MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -XI- di mons. J.-J. Gaume [capp. XXXIV-XXXV]

CAPITOLO XXXIV

CONCLUSIONE.

I.

Abbiamo da una parte ricordato il grido di morte, emesso nello stesso tempo, nell’antico e nel nuovo mondo, contro il Clericalismo; abbiamo dall’altra annunziate le conseguenze di quest’odio ignoto negli annali dei popoli battezzati. Se Dio non ha pietà dell’uman genere, queste conseguenze saranno, fra le altre, la risurrezione del sacrificio umano diretto o indiretto, siccome s’è spiegato.

II.

Or ripieni di spavento, domandiamo: in qual modo, dopo diciannove secoli di Cristianesimo, il mondo è giunto al punto in cui lo vediamo? Non v’ha effetto senza causa. L’uomo è un essere ammaestrato. L’uomo forma la società, a lei comunicando tutto ciò che ha ricevuto. A coloro che la condannano, la società attuale può rispondere: « Egli è vero, io son ben colpevole ed infelice. Ma di chi è la colpa? Non sono già io che mi son fatta qual sono; io sono quale m’han fatto. »

III.

La società attuale essendo, nel suo complesso, satolla di odio contro il Cattolicesimo, ha dunque ricevuto in copia l’odio del Cattolicesimo. Dove lo ha essa ricevuto? Nell’insegnamento. Dapprima nell’insegnamento delle lettere e della filosofia; poscia nell’insegnamento della stampa che n’è la derivazione. La causa principale e tuttodì operativa dei presenti mali è dunque l’insegnamento della gioventù, sopratutto della gioventù letterata, che, per la sua superiorità, fa il popolo a sua immagine. Il rimedio del male, se pur ce n’è uno nelle mani dell’uomo, sarebbe la riforma radicalmente cristiana dell’educazione.

IV.

Predicate in tutti i modi, da più di quaranta anni, queste verità che abbagliano, tanto son luminose, non sono state dal maggior numero né considerate, né ricevute, né, a più forte ragione, praticate, come dovevano esserlo. Questa cecità, o meglio ostinazione, inconsapevolmente forse presso gli uni, ma consapevolissimamente presso gli altri, ha prodotto ciò che vediamo. Che vediamo?

V.

Malgrado il risveglio del Cattolicesimo su alcuni punti, e in una certa parte della società; risveglio che si manifesta nei frequenti e numerosi pellegrinaggi, nella creazione di circoli cattolici d’operai e di militari, e d’altre buone opere di fede e di carità: non ci daremo già a credere che il mondo è salvo. Quando trattasi di delitti nazionali, Dio non si lascia disarmare per alcune particolari preghiere, o per alcuni pellegrinaggi, nei quali il suo occhio non ha giammai scorto un solo di quei grandi colpevoli che eccitano la sua collera e provocano le sue vendette. Il fatto di Sodoma che poteva andar salva per dieci giusti non è una legge. La legge delle nazioni colpevoli sì, è Ninive penitente. – D’altronde da alcune manifestazioni cristiane, non segue che la maggior parte delle popolazioni non addivenga ognora vieppiù materialista, indifferente ed anche ostile alla religione; che fino le migliori provincie, città e campagne, non siano invase dallo spirito rivoluzionario; che questo spirito non faccia ogni giorno rapidi progressi, come testificato, fra le altre, in cinque anni d’intervallo, la formazione delle due camere legislative del 1871 e del 1876. Gli è dunque doloroso, ma vero il dirlo: andiamo di male in peggio; le nazioni han deviato; ed insorgendo contro il Cattolicesimo, che è la vera vita, si precipitano verso la morte.

VI.

Saremmo noi in tale stato, se si fosse compreso che faceva mestieri, sotto pericolo di gettar polvere al vento, apprestar il rimedio al male, salvando, mercé un’educazione cristiana, le generazioni ancora vergini dall’errore e dal vizio; che, fatte poche eccezioni, le generazioni già formate batteranno ostinatamente la loro strada, atteso che non si raddrizzino le querce vecchie, e non si fan ritornare i fiumi alla loro sorgente? In luogo di tutto questo, che si è fatto?

VII.

Si sono consumati dei monti di carta, rivi d’inchiostro; molto tempo, molte fatiche e fin molto talento e molto genio. Si è inondato il mondo d’apologie, di dimostrazioni, di polemiche, di critiche, di confutazioni, di lamentazioni, di discussioni. Notte e giorno si è battagliato contro i rivoluzionari e i miscredenti; cento volte sono stati convinti di stoltezza, di calunnia, di cattiva fede; li han creduti sconfitti, ed essi stanno in piedi meglio di prima.

VIII.

Sono essi intanto in tutta Europa padroni della posizione. I loro empii libri, i loro osceni romanzi vanno in voga, e vendonsi a migliaia; mentre la più parte dei libri buoni non ha che una ristretta pubblicità, se pur non rimangono tutti sepolti nei magazzini. I loro giornali si moltiplicano; e molti abbondano d’associati; mentre i buoni giornali, in picciolissimo numero, o chiudono il loro ufficio, o vivono a stento, come meglio possono, giorno per giorno.

IX.

Le loro dottrine han prodotto i loro frutti. Di vittoria in vittoria sono giunti alla disorganizzazione universale, alla negazione radicale d’ogni verità e d’ogni diritto; alla mostruosa invasione dell’immoralità e del suicidio; alla completa spoliazione della Chiesa; all’imprigionamento del Papa; all’impianto dell’eresia nel cuore stesso della cattolicità [il “modernismo” è oramai la setta dominante nei palazzi e nei templi un tempo cattolici ove la massoneria ecclesiastica si è “impiantata” radicalmente –ndr.-]; al bestiale dell’essere umano ed alla riabilitazione di satana. – Sino ad ora veruna corporazione aveva assistito ufficialmente ad un seppellimento civile. Era riservato all’Accademia di medicina di Parigi il dare, per la prima, un simile scandalo. Presentato dai medici, che sono stimati meglio di ogni altro per conoscere la natura dell’uomo, e da medici incaricati di ammaestrare la gioventù, questo scandalo inqualificabile per sè stesso è spaventevole nelle sue conseguenze. Il fatto è questo. Un certo Sig. Axenfeld, professore alla Scuola di medicina di Parigi, è stato seppellito civilmente, senza che l’avesse chiesto. Ciò che è più particolarmente scandaloso si è la pompa che ha accompagnato le sue esequie, a cui non ebbe già parte il prete. Dieci professori e undici dottori collegiali, in veste rossa, condotti dai signori Gosselin e Bouchardat assessori, preceduti dal mazziere e dai bidelli, hanno accompagnato il feretro del Sig. Axenfeld. Cosi la Facoltà medica, ufficialmente, con tutto l’apparato, bidelli e mazzieri, ha assistito a un seppellimento civile. Questo è progresso! [chissà cosa direbbe il povero mons. Gaume davanti al “progresso” delle “unioni” omosessuali di politici, passato in prima serata televisiva? –ndr.-]. Ancora un altro progresso: si legge nei Droits de l’homme, settembre 1876: « Ieri sera, racconta l’Egalitè di Marsiglia, ba avuto luogo la cerimonia civile, per la quale il nostro amico cittadino Malaucène, ha voluto surrogare, pel suo neonato, il battesimo religioso. Il nostro collaboratore Clodoveo Hugues è stato il compare, e la signorina Luisa Tardif la comare. Questa piccola festa di famiglia s’è compita maravigliosamente. Il poeta dell’Egalitè, come dice la Gazette du Midi, ha poeticamente battezzato il figlioccio con questo quadernario, che val bene il latino della Chiesa:

PERCHÈ SE RITORNASSE IN TERRA IL CRISTO NON SAREBBE PIÙ CRISTIANO, IN NOME DELLA NATURA AUSTERA IO TI BATTEZZO CITTADINO. [Puisque, s’il revonait sur terre, Le Christ ne serait plus chrètien, An nom de la Nature austère, Je te baptise citoyen.]

II giornale les Droits de l’Homme qualifica come “filosofica” questa parodia. Noi ci prendiamo la libertà di dirla abominevole e buffonesca, ma d’altronde perfettamente degna della mandria d’Epicuro. Per coloro infatti che 1’han composta, il battesimo della natura deve aprire la vita dell’ uomo, come la sepoltura deve chiuderla. [chissà in quale tugurio dell’inferno si trovano ora il “battezzato”, i compari e gli assistenti! Chissà se ancora stanno brindando … o forse sì, con oro fuso con calice infuocato insieme al loro padrino generale: lucifero – ndr.-].

CAPITOLO XXXV.

(Continuazione del precedente.)

I.

Perché tante vittorie dalla parte dei malvagi, e tante disfatte dalla parte dei buoni? Perché invece di portare risolutamente la scure alla radice dell’albero avvelenatore, s’è portata soltanto ai rami; invece di concentrar le nostre forze e dirigere tutti i nostri sforzi contro la cittadella del nemico, ci siamo divisi e ci siamo fatti battere. Non poteva essere altrimenti, e sino a tanto che non cambieremo tattica, andremo di disfatta in disfatta. Lasciamo parlare qui 1’esperienza.

II.

Nei primordi di questo secolo, allorché la Francia era ancora grondante del sangue versato dalla Rivoluzione, la quale non era che una scena degli studi del collegio, la Provvidenza suscitò alcuni gran geni per esserle di faro e ritrarla dalla via ov’erasi perduta : il Sig. de Chateubriand, nella letteratura; il Sig. de Bonald, nella filosofia; il Sig. de Maistre, nella scienza sociale; il Sig. de la Mennais, nella scienza religiosa. Questi uomini illustri han lasciate opere piene di salutari dottrine, la cui pratica avrebbe rigenerata la Francia, e colla Francia forse tutta Europa.

III.

Perché mai questi grandi maestri non ebbero discepoli, ad eccezione de la Mennais, che lo deve all’educazione particolare del clero? Perché mai nell’uscir di collegio la gioventù francese, arrivando a Parigi, in luogo di nutrirsi delle dottrine insegnate da quegli uomini grandi, le ha poste da banda per frequentar le scuole del Royer-Collard, del Beniamini Costant, del Cousin, del Quinet, del Michelet e d’altri anticlericali?

IV.

Non v’ha cosa men difficile a comprendere. Queste giovani generazioni erano state gettate, dai loro studi classici, in una corrente d’idee affatto differenti dalle cattoliche; e correvano ai maestri il cui insegnamento era lo sviluppo continuato della loro prima educazione. Non v’ha dubbio, che a questa cagione principalmente debba attribuirsi l’anticristianismo che, sotto il nome di liberalismo e di razionalismo ha da un mezzo secolo invaso la gioventù francese.

V.

Da tale gioventù è costituita oggi la Francia. Addivenuta padrona di ogni posizione: nella magistratura, nella milizia, nell’accademie, nelle camere legislative, nella diplomazia, in tutte le grandi amministrazioni, essa trasmette ciò che ha ricevuto, e trasmettendolo forma la società a sua immagine: lebbrosa dalla testa ai piedi, quale la vediamo.

VI.

Se l’educazione continua ad essere quel che è, mezzo cristiana e mezzo pagana, ed anche più pagana che cristiana, non verranno su che ibride e tristi generazioni, incapaci di resistere al male. L’invasione che noi deploriamo non pure continuerà; ma a ragion dell’acquistata forza, si accelererà sempre più. Che sarà mai se l’istruzione, addivenuta laica, non è più una madre, ma una matrigna; non una nutrice, ma un’avvelenatrice patentata?

VII.

Riforma dunque dell’educazione. Riforma pronta; riforma radicale; riforma interamente cristiana nei libri come negli uomini: poiché la salute del mondo dipende da ciò. Senza questo, con tutte le opere nostre di rigenerazione, noi che faremo? Tutt’al più una pesca con l’amo; mentre gli anticlericali la faranno colla rete. Noi continueremo a dar dei colpi di spada all’acqua, o, come dice la Scrittura, getteremo le nostre mercanzie in un sacco sfondato. – Ma chi opererà tale riforma? Vescovi, preti, religiosi, padri di famiglia, tutti vi pongano mano. Tuttavia, riconosciamo umilmente la nostra impotenza. [Oggi proprio i vescovi, falsi e sacrileghi, oltre che intruppati in varie obbedienze massoniche, sono i veicoli di eresie e dottrine grondanti apostasia, ed ancor peggio i preti ed i religiosi, falsamente consacrati e quindi sacrileghi e blasfemi, i padri di famiglia devono pensare alle concubine, alle adultere loro compagne ed agli illegittimi frutti del peccato … solo la Vergine Santissima ci salverà! –ndr.-]. Iddio solo, cambiando gli uomini, può operare questa necessaria riforma. Gridino dunque tutte le lingue e tutti i cuori verso il Padre delle misericordie, come fecero gli apostoli, presso a naufragare: Signore, salvateci! Noi periamo:

Domine salva nos, perimus.

FINE

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -X- di mons. J. J. Gaume [capp. XXXII-XXXIII]

CAPITOLO XXXII.

GIUSTIFICAZIONE DI QUEST’OPERA.

I.

Lucifero è il nemico personale ed implacabile del Verbo incarnato. Il suo odio non ha che uno scopo, quello di rendere impossibile la credenza nel domma dell’Incarnazione. Perciò, i tre grandi errori che riassumono tutti gli altri, e che han dominato il mondo antico, e tendono a dominare il mondo moderno [e la falsa chiesa dell’uomo dei marrani usurpanti attuali -ndr.-]:

Il Panteismo; se tutto è Dio, non vi è incarnazione;

Il Materialismo; se tutto è materia, non v’è incarnazione;

Il Razionalismo; se ogni verità è racchiusa nei limiti della ragione, non vi è mistero, e quindi non v’è incarnazione.

II.

Esaminati accuratamente tutti gli errori moderni, figli de precedenti, non hanno altro obietto che la negazione della divinità di Nostro Signore. Ammesso questo solo domma, essi svaniscono, come la notte in faccia al giorno; rigettato questo solo domma, tutte le verità senza base e senza coesione cadono le une dopo le altre, e l’ umanità ricade nel caos. Ora, cosa inaudita, la grande negazione è oggi stampata, predicata, accolta con un ardore che fa vergogna, e riempie l’anima di spavento pel presente, e più ancora per l’avvenire: quest’ è un segno de’tempi. – Infatti, se Nostro Signor Gesù Cristo, autore della grande rivoluzione che ha trasformato il mondo, non è Dio, ei bisogna ripudiare il Vangelo con tutte le sue conseguenze, ritornare al paganesimo e rifoggiar dèi secondo il capriccio delle passioni. E non è già il mondo ripieno di questi nuovi, o meglio, di questi antichi idoli di lussuria e di crudeltà?

III.

Se non fosse l’elemento cattolico che lotta ancora per mantenere, sul suo piedistallo divino, la persona del Verbo incarnato, il mondo moderno ricadrebbe nelle condizioni del mondo antico. Più questo elemento s’affievolisce, siccome noi vediamo ai nostri di, e più s’appiana la via al demonio per ritornare sopra gli antichi suoi altari. La ragione lo dice, e la storia lo conferma. L’uomo ha avuto, ha ed avrà sempre bisogno d’un Dio. Rovesciare il trono di Gesù Cristo, non é altro che innalzare il trono di Belial.

IV.

Al vedere dell’Europa attuale, che volta le spalle al Cristianesimo, e si sforza di sterminarlo; che dico io? al vedere uomini battezzati, intraprendere, dopo diciotto secoli di Cristianesimo, la riabilitazione di Satana e vantare il suo antico regno, come l’epoca più brillante della storia; era facile prevedere questa nuova caduta dell’umanità. E fu infatti preveduta, annunziata, dimostrata, or sono più di trenta anni. Ma i veggenti furono trattati da stravaganti. Che? il mondo ritornare al paganesimo nel secolo decimonono! Insensanto chi il dice; stupido chi il crede! Intanto il paganesimo ne’ suoi elementi costitutivi, particolarmente nella negazione del Verbo incarnato, ha continuato ad invadere la società: e già tutto è paganesimo.

V.

A render pagana un’epoca, una società, tutto il mondo, non vi bisognano idoli materiali. Il mondo anteriore all’incarnazione era pagano, prima che la mano dell’artefice offrisse alle sue adorazioni statue di marmo o di pietra. Il paganesimo è la negazione teorica e pratica del Verbo incarnato; la negazione del vero Dio, e, come conseguenza inevitabile, l’adorazione di ciò che non è il vero Dio. Ora, adorare ciò che non è il vero Dio, è adorare un falso Dio, è adorar satana, è esser pagano, ricadere nel gentilesimo, di cui tutti gli dèi erano demoni: omnes dii gentium dæmonia. [Ps. XCV]

VI.

Tuttavia, come l’anima ha bisogno del corpo, cosi il culto interiore ha bisogno del culto esteriore. Nell’antichità, satana godeva dell’uno e dell’altro: egli aveva le sue statue, i suoi templi, i suoi altari, i suoi sacerdoti. Tutto questo lo possiede anche oggi presso le nazioni idolatre. Or Satana non cambia, né invecchia. Ei vuol essere quel che fu; vuol avere quel che ebbe. Ei lo vuole tanto più che gli oracoli, le evocazioni, le apparizioni, i prestigi erano i principali strumenti del suo regno, di cui il sacrificio umano, fu e continua ad essere l’inevitabile compimento. Pare dunque logicamente infallibile che presto o tardi, se Dio non l’impedisce col più grande dei miracoli, satana tornerà con tutto il suo corteggio di pratiche vittoriose, sempre antiche e sempre nuove, ma destramente modificate secondo i tempi e le persone.

VII.

E forse non è già divenuto l’oracolo delle nazioni moderne, senza che esse vi pongano riparo? È egli satana, ovvero lo Spirito Santo che le inspira nelle leggi anticristiane che promulgano? nella guerra universale che fanno alla Chiesa? Che è mai lo spiritismo, il magnetismo, il sonnambolismo artificiale, se non la risurrezione, sotto nuovi nomi, delle antiche pratiche diaboliche di Delfo, di Delo, d’Àccaron, e di tutti i templi ed oracoli?

VIII.

Che cosa era mai la dea Ragione sugli altari della Francia del 93, se non l’impura Venere in carne ed ossa, vale a dire il Demonio stesso che si faceva adorare? – Ed alla stessa epoca, il tempio di Cibele, fabbricato ai Campi Elisi, che accoglieva nel suo recinto gli adoratori della madre degli dèi, con le offerte tradizionali esatte dal suo culto? – Il repubblicano Quinto Àuclerc non ha egli risuscitato materialmente il culto di Giove, di cui si diceva il sacerdote? E questo culto non s’è forse perpetuato fino al 1821? È vero, che il flamine non offriva vittime umane al dio, ma solamente incenso bruciato in uno scaldavivande di forma antica. Tuttavia, non c’illudiamo; mercè il progresso, dopo l’incenso, può venire il sangue. È dunque vero, il mondo anticristiano è un vaso pieno di paganesimo, che la minima goccia di acqua farà traboccare.

IX.

Ciò quanto al ritorno al paganesimo in generale; ma non basta. Per giustificare il titolo dell’opera, bisogna mostrare che la risurrezione del sacrificio umano non è punto impossibile. Il sacrificio umano si distingue, come abbiamo detto, in sacrificio indiretto, ed in sacrificio diretto. – Il primo s’è dappertutto e sempre più o meno compiuto. Dunque non deve risuscitare, non e morto! Ma, se gli effetti sono ognora in ragion diretta delle cause, si può affermare, salvo l’intervento divino, che in pena della generale insurrezione dei popoli moderni contro il Clericalismo, tal genere di sacrificio tornerà con proporzioni più terribili che mai.

X.

Guerre del carattere antico, guerre d’atrocità e di sterminio, guerre non più d’un’armata contro un’armata, ma guerre di nazioni, gens contra gentem, divenute campi armati, inonderanno la terra di sangue umano. Conseguenza della rivolta universale contro Dio, questo formidabile avvenire è penetrato nei presentimenti delle nazioni: onde l’attendono, e vi si preparano. Che si fa oggidì in tutta l’Europa? Due cose: si fa la guerra a Dio, e lavorasi con un’attività febbrile a preparare la guerra degli uomini gli uni contro gli altri. Ogni giorno s’inventano nuove macchine di distruzione. Le torpedini per esempio, che in pochi minuti possono far saltare in pezzi il più forte naviglio. Si perfezionan le armi, si perfeziona la polvere, si perfezionano i fucili, si perfezionano i cannoni. Affin di resistere a questi potenti mezzi di distruzione, si guerniscono le provincie di forti distaccamenti; si duplicano i ripari delle città; armansi le coste marittime di batterie formidabili; si costruiscono non più vascelli ordinari, ma colossali, capaci a distruggere in poco tempo le città più forti o di resistere agli attacchi di un’intera squadra.

XI.

Eccone una prova. Il 18 settembre ha avuto luogo a Lorient il varo del Redoutable, il più potente naviglio costruito finora in Francia. La sua costruzione ha costantemente impiegati, per lo spazio di tre anni, più di mille operai. La sua lunghezza totale sorpassa 100 metri. La sua larghezza è di 20 metri. La sua capacità, quasi di 9,000 tonnellate, è superiore d’un quarto a quella delle corazzate del tipo dell’ Oceano. – Il bastimento è a doppio scafo, e presso a poco completamente costrutto in acciaio. Quest’è la prima volta che l’acciaio entra, in una si grande proporzione, nella costruzione d’un gran naviglio, vuoi in Francia, vuoi in altri luoghi.

XII.

I fianchi del Redoutable sono ricoperti d’una corazza, la cui grossezza sarà superiore a tutto ciò che s’è fatto finora. Ciascuna delle piastre che la compongono peserà 24,000 chilogrammi. Il davanti sarà armato d’un formidabile sperone di ferro lavorato del peso di 30,000 chilogrammi. I ponti sono a prova di bomba. L’artiglieria, composta di pezzi del più forte calibro, sarà disposta in una nuova maniera, che darà modo al vascello d’utilizzare questi grossi pezzi in tutte le direzioni. Il Redoutable è una corazzata a grande celerità. La sua macchina ha la forza di 6,000 cavalli. Essa farà muovere un’elice in bronzo di m. 6,30 di diametro. L’Inghilterra segue il medesimo progresso. Essa ha costruito un cannone in bronzo del peso di 87,000 chilogrammi, il quale scarica delle palle del peso di 8,000 chilogrammi. Segnali di confidenza nella pace universale. (1)

XIII.

Perché mai questi potenti mezzi di difesa o, a dir meglio, di distruzione, non sono stati inventati cento anni fa? Perché da cento anni in qua? L’uomo s’agita e Dio lo conduce. La Provvidenza non opera mai ciecamente. Questi preparativi di guerre formidabili han la loro ragione d’essere proprio oggidì, né più presto né più tardi. Avviso a questo povero mondo attuale, che ostinasi a chiudere gli occhi per non vedere, le orecchie per non ascoltare; che fa della guerra a Dio un suo passatempo, che ride di tutto e che canta esser tutto per la meglio del migliore dei mondi.

(1) Oggi la descrizione di questi “potenti” armamenti, descritti dal Gaume, fa sorridere se paragonati alle armi atomiche, ai bombardieri supersonici, ai missili balistici intercontinentali, alle corazzate e portaerei più grandi di intere città, ai sottomarini con testate nucleari, alle armi chimiche o batteriologiche, etc. etc. Il Redoutable, così minuziosamente descritto, paragonato alle corazzate ed alle portaerei attuali, è poco più che una piroga di papiro armata di cerbottane! Ma il perché di questi potenziamenti bellici [solo gli Stati Uniti, per “esportare” e mantenere la pace hanno stanziato in questo anno la somma di un trilione di dollari … perdonatemi, non so neppure come si scrivere una tal cifra in termine numerici e con quanti zero!], ha la medesima motivazione di sempre: il sacrificio umano di uomini inerti, fatti ad immagine di Dio, quindi nemici personali di satana, e perciò da eliminare! [n.d.r.-].

CAPITOLO XXXIII

(Continuazione del precedente.)

I.

Può egli ricomparire il sacrificio umano diretto? Tale è la questione che ci resta ad esaminare. Il sacrificio umano diretto, è l’immolazione d’una persona a un idolo qualunque. Che quest’idolo sia una persona, una statua, o semplicemente un’idea, poco importa. Come l’idolatria medesima, il sacrificio può esistere senza statue. «In una certa epoca dell’antichità, dice Tertulliano, non v’erano idoli. Tuttavia l’idolatria esisteva, non sotto questo nome, ma nelle opere. Parimenti oggi può essa praticarsi senza templi e senza idoli. 1 » [De Idolat., c. III]. L’affermazione di Tertulliano è conforme a quelle parole di san Paolo: « Imperocché voi siete intesi, scrive agli Efesini, come nissun fornicatore, o impudico, o avaro, che vuol dire idolatra, sarà erede nel regno di Cristo, e di Dio. » [Eph. V, 5]

II.

Perchè v’abbia il sacrificio umano diretto, non sono assolutamente necessarii nè un tempio né una statua. Si è per questo, come dice Tertulliano, che prima della fabbricazione degli idoli, si praticava l’idolatria, di cui l’atto principale fu sempre il sacrificio umano. Prendevasi un fanciullo, un prigioniero, uno schiavo, e mettevasi a morte in onore d’un re defunto o d’una pretesa divinità, che non aveva né tempio né statua. Più tardi, allorquando il demonio volle avere un culto completamente esteriore, ispirò agli uomini d’edificarsi dei templi e d’erigergli delle statue.

III.

Che facevano allora i grandi sacrificatori, persecutori de’primi secoli? Arrestavano i nostri padri, i nostri fratelli e le nostre sorelle, li conducevano avanti la statua di qualche divinità immaginaria, e loro dicevano: Offrite ad essa l’incenso siccome ad un Dio vero. Se mai essi rifiutavano, erano messi a morte. Erano queste altrettante vittime umane. Bisogna accuratamente osservare, che non era propriamente alla statua che offrivasi l’incenso ed immolavasi la vittima; ma all’idea cui la statua rappresentava, o meglio allo spirito che credeasi l’abitasse. Per esempio, il sacrificio ordinato dinanzi alla statua di Giove, era in onore del demonio considerato siccome dio supremo; quello ordinato dinanzi alla statua di Marte, era in onore del demonio considerato siccome dio della guerra, e così degli altri.

IV.

E venendo ad un’epoca più vicina, che cosa faceva la Rivoluzione del 93, questa degna figlia degli antichi pagani di Roma e di Grecia? Afferrava un sacerdote, e gli diceva: Giura di riguardar come vere le mie dottrine e di farne la regola di tua condotta; adora la Dea-Nazione che le promulga. Se il sacerdote si rifiutava, era immolato: benché non vi fossero né templi né statue, il sacrificio non era meno diretto. Quanti altri, preti e laici, sospetti d’ostilità contro la Dea-Rivoluzione, contro la Dea-Libertà, contro la Dea-Eguaglianza, contro il Dio-Popolo, e fino contro il Dio-Robespierre non furono per sì fatto delitto arrestati, imprigionati e condotti al patibolo? Non furon’essi altrettante vittime umane, immolate agl’idoli?

V.

Se gli anticlericali d’oggidì, aiutati dai loro fratelli, i martiri di Nonmèa, riuscissero ad impadronirsi del potere, troverebbonsi mai imbarazzati a rinvenir qualche Dio, qualche dea, il Genio stesso di qualche divus Caesar; in una parola qualche idolo, al quale esigere, sotto pena di morte, il sacrificio della verità, dell’onore, della coscienza? Troppo semplice colui che si pascesse di una simile illusione. Quanto a ciò, il passato è la profezia dell’ avvenire.

VI.

Del resto, se il demonio vuole avere templi e statue, non avrà che a dirlo. È egli meno potente oggi che nel 93? Ora, gli anticléricali del 93 gli assegnarono per santuarii, non solo il duomo di Parigi, ma la più parte delle chiese di Francia. Nè si fermarono qui: gl’innalzarono un tempio nei Campi-Elisi, dove vennero solennemente ad offrirgli i loro omaggi.

VII.

Quanto alle statue, non avranno che a sceglierle. Forseché i nostri giardini pubblici, le strade, i musei, non sono ripieni di statue di tutti gli dèi del paganesimo? Basterà ai moderni pagani esporne alcune sulle nostre piazze e esigere, sotto pena di morte, da chiunque passerà render loro omaggio. Siccome nulla è nuovo sotto il sole, così sarebbe questa la copia di ciò che Diocleziano e Massimiliano, i due anticlericali incoronati, fecero a Nicomedia e nelle principali città del loro impero. V’ha di più, sarebbe il compimento dell’oracolo divino che annunzia ciò che avrà luogo verso la fine de’ tempi, durante il regno dell’Anticristo : « Egli farà metter a morte tutti quelli che non adoreranno l’immagine della Bestia. Vorrà che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, abbiano il carattere della Bestia, nella loro mano destra o sulla loro fronte; in guisa che nessuno possa comprare né vendere senza avere il carattere della Bestia. » [Apoc., XIII, 17, 16, 19. ]

VIII.

Intesa, come è stata spiegata, la risurrezione del sacrificio umano, non ha dunque nulla d’impossibile. Ciò non è tutto: sarebbe essa la necessaria conseguenza della morte del clericalismo. Io non dico niente di più; i ragionamenti ed i fatti che precedono sembrano bastevoli per giustificare questa mia operetta, dar materia di riflessione agli ottimisti, risvegliare i dormienti, scuotere i ciurmatori e qualificare gli anticlericali. [Continua…]

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[Nota redazionale: Il povero monsignor Gaume, impallidirebbe nel veder oggi il trionfo del paganesimo finanche nel tempio santo, nelle chiese una volta cattoliche, ove si sacrifica [incruentamente almeno per ora!] al “signore dell’universo”, cioè l’obbrobrio della massoneria clericale, il baphomet lucifero, acclamato pure nel trisagio da tanti ignari involontari adoratori del serpente primordiale! Ma satanasso è andato ancor più in là con il sacrificio umano. Se il dotto abate mostrava agli anticlericali i sacrifici di migliaia di poveri infelici presso i popoli dell’Africa, presso i druidi, l’antichità greca e romana, o l’ecatombe dei cardioprivati dell’America precolombiana, corredandoli con particolari raccapriccianti che avranno fatto inorridire tanti lettori disgustati dai banchetti con carni umane ancora palpitati e grondanti sangue, mai avrebbe immaginato che quelli erano numeri da bazzecola, un nonnulla in confronto a crimini ben più efferati e al sacrificio di milioni e milioni di esseri umani, immolati al demonio della “libertà sessuale”, del libero amore irresponsabile, al totem del paganesimo erotico, all’idolo del “culto fallico”, e questo in pieno XX secolo ed inizio del terzo millennio, dopo venti secoli di Cristianesimo! E sì che ci sono anche i templi satanici ed i sacerdoti sacrificatori, gli empi stregoni travestiti da rubicondi pasciuti professionisti con camice, cappellini e calzari sterili, con sonde aspiranti stritola membra, col tubo del respiratore automatico, assistiti da chierici in camice bianco e mascherina sterile, altri professionisti della morte. La sala dei sacrifici, addirittura sterilizzata con raggi u.v., è corredata da apparecchi elettronici sofisticati, scialitiche e lampade speciali, strumenti tecnologici, monitor con schermo piatto a cristalli liquidi, videocamere digitali  miniaturizzate e personale altamente specializzato, preparato per anni a queste orribili pratiche, come e più dei druidi! E non meno cruenta è la modalità di uccisione del povero uomo indifeso, immolato addirittura dai propri genitori e consegnato per finire in un contenitore di immondizia [i rifiuti “speciali”] o venduti all’industria dei cosmetici o ai laboratori delle cellule staminali [questo sì che è progresso scientifico!]. Le sonde aspiranti smembrano lentamente il povero sacrificato, braccio dopo braccio, gamba dopo gamba, e alfine viene staccata la testa, il segmento A, con “attenta” manovra, imparata dopo anni di “specializzazione” e perfezionamenti. Gli stregoni del Dahomey, i cannibali del Centro Africa, i sacerdoti strappacuori del Messico, sono dei dilettanti sprovveduti alle prime armi in confronto ai moderni sacrificatori che mietono, nella totale indifferenza, e … tutti lo sappiamo, milioni e milioni di uomini, esattamente uguali a tutti gli altri, immolati barbaramente, in modo più vile ed ipocrito ancora delle vittime delle tante guerre “democratiche” e di “liberazione”, le scibale sataniche della nostra epoca. L’altare del sacrificio, una volta in pietra o di legno, si è aggiornato, ed è diventato nientemeno che un tavolo “operatorio” snodabile, le cui funzioni sono regolate da comodi telecomandi ad infrarossi, onde permettere al boia sacrificatore-maciullatore … o pardon … volevo dire al “nobile” professionista I.Vu.Gista la posizione più idonea per fare un “buon lavoro”. Evviva la scienza medica! – Nel rileggere il libro dell’abate Gaume, avevamo avuto inizialmente un certo timore nel proporlo ai lettori, visto i contenuti che a prima vista potevano turbare la ipocrita tranquillità del benpensante; via via però ci siamo convinti che era assolutamente nostro dovere portare all’attenzione dei lettori Cattolici [quelli “veri” della Chiesa del Papa Gregorio!] questa piccola opera dell’abate Gaume, quanto mai profetica ed anticipatrice degli attuali abomini. Ora sappiamo meglio che il tutto non è casuale, ma fa parte di un piano da sempre operante, anche se con modalità cangianti con i tempi e le mode, un piano ben preciso dell’antico nemico dell’uomo, il serpente menzognero, ebbro di sangue umano fumante e divoratore di carne umana. Questo dimostra che è impellente il ricorso al nostro unico, vero Filantropo, a Colui che è morto nella carne per la nostra salvezza, al Redentore del genere umano, che spegnendo con il soffio della sua bocca l’opera dell’angelo malefico e dei suoi numerosissimi adepti, ci metta al riparo dal sacrificio umano, comunque effettuato.

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -IX- di mons. J. J. Gaume [capp. XXX-XXXI]

CAPITOLO XXX

L’AMERICA DEL SUD. —PERÙ.

I.

All’epoca della scoperta spagnola, l’America del Sud presentava presso a poco, sotto il rapporto del sacrificio umano e dell’antropofagia, il medesimo spettacolo dell’America del Nord. Verso l’anno 1540, l’imperatore Carlo V volle dagl’indigeni, sottomessi al suo impero, che rinunziassero all’orribile uso di nutrirsi di carne umana.

II.

Il suo capitano generale, Don Alvaro riunì i carichi, e notificò loro l’ordine del principe: tutti promisero d’obbedire. Inoltre li costrinse a bruciare i loro idoli: la qual cosa fecero essi a malincuore, perché temevano di essere maltrattati dai demoni. Fatto questo, Don Alvaro, eresse una croce, e fabbricò una cappella, in cui fu cantata la messa con grande solennità, il che rassicurò d’assai gì’indigeni.

III.

Il pio e coraggioso capitano, dirìgendosi verso l’occidente, trovò, non lungi dalle frontiere del Perù, una borgata dove si contavano otto mila casupole, nel mezzo delle quali s’innalzava una torre costruita con grandi pezzi di legno, e terminata a piramide, il tutto ricoperto di scorze di palma. Questa torre, dice Charlevoix, era la dimora e il tempio d’un serpente mostruoso, di cui gli abitanti avevano fatto la loro divinità, e che nutrivano di carne umana. Esso era della grossezza d’un bue, ed aveva 27 piedi di lunghezza, la testa estremamente grossa, gli occhi piccoli di molto sfavillanti, e quando apriva la bocca, gli si vedevano due ordini di acuti denti. La pelle della sua coda era liscia; grandi scaglie rotonde coprivano il resto del corpo, e gl’Indiani vollero persuadere agli Spagnoli che rendesse oracoli. – « Egli è vero che alla prima vista di questo mostro, furono essi assaliti da spavento; che crebbe ancora quando un di loro, avendogli tirato un colpo d’archibugio, mise un grido simile al ruggito del leone, e con un movimento di coda, fece tremar la torre. Nondimeno l’ammazzarono facilmente. » [Hist. du Paraguay, t. I, p. 83]. Questo accadeva nel Perù prima della predicazione del clericalismo! E oggi vogliono sterminare il clericalismo! E dicon che tutte le religioni sono egualmente buone!

IV.

Circa un secolo fa, tutti i discepoli di Voltaire si sarebbero stretti nelle spalle, al racconto di Charlevoix, ed avrebbero trattato l’autore siccome impostore o visionario. La scienza attuale li ha convinti d’ignoranza. Le scoperte di Cuvier, di Zimmermann e d’altri naturalisti, han provata l’esistenza di questi giganteschi serpenti, i cui fossili si trovano in Francia, in Inghilterra, in Alemagna. Uno dei più mostruosi, poiché conta più di cento piedi di lunghezza, è stato recentemente scoperto nello scavare una fossa per la ferrovia, presso Saint-Lottin, nel Giura.

V.

Tali scoperte hanno questo d’importante, che esse giustificano non solamente il racconto del padre Charlevoix, ma ancora la storia dei nostri primi predicatori evangelici. Quando vennero la prima volta nelle nostre contrade pagane, dovettero molto combattere contro mostruosi dragoni, formidabili divinità degli abitanti. V’ha delle riviere, e perfino delle città che ne conservano il nome: come il Drac e il Draguignan.

VI.

Tutte le provincie dell’America del Sud si abbandonavano, come il Perù, ai sacrifìci umani ed all’antropofagia. Ne abbiamo una prova nella bolla di san Pio V, con la quale il Papa prescrive ai missionari d’obbligare gl’indigeni a vivere almeno secondo la legge naturale, evitando tutto ciò che degrada l’umanità, come i sacrifici sanguinosi di vittime umane, che si perpetuavano nelle contrade più recondite e meno conosciute, al di là della linea equinoziale [Touron, Hist, gen. de l’Amerique, t. X, p. 133].

VII.

Nel numero delle ricche contrade dell’America del Sud, conquistate dagli Spagnoli, risplende sopra tutte la Nuova Granata. Era molto tempo che questo bel paese gemeva sotto l’impero di satana, che l’inondava di sangue umano e lo bruttava d’indicibili turpitudini. Ma finalmente, nel mese di gennaio 1590, il demonio fu espulso dalla sua cittadella.

VIII.

La tribù di Ramiriqui, non ha guari evangelizzata dal domenicano Pietro Duran, era allora affidata alle cure del padre Diego Manura. Il buon missionario si lusingava d’avere ritratto questo popolo dalle favole dell’idolatria, quando riconobbe d’essersi ingannato. Gli venne infatti a notizia, che nei dintorni della città di Ramiriqui esisteva un luogo segreto, nel quale i principali indigeni si riunivano con non poca precauzione, continuando ad onorarvi i loro idoli con ricche offerte d’oro, di smeraldo, e d’ altri oggetti preziosi, e fino con vittime umane.

IX.

Il luogo dove queste abominazioni si praticavano, era nella cavità d’una gran roccia, il cui piccolo ingresso, chiuso ben bene da una pietra piana e quadrata, non permetteva all’occhio di veder dentro. Al fondo d’una sala spaziosissima era posto il grande idolo. Era un pezzo di legno tagliato in forma d’uccello, d’una grandezza smisurata e coperto di penne d’una varietà ammirabile. Da secoli gli schiavi del demonio adoravano questo simulacro, senza levare il minor dubbio sulla sua divinità, né sulla verità delle cose che, per suo organo, lo spirito delle tenebre annunziava. Si sacrificavano a lui de’fanciulli; giovani vergini consacrate al suo culto abitavano giorno e notte la caverna tenebrosa.

X.

Cristiani di nome, ma idolatri di fatto, una folla d’indigeni, che assistevano la mattina alle riunioni de’ fedeli nelle chiese, accorreva la sera a prender parte a sanguinari sacrifìci in questa grotta remota. Coloro che erano sinceramente convertiti non osavano denunziare l’apostasia segreta degli ipocriti. Tuttavia una vecchia indigena, coraggiosa serva di Gesù Cristo, n’avverti con pericolo della sua vita il padre Manura. Ella gl’indicò il luogo, l’ora delle radunanze, le abominazioni che vi si commettevano, fino il nome dei principali colpevoli.

XI.

Il missionario andò a consultare a Tunja il suo provinciale. Questi gli raccomandò di verificar da se stesso il mistero d’iniquità, e fece pregare tutta la comunità pel successo dell’impresa. Il missionario si veste da borghese, e recasi una notte in mezzo all’assemblea, pensando che col favore dell’oscurità e della folla, potrebbe ritirarsi senza essere riconosciuto. Già era stato testimone delle cerimonie, dei sacrifica umani e d’alcune altre abominazioni, allorché Iddio permise che il demonio, per la bocca dell’idolo, facesse udire queste parole: Cacciate di qui quel frate. Gl’indigeni, sorpresi e trasportati dalla collera, misero grandi grida, chiedendo dove fosse il religioso, affine d’immolarlo immantinente.

XII.

Il trambusto della riunione facilita al missionario il modo di fuggire. All’indomani, accompagnato da altri missionari e da una scorta armata, ritorna alla fatale rupe. I soldati s’impadroniscono del grande uccello e d’una parte dei piccoli idoli, posti in ordine attorno ad esso. Il padre Manura fa trasportare questi simulacri sulla piazza pubblica di Ramiriqui, dove un gran fuoco li consuma all’istante.

XIII.

In quel momento gli apostati montano in furore. Gli uni prorompono in minacce, altri corrono alle armi, ma la presenza delle truppe spagnole li ritiene. I ribelli impauriti si riservano di vendicare in segreto col sangue del missionario l’ingiuria fatta ai loro dèi. Il ministro di Gesù Cristo, lungi dal nascondersi, si presenta loro intrepidamente. Lo Spirito Santo mette nella sua bocca parole sì persuasive, che i più irritati prorompono in pianto e corrono alla grotta, donde tolgono via il resto dei piccoli idoli e li gettano nel fuoco, che aveva consumati i primi. Di più, indicano ai missionari altre caverne, nelle quali si trovavano ancora degl’idoli, e si commettevano somiglianti orrori [Hist. gen. des miss., t. Il, part. 1, p. 122]. Ecco quel che accadeva nel regno della Nuova Granata, prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

CAPITOLO XXXI

L’AMERICA DEL SUD.

(Continuazione)

I.

Prima d’arrivare ai Mussi, popoli anch’essi dell’America meridionale, passiamo a Cartagena, dove nel 1589 fecesi un’importante scoperta. Avendo l’arcivescovo di questa nuova città permesso ai religiosi riformati di San Francesco ed agli eremiti di Sant’Agostino fondar dei conventi, il padre Alfonso, eremita di Sant’Agostino, desiderò che il suo fosse fabbricato in forma di romitaggio, sopra un’alta collina rivestita di alberi.

II.

Scavandosi le fondamenta dell’edificio si trovò un sotterraneo ripieno d’idoli, dove alcuni indigeni tenevano ancora delle riunioni clandestine, e offrivano vittime umane al demonio. Questi idoli furono quali bruciati quali ridotti in pezzi, e la cappella che il padre Alfonso innalzò sul luogo stesso, per tanto tempo profanato, divenne celebre pel concorso e la venerazione dei fedeli [Touron, Hist., t. XIII, p. 463].

III.

Dopo l’apparizione degli Spagnoli nel paese che più tardi formò il governo di Santa Marta, furono scoperti i Mussi, popoli quanto feroci altrettanto corrotti, i quali si nutrivano di carne umana cruda, sovente tagliata su di un uomo tuttora vivo. Questi esseri, sì profondamente corrotti, abitavano le foreste ed alcune montagne fra il paese di Venezuela, e l’estrema frontiera del nuovo regno di Granata.

IV.

Non si vedevano presso questi antropofagi né tempi, né altari, né idoli; due piramidi, molto discoste l’una dall’altra, erano l’unico oggetto del loro culto; piramidi sì alte che la loro sommità sembrava perdersi nelle nuvole, e la cui base occupava almeno un quarto di lega. Una di queste piramidi esisteva ancora intera al decimosettimo secolo; ma la sommità dell’ altra era stata portata via da un vento impetuoso. Quei popoli davano all’una il nome di Dea madre, ed all’altra quello di Dea figlia. Ai piedi di queste ridicole divinità sgozzavano vittime umane, di cui spargevano il sangue e divoravano i brani più grati al loro gusto, prima che tali vittime avessero dato l’ultimo respiro. [Tuuron, Hist. t. XIV, p. 241,].

V.

A somiglianza della maggior parte de’popoli dell’Europa pagana, i Mussi trattavano da nemici tutti gli stranieri che osavano associarsi agli omaggi resi alle loro piramidi, che chiamavano loro divinità tutelari. Alcuni dei più superstiziosi fra i loro vicini, azzardavano talora questo pericoloso pellegrinaggio; ma essi avevano cura di circondarsi di mistero; sapendo che, sorpresi nei loro tentativi, sarebbero mangiati vivi.

VI.

I Mussi erano particolarmente formidabili per le loro armi, le quali erano avvelenate col veleno mortale dell’aspide. Essi tuffavano in questo veleno micidiale non pure le frecce, ma anche le spine che spargevano ovunque traessero i loro avversari. Chiunque si trovava ferito, leggiera che si fosse la piaga, non tardava a vedere le sue carni cadere a brani.

VII.

L’orgoglio di questi cannibali eguagliava la loro ignoranza, la loro ferocia e la loro depravazione. Caduti nell’ultimo grado dell’umanità, si credevano essi i più saggi, i più nobili ed i più fortunati degli uomini. Di qui il loro grande disprezzo per ogni istruzione, e per chiunque volesse istruirli. Questa folle presunzione, congiunta alla più brutale ferocia, avrebbe fatto disperare di loro conversione, se la grazia divina non fosse stata capace di suscitar dalle pietre stesse figliuoli ad Abramo.

VIII.

Molti missionarii diedero la vita nella coraggiosa impresa di cacciar satana da questo covile, che pareva impenetrabile. Cosi il sangue de martiri fecondò questa terra ingrata, e dodici popoli che l’abitavano, richiamati dall’estremo della barbarie alla dignità umana, furono inalzati fino al carattere di cristiano [Touron, Hist. t. XIV, p. 241]. Ecco quel che accadeva presso i Mussi prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

IX.

Per rapporto ai costumi, era vi molta analogia fra i Mussi e i Picaos loro vicini. Questi avevano pure un carattere particolare di ferocia. Usi a vivere da animali carnivori, si nutrivano di carne umana, di cui avevano pubblici macelli. Le loro frecce erano come quelle de’ Mussi avvelenate; e ne avevano altre che mettevano fuoco a qualunque combustibile toccassero. Armi funeste, con le quali portavano il terrore in tutte le tribù vicine. Allorché nel 1605, il presidente della Nuova Granata assali i Picaos nel proprio territorio, le frecce del nemico volarono fino al campo degli Spagnuoli, e ne bruciarono le tende, i bagagli e i viveri. Nondimeno, questi terribili selvaggi subirono l’influenza del Clericalismo e divennero dolci siccome agnelli. L’eccellente padre Mancera rallegravasi in Dio del successo che veniva ottenendo in una delle provincie del regno della Nuova Granata. Volando a nuove conquiste, arrivò nella provincia di Guacheta; vi predicò e vi guadagnò un certo numero di anime.

X.

Passeggiando un giorno per la campagna, incontrò un ecclesiastico che gli diede le seguenti informazioni: « In certe epoche dell’anno, gli disse, i Guachetani ed una tribù vicina si recano a truppa in un medesimo luogo, ed ivi si danno ad un preteso giuoco appellato mona, ma che è un vero combattimento dove i vincitori e i vinti spargono moltissimo sangue, e che termina con sacrifici umani. »

XI.

Il padre Mancera fu egli stesso testimone oculare della sanguinosa abominazione. Pregato d’andare a conferire il Battesimo ad un piccolo fanciullo in pericolo di morte, vi si portò con tutta fretta, accompagnato dal medesimo ecclesiastico. Amministrato il battesimo, i due missionari passeggiavano su di un’altura, donde scorsero le due popolazioni venire alle mani in una vasta pianura. Prendendo la via che menava al campo di battaglia, s’imbatterono in un idolo gigantesco e mostruoso, piantato sopra un piedistallo che era tutto insanguinato. E compresero essersi su quell’altare immolate vittime umane al demonio.

XII.

Invece di slanciarsi inutilmente in mezzo all’accanito combattimento, il padre Mancera, col cuore trafitto dal dolore, va diritto a Guacheta. Appena riunitisi come eran soliti attorno a lui quei cittadini, ei parla con fuoco su quanto aveva veduto. Commossi fino alle lacrime, i suoi uditori convengono non solo sulla realtà del delitto, ma aggiungono che in ciascuna settimana era scannnato sul piedistallo un innocente garzone di quattordici anni. Il missionario, profittando delle buone disposizioni dell’uditorio, ordina che coloro i quali vogliono essere riconosciuti per cristiani, lo seguano all’istante per eseguir quanto egli loro prescriverà. Si conduce dinanzi all’idolo, e lo fa rovesciare e trasportare sulla piazza pubblica di Guacheta.

XIII.

Intanto i combattenti nella pianura, informati del rapimento del loro dio, accorrono per riprenderlo e vendicarlo. Vedendoli approssimare accesi di collera, il padre non prova la minima emozione. La sua parola inspirata li rende immobili. Senza dire una parola, essi lo vedono sputare all’idolo, calpestarlo e ridurlo in fiamme. Confusi allora dall’impotenza della loro divinità, confessano altamente d’essere stati ingannati, siccome i padri loro, ed abbracciano sinceramente il Cristianesimo. Ecco quel che accadeva a Guacheta prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone! [Continua …]

DONI DELLO SPIRITO SANTO

 

[Dom Guéranger: “Anno liturgico”, vol II]

Durante tutta questa settimana dovremo esporre le diverse operazioni dello Spirito Santo nella Chiesa e nelle anime dei fedeli; ma è necessario, fin da oggi, anticipare l’insegnamento che abbiamo a presentare. Ci sono dati sette giorni per conoscere e studiare il Dono supremo che il Padre e il Figlio hanno voluto inviarci, e lo Spirito, che procede dai due, si manifesta in sette modi nelle anime. È dunque giusto che ogni giorno di questa settimana sia consacrato ad onorare ed a raccogliere questo settenario di benefici, per mezzo dei quali dovrà operarsi la nostra salvezza e la nostra santificazione. I sette doni dello Spirito Santo sono sette fonti di energia che Egli degna deporre nelle nostre anime, quando vi penetra con la grazia santificante. Le grazie attuali mettono in movimento, simultaneamente o separatamente, quelle potenze divinamente infuse in noi, ed il bene soprannaturale e meritorio per la vita eterna si produce col consenso della nostra volontà. – Il Profeta Isaia, guidato dall’ispirazione divina, ci aveva fatto conoscere questi sette doni, nel brano in cui, descrivendo l’operazione dello Spirito Santo sull’anima del Figlio di Dio fatto uomo, che ci rappresenta come il fiore uscito dal ramo Verginale nato dal tronco di Jesse, ci dice: « Si poserà sopra di lui lo Spirito del Signore, Spirito di saviezza e discernimento. Spirito di consiglio e fortezza, Spirito di conoscenza e di pietà, e nel timore del Signore è la sua ispirazione » (Is. IX, 2-3). Niente di più misterioso che queste parole; ma si sente che ciò che esse esprimono non è una semplice enumerazione dei caratteri del divino Spirito, ma la descrizione degli effetti che opera nell’anima umana. Così l’ha compresa la tradizione cristiana, ed enunciata negli scritti degli antichi padri, e formulata con la teologia. – L’umanità sacra del Figlio di Dio incarnato è il tipo soprannaturale della nostra, e ciò che lo Spirito Santo ha operato in lei deve proporzionalmente aver luogo in noi. Egli ha deposto nel Figlio di Maria quelle sette forze che descrive il profeta; i medesimi doni sono stati preparati all’uomo rigenerato. Notiamo la successione che si manifesta nella loro serie. Isaia nomina prima lo Spirito di sapienza e finisce con quello del timor di Dio. La Sapienza è effettivamente, come vedremo, la più elevata delle prerogative alla quale possa giungere l’anima umana, mentre il Timor di Dio, secondo la profonda espressione del Salmista, non è che il principio e l’abbozzo di questa divina qualità. Si capisce facilmente che l’anima di Gesù chiamata a contrarre l’unione personale con il Verbo, sia stata trattata con una dignità particolare, in modo che il dono della Sapienza debba essere stato infuso in essa in una maniera primordiale, mentre il dono del Timor di Dio, qualità necessaria ad una natura creata, sia stata posta in lei soltanto come complemento. Per noi, al contrario, fragili e incostanti come siamo, il Timor di Dio è la base di tutto l’edificio ed è per mezzo suo che ci eleviamo di grado in grado fino a quella Sapienza che ci unisce a Dio. É dunque nell’ordine inverso di quello segnalato da Isaia nei riguardi del Figlio di Dio incarnato, che l’uomo s’innalza alla perfezione, per mezzo dei doni dello Spirito Santo, che gli sono stati conferiti nel Battesimo e che gli vengono resi nel Sacramento della riconciliazione, se ha avuto la sventura di perdere la grazia santificante per il peccato mortale. Ammiriamo con profondo rispetto l’augusto settenario, di cui troviamo l’impronta in tutta l’opera della nostra salvezza e della nostra santificazione. Sette sono le virtù che rendono l’anima gradita a Dio; per mezzo dei suoi sette Doni, lo Spirito Santo la conduce al suo fine; i sette Sacramenti le comunicano i frutti dell’Incarnazione e della Redenzione di Gesù Cristo; e, finalmente, dopo trascorse sette settimane dalla Pasqua, lo Spirito è mandato sulla terra per stabilirvi e consolidarvi il regno di Dio. Dopo tutto questo, noi non ci meraviglieremo che satana abbia cercato di fare una parodia sacrilega dell’opera divina, opponendole l’orribile settenario dei sette peccati capitali, per mezzo dei quali egli si sforza di perdere l’uomo che Dio vuole salvare.

IL DONO DEL TIMORE

L’orgoglio per noi è l’ostacolo al bene. È l’orgoglio che ci porta a resistere a Dio, a mettere il nostro fine in noi stessi; in una parola, a perderci. Solo l’umiltà può salvarci da un sì grande pericolo. Chi ce la darà? Lo Spirito Santo, infondendo in noi il dono del Timor di Dio. – Questo sentimento riposa sull’idea che la fede ci dà della maestà di Dio, in presenza del quale non siamo che un nulla; della sua Santità infinita, davanti alla quale non siamo che indegnità e sozzura; del giudizio sovranamente equo che dovrà esercitare su noi all’uscire da questa vita; e del pericolo di una caduta, sempre possibile, se non corrispondiamo alla grazia che non ci manca mai, ma alla quale possiamo resistere. – La salvezza dell’uomo si opera, dunque, « con timore e tremore », come c’insegna l’Apostolo (Fil. II, 12); ma questo timore, che è un dono dello Spirito Santo, non è un sentimento rudimentale che si limita a gettarci nello spavento al pensiero dei castighi eterni. Esso ci mantiene nella compunzione del cuore, anche quando i nostri peccati fossero da molto tempo perdonati; c’impedisce di dimenticare che siamo peccatori, che dobbiamo tutto alla misericordia divina, e che non siamo ancora salvi che in speranza (Rom. VIII, 24). – Questo timor di Dio non è dunque un timore servile, ma diviene, al contrario, la fonte dei sentimenti più delicati: può allearsi con l’amore, non essendo più che un sentimento filiale che teme il peccato a causa dell’oltraggio che reca a Dio. Ispirato dal rispetto della maestà divina, dal sentimento della sua santità infinita, colloca la creatura nel vero suo posto, e S. Paolo c’insegna che, purificandosi così, ci aiuta, « compiendo l’opera della nostra santificazione » (II Cor. IX, 27). È per questo che il grande Apostolo, che era stato rapito fino al terzo Cielo, ci confessa che è rigoroso verso se stesso « al fine di non essere condannato » (I Cor. IX, 27). – Lo spirito di indipendenza e di falsa libertà che regna oggi, contribuisce a rendere più raro il timor di Dio, ed è questa una delle piaghe del nostro tempo. La familiarità con Dio tiene troppo spesso il posto di questa disposizione fondamentale della vita cristiana, ed è allora che ogni progresso si arresta, l’illusione si introduce nell’anima, ed i sacramenti, che nel momento del ritorno a Dio avevano operato con tanta forza, divengono press’a poco sterili, E ciò accade perché il dono del timore è stato soffocato sotto la vana compiacenza dell’anima in se stessa. L’umiltà si è spenta; un orgoglio, segreto e universale, è venuto a paralizzare i movimenti di quell’anima, che arriva, senza accorgersene, a non conoscere più Iddio, per il fatto stesso che non trema più davanti a Lui. – Conservaci, dunque, o divino Spirito, il dono del timor di Dio, che hai diffuso in noi nel nostro Battesimo. Questo timore salutare ci assicurerà la perseveranza nel bene, arrestando il progresso dello spirito d’orgoglio. Che esso sia, dunque, come un dardo che attraversi la nostra anima da parte a parte, restandovi fissato sempre a nostra salvaguardia. Che esso abbassi la nostra alterigia, che ci strappi alla mollezza, rivelandoci, senza tregua, lo splendore e la santità di Colui che ci ha creati e che ci deve giudicare. Sappiamo, o divino Spirito, che questo beato timore non soffoca l’amore; ma, ben lungi da ciò, toglie, invece, gli ostacoli che impedirebbero il suo sviluppo. Le potenze celesti vedono ed amano ardentemente il Sommo Bene, e se ne sono inebriate per l’eternità; e, nondimeno, tremano di fronte a quella temibile maestà: « tremunt Potestates ». E noi, ricoperti dalle cicatrici del peccato, pieni d’imperfezione, esposti a mille insidie, obbligati a lottare contro tanti nemici, non sentiremo, forse, che dobbiamo stimolare con un forte timore filiale, nello stesso tempo, la nostra volontà che si addormenta così facilmente e il nostro spirito assediato da tante tenebre? Veglia sulla tua opera, o divino Spirito! Preserva in noi il dono prezioso che ti sei degnato di farci; insegnaci a conciliare la pace e la gioia del cuore con il timor di Dio, secondo questo avvertimento del Salmista: « Servite a Dio con timore e rendetegli omaggio con tremore» (Sai. II, 11).

PREGHIAMO

O Dio, che oggi hai ammaestrati i cuori dei fedeli con la luce dello Spirito Santo, donaci di gustare nello stesso Spirito la verità e di godere sempre della sua consolazione. 

IL DONO DELLA PIETÀ

Il Dono del Timor di Dio è destinato a guarire in noi la piaga dell’orgoglio; il dono della Pietà viene diffuso dallo Spirito Santo nelle nostre anime per combattere l’egoismo che è una delle cattive passioni dell’uomo decaduto, ed il secondo ostacolo alla sua unione con Dio. Il cuore del cristiano non deve essere né freddo né indifferente; bisogna che sia tenero e pronto alla dedizione; altrimenti non potrebbe elevarsi nella via nella quale Dio, che è amore, si è degnato di chiamarlo. Lo Spirito Santo produce, dunque, nell’uomo il dono della Pietà, ispirandogli una reciprocità filiale verso il suo Creatore. « Avete ricevuto lo Spirito d’adozione filiale, per il quale esclamiamo: Abba! o Padre! » (Rom. VIII, 15). Questa disposizione rende l’anima sensibile a tutto ciò che tocca l’onore di Dio. Fa sì che l’uomo coltivi in se stesso la compunzione dei peccati, vedendo l’infinita bontà di Colui che si è degnato di sopportarlo e perdonarlo, e pensando alle sofferenze ed alla morte del Redentore. L’anima iniziata al dono della Pietà desidera costantemente la gloria di Dio; vorrebbe condurre tutti gli uomini ai suoi piedi, e gli oltraggi che egli riceve sono particolarmente dolorosi per essa. La sua gioia è di vedere il progresso delle anime nell’amore, e gli atti di dedizione che esso ispira loro verso Colui che è il sommo bene. Piena di sottomissione filiale verso questo Padre universale che è nei Cieli, ella si tiene pronta per fare in tutto la sua volontà, e si rassegna di cuore a tutte le disposizioni della sua provvidenza. – La sua fede è semplice e viva. Ella resta amorosamente sottomessa alla Chiesa, sempre pronta a rinunciare anche alle sue idee più care, se dovessero scostarsi in qualche cosa dai suoi insegnamenti o dalle sue pratiche, avendo un orrore istintivo della novità e dell’indipendenza. Questo sentimento di dedizione a Dio che ispira il dono della Pietà, unendo l’anima al suo Creatore con affetto filiale, la unisce con affetto fraterno a tutte le creature, poiché esse sono l’opera della potenza di Dio e Gli appartengono. In prima linea, tra le affezioni del cristiano, animato dal dono della Pietà, si pongono quelle verso le creature glorificate, delle quali Dio gode eternamente e che, a loro volta, godono pure per sempre di Lui. Egli ama teneramente Maria, è geloso del suo onore; venera amorosamente i Santi; ammira con effusione il coraggio dei martiri, e gli atti eroici di virtù compiuti dagli amici di Dio; si diletta dei loro miracoli, e onora devotamente le loro sacre reliquie. Ma la sua affezione non si limita solamente alle creature già coronate nel cielo; quelle che sono ancora sulla terra tengono pure un gran posto nel suo cuore. Il dono della Pietà gli fa trovare in esse lo stesso Gesù. La sua benevolenza verso i fratelli è universale. Il suo cuore è disposto al perdono delle ingiurie, a sopportare le altrui imperfezioni, alla scusa verso i torti del prossimo. Egli è compassionevole verso i poveri, sollecito verso gli infermi. Una affettuosa dolcezza rivela il fondo del suo cuore; e nei rapporti con i suoi fratelli della terra lo si vede sempre disposto a piangere con quelli che piangono, a rallegrarsi con quelli che sono nella gioia. – Tali sono, o divino Spirito, le disposizioni di coloro che coltivano il dono della Pietà, che hai riversato nelle anime loro. Per mezzo di questo ineffabile favore, neutralizzi quel triste egoismo che sciuperebbe il loro cuore, li liberi da quell’odiosa aridità che rende l’uomo indifferente verso i suoi fratelli, e chiudi la sua anima all’invidia e all’odio. Per tutto ciò non è stata necessaria che questa pietà filiale verso il creatore; essa ha intenerito il suo cuore, ed il cuore si è impregnato di una viva affezione per tutto ciò che è uscito dalle mani di Dio. Fa’ fruttificare in noi un sì prezioso dono; non permettere che esso venga soffocato con l’amore di noi stessi. Gesù ci incoraggia dicendoci che il Padre celeste « fa sorgere il suo sole sopra cattivi e buoni » (Mt. V, 45). Non permettere, o divino Paracleto, che una tale paterna indulgenza sia un esempio perduto per noi, e degnati di sviluppare nelle anime nostre questo seme di dedizione, di benevolenza e di compassione che vi hai posto nello stesso momento in cui ne prendevi possesso per mezzo del Santo Battesimo.

IL DONO DELLA SCIENZA

L’anima che è stata distaccata dal male mediante il timor di Dio, ed aperta ai nobili affetti dal dono della pietà, sente il bisogno di sapere con quali mezzi eviterà ciò che forma l’oggetto della sua paura e potrà trovare ciò che deve amare. Lo Spirito Santo viene in suo aiuto; e le porta quanto desidera, diffondendo in essa il dono della scienza. Con questo dono prezioso, le appare chiaramente la verità, capisce ciò che Dio domanda e ciò che Dio riprova, ciò che deve cercare e ciò che deve fuggire. Senza la scienza divina, con la nostra vista corta, rischiamo di perderci, a causa delle tenebre che troppo spesso oscurano in tutto od in parte l’intelligenza dell’uomo. Queste tenebre, prima di tutto, provengono dal fondo di noi stessi, che portiamo ancora le tracce troppo reali della nostra decadenza. Esse hanno anche, come causa, i pregiudizi e le massime del mondo, le quali, ogni giorno, falsano spiriti, che pur si credevano fra i più retti. E finalmente l’azione di satana, il principe delle tenebre, esercitata in gran parte con lo scopo di circondare la nostra anima di oscurità, o di perderla coll’aiuto di falsi miraggi. La fede, che ci è stata infusa nel Battesimo, è la luce dell’anima nostra. Per mezzo del dono della scienza, lo Spirito Santo fa rilucere questa virtù di vividi raggi, atti a dissipare tutte le tenebre. – Si schiariscono allora i dubbi, svanisce l’errore, e la verità appare in tutto il suo splendore. Si vede ogni cosa sotto la vera luce, che è quella della fede. Si scoprono i deplorevoli errori che si diffondono per il mondo, che seducono un sì gran numero di anime, e dei quali, forse, noi stessi siamo stati a lungo le vittime. Il dono della scienza ci rivela il fine che Dio si è proposto nella creazione, quel fine, all’infuori del quale gli esseri non saprebbero trovare né il bene né il riposo. C’insegna l’uso che noi dobbiamo fare delle creature, che ci sono state date, non per essere uno scoglio, ma per aiutarci nel cammino verso Dio. Manifestandoci così il segreto della vita, la nostra strada diventa sicura, non esitiamo più; e ci sentiamo disposti a ritirarci da ogni via che non ci conduce verso tale fine. – È a questa scienza, dono dello Spirito Santo, che l’Apostolo si rivolge quando, parlando ai cristiani, dice loro: « Un tempo eravate tenebre, ora invece siete luce nel Signore: diportatevi da figlioli della luce » (Ef. V, 8). Da essa viene quella fermezza, quella sicurezza della condotta cristiana. L’esperienza può mancare qualche volta, e il mondo si meraviglia all’idea dei passi falsi che sono da temere; ma il mondo conta senza il dono della scienza. « Il Signore conduce il giusto per le vie rette, e per assicurare i suoi passi gli ha dato la scienza dei santi » (Sap. X, 10). – Questa lezione ci viene data ogni giorno. Il cristiano, per mezzo della luce soprannaturale, sfugge a tutti i pericoli, e, se non ha esperienza propria, ha quella di Dio. – Sii benedetto, divino Spirito, per questa luce che diffondi su di noi, che ci mantieni con sì amabile perseveranza. Non permettere che ne cerchiamo mai un’altra. Ella sola ci basta; e all’infuori di essa non vi sono che tenebre. Proteggici dalle tristi conseguenze, alle quali molti si lasciano andare imprudentemente, accettando oggi la tua guida e abbandonandosi l’indomani ai pregiudizi del mondo; camminando così in una doppia via che non soddisfa né il mondo né Te. Ci occorre, quindi, l’amore di questa scienza, che ci hai dato affinché fossimo salvi; questa scienza salutare rende geloso il nemico delle anime nostre, che vorrebbe sostituire le sue ombre. Non permettere, divino Spirito, che riesca nel suo perfido disegno, ed aiutaci sempre a discernere ciò che è vero da ciò che è falso, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Che, secondo la parola di Gesù, il nostro occhio sia semplice, affinché il corpo, ossia l’insieme delle nostre azioni, dei nostri desideri e dei nostri pensieri, resti nella luce (Mt. VI, 23); e salvaci da quell’occhio che Gesù chiama cattivo e che rende tenebroso l’intero corpo.

IL DONO DELLA FORTEZZA

Il dono della scienza ci ha insegnato ciò che dobbiamo fare e ciò che dobbiamo evitare per essere conformi al disegno di Gesù Cristo, nostro divino Capo. Bisogna adesso che lo Spirito Santo stabilisca in noi il principio dal quale poter attingere l’energia che dovrà sostenerci nella via che ci ha indicato poco fa. Infatti noi sappiamo che incontreremo certamente degli ostacoli, ed il gran numero di quelli che soccombono basta a convincerci della necessità che abbiamo di essere aiutati. Questo soccorso ci viene dallo Spirito divino che ci comunica il dono della fortezza, per mezzo del quale, se noi saremo fedeli a servircene, ci sarà possibile, ed anche facile, trionfare di tutto ciò che potrebbe arrestare il nostro cammino. – Nelle difficoltà e nelle prove della vita, l’uomo ora è portato alla debolezza e all’abbattimento, ora è spinto da un ardore naturale che ha la sua sorgente nel temperamento o nella vanità. Questa doppia disposizione porterebbe raramente la vittoria nella lotta che l’anima deve combattere per la sua salvezza. Lo Spirito Santo ci porta dunque un elemento nuovo: questa forza soprannaturale, talmente propria in Lui, che il Salvatore, istituendo i sacramenti, ne ha stabilito uno che ha per oggetto speciale di darci questo divino Spirito come principio di energia. È fuori dubbio che, dovendo lottare durante questa vita contro il demonio, il mondo e noi stessi, ci occorre ben altro per resistere che la pusillanimità o l’audacia. Abbiamo bisogno di un dono che moderi in noi la paura, e, nello stesso tempo, che temperi la fiducia che noi saremmo portati a mettere in noi stessi. L’uomo, modificato così dallo Spirito Santo, vincerà sicuramente; poiché la grazia supplirà in lui alla debolezza della natura e, nel medesimo tempo, correggerà la sua foga. – Due necessità si incontrano nella vita del cristiano: egli deve saper resistere e deve saper sopportare. Che potrebbe opporre alle tentazioni di Satana, se la forza del divino Spirito non venisse a ricoprirlo di un’armatura celeste e ad agguerrire il suo braccio? Il mondo non è forse anche il suo avversario terribile, se si considera il numero delle vittime che fa ogni giorno con la tirannia delle sue massime e delle sue pretese? Quale deve essere, dunque, l’assistenza del divino Spirito, quando si tratta di rendere il cristiano invulnerabile ai dardi che uccidono e che fanno tante rovine intorno a lui? Le passioni del cuore dell’uomo non sono un ostacolo minore alla sua salvezza ed alla sua santificazione: ostacolo tanto più temibile in quanto è più intimo. Bisogna che lo Spirito Santo trasformi il cuore, che lo trascini anche a rinunziare a se stesso, quando la luce celeste c’indicherà una via diversa da quella verso la quale ci spinge l’amore della ricerca di noi stessi. Quale forza divina ci vuole, per « odiare la propria vita », quando Gesù Cristo lo esige (Gv. XII, 25), quando si tratta di fare la scelta tra due padroni il cui servizio è incompatibile? (Mt. VI, 24). Lo Spirito Santo fa ogni giorno questi prodigi per mezzo del dono che ha diffuso in noi, se noi non lo disprezziamo, se non lo soffochiamo nella nostra viltà e nella nostra imprudenza. Insegna al cristiano a dominate le passioni, a non lasciarsi condurre da queste cieche guide, a non cedere ai suoi istinti che quando essi sono conformi all’ordine che Dio ha stabilito. – Qualche volta questo divino Spirito non domanda solamente al cristiano di resistere interiormente ai nemici dell’anima, ma esige che protesti apertamente contro l’errore ed il male, se il dovere di stato o la sua posizione lo reclamano. È allora che bisogna affrontare quella specie d’impopolarità che spesso si riversa sul cristiano, e che non dovrà sorprenderlo, ricordandosi le parole dell’Apostolo: « Se io cercassi di piacere agli uomini non sarei servo di Cristo » (Gal. I, 10). Ma lo Spirito Santo non manca mai, e quando Egli trova un’anima risoluta ad usare della forza divina di cui Egli è la sorgente, non solamente le assicura il trionfo, ma ordinariamente la stabilisce in quella pace, piena di dolcezza e di coraggio, che ci porta la vittoria sulle passioni. – Tale è la maniera con la quale lo Spirito Santo applica il dono della fortezza nel cristiano, quando questi è obbligato alla resistenza. Abbiamo detto che questo prezioso dono ci dà nello stesso tempo l’energia necessaria per sopportare le prove che formano il prezzo della nostra salvezza. Vi sono degli spaventi che agghiacciano il coraggio e possono trascinare l’uomo alla perdizione. Il dono della fortezza li dissipa; li rimpiazza con una calma ed un senso di sicurezza sconcertanti per la natura. Guardate i martiri, e non solamente S. Maurizio, capo della legione Tebea, abituato alle lotte del campo di battaglia; ma una Felicita, madre di sette figli, una Perpetua, nobile dama di Cartagine, per la quale il mondo non aveva che favori; una Agnese, fanciulla di tredici anni, e tante altre migliaia, e dite se il dono della fortezza è sterile nei sacrifici. Dov’è andata la paura della morte, il cui solo pensiero qualche volta ci opprime? E quelle generose offerte di tutta una vita immolata nella rinuncia e nelle privazioni, per trovare unicamente Gesù e seguirne le tracce più da vicino! E tante esistenze nascoste agli sguardi distratti e superficiali degli uomini, esistenze in cui l’elemento principale è il sacrificio, in cui la serenità non si lascia mai vincere dalla prova, in cui la croce, che si moltiplica sempre, sempre viene accettata! Quali trofei per lo Spirito di fortezza! Quali atti di dedizione al dovere Egli sa generare! E se l’uomo, per se stesso è poca cosa, come cresce in dignità sotto l’azione dello Spirito Santo! È ancora Lui che aiuta il cristiano a superare la brutta tentazione del rispetto umano, elevandolo al di sopra delle considerazioni mondane che gli detterebbero un’altra condotta. È Lui che spinge l’uomo a preferire la gioia di non aver violato i comandamenti del suo Dio, a quella frivola di seguire gli onori del mondo. È questo Spirito di fortezza che fa accettare gli infortuni quali altrettanti disegni misericordiosi del Cielo; che sostiene il coraggio del cristiano nella perdita così dolorosa di esseri cari, nelle sofferenze fisiche che gli renderebbero la vita pesante, se non sapesse che esse sono le visite del Signore. È Lui, finalmente, come lo leggiamo nella vita dei Santi, che si serve delle stesse ripugnanze della natura, per provocare quegli atti eroici in cui la creatura umana sembra aver sorpassato il limite del suo essere per elevarsi al rango degli spiriti impassibili e glorificati. – Spirito di fortezza, resta sempre più in noi, e salvaci dalla mollezza di questo secolo. In nessun’altra epoca l’energia delle anime è stata più debole, lo spirito mondano ha maggiormente trionfato, il sensualismo si è fatto più insolente, l’orgoglio e l’indipendenza più pronunciati. Saper essere forti contro se stessi, è una rarità che eccita lo stupore in coloro che ne sono testimoni: tanto le massime del Vangelo hanno perduto terreno. Trattienici su questo pendio che, come tanti altri, ci trascinerebbe al male, o divino Spirito! Permetti che noi ti indirizziamo, in forma di domanda, quei voti che Paolo formulava per i cristiani di Efeso, e che noi osiamo reclamare dalla tua generosità, l’armatura di Dio che ci permetterà di tener duro nel giorno cattivo e di rimanere perfetti in tutte le cose. Cingi i nostri fianchi con la verità, rivestici della corazza della giustizia, e calzaci i piedi con l’alacrità che dà il Vangelo di pace. Armaci dello scudo della fede, col quale potremo estinguere i dardi infuocati del maligno; metti sul nostro capo l’elmo della speranza per la salvezza e nelle mani la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (Cfr, Ef. VI, 11-17), con l’aiuto del quale, come il Signore nel deserto, noi possiamo riportare la vittoria su tutti i nostri avversari. Spirito di fortezza, fa’ che così sia.

IL DONO DEL CONSIGLIO

Il dono della fortezza di cui abbiamo riconosciuto la necessità nell’opera di santificazione del cristiano, non sarebbe sufficiente per assicurare questo grande risultato, se il divino Spirito non avesse preso cura di unirlo ad un altro dono che lo segue e che previene da ogni pericolo. Questo nuovo beneficio consiste nel dono del consiglio. – La fortezza non si potrebbe lasciare abbandonata a se stessa; le è necessario un elemento che la diriga. Il dono della scienza, non potrebbe esserlo, perché, se illumina l’anima sul suo fine e sulle regole generali della condotta che deve tenere, non porta una luce sufficiente sulle applicazioni speciali della legge di Dio e sulla direzione della vita. Nelle diverse situazioni in cui potremmo essere posti, nelle decisioni che potremmo aver bisogno di prendere, è necessario che sentiamo la voce dello Spirito Santo, ed è per mezzo del dono del consiglio che questa voce divina arriva fino a noi. Essa ci dice, se vogliamo ascoltarla, ciò che dobbiamo fare e ciò che dobbiamo evitare; ciò che dobbiamo dire e ciò che dobbiamo tacere; ciò che possiamo conservare e ciò cui dobbiamo rinunziare. Per mezzo del dono del consiglio, lo Spirito Santo agisce sulla nostra intelligenza, nello stesso modo che, col dono della fortezza, agisce sulla nostra volontà. Questo dono prezioso deve essere applicato durante tutta la nostra vita; perché continuamente ci dobbiamo decidere per un partito o per l’altro; e deve essere causa di una grande riconoscenza verso lo Spirito divino il pensiero che Egli non ci lascia mai abbandonati a noi stessi finché siamo disposti a seguire la direzione che ci imprime. Quanti agguati può farci evitare! quante illusioni può distruggere in noi! quante realtà ci fa scoprire! ma, per non perdere le sue ispirazioni, bisogna che ci salvaguardiamo dalle attrattive naturali che, troppo spesso, influiscono sulle nostre decisioni: dalla temerità che ci trascina secondo il piacere delle passioni; dalla precipitazione che ci rende troppo solleciti nel giudicare e nell’agire, anche quando non abbiamo ancora visto che un lato delle cose; e, finalmente, dall’indifferenza che fa sì che noi decidiamo a caso, per timore di affaticarci nella ricerca di ciò che sarebbe per il meglio. Lo Spirito Santo, col dono del consiglio, strappa l’uomo a tutti questi inconvenienti. Corregge la natura così spesso eccessiva, quando non è apatica. Mantiene l’anima attenta a ciò che é vero, a ciò che è buono, a ciò che le è veramente vantaggioso. Le insinua questa virtù, che è il complemento ed il nutrimento necessario per far sviluppare tutte le altre; intendiamo dire la discrezione, di cui ha il segreto, per mezzo della quale le virtù si conservano, si armonizzano e non degenerano in difetti. Sotto la direzione del dono del consiglio il cristiano non ha nulla da temere; lo Spirito Santo prende su di sé la responsabilità di tutto. Che importa, dunque, che il mondo condanni o critichi, che si stupisca o si scandalizzi? Il mondo si crede saggio; ma non ha il dono del consiglio. Per questo accade spesso che le risoluzioni prese sotto la sua ispirazione portano ad un fine ben diverso da quello che si era proposto. E doveva essere così; poiché è adesso che il Signore ha detto: « non quali i miei pensieri sono i pensieri vostri, né quale la vostra condotta è la mia » (Is. LV. 8).Domandiamo, dunque, con tutto l’ardore del nostro desiderio, il dono divino che ci preserverà dal pericolo di guidarci da noi stessi. Ma comprendiamo pure che questo dono non abita che in coloro che lo stimano abbastanza, per rinunciare a se medesimi in sua presenza. – Se lo Spirito Santo ci trova staccati dalle idee umane, convinti della nostra fragilità, si degnerà di essere il nostro Consiglio, mentre se ci credessimo savi di fronte ai nostri occhi, ritirerebbe la sua luce e ci lascerebbe a noi stessi. Non vogliamo che ci accada questo, o divino Spirito! Per esperienza sappiamo troppo che non ci è di vantaggio di correre i rischi della prudenza umana, e abdichiamo sinceramente, di fronte a Te, le pretese del nostro spirito, così pronto ad abbagliarsi e a farsi delle illusioni. Conserva e degnati di sviluppare in noi, in piena libertà, questo dono ineffabile che ci hai concesso nel Battesimo: sii per sempre il nostro consiglio: « Facci conoscere le tue vie, e insegnaci i tuoi sentieri. Dirigici nella Verità e ci istruisci; poiché è da te che ci verrà la salvezza, ed è per questo che noi ci attacchiamo alla tua condotta » (Sal. CXVIII). Noi sappiamo che saremo giudicati su tutte le nostre opere e su tutte le nostre intenzioni; ma sappiamo anche che non avremo niente da temere finché saremo fedeli alla tua guida. Staremo, dunque, attenti « ad ascoltare ciò che dice in noi il Signore nostro Dio » (Sal. LXXXIV, 9), lo Spirito del Consiglio, sia che egli ci parli direttamente sia che ci rimandi all’istrumento che avrà scelto per noi. Sii dunque benedetto. Gesù, che ci hai inviato lo Spirito per essere la nostra guida, e benedetto sia questo divino Spirito, che si degna di darci sempre la sua assistenza, e che le nostre resistenze passate non hanno allontanato da noi!

IL DONO DELL’INTELLETTO

Questo sesto dono dello Spirito Santo fa entrare l’anima in una via superiore a quella nella quale si è intrattenuta fin qui. I cinque primi doni tendono tutti all’azione. Il timor di Dio rimette l’uomo al suo posto, umiliandolo; la pietà apre il suo cuore agli affetti divini; la scienza gli fa discernere la via della salvezza dalla via della perdizione; la fortezza lo arma per la lotta; il consiglio lo dirige nei pensieri e nelle opere; egli dunque adesso può agire e proseguire nella sua strada con la speranza di arrivare al termine. Ma la bontà del divino Spirito gli riserva anche altri favori. Ha risolto di farlo godere, fin da questo mondo, di un preludio della felicità che gli riserva nell’altra vita. Sarà il mezzo per rendere sicuro il suo cammino, per animare il suo coraggio, per ricompensare i suoi sforzi. D’ora in avanti gli sarà dunque aperta la via della contemplazione, ed il divino Spirito ve lo introdurrà per mezzo dell’Intelletto. A questa parola di « contemplazione », forse molte persone si agiteranno, persuase, a torto, che l’elemento che significa non potrebbe incontrarsi che nelle rare condizioni di una vita passata nel ritiro e lontana dal commercio degli uomini. É un grave e pericoloso errore, che troppo spesso arresta lo slancio delle anime. La contemplazione è uno stato nel quale viene chiamata, in una certa misura, qualunque anima che cerchi Iddio. Essa non consiste nei fenomeni che lo Spirito Santo si compiace di manifestare in alcune persone privilegiate, e che destina a provare la realtà della vita soprannaturale. Essa è, semplicemente, quella relazione più intima che si stabilisce tra Dio e l’anima che gli è fedele nell’azione; a quest’anima, se non mette ostacoli, sono riservati due favori, di cui il primo è il dono dell’Intelletto, che consiste nell’illuminazione dello spirito rischiarato ormai da una luce superiore. Questa luce non toglie la fede, ma rischiara l’occhio dell’anima, fortificandola, dandole una più estesa visuale delle cose divine. Molte nubi svaniscono, perché provenivano dalla debolezza e dalla grossolanità dell’anima, non ancora iniziata. Si rivela la bellezza, piena d’incanto, di quei misteri che non si sentivano che vagamente; appariscono ineffabili armonie, che non si supponevano neppure esistere. Non è il vedere a faccia a faccia, cosa riservata per il giorno eterno; ma non è già più quel debole barlume che dirigeva i nostri passi. Un insieme di analogie, di convenienze, che successivamente si mostrano all’occhio dello spirito, vi portano una dolce certezza. L’anima si dilata a questo chiarore che arricchisce la fede, accresce la speranza e sviluppa l’amore. Tutto le sembra nuovo; e, quando essa volge indietro lo sguardo, fa il paragone, e vede chiaramente che la verità, sempre la stessa, è adesso da lei afferrata in una maniera incomparabilmente più completa. – La narrazione dei Vangeli l’impressiona assai più; trova un sapore per lei sconosciuto fino allora nelle parole del Salvatore. Comprende assai meglio il fine che si è proposto istituendo i sacramenti. La Sacra Liturgia la commuove con le sue formule così maestose ed i suoi riti così profondi. La lettura della Vita dei Santi l’attira, niente la meraviglia nei loro sentimenti e nei loro atti. Gusta i loro scritti più che tutti gli altri, e sente un accrescimento di benessere spirituale, avvicinando questi amici di Dio. Circondata dei più disparati doveri, la fiaccola divina la guida per adempierli tutti. Le virtù così diverse che deve praticare si conciliano nella sua condotta; l’una non è mai sacrificata all’altra, perché vede l’armonia che deve regnare fra di esse. Vive lontano dallo scrupolo, come dal rilassamento, ed è sempre pronta a riparare i falli che ha potuto commettere. Qualche volta il divino Spirito l’istruisce anche con una parola interiore che la sua anima comprende e che le serve a chiarire la sua situazione con una nuova luce. D’ora in avanti il mondo e i suoi vani errori vengono apprezzati per quel che valgono, e l’anima si purifica dai resti di quell’attaccamento e di quella compiacenza che poteva ancora conservare al riguardo. Ciò che è grande e bello secondo la natura, sembra vile e misero a quest’occhio che lo Spirito Santo ha aperto agli splendori ed alle bellezze divine ed eterne. Un solo lato riscatta ai suoi occhi questo mondo esteriore, che forma l’illusione dell’uomo sensuale: è che la creatura visibile, che porta la traccia della beltà di Dio, è suscettibile di servire alla gloria del suo Autore. L’anima impara ad usarne, unendovi atti di ringraziamento, rendendola soprannaturale, glorificando col Re-Profeta colui che ha lasciato l’impronta dei suoi tratti e della sua bellezza in questa moltitudine di esseri che servono così spesso alla perdita dell’uomo, mentre sono chiamati a divenire la scala che lo dovrebbe condurre a Dio. – Il dono dell’Intelletto diffonde anche nell’anima la conoscenza della propria via. Le fa comprendere quanto sono stati saggi e misericordiosi i disegni superni che, qualche volta, l’hanno spezzata e trasportata là, ove non contava di andare. Ella vede che, se fosse stata padrona di disporre della sua esistenza, avrebbe mancato al suo fine, e che Dio ve l’ha fatta arrivare nascondendole in principio i disegni della sua paterna sapienza. Adesso è felice, poiché gode la pace, ed il suo cuore non sa come ringraziare adeguatamente Iddio che l’ha condotta al termine, senza consultarla. Se capita che sia chiamata a dare consigli, ad esercitare una direzione, per dovere o per motivi caritatevoli, possiamo affidarci a lei; il dono dell’Intelletto l’illumina per gli altri come per se stessa. Non si ingerisce, però, a dare lezioni a coloro che non gliene domandano; ma se viene interrogata, risponde, e le sue risposte sono luminose come la fiaccola che la rischiara. Tale è il dono dell’Intelletto, vera illuminazione dell’anima cristiana, che si fa sentire ad essa in proporzione della fedeltà che ha nel far uso degli altri doni. Questo si conserva con l’umiltà, la moderazione dei desideri ed il raccoglimento interiore. Una condotta dissipata ne arresterebbe lo sviluppo e potrebbe anche soffocarlo. – Quest’anima fedele può conservarsi raccolta pure in una vita occupata e riempita da mille doveri, pure in mezzo a distrazioni obbligatorie, alle quali l’anima si presta senza abbandonarvisi. Che essa sia dunque semplice, che sia piccina ai suoi propri occhi e, quel che Dio nasconde ai superbi e rivela ai piccoli (Lc. X, 21), le sarà manifestato e dimorerà in essa. Nessun dubbio che un tale dono sia un aiuto immenso per la salvezza e la santificazione dell’anima. Noi dobbiamo dunque implorarlo dal divino Spirito con tutto l’ardore del nostro desiderio, essendo ben convinti che lo raggiungeremo più sicuramente con lo slancio del cuore, che non con lo sforzo dello spirito. È vero che la luce divina, che è l’oggetto di questo dono, si diffonde nell’intelligenza; ma la sua effusione proviene soprattutto dalla volontà, riscaldata dal fuoco della carità, secondo la parola di Isaia: « Credete, e voi avrete l’intelligenza » (3). Rivolgiamoci allo Spirito Santo e, servendoci delle parole di Davide, diciamogli: « Apri i nostri occhi, e noi contempleremo le meraviglie dei tuoi precetti; concedici l’intelligenza e avremo la Vita» (Sal. CXVIII). Istruiti dall’Apostolo, esporremo la nostra domanda in modo anche più insistente, facendo nostra la preghiera che egli rivolge al Padre Celeste in favore dei fedeli di Efeso, quando implora per essi lo « Spirito di Sapienza e di rivelazione col quale si conosce Iddio, mentre gli occhi del cuore, illuminati, scoprono l’oggetto della nostra speranza e le ricchezze della gloriosa eredità che Dio s’è preparata nei suoi Santi » (Ef. 1, 17-18).

IL DONO DELLA SAPIENZA

Il secondo favore che lo Spirito Santo ha destinato all’anima che Gli è fedele nell’azione, è il dono della sapienza, superiore anche a quello dell’intelletto. Tuttavia è legato a quest’ultimo, nel senso che l’oggetto mostrato nell’intelletto viene gustato e posseduto nel dono della sapienza. Il Salmista, invitando l’uomo ad avvicinarsi a Dio, gli raccomanda di assaporare il Sommo Bene: « Gustate e vedete come è buono il Signore » (Sal. XXXIII, 9). La Santa Chiesa, nel giorno della Pentecoste, domanda per noi a Dio il favore di gustare il bene, recta sapere, perché l’unione dell’anima con Dio è piuttosto l’esperimento fatto per mezzo del gusto che per mezzo della vista, ciò che sarebbe incompatibile col nostro stato presente. La luce data col dono dell’intelletto non è immediata, rallegra vivamente l’anima e dirige il suo senso verso la verità; ma tende a completarsi col dono della sapienza che ne è il fine. L’intelletto è dunque illuminazione, e la sapienza è unione. Ora, l’unione col Sommo Bene si compie per mezzo della volontà, ossia per l’amore che risiede in essa. Noi rimarchiamo questa progressione nelle gerarchie angeliche. Il Cherubino scintilla d’intelligenza, ma al di sopra di lui vi è ancora il Serafino fiammante. L’amore è ardente nei Cherubini, nello stesso modo che l’intelligenza rischiara con la sua viva luce il Serafino; ma l’uno si differenzia dall’altro per la qualità predominante, ed il più elevato è quello che raggiunge più intimamente la Divinità per mezzo dell’amore, quello che gusta il Sommo Bene. – Il settimo dono è decorato del bel nome di Sapienza, ed esso gli viene dalla Sapienza eterna alla quale tende di assomigliarsi con l’ardore dell’affetto. Questa Sapienza increata, che si degna di lasciarsi gustare dall’uomo in questa valle di lacrime, è il Verbo divino, quello stesso che l’Apostolo chiama « lo splendore della gloria del Padre e la forma della sua sostanza » (Ebr. I, 3). È lui che ci ha mandato lo Spirito per santificarci e ricondurci ad esso, di modo che l’operazione più elevata di questo divino Spirito è di procurare la nostra unione con chi, essendo Dio, si è fatto carne e si è reso per noi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil. II, 8). Per mezzo dei misteri compiuti nella sua umanità. Gesù ci ha fatto penetrare fino alla sua Divinità con la fede rischiarata dall’intelletto soprannaturale: « Noi fummo spettatori della sua gloria, gloria quale l’Unigenito ha dal Padre, pieno di grazia e di verità » (Gv. I, 14); e nello stesso modo che si è fatto partecipe della nostra umile natura umana, si dona fin da questo mondo per essere gustato. Lui, Sapienza increata, a questa sapienza creata che lo Spirito Santo forma in noi come il più sublime dei suoi doni. Felice dunque colui nel quale regna questa preziosa sapienza che rivela all’anima il gusto di Dio e di ciò che è di Dio! « L’uomo animale non gusta le cose dello Spirito di Dio », ci dice l’Apostolo (I Cor. II, 14); per godere di questo dono bisogna che divenga spirituale, si presti docilmente al desiderio dello Spirito, e allora vi arriverà, come hanno fatto altri che, dopo aver vissuto schiavi della vita sensuale, sono stati affrancati con la docilità verso lo Spirito divino che li ha cercati e ritrovati. Anche l’uomo meno rozzo, ma abbandonato allo spirito del mondo, è ugualmente impotente a comprendere ciò che forma l’oggetto del dono della sapienza e ciò che rivela quello dell’intelletto. Egli giudica coloro che hanno ricevuto questi doni e li critica; ed è una fortuna se non mette loro degli impedimenti, se non li perseguita! Gesù ce lo dice espressamente: « Il mondo non può ricevere lo Spirito di verità, perché non lo vede, né lo conosce » (Gv. XIV, 17). Che quelli, dunque, che hanno la felicità di desiderare il Sommo Bene, sappiano che è necessario essere completamente staccati dallo spirito profano, che è il nemico personale dello Spirito di Dio. Affrancati dalle sue catene, potranno elevarsi sino alla sapienza. È proprio di questo dono procurare un grande vigore all’anima e di fortificare le sue potenze. Tutta la vita ne viene risanata, come accade a coloro che fanno uso di alimenti adatti. Non vi è più contraddizione tra Dio e l’anima ed è questa la ragione per la quale l’unione si rende facile. « Dove è lo Spirito del Signore, ivi è libertà », dice l’Apostolo (II Cor. III, 17). Sotto l’azione dello Spirito di Sapienza, tutto diviene facile all’anima. Le cose che sembrano dure alla natura, ben lungi dallo stupire, sono rese dolci, ed il cuore non si spaventa più tanto della sofferenza. Non solamente si può dire che Dio non è lontano da un’anima che lo Spirito Santo ha messo in questa disposizione, ma è evidente che gli è unita. Che vegli tuttavia nell’umiltà; poiché l’orgoglio può ancora riaffacciarsi in lei, e allora la caduta sarebbe tanto più profonda quanto più la sua elevatezza era stata grande. – Insistiamo presso il. divino Spirito e preghiamolo di non rifiutarci questa preziosa sapienza che ci condurrà a Gesù, Sapienza infinita. Un savio dell’antica legge aspirava già a questo favore, quando scriveva le seguenti parole, di cui solo il cristiano può avere la perfetta intelligenza: « Ho pregato, e mi fu dato il senno; ho supplicato, e venne a me lo spirito di sapienza » (Sap. VII, 7). Bisogna dunque domandare con insistenza questo dono. Nella nuova Alleanza, l’Apostolo S. Giacomo ci sollecita con le sue esortazioni più fervorose: « Se poi tra voi vi è qualcuno che ha bisogno di sapienza, la chieda a Dio che dà a tutti abbondantemente e non rimprovera; e gli sarà data. Chieda però con fede, senza per nulla esitare» (Giac. 1, 5). Osiamo prendere per noi questo invito dell’Apostolo, o divino Spirito, e ti diciamo: « O Tu che procedi dalla Potenza e dalla Sapienza, concedici la sapienza. Colui che è Sapienza ti ha inviato a noi per riunirci a Lui. Toglici a noi stessi, e ci unisci a Colui che si è unito alla nostra debole natura. Sacro mezzo dell’Unità, sii il vincolo che ci legherà per sempre a Gesù, e Colui che è Potenza e Padre ci adotterà quali ” eredi di Dio, coeredi di Cristo ” » (Rom. VIII, 17).

 

SECONDA FESTA DI PENTECOSTE

SECONDA FESTA DI PENTECOSTE

[Mons. Bonomelli, “Nuovo saggio di OMELIE per tutto l’anno”, Vol. III, Torino 1899 –imprim.]

“Pietro disse: Fratelli, Gesù ci comandò di predicare al popolo e di attestare, ch’esso è costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti. Di Lui attestano tutti i profeti, che nel suo nome si riceve la remissione dei peccati da quanti credono in Lui. Pietro ragionava ancora di queste cose e lo Spirito Santo discese sopra di tutti, che lo ascoltavano. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, meravigliavano, che il dono dello Spirito Santo fosse effuso eziandio sopra i Gentili, perchè li udivano parlare diverse lingue e magnificare il Signore. Allora Pietro prese a dire: Forseché alcuno potrà vietar l’acqua, sicché non siano battezzati questi, che hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi? E comandò che fossero battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora lo pregarono affinché rimanesse con loro alcuni giorni „ (Atti apost. cap. X, 42-48).

La Chiesa festeggia, come sapete, i grandi misteri della fede, e ordinariamente li fa seguire dalla ottava. È cosa affatto naturale, che nella Messa, e specialmente nella Epistola e nel Vangelo, faccia leggere quelle parti dei Libri santi, che si riferiscono agli stessi misteri. Egli è perciò, che in questa seconda festa della Pentecoste (Da noi, in Lombardia, è ancora festa di precetto la seconda della Pentecoste, come sono di precetto la seconda di Pasqua e di Natale, e perciò ho creduto bene dettare l’Omelia del Vangelo e della Epistola di questa seconda festa invece della Domenica di Pentecoste. Della Pentecoste ragionerò nel volume dei Misteri), nella Epistola della Messa troviamo un tratto, tolto dal capo decimo degli Atti apostolici, nel quale si narra una prodigiosa comunicazione dello Spirito Santo avvenuta sotto gli occhi di S. Pietro, nella casa del centurione Cornelio, somigliantissima a quella che avvenne nel cenacolo e che si leggeva nella Messa di ieri. Io qui non vi riferirò i particolari, che precedettero questa manifestazione miracolosa dello Spirito Santo, perché, se la memoria non mi inganna, ve ne dissi quel tanto che occorreva, nell’omelia della seconda festa di Pasqua. Anzi devo farvi osservare, che i primi due versetti, sopra riportati, sono i due ultimi che ebbi ad interpretare in quella omelia: il perché nella presente me ne passo per non ripetere cose già dette altrove, ed eccomi a spiegarvi i versetti seguenti. “Pietro ragionava ancora di queste cose e lo Spirito Santo discese sopra tutti, che lo ascoltavano. „ Come dissi, S. Pietro tenne un discorso a quel gruppo di Gentili radunati in casa del centurione Cornelio, compendiando in esso tutto l’insegnamento cristiano, e di questo discorso S. Luca ci dà un brevissimo sunto nel suo libro. L’Apostolo non aveva ancora posto fine al suo discorso, ed ecco discendere sopra tutti quei Gentili lo Spirito Santo. Come discese sopra di loro? A qual segno riconobbe dagli astanti questa comunicazione dello Spirito Santo? Forse la si conobbe dagli effetti straordinari, che il sacro scrittore accenna tosto; ma mi sembra più conforme a verità il dire che, quella effusione miracolosa dello Spirito Santo si conobbe da tutti a qualche segno esterno e tale da non lasciare ombra di dubbio: e probabilmente dovette essere come quello che avvenne nel cenacolo sopra gli Apostoli il giorno della Pentecoste, cioè sotto forma di lingue di fuoco. Ciò sembra insinuare il sacro testo, perché soggiunge, che appena ricevuto lo Spirito Santo parlavano diverse lingue e glorificavano Dio, precisamente come fecero gli Apostoli nel cenacolo: la medesimezza degli effetti sembra indicare la medesimezza del modo, col quale lo Spirito Santo discese sopra quei Gentili. – Domanderete: Come mai quei Gentili poterono ricevere lo Spirito Santo prima ancora d’essere lavati e rigenerati col battesimo? La risposta è facilissima: Pietro li aveva istruiti: la fede si era accesa nei loro cuori e colla fede dovettero concepire un dolore perfetto dei loro peccati con un desiderio ardente di ricevere il battesimo: questa fede, questo desiderio, questa contrizione perfetta giustificarono quei Gentili e li resero atti a ricevere la pienezza dei doni dello Spirito Santo. Avvenne ad essi ciò che avviene in quelli, che si accostano al Battesimo od alla Confessione con un dolore perfetto delle loro colpe: essi, anche prima del Battesimo o della assoluzione sacramentale, hanno ottenuto il perdono dei loro peccati e sono pienamente santificati dalla grazia abituale. » E perché mai Iddio volle operare quel miracolo visibile sopra quei Gentili, e mostrare ch’erano santificati prima del battesimo? Il miracolo è una derogazione alle leggi di natura, e benché Dio possa fare come gli piace, perché Signore assoluto, non vuole farlo che per ragioni gravi, che noi possiamo investigare con riverenza. – In quei primi anni della Chiesa fondata in Gerusalemme e nei vicini paesi della Giudea e della Samaria, era profondamente radicata l’idea in quasi tutti gli Ebrei convertiti al cristianesimo, che il Vangelo si dovesse annunziare ai soli Ebrei, e che nessun Gentile potesse venire accolto nella Chiesa e battezzato se prima non riceveva la circoncisione e non si sottoponeva alla legge mosaica. Era un errore manifesto, contrario alle profezie, al comando di Cristo, che aveva detto agli Apostoli: ” Andate, ammaestrate tutte le nazioni;” contrario al fine stesso della sua redenzione, che doveva estendersi a tutti indistintamente gli uomini. Ma in quei primi principi gli Apostoli, ancorché conoscessero perfettamente la verità e qual era il volere del divino Maestro, dovevano procedere con somma prudenza, per non urtare di fronte al pregiudizio ebraico e mettere a troppo dura prova la fede di molti Ebrei convertiti, ed impedire la conversione di molti altri. – Gli Apostoli sapevano benissimo, che i Gentili, non meno degli Ebrei erano chiamati al conoscimento del Vangelo ed al benefizio della redenzione: ma quando? Come? A quali condizioni in faccia alle leggi mosaiche? Gesù non aveva determinato nulla ed aveva lasciata la cosa in balia degli Apostoli, che dovevano pigliar consiglio dalla prudenza e dalla carità. Era quindi naturale che anche negli Apostoli apparisse una diversità di giudizi e di condotta, e non fa meraviglia, che gli stessi principi degli Apostoli, Pietro e Paolo, in Antiochia, non fossero perfettamente d’accordo, come rileviamo dalla lettera ai Galati. Dovete sapere, o carissimi, che l’ispirazione e l’assistenza divina anche negli stessi Apostoli non escludevano il diverso modo di vedere le cose, né si estendevano ai singoli atti della vita pratica. Da questo fatto apprendiamo che anche persone pie e sante possono talora operare diversamente tra loro e che noi non abbiamo diritto di argomentare che l’una o l’altra operi malamente. – Le maggiori molestie, dirò meglio, le maggiori persecuzioni, che Pietro e specialmente Paolo, ebbero a soffrire dai Giudei, erano una conseguenza di questo pregiudizio: basta leggere gli Atti apostolici e le lettere di san Paolo, massimamente ai Galati. Era dunque necessario dissipare questo pregiudizio ebraico, che in sostanza voleva restringere il beneficio della redenzione operata da Cristo nell’angusta cerchia dell’ebraismo, e legare il Vangelo alla legge mosaica, e circoscrivere la Chiesa universale entro i confini della Sinagoga. E il miracolo avvenuto in casa di Cornelio era divinamente ordinato a distruggere questo errore. Era un gruppo di Gentili, non circoncisi, non battezzati, che credevano al Vangelo, annunziato da S. Pietro, e che in modo al tutto prodigioso ricevevano lo Spirito Santo, e lo ricevevano sotto gli occhi dei fedeli stessi circoncisi, ossia ebrei: Fideles ex circumcisione, che avevano accompagnato Pietro nella casa di Cornelio. Quel miracolo solenne, innegabile, che rinnovava a favore dei Gentili il miracolo della Pentecoste, apriva la porta del Vangelo e della Chiesa a tutti i Gentili, e faceva cadere il velo dell’errore, che copriva gli occhi degli ebrei. Ciò che gli Apostoli non potevano ottenere con la parola, l’otteneva lo Spirito Santo col miracolo, e il muro di divisione tra Gentili e Giudei era atterrato. L’effetto di quel miracolo fu grandissimo e decisivo sugli Ebrei, come apparisce dal capo seguente degli Atti apostolici, e da questo versetto della nostra Epistola: “I fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, meravigliavano, che il dono dello Spirito Santo fosse effuso eziandio sopra i Gentili. „ La fiera opposizione degli Ebrei convertiti, è vero, non cessò d’un tratto dopo quel miracolo: essi non si arresero tosto e pienamente alla verità: ma la questione era risolta e a poco a poco gli uomini di buona fede smisero la loro opposizione, e la verità trovò sgombra la via delle loro menti e dei loro cuori. Dio aveva parlato e non era possibile resistere più a lungo. -Nel miracolo operato sopra Cornelio e i suoi congiunti ed amici insieme radunati (vers. 24), come in generale in tutti i mirali operati sopra gli uomini, si devono distinguere due cose, il fatto o segno esterno e visibile dell’azione divina, e l’effetto, che essa produce nell’ animo di coloro, nei quali si opera. Il fatto esterno, o segno visibile della venuta dello Spirito Santo sopra gli Apostoli nel cenacolo furono le lingue di fuoco, che si videro posarsi sopra ciascuno di loro; l’effetto fu la loro trasformazione interna ed il parlare che fecero ad un tratto diverse lingue. Similmente in questo miracolo; al fatto esterno e visibile, quale che fosse, rispose subito in quelli che ricevettero lo Spirito Santo l’effetto sovraumano, e fu il dono delle lingue e il magnificare e glorificare Dio in guisa, che appariva bene, lo Spirito Santo essere in loro. Questi doni straordinari, nominatamente quello di parlare in lingue ignote, in quei primordi della Chiesa, erano assai frequenti, come raccogliamo dagli Atti apostolici e dalle lettere di S. Paolo, e come in termini aveva promesso Gesù Cristo (Marco, XVI, 17), e non potevano tornar nuovi ai compagni di Pietro, né eccitare in essi quella gran meraviglia, di cui fa cenno il sacro testo; ma la loro meraviglia proveniva dal fatto per loro non solo nuovo, ma creduto impossibile, che quei doni celesti erano dati a Gentili, e mostravano loro con argomento irrecusabile, che anche ad essi veniva aperta la via della salute e che la legge di Mose cessava per essi. Alla vista di tanto miracolo, che dissipava ogni dubbio, S. Pietro, rivolgendosi, come io penso, ai suoi compagni ebrei, disse: “Forseché potrà alcuno vietar l’acqua, sicché non siano battezzati costoro, che han ricevuto lo Spirito Santo come noi? „ Voi lo vedete, così suonano le parole di S. Pietro: questi Gentili hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi: l’opera sua è manifesta in loro; come volete che noi rifiutiamo loro il battesimo? Siamo noi da più di Dio? Possiamo noi opporci al voler suo sì chiaramente qui manifestato? Dunque, smettete i vostri pregiudizi: arrendetevi alla voce di Dio e comprendete una buona volta, che Gesù Cristo è morto per tutti, che a tutti è offerto il frutto della redenzione, a noi, Giudei, ed ai Gentili. Dette queste parole, S. Pietro “comandò che quei Gentili fossero battezzati nel nome del Signore Gesù Cristo, „ e così aggregati alla Chiesa. Apprendiamo da queste parole, che Pietro non battezzò quei nuovi credenti gentili, ma volle fossero battezzati da altri, probabilmente da quei medesimi, che lo accompagnavano, alcuni dei quali dovevano essere sacerdoti. Così faceva pure S. Paolo (I . Cor. I, 17), il quale diceva che era mandato a predicare, non a battezzare, seguendo 1’esempio di Cristo, del quale sappiamo che battezzava per mezzo degli Apostoli (S. Luca, IV, 18). – Da questo luogo si fa manifesto, che l’acqua è la materia del sacramento del Battesimo, come è definito dalla Chiesa, giacché la parola acqua in questo luogo non può significare altra cosa che l’acqua naturale. E qui alcuno di voi potrebbe domandare: Cornelio e gli altri Gentili, che erano con lui avevano ricevuto lo Spirito Santo e perciò erano giustificati; che bisogno dunque avevano essi di ricevere il battesimo? Non era esso inutile? No, non era inutile ed era necessario che fossero battezzati, sebbene già fossero giustificati. E vero: essi erano adorni della grazia di Dio per la contrizione perfetta dei loro peccati; ma appunto perché avevano la contrizione o la carità perfetta, dovevano anche adempire il precetto divino a tutti imposto di ricevere il battesimo. Forsechè quelli che hanno il dolore perfetto dei loro peccati sono affrancati dall’obbligo di confessarli e riceverne l’assoluzione? L’adempimento di questa legge divina è anzi incluso nel dolore perfetto e da quello è voluto, come 1’effetto è voluto dalla causa. Oltreché se quei Gentili avevano ricevuto il perdono dei peccati e la grazia santificante, certamente non avevano ricevuto il carattere proprio del sacramento del Battesimo, e questo pure essi dovevano ricevere, perché senza di questo non potevano ricevere gli altri sacramenti. Questo versetto fa sorgere un dubbio nella nostra mente, ed è prezzo dell’opera esaminarlo e scioglierlo, e il dubbio è questo: San Pietro comandò che quei Gentili fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo; ma è desso valido il battesimo amministrato nel nome di Gesù Cristo? Certamente se oggi il Battesimo fosse conferito nel solo nome di Gesù Cristo, e non nel nome delle tre Persone auguste della Ss. Trinità, come fa la Chiesa, sarebbe nullo. Parve ad alcuni di poter dire, che in quei primi anni della Chiesa, per speciale divina concessione e per mettere in tutto l’onor suo il nome di Gesù Cristo presso i fedeli, fosse valido il battesimo, ancorché dato nel solo nome di Gesù Cristo, e si appoggiavano a questo e ad alcuni altri luoghi simili dei Libri divini. Ma siffatta opinione di alcuni pochi non ha fondamento, né è punto necessaria per intendere a dovere questo versetto ed altri somiglianti. S. Pietro volle dire soltanto, che a quei Gentili si amministrasse il Battesimo di Gesù Cristo, ossia il Battesimo istituito da Gesù Cristo, pronunciando il nome di ciascuna delle divine Persone, com’Egli stesso aveva comandato di fare agli Apostoli (S. Matteo, XVIII, 19). E forse il senso migliore e più naturale di quelle parole di san Pietro è questo: Si dia il battesimo a questi Gentili; esso riceve la virtù di santificare le anime da Gesù Cristo, dai meriti della sua passione e della sua morte, ed è amministrato per suo comando e per l’autorità o potere che viene da Lui solo. – La conversione ed il Battesimo di Cornelio e dei suoi compagni eccitò meraviglia grande, nella Chiesa di Gerusalemme, composta tutta; di Ebrei convertiti, e se ne chiese la spiegazione allo stesso Pietro e per poco gliene fu mossa accusa (Atti apost. XI, 1 seg.). Come ciò? Erano forse quelli i primi Gentili, che si ricevevano nella Chiesa? No, sicuramente. Gesù! Cristo aveva encomiata la fede d’un altro centurione (Luca, VII, 2), e quella della Sirofenissa o Cananea (Luca, VII, 26): aveva accolto Zaccheo, che sembra fosse pur egli gentile: Filippo diacono aveva battezzato l’eunuco della regina Candace, di Etiopia ( Atti, VII, 26 seg.); non doveva dunque tornare sì nuova agli Ebrei cristiani la conversione del centurione e il suo battesimo. Come dunque si levò sì grande rumore fino a costringere S. Pietro a difendersi e spiegare e giustificare la sua condotta? Penso che ciò provenisse dall’importanza del fatto e dai particolari, che accompagnarono quel fatto e che urtarono di fronte il pregiudizio giudaico. – Noi vediamo, all’occasione del Battesimo di Cornelio, un numero considerevole di cristiani di Gerusalemme, e tra loro alcuni anche qualificati, elevarsi quasi giudici dello stesso S. Pietro e più tardi di S. Paolo e di S. Barnaba, e più o meno apertamente mostrare diffidenza ed esprimere biasimo della loro condotta. Inferiori che biasimano superiori, e quali superiori? Gli Apostoli e lo stesso principe degli Apostoli! Era cosa deplorevole! Era un disordine gravissimo! Era uno spirito di insubordinazione, che poteva essere la radice d’uno scisma. Quel fatto è una lezione per noi, e ci insegna che non dobbiamo meravigliarci, né scandalizzarci se anche ai giorni nostri qua e là vediamo nella Chiesa i discepoli voler farla da maestri, e quelli che devono ubbidire, hanno la pretensione e la presunzione di sedere a scranna e giudicare quelli che hanno l’ufficio e il diritto di comandare. E qui, o carissimi, non vi sia grave che tocchi un disordine, una violazione della legge ecclesiastica, che non è rara. S. Pietro comandò che quei Gentili, che avevano creduto e ricevuto lo Spirito Santo fossero tosto battezzati. Che vediamo noi al presente in alcune parrocchie, e specialmente nelle nostre città? Non senza dolore vediamo, che alcuni genitori non si curano di presentare i loro bambini al Battesimo entro gli otto giorni dalla nascita, come vuole la Chiesa, e differiscono le settimane ed i mesi senza motivi ragionevoli. Che dire di codesti genitori? Essi violano una legge gravissima della Chiesa, intesa unicamente a procurare ai loro figli il maggiore dei beni, la grazia del santo Battesimo. Chi di voi, o genitori tarderebbe pure un’ora sola a fare tutti quegli atti civili, che sono necessari per assicurare ai suoi bambini una pingue eredità, una grande fortuna, fosse pure con un disagio sommo? Ebbene: si tratta di procurare ai vostri bambini la grazia di Dio, il diritto al possesso di Dio medesimo, l’eterna felicità, e voi, senza motivo alcuno, indugerete i giorni e le settimane e forse i mesi? Ed è cosa, che non esige né fatica, né sacrificio di sorta! – Vogliate anche considerare che la vita di questi bambini va soggetta a molti e gravi pericoli, e talora si spegne senza che quasi ce ne accorgiamo. Perché dunque non affrettarvi nel tempo debito a procurar loro la vita dell’anima? Qual cruccio, qual rimorso per voi, o genitori, per voi specialmente, o madri, se per sventura il vostro bambino morisse senza aver ricevuto la grazia del Battesimo? Voi non mancate di osservare la legge civile, che vi impone di far registrare sugli atti civili la nascita del vostro bambino prima degli otto giorni, e fate bene: adempite il dovere di buoni cittadini: perché tanta diligenza in ubbidire alla legge degli uomini, e tanta trascuratezza in ubbidire alla legge della Chiesa, vostra madre? Dio col santo Battesimo entra nell’anima del vostro bambino e vi stabilisce il suo regno; e voi gliene ritarderete il possesso? Quale offesa a Dio e qual danno ai vostri innocenti bambini! No, no, che nessuno di voi si renda mai colpevole di sì brutto peccato ed offra lo scandalo di violare una legge della Chiesa sì facile ad osservarsi e apportatrice di tanto bene a quei cari bambini, che voi sì teneramente amate. – Chiudo l’omelia colle ultime parole del testo sacro riportato: “Allora (Cornelio e i suoi) pregarono Pietro di rimanere con loro alcuni giorni. „ Ancorché S. Luca non dica che Pietro aderì alla preghiera di quei Gentili battezzati, è chiaro da ciò che narra più innanzi, ch’egli fece paghi i loro pii e santi desideri e rimase con essi qualche tempo. Pietro sapeva bene che per i Giudei era colpa abominevole accettare l’ospitalità presso un Gentile: prevedeva lo scandalo, che ne avrebbero avuto alcuni; ma non dubitò di consolare con la sua presenza quei buoni Gentili divenuti cristiani, e stimò necessario con quella dimora di far palese a tutti, ch’era venuto il tempo di aprire le porte della Chiesa anche ai Gentili e di condannare pubblicamente il pregiudizio degli ebrei convertiti, e mostrare che tutti, indistintamente, Ebrei e Gentili, erano chiamati alla salvezza.

 

IMPUGNARE LA VERITA’ CONOSCIUTA

Questo è il più grave peccato della nostra epoca!

Il Signore stesso ci ha fatto sapere che il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in cielo né in terra, e la storia ce ne ha dato e ce ne da continuamente conferma: si pensi alla fine dell’impero di Oriente e di Costantinopoli massacrata e cancellata come entità cristiana dall’invasione dei barbari islamici; alla fine dei popoli dell’est che hanno negato e negano ancora il “filioque” Cattolico, ai maroniti e copti ortodossi [oggi assaliti in Egitto, Siria, Iraq etc. dalla solita barbarie islamica]. Ma certamente il nostro Occidente, una volta cristiano, non sta messo molto meglio, perché in quanto a verità impugnate, non è secondo a nessuno e non ha nulla da imparare da chicchessia dal 1958 in poi, basti pensare ai dogmi sempre creduti che dal conciliabolo roncalli-montiniano sono calpestati allegramente dallo sterco e dal letame modernista, apparentemente diviso tra sedevacantismo e progressismo conciliarista, le due corna ramificate del baphomet lucifero! Quindi anche all’Occidente, se i conti tornano considerando la parola di Cristo-Dio e gli avvenimenti storici passati e recenti, sarà riservata la sorte annunziata nei santi Vangeli. – In allerta ci aveva messo anche, con la sua spirituale statura, un santo profeta dei tempi appena passati: San Luigi Grignion de Montfort, che nella sua “Preghiera infuocata” ci descrive nei dettagli i giorni nostri così: “ … La divina legge è trasgredita, il vostro Vangelo abbandonato, i torrenti di iniquità inondano sulla terra e travolgono perfino i vostri servi. Tutta la terra si trova in uno stato deplorevole, l’empietà regna sovrana; il vostro santuario è profanato e l’abominio è fin nel luogo santo”; che sintesi perfetta, lascia senza parole! – È quanto ci conviene meditare in questi giorni dell’ottava di Pentecoste. Proponiamo a questo proposito la rilettura dell’ultima parte di una meravigliosa lettera Enciclica di S. S. Leone XIII, ove questo concetto viene ribadito dall’autorevolezza del Vicario di Cristo … anche questa oggi contestata come dogma di fede.

Da “Divinum illud munus” Enciclica di Leone XIII del 9 maggio, 1897: “… Noi dobbiamo amare lo Spirito Santo, ed è questa l’altra cosa che vi raccomandiamo, perché lo Spirito Santo è Dio, e noi dobbiamo “amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze nostre” (Dt VI,5), e poi Egli è il sostanziale, eterno e primo Amore, e non vi è cosa più amabile dell’amore; tanto più poi dobbiamo amarLo, per gli immensi benefici ricevuti, i quali se sono da una parte testimonianza dell’affetto di chi li fa, sono dall’altra richieste di gratitudine da chi li riceve. E questo amore reca due non piccoli vantaggi. Anzitutto ci spinge ad acquistare una conoscenza sempre più chiara dello Spirito Santo, perché “chi ama – come dice l’Angelico – non è contento di una qualunque notizia dell’amato, ma si sforza di penetrare nelle cose sue più intime, come è scritto dello Spirito Santo che, essendo l’Amore di Dio, scruta le cose divine anche più profonde”. L’altro vantaggio è di aprire sempre più largamente l’abbondanza dei suoi doni, perché come la freddezza chiude la mano del donatore, così al contrario la riconoscenza l’allarga. Perciò soprattutto è necessario che tale amore non consista solo in aride speculazioni e in ossequi esteriori, ma dev’essere operoso, fuggendo il peccato, con cui si fa allo Spirito Santo un torto speciale, giacché quanto noi siamo e abbiamo, tutto è dono della divina bontà, che viene attribuita soprattutto allo Spirito Santo; orbene il peccatore l’offende mentre è beneficato, abusa per offenderLo dei doni ricevuti, e perché Egli è buono, prende ardire a moltiplicare le colpe. – Di più, essendo lo Spirito Santo Spirito di verità, se qualcuno manca o per debolezza o per ignoranza, troverà forse scusa davanti al tribunale di Dio, ma chi per malizia impugna la verità, fa un affronto gravissimo allo Spirito Santo. E tal peccato è adesso sì frequente, che sembrano giunti quei tempi infelicissimi, descritti da Paolo, nei quali gli uomini per giustissimo giudizio di Dio accecati, avrebbero tenuta la falsità per verità e avrebbero creduto al “principe di questo mondo”, al demonio bugiardo e padre di menzogna, come a maestro di verità: “Insinuerà Dio fra essi lo spirito dell’errore perché credano alla menzogna” (2Ts II,10), e “molti negli ultimi tempi abbandoneranno la fede per credere agli spiriti dell’errore e alle dottrine dei demoni” (1Tm IV,1). [cioè il Sedevacantismo ed il “Novus ordo” –ndr.-] – Ma poiché lo Spirito Santo abita in noi, quasi in suo tempio, come sopra abbiamo detto, ripetiamo con l’Apostolo: “Non vogliate contristare lo Spirito Santo di Dio, che vi ha consacrati” (Ef. IV,30). E per questo non basta fuggire tutto ciò che è immondo, ma di più il cristiano deve risplendere per ogni virtù, soprattutto della purezza e della santità, per non disgustare un Ospite sì grande, giacché la mondezza e la santità si convengono al tempio. Quindi lo stesso Apostolo grida; “Non sapete che voi siete tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno oserà profanare il tempio di Dio, sarà maledetto da Dio; infatti santo dev’essere il tempio e voi siete questo tempio” (1Cor III, 16-17): minaccia tremenda, ma giustissima. – Infine dobbiamo pregare lo Spirito Santo, del quale abbiamo tutti grandissimo bisogno. Siamo poveri, fiacchi, tribolati, inclinati al male, ricorriamo dunque a Lui, che è fonte inesausta di luce, di fortezza, di consolazione, di grazia. E soprattutto dobbiamo chiederGli la remissione dei peccati, che ci è tanto necessaria, giacché “lo Spirito Santo è dono del Padre e del Figlio e i peccati vengono rimessi per mezzo dello Spirito Santo come per dono di Dio”, e la liturgia più chiaramente chiama lo Spirito Santo “remissione di tutti i peccati”. – Sulla maniera poi d’invocarLo, impariamo dalla Chiesa, che supplice si volge allo Spirito Santo e lo chiama coi titoli più cari: “Vieni, padre dei poveri, datore dei doni, luce dei cuori, consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo“: e lo scongiura che lavi, che sani, che irrori le nostre menti e i nostri cuori e conceda a quanti in Lui confidano il “virtù e premio“, “morte santa“, “gioia eterna“. Né si può dubitare che tali orazioni non siano ascoltate, mentre ci assicura che “Egli stesso prega per noi con gemiti inenarrabili” (Rm VIII, 26). Inoltre dobbiamo supplicarlo con fiducia e con costanza perché ogni giorno più ci illumini con la sua luce e ci infiammi della sua carità, disponendoci così per via di fede e di amore all’acquisto del premio eterno, perché Egli è “il pegno dell’eredità che ci è preparata” (Ef 1,14). – Ecco, venerabili fratelli, gli ammonimenti e le esortazioni Nostre intorno alla devozione verso lo Spirito Santo, e non dubitiamo affatto che apporteranno al popolo cristiano buoni frutti in considerazione principalmente della vostra sollecitudine e diligenza. Certo non verrà mai meno l’opera Nostra in cosa di sì grave importanza, anzi intendiamo incoraggiare questo slancio di pietà nei modi che giudicheremo più adatti al bisogno. Intanto, avendo Noi, due anni or sono, col breve Provida matris raccomandato ai Cattolici per la solennità di pentecoste alcune particolari preghiere per implorare il compimento della cristiana unità, Ci piace sulla stessa cosa adesso aggiungere qualche cosa di più. Decretiamo dunque e comandiamo che in tutto il mondo cattolico quest’anno e sempre in avvenire si premetta alla Pentecoste la novena in tutte le chiese parrocchiali e anche in altri templi e oratori, a giudizio degli ordinari. Concediamo l’indulgenza di sette anni e sette quarantene per ogni giorno a quelli che assisteranno alla novena e pregheranno secondo la Nostra intenzione, l’indulgenza plenaria poi o in un giorno della novena, o nella festa di Pentecoste o anche fra l’ottava, purché confessati e comunicati preghino secondo la Nostra intenzione. Vogliamo parimenti che di tali benefici godano anche quelli che, legittimamente impediti, non possono assistere alle dette pubbliche preghiere, anche in quei luoghi nei quali queste a giudizio dell’ordinario non possano farsi comodamente nel tempio, purché in privato facciano la novena e adempiano alle altre opere e condizioni prescritte. E Ci piace aggiungere dal tesoro della Chiesa che possano lucrare di nuovo l’una e l’altra indulgenza tutti coloro che in pubblico o in privato rinnovano secondo la propria devozione alcune preghiere allo Spirito Santo ogni giorno durante l’ottava di pentecoste sino alla festa della santissima Trinità inclusa, purché soddisfino alle altre condizioni sopra ingiunte. Tutte queste indulgenze sono applicabili anche alle anime sante del purgatorio. – E ora il Nostro pensiero ritorna a ciò che dicemmo in principio per affrettarne dal divino Spirito con incessanti preghiere l’adempimento. Unite, dunque, venerabili fratelli, alle Nostre preghiere anche le vostre, anche quelle di tutti i fedeli, interponendo la mediazione potente e accettissima della beatissima Vergine. Voi ben sapete quali relazioni intime e ineffabili corrano tra Lei e lo Spirito Santo, essendone la Sposa Immacolata. – La Vergine con la sua preghiera molto cooperò sia al mistero dell’Incarnazione sia all’avvento dello Spirito Santo sopra gli Apostoli. Continui Ella dunque ad avvalorare col suo patrocinio le Nostre comuni preghiere, affinché si rinnovino in mezzo alle afflitte nazioni i divini prodigi dello Spirito Santo, celebrati già da Davide: “Manderai il tuo Spirito e saranno create e rinnovellerai la faccia della terra” (Sal CIII,30). –

[i grassetti sono redazionali].

OMELIA DI PENTECOSTE DI S.S. GREGORIO XVII

 

OMELIA DI PENTECOSTE DI S.S. GREGORIO XVII

[che gli a-cattolici eretici e scismatici si ostinano a chiamare Cardinal G. Siri]

PENTECOSTE – S. Messa (1979)

Il testo evangelico (Gv XX, 19-23), che ci riporta al giorno stesso della Risurrezione del Signore, narra un’anticipazione della Pentecoste: parla di una prima diretta effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli per dare ad essi il potere di rimettere i peccati. Ma il vero oggetto di questa, che è tra le massime solennità della Chiesa, la Pentecoste, è narrato nella prima lettura tolta dal 2° capitolo degli Atti degli Apostoli (vv. 1-11). Quello è l’oggetto, e su quello io invito voi a convergere le vostre riflessioni. – Il fatto della Pentecoste è grandioso, solenne, stupendo; riecheggia, ma in forma più dolce, la grande manifestazione del Sinai accaduta molti secoli prima per la promulgazione del Decalogo (cfr. Es XIX). Questa seconda promulgazione di tutto l’operato di Cristo, già ormai compiuto, ha un carattere più dolce, più amabile, adattandosi al tenore che la Provvidenza ha assunto nel Nuovo Testamento. Ora nel fatto della Pentecoste, oggetto della riflessione in questo giorno, bisogna distinguere alcune cose. La prima è il fatto esterno: il vento impetuoso che ha scosso le fondamenta della città; le fiammelle ardenti scese sul capo dei singoli che erano nel Cenacolo, fatto grandioso; la presenza, anzi la presidenza – e voglio sottolinearlo – della Santissima Vergine, perché nel Cenacolo c’era Maria. Ad Ella non erano state date le chiavi di Pietro, ma stava al di sopra delle chiavi di Pietro ed era Ella, la Madre del Signore, in ragione della dignità e della Venerabilità del suo ufficio, a tenere almeno nell’onore la presidenza di quella piccola assemblea degnata di un tanto fatto divino, che riecheggiava l’antico Sinai. Ma di questo parlerò stasera dopo i vespri, non ora. – C’è una seconda cosa: la vera Pentecoste. Perché la vera effusione dello Spirito Santo non è stata né il vento, né le fiammelle, né il chiarore, niente; questo era semplicemente un involucro esterno per accompagnare ad uomini che capiscono tutte soltanto attraverso le cose materiali, accompagnare a loro e lasciare un’adeguata impressione l’effusione interna dello Spirito Santo. La vera Pentecoste non si vedeva. E la vera Pentecoste, quella alla quale sono partecipi tutti i fedeli fino alla fine del mondo, non si vedrà, se non in casi straordinari, mai. Ora, anche in questa Pentecoste interiore c’è da fare una distinzione, cioè quello che è stato dato agli Apostoli allora e che è dato anche a noi nel Battesimo, nella Cresima, in tutti i Sacramenti e in tutti gli atti soprannaturali che noi compiamo, e quello, invece, che è state caratteristico per gli Apostoli. Bisogna distinguere: anche noi entriamo nella Pentecoste, ma non come loro. Vediamo prima quello in cui entriamo anche noi nella Pentecoste. Essi avevano la Grazia divina, cioè quella dignità soprannaturale che rende quanto è possibile la creatura partecipe della stessa natura divina, che è radice per cui gli atti fatti in state di Grazia hanno tutti un valore eterno, oltre che soprannaturale: quella dignità per cui si diventa figli adottivi di Dio, non più soltanto servitori; quella dignità che innalza ontologicamente, obbiettivamente – non è cavalierato che sta tutto nella medaglia appesa sul petto-, è intima, interiore e tocca le sorgenti dell’essere e della vita, per cui siamo, vivendo in questo mondo, appartenenti ad un ordine e ad una famiglia divina. Quello l’avevano e l’abbiamo anche noi, se siamo in Grazia di Dio; vorrei sperare che in questa chiesa, in questo momento, non ci fosse nessuno che sia in disgrazia del Signore, perché avrei paura che qualche cosa venisse giù. Ma non è qui solo: c’era e c’è in noi quell’intervento continuo soprannaturale che si chiama Grazia attuale, per prevenire, accompagnare, dando luce, forza e costanza. Tutti gli atti buoni, che noi compiamo e che possono essere valevoli, anche indirettamente, all’eterna salute e al merito che avremo nella gloria di Dio, l’ebbero loro e li abbiamo noi. I doni dello Spirito Santo, che sono quell’intervento divino che appresta l’anima, la allena ad aprirsi alla Grazia di Dio comunque essa venga data e in qualunque misura essa venga data, l’ebbero loro, li abbiano noi. – Ricordiamocene qualche volta, non fosse altro per portare rispetto a quel tanto di divino che è in noi, al quale pensiamo così poco, al quale pensando forse troveremmo la forza di evadere dalle strettoie degli avvenimenti che ci sono imposti dalla cattiveria del mondo. – Ma veniamo a quello che era proprio degli Apostoli. Ecco, mi sforzerò di descriverlo come so, per deduzione, perché è grande e sfugge in se stesso alla nostra penetrazione; ci è chiaro negli effetti. Gli Apostoli ebbero intera e perfetta la carica apostolica per convertire il mondo. Vi prego di misurare questa carica: prima dubitosi, paurosi, facili a suggestioni in un senso e nell’altro; immediatamente campioni che affrontano tutti nel giorno stesso i capi del popolo, e parlano a tutto il popolo, non hanno più paura né delle beffe – e gliene hanno fatte quel giorno e di grosse – né di insulti né di interpretazioni né di minacce. Niente da quel giorno e poi sempre. Tutta la lettura degli Atti degli Apostoli, libro meraviglioso della luminosità divina della Chiesa, mostra quest’atteggiamento ben alieno dalla paura, dal complesso di timidità, con un coraggio immenso che ha affrontato tutto. Badate bene: hanno affrontato un mondo che era marcio e hanno incominciato ad affrontarlo nel Medio Oriente, che era la culla di tutto il marciume, senza paura, a fronte alta, soli, poveri, niente in mano per potersi cambiare gli abiti e mangiare; questo hanno percorso il mondo, e tutto quello che vediamo di cristiano oggi è stato loro, è la conseguenza di quello che hanno fatto loro. Non lo dico io, l’Apostolo lo dice: sono il fondamento loro e restano il fondamento. Se pensiamo che questi uomini per questa carica spirituale non solo hanno affrontato tutto, ma hanno abbandonato tutto – meno uno, Giovanni, è da credere che tutti avessero famiglia -: il paese, la loro lingua, le loro usanze! Hanno affrontato tutto, e i due più coraggiosi di tutti hanno affrontato Roma. La carica che ebbe Pietro in quel giorno non lo fece restare a porre la sua sede primaziale di tutto l’universo in Antiochia, che sarebbe stata comoda e abbastanza vicina tanto all’Oriente che all’Occidente. No, la carica lo ha portato a portare la sede in Roma, dove stava sedendo un mostro imperiale che si chiamava Nerone, sapendo che là l’avrebbero ucciso. Questa carica! Noi possiamo entrare nei meandri del nostro spirito e parlare del sentimento che deve essere stato investito da tutto, di tutto quello che emerge dal nostro subcosciente che raccoglie dal passa e quasi antevede il futuro, di tutti i meandri della psicologia: là dentro è entrato questo Spirito divino. Non so dirvi di più di questa carica. So dirvi solo quello che è successo dopo, e da quello che è successo dopo si misura la carica del momento. – Ci sono tante anime che nella loro Pentecoste una certa carica, non come quella, ma una certa carica la ricevono e, se la ricevono, se la tengano nell’umiltà e nel silenzio. Si ricordino che a presiedere il giorno della Pentecoste c’era la Vergine Madre del Signore, che, appena diventata tale, per prima cosa partì e andò servire sua cugina, vecchia e in procinto di dare alla 1uce Giovanni Battista, le cui reliquie stanno là. Ha cominciata così la Madre di Dio, che ha presieduto il giorno della Pentecoste, e si è ritirata nel silenzio, protetta dall’usbergo dell’Apostolo vergine Giovanni. L’ha seguito, e quello ha piegato la sua vita all’incarico avuto da Cristo in Croce di conservarla nel silenzio; e nel silenzio del mondo se ne è andata per lasciare il posto ai cori angelici. Non dimentichiamo: nella gloria della Pentecoste, al sommo di quella stupenda piccola assemblea, sta la Vergine Madre del Signore. Ma i1 Magnificat l’ha cantato lei una volta, ora per Lei lo cantiamo noi.

DOMENICA DI PENTECOSTE

Introitus

Sap 1:7. Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja [Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps LXVII:2 Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus. [Sorga il Signore, e siano dispersi i suoi nemici: e coloro che lo òdiano fuggano dal suo cospetto]. V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen

Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja [Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo.

Orémus. Deus, qui hodiérna die corda fidélium Sancti Spíritus illustratióne docuísti: da nobis in eódem Spíritu recta sápere; et de ejus semper consolatióne gaudére.[O Dio, che in questo giorno hai ammaestrato i tuoi fedeli con la luce dello Spirito Santo, concédici di sentire correttamente nello stesso Spirito, e di godere sempre della sua consolazione.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Actuum Apostolórum.

Acts II:1-11

“Cum compleréntur dies Pentecóstes, erant omnes discípuli pariter in eódem loco: et factus est repéente de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis: et replévit totam domum, ubi erant sedentes. Et apparuérunt illis dispertítæ linguæ tamquam ignis, sedítque supra síngulos eórum: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, et coepérunt loqui váriis linguis, prout Spíritus Sanctus dabat éloqui illis. Erant autem in Jerúsalem habitántes Judaei, viri religiósi ex omni natióne, quæ sub coelo est. Facta autem hac voce, convénit multitúdo, et mente confúsa est, quóniam audiébat unusquísque lingua sua illos loquéntes. Stupébant autem omnes et mirabántur, dicéntes: Nonne ecce omnes isti, qui loquúntur, Galilaei sunt? Et quómodo nos audívimus unusquísque linguam nostram, in qua nati sumus? Parthi et Medi et Ælamítæ et qui hábitant Mesopotámiam, Judaeam et Cappadóciam, Pontum et Asiam, Phrýgiam et Pamphýliam, Ægýptum et partes Líbyæ, quæ est circa Cyrénen, et ádvenæ Románi, Judaei quoque et Prosélyti, Cretes et Arabes: audívimus eos loquéntes nostris linguis magnália Dei.” [Giunto il giorno di Pentecoste, tutti i discepoli stavano insieme nello stesso luogo: e improvvisamente si sentí un suono, come di un violento colpo di vento: che riempí tutta la casa ove erano seduti. Ed apparvero loro delle lingue come di fuoco, che, divise, si posarono su ciascuno di essi, cosicché furono tutti ripieni di Spirito Santo e incominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito concedeva loro. Soggiornavano allora in Gerusalemme molti Giudei, uomini religiosi di tutte le nazioni della terra. A tale suono si radunò molta gente, e rimase attònita, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. E si stupivano tutti, e si meravigliavano, dicendo: Costoro che parlano, non sono tutti Galilei? E come mai ciascuno di noi ha udito il suo linguaggio natio? Parti, Medi ed Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia, della Panfilia, dell’Egitto e della Libia, che è intorno a Cirene, e pellegrini Romani, tanto Giudei come proseliti, Cretesi ed Arabi: come mai abbiamo udito costoro discorrere nelle nostre lingue delle grandezze di Dio?]

Deo gratias.

 Alleluja Allelúja, allelúja

Ps CIII:30 Emítte Spíritum tuum, et creabúntur, et renovábis fáciem terræ. Allelúja. Hic genuflectitur.

Veni, Sancte Spíritus, reple tuórum corda fidélium: et tui amóris in eis ignem accénde.

Sequentia

Veni, Sancte Spíritus, et emítte cælitus lucis tuæ rádium. Veni, pater páuperum; veni, dator múnerum; veni, lumen córdium. Consolátor óptime, dulcis hospes ánimæ, dulce refrigérium. In labóre réquies, in æstu tempéries, in fletu solácium. O lux beatíssima, reple cordis íntima tuórum fidélium. Sine tuo númine nihil est in hómine, nihil est innóxium. Lava quod est sórdidum, riga quod est áridum, sana quod est sáucium. Flecte quod est rígidum, fove quod est frígidum, rege quod est dévium. Da tuis fidélibus, in te confidéntibus, sacrum septenárium. Da virtútis méritum, da salútis éxitum, da perénne gáudium. Amen. Allelúja.

Evangelium

 Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Gloria tibi, Domine!

Joannes XIV:23-31

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Si quis díligit me, sermónem meum servábit, et Pater meus díliget eum, et ad eum veniémus et mansiónem apud eum faciémus: qui non díligit me, sermónes meos non servat. Et sermónem quem audístis, non est meus: sed ejus, qui misit me, Patris. Hæc locútus sum vobis, apud vos manens. Paráclitus autem Spíritus Sanctus, quem mittet Pater in nómine meo, ille vos docébit ómnia et súggeret vobis ómnia, quæcúmque díxero vobis. Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: non quómodo mundus dat, ego do vobis. Non turbátur cor vestrum neque formídet. Audístis, quia ego dixi vobis: Vado et vénio ad vos. Si diligere tis me, gaudere tis utique, quia vado ad Patrem: quia Pater major me est. Et nunc dixi vobis, priúsquam fiat: ut, cum factum fúerit, credátis. Jam non multa loquar vobíscum. Venit enim princeps mundi hujus, et in me non habet quidquam. Sed ut cognóscat mundus, quia díligo Patrem, et sicut mandátum dedit mihi Pater, sic fácio.”  [In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Chiunque mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo da lui, e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole. E la parola che udiste non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto mentre vivevo con voi. Il Paràclito, poi, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, insegnerà a voi ogni cosa, e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi dò la mia pace: ve la dò non come la dà il mondo. Non si turbi il vostro cuore, né si impaurisca. Avete udito che vi ho detto: Vado e vengo a voi. Se voi mi amaste, vi rallegrereste certamente che io vado al Padre, perché il Padre è maggiore di me. Ve l’ho detto adesso, prima che succeda: affinché quando ciò sia avvenuto crediate. Non parlerò ancora molto con voi. Viene il príncipe di questo mondo e non ha alcun potere su di me; ma bisogna che il mondo sappia che amo il Padre e agisco conformemente al mandato che il Padre mi ha dato.]

Laus tibi, Christe!

Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

 

OMELIA

della Domenica della Pentecoste

[“Omelie”, del Canonico G.B. Musso, I vol. 1851-impr.]

Ispirazioni

È questo il memorabile giorno in cui lo Spirito Santo disceso in forma di fuoco sopra i discepoli, con Maria Vergine nel Cenacolo congregati. Se mi chiedete, uditori umanissimi, perché venne in questa forma di fuoco? Io vi rispondo con l’angelico dottor S. Tommaso (3 P, q. 39. A. 7.) che lo Spirito Santo prese “forma sensibile di questo elemento per significare ch’Egli produce nell’anime nostre quegli effetti, che sono propri del fuoco. Il fuoco illumina, purifica, consuma. Lo Spirito Santo illumina la mente, purifica il cuore, consuma le viziose abitudini: “Deus noster ignis conmmens est” (ad. Ebr. XII, 29). Ma perché in noi produca questi salutevoli effetti, è necessario aprirgli la strada con accogliere e mettere in pratica le sue sante ispirazioni. Si verificherà allora ciò che Gesù Cristo ha promesso nell’odierno Vangelo, che lo Spirito Santo c’insegnerà e ci suggerirà ogni cosa appartenente alla nostra eterna salute: “Ille docebit vos omnia, et suggeret vobis omnia”. Ma come potrà insegnare, se chiudiamo le orecchie alle sue voci? Come potrà suggerirci i mezzi e la via da tenere per andar salvi, se chiudiamo gli occhi alla sua luce? È dunque della somma importa importanza, anzi della massima necessità, il profittare della sua luce, l’ascoltare la sua voce, il seguire le sue sante ispirazioni. Ispirazioni, notate bene quel che mi accingo a dimostrarvi, ispirazioni, dall’accogliménto, o rifiuto delle quali può dipendere la nostra eterna salvezza, o la nostra eterna perdizione. Uditemi cortesemente! – Noi siamo pellegrini su questa terra: peregrinamur a Domino” (2 Cor. V, 6). In questa nostra pellegrinazione, i nostri passi sono indirizzati alla casa dell’eternitàIbit homo in domum æternitatis suæ” (Prov. XVI, 5), e di quella eternità felice, o sventurata a cui l’uomo viatore avrà diretti i suoi passi,in domum æternitatis suæ”. Posto ciò, egli è certo che in qualità di viatori o di pellegrini ci troviamo sovente ad un bivio, in capo a due strade, l’una a destra, l’altra a sinistra, una che al bene ci porta, l’altra al male, una di salute, l’altra di perdizione. Tutto il punto sta a metter bene il primo piede, a dar il primo passo nella buona strada. Si chiama dallo Spirito Santo un tal passo: “initium viæ bonæ, principio di buon sentiero, che sul cominciare da una ispirazione, la quale ci suggerisce una limosina o una preghiera, una confessione da farsi, o un vizio da emendarsi, un’occasione da fuggire, o una virtù da praticare; alla quale ispirazione secondata vien poi dietro una serie non interrotta d’altri passi virtuosi, che dirittamente ci conducono fino all’ultima meta, fino alla beata eternità. – La predestinazione degli eletti, come con i santi Agostino e Tommaso insegnano, e i teologi, altro non è che la divina prescienza, e l’ordinazione dei mezzi valevoli a condurre i predestinati all’eterna beatitudine; onde siccome la sua provvidenza ha disposto di darci l’esistenza e la vita, così la sua bontà ha decretato di farci sentire nel tal tempo, nella tal circostanza quella santa ispirazione, la quale se prontamente si accoglie e s’eseguisce, come il primo anello di ben contesta catena, trae seco l’altre grazie, gli altri lumi, gli altri mezzi, che facilmente conducono all’ultimo beato fine. Vediamolo in pratica. Dove cominciò la predestinazione, la santità di tanti eroi, che veneriamo sugli altari? Da un’occasione per essi fortuita, ma dallo Spirito Santo diretta a commuoverli, accompagnata dall’impulso della sua grazia, e da un raggio della superna sua luce. Entra a caso in una Chiesa S. Antonio Abate ancor giovanetto, mentre si legge il santo Vangelo, ciò che sente lo crede detto a se stesso, e sull’istante vende tutto ciò che possiede, lo dà ai poveri, fugge dal mondo, si nasconde in un deserto, diviene Patriarca di monaci, caro a Dio, terribile ai demóni. Una limosina prima negata, e poi per commovente ispirazione concessa, innalzò alla più gran santità un Francesco d’Assisi. Giunge casualmente alle mani d’Ignazio di Loyola un libro devoto, comincia a leggerlo per rompere l’ozio; ma leggendo, lo Spirito del Signore lo illumina, profitta di questo lume, rompe i legami, del mondo, e si fa uno dei più zelanti promotori della gloria di Dio. La vista del contraffatto cadavere del complice dei suoi disordini, congiunta con una luce alla mente e con un tocco al cuore, converte sul momento la peccatrice Margherita da Cortona in una fervidissima penitente. Un avviso della propria madre ben accolto da Andrea Corsini lo cangia di lupo in agnello in un chiostro del Carmelo, e lo fa un Vescovo santissimo! Ditemi ora, uditori, se questi santi, e tanti altri di cui son piene l’ecclesiastiche storie, avessero disprezzata quell’ispirazione, negletta quella chiamata, ributtata quella grazia, volete dire che, rifiutato il primo passo, avrebbero poi potuto più metter piede in quella virtuosa carriera, che li portò all’onore degli altari, ed alla patria dei beati? V’è molto a dubitarne. L’occasione è calva, diceva un antico-uomo di senno, una volta che sia passata non si può più tenere per i capelli. Gesù Cristo chiamò i suoi discepoli a seguitarLo, e li chiamò passando, “cum pertranserit, e li chiamò una sola volta, e sull’istante Simon Pietro abbandonò la sua barca, Matteo il suo banco, i figli di Zebedeo, Giovanni e Giacomo, le loro reti, e cominciarono così la carriera dell’apostolato, che li rese tanto accetti a Dio, e tanto benemeriti della sua Chiesa. – Per l’opposto quei due seguaci della legge di Mosè, invitati dal Redentore a seguirLo, perché trovarono scuse, uno per assistere al funerale del padre, l’altro per spedire gli affari domestici, perdettero la bella sorte d’essere annoverati fra i suoi discepoli, e S. Agostino li piange come perduti. Ah, diceva pertanto lo stesso Agostino, fratelli miei, osservo nel santo Vangelo che Gesù dispensa i suoi benefici come lampi fuggitivi, e via passando, “pertransit benefaciendo”, e vi confesso apertamente, e v’assicuro, che mi riempie di timore Gesù che passa. “Fratres mei, dico, et aperte dico, timeo Jesum transenuntem(Serm. 18 de verb. Dom.). La sua chiamata è una luce che balena alla mente: chi non profitta di questa luce resterà al buio, camminerà fra le tenebre, incontrerà inciampi e precipizi; e perciò il Redentore ci avvisa a camminare al favor di questa luce acciò non ci sorprendano tenebre per noi fatali: “Ambulate dum lucem habetis, ne vos tenebræ comprehendant” (Jo. XII, 33). – È vero che talora rinnova le sue chiamate, Iddio pietoso, e fa di nuovo risplendere la sua luce, anche a chi chiuse gli occhi per non vederla; ma di qui appunto nasce il pericolo per l’uomo caparbio, che ostinato nelle sue ripulse vie più si indura, come una incudine al dir di Giobbe (Giob. XLI, 15), sotto i colpi di grave martello. Non vi fu anima tanto dalla divina grazia amorevolmente assediata con replicate ispirazioni, quanto quella di Giuda. Osservate la traccia amorosa tenuta dal divino maestro per espugnare il cuore di questo suo discepolo traditore. Gesù scopre, e comincia a dargli indizio d’avere scoperto il suo iniquo disegno. Voi siete, dice ai suoi discepoli, per purezza di cuore costituiti in grazia e mondi; ma tutti non lo siete Vos mundi estis, sed non omnes(Jo. XIII, 10). Poteva Giuda conoscere l’infelice suo stato, e sentirne rimorso, ma non si muove. Replica Gesù e con più forza gli mette innanzi l’enormità del suo delitto con dire: Uno fra voi è per malizia un vero Demonio: “Ex vobis unus diabolus est”, e Giuda non inorridisce. Passa ad intimargli l’atrocità della pena che va ad incorrere, pena per la quale sarebbe meglio per lui che mai veduta avesse la luce del giorno: “Bonum erat ei si non fuisset homo ille” (Mat. XXVI, 24); e Giuda è insensibile. Parla Gesù in genere finora, e non lo nomina per lasciargli un segreto ritiro a ravvedersi, ma nulla giova. Torna alle prese il buon Salvatore, e alquanto più chiaro: un di voi, o miei discepoli, un di voi mi tradirà: “Unus ex vobis tradet me, e Giuda dissimula. Più chiaro ancora: La mano del traditore è meco su questa mensa. “Manus tradentis me mecum est in mensa” (Luc. XXII, 21): assai più chiaro: Chi meco in questo piatto pone la mano, desso è colui che mi tradirà: “Qui mecum intingit manum in paropside, hic me tradet” (Mat. XXVI, 23), e Giuda fa il sordo, e tutto disprezza. E via, finalmente gli dice Gesù, vanne pure, ed il reo attentato che volgi in mente affrettati ad eseguirlo. “Quod facis, fac citius” (Jo. XII, 21). Non fu già questo un precetto, dice qui il Crisostomo, non comanda Iddio un’azione sì indegna, un tradimento, “non est vox praecipientis”. Non fu consiglio, una somma bontà non può consigliare un eccesso cotanto esecrabile, “non est vox consulentis”. Che dunque volle significare Cristo con quelle parole? Volle dimostrare il giusto e tremendo abbandono ch’Egli faceva di quel cuore indurito, come non più capace di ravvedimento e di emenda. “Cum Judas, conchiude il citato Dottore, esset inemendabilis, dimisit eum Christus” (Hom. 73 in Io.). Ma pure Giuda dà qualche segno di penitenza, restituisce il danaro ai sacerdoti, rende la fama al suo divino Maestro, si ritratta, confessa d’aver tradito il sangue d’un giusto. Ahimè nulla giova, movimenti sono questi d’un disperato, non d’un convertito. Dio vi guardi, miei cari, dall’imitare nel rifiuto delle divine ispirazioni questo discepolo prevaricatore, incontrerete la stessa sorte. Farete forse come Giuda qualche opera apparentemente buona, ma non vi gioverà ad uscire da quel precipizio, che dopo tanti avvisi non avete voluto schivare. – Potete forse lagnarvi che Iddio non v’abbia parlato? Dio vi parlò quando vi trovaste in quella malattia, quando per lo spavento di morte temporale ed eterna vi fece conoscere lo stato deplorabile dell’anima vostra: prometteste allora, se Dio vi accordava grazia d’uscirne, di cangiar vita, Egli vi esaudì, e voi non adempiste la fatta promessa. Vedeste esposto in Chiesa, o condotto al sepolcro il cadavere di quella donna, colpita nel fior dell’età, foste presente al funerale di quel facoltoso, ed una voce vi disse al cuore: “ecco dove va a finire la beltà e la ricchezza”. La vanità delle terrene cose disingannò in quel momento il vostro intelletto, ma la volontà non si arrese a romperne il colpevole attacco. Quel rimorso, fratello mio, quel rimorso, che vi lacera il cuore, è una grazia da voi non conosciuta, con cui Iddio pietoso vi stimola ad emendar costume, a troncare quella scandalosa corrispondenza; che conto ne fate? Vi avvisa per mezzo di quel congiunto, di quell’amico, di quel buon cristiano a ritirarvi da quella licenziosa conversazione, a lasciare quel giuoco, quel ridotto, quel malvagio compagno, che ascolto gli date? “Figlio, dice a più d’uno di noi, se non paghi gli operai, se non soddisfi quel debito, se non dismetti quella lite ingiusta, se non adempi quel pio legato, non sperare salute.” – “Figlio, dice a quell’altro, le partite di tua coscienza son mal in ordine, datti fretta d’aggiustarle con una generale confessione: fa’ al presente quel che desidererai voler fare in punto di morte”. Tutte queste e simili voci, pensieri, sentimenti, ispirazioni, rimorsi, sono chiamate di Dio, sollecito del vostro bene; se chiudete l’orecchie, come un aspide sordo, Iddio offeso, Iddio disprezzato tratterà voi come da voi venne trattato. Così Egli si esprime e minaccia: “Vocavi, et renuistis, ego quoque in interitu vestro ridebo(Prov. I, 24. 26). Ponderate bene, peccatori fratelli miei, queste tremende divine parole. “Vocavi”, ch’Io vi abbia più volte chiamati, e tuttora vi chiami, non potete negarlo. Vi ho chiamati per bocca dei miei sacri ministri colla predicazione, per bocca dei vostri parenti con le ammonizioni, per mezzo di quelle disgrazie, di quelle infermità, con l’esempio dei buoni, col castigo dei malvagi: “Vocavi, et renuistis”, che abbiate ricusato di ascoltarmi, dovete confessarlo, ve ne convince la propria coscienza. Che cosa dunque potete aspettarvi? “Ego quoque”, che Dio cioè vi renda la pariglia, e nel maggior dei vostri affanni si rida di voi,in interitu vestro ridebo”. Miei cari, se si può dire di voi che fate continua resistenza agl’impulsi dello Spirito Santo, come ai contumaci Ebrei rinfacciò lo zelante Levita S. Stefano, “vos semper Spiritui Sancto resistitis(Act. VII, 51) , voi siete perduti. Sarete come una casa che minaccia ruina, che perciò si lascia vuota e abbandonata.Ecce relinquetur vobis domus vestra deserta( Mat. XXIII, 38): abbandono, segno fatale d’eterna riprovazione. Che Dio vi guardi!

Credo …

Offertorium

Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus Ps LXVII:29-30 Confírma hoc, Deus, quod operátus es in nobis: a templo tuo, quod est in Jerúsalem, tibi ófferent reges múnera, allelúja. [Conferma, o Dio, quanto hai operato in noi: i re Ti offriranno doni per il tuo tempio che è in Gerusalemme, allelúia].

Secreta

Múnera, quaesumus, Dómine, obláta sanctífica: et corda nostra Sancti Spíritus illustratióne emúnda. [Santifica, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che Ti vengono offerti, e monda i nostri cuori con la luce dello Spirito Santo]. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen

Communio Acts II:2; II:4 Factus est repénte de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis, ubi erant sedéntes, allelúja: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, loquéntes magnália Dei, allelúja, allelúja. [Improvvisamente, nel luogo ove si trovavano, venne dal cielo un suono come di un vento impetuoso, allelúia: e furono ripieni di Spirito Santo, e decantavano le meraviglie del Signore, alleluja, alleluja.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus. Sancti Spíritus, Dómine, corda nostra mundet infúsio: et sui roris íntima aspersióne fecúndet. [Fa, o Signore, che l’infusione dello Spirito Santo purifichi i nostri cuori, e li fecondi con l’intima aspersione della sua grazia.] – Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

PENTECOSTE

PENTECOSTE

[J.-J. Gaume: “Catechismo di perseveranza”, vol. IV, Torino, 1881]

Pentecoste, — Vigilia della Pentecoste. — Grandezza della festa della Pentecoste. — Sua storia-, differenza della Legge antica e della Legge nuova. — Effetti dello Spirito Santo negli Apostoli; doppio miracolo. — Effetti ch’ei produce in noi. — Quello che bisogna fare per rendercene degni.

 Pentecoste. — Un abile architetto ama sovente che si giunga al palazzo traversando lunghi viali, e la madre assennata ha lungo tempo aspettare al figlio la ricompensa che deve coronarne le giovani virtù: così la Chiesa vuole che le sue grandi solennità siano precedute da lunghi preparativi; e in ciò mostra una grande cognizione del cuore umano. L’Avvento ci prepara a Natale, la Quaresima a Pasqua, I tempo Pasquale a Pentecoste. «Noi ci prepariamo , dice Eusebio, alla festa di Pasqua con quaranta giorni di digiuno, e ci disponiamo alla Pentecoste con cinquanta giorni d’una santa allegrezza ». Perché dunque siffatta allegrezza? Lo Stesso storico ce lo dice. « A Pasqua, egli continua, riceviamo il battesimo; a Pentecoste riceviamo lo Spirito Santo che è la perfezione del Battesimo. La risurrezione di Gesù Cristo fortificò gli Apostoli; la Pentecoste consumò la loro carità e li rese invincibili. In quel giorno lo Spirito Santo fu dato con quella necessaria pienezza alla Chiesa per soggiogare l’universo; perciò io riguardo la Pentecoste come la maggiore di tutte le feste ». I dieci giorni che la precedono sono da ogni divoto cristiano consacrati al raccoglimento ed alla preghiera. Essi si chiudono nel cenacolo insieme con la santa Vergine e con gli Apostoli per disporsi a ricevere lo Spirito Santo nell’abbondanza dei suoi doni.

Vigilia di Pentecoste. — Tuttavia non sembra che questi preparativi bastino alla Chiesa, tanto è grande il suo desiderio di renderci degni de’ favori del divino suo Sposo. Ella ha istituito per la Pentecoste una vigilia solennissima l’uffizio della quale ha molta somiglianza con quello della vigilia di Pasqua. È facile comprenderne la ragione; in quelle due notti memorande era amministrato ai catecumeni il Sacramento della rigenerazione. Nei primi secoli l’uffizio cominciava da dodici lezioni, che, come quelle del Sabato santo, avevano per scopo l’istruzione de’ catecumeni. Oggi non se ne dicono che quattro, che hanno ancora rapporto al battesimo e alla legge di grazia. Nella prima si rammenta la promessa che Dio fece ad Abramo di benedire nella sua schiatta tutte le nazioni della terra; ora nel giorno della Pentecoste questa promessa riceve il suo perfetto compimento per l’effusione dello Spirito Santo che Gesù, figlio d’Abramo secondo la carne, invia nel mondo. – La seconda tratta della legge data da Mose, simbolo della legge nuova, promulgata nel giorno della Pentecoste, e di cui il Battesimo è l’ingresso. – La terza rappresenta la visione d’Ezechiello, e ci mostra quelle vaste campagne coperte d’ossa umane; e poi quell’ossa che si muovono e si riuniscono, ricomponendo corpi d’uomini; e quegli uomini che rivivono al soffio dello Spirito, immagine viva del genere umano alla nascita del Vangelo e della vita nuova che lo Spirito Santo gli comunica. – La quarta ha per scopo di manifestarci gli effetti dello Spirito Santo nelle anime, e la differenza che distingue quelli che ne sono animati, e quelli che vivono dello spirito del vecchio uomo. Nulla di più magnifico di queste lezioni, nulla di più grande delle istruzioni ch’esse racchiudono Seguono poi la processione, la benedizione dei sacri fonti, la Messa senza Introito come nel Sabato santo. La vigilia della Pentecoste è accompagnata da un digiuno, che era già in uso nell’ottavo secolo.

III. Grandezza della festa. — Tutti questi preparativi alla Pentecoste cattolica nulla hanno di esagerato, se riflettiamo all’eccellenza di questa festa. E primieramente per la grandezza del suo scopo essa lascia a molta distanza dietro di sé tutte le feste profane, e di tanto ella sorpassa la Pentecoste Giudaica di quanto la legge di grazia sorpassa la legge di timore, e il compimento del mistero della nostra redenzione i tipi e le figure che lo annunziavano. La terza Persona dell’augusta Trinità che discende sull’universo per rigenerarlo, come era scesa nel giorno della creazione sul caos per fecondarlo; il divino Redentore che pone l’ultima mano alla grand’opera ch’era l’oggetto di tutti i suoi misteri; un nuovo popolo destinato ad adorare Dio in spirito e in verità dall’aurora fino al tramonto; la faccia del mondo rinnovata; il Giudaismo annientato ; il Paganesimo percosso a morte; l’alleanza universale di Dio con gli uomini promessa da quaranta secoli e finalmente realizzata; tali sono le meraviglie e i soggetti di lode e di meditazione contenuti nella festa della Pentecoste. E voi volete che la Chiesa cattolica non esulti di giubilo nel celebrarla? Ma fa di mestieri essere stupido come l’indifferente per non sentirsi palpitare il cuore di riconoscenza e di gioia al ritorno di questa memorabile giornata. Forse che la Pentecoste non è la festa dell’incivilimento? Dite, o popoli cristiani, da qual epoca prendono origine i lumi, le costumanze, le istituzioni, le idee nuove che hanno cangiata la faccia dell’universo e istituita la legge di carità al diritto brutale del più forte, e vi hanno fatto quelli che siete? Se voi, o ingrati, fate mostra di obliarlo, la Chiesa cattolica ha cura di ripetervelo, come lo ripeté alle generazioni che vi precedettero, e come lo ripeterà alle generazioni che vi succederanno. Da diciotto secoli ella celebra la festa della Pentecoste, e voi dovreste, ricchi e poveri, monarchi e popoli, unirvi a lei per festeggiare questo giorno come festeggiate l’anniversario della vostra nascita; perché amo ripetervelo, il cenacolo fu la vostra cuna, e di là è derivata quella superiorità intellettuale e morale di cui andate sì orgogliosi.

Storia della festa. — Ora riduciamoci a memoria le circostanze meravigliose in mezzo alle quali si compì questo mistero. Dopo l’Ascensione del loro divino Maestro, gli Apostoli erano tornati a Gerusalemme ove attendevano gli effetti della sua promessa. Stavano essi adunati in m cenacolo, vale a dire in una camera alta, separata dal resto degli appartamenti siccome i tetti delle fabbriche della Palestina erano piuttosto schiacciati, la stanza la più alta era altresì la più grande e quindi la più appartata, e in essa i Giudei avevano i loro oratori particolari È opinione che gli Apostoli stessero adunati nella casa di Maria, madre di Giovan-Marco, quello zelante discepolo di cui parla san Luca. Ma qualunque fosse il luogo della loro riunione, essi rappresentavano la Chiesa universale. Erano colà in aspettativa delle promesse del loro divino Maestro, quando nel decimo giorno dopo l’ascensione e cinquantesimo dopo la risurrezione di Lui, lo Spirito Santo scese sopra di essi. Era una domenica, giorno di Pentecoste dei Giudei, affinché la nuova legge fosse pubblicata nel giorno medesimo in cui l’antica, che doveva essere soppiantata, era stata data sul monte Sinai. – Ma qual differenza! L’antica legge era stata promulgata in mezzo ai tuoni ed ai lampi e al suono delle trombe. Ella minava di morte i prevaricatori; essa era sopra tavole di pietra, ed aggravanti anziché no per la molteplicità dei comandamenti e degli esercizi ai quali doveva assoggettarsi un popolo ignorante e rozzo, che bisognava piegare alla obbedienza più per via del terrore che dell’amore. La nuova legge all’incontro è una legge non di terrore ma di grazia, destinata ad essere scritta non sulla pietra, ma nel cuore degli uomini. Figlia dello Spirito Santo, principio di consolazione, di dolcezza e di amore, non poteva essere promulgata col mezzo di un apparato spaventevole, né di minacce, come era stata accompagnata la pubblicazione della legge mosaica. Per molto tempo Iddio aveva avuto degli schiavi, Ei voleva ora avere dei figli. La domenica dunque, giorno di Pentecoste, verso le ore nove di mattina, mentre i discepoli erano tutti riuniti, odono improvvisamente un rumore simile a quello di vento gagliardo che viene dal cielo e che empie tutta la casa in cui sono rinchiusi. Questo segnale della venuta dello Spirito Santo è destinato a risvegliare la loro attenzione; esso è pieno di misteri. Quel vento che viene dall’alto, messaggero delle sante inspirazioni, è il soffio della grazia divina che sostiene nelle anime nostre la vita spirituale, come l’aria atmosferica sostiene la nostra esistenza fisica. La sua veemenza indica il potere della grazia sui cuori per cangiarli e vivificarli; s’Ei riempie tutta la casa, ciò è perché lo Spirito Santo presenta i suoi doni agli individui d’ogni paese, che ei trasforma in altri esseri, e che penetra tutte le nostre facoltà. A questo primo prodigio ne succede un altro. Ecco giungere delle lingue bipartite come di fuoco, che si posano sopra la testa di ciascuno de’ membri della fortunata adunanza. Egli è lo Spirito Santo medesimo che si compiace assumere forme esteriori, simboli dei sorprendenti effetti ch’Ei produce interiormente nelle anime. Al battesimo del Salvatore, esso apparisce sotto forma di una colomba per indicare l’innocenza e l’abbondanza delle opere sante, che sono il frutto del sacramento della rigenerazione. Oggi la sua presenza si manifesta sotto la forma di lingue di fuoco, emblema eloquente dell’unità di credenza e di amore che stava per fare di tutti gli uomini un solo popolo di fratelli. Il fuoco illumina, solleva, trasforma in sé tutto ciò che egli incendia; simili sono gli effetti che lo Spirito Santo produce nelle anime nostre. Il fuoco si mostra sotto la forma di lingue piuttosto che sotto la forma di cuori, per far comprendere che i doni dello Spirito Santo sono sparsi sopra gli Apostoli non solamente perché amino Dio, ma anche perché facciano che altri Lo amino, comunicando loro per mezzo della parola il fuoco della propria carità. Questa forma annunzia anche il dono delle lingue, che deve mettere gli Apostoli in grado di comunicare con le diverse nazioni, onde predicar loro la dottrina del divino Maestro [Si crede che il giorno della Pentecoste immediatamente dopo il miracolo della discesa dello Spirito Santo, il quale, dando nascita alla Chiesa, aboliva la Sinagoga, in tal giorno, io dico, si crede che san Pietro celebrasse la prima Messa per inaugurare solennemente il Cristianesimo]. Osservate qui il Salvatore che ripara alle ultime conseguenze del peccato. Avendo i discendenti di Noè voluto edificare la torre di Babele, furono dispersi dalla confusione delle favelle. Come castigo del loro orgoglio, quella confusione delle favelle cagionò la confusione delle idee, l’oblio delle sante tradizioni, e produsse odi ed eterne divisioni tra i popoli. Il dono delle lingue nella predicazione del Vangelo è il felice presagio della prossima riunione di tutte le nazioni nell’unità di credenza e di amore, per non più formare che una grande famiglia che pubblica la gloria del Signore da oriente a occidente.

Effetti dello Spirito Santo. — La discesa dello Spirito Santo operò sul momento negli Apostoli un doppio miracolo; miracolo interiore e miracolo esteriore. Miracolo interiore; tutte le loro facoltà furono arricchite dai doni di Dio. Il loro intelletto, rischiarato da una luce divina, penetrò senza fatica il senso delle antiche profezie e dei libri sacri, egualmente che i misteri della fede e tutte le verità rivelate. – La magnifica economia del Cristianesimo, il suo scopo, i suoi mezzi, il suo fine, la dolcezza sorprendente del loro Maestro, l’eccesso del suo amore per gli uomini, la profondità dei consigli di Dio, e il suo potere illimitato nelle diverse elargizioni della sua grazia, tutti questi abissi impenetrabili alle più perfette creature cessarono di essere oscuri per gli Apostoli. Quanto al loro cuore l’amor divino lo penetrò talmente che ne bandì tutto ciò che poteva esservi rimasto d’impuro, e lo riempi delle più abbondanti grazie e delle più sublimi virtù. Per dire tutto in una parola, lo Spirito Santo cangiò gli Apostoli in uomini nuovi. La prova autentica di questo cambiamento interiore è il miracolo esteriore della loro condotta. Udite voi quei dodici Galilei, quei pescatori incolti e illetterati che parlano tutti e scrivono con una eloquenza, una dignità, una profondità che produce l’ammirazione, e che citano al bisogno con aggiustatezza, e applicano con perfetta sagacia i passi i più difficili e a più astrusi dei libri santi? Tutto ciò dimostrava evidentemente ai più increduli, che essi non parlavano per virtù propria. Ugualmente incontrastabile era la prova che presentava il loro coraggio e il loro zelo per la gloria di Dio. Singolare spettacolo! Ecco dodici pescatori, il più audace dei quali, sono pochi giorni, rinnegò il proprio Maestro, sbigottito dalla voce di un’ancella, ecco, io li vedo affrontare i magistrati, i regnanti, la terra intera congiurata contro di loro: « Mirate, dice san Crisostomo, con quale intrepidezza essi procedono! Ecco trionfano di tutti gli ostacoli, come il fuoco trionfa della paglia in cui s’incontra. Città intere insorgono contro di loro, nazioni si collegano per distruggerli, guerre, fiere, ferro, fuoco li minacciano, ma indarno! Non si commuovono alla vista di questi pericoli più che se fossero sogni o nemici in pittura. Sono disarmati e fanno fronte a legioni armate. Uomini ignoranti osano entrare in arringo con una moltitudine di oratori, di sofisti, di filosofi, e li confondono. Paolo fiacca egli solo l’orgoglio dell’Accademia, del Liceo e del Portico; i discepoli di Platone, d’Aristotele e di Zenone ammutoliscono in faccia a lui » [Omel. IV in Act.]. – E affine di rendere dinanzi a tutti i secoli una testimonianza autentica di questo doppio miracolo compiuto negli Apostoli, ecco che il Giudaismo e il Paganesimo cadono, mentre il Cristianesimo si innalza sulle loro rovine. Ripeto che è la Pentecoste, intendete bene, che assegna l’epoca a questa rivoluzione morale, la più sorprendente di cui la storia conservi la ricordanza. E questo avvenimento sussiste tuttavia sempre vivo, sempre parlante, consolando la fede degli uni, mettendo alla disperazione l’incredulità degli altri, predicando a tutti l’amore d’una religione che ha cangiato la faccia della terra. – Queste meraviglie che lo Spirito Santo operò nel giorno memorabile della sua venuta, Ei le opera tuttora nelle anime ben disposte. I doni esteriori sono cessati, è vero, perché non sono più necessari; ma sono i doni interiori che possiamo ottenere. La Chiesa c’invita a domandarli, specialmente nel giorno della Pentecoste: e la Chiesa ha ragione; noi e la società intera con noi, ne sentiamo il bisogno più che mai. Perciò nell’uffizio di questo gran giorno l’affettuosa madre de’ cristiani, la protettrice della società, la Chiesa Cattolica, pone sulle labbra de’ suoi figli e canta con essi quell’inno sì efficace a chiamare lo Spirito Santo nei nostri cuori. “Veni, sancte Spiritus, et emitte coelitus Iucis tuæ radium”. Vieni, o Spirito Santo, c’illumina sempre di più, e fa che continuamente splendano agli occhi nostri i raggi della tua luce celeste. Veni, pater pauperum, veni dator munerum, veni lumen córdium. Vieni, tu sei il padre dei poveri, ed ahi! noi siamo poveri, tanto dei beni di questa vita, quanto dei beni della vita avvenire. A questo titolo noi siamo doppiamente meritevoli e della tua compassione e delle tue elargizioni. Deh! le prodiga a noi benefico, Tu che sei la luce dei cuori e il distributore di tutti i doni! “Consolator optime, dulcis hospes animæ, dulce rifrigerium”. Noi trasciniamo una vita miserabile nelle angosce, nella tristezza e nelle amarezze; invano cercheremmo tra gli uomini il nostro conforto. Noi non troviamo in essi che dei consolatori onerosi, che inaspriscono i nostri mali, o che ci lasciano nell’oppressione e nel dolore. Spirito consolatore, Tu sei il migliore amico, il solo che presenti un dolce refrigerio ad un’anima afflitta, il solo che le procacci un refrigerio gradevole. “In labore requies, in æstu temperies, in fletu solatium”. Noi troviamo in Te un riposo tranquillo dopo le nostre fatiche, un’ombra fresca nei calori dell’estate, una moderazione nell’ardore delle nostre passioni; tu asciughi le lacrime di cui solchiamo questo tristo passaggio dalla vita all’eternità. “O lux beatissima, reple cordis intima tuorum fidelium”. – Oh! luce piacevole e confortatrice, vieni a spargere dolce serenità nelle anime che ti sono fedeli: una penosa oscurità le circonda in certi momenti nubilosi; le riempi dunque di letizia che Ti accompagna. “Sine tuo numine, nihìl est in homine, nihil est innoxium”. Senza il tuo divino soccorso noi nulla abbiamo, nulla possiamo, nulla siamo; tutto in noi è sola debolezza, miseria, infermità. “Lava quod est sordidum , riga quod est aridum, sana quod est saucium.” – Purifica in noi tutto ciò che vi troverai d’immondo e d’iniquo; irrora questo cuore arido e disseccato; guarisci le piaghe dell’anima mia applicandole rimedi efficaci e salutari. “Flecte quod est rigidum , fove quod est frigidum, rege quod est devium.” Piega questo cuore ribelle e indocile, trionfa delle sue resistenze e della sua ostinazione; rendilo pieghevole alle tue inspirazioni persuasive; struggi quel ghiaccio, che lo rende sì freddo per gli oggetti che dovrebbero infiammarlo d’amore. Ohimè! s’ei si smarrisce nelle vie dell’iniquità, riconducilo nei sentieri della giustizia. “Da tuis fidelibus in te confidentibus sacrum septenarium.” Noi ponemmo in te tutta la nostra fiducia. E su chi dovremmo porla? Concedi a tutti i tuoi servi i doni preziosi che tu rechi dal cielo, cioè la sapienza, l’intelligenza, il consiglio, la forza, la scienza, la pietà, il timore di Dio, tutte le grazie di cui abbiamo un bisogno sì grande. “Da virtutis meritum, da salutis exitum, da perenne gaudium”. Adorna l’anima nostra di virtù solide e cristiane, che sole hanno merito ai tuoi occhi; conducine alla felice meta della salute, a quella gloria, a quelle delizie che non mai finiranno. Amen. Cosi sia * [Catechismo di Couturier; t. 1. Si crede generalmente Papa Innocenzo III, morto nel 1216, autore di quest’inno. Altri ne danno gloria al B. Hermann Contractus, monaco di Mezrow, morto nel 1505. Vedi Benedetto XIV, De festis Cttristi]. Non è d’uopo aggiungere che la festa della Pentecoste risale ai tempi Apostolici, e che in ogni tempo fu celebrata con la massima pompa. Diremo soltanto che nei secoli del medio evo, secoli incomprensibili per la presente nostra epoca d’indifferenza glaciale, esisteva nel giorno di Pentecoste un uso rituale che aveva alcun che di dramma sacro. Nel momento in cui il coro intonava l’inno ammirabile che abbiamo spiegato, uno strepito di trombe echeggiava per tutta la Chiesa, ad imitazione del veemente strepito di cui si parla nella narrazione di san Luca. Nel tempo stesso dall’alto della volta piovevano scintille mescolate con fiori d’ogni sorta, ma specialmente di foglie di rose rosse, simbolo della gioia e della diversità delle lingue, parlate dagli Apostoli alle diverse nazioni. Finalmente colombe a tal fine disciolte svolazzavano per tutta la chiesa, commoventi immagini di quello Spirito che è la forza e la dolcezza. Immaginiamoci dunque una riunione di fedeli adunati in una vasta navata, nel punto in cui al canto unanime della bella sequenza si accoppiava il suono fragoroso delle trombe e una pioggia di fiori e di fuoco in scintille che si smorzavano al di sopra delle teste e l’oscillare del volo delle colombe. Dicemmo che quell’anime dalla fede ardente s’identificavano deliziosamente, retrocedendo di qualche secolo, con quei discepoli, con quegli Apostoli, con quelle sante donne, e con Maria madre di Gesù nel cenacolo di Gerusalemme. Può egli immaginarsi di qual prodigi di devozione e di sacrificio fossero capaci anime così commosse, così vivificate? In quel momento di santa esaltazione, il cristiano del decimo terzo secolo non trovava cosa alcuna impossibile all’amor suo. Le Crociate, le istituzioni religiose, le cattedrali gotiche erette sono testimoni irrefragabili della costanza dell’amor suo; donde noi possiamo qui esclamare coll’autor-poeta della divina Salmodia, il santo cardinal Bona: « Colà si vede l’amore, quell’amore che dal cielo scendendo sopra la terra in fuochi che sono proprii di lui, scaglia nel tempo stesso i suoi pacifici fulmini ». [Scilicet hic amor est proprios effusus in ignes placido qui fulminat ictu?L’Univers; 2 giugno 1840]

Disposizioni alla Pentecoste. — Terminiamo con una riflessione utile al regolamento della nostra condotta. Un ardente desiderio di ricevere lo Spirito Santo, e specialmente una rinunzia ad ogni affezione smodata per le creature, sono i due mezzi essenziali per attrarlo al nostro cuore. Vedete fin dove questo divino Spirito spinge la gelosia! Certo, nessun sensibile attaccamento poteva essere più legittimo, più santo di quello dei discepoli, verso la presenza corporea del loro divino Maestro. Tuttavia quell’attaccamento doveva essere in certa maniera bandito dall’anima loro, affinché lo Spirito Santo andasse a prenderne possesso, e a riempirla: “Se Io non me ne vo – diceva loro il Salvatore – non verrà a voi il Paracleto” (Giov. XVI, 8). Se dunque è certo che il troppo grande attaccamento degli Apostoli alla presenza sensibile dell’umanità di Gesù Cristo fu un ostacolo alla discesa dello Spirito Santo in loro, chi sarà sì presuntuoso da lusingarsi di ricevere la visita del divino Paàcleto finché rimarrà schiavo del proprio corpo? Persuadersi che questa dolcezza celeste possa allignare coi piaceri de’ sensi, che questo balsamo divino possa mescolarsi con il veleno, i lumi dello Spirito Santo con le tenebre del secolo, sarebbe uno strano errore. Qual rapporto può esistere tra la verità e la menzogna, tra il fuoco della carità e il ghiaccio degli affetti mondani? No, no; più l’uomo diventa carnale, più lo spirito di Dio si allontana da lui. Ecco perché il Cristianesimo si distacca oggi giorno dagli individui e dalle nazioni. Ed essi da stolti dicono: il Cristianesimo è vecchio!! Oh insensati! Voi, sì, siete vecchi, siete indegni del Cristianesimo.

Preghiera.

O mio Dio che siete, tutto amore, io vi ringrazio che abbiate inviato lo Spirito Santo sopra gli Apostoli, e per mezzo di loro sopra tutta la terra; non permettete ch’io contristi mai in me questo Spirito divino. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso, per amor di Dio, e in prova di questo amore io temerò sempre di resistere alle inspirazioni della grazia.

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -VIII- di mons. J. J. Gaume [capp. XXVII-XXIX]

CAPITOLO XXVII.

L’AMERICA DEL NORD. — HAITI. — IL MESSICO.

I.

Fin qui abbiamo dimostrata l’esistenza del sacrificio umano, nelle tre parti conosciute del mondo antico: l’Asia, l’Europa e l’Africa. Il fatto è universale e permanente. Non è dunque un affare di razza, di clima, di longitudine, di latitudine, d’una barbarie più o meno grossa o d’una civiltà più o meno progredita; è un affare di culto universale e permanente. II sacrificio umano ha dunque una causa universale e permanente. Questa causa non è nei lumi della ragione, né nelle tendenze della natura, né nella volontà di Dio. A meno che non si voglia rimanere a bocca aperta dinanzi a questo fatto spietato, non può altrimenti spiegarsi che per la parte che vi prese universalmente e permanentemente il grande omicida. Un altro fatto, non meno universale e non meno permanente, è la cessazione del sacrificio umano ovunque il Cristianesimo è predicato ed abbracciato.

II.

Poiché il mondo moderno s’è arricchito d’un nuovo continente, rimane a visitare, per completar la dimostrazione, questa nuova terra, che America s’appella. Per andarvi, attraversiamo il mare delle Antille, ed arrestiamoci alla grande isola d’Haiti, dove è avvenuto di recente un fatto che ha ottenuto una pubblicità giudiziaria. Nel mese di dicembre 1803, a Bizoton, alle porte della capitale d’Haiti, un tal Congo Pelle ricevette dal dio Vandoux [Il dio serpente adorato da Vandoux] l’ordine di fargli un sacrificio umano; era a questo prezzo che la fortuna visitar doveva la povera sua dimora. D’accordo colla sua sorella, Giovanna Pelle, risolse d’immolare al serpente la sua propria nipote, Chiarina di otto anni.

III.

La fanciulla fu condotta il 27 dicembre presso un tal Giuliano Nicolas, il quale, secondato da altri adepti, Floréal, Guerrier, e dalla donna Byard, le legò le braccia e le gambe. Chiarina fu allora trasportata nella casa di Floréal e posta in un luogo misterioso, che nel linguaggio degl’iniziati era detto Humfort. Vi rimase per quattro giorni, e il mercoledì, 30 dicembre, alle dieci di sera, la vittima fu di nuovo condotta presso Congo Pelle. L’ora del sacrificio era suonata.

IV.

Giovanna Pelle afferrata pel collo la sua nipotina, la strangolò, mentre che Floréal le comprimeva i fianchi e Guerrier le teneva stretti i piedi. Disteso per terra il cadavere, Florèal ne tronca con un coltello la testa, e lo scortica. Appena terminata questa operazione, Giovanna Pelle, Florèal, Guerrier, Congo, Nerina moglie di Florèal, Giuliano Nicolas, e le donne Roseide e Beyarv si precipitano sulla vittima, divorano le sue carni palpitanti, e ne bevono il sangue ancor caldo.

V.

Dopo quest’ orribile banchetto, i cannibali si recano in casa Floréal con la testa della povera Chiarina, la fanno bollire cogl’ignami e ne mangiano le parli carnose. Il cranio cosi spogliato è posto sopra un altare. Giovanna suona una campanella, e gli adepti eseguono una danza religiosa, girando attorno l’altare e cantando una canzone sacra, che probabilmente non era altro che il famoso inno: Eh! eh! bomba! ben! ben! Conga Bafio sé! Cinga manne de li, Cinga de ki la. Conga li!

VI.

Terminata che fu la cerimonia, la pelle e le viscere di Chiarina furono sotterrate presso la casa di Florèal. Si era già raccolto nei vasi il sangue che restava della vittima, il quale doveva essere preziosamente conservato. Quanto alle ossa, furono ridotte in polvere, perché la cenere doveva essere egualmente conservata. – L’ opera santa era compiuta, e gli adoratori del serpente si separarono scambiandosi lo a rivederci per il 6 di gennaio, giorno dei re, in cui dovevano fare un nuovo sacrificio. La vittima, celata in casa Florèal, non attendeva che il coltello sacro. La era una giovane figlia, chiamata Losanna, che Nereina avea involata sulla strada di Leogane. Avventuratamente ne fu dato parte alla giustizia; e gli antropofagi condannati a morte dal giurì, sono stati impiccati il 6 febbraio 1864. [Monitenr haitien. 13 marzo 1864].

VII.

Rimbarchiamoci ora, e navighiamo verso il Messico, per vedere quel che esso era avanti la predicazione del Clericalismo. Sul suolo messicano s’immolavano un gran numero di teocallis, o case degli dèi. Cotali Teo-callis avevano tutti la medesima forma, benché con dimensioni diversissime. Erano molti filari di piramidi, che si levavano a una grande altezza, nel mezzo d’un vasto ricinto quadrato, ed attorniato da un muro. Questo ricinto conteneva giardini, fontane, le abitazioni dei sacerdoti, e qualche volta anche magazzini d’armi.

VIII.

Sulla sommità d’una piramide troncata, a cui ascendevasi per una grande scala, si trovavano una o due cappelle in forma di torre, che rinchiudevano gl’idoli colossali della divinità, alla quale il Teocalli era dedicato. Era là finalmente che i sacerdoti mantenevano il fuoco sacro. Per effetto di questa disposizione dell’edificio, il sacrifìcio poteva essere veduto da una gran moltitudine di popolo.

IX.

Or sulla sommità di dette piramidi aveva luogo l’immolazione delle vittime umane. Da tempo immemorabile, gli Aztechi rendevano questo culto sanguinario, sopratutto al dio della guerra, chiamato lo Spavento. Era rappresentato con un dardo nella mano destra, uno scudo nella mano sinistra, colla testa coperta d’un elmo ornato di foglie verdi. L’altipiano centrale del Messico fu il primo teatro sul quale gli Aztechi cominciarono ad immolar gli uomini. Le loro guerre continue fornivano un sì gran numero di vittime, che i sacrifici umani furono offerti senza eccezione a tutte le loro divinità. Gli Aztechi non si contentarono di tingere di sangue i loro giganteschi idoli, essi divoravano una parte del cadavere, che i sacerdoti, dopo averne strappato il cuore, gettavano ai piedi della scala del Teocalli.

X.

Tale orrenda carneficina sorpassa tutte le proporzioni conosciute. Nel 1447, meno d’un secolo avanti la conquista spagnola, ebbe luogo, al Messico, la dedicazione d’un Teocalli o tempio in onore del dio della guerra, per opera di Ahuitzoll, re del Messico. Mai in alcun paese così spaventevole strage erasi compiuta per onorare il grande omicida. Gli storici indigeni, che non possono per questa parte esser accusati né d’ignoranza né di parzialità, portano a ottantamila il numero delle vittime umane immolate in questa festa, di cui danno la descrizione seguente.

XI.

Il re ed i sacrificatori montarono sul terrazzo del tempio. Il monarca messicano si colloca accanto la pietra dei sacrificio, su di una sedia ornata di pitture orribili. Al segno, dato da una musica infernale, gli schiavi incominciarono a salire i gradini del Teocalli, coperti d’abiti festivi e la testa ornata di piume.

XII.

A misura che arrivavano alla sommità, quattro ministri del tempio, con le facce tinte in nero e le mani in rosso, afferravano la vittima, e la stendevano supina sopra la pietra collocata a pie del trono reale. Il re si prostrava voltandosi successivamente verso i quattro punti cardinali [Parodia del segno della Croce]; quindi le apriva il petto da cui strappava il cuore, che mostrava palpitante verso i medesimi punti, e lo rimetteva in seguito ai sacrificatori. Questi andavano a gettarlo nel quanhaicalli, specie di truogolo profondo, destinato a tal uso sanguinoso. Compievano la cerimonia spargendo ai quattro punti cardinali il sangue che restava loro nelle mani.

XIII.

Dopo avere immolato cosi una moltitudine di vittime, il re stanco presentò il coltello al gran sacerdote, il quale lo porse a un altro, e cosi di seguito lino a che le loro forze fossero spossate. Raccontano che il sangue colava lungo i gradini del tempio, come l’acqua durante gli acquazzoni procellosi dell’inverno; e si sarebbe detto che i ministri fossero rivestiti di scarlatto.

XIV.

Questa spaventevole ecatombe durò quattro giorni, aveva luogo alla medesima ora e con lo stesso cerimoniale, nei principali templi della città; e i più grandi personaggi della corte vi compivano, in un coi sacerdoti, le funzioni stesse che Ahuitzotl al santuario del dio della guerra. I re tributari e i grandi, che avevano assistito ai sacrifici, vollero imitarlo nella dedicazione di alcuni templi. Il sangue umano non fu risparmiato: un autore messicano, Ixtlilxochitl, porta a più di centomila il numero delle vittime che s’immolarono in quell’anno.

XV.

Il fiume di sangue umano che in certe circostanze diventava un gran lago, non cessava mai di scorrere. A somiglianza de’ Greci, dei Romani, dei Galli, e degli altri popoli dell’antichità, i Messicani avevano pur essi le loro Targelie. In mezzo ad una fitta foresta, si trovava il sotterraneo consacrato a Pétéla, principe dei tempi antichi. Sotto quelle cupe volte, il viaggiatore contempla con stupore la bocca spalancata d’un abisso senza fondo, dove si precipitano mugghiando le acque d’una riviera. Quivi appunto nei momenti di prova, erano condotti con pompa coloro che erano fatti schiavi o prigionieri a tal fine. Ricoperti di fiori e di ricchi vestimenti, erano precipitati nell’ abisso in mezzo a nuvole d’incenso offerto all’idolo.

XVI.

Tutti i mesi dell’ anno venivano contrassegnati con sacrifici umani. Quello che corrisponde al nostro mese di febbraio, era consacrato ai Genii delle acque. Si compravano, per sacrificarli ad essi, dei fanciullini, che i padri offrivano sovente da se stessi, per ottenere nella prossima stagione l’umidità necessaria alla fecondazione della terra. Questi fanciullini erano portati in cima delle montagne, e là immolati; ma se ne riservavano sempre alcuni, per sacrificarli al cominciar delle piogge. Il sacerdote apriva loro il petto, e ne strappava il cuore, che era offerto in propiziazione alla divinità, e i corpicciuoli venian quindi apprestati in un banchetto da cannibali, ai sacerdoti ed alla nobiltà.

XVII.

Un altro mese era appellato lo Scorticamento umano. Il suo patrono era Aipé, il calvo o lo scorticato, altrimenti detto Totec, morto giovane e di morte infelice. Contraffazione diabolica di Nostro Signore, tanto più che questa divinità ispirava a tutti estremo orrore. Gli si attribuiva il potere di mandare agli uomini le malattie più gravi e schifose [Altro mezzo infernale di far detestare il Crocifisso]. Onde gli si offrivano ancora giornalmente sacrifìci umani!

XVIII.

Le vittime condotte ai suoi altari eran sollevate pei capelli, sino al terrazzo superiore del Teocalli. Cosi sospese, i sacerdoti le scorticavano vive, si rivestivano della loro pelle sanguinante e se n’andavano per la città accattando ad onore del dio. Quei che presentavano queste vittime erano tenuti a digiunare venti giorni anticipatamente, dopo di che si dividevano la carne delle medesime [Histoire des nations civìlisees du Mexique, t. Ili, p. 341, 503, ecc., dell’abate di Bourburg. — M. di Bourboug ha passato più di trenta anni in America, occupato alla ricerca delle antichità messicane. È senza dubbio l’uomo che meglio conosce il Messico. È stato anche posto alla testa della spedizione scientifica mandata in questo paese negli ultimi tempi dell’impero di Napoleone III. Vedi anche de Humboldt, Tue des Cordillères, t. II, p. 250, e t. I, p. 267, ecc.]. – Ecco quel che facevasi nel Messico avanti la predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo, e dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

CAPITOLO XXVIII.

L’AMERICA DEL NORD

(Contiuuazione. )

I.

Al racconto delle crudeltà messicane che siam venuti tracciando, al quadro di quelle onde saremo testimoni in tutte le parti del nuovo mondo, una riflessione sorge naturalmente nel nostro animo. Molto si sono biasimate le crudeltà commesse dagli Spagnoli contro le popolazioni americane. Siamo lontani dall’approvarle; ma si può dire che esse furono un giusto castigo delle loro iniquità. Gli spagnoli trattarono questi popoli assetati di sangue e coperti di delitti secolari, come fecero gli Ebrei a riguardo dei popoli di Chanaan. Dio, dice un proverbio, non paga sempre il sabato!

II.

Continuiamo la nostra visita nell’America del Nord. Eccoci nell’Honduras, importante contrada conquistata da Ferdinando Cortez. Timidi schiavi del grande omicida, gl’idolatri di questo paese gareggiavano in barbarie coi Messicani, se pur non li superavano. Tre Dei principali, vale a dire tre demoni, erano l’oggetto del loro culto. Avevano loro innalzato tre grandi templi.

III.

Ogni anno, in giorni designati, venivano essi in gran pompa a sacrificarvi i loro padri e i loro figliuoli: ogni tempio era servito da un sacerdote, che presiedeva a questi empi sacrificii, e dava i responsi degl’idoli. Questo sacerdote si chiamava papa, come se il demonio avesse voluto usurpare pei suoi ministri il titolo che i cristiani danno al loro capo [Wadding, ar. 1527, n. 13].

IV.

Giunse finalmente per questo popolo l’ora della misericordia. I figli di san Francesco penetrarono coraggiosamente in questo paese, abbatterono i templi, e spezzarono gl’idoli. Non ha guari scosso il giogo dello spirito delle tenebre, gli stessi sacerdoti vedendo la debolezza dei loro dèi, abbracciarono la fede cristiana; e il sacrificio divino rimpiazzò il sacrificio umano.

V.

Verso il medesimo tempo, nel 1528, un figlio di san Domenico, Bernardino da Minaya, non meno zelante e non meno coraggioso dei figliuoli di san Francesco, si portò a Tepeaca, città situata non lungi da Messico. Già il culto esteriore degl’idoli eravi stato abolito dagli Spagnoli. Ma gli abitanti nascondevano attentamente i loro idoli per onorarli in segreto. Il missionario, saputo ciò, comandò a due giovani Indiani cattolici, di frugare per le case e di rompere gl’idoli. Eglino obbedirono, ma costò loro la vita.

VI.

Non era né per devozione e fede che questi poveri idolatri adoravano i loro dèi, e loro offrivano in sacrificio quanto avevano di più caro; ma unicamente per paura. Un religioso, testimone oculare, s’esprime cosi: « Essi non agiscono mai per un principio di virtù, ma per paura; Non fanno il crudele sacrificio dei loro figliuoli, per amore che portino ai loro falsi dèi, ma per la paura che hanno di riceverne del male. – « Questi falsi dèi sono tanti e sì diversi che neppur essi, gl’idolatri, ne sanno il numero; ne assegnano uno a ciascuna cosa, al fuoco, all’ aria, alla terra, agli uomini, alle donne, ai fanciulli, e pressoché ad ogni creatura [Alterazione diabolica della credenza negli angeli]. D’ordinario danno loro nomi di serpenti A chi sacrificano il cuor degli uomini, a chi il sangue, a chi offrono incenso, carta e diverse altre cose, secondo che dagli idoli stessi vien loro ordinato.

VII.

« Né oserebbero farne a meno, per timore che questi dèi sanguinari e carnivori non avessero ad ucciderli subito e divorarli. Così, per evitare la morte, onde credonsi minacciati, lor fanno a gara il sacrificio di ciò che hanno di più caro. Quest’idoli sono serviti da alcuni sacerdoti, i quali son riveriti come santi, e non si nutrono che della carne e del sangue che immolano» [Hist. gèn. des miss. cath., t. I parte 2 p. 402]. Sacrifici umani e antropofagia sotto tutte le forme, ecco quel che avveniva a Tepeaca e nei dintorni, avanti la predicazione del Clericalismo! E oggi vogliono sterminarlo! e dicono, che tutte le religioni sono egualmente buone!

VIII.

A conferma del racconto che si è letto, il venerabile vescovo di Messico, Giovanni di Quinarraga, scriveva il 12 giugno 1531 al capitolo generale de’ Francescani dell’Osservanza, riunito a Tolosa: « Miei reverendissimi Padri, noi lavoriamo con assiduità alla conversione degl’Indiani, e la grazia di Dio dà un felice successo alle nostre fatiche. I nostri religiosi hanno già battezzato più d’un milione di questi infedeli, demolito cinquecento loro templi, e fatto bruciare più di ventimila idoli. Abbiamo fatto fabbricare delle chiese e delle cappelle in più luoghi, dove la santa Croce è adorata. »

IX.

« La cosa più degna d’ammirazione si è che, in questa città dove non ha molto, era il costume di sacrificar tutti gli anni più di venti mila cuori di giovanetti o di giovanette, i religiosi hanno sì felicemente modificato queste crudeli e sacrileghe immolazioni, che tutti i cuori umani non sono più offerti oggi che al vero Dio, e solamente per sacrifìci di lode. È così che la divina Maestà vien servita con amore dai suoi figli senza che siano essi obbligati di pagarle il tributo inumano che il demonio esige da loro. »

X.

Ecco quel che avveniva in questa grande città di Messico, avanti la predicazione del Clericalismo. Ascoltiamo ciò che accadeva dopo. Il medesimo vescovo continua: « Questi piccoli innocenti, giovani garzoni e giovani zitelle, liberate dal timore d’essere immolate al demonio, digiunano spessissimo, sono assidui alla preghiera accompagnata dalle loro lacrime. Si confessano spesso, ricevono la santa Comunione con gran fervore, e spiegano esattissimamente ai loro genitori le istruzioni apprese. Si alzano a mezzanotte per dire l’officio della santa Vergine, per la quale hanno una devozione particolare.

XI.

« Ricercano con non poca diligenza gl’idoli nascosti, e li portano ai religiosi. Parecchi han guadagnato la corona del martirio per questo atto di zelo; e sono stati i loro proprii genitori che li han fatti crudelissimamente perire. Questi fanciulli sono assai umili, modesti, casti, ingegnosi, specialmente nella pittura, ed amano i loro padroni, come i loro proprii padri» [Waduing, anno 1531. n. 1]. E oggi vogliono sterminare il Clericalismo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

CAPITOLO XXIX

L’AMERICA DEL NORD

(Continuazione);

I.

Non lungi dalla diocesi messicana di Chiapa, che ebbe la fortuna d’avere a vescovo l’illustre Bartolomeo di Las Casas, si trovava il paese di Puchutta, dove il sacrificio umano era in uso come in tutte le contrade circonvicine. Gli abitanti, tanto superstiziosi quanto guerrieri, vedevano con pena i loro vicini dell’antica Terra di guerra, rinunziare al culto degl’idoli per abbracciare il Cristianesimo. Si credettero obbligati di vendicare i loro dèi sterminando coloro che rifiutavano di tributare ad essi la fede e i sacrifici dovuti.

II.

Quindi si riunirono nel 1555, formarono un’armata numerosa, e invasero la Terra di guerra, risoluti di non risparmiare né Spagnoli né indigeni, se non acconsentivano ad adorare gl’idoli. Poiché non erano quelli in stato di resistere, essi s’avanzarono fino alla provincia di Chiapa, bruciando per ogni dove le Chiese dei cristiani, spezzando le immagini, rovesciando le croci e sacrificando i fanciulli al sole o ai loro idoli, sugli stessi altari dove l’Agnello divino s’offriva al Padre suo [Fontana, Monumenta Dominikana, e Touron, Hist. gen. de l’Amerlque, t. VI, p. 120]. Cosi dappertutto il sangue umano, e sempre il sangue più puro, offerto al demonio. Ecco, non bisogna lasciare di ripeterlo, quel che si vede in tutte le parti del mondo avanti la predicazione del clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

III.

Entriamo ora nella Florida. Questa bella provincia dell’America del Nord deve il suo nome europeo al giorno in cui essa fu scoperta dagli Spagnoli. Questo giorno fu la domenica delle Palme, appellata Pasqua de fiori. Sembrava che il sole fosse la sola divinità degl’indigeni. Tutti i templi erano ad esso consacrati. Il modo di sacrificio più comune consisteva in gettare nel fuoco l’oblazione o la parte della vittima offerta al sole, dopo avergliela presentata con una allocuzione in forma di preghiera. Gli abitanti della Florida riguardavano i loro capi come figli del sole. In questa qualità, rendevano loro gli onori divini, e loro facevano il sacrificio dei primogeniti. I francesi, succeduti agli Spagnoli, furono anch’essi spettatori di questa triste cerimonia. E ciò avvenne nel 1569. Un testimone oculare la descrive in tali termini:

IV.

« L’è una costumanza di quei popoli offrire al re i primogeniti in sacrificio. Scelto il giorno di questa offerta, ed accettato dal principe, questi portasi nella piazza dove si deve fare tale solennità. Quivi è preparato a lui uno scanno per trono. Nel mezzo della piazza si pone un ceppo di due piedi di diametro e della medesima altezza. Dinanzi a questo ceppo recasi la madre del fanciullo, che dev’essere immolato, e siede in terra, nascondendo la faccia fra le ginocchia, e deplorando la sorte di quella vittima infelice.

V.

« Una donna, delle più considerevoli fra i parenti o fra le amiche di questa madre infelice, prende il fanciullo e lo presenta al re. Tutte le altre donne incominciano allora una ridda, nel mezzo della quale danza ancor quella che tiene in braccio il fanciullo, cantando qualche canzone in onore del principe. -« Durante questa danza religiosa, sei scelti Indiani stanno a un canto della piazza, avendo in mezzo a loro il sacrificatore, armato d’una mazza e magnificamente ornato. Terminata la danza e le altre armonie, che sono in uso in tal sorta di circostanze, egli prende il fanciullo, lo pone sul ceppo, e lo ammazza » [Relazione di Iacopo di Moyne, incaricato a disegnare le coste della Florida, nell’ Hist. gen. Des Miss.,, t. I. pari. 2 p. 539].

VI.

Gli abitanti della Florida non si contentavano d’immolare i loro fanciulli al demonio. In tempo di guerra, dopo avere uccisi i loro nemici, strappavano loro dalla testa la pelle con tutti i capelli. Nelle feste che seguivano la vittoria, erano le donne d’età avanzata quelle che, abbellite di queste capigliature, guidavano i crocchi dei ballerini e delle ballerine. Si contentavano di ridurre in ischiavitù le femmine ed i fanciulli presi alla guerra; ma gli uomini erano immolati al sole, e riguardavasi come dovere di religione mangiar la carne di queste vittime. – Ecco quel che accadeva nella Florida avanti la predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!