A. K. Emmerich sullo Scisma del 1958 di Roncalli dal “vero” Papa.

La Venerabile A. K. Emmerich

“Quando il tempo del regno dell’Anticristo sarà vicino, apparirà una falsa religione (nata da una “rivolta” [II Tess., II: 3-4] al Conclave del 1958 – ndr.-) che sarà opposta all’unità di Dio con la sua Chiesa, QUESTO SARA’ IL PIU’ GRANDE SCISMA CHE IL MONDO ABBIA MAI CONOSCIUTO. Più sarà vicino il tempo della fine, più l’oscurità di satana si diffonderà sulla terra, ed allora sempre più alto sarà il numero dei figli della corruzione mentre il numero dei giusti diminuirà corrispondentemente … “.

Immagine della falsa chiesa attuale, di cui resta solo la facciata … ma dietro: solo macerie!

Profezia di Anne Catherine Emmerich, del 22 ottobre 1823 (da “La vita di Anne Catherine Emmerich” del Rev. Carl Schmoger CSSR) sul “più grande scisma … mai avvenuto, causato dall’agente dell’Anticristo Angelo Roncalli [l’antipapa Giovanni XXIII], con l’usurpazione del Papato del Vicario di Cristo canonicamente eletto, Gregorio XVII, al Conclave del 1958. La profezia dice: “apparirà una falsa religione che sarà opposta all’Unità di Dio e della sua Chiesa”. I “nemici della Croce”, con l’odio più intenso, si sono sempre concentrati sul punto centrale dell’UNITÀ cattolica, il PAPATO (colpito il quale, le pecore sarebbero state disperse).

L’agente della Massoneria il 33° Roncalli, con i suoi mentori,  l’antipapa Giovanni XXIII [stesso nome di un altro antipapa, altrettanto fasullo ma … innocuo]

S. S. GREGORIO XVII [26.10.1958-2.5.1991]

“Nella Passione di Cristo nessuno si alzò per dire una sola parola in difesa di Nostro Signore Gesù Cristo; nella Passione della Chiesa, chi si è alzato a proteggere il vero Papa Gregorio XVII in Esilio? Nessuno”. -fr. Khoat Tran (scritto 05/20/06)

Nicola di Fluh (XV Secolo) : “La Chiesa sarà punita perché la maggioranza dei suoi membri, in alto o in basso, diventerà molto pervertita. La Chiesa affonderà sempre più profondamente fino a che alla fine sembrerà essere estinta e la successione Di Pietro e degli altri Apostoli essere decaduta, ma …  dopo questo, sarà vittoriosamente esaltata oltre ogni dubbio “.

” … Si trovano quindi in un pericoloso errore quelli che ritengono di poter aderire a Cristo, Capo della Chiesa, pur non aderendo fedelmente al suo Vicario in terra [S. S. GREGORIO XVIII – ndr. -]. Sottratto infatti questo visibile Capo e spezzati i visibili vincoli dell’unità, essi oscurano e deformano talmente il Corpo mistico del Redentore, da non potersi più né vedere né rinvenire il porto della salute eterna.] (Pio XII: Mystici corporis Christi-29 giugno 1943).

Ilario poi afferma: “(Cristo, insegnando dalla barca) vuole indicare che quelli che sono fuori della Chiesa [ad es. i Modernisti del “novus ordo”, o i sedevacantisti o sedeprivazionisti “tesisti”, oppure le fraternità paramassoniche del cavaliere kadosh, etc. etc.- ndr.-] non possono capire la parola divina. La barca infatti è la figura della Chiesa; quelli che sono fuori di Essa, e quelli che stanno sterili e inutili sulla riva, non possono comprendere la parola di vita posta e predicata in Essa (…) Da questo si può capire che gli uomini si separano dall’unità della Chiesa non meno con lo scisma che con l’eresia. “Tra l’eresia e lo scisma corre, per comune avviso, questa differenza, che l’eresia ha un perverso dogma, lo scisma invece si separa dalla Chiesa per una scissura episcopale“. E in ciò concorda anche il Crisostomo, dicendo: “Io dico e professo che non è minor male lo scindere la Chiesa, che cadere nell’eresia“. Quindi, se non può esser giusta qualsiasi eresia, per la stessa ragione non c’è scisma che si possa giustificare. Non vi è nulla di più grave del sacrilegio di uno scisma … non vi è mai giusta necessità di rompere l’unità“(…) “e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”. – “A chi si riferisce – domanda Origene – la parola essa? Alla pietra su cui Cristo edifica la Chiesa, o alla stessa Chiesa? Ambigua è la frase: vorrà dire che siano una stessa cosa la pietra e la Chiesa? Questo appunto io credo vero; poiché né contro la pietra, su cui Cristo edifica la Chiesa, né contro di questa prevarranno le porte dell’inferno“. La forza perciò di quella sentenza è questa: qualunque violenza o artificio usino i nemici visibili e invisibili, non sarà mai che la Chiesa soccomba e perisca: “La Chiesa, essendo edificio di Cristo, che sapientemente edificò la sua casa sulla pietra, non può essere preda delle porte dell’inferno, che possono sì prevalere contro ogni uomo che sia fuori della pietra e della Chiesa, ma non contro di essa (….)La stessa cosa afferma Cipriano: “Avere comunione con Cornelio (cioè con il “vero” Papa -ndr.-) è lo stesso che avere comunione con la Chiesa Cattolica” (…) poiché nella sede apostolica la Religione cattolica è stata sempre conservata senza macchia“(….)”La salute della Chiesa dipende dalla dignità del Sommo Sacerdote, e se non gli si dà un potere speciale e superiore a tutti, vi saranno nella Chiesa tanti scismi, quanti sono i sacerdoti“(….)  E perciò Cipriano afferma che sia lo scisma sia l’eresia nascono dal fatto che non si presta la dovuta obbedienza alla suprema potestà: “Non da altro infatti sono sorte le eresie e sono nati gli scismi, se non perché non si obbedisce al sacerdote, e non si pensa che nella Chiesa vi è un solo sacerdote e un solo giudice Vicario di Cristo (….) Perché dunque pretendete di usurpare le chiavi del regno dei cieli, voi che militate contro la cattedra di Pietro (….) Con ragione dunque Leone X nel Concilio Lateranense V sentenziò: “Solo il vescovo di Roma, temporaneamente in carica, ha il pieno diritto e il potere, come avente l’autorità su tutti i concili, di indire, trasferire, sciogliere i concili; e questo è evidente, non solo per testimonianza della sacra Scrittura, dei detti dei padri e degli altri vescovi di Roma e decreti dei sacri canoni ma anche per l’ammissione degli stessi concili” [pertanto il Conciliabolo c.d. Vaticano II è totalmente invalido, non essendo avallato dal Papa allora regnante, anche se esiliato, cioè GREGORIO XVII]  (….)  Non ricusino dunque di ascoltarci e di assecondare il Nostro paterno amore quanti hanno in abominio l’empietà, sì largamente diffusa, e riconoscono e confessano Gesù Cristo Figlio di Dio e Salvatore del genere umano, e tuttavia vanno errando lontano dalla sua sposa (….) E così pure, chiunque ammette tutto ciò che nella Scrittura si dice dello stesso Capo, ma non è unito in comunione con la Chiesa, non è nella Chiesa (….) Che ti vale confessare il Signore, onorare Dio, predicarlo, riconoscere il suo Figlio e confessare che siede alla destra del Padre, se bestemmi la sua Chiesa? [S. S. LEONE XIII: Satis Cognitum – 29 giugno 1896].

SANTA BRIGIDA DI SVEZIA e le orazioni mai approvate dalla Chiesa

S. BRIGIDA VEDOVA

(1303-1373)

8 OTTOBRE.

[da: “I Santi”; Alba, Pia Società S. Paolo – ROMA, 1933-impr.]

Brigida nacque da Brigero, principe di Svezia, e da Sigrida, discendente dai re dei Goti. Assai presto perdette la madre e venne allevata dalla zia. Si dice che fino a tre anni rimase muta, età in cui miracolosamente le si sciolse la lingua e cominciò a parlare in modo perfetto. Non ancora decenne, per aver udito un discorso sopra la passione di Gesù Cristo, rimase molto impressionata, e nella notte seguente, ebbe la visione di Gesù Cristo appeso alla croce, tutto coperto di sangue. Nello stesso tempo sentì una voce. «Guardami, figliuola mia, ecco quel che fanno quelli che mi disprezzano, e che sono insensibili all’amore che ho per loro ». Da quel tempo in poi non poté più pensare al mistero della Passione senza emettere sospiri e sciogliersi in lacrime. – A sedici anni il padre la maritò con un giovine signore, chiamato Ulfone, principe di Nerizia. Brigida, vedendosi così giovane, e sentendosi impreparata a tale passo, pregò ed ottenne dal padre un anno di dilazione, prima di coabitare col marito. Così i due sposi di vicendevole condenso passarono nella continenza il primo anno del loro matrimonio. La nostra santa lo impiegò tutto nel chiedere a Dio con fervorose preghiere, con lacrime e con digiuni, che si degnasse di non lasciarla mai deviare dai suoi precetti, di benedire il suo matrimonio, e di santificare in quel nuovo stato lei, il marito ed i figliuoli che le avrebbe dato. – I due sposi santificarono il vincolo matrimoniale coll’ascriversi al terz’Ordine di S. Francesco. La loro casa divenne subito una specie di monastero in cui i due consorti vivevano nelle pratiche austere della penitenza. Ebbero quattro figli e quattro figlie, dei quali gli ultimi due morirono bambini e due diedero la vita nelle crociate per la liberazione della Terra Santa. Delle quattro figlie, due si santificarono nello stato matrimoniale, e due si resero religiose di cui una, Caterina, è stata dalla Chiesa dichiarata santa. – Tutte le premure di Brigida furono rivolte ad allevare i figlioli nel timor di Dio, ed instillare loro tutte le virtù necessarie alla salute eterna. Dopo la nascita degli otto figli, indusse insensibilmente il marito a rinunciare all’onorevole carica di consigliere del re, per attendere più intensamente alla propria santificazione, e si obbligarono, per voto, di passare il restante della loro vita nella continenza. Fondarono un ospedale dove andavano spesse volte a servire i malati colla proprie mani. Santa Brigida, soprattutto, si dava alla cura dei poveri e degli infermi come di propri figlioli. Dopo la morte del marito, rimase più libera di darsi interamente alla penitenza ed alle opere di Dio. Fondò un monastero a Wastein ove rimase due anni per dare le direttive necessarie per un ottimo avvenire del medesimo. Poi venne a Roma, dove la tomba dei principi degli Apostoli, e le catacombe, olezzanti di profumo di tanti martiri, potevano somministrarle un pascolo più abbondante alla sua pietà. Spinta da un ardente amore per Gesù Cristo Crocifisso, fece un pellegrinaggio in Terra Santa. Quivi bagnò colle lagrime i luoghi santificati alla presenza del Salvatore e tinti dal suo preziosissimo sangue. Ritornata a Roma, fu assalita da un complesso di malattie, che sopportò con ammirabile pazienza. Sentendosi vicina a morire, si fece distendere sopra un cilicio per ricevere gli ultimi Sacramenti. Morì ai 23 di luglio nel 1373 all’età di 71 anno. – S. Brigida va in special modo ricordata per le grandi rivelazioni ricevute dal Salvatore e da Maria SS.

VIRTÙ. — S. Brigida è un perfetto modello, specialmente nelle virtù famigliari, come figliola, come sposa, come madre e come vedova.

PREGHIERA. — O Signore, Dio nostro, che per mezzo del tuo Figlio unigenito, hai rivelato alla beata Brigida i segreti celesti, concedi a noi tuoi servi per intercessione di lei di godere della letizia della manifestazione della tua eterna gloria. Così sia.

Ad S. Birgittam Reginam Sueciae, Vid.

Preghiera per gli scismatici e gli eretici fuori dalla Chiesa Cattolica.

Con cuore confidente ci volgiamo a voi, beata
Brigida, per domandare in questi tempi di ostilità
e di miscredenza la vostra intercessione in
favore di quelli, che sono separati dalla Chiesa
di Gesù Cristo. Per la chiara cognizione, che
Voi aveste dei crudeli patimenti del nostro crocifisso
Salvatore, prezzo della nostra redenzione,
vi supplichiamo di ottenere la grazia della fede
a coloro che sono fuori dell’unico ovile, così che
le disperse pecorelle possano ritornare all’unico
vero Pastore, Gesù Cristo nostro Signore.
Amen.
Santa Brigida, intrepida nel servizio di Dio,
pregate per noi.

Santa Brigida, paziente nelle
sofferenze e nelle umiliazioni, pregate per noi.

Santa Brigida, mirabile nell’amore verso Gesù e Maria, pregate per noi.
Pater, Ave, Gloria.

Indulgentia trecentorum dierum semel in die

(S. C. Indulg., 5 iul. 1905; S. Paen. Ap., 23 oct.  1928).

 

 

(Le presunte orazioni rivelate da Nostro Signore a Santa Brigida di Svezia non hanno mai avuto approvazione. – La Chiesa non ha mai approvato in particolare le promesse relative ritenendole apocrife: decr.  AAS, 1899 pp. 243; Monit. III, S. Off. 28 Jan. 1954)

 

 

 

 

CORPUS DOMINI : Messa – LAUDA SION, Letture ed Omelia di S. S. GREGORIO XVII

Messa

Lectio

Léctio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios 1 Cor XI:23-29

Fratres: Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Jesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem, et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem. Simíliter ei cálicem, postquam cenávit, dicens: Hic calix novum Testaméntum est in meo sánguine. Hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem. Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat. Itaque quicúmque manducáverit panem hunc vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini. Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo e dat et de calice bibat. Qui enim mánducat et bibit indígne, judícium sibi mánducat et bibit: non dijúdicans corpus Dómini.”

[Fratelli: Io stesso ho appreso dal Signore quello che ho insegnato a voi: il Signore Gesú, nella stessa notte nella quale veniva tradito: prese il pane, e rendendo grazie, lo spezzò e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà immolato per voi: fate questo in memoria di me. Similmente, dopo cena, prese il calice, dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, tutte le volte che ne berrete, fate questo in memoria di me. Infatti, tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore fino a quando Egli verrà. Chiunque perciò avrà mangiato questo pane e bevuto questo calice indegnamente, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore. Dunque, l’uomo esamini sé stesso e poi mangi di quel pane e beva di quel calice: chi infatti mangia e beve indegnamente, mangia e beve la sua condanna, non riconoscendo il corpo del Signore.]

Sequentia [Thomæ de Aquino]

Lauda, Sion, Salvatórem,

lauda ducem et pastórem

in hymnis et cánticis.

Quantum potes, tantum aude:

quia major omni laude,

nec laudáre súfficis.

Laudis thema speciális,

panis vivus et vitális

hódie propónitur.

Quem in sacræ mensa cenæ

turbæ fratrum duodénæ

datum non ambígitur.

Sit laus plena, sit sonóra,

sit jucúnda, sit decóra

mentis jubilátio.

Dies enim sollémnis agitur,

in qua mensæ prima recólitur

hujus institútio.

In hac mensa novi Regis,

novum Pascha novæ legis

Phase vetus términat.

Vetustátem nóvitas,

umbram fugat véritas,

noctem lux elíminat.

Quod in coena Christus gessit,

faciéndum hoc expréssit

in sui memóriam.

Docti sacris institútis,

panem, vinum in salútis

consecrámus hóstiam.

Dogma datur Christiánis,

quod in carnem transit panis

et vinum in sánguinem.

Quod non capis, quod non vides,

animosa fírmat fides,

præter rerum órdinem.

Sub divérsis speciébus,

signis tantum, et non rebus,

latent res exímiæ.

Caro cibus, sanguis potus:

manet tamen Christus totus

sub utráque spécie.

A suménte non concísus,

non confráctus, non divísus:

ínteger accípitur.

Sumit unus, sumunt mille:

quantum isti, tantum ille:

nec sumptus consúmitur.

Sumunt boni, sumunt mali

sorte tamen inæquáli,

vitæ vel intéritus.

Mors est malis, vita bonis:

vide, paris sumptiónis

quam sit dispar éxitus.

Fracto demum sacraménto,

ne vacílles, sed meménto,

tantum esse sub fragménto,

quantum toto tégitur.

Nulla rei fit scissúra:

signi tantum fit fractúra:

qua nec status nec statúra

signáti minúitur.

Ecce panis Angelórum,

factus cibus viatórum:

vere panis filiórum,

non mitténdus cánibus.

In figúris præsignátur,

cum Isaac immolátur:

agnus paschæ deputátur:

datur manna pátribus.

Bone pastor, panis vere,

Jesu, nostri miserére:

tu nos pasce, nos tuére:

tu nos bona fac vidére

in terra vivéntium.

Tu, qui cuncta scis et vales:

qui nos pascis hic mortáles:

tuos ibi commensáles,

coherédes et sodáles

fac sanctórum cívium. Amen. Allelúja.

Evangelium

Sequéntia sancti Evangéli secúndum Joánnem.

R. Gloria tibi, Domine! – Joann VI:51-59

“In illo témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Ego sum panis vivus, qui de cælo descendi. Si quis manducaverit ex hoc pane, vivet in aeternum : et panis quem ego dabo, caro mea est pro mundi vita. Litigabant ergo Judaei ad invicem, dicentes: Quomodo potest hic nobis carnem suam dare ad manducandum? Dixit ergo eis Jesus: Amen, amen dico vobis : nisi manducaveritis carnem Filii hominis, et biberitis ejus sanguinem, non habebitis vitam in vobis. Qui manducat meam carnem, et bibit meum sanguinem, habet vitam aeternam : et ego resuscitabo eum in novissimo die. Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem e bibit meum sánguinem, in me manet et ego in illo. Sicu misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qu mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qu de coelo descéndit. Non sicu manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui manducat hunc panem, vivet in ætérnum. [In quel tempo: Gesú disse alle turbe dei Giudei: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.[ Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”.]

Omelia di

S. S. GREGORIO XVII (1975)

Avete sentito leggere un tratto (Gv VI, 51-58) di quello che è accaduto a Cafarnao un anno prima dell’istituzione dell’Eucaristia, quando Gesù cioè tenne il celebre e lungo discorso sull’Eucaristia. Il tratto che avete sentito leggere vi ha presentato la difficoltà degli uditori ad accettare una simile verità. Gli uditori avevano questo torto: non si ricordavano che poco prima Gesù aveva moltiplicato i pani e i pesci, dimostrando con questo di essere padrone tanto della sostanza che della quantità e di poterne disporre da Creatore a Suo piacimento. Questo era il loro torto. In questo torto non sarebbe caduto Pietro, – questo non l’abbiamo lettolo -, che terminò l’incidente, non comprendendo nulla anche lui, ma dicendo a Gesù: “Signore, da chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv VI, 68). – Pur avendo torto, c’era un motivo d’interrogazione, non di contestazione, e il motivo d’interrogazione era questo: “Ma, Signore, come mai ti metti sotto apparenze così semplici come quelle di un pane, di una ostia, niente di più umile, di più comune, Signore?”. La domanda, non la contestazione, la domanda poteva essere ragionevole. In noi la stessa domanda, che potrebbe essere ragionevole, fa questo effetto purtroppo, e io sono qui a protestare fortemente contro questo effetto: che, non interpretando l’umiltà con la quale Dio si manifesta a noi e la delicatezza suprema, noi usiamo il massimo di irriverenza verso la Santissima Eucaristia, il massimo. E io sono qui a protestare con tutta l’anima contro questo. Non con voi che siete qui, cari, ma potrebbe essere che anche voi abbiate bisogno di sentire questa protesta. In altri termini, l’umiltà e la delicatezza divina nel trattare con noi uomini ci fa da dimenticare la maestà di Dio, perché nell’Eucaristia è presente Gesù Cristo Dio. E pertanto accanto all’umiltà e alla delicatezza della manifestazione e del sacro segno va ricordata la Maestà divina per trarre tutte le conseguenze. – Perché questa umiltà divina? E tutto uno stile di Dio che meriterebbe un lungo e interessantissimo discorso, perché è una delle linee principali della Provvidenza Divina nel trattare con gli uomini. Dio ci parla continuamente attraverso la creazione: il sole che sorge, l’alba rosata, la primavera che esplode, l’estate che matura, l’autunno che dà i suoi frutti, l’inverno che dà il suo raccoglimento e, per via dei contrasti, fa amare quello che è caldo, tutto, ma dolcemente, parla del Creatore. Non si arriva di conseguenza del Creatore se non si mette un’attenzione volontaria, libera, e Dio è delicato proprio per lasciare a noi il merito di questa iniziativa, di questo non primo, ma secondo passo (il primo lo fa sempre la Grazia Sua all’interno di noi), il merito di questo secondo passo. Dio non vuole con impressioni cogenti, violente, diminuire il valore del nostro atto libero e del nostro merito: questa è la ragione. Ho detto che meriterebbe un ben lungo discorso, e forse in altre occasioni lo faremo. Ma mi importa proseguire nel tema che propongo a voi questa mattina. – Sì, l’Eucaristia si presenta dolcissimamente umile, cosa comune all’esterno, segno che non viola nessuno dei limiti della nostra debolezza, ma c’è la maestà di Dio lì e dobbiamo rispettarla! La maestà: che cos’è? E una parola che è nella testa degli uomini generalmente confusa da un’idea di grandezza, di impotenza da parte nostra, di superiorità e basta, un’idea che sconvolge, che noi ricordiamo unicamente per darla alle cose che riteniamo massime in questo mondo, ma è difficile che se ne abbia una idea precisa. Ora, la maestà è quella qualità per cui Dio si alza all’infinito sopra delle Sue creature; questa è la maestà. Noi abbiamo degli elementi per parlarne, certamente, ma sempre come quando si parte da una riva e si cerca di solcare un mare che va all’infinito. Noi vediamo il sole, le altre stelle, le vediamo – in genere non le guardiamo, almeno per quanto mi consta -, però, se si osservano, si sente una grandezza tale, la grandezza dataci dall’idea di spazio, e l’idea di spazio lancia verso l’immenso. Noi siamo oppressi dal rotare degli anni, dei giorni, dei mesi, delle ore, del tempo; la storia in fondo dà questa impressione, è la prima che essa dà: che tutto quanto passa, che tutto quanto incalza, che tutto quanto ha fretta e tutto quanto lascia nella polvere, nel silenzio e, quaggiù, nella morte; ma il tempo è la sponda dalla quale si parte per avere l’idea dell’eternità. Le cose a noi sembrano mirabili, grandi; i colori si prestano, le forme, tutte le forme si prestano a questo, congegnando così l’impressione esterna della bellezza della quale è ripieno il mondo: e tutto questo costituisce una sponda che ci spinge un’altra volta sul mare infinito, quello dell’eterna bellezza. – Quando tuona il fulmine, quando il terremoto scuote, quando l’alluvione irrompe, noi abbiamo impressioni orribili e orrende, ma sentiamo la grandezza: sono le piccole rivelazioni della presenza di Dio; qualche volta sono anche un castigo, ma sono delle rivelazioni con le quali Dio, non presentando un elemento cogente all’intelligenza, perché deve rimanere libera, ma al sentimento esterno, a quel sentimento fisico che hanno anche gli animali, comune con noi, che è di fuga – e noi lo chiamiamo anche spavento -: ed è una sponda anche questa dalla quale si può partire come per un mare immenso per vedere di quanto Iddio stia al di sopra di noi. Fratelli miei, potrei continuare, ma il tempo limimitato. Dio ci dà gli elementi per la maestà, ce la richiama. – Parliamo di noi che la dimentichiamo. Quando io vedo gente che contesta d’inchinarsi davanti al Santissimo Sacramento, mi chiedo fino a che punto sia decaduta la potenza intellettuale e logica degli uomini, fino a che punto! Quando io devo constatare che bisogna proteggere il culto alla Santissima Eucaristia anche contro coloro che lo dovrebbero promuovere, piangerei. Ma siamo diventati così ciechi, siamo diventati così poveri di spirito nel senso deteriore, da non ricordarci di intendere almeno qualche volta in vita questo supremo richiamo che ci viene da tutto il creato? Se questa cattedrale crollasse e desse a noi, schiacciandoci, un segno della potenza che ha la forza di gravità o dell’attrazione della terra, sarebbe piccola e futile cosa davanti all’onnipotenza di Dio: ma abbiamo bisogno che ci cadano le cattedrali sulla testa per capire che dobbiamo adorare Colui che si degna di stare nei piccoli, umili tabernacoli – che spesso cerchiamo di rendere più spogli e miserabili -, che si degna di restare per amore nostro? A questo punto mi par di sentire una voce che dice: “Ma il senso della maestà ci opprime”. E credete che sia un male? Non è affatto un male! Se dobbiamo essere anche e fortemente richiamati al più elementare senso di giustizia verso Chi ci ha creato e redento, ben venga. Però non è questa la risposta. – Ho detto che Dio si manifesta a noi in modo umile e dolce per amore. L’Eucaristia è un atto d’amore di Dio, che ha voluto scegliere il pane e il segno della manducazione, dell’assimilazione, che è la forma più grande con la quale una creatura si può inverare nell’altra, per indicare fino a che punto Dio vuole essere unito a noi e noi uniti a Lui. E per amore! – E concludo col dire che l’amore, quando è tale, è un amore adorazione alla maestà di Dio. E non c’è da scomporsi; la logica va perfettamente a posto: in Dio, perfezione eterna ed assoluta, amore e maestà si identificano. Se s’identificano in Lui, non c’è affatto difficoltà che l’atto di adorazione in noi sia amore e l’atto di amore sia adorazione.

 

 

 

FESTA DEL CORPUS DOMINI

[J.-J. “Catechismo di Perseveranza”; vol. IV, Torino, 1881]

Corpus Domini. — Antichità, universalità di questa festa. — Parte ch’ella occupa nel culto cattolico. — Istituzione della festa particolare del Santo Sacramento. — Beata Giuliana. — Miracolo di Bolsena. — Scopo di questa festa. — Uffizio di questo giorno. — Processione. — Disposizioni con le quali si deve assistervi. — Miracolo di Faverney.

I . Eccellenza della festa del SS. Sacramento. — Questa festa è nata col mondo, al pari della festa della SS. Trinità. La celebrarono i Patriarchi con offrire i sacrifici simboleggianti la gran Vittima; tutti i popoli pure ne rinnovavano la ricordanza sopra i loro sanguinosi altari; perché dall’idea primitivamente rivelata d’una vittima senza macchia, capace di espiare i delitti, invalse nel genere umano l’idea del sacrificio. Come, di grazia, avrebbe potuto cadere in mente dell’uomo lo strano pensiero che Dio poteva esser placato dal sangue d’un animale? Quindi tutti i sacrifici antichi erano figure dell’augusto sacrificio del Calvario: poco importa, che la cognizione di questo profondo mistero sia stata alterata nel Paganesimo, non perciò il fatto è meno certo. [M. de Maistre, Schiarimenti circa i Sacrifici]. Ma in modo speciale dopo la pubblicazione del Vangelo la festa dell’Eucaristia è divenuta permanente sopra la terra. Fedeli all’ordine del loro Maestro di rinnovare il sacrificio misterioso della Cena e di celebrarla in memoria di lui, gli Apostoli hanno resa la festa dell’Eucaristia antica ed universale quanto la Chiesa. Partendo da quell’epoca il sangue divino non ha cessato un momento solo di scorrere su tutti i punti del globo.Osservate la meravigliosa armonia che esiste tra le due feste dell’Eucaristia e della Trinità. L’adorabile Trinità è l’oggetto essenziale e primario di tutta la Religione e di tutte le feste; e l’augusta Eucaristia è il sacrificio perpetuo e il culto il più santo che sia prestato alla Trinità in tutte le feste: in altre parole, tutto l’anno è la festa della Trinità che adoriamo e dell’Eucaristia per la quale principalmente l’adoriamo. Vi sarà egli dopo di ciò luogo a meravigliarsi che siasi tanto indugiato a stabilire de’ giorni speciali per onorare questi due grandi misteri? Se la Chiesa finalmente ciò ha fatto, non è però stato suo intendimento di escludere l’Eucaristia o la Trinità dalle altre feste, o di opporsi a queste feste perpetue. Ella anzi ha voluto rinnovare nella mente dei popoli due verità fondamentali; 1° che le tre Persone divine sono il solo ed unico oggetto delle nostre adorazioni, che a questo solo si riferisce tutto il culto cristiano; 2° che l’onore il più essenziale che si presti alla Trinità in tutte le feste è il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo. Cosi Dio, termine del culto cattolico; Gesù Cristo, mediatore tra Dio e l’uomo e Pontefice del culto cattolico, ecco tutta la liturgia, tutta la Religione! Conoscete voi cosa alcuna più sublime, e ad un tempo più semplice ? Ove trovare una sorgente più feconda di alti pensieri, di nobili sentimenti, di determinazioni generose? Oh! quanto sono da compiangere coloro che non conoscono le bellezze né le ricchezze del Cristianesimo!In antico il Giovedì santo era la festa del Santo Sacramento, come è tuttora; poiché i nostri padri nella fede si comunicavano tutti nel Giovedì santo. Per memoria di ciò anche adesso la Messa nel Giovedì santo è accompagnata da tutte le cerimonie e da tutta la pompa d’una gran festa, quantunque la Chiesa sia allora nel duolo e nelle lacrime. Finalmente egli è perciò, che secondo il rito romano non si dice in tal giorno che una sola Messa a fine di rappresentare più vivamente la memoria dell’ultima Cena; tutti i sacerdoti si comunicano per mano del celebrante, come gli Apostoli si comunicarono per mano di Gesù Cristo.

Instituzione della festa del Corpus Domini. — Era giunto il tempo in cui una festa solenne doveva essere aggiunta al Giovedì santo, per onorare l’augusto Sacramento dei nostri altari. E qui pure osservate, come siano tutte le istituzioni della Chiesa in armonia con i bisogni della Religione e della società. Nel decimo terzo secolo sbucarono fuori certuni che osarono impugnare il più amabile tra i nostri misteri, quello che è quasi il cuore del Cattolicismo, e per conseguenza la pietra fondamentale della società. Alle bestemmie e agli oltraggi dei novatori bisognava opporre una luminosa manifestazione della fede nella presenza reale di Gesù Cristo tra gli uomini : alle loro derisioni sacrileghe, le testimonianze autentiche di rispetto e di amore; alle loro orribili profanazioni, una solenne espiazione. Wicleffo, Zuinglio, Calvino, acerrimi nemici del mistero d’amore, contro voi e contro i vostri settari sarà instituita la gran festa del Santo Sacramento. Dio lo vuole; ma a chi manifesterà egli il proprio intendimento? Fermiamoci qui un momento a considerare l’applicazione di quella legge divina formulata dal grande Apostolo da queste parole: Le cose deboli del mondo elesse Iddio per confondere le forti [1 Cor. I, 27]. La gloria di tutto appartiene a Dio; Dio è geloso di averla; Ei non la cede ad alcuno, ed ecco perché Ei si vale dei più deboli mezzi per operare grandi cose. La fragilità dell’arnese prova la potenza dell’artefice, e obbliga l’uomo ad esclamare: Al solo Dio onore e gloria pe’ secoli de’ secoli [1Tim. I, 17]. E questa legge si compie non solo nell’ordine religioso ma in tutti gli altri.Giova qui, poiché se ne presenta l’occasione, di provarlo con fatti. Percorrete la storia del mondo. Un popolo intero geme sotto la schiavitù del Faraone: di qual mezzo si varrà Dio per liberarlo ? Dell’oscuro pastore di Mardian, di Mosè. Un gigante spaventevole porta la costernazione nell’esercito d’Israello: chi lo atterrerà? Il giovine pastore di Betlemme, David. Oloferne, Aman minacciano di sterminare la nazione santa: chi spezzerà l’orgoglio di quei superbi? Due imbelli femmine, Giuditta ed Ester. Si tratta di far cadere il mondo pagano inginocchiato davanti alla Croce: chi saranno gli stromenti di questo prodigio? Dodici pescatori. Quindi troveremo e s. Gregorio VII, e sant’Ignazio, e santa Teresa, e san Vincenzo dei Paoli ed altri, quasi vivi monumenti posti di distanza in distanza sopra il cammino dei secoli, i quali ci dicono che la legge divina è sempre in vigore: Le cose deboli del del mondo elesse Iddio per confondere le forti. Ecco per l’ordine religioso.Non meno splendidamente la stessa legge si adempie negli altri ordini. Nell’ordini sociale, p. e. si tratta di unire i popoli disgiunti da vasti mari, e di rendere passibili e sicuri i viaggi a traverso oceani senza limiti e senza sentieri: di qual mezzo si varrà Dio per operare questo prodigio? D’un poco di calamita e di ferro, cioè detta bussola! Si tratta di scoprire o piuttosto indovinare un mondo perduto in mezzo all’oceano; chi è riserbato a questa gloria? Un semplice pescatore delle adiacenze di Genova, Cristoforo Colombo. Per operare in guerra i più micidiali effetti, che chiede il Dio degli eserciti? Un poco di salnitro, che è la polvere incendiaria. Vuol Egli in commercio arricchire intere province e far sussistere milioni di uomini? Ggli basta un verme, il baco da seta. Che appresta Egli nelle arti e nell’industria per operare incredibili meraviglie? Un poco di fumo il vapore. E voi stupite ch’egli tenga lo stesso metodo nell’ordine soprannaturale? Egli è in questo specialmente che debbono scomparire i mezzi affinché si palesi l’onnipotente sua mano. A dir breve, nell’ordine della grazia e in quello della natura, Dio è tutto, e vuole che lo sappiamo. Con questa lezione Ei dice a tutti: monarchi e sudditi, ricchi e poveri, dotti e indotti, se volete essere istrumenti di qualche cosa di grande, siate umili. ‘Questa legge riceve una luminosa applicazione nell’istituzione della festa della santa Eucaristia. Abbiamo poc’anzi notato, esser ciò avvenuto nel secolo decimoterzo. In quel tempo viveva all’ombra di un piccolo chiostro una religiosa ignota al mondo, umile, oscura , e sopra lei l’Onnipotente gittò lo sguardo per l’effettuazione del magnifico suo disegno. Presso la città di Liegi era il convento delle Ospitaliere del monte Corniglione. Tra le caste colombe che lo abitavano, si trovava una novizia, giovinetta di sedici anni, poveramente nata nel villaggio di Retina nel 1193, che aveva nome Giuliana. Essendo quell’angelo della terra un giorno in orazione, lo Sposo delle anime pure, quegli che si diletta di comunicarsi alle anime umili, le fece conoscere che desiderava venisse instituita una festa solenne per onorarlo nel Sacramento dell’amor suo. Fosse timidezza, fosse timore d’illusione, la devota giovinetta serbò per quasi vent’anni in cuore questa rivelazione, e soltanto procurava col raddoppiare la propria devozione verso Gesù Cristo nel Santo Sacramento di supplire a ciò che la Chiesa non aveva ancor fatto. Essendo stata nel 1230 eletta priora del monastero del monte Corniglione, ella si sentì più vivamente sollecitata a spiegarsi. La prima persona a cui ella si confidò fu un canonico di san Martino di Liegi, rispettatissimo da tutti, a cagione della santità della sua vita. Essa lo persuase a partecipare questo progetto ai teologi e ai pastori della Chiesa. Il canonico adempié tal missione con molto zelo, e riuscì favorevolmente presso quasi tutti coloro a cui si diresse. Egli invogliò specialmente a questa pia impresa il vescovo di Cambrai e il cancelliere della Chiesa di Parigi, ma sopra tutti il provinciale dei Domenicani di Liegi, che fu in seguito cardinale e arcidiacono di Liegi, vescovo di Verdun, patriarca di Gerusalemme, e finalmente Papa col nome di Urbano IV. La beata Giuliana, assicurata dall’approvazione di tanti personaggi ragguardevoli per dottrina e per devozione, fece comporre un uffizio del Santo Sacramento di cui ella stessa suggerì l’idea e il piano, e lo fece approvare dai principali teologi del paese. – Nel 1246 il vescovo di Liegi promulgò nel suo sinodo l’istituzione di una festa particolare del santo Sacramento, di cui ordinò la celebrazione pubblica e solenne in tutta la propria diocesi. Una grave malattia sopraggiuntagli lo impedì di ridurre ad effetto somigliante istituzione per mezzo di una pastorale ch’egli era sul punto di pubblicare. Non morì però senza avere la soddisfazione di veder celebrare in sua presenza l’uffizio della nuova festa, e i canonici di San Martino furono i primi a solennizzarla nella città di Liegi nel 1247. Ma le opere sante debbono soffrire contraddizione, e Dio lo permette affinché gl’istrumenti ch’egli adopera non attribuiscano che a Lui solo il successo; e questo prezioso suggello non mancò all’opera della beata Giovanna. La persecuzione di cui ella fu scopo, unita alla morte del vescovo di Liegi, sospesero la celebrazione della nuova festa. In questo frattempo Giuliana morì, e sembrava che la sua intrapresa dovesse morire con lei. E questo era inevitabile, se non fosse ella stata che l’opera dell’uomo; ma nel 1258, due anni dopo la di lei morte, una monaca della città di Liegi, che era stata sua confidente, sollecitò vivamente il nuovo vescovo ad interporsi presso il Pontefice, affinché introducesse in tutta la Chiesa la festa del SS. Sacramento, quale era osservata a san Martino di Liegi. L’innalzamento di Urbano IV al sommo Pontificato fu riguardato come una circostanza favorevole a questa impresa, di cui egli aveva in addietro approvato lo scopo ed i mezzi. Ciò nondimeno il Vicario di Gesù Cristo, seguendo il saggio stile della Chiesa Romana, non annuì così di subito alle istanze che gli si facevano, e volle prender tempo affine di esaminare una proposta di tale importanza. Con ciò successero dilazioni a dilazioni, quand’ecco un miracolo dei più sorprendenti toglie i dubbi del santo Padre ed affretta l’adempimento del pio voto. Trovavasi Urbano IV in compagnia del sacro collegio, ad Orvieto, piccola città a venti leghe circa da Roma, e prossima a Bolsena. Quivi mentre un sacerdote celebrava la Messa nella chiesa, ancora oggigiorno esistente, di santa Caterina, lasciò cadere per inavvertenza qualche goccia del sangue prezioso sul corporale. Volendo egli perciò rimediare a tale sconcio, piegò e ripiegò più volte il sacro lino per modo che venisse assorbito il sangue adorabile. Ma nell’aprire il corporale si ritrova che il sangue ha penetrato in tutte le piegature, ed ha lasciato impresso in color di sangue l’ostia sacra perfettamente disegnata. La fama del miracolo arrivò in poche ore ad Orvieto dove, per ordine del sommo Pontefice, venne tosto recato il miracoloso corporale. Si autenticò il prodigio; sicché il corporale, racchiuso in un reliquiario, vero capo-lavoro del Medio-Evo, conservasi tuttora in quella Cattedrale. – Cede allora il Pontefice alle istanze, istituì la festa del santo Sacramento, e volle che fosse celebrata come festa di primo ordine; assegnandole il giovedì dopo l’ottava di Pentecoste, e ciò per due motivi: 1° per esser quello il primo giovedì libero dagli uffizi del tempo pasquale; 2° perché conveniva assegnare quel giorno della settimana nel quale Gesù Cristo aveva instituito l’Eucaristia. S’ignora l’anno ed il giorno in cui fu data la Bolla d’istituzione, e soltanto sappiamo che il breve da Urbano IV diretto alla beata Eva, monaca di san Martino di Liegi, è dell’anno l264

III. Obbietto della festa. — Confondere la perfidia degli eretici, risarcire gli oltraggi commessi contro il Signore, attestare altamente la fede cattolica nella di Lui presenza reale, sono codesti, i principali motivi d’istituzione espressi nella Bolla. « Certamente, soggiunge il Papa, il Giovedì santo è la vera festa del santo Sacramento, ma in quel giorno essendo la Chiesa tutta occupata nel piangere la morte del proprio Sposo, nel riconciliare i penitenti, nel consacrare il santo Crisma, si reputò ben fatto statuire un altro giorno affinché la santa Chiesa potesse manifestare tutto il suo giubilo e supplire a quanto non si è potuto compiere nel Giovedì santo. Del resto tutte le solennità dell’anno sono le solennità dell’Eucaristia: e questa festa particolare non è stata instituita che per supplire alle mancanze e alla negligenza di cui si è potuto rendersi colpevoli nella festa generale. [Proprium eiusdem solemnitatis offlcium per B. Thomam de Aquino tunc ipsa Curia existentem eompositum edidit. Bull. Sixti IV. Apud. Bened. XIV. II, p. 366].

Liturgia. — Instituita pertanto la festa del santo Sacramento, non si trattava fuorché di trovare un dotto poeta degno del mistero d’amore; e la Provvidenza lo aveva già disposto. In quel tempo fioriva uno de’ più bei geni che siano comparsi sopra la terra, e si chiamava Tommaso d’Aquino. Questo grand’uomo. gloria del suo secolo e soprannominato il “Dottore angelico” per la purità della vita e per la sublimità dell’ingegno, ebbe da Urbano IV l’ordine di comporre l’uffizio del santo Sacramento. Tommaso si accinse all’opera, e abbandonandosi alle inspirazioni del proprio cuore, del proprio genio e della propria fede, compose l’uffizio che si canta ancora attualmente, e che è un immortale capo-lavoro, ove la poesia, la devozione é la fede si contrastano la palma. – Egli è perciò a giusto titolo riguardato come il più regolare e il più bello di tutti gli uffizi della Chiesa, tanto per l’energia e la grazia delle espressioni, che manifestano a vicenda i sentimenti della devozione la più tenera e la dottrina la più esatta circa il mistero dell’Eucaristia, quanto per la giusta proporzione delle parti, e per la precisione de’ rapporti tra i simboli del vecchio Testamento e la verità del nuovo. – Simile al grano di senapa, l’opera della beata Giuliana di monte Corniglione era cresciuta successivamente dall’umile cella del monastero fino al trono pontificio, e doveva crescere ancora, ma col tempo e in mezzo alle tempeste. In fatti essendo morto nel 2 ottobre 1264 Urbano IV, Dio permise che nessuno dei suoi successori immediati affrettasse l’esecuzione del decreto; sicché pel corso di quarant’anni poche furono le chiese, oltre quella di Liegi, ove fosse celebrata la nuova festa, che rimase quindi negletta fino al Concilio generale di Vienne tenuto nel 1311: in esso papa Clemente V, volendo finalmente darle tutto lo splendore e tutta la stabilità ch’essa meritava, fece accettare e confermare la Bolla d’istituzione data da Urbano IV. L’augusta solennità fu accettata da tutti i Padri del Concilio, che rappresentava la Chiesa universale, e ciò in presenza dei re di Francia, d’Inghilterra e d’Aragona. Così fu stabilita quella specie di trionfo che la Chiesa preparava in antecedenza, e che doveva sempre durare in risarcimento degli oltraggi che il più augusto e il più amabile dei nostri misteri doveva ricevere per parte dei settari e degli empi dei secoli seguenti.

Processione. – La parte più splendente degli uffici del santo Sacramento, e quella che maggiormente contribuisce a distinguere questa festa da tutte le altre, è la solenne processione nella quale il Salvatore è portato in trionfo con augusto apparecchio e con magnifica pompa, che per altro deve essere tutta religiosa. Questa processione stabilita dal Papa Giovanni XXII è stata solennemente approvata e caldamente raccomandata dal sacro Concilio di Trento [Sess. XIII, c. 9. — Questa processione sembra originata da quella ch’ebbe luogo per trasferire da Bolsena ad Orvieto il miracoloso corporale]. – Tutto concorre a renderla pomposa, e sembra che fino tutta la natura abbia voluto prendervi parte. È questo il momento delle belle giornate; è la stagione delle rose e dei gigli; è l’epoca nella quale milioni di augelletti, tuttora coperti della lanugine dell’infanzia provano il primo loro volo ed i primi gorgheggi. Nulla è più grazioso della processione del santo Sacramento nei villaggi, quando le campagne, gli alberi, i prati verdeggiano in tutto lo splendore del loro ornamento, e riflettono la propria bellezza sopra le stazioni rusticali; nulla è più imponente nelle città fortificate, ove il rimbombo del cannone accompagna il canto degli inni sacri; nulla è più solenne nelle città marittime, ove dall’oceano sembra ricevere le impressioni dell’infinito.

Modo di santificarla. — Ma che cosa debbo io fare per corrispondere ai desideri di quel Dio che vi è portato in trionfo? Primieramente assistere e far parte della processione: sì, farne parte, perché l’uomo s’innalza sempre quando si umilia davanti a Dio. Inoltre la riconoscenza per questo Dio Salvatore, che si degna percorrere le nostre pubbliche strade e piazze, spargendo, come già un tempo i beneficii sul suo cammino, non deve forse attaccarmi a’ suoi passi, e per così dire incatenarmi al suo carro trionfale? Uomini orgogliosi, che sdegnate di camminare al seguito del gran Re, che credereste avvilirvi mescolandovi alle pie schiere delle processioni, siete voi sempre così schizzinosi? Non siete voi forse quelli che noi vediamo, a guisa di vili schiavi, incatenati a vicenda al carro dell’ambizione e della voluttà, seguire coi piedi nel fango l’orma tortuosa che lascia il vizio sul proprio cammino? Sì; ben vi sta veramente di esser superbi con Dio! Io dunque assisterò alle processioni. La presenza del mio Dio mi inspira con qual rispetto, con quale raccoglimento io debba contenermivi; la sua infinita bontà parla al mio cuore e sollecita la mia riconoscenza. I fiori spicciolati per la via, l’incenso che s’innalza in vortici verso il cielo, i sacri cantici che echeggiano per l’aere m’invitano all’amore, allo spirito di devozione, di ringraziamento e di preghiera. E mentre quelle stazioni che incontrerò di tratto in tratto m’indurranno ad ammirare l’infinita benignità del Signore del mondo, che si compiace di fermarvisi, mi avvertiranno in pari tempo che anche il mio cuore deve essere una stazione, ove le semplici virtù debbono esalare i proprii profumi. Io lascerò dunque che la mia fede agisca, e ciò sarà bastante. Oltre a ciò quelle onde di popolo, che, sospinte da curiosità e da impulso profano, si accalcano sul passaggio dell’augusto corteggio, mi porgeranno occasione di atteggiarmi a compunzione e a fervore. Io dirò, non già come Giovanni e Giacomo, ripieni di sdegno : « Maestro, vuoi tu che noi chiamiamo sopra le loro teste colpevoli il fuoco del cielo ? » ma sebbene mormorerò le affettuose parole dell’Agnello divino confitto sopra la croce: « Padre, perdona loro, perché non sanno quel che si fanno». E così, figlio fedele della famiglia cattolica, io non avrò come tanti altri arrossito di venerare e di seguire il Padre mio; ed Egli se ne lamenterà, quando, arbitro supremo, verrà a giudicare i vivi e i morti. Ah! se il mio cuore sarà adesso tutto per Lui, io farò parte di quella processione solenne ed ultima, che si alzerà raggiante verso il cielo al seguito di Gesù trionfante, mentre gli orgogliosi spregiatori di Gesù umiliato piomberanno vergognosi e maledetti negli ardenti abissi. – Non potremmo terminar meglio questa lezione, quanto con riferire uno de’ tanti miracoli con i quali Nostro Signore si è degnato fortificare la fede dei suoi figli verso la realtà della sua presenza nell’augusto Sacramento dell’altare.

VII. Miracolo di Faverney. — L’anno mille seicento e otto, a quel tempo miserando in cui la Chiesa tuttora piangeva per gli attentati sacrileghi, che i Calvinisti avano con le armi alla mano commessi in Francia, durante molti anni, sulla Persona medesima di Gesù Cristo, di cui ricusavano ammettere la presenza reale nel Santo Sacramento dell’altare, piacque alla bontà di Dio, per consolazione de’ fedeli e per confusione degli eretici, di far conoscere la verità di questo augusto mistero per mezzo del più luminoso miracolo. In occasione di certe indulgenze concesse dal Santo Padre, i religiosi benedettini di Faverney, piccola città della diocesi di Besanzone, avevano per costume la vigilia di Pente coste, che in quell’anno cadeva al 25 maggio, di preparare nella loro Chiesa abbaziale una cappella, ornata con modesta ma nobile magnificenza, sul cui altare sorgeva un tabernacolo, ove erano due ostie consacrate, chiuse in un ostensorio d’argento. In quel giorno, 25 di maggio, era stato esposto il Santo Sacramento; ed ecco che al sopraggiungere della notte, allorché atutti si furono ritirati e fu chiusa la chiesa, essendo rimaste sull’altare due candele accese, le loro scintille diedero fuoco, come è da credersi, alle guarnizioni ed agli addobbi del piccolo tempio. Ben presto un denso fumo si sparge da per tutto; e le sacre suppellettili della cappella, tovaglie, tappeti, tabernacolo, tutto viene consunto, né rimangono che ceneri e carboni accesi. Chi potrebbe esprimere il dolore che provarono i religiosi quando l’indomani si recarono alla chiesa! Oh potenza di Dio! Quale spettacolo! Mentre compresi da terrore volgono intorno gli sguardi, ecco apparir loro al di sopra di quel mucchio di ceneri ardenti l’ostensorio miracolosamente sospeso in mezzo alla chiesa. Nel momento la nuova si diffonde di questo miracolo: una folla di gente di Faverney e di altri luoghi circonvicini accorre in quantità immensa, restando sempre l’ostensorio, ove stavano le due sante ostie, sospeso in aria. Il martedì, terza festa di Pentecoste, diversi pastori erano venuti con ì loro parrocchiani per celebrare la santa Messa in quella Chiesa, ed uno di loro celebrava all’altar maggiore. L’augusto sacrificio era per terminare, quando il cero acceso davanti al Santo Sacramento si spegne ad un tratto; lo riaccendono e si rispegne; lo riaccendono di nuovo e di nuovo si spegne per ben tre volte. Quest’avvenimento avvertiva gli astanti che alzassero gli occhi all’ostensorio, affinché tutti vedessero ciò che stava per accadere. Dopo la prima elevazione nel momento che quel sacerdote deponeva l’ostia sacra sopra l’altare, l’ostensorio, ch’era rimasto sospeso in aria per trentatrè ore, discese insensibilmente e si fermò sopra un corporale che gli era stato disteso sotto. Quanto è ammirabile, o mio Dio, la vostra provvidenza! Con questo miracolo il Signore voleva preservare gli avi nostri dagli errori dei Calvinisti, e voleva confermarli sempre più nella Religione Cattolica, con far loro conoscere per mezzo d’uno dei più sorprendenti prodigi la verità di quanto ella c’insegna circa gli argomenti della presenza reale di Gesù Cristo nel Santo Sacramento, della santa Messa e delle indulgenze; articoli tutti di fede che i Calvinisti contraddicono e rigettano. Nella informazione giuridica che monsignore di Rye, allora arcivescovo di Besanzone, fece stendere a questo proposito, ei ricevé il deposto e la firma di cinquanta delle più rispettabili persone tra quelle ch’erano stati testimoni di quel fatto miracoloso. Ogni anno l’uffizio del 30 ottobre lo rammenta alla memoria e alla riconoscenza dei fedeli della diocesi di Besanzone. – Quanto a noi, che scriviamo queste pagine, non mai si cancellerà dalla nostra memoria quella processione solenne del giorno dopo la Pentecoste, nella quale la città di Faverney celebra annualmente la ricordanza del miracolo. Nel 1827, noi avemmo la fortuna di portarvi in mano l’ostia miracolosa, e di presentarla all’adorazione d’un popolo numeroso.

[Anche la città di Torino è illustre nei fasti ecclesiastici per un solenne miracolo avvenuto il 6 giugno 1435, il quale le valse il titolo glorioso di Città del Sacramento. Nella terra d’Exilles, nel Delfinato, alcuni ribaldi saccheggiarono una chiesa, e tra i molti oggetti tolsero un Ostensorio con entro un’Ostia consacrata. Delle spoglie involate caricarono un giumento per trasportarsi non si sa dove. Nel giorno sovra indicato i sacrileghi attraversavano Torino, e come giunsero nella piazza a fianco della chiesa dello Spirito Santo, allora dedicata a san Silvestro, erano le ore 5 pomeridiane, il giumento improvvisamente fermossi e stramazzò, e né grida, né spinte valsero più a muoverlo dal luogo. In questo, ecco uno dei cestoni, ond’era carico, sciogliersi da sé, ed uscirne fuori un Ostensorio, che, salendo in aria a vista di tutti, si tenne in alto mirabilmente sospeso. Dopo qualche tempo l’Ostia santa sprigionavasi dall’Ostensorio e questo scendeva a terra, mentre quella raggiante come il sole rimanevasi immobile, librata in aria a vista d’un immenso affollato popolo, che commosso, estatico, prostrato a terra ammirava il grande prodigio e adorava il Sacramentato Signore. Nè per soli pochi istanti si protrasse il miracolo, ma dovette durare assai lungo tempo, perché tutta Torino fu in movimento e si chiusero le botteghe e cessarono tutte le occupazioni, perché tutti vollero recarsi sul luogo ad essere testimoni del fatto stupendo. Appena ne ebbe avviso il vescovo mons. Ludovico Romagnano, fatto radunare il Capitolo Metropolitano e quanto il clero poté raccogliere, recossi processionalmente sul luogo, e tutti si posero in atto di adorazione. Mosso il Prelato da una ispirazione si fece recare un calice, lo levò verso l’Ostia santa, ed allora essa lenta, lenta vi discese, e trionfalmente e con tutto il fervore della devozione inspirata dal miracolo, fu portata alla Cattedrale. Un fatto cosi strepitoso accaduto in pieno giorno, alla vista di tutto un popolo descritto e circostanziato da testimoni oculari nazionali ed esteri, i documenti deposti negli archivi ecclesiastici e civili, i monumenti perenni che ne esistono cioè: le istituzioni che ne derivarono, le lapidi incise, un tempio appositamente eretto, la festa e la processione annuale che sempre fu in tal giorno celebrata, convincono ognuno, che sia sano d’intelletto, che nulla vi può essere di più accertato al mondo. Gli empi stessi, i quali, per confutare un tale avvenimento, non sanno usare altr’arma che quella ridicolissima del ridicolo, ci dimostrano che non sanno trovare armi più valide, epperò confermano la nostra fede. Nel 1853 se ne celebrava con vera magnificenza il 4° anniversario secolare: in tale occasione la fede dei Torinesi si palesò spontanea, imponente e consolante.]

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio che abbiate instituita la festa del Corpus Domini; fatemi la grazia ch’io la celebri con tutta la devozione necessaria, per ringraziarvi della vostra bontà e risarcirvi degli oltraggi, fin nell’adorabile Sacramento dei nostri altari. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso, per amor di Dio, ed in prova di questo amore io assisterò alla benedizione ogni giorno dell’ottava del Corpus Domini.

IL DEMONIO CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE -3-

Il demonio,

CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE.

MEZZI PER GUARIRLE. 1890-3-

DI UN PRETE DEL CLERO DI PARGI

Riassunto

Ai giorni nostri, per ridare la salute ai malati, non si conoscono più che i soli mezzi naturali. Essi sono insegnati, è vero, da Dio stesso, nell’arte medica di cui Egli è fautore, poiché i libri santi ci dicono che « Egli ha tratto dalla terra i rimedi della medicina: “Altissimus creavit de terra medicinam” » (Eccl. XXXVIII). Ma quando la medicina è impotente ed inefficace nel guarire le malattie naturali, non è allora che dobbiamo ricorrere a Dio solo? Asa, re di Giuda, quando era malato fu biasimato perché riponeva fiducia solo nei rimedi che utilizzava, e non in Dio (II Re; XII, 16). Vi fu un tempo in cui c’erano i taumaturghi, fautori di grandi cose sulla terra. Si andava da loro, una volta, come verso il Salvatore stesso. Ma oggi, questi Santi, sono nel mondo o nella solitudine del chiostro? Che Dio ce li faccia dunque conoscere, e che operino meraviglie nel suo nome! Perché noi vogliamo credere che ci siano ancora uomini dei miracoli; delle anime penitenti, mortificate, distaccate da tutto, che vivono per Dio solo, e di conseguenza molto potenti sul suo cuore. Manifesta o nascosta nell’ombra, la santità, oggi, non è più rara che in altri tempi. La santa Chiesa non ne è meno ricca. E se non si sente dire più che tal santo, tal prete, tal vescovo guarisce le malattie, è perché la fede si è affievolita tra di noi. Essa è sottoposta alla ragione, piena di dubbi ed esitazioni, si chiedono resoconti e spiegazioni a Dio, invece di abbassare la nostra povera e debole ragione davanti alla sua saggezza infinita. Si può mai essere esauditi nelle proprie preghiere con tali disposizioni? È dunque a causa della nostra incredulità che non otteniamo nessuna grazia da Dio. Si dirà forse che i miracoli non sono più necessari come nei primi secoli della Chiesa. Innanzitutto, è un miracolo propriamente detto il cacciare lo spirito di malattia dal corpo di un cristiano? E anche se ce ne fosse uno, Dio non ha detto che non ne sarebbero più stati fatti. Perché avrebbe seminato a profusione per un periodo di tempo così lungo; e perché ora dovrebbe cambiare sistema per attirare anime a Lui, soprattutto quando Egli ha annunciato che i suoi discepoli faranno cose più grandi di Lui: “majora”? Quali sarebbero dunque queste grandi cose oltre alle guarigioni che Egli moltiplicava davanti i suoi piedi? È passato il tempo in cui si diceva: « è proibito a Dio far miracolo in questo luogo ». Il nostro secolo, scettico, beffardo, divorato dall’ateismo e dal sensualismo, non ha dunque più bisogno di essere attirato a Dio dalle opere soprannaturali dei suoi santi? Dio l’avrebbe abbandonato al suo senso riprovato, alle sue passioni ignominiose, ai suoi immondi piaceri, come dice San Paolo? … “Tradidit eos in reprobum sensum, in immunditiam, in passiones ignominiæ” (Rom. I). Noi non lo crediamo. Dio ci da ogni giorno il segno della sua bontà. I fedeli dovrebbero dunque domandare la benedizione del Prete nella loro malattia, anche quando non abbia alcun carattere di gravità, nel timore che sia provocata dal demonio. Io dico: Benedizione ed una preghiera, e non una semplice visita di cortesia. Il corpo del Cristiano appartiene a Dio: esso è il suo tempio, è santificato dal santo Battesimo e dalla ricezione degli altri Sacramenti; le sue membra sono membra di Gesù-Cristo … e, quando questo corpo, minato dalla sofferenza, è disteso su di un letto di dolore, non potrebbe essere alleviato, guarito anche, dalla preghiera? Noi siamo convinti del contrario. La Chiesa benedice le lenzuola e gli abiti che devono servire sia a rivestire il malato, sia a fasciare le sue piaghe; che sarà dunque se il Prete benedice lo stesso malato, e prega su di lui? La Chiesa ha ancora delle preghiere per benedire la terra, i campi, per ripulirla dagli insetti e dalle bestie che divorano i raccolti. Essa ne ha per benedire le vigne, il vino, il sale, le uova, una fontana, un pozzo, una casa, un letto, una scuderia, una stalla e gli animali che ospita, un naviglio, una ferrovia e molte altre cose ancora. Essa ne ha anche per deviare ed allontanare i temporali, la grandine, lo spirito di tempesta “spiritus procellarum” … e non potremmo allontanare, scacciare lo spirito di malattia dal corpo di un Cristiano? Siamo uomini di poca fede! Un giorno, nostro Signore Gesù-Cristo era sul lago di Tiberiade. Si levò una furiosa tempesta e la barca sulla quale si trovava era sul punto di affondare nei flutti. Risvegliato dal suo sonno misterioso da San Pietro, Gesù si alzò e comandò agli spiriti dell’aria ed agli spiriti dell’acqua che provocavano questa tempesta e si fece calma. Egli disse, e lo spirito di tempesta si placò; “dixit et stetit spiritus procellæ” (Ps. CVI). Un’altra volta Gesù-Cristo comandò alla febbre di lasciare la suocera di san Pietro “imperavit febri”, personifica la febbre; le parla, la comanda, e la febbre obbedisce. Agiamo come il Maestro, imitiamolo, parliamo alla malattia e allo spirito che la fa nascere; comandiamogli uscire dai corpi in nome di Gesù. Egli ci obbedirà, ed il malato sarà guarito. Noi lo diciamo ancora: Nostro Signore Gesù-Cristo ha dato questo potere a tutti, e se abbiamo una fede viva che ci raccomanda, esaudirà le nostre preghiere. Persone poco illuminate diranno forse, che questo libricino insegna la superstizione: lasciateli dire ed agite. Noi crediamo che queste pagine siano irrifiutabili, perché sono basate sul Vangelo e sull’esempio di tutti i Santi. Non c’è dunque alcuna superstizione nella loro applicazione, poiché al contrario hanno come scopo il combattere contro il nemico. In tutte le epoche del Cristianesimo, la santa Chiesa ha incoraggiato la preghiera e tutti gli altri mezzi per distruggere la perniciosa influenza di satana sugli uomini e sulle cose. È così che in Italia, nel secolo XV, san Bernardino consigliava ai Cristiani del suo tempo, di scrivere il santo nome di Gesù sopra una pergamena, una medaglia, una specie di Agnus-Dei in cera, o altro materiale forte e resistente, e portarlo su di sé per essere liberato dalla malattia, o da altri malori occasionati dallo spirito malvagio. Il Papa Martivo V incoraggiava questo pio uso. Tutti sanno forse che la festa di San Giovanni Battista è d’obbligo a Roma. La veglia, dopo i primi vespri, il Cardinale-Arcivescovo della Basilica benedice nella sacrestia di S. Giovanni in Laterano, dei chiodi di garofano che i malati hanno la pia abitudine di portare sul petto, in un sacchetto, in forma di scapolare, per ottenere la guarigione più pronta. Si dirà che questi pii usi siano frutto di superstizione? No, senza dubbio, ed è evidente che una preghiera fatta su di un malato deve avere nel guarire almeno pari efficacia di questi pii oggetti. Si obietterà forse che la Chiesa sola è depositaria della potenza di Gesù-Cristo, e che solo così essa può delegare uno dei suoi ministri per esorcizzare chi è posseduto dal demonio. Questa verità è incontestabile poiché anche il Concilio di Laodicea vieta a coloro che non sono comandati dal Vescovo, di fare alcun esorcismo. E la disciplina attuale della Chiesa non permette agli stessi esorcisti di esercitare il loro potere senza il permesso del Vescovo. Ma la Chiesa non vieta di cercare, con la preghiera ed una viva fede, di sottrarsi alla malizia ed all’ossessione di questo nemico dell’uomo e di cacciarlo da dove è. Anzi Essa ci spinge: « Resistete al demonio, ed egli fuggirà lontano da voi » dice l’Apostolo Giacomo (IV- 27). E con lui ci dice San Pietro: « Vegliate, perché il vostro avversario, il diavolo, gira intorno a voi come un leone ruggente, cercando la preda da divorare. Resistetegli e siate forti e valorosi nella fede »! l’Apostolo s. Paolo aggiunge: « diffidate, per non cadere in balìa di satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni. » (2 Cor. II-11). Come dunque resistergli se non con la preghiera? Inoltre, le malattie causate da lui non costituiscono la possessione propriamente detta. Se le nostre preghiere, che non sono altro che l’elaborazione di queste grandi parole: Vade retro satana!, e non sono degli esorcismi, restano inefficaci, possiamo, volendo, sempre ricorrere alla Chiesa ed ai mezzi che Essa dispone. Il mondo Cristiano è pieno di libri di preghiere che hanno come scopo di guarire le malattie dell’anima, sempre causate dal demonio, e non ce n’è uno solo che contenga delle preghiere per guarire le malattie del corpo, cosa che ugualmente è causato dallo spirito malvagio. Ecco perché abbiamo scritto questo, unicamente per coloro che hanno fede, perché non c’è che la fede che libera. Possa far loro del bene. I Cristiani dei primi secoli portavano ogni giorno battaglia a satana; e questo nemico dell’uomo e di ogni bene, era sempre vinto. Ricominciamo e continuiamo la lotta, armiamoci di preghiera e dello scudo della fede e a nostra volta, saremo vincitori. « Va dunque, mio piccolo libro campi la “tua santa missione, penetra dappertutto, nei palazzi e nelle baracche, presso i sapienti e gli ignoranti. Stai nelle mani del ricco, del povero, dei maestri, dei servi e degli operai. Attraverso di te lo spirito cattivo sia messo in fuga, che le piaghe e le malattie del corpo siano guarite. Porta la gioia nelle anime, la speranza e la consolazione in tutte le famiglie cristiane e confermali nella fede nel Nostro Signore Gesù-Cristo. Così sia.

Avviso Importante

Prima di imporre le mani, di fare dei segni di Croce e pregare sul malato, occorre raccogliersi, chiedere a Dio interiormente, perdono per i propri peccati, pregarLo di esaudire la preghiera che si sta per indirizzarGli. Bisogna anche far raccogliere il malato, se possibile, eccitare nella sua anima la fede, la fiducia, il pentimento delle proprie colpe, e invitarlo a vivere cristianamente se si vuole rendere degno di ottenere la sua guarigione. Se si hanno reliquie di santi, un crocifisso, una medaglia, si potranno appoggiare sulla parte malata durante la preghiera. Si dovrà recitare la preghiera, imporre le mani e fare il segno della Croce sul male, finché sia ottenuta la guarigione. Dio, dice S. Agostino, vuole essere importunato “Deus vult importuniri”. Si potranno fare le preghiere che si vorranno, sia mentali che verbali. Tuttavia abbiamo creduto opportuno suggerirne alcune di molto brevi, molto semplici, per aiutare le persone, soprattutto quelle di campagna, che non hanno l’abitudine di pregare. Noi riportiamo anche, quasi testualmente, diverse preghiere che si dicono e si recitano dappertutto. Queste preghiere sono di un’altra epoca e ci richiamano le antiche formule popolari. Noi aggiungiamo che le parole di queste preghiere, come pure le stesse preghiere, non hanno alcuna virtù, né naturale né sovrannaturale per produrre le guarigioni che si domandano a Dio. Credere il contrario sarebbe superstizione, ed una religione falsa e malintesa. Il lettore noterà che nelle preghiere, noi parliamo al male, cioè al demonio che lo provoca e le genera. Noi gli chiediamo con grande autorità di uscire dal corpo che attacca, e rende malato. Noi imitiamo in questo Nostro Signore che in diverse circostanze comandò alla malattia, e in particolare quando ordinò alla febbre di uscire dal corpo della suocera di S. Pietro. Noi imitiamo ancora la santa Chiesa, che negli esorcismi del Battesimo, comanda imperiosamente al demonio di uscire dal corpo e dall’anima del bambino che si battezza. È su questo esempio e sull’esempio di tutti i Santi, che noi assumiamo un tono imperativo e che diciamo al male, di qualunque tipo esso sia: « Esci, fuggi e lascia questo corpo che tu rendi malato. Io te lo comando e te lo ordino nel nome di Nostro Signore Gesù-Cristo.»

№ 1.

— Preghiera per arrestare le perdite e gli sputi di sangue (emottisi o emoftoe), provenienti da piaghe, da lesioni interne o esterne, o da qualunque altra provenienza:

Signore Gesù, appena entrato nel mondo, Voi avete versato il vostro sangue, alla circoncisione, per la salvezza degli uomini; nel giardino dell’agonia avete sudato sangue; nella sala del pretorio, gli aguzzini lo hanno fatto zampillare sui loro corpi; la corona di spine ha insanguinato il vostro capo; sulla croce avete svuotato le vostre vene e dato sangue fino all’ultima goccia per la nostra redenzione. In nome di questa effusione del vostro sangue divino che avete sparso per la nostra salvezza, comandate che colui che è nelle vele della vostra creatura qui presente, si arresti e cessi di colare; che le piaghe si fermino e si cicatrizzino nel vostro nome, e che gli venga resa la salute. Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, e per la potenza del segno della croce. E così sia”.

№ 2.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione della gotta, dei reumatismi, della paralisi, delle distorsioni, delle contusioni, ed altre malattie delle gambe.

Mio Dio! Quando penso che i vostri piedi divini si sono affaticati per predicare il vostro santo Vangelo, e per correre dietro ai peccatori per convertirli, io non posso che amarVi, adorarvi, e benedirvi. In ricordo dei vostri divini viaggi, in nome delle fatiche che avete sopportato percorrendo la terra santa, degnatevi o mio Dio! Dall’alto del cielo, di stendere le vostre mani divine sulla vostra creatura malata; in passato avete guarito gli zoppi, i paralitici e tutti coloro che avevano perso l’uso dei loro arti; guaritelo, e ditegli queste parole che avete pronunziato così spesso: « la tua fede sia ricompensata; sii liberato da ogni infermità: alzati e cammina ».”

[Fate il segno della croce sul male e dite:] “male, qualunque sia la tua origine e la tua natura, ritirati, te lo comando nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E così sia”.

№ 3.

— Preghiera di una donna per ottenere da Dio un felice parto.

[La donna che sta per diventare madre deve leggere ella stessa, o farsi leggere questa preghiera alla quale si unirà quando giungeranno i dolori del parto.]

“Santa Elisabetta, voi che avete messo al mondo San Giovanni Battista; Sant’Anna, che avete partorito la Vergine Santissima; Santa Vergine Maria, voi che siete la Madre del divino Salvatore, pregate per me e per il bimbo che sto per mettere al mondo. Alleviate i dolori, assistetemi nei dolori strazianti del parto. Bimbo che ancora sei nel seno di tua madre, Gesù-Cristo ti chiama; la Santa Chiesa ti reclama. Vieni a ricevere lo Spirito Santo nel battesimo: vieni a purificare la tua anima con l’acqua santa che cancella il peccato originale, e che rende figlio di Dio e della Chiesa. Vieni, ed entra nel mondo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia.”

№ 4.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione di tutte le malattie dei bambini: le convulsioni, il croup, l’angina, la meningite, la pertosse, etc.

“O dolce Gesù, che avete amato così teneramente i bambini; vi piaccia benedirli ed abbracciarli, voi che avete detto che colui che crederà in voi e sarà battezzato, potrà nel vostro Nome e per virtù divina, cacciare il demonio e guarire le malattie imponendo loro le mani; abbiate pietà di noi che ricorriamo a Voi; abbiate pietà del bambino innocente sul quale impongo le mani, nel Nome vostro, e guaritelo dalla malattia che lo affligge e lo tormenta. Male, qualunque tu sia, nel nome del Signore Nostro Gesù-Cristo, esci da questo bambino, io te lo ordino, e te lo comando nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, e per tutte la potenza di questo segno di croce.”

№ 5 .

— Preghiera per ottenere da Dio, per intercessione di san Marculfo, la guarigione della scrofolosi.

“O San Marculfo, voi che guarivate la crofolosi nel corso della vostra vita mortale; voi che, per grazia di Dio, avete comunicato ai vostri Re cristianissimi il potere di guarire, con un semplice tocco, questa malattia nel giorno della loro consacrazione nella città di Reims quando pronunziavano queste parole: « il Re ti tocca, Dio ti guarisce ». Io vi supplico, in nome del Signore Nostro Gesù-Cristo, e per i meriti della sua Santa Madre, ottenete la guarigione di … (dire il nome della persona), chiudete e cicatrizzate le sue piaghe; purificate il suo sangue, e fate che lo spirito di malattia non abbia alcuna azione sul suo corpo. Io vi chiedo questa grazia, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.

[Si possono lavare le piaghe con acqua benedetta].

N. B. — San Marculfo era abate di Nanteuil, e morì nel 558. Egli è molto venerato nella Chiesa di Saint-Nicolas, à Blois. Vi si viene in pellegrinaggio anche da molto lontano il 1 maggio.

№ 6.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dall’epilessia.

Dio mio, voi vedete quanto grande sia l’afflizione della vostra creatura soggetta a questa crudele malattia; voi conoscete le angosce del suo cuore e le continue apprensioni nelle quali ella vive. Come quando avete un tempo guarito il fanciullo del Vangelo, ella teme di cadere nell’acqua, nel fuoco, o in altri pericoli quando è attaccata da questo male. Mio Dio, ve ne scongiuro, guarite questa povera creatura; cancellate dal suo corpo questo male sì funesto per la sua salute e la sua tranquillità. Io vi chiedo questa grazia, o Signore Gesù! In nome della vostra grande bontà verso coloro che vi pregano e vi invocano con fede. Male, qualunque sia il tuo principio o la tua natura, io ti ordino di lasciare il corpo di questa persona e di non rientravi mai più; io te lo comando nella mia qualità di cristiano, benché indegno e peccatore. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e per la virtù della santa Croce. Amen.

№ 7.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione del mal di denti, dello scorbuto e delle malattie della bocca.

 “Santa Vergine e Immacolata Madre di Dio, che vi degnate di aver pietà di tutti gli afflitti, voi che siete chiamata la Salute degli infermi, il soccorso dei Cristiani, e che non avete mai respinto nessuno. E voi sant’Apollonia, che siete stata martirizzata per il Nostro Signore Gesù-Cristo, e prima di essere bruciata col il fuoco che consumò il vostro corpo, avete ricevuto, sull’esempio del nostro divino Maestro, tanti colpi sul vostro viso, tanto che le vostre mascelle furono fratturate; voi, alla quale furono strappati tutti i denti, l’uno dopo l’altro, per farvi più soffrire, ottenete da Dio la guarigione di questa persona malata. Che la sua fede sia ricompensata e che il suo male sparisca. Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen”.

№ 8.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione della sordità.

“Signore Gesù, la vostra potenza non ha limiti, poiché Voi siete Dio. Io imploro la vostra assistenza affinché scacciate lo spirito di sordità che affligge la vostra creatura qui presente. Privata del senso dell’udito, e non potendo intendere né la vostra parola né quella degli uomini, comandate alle sue orecchie di aprirsi, come avete già fatto quando eravate sulla terra. Guarite questa povera creatura uscita dalle vostre mani, e restituitele l’uso dell’udito. Ripetete in suo favore questa grande e potente parola: « apritevi, » ed essa sarà guarita. Spirito di sordità, esci da queste orecchie per la potenza di questa segno di croce, nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Che Dio ricompensi la vostra fede e vi guarisca. Amen.

№ 9.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dell’idropisia, dell’anémia, degli erpeti o altre malattie causate da difetto o alterazione del sangue.

“O Mio Dio! Voi che toccate con le vostre divine mani i malati per guarirli; Voi che avete ridato salute all’idropico ed ai lebbrosi con una semplice parola, guardate all’afflizione della vostra creatura. Considerate la malattia che la affligge e degnatevi di rendergli la salute. Comandate dunque, o Signore, al suo male di sparire e rendete al suo sangue la sua originaria forza e la sua primitiva purezza. Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen”.

№ 10.

— Preghiera per ottenere la guarigione dei mali degli occhi.

San Placido, discepolo di san Benedetto, la recitava su coloro che avevano perso la vista (Dom Guéranger).

“O Signore Gesù, Voi che siete il mediatore tra Dio e gli uomini, Voi che siete disceso sulla terra per illuminare l’intelligenza ed i cuori di tutti; Voi che avete reso la vista ai ciechi, e che avete dato a San Benedetto la virtù di guarire tutte le malattie e tutte le ferite, degnatevi, per i meriti suoi, di rendere la vista a questo malato, affinché vedendo la grandezza delle vostre opere, vi tema e vi adori come il Signore sovrano di tutte le cose. Nel nome del Signore Nostro Gesù-Cristo e per i meriti di San Benedetto, siate guarito; che i vostri occhi si aprano e vedano la luce del giorno. Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo (si devono fare i segni di croce sulle palpebre chiuse). Amen”.

№ 11.

— Preghiera per ottenere da Dio la grazia di essere preservati dal colera, dal tifo, dal vaiolo e da altre malattie contagiose.

“O Dio Onnipotente, che date la vita e la salute, noi cadiamo alle vostre ginocchia per implorare la vostra misericordia. Pieni di pentimento per i nostri peccati, noi veniamo a Voi a cercare un rifugio contro le afflizioni che ci opprimono. Cessate dalla vostra collera che noi abbiamo certamente meritato per le nostre colpe. Noi siamo vostre creature, fateci da scudo e protezione contro questo soffio avvelenato che percorre la nostra contrada coprendola di lutto e di lacrime. Purificate l’aria che respiriamo, e preservateci da questa malattia contagiosa. Comandate all’Angelo sterminatore, ministro della vostra giustizia e delle vostre vendette, di non colpirci ancora con la sua spada. Fateci grazia; noi confessiamo i nostri peccati che ci hanno attirato questo terribile flagello. Abbiate pietà di noi, San Carlo Borromeo che avete fatto prodigi di carità durante la peste che desolava la vostra città di Milano; anche voi, gran Santo Rocco che non si invoca invano in siffatte circostanze, pregate Dio per noi, affinché non siamo più vittime di questa malattia contagiosa. Amen.”  [Occorre portare su di sé una medaglia della vergine Santissima, di San Benedetto o simili.]

№ 12.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dalle febbri intermittenti, tifoidi, mucose o altre.

“Che lo Potenza di Dio Padre, la Sapienza di Dio Figlio, la Virtù di Dio Spirito Santo, la potenza di questo segno della Croce, vi guarisca di ogni sorta di febbre che agita e brucia il vostro corpo. Febbre, qualunque tu sia, qualunque il tuo principio e la tua natura, tu che hai obbedito al comando di Nostro Signore Gesù-Cristo, quando ti ordinò di lasciare il corpo della suocera di San Pietro, nel nome dello stesso Signore Gesù-Cristo, io ti ordino di lasciare il corpo di questa persona malata e di non rientrarvi mai più. Santa Vergine Maria, Voi che siete stata concepita senza peccato, pregate per questo malato, affinché sia guarito nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo! Amen”.

№ 13.

Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dalle ustioni.

[Questa preghiera è molto comune, diffusa, e gode tra il popolo di una grande reputazione di efficacia. Noi abbiamo creduto opportuno riportarla qui quasi testualmente:]

“Fuoco creato da Dio, io ti ordino e ti comando nel suo Nome, di perdere il tuo calore, di lenire i cocenti ardori. Ferma i tuoi danni e non dar luogo ad alcuna piaga su questo corpo. Gran San Lorenzo, voi che siete stato su di una graticola rovente senza avvertire dolore per la grazia divina che era in voi, domandate a Dio che esaudisca la nostra preghiera, che ricompensi la fede di questo malato, affinché guarisca nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen.

№ 14.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione delle malattie del petto: raffreddori, bronchite, asma, catarro, laringite

“O Signore Gesù, Voi che avete sofferto fino alla morte per espiare i nostri peccati; noi pure dovremmo soffrire in unione con voi per essere glorificati con voi nel cielo, come insegnano i Libri sacri; ma conoscendo la vostra compassione per i malati, io vi domando la guarigione di questa persona; comandate al male di sparire, come lo faceste Voi nel vostro soggiorno terreno, per i malati che facevano a Voi ricorso. Diffondete la vostra grazia su di ella; comandate allo spirito di malattia di uscire dal suo corpo e non farvi più ritorno. Male, qualunque tu sia e qualunque sia il tuo principio e la tua natura, esci da questo petto. Io te lo comando nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen”.

№ 15.

— Preghiera a San Friacrio, per ottenere da Dio, per sua intercessione, la guarigione delle ulcere, dei cancri, tumori, antrace, ascesso, patereccio, altre lesioni interne o esterne.

“O gran Santo, che avete ricevuto da Nostro Signore Gesù-Cristo il potere di guarire tutte le lesioni e tutte le piaghe, specialmente i tumori, le ulcere ed i cancri; io vi prego e vi invoco affinché scongiuriate questo male, e comandiate alla piaga di fermarsi, di cicatrizzarsi, affinché non generi alcuna corruzione, e che cessi le sue devastazioni. Male, qualunque tu sia, che tu provenga dal demonio o da una causa naturale, io ti comando, nel nome di San Friacrio, di lasciare il corpo di questa creatura di Dio. Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen.”

№ 16.

Preghiera all’Arcangelo Raffaele per ottenere la guarigione da tutte le malattie, specialmente quelle degli occhi.

“O San Raffaele, il cui nome secondo i santi libri vuol dire: medico di Dio; voi che siete stato incaricato di accompagnare il giovane Tobi nel suo viaggio presso il popolo dei Medi, e che avete restituito la vista a suo padre, noi vi invochiamo e ci prostriamo ai vostri piedi per implorare la vostra assistenza. Tobi ed i suoi genitori sono stati aiutati e soccorsi da voi, voi avete esaudito i loro voti ed i loro desideri. Sul loro esempio anche noi vi invochiamo; noi vi preghiamo di essere nostro protettore dopo Dio, poiché voi siete il medico caritatevole che Egli invia a coloro che hanno fede e fiducia. Guarite dunque questa persona malata; restituitegli la salute ed ella testimonierà a Dio la sua riconoscenza vivendo cristianamente.” [Dire tre volte: San Raffaele, pregate per noi!]

№ 17.

— Preghiera a san Pietro d’Alcantara, per ottenere da Dio la guarigione di tutte le malattie e per ogni sorta di grazie.

“O gran Santo, voi che siete ora seduto nella Gloria presso Dio! Voi che dovete alle vostre grandi mortificazioni ed alle penitenze rigorose che facevate quaggiù, la felicità di cui ora godete in cielo: degnatevi di ricordare ciò che il Signore ha rivelato a Santa Teresa nei vostri riguardi. Nostro Signore Gesù-Cristo ha promesso a questa grande Santa che qualunque Gli si chiedesse nel vostro nome, una grazia, un favore, un soccorso, una protezione, una guarigione, questa sarebbe stata accordata. Oggi voi vedete la mia pena e le mie sofferenze. Io vengo dunque a supplicarvi, o grande Santo, di essere il mio avvocato presso nostro Signore Gesù-Cristo, affinchè per vostra intercessione si degni di accordarmi ciò che Gli domando. Amen”.

№ 18.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione da ogni tipo di malattie.

Signore Gesù, consolatore dei fedeli, Dio pieno di compassione e di misericordia per i peccatori, io vengo ai vostri piedi per implorare la vostra grande e immensa bontà in favore di questo povero malato che giace sul suo letto di dolore. Degnatevi di visitarlo, Signore, come avete visitato un tempo la suocera del vostro grande Apostolo, Simon-Pietro; siategli propizio e favorevole; degnatevi di grarirlo dal male che lo affligge, e rendetegli la primitiva salute… [E imponendo la mano sulla testa della persona malata, facendo il segno della croce, si dirà]: Che il Signore Gesù-Cristo stia al vostro fianco per difendervi; che Egli sia in voi perché vi conservi, che sia davanti a voi per guidarvi; che stia dietro a voi per sostenervi, e che sia sopra di voi perché vi benedica e vi guarisca. Amen”. [questa preghiera si trova nel rituale di Parigi].

№ 19.

— Preghiera per essere preservato dalla rabbia, dalle punture velenose dei serpenti, vipere, mosche carbonchiose; o per ottenerne la guarigione.

“O Beato San Uberto, dal settimo secolo vi si invoca in ogni luogo affinchè portiate soccorso a tutti coloro che fanno ricorso a voi; noi, la mia famiglia e me, veniamo a metterci sotto la vostra protezione, alfine di essere preservati dalla puntura o dal morso delle bestie velenose. Proteggeteci, e preservateci da tutti questi generi di danni. Preservate pure le bestie della nostra stalla, affinché non siano attaccate e ne restino immuni. E se ci arriva questo malanno, dall’alto del cielo ove siete, inviateci, col permesso di Dio, la vostra influenza sulla piaga e sul veleno che essa contiene, alfine di paralizzarne gli effetti mortali. Noi vi chiediamo questa grazia, o mio Dio! Per la virtù e la potenza che avete dato al vostro servo. – « Santo Uberto, pregate per noi »”.[ripetere tre volte:]

№ 20.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dalle malattie della vigna, delle patate, o di altri frutti; ed anche pre preservare i campi ed i raccolti dalle gelate, dalla grandine, dagli insetti nocivi, fillossera ed altre calamità.

 “O Gesù, pieno di bontà, voi che avete moltiplicato i cinque pani di9 orzo ed i pesciolini, per il popolo che era con voi nel deserto, voi che siete la provvidenza per il ricco ed il povero, e che avete sempre alleviato tutte le miserie, benedite dall’alto del cielo questa terra che noi bagniamo con il nostro sudore per la nostra sussistenza. Siate il protettore ed il medico di queste piante e di questi raccolti che noi vi affidiamo. Distruggetene gli insetti ed allontanate le malattie che potrebbero distruggerle, che né il gelo, né la grandine abbiano azione su di esse. Noi vi chiediamo queste grazie per i vostri meriti infiniti, o Signore Gesù. Amen.” [Si può aspergere da sé il proprio campo con acqua benedetta. Si può anche piantare nel mezzo una piccola croce in legno, o depositarvi qualche medaglia della Santa Vergine o di San Benedetto.]

№ 21.

— Preghiera per preservare le greggi da tutte le malattie e da ogni malanno.

O Santa Genoveffa di Parigi, ed anche voi, Santa Germana Cusin, pastorella di Pibrac,; voi che, nella vostra infanzia pascolavate le greggi; degnatevi di ascoltare la preghiera che indirizzo a voi affinché proteggiate questo gregge che mi è stato affidato. Ottenete da Dio che sia preservato da ogni attacco, sia di bestie nocive, sia da malattie, sia da malefici e sortilegi. Gesù buon Pastore, esaudite la preghiera dei vostri santi servitori che sono con voi in cielo, affinché il male non attacchi mai queste pecore e questi agnelli, Santa Genoveffa, Santa Germana Cousin, pregate per noi.” [Dire: 5 Pater ed Ave.]

№ 22.

Preghiera indirizzata a San Biagio, vescovo e martire del VI secolo, per ottenere da Dio, per sua in recessione, la guarigione di tutti gli animali malate: cavalli, buoi e vacche, montoni e tutte le bestie da cortile.

 “O Dio mio! Voi che avete dato tutti gli animali per l’uso ed il nutrimento dell’uomo, degnatevi di benedire tutti quelli che mi appartengono e sono affidati alle mie cure, qualunque sia la loro specie. Accordatemi la grazia che siano preservati da tutte le malattie, che il demonio non abbia alcuna azione malefica su di essi; che si moltiplichino incessantemente, e che i loro prodotti servano al mio uso ed a ricompensare il mio lavoro. Grande San Biagio, voi che avete saputo comandare ed addolcire le bestie più crudeli delle foreste; voi, che venite ovunque invocato per ottenere da Dio la guarigione degli animali malati, presentate la mia domanda al Signore e fate che per vostra intercessione, essa sia esaudita, nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen.”

№ 23.

— Preghiera indirizzata alla Vergine Santissima da Guglielmo d’Auvergne, Vescovo di Parigi.

[Essa è molto efficace per ottenere la guarigione di ogni specie di malattia, sia del corpo che dello spirito, o per essere preservato da ogni male.].

“O Madre di Dio, io ricorro a Voi, vi supplico di non respingermi. Tutti i cristiani non vi chiamano forse Madre di misericordia? Voi siete così amata da Dio che Egli accoglie tutte le vostre richieste. La vostra bontà non ha mai fatto difetto a nessuno. Voi avete sempre ricevuto con incomparabile affabilità ogni peccatore, benché enormi fossero le sue colpe, quando a Voi si è raccomandato. Ah!, non è senza ragione che la Chiesa vi proclama sua avvocata e rifugio dei miserabili! Voi siete la dispensatrice della misericordia, e le mie colpe non potranno impedirvi di adempiere alla consolante funzione di cui siete incaricata, funzione che vi costituisce avvocata e mediatrice di pace, l’unica speranza e sicuro rifugio dei derelitti. Poiché voi avete dato alla luce il benessere dell’universo, la fonte della misericordia, non sarà mai detto che voi abbiate rifiutato la vostra assistenza a un infelice che vi ha invocato a suo soccorso. Poiché la vostra missione è quella di ristabilire la pace tra l’uomo e Dio, la vostra compassione deve spingervi a soccorrermi. Oh! Che essa sia ben al di sopra di tutti i miei peccati! Amen.”

№ 24.

— Preghiera a san Giuseppe.

“Ricordatevi, nostro buonissimo, amabilissimo, dolcissimo e misericordioso padre San Giuseppe, che la grande santa Teresa assicura di non essere mai ricorsa alla vostra protezione senza essere esaudito. Animato dalla medesima fiducia, o mio amatissimo San Giuseppe, io corro, vengo a Voi, e gemente sotto il peso opprimente dei miei numerosi peccati, io mi prosterno ai vostri piedi, o padre compassionevole! Non rigettate le mie povere e debolissime preghiere, ma ascoltatele con favore e degnatevi di esaudirle. Amen.”

№ 25.

— Preghiera a sant’Antonio di Padova.

“O Sant’Antonio di Padova, voi che possedete e vedete Dio faccia a faccia, e che, malgrado l’estasi, oramai eterna, nella quale voi vivete in cielo, avete ancora compassione di coloro che sono quaggiù nelle sollecitudini della propria vita; Voi, che secondo la testimonianza di San Bonaventura, non siete mai invocato invano nei pericoli, nelle calamità pubbliche e nelle divisioni familiari; Voi che mettete in fuga i demoni, che restituite la salute ai malati che vi pregano con fiducia, Voi che, in una parola, fate ritrovare ciò che è stato perduto, sia nell’ordine spirituale che nell’ordine temporale, vogliate, ve ne prego, chiedere a Dio per me che mi allontani i pericoli che mi minacciano e che mi faccia ritrovare tutto ciò che ho perso. Amen”. [dire cinque Pater e Ave.]

№ 26.

—Preghiera a san Michele Arcangelo.

“O Glorioso San Michele, principe della milizia celeste, protettore della Chiesa Universale, ed in particolare della Francia, difendeteci dai tanti nemici visibili ed invisibili che ci circondano. Non permettete che ci portino ad offendere Dio, proteggeteci contro le insidie e gli inganni che seminano lungo i nostri passi. Combatteteli, e metteteli in fuga quando vengono per fare del male, sia al nostro corpo con le malattie, sia alla nostra anima con le cattive passioni che cercano di far nascere in essa. Trionfate della loro malizia; assisteteci nelle lotte ed i combattimenti della vita, e soprattutto nel momento della morte. E così sia. « O Glorioso San Michele, pregate per noi che ricorriamo a voi”.»

[NOTA: Ai nostri tempi il problema relativo al reperimento di un Sacerdote Cattolico ed all’uso dei Sacramentali (in primo luogo l’acqua benedetta) si è ulteriormente complicato, e questo deve renderci estremamente prudenti. Abbiamo letto sopra che una guarigione possa dipendere, avendo fede, dall’azione di un Sacerdote Cattolico o di acqua benedetta. Ma si badi bene: un SACERDOTE CATTOLICO!!!, un “vero” sacerdote della Chiesa Cattolica, unica depositaria del deposito della Fede in cui solamente esiste la COMUNIONE DEI SANTI, dai cui meriti, oltre a quelli principali di Gesù Cristo e della Vergine Maria, è formato il bagaglio dal quale attingere grazie per impetrare ogni bene spirituale. Da evitare come la peste, e forse ancor più, sono i falsi e sacrileghi preti apostati e scismatici del “novus ordo” che operano, consci o meno, nella sinagoga di satana ai comandi di noti esponenti degli “Illuminati”. Allo stesso modo da schivare da lungi e con orrore, sono i discendenti ancor più falsi e sacrileghi del cavaliere Kadosh Lienart e del suo “compariello” il mai-monsignore di Sion-Econe, o altri scalmanati “cani sciolti” [senza offesa per i cani!] senza missione o giurisdizione, quindi, secondo la definizione di Gesù, ladri e briganti che si introducono come lupi rapaci con vello da pecora, nell’ovile dei Cristiani, dalle porte laterali, dalle crepe dei muri o dal camino! Se non si è certi di avere a che fare con Preti “veri” della Chiesa Cattolica con missione e giurisdizione da Papa Gregorio XVII o XVIII, conviene affidarsi esclusivamente alle preghiere ed ai segni di Croce ed imposizione delle mani, oltre che ad una viva fede in Gesù-Cristo, in attesa che il Padrone della messe ci invii un suo “vero” ed efficace operaio. Ovviamente ogni preghiera viene resa illecita e sacrilega dal partecipare ad un falso culto modernista o “tradizionalista”-non autorizzato ed illecito.]

IL DEMONIO CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE -2-

CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE.

MEZZI PER GUARIRLE. -2-

DI

UN PRETE DEL CLERO DI PARIGI

CAPITOLO III

POTENZA DEL SEGNO DELLA CROCE, DEL SANTO NOME DI GESU’, E DELL’ACQUA BENEDETTA.

Il lettore noterà indubbiamente che i segni della Croce sono moltiplicati nelle preghiere che noi inseriamo alla fine di questo libro. La ragione è che tutti i beni ci vengono dalla Croce. I santi di tutti i secoli e di rutti i paesi, si sono sempre serviti del segno della Croce per operare i loro miracoli e guarire i malati, e come insegna San Doroteo, abate d’Egitto, del IV secolo: « Il demonio perde tutta il suo potere alla presenza della Croce di Gesù-Cristo. » Ecco perché si legge nelle preghiere del breviario questa invocazione indirizzata a Dio: « Signore, con il segno della Croce liberateci dai nostri nemici – Per signum crucis, de inimicis nostris libéra nos, Deus noster. » Ed ancora: « Ecco la croce di Gesù-Cristo, fuggite parti avverse. – Ecce crucem Domini, fugite partes adversæ. » – È dunque vero che il segno della Croce fatto con fede può cacciare i demoni. L’invocazione del santo Nome di Gesù ha la stessa potenza. La storia ecclesiastica ne riporta un gran numero di esempi. Noi ne citiamo qualcuno che si leggerà con interesse. È la voce dei martiri e degli apologisti che noi ascoltiamo: San Giustino, filosofo cristiano, martirizzato nel II secolo, afferma positivamente nel libro delle “Antichità giudaiche” che il demonio obbedisce a coloro che lo scacciano pronunciando il santo Nome di Gesù. Minuzio Felice, oratore latino del II secolo, non è meno esplicito.« Voi sapete bene – egli dice nell’Octavius – che questi demoni sono costretti a confessare ciò che sono, quando tormentandoli, noi li facciamo uscire dai corpi con parole che li torturano e con preghiere che li bruciano. » San Cipriano, vescovo di Cartagine, martirizzato nel 258, diceva che: « egli cacciava i demoni dai corpi che essi ossessionavano, intimando loro di uscire nel Nome di Gesù-Cristo, e per la virtù del segno “della Croce”. Oh, se volete vedere -egli diceva- come i demoni sono tormentati, torturati dalle parole sante e sacre che noi pronunciamo, quando li comandiamo e li cacciamo nel Nome di Gesù-Cristo dai corpi che ossessionano ». Lattanzio, celebre filosofo ed apologista cristiano del II secolo, è anche egli positivo. Egli dice che « i discepoli di Gesù-Cristo cacciano i demoni nel Nome del loro Maestro, e con il segno della Passione: « Questo mostrerà quanto il segno della Croce sia terribile per i demoni e si vedrà come, costretti dal Nome di Cristo, essi escano dai corpi che ossessionano. Allora egli racconta questo episodioo storico. Egli dice che il demonio, consultato dall’imperatore Diocleziano, non aveva osato rispondere in presenza di un cristiano che aveva fatto il segno della croce. Tertulliano, uno dei dottori più illustri della Chiesa di Cartagine, nel III secolo, portava questa audace sfida ai pagani dei suoi tempi: « che si porti davanti ai tribunali, davanti a tutto il mondo, e non in un luogo chiuso, qualcuno che sia veramente posseduto dal demonio “quem agi dæmone constet”, ed un cristiano, chiunque esso sia, il primo venuto “a quolibet cristiano”, comandi a questo spirito di parlare: questo spirito maledetto confesserà che non è che un demonio e che, mentre altrove si dice falsamente Dio, egli non oserà mentire ad un cristiano. Se non lo confessa subito, spargete sul luogo stesso, senza indugio, senza alcuna nuova procedura il sangue di questo cristiano temerario (Apologetica, 23). Che sicurezza! Quale fede eroica in questa sfida! Chi può credere che Tertulliano possa compromettere con tanta leggerezza la vita di un cristiano! È per questa ragione, ed ispirato dalla stessa fede, che Bossuet, che noi amiamo citare, dice ancora che, forzato dalla parola di un fedele, il demonio depose la sua impudenza. Un’altra volta, Tertulliano, indirizzandosi al proconsole d’Africa, Scapula, cita i nomi propri dei posseduti liberati da lui, e dice che essi sono pronti a rendere omaggio alla verità. Anche i vostri ufficiali e consiglieri potrebbero istruirvi in essa, il segretario di uno di essi, il figlio di un altro, senza contare un gran numero di uomini di qualità, e gente comune che sono state liberate da noi e dalla malattia e dal demonio”. Egli racconta nella sua opera intitolata “gli spettacoli” che una dama romana andò in buona salute al teatro e ne tornò posseduta dal demonio: “Theatrum adiitet cum dæmonio rediit”; esso, evocato e biasimato per aver osato attentare ad una matrona cristiana, rispose difendendosi: “io ho colto l’occasione, e non penso di aver fatto torto a nessuno. Tutto ciò che trovo sulle mie terre mi appartieneConstanter et justissime feci quia in meo eam inveni…”, se l’avessi trovata in chiesa io non avrei mai osato avvicinarla, ma io l’ho trovata nella mia assemblea, tra le danze ed i piaceri, e l’ho presa come cosa che si trovava nel mio feudo e quindi mia proprietà”. Quale insegnamento in queste parole! Quale soggetto di meditazione per coloro che sono al mattino in chiesa, e la sera in riunioni pericolse!!! Non si può ignorare l’influenza perniciosa che eserciti il teatro su tutta una categoria di figli del popolo che vi si introducono, riportandone una spaventosa precocità di vizio. Per un gran numero il teatro è il vestibolo della prigione; come per molti ricchi, è l’abisso ove sprofondano l’onore e la fortuna. So bene che si dice che il teatro sia entrato nei nostri costumi; che bisogna andare per non singolarizzarsi, diventare asociali; e poi esso non fa alcuna cattiva impressione, né allo spirito, né ai sensi. Illusione!!! In effetti, anche se i soggetti rappresentati non sono sempre cattivi, il luogo è sempre pericoloso. Se noi citassimo tutte le testimonianze dei pagani, greci o romani, contro il teatro, si vedrebbe che essi lo consideravano come una scuola di vizio. Tertulliano dice che il teatro è un “luogo infame” e “chiesa del diavolo”. Si dice che a Roma nessun attore fosse ammesso né a corte, né al tribunale, né al senato, e che era escluso da tutti gli onori militari e civili. San Giovanni Crisostomo lo chiama “l’impuro cibo di satana”. Sant’Agostino si domanda come possa un cristiano pregare al mattino in chiesa e correre poi in teatro per applaudire satana e le suo opere. Salviano, questo celebre prete che viveva a Marsiglia nel IV secolo dice: “… che ritorno al diavolo, e che rinuncia alle promesse battesimali quando si va a teatro!”. Del resto tutti i padri della Chiesa, tutte le decisioni dei Concili, dicono che un cristiano che abbia rinunciato, col suo Battesimo, a satana, alle sue pompe ed alle sue opere, non debba più frequentare il teatro che chiamano con diversi nomi, come “scuola del vizio”, “focolaio di corruzione”, “perdita di innocenza”, “mare in cui la virtù fa spesso naufragio”. Il teatro non è dunque una scuola di moralità ed un innocente piacere. Non restiamo stupefatti quindi dalla severità della Chiesa su questo soggetto. È in questi luoghi, sempre pericolosi, che il demonio va a cercare numerose vittime; anche tra le persone che si credono pie e che corrono a frotte. satana ha osato attaccare Nostro Signore stesso mentre pregava e digiunava nel deserto. Gli sembra dunque naturale tendere insidie alle anime che vanno “da lui”. È allora che egli introduce il peccato nella loro anima, e dei germi patogeni nei loro corpi. Felice ancora quando non porta egli stesso la torcia incendiaria nella “propria casa”, per far bruciare tutti coloro che vi si trovano!!! Lo abbiamo visto spesso, quanti teatri sono stati bruciati e quanti bruceranno ancora!!! Ciò che sto dicendo, lo so, è opposto a tutto quello che si chiama lo spirito dei tempi moderni. Gli increduli, i cristiani indifferenti, riverseranno su questo soggetto il loro sarcasmo ed i loro ghigni beffardi. Compiangiamoli e preghiamo per essi che sono nelle tenebre e nell’errore, mentre noi siamo nella luce e nella verità. E poi ci meravigliamo se il demonio agisce così, attaccando dei semplici cristiani, egli che ha osato attaccare nostro Signore stesso. Noi abbiamo ricordato più in alto gli assalti furiosi che satana ha portato a Giovanni M. Vianney, questo santo curato d’Ars, che ha reso illustre il clero francese per la sua carità e per le sue ammirevoli virtù. Ed egli non ci attaccherebbe? È inammissibile! Origene, questo gran dottore della Chiesa che teneva la celebre scuola di Alessandria, assicura che « il più piccolo, il più infimo tra i Cristiani ha tra le mani questo ammirabile ed infallibile potere di espellere i demoni là dove essi sono. » Ora, se il più piccolo e più infimo tra i Cristiani ha questo mirabile ed infallibile potere, cosa non potrà un Prete [cioè un “vero” Prete, oggi introvabile – ndr. -], che è un altro Gesù Cristo, “sacerdos alter Christus” e che ha ricevuto missione e potere, per la sua dignità di esorcista, di espellere e cacciare i demoni? S. Gregorio Nazianzeno (IV secolo) esclama: « quante volte questo mi è successo! ». In ultimo luogo citiamo il poeta latino cristiano Prudenzio, che viveva nel IV secolo, e che afferma nel suo libro di Apoteosi contro i Giudei che « il demonio è cacciato e torturato dal nome di Gesù-Cristo. » Si legge ancora la recita di più miracoli operati dal segno della Croce, ed invocando il Nome di Gesù, in San Gerolamo, in Teodoreto, in San Sulpizio severo, in San Agostino, in Vittorio de Vita ed altri scrittori ecclesiastici. Queste autorità della prima antichità, questi miracoli riportati da Santi il cui nome è venerato pure tra i protestanti, rendono molto credibili ciò che gli autori dei secoli successivi scrivono dei miracoli operati dal segno della Croce. Sarebbe troppo lungo il catalogo. Penetrato da questa credenza, ed appoggiato a testimonianze storiche sì incontestabili, mons. Gaume ha pubblicato un libro intitolato: “Il segno della croce nel XIX secolo” [pubblicato anche su questo blog –ndr. -], nel quale enumera la potenza, l’efficacia di questo segno divino nell’ordine temporale, e dice: «il segno della Croce ridona la salute e guarisce tutte le malattie; calma le tempeste, spegne il fuoco, protegge dagli incidenti, arresta le onde, fa rientrare le acque nel suo alveo, allontana le bestie feroci, preserva dal veleno, dal fulmine; esso purifica l’aria, l’acqua, il fuoco e ne caccia il demonio ». Infine ricordiamo queste ultime parole: « esso fa dei Cristiani degli strumenti di prodigi. » Lo storico Fleury ci dice che nei primi secoli, i Cristiani guarivano le malattie, cacciavano i demoni, non solo dagli uomini, ma pure dagli animali e dai luoghi che gli erano dedicati. Essi pregavano, facevano dei segni di Croce sui malati pronunciando il Nome di Nostro Signore Gesù-Cristo. « E questo Nome da solo aveva tanta forza da cacciare i demoni anche se pronunciato dai malvagi. » Imitiamo questi grandi e valorosi Cristiani. satana non è più forte oggi di quanto non lo fosse nei primi secoli. Io affermo che un malato, avendo la fede, può guarire, o almeno alleviarsi considerevolmente da sé, facendo il segno della Croce sul suo male, ed ingiungendogli di sparire nel nome di Gesù-Cristo. Potrei citare tanti esempi. Ne riporto uno solo: « una signora, ancor giovane, aveva un reumatismo gottoso che la teneva a letto da diverse settimane. Uno dei suoi ginocchi si era gonfiato considerevolmente, ed il minimo movimento le era impossibile. Conoscendo la sua fede viva e la sua grande pietà le suggerii il pensiero di fare da se stessa dei segni di Croce sul suo male invocando il Santo Nome di Gesù. La sera stessa ella si mise in raccoglimento e pregò Dio, cominciò a fare col suo pollice dei segni di Croce sull’area malata. Ella seguì il consiglio che le avevo dato di comandare al male di sparire nel nome di Gesù-Cristo, e per la potenza del segno della Croce. Era appena passato un minuto che già vedeva diminuire il gonfiore sotto i segni della Croce che ella moltiplicava. Sbalordita ed entusiasta, chiamò sua sorella che era nella camera accanto e che fu testimone di questa guarigione; perché in effetti questa era avvenuta. Il male era sparito nel giro di qualche minuto, e all’indomani ella poteva camminare senza sofferenza e senza dolore. Dunque, poveri malati, abbiate fede e fiducia in Dio, imitate questo esempio, ed il Signore vi guarirà! È dunque certo che il segno della Croce ed il Nome sacro di Gesù irritino e abbattano i demoni che fuggono tremanti … Contremiscunt. Lo si può notare molto spesso quando si fa una novena per ottenere la guarigione di un malato. Quasi sempre, durante il corso di questa novena, le sofferenze sono più acute, più intense, le crisi più violente. Si potrebbe supporre che le preghiere siano inutili, ed il malato stia per morire, tanto che si raddoppiano i dolori. È il demonio, spirito di malattia che è tormentato, torturato, irritato dalle preghiere che si indirizzano al cielo, e che lo scacciano dal corpo che rendeva malato. Invitato ad uscire nel nome di Gesù-Cristo, egli fugge; ma fa soffrire colui che egli tormentava, e … conseguentemente ha luogo la guarigione. Si vedono anche tutti i giorni, dei poveri moribondi che resistono alle più pressanti ed affettuose esortazioni di persone che le circondano, e che lo scongiurano, nel nome della loro eterna salvezza, di ricevere i soccorsi della Religione, per riconciliarsi con Dio. Si prega, si piange, ci si dispera, si crede che il povero malato stia per morire nella sua empietà. Quando improvvisamente chiede un prete e muore con i sentimenti della più grande pietà. A chi attribuire questo cambiamento sì repentino? Oltre le preghiere, molto spesso, sono di ausilio anche una medaglia della Santissima Vergine, o quella di San Benedetto, un Crocifisso od altri oggetti di pietà posti sul malato, anche a sua insaputa. Questo oggetto benedetto mette in fuga il demonio che era là, al capezzale del morente, per impadronirsi della sua anima. Per sottrarsi alle influenze diaboliche, San Agostino giungeva a desiderare che i Cristiani fossero esorcizzati tutti i giorni. E San Crisostomo consigliava ai Cristiani del suo tempo di dire ogni mattino, con la bocca o con il cuore. “Abrenuntio tibi satana, et coniungor tibi, Christe”. Era come dire di impegnarsi a non far più parte delle schiere comandate da satana, ma di appartenere alla milizia di Gesù-Cristo. La storia ci riporta che un santo Prete, nominato Gassner, che viveva in Germania nel 1752, guariva i malati con la preghiera, il segno della Croce, l’imposizione delle mani, e soprattutto con l’invocazione del sacro Nome di Nostro Signore Gesù-Cristo. Egli affermava che un terzo delle malattie era provocato dal demonio. Migliaia di malati lo circondavano incessantemente. Egli era approvato dal grande Papa Benedetto XIV, allora regnante. Circa sessanta anni orsono si parlava molto di un altro santo Prete che viveva pure in Germania, il principe Hohenlohe, che guariva allo stesso modo tutti i malati che si presentavano a lui. Egli guariva pure da lontano coloro che si raccomandavano alle sue preghiere, dirigendo il suo pensiero verso di essi. – In una seconda opera che ha fatto pubblicare mons. Gaume e che ha come titolo: “l’acqua benedetta nel XIX secolo”, si leggono delle pagine toccanti sulla potenza e l’efficacia dell’acqua benedetta per cacciare il demonio, pulire le piaghe e guarirle. Questa potenza dell’acqua benedetta è stata insegnata fin dalla culla del Cristianesimo. Le costituzioni apostoliche riportano le formule di questa benedizione, che noi riportiamo qui. « Sanctifica, Domine, hanc aquam, tribue ei juvandi et repellendi morbum, fugandi dæmonies, expellendi insidias ». Signore, santificate questa’acqua; fate che per essa le malattie siano risanate e spariscano, che metta in fuga i demoni e preservi dalle sue insidie ». [diciamo solo per inciso che queste formule di benedizione vanno usate solo da “veri” sacerdoti, aderenti alla “vera” Chiesa Cattolica, quella di Papa Gregorio, altrimenti è meglio evitare accuratamente quella che sarebbe purtroppo un’acqua maledetta! – ndr. -]. Hincmar, arcivescovo di Reims, tenne un sinodo il 1 novembre 852, ed in uno degli articoli si esprime così: « ogni domenica, ogni prete, prima della Messa, farà dell’acqua benedetta con cui si aspergerà il popolo entrante nella chiesa, e coloro che vorranno ne riporteranno per aspergere le loro case, le loro terre, le loro bestie, il cibo degli uomini e delle bestie. » Ci sono numerose prove storiche dell’efficacia dell’acqua benedetta che sarebbe troppo lungo riportare qui. – Per riassumere, ricordiamo dunque gli effetti salutari che produce questa acqua santa, quando se ne serve con fede e pietà. Essa caccia i demoni dai luoghi che occupa, fa cessare i mali che egli causa; serve a guarire le malattie; essa purifica le case o altri luoghi in cui si trovano i fedeli; allontana le insidie del nemico, che essa respinge e blocca; essa protegge i campi ed i raccolti; allontana l’aria pestilenziale e corrotta, e tutto ciò che potrebbe essere nocivo all’anima ed al corpo. Questi effetti dell’acqua benedetta dipendono dal grado di fede con la quale se ne impiega. Più questa fede sarà viva, tanto più velocemente saremo esauditi!

CAPITOLO IV

L’IMPOSIZIONE DELLE MANI E LA SUA

POTENZA

Fino allo stabilirsi del protestantesimo nel XVI secolo, tutti i Cristiani, vescovi, preti e laici, che venivano chiamati presso un malato, pregavano, invocavano il nome di Gesù-Cristo e, quando possibile e conveniente, facevano dei segni di Croce e stendevano le mani soccorrenti sulle parti del corpo che erano affette; e molto spesso si rendeva la salute a questi ammalati che avevano fede. Imponendo le mani, questi Cristiani, imitavano nostro Signore Gesù-Cristo, che fece sì spesso questa azione per guarire i malati che venivano a Lui. Questa azione di Nostro Signore non deve essere assimilata a quella che facevano i saggi dell’India, i sacerdoti egiziani e greci. I riti del paganesimo prescrivono l’estensione o imposizione delle mani per guarire i malati; ma questa non era che un’azione magnetica. Mentre nei Cristiani è un’azione santa che conferisce ai malati che abbiano fede, un dono spirituale che è la grazia della santità: “Gratia sanitatum”, come dice San Paolo ai Corinti (I, 12-29). L’imposizione delle mani era praticata nella legge giudaica. Noi vediamo il sommo sacerdote stendere le sue mani sul popolo di Israele per benedirlo da parte di Dio. Giosuè non fu riempito dello Spirito di saggezza, se non perché Mosè impose le sue mani su di lui (Deut. XXXIV, 9). Si tratta quindi ben veramente di un’azione santa nella Religione Cattolica. E con questa azione, la Santa Chiesa stende le sue mani materne su di noi, ci copre come uno scudo. Essa si occupa dei nostri corpi e dell’anima. Essa ci preserva e ci garantisce contro i colpi del demonio; Essa gli dice: non toccare questa creatura, ella è mia. Indietro, dunque, satana! Con questa azione ancora, la santa Chiesa ci benedice ed attira sulle nostre teste la grazia di Dio. È con l’imposizione delle mani che gli Apostoli comunicano lo Spirito Santo ai Cristiani del loro tempo. È con l’imposizione delle mani e pronunciando il santo Nome di Gesù, che essi guariscono i malati (Atti c. V). – Ancora e sempre con l’imposizione delle mani, ripetute e moltiplicate, che nel Battesimo, si caccia il demonio. – È con l’imposizione delle mani che i Vescovi [quelli veri con Giurisdizione! –ndr. -] danno il Sacramento della Confermazione. Quando i sacerdoti sono ordinati e consacrati a Dio, si impongono loro le mani. – La santa assoluzione, nel Sacramento della Penitenza, è data al peccatore alzando e stendendo le mani verso di lui. Nel Sacramento del Matrimonio, si dà la benedizione nuziale stendendo la mano verso i giovani sposi. Leggiamo questa prescrizione nella lettera di San Giacomo sul soggetto della Estrema Unzione; « Se qualcuno è malato, faccia chiamare i preti della Chiesa, affinché impongano le mani facendo unzioni di olio in nome del Signore; e la preghiera, unita alla fede, salverà il malato. » È come conseguenza di questa prescrizione che la preghiera, amministrando questo Sacramento si pronunziano queste parole, con la mano stesa sul malato: « Che ogni potenza del demonio sia annientata in te, nel nome del Padre, del Figlio e dello spirito Santo, ed anche per l’imposizione delle nostre mani “Extinguatur in te omnis virtus Diaboli, per impositionem manuum nostrarum”.» La Chiesa ci insegna dunque, con queste ultime parole, che il demonio può provocare la malattia, ma anche, che può essere scacciato con la preghiera e l’imposizione delle mani. È a causa dell’efficacia e della potenza di questo Sacramento sullo spirito del male che lo si riceveva tutti i giorni nel IX secolo, come il Santo viatico, quando si era pericolosamente malati. Lo storico Fleury ce lo dice, parlandoci del vescovo S. Ramberto, morto l’ 11 giugno 888. Egli aggiunge che era l’uso in quei tempi. Le sante vedove della Chiesa primitiva erano elevate alla dignità di diaconesse con l’imposizione delle mani.”Suscipientes manûs impositionem”. (Concilio di Calcedonia.), non c’è dunque alcuna cerimonia di Culto Cattolico senza l’imposizione delle mani. Essa è un segno di protezione e di amore da parte di Dio. Un morente benedice la sua famiglia stendendo e ponendo la sua mano debole sulla testa di coloro che sta per lasciare: è un’azione istintiva e che risiede in natura. Il reverendo Padre Valuy, della Compagnia di Gesù, nel suo mirabile libro intitolato: “Le Directoire du Prêtre”, raccomanda di insegnare ai genitori a presentare i propri figli al curato, al prete, quando passa, affinché li possa benedire, toccarli, ed imporre loro le mani. Così faceva il divino Maestro. Gli si presentavano i fanciulli affinché li toccasse (S. Luca XVIII, 15). Non si dovrebbe forse sempre chiamare un prete presso un bambino malato, anche per colui che è nella culla? Non sarebbe come per lui comunicargli la grazia della salute “Gratia sanitatum”, anche quando la malattia non fosse causata dal demonio; l’esperienza prova che spesso, una preghiera, una benedizione, un segno di Croce, una imposizione delle mani guarisce questi cari piccoli ammalati; perché il demonio attacca sia l’innocente che il colpevole; e la prova ci viene data da S. Agostino che ci parla “dei mille insulti che il demonio fa sopportare ai piccoli bimbi battezzati ed innocenti” (Città di Dio, lib. 22). Quali sono questi insulti se non questa serie di malattie che affliggono l’infanzia? Nella cattolica Irlanda esiste da tempo immemore, l’uso di andare dal Prete per farsi imporre le mani e toccare con segni di croce quando si è sofferenti. È una traccia dell’antica fede. Gli infermi ed i malati trovano il loro sollievo e spesso pure la guarigione nell’imposizione delle mani, nei segni della Croce accompagnati dalla preghiera mentale od orale. Nelle nostre campagne noi troviamo ancora questo costume nella espressione popolare rimasta: “Far toccare un malato”, vale a dire stendere la mano su di lui, recitare delle preghiere, e fare dei segni di Croce sul suo male. “Io ti tocco, si diceva, che Dio ti guarisca”. E Ambrogio Paré, questo celebre chirurgo del XVI secolo (1517-1590), diceva anche queste parole: “io l’ho curato, ma Dio lo ha guarito”. Purtroppo ai nostri giorni i Preti stessi considerano a torto come una superstizione questa azione che Nostro Signore Gesù-Cristo ha fatto così spesso, ed ha raccomandato ad i suoi Apostoli e discepoli di praticare; non solo essi se ne astengono, ma addirittura la vietano! Da questo deriva che invece di avere soccorso dal loro santo ministero, ci si indirizza a persone che mancano quasi sempre di una fede chiara e di una vera pietà. Sono questi i Cristiani infimi ed abietti agli occhi del mondo di cui parla Origene, ma non di meno superiori ai Giudei e temuti dai demoni a causa della loro fede, qualunque essa sia, a causa del loro glorioso titolo di Cristiano, e per i segni di Croce di cui si servono recitando sui malati le loro semplici preghiere. Se i Giudei, anche coloro che non erano per Gesù-Cristo, cacciavano nel suo Nome i demoni dai corpi, guarivano i malati con l’imposizione delle mani (S. Matt. VII, v. 22; XII, v. 27), perché dunque i Cristiani, anche i più umili non ne avrebbero il potere? perché il demonio li teme, come dice Bossuet? Ma soprattutto, se i Preti, che sono altri Gesù-Cristo: Sacerdos alter Christus, e di conseguenza le personalità più alte della terra, si ricordassero della potenza e della santità delle loro mani consacrate, essi farebbero tante meraviglie che ben presto la fede rinascerebbe nelle anime che porterebbero ad una reazione religiosa. Si crederebbe allora al sovrannaturale; i fatti avrebbero più logica ed eloquenza degli scritti più sublimi e dei discorsi più magnifici. – Qualunque sia il rango nella gerarchia della Chiesa, il Prete è la permanenza di Gesù-Cristo quaggiù, e quand’anche fosse un umile servitore dell’ultima borgata, egli ha ricevuto la missione ed il potere di cacciare il demonio con la dignità dell’esorcista, di cui è investito; non potrà guarire i malati ossessi? La visita di un prete porta sempre gioia, egli è sempre stimato, ricercato dalle famiglie veramente cristiane per le quali egli è il Santo di Dio (S. Luca IV-34). Il demonio trema e fugge davanti al Nome santo di Gesù; egli trema e fa altrettanto davanti al ministro di Dio. I miei benamati confratelli hanno dovuto rimarcarlo nel corso del loro santo Ministero. O voi tutti, chiunque voi siate; voi che satana carica di mali, di dolori ed infermità, andate dunque a presentarvi ai Preti [superfluo sottolineare: ai Preti Cattolici “veri” –ndr.-], come un tempo Nostro Signore lo ordinò ai lebbrosi: “ostendite vos sacerdotibus” (S. Luca, XVII, 14), e se avete una fede ardente, essi vi libereranno e vi guariranno. Se voi non potete andare verso di loro, chiamateli, ed essi vi risponderanno come faceva Gesù-Cristo nella sua vita mortale: “ego veniam et curabo eum” [io verrò e lo guarirò] (S. Matteo, VIII, 7). Preti di Gesù-Cristo, usate dunque questa potenza per la gloria di Dio e per il sollievo di tutti coloro che soffrono. Le vostre mani sacerdotali, mani sante e venerabili, poiché impregnate di divinità per l’onore che esse hanno di toccare ogni mattina, al santo Sacrificio della Messa, Nostro Signore Gesù-Cristo in Persona: le vostre mani io dico, saranno così potenti quando le imporrete sui malati, esse saranno come le mani di Gesù-Cristo stesso, come il dito di Dio “digitus Dei”. Da esse uscirà, come un tempo da quelle del Signore, una virtù che guarirà tutti coloro che sono oppressi dal demonio: “oppressos a diabolo” (S. Marco, III, 10 – S. Luc. VI, 19). All’opera dunque! Ci sono in Francia 50.000 preti e milioni di veri fedeli. Noi siamo un’armata formidabile ed invincibile; noi non possiamo essere vinti dal demonio. Quando Gesù-Cristo era sulla terra, la fede in Lui era così viva e così ardente che tutti coloro che avevano bisogno di essere soccorsi, si precipitavano su di Lui per toccare il bordo del suo vestito, e venivano guariti (S. Marco VI, 56). Andiamo dunque verso di Lui nella persona del suo Prete, e saremo guariti dalle nostre infermità spirituali e corporali. Il marchese de Mirville assicura, nel suo libro sugli spiriti, che il demonio ha paura e fugge davanti ad una punta acuminata: chissà che non abbia paura anche di questo contatto umano-cristiano: l’imposizione delle mani, quella soprattutto del Prete? Se Gesù-Cristo, la verità stessa, che non può né ingannarsi né ingannare, non avesse dato grande importanza a questa azione, l’avrebbe mai potuta praticare, insegnare e consigliare? È a causa di questo insegnamento del Salvatore che i Vescovi dei primi secoli, riuniti nel Concilio di Milevi tenuto nell’anno 416, volevano che l’imposizione delle mani fosse fatta in tutto il mondo nella Chiesa. “Manuum impositiones ab omnibus celebrentur in Ecclesia”. Molto spesso i Santi pregavano ed imponevano le mani per più giorni di seguito sui malati che erano stati loro presentati. La storia ce ne riporta numerosi esempi. Gesù-Cristo stesso impose le sue divine mani in un due riprese diverse su di un cieco per rendergli la vista (S. Marco XVVV-22). Si legge nella vita di S. Agostino (354-430) che si recava senza indugio presso i malati che lo facevano chiamare affinché imponesse loro le mani. “Cumque ab ægrotantibus peteretur, ut ipsis manus imponeret, ad eos, sine mora, pergebat”. San Fiacrio (670), questo Santo sì conosciuto e popolare, aveva una reputazione tale di santità, che da ogni parte gli recavano dei malati che egli riportava in salute con la sola imposizione delle mani. Gli si chiedeva soprattutto la guarigione delle ulcere: “Cum, autem virtutum ejus fama longe diffunderetur, undequaque ad eum adducebantur infirmi quod sola manus impositione sanitati restituebat”. San Germano d’Auxerre (IV secolo), guarì con l’imposizione delle mani, un giovane gentiluomo chiamato Elipius, che era gravemente malato. Il re Childeberto era malato senza speranze per i medici; San Germano, vescovo do Parigi (VI secolo), gli impose le mani e d’un colpo si ritrovò guarito. Childeberto riporta egli stesso il miracolo nelle lettere da lui inviate con le quali dona, riconoscente, alla Chiesa di Parigi ed al Vescovo Germano, la terra di Celles ove egli aveva recuperato la salute in modo sovrannaturale (Godes-carde). E quasi ai giorni nostri il santo Curato di Ars non si comportava diversamente: egli pregava imponendo le mani sui malati che ricorrevano a lui, e noi sappiamo che li guariva quasi sempre. – Uno degli storici di Pio IX (Ville-frange, 6 édit., pag. 431), ci dice che un giorno Pio IX si recò in ospedale. Tra i malati gliene segnalarono dieci il cui stato era disperato, … un giovane canadese, tra l’altro, agonizzava. Egli non aveva se non il Prete al suo capezzale. Il Papa si avvicinò a questi malati, impose loro le mani, li toccò, pregò ed essi guarirono tutti. Pio IX agì in questa circostanza come agirono tutti i Santi per lunghi secoli. Malgrado la nostra profonda indegnità, non esitiamo mai ad invocare Dio perché Egli guarisca i malati con la nostre preghiere. Dio si serve spesso degli strumenti più deboli per operare guarigioni veramente straordinarie. (Ep. Cor. I.) è quello che S. Paolo chiama « il dono di guarire i malati. » “gratia curationum”. (Ep. Cor. l. XII-28.). Concludiamo dicendo che se Gesù-Cristo non avesse voluto che si facesse l’imposizione delle mani sui malati, non avrebbe dato questo potere a tutti coloro che credono in Lui.

 

IL DEMONIO CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE -1-

 

Iniziamo oggi la pubblicazione di un anonimo libricino francese [però cattolico con tanto di nihil obstat ed “imprimatur] del secolo XIX che ai nostri tempi SEMBREREBBE affatto fuori luogo, e questo soprattutto agli apostati modernisti, sia del “novus ordo”, che dei falsi ipocriti tradizionalisti sede- e cerebro-vacantisti o cerebro-privazionisti vari, oltre che ai soliti tromboni [senza offesa per tromboni, flicorni, o basso-tuba!] atei, pagani, e “diversamente” massonizzati. Ma poiché noi ci rivolgiamo esclusivamente ai Cattolici “veri” [quelli di Papa Gregorio] ancora superstiti nonostante tutto e nonostante tutti gli sforzi dei “nemici di tutti gli uomini e di Dio”, lo proponiamo ai nostri sparuti lettori, avendolo suddiviso, per una più comoda lettura, in tre capitoletti. Buona e fruttuosa lettura!

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IL DEMONIO, CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE.

MEZZI PER GUARIRLE.

[DI UN PRETE DEL CLERO DI PARIGI]

SECONDA EDIZIONE Rivista, corretta ed ampliata.

PARIGI

LOUIS CARRÉ, LIBRAIRE-ÉDITEUR,

 RUE DE SÈVRES, 15 – 189O [imprim.]

 

-I-

PREFAZIONE

Un buon prete mosso a compassione verso i malati, e desiderando alleviarne le sofferenze e guarirli, ha scritto questo libricino pieno di erudizione e completamente nuovo. La fede deborda da ciascuna delle sue pagine: è fede sincera e capace di portare consolazione e speranza nel cuore di tutti coloro che soffrono. Le preghiere aggiunte alla fine di questo libro, sono semplici ed ingenue nella loro forma e nelle parole che le compongono, dando un profumo medioevale, di questo tempo in cui la fede in Dio era viva, ardente, scuotente, riscaldante i cuori, e donava alla vita dell’uomo questa grandezza, questa purezza virile e religiosa dei primi secoli. Queste pagine possono essere lette con frutto dai preti, così come dai fedeli. Noi crediamo che nel loro laconismo, esse richiudano degli insegnamenti molto seri. Ecco perché le pubblichiamo. Ricordando ciò che facevano gli uomini di fede in altra epoca, l’autore ha voluto incoraggiare i Cristiani dei giorni nostri ad imitarli, eccitandoli a pregare Dio ed a mettere la loro fiducia in Lui, quando sono provati dalla malattia. È in questo l’unico suo desiderio. Nell’indirizzare questo piccolo libro ai veri credenti, l’autore ha la convinzione di aver fatto una buona azione.

CAPITOLO I°

L’INFLUENZA DIABOLICA SUI CORPI, CAUSA MOLTO FREQUENTE DELLE NOSTRE MALATTIE.

Dalla culla del Cristianesimo, la Chiesa ispirata dallo Spirito Santo, ha sempre insegnato che il demonio era ed è il nemico dell’uomo, principalmente del cristiano, e che cercava di nuocergli in ogni modo; che egli era inoltre l’autore del male morale e spesso, pure, del male fisico. Il male morale è il peccato, che fa così gran danno nelle anime. Il male fisico è la malattia del corpo, e tutti i flagelli che sono scatenati sulla terra dall’azione e dalla malizia degli angeli cattivi. – Il demonio è dappertutto: tutte le creature sono l’oggetto del suo odio. L’Apostolo san Pietro ce lo rappresenta come un leone ruggente, che gira intorno a noi cercando le brecce della nostra anima, alfine di sorprenderci e nuocerci, sia nella nostra persona, sia nei nostri beni; egli vuole divorarci, “circuit quærens quem devoret” [I Piet. V, 8], è il nostro avversario, egli dice, “adversarius”, cioè il nemico ed il perturbatore. Egli si trova nell’aria; San Paolo ce lo dice molto positivamente nella sua epistola agli Efesini, cap. V, 12, quando ci dichiara che noi dobbiamo combattere contro le malizie spirituali “spiritualia nequitiæ”, sparse nell’aria; invisibili, di conseguenza, come ci insegna il simbolo della Fede Cattolica, quando ci dice che Dio ha creato gli esseri visibili ed invisibili, “visibilium et invisibilium, perché, come insegna pure la scienza moderna, che ci sono nell’aria, ed in tutta la natura fisica, degli esseri animati che noi non vediamo anche con l’aiuto di un microscopio, e che si vengono chiamati con nomi diversi: microbi, bacilli, virus, batteri od altro, e che provocano delle malattie epidemiche e contagiose che affliggono l’umanità; così ugualmente nel mondo soprannaturale esistono degli esseri incorporei, puri spiriti, buoni e cattivi, che si attaccano a noi per farci del bene, o per farci del male. – Come conseguenza di questo insegnamento, S. Giovanni Crisostomo ci dichiara che Nostro Signore Gesù-Cristo è stato sospeso alla croce, affinché purificasse la natura dell’aria: “ut aeris naturam purgaret”, cioè al fine di distruggere queste tenebrose potenze di cui parla l’Apostolo. Penetrato da questa medesima credenza, il Papa Pio IX, di gloriosa e santa memoria, diceva nella domenica di Passione, il 3 aprile 1870, benedicendo gli Agnus-Dei: “Io li benedico affinché essi abbiano la virtù di “scacciare i demoni, perché essi non sono tutti nell’inferno; ce ne sono molti in “questo momento sulla terra e non dei meno malvagi e dei meno terribili” (Rosier de Marie). – Ed il Papa Leone XIII, suo degno successore, giunge a prescrivere a tutti i Sacerdoti Cattolici, di dire al termine della santa Messa una preghiera per difenderci contro la malizia e i tranelli del demonio e degli altri spiriti cattivi che si diffondono in tutto il mondo per la perdita delle anime … “satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo …” – Questa credenza nel demonio e nella sua perniciosa influenza, è dunque nuovamente affermata da questi due grandi ed illustri Sovrani Pontefici. Il demonio è nell’aria, nell’acqua, in seno alla terra, e nel fuoco. Un gran numero di filosofi dei primi secoli insegnavano che « esseri incorporei » si trovano in questi quattro elementi. I nostri missionari trovano questa stessa credenza nei selvaggi delle quattro parti del mondo. Ed i Padri della Chiesa confermano tutti unanimemente questo insegnamento. Il grave Tertulliano, tra gli altri, ci dice che, in generale, le acque devono essere sospette, perché gli spiriti immondi vi risiedono, principalmente, egli dice, nelle fontane nascoste, nei laghi e ruscelli sotterranei. È la il soggiorno di questi spiriti di perdizione. Ecco perché la Chiesa esorcizza la acque di cui si serve nelle sue cerimonie. Benché queste parole appaiano strane, esse devono tuttavia ispirarci il più grande rispetto perché sono riportate pure dall’immortale Vescovo di Meaux [Bossuet], nel suo sermone sui demoni (I di quaresima). Noi leggiamo nell’Apocalisse che c’è l’Angelo delle acque e del fuoco, che facevano dire ad Origene che gli Angeli presiedono alla terra, all’acqua, al fuoco. E Sant’Agostino aggiunge che, in questo mondo, ad ogni cosa e ad ogni elemento è preposta una virtù angelica. In effetti, la Santa Chiesa, depositaria infallibile della verità, ci insegna formalmente che il demonio si trova nell’acqua, poiché nelle magnifiche preghiere liturgiche che essa recita per benedirla, sia nella veglia di Pasqua che di Pentecoste, o meglio ancora la Domenica mattina con l’aspersione che precede la Messa parrocchiale, Essa scongiura e forza il demonio, con preghiere e segni di croce multipli, ad uscire dall’acqua che sta per santificare per l’uso proprio e dei fedeli. Il Sabato-Santo soprattutto Essa si esprime così: « Comandate o Signore che ogni spirito impuro si ritiri da qui; ed eliminate da questo elemento tutta la malizia e gli artifici del demonio; ché alcuna potenza nemica possa mischiarsi a quest’acqua, né girare intorno ad essa e scivolarvi in segreto per infettarla e corromperla. » la Chiesa insegna ancora che, sovente, gli animali che servono all’uso dell’uomo e che vivono nelle stalle, nelle scuderie, nelle pastorizie, gabbie e pollai, sono malati per azione del demonio, e la prova ne è nelle preghiere che Essa recita per guarirli; Essa chiede a Dio che « la potenza di satana si allontani da essi “recedat ab eis omnis potestas diabolica”. » Lo stesso è per i beni della terra: la Chiesa ha delle suppliche indirizzate al cielo, affinché sia purgata e preservata dagli insetti che divorano le semenze, le radici, i frutti ed i raccolti che speriamo da esse. Sarebbe dunque illogico credere che, se il demonio fa nascere delle malattie nel seno della terra, o nei corpi di esseri privi di ragione, non possa farne nascere nel corpo dell’uomo, e soprattutto in quello dei Cristiani, che costituiscono l’oggetto particolare del suo odio. Non abbiamo noi forse come esempio il sant’uomo Giobbe, questo re di dolore sì crudelmente afflitto dal demonio, nei suoi affetti, nei suoi beni e nel suo corpo? E noi pertanto dobbiamo credere che da questa epoca in poi satana si ne stia tranquillo, e cessi di affliggere l’umanità intera? Stolti, ma niente affatto! E la prova ne è ciò che leggiamo nella vita dei Santi di tutti i secoli che essi guarivano i malati, e tutti coloro che erano tormentati dal demonio: « lnfirmi et a dæmonibus vexati sanarentur. » Dunque il demonio in tutti i tempi ha sempre tormentato il corpo dell’uomo, del quale si serve «come di un giocattolo turbandone i sensi », secondo l’espressione di Sant’Agostino nel suo libro della “Città di Dio” (Cap. 22). Noi lo ripeteremo ancora più avanti. La sua attività diabolica è sì grande che si manifesta ogni giorno in una molteplicità di flagelli e calamità, sia pubbliche che private e personali, che noi solitamente attribuiamo al caso o ad una cattiva fortuna; ma che in realtà, non provengono che dalla malizia dello spirito malvagio, di cui il padre Ravignan diceva: « il suo capolavoro è quello di essersi fatto negare nell’epoca nostra. » E non poteva dire nulla di più vero: “satana, ecco il nemico!” È denunciato a tutti i cristiani; perché negare la sua esistenza, non lo distrugge, anzi! – Abbiamo talvolta riflettuto su questa misteriosa parola che Nostro Signore Gesù-Cristo diceva a San Pietro: « satana mi ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano » (S. Luc. XXII, 31). Il demonio è qui che domanda e supplica Dio di lasciarlo agire contro gli uomini, e di vagliare le anime ed i corpi mediante le pene, le malattie e le angosce della vita!!! C’è qualcosa che fa paura, soprattutto quando Dio lo permette. Sembra di ascoltare Nostro Signore dire ad un’anima: “Io voglio provarti e riempire i tuoi giorni di amarezza, voglio associarti ai dolori della mia Passione e della mia Croce, e staccarti dalle cose di quaggiù affinché tu faccia penitenza. È per questo che ho permesso a satana, come un tempo per Giobbe, di tenersi al tuo fianco “Diabolus stet à dextris ejus” (Ps. CVIII), per compiere la missione che gli ho affidato. Ma sii paziente, sottomesso e rassegnato, ed Io « ti ricompenserò. » – Ma dicevamo bene sopra che per l’uso che si fa del libero arbitrio, l’uomo più spesso, si dispone a ricevere delle influenze di virtù dagli angeli o di vizi e malattie dal demonio, secondo che la sua vita sarà cristiana o empia; e noi affermiamo che un gran numero di malattie sono il frutto di queste influenze che l’uomo si attira dall’inferno a causa delle sue passioni sregolate, e l’abbandono dei suoi doveri cristiani. Infatti i santi Libri ce lo dicono con queste parole: « Dio invia sui peccatori la sua collera, la sua indignazione e delle amare tribolazioni per mezzo delle influenze dei cattivi angeli “Misit in eos iram indignationis suæ: indignatiónem, et iram, et tribulatiónem: immissiónes per ángelos malos.” (Ps. LXXVII, v. 49.). ecco perché, nelle antiche preghiere del Battesimo, il Prete diceva al demonio: “esci da questo spirito, da questo cuore, da quest’anima, da questa testa, da questi capelli, da questi polmoni, da queste membra; esci, fuggi, scivola via come l’acqua”, tanto è vero che il demonio può attaccare e rendere malate tutte le parti e tutti gli organi del corpo umano. Lo spirito che influenza la carne è lo spirito di malattia che esiste come lo spirito d’orgoglio, lo spirito di menzogna, lo spirito di odio, e lo spirito di discordia che semina la divisione nelle famiglie e sconvolge le esistenze; lo spirito di avarizia e di cupidigia, lo spirito di maldicenza e di calunnia, lo spirito che altera le facoltà mentali. E così per le altre passioni. – Si usano ancora ogni giorno, nel linguaggio familiare, queste parole così profondamente cristiane, e che ricordano l’antica fede dei nostri padri: «Che una persona è animata da un cattivo spirito », per significare gli istinti cattivi, le inclinazioni sregolate e perverse che lo animano e che i demoni gli ispirano. I demoni dunque fanno il male al corpo ed all’anima, facendo germogliare le malattie nell’uno, e le peggiori passioni nell’altra. Non preghiamo nostro Signore nelle litanie che Gli sono consacrate, di liberarci dalle insidie del demonio e dello spirito contrario alla santa ed angelica purezza? Ed il santo Vangelo non ci parla anche dello spirito impuro che si era impossessato di un uomo e che, scacciato da Gesù-Cristo, va a cercare altri sette spiriti più malvagi di lui per rientrarvi? (S. Luca c. II, 23). Pertanto dunque si potrà mai avere una fede sincera nella divinità di Gesù-Cristo, senza credere nel contempo al demonio? Se satana non è che un mito, cioè un essere immaginario, Nostro Signore lo avrebbe cacciato dal corpo dei malati? Non sarebbe dunque Egli allora che un allucinato, per non dire peggio? La recita dei Santi Vangeli non sarebbe dunque che una favola? E tuttavia noi leggiamo in San Matteo, cap. VIII, v. 29, ed in San Marco cap. I v. 24, che gli stessi demoni si rivolgono a Gesù-Cristo dicendoGli: « noi sappiamo chi Tu sei: Tu sei il Santo di Dio “Sanctus Dei” », ed ancora : « Tu sei il Figlio di Dio, “Filius Dei”. Perché vieni per torturarci e perderci, “torquere nos?” » Gli Evangelisti che ci ricordano queste parole, possono ingannarsi ed ingannarci? Evidentemente no! E allora, il demonio esiste! È “de fide” che sotto mille forme, in mille maniere, egli cerca di nuocerci, di esercitare la sua azione malefica sull’uomo, e si è eretici se ci si rifiuta di credere questa verità. Fare il male, questa è la sua unica occupazione: nelle anime, quando vi entra, genera il peccato; nei corpi è spesso la causa e la permanenza delle nostre malattie, così come si esprime a questo riguardo, con molti altri, il celebre Dom Guéranger stesso nel suo libro sulla medaglia di San Benedetto. – mons, De Segur insegna la stessa dottrina, nelle sue “Istruzioni familiari sulla religione”. – Prima di essi, il grande Bossuet, dicendoci che l’esistenza del demonio è attestata dal consenso unanime di tutti i popoli, aggiunge, « in questi spiriti incorporei, tutto è attivo, tutto vi è nervoso; e se Dio non trattenesse il loro furore, essi agiterebbero il mondo intero con grande facilità. » Questa credenza nelle influenze diaboliche è dunque tanto antica quanto il mondo. I Giudei attribuivano loro tutte le malattie (Vita di G. C. del dott. Sepp.) – Lutero, questo grande eresiarca del XVI secolo, parla nei suoi scritti, delle difficoltà che aveva con satana che – egli diceva – « veniva a spegnere le sue candele » quando lavorava; o ancora, “veniva a svegliarlo per discutere con lui sul soggetto della Messa”… egli confessa così che trae la sua dottrina da satana. – Se ai giorni nostri questa credenza è alterata, negata da un sì gran numero di Cristiani, accusata anche di superstizione, non ne cercheremo forse la causa nella negligenza che si pone nell’istruirsi alle verità di Religione? E poi si combatte questa credenza perché si riduce l’effetto che potrebbe produrre su una società scettica e beffarda come la nostra, la riapparizione di una potenza dimenticata o fuori moda, e che si vuole rinviare all’antica credulità dei nostri padri. È dunque a giusta ragione che il Dizionario delle scienze mediche ci dice (articolo: uomo): « Occorre ben confessarlo, la dottrina degli “angeli e demoni” è troppo rifiutata ai nostri giorni. » che confessione! – In effetti, se esiste un ricordo dei demoni, non è manifestato il più spesso che da parole oltraggiose rimaste nel linguaggio popolare, e pronunciate in un momento di vivacità e di cattivo umore: “vattene al diavolo”… “che il diavolo ti porti” … “è il diavolo che ci mette la coda” … “egli ha il diavolo in corpo” … ed altre amenità del genere. Si noti in un gran numero di diocesi, che i rituali riediti, rivisti, corretti, dopo l’epoca della restaurazione, non fanno quasi menzione a preghiere o benedizioni impiegate contro il demonio in altra epoca. Ma quelle che non hanno subito correzioni riportano preghiere contro gli spiriti. Un antichissimo rituale di Parigi, tra gli altri, ne riporta contro gli spiriti battenti, chiamati anche “spiriti martelli” ; « spiritus percutientes, spiritus maliens, » e si può leggere nella vita del curato d’Ars, il racconto dei rumori infernali che i demoni venivano a produrre nella sua casa. Tutti gli abitanti del villaggio possono attestarlo, poiché tutti hanno ascoltato gli “spiriti battenti”. Del resto non è raro apprendere, ai nostri giorni, che questi stessi spiriti battenti manifestano la loro presenza in abitazioni particolari. Le prove più autentiche sovrabbondano su questo soggetto. In altre diocesi, gli antichi rituali hanno preghiere contro i temporali, le tempeste, le nubi cariche di grandine. Si scongiura in queste preghiere, lo spirito dell’uragano e della tormenta «spiritus procellarum», e si prega per allontanarlo e paralizzarne gli effetti sempre disastrosi. – Nella preghiera della sera, noi supplichiamo il Signore di visitare la nostra dimora alfine di allontanare le insidie del demonio. Noi Gli domandiamo di conservarci in pace. Ciò che vuol dire: che il demonio essendo dappertutto, ed in particolare in certe case, in certe famiglie, ove apporta turbe, la disunione ed il malore, noi preghiamo Dio di liberarcene. Si dirà forse che queste pie credenze non siano altro che superstizioni; ma se la fede fosse più viva e più chiara, si crederebbe all’incessante attività ed alla potenza del demonio, combattendolo con la preghiera, il digiuno, la penitenza, come facevano i nostri padri, che ne erano ben lungi. Ai giorni nostri, se non se ne nega interamente la sua esistenza, si ride delle sue manovre e delle trappole con le quali semina i nostri passi; egli ci trova quindi disarmati. Noi siamo allora come in una città senza difesa ed aperta agli attacchi del nemico. È per questa ragione che ci ossessiona e ci divora così facilmente. – Sant’Agostino, questa grande autorità della Chiesa, ci parla nel suo trattato “de Divinitate” lib. 3 cap. 11, della potenza degli angeli cattivi, della scienza meravigliosa che essi possiedono e che non hanno perso nella loro caduta, essi « abusano – ci dice il gran Dottore – della nostra carne, ingannando i nostri sensi, turbando i nostri pensieri, oltraggiando i nostri corpi, “mischiandosi al nostro sangue, generando malattie ». Non si potrebbe parlare più chiaramente. Vi fu un’epoca in cui i medici più celebri credevano all’intervento ed all’azione del demonio in tante malattie. Noi potremmo citare a questo proposito l’opinione di un gran numero di essi. Uno tra essi, Thomas Willis, medico inglese, sapiente di primo ordine del XVII secolo, ed i cui scritti di materia medica saranno sempre apprezzati, dice: che ci sono molte malattie guaribili solo con le preghiere, « perché il demonio può, entro certi limiti, introdurre dei veleni sottili nell’organismo e produrvi delle lesioni molto gravi. » Molto prima di lui Ippocrate, il padre della Medicina, aveva insegnato che bisognava distinguere due grandi categorie di malattie: le malattie tutte “naturali”, e quelle che avevano un carattere esclusivamente “divino”. L’importanza di queste parole, la confessione e l’insegnamento che esse racchiudono, si impongono all’attenzione del lettore. Non si può dunque mettere in dubbio l’azione dello spirito cattivo sul corpo degli uomini, più che della sua anima; e la scienza medica, sempre troppo materialista, ammette che vi sia qualcosa di inesplicabile oltre a quello che essa sa, di ciò che insegna, di ciò che pratica. Se essa è così inefficace in un sì gran numero di casi, è perché essa non vede molto spesso che una causa naturale che provoca la malattia, e considera il corpo dell’uomo malato come una materia disorganizzata che occorre restaurare con rimedi materiali, mentre che la fede vede sovente l’azione del demonio, cioè una causa soprannaturale diabolica. Non bisogna stupirsene, poiché la santa Scrittura, i Padri della Chiesa, e tutti gli Scrittori ecclesiastici sono unanimi nel dirci che i demoni, prima della venuta di Gesù-Cristo, erano i maestri del mondo, e che tutti i mali erano opera loro, perché il loro impero si estendeva a tutta la terra. Pure il Re-Propfeta lo annunciava, dicendo che tutti gli dei del paganesimo erano demoni (Ps. XCV). Molto spesso ancora ai giorni nostri gli Annali della propagazione della fede o quelli della Santa-Infanzia, ci parlano dell’azione del demonio sulle persone e sulle cose, in quelle regioni dove non essendo Gesù-Cristo ancora conosciuto, lo spirito delle tenebre si fa adorare al suo posto. I missionari, uomini istruiti, seri e prudenti, raccontano dei fatti sorprendenti, al di sopra dell’ordine naturale e che mostrano, fino all’estrema evidenza, l’intervento del demonio. Noi leggiamo negli Annali dell’Arciconfraternita di N.-D. delle Vittorie del mese di febbraio 1888, il fatto seguente, raccontato dall’alto del pulpito dal padre Buotelant, missionario al Maduré [parte sud-est dell’India –ndt.-]. « Da oltre sei mesi, una giovane donna apprese da un mago del paese a mettersi in comunicazione con il demonio. Ella vedeva perfettamente ciò che succedeva a grande distanza e, quando veniva commesso un furto, ella indicava il luogo dove si trovavano gli oggetti rubati, e non si sbagliava mai. A forza di mettersi in contatto con il demonio, divenne una posseduta; e questa possessione si manifestava con segni esteriori dei quali erano testimoni novemila persone, i Padri, io stesso. Questa donna non aveva mai imparato a leggere, e si metteva a parlare diverse lingue. Ma a lato di questi aspetti trionfali, subiva numerose umiliazioni; talvolta era obbligata a restare in silenzio per cinque o sei giorni, veniva gettata a terra, riceveva affronti dei quali conservava il segno; o si ascoltavano dei rumori senza che si vedesse nessuno. Cosa sorprendente: questa donna faceva cuocere il suo riso in un vaso; esso era perfettamente bianco, puro. Anche quando ne faceva cuocere per il marito esso era perfettamente bianco e puro. Ma ecco che nel suo piatto, o piuttosto nella foglia di palma ove si serviva, numerosi vermi rapidamente vi brulicavano intorno; se suo marito cambiava piatto con lei per affetto, i vermi andavano verso di lei. « Stanca di essere preda di satana ella si rivolse ad un Catechista Cattolico che, dandole uno Scapolare ed un Rosario, le consigliò di recitare tutti i giorni questa preghiera: “io rinuncio a satana per legarmi a Gesù-Cristo”. Venne poi istruita nella Dottrina Cattolica ed un mese dopo riceveva il Battesimo. Tutti gli astanti notarono che al momento in cui iniziava la cerimonia, la sua figura era contratta ed una schiuma bianca le usciva dalla bocca, ma quando le cerimonie terminarono, la sua figura si illuminò, divenne radiosa; ella ringraziava Dio e la sua Santa Madre dicendo: “Grazie, Madre mia, Voi mi avete liberato. Io vi consacro il resto della mia vita”. satana era vinto. – Monsignor Pineau, vicario Apostolico del Tong-King meridionale, scrive anche negli Annali della Propaganda della fede nel mese di agosto del 1889, che un miserabile pagano aveva fatto massacrare, bruciare, annegare mille e cento neofiti durante la persecuzione del 1885, egli si dichiarava nemico della Francia e del nome Cristiano. Egli aveva trovato il mezzo di avvelenare la sorgente che alimentava un avamposto di soldati francesi e ben quattro ne morirono. L’ora del castigo arrivò. Cadde malato ed il demonio gli fece vedere che lo considerava come appartenergli. Per un mese fece un baccano infernale attorno alla sua casa; una grandinata di pietre e zolle di terra cadeva quasi in continuazione sia sul tetto che negli appartamenti. Questo mostro morì tra orribili sofferenze. Tutti gli abitanti erano terrificati e molti tra essi si convertirono. Sottolineiamo che questi fatti, come tanti altri che potremmo citare, sono riportati da questi eroici missionari che non si ingannano. Ma tutte queste divinità infernali devono sparire davanti a Nostro Signore Gesù-Cristo. Il Profeta Habacuc (Cap. III) aveva annunciato che il regno di satana avrebbe avuto fine, perché era atteso il Messia promesso ed atteso che lo avrebbe atterrato e fatto fuggire davanti ai suoi passi: « Egredietur Diabolus ante pedes ejus », egli dice: è questa una prova che il demonio regnava su tutta la terra prima di Gesù-Cristo. Ecco perché Nostro Signore stesso chiama satana “il principe di questo mondo”, « Princeps hujus mundi » (S. Luc. XI, 21). E sul suo esempio San Paolo lo nomina “il dio di questo secolo” – «Deus hujus sæculi» (Ef. VI, 13). E con San Paolo, san Giovanni ci dice che “il mondo intero è sotto l’impero di satana” « Mundus totus in maligno positus est. » [Efes. V, 19]. Egli è il “forte armato”, « Fortis armatus» (San Luca, XI- 21). E queste sono parole di una gravità eccezionale, poiché sono uscite dalle labbra di Gesù-Cristo stesso e da quelle dei suoi Apostoli ispirati. E con tutte queste sante e divine autorità, il grave Tertulliano ci dichiara che satana e le sue bande sono “i magistrati del mondo” « Dæmones sunt magistratus sæculi » (de IdoL, n° 18, page 106). Io non voglio tuttavia dire che satana si trova nello spirito e nel cuore di tutti i magistrati. Noi ne abbiamo prova contraria tutti i giorni. Ecco dunque il regno di satana ben affermato. In effetti è lui che ispira tutte le infamie dei governi atei, scismatici, eretici, persecutori della vera Religione. È lui che ispira questa pretesa giustizia degli uomini che lascia tanto a desiderare, è ancora lui che ispira questa letteratura malsana, nemica di ogni credenza, di ogni morale, di ogni pudore. In verità, si è portati a chiedersi se è Dio che regni quaggiù nelle società, nelle famiglie, come nello spirito e nel cuore di ogni persona. Quanti regni Cattolici vi sono nel mondo? Non formano l’eresia, lo scisma, il maomettanesimo, il buddismo, il feticismo la maggioranza delle religioni? Abbiamo pertanto questa convinzione che il regno di satana sia passato, malgrado la lentezza con la quale procede l’opera di Gesù-Cristo, e malgrado ancora la persecuzione che dura ancora dopo 1900 anni – Questa è una delle numerose prove della divinità della Religione Cattolica. Tutte le altre religioni sono opera di satana: ecco perché esse si stagliano al sole, onorate, rispettate, sostenute e sovvenzionate. Ma esse cadranno nella rete che San Pietro ha gettato sul mondo per avvolgerlo e convertirlo. Gesù-Cristo ha vinto il mondo! E la sua Chiesa, sostenuta ed assistita da Lui, persegue satana dappertutto, fin nei suoi estremi nascondigli, alfine di imbrigliare e paralizzare i suoi sforzi. Sia che si impadronisca degli uomini e delle cose; che vizi l’aria per desolare la terra con la peste o altre malattie contagiose; che avveleni le acque affinché trasportino nei loro percorsi dei germi morbiferi; sia che attacchi le radici delle vigne o quelle di altre piante con insetti che la scienza umana non sa e non può distruggere; sia che faccia altre devastazioni, la Chiesa è là, armata con la sue preghiere e soprattutto con il Santo Sacrificio della Messa; e se si fa appello alla sua potenza essa abbatte questo nemico infernale e lo mette in fuga col solo nome di Gesù-Cristo. – Pochi sanno che la Phyllossera, questo insetto che divora le nostre vigne, non è un castigo nuovo – perché è un castigo – ma che è chiaramente indicato nella Bibbia (Deuteronomio, cap. XXVI, v. 39). Dio vi fa dire al popolo di Israele, così spesso prevaricatore: « voi pianterete una vigna, la lavorerete; ma non berrete del vino non ne raccoglierete perché essa sarà divorata dai vermi ». Quali sono questi vermi? È da credersi che sia la Phyllossera. Dei veri fedeli si chiedono perché i preti non percorrono le vigne per benedirle e scacciarne la phyllossera o altre malattie, con le potenti ed efficaci preghiere della Chiesa. È da credersi che i nostri vignaioli ne troverebbero beneficio. Ne abbiamo una prova recente (1886) nel pellegrinaggio che hanno fatto a Nostra Signora di Lourdes cinquecento vignaioli di M… (Aveyron). Le loro vigne erano distrutte dalla phyllossera. Essi avevano impiegato senza successo tutti i mezzi indicati dalla scienza. Essi allora hanno pregato Dio ed invocato la Santissima Vergine, e questo insetto distruttore è sparito istantaneamente. Essi sono venuti a Lourdes per ringraziare di un sì grande beneficio. Perché non si segue questo santo esempio?

 

CAPITOLO II

GUARIGIONE DELLE MALATTIE CON LA PREGHIERA — NECESSITA’ DELLA FEDE.

 

Essendo dunque ammessa la credenza del demonio e della sua perniciosa influenza, chi dunque caccerà questi cattivi spiriti dai corpi che egli tormenta? Chi gli dirà, come altre volte Gesù-Cristo: « Vade retro satana! » “via satana, fuggi via da qui”. Tutti i Cristiani sanno che con la potenza di un segno di croce fatto su di sé, con una preghiera, anche mentale, indirizzata a Dio in un momento di tentazione e di debolezza, il nemico della salvezza viene messo in fuga. Il male morale non esiste dunque se non quando si trascura la preghiera ed il compimento dei propri doveri religiosi. Se dunque il ricorso a Dio distrugge e scaccia il male dall’anima sempre causato dal demonio, perché non potrebbe essere lo stesso per il male fisico che pure produce satana? Perché non potrebbe essere scacciato dal corpo dell’uomo, dai corpi degli animali, espulso dalle case, come da ogni altra cosa, con il Nome santo di Gesù, con il segno della Croce, l’acqua benedetta, la preghiera e l’imposizione delle mani? – Il Salvatore Gesù, dopo la sua ascensione, ha lasciato agli uomini questo potere? Sì, senza alcun dubbio. In primo luogo il santi Evangelisti ce lo dicono nella maniera più certa. Poi la pratica costante di tutti gli uomini di fede, preti, religiosi e semplici fedeli lo prova sovrabbondantemente. Noi leggiamo in San Matteo (Cap. X, v. 1 e segg.), che Gesù-Cristo avendo convocato i suoi dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e di infermità. Guarite i malati , « resuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni ». [v. 8]. Ecco il potere che Nostro Signore dà ai suoi discepoli ed ai loro successori. Cioè ai Vescovi e Preti, poiché dichiara che li assisterà fino alla consumazione dei secoli. Perché dunque i Vescovi ed i Preti non esercitano questo potere? E non solo Nostro Signore ha dato questo potere ai Vescovi ed ai Preti, ma lo da pure ai semplici fedeli che credono in Lui. San Marco ce lo dice e ce lo afferma al capitoli XVI, v. 18. Egli riporta le parole dello stesso Gesù, « chiunque crede in me e sarà battezzato, costui scaccerà i demoni, e guarirà i malati imponendo loro le mani. » Il divino Maestro dice una parola ancora più stupefacente; e affinché sia creduto afferma solennemente, in riprese diverse, che ciò che dice è vero. AscoltiamoLo: « In verità, in verità vi dico, colui che crede in me, costui farà le opere che Io faccio e ne farà di più grandi, “Majora” (S. Giov., XIV-22). » ora, cosa faceva Egli? Cacciava i demoni dal corpo dei malati ed i malati erano guariti. Nostro Signore non può parlare più chiaramente. Dunque ogni cristiano, chiunque esso sia, animato da grande fede, può scacciare il demonio e guarire le malattie. Citiamo solo una pagina, tra le altre, del Vangelo secondo Marco, cap. IX, v. 22: « Un giorno, un padre di famiglia molto afflitto venne a trovare Nostro Signore Gesù-Cristo, per confidargli la sua pena e la sua angoscia. Suo figlio era posseduto da un demonio che lo gettava a terra, facendolo bavare e digrignare i denti. In più esso lo faceva cadere sia nell’acqua che nel fuoco e lo irrigidiva procurandogli i più crudeli tormenti rendendolo insensibile. E questo buon padre, nel suo dolore, dice a Gesù: “Signore, se Voi volete, Voi potete guarire mio figlio; abbiate pietà di noi e soccorreteci”. Gesù gli risponde: “Se voi credete in me, questo si farà”, perché « tutto è possibile a colui che crede ». Ed il povero padre subito gridò, con le lacrime agli occhi: “io credo, Signore, ma aumentate ancora la mia fede”. E subito, il buon Gesù minaccia lo spirito immondo e gli dice : “spirito sordo e muto esci dal corpo di questo fanciullo e non entrarci più; Io te lo comando”. Il demonio ne esce subito gettando alte grida, e agitando il fanciullo con tanta violenza che cadde a terra come morto. Ma Gesù, presolo per mano lo aiutò a rialzarsi e lo consegnò ai suoi genitori. Notate, una volta per tutte, che Nostro Signore, pone cura nel chiedere se si ha fede in Lui, prima di accordare quel che Gli si domanda. “Creditis quia hoc possum facere vobis?” Credete che Io possa fare ciò che mi chiedete? (Matth. IX, 18). Andate, diceva ai malati che Egli guariva, che vi sia fatto secondo la vostra fede: « secundum fidem vestram fiat vobis » (S. Math., IX-29). È per questo che il Nazareno, dove era passato per la maggior parte della sua vita terrena, non poté fare alcun miracolo, se non guarire un piccolo numero di malati imponendo loro le mani, perché non si credeva nella sua divinità né nella sua potenza (Marco VI, 6). Si sarebbe portati a credere che l’incredulità gli legasse le mani privandolo del potere di fare miracoli ed operare prodigi. In effetti, Dio non fa nulla per la salvezza degli uomini senza la loro cooperazione. La potenza della fede in Nostro Signore Gesù-Cristo risplende in ogni pagina del Vangelo e si può dire che il successo delle preghiere che noi Gli indirizziamo, dipenda dal grado di fiducia che abbiamo in Lui. San Marco ce lo dice con queste parole sì piene di incoraggiamento (XI, 22): « Abbiate fede in Dio; Io ve lo dico, in verità, tutto quello che chiedete nella preghiera, credetelo che lo otterrete. Non esitate nel vostro cuore, e vi sarà accordato ciò che domandate. » San Matteo ci insegna la stessa cosa, dicendo che. « se avete fede nulla vi sarà impossibile … Nihil impossibile erit nobis » (17-19). » E per farci comprendere la sua potenza e le opere meravigliose che possiamo compiere con essa, Nostro Signore impiega la similitudine di una montagna che può essere sollevata dalla base e gettata in mare. Non moltiplichiamo più queste citazioni. Tutte le pagine del Vangelo e gli insegnamenti degli Apostoli offrono delle istruzioni simili. È sufficiente dunque essere un vero Cristiano e non cancellare, né esitare nella fede per operare tutte le sue meraviglie. Credere!!! Con questa parola si fanno prodigi qualunque sia lo stato di abiezione nel quale si è agli occhi degli uomini. Da qui deriva un assioma sì profondamente cristiano: “non c’è che la fede che salvi!” M. Dupont, morto a Tours, in odore di santità il 18 marzo 1876, e conosciuto dal mondo intero per la sua devozione al Volto Santo di Nostro Signore, non voleva che pregando, per ottenere anche un miracolo, si esprimesse un dubbio, una diffidenza, un timore qualsiasi. Se la grazia richiesta non era ottenuta, egli la attribuiva sempre all’imperfezione della fede. E Mosè non fu escluso dalla terra santa perché aveva avuto un sentimento di diffidenza nella potenza di Dio, battendo la roccia due volte, invece di una parola che egli le doveva dire? Gli Apostoli, che i giudei consideravano come il rifiuto del mondo, secondo l’espressione di San Paolo, provavano e giustificavano la loro missione tutta divina operando delle cose straordinarie, e che sovvertivano tutte le leggi della natura, al punto che l’ombra di San Pietro, passando per le strade, guariva i malati che avevano fede in lui (Act. V, 15; II-43). – Questo stesso potere, noi lo diciamo ancora, è stato dato da Gesù-Cristo a chiunque creda in Lui, senza distinzione di persona né posizione sociale, senza restrizione di tempo né di luogo; sia alle persone del mondo che ai Preti. Le sue promesse sono formali, e non si può avere alcun dubbio a questo riguardo. Tuttavia non si può affermare che le guarigioni saranno istantanee come quelle che faceva Nostro Signore stesso o i suoi Apostoli; né come quelle che hanno luogo a Nostra Signore delle Vittorie, a Lourdes, a la Salette o in altri Santuari celebri e venerati. La, la Santa Vergine è invocata contro la potenza del demonio. I fedeli lanciano questo grido di allarme: « Tu nos ab hoste protège, », O Maria, proteggeteci dal male che ci fa satana. Ma se queste guarigioni entrano nei disegni della misericordia divina, esse avranno luogo in un breve spazio di tempo, e tanto più breve quanto più saranno unite a Dio da una fede viva, una pietà sincera, una vita pura ed esente da gravi colpe. Il Santo curato di Ars ce lo da ad intendere quando afferma che quando si è servitore di Dio, Dio obbedisce al suo servitore. ServiamoLo fedelmente, e la nostra azione sul suo cuore sarà potente, e potente anche sullo spirito di malattia. Non bisognerà scoraggiarci né perdere fiducia, se Dio mette la nostra fede alla prova, differendo, per qualche tempo, nell’accordarci ciò che Gli domandiamo. Ci sono degli spiriti che non si cacciano se non con la preghiera e col digiuno (S. Marc. IX- 28). Preghiamo dunque e digiuniamo, se questo ci è possibile, e noi saremo esauditi. Per millecinquecento anni tutti gli uomini di fede, Preti e laici, hanno fatto ciò che il Signore ha raccomandato di fare, e i malati si sono trovati bene … “et bene habebunt”. – imitiamoli dunque, e lo spirito maligno non ci toccherà. « Malignus non tangit eum » (Ep. San. Giov., V-19).

 

TEMPO DOPO LA PENTECOSTE

[dom Guéranger. L’Anno liturgico, vol. II]

Capitolo I

STORIA DEL TEMPO DOPO LA PENTECOSTE

Carattere di questo periodo.

Dopo la solennità della Pentecoste e la sua Ottava, il corso dell’Anno liturgico ci introduce in un nuovo periodo, che differisce completamente da quelli che abbiamo percorso finora. Dall’inizio dell’Avvento, che è il preludio alla festa di Natale, fino all’anniversario della discesa dello Spirito Santo, abbiamo visto svolgersi tutto il seguito dei misteri della nostra salvezza. La serie dei tempi e delle solennità narrava un dramma sublime che ci teneva sospesi e che ora si è compiuto. Tuttavia, siamo appena giunti alla metà dell’anno. Quest’ultima parte del tempo non è comunque sprovvista di misteri; ma invece di attrarre la nostra attenzione con l’interesse sempre crescente d’una azione che si precipita verso lo scioglimento, la sacra Liturgia ci offrirà una successione quasi continua di episodi diversi, gli uni gloriosi gli altri commoventi, che arrecano ciascuno un elemento speciale per lo sviluppo dei dogmi della fede o per il progresso della vita cristiana. Fino a quando, terminato il Ciclo, esso svanisce, per far posto a uno nuovo, che narrerà gli stessi avvenimenti ed effonderà le stesse grazie sul corpo mistico di Cristo. –

Sua durata.

Questo periodo dell’Anno liturgico, che abbraccia talora un po’ più talora un po’ meno di sei mesi secondo la data della Pasqua, ha sempre conservato la forma che presenta oggi. Ma, per quanto non ammetta solennità e feste distaccate, l’influsso del Ciclo mobile vi si fa tuttavia ancora sentire. Il numero delle settimane che lo compongono può elevarsi fino a ventotto, e scendere fino a ventitré. Il punto di partenza è determinato dalla festa di Pasqua, che oscilla tra il 22 marzo e il 25 aprile; e il punto di conclusione dalla prima Domenica di Avvento, che apre un nuovo Ciclo e che è sempre la Domenica più vicina alle calende di dicembre.

Le Domeniche.

Nella Liturgia romana, le Domeniche di cui si compone questa serie sono indicate con il nome di Domeniche dopo Pentecoste. Questa denominazione è la più conveniente, come noteremo nel capitolo seguente, ed è basata sui più antichi Sacramentari ed Antifonari; ma si è stabilita solo progressivamente nelle Chiese in seno alle quali regnava la Liturgia romana. È così che vediamo nel Comes di Alenino, il quale ci riporta all’VIII secolo, la prima serie di queste Domeniche designata con il nome di Domeniche dopo la Pentecoste; la seconda denominata Settimane dopo la festa degli Apostoli (post Natale Apostolorum); la terza chiamata Settimane dopo san Lorenzo {post sancti Laurentii); la quarta indicata con il nome di Settimane del settimo mese (settembre) e infine la quinta, che porta il nome di Settimane dopo San Michele (post sancti Angeli) e che va fino all’Avvento. Molti Messali delle Chiese d’Occidente presentano, fino al secolo XVI, queste diverse suddivisioni del Tempo dopo la Pentecoste espresse in modo diverso secondo le feste dei Santi che servivano come di data nelle diverse diocesi in questa parte dell’anno. Il Messale romano pubblicato da san Pio V e diffusosi nelle Chiese latine, ha finito per ristabilire l’antica denominazione, e il tempo dell’Anno liturgico al quale siamo giunti è ormai designato solo con il nome di Tempo dopo la Pentecoste (post Pentecosten).

Capitolo II

MISTICA DEL TEMPO DOPO LA PENTECOSTE

Scopo di questo periodo.

Per comprendere bene l’intento e l’importanza di questa stagione dell’Anno liturgico alla quale siamo giunti, è necessario rendersi conto di tutta la serie dei misteri che la santa Chiesa ha celebrati dinanzi a noi e con noi. La celebrazione di questi misteri non è stata un vano spettacolo posto sotto i nostri occhi. Essi hanno apportato con sé ciascuno una grazia speciale che produceva nelle anime nostre ciò che significavano i riti della Liturgia. A Natale, Cristo nasceva in noi; nel tempo della Passione, ci incorporava alle sue sofferenze e ai suoi meriti; nella Pasqua, ci comunicava la sua vita gloriosa; nell’Ascensione, ci trascinava al suo seguito fino al cielo; in una parola, per usare l’espressione dell’Apostolo, « Cristo si formava in noi » (Gal. IV, 19). – Ma la venuta dello Spirito Santo era necessaria per accrescere la luce, per riscaldare le anime con un fuoco permanente, per rafforzare e mantenere in noi l’immagine di Cristo. Il Paraclito è disceso, si è dato a noi, e vuol risiedere nelle anime nostre e dominare la nostra vita rigenerata. Ora, questa vita, che deve svolgersi conforme a quella di Cristo e sotto la guida del suo Spirito, è raffigurata ed espressa dal periodo che la Liturgia designa con il nome di Tempo dopo la Pentecoste.

La Chiesa.

A questo punto, ci si presentano due oggetti di considerazione: la santa Chiesa e l’anima cristiana. Ripiena del divino Spinto che si è effuso in essa e che d’ora in poi la anima, la Sposa di Cristo avanza nella sua vita militante, e vi deve camminare fino alla seconda venuta del suo celeste Sposo. Essa possiede i doni della verità e della santità. Munita dell’infallibilità della fede, dell’autorità del governo, pasce il gregge di Cristo, ora nella libertà e nella tranquillità, ora in mezzo alle persecuzioni e alle prove. Il suo Sposo divino rimane, è con lei fino alla consumazione dei secoli con la sua grazia e con l’efficacia delle sue promesse; essa è in possesso di tutti i favori che Egli le ha elargiti, e lo Spirito Santo rimane in lei e con lei per sempre. È quanto esprime questa prima parte dell’Anno liturgico, in cui ritroveremo i grandi eventi che hanno segnalato la preparazione e il compimento dell’opera divina. In cambio la Chiesa vi raccoglie i frutti di santità e di dottrina che quei misteri hanno prodotto e produrranno nel suo cammino attraverso i secoli. Si vedono così prepararsi e giungere nel tempo stabilito gli ultimi eventi che trasformeranno la sua vita militante in una vita trionfante nei cieli. Questo è, per quanto riguarda la santa Chiesa, il significato della parte del Ciclo liturgico in cui entriamo.

L’anima cristiana.

Quanto all’anima fedele, il cui destino è come il compendio di quello della Chiesa, il suo cammino nel periodo che si apre per lei dopo le feste della Pentecoste deve essere analogo a quello della nostra madre comune. Deve vivere e agire secondo Cristo che si è unito a lei nella serie dei suoi misteri e sotto l’azione dello Spinto divino che ha ricevuto. Gli episodi che segneranno questa nuova fase accresceranno in lei la luce e la vita. Essa riporterà all’unità i raggi sparsi di uno stesso centro, ed elevandosi di luce in luce (II Cor. III, 18), aspirerà alla consumazione in Colui che ormai conosce e la cui morte deve metterla in possesso. Se poi il Signore non giudica opportuno trarla ancora a Lui, ricomincerà un nuovo Ciclo e ripasserà attraverso gli elementi che ha sperimentati nella prima metà dell’Anno liturgico; dopodiché si ritroverà ancora nel periodo che si compie sotto la guida dello Spirito Santo; infine il Signore la chiamerà nel giorno e nell’ora fissata da tutta l’eternità. Fra la santa Chiesa e l’anima cristiana nel periodo che si stende dalla prima Pentecoste fino alla consumazione vi è dunque questa differenza: che la Chiesa non lo percorrerà se non una volta, mentre l’anima cristiana lo ritrova ogni anno al suo tempo giusto. A parte tale differenza, l’analogia è completa. Dobbiamo dunque benedire Dio che viene in aiuto della nostra debolezza rinnovando in noi di volta in volta, per mezzo della Liturgia, gli aiuti con i quali siamo messi in grado di raggiungere il fine beato al quale siamo stati destinati.

L’insegnamento scritturistico.

La santa Chiesa nel periodo attuale ha disposto la lettura dei libri della sacra Scrittura in modo da esprimere tutto ciò che avviene nel suo corso, sia nella Chiesa stessa sia nell’anima cristiana. Dalla prima Domenica dopo la Pentecoste fino al mese di agosto, ci fa leggere i quattro libri dei Re. È il compendio profetico degli annali della Chiesa. Vi si vede la monarchia d’Israele inaugurata da David, figura di Cristo vittorioso nelle battaglie, e da Salomone, il re pacifico, che eleva il tempio alla gloria di Dio. Il male lotta contro il bene in questo scorrere dei secoli. Vi sono dei grandi e santi re come Asa, Ezechia, Giosia, e re infedeli come Manasse. A Samaria si dichiara lo scisma, e le genti infedeli riuniscono le loro forze contro la città di Dio. Il popolo santo, troppo spesso sordo alla voce dei profeti, si dà al culto di falsi dèi e ai vizi della gentilità, e la giustizia di Dio annienta in una comune rovina il tempio e la città infedele. Immagine della distruzione di questo mondo allorché la fede vi farà difetto a tal punto che il Figlio dell’uomo, nel suo secondo avvento, ne troverà appena la traccia (Lc. XVIII, 8). – Nel mese di agosto leggiamo i libri Sapienziali, così chiamati perché contengono gli insegnamenti della Sapienza divina. Questa Sapienza è il Verbo di Dio che si manifesta agli uomini attraverso l’insegnamento della Chiesa resa infallibile nella verità, grazie all’assistenza dello Spirito Santo che risiede in lei in modo permanente. La verità soprannaturale produce la santità, che non potrebbe sussistere né fruttificare senza di essa. Onde esprimere questo legame che esiste fra l’una e l’altra, la Chiesa legge nel mese di settembre i libri chiamati Agiografi, Tobia, Giuditta, Ester e Giobbe, nei quali si vede la Sapienza in azione. Siccome la Chiesa, verso la fine della sua durata in questo mondo, deve essere sottoposta a violente battaglie, si leggono lungo il mese di ottobre i libri dei Maccabei, in cui sono descritti il coraggio e la generosità dei difensori della legge divina che soccombono con gloria, come appunto accadrà negli ultimi tempi, quando sarà concesso alla bestia di far guerra ai santi c di vincerli (Apoc. XIII, 7). – Il mese di novembre è occupato dalla lettura dei profeti che annunciano i giudizi di Dio che si appresta a finirla con il mondo. Si vedono passare di volta in volta: Ezechiele, Daniele e i Profeti minori, che annunciano per lo più le vendette divine, mentre gli ultimi proclamano pure la prossima venuta del Figlio di Dio. – Questa è la Mistica del tempo dopo la Pentecoste. Essa è completata dall’uso del colore verde per i paramenti sacri. Questo colore esprime la speranza della Sposa la quale sa che la sua sorte è stata affidata dallo Sposo allo Spirito Santo, sotto la cui guida essa compie con sicurezza il proprio pellegrinaggio. San Giovanni esprime tutto con una sola frase: «Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! » (Apoc. XXII, 17).

Capitolo III

PRATICA DEL TEMPO DOPO LA PENTECOSTE

Scopo dell’Anno Liturgico.

Lo scopo della santa Chiesa nell’Anno liturgico è di condurre l’anima cristiana all’unione con Cristo mediante lo Spirito Santo. Lo scopo che Dio stesso si è proposto dandoci il proprio Figlio perché fosse nostro mediatore, nostro dottore e nostro redentore, e inviandoci lo Spirito Santo perché restasse in noi. Questo è il fine verso cui tende quell’insieme di riti e di preghiere che abbiamo seguito, e che non è soltanto la commemorazione dei misteri operanti dalla bontà divina per la nostra salvezza, ma porta con sé le grazie corrispondenti a ciascuno di essi, onde farci pervenire, come dice l’Apostolo, « all’età della pienezza di Cristo » (Ef. IV, 13). – L’unione ai misteri di Cristo opera nel cristiano ciò che la teologia mistica chiama la Vita illuminativa, nella quale l’anima si illumina sempre più della luce del Verbo incarnato che, con i suoi esempi e i suoi insegnamenti, la rinnova in tutte le sue potenze, e la abitua a non avere se non il punto di vista di Dio in ogni cosa. Questa preparazione la dispone ad unirsi a Dio, non più soltanto in modo imperfetto e più o meno effimero, ma in quel modo intimo e permanente che è chiamato Vita unitiva. Questa vita è l’opera propria dello Spirito Santo che è stato inviato all’anima per mantenerla nel possesso di Cristo e per sviluppare in essa l’amore mediante il quale si unisce a Dio.

Le feste del tempo dopo la Pentecoste.

In questo stato, l’anima è preparata per gustare e assimilare tutto ciò che i numerosi episodi di cui abbonda il Tempo dopo la Pentecoste offrono di sostanziale e di nutritivo. Il mistero della Trinità, quello del Santissimo Sacramento, la misericordia e la potenza del Cuore di Gesù, le grandezze di Maria e la sua azione sulla Chiesa e sulle anime, le sono manifestati con maggior pienezza, e producono in lei effetti nuovi. Essa sente più intimamente nelle feste dei Santi, così varie e così ricche in questo tempo, il legame che l’unisce ad essi in Gesù Cristo mediante lo Spirito Santo. La felicità eterna, alla quale questa vita di prova deve far posto, le si rivela nella festa di Ognissanti, e penetra così più addentro l’essenza di quella misteriosa beatitudine che consiste nella luce e nell’amore. Unita sempre più strettamente alla Chiesa, segue tutte le fasi della sua esistenza nella durata dei tempi, si unisce alle sue sofferenze, prende parte ai suoi trionfi, vede senza venir meno questo mondo andare verso il proprio declino, poiché sa che il Signore è vicino. Per quanto riguarda lei, sente senza rimpianto la sua vita corporea cedere lentamente, il muro che la isola ancora dalla visione e dal possesso immutabile del sommo Bene crollare a poco a poco, poiché non vive più in questo mondo e il suo cuore si trova già là dove è il suo tesoro (Mt. VI, 21). Così illuminata, così attratta, così fissata dall’incorporazione dei misteri di cui la sacra Liturgia l’ha nutrita, e dai doni che lo Spirito Santo ha sparsi in lei, l’anima si affida senza sforzo al soffio di questo divino motore. Il bene le é diventato tanto più facile in quanto essa aspira di per sé a ciò che é più perfetto; il sacrificio che una volta la spaventava oggi l’attira; usa di questo mondo come se non ne usasse (I Cor. VII, 31), poiché le vere realtà per essa sono fuori di questo mondo; e infine aspira tanto più al possesso imperituro di quello che ama in quanto fin da questa vita, come insegna l’Apostolo, per il fatto stesso che é unita col cuore a Dio, é già un solo spirito con lui (ibid. VI, 17).

Il rinnovamento annuale della Liturgia.

Questo é il risultato che é chiamato a produrre nell’anima l’infusso dolce e sicuro della sacra Liturgia. Se, dopo averne seguito le fasi successive, ci sembra che questo stato di distacco e di aspirazione non sia ancora il nostro, che la vita di Cristo non abbia ancora assorbito in noi la vita personale, guardiamoci bene dall’esserne scoraggiati. Il Ciclo della Liturgia, con i suoi raggi di luce e le grazie che effonde nelle anime, non appare una volta sola nel cielo della santa Chiesa; ogni anno che viene lo vede rinnovarsi. Questa é l’intenzione di Colui « che ha tanto amato il mondo da dargli il suo Figliuolo unigenito» (Gv. III, 16); di Colui «che è venuto, non per giudicare il mondo, ma affinché per Lui il mondo fosse salvo » (ibid. III, 17): intenzione alla quale la santa Chiesa non fa che conformarsi, mettendo continuamente a nostra disposizione, nella sua previdenza materna, i mezzi più potenti per ricondurre l’uomo a Dio e per unirlo a lui. Il cristiano che la prima metà del Ciclo non ha ancora condotto al termine che abbiamo ora esposto, troverà tuttavia nella seconda preziose risorse per sviluppare la sua fede e per accrescere il suo amore. Lo Spirito Santo, che regna in modo speciale su questa parte dell’anno, non mancherà di agire sul suo intelletto e sul suo cuore, e quando si aprirà un nuovo Ciclo liturgico, l’opera già abbozzata dalla grazia potrà ricevere il complemento che la debolezza umana aveva sospeso.

 

Prima DOMENICA dopo PENTECOSTE – FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITA’

Introitus

Tob XII:6. Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Ps VIII:2

Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra! [O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!]

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.].

Oratio

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo.

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia majestátis adoráre Unitátem: quaesumus; ut, ejúsdem fídei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis. [O Dio onnipotente e sempiterno, che concedesti ai tuoi servi, mediante la vera fede, di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella sovrana potenza, Ti preghiamo, affinché rimanendo fermi nella stessa fede, siamo tetragoni contro ogni avversità.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XI:33-36.

“O altitúdo divitiárum sapiéntiæ et sciéntiæ Dei: quam incomprehensibília sunt judícia ejus, et investigábiles viæ ejus! Quis enim cognovit sensum Dómini? Aut quis consiliárius ejus fuit? Aut quis prior dedit illi, et retribuétur ei? Quóniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt ómnia: ipsi glória in sæcula. Amen”. [O incommensurabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio: come imperscrutabili sono i suoi giudizii e come nascoste le sue vie! Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi gli fu mai consigliere? O chi per primo dette a lui, sí da meritarne ricompensa? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e in Lui sono tutte le cose: a Lui gloria nei secoli. Amen.] R. Deo gratias.

Graduale Dan III:55-56. Benedíctus es, Dómine, qui intuéris abýssos, et sedes super Chérubim, [Tu, o Signore, che scruti gli abissi e hai per trono i Cherubini.] Alleluja

Benedíctus es, Dómine, in firmaménto cæli, et laudábilis in sæcula. Allelúja, [V. Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, alleluia.]

Dan III:52 V. Benedíctus es, Dómine, Deus patrum nostrórum, et laudábilis in sæcula. Allelúja. . [V. Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, allelúia]

Evangelium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum. R. Gloria tibi, Domine! Matt XXVIII:18-20

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quæcúmque mandávi vobis. Et ecce, ego vobíscum sum ómnibus diébus usque ad consummatiónem sæculi”. [In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Mi è dato ogni potere in cielo e in terra. Andate, dunque, e istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo, e insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato. Ed ecco che io sarò con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli.]

R. Laus tibi, Christe! S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

Credo

Offertorium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus Tob XII:6. Benedíctus sit Deus Pater, unigenitúsque Dei Fílius, Sanctus quoque Spíritus: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Benedetto sia Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Secreta

Sanctífica, quæsumus, Dómine, Deus noster, per tui sancti nóminis invocatiónem, hujus oblatiónis hóstiam: et per eam nosmetípsos tibi pérfice munus ætérnum. [Santífica, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, per l’invocazione del tuo santo nome, l’ostia che Ti offriamo: e per mezzo di essa fai che noi stessi Ti siamo eterna oblazione.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Communio Tob XII:6. Benedícimus Deum coeli et coram ómnibus vivéntibus confitébimur ei: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Benediciamo il Dio dei cieli e confessiamolo davanti a tutti i viventi: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Postcommunio S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus. Profíciat nobis ad salútem córporis et ánimæ, Dómine, Deus noster, hujus sacraménti suscéptio: et sempitérnæ sanctæ Trinitátis ejusdémque indivíduæ Unitátis conféssio. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

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MESSA I DOMENICA DI PENTECOSTE

Antifona

Domine, in tua misericordia speràvi: esultavi cor meum in salutari tuo: cantabo Dómine, qui bona tribuit mihi. [0 Signore, io spero nella tua misericordia; il mio cuore esulta per la tua salvezza: canterò al Signore, poiché mi ha beneficato.]

Sal. Usquequo, Domine, oblivisceris me In finem? Usquequo avertis faciem tuum a me? [Fino a quando, o Signore, mi vorrai dimenticare? Fino a quando mi terrai celato il tuo volto?]

Oremus

Deus, in te speràntium Fortitudo, adesto propitius invocationibus nostris: et quia sine te nihil potest mortalis infirmitas, presta auxilium gratiæ tuæ exsequendis mandàtis tuis, un voluntate tibi et actióne placeamus. Per Dominum nostrum Iesum Christum. [O Dio, fortezza di chi spera in Te, sii propizio alle nostre suppliche, e poiché senza di Te nulla può l’umana debolezza, concedici l’aiuto della tua grazia affinché, nel compiere i tuoi comandamenti, possiamo piacerti nel volere e nell’agire. Per nostro Signore Gesù Cristo] 

Lectio

Léctio I Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli IV, 8-21

“Carissimi, Deus Deus caritas est. In hoc apparuit caritas Dei in nobis, quoniam Filium suum unigenitum misit Deus in mundum, ut vivamus per eum. In hoc est caritas : non quasi nos dilexerimus Deum, sed quoniam ipse prior dilexit nos, et misit Filium suum propitiationem pro peccatis nostris. Carissimi, si sic Deus dilexit nos: et nos debemus alterutrum diligere. Deum nemo vidit umquam. Si diligamus invicem, Deus in nobis manet, et caritas ejus in nobis perfecta est. In hoc cognoscimus quoniam in eo manemus, et ipse in nobis: quoniam de Spiritu suo dedit nobis. Et nos vidimus, et testificamur quoniam Pater misit Filium suum Salvatorem mundi. Quisquis confessus fuerit quoniam Jesus est Filius Dei, Deus in eo manet, et ipse in Deo. Et nos cognovimus, et credidimus caritati, quam habet Deus in nobis. Deus caritas est : et qui manet in caritate, in Deo manet, et Deus in eo. In hoc perfecta est caritas Dei nobiscum, ut fiduciam habeamus in die judicii: quia sicut ille est, et nos sumus in hoc mundo. Timor non est in caritate : sed perfecta caritas foras mittit timorem, quoniam timor poenam habet : qui autem timet, non est perfectus in caritate. Nos ergo diligamus Deum, quoniam Deus prior dilexit nos. Si quis dixerit, Quoniam diligo Deum, et fratrem suum oderit, mendax est. Qui enim non diligit fratrem suum quem vidit, Deum, quem non vidit, quomodo potest diligere? Et hoc mandatum habemus a Deo : ut qui diligit Deum, diligat et fratrem suum.”  

Omelia

di mons. Bonomelli [da Omelie: vol. III, om. III, Torino -1899]

“Carissimi, Dio è carità. Ed in questo rifulse la carità di Dio verso di noi, ch’egli mandò l’unigenito suo Figliuolo nel mondo, perché vivessimo per Lui. La carità sta riposta in questo, non che noi avessimo amato Dio, ma che Egli pel primo ha amato noi ed ha mandato il Figliuol suo, propiziazione pei nostri peccati. Carissimi, se così Dio ci ha amati, noi pure dobbiamo amarci tra noi. Nessuno ha mai veduto Dio; se ci amiamo tra noi, Dio dimora in noi e la sua carità resta in noi e in noi è perfetta. Da ciò conosciamo, che noi siamo in Lui ed Egli in noi, perché ci ha dato del suo Spirito. E noi abbiamo veduto ed attestiamo, che il Padre ha mandato il Figlio, Salvatore del mondo. Chi avrà confessato, che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in Lui ed Egli in Dio. E noi abbiamo conosciuta e creduta la carità, che Dio ha verso di noi. Dio è carità, e chi rimane nella carità, rimane in Dio e Dio in lui. La carità si perfeziona in noi in ciò, che noi abbiamo sicurezza pel dì del giudizio, perché, come egli è, cosi siamo anche noi in questo mondo. Nella carità non è timore, ma la perfetta carità scaccia il timore, perché il timore è penoso, onde chi teme, non è perfetto nella carità. Dunque facciamo di amare Dio, perché Dio pel primo ha amato noi. Se alcuno dice di amare Dio ed odia il fratello, è bugiardo; perché se non ama il suo fratello, che vede, come potrà amare Dio che non vede? Ora questo precetto noi abbiamo da Dio, che chi ama Dio ama ancora il fratello suo „ (I. Gio. IV, 8-21).

Nel linguaggio comune della Chiesa S. Paolo è chiamato l’Apostolo per eccellenza, l’Apostolo delle genti, e S. Giovanni è detto l’Apostolo della carità. Questo titolo sì glorioso di Apostolo della carità troppo bene compete a S. Giovanni, sia che si consideri il suo carattere personale, sia che si consideri l’indole della sua dottrina, quale risulta dai suoi scritti, in essi si respira un profumo di soavità e di carità verso Dio e verso il prossimo, che penetra tutta l’anima, che dolcemente la inebria e le fa sentire, che chi dettò quelle pagine divine, è veramente il discepolo diletto e posò il capo sul cuore d i Gesù. Il tratto, che vi ho recitato, anche solo, sarebbe più che bastevole a confermargli questo titolo sì bello di Apostolo della carità. Noi lo verremo meditando insieme colla maggior brevità possibile, perché è alquanto lungo: io mi permetto soltanto di avvertirvi, che le verità che vi si racchiudono sono di quelle, che si apprendono più col cuore, che colla mente. L’apostolo S. Giovanni, dopo aver esortato i fedeli a non prestar fede a tutti gli spiriti, ossia maestri, e dato loro il criterio per distinguere allora i buoni dai rei, e che quelli che sono da Dio non ascoltano i rei, discende a raccomandare l’amore scambievole, e dice: ” Dio è carità ; „ Deus charitas est.”. Percorrendo i Libri ispirati, troviamo tre definizioni di Dio: Dio è colui che è, cioè l’Essere assoluto; è la prima definizione data nell’antico Testamento: Dio è la Verità, data da Cristo nel Vangelo, è la seconda: la terza l’abbiamo qui: Dio è amore, o carità. Questa compie le altre due definizioni e rivela la vita intima, di Dio. Dio è amore o carità, tutto amore e carità, come è tutto essere e tutto verità, senza mescolanza di non essere e di errore. Tutto l’Essere divino, in ogni sua parte, in ogni sua fibra, se è lecito così dire, è amore, come il fuoco in ogni sua parte è caldo e luminosa la luce e fragrante il balsamo. Dio Padre ama con infinito amore il Figliuol suo, e tutto a Lui si dona, e il Figlio riama con infinito amore il Padre e a Lui tutto si ridona, e questo amore che quinci e quindi spira è sì perfetto, che si appunta in una Persona, che è lo Spirito Santo. Dio, nell’essere suo, conosce di poter dare l’esistenza ad innumerevoli esseri, e l’amor suo, che tende a parteciparsi, lo muove a crearli, e li crea e lancia fuori di sé l’universo, lo ama, come l’opera delle sue mani, e lo ricolma di beni. Che è l’amore di tutti gli animali, di tutti gli uomini, degli amici, dei padri, delle madri, dei santi, degli angeli tutti, se non uno sprazzo dell’amore divino, che si riverbera variamente nelle creature, come la luce ed il sole si spandono sovra di esse? Sì, amore, non altro che amore, ed anche quando punisce è amore, amore della giustizia. Ma verso quali creature singolarmente apparve l’amore di Dio? “Verso di noi, uomin” risponde l’Apostolo: “In hoc apparuit charitas Dei in nobis”. Ed in qual opera particolarmente?” In questo, ch’Egli mandò l’unigenito suo Figliuolo nel mondo: „ Quoniam Filium suum unigenitum misìt in mundum. Questa è la prova più magnifica, questo il monumento eterno della carità di Dio verso di noi, il dono del Figliuol suo, il mistero della Incarnazione. E per qual fine ci ha dato il Figliuol suo nella Incarnazione? “Perché vivessimo per Lui: „ Ut vivamus per eum; cioè fossimo riconciliati con Dio, ricevessimo quella grazia, che è la vita dell’anima, partecipazione della vita stessa di Dio. S. Giovanni qui spiega la natura di questa carità di Dio verso di noi, frutto precipuo della quale è l’Incarnazione e tutto ciò che colla Incarnazione è congiunto. Dio ci ha amato e ci ama teneramente: e perché? Forse perché noi prima abbiamo amato Lui? No, no, risponde l’Apostolo; anzi Egli prima ha amato noi e prima ci ha dato il massimo dei benefici, l’incarnazione, e prima ci ha condonati i nostri peccati.. L’amore, disse bene il poeta filosofo, muove l’amato ad amare: “Amor che nullo amato amar perdona”. – Il mezzo più efficace per ottenere l’amore è mostrare che amiamo; e quegli tiene il primo luogo nell’amore, che previene. Ora tra Dio e l’uomo chi è colui che previene? È Dio: Ipse prior dilexit nos. Egli, Iddio, la stessa grandezza, è il primo che si china verso l’uomo, l’ama e lo stringe al suo seno, e dell’amor suo gli porge le prove più splendide, sì nell’ordine naturale, come nell’ordine sovrannaturale. Questa è infinita degnazione di Dio, è vero, ma in pari tempo è anche una necessità. Noi, povere creature, non possiamo dare nulla a Dio del nostro, perché nulla abbiamo di nostro e siamo veramente nulla: noi non possiamo dare a Dio che quello che riceviamo da Dio nel doppio ordine della natura e della grazia. Perché possiamo amarlo bisogna che prima ci dia la intelligenza per conoscerlo e il cuore per amarlo: non basta: bisogna che presenti a questa intelligenza la verità e versi in questo cuore l’amore, che riverseremo a Lui, tantoché quando amiamo Dio, noi Lo amiamo con lo stesso amore, che prima riceviamo da Lui medesimo. Allorché l’albero vi presenta il suo frutto, esso non fa che dare a voi ciò che voi prima avete dato ad esso, piantandolo ed innestandolo: allorché lo specchio vi mostra il vostro volto, esso vi rende ciò che voi gli date, presentandogli il vostro volto; allorché i figli vi amano, o genitori, essi vi restituiscono un po’ di quell’amore, che voi spargeste nel loro cuore, amandoli e ricolmandoli di benefici. Dio ci ama pel primo e noi Lo riamiamo col suo stesso amore, né potremmo fare altrimenti. Ponete uno specchio lucido e pulito sotto i raggi del sole: che vedete voi? Quei raggi rimbalzano dritti pur su verso del sole; così i nostri cuori dovrebbero essere specchi tesissimi che rimandano a Dio i raggi dell’amor suo. E in quella vece assai volte che facciamo noi, o cari? Simili a quei corpi oscuri che ricevono e spengono in se stessi i raggi del sole, riceviamo l’amore di Dio in noi, lo soffochiamo in noi stessi o bruttamente lo rivolgiamo sopra le creature, profanando il massimo dei suoi doni. Ah! Carissimi figliuoli: Dio ci ama pel primo, Egli sì grande, sì santo, sì perfetto, sì buono: e noi riamiamolo, e allora il caldo raggio, che da Dio discende in noi, ritornerà a Lui e con esso ritorneremo noi pure e a Lui ci uniremo. Natura dell’amore è di legare gli amanti e di farne uno solo: ora come Dio e l’uomo si unirebbero insieme, se l’uomo ricevendo la fune dell’amore da Dio, che gliela porge, non la restituisse, tenendosi stretto ad essa? Dio pel primo ama noi e noi dobbiamo amare Lui: ma basta far questo? No, risponde ancora S. Giovanni: ” Carissimi, esclama il Santo con accento di tenerezza, se Dio ci ha amati così, noi pure dobbiamo amarci tra noi. „ L’amore di Dio verso di noi è infinito, perché è amore d’un essere infinito: ora l’amore nostro è necessariamente finito, come è finita la nostra natura, e S. Giovanni non intese per fermo che noi amiamo i fratelli nostri nella misura e perfezione, che Dio ama noi. L’Apostolo volle dire soltanto: Se Dio ama noi con tanto, sì cocente e sì operoso amore, Dio, che è sì grande, molto più noi, sì piccoli, dobbiamo amare i fratelli nostri, coi quali abbiamo comune la natura! Dio ama noi e qual sia l’amor suo per noi, lo provano gli innumerevoli benefici, dei quali ci ha ricolmati: ad amore dobbiamo amore, a benefici si risponde con benefici. Ma Dio non ha bisogno di noi: a Lui non possiamo fare beneficio di sorta: Egli li fa, non li riceve: non di meno, in qualche modo Dio ha bisogno di noi, e possiamo far benefici anche a Lui. Come? Non a Lui propriamente, ma a quelli, nella persona dei quali ama collocare se stesso, e sono i fratelli nostri, portando la sua immagine. Ecco perché S. Giovanni dice: ” Se Dio ci ha amati così, noi pure dobbiamo amarci tra noi: „ amando e beneficando i fratelli nostri, amiamo e benefichiamo Dio stesso, perché Gesù Cristo disse: “Ciò che farete ad uno di questi miei piccoli, l’avrò per fatto a me stesso. „ Gran cosa! o fratelli miei. Voi dite: Dio è padrone d’ogni cosa, di nulla abbisogna: è l’Essere assoluto: Egli dà e non riceve. Eppure Dio ha bisogno e grande, e noi possiamo aiutarlo e benericarlo. Come ciò? Egli si mette nella persona dei sofferenti e dei bisognosi e vi stende in essi le mani e vi chiede il soccorso: Gesù Cristo si fa povero nel povero, infermo nell’infermo, affamato nell’affamato: amando e soccorrendo questo, lo disse Egli stesso, amate e soccorrete Lui. Chi di voi rifiuterà di soccorere Gesù Cristo? Vi può esser onore e gloria maggiore che soccorrere l’Uomo-Dio? – E questo senso è chiaramente confermato dalla sentenza che segue: “Nessuno ha mai veduto Dio. „ Come se Giovanni dicesse: Noi non possiamo in modo esterno e visibile mostrare la nostra gratitudine e l’amor nostro a Dio, perché Egli non si vede, né si può vedere in terra, perché purissimo spirito: eppure abbiamo bisogno di mostrare esternante a Dio il nostro amore e la nostra riconoscenza. Ebbene: eccovi il modo facile e spedito per tutti: Dio si rende visibile negli uomini, sue immagini vive sulla terra: a questi prestiamo quegli uffici di carità che non possiamo prestare a Dio invisibile, e allora ameremo Lui e seconderemo il bisogno del nostro cuore; allora ameremo Dio e i fratelli, Dio invisibile nei fratelli visibili, Dio sarà con noi, la carità regnerà nelle anime nostre e sarà perfetta: Si diligìmus invicem, Deus in noìbis manet, et charìtas ejus in nobis manet et chiarita ejus in nobis perfecta est. Questa idea della carità, per la quale noi dimoriamo in Dio e Dio dimora in noi, sì famigliare a S. Giovanni, si ripete nel versetto seguente, quasi con le identiche parole. E qui non sarà fuori di proposito farvi intendere alcun poco questa verità, seguendo S. Tommaso. Per la carità Dio rimane in noi e noi in Dio: come ciò, o carissimi? Udite. Quando noi conosciamo una cosa qualunque, ponete, un albero, un monte, l’albero e il monte sono nella nostra mente e nell’anima nostra come la cosa conosciuta può stare nel conoscente: l’immagine, l’idea dell’albero e del monte sta nella nostra mente, non già l’albero e il monte stesso, che sarebbe cosa ridicola ed impossibile; e vista per modo, che noi diciamo: quell’albero, quel monte, li vedo, li tengo qui nella mente, benché forse siano lontanissimi. Le cose tutte, che conosciamo, si dicono nella nostra mente in quanto ché nella mente nostra sta la loro immagine ed idea. Ma noi possiamo avere nella mente l’idea o l’immagine d’una cosa senza averla nella nostra volontà, nel nostro amore. Noi possiamo avere nella mente l’immagine o l’idea, per ragione d’esempio, d’un serpente, del peccato, del demonio, ma certo noi non amiamo queste cose: ma più spesso quelle cose che conosciamo e perciò le abbiamo nella mente, se le apprendiamo come belle e buone, le amiamo. E allora che avviene? Quelle cose dalla mente discendono al cuore, dalla intelligenza passano nella volontà, ed essa, a cosi esprimermi, colle braccia dell’amore, quasi con dolci funi, le stringhe, le fa sue e con esse forma una sola cosa. Allora le cose non sono soltanto nella mente, ma sono altresì nella volontà o nell’amore, come possono essere nel volente e nell’amante. E perciò sono piene di verità e sapienza quelle espressioni delle persone amanti, che dicono alla persona amata: Io vi tengo qui, nel mio cuore: voi avete qui il vostro posto, qui voi regnate, ed altre somiglianti. Datemi due persone, che si amino davvero; io vi dico che l’una vive nell’altra, una nell’altra dimora, e questa dimora vicendevole è tanto più intima, profonda e durevole quanto è più intima, profonda e durevole la fiamma d’amore che le scalda. È un mistero, se volete, del cuore umano, dirò meglio, è un mistero d’amore, ma indubitato, evidente. Ora ciò avviene, o dilettissimi, tra Dio e l’anima che Lo ama. Dio ama l’anima, l’adorna della sua grazia, la tiene in sé, la vagheggia, la stringe al suo seno: l’anima dal suo canto lo tiene nella sua mente, lo tiene nel suo cuore, tutto a Lui si unisce, e così Dio dimora in essa ed essa in Lui, e a nostro modo d’intendere, di due si forma un solo spirito, una sola vita, come più volte insegna S. Paolo: ” Chi si unisce a Dio, fa un solo spirito: Vivo io, non più io, ma vive Cristo in me. „ E noi, soggiunge S. Giovanni, abbiamo un segno, una prova di questa dimora di Dio in noi, e di noi in Dio, ed è ” ch’Egli ci ha donato del suo spirito. „ Quando? Forse alla venuta visibile dello Spirito Santo, e forse intende parlare dello spirito di carità vicendevole, che si manifestava tra i cristiani in tutti i modi, spettacolo affatto nuovo sulla terra e prova innegabile, che lo Spirito di Dio era stato diffuso nei loro cuori. Alla mente dell’Apostolo, che ricorda la comunicazione dello Spirito Santo, fonte della carità, si affaccia naturalmente la prova massima dell’amore di Dio, e a costo di ripetere ciò che sopra (vers. 8) ha detto, scrive: ” E noi abbiamo visto e attestiamo, che il Padre ha mandato il Figlio, Salvatore del mondo. „ E questo il prodigio della carità di Dio, l’essere Egli stesso, il Figliuol suo, venuto in mezzo a noi, fatto uomo per salvarci: ” e noi, grida l’Apostolo quasi rapito in un’estasi di amore, noi l’abbiamo veduto, noi l’abbiamo udito, noi l’abbiamo toccato e lo annunziamo a voi. „ – Ricordato l’argomento fra tutti massimo dell’amore di Dio verso di noi, qual è l’Incarnazione, S. Giovanni coglie il destro di inculcare la fede nel grande mistero, e dice: ” Chi avrà confessato, che Gesù è il Figliuolo di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. „ E a sapere, che a quei tempi erano già sorti parecchi eretici, come i Cerintiani, gli Ebioniti ed altri, che negavano la divinità di Gesù Cristo, e affermavano, Lui non essere che un uomo, ricolmo dei doni celesti, sì, ma uomo: per combattere costoro, o prima, o dopo questa lettera, Giovanni scrisse il suo Vangelo. Sappiatelo bene, grida l’Apostolo, Gesù è il Figlio dell’eterno Padre, il Salvatore del mondo e dovete francamente e pubblicamente confessare questa verità colla lingua e colle in questa confessione avrete anche una prova d i quella carità, che vi inculco e unisce Dio a voi e voi a Dio. – Uno dei caratteri degli scritti di S. Giovanni è questo di ripetere sotto varie forme e talora con le stesse parole la stessa verità. Si direbbe che è un padre, tutto amore per i suoi figli, e che non si sazia di inculcare ad essi quelle cose, che maggiormente gli stanno a cuore, e perciò anche nel versetto che segue il santo apostolo ripete la sua frase prediletta: ” E noi abbiamo conosciuta e creduta la carità, che Dio ha verso di noi. Dio è carità, e chi rimane nella carità, rimane in Dio e Dio in lui. „ – Passando sopra questa sentenza, già spiegata, fermiamo la nostra attenzione sui due versetti che seguono e nei quali S. Giovanni tocca una delle doti proprie della carità perfetta: “La carità di Dio si perfeziona in noi, per questo, che noi pigliamo sicurezza pel dì del giudizio, perché, com’Egli è, così noi pure siamo in questo mondo. „ Sentenza questa alquanto oscura, ma che si rischiara se la intendiamo in questo modo: A questo fine Iddio perfezionò, ossia diede fondo alla sua carità verso di noi, perché potessimo avere piena fiducia di esito felice nel giorno del giudizio: ossia, Dio fece tanto per noi, versò in noi senza misura i benefici della sua carità, perché nel gran dì del giudizio fossimo affrancati da ogni timore, e perché Egli, Gesù Cristo, è in questo mondo, cioè fu in questo mondo e vi è colle opere della sua carità, e spande su tutti le sue beneficenze, e noi pure siamo in questo mondo ed abbiamo bisogno di Lui e della sua carità continua; carità, che ci liberi dal timore del divino giudizio, perché “nella carità, così S. Giovanni, non è timore, ma la carità perfetta scaccia fuori il timore, poiché il timore è penoso, e perciò chi teme non è perfetto nella carità. „ La carità verso Dio ispira fiducia ed esclude il timore: ma è mestieri determinare il timore, che non si può comporre coll’amore. Quel timore, che ci porta alla diffidenza, che ci tiene sempre inquieti ed ansiosi sul perdono delle nostre colpe; quel timore, che guarda più al castigo, che al male del peccato, che reca pena: Timor pænam habet; questo timore non può stare colla perfetta carità: esso è una prova, che siamo più servi che figli di Dio. Ma quel timore che ha il figliuolo di offendere il padre ; quel timore, che viene dalla coscienza della propria debolezza e che porta a riporre ogni fiducia in Dio, questo è buono e santo, e può stare e deve stare con la carità perfetta e ne è parte, perché è figlio della ragione e dello stesso amore, e in questo senso S. Agostino diceva: ” Impari a temere chi non vuol temere. „ Dìscat timere qui non vult timere. Il timore di offendere Dio ci conduce a servirLo ed amarLo, e più lo ameremo e meno lo temeremo, ed amandolo perfettamente, più non lo temeremo: Signum perfectionis, nullus timor. San Giovanni, conchiudendo, dice: ” Facciamo dunque di amare Dio, perché Dio pel primo ha amato noi. „ Motivo questo bellissimo e più sopra i mplicitamente toccato e sul quale perciò non spendo parole, ricordandovi solo, .. che un amore non corrisposto è una ferita crudele per chi ama, e che quaggiù sulla terra troppo spesso si tramuta in odio feroce e si lava talora col sangue, e Dio punisce coll’abbandono. Punizione giustissima e tremenda! – Ma S. Giovanni ricorre ancora una volta a quella verità, che sopra ha accennata, ed è l’unione inseparabile dell’amore di Dio dall’amore del prossimo, e prima di por fine alla sua dottrina ed esortazione sulla carità, la ribadisce con queste parole: ” Se alcuno dice di amare Dio ed odia il fratello, è bugiardo, perché se non ama il suo fratello, che vede, come mai potrà amare Dio che non vede? „ – L’amore porta a fare la volontà della persona amata, e chi la viola e calpesta, mostra di non amarla: ora Dio vuole che amiamo il prossimo, il fratello nostro: se noi non l’amiamo, calpestiamo la volontà di Dio, e perciò col fatto mostriamo di non amare Iddio. Perciò, chi ama una persona, ha cara la sua immagine e le cose tutte amate da quella: gli uomini sono immagini vive ed immortali di Dio, e Dio li ama fino a dar se stesso per loro: dunque non amare il prossimo è non amare Iddio, e chi crede di poter amare Dio, non amando il prossimo, inganna se stesso. Volete voi dunque, o carissimi, conoscere con tutta certezza, se amate Iddio, se siete suoi figli? Esaminatevi se amate colle parole e più colle opere i vostri fratelli: la prova infallibile dell’amore di Dio è l’a more del prossimo. E qui il pensiero corre naturalmente ad un fatto, che vorrei fosse raro. Accade di veder persone, che han fama di religiose, che usano spesso ai Sacramenti, che fanno lunghe orazioni, che osservano le leggi della Chiesa, che compiono opere di pietà non imposte, ma solo consigliate; persone insomma che si direbbero esemplari, ma che pel prossimo non sanno fare un lieve sacrificio, non sanno privarsi d’un passatempo, d’un obolo. È questa la carità comandata da Cristo e proclamata dall’apostolo Giovanni? Meno preghiere, meno pratiche di pietà e più carità verso del prossimo. Volete sapere con certezza se voi amate Dio? Vedete se amate il prossimo, e se lo amate, non colle parole e colla lingua, ma colle opere. 

Graduale

Salmo XL: Ego dixi: Domine, miserere mei: sana animam meam , quia peccavi tibi.

V. Beatus qui intellegit sper egenum et pauperem. In die mala liberabit eum Dominus. [Io esclamai: Signore, pietà di me, guarisci l’anima mia, perché ho peccato contro di Te. V. Beato colui che ha pietà del bisognoso e del povero, poiché nel giorno della sventura il Signore lo libererà.]

Alleluja

Alleluia, alleluia. V. Verba mea auribus percipe, Domine: intellege clamorem meum. Alleluia. [Alleluia, alleluia. Signore, ascolta le mie parole, intendi le mie grida. Alleluia.]

Evangelium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.VI; 36-42 R. Gloria tibi, Domine!

“In illo tempore dixit Iesus discipulis suis: estote ergo misericordes sicut et Pater vester misericors est. Nolite judicare, et non judicabimini : nolite condemnare, et non condemnabimini. Dimitte, et dimittemini. Date, et dabitur vobis: mensuram bonam, et confertam, et coagitatam, et supereffluentem dabunt in sinum vestrum. Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remetietur vobis. Dicebat autem illis et similitudinem: Numquid potest caecus caecum ducere? nonne ambo in foveam cadunt? Non est discipulus super magistrum : perfectus autem omnis erit, si sit sicut magister ejus. Quid autem vides festucam in oculo fratris tui, trabem autem, quae in oculo tuo est, non consideras? aut quomodo potes dicere fratri tuo: Frater, sine ejiciam festucam de oculo tuo: ipse in oculo tuo trabem non videns? Hypocrita, ejice primum trabem de oculo tuo: et tunc perspicies ut educas festucam de oculo fratris tui. [In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: <« Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, scossa, traboccante, vi sarà versata nel seno, poiché con la misura con la quale avrete misurato sarà rimisurato a voi ». Egli disse loro anche questa parabola: « Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno entrambi in un fosso? Non c’è discepolo che sia da più del suo maestro, ma ogni discepolo, giunto a perfezione, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non noti la trave che è nel tuo proprio occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio ” tu che non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello ».]

Omelia

 Omelia della Domenica I dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

Luc. VI, 36-42

-Giudizi temerari-

Siate imitatori, dice a tutti noi nell’odierno Vangelo il divino Salvatore, siate imitatori della misericordia del vostro Padre celeste, con esser misericordiosi ancor voi. Per essere tali, astenetevi dal giudicare i vostri fratelli con giudizio e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati: “Nolite iudicare, et non iudicabimini, nolite condemnare, et non condemnabimini”. Se un cieco guida un altro cieco, cadono ambedue nella fossa. La vostra volontà è una potenza cieca, la sua guida è l’intelletto. L’intelletto che non può conoscere il pensiero, l’intenzione dell’altrui mente, né l’interno del cuore altrui, anch’esso in questa parte è cieco. Se egli dunque si porti a formar sinistro giudizio de’ prossimi suoi, un cieco guiderà l’altro cieco, e cadranno entrambi in colpe di temerari giudizi e d’ingiuste condanne. “Numquid potest caecus caecum ducere? Nonne ambo in foveam cadunt? E poi con che coraggio scoprite negli occhi altrui una tenua festuca e non vi accorgete della grossa trave che sta negli occhi vostri? Ipocriti, il vostro zelo è una ingiustizia. Togliete prima dai vostri la trave, e penserete poi a togliere la pagliucola dall’occhio del vostro fratello. Ecco con quali energiche forme si esprime contro i giudizi temerari il nostro legislatore Cristo Gesù. A secondare i suoi divini comandi, i suoi amorevoli avvisi, diretti a preservarci da tanto male, io passo ancor più a dimostrarvi quanto sono fallaci, quanto sono ingiusti i giudizi degli uomini che temerari ardiscono erigersi in giudici degli altri uomini. La grazia di Dio e la vostra attenzione, o signori, renda profittevole la presente spiegazione.

I . “Mendaces Jilii hominum in stateris”. Bugiardi, dice il re Profeta, sono i figliuoli degli uomini nelle loro bilance. Queste bilance sono i giudizi che l’uomo fa dei suoi simili. Chi adopra queste bilance non è per l’ordinario la giustizia e la ragione, ma o un genio naturale o una viziosa passione. Il genio è un cristallo che fa vedere tutti gli oggetti tinti dello stesso colore. La passione è un peso che prepondera ad ogni buon senso, è un fumo che offusca la mente, è una benda che toglie la vista. Agli occhi di Gionata David, perché amico, è un oggetto di amore, agli occhi di Saul, perché lo teme suo successore nel regno, è un oggetto d’invidia e d’odio mortale. Giuditta,, che tutta spirante pompa e bellezza si porta al campo Assiro, desta in Ozia principe di Betulia stima, ammirazione e rispetto: eccita per l’opposto in Oloferne pensieri e sentimenti oltraggiosi alla di lei onestà. Tanto è vero che la disposizione dell’animo è la molla che agisce sui nostri concetti, e dà movimento ed impulso ai nostri giudizi. Ond’è che dall’altrui genio, e dall’altrui passione dipende il giudizio che si forma in noi. Ex alienis affectibus iudicainur (D. Anton. Ep.). Così la ragion persuade, così mostra l’esperienza. Guidato dunque da queste scorte ingannevoli, non può essere se non fallace il giudizio degli uomini. – Fallaci sono altresì gli umani giudizi, perché per lo più fondati sull’apparenza; perciò Gesù ci proibisce il giudicare secondo l’esteriore aspetto delle cose che si appresentano al nostro sguardo o alla nostra mente, “nolite judicare secundum faciem” (Jo. VII, 24). Chi avesse veduto il giovane Giuseppe fuggir dalla stanza della sua padrona, che col di lui mantello fra le mani gridava forte, tacciandolo di tentatore, l’avrebbe creduto colpevole, e si sarebbe ingannato. Chi avesse veduto Abramo alzar la spada in atto di uccidere l’innocente suo figlio, “padre crudele” avrebbe gridato tra sdegno e pietà, padre crudele! … e si sarebbe ingannato. E non si ingannò Eli credendo Anna, madre del Profeta Samuele ebbra, agitata dal vino, perché pregava con affannoso trasporto e straordinario fervore? E non s’ingannarono gl’isolani di Malta nel riputare S. Paolo uomo malvagio, perseguitato dall’ira di Dio in terra ed in mare, perché appena salvato dal naufragio lo videro morsicato da vipera velenosa? L’apparenza dunque non è regola di buon giudizio, ella anzi è la via dell’inganno. Lo disse anche un gentile, decipimur specie recti (Horat.). – Se dunque, io dico a voi, l’apparenza è un’ingannatrice, se non vorreste che altri formassero giudizio di voi dalla sola apparenza perché vi fate lecito per leggieri indizi dar corpo all’ombre, ammettere dubbi, fomentar sospetti, precipitar giudizi? Perché un saluto di convenienza, un sorriso d’urbanità stimarlo un segno di turpe amicizia? Perché la nuova veste di quella figlia che sarà frutto dei suoi lavori, o risparmio del suo sostentamento, la credete regalo di qualche seduttore ? Perché la pallidezza di quell’altra v’ingerisce sospetti ingiuriosi alla sua onestà? Perché coloro che coll’industria e col sudore si avanzano in acquisti ed in possessi, li giudicate ladri od usurai? Se non fate senno, se non cangiate costume, arriverà a voi ciò che si legge dei Moabiti. Il sole appena alzato all’orizzonte con i rossicci vapori coloriva l’acque stagnanti nel campo dei collegati col re d’Israele. Quel rosseggiante riverbero lo credettero sangue uscito dalle ferite dei loro nemici trucidati tra di loro; perciò ingannati si avvicinano al campo per rapirne le spoglie. Si avvidero dell’errore, ma troppo tardi, onde restarono vittime del proprio inganno, e pagarono col sangue vero un sangue apparente. Giudici per mere apparenze, i vostri giudizi sanguinosi dell’onore, della condotta, della fama dei vostri fratelli ricadranno sopra di voi. Giudicate? Sarete giudicati. Condannate? sarete condannati!

II. Né solamente sono fallaci gli umani giudizi perché basati sull’apparenza, ma ingiusti, perché mancanti d’autorità. Chi siete voi, v’interroga l’apostolo, che vi arrogate l’autorità di giudicare il vostro fratello? “Tu quis es, qui judicas fratrem tuum?” (Ad. Rom. XIV). Siete voi superiori, maestri, padri di famiglia? Se tali siete, dovete credere che quei vostri figli, quei vostri discepoli sieno morigerati, che vostra figlia sia cauta, sia costumata; ma per regola di buon governo invigilate sui loro andamenti, indagando, informandovi, con chi trattano, con chi si accompagnano, non vi fidate, temete, il cuor sempre vi batta su la loro condotta. Fuor di questo grado di superiorità, che vi autorizza ad ammetter dubbi e ragionevoli sospetti per impedire il male de’ vostri sudditi, non vi è permesso formar giudizi dei vostri eguali. A Dio soltanto supremo padrone delle sue creature, a Dio scrutatore dei cuori, cui nulla può esser celato, a Dio appartiene il giudicare di noi. Io, dic’Egli, sono il giudice e il testimonio di tutte le vostre azioni. “Ego sum iudex et testis, dicit Dominus(Sem. XXIX, 23). Ella è dunque un intollerabile temerità che l’uomo si usurpi quel che a Dio solo compete. – Ingiusti sono altresì i nostri giudizi, perché formati senza cognizione di causa. Sapeva il sommo Iddio il peccato de’ nostri progenitori, ciò non di meno per nostra istruzione istituisce una forma di giudizio. Chiama a sé Adamo, interroga Eva, domanda il perché hanno trasgredito il suo precetto. Più: l’infame delitto di Sodoma, oltre la scandalosa pubblicità nei suoi contorni, era, secondo l’espressione del sacro Testo, salito fino al cielo a provocare la divina vendetta; pure, prima di venire alla condanna udite come Dio parlò: “discenderò dall’alto: ed in persona mi porterò sul luogo a vedere e a riconoscere di presenza il corpo di quel nefando misfatto. “Descendam, et videbo utrum clamorem, qui venit ad me, opere compleverint(Gen. XVIII, 21). Aveva forse bisogno il Signore di una informazione locale a foggia umana? Tutto ciò sta così espresso per dare a noi lezione ed avviso; a noi che al primo indizio, ad una semplice ombra, subito fabbrichiamo sospetti e giudizi sul dorso dei nostri prossimi, e con tutta franchezza si taglia, si decide, si pronunzia prepotente quel ricco, usuraio quel mercante, sedotta quella figlia, infedele quella maritata, ipocrita quel divoto, ingiusto quel giudice, bugiardo quel povero uomo, strega quella povera vecchia. – Eh mio Dio! Sapete donde derivano siffatti giudizi che uccidono la carità e la giustizia? Dal cuore hanno la loro sorgente, e partono dal cuore, de corde exeunt, dice Gesù Cristo, “de corde exeunt cogitationes malæ( Matt. XV, 19). Un cuor maligno, un cuore infetto manda queste nere esalazioni alla mente, e i mali pensieri si accordano colle cattive affezioni del cuore. Datemi un cuor retto, in un cuor retto abita la carità, e la carità non ammette pensieri malvagi, “charitas non cogitat malum(1 Ad Cor., XIII). Retto, rettissimo era il cuore di S. Giuseppe, e benché avesse sott’occhio la pregnezza della sua sposa, ben lontano dal concepirne sinistra idea, l’ammirava come uno specchio della più illibata onestà, e voleva ritirarsi per lasciarne a Dio il pensiero. Retto era il cuore di Valentiniano imperatore, che al riferir di S. Ambrogio, non sapeva pensar male de’ suoi sudditi, tuttoché delinquenti. Se giovani attribuiva la colpa all’ardor del sangue in quell’inesperta età, se vecchi, alla debolezza della mente, se poveri, alla necessità e alla miseria, se ricchi, alla forza della tentazione. In somma separava sempre l’intenzione dall’azion cattiva, e voleva più tosto ingannarsi col pensar bene, che far violenza al suo cuore pensando male. Così è un cuor ben fatto, un cuor innocente sarà la vittima dell’altrui malizia, piuttosto che pensar male dell’altrui condotta. – Tutto l’opposto per chi ha in seno un cuor mal affetto: per la rea sua disposizione vede colla fantasia quel che non si presenta alla vista, tutto interpreta in senso obliquo, studia, macchina sull’altrui conto, esamina, critica parole, azioni, costumi senza eccezion di persone, cerca il nodo nel giunco, e trova il suo gusto in pascersi di dubbi immaginari, idee chimeriche, d’aerei supposti, di temerari sospetti, di sinistri giudizi . Che occupazione pessima è questa mai! Quanto di danno all’anima, quanto d’ingiuria al prossimo, quanto di offesa a Dio! – Miei dilettissimi questi disordini son troppo contrari alla virtù non solo e alla divina legge, ma alla ragione pur anche ed al buon senso. Volete evitarli? Togliete dall’occhio vostro la trave, togliete cioè dal vostro animo la passione, la malignità, l’avversione, l’invidia che fan vedere negli occhi altrui le festuche, e le fan comparire legnami da fabbriche. Non giudicate dall’apparenza. La Maddalena appariva a Simone il lebbroso tuttavia peccatrice, ed era già giustificata e santa. Non giudicate sugli altrui rapporti quasi sempre falsi e calunniosi. Per questi la casta Susanna, creduta colpevole, fu prossima ad essere lapidata, se Dio pel profeta Daniele non avesse difesa la sua innocenza. Non giudicate in modo veruno, perché ignorando l’intenzione dell’operante, non potete avere cognizione di causa, né pur la Chiesa dell’interno. Non giudicate perché non avete autorità; a Dio solo spetta il giudizio, e non a voi. Il giudizio che farete del vostro prossimo formerà il processo del giudizio vostro al tribunale di Cristo giudice. La stessa misura che adopererete per gli altri, sarà quella con cui sarete voi misurati. “Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remitietur vobis”. Non giudicate, miei cari, e non sarete giudicati, “nolite iudicare et non iudicabimini”: non condannate, e non sarete condannati, “nolite condemnare, et non condemnabimini

Offertorium V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus – Intende voci orationis meæ, Rex meus; quotiamo ad te orabo, Domine. [Ascolta la voce della mia preghiera, o mio Re e mio Dio, perché a Te io rivolgo la mia supplica, o Signore.]

Secreta
Hostias nostras, quæsumus, Domine, tibi dicatas placatus assume:et ad perpetuum nobis tribue prevenire sunsidium. Per …[Accetta rappacificato, o Signore, questo sacrificio a Te consacrato e concedi divenga che per noi un aiuto indefettibile. Per nostro Signore.]

 

Communio

Sal. IX; 2,3 Narrabo omnia mirabilia tua: lætabor et exsultabo in te: psallam nomini tuo, Altissime.[Racconterò tutte le tue meraviglie, gioirò ed esulterò in Te ; inneggerò al tuo nome, o Altissimo.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus.

Tantis, Domine, repleti muneribus; præsta, quæsumus; ut et salutaria dona capiamus, et a tua numquam laude cessemus, per.. [Tu, o Signore, ci hai ricolmati di inestimabili favori, fa’ che ne traiamo frutti di salvezza e mai desistiamo dal lodarti. Per nostro Signore.]

 

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITA’

[J.-J. Gaume: “Catechismo di Perseveranza”- Torino, 1881]

Trinità! Di tutte le feste religiose ecco la più antica, sebbene in un certo senso sia essa una delle più nuove. Nel creare il mondo, Dio si è edificato un tempio, e nel formare i secoli Ei si è consacrato una festa; perché il « Signore ha fatto tutte le cose per sé medesimo». La creatura non può non appartenere al suo Creatore e non essere consacrata alla gloria di Lui. Ora Dio in tre Persone è il Creatore di tutti gli enti e di tutti i tempi. È dunque vero che tutte le religioni non hanno potuto avere in sostanza altro scopo tranne il culto del Creatore dell’universo, e per conseguenza del Dio, in tre Persone, che è questo Creatore. La consacrazione del mondo e del tempo alla gloria dell’augusta Trinità era stata violata, profanata dal Paganesimo. Restauratore universale, Gesù Cristo venne sulla terra per rimediare a tutti gli effetti del male e per richiamare tutte le cose alla loro istituzione primitiva alla gloria dell’augusta Trinità.

Le creature intelligenti. Infatti il Verbo fatto carne ordinò che tutti i popoli fossero rigenerati in nome della Trinità; « Andate, ammaestrate, battezzate tutte le nazioni in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo ». Da questo momento la Chiesa Cattolica non ha cessato di battezzare in nome delle tre auguste Persone. – E quante volte dalla cuna alla tomba ella fa sopra di noi il segno adorabile della Trinità! Siamo noi rigenerati nelle acque del Battesimo? Ciò avviene in nome dell’adorabile Trinità. Siamo noi fortificati dalla grazia della Confermazione? Ciò è pure in nome della santa Trinità. Ci sono cancellati i nostri peccati nel Sacramento della penitenza? Ed è questo parimente in nome dell’adorabile Trinità. Ci sono dati per cibo il corpo e il sangue del Salvatore? Ciò accade col segno della Trinità. Il malato è egli fortificato dall’olio santo, è egli consacrato il sacerdote, sono eglino uniti i coniugi? Ciò si fa sempre in nome dell’augusta Trinità. Se noi riceviamo le benedizioni dei Pastori e dei Pontefici, se incominciamo gli uffizi santi, se la Chiesa rivolge preghiere all’Altissimo, ciò si fa sempre invocando le tre persone dell’adorabile Trinità. Se ella intona cantici di allegrezza, se pronunzia inni di mestizia, essa li finisce sempre con render grazie al Padre, al Figliuolo e allo Spirito Santo. Questo per le creature intelligenti.

Le creature irragionevoli. Anche tutte le creature prive di ragione sono santificate in nome della santa Trinità. Da una estremità all’altra dell’universo cattolico voi vedete il segno della croce consacrare l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra, il sale, la pietra, il legno, il ferro, i lini, tutto, tutto ciò che la Chiesa vuol purificare e sceverare dalla massa comune; e il segno della croce richiama tutte queste cose alla primitiva loro santità e le libera dai maligni influssi del demonio, con imprimer loro di nuovo il suggello dell’augusta Trinità. Ah! quanti profondi misteri sono nel segno della croce, di cui la sola Chiesa cattolica ha sempre mantenuto l’uso frequente! – In essa si racchiude tutta la storia del mondo, la di cui creazione in uno stato di santità, la di lui profanazione per mezzo del male, la di lui riabilitazione per mezzo di Gesù Cristo e della santa Trinità. Questo per le creature prive di ragione.

Il tempo. Per mezzo del Battesimo gli uomini diventano i figli, i loro corpi il tempio; il loro spirito il sacerdote della Trinità, e la loro vita intera ne è la festa. Ora la successione di tutte le vite individuali col formare la vita del genere umano, compone la durata ossia il tempo. Dunque per mezzo del Battesimo dell’uomo, il tempo si trova già in un senso consacrato alla gloria della santa Trinità; perciò tutti i nostri pensieri, parole, azioni debbono riferirsi alla gloria delle tre Persone auguste, e formare inno continuo a loro lode. Ma esso gli appartiene in senso anche più diretto, perché la Chiesa Cattolica consacra alla santa Trinità tutti gli istanti della durata, non vi è infatti giorno dell’anno, nè ora del giorno in cui ella non renda testimonianza in ogni sua preghiera alla Trinità. Essa ha persino prescritta una formula d’omaggio, chiamata Dossologia, per onorare ad ogni momento e celebrare distintamente le adorabili Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; formula sacra con che finisce regolarmente i suoi salmi, i suoi responsori e i suoi inni. – Che diremo delle sue feste? Osservate con quale sfoggio le nostre solennità, la cui successione costituisce la durata del tempo, dimostrano questa verità, essere cioè la Triade augusta lo scopo di tutto il culto cattolico. Potrebbe mai questo avere un più nobile oggetto? Così le feste dei santi e dell’augusta Maria si riferiscono a Gesù Cristo di cui tutti i beati sono i membri; e noi gli onoriamo a riguardo di Gesù Cristo. Egualmente a riguardo della divina Trinità noi veneriamo Gesù Cristo medesimo, che vi è essenzialmente unito, o a meglio dire è uno in sostanza col Padre e con lo Spirito Santo. Le Persone divine sono inseparabili le une dalle altre, anche nelle nostre devozioni e nel nostro culto. – E per rischiarare questa sublime dottrina con qualche esempio: se noi veneriamo Gesù Cristo che s’incarna nel seno di Maria, noi vediamo tosti il Padre e lo Spirito Santo che concorrono al compimento di questo mistero. Se veneriamo Gesù Cristo soffrente, noi vediamo ben tosto il Padre che Lo abbandona alla morte e lo Spirito Santo che, come un fuoco divino, consuma quella vittima innocente. Se veneriamo Gesù Cristo risorto, noi vediamo il Padre che Lo resuscita e lo Spirito Santo che Lo fa entrare una vita nuova Se veneriamo Gesù Cristo che sale al cielo, noi vediamo il Padre nella gloria del quale Ei si riposa, e lo Spirito Santo che Egli invia. In fine se veneriamo Gesù Cristo che si rinchiude e si fa adorare nell’Eucarestia, noi non vediamo altro in Lui che una vittima che non può onorarsi, se non unendosi a lei e con lei immolandosi al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. – Che cos’altro abbisogna per farvi comprendere, non essere nella religione cristiana veruna festa che non sia veramente festa della Trinità, poiché tutte le altre non sono che mezzi per onorare la medesima e come gradini per innalzarci a lei, come al vero ed unico termine del nostro culto?

Festa particolare della Trinità. — Avvenne pertanto che quando si trattò di istituire una festa particolare della santa Trinità, per appagare la devozione di quelli che la sollecitavano, grandi dottori e grandi santi fecero udire i proprii reclami. Tutte le feste dell’anno, dicevano essi, non erano che frazioni della festa generale e perpetua della Trinità: essere quindi superfluo instituirne una speciale e soggetta all’annua rivoluzione delle altre. Non era forse da temere che una festa particolare conducesse all’oblio di quella festa generale e perpetua che deve occupare incessantemente la mente e il cuore dei cristiani? Non era ciò forse un voler limitare quello che non ammette limiti, e ridurre il medesimo Dio alla condizione dei Santi, cioè delle sue proprie creature con lo stabilirgli una festa a parte? Non era ciò forse un ignorare che non vi ha né feste, né templi, né altari che non appartengano unicamente alla santa Trinità? Per tutti questi motivi la Chiesa romana, operando con quella prudenza consumata che la contrassegna, stette fungo tempo senza ammettere la festa speciale della santa Trinità. Il Pontefice Alessandro III, che occupava la santa Sede verso la metà del duodecimo secolo, scriveva: « La festa della Trinità è diversamente osservata in diverse Chiese; ma la Chiesa romana non ha festa speciale della Trinità, perché ella la venera ogni giorno e ogni ora del giorno, poiché tutti i suoi uffici contengono le lodi e terminano con gloria alla Trinità ». Tuttavia poiché la Chiesa della città eterna, la madre e maestra di tutte le altre non biasimava la festa speciale della Trinità, quelle sue figlie che l’avevano introdotta continuarono a celebrarla. Si crede che sia ella stata istituita nel nono secolo da alcuni vescovi, che non la progettarono in principio, se non per dare un nuovo alimento alla devozione dei loro popoli. In questa intenzione Stefano vescovo di Liegi ne fece comporre un uffizio verso l’anno 920. Alcune Chiese vicine l’ammisero, e la festa della santa Trinità, si diffuse di luogo in luogo, tanto che l’abate Ruperto che viveva a principio del dodicesimo secolo, ne parla come di una festa adottata a tempo suo, e impiega un intero libro per, spiegarne il mistero [Lib. II, div offic.]. La celebrazione, lasciata fino allora alla devozione delle chiese particolari, fu fissata alla domenica nell’ottava di Pentecoste, presso a poco nel decimoterzo secolo. Fu volentieri destinata quella domenica per due motivi. Il primo, perché essa era vacante, cioè non aveva uffizio proprio. Infatti l’ordinazione che si faceva il sabato precedente, non cominciava che dopo l’uffizio del vespro, e durava molto spazio della notte, specialmente quando vi erano molti chierici da ordinare. Spesso anche veniva prolungata l’ordinazione fino al far del giorno, perché sembrasse fatta nella domenica stessa, e perché la domenica potesse aver qualche specie di uffizio che la impedisse a rimaner vacante. Ma siccome le persone devote domandavano un sacrificio per quel giorno, vi fu collocato l’uffizio e la festa della santa Trinità. L’altro motivo per cui fu posta nell’ottavario della Pentecoste si è per rammentare ai fedeli che la Trinità è la fine e la consumazione di tutte le feste e misteri medesimi di Gesù Cristo [Tomass., lib. II, Delle feste, etc.]. Finalmente la Chiesa romana vedendo che la festa particolare della Trinità nulla toglieva alla festa generale e perpetua delle tre Persone adorabili, si decise ella medesima ad adottarla, ma ciò non fu che nel decimoquarto secolo sotto il Pontificato di Giovanni XII. Questo Papa la decretò irrevocabilmente alla domenica dopo la Pentecoste, e ne fece sostituire l’uffizio a quello dell’ottava che allora si terminò il sabato dei quattro tempi a nona. La Chiesa non assegna alla festa particolare della santa Trinità che un posto secondario tra le feste dell’anno, forse per nuocere alla festa generale, e per mostrare l’impotenza in cui siamo di celebrare degnamente quest’augusto mistero. Esso è talmente al di sopra dei nostri pensieri, che il capitolo generale dei religiosi cisterciensi dell’anno 1230, sebbene ordinasse che la festa della Trinità fosse generale in tutte le case del loro ordine, proibì la predica a cagione della difficoltà del soggetto.

III. Influenza del ministero della augustissima Trinità. — Tuttavia, comunque incomprensibile sia il mistero della Trinità, esso non è né impugnabile né ineficace per la regola dei nostri costumi. Simile al sole che l’occhio non può fissare, ma la cui luce ci abbaglia e la cui esistenza visibile, il domma della Santa Trinità ci presenta da ogni lato dei segni evidenti della propria esistenza. Senza parlare qui della menzione che ricorre spesso nella Scrittura, né delle numerose figure sotto le quali Dio lo fece travedere agli antichi, noi vediamo intorno a noi, portiamo in noi stessi delle immagini di questo mistero. Il sole, a cagion d’esempio, vi appresta la luce, i raggi e i1 calore; queste tre cose sono distinte e tuttavia sono la sostanza medesima, e antiche al pari del sole. Creato a similitudine di Dio, l’uomo ei pure porta in se stesso l’immagine della santa Trinità. L’anima nostra possiede tre facoltà distinte, la memoria, l’intelletto e la volontà; tuttavia queste tre facoltà appartengono alla stessa sostanza ed ebbero esistenza con lei. – Abbiamo pur detto che il mistero della santa Trinità non si deve guardar qui qual soggetto sterile per la regola della nostra vita. O uomini, intendetelo quanto questo domma vi nobiliti. Creati a similitudine dell’augusta Trinità, voi dovete formarvi su di Lei modello, ed è questo un dovere sacro per voi. Voi adorate una Trinità il cui carattere essenziale è la santità, e non vi è santità si eminente, alla quale voi non possiate giungere per la grazia dello Spirito santificatore, amore sostanziale del Padre e. del Figlio. Per adorare degnamente l’augusta Trinità voi dovete dunque, per quanto è possibile a deboli creature umane, esser santi al pari di Lei. Dio è santo in sé stesso, vale a dire che non è in Lui né peccato, né ombra di peccato; siate santi in voi stessi. Dio è santo nelle sue creature: vale a dire che a tutto imprime il suggello della propria santità, né tollera in veruna il male o il peccato, che perseguita con zelo immanchevole, a vicenda severo e dolce, sempre però in modo paterno. Noi dunque dobbiamo essere santi nelle opere nostre e santi nelle persone altrui evitando cioè di scandalizzare i nostri fratelli, sforzandoci pel contrario a preservarli o liberarli dal peccato. – Siate santi, egli dice, perché Io sono santo [Lev. XI, 44]. E altrove: Siate perfetti come il Padre celeste è perfetto; fate del bene a tutti, come ne fa a tutti Egli stesso, facendo che il sole splenda sopra i buoni e i malvagi, e facendo che la pioggia cada sul campo del giusto, come su quello del peccatore [Matt. V, 48]. – Modello di santità, cioè dei nostri doveri verso Dio, L’augusta Trinità è anche il modello della nostra carità, cioè dei nostri doveri verso i nostri fratelli. Noi dobbiamo amarci gli uni gli altri come si amano le tre Persone divine. Gesù Cristo medesimo ce lo comanda, e questa mirabile unione fu lo scopo degli ultimi voti che Ei rivolse al Padre suo, dopo l’istituzione della santa Eucarestia. Egli chiede che siamo uno tra noi, come Egli stesso è uno col Padre suo. A questa santa unione, frutto della grazia, Ei vuole che sia riconosciuto suo Padre che lo ha inviato sopra la terra, e che si distinguono quelli che Gli appartengono. Siano essi uno, Egli prega, affinché il mondo sappia che Tu mi hai inviato. Si conoscerà che voi siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri [Giov. XVI]. « Che cosa domandate da noi, divino Maestro, esclama sant’Agostino, se non che siamo perfettamente uniti di cuore e di volontà? Voi volete che diveniamo per grazia e per imitazione ciò che le tre Persone divine sono per la necessità dell’esser loro, e che come tutto è comune tra esse, così la carità del Cristianesimo ci spogli di ogni interesse personale ». – Come esprimere l’efficacia onnipotente di questo mistero? In virtù di esso, in mezzo alla società pagana, società di odio e di egoismo si videro i primi cristiani con gli occhi fissi sopra questo divino esemplare non formare che un cuore ed un’anima, e si udirono i pagani stupefatti esclamare: « Vedete come i cristiani si amano, come son pronti a morire gli uni per gli altri! » Se scorre tuttavia qualche goccia di sangue cristiano per le nostre vene, imitiamo gli avi nostri, siamo uniti per mezzo della carità, abbiamo una medesima fede, uno stesso battesimo, un medesimo Padre [Ephes. IV]. 1 nostri cuori, le nostre sostanze siano comuni per la carità: e in tal guisa la santa società, che abbiamo con Dio e in Dio con i nostri fratelli, si perfezionerà sulla terra fino a che venga a consumarsi in cielo. – Noi troviamo nella santa Trinità anche il modello dei nostri doveri verso noi stessi. Tutti questi doveri hanno per scopo di ristabilire fra noi l’ordine distrutto dal peccato con sottomettere la carne allo spirito e lo spirito a Dio; in altri termini, di far rivivere in noi l’armonia e la santità che caratterizzano le tre auguste Persone, e ciascuno di noi deve dire a se stesso: Io sono l’immagine di un Dio tre volte santo! Chi dunque sarà più nobile di me! Qual rispetto debbo io aver per me stesso! Qual timore di sfigurare in me o in altri questa immagine augusta! Qual premura a ripararla, a perfezionarla ognor più! Sì, questa sola parola, io sono l’immagine di Dio, ha inspirato maggiori virtù, impedito maggiori delitti, che non tutte le pompose massime dei filosofi. Osservate Francesco Saverio. Come è sublime quella parola ch’ei ripeteva ad ogni momento: Oh! santissima Trinità! Oh! Santissima Trinità! Per più di dieci anni le regioni dell’Oriente risuonarono di questa parola misteriosa, che era come il grido di guerra del san Paolo dei tempi moderni. Per animarsi alla lotta gigantesca ch’egli aveva intrapresa contro il paganesimo Indiano, Francesco Saverio considerava l’immagine augusta della santa Trinità sfigurata in tanti milioni di uomini, e la sua bocca pronunziava questa esclamazione: Oh! santissima Trinità! Allora un fuoco divino s’impossessava di lui, il suo petto si gonfiava, le lacrime scorrevano dai suoi occhi scintillanti, e con la rapidità del lampo ei si scagliava verso mondi sconosciuti, e rovesciava gl’idoli, e seminava i prodigi; e sopra migliaia di fronti faceva scorrere l’acqua rigeneratrice, e ristabiliva l’immagine sfigurata della santa Trinità, e né la morte, né la fame, né la sete, né gli uomini, né l’inferno potevano arrestare o intepidire il suo zelo nel riparare l’immagine alterata delle tre auguste Persone. Oh! santissima Trinità! – Che diremo noi dei sentimenti di riconoscenza che la contemplazione di questo gran mistero ci sveglia nel cuore? Il Padre che ci ha creati, il Figlio che ci ha redenti, lo Spirito Santo che ci ha santificati; conoscete voi cosa alcuna più idonea a sublimare i nostri affetti, a purificarli, e a dare vera dignità a tutta la nostra condotta? Oh! nazioni moderne, al mistero dell’augusta Trinità voi andate debitrici di non esser più prostrate ai piedi degl’idoli! Osereste voi dire, che non le siete debitrici di cosa alcuna?

Mezzi di celebrare degnamente la festa della Trinità. — Quanto a noi cristiani, veneriamo la santa Trinità con tutti gli omaggi di cui siamo capaci; recitiamo spesso la bella preghiera: Gloria al Padre e Figlio e allo Spiriti Santo, com’era al principio, ora e nei secoli dei secoli. [Questa preghiera è di tradizione apostolica. Bened. XIV] Formare società fra tre Persone, e recitare ogni giorno, o insieme o separatamente, la mattina, a mezzo giorno e la sera, sette Gloria Patri con una sola Ave Maria in onore della santa Trinità, è una devozione autorizzata dalla Chiesa ed arricchita di grandi indulgenze, tra le quali una plenaria da acquistarsi in due domeniche d’ogni mese [Raccolta di Indulgenze. Roma 1841, pag. 5]. Oltre di che è questo un mezzo eccellente di riparazione alle bestemmie degli empi. Celebriamo con fervore speciale la festa che la Chiesa ha consacrato alle tre adorabili Persone; ma rammentiamoci che la nostra vita intera deve essere una festa continua ad onore loro. Adoriamo nel silenzio del nosro nulla questo sto incomprensibile mistero; imitiamo con la nostra carità e santità le tre Persone divine, rimanendo penetrati di riconoscenza per i beni di cui siamo loro debitori. Rinnoviamo in questo giorno le promesse fatte nel nostro battesimo: eccitiamoci allo zelo per la nostra perfezione e per la nostra santificazione prossimo. Così noi ci conformeremo allo spirito della Chiesa, così adempiremo al dovere d’una creatura verso il Creatore, così conserveremo in noi l’immagine augusta della santa Trinità.

Preghiera

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio che ci abbiate rivelato il mistero della Santissima Trinità; penetrateci di riconoscenza pel Padre che ci ha creati, pel Figlio che ci ha redenti e per lo Spirito Santo che ci ha santificati. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso, per amor di Dio per amor di Dio, ed in prova di questo amore io domanderò spesso a me stesso: di chi sono io l’immagine?