IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (4)

CAPITOLO VII

TERZA EPOCA.

Siffatto ordine, cosi perfettamente logico agli occhi della ragione e della fede, ebbe la disgrazia di spiacere alle persone, che, sapendolo o senza saperlo, ricondussero il paganesimo in Europa ed inaugurarono la terza epoca della nostra pubblica educazione. Ecco in brevi accenti la storia di sì inaudito rivolgimento, del quale noi proviamo anche ai dì nostri le conseguenze perniciose. Costantinopoli era caduta sotto i colpi di Maometto II: ciò fu nel 1453. Tristi reliquie d’una nazione dispersa ai quattro venti per aver tradito la fede dei suoi padri, i Greci fuggiaschi giungono in Occidente. Nel loro fardello gli esuli recan seco le opere dei filosofi, dei poeti, degli oratori, degli artisti pagani, di cui eglino sono ammiratori pazzi. Accolti dai Medici, i Greci pagano la gentile accoglienza ricevuta spiegando le opere dei loro antichi concittadini ed esaltando la gloria di quanto fu inspirato dal genio pagano. A sentirli, l’Europa non conobbe insino allora la letteratura, l’eloquenza, la filosofia, la poesia, le belle arti. « Barbaro, istruisciti: non cercar più i tuoi modelli né le tue ispirazioni nei tuoi pretesi grandi uomini, nei tuoi annali, nella tua religione. Roma pagana, la Grecia pagana soprattutto possono sole offerirli, in tutti i generi, capi d’opera degni delle tue meditazioni. Colà fuvvi il monopolio dell’ingegno, del sapere e dell’eloquenza; colà vissero gli uomini che tu devi imitare, ma che tu non eguaglierai mai. Fia tua gloria l’appressarti loro; non ti lusingare di andare più lungi: essi posero le colonne d’Ercole dell’umano sapere ». Ecco quanto si disse su tutti i tuoni dai nuovi maestri. Occultamente rosa dallo spirito di ribellione, triste frutto del grande scisma d’Occidente, l’Europa presta attento orecchio a questi discorsi: essa vi ravvisa un biasimo, un’ingiuria per il Cattolicesimo. Con tutto l’ardore d’un astio a lungo compresso, essa afferra l’occasione d’infrangere l’autorità letteraria di quello, aspettando di poter infrangere apertamente la sua autorità religiosa. Un eco immenso risponde alla seducente voce dei novelli dottori. Non si hanno più innanzi gli occhi se non i pagani di Roma e d’Atene; si divorano le loro opere, si esaltano alle nubi; non si conoscono più per l’umanità se non due secoli di luce, quello d’Augusto e quello di Pericle: tutti gli altri sono ascosi dal Carlo Dupin di allora sotto larghe zone di nero inchiostro. Nulla è bello, nulla è tollerabile nelle diverse forme dell’umano pensiero, nel linguaggio, nella poesia, nell’eloquenza, nella pittura, nella scultura, nell’architettura, tranne quanto reca il suggello del paganesimo. Gli uomini arrossano di non lo avere saputo più presto: se ne fa ammenda onorevole ingegnandosi di modellarsi sull’antichità. – Tanto per risparmiare all’infanzia una tale fatica quanto per assicurare il buon esito del felice Rinascimento, si prepara frettolosamente uno stampo perfettamente pagano, e vi si gettano le giovani generazioni. – Via i classici cristiani, via gli Atti dei martiri, le Scritture, i Padri della Chiesa che avevano formato i loro avi! La storia degli Dei dell’Olimpo, le favole di Fedro e di Esopo, Quinto Curzio, Ovidio, Virgilio, Orazio, Omero, Senofonte, Demostene, Cicerone, Aristofane; ecco oramai i soli modelli della gioventù cristiana, dei figliuoli dei cavalieri e dei martiri: « Stupiranno gli avvenire, dice un grave protestante dei nostri giorni, di sapere che una società la quale si diceva cristiana dedicò i sette od otto più begli anni della gioventù dei suoi figliuoli all’esclusivo studio dei pagani « Eppure è così. Sì, egli è un fatto che nell’età di cui parliamo vi fu una totale rottura della tradizionale catena dell’insegnamento, una esorbitante deviazione nel processo dello spirito umano; in una parola, un radicale cambiamento nella educazione della gioventù. Si ebbe un altro libro più classico ancora, e, se possibile è, più popolare delle opere stampate o manoscritte: voglio dire dell’arie in generale. Esclusivamente consacrata alla religione, l’Arte spiegava agli occhi dei dotti e degli ignoranti gli Atti dei martiri, i fatti della Scrittura e le storie de’santi: le pagine sì variate, sì intelligibili di questo nuovo libro si trovavano dovunque, nelle chiese e perfino nel focolare della capanna la più umile. Tale era il secondo libro classico, il secondo stampo cristiano delle giovani generazioni. – Ora, quanto si era fatto per la letteratura, si affrettarono a fare per le arti. Al tipo cristiano succede un tipo perfettamente pagano, e vi si riconduce la gioventù. Via tutte le glorie artistiche delle età di fede! Via i magnifici monumenti d’architettura, di pittura, di oreficeria, di cui l’Europa è coperta. I templi mutilati della Grecia e dell’Italia, le statue, i vasi, i resti di colonna, gli archi di trionfo, gli edifici per metà rovinati del paganesimo, gli affreschi dei suoi palazzi, le nudità delle sue ville e delle sue terme: ecco pel pittore, per lo scultore, per l’architetto, pel disegnatore, per l’orefice i veri libri classici ed il tipo esclusivo del bello. Qui, come per la letteratura, l’entusiasmo fu spinto sino al delirio: esso diventò una epidemia che invase l’intera Europa. – Voi avete veduto in qual modo fu rotto lo stampo in cui l’Europa era stata raffazzonata durante quindici secoli, e donde era uscita sì eroica, sì cavalleresca, sì forte, sì grande in ogni modo, in una parola, sì cristiana. Io vi rammemoro ora la vostra prima obbiezione e vi chiedo: Vi sembro io ancora troppo assoluto? Il cambiamento di stampo è egli stato meno assoluto di quanto io avevo detto? Raccogliete la vostra memoria e paragonate. Durante le due prime età, i classici, cioè i libri e le arti insieme, presentate come modelli all’infanzia, sono esclusivamente cristiane. Durante la terza età, sono esclusivamente pagane. Durante le due prime età, i classici propriamente detti sono: gli Atti dei martiri, la Sacra Scrittura, i Padri della Chiesa; gli autori pagani non sono studiati se non di seconda mano, e solo nell’adolescenza. Durante la terza età, i libri classici propriamente detti, sono: le Storie degli Dei del paganesimo, le favole del paganesimo, i libri dei grandi uomini del paganesimo; essi sono studiati principalmente, esclusivamente, e questo sin dalla prima infanzia. – Durante le due prime epoche, i giovinetti rimangono a lungo in seno alla loro famiglia, in cui sono potentemente nutriti del puro latte delle verità cristiane; ei non entrano nelle scuole se non per ricevere un alimento più sostanzioso, ma non meno cristiano. Durante la terza epoca, i fanciulli abbandonano di buon’ora il focolare domestico, in cui hanno già ricevuto un nutrimento metà cristiano, metà pagano: poscia entrano nelle pubbliche scuole, ove non trovano più se non un cibo esclusivamente pagano. Nelle due prime epoche i pagani non sono studiati se non con un’intenzione religiosa, e non già quali modelli di pensare, di sentire e di parlare. Nella terza epoca i pagani non sono per nulla studiati con religiosa intenzione, ma sì come modelli esclusivi della perfezione nell’arte di pensare, di sentire e di parlare. La mutazione di sistema, di forma, di stampo, può ella essere più compiuta?

CAPITOLO VIII

RISPOSTA ALLA SECONDA OBBIEZIONE

TESTIMONIANZA DEGLI UOMINI.

Voi non vi considerate per sconfitto, ed aggiungete: « Ammettendo la mutazione totale da voi indicata, io trovo che voi attribuite una esagerata influenza ad una semplice forma. Ora, il Rinascimento non è insomma altro che una nuova forma, data al pensiero ». Io non disputerò con voi per sapere se il Rinascimento fu una semplice forma o qualche cosa di più. Io parto dal fatto che voi non negate punto, cioè che il Rinascimento si fu l’introduzione del paganesimo nella educazione, Ora, io sostengo che, se ciò non è guari che una semplice forma, la forma reca seco il fondo, e che non esagero per nulla l’influenza da me attribuitale. Per sostenere il mio asserto, ho due sorta di testimonianze: gli uomini ed i fatti. – Gli uomini. Accusandomi di esagerare l’influenza disastrosa del paganesimo nella educazione, sapete voi chi è che accusate? Voi accusate uomini la cui autorità non è discutibile;uomini che dalla loro probità sono esclusi da ogni sospetto; uomini che dalla loro celebrità sono resi rispettabili ed ai loro amici ed ai nemici loro; uomini, cui la loro condizione pose più che altri mai in caso di portare una testimonianza irrecusabile su fatti ch’essi osservarono a lungo,ch’essi toccarono con mano, ch’essi videro con i loro occhi, e di cui parecchi furono vittime. Ho nominato i Padri della Chiesa, i Padri dell’Europa cristiana, le guide le più illuminate delle nazioni, i principi della virtù e della sapienza. Forse che Origene non ravvisava nel paganesimo classico se non una nuova forma data al pensiero, un modo d’istruzione senza pericolo pei giovinetti cristiani? Origene, il quale, parlando degli scrittori e soprattutto dei poeti profani, non teme dire che le opere loro, anche le più celebrate, sono tazze i cui orli sono dorati e il cui fondo è pieno d’un veleno mortifero? (Homil. 2, in Hier). Felice lui stesso, se, tenendosi sempre in guardia contro le opere di cui indicava con tanta eloquenza il pericolo, saputo avesse schivare il veleno dei filosofi pagani con tanta cura con quanta quello dei poeti! Ma no; il grande Origene, ingannato dalla filosofia di Platone, si lasciò trascinare da una folla di errori che scandalizzarono la Chiesa, ed i quali lasciano ancora dubbio a molti circa la sua eterna salvezza. – Il suo commilitone nella lotta in favore del Cristianesimo nascente, l’immortale Tertulliano, avrebbe forse considerato come cosa innocente lo studio dei pagani per parte dei giovinetti cristiani, egli che con tanta verità chiama i filosofi pagani « Patriarchi degli eretici, corruttori della dottrina della Chiesa? (Apud S. Hier; ad Clesiphont.) ». – Sant’Ireneo, il sapiente apologista della religione, da lui segnata col proprio sangue, è più formale ancora. È noto il celebre motto, con cui condannando tutta quanta la filosofia pagana nella persona del suo rappresentante il più accreditato, definisce Platone « artigiano di tutte le eresie (“Doleo Platonem fuisse omnium hæsereseon condimentarium”. De hæres.) ». Ecco qui un testimonio non meno irrecusabile. Lattanzio, che aveva studiato a lungo le belle lettere, ed il quale meglio che altri conosceva il segreto influsso dei libri classici, afferma, come cosa conosciuta ai suoi dì, che la fede in nessun uomo era tanto debole quanto in coloro che erano dediti alla letteratura pagana (homines litterali minus credunt”.). Confermando il pensiero di Lattanzio, Sant’Ambrogio sorge con energia contro coloro i quali, per darsi allo studio degli autori pagani, negligono le Sacre Scritture. « Non vi è pericolo mediocre nel tralasciare la parola di Dio per quella del secolo (“Non est mediocre periculum, cum habeas tanta eloquia Dei, illis prætermissis, loqui quæ sæculi sunt”. Sermo. XXII, in Ps. CXVIII) ». Se tale era siffatto pericolo per uomini maturi d’anni, quanto grande ei non sarebbe agli occhi di sì grande Dottore per giovinetti la cui tenera anima, e senza difesa, tutte le impressioni riceve con una facilità eguale alla fedeltà con cui essa le conserva? Vi citerò io San Giovanni Grisostomo, il quale così si esprime : « Non voglio che si diano ai giovinetti, per prime lezioni, le favole della mitologia…. Cominciate con l’imprimere nell’anima loro i principi della vera sapienza: voi non guadagnerete mai tanto ad insegnar loro le scienze profane che li condurranno alla fortuna, quanto ad insegnar loro la scienza che farà ad essi disprezzar la fortuna (Homil. xxi, in epist. ad Ephes.) ». – Alcune famiglie, allontanandosi da tali regole fortunatamente rispettate dal gran numero, il Santo Dottore le avverte in questi termini: « La prima età, voi dite, è quella dell’ignoranza; sì, e non vedete voi che ciò che la rende più profonda e più pericolosa, si è l’uso che avete di darle per suoi primi libri le storie di quegli eroi antichi che le si insegna ad ammirare, sebbene fossero ingolfati in tutte le passioni? Noi raccogliamo il frutto di simile educazione, la quale tende a popolare la società d’uomini sbrigliati; senza freno e senza costumi, avvezzi a trascinarsi nel fango del vizio (In epist. ad Eph. Homil. xxi, a. 1 et 2 opp,, t. xi, p. 183.)». San Basilio è ancor più formale di San Crisostomo. Egli vuole che i giovani prendano per punto di partenza i principi cristiani, onde giudicare sanamente delle parole, degli atti e delle massime dei pagani; il che suppone evidentemente una grande cognizione della religione, anteriormente acquistata. Soggiunge che la lettura degli autori profani è supremamente pericolosa, perché essa predica il sensualismo ed insegna ad ammirare uomini virtuosi soltanto in parole.Ma la testimonianza di San Gerolamo è più esplicita e più grave di tutte quelle che avete sentite. Insieme con Sant’Agostino egli è forse il Padre della Chiesa che ha maggiormente studiato, che ha meglio conosciuto e più giustamente apprezzato le opere pagane, nonché il pernicioso influsso che esse possono esercitare. Scrivendo al Papa San Damaso, esso pure molto versato nelle lettere latine, gli cita il testo di San Paolo: Non abitate nel tempio degli idoli; poi grida: « E non sentite voi il gran Paolo che vi dice in altri termini: « Non leggete né i filosofi, né gli oratori, né i poeti pagani; non vi riposate in su lo studio delle loro opere. Non ci rassicuriamo pel motivo che non crediamo punto alle cose che leggiamo. Egli è un delitto il bere ad un tempo al calice di Gesù Cristo ed al calice dei demoni (Epist. ad Damas. De duobus filiis.) ». In altri termini, il paganesimo ed il Cristianesimo sono inconciliabili: l’uno si è il sensualismo, l’altro lo spiritualismo; l’uno predica tutto quello che l’altro condanna. Nulla esser vi può di comune tra Gesù Cristo e Belial (Id. ad Eustoch. Oc custodiend. virginit., opp. t. IV, Ep. xvm, p. 12.).« Io stesso ho voluto fare, dice altrove, questa pericolosa prova, ed ecco gli amari frutti che ne raccolsi. Da vari anni avevo lascialo la paterna casa, mi era privato della società dei miei parenti, di mia sorella e dei miei amici; e, ciò che è più difficile, avevo rinunciato all’uso dei cibi delicati; tutto questo per guadagnarmi il Cielo. Avendo l’intenzione di recarmi a Gerusalemme per combattere le battaglie del Signore, non potevo far senza la biblioteca che mi avevo composto in Roma con estrema cura e con pena infinita. Perciò, disgraziato ch’io sono! mi privavo di tutto, digiunavo per leggere Cicerone. Dopo le frequenti veglie delle mie notti, dopo abbondanti lacrime versate in ricordanza dei miei passati errori, prendevo Plauto tra mani. Se talvolta, ritornando in me, provavo a leggere i Profeti, il loro stile incolto mi faceva orrore: e siccome i miei occhi infermi non scorgevano la luce, io credeva che la colpa non fosse dei miei occhi, ma sì del sole. « Mentre ero per tal guisa lo zimbello dell’antico serpente, fui di repente rapito in spirito e trascinato al tribunale del Supremo Giudice. Tale era la purezza della luce che usciva dalla sua Persona, nonché dagli Angeli dai quali Egli era circondato, che io rimasi prostrato contro terra senza osare di alzare gli occhi. Interrogato sulla mia condizione, risposi che ero cristiano. « Tu mentisci, replicò il Giudice; tu sei ciceroniano, e non cristiano; poscia ché colà dove è il tuo tesoro, ivi pure è il tuo cuore. » A queste parole, io mi tacqui, e il Giudice ordinò fossi percosso, ed i colpi che riceveva mi erano meno crudeli dei rimorsi dai quali era la mia coscienza lacerata. Mi rammentai di questa parola del profeta: Chi potrà lodarvi nell’inferno? Tuttavia co- minciai a gridare e a dire singhiozzando: « Signore, abbiate pietà di me! » Finalmente coloro che attorniavano il tribunale gittaronsi ai piedi del Giudice e Gli chiesero grazia per la mia giovinezza, e tempo per fare penitenza del mio errore, dicendogli che mi sottometteva al supplizio se mai ritornassi alla lettura degli autori pagani. Io stesso, in quella estremità, faceva promesse ancora più grandi; giurai, invocando il nome di Dio, che se mai m’accadesse di conservare libri pagani, volevo esser tenuto quale un apostata.« Appena pronunciato questo giuramento sono rilasciato, e ritorno in me stesso. Con grande stupore di quei che mi attorniavano apro gli occhi talmente molli di pianto, che ciò solo bastava a provare agli increduli la violenza del dolore che avevo sofferto. Non fu già quello un sogno od un vano parossismo, come quelli che talvolta si provano. Ne prendo a testimonio quel tribunale innanzi cui ero prostrato, ne prendo a testimonio la formidabile sentenza che mi agghiacciò di spavento. Perciò non mi accadrà mai più di espormi a subire una simile tortura, in cui mi ebbi le spalle afflitte da colpi dei quali provai a lungo il dolore, e dopo la quale studiai le Sacre Scritture con altrettanto ardore quanto n’avevo impiegato a studiare prima le opere profane (“Nec vero sopor il le fuerat, aut vana somnia, quibus sæpe deludimur. Testis est tribunal illud, ante, quod jacui; testis iudicium triste, quod limui: ita mihi uunquam contingat in lalem incidere quaestionem , liventes habuisse scapulas, plagas sensisse post somnum, et tarilo dehinc studio divina legisse, quanto non ante mortalia legeram”. Ad Eustoch., De custod. virginit., cp. XVIII, opp. IV, p. 43. Prolegom, in Daniel., et ad Pammach.) ». – Il santo Dottore fu fedele al suo giuramento. Non solo non gli accadde più di leggere alcun autore pagano, ma ei temette eziandio di citarne i passi che gli ritornavano naturalmente alla memoria. A coloro che gli dicevano ciò che oggidì si ripete, cioè che senza la cognizione di quegli autori, non si potrebbe ben parlare né ben scrivere, ei rispondeva: « Quanto voi ammirate, ed io lo disprezzo; e lo disprezzo poiché gustai la follia di Gesù Cristo: e la follia di Gesù Cristo, sappiatelo bene, è più sapiente di tutta quanta l’umana sapienza ».

CAPITOLO IX

SEGUITO DEL PRECEDENTE .

Sentiamo ora Sant’Agostino. Verun Padre della Chiesa adoprò mai tanìa forza e perseveranza a combattere il deplorando uso dei classici pagani quanto codesto ammirabile Dottore, il cui cuore così bello come l’ingegno voleva ad ogni costo preservare i giovanetti da un pericolo in cui ei medesimo aveva trovato miseramente la propria perdita. Ei comincia con indicare il motivo pel quale i suoi parenti gli facevano studiare i pagani autori; è esattamente lo stesso motivo che è allegato oggidì. « Mi si diceva, ei scrive, è colà che s’impara il bel parlare; è colà che si attinge l’eloquenza sì necessaria per persuadere e per esporre vittoriosamente i l proprio pensiero (1Conf., lib V) ». Ora ci dimostra con un esempio non solo la frivolezza, ma eziandio il pericolo di simile motivo. « E che! dice, non conosceremmo noi queste parole pioggia d’oro, girone, belletto, se Terenzio non ci parlasse d’un giovine dissoluto che si proponeva lo stesso Giove per modello di un’infamia? No, non è coll’imparare siffatta turpitudine che noi impariamo tali parole, ma con tali parole s’impara a commettere con maggiore coraggio simile infamia ». – Quindi, pieno di dolore e di indignazione, grida: « Guai a te, torrente del costume! Chi arresterà i i tuoi guasti? Quando sarai tu disseccato? E sino a quando trascinerai tu i figliuoli di Eva in quel mare immenso, formidabile, che appena traversano i meglio armati? Non è forse questa bella scienza della fàvola quella che ci mostra un Giove tuonante e adultero? È una finzione! gridano tutti i maestri. Finzione sinché vi piacerà; ma questa finzione fa che i delitti non sono più delitti, e che commettendo simili infamie si ha aria d’imitare non già uomini perversi, ma gli Dei immortali. « Eppure, oh fiume infernale! Si è coll’esca delle ricompense che s’imbarcano i figliuoli degli uomini sulla corrente dei tuoi fiotti per fare imparar loro di tali cose! lo non accuso le parole che sono vasi preziosi ed innocenti, ma sibbene il vino dell’errore e del vizio che ivi ci era presentato da maestri ubriachi; e se noi non bevevamo, eravamo percossi senza che ci fosse stato permesso di richiamarcene ad un giudice sobrio…. e poiché io imparava di tali cose con piacere, chiamavanmi giovinetto di grandi speranze (Conf. Lib. I c. 16) ». – Virgilio stesso, il più casto dei poeti latini, fece profonde ferite alla sua anima. « Io imparai, dice, studiandolo, molte utili parole che avrei altrettanto bene imparato leggendo cose men vane; ma inoltre imparai le avventure di non so quale Enea, e dimenticai i miei propri errori. Imparai a compiangere Didone, che s’era uccisa per aver troppo amato; ed io stesso, trovando la morte nel leggere quelle colpevoli follie, non avevo per me alcuna lacrima negli occhi. Quale deplorabile induramento! Se si voleva privarmi di cosiffatta lettura, piangevo di non aver nulla a piangere; ed una tale demenza chiamavasi le belle lettere! (“Talis dementia honestiores et uberiores littere putantur. Ibid. ib. c. 13.) ». – E voi, o maestri, professori, reggenti, i quali, anche ai dì nostri fate un caso capitale dello studio di ciò che voi chiamate la bella latinità; i quali non temete punto di proporre qual modelli Orazio, Catullo, Terenzio, ben più pericolosi che Virgilio non è; i quali date nota di barbaro a quanto non reca il suggello del loro linguaggio, sentite come Sant’Agostino giudica la vostra condotta: « Mi si faceva tenere quale una cosa capitale, a cui ero forzato applicarmi colla speranza delle ricompense o col timore dei castighi, l’imparare le parole piene di dolore e di collera di Giunone, impossente ad impedire Enea di approdare in Italia. Eravamo obbligati a dire in prosa alcune delle cose che il poeta aveva detto in verso: ed il più applaudito era colui che meglio avesse finto la collera ed il dolore di quella Dea immaginaria. Guardate, o Signore, mio Dio, guardate quale importanza i figliuoli degli uomini danno a sillabe e a lettere, ed ei dimenticano i vostri precetti! Di tal che biasimano più volentieri colui che avrà mancato di emettere un’aspirazione nel pronunciare una parola, che non colui che non avrà temuto di infrangere la vostra legge. Ve egli a stupirsi che tutte queste vanità mi abbiano allontanalo da voi, o mio Dio? Poiché non si cessava di proporre alla mia imitazione uomini che non si tralasciava di coprire di ridicolo, se, nel riferire le azioni loro, d’altra parte irreprensibili, essi avevano la disgrazia di commettere un barbarismo od un solecismo; mentre essi erano colmati di lodi allorché avevano l’ingegno di raccontare le infamie loro in un idioma corretto ed elegante? (Ibid. c. XVIII) ». – Quali furono pel giovine Agostino i frutti di questa educazione, così perfettamente simile alla nostra? Quelli che esser dovevano, quelli che saranno sempre: il predominio del sensualismo, l’indebolimento dello spiritualismo; in altri termini, l’immoralità precoce e il disgusto delle cose di Dio. « Quando io fui più innanzi negli anni, dice ei medesimo, mi proponeva di leggere le Scritture affin di sapere che si fossero. Ma io non era capace di penetrarne il senso; il mio orgoglio non si voleva sottomettere alle loro lezioni. Lo stile, i pensieri, tutto mi sembrava indegno d’essere paragonato alla maestà di Cicerone. La gonfiezza del mio spirito non poteva affarsi al loro linguaggio; il mio occhio non penetrava la profondità dei loro pensieri. La sapienza che vi si fa sentire è quella che si compiace coi pusilli; ed io non voleva essere pusillo: ed ebbro di me stesso, mi credeva qualche cosa ben grande (lib. III, c. 5). – Non dimentichiamo, la Storia d’Agostino è più o meno la storia di tutti i giovani; la storia del suo cuore è la storia del cuore umano. Dovremo dunque stupirci se sentiamo un sì grand’uomo alzare la sua voce possente e gridare a tutti i secoli: « Istruire i giovinetti con libri pagani non è solamente un insegnar cose inutili, ma eziandio un toglierli al Cielo e sacrificarli al demonio. Che sono mai tutte queste cose, se non vento e fumo? Non v’ha dunque altro modo di coltivare lo spirito e di formarlo all’eloquenza? Le vostre lodi, o Signore, con tanta eloquenza cantate nelle Scritture, avrebbero innalzato, raffermato il mio debole cuore, e l’avrebbero trattenuto dal diventare preda degli augelli impuri. Ah! vi è più di un modo di sacrificare l’uomo ai demoni. È dunque così che ei conviene educare i giovani? Sono eglino questi i modelli che loro si debbono presentare? Così operando, voi non offrite già né augelli, né animali, e nemmeno sangue umano; ma, ciò che è ben più abominevole, si è l’innocenza della gioventù che voi immolate sugli altari di Satana (Ib., et Epist. Ad Nectarium.) ».Poi, ad un tratto, vedendo la triste condizione dei giovinetti, che sì crudelmente vengono rapiti a Dio, prende a piangere, e grida: « Voi vedete ciò, o Signore, e Voi vi tacete, Voi che siete pieno di longanimità, di misericordia e di verità. Ma tacerete voi sempre? Non ritrarrete voi da questi pozzi dello abisso anime che sono fatte per voi e che han sete del vostro amore? ». Aggiungiamo che uno dei più amari rimorsi di sì gran Santo quello si fu d’avere ei medesimo insegnato retorica conforme al metodo pagano, e d’aver corrotto così, materializzandolo, il cuore dei suoi discepoli.Per evitare le ripetizioni, io non ritornerò sul proposito delle autorità del medio-evo. Noi abbiamo veduto che durante cotale età la solenne proscrizione dei classici pagani era una legge generale e fedelmente osservata. Citerò solo la lettera di San Gregorio il Grande a Desiderio, vescovo di Vienna nel Delfinato. Dimenticando la proibizione fatta dall’immortale pontefice a tutti i vescovi d’insegnare ai giovani la pagana letteratura, Desiderio aveva infranto quell’ordine che a ragione riguardavasi come importantissimo. Gregorio, avendolo saputo, gli scrisse nei termini seguenti: « Ci fu fatto sapere (il che non possiam rammentarci senza arrossire) che Vostra Fraternità insegna la grammatica a taluno. Simile cosa ci cagionò tanto dolore ed eccitò nell’anima nostra un così profondo disgusto, che le buone notizie che avevam ricevuto di voi si sono mutate in gemito e in dolore; poiché le lodi di Giove non potrebbero trovarsi nella bocca stessa colle lodi di Gesù Cristo. Considerate quale delitto, quale mostruosità non è mai il rinvenire in vescovi ciò che non si addice nemmeno ad un laico religioso. Ora, sebbene il nostro carissimo figliuolo, il sacerdote Candido, sia qui venuto dopo che ci fu annunziata tale nuova, e quantunque essendo egli stato accuratamente interrogato, abbia negato il fatto, e cercato di scusarvi eziandio, noi continuiamo tuttavia ad essere inquieti; e quanto più ella è cosa orribile il narrare tali cose di un sacerdote, tanto più noi amiamo sapere di certa scienza se elleno sono vere o no. Se dunque ci sarà dimostrato che quanto ci fu riferito è falso, e che voi non sciupate il tempo nell’occuparvi di bagattelle e di lettere profane, noi renderemo grazie a Dio il quale non ha permesso che il cuor vostro fosse macchiato dalle lodi blasfematorie d’uomini indegni di questo nome (Epist., lib. XI, cp. 54, opp. t. III, p. 1171, edit. novis.) ». In questa sì energica lettera, è l’insegnamento degli autori pagani ai giovani, quale è dai Padri della Chiesa indicato, che è condannato? No, poiché San Gregorio stesso lo approva altrove e poiché esso era praticato, come vedemmo, nelle scuole del medio-evo. Ciò che è condannato si è l’insegnamento della letteratura pagana, dato da un vescovo e dato ai fanciulli; il che è inescusabile, soggiunge il Pontefice, anche in un laico sinceramente religioso, cioè che capisce e la santità del cristiano e l’influsso fatale degli studi pagani sovra anime senza esperienza.A questa lunga catena tradizionale aggiungiamo un ultimo e brillante anello. Verso la metà del sedicesimo secolo, nel momento in cui il paganesimo risuscitato nella educazione invadeva Europa, uno di quegli uomini sapienti, quali l’illustre Società di Gesù non cessò mai dal produrre, il Padre Possevino, tremante per lo avvenire, faceva sentire queste energiche parole: « Un antico ha détto: « l’educazione non è poca cosa, essa è tutto; essa è l’uomo, la società, la religione ». E questo ha detto in un libro in cui egli rivela alle nazioni il segreto di loro grandezza e di loro rovina (Non parum sed totum est, qua quisque disciplina imbiutar a puero. Arist. Politic.). Infatti, noi vediamo che gli Ebrei, sebbene abitanti in mezzo di Roma, sebbene per la loro stessa dispersione siano vivente prova dello adempimento delle profezie e delle minacce di Nostro Signore contro Gerusalemme e contro la Sinagoga; sebbene abbiano tutto dì sotto gli occhi gli archi di trionfo di Tito e di Vespasiano, monumenti eterni di loro rovina; sebbene siano convinti da ogni sorta di prova dell’abolizione della legge loro, non si convertono. E perché? Perché sino dalla fanciullezza essi hanno ricevuto col latte il veleno dell’errore. Lo stesso vediamo nei Turchi, quali tutti rimangonsi ostinati nella loro superstizione e nelle loro insostenibili credenze. Ancora, perché? Perché l’educazione ha, per dir così, ribadito loro nel capo le false opinioni dei padri loro. « Quale pensate voi dunque essere la cagion formidabile che oggi precipita gli uomini nello abisso del sensualismo, della ingiustizia, della bestemmia, dell’empietà, dell’ateismo? Si è, nonne dubitate, che sin dalla fanciullezza si insegnò loro di tutto, eccetto la religione; si è che nei collegi, semenzaio degli Stati, loro si fece leggere e studiare di tutto, eccetto gli autori cristiani. Se vi si parla di religione, codesto insegnamento va unito coll’insegnamento impuro del paganesimo, vera perdita dell’ anima. A che mai può servire, io vi chiedo, il versare in una vasta botte un bicchiere di vino puro, delizioso, ben fatto, ed il versarvi in egual tempo torrenti di aceto e di vino guasto? In altri termini, che significa egli un po’ di catechismo per settimana coll’insegnamento giornaliero delle impurità e delle empietà pagane? Ecco però quanto si fa nel secolo nostro da un capo d’Europa all’altro! « Volete voi salvare la vostra repubblica? Mettete senza ritardo la scure alla radice del male; esiliate dalle scuole vostre gli autori pagani, i quali, col vano pretesto di insegnare ai figliuoli vostri la bella lingua latina, insegnano loro la lingua dell’inferno. Li vedete! Appena usciti di fanciullezza essi si danno allo studio della medicina o delle leggi, od al commercio, e ben presto dimenticano il po’ di latino che hanno imparato. Ma non dimenticano già i fatti, le massime impure da loro lette nei profani autori e da essi imparate egregiamente. Così fatte rimembranze rimangono loro talmente scolpite nella memoria, che per tutta la loro vita amano meglio leggere, dire, sentire cose vane e disoneste che non cose utili ed oneste: somiglianti a stomachi infermi, essi tosto rigettano i salutiferi insegnamenti della parola di Dio ed i sermoni e le religiose esortazioni che più tardi loro sono indirizzate (Ragionamento del modo di conservare lo Stato e la libertà ai Lucchesi.) ». L’eloquente scrittore chiede indi che cosa bisogni sostituire agli autori pagani, e risponde che fa d’uopo ritornare all’antico uso dei classici cristiani, uso praticato nelle università e nelle scuole del medioevo; uso approvato, comandato da Dio stesso, dai Padri, dai Concili e da mille altre ragioni; uso che consiste nel porre tra mano ai giovinetti gli Atti dei martiri, le Vite dei santi, la Scrittura e i Padri; dopo di che, sotto la direzione di maestri illuminati e cristiani, potrà la gioventù non solo senza pericolo, ma ancora con profitto studiare gli autori profani e giudicar sanamente delle loro dottrine, paragonandole alle dottrine cristiane delle quali sarà stata nutrita. Per rendere pratici questi salutari consigli e per opporre un argine qualsiasi al torrente del male, un confratello del Padre Possevino, il venerabile Canisio, fece stampare le lettere di San Gerolamo, ad uso delle scuole. Bisogna dirlo; questa raccolta, adottata in un grandissimo numero di ginnasi e di collegi sì in Alemagna sì nel resto d’Europa, ritardò l’invasione del paganesimo.Che dirò ancora? La Chiesa stessa fece sentire la sua gran voce e vietò espressamente di porre tra mano a giovanetti i libri pagani. A questo nuvolo di testimonianze, facil cosa sarebbe aggiungerne altre molte. Quelle che hanno deposto sembra che bastino per darmi diritto di chiedere se v’ha nella storia un fatto meglio provato della riprovazione quindici volte secolare del paganesimo nella educazione; se non v’ha presunzione né imprudenza nel non far caso alcuno degli avvertimenti solenni della sapienza, del senno, dell’ esperienza e della virtù; se agli occhi dei Padri della Chiesa e dei Pontefici il paganesimo classico non è se non una semplice forma, una forma innocente, una forma la quale non ha alcun sinistro influsso sulla gioventù, e dalla gioventù sulla letteratura, sulle arti, sulla filosofia, sulle scienze, sulla religione, sulla famiglia, sulla società; in una parola, sull’universo procedere delle cose umane?

 

L’amore di questo mondo è il nemico di Dio.

Rus Cassiciacum

Una breve analisi dell’eresia “material-formalista”

[un Sacerdote Cattolico]

“Adulteri, nescitis quia amicitia hujus mundi inimica est Dei? quicumque ergo voluerit amicus esse saeculi hujus, inimicus Dei constituitur” – [o gente adultera! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio] (Giac. IV- 4). –

“Nolite diligere mundum, neque ea quæ in mundo sunt. Si quis diligit mundum, non est caritas Patris in eo” – [Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui] (1 Giov. II: 15)

Il tema di questa breve analisi è l’attività di cospirazione anticattolica dei “material-formalisti”. In questo caso il termine biblico “adulteri” può essere applicato in senso figurativo o spirituale. – Innanzitutto sarà bene spendere poche parole sui c. d. “Lefebvriani” e sui “Sedevacantisti”, le cui dottrine “eretiche” sono molto facili da capire e non hanno bisogno di molte spiegazioni. A) – I “lefebvriani” asseriscono che la “chiesa” del Vaticano II sia la “vera chiesa” temporaneamente in crisi, che tutti gli antipapi di questa “chiesa” sono veri Papi che “a volte” insegnano errori ed eresie, e tutti i Cattolici hanno il “diritto” di resistere ai “Papi” quando i “papi” insegnano errori e eresie. Tutti i “sacramenti” gestiti dai “sacerdoti” della “chiesa” del Vaticano II sono riconosciuti validi dai “Lefebvriani”. B) – I “sedevacantisti” affermano invece che la “chiesa” del Vaticano II sia una falsa “chiesa” che non ha il Papa, per cui la Chiesa Cattolica stessa si trovi in un periodo di Sede Vacante che dal 1958 perdura fino ai giorni nostri. I “sedevacantisti” non hanno una risposta sul come la Chiesa Cattolica possa ripristinare il vero Papato. I “sacramenti” dell’Ordine, dell’Eucaristia, della Confessione, dell’Unzione e della Confermazione, che vengono amministrati dai “sacerdoti” della “chiesa” del Vaticano II, non sono riconosciuti validi dai “sedevacantisti”.

E veniamo ai “material-formalisti“, che sono i propagatori della eresia più sottile, subdola e malvagia, che deve essere pertanto spiegata. – Uno dei propagandisti molto attivi del “material-formalismo” è Donald Sanborn, autoproclamatosi rettore del “Seminario della Santissima Trinità” in Florida, fondato autonomamente con l’aiuto di generose donazioni dei seguaci della sua eresia, buona parte ex “lefebvriani”. Anche se il personaggio in causa definisce il suo seminario: “cattolico”, di fatto questa “scuola” è sulla falsa riga dei numerosi seminari fasulli del Vaticano II. Lo riteniamo essere il propagandista più attivo dell’eresia “material-formalista” poiché insegna ai suoi seminaristi ed ai laici suoi “fedeli”, ad essere “amici di questo mondo” insieme ai “papi” del Vaticano II. – L’eresia diffusa da Donald Sanborn è conosciuta come “Material-formalismo” (“Sedeprivazionismo” è un altro nome dell’eresia in causa). L’idea principale dell’eresia è che tutti gli antipapi della “chiesa” del Vaticano II siano eletti legalmente e che ogni antipapa sia un “papa materiale”, che “conserva l’autorità di nominare gli elettori (cardinali) al Papato, per il motivo stesso che i cardinali hanno il potere di eleggere”. D. Sanborn insegna che, secondo la tesi “material-formalista”, il Novus Ordo mantiene il potere di nominare le persone che ricevono così il potere di designazione nella Chiesa”. – Questa tesi eretica non è in realtà sua. L’autore di questa falsa tesi, [antimotistica in contraddizione evidente con la XVI Tesi del tomismo -ndr. -] è il teologo domenicano francese Fr. Michel Louis Guerard des Lauriers (1898 – 27 febbraio 1988), un sacerdote validamente consacrato il 29 luglio del 1931. – Dopo il “concilio” Vaticano II, p. Guerard des Lauriers diviene professore e docente al seminario San Pio X di Marcel Lefebvre a Ecône, in Svizzera [pseudo-seminario mai autorizzato secondo le leggi della Chiesa da alcuna autorità che ne avesse facoltà, neanche la fasulla! –ndr.-]. È a questo punto che il domenicano ha dato alla luce, con parto distocico, la sua “creatura”: la sua tesi [c.d. tesi di Cassiciacum, il cui pomposo nome latino è quello della località, oggi Cassago Brianza, in cui Sant’Agostino d’Ippona nel 387 si ritirò in ben altra meditazione e preghiera prima di ricevere il Battesimo –ndr. -], secondo la quale il soglio di Pietro sarebbe stato vacante perché l’antipapa Paolo VI era colpevole di eresia. A causa di questa concezione, Marcel Lefebvre rimosse Guerard des Lauriers dal suo insegnamento nel seminario della “fraternità” fin dal 1977. – Fr. Guerard des Lautiers morì ad Etiolles, Francia, nel 1988 all’età di 90 anni. – Guerard des Lauriers credeva tra l’altro che i nuovi riti dell’ordinazione e della consacrazione episcopale (quelli recentemente promulgati nel “Pontificale Romanum” del 18 giugno 1968) approvati dall’antipapa Paolo VI fossero dubbiosamente validi o addirittura totalmente invalidi: pertanto era necessario intervenire per garantire una “valida” successione apostolica di vescovi per la conservazione della Chiesa Cattolica Romana (latina). Avviò quindi confronti e discussioni con il dottor Eberhard Heller e il dottor Hiller, attivisti sedevacantisti tedeschi che all’epoca ospitavano il vescovo Pierre Martin Ngo Dinh Thuc (1897-1984); il p. Guerard des Lauriers accettò di abbandonare il suo “material-formalismo” e di aderire ai principi teorici del “sedevacantismo”, e in tale sede fu convenuto pure che il vescovo emerito Ngo Dinh Thuc lo avrebbe consacrato vescovo [senza giurisdizione, naturalmente –ndr.-]. – Il 7 maggio 1981, p. Guerard des Lauriers venne infatti consacrato vescovo dal vescovo Ngo Dinh Thuc a Tolone, in Francia. Ma poco dopo la consacrazione, p. Guerard des Lauriers rispolvera il suo “Sedeprivazionismo”, iniziando una feroce polemica con i “Sedevacantisti”, non escludendo neanche il vescovo Ngo Dinh Thuc.

Brevemente sulle “allegre” consacrazioni amministrate dal vescovo Ngo Dinh Thuc.

Alcune tra queste consacrazioni possono essere trattate come dubbiosamente valide o addirittura non valide, perché il vescovo Ngo Dinh Thuc ha affermato egli stesso che, almeno in dieci “consacrazioni”, ha ritenuto l’intenzione sacramentale, cioè ha eseguito una “parodia” sacramentale senza intenzione che invalida il Sacramento stesso. In molti casi era in uno stato di amnesia nel “consacrare” un vescovo tanto che poco dopo, e per diverse ore dopo, non si ricordava di quello che aveva fatto e di ciò che aveva detto, né chi fosse stato il recente “consacrato”. Qualcuno dice che soffrisse di una demenza senile o, allegoricamente, che fosse come “inebriato”, “folle” o “in un’aura soporosa”. Questo significa che probabilmente il vescovo Ngo Dinh Thuc abbia simulato la “consacrazione” di p. Michel Louis Guerard des Lauriers, e che comunque, della stessa, si possano avere sospetti legittimi e seri dubbi. – Dopo una panoramica dei casi delle “consacrazioni”, amministrate dal vescovo Ngo Dinh Thuc, ritorniamo alla eretica tesi del “Material-formalismo”. Secondo la tesi del Des Lauriers, gli antipapi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco erano o sono “papi difettosi” in quanto, a causa della supposta adesione alla “eresia modernista”, il loro consenso nel diventare Papa è difettoso e, pur essendo “potenzialmente” Papi, non hanno raggiunto la “pienezza del papato”. – Questa falsa idea si può anche descrivere in altro modo dicendo che: ogni antipapa del Vaticano II sia diventato “papa materialmente”, ma non formalmente (“papa materialiter non formaliter”).

Due conseguenze di questa tesi eretica

 Secondo la tesi Cassiciacum, [mai nemmeno lontanamente ipotizzata dal Magistero Cattolico –ndr-] ne deriva che:

1.- Non esiste una Sede Vacante reale, in quanto un “uomo” ha assunto il ruolo di “papa materiale”;

2. – Che il “papa materiale” (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI o Francesco), recedendo dal modernismo e tornando alla fede cattolica, possa completare il processo di “maturazione” raggiungendo la “pienezza del papato”. – Oltre al p. Michel Guerard des Lauriers, i “tradizionalisti” fasulli che difendono questa visione sono: i “vescovi” Robert McKenna (deceduto) e Donald Sanborn negli Stati Uniti e Francesco Ricossa in Italia con il suo “Istituto Mater Boni Consilii”, il cui “vescovo” Jan Stuyver Geert “operante” nelle Fiandre, è una “emanazione” del McKenna, a sua volta consacrato (?!?), guarda caso, proprio dal Des Lauriers. – Ma torniamo all’”insegnamento” di Donald Sanborn, che rimane in contatto con l’Istituto Mater Bonii Consilii in Italia e visita l’”Istituto” abitualmente. L’araldo della tesi in questione, è stato [non-] ordinato da Marcel Lefebvre, il cui sacerdozio deriva dalla “linea” di un alto membro dell’associazione Massonica, p. Achille Lienart. – Fr. Achille Lienart, nato a Lille, in Francia (7 febbraio 1884), ordinato sacerdote validamente (29 giugno 1907) entrò, come tutti sanno, nella loggia di Cambrai (1912), diventando “visitatore” in massoneria – 18° grado Rosa+croce (1919), quindi 30° grado “cavaliere Kadosh” [grado di consapevolezza luciferina –ndt-], e poi “consacrato” Vescovo (8 dicembre 1928). – Secondo l’infallibile bolla “Cum ex Apostolatus Officio” (1) di papa Paolo IV, p. Achille Lienart, a partire dal 15 ottobre 1912, essendo membro di una notissima associazione che opera contro la Chiesa, non era idoneo ad essere elevato ad alcun ufficio ecclesiastico, oltre che scomunicato “ipso facto” latæ sententiæ.

[. (1) – … 6: “Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore, la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza a lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza tutte e ciascuna di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto, e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione, private di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere ...” (Paolo IV: Bolla Papale “Cum ex Apostolatus Officio”,1559, confermata in toto da una bolla successiva di S. Pio V, INTER MULTIPLICES CURAS del 21.12.1566).

 Ma continuiamo l’analisi dell’insegnamento di Donald Sanborn. – Leggiamo un “illuminante” estratto dell’articolo dello stesso Donald Sanborn: “SPIEGAZIONE DELLA TESI DEL VESCOVO GUÉRARD DES LAURIERS”, che si può trovare sul sito del suo non-cattolico “Most Holy Trinity Seminary” [Seminario della Santissima Trinità].

– “III” … I papi “del “Novus Ordo” hanno una successione materiale, e credo che alcuno possa negare che i “papi” del “Novus Ordo” siano almeno nella stessa condizione dei Vescovi scismatici greci nella prospettiva Apostolica. Il nucleo della questione è: se la nomina di esponenti del “Novus Ordus” ai posti di autorità sia legale e legittima o meno. Tutti direbbero che non sono in condizioni migliori rispetto agli scismatici greci, cioè che essi hanno una successione materiale, ma senza possedere una designazione legittima. I material-formalisti dicono che essi materialmente hanno una successione, ma non una designazione legale e legittima.

D. – Come possiamo avere veri cardinali, se Ratzinger non è il Papa? Non sarebbero essi dei cardinali fasulli?

R. – Possono essere cardinali fasulli, ma non sono elettori falsi. Ratzinger ha l’autorità di nominare elettori al Papato per la stessa ragione che i Cardinali stessi hanno il potere di eleggere. Tutto questo riguarda l’ordine di designazione e non l’ordine di giurisdizione. Ma è il potere di competenza (potere delle regole) che rende Papa un Papa, e non il potere della designazione. La tesi sostiene che il Novus Ordo mantiene il potere di designare le persone per ricevere il potere di competenza nella Chiesa. È una realtà sfortunata, ma è la realtà.

D. – Qual è la soluzione per il problema della Chiesa che la tesi offre?

R. – Ci sono molte soluzioni possibili. .- 1) Ratzinger si converte alla fede cattolica, ripudia il Vaticano II e le sue riforme, e riceve la giurisdizione per governare e diventa così il Papa.

(2) Alcuni cardinali (anche uno sarebbe sufficiente) si convertono, rifiutano il Vaticano II e dichiarano pubblicamente la “vacanza” della sede, chiedendo la convocazione di un nuovo conclave. Questo atto rimuoverà da Ratzinger il titolo ottenuto con elezioni valide. È anche probabile che l’ipotesi 2) si possa applicare ai Vescovi diocesani del “Novus Ordo”, che accederebbero alla vera giurisdizione rifiutando il Vaticano II. È anche vero, secondo la tesi, che queste possibilità sussisterebbero indefinitamente, anche oltre la morte di Ratzinger “.

Questa menzogna molto perniciosa che Donald Sanborn insegna ai suoi seguaci, è nascosta nella sua falsa formula: “Tutto questo riguarda l’ordine di designazione e non l’ordine di giurisdizione, ma è proprio il potere di competenza (potere di regolare) che rende Papa un Papa, e non il potere della designazione”. – Non c’è bisogno di essere un grande teologo per capire che il potere di designazione è parte integrante del potere di giurisdizione. Solo una persona che possiede la pienezza del potere, cioè il potere di competenza, ha anche il potere di designare, perché il potere di designare è parte integrante del potere di regolare. Una persona che non possiede il potere di competenza (potere delle regole) non ha il potere di designazione. – In altre parole, Donald Sanborn mette nella mente dei suoi seguaci l’idea eretica che gli antipapi della “chiesa” del Vaticano II posseggano il potere di giurisdizione perché possiedono il potere della designazione. – Anche la seguente frase di Donald Sanborn è completamente falsa: “Non credo che alcuno possa negare che i” papi “di Novus Ordo si trovino almeno nella stessa condizione dei vescovi scismatici greci nella prospettiva Apostolica». Anche se non pensa che qualcuno lo possa negare, io lo nego totalmente! I vescovi scismatici greci sono almeno validi, anche se illegittimi, perché consacrati, ma i “papi” del “Novus Ordo” sono eretici e scismatici “non consacrati”, e quindi non possono essere “nella stessa condizione dei vescovi scismatici greci”. – Dopo aver letto queste “perle” di Donald Sanborn, si può giungere alla conclusione unica che, in modo molto sofisticato, D. Sanborn insegni a tutti di essere “amico di questo mondo” condizione per cui “si diventa nemico di Dio”.

Vediamo un altro brillante “insegnamento” di Donald Sanborn, quando “critica” l’Amoris Lætitia di Bergoglio. Egli afferma che i “cardinali conservatori” del Vaticano II che hanno protestato contro l’Amoris Lætitia di Bergoglio, possano diventare “salvatori della Chiesa Cattolica”. [Seminary Newsletter, December 2016″]. – Sulla base del citato “insegnamento” di Donald Sanborn, l’antipapa George M. Bergoglio (il sedicente “Francesco”) sarebbe stato il vero papa fino alla pubblicazione dell’Amoris Lætitia. Dall’”insegnamento” di Donald Sanborn quindi, si può concludere che: tranne che in Amoris Lætitia, tutti gli “insegnamenti” di Bergoglio siano assolutamente cattolici e che “… non sia Bergoglio il problema, bensì il Vaticano II stesso”, – che Bergoglio stesso e tutti i “cardinali” siano validamente ordinati e consacrati “vescovi” e che i “cardinali” abbiano solo il compito “di scegliere un uomo che abbia l’intenzione di rifiutare il Vaticano II e le sue riforme” e tutto sarà Ok [il tutto finisce a … tarallucci e vino! ndt.]

Ma leggiamo ancora alcune “preziose” citazioni dalla “DIREZIONE TEOLOGICA DELL’ISTITUTTO CATTOLICO ROMANO”, recentemente fondato da Donald Sanborn: “Inoltre ritengo che i membri della gerarchia di Novus Ordo costituiscano solo la materia gerarchica cattolica, vale a dire che sono in possesso di designazioni legalmente valide per ricevere la giurisdizione, anche se rimangono privati di questa giurisdizione fino a quando non neghino l’apostasia Del Vaticano II e delle sue riforme”. – “Ritengo che i promulgatori modernisti del Vaticano II e delle sue riforme siano spogliati di qualsiasi autorità ecclesiastica a motivo della loro intenzione di comminare alla Chiesa cattolica romana la trasformazione sostanziale delle sue dottrine, della liturgia e delle discipline essenziali, e coloro che sono eletti o nominati nelle posizioni di autorità, per quanto legittime, debbano essere considerati falsi papi e falsi vescovi “. Le citazioni sono tratte dal sito del “Seminario della Santissima Trinità” di Donald Sanborn (APRILE 2017 SUPPLEMENTO de: “L’Istituto Cattolico Romano”). – Si può vedere che Donald Sanborn riconosce che la “gerarchia” del “Novus Ordo”, “sia in possesso di nomine legalmente valide per ricevere la giurisdizione” e che … la “gerarchia” del “Novus Ordo” eletta o designata in posizioni di autorità, sia tuttavia legittima”. – Allo stesso tempo si può notare che c’è una proposta molto strana e illogica – 1) “la gerarchia eletta o nominata in posizioni di autorità, è tuttavia legittima”, 2) ” … debbano essere considerati falsi papi e falsi vescovi”. – Chi sono legittimamente eletti e nominati in posizioni di autorità? E se legittimamente eletti e nominati in posizioni di autorità, perché devono essere considerati falsi papi e falsi vescovi? È un insegnamento molto strano, illogico e non cattolico “. – Quindi, la definizione dell’attività di Donald Sanborn scaturisce dal suo “insegnamento”: egli è un propagandista del Vaticano II, la cui “vocazione” è quella di mantenere le persone legate a cerimonie esterne tradizionali, all’interno del falso sistema anti-cattolico del Vaticano II. Curiose poi sono le sue parole: “È una realtà sfortunata, ma è la realtà”. Lo stesso si può dire proprio di tutti i rappresentanti del “formalismo materiale”.

Alcune conclusioni:

1) Innanzitutto, i “formal-materialisti” (o “Sedeprivazionisti” o “Tesisti”) non riconoscono né la Chiesa cattolica, la Chiesa di Cristo, né il Vicario di Cristo perché al contrario ritengono vera la gerarchia materiale del “Novus Ordo”. I “papi” del Vaticano II, “legittimamente” eletti dai cardinali “falsi” diventano “papi materiali” [e per questo fatto stesso sono dunque fuori della Chiesa cattolica]. Questo significa oltretutto che “i material-formalisti” e tutte le loro strutture sono parte integrante della falsa chiesa del Vaticano II.

2) L’insegnamento di “material-formalisti”: “Se il “papa materiale” (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI o Francesco) ripudia il modernismo e torna alla fede cattolica, raggiunge la “pienezza del papato”, è una asserzione che “rimane in totale contraddizione con la Fede cristiano-Cattolica“. Essi propongono pertanto una “soluzione” molto facile per gli antipapi onde sfuggire alla loro punizione e conducono così milioni di anime all’inferno per mezzo di insegnamenti eretici ed attività sacrileghe.

Ci sono qui da considerare due sottopunti:

2-a) Se si parla della cosiddetta “gerarchia” del Novus Ordo alla luce del Sacramento del Sacerdozio, la gerarchia del Novus Ordo può essere solo formata da “laici in gonnella”, perché essendo stati insediati secondo il “nuovo rito” invalido promulgato dall’antipapa Paolo VI nel 1968, non possono costituire una gerarchia neanche materialmente. Se qualcuno di loro ancora fosse stato validamente ordinato e consacrato secondo il rito romano valido, sarebbe oramai già deceduto, o in età pensionabile di estrema vecchiaia, e quindi non più appartenente in modo attivo alla gerarchia del Novus Ordo.

2-b) Nostro Signore Gesù Cristo dice: “È impossibile che gli scandali non debbano arrivare: ma guai a colui attraverso il quale questi avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli” (S. Luca XVII: 1-2). Quindi tutti quegli antipapi e la gerarchia del “Novus Ordo” che hanno scandalizzato centinaia di milioni di piccoli e non si sono pentiti per questo, andranno direttamente all’inferno. Se gli antipapi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II non si sono pentiti prima della loro morte, hanno già raggiunto l’inferno; ma gli antipapi Benedetto XVI e Francesco hanno ancora la possibilità di evitare tale punizione e la dannazione eterna, ma in ogni caso non hanno alcuna possibilità di essere Papi. Entrambi hanno la possibilità della conversione e della penitenza ridotti allo stato laicale, fino alla loro morte. Dopo la morte: Giudizio, Inferno o il cielo attraverso il Purgatorio.

3) Riconoscendo “papi materiali”, infatti, antipapi e demolitori della Fede Cattolica e della morale, tutti i “material-formalisti” (“sedeprivazionisti” o “tesisti”), sia propagandisti che seguaci ordinari, sono caricati di tutti i peccati degli antipapi e di tutte le conseguenze dei loro peccati.

E allora cosa fare?

.1) Se i propagandisti ed i seguaci della eresia “material-formalista” vogliono essere salvati e non vogliono andare all’inferno insieme agli antipapi come ribelli impenitenti contro Cristo stesso, contro i Vicari di Cristo e la Chiesa Cattolica fondata da Cristo, devono “resettare”, cancellare le loro idee eretiche, onde arrestare tutto il sostegno verbale e spirituale ai “papi materiali” del Vaticano II ed alla gerarchia del “Novus Ordo” ed aderire alla Chiesa Cattolica. Devono poi riconoscere e prestare obbedienza al Papa Gregorio XVIII, il vero Successore di Papa Gregorio XVII e di San Pietro Apostolo. Praticamente devono rivolgersi ai sacerdoti ed ai Vescovi validamente ordinati e consacrati in unione con il Papa Gregorio XVIII e, per quanto possibile, ricevere i Sacramenti della Confessione, della Santa Eucarestia, della Confermazione. Se sospettano che il loro battesimo sia invalido o dubbiosamente valido, devono ricevere un Battesimo valido, o incondizionatamente o nella forma condizionata.

Secondo l’insegnamento infallibile della Sacra Scrittura e della Santa Tradizione non esistono altre opzioni!

Un Sacerdote Cattolico.

 

UN’ENCICLICA al giorno toglie il MODERNISTA e l’APOSTATA di torno: “Cum primum”.

In questa enciclica il Santo Padre Clemente XIII deplora l’operato di tanti chierici rosi dalla bramosia del possesso di beni materiali che cercano avidamente non curandosi dello scandalo della corruzione e degli abusi perpetrati, per cui diventano oltretutto “litigiosi e pronti a confondere tutto, per non perdere un vile profitto”. Qualcuno potrebbe pensare che questa lettera sia stata scritta proprio oggi, ma in realtà la situazione si delineava già all’epoca tra i chierici della Chiesa Cattolica. Oggi questo problema non esiste per la Chesa, perché i residui rappresentanti della Gerarchia Cattolica vivono esiliati “in sotterranei”, anfratti, grotte, catacombe, mentre tutti gli abusi e le corruzioni, comprese quelle ben più gravi della sodomia e della pedofilia sono appannaggio della – 1) falsa chiesa conciliare, quindi ben fuori dalla Chiesa Cattolica, l’unica fondata da Cristo nella quale c’è salvezza, oggi “in eclissi”, come ben profetato dalla Vergine Maria alle apparizioni approvate di La Salette, e – 2) delle false chiesuole e posticci istituti, pittoreschi monasteri, fratellanze paramassoniche e marrane, che puntellano la precedente nel convogliare le anime, ingannate con le eresie del a) “papa eretico ed ecumenico”, b) il “papa a mezzo servizio”, per adesso materiale, ma in attesa di maturazione “formale” stagionale, c) il “papa in vacanza”, verso il fuoco eterno. La situazione dell’epoca richiedeva interventi umani, come quelli avanzati da Clemente XIII che ribadiva le sanzioni dei Santi Padri di “felice memoria” a lui antecedenti; la situazione di attuale corruzione spirituale a tutti i livelli richiede “solo” l’intervento divino! Intervento al quale sfuggire unicamente rifugiandosi nell’Arca della Chiesa Cattolica, oggi piccola e fragile barchetta evitata da tutti i clandestini della ecumenica “organizzazione delle religioni unite”, tutti saliti sulle comode e luccicanti navi da crociere del baphomet-lucifero! Che Dio ci salvi!

S. S. Clemente XIII

“Cum primum”

[17 settembre 1759]

“1. Dal momento in cui, per incomprensibile volontà del Pastore eterno fummo collocati sulla Cattedra di San Pietro e accettammo la cura del gregge del Signore, abbiamo udito che molti, ferventi di zelo ecclesiastico, particolarmente pastori di anime e annunziatori della Parola di Dio, percorrono Città e Regioni predicando pentimento al popolo ed emendazione dei costumi. Da parte loro nel compimento del loro ufficio, fu generale il lamento per gli abusi e le corruzioni riscontrati. Con tutte le loro forze essi cercarono di consolidare le tendenze riformatrici e dissero di aver dovuto frequentemente rimproverare l’avarizia e il desiderio di possedere proprio di certi ecclesiastici. Poiché questo vizio è chiamato dallo Spirito Santo radice di ogni male, non stupisce che tutti coloro che ne sono stati posseduti una volta siano indotti comunque a più orribili delitti. Il vizio li rende pigri nell’affrontare gl’impegni della loro vocazione; li avvicina ai desideri secolari; li destina a faccende ed occupazioni mondane, alle quali peraltro rinunziarono pubblicamente quando professarono, nel momento della loro iniziazione sacra, di eleggere Dio quale unico partecipe della loro eredità. Per questo diventano necessariamente anche litigiosi e pronti a confondere tutto, per non perdere un vile profitto, sia sperato, sia già posseduto. Perciò non si vergognano di abbassarsi a qualsiasi depravato impegno e ministero, con disonore della loro dignità. – A causa di questo, capita che molti laici condannano non soltanto coloro che così si comportano, ma spesso tutto il ceto degli ecclesiastici; anzi, con spirito amaro ed ostile, guardano verso questo gruppo di persone delle quali sono costretti a sopportare discordie e controversie per affari terrestri, o dalle quali vedono sottratti mezzi onesti, con cui avrebbero potuto provvedere al sostentamento di se stessi e dei loro parenti.

2. Da queste relazioni, che giudichiamo sufficientemente fondate sulla verità (e dalle quali pensiamo che siano anche indicati alcuni religiosi che talvolta si preoccupano dei profitti temporali delle proprie Comunità e si lasciano trasportare oltre i limiti della moderazione Ecclesiastica) abbiamo compreso che con la Nostra Apostolica autorità, di cui immeritatamente disponiamo, dobbiamo preoccuparci di togliere di mezzo questo tipo di corruzione, dalla quale derivano scandalo ed altri danni al popolo fedele.

3. Veramente, già dalle origini della Chiesa fino al nostro tempo, niente si legge in modo più chiaro e più severo, nei decreti dei Concili o nelle Costituzioni dei Pontefici Romani Nostri predecessori, niente appare più frequentemente o più insistentemente inculcato dai Santi Padri e dai Pastori della Chiesa, che i ministri della Chiesa, sia preti secolari, sia monaci, si debbano astenere dal desiderio di guadagni temporali e tenere lontani dalla sollecitudine di occupazioni mondane. Sono state sancite non solo censure di carattere spirituale, ma anche gravissime pene temporali contro coloro che presumessero di indebolire o violare le regole canoniche in questa materia. – Considerate attentamente tutte queste cose, giudicammo che nient’altro Ci rimanesse, Venerabili Fratelli, se non, dopo avervi informati della costante nostra volontà e della mente dei Nostri Predecessori, aderendo in tutto allo spirito della Chiesa, esortarvi con paterne e fraterne insistenze perché cerchiate di esigere e riusciate ad ottenere la dovuta osservanza delle sacre leggi da tutti gli Ecclesiastici soggetti sia alla vostra ordinaria che delegata giurisdizione, a norma dei sacri Canoni e dei decreti della Sede Apostolica, e rispettivamente degli Statuti Sinodali di ciascuna diocesi.

4. Perché più chiaramente sia manifesto lo zelo Nostro e della Apostolica Sede per la religiosa osservanza delle suddette leggi, ed insieme venga sottratta ogni forza a qualsiasi uso, stile o consuetudine in senso contrario (elementi che, salva la legittima proprietà dei vocaboli, devono essere chiamati piuttosto corruzioni o abusi), mediante i quali gli Ecclesiastici cercassero di proteggere o scusare la loro criminosa interferenza in attività o cure secolari, Noi, per mezzo di questo Documento, approviamo, confermiamo e rinnoviamo tutte e singole le leggi Canoniche e le Costituzioni dei Romani Pontefici Nostri Predecessori contro i Chierici negoziatori e che si immischiano in affari secolari, specialmente quelle emanate da Pio IV, Urbano VIII e Clemente IX, fino all’ultima che la santa memoria del Predecessore Nostro Benedetto XIV divulgò il 25 febbraio 1741, anno primo del suo Pontificato, con tutte parimenti le singole pene e censure per loro mezzo comminate, come se tutti i Decreti in esse contenuti e le loro sanzioni penali fossero inseriti parola per parole in questo Nostro presente Documento. Decretiamo e dichiariamo che a tutte le suddette leggi e pene sono sottoposte, e devono essere ritenute sottoposte, tutte e singole le persone Ecclesiastiche, non solo del Clero secolare, ma anche di quello regolare, di qualsiasi Ordine, Congregazione, Società e Istituto, benché munite di amplissimi e singolari Indulti, Privilegi ed Esenzioni, e dei quali sarebbe necessario fosse fatta anche espressa e particolare menzione: in modo che chiunque abbia a mancare contro simili leggi, incorra nelle pene ivi contenute, e specificamente in quelle di particolare pertinenza, secondo la distinzione dei casi ed il modo di procedere prescritto altre volte dal Concilio di Trento o dall’Apostolica Sede, quando debbano essere multate e punite le azioni. Ciò nonostante qualsiasi uso, stile o consuetudine contrari, anche immemorabili, che siano stati introdotti in qualsiasi Luogo, Diocesi o Regione; in forza delle presenti lettere noi li condanniamo, proscriviamo e con tutte le forze li rendiamo nulli, come usi da condannare e corruzioni da proscrivere.

5. Quindi, Venerabili Fratelli, esortiamo e scongiuriamo Voi tutti nel Signore perché vigilando per l’integrità della Disciplina Ecclesiastica e per la salute delle Anime, indaghiate con zelo circa il modo di comportarsi di tutti i Chierici, soggetti di diritto all’Ordinario od al Delegato; se eventualmente troverete che qualcuno, infetto di tale macchia di avarizia, abbia mancato contro i Canoni e le Costituzioni Apostoliche, a tenore dei medesimi Canoni e Costituzioni, non tralasciate di procedere contro di loro con ogni severità ed anche d’ufficio.

6. In questo, pertanto, dovete badare sommamente a due cose: anzitutto cioè di non permettere che la vostra diligenza sia elusa dalle subdole arti dei delinquenti. Capita infatti spesso che coloro che non ignorano le prescrizioni delle leggi, concordano così fraudolentemente il loro operato, che per quanto la loro mancanza venga portata in giudizio possano sostenere di non aver commesso nulla contro le leggi stesse. Infatti, interposta un’altra persona che pensi a se stessa ed alla propria cupidigia, o col nome altrui iscritto nell’albo e nei libri contabili, sosterranno che l’azienda, o l’appalto di cui si tratta, non appartiene affatto a loro. Ora invece, sapendo entro quali limiti sia contenuta la censura piuttosto severa delle leggi, cercheranno di comportarsi in modo che, qualora siano rimproverati dal Superiore di traffici lucrosi, possano difendersi dicendo che sono stati principalmente indotti a percepire il guadagno non da turpe avidità, ma perché, provvidenzialmente preoccupati di evitare un danno, hanno ricavato insperato profitto per casuale beneficio del tempo. Diranno anche talvolta di prendersi cura dei beni non propri, ma appartenenti a parenti o congiunti per vincolo di sangue e di amicizia: beni ai quali sono annesse negoziazioni compiute per il sostentamento di tali persone, per dovere di carità ed a titolo di direzione.

7. Benché poi, per esperienza acquisita nell’affrontare gl’impegni dell’attività propria del Vescovo, siamo sufficientemente edotti su quanto sia difficile emettere un giudizio in certi casi, nei quali la buona o cattiva fede di colui che è accusato di illecita negoziazione gioca la parte più forte, non per questo dovete pensare che la vostra diligenza sarà priva di ogni effetto, quando almeno gli Ecclesiastici avvertono che voi non siete affatto conniventi riguardo alla violazione di questo importantissimo capitolo della Disciplina Ecclesiastica. Ricaverete infatti grande frutto dal fatto stesso che testimonierete più frequentemente che la vostra e la mente della Chiesa aborriscono dalle loro oscure trame; ai medesimi poi, offrendosi l’opportunità, denuncerete gravemente che Dio non può essere preso in giro (Lui che scruta le reni e i cuori!) e che a nulla serviranno un giorno davanti al suo Supremo Tribunale i cavilli con i quali cercano ora di ingannare il Presule della Chiesa ed evitare le pene inflitte dalle leggi. Del resto non sarà del tutto impossibile conoscere la verità latente della situazione e scoprire il crimine occulto, se con la dovuta cura e la solerzia si scrutano i costumi degli uomini, quali appaiono da tutto il loro tenore di vita, le circostanze delle situazioni e dei casi, che inducono più probabilmente ad accettare o rigettare le scuse addotte. Questo lo potremmo facilmente dimostrare con esempi, se non avessimo fiducia nel Signore, nella saggezza e nell’esperienza delle Vostre Fraternità, come è giusto.

8. Seconda cosa che egualmente dovete evitare, è di non lasciare in alcuna maniera che prevalgano presso di Voi le false interpretazioni delle leggi Canoniche: false interpretazioni dalle quali viene indebolito il loro vigore o deriva un’indulgenza estesa oltre il lecito, contro la mente e lo spirito della Chiesa; interpretazioni derivate da private opinioni e senza il consenso del legittimo Superiore, adattate secondo l’opportunità ai singoli casi di ciascuno, quando la mercatura dei Chierici Regolari o Secolari viene esaminata essendo voi Giudici. Se infatti si tratta della stessa natura del contratto, che in qualche Diocesi suole essere fatta da Ecclesiastici, se cioè da loro debba essere ritenuto lecito o interdetto, non sarà giusto prendere come norma di giudizio o la frequenza degli atti stessi, sulla natura dei quali si inquisisce, o l’opinione stessa dei contraenti; ma per togliere i dubbi, e reprimere la licenza e l’audacia degli opinanti, sarà via sicurissima quella di ricorrere a questa Sede Apostolica, la quale non tralascerà di decidere, come per molte altre simili questioni, per mezzo soprattutto della Congregazione dei Cardinali interpreti del Concilio di Trento, indicando anche per il futuro che cosa si debba pensare dei quesiti presentati: verranno date idonee risposte, dalle quali si potrà ricavare la norma di agire e di giudicare.

9. A proposito di questi argomenti, abbiamo appreso che si attende una dichiarazione esplicita Nostra e della Santa Sede, se sia lecito ai Chierici contrarre Cambio attivo. Benché riteniamo che quasi nessun’altra cosa sia in forma minore soggetto di dubbio, tuttavia per troncare ogni occasione di discussione, in forza della presente lettera dichiariamo e definiamo che il Cambio attivo, per la sua stessa natura, è un atto di vera e propria negoziazione: perciò si deve ritenere vietato a tutti gli Ecclesiastici, sia che venga esercitato in nome proprio come per interposta persona; chiunque perciò del Clero Secolare o Regolare avrà esercitato Cambio attivo, incorre in tutte le pene e censure che sono comminate contro i Chierici negozianti.

10. Se qualche Ecclesiastico, per scusare se stesso per il fatto che è immischiato in affari secolari, adduce la necessità dell’indigenza, non proprio sua (dal momento che a ciascun Chierico il titolo canonico dell’ordinazione deve fornire almeno un sufficiente congruo patrimonio con il quale sostentarsi; mancando poi questo, egli deve provvedere alle proprie necessità con mezzi più onesti e conformi alla sua professione), ma dei Parenti, o delle Sorelle e di altre Persone, alle quali sia tenuto, per debito di dovere naturale, portare aiuto: vogliamo anzitutto e decidiamo che tale scusa non sia accettata mai dal Superiore Ecclesiastico, e che al medesimo Chierico non sia dato credito; in base al prescritto della legge Canonica, sia punito a modo di colpa, se non avrà comunicato in precedenza le predette necessità alla Apostolica Sede (se dimora in Italia o nelle isole adiacenti) o all’Ordinario del luogo (se abita in regioni più remote) ed in considerazione di ciò avrà ottenuto opportuna dispensa dalla medesima Sede Apostolica o dall’Ordinario, e la facoltà di aiutare col suo lavoro le persone suddette.

11. Infine, per quanto riguarda i compiti di questa Nostra Curia, facciamo sapere che è Nostra intenzione e volontà che simili dispense e facoltà non vengano mai concesse, se non a condizione che si basino sulla verità del motivo addotto e non consti che le predette indigenze non si possano risolvere in nessuna altra maniera. Anche in questo caso non sia mai concesso agli Ecclesiastici di trattare alcun genere di negoziazione la cui amministrazione risulti sconveniente con la stato ed il carattere Clericale; anzi, negli stessi Rescritti e Lettere di indulti siano indicate e prescritte ai Chierici le vie più oneste, per mezzo delle quali il Chierico, rispettando la giusta moderazione e nei limiti della vera indigenza, possa portare aiuto ai consanguinei poveri. Anche gli Ordinari, per quanto loro compete, dovranno rispettare tali norme nel concedere dispense e facoltà. Tenendo inoltre presente che ciò che da loro, o dall’Apostolica Sede, talvolta viene riconosciuto a certi singoli Chierici come indulto, concorrendo giuste cause (per esempio, come i fondi delle Chiese, da curare e gestire per una determinata pensione annuale convenuta) non sia rivendicato senza giusta causa dagli altri Ecclesiastici, come cosa concessa generalmente a tutti.

12. Per altro decretiamo che anche le facoltà ottenute come detto siano ritenute sempre, per quanto riguarda il tempo, soggette a revoca, così che siano considerate irrite e revocate “ipso iure”, ogni qualvolta vengano a cessare le annesse indigenze dei Congiunti, o si presenti altra via legittima di provvedere loro opportunamente. Circa l’esecuzione e l’osservanza di tutto ciò, vogliamo che gli Ordinari locali se ne facciano carico con vigile coscienza: e di fatto così stabiliamo.

13. Per la verità, non si deve attribuire unicamente alla mercatura l’abbassamento della Dignità Ecclesiastica che si vede ai nostri giorni. Ci sono altri specifici abusi, a causa dei quali gli uomini Ecclesiastici riducono più frequentemente il proprio decoro e la stima del loro ceto e ordine, perché sanno di non poter contestare apertamente la lettera dei Sacri Canoni e delle Costituzioni emanate dalla Sede Apostolica: pertanto confidano di non incorrere affatto nelle censure e pene ivi contenute. Moltissimi infatti, come venimmo a conoscere dalla relazione dei suddetti, nella stessa amministrazione dei loro beni, nella cultura, nella divisione degli animali, dei frutti e delle altre cose che derivano o sono alimentate nei fondi loro o della Chiesa, o nel procurare le cose che sono necessarie per il proprio uso o per sostenere i predetti fondi, manifestano se stessi talmente immersi in atti di indecenza, talmente dediti totalmente alle cure e sollecitudini di questo secolo, e si mostrano anelanti di lucri temporali, che, pur essendo giustamente ritenuti innalzati per la prestanza della sacra dignità sopra la situazione della condizione umana, abbassano se stessi tra le persone dello stato più abbietto; coloro che dovrebbero essere e apparire figli della luce, sembrano superare i figli del secolo per ansia di terrena avidità. Le relazioni dicevano che costoro si recavano a tutti i mercati e luoghi di commercio in atteggiamento più o meno laicale, e presentavano un esempio assolutamente inferiore a quello Clericale di moderazione, di modestia, di ecclesiastico decoro e gravità.

14. A costoro Noi apertamente dichiariamo che, da parte Nostra, non è minimamente interdetto ciò che a loro è riconosciuto come permesso per la retta e provvida amministrazione del Patrimonio Ecclesiastico, per quanto riguarda la natura stessa dell’atto, oppure è loro raccomandato anche dai Santi Padri e dai Fondatori delle Leggi Ecclesiastiche. In verità come esistono moltissime altre cose che, pur non essendo proibite ai Chierici per la sostanza della cosa, tuttavia a loro ne è permesso l’uso soltanto sotto determinati aspetti e modalità, al punto che a coloro che avranno superato la modalità prescritta, e violato la formalità stabilita della disciplina ecclesiastica, vengono inflitte dai sacri Canoni pene temporali ed anche spirituali censure. Di simili obblighi si trovano innumerevoli esempi nelle leggi generali del diritto Canonico ed anche in speciali statuti delle Diocesi, che prescrivono molti doveri circa la vita, l’onestà, il vestito e la tonsura dei Chierici; così è necessario che voi, Venerabili Fratelli, osservando il modo di agire, conforme a quanto detto prima, di tutti gli Ecclesiastici che si trovano nelle vostre Diocesi, se vi accorgerete che da loro piuttosto frequentemente è accettato ciò che è sconveniente per lo stato clericale, non solo li ammaestriate con opportune istruzioni, di modo che, riflettendo sulla nobiltà della dignità loro conferita, ricordino non essere loro lecito deturparla con atti indecorosi, e neppure togliere dall’animo dei laici la giusta stima e il rispetto verso l’Ordine ecclesiastico, che moltissimo giova anche alle spirituali utilità dei popoli; e perché memori di essere chiamati alla eredità del Signore, cerchino e sviluppino non le cose proprie, ma quelle di Gesù Cristo. Ma per quanto conoscerete essere necessario, con opportuni Decreti già vigenti o con Editti più severi da preparare, vogliate affrontare simile turpitudine e cupidigia dei Chierici; vogliate correggere e punire le colpe dei delinquenti, tenuto conto dello scandalo maggiore o minore, ora rimproverando, ora castigando con salutari penitenze, ora infine con la spada sguainata delle pene ed anche delle censure. Ciò a titolo d’esempio per gli altri.

15. E pari, se non maggiore, sollecitudine del vostro zelo e costanza richiede un altro tipo di corruzione, che abbiamo saputo inficiare molti Ecclesiastici, trascinati alle preoccupazioni del secolo perché sottratti ai servizi della Chiesa. Vi sono infatti degli Ecclesiastici che non ricusano di prestare – per una ricompensa temporale ed abbastanza vile – la loro attività e opera, che per legge di carità dovrebbero dedicare integralmente al culto divino ed in utilità del prossimo: si abbandonano a compiti abietti e servili a favore dei Laici, talvolta anche per amministrare e curare i loro affari. In tale faccenda è difficile giudicare se sia da compiangere maggiormente la cecità di coloro che calpestano, essi stessi, la dignità del loro grado, o piuttosto da riprendere la presunzione dei Laici che disprezzano talmente i Ministri del Santuario, dai quali dovrebbero chiedere testimonianze di vita e sussidi di salute eterna, da non vergognarsi di utilizzarli come addetti ad affari domestici per compiti servili.

16. In verità, più profondamente preoccupa il Nostro animo il pensiero che tale malanno derivi forse da un altro abuso non meno detestabile: che cioè ad alcuni, che temerariamente aspirano allo stato clericale, non capiti talvolta di ingannare il loro Ordinario con documenti falsi e corrotti, e assicuratisi un patrimonio i cui frutti non appartengono a nessuno o non sono di loro competenza, siano promossi agli Ordini Sacri senza un reddito sufficiente per l’onesto sostentamento della loro vita. – Perciò nessuno di voi si meravigli, Venerabili Fratelli, se, approfittando dell’occasione, Vi esortiamo e ammoniamo fortemente, tutti e singoli, perché vi dimostriate più cauti e oculati in questa materia, perché a nessuno dei vostri sudditi sia dato di accostarsi alla Sacra Ordinazione senza che dal Beneficio Ecclesiastico, o dalla Pensione Ecclesiastica o dal Patrimonio da lui stesso preparato (secondo i casi permessi dal diritto, rimossa ogni collusione e frode) percepisca realmente quel reddito annuo che è riconosciuto dagli Statuti sinodali di ciascuna Diocesi o da una legittima, determinata consuetudine.

17. Non tollerate poi che i Chierici ed i Sacerdoti addetti nelle case dei Laici a simili compiti, che sono sconvenienti con la loro dignità e professione, siano trasferiti dal culto divino e dall’esercizio della propria perfezione all’esercizio di lavori servili e ad attività secolari, benché si sforzino talvolta di nascondere il tipo di servizio intrapreso con l’apparenza di modalità più oneste. Non permettete che avviliscano tranquilli nel loro disonore, oppure forse, caparbi, si vantino impunemente della loro defezione dall’ambito della Chiesa, ma con ogni attenzione della vostra sollecitudine pastorale e, per quanto sia necessario, con tutta l’autorità della giurisdizione ordinaria o delegata, rispettando ciò che deve essere rispettato, procurate di richiamarli alle istituzioni della vita Ecclesiastica ed agli impegni della Milizia Clericale.

18. Queste sono le cose, Venerabili Fratelli, che giudicammo opportuno suggerire alla vostra sollecitudine e fermamente raccomandare in forza dell’impegno del Nostro Ministero Apostolico, per difendere e rivendicare l’onestà e la dignità dell’Ordine Ecclesiastico. In questo affare, che dipende sommamente da particolari circostanze di azioni, è necessario che Voi siate assolutamente protagonisti, per il fatto che Voi potete meglio conoscere e giudicare più sicuramente le azioni dei vostri sudditi e le relative circostanze, le necessità delle regioni, i costumi delle persone, tutto ciò che presso uomini prudenti e probi abbia l’apparenza di onesto o di indecoroso e debba essere stabilito nei singoli luoghi. Perché poi Vi sia dato, in questo genere di cose, maggiore libertà di correggere e riformare tutto ciò che è disordinato, permettiamo che sia determinato dal vostro prudente giudizio qualsiasi indulto di dispensa o facoltà (circa quanto precedentemente detto) finora concesso da qualsiasi Ufficio della Curia Romana; e vogliamo che in seguito non ne sia concesso alcuno se non dopo aver sentito prima le Vostre relazioni e i Vostri voti, con aggiunte al medesimo indulto quelle formule e condizioni, mediante le quali sia lasciato a Voi l’intero potere di dare informazioni sulla loro esecuzione e sull’esito, in modo che a nessun Ecclesiastico sia lecito, con un pretesto, assumere alcun lavoro o servizio meno onesto, o ritenerlo e prolungarlo contro la Vostra proibizione. – Frattanto, confidando nel Vostro zelo pastorale, impartiamo di cuore alle Fraternità Vostre l’Apostolica Benedizione.”

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 17 settembre 1759, nell’anno secondo del Nostro Pontificato.

 

IV DOMENICA dopo PENTECOSTE

Introitus

Ps XXVI:1; XXVI:2 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt. [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.] Ps XXVI:3

Si consístant advérsum me castra: non timébit cor meum. [Se anche un esercito si schierasse contro di me: non temerà il mio cuore.]

Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt. [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.]

Orémus. Da nobis, quæsumus, Dómine: ut et mundi cursus pacífice nobis tuo órdine dirigátur; et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur. [Concedici, Te ne preghiamo, o Signore, che le vicende del mondo, per tua disposizione, si svolgano per noi pacificamente, e la tua Chiesa possa allietarsi d’una tranquilla devozione.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VIII:18-23. Fratres: Exístimo, quod non sunt condígnæ passiónes hujus témporis ad futúram glóriam, quæ revelábitur in nobis. Nam exspectátio creatúræ revelatiónem filiórum Dei exspéctat. Vanitáti enim creatúra subjécta est, non volens, sed propter eum, qui subjécit eam in spe: quia et ipsa creatúra liberábitur a servitúte corruptiónis, in libertátem glóriæ filiórum Dei. Scimus enim, quod omnis creatúra ingemíscit et párturit usque adhuc. Non solum autem illa, sed et nos ipsi primítias spíritus habéntes: et ipsi intra nos gémimus, adoptiónem filiórum Dei exspectántes, redemptiónem córporis nostri: in Christo Jesu, Dómino nostro. [Fratelli: Penso che le sofferenze presenti non sono paragonabili alla gloria futura che si manifesterà in noi. Poiché l’attesa del creato si rivolge tutta alla rivelazione dei figli di Dio. Infatti il creato è stato assoggettato alla vanità, non per suo volere, ma da colui che lo ha assoggettato con la speranza che lo stesso creato sarà liberato dalla schiavitú della corruzione nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutto il creato è unito nei gémiti e nelle doglie del parto fino ad ora. E non solo il creato, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo in noi stessi aspettando, dopo l’adozione a figli di Dio, la redenzione del nostro corpo: in Gesù Cristo nostro Signore.]

Omelia I

[Mons. G. Bonomelli [*], “Nuovo saggio di OMELIE per tutto l’anno”, Vol. III, Torino 1899 –imprim.]- Om. IX.

“Tengo per certo, che le sofferenze del tempo presente non hanno punto proporzione colla gloria che sarà manifestata in noi. Perché la stessa creatura irragionevole aspetta ansiosamente la manifestazione dei figliuoli di Dio: perché la stessa creatura suo malgrado fu sottomessa alla vanità da colui che ad essa l’ha sottoposta nella speranza. Perché anch’essa creatura sarà francata dalla servitù della corruzione e messa nella libertà gloriosa dei figliuoli di Dio. Sappiamo difatti, che fino ad ora ogni creatura geme ed è in travaglio quasi di parto. Né solamente essa, ma noi ancora, che abbiamo le primizie dello spirito e gemiamo in noi stessi, anelando all’adozione a figliuoli di Dio, alla redenzione del nostro corpo „ (Ad Rom. VIII, 18– Paolo ci lasciò quattordici lettere e prima di tutte nella Scrittura è posta quella ai Romani, dalla quale sono tolti i pochi versetti, che avete uditi e che si leggono nella Messa odierna. Questa tiene meritamente il primo posto tra le lettere di S. Paolo, non già perché sia stata scritta prima delle altre, ma perché è indirizzata alla Chiesa di Roma, madre di tutte le altre Chiese, sede del Primato, ed anche perché è la più lunga e per ragione della dottrina dogmatica in essa sviluppata sopra le altre importantissima. Questa lettera fu scritta da S. Paolo in Corinto, allorché era sulle mosse per Gerusalemme, l’anno 58, al più tardi, il 59 dell’era nostra. – Il tratto che devo chiosare si legge nel capo ottavo della lettera, ed è una miniera d’altissime verità teoriche e pratiche. L’Apostolo comincia il capo, toccando la felice condizione dei rigenerati in Cristo, e afferma ch’essi sono sciolti dalla legge del peccato; poi accenna alla misera condizione di coloro che vivono secondando la carne. Insegna che nei rigenerati in Cristo abita lo Spirito santo, come devono seguirne la legge e come nell’intimo della coscienza abbiano la testimonianza d’esser figli di Dio. A quali condizioni potranno riceverne la mercede? A condizione di patire con Cristo; soffrendo con Lui, con Lui saranno anche glorificati. E qui comincia la lezione che devo spiegare. – « Tengo per certo, che le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione con la gloria, che sarà manifestata in noi. „ È questa una verità, che troviamo, starei per dire, ad ogni pagina nelle lettere dell’Apostolo, ma che pure non è mai abbastanza ripetuta, perché di questa abbiamo bisogno continuo. La nostra vita quaggiù è una serie di afflizioni interne ed esterne raramente interrotte: il fardello del dolore ci sta sempre sulle spalle e l’ombra della croce ci segue dovunque. Ora in mezzo a tante tribolazioni, a tanti e sì crudeli affanni, che ci accompagnano nel cammino della vita, la verità più consolante, che possiamo avere, è questa: “Siamo certi, che le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione colla gloria, che sarà manifestata in noi” —. Quali sofferenze? Forse quelle soltanto che ci vengono direttamente dal professare la fede di Gesù Cristo e dalla osservanza fedele dei suoi precetti? Indubbiamente queste ci meritano la gloria divina; ma l’Apostolo non parla di queste solamente, ma di tutte le sofferenze della presente vita: Hujus temporis —, come sono quelle del lavoro, delle infermità, dell’inclemenza delle stagioni, dei timori, delle contraddizioni, della povertà e andate discorrendo; anche queste, quantunque comuni a tutti gli uomini, patite con spirito di fede, per amore di Gesù Cristo, ci fruttano per il cielo. Quale conforto il cristiano può attingere in questo insegnamento di S. Paolo! Egli può e deve dire a se stesso: io soffro, ma il mio soffrire è seme, che frutterà il godere e godere eterno; tra il soffrire presente e il godere futuro non vi è proporzione alcuna; il soffrire lieve, immenso il godere; il soffrire è breve, pochi giorni, pochi anni; il godere interminabile; la ricompensa, Dio stesso. Io affido alla terra un granellino, che l’occhio appena discerne; questo, dopo alcuni giorni, qualche mese o qualche anno, mi dà un fiore bello a vedersi, soave a odorarsi, un albero che curva i rami sotto il peso dei suoi frutti moltiplicati. Ecco l’immagine del mio soffrire quaggiù sulla terra e del mio godere su in cielo. Questo pensiero deve essere un balsamo versato sulle ferite del mio povero cuore e deve mitigarne e raddolcirne il dolore, come la speranza della messe copiosa rallegra il contadino, che suda sull’aratro e sparge la semente nel solco aperto. – S. Paolo dice: “Tengo per certo „ existimo che le sofferenze presenti mi daranno una gloria senza confronto maggiore del merito. „ Quale certezza abbiamo noi di ricevere il premio del nostro patire? La nostra certezza non è, né può essere di fede, perché la Chiesa ha definito contro gli eretici, che nessun cristiano, senza una speciale rivelazione, può essere certo di fede d’aver ottenuto la grazia, senza la quale non si può ottenere la vita eterna (Conc. di Trento, sess. VI, can. XIII, XLI); ma la nostra certezza può essere una certezza umana, che viene dalla coscienza di adempiere i propri doveri, di fare ciò che possiamo per pacere a Dio, per fuggire il peccato, simile a quella certezza che abbiamo d’essere amati dall’amico, dal padre, dalla madre, ai quali ci studiamo di mostrarci fedeli e ubbidienti. Questa gloria, che deve essere il frutto delle presenti sofferenze, sarà manifestata in noi, dice l’Apostolo, e a ragione. La gloria e la gioia, che avremo in cielo, non è altra cosa che la esplicazione e la fioritura della grazia, che possediamo sulla terra, come i fiori ed i frutti dell’albero non sono che la esplicazione e la fioritura di quel piccolo seme, che avete affidato alla terra; ondechè, possedendo la grazia, possediamo in potenza o in germe la gloria, e soffrendo in pace i dolori della vita, portiamo in noi stessi la gioia, che un dì sgorgherà dal fondo dell’anima nostra: Revelabitur in nobis. – Poiché noi tutti siamo fatti per la felicità e ad essa tendiamo necessariamente, come la pietra tende al suo centro, ne conseguita che i nostri cuori con ardente brama sospirano questa ricompensa delle nostre sofferenze e la gloria onde saremo vestiti. – Ma vi è di più, continua l’Apostolo: non pure noi, noi esseri deboli di ragione, sollevati e mossi dalla grazia aspettiamo col desiderio più acceso questa futura trasformazione, “ma la stessa natura irrazionale aspetta con ansia che siano manifestati i figliuoli di Dio, „ ossia che apparisca il giorno della loro manifestazione o gloria celeste. – Che è dessa quella creatura, che dicesi aspettare con ansia la rivelazione? Alcuni vi ravvisarono indicati gli angeli, ma a torto: perché questa creatura la si dice tosto nel versetto seguente soggetta alla vanità, e per fermo gli angeli non possono essere soggetti alla vanità. D’altra parte non possono essere gli uomini giusti, perché si dice, che questa creatura aspetta la rivelazione dei figli di Dio, cioè dei giusti, onde è manifesto, che la creatura che aspetta non si può confondere coi giusti: non possono essere nemmeno i tristi o peccatori, perché questi né aspettano, né possono aspettare questa rivelazione, che non conoscono, disprezzano od odiano. Resta dunque che quella parola creatura significhi la natura tutta irragionevole, ossia l’universo. S. Paolo, uomo orientale e nutrito nello studio dei Profeti, con un volo arditissimo di fantasia, ci rappresenta non solo le anime cristiane, ma le creature tutte anche irragionevoli, che si uniscono a quelle in desiderare ardentemente il compimento della speranza mercé la manifestazione della gloria eterna. Ma come mai e perché la natura irragionevole può unirsi alle anime credenti in questo affocato desiderio della futura trasformazione? Questo modo di parlare è veramente poetico, attribuendo 1′ aspettazione ansiosa a esseri destituiti di ragione e di volontà e perciò incapaci di desiderio; ma vi si nasconde un senso profondo, che mi studierò di spiegare alla meglio. Tutte e le cose materiali sono create per l’uomo e debbono servire a lui in tutti i modi, e in gran parte per via di evoluzioni meravigliose e perenni debbono entrare nell’organismo dell’uomo stesso, diventare successivamente parte del suo corpo ed essere assunte all’altissimo onore di strumento del suo pensiero e della sua volontà. Il perché tutte le creature materiali, a nostro modo di dire, aspirano alla loro unione con l’uomo, perché in esso e con esso si nobilitano, partecipano alla sua vita fisica e spirituale e sentono che la loro sorte è legata indissolubilmente alla sorte dell’uomo. Ecco perché tutte queste creature irragionevoli, a loro modo anch’esse, come formanti il corteggio, l’appendice dell’uomo, formanti anzi qualche parte dell’uomo insieme con lui sospirano che venga il giorno dell’umana trasformazione e risplenda agli occhi di tutti la gloria degli eletti e dei figli di Dio. E qui S. Paolo sviluppa più ampiamente il suo pensiero. Seguitiamolo. “La stessa creatura è soggetta alla vanità. „ Tutte le creature, che esistono sulla terra che direttamente o indirettamente servono l’uomo, giusta il volere del Creatore, nell’ordine presente, subiscono incessanti trasformazioni ed alterazioni: ora passano dalla natura in organica all’organica vegetale od animale e fino all’umana e poi ritornano all’inorganica. Osservate ciò che avviene intorno a noi e nel nostro corpo e troverete un movimento incessante, un farsi e disfarsi perpetuo delle creature, or lento, or rapido, tantoché la morte è la condizione della vita e la vita la condizione della morte: non vi è una sola creatura visibile che sfugga alla legge, che tutto fa vivere e morire e dalla morte trae gli elementi di una, vita novella e getta nella vita i germi della morte. Tutte queste creature non solo sono sottoposte a questa trasformazione che non cessa un solo istante, ma devono servire (ahi quante volte!) di strumento al disordine, all’offesa del Creatore, contro il loro fine. L’aria, la luce, l’acqua, la terra, le sue produzioni più belle e più preziose, tutto il regno vegetale, animale ed universale, per opera dell’uomo sono forzati a deviare dal loro fine e a diventare strumento di peccato. Inquantoché sono sottomesse al lavoro della trasformazione senza tregua ed alla necessità di essere soventi volte costrette ad un uso contrario al loro fine naturale, queste creature sono dette da S. Paolo ” sottoposte alla vanità: „ Vanitati creatura subjecta est. Espressione sublime, che rappresenta il mondo tutto in uno stato di prova e di violenza, come 1’uomo, del quale segue necessariamente la sorte, perché ad esso è ordinato, come mezzo al fine. Questo mondo visibile, continua S. Paolo, non vorrebbe questa legge di continue mutazioni, di alternative di morte e di lotta e rivolta contro il Creatore, alla quale è costretto dall’uomo: Non volens; ma vi si acconcia, perché così vuole il Creatore; vi si acconcia, ma con la speranza che verrà pure quel giorno, nel quale cesserà questa lotta, che lo affatica, nel quale saranno cieli nuovi e terra nuova e tutto sarà composto in una pace inalterabile e perfetta. “La stessa creatura è sommessa alla vanità, non volente, ma da Colui, che a questa l’ha sottoposta nella speranza. „ Sì, la natura tutta irrazionale, nel suo linguaggio domanda al pari di noi, uomini e cristiani, il cessare del suo stato presente, al quale istintivamente rilutta: il suo grido, eco lontana del nostro, è questo: Quando, Signore, porrete fine al mio travaglio? Quando mi darete la pace ? Quando, anch’io, come l’uomo e per l’uomo, sarò rinnovata e secondo la mia natura non servirò che a Lui solo? E giusto, risponde l’Apostolo: “anch’essa, questa natura irrazionale sarà affrancata dal servaggio della corruzione, nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio. „ Non è facile intendere questo luogo del sacro testo, ma sembra fuor di dubbio, essere, non altrimenti del seguente, una spiegazione dell’antecedente. La natura tutta irrazionale, quasi culla, reggia e nutrice dell’uomo, suo re, al termine dei secoli, quando egli ripiglierà, rifiorente di vita immortale, il suo corpo, anch’essa si rinnovellerà, quasi per fare più bella la gloria dell’uomo, e ad imitazione dell’uomo stesso: Et ipsa creatura liberabitur a servitute corruptionis, in libertatem gloria filiorum Dei. Quale sarà questo rinnovellamento della natura irrazionale, riflesso del rinnovellamento dell’uomo? Come finirà il suo servaggio e quale sarà la libertà sua, di cui qui favella l’Apostolo? Sappiamo che avverrà, ma quale sarà lo ignoriamo, e solo per una cotale induzione possiamo formarcene un’idea. Saranno cieli nuovi e terra nuova, l’uno e l’altra abitazione degna dell’uomo glorificato, sottratta interamente all’impero e all’influenza di ogni male morale e fisico, e saper questo ci basti. – Da questa dottrina sì alta e sì bella dell’Apostolo si fa manifesto che il fine delle creature tutte irragionevoli è legato al fine proprio dell’uomo e da questo dipende tantoché, se così posso esprimermi, anch’esse saranno felici o infelici della sua felicità od infelicità: ed è giusto perché le creature irragionevoli sono create per l’uomo e a lui debbono servire e per conseguenza la sorte del principale tira seco la sorte del secondario. Gli elementi, onde risulta il nostro corpo, accompagneranno e per sempre l’anima o beata in cielo, o straziata nell’inferno, perché l’unione sarà sempiterna, e perciò siamo noi che determiniamo la sorte eterna del mondo materiale. Il linguaggio dunque dell’Apostolo in questo luogo è poetico e ad un tempo altamente filosofico e vero. Questa idea dell’aspettazione ansiosa della natura irrazionale è ribadita e con più forte tinta rilevata in questo altro versetto: “Sappiamo di fatto che ogni creatura finora geme ed è come nel travaglio del parto. „ Questo gemere e quasi soffrire i dolori del parto di tutte le creature irragionevoli, aspettanti la loro liberazione e trasformazione finale, ci fa sentire la loro solidarietà coll’uomo e com’esse fremono nello stato di disordine e di violenza, in cui al presente troppo spesso si trovano. Questa frase dell’Apostolo ci riduce alla memoria quell’altra frase non meno energica del libro della Sapienza, in cui si dice, che Dio armerà tutte le creature contro gli stolti, cioè i peccatori. Ah! ricordiamola sempre, o dilettissimi, questa verità. Ogni volta che noi abusiamo delle creature, peccando, rivolgendole contro il Creatore, esse, per così dire, si sdegnano contro di noi, soffrono, gemono e sospirano il momento, nel quale spezzeranno il giogo della corruzione, che loro imponiamo: strumento nostro quaggiù al peccato, al piacere colpevole, diventeranno allora strumento di Dio a nostra punizione. S. Paolo, dopo questa breve e brillante digressione sulle creature tutte irrazionali, che con sì affocato desiderio aspettano e invocano la propria libertà e rinnovazione, ritorna a sé, ai credenti, e prosegue: “E non solo essa, cioè la creatura irrazionale, ma noi ancora, che abbiamo le primizie dello spirito, gemiamo in noi stessi, anelando alla adozione dei figliuoli di Dio, alla redenzione del nostro corpo. „ Sì, l’universo sospira e geme, ma con esso e ben più di esso, noi, cristiani, primizie del giardino di Cristo, la Chiesa, o meglio, noi cristiani, che abbiamo ricevuto i primi e più copiosi doni dello Spirito, sospiriamo e gemiamo nel fondo delle anime nostre. Travagliati da sollecitudini ed affanni interni, fatti segno di calunnie e di persecuzioni, sbandeggiati, flagellati, gettati in carcere, trascinati dinanzi ai tribunali, divenuti il rifiuto del mondo, ci viene a noia la vita, ita ut tæderet nos etiam vivere, volgiamo lacrimosi gli occhi al giorno, in cui la grazia, o l’adozione di fìgli di Dio ci schiuderà le porte del cielo e saremo liberati da questo corpo mortale e rivestiti del corpo impassibile e glorioso: Adoptionem filiorum Dei, expectantes redemptionem corporis nostri. Questo grido affannoso dell’Apostolo, che guarda, aspetta ed invoca la gloria della risurrezione del corpo, risponde al grido di Giobbe, che, straziato e disfatto dalla lebbra esclama: ” So che il mio redentore vive, e ch’io alla fine dei tempi risorgerò dalla polvere e rivestirò questa carne, e in essa vedrò il mio Dio e mio Salvatore. „ È questo il grido, che erompe dal cuore d’ogni credente, che attraversa questa terra d’esilio, che sente la miseria della vita presente, che cammina verso la vera patria, al possesso di Dio. Sia pur questo il grido che esce dai nostri cuori, disillusi della terra e anelanti al cielo!

[*][NOTA: Un lettore ci ha fatto cortesemente notare come Mons. G. Bonomelli, ai suoi tempi, sia stato in “odore” di Modernismo, anche per le sue abituali frequentazioni con A. Fogazzaro. I volumi dai quali traiamo le omelie sulla lettura, sono tutti muniti di nihil obstat ed imprimatur, letti da “quelli” del Santo Uffizio e dell’Indice. Vigilare è sempre opportuno, e la prudenza non è mai troppa, per cui invitiamo i lettori Cattolici a segnalare eventuali “svarioni” modernisti, sui quali abbiano chiuso gli occhi o si siano addormentati i censori del Santo Uffizio. Grazie a tutti anticipatamente]

Graduale

 

Ps LXXVIII:9; LXXVIII:10 Propítius esto, Dómine, peccátis nostris: ne quando dicant gentes: Ubi est Deus eórum? V. Adjuva nos, Deus, salutáris noster: et propter honórem nóminis tui, Dómine, líbera nos. [Sii indulgente, o Signore, con i nostri peccati, affinché i popoli non dicano: Dov’è il loro Dio? V. Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, e liberaci, o Signore, per la gloria del tuo nome.]

Allelúja

Alleluja, allelúja Ps IX:5; IX:10 Deus, qui sedes super thronum, et júdicas æquitátem: esto refúgium páuperum in tribulatióne. Allelúja [Dio, che siedi sul trono, e giudichi con equità: sii il rifugio dei miseri nelle tribolazioni. Allelúia.

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. V:1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Jesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adjuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Jesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: simíliter autem Jacóbum et Joánnem, fílios Zebedaei, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Jesus: Noli timére: ex hoc jam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum”.

[In quel tempo: Affollàtesi le turbe attorno a Gesú per udire la parola di Dio, Egli si teneva sulla riva del lago di Genézareth. E vide due barche tirate a riva, poiché i pescatori erano discesi e lavavano le reti. Salendo in una barca, che era di Simone, lo pregò di allontanarlo un poco dalla spiaggia; e sedendo insegnava alle turbe dalla navicella. Quando finí di parlare, disse a Simone: va al largo, e getta le reti per la pesca. E rispondendogli, Simone disse: Maestro, per tutta la notte abbiamo lavorato senza prendere niente, tuttavia, sulla tua parola, getterò la rete. E fattolo, presero una cosí grande quantità di pesci che le reti si rompevano. E allora fecero segno ai compagni che erano nell’altra barca affinché venissero ad aiutarli. E vennero, e riempirono le due barche al punto che stavano per affondare. Visto questo, Simone Pietro si gettò ai piedi di Gesú, dicendo: Allontanati da me, o Signore, poiché sono un peccatore. Lo spavento infatti si era impadronito di lui e di quelli che erano con lui a causa della pesca: ed erano sbigottiti anche Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano compagni di Simone. E Gesú disse a Simone: Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini. E avendo tirato a secco le barche, lasciata ogni cosa, lo seguirono.]

Omelia della Domenica IV dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

Uomini come pesci-

Fa menzione l’odierno Evangelo d’una pesca miracolosa notturna tentata dai discepoli del Salvatore con esito infelicissimo; poiché passarono tutta la notte in fatiche continue, e non venne loro fatto di prendere un solo pesce: “tota nocte laborantes nihil cœpimus”; ma poi, gettata nuovamente la rete, raccolsero una tal copiosa moltitudine di pesci, che la rete minacciava di rompersi, e la navicella di affondarsi. Da questa evangelica narrazione di pescatori e di pesca io prendo motivo di assomigliare gli uomini ai pesci. Non vi sorprenda l’assunto, è S. Ambrogio che me ne porge l’idea. “Pisces enim sunt, dice egli, qui hanc enavigant vitam” (Lib. 4 in Luc.). E a questa similitudine fece allusione il divin Redentore allorché disse a Pietro e ad Andrea; venite, seguitemi, e di pescatori di muti animali farò che siate pescatori di uomini: “Venite post me, et faciam vos fieri piscatores hominum”. Ora siccome i pesci si lasciano ingannare dal pescatore per un poco d’esca lusinghiera, così una gran moltitudine d’uomini incauti si lasciano ingannare dal pescatore per quel poco di dolce con cui li alletta a peccare. Deploriamo, fedeli amatissimi, la stoltezza di quei peccatori, che per un misero gusto di soddisfazione brutale cadono nella rete del peccato e del demonio, e perdono miseramente la vita dell’anima e l’eterna vita. La proposta allegoria degli uomini simili ai pesci riuscirà per avventura più sensibile, più opportuna al disinganno, e allo spirituale vantaggio di tutti. Favoritemi della solita vostra graziosa attenzione. – Fingiamo ipotesi (anche le ipotesi impossibili giovano a meglio schiarire la verità), fingiamo che i pesci avessero intendimento e discorso, e tra di loro andassero dicendo così: mirate quanto è grande la bontà e l’amore, che gli uomini hanno per noi. Abbandonano le loro case, vengono sulla sponda del mare, o ascendono su qualche naviglio, passano le notti in vigilie, e i giorni sotto la sferza del sole, esposti ai venti, alle piogge e al rigore delle stagioni. E tutto ciò perché? Per recarci qualche scelto alimento, per gettarci i più squisiti bocconi. Un tal discorso farebbe pietà insieme, e moverebbe il riso. Stolti, insensati, voi potreste rispondere, gustate pure ed inghiottite quei cibi che gli uomini vi apportano, e mi saprete poi dire quanto è grande per voi la loro bontà. Quel che non dicono, né possono dire i pesci muti e irragionevoli, lo dicono tanti uomini del bel mondo, dediti al piacere e al libertinismo, descritti nel libro della Sapienza: “Venite fruantur bonis” [Cap. II, 6], si dicono essi a vicenda: non vedete quanti beni ci presentano le creature, il mondo, il senso, la gioventù? Venite adunque, godiamo di questi piaceri, faranno questi la nostra felicità: “venite ergo, et fruamur bonis . . . quoniam hæc est pars nostra” (V, 8). Ah gente senza consiglio, più insensati, più deplorabili che i pesci non sono! Sotto l’esca allettante dei mondani piaceri si nasconde un amo adunco, micidiale, che vi strapperà le viscere, che vi toglierà la pace, la vita di grazia, e, se non vomitate con vera penitenza il dolce boccone trangugiato, anche la vita eterna. È lo Spirito Santo, che precisamente descrive nell’Ecclesiaste la vostra insensatezza e la vostra disgrazia. Avviene agli uomini, dice egli, come ai pesci, di venir presi ed uccisi da un amo nascosto : “Sicut pisces capiuntur hamo .., sic capiuntur hómines” (Eccl. IX, 11). – Vediamolo in pratica. Quel giovane frequenta ridotti: il demonio, pescatore scaltrito, lo alletta al giuoco coll’esca del guadagno, colla speranza di accrescere il suo coll’altrui danaro, e di rifarsi delle sue perdite. Questa è l’esca lusinghevole, sotto di cui un amo crudele gli fa poi sentire le più vive punture, per le perdite di somme considerabili, per le discordie domestiche, minacce del padre adirato, lacrime dell’afflitta madre, rimproveri dei congiunti, amarezze, rancori, disperazioni. Oh povero pesce ingannato, quanto ti costa quell’esca traditrice! “Sint pisces capiuntur hamo, sic capiuntur homines”. Quell’altro è spinto a intavolare una lite. Il demonio per invilupparlo in una rete inestricabile muove la passione dell’interesse colla speranza della vittoria, muove quella dell’amor proprio, e gli fa credere forti, evidenti, insuperabili le sue ragioni, e di nessun peso quelle della parte avversa; muove l’irascibile e gli fa dire: quando anche dovessi restar mendico, non voglio che il mio emolo se ne rida. Tutte queste passioni compongono un’esca molto saporosa ed attraente: vediamo se chi l’ingozza l’indovina. S’incomincia la lite, incominciano gli affanni, si prosegue, si va avanti, e allo stesso passo corrono le spese; ma le lusinghe sono che presto sarà finita. Passano intanto i mesi, passano gli anni, ma non cessa il conturbamento dell’anima, ed il dolor della borsa: nascono incidenti che affliggono, sospetti che affannano: succedono bugie, che velate consolano, e scoperte amareggiano giorni tristi, notti inquiete: lunghe anticamere, accoglimenti poco graziosi: sommissioni che costano, raccomandazioni che non giovano, parole simulate, promesse non adempite, odi, inimicizie, decadenza di stato, rovina di famiglia. Ecco le fitte pungenti e crudeli dell’amo nascosto, a cui delusi da un falso bene vi siete appigliato. Così è: “sicut pisces capiuntur hamo, sic capiuntur homines”. – Voi, o donna, coltivate quell’amicizia: badate bene, colui che vi viene attorno vuole tradirvi. Le lodi, le adulazioni, i donativi, le promesse sono le solite vie dell’inganno e del tradimento, e sono esche lusinghevoli per tirarvi ai suoi malvagi disegni. Non mi credete? aspettate forse che vi obblighi a credermi la vostra luttuosa esperienza? Oh Dio! Già questa vostra amistà è divulgata, le visite troppo frequenti fan parlare i vicini, ne mormorano i lontani, tutto il paese ne bolle. Siete figlia? Contro di voi si allarmano i genitori, i fratelli, i congiunti, i veri amici. Siete maritata? Sorgono contro di voi le gelosie, i sospetti, le minacce, le percosse dell’offeso consorte. Chiunque voi siete, se non recidete il filo della rea corrispondenza, il vostro onore è perduto, non potete più mostrar faccia, e coll’onore perduta avete la grazia di Dio e dell’anima. Questo vuol dire lasciarsi ingannare come i pesci dall’esca: “Sicut pisces capiuntur hamo, sic capiuntur homines” – Non sempre, dirà qui un uomo di mondo, non sempre avvengono le da voi descritte disavventure. Quante volte i pesci senza lor danno portan via dall’amo la pasta, e troncano il filo o fuggono dalla rete, e liberi guizzanti lasciano deluso il pescatore? – Ho inteso. E da casi rari, fortuiti, volete dedurre una general conseguenza, che dunque l’esporvi al pericolo sia da uom ragionevole e da buon cristiano? Eh miei cari, pericolo di peccare, che si vuole, si cerca, si ama, è peccato, in morale non si distinguono, e in pratica il pericolo che non si teme si cangia in rovina: “Qui amat periculum, in illo peribit” (Eccl. III, 27). – Sansone, prodigio di fortezza , allettato dalle carezze di Dalida, e caduto nelle sue reti, rompe la prima, la seconda, la terza volta le grosse funi, i forti legami, con cui dalla traditrice è stato avvinto; sprezza il pericolo, si fida della sua forza, e finalmente dato in man dei nemici perde la libertà, perde gli occhi, e perde la vita. Ecco il tragico fine di questo grosso fortissimo pesce; ecco l’esito funesto dei dolci allettamenti, e del non curare i pericoli. Diciamolo ancor una volta: “Sicut pisces capiuntur hamo, sic capiuntur nomine”. – Un altro pesce stoltissimo fu Esaù. Voi stupite in sentire dalle divine Scritture ch’egli rinunziò alla sua primogenitura, e con essa al diritto di pingue eredità, per una vile minestra di lenticchie. E poi non vi fa specie, quando voi, per un sozzo piacere, per un vile interesse, per una momentanea soddisfazione rinunziate a Dio e all’eredità del regno eterno! Non basta; la rinunzia di un sommo bene, voi lo sapete, porta seco necessariamente l’incontro di un sommo male. Or ditemi di grazia se l’uomo non è più stolto di un pesce, qualora per un boccone di sensuale diletto si condanna ad un sempiterno supplizio? Nel corso delle umane cose, dice il Santo Giobbe, dove si troverà persona così insensata, che voglia gustar di un cibo, conoscendo che le darà la morte? “Potest aliquis gustare, quod gustatum offert mortem?” (Job. VI, 6). Sia pur dolce, dolcissima una bevanda, sia pur ardente la sete, se di certo si sa che in fondo a quel bicchiere brillante sta una goccia di veleno, niuno è così pazzo e nemico di se stesso da accostarvi le labbra. Giusto riguardo per non perdere la vita. E solo, solo per l’anima saremo ciechi, forsennati, indifferenti, insensibili? O Cristiani, dov’è la nostra fede, dov’è l’uso di nostra ragione, dov’è il naturale amore di noi stessi? – Non poteva darsi pace il povero Gionata, quando si vide condannato a morte per aver gustato una goccia di miele: “Gustans, gustavi paullulum mellis, et ecce morior” ( I Re XIV, 43). Da un più grande e doloroso rammarico saranno compresi ed agitati tutti coloro, che per una stilla d’animalesco piacere hanno segnata la sentenza della loro morte spirituale ed eterna. – Eh via, miei cari, fuggiamo una volta, fuggiamo per carità gli allettativi del demonio, del mondo e della carne, ai quali abbiamo solennemente rinunziato nel santo battesimo. – Il Signore per nostra istruzione ci manda ad imparare la sollecitudine dalla formica, la semplicità della colomba, la prudenza del serpente, ed io, per vostro bene, contentatevi che vi proponga l’esempio di alcuni pesci, che sembrano dotati di ragione, di senno e di consiglio. Vedono questi sovente andar ondeggiando tra’ flutti esche saporite, delicati bocconi; vedono accorrere a questi tanti altri pesciolini, ed essi? Oh! Essi, sebbene allettati dalla vista, sebbene spinti dalla fame, guai che si accostino, voltano la coda, li lasciano intatti, e deludono lo scaltro pescatore. Volete vedere un di questi pesci saggi, prudenti, giudiziosi? (Già vi dissi dal bel principio con S. Ambrogio: “pisces sunt, qui hanc enavigant vitam”). Vedetelo dunque in casa di Putifarre, egli è Giuseppe figliuolo di Giacobbe. Questo casto virtuosissimo giovane venne più volte tentato dall’impudica padrona; ma egli, occhi a terra, piedi in fuga e costanti rifiuti; e quando la sfacciata ardì tenerlo per la veste, gliel’abbandonò fra le mani, e si salvò con fuggire. Atto sì generoso, vittoria così segnalata meritò che Iddio l’esaltasse al grado di viceré dell’Egitto, e la gloria del suo nome immortale nei secoli, qual santo patriarca in terra, e beato comprensore nel cielo. Esempio così luminoso non ha bisogno di commento. Felice chi navigando fra i pericoli di questo mare tempestoso, che è il mondo, saprà fedelmente seguirlo. Più felice chi si avvicinerà al divino Redentore per esser preso dalle sue dolci attrattive. Egli, come abbiamo dall’odierno Vangelo, ascese sulla barca di Simon Pietro, per essere più facilmente inteso dalle turbe che stavano sul lido, e, come osserva S. Gregorio Nazianzeno, per far preda del cuor dell’uomo, per trarre dal profondo delle lor colpe i peccatori, come dal fondo del mare si traggono i pesci. “Ut a profundis extrahat. piscem hominem, natantem in amaris huius vitæ pericoli” (D. T. in Cat. aurea). – Conchiudiamo: Gesù Cristo rassomiglia la sua Chiesa ad una gran rete, che nel suo seno accoglie una moltitudine immensa di pesci di ogni genere, di ogni forma, di ogni colore: “Simile est regnum cœlorum sagenæ missæ in mare, et ex omni genere piscium congreganti” (Matth. XIII, 17). Tratta sul lido la rete si fà dai pescatori la scelta, i pesci buoni si ripongono in vasi opportuni, i cattivi si gettano a marcir sull’arena. Così avverrà alla fine del mondo nella gran valle; discenderanno gli angeli dal cielo a separare i buoni dai malvagi, i giusti dai riprovati. Quei che dagl’incentivi del senso, dalle lusinghe del mondo si sono lasciati sedurre saranno gettati all’eterna perdizione, quei che da saggi e prudenti han saputo disprezzare i vietati piaceri, fuggire i pericoli e mantenersi a Dio fedeli, saranno collocati negli eterni tabernacoli, ove Iddio ci conduca.

 Credo…

 Offertorium

Orémus Ps XII:4-5 Illúmina óculos meos, ne umquam obdórmiam in morte: ne quando dicat inimícus meus: Præválui advérsus eum. [Illumina i miei occhi, affinché non mi addormenti nella morte: e il mio nemico non dica: ho prevalso su di lui.]

Secreta

Oblatiónibus nostris, quæsumus, Dómine, placáre suscéptis: et ad te nostras étiam rebélles compélle propítius voluntátes. [Dalle nostre oblazioni, o Signore, Te ne preghiamo, sii placato: e, propizio, attira a Te le nostre ribelli volontà.]

Communio

Ps XVII:3 Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus: Deus meus, adjútor meus. [Il Signore è la mia forza, il mio rifugio, il mio liberatore: mio Dio, mio aiuto.]

Postcommunio

Orémus. Mystéria nos, Dómine, quæsumus, sumpta puríficent: et suo múnere tueántur. Per … [Ci purifichino, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri che abbiamo ricevuti e ci difendano con loro efficacia.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO

LUGLIO E’ IL MESE CHE LA CHIESA DEDICA AL

PREZIOSISSIMO SANGUE DI NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO

“Non dobbiamo omettere di ricordare qui che questa festa è il memoriale di una fra le più splendide vittorie della Chiesa. Pio IX era stato scacciato da Roma, nel 1848, dalla Rivoluzione trionfante; in quegli stessi giorni, l’anno seguente, egli vedeva ristabilito il suo potere. Il 28, 29 e 30 giugno, sotto l’egida degli Apostoli, la figlia primogenita della Chiesa, fedele al suo glorioso passato, cacciava i nemici dalle mura della Città eterna; il 2 luglio, festa di Maria, terminava la conquista. Subito un duplice decreto notificava alla città e al mondo la gratitudine del Pontefice e il modo in cui egli intendeva perpetuare mediante la sacra Liturgia il ricordo di quegli eventi. – Il 10 agosto, da Gaeta, luogo del suo rifugio durante la burrasca, Pio IX, prima di tornare a riprendere il governo dei suoi Stati, si rivolgeva al Capo invisibile della Chiesa e Gliela affidava con l’istituzione dell’odierna festa, ricordandogli che, per quella Chiesa egli aveva versato tutto il suo Sangue. Poco dopo, rientrato nella capitale, si rivolgeva a Maria, come avevano fatto in altre circostanze san Pio V e Pio VII; il Vicario dell’Uomo-Dio attribuiva a Colei che è l’Aiuto dei cristiani l’onore della vittoria riportata nel giorno della sua gloriosa Visitazione, e stabiliva che la festa del 2 luglio fosse elevata dal rito doppio maggiore a quello di seconda classe per tutte le Chiese: preludio alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione, che l’immortale Pontefice fin d’allora aveva in mente, e che doveva schiacciare ancor più il capo del serpente. – Poi, nel corso del Giubileo indetto nel 1933 per commemorare il XIX centenario della Redenzione, Papa Pio XI, onde imprimere maggiormente nell’animo dei fedeli il ricordo e la venerazione del Sangue del Divino Agnello e per invocarne sulle anime nostre frutti più abbondanti, elevò la festa del Preziosissimo Sangue a doppio di prima classe” [Dom Gueranger, l’Anno Liturgico].

FESTE DEL MESE DI LUGLIO

1 luglio Pretiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu Christi   Duplex I. classis *L1* Primo sabato.

2 luglio Dominica IV Post Pentecosten   In Visitatione B. Mariæ Virginis    Duplex II. classis

3 luglio S. Leonis Papæ et Confessoris    Semiduplex

4 luglio Sexta die infra Octavam Ss. Petri et Pauli.    Feria major

5 luglio S. Antonii Mariae Zaccaria Confessoris    Duplex

6 luglio In Octavam Ss. Petri et Pauli.    Duplex majus

7 luglio Ss. Cyrilli et Methodii Pont. et Conf.  Duplex – Primo Venerdì del mese.

8 luglio Sanctæ Mariæ Sabbato   Feriale –  S. Elisabeth Reg. Portugaliæ Viduæ    Semiduplex

9 luglio Dominica V Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I

10 luglio Ss. Septem Fratrum Martyrum, ac Rufinæ et Secundæ Virginum et Martyrum  Semiduplex

11 luglio S. Pii I. Papæ et Martyris    Simplex

12 luglio S. Joannis Gualberti Abbatis    Duplex

13 luglio S. Anacleti Papæ et Martyris    Semiduplex

14 luglio S. Bonaventuræ Episcopi Confessoris et Ecclesiae Doctoris    Duplex

15 luglio Sanctae Mariæ Sabbato   Ferial S. Henrici Imperatoris Confessoris    Semiduplex

16 luglio Dominica VI Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

      In Commemoratione Beatæ Mariæ Virgine de Monte Carmelo  Simplex

18 luglio S. Camilli de Lellis Confessoris    Duplex

19 luglio S. Vincentii a Paulo Confessoris    Duplex

20 luglio S. Hieronymi Æmiliani Confessoris    Duplex

22 luglio S. Mariæ Magdalenæ Pœnitentis    Duplex *L1*

23 luglio Dominica VII Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I*

25 luglio S. Jacobi Apostoli    Duplex II. classis

26 luglio S. Annae Matris B.M.V.    Duplex II. classis

28 luglio Ss. Nazarii et Celsi Martyrum, Victoris I Papæ et Martyris ac Innocentii I Papæ et Confessoris    Duplex

29 luglio S. Marthæ Virginis    Duplex

30 luglio Dominica VIII Post Pentecosten Semiduplex Dominica minor *I*

31 luglio S. Ignatii Confessoris    Duplex majus

IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (3)

IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE

ovvero IL PAGANESIMO NELL’EDUCAZIONE

(3)

[Mons. J. J. Gaume, trad. dal francese di A.V. – Napoli 1854]

Cap. VI

SECONDA EPOCA.

Abbiamo veduto quale fu il sistema di letteraria educazione seguito dai cristiani durante la prima epoca, cioè durante i primi cinque secoli della Chiesa. Noi lo studieremo nella seconda epoca, che comprende tutta la durata del medio-evo. – Interrogando ben bene i monumenti che ci rimangono, noi troviamo lo stesso metodo, se non che gli autori pagani sono ancor meno letti, se non che eglino spariscono anche interamente dal novero dei classici. Difatti, il motivo di studiarli, non ha più, a gran pezza, lo stesso valore. – Il paganesimo greco-romano è vinto, vinto nei suoi tiranni e nei suoi filosofi, vinto nelle idee e nei fatti. Il motivo cristiano di leggere i suoi autori è sparito: il mondano pretesto di studiarli non è peranco inventato. Padrona del campo di battaglia, la Chiesa può oramai adempiere in tutta la sua pienezza la grande missione che le fu assegnata, di rinnovare la faccia del mondo. Intorno ad essa si stringono i robusti figliuoli del settentrione, vincitori semi-selvaggi del vecchio mondo. Bisogna tagliare e pulire questo duro granito: bisogna rendere pieghevoli ed incivilire quei fieri Sicambri: tale si è la sua unica cura, tale sarà la sua gloria. – Ora, essa sa che lo incivilimento non è se non il Cristianesimo applicato alle società; essa sa che tale applicazione, acciò sia reale e duratura, deve prima raggiungere l’infanzia; sa che l’infanzia è segnata o piuttosto formata, irrevocabilmente formata dall’educazione; sa che l’educazione dipende dallo stampo in cui sono gittate le generazioni, le quali sono pagane o cristiane, secondo che lo stampo stesso è pagano o cristiano; sa finalmente che il rozzo elemento a cui essa deve dar forma noi può essere se non per l’azione esclusiva, cioè forte e costante del Cristianesimo. – Il pensiero dominante in quei grandi secoli trovasi per intero nelle notevoli parole di un santo che esercitò grande influenza sul procedere degli animi: si direbbe una nuova promulgazione delle costituzioni apostoliche. Nella vita di Sant’Eligio, il suo collega nell’episcopato, Sant’Oven, vescovo di Roano, così dice: « Qual profitto ricaviamo noi, ve lo chiedo, dalla lettura dei vari grammatici, i quali sembrano piuttosto rovesciare che fabbricare? A che cosa ci servono, in filosofia, Pitagora, Socrate, Platone ed Aristotele? Di qual utile sono ai lettori i tristi canti dei poeti colpevoli, come Omero, Virgilio e Menandro? Quale vantaggio può egli ridondare alla cristiana famiglia da quei facitori di storie pagane, Sallustio, Erodoto e Livio? Qual’arte oratoria di Lisia, di Gracco, di Demostene e di Tullio può essere paragonata alle pure e belle dottrine del Cristo? Di quale utile ci sarà mai l’abilità di Fiacco, di Solino, di Varrone, di Democrito, di Plauto, di Cicerone e d’altri che credo inutile di qui enumerare? » [Vit. B. Elig. Prol. vers. fin.] Durante questa seconda epoca, tutti i classici sono cristiani. Si pensa, così poco a negare questo fatto importante, ch’esso servì d’eterno testo agli innumerevoli rimproveri che si fanno da tre secoli agli avi nostri. Cotal testo sarà esaminato più tardi: prosieguo. – La lingua latina rimase, almeno durante una parte del medio-evo la lingua volgare degli antichi abitanti d’Europa; nel nono secolo, il greco stesso sembra stato generalmente conosciuto.Grazie a questa felice circostanza, l’infanzia poté essere custodita all’ombra del tetto paterno molto più a lungo che non ai dì nostri. Colà, come nei primi secoli, essa veniva sodamente nutrita dalla lettura dei Libri Sacri, degli Atti de martiri, delle opere dei Padri, dalle leggende dei santi, dei racconti a volte così ingenui e così perfettamente epici delle grandi azioni dei cavalieri, dei crociati, dei pellegrini, degli illustri fondatori di tutti gli ordini religiosi, il cui nome era così popolare come le loro opere sono sublimi. Ecco quanto consta da tutti i monumenti contemporanei; ecco ciò che prova il religioso suggello cosi profondamente improntato nel linguaggio, e perfino nei più semplici usi degli abitanti di campagne, del pari che degli abitanti di città. – Né solo presso il domestico focolare il fanciullo leggeva quei classici meravigliosi. Ei li trovava scritti in caratteri fiammeggianti nelle vetrate di tutte le chiese e nei dipinti che ne coprivano le pareti Sicché come i quei dì tutti andavano in chiesa, e spesso; così cotale lettura era veramente la lettura classica e popolare. Quindi, l’usanza consacrata anche ai dì nostri in un gran numero di famiglie d’insegnare a leggere ai fanciulli nella Bibbia a figure. Quindi ancora l’altra usanza non meno religiosamente conservata in certe parti di Francia e d’Europa di leggere, ogni sera almeno nell’inverno, gli Atti dei martiri e le Vite dei santi, in presenza della famiglia adunata. Lasciando la famiglia, la gioventù destinata alla chieresia entrava nelle pubbliche scuole. Si sa infatti che in quel tempo, preteso barbaro, il suolo d’Europa, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, l’Irlanda, l’Italia, era coperto di scuole poste vuoi nei presbiterii di contado, vuoi nei monasteri, vuoi nelle cattedrali, vuoi nelle case episcopali. Ivi riunivansi spesso in un’età ancor tenera i ragazzi delle varie classi della società; tutti vi ricevevano una educazione comune, quale si fosse la differenza delle carriere ch’eglino intendevano abbracciare. Volete conoscere i libri che loro ponevansi fra mano? Leggete le belle lettere di San Gerolamo a Leta e ad Eustachio: esse erano il direttorio degli studi, e voi vedrete con quale ammirabile fedeltà il medio-evo conservasse le regole pedagogiche deprimi secoli della Chiesa. Si cominciava, o piuttosto si proseguiva l’educazione cominciata presso il domestico focolare, colla letteratura ecclesiastica, cioè con quanto spetta alla religione, alla sua storia, alle sue glorie, alla sua dottrina. I principali classici erano gli Atti dei martiri, o, come allora dicevasi, il Libro delle passioni, liber passionum; libro più alto di alcun altro a sviluppare energicamente nell’anima dei giovinetti tutti i nobili sensi di fede, di distacco, di generosità, di coraggio, che formano i grandi caratteri ed i grandi popoli. Quindi quell’ aureo libro si procurava a grandi spese e collocavasi in capo alle più ricche biblioteche. Questa testimonianza di rispetto era una conformità di più all’usanza de’primi cristiani, i quali non si sgomentavano per spesa di sorta, per pericolo alcuno, affine di ottenere gli Atti dei martiri, di cui essi facevano la loro assidua lettura. Una delle glorie della Gran-Brettagna, Acca, successore dell’illustre Wilfrido, arcivescovo di Canterbury, si rese celebre per la magnifica biblioteca da lui composta. Sapete voi qual è il primo libro citato dall’immortale suo storico? Gli Atti de’martiri. Al Libro delle passioni aggiungevasi la Sacra Scrittura, e sovrattutio i Salmi, che in generale si facevano imparare a menadito, come si usa fra di noi le favole di Fedro o l’Arte poetica di Orazio. La storia minuta di certe educazioni non lascia verun dubbio sulla universalità del sistema. Limitiamoci a qualche esempio, preso a caso fra i vari popoli di Europa. San Bonifacio, scrivendo la vita e il martirio di San Livino, così narra il modo col quale ci fu educato nei suoi primi anni: « Codesto fanciullo, dice, dotato di egregie disposizioni, scelse la vita contemplativa e visse con San Benigno, sacerdote scozzese, uomo di nascita illustre. Volendo essere istruito da tale sacerdote nella melodia dei Salmi, nella dolce lettura dei santi Evangeli ed in altri divini esercizi, la sua tenera età trascorse secondo i suoi desideri, in guisa, che, come se stato egli fosse in un immenso giardino di una bellezza tutta celestiale, procedeva innanzi ogni di più, passando per tutti i gradi della virtù. La sottigliezza del suo intelletto era mirabilmente sviluppata, e, colla cooperazione alla grazia, ei non rinveniva difficoltà veruna nello studio di tante cose divine, né nella pratica degli esempli de giusti (Vita B. Livio) ». Narrasi di San Patrizio, che la madre del giovine Lanano, avendogli condotto il figliuol suo acciocché egli lo ammaestrasse nelle lettere, il santo uomo lo affidasse al beato Cassano, ed il giovinetto apprendesse in poco tempo tutto quanto il Salterio, e diventasse poscia uomo di una vita edificantissima. Parlando del giovine Leobardo, d’una illustre famiglia, San Gregorio di Tours dice che, giunto il tempo, ei fu inviato a scuola, ove apprese a memoria tutto il Salterio. Lo stesso raccontasi di San Nizerio, vescovo di Lione, il quale rese il servigio medesimo ad altri giovinetti. Nello studio dei Libri Sacri adopravasi quella saggia prudenza di cui San Gerolamo dà le regole scrivendo a Leta. Piena di reverenza pel fanciullo , laChiesa allontanava da esso, anche nei Libri Sacri, quanto avrebbe potuto porre in pericolo la sua innocenza o stancare la sua immaginazione; le opere dei padri servivano ad un tempo di modelli d’eloquenza e di commenti ai Libri Sacri. Qui pure v’era lo stesso metodo che nei primi secoli della Chiesa, in cui lettura delle lettere dei supremi pontefici e dei Vescovi era il cibo dei fedeli. – I trattati delle scienze e delle arti si spiegavano poscia. Ma secondo quel gran principio di ordine e di luce, che la religione è nel mondo ciò eh’è il sole nel firmamento, il centro intorno a cui tutto gravita, le scienze e le arti si studiavano non già come scopo, ma sì come mezzo, non già di benessere, ma di perfezionamento spirituale e temporale, e di utilità per la religione. Perciò vediamo che nelle dotte scuole d’Inghilterra, stabilite dall’illustre Teodoro, arcivescovo di Cantorbery, la geometria, l’astronomia, le matematiche in generale, erano per tal guisa insegnate sotto il riguardo religioso, ch’elleno portano il nome di geometria, d’astronomia di matematiche ecclesiastiche. Lo stesso avveniva della pittura, della scultura, dell’architettura, della poesia; poiché tutte codeste cose furono stabilite per servire alla gloria del loro Autore. Insegnavano pure le lingue straniere, sia per trarre profitto dai tesori di scienza religiosa dei vari popoli, sia per poter predicare l’Evangelio all’Oriente ed all’Occidente. Erano esse, per questa doppia cagione, cosa di cura speciale. Infatti noi reggiamo che un gran numero le parlavano come loro lingua materna. La storia consegnò questo fatto, che il re Gontrano fu ricevuto in Orleans da una compagnia di persone che cantavano le sue lodi gli uni in siriaco, gli altri in latino, e parecchi in ebraico. – Il latino si parlava in Roma soprattutto, nel palazzo di San Gregorio, con ammirabile perfezione. Vedremo più tardi il concilio di Vienna ordinare solennemente l’erezione delle cattedre di tutte le orientali nelle varie università dell’Europa. Nulla dico delle scienze morali e della filosofia soprattutto, poiché è cosa troppo evidente ch’esse erano tutte considerate come serve della teologia. Così le chiama San Tommaso, le cui opere, non meno di quelle dei dottori del medio-evo, sono una prova solenne di quella magnifica definizione. Ecco del resto il programma degli studi in quei secoli che vogliono barbari. Scritto da Marciano Capella, retore africano del quinto secolo, e venendo dalle più alte tradizioni dell’antichità, siffatto programma rimase invariabile per dodici secoli. « A dieci anni cominciavano gli studi in regola; essi si dividevano in due periodi di cinque anni ciascheduno. Durante il primo, si percorreva il Trivium, che corrispondeva la grammatica, la Dialettica, e la Retorica. Per assai tempo cotali studi non arrossivano di essere modestamente chiamati Triviali. Alla grammatica apparteneva lo studio delle lingue. Si trovano sulle rive della Loira, in Angers, in Orléans, in Poitiers, tutte le lingue dotte coltivate, senza eccettuare le lingue orientali. La dialettica precedeva saggiamente la retorica, la quale quindi non era più ciò che poscia diventò, un fuor d’opera tra la grammatica e la filosofia, un’arte di esprimere pensieri che si avranno più tardi. – « Secondo l’attitudine e i progressi dei discepoli succedeva al Trivium il Quadrivium, il quale li iniziava alle nozioni più alte dell’aritmetica, della geometria, dell’astronomia e della musica. Ora, tutti siffatti elementi sparsi si riunivano col mezzo di una possente ed armonica sintesi. Noi useremo, per esporla, i termini proprii degli antichi. Secondo essi, l’ educazione dell’uomo, come la formazione del mondo, a due cose si riduceva: alla parola ed al numero, e a due fini che tutto abbracciano, l’eloquenza e la sapienza. – « Tre vie menavano all’eloquenza: l’arte di parlare correttamente, di pensar giusto e di ben dire; ovvero, la parola elaborata dalla grammatica, aguzzata dalla dialettica, espressa ed abbellita dalla retorica: il verbo nella sua purezza, nella sua forza e nella sua bellezza, tale si era l’eloquenza. – « Era necessario un cammino più lungo e più arduo per giungere alla sapienza od alla scienza, cose identiche. Tuttavolta, tutto comprendevasi nel numero; ma v’era il numero che si moltiplicava o che si decomponeva in infinite combinazioni, l’aritmetica rappresentata dall’unità; v’era il ninnerò astratto assoluto, immutabile nell’ estensione ideale, ovvero la geometria, che aveva per emblema il binario; v’era il numero moventesi attraverso gli spazi creati, e recante seco i corpi celesti e il mondo nei giri di un immenso vertice; l’astronomia, di cui una sfera era il simbolo. Finalmente, alle sette corde della lira, una mancava ancora. Sicché quando tutti codesti accordi risuonavano insieme, l’armonia sveglia vasi nell’anima, la musica appariva, come quei concerti che Pitagora sentiva in lontananza dal mondo e nelle profondità del suo spirito. Questo era il compimento dell’uomo, la consumazione della sapienza. Così formavasi quella scala dell’umano sviluppo i cui due segni erano la parola e la saggezza; ed i sette gradini, quelle arti liberali che formavano 1’uomo innalzato al vero suo valore, il saggio eloquente: Vir bonus dicendi peritus. – Che sono essi mai, quanto a profondità e ad armonia, i moderni sistemi rispetto a quello? Tuttavolta, quello non era se non lo stampo uniforme in cui passavano tutti gli intelletti. Venivano poscia le cognizioni speciali ad ogni situazione della vita: esse davansi nelle università. Finalmente, perfino la letteratura pagana, conforme allo spirito dei Padri della Chiesa ed alle regole di prudenza dettate da quegli uomini immortali, era studiata nella età conveniente, acciò le spoglie d’Egitto servissero all’ornamento del Santuario. Così, da una parte, l’adolescenza, e mai l’infanzia, toccava quel vaso i cui orli sono dorati, ma la cui coppa contiene veleno. D’altra parte, l’adolescenza medesima, che dico! i maestri stessi nol toccavano se non di passaggio e colle maggiori precauzioni. Se in qualche luogo taluno si allontanava da queste regole, delle quali, i mali che noi soffriamo non permettono a nessuno di revocare in dubbio la grandissima sapienza, tosto lagni e grida di pericolo si fanno sentire. Il supremo pontefice, la grande scolta d’Israele, era avvisato: tutto rientrava nell’ordine, e l’Europa proseguiva ad attingere il bello alla stessa sorgente a cui attingeva il vero, il buono, il giusto. – Terminiamo con alcuni particolari utili a conoscersi specialmente ai dì nostri. Le persone di chiesa, i buoni monaci, dediti in generale all’educazione della gioventù, adempievano all’ufficio loro con un fervore che ne assicurava il buon esito ed al quale punto non rassomiglia la condotta degli uomini di mestiere che speculano sull’insegnamento ufficiale. Fervore nell’istruirsi. La vita dell’ ecclesiastico, ovvero del religioso destinato all’insegnamento, era vita di studi. Nessun pensiero di famiglia, nessuna cura dei bisogni del vivere, nessuna ansia per le agitazioni del di fuori distraeva il suo pensiero: pregare ed istruirsi per santificare ed ammaestrare i suoi discepoli, quest’esse erano tutte le sue sollecitudini. I sacri canoni, le regole dei monasteri glie ne facevano un dovere di coscienza. In mancanza di altre prove, ciò solo dimostrerebbe l’immensa superiorità del loro insegnamento. – Zelo nel conservar l’innocenza de’discepoli loro. Qui pure qual differenza tra la condotta dei religiosi d’allora e quella dei professori d’oggidì! Ai dì nostri, tutta l’educazione è abbandonata all’influsso dei maestri di studi. Altre volte, i maestri non lasciavano i loro fanciulli né il dì né la notte. Nulla io conosco di più commovente e di più istruttivo delle seguenti prescrizioni dei concili di Tours e di Toledo: « I religiosi e i chierici, dicono essi, ai quali l’educazione dei giovanetti è affidata, abbiano cura che i giovani di quindici anni e più in là, dimorino insieme e dormano in una sala comune, senz’essere abbandonati, nemmeno un sol momento, dal loro direttore o dal loro maestro. Di notte uno succeda all’altro per fare una lettura, affinché le medesime precauzioni che si prendono per conservare la purezza del corpo loro servano eziandio a rischiarar le loro anime ». – Zelo nell’alleviare i loro bisogni. Di questi tempi non si può entrar nei luoghi d’insegnamento se non a prezzo di danaro. Nei secoli barbari del medio-evo, la scienza non costava nulla. Essa si impartiva gratis, e quei religiosi sì avidi davano ancora ai giovinetti poveri e libri e cibo corporale, senza di che quelli non avrebbero potuto proseguire i loro studi. – Uscendo dalle scuole poste nei presbiterii, nei monasteri, nelle cattedrali, nell’abitazione stessa dei vescovi, la gioventù portavasi alle università. In quei grandi centri di luce, dei quali la religione aveva cotanto dotato 1’antica Europa, lo spirito d’insegnamento era lo stesso che presso il focolare domestico e nelle scuole elementari: uomini e libri, tutto vi era cristiano. Aristotele solo, perdonatemi l’espressione, ebbe il diritto di venire ammesso a libera pratica, ed ottenne il privilegio d’una grande popolarità. Ma, da un lato, questo filosofo non era posto tra mano ai giovanetti; dall’ altro, nol si studiava né pel fondo dei pensieri, né per la forma oratoria dello stile suo; egli era letto soltanto a cagione del suo metodo dialettico. L’interesse della religione ispirava i nostri Padri, e nessuna persona sagace vorrà negare ch’ei fossero ben ispirati. A rischio di scandalizzarvi, dirovvi che la dialettica ha vari titoli alla mia speciale estimazione. Il primo si è il male che ne dissero gli eretici ed i novatori, e ne dissero molto. Il secondo, si è l’immenso servigio da quella reso all’ umano spirito ed alla verità. Lo spirito umano le deve quel cammino fermo e quella possanza di deduzione che lo rattiene dal perdersi nel vago, e che comunica alle moderne nostre lingue la più preziosa di loro doti, la precisione: immenso beneficio non mai posseduto dalle lingue antiche. Di vero, essa somministrò armi sicure, vuoi per respingere gli assalti dell’errore, vuoi per smascherare l’errore medesimo, ed irretirlo nei suoi propri lacci, riducendo le sue divagazioni e la sua ciancia alla forma chiara e inesorabile di un sillogismo. Tuttavolta le opere d’Aristotele non furono senza pericolo; esse diedero luogo a più errori giustamente condannati dal vescovo di Parigi, Stefano Tempier, nel 1277: « Abbiamo udito, ei dice, che alcuni studiosi delle arti (di filosofia) eccedendo i limiti della loro facoltà, osano sostenere errori manifesti, o piuttosto chimere stravaganti. Eglino trovano queste proposizioni nei libri dei pagani, e loro sembrano cotanto dimostrative, che non sanno rispondere alle stesse. Volendo palliarle, cadono in un altro scoglio; poiché dicono che sono vere, secondo il filósofo, cioè secondo Aristotile, ma non secondo la fede cattolica. Come se due verità che si contraddicono esistessero! ». – Ricapitoliamo brevemente quanto precede. Da questa concisa esposizione emana il fatto che noi vogliamo stabilire, cioè: che durante il periodo del medio-evo i libri classici furono esclusivamente cristiani. Dal principio della Chiesa sino al decimo sesto secolo, l’opinione invariabile dei Padri e dei saggi, fu che la letteratura pagana non si rifaceva né allo spirito, né all’indole della religione cristiana; che perciò era necessario di studiar quella che naturalmente nasceva dal Cristianesimo, che era la sua espressione e che respirava il suo spirito. « La nostra vera latinità, dice S. Prospero, si è, se male io non mi appomgo, quella la quale, ritenendo solo la proprietà dei termini dell’antica latinità, esprime le cose brevemente e semplicemente, e non quella che si compiace della bellezza della forma.» – La gloria eterna di San Gregorio il Grande si è d’aver fissato con i suoi scritti quella lingua latina cristiana, della quale i Padri avevan posto le fondamenta; lingua sì ammirabile di lucidità, di ricchezza, di semplicità, d’ unzione, di eleganza, e così differente dalla lingua latina pagana quanto il giorno differisce dalla notte, od il cristianesimo stesso dal paganesimo. L’illustre pontefice non ristette a ciò; unendo i suoi sforzi a quelli di Sant’Isidoro di Siviglia, nulla omise acciò i giovinetti imparassero le lettere latine unicamente nei cristiani autori, la qual cosa ebbe luogo infatti, siccome vedemmo. In mancanza delle prove qui sopra riferite, si può questo evidentemente conchiudere dalla semplice osservazione seguente: nostro malgrado, noi conserviamo nell’età matura lo stile, i pensieri, l’elocuzione degli autori dei quali fummo nutriti nella infanzia; il vaso ritiene a lungo l’odore del primo liquore da esso ricevuto: quo semel est imbuto, recens servabit odorem testa diu. – Quindi ne viene che San Gerolamo e Sant’Agostino, benché ambedue abbiano efficacemente condannato i classici pagani, lasciano nel loro stile trasparire qualcosa del numero e del giro degli autori profani con i quali la loro infanzia aveva stretta famigliarità; all’opposto, da San Gregorio sino a San Bernardino da Siena, a Sant’Antonino da Firenze, ed a San Lorenzo Giustiniani, scrittori del quindicesimo secolo, egualmente celebri per la loro eloquenza e per la sapiente gravità delle opere loro, verun autore cristiano lascia scorgere nei suoi scritti cosa che senta lo stile, 1’eloquenza profana, la tazza dei pagani scrittori. La è questa la provala più evidente che tutti avevano appreso nella loro infanzia il latino, non già negli autori profani, ma negli autori cristiani. Quindi ne derivava quel gusto, quell’ardente amore per la Sacra Scrittura e per gli antichi Padri ch’ei conservavano tutta la loro vita, e che rinviensi non solo negli ecclesiastici, ma ancora nei laici ed anche nelle donne. Quanto alle opere pagane, essi non concedevano a quelle se non un’attenzione secondaria, e non le leggevano se non nell’età matura; questo non già per formarsi lo stile, ma unicamente, secondo 1’esempio dei primi cristiani, per cercare quanto servir potesse a confermare e ad illegiadrire la verità cristiana. – Cosiffatta fu l’economia degli studi dal principio della Chiesa, sino al finire del secolo decimo quinto. Per conseguenza la filosofia, la letteratura, le scienze, avendo lo stesso spirito della teologia, procedevano insieme sulla stessa via della verità cristiana, di cui essi continuavano lo sviluppo ciascuno a guisa sua e con mezzi esclusivamente cristiani. Infatti, noi vediamo che tutti i libri di quell’epoca, e soprattutto quelli che i Trecentisti han pubblicato (ad eccezione del Boccaccio), hanno per scopo storie cristiane od argomenti cristiani, poiché amare la propria patria, procurare la sua gloria è un dovere del Cristianesimo. – Le arti ci offrono il medesimo spettacolo. A mia saputa, non avvi pittore, non scultore di quell’età che abbia preso a trattare un soggetto mitologico, pagano, osceno o anche esclusivamente profano. Il viaggiatore attento che passa per Venezia può anche di presente acquistare con i suoi occhi la certezza di quanto io dico. Venezia può esser estimata come il più vasto museo dell’arte cristiana. Percorrendo gli innumerevoli suoi monumenti dei secoli decimoterzo, decimoquarto e decimoquinto, nulla vi si rinviene che si riferisca alla mitologia, né che abbia odore di paganesimo; nulla di osceno, né di turpe, né di profano. Che dico mai! Il bronzo, il marmo, i magnifici quadri che rammentano le grandi imprese dei Veneziani contro i Turchi, bastano soli per provare che quegli eroici fatti d’arme si compierono dai cristiani ed appartengono ad una repubblica cristiana. – Perciò, i moderatori e le guide di quell’età si indegnamente calunniata sapevano, come i Padri della Chiesa, che 1’unico mezzo di aver generazioni cristiane sì era di gettarle in uno stampo cristiano. Non già che quegli uomini, cui non si temé di chiamar barbari, non abbiano potuto far uso, per l’educazione della gioventù, degli autori profani. Essi li possedevano, poiché ce li han conservati. Essi li leggevano, poiché li hanno copiati migliaia di volte; ora, poiché essi li hanno e letti e trascritti, pare eziandio li capissero. – Inoltre, li sapevano apprezzare. Per conservarli facevano sacrifici che ci farebbero indietreggiare. Così, nell’ottavo secolo, un povero monaco, Lupo, abate di Ferrières, scrive in tutta Europa per chiedere manoscritti, affine di farli copiare e di servirsene per correggere quelli ch’ei possiede: « beninteso, aggiunge, che tutte le spese saranno a mio carico. » A quando a quando egli scongiura Eginardo di mandargli i manoscritti dell’Oratore di Cicerone, delle Notti attiche d’Aulo Gellio; prega il vescovo di mandargli i Commentari di Cesare. Ad Ausbaldo chiede il manoscritto delle Lettere di Cicerone, a Marquado, abate di Prom, il manoscritto di Svetonio per farlo copiare: a Papa Benedetto III, i Commentari di San Gerolamo, le Istituzioni di Quintiliano, i Commentari di Donato sovra Terenzio, Sallustio, i Discorsi contro Verre ed altri in gran copia. – Nel decimo secolo, il celebre Gerberto, prima umile monaco di Aurìllac, poscia arcivescovo di Ravenna, e finalmente Papa col nome di Silvestro II, non dimostra minor desiderio di conservare e di moltiplicare i manoscritti degli autori profani. Vescovi, religiosi, in Francia. in Italia, in Alemagna, nel Belgio, sono posti a contribuzione, ed il generoso pontefice compra a peso d’ oro quelle opere, le quali, così facilmente come gli autori cristiani, si sarebbero potute dare, e non si diedero, qual classici alla gioventù. Nei secoli seguenti, noi ravvisiamo lo stesso zelo perpetuarsi in tutta Europa sia in Lanfranco, arcivescovo di Cantorbery, sia in Desiderio, abate di Montecassino, poscia Papa col nome di Vittore III, e in molti altri il cui novero empirebbe intere pagine. I dotti conoscendo dunque nel medio-evo gli autori pagani, e studiandoli, ed apprezzandoli, chi oserà sostenere ch’essi non avrebber potuto proporli per modelli alla gioventù, ed essi medesimi imitarli? Che mai mancava loro per ciò? Le opere di quegli autori? ma le possedevano. Il buon gusto necessario per ammirarle? E che! tutti quegli ingegni di prima riga, i quali nel medio-evo e prima tennero sì alto e sì fermo lo scettro del sapere e della eloquenza, non avrebbero forse potuto, se voluto l’avessero, imitare il linguaggio dei pagani, l’architettura pagana, altrettanto bene e molto meglio che nol fecero i personaggi d’ogni fatta che da tre secoli se ne arrogano il privilegio? Né Sant’Agostino, né San Gerolamo, né San Crisostomo, né San Bernardo, né Alberto il Grande, né Dante, né Petrarca, né San Bonaventura, né San Tommaso, né mille altri non avrebber potuto copiare nel loro linguaggio la forma pagana, non meno di quello che gli architetti delle nostre immortali cattedrali avrebbero potuto copiare nei loro lavori le linee rette ed il pien sesto d’Atene e di Roma? No; se nol fecero, si è perché nol vollero fare; e nol vollero fare perché troppo buon gusto avevano per commettere simile stranezza, troppa ragione per risuscitare una forma logoratasi col pensiero ch’essa aveva rivestito, troppa altezza per abbassarsi, come fu fatto dipoi, alla parte d’imitatori servili e sgraziati. – Né solo le sommità del tempo conoscevano gli autori profani. Come nei primi secoli della Chiesa, lo studio ne era permesso quando cessava d’essere pericoloso. Ora, siffatto studio aveva luogo, e, ciò che forse vi meraviglierà, esso era, sino ad un tal quale punto popolare. Non citerò se non un esempio che da tutti gli altri dispensa. Ricordatevi dei bei versi dell’immortal cantore della Divina Commedia, in cui il venerando Cacciaguida, bisavolo di Dante, narra che le dame del suo tempo favellavano dei fatti di Troia, delle antichità di Fiesole e delle eroiche gesta dei Greci e de’Romani, filando la loro rocca o cullando i loro bimbi. – Confrontando le date, voi troverete che questo avveniva nell’undecimo secolo. Voi vedete pertanto che il Rinascimento non inventò, come se glie ne fa l’onore, i Greci ed i Romani. Prima del Rinascimento essi godevano, presso i nostri buoni avi, una onorata ospitalità. Solo il medio-evo aveva avuto il buon senso ed il buon gusto di porre ogni cosa a suo luogo: il Cristianesimo in prima fila, il paganesimo in seconda; il Cristianesimo come base e come corpo dell’edificio, il paganesimo come ornamento accessorio; il cristianesimo come modello, il paganesimo come cesellatura; il cristianesimo come l’essenziale, il paganesimo come forma secondaria di cui si poteva benissimo far senza, non recando nocumento di sorta né alla sodezza, né alla beltà dell’ordine sociale, né ai progressi della mente umana.

 

29 giugno: SS. PIETRO E PAOLO

Omelia di S. S. GREGORIO XVII – 1975

La solennità odierna è dedicata al ricordo e all’intercessione dei Santi Pietro e Paolo. C’è diversità tra i due. Gli antichi calendari, almeno dal secolo IV, hanno posto nello stesso giorno la passione di S. Pietro e di S. Paolo. Per questo motivo, e forse anche per risparmiare un giorno di festa, li hanno messi insieme, ma non è la stessa cosa, sia chiaro! Pertanto mi limito a parlare questa mattina di Pietro; avrò altre occasioni per parlare di Paolo. – Perché tutta la Chiesa è invitata a fare festa, solennità anzi, nel giorno del martirio di S. Pietro? Il martirio di Pietro fu illustre perché fu doloroso. Fu protratto; non fu ucciso d’un colpo ma crocifisso; dovette attender la morte fra dolori lancinanti, mirabilmente sopportati. Ma non è questa la ragione per cui si fa solennità oggi. La ragione sta in quelle parole (Mt XVI, 13-19) che avete sentito leggere ora dal diacono e che sono state rivolte da Cristo a Pietro e a tutti i suoi successori, perché Gesù non aveva davanti soltanto l’arco di vita di Pietro, ma l’arco di vita dell’umanità. Le parole erano queste: “Tu sei Pietro e su questa pietra edifico la mia Chiesa e le potenze dell’inferno non prevarranno mai contro di essa; e do a te le chiavi del Regno dei Cieli, e quello che avrai stabilito in terra è stabilito in Cielo, e quello che avrai sciolto in terra sarà sciolto in Cielo” (Mt XVI, 18-19). Non esiste nella storia dell’umanità un’arditezza che abbia avuto il coraggio di far dare un simile potere ad un uomo. Ma, lasciando ora la questione dell’unicità di questo discorso, esso porta alla ragione per cui esiste la solennità di S. Pietro. Per questo motivo: egli rappresenta il capo del Regno di Dio visibile in terra, il capo di quello che conduce la storia del mondo e che decide della salvezza eterna di tutte le singole anime, appartengano sia al corpo sia all’anima della Chiesa, dato che è di fede la necessità assoluta di appartenervi per entrare nel Regno dei Cieli. E questo il motivo! – Nel discorso fatto da Gesù a Pietro ci sono alcune parole sulle quali attiro la vostra attenzione. Gesù ha nominato la “Sua Chiesa” (Mt XVI, 18). Quel possessivo “sua/mia” è commovente, ma aggiunge subito, ed è forte: “e le potenze dell’inferno non prevarranno mai contro di essa” (ibid.). E necessario leggere un po’ più a fondo queste parole. Qui Gesù dà evidentemente l’impegno divino di un’assistenza perché mai prevalgano le forze avverse, che, siano di questo mondo, siano dell’altro, vengono tutte giustamente dette potenze infernali (gloria a quelli che vi si ascrivono, gloria! Infernali!). Però qui c’è la sentenza: finite, tutte! Vediamo in particolare a che cosa ha garantito l’indefettibilità con queste parole Nostro Signore. Ha garantito l’indefettibilità alla Sua Chiesa, cioè alla costituzione gerarchica della Chiesa, che è fatta di Sommo Pontefice, di Vescovi, di ministri e di fedeli, in posizione diversa, con responsabilità diverse e con dignità diversa, con capacità uguale per tutti rispetto al merito che vale nel Regno dei Cieli. A questa struttura ha garantito l’indefettibilità. Guai a chi la tocca! Guai, perché c’è la promessa divina su questo. Ma per che cosa era costituita questa società giuridica, gerarchica, visibile? Era costituita per portare con sé delle grandi cose, che in una celebre parabola del cap. XIII di Matteo (v. 44) Gesù chiama il “tesoro del Regno”. E su questo tesoro che scende la garanzia divina dell’indefettibilità. Attenti bene! La verità. Elevati ad esser figli di Dio, con l’ingresso del Verbo incarnato nel mondo gli uomini dovevano conoscere qualche cosa di più, e per questo c’è una Rivelazione. È verità. La verità di Dio è come Dio, non è soggetta né a mutazioni né a evoluzioni; sono soggetti a mutazione gli uomini, che possono passare dall’ignoranza incompleta ad una passabile acquisizione di nozioni, dalla stupidità colpevole – e questa veramente dilaga – alla umile accettazione dell’unica verità di Dio. Sono gli uomini che possono cambiare, che si trovano in diversa posizione. Come tutti gli scolari imparano la stessa grammatica, ma c’è chi piglia dieci e c’è chi piglia zero; e chi ha preso dieci ha meritato dieci e chi piglia zero ha meritato zero, ma la grammatica non cambia! È su questo che cade la promessa d’indefettibilità: sul deposito della dottrina. Guai a chi la tocca; finisce male! Non basta. Tutta l’azione sacramentale e scarificale con tutto il suo contorno, che non sto a descrivere, commessa alla Chiesa: su questo cade la promessa di indefettibilità. E attenti bene: tutti i Sacramenti e il Sacrificio sono caratterizzati dal fatto che hanno un effetto, che generalmente – salvo casi straordinari, come accadeva nei primi secoli, meglio nel I secolo per la Cresima – ne hanno risultanze esterne, e per volontà e designazione di Cristo stesso vengono resi noti ai fedeli attraverso elementi esterni capaci di significarli. – È così che le apparenze del pane e del vino qualificano la certa presenza reale sacramentale di Gesù Cristo nell’Eucaristia. E così che l’unzione crismale sulla fronte del cresimando accerta la discesa dello Spirito Santo e l’incisione di quel carattere crismale, che accompagnerà l’anima per sempre. Ossia, su questa realtà che deve esser continuamente tradotta con segni esterni adeguati scende la indefettibilità della Chiesa, avvertimento a coloro che vogliono lasciare le realtà soprannaturali senza segni esterni. Questa è irragionevolezza! Irragionevolezza che confina con qualche cosa di peggio dell’irragionevolezza, perché la necessità di tradurre agli uomini quello che essi non possono vedere con gli occhi del corpo mediante elementi accolti dalla natura e dall’arte degli uomini è affermata da Gesù Cristo stesso. Su questo modo sacramentale e sacrificale, che rappresenta tutto un mondo, scende la promessa di indefettibilità della Chiesa. E mi fermo qui. – Ora mi rivolgo a voi, prossimi sacerdoti e prossimi diaconi. Questa indefettibilità seguirà anche voi. Badate: non voi come voi, i vostri difetti, le vostre dimenticanze, ma seguirà quella parte del vostro ministero che voi farete degnamente, legittimamente, secondo gli ordinamenti della Chiesa, in nome e per autorità e come vicari di Cristo. Seguirà anche voi, e seguirvi indica tante cose, che non possiamo ora analizzare. Per voi, che siete, che sarete portatori della Grazia di Dio per le opere che compirete, il bene che farete – siatene certi – sarà sempre molto più grande e più lontano di quello che voi non crediate. Andrà sempre lontano, perché, fatto nell’ambito del ministero ricevuto con l’Ordine, nell’ambito della legittimità, con l’osservanza della legge della Chiesa, gode di tutti i carismi che sono conseguenze dell’indefettibilità della Chiesa. Quando vedrete niente, chiudete pure gli occhi e dentro di voi pensate a quali latitudini arriverà la vostra opera. Sarà necessario che viviate di fede per vedere ogni giorno, ogni momento, fin dove arriverà la vostra mano, la vostra benedizione, la vostra consacrazione, i vostri atti di ministero, e soltanto con la vostra fede capirete che l’onda da voi suscitata si propaga si direbbe all’infinito, come accade quando si getta un sassolino in un lago, le onde si propagano fintanto che c’è acqua e non si ristanno prima. Abbiate questa fede e uscite da questa Ordinazione, che sarà ora celebrata, con questa fede che sorregga, che vi dia una visione più giusta di quello che accade intorno a voi, che vi dia la pazienza di attendere, l’umiltà di perdonare ed anche la gioia di vedere, avendo chiuso gli occhi alla realtà umana. Questo consegno a voi, perché non si diparta mai dalla vostra anima!

[I grassetti sono redazionali]

IL TRIPLICE AFFIDAMENTO DELLA CHIESA AL BEATO PIETRO

[da I SERMONI di S. Antonio da Padova]

 «Pasci i miei agnelli» (Gv XXI,15-16). Fa’ attenzione al fatto che per ben tre volte è detto: «pasci», e neppure una volta «tosa» «mungi». Se ami me per me stesso, e non te per te stesso, «pasci i miei agnelli» in quanto miei, non come fossero tuoi. Ricerca in essi la mia gloria e non la tua, il mio interesse e non il tuo, perché l’amore verso Dio si prova con l’amore verso il prossimo. Guai a colui che non pasce neppure una volta e poi invece tosa e munge tre o quattro volte. A costui «il re di Sodoma», cioè i il diavolo, «dice: Dammi anime, tutto il resto prendilo per te» (Gen XIV, 21), tieni cioè per te la lana e il latte, la pelle e le carni, le decime e le primizie. A un tale pastore, anzi lupo, che pasce se stesso, il Signore minaccia: «Guai al pastore, simulacro di pastore, che abbandona il gregge: una spada sta sopra il suo braccio e sul suo occhio destro; tutto il suo braccio si inaridirà e il suo occhio destro resterà accecato» (Zc XI,17). – Il pastore che abbandona il gregge affidatogli, è nella Chiesa ìl simulacro di pastore, come Dagon, posto presso l’Arca del Signore (cf. IRe V, 2); era un idolo, un simulacro: aveva cioè l’apparenza di un dio, ma non la realtà.Perché dunque occupa quel posto? Costui è veramente un idolo, un dio falso, perché ha gli occhi rivolti alle vanità del mondo, e non vede le miserie dei poveri; ha gli orecchi attenti alle adulazioni dei suoi ruffiani e non sente i lamenti e le grida dei poveri; tiene le narici sulle boccettine dei profumi, come una donna, ma non sente il profumo del cielo e il fetore della geenna; adopera le mani per accumulare ricchezze e non per accarezzare le cicatrici delle ferite di Cristo; usa i piedi per correre a rinforzare le sue difese e riscuotere i tributi, e non per andare a predicare la parola del Signore; e nella sua gola non c’è il canto di lode né la voce della confessione. Quale rapporto ci può essere tra la chiesa di Cristo e questo idolo marcio? «Cos’ha a che fare la paglia con il grano?» (Ger XXIII,28). «Quale intesa ci può mai essere tra Cristo e Beliar?» (2Cor VI,15). – Tutto il braccio di quest’idolo s’inaridirà per opera della spada del giudizio divino, perché non possa più fare il bene. E il suo occhio destro, cioè la conoscenza della verità, si oscurerà, perché non possa più distinguere la via della giustizia né per sé, né per gli altri. E questi due castighi, provocati dai loro peccati, si abbattono oggi su quei pastori della Chiesa che sono privi del valore delle opere buone e non hanno la conoscenza della verità. E allora, ahimè, il lupo, cioè il diavolo, disperde il gregge (cf. Gv X,12), e il predone, cioè l’eretico, lo rapisce. Invece il buon pastore, che ha dato la vita per il suo gregge (cf. Gv X,15), di esso sempre sollecito, avendolo a sì caro prezzo, lo affida a Pietro dicendo: «Pasci i miei agnelli ». Pascili con la parola della sacra predicazione, con l’aiuto della preghiera fervorosa e con l’esempio della santa vita. – E fa’ attenzione: per due volte gli raccomanda gli agnelli, che sono più delicati e deboli, e una volta sola le pecore. E qui è da capire che coloro che nella Chiesa sono più delicati e più deboli devono essere assistiti e sostenuti con maggiori attenzioni, sia spirituali che materiali. Dice l’Apostolo: «Confortate i pusillanimi e sostenete i deboli» (lTs V,14). Dice infatti la Genesi: Dio prese Adamo, cioè il prelato, e lo pose nel giardino delle delizie, vale a dire nella Chiesa perché la coltivasse con le opere di misericordia verso i suoi fedeli e la custodisse (cf. Gen II,15) con la predicazione della parola, e insieme con i fedeli meritasse di raggiungere il premio del regno. Amen.

 

Preghiere per il Papa alla Messa.

Orazione

“Deus, omnium fidelium pastore et rector, famulum tuum Gregorium, quem pastorem Ecclesiæ tuæ præesse voluisti, propitius respice: da ei, quæsumus, verbo et exemplo, quibus præest, proficere; ut ad vitam, una cum grege sebe credito, pervenit sempiternam. Per Dominum …”

[O Dio, pastore e capo di tutti i fedeli, volgi benevolmente lo sguardo sul tuo servo Gregorio che hai preposto alla tua Chiesa; da’ a lui di giovare con la parola e con l’esempio ai suoi sudditi e di poter giungere, insieme al gregge affidatogli, alla vita eterna. Per nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio …]

Secreta

“Oblatis, quæsumus, Domine, placare muneribus: et famulum tuum Gregorium, quem Pastorem Ecclesiæ tuæ præesse voluisti, assidua protectione guberna. Per…”. [ Lasciati placare o Signore, dai doni che ti presentiamo, e guida con incessante aiuto il tuo servo Gregorio che hai messo a capo della Chiesa. Per nostro Signore Gesù Cristo, …]

Dopocomunione

“Hæc nos, quæsumus, Domine, divini sacramenti perceptio protegat: et famulum tuum Gregorium, quem pastorem Ecclesiæ tuæ præesse voluisti; una cum commisso sibi grege, salvet semper, et muniat. Per Dominum …”

[Ci protegga o Signore, il sacramento divino che abbiamo ricevuto; mantenga incolume e fortifichi sempre, insieme al gregge affidatogli, il tuo servo Gregorio che hai messo a capo della tua Chiesa. Per nostro Signore …].

Si raccomanda di recitare anche i Salmi sul nome PETRUS [Salmi sul nome PETRUS, exsurgatdeus.org]

 

IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (2)

IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE

ovvero IL PAGANESIMO NELL’EDUCAZIONE

(2)

[Mons. J. J. Gaume, trad. dal francese di A.V. – Napoli 1854]

CAPITOLO IV

RISPOSTA ALLA PRIMA OBBIEZIONE — STORIA DEI LIBRI

CLASSICI: PRIMA EPOCA

Voi dite, in primo luogo, che io sono troppo assoluto e che il cambiamento di stampo non fu sì compiuto come io pretendo. Per rispondervi, voi mi obbligate a narrare rapidamente la storia dei libri classici dallo stabilimento del Cristianesimo ai dì nostri: lo farò. Questa storia si divide naturalmente in tre epoche ben distinte. – 1) La prima si estende dalla predicazione degli Apostoli sino alla fine del quinto secolo. – 2) La seconda comincia nel sesto secolo e termina col decimo quinto: esso comprende il medio-evo propriamente detto. – 3) La terza parie dal sedicesimo secolo, e giunge sino a noi. Distinguendo accuratamente l’infanzia dall’adolescenza, noi diciamo: durante la prima epoca, i libri classici dell’ infanzia sono esclusivamente cristiani. Tutti sanno che le lingue da noi ora chiamate classiche o morte erano allora le lingue viventi di Roma e d’Atene, nonché di tutti i popoli inciviliti. I fanciulli le imparavano non nelle scuole, ma nel domestico focolare; non da maestri stranieri, ma dai loro parenti e dalle loro nutrici; non da regole, ma dall’uso, come noi stessi impariamo la nostra lingua materna. Ora, quella infanzia si prolungava molto. Non era infatti necessario di applicare così di buon’ora la gioventù allo studio della grammatica e di ritenervela, come si fa di presente, per tanti anni. Rimane a sapere quali racconti risuonassero di continuo alle orecchie dei fanciulli cristiani, in seno alla famiglia; quali libri essi maneggiassero esclusivamente colle innocenti loro mani; quali canti essi ripetessero in comune. La risposta non è dubbia: ognuno conosce l’estrema cura dei primi cristiani di nutrirsi e di nutrire esclusivamente la loro giovine famiglia della lettura de Libri Santi, degli Atti dei martiri e delle Lettere dei sovrani pontefici; di insegnarle sulle dita e di farle cantare con loro i salmi di Davide, di istruirla a fondo nei dogmi, nei precetti, negli usi della religione, acciò quei giovani atleti avessero all’occasione ed il coraggio di confessare la fede in mezzo ai supplizi, e la capacità necessaria per vendicarla dai sofismi e dalle calunnie de’pagani. Questo genere di istruzione non era nuovo. Lo si trova tra gli Ebrei, in ogni antichità e ad esclusione di ogni altro. Allontanare dai loro figliuolini ogni altro libro tranne i Sacri Annali della nazione, non far loro imparare e cantare se non i Canti religiosi di Mosè e dei profeti: tale fu, nessuno lo ignora, l’uso invariabile dei discendenti d’Abramo e di Giacobbe. Ebrei di origine, eredi dell’ antica Chiesa, gli apostoli formarono l’educazione dei fedeli sul tipo dell’educazione in uso nella nazione santa. – Le prove di questa asserzione si offrono in copia. L’esclusione degli autori profani è comandata , in termini oltre ogni dire formali, dalle Costituzioni apostoliche. In questo monumento, che Sant’Atanasio chiama la dottrina degli apostoli raccolta da San Clemente, e Sant’Epifanio, il riassunto, senza corruzione, delle regole di condotta, si legge: « Astenetevi da tutti i libri de’Gentili. Che ve ne fate voi di quelle dottrine, di quelle leggi straniere e di quei falsi profeti? Quelle letture han fatto perdere la fede ad alcuni uomini leggieri. Che vi manca egli nella legge di Dio, perché ricorriate a quelle favole? Se volete leggere storia, avete i libri dei re; se vi abbisogna filosofia o poesia, ne troverete nei profeti, in Giobbe, nell’autore dei Proverbi, e con maggior perfezione ed altezza che non in verun altro di quei sofisti e di quei poeti. Infatti, la sola parola di Dio è sapiente. Volete voi la lirica? leggete i salmi; origini antiche, forse? leggete il Genesi; leggi, precetti di morale? prendete il divin codice del Signore. Astenetevi dunque assolutamente da tutte quelle opere profane e diaboliche (Costit. Apost. Lib. I, c. 6) ». Quanto all’ assidua lettura della Sacra Scrittura per parte dei giovinetti, penetriamo nell’interno di alcune di quelle antiche famiglie d’Oriente e d’Occidente, il cui esempio fa testimonio dello spirito generale, e vedremo che il libro sacro era il primo classico dell’infanzia. « Non prima Origene uscì dalla culla, Leonida suo padre impresse nel suo spirito le lettere divine. Ei non si contentava già di dare a questo studio alcuni istanti rubati all’insegnamento ciclico: questo studio, ei l’aveva posto in prima fila. Ogni giorno ei faceva imparare al ragazzo alcuni passi delle Scritture, e il giovine Origene vi prendeva piacere maggiore che non a studiare gli autori greci ». Nella famiglia così cristiana e così illuminata dei Gregori, l’educazione si praticava nella stessa guisa. – La Sacra Scrittura era insinuata nello spirito dei fanciulli con i loro primi pensieri, per prendervi in qualche guisa posto del primo occupante. Così furono allevati i Santi Basilio e Gregorio di Nissa, i loro fratelli, le loro sorelle, Gregorio di Nazianzo e Cesario. Macrina una delle loro sorelle, divenuta istitutrice, senza essere madre, fece ancor più che non i suoi parenti ed i maestri suoi. Avendo essa fatto voto di verginità, prodigò al più giovine dei suoi fratelli, da lei veduto nascere, tutta quella materna tenerezza che le donne hanno naturalmente in cuore. Essa prese il fanciullo nella culla e lo volle essa allevar bene, secondo le sue idee. Ora, le sue idee non potevano non essere quelle da lei ricevute nella sua propria educazione. Sentiamo ora il suo illustre fratello, San Gregorio di Nissa, a farci conoscere quale era stata l’educazione di Macrina: « Appena Macrina uscì d’infanzia, egli dice, mostrò essa la più felice facilità nel1’imparare. Sua madre stessa aveva voluto essere la sua istitutrice; essa medesima studiava per istruirsi. Essa si guardò bene dallo insegnarle le finzioni dei poeti, di cui è vezzo imbevere i giovani animi. Sembrava a quella poco decente ed anche pericoloso il rappresentare all’immaginazione di sua figlia quei quadri, quei moti appassionati, pennelleggiati dai tragici poeti; ancor più le debolezze che si attribuiscono alle donne nelle commedie: era questo, a suo avviso, un infettare ed un corrompere, sin dalla più tenera età, un’anima ben nata. – « Essa pertanto aveva amato meglio fare una scelta dei tratti i più edificanti, delle massime le più segnalate dei nostri libri santi, e la sua figliuolina le imparava. Il libro della Sapienza le aveva somministrato una moltitudine di sentenze e di riflessioni proprie a formare il cuore ed a rischiarare lo spirito, per tutta la condotta della vita. Celesta madre egregia aveva estratto dai Salmi certe invocazioni ch’essa acconciava a tutti gli esercizi, in guisa che sia che sua figlia si alzasse, o si vestisse, o prendesse il suo cibo, essa aveva sempre qualche versetto di un salmo appropriato alla circostanza, e lo cantava come una graziosa canzone. Nel tempo stesso che Emilia coltivava così lo spirito della sua fanciulla esercitava le sue mani ai lavori del suo sesso e le insegnava a maneggiare abilmente la lana ed il fuso ». – Tale si fu 1’educazione di Macrina, e tale si fu quella del suo giovine fratello Pietro, di cui essa erasi incaricata. Lo studio delle lettere profane fu assolutamente esiliato dalla sua istruzione. La sua dolce istitutrice seppe adoperare e distribuire il suo tempo in modo, che non gliene rimase punto da dare alle vane scienze. – Questa educazione era ovunque la stessa. San Gerolamo, scrivendo a Gaudenzio e a Leta sull’educazione dei loro figliuoli, vuole che la giovine Pacatula, per prima istruzione, sin dal suo settimo anno, prima che i suoi denti siano forti abbastanza per far sua un’alimentazione soda, incomincia a tappezzare la sua memoria colle belle ispirazioni del re profeta, e che sino a quattordici anni essa faccia dei libri di Salomone, dell’Evangelio, degli apostoli e dei profeti. il tesoro del suo cuore. – « Si è dalla scrittura stessa, dice egli a Leta, che la vostra fanciulla comincerà a leggere, a scrivere, a parlare. La sua giovane lingua impari a ridire le soavi cantiche del re profeta. Non le si permetta di formare accozzamenti di parole prese a caso; si sceglieranno queste parole nelle sante lettere, e i primi che essa saprà pronunciare saranno i nomi degli apostoli, dei patriarchi e dei profeti. Il primo libro che essa imparerà sarà il Salterio: questi cantici divini, essa li canterà al suo svegliarsi. Nei Proverbi di Salomone, imparerà a vivere con saggezza; nell’ Ecclesiaste, a calpestare sotto i piedi le cose del mondo; in Giobbe, la virtù della pazienza e del coraggio. Passerà quindi all’Evangelio, per non più lasciarlo; essa si identificherà con gli Atti e con le Epistole degli Apostoli, ogni giorno ve ne reciterà alcuni passi che saranno come un mazzetto di fiori colti nelle Scritture … Tenetela lungi da tutte quelle letture che introducono un linguaggio pagano nel seno stesso del Cristianesimo. Che mai vi può essere di comune tra i canti profani del paganesimo e i casti accordi della lira de profeti? In quai modo amicare Orazio con Davide? Virgilio con l’Evangelio? Si ha bel volere salvarsi con l’intenzione; egli è sempre uno scandalo il vedere un’anima cristiana in un tempio d’idoli ». – Non si dica che qui si tratta dell’educazione delle giovinette. Noi abbiamo già veduto che la Scrittura era il libro classico dei fanciulli dell’uno e dell’altro sesso. Se ciò non basta, sentiamo ancora i Padri, regolatori e storici della famiglia primitiva. « Guardatevi, aggiunge San Crisostomo, dal tenere per superfluo lo studio dei nostri santi libri. La Scrittura insegnerà ai vostri figli ad onorare il loro padre e la loro madre: voi vi guadagnerete quanto essi stessi. Non dite che ciò non è buono se non per le persone separate dal mondo. Certo, io non pretendo fare di voi de’ solitari: diventasse pur tale il vostro figlio, ei non ci perderebbe nulla; ma no, basta che egli sia cristiano. Egli è destinato a vivere in mezzo al mondo; egli è nei nostri libri santi ch’esso imparerà la sua regola di condotta. Ma per questo fa d’uopo ch’egli se ne imbeva sin da’suoi giovani anni (Hom. XXI in ep. Ad Thes.) ». – Quando la comunità fu sostituita alla famiglia per l’educazione della gioventù, San Basilio scriveva: « lo studio delle lettere deve essere accomodato allo spirito dell’educazione dei fanciulli, le Sacre Scritture serviranno ad essi di vocabolario. Si racconteranno loro, invece di favole, le ammirabili storie della Sacra Bibbia; essi impareranno a meraviglia le massime del libro dei Proverbi; si proporranno loro ricompense, sia per le esercitazioni di memoria, sia per le loro composizioni, acciò si rechino allo studio come ad una ricreazione dell’animo senza noia di sorta, senza ripugnanza alcuna. – Ma evvi un fatto che dispensa da tulle le testimonianze. Ogni discorso degli antichi Padri della Chiesa, ogni pagina della storia di quei tempi eroici offre luminosa prova che la Scrittura era pure il libro classico di tutte le famiglie in Oriente e in Occidente. Origene, Sant’Atanasio, San Basilio, San Crisostomo,   Sant’Agostino e tanti altri non mancavano certo né di tatto, né di zelo, né di scienza, né d’eloquenza. In che modo dunque codesti grandi uomini avrebbero essi trattato innanzi ai fedeli le più alte questioni della Teologia, e della Scrittura, se essi non avessero saputo che i loro uditori, istruiti su queste cose fin dall’ infanzia, erano appieno in stato di capirle? – Si ignora forse che parola per un’altra, in una citazione dell’Evangelio, bastava per mettere in rumore tutta quanta un’assemblea? Si ignora forse che Sant’agostino non ardiva far leggere in chiesa la versione di San Girolamo, sebbene affatto ortodossa, temendo di sembrar proporre qualche cosa nuova e di scandalizzare i popoli avvezzi ad un’altra traduzione? Si ignora forse finalmente, che San Girolamo stesso, incaricato dal Papa San Damasti della correzione dei Libri Sacri, esita ad imprenderla, prevedendo che egli farà insorgere i reclami di tutti i fedeli? « Qual è mai, dice egli, il dotto o l’ignorante, il quale, pigliando in mano la mia traduzione, ed accorgendosi della differenza tra quanto ei leggerà e quanto egli ha, per dir così, succhiato col latte, non gridi tosto, e non mi tratti di falsario e di sacrilego, accusandomi d’aver osato fare qualche cambiamento, qualche aggiunta e mutilazione negli antichi esemplari? (Præf. In quatuor Evang.) ». La Scrittura era adunque il primo libro classico dell’infanzia ne’ secoli che toccano alla culla del Cristianesimo. Ai Libri Santi si univano gli Atti dei martiri, di cui i primi sono contemporanei degli Apostoli. Non solo nelle pubbliche assemblee e nelle chiese essi si leggevano; ogni fedele ne faceva in particolare la sua più ordinaria lettura: essi erano il libro della famiglia. I più grandi santi non cessavano di raccomandarne lo studio, e tale era la venerazione e 1’amore dei padri nostri per questi sacri monumenti, che molti li portavano indosso, non polendosene separare nemmeno nei loro viaggi. Quindi non risparmiavano spesa alcuna, non s’atterrivano a nessun pericolo per procurarseli. Lo stesso era delle lettere de’ sovrani pontefici. Lette nelle sinassi, commentate e rilette nel domestico focolare, diventavano esse per i padri e per i figlioli una regola viva di condotta e di fede, ed una fonte di consolazioni. Più tardi vi si aggiunsero le opere dei primi santi e dei primi difensori della religione. Così durante i primi cinque secoli, classici esclusivamente cristiani ammanivansi all’infanzia cristiana, e l’infanzia rimaneva molto più lungo tempo all’ombra tutelare del focolare domestico: tale sì è il doppio fatto che risulta dai primi monumenti dell’oriente e dell’Occidente. – La frequentazione delle scuole pagane, la lettura delle opere pagane non cominciavano se non in una età più inoltrata e dopo che il fanciullo era munito degli antidoti migliori. A questo proposito, i particolari che precedono e la storia dei più illustri Padri della Chiesa non permettono alcun dubbio. San Basilio e San Crisostomo erano adolescenti quando ascoltavano le lezioni del retore Libanio; San Gregorio di Nazianzo non era più giovine quando fu mandato a Cesarea dapprima, poscia ad Alessandria e finalmente ad Atene; San Girolamo aveva diciotto anni quando andò a Roma a studiare grammatica sotto Donato. Per gli adolescenti, e solo per gli adolescenti, classici pagani, scuole pagane. E come sarebbe stato altrimenti? Il Cristianesimo, privo, nel suo nascere, d’ogni umana letteratura, trovò la società pagana in possesso della letteratura e della scienza. Ai maestri pagani apparteneva esclusivamente il diritto d’insegnare dalle pubbliche cattedre. Se qualche cristiano imprendeva a farlo, era forzato a servirsi di autori pagani. Tali autori infatti erano considerati da tutti siccome i modelli finiti dell’eloquenza, della poesia e delle umane lettere. Se i maestri cristiani proibito avessero ai loro discepoli lo studio di quelle opere, se essi stessi proscritte le avessero dalle loro scuole, qual mezzo v’era d’iniziare i giovani cristiani alle scienze umane? Quale specioso pretesto non avrebbero avuto i pagani di calunniare il Cristianesimo? Avrebbero essi forse tralasciato, come non arrossirono di fare i pagani di questi ultimi tempi, di accusarlo d’oscurantismo e di barbarie? Gli epiteti ingiuriosi di setta d’idioti, di setta nemica dei lumi, ch’essi gli prodigarono senza fondamento, con quanta apparenza di ragione non gli sarebbero stati applicati, se il Cristianesimo chiuso avesse ai suoi discepoli le sole fonti in allora note della scienza, della eloquenza e della filosofia? Cosiffatta opinione avrebbe evidentemente rovinato le scuole dei maestri cristiani, e costretto la gioventù ingenua a volgersi solo ai dottori del paganesimo. Bisogna confessarlo, nulla era più triste di somigliante condizione dei giovani cristiani. Tuttavolta essa era parimenti esente da pericolo e da errore. – Da pericolo; soltanto, come abbiamo veduto, dopo essersi affatto premuniti contro il veleno delle opere e dei maestri pagani, essi si servivano delle une e degli altri. Tertulliano, testimonio oculare di sì saggia condotta, le rende testimonianza colle parole seguenti: « I nostri giovani sono egualmente sicuri che colui, il quale, conoscendo il veleno offerto da chi noi conosce , lo riceve e non lo beve. La necessità li scusa, poiché non hanno altro espediente per istruirsi ». Da errore; poiché non la curiosità, non il piacere, ma solo la necessità li spingeva a leggere le opere e ad ascoltare i maestri pagani. San Girolamo parla di tale necessità, quando, condannando i cristiani ed in ispecie gli ecclesiastici che leggevano gli autori pagani solo per piacere, scusa i giovani costretti a ciò fare. « Ciò che è, egli dice, una necessità per la gioventù, ei lo mutano in delitto, per puro genio ». – Ma qual era dunque questa necessità? Si resterà ben meravigliati al sapere ch’essa differisce essenzialmente dal motivo che dopo il Rinascimento serve di pretesto allo studio degli autori pagani. Si è, dicesi, per insegnarci a ben pensare, a ben sentire e a scrivere bene che ci fanno studiare Virgilio e Cicerone, Omero e Demostene. Nel suo complesso, un tale scopo sarebbe stato riguardato dai padri nostri come un insulto alla religione e come una specie di apostasia. « Che mai vi può egli essere di comune, grida San Gerolamo, tra la luce e le tenebre? Tra Gesù Cristo e Belial? Tra 1’Evangelio e Virgilio? Tra San Paolo e Cicerone? Non è forse uno scandalo pel vostro fratello il vedervi nel tempio degli idoli? Ci è vietato di bere in egual tempo al calice di Gesù Cristo ed ai calice dei demoni ». Era forse, come si pratica da tre secoli, per fare ammirare dai giovani cristiani le ricchezze della filosofia pagana e farne loro adottare qualche sistema? Ma eglino chiamavano i filosofi, animali di gloria, patriarchi degli eretici; e colui al quale noi non temiamo di dare il nome di divino, il grande artista di tutti gli errori che desolavano la Chiesa. Essi andavano anche più lungi; componevano opere a bella posta per abbandonar quelli e i loro sistemi alla pubblica derisione. Simile linguaggio in bocca ai padri prova forse l’intenzione di far dei giovani cristiani i discepoli dei filosofi? – Era forse almeno, come ci si raccomanda di fare, per copiare i loro oratori, per appropriarsi le forme della loro eloquenza, le qualità del loro linguaggio? Nessuno vuol negare che gli antichi Padri della Chiesa non abbiano imparato nei libri pagani le parole, le espressioni, lo stile; sia perché, prima di aver essi stessi composto libri sulle cose umane non ne esistevano che potessero servire di modelli; sia perché la maggior parte erano nati nel paganesimo e non si erano convertiti se non in un’ età già inoltrata. V’è egli a meravigliarsi che, figliuoli di pagani, e pagani essi stessi per una parte di loro vita, abbiano imparato la lingua pagana ed anche la retorica pagana, che molti insegnarono con rinomanza? Quanto all’eloquenza che forma ancora la loro gloria, non ne attinsero quelli per nulla negli autori pagani il fondo e nemmeno la forma; ma si nei Libri Sacri, nei profeti soprattutto, con i quali, secondo San Gerolamo, una meditazione continua li aveva identificati. – La prova luminosa ne è che 1’eloquenza dei Padri differisce dall’eloquenza dei pagani oratori quanta è la distanza che separa il cielo dalla terra. Come l’ultima si distingue per l’arte del retore, per la scelta delle parole e per 1’eleganza delle frasi, così la prima per la spontaneità delle espressioni, per la sodezza dei pensieri, per la vivacità de’ sensi, per la forza e per l’abbondanza delle prove. Così, le sparse membra di Cicerone, disjecta Tullii membra, che agevolmente si riconoscono in Quintiliano, esempio, indarno le cerchereste in Sant’Ambrogio, in San Massimo, in Sant’Agostino, in San Cipriano, in San Leone, in San Pietro Crisologo, in San Gregorio. Lo stesso dicasi di Demostene o d’Isocrate per Sant’Atanasio, per San Basilio, per San Crisostomo, per San Gregorio di Nazianzo, per San Cirillo d’Alessandria. – Nulla negli immortali loro discorsi che senta l’imitazione del paganesimo. Tutto vi è primitivo, archetipo ed ispirato dalla forza invincibile della fede e dall’ardente zelo della salvezza del mondo. Quanto dissi dell’eloquenza, si attaglia a tutti i generi di stile storico, epistolare, filosofico. La frase di Eusebio, di Sulpizio-Severo, di Giulio Africano, di San Cipriano, di San Paolino, di San Giustino, d’Origene e degli altri scrittori del Cristianesimo, a volte storici, epistolografi, filosofi, non rassomiglia per nulla al modo di Senofonte, di Svetonio, di Cicerone, di Plinio, di Seneca. Se, come pretendesi, i Padri leggevano e facevano leggere gli autori pagani per imitarli, bisogna confessare eh’ ei furono bene sgraziati. Pure non mancavano né di studio, né di sapere, né di genio. Che dico mai? Eglino li imitavano a pennello quando volevano. Sant’Agostino ne cita un esempio solenne, tratto da San Cipriano; poscia soggiunge. « Pel numero, per l’eleganza, per l’abbondanza, quella frase è ammirabile; ma la sua ricchezza stessa non è conforme alla gravità cristiana. Coloro che amano tal modo di scrivere accusano quelli che non l’adoprano di non poterlo adoprare: ei non sanno, che per ragione e per buon gusto se ne astengono. San Cipriano dimostrò dunque ch’egli poteva adoperare simile linguaggio, poiché il fece: e dimostrò che nol voleva, poiché nol fece più. – San Gerolamo, giudice non meno preclaro in simile materia di Sani’Agostino, fa pure testimonianza che Lattanzio imitò affatto Cicerone, e Sant’Ilario lo stile di Quintiliano. Codesta imitazione era essa una gloria? Niente affatto; Sant’Agostino ce lo fece sentire, e San Gerolamo dice chiaramente: « Quanto voi ammirate, e noi lo disprezziamo ». I Padri greci opinano come i Padri latini. Certo se i giovani cristiani avessero dovuto studiare i profani autori per formarsi stile e gusto, sotto pena di non possedere mai né 1’uno né l’altro, come non si rifinisce da tre seco, si ritroverebbe senza fallo questo precetto in San Basilio, il quale compose un’opera speciale a prò dei giovani, per servire loro di guida nello studio degli autori pagani. Ebbene, il grande dottore non ne dice molto, non una sola parola! Conoscete voi cosa più eloquente di un tale silenzio? – Ma insomma, voi dite, qual era dunque lo scopo che raggiunger si voleva permettendo ai giovani cristiani di leggere le opere dei pagani e di frequentare le loro scuole? Quale vantaggio pretendevasi ricavarne? Voi converrete dapprima, che agli occhi d’uomini sì gravi e sì religiosi come i padri nostri, lo scopo doveva essere serio e il vantaggio tale da compensare i pericoli molto gravi che lo studio dei libri pagani poteva, malgrado tutte le cautele, far correre all’innocenza e alla fede dei figli loro. Meno una necessità imperiosa, un padre non abbandona il figliuolo della sua tenerezza ai pericoli di un mare tutto sparso di scogli. La è una prova di più, che si trattava per quelli di cosa ben altra che non del fanciullesco profitto di formare retori od accademici. Si trattava per i loro figliuoli: 1° Di conoscere la storia della patria loro e degli altri popoli i cui archivi, scritti da mani pagane, erano esclusivamente in potere de’pagani: 2° Di apprendere le arti, le scienze fisiche, naturali, mediche, il cui monopolio apparteneva egualmente al paganesimo: 3° Di restituire al Cristianesimo, erede di tutto, le verità che il paganesimo, usurpatore audace, erasi appropriato e che, depositario infedele delle tradizioni prime, aveva sfigurato: 4° Di servirsi, ad esempio di San Paolo, delle massime, degli esempi, dell’autorità dei poeti, de’saggi e dei filosofi pagani, sia per infervorarsi alla pratica di qualche virtù, sia per rendere più accessibili alla ragione le verità e i precetti della fede, o, come dice Sant’Agostino, di pigliare agli Egizii i lor vasi d’oro e d’argento, e di darli agli Israeliti, per farli servire all’ornamento del Tabernacolo: 5° Di ben conoscere gli errori dei pagani, i loro pregiudizi contro il Cristianesimo, i loro argomenti in favore dell’idolatria, le obbiezioni e i sistemi dei filosofi, per confutarli sodamente e spesso anche per sconfiggerli con le proprie loro armi. Infatti, qual mezzo evvi per vincere un nemico, di cui non si sa né il modo di guerreggiare, né le forze, né le armi, né le fortezze? Tale si era il grande, l’unico interesse dei cristiani illuminati. Posti, sino dalla culla, in faccia ai nemici instancabili di loro religione, non si vedevano obbligati a combattere notte e giorno per sé e per i loro fratelli? Ora, per raggiungere questo scopo, diciamo meglio, per adempiere questo grande dovere, indispensabile cosa era il conoscere non solo la scienza de pagani, ma eziandio la loro lingua, e di parlarla con una certa purezza, per tema d’essere tacciati da quelli d’ignoranza o di barbarie, e di non ottenerne attenzione di sorta. – Sui motivi di fare studiare alla gioventù gli autori pagani nei primi secoli della Chiesa, voi avete udito San Basilio, Sant’Agostino, San Giustino, Taziano, Clemente d’Alesandria, Ermias, San Gerolamo, e con essi tutte le più sagge dei giovani cristiani. – Dal loro unanime insegnamento risulta questa inattaccabile conclusione, cioè; che i primi cristiani studiavano il paganesimo nelle lettere e nelle scienze, non già per imitarlo, cioè per perpetuarlo quanto al fondo o quanto alla forma, ma per attingervi quanto vi era di proficuo sia alla gloria, sia alla difesa della religione. In tal guisa la Chiesa studiò il paganesimo nell’arte, non per perpetuarlo nel fondo o nella forma, ma sì per impadronirsene e per farlo servire, trasformandolo, di elemento all’arte cristiana; in tale guisa ancora essa lo studiò nei suoi sistemi religiosi e filosofici, non per esaltarli, ma per ridurli in polvere.

CAPITOLO V

SEGUITO DEL CAPITOLO PRECEDENTE.

Nulla di più serio delle ragioni allegate dai Padri per far studiare all’ adolescenza cristiana gli autori del paganesimo e permetterle di frequentare le sue scuole. Tuttavolta, cosa degna della più grande attenzione, i Padri stessi non si accordano, su questo punto, tra di loro. Conforme allo spirito delle Costituzioni apostoliche, il maggior numero si pronunciò formalmente contro siffatto genere d’insegnamento, a cagione del pericolo ch’ei faceva correre alla fede ed ai costumi. Gli altri pensano che gli adolescenti vi si possano dare, ma con riserva e con grandi cautele. In nome di coloro che lo permettono, sentiamo Tertulliano, San Gregorio di Nazianzo e San Basilio; sentiremo più tardi quei che lo vietano: « Quando un fanciullo, dice Tertulliano, allevato nella fede, imbevuto dei suoi principii, va a scuola (d’un maestro pagano , egli deve essere avvertito e premunito contro l’errore. Esso se ne preserverà, imparerà la lettura che gli è utile, e disprezzerà una dottrina empia e menzognera, su cui egli sa già a che attenersi » . – « Gli è avviso comune di tutte le persone di buon senso, dice alla sua volta San Gregorio di Nazianzo, che in prima fila fra i beni ricevuti da un uomo in sorte, bisogna collocare l’istruzione. Non parlo soltanto delle cognizioni in un ordine di cose sovrannaturale, cognizioni che possono ben essere estranee a tutte le grazie, a tutti gli ornamenti del linguaggio … Io ho in vista eziandio quell’istruzione che è oltre la fede e i suoi dogmi, quelle cognizioni che la più parte dei cristiani considerano come vane e illusorie, piene di pericoli, proprie solo ad allontanare le anime da Dio, e che per tale titolo coloro disprezzano ed abborriscono. – La divergenza d’opinioni che noi indichiamo va diminuendo a misura che il Cristianesimo stende il suo impero, e che i suoi libri si moltiplicano; per conseguente, a misura che i motivi di studiare il paganesimo e di toglierne a prestito qualcosa perdono del loro valore. Perciò noi scorgiamo lo stesso San Gregorio di Nazianzo, che s’era dimostrato sì favorevole allo studio delle lettere pagane, modificare la propria opinione e, verso la fine del viver suo, scrivere in questi concetti ad uno dei suoi amici, Adamanzio, il quale gli chiede libri di letteratura: « I libri che tu mi chiedi, ridiventato fanciullo per studiare retorica, io li posi in disparte dal giorno in che, obbedendo all’ ispirazione divina, rivolsi gli occhi verso il cielo. Bisognava bene che tutti gli scherzi della fanciullezza avessero un termine; bisognava cessar di balbettare per aspirar finalmente alla vera scienza, e sacrificare al Verbo tutti questi discorsi frivoli, con quanto aveva formato sino allora la gioia dei miei ozi. Ma, giacché hai deciso di dare la preferenza a ciò che occupar deve il secondo posto; poiché nulla di quanto ti si potrebbe dire ti svolgerebbe da questo disegno, eccoti i miei libri. Ti invio tutti quelli che sono sfuggiti ai vermi e che il fumo non ha anneriti, a quegli uncini a cui io li avevo sospesi, al disopra del mio focolare, come il nocchiere che si ritrasse dal navigare sospende il suo timone. Io t’invito però a studiare i sofisti ampiamente e con ardore. Acquista tutte le cognizioni necessarie e farne partecipe la gioventù, purché il timore di Dio domini tutte queste vanità (1) »[Ep. 199]. – Ma ecco qualcosa più grave dello stesso Padre. Nell’elogio di Sant’Atanasio, Gregorio, trascinato da una giusta ammirazione pel generoso difensore della fede, loda senza restrizione d’avere di buon’ora lasciato la coltura delle lettere e delle scienze umane. « Ei fu allevato, dice, nei buoni costumi ed iniziato alle scienze ed alle lettere; ma non prima ne seppe abbastanza per non parere affatto incolto ed ignorante in quest’ordine di cose, si dedicò affatto alla meditazione dei libri Sacri ». Quale differenza tra questo linguaggio del santo dottore e certi passi delle sue lettere! Il suo amico Basilio subisce la stessa influenza. Dopo il suo battesimo, ei si mette a piangere qual sogno tutto il tempo di sua vita da lui consumato negli studi letterari e filosofici: « Io mi svegliai, dice, come da un sonno profondo; e, come la luce dell’Evangelio rischiarò i miei occhi, riconobbi la vanità della scienza e dell’umana sapienza. Dacché mi trattengo con Mose e con Elia, scrive a Libanio, e dacché ricevo dalla loro barbara lingua le lezioni che trasmetter debbo ai miei fratelli, ho dimenticato del tutto quanto imparai alla vostra scuola (Ep. 339). » Dall’influenza che godevano nella Chiesa uomini come Atanasio, Basilio e i due Gregorii, si può giudicare della disposizione generale degli animi prima della fine del quarto secolo. Sino dal principio del quinto, l’umanità regnò su questa grande questione. Si erano alla perfine aperti gli occhi sui pericoli dell’insegnamento profano: le ripugnanze della più parte dei cristiani, come dice San Gregorio erano riconosciute ben fondate. Si capiva oramai « che sperar non si poteva il compiuto trionfo dell’Evangelio e dei cristiani costumi sull’idolatria e sui costumi così corrotti dei Greci e dei Romani, infino a che la gioventù delle scuole attingesse le sue idee, alimentasse la sua immaginazione, prendesse la regola de suoi giudizi nello studio delle opere dell’antichità. Una nuova morale, nuove leggi, un nuovo mondo uscir non potevano, colla educazione, se non da una nuova letteratura. » – « Come era possibile, dice un moderno filosofo, combinare il Cristianesimo colla eredità degli antichi popoli? Le tradizioni antiche, la ricordanza delle grandi azioni passate, quella degli antenati che procacciato avevano una così grande rinomanza, una sì grande potenza ai loro nipoti, tutto questo attraeva gli animi in un senso, ed il Cristianesimo colle sue promesse in un altro ». – Tre grandi atleti, San Crisostomo, San Gerolamo, Sant’Agostino, sono suscitati da Dio per chiudere le discussioni, per finirla colla scuola pagana e per aprire un’era nuova. Tutti e tre assalgono il paganesimo classico, precisamente sotto gli stessi riguardi che lo fanno tanto stimare dopo il Rinascimento. Inutile come filosofia, vano come letteratura, pericoloso come morale: ecco il triplice marchio ch’essi gli imprimono sulla fronte. – « Da qual male, grida il primo, siamo noi dunque minacciati se ignoriamo le belle lettere (cioè la letteratura profana)? Non solo fra noi, i quali ridiamo di tutta questa vana sapienza, di tutta quest’arte che ci è straniera, le lettere non hanno alcun pregio. Filosofi che non sono dei nostri non ne hanno fatto verun caso Il che non gli impedì d’acquistare una giusta celebrità…. Quanto dunque non saremmo noi da biasimare, noi illuminati dalla fede, se tanto caso facessimo di un ingegno spezzato da coloro stessi che non si nutrono se non di vento; e se per l’acquisto di cosa sì vana corressimo rischio di sacrificare ciò che solo è necessario….? Gli Apostoli, ed un gran numero di santi personaggi che non avevano studiato questa letteratura, non convertirono meno il mondo; mentre nessun filosofo è giunto finora a convertire un tiranno. Dopo avere esposto tutti i pericoli di questo studio, soggiunge: « Non sarebb’egli l’ultimo grado della crudeltà il gettare nell’arena, in mezzo a tanti nemici, i poveri fanciulli che non sono nemmeno capaci di difendersi contro loro stessi? ». – Il secondo sembra avere scritto il suo ammirabile trattato De doctrina cristiana per far venire a nausea per sempre ai giovani cristiani il paganesimo classico. « Infatti, dice il signor Lalanne, frammezzo agli egregi consigli che il santo dottore dà sull’eloquenza, si è meravigliati dapprima della sua riservatezza nel non citare e nel non nominare alcuno scrittore profano … Invece di consigliare, come lo fanno ancora i nostri retori, le opere di Cicerone, di Demostene, di Tito Livio, egli li passa affatto sotto silenzio, e soggiunge: « Noi non manchiamo di scrittori ecclesiastici, indipendentemente da quelli che lo Spirito Santo ispirò, nelle cui opere un uomo ingegnoso saprà attingere senza sforzo veruno, solo leggendole attentamente, modelli di eloquenza, e non avrà più se non a ben esercitarsi sia a scrivere, sia a dettare, e finalmente a parlare come gli sarà dalla pietà inspirato (lib IV n. 4-7) ». – Quanto a San Gerolamo, ei fu, come è noto, l’Origene del suo tempo, il dotto in cui tutta la scienza ecclesiastica dei secoli passati si riassumeva in qualche modo. Egli aveva fatto prestanti studi sotto maestri pagani, ed era già molto istruito quando si diede tutto al servigio della religione. Nella forza degli anni e frammezzo agli scritti letterari i più severi, egli scrisse al papa Damaso, sopra un versetto della parabola del Figliuolo Prodigo, in cui è detto che quel giovine bramava, per attutire la sua fame, i bricioli che si gettavano ai maiali: « Si può capire pel cibo dei maiali la poesia, la falsa filosofia del mondo, la vana eloquenza degli oratori. La loro grata cadenza e la dolce loro armonia, lusingando l’orecchio, s’impadroniscono dell’animo ed ammaliano il cuore; ma, dopo che simili opere si sono lette con molta attenzione, non troviamo in noi se non il vuoto ed una specie di capogiro. E non ci illudiamo dicendo che noi non prestiamo fede alle favole di cui quegli autori empierono gli scritti loro. – Onesta ragione non ci scusa punto, giacché noi scandalizziamo gli altri, i quali credono che noi approviamo quanto essi ci vedono leggere. » Nel processo di quest’opera noi citeremo altri giudizi dello stesso santo dottore, parimenti precisi e molto più severi. – Per compendiare in poche linee tutta questa discussione sul paganesimo classico nei primi secoli, diremo col sapiente scrittore, da noi sopra menzionato: « Dopo questo grande e mirabile rivolgimento, operato da uomini tali che dir si potè: “Infirma mundi elegit Deus, ut confundat fortia”, il Cristianesimo si presenta nella persona dei suoi propagatori con tutto il prestigio, con tutta la pompa delle lettere e delle scienze ammirate dal paganesimo. Gli era il vincitore il quale impadronivasi e rivestivasi delle armi del suo nemico disfatto; ei ne ebbe d’uopo un istante per la difesa e per l’assalimento. Ei se ne servì ed esortò i suoi a rendersi capaci di impugnarle. Ma bentosto, sentendo che quella straniera armatura, la quale non era fatta per esso, lo feriva e gli si attagliava male, se ne spogliò pezzo a pezzo: oppure, non facendone più guari caso, cessò di cercarla. Al cospetto del colosso della barbarie, il Cristianesimo entrò in lizza con le sue vestimenta le più semplici, con la sola arma della croce, come quel pastorello che armato solo di fionda recavasi ad atterrare un gigante: ambi avevano riposto in Dio la loro fiducia ». Partendo dal sesto secolo sino alla metà del decimoquinto non si adoperarono più, generalmente parlando, o solo in modo molto secondario, autori pagani nella educazione della gioventù. « Al cominciare del quinto secolo, noi ci imbattemmo in tre grandi uomini, discepoli del quarto secolo, eredi di tutta quanta la sua scienza filosofica e letteraria, degni di essere gli ultimi di quella splendida legione di scelti intelletti, dai quali la Chiesa era stata cotanto illustrata. Noi li vedemmo dare, in qualche guisa, alla posterità il segno della grande diserzione dai templi letterarii della Grecia e del Portico, e dell’Accademia, e di Atene, e del Museo, del pari che di Corinto e di Pafo; e, con coraggiosa mano, precipitare il mondo in una oscurità momentanea per fargli perdere di vista le false luci che lo traviavano ». – La Provvidenza secondava la loro azione coi grandi avvenimenti che allora si compierono. L’Impero Romano, coi suoi monumenti e colle sue arti, e con i suoi libri, periva sotto i colpi dei barbari. Nel tempo stesso, un Pontefice grande fra tutti diventava il creatore di una letteratura e di una lingua nuova, espressione affatto pura della cristiana società, rimasta sola in piedi fra le rovine. Questo pontefice è San Gregorio, del quale avremo più fiate occasione di parlare nel procedere delle nostre ricerche.

[2 – Continua …]

IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (1)

IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE

ovvero IL PAGANESIMO NELL’EDUCAZIONE

(1)

[Mons. J. J. Gaume, trad. dal francese di A.V. – Napoli 1854]

LETTERA

Di Sua Eminenza monsignor cardinale Gousset, arcivescovo di Reims, al signor Abate G. Gaume, vicario generale di monsignor vescovo di Nevers.

SIGNOR VICARIO GENERALE,

Ho letto le bozze del libro che voi vi proponete di pubblicare sotto il titolo: IL VERME RODITORE DELLE SOCIETÀ MODERNE, Ovvero IL PAGANESIMO NELL’EDUCAZIONE. La lettura di quest’opera mi ha vivamente interessato pel modo con cui voi vi trattaste questioni della massima importanza. Mi pare che voi abbiate perfettamente dimostrato che, da vari secoli, lo studio pressoché esclusivo degli scrittori pagani nelle scuole secondarie, godette sulla educazione della gioventù e sull’animo delle società moderne una funesta influenza. Il perché gli amici della religione e dell’ordine sociale capiranno agevolmente, come voi stesso capiste, la necessità di modificare, nei luoghi di pubblico insegnamento la direzione degli studi in quanto riguarda la scelta dei classici autori, in guisa da farvi predominare gli scrittori cristiani, greci e latini, le cui opere sono sì acconce ad ispirare ai giovani la pratica delle virtù evangeliche ed a rimettere in tutto il loro vigore i principii costitutivi della società. Questo pensiero può ancora trovar contraddittori: ma ho motivo di sperare che il vostro libro avrà tosto o tardi felici risultati, e non posso non rallegrarmi con voi sinceramente di tale pubblicazione. – Ricevete, signor Vicario generale, l’espressione dei miei sensi devoti ed affezionati.

Parigi, ad giugno 1831.

Cardinale GOUSSET, Arcivescovo di Reims.

PRŒMIO

Che fa egli il medico al vedere l’infelice alle prese con un morbo che d’ora in ora minaccia di precipitarlo nella tomba? Sei non è cieco o colpevole, sua prima cura si è il ricorrere non ai palliativi, non ai rimedi ordinari, ma agli ultimi mezzi dell’arte per produrre una salutifera crisi: se uopo è, si adopereranno il ferro ed il fuoco, malgrado le resistenza e le grida dell’ammalato. – La società è inferma, molto inferma. Sintomi ognora più spaventevoli non permettono ad alcuno di dubitare della gravità del male. Per scongiurare una inevitabile morte, i palliativi, i rimedi ordinari bastano essi? No. Tal è il vostro avviso, e tale è pure il mio. Un rimedio efficace è dunque necessario. – Bisogna produrre un rivolgimento profondo, compiuto, e subito, perché il tempo stringe, ed ogni ora di ritardo può divenire fatale. – Ma dov’è la sede del male? Oggigiorno più che mai essa è negli animi. Gli animi si guariscono non con leggi, ma con costumi. I costumi si formano coll’educazione. L’educazione colpisce non già l’età matura, ma l’infanzia. Rimedio lento, direte voi: rimedio impotente adesso. È vero, noi scriviamo fra il muggire della burrasca. Secondo ogni apparenza, il fulmine sarà scoppiato prima che il parafulmine abbia potuto scaricare la nube. Ma la tempesta passerà, e bisogna che sul terreno sconvolto l’infanzia trovi aperta la pura sorgente della verità, se non si vuole sin dal domani dell’uragano prepararne un nuovo. Sia pure, come voi pensate, che l’intero edificio non possa essere conservato; date dunque la sua parte al fuoco: coloro che vogliono correre a morte, corrano a morte. Se il presente è condannato, salviamo l’avvenire. Su questo punto si deve concentrare tutta la possa dei nostri sforzi; su questo punto deve operarsi il rivolgimento che solo può strappare l’infermo alla morte. – Di tale rivolgimento molti parlano e pochi lo capiscono; vari lo hanno tentato, nessuno vi è riuscito. Proverò di dirne la ragione, dicendo come debba essere. – In codesti ultimi tempi molto si discusse sulla liberta dell’insegnamento; essa venne chiesta con energia, con perseveranza, e come una necessità e come un diritto. Onore al coraggio, onore all’ingegno, sì nobilmente consacrato al buon esito di questa grande causa! Pure, per grave ch’essa sia, la questione di libertà è dominata da un’altra ancora più grave. La libertà non è uno scopo; essa è un mezzo. Il punto essenziale non è già di rendere liberò l’insegnamento, ma sì di renderlo cristiano. Altrimenti la libertà non servirà se non ad aprire un maggior numero di fonti avvelenate, alle quali la gioventù andrà a bere la morte. Rendere cristiano l’insegnamento, ecco l’ultima parola della lotta, ecco quello che bisogna intraprendere, che bisogna realizzare ad ogni costo. Ciò vuol dire anzi tutto: sostituire il Cristianesimo al paganesimo nella educazione. Bisogna ribadire la catena dell’insegnamento cattolico, manifestamente, sacrilegamente, sgraziatamente infranta in tutta Europa da quattro secoli. – Bisogna ricollocare presso la culla delle nascenti generazioni la pura sorgente della verità invece dalle impure cisterne dell’errore; lo spiritualismo invece del sensualismo; l’ordine invece del disordine; la vita invece della morte. – Bisogna di nuovo informare del principio cattolico le scienze, le lettere, le arti, i costumi, le istituzioni, onde guarirle dalle vergognose infermità che le divorano, ed affine di sottrarle alla dura schiavitù sotto cui gemono. Bisogna cosi salvare la società, se essa può ancor essere salvata, od impedire almeno che tutta la carne non perisca nello spaventoso cataclisma che ci minaccia. – Bisogna così secondare i manifesti disegni della Provvidenza sia temprando come l’acciaio coloro che sostener devono l’urto della grande lotta, verso la quale noi ci incamminiamo rapidamente, sia conservando alla religione un piccolo numero di fedeli, destinati a divenir la semenza di un regno glorioso di pace e di giustizia, od a perpetuare fino al fine, fra prove gloriose, la visibilità della Chiesa. Tale è la rivoluzione di cui si tratta. Questa rivoluzione è gigantesca e l’uomo è nulla. Questa rivoluzione incontrerà resistenza di più d’una sorta; essa forse susciterà opposizioni appassionate; pure è possibile: più possibile oggi che altre volte. Giudicatene. Ora fa sedici anni, l’autore del CATTOLICISMO NELLA EDUCAZIONE dimostrò pel primo, ex professo, il verme roditore della moderna Europa. Collo scopo confessato di distruggere l’impero usurpato dal paganesimo sulla educazione dei popoli cristiani, ei predicò la guerra santa. Senz’essere profeta, non gli fu difficile di annunziare che la società giungerebbe in breve alla propria rovina, ov’essa non s’affrettasse a mutare sistema. Ma da una parte, intaccare il paganesimo classico era in allora una bestemmia; d’altro lato la società ebbra di sensualismo non prestava l’orecchio se non alle sirene, i cui perfidi canti attraevano verso l’abisso. Per questo doppio motivo, la sua voce non ebbe guari eco; e, meno felice dell’Eremita del medio-evo, ei trovò a mala pena alcuni cavalieri disposti alla battaglia. Isolato sotto i fuochi incrociati dei nemici ed anche degli amici, egli fu giocoforza abbandonare il campo di battaglia. Egli aveva avuto ragione troppo presto; ei si ritirasse aspettando che tempo venisse di avere ragione. Onesto tempo è giunto, o non giungerà; poiché la società muore, e poi le circostanze sono cangiate d’assai. Agli accenti delle sirene è succeduto il rumore del tuono, l’ebbrezza della prosperità si è dissipata ai colpi delle catastrofi; i solenni avvertimenti della Provvidenza non andarono perduti per tutti. Gli uni per tema, gli altri per convinzione, si sforzano di operare una reazione cattolica sopra la società. Essi applaudono agli sforzi che si fanno in questo senso. Certo, la reazione del Cattolicismo sull’educazione, senza la quale tutte le reazioni, tutte le ristorazioni riusciranno a nulla, non poteva continuare ad esser riguardata come cosa indifferente. Infatti, sotto l’influsso di queste cause e d’altre ancora, il rivolgimento camminò: esso conta di presente numerosi ed illustri sostegni (Il mio pensiero si volge in questo momento alla lettera cosi notevole di monsignor vescovo di Langres, di cui avrò occasione di citare qualche passo). Riprodotti da loro, gli argomenti contro il paganesimo classico non cadono più, come sedici anni fa, sepolti sotto una gragnuola di sofismi e di ingiurie. Dagli uni, essi sono applauditi; agli altri, fanno paura: per nessuno, eccetto per gli Dei Termini, sono oggetto di disprezzo. – Alle parole succedono gli atti. Rientrato trionfante nel dominio dell’architettura religiosa, il Cattolicesimo sviluppa il suo movimento e comincia ad introdursi nell’educazione, vestibolo della onnipotenza. Di già su vari punti della Francia e dell’Europa, la storia, la filosofia, la letteratura gli aprono i loro santuari, sì lungo tempo chiusi. In un cerio numero di stabilimenti, lo studio delle lingue antiche si fa in parte almeno, coll’aiuto di classici cristiani, e poi il monopolio è scosso. Evidentemente, la breccia è aperta: più non si tratta che di allargarla, ed il rivolgimento vittorioso entrerà sino nel cuor della piazza. Riconosciamo qui, benedicendola, l’opera della Provvidenza. Ora la Provvidenza non tentenna mai. Il rivolgimento è dunque possibile, più possibile oggi che altre volte. Che il rivolgimento sia necessario, di una necessarietà attuale e suprema, lo scopo di questo libro si è di dimostrarlo, indicando inoltre ed i caratteri di tal rivolgimento, ed i mezzi di assicurarne il successo.

CAPITOLO I

POSIZIONE DEL PROBLEMA

Per rendere palpabile la verità della mia proposizione, lascio da parte tutti i ragionamenti astratti, tutte le teorie metafisiche; mi contento d’invocare un piccolo numero di fatti clamorosi e di un incontestabile significato. Primo fatto. —Ad eccezione di alcuni atti di disobbedienza, inevitabili anche in giovani ben nati, si vede l’Europa in tutta la durata del medio-evo mostrarsi pieno di rispetto e di sommissione Cristiana nella sua fede, nei suoi costumi pubblici, nelle sue leggi, nelle sue istituzioni, nelle sue arti, nel suo linguaggio, la società sviluppava tranquillamente quelle belle e forti proporzioni, che 1’avvicinavano ogni giorno alla misura del Cristo, tipo divino d’ogni perfezione. Secondo fatto. — Col secolo decimoquinto, l’impero sovrano del Cattolicesimo s’indebolisce. L’antica unione della religione e della società è scossa. Sino allora così venerata, la voce paterna dei pontefici romani diventa sospetta; la maestà del loro potere sparisce come una grande ombra; la sommissione figliale del re e dei popoli diminuisce; la società sente nascere nel suo cuore un funesto desiderio d’indipendenza: tutto annunzia una rottura. – Terzo fatto. — Il sedicesimo secolo è appena incominciato che dalla cella d’un frate alemanno una voce si innalza, possente organo dei colpevoli pensieri che fermentano nei cuori: quella voce dice: « Nazioni, separatevi dalla Chiesa Cattolica, fuggite Babilonia; popoli, rompete i vincoli della vostra lunga infanzia; d’ora in poi voi siete forti abbastanza, abbastanza illuminati per condurvi di per voi. » La voce è ascoltata con un favore che stupisce anche oggidì. Nella maggior parte d’Europa si vide la società accusar la sua madre di superstizione e di barbarie, abiurare le sue dottrine, spregiare i suoi più grandi uomini, bruciare quanto portava l’impronta della sacra sua mano, e rovesciare o mutilare come monumenti d’ignoranza, di schiavitù e d’idolatria, i templi e gli edifici ove i secoli precedenti avevano con tanta magnificenza custodito la loro fede, immortalando in pari tempo le loro scienze ed il loro genio. Quarto fatto. — Questa incredibile rottura non fu un accesso passeggero di vertigine: essa dura tuttora. Né le angosce, né le umiliazioni, né i disinganni, né le catastrofi, né le calamità d’ogni specie poterono ricondurre il Figliuol Prodigo al materno girone. Luugi da questo, il suo allontanamento per la Chiesa andò aumentando; esso mutossi in odio, in odio sempre vivo, sempre operante, talché, dopo tre secoli, l’Europa non sembra saper fare che tre cose, ma essa le fa con una perfezione da disperare: spogliare la Chiesa, incatenare la Chiesa, schiaffeggiare la Chiesa. Di presente, giunta al parossismo della passione, l’antica figliuola del Cattolicesimo non ha più altro grido di riscossa se non queste orribili parole, ripetute su tutti i tuoni, dall’Adriatico all’Oceano, e dal Mediterraneo al Baltico: II Cristianesimo ci pesa, noi non vogliamo ch’esso regni su di noi; lo si tolga; la sola sua vista ci è insopportabile. Quarto fatto. — Dacché questo traviamento dura, la Chiesa non ha cangiato. Prima come dopo, essa è la stessa: così buona. così saggia, così rassegnata. In faccia ai dolori della società, essa non rimase né oziosa né muta. Giammai, forse, la sua materna tenerezza dispiegò una sollecitudine più universale, uno zelo infaticabile. Dal suo seno perpetuamente fecondo, uscirono nel decimoquinto secolo trentacinque ordini o congregazioni religiose; nel sedicesimo , cinquantadue; nel decimo settimo, novanta. Tutti questi grandi corpi, manovrando come un solo uomo, rendevano incessante la sua azione sulla famiglia e sulla società, dal settentrione al mezzodì dell’Europa. Da San Vincenzo Ferrero a San Francesco da Paola, numerosi santi meravigliarono il mondo coll’eroismo delle loro virtù, e mostrarono ai più ciechi che la Chiesa romana non cessò di essere l’incorruttibile sposa del Santo dei santi, la madre di tutti gli uomini veramente degni del nome di grandi: alma parens, alma virum. – Dal canto loro, i suoi ammirabili dottori, da Bellarmino sino a Bossuet, han provato ch’essa è sempre la sorgente della luce e del sapere. Continuato in tutta la maestà della sua forza dai sovrani pontefici e dai concili, l’insegnamento cattolico ha da lungo tempo ridotto in polvere ed il principio protestante, ed i vani motivi che servirono di pretesto alla rottura, e tutti quelli che, più tardi, furono inventati per mantenerla. Ora, né le dimostrazioni, né gli avvertimenti, né i benefizii, né le supplicazioni, né le lagrime, né gli sforzi di ogni genere han potuto toccare la società europea, né ribadire l’antica alleanza che univa alla madre la figliuola. Da questi fatti, che nessuno negherà, risulta evidentemente la conclusione seguente: « Da quattro secoli, evvi in Francia un elemento nuovo, un elemento di più od un elemento di meno che non nel medio-evo; e questo elemento forma un muro di separazione sempre sussistente tra il Cristianesimo e la società. » Qual è codesto elemento ? Ov’ è? È ciò che cercheremo.

CAPITOLO II

STUDIO DEL PROBLEMA

L’investigazione alla quale noi ci daremo è di altissima importanza. Temendo di forviarci, cominciamo dal segnare la nostra strada, posando alcuni principi d’una evidenza incontestabile.

Primo principio. — Ogni effetto ha una cagione; ogni effetto permanente ha una cagione permanente.

Secondo principio. — Ogni parola, ogni azione umana, pubblica o privata, è l’effetto del libero arbitrio o di una volontà dell’anima. Le volontà, o, come dice la filosofia, le voluzioni dell’anima presuppongono l’idea o la nozione della cosa voluta, poiché è impossibile di voler ciò che non si conosce, ciò di cui non si ha idea: Ignoti nulla cupido; nihil colitum nisi prœcognitum.

Terzo principio. — Innate o no, le idee vengono o dipendono dall’insegnamento, il quale le risveglia o le da. L’insegnamento fa dunque l’uomo.

Quarto principio. — L’insegnamento che fa l’uomo, che forma per la vita il suo animo ed il cuore, si compie nel periodo che separa la culla dall’adolescenza, secondo la parola, cotanto vera che era già proverbiale or fanno tremila anni: Quale ei fu nei di della sua adolescenza, tale l’uomo sarà nei dì di sua vecchiezza, e non cambierà (Prov. XXII, 6).

Quinto principio. — La vita dell’uomo si divide in due epoche ben distinte: l’epoca di ricevere e l’epoca di trasmettere. La prima comprende il tempo dell’educazione, cioè dello sviluppo e dell’insegnamento; la seconda, il restante dell’esistenza fino alla morte. Non avendo l’essere da se stesso, l’uomo riceve tutto; tanto nell’ordine intellettuale e morale, quanto nell’ordine fisico. – Dopo aver ricevuto egli trasmette, e non può trasmettere se non quanto ha ricevuto. Trasmettendo quanto ha ricevuto, egli forma la famiglia, la società ad immagine sua. La verità o la bugia, il bene od il male, l’ordine od il disordine realizzati nei fatti esterni della famiglia e della società, non sono se non il riflesso e il prodotto della verità o della bugia, del bene o del male, dell’ordine o del disordine che regnano nella sua anima.

Sesto principio. — Pel bene come pel male, l’influsso viene dall’alto e non dal basso. Le opinioni e i costumi dei parenti formano le opinioni e i costumi dei figliuoli. Le opinioni e i costumi delle classi letterate formano le opinioni e i costumi di quelle che non lo sono.

Settimo principio. — Le opinioni e i costumi delle classi letterate derivano soprattutto dalla loro educazione letteraria. Cotale educazione si fa principalmente coi libri che si pongono tra le mani della gioventù durante i sette od otto anni che uniscono l’infanzia all’adolescenza. E ciò per tre motivi: il primo, perché quegli anni sono gli anni decisivi della vita. Il secondo, perché quei libri sono il nutrimento giornaliero della gioventù ed il suo nutrimento obbligato; perché essa li deve studiare con cura, perché li deve imparare con fervore; perché se ne deve imbevere pel fondo e per la forma. Il terzo perché siffatto studio assiduo è accompagnato da spiegazioni e da commenti, nello scopo di far ben capire il senso di essi libri, di farne ammirare lo stile, i pensieri, le bellezze d’ogni genere, di esaltare le azioni, i fatti, le parole, le istituzioni degli uomini e dei popoli di cui narrano la storia; finalmente, e soprattutto, di offrire all’ammirazione della gioventù gli autori di tali opere come i re , senza paragone, dell’ ingegno e del genio. Dunque in diritto, tutto proviene dalla educazione. Dunque in fatto, 1’educazione delle classi superiori fa l’educazione delle inferiori, l’opinione, i costumi, la società. – Siffatta conseguenza non è meno inattaccabile che i principi stessi da noi rammentati, e dai quali essa scaturisce necessariamente come il fiume dalla sua sorgente. I saggi di tutti i tempi 1’hanno proclamata. Ai nostri occhi l’unico mezzo di riformare l’uman genere si è quello di riformare l’educazione della gioventù. L’educazione è la sola leva colla quale sollevare si possa il mondo. L’educazione è l’impero, perché l’educazione è l’uomo, e l’uomo è la società. – Qualora i saggi non avessero reso quest’omaggio un anime alla non peritura verità che noi indichiamo, basterebbe per non dubitarne, lo scorgere l’ostinato accadimento col quale in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, le due potenze del bene e del male si disputano l’impero della educazione. Sotto la questione, in apparenza molto secondaria, di sapere chi s’accosterà al al fanciullo per insegnargli la lettura, la scrittura, il calcolo, il greco od il latino, si nasconde in ultima analisi, una questione di sovranità: la verga del maestro è la scettro del mondo. da tutto ciò, che concluderemo riguardo al problrema che ci occupa? La risposta non è dubbia: si è nell’educazione che noi siamo forzati di cercare la cagione prima e sempre sussistente della rottura quattro volte secolare da noi constatata. – In ogni altra cosa, almeno mi sembra, voi non troverete se non cagioni occasionali, indirette e passeggere; ma queste cagioni esterne ed accidentali, le quali avranno forse potuto affrettare e raffermare lo scisma, non sono maggiormente il principio del male, di quello che gli affluenti siano la sorgente dei fiumi ch’ essi fanno straripare. Qual è di presente, nella educazione pubblica d’Europa, questa cagione o questo elemento di più o di meno che da quattrocent’anni scava tra il Cristianesimo e la società un abisso che nulla ha potuto colmare e che ogni giorno più si va allargando? Qui io invoco tutta la sagacia del filosofo e la suprema imparzialità del giudice. – Lungo tempo prima della rottura, io vedo in tutta l’Europa l’educazione pubblica riposare sul seguente organismo: le università ed i ginnasi o collegi. Dopo la rottura, io rinvengo lo stesso organismo. In Francia, il medesimo sussistette in tutta la sua integrità sino alla fine dello scorso secolo; esso sussiste ancora generalmente in tutte le altre parti d’Europa. Sotto questo primo punto, nulla di nuovo; e, quanto al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Prima della rottura, io vedo che nelle università e nei ginnasi si insegnano: il latino, il greco, le lingue viventi e le lingue orientali, la grammatica, la filosofia, la retorica, le scienze fisiche e matematiche. Dopo la rottura, trovo che s’insegnano le stesse cose. Sotto questo secondo punto, nulla di nuovo; e, quanto al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Prima della rottura, vedo che s’insegnano con particolare cura le verità della religione; che i maestri ed i discepoli. tranne poche eccezioni, ne adempiono fedelmente i doveri. Dopo la rottura, trovo che non si insegna meno fedelmente la religione; che i maestri ed i discepoli, io generale, continuan fino all’ultimo secolo ad adempierne esattamente i precetti. Sotto questo terzo punto, nulla di nuovo; e quanto al fondo, nulla di più. nulla di meno. – Prima della rottura, vedo l’insegnamento posto fra le mani del clero e degli ordini religiosi. Dopo la rottura. trovo che ne è lo stesso in tutti i paesi ed anche in Francia sin verso la metà dello scorso secolo. Sotto questo quarto punto, nulla di Nuovo; e, quanto al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Prima della rottura, vedo seduti sulle cattedre e delle università maestri senza macchia, pii, zelante, dottori illustri ed in gran numero, e ciò in tutte le scienze. Dopo la rottura trovo la stessa cosa. Sotto questo quinto punto, nulla di nuovo; e, al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Prima della rottura, vedo l’insegnamento affatto libero: il monopolio non era ancora inventato. Dopo lo scisma, trovo per quasi tre secoli la stessa libertà: il dogma pagano del monopolio è nato ai dì nostri. Sotto questo sesto punto, nulla di nuovo; e, quanto al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Tali sono, salvo errore, i punti di paragone i più notevoli sotto cui si presenta, nelle due epoche, la pubblica educazione. Ora, prima e dopo lo scisma, questi punii di paragone si rassomigliano in modo che testimoniano l’identità della istituzione: la stessa organizzazione, lo stesso insegnamento, gli stessi uomini, lo stesso spirito, lo stesso scopo, la stessa libertà. – Donde viene che i risultati si rassomiglino sì poco? Donde viene che la stessa sorgente abbeverando le generazioni nascenti comunichi alle une la vita cattolica in tutto il suo vigore, mentre le altre non vi attingono se non un languore mortale? Donde viene che la stessa educazione, la cui azione onnipotente diede alla società del medio-evo quella forza di coesione contro cui s’infransero gli assalti dell’eresia, del sensualismo e del dispotismo, si trovò tutto in una volta senza forza per proteggerla contro gli stessi tentativi: in modo che l’eresia, il sensualismo ed il dispotismo non ebbero che a presentarsi, per entrare a gonfie vele nel cuore dell’Europa e fermarvisi da sovrani padroni cui nulla poté detronizzare? – Si dirà forse che questo risultato si debba attribuire alle circostanze esterne in cui 1’educazione si è compiuta dopo il quindicesimo secolo? Io chiederò dapprima in qual guisa tali circostanze esterne han potuto nascere ed acquistare tanta influenza al di fuori e a dispetto dell’educazione? Dirò poscia che queste circostanze esterne, ossia questo nuovo mezzo, si è innanzi tutto il protestantismo. Ora, il protestantismo non è altro se non il principio di ribellione contro la Chiesa. Questo principio non nacque nel secolo decimosesto; esso ha sempre esistito nel mondo: il primo protestante fu Lucifero. Dopo la ribellione del paradiso terrestre, ed in più di una epoca della Chiesa, egli ebbe organi non meno possenti di Lutero, agenti non meno formidabili di Enrico Ottavo. La questione è di sapere in qual modo l’educazione, la quale, durante mille anni, lo aveva potuto neutralizzare, siasi d’improvviso trovata senza forza forza contr’esso; e ciò non solo nei luoghi ov’esso fu con violenza stabilito, ma eziandio nelle contrade ove non fu mai ufficialmente ricevuto, come lo dimostra l’indebolimento della fede in tutta l’Europa. – Rinane dunque a cercare la vera cagione, la cagione generale e permanente del male nell’educazione. Qui sta la difficoltà; poiché vedemmo che prima e dopo lo scisma, l’educazione offre gli stessi caratteri. Ove trovare il cambiamento? Qual è il cancro sconosciuto, che da quattro secoli rode l’albero nella sua radice e ne vizia il crescere? Qual è finalmente il novello elemento, la cui formidabile potenza, rendendo inutili, per un ravvicinamento e le dure lezioni ricevute dalla società, e le tenere proposte della Chiesa, condanna la madre alle lacrine, e la figliuola alla morte? Acciò evitiamo ogni rimprovero di esagerazione,dichiariamo prima di rispondere, che non è nostra intenzione di dare alle nostre parole un senso esclusivo. Noi riconosceremo volentieri nel moto anticristiano il quale trascina l’Europa, cagioni estranee a quella che stiamo per indicare. Ma insieme con tutti gli uomini riflessivi che seriamente studiarono la questione, noi ci crediamo fondati a considerar questa cagione siccome la più influente: non ci vuole di più per giustificare il rigore morale della nostra affermazione; inoltre, noi protestiamo contro ogni interpretazione delle nostre parole personalmente ostile a chicchessia. Noi non intacchiamo, né vogliamo intaccare nessuno: né il clero secolare, né l’Università, né gli ordini religiosi addetti all’insegnamento. Noi attacchiamo solo il paganesimo. Ciò posto, ecco la risposta.

CAPITOLO III

SOLUZIONE DEL PROBLEMA

Un fonditore di Firenze esercitava da lunga pezza con esito mirabile 1’arte sua. Il secreto della sua gloria consisteva nel preparare maestrevolmente lo stampo in cui egli versava a volta a volta l’oro, l’argento, il bronzo. Un giorno, il municipio di Firenze gli comanda di fare la statua d’uno dei grandi uomini della repubblica, e l’arcivescovo un bassorilievo per una delle cappelle del celebre Duomo. La gloria della patria e l’amor della religione comunicano all’artista un nuovo ardore: sotto questa doppia inspirazione, il suo genio concepisce un capo d’opera. Sgraziatamente, ei non aveva allora nel suo studio se non lo stampo d’un cavallo. Poco monta, pensò l’artista: combinerò sì bene i metalli, che riparerò codesto guaio. Di fatto, l’argento e l’oro, sapientemente mescolati, sono versati insieme nello stampo. Si aspetta un eroe dalle forme antiche: l’artista infrange lo stampo e ne cava fuori un cavallo! « Quanto sbaglio! dice egli: ma conosco il mio errore. Io non ho adoperato i miei metalli in proporzioni convenienti. » Tosto si rimise all’opera, forma una nuova lega e rifà uno stampo simile al primo. Pochi giorni dopo, nuova fusione. Questa volta l’artista lavora per l’arcivescovo il quale aspetta il suo bassorilievo. Lo stampo è aperto, e dà di nuovo un cavallo simile al primo! – « La è cosa imperdonabile! grida 1’artista picchiandosi la fronte. E come ho io potuto dimenticare che 1′ oro e l’argento non sono i veri metalli del fonditore? Il vero metallo del fonditore è il bronzo. Con esso, non vi sarà più errore possibile; io lo conosco, esso mi conosce, noi siamo vecchi amici. » – Ei ci prepara il suo bronzo con grande cura, e ripara il suo stampo, guardandosi bene dal cambiarlo, e lungamente studia le condizioni del problema. Quando esse sono risolute, egli accende i suoi fornelli; ben tosto il metallo della più bella gradazione scorre in getti abbaglianti nello stampo, il quale dà un … superbo cavallo di bronzo, ma sempre un cavallo! Allora 1″infelice artista si dà alla disperazione, se la prende con tutti ma non con sè, pel suo infortunio, e muore senza aver potuto capire che per cambiare una forma, uopo è cangiare lo stampo. – Popoli d’Europa, voi siete il fonditore di Firenze. Dopo il secolo decimoquinto, voi versate i vostri figli in uno stampo pagano, e vi stupite di non ritrarne dei cristiani. Ascoltate la vostra storia. Durante tutto il medio-evo, l’educazione fu esclusivamente cristiana. I libri pagani non erano mai posti come classici fra le mani della gioventù. Essa non li toccava se non nell’età in cui lo spirito, il cuore, l’immaginazione, l’anima insomma, versata nello stampo del Cristianesimo, aveva preso la sua forma assoluta; in cui, per conseguenza, il paganesimo non poteva più imprimere all’infanzia se non una forma secondaria, senza influire sul fondo dell’essere morale. Allora il Cristianesimo era nell’educazione ciò che sono nei nostri banchetti i piatti sostanziosi che attutiscono la fame dei convitati; ed il paganesimo era ciò che sono le bagattelle che compongono i nostri desserts. – Che nasceva da questo? Ciò che sempre nascerà dall’educazione, cioè che sin dalla culla le giovani generazioni nutrite di Cristianesimo, imbevute di Cristianesimo, allevate nella conoscenza, nell’amore, nell’ammirazione del Cristianesimo, nell’entusiasmo delle sue glorie e delle sue opere, trasmettevano alla società quanto esse avevano ricevuto. E la società era cristiana, profondamente cristiana. E questa società cristiana creò un’Europa meravigliosa di grandezza, di forza, di virtù eroiche, e la coprì di monumenti prodigiosi, le cui inimitabili bellezze non formano se non la minima parte della sua gloria. Verso la fine del secolo decimoquinto, voi rompeste lo stampo cristiano, e poneste in sua vece uno stampo pagano. Le giovani generazioni vi furono dentro gettate, e questa cera molle prese la forma dello stampo, e ne avvenne quello che di necessità ne doveva avvenire: le giovani generazioni nutrite di paganesimo, tirate su nell’ammirazione del paganesimo, cominciarono a mostrarsi pagane, ed a trasmettere alla società quanto esse avevano ricevuto. Se, nella prima fusione, esse non furono del tutto pagane, attribuitelo all’azione del Cristianesimo, il quale, dominando ancora nella famiglia e nella società impedì una trasformazione totale e subitanea. – Nondimeno tale fu l’influenza di questa prima prova, che si videro, cosa profondamente degna di osservazione! Tutti i capi della grande ribellione del decimosesto secolo brillare fra i più ardenti discepoli del paganesimo classico, gloriarsi d’essere stati gettati nello stampo pagano, esaltare coloro che ve li avevano messi. tuffarvisi ogni giorno più, invitando tutti ad imitarli, e facendosi della loro nuova forma un’arma loro contro la Chiesa, la cui lingua, le cui scienze e le cui arti incominciarono quelli ad accusare di barbarie. – Il pericolo diventava vieppiù serio: la religione e la società perdevano terreno manifestamente. Si pose mano di nuovo all’opera, e si tentò di formare una nuova generazione la quale, profondamente cristiana, equilibrerebbe l’azione disastrosa di quella che cessava di esserlo, o non lo era di già più: la grande reazione cattolica del secolo decimosesto incominciò. Chiamati a concorrervi, i dottori i più sperimentati, gli ordini religiosi i più dotti raddoppiarono d’attività. Il più abile di questi grandi corpi, l’immortale Compagnia di Gesù, sembrò creata a bella posta per venire in aiuto alla Chiesa ed alla società nella educazione. Essa vi si addisse affatto, adottando, come i suoi compagni d’armi, lo stampo pagano. Cosi voleva l’opinion pubblica, la quale ormai non conosceva più altra forma del bello. – Nessuno ignora infatti che il sedicesimo secolo fu età dell’oro del Rinascimento, l’epoca per eccellenza del culto dell’antico in letteratura, in poesia,, l’epoca degli artisti, dei grecisti, degli umanisti pagani che soprabbondavano in ogni parte d’Europa, i cui echi non cessavano di ridire i loro ditirambi in onore dei Greci e dei Romani. Bentosto i collegi dell’illustre Compagnia coprirono il suolo d’Europa. Una gioventù numerosa, e soprattutto la gioventù appartenente alle classi le più alte, si strinse intorno alle cattedre degli illustri religiosi. La scienza, la virtù, l’abnegazione, la paternità dei maestri, l’ortodossia della loro dottrina, la varietà e lo sfarzo delle cerimonie religiose praticate nelle loro case, tutto sembrava riunito per far rivivere e perpetuare nella società in generale, e soprattutto nelle condizioni elevate, la vigorosa fede del medio-evo. – Parallelamente ai Padri Gesuiti, i Benedettini, i Preti dell’Oratorio ed altri in buon dato rivaleggiavano di scienza e di zelo, mentre le università, ricche di professori non meno distinti pel sapere che per la virtù, concorrevano alla restaurazione universale coronando, nelle loro dotte lezioni, l’edificio così fortemente concepito, in apparenza, del cattolico insegnamento. – Quale fu il risultato finale di quest’azione sì generale e sì ben combinata? Lo stesso che aveva ottenuto il fonditore di Firenze. Le generazioni erano state gettate nello stampo del paganesimo, e si ebbero generazioni pagane. Conforme alla grande legge che presiede alla vita umana, tali generazioni non tardarono a trasmettere ciò ch’esse avevano ricevuto, e il paganesimo straripò sull’ Europa. Pur troppo! sì, la storia, la triste storia lo dice: invece di rianimarsi, lo spirito cristiano andò indebolendosi, e indebolendosi soprattutto nelle classi letterate, fra le quali ei dovea, grazie allo zelo di tanti eccellenti maestri, risvegliarsi con novello vigore. La cosa procedette siffattamente, e tutti lo sanno, che alla fine del decimosettimo secolo e in principio del decimottavo, nulla vi era in tutta Europa meno cristiano di costumi e di credenze, che coloro che avevano il più largamente partecipato al pubblico insegnamento. – Che questi amari frutti siano stati, salvo forse un piccolo numero e dei meno cattivi, prodotti dall’albero pagano ripiantato in seno all’Europa e coltivato con tanta cura pel nutrimento della gioventù, un’osservazione di un altr’ordine lo conferma. Da un lato, le donne, nella cui educazione non entra, o non entra se non in ben piccola dose 1’elemento pagano, si sono sempre mostrate molto più cristiane degli «nomini: d’altra parte, le classi popolari, preservate dallo stesso flagello, rimasero fedeli alla fede antica e non divennero ostili alla religione se non sotto l’influsso due volte secolare, delle classi educate alla scuola dei Greci e dei Romani. – Fonditore di Firenze, né la tua arte né la tua intenzione possono cambiare la natura delle cose: sinché tu verserai i tuoi metalli in uno stampo di cavallo, tu avrai un cavallo. – Popoli d’Europa, sinché voi getterete la gioventù nello stampo del paganesimo, voi avrete generazioni pagane: né le vostre leggi sull’insegnamento, per quanto esser possano liberali, né l’ingegno dei vostri professori né le vostre intenzioni cambieranno in nulla la cosa. – Pensare l’opposto è un errore. Questo errore voi lo commetteste; lo commettete ogni giorno, da più di tre secoli: ecco il verme che vi rode. Tale è lo scioglimento del problema. – Per le formidabili conseguenze di cui essa minaccia il mondo europeo di presente, l’aberrazione che noi descrivemmo finì di divenire così evidente, che le persone le meno sospette di parzialità non possono trattenersi dallo indicarla ad alta voce. Sotto pena di una catastrofe inevitabile e forse fatale, essi scongiurano la società di mutare sistema. Basti riferire, fatta d’altronde ogni riserva, le parole così piene di buon senso d’un membro dell’Assemblea nazionale, in occasione dell’ ultima legge sull’insegnamento: « Dopo il principio di questa discussione, dice esso, l’Università e il Clero si rimandano le accuse come palle da schioppo. Voi pervertite la gioventù col vostro razionalismo filosofico, dice il Clero. Voi l’abbrutite col vostro dogmatismo religioso, risponde l’Università. Sopraggiungono i conciliatori, i quali dicono: la religione e la filosofia sono sorelle. Fondiamo insieme il libero esame e l’autorità. Università e Clero, voi avete avuto, ciascuno alla vostra volta, il monopolio; dividetelo e sia finita. – « Noi udimmo il venerabile vescovo di Langres apostrofare in tal guisa l’Università: « Siete voi che ci avete data la generazione socialista del 1848! ». – « Ed il signor Cremieux si affrettò a ritorcere l’apostrofe in questi termini; « Siete voi che avete educata la generazione rivoluzionaria del 1793 ». « Se vi ha del vero in somiglianti allegazioni, che se ne deve conchiudere? Che i due insegnamenti sono stati funesti non per ciò che li differenzia, ma per ciò che loro è comune. Sì, questa è la mia convinzione: vi è tra questi due generi di insegnamento un punto comune, cioè l’abuso degli studi classici, ed è con esso che Università e Clero han pervertito il giudizio e la moralità della nazione. Essi differiscono in quanto l’uno fa predominare l’elemento religioso, l’altra l’elemento filosofico; ma siffatti elementi, lungi dall’aver fatto quel male, come si rimproverano a vicenda, lo hanno attenuato. Noi dobbiamo loro di non essere così barbari come i Barbari proposti di continuo dal latinismo alla nostra imitazione. – « Mi si permetta un supposto un po’ forzato, ma che farà capire il mio pensiero. Suppongo dunque che in qualche luogo, agli antipodi, esista una nazione la quale, odiando e spregiando il lavoro, abbia fondato tutti i suoi mezzi d’esistenza sul saccheggio successivo di tutti i popoli vicini e sulla schiavitù. Questa nazione si è fatta una politica, una morale, una religione, una opinione pubblica conformi al principio brutale che la conserva e la sviluppa. La Francia avendo dato al Clero il monopolio dell’educazione, quando non trova di meglio a fare se non d’inviare tutta la gioventù francese da quel popolo a vivere della sua vita, ad inspirarsi dei suoi sensi, ad entusiasmarsi de’suoi entusiasmi, ed a respirare le sue idee come l’aria. Però, esso ha cura che ogni scolare parta munito d’un piccolo libro, chiamato l’Evangelio. Le generazioni in tal modo allegate ritornano nel suolo patrio; una rivoluzione scoppia: lascio pensare la parte ch’esse vi rappresentano. – « Il che vedendo, lo stato strappa al Clero il monopolio dell’insegnamento e lo rimette all’Università. Questa, fedele alle tradizioni, manda essa pure la gioventù agli antipodi presso il popolo saccheggiatore e possessore di schiavi, dopo averla però provvista d’un libriccino intitolato: Filosofia. Cinque o sei generazioni così educate hanno appena riveduto il suolo natio, che una seconda rivoluzione scoppia. Formate alla stessa scuola delle generazioni che le han precedute, esse se ne mostreranno le degne rivali. Allora viene la guerra tra i monopolisti. Il vostro libriccino è quello che ha fatto tutto il male, dice il Clero. È il vostro, risponde l’Università. «Eh! no, signori, i vostri libricini non entrano per nulla in tutto questo. Chi ha fatto il male, è la bizzarra idea, da voi due concepita ed eseguita, di mandare la gioventù francese, destinata al lavoro, alla pace, alla libertà, ad impregnarsi, ad imbeversi ed a saturarsi dei sensi e delle opinioni d’un popolo di banditi e di schiavi. Affermo questo, che le dottrine sovversive, alle quali si diede il nome di socialismo o di comunismo, sono il frutto dell’insegnamento classico, sia esso impartito dal Clero o dall’Università. Aggiungo che il baccalaureato imporrà per forza l’insegnamento classico anche a quelle pretese scuole libere che, dicesi, debbon sorgere dalla legge. – Ma sento gridare e dire: 1° voi siete troppo assoluto; il cambiamento di stampo, per rammentare la vostra espressione, non fu sì totale come voi dite; 2° quando ciò fosse, voi attribuite ad una semplice forma una esagerata influenza: ora, il paganesimo classico od il Rinascimento, non è altra cosa se non una forma nuova, data al pensiero; 3° ammettendo questa influenza, voi dovete riconoscere ch’essa era, se non assolutamente necessaria, per lo meno molto utile per trarre l’Europa dalla barbarie.

[1- Continua]

LA VERITA’ SU GALILEI:

IL PROTESTANTE CAMUFFATO [L’ERETICO ACCADEMICO] e la CHIESA, MAESTRA INFALLIBILE DI VERITA’

[Riflessioni su un testo di Etienne Couvert: “Visage et masques de la gnose”] (1)

L’ “affare Galilei” appartiene all’arsenale delle menzogne ed imposture che gli storici moderni, al servizio dei cabalisti modernisti, hanno montato in ogni parte con l’odio, per l’odio di Gesù-Cristo e della sua Chiesa, con l’interazione confessata e proclamata di uccidere la fede nelle anime ancora credenti, in ciò favoriti dall’atteggiamento degli impostori della “chiesa dell’uomo”, mostro obbrobrioso del modernismo anticristiano, operante attivamente dal 26 ottobre del 1958. Fin dall’inizio della ricerca sulla gnosi, noi non abbiamo cessato di scontrarci con queste menzogne talmente inculcate negli spiriti, che i nostri studi e le nostre dimostrazioni provocano ancora reazioni di diffidenza e di scetticismo anche nella maggior parte dei cristiani sinceri che hanno molta difficoltà a liberarsi dalle mode intellettuali del “correttamente masso-politico”, dello scientificamente masso-corretto, del religiosamente masso-corretto”. Questo studio su Galilei si iscrive nel prosieguo di quanto si può dire sugli umanisti e sul Rinascimento, sorto dopo l’invasione europea dei marrani evacuati saggiamente dalla penisola iberica. È dunque necessario brevemente ricordare il carattere fondamentalmente anticristiano di questo Umanesimo.

La condanna dell’ELIOCENTRISMO

« Noi sappiamo che il culto di Mithra è stato opposto, nei primi secoli cristiani, a quello di Gesù Cristo. Mithra è il sole invitto, imbattuto, (sol invictus). Esso finì per essere il culto ufficiale dell’impero romano sotto Aureliano. Ecco che gli umanisti del Rinascimento nel loro furore anticattolico hanno ripreso questo culto, ma in segreto, secondo gli usi dei marrani, nelle loro conventicole intime. Il sistema eliocentrico, insegnato da Copernico e ripreso da Galileo è effettivamente una manifestazione dell’adorazione del sole, pura idolatria e becero paganesimo. Copernico scrive nel “De revolutionibus orbium coelestium”: “ in mundo vero omnium residet Sol. Quis enim in hoc pulcherrimo templo lampadem hanc in alio vel meliori loco poneret, quam unde totum simul possit illuminare, si quidem non inepte quidam lucernam mundi, alii mentem, alii rectorem invocant, Trismegistum visibilem deum”. Il sole è dunque, per Copernico lo spirito del mondo, il reggitore del mondo, un dio visibile. Il riferimento ad Ermete Trismegisto è significativo. Il sole ha la sua sede di soggiorno, in tutte le cose del mondo ed il mondo è il suo tempio: non è questa forse una definizione di Panteismo? Galilei ulteriormente precisa: “mi sembra che in natura si trovi una sostanza molto volatile, molto tenue, rapidissima, che nel suo espandersi nell’universo, penetra tutto senza ostacolo, riscalda, dà vita e rende feconde tutte le creature animate. Sembra che i sensi stessi ci mostrino che il corpo del sole è il ricettacolo di questo “spirito”, fuori dal quale si spande su tutto l’universo una immensa luce accompagnata da questo “spirito calorifico”, penetrante tutti i corpi capaci di essere animati, dando loro vita e fecondità.” – “Il sole è un dio visibile al centro dell’universo; immobile esso penetra tutte le creature, è sorgente di vita, anima tutto. Certamente è questo il “culto solare”, tipicamente pagano, che Copernico e Galilei praticavano. Ed è alla luce di questi testi che i giudici del Santo Uffizio, quelli che facevano bene il loro lavoro di guardia dell’ortodossia, hanno condannato Galilei. Da questa chiara angolazione si aprono prospettive nuove sul “complesso Galilei”! Si può ben comprendere infatti che le considerazioni sui movimenti della terra e del sole, non sono altro che un pretesto per sviluppare un insegnamento fondamentalmente panteistico, un “cavallo di Troia” che in una certa misura si insinuò tra le autorità romane. Ma il 24 febbraio 1616, l’Eliocentrismo di Copernico, come decodificato sopra, venne condannato dal Santo-Uffizio ed a giusto titolo come abbiamo visto. E per manifestare che i censori non erano incappati nelle trappole tese, essi hanno precisato con cura che le formule condannate “erano assurde in filosofia e formalmente eretiche”, ma che non pregiudicavano considerazioni puramente astronomiche o fisiche. L’affare a questo punto avrebbe dovuto essere chiuso, lo si doveva arrestare là, ma si era di fronte ad una vera “setta” molto ben organizzata, una proto-ragnatela gnostico-cabalista, archetipo degli interessi ed intrallazzi kazaro-massonici oggi visibilmente e spudoratamente operanti in chiaro, ben al di fuori dell’ombra delle conventicole.

L’Accademia dei Lincei

Questa Accademia funzionava come un club massonico, con una facciata mondana, ufficiale, un proto-rotary, che attirava il bel mondo romano con delle conferenze, dei concerti, dei banchetti e ricevimenti vari, ed un nucleo operativo, lo “zoccolo duro”, nella residenza di campagna di Pietro Cesi ad Acquaspartia, vicino ad Urbino. I tre mentori della setta sono Pietro Cesi, Cesarini, ma soprattutto mons. Ciampoli, il gran maestro dei Lincei, che vedremo all’opera ben presto. – Il programma è chiarissimo. Eccone la formula: “noi stabiliremo con dei ragionamenti ed esperienze, dei paradossi che appaiano completamente contrari ai dogmi consacrati”. Consideriamo bene la formula: le esperienze cosiddette “scientifiche”, i ragionamenti polemici e cavillosi non hanno che un unico scopo: distruggere la fede, cancellare la Religione Cattolica, l’unica vera Religione. Una vera confessione! La solita “solfa”, si tratta di lanciare, sotto il pretesto di una copertura scientifica, come la disputa sulle comete, un attacco in grande stile contro le basi intellettuali della cultura tradizionale che domina a Roma. Ciò che è in gioco è il prestigio e la legittimazione intellettuale dei Lincei. Essa va dunque a scontrarsi con la resistenza del Collegio Romano dei Gesuiti, ove regna il rispetto della tradizione aristotelica in filosofia e la vigilanza sui principi della Fede Cattolica. – Galilei è uno dei membri eminenti dell’Accademia. Il 17 luglio 1620, nel corso di una seduta segreta ad Acquaspartia fu decisa l’operazione denominata “Sarseide”. Galilei doveva preparare un’opera per denunciare la fisica aristotelica, trattata come puro “nominalismo”, lanciare lo slogan: “il libro della natura non è stato scritto per essere letto solamente da Aristotele. Questo grande libro del mondo è alla portata di tutti. I commentari di Aristotele sono come “una prigione della ragione”. Egli doveva mettere la sua autorità al servizio dell’Accademia per assicurarle prestigio e legittimità intellettuale. E si mette all’opera! Nel frattempo, il 17 settembre del 1621, era morto il cardinale Bellarmino, l’energico prefetto del Santo-Officio. Si poteva così avere l’opportunità di profittare di una grande libertà per le “Novità”. Nel 1622, il manoscritto del “Saggiatore” è nelle mani dei Lincei. Esso è rivisto e corretto da Cesarini, poi dal principe Cesi, mentre il testo definitivo è redatto da mons. Ciampoli, il “Gran Maestro”. È una vera “macchina da guerra” contro coloro che sono considerati gli “adoratori ostinati dell’antichità”, contro i Gesuiti del Collegio romano. L’opera è piena di falsità e di insulti contro di essi, impiega l’arma del ridicolo puntato sul Collegio Romano e sulla devozione al principio dell’autorità della Tradizione, con formule caustiche ed insolenti contro queste “… anatre incapaci di seguire il volo degli angeli”. – Ora, per i Gesuiti, il principio di autorità era più sacro di una citazione criticabile. Era un valore di carattere religioso ed un punto fondamentale della lotta contro l’eresia. Ed essi reagirono! “L’errore si trova, essi diranno, nell’opera gli atomi di Epicuro, nelle idee di Democrito, nel Nominalismo di Occam, nelle elucubrazioni confuse di matrice pitagorica. Vi si lodavano gli autori pagani in odore di ateismo e degli autori cattolici in odore di eresia”. Un vero scandalo dunque!

Un Papa “novatore”, Urbano VIII

Nel 1623, nuovo Conclave … mons. Ciampoli “lavora” i cardinali, intriga e “fa in modo” che sia eletto Papa Urbano VIII, suo amico e complice. Maffei Barberini è giovane, ama la poesia, è uno sportivo; oggi diremmo che aveva presa “mediatica”. Egli si incarica di piazzare degli “uomini” dei Lincei in tutti i posti principali della corte. Il mons. Ciampoli resta il consigliere intimo e discreto. – Il giovane nipote del nuovo Papa, Francesco Barberini, diviene cardinale a sua volta e “dirige” il pontificato, … egli sarà l’“anima dannata” di suo zio. – Nel corso delle grandi feste e delle manifestazioni di entusiasmo organizzate dai Lincei per promuovere il nuovo Papa eletto, Galilei è ricevuto ufficialmente come “filosofo del Vaticano”, nel corso di una bella cerimonia, il 23 aprile del 1624. Barberini sa che deve la su elezione al gran maestro dei Lincei, al mons. Ciampoli. Quest’ultimo conosce i “segni dei tempi”, per lui questo Pontificato è una “mirabile congiuntura”. – Grazie a lui il mondo di Aristotele è finito. Galilei è il “filosofo cristiano moderno” che rimpiazza il pagano Aristotele nella “summa” della nuova cultura cattolica. Egli pone i suoi amici e quelli di Galilei alla “Sapienza”, nuova università romana, che si erge contro il Collegio romano dei Gesuiti. – La nuova filosofia è presente a corte, in cattedra, nelle accademie e nelle famiglie della società romana. Rivoluzione culturale che permetteva di sperare ben presto di poter rilanciare la campagna in favore di Copernico, l’eretico-condannato. Urbano VIII si leva contro i Gesuiti. Nel 1627, rifiuta la canonizzazione del cardinale Bellarmino imponendo, proprio in questa occasione, l’obbligo di attendere cinquanta anni prima di introdurre un processo di Canonizzazione. Egli nomina il cardinale Pietro de Berulle, “il nuovo teologo”, il mistico riformatore della fede, grande nemico dei Gesuiti e grande amico di Saint-Cyran … è lui che orienta gli Oratoriani di Francia verso il Giansenismo per circa due secoli. Ma il 3 novembre 1624, nel suo discorso inaugurale del Collegio romano, il P. Spinola condanna fermamente i tentativi di edificare una nuova costruzione umana di saggezza: egli compara la nuova filosofia pagana dei novatori alla “costruzione della Torre di Babele”. I novatori vogliono scalare il Cielo … essi sono dei ribelli contro Dio e la Fede. Essi vogliono provocare la rovina della Chiesa! Questo discorso fa sensazione. – Ma, in questa “mirabile congiuntura”, non è facile denunciare Galilei, il “sapiente” (falso) cattolico ufficiale, l’amico intimo del Papa, il più grande filosofo d’Europa, amato, coccolato, adulato, rispettato e temuto. E mentre il nuovo Papa ed i sui “amici” dell’Accademia dei Lincei, preparano questa rivoluzione culturale, i Gesuiti, continuano attraverso l’Europa la loro impresa di riconquista delle provincie protestanti. In questo contesto, ci sembra del tutto opportuno riprodurre una bella pagina del libro di Pietro Redondi [“Galilei eretico”] che seguiamo possa passo. “Non sono le petulanti e chiassose manifestazioni di gioia dei letterati novatori e degli aristocratici progressisti romani galvanizzati dall’elezione di un Papa amico di Galilei ed intellettuale raffinato a preoccupare i Gesuiti; ma è una linea generale di apertura culturale e politica improvvisa ed i cui effetti sono contrari alla linea di rinnovo e di lotta della Chiesa della Contro-riforma fissata dal Concilio di Trento. La Compagnia di Gesù, che è lo strumento più efficace di questa linea di condotta, non è vittima di una stretta visione provinciale e romana dei problemi, che condiziona numerosi suoi nemici nella curia. Il fronte principale di lotta contro la Riforma, non sono né i corridoi della Curia, né i saloni dell’Accademia, ma sono le pianure e le città dell’Ungheria e della Boemia, ove i padri della Compagnia, al seguito dei reggimenti della linea imperiale, riportano vittorie; essi riconquistano per Roma le chiese profanate dai riti protestanti, issano le loro bandiere ornate del simbolo dell’Eucaristia sui monasteri degli ordini religiosi decadenti e corrotti, e li confiscano per farne collegi e centri di educazione religiosa, senza preoccuparsi dei reclami romani degli ordini monastici. Il successo dei Gesuiti è impressionante, sul teatro principale della guerra di religione. Nei territori appena strappati ai protestanti, intere popolazioni si riconvertono in massa al Cattolicesimo con ogni mezzo e ad ogni costo. “Forti di queste vittorie e della coscienza politica e religiosa delle sue dimensioni mondiali, la Compagnia di Gesù sa che la fedeltà all’impero è la migliore garanzia contro la Riforma. Essa diffida di pericolose aperture diplomatiche del nuovo Pontefice in direzione di un avventuriero senza scrupoli come Richelieu, nuovo atro nascente della politica europea”.

Il vero processo

Quando il libro del “Saggiatore” appare in libreria a Roma, il primo esemplare venduto viene comprato da P. Grassi, professore eminente del collegio romano. Egli, di carattere irascibile, si adira violentemente con il libraio. Il P. Grassi, annuncia una risposta che non viene. – Galilei intanto viene ricevuto con grande pompa dal Papa nell’aprile del 1624. Ora, nell’estate del 1624, il P. Grassi depone alla cancelleria del Santo-Uffizio una denuncia in regola contro il “Saggiatore” per eresia concernente l’Eucaristia. Il testo di questa denuncia è stato ritrovato da Pietro Redondi in un dossier annesso al processo Galilei, che era stato dunque ben separato fin dall’inizio dell’affare. – Il p. Grassi muove due accuse fondamentali contro Galilei. 1) Il “nominalismo” di Occam, secondo cui le qualità delle cose non sono che dei nomi, ma che nella realtà non esistono: “… se vedo il colore rosso di questo oggetto, questo colore non è che nella mia percezione, ma non nel sole”. È evidentemente un’assurdità. – 2) L’“Atomismo” di Democrito; “… se gli atomi o corpuscoli, o “minima” costituiscono la sostanza dell’oggetto, allora le percezioni sensibili che sono il prodotto di queste particelle fanno anche parte della sostanza delle cose; se dunque, nelle Specie eucaristiche, le forme sensibili del pane e del vino permangono dopo la Consacrazione, la loro sostanza medesima resta presente. Non c’è dunque transustansazione, ma consustansazione”. La tesi di Galilei non fa che riprendere la tesi di Lutero e dei protestanti: Galilei, il filosofo ufficiale della corte pontificia e grande amico del Papa, non è che un “protestante camuffato” …. In effetti le Congregazioni Generali dei Gesuiti hanno sempre condannato l’“Atomismo” di moda presso gli umanisti e ne hanno proibito l’insegnamento nei collegi della Compagnia, condanne rinnovate nel corso del XVII secolo con notevole insistenza. Il primo aprile 1632, la Compagnia di Gesù aveva proibito di insegnare la dottrina degli atomi nei collegi. [… “Non si deve identificare la sostanza con l’estensione e le qualità. Le particelle non sono che misure della materia. L’Atomismo non è che una forma sottile di materialismo. Se è la materia che produce le forme sensibili e le qualità delle cose, allora essa diviene creatrice delle sue forme; essa è dunque di natura divina …”] Questa condanna viene rinnovata nel 1641, nel 1643, nel 1649. Ecco la formula protestante: “Il pane ed il Corpo del Cristo sono realmente, non sostanzialmente né essenzialmente presenti, perché se il pane non avesse più sostanza, non sarebbe più niente e di conseguenza, non sarebbe nemmeno un Sacramento”. Si scorge qui la vecchia tentazione nominalista. Da questo si vede che tali insegnamenti filosofici contrari al buon senso, provocano conseguenze disastrose nelle affermazioni della Dottrina Cattolica. Il filosofo cristiano non può dunque insegnare il “nominalismo” né l’“Atomismo” senza recare nocumento alla Fede. L’accusa è grave, e Galilei lo comprende subito, ha paura e si cerca di rassicurarlo: il suo libro aveva ricevuto l’imprimatur e l’approvazione entusiasta del Papa stesso. Egli crede così di poter contare sull’impunità, ma il sospetto di eresia comincia a circolare in città, malgrado il favore del Papa. Si consiglia a Galilei di non raccogliere il guanto, di restare zitto; noi diremmo oggi volgarmente di “squagliarsela”; perché Galilei sa bene che l’accusa è ben fondata e che il P. Grassi ha compreso pienamente l’intenzione soggiacente e truffaldina dell’autore.

La fronda dei cardinali

Il 18 aprile 1631, nella Cappella Sistina, in presenza del Papa Urbano VIII e nel corso della liturgia del Venerdì Santo, il P. Grassi, l’eminente gesuita, pronuncia una solenne orazione che dovette risuonare molto sgradevolmente alle orecchie del Papa: “Noi dobbiamo piangere, o beati Padri, una spaventosa distruzione ed una immensa rovina. L’edificio che la Saggezza Divina aveva eretto con le sue mani, questo tempio eterno della pace tra Dio e gli uomini viene ora demolito da saccheggiatori empi, distrutto, raso al suolo. « Quanto è veramente atroce assistere alla scena della imminente rovina. Questi strumenti, queste leve, questi operai, tutto è a posto, pronto per l’opera spaventosa di distruzione … i guardiani del tempio, i nuovi leviti, dormono di un sonno profondo. Ma il terrore li scuote ora dal loro sonno profondo. La folla dei saccheggiatori avanza … Già il velo del tempio, come quando l’anima si separò dal Cristo, è squarciato; già tutta la struttura si inclina ed un fracasso simile a quello della morte, anche se sono addormentati, li spinge ora a svegliarsi … le cose sacre sono calpestate, gli altari rovesciati, il tempio in rovina. Dove ci rifugeremo, dove, io mi domando? » Cosa stava accadendo dunque? L’armata svedese di Gustavo-Adolfo percorreva l’Europa centrale, distruggendo, bruciando, assassinando tutti al suo passaggio. Le armate imperiali erano impreparate ed impotenti davanti a questa furia. Gustavo-Adolfo si avvicinava alle Alpi. Il 7 aprile egli era in Baviera, saccheggiando e depredando i collegi dei Gesuiti, costringendoli a fuggire o a nascondersi. La situazione era grave e durante questo tempo « i leviti dormivano ». Chiaramente qui era indicato il Papa: Gustavo-Adolfo minacciava Roma, c’era terrore, e questo era troppo. – Più volte già i cardinali avevano rimproverato il Papa di compiacenza per gli eretici a Roma. Si reclamava un’azione energica, una crociata cattolica contro l’eresia e le novità sovversive. L’8 marzo del 1632, il Cardinale Borgia si alza, denuncia le debolezze del Papa e comincia a leggere una memoria «di grandissima importanza per la religione e la fede ». Egli rimprovera al Papa la sua attitudine conciliante verso il re di Svezia. Urbano VIII vuole togliergli la parola e minaccia di deporlo. Il fratello del Papa vuole prenderlo con la forza, ma gli altri Cardinali gli si raggruppano intorno per proteggerlo. Si crea un gran tumulto, uno scandalo in pieno concistoro. L’avvenimento viene risaputo in tutte le cancellerie. La Spagna reagisce immediatamente, protesta diplomaticamente contro le compiacenze del Papa verso il nemico della religione, sostenendo energicamente il Cardinale Borgia, divenuto il vero maestro del concistoro. Si parla di deporre il Papa! Qualche giorno più tardi, l’imperatore Habsbourg invia a Roma il suo cancelliere, il Cardinale gesuita Peter Pazmani che viene a ripetere al Papa le stesse minacce di Madrid. Il Papa deve promettere un rigore maggiore nella difesa dell’ortodossia. « La mirabile congiuntura » è oramai finita!

Il falso processo

Nel marzo 1632, Galilei pubblica il “Dialogo”, gradito al Papa e munito di imprimatur. Galilei vi riprende la tesi di Copernico sui movimenti della terra e le maree, con l’autorizzazione del Vaticano, a condizione di non mescolare le considerazioni sulle Scritture, e presentandola come ipotesi, senza riferimenti alle Scritture. Galilei ne profitta per riprendere l’atomismo di Democrito ed attaccare Aristotele. Egli identifica la sostanza corporale alle sue componenti materiali e quantitative, riducendo il reale al suo valore numerico. Ma egli evita di usare il termine “atomo” e di parlare di sostanza. Il suo amico e complice Campanella, la cui reputazione di eretico era ben acquisita, lo felicita in una lettera del 3 aprile 1632 … di rinnovare « gli antichi pitagorici e i partigiani di Democrito ». La lettera viene intercettata: la complicità è evidente. Viene inviata una denuncia alla cancelleria del Santo-Uffizio … subito il Papa confida l’affare a suo nipote, il Cardinale Barberini, affare che non può lasciare nelle mani del Cardinale Borgia, Prefetto del Santo-Uffizio, che lo accusa apertamente di  indulgenza colpevole e mancanza di fermezza nell’opera di Contro-Riforma. Portare il caso al Santo-Uffizio, sarebbe stato un vero suicidio politico per il Papa, uno scandalo enorme, la prova della sua complicità con i novatori. Il Cardinal nipote forma allora una commissione speciale al di fuori del Santo-Uffizio. Si rassicura Galilei sulle intenzioni benevole del Papa, suo grande amico, ed il Cardinale nipote si esprime così nei confronti del nunzio di Firenze, in una lettera del 25 settembre 1632: «Si sono affidate le opere di Galilei ad una commissione particolare con il compito di esaminarle e di vedere se si poteva evitare di portarle davanti alla Sacra Congregazione del Santo-Uffizio ». il Papa precisa allo stesso nunzio che aveva fatto un grande favore a Galilei per « … non aver sottomesso una tale materia al tribunale, ma ad una congregazione particolare creata espressamente per lui … che gran cosa! ». Galilei viene appoggiato dal Cardinale nipote, incaricato della sua difesa. Egli deve riconoscere di aver difeso la teoria di Copernico, mostrarsi conciliante, non protestare: « … il tribunale allora poté essere clemente con l’accusato e sua Santità essere soddisfatto ». E ciò è fatto, Galilei viene obbligato a proclamare pubblicamente in una chiesa la condanna dell’eliocentrismo [il culto di Mithra] già formulata precedentemente contro Copernico. Egli fa questa dichiarazione il 22 giugno del 1633, con soddisfazione di tutti. Il Papa gli da un castello come residenza sorvegliata [premio di consolazione e risarcimento dei danni!]. Ma il Cardinale Borgia, indignato dal processo, si rifiuta di firmare il processo verbale. L’indomani il P. Grassi viene esiliato a Savona. Gli si proibisce di pubblicare qualsivoglia cosa; egli, da gesuita fedele ed obbediente, si sottomette. Il testo della seconda denunzia contro il “Dialogo” è sparito dagli archivi, come tutti i resoconti delle sedute della “Commissione speciale”: il lavoro evidentemente è stato ben fatto! – Punto finale. L’affare Galilei era chiuso … tutto il resto, non è che leggenda, mito, menzogna ed imposture … perno su cui poggiare la leva della mistificazione modernista e progressista degli intellettualoidi dell’inganno massonico-mondialista ed ecumenista.

Il fallimento di un Pontificato

L’ultimo “exploit”, se così si può dire, del Papa Urbano VIII fu l’evasione riuscita di Campanella. Tommaso Campanella, domenicano nato in Calabria, a Stilo, possedeva una feconda immaginazione, estese conoscenze in materia di cabala ed alchimia, delle idee ispirate a Joachim de Flore, una attività disordinata e furibonda. Egli si faceva chiamare “il Messia”, annunciava le catastrofi della fine dei tempi. Poiché le sue predizioni tardavano ad avverarsi, immaginò di montare una cospirazione per cacciare gli Spagnoli dal Regno di Napoli. Aveva pure compromesso numerosi gentiluomini e trecento monaci, ma fu preso in tempo e condannato alla carcerazione a Napoli. Egli aveva continuato la crociata contro la Scolastica e contro Aristotele. Ma Urbano VIII venne in suo soccorso. Per tre anni negoziò la sua liberazione con la corte di Madrid, ma invano. Finalmente promise al Re di Spagna che lo avrebbe fatto giudicare dal Santo Uffizio. Questi, fidandosi, glielo consegnò nel 1926, dopo 25 anni di prigionia. Ma ben presto il Papa gli accordò la libertà e lo ammise nella sua intimità. Egli aveva pubblicato una “Apologia per Galilei” ed “una difesa del sistema di Copernico … non contraria alle scritture”, nel 1634. Il suo capolavoro, se così si può dire, fu “la città del sole” dove predicava la comunione totale dei beni e delle persone, nella diretta filiazione di Tommaso Moro. Ma le sue eresie erano ben conosciute. Lo si minacciava, si facevano appelli al Santo-Uffizio. Disperando la sua causa, Urbano VIII si sentì con il conte di Noailles, ambasciatore francese, per aiutarlo a fuggire travestito da cavaliere. Fu caldamente raccomandato a Richelieu ed al Re di Francia Luigi XIII. Ottenne pure una pensione di 3000 libbre, e si stabilì a Parigi ove lavorò alla Biblioteca del re. Gabriel Naudé, il bibliotecario capo, ringraziò pubblicamente Urbano VIII “in nome della scienza, di aver coperto Campanella con la sua autorità”. Ora Naudé era membro della “Fraternità della rosa+croce”, la cui parola d’ordine era: “Guerra al Papa, abolizione del culto” [la solita manfrina anche delle logge attuali, comprese quelle ecclesiastiche, anzi quelle soprattutto!]. Quando l’Inquisizione Reale di Napoli si accorse del sotterfugio, chiese che gli si rendesse il prigioniero. Il Papa rifiutò! – In tutta questa storia, noi assistiamo ad una girandola: Umanisti, Rosa+croce, Lincei ed altri empi formavano tra loro come una vasta “ragnatela” che copriva tutta l’Europa. Questi uomini erano legati da una corrispondenza regolare di attive complicità, come abbiamo visto. L’affare Galilei non può essere veramente compreso se non all’interno di una ben più vasta tragedia, quella delle lotta del Protestantesimo, guidato dai soliti kazari, dappertutto infiltrati, contro i dogmi della Fede Cattolica e contro la Filosofia Scolastica che ne è il necessario supporto. Si faceva finta di attaccare Aristotele ed i Gesuiti del Collegio Romano … ma nei fatti, con fare sornione, si lavorava con accanimento per uccidere la fede nelle anime. Quando un Papa è eletto da una consorteria, quando la sua elezione è il risultato di manovre sotterranee, per dare il potere gerarchico ad un amico e complice, costui si trova in una situazione ben poco confortevole: Urbano VIII non può confessare la sua intenzione profonda e una volta posto sul trono di Pietro, egli è ben obbligato per la sua funzione magisteriale, a continuare ad insegnare le verità della Fede Cattolica alle quali non crede più e che vorrebbe distruggere. Egli deve manovrare delicatamente tra coloro che hanno “fatto” la sua elezione e che reclamano continuamente ciò che essi si attendono da lui, e l’insieme del clero romano restato fedele, che ignora queste manovre, resta perplesso e diffidente davanti alle situazioni che mal comprende. Ci vuole una singolare attitudine all’inganno per utilizzare le formule della Fede Cattolica svuotate dalle loro sostanze, e metterle al servizio del panteismo e della gnosi. – I nostri moderni falsi Pontefici [gli antipapi succedutisi dal 28 ottobre 1958 in poi], i servi dell’anticristo, sono dei virtuosi in questo gioco diabolico. – I più perspicaci avevano allora compreso: erano i Gesuiti del collegio romano, pubblicamente e violentemente attaccati [… mentre oggi è l’ordine più infiltrato ed infestato da marrani e massoni]. Si sono trovati a Roma in quest’epoca degli uomini coraggiosi ed energici per essersi opposti fermamente contro un Papa che aveva abbandonato il suo dovere di stato. Ma vi erano stati pure dei Principi cristiani come il re Filippo IV di Spagna e l’Imperatore Ferdinando II di Habsbourg che misero tutto il peso della loro autorità e delle loro potenze contro Urbano VIII, fino a minacciarlo di deposizione. Si cercano oggi vanamente questi Principi Cristiani! – Questa vicenda è servita ai “nemici di Dio e di tutti gli uomini”, per comprendere che non avrebbero mai potuto manipolare, come in situazioni analoghe precedenti e successive, nessun vero Papa, seppure Cardinale compiacente, perché questi, una volta divenuto Vicario di Cristo, cambiava atteggiamento ed era controllato dal Sant’Uffizio, paladino incrollabile ed inattaccabile dell’ortodossia della Fede Cattolica. Ecco perché hanno voluto nel 1958 l’elezione di un “vero” Papa [Gregorio XVII], impedendogli subito di esercitare pubblicamente il suo “Incarico” e spedendolo in un esilio monitorato 24 ore al giorno per 31 anni. Non lo hanno ucciso pur potendolo fare con estrema facilità, perché per essi era una “garanzia”: … quello è il Papa, e finché è Papa, gli altri non lo sono! Al suo posto hanno creato così una serie di “burattini” manipolabili a piacimento perché non Vicari di Cristo né guidati dallo Spirito Santo [anzi dallo spirito opposto”]. Nel contempo, per garantirsi la docilità dei burattini al movimento dei “fili” mossi dal “gran burattinaio”, e la loro libertà di azione dottrinale anticristiana, si è operata una indispensabile e “strategica” eliminazione del “Santo Uffizio”. Create le “idonee” premesse, i marrani modernisti della quinta colonna hanno potuto trionfare largamente, come ancora oggi vediamo, contando sul sonno colpevole dei “cani” da guardia, i cani muti grassi e sazi che hanno introdotto anzi ben volentieri i lupi nell’ovile a fare strage di anime. – Per Galilei sarebbe stata una “pacchia” spacciarsi per un geniale scienziato innovatore, appoggiato da falsi prelati e falsi gesuiti compiacenti … ma poverino, sfortunatamente era nato troppo presto .. se fosse stato operativo dopo il 1958, altro che premio Nobel, quello che i marrani cabalisti appioppano ai loro “beniamini” per convincere gli sciocchi goym che sono uomini straordinari da ammirare e seguire con fiducia! … ed il culto di Mithra si sarebbe appalesato subito senza ricorrere al baphomet-lucifero massonico. – L’ltimo insegnamento che questa vicenda “pompata” ci offre è questo: la Santa Chiesa Cattolica, Sposa Immacolata del Cristo, Madre tenerissima verso i suoi figli (i Cattolici!), è INFALLIBILE in materia di fede e di morale, inattaccabile in materia dottrinale e dogmatica, seppur rappresentata da elementi che umanamente lasciano a desiderare o semplicemente sono i “cani muti” dipinti dal Profeta Isaia. La Chiesa, Una, Santa, Cattolica, Apostolica Romana, NON DEVE CHIEDERE SCUSA A NESSUNO, mai, in nessun tempo ed in alcun modo. Se sentiamo qualcuno che, Dio ci scansi, dovesse farlo, allora siamone certi: questi è un servo del “nemico”, un lupo satanico travestito da “angelo” di luce [sinistra!], e sappiamo che … non dobbiamo assolutamente credergli, anzi dobbiamo fuggire lontano al più presto e rifugiarci tra le braccia della nostra Santissima Madre, la Vergine Maria … et IPSA conteret caput tuum! Exsurgat Deus et …

(1) Etienne Couvert è un autore francese che ha studiato per anni la gnosi nei suoi variegati aspetti, evidenziandone le infiltrazioni in ogni campo, da quello letterario a quello filosofico, pedagogico, teologico. I suoi testi sono oramai dei classici dell’argomento, e da essi altri hanno largamente scopiazzato e riprodotto. Pur non appartenendo alla “vera” Chiesa Cattolica, considerando anzi la “sinagoga di satana” massonico-modernista essere la Chiesa di Cristo [e nonostante ne abbia evidenziato tutti gli aspetti gnostico-cabalistici, fieramente anticristiani …], i suoi studi, al netto delle considerazioni sulla falsa chiesa e sui falsi “papi”, sono estremamente interessanti e vale la pena tenerli in grande considerazione, con tutta la prudenza richiesta nel valutare l’opera di un a-cattolico (ci auguriamo inconsapevole!) [-ndr.-]