LA PREGHIERA (Alapide, 1)

PREGHIERA (1)

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol. III, S.E.I., Torino, 1930]

1.-La preghiera, e sua necessità. — 2. Esempio di Gesù Cristo e dei Santi. — 3. Eccellenza della preghiera. 4. Efficacia della preghiera: 1° Gesù Cristo ci assicura che con la preghiera otteniamo tutto ciò che domandiamo; 2» La preghiera ottiene la saviezza e consola; 3° Chi prega sarà liberato dalle tribolazioni e dalle infermità; 4° Con la preghiera si ottiene la sanità dell’anima; 5° La preghiera opera una vera trasfigurazione nell’uomo; 6° La preghiera è onnipotente; 7° La preghiera è il terrore dei demoni; 8° La preghiera illumina; 9° Per la preghiera si ottiene la conversione dei peccatori; 10° La preghiera ci salva; 11° La preghiera contiene beni immensi. —

1. La preghiera, e sua necessità. — La parola preghiera nel linguaggio della Chiesa si dice oratio, quasi oris ratio, cioè ragione della bocca. La ragione infatti si manifesta per mezzo della parola, specialmente della preghiera, perché la preghiera fu data da Dio all’uomo per supplire la ragione; quel che la ragione, oscurata dal peccato, non può comprendere, lo comprende la preghiera… Del resto, presa in se stessa, la preghiera è un’elevazione della mente a  Dio, per la quale l’anima contempla, loda, ammira, ringrazia Iddio, ovvero gli espone i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi voti, e gli chiede che li soddisfi. Quanto e nell’uno e nell’altro senso sia necessaria la preghiera si vede facilmente se si getta uno sguardo sul Vangelo, su la dottrina dei Padri, su se medesimo: « Domandate, dice Gesù Cristo, cercate, bussate » (Matth. VII, 7). Ecco tre imperativi, e quando Dio parla in modo imperativo, la sua parola importa uno stretto dovere d’ubbidienza. « Bisogna pregare sempre e non stancarsi mai », dice ancora il Salvatore (Luc. XVIII, 1).
La preghiera è necessaria nello stato infelice di peccato per uscirne…; è necessaria nello stato di grazia per perseverarvi…; è necessaria per ottenere la grazia, senza la quale non siamo capaci di nulla…; è necessaria nelle tentazioni. Vegliate e pregate, ci ripete Gesù, come già agli Apostoli diceva: « Vegliate e pregate affinchè non cadiate nella tentazione; perché pronto è lo spirito, ma inferma la carne » (Matth. XXVI, 41). Chi non prega è come una città senza difesa, circondata, anzi già corsa da masnade di nemici.
« La preghiera è per l’uomo, come l’acqua per il pesce », dice il Crisostomo (Lib. II, De orand. Dom.in.). La preghiera è per l’anima nostra, quello che il sole è per la natura, per vivificarla e fecondarla, quello che è l’aria per i nostri polmoni, il pane per la vita materiale, l’arma per il soldato, l’anima per il corpo… E come no? dice infatti l’Apostolo: « Noi non bastiamo da noi medesimi nemmeno a pensare cosa veruna come di propria nostra virtù; ma ogni capacità e sufficienza ci viene da Dio (Il Cor. IlI, 5). Quindi pregate, ma pregate del continuo (I Thess. V, 17). Ah! ben comprendeva la necessità della preghiera il profeta Davide il quale diceva: « A voi rivolgo, o Signore, la mia prece, esauditemi secondo la moltitudine delle vostre misericordie. Cavatemi dal fango, affinché non vi resti affogato. Campatemi dagli artigli de’ miei persecutori, strappatemi al seno dell’abisso. La tempesta delle acque non mi sommerga, non m’ingoi il baratro, né si chiuda sul mio capo la bocca della voragine. Esauditemi, Signore, nella grandezza della vostra clemenza, e non torcete il volto dal vostro servo; io gemo tra angosce, affrettatevi a consolarmi. Venite, liberate l’anima mia, toglietemi al furore de’ miei nemici (Psalm. LXIII, 14-19). Signore, siatemi propizio ed esauditemi, perché povero ed indigente sono io » (Psalm. LXXXV, 1). « Io ho steso le mie mani verso di voi, come terra arsa da lunga siccità, la mia anima ha sete di voi, o Signore; correte in mio soccorso, perché il cuore mi vien meno » (Psalm. CXLII, 6-7). « Chi vuole stare con Dio, deve pregare, dice S. Isidoro; ogni qual volta il peccato minaccia l’anima nostra, ricorriamo alla preghiera ». « Figlio mio, dice l’Ecclesiastico, non lasciarti cadere d’animo nella tua infermità; ma prega il Signore, ed egli ti guarirà » (Eiccli. XXXVII, 9). Quindi il profeta Gioele ordinava ai sacerdoti e ai ministri del Signore che piangessero tra il vestibolo e l’altare, e gridassero: Perdonate, o Signore, perdonate al popolo vostro, e non permettete che l’eredità vostra divenga oggetto di scherno (Ioel. II, 17). Perciò con ragione S. Tommaso insegna che « dopo il battesimo è necessaria all’uomo una continua preghiera » (2a, 3, q. 5, art. 8). La preghiera è dunque necessaria perchè Dio la comanda; è necessaria per trionfare dei nostri nemici, per uscire dal peccato, per non ricadervi, per lavorare alla nostra salute, per ottenere la grazia, senza la quale non vi è salute; è necessaria per corroborare la nostra fiacchezza, per praticare la virtù, per arrivare al cielo…

2. Esempio di Gesù Cristo e dei Santi. — L’Evangelista S. Marco dice di Gesù Cristo, che si levava in sul fare del giorno e andava a pregare in un luogo deserto, ovvero saliva ad orare sopra un monte (I, 35) (Id, VI, 46). La medesima cosa attesta S. Luca, aggiungendo che nella preghiera spendeva le notti intere, e durante la preghiera avvenne la sua trasfigurazione (VI, 12, IX, 28). Da tutti gli Evangelisti poi sappiamo che non imprendeva mai opera di rilievo, non faceva mai miracolo senza che vi facesse precedere la preghiera. Prega nel giardino degli Ulivi, prega su la croce; la vita sua intera non è che una continua preghiera.Da lui ammaestrati, gli Apostoli dicevano: « Noi ci consacreremo del tutto all’orazione » (Act. VI, 4); e della moltitudine dei primi cristiani attesta S. Luca, che si erano tutti dati ad una continua preghiera comune (Id. I, 14). E quando Pietro vien gettato, carico di catene, in prigione, l’assemblea dei fedeli non cessa più di porgere preghiere a Dio per la sua liberazione (Id. XII, 5). –  « Noi preghiamo sempre per voi, scriveva S. Paolo ai Colossesi; e non ci restiamo mai dal domandare a Dio che vi riempia della cognizione della sua volontà, in tutta sapienza e intelligenza spirituale; affinché voi vi conduciate in maniera degna di Dio, cercando di piacere a lui in ogni cosa, fruttificando in ogni opera buona, e crescendo nella scienza di Dio ». I Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli i Santi tutti dell’antica e della nuova legge furono uomini di preghiera… Leggete le vite degli uomini di Dio, voi non ne trovate alcuno che non sia stato uomo di continua e fervente preghiera.
3. Eccellenza della preghiera. — Il pregio di un diamante è lo stesso, o che si trovi nelle mani di rozzo villano, o che si trovi nello scrigno di un gioielliere; cosi pure, dice S. Giordano, la preghiera è cosa tanto eccellente in se stessa, che tanto vale in bocca di un idiota quanto su le labbra di un dotto (Surius, In Vita). E infatti, udite l’elogio che ne tesse S. Efrem : « La preghiera è la custode della temperanza, il freno dell’iracondia, la repressione di un’anima orgogliosa, il farmaco contro l’odio, la giusta costituzione delle leggi e del diritto, la potenza dei regni, il trofeo e lo stendardo di una giusta guerra, la protettrice della pace, il sigillo della verginità, la custodia della fedeltà coniugale, il bastone dei viandanti, la guardiana di quelli che dormono, la fertilità per i coltivatori, lo scampo dei naviganti, l’avvocata dei re, la consolazione degli afflitti, la gioia di quelli che godono, il conforto di chi piange, il buon esito dei moribondi. Ah no! non vi è, in tutta la vita dell’uomo tesoro paragonabile alla preghiera ». L’Apocalisse ci dice che gli Angeli in cielo stanno innanzi all’Agnello, tenendo ciascuno arpe e coppe d’oro piene di profumi che sono le preghiere dei Santi (Apoc. V, 8). Le preghiere, quelle specialmente delle anime ferventi, sono paragonate ad un grato profumo sparso per l’atmosfera. Infatti, 1° la preghiera sale come il fumo d’incenso verso il cielo; 2° spande nello sprigionarsi tutt’attorno soavi olezzi; 3° come l’incenso caccia il fetore, così la preghiera caccia il pestifero lezzo del peccato, fuga i demoni, calma l’ira divina; 4° l’incenso brucia e fuma quando è messo sul fuoco; e la preghiera s’infiamma, nel fuoco delle tribolazioni; 5° i profumi sono composti di aromi polverizzati, la preghiera deve partire da un cuore spezzato dall’umiltà e dalla mortificazione; così pure dobbiamo seppellire l’anima nella preghiera, perché più non ne esca e conservi l’incorruttibilità datale dalla grazia. Espressioni consimili a quelle di S. Giovanni adopera l’Ecclesiastico là dove dice che « l’oblazione del giusto (e quale più vera oblazione della preghiera?) impingua l’altare ed esala nel cospetto dell’Altissimo soavissimo odore » (Eccli. XXXV, 8). « La preghiera è, dice S. Agostino, la cittadella delle anime pie, la delizia del buon angelo, il supplizio del diavolo, grato ossequio a Dio, gloria perfetta, speranza certa, sanità inalterabile, comprende insomma tutta la lode e tutto il merito della penitenza e della religione ». La preghiera è un colloquio con Dio; essa è il preludio della beatitudine eterna, l’occupazione degli Angeli, la soluzione di tutte le difficoltà, il rimedio di colui che è infermo nella via del Signore, la correzione e la fecondità dell’anima, l’abbracciamento dello Spirito Santo, la gioia e l’allegrezza… I Padri della Chiesa e i teologi insegnano che vi sono tre specie di buone opere alle quali tutte le altre si rannodano come membri al capo : la preghiera, il digiuno, la elemosina. La preghiera paga quello che è dovuto a Dio: il digiuno, quello che dobbiamo a noi medesimi; la elemosina, quello che dobbiamo al prossimo. La preghiera è paragonata alla rugiada. Come la rugiada tempera l’ardore dell’estate e rinfresca i corpi arsi dal calore solare, così la preghiera, questo familiare abboccamento con Dio, smorza le fiamme della concupiscenza e delle passioni: «Nella preghiera, scrive San Bernardo, si beve il vino celeste che rallegra il cuore dell’uomo; il vino dello Spirito Santo che bea l’anima e le fa dimenticare i piaceri carnali. Questo vino si confà ai bisogni di una coscienza arida e secca; converte nella sostanza dell’anima gli alimenti delle buone opere e ne informa tutte le facoltà rafforzando la fede, consolidando la speranza, dando vigore e ordine alla carità, gravità e fermezza ai costumi ». La preghiera somiglia a fiori belli e soavi che dilettano lo sguardo di Dio, e il cui divino olezzo s’innalza fino al trono di Dio. Ha l’odore della viola, il candore del giglio, la bellezza e l’incanto della rosa. È un fiore d’oro tinto dei più vaghi colori e spirante i più squisiti profumi; rallegra Dio medesimo, e riempie l’anima di celeste delizia…

4. Efficacia della preghiera. 1° Gesù Cristo ci assicura che con la preghiera otteniamo tutto ciò che domandiamo. — « Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perchè chi domanda, riceve; chi cerca, trova; e a chi picchia sarà aperto » (Matth. VII, 7-8). « Vi è forse un padre così crudele che a un figlio il quale gli domandi pane, dia una pietra? o gli dia invece di pesce, un serpente? Se dunque voi, cattivi come siete, sapete dare ai figli vostri cose buone, quanto più il Padre vostro che è nei cieli, vi darà quello che di buono domandate (Id. 9-11). State certi che tutto quello che dimanderete al Padre mio in mio nome, io lo farò; affinchè il Padre sia glorificato nel Figlio. E anche, se a me domanderete cosa alcuna in mio nome, io la farò (Ioann. XIV, 13-14). « Sì, vi dò mia parola, che qualunque cosa domandiate a mio Padre in mio nome, egli ve la darà. Fino ad ora non avete chiesto nulla in nome mio: domandate e riceverete, affinché sia compiuta la vostra gioia »  (Ioann. 23-24). Udite ora la conferma di queste promesse del Signore dalla bocca di chi ne parla per esperienza : « Io ho gridato al Signore, e mi ha esaudito » (Psalm. IlI, 5). « Mentre tuttora l’invocava, il Signore mi ha esaudito»  (Id. IV, 2). « Il Signore mi esaudirà quando, griderò a lui » (Id. IV, 4). « Il Signore mi ha inteso, si porse attento alla voce della mia preghiera » (Id. LXV, 19 )(Id. XCVIII, 6). « Egli alzerà la voce verso di me, ed io l’ascolterò », dice il Signore (Id. XC, 15). « Il Signore sta vicino a coloro che lo pregano, a quelli che lo invocano con sincerità di cuore » (Id. CXLIV, 18). Dietro queste molteplici testimonianze chiare, precise e positive della Sacra Scrittura, chi potrà dubitare che la preghiera non ottenga tutto ciò che domanda a Dio?

La preghiera ottiene la saviezza e consola. — « Se vi è tra di voi, dice S. Giacomo, chi abbisogni di sapienza, la domandi a Dio, il quale la dà a tutti in abbondanza, senza rifiutare persona; e gli sarà data » (Iac. I, 5). « Io ho desiderato e mi fu data l’intelligenza, confessa di sé Salomone, io ho pregato, e in me venne lo spirito di saggezza » (Sap. VII, 7). – « Geme alcuno di voi nella mestizia? preghi (e sarà consolato) » (Iac. V, 13). La preghiera è rimedio efficacissimo a guarire ogni piaga, ogni miseria; asciuga le lagrime, mitiga i dispiaceri, addolcisce le amarezze… – Gesù entra in una barca e prende mare, ed ecco che si leva improvvisa una tempesta, i venti soffiano, il tuono mugghia, le onde si accavallano e la barca già minaccia di sommergersi; in questo disperato frangente gli Apostoli si accostano a Gesù che placidamente dorme e svegliatolo gli dicono coll’accento del timore e dello spavento : « Salvateci, Signore, che periamo » . – Ed egli dolcemente rimproveratili del troppo loro timore e della non abbastanza salda fede, si alzò, fe’ cenno ai venti e alle onde, e incontanente il mare fu in bonaccia (Matth. IX, 23-27). Grande miracolo fu certamente questo; ma notate che Gesù lo fece ad istanza degli Apostoli e dopo che la loro preghiera gli ebbe detto: Signore, salvateci, perché altrimenti andiamo tutti naufraghi. Noi possiamo dire di colui che prega, quello che di Gesù Cristo andavano tra di loro dicendo gli spettatori del miracolo : « Chi è costui, al quale obbediscono i venti e le onde? ». Chi è colui che si fa obbedire dai venti delle tentazioni, e dalle onde della concupiscenza? È l’uomo che prega.

Chi prega sarà liberato dalle tribolazioni e dalle infermità. — « Signore, esclama il real Profeta, io non sarò mai confuso, perché ho invocato voi » (Psalm. XXX, 20). « E chi mai invocò Dio, e non si vide da Lui guardato? », domanda l’Ecclesiastico (II, 12). – « Tu mi hai invocato nella tribolazione, ed io te ne ho liberato », diceva il Signore a Davide (Psalm. LXXX, 8). E questi confermava la parola del Signore, esclamando : « In mezzo alle mie tribolazioni, ho levato le mie grida al Signore, ed egli mi ha esaudito » (CXIX, 1) : nè solamente io, ma quanti ricorsero al Signore nelle loro angustie, si videro liberati dalle loro miserie (CVI, 13). – Se parliamo poi in particolare delle infermità guarite per la preghiera, innumerabili ne sono gli esempi. Un uomo coperto di lebbra, vedendo Gesù, si prostra per terra e grida: « Signore, se volete, potete mondarmi » . — Gesù, a quella preghiera, stende la mano, lo tocca e dice : « Lo voglio, sii mondato; e subito la lebbra scompare » (Luc. V, 12-13). Altri due lebbrosi, andando incontro a Gesù che entrava in un villaggio, gridano ad alta voce: « Gesù, maestro nostro, abbi pietà di noi »; ed eccoli guariti su l’istante (Luc. XVII, 12-14).
Due ciechi stavano su l’orlo d’una strada, odono un calpestio di gente che si avanza, domandano qual novità vi sia e udendo che passa Gesù Cristo, cominciano a gridare: « Signore, figliuolo di David, abbi compassione di noi». Gesù si ferma, li chiama a sé, e domanda loro che cosa vogliono. Udita la loro preghiera, mosso da pietà verso di essi, loro toccò gli occhi ed a quel tocco essi ricuperarono la vista (Matth. XX, 30-34). – Marta e Maria pregano Gesù che abbia pietà di Lazzaro, loro fratello, giacente da quattro giorni nel sepolcro; ed a loro intercessione, Gesù lo risuscita (Ioann. XI). Innumerevoli altre miracolose guarigioni, dietro supplica dei malati, o per le preghiere di altre persone, operò Gesù Cristo: di modo che grandissimo era il numero di coloro che potevano dire : « A voi ho innalzato la mia voce, o Signore, e voi mi avete reso la sanità » (Psalm, XXIX, 3). Il re Ezechia cade mortalmente infermo; Is aia gli annunzia per parte di Dio la morte e gli dice: «Regola gli affari tuoi, perché morrai, e non vivrai più oltre » . — « Ezechia allora fa orazione al Signore » . E questi manda di bel nuovo Isaia a dirgli che aveva udito la sua preghiera, e che gli concedeva quindici anni di vita (Isai. XXXVIII, 1-3)… Quante guarigioni non ottennero i santi con le loro preghiere? quanti figli risanati per le orazioni di madri virtuose?

Con la preghiera s’ottiene la sanità dell’anima. — « I medici corporali, dice S. Lorenzo Giustiniani, si fanno pagare la sanità che ci restituiscono, e non sempre loro riesce di darcela; ma Dio guarisce infallibilmente l’anima senza oro e senz’argento; non esige altro che la preghiera; e guarisce sempre l’anima che prega e per cui si prega, per quanto grave e mortale sia la malattia che la travaglia. La preghiera risana i malati spirituali; essa è pronto ed efficacissimo, rimedio per colui che è fortemente tentato dai vizi. Ricorra egli a questo rimedio tutte le volte che ne ha bisogno, ed estinguerà il fuoco delle passioni e si purificherà. La preghiera smorza gli ardori della concupiscenza, come l’acqua spegne il fuoco ». – « II Signore, confessa di sé il real Profeta, si è abbassato verso di me, ha inteso il grido del mio cuore; e mi ha ritirato dall’abisso della miseria e dal fango puzzolente » (Psalm. XXXIX, 3). Altra volta esclamava : « Questo peccatore vi ha domandato la vita, e voi gliel’avete data » (Psalm. XX, 5). – Chi vuole liberarsi dal peccato e rompere le catene della vergognosa sua schiavitù, preghi: Dio spezzerà i suoi ceppi e gli farà misericordia. Il peccatore non può da solo convertirsi e ottenere salute, ma gli è necessaria la grazia di Dio; ora per mezzo della preghiera ottiene tutte le grazie…; la preghiera rende la vita all’anima; risuscita i morti spirituali : miracolo ben più stupendo che quello della risurrezione dei corpi. Perfino Plutarco lasciò scritto: «La preghiera è il vero medico dell anima » (In morib.).

La preghiera opera una vera trasfigurazione nell’uomo. — Narra San Luca che essendo salito Gesù sopra un monte accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni, per fare orazione, mentre piegava, la sua faccia divenne tutt’altra, e le sue vestimenta apparvero di un candore splendente (Luc. IX, 28-29). Gesù volle trasfigurarsi nella sua preghiera per mostrarci quali sono i frutti dell’orazione; per farci comprendere che nell’orazione noi siamo circondati, penetrati, investiti e come trasfigurati dalla luce celeste, affinché di terreni diventiamo celesti e divini, di uomini ci cangiamo in Angeli. Infatti la preghiera è la trasfigurazione dell’anima: 1) perché l’anima riceve la luce di Dio per conoscerlo, e conoscere e sapere quello ch’essa deve fare; e questo in modo chiaro e visibile. La preghiera ottiene lumi per discernere gli autori e i libri buoni dai cattivi, o pericolosi, o inutili; ottiene che s’intende, si vede, si comprende quello che si legge, lo si ritiene a memoria, e se ne cava profitto. 2) Per mezzo della preghiera si chiede e si ottiene da Dio la sua grazia, con cui tergere le macchie dell’anima, purgarla dai vizi, difenderla dalle tentazioni. Per la preghiera le consolazioni sottentrano alle ambasce, la forza alla debolezza, il fervore alla tiepidezza, la conoscenza al dubbio, il coraggio alla pusillanimità, la gioia alla tristezza, la veglia al sonno, la vita alla morte. Oh! preziosa trasfigurazione e ben degna che chi la prova esclami con Pietro, ebbro di felicità alla vista della Trasfigurazione del Signore : « Che fortuna è lo stare qui! facciamovi delle tende per rimanervi » (Matth. XVII, 4). 3) Per la preghiera l’anima s’innalza al di sopra di se stessa e, dirigendosi verso il cielo, ascende fino a Dio; là essa scorge e apprende che tutte le cose di quaggiù son vili; da quell’altezza in cui la preghiera l’ha portata, essa le disprezza, perché comprende che i veri onori, le vere ricchezze, i veri diletti non si trovano che in cielo. 4) Per la preghiera l’anima vede che tutte le croci sono lievi, che la povertà, le malattie, i rovesci, le prove, ecc. sono un peso leggero: quindi per mezzo della preghiera sopporta tutto; essa ripete con S. Paolo: « Stimo che i patimenti del tempo presente sono un nulla a confronto della gloria futura che sarà in noi rivelata » (Rom. VIII, 18). 5) Per la preghiera l’anima si unisce a Dio, si trasforma in Dio, partecipa della natura del Dio. « Quando preghiamo, dice S. Isidoro, noi parliamo a Dio; quando attendiamo a pie letture, Dio parla a noi ».La preghiera fa di noi il popolo di Dio : « Egli invocherà il mio nome, dice il Signore, ed io lo esaudirò. Io dirò: Tu sei il mio popolo; ed esso dirà: Tu sei il mio Dio» (Zach. XIII, 9). Esso pregherà il Signore, dice Giobbe, il quale si placherà, e gli mostrerà la sua faccia » (Iob. XXXIII, 26). Nè può essere altrimenti, perché la preghiera, dice il Crisostomo, fa di noi altrettanti templi di Gesù Cristo (De Orand. Dovi. lib. II). Inoltre essa ci dà la purezza e la castità, ed è parola di Gesù Cristo che quelli i quali hanno il cuore inondo e puro vedranno Iddio. E che l’orazione ci ottenga da Dio le dette virtù, lo dichiara espressamente Salomone per esperienza avutane: vedendo che gli era impossibile vivere continente, se Dio non lo soccorreva di sua grazia, a Lui fece ricorso con la preghiera (Sap. VIII).

La preghiera è onnipotente. — « Niente al mondo vince in potenza l’uomo probo che prega», sentenzia il Crisostomo (In Matth.). La preghiera è così potente, i suoi frutti, i suoi effetti sono così grandi, che nessun ostacolo l’arresta, non vi è nulla che non ottenga: «La preghiera, osserva S. Giovanni Climaco, a considerarne la natura è una conversazione familiare, è l’unione dell’uomo con Dio. Ma a considerarne l’efficacia e la potenza, è la conservazione del mondo, la riconciliazione con Dio, la madre e la figlia delle lagrime; è la remissione dei peccati, il ponte sotto cui passano le onde delle tentazioni, la fortezza contro l’impeto delle afflizioni, la tregua e la cessazione delle guerre, l’uffizio degli Angeli, l’alimento di tutti gli spiriti, la gloria futura, l’opera per l’eternità, la sorgente delle virtù, la riconciliatrice delle grazie divine, la perfezione spirituale, il cibo dell’anima, la luce dello spirito, il farmaco contro la disperazione, la dimostrazione della speranza, la consolazione nella mestizia, la ricchezza dei religiosi, il tesoro dei solitari, il freno della collera, lo specchio della perfezione religiosa, l’indice della regola, la manifestazione dello stato, la spiegazione delle profezie, il suggello della gloria eterna ». – La preghiera è il respiro dell’anima; pregando, noi mandiamo verso Dio il soffio del desiderio e riceviamo da lui il soffio delle virtù; noi aspiriamo Dio… L’anima che prega è inespugnabile fortezza… Pietro è in carcere, carico di ferri; la Chiesa fa per lui orazione, ed ecco che la vigilia del giorno in cui doveva essere messo a morte da Erode, nel cuore della notte, gli compare un Angelo del Signore, un vivo chiarore splende nel carcere, Pietro è svegliato e, al suo svegliarsi, le catene cadono infrante; egli si trova libero, le porte si aprono ed egli passando in mezzo alle guardie esce di prigione senza che alcuno dei suoi nemici se ne accorga. Chi operò tanti prodigi? La continua, fervida preghiera dei devoti (Act. XII, 5-9).  – La preghiera 1) calma la collera di Dio; ma che dico? lo trae ad obbedire all’uomo… Prega Giosuè ed il sole si arresta nel suo corso (Ios. X, 13). 2) Gli Angeli assistono a quelli che pregano (Dan. IX, 21). Offrono essi medesimi a Dio le orazioni di chi prega e gli riportano il frutto della preghiera esaudita, dice Giobbe (Iob. XII, 12). 3) La preghiera libera l’uomo da mille mali; ottiene la grazia e la salvezza presente e futura. 4) Domina tutti gli elementi e le creature tutte; ferma il corso degli astri; fa piovere fuoco dal cielo (IV, Reg. I, 10). Divide il mare ed i fiumi (Exod. IV, 15-21; Ios. IlI, 16). Risuscita i morti, libera le anime dal purgatorio; ammansa le belve feroci; guarisce la lebbra, la febbre; tiene lontana la peste ed i malori, calma gli uragani, spegne gli incendi, ferma i terremoti; impedisce i naufragi; prende dal cielo tutte le virtù e le grazie e le porta su la terra; trionfa di Dio onnipotente ed in certo qual modo lo incatena a sé. Geremia pregando è rincorato nella sua prigione… Daniele, nella fossa coi leoni, li rende mansueti come agnelli, e loro chiude le fauci con la preghiera… I tre fanciulli nella fornace ardente cantano le lodi del Signore e, a loro preghiera, le fiamme non toccano neppure le loro chiome… Giobbe sul letamaio, per mezzo della preghiera, trionfa di Satana e di ogni sua disgrazia… Con la preghiera, Giuseppe esce vittorioso della più terribile fra le passioni… Con la preghiera Susanna salva la sua virtù e la sua vita; è liberata dalle insidie dei due impudichi vecchioni i quali come calunniatori sono condannati a morte ignominiosa… Il buon ladrone, in virtù della preghiera, vola dalla croce al cielo… Stefano prega, e vede il cielo aperto e vi sale… Non vi è dunque né luogo né tempo in cui non si debba pregare. La preghiera è la colonna delle virtù, la scala della divinità, delle grazie, degli Angeli per discendere su la terra, e degli uomini per ascendere il monte eterno. La preghiera è la sorella degli Angeli, il fondamento della fede, la corona delle anime, il sostegno delle vedove, l’alleggerimento del giogo maritale. La preghiera è una catena d’oro che lega l’uomo a Dio, Dio all’uomo, la terra al cielo; chiude l’inferno, incatena i demoni; previene i delitti e li cancella… La preghiera è di tutte le armi la più, forbita e gagliarda; dà sicurezza incrollabile; è il più ricco tesoro; il porto sicuro della salute; il vero luogo di rifugio… « La preghiera è, dice S. Gregorio Nisseno, la robustezza dei corpi, l’abbondanza, la ricchezza di una casa » (De Orai.). Il popolo ebreo nel deserto prega, ed alla sua preghiera gli uccelli del cielo vengono a farsi sua preda; la manna gli piove dall’alto ed un pane miracoloso gli serve di cibo (Psalm, CIV, 40). Il popolo ha sete, prega, ed alla sua preghiera Dio spacca i massi e le acque ne zampillano in abbondanza, un fiume corre a innaffiare un arido deserto (16. 41). Giacevano sepolti nelle tenebre e nelle ombre di morte, incatenati dalla fame e dal ferro, e gridarono al Signore, ed esso li cavò dalle loro miserie. Li trasse fuori dal buio caliginoso della morte, infranse i loro ceppi, perché pregavano (Psalm. CVI, 14). La preghiera si può paragonare alla torre di Davide, della quale è detto nei Cantici, che s’innalza coronata di merli, munita di ogni difesa, guernita di migliaia di scudi e di ogni genere di armi robuste (Sant. IV, 4). «La preghiera è un’arma celeste, scrive S. Cipriano, una cittadella spirituale, un giavellotto divino che ci protegge ». S. Efrem la chiama un arco col quale noi lanciamo verso Dio saette di santi desideri; con queste frecce noi feriamo il cuore di Dio e ne trionfiamo: con le medesime frecce trapassiamo e abbattiamo i nostri nemici (De Orai.). La preghiera fa discendere il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, nell’anima; dirò meglio, innalza l’anima nel più alto dei cieli e la colloca in seno alla gloria della Triade Augusta; tanto che S. Gerolamo osa affermare che ha forza di arrestare e cangiare i decreti di Dio (In Exod.). E infatti Mosè, come dice la Sapienza, resisté alla collera di Dio, impiegando la preghiera (Sap. XVIII, 21); e quando già i cadaveri si alzavano a monti, egli con la preghiera si fece mediatore, disarmò la vendetta di Dio e la impedì di estendersi a quelli che ancora vivevano (Id. 23); la Sacra Scrittura afferma che se Abramo avesse trovato anche solo dieci giusti che avessero pregato, Sodoma non sarebbe perita (Gen. XVIII, 32). Volete altre prove dell’efficacia della preghiera? La storia del popolo ebreo ve ne somministra delle chiarissime ed innegabili. I Giudei peccano d’idolatria, adorando un vitello d’oro; il Signore sdegnato di tanta durezza, dice a Mosè che lo lasci (cioè, più non preghi per quella gente colpevole), ed egli li sterminerà nel furore del suo sdegno. Mosè non si arrende, ma con fervida preghiera si mette a scongiurare il Signore che gli perdoni e non adempia le sue minacce, affinché gli Egizi non possano dire, a ingiuria del suo nome, che egli li aveva cavati a bella posta dall’Egitto, per ucciderli nei monti, e sterminarli dalla faccia della terra. E il Signore si rappacificò col popolo e non fece quello che aveva stabilito (Exod. XXXII). Non diversamente avvenne quando il popolo ebreo mormorò contro Mosè. Anche allora Iddio disse a Mosè che se n’andasse via di mezzo alla moltitudine, e gli lasciasse libero il braccio per fulminarlo. Allora Mosè, adorato Iddio, corse da Aronne e gli disse: Prendi l’incensiere, e postovi del fuoco dell’altare con dell’incenso, va subito verso la folla, a pregare per essa, perché già la collera di Dio è scoppiata sul popolo e ne fa strage. Obbedì Aronne e corse tra  la moltitudine che già la fiamma divorava; offerse i timiami e stando in piedi tra i vivi e i morti, pregò per il popolo, e la piaga cessò (Num. XVI, 41-4-8). – Nell’Esodo si legge che essendo Israele stato combattuto e vinto da Amalec in Raphidim, Mosè ordinò a Giosuè che, fatta scelta di valorosi guerrieri, uscisse ed affrontasse Amalec, mentr’egli sarebbe asceso il domani su la vetta del monte, tenendo in mano la verga del Signore. Adempì Giosuè l’ordine del duce il quale andò alla volta sua, con Aronne ed Ur, su la vetta del monte prima che Giosuè ingaggiasse battaglia con Amalec. Ora fu osservato che mentre Mosè teneva alte le mani, Israele trionfava, ma se le abbassava, Amalec vinceva. Osservato ciò e veduto a un certo punto che le braccia di Mosè non potevano più reggersi alte per la stanchezza, lo fecero sedere sopra un sasso, ed Aronne ed Ur gli sostennero le braccia le quali perciò ressero in alto fino al tramonto del sole. E per questa preghiera di Mosè, Giosuè sbaragliò Amalec (Exod. XVIII, 8-13). « Mosè, dice il Crisostomo, stava sul monte, vicino al cielo, e quanto più alta era la montagna, tanto più la sua preghiera era vicina a Dio. Qual è il giusto che non abbia trionfato c-o-n la preghiera? qual è il nemico, che non sia stato Vinto con la preghiera?. Per-mezzo della preghiera Daniele penetra e svela le misteriose visioni, le fiamme si estinguono, i leoni si spogliano della loro ferocia, i nemici cadono sgominati e vinti ». Scorrete la storia del popolo ebreo per tutto il tempo in cui fu governato dai Giudici, e se da una parte ci vedete una catena di cadute, d’infedeltà nel servizio del Signore, di delitti, d’idolatrie, e quindi di sciagure, di disastri, di schiavitù, dall’altra si ammira una sequela di perdoni, di benefizi, di liberazioni, rinnovatesi quante volte il pentimento gli mosse il cuore e gli aprì la bocca alla preghiera. Se Otoniele vinse Chusan e liberò Giuda da una servitù di otto anni, mantenendolo poi in pace per quaranta; se Aod uccise Eglon, re dei Moabiti, e pose fine per Israele ad un servaggio di diciott’anni; se Debora mise in rotta l’esercito di Iabin, re di Canaan, freddandone di sua mano il capitano Sisara e tolse i figli di Giacobbe ad un’oppressione che durava da vent’anni; se Gedeone sconfigge i Madianiti, che da sette anni opprimevano Israele; se Iefte lo strappa alle mani dei Filistei i quali facevano pesare su di lui un giogo di ferro da oltre cinque lustri; e se Sansone lo libera di bel nuovo dalla servitù dei medesimi Filistei, prolungatasi per quarant’anni; alla preghiera, ed alle grida che la stirpe di Giacobbe mandava dal fondo del cuore a Dio, in quei crudeli frangenti, se ne deve il merito… Dio si moveva a pietà di loro e li perdonava sempre, quando pentiti facevano ricorso alla preghiera. Come tremendo è il peccato! come potente è la preghiera! Come l’iniquità è punita! come l’orazione è ricompensata! Dio suole dare più di quello che si dimanda. Salomone domanda solamente la sapienza e Dio oltre al concedergliela in sommo grado, vi aggiunge ancora molti favori temporali (II Reg. III). Sara ed Anna sono sterili; pregano, e Dio le fa madri, quella d’Isacco, questa di Samuele. « Chi prega, dice il Crisostomo, ricava segnalati beni dalla sua preghiera, prima ancora che riceva quello che ha domandato; la sua preghiera reprime i tumulti dell’anima, calma l’ira, caccia la gelosia, spegne la cupidigia, scema l’affetto alle cose periture, dà la pace, e fa ascendere al cielo ». Samuele prega per il popolo di Dio oppresso dai Filistei, e il Signore l’esaudisce (I Reg. VII, 9). I Filistei combattono con Israele; ma Samuele prega, e Dio fa rombare con sì orribile fracasso il tuono su di loro, che colti di spavento cadono in faccia all’esercito giudeo. Prega il profeta Elia, e due volte il fuoco del cielo divora i nemici del Profeta, cinquanta per volta (IV Reg. I, 10). Il re di Siria vuole impadronirsi di Eliseo, e spedisce a questo intento cavalli, carri e soldati scelti. Eliseo prega il Signore che accechi tutta quella truppa; e il Signore adempie immantinente la prece del profeta (16. II, 18). A proposito di questo fatto, S. Ambrogio osserva che « la preghiera si spinge a ferire più lontano che una saetta. Eliseo soggiogava i suoi nemici non con le armi, ma con l’orazione ». Poi più avanti ripiglia: Eliseo prega e colpisce di cecità tutta la schiera nemica. Dove sono coloro i quali dicono che le armi degli uomini sono più potenti delle preghiere dei Santi? Ecco qua come alla preghiera del solo Eliseo, un numero grandissimo di nemici è fatto prigioniero; per la preghiera e per i meriti di un solo Profeta, tutto un esercito è sbaragliato e vinto. Dov’è l’esercito sia pure numeroso, agguerrito e valente, il quale possa impadronirsi di tutti i nemici, senza eccettuarne pur uno, e così all’improvviso? Ma la preghiera opera questo prodigio, s’impadronisce di tutti i nemici, e con un altro prodigio non meno grande, di questi nemici, quantunque vinti, nessuno è ferito (ut sup.). Il re Ezechia prega, e con la sua preghiera ottiene lo sterminio delle numerose falangi Assire; Sennacherib vi perde la vita insieme a cento ottantacinque mila uomini (IV Reg. XIX). Tobia prega, e ricupera la vista… Sara prega, ed è liberata da sette mariti bestiali. Giuditta desidera e stabilisce di liberare il suo popolo e di salvarlo dalle mani di Oloferne. Che cosa domanda, ai suoi, per riuscire nel disegno? nient’altro se non che facciano orazione al Signore per lei, fino a tanto che non ritorni a portare loro delle notizie (Iudith. VII, 53). Armata della preghiera, parte; va al campo nemico, passa tra le Ale della soldatesca, entra nel padiglione del capitano, e sostenuta dalla preghiera, mozza il capo ad Oloferne, mette in fuga l’esercito assediante, libera Betulia. La santa donna Giuditta, dice S. Agostino, apre il cielo con le sue preghiere, con l’arte della preghiera fabbrica armi vittoriose con le quali abbatte il nemico e libera il suo popolo da spaventoso terrore. Betulia assediata da numerosa orda di barbari, più belve che uomini, gemeva nell’accasciamento e nella sfiducia. Tutti languivano, morivano di fame e di sete, tutti si figuravano già come caduti, nelle branche di quei feroci. Ma ecco Giuditta che, santificata colla preghiera, col digiuno, con la cenere e col cilizio, si avanza, speranza del popolo, destinata a rendergli sicurezza. Tra le mura di Betulia essa è inquieta, ma sostenuta dalla preghiera, rimane impavida là dove per essa tutto è pericolo. Per mezzo della preghiera, conserva la sua castità, salva il suo popolo, abbatte il nemico. La preghiera è più potente che non tutte le armi: con la preghiera una donna salva una città intera ed una nazione, mentre un esercito intero, senza preghiera, non può salvare il suo duce (In Iudith,). Un decreto di morte è promulgato contro il popolo di Dio schiavo nella Persia. Ester prega, la sua preghiera cambia il cuore, di Assuero, ed Israele è salvo. Ai tempi di Geremia il popolo vilipende il Signore e il Profeta si volge a pregare Iddio. Questi, volendo punire il popolo colpevole, dice al Profeta: la tua preghiera mi lega le mani; non pregare per loro, non indirizzarmi nè cantico nè supplica in loro favore, non opporti a me (Ierem. VII, 16). Dio si sente come inceppato dalle preghiere dei giusti, e non può punire i cattivi, come già aveva detto a Mosè: «Lasciami libero di esercitare la mia giusta vendetta » (Exod. XXXII, 10). Ma in verità Dio desidera che vi sia chi si opponga e trattenga la sua vendetta; si rallegra quando alcuno gli ferma il braccio vendicatore e gli lega le mani con la preghiera. Egli si lamenta, per bocca del profeta Ezechiele, che non gli si fa violenza con la preghiera, che non si prega per disarmarlo (Ezech. XIII, 5). « Io ho cercato tra di loro un uomo il quale s’intromettesse come siepe tra me ed essi, e a me si opponesse per salvare questa terra, affinché io non la disertassi; e non l’ho trovato » (Ezech. XXII, 30). « Perciò ho rovesciato sopra di loro il vaso del mio sdegno, li ho consumati col fuoco della mia collera (Id. 31). La preghiera è siepe e muro di opposizione alla giusta collera di Dio. Il mondo non sussiste se non per le preghiere delle anime ferventi. Perciò Gesù Cristo dice che alla fine dei secoli la fede sarà estinta; ed è perciò che verrà la fine del mondo. – Giona prega nel ventre della balena, e il Signore comanda al cetaceo di rigettare Giona su la riva (Ion. II, 2-11). « Giona, commenta qui S. Gregorio, grida a Dio dal ventre del pesce, dal fondo dell’oceano, dal seno della disobbedienza; e la sua preghiera ascende fino alle orecchie di Dio, e Dio lo libera dalla balena e dalle onde, lo assolve della sua colpa. Gridi il peccatore, che la tempesta delle passioni ha allontanato da Dio e sconquassato e sommerso, che è divenuto la preda del maligno spirito, che fu ingoiato dai flutti del secolo; riconosca e confessi ch’egli giace in fondo all’abisso, affinché la sua preghiera giunga a Dio ». – Finalmente S. Agostino compendia così tutti questi prodigi della preghiera : « Per la sua preghiera Geremia è confortato in carcere; Daniele sta lieto in mezzo ai leoni; i tre fanciulli inneggiano allegri nella fornace ardente; Giobbe trionfa del demonio dal suo letamaio; il ladrone passa dalla croce al cielo; Susanna scampa al tranello dei vecchioni; Stefano, vittorioso de’ suoi lapidatori, è ricevuto in cielo; non vi è dunque luogo in cui non si deva pregare. Preghiamo dunque sempre e in ogni luogo, e gli uni per gli altri, affinché ci salviamo. La preghiera è la santa colonna della virtù, la scala della divinità, lo sposo delle vedove, l’amica degli Angeli, il fondamento della fede, la corona dei religiosi, il sollievo dei coniugati ».
La preghiera è il terrore dei demoni. — « Vestitevi dell’armatura di Dio, suggeriva S. Paolo agli Efesini, affinchè possiate stare fermi e saldi contro le insidie del demonio » (Epist. VI, 11). A commento di queste parole, S. Bernardo scrive : « Fiere certamente sono le tentazioni che ci vengono dal nemico; ma ben più tremenda è per lui la nostra preghiera, che non per noi i suoi assalti ». Infatti, « non così presto, dice S. Giovanni Crisostomo, il ruggito del leone mette in fuga le belve, come la preghiera del giusto sbaraglia i demoni ». Essa è tale saetta, dice S. Ambrogio, che va a colpire il nemico, ancorché lontanissimo (Serra. LXXX, VI); e S. Agostino la chiama il flagello dei diavoli (De Orat.). La preghiera caccia i demoni dal corpo e dall’anima; li costringe all’obbedienza ed alla fuga; assennatissimo quindi è il consiglio che dava a’ suoi monaci l’abate Giovanni: « Che cosa fa un uomo, egli dice, quando vede qualche fiera venirgli incontro? O fugge o si arrampica sopra di un albero; così fate voi, quando il demonio vi tenta; fuggite verso Dio per mezzo della preghiera, montate a lui e sarete salvi; poiché la preghiera atterra le tentazioni e il tentatore, come l’acqua smorza il fuoco ». « Io loderò e invocherò il Signore, cantava il Salmista, e sarò liberato da’ miei nemici » (Psalm. XVII, 4). « Partiti da me, Satana » — Vade, Satana — comandò Gesù al diavolo che osava tentarlo (Matth. IV, 10), e Satana si ritirò immantinente, e gli Angeli si accostarono a lui per servirlo (Ib. 11). I medesimi favori procura a noi la preghiera, caccia gli spiriti cattivi e ci avvicina i buoni. Diciamo sovente : Via da me, o Satana; questa sola orazione mette in fuga l’inferno e ci fa comunicare col cielo’… Il demonio non ha mai potuto vincere chi prega sovente e come si conviene. Se dunque noi siamo vinti, è perchè o non preghiamo, o preghiamo male.

8° La preghiera illumina. — Si legge negli Atti Apostolici, che il Signore disse a un discepolo di nome Anania, che andasse nella contrada chiamata Betta e cercasse nella casa di Giuda, un certo Saulo di Tarso, « perchè egli prega » significandogli nel tempo stesso che quell’uomo il quale pregava, era un vaso di elezione per portare il nome di Gesù Cristo in mezzo ai gentili, dinanzi ai prìncipi della terra ed ai figli d’Israele. Andò Anania, entrò nella casa indicatagli e vi trovò Saulo in orazione; imponendogli le mani, gli disse: Saulo, fratello mio, il Signore Gesù mi ha inviato a te affinché tu veda e sia riempito di Spirito Santo. E su l’istante ricuperò la vista (Act. IX, 10-18). Osservate che Saulo riceve la visita di Anania, lo Spirito Santo e la restituzione della vista, perchè prega. Vogliamo noi che Dio ci visiti egli medesimo, che i buoni Angeli ci assistano; desideriamo di essere illuminati dallo Spirito Santo? Imitiamo Saulo che prega.

9° Per la preghiera si ottiene la conversione dei peccatori. — Basta a persuaderci di questo effetto della preghiera l’esempio di S. Monica il cui figlio Agostino era un grandissimo peccatore e pietra di scandalo. Essa prega, prega molto, prega sovente, non cessa di pregare, e continua per lunghissimo tempo a pregare, e si raccomanda a tutte le persone buone, che preghino per suo figlio; ma finalmente la sua preghiera fa di Agostino un gran santo ed uno dei primi Dottori della Chiesa; avverandosi quella parola di un vescovo alla madre: Andate tranquilla, ché il figlio di tante lagrime non può perire (In Vita). Si legge nella vita di S. Teresa, che essa ottenne con le sue preghiere la conversione di tanti peccatori, quanti ne aveva convertiti S. Francesco Zaverio, Apostolo delle Indie, con le sue prediche e con i suoi miracoli (In Vita).
Donde vengono quei subitanei cambiamenti, quelle stupende miracolose conversioni che avvennero in tutti i secoli e di cui noi siamo testimoni, e in vista delle quali noi dobbiamo dire : « Qui vi è il dito di Dio »? (Exod. XVIII, 19). Dalle preghiere del giusto, dei religiosi, della Chiesa… ,

10° La preghiera ci salva. — « I padri nostri, dice il Salmista, innalzarono le loro grida al Signore e furono salvati… Per me ho levato la mia voce verso Iddio, e il Signore mi salverà » (Psalm. XXI, 6) (Psalm. LIV, 17). – « La preghiera del giusto, dice S. Agostino, è la chiave del cielo; la preghiera ascende al cielo, e la misericordia di Dio ne discende » (Serm. CCXXVI); lo stesso dice S. Efrem, assicurandoci che la preghiera ha sempre l’adito aperto al cielo (De Orat.). Queste sentenze si fondano su la parola medesima di Dio, trovando noi nell’Ecclesiastico, che la supplice preghiera sale fino alle nubi; che l’orazione di chi si umilia passa le nuvole e non si arresta finché non giunge al trono medesimo di Dio (Eccli. XXXV, 20-21).
Quale non dev’essere la forza e l’efficacia della preghiera, se monta fino al cielo, l’apre, e s’inoltra fino al trono di Dio? Notevole esempio ne abbiamo nel profeta Elia, il quale con la sua preghiera apre e chiude a suo volere il cielo! – Per la preghiera, scrive il Crisostomo, noi cessiamo, anche nel tempo, di essere mortali; noi siamo per natura mortali, ma per la preghiera, per la nostra familiare conversazione con Dio, passiamo alla vita immortale. Colui che parla familiarmente con Dio, diventa necessariamente più forte della morte e di tutto ciò che è soggetto alla corruzione. La preghiera assicura la gloria immortale all’anima, e la risurrezione gloriosa ai corpi (In Eccles. c. XXVIII).

11° La preghiera contiene beni immensi, — Dio ascolta, rischiara, illumina, dirige, fortifica, esaudisce chi prega. « Di quanti tesori di saggezza, di virtù, di prudenza, di bontà, di sobrietà, di eguaglianza di costumi non ci riempie la preghiera! », esclama S. Giovanni Crisostomo. Nell’orazione si avvera quel detto di Dio al Salmista: – « Apri la tua bocca ed io l’empirò » (Psalm. LXXX, 11). Quanto più si domanda, tanto più si riceve; più si desiderano ricchezze e più Dio ne dà… « Grida a me, disse Iddio a Geremia, e ti esaudirò; e ti rivelerò cose grandi e certe che tu non sai » (Ierem. XXXIII, 3). – La preghiera è come lavoro in una miniera inesauribile; essa ottiene tutto ciò che vuole; siccome la miniera dei divini tesori non potrebbe mai essere esaurita, attingendovi tutto quello che si desidera, la miniera è sempre intera. A questo oceano di ricchezze, che è Dio, attingono da seimila anni tutti quelli che pregano; e questo mare che bagna e feconda la terra, non è diminuito neppure di una goccia. È sempre pieno, sempre ribocca su coloro che pregano. Diciamo di più, quelli che pregano stanno attorno a questo mare e la loro preghiera ve li immerge per l’eternità. Udiamo ancora alcuni tratti dei santi Padri su questo argomento: « La preghiera, così il Crisostomo, è la guardiana della temperanza, la repressione della collera, il freno della superbia, l’espiazione dei desideri di vendetta, l’estinzione dell’invidia, la conferma della pace ». Secondo S. Bernardo, « purifica l’anima, regola gli affetti, dirige le azioni, corregge gli eccessi, forma i costumi, costituisce la bellezza e l’ornamento della vita. Rasserena il cuore, dice Cassiano, lo allontana dalle cose caduche, lo purifica dai vizi, lo innalza alle cose celesti e lo rende capace e degno di ricevere tutti i beni » . Insomma, come dice S. Agostino, « la preghiera è un sacrificio gradito a Dio; è un soccorso a chi prega; è il flagello di Satana ». [1- continua …]

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI APOSTATI E SCISMATICI DI TORNO: “AUSPICIA QUÆDAM”

S. Pio XII, in questa breve enciclica, analizzando i momenti storici del tempo (siamo nell’immediato secondo dopoguerra) ancora denso di minacciose nubi di guerra, sollecita le preghiere soprattutto dei fanciulli nel mese di maggio, per scongiurare, con l’aiuto e l’intercessione della Vergine Santissima, i pericoli minacciati. Leggendo la breve lettera, si vede come l’attuale situazione mondiale, specie per le terre un tempo cristiane, sia praticamente analoga, se non peggiore. Facciamo nostro allora, almeno noi del “Pusillus grex” della Chiesa Cattolica eclissata ,“una cum” Gregorio XVIII, il consiglio del Santo Padre Pacelli, di ricorrere al Cuore Immacolato della Vergine Santissima, per scongiurare il pericolo e la minaccia bellica che ogni giorno viene ventilata in diversi luoghi della terra, là dove operano con più veemenza le forze del male asservite alle conventicole massoniche di ogni risma, dirette da “coloro che odiano Dio, il suo Cristo, e tutti gli uomini”. L’unico baluardo sicuro, schierato come esercito in battaglia, è veramente il Cuore Immacolato di Maria al quale è bene consacrarci tutti, per salvare: il genere umano dal totale sfascio spirituale e materiale  (così come desiderano lucifero e i suoi adepti), la Santa Chiesa di Cristo, oggi in eclissi e nelle catacombe, dagli eretici lefebvriani, dagli apostati novusordisti e dagli scismatici sedevacantisti, e soprattutto le anime nostre, immerse nello sterco delle false dottrine dell’inganno ( … la misericordia gratuita e senza pentimento, l’ecumenismo massonico e noachite, etc.) propinate da falsi pastori, lupi gnostici travestiti da agnelli in modo nemmeno tanto larvato, gente con sguardo truce, labbra blasfeme e lingua sacrilega. Leggiamo la lettera del Santo Padre e subito dopo rinnoviamo la nostra CONSACRAZIONE al CUORE IMMACOLATO di MARIA; mettiamoci quindi a pregare, in questo prossimo mese di Maggio, coinvolgendo i fanciulli in questa pia crociata fatta non con armi chimiche, da sparo, missili ed atomiche (tutte cose che a lucifero nessun nocumento apportano), ma con preghiere ed invocazioni di aiuto a Colei che sola ha il potere di schiacciare, con il suo calcagno, la testa del serpente maledetto e di coloro che appartengono della sua schiatta.

LETTERA ENCICLICA

AUSPICIA QUÆDAM
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XII

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI,
ARCIVESCOVI,
VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI
CHE HANNO PACE
E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA:
PREGHIERE NEL MESE DI MAGGIO
PER LA CONCORDIA DELLE NAZIONI

Alcuni indizi sembrano oggi chiaramente dimostrare che tutta la grande comunità dei popoli, dopo tanti eccidi e devastazioni causati dalla lunga e terribile guerra, è ardentemente orientata verso i salutari sentieri della pace; e che al presente si dà più volentieri ascolto a coloro che si dedicano con faticoso lavoro a opere di ricostruzione, che cercano di sedare e comporre le discordie, e si accingono a far risorgere da tante rovine che ci affliggono un nuovo ordine di prosperità, anziché a coloro che eccitano odi e rancori, dai quali non possono derivare se non nuovi e più gravi danni.  – Ma, quantunque Noi stessi e il popolo cristiano abbiamo non lievi motivi di consolazione e possiamo confortarci con la speranza di tempi migliori, non mancano tuttavia fatti e avvenimenti, che recano grande preoccupazione e angustia al Nostro animo paterno. Infatti, benché la guerra sia cessata quasi dovunque, tuttavia la desiderata pace non ha ancora rasserenato le menti e i cuori; anzi si vede tuttora il cielo oscurarsi di nubi minacciose.  – Noi, da parte Nostra, non cessiamo di adoperarci per quanto Ci è possibile, per allontanare dall’umana famiglia i pericoli di altre calamità che la sovrastano, e quando i mezzi umani si rivelano insufficienti, Ci rivolgiamo supplichevoli a Dio e in pari tempo esortiamo tutti i Nostri figli in Cristo, sparsi in ogni paese della terra, a volersi unire a Noi nell’impetrare gli aiuti celesti.  – Per questo motivo, come negli anni passati Ci fu di conforto il rivolgere la Nostra esortazione a tutti, e specialmente ai fanciulli, da Noi tanto amati, affinché durante il mese di maggio si stringessero numerosi intorno all’altare della grande Madre di Dio per implorare la fine della funesta guerra, così parimenti oggi, per mezzo di questa lettera, li invitiamo ardentemente a non interrompere questa pia costumanza e a volere congiungere alle loro suppliche propositi di rinnovamento cristiano e opere di salutare penitenza.  – Anzitutto porgano alla Vergine Madre di Dio e nostra benignissima Madre i più vivi ringraziamenti per aver ottenuto con la sua potente intercessione la sospirata fine della grande conflagrazione mondiale, e per i tanti altri benefici impetrati dall’Altissimo; ma in pari tempo imploriamo da Lei con rinnovate preghiere, che finalmente risplendano come un dono del Cielo la pace vicendevole, fraterna e piena fra tutte le genti, e la desiderata concordia fra tutte le classi sociali. – Cessino le discordie, che a nessuno sono vantaggiose; si compongano secondo giustizia le contese, che spesso sono semi di nuove sventure; si accrescano e si consolidino fra le nazioni le relazioni pubbliche e private; abbia la religione, fautrice di ogni virtù, la libertà che le è dovuta; e il pacifico lavoro umano, sotto gli auspici della giustizia e il soffio divino della carità, produca i frutti più abbondanti per il comune vantaggio. – Voi sapete bene, venerabili fratelli, che le nostre preghiere sono gradite alla santissima Vergine soprattutto, quando non sono voci effimere e vuote, ma sgorgano da cuori ornati delle necessarie virtù. Adoperatevi perciò con il vostro zelo apostolico, affinché alle pubbliche preghiere innalzate al cielo durante il mese di maggio, corrisponda un risveglio di vita cristiana. Infatti soltanto da questo presupposto è lecito sperare che il corso delle cose e degli avvenimenti, nella vita pubblica come in quella privata, possa essere indirizzato secondo il retto ordine e che agli uomini sia dato di conquistare, con l’aiuto di Dio, non solo la prosperità possibile in questo mondo, ma anche la felicità celeste, che non verrà mai meno.  – Ma vi è al presente un altro particolare motivo, che affligge e angustia vivamente il Nostro cuore. Intendiamo riferirci ai luoghi santi della Palestina, che già da lungo tempo sono turbati da luttuosi avvenimenti e sono quasi ogni giorno devastati da nuovi eccidi e rovine. Eppure se vi è una regione al mondo, che deve essere particolarmente cara ad ogni animo degno e civile, questa è di certo la Palestina, da cui fino dagli oscuri primordi della storia è sorta per tutte le genti tanta luce di verità; in cui il Verbo di Dio incarnato fece annunziare da cori di angeli la pace a tutti gli uomini di buona volontà, e nella quale infine Gesù Cristo, sospeso all’albero della croce, recò la salvezza a tutto il genere umano e, stendendo le braccia quasi a invitare tutti i popoli ad un amplesso fraterno, consacrò con l’effusione del suo sangue il grande precetto della carità.  – Desideriamo quindi, o venerabili fratelli, che questo anno le preghiere del mese di maggio abbiano in modo particolare lo scopo di impetrare dalla ss. Vergine che finalmente le condizioni della Palestina siano conciliate secondo equità, e che ivi pure trionfino felicemente la concordia e la pace.  – Noi nutriamo grande fiducia nel potentissimo patrocinio della nostra Madre celeste; patrocinio che, durante questo mese a lei consacrato, specialmente gli innocenti fanciulli vorranno impetrare con una santa crociata di preghiere. E sarà appunto vostro compito invitarli e stimolarli a questo con ogni sollecitudine; e non solo essi, ma anche i loro padri e le loro madri, che anche in ciò debbono precederli, numerosi, col loro esempio.  – Sappiamo bene che mai abbiamo fatto appello invano all’ardente zelo, di cui siete infiammati; e già Ci pare di vedere folte moltitudini di fanciulli, di uomini e di donne affollare i sacri templi per impetrare dalla gran Madre di Dio tutte le grazie e i favori, di cui abbiamo bisogno.  – Ella, che ci ha dato Gesù, ci ottenga che tutti coloro che si sono allontanati dal retto sentiero, facciano quanto prima a Lui ritorno, mossi da salutare pentimento; ci ottenga – ella che è nostra benignissima Madre e che in ogni pericolo si mostrò sempre nostro valido aiuto e mediatrice di grazie – ci ottenga, diciamo, che anche nelle gravi necessità da cui siamo angustiati si trovi una giusta soluzione alle contese, e che una pace sicura e libera finalmente risplenda alla chiesa e a tutte le nazioni.  – Qualche anno fa, come tutti ricordano, mentre ancora infuriava l’ultima guerra mondiale, Noi, vedendo che i mezzi umani si mostravano incerti e insufficienti ad estinguere quell’immane conflagrazione, rivolgemmo le Nostre fervide preghiere al misericordiosissimo Redentore, interponendo il potente patrocinio del Cuore Immacolato di Maria. E come il Nostro predecessore d’immortale memoria Leone XIII, agli albori del secolo ventesimo, volle consacrare tutto il genere umano al Cuore sacratissimo di Gesù, così Noi parimenti, quasi in rappresentanza dell’umana famiglia da lui redenta, volemmo consacrarla altresì al Cuore Immacolato di Maria Vergine.  – Desideriamo pertanto che, qualora l’opportunità lo consigli, si faccia questa consacrazione sia nelle diocesi, sia nelle singole parrocchie e nelle famiglie; e abbiamo fiducia che da questa privata e pubblica consacrazione sgorgheranno abbondanti benefici e celesti favori. – In auspicio dei quali e in pegno della Nostra paterna benevolenza, impartiamo con effusione di cuore la apostolica benedizione a ciascuno di voi, o venerabili fratelli, e a tutti coloro, che con animo volenteroso corrisponderanno a questa nostra lettera d’esortazione, e in modo particolare alle folte e numerose schiere dei carissimi fanciulli.

Roma, presso San Pietro, il 1° maggio 1948, anno X del Nostro pontificato.

ATTO DI CONSACRAZIONE AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA

Regina del Santissimo Rosario, ausilio dei Cristiani, rifugio del genere umano, vincitrice di tutte le battaglie di Dio, supplici ci prostriamo al vostro trono, sicuri di impetrare misericordia e di ricevere grazie e opportuno aiuto nelle presenti calamità, non per i nostri meriti, dei quali non presumiamo, ma unicamente per l’immensa bontà del vostro materno Cuore. A Voi, al vostro Cuore Immacolato, in questa ora grave della storia umana, ci affidiamo e ci consacriamo, non solo con tutta la santa Chiesa, corpo mistico del vostro Gesù, che soffre in tante parti e in tanti modi è tribolata e perseguitata, ma anche con tutto il mondo straziato da discordie, agitato dall’odio, vittima della propria iniquità. – Vi commuovano tante rovine materiali e morali, tanti dolori, tante angosce, tante anime torturate, tante in pericolo di perdersi eternamente! – Voi, o Madre di misericordia, impetrateci da Dio la riconciliazione cristiana dei popoli, ed anzitutto otteneteci quelle grazie, che possono in un istante convertire i cuori umani, quelle grazie che preparano e assicurano questa sospirata pacificazione. Regina della pace, pregate per noi e date al mondo la pace nella verità, nella giustizia, nella carità di Cristo. – Dategli soprattutto la pace delle anime, affinché nella tranquillità dell’ordine si dilati il regno di Dio. Accordate la vostra protezione agli infedeli e a quanti giacciono nelle ombre della morte; fate che sorga per loro il Sole della verità e possano, insieme con noi, innanzi all’unico Salvatore del mondo ripetere: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! Ai popoli separati per l’errore o per la discordia, e segnatamente a coloro che professano per Voi singolare devozione, date la pace e riconduceteli all’unico ovile di Cristo, sotto l’unico e vero Pastore. Ottenete libertà completa alla Chiesa santa di Dio; difendetela dai suoi nemici; arrestate il diluvio dilagante della immoralità; suscitate nei fedeli l’amore alla purezza, la pratica della vita cristiana e lo zelo apostolico, affinché il popolo di quelli che servono Dio aumenti in meriti e in numero. Finalmente, come al Cuore del vostro Gesù furono consacrati la Chiesa e tutto il genere umano, perché, riponendo in Lui ogni speranza, Egli fosse per loro fonte inesauribile di vittoria e di salvezza; così parimente noi in perpetuo ci consacriamo anche a Voi, al vostro Cuore Immacolato, o Madre nostra e Regina del mondo; affinché il vostro amore e patrocinio affrettino il trionfo del regno di Dio e tutte le genti, pacificate con Dio e tra loro, vi proclamino beata, e con Voi intuonino, da una estremità all’altra della terra, l’eterno «Magnificat» di gloria, amore, riconoscenza al Cuore di Gesù, nel quale solo possono trovare la verità, la vita e la pace (Pio Pp. XII).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si consecrationis actus quotidie in integrum mensem devote repetitus fuerit (Pio XII, Rescr. Secret. Status, 17 nov. 1942; exhib. docum., 19 nov. 1942).

DOMENICA TERZA DOPO PASQUA (2018)

 

DOMENICA TERZA dopo PASQUA

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXV:1-2. Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja. [Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Ps LXV:3 Dícite Deo, quam terribília sunt ópera tua, Dómine! in multitúdine virtútis tuæ mentiéntur tibi inimíci tui. [Dite a Dio: quanto sono terribili le tue òpere, o Signore. Con la tua immensa potenza rendi a Te ossequenti i tuoi stessi nemici.]

Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja.[Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio 

Orémus. – Deus, qui errántibus, ut in viam possint redíre justítiæ, veritátis tuæ lumen osténdis: da cunctis, qui christiána professióne censéntur, et illa respúere, quæ huic inimíca sunt nómini; et ea, quæ sunt apta, sectári. [O Dio, che agli erranti mostri la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia, concedi a quanti si professano cristiani, di ripudiare ciò che è contrario a questo nome, ed abbracciare quanto gli è conforme.]

 Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli: 1 Pet II: 11-19

“Caríssimi: Obsecro vos tamquam ádvenas et peregrínos abstinére vos a carnálibus desidériis, quæ mílitant advérsus ánimam, conversatiónem vestram inter gentes habéntes bonam: ut in eo, quod detréctant de vobis tamquam de malefactóribus, ex bonis opéribus vos considerántes, gloríficent Deum in die visitatiónis. Subjécti ígitur estóte omni humánæ creatúræ propter Deum: sive regi, quasi præcellénti: sive dúcibus, tamquam ab eo missis ad vindíctam malefactórum, laudem vero bonórum: quia sic est volúntas Dei, ut benefaciéntes obmutéscere faciátis imprudéntium hóminum ignorántiam: quasi líberi, et non quasi velámen habéntes malítiæ libertátem, sed sicut servi Dei. Omnes honoráte: fraternitátem dilígite: Deum timéte: regem honorificáte. Servi, súbditi estóte in omni timóre dóminis, non tantum bonis et modéstis, sed étiam dýscolis. Hæc est enim grátia: in Christo Jesu, Dómino nostro.”

OMELIA I

 [Mons. Bonomelli: Nuovo saggio di Omelie, Marietti ed., vol. II, 1898 – Omelia XIX.]

“Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini, affinché vi asteniate dalle cupidigie terrene, che fan guerra allo spirito. Diportatevi degnamente tra i Gentili, affinché se sparlano di voi, come di malfattori, giudicandovi dalle vostre buone opere, diano gloria a Dio nel giorno che li visiterà. Il perché, siate sommessi, per amore del Signore, ad ogni umana istituzione, sia a re, come a sovrano, sia ai governatori, come mandati da lui, a punizione dei malfattori e a lode dei buoni. Perciocché tale è la volontà di Dio, che, operando il bene, imponiate silenzio alla ignoranza di uomini stolti. Come liberi e non pigliando la libertà a mantello di malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti, amate i fratelli, temete Dio, riverite il re. Voi, servi, siate sommessi, con ogni riverenza, ai padroni non solo buoni e discreti, ma anche capricciosi. Perciocché questo è cosa grata, se alcuno per coscienza innanzi a Dio sostiene molestie, soffrendo ingiustamente „ (I. di S. Pietro,, c. II, vers. 11-19).

Due sentimenti affatto contrari provo in me stesso al pensiero di dovervi fare la chiosa delle sentenze che avete udite, che son prese dalla prima lettera di S. Pietro; il primo sentimento è di vivo piacere, perché le verità che vi si contengono sono ad un tempo di somma rilevanza e pratiche per ogni classe di persone; il secondo sentimento è l’impaccio, nel quale mi trovo di svolgere come si deve ad una ad una queste verità, ciascuna delle quali richiederebbe un discorso. Mi è dunque forza congiungere insieme la brevità e il commento di tutti i nove versetti, che vi ho recitati: mi vi proverò, fidando sempre nella vostra attenzione. – « Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini, affinché vi asteniate dalle cupidigie terrene, che fan guerra allo spirito. „ Io non so dirvi, o fratelli, ciò che sento in cuore, allorché leggo e considero questa parola sì bella “Carissimi”, uscita dalla penna di S. Pietro. — Chi è colui, che scrive ? È il primo Vicario di Gesù Cristo, il Principe degli apostoli, il capo della Chiesa, carico di anni, di dolori e di meriti, già presso al patibolo, sul quale alla corona dell’apostolato si aggiungerà la palma del martire. A chi scrive? Ad alcuni cristiani, poveri, vessati, dispersi qua e là, usciti poc’anzi dalle tenebre del paganesimo e dai pregiudizi ebraici. E Pietro, questo primo depositario delle somme chiavi, lasciategli da Cristo, venerando per la dignità, per l’età, pei patimenti sofferti pel nome di Cristo, sembra quasi dimenticare se stesso, e con la effusione d’un padre, che abbraccia i suoi figliuoli, dice loro: “Carissimi!„ In questa parola si sente battere il cuore del sommo apostolo! Ah! se Pietro teneva coi semplici e poveri fedeli questo linguaggio pieno di affetto paterno, che dobbiamo fare noi? Noi, sacerdoti, noi, pastori di anime, oggi più che mai abbiamo bisogno d’informare i nostri cuori e le nostre parole al cuore, alle parole del primo apostolo! S. Pietro, dopo aver destata l’attenzione e guadagnato l’affetto dei suoi neofiti con quella parola -“Carissimi„- li esorta a considerarsi come stranieri e pellegrini sulla terra. Il pellegrino o straniero, che viaggia verso la patria sua, ricorda sempre d’essere pellegrino e straniero; non si cura delle cose che vede, passando, o appena le degna d’uno sguardo fuggevole, né punto lega ad esse il cuor suo; si sbriga di tutto ciò che lo impaccerebbe nel cammino e si restringe a portar seco solo quel tanto che è necessario e, fissa la mente nella patria, non bada a disagi e pericoli, non perde tempo con quelli che incontra per via, non contende con loro, li saluta cortesemente e studia il passo. — Ebbene: noi tutti, quaggiù sulla terra, siamo pellegrini e stranieri: la nostra patria è il cielo: là soltanto riposeremo: non fermiamoci per via, non leghiamo il nostro affetto a cose, che dobbiamo tosto abbandonare, non carichiamoci dell’inutile peso dei beni della terra, non consumiamoci tra noi con vani litigi, corriamo animosi verso la patria, dove ci aspetta Dio, Padre nostro, dove ci attendono i nostri fratelli, i Santi, dove tutto un giorno sarà pace e gioia purissima ed eterna. Se siete stranieri e pellegrini su questa terra “dovete astenervi – dice S. Pietro – dalle cupidigie terrene”, cioè dall’amore disordinato dei piaceri, dall’orgoglio, dall’ambizione, dalla gola, dalla avarizia, dall’ozio e sopra tutto dalla lussuria, che ritardano il vostro cammino, anzi vi incatenano a questo mondo. – L’anima, che viene da Dio, attratta dalla verità, che brilla in alto, mossa dalla grazia, che dolcemente la porta al cielo, quasi aquila generosa spiega le ali verso l’altezza suprema; ma le cupidigie, i piaceri del senso, quasi fili avvolgenti i suoi piedi, la tengono legata alla terra: rompiamo questi fili, stacchiamo i nostri affetti dalla terra e voleremo al cielo, nel seno stesso di Dio, e cesserà questa malaugurata lotta tra lo spirito e la carne, quello, che ci tira in alto, questa, che quasi palla di piombo, legata ai nostri piedi, ci tiene avvinti a questa misera terra. – Segue un’altra esortazione pratica: “Diportatevi degnamente tra i Gentili. „ I Cristiani devono sempre vivere come esige la loro professione di Cristiani, cioè degnamente e santamente, perché così vuole il loro dovere e così vuole Iddio: ma a questo motivo, che è il primo e principalissimo, altri buoni ed onesti si possono aggiungere; e buono ed onesto è pur quello di onorare la loro fede innanzi agli uomini, e particolarmente dinanzi ai nemici della fede tessa. Qual mezzo più efficace di mostrare la santità della religione, di renderla cara e degna di venerazione e di condurre a lei gli erranti ed i nemici suoi più fieri quanto il mostrarne i benefici effetti in noi stessi? Sta bene metterne in luce le prove con una parola eloquente, ma è molto meglio farne brillare la divina origine nelle opere e nelle virtù. Noi sappiamo che nei primi secoli la conversione dei Gentili, più che alla eloquenza dei grandi apologisti, si doveva alla vita illibata e santa dei cristiani, e perciò S. Pietro scriveva: “Diportatevi degnamente tra’ Gentili. „ Carissimi! ora noi non viviamo, grazie a Dio, tra Gentili, ma tra cristiani; ma quali Cristiani? Assai volte sono cristiani di nome, praticamente ed anche teoricamente miscredenti: sono cristiani di costumi perduti, immersi in ogni sorta di disordini e di scandali. Forse voi stessi avrete amici, conoscenti, congiunti, persone teneramente amate, che hanno perduta la fede, oppure, conservandola, la disonorano con una vita indegna. Volete guadagnarli a Dio? Il mezzo più sicuro è quello di offrire in voi stessi la pratica della religione, di presentare nelle vostre parole e nelle vostre opere il modello del vero cristiano. Spargete intorno a voi nella famiglia, nella conversazione, nella parrocchia il profumo della vita cristiana e a poco a poco ricondurrete sulla retta via gli erranti ed i poveri peccatori. Lo insegna S. Pietro, che va innanzi e dice: “Se i Gentili sparlano di voi e vi tengono come malfattori, quando vedranno le vostre opere buone, daranno gloria a Dio allorché Dio li visiterà, „ cioè li toccherà colla sua grazia. Che cosa è, o dilettissimi, la grazia di Dio? È una visita ch’Egli fa alle anime nostre: le visita col lume della verità, che. ci fa conoscere la verità e il dovere, che ci fa odiare il male, amare il bene: le visita colla grazia, che ci sveglia, ci scuote, ci rimprovera, ci stimola, ci sostiene, ci spinge innanzi nella via della virtù. Felice colui che riceve spesso la visita di Dio, più felice chi l’accoglie e si trattiene con Lui! – È da sapere, che nei primi secoli della Chiesa e al tempo stesso degli apostoli i cristiani erano considerati dai pagani come malfattori, nemici dell’impero e ribelli alle autorità costituite; lo sappiamo da Tacito, da Plinio, da Minuzio Felice, e qui ce lo fa sapere lo stesso S. Pietro : ” Quod detrectant de vobis tamquam de malefactoribus — Sparlano di voi come di malfattori. „ Non v’era delitto, per quanto enorme, che il popolo pagano, ingannato dai tristi, non apponesse ai cristiani, e il più comune e più terribile era quello, che essi disprezzavano le leggi e gli imperatori. – Era dunque natural cosa che gli apostoli respingessero la nera calunnia ed inculcassero pubblicamente il rispetto e l’obbedienza alle autorità civili in tutto ciò che era lecito. Allorché S. Pietro scriveva la sua lettera ai fedeli era già scoppiata o stava per scoppiare quella tremenda rivolta dei Giudei contro i Romani, che finì con lo sterminio e con la dispersione di quelli. Presso i pagani troppo spesso Cristiano e Giudeo si confondevano, come apparisce da molti luoghi degli Atti Apostolici. Il fondatore del Cristianesimo era sorto in mezzo ai Giudei ed era Giudeo: i suoi Apostoli erano Giudei, Giudei i primi Cristiani, e tutta la parte dogmatica e morale del giudaismo era passata nella Chiesa cristiana. Qual cosa più facile per i pagani quanto il confondere i Cristiani coi Giudei? Quindi è che lo spirito di rivolta dei Giudei si riputava comune ai Cristiani e perciò era doppiamente necessario che gli Apostoli separassero la causa dei Cristiani da quella dei Giudei in cosa sì grave. Ecco una delle ragioni, per la quale S. Pietro e S Paolo insistono con tanta forza sul dovere che hanno i Cristiani di rispettare ed ubbidire lo Autorità politiche e civili ancorché pagane. Si trattava di liberare i Cristiani da una accusa e da un pericolo gravissimo in quei momenti supremi. – Egli è per questo che S. Paolo nella lettera ai Romani e in questa S. Pietro nei termini più espliciti e quasi identici ricordano ai Cristiani questo dovere: “Siate dunque sottommessi, scrive S. Pietro, per amore del Signore, ad ogni umana istituzione, sia a re, come a sovrani, sia a governatori, come mandati da Lui, a punizione dei malfattori ed a lode dei buoni. „ Il tempo che mi è concesso, non mi permette di sviluppare largamente la dottrina del Vangelo o della Chiesa intorno ai doveri che abbiamo verso i poteri della terra, ma ve ne dirò quel tanto che basti all’uopo. Iddio ha creato l’uomo in modo che non può nascere, conservarsi, svilupparsi e perfezionarsi né quanto al corpo, né quanto all’anima se non nella società: prima nella società domestica, la famiglia, poi nella società civile e politica: esso è figlio, è fratello, è cittadino, e come il pesce non può vivere fuori dell’acqua, così l’uomo non può vivere fuori della società. È una necessità imposta dalla natura e perciò da Dio stesso, che ha creata la natura. Ora, o cari, perché gli uomini vivano insieme e i forti non opprimano i deboli e si mantenga l’ordine e la giustizia e si renda a ciascuno ciò che gli si deve, è necessario che vi sia una autorità, un potere, che mantenga quest’ordine e questa giustizia, e che impedisca che gli uni soverchino gli altri e procuri il bene privato e pubblico, ed eccovi l’autorità del padre in famiglia, l’autorità suprema nei tribunali, negli eserciti, nei regni, negli imperi, nelle repubbliche. Ora quel Dio che ha voluto che gli uomini vivano in società e regni la giustizia, ha voluto e deve volere, che vi siano le autorità od i poteri pubblici, che sono il mezzo necessario per conservare la società e far regnare la giustizia. Se voi, o cari, volete che i vostri figli imparino questa o quella scienza, facciano questo o quel viaggio, dovete anche volere, che abbiano i maestri, i libri e il tempo necessario per apprendere quelle scienze, e il danaro indispensabile per fare quei viaggi: è cosa manifesta, perché chi vuole il fine deve volere i mezzi. Se Dio vuole la società, vuole anche l’autorità che la governi: se vuole l’autorità che la governi, vuole anche l’obbedienza di quelli che devono essere governati, e perciò l’obbedienza alle autorità è voluta da Dio ed è un dovere di coscienza, e chi la rifiuta, offende Dio stesso. Ora comprenderete, o dilettissimi, come S. Pietro aveva ragione di dire ai primi fedeli : “Figliuoli, siate soggetti ad ogni umana istituzione, o legge, per amore di Dio, cioè perché lo vuole Iddio! S. Paolo (Rom. XIII, 1 seq.) dice: ” Ogni persona sia sottoposta ai poteri superiori, perché non v’è potere se non da Dio, e quelli che sono esistenti, sono ordinati da Dio, a talché chi resiste al potere resiste all’ordine di Dio … È necessario essere soggetto al potere, non solo per timore, ma ancora per la coscienza. „ Vedete perfetto accordo di S. Pietro e di S. Paolo! Quasi le stesse frasi! S. Pietro dice che bisogna ubbidire ai poteri per amore di Dio, propter Deum; S. Paolo “per la coscienza” propter conscientiam. „ Siate soggetti al re, come al sovrano, cioè a colui, che vi sovrasta pel potere stesso. Veramente allora il potere supremo risiedeva nelle mani dell’imperatore, ma san Pietro colla parola “re” volle indicare l’imperatore, e forse lo chiamò re anziché imperatore, perché la parola “re” a lui ed agli Ebrei era famigliare, e nuova quella di imperatore, ma la sostanza è sempre la stessa. Ma ubbidiremo noi soltanto al re, od all’imperatore, od al potere supremo, quando immediatamente ci intima di ubbidire? No: noi ubbidiremo ad esso ed ai governatori, come a delegati da lui a punire i malvagi ed a lode dei buoni. Il potere supremo è come la vita: questa risiede nel capo, come nel suo centro, e di là si spande per tutto il corpo: il potere risiede nel capo o nei capi supremi dello Stato, e di là si dirama in tutti quelli, che variamente ne partecipano: e come il ferire o percuotere una mano od un dito è ferire e percuotere il capo, da cui deriva la vita ed il senso, così rivoltarci contro i poteri inferiori è rivoltarci contro il potere, del quale sono emanazione. Che fare pertanto? Ubbidire a tutti i poteri, per dovere di coscienza, per amore di Dio. Ai sommi, come agli inferiori, perché così vuole Iddio: “Quia sic est voluntas Dei”: lo vuole la necessità delle cose, lo vuole il nostro interesse, lo vuole il timore della pena, lo vuole sopra tutto Iddio! – E qui non vi sfugga, o cari, una osservazione di grande importanza, ed è questa: la fede nostra eleva, nobilita, divinizza il potere, e così eleva, nobilita e divinizza anche la nostra sottommissione e la nostra ubbidienza. Ubbidire ad un uomo come noi, forse per ingegno, dottrina, ricchezza e virtù inferiore a noi, è cosa che offende l’amor proprio, che ci umilia, e tale può essere ed è assai volte chi comanda: ma allorché al di sopra di lui io veggo Dio, che così vuole, e mi dice: Ubbidendo a quest’uomo, tu ubbidisci a Me, Re dei re —, sento tutta la mia dignità, e lungi dall’abbassarmi, ubbidendo, mi innalzo: l’uomo del potere è un valletto, che mi porta i comandi di Dio; quello sparisce ai miei occhi e questo solo mi sta dinanzi: come non mi terrei onorato di ubbidire? S. Pietro voleva che i cristiani ubbidissero per coscienza al re, cioè all’imperatore; e chi era quell’imperatore? Sappiatelo bene: era il più scellerato degli imperatori, un vero mostro di crudeltà, uccisore del maestro e della madre sua; che due o tre anni appresso avrebbe fatto mettere in croce lui stesso, Pietro, e decollare il fratel suo nell’apostolato, Paolo: era Nerone. Ma Nerone era pagano! Non importa; Pietro a nome di Dio comanda di ubbidire anche al pagano: il potere sovrano è come un raggio di luce: esso può cadere sopra un diamante come sopra il fango: la luce è sempre luce e non si contamina illuminando le sozzure. Il padre pagano cessa di essere padre perché è pagano, e cessa forse nei suoi figli il dovere di rispettarlo ed ubbidirlo? Un ministro dell’altare potrebb’essere malvagio, empio, miscredente : ma il fulgore del carattere che suggella in lui il potere divino non si eclissa, non si spegne mai; così è il potere sovrano: esso può essere nel pagano, nell’eretico, nell’empio, e noi gli dobbiamo rispetto ed ubbidienza: non è l’uomo, ma Dio che in lui rispettiamo ed ubbidiamo. Ma l’imperatore era legittimo? Legittimo Nerone! Quale domanda! Allora non si facevano siffatte questioni, sempre difficilissime a sciogliersi anche dai dotti. Si diceva soltanto: Questi è l’imperatore; il potere supremo è nelle sue mani; il mio dovere è di ubbidire; il bene pubblico lo esige; non cerco altro, ubbidisco. E in che cosa dovevano ubbidire i cristiani? S. Pietro non determina nulla: vuole dunque che si ubbidisca in ogni cosa fin là dove un’altra autorità superiore dice: Qui comincia il mio regno e qui finisce quello dell’imperatore. — In altre parole: si deve ubbidire all’autorità terrena in tutto ciò che non si oppone alla legge di Dio; a lui è soggetto ogni potere terreno, e allorché questo vuole ch’io mi ribelli a Dio ed alla sua Chiesa, io gli rispondo: Non ubbidisco a te, ma a Dio, che è mio e tuo Re. — Così fece Pietro con Nerone! E questa la gran regola tracciata dal Principe degli Apostoli e costantemente osservata nella Chiesa e che noi custodiremo fedelmente. Con questa sottommissione a tutti i poteri della terra voi non solo adempirete la volontà di Dio e farete il bene, scriveva S. Pietro, ma imporrete silenzio alla ignoranza di uomini insipienti. „ Con queste parole S. Pietro chiaramente ci fa conoscere le condizioni difficili e dolorose, nelle quali si trovavano i Cristiani, sospettati non solo, ma denunciati pubblicamente come nemici dell’imperatore, sprezzatori delle leggi, pronti alla rivolta. Col vostro rispetto all’imperatore e a tutte le autorità, con la obbedienza alle leggi, voi, diceva S. Pietro, chiuderete la bocca a questi calunniatori che, non conoscendovi, vi rappresentano come ribelli. – Miei cari! Alcun che di simile avviene anche al giorno d’oggi, nella nostra Italia. Certi giornali, certi scrittori, certi uomini ci designano pubblicamente come nemici della patria, come avversi alle sue istituzioni, alla sua libertà, alla sua grandezza, alla sua indipendenza: questa sì atroce accusa cade particolarmente sopra di noi, uomini di Chiesa. Ma seguendo l’esempio dei primi Cristiani e il precetto di S. Pietro, con le opere, col nostro rispetto, colla nostra ubbidienza sincera e costante alle leggi ed alle autorità tutte ci studieremo di mostrare il nostro amore alla patria, e secondo le nostre forze ne procureremo la prosperità e la gloria, perché questo è pure un dovere impostoci da Dio. S. Pietro passa oltre e tocca una verità utile allora, oggi per noi necessaria, e che vorrei fosse da voi tutti debitamente ponderata. Udite: “Diportatevi come liberi, e non pigliando la libertà a mantello di malizia, ma come servi di Dio. „ Voi siete stati redenti da Gesù Cristo, e per Lui avete acquistata la libertà di figli di Dio. Ma che libertà è questa, che Gesù Cristo vi ha data? E la forza di vincere le vostre passioni, di conoscere la verità e rigettare l’errore, di praticare la virtù: Gesù Cristo vi ha chiamati alla libertà del bene, ma non vi ha sottratto ai vostri doveri, non vi ha sciolto dall’obbedienza, che dovete ai principi. Voi a ragione dite: Noi siamo liberi; ma badate bene di non usare della libertà per servire la iniquità, per gettarvi in braccio alle passioni, per coprire la licenza. Oggi la bella e santa parola di libertà per molti vuol dire “mantello di malizia” — “Velamen habentes malitiæ libertatem”.— Vogliono la libertà, ma quale libertà? La libertà di ingiuriare, di calunniare, di opprimere il fratello: la libertà di spargere la discordia: la libertà di scuotere il giogo della autorità paterna e sovrana: la libertà di farsi schiavi della superbia, della gola, dell’avarizia, della lussuria, del peccato. È questa libertà vera, o fratelli? Chiamereste voi libertà quella di potervi strappare gli occhi, di potervi tagliare, le braccia, di potervi togliere la ragione, di potervi gettare in un precipizio? Questo è abuso di libertà, non mai libertà. – Quella è vera libertà, che ci rende padroni di noi stessi, signori delle nostre passioni, che ci affranca dal vizio e dal peccato, che ci fa maggiormente simili a Dio, il quale non può far il male. Allora la nostra libertà è perfetta quando non offendiamo l’altrui, quando adempiamo tutti i nostri doveri, primo dei quali è ubbidire a Dio: Sicut servi Dei. Seguono quattro bellissime esortazioni di Pietro. “Onorate tutti, amate i fratelli, tetemete Dio, riverite il re. „ Il Vangelo fu e sarà sempre il più perfetto codice non solo di morale, ma eziandio di quella che dicesi civiltà ed educazione. Esso vuole che colle parole e colle opere sempre ed in ogni luogo onoriamo sinceramente non pure quelli che per dignità, scienza o per qualsiasi altro titolo ci sono superiori, ma gli eguali ed anche gli inferiori: “Omnes honorate”, prevenendovi gli uni gli altri con quegli atti, che sono segni di stima e di onore, come altrove insegna san Paolo. E onoreremo tutti, se tutti ameremo come fratelli: “Fraternitatem diligite”. Chi ama una persona la onora e vuole che da tutti sia onorata, e l’onore che le rende è sempre in ragione dell’amore. Quei superbissimi e terribili uomini della rivoluzione francese, che scossero tutta Europa e rovesciarono l’ordine antico di cose, scrissero sulla loro bandiera queste tre parole famose: Libertà, eguaglianza, fratellanza. Parole sante bene intese e bene applicate! Quei Titani della rivoluzione avevano l’orgoglio di credere d’aver essi pei primi proclamata la fratellanza universale, ignoravano che diciotto secoli prima S. Pietro aveva scritto: Fraternitatem diligite. — Amate la fratellanza. ” Temete Iddio — Deum timete. „ Temiamo Iddio, perché è infinita maestà e giustizia e non lascia impunita colpa alcuna; temiamo Iddio, non come lo schiavo teme il padrone, ma come il figlio teme il padre suo; il nostro sia timore di offenderlo, un timore misto ad amore. “Riverite il re — Regem honorificate. „ Ripete ciò che disse sopra per mostrare come la cosa gli stia a cuore, e non fa bisogno il dire, che questa riverenza dovuta al capo dello Stato deve manifestarsi nella obbedienza e nella preghiera, che per lui si deve fare, secondo ché S. Paolo comanda nella sua lettera a Timoteo (I. II, 1). – S. Pietro da Dio discende al re e dal re discende ai padroni ed ai servi e, rivolto a questi, dice: “Voi, servi, siate sottomessi, con ogni riverenza, ai padroni, non solo buoni e discreti, ma anche capricciosi. „ Quale insegnamento, o dilettissimi! La condizione dei servi, dirò meglio, degli schiavi, era orribile: potevano essere venduti e barattati come merce; potevano essere maltrattati, percossi ed anche uccisi: la legge non si curava di loro, perché li teneva in conto di proprietà del padrone, che poteva farne quell’uso, che voleva. Voi potete comprendere qual fosse la condizione di questi sventurati, venuti a mano dei padroni pagani, spesso senza cuore. L’apostolo non dice loro: Rivendicatevi a libertà, fate valere la vostra ragione: non avrebbe fatto che rendere più dolorosa la loro sì misera condizione: il Vangelo di Gesù Cristo ha collocato il rimedio dei maggiori mali nel grande segreto della pazienza e della rassegnazione che finisce col vincere e guadagnare gli stessi oppressori. S. Pietro vuole che questi infelici ubbidiscano ai loro padroni, ed ubbidiscano con ogni riverenza, e ubbidiscano ad essi non solo quando sono buoni, discreti, ma anche quando sono puntigliosi, capricciosi, cattivi, perché è questo il miglior modo di scemare i proprii mali e di rendere mansueti e trattabili i padroni. — Servi, dipendenti, che mi ascoltate e che forse talvolta trovate i vostri padroni difficili, duri, indiscreti, esigenti, capricciosi, ingiusti, ricordate le parole di san Pietro e fatene regola della vostra condotta. Il più terribile problema che si affacci alla mente dell’uomo, è questo: vedere la virtù avvilita, tribolata, oppressa, e la malvagità onorata, felice, trionfante. Se non ci fosse la fede, che ci mostra al di là della tomba la giustizia, che infallibilmente sarà fatta, sarebbe da disperare, da maledire la virtù, e ripetere col fiero Romano : “O virtù, tu non sei che un sogno. „ Ma la fede fa scendere dall’alto un raggio della sua luce e ci assicura che Dio un giorno renderà a ciascuno secondo le opere sue, e la ragione si calma, il cuore respira ed il problema è sciolto. Ecco ciò che insegna S. Pietro in quest’ultimo versetto: “Questo è cosa grata, se alcuno per coscienza innanzi a Dio sostiene molestie, soffrendo ingiustamente. „ – Sì, o cari, è un favore del cielo, è una gloria per noi soffrire molestie, dolori e persecuzioni ingiuste per amore di Dio, perché queste saranno il seme che ci frutterà la gioia eterna del cielo!

Alleluja

Allelúja, allelúja. Ps CX: 9 Redemptiónem misit Dóminus pópulo suo:alleluja. [Il Signore mandò la redenzione al suo pòpolo. Allelúia.]

Luc XXIV:46 Oportebat pati Christum, et resúrgere a mórtuis: et ita intráre in glóriam suam. Allelúja. [Bisognava che Cristo soffrisse e risorgesse dalla morte, ed entrasse così nella sua gloria. Allelúia.]

Evangelium

Joannes XVI:16: 22

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Módicum, et jam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis ejus ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me, et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo: Quid est hoc, quod dicit: Modicum? nescímus, quid lóquitur. Cognóvit autem Jesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quaeritis inter vos, quia dixi: Modicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora ejus: cum autem pepérerit púerum, jam non méminit pressúræ propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos igitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.” [In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre. Dissero perciò tra loro alcuni dei suoi discepoli: Che significa ciò che dice: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre? Cos’è questo poco di cui parla? Non comprendiamo quel che dice. E conobbe Gesù che volevano interrogarlo, e disse loro: Vi chiedete tra voi perché abbia detto: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete, laddove il mondo godrà, sarete oppressi dalla tristezza, ma questa si muterà in gioia. La donna, allorché partorisce, è triste perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno, a motivo della gioia perché è nato al mondo un uomo. Anche voi siete adesso nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà, e nessuno vi toglierà il vostro gàudio.]

Omelia

[Idem ut supra, Omel. XX]

Gesù disse queste parole in un momento solenne, poche ore prima di cominciare la sua passione, e fanno parte di quel sublime discorso che tenne ai suoi cari dopo la Cena. Allorché si pensa che Gesù vedeva con tutta chiarezza e sicurezza gli inenarrabili dolori e la morte crudelissima e vituperosa che doveva soffrire il giorno appresso: allorché si pensa alle trepidazioni, alle angosce del suo cuore in quella sera fatale, e si legge quel discorso ammirabile, in cui apre l’animo suo ai suoi cari discepoli, li conforta, li consola, li ammaestra, dimenticando se stesso: allorché si considera la calma, la pace, la serenità, la tenerezza del suo linguaggio, la sublimità e la semplicità delle cose che dice, è forza esclamare: Gesù non è un uomo, perché un uomo in quelle terribili distrette non poteva parlare a quel modo: Gesù è Dio! Con profonda venerazione e viva fede raccogliamo le sue parole e meditiamole con amore. Il discorso di Gesù, che dicesi dell’ultima Cena, è riferito dal solo S. Giovanni, e comincia subito dopo la partenza di Giuda, dal capo XIII, vers. 31, e continua tutto il capo X. Alla fine del capo XIV Gesù dice: “Levatevi, andiamocene di qui. „ Allora egli con gli Apostoli uscì dal cenacolo e mosse verso il Getsemani, continuando il discorso che si legge nei capi XV, XVI e XVII, che fu certamente tenuto per via. Il perché anche le parole che ora siamo per ispiegare, da Gesù furono dette nel tratto di via che fece dal cenacolo all’orto del Getsemani. “Ancora un poco, diceva Gesù ai discepoli, con voce piena d’affetto, ancora un poco, e più non mi vedrete, e di nuovo, ancora un poco, e mi vedrete, perché me ne vo al Padre.„ – Non mi fermo a spiegare queste parole, perché tosto le udremo spiegate da Gesù Cristo stesso. Il pensiero di Gesù era fisso naturalmente su due punti capitali, l’imminente sua dipartita e la prova terribile a cui andavano incontro i suoi cari Apostoli, e non poteva essere altrimenti. Della sua imminente dipartita più volte fa cenno nel discorso, ma si direbbe che si studia di temperarne l’orrore per non sgomentare soverchiamente i timidi discepoli: ne parla, ma quasi velatamente e certo in modo meno particolareggiato, che non avesse fatto alcuni mesi prima, come in questo luogo: “Ancora un poco, e non mi vedrete più, ed ancora un poco, e mi vedrete. „ Udendo queste parole, che indicavano la prossima sua morte e risurrezione, come già tante volte, gli Apostoli non ne potevano afferrare il senso, che pure era abbastanza manifesto, massime se le avessero raffrontate alle altre ripetutamente da Lui udite. Che fecero, che dissero alcuni tra di loro? Quello che sogliono fare gli scolari d’un buon maestro, che sia altamente rispettato, allorché insegna cose ch’essi non capiscono. Si guardano gli uni gli altri e a bassa voce si domandano a vicenda: “Che vuol dire questo? Come si intende ciò che il maestro insegna?” – Essi non osano per riverenza interrogarlo direttamente, ma non possono dissimulare il desiderio di udire una spiegazione più chiara, che li appaghi, e la sperano dal buon maestro. Il somigliante avveniva intorno al divino Maestro. Alcuni de’ suoi discepoli (il Vangelo ne tacque il nome), camminando a fianco o dietro a Lui, bisbigliavano rispettosamente tra loro, e dicevano: “Che è mai questo che il Maestro dice: Anche un poco, e più non mi vedrete, ed anche un poco, e mi vedrete, perché me ne vado al Padre? Che è mai questo: Un poco? Non sappiamo che cosa egli voglia dire. „ Quanto candore in questa narrazione di S. Giovanni! Come apparisce la schiettezza degli Apostoli, il loro rispetto dinanzi al Maestro ed insieme la figliale confidenza che avevano in Lui, e la bontà e dignità tutta paterna ch’Egli aveva con loro! Figliuoli carissimi! allorché nella vostra mente spuntano dubbi angosciosi intorno alla fede e non sapete scioglierli, non potreste imitare gli Apostoli e chiedere a chi può dissiparli una parola di luce, un consiglio? È ciò che fanno i figli coi genitori, i discepoli col maestro. E ciò che timidamente fecero gli Apostoli con Gesù e Gesù spiegò loro la cosa. Gesù certo non aveva bisogno che le parole degli Apostoli giungessero a Lui per conoscere ciò che passava nell’animo loro, ma, come più e più volte vi dissi, Egli era uomo e in ogni cosa si acconciava a fare e parlare come uomo. E perciò, udite quelle parole degli Apostoli, come se da esse avesse appreso il bisogno che avevano d’uno schiarimento, senza una parola di meraviglia o di rimprovero, con tutta benignità ed amorevolezza, compatendo la loro ignoranza, si volse verso di essi e disse: “Voi state cercando tra di voi di ciò che ho detto: Ancora un poco, e non mi vedrete, e di nuovo un poco, e mi vedrete. „ – Eppure la cosa è facilissima ad intendersi, e l’amabile Maestro la spiega tosto, dicendo: “In verità, in verità vi dico: Voi gemerete e piangerete; il mondo godrà e voi vi rattristerete, ma la tristizia vostra si cangerà in gioia. „ Evidentemente in questi due periodi si dà la spiegazione dei due periodi della domanda fatta dagli Apostoli. “Ancora un poco, e non mi vedrete più, „ risponde alle parole: “Voi piangerete e gemerete. „ E perché? Ancora poche ore, ed Io dopo dolori senza nome morrò sulla croce e sarò calato nel sepolcro: Io sarò tolto di mezzo a voi e il vostro dolore avrà la misura nell’amore, che avete per me: voi piangerete, gemerete, sarete oppressi dalla desolazione più profonda, come figli amorosi, ai quali è rapito improvvisamente il padre. “Ma ancora un poco, e mi vedrete; „ queste altre parole trovano il loro riscontro nelle seguenti: “E la vostra tristezza si cangerà in gioia. „ Dopo poche ore Io risusciterò pieno di vita immortale, mi mostrerò a voi nella mia gloria, e il vostro dolore cesserà e si cangerà in gioia ineffabile. In altri termini Gesù volle dire: “Tra breve morrò, e voi sarete immersi nel più cocente dolore; ma poco dopo risorgerò, vi rivedrò, e grandissima sarà la vostra gioia”. In queste parole di Gesù Cristo due cose mi sembrano degne di osservazione. Primieramente Gesù Cristo non pronuncia mai la parola morte e l’altra relativa risurrezione, che senza dubbio erano più chiare. Per qual ragione? La parola morte, benché temperata dall’altra risurrezione, era troppo crudele ferita al cuore degli Apostoli, già ricolmi di tristezza, e perciò non la pronuncia ed usa una specie di circonlocuzione per raddolcire il dolore che doveva arrecare. Gesù fece con gli Apostoli come facciamo noi allorché dobbiamo annunziare a persone amate una grande sventura: non la diciamo di netto, apertamente: crederemmo, così facendo, d’essere indelicati e peggio, ma diciamo l’equivalente con un giro di parole che facciano sentire men viva la punta del dolore. Quanta delicatezza in questa condotta di Gesù coi suoi Apostoli! Quanta tenerezza! Che squisita bontà usa con loro! Imitiamolo nei nostri rapporti con tutti i fratelli nostri e più con i poveri, con gli ignoranti, perché più ne abbisognano. In secondo luogo Gesù Cristo, in queste parole e in tutto questo stupendo discorso dell’ultima Cena, non parla mai dei dolori che trafiggevano il suo cuore, delle agonie che gli sovrastavano, del calice amarissimo a cui era per accostare le labbra: Egli dissimula le sue ansie, i suoi affanni, che già dovevano premere sul suo cuore: non pensa a sé, non parla di sé, ma pensa ai suoi cari, ed ogni sua parola è volta a confortarli, a prepararli alla durissima ed imminente prova. Quale grandezza d’animo! Quale generosità di cuore! Quanta differenza tra noi e Lui! Noi, allorché siamo colti dal dolore, percossi da qualche sventura, non pensiamo che a noi stessi, non parliamo che dei nostri dolori, vogliamo che tutti se ne interessino e ci lagniamo se altri non se ne occupano e non ci compatiscono. Gesù non parla dei suoi dolori, dell’imminente sua passione e morte sì crudele e non si occupa che dei suoi cari e li conforta con una tenerezza veramente divina. Gesù Cristo rischiara il suo pensiero con una similitudine efficacissima: “Allorché la donna dà alla luce, soffre, perché è venuta l’ora sua: ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’ambascia, per la gioia che è nato un uomo al mondo. „ La similitudine non abbisogna di spiegazione: è facile immaginare come il dolore della madre si muti in vivissima gioia allorché vede, stringe tra le braccia e copre di baci il frutto del suo seno: essa più non ricorda i suoi dolori e le sue angosce e si bea e si allieta della vista del suo bambino. Similmente, dice Gesù Cristo agli Apostoli, avverrà a voi fra poco. Vedendo la mia morte, voi soffrirete dolore acerbissimo, ma sarà breve; come quello della madre che dà alla luce. Rivedendomi risorto, voi vi rallegrerete e gioirete, come si rallegra la madre, vagheggiando il suo nato. Allora la vostra gioia non vi potrà essere tolta da chicchessia. – Considerando queste parole, parrebbe quasi che nostro Signore non intenda significare la gioia degli Apostoli per la sua risurrezione e per le sue apparizioni, ma sì quella eterna del cielo, giacche dice: “Nessuno vi toglierà la vostra gioia. „ Ma la risposta è piana e chiarissima, quando si rifletta, che la prima gioia non si può separare dalla seconda, anzi è la radice della seconda. Allorché gli Apostoli videro risorto Gesù Cristo, conobbero ch’Egli era veramente il Figlio di Dio e l’aspettato Salvatore del mondo; essi da quel giorno credettero in Lui fermamente e lo amarono con tutto l’ardore dell’anima; essi poterono soffrire e soffrirono ogni maniera di dolori d’una morte crudele, ma in mezzo a quei dolori ed alle agonie più strazianti la certezza del premio li avvalorava, la speranza incrollabile di essere ricongiunti a Gesù che li aveva preceduti, li inebriava di gioia, tantoché S. Paolo diceva di sovrabbondare di consolazione in mezzo alle sue tribolazioni, e gli Apostoli si rallegravano d’essere fatti degni di patire per Cristo. Il giubilo pertanto degli Apostoli, che cominciò con la risurrezione di Cristo, dura in qualche senso tutta la loro vita e si compie in cielo, e d’esso Gesù Cristo poteva dire con tutta ragione: “Nessuno ve lo toglierà più mai. „ –  Qui ancora, o dilettissimi, si ribadisce quella grande dottrina che troviamo ad ogni pagina dei Libri santi, che è il nostro sostegno e nostro conforto nelle prove della vita e che risponde a meraviglia ai bisogni del nostro cuore; la dottrina è questa, che al nostro patire quaggiù è riserbato un godere eterno, ed alla virtù tribolata sulla terra Iddio prepara la corona in cielo. – Vi furono e vi sono uomini e talora forniti d’ingegno e di dottrina non comune, i quali affermano essere dovere fuggire il vizio e praticare la virtù, e nello stesso tempo osano insegnare che tutto finisce con la presente vita, che il cimitero è l’ultimo nostro termine. Se a codesti uomini voi domandate: “Qual premio dunque darete voi alla virtù se, dopo questa sì misera, non v’è un’altra vita?” Essi rispondono: “La virtù è premio a se stessa: il dovere vuolsi adempire per se stesso senza por mente al premio: una virtù, che si esercita in vista d’una ricompensa, è una virtù interessata, perde ogni pregio e non merita il nome di virtù” [Era questa la dottrina degli Stoici, che dicevano doversi praticare la virtù perché è il nostro dovere e perché essa con le sue gioie interne è ricompensa più che sufficiente. Tutta la scuola di materialità, che vorrebbe salvare una larva di virtù, ripete la stessa cosa al giorno d’oggi. È gente che non conosce il cuore dell’uomo e vuole ingannare se stessa. Non nego che talvolta la virtù apporti gioie interne soavissime: ma sempre? No. Ma durano molto? Pochi istanti. Ma contrappesano i sacrifici? No. Ma tutti ne sono capaci? Pochissimi. Ci vuol altro per ottenere i sacrifici della virtù!]. Ma allora, o dilettissimi, bisogna pigliare tutti i nostri Libri santi e lacerarli pagina per pagina, perché costantemente promettono all’uomo virtuoso la mercede nell’altra vita; e non solo bisogna rigettare l’insegnamento del Vangelo, che dice: “Rallegratevi, che la vostra ricompensa è grande in cielo, e nessuno più mai toglierà a voi il vostro gaudio: „ ma è necessario rinnegare tutte le tradizioni dei popoli, anche fuori della nostra religione, perché anch’essi, tutti, senza eccezione, e in tutti i tempi ammisero e professarono l’esistenza d’un’altra vita, dove il delitto è punito e debitamente retribuita la virtù. E poi, possiamo noi andare a ritroso della natura e rigettare e calpestare i suoi dettami più evidenti? Dite al contadino: Ora semina il tuo campo, pota e coltiva la tua vigna, ma bada di non pensare nemmeno alla messe: alla vendemmia. Dite all’operaio: Lavora nella tua officina, ma senza curarti della mercede. Dite al negoziante: Viaggia attraverso ai mari, logora la tua salute, ma l’idea del guadagno non deve essere il tuo fine. E costoro vorrebbero, che noi giorno e notte lavorassimo il campo dell’anima nostra, ne estirpassimo le male erbe, vi gettassimo il seme delle virtù, combattessimo contro le nostre perverse passioni, crocifiggessimo la nostra carne, lottassimo senza posa contro i nostri nemici, battessimo la via della virtù, seminata di spine e di bronchi, senza la speranza della mercede? — La virtù deve essere disinteressata! Buon Dio! possiamo noi dimenticare noi stessi? Noi siamo fatti per essere felici: il desiderio, il bisogno irresistibile della felicità ci segue da per tutto, ci incalza, non ci dà tregua un solo istante, è posto qui, in fondo al mio cuore, è il peso dell’anima mia: questo desiderio deve essere appagato, questo bisogno deve essere soddisfatto, e se non lo è col premio della virtù, in qual altro modo lo potrebbe mai essere? Io devo amare i miei fratelli, e perché li amo devo procurare loro quel bene che per me è possibile. Se devo amare i miei fratelli e procurare loro il bene per me possibile, perché non amerò prima me stesso? Non sono io uomo? Non sono io a me stesso più che fratello? Perché dunque non procurerò a me stesso il bene che posso? Perché della virtù, che mi costa tanti e sì amari sacrifici, non dovrò attendere la ricompensa? Lavorare, sudare, soffrire: ecco la virtù: e la virtù dovrebbe essere premio a se stessa? Allora il dolore: bel premio per fermo, bella ricompensa sarebbe la sua! Ah! Dio conosce bene il cuore umano: sa che per fuggire il vizio e praticare la virtù, ha bisogno del freno del castigo e dell’incoraggiamento del premio: perciò gli mette innanzi la carcere eterna da una parte, il cielo dall’altra, il possesso di se medesimo, una felicità immortale. Senza il timore della pena e la speranza della gioia, entrambe eterne, chi mai fuggirebbe il peccato, e correrebbe il sentiero sì aspro della virtù? Nessuno, io credo, perché nessuno vorrebbe soffrire senza speranza della mercede, nessuno vorrebbe patire tutta la vita sulla terra per nulla. Figliuoli! fissiamo gli occhi in quel gaudio che nessuna forza ci potrà mai rapire, e portiamo la croce inseparabile dall’esercizio della virtù.

Credo…

Offertorium

Orémus

Ps CXLV:2 Lauda, anima mea, Dóminum: laudábo Dóminum in vita mea: psallam Deo meo, quámdiu ero, allelúja. [Loda, ànima mia, il Signore: loderò il Signore per tutta la vita, inneggerò al mio Dio finché vivrò, allelúia.]

Secreta

His nobis, Dómine, mystériis conferátur, quo, terréna desidéria mitigántes, discámus amáre coeléstia. [In virtú di questi misteri, concédici, o Signore, la grazia con la quale, mitigando i desiderii terreni, impariamo ad amare i beni celesti.]

Communio

Joannes XVI:16 Módicum, et non vidébitis me, allelúja: íterum módicum, et vidébitis me, quia vado ad Patrem, allelúja, allelúja. [Ancora un poco e non mi vedrete più, allelúia: ancora un poco e mi vedrete, perché vado al Padre, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Sacramenta quæ súmpsimus, quæsumus, Dómine: et spirituálibus nos instáurent aliméntis, et corporálibus tueántur auxíliis. [Fai, Te ne preghiamo, o Signore, che i sacramenti che abbiamo ricevuto ci ristòrino di spirituale alimento e ci siano di tutela per il corpo.]

IL PURGATORIO

IL PURGATORIO.

[G. Dalla Vecchia: Albe Primaverili; G. Galla ed. Vicenza. 1911 – impr.]

* Et exiens vidit turbarti multarti, et misertus est eis..

Ed uscito (di barca) vide una gran turba, e si mosse a compassione di loro.

(Matt. XIV, 14)

ESORDIO. — Dio, infinitamente giusto, riserva agli eletti, ai santi il Paradiso; ai peccatori ostinati 1’Inferno. In cielo non può entrare la minima macchia. Ed allora chi muore in peccato veniale, o senza avere espiato interamente i suoi falli, andrà per sempre dannato? — No, no: questo ripugna alla giustizia e bontà di Dio. — Vi deve essere un luogo, dove l’anima si purga dei piccoli falli, dove sconta il suo debito colla divina Giustizia. Un luogo, dove vi sia il dolore, lo strazio, ma dove ancora sorrida la speranza di raggiungere il sommo Bene… Questo luogo esiste; è il Purgatorio… E nel purgatorio vi è una folla immensa di anime in gemiti, in pianto …. Che faremo? – Gesù, un giorno, uscito dalla barca, trova nel deserto una folla immensa, che lo aveva seguito… Erano migliaia di persone stanche, affamate. Il suo cuore si commuove; con uno strepitoso miracolo sazia i poverini moltiplicando pochi pani e pochi pesci. Et exiens vidit turbavi multam, et misertus est eis.

— Così voi: lasciate per un istante i pensieri terreni…, contemplate quella folla di anime gementi nel fuoco dell’espiazione… ; muovetevi a pietà… La natura, la religione, il vostro interesse, vi dicono di venire in loro aiuto…, di moltiplicare le vostre opere buone…, per distribuirle in loro sollievo…

I – LA NATURA

Il dolore è sacro; chi disprezza un infelice è vile… ; naturale è il bisogno di sollevare chi soffre…

(a) Le anime purganti sono belle della grazia santificante…; e si trovano in mezzo alle fiamme. — Terribili …, strazianti…. per nulla differenti, in ardore, da quelle dell’Inferno… Eodem igne torquetur damnatus et cruciatur electus (S. Agost). — La Scrittura lo chiama spirito di ardore.

— L’orefice purga i gioielli col fuoco…, così Dio quelle anime.

Tomaso scrive: La pena più piccola del purgatorio è molto più grande di tutti i dolori della terra. — S. Agostino: Il fuoco del Purgatorio è molto più doloroso di tutte le pene che puoi vedere, provare, immaginare qui sulla terra… E S. Basilio: Tutti i tormenti di questa vita confrontati colle pene del Purgatorio sono un sollievo, un gaudio. Omnia tormenta huius vitæ comparata pœnis Purgatorii sunt solatia. L’unica differenza fra l’Inferno ed il Purgatorio è questa: Il Purgatorio finisce, e vi regna la rassegnazione: nell’inferno il pianto è disperato ed eterno (Tertulliano).

(b) Vedi un infelice impotente ad aiutarsi… Il cuore t’intima: aiutalo. Le anime purganti soffrono, sospirano, amano…, ma non possono accorciare le loro pene… ; con la morte termina il tempo di meritare… L’ora della liberazione è fissata da Dio…, ed a Lui solo è nota. Ma a voi spetta di aiutarle… ; e le meschine vi stendono le braccia…, chiedono pietà… Miseremini mei!… saltem vos, amici mei. (Iob.). — Ricuserete ? Eppure anche voi vi troverete in quelle fiamme… ; chiamerete i vostri cari a tergere le vostre lagrime infuocate… Quello, che desidererete un dì per voi, fatelo adesso alle misere penanti…

(c) Ma fra quelle anime vi sono persone a te care… ; i loro nomi, come dolci al tuo labbro!… La natura ti grida: aiutale! La mamma tua, vero angelo di amore, pianse, patì, per te… Gemeva sul letto di morte… e tu, in singulto, le promettevi: Non ti obblierò giammai… Mantieni la parola; prega per lei.

Guarda: In quelle fiamme soffre l’anima del tuo fratello, o giovanetta; arde il tuo figlio, o donna… Lo amavi, vivevi per lui … e ne eri ricambiata di affetto… Stretto al tuo collo, nell’estremo anelito ti diceva: Non ti scordar di me… — L’amore ti dice: aiutalo!

— Padre di famiglia! la tua sposa divideva con te il pane, il lavoro, il sorriso ed il pianto, le gioie, la croce, la vita; e fra le tue braccia la rapiva la morte… Di lagrime inondasti il suo avello… Non la obbliare.

— Laggiù gemono benefattori, amici, parenti… Forse soffrono anche per averti troppo amato qui sulla terra. — Tu godi i loro campi, le loro case, i loro beni… Ma la natura esige riconoscenza… Toglili alla loro amarezza…, frangi le loro catene, apri ad essi le porte del cielo…

— Dimenticare i defunti è un oblio straziante, giacché i poveri morti gemono sperando il nostro soccorso. —

In amaritudinibus moratur anima mea (Iob.).

II – LA RELIGIONE.

La Religione di Cristo santifica gli affetti del cuore ;: ed i n modo particolare l’affetto ai poveri morti…

(a) Ella ti accompagna coi sacramenti, colle sue preci, fino all’estremo respiro… Forse ti abbandona estinto? — Innanzi alla tua salma prega gli Angeli ed i Santi ad accorrere per introdurti nell’eterno riposo… Subvenite sancii Dei ; occurrite angeli Domini. Conduce il tuo cadavere al tempio, lo incensa…, lo asperge con l’acqua benedetta… Ti accompagna salmeggiando alla fossa, e ti depone all’ombra della Croce… su cui è scritto: Ego sum resurrectio et vita (Ioan.).

— Per i defunti ella recita un apposito ufficio, dove trovi un’elegia di preci affettuose… Sette volte al dì i sacerdoti inneggiano al Signore e sempre la loro prece si chiude invocando pace agli estinti… Et fidelium animœ per miserieordia, in Dei requiescant in pace.

— Nel santo Sacrificio…, dopo l’elevazione…, il sacerdote nel mistico silenzio di quei momenti santi ricorda le anime benedette del Purgatorio, e supplica Gesù a concedere loro refrigerio, luce e pace… Locum refrigera, lucis, et pacis ut indulgeas deprecamur.

— Per gli estinti un giorno, anzi un mese speciale di preghiere…; indulgenze, altari privilegiati, privilegi particolari ai generosi, che con l’Atto eroico cedono ai defunti i meriti delle loro opere buone. In breve la Chiesa ripete ai viventi: Figli miei, io vi amo; ma altri miei figli gemono espiando i loro falli» Deh! aiutatemi a liberarli dal loro patire: pregate con me: Requiem æternam dona eis, Domine,

(b) La pena maggiore delle anime purganti è la pena del danno, cioè la lontananza da Dio… ; e la Religione ti eccita a congiungere queste orfanello al loro Padre celeste. L’anima purgante è sposa, è figlia di Dio; ella lo ama, si sente attratta a Lui, e per i suoi falli, non ancora espiati, deve rimanere lontana da quel Dio, che è l’unico sospiro dei suoi palpiti infuocati… Sitivit anima mea ad Deum… E va gemendo: Quando mai potrò giungere a vedere la sua faccia divina ? Quando veniam et apparebo ante faciem Dei ? (Salmo XLI). — Protesta di essere pronta a qualunque sacrificio, pure di slanciarsi fra le braccia del suo Signore… Ma finché non sarà suonata l’ora prefissa, non saranno appagati i suoi voti ardenti. Quoniam, si voluisses, sacrificium dedissem utique. (Salmo L).

— Infelice l’esule…, il prigioniero…, la bimba orfanella!… Ma tutto è nulla al confronto, di quello, che soffre l’anima purgante per la lontananza dall’ amplesso di Dio!… — Vorrebbe slanciarsi a Lui,, ma, vedendo (S. Bonav.) di non essere ancora del tutto bella e pura, rassegnata soffre 1’indicibile martirio; si uniforma piamente alle giuste disposizioni del Signore… Sarebbe ben contenta di soffrire ancora più, se tale fosse su lei il volere di Dio…

(c) La Religione infine t’insegna di amare Dio; quindi di appagare i suoi desideri. — Dio ama tutti…, ma specialmente i suoi eletti. Ora, della schiera fulgente degli eletti sono le anime purganti. Hanno la veste dalla grazia, sebbene offuscata da qualche macchia… Questa veste le rende figlie e spose di Dio… Egli desidera di stringerle tra i suoi amplessi di gioia… ; ma la sua giustizia trionfa dopo la morta: devono purgarsi… Non exies inde, donec reddas novissum quadrantem. (Matt. V).

— O tormenti della divina Misericordia! esclama san Gregorio Magno; O tormenta Misericordiæ.

— Vorrebbe il buon Dio, quale padre affettuoso, rendere interamente ed all’istante beate queste anime, che pure lo hanno amato, e per lui hanno faticato e sofferto lungo la vita… Ma la sua infinita santità non può tollerare in cielo ombra veruna; la sua giustizia esige che siano riparati completamente i debiti contratti anche con le colpe veniali… Per questo, in certo modo, è costretto a tenerle tra le fiamme e gli strazi del Purgatorio. Cruciat et amat! amat et cruciat (Idem). – Ebbene, vi dice la Religione, correte, volate in aiuto di Dio; aiutatelo ad appagare i suoi aneliti… Coi vostri suffragi potete prendere colle vostre mani quelle figlie, quelle spose di Dio, per consegnarle ai suoi amplessi divini… Egli ve lo chiede: Date illi vos manducare (Matt. XIV, 16); fate voi, colle vostre opere buone, che queste poverine affamate di me, loro Dio, possano saziare le loro brame ardenti… Vi promette grandi ricompense… Beati i misericordiosi, che troveranno misericordia…. — Oh! nulla si può negare ad un Dio che tanto ci ama… Quoniam Dominus retribuens est (Eccli. XXXV).

III- IL VOSTRO INTERESSE.

Nel Vangelo (S. Matt. X, 42) sta scritto, che neppure un bicchiere di acqua, dato ad un poverello, rimarrà senza premio. Quale dunque sarà la ricompensa per le opere di carità verso i defunti? Tre sono specialmente i premi per i generosi nel suffragare le anime penanti.

1° – Rimedio pel passato. — Guarda la tua vita seminata di colpe… ; tanti anni perduti… ; immensi debiti da pagare al tuo Signore… ; hai rubato forse al buon Dio 1’anima tua… Ebbene colla preghiera, con l’elemosina, col le opere buone, scendi in quel carcere di fuoco…, prendi un’anima penante…, paga il suo debito alla divina Giustizia…, la metti nelle braccia del Padre celeste… Ed i tuoi debiti sono rimessi, ed hai salvato l’ anima tua. Animam salvasti; animam tuam prædestinasti. (S. Agost.).

2° – Soccorso per il presente. — Le anime purganti sentono viva la riconoscenza. Benefac iusto, et reddet retributionem magnam. (Eccli. XII). Nulla possono per sé, ma molto per noi; che le preci del giusto gemente sono potenti presso il cuore di Dio.

— Pregheranno per te; terranno lontane le disgrazie dalla tua casa; voleranno in tuo aiuto nella tentazione, nei cimenti… — S. Geltrude afferma, che mai le fu ricusata una grazia, chiesta per intercessione delle anime del Purgatorio…

3° – Sicurezza per l’avvenire. — Gionata, dopo avere sconfitto i Filistei, ignorando la proibizione del padre, arso di sete gusta una stilla di miele. — Saul viene a saperlo, e lo condanna a morte. Ma tutto il popolo insorge, intercede per lui, e lo salva… Liberavit… populous Jonatham, ut non moreretur. (I Reg. IV.). – Comparirai tu pure, timido e tremante, innanzi al Giudice dei vivi e dei morti… Ma là, in quell’istante tremendo, ti vedrai circondato da tutte le anime, che con i tuoi suffragi hai liberato dal Purgatorio… E, Signore, diranno, non lo condannare; egli fu generoso con noi, il tuo popolo eletto, gli perdona, lo salva; qui fecit salutem hanc magnam in Israel (Ibi.). — Esse ecciteranno i viventi a pregare per te, perché si abbrevi il tempo della tua espiazione…, e felici t’introdurranno nella gloria immortale…

CHIUSA. — S. Vincenzo De’ Paoli vuole fondare un asilo per i bambini poveri. — Aduna le ricche dame di Parigi ed espone loro il pietoso pensiero. Esse si dicono dolenti di non poterlo assecondare, trovandosi già impegnate in innumerevoli opere di carità… Il Santo allora fa venire un bambino orfanello, smunto, lacero… ; e tutto infuocato: « Io lo affido a voi questo povero bimbo, e con lui tanti suoi compagni; abbandonateli adesso, se potete..» Ed io pure vi dico: Laggiù, nel Purgatorio, vi è una folla sterminata di anime infelici, affamate di Dio. Esse vi vedono, vi sentono, vi sono d’intorno, vi stendono supplici le mani… No, no; non le abbandonate. La natura, la religione, il vostro interesse, vi eccitano a volare in loro soccorso. — Con le preghiere, elemosine, col santo Sacrifìcio, con le comunioni, calde indulgenze, tergete le loro lagrime, frangete le loro catene, liberatele da quelle fiamme, le conducete all’amplesso, al bacio dello Sposo, del Padre celeste… Voi benedetti ! che vi attende una ricompensa generosa, immensa, la ricompensa di un Dio. Quoniam Dominus retribuens est. (Eccli. XXXV).

 

 

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (IV)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO III

DI DIO CREATORE.

  • I.

Della creazione del Mondo in generale.

Qual è il significato della parola creare?

Creare vuol dire cavare dal nulla, perciò quando si dice che Dio ha creato il Mondo, vuol dire che Dio con la sua Onnipotenza ha cavato il Mondo dal nulla. Differisce il creare dal fabbricare, perché nella fabbrica si adoprano dei materiali già esistenti, nella creazione invece si dà l’esistenza alle cose.

Quale fine Iddio si ha prefisso nella Creazione del Mondo?

Due fini si ha prefisso Iddio nella Creazione del Mondo, uno primario, e l’altro secondario: il primario è la manifestazione delle sue perfezioni; il secondario è la felicità delle creature intellettuali, uomini ed Angeli.

Dunque le creature manifestano le infinite perfezioni di Dio?

Le manifestano come è cosa evidente, perché dalle creature si conosce il Creatore, la sua Onnipotenza, la sua Sapienza ecc.; le manifestano però in un grado limitato, perché le creature essendo circoscritte e finite non possono manifestare in tutta la loro reale estensione le infinite perfezioni di Dio. Si noti perciò che Dio avrebbe potuto creare un mondo che in se stesso considerato fosse più perfetto di quello che ha creato, che cioè manifestasse in un grado più sublime le Divine Perfezioni; che per altro questo Mondo è nel suo genere perfetto, manifestando nel miglior modo le perfezioni divine in quel grado che all’Infinita Sapienza di Dio è piaciuto di manifestarle. – La Sapienza di Dio esige che Egli scelga per il conseguimento di un fine il mezzo più atto, e la sua Onnipotenza che possa fare sempre più di quello che ha fatto ( Perr. De Deo, p. 1, c. 2, prop. 3).

Dio ottiene il fine primario, cioè la manifestazione delle sue perfezioni infinite in quel grado determinato che si ha prefisso; ma non ottiene il secondario, perché molte creature intellettuali non sono felici, gli uomini in questa terra, i dannati e i demoni nell’Inferno.

Dio ha dato alle creature intellettuali i mezzi necessari alla loro felicità, e perciò da parte sua ha ottenuto il suo fine, che era condizionato, cioè quello di rendere felici quelle creature intellettuali che avessero voluto esser felici, servendosi bene della loro libertà. Se molte tra quelle creature non sono felici, è perché abusandosi della propria libertà, ricusarono la felicità proposta, e si fecero per loro colpa infelici. Quando fo limosina, il mio fine è di sollevare la miseria del mio prossimo indigente, e da parte mia ottengo il mio fine, che è condizionato, di sollevarlo, se vuol essere sollevato: è colpa del povero se egli, abusandosi della libertà di servirsi della limosina, la getta via e non resta sollevato.

  • II.

Degli Angeli,

Come si definiscono gli Angeli?

Sostanze create, spirituali, complete e intellettuali. – Si dicono sostanze create, perché furono cavati dal nulla nella creazione del Mondo. Spirituali, perché non hanno corpo nemmeno sottilissimo di aria o di luce, come pensarono alcuni antichi; adesso nessun Cattolico ne dubita essendosi espresso chiaramente il Concilio IV Lateranese a favore della totale spiritualità degli Angeli (Terrone, tom. 3 de Angelis). Complete, perché differiscono dall’anima umana in quanto che ella è ordinata a formare un tutto, cioè la persona dell’uomo unita col corpo. Intellettuali, perché hanno una gran forza, e finezza d’intendimento, sicché sono anche semplicemente appellate Intelligenze.

Che significa il nome di Angelo?

Angelo vuol dir nunzio; perciò il nome di Angeli si dà alle intelligenze celesti non come nome proprio della loro natura, ma come nome proprio dal loro ufficio (S. Greg. Hom. 84 in Evang.), quando sono mandati da Dio a fare qualche ambasciata, e dar qualche avviso.

È articolo di fede che esistano gli Angeli?

Senza dubbio, come consta da mille luoghi e la divina Scrittura, e dal capo Firmiter del IV Concil. Lateranese

— La natura degli Angeli è superiore alla natura umana?

È superiore, e ne consta dalla Scrittura e dai SS. Padri (Antoin. Tract. de. Angelis, c. 1, 3).

Gli Angeli conoscono i pensieri e i segreti del nostro spirito?

Li conoscono per congettura da certi segni ed indizi che se ne danno anche senza riflettervi; però in tal modo non ne hanno una cognizione certa. Ne hanno una cognizione certa quando noi vogliamo che conoscano tali pensieri e segreti, e quando Iddio per li suoi fini li rivela ai medesimi, anche noi non volendo (Antoin. ut sup. cap. 2, art. 1).

Come si può asserire che gli Angeli non abbiano corpo, mentre sono comparsi tante volte visibili?

In quelle circostanze si adattavano un corpo che non era loro proprio; lo prendevano all’uopo, e poi subito lo dimettevano, tosto che avevano eseguito le incombenze per cui Dio li mandava a contrattare con gli uomini.

Gli Angeli hanno potere sopra le cose materiali?

Vi hanno un potere maggiore di quello che vi hanno gli uomini, e con la loro finissima intelligenza e vigore producono anche nelle cose materiali effetti mirabili, ai quali nessun uomo potrebbe riuscire (Antoin. ut sup. art. 3). Possono muovere i venti, le tempeste, produrre terremoti e pestilenze, risanare malattie umanamente incurabili.

Tutte queste cose non si deve credere che provengano immediatamente dalle forze della natura? come insegnano i filosofi?

Noi non diremo che ogni vento che spira, ogni tempesta che infierisce, ogni pestilenza che fa strage ecc. venga immediatamente dall’azione di qualche Angelo, ordinariamente avvengono simili cose per immediato concorso delle cause naturali, governate da Dio come si disse (nel cap. 2, § 2 della Provv.); ma i filosofi non proveranno mai che alle volte non concorrano gli Angeli a tali cose; frattanto ci consta che vi concorrano da molti luoghi della divina Scrittura, dalla tradizione dei SS. Padri e dal sentimento di tutta la Chiesa Cattolica; quindi i sani filosofi non ricusano di attribuire agli Angeli questo potere sopra le cose materiali.

Gli Angeli furono creati in istato di grazia?

Certamente; però non godevano della visione di Dio, potevano conservare la grazia o perderla, usando o bene o male della loro libertà.

Si conservarono tutti in istato di grazia?

Molti vi si conservarono, ma una gran numero peccò subito di superbia, restò esclusa dal regno di Dio, e condannata all’Inferno; dico subito, perché quando Adamo peccò gli Angeli avevano già peccato, e già erano cambiati in demoni. Frattanto gli Angeli buoni che rimasero umili, furono ammessi alla chiara visione di Dio e rimasero impeccabili (Ant. tut sup. a. 3, art. 1).

Chi fu il capo degli Angeli cattivi, ora appellati demoni?

Fu Lucifero, che in tal modo restò il capo, e come il Principe di tutti i superbi.

Quali pene accompagnarono il peccato degli Angeli?

Quattro: 1. la cecità della mente, a riguardo delle cose soprannaturali; perché delle cose naturali loro restò una gran cognizione; 2. l’ostinazione della loro volontà nel male; 3. la privazione del Paradiso; 4. il tormento del fuoco eterno (ex Charmes:, de Deo creat. cap. V.).

— Gli Angeli cattivi ci possono indurre al male?

Possono tentarci in molti modi, però non possono violentare la nostra volontà.

È vero che si diano incantesimi e malie operate dalla forza dei demoni, e dal loro potere sopra le cose naturali?

È verissimo come consta da molti luoghi della divina Scrittura, come lo dimostrano tanti fatti innegabili, e come si vede dal sentimento della Chiesa in tutti i secoli. Sono temerarii e insieme ridicoli quelli che ardiscono negare una tale verità; la quale d’altra parte ai nostri giorni addiviene sempre più manifesta e palpabile, per le meraviglie delle tavole semoventi e parlanti, e del magnetismo il cui abuso fu già condannato dalla Chiesa con due decreti emanati dalla Suprema sacra Romana Universale Inquisizione del 28 luglio 1817 e del 30 luglio 1856. Quindi si tenga per certo che il demonio, Dio permettendo, può molte cose sopra le persone degli uomini e sopra le cause naturali.

Si danno pure degli ossessi?

Quantunque più d’una volta l’impostura abbia finto dei falsi ossessi; però è cosa certissima che si danno persone invasate dal demonio, anche dopo la morte di Cristo; e ciò si prova da fatti evidentissimi, e non si può negare senza accusare di pregiudizio, d’ignoranza la Chiesa Cattolica la quale usa gli esorcismi sopra gli ossessi, e conferisce un Ordine Ecclesiastico, e consacra ministri a tal uopo.

Per altro ai tempi nostri alcuni ne dubitano?

S. Tommaso (in IV sent. dist. 34, q. 1 a. 3) parlando di quelli che ne dubitavano ai tempi suoi, non teme di asserire che questo dubbio nasceva da un principio d’infedeltà; chi ci vieterà di dire lo stesso di quelli che ne dubitano ai tempi nostri? Noi aggiungeremo che essi mancano in logica, in critica ed in erudizione.

Quanti sono gli ordini degli Angeli?

Sono nove che costituiscono tre Gerarchie, ossia Cori. La suprema contiene i Serafini, i Cherubini e i Troni; la media, le Dominazioni, le Virtù e le Podestà; l’ultima i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli.

Dio destina gli Angeli alla custodia degli uomini?

Che gli uomini siano custoditi dagli Angeli ella è verità chiaramente espressa nella Divina Scrittura; che ciascun uomo abbia il suo Angelo Custode, non si può dire che sia verità assolutamente di fede; però tale è il sentimento di tutti i ss. Padri, e di tutti i fedeli contro l’eretico Calvino (Antoin. ut sup.: 3, art. 2). Anzi convengono i Teologi che vi siano altri Angeli deputati alla custodia dei vari Regni della terra, e delle Varie Chiese, ossia Diocesi che formano la Chiesa Cattolica. L’Arcangelo S. Michele, che prima era l’Angelo Custode della Sinagoga, adesso è il custode della Chiesa universale (Antoin. loc. cit.).

Qual è l’ufficio degli Angeli Custodi a riguardo degli uomini loro affidati da Dio?

Li guardano dai pericoli e dai mali imminenti, impediscono che i demoni loro siano di nocumento, suggeriscono santi pensieri, pregano per essi e offrono a Dio le loro preghiere, consolano le anime del Purgatorio, e quando sono pienamente purgate le conducono al Paradiso (ex Charmes de Deo Creat. c. VII.).

  • III.

Dell’uomo.

Di che consta l’uomo?

Di anima e di corpo.

Quali sono le principali proprietà dell’anima dell’uomo?

É semplice, è libera, è immortale?

— Come s’intende: che è semplice?

L’anima dell’uomo è uno spirito non composto di parti, e perciò somiglievole agli Angeli; ella non è né alta, né bassa, né larga, né stretta, non ha dritta, o sinistra, non si può né vedere con gli occhi del corpo, né toccare con le mani; è nel corpo, e dà vita al corpo ma non ha alcuna qualità di quelle che ha il corpo.

Come s’intende che è libera ?

L’anima conosce il bene ed il male, e ha il potere di appigliarsi a questo, o a quello secondo le aggrada; quando fa il bene potrebbe non farlo, e quando fa il male potrebbe non farlo egualmente.

Come s’intende che è immortale?

Non solo l’anima sopravvive al corpo quando questo muore, ma ella unendosi di nuovo al suo corpo nel giorno della Risurrezione universale avrà una vita insieme al medesimo che non finirà mai restando eternamente, o felice, o infelice secondo i suoi meriti o i suoi demeriti, cioè secondo il buono o  cattivo uso che avrà fatto della sua libertà.

Dio non potrebbe far morire l’anima dell’uomo, cioè ridurla al niente?

Potrebbe di potenza assoluta, e anzi solo che lasciasse un momento di conservarla, sarebbe subito ridotta al niente, come succederebbe in questo caso a qualunque altra creatura; ma avendo Egli decretato di conservarla in vita eternamente, stante l’immutabilità del suo decreto, non può ridurla al niente.

É articolo di fede che il corpo dell’uomo debba risorgere dopo morte cui si unirà di nuovo l’anima?

È articolo di fede espresso nel Simbolo.

Chi fu il primo uomo creato da Dio?

Il primo uomo che creò Dio fu Adamo, poi da costui prese una costa, e ne formò Eva che fu la prima donna.

A conti fatti, stando alla cronologia della Santa Scrittura da Adamo a noi si numerano circa sei mila anni; frattanto vari dotti intelligenti dell’antichità dei monumenti, giudicarono che alcuni di questi contino anche più di dieci o dodici mila anni: se questo è vero vuol dire che Adamo non fu il primo uomo creato da Dio, ma che ne esistettero altri prima di lui.

Qui non v’ha luogo che io vi dimostri che sono impostori, o ignoranti questi dotti, che voi chiamate intelligenti dell’antichità dei monumenti. Vi basti sapere che attribuiscono a certi monumenti antichi, particolarmente egiziani, i dieci mila e più anni per far cadere in discredito la sacra Bibbia e scuotere in tal modo i fondamenti della nostra Ss. Religione. Adamo fu il primo uomo creato da Dio; egli è antico quanto il Cielo e la Terra, meno cinque giorni, essendo stato creato nel giorno sesto della creazione, e tutti i fabbricati o monumenti che sono al mondo sono meno antichi di Adamo (Perrone, de Deo Creat., c. 5).

Dio ha creato Adamo ed Eva in istato di grazia?

Dio, creando Adamo ed Eva, gli ha adornati della grazia santificante (ex Charmes de Deo Creat. Diss. 2).

Nello stato in cui erano d’innocenza, la grazia santificante si poteva dire in loro naturale, cioè dovuta alla natura?

Non già, questa grazia fu in Adamo ed in Eva un dono soprannaturale e gratuito, non dovuto perciò alla loro natura, e di questa verità ne consta principalmente dalla condanna delle proposizioni XXII, XXIII, e LXXIX di Baio condannate dai sommi Pontefici S. Pio V, Gregorio XIII e Urbano VIII, come pure di quelle di Quesnell che sono sotto il numero XXXIV e XXXV condannate da S. S. Clemente XI (ex Carmes, ibid.).

Adamo ed Eva furono creati immortali?

Certamente, e se avessero perseverato nel bene sarebbero passati al possedimento della gloria eterna senza morire. Si noti frattanto che anche questa immortalità a destinazione della gloria del Paradiso, erano doni soprannaturali (ex Charmes, ibid.).

Adamo ed Eva prima del loro peccato sentivano la ribellione delle loro passioni, e i disordinati movimenti della concupiscenza?

Non già; ma le passioni erano tranquille, perfettamente soggette alla ragione, né sentivano alcuno di quei movimenti disordinati. Questo pure era un dono soprannaturale (ex Charmes, ibid.).

Se la grazia santificante, l’immortalità, l’immunità e la destinazione alla gloria del Paradiso erano doni soprannaturali, vuol dire che Dio poteva crear l’uomo nello stato in cui ora nasce dopo il peccato?

Certamente Dio, senza lesione della sua giustizia o della sua bontà, poteva creare l’uomo nello stato in cui adesso nasce, tolto però il peccato (Vedi Perron. Tract. de Deo Creat. n. 339, vedi pure la proposizione condannata di Baio, n. 55).

Erano perfettamente felici in quanto all’anima e in quanto al corpo?

Non ve n’ha dubbio, perché tutte le miserie cominciarono dal peccato; perciò se fossero stati ubbidienti, nel Paradiso terrestre ove li pose Iddio, non avrebbero mai sopportato la minima afflizione o contrarietà.

Di che peccò Adamo?

Peccò di superbia, che è l’origine della disubbidienza, e da cui, come dice la Scrittura, ebbe principio ogni peccato (Eccl. X, v.14).

Quali furono le pene del peccato originale?

L’espulsione dal Paradiso terrestre, la morte del corpo, e tutte le infermità e miserie di questa vita. Lo spoglio di tutti gli altri doni soprannaturali, dei quali abbiamo parlato sopra. Restando privi della grazia santificante rimasero privi del diritto che avevano prima alla gloria eterna, e condannati all’eterna morte.

Il peccato di Adamo si trasfuse in tutti i suoi discendenti?

Questo è articolo di fede; e perciò col suo peccato non solo egli rimase soggetto alle pene surriferite; ma anche tutti i suoi discendenti, eccettuata la Ss. Vergine Maria (ex Charmes ut supr.).

Perché ne eccettuate la Ss. Vergine?

Perché questa fu sempre la pia credenza della Chiesa, ora poi definita come dogma irrefragabile dalla Bolla “Ineffabilis Deus” di S. S. Pio IX. Per la qual cosa se alcuno adesso negasse o mettesse in dubbio che la Ss. Vergine sia stata immune dal peccato originale sarebbe un eretico.

Ma il Papa ha per sé l’autorità di definire i dogmi?

Il Papa da per sé solo ha l’autorità di definire i dogmi (vedi cap. 1 dei Luoghi Teologici, § V). Inoltre è da osservare che questa definizione fu preceduta dal voto di tutti i Vescovi del mondo cattolico, e quindi fu accettata, non solo con la sottomissione, ma anche con la esultanza di tutte le chiese del mondo, che insieme alla chiesa di Roma formano la Chiesa Universale ossia Cattolica; perciò nessuno, senza essere manifestamente eretico, potrebbe negare o dubitare soltanto che Maria Ss. sia stata Immacolata nella sua Concezione.

Come può essere che i discendenti di Adamo siano giustamente sottoposti a soffrire la pena di un peccato che non hanno essi commesso personalmente?

Qui v’ha del mistero. A noi basti sapere che Dio è giusto, e non può punire se non i rei; bisognerebbe chiaramente conoscere la natura ossia il costitutivo del peccato originale, e allora vedremmo quanto sia cosa giusta che noi pure ne sopportiamo le pene. Se voi conoscete poco la natura di un delitto punito dal principe, forse sarete tentato a dire che egli ecceda in rigore; ma non potreste fare tale sospetto se aveste veduto ed esaminato il processo del reo. Noi crediamo per fede che Dio non può eccedere in rigore, e questo ci basti. Il peccato originale si trasfonde in noi mediante la carnale generazione; come succeda questa trasfusione, come ci sia imputabile, la Chiesa non l’ha ancora definito; ma questa oscurità in cui siamo non può darci alcun diritto a dubitare di una verità che è di fede. Si può forse dire che una cosa non è, perché non si conosce, o non s’intende come sia?

I fanciulli dunque che muoiono senza Battesimo sono pur essi condannati alla morte eterna?

Non se ne può dubitare; per altro non nel modo istesso in cui avrebbero subito la morte eterna Adamo ed Eva, se non si fossero pentiti. In essi quel peccato era un peccato fatto con propria malizia della lor volontà; non così nei loro discendenti. Onde credono i Teologi quasi universalmente, che tali fanciulli non soffriranno altra pena che di essere privi della vista di Dio, e S. Tommaso è di opinione che nemmeno questa pena sarà loro sensibile (2 sent. dist. 33, q. 2 a. 1 et 2). Questa opinione di S. Tommaso è abbracciata da gravi e sanissimi autori; perciò è molto probabile, e secondo questa opinione, la morte eterna per quei fanciulli consisterebbe nella semplice privazione della vita eterna, senza alcun dolore o patimento. Notate però che non essendovi alcuna necessità che Dio ci rivelasse come punisca in tali fanciulli il peccato originale, non ci dobbiamo meravigliare se non ce l’ha rivelato.

IV.

Del Paradiso, del Purgatorio e dell’Inferno.

È articolo di Fede che vi sia Paradiso?

È articolo di Fede espresso nel Simbolo, sotto il nome di Vita Eterna.

Dove è il Paradiso?

Il Paradiso è in Cielo « Rallegratevi, ed esultate perché avete copiosa mercede nei Cieli – (Matth. V, v. 42), ed è un luogo di tanta bellezza, ricchezza e magnificenza da non potarcene formare in questo mondo un’idea conveniente. – Dal Paradiso è esclusa affatto ogni ombra di male, mentre vi si trova ogni bene.

— In Paradiso che cosa godono i Santi?

La loro beatitudine essenziale consiste nel vedere Dio ed amarlo. Nel contemplare la sua infinita bellezza manifesta al loro intelletto e chiara com’è; e nell’amare la sua infinita Bontà con un amore che loro la fa gustare cara e dolce come è, consiste quella Beatitudine che lingua umana dir non saprebbe, né figurarsi umanamente, come diceva S. Paolo (1 Corint. 2)

Perché  avete detto beatitudine essenziale?

Perché questa è Beatitudine cosi grande e compita, che i Santi solo con questa sono beati così da non potersi desiderare altra cosa; godono però ancora della bellezza materiale del Cielo, della compagnia dei Santi loro compagni, e di quella degli Angeli; della presenza della Regina del Cielo Maria, e soprattutto della Ss. Umanità di Gesù Cristo; tale gaudio però non è punto necessario alla perfetta beatitudine, e perciò si può chiamare accidentale, ossia accessorio. Si danno pure in Cielo certi premi accidentali, che si chiamano aureole; piccole corone cioè, distinte dalla aurea, che è la corona della Gloria eterna comune a tutti i Beati. Queste aureole le definisce S. Tommaso: « un gaudio ossia premio accidentale aggiunto al premio, ossia gaudio essenziale, per qualche eccellente vittoria » (in 4 dist. 49, q. 5 ). Dice inoltre che tre sono le aureole: la prima dei Vergini i quali vincono la carne vivendo da Angeli in corpo umano; la seconda dei Martiri che vincono il mondo con tutti i suoi rispetti e terrori: la terza dei Dottori che vincono il demonio, facendone conoscere le frodi, e discacciandolo dalle anime. Si noti che queste aureole, si chiamano piccole corone, non perché sano poca cosa in se stesse, che anzi il loro valore e splendore é grandissimo; ma si dicono piccole in paragone dell’aurea, cioè della beatitudine essenziale comune a tutti i Beati. Nello stesso modo, si direbbe piccolo il più gran tesoro del mondo paragonato a una gran montagna di oro, o ad una spiaggia di gemme. La gloria di queste corone quantunque specialmente sarà nell’anime del Beato, ridonderà pure nel suo corpo glorificato dopo la Risurrezione, come afferma lo stesso S. Tommaso ( App. S. Alfon. Lig. Diss. IX dello stato dei Beati ecc. ).

Saranno sicuri i Beati di non perdere il Paradiso in eterno?

Ne saranno sicurissimi, e questa certezza è quella che fa compitissima la loro beatitudine, sapendo che quanto godono, lo godranno per sempre.

È articolo di fede che vi sia Purgatorio?

È articolo di Fede riconosciuto sempre tale da tutti i Cattolici, e dichiarato ultimamente dal sacrosanto Concilio di Trento (Sess. XXV in decr. de Purg.). Nel Purgatorio si soddisfa ad ogni debito di pena temporale contratto nella Divina Giustizia, per i peccati veniali, e anche per i peccati mortali, già perdonati però in quanto alla colpa e alla pena eterna che si meritavano. Vedremo poi a suo luogo, come perdonati i peccati mortali in quanto alla colpa e alla pena eterna loro dovuta, per lo più resti da soddisfarsi ad una pena anche temporale, o in questa vita con opere soddisfattorie e Indulgenze, oppure nel Purgatorio.

Quali sono le pene che soffrono le anime nel Purgatorio?

La pena del fuoco, la quale sarà acerbissima; dicendo Sant’Agostino (in Psalm. XXXVII), che il fuoco del Purgatorio è più doloroso di ogni pena che si può provare in questa terra, e la pena anche maggiore di vedersi private della vista di Dio, cui le anime separate dal corpo aspirano con grandissimo ardore.

È articolo di Fede che nel Purgatorio vi sia fuoco materiale?

Non è articolo di Fede, e certuni hanno pensato che il Purgatorio fosse un luogo oscuro pieno di mestizia, ma senza fuoco; per altro la sentenza comune dei Teologi come prova il Bellarmino (de Purgat. cap. 11), contraria al loro sentimento; e perciò, secondo quanto abbiamo detto nel cap. 1, § 6, si deve tenere per cosa certa e innegabile, che vi sia nel Purgatorio vero fuoco materiale.

Le anime nel Purgatorio vi stanno gran tempo?

A proporzione delle pene temporali delle quali sono debitrici alla Divina Giustizia: perciò altre vi stanno più, ed altre meno. La Chiesa, volendo che si adempiscano i pii legati  per le anime del defunti anche dopo secoli dalla loro morte, fa conoscere che ella crede esservi nel Purgatorio alcune che ivi dovranno penare per lunghissimo tempo. Si noti che nel giorno del Giudizio Universale il Purgatorio finirà; e se vi saranno alcune anime le quali vi dovessero restare ancora maggior tempo per soddisfare ai loro debiti, Dio farà che in minor tempo soffrano più intinse le pene, e quindi restino più presto purgate; affinché tutti gli eletti in quel giorno possano ascendere in Cielo gloriosi e beati.

Le anime nel Purgatorio sono certe della loro salute eterna?

Ne sono certissime; Lutero insegnò l’errore contrario, ma fu condannato con gli altri suoi, da Papa Leone X (vedi la Propos. 38).

— Le anime del Purgatorio sono rassegnate alla Divina Volontà in tante pene?

Sono rassegnatissime; e sebbene soffrano pene gravissime, dormono nel sonno della pace uniformate al Divino volere, amando Iddio e le sue adorabili disposizioni con intensissimo affetto di carità.

Dove é il Purgatorio?

È sentenza comune dei Dottori che il Purgatorio sia nelle viscere della terra (S. Alfonso Lig. Opera sop. cit. diss. 2).

I viventi possono portare sollievo alle anime del Purgatorio?

Questo é articolo di Fede dichiarato dal sacrosanto Concilio di Trento (sess. XXV decret. de Purg.). I mezzi con cui si può loro portare sollievo, sono le opere di mortificazione, le preghiere fatte a prò loro, l’applicazione delle indulgenze applicabili alle medesime; ma sopra tutto si reca sollievo alle anime del Purgatorio mediante il S. Sacrificio della Messa, come dichiarò il Concilio di Trento nel luogo citato.

È articolo di Fede che vi sia l’Inferno?

È articolo di Fede dichiarato in più Concili generali. Per Inferno s’intende un luogo di tormenti ove penano i demoni e i peccatori che muoiono macchiati di peccato mortale; questo luogo di tormenti non avrà mai più fine, né alcuno dei demoni o dannati potrà mai esserne liberato.

È pure articolo di fede che le pene dei demoni, e degli altri dannati non avranno mai più fine?

È articolo di Fede egualmente che l’esistenza dell’inferno, e ne costa dai medesimi generali Concili (Antoine, Tract. de pecc. art. V).

Quali sono le principali pene dell’Inferno?

Il fuoco e la privazione della vista di Dio, e l’eterna disperazione, essendo certissime che le loro pene non finiranno mai più.

I dannati soffriranno tutti pena uguale?

Questa cosa ripugnerebbe alla Giustizia a Dio; nel modo che i Beati in Cielo hanno diversi gradi di gloria, secondo la diversità dei meriti loro, nello stesso modo i dannati dell’Inferno, hanno diversi gradi di pena secondo la diversità dei loro demeriti. Per tanto quantunque nell’Inferno tutti siano infelicissimi nondimeno provano pene più intense o meno intense, secondo il numero e la gravezza dei loro peccati.

I demoni ed i dannati non escono mai dall’Inferno?

Ella è sentenza dei Teologi che alcuni demoni, permettendolo Iddio, abitino nelle regioni dell’aria; e si appoggiano all’autorità di S. Paolo, che li appella: Rectores tenebrarum harum…. in cœlestibus (Ephes. VI); ma il luogo loro assegnato di permanenza è l’Inferno da cui possono uscire, come pure le anime dei dannati, per qualche giusto fine, permettendolo Iddio: per altro bisogna notare che uscendone non restano liberi dalla pena che soffrono laggiù, la quale li accompagna in ogni luogo: di più è certo che non ne potranno più uscire dopo il Giudizio Universale. Che infatti i demoni e le anime dei dannati escano talora dall’Inferno, ella è cosa innegabile, per molti fatti che si leggono nelle istorie (V. S. Alfon. Lig. op. cit. diss. VIII).

  • IV.

Della consumazione dei secoli.

Quando succederà la consumazione dei secoli?

Ella è cosa incertissima, e non vi è alcuno argomento che provi con sicurezza dovere avvenire da qui a pochi o molti secoli. Anzi pare inutile questa ricerca, avendo detto Gesù Cristo che di quel giorno e di quell’ora in cui finirà il mondo nulla ne sanno gli Angeli e nemmeno nulla ne sa Egli stesso secondo l’umanità (Marc. XIII, v. 32), sapendolo soltanto per ragione della divinità, come dice San Gregorio Magno, e non volendolo manifestare. Non è quindi da meravigliarsi se vari autori antichi, celebri per santità e per dottrina, avendo voluto assegnare l’epoca della consumazione dei secoli, restarono ingannati. Perciò saviamente S. Tommaso s’impegnò a combattere ogni congettura fatta dagli uomini in questo punto, e S. Alfonso de’ Liguori nell’opera citata (diss. V) conchiude: « Quel che è certo, è quello che disse Gesù Cristo: De die autem illo, et hora nemo scit ». Inoltre Leone X nel Conc. Later. (ved. sess. II), Si esprime così: « Tempus quoque præfixum futurorum malorum, vel Antichristi adventum, aut certam diem Judicii prædicare, vel asserere (quis) nequaquam præsumat » (S. Alf. Lig. ibid. cit. diss. VI).

L’Anticristo precederà la fine del mondo?

La precederà certamente, ed è tale la dottrina di tutti i ss. Padri, e il sentimento di tutti i fedeli in tutti i secoli. Anche la divina Scrittura ne parla chiaramente in più luoghi.

Chi sarà l’Anticristo?

Un uomo scelleratissimo, che avrà commercio col demonio, opererà falsi prodigi, vorrà farsi adorare come Dio, perseguiterà i Cattolici più di quello che saranno mai stati perseguitati, e si farà un gran numero di seguaci. Egli sarà autore di grandi devastazioni e rovine, e ai suoi tempi cesserà la pubblica celebrazione dei divini Misteri, particolarmente della S. Messa (S. Alf. Lig. op. cit. Diss. III).

Chi verrà a predicare contro di lui?

Enoc ed Elia, i quali, secondo la comune sentenza dei Cattolici, vivono tuttavia. Eglino preserveranno dall’errore molti Cattolici e convertiranno molti infedeli, particolarmente gli ebrei, i quali prima della fine del mondo detesteranno la loro perfida ostinazione, e riconosceranno Gesù Cristo. Enoc ed Elia finiranno la loro predicazione col martirio (S. Alfon. Lig. op. cit. diss. IV).

Precederanno altri segnali la fine del mondo?

La precederanno molti segni terribili descritti nel santo Vangelo di tempeste, terremoti, sconvolgimenti di stagioni, carestie, pestilenze, ecc.

Come finirà questo mondo?

Finirà con un fuoco prodigioso il quale consumerà ogni cosa in questa terra, di cui arderanno pure i Cieli, come dice S. Pietro (Epist. 2, v. 3, 10, 12, 13).

È articolo di Fede che i corpi degli uomini alla fine del mondo risorgeranno?

È articolo di Fede espresso nel Simbolo con quelle parole: La risurrezione della carne.

Risorgeranno tutti gli uomini, niuno eccettuato?

Bisogna eccettuarne Maria Ss. la quale è risorta poco dopo la sua morte; verità certissima per l’autorità dei Padri, dei Dottori e per il sentimento della Chiesa Cattolica, la quale celebra solennissimamente la di Lei gloriosa Assunzione al Cielo. Bisogna eccettuarne Enoc ed Elia che dopo tre giorni e mezzo dal loro martirio risorgeranno, come leggiamo nell’Apocalisse (c. XI, vv. 11, 12). S. Tommaso e il Maldonato ne eccettuano i Santi che risorsero nel tempo della morte di Cristo (Matth. XXVII, v. 52). Tolti questi non si può dubitare che tutti gli uomini risorgeranno, perchè tutti hanno da morire, e poi presentarsi coi loro corpi al Giudizio Universale.

Ma se tutti hanno da morire prima di presentarsi al Giudizio, perché Gesù Cristo si chiama Giudice dei vivi e dei morti?

Risponde S. Tommaso, che per questi vivi s’intendono quelli i quali rimarranno in vita fino all’ultimo giorno del mondo (suppl. q. 74, art. 4 ad 3). Essi per altro morranno come porta la condanna proferita da Dio contro tutti i figli di Adamo. Essendo però vivi avanti poche ore del Giudizio Universale la loro morte quasi non si considera, e si dice che andranno come vivi al Giudizio, perché restati in vita fino a quell’estremo tempo, che termina col Giudizio.

Risorgendo tutti gli uomini, risorgeranno coi medesimi corpi che avevano prima?

Questo è articolo di Fede; se risorgessero con altri corpi non si potrebbe dire che risuscitasse quella carne, ossia quei corpi, che erano morti. I corpi dei dannati risorgeranno orribili e spaventosi, sebbene nella loro forma naturale. I corpi dei Beati risorgeranno pure nella loro forma naturale, ma bellissimi e gloriosi; dotati perciò delle quattro qualità convenienti a corpi glorificati: Chiarezza, Impassibilità, Agilità e Sottigliezza.

Mi spieghi queste quattro doti?

La Chiarezza importa uno splendore di luce vivissima, che manderanno siccome soli. L’Impassibilità li renderà immortali e incapaci di soffrire il minimo dolore ed incomodo. L’Agilità li renderà facilissimi ai voleri dell’anima, sicché senza peso e gravezza i corpi dei Beati si trasporteranno da un luogo all’altro con moto velocissimo. Per la dote della Sottigliezza saranno liberati da ogni crassizia, come si esprime S. Alfonso (diss. 2. § 5), in modo tale che l’anima governerà il corpo a guisa di spirito, non già perché diventerà spirito, o corpo aereo; ma perché il corpo sarà perfettamente ubbidiente all’anima.

Di quale statura risorgeranno i corpi?

Dice S. Tommaso (Supp. q. 81, art. 2), che gli uomini risorgeranno di quella statura che ebbero o avrebbero avuto nel termine naturale dell’aumento del corpo. Quelli però che ebbero, o avrebbero avuto una statura difettosa, per inconveniente grandezza o piccolezza, supplirà la Divina Onnipotenza affinché risorgano di statura ordinaria.

In qual luogo si farà il Giudizio Universale?

L’opinione comune dei Dottori insegna che il Giudizio Universale si farà nella valle di Giosafat. Ivi gli eletti saranno posti alla dritta, e i reprobi alla sinistra.

Quale sarà il segno del Figliuolo dell’Uomo che apparirà, secondo predice il Vangelo di S. Matteo nel cap. XXIV, v. 30?

Secondo la comune sentenza dei ss. Padri e dei Dottori questo segno sarà la Croce risplendentissima di N. S. Gesù Cristo, o la croce medesima su cui morì, o come è più probabile, la sua figura (S. Alfonso, diss. 6).

Gesù Cristo discenderà a giudicare gli nomini in forma umana?

È cosa certa ed indubitata, che Egli discenderà in forma umana, come in forma umana ascese al Cielo, e discenderà con gran forza e maestà, come si rileva dal santo Vangelo.

Come succederà il Giudizio?

Gesù Cristo farà che le buone opere dei giusti siano tutte palesi, e le cattive dei dannati parimente; sicché ciascuno conoscerà chiaramente i suoi meriti o demeriti, e similmente si vedranno i meriti e i demeriti altrui. In quel giorno si vedrà l’ammirabile condotta della Divina Giustizia a riguardo di tutti gli uomini.

Come si darà la sentenza?

Note in tal modo tutte le cose, Gesù Cristo inviterà tutti gli eletti al Paradiso e condannerà tutti i reprobi all’Inferno. Quindi gli eletti come in trionfo gloriosissimo ascenderanno al Cielo per riposarvi perpetuamente, e i reprobi, aprendosi loro la terra sotto i piedi, saranno ingoiati dall’Inferno, da cui né dannato, né demonio potrà uscire mai più.

Sarà allora la consumazione dei Secoli?

In tal modo finirà questo mondo, cioè la serie di quelle vicende, tra le quali vivono i figliuoli di Adamo. Deh conoscessimo finché siamo in tempo la vanità di tutte le cose caduche e l’importanza delle eterne, per avere in quel gran dì favorevole la sentenza di Cristo Giudice.

La nostra terra, il sole, le stelle cesseranno di esistere?

La terra non può cessare di esistere contenendo nel suo seno l’Inferno, il quale non finirà mai più; non cesseranno nemmeno di esistere il sole e le stelle, anzi brilleranno di luce più bella. Vide S. Giovanni nell’Apocalisse il Cielo nuovo e la terra nuova (Apoc. XXI, 1). Il tutto perciò sarà rinnovato in miglior forma dall’Onnipotenza di Dio.

Ma a che servirà la superficie della terra e il sole e le stelle dopo che tutti gli eletti saranno in Paradiso, e tutti i reprobi nell’Inferno?

Le Divine Scritture non ce ne dicono nulla; e niente si può immaginare che sia probabile. Rivolgiamo tutta la nostra curiosità alla ricerca dei mezzi, onde assicurarci il possesso del Cielo, da cui vedremo ogni cosa e di ogni cosa e per ogni cosa daremo a Dio eterna lode.

LO SCUDO DELLA FEDE (VII). CERTEZZA DEI MIRACOLI

VII.

CERTEZZA DEI MIRACOLI.

. — Gli antichi miracoli e l’asina di Balaam. — Certezza dei miracoli antichi e di quelli di Gesù Cristo. — Certezza dei miracoli degli apostoli. — Esistenza e certezza dei miracoli odierni.

— È poi egli vero che Dio ha operati dei miracoli per comprovare la sua divina rivelazione?

Non hai mai letto la Storia Sacra? Non hai inteso dire dei grandi miracoli operati da Mosè? delle piaghe di Egitto, del passaggio degli Ebrei attraverso il mar Rosso, della morte degli Egiziani in quello stesso mare, della colonna nebulosa e lucente, che guidava il popolo ebreo nel deserto, della manna che ogni dì scendeva dal cielo, delle acque scaturite dalla pietra al tocco della verga prodigiosa? Non conosci qualche poco i miracoli di Elia, di Eliseo, d’Isaia, di Daniele, e di altri profeti?

— Ho inteso dire per altro che tra quegli antichi miracoli ve ne sono altresì di quelli veramente strani e futili? per esempio l’asina di Balaam…

Certamente qualche miracolo può parere strano e futile a noi, che siamo di corto intendimento, ma non è certamente tale. E poi i veri miracoli in prova della verità di nostra fede non sono da considerarsi isolati, uno ad uno, ma nel loro complesso, e fare come quando si vede una pianta carica di bei frutti, che si dice essere magnifica, ancorché ne abbia qualcuno non tanto bello. Del resto nessun vero miracolo per quanto strano, può essere futile, come appare dall’esempio stesso che tu hai accennato, dell’asina di Balaam. « Mi sembra, dice un illustre oratore, che questa povera bestia abbia dato al padrone la più dura lezione che un uomo abbia mai ricevuto. Essa, tra l’altre cose gl’insegnò, che chi resiste alla voce della coscienza, alla volontà divina, e si dà in braccio alle passioni, quali che siano, giunge a tal grado di avvilimento, che le bestie istesse sono più degne che lui di vedere le cose di Dio. Essa insegna a me, che se ora le bestie parlassero, molti filosofi, che credono veder chiaro, e che sono accecati dalla passione, sarebbero svergognati, cosa non futile » (Monsabrè).

— Questa risposta è piccante e mi piace assai. Ma di quei miracoli così antichi, così lontani da noi, possiamo essere sicuri?

E come no? Per negare la verità di questi miracoli bisognerebbe bruciare tutti i libri profani degli antichi autori, che parlano di Mosè dei profeti e del popolo ebreo, e poi bisognerebbe ancora distruggere tutti gli ebrei che vi sono sulla faccia della terra.

— E perché?

La cosa è chiara: perché tutti quei libri contengono i miracoli, che t’ho accennato, e tutti gli ebrei anche presentemente credono alla verità di tale racconto.

— Ma quei miracoli furono operati a pro della religione ebraica.

Allora era dessa la vera religione. Epperò Gesù Cristo non venne a distruggere quanto Dio aveva insegnato in quella, ma a confermare e perfezionare quegli stessi insegnamenti. Ed a tal fine anch’Egli operò un numero stragrande di miracoli, che in complesso conoscerai, e che non occorre adesso che io ti ricordi. La stessa cosa fecero in seguito gli Apostoli e quasi tutti i santi lungo il corso dei secoli.

— E i miracoli operati da Gesù Cristo sono veramente certi?

Se sono certi? È tanta la loro certezza che come bene osserva uno scettico, Bayle, sognerebbe avere la fronte ben incallita per osare di negarli. Di fatti si tratta non solo di un miracolo, ma di un numero stragrande di miracoli, ed operati in pubblico alla presenza di centinaia e migliaia di persone, non solo a pro di gente del popolo ma eziandio a vantaggio di gente istruita; si tratta di miracoli fatti al cospetto degli stessi nemici, i quali avendo pure l’interesse di negarli, sopraffatti dalla loro realtà non osarono di farlo; di miracoli infine che passarono in possesso della storia anche per mezzo dei libri talmudici degli ebrei e degli scritti dei più acerrimi nemici del nome cristiano, quali furono un Celso, un Porfirio, un Gerocle, un Giuliano l’Apostata, che costretti ad ammetterli e pur volendone distruggere la forza si appigliarono allo stolto mezzo di ascriverli all’arte magica. E d’altronde come mai Gesù Cristo sarebbe riuscito dagli Apostoli, dai discepoli suoi a farsi credere figlio di Dio e a farsi amare e adorare come tale, se non avesse dato loro la prova dei miracoli? E nota bene, che la fede, l’amore, l’adorazione ei l’ottenne pur promettendo agli Apostoli e seguaci suoi le tribolazioni, le persecuzioni e la morte violenta! Come si spiegherebbe ciò senza i miracoli?

— Capisco questa certezza per i miracoli di Gesù Cristo, ma per quelli degli Apostoli… non so nemmanco se i loro miracoli si trovino scritti nei libri sacri.

Sì, mio caro, moltissimi sono narrati negli Atti degli Apostoli, che furono scritti da San Luca e che fanno parte delle Sacre Scritture del nuovo testamento. Ma quando pure non si trovassero nelle Sacre Scritture, come è certamente di molti di essi, dimmi un po’ come mai si spiegherebbe senza miracoli la rapidissima diffusione del Cristianesimo, che essi riuscirono a fare per tutte le parti del mondo? Questa è cosa degna di gran considerazione. Ascolta. Il giorno stesso della Pentecoste S. Pietro converte più di cinquemila persone. Passati alcuni lustri, nelle città più famose dell’impero romano, nell’Asia, nell’Italia, nella Persia, nell’Etiopia, nella Scizia, nell’India, ad Atene, a Corinto, ad Efeso, a Filippi, a Colossi, a Tessalonica, nella stessa Roma vi sono moltitudini sì grandi di Cristiani, che gli stessi scrittori pagani Tacito, Seneca, Plinio non ne possono tacere. Eppure chi erano gli Apostoli? Se eccettui S. Paolo, gli altri erano poveri e rozzi pescatori, privi di scienza filosofica, senza forza, senza autorità, senza appoggi, anzi contrariati continuamente nel loro disegno da principi, da sacerdoti e filosofi. Quale la dottrina che predicavano? Una dottrina, che in quanto al dogma contiene incomprensibili misteri, e in quanto alla morale intima la guerra alle più prepotenti passioni, che proclama beati i poveri, gli umili, i casti, coloro che sono perseguitati ed hanno da piangere. – Quale ancora la società, a cui si rivolgevano? La più superstiziosa e corrotta che mai si possa immaginare. Basti il dire che gli stessi vizi più abietti e più turpi vi si consideravano come divinità affine di onorare gli dei dandosi in preda ai medesimi. E con tutto ciò gli Apostoli convertirono il mondo! E possibile che a ciò siano riusciti senza imporsi coi miracoli? In tal caso sarebbe avvenuto un miracolo anche maggiore. Lo dicono chiaro S. Giovanni Grisostomo e Santo Agostino; e il nostro Dante espresse bene il loro sentimento in questi versi: Se il mondo si rivolse al Cristianesmo, Diss’io, senza miracoli, quest’uno è tal che gli altri non sono il centesimo. (Paradiso, Canto xxiv).

— Le ragioni da lei addotte sono inoppugnabili. Ma intanto perché adesso non vi sono più miracoli?

Ciò è falso. A Lourdes, in molti altri santuari della Madonna, dei Santi, ne accadono tuttodì e pienamente constatati come tali, per quanto la scienza si studi di spiegarli umanamente. Inoltre la Chiesa ha continuamente alle mani dei processi per la canonizzazione di qualche beato. E in questi processi bisogna che consti assolutamente di qualche miracolo.

— Ma la Chiesa nell’interesse di far molti santi dichiarerà facilmente che vi sia miracolo anche allora che si tratterà di un semplice fatto naturale!

Senti. Sotto il Pontificato di Benedetto XIV trovavasi a Roma un inglese e ragionava un giorno con un Cardinale sulla religione cattolica, criticandola assai vivamente, e rigettando sopra tutto come falsi i miracoli operati per l’intercessione dei santi. – Poco tempo dopo il Cardinale fu incaricato di studiare le carte relative alla beatificazione di un servo di Dio. E dopo averle esaminate, volle rimetterle al protestante, perché volesse esaminarle lui pure, e dirgli il suo parere sulla fede che meritavano le testimonianze ivi addotte in prova dei miracoli operati dal servo di Dio. – Dopo qualche giorno l’inglese riporta le carte, dicendo: » Per certo, Eminenza, che se tutti i miracoli dei santi canonizzati dalla vostra Chiesa, fossero certi al pari di questi, non penerei ad ammetterli ». – « Davvero? rispose il Cardinale: ebbene sappiate che noi qui a Roma siamo più rigorosi di voi, perché le testimonianze qui addotte non ci sembrano abbastanza convincenti, tanto che abbiamo rigettato la causa! » Vedi adunque, amico mio, se la Chiesa nell’interesse di far dei santi sia facile ad ammettere il miracolo, quando non c’è! E siccome nonostante il rigore che adopera ne’ suoi processi, riconosce sempre tuttavia dei veri miracoli, devesi conchiudere che anche ai dì nostri dei miracoli ve ne sono. Che se vi hanno di coloro, che dicono senz’altro che adesso di miracoli non ve ne sono più, si è generalmente perché non ne vogliono più sapere. « Se sotto la mia finestra, diceva un celebre incredulo a Parigi, si dicesse risorto un morto, io non mi alzerei per vederlo, perché sono persuasissimo che non vi sono miracoli, né sono possibili ». Ecco di qual maniera si pensa e si parla da certa gente. Con costoro a che serve il discutere? – D’altronde se presentemente vi sono meno miracoli che nei primordi del Cristianesimo eccone indicata la ragione da San Gregorio Magno: « I miracoli nel principio della Chiesa furono necessarissimi. Imperocché per far crescere alla fede la moltitudine dei fedeli era d’uopo nutrirla con i prodigi, di quella stessa guisa che allorquando si piantano dei giovani alberi bisogna irrigarli, finché le loro radici vigorose siansi allargate e bene abbarbicate. Quando la fede fu solidamente radicata nella Chiesa, i miracoli incominciarono ad essere meno frequenti (V. Omelia XX sul Vangelo). Ecco adunque: lo scopo dei prodigi ornai raggiunto non ne esigerebbe più, benché come dissi, sempre ve ne siamo.

— Di ciò ora sono persuaso.

SALMI ED INDULGENZE

SALMI ED INDULGENZE

Tra i danni del Modernismo a-cattolico della setta del novus ordo, c’è il pressoché totale silenzio circa la pratica delle indulgenze, dono incommensurabile della Chiesa Cattolica per fortificare l’anima incline al peccato, e mezzo sublime per evitare pene del purgatorio ai vivi ed ai defunti. Sull’argomento, cruciale per la salvezza e la purificazione dell’anima, abbiamo già più volte riportato scritti e documenti della Chiesa Cattolica, ed ancora ci ripromettiamo di riportarne un seguito. Praticamente impossibile è trovare un manuale di raccolta di indulgenze, ed anche sui mezzi informatici, non è semplice reperire materiale utile. La raccolta delle indulgenze, l’Enchiridion Indulgentiarum” del 1952, l’ultima raccolta cattolica prima dell’invasione devastante dei barbari modernisti dell’antichiesa, è praticamente introvabile, e bisognerà forse spulciare librerie antiquarie e “bancarelle” nei mercatini italiani e stranieri, per trovarne qualche copia che possa diventare libro principale delle preghiere dell’anima che vuole fortificarsi e salvarsi senza passare per un dolorosissimo Purgatorio. A Dio piacendo ci ripromettiamo, nell’immediato futuro, di dare ancor più ampio spazio all’argomento, la cui importanza straordinaria e cruciale, è evidente per chiunque mastichi un po’ di dottrina cattolica. In questo primo “assaggio” focalizziamo la nostra attenzione sui “Salmi biblici e le indulgenze”, indulgenze di cui sono corredati gruppi di salmi, interi salmi o singoli versetti di essi. Scopriremo tante possibilità di lucrare indulgenze, parziali o plenarie, recitando salmi o versetti noti e conosciuti già dai fedeli Cattolici.

-8-

Sit Nomen Domini benedictum! [Ps.CXII]

 Indulgentia quingentorum dierum [500 giorni], quotìes, blasphemias contra Deum audiendo, iaculatoria prex devote recitata fuerit. [Indulgenza di 500 giorni, ogni qualvolta che, udendo blasfemie contro Dio, si reciti subito, devotamente, la giaculatoria]

(S. C. Indulg., 28 nov. 1903; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932).

-11-

Doce me, Domine, facere voluntatem tuam, quia Deus meus es Tu (Ps. CXLII, 10).

Indulgentia quingentorum dierum. [Indulgenza di 500 giorni]

-18-

Custodi me, Domine, ut pupillam oculi; sub umbra alarum tuarum protege me (Ps. XVI, 8).

Indulgentia quingentorum dierum; indulgentia plenaria suetis conditionibus, dammodo quotidie per integrum mensem invocatìo piamente reiterata fuerit (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1931).

-19-

In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum (Ps. XXX, 6).

Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si per integrum mensem quotidie invocatio devote recitata fuerit (S. Pæn. Ap., 20 Jan. 1932).

-20-

Deus, in adiutorium meum intende: Domine, ad adiuvandum me festina

(Ps. LXIX, 2).

Indulgentia quingentorum [500 gg.] dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo pia invocationis recitatio, quotidie peracta, in integrum mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 28 apr. 1933).

-22-

Eripe Domine, de inimicis meis (Ps. LVIII, 2).

Indulgentia quingentorum dierum (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

-23-

Domine, non secundum peccata nostra, quæ fecimos nos, neque secundum iniquitates nostras retrìbuas nobis (Ps, CII, 10).

Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis condirionibus, dummodo quotidie per integrum mensem ìnvocatio pia mente recitata fuerit (S. Pæn. Ap., 10 febr. 1935).

-24-

Domine, ne memineris iniquitatum nostrarum antiquarum et propitius esto peccatis nostris propter nomen tuum (Ps. LXXVIII, 8-9).

Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si per Integrum mensem quotidie invocatìo devote reperita fuerit (S. Pæn. Ap., 4 oct. 1936).

-25-

Laudate Dominum, omnes gentes; laudate eum, omnes popoli: qnoniam confirmata est super nos misericordia eius et verìtas Domini manet in æternum (Ps. CXVI).

Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia trium annorum, si publice precatìuncula recitata fuerit. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, prece iaculatoria quotidie per integrum mensem devote repetita (S. Pæn, Ap., 22 dec., 1936).

 

-139-

Benedictus qui venit in nomine Domini: Hosanna in excelsis (ex Miss. Rom. – Ps. CXVII).

Fidelibus, qui post consecrationem in Missa e sacrificio relatam precatiunculam devote recitaverint, conceditur: Indulgentia quingentorum dierum; indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem eamdem recitationem pie persolverint (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

-652-

V. Oremus pro Pontifice nostro [.. Gregorio]:

R. Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius (ex Brev. Rom. – Ps. XL)

Pater, Ave.

Indulgentia trium annorum Indulgentia plenaria suetis conditionibus, precibus quotidie per integrum mensem devote recitatis (S. C. Indulg., 26 nov. 1876; S. Pæn. Ap. 12 oct. 1931)

Salmi sul nome di Gesù

( Ps, XCIX, – XIX, – XI, – XII, -CXXVIII con Inni e orazioni)

Ind. 7 anni e 7 quarantene o. v., Ind. Plen. s.c. si quotidie …; Ind. Plen. s.c. se recitati frequentemente nel corso dell’anno, nella Festa del Santo Nome di Gesù (Domenica seconda dopo l’Epifania)

(Pio VII, rescr. 13 giug. 1915 S. C. Ind.; Pio VII con Decr. S. C. Ind. 13 nov. 1821 ind. Pl. Appl. ai defunti, ed estesa alla Festa della Circoncisione  (1 genn.), ed in quella di Gesù Nazareno (23 ott.) s. c.    

Salmi in onore del Nome di MARIA

(Magnificat, – Ps. CXIX, – CXVIII: b., – CXXV, – CXXII)  

( 1684 Innocenzo XI, Pio VII Decr. S. Congr. delle Indul. 13 giu. 1915: indul. 7 anni e 7 quarantene o. v., ed Indulg. Plen. s.c. si quotidie … e se recitati frequentemente nel corso dell’anno,  Ind. Plen nella Domenica tra l’ottava della Nascita di Maria SS. [festa del nome di Lei]

5 salmi in onore del nome di S. Giuseppe (Ps. XCIX, – XLVI, – CXXVIII, – LXXX, – LXXXVI)

(7 anni e 7 quarantene ed ind. Plen., s.c. si quotidie … + Inno et orazione)

(Pio VII, rescri. E decr. 26 giug. 1809)

ORATIONES ANTE COMMUNIONEM

-153-

Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus (Ps. XLI, 1).

Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria, si quotidiana invocationis recitatio in integrum mensem producta fuerit, accedente sacramentali confessione, alicuius ecclesiæ vel publici oratorii visitatione et oratione ad mentem Summi Pontificis [s. c., e visita di una chiesa o oratorio pubblico, e preghiera sec.  le intenzioni del Papa]

(S. Pæn. Ap., 23 apr. 1932).

441

Invocatìo

Benedicite Dominum omnes Angeli eius;

potentes virtute, qui facitis verbum eius.

Benedicite Domino omnes virtutes eius;

ministri eius qui facitis voluntatem eius

(ex Missali Rom.- Ps. CII, 20-21).

Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem invocationes pie repetitæ fuerint (S. Pæn. Ap., 8 iul. 1935).

-585-

De profundis vel semel Pater, Ave cum versiculo Requiem æternam,  in suffragium fidelium defunctorum pie recitaverint, conceditur:

Indulgentia trium annorum; Indulgentia quinque annorum singulis mensem novembris diebus; Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidiana precum recitatio in integrum mensem producta fuerit (Breve Ap., 11 aug. 1736; S. Pæn. Ap., 29 maii 1933 et 20 nov. 1940).

 

-586-

Fidelibus, qui Ps. L: Miserere mei, Deus prò animabus in purgatorio detentis devote recitaverint, conceditur: Indulgentia trium annorum; Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si per Integrum mensem quotidie eamdem recitationem persolverint (S. Pæn. Ap., 9 mart. 1934).

-613-

Laudate Dominum, omnes gentes: laudate eum, omnes, popoli;  qnoniam confirmata est super nos  misericordia eius et veritàs Domini  manet in æternum (Ps. CXVI).

V. Confiteantur tibi populi, Deus,

R. Confiteantur tibi populi omnes.

Oremus

Protector noster, aspice, Deus, et respice in faciem Christi tui: qui dedit redemptionem semetipsurn prò omnibus, et fac ut ab ortu solis usqæ ad occasum magnificetur nomen tuum in gentibus, ao in omni loco sacrificetur et offeratur nomini tuo oblatio munda. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.

Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, precibus quotidie per integrum mensem iteratis (S. Pæn. Ap., 9 nov. 1920 et 5 lug. 1936).

PSALMI GRADUALES ET PÆNITENTIALES

-686-

Fidelibus, qui Psalmos Graduales vel Septem Psalmos Paenitentiales pie recitaverint, conceditur: Indulgentia septem annorum (S. Pius V, Bulla Quod a Nobis, 9 ìul. 1568 et Superni Omnipotentis Dei, 15 apr. 1571; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932).

PRECES A DOCENTIBUS RECITANDÆ

789

Invocatio:

Bonìtatem et disciplinam et scientiam doce me, Domine; quia mandata tuia credidi  (Ps. CXVIII. 66).

Indulgentia trecentorum dierum  (Pius X, Rescr. Manu Propr.. 14 maii 1908; S. C. Indulg., 12 sept. 1908).

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (III)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico, Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO II. 

DI DIO UNO E TRINO.

Chi è Dio?

È un Signore infinitamente perfetto creatore e conservatore del Cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili.

Che cosa significa quella parola: infinitamente perfetto?

Vuol dire che in Dio è tutto il bene, che è una infinita bontà.

Che cosa significa la parola “infinito”?

Significa una cosa che non ha fine; per esempio, se vi fosse un mare nel quale andando a basso non si potesse mai più arrivare al suo fondo, e andando in alto non si potesse mai più arrivare alla sua superficie, e andando da una parte o dall’altra non si potesse mai più arrivare alle sue sponde: o meglio, se vi fosse un mare, che non avesse né fondo, né cima, né sponde, e si estendesse per ogni verso senza aver fine, questo sarebbe un mare infinito. Si noti però che è impossibile che vi sia alcuna cosa materiale infinita, come appunto sarebbe un mare.

Dunque la bontà di Dio sarà come questo gran mare?

Appunto è tanto grande spiritualmente, quanto sarebbe grande materialmente questo gran mare se fosse possibile che esistesse; perciò la bontà di Dio non ha alcun limite o termine, nessuno la può misurare, nessuno, né meno gli Angeli la possono comprendere, solo Dio con la sua sapienza infinita comprende la sua infinita bontà.

Non si potrebbe trovare, né in terra, né in Cielo una creatura la quale avesse una bontà da potersi paragonare con quella di Dio?

Come non vi può essere paragone tra il tempo e l’eternità, così non vi può essere paragone fra la bontà di qualunque creatura, bontà di Dio. Anche l’ineffabile bontà di Maria Ss. non solo è poca, ma si potrebbe dire un niente paragonata con l’infinita bontà di Dio. Ed è perciò che nemmeno in Paradiso, gli Angeli, i Santi e Maria Ss., con tutto il loro grandissimo amore che portano a Dio, non arrivano ad amarlo quanto si merita di essere amato in se stesso. Solo Dio ama se stesso quanto merita d’essere amato.

Che cosa s’intende per questa infinita bontà?

L’aggregato, l’unione delle, sue infinite perfezioni, ossia attributi. La sua Onnipotenza per cui può fare, e disfare tutte le cose con un atto della sua volontà. La sua Sapienza con cui vede chiaramente il passato, il presente, l’avvenire, e tutte le cose possibili. La sua giustizia con cui premia i buoni e castiga i cattivi. La sua Misericordia con cui perdona i peccati a quelli che di vero cuore si pentono. La sua Eternità, per cui non ha mai avuto principio e non avrà mai più fine. La sua Immensità per cui è in Cielo, in terra e in ogni luogo. La sua Impassibilità per cui Esso, che è un purissimo e perfettissimo spirito, non può patire o soffrire male veruno, e tutte le altre sue infinite perfezioni per cui è un bene veramente infinito.

Che cosa sì vuole significare con dire che Dio è un purissimo spirito?

Vuol dire che Dio non ha corpo come abbiamo noi; perciò non ce lo possiamo figurare né alto, né basso, né largo, né stretto; non si può toccare con le mani, non si può vedere con gli occhi materiali del corpo.

Ma dunque è niente?

Anzi si deve dire che è il tutto, perché infinitamente ricco di ogni perfezione, e di tutto il bene. Non è una cosa materiale, come quelle che vediamo e tocchiamo, e perciò non ha le proprietà delle cose materiali; le quali sono o alte o piccole, o larghe o strette, e si toccano, e si vedono; ma ha tutte le perfezioni spirituali per le quali è uno spirito infinitamente buono. L’anima nostra anche ella è uno spirito che non si può né vedere, né toccare, e pure pensa, giudica e ragiona, dà moto a tutto il corpo, ed è una parte dell’uomo molto più nobile del suo corpo.

Come si dice che Dio non ha corpo mentre nella Divina Scrittura si nominano gli occhi di Dio, le orecchie di Dio, le mani di Dio, ed altre delle sue membra?

Quando nella Divina Scrittura si attribuiscono a Dio le membra del corpo umano, quello è un parlare figurato; come se io dicessi che un cavallo vola rapidamente per una pianura, non intenderei già di dire che quel cavallo abbia le ali, e che voli come gli uccelli; ma con la parola volare significherei la sua velocità con la quale percorre quel campo. Quando nella Scrittura si nominano gli occhi, le orecchie di Dio, si vuole significare la sua Sapienza con la quale vede e conosce tutte le cose; quando si nominano le mani, la sua Onnipotenza con la quale fa ogni sua opera, e così si dica del rimanente. Così sciolgono tale difficoltà tutti i teologi, e tutti gli interpreti; infatti quando la Scrittura parla letteralmente, dice: Dio è spirito (Jo. IV, 24 ), e questo è un articolo di Fede (Perrone p. 2, c. 1, propos.2).

Perché si dice che Dio è uno spirito semplicissimo?

Perché in Dio non vi è alcuna composizione di diverse sostanze, né reale distinzione di perfezioni, ossia di attributi. L’Onnipotenza di Dio è lo stesso Dio, la Sapienza di Dio è lo stesso Dio, e così si dica della sua Giustizia, della sua Misericordia, e di tutte le altre sue perfezioni. In un uomo di potere, il sapere, la pietà, sono cose distinte dall’uomo, e perciò vi può essere un uomo senza potere, senza sapere, senza pietà. Ma in Dio ogni attributo è lo stesso Dio, né più né meno. Così tutti i teologi con S. Bernardo contro gli eretici, che avevano sognato in Dio una distinzione reale tra i suoi attributi (Perr. ut sup. prop. 4).

Perché dunque si dice che Dio ha tanti attributi e tante perfezioni diverse?

Questo lo diciamo secondo il nostro modo d’intendere, perché la Natura, ossia Sostanza Divina, è onnipotente, sapiente, giusta, misericordiosa ecc., quantunque questa Onnipotenza, Sapienza, Giustizia ecc. altro non siano in realtà che la stessa semplicissima Divina Sostanza.

Essendo Iddio infinitamente buono e l’Autore di tutte le cose che esistono, chi produsse nel mondo il male?

Il male venne nel mondo dall’abuso della libertà delle creature dotate di libero arbitrio. Dio ha dato la libertà agli Angeli e agli uomini; l’abuso che molti Angeli fecero della loro libertà quando peccarono di superbia, è l’origine di tutti i mali che soffrono i demoni, e che essi producono con la loro malizia: l’abuso che ne fecero gli uomini è l’origine di tutti i mali da loro sofferti. Si noti che i Santi Angeli i quali restarono fedeli a Dio, adesso non possono più peccare, cioè abusarsi della loro libertà.

Vi sono però tanti mali nel mondo che non furono prodotti dall’abuso della libertà delle creature, p. es. l’inferno è un gran male, similmente tante bestie nocive, le pesti, e terremoti ecc.; l’autore di tutti questi mali è Dio?

Tutte queste cose ed altre simili non sono mali in se stesse, ma sono mali per quelli che le soffrono in quanto sono loro tormentose, ma in se stesse sono beni necessari per punire il peccato e per impedirlo, manifestano la Divina Giustizia, danno occasione all’esercizio delle virtù ecc.; sono beni perciò ordinati da Dio contro l’unico vero male che è il peccato, cioè l’abuso della libertà. Se non vi fossero nel mondo i peccati non vi sarebbe alcuna cosa tormentosa, cioè nessuna pena contro i medesimi, come se in un regno non vi fossero delinquenti, non bisognerebbero né carceri, né altri castighi.

— Ma Iddio infinitamente buono perché ha permesso che le creature potessero abusare della loro libertà, a commettere peccati cagioni di tanti guai?

Dio ha dato alle creature la libertà affinché potessero meritare servendosene bene, dà alle medesime l’aiuto necessario perché se ne possano servire come Egli richiede, e di più non si può pretendere dalla sua infinita bontà; Egli di più ricava dai mali che si commettono i beni più grandi, p. es. avendo permesso la crudeltà dei tiranni, si esercitò la fede e la carità d’innumerevoli martiri.

— Alcuni pensarono che si dovessero riconoscere due principii, uno del bene, il quale fosse perciò il Dio buono, l’altro del male, e che perciò fosse il dio cattivo; dal primo ogni bene, dal secondo riconoscevano ogni male del mondo: non è plausibile quest’opinione?

Non è un’opinione, ma un’eresia molto stupida, perché il male non è mai una cosa reale, il male è una imperfezione, una mancanza di bene, come l’ombra non è mai una cosa in sé stessa, ma è sola mancanza di luce; perciò un dio cattivo sarebbe un’infinita mancanza di bene, perciò un infinito niente, che è cosa contraddittoria, e ridicola l’immaginare (Perrone, de Deo p. 1, c. 2, p. 3).

  • II.

Dell’immensità e provvidenza di Dio.

— Come s’intende che Dio é immenso?

Dio è immenso perché non é contenuto da nessun luogo, ma invece contiene tutti i luoghi, e lo stesso Universo. Frattanto é dappertutto con la sua presenza vedendo chiaramente ogni cosa, con la sua potenza conservando l’esistenza di tutte le creature, e concorrendo ad ogni loro operazione, con la sua essenza, perché come abbiamo detto la sapienza e la potenza di Dio non sono altro che la stessa sostanza di Dio (Perrone, p. 2, C 3, prop. 2).

Se Dio concorre a tutte le operazioni delle creature, vuol dire che dà il suo concorso anche al peccato, e che perciò lo approva e vi coopera?

In tutte le azioni libere vi é il materiale e il formale dell’opera. In un omicidio l’azione materiale é di conficcare un pugnale in un corpo che per sé é cosa indifferente; l’azione formale é la cattiva volontà, cioè la malizia di privare ingiustamente un uomo di vita, Dio concorre al materiale in quanto é azione indifferente, ma non concorre al formale, cioè alla malizia che disapprova, condanna e castiga.

Cosa é la provvidenza di Dio?

È la disposizione di tutte le cose create al conseguimento del loro fine.

Dio é provvido verso di tutte le sue creature, nessuna eccettuata?

Questo è di fede: « egualmente Egli ha cura di tutte le cose » così nel libro della Sapienza, cap. VI.

Molte cose nel mondo avvengono a caso, il che non avverrebbe se la divina provvidenza regolasse ogni cosa.

Con una parità di S. Tommaso intenderete il vostro errore. Un padrone manda alla piazza un dei suoi servitori; senza che questi nulla ne sappia, ve ne manda appresso un altro non avvisandolo d’aver mandato il primo, perché vuole che s’incontrino colà ambedue all’impensata: i due servi al primo vedersi credono d’incontrarsi a caso; frattanto il loro incontro è a bell’arte. Intendete perciò che al mondo niente succede a caso, la nostra è ignoranza, per cui non conosciamo le cause di tante cose ci ha fatto immaginare il caso; ma invece Dio regola tutto con la sua provvidenza, niente succede senza una ragione da Lui determinata. Cade, p. es., una foglia da un albero, qual ragione che si posi in terra più per dritto che per rovescio? È impossibile che noi conosciamo questa ragione; ma pure la ragione vi è nella divina Provvidenza. Il caso, la fortuna, sono nomi senza sostanza, né altro possono significare che la nostra ignoranza delle cagioni delle cose.

La provvidenza di Dio si estende pure a tutte le azioni libere degli uomini buone e cattive?

Senza dubbio, dirigendo le seconde a qualche bene. I figli di Giacobbe vendettero Giuseppe per l’invidia che nutrivano contro di lui, Dio diresse e regolò questa barbara vendita al vantaggio degli Egiziani, alla salutare confusione dell’invidia fraterna, alla conservazione e alla gloria della famiglia di Giacobbe ecc.

Vuol dire che Iddio è la causa prima di tutte le cose, ma non vi sono pure le cause seconde dalle quali dipendono tutte le cose nei loro eventi?

Vi sono in realtà le cause seconde perché, p. e., ciò che bagna è l’acqua, ciò che brucia è il fuoco; ma per altro bisogna notare che tutte le cause seconde agiscono in dipendenza dalla causa prima; sicché tutto ciò che succede, tolta la malizia del peccato, dobbiamo riconoscere da Dio. Bisogna pure notare che Dio non si serve sempre delle cause secondarie potendo agire senza di esse. Se vorrà mandare una pestilenza, un terremoto, potrà servirsi delle cause secondarie; ma potrà pure agire immediatamente da sé senza servirsi di loro; cioè senza premettere quella generazione di insetti velenosi che producono naturalmente la pestilenza, e senza premettere quella rarefazione e condensamento di vapori sotterranei, o pure quello squilibrio di elettricità che provoca per via ordinaria i terremoti; ma si noti bene che questa è cosa indifferente, come sarebbe cosa indifferente che il re assoluto punisse il reo con sentenza scritta di propria mano, o con sentenza fatta emanare dal suo tribunale. Questa verità si noti attentamente, giacché appunto nelle circostanze di pubblici flagelli o di privati, al giorno d’oggi si cerca di estinguere e dissipare quel salutare timor di Dio, il quale correggerebbe i peccatori, con decantare che tutto accade naturalmente, che cioè tutto è effetto delle cause secondarie. Tutto avvenga pure per effetto dello cause secondarie; ciò non ostante è Dio che regola queste cause secondarie con la sua provvidenza; Egli è un re, il quale non iscrive di propria mano la sentenza, ma la fa emanare dal suo tribunale, non la esegue con le sue mani, ma la fa eseguire dai suoi ministri; frattanto la condanna e la pena, viene sempre dal re. Si noti perciò, prima di tutto, che Dio per premiare o per punire o fare qualunque altra cosa, non ha bisogno di cause secondarie, e che poi quando le adopera Egli è sempre che premia, che castiga, che agisce con la sua provvidenza.

  • III.

Della volontà di Dio, predestinazione e riprovazione.

Che cosa è la volontà di Dio?

La volontà di Dio, che è uno dei suoi attributi i quali si concepiscono in Dio per modo di facoltà, come l’intelletto e l’onnipotenza, è quella perfezione per cui ama il bene ed odia il male, quella perfezione da cui è diretto in tutte le sue operazioni. Si noti che non essendovi distinzione reale fra le perfezioni di Dio e Dio medesimo, la volontà di Dio non è altro che la stessa divina sostanza ed essenza.

La volontà di Dio è libera nelle sue operazioni?

È libera non per volere il male; perché Dio non sarebbe più un’infinita bontà se potesse volere il minimo male, ma è libera nel volere il bene senza che cosa alcuna la possa sforzare: p. es., Dio è stato libero nel creare il mondo, e poteva non crearlo; così si dica di tutte le altre sue operazioni chiamate ad extra.

Quali sono queste sue operazioni chiamate ad extra.

Sono la creazione, la conservazione, e il governo delle cose; si chiamano ad extra distinguendole da quelle che succedono in Dio medesimo, le quali si dicono ad intra, e circa le quali la divina volontà non è libera, perché operazioni necessarie essenziali alla divina natura. Perciò poteva Iddio, come si disse, non creare il mondo, ma non potrebbe il Padre lasciare di generare il Figliuolo, ossia il Verbo Eterno, né lo Spirito Santo di proceder dal Padre e dal Figliuolo, perché quella generazione, e questa così detta processione, sono cose necessarie assolutamente nella divina sostanza, secondo l’idea che la Fede ci dà di Dio.

In Dio si deve riconoscere amore?

Dio ama infinitamente se stesso, ama anche le sue creature, e particolarmente le intelligenti e ragionevoli, come gli Angeli e gli uomini.

In Dio si deve riconoscere odio?

Dio odia il peccato e i peccatori; i peccatori però non gli odia in quanto sono sue creature, ma in quanto sono peccatori: tolto da essi il peccato non gli odierebbe più.

Vorrei sapere se Dio vuole la salvezza eterna di tutti gli uomini?

Dio vuole sinceramente la salvezza eterna di tutti gli uomini, e questa fu sempre la fede di tutti i Cattolici in tutti i secoli secondo il senso delle divine Scritture, e la tradizione di tutti i Padri. L’errore contrario, che Dio voglia salvi alcuni soltanto, fu condannato solennemente in Calvino e poi in Giansenio.

Che voglia la salvezza di tutti i fedeli facilmente s’intende perché loro somministra i mezzi necessari onde ottenerla, ma come si potrà dire che voglia la salvezza degli infedeli, i quali non hanno mezzo alcuno?

È falso che gli infedeli non abbiano mezzo alcuno per ottenere l’eterna salvezza. Dio dà agli infedeli molte grazie delle quali, se non abusassero, li farebbero venire in cognizione della vera fede, e si potrebbero salvare, e ciò farebbe ancorché si richiedessero dei miracoli, come insegna S. Tommaso.

Almeno si dovrà dire che Dio, non voglia la salvezza dei fanciulli i quali muoiono senza Battesimo, particolarmente di quelli i quali muoiono prima di venire alla luce?

Le Scritture sante, i Padri, e il sentimento di tutta la Chiesa bastantemente ci assicurano che Dio vuole la salvezza di tutte le anime, e perciò anche di quelle di tali fanciulli; se noi troviamo difficoltà nell’intendere il modo come la voglia, non per questo possiamo dire il contrario. Nelle cose della nostra santa Religione non solo è vero ciò che intendiamo, ma molte cose bisogna crederle senza capirle, e questa è una di quelle.

Che mi dice della Predestinazione, e Riprovazione degli uomini?

È articolo di Fede che vi sia vera Predestinazione: che cioè Dio abbia da tutta l’eternità stabilito di dare ad alcuni il Paradiso, e che vi sia vera Riprovazione, che cioè Dio abbia da tutta l’eternità decretato di condannare altri all’Inferno; pertanto il numero di questi e il numero di quelli è determinato. I predestinati sono tutti quelli i quali muoiono in grazia di Dio, i reprobi tutti quelli che muoiono in peccato mortale.

Queste mi sembrano risposte troppo materiali, non potrebbe parlare di tali materie con maggiore profondità?

A me basta esporvi ciò che è più necessario a sapersi, tante cose che si potrebbero dire di più, non sono per tutti necessarie, né per tutti adattate. In punto di predestinazione e di riprovazione vi basti sapere, che Dio vuole sinceramente la salute eterna di tutti; volendola sinceramente concede a tutti i mezzi bastanti per ottenerla (quando dico mezzi bastanti o sufficienti, che è lo stesso, intendo dire mezzi che veramente bastino, giacché se poi infatti non bastassero non sarebbero mezzi bastanti). Questi mezzi sono le sue grazie senza le quali non si può ottenere salute; quelli i quali corrispondono a queste grazie sicuramente si salvano, e perciò sono predestinati. Notate bene che è S. Pietro (2 Petri, cap. 1, v. 10) il quale vi avvisa di assicurarvi mediante le vostre buone opere l’elezione alla vita eterna, e sarà bene, che vi basti la semplicità della divina parola senza cercare più in là. I riprovati poi non si devono considerare come persone con le quali abbia mancato Iddio da parte sua, ma come persone le quali per la loro malizia meritarono di essere escluse dal Regno di Dio.

Che si dovrà dire dei fanciulli i quali muoiono prima dell’uso della ragione, altri battezzati, ed altri no, perciò altri predestinati, ed altri reprobi?

I fanciulli predestinati sono tali per i meriti di Gesù Cristo, loro applicati col mezzo del santo Battesimo, e che abbiano una simile sorte è un tratto della Divina Misericordia. I reprobi sono tali per il peccato originale, per cui muoiono privi della grazia santificante, e che abbiano una simile disgrazia « un tratto della Divina Giustizia. Ma voi che leggete, non vi dovete internare troppo in questi misteri, giacché le difficoltà che presentano essendo state insolubili ai ss. Padri, tanto più lo saranno a voi. Credereste voi di poter arrivare a conoscere i segreti di un Sovrano della terra a forza di raziocinio, qualora egli non ve li volesse manifestare? Certo che no; tanto meno dunque potrete arrivare a conoscere i segreti del Sovrano del Cielo, se egli non ve li palesa. Troviamo dei misteri insolubili nella condotta degli uomini, che sono così limitati e ci meraviglieremo di trovarne nelle disposizione dell’infinita Divina Sapienza? — In qualunque modo Dio predestini i buoni, o riprovi i cattivi, è impossibile che non tenga un tenore giustissimo degno della sua infinita Bontà. Vi basti sapere che Dio vi ama più di quello che voi amate voi stesso, che Dio vuole la vostra salute, più di quello che voi la vogliate, che Dio non vi escluderà dal suo Regno, purché voi liberamente non lo ricusiate. Il più lo ha fatto, che era il redimerci a tanto costo e il chiamarci poi nel seno della sua Chiesa; adesso resta il meno, che è il darci gli aiuti opportuni, affinché ci approfittiamo delle sue infinite misericordie, e lo farà: abbiate queste speranza, essa è quella che non confonde!

Mi resta ancora una difficoltà che non so passare sotto silenzio. È impossibile che non avvenga ciò che Dio ha stabilito; perciò, se Dio ha predestinato Tizio alla gloria, é impossibile che Tizio si danni; se ha riprovato Caio è impossibile che si salvi?

Per non confonderci, noi dobbiamo primieramente riflettere, che Dio non opera mai se non con le regole di una sapienza infinita; perciò, quantunque a noi non sia nota, vi è sempre una ragione giustissima per cui predestini Tizio, e non Caio (1). Inoltre Egli predestina Tizio, il quale liberamente farà del bene, mediante il quale si meriterà la Gloria, e riprova Caio, il quale liberamente farà del male, mediante il quale si meriterà la dannazione; perciò non si può dire che Tizio necessariamente sarà salvo, e Caio necessariamente dannato.

Ma Dio prevedendo che Tizio farà del bene, e che Caio farà del male, e non potendo fallire la divina previsione, questo bene e questo male non si farà necessariamente? Se Dio dunque vede che io sono nel numero dei predestinati è impossibile che mi danni, se invece vede che sono nel numero dei riprovati è impossibile che mi salvi?

Bisogna riflettere, che la previsione di Dio, che non è altro se non la sua Scienza infinita, cui il passato e il futuro sempre è presente, è una semplice vista delle cose, la quale non toglie la libertà alle cause libere. Io vedo p. es. uno che ruba, e un altro che fa limosina: mentre vedo quello rubare, non dirò che ruba necessariamente, perché lo vedo, ma che ruba veramente; mentre vedo l’altro far limosipa, non dirò che la fa necessariamente perché lo vedo, ma che la fa veramente; perciò Iddio vedendo le nostre azioni future, non le necessita. Così tutti i veri filosofi con tutti i teologi. Per tanto vede Iddio il buono o cattivo uso che voi fate della vostra libertà, mentre vi vede nel numero dei predestinati, o nel numero dei riprovati. Dal che potete conoscere che questa difficoltà, la quale vi pare sì forte, non vuole dir altro che se voi morendo bene, vi meriterete il Paradiso, è impossibile che vi danniate: che se invece morendo male vi meriterete l’Inferno, è impossibile che vi salviate. – In tal modo non ostante il dogma della Predestinazione e Riprovazione, si avvera sempre ciò che dice lo Spirito Santo: che la vita la morte è in mano dell’ uomo (Eccl. XV); che cioè dipende da lui o il salvarsi, o il dannarsi.

Non si potrebbe dire che Dio, come patrone assoluto delle sue creature, senza avere alcun riguardo, o a meriti, o a demeriti futuri altri elegga per il Paradiso, ed altri destini all’Inferno?

— Così bestemmiava Calvino. È vero che Dio può predestinare gli uomini al Paradiso, e dar loro tutti gli aiuti opportuni ed efficaci perché lo conseguano, quantunque non abbiano alcun diritto a tale predestinazione; ma senza prevedere demeriti nelle sue creature le può destinare ad una eterna miseria. La ragione è che la liberalità la quale fa dei doni a chi non ha diritto a pretenderli, è una perfezione, e perciò è in Dio; la crudeltà invece e l’ingiustizia che destina la pena senza presupporre nelle persone il delitto, sono vizi ributtanti, che distruggono l’idea non solo di un’infinita, ma di qualunque anche mediocre bontà (Ved. Antoine c. 7, art. 7 de reprob,).

(1) [Eorum non miseretur quibus gratiam non esse præbendam æquitate occultissima, et ab humanis sensibus remotissima iudicat, quam non adperit sed admiratur Apostolus dicens:  “O Altitudo divitiarum!” (S. Aug. lib. 1 ad simpl. q. 2). Lo stesso S. Padre afferma (in Enchir. q. 95) che in Paradiso vedremo tali ragioni e tali cause adesso a noi occultissime, e similmente conosceremo il motivo per cui Iddio abbia conferito molte delle sue grazie a quelli che prevedeva non volersene approfittare, e non le abbia conferite a quelli che ne avrebbero tratto profitto. Lo stesso insegna S. Bonaventura (in sentent. dis. 41, q. 2). Si noti pure che tali cause, ragioni e motivi non possono essere che degni di Dio, cioè di un’infinita bontà; la nostra ignoranza dunque ci umili, ma non ci sgomenti.]

  • IV.

Della Visione Beatifica.

I Santi in cielo vedono Dio?

Lo vedono intuitivamente, cioè lo vedono in se stesso realmente come è.

Non dice la Scrittura che Dio é invisibile e che niuno mai lo vide?

Dice che Dio è invisibile, e che niuno mai lo vide in questa vita; per questo la più probabile sentenza fra gli interpreti della Scrittura sostiene che nemmeno Mosè lo abbia veduto  intuitivamente; ma che invece gli sia comparso un Angiolo il quale gli dava ordini e comandi in nome di Dio; asseriscono perciò che quando disse d’aver veduto Dio, abbia inteso dire d’aver veduto un Angiolo che gli parlava come in persona di Dio. Ma nell’altra vita è verità di Fede che vedremo Dio, e “il vedremo come è” secondo l’espressione della Scrittura (Jo. 1, c. 3, v . 2).

Dopo la Risurrezione vedremo Dio con gli occhi del nostro corpo?

Con gli occhi del corpo non lo vedremo mai più, perché Dio è semplicissimo, e gli occhi del corpo sono materiali, e saranno materiali anche dopo la nostra Risurrezione: ora certo è che gli occhi materiali non possono vedere cose spirituali. Ma vedremo Dio col nostro intelletto illuminato dal lume della gloria.

Che cosa è questo lume della gloria?

È un abito soprannaturale col quale la mente o dell’uomo, o dell’Angelo viene disposta compitamente a veder Dio.

Senza questo lume della gloria non si vedrebbe Dio nemmeno in Cielo?

Certamente non si vedrebbe, come noi con gli occhi corporali anche sanissimi, senza l’aiuto della luce non potremmo vedere nemmeno una montagna per quanto fosse alla nostra presenza, e a noi vicina.

Che cosa vedremo in Dio?

Vedremo la sua divina sostanza con le sue Divine perfezioni; le quali però non sono in realtà che la medesima semplicissima sostanza Divina (come si è detto al § I, II. alla D. 10), il Mistero della Ss. Trinità, e anche le creature come effetti nella loro causa (ex Charmes, Tract, de Deo, dissert. 4, a. 2, qu. 1, art. A).

Vorrei sapere se in Cielo vedendo Dio chiaramente lo comprenderemo?

Per comprendere Iddio non basta vedere Iddio chiaramente: per comprenderlo bisognerebbe arrivare a conoscerlo con quella perfezione con cui Dio conosce se stesso con la sua scienza infinita, la qual cosa è impossibile ad ogni creatura; e perciò nemmeno l’anima Ss. di Gesù Cristo, che è unita ipostaticamente alla Divinità, nemmeno essa arriva a comprendere Dio; cioè a conoscerlo con quella perfezione con cui Dio conosce se stesso (ex Charmes ibid. c. 1, qu. 4, Conclusio).

Intenderemo in Cielo tutti i misteri della Fede che adesso dobbiamo credere ciecamente?

Nessuno ha mai dubitato che in Cielo si veda chiaramente tutto ciò che crediamo in terra; è perciò che i Santi non hanno in cielo la virtù della Fede, la quale serve a farci credere ciò che non vediamo.

I Santi in Cielo vedranno Dio tutti ugualmente?

È articolo di Fede che la visione beatifica non sarà in Cielo uguale per tutti, ma proporzionata ai loro meriti, o maggiori o minori (Conc. Fior. sess. XIII, Trid. sess. VI, cap. 32,). Questa diversità nasce dal maggiore o minore lume di gloria che avranno i Santi, misurato dalla maggiore o minore carità di che arderanno in Cielo (S. Thom. 1 p., q. 11, art. 6 in o).

Questa diversità non sarà disgustosa ai santi?

Essi non sono più capaci d’invidia; godono del bene altrui come del proprio, e la felicità di chi è in Cielo fra i minori è tanto grande e commensurata alla capacità che hanno di godere, che nulla resta loro a desiderare. Questa parità vi dilucidi il vero. Un uomo e un fanciullo arrivano assetati alla sponda di un gran fiume: l’uomo beve, e beve il fanciullo; credete voi che il fanciullo potendo bever meno per la minore capacità del suo stomaco invidii la maggiore quantità che ne beve l’uomo? Il fanciullo è contento di poter bere quanto vuole, e quanto può.

Si deve credere che Dio conceda alle anime sante la sua visione in Paradiso prima della risurrezione dei corpi, e del giudizio universale?

È un articolo di Fede, come apparisce dalla definizione di Fede del Concilio Fiorentino, sess. XXV, che le anime pienamente purgate da ogni colpa, e da ogni pena alla colpa dovuta, sotto ammesse tostamente alla chiara visione di Dio in Paradiso.

Che si deve dire di quell’opinione la quale Insegna che dopo la risurrezione i Santi avranno un regno di mille anni qui in terra insieme con Cristo?

Questa é un’eresia condannata negli Apollinaristi dal Concilio Costantinopolitano I. Il regno dei Beati e di Cristo sarà in Cielo e non in terra, e sarà eterno.

  • V.

Del Mistero della Ss. Trinità.

Vorrei che di questo Mistero, tanto sublime e difficile, me ne parlasse a tutto il rigore dei termini delle Scuole per più sicura ed esatta intelligenza.

Avendo io intenzione di parlarvene in modo, sicché ve ne possiate valere parola per parola nell’insegnare il Catechismo ai fanciulli, non è mia intenzione di usare a tutto rigore i termini delle scuole, che non sarebbero intesi, o richiederebbero dilucidazioni troppo prolisse. Vi contenterete dunque che coi termini più chiari, e intelligibili, e con la maggiore brevità vi spieghi le cose più necessarie a sapersi.

Come si definisce il Mistero della Ss. Trinità?

Un Dio sussistente in tre Persone (Halert).

Come è possibile che Iddio essendo Uno e semplicissimo sussista in tre Persone?

Sono due verità ugualmente di Fede, che Dio è Uno, e semplicissimo nella sua Divina sostanza, e Trino nelle Persone, le quali si chiamano Padre, Figliuolo e Spirito Santo. Questo però è un Mistero che dobbiamo adorare in questa terra, e che non intenderemo prima di poterlo contemplare in Paradiso.

Mi pare però una contraddizione che chi è tre debba essere uno, e chi è uno debba esser tre.

Non vi è alcuna contraddizione, perché queste tre divine Persone hanno una medesima natura e sostanza divina. Vi sarebbe contraddizione se avessero tre sostanze diverse, perché tre sostanze sarebbero tre Dei, e non potrebbero essere un Dio solo.

Dunque si potrà dire che il Padre è Dio, che il figliuolo è Dio, che lo Spirito Santo è Dio?

Si deve dire; e questo è articolo di fede; perché il Padre ha la sostanza divina, il Figliuolo ha la sostanza divina, lo Spirito Santo ha la sostanza divina: la quale però è una sola e perciò un solo Dio.

Il Padre è Eterno, il Figliuolo è Eterno, lo Spirito Santo è Eterno?

Si, certamente; ma non sono tre Eterni; bensì un solo Eterno perché un solo Dio.

Il Padre è onnipotente, il Figliuolo è onnipotente, lo Spirito Santo è onnipotente.

Sì, senza dubbio; però non sono tre onnipotenti, ma un solo Onnipotente; e così si dica a riguardo degli altri attributi di Dio, che sono la stessa una, e indivisibile sostanza di Dio come abbiamo detto (c. 2, § I, D. 10) (Simb. Athan.).

Le Persone della Ss. Trinità hanno le stesse perfezioni, lo stesso intendimento e la stessa volontà?

Hanno la stessa Sapienza, la stessa Bontà; vivono con la stessa vita, conoscono con lo stesso intelletto, vogliono con la stessa volontà, e operano con la stessa onnipotenza, e la ragione è sempre quella che hanno la stessa natura e sostanza divina.

Dunque si potrà dire che la Persona del Padre sia la stessa Persona del Figliuolo, e la stessa Persona dello Spirito Santo?

Questo non si può dire, perché è di Fede che sono tre Persone realmente distinte (Symb. Athan.), e perciò la Persona del Padre non è la Persona del Figliuolo e dello Spirito Santo. La Persona del Figliuolo non è la Persona del Padre e dello Spirito Santo. La Persona dello Spirito Santo non è la Persona del Padre e del Figliuolo. Sono tre Persone veramente tra di loro distinte, sebbene abbiano la stessa sostanza.

Si potrebbe dire che Dio è distinto in tre Persone?

L’espressione che Dio sia distinto in tre Persone è condannata dalla Bolla dogmatica Auctorem Fidei; perciò bisogna dire che in Dio vi sono tre Persone distinte, e non si può dire che Dio è distinto in tre Persone.

In nessun senso si potrebbe mai dire che sono tre Dei?

No, in nessun senso, e chi lo dicesse sarebbe un eretico (Antoine, Tract. de Trin. c. I, art. VII).

Si potrebbe dire che Dio é Padre, è Figliuolo, é Spirito Santo?

Si deve dire, come si conosce dalla definizione del Concilio IV Lateranense (Credimus, et confitemur, quod una quædam summa res est incomprehensibilis quidem, et ineffabilis, quæ veraciter est Pater, et Filius, et Spitus Sanctus, tres simul personæ, et singulatim quælibet earumdem, ( apud Antoine, tract. de Trin. c. 1, art. VI).

Mi porti una parità che non mi lasci tanto all’oscuro.

Figuratevi che vi fossero tre persone che si chiamassero Pietro, Paolo e Giovanni, che avessero però una medesima anima, e un medesimo corpo; si direbbero tre persone, perché l’una sarebbe Pietro, l’altra Paolo, e la terza Giovanni; nondimeno sarebbero un uomo solo, e non tre uomini, non avendo tre corpi, né tre anime, ma un solo corpo, e un’anima sola. Questa è cosa impossibile tra gli uomini perché la sostanza dell’uomo é piccola e limitata e perciò non può essere la stessa ed unica in più d’una persona; ma la sostanza di Dio, cioè la Divinità, è infinita, e perciò si può trovare, e si trova infatti, in più Persone: perciò la sostanza, la Divinità del Padre si trova pure nel Figliuolo e nello Spirito Santo (Bellarm.).

Perché il Padre si chiama la prima Persona della SS. Trinità?

Perché il Padre è senza principio; cioè non ha origine, e non è prodotto da alcuno; ma è il principio, dal quale procedono e sono prodotte le altre Persone.

Perché si chiama Padre?

Perché da tutta  l’eternità produce, ossia genera una Persona simile ed uguale a sé, dalla stessa sua sostanza e natura, cioè il Figliuolo.

Dunque il primo ad esservi fu il Padre, se da Lui è proceduto il Figliuolo?

Vi ho detto che il Padre genera il Figliuolo da tutta l’eternità: per la qual cosa il Padre, che è sempre stato, ha sempre generato il Figliuolo, e lo genera tuttavia Eterno come Lui.

Perché la seconda Persona si chiama Figliuolo, e come succede la generazione?

Perché è generato dal Padre, e questa generazione succede per via d’intelletto e di cognizione. Il Padre da tutta l’eternità contempla in se stesso le sue infinite perfezioni, e produce come un lucidissimo specchio una immagine viva, e perfettissima di se stesso, che ha la sua medesima Divina Sostanza, e si chiama il Figliuolo, e anche il Verbo Eterno di Dio.

Perché la terza Persona si chiama Spirito Santo?

Perché procede dal Padre e dal Figliuolo per via di volontà e di amore, ed è come un fiato spirituale, e perché è l’amore di Dio, Santo essenzialmente.

Come s’intende che procede dal padre e dal Figliuolo per via di volontà e d’amore?

Il Padre ed il Figliuolo amandosi da tutta l’eternità perfettamente l’un l’altro, producono lo Spirito Santo, il quale è l’amore reciproco del Padre e del Figliuolo, ed ha la stessa Divina Sostanza. Qui notate bene essere articolo di Fede, che il Padre non procede da nessuno, il Figliuolo dal Padre, e lo Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo.

Dunque il Padre è la maggiore delle Persone della Ss. Trinità, minore di Lui è il Figliuolo, e lo Spirito Santo minore del Padre e del Figliuolo?

Fissate bene ciò che tante volte abbiamo detto, che cioè le Persone della Ss. Trinità hanno la stessa natura e Sostanza Divina, e perciò sono tutte tre uguali, ugualmente perfette. Nelle Persone della Ss. Trinità non vi è né maggiore, né minore, ma una perfetta uguaglianza di bontà, e perfezione.

 

 

PREGHIERA

PREGHIERA

[G. Bertetti: “Il Sacerdote predicatore”, S.E.I. Ed. Torino, 1919]

I. Dobbiamo pregare.

– 1. La preghiera è un bisogno del cuore. — 2. È un comando di Dio. — 3. Dobbiamo pregare sempre. — 4. Per chi dobbiamo pregare.

1. LA PREGHIERA È UN BISOGNO DEL CUORE. — Il nostro cuore ha un desiderio immenso di felicità; … non trovandola in noi stessi, il nostro cuore cerca la felicità fuori di noi … E quando gli pare di avere scoperto godere così la felicità bramata … Ma la creatura non ci può dare la felicità ch’essa non ha al par di noi; … la creatura, egoista al par di noi, non ci vuol dare quel po’ di felicità apparente e caduca ch’ella possedesse per avventura … – Dio invece, perfezione infinita, sommo bene e sommo vero, Dio solo può darci la felicità: … Dio vuol darci la felicità … Egli non ci respinge, quando ci solleviamo a Lui con la nostra mente per domandargli quella felicità che unicamente si può avere nel suo santo amore … Dio non ci respinge: … è Lui che ci ha messo in cuore un desiderio immenso di felicità, appunto perché a Lui ricorriamo con la preghiera… I poveri son respinti dai palazzi dei ricchi, ma non li respinge Dio, allorché gli domandano di starsene nella sua casa e di assidersi alla sua mensa per sempre. « Con Dio t’è permesso di conversare e di trattenerti a tuo piacimento e d’ottenere con la preghiera ciò che brami; e benché tu non possa udire la sua voce, tuttavia, quando ti vedi da Lui esaudito, t’accorgi che Egli si degna di parlarti, se non con le parole, coi benefizi» (S. Giov. CRIS. , in Eccli., 18) La preghiera adunque è un bisogno del cuore, com’è un bisogno del cuore la felicità; … l’uomo non può star senza pregare: … o prega sollevandosi all’altezza di Dio, o prega abbassandosi alla miseria e al fango della creatura, … o trova la felicità pregando Dio, o pregando la creatura trova il nulla, e talvolta peggio del nulla, il peccato. La preghiera è un bisogno del cuore: … e posto per impossibile che Dio ci avesse proibito di pregarlo, noi non potremmo comprimere la voce del cuore che ci mette sul labbro la preghiera… Ma Dio, ben lungi dal proibirci di pregarlo e d’affollarci intorno a lui come altrettanti poverelli, ce ne fa un espresso e severo comando …

2. LA PREGHIERA È UN COMANDO DI DIO . — È vero che Dio nella sua liberalità ci concede molte cose senza che noi lo preghiamo, ma molte altre cose ha disposto di concedercele soltanto a patto che noi lo preghiamo … Ed ha così disposto, non già perché Egli abbia bisogno delle nostre preghiere o per conoscere le necessità in cui ci troviamo, ma « perché acquistiamo una certa qual famigliarità nel ricorrere a Lui e perché lo riconosciamo autore d’ogni nostro bene » (S. TH., 2a 2ae, q. 83, a. 2)… Dio vuole che lo preghiamo e che la nostra preghiera « salga come incenso nel suo cospetto » (Ps. CXL, 2), subordinando a questo tributo di religioso affetto la concessione delle sue grazie … «Chiedete, e otterrete; cercate, e troverete; picchiate, e vi sarà aperto; poiché chiunque chiede, riceve; chi cerca, trova; e sarà aperto a quello che picchia» (MATTH., VII, 7, 8)… La conseguenza è chiara: … chi non chiede non riceve, chi non cerca non trova, chi non picchia non si vedrà la porta aperta. Non pago d’avercene dato il comando in termini così rigorosi, il Salvatore ce ne volle dare l’esempio, passando spesso le notti in continua preghiera e non compiendo mai opera di rilievo senza farvi precedere una fervente orazione … Benché la sua volontà, interamente conforme a quella dell’eterno Padre, avesse forza di preghiera, pregò anche con la voce:… « avrebbe potuto il Signore in forma di servo pregare in silenzio, ma volle dimostrarsi orante in tal modo presso il Padre, ricordandosi d’essere nostro maestro » (S. AGOSTINO, tract. 104 in Joan.)… Benché il suo intelletto fosse sempre unito a Dio, secondo l’essere personale e secondo la beata contemplazione, prima di pregare, come se avesse bisogno di raccogliersi, solleva gli occhi al cielo; … a pregare si ritirava nella solitudine, … si prostrava a terra pregando, ….

3. BISOGNA PREGAR SEMPRE. — E quante volte, o Divin Maestro, noi dobbiamo pregare?… «Pregar sempre e non lasciar mai di pregare » ( Luc, XVIII,1) … – Noi pregheremo sempre e non lasceremo mai di pregare, se conserveremo sempre vivo in noi lo spirito di preghiera, ossia l’intenzione di fare tutto a onore e gloria di Dio ( la Cor., X, 31);… « il giusto prega sempre, sempre, perché anche quando la mente non prega, pregano le opere; anzi, perfino quando dorme, le sue opere risplendono al cospetto del Signore e intercedono per lui presso Dio» (S. AMBROGIO, serm. 6);…. «prega sempre chi opera sempre secondo Dio » (S. BEDA Ven. in sentent.); … « prega sempre chi fa sempre bene » (S. BASILIO, hom. in Judith mart.)… – Certo il Divin Maestro non ci obbliga a tralasciare ogni altra occupazione che non sia la preghiera: … Egli stesso, oltre che alla preghiera attese al lavoro manuale nella bottega di Nazaret, a predicare, a risanar infermi; … Egli stesso, oltre che alle necessità dell’anima, provvedeva e per sé e per altri alle necessità del corpo … – Così Nostro Signore non ci obbliga a far orazioni lunghissime;… anzi « è conveniente che la preghiera duri solo nella misura ch’è utile a eccitare il fervore del desiderio interno: sorpassata tal misura, e arrivati al punto di non poter più proseguire senza noia, non è bene prolungar oltre l’orazione » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 14);… la buona intenzione di pregare « non dev’esser sforzata, se non può più durare; come non dev’essere presto interrotta, se la dura» (S. AGOSTINO, ep. ad Prob.). – Neppure ha voluto il Signore assegnarci un orario preciso e particolareggiato per la preghiera; … vuole però che sia frequente secondo le necessità d’ognuno: « in tutte le cose la quantità dev’essere proporzionata al fine, come la quantità della medicina alla salute » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 14)… Anche qui però la Chiesa interviene com’è suo dovere, a dichiararci per tranquillità della nostra coscienza quali tempi siano più propizi alla preghiera, esortandoci a pregare dopo che ci siam levati al mattino,… al mezzogiorno, … alla sera prima del riposo, … prima e dopo il lavoro; … prima e dopo il cibo, … nel momento delle tentazioni … Non è più un’esortazione, ma un comando a nome di Dio, quel che la Chiesa ci fa di pregare nelle domeniche e nelle feste di precetto, nei quali giorni si deve pregare non più in privato soltanto, ma in pubblico; non più in casa nostra, ma nella casa di Dio… Vuole la Chiesa che almeno una volta la settimana facciamo violenza al cuor di Dio, pregando insieme riuniti in un medesimo luogo e e in un medesimo spirito, secondo la dolce promessa del Redentore: « Vi dico pure che se due di voi s’accorderanno sulla terra a domandare qualsiasi cosa, sarà loro concesso dal Padre mio ch’è nei cieli» (MATTH., XVIII, 19) – Due altri modi per pregar sempre, oltre lo spirito di preghiera e oltre il pregar in determinati tempi, ci suggerisce l’Angelico:… 1) conservare in noi la divozione provata durante la preghiera;… 2) far del gran bene agli altri, sicché i beneficati per riconoscenza preghino in nostro favore

4. PER CHI DOBBIAMO PREGARE . — Anzitutto dobbiamo pregare per noi stessi: … così vuole la carità ben ordinata, … così c’insegnò Gesù Cristo col suo esempio … Nella sua ultima orazione pubblica, Egli cominciò a pregare per la sua glorificazione, poi per tutt’i credenti (JOAN., 17) … « Gesù Cristo volle ricorrere con la preghiera al Padre per darci l’esempio di pregare e per dimostrare che dal Padre è eternalmente proceduto secondo la natura divina, e ha da Lui tutt’i beni che ha secondo la natura umana. – Alcuni beni aveva già ricevuti dal Padre nella natura umana, ma altri ne aspettava che non aveva ancor ricevuti: e come per i beni già ricevuti nella natura umana ringraziava il Padre, riconoscendolo come autore, così anche per riconoscere come autore il Padre, gli domandava pregando i beni che ancora gli mancavano secondo la natura umana, come la gloria del corpo e altre cose siffatte. E anche in questo ci diede l’esempio, a ringraziare il Signore dei doni avuti e a domandargli con la preghiera quel che non abbiamo ancora » (S. TH., 3a, q. 21, a. 3). Gesù, dopo aver pregato per sé, pregò per tutti noi: « Padre santo, custodisci nel nome tuo tutti quelli che m’hai affidato, affinché siano una cosa sola come noi » (JOAN., 17, 11) … La carità c’impone di volere il bene non soltanto per noi, ma anche per gli altri: … « pregate gli uni per gli altri, affinché siate salvi» ( JAC, 5, 16) … Preghiamo per i giusti, affinché perseverino; … per i peccatori, affinché si convertano;… preghiamo per il trionfo della Chiesa militante; … preghiamo per la sollecita liberazione delle anime tra le fiamme della Chiesa purgante… Nessuno sia escluso dalla carità delle nostre preghiere: … la Chiesa prega non solamente per i suoi membri, ma per tutti gli uomini, per i pagani, per gli eretici, per gli scismatici, per i suoi nemici, per i suoi persecutori, per i suoi carnefici … Preghiamo anche noi per i nostri nemici:… «pregate per quei che vi perseguitano e vi calunniano» (MATTH., V, 44) … È vero che, per l’adempimento dì questo precetto, basta che « non escludiamo i nemici nelle preghiere che facciamo in generale per tutti, il pregare poi per essi in modo speciale è cosa di perfezione, ma non di necessità, se non in qualche caso speciale » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 8) … Ma quanto maggior bene otterremo per noi e per tutti, se fossimo capaci di quest’atto di perfezione!… « Se Stefano non avesse pregato per Saulo, forse la Chiesa non avrebbe un San Paolo » ( S . AGOSTINO, ep. 97) … E se Gesù in sulla croce non avesse pregato per i suoi crocifissori, forse il mondo pagano non si sarebbe convertito con tanta rapidità e con tanto entusiasmo… Che se Dio non accenna ancora ad esaudire le nostre iterate suppliche, esaminiamoci se per avventura escludiamo più o meno dalla nostra preghiera qualcuno dei nostri fratelli: … Dio, in tal caso, tratterebbe noi, con la stessa misura onde avremo trattato gli altri …

II. Come bisogna pregare.

– 1. I tre effetti della preghiera. — 2 . Come bisogna pregare: a) perché la preghiera sia meritoria; b.) perché sia impetrativa; c) perché ci sia di spirituale refezione.

1. I TRE EFFETTI DELLA PREGHIERA . Tre sono gli effetti della preghiera: … il primo effetto è comune a tutti gli atti informati dall’amor di Dio; ed è l’effetto di meritar la grazia e la gloria; … il secondo effetto è proprio della preghiera, ed è quello d’impetrar da Dio qualche bene;… il terzo effetto è quello di riuscire come una spirituale refezione alla mente… Dipende dalla nostra buona volontà il conseguire i due primi effetti, arrecandovi le dovute disposizioni;… non sempre riusciremo, con tutta la nostra buona volontà, a ottenere nell’atto della preghiera il terzo effetto, ma con la buona volontà potremo ottenerne compenso sovrabbondante in un maggior merito e in una maggior impetrazione.

1. COME BISOGNA PREGARE a) PERCHÈ LA PREGHIERA SIA MERITORIA .

Ci vuole anzitutto l’intenzione di pregare:… la preghiera non è un meccanico movimento di labbra, ma un atto dell’intelletto e della volontà;.., pregare significa parlare con Dio: ora, è impossibile metterci a parlare con una persona, senza aver l’intenzione di parlarle… La preghiera sarà tanto più meritoria quanto più sarà ricca di buona e santa intenzione: … e il meglio che possiamo fare sarà di pregare « in unione di quella divina intenzione con cui Gesù Cristo sciolse lodi a Dio sulla terra »… Così c’insegna la Chiesa a pregare (orai, ante Div. Off.) – Ci vuole la fede nell’onnipotenza e nella bontà di Dio:… «il fondamento della preghiera è la fede; dunque crediamo per poter pregare, e preghiamo perché non ci abbia mai a mancare questa fede con cui preghiamo; la fede c’inspira la preghiera, la preghiera fatta ci ottiene il rassodamento della fede » (S. AGOSTINO, traci. 36 de Verb. Doni, secundum. Luc.) … Che merito potrà avere la preghiera fatta da chi non conosce più Dio e il Salvator nostro Gesù Cristo? … da chi ha perduto la fede, trascurando la parola di Dio? … « Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo; ma come invocheranno uno, in cui non hanno creduto? e come crederanno in uno, di cui non hanno sentito parlare? come poi ne sentiranno parlare senza chi predichi? » (Rom., X, 13, 14) Ci vuole la carità verso Dio… cioè bisogna essere in grazia di Dio: … è la grazia di Dio che dà la forma sovrannaturale alle nostre opere buone e comunica loro un merito eterno … Solo «le preghiere dei santi» esalano come profumi dalle coppe d’oro tenute in mano dagli angeli del cielo (Apoc, V, 8):… « la preghiera senza la grazia santificante non è meritoria, come non sarebbe meritorio qualsiasi altro atto virtuoso » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 15). – Ci vuole umiltà, riconoscendo la nostra miseria e l’immenso bisogno che abbiamo del divino aiuto … Dio è gelosissimo della sua gloria: … dà a noi tutt’i beni, dà a noi se stesso, ma vuole riserbata unicamente a se la gloria:… «Non ad altri darò la gloria mia » (ISA., XLII, 8; XLVIII, 10) … Che merito potrà avere la preghiera del superbo che ruba a Dio la gloria? …Preghiera abbominevole sarebbe, perché « ogni uomo arrogante e superbo è in abbominio presso Dio » (Prov., XVI, 5), e di sette cose che Dio detesta, mette per prima la superbia (Prov., VI, 17; Eccli., X, 7; XI, 32) …

b) PERCHÈ LA PREGHIERA SIA IMPETRATIVA. — Perché la preghiera ci ottenga di diritto, secondo l’indefettibile promessa del Redentore, ciò che domandiamo, occorre anzitutto che abbia tutte le condizioni volute per essere meritoria … A rigore di giustizia meriterebbero dunque soltanto d’essere esaudite le preghiere fatte in grazia di Dio: … nondimeno Dio per pura sua misericordia esaudisce anche le preghiere del peccatore, purché siano fatte con fede e umiltà e purché adempiano alle altre condizioni che si richiedono per ottenere d’essere esauditi da Dio. Se vogliamo essere esauditi da Dio, oltre alle condizioni richieste perché la preghiera nostra sia meritoria, demanderemo cose necessarie per la vita eterna… la gloria di Dio,… la .sua santa grazia,.., la perseveranza finale; … domanderemo le cose temporali, solo in quanto ci siano utili alla vita eterna,… ma di questa utilità lasceremo giudice Dio:… «La misericordia di Dio talora esaudisce e talora non esaudisce le suppliche fattegli per le necessità di questa vita; ciò che all’infermo sia utile, lo conosce meglio il medico che l’ammalato » (S. AGOSTINO, sent. 212);… ma anche quando Dio nella sua misericordia non ci concede quel che a noi pareva un bene e sarebbe stato un male, ci accorda in sua vece un benefizio maggiore che apprezzeremo a suo tempo … Può accadere che Dio non ci esaudisca quando gli domandiamo una cosa evidentemente utile alla nostra salute eterna, p. es. la vittoria d’una tentazione, il compimento d’un’opera buona;., in tali casi, Dio differisce semplicemente di esaudirci per farci procurare dei meriti maggiori e per concederci poi la grazia con maggior abbondanza, … o non ci esaudisce per colpa nostra, che spesso pretendiamo tutto da Dio senza mettere tutto l’impegno e tutto l’ardore nel fare il bene … Se vogliamo che il Signore benedica i nostri passi nella via della perfezione, dobbiamo pregare come se tutto dipendesse da Lui, dobbiamo lavorare come se tutto dipendesse da noi … Molte grazie il Signore suole concedere soltanto dopo molte istanze: … le avremo, se persevereremo nella preghiera; e non le avremo, se non persevereremo … perseveriamo nel pregare:… e saremo certo esauditi … «Dio vuol essere pregato, vuol essere costretto, vuol essere vinto con una certa qual importunità, e perciò ti dice che il regno dei cieli si toglie a viva forza e si rapisce con la violenza. Sii dunque assiduo nella preghiera, sii importuno: guardati dallo scoraggiamento. Se Dio da te pregato finge di non udirti, ricorri alla rapina per impossessarti del regno dei cieli, ricorri alla violenza per sforzar la stessa porta del cielo. Buona violenza è questa, per cui Dio non s’offende, ma si placa; non si danneggia il prossimo, ma s’aiuta; non si fa peccato, ma si cancella » (S. GREGORIO, in Ps. 6). – S’avverta finalmente che, se abbiam l’obbligo di pregar per tutti, e se la preghiera fatta per altri procura meriti a chi la fa, specialmente quand’è fatta per i nemici, il Signore ha promesso soltanto d’esaudire le preghiere fatte per nostro vantaggio (JOAN., 16, 23); … Egli vuole che si preghi da tutti, e che nessuno se ne dispensi con la scusa che altri prega per lui … L’uomo non può acquistar per altri il merito della vita eterna, quindi neppur quello che s’appartiene alla vita eterna: « accade perciò talvolta che la preghiera fatta per altri, anche fatta piamente e perseverantemente e di cose appartenenti alla salvezza, non riesca ad impetrare, a cagione dell’impedimento frapposto da colui per il quale si prega » (S. TH., 2a 2æ, q. 83, a. 7)

c) PERCHÈ LA PREGHIERA SIA PER NOI UNA REFEZIONE SPIRITUALE, non basta che sia fatta con intenzione santa e che abbia tutte le altre condizioni accennate fin qui: occorre inoltre l’attenzione della mente … «Di tre sorta è l’attenzione che si può adoperare nella preghiera: la prima, superficiale, per cui si bada a non errare nelle parole, la seconda, letterale, per cui si bada al senso delle parole; la terza, spirituale, per cui si bada al fine dell’orazione, cioè a Dio e alla cosa per cui si prega: e quest’attenzione è la più necessaria, e la possono avere anche gli analfabeti… Ma la mente umana per l’infermità della natura non può starsene lungo tempo in alto, poiché l’anima è tratta in basso dal peso dell’umana infermità; e perciò accade che quando la mente di chi prega sale a Dio con la contemplazione, ben presto rimane divagata per qualche debolezza… Anche i santi, quando pregano, soffrono distrazioni» (S. TH., 2a 2æ, q. 93, a. 13)… Ed è un gran santo, un angelico santo, quello che così parla! Dunque, con tutta la nostra buona volontà, delle distrazioni ne avremo anche noi: … il merito della preghiera ci sarà sempre, se le distrazioni non sono volontarie, ma il terzo frutto della preghiera, il cibo dell’anima, non possiamo gustarlo… Ebbene, sta a noi aumentare in compenso il merito della povera nostra preghiera, accompagnandola con molti sentimenti d’umiltà inspirati dalla miseria in cui ci troviamo di non riuscire neppur a recitare un Pater senza distrazioni… « Ciò che ti manca di fervore, suppliscilo con l’umile riconoscimento della tua miseria » (S. BERNARDO, de inter. domo, 37); … piace di più al Signore una preghiera fatta in mezzo alle distrazioni, ma poi sanata con un atto, anzi con frequenti atti d’umiltà, che non una preghiera fatta in mezzo all’estasi, ma poi guastata e rovinata da un atto di superbia … E poiché a noi non è dato il dono della contemplazione, cerchiamo altrove il pascolo dell’anima: … cerchiamolo nella parola di Dio, … nella meditazione, … nelle buone letture, … soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia … – Nello stesso tempo continueremo con ogni fedeltà, anche fra le distrazioni e le aridità di spirito, nella recita delle nostre preghiere, le quali saranno tanto più accette a Dio, quanto più ci sentiremo tristi e abbattuti nel farle…

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI SCISMATICI ERETICI DI TORNO: “QUARTUS SUPRA”

S. S. PIO IX

Quartus supra

Questa lettera enciclica, scritta per gli eventi che coinvolsero alcune chiese armene scismatiche in Costantinopoli, in particolare per ciò che riguarda la elezione dei Vescovi e dei Patriarchi, assume oggi un significato particolarmente pregnante e pieno di luce nel valutare una serie di gruppuscoli e “chiesuole” scismatiche, compresa quella del satanico “novus ordo” del c. d. Vaticano II, tutte entità spurie che rivendicano il titolo di cattoliche, ma che in realtà sono innanzitutto scismatiche, senza contare poi gli errori dottrinali ed eresie varie a sostegno dei loro deliranti motivi di divergenza dalla Sede Apostolica, approfittandosi, tra l’altro, dell’esilio al quale è costretta, e del favore di tutto l’apparato mediatico dell’indotto gnostico-massonico. S. S. Pio IX ci offre subito una prima stoccata agli scismatici di ogni tempo e luogo con il dire essere impossibile: “… che qualcuno possa affermare la propria fede e asserire di essere veramente Cattolico, se non partecipa di questa Sede Apostolica”. Subito dopo ci ricorda dei principi dottrinali elementari, che oggi tutti fingono di disconoscere, dagli apostati “novus-ordisti”, ai  bifronti “lefebvriani” eredi e mentori dei loro atavici: “cavaliere kadosh” e “figlioccio spirituale”, dai tesisti del falso vescovo domenicano a-scolastico e anti-aquinate, agli eretici fineeyisti, ai sedevacantisti liberi pensatori e liberi dottrinalisti a-dottrinali, canonisti “Cicero pro domo sua”, etc.  etc. :  “ … a questa Sede Apostolica, per il suo particolarissimo primato, tutta la Chiesa, ossia i fedeli, ovunque si trovino, devono aderire, e chiunque abbandona la Cattedra di Pietro sulla quale è fondata la Chiesa, soltanto falsamente può affermare di appartenere alla Chiesa. Pertanto è già scismatico e peccatore colui che colloca un’altra cattedra in contrapposizione all’unica Cattedra del Beato Pietro, dalla quale promanano, verso tutti, i diritti di una veneranda comunione”. Maggior chiarezza non è possibile in un giudizio così diretto ed esplicito. E leggiamo poi: “… e veramente vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo coloro che si sforzano di rimuovere il fondamento che lo stesso Cristo Dio ha posto alla sua Chiesa; negano o vanificano la cura universale di pascere le pecore e gli agnelli che nel Vangelo fu affidata a Pietro”. Nella lettera, oltre ai fatti storici riportati, ci sono numerosi riferimenti scritturali e patristici che ci illuminano compiutamente sulle argomentazioni dottrinali addotte. Si tratta di una miniera di pietre preziose e gemme spirituali da cui attingere avidamente per comprendere quale sia la  unica vera via da seguire nel conseguimento della eterna salute: approfittiamone tutti! L’Enciclica è lunga e richiede molta attenzione, ma val la pena approfondirla, magari con calma e con riletture ripetute.

Quartus supra vigesimus elapsus iam annus est …

1. È già trascorso il ventiquattresimo anno da quando, ricorrendo i sacri giorni in cui il nuovo astro sorse in Oriente per illuminare le genti, inviammo una Nostra lettera Apostolica agli Orientali per confermare nella fede i Cattolici e per richiamare all’unico ovile di Cristo coloro che miseramente si trovano fuori della Chiesa Cattolica. Ci sorrideva la lieta speranza che, con l’aiuto di Dio e del Salvatore nostro Gesù Cristo, la purezza della fede cristiana si sarebbe diffusa sempre più largamente e sarebbe rifiorito in Oriente l’impegno per la disciplina ecclesiastica, alla ricomposizione ed al ristabilimento della quale a norma dei sacri canoni avevamo promesso di non fare mancare la Nostra autorità. Dio sa quanta sollecitudine abbiamo sempre avuto da quel tempo verso gli Orientali e con quanto affetto e carità li abbiamo seguiti: quello che in verità abbiamo compiuto a questo fine tutti lo sanno, e Dio volesse che tutti lo comprendessero. In realtà, per l’imperscrutabile disegno di Dio avvenne che per nulla gli avvenimenti rispondessero all’aspettativa e alle Nostre sollecitudini; e non solo non dobbiamo rallegrarci, ma invece gemere e dolerci per una nuova calamità che affligge alcune Chiese degli Orientali.

2. Quello che l’Autore e perfezionatore della nostra fede, Gesù Cristo, già aveva predetto (Mt 24,5), cioè che molti sarebbero venuti in suo nome ad affermare “Io sono il Cristo“, seducendo molti, voi al presente siete costretti a patirlo e a sperimentarlo. Infatti il comune nemico del genere umano, eccitando da tre anni un nuovo scisma fra gli Armeni nella città di Costantinopoli, impiega ogni sforzo per sovvertire la fede, travisare la verità, spezzare l’unità utilizzando la sapienza mondana, argomenti ereticali, le sottigliezze dell’astuzia e della frode, e perfino la violenza. San Cipriano, deplorando tale simulazione e tale dolo e nello stesso tempo denunciandoli, diceva : “Rapisce gli uomini dalla stessa Chiesa e mentre sembra loro di essersi avvicinati alla luce e di essere sfuggiti alla notte del mondo, infonde in loro, ignari, nuove tenebre, in modo che non stando con il vangelo, con la sua legge e la sua osservanza, si chiamano cristiani, credono di possedere la luce e invece camminano nelle tenebre, sotto le blandizie e l’inganno dell’avversario, il quale, secondo l’espressione dell’Apostolo, si trasfigura in angelo di luce (2Cor XI, 14), e veste i suoi collaboratori come ministri di giustizia, confondendo la notte con il giorno, la perdizione con la salvezza, la disperazione sotto la maschera della speranza, la perfidia camuffata come fede, l’anticristo sotto il nome di Cristo: così, mentre mentiscono presentando con sottigliezze cose verosimili, tradiscono la verità“.

3. Sebbene l’inizio di questo nuovo scisma fosse avvolto, come si suole, in molte ambiguità, Noi tuttavia presentando la sua malvagità e i suoi pericoli, subito, secondo il Nostro dovere, Ci siamo opposti con Lettere Apostoliche: una del 24 febbraio 1870, che comincia con le parole Non sine gravissimo, l’altra del 20 maggio dello stesso anno che inizia Quo impensiore. In verità la cosa andò così avanti che gli autori e i seguaci dello stesso scisma, disprezzando le esortazioni, i moniti e le censure di questa Sede Apostolica, non esitarono ad eleggersi uno pseudo Patriarca. Noi dichiarammo con la Nostra lettera “Ubi prima” dell’11 marzo 1871 che quella elezione era del tutto invalida e scismatica, e che l’eletto e i suoi elettori erano incorsi nelle censure canoniche. In seguito, usurpate violentemente le Chiese dei cattolici, costretto ad uscire dai confini dell’Impero Ottomano il legittimo Patriarca (il Venerabile Fratello Antonio Pietro IX), dopo aver occupato militarmente la stessa sede patriarcale della Cilicia che si trova in Libano, dopo essersi impadroniti anche della prefettura civile, premettero sulla popolazione della cattolica Armenia, sforzandosi di staccarla completamente dalla comunione e dalla obbedienza alla Sede Apostolica. E perché questo avvenga, molto si dà da fare fra i sacerdoti Neoscismatici quel Giovanni Kupelian che già in precedenza eccitava le popolazioni per favorire lo scisma nella città di Diyarbekir, o Amida, e che il Venerabile Fratello Nicola, Arcivescovo di Marcianopoli, Delegato Apostolico in Mesopotamia e in altre regioni, con la Nostra autorità, pubblicamente e nominativamente aveva scomunicato e dichiarato separato dalla Chiesa Cattolica. Egli, infatti, dopo avere ricevuto la sacrilega consacrazione episcopale dallo pseudo Patriarca, ed essersi impadronito del potere, ebbe la presunzione e si sforzò di sottomettere al proprio potere i cattolici di rito armeno, sia con la persuasione, sia con minacce fatte pubblicamente. Se questo avvenisse, i cattolici ritornerebbero completamente a quella miserrima condizione che 42 anni prima avevano subito, allorché erano stati soggetti al potere del vecchio rito scismatico.

4. Noi non abbiamo lasciato nulla di intentato affinché, secondo la prassi dei Nostri Predecessori – dei quali gli illustri Vescovi e Padri delle Chiese Orientali in simili circostanze di tempo e di eventi implorarono sempre l’autorità, il patrocinio e l’aiuto – potessimo allontanare da voi tanti mali. Alla fine abbiamo mandato costà un Nostro legato straordinario e – per non apparire di avere tralasciato qualche cosa – Ci siamo rivolti recentemente allo stesso eccelso Imperatore Ottomano con una particolare Nostra lettera, pregandolo che, attraverso la giustizia, venissero risarciti i danni inferti ai cattolici Armeni, e venisse restituito al suo gregge l’esule Pastore. Ma affinché non venisse data risposta alle Nostre suppliche si opposero con le loro arti astute taluni che, mentre si dichiarano cattolici, in realtà sono nemici della croce di Cristo.

5. Evidentemente la cosa è giunta a tal punto da temere considerevolmente che gli autori e i seguaci del nuovo scisma avanzino verso il peggio e possano condurre sulla via della perdizione, seducendoli per mezzo di ciò che è stato loro preposto, i più deboli nella fede o gli incauti, sia fra gli Armeni, sia fra i Cattolici di altri riti. Pertanto siamo costretti dal Nostro stesso carisma di ministero a rivolgerci ancora a Voi e, dissipando le tenebre e la molta caligine con la quale sappiamo venire manipolata la verità, ammonirvi tutti affinché si confermino coloro che sono saldi, siano sostenuti i vacillanti e con l’aiuto di Dio siano richiamati sulla buona strada anche quelli che miseramente si sono allontanati dalla verità e dall’unità cattolica, se vorranno ascoltare ciò che con tanta insistenza chiediamo a Dio.

6. La frode più usata per ottenere il nuovo scisma è il nome di cattolico, che gli autori e i loro seguaci assumono ed usurpano malgrado siano stati ripresi dalla Nostra autorità e condannati con Nostra sentenza. Fu sempre cosa importante per eretici e scismatici dichiararsi cattolici e dirlo pubblicamente, gloriandosene, per indurre in errore popoli e Principi. E questo lo attestò tra gli altri il Presbitero San Girolamo : “Sono soliti gli eretici dire al loro Re o al loro Faraone: siamo figli di quei sapienti che fin dall’inizio ci tramandarono la dottrina degli Apostoli; siamo figli di quegli antichi re che si chiamano i re dei Filosofi e abbiamo unito la scienza delle Scritture con la sapienza del mondo“.

7. Per dimostrarsi cattolici, i Neoscismatici si richiamano a quella che essi definiscono dichiarazione di fede da loro pubblicata il 6 febbraio 1870: vanno predicando che essa non dissente per nulla dalla fede cattolica. Ma in verità a nessuno è mai stato lecito proclamarsi cattolico dopo avere a proprio arbitrio proclamate le formule della fede nelle quali si è reticenti su quegli articoli che non si vogliono professare. Essi invece dovrebbero sottoscrivere tutte quelle verità che vengono proposte dalla Chiesa, come attesta la storia ecclesiastica di tutti i tempi.

8. Che fosse subdola e capziosa la formula di fede da essi pubblicata è confermato anche dal fatto che avevano respinto la dichiarazione o professione di fede proposta ritualmente dalla Nostra autorità, e che il Venerabile Fratello Antonio Giuseppe, Arcivescovo di Tiane, Delegato Apostolico a Costantinopoli, aveva ordinato loro di sottoscrivere con lettera monitoria, ad essi inviata il 29 settembre dello stesso anno. È alieno sia dal divino ordinamento della Chiesa, sia dalla sua perpetua e costante tradizione, che qualcuno possa affermare la propria fede e asserire di essere veramente cattolico, se non partecipa di questa Sede Apostolica. A questa Sede Apostolica, per il suo particolarissimo primato, tutta la Chiesa, ossia i fedeli, ovunque si trovino, devono aderire, e chiunque abbandona la Cattedra di Pietro sulla quale è fondata la Chiesa, soltanto falsamente può affermare di appartenere alla Chiesa. Pertanto è già scismatico e peccatore colui che colloca un’altra cattedra in contrapposizione all’unica Cattedra del Beato Pietro, dalla quale promanano, verso tutti, i diritti di una veneranda comunione.

9. Certamente, tutto questo non era sconosciuto ai preclarissimi Vescovi delle Chiese Orientali. Infatti, nel Concilio di Costantinopoli celebrato nell’anno 536, Menna, Vescovo di quella città apertamente dichiarava ai Padri, che approvavano: “Noi, come la vostra carità già conosce, seguiamo la Sede Apostolica e le obbediamo; riconosciamo in comunione con essa i suoi membri che l’approvano, mentre condanniamo coloro che essa condanna“. Ancora più apertamente ed espressamente San Massimo, Abate di Crisopoli e confessore della fede, parlando di Pirro Monotelita dichiarava: “Se non vuole essere eretico e non vuole sentirselo dire, non si metta dalla parte di questo o di quello: ciò è inutile e irragionevole perché se c’è uno che si scandalizza di lui, tutti sono scandalizzati, e se uno è appagato, tutti senza dubbio sono appagati. Quindi si affretti ad accordarsi su tutto con la Sede Romana. Una volta accordatosi con essa, tutti insieme e ovunque lo riterranno pio e ortodosso. Infatti parla inutilmente chi crede che una persona siffatta debba essere persuasa e sottratta al castigo da me; egli non dà garanzie e implora il beatissimo Papa della santissima Chiesa dei Romani, cioè la Sede Apostolica, la quale dallo stesso Verbo di Dio incarnato, ma anche da tutti i santi Sinodi, secondo i sacri canoni ricevette e detiene il governo, l’autorità e il potere di legare e di sciogliere in tutto e su tutto, quanto si riferisce alle sante Chiese di Dio che esistono su tutta la terra“. Perciò Giovanni, Vescovo di Costantinopoli, dichiarava ciò che poi avvenne nell’ottavo Concilio Ecumenico, cioè “che i separati dalla comunione della Chiesa Cattolica, cioè coloro che non sono in accordo con la Sede Apostolica, non dovevano essere nominati nella celebrazione dei Sacri Misteri“; con ciò si significava palesemente che essi non venivano riconosciuti come veri Cattolici. – Tutto questo è di tale importanza che chiunque sia stato indicato come scismatico dal Pontefice Romano, finché non ammetta espressamente e rispetti la sua potestà, debba cessare di usurpare in qualsiasi modo il nome di cattolico.

10.  Tutto questo non può minimamente giovare ai Neoscismatici che, seguendo le vestigia degli eretici più recenti, giunsero al punto di protestare che era ingiusta e quindi di nessun conto e valore quella sentenza di scisma e di scomunica comminata contro di essi in Nostro nome dal Venerabile Fratello l’Arcivescovo di Tiane, Delegato Apostolico nella città di Costantinopoli; dissero che non potevano accettarla per evitare che i fedeli, rimasti privi del loro ministero, passassero agli eretici. Queste ragioni sono del tutto nuove e sconosciute agli antichi Padri della Chiesa, e inaudite. Infatti, “tutta la Chiesa diffusa per il mondo – in quanto legata alle decisioni di qualsiasi Pontefice – sa che la Sede del Beato Apostolo Pietro ha il diritto di sciogliere, così come ha il diritto di giudicare su qualsiasi chiesa, mentre a nessuno è lecito intervenire su una sua decisione” . Per questo avendo gli eretici giansenisti osato insegnare simili affermazioni, cioè che non si deve tenere conto di una scomunica inflitta da un legittimo Prelato con il pretesto che è ingiusta, certi di adempiere, nonostante quella il proprio dovere – come dicevano –, il Nostro Predecessore Clemente XI di felice memoria, nella Costituzione Unigenitus pubblicata contro gli errori di Quesnel, proscrisse e condannò tali proposizioni, per niente diverse da alcuni articoli di Giovanni Wicleff, già condannati in precedenza dal Concilio di Costanza e da Martino V. Infatti, sebbene possa avvenire che per l’umana incapacità qualcuno possa essere colpito ingiustamente di censure dal proprio Prelato, è tuttavia necessario – come ha ammonito il Nostro Predecessore San Gregorio Magno – “che colui che è sotto la guida del proprio Pastore abbia il salutare timore di essere sempre vincolato, anche se ingiustamente colpito, e non riprenda temerariamente il giudizio del proprio Superiore, affinché la colpa che non esisteva non diventi arroganza a causa dello scottante richiamo“. Se poi ci si deve preoccupare di uno condannato ingiustamente dal suo Pastore, che cosa non dovremo dire, però, di coloro che, ribelli al loro Pastore e a questa Sede Apostolica, lacerarono e fanno a pezzi con il nuovo scisma l’inconsutile veste di Cristo, cioè la Chiesa?

11. La carità, che specialmente i sacerdoti devono avere verso i fedeli, deve provenire “da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sicura“, come ammonisce l’Apostolo (1Tm 1,5) che, richiamando le qualità per le quali dobbiamo mostrarci come ministri di Dio, aggiungeva: “in carità sincera, nella parola della verità” (2Cor VI, 6). Anzi, lo stesso Cristo, il Dio che è amore (1Gv IV, 8), dichiarò apertamente di considerare come un pagano o un pubblicano chi non avrà ascoltato la Chiesa (Mt XVIII, 17). D’altronde il Nostro Predecessore San Gelasio così rispondeva ad Eufemio, Vescovo di Costantinopoli, che proponeva tesi analoghe: “Il gregge deve seguire il Pastore, quando lo richiama a pascoli salutari, e non il Pastore il gregge, quando questo va errando fuori strada“. Infatti “il popolo deve essere istruito non seguito: e noi, se quelli non sono informati, dobbiamo istruirli su ciò che è lecito o non lecito, e non dare loro il nostro consenso” .

12. Ma, affermano i Neoscismatici, non si è trattato di dogmi, ma di disciplina a questa infatti si riferisce la Nostra Costituzione Reversurus pubblicata il 12 luglio 1867; quindi a coloro che la contestano non possono non essere negati il nome e le prerogative di Cattolici: e Noi non dubitiamo che a voi non sfuggirà quanto sia futile e vano questo sotterfugio. Infatti, tutti coloro che ostinatamente resistono ai legittimi Prelati della Chiesa, specialmente al sommo Pastore di tutti, e si rifiutano di eseguire i loro ordini, non riconoscendo la loro dignità, dalla Chiesa Cattolica sono sempre stati ritenuti scismatici. Per quanto hanno fatto i sostenitori della fazione Armena di Costantinopoli, nessuno potrà ritenerli immuni dal reato di scisma, anche se non sono stati condannati come tali dall’autorità apostolica. La Chiesa, come hanno insegnato di Padri è un popolo riunito con un sacerdote; è un gregge che aderisce al suo Pastore: perciò il Vescovo è nella Chiesa, e la Chiesa nel Vescovo, e chi non è con il Vescovo, non è nella Chiesa. Del resto, come ammoniva il Nostro Predecessore Pio VI nella lettera Apostolica con cui condannò in Francia la costituzione civile del Clero, spesso la disciplina aderisce talmente al dogma e influisce a tal punto sulla conservazione della sua purezza che i sacri Concilii in moltissimi casi non hanno dubitato di separare con anatemi dalla comunione della Chiesa i violatori della disciplina.

13. Questi Neoscismatici sono andati veramente oltre dal momento che vanno dicendo che “nessuno scisma è per se stesso un’eresia, tale da essere visto rettamente come allontanamento dalla Chiesa” . Infatti non si sono fatti scrupolo di accusare la Sede Apostolica come se, oltrepassando i limiti della Nostra potestà, avessimo avuto la presunzione di porre mano alla falce in campo altrui, pubblicando alcune norme di disciplina da osservarsi nel patriarcato Armeno; come se le Chiese degli Orientali dovessero osservare con Noi la sola comunione e unità di fede, e non fossero sottomesse alla potestà apostolica del Beato Pietro in tutte le materie che riguardano la disciplina. Inoltre, siffatta dottrina non solo è eretica dopo che sono state deliberate dal Concilio Ecumenico Vaticano la definizione e la proclamazione del potere e della natura del primato pontificio, ma anche perché come tale l’ha sempre ritenuta e condannata la Chiesa Cattolica. Fin d’allora i Vescovi del Concilio Ecumenico di Calcedonia professarono chiaramente nei loro Atti la suprema autorità della Sede Apostolica, e richiedevano umilmente dal Nostro Predecessore San Leone la conferma e la validità dei loro decreti, anche di quelli che riguardavano la disciplina.

14. E in realtà il successore del Beato Pietro , per il fatto stesso che per successione tiene il posto di Pietro, vede assegnato a sé per diritto divino tutto il gregge di Cristo, avendo ricevuto assieme all’Episcopato il potere del governo universale, mentre agli altri Vescovi viene assegnata una particolare porzione del gregge, non per diritto divino, ma per diritto ecclesiastico, non per bocca di Cristo, ma per l’ordinamento gerarchico onde poter esercitare in esso una ordinaria potestà di governo. Se la suprema autorità dell’assegnazione venisse tolta a San Pietro e ai suoi successori, prima di tutto vacillerebbero le stesse fondamenta delle principali Chiese e le loro prerogative. “Se Cristo volle che ci fosse qualcosa in comune fra Pietro e gli altri pastori, non concesse mai alcunché se non per mezzo di lui“. “Infatti fu lui che onorò la sede di Alessandria, inviandovi [Marco] l’Evangelista, suo discepolo; fu lui che affermò la sede di Antiochia, dove rimase per sette anni prima di partire per Roma“. E per tutto ciò che fu decretato nel Concilio di Calcedonia a proposito della sede di Costantinopoli, fu assolutamente necessaria l’approvazione della Sede Apostolica. Lo dichiararono apertamente lo stesso Anatolio, Vescovo di Costantinopoli , e anche l’Imperatore Marciano.

[Gli Atti di Pio IX omettono il paragrafo 15 che, secondo la successione aritmetica, dovrebbe trovarsi a questo punto della presente Enciclica].

16. Senza dubbio, dunque, i Neoscismatici, anche se a parole proclamano di essere cattolici – a meno che non si receda del tutto dalla costante e ininterrotta tradizione della Chiesa, confermata largamente dalla testimonianza dei Padri – non potranno mai persuadersi di esserlo realmente. E se non fosse abbastanza nota e provata la sottigliezza astuta delle falsità ereticali, non si potrebbe comprendere come il Governo Ottomano li possa ancora considerare cattolici, pur sapendo che essi sono già separati dalla Chiesa Cattolica per Nostro giudizio e con la Nostra autorità. E come la Religione Cattolica gode di sicurezza e libertà nell’Impero Ottomano, come è stato garantito dai decreti dell’eccelso Imperatore, così è necessario che le siano accordati tutti quei riconoscimenti che spettano all’essenza della religione stessa, quale il primato di giurisdizione del Romano Pontefice, e che sia lasciato al suo giudizio di universale e supremo Capo e Pastore lo stabilire chi siano i cattolici e chi no; il che è accettato dovunque e da tutte le genti, presso qualsiasi umana e privata società.

17. Questi Neoscismatici asseriscono di non opporsi per nulla alle istituzioni della Chiesa, ma soltanto che essi combattono per difendere i diritti delle loro Chiese e della loro nazione, anzi del loro stesso Sovrano, che fantasiosamente dichiarano essere stati da Noi violati. E su questo punto non esitano a rigettare su di Noi e sulla Sede Apostolica ogni causa dell’odierno turbamento, come già accadde da parte degli Scismatici Acaciani contro San Gelasio, Nostro Predecessore , e prima ancora da parte degli Ariani che calunniavano il Papa Liberio, pure Nostro Predecessore, presso l’Imperatore Costantino, perché egli si rifiutava di condannare Sant’Atanasio, Vescovo di Alessandria, e di mettersi in comunione con quegli eretici . E di questo ognuno può dolersi, ma non meravigliarsi! Così infatti scriveva in proposito il santissimo Pontefice Gelasio all’Imperatore Anastasio: “Spesso questa categoria di malati ha la pretesa di accusare i medici che li vogliono riportare alla salute con giuste prescrizioni, piuttosto che consentire di abbandonare e riprovare i propri nocivi appetiti“. – Pertanto, essendo queste le principali argomentazioni con le quali i Neoscismatici si attirano il favore e si procurano il patrocinio dei potenti, anche se al servizio di una così pessima causa, è necessario da parte Nostra agire più energicamente della semplice ripulsa di codeste calunnie, affinché i fedeli non vengano indotti in errore.

18. Non vogliamo certamente ricordare qui a quale situazione erano giunte le condizioni delle Chiese Cattoliche che si erano formate in tutto l’Oriente dopo che era prevalso lo scisma e per castigo di Dio fu spezzata l’unità della sua Chiesa e fu abbattuto l’impero dei Greci. Neppure osiamo ricordare quanto faticassero i Nostri Predecessori, appena fu loro permesso, per riportare le pecore disperse all’unico e vero gregge di Cristo Signore. E sebbene i frutti nel loro complesso non abbian corrisposto alla fatica compiuta, tuttavia, per misericordia di Dio, numerose Chiese di diversi riti sono ritornate alla verità e all’unità cattolica; e la Sede Apostolica accogliendole fra le braccia come bambini appena nati, provvide sollecitamente a riconfermarle nella vera fede cattolica e a conservarle immuni da ogni macchia ereticale.

19. Pertanto, quando fu riferito che in Oriente venivano sparsi falsi dogmi di qualche setta già condannata dalla Sede Apostolica, specialmente quelli che tendevano a deprimere il primato pontificio di giurisdizione, allora il Papa Pio VII, di felice memoria, molto turbato dalla gravità del pericolo, subito stabilì che si doveva provvedere affinché per sterili tortuosità e ambiguità di discussioni non venisse meno negli animi dei fedeli cristiani l’autentico significato delle parole trasmesso dagli antichi. Per questa ragione ordinò di inviare ai Patriarchi e ai Vescovi Orientali l’antica formula del Nostro Predecessore Sant’Ormisda, e contemporaneamente ordinò che i singoli Vescovi, su tutto il territorio della loro giurisdizione, come pure il clero, sia secolare, sia regolare in cura d’anime, sottoscrivessero la professione di fede prescritta da Urbano VIII per gli Orientali qualora non vi avessero provveduto prima, e che la stessa professione di fede fosse sottoscritta da coloro che venivano iniziati agli ordini ecclesiastici, oppure che venivano promossi a qualunque sacro ministero.

20. Inoltre, non molto tempo dopo, cioè nell’anno 1806, presso il monastero di Carcafe, nella diocesi di Beirut, fu convocato un Sinodo denominato Antiocheno, il quale sosteneva molte affermazioni che erano state tratte tacitamente e con l’inganno dal già condannato Sinodo di Pistoia, e inoltre alcune proposizioni dello stesso Sinodo di Pistoia condannate dalla Santa Sede Romana in parte ad litteram e altre come insinuate ambiguamente, e ancora altre, in odore di Baianismo e Giansenismo, contrarie al potere ecclesiastico, che turbavano l’ordinamento della Chiesa, e contrarie alla sana e consolidata dottrina della Chiesa. Tale Sinodo di Carcafe, pubblicato in caratteri arabici nell’anno 1810 senza avere consultato la Sede Apostolica, e contestato con molte critiche dai Vescovi, fu infine disapprovato e condannato con una particolare lettera apostolica dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, che ordinò ai Vescovi di attingere la norma di governo e della sana dottrina dagli antichi Sinodi approvati dalla Sede Apostolica. E fossero cessati gli errori dei quali brulicava quel Sinodo già condannato! Tali malvagie dottrine non cessarono di serpeggiare di nascosto per l’Oriente, aspettando l’occasione di manifestarsi apertamente: e quello che prima fu tentato inutilmente per circa 20 anni, i Neoscismatici Armeni ora hanno osato attuare.

21. Veramente, essendo la disciplina il legame della fede, incombeva alla Sede Apostolica l’obbligo d’intervenire per restaurarla. A questo suo gravissimo dovere non venne mai meno, sebbene per le avverse circostanze di tempi e di luoghi poté provvedere soltanto per le necessità contingenti, attendendo frattanto tempi migliori che, con l’aiuto di Dio, talvolta giunsero. Infatti sotto la pressione dei Nostri Predecessori Leone XII e Pio VIII, e con l’aiuto dei sommi Principi di Austria e di Francia, l’eccelso Imperatore Ottomano, venuto a conoscenza della diversa condizione esistente fra Cattolici e scismatici, sottrasse i primi dalla civile potestà di questi ultimi e decretò che i cattolici, a guisa di regione – come si suol dire – avessero un loro Capo o Prefetto civile. Fu permesso prima di tutto che i Vescovi di rito Armeno che godevano di potestà ordinaria, potessero risiedere tranquillamente a Costantinopoli; fu permesso erigere Chiese cattoliche dello stesso rito armeno e professare ed esercitare pubblicamente il culto cattolico. Pertanto il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria eresse a Costantinopoli la Sede primaziale e arcivescovile degli Armeni , particolarmente sollecito che in essa rifiorisse in modo consono e opportuno la disciplina cattolica.

22. Dopo alcuni anni, appena parve possibile, furono erette da Noi delle Sedi episcopali soggette alla Sede primaziale di Costantinopoli, e allora fu stabilito il metodo da osservare nella elezione dei Vescovi. Poi, affinché la potestà civile cosiddetta del Prefetto non interferisse nelle cose sacre – il che è sempre stato contrario alle leggi della Chiesa Cattolica – fu provveduto dall’autorità dello stesso Imperatore Ottomano con un diploma imperiale del 7 aprile 1857 indirizzato al Venerabile Fratello Antonio Hassun, che allora era Primate della stessa sede. Allorché poi, su richiesta degli stessi Armeni, abbiamo riunito, con la lettera apostolica Reversurus, la Chiesa primaziale di Costantinopoli (abrogando questo titolo) alla Sede patriarcale della Cilicia, abbiamo ritenuto opportuno, anzi necessario, che alcuni dei più importanti capitoli sulla disciplina venissero sanciti con l’autorità della stessa Costituzione. E con la lettera apostolica che inizia con la parola Commissum, pubblicata il 12 luglio 1867 , abbiamo demandato al Sinodo patriarcale, che abbiamo comandato si celebrasse al più presto, il compito di operare con cura e sollecitudine affinché in tutto il Patriarcato Armeno venisse istituito un accurato ordinamento di disciplina.

23. Per la verità il “nemico” ha ripreso a seminare zizzania a più non posso nella Chiesa Armena di Costantinopoli, essendo stata sollevata da parte di alcuni la questione sulla prefettura civile della comunità Armena, che ritenevano fosse stata eliminata di nascosto dal nuovo Patriarca. Un grave scompiglio fece seguito a questa controversia, e lo stesso Patriarca fu accusato di avere tradito i diritti nazionali per il fatto che aveva accettato la predetta Nostra Costituzione, come si addice ad un Vescovo cattolico; e così appunto contro questa Costituzione cospirarono tutti i progetti, le macchinazioni e le maldicenze dei dissidenti.

24. In questa questione furono incriminati, prima di tutto, i decreti sulla elezione dei sacri Pastori e sull’amministrazione dei beni ecclesiastici; e fu asserito che questi decreti erano contrari ai diritti della loro nazione, anzi, calunniosamente, anche a quelli dello stesso Sovrano. Le cose che Noi abbiamo definito su questi due capitoli, sebbene dovrebbero essere arcinote, tuttavia è bene siano ripetute: infatti è sempre avvenuto ed avviene che molti parlano (Ef IV,17-18) nella frivolezza della loro mente a causa dell’ignoranza che è in loro; altri poi (Pr XXIII, 7) simili a maghi e indovini, apprezzano ciò che non conoscono.

25. Abbiamo stabilito che il Patriarca debba essere eletto dal Sinodo dei Vescovi, escludendo dalla sua elezione i laici e anche tutti i chierici che non sono insigniti del carattere episcopale; abbiamo comandato anche che l’eletto entri nell’esercizio della sua potestà – come si dice, venga intronizzato – soltanto dopo avere ricevuto la lettera della sua conferma dalla Sede Apostolica. In verità, abbiamo stabilito che i Vescovi vengano eletti come segue: tutti i Vescovi della provincia, riuniti in Sinodo, propongono tre idonei ecclesiastici alla Sede Apostolica. Se risultasse impossibile che tutti i Vescovi potessero accedere al Sinodo, la proposta venga fatta da almeno tre Vescovi diocesani riuniti in Sinodo con il Patriarca, con l’obbligo di comunicare per iscritto agli altri Vescovi la terna proposta. Dopo ciò, il Pontefice Romano sceglierà uno dei tre proposti con il compito di presiedere alla Chiesa vacante. Abbiamo anche notificato che non dubitavamo che i Vescovi Ci avrebbero proposto uomini veramente degni e idonei, per non essere costretti Noi o i Nostri Successori, per dovere del Nostro Apostolico ministero, a scegliere una persona non proposta da mettere a capo della Chiesa resasi vacante.

26. Queste disposizioni, in verità, se vengono considerate con animo alieno dagli interessi di parte, vengono travate conformi a quello che è sancito dai Canoni della fede cattolica. Per quanto riguarda l’esclusione dei laici dalla elezione dei sacri Presuli, si deve accuratamente distinguere il diritto di eleggere i Vescovi (affinché non venga portato avanti alcunché contrario alla fede cattolica) dalla facoltà di portare testimonianza riguardo alla vita e ai costumi dei candidati. La prima affermazione si potrebbe riferire alle false opinioni di Lutero e di Calvino che asserivano essere di diritto divino che i Vescovi siano eletti dal popolo. Tutti sanno che questa falsa dottrina è sempre stata condannata dalla Chiesa Cattolica e lo è tuttora; il popolo non ha mai avuto il potere di eleggere i Vescovi o altri sacri ministri, né per diritto divino, né per diritto ecclesiastico.

27. Per la testimonianza del popolo su quello che riguarda la vita e i costumi di coloro che devono essere promossi all’episcopato, “dopo che per la violenza degli Ariani, favoriti dall’Imperatore Costantino, furono cacciati dalle loro sedi i Presuli cattolici e nelle loro sedi furono immessi i seguaci di quelli, come deplora Sant’Atanasio il complesso delle circostanze rese necessaria la presenza del popolo nelle elezioni dei Vescovi per poter difendere nella sua sede quel Vescovo che era stato eletto davanti al suo popolo“. Pertanto codesto costume per un po’ di tempo fu conservato nella Chiesa: però, sorgendo continue discordie, tumulti e altri abusi, fu necessario escludere il popolo dalle elezioni e tralasciare la sua testimonianza e il suo desiderio circa la persona da eleggere. Come infatti avverte San Girolamo : “spesso il giudizio del popolo e del volgo è in errore, e nell’approvare i sacerdoti ciascuno favorisce i propri costumi, in modo che egli ricerca un presbitero che, più che buono, sia simile a lui“.

28. Ciò nonostante, Noi, nello stabilire il metodo della elezione, abbiamo lasciato libera facoltà al Sinodo dei Vescovi di indagare in tutte le più ampie maniere, e come essi volevano, sulle doti dei candidati, chiedendo anche – se lo stimavano opportuno – la testimonianza del popolo. In verità, gli Atti inviati a questa Santa Sede attestano che, anche dopo l’emanazione della Nostra Costituzione, ci fu un’indagine da parte dei Presuli Armeni, quando si trattò di eleggere, tre anni or sono, il Vescovo per le regioni di Sebaste e Tokat. Però questo non lo abbiamo ritenuto opportuno, e neppure ora lo riteniamo conveniente per quanto riguarda l’elezione del Patriarca, sia per l’eminenza della sua dignità, sia perché è preposto a tutti i Vescovi della sua regione, sia perché dagli Atti trasmessi a questa Sede Apostolica risulta che le elezioni dei Patriarchi di qualsiasi rito orientale è stata compiuta dai soli Vescovi, se non quando particolari e straordinarie circostanze richiesero di agire altrimenti, come quando i Cattolici, per difendersi dalla potestà e dalla violenza degli scismatici, ai quali erano soggetti, avendo ricercato un altro Patriarca che proprio per questo si era ritirato dagli scismatici, lo confermarono a testimonianza di una conversione vera e sincera alla fede cattolica, come avvenne anche nella elezione di Abramo Pietro I.

29. Abbiamo rivendicato a questa Sede Apostolica il diritto e il potere di eleggere il Vescovo fra una terna che Ci viene proposta, o anche prescindendo da essa; abbiamo proibito che sia intronizzato il Patriarca eletto, se prima non è stato confermato dal Romano Pontefice: questo è ciò che alcuni sopportano malvolentieri e contestano. Essi Ci pongono davanti le consuetudini e i canoni delle loro Chiese, come se Noi avessimo voluto recedere dalla custodia dei sacri canoni. A queste affermazioni si potrebbe rispondere con quanto scrisse San Gelasio, Nostro Predecessore, che dovette subire una simile calunnia dagli scismatici Acaciani: “Ci oppongono dei canoni, mentre non sanno quello che dicono; si scagliano contro gli stessi canoni, quando si rifiutano di obbedire alla prima Sede, che li richiama a cose rette e sane“. Sono infatti gli stessi Canoni che riconoscono in ogni maniera la divina autorità del Beato Pietro su tutta la Chiesa, e che asseriscono – come è stato detto nel Concilio di Efeso – che Egli fino ad ora e sempre vive nei suoi Successori ed esercita il diritto di giudicare. Giustamente pertanto Stefano, Vescovo di Larissa, poté rispondere risolutamente a coloro che ritenevano che per l’intervento del Romano Pontefice si diminuissero i privilegi delle Chiese della regale città di Costantinopoli: “L’autorità della Sede Apostolica, che da Dio e Salvatore nostro è stata data al capo degli Apostoli, sovrasta a tutti i privilegi delle Sante Chiese: nella sua confessione tutte le Chiese del mondo trovano la pace” .

30. Certamente, se recuperate la storia delle vostre regioni, vi vengono incontro esempi di Pontefici Romani che usarono di questo potere, allorché lo stimarono necessario per la salvezza delle Chiese Orientali. Infatti il Pontefice Romano Agapito con la sua autorità depose Antimo dalla sua Sede di Costantinopoli, e a lui sostituì Menna senza ricorrere ad alcun Sinodo. E Martino I, Nostro Predecessore, affidò il suo potere vicariale per le Regioni Orientali a Giovanni Vescovo di Filadelfia, e “per quella Apostolica Autorità – come disse – che ci è stata data dal Signore attraverso il Santissimo Pietro, Principe degli Apostoli“, comandò al predetto Vescovo di costituire Vescovi, Presbiteri e Diaconi in tutte quelle città che sottostanno alle Sedi sia Gerosolimitana che Antiochena. E se si vuole ricorrere ai tempi più recenti, voi sapete che Mardense, Vescovo degli Armeni, fu eletto e consacrato per disposizione di questa Sede Apostolica, e, infine, che i Nostri Predecessori concedettero ai Patriarchi la cura pastorale della Cilicia, attribuendo ad essi l’amministrazione delle regioni della Mesopotamia, sempre a beneplacito della Santa Sede. Tutto questo è in piena conformità col potere della suprema Sede Romana, che fu sempre riconosciuta, riverita e professata dalla Chiesa degli Armeni, eccettuati i luttuosi tempi dello scisma. Non stupisce che presso i vostri concittadini ancora separati dalla fede cattolica, resti sempre viva l’antica tradizione che quel gran Vescovo e martire (di cui la vostra gente si gloria, meritatamente lo considera l’Illuminatore e San Giovanni Crisostomo lo definì “il sole nascente nelle regioni orientali, il cui splendore giunge con i suoi raggi fino alle Popolazioni della Grecia“), abbia ricevuto la sua potestà dalla Sede Apostolica per raggiungere la quale non esitò ad affrontare – da nulla atterrito – un lungo e difficile viaggio.

31. Quelle vicende – e Dio ne è testimone – sono state a lungo meditate da Noi, tenendo presenti i vecchi e i più recenti avvenimenti. Esse Ci hanno indotto ad adottare questa disposizione, non per suggerimento di qualcuno, ma motu proprio e con sicura conoscenza. Infatti, chiunque comprende facilmente che dalla buona scelta dei Vescovi dipende l’eterna felicità del popolo cristiano e talvolta anche quella temporale. Per questa ragione, in certe particolari circostanze di tempi e di luoghi, si dovette provvedere che ogni potere per la scelta dei sacri Vescovi venisse riservato alla Sede Apostolica. Tuttavia Ci sembrò giusto moderare l’esercizio di tale potere, in modo che rimanesse al Sinodo dei Vescovi la potestà di eleggere il Patriarca, e fosse in loro potere di proporre a Noi, per ogni sede vacante, una terna di nomi di uomini idonei, come fu poi sancito nella succitata Costituzione.

32. Anche in questa vicenda, per stimolare i pigri e per accrescere lo zelo di coloro che già camminano bene, dichiarammo che speravamo sarebbero stati proposti uomini veramente adatti a quell’ufficio, per non essere costretti a porre a capo di una sede vacante un altro non proposto; che si procedesse con cautela era stato stabilito nell’Istruzione da Noi emanata nell’anno 1853. Abbiamo saputo che da queste pur mitissime parole alcuni presero occasione di sospettare che la proposta sinodale dei Vescovi sarebbe stata in futuro illusoria e di nessuna importanza per Noi. Altri, andando oltre, hanno immaginato che in queste parole fosse nascosto il proposito di affidare a Vescovi Latini la cura spirituale degli Armeni. Anche se queste critiche non meriterebbero alcuna risposta poiché le fanno coloro che si smarrirono dietro i loro pensieri e presero timore dove non c’è di che temere, tuttavia abbiamo ritenuto che non si dovesse tacere sul Nostro diritto di fare qualche elezione anche fuori della terna proposta, affinché in futuro nessuno possa costringere la Sede Apostolica ad agire secondo il suo vantaggio. È ben vero che anche col Nostro silenzio il diritto e il dovere della Cattedra del Beatissimo Pietro sarebbero rimasti integri, poiché i diritti e i privilegi che le sono stati conferiti dallo stesso Cristo Dio possono essere sì contestati, ma non possono essere aboliti; e non è in potere di alcun uomo rinunciare ad un diritto divino, quando talvolta, per volontà di Dio, fosse costretto ad esercitarlo.

33. Certamente, nonostante queste leggi siano state rese note agli Armeni da oltre diciannove anni e più volte si siano eletti Vescovi, non è mai capitato fino ad ora che Noi abbiamo usato questo potere, neppure nei tempi più recenti quando, dopo avere emanato la Costituzione Reversurus, avevamo ricevuto la proposta di una terna di nomi, dalla quale non abbiamo potuto scegliere un Vescovo. Allora Noi abbiamo ordinato che da parte del Sinodo dei Vescovi si rinnovasse la terna secondo le leggi già prescritte, per non essere costretti ad eleggere un altro non proposto. Ma questo fu impedito da un nuovo scisma che lacerò la Chiesa degli Armeni. Confidiamo pertanto che nel futuro non vengano tempi così calamitosi per le Chiese Cattoliche Armene, da costringere i Romani Pontefici a collocare al governo di codeste Chiese uomini non proposti dal Sinodo dei Vescovi.

34. Non c’è molto da aggiungere sulla vietata intronizzazione dei Patriarchi prima della conferma di questa Santa Sede. Gli antichi documenti attestano che mai fu ritenuta definitiva e valida l’elezione dei Patriarchi senza l’assenso e la conferma del Romano Pontefice. Anzi è risaputo che fu sempre chiesta questa conferma dagli eletti alle sedi Patriarcali, anche contro l’assenso degli stessi Imperatori. E pur tralasciando altri nomi in questa cosa arcinota, ricorderemo che il Vescovo di Costantinopoli, Anatolio, uomo non certamente molto benevolo verso la Santa Sede, e lo stesso Fozio, principale autore dello scisma greco, chiesero con insistenza che le loro elezioni venissero confermate dall’assenso del Romano Pontefice, utilizzando anche la mediazione degli Imperatori Teodosio, Michele e Basilio. I Padri del Concilio di Calcedonia vollero che restasse nella sua sede il Vescovo di Antiochia, Massimo, nonostante avessero dichiarato invalidi tutti gli Atti del brigantesco Sinodo Efesino nel quale egli era stato sostituito a Domno, per il fatto che “il santo e beatissimo Papa, che aveva confermato l’episcopato del santo e venerabile Massimo, come Vescovo di Antiochia, con questo dimostrava chiaramente e giustamente di approvare i suoi meriti“.

35. Se poi si tratta dei Patriarchi delle altre Chiese che, rigettato lo scisma, in questi tempi recenti sono tornati all’unità cattolica, non troverete nessuno di loro che non abbia chiesto la conferma della sua elezione al Romano Pontefice: e tutti furono confermati con lettere particolari, con le quali erano posti a capo delle loro Chiese. Accadde anche che i Patriarchi eletti usarono del loro potere anche prima della conferma del Sommo Pontefice, ma ciò avvenne per tolleranza della Sede Apostolica, data la lontananza delle loro regioni e in considerazione dei pericoli che si potevano incontrare nei viaggi, nonché, molto spesso, per la prepotenza che minacciava guai da parte degli scismatici dello stesso rito. Ciò fu concesso anche in Occidente a coloro che erano molto distanti, e sempre per le necessità e l’utilità delle loro Chiese. Ma è giusto osservare che ora queste cause sono cessate, e sono state eliminate le difficoltà dei viaggi, dopo che i Cattolici furono sottratti, per concessione del Sovrano Ottomano, alla potestà degli scismatici. Tutti possono convincersi che così si provvede con maggiore sicurezza alla conservazione della fede cattolica, che non può essere arbitrariamente turbata per il fatto che salga su una sede patriarcale uno indegno di quell’ufficio, prima che abbia ricevuto la conferma Apostolica. Certamente si può impedire che sorgano occasioni di perturbazioni, qualora il Patriarca eletto, respinto dalla Santa Sede Apostolica, si ritiri dal suo posto.

36. Senza dubbio, se si considerano le cose attentamente, apparirà che tutte le disposizioni sancite dalla Nostra Costituzione tendono alla conservazione e all’incremento della fede cattolica, nonché alla vera libertà della Chiesa e a rivendicare l’autorità dei Vescovi, i cui diritti e privilegi, nella fermezza della Sede Apostolica, si rafforzano, si consolidano e trovano sicurezza. I Romani Pontefici, su richiesta dei Vescovi di qualsiasi dignità, nazione o rito, hanno sempre strenuamente difeso tali diritti contro eretici e ambiziosi.

37. Sui diritti nazionali – come si suol dire – non è necessario rispondere con molte parole. Se si tratta soltanto dei diritti civili, questi sono in potere del supremo Principe, al quale spetta giudicare legalmente di essi e decretare, come stima più opportuno e necessario per il bene dei sudditi. Se poi si tratta di diritti ecclesiastici, sia chiaro, e nessuno può ignorare, che i Cattolici mai hanno riconosciuto diritti nazionali o di popoli sulla Chiesa, la sua gerarchia e i suoi ordinamenti. Se poi da tutto il mondo confluiscono genti e nazioni nella Chiesa, tutti Dio li ha riuniti nell’unità del Suo Nome, sotto colui che Egli stesso ha messo a capo di tutti, cioè sotto il Sommo Pastore San Pietro, Principe degli Apostoli, affinché – come ammoniva l’Apostolo – “non ci sia più Pagano e Giudeo, Barbaro e Scita, schiavo e libero, ma Cristo sia tutto e in tutti (Col III, 11): quel Cristo dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso mediante la collaborazione di ogni componente secondo l’energia propria di ciascun membro, riceve forza per crescere ed edificare se stesso nella carità” (Ef IV, 16). Il Signore non ha mai concesso alcun diritto sulla Chiesa ad alcun popolo o nazione, ma ordinò agli Apostoli di istruire tutte le genti (Mt XXVIII,19), imponendo loro il dovere di credere; per cui il Beatissimo Pietro (At XV, 7), agli Apostoli e agli Anziani convenuti insieme, dichiarò apertamente che Dio aveva fatto una scelta: cioè che i pagani ascoltassero per bocca sua la parola del Vangelo e venissero alla fede.

38. Ma dicono anche che da Noi sarebbero stati violati i diritti del Sovrano imperante. È una volgare calunnia, ormai logorata per il lungo uso fattone dagli eretici; questa calunnia, escogitata per la prima volta dagli Ebrei contro Cristo, in seguito fu usata dai pagani contro gli Imperatori romani e fino ad oggi l’hanno usata molto spesso gli eretici nei confronti dei Principi, anche cattolici, e volesse il Cielo che non venisse più usata. In proposito, San Girolamo scrisse : “Gli eretici adulano la dignità regale e sono soliti imputare la propria superbia ai re, e ciò che essi stessi fanno, lo fanno apparire come fatto dal re; accusano le persone sante e i banditori della fede presso il re, e ordinano ai profeti di non predicare in Israele, per non fare qualcosa contro la volontà del re, perché Bethel, cioè la casa di Dio e la falsa chiesa, siano la santificazione del re e la casa del suo regno“. Sarebbe più opportuno coprire col disprezzo e col silenzio queste impudenti calunnie, tanto esse sono lontane dalla dottrina cattolica, dai Nostri costumi, dalle Nostre istituzioni. Ma è giusto e doveroso che i semplici e gli indotti non ne ricevano danno, formandosi una sinistra opinione di Noi e della Sede Apostolica, per le dicerie dei maligni “i quali scagliandosi contro gli altri, cercano di favorire i propri vizi” .

39. La dottrina della Chiesa Cattolica insegnata dallo stesso Cristo Dio e trasmessa dai Santi Apostoli afferma che si deve dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio; pertanto anche i Nostri Predecessori non omisero mai, quando fu necessario, di imporre la dovuta fedeltà ed obbedienza ai Principi. Da questo deriva che è proprio del Sovrano l’amministrazione degli affari civili, mentre le realtà ecclesiastiche appartengono unicamente ai sacerdoti. A queste realtà sono da attribuire tutti quei mezzi che sono necessari – come dicono – per costituire e decretare la disciplina esteriore della Chiesa. E come fu già definito dal Nostro Predecessore Pio VI di felice memoria, sarebbe ereticale asserire che l’uso di questo potere ricevuto da Dio sarebbe un abuso d’autorità della Chiesa. La Sede Apostolica si è sempre adoperata molto perché si conservasse integra la distinzione dei due poteri, e i santissimi Presuli apertamente condannarono l’intrusione del potere secolare nel governo della Chiesa; il che fu chiamato da Sant’Atanasio “spettacolo nuovo e inventato dalla eresia ariana” . Fra questi Presuli è sufficiente nominare Basilio di Cesarea, Gregorio il Teologo, Giovanni Crisostomo e Giovanni Damasceno. Quest’ultimo affermava apertamente: “Nessuno pensi che la Chiesa possa essere amministrata con gli editti dell’Imperatore; essa è retta dalle regole dei Padri, siano esse scritte o no“. Per questo i Padri del Concilio di Calcedonia nella causa intentata da Fozio, Vescovo di Tiro, apertamente dichiararono con l’assenso dei legati dell’Imperatore: “Contro la regola non vale nessuna pratica contingente (cioè un decreto imperiale); si osservino i Canoni dei Padri“. E poiché i predetti legati chiedevano con insistenza “se il sacro Concilio intendesse giudicare così tutti i decreti imperiali, che risultano pregiudizievoli per i Canoni, tutti i Vescovi risposero: Tutti i decreti contingenti dovranno cessare: ci si attenga ai Canoni, e questo sia fatto anche da voi“.

40. Sono due i punti nei quali si afferma che i diritti imperiali furono da Noi violati e cioè: primo, perché abbiamo stabilito il modo di eleggere e insediare i Vescovi, e l’altro perché abbiamo vietato ai Patriarchi di alienare i beni ecclesiastici senza aver prima consultato la Sede Apostolica.

41. Ma che cosa può essere più pertinente all’ordinamento ecclesiastico della elezione dei Vescovi? In nessun luogo della Sacra Scrittura abbiamo mai trovato che essa sia stata lasciata all’arbitrio dei re o del popolo. Sia i Padri della Chiesa, sia i Concilii Ecumenici, sia le Costituzioni Apostoliche sempre riconobbero e sancirono che tale elezione appartiene al potere ecclesiastico. Se dunque nel costituire un Pastore della Chiesa, la Sede Apostolica definisce le modalità da osservare nel fare la scelta, con quale ragione si potrà dire che sono stati violati i diritti imperiali, quando la Chiesa stessa esercita non i diritti di altri, ma quelli del suo proprio potere? È infatti esimia e venerabile l’autorità esercitata dal Vescovo sul popolo che gli è stato affidato; il potere civile non ha pertanto nulla da temere poiché nel Vescovo troverà non un nemico, ma un assertore dei diritti del Principe. Per contro, se si verificasse un’umana leggerezza, la stessa Sede Apostolica non trascurerebbe minimamente di riprendere quel Vescovo che mancasse della dovuta fedeltà e del dovuto sostegno al Principe legittimo. E neppure è da temere che giunga alla dignità episcopale chi avesse l’animo avverso al legittimo Principe, poiché si è soliti investigare adeguatamente secondo le leggi della Chiesa su coloro che possono essere promossi, affinché siano dotati di quelle virtù che l’Apostolo richiede in essi. Non risplenderebbe certamente di queste virtù chi fosse noto per non osservare il precetto del Beato Pletro, il Principe degli Apostoli (1Pt II,13): “Siate sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano; sia ai governanti come suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: cioè che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti; comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio“.

42. Se poi il supremo Sovrano Ottomano di Costantinopoli e i suoi successori ritennero utile affidare ai Vescovi e ad altri ecclesiastici anche l’amministrazione e un compito civile, non per questo può essere diminuito il pieno e completo potere della Chiesa a seguito della loro elezione. Sarebbe assolutamente sconveniente che i valori celesti venissero posposti a quelli terreni, e i valori spirituali dovessero servire quelli civili. D’altronde resterebbe sempre integro il diritto del Sovrano di attribuire ad altri il grado e il potere civile, qualora lo giudicasse opportuno, restando sempre pieno e libero per i Vescovi cattolici l’esercizio del potere ecclesiastico. E, come è noto, ciò è avvenuto con un particolare decreto del Sovrano Ottomano nell’anno 1857.

43. Tutte queste Nostre disposizioni, a Nostro nome e per Nostro mandato, furono trasmesse alla sublime Porta Ottomana dal Venerabile Nostro Fratello l’Arcivescovo di Tessalonica allorché era Nostro legato straordinario a Costantinopoli. Si dovrebbe quindi cessare di ridestare queste calunniose ed obsolete dicerie, a meno che gli invidiosi avversari non vogliano essere reputati più amanti della faziosità che della verità.

44. Noi siamo rimasti molto meravigliati, allorché Ci è stato riferito che siamo stati contestati per la rinnovata e da Noi confermata legge circa l’alienazione dei beni ecclesiastici, come se volessimo non tanto invadere i diritti imperiali, quanto rivendicare per Noi gli stessi beni delle Chiese Armene. I beni ecclesiastici appartengono alle rispettive Chiese, come i beni dei cittadini appartengono ai cittadini, e sono di loro proprietà: ciò è sancito non solo dai canoni, ma dettato – come ognuno sa – dalla stessa legge naturale. Per la verità, l’amministrazione di questi beni fu affidata all’arbitrio e alla coscienza dei Vescovi fin dai primi secoli della Chiesa; i decreti dei Concilii che seguirono non tralasciarono di regolare la materia, emanando delle leggi per definire con quali criteri e con quali finalità doveva essere condotta la loro amministrazione e permessa la loro alienazione. In proposito, l’antico potere dei Vescovi fu limitato, e concesso secondo la prudente decisione dei Sinodi o dei Presuli Maggiori. Ma siccome non pareva che si provvedesse abbastanza alla sicurezza dei beni ecclesiastici, sia per la rara celebrazione dei Sinodi, sia per altre cause, dovette intervenire l’autorità della Sede Apostolica, con la quale si provvide che non venissero alienati i beni delle Chiese, senza consultare il Pontefice Romano.

45. Per la salvaguardia delle Chiese, fu ritenuta cosa tanto importante e necessaria stabilire, già da molto tempo, che gli eletti alle Chiese cattedrali, metropolitane o anche patriarcali dovessero obbligarsi, con religioso giuramento, all’osservanza di questa legge. Anche gli Atti che sono nei Nostri archivi apostolici attestano che questo giuramento fu prestato anche dai Patriarchi di rito Orientale, relativamente ai beni della loro mensa, fin da quando le loro Chiese sono ritornate alla verità e unità cattolica: e non c’è stato nessuno che non abbia promesso con giuramento di osservare la legge predetta. Lo stesso procedimento fu seguito e si segue ogni giorno da parte dei Vescovi di rito Latino di tutte le nazioni, regni o repubbliche, senza che mai le autorità civili abbiano protestato per la violazione di qualche loro diritto. E giustamente. Infatti, con queste leggi il Pontefice Romano non pretende nulla; nulla si arroga: l’essenziale è che sì definisca con appropriate decisioni cosa sia necessario fare nei singoli casi da parte del Vescovo, o quali poteri si concedano al Vescovo, sempre tenendo conto dell’interesse delle singole Chiese: con l’intento non dissimile da quello di un padre di famiglia che tratta con i figli su ciò che si deve compiere. Quanto al fatto che ai Patriarchi soggetti a Roma è vietato alienare i beni della loro mensa senza aver consultato la Sede Apostolica, ciò abbiamo ritenuto dovesse essere inserito nella Nostra Costituzione relativa agli altri beni ecclesiastici, non senza gravissimi motivi, dei quali ben sappiamo che dovremo rendere doveroso conto a Dio: nessuno che voglia giudicare con retta coscienza può sospettare altrimenti. Ogni saggia persona comprenderà che con la citata Nostra Costituzione fu provveduto alla salvaguardia e alla conservazione dei beni ecclesiastici in modo più sicuro ed efficace, senza che sia stato recato alcun pregiudizio ai diritti di chicchessia.

.46. Noi quindi confessiamo francamente di non comprendere in che modo con questi Nostri decreti siano stati lesi – come dicono – i diritti del Sovrano, tanto siamo lontani dall’averlo voluto o dal pensare che ciò potesse avvenire. Se non si può affermare che è contrario al diritto quel potere con il quale i Patriarchi e i Vescovi dell’Impero Ottomano operano nell’amministrazione dei beni ecclesiastici, non si può affermare che sia contrario al diritto quel potere che la Sede Apostolica esercita doverosamente e legalmente quando stabilisce le modalità con le quali i Vescovi debbono operare, in modo che siano di utilità e non di danno. È evidente che con questo documento Noi abbiamo provveduto alla salvaguardia dei beni ecclesiastici; in futuro ciò sarà di grandissima utilità alle Chiese cattoliche dell’Oriente; e quando si saranno quietate le contestazioni, tutti lo riconosceranno; i posteri poi, se si osserveranno religiosamente queste leggi, lo sperimenteranno. Poiché l’Imperatore Ottomano ha stabilito con i suoi decreti la libertà di quelle Chiese e ha comunicato a Noi che avrebbe gestito con molta umanità il loro patrocinio, Noi non dubitiamo che, considerata la cosa come veramente è, e rigettate le pretestuose calunni degli avversari, ci si dovrà rallegrare più che dolere di questi provvedimenti, che risulteranno evidentemente di grande utilità per esse.

.47. Non è meno calunnioso il commento escogitato più recentemente da taluni e subito accettato avidamente dai dissidenti Orientali, secondo il quale il Romano Pontefice, per il fatto che è il Vicario di Cristo, deve essere considerato come un’autorità esterna che si inserisce nel governo interno dei regni e delle nazioni: pertanto – affermano – questo si deve assolutamente proibire, affinché al Sovrano restino intatti tutti i suoi diritti e si chiuda ogni via a che altri Principi non siano indotti ad osare simili iniziative.

48. È facile comprendere quanto siano false queste contestazioni e quanto siano aberranti dalla retta ragione e dal divino ordinamento della Chiesa Cattolica. È falso, prima di tutto, che i Romani Pontefici siano usciti dai limiti del loro potere o che si siano intromessi nella civile amministrazione degli Stati usurpando i diritti dei Principi. Se con questa calunnia si biasimano i Pontefici Romani perché vogliono deliberare sulle elezioni dei Vescovi e dei sacri ministri della Chiesa, o su legittimi motivi e su altre faccende che sono di pertinenza della disciplina ecclesiastica, e che chiamano esteriore, si devono allora ammettere due ipotesi: o si ignora, o si vuole respingere il divino e immutabile ordinamento della Chiesa Cattolica. Questa rimase e rimarrà sempre stabile; né si può esigere che sia soggetta a qualsiasi patto o mutamento, specialmente in quelle regioni dove la libertà e la tranquillità della Religione Cattolica sono assicurate persino dai decreti imperiali del Sovrano. Essendo poi un dogma della fede cattolica che la Chiesa è una e che il suo capo supremo è il Romano Pontefice (il quale è padre e maestro universale di tutti i cristiani), il Pontefice non potrà mai essere dichiarato estraneo a nessuna Chiesa particolare e ai Cristiani, a meno che qualcuno voglia affermare che il capo è estraneo alle membra del corpo, il padre è estraneo ai figli, il maestro ai discepoli, il pastore al suo gregge.

49. Coloro che persistono nel chiamare la Sede Apostolica autorità estranea, con questa espressione lacerano l’unità della Chiesa o danno occasione di lacerarla, per il fatto che negano al successore del Beato Pietro il titolo e i diritti di Pastore universale, defezionando dalla dovuta fede cattolica, se si considerano suoi figli, o combattendo la sua dovuta libertà, se ne sono fuori. Cristo Signore apertamente insegnò (Gv X, 5) che le pecore conoscono e ascoltano la voce del Pastore e lo seguono; ma fuggono “da un estraneo, perché non conoscono la voce degli estranei“. Se dunque il Sommo Pontefice è dichiarato estraneo a qualche Chiesa particolare, sarà quella Chiesa estranea alla Sede Apostolica, cioè alla Chiesa Cattolica che è una sola, fondata su Pietro dalla parola stessa del Signore. Coloro che la vogliono separare da quel fondamento non rispettano più la Chiesa divina e Cattolica, ma tentano di crearne una umana, la quale – come affermano – legata soltanto dai vincoli umani della nazionalità, non sarebbe più cementata dal glutine dei sacerdoti che aderiscono con fermezza alla Cattedra del Beato Pietro, non resterebbe salda con essa e non sarebbe connessa e congiunta nell’unità della Chiesa cattolica.

50. Abbiamo deciso, Venerabili Fratelli e diletti Figli, di scrivervi tutte queste cose nel presente frangente: a Voi, che avete ricevuto la Nostra identica fede nella giustizia di Dio e del Salvatore nostro Gesù Cristo, onde risvegliare la vostra mente sincera in questa vicenda. Voi vedete che si adempie anche presso di Voi quello che avevano predetto i santi Apostoli di Dio, cioè che sarebbero sorti negli ultimi tempi dei dileggiatori per ingannarvi: gente che cammina secondo le proprie concupiscenze. Sforzatevi dunque di non passare da Colui che vi ha chiamato alla grazia di Cristo, ad un altro vangelo. In realtà non ce n’è un altro; soltanto, ci sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo. E veramente vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo coloro che si sforzano di rimuovere il fondamento che lo stesso Cristo Dio ha posto alla sua Chiesa; negano o vanificano la cura universale di pascere le pecore e gli agnelli che nel Vangelo fu affidata a Pietro. “Il Signore permette e sopporta che queste cose avvengano, rispettando il libero arbitrio di ciascuno, affinché, mentre la prova della verità valuta i vostri cuori e le vostre menti, rifulga di chiara luce la fede integra di coloro che sono stati messi alla prova“. È necessario che, secondo il precetto dell’Apostolo, Voi evitiate costoro che avanzano ogni giorno verso il peggio, e che non accogliate in vostra compagnia nessuno di loro, con nessun ripensamento, come fino ad ora avete fatto saggiamente e con costanza, onde conservare intemerata la fede nei vostri cuori.

51. “Ma nessuno cerchi di ingannarvi, come è avvenuto per opera degli antichi scismatici per il fatto che dichiarino che non esiste dissenso sulla fede, ma sui costumi, o che la Sede Apostolica non si occupa tanto della causa della comunione nella fede cattolica, quanto si duole perché sospetta di essere stata disprezzata da loro. Coloro che sono irretiti nell’errore non cessano di spargere queste e simili dicerie per ingannare le persone semplici“. È invece evidente, sia dalle loro dichiarazioni, sia dai loro scritti divulgati fra il popolo, che viene impugnato apertamente quel primato di giurisdizione assegnato da Cristo Signore a questa Sede Apostolica nella persona del Beato Pietro, allorché viene impedito questo suo diritto sulle Chiese di rito Orientale: la Nostra succitata Costituzione non poté essere la causa, ma soltanto l’occasione e il pretesto per spargere questi errori fra menti turbolente o impreparate. “La Sede Apostolica non si duole tanto dell’offesa, quanto si preoccupa di salvaguardare la fede e la sincera comunione, così che anche oggi, se tutti coloro che sembrò prorompessero nel disprezzo di lei ritornassero veramente pentiti nell’animo all’integrità della fede e della comunione cattolica, essa li accoglierebbe con tutto l’affetto del cuore e con totale amore, secondo il costume delle regole paterne“. Chiediamo che il misericordiosissimo Dio si degni di perdonare, e Noi, che nell’umiltà del Nostro cuore da tempo chiediamo ciò premurosamente, desideriamo e vogliamo che anche Voi facciate lo stesso.

52. Per il resto, Venerabili Fratelli e diletti Figli, confortatevi nel Signore e nella potenza della sua Grazia; indossate l’armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno cattivo, imbracciando in ogni occasione lo scudo della fede; e non sacrificate la vostra anima che è più preziosa di Voi stessi. Ricordatevi dei vostri Maggiori, che non temettero di soffrire l’esilio, il carcere e la morte stessa, per conservare a sé e a Voi il dono della vera fede cattolica. Essi ben sapevano che non si devono temere quelli che uccidono il corpo, ma colui che può perdere l’anima e il corpo nella Geenna. Affidate a Dio ogni vostra preoccupazione, perché Egli ha cura di Voi, e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma dalla tentazione vi farà ricavare vantaggio, affinché possiate resistere. In Lui esulterete, anche se ora dovrete affliggervi in vari tentativi, affinché la prova della vostra fede, molto più preziosa dell’oro che si prova col fuoco, ritorni a lode, gloria e onore nella rivelazione di Gesù Cristo. Infine vi scongiuriamo, nel nome del medesimo Dio e Salvatore nostro, che siate tutti concordi nel dire e nel fare, e siate perfetti in ogni cosa, nella medesima dottrina, impegnati a conservare l’unità della fede nel vincolo della pace. E la pace di Dio, che supera ogni Nostro sentimento, custodisca i vostri cuori e le vostre intelligenze in Cristo Gesù, nostro Signore, nel cui nome e per la cui autorità impartiamo con grande affetto a Voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, che perseverate nella comunione e nella obbedienza a questa Santa Sede, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 gennaio 1873, nell’anno ventisettesimo del Nostro Pontificato.