto per gli uomini; un Dio che nasce in una povera stalla, vien disteso su d’un po’ di paglia nei rigori dell’inverno, un Dio che patisce e muore sopra una croce per salvarci: erano così sorpresi da tante meraviglie che Dio aveva fatto per la nostra salvezza, che si udivano esclamare in un trasporto d’amore: “Oh! come è grande! oh, come è buono! oh, come è amabile, il Dio dei Cristiani! „ E quando poi si diceva loro che v’è un comandamento che ordinava d’amare Dio, e li minacciava di castighi se non l’amavano, ne eran talmente stupiti, che non potevan riaversi dal loro sbalordimento. “Ecchè! dicevano, fare ad uomini ragionevoli un precetto d’amare un Dio che tanto ci ha amati?… ma non è la più gran fortuna l’amarlo, e la più gran disgrazia il non amarlo? Ecchè! dicevano ai missionari, i Cristiani non sono sempre ai piedi degli altari del loro Dio, penetrati della grandezza di sua bontà, e tutti infiammati del suo amore? „ E quando sentivano che non solo v’era chi non l’amava, ma anche chi l’offendeva: “O popolo ingiusto! popolo barbaro! Esclamavano con indignazione; è possibile che vi siano Cristiani capaci di tale oltraggio verso un Dio così buono? In qual terra maledetta adunque abitano questi uomini senza cuore e senza sentimento?„ – Ahimè! dal tratto che adoperiamo verso Dio, non ci meritiamo purtroppo che questi rimproveri! Sì, F. M., verrà giorno che le nazioni lontane e straniere faranno testimonianza contro di noi, ci accuseranno e condanneranno dinanzi a Dio. Quanti Cristiani passano la vita senza amare Dio! Ahimè! forse ne troveremo al giorno del giudizio molti che non avranno dato neppure un sol giorno tutto intero al buon Dio. Ahimè! quale sventura!… S. Giustino ci dice che l’amore ha ordinariamente tre effetti. Quando amiamo alcuno, pensiamo spesso e volentieri a lui, ci diamo volentieri per lui, e soffriamo per lui: ecco, F. M., quanto dobbiamo fare pel buon Dio, se l’amiamo davvero.

1° Dobbiamo pensare spesso a Gesù Cristo. Niente è più naturale che pensare a chi si ama. Vedete un avaro: non è occupato che de’ suoi beni o del mezzo di aumentarli; solo od in compagnia, niente è capace di distrarlo da questo pensiero. Ecco un libertino: la persona che è l’oggetto del suo amore, è continuamente con lui, come il respirare: vi pensa tanto, che il suo corpo ne è spesso così affranto, che si ammala. Oh! se avessimo la fortuna di amare tanto Gesù Cristo, quanto un avaro ama il suo denaro o le sue terre, un ubriacone il vino, un libertino l’oggetto della sua passione, non saremmo noi continuamente occupati dell’amore e delle grandezze di Gesù Cristo? Ahimè, M. F., ci occupiamo di mille cose che, quasi tutte, terminano in nulla: quanto a Gesù Cristo, passiamo delle ore e dei giorni interi senza ricordarci di Lui, ovvero ci ricordiamo così languidamente da credere appena a quanto pensiamo. Mio Dio, perché non siete amato? Eppure, M. F., fra i nostri amici ve n’ha forse alcuno più generoso, più benefico di Lui? Ditemi: se avessimo pensato bene che, ascoltando il demonio, il quale ci trascinava al male, abbiamo grandemente afflitto Gesù Cristo, l’abbiam fatto morire una seconda volta, avremmo noi avuto questo coraggio?… non avremmo invece detto: Come potrei offendervi, mio Dio, Voi che ci avete tanto amati? Sì, mio Dio, giorno e notte il mio spirito ed il mio cuore non saranno occupati che di Voi.

2° Se amiamo davvero il buon Dio gli daremo quanto è in nostro potere di dargli, e con grande piacere. Se abbiamo beni, facciamone parte ai poveri; è come se si desse a Gesù Cristo in persona; è Lui che ci dice nel Vangelo: “Quanto darete al minimo dei miei, cioè ai poveri, lo considero come dato a me stesso ~Matt. XXV, ~ . „ Qual felicità, M. F., per una creatura, potere esser liberale verso il suo Creatore, il suo Dio, il suo Salvatore! Non solamente i ricchi possono dare; ma tutti i Cristiani, anche i più poveri. Non tutti abbiamo dei beni per darli a Gesù Cristo nella persona dei poveri; ma tutti abbiamo un cuore, ed è proprio di questa offerta che Egli è più geloso: è questo che Egli domanda con tanta insistenza. – Ditemi, F. M., potremmo rifiutargli ciò che Egli ci domanda con tante istanze, Egli che ci ha creati per sé? Ah! se vi pensassimo bene, non diremmo al divin Salvatore: ” Signore, sono un povero peccatore, abbiate pietà di me: eccomi tutto per voi? „ Come saremmo fortunati se facessimo questa offerta universale al buon Dio! quanto sarebbe grande la nostra ricompensa!…

3° Ma tuttavia il miglior segno d’amore che possiamo dare al buon Dio, è il soffrire per Lui; perché, se ben consideriamo quanto Egli ha sofferto per noi, non potremo esimerci dal soffrire tutte le miserie della vita, le persecuzioni, le malattie, le infermità, la povertà. Chi non si sentirà commuovere alla vista di tutto quello che Gesù Cristo ha sofferto durante la sua vita mortale? Quanti oltraggi non gli fanno patire gli uomini colla profanazione dei Sacramenti, col disprezzo della sua santa Religione, che tanto gli costò per stabilirla? Qual cecità, M. F., non amare un Dio così amabile, e che cerca, in tutte le cose, solo il nostro bene! Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di santa Maddalena, divenuta celebre in tutta la Chiesa pel suo grande amore a Gesù Cristo ~ XXVI, 18 ~ . Una volta datasi a Lui, non l’abbandonò più; non solo col cuore, ma anche realmente, seguendolo nei viaggi, soccorrendolo del suo, ed accompagnandolo sino al Calvario. Ella fu presente alla sua morte, preparò gli aromi per imbalsamarne la salma e di buon mattino accorse al sepolcro ~Joan. XX ~ . Non trovandovi più il corpo di Gesù Cristo, si lamenta col cielo e colla terra; supplica gli Angeli e gli uomini di dirle dove sia il suo Salvatore: perché vuol trovarlo a qualunque costo. Il suo amore era così ardente che può ben dirsi essere stato impossibile a Gesù Cristo il nascondersi; perché essa aveva pensato soltanto a Lui, Lui solo aveva desiderato, Lui solo voluto; per ella ogni altra cosa è nulla; non ebbe né rispetto umano, né timore d’esser disprezzata o derisa: abbandonò tutti i suoi averi, calpestò gli ornamenti ed i piaceri per stare al seguito del suo diletto: tutto il resto non fu più nulla per lei. Ascoltate ancora la lezione che ci dà S. Domenico ~Ribad.  4 Agosto ~ Questo santo patriarca, che dall’amore di Dio sentiva soddisfatti tutti i suoi desideri, dopo aver predicato tutto il giorno, passava le intere notti in contemplazione: si credeva di già in cielo, e non sapeva comprendere come si possa vivere senza amare Dio, poiché in ciò è riposta tutta la nostra felicità. Un giorno che fu preso dagli eretici, Dio fece un miracolo per salvarlo dalle loro mani. “Che avreste fatto, gli disse un amico, se avesser voluto uccidervi? „ — Ah! li avrei scongiurati di non farmi morire d’un tratto, ma di tagliarmi a pezzettini; poi di strapparmi la lingua e gli occhi; e, dopo aver immerso il resto del mio corpo nel mio sangue, di tagliarmi la testa. Li avrei pregati di non lasciare alcuna parte del mio corpo senza sofferenze. Ah! allora sì avrei avuto la fortuna di dire a Dio che veramente l’amo. Sì, vorrei esser padrone dei cuori di tutti gli uomini,  per farli tutti ardere d’amore.„ Qual linguaggio esce da un cuore ardente d’amore divino! In tutta la sua vita questo gran santo cercò il mezzo di morir martire, per mostrare a Dio che veramente l’amava. Vedete pure S. Ignazio martire, vescovo di Antiochia, ~ 1 febbraio ~ che fu condannato dall’imperatore Traiano ed esser esposto alle fiere. Provò tanta gioia udendo la sentenza che lo condannava ad essere divorato dalle fiere, che credé morirne di consolazione. Non aveva che un solo timore, questo, che i Cristiani gli ottenessero la grazia. Scrisse loro dicendo: “Amici miei, lasciate ch’io divenga la preda delle belve, e venga macinato come un grano del frumento di Dio per divenire pane di Gesù Cristo. Io so, amici miei, che m’è assai utile il soffrire; bisogna che i ferri, i patiboli, le belve feroci facciano strazio delle mie membra e stritolino il mio corpo, e che tutti i tormenti si riversino su di me. Tutto per me è buono, purché arrivi al possesso di Dio: ora ad amare Gesù Cristo; ora sono suo discepolo. Per le cose della terra ho soltanto disgusto, non sono affamato che del pane del mio Dio, che mi deve saziare durante l’eternità; non sono avido che della carne di Gesù Cristo, il quale non è che carità. „ Ditemi, M. F., si può trovare un cuore più in fiammato d’amor di Dio? Infatti fu divorato dai leoni, che lasciarono solo alcuni avanzi del suo corpo. Che devesi concludere da tutto questo, F. M., se non che ogni nostra felicità sulla terra è di attaccarci a Dio? Cioè, bisogna che in quanto facciamo, il buon Dio sia l’unico fine; poiché sappiamo tutti, per nostra esperienza personale, che nulla di creato è capace di renderci felici, che il mondo intero con tutti i suoi beni e piaceri non potrebbe soddisfare il nostro cuore. Non perdete di vista, F. M., che tutto ci abbandonerà. Verrà un momento in cui quanto abbiamo passerà in altre mani … Mentre se abbiamo la grande fortuna di possedere l’amore di Dio, ce Io porteremo in cielo, e sarà la nostra felicità in eterno. Amar Dio, non servir che Lui solo, e non desiderare che di possederlo: ecco la bella sorte che vi auguro di cuore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Dan. IX: 17;18;19
Orávi Deum meum ego Dániel, dicens: Exáudi, Dómine, preces servi tui: illúmina fáciem tuam super sanctuárium tuum: et propítius inténde pópulum istum, super quem invocátum est nomen tuum, Deus.

[Io, Daniele, pregai Iddio, dicendo: Esaudisci, o Signore, la preghiera del tuo servo, e volgi lo sguardo sereno sul tuo santuario, e guarda benigno a questo popolo sul quale è stato invocato, o Dio, il tuo nome.]

Secreta


Majestátem tuam, Dómine, supplíciter deprecámur: ut hæc sancta, quæ gérimus, et a prætéritis nos delictis éxuant et futúris.

[Preghiamo la tua maestà, supplichevoli, o Signore, affinché questi santi misteri che compiamo ci liberino dai passati e dai futuri peccati.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXV: 12-13
Vovéte et réddite Dómino, Deo vestro, omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera: terríbili, et ei qui aufert spíritum príncipum: terríbili apud omnes reges terræ.

[Fate voti e scioglieteli al Signore Dio vostro; voi tutti che siete vicini a Lui: offrite doni al Dio temibile, a Lui che toglie il respiro ai príncipi ed è temuto dai re della terra.]

 Postcommunio

Orémus.
Sanctificatiónibus tuis, omnípotens Deus, et vítia nostra curéntur, et remédia nobis ætérna provéniant.

[O Dio onnipotente, in virtù di questi santificanti misteri siano guariti i nostri vizii e ci siano concessi rimedii eterni.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULL’AMORE DI DIO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’amore di Dio.

“Diliges Dominum Deum tuum.”

(Luc. x, 27).

Leggiamo nell’Evangelo, Fratelli miei, che un giovane presentatosi a Gesù Cristo, gli disse: “Maestro, che cosa bisogna fare per conseguire la vita eterna? „ Gesù Cristo gli rispose: ” Che cosa sta scritto nella Legge? „ — “Amerai il Signore Dio tuo, replicò il giovine, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le tue forze, ed il prossimo tuo come to stesso: tutto questo io lo faccio. „ — “Ebbene – soggiunsegli – Gesù Cristo va, vendi quanto hai, dallo ai poveri, ed avrai un tesoro in cielo. „ Questa espressione di Gesù: vendi quanto hai e dallo ai poveri, lo afflisse grandemente. Gesù Cristo voleva mostrargli che colle opere e non colle parole soltanto facciamo vedere se amiamo davvero Iddio. Se per amarlo, ci dice S. Gregorio, bastasse dire che lo si ama, l’amor divino non sarebbe tanto raro quanto lo è, perché non vi è nessuno che interrogato se ama il buon Dio, non risponda subito che lo ama con tutto il suo cuore: lo dirà il giusto ed anche il peccatore; il giusto lo dirà solo tremando, ad esempio di S. Pietro (Joann. XXI, 17); mentre il peccatore lo dirà forse con una franchezza che sembra persuaderne la sincerità; ma s’inganna assai, perché l’amor di Dio non consiste nelle parole, ma nelle opere (Joann. III, 18). Sì, F. M., amare Iddio con tutto il cuore è cosa tanto giusta, ragionevole, ed, in certo qual modo, naturale, che quelli di noi, la cui vita è più opposta all’amor del Signore, non lasciano però di pretendere e d’essere persuasi di amarlo. Perché tutti credono d’amar Dio, sebbene la loro condotta sia affatto contraria a quest’amore divino? Ah! F. M., perché tutti cercano la loro felicità, e solo questo amore può procurarla; perciò tutti vogliono persuadersi d’amare Iddio. Eppure non v’è cosa tanto rara quanto questo amore divino. Vediamo adunque in che consista quest’amore, e come possiamo conoscere se amiamo Dio. – E per meglio intenderlo, consideriamo:

1°, da una parte, quanto Gesù Cristo ha fatto per noi;

2°, dall’altra, che cosa dobbiamo fare per Lui.

I. —  È  certissimo, F. M., che Dio ci ha creati per amarlo e servirlo. Tutte le creature della terra sono fatte per amare Iddio, Perché, F. M., Dio ci ha dato un cuore, i cui desiderii sono così vasti e così estesi, che nessuna cosa è capace di saziarlo? E per sforzarci, in certo modo, a non attaccarci che a Lui, a non amare che Lui; perché, Egli solo, può farci contenti. Quand’anche possedesse l’universo intero, l’uomo non sarà mai pienamente soddisfatto: gli resterà sempre qualche cosa da desiderare, sicché nessuna cosa creata lo potrà mai saziare. Sì, noi siamo così persuasi d’esser creati per la felicità, che non cessiamo neppure per un istante della nostra vita dal cercarla, e dal fare quanto dipende da noi per procurarla. Da che deriva adunque che malgrado tutte le nostre ricerche, e fatiche, e cure, non ci troviamo ancora contenti? Ahimè! è Perché non volgiamo i nostri sguardi o i movimenti del nostro cuore verso l’oggetto che solo è capace di colmare la vasta estensione dei nostri desideri, Dio solo. No, F. M., non potrete mai essere soddisfatti e pienamente felici, almeno quanto è possibile esserlo in questo mondo, se non disprezzate, almanco col cuore, le cose create per attaccarvi soltanto a Dio. Dobbiamo adunque rivolgere tutte le nostre cure ed i movimenti del cuore a non desiderare né cercare che Dio solo in quanto facciamo; altrimenti la nostra vita passerà nel cercare invano una felicità che non troveremo giammai. Ci siamo adunque ingannati sino ad ora; poiché, malgrado quanto abbiamo fatto per esser felici, non ci siamo riusciti. Credetemi, F. M., cercate l’amicizia di Dio, ed avrete trovato la vostra felicità. Mio Dio! come l’uomo è cieco di non amarvi; poiché Voi potete così bene soddisfare il suo cuore! Ma, F. M., per impegnarvi ad amare un Dio così buono, degno di essere amato, e capace di soddisfare tutti gli affetti del nostro cuore, diamo uno sguardo a quanto Egli ha fatto por noi; seguiamolo nel corso della sua vita mortale, e anche dopo la sua morte. – Vedetelo, F. M., dal momento della sua Incarnazione fino all’età di trent’anni: non sono grandi le prove del suo amore per noi? Che cosa ha fatto nell’Incarnazione? Si è fatto uomo come noi e per noi. Colla sua nascita ci ha elevati alla dignità più eminente, alla quale una creatura possa essere innalzata; è divenuto nostro fratello!… Ah, qual amore per noi! l’abbiamo mai compreso bene? Nella Circoncisione si è fatto nostro Salvatore, Mio Dio! quanto è grande la vostra carità!.,. Nella Epifania divenne nostra luce, nostra guida. Nella Presentazione al tempio, divenne nostro pontefice, nostro dottore: oh! che dico, F. M,? si è offerto al Padre suo per redimerci tutti. Più tardi, cioè nella casa di S. Giuseppe, divenne nostro modello nell’amore e rispetto che dobbiamo ai nostri genitori e superiori. Dirò ancor più: ci ha mostrato che dobbiamo condurre una vita nascosta e sconosciuta al mondo, se vogliamo piacere a Dio suo Padre. Seguiamo Gesù Cristo nella sua vita pubblica, quanto ha fatto, tutto lo fece per noi: le sue preghiere, le sue lagrime, le sue veglie, i digiuni, le predicazioni, i viaggi, le conversazioni, i miracoli: sì, tutto questo è stato fatto per noi. Vedete, F. M., con quale zelo ci ha cercati, nella persona della Samaritana(Joann. IV, 6); vedete con quale tenerezza accoglie i peccatori, — e tutti siamo di questo numero — nella persona del figliuol prodigo; vedete con qual bontà si oppone alla giustizia del Padre suo, che vuol punirci nella persona della peccatrice.

2. Nella sua Passione, ahimè! quante ingiurie, quanti tormenti Egli ha sofferto? Fu legato, flagellato, accusato, condannato, ed infine crocifisso per noi. Non è Egli morto per noi in mezzo ad obbrobri e dolori ineffabili? – Ah! F. M., chi potrebbe comprendere quanto il suo buon cuore ha fatto per noi?… Entriamo più addentro nella piaga di questo Cuore pietoso. Sì, Gesù Cristo poteva soddisfare alla giustizia del Padre suo pei nostri peccati con una stilla del suo sangue, con una lagrima ; che dico? con un solo sospiro: ma ciò che bastava a placare la giustizia del Padre suo, non bastava a soddisfare la tenerezza del suo Cuore per noi. E il suo amore per noi gli ha fatto soffrire anticipatamente nel giardino degli Ulivi i patimenti che doveva provare sulla croce. O abisso di amore d’un Dio per le sue creature!… Gesù Cristo si è accontentato di amarci sino alla fine? No, F. M., no. Dopo morto, la lancia, o meglio il suo amore, squarciò il suo Cuore divino per aprirci come un asilo, in cui andremo a ripararci e a consolarci nelle nostre pene, nei dolori, nelle miserie nostre. Ma proseguiamo ancora, F. M. Questo divin Salvatore vuole spargere per noi fino l’ultima goccia del suo sangue prezioso, per lavarci di tutte le nostre iniquità. Dopo espiati i nostri peccati di orgoglio coll’incoronazione di spine; col fiele e coll’aceto i peccati che abbiam la disgrazia di commettere colla lingua e che sono tanto numerosi; tutti i peccati d’impurità colla crudele e dolorosa flagellazione; tutti quelli commessi colle cattive azioni, colle piaghe dei piedi e delle mani; volle altresì espiare tutti i nostri peccati colla ferita al suo divin Cuore, perché dal cuore nascono tutti i peccati. O prodigio d’amore d’un Dio per le sue creature!… È stato offeso da noi e si lascia punire per noi; e sopra se medesimo fa vendetta delle offese che gli abbiamo fatto!… Ahimè! se non fossimo ciechi come siamo, riconosceremmo che le nostre   mani veramente l’hanno immolato sulla croce! Ma, ancora una volta, F . M., io chiedo a voi, perché tanti prodigi d’amore? Ah! lo sapete: è per liberarci da ogni sorta di mali, e meritarci ogni sorta di beni nell’eternità. E se ciò non ostante torniamo ancora ad offenderlo, vediamo che è pronto a perdonarci, ad amarci, ed a ricolmarci di ogni bene se vogliamo amarlo. O quanto amore per creature così insensibili e così ingrate! Ma il suo amore va anche più lontano. Vedendo che la morte lo separava da noi, e volendo restare in mezzo a noi. fece un miracolo grande: istituì il gran Sacramento d’amore, in cui ci lascia il suo Corpo adorabile ed il suo Sangue prezioso per non abbandonarci più sino alla fine del mondo. Quale amore per noi, F. M,, che un Dio voglia nutrire l’anima nostra colla propria sostanza e farci vivere della sua vita! – Per mezzo di questo grande ed adorabile Sacramento Egli si offre ogni giorno alla giustizia del Padre suo, soddisfa di nuovo pei nostri peccati, e ci attira ogni sorta di grazie. – Vedete altresì, F. M., questo tenero Salvatore, che morto per la nostra salvezza ci apre il cielo. Per condurvici tutti vuol essere Lui stesso il nostro Mediatore; Egli stesso presenta le nostre preghiere al Padre (Hebr. VII, 6), e chiederà grazia per noi ogni volta che sventuratamente cadremo in peccato. Egli, F. M., ci aspetta nel luogo della felicità, in quel soggiorno dove lo si ama sempre e non si pecca mai… – No, F.  M., voi non avete mai considerato bene quanto amore Dio ha verso di noi. Possibile viver solo per offenderlo, mentre amandolo possiamo esser felici? Se io vi domandassi: Amate voi Iddio? Senza dubbio, mi rispondereste che l’amate: ma non basta; bisogna darne la prova. Ma dove sono, F. M., queste prove che manifestano la sincerità del nostro amore per il buon Dio? Dove i sacrifici fatti per Lui? Dove le penitenze? Ahimè, il poco bene che facciamo, è in gran parte senza fervore, senza retta intenzione. Quante viste umane!… quante buone opere fatte per sola inclinazione naturale, e senza vera divozione! Ahimè, F. M., che miseria!…

II. — Ora, F. M., se volete sapere come possiamo conoscere se amiamo davvero Iddio, ascoltate bene quanto sono per dirvi, poi giudicherete voi stessi se veramente l’amate. Ecco quanto ci dice Gesù Cristo medesimo: ” Chi mi ama osserva i mici comandamenti (Joan, XIV), ma chi non mi ama non li osserva. „ Vi è quindi facile sapere se amate il Signore. I comandamenti di Dio, e la sua volontà, F. M., non sono che la medesima cosa. Vi ordina e vuole che adempiate esattamente tutti i doveri del vostro stato, con intenzioni pure e rette, senza malumore, impazienza, negligenza, frodi contro la verità o la buona fede. Dobbiamo avere un amore generoso verso il buon Dio, amore che ci faccia preferire la morte alla infedeltà. Di ciò, F. M., ne abbiamo esempi all’infinito in tutti i santi, e specialmente nei martiri, dei quali molti si lasciarono tagliare a pezzi, piuttosto che cessare d’amar Dio. Eccone un bell’esempio nella persona della casta Susanna ~Dan. XIII ~ . Andata un giorno al bagno, due vecchioni, giudici del popolo d’Israele, avendola vista, decisero di sollecitarla al peccato: la inseguirono, e le manifestarono il loro infame desiderio, del quale essa ebbe orrore. Alzando gli occhi ai cielo, disse: “Signore, sapete che vi amo, sostenetemi. „ — “Mi veggo in angustia d’ogni parte, disse ai vecchioni; siamo qui alla presenza di Dio, che ci vede: se ho la disgrazia d’acconsentire alla vostra passione vergognosa, non sfuggirò alla mano di Dio; Egli è il mio Giudice, so che dovrò rendergli conto d’una azione così infame e peccaminosa. Se invece non acconsento ai vostri desideri, non sfuggirò al vostro rancore; veggo bene che mi farete morire: ma preferisco morire anziché offendere Dio. „ Quei miserabili, vedendosi così respinti, partirono incolleriti, e pubblicarono che Susanna era stata colta in adulterio, che essi avevano visto un giovane commettere del male con lei. Sventuratamente, ahimè! furono creduti, e sulla loro testimonianza fu condannata a morte. Mentre veniva condotta al supplizio, un fanciullo di dodici anni, il piccolo Daniele, gridò in mezzo alla folla:Che fai, popolo d’Israele; perché condanni il giusto? vi dichiaro ch’io non prendo parte al delitto che state per commettere, versando il sangue di questa innocente. „ Il giovine Daniele, avvicinatosi, disse: “Fate venire i due vecchi. „ Separatili l’uno dall’altro, li interrogò. Si contraddissero nelle loro parole in tal guisa, da non potersi dubitare che essi erano i colpevoli, e non Susanna: e ambedue furono condannati a morte. Così fa, F. M., chi ama il buon Dio, mostrando alla prova di amarlo veramente, di amarlo più di se stesso. Susanna non poteva darne segno più grande, poiché preferì la morte al peccato. Non v’ha dubbio che quando bastano delle parole per dire che si ama Dio, non costa fatica. Tutti credono d’amare Dio, ed osano persuadersene: ma se Dio li mettesse alla prova, quanto pochi avrebbero la fortuna di resistervi! Vedete ancora quanto accadde sotto il regno di Antioco (II Macc. VI). Questo tiranno crudele comandò ai Giudei, sotto pena di morte, di mangiare carne proibita dal Signore. Un santo vecchio di nome Eleazaro, che era vissuto nel timore e nell’amor di Dio, rifiutò coraggiosamente d’obbedire; e fu condannato a morte. “Non dipende che da te, dissegli un amico, il salvar la vita, come facemmo noi. Ecco della carne che non fu offerta agli idoli: mangiane; questa piccola dissimulazione calmerà il tiranno. „ Il santo vecchio rispose: “Credete ch’io sia tanto attaccato alla vita da preferirla all’amore che debbo al mio Dio? E quand’anche sfuggissi al furore del tiranno, credete ch’io possa sfuggire alla giustizia di Dio? No, no, amici miei, preferisco morire che offendere il mio Dio che amo più di me stesso. No, non si dirà mai che a novant’anni io abbia abbandonato il mio Dio e la sua santa legge. „ Mentre lo si conduceva al supplizio, ed il carnefice lo tormentava crudelmente, fu inteso esclamare: “Mio Dio, sapete ch’io soffro per voi. Sostenetemi; sapete che è perché vi amo: sì, mio Dio, per vostro amore io soffro! „ Tale fu il suo coraggio nel veder maltrattare e straziare il suo povero corpo. Ebbene, F. M., eccovi ciò che si chiama amare veracemente il Signore. Questo buon vecchio, che dà la sua vita con tanta gioia per Iddio, non si accontenta di dire che l’ama; ma lo mostra colle opere. Tutti noi, è vero, diciamo d’amare il buon Dio; ma quando tutto va a seconda dei nostri desideri, quando niente contraddice al nostro modo di pensare, di parlare e di agire. Quante volte una sola parola, un’aria di disprezzo, od anche solo di freddezza, un pensiero di rispetto umano non ci fanno abbandonare Dio? Ho detto, F. M., che se vogliamo dimostrare a Dio di amarlo, dobbiam compiere la sua santa volontà, la quale esige che siamo sottomessi, rispettosi coi nostri parenti, superiori e con tutti coloro che Dio pose sopra di noi per guidarci. La volontà di Dio è che i superiori dirigano i loro inferiori senza alterigia, senza asprezza: ma con carità e bontà, come vorremmo esser trattati noi; è volontà di Dio che siamo buoni e caritatevoli verso tutti; e se veniamo lodati, invece di crederci qualche cosa, pensiamo che veniam burlati, come ci dice benissimo S. Ambrogio: “Se veniamo disprezzati, non dobbiamo affliggerci, ma pensare che se si conoscesse bene che cosa siamo, si direbbe assai più male di noi, di quanto se ne dice. „ O come ci dice S. Giovanni: “Se ci insultano, è volontà di Dio che perdoniamo di buon cuore e subito: e che siam pronti a render servigio ogni volta se ne presenti l’occasione. „ E volontà di Dio che nei pasti non ci lasciamo andare alla intemperanza; che nelle conversazioni procuriamo di nascondere e scusare i difetti del prossimo, e che preghiamo per lui. E volontà di Dio che nelle nostre pene non mormoriamo, ma le sopportiamo con pazienza e rassegnazione; cioè Dio vuole che in tutto quello che facciamo ed in tutto quello che ci manda, ricordiamo che tutto viene veramente da Lui, e tutto è pel nostro bene, se sappiamo farne buon uso. Ecco, F. M., che cosa ci ordinano i comandamenti di Dio. Se amate Dio. come dite, voi farete tutto questo, vi comporterete in questo modo; altrimenti, potete ben dire d’amarlo: ma san Giovanni vi dice che siete menzogneri, e la verità non trovasi sulle vostre labbra (I Joan. II, 4) . Esaminiamo, F. M., la nostra condotta e la vita nostra, e vediamo minutamente tutte le nostre azioni. Non bisogna fermarsi ai buoni pensieri, ai buoni desideri ed agli affetti sensibili che proviamo, come ad esempio quando ci sentiam commossi leggendo un libro buono, od ascoltando la parola di Dio e facciamo ogni sorta di belle risoluzioni: questo non è che illusione, se poi non ci impegniamo a fare quanto Dio ci ordina coi suoi comandamenti, e se non evitiamo quanto ci proibisce. Vedete, F. M., come siete in contraddizione con voi stessi. Mattina e sera giungendo le mani per pregare, voi dite : “Mio Dio, vi amo con tutto il mio cuore e sopra ogni cosa; „ credete di dir la verità? Eppure alcuni momenti dopo le mani vostre sono occupate nel rubare al prossimo, o forse in qualche azione vergognosa. Quante volte non avete adoperato questo mani a riempirvi di vino ed abbandonarvi allo gozzoviglie; questa stessa bocca che ha pronunciato un atto d’amor di Dio, eccola, appena presentasi l’occasione, imbrattarsi con bestemmie, delazioni, maldicenze, calunnie, ed ogni sorta di discorsi che offendono o disonorano quello stesso Dio, al quale avete detto che l’amate con tutto il vostro cuore. Ahimè! F. M., diciamo di amare Dio con tutto il cuore! dove sono le prove che ci assicurano esser vero quanto diciamo? Si dice comunemente che i veri amici si conoscono nell’occasione: è vero, che occorrono delle prove per sapere se gli amici sono sinceri; lo si comprende facilmente. Infatti, se vi dicessi che sono vostro amico, e non facessi niente per mostrarvelo, al contrario facessi mille cose per farvi dispetto; se in tutte le occasioni in cui potessi attestarvi il mio attaccamento, non vi dessi che segni di avversione, voi non vorreste credere che vi amo, sebbene ve l’abbia detto di frequente; altrettanto, F. M., riguardo a Dio. Potete ben dirgli cento volte al giorno: “Mio Dio, vi dono il mio cuore; „ non basta. Bisogna dargliene le prove in quanto facciamo ogni giorno, perché non ve n’ha alcuno in cui non siamo obbligati a fare qualche sacrificio pel buon Dio, se non vogliamo offenderlo, e se vogliamo amarlo. Quante volte il demonio ci manda pensieri d’orgoglio, di odio, di vendetta, d’ambizione, di gelosia; moti di collera e d’impazienza; quanti pensieri o desideri contro la santa virtù della purità! ed altre volte, quanti pensieri e desideri d’avarizia! Ahimè! il nostro miserabile corpo ci porta senza posa al male, mentre la voce della coscienza e le ispirazioni della grazia ci spingono al bene. Ebbene! F. M., ecco che cos’è piacere a Dio, amarlo: è combattere, resistere coraggiosamente a tutte le tentazioni. Ecco come daremo le prove dell’amore che abbiamo per Iddio: ecco quanto ci metterà nella disposizione continua di tutto sacrificare piuttosto che offenderlo. Dite di amare Dio, od almeno che desiderate di amarlo: siete un bugiardo. Perché adunque lasciate entrare nel vostro cuore quel pensiero di orgoglio? perché vi abbandonate a quelle mormorazioni, a quelle gelosie, a quelle maldicenze, a quelle compiacenze di voi stesso? Perché siete un ipocrita. Voi ne siete spiacenti; lo credo: voi ne sarete ben afflitti… Ahimè! quanto pochi amano Dio!… Diciamolo, a disonore del Cristianesimo, quasi nessuno lo ama di questo amore di preferenza, sempre pronto a sacrificare tutto per piacergli, e sempre timoroso di offenderlo. Vedete, F. M., come si diportò S. Eustachio con tutta la sua famiglia; vedete la sua costanza ed il suo amore per Iddio. Si narra nella sua vita ~ Ribadeneira  sett.~ che trovandosi alla caccia inseguiva un cervo di straordinaria grandezza: slanciatosi su d’una roccia e cercando il mezzo di raggiungerlo, scorse tra le sue corna un bel crocifisso, che gli disse d’andare a ricevere il battesimo e ritornare, che gli farebbe conoscere quanto doveva soffrire per suo amore; che perderebbe i beni, la riputazione, la moglie, i figli, e finirebbe coll’essere arso vivo. S. Eustachio ascoltò tutto questo senza la minima paura o ripugnanza, e senza fare alcun lamento. Infatti, poco dopo scoppiò la peste nelle sue gregge e nei suoi schiavi, non risparmiandone neppur uno. Tutti cominciavano a fuggirlo, e nessuno voleva dargli aiuto. Vedendosi ridotto così misero e disprezzato, decise d’andare in Egitto, dove aveva ancora qualche possedimento. Egli e la sua consorte presero per mano i loro bambini e si affidarono alia provvidenza di Dio. Passato il mare, il padrone della nave in pagamento del viaggio si ritenne la moglie di Eustachio, e lasciati il padre ed i figli a terra, fece vela per altri lidi. Ecco S. Eustachio privato di una delle sue maggiori consolazioni. Sopportando tutto, senza mai lamentarsi della condotta di Dio a suo riguardo, ci dice l’autore della sua vita, prese un piccolo crocifisso tra le sue mani, e baciandolo rispettosamente continuò la sua via. Un po’ più avanti dovette attraversare un fiume abbastanza largo ecc…. Questo, M. F., possiamo chiamare amore vero, poiché nulla è capace di separare Eustachio da Dio. Aggiungo inoltre, F. M., che se amiamo davvero il buon Dio, dobbiam desiderare grandemente di vederlo amato da tutti. Ne abbiamo un bell’esempio nella storia, esso ci offre una bella scena di amore per Iddio. Fu vista nella città di Alessandria, una donna che teneva in una mano un vaso pieno d’acqua, e nell’altra una fiaccola accesa. Quelli che la osservarono, stupiti le chiesero che cosa pretendeva fare con quell’apparato. Vorrei, rispose essa, con questa fiaccola incendiare il cielo e tutti i cuori degli uomini, e coll’acqua spegnere il fuoco dell’inferno, affinché d’ora innanzi non si amasse più il buon Dio per la speranza della ricompensa, o per timore del castigo riservato ai peccatori: ma unicamente perché Egli è buono e degno d’essere amato. „ Bei sentimenti, F. M., degni della grandezza d’un’anima che conosce che cosa è Dio, e come Egli merita tutti gli affetti del nostro cuore. Si racconta nella storia dei Giapponesi, che quando si annunciava loro il Vangelo, e venivano istruiti intorno a Dio, specialmente quando si insegnavano loro i grandi misteri della nostra santa religione, e tutto ciò che Dio ha fatto per gli uomini; un Dio che nasce in una povera stalla, vien disteso su d’un po’ di paglia nei rigori dell’inverno, un Dio che patisce e muore sopra una croce per salvarci: erano così sorpresi da tante meraviglie che Dio aveva fatto per la nostra salvezza, che si udivano esclamare in un trasporto d’amore: “Oh! come è grande! oh, come è buono! oh, come è amabile, il Dio dei Cristiani! „ E quando poi si diceva loro che v’è un comandamento che ordinava d’amare Dio, e li minacciava di castighi se non l’amavano, ne eran talmente stupiti, che non potevan riaversi dal loro sbalordimento. “Ecchè! dicevano, fare ad uomini ragionevoli un precetto d’amare un Dio che tanto ci ha amati?… ma non è la più gran fortuna l’amarlo, e la più gran disgrazia i l non amarlo? Ecchè! dicevano ai missionari, i Cristiani non sono sempre ai piedi degli altari del loro Dio, penetrati della grandezza di sua bontà, e tutti infiammati del suo amore? „ E quando sentivano che non solo v’era chi non l’amava, ma anche chi l’offendeva: “O popolo ingiusto! popolo barbaro! Esclamavano con indignazione; è possibile che vi siano Cristiani capaci di tale oltraggio verso un Dio così buono? In qual terra maledetta adunque abitano questi uomini senza cuore e senza sentimento?„ – Ahimè! dal tratto che adoperiamo verso Dio, non ci meritiamo purtroppo che questi rimproveri! Sì, F. M., verrà giorno che le nazioni lontane e straniere faranno testimonianza contro di noi, ci accuseranno e condanneranno dinanzi a Dio. Quanti Cristiani passano la vita senza amare Dio! Ahimè! forse ne troveremo al giorno del giudizio molti che non avranno dato neppure un sol giorno tutto intero al buon Dio. Ahimè! quale sventura!… S. Giustino ci dice che l’amore ha ordinariamente tre effetti. Quando amiamo alcuno, pensiamo spesso e volentieri a lui, ci diamo volentieri per lui, e soffriamo per lui: ecco, F. M., quanto dobbiamo fare pel buon Dio, se l’amiamo davvero.

1° Dobbiamo pensare spesso a Gesù Cristo. Niente è più naturale che pensare a chi si ama. Vedete un avaro: non è occupato che de’ suoi beni o del mezzo di aumentarli; solo od in compagnia, niente è capace distrarlo da questo pensiero. Ecco un libertino: la persona, che è l’oggetto del suo amore, è continuamente con lui, come il respirare: vi pensa tanto, che il suo corpo ne è spesso così affranto, che si ammala. Oh! se avessimo la fortuna di amare tanto Gesù Cristo, quanto un avaro ama il suo denaro o le sue terre, un ubbriacone il vino, un libertino l’oggetto delia sua passione, non saremmo noi continuamente occupati dell’amore e delle grandezze di Gesù Cristo? Ahimè, M. F., ci occupiamo di mille cose che, quasi tutte, terminano in nulla: quanto a Gesù Cristo, passiamo delle ore e dei giorni interi senza ricordarci di Lui, ovvero ci ricordiamo così languidamente da credere appena a quanto pensiamo. Mio Dio, perché non siete amato? Eppure, M. F., fra i nostri amici ve n’ha forse alcuno più generoso, più benefico di Lui? Ditemi: se avessimo pensato bene che, ascoltando il demonio, il quale ci trascinava al male, abbiamo grandemente afflitto Gesù Cristo, l’abbiam fatto morire una seconda volta, avremmo noi avuto questo coraggio?… non avremmo invece detto: Come potrei offendervi, mio Dio, Voi che ci avete tanto amati? Sì, mio Dio, giorno e notte il mio spirito ed il mio cuore non saranno occupati che di Voi.

2° Se amiamo davvero il buon Dio gli daremo quanto è in nostro potere di dargli, e con grande piacere. Se abbiamo beni, facciamone parte ai poveri; è come se si desse a Gesù Cristo in persona; è Lui che ci dice nel Vangelo: “Quanto darete al minimo dei miei, cioè ai poveri, lo considero come dato a me stesso ~Matt. XXV, ~ . „ Qual felicità, M. F., per una creatura, potere esser liberale verso il suo Creatore, il suo Dio, il suo Salvatore! Non solamente i ricchi possono dare; ma tutti i Cristiani, anche i più poveri. Non tutti abbiamo dei beni per darli a Gesù Cristo nella persona dei poveri; ma tutti abbiamo un cuore, ed è proprio di questa offerta che Egli è più geloso: è questo che Egli domanda con tanta insistenza. – Ditemi, F. M., potremmo rifiutargli ciò che Egli ci domanda con tante istanze, Egli che ci ha creati per sé? Ah! se vi pensassimo bene, non diremmo al divin Salvatore: ” Signore, sono un povero peccatore, abbiate pietà di me: eccomi tutto per voi? „ Come saremmo fortunati se facessimo questa offerta universale al buon Dio! quanto sarebbe grande la nostra ricompensa!…

3° Ma tuttavia il miglior segno d’amore che possiamo dare al buon Dio, è il soffrire per Lui; perché, se ben consideriamo quanto Egli ha sofferto per noi, non potremo esimerci dal soffrire tutte le miserie della vita, le persecuzioni, le malattie, le infermità, la povertà. Chi non si sentirà commuovere alla vista di tutto quello che Gesù Cristo ha sofferto durante la sua vita mortale? Quanti oltraggi non gli fanno patire gli uomini colla profanazione dei Sacramenti, col disprezzo della sua santa religione, che tanto gli costò per stabilirla? Qual cecità, M. F., non amare un Dio così amabile, e che cerca, in tutte le cose, solo il nostro bene! Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di santa Maddalena, divenuta celebre in tutta la Chiesa pel suo grande amore a Gesù Cristo ~ XXVI, 18 ~ . Una volta datasi a Lui, non l’abbandonò più; non solo col cuore, ma anche realmente, seguendolo nei viaggi, soccorrendolo del suo, ed accompagnandolo sino al Calvario. Ella fu presente alla sua morte, preparò gli aromi per imbalsamarne la salma e di buon mattino accorse al sepolcro ~Joan. XX ~ . Non trovandovi più il corpo di Gesù Cristo, si lamentò col cielo e colla terra; supplica gli Angeli e gli uomini di dirle dove sia il suo Salvatore: perché vuol trovarlo a qualunque costo. Il suo amore era così ardente che può ben dirsi essere stato impossibile a Gesù Cristo il nascondersi; perché essa aveva pensato soltanto a Lui, Lui solo aveva desiderato, Lui solo voluto; per essa ogni altra cosa è nulla; non ebbe né rispetto umano, né timore d’esser disprezzata o derisa: abbandonò tutti i suoi averi, calpestò gli ornamenti ed i piaceri per stare al seguito del suo diletto: tutto il resto non fu più nulla per lei. Ascoltate ancora la lezione che ci dà S. Domenico ~Ribad.  4 Agosto ~

l. Questo santo patriarca, che dall’amore di Dio sentiva soddisfatti tutti i suoi desideri, dopo aver predicato tutto il giorno, passava le intere notti in contemplazione: si credeva di già in cielo, e non sapeva comprendere come si possa vivere senza amare Dio, poiché in ciò è riposta tutta la nostra felicità. Un giorno che fu preso dagli eretici, Dio fece un miracolo per salvarlo dalle loro mani. “Che avreste fatto, gli disse un amico, se avesser voluto uccidervi? „ — Ah! li avrei scongiurati di non farmi morire d’un tratto, ma di tagliarmi a pezzettini; poi di strapparmi la lingua e gli occhi; e, dopo aver immerso il resto del mio corpo nel mio sangue, di tagliarmi la testa. Li avrei pregati di non lasciare alcuna parte del mio corpo senza sofferenze. Ah! allora sì avrei avuto la fortuna di dire a Dio che veramente l’amo. Sì, vorrei esser padrone dei cuori di tutti gli uomini,  per farli tutti ardere d’amore.„ Qual linguaggio esce da un cuore ardente d’amore divino! In tutta la sua vita questo gran santo cercò il mezzo di morir martire, per mostrare a Dio che veramente l’amava. Vedete pure S. Ignazio martire, vescovo di Antiochia, ~ 1 febbraio ~ che fu condannato dall’imperatore Traiano ed esser esposto alle fiere. Provò tanta gioia udendo la sentenza che lo condannava ad essere divorato dalle fiere, che credé morirne di consolazione. Non aveva che un solo timore, questo, che i Cristiani gli ottenessero la grazia. Scrisse loro dicendo: “Amici miei, lasciate eh’ io divenga la preda delle belve, e venga macinato come un grano del frumento di Dio per divenire pane di Gesù Cristo. Io so, amici miei, che m’è assai utile il soffrire; bisogna che i ferri, i patiboli, le belve feroci facciano strazio delle mie membra e stritolino il mio corpo, e che tutti i tormenti si riversino su di me. Tutto per me è buono, purché arrivi al possesso di Dio. Comincio ora ad amare Gesù Cristo; ora sono suo discepolo. Per le cose della terra ho soltanto disgusto, non sono affamato che del pane del mio Dio, che mi deve saziare durante l’eternità; non sono avido che della carne di Gesù Cristo, il quale non è che carità. „ Ditemi, M. F., si può trovare un cuore più in fiammato d’amor di Dio? Infatti fu divorato dai leoni, che lasciarono solo alcuni avanzi del suo corpo. Che devesi concludere da tutto questo, F. M., se non che ogni nostra felicità sulla terra è di attaccarci a Dio? Cioè, bisogna che in quanto facciamo, il buon Dio sia l’unico fine; poiché sappiamo tutti, per nostra esperienza personale, che nulla di creato è capace di renderci felici, che il mondo intero con tutti i suoi beni e piaceri non potrebbe soddisfare il nostro cuore. Non perdete di vista, F. M., che tutto c i abbandonerà. Verrà u n momento in cui quanto abbiamo passerà in altre mani … Mentre se abbiamo la grande fortuna di possedere l’amore di Dio, ce Io porteremo in cielo, e sarà la nostra felicità in eterno. Amar Dio, non servir che Lui solo, e non desiderare che di possederlo: ecco la bella sorte che vi auguro di cuore.

LO SCUDO DELLA FEDE (173)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (IX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

I MISTERI

III. — Il mistero della Creazione.

c) La Natura.

D. All’opposto dello spirito puro, tu vedi la natura fisica?

R. Essa di fatto è all’opposto, pur serbandone il contatto.

D. Che cosa pensi della sua creazione? Ebbe essa luogo in una sola volta, o successivamente? per tappe, o continuatamente?

R. Secondo quello che abbiamo detto della creazione, pura relazione di dipendenza riguardo a Dio, la tua domanda non ha guari senso. Il mondo dipende in tutto il tempo: dunque è creato in tutto il tempo. Diciamo meglio: esso è creato secondo tutto îl tempo, cioè in tutti i termini della sua durata, in tutte le sue tappe; perché sappiamo che la creazione in se stessa è intemporale; sono solamente temporali il tempo stesso e ciò che il tempo misura.

D. Ecco che il mistero ritorna.

R. Io non ne posso niente. Tuttavia, aggiungo che il primo giorno del mondo in un certo senso è privilegiato. Esso non ha precedente; gli altri ne hanno. Si può dunque dire — in questo senso — che esso è nuovamente creato; che il mondo, in sé è tutto nuovo, benché le parole tutto nuovo e nuovamente abbiano l’aria di supporre una precessione illusoria e quel niente immaginario che noi abbiamo eliminato. In ragione di questo privilegio del giorno primo, si nota una differenza tra la «creazione continuata » o «conservazione » e la creazione iniziale, che è la stessa, ma riferita ad ogni istante.

D. Come si può continuare ciò che è intemporale, conservare ciò che dipende daell’intemporale?

R. Non si può. Questi sono modi di parlare. Ma io te ne dico l’intenzione. Si vuol notare una differenza tra ciò che comincia e ciò che prosegue, e questa differenza che non si trova nella creazione stessa e si trova solo nel suo effetto, la si riporta sulla creazione per concessione alle nostre abitudini di mente e di linguaggio, per assimilazione a ciò che avviene ordinariamente. E si dice: «Il mondo fu creato al principio del tempo »; oggi e sempre, esso è «conservato », «governato », il che non impedisce che dipenda incessantemente, e per conseguenza,  in quanto al contenuto essenziale della parola creazione, noti sia sempre creato.

D. Dunque resta il mio quesito. Ne modifico solo un poco i termini; e domando: Dio ha Egli dato alla natura un unico cominciamento, o questa ha conosciuto, in seguito, altri cominciamenti, che l’arricchiscono di nuove creature?

R. Certi pensatori stimano che vi sono sempre dei cominciamenti di questo genere; che le produzioni della natura sono perpetuamente nuove, imprevedibili, inventate sul posto; che vanno a ventaglio, sfoggiando sempre maggiori risorse. Ecco quello che, in Enrico Bergson, significa l’evoluzione creatrice. Questa creazione continua, non più nel senso d’una semplice conservazione, ma d’un accrescimento, non ha nulla che possa sorprendere un Cristiano. Noi vi aderiamo almeno in un caso particolare, quello dell’anima, come presto vedremo. Noi vi aderiamo anche, in maggioranza, quando si tratta del passaggio da un regno all’altro, supponendo che essi si dispongano a piani nel tempo. La vita non ha potuto uscire dalla materia inerte per un semplice sviluppo della materia inerte; assai meno ancora un’anima pensante può uscire da un organismo o da un’azione organica, dal momento che essa appartiene al mondo dello spirito, quantunque al più infimo titolo. In questi casi dobbiamo supporre un prestito nuovo dalla Sorgente creatrice, che Cristo ci dice perpetuamente attiva: « Mio Padre opera fino adesso ». L’eternità viene in soccorso del tempo, Se questo soccorso fosse permanente, noi non potremmo lagnarcene.

D. Credi tu per lo meno ai giorni della creazione, che siano giorni propriamente detti o giorni-periodi?

R. Qui non si può dar risposta perentoria. Quello che ne dice la Scrittura si presta a troppo diverse interpretazioni. Mosè, ancora una volta, non era incaricato d’insegnarci la cosmologia, ma di stringerci a Dio e di avviarci, col suo popolo, verso la Terra promessa.

D. Dunque, secondo te, resta libera la via per un’interpretazione della natura mediante l’evoluzione?

R. Sì, certamente; ma a due condizioni, delle quali ti ho già esposto sopra la prima, ed è che anzitutto l’evoluzione non pretenda di sostituire Dio; poi, che essa dia a Dio tutto il posto che gli può convenire nel corso stesso delle cose. In un sistema di evoluzione ben compreso, la natura ha due mezzi di effettuare l’opera sua: valersi delle risorse iniziali che ha dal Creatore, spiegando le sue virtualità segrete, le «sue ragioni seminali», direbbe S. Agostino; oppure, là dove il suo capitale acquisito non basta, attingere dalla Sorgente congiunta, o continuatamente, come vuole Bergson, o solamente alle grandi svolte; sia che vi si sorprendano soltanto dei piccoli cambiamenti, a guisa delle trasformazioni lamarckiane e darwiniane, oppure vi siano dei salti bruschi, delle varianti subitanee, come esige de Vries. In realtà, tutto questo per noi è uguale; se la intendano la scienza e la filosofia. Religiosamente, noi patrociniamo per Dio, rivendichiamo i diritti di Dio e allora si tratta della Causa, non del piano, e dei procedimenti di Spiegamento; si tratta del perché di tutto, non del come secolare e delle sue oscure vie. Non è inutile osservare qui che Lamarck e Geoffroy-Saint-Hilaire, i due creatori del trasformismo, non vedevano in esso se non «l’esecuzione d’un piano tracciato dalla volontà divina ».

d) L’Uomo.

D. L’uomo apparve subitaneamente sulla terra, oppure la sua venuta è il risultato d’una lenta elaborazione della vita?

E. L’uomo, propriamente parlando, non può essere un prodotto dell’evoluzione anteriore, poiché è costituito essenzialmente dalla ragione, fatto nuovo, fatto trascendente a ogni sviluppo materiale e che esige un apporto sui generis, veniente dal mondo dello Spirito,

D. Perché dici: L’uomo propriamente parlando?

R. Perché, quando ci si esprime con precisione, l’uomo vuol dire un’anima e un corpo formanti un solo essere. Ma, pur dicendo: l’uomo, si potrebbe pensare all’uomo quanto al suo corpo, all’uomo quanto alle sue preparazioni, quanto a’ suoi antecedenti corporali, e allora il problema posto sarebbe tutt’altro.

D. Che cosa intendi con questo?

R. Che il sapere se l’uomo è stato formato in una sola volta e tutto d’un pezzo, è una questione, e il sapere donde viene a lui, indipendentemente dal suo corpo, la parte principale del suo essere, quella che lo fa veramente uomo è un’altra questione.

D. Che diresti della prima questione?

E. È una questione di fatto. Si può pensare che il Genesi la dirima, con la storia della formazione di Adamo e del soffio di vita che Dio gl’infuse; e invero la scienza, quanto al presente, non vi contraddice affatto. Ma si può pensare all’opposto che per la Religione come per la scienza, il problema resti sospeso. Razionalmente parlando e atteso lo stato dei fatti da noi conosciuti, nulla impone e nulla vieta di credere che l’organismo umano sia stato elaborato nel seno della natura generale, nel corso delle età, e che, a suo tempo, Dio presente a tutte le cose abbia fornito la parte spirituale che costituisce l’uomo.

D. Si dirà allora che l’uomo « discende dalla scimmia ».

R. Sarebbe una grande stupidaggine; perché anzitutto non si tratta della « scimmia ». Ognora più la scienza crede di trovare le nostre origini fisiche lontano dalla linea scimmiesca. Sopra il tronco dei Primati, l’umanità sarebbe salita al centro, come un gran fiore, quando divergevano tutt’attorno, in vari sensi, dei rami di cui gli uni sono periti, e gli altri sussistono. Del resto è questa una considerazione secondarissima; ciò che importa è questo. L’uomo è l’uomo, non è soltanto il suo essere fisico, non è il suo corpo. Sarebbe piuttosto l’anima. In realtà, non è né l’uno né l’altro, ma il composto. Ora in quale momento nasce un composto? Senza dubbio si forma aggiungendo a un primo elemento quello che lo compie, specialmente se l’elemento complementare è di gran lunga il principale, se è l’essenziale. Non vi fu dunque uomo, uomo vero, se non in quel tempo, e la nascita dev’essere attribuita a Colui che è il padrone di quel momento, che ne fornisce la caratteristica umana, che ne fa una nascita d’uomo.

D. La nostra genealogia risalirebbe dunque a Dio, anche in questa ipotesi?

R. Così dicendo, tu incontri il Vangelo, tanto ammirato su questo punto da Chateaubriand. La genealogia di Cristo, in S. Luca, attraversa tutte le età, in addietro, da Giuseppe ad Adamo, e si getta in Dio. La nostra, in avanti, vi si raccorda.

D. Ma perché l’anima, o l’intelligenza non verrebbe al mondo per evoluzione, come ultimo stadio dell’evoluzione? Quando il legno è sufficientemente caldo, il ceppo s’infiamma.

R. Avresti ragione, se la fiamma e il ceppo di cui si tratta qui appartenessero, come nel tuo esempio, a uno stesso ordine di fatti. Scaldare un ceppo in un focolare, è semplicemente metterlo in un certo stato di vibrazione; se la vibrazione si accentua, è la fiamma; a un effetto di calore si unisce un effetto di luce; ma questi sono fenomeni dello stesso ordine, in continuità l’uno con l’altro, sullo stesso piano. All’opposto, il pensiero e la materialità sono d’un ordine opposto, esclusivi l’uno dell’altro.

D. Perché ciò?

R. Perché l’oggetto del pensiero è la natura delle cose, l’idea delle cose, la loro equazione interiore, se posso dire così, e l’equazione che i loro rapporti stabiliscono. Ora questo esorbita affatto da ogni materia e da ogni attributo materiale; questo non è più locale, temporale, individuale, come tutto ciò che spetta alla materia. Noi siamo qui al di sopra dell’evoluzione e delle sue varie realizzazioni, delle quali l’idea, in noi, ha il carattere  d’un piano intemporale, atto ad esser ripreso  quanto si vorrà, moltiplicato indefinitamente, e per conseguenza estraneo alla realtà che esso riflette.

D. Potresti darmi un esempio?

R. Lo prendo molto grosso; sarà più visibile. Due pomi si aggiungono a due pomi per farne quattro; io posso metterli in un paniere tutti e quattro; ma due e due fanno quattro, dove metterò io questo? dove questo si può collocare? in qual luogo, in qual tempo, in quali condizioni d’individualità che si possano prestare a una evoluzione materiale?

D. Non avviene lo stesso d’una sensazione animale?

R. Niente affatto. Una sensazione animale si evolve incessantemente; in ciascuno de’ suoi stati essa è insieme un punto di partenza e un termine, come tutto ciò che è movimento e tempo. Una sensazione ha per principio un’immagine, e un’immagine non è un’idea. L’immagine ha dei caratteri nettamente individualizzati, localizzati; essa è legata a una durata; trascorre; è estranea a quel potere di ripetizione e di reincarnazione indefinita che l’idea rivendica.

D. L’idea, all’origine, non è forse un’immagine, ma generalizzata per sovrapposizione d’immagini similari e per cancellamento dei loro contorni?

E. Tu perori bene; ma ciò non rende nessun conto dei fatti. L’immagine originale esiste; la sovrapposizione d’immagini anche, e ne risulta l’immagine generalizzata; osserviamo in noi tutto questo. Ma se vogliamo rifletterci, potremo anche osservare che nello schema così ottenuto noi vediamo tutt’altro che lo schema. L’idea d’un rapporto matematico, o d’una definizione, o d’una negazione, o l’idea di un’idea, quando il pensiero si ripiega su se stesso, tutto questo non ha nulla a che vedere con le immagini che sottendono il pensiero, ma non sono il pensiero. Lo schema immaginativo è caratterizzato da una generalità imprecisa, l’idea da una universalità precisa. Lo schema immaginativo è temporale e movente; segue il flusso del cervello; sotto un’idea identica, non è in due istanti il medesimo; ma l’idea si presenta come necessaria e intemporale, fosse pure l’idea d’un oggetto cangiante.

D. E che cosa pretendi di dedurre da questo?

R. Ecco. Gli esseri si caratterizzano per i loro poteri, i poteri per i loro atti, gli atti per i loro oggetti. Risalendo, si può determinare mediante il carattere degli oggetti quello degli atti, mediante quello degli atti, quello dei poteri, e mediante quello dei poteri quello degli esseri. L’idea non è forse d’un ordine a parte, estraneo al flusso materiale? lo stesso dunque avviene dell’ideazione, della facoltà d’ideazione, dell’anima. Tutto questo è necessariamente sopra la stessa linea, allo stesso livello, appartenente allo stesso ordine, allo stesso mondo, e questo mondo non è quello del flusso materiale. Se nel corso dei fatti di evoluzione, vi è inserzione d’una sola idea generale, io dico che l’evoluzione ha incontrato un’altra corrente, un altro ambiente, d’ordine spirituale; il mondo dello spirito lo ha toccato; una « virtù » è emanata dall’alto, che ha guarito la sua impotenza d’idealità, come Gesù guariva al contatto le malattie. In una parola, Dio è intervenuto, ha «infuso » un elemento nuovo. Ed è l’anima.

D. Lo sbocciare dell’anima sarebbe dunque un miracolo?

R. Non è un miracolo, perché primieramente questo non si vede e quindi non ha nulla di prodigioso; ma soprattutto perché questo appartiene al corso normale delle cose, tal quale Dio lo ha preveduto e preordinato. È cosa normale che, essendo un organismo stato preparato a ricevere un’anima, quest’anima vi si schiuda, e lo schiudersi non offrirà nulla di drammatico; e neppure di percettibile, salvo che per i suoi effetti. Tuttavia è un fatto interamente nuovo, un fatto il quale non ha luogo in virtù della sua sola preparazione, il quale, data la preparazione, ha luogo in ragione della perpetua presenza di Dio e della sua fedele provvidenza.

D. Così avviene, dicevi tu, di ciascun’anima individuale?

R. Sì. A questo riguardo l’umanità ricomincia in ciascuno di noi. Il ciclo delle preparazioni preadamiche, se è esistito, è ripreso in qualche modo dal ciclo generatore. La madre è la natura, che offre l’ambiente di schiudimento e le risorse nutritive; il semen è il fermento di vita la cui origine remota ci sfugge; lo sviluppo embrionale è l’evoluzione; il neonato, in cui una anima si schiude è come un nuovo Adamo, che alla sua volta darà principio a una discendenza.

D. Una tale dottrina deve avere vaste conseguenze.

R. Ha conseguenze immense, e in tutti gli ordini. Di lì viene, come vedremo, il nostro destino. L’anima, non appartenendo al ciclo della natura, non ne segue il corso, non vi riversa le sue energie proprie, ma fa ritorno al suo alto Principio, al quale anzi essa trascinerà, un giorno, come per diritto di conquista, il suo congiunto corporeo. Avendo così il suo fine individuale, e un fine trascendente al tempo, la persona umana ne diventerà sacra, esonerata dalla servitù completa che amerebbero d’imporle i padroni, di qualunque grado o di qualunque natura essi siano: padri autocrati, mariti oppressori, politici partigiani di uno statismo pagano, fautori o praticanti della schiavitù e de’ suoi derivati, etc., etc. Ciò si estende molto lontano e serve a risolvere una grande moltitudine di problemi. Il conflitto fra tante forze avverse che lottano nella nostra società moderna sovente prende di lì la sua origine.

D. Ritorno al caso della specie. Credi tu alla sua unità, cioè a uno stipite unico, a una coppia, donde sarebbero usciti tutti gli uomini e le varie razze d’uomini?

R. Sì; perché noi crediamo alla solidarietà morale dell’umanità intera; essa ci è attestata dai dogmi del peccato originale e della redenzione.

D. Per te, la solidarietà morale importa l’unità della specie?

R. Sì, perché, alla base, è fondata sull’eredità, come nelle famiglie. La morale ha sempre le sue radici profonde nella natura.

D. A quale data approssimativa potrebbe risalire la costituzione di questa coppia iniziale?

R. Non sappiamo.

D. Non cantate nel vostro cantico di Natale: Da quattromila anni...

R. Non si potrebbe affermare tutto quello che si canta. Vi son lì delle tracce di antichi stati di spirito che credevano di appoggiarsi sopra la Bibbia. Oggi è riconosciuto che a questo riguardo non vi è cronologia biblica.

D. Le vostre storie sono dunque false?

R. Le nostre storie non sono false; ma propriamente parlandonon sono storie, e affinché ogni falsità sia da esse eliminata, non è necessario che la serie dei tempi sia in esse registrata sotto una forma regolare e completa. Siffatta storia non ha neppure bisogno di essere esatta sotto l’aspetto propriamente scientifico, spesso assai estraneo a’ suoi autori; basta che essa sia esatta quanto al senso religioso dei fatti, il che non esige se non una storicità relativa, fatta di simboli reali, se posso dire così, intendo notazioni semplificate, a volte parabole, sacrificanti i particolari a vedute generali e sintetiche, percorrendo periodi interi, correndo alla meta, che è di segnare il senso della vita.

D. Ma qui quali supposizioni faresti?

R. Spetta alla scienza di rispondere. Pietro Termier, geologo eminente, membro dell’Accademia delle scienze e perfetto Cattolico, scrisse: « Nello stato attuale delle nostre cognizioni, non si può attribuire all’uomo meno di 35.000 anni di età; ed è possibile che la sua antichità reale raggiunga 40.000 o anche 50.000 anni ». (Anche le cognizioni di Termier non hanno basi biologiche, antropologiche, nè storiche – ndr. -)

D. E comprendi tu facilmente che l’evoluzione, ammessa or ora a titolo d’ipotesi, abbia così concentrato i suoi effetti sopra una sola coppia, invece di presentarli, qua e là, dispersi?

R. Noi crediamo a un intervento divino affatto speciale, alla culla della stirpe umana.

D. E come si manifestò questo intervento?

R. Per l’elezione della coppia iniziale capostipite dell’umanità futura e per il suo collocamento in uno stato di felicità affatto gratuita che si doveva disgraziatamente perdere. È quello che noi chiamiamo in teologia giustizia originale.

D. E in che consiste questo dono?

R. Nell’unione intima dell’essere umano col suo Dio, e, per conseguenza, in un’armonia interiore esclusiva di quella violenta propensione al male che domina l’umanità attuale, di quella cecità spirituale che l’ottenebra, di quella instabilità funzionale che produce la malattia e la morte.

D. La morte stessa, secondo te, doveva esser risparmiata al primo uomo?

R. Sì; perché la morte, per quanto naturale ci apparisca e sia nelle condizioni presenti, non di meno è, in un certo modo, innaturale. Per essa l’anima perde il suo corpo e si trova così in uno stato violento, per quanto felice sia la vita che vive da sola. Per questa ragione, noi troviamo naturale la risurrezione futura dei corpi, e naturale, all’inizio, l’immortalità dei corpi.

D. Ecco una cosa che urterà un sapiente.

R. Niente affatto se egli ci pensa. Osserverà che più di un fisiologista, attorno a sé, non dispera di vedere un giorno ritardare largamente la morte, se non di guarirla. Che cosa è la morte se non la caduta di un edificio lentamente minato da forze avverse, per mancanza di una coordinazione sufficientemente salda de’ suoi poteri interiori, cioè per mancanza di una dominazione reale dell’anima sopra il suo corpo?

D. Ma che cosa è che può rendere un’anima più potente sul suo corpo?

R. Per una parte la sua propria rettitudine; ma soprattutto, e per il fatto stesso della sua rettitudine, se la si suppone perfetta, la sua stretta unione con Dio, come ora l’ho espressa e come mi ci estenderò di più parlando della redenzione e della grazia. Quanto meglio io sono unito alla Sorgente di ogni forza, di ogni luce, di ogni armonia vitale, tanto maggiori ricchezze ricevo in me e tanto più le posso comunicare al mio ambiente congiunto, che è il mio corpo, anzi, al di là, all’ambiente esterno in cui si esercita la mia azione.

D. Era dunque la natura stessa che ne doveva sentire l’influsso?

R. Sì certamente. Noi crediamo a una specie di « giustizia» delle cose risultante dalla « giustizia originale » dell’umanità.

D. Puoi tu precisare?

R. Noi non possiamo precisare. S’impara a ritrovare il nostro Eden perduto, non a descriverlo.

D. Dunque lo ritroveremo?

R. Lo ritroveremo. Non ora, e ne dirò i motivi; ma il pieno ricupero temporale non è di grande importanza; solo l’eterno conta.

D. Come l’abbiamo perduto?

R. È un nuovo mistero, sul quale dovremo spiegarci con qualche ampiezza.

D. Prima di abbandonare l’idea di creazione, vorrei chiederti se tutto ciò che Dio ha creato costituisce a’ tuoi occhi un solo mondo?

R. Sì, se tu prendi queste parole in tutto il loro rigore. Un mondo può essere un sistema a parte, come il sistema solare; uno sciame di sistemi, come la via lattea o la nebulosa di Orione; la «goccia d’etere », cioè l’insieme delle realtà accessibili alla nostra esperienza. Ma se per mondo intendi l’universalità assoluta delle creature, noi pretendiamo che non vi sia che un solo mondo.

D. Perché non ce ne sarebbero parecchi? Limiti la potenza di Dio?

R. Non limitiamo la potenza di Dio, ma la potenza di Dio è anche sapienza, e la sapienza creatrice non ci pare compatibile con una pluralità assoluta di opere, perché non è punto compatibile con una pluralità assoluta di fini.

D. Qual fine attribuisci tu alla causalità creatrice?

R. La manifestazione del bene divino.

D. Ma questa manifestazione non si acconcia forse alla pluralità?

R. Sì certamente; ma a una pluralità ordinata; perché la pluralità, per se stessa, non ha alcun valore; il valore non si acquista se non con l’ordine.

D. Due universi non varrebbero dunque più di uno?

R. Due universi valgono più di uno se hanno una unità sintetica, se si completano, se i fatti dell’uno vengono in soccorso dell’altro per esprimere con maggiore pienezza il bene divino. Ma allora, dal punto di vista assoluto del termine, essi non formano che un solo universo. Se l’uno non aggiungesse niente all’altro, se fossero identici, la loro moltiplicazione perderebbe ogni ragione di essere e ripugnerebbe a servire da fine.

D. Un universo è dunque, per te, essenzialmente un ordine?

R. È quello che esprime la parola cosmo, che significa a un tempo ordine, ornamento e universo.

D. E ciò solo è un bene?

‘R. Ciò non solo è un bene; ma il miglior bene; è il bene prima di tutto voluto dal Creatore e del quale Egli applaude l’effettuazione nel Genesi, quando dice di ciascuna cosa in particolare che essa è buona, e di tutte collettivamente che sono molto buone. Tutte le cose sono buone come riflesso isolato del loro principio; tutte le cose sono molto buone come adatte l’una all’altra e al loro Principio, al quale rendono una comune testimonianza.

D. E questa comunanza, a tuoi occhi s’impone?

R. Sì; perché Dio, in ciò che lo riguarda, non può volere se non il miglior bene, che è l’ordine, si tratti dell’ordine interno di ciascuna cosa o dell’ordine del loro insieme. Riguardo alla sua creazione integrale, quello che Dio vuole anzitutto, non è questa o quella creatura, il cui valore limitato non si sostiene da sé e prende da tutto ciò che la circonda; ma sì l’armonia de’ suoi esseri, il cui insieme effettua la dose di perfezione e di bene che Egli ha deciso di produrre fuori di sé.

D. Questa legge si trova nelle nostre proprie creazioni?

R. Senza dubbio. Quello che vuole l’artista, non è questo o quell’elemento dell’opera sua, ma l’opera. Ciò che richiede un saggio governo, non è il successo di questa o quell’impresa particolare, ma il bene pubblico.

D. Ad ogni modo, il legame che tu supponi così tra gli universi non pare dover essere necessariamente d’un ordine fisico, anche in ciò che riguarda le creature fisiche.

R. È vero. Forse questo legame non è fisico di fatto, e forse non lo è neppure in ciò che riguarda le creazioni materiali. Rigorosamente parlando è possibile, che vi siano degli universi tagliati fuori d’ogni comunicazione con noi. Ma in ragione di ciò che ora ho spiegato, non sarà meno vero il dire con S. Tommaso d’Aquino: « Tutte le cose che vengono da Dio hanno un rapporto le une con le altre e un rapporto con Dio… È dunque necessario che tutte appartengano a un solo mondo ».

LA SUMMA PER TUTTI (24)

LA SUMMA PER TUTTI (24)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XLIX.

Della fine del mondo e di ciò che deve seguirla.

1864. È stato detto che quando l’ultimo eletto prescelto da Dio nel mistero della sua Predestinazione, per occupare un posto nel cielo avrà raggiunto il grado di preparazione e di merito che Dio vuole fargli raggiungere, il moto del mondo sarà fermato ed il mondo finirà. Ma in che consisterà la fine del mondo e che cosa le terrà dietro? Tutto si limiterà alla recezione dell’ultimo eletto in Paradiso ed alla simultanea assegnazione del posto motivato per gli altri dai loro meriti o dal loro stato, sia nell’Inferno che nel Limbo dei bambini?

Niente affatto; perché la fine del mondo sarà immediatamente seguita dai due più grandi avvenimenti che siano mai stati e che porranno il suggello a tutto nell’opera di Dio: la resurrezione ed il giudizio.

1865. E la fine del mondo in che cosa consisterà, ossia come avverrà?

L’ Apostolo S. Pietro ci insegna che ciò avverrà per mezzo del fuoco, nel momento stesso in cui Gesù Cristo ritornerà nella sua gloria per giudicare i vivi ed i morti (LXXIV, art. 1, 2).

1866. Questa conflagrazione universale che porrà fine al mondo attuale, avverrà come preparazione al giudizio?

Sì; ciò avverrà come preparazione al giudizio, per purificare tutte le cose e renderle degne del nuovo stato che dovrà metterle in armonia con la gloria degli eletti (LXXIV, 1).

1867. Il fuoco della conflagrazione finale agirà per la sua sola virtù, od anche come strumento della virtù divina?

Agirà anche come strumento della virtù divina, specialmente per la espiazione delle anime che avrebbero dovuto forse restare un tempo più o meno lungo nelle fiamme del Purgatorio (LXXIV, 3-8).

1868. Dunque queste anime si troveranno purificate e rese degne di essere ammesse fra gli eletti quasi istantaneamente?

Sì; quasi istantaneamente, perché la virtù del fuoco purificatore sarà graduata da Dio secondo il grado della espiazione da subire.

1869. Sappiamo noi quando avverrà questa finale conflagrazione?

No; noi non lo sappiamo, ma essa sarà tuttavia preceduta da certi segni che avvertiranno della prossima venuta del. Sommo Giudice.

1870. Quali saranno questi segni?

Saranno commozioni insolite in tutta la natura, per le quali gli uomini, secondo la parola del Vangelo, periranno di spavento.

1871. Possiamo noi determinare in modo preciso?

No; ma saranno tali che quando si produrranno le anime sante o semplicemente sincere e non ostinate nel male per volontario

accecamento, potranno riconoscere la prossima venuta del Giudice e prepararvisi.

Capo L

La Resurrezione.

1872. Subito dopo la conflagrazione finale, o nello stesso tempo, che cosa succederà?

Subito dopo la conflagrazione finale o nello stesso tempo, e forse come causa che la produrrà, echeggerà l’ordine, la voce, il suono della tromba di cui parla S. Paolo nella; prima lettera ai Tessalonicesi, che sveglierà i morti dai loro sepolcri e convocherà tutti gli uomini a comparire dinanzi al Giudice dei vivi e dei morti, che discenderà dal cielo in tutto lo splendore della sua maestà e della sua gloria (LXXV, 1).

1873. Chi sono coloro. che risusciteranno in questo momento?

Anzitutto quelli che erano morti prima; ma anche gli altri che all’apparire di Gesù Cristo tra le nubi del cielo ed al suono della tromba, saranno stati rinvenuti vivi.

1874. Questi ultimi risusciteranno essi pure come ritornando da morte a vita?

Sì; perché anche se tutto avviene quasi istantaneamente, come sembra notare S. Paolo nella prima lettera ai Corinti, cap. XV, v. 51, la virtù di Dio che agirà per mezzo delle creature sarà tale in questo momento, che gli uomini trovati vivi passeranno per una morte istantanea, e saranno subito ricostituiti nello stato definitivo che dovrà essere il loro, secondo i meriti, per tutta la eternità (LXXVIII, art. 1, 2).

1875. Dunque i corpi di tutte le anime che verranno dal cielo od usciranno dal Purgatorio, e di tutti i giusti che in quel momento saranno trovati vivi sulla terra, risusciteranno o saranno istantaneamente trasformati nello stato e con tutte le qualità dei corpi gloriosi?

Sì; e tutti insieme si troveranno subito schierati davanti al corpo glorioso di Gesù Cristo, la venuta del quale sarà stata la causa stessa della loro risurrezione.

1876. Ma questi corpi gloriosi risuscitati che saranno quelli di tutti gli eletti, saranno veramente gli stessi corpi che avevano prima vivendo sulla terra?

Sicuramente; saranno gli stessi loro corpi, con questa sola differenza che non avranno più nessuna delle imperfezioni e delle miserie che avevano allora, ed avranno invece tali proprietà e perfezioni che li renderanno in qualche modo spirituali (LXXIX- LXXXI).

1877. Come potrà avvenire tutto ciò?

Per la onnipotenza di Dio, che avendo una prima volta creato tutte le cose, può muoverle e trasformarle a suo piacimento.

1878. Quali saranno le nuove proprietà dei corpi risuscitati, che li renderanno in qualche modo spirituali?

Saranno la impassibilità, la sottilità, l’agilità e la lucentezza.

1879. Che cosa sarà la impassibilità dei corpi gloriosi?

Sarà il perfetto dominio e la padronanza assoluta dell’anima sul corpo, che non permetterà che il corpo possa essere in niente sottratto all’azione dell’anima su di esso, o possa trovarsi difettoso e sofferente (LXXXII, 1).

1880. Tale impassibilità sarà uguale in tutti?

Sì; nel senso che nessuno di essi potrà mai trovarsi in difetto o soffrire, sfuggendo al dominio dell’anima. Ma la virtù di questo dominio, ossia la sua potenza, sarà proporzionata alla gloria dell’anima che sarà diversa, secondo il grado della visione beatifica di ogni singolo eletto (LXXXII, 2).

1881. Conseguirà da questa impassibilità che i corpi gloriosi saranno insensibili?

Niente affatto: essi saranno invece di una squisita sensibilità, portata alla sua più alta potenza, ma senza alcuna mescolanza di inquietudine o di imperfezione. L’occhio del corpo glorioso vedrà con una vista infinitamente più acuta; il suo orecchio intenderà con un udito incomparabilmente più fine; tutti gli altri sensi percepiranno ciascuno il loro proprio oggetto, e tutti insieme i loro diversi oggetti sensibili comuni con una intensità di perfezione che ci è impossibile immaginare, senza che mai l’oggetto agente su di essi faccia altro che fornire materia alle più squisite percezioni (LXXXII, 3, 4).

1882. E la sottilità dei corpi gloriosi che cosa sarà?

La sottilità dei corpi gloriosi consisterà in una totale perfezione della loro natura, dovuta all’azione sovrana della loro forma sostanziale, l’anima glorificata, che lasciando in essi la natura propria dei veri corpi, non fantastici od aerei, darà loro qualche cosa di sì puro e di sì etereo, che essi non conserveranno più niente di ciò che ora li rende grossolani e spessi (LXXXIII, 1).

1883. Questa sottilità farà sì che essi potranno naturalmente trovarsi nel medesimo luogo occupato già da un altro corpo, o anche essere indipendenti da ogni luogo e non occupare alcuno spazio?

Niente affatto; essi conserveranno tutte e sempre le loro proprie dimensioni, e non occuperanno mai che un solo luogo che sarà loro, e non simultaneamente di altri corpi (LXXXIMI, 2).

1884. Dunque il corpo di Gesù Cristo risuscitato non entrò a porte chiuse nel cenacolo, in virtù od in forza della dote della sottilità che sarà propria dei corpi gloriosi?

No; ciò avvenne per la virtù divina cheera in Gesù Cristo, nello stesso modo che pervirtù divina il corpo di Gesù bambino era venutoal mondo senza nuocere in niente allaverginità di Maria sua Madre (LXXXIII, 2 ad 1).

1885. Che cosa si deve intendere per la agilità che sarà la proprietà dei corpi gloriosi?

L’agilità dei corpi gloriosi sarà una certa perfezione che dall’anima glorificata si riverserà sul corpo, assoggettandolo pienamente. all’anima in quanto essa è principio motore, e rendendolo per conseguenza atto e meravigliosamente pronto ad obbedire allo spirito in tutti i movimenti ed in tutte le azioni dell’anima (LXXXIV, 1).

1886. I santi si serviranno di questa dote del loro corpo glorioso?

Se ne serviranno certissimamente per ischierarsi intorno a Gesù Cristo nel momento del giudizio e per risalire con Lui al cielo. Ma anche una volta in cielo, è verosimile che essi si muoveranno qualche volta a loro volontà, per far risplendere la divina sapienza nell’uso anche di questa dote di agilità che avrà loro compartita, ed anche per saziare la loro vista della bellezza delle diverse creature di tutto l’universo, nelle quali brillerà in modo sopraeminente la sapienza di Dio (LXXXIV, 2).

1887. I corpi dei santi saranno mossi istantaneamente in virtù della loro agilità?

No; perché bisognerà che questo movimento avvenga in una certa durata di tempo. Soltanto, questa durata sarà impercettibile; tanto essa sarà breve ed il movimento rapido (LXXXIV, 3).

1888. Che cosa si deve intendere per la quarta proprietà dei corpi gloriosi che si chiama lucentezza?

Si deve intendere che dello splendore dell’anima glorificata si rifletterà sul corpo un raggio meraviglioso, che farà sì che questi corpi gloriosi saranno insieme luminosi e trasparenti: trasparenti come il cristallo più puro; luminosi ed abbaglianti di uno splendore simile a quello del sole, senza che tuttavia questo splendore nuoccia in niente al loro colore naturale ed a quello delle loro parti, ma che invece armonizzerà con la loro varietà per accrescerla, e dare ai corpi gloriosi nel loro insieme una bellezza più divina che umana {LXXXV, 1).

1889. Questa lucentezza dei corpi gloriosi sarà la stessa per tutti?

No; perché essa non sarà che il riverbero sul corpo della lucentezza dell’anima glorificata; e per conseguenza sarà proporzionata al grado di gloria che avrà l’anima. E per questo San Paolo, volendo farci intendere qualche cosa di questa varietà dei corpi gloriosi nello splendore della resurrezione, ci dice che di questi corpi gloriosi sarà come dei corpi celesti: «altro lo splendore del sole, altro lo splendore della luna ed altro lo splendore delle stelle; ed anche una stella differisce nello splendore da altra stella » (Lettera I ai Corinti, cap. XV, v. 41).

1890. La diversità dei corpi gloriosi formerà dunque un insieme di incomparabile bellezza?

Certamente; e tutti gli splendori del mondo materiale, in ciò che si dà di più magnifico, senza eccezione dei corpi celesti, non potrebbero darcene che una imperfettissima e lontanissima idea.

1891. La lucentezza dei corpi gloriosi potrà essere veduta con l’occhio dei corpi non gloriosi?

Sì; ed anche i corpi dei dannati la percepiranno in tutto il suo splendore (LXXXV, 2).

1892. Sarà però in facoltà dell’anima lasciar vedere o no questa lucentezza del suo corpo glorificato?

Sì; sarà in facoltà dell’anima lasciar vedere o no questa lucentezza del suo corpo glorificato, perché tale lucentezza verrà interamente dall’anima e le resterà totalmente soggetta (LXXXV, 3).

1893. In quale stato ed età risusciteranno i corpi dei beati?

Risusciteranno tutti nella età che deve essere quella della natura nel suo più perfetto sviluppo (LXXXI, 1).

1894. Sarà lo stesso per i corpi dei dannati?

Sì; con la differenza che i corpi dei dannati non avranno alcuna delle quattro qualità dei corpi gloriosi (LXXXVI, 1).

1895. Ne segue che i corpi dei dannati saranno corruttibili?

Niente affatto; perché il regno della corruttibilità e della morte sarà finito per sempre (LXXXVI, 2).

1896. Saranno dunque insieme passibili ed immortali?

Sì; perché Dio, nella sua giustizia e nella sua potenza, disporrà tutte le cose in modo che nessun. agente esteriore potrà agire sui corpi dei dannati per alterarli o distruggerli,

ed intanto tutto sarà per essi, specialmente il fuoco dell’Inferno, causa di dolore e di tormento (LXXXVI, 2, 3).

1897. Ed i bambini morti senza Battesimo, in quale stato ritroveranno i loro corpi nel momento della resurrezione?

Li ritroveranno in uno stato di intera perfezione naturale, ma senza alcuna qualità dei corpi gloriosi; con questo tuttavia che essi a differenza dei corpi dei dannati, non proveranno alcun dolore (Cfr. Appendice, t-2):

Capo LI.

Il Giudizio finale.

1898. Tutti gli uomini, appena risuscitati, si troveranno in presenza del Sommo giudice?

Sì; tutti gli uomini appena risuscitati si troveranno in presenza del Sommo Giudice  (LXXXIX, 5).

1899. Sotto quale forma comparirà il Sommo Giudice nel momento del giudizio?

Comparirà sotto la forma della sua santa umanità, in tutta la gloria che le deriva in virtù della sua unione con la Persona del Verbo, e del suo trionfo sopra tutte le potenze del male (XC, 1, 2).

1900. Tutti gli uomini vedranno questa gloria del Sommo Giudice che comparirà in tutto il suo splendore?

Sì; tutti gli uomini vedranno questa gloria del Sommo Giudice che comparirà in tutto il suo splendore (Ibid.).

1901. Lo vedranno tutti anche nella gloria della sua natura divina?

No; nella gloria della sua natura divina lo vedranno i soli eletti, l’anima dei quali godrà la visione beatifica (XC, 3).

1902. Tutti gli uomini che compariranno saranno compresi dinanzi al Sommo Giudice nel giudizio?

No; nel giudizio saranno compresi soltanto quelli che avranno avuto l’uso della ragione mentre vivevano sulla terra.

1903. Gli altri non saranno giudicati?

No; gli altri non saranno giudicati, ma saranno presenti perché ai loro occhi risplenda come agli occhi di tutti la somma giustizia dei giudizi di Dio e la gloria di Gesù Cristo, in tutto lo svolgimento dei misteri della Redenzione (LXXXIX, 5 ad 3).

1904. E gli uomini che mentre vivevano sulla terra avranno avuto l’uso della ragione, saranno tutti giudicati nel giorno del giudizio?

Saranno tutti giudicati in quanto alla divisione o separazione che ne sarà fatta, gli uni prendendo posto alla destra del Giudice per udire la sentenza di benedizione, e gli altri alla sua sinistra per udire la\sentenza di maledizione. Ma se si tratta del processo dei loro atti e del fatto di essere convinti della malvagità dei medesimi in faccia al cielo ed alla terra, saranno giudicati i soli reprobi (LXXXIX, 6, 7).

1905. La convinzione della malvagità dei loro atti in faccia al cielo ed alla terra, sarà per i reprobi di grande confusione?

Essa sarà per loro la suprema confusione ed una tortura indicibile. Specialmente perché in fondo ad ogni peccato, soprattutto ad ogni peccato grave, si cela un insopportabile orgoglio; e nel giorno del giudizio bisognerà confessare, nella piena luce del Sommo Giudice che non lascerà più niente di celato, i modi di agire o le mene più occulte di questo segreto orgoglio, padre di tutti i vizi.

1906. Tutto il male che nel corso della vita sarà stato fatto, sarà così messo a nudo in faccia a tutti nel giorno del giudizio?

Sì; tutto il male che sarà stato fatto nel corso della vita sarà messo a nudo in faccia a tutti nel giorno del giudizio, di qualunque specie possa essere stato questo male; sia nell’ordine della vita individuale e privata; sia nell’ordine della vita di famiglia o di società fra gli uomini, con tutto quanto questa vita di società abbia potuto avere di particolarmente nefasto in forza dell’azione pubblica ivi esercitata; sia nell’ordine del potere che in quello della parola e degli scritti. Vi sarà anche questa particolarità, che più si sarà stati applauditi sulla terra, o esaltati o lodati dal favore del mondo o dagli intrighi dei nemici di Dio, di Gesù Cristo e della sua Chiesa, più nel giorno del giudizio finale ci si sentirà calpestati sotto i piedi della riprovazione universale (LXXXVII, 1, 2, 3).

1907. Come avverrà questa manifestazione della vita intera di ciascuno in faccia al cielo ed alla terra, sotto gli occhi del Sommo Giudice?

Questa manifestazione avverrà mediante un colpo della stessa luce divina che nel momento del giudizio particolare mostra a ciascuno istantaneamente tutto lo svolgimento della sua vita morale; con questo di specialissimo, che tutte le coscienze si troveranno istantaneamente messe a nudo, agli sguardi di tutti, in questa assemblea unica alla quale saranno presenti tutti gli nomini che siano mai esistiti, dal principio del mondo sino alla fine (Ibid.).

1908. Anche la coscienza dei giusti, ossia tutto lo svolgimento della loro vita morale, sarà ugualmente manifestata agli occhi di tutti?

Sicuramente; ed è ciò che costituirà la sublime e divina rivincita della loro umiltà e del loro oscuramento sulla terra: in quel giorno, infatti, avrà il suo perfetto avveramento la parola di Gesù Cristo nel Vangelo: «Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (LXXXIX, 6).

1909. Si può dire che i giusti non saranno giudicati, in quanto riguarda la discussione dei loro atti?

Si può dire e si deve dire per quei giusti la vita dei quali è stata interamente santa, senza alcuna mescolanza di male notevole, come avviene per coloro che calpestando tutte le vanità del mondo, pongono ogni loro sollecitudine a vivere delle cose di Dio. Ma se si tratta di coloro che avranno amato le cose del secolo e si saranno trovati mischiati od implicati negli affari terreni, senza però preferirli a Gesù Cristo fino a perderlo per sempre, ma che si saranno invece applicati a riparare con la elemosina e la penitenza i torti che avranno potuto avere, essi avranno esposta agli sguardi di tutti la doppia parte della loro vita, affinché la preminenza del bene sul male sia pienamente manifestata a gloria della divina giustizia (Ibid).

1910. Tutte le colpe che si saranno commesse nel corso della vita, ma di cui si sarà fatta penitenza, saranno manifestate nel giorno del giudizio?

Sì; per la ragione che abbiamo detto. Ma tale manifestazione tornerà a gloria dei giusti, in forza della penitenza che avranno fatta per le loro colpe, e nella misura stessa che questa penitenza sarà stata più generosa e fervente (LXXXVII, 2 ad 3).

1911. Vi saranno dei giusti che nel giorno del giudizio, invece di essere giudicati, avranno essi stessi la qualità di giudici ed assisteranno il Giudice Sovrano nell’atto del suo giudizio?

Sì; saranno tutti coloro che ad esempio degli Apostoli di Gesù Cristo avranno tutto abbandonato per darsi a Dio, e la vita dei quali non sarà stata che una specie di confessione del Vangelo in tutta la sua perfezione (LXXXIX, 1, 2).

1912. Gli Angeli avranno essi pure nel giorno del giudizio la qualità di giudici?

No; gli Angeli non avranno nel giorno del giudizio la qualità di giudici, perché bisogna che gli assessori del Giudice rassomiglino a Lui. Ora: il Verbo di Dio esercita la sua funzione di Sommo Giudice come uomo, e non avrà dunque che uomini ad assisterlo in questo giudizio (LXXXIX, 7).

1913. Gli Angeli potranno essere giudicati nel giorno del giudizio?

No; propriamente parlando gli Angeli non saranno giudicati nel giorno del giudizio, perché il loro giudizio fu fatto già da principio, quando gli uni rimasti fedeli a Dio furono ammessi nel cielo, e gli altri ribelli furono precipitati all’inferno. Tuttavia in forza della parte che gli Angeli buoni avranno avuta nelle azioni dei giusti e gli angeli malvagi nelle azioni dei cattivi, si troveranno essi pure indirettamente compresi nel giudizio, per riceverne un aumento di felicità accidentale, oppure un aumento, di supplizio e di tortura (LXXXIX, 3).

1914. Come termineranno le solenni assise del giudizio finale?

Termineranno col pronunziamento della sentenza formulata dal Sommo Giudice.

1915. Sappiamo noi quale sarà questa sentenza?

Sì; perché quegli stesso che deve pronunziarla ce ne ha ammaestrato nel suo Vangelo.

1916. Quale sarà questa sentenza?

Eccola nel tenore stesso che ce la rivela il Vangelo: « Allora il Re dirà a coloro che sono alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio; possedete il regno preparato per voi dalla costituzione del mondo. — Dirà poi a quelli che saranno alla sua sinistra: Partite da me, maledetti, verso il fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli ».

1917. Quale sarà la conseguenza di questa duplice sentenza?

Sarà che «essi se ne andranno: questi al supplizio eterno, ed i giusti alla vita eterna ».

Capo LII.

Il supplizio eterno.

1918. La sentenza del sommo Giudice per i dannati sarà eseguita per mezzo dei demoni?

Sì; appena la sentenza del Giu dice sarà stata pronunziata, in virtù della sentenza stessa i dannati saranno abbandonati all’azione dei demoni, che essendo loro superiori per natura ed essendosi fatti obbedire nel male sulla terra, continueranno per tutta l’eternità ad esercitare su di essi, come giusto castigo, l’orribile impero della propria malvagità. (LXXXIX, 4).

1919. Il fatto di avere ritrovato il proprio corpo e di essere ormai nell’inferno  col corpo e con l’anima, sarà per i dannati una nuova e con l’anima, cagione di tormento?

Sì; perché ormai soffriranno non soltanto nell’anima come prima, ma anche nel corpo (XCVII).

1920. La tortura che essi subiranno nel corpo sarà universale ed intensa?

Sì; perché non esisterà niente nel luogo di tormento dove essi saranno, che non sia per loro, nella percezione stessa dei sensi, una causa di atroce tortura. Tuttavia tali torture non saranno le stesse per tutti, perché saranno proporzionate al numero ed alla gravità delle colpe commesse da ciascuno (XCVII, art. 1; 5 ad 3).

1921. Non vi sarà mai nessuna mitigazione alle torture dei dannati?

No; alle torture dei dannati non si darà mai alcuna mitigazione, perché la loro volontà essendo ostinata nel male, si troveranno sempre nello stesso stato di perversità che avrà determinato la loro sorte nel momento della morte e del giudizio (XCVIII, 1, 2; XCIX, 1).

1922. La volontà dei dannati ostinati nel male implicherà un odio universale di tutti e di tutto?

Sì; la volontà dei dannati ostinati nel male implicherà un odio universale di tutti e di tutto. Di modo che non penseranno né a cosa né a persona, si tratti di creature o si tratti di Dio, senza provare subito un odio orribile che farà loro desiderare il male di tutti e di tutto, fino al punto che se si potesse, essi vorrebbero vedere Dio stesso ed i suoi beati nell’inferno dove essi si trovano, e nella rabbia della loro disperazione non avranno altra risorsa che aspirare a vedersi annientati, senza che d’altra parte possano mai sperare che il niente risponda loro, sapendo senza poterne dubitare, che essi sono per sempre gravati dalla maledizione divina, e condannati senza possibilità di remissione al supplizio eterno (XCVIII, 3, 4, 5).

Capo LIII.

La vita eterna.

1923. Mentre i dannati saranno abbandonati dalla sentenza del Sommo Giudice all’azione dei demoni che li condurranno seco al luogo dell’eterno supplizio, quale effetto avrà la sentenza del medesimo rispetto agli eletti?

Quella sentenza farà che subito si apriranno per essi le porte del regno dei cieli, preparato loro dal Padre fino dalla costituzione del mondo.

1924. Gli eletti faranno immediatamente il loro ingresso nel cielo?

Sì; immediatamente ed appena che saranno tolte le solenni assise del giudizio finale, gli eletti faranno il loro ingresso nel cielo, dietro al loro Signore e Re Gesù Cristo, che li condurrà seco per far loro parte della sua felicità e della sua gloria.

1925. Questa felicità e questa gloria degli eletti saranno accresciute dall’avere ora essi ritrovato il loro corpo?

La felicità e la gloria degli eletti saranno accresciute in proporzioni, che ci è impossibile immaginare, dal fatto che essi hanno ora ritrovato il loro corpo, benché per l’avanti quelli che prima erano in Paradiso gustassero già, per il solo fatto della visione beatifica, una felicità in qualche modo infinita (XCIII, 1).

1926. Vi saranno in Paradiso delle sedi distinte, ove gli eletti formeranno una assemblea particolarmente bella in ragione della sua varietà ed armonica subordinazione?

Sì; perché il grado della carità e della grazia avrà determinato il grado della gloria. Ma in forza anche di questa carità, di cui il minimo grado basterà per fare entrare in cielo, ne seguirà che tutti i beati si comunicheranno in qualche modo la gioia della propria felicità, e tutti saranno così felici del bene di tutti, perché Dio nella sua infinita felicità sarà tutto in tutti, quantunque in gradi diversi (XCII, 2, 3).

1927. In questa assemblea degli eletti, gli uomini avranno qualche cosa che gli Angeli non avranno almeno allo stesso titolo?

Sì; perché gli uomini formeranno a titolo speciale la Chiesa trionfante che in cielo, e per tutta la eternità, si avrà a Gesù Cristo come una sposa al suo sposo, celebrando con Lui in mezzo a delizie ineffabili un eterno banchetto di nozze spirituali (XCV, 1, 2).

1928. Gli Angeli peraltro non saranno esclusi da tale banchetto di nozze spirituali?

No certamente; ma pure facendo tutti parte della Chiesa trionfante, essi non avranno con Gesù Cristo, Re della Chiesa stessa, lo stesso rapporto che avrà la parte della Chiesa trionfante costituita dagli uomini (XCV, 4).

1929. In che cosa consisterà questa differenza?

Consisterà in questo, che gli eletti o beati appartenenti alla specie umana converranno con Gesù Cristo nella stessa natura umana, ciò che mai si verificherà per gli Angeli. Ed ecco perché questi stessi eletti avranno con Gesù Cristo Re di tutti i beati un certo rapporto di intimità e di soavità che gli Angeli non avranno allo stesso titolo, quantunque i loro rapporti di intimità e di soavità col Verbo di Dio, nell’atto stesso della visione beatifica, debbano essere allo stesso titolo in tutti gli eletti ed in tutti i beati (XCV, 1-4).

1930. Che cosa ne segue da questo rapporto particolare che la Chiesa trionfante costituita dagli eletti di specie umana avrà con Gesù Cristo?

Ne segue che ad immagine e somiglianza di ciò che avviene fra noi sulla terra, quando la sposa viene introdotta nella casa dello sposo nel giorno delle nozze, la Trinità augusta doterà questa Chiesa sposa a Gesù Cristo, nel giorno del suo ingresso in Paradiso, ricolmandola dei doni e degli ornamenti più magnifici. affinché essa sia degna di celebrare con un tale Sposo, in mezzo, alle più ineffabili delizie, il banchetto eterno delle loro nozze spirituali (XCV, 1).

1931. Questa dotazione e questi doni ed ornamenti costituiscono le doti dei beati?

Sì; precisamente ciò costituisce quelle che si dicono le doti dei beati.

1932. Quali saranno queste doti dei beati?

Esse saranno tre nell’ anima glorificata, donde si riverseranno sul corpo stesso dei beati in forma delle quattro gloriose qualità di cui abbiamo già parlato (XCV, D).

1983. E le tre doti dell’anima glorificata quali saranno?

Saranno come una veste di luce è di divina sensibilità spirituale, che le disporrà a godere del Bene infinito posseduto dall’anima nella visione intuitiva che va a terminare al Verbo di Dio, in modo tale che nessuna felicità della terra né alcuna ebbrezza di quaggiù sarebbe capace di darci la più lontana idea di ciò che sarà la felicità degli eletti uniti Gesù Cristo mediante questa « visione », questa « possessione » e questa «fruizione». Tantoché non si può che ripetere la grande parola dell’Apostolo Paolo che era stato innalzato fino al terzo cielo, cioè fino al cielo stesso dei beati: Occhio umano non ha mai visto; orecchio umano non ha mai udito; il cuore non ha mai gustato ciò che Dio serba e tiene preparato per coloro che lo amano.

1934. Questa assemblea degli eletti e la felicità della vita eterna che sono paragonate, soprattutto per gli eletti della specie umana, come si è detto, ad un eterno banchetto di nozze spirituali, non sono chiamate anche col nome di Regno dei cieli?

Sì; ed è per fare intendere che tutti gli eletti costituiranno una assemblea reale, non soltanto per esser ivi sotto la dipendenza immediata di Dio Re dei re, ma ancora perché ciascuno di essi parteciperà alla qualità di re, essendo egli stesso rivestito della regale dignità, nel senso più alto e magnifico della parola (XCVI, 1).

1935. Ma come ed in che senso si può dire che tutti gli eletti saranno rivestiti nel cielo della dignità regale?

Perché la visione beatifica che li unisce a Dio e costituisce nel senso più formale la vita eterna, rende tutti i beati partecipi della divinità; e per conseguenza essendo Dio nel più alto senso il Re immortale dei secoli, a cui si deve ogni gloria, i beati partecipano in tutto alla sua Sovrana regalità ed alla sua gloria (XCVI, 1).

1936. È questo ciò che si deve intendere per la corona che sarà il retaggio di tutti i beati nel cielo?

Precisamente; la corona di gloria che sarà loro data e li renderà simili a Dio stesso sarà la loro corona regale (XCVI, 1).

1937. Non si parla anche di aureole per gli eletti nel cielo?

Sì; ma mentre la corona è per tutti, le aureole non appartengono che ad alcuni (XCVI, 1).

1938. Donde nasce questa differenza?

Nasce da questo che la corona non è altro che la irradiazione del bene essenziale consistente nella visione di Dio e che si trova in tutti a titolo di gloriosa ricompensa; mentre le aureole sono una irradiazione di ordine accidentale, cagionata dalla gioia che alcuni eletti provano per certe speciali opere meritorie da essi compiute sulla terra (XCVI, 1),

1939. Dunque soltanto dei beati tra gli uomini avranno le aureole?

Sì; perché gli Angeli non possono aver compiute siffatte opere meritorie (XCVI, 9).

1940. E quali saranno le speciali opere meritorie che fra gli uomini riceveranno l’aureola?

Saranno il martirio, la verginità e l’apostolato della dottrina (XCVI, 5, 6, 7).

1941. Perché queste tre specie di opere meritorie riceveranno l’aureola?

Perché esse fanno rassomigliare per un titolo speciale a Gesù Cristo, nella sua vittoria assoluta e perfetta sul triplice nemico della carne, del mondo e del demonio (Ibid.).

1942. Le aureole sono dunque un segno speciale di vittoria nella assemblea degli eletti e nel regno dei cieli?

Sì; ed in questo senso si può applicare in modo speciale ai martiri, ai vergini ed agli apostoli della dottrina la parola detta da Dio genericamente per tutti gli eletti: Colui che vincerà possederà tali cose: io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio (Apocalisse, cap. XXI, vers. 7.)

1943. Si trova nella Santa Scrittura una ultima parola che è come il riassunto di tutto, per quanto concerne la felicità degli eletti in Paradiso, nella vita eterna?

Sì; la troviamo nell’Apocalisse di S. Giovanni, al cap. XXII, vers. 5 ed è così formulata: Il Signore Dio sarà la luce che cadrà su di essi per illuminarli; ed essi regneranno nei secoli dei secoli.

CONCLUSIONE

1944. Al termine di questa esposizione catechistica delle tre parti della Somma Teologica di S. Tommaso di Aquino, potreste darmi una formula di preghiera che sia come una utilizzazione della sua luminosa dottrina, destinata ad assicurarcene il frutto?

Sì; ecco questa formula a modo di preghiera rivolta a N. S. Gesù Cristo:

PREGHIERA A N. S. GESÙ CRISTO

O Gesù, dolcissimo Figlio della gloriosa Vergine Maria e Figliuolo unico di Dio, che vivete insieme col Padre che Vi genera nel seno della Sua infinita natura da tutta la eternità e Vi comunica questa stessa natura infinita, e lo Spirito Santo che procede per mezzo Vostro dal Padre e che è il Vostro comune Spirito, il Vostro Amore vivente che riceve da Voi la stessa infinita natura, io Vi adoro e Vi riconosco per il mio Dio, il solo vero Dio, unico ed infinitamente perfetto, che dal niente ha creato tutto quanto è fuori li Sé, conservandolo e governandolo con infinita sapienza, o somma bontà e con suprema potenza. Io Vi domando, nel nome dei misteri compiuti nella Vostra santa umanità, di purificare nel Vostro Sangue tutti i miei peccati trascorsi; dispargere su di me l’abbondanza del Vostro Santo Spirito con la sua grazia, le sue virtù ed i suoi doni; di fare che io creda e speri in Voi, Vi ami, e procuri in ogni mia azione di meritare di possederVi; e di ammettermi un giorno a goderVi nello splendore della Vostra gloria, nella assemblea dei Vostri Santi. Così sia.

Con decreto del s. Uffizio del 22 Gennaio 1914,

S. S. Papa Pio X si degnò accordare in perpetuo 100 giorni di indulgenza applicabili alle anime del Purgatorio, da lucrarsi una volta il giorno da tutti i fedeli che con cuore contrito reciteranno devotamente la suddetta preghiera.

DEO GRATIAS