ORAZIONE IN LODE DI SAN PIETRO APOSTOLO

ORAZIONE IN LODE

DI S. PIETRO APOSTOLO

RECITATA NELLA CHIESA DI S.  FERDINANDO IN NAPOLI

Dal P. M. COSTANTINO ROSSINI

Tu es Petrus et super hanc petram ædificabo Ecclesiam.

[S. Matteo, Capo XVI].

[Saggio di eloquenza sacra– Parte Seconda. – Tipogr. De Cristofaro, Napoli, 1854]

Dovendo, spettabilissimi uditori, tenere a voi ragionamento di Pietro che il principato si ebbe in fra tutti gli Apostoli: dovendo tessere le laudi di un discepolo del Cristo, a cui Egli commetteva la potestà suprema di legare, e di sciogliere: dovendo alla vostra mente, e alla vostra fede incarnare con la mia povera parola le virtù, di lui, per le quali è insieme fondamento  e vertice della Chiesa di Dio: il mio pensiero in tanta vastità, in tanta amplitudine, ed in tanta altezza di grado, e di postura; smarrisce, e smarrito si arresta. E di vero; se io mi fo a considerarlo quanto all’imperio, per Daniele mi si dice la potestà di lui essere sempiterna, ed il suo regno di generazione in generazione: potestas ejus, potestas sempiterna, et regnum ejus in generationem, et generationem. Se mi fo a contemplarlo nella sua fede, ella fu tale, e tanta che il Verbo incarnato ebbe a dirgli, la carne, e il sague non a te fu maestra, ma il Padre mio che è nei cieli: caro, et sanguis non revelavit libi, sed Pater meus qui in cœlis est. Se mi fo ad affissarlo nella sua carità, ed ella fu tanto viva, e tanto fervente, che il divin maestro vedendo in lui l’immagine dell’amor suo, volle sopra gli omeri di lui posar le fondamenta della sua Chiesa: tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam. Se mi fo a risguardare l’amore che portò ai suoi fratelli, fu questo così intenso, e per modo sentito che l’eterno Pastore a lui trasferiva del gregge redimito la pastura « pascola le mie pecore: pasce oves meas. » Se mi fo ad addentrare la fortezza del suo animo, ed a lui fu detto, « conferma i tuoi fratelli qualche volta vacillanti: confirma fratres tuos. » Se pongo mente al suo apostolato, ed egli dopo aver seminato il semente della parola divina nell’Asia, ed aver qua, e là molte Chiese fondate, diritto si volge a Roma, regina dell’universo, e asilo di tutti gli errori de’ popoli conquistati, e quivi rovesciato il Panteon, stabilisce la sua cattedra, onde il magno Leone disse: ad hanc Urbem, beatissime Petre venire non metuis … silvam frementium bestiarum. Se da ultimo mi fo a riflettere alla sua umiltà, ed egli nel versare il sangue, che fu l’umor fecondante della sua fede; volle capovolto esser crocefisso, reputando indegno morir sulla Croce nel modo che l’immacolato Agnello moriva. Egli adunque il maggiore, ed il Principe degli Apostoli, egli il candelabro acceso innanzi al tabernacolo di Dio, egli la pietra angolare dell’edificio gettato sulla terra dal Redentore, egli il pastore vigilantissimo del gregge di Cristo, egli la ferma colonna del tempio di rigenerazione, egli la tromba sonora che rintrona negli estremi della terra la sacra parola, egli la cattedra della vera sapienza nella scuola della fede, egli il custode, ed interprete delle ieratiche dottrine, egli l’esempio vivo della vera umiltà. Perloché primeggiando egli nella fede, nella carità, nella fortezza, nello zelo, nella umiltà, nell’imperio, e nella dignità; l’acume del pensiero tanta celsitudine non mai raggiunge, né tutta quanta può cogliere la grandezza di lui. Laonde perchè il mio ragionare fosse ad un’ora e all’altezza del soggetto in qualche modo dicevole, e alla vostra aspettazione corrispondente, m’ingegnerò dimostrarvi esser Pietro la pietra fondamentale dell’edilizio civile: I riflessione: esser Pietro la pietra fondamentale dell’edificio II. riflessione: esser Pietro la pietra fondamentale dell’edificio spirituale, III. riflessione. Epperò la pietra angolare del regno del Cristo : Tu es Petrus, et super hanc petram ædifìcabo Ecclesiam meam.

I . Che Pietro sia la pietra fondamentale dell’edifìcio civile, frughiamo col pensiero indagatore la civile comunanza prima della società del Cristo, e fuori questa società. Cerchiamo la famiglia domestica nella Città, e fuori dell’eterna Città, che il Verbo del Padre venne a porre in atto sulla terra. – Smarrita l’uomo l’idea per la sua ribellione a Dio, smarriva seco e il dritto, e lo scopo del dritto. E di vero: richiamando alla mente la famiglia domestica, fondamento della civil famiglia; in questa non si vede che un capo il cui dritto riposa nell’essere il più forte, ed è questo il marito. La donna non è, che istrumento delle sue voluttà, delle sue libidini, non è che l’oggetto de’ suoi appetiti, l’esca, ed il fuoco delle sue lascivie, e se ei l’ama, non è amor di amicizia, amor d’istinto, il quale intiepidisce, e s’infredda appena avvizzano le rose delle sue guance, non appena si appanna il rubino delle labbra, l’aureo color delle chiome, il vermiglio del suo seno, le grazie della persona. Perdute le quali, non è più compagna della sua vita, obbietto delle sue tenerezze, ond’è che rimane deserta, abbandonata, ed in preda delle sventure, e delle miserie, delle lacrime. I figliuoli, in questa famiglia domestica, non sono che proprietà del padre, accessione pel suo conjugio. Egli ha il dritto di alienare, di vendere, di uccidere la propria prole, né la tenera età, né la debolezza, né il pianto, né i vezzi fanciulleschi, né le grazie, né l’amore istintivo. è loro di scudo all’arbitrio, ed all’ira del padre. I servi, in questa famiglia, non sono che strumenti di lavoro, e di fatiche, ed organi passivi del capriccio delle furie del padrone. Egli li condanna alla fame, ed al digiuno, alle torture, ed ai flagelli, gli vende nei mercati, gli uccide né sospetti, e la proprietà materiale ha più valore della proprietà personale. Questa è la famiglia domestica di Atene, di Sparta, di Grecia, di Roma, questa è la famiglia dell’Asia, e dell’America in cui la luce del Vangelo non è stata ancora ricevuta. Se tale adunque è la famiglia domestica, quale poi non è la famiglia civile? Guerre, discordie, lizze, soprusi, favore, arbitrio, violenza, ecco il corredo della civile comunanza prima del Cristianesimo. Venne sulla terra il Verbo dal Padre, rischiarò le nebbie della umana ragione, seminò il buon semente della divina parola, ruppe le catene del servaggio, strinse il freno alle passioni, e all’imperio della forza, sostituì l’imperio del dritto. Nel Cristianesimo la moglie è la tenera compagna della vita, uguale ne’ diritti, nei doveri al marito, perché sta scritto « ciò che Dio congiunse, l’uomo non può separare. È questo connubio gran sacramento al dir di Paolo, ed è simbolo di quel connubio che il Cristo stringeva indivisibilmente con la Chiesa. Nel Cristianesimo i figliuoli non sono accessioni, e proprietà dei parenti, non è loro dato il potere di uccidere, e di alienare, perocché essi non sono che pegni della bontà consegnati ai genitori, e tenere piatite che debbono allevare all’ombra vitale del Vangelo, perché sta scritto: “lasciate i pargoli venissero a me”. Nel Cristianesimo i servi non sono animali condannati alle più dure fatiche, semoventi al capriccio del padrone, ma perché figli del medesimo Padre celeste, e rigenerati alla fede del Cristo, son fratelli al Signore, e soci, e compagni nella famiglia. Nel Cristianesimo non solamente vennero restituiti i dritti alle persone, ma eziandio venne garantito il diritto, od imposto il rispetto, imponendo l’esercizio delle morali virtù, nel qual esercizio sta ogni bene. E se la società civile è composta dalla società domestica, migliorata l’una ch’è base e fondamento, senza dubitare  è migliorata l’altra. Oltre a ciò, se a sentenza di due gravi Sapienti della Gentilità, non vi può essere civile comunanza senza religione, e senza vera religione; ivi questa civile società di uomini è perfetta, ove la religione è vera, e dove la religione è santa. E se non vi è verità di religione fuori della religione del Cristo, aperto conseguita che vi può esser consorzio veramente civile fuori della Chiesa. E dove mai, spettabilissimi Signori, questa Chiesa riposa? Portatevi col pensiero nelle parti di Cesarea, ed ecco al vostro cospetto un uomo mite di cuore, mansueto negli atti, gentile nei modi, soave nelle parole: eccolo in mezzo ad un cerchio de’ suoi discepoli, altri vengono dalle reti, altri dal traffico, e tutti dalla gente minuta, rozzi di costume, ignari di lettere, poveri di fortuna e ruvidi della persona. Ecco che così dice « Chi dicono essere il Figliuol dell’uomo? Altri rispondono, gli uomini forse, avendo riguardo alla solitudine della tua vita, alla forza della tua voce, alla calca delle turbe che spesso ti seguono, alla rigidità del tuo costume, dicono esser tu il Battista, e la voce che grida nel deserto, preparate la via del Signore: altri avendo forse riguardo alle luce di cui sul monte flagrò il tuo volto e le tue vestimenta addivenir bianche come la neve, dicono esser tu Elia dal carro infuocato: altri avendo riguardo alle tue profetiche parole, ai tuoi avverati vaticini, ed all’altezza delle dottrine, dicono esser tu Geremia, o uno de’ profeti della Santa Città. Ed egli allora disse, se ciò dicono di me gli uomini, di me che dite? E Pietro rispose, tu sei il Cristo, Figliuolo di Dio vivo: allora il Maestro, vedendo risosta cotale Tirata non esser opera del sangue, e della carne, ma della Grazia che in lui potentemente operò; rispose; sei beato, o Simone Bariona, ed io ti dico tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò fa mia Chiesa, ed ecco Pietro pietra fondamentale dell’edificio civile, perciocché, Pietro innalzando la bandiera della Croce, predicando ai popoli esser Figliuoli del medesimo Padre cioè Iddio; le varie razze degli uomini si ridussero all’unità, le varie famiglie all’unico principio. Sparvero le divisioni degli imperi, dei Regni, delle Provincie: sparve alla luce del Vangelo l’opposizione, e la varietà delle complessioni dipendenti dal vario cielo, dal vario clima: sparve al suono della parola divina che rintronò per tutti gli angoli della terra la varietà, e l’opposizione dei riti, dei culti: sparve alla parola di pace la discordia, e la guerra che divideva, e insanguinava le nazioni: parve alla promulgazione della legge del perdono l’odio intestino che rodeva lentamente gli umani: sparve alla nuova dottrina la dissonanza delle opinioni, e degli errori: sparve al nuovo patto la tenebra che avvolgeva gli umani intelletti, si ruppero le cabine del servaggio cui l’angelo delle tenebre teneva stretti i figliuoli della colpa. E predicandosi un Dio principio, e fine degli esseri, predicando il Cristo Redentore del genere umano, predicando un culto, ed un rito, predicando una legge, ed un dritto stabilì quella teocrazia perfetta desiderata dai Santi, veduta dai Profeti, conosciuta in fra le tenebre della ragione dai Sapienti della terra, e disegnata ab eterno nella mente di Dio: quella teocrazia in cui Iddio realmente comunica cogli uomini, e gli uomini con Dio: quella teocrazia in cui scopo è la verità per essenza, la virtù, la felicità eterna dei popoli: quella teocrazia ch’è fondamento, è radice, è mezzo, è fine di ogni civile comunanza: quella teocrazia insomma che restituiva agli uomini il dritto usurpato, dettava la legge infallibile, e segnava la meta cui devono tendere incessantemente e governanti, e governati, perché uno è il pastore, ed uno l’ovile. Ma Pietro non è pure pietra fondamentale dell’edificio civile, sebbene pietra fondamentale dell’edilizio morale.

  1. Per quaranta secoli -, l’umana ragione si era studiata trovare un principio di giure, un criterio di bene e di male, un modo a distinguere la virtù, e il vizio, e per quaranta secoli non altro si era veduto, che errori, congetture, opinioni. I Greci che tanto s’innalzarono sugli altri, e che nella sapienza riponevano ogni umana grandezza, i Greci stessi che in contemplando trapassavano, e consumavano i giorni, nella variabilità quasiché infinita delle molle principali delle umane azioni, nel complesso indefinito degli effetti non avevano potuto con l’analisi pervenire al primo principio, giungere alla prima cagione. I Legislatori più prudenti, e più maturi si veggono smarrire il sentiero, e senza tipo di giusto, e di bene sanzionare false leggi. Dracone detta leggi di sangue: Licurgo reputato sapientissimo punisce la deformità, e per fare robusti gli uomini eradica il pudore: Solone signoreggiato dall’idea di patria grandezza corrompe la severità de’ nativi costumi. Zeleuco sancisce la legge di vendetta. Numa rende superstizioso un popolo sorto dal coraggio, e dal valore. Caronda legittima il furto. Ma non pure i Legislatori, i Filosofi più accurati, e maggiormente intesi alla morale degli uomini, errabondano nel campo della ragione, e malgrado tanti sforzi, tante vigilie, tante fatiche; non sanno discendere nell’uman cuore, e trovare la prima forza che l’abita, né sanno salire nella mente, e vedere lo scopo a cui tende, e la destinazione per la quale venne creato. – Pitagora altro non vede che armonia nel creato, e da questa armonia vuol ricavare la legge. Platone non vede che tipi, ed a questi tipi vuol ridurre la norma. Aristotile non iscopre che sviluppamento sociale, ed in questo sviluppamento ripone il dritto. Zenone non altro vede, che relazioni tra azioni, ed obblighi, ed in questa reciprocanza statuisce il Catecon. Cicerone non altro vede che consentimento universale di popoli, ed in questo consentimento alloga l’officio. Epicuro altro non scorge che voluttà, ed in questa voluttà statuisce la virtù. Quindi nei magni Filosofi non altro si vede che aberrazioni di mente. L’umana ragione dunque errava di sistema in sistema, di opinioni in opinioni, di errore in errore senza poter conoscere il vero, il buono, il giusto. Nella lotta di tanti sistemi, nella discordia di vari elementi politici, contrasto di varie credenze, appare un uomo di invano cerchi l’educazione, invano il luogo della giovanil dimora, invano la scuola delle dottrina che professa. Parla, e divien muta la Sinagoga, si muove, e le turbe lo seguono, comanda, e la natura gli ubbidisce, opera ed una serie di meraviglie lo accompagna. Non profeta, predica l’avvenire, non dottore, adempie e modifica la legge,  non filosofo, ritrova il legame della società, non politico stabilisce il fondamento di un’ ampia famiglia. Quest’uomo misteriosamente pacifico minaccia una guerra, mentre è umile, affronta i superbi, mentr’è inerme, combatte, e vince i secoli, mentre è solo lotta con gl’lmperii. Questo essere misterioso, quest’uomo dei portenti è il Verbo del Padre: la sua lingua grida amore, ed ecco a questa parola onnipotente fuggir la guerra nel luogo dond’era sbucata, estinguersi la fiaccola della discordia. La sua lingua grida pazienza, ed ecco spuntati i pungoli del dolore, delle ingiurie, dei morbi, degli affanni, della morte. La sua lingua grida perdono, ed ecco attutite le vendette, racquetati gli odii, estinte le ire. La sua lingua grida povertà, ed ecco abborrite le grandezze, detestati i tesori. La sua lingua grida abnegazione, ed ecco l’uomo dal mondo del senso, della voluttà, rientrato nel mondo della contemplazione, della mortificazione. Tutte queste dottrine le compie con l’esemplo di se stesso: la legge la scrive con il suo sangue, la vita l’apre con la sua morte, l’ira l’espugna col suo sacrificio, l’inferno lo vince con la sua passione. Questo potere, il Verbo del Padre, trasmette agi Apostoli con quelle parole « come mandò me il Padre, così io mando voi, andate nella universal terra, predicate il mio Vangelo, battezzate le creature nel Nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo. E dopo questa missione, e questo potere delegato rivolto a Pietro dice, e tu conferma i tuoi fratelli qualvolta volta vacillanti. Ed Egli perché fosse la pietra fontale dell’edificio morale, e come colonna sopra riposava cotanto apostolato; dal centro della Galilea, altri manda nella Siria, altri nell’Acaja, altri nella Giudea, altri nella Bitinia, altri nell’Armenia, altri nella Macedonia, altri nella Grecia, altri nell’Epiro, altri| in Cartagine, altri nelle Gallie, ed ei medesimo stabilita la Cattedra in Antiochia, dopo la predicazione in varie Regioni, e Città, prende la volta dell’Italia, e pervenuto in questa Regione Signora, e Regina dell’universo, parla e l’ira depone il suo tosco, l’avarizia lascia le sue arche, la libidine rompe i suoi lacci, la superbia depone il suo cipiglio, l’ambizione si spoglia dei suoi titoli. Parla e l’ipocrisia si denuda del velo, la menzogna, e l’errore perde le sue apparenze ed i pregiudizi, e le superstizioni di quaranta secoli vengono eradicate dall’annoso tronco. E qui si vedono rovesciati gli altari sozzi di sangue, altrove i fani, ed i delubri tramutati in tempio del Signore, altrove gli Oracoli caduti da’ loro tripodi, altrove l’areopago confuso: qui i panteon distrutti, qui i sistemi filosofici obbliati, altrove le aquile tarpate le penne, altrove lo stendardo della guerra umiliato al vessillo della Croce, e tutta l’umanità per lo innanzi divisa in principati, in caste, in reami, in imperii, lacerata da discordie e da ire intestine, sorretta da affetti, da opinioni, guidata dal senso, dal capriccio, rientrare nell’unità di famiglia, nell’unità di fede, avendo per fondamento la pace, per guida la Croce, per iscopo un bene che avanza i desiderii. Ben dunque vi diceva sin da prima che Pietro è la pietra fondamentale dell’edificio morale.

III. Il Cristo assumendo nella sua Persona l’umana natura, sublimava seco l’umanità. E però come il Padre si compiace di Lui giusta quelle parole, tu sei il mio figliuolo diletto in cui mi son compiaciuto; compiacendosi, si compiace ancora della natura umana nella persona del Cristo. E se prima per la ribellione al suo volere il genere degli uomini venne condannato al dolore, all’ira, ed alla morte; dopo la pienezza del tempo, rediviva la natura per il Cristo, sottentrava al dolore il gaudio, all’ira la clemenza, alla morte la vita. E pel novello Adamo offerto il cruento olocausto, vinto l’inferno, espugnata la morte, rovesciata la muraglia di bronzo che separava dal Cielo la terra, eretta di nuovo la scala di Giacobbe che pone il piede nel disco della terra, e la cima al trono di Dio, avvenne che fosse 1′ umanità conciliata col Cielo, la  fattura in grazia del suo fattore, e l’uomo con Dio; donde nel Cristo quella perfetta teocrazia in cui Iddio realmente comunica cogli uomini, e gli uomini con Dio; gli uni, e l’altro avente il medesimo scopo, il medesimo fine. E però il Cristo è il vero Signore degli uomini,  il ministro della salute del genere umano, ed il capo del nuovo gregge. Questo suo potere ei lo delega a Pietro, perciocché vedendo in lui quella carità di cui Egli fin dai secoli eterni arse per la salute degli uomini; vedendo in lui quell’amore di cui sempre palpitò il suo tenero cuore, quella carità, e quell’amore che è l’epigrafe della sua bandiera, la legge del suo imperio, la catena de’ suoi soci, e il patto sanzionato con la sua Chiesa; a lui rivolto, sicuro dell’amor di Pietro in lui, e per lui nel suo ovile, disse, a te do le chiavi del regno de’ Cieli, tu aprirai a tua posta le porte della celeste Sionne, tu chiuderai a tuo arbitrio le porte dell’inferno: tu scioglierai, e legherai, sulla terra: tu imporrai le mani sopra i miei eletti, e lo Spirito che da me, e dal Padre procede, scenderà su di loro: tu insomma avrai quel potere nella terra che io ebbi dal Padre mio. E Pietro rispose nella carità, perché aveva risposto nella fede, quindi pervenuto a Roma, condotta a salute nel Tevere la nave del Vangelo innalzato sul Campidoglio l’albero trionfale del riscatto, stabilita sopra eterne fondamenta la cattedra di verità, perché in tutto fosse somigliante al suo maestro, compiva il suo sacrificio nel centro dell’Universo, e Roma pagana signora de’ popoli, santificata dal sangue del principe degli Apostoli, addivenne signora, e Regina di un impero che ha per limiti la terra, e il Cielo, il visibile, e l’invisibile, per sudditi le generazioni, per legge la fede, per capo, Iddio, per fine l’eternità. – Salve adunque, o Pietro, salve, o pietra fondamentale dell’edificio civile, pietra fondamentale di edilizio morale, pietra fondamentale di edilizio spirituale. Deh! tu in questi tempi in cui l’errore tenta di spandere la tenebrosa sua ala in questo Cielo d’Italia rischiarato sempre dal vivo fuoco che tu accendevi nel centro di essa, e dalla luce che perenne splenderà e splende fino alla conclusione dei secoli, deh! tu tarpa le sue penne, tronca i suoi muscoli, dissipa le sue ombre, perché conosciuto il vero, le nostre menti fossero tratte dal suo bello, e dal suo bene, ed a lui strette nella milizia della vita, lo fruissero poi nel trionfo della gloria.

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In questo giorno di festa, auguriamo al Santo Padre, Gregorio XVIII, lunga vita, salutandolo con le parole che l’Angelo rivolse a Pietro nel liberarlo dalla prigione: “Petre, exurge velociter… et ceciderunt catenae de manibus ejus”. [Act. XII, 7]

LO SCUDO DELLA FEDE (XVII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

LO SCUDO DELLA FEDE XVII.

L’ORDINAMENTO SOCIALE.

Perché Dio vuole tanti poveri e tanti ricchi? — Non sarebbe meglio l’effettuazione del socialismo? — Come mai chi fa bene trova male, e chi fa male trova bene? — E perché Dio non punisce tosto certi malfattori?

— E come mai Iddio a taluni dà tanti beni, tante ricchezze, e tanti altri lascia nella più squallida povertà? Questo suo ordinamento riguardo alla società non è forse inesplicabile? E questa sua disposizione come si può conciliare con la sua bontà, con la sua saggezza, con la sua provvidenza?

Dunque, secondo te, perché l’ordinamento divino riguardo alla società fosse buono, saggio, provvido, sarebbe necessario che tutti gli uomini fossero di egual condizione, e tutti s’intende di condizione ricca. Ma dimmi: È, sì o no Iddio, Padrone assoluto di tutti gli uomini?

— Chi ne dubita?

Ed essendo il padrone di tutti gli uomini può Egli, sì o no, metterli in quella condizione che più gli piace? E se Egli, potendo senza alcun dubbio fare ciò, mette taluno in condizione ricca e tale altro in condizione povera, fa Egli forse torto ad alcuno? Alla fin fine non siamo noi sicuri, che per quanto è da Lui non lascerà mai mancare il necessario ad alcuno? – E poi, se vi hanno taluni che si trovano nello stato di povertà, spesso, anziché all’ordinamento di Dio, non dovrà attribuirsi alla loro colpa? cioè ai loro vizi, ai loro bagordi, alle loro spese inutili e sconvenienti?

— Ad ogni modo non sarebbe meglio che tutti gli uomini fossero ricchi e stessero bene?

A prima vista può sembrare così, ma la ragione stessa dimostra facilmente essere meglio il contrario. Nella società ci vogliono assolutamente per il suo bene coloro che comandino, quelli che dirigano, quelli che amministrino, quelli che giudichino, quelli che studino, quelli che esercitino le discipline più difficili e più importanti al bene pubblico. E tutti costoro per trovarsi a compiere tali offici oltre all’aver maggior ingegno, maggior scienza, maggior energia, maggior volontà, maggior attività, è pure necessario che abbiano la possibilità e il comodo di compiere i loro uffici dal maggior possedimento dei beni di fortuna. Ma nella stessa società ci vogliono pure di coloro che esercitino le arti servili, che coltivino la terra, che fabbrichino le case, che facciano gli abiti e le calzature, che costruiscano le macchine, che si applichino insomma a tutte quelle cose, che sono indispensabili per il sostentamento, per il commercio, per l’industria dell’uomo. Ora chi si darebbe ad esercitare queste arti, se non fosse costretto da necessità? Nessuno certamente.

— Ma ho inteso dire che se si effettuassero le idee del Socialismo, e cioè se si mettessero tutte le ricchezze in mano dello Stato o del comune, e queste poi si distribuissero in parti eguali fra tutti, allora gli uomini si accorderebbero fra di loro pienamente intorno all’arte, che devono esercitare.

E ciò praticamente ti par possibile? Chi mai allora si adatterà ad esempio a fare il facchino o il lustrascarpe? E quando pure avvenisse per impossibile che tutti si adattassero di comune accordo ad accettare ciascuno l’arte assegnatagli dai capi dello Stato, qual regola si terrebbe nel retribuire il lavoro di ciascuno? Si darebbe forse a tutti un’egual mercede? Ma allora che stimolo ci sarebbe ancora a lavorare e a compiere bene il proprio ufficio o il proprio mestiere? Si darebbe invece la mercede in proporzione dell’arte che si esercita e del lavoro che si compie? Ma allora chi esercita un’arte più nobile e lavora di più, sarà pagato di più, e mettendo egli da parte i suoi risparmi, non tarderà ad accumulare del denaro, ed eccoci da capo con i ricchi e con i poveri come prima. – Adunque tutt’altro che essere contrario alla Divina Provvidenza che vi siano le diverse condizioni dei ricchi e dei poveri, è una sua ammirabile disposizione, per mezzo della quale i poveri, che abbisognano dei ricchi, e i ricchi, che abbisognano dei poveri, si rendono un mutuo e vicendevole servigio e mantengono così l’armonico andamento della società. – E lo è tanto più nell’ordine cristiano in cui Iddio vuole che questa differente condizione serva ai poveri, e ai ricchi per acquistare il loro ultimo fine; ai primi col sopportar con pazienza i disagi della loro condizione, ai secondi con l’impiegar le ricchezze a far quelle buone e sante opere, cui le ricchezze sono necessarie.

— Le sue considerazioni mi hanno ben persuaso. Ho tuttavia ancora delle difficoltà riguardo all’ordinamento sociale. Ella non mi potrà negare che in questo mondo chi fa bene trova male e chi fa male trova bene; il buono, il giusto è sfortunato; l’empio, il malvagio, prospera e trionfa. E questo le par ordinamento saggio?

Amico mio, ritieni anzitutto che la vita dell’uomo non è tutta qui in questo mondo, e che se la giustizia, la bontà di taluni è ora oppressa, trionferà certamente nella vita ventura, mentre invece nella vita ventura sarà punita, ed eternamente, l’empietà dei tristi. Hai posto mente alle volte quando si accordano gli strumenti per una musica? Che confusione! Che frastuono! che strazio alle nostre orecchie! Ma ad un cenno del direttore d’orchestra si fa silenzio e comincia la musica soavissima. Così in questo mondo, che è luogo di preparazione, può parere, ed anche essere, che vi sia questa stonatura dei buoni oppressi e degli empi prosperati. Ma cessata la presente vita questa stonatura sparirà e non vi sarà più che ordine e giustizia trionfante. – E poi, se ben consideri, la prosperità degli empi, più che essere per noi oggetto di invidia, deve farci tremare, perché questa prosperità, lasciando loro facilmente credere che Dio non ci sia o non si occupi di loro, li acceca talmente, che continuando ad operare il male sino al termine della vita si procacciano così sventuratamente la perdizione eterna.

— Tutto ciò va bene, ma non toglie che le cose quaggiù stiano come ho detto.

Mio caro, tu sbagli perché sentenzi senza ponderazione. Fatti invece a considerar meglio le cose, e se vi hanno delle eccezioni, dovrai tuttavia riconoscere che in generale anche quaggiù non manca il bene a chi fa bene, e il male a chi fa male. Fa’ passare innanzi a te tutta la storia sacra e profana, e considera la quotidiana esperienza, e vedrai, che anzitutto la prosperità dei cattivi e l’oppressione dei buoni è per lo più temporanea, e che inoltre mentre l’infelicità dei buoni è temperata dal testimonio della buona coscienza e dalla benedizione del Signore, fonte di rassegnazione, di pace e persino di gaudio, la prosperità degli empi, quando non è colpita da tremende sventure, dalla fame, dalla miseria, dalla vergogna, dalle malattie, dalle condanne, dalle prigionie, è amareggiata internamente da angosce, da rimorsi, da strazi, da rabbie, da tristezze, da affanni, da tormenti inenarrabili. Eh! caro mio, ha detto bene il Metastasio:

Se a ciascun l’interno affanno

Si leggesse in fronte scritto,

Quanti mai che invidia fanno

Ci farebbero pietà!

Si vedria che i lor nemici

Hanno in seno e che consiste

Nel parere a noi felici

Ogni lor felicità.

No, non dire che i malvagi sono prosperati. Iddio è giusto; e se pur non punisce tutte le umane malvagità nella vita presente, perché non vuol togliere a noi la fede dovuta alla vita avvenire, non di rado tuttavia anche qui fa palese la sua tremenda giustizia.

— Ma non sarebbe meglio che Iddio punisse subito certi malfattori, certi profanatori sacrileghi, certi acerrimi nemici e persecutori della Chiesa?

E se Iddio punisse subito, anche a noi accade di offenderlo, dimmi, saremmo noi ancora in vita! Del resto Iddio, essendo eterno non ha premura, ed essendo sapientissimo sa cogliere il momento giusto anche per punire. Aggiungi che talora, per punire gli empi subito, come vorresti tu, dovrebbe mandare dei castighi che colpirebbero anche i buoni. Se ad esempio Dio dovesse fulminare un figlio scellerato, non cagionerebbe così un immenso dolore anche alla sua povera Madre? Se Iddio dovesse mandare un terremoto a punire un paese, dove i più sono malvagi, a meno di qualche miracolo, non dovrebbero sopportarne le conseguenze anche i buoni! E poi… anche gli uomini più scellerati che vi sono al mondo, qualche po’ di bene lo fanno sempre. – E Iddio non vuole lasciare questo po’ di bene senza ricompensa, epperò per intanto risparmia a quei scellerati la vita. Soprattutto poi, Iddio tardando a punire vuol far risplendere la sua misericordia nel dare spazio di penitenza anche all’uomo più empio, e la sua bontà verso i buoni dando loro in tal guisa occasione di esercitare meglio la fede e le altre cristiane virtù e di ripararlo degli oltraggi, che riceve dai malvagi, con atti di pietà e di religione.

— Ho compreso. E grazie.

O’ MUNACIELLO E’ PIETRELCINA

O’ munaciello ‘e Pietrelcina:

L’ultima beffa a Padre Pio!

Durante tutto l’anno, gli artisti di san Gregorio Armenio, la celebre stradina del centro storico della città partenopea, ultimo baluardo della tradizione del presepio napoletano, si affannano a ricercare nuovi personaggi da inserire nelle rappresentazioni moderniste del presepio napoletano, che oramai è un bazar di personaggi bislacchi e che nulla hanno a che vedere con la rappresentazione sacra originale. Quest’anno però sono stati preceduti dal convento dei francescani di S. Giovanni Rotondo che, forse a corto di denaro per pagare il tempio massonico edificato nella cittadina garganica, hanno pensato di forgiare un nuovo “munaciello”, per cercare di rimpinguare le casse esauste della struttura che occupano. Il “munaciello”, per i non cultori extracampani, è una figura tipica del presepio napoletano, circondato da  miti, leggende e da superstizioni, ma un presepio napoletano che si rispetti, non può essere privo di questo “pastore”, caratterizzato da un saio e cappuccio nero, marrone, o bianco-nero, e da una testa enorme, sproporzionata rispetto al resto del corpo. Il “pastore”, come sempre, era realizzato con i tipici materiali tradizionali del ‘700: corpo di fil di ferro e stoppa, mani e piedi di legno, testa in terracotta con occhi di vetro, colori ad olio e abiti in tela sottile appositamente prodotta dalla real seteria di San Leucio di Caserta. Ma i nostri neo-presepari modernisti, si sono evoluti e, ai classici materiali, alcuni dei quali non più reperibili ai giorni nostri, hanno preferito maschere in terracotta e silicone, barba con peli di Yak tibetano, lasciando però gli altri materiali, [ … legno della val Gardena, in Trentino, terracotta rossa raffinata, colori però acrilici … orrore!], anche se in formato ad “altezza naturale” lasciando al momento la dimensione classica di 33 centimetri [.. forse dava troppo sospetti per la colleganza con la conventicola del grande oriente?]. Di occhi di vetro [oggi prodotti da artigiani tedeschi] non c’è stato bisogno, poiché il “munaciello” modernista ha occhi chiusi dormienti. Il “munaciello” è stato addirittura composto in un centro d’arte, il Gems Studio di Londra, che a giudicare dai risultati, effettivamente nulla ha da invidiare al sommo Giuseppe Sammartino ed ad altri celebri scultori presepiali del ‘700. A darne notizia, il mensile Valle di Suessola titola, nel numero di Giugno: “Non è il corpo incorrotto di padre Pio” e pubblica una serie di “interessanti” foto che mostrano la grande competenza raggiunta dagli artisti inglesi … probabilmente diretti da qualche preseparo napoletano. Il mensile chiede addirittura l’intervento della magistratura per far luce sul “papocchio”! Nel frattempo che la magistratura si allerti e si pronunci sull’affare, coloro che vogliono ammirare questo “miracolo” d’arte moderna “vintage”,  si sbrighino a recarsi alla chiesa, pardon … al “tempio massonico-museo” di San Giovanni Rotondo, per convincersene e lasciare anche qualche obolo per i “fraticelli” osservanti la regola della francescana povertà.

Ecco quanto riporta il mensile: Non è il corpo incorrotto di padre Pio. A San Giovanni Rotondo continuano a fare fessi i fedeli.

A sinistra delle foto: È un pupazzo di legno fatto realizzare da un artigiano della Val Gardena nel Trentino Alto Adige. A destra: non sono i peli della barba di padre Pio, ma sono i peli di un bue tibetano. Si chiede un intervento della magistratura per porre fine a questa “sporca attività” [… rubare il mestiere agli artisti di San Gregorio.. ndr.].

Nel riquadro delle foto: “Pronta in due settimane – Le varie fasi del lavoro degli artisti del Gems Studio di Londra, per arrivare alla maschera che copre il volto di Padre Pio. Da sinistra: la scultura in argilla realizzata come modello; la maschera di silicone; utimi ritocchi di colore. Qui a sinistra, il lavoro concluso prima di essere spedito in Italia.

[Con l’autorizzazione del direttore, che ringraziamo per la disponibilità]

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (VI) – Lez. 17-19

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (VI) – Lez. 17-19

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 17 –

SUL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

721. Che cos’è il Sacramento della Penitenza?

R. La Penitenza è un Sacramento in cui vengono perdonati i peccati commessi dopo il Battesimo.

D  722. La parola Penitenza ha qualche altro significato?

R. La parola Penitenza ha altri significati. Significa anche quelle punizioni che infliggiamo a noi stessi come mezzo per espiare i nostri peccati passati; significa anche quella disposizione del cuore per cui detestiamo e piangiamo i nostri peccati perché erano offesa a Dio.

D. 723. In che modo l’istituzione del Sacramento della Penitenza mostra la bontà di Nostro Signore?

R. L’istituzione del Sacramento della Penitenza mostra la bontà di nostro Signore, perché avendoci già una volta salvati attraverso il Battesimo, avrebbe potuto lasciarci perire nel commettere di nuovamente il peccato.

D. 724. Quali sono i benefici naturali del Sacramento della Penitenza?

R. I benefici naturali del Sacramento della Penitenza sono: ci fa trovare nel nostro confessore un vero amico, dal quale possiamo recarci in tutte le nostre prove, al quale possiamo confidare i nostri segreti con la speranza di ottenerne consigli e sollievo.

D. 725. In che modo il Sacramento della penitenza rimette il peccato e restituisce all’anima l’amicizia di Dio?

R. Il Sacramento della penitenza rimette il peccato e ripristina l’amicizia di Dio con l’anima mediante l’assoluzione del Sacerdote.

D. 726. Che cos’è l’assoluzione?

R. L’assoluzione è la forma di preghiera o di parole che il Sacerdote pronuncia su di noi con la mano alzata quando perdona i peccati confessati. Viene data mentre stiamo dicendo l’atto di contrizione dopo aver ricevuto la nostra penitenza.

D. 727. Il sacerdote rifiuta mai l’assoluzione a un penitente?

R. Il sacerdote deve rifiutaRE l’assoluzione a un penitente quando pensa che il penitente stesso non sia disposto per il Sacramento. A volte posticipa l’assoluzione fino alla successiva confessione, sia per il bene del penitente sia per una migliore preparazione, specialmente quando la persona è da molto tempo lontana dalla confessione.

D. 728. Che cosa dovrebbe fare una persona quando il sacerdote ha rifiutato o rinviato l’assoluzione?

R. Quando il sacerdote ha rifiutato o rinviato l’assoluzione, il penitente deve umilmente sottomettersi alla sua decisione, seguire le sue istruzioni e sforzarsi di rimuovere qualunque cosa impedisca il conferimento dell’assoluzione e ritornare allo stesso confessore con le disposizioni e la risoluzione necessarie dell’emendamento.

D. 729. Il Sacerdote può perdonare tutti i peccati nel Sacramento della Penitenza?

R. Il sacerdote ha il potere di perdonare tutti i peccati nel Sacramento della Penitenza, ma potrebbe non avere l’autorità di perdonare a tutti. Per perdonare i peccati validamente nel Sacramento della Penitenza, sono necessarie due cose:
1. Il potere di perdonare i peccati che ogni sacerdote riceve alla sua ordinazione, e
2. Il diritto di usare quel potere che deve essere dato dal Vescovo, che autorizza il sacerdote ad ascoltare le confessioni e ad esprimere un giudizio sui peccati.

D. 730. Quali sono i peccati che il Sacerdote non ha autorità per assolvere?

R. I peccati che il Sacerdote non ha autorità di assolvere, sono chiamati peccati riservati. L’assoluzione da questi peccati può essere ottenuta solo dal Vescovo, e talvolta solo dal Papa, o dal suo speciale delegato. Le persone che hanno un peccato riservato da confessare, non possono essere assolte da nessuno dei loro peccati fino a quando il sacerdote non riceva facoltà o autorità per assolvere anche il peccato riservato.

D. 731. Perché l’assoluzione da alcuni peccati è riservata al Papa o al Vescovo?

D. L’assoluzione da alcuni peccati è riservata al Papa o al Vescovo per scoraggiare o impedire, con questa speciale restrizione, alle persone di commetterli, sia per la enormità del peccato stesso, sia per le sue cattive conseguenze.

D. 732. Può un prete assolvere una persona in pericolo di morte da peccati riservati senza il permesso del Vescovo?

R. Ogni Sacerdote può assolvere una persona in pericolo di morte da peccati riservati senza il permesso del Vescovo, perché nell’ora della morte la Chiesa rimuove queste restrizioni per salvare, se possibile, l’anima dei morenti.

D. 733. Come sappiamo che il Sacerdote ha il potere di assolvere dai peccati commessi dopo il Battesimo?

R. Sappiamo che il Sacerdote ha il potere di assolvere dai peccati commessi dopo il Battesimo, perché Gesù Cristo concesse quel potere ai Sacerdoti della Sua Chiesa quando disse: “Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati che perdonerete, saranni rimessi, a chi non li perdonerete, saranno ritenuti “.

D. 734. Come sappiamo che Nostro Signore, mentre era sulla terra, aveva il potere di perdonare i peccati?

R. Sappiamo che Nostro Signore, mentre era sulla terra, aveva il potere di perdonare i peccati:
1. Perché era sempre Dio, e;

2. Perché ha spesso perdonato i peccati e ha dimostrato il loro perdono con miracoli. Poiché ha avuto il potere Egli stesso, ha potuto darlo ai suoi Apostoli.

D. 735. Il potere di perdonare i peccati è stato dato solo agli Apostoli?

R. Il potere di perdonare i peccati non è stato dato solo agli Apostoli, perché non è stato dato per il beneficio meramente di quelli che vivevano al tempo degli Apostoli, ma a tutti coloro che, dopo aver gravemente peccato, dopo il battesimo, avrebbero avuto bisogno del perdono. Poiché, quindi, il Battesimo sarà dato fino alla fine dei tempi, e poiché il pericolo di peccare dopo di esso rimane sempre, deve rimanere nella Chiesa fino alla fine dei tempi anche il potere di assolvere tali peccati.

D. 736. Quando fu istituito il Sacramento della Penitenza?

R. Il Sacramento della Penitenza fu istituito dopo la Risurrezione di Nostro Signore, quando diede ai suoi Apostoli il potere di perdonare i peccati, che Egli aveva promesso loro prima della Sua morte.

D. 737. I nemici della nostra religione sono nel giusto quando dicono che l’uomo non possa perdonare i peccati?

R. I nemici della nostra Religione hanno ragione quando dicono che l’uomo non può perdonare i peccati se intendono dire che non può perdonarli con la sua propria potenza, ma sono certamente in errore se vogliono dire che non può perdonarli nemmeno con il potere datogli da Dio, poiché l’uomo può fare qualsiasi cosa se Dio gli dà il potere. Il sacerdote non perdona i peccati con il suo potere di uomo, ma con l’autorità che riceve come ministro di Dio.

D. 738. In che modo i Sacerdoti della Chiesa esercitano il potere di perdonare i peccati?

R. I Sacerdoti della Chiesa esercitano il potere di perdonare i peccati ascoltando la confessione dei peccati e concedendo loro il perdono come ministri di Dio e nel suo nome.

D. 739. In che modo il potere di perdonare i peccati implica l’obbligo di andare alla confessione?

R. Il potere di perdonare i peccati implica l’obbligo di confessarsi, perché di solito i peccati vengono commessi segretamente, ed il Sacerdote non potrebbe mai sapere quali peccati perdonare e cosa non perdonare, a meno che i peccati commessi non siano stati resi noti a lui dalle persone colpevoli.

D. 740. Potrebbe Dio non perdonare i nostri peccati se li abbiamo confessati a Lui in segreto?

R. Certamente, Dio potrebbe perdonare i nostri peccati se li abbiamo confessati a Lui in segreto, ma non ha promesso di farlo; mentre Egli ha promesso di perdonarli se li confessiamo ai suoi Sacerdoti. Poiché è libero di perdonare o di non perdonare, ha il diritto di stabilire pure un Sacramento attraverso il quale solo Lui perdonerà.

D. 741. Che cosa dobbiamo fare per ricevere degnamente il Sacramento della Penitenza?

R. Per ricevere degnamente il Sacramento della Penitenza dobbiamo fare cinque cose:
1. Dobbiamo esaminare la nostra coscienza.

2. Dobbiamo avere dolore per i nostri peccati.

3. Dobbiamo prendere la ferma decisione di non offendere mai più Dio.

4. Dobbiamo confessare i nostri peccati al Sacerdote.

5. Dobbiamo accettare la penitenza che il Sacerdote ci assegna.

D. 742. Per cosa dovremmo pregare, nel prepararci alla confessione?

R. Nel prepararci per la confessione dovremmo pregare lo Spirito Santo di: darci luce per conoscere i nostri peccati e comprenderne la gravità; darci la grazia di detestarli, il coraggio di confessarli e la forza di mantenere ferme le nostre risoluzioni.

D. 743. Quali errori molti commettono nel prepararsi alla Confessione?

R. Nella preparazione alla confessione molti commettono i seguenti errori:

– Di dare troppo tempo all’esame di coscienza e poco o nulla per eccitarsi al vero dolore per i peccati scoperti;

– Di cercare di ricordare ogni circostanza poco significativa, invece di pensare ai mezzi con cui evitere i loro peccati per il futuro.

D. 744. Qual è, allora, la parte più importante della preparazione alla Confessione?

R. La parte più importante della preparazione alla Confessione è il sincero dolore per i peccati commessi, e la ferma determinazione di evitarli per il futuro.

D. 745. Qual è la ragione principale per cui le nostre Confessioni non modificano sempre il nostro modo di vivere?

R. La ragione principale per cui le nostre Confessioni non sempre modificano il nostro modo di vivere è la nostra mancanza di preparazione sincera, ed il fatto che non ci siamo davvero convinti del bisogno di un emendamento. Spesso confessiamo i nostri peccati più per abitudine, necessità o paura, piuttosto che per il vero desiderio di ricevere la grazia e di essere restituiti all’amicizia di Dio.

D. 746. Quali errori devono essere evitati nel fare la nostra confessione?

R. Nel fare la nostra confessione dobbiamo evitare:

– Raccontare dettagli inutili, i peccati degli altri o il nome di qualsiasi persona;

– Confessare i peccati che non siamo sicuri di aver commesso; esagerare i nostri peccati o il loro numero; moltiplicare il numero di volte al giorno per il numero di giorni per ottenere il numero esatto di peccati abituali;

– Dare una risposta vaga, come “a volte”, quando viene chiesto quanto spesso; aspettando che ogni peccato venga chiesto per la volta successiva;

– Dissimulando i peccati attraverso la finta modestia e ritardando così i sacerdoti e gli altri in attesa; dire le parole esatte di ciascuna volta, quando abbiamo commesso più peccati dello stesso tipo, imprecando, per esempio; e, infine, lasciando il confessionale prima che il prete ci dia un cenno per andare via.

D. 747. È sbagliato andare alla Confessione senza attendere il proprio turno e contro la volontà degli altri che aspettano?

R. È sbagliato confessarsi a nostra volta contro la volontà degli altri che aspettano con noi, perché

– Si causa disordine, litigi e comportamenti scandalosi nella Chiesa;

– È ingiusto, fa arrabbiare gli altri e riduce le loro buone disposizioni per la confessione;

– Infastidisce e distrae il Sacerdote dalla confusione e dal disordine che crea. È meglio aspettare piuttosto che andare alla confessione in modo eccitato e disordinato.

D. 748. Che cosa dovrebbe fare un penitente che sa di non poter eseguire la penitenza data?

R. Un penitente che sa di non poter eseguire la penitenza data dovrebbe chiederne al sacerdote un’altra che può invece eseguire. Quando dimentichiamo la penitenza data, dobbiamo chiederne una nuova, perché non possiamo adempiere al nostro dovere di far penitenza. La penitenza deve essere eseguita al momento e nel modo in cui il confessore indica.

D. 749. Casa è l’esame di coscienza?

R. L’esame di coscienza è uno sforzo sincero per richiamare alla mente tutti i peccati che abbiamo commesso dalla nostra ultima degna confessione.

D. 750. Quando è degna la nostra confessione?

R. La nostra confessione è degna quando abbiamo fatto tutto ciò che è necessario per una buona confessione, e quando, attraverso l’assoluzione, i nostri peccati vengono veramente perdonati.

D. 751. Come possiamo fare per un buon esame di coscienza?

R. Possiamo fare un buon esame di coscienza richiamando alla memoria i comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa, i sette peccati capitali e i doveri particolari del nostro stato nella vita, onde scoprire i peccati che abbiamo commesso.

D. 752. Cosa dovremmo fare prima di iniziare l’esame di coscienza?

R Prima di iniziare l’esame di coscienza dovremmo pregare Dio di darci luce per conoscere i nostri peccati e la grazia di detestarli.

LEZIONE 18 –

LA CONTRIZIONE

D. 753. Che cos’è la contrizione, o dolore per il peccato?

R. La contrizione, o dolore per il peccato, è un odio per il peccato ed un vero dolore dell’anima per aver offeso Dio, con il fermo proposito di non peccare più.

D. 754. Si faccia un esempio di come dovremmo odiare ed evitare il peccato.

R. Dovremmo odiare ed evitare il peccato come si odia e si evita un veleno che ha causato quasi la morte. Anche se non possiamo addolorarci per la morte della nostra anima come facciamo per la morte di un amico, eppure il nostro dolore può essere vero;perché la tristezza per il peccato deriva più dalla nostra ragione che dai nostri sentimenti.

D. 755. Che tipo di dolore dovremmo avere per i nostri peccati?

R. Il dolore che dovremmo avere per i nostri peccati dovrebbe essere interiore, soprannaturale, universale e sovrano.

D. 756. Cosa si intende dicendo che il nostro dolore dovrebbe essere interiore?

R. Quando si dice che il nostro dolore dovrebbe essere interiore, si vuole dire che esso dovrebbe provenire dal cuore, e non solo dalle labbra.

D. 757. Cosa si intende dicendo che il nostro dolore dovrebbe essere soprannaturale?

R. Quando si dice che il nostro dolore dovrebbe essere soprannaturale, si vuole dire che esso dovrebbe essere spinto dalla grazia di Dio ed eccitato da motivi che scaturiscono dalla fede, e non da motivazioni meramente naturali.

D. 758. Che cosa si intende per “motivi che scaturiscono dalla fede” e per “motivi puramente naturali” riguardo al dolore per il peccato?

R. Per “dolore per il peccato”, da “motivi che scaturiscono dalla fede”, intendiamo il dolore per le ragioni che Dio ci ha fatto conoscere, come la perdita del paradiso, la paura dell’inferno o del purgatorio, o il terrore delle afflizioni che provengono da Dio nella punizione per il peccato.Per “motivi puramente naturali” intendiamo il dispiacere per motivi resi noti dalla nostra esperienza personale o dall’esperienza di altri, come la perdita di carattere, di beni o della salute.Un movente è ciò che muove la nostra volontà di fare o di evitare qualsiasi cosa.

D. 759. Che cosa si vuole dire dicendo che il nostro dolore dovrebbe essere universale?

R. Quando si dice che il nostro dolore dovrebbe essere universale, si vuole dire che dovremmo essere dispiaciuti per tutti i nostri peccati mortali, senza eccezione alcuna.

D. 760. Perché alcuni dei nostri peccati mortali non possono essere perdonati se invece altri rimangono nelle nostre anime?

R. È impossibile che alcuni dei nostri peccati mortali siano perdonati senza che anche tutti gli altri lo siano, perché come la luce e l’oscurità non possono stare insieme nello stesso luogo, così la grazia santificante ed il peccato mortale non possono dimorare insieme.Se c’è la grazia nell’anima, non può esserci il peccato mortale, e se vi è un peccato mortale, non può esserci la grazia, poiché un peccato mortale espelle ogni grazia.

D. 761. Che cosa si intende quando si dice che il nostro dolore dovrebbe essere sovrano?

R. Quando si dice che il nostro dolore dovrebbe essere sovrano, si vuole dire che dovremmo addolorarci di più per aver offeso Dio, che non per qualsiasi altro male che possa capitarci.

D. 762. Perché dovremmo essere dispiaciuti per i nostri peccati?

R. Dovremmo essere dispiaciuti per i nostri peccati, perché il peccato è il più grande dei mali ed è un’offesa contro Dio, nostro Creatore, Conservatore e Redentore, perché ci chiude il cielo e ci condanna alle eterne pene dell’inferno.

D. 763. Come si dimostra che il peccato è il più grande di tutti i mali?

R. Si dimostra che il peccato è il più grande dei mali, considerando che i suoi effetti durano più a lungo e hanno le conseguenze più terribili.Tutte le disgrazie di questo mondo possono durare solo per un certo tempo, e noi li sfuggiamo tutte alla morte, mentre i mali causati dal peccato rimangono con noi per tutta l’eternità, e sono solo aumentati con la morte.

D. 764. Quanti tipi di contrizione ci sono?

R. Ci sono due tipi di contrizione: la contrizione perfetta e la contrizione imperfetta.

D. 765. Che cos’è la contrizione perfetta?

R. La contrizione perfetta è quella che ci riempie di dolore e suscita odio per il peccato, perché offende Dio, che è infinitamente buono in se stesso e degno di ogni amore.

D. 766. Quando la contrizione perfetta può ottenere il perdono del peccato mortale senza il Sacramento della Penitenza?

R. La contrizione perfetta può ottenere il perdono del peccato mortale senza il Sacramento della Penitenza, quando non è possibile andare alla Confessione; ma con la contrizione perfetta dobbiamo comunque avere l’intenzione di confessarci il prima possibile, appena ne avremo l’opportunità.

D. 767. Che cos’è la contrizione imperfetta?

R. La contrizione imperfetta è quella con cui si odia ciò che offende Dio, solo perché con esso perdiamo il paradiso e meritiamo l’inferno;oppure perché il peccato è così odioso in se stesso.

D. 768. Quale altro nome è dato alla contrizione imperfetta e perché si chiama imperfetta?

R. La contrizione imperfetta è chiamata attrizione.Si chiama imperfetta solo perché è meno perfetta del grado più alto che è la contrizione, con la quale ci si dispiace per il peccato per puro amore verso la bontà di Dio, e senza alcuna considerazione per quanto ci può colpire.

D. 769. La contrizione imperfetta è sufficiente per una degna confessione?

R. La contrizione imperfetta è sufficiente per una degna confessione, ma dovremmo sforzarci sempre di avere una contrizione perfetta.

D. 770. Cosa intendi per: fermo proposito di non peccare più?

R. Con un fermo proposito di non peccare si intende una risoluta determinazione non solo ad evitare ogni peccato mortale, ma anche le sue occasioni prossime.

D. 771 Cosa si intende per occasioni prossime di peccato?

R. Per occasioni prossime di peccato, si intende tutte le persone, i luoghi e le cose che possono facilmente indurci nel peccato.

D. 772. Perché siamo tenuti ad evitare le occasioni di peccato?

R. Siamo obbligati ad evitare occasioni di peccato perché Nostro Signore ha detto: “Chi ama il pericolo perirà in esso”;e poiché siamo tenuti ad evitare la perdita delle nostre anime, siamo quindi tenuti ad evitare il pericolo della loro perdita.L’occasione è la causa del peccato, e non si può togliere il male senza rimuovere la sua causa.

D. 773. Una persona che sia determinata ad evitare il peccato, ma non sia disposta a rinunciare alla sua occasione prossima quando è possibile farlo, è giustamente disposta per la confessione?

R. Una persona che sia determinata ad evitare il peccato, ma che non sia disposta a rinunciare alla sua occasione prossima, quando è possibile farlo, non è giustamente disposta a confessarsi, e non sarà assolta se farà conoscere al Sacerdote il vero stato della sua coscienza.

D. 774. Quanti tipi di occasioni di peccato ci sono?

R. Esistono quattro tipi di occasioni di peccato:

– Occasioni prossime, attraverso le quali cadiamo sempre;

– Occasioni remote, attraverso le quali  cadiamo solo a volte;

– Le occasioni volontarie o quelle che possiamo evitare; e …

– Le occasioni involontarie o quelle che non possiamo evitare.

Una persona che vive in un’occasione prossima e volontaria di peccato, non può aspettarsi il perdono restando in questo stato.

D. 775. Quali persone, luoghi e cose sono di solito occasioni di peccato?

R. 1. Le persone che sono occasioni di peccato sono tutti coloro con cui pecchiamo, siano essi sempre malvagi, o cattivi solo in nostra compagnia, nel qual caso diventiamo pure occasione di peccato per loro;

– I luoghi sono di solito locande, bar, pub, rappresentazioni teatrali scadenti, danze indecenti, ricevimenti, luoghi di divertimenti, mostre e tutti i circoli immorali di qualsiasi tipo, indipendentemente dall’essere peccaminosi o meno;

– Altre cose, come libri cattivi, immagini indecenti, canzoni, barzellette e simili, anche se tollerati dall’opinione pubblica e in ritrovi pubblici.

LEZIONE 19 –

SULLA CONFESSIONE

D. 776. Che cos’è la Confessione?

R. La Confessione è il racconto dei nostri peccati ad un Sacerdote debitamente autorizzato, allo scopo di ottenere il perdono.

D.777. Chi è un Sacerdote debitamente autorizzato?

  1. Un Sacerdote debitamente autorizzato è uno inviato per ascoltare le confessioni dal legittimo Vescovo della Diocesi in cui siamo al momento della nostra confessione.

778. È permesso scrivere i nostri peccati e leggerli al prete nel confessionale o darglieli da leggere?

È permesso, quando necessario, scrivere i nostri peccati e leggerli al prete, come fanno le persone che hanno quasi perso la memoria. È anche permesso di consegnare la carta al sacerdote, come fanno le persone che hanno perso l’uso del loro modo di parlare. In tali casi il documento deve, dopo la confessione, essere accuratamente distrutto dal Sacerdote o dal penitente.

D.779. Che cosa si deve fare quando le persone devono fare la loro Confessione e non possono trovare un prete che capisca la loro lingua?

  1. Le persone che devono fare la loro confessione e che non riescono a trovare un prete che capisca la loro lingua, devono confessare come meglio possono con alcuni segni, mostrando quali peccati desiderano confessare e come sono dispiaciuti per loro.
  2. 780. Quali peccati siamo tenuti a confessare?
  3. Siamo obbligati a confessare tutti i nostri peccati mortali, ma è bene anche confessare i nostri peccati veniali.

D. 781. Perché è bene confessare anche i peccati veniali che ricordiamo?

R. È bene confessare anche i peccati veniali che ricordiamo:

(1) Perché questo dimostra il nostro odio per tutti i peccati, e

(2) Perché a volte è difficile determinare quando un peccato sia veniale e quando sia mortale.

D. 782. Che cosa si dovrebbe fare chi ha solo peccati veniali da confessare?

R. Chi ha solo peccati veniali da confessare dovrebbe dire anche qualche peccato già confessato nella sua vita in passato, per cui sa di essere veramente dispiaciuto; perché non è facile essere veramente dispiaciuti per i piccoli peccati e le imperfezioni, eppure dobbiamo essere dispiaciuti per i peccati confessati, affinché la nostra confessione possa essere valida – quindi aggiungiamo un peccato passato del quale siamo veramente dispiaciuti per quelli dei quali potremmo non essere abbastanza dispiaciuti.

D. 783. Una persona dovrebbe astenersi dalla confessione se crede di non avere alcun peccato da confessare?

R. Una persona non dovrebbe astenersi dalla confessione solo perché crede di non avere alcun peccato da confessare; infatti il Sacramento della Penitenza, oltre a perdonare il peccato, dà un aumento di grazia santificante, e di questo abbiamo sempre bisogno, specialmente per resistere alle tentazioni. I santi, che erano quasi senza imperfezione, andavano spesso a confessarsi.

D. 784. Una persona dovrebbe comunicarsi dopo la Confessione anche quando il confessore non gli propone di andare?

R. Una persona dovrebbe andare alla Comunione dopo la Confessione anche quando il confessore non gli propone di andare, perché il confessore intende così, salvo che non vieti positivamente al penitente di ricevere la Comunione. Tuttavia, chi non ha ancora ricevuto la sua prima Comunione non dovrebbe andare alla Comunione dopo la Confessione, anche se il confessore per errore dovesse dargli la possibilità di andare.

D. 785. Quali sono le qualità principali di una buona Confessione?

R. Le qualità principali di una buona Confessione sono tre; essa deve essere: umile, sincera e completa.

D. 786. Quando la nostra Confessione è umile?

R. La nostra Confessione è umile quando ci accusiamo dei nostri peccati, con un profondo senso di vergogna e di dolore per aver offeso Dio.

D. 787. Quando la nostra Confessione è sincera?

R. La nostra Confessione è sincera quando diciamo i nostri peccati con onestà e verità, né esagerandoli né scusandoli.

D. 788. Perché è sbagliato accusarci di peccati che non abbiamo commesso?

R. È sbagliato accusarci di peccati che non abbiamo commesso, perché, facendo così, il Sacerdote non può conoscere il vero stato delle nostre anime, come deve fare prima di darci l’assoluzione.

D. 789. Quando la nostra Confessione è completa?

R. La nostra Confessione è completa quando diciamo il numero e il tipo dei nostri peccati e le circostanze che cambiano la loro natura.

D. 790. Che cosa si intende per “tipi di peccato?”

R. Per “tipi di peccato” intendiamo la particolare divisione o classe alla quale appartengono i peccati; cioè, se sono peccati di blasfemia, disobbedienza, rabbia, impurità, disonestà, ecc. Possiamo determinare il tipo di peccato scoprendo il comandamento o il precetto della Chiesa che abbiamo infranto o la virtù contro cui abbiamo agito.

D. 791. Che cosa intendiamo per “circostanze che cambiano la natura dei peccati?”

R. Per “circostanze che cambiano la natura dei peccati” intendiamo qualsiasi cosa che renda il peccato di un altro tipo. Quindi rubare è un peccato, ma rubare dalla Chiesa rende sacrilego il nostro furto. Ed ancora, le azioni impure sono peccati, ma una persona deve dire se è stato commesso da solo o con altri, con parenti o estranei, con persone sposate o libere, ecc., Perché queste circostanze cambiano un tipo di impurità in un altro.

D. 792. Cosa dovremmo fare se non riusciamo a ricordare il numero dei nostri peccati?

R. Se non riusciamo a ricordare il numero dei nostri peccati, dovremmo dire il numero più approssimativo possibile, e dire quante volte potremmo aver peccato in un giorno, una settimana o un mese, e per quanto tempo è durata l’abitudine o la pratica.

D. 793. La nostra Confessione è degna se, senza colpa nostra, dimentichiamo di confessare un peccato mortale?

R. Se senza colpa nostra dimentichiamo di confessare un peccato mortale, la nostra Confessione è degna, e il peccato è perdonato; ma deve essere detto in Confessione se ci torna in mente.

D. 794. Può una persona che ha dimenticato di dire un peccato mortale in Confessione andare alla Santa Comunione prima di andare nuovamente a confessarsi?

Una persona che ha dimenticato di dire un peccato mortale in confessione può andare alla Comunione prima di andare nuovamente alla Confessione, perché il peccato dimenticato è stato perdonato con quelli confessati, e la confessione era buona e degna.

D. 795. È un’offesa grave nascondere intenzionalmente un peccato mortale in Confessione?

R. È un’offesa grave nascondere intenzionalmente un peccato mortale in Confessione, perché in tal modo diciamo una menzogna allo Spirito Santo, e rendiamo la nostra Confessione senza valore.

D. 796. Perché nascondere un peccato è dire una bugia allo Spirito Santo?

R. Nascondere un peccato significa mentire allo Spirito Santo, perché colui che nasconde il peccato dichiara in confessione a Dio e al Sacerdote che non ha commesso peccati, mentre lo Spirito Santo, lo Spirito di verità, lo ha visto commettere il peccato che ora nasconde e lo vede ancora nella sua anima mentre lo nega.

D. 797. Perché è sciocco nascondere i peccati in confessione?

R. È sciocco nascondere i peccati in confessione:

– Perché in tal modo peggioriamo la nostra condizione spirituale;

– Dobbiamo riferire ogni peccato se speriamo di essere salvati;

– Essi saranno resi noti nel giorno del giudizio, davanti al mondo, se li nascondiamo ora e non li confessiamo.

D. 798. Che cosa deve fare chi ha volontariamente nascosto un peccato mortale in Confessione?

R. Colui che ha volontariamente nascosto un peccato mortale in Confessione, non deve solo confessarlo, ma deve anche ripetere tutti i peccati che ha commesso dalla sua ultima Confessione degna.

D. 799. Chi ha ostinatamente nascosto un peccato mortale in confessione, cosa deve fare oltre che ripetere i peccati commessi dopo la sua ultima degna confessione?

R. Chi volontariamente ha nascosto un peccato mortale in confessione deve, oltre a ripetere tutti i peccati che ha commesso dalla sua ultima degna confessione, dire anche quante volte ha ricevuto indegnamente l’assoluzione ed eventualmente la Santa Comunione.

D. 800. Perché il prete ci dà una penitenza dopo la Confessione?

R. Il Sacerdote ci dà una penitenza dopo la Confessione, affinché possiamo soddisfare Dio per la punizione temporale dovuta ai nostri peccati.

D. 801. Perché dovremmo soddisfare i nostri peccati se Cristo ha pienamente soddisfatto per essi?

R. Cristo ha pienamente soddisfatto per i nostri peccati e dopo il nostro Battesimo siamo stati liberi da ogni colpa e non abbiamo dovuto fare alcuna soddisfazione. Ma quando abbiamo intenzionalmente peccato dopo il Battesimo, è allora che siamo obbligati a dare qualche soddisfazione.

D. 802. La leggera penitenza che il Sacerdote ci dà ci basta per soddisfare tutti i peccati confessati?

R. La leggera penitenza che il Sacerdote ci dà non è sufficiente a soddisfare per tutti i peccati confessati:

– Perché non c’è vera uguaglianza tra la leggera penitenza data e la punizione meritata per il peccato;

– Perché siamo tutti obbligati a fare penitenza per i peccati commessi, e questo non sarebbe necessario se la penitenza data in confessione fosse soddisfacente per tutti. La penitenza è data e accettata nella Confessione principalmente per dimostrare la nostra volontà di far penitenza e di fare ammenda per i nostri peccati.

D. 803. Il Sacramento della Penitenza non rimette tutte le pene dovute al peccato?

R. Il Sacramento della Penitenza rimette la punizione eterna dovuta al peccato, ma non sempre rimette la punizione temporale che Dio richiede come soddisfazione per i nostri peccati.

D. 804. Perché Dio richiede una punizione temporale come soddisfazione per il peccato?

R. Dio richiede una punizione temporale come soddisfazione per il peccato per insegnarci il grande male del peccato e per impedirci di ricadere.

D. 805. Quali sono i principali mezzi con cui soddisfiamo Dio per la punizione temporale dovuta al peccato?

R. I principali mezzi con cui soddisfiamo Dio per la punizione temporale dovuta al peccato sono: la preghiera, il digiuno, l’elemosina; tutte le opere di misericordia spirituale e corporale e la paziente sofferenza dei mali della vita.

D. 806. Quale digiuno ha il merito più grande?

R. Il digiuno imposto dalla Chiesa in certi giorni dell’anno, e in particolare durante la Quaresima, ha il merito più grande.

D. 807. Che cos’è la quaresima?

R. Quaresima sono i quaranta giorni prima della domenica di Pasqua, durante la quale facciamo penitenza, digiuniamo e preghiamo per prepararci alla Risurrezione di Nostro Signore; e anche per ricordarci del Suo digiuno di quaranta giorni prima della Sua Passione.

D. 808. Che cosa intendiamo per “elemosina”?

R. Per elemosina intendiamo denaro, beni o assistenza dati ai poveri o per scopi caritatevoli. La legge di Dio richiede a tutte le persone di fare l’elemosina in proporzione ai loro mezzi.

D. 809. Quali “mali della vita” aiutano a soddisfare Dio per il peccato?

R. I mali della vita che aiutano a soddisfare Dio per il peccato sono la malattia, la povertà, la sventura, la prova, l’afflizione, ecc., specialmente quando non li abbiamo portati su di noi con il peccato.

D. 810. Come facevano i Penitenti i Cristiani nelle prime ere della Chiesa?

R. I Cristiani nelle prime ere della Chiesa facevano penitenza pubblica, specialmente per i peccati dei quali cui erano colpevoli e pubblicamente noti. I penitenti venivano esclusi per un certo tempo dalla Messa o dal Sacramento, e alcuni furono obbligati a rimanere alla porta della Chiesa mendicando le preghiere di coloro che entravano.

D. 811. Come si chiamavano queste severe Penitenze della prima età della Chiesa?

R. Queste severe penitenze delle prime età della Chiesa furono chiamate penitenze canoniche, perché la loro specie e durata erano regolate dai canoni o dalle leggi della Chiesa.

D. 812. Come possiamo discernere le opere di misericordia spirituali, da quelle corporali?

R. Possiamo distinguere le opere di misericordia spirituali da quelle corporali, perché tutto ciò che facciamo per l’anima è un’opera spirituale, e qualsiasi cosa facciamo per il corpo è un’opera corporale.

D. 813. Quali sono le principali opere di misericordia spirituali?

R. Le principali opere di misericordia spirituali sono sette: ammonire i peccatori, istruire gli ignoranti, consigliare i dubbiosi, confortare gli afflitti, sopportare i torti con pazienza, perdonare tutte le offese e pregare per i vivi e i morti .

D. 814. Quando siamo obbligati ad ammonire il peccatore?

R. Siamo tenuti ad ammonire il peccatore quando sono soddisfatte le seguenti condizioni:
1. Quando la sua colpa è un peccato mortale;

2. quando abbiamo autorità o influenza su di lui, e

3. quando c’è motivo di credere che il nostro avvertimento non lo farà peggiorare invece che migliorarlo.

D. 815. Chi sono gli “ignoranti” che intendiamo istruire, e i “dubbiosi” che dobbiamo consigliare?

R. Per gli ignoranti che dobbiamo istruire e per i dubbiosi che dobbiamo consigliare, si intendono quelle persone che ignorano in particolare le verità della religione e coloro che dubitano delle questioni di fede. Dobbiamo aiutare tali persone quanto più possibile per poter conoscere e credere alle verità necessarie per la salvezza.

D. 816. Perché ci viene consigliato di sopportare con tanta pazienza e di perdonare tutte le offese?

R. Ci è consigliato di sopportare pazientemente i torti e di perdonare tutte le offese, perché, essendo Cristiani, dovremmo imitare l’esempio del nostro divino Signore, che ha sopportato ogni torto con pazienza e che non solo ha perdonato, ma ha pregato per coloro che lo hanno offeso.

D. 817. Se, quindi, è una virtù Cristiana perdonare tutti le offese, perché i Cristiani stabiliscono tribunali e carceri per punire i malfattori?

R. I Cristiani stabiliscono tribunali e carceri per punire i trasgressori, perché la conservazione dell’autorità legale, il buon ordine nella società, la protezione degli altri, e talvolta anche il bene del colpevole stesso, richiedono che i crimini siano giustamente puniti. Siccome Dio stesso punisce il crimine e poiché l’autorità legale viene da Lui, tale autorità ha il diritto di punire, sebbene le persone dovrebbero perdonare le offese fatte loro personalmente.

D. 818. Perché è un’opera di misericordia pregare per i vivi e i morti?

R. È un’opera di misericordia aiutare coloro che non sono in grado di aiutarsi da soli. I vivi sono esposti alle tentazioni e, mentre sono in peccato mortale, sono privati ​​del merito delle loro buone opere e hanno bisogno delle nostre preghiere. I morti non possono in alcun modo aiutare se stessi e dipendono da noi per essere aiutati.

D. 819. Quali sono le principali opere di misericordia corporale?

R. Le opere di misericordia del caporale sono sette: Dare da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, riscattare i prigionieri, ospitare i forestieri, visitare gli ammalati e seppellire i morti.

D. 820. Come possiamo definire brevemente le opere di misericordia corporale?

R. Possiamo brevemente definire le opere di misericordia corporale dicendo che noi siamo obbligati ad aiutare i poveri in tutte le loro forme di bisogno.

D. 821. In che modo i Cristiani sono aiutati nella pratica delle opere di misericordia?

R. I Cristiani sono aiutati nella pratica delle opere di misericordia attraverso l’istituzione di organismi caritatevoli nei quali comunità religiose di uomini o donne santi svolgono questi doveri per noi, a condizione che forniamo i mezzi necessari con la nostra elemosina e le buone opere.

D. 822. Chi sono i religiosi?

R. I religiosi sono uomini e donne che si sacrificano e che, desiderando seguire più da vicino gli insegnamenti di Nostro Signore, dedicano la loro vita al servizio di Dio e della religione. Vivono insieme in società approvate dalla Chiesa, sotto una regola e sotto guida di un superiore. Mantengono i voti di castità, povertà e obbedienza e dividono il loro tempo tra preghiera e buone opere. Le case in cui dimorano sono chiamate conventi o monasteri, e le società in cui vivono sono chiamate ordini religiosi, comunità o congregazioni.

D. 823. Ci sono comunità religiose di sacerdoti?

R. Ci sono molte comunità religiose di Sacerdoti che, oltre a vivere secondo le leggi generali della Chiesa, come fanno tutti i Sacerdoti, seguono alcune regole stabilite per la loro comunità. Tali Sacerdoti sono chiamati il ​​clero regolare, perché essi vivono secondo delle regole, per distinguerli dai Sacerdoti del clero secolare che vivono nelle loro parrocchie senza una regola speciale. Il lavoro principale del clero regolare è quello di insegnare nei collegi, andare alle missioni e praticare ritiri.

D. 824. Perché ci sono così tante diverse comunità religiose?

R. Ci sono molte diverse comunità religiose:

– Perché tutti i religiosi non sono preparati tutti per uno stesso lavoro, e

– Perché desiderano imitare la vita di Nostro Signore sulla terra nel modo più perfetto possibile; e quando ciascuna comunità prende una delle opere di Cristo e cerca di diventare perfetta in essa, l’unione di tutte le loro opere continua perfettamente, come meglio si può, le opere che Egli ha iniziato sulla terra.

CATECHISMO DI BALTIMORA (VII) – Lez. 20-22

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (V) – Lez. 14-16

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (V) Lez. 14-16

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 14 –

SUL BATTESIMO

D. 620. Quando fu istituito il Battesimo?

R. Il Battesimo fu istituito, molto probabilmente, nel periodo in cui Nostro Signore fu battezzato da San Giovanni, e il suo ricevimento fu comandato quando dopo la Sua risurrezione Nostro Signore disse ai Suoi Apostoli: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e in terra. Andate, dunque, istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo “.

D.621. Che cos’è il Battesimo?

R. Il Battesimo è un Sacramento che ci purifica dal peccato originale, ci rende cristiani, figli di Dio ed eredi del cielo.

D. 622. Quali furono le persone chiamate nelle prime età della Chiesa che venivano istruite e preparate per il Battesimo?

R. Le persone che venivano istruite e preparate per il Battesimo, nelle prime ere della Chiesa, erano chiamate catecumeni e sono frequentemente menzionate nella storia della Chiesa.

623. Quali persone sono chiamate eredi?

R. Tutte le persone che ereditano o entrano legalmente in possesso di proprietà o di beni alla morte di un altro, sono chiamati eredi.

D. 624. Perché, allora, noi siamo eredi di Cristo?

R. Siamo gli eredi di Cristo perché alla Sua morte siamo entrati in possesso dell’amicizia di Dio, della grazia e del diritto di entrare in cielo, purché rispettiamo le condizioni che il Signore ha posto per ottenere questa eredità.

D. 625. Quali condizioni ha posto Nostro Signore per ottenere questa eredità?

R. Le condizioni che il Signore ha posto per ottenere questa eredità sono:

(1) che riceviamo, quando è possibile, i Sacramenti che Egli ha istituito; e

(2) Che crediamo e pratichiamo tutto ciò che Egli ha insegnato.

D. 626. Non è San Giovanni Battista che ha istituito il Sacramento del Battesimo?

R. San Giovanni Battista non ha istituito il Sacramento del Battesimo, poiché Cristo solo poteva istituire un Sacramento. Il battesimo dato da San Giovanni ha avuto l’effetto di un Sacramentale; cioè, di per sé non ha dato la grazia, ma ha preparato la strada per essa.

D. 627. I peccati attuali sono mai stati rimessi dal Battesimo?

R. I peccati effettivi con tutte le pene conseguenti, sono rimessi dal Battesimo, qualora la persona battezzata se ne sia resa colpevole.

D. 628. Affinché i peccati possano essere rimessi dal Battesimo, è necessario dispiacersene?

R. Perché i peccati attuali possano essere rimessi dal Battesimo, è necessario esserne dispiaciuti, esattamente come dobbiamo esserlo quando essi sono rimessi dal Sacramento della Penitenza.

D. 629. Quali pene sono dovute ai peccati reali?

R. Due sono le pene dovute ai peccati reali: una, chiamata l’eterna, è inflitta all’inferno; e l’altra, chiamato temporale, è inflitta in questo mondo o in purgatorio. Il Sacramento della penitenza ci rimette o ci libera dalla punizione eterna e generalmente solo da una parte della temporale. La preghiera, le buone opere e le indulgenze in questo mondo e le sofferenze del purgatorio nella prossima vita, ci rimettono il resto della punizione temporale.

D. 630. Perché c’è una doppia punizione dovuta ai peccati reali?

R. Esista una doppia punizione dovuta ai peccati reali, perché nel commetterli c’è una doppia colpa: (1) insultare Dio allontanandosi da Lui; (2) privarlo dell’onore che Gli si deve, rivolgendosi.

D. 631. È necessario Battesimo è per la salvezza?

R. Il Battesimo è necessario alla salvezza, perché senza di esso non possiamo entrare nel Regno dei cieli.

D. 632. Dove andranno le persone che – come i bambini – non hanno commesso un vero peccato e che, senza colpa loro, muoiono senza il Battesimo?

R. Le persone, come i bambini, che non hanno commesso un vero peccato e che, non per colpa loro, muoiono senza Battesimo, non possono entrare in paradiso; ma è opinione comune che andranno in un posto chiamato Limbo, dove saranno liberi dalla sofferenza, sebbene privati ​​della felicità del cielo.

D. 633. Chi può amministrare il Battesimo?

R. Il sacerdote è il ministro ordinario del Battesimo; ma in caso di necessità chiunque abbia l’uso della ragione può battezzare.

D. 634. Che cosa intendiamo per “ministro ordinario” di un Sacramento?

R. Per “ministro ordinario” di un Sacramento intendiamo colui che di solito amministra il Sacramento e che ha sempre il diritto di farlo.

D. 635. Può una persona che non sia stata battezzata, e che non creda nemmeno nel Sacramento del Battesimo, darlo validamente ad altra persona in caso di necessità?

R. Una persona che non sia stata battezzata, e che non creda nemmeno nel Sacramento del battesimo, può darlo validamente ad un altro in caso di necessità, a condizione che:

– abbia l’uso della ragione;

-sappia come dare il Battesimo, e

-intenda fare ciò che la Chiesa intende nel dare il Sacramento.
Il battesimo è tanto necessario, che Dio offre ogni opportunità per la sua ricezione.

D. 636. Perché le conseguenze del peccato originale, come sofferenze, tentazioni, malattia e morte, rimangono anche dopo che il peccato sia stato perdonato col Battesimo?

R. Le conseguenze del peccato originale, come la sofferenza, la tentazione, la malattia e la morte, rimangono anche dopo che il peccato sia stato perdonato nel Battesimo:

(1) per ricordarci della miseria che segue sempre il peccato; e

(2) per offrirci l’opportunità di aumentare il nostro merito sopportando pazientemente queste difficoltà.

D. 637. Una persona può ricevere mai uno degli altri Sacramenti senza prima aver ricevuto il Battesimo?

R. Una persona non può ricevere mai nessuno degli altri Sacramenti senza che prima abbia ricevuto il Battesimo, perché il Battesimo ci rende membri della Chiesa di Cristo e, se non siamo membri della Sua Chiesa, non possiamo ricevere i suoi Sacramenti.

D. 638. Come viene dato il Battesimo?

R. Chi battezza deve versare acqua sulla testa del battezzando e dire, mentre versa l’acqua: “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

D. 639. Se non si può avere dell’acqua, in caso di necessità, si può usare qualsiasi altro liquido per il Battesimo?

R. Se non si può avere l’acqua, in caso di necessità o in qualunque altro caso, non si può usare nessun altro liquido, e il Battesimo non può essere dato.

D. 640. Se è impossibile, in caso di necessità, raggiungere la testa, l’acqua può essere versata su qualsiasi altra parte del corpo?

R. Se, in caso di necessità, è impossibile raggiungere la testa, l’acqua deve essere versata su qualunque altra parte del corpo possa essere raggiunta; ma in questo caso il Battesimo deve essere dato condizionatamente; cioè, prima di pronunciare le parole del Battesimo, si deve dire: “Se posso battezzarti in questo modo, ti battezzo nel nome del Padre”, ecc. Se può essere successivamente raggiunta la testa, l’acqua deve essere versata sulla testa ed il Battesimo ripetuto condizionatamente dicendo: “Se non sei già battezzato, ti battezzo nel nome”, ecc.

D. 641. Il battesimo è valido se diciamo: “Ti battezzo in nome della Santissima Trinità”, senza nominare le Persone della Trinità?

R. Il Battesimo non è valido se diciamo: “Ti battezzo nel nome della Santa Trinità”, senza nominare le singole Persone della Trinità; perché dobbiamo usare le parole esatte istituite da Cristo.

D. 642. È sbagliato rimandare il Battesimo di un bambino?

R. Rimandare il Battesimo di un bambino è sbagliato perché esponiamo così il bambino al pericolo di morire senza il Sacramento.

D. 643. Possiamo battezzare un bambino contro i desideri dei suoi genitori?

R. Non possiamo battezzare un bambino contro i desideri dei suoi genitori; e se i genitori non sono cattolici, non devono solo acconsentire al Battesimo, ma devono accettare anche di portare il bambino nella Religione cattolica. Ma se un bambino sta sicuramente morendo, possiamo battezzarlo pure senza il consenso o il permesso dei suoi genitori.

D. 644. Quanti tipi di Battesimo ci sono?

R. Esistono tre tipi di Battesimo:

1. Battesimo d’acqua,

2. Battesimo desiderio e

3. Battesimo di sangue.

D. 645. Che cos’è il Battesimo dell’acqua?

R. Il Battesimo dell’acqua è quello che viene versando acqua sulla testa della persona da battezzare e dicendo nello stesso tempo: “Ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.”

D. 646. In quanti modi il Battesimo dell’acqua veniva dato nei primi tempi della Chiesa?

R. Nelle prime ere della Chiesa, il battesimo dell’acqua veniva dato in tre modi, cioè per immersione o bagno, per aspersione o spruzzo, per infusione o versamento. Sebbene questi metodi siano tutti validi, nella Chiesa ora sono consentiti solo il metodo di infusione o versamento.

D. 647. Quali sono le principali cerimonie usate nel solenne battesimo, e cosa significano?

R. Le principali cerimonie usate nel solenne battesimo sono:

1. la professione di fede e la rinuncia al demonio, per significare la nostra dignità;

2. la collocazione del sale nella bocca per significare la saggezza impartita dalla fede;

3. il possesso della stola sacerdotale, per indicare la nostra accoglienza nella Chiesa;

4. l’unzione per significare la forza data dal Sacramento;

5. il portare il vestito o la veste bianca, per significare il nostro stato senza peccato dopo il Battesimo; e

6. il tenere la candela accesa, a significare la luce della fede ed il fuoco dell’amore che dovrebbe dimorare nelle nostre anime.

D. 648. Colui che, in caso di necessità, è stato battezzato con il Battesimo privato, dovrà in seguito essere portato in Chiesa per completare le cerimonie del solenne battesimo?

R. Colui che, in caso di necessità, sia stato battezzato con Battesimo privato, dovrebbe essere portato in chiesa per avere le cerimonie del Battesimo solenne completo, perché queste cerimonie sono comandate dalla Chiesa e attraggono benedizioni su di noi.

D. 649. Il Battesimo solenne è dato con qualche tipo speciale di acqua?

R. Il Battesimo solenne è dato con acqua consacrata; cioè acqua mescolata con olio santo e benedetta per il Battesimo il sabato santo e il sabato prima di Pentecoste. Si è sempre conservato il fonte battesimale del battistero, un luogo cioè vicino alla porta d’ingresso della Chiesa allestito per il Battesimo.

D. 650. Che cos’è il Battesimo di desiderio?

R. Il Battesimo di desiderio è un ardente desiderio di ricevere il Battesimo e di fare tutto ciò che Dio ha ordinato per la nostra salvezza.

D. 651. Che cos’è il Battesimo di sangue?

R. Il Battesimo del sangue è lo spargimento del proprio sangue per la fede di Cristo.

D. 652. Come è più comunemente chiamato il Battesimo di sangue?

R. Il battesimo del sangue è comunemente chiamato martirio, e coloro che lo ricevono sono chiamati martiri. Essi soffrono la morte pazientemente dai nemici della nostra religione, piuttosto che abbandonare la fede o la virtù cattolica. Non dobbiamo cercare il martirio, anche se dobbiamo sopportarlo quando arriva.

D. 653. Il Battesimo di desiderio o di sangue, è sufficiente per produrre gli effetti del Battesimo dell’acqua?

R. Il Battesimo di desiderio o di sangue è sufficiente per produrre gli effetti del Battesimo dell’acqua, qualora sia impossibile ricevere il Battesimo dell’acqua.

D. 654. Come sappiamo che il Battesimo di desiderio o di sangue ci salverà quando è impossibile ricevere il Battesimo dell’acqua?

R. Sappiamo che il Battesimo di desiderio o di sangue ci salverà quando è impossibile ricevere il Battesimo dell’acqua, dalla Sacra Scrittura, che insegna che l’amore di Dio e la contrizione perfetta possono assicurare la remissione dei peccati; e anche che Nostro Signore promette la salvezza a coloro che rinunciano alla loro vita per causa Sua o per il Suo insegnamento.

D. 655. Che cosa promettiamo nel Battesimo?

R. Nel Battesimo promettiamo di rinunciare al demonio, con tutte le sue opere e le sue pompe.

D. 656. Che cosa intendiamo per “pompa” del demonio?

R. Per sfarzi del Demonio intendiamo tutto l’orgoglio mondano, le vanità e gli spettacoli vani con cui le persone sono sedotte al peccato, e tutte le manifestazioni sciocche o peccaminose di noi stessi o di ciò che possediamo.

D. 657. Perché si dà nel Battesimo il nome di un santo?

R. Si dà il nome di un Santo nel Battesimo, di modo che la persona battezzata possa imitarne le virtù e averlo come protettore.

D. 658. Come è chiamato il Santo di cui si porta il nome?

R. Il santo di cui si porta il nome è chiamato il nostro santo patrono, al quale si dovrebbe avere una grande devozione.

D. 659. Quali nomi non dovrebbero mai essere dati nel Battesimo?

R. Questi e altri nomi simili non dovrebbero mai essere dati nel Battesimo:
1. I nomi di noti miscredenti, eretici o nemici della religione e della virtù;

2. I nomi degli dei pagani,

3. Soprannomi e nomignoli.

D. 660. Perché nel Battesimo ci sono i padrini e le madrine?

R. I padrini e le madrine ci sono nel Battesimo perché promettano, in nome del bambino, ciò che il bambino stesso prometterebbe se avesse l’uso della ragione.

D. 661. Con quale altro nome vengono chiamati i padrini e le madrine?

R. I padrini e le madrine di solito sono chiamati garanti. Essi non sono necessari al Battesimo privato.

D. 662. Può mai una persona essere padrino quando è assente al Battesimo?

R. Una persona può essere garante anche quando è assente al Battesimo, a condizione che gli sia stato chiesto e abbia acconsentito ad esserlo, ed abbia anche delegato qualcuno che risponda alle domande e tocchi la persona da battezzare nel suo nome. Si dice che il padrino o la madrina assente siano garanti per procura, divenendo ​​veri padrino i madrina del battezzato.

D. 663. Come contraggono i padrini una relazione con colui che si battezza?

R. I padrini, così come pure l’unico che battezza, contraggono una relazione spirituale con la persona battezzata (ma non con i suoi genitori), e questa relazione è un impedimento al Matrimonio che deve essere reso noto al sacerdote in caso di futuro matrimonio. Il padrino e la madrina non hanno alcun rapporto tra loro.

D. 664. A quali domande dovrebbero rispondere le persone che portano un bambino per il Battesimo?

R. Le persone che portano un bambino per il Battesimo dovrebbero essere in grado di dire:
1. Il luogo esatto in cui vive il bambino;

2. Il nome completo dei suoi genitori e, in particolare, il nome da nubile, o il nome di prima del suo matrimonio, di sua madre;

3. il giorno esatto ed il mese in cui è nato;

4. se abbia o meno ricevuto il Battesimo privato, e

5. se i suoi genitori siano Cattolici.

I padrini devono conoscere anche le principali verità della nostra Religione.

D. 665. Qual è l’obbligo di un padrino e di una madrina?

R. L’obbligo di un padrino e di una madrina è di istruire il bambino nei suoi doveri religiosi, qualora i genitori trascurino di farlo o muoiono.

D. 666. Le persone che non sono cattoliche possono far da padrini a bambini Cattolici?

R. Le persone che non sono cattoliche non possono essere garanti per i bambini Cattolici, perché non possono svolgere i doveri dei padrini; perché se non conoscono e professano la stessa Religione cattolica, come possono insegnarla ai loro figliocci? Inoltre, essi devono rispondere alle domande poste al Battesimo e dichiarare di credere nella Santa Chiesa Cattolica e in tutto ciò che essa insegna; questa sarebbe da parte loro, un’asserzione di falsità.

D. 667. Che cosa dovrebbero considerare i genitori principalmente nella selezione dei garanti per i loro figli?

R. Nella scelta dei garanti per i loro figli, i genitori dovrebbero principalmente considerare il buon carattere e la virtù degli stessi, selezionandoli tra i Cattolici modello ai quali sarebbero disposti, nell’ora della morte, ad affidare la cura e l’istruzione dei loro figli.

D. 668. Quali disposizioni devono avere gli adulti o i grandi, per poter ricevere degnamente il Battesimo?

R. Perché gli adulti possano ricevere degnamente il Battesimo:

1. Devono essere disposti a riceverlo;

2. Devono avere fede in Cristo;

3. Devono avere vera contrizione per i loro peccati,

4. Devono rinunciare solennemente al demonio e a tutte le sue opere; cioè, a tutti i peccati.

D. 669. Che cos’è la cerimonia del culto?

R. La cerimonia del culto è una benedizione particolare che una madre riceve presso l’Altare, non appena è in grado di presentarsi nella Chiesa dopo la nascita di suo figlio. In questa cerimonia il prete invoca la benedizione di Dio sulla madre e sul bambino, mentre lei da parte sua rende grazie a Dio.

LEZIONE 15 –

SULLA CONFERMAZIONE (O CRESIMA)

D. 670. Che cos’è la confermazione?

R. La confermazione è un Sacramento attraverso il quale riceviamo lo Spirito Santo per renderci forti, perfetti Cristiani e soldati di Gesù Cristo.

R. 671. Quando è stata istituita la confermazione?

D. L’ora esatta in cui è stata istituita la conferma non è nota. Ma poiché questo Sacramento era amministrato dagli Apostoli e numerato con gli altri Sacramenti istituiti da Nostro Signore, è certo che Egli istituisse anche questo Sacramento ed istruisse i Suoi Apostoli al suo uso, qualche momento prima della Sua ascensione al cielo.

D. 672. Perché la confermazione è chiamata così?

R. La confermazione è chiamata così dal suo effetto principale, che è quello di rafforzare o renderci più fermi in tutto ciò che appartiene alla nostra fede ed ai doveri religiosi.

D. 673. Perché siamo chiamati soldati di Gesù Cristo?

R. Siamo chiamati soldati di Gesù Cristo per indicare come dobbiamo resistere agli attacchi dei nostri nemici spirituali e assicurarci la vittoria su di loro seguendo e obbedendo a Nostro Signore.

D. 674. Si può aggiungere un nuovo nome alla propria Confermazione?

R. Si può e si deve aggiungere un nuovo nome alla Confermazione, specialmente quando non è stato dato nel Battesimo il nome di un Santo.

D. 675. Chi amministra la Confermazione?

R. Il Vescovo è il ministro ordinario della Cresima.

D. 676. Perché diciamo che il vescovo è il “ministro ordinario” della Confermazione?

R. Diciamo che il Vescovo è il ministro ordinario della Confermazione perché in alcune missioni straniere, dove i Vescovi non sono ancora stati nominati, il Santo Padre permette a uno dei sacerdoti di amministrare la Confermazione con l’Olio Santo benedetto dal Vescovo.

D. 677. In che modo il vescovo dà conferma?

R. Il Vescovo stende le sue mani su coloro che devono essere confermati, prega per loro perché possano ricevere lo Spirito Santo ed unge in forma di croce la fronte di ciascuno con il santo crisma.

D. 678. Nella Confermazione, cosa significa l’imposizione delle mani del Vescovo su di noi?

R. Nella Confermazione, l’imposizione delle mani del Vescovo sul cresimando, significa la discesa dello Spirito Santo su di lui e la protezione speciale di Dio attraverso la grazia della Confermazione.

D. 679. Cos’è il santo crisma?

R. Il santo crisma è una miscela di olio d’oliva e di balsamo, consacrata dal Vescovo.

D. 680. Che cosa significano l’olio e il balsamo nel Santo Crisma?

R. Nel santo crisma, l’olio significa la forza, e il balsamo significa la libertà dalla corruzione e la dolcezza che la virtù deve dare alla nostra vita.

D. 681. Quanti olii sacri sono usati nella Chiesa?

R. Nella Chiesa sono usati tre oli santi, cioè l’olio degli ammalati, l’olio dei catecumeni e il santo crisma.

D. 682. Che cosa costituisce la differenza tra questi oli?

R. La formula della preghiera o benedizione, da sola costituisce la differenza tra questi oli; poiché sono tutti olio d’oliva, ma nel Santo Crisma, il balsamo è mescolato con l’olio.

D. 683. Quando e da chi sono benedetti gli olii sacri?

R. Gli oli sacri sono benedetti durante la Messa del Giovedì Santo dal Vescovo, il solo che ha il diritto di benedirli. Dopo la benedizione vengono distribuiti ai sacerdoti della diocesi, che devono poi bruciare ciò che rimane dei vecchi oli e utilizzare solo gli oli benedetti di recente per l’anno successivo.

D. 684. Per cosa sono usati gli olii sacri?

R. Gli oli sacri sono usati come segue:

– L’olio degli ammalati è usato per l’Estrema Unzione e per alcune benedizioni;

– l’olio dei catecumeni è usato per il Battesimo e gli Ordini sacri.

– Il santo crisma è usato nel Battesimo e per la benedizione di alcune cose sacre, come altari, calici, campane ecc., cose di solito benedette da un Vescovo.

D. 685. Che cosa dice il Vescovo nell’unzione della persona che conferma?

R. Nell’unzione della persona che conferma, il Vescovo dice: “Ti segno con il segno della croce e ti confermo con il crisma della salvezza, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

D. 686. Che cosa si intende con l’unzione, in forma di una croce, della fronte con il crisma?

R. Ungendo la fronte con il crisma in forma di croce, si intende che il cristiano che è confermato deve professare apertamente e praticare la sua fede, non vergognarsene mai: piuttosto morire che negarlo.

D. 687. Quando dobbiamo professare e praticare apertamente la nostra religione?

R. Dobbiamo professare e praticare apertamente la nostra religione ogni qual volta non possiamo fare diversamente senza violare alcune leggi di Dio o della Sua Chiesa.

D. 688. Perché abbiamo una buona ragione per non vergognarci della Fede Cattolica?

R. Abbiamo una buona ragione per non vergognarci della Fede Cattolica perché è l’antica fede fondata da Cristo ed insegnata dai suoi Apostoli; è la fede per cui innumerevoli Santi martiri hanno sofferto e sono morti; è la Fede che ha portato nel mondo la vera civiltà con tutti i suoi benefici, ed è l’unica Fede che può davvero riformare e preservare la morale pubblica e privata.

D. 689. Perché il Vescovo dà alla persona che conferma un leggero colpo sulla guancia?

R. Il Vescovo dà alla persona che conferma un leggero colpo sulla guancia, per ricordargli che deve essere pronto a soffrire tutto, anche la morte, per amore di Cristo.

D. 690. È giusto metterci alla prova, attraverso la nostra immaginazione, di ciò che saremmo disposti a soffrire per amore di Cristo?

R. Non è giusto mettere alla prova noi stessi, attraverso la nostra immaginazione, per ciò che saremmo disposti a soffrire per amore di Cristo, poiché tali prove possono condurci al peccato. Quando viene una vera prova, allora siamo certi che Dio ci darà, come ha fatto ai santi Martiri, la grazia sufficiente per sopportarla.

D. 691. Per ricevere la Confermazione degnamente, è necessario essere nello stato di grazia?

R. Per ricevere degnamente la Confermazione è necessario essere nello stato di grazia.

D. 692. Quale preparazione speciale dovrebbe essere fatta per ricevere la confermazione?

R. Le persone nell’età dell’apprendimento dovrebbero conoscere i principali misteri della fede e i doveri di un Cristiano nonché essere istruite sulla natura e gli effetti di questo Sacramento.

D. 693. Perché dovremmo conoscere i principali misteri della fede e i doveri di un Cristiano prima di ricevere la confermazione?

R. Prima di ricevere la Cresima, dovremmo conoscere i Misteri Principali di Fede e i doveri di un Cristiano perché non si può essere un buon soldato senza conoscere le regole dell’esercito a cui si appartiene e comprendere i comandi del proprio capo, quindi non si può essere un buon Cristiano senza conoscere le leggi della Chiesa e comprendere i comandi di Cristo.

D. 694. È un peccato trascurare la confermazione?

R. È un peccato trascurare la Cresima, specialmente in questi giorni malvagi in cui la fede e la morale sono esposte a così tante e violente tentazioni.

D. 695. Che cosa intendiamo per “questi giorni malvagi”?

R. Per “questi giorni malvagi” intendiamo l’età od il secolo attuale in cui viviamo, nei quali siamo circondati da incredulità, false dottrine, libri cattivi, esempi cattivi e tentazioni in ogni tipo.

D. 696. La confermazione è necessaria per la salvezza?

R. La conferma non è così necessaria per la salvezza per cui senza di essa non potremmo essere salvati, poiché non è data ai bambini nemmeno in pericolo di morte; tuttavia, c’è un comando divino che obbliga tutti a riceverlo, se possibile. Le persone che non sono state confermate in gioventù dovrebbero fare ogni sforzo per essere confermate più tardi nella vita.

D. 697. I padrini sono necessari nella conferma?

R. I padrini sono necessari nella Conferma e devono avere lo stesso buon carattere di quelli richiesti al Battesimo, poiché assumono gli stessi doveri e responsabilità. Contraggono anche una relazione spirituale che, a differenza di quella del Battesimo, non è un impedimento al Matrimonio.

D. 698. Quali sono gli effetti della confermazione?

R. Gli effetti della Confermazione sono un aumento della grazia santificante, il rafforzamento della nostra fede e i doni dello Spirito Santo.

LEZIONE 16 –

SUI DONI E FRUTTI DELLO SPIRITO SANTO

D. 699. Quali sono i doni dello Spirito Santo?

R. I doni dello Spirito Santo sono: Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e Timor di Dio.

D. 700. Perché riceviamo il dono del timore di Dio?

R. Riceviamo il dono del timore di Dio per riempirci di paura di peccare.

D. 701. Perché riceviamo il dono della pietà?

R. Riceviamo il dono della pietà per farci amare Dio come un padre e obbedire a Lui perché lo amiamo.

702. Perché riceviamo il dono della Scienza?

Riceviamo il dono della Scienza per ci permetta di scoprire la volontà di Dio in tutte le cose.

703. Perché riceviamo il dono di Fortezza?

Riceviamo il dono della Fortezza per rafforzarci a fare la volontà di Dio in tutte le cose.

704. Perché riceviamo il dono del Consiglio?

Riceviamo il dono del Consiglio per avvertirci degli inganni del diavolo e dei pericoli per la salvezza.

705. Come è mai chiaro che il demonio potrebbe ingannarci facilmente se lo Spirito Santo non ci venisse in aiuto?

È chiaro che il diavolo potrebbe ingannarci facilmente se lo Spirito Santo non ci aiutasse, poiché proprio come i nostri peccati non ci privano della nostra conoscenza, così il peccato del diavolo non lo privò della sua grande intelligenza e potenza che possedeva come angelo. Inoltre, la sua esperienza nel mondo si estende a tutte le età e luoghi, mentre la nostra è limitata a pochi anni e ad un numero limitato di luoghi.

706. Perché riceviamo il dono dell’Intelletto?

Riceviamo il dono dell’Intelletto affinché ci permetta di conoscere più chiaramente i misteri della fede.

707. Perché riceviamo il dono della Sapienza?

Riceviamo il dono della Sapienza per gustare le cose di Dio e per dirigere tutta la nostra vita e tutte le nostre azioni a Suo onore e gloria.

D. 708. Quali sono le beatitudini?

R. Le beatitudini sono:

Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.

Beati i mansueti, perché possederanno la terra.

Beati quelli che piangono, perché saranno consolati.

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati quelli che subiscono persecuzioni per causa della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli.

  D. 709. Cosa sono le Beatitudini e perché sono chiamate così?

R. Le Beatitudini sono una porzione del Discorso di Nostro Signore sul Monte, e sono così chiamate perché ognuna di esse offre una ricompensa promessa a coloro che praticano le virtù che raccomandano.

D. 710. Dove predicava di solito Nostro Signore?

R. Il nostro Signore di solito predicava ovunque si presentasse l’opportunità di fare del bene con le sue parole. A volte predicava nelle sinagoghe o nelle case di riunione, ma più frequentemente all’aria aperta, in riva al mare o in montagna, e spesso pure lungo la strada.

D. 711. Qual è il significato e l’uso delle Beatitudini in generale?

R. 1. In generale le beatitudini abbracciano tutto ciò che riguarda la perfezione della vita cristiana e ci invitano alla pratica delle più alte virtù cristiane.

2. In forme diverse promettono tutte la stessa ricompensa, cioè la grazia santificante in questa vita e la gloria eterna nell’altra.

3. Ci offrono incoraggiamento e consolazione per ogni prova e afflizione.

D. 712. Che cosa significa la prima Beatitudine: Beati i “poveri di spirito”?

R. La prima Beatitudine considera “poveri in spirito”, tutte le persone, ricche o povere, che non offenderebbero Dio per possedere o conservare tutto ciò che questo mondo può dare; e chi, quando la necessità o la carità lo richiede, offre volentieri per la gloria di Dio. Comprende anche coloro che si sottomettono umilmente alla loro condizione di vita quando questa n0n può essere migliorata con mezzi leciti.

D. 713. Chi sono i sofferenti che meritano la consolazione promessa nella terza Beatitudine?

R. I sofferenti che meritano la consolazione promessa nella terza Beatitudine sono coloro che, per amore di Dio, piangono i loro stessi peccati e quelli del mondo; e coloro che pazientemente sopportano tutte le prove che vengono da Dio per il suo bene.

D. 714. Quali insegnamenti trasmettono le altre beatitudini?

R. Le altre beatitudini trasmettono questi insegnamenti: I mansueti sopprimono tutti i sentimenti di rabbia e si sottomettono umilmente a qualsiasi cosa accada loro per Volontà di Dio; e non desiderano mai rendere il male per il male. La giustizia che perciò dovremmo cercare, è ogni virtù cristiana inclusa sotto quel nome, e ci viene detto che se desideriamo ardentemente e la cerchiamo, la otterremo. I perseguitati per causa della giustizia sono coloro che non abbandoneranno la loro fede o virtù per nessuna ragione.

D. 715. Chi può essere giustamente chiamato misericordioso?

R. I misericordiosi sono coloro che praticano le opere di misericordia corporale e spirituale, e che aiutano con le parole o con le azioni coloro che hanno bisogno del loro aiuto per l’anima o per il corpo.

D. 716. Perché alla purezza di cuore è promesso una ricompensa così grande?

R. Alla purezza di cuore, cioè al vero virtuoso, i cui pensieri, desideri, parole e opere sono puri e modesti, è promesso una ricompensa così grande perché i casti e quelli senza peccato, sono sempre stati gli amici più intimi di Dio.

D. 717. Qual è il dovere di un pacificatore?

R. È dovere di un pacificatore evitare e prevenire liti, riconciliare i nemici e porre fine a tutte le relazioni malvagie degli altri o al male che li coinvolge. Poiché i pacificatori sono chiamati figli di Dio, i disturbatori della pace dovrebbero quindi essere chiamati figli del diavolo.

D. 718. Perché Nostro Signore parla in particolare di povertà, di mansuetudine, tristezza, desiderio di virtù, di misericordia, di purezza, di pace e sofferenza?

R. Nostro Signore parla in particolare di povertà, mansuetudine, tristezza, desiderio di virtù, misericordia, purezza, pace e sofferenza perché questi sono i tratti principali della sua stessa vita terrena: povertà alla sua nascita, vita e morte; mitezza nel suo insegnamento; dolore in ogni momento. Ha cercato ardentemente di fare del bene, ha mostrato pietà a tutti, ha raccomandato la castità, ha portato la pace e ha sofferto pazientemente.

D. 719. Quali sono i dodici frutti dello Spirito Santo?

R. I dodici frutti dello Spirito Santo sono carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, longanimità, magnanimità, fedeltà, modestia, continenza e castità.

D. 720. Perché la carità, la gioia, la pace, ecc., sono chiamati frutti dello Spirito Santo?

R. La carità, la gioia, la pace, ecc., sono chiamati frutti dello Spirito Santo perché scaturiscono nelle nostre anime dai sette doni dello Spirito Santo.

http://IL CATECXHISMO DI BALTIMORA 3 (VI)

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (IV) Lez. 11-13

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (IV) – Lez. 11-13

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 11 – SULLA CHIESA

D. 484. In che modo la vera religione è stata preservata da Adamo fino alla venuta di Cristo?

R. La vera religione fu preservata da Adamo fino alla venuta di Cristo dai Patriarchi, dai Profeti ed altri uomini santi che Dio nominò e ispirò per insegnare la Sua Volontà e le Rivelazioni al popolo, e per ricordare loro il Redentore promesso.

D. 485. Chi erano i profeti e qual era il loro principale dovere?

R. I profeti erano uomini a cui Dio diede una conoscenza degli avvenimenti futuri connessi alla religione, che essi potevano predire al suo popolo e quindi dare la prova che il messaggio proveniva da Dio. Il loro principale compito era predire il tempo, il luogo e le circostanze della venuta nel mondo del nostro Salvatore, affinché gli uomini potessero sapere quando e dove cercarlo, e potessero riconoscerlo quando sarebbe venuto.

D. 486. Come potevano essere salvati coloro che vivevano prima che Cristo diventasse uomo?

R. Coloro che vissero prima che Cristo diventasse uomo, potevano essere salvati credendo nel Redentore futuro ed osservando i Comandamenti di Dio.

D. 487. La vera religione era universale prima della venuta di Cristo?

R. La vera religione non era universale prima della venuta di Cristo. Essa era confinata presso un solo popolo, i discendenti di Abramo. Tutte le altre nazioni adoravano falsi dei.

D. 488. Quali sono i mezzi istituiti da Nostro Signore per consentire agli uomini, in ogni momento, di condividere i frutti della Redenzione?

R. I mezzi istituiti da Nostro Signore per consentire agli uomini in ogni momento di condividere i frutti della Sua Redenzione, sono la Chiesa e i Sacramenti.

D. 489. Che cos’è la Chiesa?

R. La Chiesa è la congregazione di tutti coloro che professano la fede di Cristo, prendono gli stessi sacramenti e sono governati dai loro pastori legittimi sotto un Capo visibile.

D. 490. In che modo i membri della Chiesa sulla terra possono essere divisi?

R. I membri della Chiesa sulla terra possono essere divisi in coloro che insegnano e coloro che vengono istruiti. Coloro che insegnano, cioè il Papa, i Vescovi e i sacerdoti, sono chiamati la Chiesa docente, o semplicemente la Chiesa. Coloro che vengono istruiti sono chiamati: la Chiesa discente, credente, o semplicemente i fedeli.

D. 491. Qual è il dovere della Chiesa docente?

R. Il compito della Chiesa Docente è quello di continuare l’opera che Nostro Signore ha iniziato sulla terra, cioè insegnare la verità rivelata, amministrare i Sacramenti e lavorare per la salvezza delle anime.

D. 492. Qual è il dovere dei fedeli?

R. Il dovere dei fedeli è di apprendere le verità rivelate insegnate; ricevere i Sacramenti e aiutare a salvare le anime con le loro preghiere, le buone opere e le elemosine.

D. 493. Cosa intendi con “professare la fede di Cristo”?

R. Con il “professare la fede di Cristo” intendiamo, il credere tutte le verità e la pratica della religione che Egli ha insegnato.

D. 494. Che cosa intendiamo per “pastori legittimi”?

R. Per “pastori legittimi” intendiamo coloro che, nella Chiesa, che sono stati nominati dalla legittima Autorità e che hanno, quindi, il diritto di governarci. I pastori legittimi nella Chiesa sono: ogni sacerdote nella sua parrocchia; ogni Vescovo nella sua diocesi e il Papa in tutta la Chiesa.

D. 495. Chi è il Capo invisibile della Chiesa?

R. Gesù Cristo è il Capo invisibile della Chiesa.

D. 496. Chi è il capo visibile della Chiesa?

R. Il nostro Santo Padre, il Papa, il vescovo di Roma, è il Vicario di Cristo sulla terra e il capo visibile della Chiesa.

D. 497. Che cosa significa “Vicario”?

R. Vicario è un nome usato nella Chiesa per designare una persona che agisce nel nome e con l’autorità di un altro. Così un Vicario Apostolico è colui che agisce in nome del Papa, e un Vicario Generale è colui che agisce in nome del Vescovo.

D. 498. Potrebbe qualcuno essere Papa senza essere Vescovo di Roma?

R. Non si può essere Papa senza essere Vescovo di Roma, e chiunque sia eletto Papa deve rinunciare al titolo di qualsiasi altra diocesi e assumere il titolo di Vescovo di Roma.

D. 499. Perché il Papa, il Vescovo di Roma, è il capo visibile della Chiesa?

R. Il Papa, il Vescovo di Roma, è il capo visibile della Chiesa perché è il successore di San Pietro, che Cristo ha costituito Capo degli Apostoli e Capo visibile della Chiesa.

D. 500. Perché i cattolici sono chiamati “romani”?

R. I cattolici sono chiamati “romani” per dimostrare che essi sono in unione con la vera Chiesa fondata da Cristo e governata dagli Apostoli sotto la direzione di San Pietro, per la nomina divina del capo degli apostoli, che fondò la Chiesa di Roma e fu il suo primo Vescovo.

D. 501. Con quale nome viene talvolta chiamata la diocesi di un Vescovo?

R. La diocesi di un Vescovo è a volte chiamata la sua sede. La diocesi di Roma, per la sua autorità e dignità, è chiamata “Santa Sede” e il suo Vescovo è chiamato il Santo Padre o il Papa. Papa significa padre.

D. 502. Come chiamiamo il diritto con cui San Pietro o il suo successore è sempre stato il Capo della Chiesa e di tutti i suoi Vescovi?

R. Chiamiamo il diritto con cui San Pietro o il suo successore è sempre stato il capo della Chiesa e di tutti i suoi Vescovi, il Primato di San Pietro o del Papa. Primato significa tenere il primo posto.

D. 503. Come viene dimostrato che San Pietro o il suo successore è sempre stato il capo della Chiesa?

R. Che San Pietro o il suo successore sia sempre stato il capo della Chiesa: viene mostrato dalle parole della Sacra Scrittura, che dicono come Cristo nominasse Pietro Capo degli Apostoli e capo della Chiesa; dalla storia della Chiesa, che mostra che S Pietro e i suoi successori abbiano sempre agito e siano sempre stati riconosciuti come capo della Chiesa.

D. 504. Da cosa sappiamo che i diritti ed i privilegi conferiti a San Pietro fossero stati dati anche ai suoi successori: i Papi?

R. Sappiamo che i diritti ed i privilegi conferiti a San Pietro fossero stati dati anche ai suoi successori, i Papi, perché le promesse fatte a San Pietro da Nostro Signore dovevano essere adempiute nella Chiesa fino alla fine dei tempi, e siccome Pietro non poteva vivere fino alla fine dei tempi, esse si sono adempiute nei suoi successori.

D. 505. San Pietro ha fondato una chiesa prima di venire a Roma?

R. Prima di venire a Roma, San Pietro stabilì una chiesa ad Antiochia che governò per diversi anni.

D. 506. Chi sono i successori degli altri Apostoli?

R. I successori degli altri Apostoli sono i Vescovi della Santa Chiesa Cattolica.

D. 507. Come sappiamo che i vescovi della Chiesa sono i successori degli Apostoli?

R. Sappiamo che i Vescovi della Chiesa sono i successori degli Apostoli perché essi continuano l’opera degli Apostoli e danno prova della loro stessa autorità. Hanno sempre esercitato i diritti ed i poteri che appartenevano agli Apostoli nel fare leggi per la Chiesa, consacrare Vescovi e ordinare sacerdoti.

D. 508. Perché Cristo ha fondato la Chiesa?

R. Cristo ha fondato la Chiesa per insegnare, governare, santificare e salvare tutti gli uomini.

D. 509. Tutti sono tenuti ad appartenere alla Chiesa?

R. Tutti sono tenuti ad appartenere alla Chiesa e Colui che sa che la Chiesa Cattolica Romana sia la vera Chiesa e ne rimane fuori, non può essere salvato.

[…]

D. 513. Perché la vera Chiesa deve essere visibile?

R. La vera Chiesa deve essere visibile perché il suo fondatore, Gesù Cristo, ci ha comandato sotto pena di condanna di ascoltare la Chiesa; e non poteva in giustizia comandarci di ascoltare una Chiesa che non poteva essere vista né conosciuta.

D. 514. Quali scuse avanzano alcuni per non diventare membri della vera Chiesa?

R. Le scuse che alcuni avanzano per non diventare membri della vera Chiesa sono:
1. Non desiderano abbandonare la religione in cui sono nati.

2. Ci sono troppe persone povere e ignoranti nella Chiesa cattolica.

3. Una religione è buona come un’altra se in essa proviamo a servire Dio, e se siamo retti e onesti nelle nostre vite.

D. 515. Come si risponde a tali scuse?

R. Dire che dovremmo rimanere in una falsa religione solo perché siamo nati in essa, è falso come dire che non dovremmo guarire dalle nostre malattie corporee perché siamo nati con esse.

– Dire che ci sono troppi poveri e ignoranti nella Chiesa cattolica è dichiarare che è essa la Chiesa di Cristo; perché Egli ha sempre insegnato ai poveri e agli ignoranti, ed ha incaricato alla Sua Chiesa di continuare il suo lavoro.

– Dire che una religione è buona come un’altra è asserire che Cristo ha lavorato inutilmente ed ha insegnato falsamente; poiché Egli è venuto per abolire la vecchia religione e ne ha fondato una nuova nella quale soltanto noi possiamo essere salvati, come Lui stesso ha dichiarato.

D. 516. Perché può esserci solo una vera Religione?

R. Può esserci solo una vera Religione, perché una cosa non può essere falsa e vera allo stesso tempo e, quindi, tutte le religioni che contraddicono l’insegnamento della vera Chiesa, devono necessariamente insegnare la menzogna. Se tutte le religioni in cui gli uomini cercano di servire Dio fossero tutte ugualmente buone e vere, perché Cristo ha perturbato la religione ebraica e gli Apostoli condannano gli eretici?

LEZIONE 12 –

SUGLI ATTRIBUTI E LE NOTE DELLA CHIESA

D. 517. Che cos’è un attributo?

R. Un attributo è qualsiasi caratteristica o qualità che una persona o cosa possa essere detta avere. Tutte le perfezioni o imperfezioni sono attributi.

D. 518. Che cos’è una nota?

R. Una nota o marchio, è un segno dato e riconosciuto mediante il quale una cosa può essere distinta da tutte le altre simili del suo genere. Infatti una nota, o marchio, è usata per distinguere l’articolo che la porta da tutte le imitazioni dello stesso articolo.

D. 519. Come sappiamo che la Chiesa deve possedere le quattro note o marchi e i tre attributi solitamente attribuiti o dati ad essa?

R. Sappiamo che la Chiesa deve avere i quattro marchi e i tre attributi solitamente attribuiti o dati ad essa, dalle parole di Cristo riportate nella Sacra Scrittura e nell’insegnamento della Chiesa fin dal suo inizio.

D. 520. Può la Chiesa avere i quattro marchi senza i tre attributi?

R. La Chiesa non può avere i quattro marchi senza i tre attributi, perché i tre attributi necessariamente conseguono alle note o marchi, e senza di essi i marchi non potrebbero esistere.

D. 521. Perché nella Chiesa sono necessari sia le note, o marchi, che gli attributi?

R. Sia le note o marchi che gli attributi sono necessari nella Chiesa, poiché le note ci insegnano le sue qualità esteriori o visibili, mentre gli attributi ci insegnano le sue qualità interne o invisibili. È più facile scoprire le note che gli attributi; poiché è più facile vedere che la Chiesa sia una sola cosa piuttosto che sia infallibile.

D. 522. Quali sono gli attributi della Chiesa?

R. Gli attributi della Chiesa sono tre: l’autorità, l’infallibilità e l’indefettibilità.

D. 523. Che cos’è l’autorità?

R. L’autorità è il potere che una persona su un’altra in modo da poter giustamente esigere l’obbedienza. I governanti hanno autorità sui loro sudditi, I genitori sui loro figli e GLI insegnanti sui loro studenti.

D. Da chi deriva alle persone, ogni autorità legale in loro possesso?

R. Tutte le persone derivano ogni autorità legale che possiedono, da Dio stesso, da cui la ricevono direttamente o indirettamente. Pertanto, disobbedire ai nostri superiori legittimi, significa disobbedire a Dio stesso, e quindi tale disobbedienza è sempre peccaminosa.

D. 525. Che cosa intendi per autorità della Chiesa?

R. Per autorità della Chiesa intendo il diritto e il potere che il Papa e i Vescovi, in quanto successori degli Apostoli, hanno di insegnare e governare i fedeli.

D. 526. Che cosa intendi per infallibilità della Chiesa?

R. Per l’infallibilità della Chiesa intendo che la Chiesa non può errare quando insegna una dottrina circa la fede o la morale.

D. 527. Che cosa intendiamo per “dottrina della fede o morale”?

R. Per dottrina di fede o morale intendiamo l’insegnamento rivelato che si riferisce a qualsiasi cosa dobbiamo credere e fare per essere salvati.

D. 528. Come sai che la Chiesa non può errare?

R. La Chiesa non può sbagliare perché Cristo ha promesso che lo Spirito Santo sarebbe rimasto con lei per sempre e la avrebbe salvaguardata dall’errore. Se, quindi, la Chiesa dovesse sbagliare, significa che Spirito Santo debba averla abbandonata e che Cristo non sia riuscito a mantenere la sua promessa, il che è cosa impossibile.

D. 529. Non potendo la Chiesa errare, si potrebbe mai riformare il suo insegnamento circa la fede o la morale?

R. Poiché la Chiesa non può errare, non potrà mai essere riformata nel suo insegnamento circa la fede o la morale. Coloro che dicono che la Chiesa abbia bisogno di una riforma nella fede o nei costumi, accusano Nostro Signore di menzogna e di inganno.

D. 530. Quando insegna in modo infallibile la Chiesa?

R. La Chiesa insegna infallibilmente quando parla attraverso il Papa e i Vescovi uniti nel Consilio generale, o attraverso il solo Papa quando proclama a tutti i fedeli una dottrina di fede o di morale.

D. 531. Che cosa è necessario affinché il Papa possa parlare infallibilmente o ex-cathedra?

R. Perché il Papa possa parlare infallibilmente, o ex-cathedra:

– Deve parlare di un argomento di fede o morale;

– Deve parlare come Vicario di Cristo e a tutta la Chiesa;

– Deve indicare con alcune parole, come: definiamo, proclamiamo, ecc., che intende parlare infallibilmente.

D. 532. Il Papa è infallibile in tutto ciò che dice e fa?

R. Il Papa non è infallibile in tutto ciò che dice e fa, perché lo Spirito Santo non è stato promesso per renderlo infallibile in tutto, ma solo in questioni di fede e di morale che riguardano tutta la Chiesa. Tuttavia, l’opinione del Papa su qualsiasi argomento, merita il nostro più grande rispetto a causa del suo sapere, dell’esperienza e della dignità.

D. 533. Può il Papa commettere peccato?

R. Il Papa può commettere peccato e deve cercare il perdono nel Sacramento della Penitenza come fanno gli altri. L’infallibilità non gli impedisce di peccare, ma di insegnare la menzogna quando parla ex-cathedra.

D. 534. Che cosa significa ex cathedra?

R. “Cathedra” significa una sede, e “ex” significa “da”, fuori. Pertanto, ex-cathedra significa parlare dalla sede o dal luogo ufficiale tenuto da San Pietro e dai suoi successori come Capo di tutta la Chiesa.

D. 535. Perché la Chiesa principale in una diocesi si chiama Cattedrale?

R. La Chiesa principale in una diocesi è chiamata Cattedrale perché in essa è eretta la cattedra del Vescovo, cioè la sua sede o il suo trono, e perché vi celebra tutte le feste importanti e svolge in essa tutti le sue speciali funzioni.

D. 536. Quanti papi hanno governato la Chiesa da San Pietro a Pio XI?

R. Da San Pietro a Pio XI., 261 papi hanno governato la Chiesa; e molti di loro sono stati notevoli per zelo, prudenza, sapienza e santità. [Oggi, 2018, sono 264 i Papi fino a Gregorio XVIII – n. d. r. -]

D. 537. Che cosa significa anti-papa, e chi sono gli anti-papi?

R. Antipapa significa un presunto Papa. Gli anti-papi erano uomini che, con l’aiuto di cristiani senza fede o altri illegalmente sequestrati, rivendicavano il potere papale mentre il legittimo papa era in prigione o in esilio.

D. 538. Perché il Papa a volte ci mette in guardia su questioni politiche e di altro genere?

R. Il Papa deve talvolta metterci in guardia su questioni politiche e di altro genere, perché in qualunque cosa, nazioni o uomini facciano, buona o cattiva, giusta o ingiusta, ovunque il Papa ne scopra la menzogna, la malvagità o l’ingiustizia, deve pronunziarsi contro di essa e difendere le verità di fede e morale. Egli deve proteggere anche i diritti temporali e le proprietà della Chiesa affidate alle sue cure.

D. 539. Che cosa intendiamo per “potere temporale” del Papa?

R. Per il potere temporale del Papa intendiamo il diritto che il Papa ha come governante temporale o ordinario di governare gli stati e di gestire le proprietà giustamente entrate in possesso della Chiesa.

D. 540. Come il Papa ha prima acquistato , e poi come è stato privato del potere temporale?

R. Il Papa ha acquisito il potere temporale in modo equo con il consenso di coloro che avevano il diritto di conferirlo. Fu privato in modo ingiusto da cambiamenti politici.

D. 541. In che modo è stato utile alla Chiesa il potere temporale?

R. Il potere temporale era utile alla Chiesa:

– Perché ha dato al Papa la completa indipendenza necessaria per il governo della Chiesa e per la difesa della verità e della virtù.

– Gli ha permesso di fare molto per la diffusione della vera Religione, offrendo l’elemosina per l’istituzione e il sostegno di Chiese e scuole nei paesi poveri o pagani.

D. 542. Quale nome diamo alle offerte fatte annualmente dai fedeli per il sostegno del Papa e del governo della Chiesa?

R. Chiamiamo le offerte fatte annualmente dai fedeli per il sostegno del Papa e del governo della Chiesa “obolo di Pietro”. Deriva il suo nome dalla consuetudine di inviare ogni anno da ogni casa, al successore di San Pietro, una moneta, come segno di rispetto o come elemosina per qualche carità.

D. 543. Che cosa si intende per l’indefettibilità della Chiesa?

R. Per l’indefettibilità della Chiesa si intende che la Chiesa, come Cristo l’ha fondata, durerà fino alla fine dei tempi.

D. 544. Qual è la differenza tra infallibilità e indefettibilità della Chiesa?

R. Quando diciamo che la Chiesa è infallibile, intendiamo dire che essa non può mai insegnare l’errore finché essa duri; ma quando diciamo che la Chiesa è indefettibile, intendiamo dire che essa durerà per sempre, e quindi sarà infallibile per sempre; che rimarrà sempre come Nostro Signore l’ha fondata e non cambierà mai le dottrine che ha insegnato.

D. 545. È Nostro Signore stesso che ha fatto tutte le leggi della Chiesa?

R. Nostro Signore stesso non ha fatto tutte le leggi della Chiesa. Egli ha dato alla Chiesa anche il potere di emanare leggi per soddisfare i bisogni dei tempi, dei luoghi o delle persone, quando giudicato necessario.

D. 546. Può la Chiesa cambiare le sue leggi?

R. La Chiesa può, quando necessario, cambiare le leggi che ha fatto essa stessa, ma non può cambiare le leggi che ha fatto Cristo, né la Chiesa può cambiare alcuna dottrina riguardo alla fede o alla morale.

D. 547. In chi trovano la loro pienezza, questi attributi citati?

R. Questi attributi si trovano nella loro pienezza nel Papa, il capo visibile della Chiesa, la cui infallibile autorità di insegnare a Vescovi, sacerdoti e persone in questioni di fede o di morale, durerà fino alla fine del mondo.

D. 548. La Chiesa ha qualche nota in base alla quale può essere conosciuta?

R. La Chiesa ha quattro note o segni con cui può essere riconosciuta: essa è Una; è santa; è cattolica; è apostolica

D. 549. Come è “Una” la Chiesa?

R. La Chiesa è Una perché tutti i suoi membri acconsentono ad una sola fede, sono tutti in unica comunione e sono tutti sotto una sola testa.

D. 550. Come è evidente che la Chiesa sia “una” nel governo?

R. È evidente che la Chiesa sia una al governo, perché i fedeli di una parrocchia sono soggetti ai loro pastori, i pastori sono soggetti ai Vescovi delle loro diocesi, e i Vescovi del mondo sono soggetti al Papa.

D. 551. Che cosa si intende per Gerarchia della Chiesa?

R. Per Gerarchia della Chiesa si intende il sacro corpo dei chierici regolari che governano la Chiesa.

D. 552. Come è evidente che la Chiesa sia “una” nell’adorazione?

R. È evidente che la Chiesa sia una nella pratica del culto, perché tutti i suoi membri si avvalgono dello stesso Sacrificio e ricevono gli stessi Sacramenti.

D. 553. Come è evidente che la Chiesa sia “una” nella fede?

R. È evidente che la Chiesa sia “una” nella fede perché tutti i cattolici di tutto il mondo credono in ogni singolo articolo di fede proposto dalla Chiesa.

D. 554. Può una persona che nega solo un articolo della nostra fede essere cattolico?

R. Una persona che negherebbe anche un solo articolo della nostra fede, non potrebbe essere un Cattolico; perché la verità è una e dobbiamo accettarla per intero: o per intero o per niente.

D. 555. Nella Chiesa ci sono credenze e pratiche pie che non sono articoli di fede?

R. Ci sono molte credenze e pratiche pie nella Chiesa che non sono articoli di fede; cioè, non siamo legati sotto pena di peccato a credere in esse; tuttavia spesso le troveremo utili aiuti alla santità, e quindi sono raccomandate dai nostri pastori.

D. 556. Di che peccato sono colpevoli le persone che hanno fermamente creduto in pratiche religiose diverse che sono proibite o inutili?

R. Le persone che sostengono fermamente altre pratiche religiose che sono proibite o inutili, sono colpevoli del peccato di superstizione.

D. 557. Dove trova la Chiesa le verità rivelate che è tenuta ad insegnare?

R. La Chiesa trova le verità rivelate che è tenuta ad insegnare nella Sacra Scrittura e nelle tradizioni rivelate.

D. 558. Che cos’è la Sacra Scrittura o Bibbia?

R. La Sacra Scrittura o Bibbia è la raccolta di scritti sacri ed ispirati attraverso i quali Dio ci ha fatto conoscere molte verità rivelate. Alcuni li chiamano pure “lettere dal Cielo alla terra”, cioè da Dio all’uomo.

D. 559. Che cosa si intende per Canone della Sacra Scrittura?

R. Per Canone della Sacra Scrittura si intende l’elenco che la Chiesa ha preparato per insegnarci quali sacri scritti costituiscano la Sacra Scrittura e contengano la parola ispirata di Dio.

D. 560. Da dove trae la Chiesa le tradizioni rivelate?

R. La Chiesa trae le tradizioni rivelate dai decreti dei suoi concili; dai suoi libri di culto; dai dipinti ed iscrizioni su tombe e monumenti; dalle vite dei suoi santi; dagli scritti dei suoi Padri e dalla sua storia.

D. 561. Dobbiamo noi stessi cercare nelle Scritture e nelle tradizioni ciò in cui dobbiamo credere?

R. Noi stessi non abbiamo bisogno di cercare nelle Scritture e nelle tradizioni ciò in cui dobbiamo credere. Dio ha nominato la Chiesa come guida per la salvezza e dobbiamo pertanto accettare che Essa ci insegni l’infallibile regola di fede.

D. 562. Come dimostriamo che le sole Sacre Scritture non potrebbero essere unicamente la nostra guida alla salvezza ed all’infallibile regola di fede?

R. Dimostriamo che la Sacra Scrittura da sola non possa essere la nostra guida per la salvezza e infallibile regola di fede:

– Perché tutti gli uomini non possono esaminare o comprendere la Sacra Scrittura; ma tutti possono ascoltare l’insegnamento della Chiesa;

– Perché il Nuovo Testamento o la parte cristiana della Scrittura non fu scritta all’inizio dell’esistenza della Chiesa, e, pertanto, non poteva essere usata come regola di fede dai primi Cristiani;

– Perché ci sono molte cose nella Sacra Scrittura che non possono essere comprese senza la spiegazione data dalla tradizione, e quindi coloro che prendono la Scrittura da sola come la loro regola di fede, disputano costantemente sul suo significato e su ciò a cui devono credere.

D. 563. Come è “Santa” la Chiesa?

R. La Chiesa è “santa” perché il suo fondatore, Gesù Cristo, è Santo; perché insegna una santa dottrina; invita tutti ad una vita santa; e per l’eminente santità di tante migliaia dei suoi figli.

D. 564. In che modo la Chiesa è “Cattolica” o universale?

R. La Chiesa è Cattolica o universale perché sussiste in tutte le epoche, insegna a tutte le nazioni e mantiene tutta la verità.

565. Come dimostrare che la Chiesa “Cattolica” sia universale nel tempo, nei luoghi e nella dottrina.

R. – 1. La Chiesa cattolica è universale nel tempo, poiché come dal tempo degli Apostoli al presente è esistita, così ha sempre insegnato ed operato in ogni epoca;

– È universale nei luoghi, perché ha insegnato in tutto il mondo;

.- È universale nella dottrina, poiché insegna lo stesso ovunque, e le sue dottrine sono adatte a tutte le classi di persone. Ha convertito così tutte le nazioni pagane convertite.

D. 566. Perché la Chiesa usa la lingua latina invece della lingua nazionale dei suoi figli?

R.  La Chiesa usa la lingua latina invece della lingua nazionale dei suoi figli:

– Per evitare il pericolo di cambiare qualsiasi parte del suo insegnamento utilizzando lingue diverse;

– Perché tutti i suoi reggenti possano essere perfettamente uniti e compresi nelle loro comunicazioni;

– Onde dimostrare che la Chiesa non è un istituto di una nazione particolare, ma la guida di tutte le nazioni.

D. 567. In che modo la Chiesa è “Apostolica”?

R. La Chiesa è apostolica perché fondata da Cristo sui suoi Apostoli, ed è governata dai loro legittimi successori, e poiché non ha mai cessato, e non cesserà mai di insegnare la loro dottrina.

D. 568. La Chiesa, definendo certe verità, crea così nuove dottrine?

R. La Chiesa, definendo, cioè proclamando certe verità, o articoli di fede, non fa nuove dottrine, ma semplicemente insegna più chiaramente e con maggiore sforzo verità che sono sempre state credute e sostenute dalla Chiesa.

D. 569. Che cosa è allora, l’uso di definire o dichiarare una verità un articolo di fede. se è sempre stato creduto?

R. L’uso di definire o dichiarare una verità un articolo di fede, anche quando è sempre stato creduto, è:

(1) contraddire chiaramente coloro che lo negano e mostrare così falso il loro insegnamento;

(2) Rimuovere ogni dubbio sull’esatto insegnamento della Chiesa e porre fine ad ogni discussione sulla verità definita.

D. 570. In quale Chiesa si trovano questi attributi e segni?

R. Questi attributi e note, o segni si trovano nella sola Chiesa Cattolica Romana.

D. 571. Come si dimostrate che le chiese protestanti non hanno i segni della vera Chiesa?

R. Le Chiese protestanti non hanno i segni della vera Chiesa, perché:

– Non sono “una” né nel governo né nella fede; infatti non hanno un capo principale e professano credenze diverse;

– Non sono sante, perché le loro dottrine sono fondate sull’errore e portano a conseguenze negative;

– Non sono cattoliche o universali nel tempo, nel luogo o nella dottrina. Non sono esistite in tutte le epoche né in tutti i luoghi, e le loro dottrine non si adattano a tutte le classi;

– non sono apostoliche, poiché sono state istituite centinaia di anni dopo gli Apostoli, e non insegnano le dottrine degli Apostoli.

D. 572. Da chi la Chiesa trae vita eterna e autorità infallibile?

R. La Chiesa trae vita eterna e autorità infallibile dallo Spirito Santo, lo Spirito della verità, che dimora con Essa per sempre.

D. 573. Da chi la Chiesa è creata e mantenuta Una, Santa e Cattolica?

R. La Chiesa è creata e mantenuta Una, Santa e Cattolica dallo Spirito Santo, lo spirito di amore e santità, che unisce e santifica i suoi membri in tutto il mondo.

LEZIONE 13 –

SUI SACRAMENTI IN GENERALE

D. 574. Che cos’è un sacramento?

R. Un Sacramento è un segno esteriore istituito da Cristo per dare grazia.

D. 575. Per la sussistenza di un Sacramento, sono sempre necessarie queste tre cose, vale a dire: 1° un segno esteriore visibile, 2° l’istituzione di quel segno da parte di Cristo e 3° il dono della grazia attraverso l’uso di quel segno?

R. Per la sussistenza di un Sacramento sono sempre necessarie queste tre cose, vale a dire: 1. Un segno esteriore o visibile, 2° l’istituzione di quel segno da parte di Cristo, e 3° il dono della grazia mediante l’uso di quel segno; se ne manca anche uno solo di questi tre elementi, non si ottiene alcun Sacramento.

D. 576. Perché la Chiesa usa numerose cerimonie o azioni onde applicare i segni esteriori dei Sacramenti?

R. La Chiesa usa numerose cerimonie o azioni nell’applicare i segni esteriori dei Sacramenti per aumentare la nostra riverenza e la devozione verso i Sacramenti, e per spiegare il loro significato ed i loro effetti.

D. 577. Quanti sacramenti ci sono?

R. Ci sono sette sacramenti: Battesimo, Conferma, Eucaristia, Penitenza, Estrema unzione, Ordini sacri e Matrimonio.

D. 578. Tutti i Sacramenti sono stati istituiti da Nostro Signore?

R. Tutti i Sacramenti sono stati istituiti da Nostro Signore, poiché solo Dio ha il potere di attribuire il dono della grazia all’uso di un segno esteriore visibile. La Chiesa, tuttavia, può istituire le cerimonie da utilizzare per amministrare o dare i Sacramenti.

D. 579. Come sappiamo che ci sono sette sacramenti e non di più o di meno?

R. Sappiamo che ci sono sette sacramenti e non di più o di meno, perché la Chiesa ha sempre insegnato questa verità. Il numero dei sacramenti è una questione di fede e la Chiesa non può essere confusa in questioni di fede.

D. 580. Perché sono stati istituiti i Sacramenti?

R. I Sacramenti sono stati istituiti come mezzi speciali attraverso i quali ricevere la grazia che ci è stata meritata da Cristo. Poiché Cristo è Colui che dà la grazia, Egli ha il diritto di determinare il modo in cui essi debbano essere dati, e chi rifiuta di usare i Sacramenti, non riceverà la grazia di Dio.

D. 581. I Sacramenti ricordano in qualche modo il mezzo con cui il Signore ha meritato le grazie che riceviamo attraverso di essi?

R. I Sacramenti ricordano in molti modi i mezzi con cui il Signore ha meritato le grazie che riceviamo tramite essi. Il Battesimo ricorda la sua profonda umiltà; la Confermazione la sua incessante preghiera; la Santa Eucaristia la sua cura dei bisognosi; la Penitenza la sua vita mortificata; l’Estrema unzione il modello della sua morte; gli Ordini sacri la sua istituzione del sacerdozio e il Matrimonio la sua stretta unione con la Chiesa.

D. 582. Qual è, per esempio, il segno esteriore nel Battesimo e nella Cresima.

R. Il segno esteriore del Battesimo è il versamento dell’acqua e la pronunzia delle parole della formula del battesimo. Il segno esteriore della Confermazione è invece l’unzione con olio, la pronunzia delle parole della Confermazione e l’imposizione delle mani del Vescovo sulla persona che egli conferma.

D. 583. Qual è il senso dei segni esteriori nei Sacramenti?

R. Senza i segni esteriori nei Sacramenti non potremmo sapere quando o con quale effetto la grazia dei Sacramenti entrai nelle nostre anime.

D. 584. Il segno esteriore indica semplicemente che la grazia è stata data, o l’uso del segno esteriore, con la giusta intenzione, dà anche la grazia del Sacramento?

R. Il segno esteriore non è usato solo per indicare che la grazia è stata data, poiché l’uso del segno esteriore con la giusta intenzione dà anche la grazia del Sacramento. Quindi la giusta applicazione del segno esteriore è sempre seguita dal dono della grazia interiore se il Sacramento è amministrato con la giusta intenzione e ricevuto con le giuste disposizioni.

D. 585. Che cosa intendiamo per “giusta intenzione” per l’amministrazione dei Sacramenti?

R. Con la giusta intenzione per l’amministrazione dei Sacramenti intendiamo che chiunque amministri un Sacramento deve avere l’intenzione di fare ciò che Cristo ha inteso quando ha istituito il Sacramento e ciò che la Chiesa intende quando amministra il Sacramento.

D. 586. C’è qualche somiglianza tra la materia usata nel segno esteriore e la grazia data in ogni Sacramento?

R. Esiste una grande somiglianza tra la materia usata nel segno esteriore e la grazia data in ogni Sacramento; infatti, l’acqua è usata per la pulizia: il Battesimo purifica l’anima; l’olio dona forza e luce: la confermazione rafforza e illumina l’anima; il pane e il vino nutrono: la Santa Eucaristia nutre l’anima.

D. 587. Che cosa intendiamo per “materia e forma” dei Sacramenti?

R. Per “materia” dei Sacramenti intendiamo le cose visibili, come l’acqua, l’olio, il pane, il vino, ecc., Usati per i Sacramenti. Per “forma” intendiamo le parole, come ad esempio: “ti battezzo”, “ti confermo”, ecc., usate nel dare o amministrare i Sacramenti.

D. 588. I bisogni dell’anima somigliano ai bisogni del corpo?

R. Certamente, i bisogni dell’anima somigliano ai bisogni del corpo; il corpo infatti deve nascere, essere rafforzato, nutrito, guarito nella malattia, aiutato nell’ora della morte, guidato dall’autorità, avere un luogo in cui dimorare. L’anima è portata nella vita spirituale dal Battesimo; è rafforzato dalla Confermazione; nutrito dalla Santa Eucaristia; guarito dalla Penitenza; aiutato nell’ora della nostra morte dall’Estrema unzione; guidato dai ministri di Dio stabiliti mediante il Sacramento dell’Ordine, e gli viene dato un corpo in cui dimorare per mezzo del Sacramento del Matrimonio.

D. 589. Da cosa i Sacramenti traggono il potere di dare la grazia?

R. I Sacramenti hanno il potere di dare grazia dai meriti di Gesù Cristo.

D. 590. L’effetto dei Sacramenti dipende dalla dignità o dalla indegnità di chi li amministra?

R. L’effetto dei Sacramenti non dipende dalla dignità o dalla indegnità di chi li amministra, ma dai meriti di Gesù Cristo, che li ha istituiti, e dalle degnissime disposizioni di coloro che li ricevono.

D. 591. Quale grazia danno i Sacramenti?

R. Alcuni dei Sacramenti danno la grazia santificante e altri la aumentano nelle nostre anime.

D. 592. Quando un Sacramento dice di dare e quando si dice che aumenta, la grazia nelle nostre anime?

R. Si dice che un Sacramento dona grazia quando non c’è alcuna grazia nell’anima, o in altre parole, quando l’anima è in peccato mortale. Si dice che un Sacramento aumenta la grazia, quando già vi è grazia nell’anima, alla quale ne viene aggiunta altra dal Sacramento ricevuto.

D. 593. Quali sono i Sacramenti che conferiscono la grazia santificante?

R. I Sacramenti che danno la grazia santificante sono il Battesimo e la Penitenza; essi sono chiamati Sacramenti dei morti.

D. 594. Perché il Battesimo e la Penitenza sono chiamati sacramenti dei morti?

R. Il Battesimo e la Penitenza sono chiamati Sacramenti dei morti perché tolgono il peccato, che è la morte dell’anima, e danno la grazia, che ne è invece la vita.

D. 595. Il sacramento della Penitenza può essere ricevuto da chi è già in stato di grazia?

R. Il Sacramento della Penitenza può, essere. e molto spesso è ricevuto, da chi è in uno stato di grazia, e così ricevuto, aumenta – come i Sacramenti dei viventi – la grazia già nell’anima.

D. 596. Quali sono i Sacramenti che aumentano la grazia santificante nella nostra anima?

R. I Sacramenti che aumentano la grazia santificante nelle nostre anime sono: La Confermazione, l’Eucaristia, l’Estrema unzione, gli Ordini sacri e il Matrimonio; e per questo sono chiamati Sacramenti dei viventi.

D 597. Che cosa intendiamo per sacramenti dei morti e sacramenti dei viventi?

– Per Sacramenti dei morti, intendiamo quei Sacramenti che possono essere lecitamente ricevuti quando l’anima è in uno stato di peccato mortale.

– Per Sacramenti del vivente intendiamo quei Sacramenti che possono essere lecitamente ricevuti solo quando l’anima è in uno stato di grazia, cioè libera dal peccato mortale. Vivere e morire non si riferiscono qui alle persone, ma alla condizione delle anime; poiché nessuno dei Sacramenti può essere dato a una persona morta.

D. 598. Perché la Confermazione, la Santa Eucaristia, l’Estrema Unzione, gli Ordini Sacri ed il Matrimonio sono Sacramenti dei viventi?

R. La Confermazione, la Santa Eucaristia, l’Estrema Unzione, gli Ordini sacri e il Matrimonio sono chiamati Sacramenti dei viventi perché coloro che li ricevono degnamente stanno già vivendo la vita di grazia.

D. 599. Quale peccato commette chi riceve i Sacramenti della vita in peccato mortale?

R. Chi riceve i Sacramenti della vita in peccato mortale commette un sacrilegio, che è un grande peccato, perché è l’abuso di una cosa sacra.

D. 600. In quali altri modi, oltre alla ricezione indegna dei Sacramenti, le persone possono commettere un sacrilegio?

R. Oltre alla ricezione indegna dei Sacramenti, le persone possono commettere sacrilegio con l’abuso di una persona, luogo o cosa sacri; per esempio ferendo intenzionalmente una persona consacrata a Dio; rubando o distruggendo una chiesa; usando i vasi sacri dell’Altare per scopi illeciti, ecc.

D. 601. Oltre alla grazia santificante, i Sacramenti danno qualche altra grazia?

R. Oltre alla grazia santificante, i Sacramenti danno un’altra grazia, chiamata grazia sacramentale.

D. 602. Che cos’è la grazia sacramentale?

R. La grazia sacramentale è un aiuto speciale che Dio dà per raggiungere il fine per il quale ha istituito ogni Sacramento.

D. 603. La grazia sacramentale è indipendente dalla grazia santificante data nei Sacramenti?

R. La grazia sacramentale non è indipendente dalla grazia santificante data nei Sacramenti; poiché è la grazia santificante che ci dà diritto agli aiuti speciali – chiamati grazia sacramentale – in ogni Sacramento, ogni qual volta dobbiamo compiere il fine del Sacramento o siamo tentati contro di essa.

D. 604. Si faccia un esempio di come la grazia sacramentale ci aiuti, ad esempio, nella Confermazione e nella Penitenza.

R. – Il fine della Confermazione è quello di rafforzarci nella nostra fede. Quando siamo tentati dal rinnegare la nostra Religione con le parole o con le azioni, ci viene data la grazia sacramentale della Confermazione che ci aiuta ad aggrapparci alla nostra fede ed a professarla con fermezza.

– Il fine della Penitenza è distruggere il peccato reale. Quando siamo tentati nel peccare, ci viene donata la grazia sacramentale della penitenza che ci aiuta a superare la tentazione ed a perseverare nello stato di grazia. La grazia sacramentale in ciascuno degli altri Sacramenti è data nello stesso modo, e ci aiuta a raggiungere il fine per il quale ogni Sacramento è stato istituito e per il quale lo riceviamo.

D. 605. I Sacramenti danno sempre la grazia?

R. I Sacramenti danno sempre grazia, se li riceviamo con le giuste disposizioni.

D. 606. Che cosa intendiamo per “disposizioni giuste” per la ricezione dei Sacramenti?

R. Per giuste disposizioni per la ricezione dei Sacramenti intendiamo i motivi propri e l’adempimento di tutte le condizioni, richieste da Dio e dalla Chiesa, per la degna ricezione dei Sacramenti.

D. 607. Si faccia un esempio delle “disposizioni giuste” per la Penitenza e per la Santa Eucaristia.

R. Le giuste disposizioni per la Penitenza sono:

– Confessare tutti i nostri peccati mortali che sappiamo aver commesso;

– Essere contrititi per essi, e

– Avere la determinazione di non commetterli mai più.

– Le giuste disposizioni per la Santa Eucaristia sono:

– Sapere cosa sia la Santa Eucaristia;

– Essere in uno stato di grazia, e

– salvo casi particolari di malattia – essere digiuni dalla mezzanotte.

D. 608. Possiamo ricevere i Sacramenti più di una volta?

R. Possiamo ricevere i Sacramenti più di una volta, eccetto il Battesimo, la Confermazione e gli Ordini Sacri.

D.609. Perché non possiamo ricevere il Battesimo, la Confermazione e gli Ordini sacri più di una volta?

R. Non possiamo ricevere il Battesimo, la Confermazione e gli Ordini Sacri più di una volta, perché imprimono un carattere nell’anima.

D. 610. Qual è il carattere che questi Sacramenti imprimono nell’anima?

R. Il carattere che questi Sacramenti imprimono nell’anima, è un segno spirituale che rimane per sempre.

D. 611. Questo carattere rimane nell’anima anche dopo la morte?

R. Questo carattere rimane nell’anima anche dopo la morte: ad onore e la gloria di coloro che sono salvati; a vergogna e punizione di coloro che si sono dannati.

D. 612. I sacramenti possono essere dati condizionatamente?

R. I Sacramenti possono essere dati condizionatamente ogni qual volta noi dubitiamo di averli ricevuti in precedenza, o riteniamo che possano essere stati dati in modo invalido.

D. 613. Che cosa intendiamo quando si conferisce un Sacramento in condizioni condizionali?

R. Dare un Sacramento condizionalmente vuol dire che la persona che amministra il Sacramento intende conferirlo solo nel caso in cui non sia già validamente dato o nel caso in cui la persona non avesse avuto le giuste disposizioni per riceverlo, sebbene le disposizioni non possano essere scoperte.

D. 614. Si faccia un esempio di come viene dato condizionalmente un Sacramento.

R. Nel dare il Battesimo, per esempio, condizionatamente – o quel che chiamiamo Battesimo condizionale – il sacerdote, invece di dire assolutamente, come fa nel Battesimo ordinario: “Io ti battezzo”, ecc., Dice: “… Se tu non sei già battezzato, o … se sei capace di essere battezzato, io ti battezzo” ecc., affermando così l’unica condizione sulla quale intende amministrare il Sacramento.

D. 615. Quale dei Sacramenti viene dato più frequentemente in condizioni condizionali?

R. I sacramenti più frequentemente dati condizionatamente sono il Battesimo, la Penitenza e l’Estrema Unzione; perché in alcuni casi è difficile accertare se questi Sacramenti siano stati dati in precedenza o se siano stati dati validamente, o se la persona che li sta per ricevere abbia le giuste disposizioni per riceverli.

D. 616. Si nomini alcune delle circostanze più comuni in cui un prete è obbligato ad amministrare i Sacramenti in modo condizionale.

R. Alcune delle circostanze più comuni in cui un prete è obbligato a somministrare i Sacramenti in modo condizionale sono:

– Quando riceve i convertiti nella Chiesa e non è certo del loro precedente battesimo, deve battezzarli in modo condizionale.

– Quando viene chiamato – come nel caso di incidente o di malattia improvvisa – e dubita se la persona sia viva o già morta, o se debba ricevere i Sacramenti, o debba dare l’assoluzione e amministrare condizionalmente l’Estrema Unzione.

D. 617. Qual è l’uso e l’effetto di dare i Sacramenti in modo condizionale?

R. L’uso di dare i Sacramenti in modo condizionale è che non ci possa essere irriverenza dei Sacramenti nel darli a persone incapaci o indegne di riceverli; e tuttavia nessuno che sia capace o degno possa esserne privato. L’effetto è di fornire il Sacramento dove sia necessario o possa essere dato, e di negarlo dove non sia necessario o non possa essere dato.

D. 618. Qual è la differenza tra i poteri di un Vescovo e quelli di un sacerdote riguardo all’amministrazione dei Sacramenti?

R. La differenza tra i poteri di un Vescovo e quelli di un sacerdote, riguardo all’amministrazione dei Sacramenti, è che un Vescovo può dare tutti i sacramenti, mentre un prete non può dare la Cresima, né gli Ordini sacri.

  1. 619. Può una persona ricevere tutti i Sacramenti?
  2. Una persona non può, di regola, ricevere tutti i Sacramenti; perché una donna non può ricevere gli Ordini sacri e ad un uomo che riceve il Sacerdozio è proibito ricevere il Sacramento del Matrimonio.

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (V) – Lez. 14-16

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “SACROSANTA ŒCUMENICA”

Dal Sacrosanto Concilio di Trento, riportiamo oggi l’inizio della Sessione XXII, che riguarda il Sacrificio della Santa Messa. Si tratta, come ognuno può comprendere facilmente, di uno dei capisaldi del Cattolicesimo di ogni tempo: la sua dottrina è chiara, senza fronzoli, doppi sensi e tutto quanto possa prestarsi a qualsiasi “ermeneutica” modernista. Proponiamo oggi questo documento, a beneficio soprattutto dei modernisti della setta dell’obbrobrioso “novus ordo”, che partecipano nel giorno del Signore e nelle feste comandate, al rito del baphomet “signore dell’universo”, che sugli altari ha preso da tempo il posto  del Dio Trino “Deus Sabbaoth” di cattolica memoria, secondo gli scritti profetici (Libro di Daniele, Vangelo di S. Matteo, Apocalisse, Lettera II Tessal., etc).  Ai modernisti, laici, finti chierici e falsi religiosi che credono ancora, contro ogni evidenza, di essere cattolici, basterebbe ad esempio ricordare, giusto per tagliare corto, solo il canone n. 9 di questi decreti, per capire l’anatema (scomunica con automatica fuoriuscita dalla Chiesa Cattolica= eterna dannazione senza successiva emenda, contrizione, rimozione delle censure da chi ne ha facoltà e Confessione Sacramentale da un vero sacerdote cattolico, … per chi ha il comprendonio duro)  in cui si incorre partecipando ad un rito diverso da quello stabilito, fissato nella sua completa perfezione, in eterno, infallibile ed irreformabile, dal Concilio Ecumenico Tridentino. Questo basterebbe per capire anche che, colui  o coloro che hanno modificato e approvate le modifiche del Canone della Messa Cattolica, stabilito da Nostro Signore Gesù Cristo medesimo, non potevano essere Vicari di Cristo in terra, ma certamente zelanti servi di lucifero, come del resto gli attuali fantocci della kazaro-massoneria che ha usurpato tutte le cariche ecclesiali. Che dire allora: FRATELLI SALVATEVI QUANTO PRIMA, aprite gli occhi, tornate nell’Arca di salvezza che è la Chiesa Cattolica, guidata dal Santo Padre “prigioniero” Gregorio XVIII, successore di Gregorio XVII, card. Siri! Non indugiate credendovi al sicuro, pensando di marciare cioè sotto lo stendardo di Cristo, mentre in realtà seguite allegramente e spensierati il vessillo di satana. – Per meditare intanto leggiamo questi atti sacrosanti: che lo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, possa venire in nostro soccorso e toglierci la benda spessa che ricopre i nostri occhi accecati! Che Dio, Signore nostro e Salvatore, per intercessione della Vergine Maria, ce lo conceda! … Sacrosanta Œcumenica et generalis Tridentina synodus in Spiritu Sancto legitime congregata, …

Sacrosanta Œcumenica  XXII Sess. Con. Tried. 

[17 settembre 1562]

Dottrina e canoni sul santissimo Sacrificio della Messa.

Il sacrosanto Concilio ecumenico e generale Tridentino, riunito legittimamente nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi legati della Sede Apostolica, perché sia mantenuta nella Chiesa cattolica e conservata nella sua purezza l’antica, assoluta, e sotto qualsiasi aspetto perfetta dottrina del grande mistero dell’eucaristia contro gli errori e le eresie, illuminato dallo Spirito santo, insegna, dichiara e intende che su essa, come vero e singolare sacrificio, sia predicato ai popoli Cristiani quanto segue.

Capitolo I

Poiché sotto l’antico testamento (secondo la testimonianza dell’Apostolo Paolo, per l’insufficienza del sacerdozio levitico, non vi era perfezione, fu necessario – e tale fu la disposizione di Dio, padre delle misericordie, – che sorgesse un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech, e cioè il signore nostro Gesù Cristo, che potesse condurre ad ogni perfezione tutti quelli che avrebbero dovuto essere santificati. Questo Dio e Signore nostro, dunque, anche se una sola volta si sarebbe immolato sull’altare della croce, attraverso la morte, a Dio Padre, per compiere una redenzione eterna; perché, tuttavia, il suo sacerdozio non avrebbe dovuto tramontare con la morte, nell’ultima cena, la notte in cui fu tradito, per lasciare alla Chiesa, sua amata sposa, un sacrificio visibile (come esige l’umana natura), con cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una sola volta sulla croce, prolungandone la memoria fino alla fine del mondo, e la cui efficacia salutare fosse applicata alla remissione di quelle colpe che ogni giorno commettiamo; egli, dunque, dicendosi costituito sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech, offrì a Dio padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino, e lo diede, perché lo prendessero, agli apostoli (che in quel momento costituiva sacerdoti del nuovo testamento) sotto i simboli delle stesse cose (del pane, cioè, e del vino), e comandò ad essi e ai loro successori nel sacerdozio che l’offrissero, con queste parole: Fate questo in memoria di me, ecc., come sempre le ha intese ed ha insegnato la Chiesa cattolica.

Celebrata, infatti, l’antica Pasqua, – che la moltitudine dei figli di Israele immolava in ricordo dell’uscita dall’Egitto -, istituí la nuova Pasqua, e cioè se stesso, da immolarsi dalla Chiesa per mezzo dei suoi sacerdoti sotto segni visibili, in memoria del suo passaggio da questo mondo al Padre, quando ci redense con l’effusione del suo sangue, ci strappò al potere delle tenebre e ci trasferì nel suo regno. Ed è questa quell’offerta pura, che non può essere contaminata da nessuna indegnità o malizia di chi la offre; che il Signore per mezzo di Malachia predisse che sarebbe stata offerta in ogni luogo, pura, al suo nome che sarebbe stato grande fra le genti; e a cui non oscuramente sembra alludere l’Apostolo Paolo, scrivendo ai Corinti, quando dice: che non possono divenire partecipi della mensa del Signore, quelli che si sono contaminati, partecipando alla mensa dei demoni. E per “mensa” nell’uno e nell’altro luogo intende (certamente) l’altare. Questa, finalmente, è quella che al tempo della natura e della legge, era raffigurata con le diverse varietà dei sacrifici: essa che raccoglie in sé tutti i beni significati da quei sacrifici, come perfezionamento e compimento di tutti essi.

Capitolo II

E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si immolò una sola volta cruentemente sull’altare della croce, il santo Sinodo insegna che questo sacrificio è veramente propiziatorio, e che per mezzo di esso – se di vero cuore e con retta fede, con timore e riverenza ci avviciniamo a Dio contriti e pentiti – noi possiamo ottenere misericordia e trovare grazia in un aiuto propizio. Placato, infatti, da questa offerta, il Signore, concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdona i peccati e le colpe anche gravi. Si tratta, infatti, della stessa, identica vittima e lo stesso Gesù  la offre ora per mezzo dei sacerdoti, egli che un giorno si offrí sulla croce. Diverso è solo il modo di offrirsi. E i frutti di quella oblazione (di quella cruenta) vengono percepiti abbondantemente per mezzo di questa, incruenta, tanto si è lontani dal pericolo che con questa si deroghi a quella. – È per questo motivo che giustamente, secondo la tradizione degli Apostoli, essa viene offerta non solo per i peccati, le pene, le soddisfazioni ed altre necessità dei fedeli viventi, ma anche per i fedeli defunti in Cristo, non ancora del tutto purificati.

Capitolo III

E quantunque la Chiesa usi talvolta offrire messe in onore e in memoria dei santi, essa, tuttavia, insegna che non ad essi viene offerto il sacrificio, ma solo a Dio, che li ha coronati. Per cui, il sacerdote non è solito dire: Offro a te il sacrificio, Pietro e Paolo; ma ringrazio Dio per le loro vittorie, chiede il loro aiuto: perché vogliano intercedere per noi in cielo, coloro di cui celebriamo la memoria qui, sulla terra.

Capitolo IV

E poiché le cose sante devono essere trattate santamente, e questo è il sacrificio piú santo, la Chiesa Cattolica, perché esso potesse essere offerto e ricevuto degnamente e con riverenza, ha stabilito da molti secoli il sacro canone, talmente puro da ogni errore, da non contenere niente, che non profumi estremamente di santità e di pietà, e non innalzi a Dio la mente di quelli che lo offrono, formato com’è dalle parole stesse del Signore, da quanto hanno trasmesso gli Apostoli e istituito piamente anche i santi pontefici.

Capitolo V

E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la Chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.

Capitolo VI

Desidererebbe certo, il sacrosanto Sinodo, che in ogni messa i fedeli che sono presenti si comunicassero non solo con l’affetto del cuore, ma anche col ricevere sacramentalmente l’eucaristia, perché potesse derivarne ad essi un frutto piú abbondante di questo santissimo sacrificio. E tuttavia, se ciò non sempre avviene, non per questo essa condanna come private e illecite quelle Messe, nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente, ma le approva e quindi le raccomanda, dovendo ritenersi anche quelle, messe veramente comuni, sia perché il popolo in esse si comunica spiritualmente, sia perché vengono celebrate dal pubblico ministro della Chiesa, non solo per sé, ma anche per tutti i fedeli, che appartengono al corpo di Cristo.

Capitolo VII

Il santo Sinodo ricorda poi, che la Chiesa ha comandato che i sacerdoti mischiassero dell’acqua col vino, nell’offrire il calice, sia perché si ritiene che Cristo signore abbia fatto così e poi anche perché dal suo fianco uscì insieme acqua e sangue: mistero che si commemora con questa mescolanza. E poiché con le acque, nell’apocalisse del beato Giovanni vengono indicati i popoli, con ciò viene rappresentata l’unione dello stesso popolo fedele col capo, Cristo.

Capitolo VIII

Anche se la Messa contiene abbondante materia per l’istruzione del popolo cristiano, tuttavia non è sembrato opportuno ai padri che dovunque essa fosse celebrata nella lingua del popolo. Pur ritenendo, quindi, dappertutto l’antico rito di ogni Chiesa, approvato dalla santa Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le chiese, perché, però, le pecore di Cristo non muoiano di fame, e i fanciulli chiedano il pane senza che vi sia chi possa loro spezzarlo, il santo Sinodo comanda ai pastori e a tutti quelli che hanno la cura delle anime, di spiegare frequentemente, durante la celebrazione delle messe, personalmente o per mezzo di altri, qualche cosa di quello che si legge nella Messa e, tra le altre cose, qualche verità di questo santissimo sacrificio, specie nei giorni di domenica e festivi.

Capitolo IX

Ma poiché in questo tempo sono stati disseminati molti errori, e molte cose si insegnano e vengano disputate da molti contro questa antica fede, fondata nel sacrosanto vangelo, sulle tradizioni degli Apostoli e sulla dottrina dei santi padri, il sacrosanto Sinodo, dopo molte e gravi discussioni su queste questioni, fatte con matura riflessione, per consenso unanime di tutti i padri ha stabilito di condannare ciò che è contrario a questa purissima fede e sacra dottrina e di eliminarlo dalla Chiesa, con i canoni che seguono.

CANONI SUL SANTISSIMO SACRIFICIO DELLA MESSA

1. Se qualcuno dirà che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto non significa altro se non che Cristo ci viene dato a mangiare, sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che con quelle parole: Fate questo in memoria di me (347), Cristo non ha costituito i suoi apostoli sacerdoti o che non li ha ordinati perché essi e gli altri sacerdoti offrissero il suo corpo e il suo sangue, sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che il sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o la semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non si deve offrire per i vivi e per i morti, per i peccati, per le pene, per le soddisfazioni, e per altre necessità, sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che col sacrificio della messa si bestemmia contro il sacrificio di Cristo consumato sulla croce; o che con esso si deroga all’onore di esso, sia anatema.

5. Chi dirà che celebrare Messe in onore dei Santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come la Chiesa intende, è un’impostura, sia anatema.

6. Se qualcuno dirà che il canone della messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna abolirlo, sia anatema.

7. Se qualcuno dirà che le cerimonie, le vesti e gli altri segni esterni, di cui si serve la Chiesa cattolica nella celebrazione delle messe, siano piuttosto elementi adatti a favorire l’empietà, che manifestazioni di pietà, sia anatema.

8. Se qualcuno dirà che le Messe, nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente, sono illecite e, quindi, da abrogarsi, sia anatema.

9. Se qualcuno dirà che il rito della Chiesa Romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da riprovarsi; o che la Messa debba essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice non debba esser mischiata l’acqua col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo, sia anatema.

Decreto su ciò che bisogna osservare ed evitare nella celebrazione delle Messe.

Quanta cura sia necessaria, perché il sacrosanto sacrificio della Messa sia celebrato con ogni religiosità e venerazione, ognuno potrà facilmente capirlo, se rifletterà che nella Sacra Scrittura viene detto ‘maledetto’ chi compie l’opera di Dio con negligenza. E Se dobbiamo confessare che nessun’altra azione possa essere compiuta dai fedeli cristiani così santa e così divina, come questo tremendo mistero, con cui dai sacerdoti ogni giorno si immola a Dio sull’altare quell’ostia vivificante, per la quale siamo stati riconciliati con Dio padre, appare anche chiaro che si deve usare ogni opera e diligenza, perché esso venga celebrato con la più grande mondezza e purezza interiore del cuore, e con atteggiamento di esteriore devozione e pietà. – E poiché, sia per colpa del tempo che per negligenza e malvagità degli uomini, si sono introdotti molti elementi alieni dalla dignità di un tanto sacramento, perché sia restituito il dovuto onore e culto, a gloria di Dio e ad edificazione del popolo fedele, questo santo Sinodo stabilisce che i Vescovi ordinari si diano cura e siano tenuti a proibire e a togliere di mezzo tutto ciò che hanno introdotto o l’avarizia, che è servizio degli idoli, o l’irriverenza, che si può difficilmente separare dall’empietà, o la superstizione, falsa imitazione della vera pietà. – E, per dirla in breve, prima di tutto – per quanto riguarda l’avarizia, – essi proibiscano assolutamente qualsiasi compenso, i patti e tutto ciò che viene dato per celebrare le nuove Messe; ed inoltre quelle, più che richieste, importune e grette esazioni di elemosine; ed altre cose simili, che non sono molto lontane, se non proprio dalla macchia della simonia, certo da traffici volgari. In secondo luogo, per evitare l’irriverenza, ognuno, nella sua diocesi, proibisca che qualsiasi prete girovago e sconosciuto possa celebrare la messa. A nessuno, inoltre, che abbia commesso un delitto pubblico e notorio, permettano che possa servire al santo altare, o assistere alla santa Messa; e neppure che in case private, e, in genere, fuori della Chiesa e degli oratori destinati solo al culto divino da designarsi e visitarsi dagli ordinari – questo santo Sacrificio sia celebrato da qualsiasi secolare o regolare, e senza che prima i presenti, in atteggiamento composto, mostrino di assistere non solo col corpo, ma anche con la mente e con affetto devoto del cuore. – Bandiscano, poi, dalle chiese quelle musiche in cui, con l’organo o col canto, si esegue qualche cosa di meno casto e di impuro; e similmente tutti i modi secolari di comportarsi, i colloqui vani e, quindi, profani, il camminare, il fare strepito, lo schiamazzare, affinché la casa di Dio sembri, e possa chiamarsi davvero, casa di preghiera. – Da ultimo, perché non si dia occasione di superstizione, con editto e con minacce di pene facciano in modo che i sacerdoti non celebrino se non nelle ore stabilite e che nella celebrazione delle Messe non seguano riti o cerimonie, e dicano preghiere diverse da quelle che sono state approvate dalla Chiesa e accettate da un uso consueto e lodevole. Tengano lontano assolutamente dalla Chiesa l’uso di un certo numero di messe e di candele, inventato più da un culto superstizioso, che dalla vera religione. E insegnino al popolo quale sia e da che principalmente provenga il frutto così celeste e così prezioso di questo santissimo sacrificio. – Lo ammoniscano anche che si rechi frequentemente nella propria parrocchia, almeno nei giorni di domenica e nelle feste più solenni. – Tutte queste cose, che abbiamo sommariamente enumerato, vengono proposte a tutti gli ordinari in tal modo, che non solo esse, ma qualsiasi altra cosa che abbia attinenza con quanto veniamo dicendo, con quel potere che ad essi viene conferito dal sacrosanto Sinodo ed anche come delegati della Sede Apostolica, essi le proibiscano, le comandino, le correggano, le stabiliscano, e spingano il popolo fedele ad osservarle inviolabilmente con le censure ecclesiastiche e con altre pene, che potranno essere stabilite a loro giudizio. Tutto ciò, non ostante i privilegi, le esenzioni; gli appelli e le consuetudini di qualsiasi natura.

DOMENICA V dopo PENTECOSTE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI:7; XXVI:9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus. [Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Ps XXVI:1 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timébo? [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò?]

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus. [Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Oratio

Orémus. Deus, qui diligéntibus te bona invisibília præparásti: infúnde córdibus nostris tui amóris afféctum; ut te in ómnibus et super ómnia diligéntes, promissiónes tuas, quæ omne desidérium súperant, consequámur. [O Dio, che a quanti Ti amano preparasti beni invisibili, infondi nel nostro cuore la tenerezza del tuo amore, affinché, amandoti in tutto e sopra tutto, conseguiamo quei beni da Te promessi, che sorpassano ogni desiderio.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet III:8-15

“Caríssimi: Omnes unánimes in oratióne estóte, compatiéntes, fraternitátis amatóres, misericórdes, modésti, húmiles: non reddéntes malum pro malo, nec maledíctum pro maledícto, sed e contrário benedicéntes: quia in hoc vocáti estis, ut benedictiónem hereditáte possideátis. Qui enim vult vitam dilígere et dies vidére bonos, coérceat linguam suam a malo, et lábia ejus ne loquántur dolum. Declínet a malo, et fáciat bonum: inquírat pacem, et sequátur eam. Quia óculi Dómini super justos, et aures ejus in preces eórum: vultus autem Dómini super faciéntes mala. Et quis est, qui vobis nóceat, si boni æmulatóres fuéritis? Sed et si quid patímini propter justítiam, beáti. Timórem autem eórum ne timuéritis: et non conturbémini. Dóminum autem Christum sanctificáte in córdibus vestris.”

Omelia I

[Mons. Bonomelli, “Nuovo saggio di OMELIE per tutto l’anno”, Vol. III, Torino 1899, Om. XI –imprim.]

“Siate tutti concordi, compassionevoli, amatori dei fratelli, pietosi, modesti, umili: non rendendo male per male, od ingiuria per ingiuria; ma, per contrario, benedite, perché a questo siete chiamati, acciocché ereditiate la benedizione. Chi pertanto vuole amare la vita e vedere giorni felici, raffreni la sua lingua dal male e le sue labbra non proferiscano frode. Si ritragga dal male e faccia il bene, cerchi la pace e la procacci. Perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti, e le sue orecchie intente alle loro preghiere; ma il volto del Signore sta contro quelli che fanno male. E chi mai potrà farvi male, se siete studiosi del bene. Ma se pure patite alcuna cosa per la giustizia, beati voi! Non abbiate timore di loro, né ve ne turbate. Adorate Cristo Signore nei vostri cuori„ (I. di S. Pietro c. III, 8-15).

In questi otto versetti vi ho presentato nella nostra lingua il tratto dell’epistola, che or ora si è letta nella Messa. Esso è tolto dal capo terzo della prima lettera di S. Pietro ai fedeli sparsi in varie province dell’Asia Minore. È cosa affatto superflua il farvi osservare come ogni versetto, dirò meglio, quasi ogni parola di questa breve lezione racchiuda un documento altissimo di sapienza morale; voi stessi, udendone la versione, ve ne sarete accorti. Noi avvezzi fino da fanciulli ad udire queste sì sante verità, quasi non vi poniamo mente e non ne riceviamo grande impressione, come non facciamo le meraviglie allorché al mattino il sole spunta sull’orizzonte, raggiante di luce. Ma così non doveva essere dei primi Cristiani, massime di quelli che erano allora allora usciti dal paganesimo. Io immagino, che quei cristiani all’udirsi leggere queste sentenze sì semplici, sì sublimi e sì conformi ai principi della stessa ragione naturale ed ai sentimenti più nobili del cuore, eppure sì nuove, pieni di stupore gratitudine, dovessero esclamare: Oh! come bella, ammirabile e divina questa Religione! Benedetto Colui, che per sua misericordia l’ha manifestata agli uomini! Felici gli uomini che la ricevono e la osservano! – Ma lasciato da banda ogni esordio, mettiamo mano non tanto alla spiegazione (che in tanta chiarezza non occorre), ma alla considerazione ed applicazione di queste verità, che rispondono ad ogni età e condizione di persone. – S. Pietro nei versetti, che precedono, ricorda alle donne i loro doveri verso dei mariti, e le esorta ad essere sollecite più degli ornamenti esterni, della vera bellezza, che è tutta interna; poi eccita i mariti ad usare ogni riguardo alle loro donne, affinché possano avere insieme l’eterna eredità. Poi proseguendo, scrive: ” Siate tutti concordi, compassionevoli, amatori dei fratelli, pietosi, modesti, umili. „ Dite, o carissimi: era possibile in sì poche parole condensare maggior numero di massime morali di queste più belle e più stupende ? “Siate tutti concordi, „ o, come porta il testo della Volgata, ” unanimi, „ cioè abbiate tutti un animo solo, un solo sentimento. Si può dire che nelle lettere, specialmente di S. Paolo, la raccomandazione della concordia si incontra ad ogni pagina. La concordia esterna, delle parole e degli atti, nella famiglia e società, perché sia vera concordia e durevole, deve essere una conseguenza dell’interna, deve scaturire dalla mente e dal cuore. Abbiamo tutti gli stessi principi, professiamo tutti le stesse verità, amiamoci tutti come fratelli, e la concordia regnerà regina in mezzo a noi. Mi direte: Sta bene aver comuni gli stessi principi, tener salde le stesse verità, ecco la base della concordia. — Ma è egli possibile trovarci uniti nelle stesse verità e negli stessi principi? Volete voi che ciascuno sacrifichi le sue convinzioni? La diversità di parlare e di giudicare è una necessità delle cose ed è voluta in gran parte dalla disuguaglianza delle menti, della istruzione e di cento altre cause, onde la concordia in tanta differenza di caratteri e di pensamenti è impossibile. — No, non è impossibile, o cari. La carità scambievole, senza offendere la libertà individuale, può mantenere la concordia. Le voci dell’organo sono diverse fra loro, ma si possono armonizzare: il rispetto vicendevole, la tolleranza, figlia della carità, possono mantenere la più perfetta concordia: anche tra quelli, che quanto a princîpi dissentono profondamente tra loro. Studiamoci di essere uniti nella verità e avremo la concordia: che se non possiamo essere uniti nella stessa verità, lo siamo sempre nella carità e ne avremo egualmente il frutto nella concordia esterna. Lo so dilettissimi: alcuni credono che la differenza di religione e di fede debba spezzare il vincolo della carità e generare la discordia e l’odio. È un errore: Dio non ama Egli i peccatori e per amore non li chiama a penitenza? Gesù Cristo non morì forse per tutti? Se Dio li ama, se Gesù Cristo morì anche per essi, perché non ameremo noi pure quelli che non hanno comune con noi la stessa fede? Noi non approveremo mai la loro dottrina e i loro errori, che faremmo oltraggio a Dio: ma rispetteremo sempre ed ameremo le loro persone, li terremo in conto di fratelli, perché anch’essi come noi creati da Dio, chiamati alla stessa fede, perché anche per essi è morto Gesù Cristo. Tolga dunque Dio che noi nutriamo ombra d’odio o di rancore contro quelli, che non professano la nostra fede o che avendola professata, la rigettarono. Deploreremo la loro caduta, la loro miscredenza, ma li rispetteremo e li ameremo sempre e cordialmente, e perciò anche con loro sarà perfetta la nostra concordia. – “Siate compassionevoli„ Compatientes, dice S. Pietro, che importa piangere con chi piange, patire con chi patisce. Allorché un membro del nostro corpo soffre, in qualche modo soffrono tutti gli altri e il corpo nostro languisce, perché il male d’uno è male degli a1tri: similmente quando una persona a noi cara patisce, noi pure patiamo con essa, perché l’amore, che ad essa ci lega, di due anime ne forma quasi una sola, e perciò il dolore è comune. Ciò, in qualche misura, dovrebbe avvenire ogni qualvolta vediamo un fratello soffrire: se lo amiamo, come vuole il Vangelo, il suo soffrire, sarà nostro soffrire: allora saremo compassionevoli e tosto appariranno i frutti della carità, giacché non è possibile sentire vera compassione pei mali altrui e non far nulla per alleviarli. È egli possibile che una spina vi si conficchi nella mano sinistra e la destra non si adopri a levarla prontamente? “Siate amatori dei fratelli, „ Fraternitatis amatores. O la santa parola! Quegli uomini pieni d’orgoglio, che nel secolo scorso proclamarono la fratellanza universale, quasi che fossero stati essi gli scopritori ed i primi apostoli, meditino queste due parole, diciannove secoli or sono, scritte dal principe degli Apostoli: Fraternitatis amatores. – Non solo dobbiamo essere concordi, compassionevoli gli uni verso gli altri, ma dobbiamo amarci come fratelli. Per i fratelli, per i veri fratelli che si amano, ogni bene è comune, e la sventura che colpisce uno, colpisce tutti. Ah! Carissimi, come sarebbe felice il mondo, se questa fratellanza inculcata da Gesù Cristo e predicata da S. Pietro in questo luogo, regnasse in mezzo a noi e si manifestasse nelle opere. Si parla molto, si parla eloquentemente di fratellanza; tutti 1’hanno sulla lingua: ma l’hanno anche nelle opere? Ohimè! Parlano di fratellanza e si lacerano tra loro, e il forte opprime il debole, il ricco il povero, l’uomo istruito abusa dell’ignoranza altrui e vedo una classe armata e fremente contro l’altra. È questa la fratellanza che Gesù Cristo ha portato sulla terra e san Pietro proclama altamente quando scrive: siate amatori dei fratelli — Fraternitatis amatores? — Ditelo voi, carissimi. S. Pietro prosegue: siate pietosi, „ Misericordes, che suona alcun che di più vivo e sentito del compassionevoli. Cosa strana e quasi incredibile! Vi furono filosofi antichi, come Seneca, che osarono insegnare la pietà verso i miseri essere una debolezza d’animo, una infermità dello spirito e doversi combattere e disprezzare. La pietà e la commiserazione verso i sofferenti è la dote che maggiormente onora la natura umana e la rende più simile a Dio, che è la stessa bontà e misericordia: per essere insensibili ai dolori altrui; bisogna rinnegare la propria natura e renderci simili alle piante ed alle pietre, non dico alle bestie, le quali talvolta sembrano compatire ed aver pietà almeno coi loro nati. Noi, o dilettissimi, non dimenticheremo mai questa sublime sentenza di Gesù Cristo, che disse: “Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli, „ e “Beati i misericordiosi, perché anch’essi otterranno misericordia. „ “Siate modesti, umili, „ Modesti, umile. Modestia ed umiltà, osserva S. Bernardo, sono due sorelle, ed io volentieri le chiamerei piuttosto, madre e figlia, giacché mi sembra che la modestia sia la figlia della umiltà. La modestia riguarda direttamente l’esterno dell’uomo, l’umiltà si riferisce all’interno. Per la modestia l’uomo compone il suo esterno in guisa che torna caro ed amabile a tutti: la modestia apparisce nelle vesti, nel passo, nel suono della parola, nell’aspetto, negli atti esterni, nell’atteggiamento della persona, che spira benevolenza, piacevolezza, benignità, rispetto, affabilità e grazia, a talché la compagnia della persona modesta è da tutti desiderata e tutti rallegra. Perché poi la modestia non sia ingannevole apparenza, ma virtù vera e solida, deve germogliare dal fondo dell’anima, deve emanare dall’umiltà del cuore, come la fragranza dal fiore. L’anima, che conosce se stessa e perciò sente bassamente di sé, veglia sempre sopra de’ propri atti, ama il nascondimento, tutti reputa migliori di sé, si tiene all’ultimo luogo, e ne gode: essa è sempre tranquilla e pacifica nel santuario della sua coscienza: e qual meraviglia, che la pace interna informi i suoi atti esterni e si irradii costantemente sul suo volto e si manifesti nella modestia? – “Non rendendo male per male e ingiuria per ingiuria. „ Veramente un uomo, un cristiano, quale lo vuole S. Pietro i n questo luogo, che abbiamo chiosato brevemente, dovrebbe essere amato da tutti e parrebbe impossibile possa essere offeso: ma non è così. Tanta è la malignità di certi uomini e il pervertimento di certi cuori, che le anime più umili, più modeste, più pie, più caritatevoli non vanno salve dall’odio e dalle offese più gravi, e sembra talvolta che le loro virtù siano incitamento e motivo ad accrescere l’ira e le persecuzioni dei tristi. Pietro stesso che scriveva queste verità sì sante e le praticava; tutti gli Apostoli e Gesù Cristo medesimo non furono fatti segno della malevolenza più cupa, dell’odio più feroce dei malvagi fino a rimanerne vittime? Perciò S. Pietro, continuando la sua esortazione, dice: “Ancorché voi, o cari, siate perfettissimi in codeste virtù, non dovete meravigliarvi se il mondo vi tratterà da pari suo, e se vi perseguiterà e coprirà d’ingiurie. È questa la mercede ch’egli suole dare ai buoni. E voi che farete? Non rendete male per male, ingiuria per ingiuria. „ In queste parole di S. Pietro ed in quelle che seguono si ripete quasi letteralmente l’insegnamento di Cristo registrato nel capo V del Vangelo di S. Matteo. E non solo noi non dobbiamo rendere male per male, ingiuria per ingiuria, che sarebbe già molto; ma per contrario dobbiamo benedire chi ci offende: Sed e contrario benedicentes; frase che risponde perfettamente al precetto di Cristo: Benedicite maledicentibus vobis (Matteo, V, 44). È il grado sommo della carità, è virtù eroica, senza dubbio; ma Gesù Cristo l’ha comandata, più ancora, l’ha praticata Egli stesso sulla croce, e per noi basta. “E questa, soggiunge S. Pietro, quasi per prevenire la difficoltà, la vostra vocazione, „ “Quia in hoc vocati estis.” Non movete difficoltà, sembra dire l’Apostolo, perché la religione, alla quale siete chiamati, vi impone virtù sì alta, “se volete ereditare la benedizione, „ Ut benedictionem hareditate possideatis. Di quale benedizione intende qui parlare S. Pietro, data qual premio del perdono generoso delle offese, del benedire chi ci maledice? Non dubito che intenda parlare principalmente della benedizione eterna, del premio dei giusti, ma non senza una allusione anche alla benedizione o mercede temporale, che il mondo stesso non rare volte riserba ai magnanimi, che perdonano le offese e rendono bene per male. Affermata questa dottrina sì eccelsa del perdono delle offese, anzi del rendere bene per male, benedizione per maledizione, S. Pietro cita un luogo del Salmo XXX, 13 e seg., e dice: ” Chi dunque vuole amare la vita e godere buoni giorni, raffreni la sua lingua dai male, e le sue labbra non proferiscano frode; „ vale a dire: chiunque desidera di possedere la vita beata in cielo e felice anche quaggiù sulla terra, quanto a noi è possibile, raffreni la sua lingua e si guardi dal tessere inganno od ordire frode contro il fratello. È chiaro che questa testimonianza del Salmo si connette colla sentenza evangelica del perdonare e benedire chi ci maledice: Benedìcite maledicentibus vobis, ed è qui riportata da S. Pietro come conferma, tanto più conveniente in quantoché la lettera era indirizzata ai cristiani, la maggior parte dei quali era di Ebrei, cresciuti nelle idee naturalmente ebraiche. Una lingua che non sa raffrenarsi, che rende ingiuria per ingiuria, non solo si prepara giorni amari nella vita futura, dove sarà reso a ciascuno secondo le opere sue, ma sovente se li prepara anche nella presente, perché sparge il seme della discordia, offende ed irrita i fratelli, si crea dei nemici e dilata l’incendio degli odi, dove ché colui che tace, benefica chi gli fa male e benedice chi lo ingiuria, gli chiude la bocca e vince, come scrive S. Paolo, col bene il malvagio. Si ritragga dal male, faccia il bene, cerchi la pace e la procacci. „ Quest’altra sentenza, tolta dallo stesso Salmo, è amplissima, vedete, e contiene quattro cose distinte, che S. Pietro conferma e raccomanda e sulle quali mi passo. Fuggire il male, fare il bene, cercare la pace e conservarla con ogni diligenza, le sono cose generalissime, sulle quali non occorre fermarci, e perciò passiamo all’altra sentenza del Salmo. – “Perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti, e i suoi orecchi sono intesi alle loro preghiere; ma il suo volto sta contro quelli che fan male. „ Il fissare gli occhi sopra una persona può avere un doppio significato affatto contrario: gli occhi si fissano sopra una persona per mostrare ira e disprezzo, o per mostrare compiacenza ed amore. Si guarda il nemico con occhi torbidi, fieri, dispettosi; la madre sul bambino, che porta sulle braccia, tiene fissi gli occhi pieni di letizia e d’amore. In qual senso il Salmista afferma che Dio tiene fissi gli occhi sui giusti? Evidentemente li tiene fissi sopra di loro con cura ed affetto paterno, perché si tratta di giusti, che sono figli bene amati. Dio poi verso di loro tiene aperte le orecchie per udire le loro preghiere ed esaudirle. Come è bella e soave questa pittura, che il Salmista fa di Dio rispetto ai buoni! Iddio li guarda amoroso, li ascolta sollecito, come un padre, anzi come una madre fa con i suoi figli: la madre è tutta intenta ai bisogni dei figli, li mira tacita, li previene ed appena ode un loro grido, un gemito, vola a loro e darebbe per essi la vita. È questa una poverissima immagine delle sollecitudini amorose, onde Iddio circonda i giusti e provvede ai loro bisogni. Che se Dio è tutto tenerezza verso dei giusti, il suo volto, dice il salmista, è pieno di sdegno e di terrore contro i malvagi, per scuoterli e ridurli a miglior consiglio. Non è mestieri, o dilettissimi, il dirvi che in questo luogo della sacra Scrittura, come in mille altri, si parla di Dio, come se fosse un uomo, che ha occhi, orecchie e volto, mentre per ragione sappiamo e per fede, che Dio è puro spirito e come tale non ha né occhi, né orecchi, né volto, ma solo mente e volontà, come si conviene alla natura sua semplicissima. – Qui S. Pietro ripiglia la sua esortazione e scrive: “E chi mai potrà recarvi danno, se siete studiosi del bene? „ Sopra ha detto ai suoi discepoli, che non rispondano male per male, ma benedicano a chi li maledice, e qui a confermarli nel bene aggiunge: Se voi fate bene a tutti, anche a chi vi odia, e se volgete in vostro vantaggio il male, che tentano di farvi i nemici, chi mai potrà recarvi danno? Non ve lo possono fare, i nemici; chi dunque ve lo farà? Ai giusti, ai veri figli di Dio tutto giova sulla terra e tutto si volge a bene, dice S. Paolo: Omnia cooperantur in bonuum. Giovano i favori e le benedizioni degli uomini, come le contraddizioni e le maledizioni, perché i giusti da tutto traggono occasione di esercitare la virtù e di servire a Dio. – “Che se pure, così S. Pietro, soffrite alcuna cosa per la giustizia, felici voi!” È questa una sentenza tolta quasi di peso dal Vangelo, dove Cristo dice: “Beati quelli che soffrono persecuzione per la giustizia; „ e ancora: “Beati voi allorché gli uomini vi avranno maledetti e vi avranno perseguitato: godete ed esultate, perché grande è la vostra mercede. „ E non temete di loro, né vi turbate, soggiunge S. Pietro. A che temere quelli che vi odiano, vi maledicono e vi perseguitano? Essi vi spianano la via del cielo, vi preparano la corona, e se possono togliervi il corpo, non possono togliervi l’anima, né torcervi un solo capello. Dunque bando ad ogni timore non solo, ma ad ogni più lieve turbamento: Non conturbemini. – Ci resta da spiegare l’ultimo versetto: “Adorate nei vostri cuori Cristo Signore. „ Il testo della nostra Volgata dice: “Santificate”, parola che risponde all’adorate, nel senso preciso che ha pure nell’orazione domenicale, in cui diciamo a Dio; “Sia santificato il vostro nome, „ cioè siate onorato, glorificato, e adorato. Come doppia è la nostra natura, così doppio vuol essere il culto, che tributiamo a Dio, il culto dello spirito e del cuore, che è interno, e il culto del corpo, che è esterno: questo non può mai separarsi da quello e, se è separato, si risolve o in una ipocrisia o in atti materiali senza valore dinanzi a Dio. Il culto del cuore deve precedere ed informare il culto esterno come l’anima informa il corpo, e benché il primo alcune volte possa esistere senza il secondo, tuttavia ordinariamente lo trae seco come una necessità: è come il pensiero, che produce naturalmente la parola. San Pietro in questo luogo inculca ai suoi figliuoli questo culto interno, questa adorazione di Cristo nel cuore, causa e radice del culto esterno. Miei cari! Dio è spirito, disse Gesù Cristo alla samaritana, e perciò vuole che gli uomini lo adorino anzi tutto in spirito. Allorché pertanto vogliamo o dobbiamo adorare Iddio, poniamoci dinanzi alla sua maestà infinita, raccogliamo i nostri pensieri ed i nostri affetti, ritiriamoci nel santuario della nostra mente e del nostro cuore, e quivi riconosciamo il nostro nulla e la grandezza di Dio: questo conoscimento, questo sentimento intimo del nostro nulla, e del tutto che è Dio, mentre fa curvare tutto l’essere nostro al cospetto di quella immensa grandezza e quasi lo annienta, fa piegare le nostre ginocchia e la nostra fronte e fa risuonare sulla nostra lingua quelle parole di S. Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!” Allora adoriamo Dio nei nostri cuori: Dominum Christum sanctificate in cordibus vestris. –  È questo adorare Dio in spirito e verità.

Graduale

Ps LXXXIII:10; LXXXIII:9

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice super servos tuos, [O Dio, nostro protettore, volgi il tuo sguardo a noi, tuoi servi]

V. Dómine, Deus virtútum, exáudi preces servórum tuórum. Allelúja, allelúja [O Signore, Dio degli eserciti, esaudisci le preghiere dei tuoi servi. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XX:1

Alleluja, alleluja Dómine, in virtúte tua lætábitur rex: et super salutáre tuum exsultábit veheménter. Allelúja. [O Signore, nella tua potenza si allieta il re; e quanto esulta per il tuo soccorso! Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt. V:20-24

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nisi abundáverit justítia vestra plus quam scribárum et pharisæórum, non intrábitis in regnum coelórum. Audístis, quia dic tum est antíquis: Non occídes: qui autem occídent, reus erit judício. Ego autem dico vobis: quia omnis, qui iráscitur fratri suo, reus erit judício. Qui autem díxerit fratri suo, raca: reus erit concílio. Qui autem díxerit, fatue: reus erit gehénnæ ignis Si ergo offers munus tuum ad altáre, et ibi recordátus fúeris, quia frater tuus habet áliquid advérsum te: relínque ibi munus tuum ante altáre et vade prius reconciliári fratri tuo: et tunc véniens ófferes munus tuum.”

Omelia II

[G. Bonomelli, ut supra, om. XII]

“Io vi dico che se la vostra “giustizia non sarà migliore di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete udito, che fu detto agli antichi: Non ucciderai, e chi uccide sarà sottoposto al giudizio; ma io vi dico, che chiunque si adira contro il fratel suo sarà sottoposto al giudizio; e chi gli avrà detto Racha, sarà sottoposto al sinedrio: e chi gli avrà detto Pazzo sarà sottoposto al fuoco della geenna. Se tu pertanto presenti la tua offerta sull’altare e quivi ti rammenti, che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia colà la tua offerta sull’altare è va prima a riconciliarti col fratel tuo, e allora venendo, presenta la tua offerta „ (S. Matteo, V, 20-24).

Fin qui l’odierno Vangelo. – Il Vangelo è la succinta narrazione dei fatti principali della vita di Gesù Cristo e l’esposizione della sua dottrina: questa poi viene esposta o in parabole od in discorsi nelle forme più semplici e più efficaci. Ora tra i discorsi di Cristo, principalissimo senza dubbio è quello che dicesi del monte, perché fu tenuto sopra un monte, e comincia al capo quinto di S. Matteo e si chiude col settimo. Chi va da Nazaret a Tiberiade, oltrepassa il Tabor, che resta a destra, attraversa un altopiano ondulato ed alla sua sinistra vede elevarsi un piccolo colle, affatto nudo: quel colle si dice colle delle beatitudini, perché la tradizione vuole che Gesù Cristo lassù abbia pronunciato il discorso del monte, che comincia con le otto beatitudini. Esso è il compendio di tutta la dottrina morale di Gesù Cristo, esposta in una forma sì chiara, sì semplice e sì efficace, che formò sempre e formerà fino alla fine dei secoli la meraviglia di chiunque lo scorra con qualche attenzione. Da questo discorso del monte è tolto il brano che vi ho recitato e che deve essere il soggetto della presente omelia.. “Vi dico che se la vostra giustizia non sarà migliore di quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno de’ cieli. „ Per comprendere questa sentenza di nostro Signore, è necessario sapere che cosa era la giustizia, ossia la virtù od osservanza della legge praticata dagli scribi e dai farisei. Essi professavano di osservare rigorosamente la legge mosaica: a questa avevano aggiunto molte pratiche o prescrizioni esterne di nessun conto ed alle quali davano grande importanza, per es. il lavarsi le mani prima di prendere il cibo, il mondare certi vasi e via dicendo. Gesù Cristo non condannava l’uso di queste pratiche; meno poi ancora l’osservanza esatta della legge; ciò ch’Egli fortemente biasimava negli scribi e nei farisei era il mettere la virtù nell’adempimento materiale della legge e nell’esigere con estremo rigore l’osservanza di cose di poco momento, trascurando l’interno e lo spirito della legge. Gesù guariva un infermo nel giorno di sabato, e gli scribi ed i farisei l’accusavano d’aver violato il riposo prescritto da Mosè; gli Apostoli in giorno di sabato sfregavano le spighe di frumento per calmare la fame che li tormentava; ed eccoti quei crudeli a designarli come profanatori della legge. In una parola: erano duri, senza carità, tutti intesi a fare materialmente le pratiche esterne, non curanti per nulla dell’interno. Gesù Cristo proclama che con siffatta virtù non si può entrare nel regno dei cieli: che oltre gli atti esterni e prima e più che questi si domandano gli interni, o più che le cerimonie del culto si esige il sacrificio del cuore. Il carattere proprio della dottrina di Cristo è la riforma dello spirito, la rigenerazione interna, la purezza del cuore, la carità vera, che dall’anima si traduce nelle opere, precisamente il rovescio di ciò che facevano i farisei, ai quali Cristo sdegnato diceva: ” Lavate il di dentro, e poi vedrete di mondare il di fuori „ (S. Matteo, XXIV, 26). Allorché pertanto Gesù Cristo vuole che la nostra giustizia sia migliore di quella degli scribi e farisei, ci comanda di far sì che per noi si curi più l’interno che l’esterno; che al di sopra delle pratiche esterne e delle cerimonie si metta il culto dello spirito e del cuore, e che al formalismo, se così posso dire, materiale, vada innanzi la carità, in una parola, che quello che nell’uomo è principale, cioè lo spirito, tenga il primo luogo. – Ora, o dilettissimi, alcun che della lebbra gli scribi e dei farisei non si sarebbe appiccicata anche ad alcuni Cristiani? A Dio non piaccia; ma non sarebbe da farne le meraviglie. Giustizia farisaica, da Cristo sfolgorata, è recitare lunghe orazioni, prender parte a pratiche religiose non obbligatorie, far pellegrinaggi, novene, tridui, ascriversi a pie confraternite e lacerare la fama del prossimo, seminare la discordia tra fratelli, opprimerli con le usure, tenere discorsi osceni, imbrattarsi in laide tresche, negare un tozzo di pane al poverello affamato. – Sente di giustizia farisaica la condotta di quei Cristiani, che crederebbero colpa omettere il Rosario, la Messa in giorno feriale, la visita al Sacramento, e poi in casa tiranneggiare la moglie, i figli, le sorelle, i servi. Ricordiamolo bene, o fratelli; tutte le pratiche religiose, ancorché eccellenti, gli stessi Sacramenti, non hanno ragione di fine, ma sì di mezzo, e potrebbe essere per conseguenza che uno abbondasse e sovrabbondasse in queste cose e scarseggiasse nella virtù, e per contrario altri abbondasse nella virtù e facesse appena il necessario quanto alle pratiche di religione e all’uso dei Sacramenti. Cerchiamo dunque l’acquisto della virtù vera e solida, che si alimenta di sacrifici e di opere di carità, la virtù che Cristo vuole nei suoi seguaci, perché questa sola ci schiuderà le porte del cielo. – Cristo, dopo avere dichiarato in genere che la virtù richiesta in chi lo vuol seguire deve essere ben superiore a quella praticata dagli scribi e dai farisei, prosegue e discende ai particolare, dicendo: ” Avete udito che fu detto agli antichi: Non ucciderai, e chi uccide sarà sottoposto al giudizio; ma io vi dico, che chiunque si adira contro il fratel suo, sarà sottoposto al giudizio. „ – La legge antica, quanto al prossimo vietava direttamente l’omicidio e con l’omicidio tutte le altre offese fatte esternamente alle persone, ed infliggeva la pena proporzionata: legge nuova, ch’io promulgo ed impongo, dice Cristo, va più oltre e vieta severamente non solo tutte le offese personali esterne fatte al prossimo, ma l’ira, il rancore, l’odio interno, qualunque ne sia il grado. L’omicida nella legge di Mose è soggetto al giudizio, e trovato colpevole di volontario omicidio è condannato a morte: quella legge si limita agli atti esterni: il Vangelo in quella vece entra nei penetrali della coscienza e dichiara reo nel giudizio divino e meritevole dell’eterna perdizione chiunque nell’animo suo cova ira ed odio contro il prossimo. – Sarebbe far torto a Mosè ed ai profeti ed alla fede dell’antica sinagoga se noi affermassimo semplicemente che la legge antica si limitava agli atti esterni e non si curava degli interni. Quando Davide gemendo diceva: “Signore, crea in me un cuor mondo e rinnova in me il tuo spirito retto: „ e ancora: “Se tu, o Signore, l’avessi voluto, io ti avrei offerto il sacrificio: ma tu non gradisci gli olocausti: il sacrificio grato a Dio è lo spirito dolente: è il cuore contrito ed umiliato che tu non respingi: „ allora Davide esprimeva a meraviglia come Iddio voglia anzi tutto e sopra tutti il culto interno, il sacrificio del cuore. Ma è anche certo che questa dottrina nobilissima era poco conosciuta e praticata in Israele e che solo Gesù Cristo la elevò alla sua perfezione e la rese comune e popolare nella sua Chiesa. – Direte: È dunque peccato sdegnarci alla vista dei delitti e chiedere od infliggere la punizione dei facinorosi? Convien distinguere, o cari.  Se noi odiamo la persona colpevole e ne vogliamo il castigo per desiderio di bassa vendetta, noi incorriamo la condanna qui fulminata da Cristo, che dice: Qui irascitur fratri suo reus erit judicio. Se noi ci sdegniamo per il male commesso, per l’offesa fatta a Dio, per il desiderio che sia represso lo scandalo e punito il colpevole, affinché si emendi e gli altri siano ritratti dal peccato, l’ira nostra non è biasimevole, è buona, è santa, come quella di Gesù, del quale è detto nel Vangelo “che guardò con ira gli scribi ed i farisei,” che resistevano alla verità: Circumspiciens eos cum ira. Gesù procede, mostrando sempre la perfezione della legge evangelica sulla mosaica, e dice: “Chi avrà detto racha, fatuo, senza cervello, sarà sottoposto al sinedrio, „ cioè al gran Consiglio giudaico, al quale spetta pronunciare la sentenza nei maggiori delitti. “Chi poi avrà detto pazzo al fratello, sarà sottoposto al fuoco della geenna, „ cioè maggiore condanna. E qui è necessario spiegare un po’ più ampiamente la cosa, se vogliamo debitamente intendere le parole di Cristo. – Ponete mente che Gesù Cristo parlava agli Ebrei e naturalmente il suo linguaggio doveva rispondere ai loro usi e fino ad un certo punto alle loro idee. Ora per i Giudei vi erano tre sorta di tribunali: il primo riguardava le questioni d’interesse pecuniario, ed era composto di tre giudici: il secondo si occupava di cause più gravi, come omicidi, e vi sedevano ventitre giudici: il terzo rendeva sentenza sulle cause gravissime, come di idolatria, di apostasia, e si componeva di settantadue giudici, e dicevasi il sinedrio, il concilio per eccellenza. Gesù Cristo in questo luogo mette tre gradazioni di colpe, l’ira contro il fratello, l’ingiuria del dirgli raca e l’altra più grave del trattarlo da pazzo, e insegna che ciascuna di queste tre colpe subirà il suo giudizio e la sua pena proporzionata, e per farne risaltare più chiaramente la differenza, penso io, piglia l’immagine dal triplice tribunale ebraico. La pena, che Cristo dice inflitta a ciascun grado di colpa qui accennata, è senza dubbio eterna, ma differente secondo la gravità della colpa: massima poi si intende la pena inflitta al terzo grado di colpa, come apparisce dal testo e però conviene dire che in queste tre forme di colpe, s’intende offesa gravemente la carità fraterna. – Gesù Cristo in questo luogo parla del fuoco della geenna, reus erit gehennæ ignis; espressione che secondo tutti gli interpreti significa il fuoco infernale. Che cosa è questa geenna? Qual è il senso di questa parola, che troviamo in questo luogo del Vangelo, nell’Apocalisse, in Geremia ed in Isaia? È  necessario fare un po’ di storia se vogliano rilevarne il valore. –  Dalla parte meridionale della città di Gerusalemme, ai piedi del colle di Sion, esiste una piccola valle, chiamata Gehenna. In quella valle gli Ebrei, caduti nella idolatria, passavano per il fuoco, cioè offrivano talvolta i loro figli a Molok, Dio dei Fenici o Cananei bruciandoli (Lib. X dei Re, XXVIII, 10), e per coprire le strida disperate di quelle vittime infelici, facevano grande strepito con timpano, onde quella valle fu detta tophet, che vuol dire timpano. Il re Giosia, allorché abolì quella orrenda e quasi incredibile barbarie, per rendere abominevole ed infame quel luogo, vi fece gettare tutte le immondezze della città e i cadaveri dei giustiziati e, per impedirne le pestifere esalazioni, vi faceva grandi fuochi quasi continui. Gesù Cristo, parlando della pena infernale agli Ebrei, prende l’immagine di quella valle infame e di quel fuoco, che quasi sempre vi ardeva, e chiama geenna lo stesso inferno. – Da queste sentenze di Cristo noi apprendiamo qual gran male sia nutrire odio contro il fratel nostro, e come sia maggior male sfogare quest’odio esternamente con parole oltraggiose, che lo amareggiano e lo disonorano. Eppure siffatte colpe non solo sono frequenti in mezzo a noi, ma quel che è ancor peggio le si reputano poca cosa, e appena è che le si confessino, se pure si confessano. Ah! Miei cari, è sempre un male deplorevole quello che ferisce la carità fraterna, quella carità che Gesù Cristo inculcò con tanta efficacia, che dichiarò essere precetto suo e precetto nuovo e segno, al quale si debbono riconoscere i suoi discepoli – Gesù, volendo mettere in maggior luce la differenza che corre tra la legge mosaica e la giustizia farisaica da una parte e la legge evangelica dall’altra, aggiunge una sentenza gravissima, che dobbiamo seriamente meditare: “Se dunque tu presenti la tua offerta sull’altare e quivi ti ricordi, che il fratel tuo ha qualche cosa contro di te, lascia colà la tua offerta sull’altare e va a riconciliarti col fratel tuo, e poi, venendo, presenta la tua offerta. „ Sembra che gli scribi ed i farisei insegnassero tra le altre cose, che la violazione del precetto: Non occides, non ucciderai, non offenderai il tuo prossimo, si potesse espiare con offerte e sacrifìci fatti a Dio per mezzo dei suoi sacerdoti: Gesù Cristo rigetta questa dottrina e dichiara qual sia il dovere che vuolsi tosto adempire. E non dimentichiamo una cosa degna di attenta considerazione, ed è che in questo precetto Gesù Cristo non distingue tra offeso ed offensore, ma vuole che l’uno e l’altro si affrettino a far pace col fratello. Ben è vero, che l’offensore è tenuto a riparare l’offesa e a dare soddisfazione all’offeso; così vuole la giustizia: ma Gesù Cristo non fa distinzione, e in generale inculca la necessità di ristabilire subito i vincoli della carità fraterna: l’offensore vi è tenuto per giustizia, e l’offeso, quantunque non sia tenuto ad offrire per primo la pace, se lo farà, l’opera sua sarà santa e sommamente gradita a Dio. – Eccovi un uomo nel tempio, ai piedi dell’altare: egli presenta al sacerdote la vittima da offrire a Dio per ringraziarlo dei suoi benefici, o per espiare i proprii falli: in quella, dice Gesù Cristo, la coscienza gli ricorda che il fratel suo nutre rancore contro di lui. Che deve fare? Forse deve continuare la sua preghiera ed offrire il suo sacrificio e rimette ad altro tempo la riconciliazione col fratello? A noi parrebbe che così e non altrimenti  fosse da fare. È già nel tempio: l’offerta è pronta; il sacerdote l’ha ricevuta; perché interrompere il sacrificio? Perché lasciar Dio per l’uomo? Perché turbare l’ordine e il  culto divino? A tempo più conveniente ristabiliremo la pace: nessuna necessità di precipitare la pace. Si compia il sacrificio a Dio e poi si darà la pace al fratello. Così ragioneremmo noi, o dilettissimi; ma non così ragiona Gesù Cristo. Lascia, dice Cristo, la tua offerta sull’altare, interrompi pure il sacrificio, va. corri, vola dal fratello tuo, fa la pace con lui e poi vieni, ripiglia e compi il sacrificio, che sarà accettevole a Dio. Come ciò, o fratelli? Perché così vuole la ragione e la fede. L’offerta al tempio, il sacrificio a Dio è di consiglio, doveché la carità col prossimo è imposta da un precetto divino; perché è sdegnato con noi finché dura l’offesa del prossimo; perché il sacrificio è simbolo di pace, e come Dio potrebbe gradire l’offerta del simbolo di pace quando questa pace non alberga nel tuo cuore? Perché finalmente a Dio torna più cara la pace, la concordia tra i suoi figliuoli, che l’offerta delle vittime. Dio non vuole le cose nostre, ma noi stessi, e sopratutto il sacrificio della nostra mente per la fede e quello del nostro cuore per la carità: è la carità che informa i nostri cuori, quella che rende accettevole il sacrificio, non il sacrificio quello che santifica il cuore e lo rende accettevole a Dio: il valore del dono si misura dalla bontà o generosità e purezza del cuore : dove questo fa difetto, gli uomini stessi respingono il dono;  quanto più Dio, che non guarda a ciò che apparisce, ma guarda al cuore e questo solo lo onora! Offrire il sacrificio al Dio della pace senza la pace nel cuore? Chiedere a Lui la remissione dei nostri debiti, e rifiutarla noi ai nostri fratelli e sotto i suoi occhi? Pregar Dio che si plachi con noi, mentre noi non ci plachiamo col fratello? No, il tuo sacrificio non può essere gradito a Dio se prima non gli hai offerto il sacrificio incomparabilmente più degno e più nobile del tuo cuore, col perdono dell’offesa e con la riconciliazione sincera col fratel tuo. Fatta questa, il tuo sacrificio, dice Cristo, sarà accolto in cielo e salirà a Dio in odore di soavità. – Di questo precetto di Cristo, espresso con tanta chiarezza e vivacità di immagine, abbiamo un ricordo od un simbolo bellissimo nella liturgia antica, conservato ancora in parte fino a noi. Sappiamo che i Cristiani antichi, prima di ricevere la S. Comunione, si  davano a vicenda il bacio di pace per mostrare che tra loro regnava la più perfetta carità: di quest’uso è rimasta una memoria nel rito, che i ministri sacri usano ancora nelle Messe solenni, di darsi l’amplesso di pace. È forza confessare che di certi riti bellissimi e pieni d’alti significati, introdotti nella Chiesa, sembra non essere rimasti che i riti materiali e lo spirito si è perduto! – Carissimi figliuoli e fratelli! Non vi sia grave, ora, qui, innanzi all’altare, su cui tra breve sarà immolata la Vittima divina di pace di perdono, gettare uno sguardo nei penetrali del vostro cuore, a Dio solo pienamente manifesto. Alla luce della coscienza e della fede,  scrutate le sue fibre più intime e vedete se mai, per avventura, vi si annidasse qualche risentimento, qualche rancore, qualche ruggine contro il fratel vostro; non cercate se voi siete gli offesi o gli offensori, ciò poco importa. Se trovate che il vostro cuore non ama tutti egualmente, non perdona l’offesa ricevuta, o della offesa data non ha ancora chiesto perdono, né offerta soddisfazione: se trovate che serba memoria amara di certe ingiurie, e che forse vagheggia l’idea della vendetta, fosse pure leggera, e non gode del suo bene come del proprio: se trovate, in una parola che la carità non regna sovrana nel vostro cuore, prima che si offra il divino sacrificio della Messa, risolvete generosamente di fare la pace col fratello, chiunque egli sia, e vi assicuro che quest’atto sarà più grato a Dio e più meritorio per voi, che non sia l’osservanza del precetto che oggi vi ha qui condotti. Se volete il perdono dei vostri peccati, perdonate ai vostri offensori: se volete la pace con Dio, abbiate la pace con i vostri fratelli: la misura che voi userete con essi sarà quella che Dio userà con voi.

Credo …

Offertorium

Orémus

Ps XV:7 et 8. Benedícam Dóminum, qui tríbuit mihi intelléctum: providébam Deum in conspéctu meo semper: quóniam a dextris est mihi, ne commóvear. [Benedirò il Signore che mi dato senno: tengo Dio sempre a me presente, con lui alla mia destra non sarò smosso.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris: et has oblatiónes famulórum famularúmque tuárum benígnus assúme; ut, quod sínguli obtulérunt ad honórem nóminis tui, cunctis profíciat ad salútem. [Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni dei tuoi servi e delle tue serve, affinché ciò che i singoli offersero a gloria del tuo nome, giovi a tutti per la loro salvezza.]

Communio

Ps XXVI:4 Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ. [Una cosa sola chiedo e chiederò al Signore: di abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita].

Postcommunio

Orémus.

Quos cœlésti, Dómine, dono satiásti: præsta, quæsumus; ut a nostris mundémur occúltis et ab hóstium liberémur insídiis.

LO SCUDO DELLA FEDE (XVI)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XVI.

LA DIVINA PROVVIDENZA.

Come mai Iddio è provvido, se vi hanno tanti disordini nella natura? — Se vi sono tanti esseri inutili? — Se vengono al mondo tanti mostri e nomini infelici? — Se siamo oppressi da tanti mali? — Se accadono tanti disastri?

— Si dice che Iddio è provvido, e cioè si dice aver egli cura delle creature, conservarle, governarle, dirigerle al loro fine, procacciare a tutte quel che loro abbisogna. Ora come conciliare questa divina provvidenza con tanti disordini, che vi sono nel mondo?

E di quali disordini intendi parlare?

— Dei disordini che vi hanno nella natura e nella società. Per esempio nella natura vi sono tanti esseri, piante, animali, che potrebbero venire al mondo e vivere a lungo, e invece improvvisamente sono soffocati e distrutti. E questo non è già un disordine?

Nella mente nostra potrà benissimo parer tale, ma non già di fronte a Dio. Hai tu mai intesa una qualche sinfonia d’un celebre Maestro, supponiamo di Haydn o di Verdi? E nel sentire quella sinfonia non ti è sembrato che vi fossero delle note sacrificate? massime certe note di accompagnamento? Eppure se tu le togliessi, non ne risulterebbe più quel complesso armonico, che tanto molce l’orecchio. Una sinfonia dev’essere considerata nel suo complesso per goderne l’effetto. Così, caro mio, se anche nell’armonia del mondo vi sono delle note sacrificate, ciò non toglie che l’armonia esista e sia sommamente ammirabile ed esalti il Maestro Divino che la crea. Dunque devi riconoscere che Dio in vista dell’ordine generale può permettere qualche disordine parziale, che alla fin fine non si può nemanco chiamar tale, in quanto che serve a stabilire l’armonia e l’equilibrio del mondo. Supponiamo ad esempio che tutti i semi delle piante si svolgessero, e tutte le pianticelle nate dai semi si conservassero in vita, il mondo intero non diventerebbe una sola foresta? Supponiamo che si moltiplicassero, come potrebbero, i nati di un moscherino, al termine di una stagione non basterebbero a coprire quattro ettari di terreno? E se si schiudessero tutte le uova dei merluzzi e degli storioni, in meno di cento anni non potrebbero riempire tutti gli oceani? Vedi adunque come nel lasciare che vadano distrutte e soffocate tante esistenze, Dio, tutt’altro che far contro alla sua Provvidenza, ne dà bellissima prova.

— Ciò è vero. Ma appunto perché tanti esseri sono inutili, come mai li crea?

Nella tua domanda vi è un bello sproposito. Tu dici: Come mai Dio crea tanti esseri inutili? Ma ciò è possibile? Quando un essere qualsiasi non servisse ad altro che a mostrare la perfezione di Dio, non sarebbe già sommamente utile? Ora vi è forse anche un solo di quegli animaluzzi, di cui in una sola goccia d’acqua ve n’ha migliaia, che non serva a questo scopo? Ma oltre a ciò bisogna pur riconoscere che non c’è alcun essere nell’universo, che Dio non abbia creato con un fine particolare e che non rechi all’armonia del mondo la sua utilità.

— Ma che utilità arrecano certi insetti, che non danno che molestia?

Ricordi il fatto o la parabola di quel re che si lamentava perché Dio avesse creato i ragni e le pulci? Un dì dopo una disastrosa battaglia avendo dovuto darsi alla fuga, finalmente stanco si nascose in un antro, dove si stette a riposare per alcune ore. Intanto un ragno dispiegò alla porta di quell’antro una ragnatela. E quando già era stata compiuta, ecco alcuni soldati nemici di quel re, che si erano dati a ricercarlo, passare di là. Vi fu bene chi disse: entriamo qui a vedere, se qui si fosse nascosto. Ma vi fu subito chi osservò ciò non essere possibile dal momento che si vedeva quella ragnatela intatta. E così quei soldati essendo andati oltre, il re scampò alla morte, e cominciò a riconoscere l’utilità dei ragni. Il dì seguente dormendo in luogo aperto sarebbe del pari caduto nelle mani dei nemici, se una pulce non l’avesse talmente morsicato da svegliarlo a tempo, sì che potesse accorgersi dell’arrivo dei nemici e fuggire. E allora riconobbe anche l’utilità delle pulci. Questo fatto o parabola mi par che basti a darti la spiegazione dell’esistenza di tutto ciò che a noi può parere inutile.

— Mi sembra però assai difficile conciliare la divina Provvidenza coi tanti mostri che vengono al mondo, e soprattutto con tanti uomini infelici, con tanti ciechi, con tanti sordomuti, con tanti cretini, con tanti storpi, con tanti rachitici eccetera, eccetera.

Ascolta : « Quanto ai mostri essi mettono in luce la debolezza delle forze create, e non vi ha ragione di meravigliarcene. Quantunque noi non possiamo sempre assegnare loro una causa particolare nei disegni di Dio, né sapere a quale forza occulta tornino profittevoli, teniamo per certo ch’essi hanno la loro ragione di essere e che non possono cogliere in fallo la divina Provvidenza. E non basta, come osserva giudiziosamente S. Agostino (Enccheridion, capo 5), « che essi attraggano la nostra attenzione e muovano la nostra intelligenza ad investigare le leggi, alle quali fanno eccezione, affinché noi ne accertiamo l’ordine abituale e ne ammiriamo la sublime disposizione? » (Monsabrè). In quanto poi a quelli che nascono al mondo ciechi, sordi, storpi, cretini, pazzi e va dicendo, anzi che a Dio, il quale fa bene ogni cosa, ciò si deve attribuire agli uomini, che concorrono per parte loro all’azione creatrice di Dio, e che ne sono la causa con certi loro vizi e peccati, E quando poi per parte loro non si possa scoprire alcuna causa, bisogna pur riconoscere che Dio permette ciò con un fine sempre buono, perché la sua volontà non può mai essere altrimenti che buona, ad esempio per provare certe famiglie, per mantenerle nell’umiltà, per far acquistare loro dei meriti, se non altro per far apprezzare meglio a chi vede questi infelici il benefizio di essere sani e di buona costituzione, e per altri simili ottimi fini. E stando così le cose, si potrà forse disconoscere per questo lato la Divina Provvidenza?

— No certo; lo comprendo anch’io. Nondimeno non so darmi pace perché Iddio così buono e provvido lasci poi che la nostra breve vita sia ripiena di tanti mali, di tante infermità, di tante tribolazioni, di tanti dispiaceri, di tanti dolori!

* Tu non ti sai dar pace di ciò, perché al pari di tanti altri in questi mali fisici, che contrastano i nostri sensi e si oppongono alla nostra tendenza di non voler soffrire, vedi dei veri mali, mentre essi non sono propriamente tali. Di fatti a che cosa possono essi servire tutti questi mali fisici? Essi possono servire mirabilmente a indurre l’uomo a distaccare il cuore dalla terra, a darsi al servizio di Dio, ad espiare per loro mezzo, soffrendoli con pazienza, i peccati propri e persino gli altrui, ad operare la propria santificazione, a conseguire l’ultimo fine per cui è stato creato. Se adunque è vero, come è verissimo, che questi mali fisici servano a conquistare i beni eterni del cielo, si possono ancora chiamare veri mali? o non si hanno piuttosto a chiamare divini benefizi? E Iddio che ce li manda non si manifesta veramente buono e provvido? Tutto sta che noi, da parte nostra pigliandoli rassegnati dalle mani di Dio, sappiamo convenevolmente giovarcene.

— Questo è vero. Nondimeno certe disgrazie, come ad esempio, i terremoti, le inondazioni, i fulmini, gli incendi, le rovine, i disastri in ferrovia e per mare e simili non sono così contrarli alla divina Provvidenza? Questi mali tolgono agli uomini la vita in un attimo e purtroppo non tutti coloro che sono colpiti si trovano in grazia di Dio, sicché dal colpo del disastro passano all’eterna dannazione.

Prima di tutto ti osservo che se taluni in questi disastri, che Dio per giusti suoi fini permette, perdono la vita improvvisamente, e morendo senza grazia vanno all’eterna dannazione, non è da ascriversi a Dio, ma a loro che avrebbero potuto anche in quel punto trovarsi preparati a ben morire. In secondo luogo ti dico, che anche in tali sventure è difficile che non vi sia un istante per quelli che ne sono colpiti, nel quale, se il vogliono, possano pentirsi e provvedere ancora in tempo alla loro salvezza. E poi ti dichiaro addirittura, che questi mali ben lungi dall’opporsi alla divina Provvidenza, ne sono anzi una conferma, in quanto che danno a tutti il serio avvertimento di star sempre pronti e ben disposti dell’anima, perché può accadere purtroppo, che quando meno ci si pensa, si abbia a passare all’eternità.

— Ma intanto da questi mali fisici e da queste disgrazie, che succedono nel mondo, taluni sono spinti al suicidio, oppure al furto, alle frodi e ad altri simili delitti!

E con ciò ne vorresti dar la colpa alla divina Provvidenza? Se taluni sono malvagi, e anziché servirsi delle pene, che Iddio loro manda per guadagnarli a sé e metterli sulla via della salvezza, se ne servono per darsi in braccio alle colpe, ed alle colpe più gravi, quale è tra le altre il suicidio, si dovrà dire che Dio non è buono e provvido? Ma allora si dovrebbe dire lo stesso, quando Iddio concede a taluno gran copia di beni, e costui si serve di essi per accontentare le sue passioni e dannarsi. Se non che a chi mai è saltato in testa di accusar la divina Provvidenza per i beni, che essa largisce agli uomini?

— È vero: non ostante tutte le difficoltà, bisogna ammettere in tutto la divina Provvidenza e in tutto ammirarla.

Primo fine della devozione al SACRO CUORE DI GESÙ: amarlo

Primo fine della divozione al Sacro di Gesù: Amarlo.

[Sac. A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ; S.E.I. Ed. Torino, 1920 – IV disc. ]

Il grande S. Agostino ha detto che la vita del cuore è l’amore: Vita cordis amor. E ciò è conforme a quel che scrisse l’Apostolo S. Giovanni: Qui non diligit manet in morte. (I Jo. III, 14) Ma in quale amore il cuore troverà la vita? Nell’amore dei beni, dei piaceri, degli onori, delle creature di questa terra? No, o miei cari. Questo amore non procaccia al cuore che affanni, agitazioni, torture, infelicità e morte. Lo stesso S. Agostino esclamava: « O Signore, tu ci hai fatti per te, ed è inquieto il nostro cuore, finché non riposi in te. » Solo l’amore di Dio, di Gesù Cristo, può renderci contenti e dare al nostro cuore la vera vita. Ora se l’amor di Dio e di Gesù Cristo (perciocché amar Dio non è altra cosa che amar Gesù Cristo ed amar Gesù Cristo è lo stesso che amar Dio) è l’unico amore, che ci rende veramente felici, certamente sarebbe già stata gran cosa, se Gesù Cristo ci avesse anche solo permesso di amarlo, perché chi siamo noi a petto di lui, maestà infinita, da pensare di poterlo amare? Ma, oh bontà immensa del Cuore! Non solo ci ha permesso di amarlo, ma lo vuole e lo brama ardentissimamente; e per assicurarsi più che gli era possibile che lo amassimo, ce ne ha fatto un formale comando: Diliges Dominum Deum tuum ex toto eorde tuo: (MATTH. XXII. 37) Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore. Anzi. questo non è soltanto uno de’ suoi comandi, ma è il primo di tutti: hoc est maximum etprimum mandatum; (MATTH. XXII, 38) e al tempo stesso il fine di tutti, perché  tutti gli altri non tendono che a preparare ed assicurare l’adempimento di questo. Più ancora, l’amor di Dio è la pienezza della legge: plenitudo legis; (Rom. XIII, 8) è il vincolo della perfezione: vinculum perfectionis, (Col. III, 14) perché non è possibile amare Iddio e trasgredire alcuno de’ suoi precetti, e chi ama Iddio non può stare unito a lui con un legame più perfetto di quello dell’amore, essendo che Dio è carità e chi sta nella carità, dice S. Giovanni, sta in Dio, e Dio sta in lui: Deus caritas est, et qui manet in caritate, in Deo manet, et Deus in eo. (Jo. IV, 16) L’amor di Gesù Cristo pertanto è per noi la cosa più essenziale, la cosa che surroga tutto, ma che nulla può surrogare, la cosa che esistendo fa riuscire tutto a bene, ma che mancando, tutto va a male, la cosa più assolutamente indispensabile. « Sì, dice l’Apostolo Paolo, quando io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo sonante, e come un cembalo che squilla. E quando avessi lo spirito di profezia e intendessi tutti i misteri e tutto lo scibile; e quando avessi tutta la fede, talmente che trasportassi le montagne, se non ho la carità, sono un niente: e quando distribuissi in nutrimento dei poveri tutte le mie facoltà, e quando sacrificassi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità, nulla mi giova. » (1a Cor. XIII, 13) Chi non ama nostro Signor Gesù Cristo non può far parte della società dei credenti: Si quis non amat Dominum nostrum Jesum Christum sit anathema. ( I Cor. XVI, 22). Ora, o carissimi, compiamo noi questo nostro supremo dovere? Ahimè! Forse dobbiam rispondere che amiamo ogni altra cosa, ma poco o nulla quel Gesù, che dobbiamo amare sopra tutto. Ebbene a correggere questo nostro grave mancamento è indirizzata particolarmente la divozione al Sacro Cuore di Gesù. Questo è il suo primo fine. Il Divin Redentore rivelando a Santa Margherita Alacoque il suo Cuore « che tanto ha amato gli uomini » prese a gridarci gagliardamente: Ricambiatemi di amore, datemi amore, non cerco altro che amore: Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49) Son venuto con questo mio Cuore a portare un’altra volta in terra il fuoco della carità, e non bramo altro se non che si riaccenda. Per raggiungere adunque il primo fine della divozione al Sacro Cuore di Gesù, facciamoci oggi a considerare quanto il Sacro Cuore sia degno di essere amato.

1. — L’amore, questo allettamento, che niuna parola può esprimere, e che ci sospinge verso un oggetto in modo da dargli noi stessi, o più ancora da trasfonderci in lui se fosse possibile, l’amore, la più incomprensibile meraviglia di nostra natura è il bisogno più profondo, più prepotente e più irresistibile del nostro cuore. Non appena spunta nell’uomo, ancor piccolo bambino, il primo bagliore della conoscenza, non appena egli può fermare l’occhio sopra alcun oggetto ed esserne lievemente colpito, la fiamma dell’amore si desta in cuor suo e col crescere della vita ingigantisce smisuratamente fino a che arrivato ad un tempo in cui dispera di poter destare altri incendi, a poco a poco sminuisce, senza però spegnersi affatto che con lo spegnersi della vita. – Ma quali sono mai le cagioni che accrescono nel cuore dell’uomo una tale fiamma? Sono tre principalmente: la bellezza, la bontà e la potenza. Anzi tutto la bellezza, questo dono grande e terribile ad un tempo, che Iddio si compiacque di spargere sulle sue creature, questo raggio di cielo, che può bene nelle anime sante sollevare in alto le lor menti e i loro cuori alla contemplazione ed all’amore della bellezza unica ed eterna, ma che, ahi ! troppo spesso, trascina le anime volgari, che sono anche la più parte, ad amori idolatri e sommamente colpevoli. In secondo luogo la bontà, che può ben suscitare un amore più ordinato e casto che non la bellezza, ma che è troppo rara quaggiù e non esercita sempre una grande attrattiva. Da ultimo la potenza, da cui con amore d’interesse si sperano favori, od alla quale nelle anime ben nate si volge l’amore di gratitudine per i benefizi già ricevuti. Ebbene, queste tre cagioni principali dell’amore si trovano tutte tre nel Cuore Sacratissimo di Gesù in sommo grado, ma di tal natura, che non possono non spronarci all’amore più giusto, più puro e più santo, per poco che ci facciamo a contemplarle con gli occhi della fede. Ed anzi tutto nel Cuore di Gesù vi è una somma bellezza. E qui non intendo parlare della bellezza esterna della persona, che forma ora l’ornamento e lo splendore del Paradiso, e che un giorno sulla terra, come dice S . Girolamo, rivelandosi nella maestà della fronte, nella serenità degli occhi, nel sorriso delle labbra, nella dolcezza del sembiante, nella grandezza ed amabilità del portamento, esercitava un fascino irresistibile sopra i cuori degli uomini, guadagnandoli al suo amor divino; io parlo soltanto e propriamente della bellezza interna del suo Cuore, bellezza, la quale spicca massimamente per gli splendori della grazia, della sapienza e della santità. – Non appena il Cuore di Gesù diede i suoi primi palpiti, per cagione dell’unione ipostatica, furono palpiti dati subito nella pienezza della grazia. No, in essa la grazia non sopravvenne quale cosa accidentale, ma dalla Persona divina fluendo nella natura umana, vi si trovò tosto sostanzialmente e necessariamente. Cosicché in quel Cuore santissimo fin dal primo istante della sua esistenza, inabitandovi la pienezza della divinità, vi fu tosto la bellezza della divinità medesima. Ma oltre di ciò, perché questo Cuore era della nostra stessa natura, doveva partecipare altresì alle perfezioni, che il nostro cuore può avere. E poiché la più bella perfezione che possa avere il cuor nostro, è la grazia santificante, che lo rende oggetto di compiacenza agli occhi di Dio, così anche nel Cuore di Gesù Cristo, avverandosi la parola del profeta: Requiescet super eum Spiritus Domini, (Is. XI, 1) si posò lo Spirito Santo e vi riversò senza misura tutte le ricchezze ineffabili della grazia santificante. – Ed insieme coi tesori della grazia vi sono pure in Lui tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio: In quo sunt omnes thesauri sapientiæ. et scientiæ Dei absconditi. (Col. II, 3). In Lui la conoscenza intima di Dio, del suo essere, della sua unità, delle sue perfezioni, delle sue operazioni intime, della sua vita, di tutto ciò insomma che per noi è profondissimo mistero; in Lui la conoscenza di tutti i tempi presenti, passati e futuri, di tutti gli esseri che esistettero che esistono ed esisteranno, di tutta la natura e di tutte le sue forze più latenti e più misteriose. In lui la conoscenza di tutti gli Angeli del Cielo dall’infimo dell’infima gerarchia al più alto della gerarchia più alta, di tutti gli uomini dal principio sino alla fine del mondo, di tutti i loro cuori, di tutti i loro pensieri, di tutti i loro sentimenti, di tutti i loro affetti, di tutte le loro opere, di tutte le loro parole, di tutte le grazie che ricevono, e di tutte le colpe che commettono; in Lui insomma la conoscenza infinita di tutto ciò, che è finito e di ciò eziandio che è infinito. Epperò ben a ragione contemplando questo Cuore Santissimo di Gesù, raggiante dell’infinita sapienza di Dio, si ha da esclamare: O profondità delle ricchezze, della capienza e della scienza divina! 0 altitudo divitiarnm sapientiæ et seientiæ Dei! (Rom. XI, 33) – Ma ciò non è ancor tutto, perciocché il Cuore di Gesù così bello per i tesori della grazia e della sapienza, non lo è meno per quelli della santità. In Lui la santità è la più sublime che si possa immaginare; è desso .per eccellenza il Cuore santo, innocente, senza macchia, segregato dai peccatori: Sanctus, innocens, impollutus, segregatus a peccatoribus. (Hebr. VII, 26) Sebbene nella sua immensa bontà per noi esso abbia voluto farsi in tutto e per tutto simile al cuor dell’uomo, in questo solo tuttavia ha fatto eccezione, e non ebbe mai sopra di sé neppur l’ombra della più piccola colpa. Oh! Ben sicuramente egli poté volgersi ai suoi nemici e lanciar loro questa nobile sfida: Chi di voi mi accuserà di peccato? Quis ex vobis arguet me de peccato? (Jo. VIII, 46) perché in tutta la sua vita di trentatrè anni, pur facendo libero esercizio della libertà, fin dal primo istante della sua concezione, né contrasse né conobbe mai che fosse la colpa. Oh santità! Oh bellezza meravigliosa! 1 santi, che nel corso di loro vita corrisposero fedelmente all’azione della grazia divina, già ci appaiono ben degni della nostra ammirazione; ma che cosa sono essi mai, anche uniti tutti assieme, in confronto della santità del Cuore adorabile di Gesù Cristo? Neppur tutto lo splendore degli Angeli del Paradiso vale a darci un’idea della bellezza di questo Cuore, perché negli Angeli del Paradiso, per quanto perfetti, Iddio trova delle macchie: In Angelis suis reperit pravitatem; (IOB. IV, 18) ma nel Cuore di Gesù invece il Divin Padre, rivolgendo lo sguardo, trova l’oggetto di tutte le sue compiacenze: Ecce Filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui. (MATT. XVII, 5). Ma se il Cuore Sacratissimo di Gesù è già così amabile per la sua bellezza, chi potrà dire quanto lo sia per la bontà? Immaginate pure quanto vi ha di più tenero, di più sensibile, di più delicato, di più magnanimo; immaginate un cuore, che non possa vedere una lagrima senza commuoversi, che non possa guardare un misero senza intenerirsi; immaginate un cuore, che sia ripieno di tutte le impazienze e di tutte le sollecitudini per amare, e che nell’amare non si arresti né per indifferenze, né per rivolte, né per tradimenti, né per ingratitudini, che anzi abbandonato, vilipeso, disprezzato da coloro che maggiormente ha amati, provi il bisogno di amarli ancora; immaginate un cuore, che pieno di ogni ricchezza doni tutto quello che ha, e poi rimpianga di non poter dare di più, e vagheggi di sopravvivere nell’amore e vada perciò ricercando mille industrie per amare sempre, in ogni tempo, da per tutto, tutti gli uomini del mondo; tuttavia non arriverete che a raffigurarvi assai pallidamente la bontà del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo. I Santi non sapendo altrimenti darcene una idea, la dicono bontà d’un cuore di padre, di sposo e di amico. E questi sono pure i titoli con cui, a significarci la bontà del suo Cuore, Gesù Cristo o si è chiamato Egli stesso o si fece chiamare dalle Sante Scritture. Ed invero la sua bontà è veramente quella di un padre, perché è Egli che venne nel mondo per darci la vera vita e darcela abbondantemente: Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant. ( Jo. X, 10) E come un padre terreno, che non pago di aver concorso a dar la vita fisica ai figliuoli, si travagli a ancora per dare agli stessi la vita morale, così Gesù Cristo, dopo di averci data la vita della grazia, continua ad accrescerla in noi con la ricchezza de’ suoi tesori celesti è col provvederci incessantemente tutti gli aiuti che ci abbisognano, perché abbiamo a raggiungere il nostro fine. E che dire della tenerezza di questo Cuore veramente paterno verso i figli che più ne abbisognano? Durante la sua mortal vita è propriamente ai figliuoli più rozzi, più meschini, più infelici, che Egli rivolgeva di preferenza le attenzioni amorose del suo Cuore. E con quanta bontà trattava le turbe, benché così incostanti nel seguirlo! Con quanta bontà trattava gli Apostoli, benché così difficili ad essere ammaestrati e così tardi di cuore a prestargli fede! Con quanta bontà trattava i poveri, gl’infermi, i lebbrosi, benché così piagati? ributtanti! Con quanta bontà trattava i peccatori! Questi uomini avviliti, che dalla superbia de’ Farisei erano crudelr_:e condannati, nel suo Cuore pieno di compassione trovavano sempre un sicuro rifugio; e per assicurarci viemeglio di ciò, egli dipingeva il Cuor suo sotto l’immagine del cuore di un padre, che si strugge dalla gioia nel riabbracciare il suo pentito figliuolo. – La bontà del Cuore di Gesù è la bontà di un cuore di sposo. Pel mistero della grazia Egli si unisce alle anime nostre con uno sposalizio assai più perfetto, che non siano le nozze nell’ordine naturale. Ed unito per tal guisa ad un’anima, chi sa dire le finezze di bontà, che le prodiga? Come uno sposo indovina i desideri della sposa, ed amandola, prontamente l’appaga, così fa il Cuore di Gesù con le anime sue dilette. Egli legge in fondo al loro essere i bisogni che hanno, e con l’abbondanza delle sue grazie si fa premuroso a soddisfarli. Egli si intrattiene sempre con esse e del continuo le ispira al bene, le conforta nei pericoli, le consola negli affanni, le inebria in ogni circostanza di infinite dolcezze. Oh! è bensì vero che il mondo materiale e miscredente non sa, non intende, non crede neppur possibili queste relazioni così intime e così sublimi tra Gesù Cristo e le anime, che lo amano; ma con tutto ciò non lasciano di esser vere e di  rivelare la bontà immensa del Cuore di Gesù per noi. E se interrogassimo le anime sante, come quelle di una sant’Agnese, di una santa Catterina da Siena, di una santa Teresa di Gesù, di un S. Bernardo, di un S. Filippo Neri, di un S. Francesco Saverio e di mille altri  serafini d’amore che gustarono vivamente le delizie dello Sposo divino, ce ne direbbero senza dubbio delle meraviglie. – La bontà del Cuore di Gesù è ancora bontà di cuore d’amico. « Chi ha trovato un vero amico, ha trovato un tesoro, » dice lo Spirito Santo. Ed invero se tu hai un vero amico, hai chi riceve nel cuore i tuoi segreti e li custodisce, chi ti consiglia nei dubbi, chi ti aiuta nelle necessità, chi ti sostiene nei pericoli, chi ti ristora in tutta la vita, chi vive anzi per te stesso ed è pronto a sacrificarsi per te. Ma tal amico, oh quanto è difficile trovarlo tra gli uomini! Molti saranno coloro, che ti si spacceranno per tali, ma alla più piccola sventura che t’incolga, non tarderai a riconoscere la loro ipocrisia. Il Cuor di Gesù invece è il cuore di un amico vero, di un amico fedele, di un amico generoso. E chi andrà a confidare i suoi segreti a questo Cuore Santissimo col timore che gli siano svelati? Il Cuore del sacerdote, che nel Sacramento della penitenza rappresenta il Cuore di Cristo, è a somiglianza di uno di quei pozzi che vi sono sulle montagne, nei quali gettata entro una pietra, non sarà possibile cavamela fuori più mai. E chi ricorrerà per consiglio, per aiuto, per sostegno al Cuore di Gesù e non avrà tosto quanto egli brama? Un giorno Egli si fece vedere dal tabernacolo a S. Giovanni Berchmans con una corona di rose in mano, simbolo delle sue grazie, e gli disse che era pronto a donarle a chiunque si fosse appressato a domandargliene. E quando è mai che il Cuore di Gesù ci abbandoni? Porse nella povertà? Forse nel disonore? Forse nell’abbandono degli uomini? Forse nel carcere? Forse sul patibolo? Forse in vita? Forse in morte? Ah! mai e poi mai Gesù non ci abbandona: Egli ci sta sempre dappresso, anche allora che noi rifiutiamo la sua amicizia, anche allora che siamo in peccato, Egli si avvicina al nostro cuore e batte con le sue grazie per poterci rientrare. E infine che cosa non ha fatto per noi questo amico generoso? Lo stesso Gesù ha detto, che non vi ha carità maggiore di colui, che dà l a sua vita per i suoi amici: ed Egli la diede, ma ciò che è più meraviglioso, non per i suoi amici, ma per i suoi nemici, quali sono gli uomini per il peccato. Egli infine nel Sacramento dell’amore trovò il modo di restar sempre in mezzo a noi, di farsi persino il cibo delle anime nostre! Oh amico senza confronto! Oh bontà veramente ineffabile! – Chi è adunque, che non amerà un cuore così bello, così buono, epperò così amabile? Se anche da lontano noi intendessimo esservi una persona ammirabile per queste doti, non è egli vero che, anche senza conoscerla, noi ci sentiremmo dolcemente forzati ad amarla? E il Cuore di Gesù, ripieno di bellezza, di bontà infinita, sarà da noi così poco amato? Oh Dio! esclama sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Gesù che solo è amabile, Egli solo par che sia il mal fortunato con noi, non potendo giungere a vedersi da noi amato, come se non fosse abbastanza degno del nostro amore! È  così le fragili bellezze, le meschine bontà delle creature hanno maggior forza per guadagnare i nostri cuori, che non abbia il Cuore Santissimo di Gesù! Questo è quel che faceva piangere le Rose di Lima, le Caterine di Genova, le Terese, le Marie Maddalene de” Pazzi, le quali, considerando queste ingratitudini degli uomini, esclamavano piangendo: « L’amore non è amato! L’amore non è amato! » Orsù adunque, se vogliamo corrispondere degnamente al fine della divozione al Sacro Cuore, finiamola una volta con quegli amori delle creature, che non fanno altro che deturpare e gettare in affanno le anime nostre; amiamo soltanto più questo Divin Cuore, nel cui amore le anime nostre si faranno belle e buone della sua stessa bellezza e della sua stessa bontà.

II. — E ciò è richiesto dal nostro stesso interesse. Il mellifluo S. Bernardo oltre al chiamare il Cuore di Gesù Cuore di fratello e di amico, lo chiama altresì Cuore di re: Cor E ben a ragione, perché Gesù Cristo è re davvero, onde disse Egli stesso a Pilato: Rex sum ego. ( Jo. XVIII, 37). Ma Egli è re che regge realmente, re che ordina, governa e comanda con ogni potere tutto quanto il creato. Così ancora dichiarò Egli ai suoi apostoli: Data est mihi òmnis potestas in cœlo et in terra: (MATT. XXVIII, 18) A me è stata conferita ogni potestà in Cielo ed in terra. E come non sarebbe così, se Egli è Dio creatore e padrone assoluto degli Angeli, degli uomini, e di tutti quanti gli altri esseri creati? Ma perché non ne dubitassimo punto, durante la sua mortal vita Egli ce ne diede le prove più grandi. Alle nozze di Cana in Galilea, dando principio alla serie dei suoi strepitosi miracoli, comandò all’acqua di diventar vino, e l’acqua obbedì facendosi vino generoso. Sul lago di Genezaret addormentato a poppa di una nave, allorquando la tempesta mugge e minaccia di sommergerla, al grido degli Apostoli atterriti si desta; comanda ai venti ed al mare di ricomporsi in pace, e questi gli obbediscono e torna la calma perfetta. Nel deserto le turbe, che da più giorni lo seguono, mancano di cibo e stanno per venir meno, ma Egli comanda ad alcuni pani e a pochi pesci di moltiplicarsi e questi obbediscono e bastano a satollare migliaia di persone. Nei borghi, nei villaggi, nelle città dove Egli passa, sono recati a Lui sulle pubbliche piazze infermi d’ogni maniera perché li guarisca, ed Egli comanda alle infermità di lasciarli in salute, e le infermità obbediscono alla sua voce e se ne vanno; ed ecco i sordi che odono, i ciechi che vedono, gli storpi che si drizzano, i paralitici che si alzano dai loro letti e lo portano via sulle spalle, i lebbrosi che sono mondati, gl’infermi d’ogni malattia che sono sanati. Né solamente sulle infermità Gesù Cristo fa sentire il suo potere, ma ancora sulla morte istessa, ed al suo comando l’unico figlio della vedova di Naim, la figlia di Giairo, ed il fratello di Marta e Maddalena, dopo d’essere stati vittime della morte, riprendono la vita e risuscitano. Gli stessi demoni così superbi, così potenti cogli uomini, diventano piccoli e miserabili dinanzi a questo Re dell’universo, ed al suo imperioso comando escono frementi di rabbia dal corpo degli ossessi e se ne vanno dove egli li rilega, nel corpo di vili animali. E quale è poi la potenza che egli esercita a suo riguardo? Davanti a coloro che lo vogliono lapidare ei si rende invisibile; innanzi ai suoi Apostoli prediletti si trasfigura diventando col volto più fulgido del sole e colle vesti più candide della neve; a coloro che vanno per catturarlo dice una parola soltanto ed essi cadono tutti all’indietro. Sul Calvario poi inchiodato sulla croce, non sembrando più altro che la debolezza in persona, pur fa tremare la terra ed oscurare i cieli, fa che si spezzino le rocce, si aprano i sepolcri, risuscitino i morti, si squarci il velo del tempio, sicché gli stessi suoi crocifissori dicano, battendosi il petto: Vere Filius Dei erat iste! (MATT. XXVII, 40). Ah! costui era veramente Figlio di Dio. E da ultimo per sua propria virtù risorge trionfante da morte e dopo essere rimasto ancora quaranta giorni con i suoi Apostoli se ne sale al Cielo. Quali prove adunque della potenza del Cuore di Gesù Cristo? Sì, del Cuore; perché l’onnipotenza spontanea che Gesù Cristo dimostra non è altro se non l’effetto dell’amore e della misericordia per gli uomini. Tutti i miracoli da Lui compiuti sono atti di beneficenza, atti che mirano a prevenire od a togliere le sventure, atti che hanno per iscopo di trasformare le anime e di salvarle, di trarre a sé le menti ed i cuori, degli uomini, atti perciò che inducono le moltitudini a circondarlo, sia per fare appello fiduciosamente al suo potere, sia per rendergli grazie dell’esperienza, che già ne hanno fatta. – Ma la potenza del Cuore Sacratissimo di Gesù non si è ora abbreviata; epperò tutto quello che Egli fece nella sua mortal vita, e mille volte di più, Egli è pronto a fare ora e sempre per il bene delle anime nostre e per guadagnarsi l’affetto dei nostri cuori. Sì, certamente ora non sempre ad ogni nostra invocazione opererà un miracolo, perché ciò non è affatto necessario, benché se fossero tutti conosciuti quelli che opera anche oggidì in tutto il mondo, si vedrebbe non essere per nulla inferiori di numero e di grandezza a quelli operati un giorno nella Palestina. Ma per darci all’amore del Cuore di Gesù Cristo abbiamo noi bisogno di miracoli? Non ci basta il sapere che Egli può scamparci dai pericoli del corpo e dell’anima? Che Egli può guarirci dalle nostre malattie o darci la pazienza di sopportarle? che Egli può soccorrerci nelle nostre sventure o darci la forza per assoggettarvici con rassegnazione e con merito? Che Egli può liberarci dalle tentazioni del demonio od assisterci, perché ne siamo vincitori? che Egli può domare le nostre cattive inclinazioni e farci santi? Un giorno Gesù parlando a Santa Margherita le disse: «Non temere, o mia diletta, perché tu non mancherai di soccorso, se non quando questo mio Cuore mancherà di potenza. » Or queste confortanti parole il Divin Redentore rivolge ancora a noi tutti, suoi devoti. E siccome la potenza del Cuore di Gesù non verrà meno in eterno, perciò dobbiamo ritenere, che Egli sempre eserciterà a pro delle anime nostre il suo infinito potere, purché noi ce ne rendiamo degni col nostro sincero amore per Lui. Coraggio adunque, o carissimi, quando la bellezza e la bontà del Sacratissimo Cuore non bastassero ancora ad indurci al suo amore, ci sproni almeno il nostro interesse, nella considerazione della debolezza nostra e della sua potenza; amiamolo questo Cuore Santissimo, almeno per gli aiuti che ce ne possono venire, epperò d’ora innanzi ripetiamo sempre efficacemente: Diligam te, Domine, fortitudo mea; (Ps. XVII, 1) o Cuore Santissimo di Gesù, Signore del Cuor mio, io vi amerò, perché voi siete la mia forza. –

III. Ma non basta, o miei cari, che noi ci risolviamo di amare il Cuore di Gesù, o che diciamo di amarlo È necessario che lo amiamo di fatto con un amor vero. E perché il nostro amore sia tale, fa duopo anzi tutto che sia un amore attivo, fecondo di buone opere e di generosi sacrifici. No, non sono parole che il Cuor di Gesù cerca da noi, ma opere: non… verbo et lingua, sed opere et veritate, ( I Jo. III, 18) perché prova dell’amore è l’esibizione dell’opera; non sono preghiere soltanto, che Egli vuole da noi, benché anche queste gli siano tanto care, ma l’adempimento della sua santa volontà, giacché questa è la livrea, a cui si riconoscono i suoi veri amanti: qui habet mandata mea et servat ea, illi est qui diligit me; (Jo. XIV, 15) no, non sono unicamente tenerezze affettuose ed amorose compiacenze, che Egli richiede da noi, benché anche queste gli tornino gradite, ma fatti veri e reali nell’esecuzione precisa di tutti i suoi santi precetti. Non basta. Per amare il Cuore di Gesù bisogna sottostare alla fatica per Lui, soffrire per Lui, bramare che ci manchi qualche cosa per Lui, gradire le malattie o qualche disgrazia per Lui. Chi ama, deve abbracciare con gioia anche i tormenti e le sofferenze pel diletto. Oportet amantem omnia dura et aspera propter dilectum libenter amplecti. (Imit. 1. III, c. V) E colui che non è pronto a patir e ad abbandonarsi interamente alla volontà di colui che ama, non merita di essere chiamato amante: Qui non est paratus omnia pati, et ad voluntatem stare dilecti, non est dignus amator appellari. (Ibid.) Or ecco perché i Santi tanto anelavano di patire, e un S . Francesco d’Assisi giubilava in mezzo alla penuria ed alla nudità; e un S. Giovanni della Croce domandava per compenso a Gesù di patire ed essere disprezzato per Lui: e una S. Teresa esclamava: O patire, o morire: e una S. Maria de’ Pazzi soggiungeva: Patire e non morire. Tutto ciò era effetto dell’amor vero, che nutrivano in cuore per Gesù Cristo. In secondo luogo, per amare il Cuore di Gesù di un amor vero, bisogna amarlo di un amor sovrano. Con ciò non s’intende già di dire che lo dobbiamo amare di un amor esclusivo, cioè senza amar affatto il prossimo; il pensar ciò sarebbe un’empietà ed una pazzia. Gesù Cristo anzi ci ha insegnato e con le parole e con l’esempio, che amare il prossimo è precetto simile a quello di amare Iddio; ma nel tempo stesso ci ha appreso ancora che il prossimo dobbiamo amarlo in Dio, con Dio e per Iddio, e che, per quanto vivo e tenero sia l’amor nostro verso del prossimo, deve sempre essere sovranamente superato dall’amor di Dio. Chi ama il padre o la madre, ha detto Gesù Cristo, chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me: Qui amat patrem aut matrem plusquam me non est me dignus; et qui amat filium aut filiam super me, non est me dignus. (MATT. X, 37) Il Cuore di Gesù adunque vuol essere amato sovranamente. Ed è questo l’amore con cui noi lo amiamo? O non vi sarebbero invece nel cuor nostro degli amori, che eclissano l’amore di Gesù Cristo! Non vi sarebbe in noi la stolta pretesa di mettere a paro l’amore di Gesù Cristo con quello delle creature? Di dare un po’ del cuor nostro a Lui e il resto agli amici e ai beni del mondo? Ah! il Cuore di Gesù, santamente geloso, di questa ingiustissima divisione troppo resterebbe afflitto! Egli vuole assolutamente, che neppure un affètto solo non sia ordinato a Lui. È quello che assai chiaramente fece conoscere alla sua dilettissima S. Rosa di Lima. Questa santa verginella erasi già distaccata da tutto il mondo e non viveva più ad altro che a Dio in continue orazioni. E volendo talora sollevarsi qualche poco dalle sue lunghissime contemplazioni, si tratteneva a coltivare ed innaffiare una pianta di basilico; ed essendo già cresciuta fronzuta e bella si godeva l’innocente piacere di guardarla qualche volta. Quando un dì tornata essa a rivedere il suo basilico, vide rovesciato il vaso, sparsa qua e là la terra e sfrondata la pianta. E a questa vista, ohimè! disse la Santa, chi mi ha così rovinato il mio caro basilico? E in questo dire girando gli occhi, vide dinnanzi a sé  il divin Salvatore Gesù, che tutto accigliato e fosco le rispose: « Sono io, che ho strappato il basilico, perché non voglio che veruno de’ tuoi affetti sia dato ad altro che a me. » A tali parole si confuse la Santa, e gettatasi per terra chiese perdono a Gesù del suo fallo. Ora, o carissimi, se dispiacque a Gesù quell’affètto così innocente per una pianta, come potrebbero piacergli quegli amori, con cui noi amiamo le creature e i beni del mondo a preferenza di Lui? Come anzi non ne sarebbe sommamente sdegnato? Ah! per professare al Sacratissimo Cuore una vera divozione, gridiamo adunque efficacemente come gridava S. Francesco di Sales: « Se io sapessi che nel mio cuore vi è una sola fibra che non fosse per Iddio, me la vorrei tosto strappare e gettarla lontano come un veleno. » Imitiamo l’esempio de’ Santi, che sono stati pronti per amore di Gesù, a sacrificare anche gli amori più vivi e più teneri, di padre, di madre, di figlio, di sposo, di amico, sempre che questi amori non potevano conciliarsi coll’amore di Gesù Cristo. E se fosse necessario, siamo pronti come i martiri a sacrificare piuttosto la vita, anzi che rinnegare l’amore di quel Dio, che nel Cuore di Gesù si mostra degno del nostro sovrano amore. Finalmente il Cuore di Gesù per essere amato di un amor vero deve essere amato di un amore costante. Pur troppo, o miei cari, riandando la vita passata vi saranno non pochi tra di noi, che già avanzati negli anni, come S. Agostino dovranno dire: Signore Gesù, assai tardi ti ho conosciuto, assai tardi ti ho amato; Sero te cognovi, sero te amavi. E in questo caso che altro dovremmo fare per l’avvenire, se non imitare quei Santi, che pur avendo offeso Iddio con gravi peccati, si fecero a ripararli con l’amor penitente, con le lagrime della contrizione? Ma chi sa pure quanti altri, giovani ancora, andranno forse dicendo in cuor loro: Più tardi, quando i ghiacci dell’età avranno raffreddato i nostri sensi, quando la vita sarà logora, quando in essa non vi sarà più nulla per il mondo, più nulla per il piacere, più nulla per le passioni, allora approfitteremo della calma dei nostri vecchi anni per amicarci con Gesù Cristo e dargli il nostro amore! Oh se mai ve ne fossero: Giovani, griderei, non siate così insensati da gettare il fior di vostra vita. Indarno correte in cerca di felicità nei piaceri del mondo e nella soddisfazione dei sensi. Gli amori terreni non susciteranno in voi che affanni ed amarezze; e il più crudo disinganno non tarderebbe a mostrarvi quanto vi siate avviliti. Ma siamo noi giovani, siamo noi vecchi, se Dio ci ha fatto la grazia, massime nella divozione al Sacro Cuore di Gesù, di conoscerlo e di cominciare davvero ad amarlo, deh! non cessiamo di amarlo un istante solo. Amiamolo oggi e amiamolo domani, amiamolo di giorno e amiamolo di notte, amiamolo nella pace e amiamolo negli affanni, amiamolo nella prosperità e amiamolo nelle cose avverse, amiamolo nella gioia e amiamolo nel dolore, amiamolo sempre, amiamolo eternamente. Anche noi con l’Apostolo Paolo ripetiamo: « Chi ci separerà dalla carità di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione, la spada? Io son sicuro che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i principati, né  le virtudi, né  il presente, né l’avvenire, né la violenza, né ciò che è in alto, né ciò che è al basso, né qualsivoglia creatura potrà dividerci dalla carità di Dio, la quale è in Cristo Gesù Signor nostro. » (Rom. VIII, 35-39). Che anzi studiamoci incessantemente di accrescere pel Cuore di Gesù il nostro amore. No, quando si tratta di amare quel Cuore, che tanto ci ha amato, non bisogna mai dire: Basta. Quando pure avessimo sostenute tutte le malattie di S. Liduina, quando avessimo sofferto come san Francesco di Assisi i dolori della crocifissione, quando avessimo fondato come S. Teresa trentadue monasteri, quando avessimo procacciata la pace alla Chiesa come S. Caterina da Siena, quando avessimo convertito intere nazioni come san Francesco Saverio, quando avessimo faticato come S. Paolo ed amato come S. Giovanni, pensiamo e confessiamo, che non abbiamo ancor fatto nulla, in confronto di quello che ci resta a fare, per amare il Cuore di Gesù Cristo, come merita di essere amato. Ad ogni modo troviamoci sempre con tali vampe in cuore, che alla domanda del Cuore di Gesù: « Mi ami tu veramente? » possiamo rispondere come S. Pietro: « Signore, tu sai il tutto: e tu conosci che io ti amo. » ( Jo. XXI, 15-17). Sì, o Cuore Sacratissimo, voi sapete il tutto e vedete come nel cuor nostro vi sia almeno il desiderio di amarvi. Eccoci dunque interamente a voi. Si chiudano per sempre questi nostri occhi, se cercheremo le nostre compiacenze in altra bellezza, e bontà fuorché nella vostra. Si inaridisca per sempre la nostra lingua se cesserà di invocare il vostro possente aiuto. Si estingua in noi ogni alito di vita, se non faticheremo, se non soffriremo, se non vivremo sempre per voi. Aiutateci, o Cuore Divino, a restar fermi nei nostri propositi. Dateci la grazia di amarvi davvero come meritate di essere amato, affinché ciascuno di noi possa sempre ripetere con gioia: Dilectus meus mihi, et ego illi: (Cant. I, 16) il mio diletto a me, ed io a Lui, in vita ed in morte, in terra ed in cielo, ora ed in eterno.