DEVOZIONE AL CUORE DI GESU’ (6) – Terzo fine: imitarlo

DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ – Terzo fine: imitarlo

Terzo fine della divozione al Sacro Cuore di Gesù:

[A. Carmignola, IL SACRO CUORE DI GESU’, S.E.I. Torino, 1920 – Disc. VI]

È un fatto innegabile, che in tutti gli uomini è fortissimo l’istinto dell’imitazione, e che d a tutti, più o meno, si coordina la vita agli esempi, che cadono dinanzi agli occhi. Ma con questo istinto di imitazione potrà forse l’uomo darsi ad imitare indifferentemente tutte le altrui azioni, gli altrui portamenti, le altrui qualità morali? No, certamente. La stessa ragione ci dice, che noi non dobbiamo imitare negli altri se non ciò che è bene; anzi ci sprona incessante ad imitare ciò che è miglior bene e, se fosse possibile, ciò che è veramente perfetto. Ma questo dettame della ragione, come ogni altro, in realtà è un dettame di Dio medesimo, perché è Dio colui, che dando agli uomini un’anima ragionevole, vi ha stampato altresì la legge, che la regola e governa ne’ suoi giudizi. E se è Iddio stesso colui, che ci anima all’imitazione del buono, del meglio, del perfetto, non era forse conveniente, che egli ci mettesse innanzi il tipo di perfezione per eccellenza, sopra del quale avessimo a gettare lo sguardo per ricopiarlo in noi? – Or ecco appunto quello che fece Iddio nel mandare in sulla terra il suo divin Figliuolo. Ci presentò in lui il più perfetto modello, ed invitandoci ad imitarlo, disse a ciascun degli uomini: Inspice et fac secundum esemplar, quod tibi monstratum est. (Esod. XXX, 40) Perciocché, come nota S. Basilio, due furono i fini, per cui il Verbo divino si fece uomo: il primo ed il maggiore fu di operare la redenzione del mondo; il secondo di dare agli uomini l’esempio perfetto di ogni virtù. Ma con qual mezzo massimamente Gesù Cristo, Verbo incarnato, adempiendo la volontà del suo celeste Padre, raggiunse pure quaggiù questo secondo fine, di farsi a noi modello di ogni virtù? Col suo Cuore Sacratissimo, perciocché è nel cuore che risiedono le buone qualità morali di una persona. Ed è perciò, che Gesù Cristo, nell’invitarci Egli stesso a ricopiarlo, non ci disse soltanto: Imparate da me, che sono virtuoso; ma disse: Imparate da me, che sono virtuoso di cuore: Discite a me quia mitis sum et humilis corde; (MATT. XI, 29) per farci appunto conoscere, che essendo pel suo Cuore e nel suo Cuore, che ha esercitato perfettamente ogni virtù, è ancora il suo Sacratissimo Cuore, che più propriamente ci offre a ricopiare in noi. Ed ecco il terzo fine, che deve avere la divozione al Sacro Cuore, Se è vero quel che dice S. Agostino, che la vera divozione consiste sopra tutto nell’imitare coloro che onoriamo: Vera devotio imitari quod colimus, e se è giusto l’assioma, che l’amore o trova dei simili o li rende tali: amor aut pares inventi, aut pares facit, non dovremo impiegare tutta la nostra sollecitudine per ricopiare il Sacro Cuore di Gesù in noi e farci a Lui somiglianti più che sia possibile? Sì, o carissimi, per questo appunto la Chiesa così prega Gesù nella festa del Sacro Cuore. « O Signore Gesù, fa che noi ci rivestiamo delle virtù del tuo Cuore…. affinché, conformandoci all’immagine della tua bontà, meritiamo di essere altresì partecipi della tua Redenzione. » E questo sia il tema del presente discorso.

I. — Uno fra gli usi più belli e più utili seguiti dagli uomini è quello di innalzare dei monumenti a coloro, che si segnalarono per il loro ingegno, per il loro valore, per le loro virtù. È bensì vero che talora e massime oggidì, per un’aberrazione incredibile dello spirito umano, i monumenti vengono innalzati anche a coloro che, anziché segnalarsi nelle belle e buone imprese, si resero famosi piuttosto o per i tradimenti, o per le codardie, o per le rapine e benanco per i vizi; ma con tutto questo uso non lascia di essere per se stesso bello e gioevole, sia perché con esso si intende di eternare la memoria degli uomini valorosi, sia perché coi monumenti, quasi pubblici ammonimenti, si intende di ammonire gli uomini a ricopiare ciascuno in sé, per quel che gli spetta, quelle virtù, quel valore, quello spirito, di cui i grandi ci hanno lasciato l’esempio. Or bene, o miei cari, il Sacratissimo Cuore di Gesù può ben riguardarsi come il monumento per eccellenza, che Dio stesso ha innalzato nella sua Chiesa. Questo monumento ricorderà in eterno la carità divina per noi, e per tutti i secoli della vita del mondo ammonirà gli uomini a ricopiare in se stessi non solo questa o quell’altra virtù, ma le virtù tutte senza eccezione di sorta, perciocché Gesù Cristo pel suo Sacratissimo Cuore si mostra a noi ed è veramente modello perfettissimo di ogni virtù. Prima che egli venisse in sulla terra, come bellamente immagina un poeta cristiano, le virtù vagavano pel mondo in cerca di decente abitazione e non la trovavano, perciocché qua e là non si presentavano loro dinanzi, che intelletti ottenebrati e cuori guasti, nei quali non potevano né spandere la loro luce, né accendere la loro fiamma. Così che agitate e vergognose si ritirarono nel deserto, quando una notte udirono risuonare per l’aria questo cantico celestiale: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! » A questo segno conobbero che era nato il Messia; andarono alla sua capanna, si presentarono a Gesù Cristo, e Gesù Cristo le accolse tutte nel suo Cuore, e dal suo Cuore divino prese a mostrarle a tutti gli uomini del mondo, perché, vedendole in Lui, più facilmente si invaghissero di ricopiarle. E così è, non solo in figura poetica, ma in realtà. Nel suo Cuore Sacratissimo Gesù Cristo ci mostra accolte tutte quante le virtù; ci mostra l’amor di Dio, nel quale superò infinitamente tutti i Serafini del Cielo, e l’amor degli uomini, per cui con una generosità suprema si sacrificò per essi. Ci mostra l’umiltà, per mezzo della quale si è abbassato al punto da esinanirsi e prendere la forma di servo; ci mostra l’obbedienza, per cui non solo fu soggetto a Maria ed a Giuseppe pei trent’anni di sua vita privata, ma adempì sempre la volontà del suo divin Padre fino alla morte e morte di croce. Ci mostra la povertà, per cui essendo infinitamente ricco, si fece povero per noi, e volle nascere in una spelonca, e volle vivere guadagnandosi il pane col sudore della fronte, e volle esser privo di un tetto, sotto il quale ricoverarsi a posare la testa, e volle morire ignudo sulla croce. Nel suo Sacratissimo Cuore ci mostra la purità, per cui volle nascere da Madre purissima, volle avere per custode un castissimo uomo, e per precursore un martire di purità, ed alle anime pure mostrare la sua predilezione. Ci mostra la pazienza, per cui, come agnello che non bela sotto le forbici di chi lo tosa, sopportò nel modo più eroico tutte le atrocissime pene della sua Passione; ci mostra la mansuetudine, per cui non solo non odiò mai i suoi nemici, ma li amò sempre, fece sempre loro del bene, pregò per essi sulla croce il suo celeste Padre a volerli perdonare. Ci mostra la sua misericordia, per cui i peccatori, respinti dagli uomini, trovavano in Lui un’accoglienza festosa ed un sincero rifugio. Ci mostra il suo zelo per la gloria di Dio, la sua rettitudine d’intenzione, il suo spirito di vigilanza, di preghiera e di mortificazione, ci mostra insomma tutte le virtù, e nel grado più perfetto. Sì, nel grado più perfetto. Noi abbiamo un bel leggere la vita dei più grandi santi, che spinsero le loro virtù sino al più ammirabile eroismo, ma non troveremo mai in alcun di essi una santità sì elevata e sì perfetta come quella di Gesù Cristo. L’apostolo ed evangelista S. Giovanni ci dice che il Vangelo non è altro che un compendio brevissimo della vita di Cristo e degli atti suoi; di modo che è certo che non tutti i tratti di virtù da Cristo compiuti ci sono manifestati. Ma quando pure nel Vangelo tutto fosse narrato, non ci sarebbe tuttavia possibile mai di penetrare nel santuario del Cuore di Cristo per intravedere, non che comprendere, la sublimità e perfezione, a cui elevossi ogni sua virtù. Quindi è che a differenza degli stessi più grandi santi, nella cui vita vi hanno dei momenti in cui, se la virtù non vien meno, tuttavia appena appena arriva ad essere tale, in Gesù Cristo invece tutte le virtù, senza eccezione di sorta, anche le più ardue, toccano sempre, senza menomo sforzo, l’ultimo apice. – E queste virtù le mostra a noi, di qualsiasi età, stato e condizione, perché anche qui in Gesù Cristo, oh quale differenza dai santi! Benché essi in generale abbiano avute tutte le virtù, non di meno negli uni spiccò di più questa, negli altri quella. In questo santo si ammira di più lo spirito di contemplazione e di preghiera, in quello invece più si ammira lo spirito di slancio e di operosità cristiana; in questo splende maggiormente l’umile e cieca obbedienza, in quello splende invece maggiormente una santa fierezza e uno zelo ardente; in questo il carattere dominante è la dolcezza e la semplicità dei modi, in quello il carattere dominante è invece il rigore delle penitenze e l’austerità della vita. Insomma ciascuno dei santi svolge il meglio delle sue forze in questa o in quell’altra virtù, per la quale grandeggia, manifestando ad un tempo stesso essere impossibile all’umana debolezza esercitarle tutte ad un tempo stesso nello stesso grado di perfezione. Gesù invece non così; Egli tutte, senza eccezione di sorta, tutte le virtù die come Uomo-Dio poteva esercitare, le ha esercitate tutte nel modo più eroico, ragione per cui Egli è modello di tutti, modello sovrano, che a tutti si addice. È modello ai sacerdoti, perché Egli è sacerdote per eccellenza secondo l’ordine di Melchisedech, che offerse a Dio il sacrifìcio di se stesso, e di sacerdote esercitò tutti gli altri uffici, predicando con zelo il suo Vangelo e diffondendo nei cuori degli uomini l’abbondanza della sua grazia. È modello ai coniugati, perché congiunto in mistiche nozze alla sua sposa, la Chiesa, la amò di un amor puro e santo e con tale generosità da versare il sangue per lei, per renderla bella, splendida, senza macchia alcuna. È modello ai padri e alle madri di famiglia, perché è egli che ha generato gli uomini alla vera vita morendo per essi, è egli che col latte della sua dottrina e col cibo dei suoi Sacramenti ha nutrito e fatto crescere noi, suoi figliuoli, è Egli che ha paragonato il suo Cuore a quello di un padre e di una madre. È modello dei figliuoli, perché Figlio del divin Padre da tutta l’eternità ha voluto essere figlio di Maria nel tempo, e come figlio affettuoso si diportò sempre, sia col suo Celeste Padre, sia con la sua Madre divina, e persino con colui, che di padre non gli teneva che le veci. È modello ai giovani e modello ai vecchi, modello ai ricchi e modello ai poveri, modello ai dotti e modello agli idioti, modello ai grandi e modello ai piccoli, modello ai re e modello ai sudditi, modello ai lieti e modello agli afflitti, modello ai giusti e modello persino ai peccatori, perciocché Egli, che non conobbe il peccato, si pose addosso i peccati di tutti gli uomini, ed espiandoli coi meriti della sua passione e morte, indicò anche ai peccatori la via che debbono seguire per riconciliarsi con Dio; insomma egli non è un modello soltanto, ma è il modello per eccellenza, il modello unico, il supremo, il perfettissimo modello di tutti. O Cuore Sacratissimo di Gesù, o scuola, o cattedra di sapienza divina, dove per mezzo dell’esempio si insegnano agli uomini tutte quante le virtù, come non ci appresseremo a voi, per studiarle, per impararle, per ricopiarle in noi? in noi massimamente che intendiamo essere i vostri devoti?

II. — E questo è propriamente il nostro assoluto dovere. Udite. Un giorno si presentarono dal divin Redentore alcuni discepoli dei farisei, da loro appositamente spediti, nella folle speranza di poterlo cogliere in parole. Costoro adunque maliziosamente si fecero ad interrogare Gesù Cristo, dicendo: Maestro, dinne un po’: è egli lecito o no di pagare il tributo a Cesare? Essi pensavano: Se egli dice di sì, noi abbiamo argomento per metterlo in odio presso la moltitudine, che così di mala voglia paga il tributo; e se dice di no, noi avremo il pretesto di accusarlo dinanzi ai Romani, ai quali si paga il tributo. Ma il divin Redentore, conosciuta la malizia del loro cuore: ipocriti, rispose, perché mi tentate? Mostratemi una moneta del tributo; di chi è V immagine e l’iscrizione che v’è sopra? Di Cesare, risposero allora quei discepoli de’ farisei. Dunque, soggiunse il Redentore, rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio: Reddite ergo Cæsari quæ sunt Cæsaris, Deo quæ sunt Dei. ( MATT. XXVIII, 15-22) Stupenda risposta, colla quale Gesù Cristo, non solo fece ammutolire i suoi nemici, ma per mezzo della quale diede pure a noi una grande lezione. Noi, o carissimi, per grazia di Dio siamo Cristiani. E ciò che ci rese Cristiani è il Santo Battesimo, il quale ha impresso sull’anima nostra il carattere, l’immagine di Gesù Cristo, dal quale appunto prendiamo il nome. Ed oh! Abbiamo noi già riflettuto abbastanza a questo benefizio immenso che Iddio ci ha fatto a preferenza di tanti altri uomini? Coloro, i quali ancor « giacciono tra le tenebre e le ombre di morte » giacciono anche ora nell’abbrutimento e nella barbarie. Quell’idolatria, che prima della venuta di Gesù Cristo avviliva la maggior parte degli uomini nelle più stupide ed immorali superstizioni, continua oggidì ad avvilire tanti poveri selvaggi, ed altri che non sono più selvaggi, no, ma restano tuttavia nell’ultimo gradino della civiltà, quali ad esempio i Musulmani ed i Buddisti. Quei costumi così corrotti, in cui gli uomini prima di Gesù Cristo vivevano, a mo’ delle bestie, sono gli stessi costumi, che lì disonorano oggidì, perciocché anche oggidì, dove non risplendette il Vangelo, non vi ha che la schiavitù orribile dei sensi, l’appagamento più animalesco delle passioni e degli istinti della carne. Quella cecità, che prima di Gesù Cristo travagliava gli umani intelletti è la cecità medesima, che pur presentemente rimane fra tanti popoli, facendo loro scambiare il vizio con la virtù e la virtù col vizio, e mantenendo in loro una moltitudine infinita di errori riguardo alla loro origine, alla loro natura ed al loro fine. Noi invece siamo nati in paesi cristiani, noi abbiamo ricevuto il Battesimo, e col Battesimo la fede cristiana, e con la fede cristiana la verità, che ci illumina e che ci guida, la forza che ci anima e ci sostiene, l’adozione di figli di Dio, che ci rende fratelli di Gesù Cristo e ci abilita a diventare suoi coeredi del cielo. Oh! benefizio immenso, che è mai questo! Come non benedire le mille volte quell’anno, quel mese, quel giorno, quell’ora, quel punto, in cui ci avvenne di nascere in terra cristiana e di ricevere, per mano del sacro ministro, su questa nostra fronte quelle acque, che salgono a vita eterna, su queste labbra il sale della vera sapienza, e su questo petto l’unzione dei santi crismi? E qual merito vi era in noi, perché a preferenza di tanti milioni di altri uomini, risplendesse a noi la luce di Dio? Ah! non per altro, dice S. Paolo, non per altro noi fummo chiamati alla vera fede, che pel proposito di Dio, e per la grazia che ci fu data in Gesù Cristo! – Or bene se per la bontà immensa di Dio e per la grazia di Gesù, Cristo noi fummo fatti Cristiani, e se con l’essere stati fatti cristiani noi abbiamo il nome da Gesù Cristo, e di Gesù Cristo portiamo scolpita sull’anima la immagine, di chi siamo noi? a chi dobbiamo appartenere adesso e per sempre? Gesù ce lo ha fatto abbastanza chiaramente intendere con quel suo: Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio. Noi siamo dello stesso Gesù Cristo, del quale portiamo il nome e l’immagine, e dobbiamo appartenere perciò a Lui, a Lui solo, adesso e per sempre. Ma noi ci sbaglieremmo assai, se credessimo, che bastasse a questo fine di avere il nome ed il carattere di Cristiani. Ah! non ostante questo nome e questo carattere potrebbe accadere pur troppo che al termine della vita, presentandoci al tribunale di Gesù Cristo, ci intendessimo a dire da Lui: Nescio vos; non vi conosco! Per poter appartenere a Gesù Cristo adesso e per sempre è necessario, che noi al nome di cristiano facciamo rispondere i fatti. I Cristiani, ha detto S. Bernardo, ricevettero il nome da Cristo, ma è pregio dell’opera che siccome furono eredi del nome, lo siano ancora della santità. Bisogna che noi medesimi attendiamo a manifestare in noi, nei nostri pensieri, nei nostri affetti, nei nostri desideri, nelle nostre parole, nelle nostre opere la vita di Gesù: Vita Iesu manifestetur in corporibus vestris; (II Cor. IV, 10) bisogna in somma che ci sforziamo di renderci pienamente conformi a Gesù Cristo, seguendo le sue vestigia, imitando i suoi esempi. Perciocché dice S. Paolo: coloro che Iddio ha preveduti con la sua prescienza eterna dover essere nel novero degli eletti, li ha pure predestinati ad essere conformi all’immagine del suo divin Figliuolo: Quos præscivit, et prædestinavit conformes fieri imagini Filii sui. (Rom, VIII, 29) Ed è per tal guisa appunto che si sono formati i Santi. Si son formati gli Apostoli, che in Gesù Cristo imitarono lo zelo per la salute delle anime e la vita di sacrifizio; si son formati i martiri, che in Gesù Cristo imitarono il coraggio più eroico nell’affrontare la morte per la più santa causa; si son formati i penitenti, che in Gesù imitarono la vita di sofferenza e di mortificazione; si son formati i vergini, che in Gesù imitarono la purità più sublime; si son formati i santi Pontefici, che da Gesù imitarono l’amore per il gregge: si sono formati i santi confessori che in Gesù imitarono il disprezzo dei beni mondani e il desiderio delle cose celesti; si sono formati i santi re, che in Gesù imitarono l’umiltà nella gloria e l’abbassamento nella grandezza; si sono formati insomma tutti i santi, perché, studiando attentamente la loro vita, dobbiamo riconoscere. che sebbene non abbiano potuto imitare in tutto e a perfezione Gesù Cristo, perché ciò non è affatto possibile, ricopiarono tuttavia in se stessi più splendidamente non pochi tratti della sua fisionomia divina. – L’imitazione adunque delle virtù del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo è per tutti gli uomini indispensabile a salute. E tale imitazione, aggiungono i Santi Padri e i Dottori della Chiesa, ha da essere così fedele, che il Cristiano appaia come un altro Gesù Cristo: Christianus alter Christus; perché indarno, dice S. Bernardo, si può credere Cristiano colui, che non segue più che gli è possibile Gesù Cristo; e non assomigliandosi a Lui ne deve temere la punizione. – Epperò notate qui, o carissimi, quanti vi sono tra gli stessi Cristiani, che a questo riguardo da per se stessi stoltamente si ingannano! Perciocché molti vi hanno, che si credono essere seguaci di Gesù Cristo e conseguire un dì l’eterna salute, solo perché hanno ricevuto il battesimo, e credono così in generale ed in confuso alle verità della fede, cui associano molti errori, è fanno qualche volta alcuna di quelle cose che la fede impone. Ma in costoro dov’è l’umiltà e la mansuetudine? dov’è la purezza della vita e il distacco dai beni della terra? dov’è la preghiera e la mortificazione cristiana? dov’è la pazienza e la conformità ai voleri divini? dove sono in somma tutte le altre virtù di Gesù Cristo? Ah! che in costoro di Cristiano non v’è altro pur troppo che il nome, perché, come die S. Agostino, christiani vocantur, et in rebus christiani non inveniuntur. E che importa per costoro il chiamarsi, e ben anche il vantarsi tali, se manca in essi la conformità all’immagine di Gesù Cristo? anzi vi ha in essi la conformità al nemico, all’odiatore di Gesù Cristo, a satana e ne portano sull’anima la fisionomia! quella fisionomia, che con tanta verità ed energia S. Giovanni ha chiamato il carattere della bestia, characterem bestiæ! Perciocché, o carissimi, è questo purtroppo che accade nel Cristiano, allorché non si studia di diventare simile a Gesù Cristo con l’imitare le sue virtù; egli, per contrario, anche non pensandovi, divien simile al demonio, di cui segue le vestigia a preferenza di quelle di Gesù Cristo. Avviane in lui una trasformazione somigliante a quella del superbo Nabucco. Costui volendo essere come Dio, fu da Dio terribilmente punito e da uomo tramutato in fiera. Un dì, passeggiando nella sua corte, guardava i grandi veroni, i giardini pensili, le torri superbe, tutte le magnificenze, che si presentavano ai suoi sguardi, e il suo cuore si gonfiava e la sua anima si esaltava orgogliosa. « Non. è forse questa, diceva egli, la gran Babilonia che io ho costrutto nella pienezza della mia forza e nello splendore della mia gloria? » Egli parlava ancora, quando si udì una voce dal cielo, la quale diceva: « O re, ecco ciò che t’annunzio: il tuo regno è sul finire. Tu sarai scacciato dalla società degli uomini, tu abiterai colle bestie della terra e come il bue tu mangerai l’erba dei campi. » Ed ecco che all’improvviso gli si mutarono le forme della persona, gli si allungarono i peli, gli crebbero le unghie, e divenuto qual bestia, cacciato dalla reggia, fu costretto a pascersi di fieno come il bue. Il somigliante accade, se non nel corpo, nell’anima del Cristiano, che non intende trasformarsi in Gesù Cristo; lasciando di diventar simile a Lui, a cagione dell’abbandono di Dio e delle colpe e dei vizi, a cui si dà in preda, diventa simile non solo ad una bestia, ma alla bestia per eccellenza, come è chiamato satana nelle Sacre Scritture. Or bene se tanto assoluto è per ogni cristiano l’obbligo di imitare le virtù del Cuore di Gesù Cristo, e tanto grave è la disgrazia che incorre chi non adempie quest’obbligo, i veri devoti del Sacratissimo Cuore non dovranno attendere sopra tutti gli altri ad adempirlo? Oh! senza dubbio è a loro massimamente, che Gesù Cristo, come un giorno a’ suoi Apostoli, dice: Exemplum dedi vobis, ut quemadmodum ego feci, ita et vos faciatis; (Io. XIII, 15) Io vi ho dato l’esempio, affinché voi facciate come ho fatto Io. Si quis vult post me venire, sequatur me. ( MATTH. XVI, 2 4 ) Chi vuol venire dietro a me, chi vuol essere tra i miei amici, chi vuol amare e stimare davvero il mio Cuore divino, ne imiti le virtù.

III. — Se non che parmi di intendere taluni di voi a dire: Ma come? noi, cristiani, noi, sopra tutto, devoti del S. Cuore di Gesù, dobbiamo imitarlo? Ed è ciò possibile all’uomo, anche più elevato? Non si tratta forse di un modello troppo sublime? Miei cari, io rispondo subito, voi credete adunque che Gesù vi comandi l’impossibile? Vi comanda Egli forse, che lo imitiate in quelle opere che più lo manifestano Dio? Vi comanda Egli di fabbricare il mondo? di operare dei miracoli? di guarire gli infermi? d’illuminare i ciechi? di far risuscitare i morti? Oh no certamente! Lo sfoggio e la pompa della divinità Gesù Cristo non la chiede da voi, che sa essere miserabili creature: egli vi chiede che lo imitiate nella dolcezza, nell’umiltà, nella pazienza, nella misericordia, nella carità, nella purezza, nelle sue virtù insomma e non nella sua gloria. E queste virtù, sempre che voi ne abbiate una vera volontà, non potete ricopiarle? Ditelo, in verità, come non vi sarebbe possibile essere dolci, essere umili, essere pazienti, essere casti, essere amanti di Dio e del vostro prossimo? – Tuttavia è certo, che tutti i nostri sforzi per imitare le virtù del Cuore Sacratissimo di Gesù sarebbero vani, se noi non fossimo aiutati dalla grazia di Dio. Ma ecco lo stesso Santissimo Cuore venire in nostro soccorso, e meritarci e darci con abbondanza questa divina grazia. Gesù Cristo, in quanto Dio, è la sorgente di ogni grazia; ma anche in quanto uomo ha sulla grazia un potere sovrano. Perciocché, se come Dio Egli dà alle sue opere, ai suoi patimenti, alle sue parole, ai suoi sospiri, a’ suoi palpiti un valore infinito, è tuttavia come uomo, cogli atti liberi e santi della sua umanità, che Egli ha compiute tutte queste opere meritorie. Iddio pertanto ricompensando nell’umanità di Gesù Cristo i suoi meriti di valore infinito, ha riversato nel suo Cuore un cumulo infinito di grazie. E questo Cuore ridondante della grazia di Dio, non la riverserà alla sua volta sopra quanti vi si accostano con la loro divozione? Oh sì, è a questa fonte divina, che attingeremo con gaudio l’acqua salutare della grazia di Dio: Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris; (Is. XII, 3) è dalla pienezza di Lui, che tutti riceveremo l’aiuto necessario a ricopiarlo: De plenitudine eius nos omnes accepimus. (Io. I, 16) Lo stesso Gesù ci ha appreso questa confortante verità con la più bella similitudine: « Io sono, egli disse, la vera vite; rimanete in me ed io rimarrò in voi. E come il tralcio non può dare alcun frutto da se stesso, se non rimane congiunto alla vite, così sarà di voi, se non rimarrete in me. » (Io. XV, 1-4) Dal Cuore adunque di Gesù Cristo, per ragione della Divinità, sorgente di tutte le grazie, e per ragione dell’umanità riempiuto da Dio della pienezza delle grazie, si trasfonderà in noi tutti quell’umore vivifico, che ci renderà non solo possibile, ma facile eziandio la imitazione delle sue virtù. Perciocché, se, come insegnano i santi dottori, la pienezza della grazia, che è in Gesù Cristo, è la causa meritoria di tutte le grazie date agli uomini ed agli Angeli stessi del paradiso, e con queste grazie i Patriarchi, i Profeti dell’antica legge, e nella legge nuova gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, i Vergini e i Santi tutti poterono imitare con facilità le virtù del divino modello; per mezzo di tali grazie ciò sarà facile anche a noi, ed anche noi potremo ripetere con l’Apostolo: Omnia possum in eo, qui me confortat: (Phil. IV, 13), io posso tutto nel Cuore di Gesù, che mi riconforta. Ma oltreché il Sacro Cuore con l’abbondanza delle sue grazie, noi ancora con due altri mezzi potremo facilitarci la grande opera della sua imitazione, e sono l’amore e lo studio di questo Cuore Santissimo. Come il fiore spunta dallo stelo, così   l’imitazione nasce dall’amore, perché come mai amare taluno ardentemente e non studiarci di renderci a Lui conformi? E così amando il Sacro Cuore di un amore ardente, sarà sempre più viva in noi la brama di farci simili a Lui. Se Gesù è amato, dice l’Apostolo, sarà pure imitato. Parimenti se praticando la esortazione di S. Paolo: Considerate Jesum: (Hebr. III, 1) fatevi a ben studiare Gesù; e quella di S. Pietro: Crescite in cognitione Domini nostri Salvatoris Jesn Christi: (II Piet., III, 18) Crescete nella cognizione di nostro Signor Gesù Cristo; per mezzo della parola di Dio, dello studio del Vangelo, delle sante letture e considerazioni, noi verremo a conoscere gli ammirabili esempi di Gesù Cristo, tanto più ci sentiremo animati di imitarlo. E non è forse la cognizione degli altrui esempi, massime degli uomini illustri, che ci è sprone efficacissimo ad azioni lodevoli, benché ardue? Il soldato allora si accende nella battaglia, quando con la vista conosce il coraggio del capitano. Così accadde appunto ai soldati di Gedeone; vedendo lui scagliarsi animoso contro i nemici, deposta la timidità, da cui erano stati invasi alla vista delle numerose schiere avversarie, si lanciarono ancor essi a combattere come leoni e le misero in rotta. •sì ancora avvenne ai soldati di Giuda Maccabeo. Nell’in seguire i nemici, incontratisi improvvisamente in un grosso torrente, già si arrestavano per la paura di affogare tragittandolo. Ma avendo visto il fortissimo Giuda pungere il suo cavallo, lanciarlo nelle acque e quasi in un attimo trovarsi dalla sponda opposta, tutti ne seguirono tosto l’esempio. Or ecco ciò che accadrà pure a noi; dalla maggior conoscenza del Cuore di Gesù Cristo noi saremo fortemente eccitati a ricopiarlo in noi medesimi. – Coraggio adunque: il Sacro Cuore di Gesù, modello perfettissimo di tutte le virtù ci si pone innanzi come l’ideale, a cui, come Cristiani e devoti suoi, dobbiamo aspirare di pervenire. La grazia per conseguire questo gran fine non ci verrà meno. Nell’amore e nello studio di questo Cuore Santissimo accendiamoci ognor più dal desiderio di riprodurlo in noi, ed allora potremo essere certi, che questo Cuore istesso, dopo di essere stato il nostro modello di vita, sarà il nostro premio e il nostro gaudio in cielo. Sì, o Cuore Sacratissimo di Gesù, questo sarà d’ora innanzi il nostro sommo ed unico impegno, renderci simili a Voi più che sia possibile, ricopiando nel cuor nostro le vostre splendide virtù. Ma deh! riguardando voi alla debolezza nostra, degnatevi di venire in nostro aiuto. Nella vostra infinita misericordia state a noi vicino in tutti gli istanti del vivere nostro e fateci sentire la vostra dolcissima presenza, affinché siamo animati a mirarvi e a ricopiarvi. Fate, insomma, che ci vestiamo delle vostre virtù, e ci accendiamo dei vostri affetti, affinché meritiamo di renderci conformi all’immagine della bontà vostra e di essere partecipi della vostra Redenzione.

IL CATECHISMO DI BALTIMORA (IX) – Lez. 26-28

CATECHISMO DI BALTIMORA (IX) – Lez. 26-28

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 26 –

SUL MATRIMONIO

D. 1005. Cos’è il Sacramento del Matrimonio?

R. Il Sacramento del Matrimonio è il Sacramento che unisce un uomo e una donna Cristiani in legittimo matrimonio.

D. 1006. Quand’è che le persone sono lecitamente sposate?

R. Le persone sono legalmente sposate quando osservano tutte le leggi di Dio e della Chiesa relative al matrimonio. Sposarsi illecitamente è un peccato mortale e priva le anime della grazia del Sacramento.

D. 1007. Quando è stato istituito il Matrimonio per la prima volta?

R. Il Matrimonio fu istituito per la prima volta nel Giardino dell’Eden, quando Dio creò Adamo ed Eva e ne fece marito e moglie; ma allora non era un Sacramento, poiché la loro unione non conferiva alcuna grazia speciale.

D. 1008. Quando fu stabilito il contratto di Matrimonio con la dignità di Sacramento?

R. Il tempo esatto in cui il contratto dei Matrimoni è stato elevato alla dignità di Sacramento non è noto, ma il fatto che sia stato così elevato è certo dai passi nel Nuovo Testamento e dal costante insegnamento della Chiesa sin dal tempo degli Apostoli. Nostro Signore non ha semplicemente aggiunto la grazia al contratto, ma ha reso il contratto un vero Sacramento, in modo che i Cristiani non possano stipulare questo contratto senza ricevere il Sacramento.

D. 1009. Qual è il segno esteriore nel Sacramento del Matrimonio, e in che cosa consiste l’intera essenza del contratto matrimoniale?

R. Il segno esteriore nel Sacramento del matrimonio è il mutuo consenso degli sposi, espresso da parole o segni in conformità con le leggi della Chiesa. L’intera essenza del contratto di Matrimonio, consiste nella consegna reciproca tra le persone dei loro corpi e nel dichiarare con le parole o il segno che fanno questa resa, prendendosi reciprocamente per marito e moglie per tutta la vita.

D. 1010. Quali sono i principali fini del Sacramento del Matrimonio?

R. I principali fini del Sacramento del matrimonio sono:

– Consentire al marito e alla moglie di aiutarsi a vicenda nel garantire la salvezza delle loro anime;

– Propagare o mantenere l’esistenza della razza umana, mettendo al mondo i bambini per servire Dio;

– Prevenire i peccati contro la santa virtù della purezza, obbedendo fedelmente alle leggi dello stato di matrimonio.

D. 1011. Possono un uomo e una donna Cristiani essere uniti in legittimo Matrimonio in qualsiasi altro modo che non sia il Sacramento del Matrimonio?

R. Un uomo e una donna Cristiani non possono essere uniti in un Matrimonio legittimo in nessun altro modo che non sia il Sacramento del Matrimonio, perché Cristo ha innalzato il Matrimonio alla dignità di un Sacramento.

D. 1012. Allora, tutti i matrimoni prima della venuta di Cristo erano illegittimi ed invalidi?

R. Tutti i matrimoni prima della venuta di Cristo non erano illegittimi e invalidi. Erano entrambi leciti e validi quando le persone che li contraevano seguivano i dettami della loro coscienza e le leggi di Dio secondo la loro conoscenza; ma tali matrimoni erano solo dei contratti. A causa delle loro inclinazioni malvagie molti dimenticarono o trascurarono il vero carattere del matrimonio, finché Nostro Signore non lo ripristinò nella sua unità e purezza originaria.

D. 1013. Che cosa intendiamo per impedimenti al Matrimonio?

R. Per impedimenti al Matrimonio intendiamo certe restrizioni, imposte dalla legge di Dio o della Chiesa, che rendono il matrimonio invalido o illecito qualora vengano violate nel contrarlo. Queste restrizioni riguardano l’età, la salute, le relazioni, l’intenzione, la religione e altre questioni che riguardano la bontà del Sacramento.

D. 1014. Può la Chiesa dispensare o rimuovere questi impedimenti al Matrimonio?

R. La Chiesa può dispensare o rimuovere gli impedimenti al Matrimonio derivanti dalle sue stesse leggi; ma non può dispensare dagli impedimenti che derivano dalle leggi di Dio e dalla natura. Ogni legislatore può cambiare o dispensare dalle leggi fatte da lui stesso o da un suo pari, ma non può, di sua propria autorità, cambiare o dispensare dalle leggi emanate da un Potere superiore.

D. 1015. Che cosa è richiesto perché la Chiesa possa concedere, quando è in grado, deroghe dagli impedimenti al Matrimonio o da altre leggi?

R. Perché la Chiesa possa concedere deroghe dagli impedimenti al Matrimonio o da altre leggi, ci deve essere una ragione valida ed urgente nel concedere tali dispense. La Chiesa non concede dispense senza causa seria, o semplicemente per soddisfare i desideri di coloro le chiedano.

D. 1016. Perché la Chiesa a volte richiede alle persone a cui sono concesse le dispense di pagare un balzello o una tassa per il privilegio?

R. La Chiesa a volte richiede alle persone a cui sono concesse le dispense di pagare un balzello o una tassa per il privilegio:

– Perché le persone a causa di questa tassa siano trattenute dal chiedere dispense e possano rispettare le leggi generali;

– Perché la Chiesa non debba sostenere spese per mantenere un ufficio che conceda privilegi solo a pochi.

D. 1017. Che cosa dovrebbero fare le persone che stanno per sposarsi?

R. Le persone che stanno per sposarsi dovrebbero avvisare tempestivamente il loro pastore delle loro intenzioni, fargli conoscere a priori qualunque cosa sospetta possa essere un impedimento al Matrimonio, e assicurarsi di tutti gli accordi, prima di invitare i loro amici.

1018. Come dovrebbe essere data al Sacerdote la notifica tempestiva del Matrimonio, e perché?

R. Al Sacerdote dovrebbero essere date almeno tre settimane di preavviso del Matrimonio, perché, secondo le leggi della Chiesa, i nomi delle persone che stanno per sposarsi devono essere annunciati ed il loro Matrimonio previsto, pubblicato nella Messa principale nella loro parrocchia per tre domeniche successive.

D. 1019. Perché le pubblicazioni del Matrimonio sono pubblicate nella Chiesa?

R. Le pubblicazioni del Matrimonio sono pubblicate nella Chiesa affinché chiunque possa aver conoscenza di qualsiasi impedimento al Matrimonio, possa avere l’opportunità di dichiararlo privatamente al Sacerdote, prima che il Matrimonio stesso abbia luogo e quindi impedire un Matrimonio non valido o illegale. Le persone che sono a conoscenza di tali impedimenti e non riescono a dichiararli a tempo debito, sono colpevoli di peccato.

D. 1020. Quali cose in particolare dovrebbero far conoscere al Sacerdote le persone che organizzano il loro matrimonio?

R. Le persone che organizzano il loro Matrimonio dovrebbero far sapere al Sacerdote se sono cristiani e cattolici; se uno sia stato solennemente fidanzato con un’altra persona; se hanno mai fatto alcun voto a Dio riguardo alla castità o simili; se sono consanguinei e in che misura; se uno sia mai stato sposato con un membro della famiglia dell’altro e se sia mai stato padrino nel Battesimo per l’altro.

D. 1021. Cos’altro devono far conoscere?

R. Devono anche far sapere se uno dei due sia stato sposato prima e quale prova può essere data della morte dell’ex coniuge; se abbiano davvero intenzione di sposarsi, e lo facciano di propria spontanea volontà; se siano di età legale; se siano sani nel corpo o soffrano di qualsiasi deformità che potrebbe impedire il loro matrimonio e, infine, se vivano nella parrocchia in cui chiedono di essere sposati, e se è così, per quanto tempo abbiano vissuto in essa.

D. 1022. Che cosa è particolarmente necessario che le persone facciano, come loro dovere nello stato matrimoniale?

R. Perché le persone possano fare il loro dovere nello stato matrimoniale, è particolarmente necessario che, prima di entrarvi, siano istruite bene nelle verità e nei doveri della loro Religione perché possano poi insegnarli ai loro figli.

D. 1023. Il vincolo del Matrimonio cristiano può essere sciolto da un qualunque potere umano?

R. Il legame del Matrimonio cristiano non può essere sciolto da alcun potere umano.

D. 1024. Un divorzio concesso dalle corti di giustizia, non spezza il vincolo del matrimonio?

R. Il divorzio concesso dalle corti di giustizia o da qualsiasi altro potere umano non infrange il vincolo del Matrimonio, e chi si avvale di tale divorzio per risposarsi, mentre il coniuge ancora vive, commette un sacrilegio e vive nel peccato di adulterio. Un divorzio civile può dare una ragione sufficiente alle persone di vivere da sole e può determinare i loro diritti per quanto riguarda il sostegno, il mantenimento dei figli e altre cose temporali, ma non ha alcun effetto sul legame e sulla natura spirituale del Sacramento.

D. 1025. La Chiesa non permette talvolta a marito e moglie di separarsi e vivere separati?

R. La Chiesa a volte, per valide ragioni, permette a marito e moglie di separarsi e vivere separati; ma ciò non è dissolvimento del vincolo del Matrimonio, o divorzio come è chiamato, perché sebbene separati sono ancora marito e moglie, e nessuno dei due può risposarsi fino a quando l’altro non muoia.

D. 1026. La Chiesa non ha forse permesso ai Cattolici, una volta sposati, di separarsi e risposarsi?

R. La Chiesa non ha mai permesso ai Cattolici, una volta sposati, di separarsi e risposarsi, ma a volte ha dichiarato le persone, apparentemente sposate, libere di risposarsi, perché il loro primo Matrimonio era nullo; cioè, non c’è stato Matrimonio a causa di qualche impedimento non scoperto se non dopo la cerimonia.

D. 1027. Quali mali seguono il divorzio così comunemente rivendicato da coloro che sono al di fuori della vera Chiesa e concessi dall’autorità civile?

R. I mali che seguono il divorzio così comunemente rivendicato da coloro che sono al di fuori della vera Chiesa e concessi dall’autorità civile, sono moltissimi; ma principalmente:
1. Il disprezzo per il carattere sacro del Sacramento e per il benessere spirituale dei bambini;
2. La perdita della vera idea di casa e di famiglia seguita da una cattiva morale e una vita peccaminosa.

D. 1028. Quali sono gli effetti del Sacramento del Matrimonio?

  1. R. Gli effetti del Sacramento del Matrimonio sono:

– Santificare l’amore tra marito e moglie;

– Dare loro la grazia di sopportare le reciproche debolezze;

– Consentire di allevare i loro figli nel timore e nell’amor di Dio.

D. 1029. Che cosa intendiamo per sopportare le reciproche debolezze?

R. Per sopportare le debolezze reciproche, intendiamo che il marito e la moglie debbano essere pazienti con i difetti degli altri, con le cattive abitudini o con le disposizioni, scusarli facilmente e aiutarsi a vicenda nel superarli.

D. 1030. In che modo i genitori sono particolarmente adatti a crescere i loro figli nel timore e nell’amor di Dio?

R. I genitori sono appositamente preparati per allevare i loro figli nella paura e nell’amore di Dio:

– Con la grazia speciale che ricevono per consigliare e dirigere i loro figli e per metterli in guardia dal male;

– Dall’esperienza che hanno acquisito passando attraverso la vita dall’infanzia alla condizione di genitori. I bambini dovrebbero quindi cercare e accettare coscienziosamente la direzione dei buoni genitori.

D. 1031. Per ricevere degnamente il Sacramento del Matrimonio è necessario essere nello stato di grazia?

R. Per ricevere degnamente il Sacramento del Matrimonio è necessario essere nello stato di grazia, ed è anche necessario rispettare le leggi della Chiesa.

D. 1032. Quali leggi della Chiesa siamo tenuti ad adempiere nel ricevere il Sacramento del Matrimonio?

R. Nel ricevere il Sacramento del Matrimonio siamo tenuti a rispettare qualunque legge della Chiesa riguardi il Matrimonio; come le leggi che vietano il Matrimonio solenne in Quaresima e nell’Avvento; la presenza, al Matrimonio, di parenti o persone di un’altra religione (soprattutto i modernisti del novus ordo – ndr. -), e in generale tutte le leggi che fanno riferimento a qualsiasi impedimento al matrimonio.

D. 1033. In quanti modi possono esservi legami tra le persone?

R. Le persone possono essere legate tra loro in quattro modi. Quando sono legati dal sangue, la loro relazione è chiamata consanguineità; quando sono collegati per matrimonio, si chiama affinità; quando sono legati dall’essere padrini di Battesimo o di Cresima, questo è chiamato affinità spirituale; quando sono correlati per adozione, si parla di affinità legale.

D. 1034. Chi ha il diritto di emanare leggi sul Sacramento del Matrimonio?

R. Solo la Chiesa ha il diritto di emanare leggi sul Sacramento del Matrimonio, sebbene lo Stato abbia anche il diritto di emanare leggi concernenti gli effetti civili del contratto di Matrimonio.

D. 1035. Che cosa intendiamo per leggi riguardanti gli effetti civili del contratto di Matrimonio?

R. Per le leggi riguardanti gli effetti civili del contratto di Matrimonio intendiamo le leggi relative alla proprietà o ai debiti del marito e della moglie, l’eredità dei loro figli o qualunque cosa riguardi i loro affari temporali. Tutte le persone sono obbligate ad obbedire alle leggi del loro Paese quando queste leggi non siano contrarie alle leggi di Dio.

D. 1036. La Chiesa proibisce il Matrimonio dei Cattolici con persone che hanno una religione diversa o nessuna religione?

R. Si, la Chiesa proibisce il Mratrimonio dei Cattolici con persone che hanno una religione diversa o nessuna religione.

D. 1037. Perché la Chiesa proibisce il Matrimonio dei Cattolici con persone che professino una religione diversa o nessuna religione?

R. La Chiesa proibisce il matrimonio dei cattolici con persone che professano una religione diversa, o nessuna religione, perché tali matrimoni generalmente portano all’indifferenza, alla perdita della fede e alla negligenza dell’educazione religiosa dei bambini.

D. 1038. Come si chiamano i matrimoni dei Cattolici con persone di un’altra religione e quando la Chiesa li concede per dispensa?

R. I matrimoni dei Cattolici con persone di un’altra religione sono chiamati matrimoni misti. La Chiesa li concede per dispensa solo a certe condizioni e per motivi urgenti; principalmente per prevenire un male maggiore.

D. 1039. Quali sono le condizioni in base alle quali la Chiesa permette ad un Cattolico di sposare uno che non è cattolico?

R. Le condizioni in base alle quali la Chiesa permette a un Cattolico di sposare una persona che non è cattolica sono:

– Che al Cattolico sia permesso il libero esercizio della sua Religione;

– Che il Cattolico proverà con l’insegnamento ed il buon esempio a guidare colui che non è cattolico ad abbracciare la vera fede;

– Che tutti i bambini nati dal matrimonio saranno educati nella Religione cattolica. La cerimonia di Matrimonio non deve essere ripetuta da un ministro eretico. Senza queste promesse, la Chiesa non acconsentirà ad un matrimonio misto, e se la Chiesa non acconsente al matrimonio, esso è illegale.

D. 1040. Quale pena la Chiesa impone ai Cattolici che si sposano davanti a un pastore protestante?

R. I Cattolici che si sposano prima da un pastore protestante, incorrono nella scomunica; cioè, una censura della Chiesa o pena spirituale, che impedisce loro di ricevere il Sacramento della Penitenza, finché il Sacerdote che ascolta la loro confessione ottenga facoltà speciali o il permesso del Vescovo (Vescovo Cattolico vero – ndr. -); perché con un tale matrimonio essi fanno professione di appartenenza ad una falsa religione, riconoscendo come sacerdote uno che non ha né potere sacro né autorità (questo vale oggi pure per i falsi sacerdoti del novus ordo e degli scismatici lefebvriani e sedevacantisti – ndr. -).

D. 1041. In che modo la Chiesa mostra il suo dispiacere per i matrimoni misti?

R. La Chiesa mostra il suo dispiacere per i matrimoni misti con la freddezza con cui li sanziona, proibendo ogni cerimonia religiosa, e vietando al Sacerdote di usare qualsiasi paramento sacro, l’acqua santa o la benedizione dell’anello in tali matrimoni, proibendo pure che siano svolti nella Chiesa o anche in sacrestia. D’altra parte, la Chiesa mostra la sua gioia e l’approvazione per un vero Matrimonio cattolico con la Messa nuziale e le cerimonie solenni.

D. 1042. Perché i Cattolici dovrebbero evitare i matrimoni misti?

R. I cattolici dovrebbero evitare i matrimoni misti:

– Perché sono sgraditi alla Chiesa e non possono apportare la misura piena della grazia e della benedizione di Dio;

– Perché i figli dovrebbero avere il buon esempio da entrambi i genitori nella pratica della loro Religione;

– Perché tali matrimoni danno luogo a frequenti dispute su questioni religiose tra marito e moglie e tra i loro parenti;

– Perché chi non è Cattolico, ignorando il carattere sacro del Sacramento, può chiedere il divorzio e sposarsi di nuovo, lasciando il Cattolico sposato, abbandonato.

D. 1043. La Chiesa cerca di fare proseliti convertiti con le sue leggi riguardanti i matrimoni misti?

R. La Chiesa non cerca di fare conversioni con le sue leggi sui matrimoni misti, ma cerca solo di impedire che i suoi figli perdano la fede e diventino pervertiti dalla compagnia costante di persone non cattoliche. La Chiesa non desidera che le persone diventino cattoliche solo per il gusto di sposare i Cattolici. Tali conversioni sono, di regola, non sincere, non fanno bene, ma piuttosto rendono tali convertiti ipocriti e colpevoli di peccati più grandi, in particolare di peccati di sacrilegio.

D. 1044. Perché molti matrimoni si dimostrano infelici?

R. Molti matrimoni si dimostrano infelici perché sono maturati in fretta e senza degni motivi.

D. 1045. Quando i matrimoni sono maturati in fretta?

R. I matrimoni vengono fatti frettolosamente quando le persone non considerano e investigano a sufficienza il carattere, le abitudini e le disposizioni di colui che intendono sposare. È saggio cercare qualità durature e solide virtù in un compagno per tutta la vita e non essere trascinato da caratteristiche che soddisfino solo temporaneamente.

D. 1046. Quando sono validi ​​i motivi del Matrimonio?

R. I motivi del Matrimonio sono degni quando le persone si uniscono per fare la volontà di Dio e realizzare il fine per il quale Egli ha istituito il Sacramento. Qualsiasi cosa si opponga al vero oggetto del Sacramento, la santificazione del marito e della moglie, deve essere motivo indegno.

D. 1047. Come dovrebbero prepararsi i Cristiani ad un matrimonio santo e felice?

R. I Cristiani devono prepararsi per un matrimonio santo e felice ricevendo i Sacramenti della Penitenza e della Santa Eucaristia; pregando Dio di concedere loro una retta intenzione e di dirigerli nella loro scelta; cercando il consiglio dei loro genitori e la benedizione dei loro pastori.

D. 1048. In che modo i genitori possono essere colpevoli di grave ingiustizia nei confronti dei loro figli in caso di Matrimonio?

R. I genitori possono essere colpevoli di granve ingiustizia verso i loro figli in caso di matrimonio, cercando la gratificazione dei loro scopi e desideri, piuttosto che il bene dei loro figli, e costringendo quindi, per motivi egoistici e irragionevoli, i loro figli a sposare persone che non amino o impedire loro di sposare le persone scelte dai dettami della loro coscienza, o costringerli a sposarsi quando non hanno alcuna vocazione per una tale vita o nessuna vera conoscenza dei propri obblighi.

D. 1049. Possono le persone ricevere il Sacramento del Matrimonio più di una volta?

R. Le persone possono ricevere il sacramento del Matrimonio più di una volta, a condizione che siano certi della morte dell’ex marito o moglie e che siano conformi alle leggi della Chiesa.

D. 1050. Dove e in quale momento del giorno i Cattolici dovrebbero sposarsi?

R. I Cattolici dovrebbero sposarsi davanti all’altare nella Chiesa. Dovrebbero essere sposati al mattino e, se possibile, con una Messa nuziale.

D. 1051. Che cosa non deve mai essere dimenticato da coloro che partecipano ad una cerimonia di Matrimonio nella Chiesa?

R. Coloro che partecipano a una cerimonia di Matrimonio nella Chiesa, non devono mai dimenticare la presenza del Santissimo Sacramento, e che tutte le risate, i discorsi e le irriverenze sono vietate allora come in altri momenti. Le donne non devono mai entrare alla presenza del Santissimo Sacramento a testa scoperta, e il loro vestito deve essere in armonia con la rigida modestia richiesta dalla presenza di Nostro Signore, a prescindere da cosa possano richiedere la vanità o le maniere mondane.

LEZIONE 27 –

SUI SACRAMENTALI

D. 1052. Che cos’è un sacramentale?

R. Un sacramentale è qualcosa che viene scelto o benedetto dalla Chiesa per eccitare i buoni pensieri e aumentare la devozione e, attraverso questi movimenti del cuore, per rimettere il peccato veniale.

D. 1053. In che modo i Sacramentali eccitano i buoni pensieri e aumentano la devozione?

R. I Sacramentali eccitano i buoni pensieri ricordando alle nostre menti una ragione speciale per fare il bene ed evitare il male; in particolare ricordandoci di qualche persona santa, evento o cosa attraverso cui le benedizioni ci sono giunte. Aumentano la devozione fissando le nostre menti su particolari virtù e aiutandoci a capirle e desiderarle.

D. 1054. I Sacramentali da se stessi rimettono i peccati veniali?

R. I Sacramentali da se stessi non rimettono i peccati veniali, ma ci muovono verso una devozione più vera, verso un amore più grande per Dio e un dolore più grande per i nostri peccati, e questa devozione, l’amore e la tristezza ci portano grazia, e la grazia rimette i peccati veniali.

D. 1055. Perché la Chiesa usa i Sacramentali?

R. La Chiesa usa i Sacramentali per insegnare ai fedeli di ogni classe le verità della religione che si possono apprendere anche dalla loro vista e dal loro ascolto; poiché Dio vuole che impariamo le Sue leggi con ogni mezzo possibile, con ogni potenza dell’anima e del corpo.

D. 1056. Si dimostra con un esempio come i Sacramentali aiutino l’ignorante nell’apprendere le verità di fede.

R. I sacramentali aiutano l’ignorante ad imparare le verità di fede così come i bambini imparano dalle immagini, già prima di essere in grado di leggere. Così uno che non può leggere il racconto della passione di Nostro Signore, può impararlo dalle Stazioni della Via Crucis; uno che si inginocchia davanti ad un crocifisso e guarda la testa sanguinante, le mani trafitte e il costato ferito, è maggiormente capace di comprendere le sofferenze di Cristo rispetto a chi non abbia visto mai un crocifisso.

D. 1057. Cosa sono le stazioni o la via crucis?

R. La Via dolorosa o la Via Crucis, è una devozione istituita dalla Chiesa per aiutarci a meditare sulla passione e morte di Cristo. Quattordici croci o stazioni, ciascuna con l’immagine di qualche scena della passione, sono disposte a distanza diversa. Passando da una stazione all’altra e pregando qualche momento, prima di meditare sulla scena che si rappresenta, facciamo la Via Crucis in memoria del doloroso viaggio di Cristo durante la sua passione, e otteniamo l’indulgenza concessa per questo pio esercizio.

D. 1058. Le preghiere e le cerimonie della Chiesa sono anche sacramentali?

R. Le preghiere e le cerimonie della Chiesa sono anche sacramentali, perché eccitano i buoni pensieri e aumentano la devozione. Qualunque cosa la Chiesa dedichi a un uso pio o ecciti all’adorazione di Dio, può essere definita sacramentale.

D. 1059. Su quale base la Chiesa fa uso di cerimonie?

R. La Chiesa fa uso di cerimonie:

– Secondo l’esempio della vecchia legge, nella quale Dio ha descritto e comandato cerimonie;

– Secondo l’esempio di Nostro Signore, che ha strofinato, ad esempio, l’argilla sugli occhi del cieco, quando ha voluto ridare la vista, sebbene Egli avesse potuto compiere il miracolo senza alcun atto esterno;

– Sull’autorità della Chiesa stessa, a cui Cristo ha conferito il potere di fare tutto il necessario per l’istruzione di tutti gli uomini;

– Aggiungere solennità agli atti religiosi.

D. 1060. In che modo le persone possono peccare usando i Sacramentali?

R. Le persone possono peccare usando i Sacramentali usandoli in un modo o per uno scopo proibito dalla Chiesa; anche credendo che l’uso dei Sacramentali ci salverà, nonostante le nostre vite peccaminose. Dobbiamo ricordare che i Sacramentali possono aiutarci solo attraverso la benedizione che la Chiesa dà loro e attraverso le buone disposizioni che eccitano in noi. Non hanno quindi alcun potere per se stessi e mettere troppa fiducia nel loro uso, conduce alla superstizione.

D. 1061. Qual è la differenza tra i Sacramenti e i Sacramentali?

R. La differenza tra i Sacramenti e i Sacramentali è:

1. I Sacramenti furono istituiti da Gesù Cristo e i Sacramentali furono istituiti dalla Chiesa;
2. I Sacramenti danno la grazia di per se stessi quando non vi poniamo ostacoli all’azione;
3. I Sacramentali eccitano in noi le pie disposizioni, mediante le quali possiamo ottenere la grazia.

D. 1062. Può la Chiesa aumentare o diminuire il numero dei Sacramenti e dei Sacramentali?

R. La Chiesa non può mai aumentare né diminuire il numero dei Sacramenti, perché siccome li ha istituiti Cristo stesso, solo Egli ha il potere di cambiarne il numero; ma la Chiesa può aumentare o diminuire il numero dei Sacramentali come richiede la devozione del suo popolo o le circostanze del tempo e del luogo, poiché avendoli la Chiesa istituiti, essi dipendono interamente dalle sue leggi.

D. 1063. Qual è il principale sacramentale usato nella Chiesa?

R. Il principale sacramentale usato nella Chiesa è il segno della croce.

D. 1064. Come facciamo il segno della croce?

R. Facciamo il segno della croce mettendo la mano destra sulla fronte, poi sul petto e poi sulla spalla sinistra e poi la destra, dicendo: “Nel nome del Padre e del Figlio, e del Spirito Santo, Amen. ”

D. 1065. Qual è l’errore più comune di molti che si segnano?

R. Un errore comune di molti che si segnano, è quello di fare un movimento affrettato con la mano che non è in alcun modo un segno della croce. Essi eseguono questo atto di devozione senza pensiero o intenzioni, dimenticando che la Chiesa concede un’indulgenza a tutti coloro che si segnano con vivo dolore per i loro peccati.

D. 1066. Perché facciamo il segno della croce?

R. Facciamo il segno della croce per dimostrare che siamo Cristiani e per professare la nostra fede nei principali misteri della nostra Religione.

D. 1067. In che modo il segno della croce è una professione di fede nei principali misteri della nostra Religione?

R. Il segno della croce è una professione di fede nei principali misteri della nostra Religione perché esprime i misteri dell’Unità e Trinità di Dio e dell’Incarnazione e morte del nostro Signore.

D. 1068. In che modo il segno della croce esprime il mistero dell’Unità e della Trinità di Dio?

R. Le parole “Nel nome” esprimono l’Unità di Dio; le parole che seguono “del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” esprimono il mistero della Trinità.

D. 1069. In che modo il segno della croce esprime il mistero dell’Incarnazione e morte del nostro Signore?

D. Il segno della croce esprime il mistero dell’Incarnazione ricordandoci che il Figlio di Dio, divenuto uomo, ha sofferto la morte sulla croce.

D. 1070. Quale altro sacramentale è di uso molto frequente?

R. Un altro sacramentale, in uso molto frequente, è l’acqua santa.

D. 1071. Che cos’è l’acqua santa?

R. L’acqua santa è acqua benedetta dal Sacerdote con una preghiera solenne per chiedere la benedizione di Dio a coloro che la usano e la protezione dai poteri delle tenebre.

D. 1072. Come differisce l’acqua del Sabato Santo, o l’Acqua di Pasqua, come viene chiamata, dall’acqua santa benedetta in altri tempi?

R. L’acqua benedetta il Sabato Santo, o Acqua di Pasqua, come è chiamata, differisce dall’acqua santa benedetta in altri tempi in questo: che l’acqua di Pasqua è benedetta con maggiore solennità, ed il cero pasquale, che rappresenta Nostro Signore risorto dalla morte, viene immerso in essa con speciale preghiera.

D. 1073. L’acqua è mai stata benedetta in onore di certi santi?

R. L’acqua è a volte benedetta in onore di certi santi e per scopi speciali. La forma di preghiera da usare in tali benedizioni si trova nel Rituale Romano – il libro che contiene preghiere e cerimonie per l’amministrazione dei Sacramenti e delle benedizioni autorizzate dalla Chiesa.

D. 1074. Ci sono altri Sacramenti oltre al segno della croce e dell’acqua santa?

R. Accanto al segno della croce e dell’acqua santa ci sono molti altri Sacramentali, come le candele benedette, le ceneri, le palme, i crocifissi, le immagini della Beata Vergine e dei santi, i rosari e gli scapolari.

D. 1075. Quando sono benedette le candele nella Chiesa e perché vengono usate?

R. Le candele sono benedette nella Chiesa nella festa della Purificazione della Beata Vergine, il 2 febbraio. Sono usati principalmente per illuminare e ornare i nostri altari, come segno di rispetto per la presenza di Nostro Signore e di gioia per la Sua venuta.

D. 1076. Quale consuetudine è ora in uso in molti luoghi?

R. Una consuetudine ormai in uso in molti luoghi è l’offerta da parte dei fedeli, nella festa della Purificazione, delle candele per l’uso dell’altare durante l’anno. È bello pensare che abbiamo candele che bruciano nel nostro nome sull’altare di Dio, e se il popolo ebraico annualmente faceva offerte al loro tempio, i Cristiani fedeli non dovrebbero trascurare i loro altari e le chiese in cui dimora Dio stesso.

D. 1077. Quando sono benedette le ceneri nella Chiesa e perché vengono usate?

R. Le ceneri sono benedetti nella Chiesa il mercoledì delle ceneri. Sono usate per ricordarci la nostra umile origine e di come il corpo di Adamo, nostro antenato, fu formato dal fango o argilla della terra; ed anche per ricordarci della morte, quando i nostri corpi ritorneranno alla polvere e della necessità di fare penitenza per i nostri peccati. Queste ceneri si ottengono bruciando le palme benedette nell’anno precedente.

D. 1078. Quando sono benedette le palme e cosa ci ricordano?

R. Le palme sono benedette la domenica delle Palme. Ci ricordano l’entrata trionfale di Nostro Signore a Gerusalemme, quando il popolo, desiderando onorarlo e renderlo re, distese rami di palma e persino le proprie vesti sul suo cammino, cantando: Osanna al Figlio di Davide.

  1. 1079. Qual è la differenza tra una croce e un crocifisso?
  2. Una croce non ha figura mentre un crocifisso ha la figura di Nostro Signore. La parola “crocifisso” significa fissato o inchiodato alla croce.

D. 1080. Che cos’è il Rosario?

R. Il Rosario è una forma di preghiera nella quale diciamo un certo numero di Pater noster e Ave Maria, meditando o pensando per un breve periodo prima di ogni decina; cioè, prima di ogni Padre Nostro e dieci Ave Maria, meditiamo su qualche evento particolare nella vita di Nostro Signore. Questi eventi sono chiamati “misteri del Rosario”. Il filo di grani sul quale sono dette queste preghiere è anche chiamato “rosario”. I Rosari ordinari sono composti da cinque decadi, o un terzo di tutto il Rosario intero.

D. 1081. Chi ha insegnato l’uso del Rosario nella sua forma attuale?

R. È San Domenico che ha insegnato l’uso del Rosario nella sua forma attuale. Con esso, istruì i suoi ascoltatori nelle principali verità della nostra santa Religione e convertì molti alla vera fede.

D. 1082. Come si dice il Rosario?

R. Per recitare il Rosario, si segniamo con la croce, quindi si recita il Credo degli Apostoli e il Pater noster sul primo grano grande, poi l’Ave Maria su ognuna dei tre piccoli grani, e poi il Gloria al Padre ecc. Quindi menzioniamo o pensiamo al primo mistero che desideriamo onorare, e recitiamo un Padre Nostro sul granulo grande e un’Ave Maria su ciascun granulo dei dieci che seguono. Alla fine di ogni decina, o dieci Ave Maria, diciamo “Gloria al Padre”; ecc. Quindi menzioniamo il mistero successivo e facciamo come prima, e così via fino alla fine.

  1. D. 1083. Quanti misteri del Rosario ci sono?

R. Ci sono quindici misteri del Rosario disposti nell’ordine in cui questi eventi si sono verificati nella vita di Nostro Signore e divisi in cinque “gioiosi”, cinque “dolorosi” e cinque misteri “gloriosi”.

D. 1084. Quali sono i cinque misteri gioiosi del Rosario.

R. I cinque misteri gioiosi del Rosario sono:

– L’Annunciazione – l’Angelo Gabriele che dice alla Vergine di essere la Madre di Dio;

– La Visitazione: la Beata Vergine va a far visita a sua cugina, Santa Elisabetta, madre di San Giovanni Battista;

– La natività, o nascita, di Nostro Signore;

– La presentazione di Gesù Bambino nel tempio: i suoi genitori lo offrirono a Dio;

– Il ritrovamento del Bambino Gesù nel tempio – I suoi genitori lo hanno perso a Gerusalemme per tre giorni.

D. 1085. Quali sono i cinque misteri dolorosi del Rosario.

R. I cinque misteri dolorosi del Rosario sono:

– L’agonia nel giardino del Getsemani – Nostro Signore era in un’angoscia terribile e si bagnava di sudore sanguinante;

– La flagellazione alla colonna: Cristo fu spogliato delle sue vesti e frustato in modo crudele;

– L’incoronazione di spine – Fu deriso come un re da uomini senza cuore;

– Il trasporto della croce – dal luogo in cui fu condannato, fino al Calvario, il luogo della crocifissione;

– La crocifissione – È stato inchiodato alla croce tra gli scherni e le bestemmie dei suoi nemici.

D. 1086. Dì i cinque gloriosi misteri del Rosario.

R. I cinque gloriosi misteri del Rosario sono:

  1. – La risurrezione di nostro Signore;

– L’Ascensione di Nostro Signore;

– La discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli;

– L’Assunzione della Beata Vergine: dopo la morte fu portata in cielo e in corpo;

– L’incoronazione della Beata Vergine – entrando nel cielo fu fatta Regina di tutti gli Angeli e dei Santi e posta in dignità accanto al suo Divin Figlio, il nostro Beato Signore.

D. 1087. In quali giorni, secondo la pia consuetudine dei fedeli, si dicono di solito i diversi misteri del Rosario?

R. Secondo la pia consuetudine dei fedeli, i diversi misteri del Rosario si dicono di solito nei giorni seguenti, vale a dire: i gaudiosi il lunedì e il giovedì, i dolorosi il martedì e il venerdì e il glorioso la domenica, il mercoledì e il sabato.

D. 1088. Che cosa significano le lettere INRI sul crocifisso?

R. Le lettere INRI sul crocifisso sono le prime lettere di quattro parole latine che significano Gesù di Nazareth, re degli ebrei. Nostro Signore ha detto che era il re dei Giudei, ma ha anche detto che non era il loro re temporale o terrestre, ma il loro Re spirituale e celeste.

D. 1089. A che cosa possiamo attribuire il desiderio degli ebrei di mettere Cristo a morte?

R. Possiamo attribuire il desiderio degli ebrei di mettere Cristo a morte alla gelosia, all’odio e alla malvagità dei loro sacerdoti e farisei, le cui colpe Egli ha rimproverato e dimostrando la loro ipocrisia. Essi, con le loro calunnie e menzogne ​​hanno indotto il popolo a seguirli nel chiedere la crocifissione di Nostro Signore.

D. 1090. Con chi ha vissuto la Beata Vergine dopo la morte di Nostro Signore?

R. Dopo la morte di Nostro Signore, la Beata Vergine visse per circa undici anni con l’apostolo San Giovanni Evangelista, chiamato anche il Discepolo Amato, che scrisse uno dei quattro Vangeli, tre Epistole e l’Apocalisse, o Libro delle rivelazioni – l’ultimo libro della Bibbia. Ha vissuto fino all’età di cento anni o più ed è morto ultimo fra tutti gli Apostoli.

D. 1091. Che cosa intendiamo per Assunzione della Beata Vergine e perché ci crediamo?

R. Per Assunzione della Beata Vergine intendiamo che il suo corpo è stato portato in cielo dopo la sua morte. Noi ci crediamo:

– Perché la Chiesa non può insegnare l’errore, eppure sin dalla tenera età la Chiesa ha celebrato la festa dell’Assunzione;

– Poiché nessuno ha mai affermato di avere una reliquia del corpo di nostra Madre Benedetta, e sicuramente gli Apostoli, che l’hanno conosciuta e amata, si sarebbero assicurati una reliquia, se il suo corpo fosse rimasto sulla terra.

D. 1092. Che cosa significano le lettere IHS su un altare o su cose sacre?

R. Le lettere IHS su un altare o su cose sacre indicano il nome Gesù; perché è in questo modo che il Santo Nome è scritto in lingua greca, anche se alcune delle lettere sono tralasciate.

D. 1093. Che cos’è lo scapolare e perché è indossato?

R. Lo scapolare è un lungo pezzo di stoffa di lana che fa parte dell’abito religioso di monaci, Sacerdoti e suore di alcuni ordini religiosi. È indossato sulle spalle e si estende dalle spalle fino ai piedi. Il piccolo scapolare fatto ad imitazione di esso e formato da due piccoli pezzi di stoffa uniti da fili, viene indossato dai fedeli come promessa o prova della loro volontà di praticare una particolare devozione, indicata dal tipo di scapolare che indossano.

D. 1094. Quanti tipi di scapolari ci sono in uso tra i fedeli?

R. Tra i fedeli ci sono molti tipi di scapolari in uso, come lo scapolare marrone o scapolare del Monte Carmelo, indossato in onore della passione di Nostro Signore; il bianco, in onore della Santa Trinità; il blu, in onore dell’Immacolata Concezione; e il nero, in onore dei sette dolori della Beata Vergine. Quando questi sono uniti e indossati tutti in uno, sono chiamati i cinque scapolari. Lo scapolare marrone è il meglio conosciuto e dà diritto a chi lo indossa ai più grandi privilegi ed indulgenze.

D. 1095. Cosa sono i sette dolori della Beata Vergine?

R. I sette dolori della Beata Vergine sono i principali eventi dolorosi nella vita di Nostra Signora. Essi sono:

– La Circoncisione del nostro Signore – quando vide il suo sangue versato per la prima volta;

– La sua Fuga in Egitto – per salvare la vita di Gesù Bambino quando Erode cercò di ucciderlo;

– I tre giorni in cui smarrì suo Figlio a Gerusalemme;

– Quando lo vide portare la croce;

– Quando lo vide morire;

– Quando il suo cadavere fu tolto dalla croce;

– Quando fu deposto nel sepolcro o tomba.

D. 1096. Cosa sono le sette perle dolorose, e come le diciamo?

R. Le sette perle dolorose, sono perle costruite con sette medaglie, ognuna recante la rappresentazione di uno dei sette dolori, e sette perle tra una medaglia e l’altra. Per ogni medaglia meditiamo sul dolore relativo e diciamo un’Ave Maria su ciascuna delle perle che la seguono.

D. 1097. Che cos’è l’Agnus Dei?

R. L’Agnus Dei è un piccolo pezzo di cera d’api con l’immagine di un agnello e una croce. È solennemente benedetto dal Papa con speciali preghiere per coloro che lo portano sulla loro persona in onore del Nostro Redentore, che noi chiamiamo l’”Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. La cera è solitamente ricoperta di seta o di materiale pregiato.

LEZIONE 28 –

SULLA PREGHIERA

D. 1098. C’è qualche altro modo per ottenere la grazia di Dio oltre ai Sacramenti?

R. Sì, c’è un altro mezzo per ottenere la grazia di Dio, ed è la preghiera.

D. 1099. Che cos’è la preghiera?

R. La preghiera è l’innalzamento delle nostre menti e dei nostri cuori a Dio, adorarlo, ringraziarlo per i suoi benefici, chiedere il Suo perdono e implorare a Lui tutte le grazie di cui abbiamo bisogno, sia per l’anima che per il corpo.

D. 1100. Quanti tipi di preghiera ci sono?

R. Ci sono due tipi di preghiera:

– La preghiera mentale, chiamata meditazione, nella quale trascorriamo il tempo pensando a Dio o ad una o più delle verità che Egli ha rivelato, e con questi pensieri possiamo essere persuasi dal condurre una vita più santa;

– Preghiera vocale, in cui esprimiamo questi pensieri pii con le parole.

D. 1101. Perché la preghiera mentale è più utile per noi?

R. La preghiera mentale è molto utile per noi perché ci obbliga, mentre siamo impegnati, a mantenere la nostra attenzione fissa su Dio e le Sue leggi sacre e per mantenere i nostri cuori e le nostre menti innalzati a Lui.

D. 1102. Come possiamo fare una meditazione?

R. Possiamo fare una meditazione:

– Ricordando che siamo alla presenza di Dio;

– Chiedendo allo Spirito Santo di darci la grazia di beneficiare della meditazione;

– Riflettendo seriamente su alcune sacre verità riguardanti la nostra salvezza;

– Traendo una buona risoluzione dai pensieri che abbiamo avuto;

– Ringraziando Dio per la conoscenza e la grazia conferite a noi attraverso la meditazione.

D. 1103. Dove possiamo trovare soggetti o punti per la meditazione?

R. Possiamo trovare materie o punti per la meditazione nelle parole del Padre Nostro, dell’Ave Maria o del Credo degli Apostoli; anche nelle domande e risposte del nostro Catechismo, nella Sacra Bibbia e nei libri di meditazione.

D. 1104. È necessaria la preghiera per la salvezza?

R. La preghiera è necessaria per la salvezza, e senza di essa non si può salvare nessuno che abbia l’uso della ragione.

D. 1105. In quali momenti particolari dovremmo pregare?

R. Dovremmo pregare in particolare la domenica e nei giorni festivi, ogni mattina e ogni sera, in tutti i pericoli, nelle tentazioni e nelle afflizioni.

D. 1106. Come dovremmo pregare?

R. Dovremmo pregare:

– Con attenzione;

– Con il senso della nostra impotenza e di dipendenza da Dio;

– Con un grande desiderio di ottenere le grazie;

– Con la fiducia nella bontà di Dio;

– Con perseveranza.

D. 1107. Come dovrebbe essere la nostra attenzione alla preghiera?

R. La nostra attenzione alla preghiera dovrebbe essere triplice, cioè l’attenzione alle parole, affinché possiamo dirle correttamente e distintamente; l’attenzione al loro significato, affinché le comprendiamo, e l’attenzione a Dio, a cui sono rivolte le parole.

D. 1108. Quale dovrebbe essere la posizione del corpo quando preghiamo?

R. Nella preghiera la posizione più conveniente del corpo è in ginocchio, ma se preghiamo in ginocchio, in piedi o seduti, la posizione del corpo dovrebbe sempre essere quella che indica riverenza, rispetto e devozione. Possiamo pregare anche sdraiandoci o camminando, perché Nostro Signore stesso dice che dovremmo pregare in ogni momento.

D. 1109. Cosa dovremmo fare per poter pregare bene?

R. Per poter pregare bene dovremmo prepararci prima della preghiera:

– Richiamando alla mente la dignità di Dio, a cui stiamo per parlare, e la nostra indegnità di comparire alla Sua presenza;

– Determinando la richiesta della grazia o la benedizione precisa che intendiamo richiedere;

– Ricordando la potenza e la volontà di Dio nel concedere, se veramente ne abbiamo bisogno e di chiedere ardentemente in umiltà e con fiducia.

D. 1110. Perché Dio non sempre esaudisce le nostre preghiere?

– Dio non sempre esaudisce le nostre preghiere per questi e altri motivi:

– Perché non preghiamo nella maniera corretta;

– Affinché possiamo imparare la nostra dipendenza da Lui, provare la nostra fiducia in Lui e meritare premi con la nostra pazienza e la perseveranza nella preghiera. Le persone prudenti non accettano ogni richiesta; perché, allora, dovrebbe farlo Dio?

D. 1111. Che assicurazione abbiamo che Dio ascolti sempre e ricompensi le nostre preghiere, sebbene Egli non possa concedere tutto ciò che chiediamo?

R. Abbiamo la certezza di Nostro Signore Stesso che Dio ascolta sempre e ricompensa le nostre preghiere, sebbene Egli non possa concedere ciò che chiediamo; poiché Cristo disse: “Chiedete e vi sarà dato”, e “se chiedete al Padre qualcosa nel Mio nome, Egli lo darà a voi”.

D. 1112. Quali sono le preghiere più raccomandate per noi?

R. Le preghiere più raccomandate per noi sono la Preghiera del Signore, l’Ave Maria, il Credo degli Apostoli, il Confiteor e gli Atti di Fede, Speranza, Carità e di Contrizione.

D. 1113. Le preghiere dette con distrazioni ci sono comunque di utilità?

R. Le preghiere dette con distrazione volontaria non servono a nulla.

D. 1114. Perché le preghiere dette con distrazione volontaria non ci sono utili?

R. Le preghiere dette con distrazione volontaria non servono a nulla perché sono semplici parole, come potrebbe dirle un automa, e perché non c’è elevazione della mente o del cuore esse non possono essere una preghiera.

D. 1115. Allora, le distrazioni che spesso abbiamo durante la preghiera privano le nostre preghiere di ogni merito?

R. Le distrazioni che spesso abbiamo durante la preghiera non privano le nostre preghiere di ogni merito, purché non siano ostinate quando cerchiamo di tenerle lontane, perché Dio ricompensa le nostre buone intenzioni e gli sforzi che facciamo per pregare bene.

D. 1116. Che cos’è, allora, una distrazione?

R. Una distrazione è qualsiasi pensiero che, durante la preghiera, entri nella nostra mente per allontanare i nostri pensieri e i nostri cuori da Dio e dal sacro dovere che stiamo eseguendo.

D. 1117. Quali sono i frutti della preghiera?

R. I frutti della preghiera sono: ESSA

– Rafforza la nostra fede,

– nutre la nostra speranza,

– aumenta il nostro amore per Dio,

– ci mantiene umili,

– ci merita la grazia ed espia il peccato.

D. 1118. Perché dovremmo pregare quando Dio già conosce i nostri bisogni?

R. Preghiamo Dio non per ricordargli o dirgli ciò di cui abbiamo bisogno, ma per riconoscere che Egli è il Datore Supremo, per adorarlo e rendergli culto, mostrando tutta la nostra dipendenza da Lui per ogni dono all’anima o al corpo.

D. 1119. Possiamo dire piccole preghiere anche sul lavoro?

R. Anche al lavoro possiamo dire piccole giaculatorie, come “Mio Dio, perdona i miei peccati, Benedetto sia il Santo Nome di Gesù, Spirito Santo, illuminami, Santa Maria, prega per me,” ecc.

D. 1120. Lo stesso Nostro Signore ha pregato, perché?

R. Lo stesso Nostro Signore ha pregato molto spesso, passando spesso l’intera notte in preghiera. Pregava prima di ogni azione importante, non che avesse bisogno di pregare, ma per darci un esempio di come e quando dovremmo pregare.

D. 1121. Perché la Chiesa conclude la maggior parte delle sue preghiere con le parole “per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore”?

R. La Chiesa conclude la maggior parte delle sue preghiere con le parole “per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo”, perché è solo attraverso i suoi meriti che possiamo ottenere la grazia, e perché “non c’è nessun altro Nome dato agli uomini per mezzo del quale possiamo essere salvati”.

D. 1122. C’è qualche promessa speciale fatta a favore delle preghiere fatte di due o più persone unite?

R. Una speciale promessa fu fatta a favore delle preghiere di due o più persone unite, quando Nostro Signore disse: “Dove ci sono due o tre riuniti nel Mio nome, Io sono in mezzo a loro”. Pertanto, le preghiere unite di una congregazione, di una comunità, della famiglia e, soprattutto, le preghiere pubbliche di tutta la Chiesa, hanno grande influenza su Dio. Dovremmo unirci alle preghiere pubbliche con vera devozione, e non per abitudine o, peggio ancora, per mostrare la nostra pietà.

D. 1123. Qual è il posto più adatto per pregare?

R. Il luogo più adatto per la preghiera è la Chiesa – casa di preghiera – resa santa dalle benedizioni speciali e, soprattutto, dalla presenza reale di Gesù che dimora nel Tabernacolo. Nondimeno, Nostro Signore ci esorta a pregare anche in segreto, poiché il Padre suo, che vede in segreto, ci ripagherà.

D. 1124. Per cosa dovremmo pregare?

R. Dovremmo pregare:

1. Per noi stessi, per ottenere benedizioni dell’anima e del corpo e perché possiamo essere devoti servitori di Dio;

2. Per la Chiesa, per tutti i desideri spirituali e temporali, ed affinché la vera fede possa essere conosciuta e professata ovunque;

3. Per i nostri parenti, amici e benefattori, in particolare per quelli che potremmo in qualche modo aver ferito;

4. Per tutti gli uomini, per la protezione dei buoni e la conversione dei malvagi, perché prosperi la virtù e possa sparire il vizio;

5. Per i nostri governanti spirituali, il Papa, i nostri Vescovi, Sacerdoti e comunità religiose, affinché possano compiere fedelmente i loro sacri doveri;

6. Per il nostro Paese, i governatori temporali, affinché possano usare il loro potere per il bene dei loro sudditi e per l’onore e la gloria di Dio.

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (VIII) – Lez. 23-25

CATECHISMO DI BALTIMORA (VIII) – Lez. 23-25

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 23 –

SUL FINE PER IL QUALE È STATA ISTITUITA LA SANTA EUCARISTIA

D. 895. Perché Cristo istituì la Santa Eucaristia?

R. Cristo ha istituito la Santa Eucaristia:

1. Per unirci a sé e nutrire la nostra anima con la sua vita divina.
2. Per aumentare la grazia santificante e tutte le virtù nella nostra anima.
3. Per ridurre le nostre inclinazioni malvagie.
4. Come pegno di vita eterna.
5. Per adattarsi ai nostri corpi per una gloriosa risurrezione.
6. Per continuare il sacrificio della Croce nella sua Chiesa.

D. 896. La Santa Eucaristia ha qualche altro effetto?

R. La santa Eucaristia rimette i peccati veniali disponendoci a compiere atti di amore e contrizione. Ci preserva dal peccato mortale, eccitandoci ad un maggiore fervore e rafforzandoci dalla tentazione.

D. 897. In che modo siamo uniti a Gesù Cristo nella Santa Eucaristia?

R. Siamo uniti a Gesù Cristo nella Santa Eucaristia mediante la Santa Comunione.

D. 898. Che cos’è la Santa Comunione?

R. La santa Comunione è: ricevere il corpo e il sangue di Cristo.

D. 899. Non è sminuire la dignità di Nostro Signore, entrare nei nostri corpi sotto l’apparenza del cibo ordinario?

R. Non è sminuire la dignità di Nostro Signore entrare nei nostri corpi sotto l’apparenza del cibo ordinario, non meno di quanto fosse diminuita in dignità l’entrare nel corpo della Sua Benedetta Madre e rimanere lì come un bambino normale per nove mesi. La dignità di Cristo, essendo infinita, non può mai essere sminuita da alcun atto né da parte sua, nè da parte nostra.

D. 900. Perché la Chiesa non dà la Santa Comunione al popolo anche sotto l’aspetto del vino come fa con il sacerdote?

R. La Chiesa non dà la Santa Comunione al popolo come fa al sacerdote, anche sotto l’aspetto del vino, per evitare il pericolo di spargere il Preziosissimo Sangue; per impedire l’irriverenza che qualcuno potrebbe mostrare se obbligato a bere da un calice usato da tutti e, infine, per confutare coloro che negavano che il sangue di Nostro Signore fosse presente anche sotto l’apparenza del pane.

D. 901. Che cosa è necessario per fare una buona Comunione?

R. Per fare una buona Comunione è necessario essere nello stato di grazia santificante e digiunare secondo le leggi della Chiesa.

D. 902. Cosa dovrebbe fare una persona che, attraverso l’oblio o qualsiasi altra causa, abbia interrotto il digiuno necessario per la Santa Comunione?

R. Una persona che per dimenticanza o per qualsiasi altra causa abbia rotto il digiuno necessario per la Santa Comunione, dovrebbe di nuovo digiunare e ricevere la Santa Comunione il mattino seguente, se possibile, senza tornare alla confessione. Non è un peccato spezzare il digiuno, ma sarebbe un peccato mortale ricevere la Santa Comunione dopo aver consapevolmente interrotto il digiuno necessario.

D. 903. Colui che riceve la Comunione in peccato mortale riceve il corpo e il sangue di Cristo?

R. Chi riceve la comunione in peccato mortale riceve il corpo e il sangue di Cristo, ma non riceve la sua grazia e commette un grande sacrilegio.

D. 904. Basta essere liberi dal peccato mortale per ricevere in abbondanza le grazie della santa Comunione?

R. Per ricevere in abbondanza le grazie della Santa Comunione, non è sufficiente essere liberi dai peccati mortali, ma dovremmo essere liberi da ogni affetto pur anche al peccato veniale, e dovremmo compiere atti di viva fede, di ferma speranza edardente amore.

D. 905. Qual è il digiuno necessario per la Santa Comunione?

R. Il digiuno necessario per la Santa Comunione è l’astensione dal cibo, dalle bevande alcoliche e dalle bevande analcoliche un’ora prima della Santa Comunione. L’acqua non rompe il digiuno.

D. 906. La medicina presa per necessità o il cibo preso per caso spezza il digiuno della Santa Comunione?

R. La medicina non rompe il digiuno; né il cibo preso per inavvertenza entro un’ora prima che della Comunione.

D. 907. È permesso a qualcuno ricevere la Santa Comunione se non è digiuno?

R. Per proteggere il Santissimo Sacramento dall’insulto o dall’ingiuria, o quando si è in pericolo di morte, la Santa Comunione può essere ricevuta senza digiuno.

D. 908. La Santa Comunione è chiamata con qualche altro nome quando viene data a qualcuno in pericolo di morte?

R. Quando la Santa Comunione è data a qualcuno in pericolo di morte, si chiama Viatico e viene data con la sua forma di preghiera. Nel dare la Santa Comunione il sacerdote dice: “Possa il corpo di nostro Signore Gesù Cristo custodire la tua anima alla vita eterna”. Nel dare il Viatico santo dice: “Ricevi, fratello (o sorella), il Viatico del corpo di Nostro Signore Gesù Cristo, che ti proteggerà dal nemico malvagio e ti guiderà nella vita eterna”.

D. 909. Quando siamo obbligati a ricevere la santa Comunione?

R. Siamo tenuti a ricevere la Santa Comunione, sotto pena di peccato mortale, durante il tempo pasquale e in pericolo di morte.

D. 910. È bene ricevere spesso la Santa Comunione?

R. È bene ricevere spesso la Santa Comunione, poiché nulla è più di aiuto per una vita santa che ricevere spesso l’Autore di ogni grazia e la Sorgente di ogni bene.

D. 911. Come sapremo quanto spesso dovremmo ricevere la Santa Comunione?

R. Sapremo quanto spesso ricevere la Santa Comunione solo dal consiglio del nostro confessore, dal quale dobbiamo essere guidati e a cui dobbiamo obbedire rigorosamente in questo, come in tutte le questioni riguardanti lo stato della nostra anima.

D. 912. Che cos’è una comunione spirituale?

R. Una comunione spirituale è un desiderio sincero di ricevere la Comunione nella realtà, con il quale desideriamo fare tutti i preparativi ed i ringraziamenti che faremmo nel caso in cui davvero ricevessimo la Santa Eucaristia. La Comunione spirituale è un atto di devozione che deve essere gradito a Dio e portarci benedizioni da Lui.

D. 913. Cosa dovremmo fare dopo la santa Comunione?

R. Dopo la santa Comunione, dovremmo passare un po’ di tempo ad adorare Nostro Signore, ringraziandolo per la grazia che abbiamo ricevuto e chiedendogli le benedizioni di cui abbiamo bisogno.

D. 914. Che tempo dovremmo dedicare al ringraziamento dopo la santa Comunione?

R. Dovremmo dedicare un tempo sufficiente al Ringraziamento dopo la Santa Comunione per mostrare la dovuta riverenza al Santissimo Sacramento, poiché Nostro Signore è personalmente con noi finché rimane l’aspetto del pane e del vino.

D. 915. Che cosa dovremmo essere in particolare riguardo alla ricezione della Santa Comunione?

R. Quando riceviamo la santa Comunione, dovremmo essere particolarmente:

1.  Rispettosi nel modo con cui ci avviciniamo e allontaniamo dall’altare;
2. Curati nel nostro aspetto personale, in particolare nella decenza e pulizia;
3. Pronti nell’alzare la testa, aprire la bocca e sporgere in avanti la lingua nella maniera corretta;
4. Cauti nell’ingoiare l’Ostia Sacra;
5. Attenti a muovere con cura con la lingua, nel caso in cui dovesse aderire alla bocca, senza mai usare le dita per nessuna circostanza.

LEZIONE 24 – SUL SACRIFICIO DELLA MESSA

D. 916. Quando e dove il pane e il vino sono cambiati nel corpo e nel sangue di Cristo?

R. Il pane e il vino sono cambiati nel corpo e nel sangue di Cristo alla Consacrazione nella Messa.

D. 917. Che cos’è la Messa?

R. La Messa è il Sacrificio incruento del corpo e del sangue di Cristo.

D. 918. Perché questo Sacrificio è chiamato la Messa?

  1. Questo Sacrificio è chiamato la “Messa” molto probabilmente dalle parole “Ite Missa est”, usato dal Sacerdote mentre dice alla gente di partire quando il Santo Sacrificio è finito.

D. 919. Che cos’è un Sacrificio?

R. Un sacrificio è l’offerta di un oggetto da parte di un sacerdote a Dio solo e il consumo di esso per riconoscere che Egli è il Creatore e il Signore di tutte le cose.

D. 920. La Messa è lo stesso Sacrificio di quello della Croce?

R. La Messa è lo stesso Sacrificio di quello della Croce.

D. 921. In che modo la Messa è lo stesso Sacrificio di quella della Croce?

R. La Messa è lo stesso Sacrificio di quello della Croce perché l’Offerta e il Sacerdote sono uguali: Cristo nostro Signore benedetto; e i fini per i quali viene offerto il Sacrificio della Messa sono gli stessi di quelli del Sacrificio della Croce.

D. 922. Quali furono i fini per i quali fu offerto il Sacrificio della Croce?

R. I fini per cui fu offerto il Sacrificio della Croce erano:

– Onorare e glorificare Dio;

– Ringraziarlo di tutte le grazie conferite al mondo intero;

– Soddisfare la giustizia di Dio per i peccati degli uomini;

– Ottenere tutte le grazie e le benedizioni.

D. 923. Come vengono distribuiti i frutti della Messa?

R. I frutti della Messa sono così distribuiti:

– Il primo beneficio è conferito al Sacerdote che dice la Messa;

– Il secondo alla persona per la quale viene detta la Messa, o per l’intenzione per la quale è detta;

– Il terzo a coloro che sono presenti alla Messa, in particolare a coloro che la servono e

– Il quarto a tutti i fedeli che sono in comunione con la Chiesa.

D. 924. Tutte le Messe hanno lo stesso valore in se stesse o differiscono in valore?

R. Tutte le Messe sono di valore uguale in sé e non differiscono nel valore, ma solo nella solennità con cui sono celebrate o al fine per il quale sono offerte.

D. 925. Come sono distinte le Messe?

R. Le Messe si distinguono così:
R. 1. Quando la Messa viene cantata da un Vescovo, coadiuvato da un diacono e da un Sub-diacono, viene chiamata Messa pontificale;

2. Quando viene cantata da un Sacerdote, coadiuvato da un diacono e da un sub-diacono, si chiama Messa solenne;

3. Quando viene cantata da un Sacerdote senza diacono e sub-diacono, si chiama Missa Cantata o Messa alta;

4. Quando la Messa viene letta solo a toni bassi, viene chiamata Messa bassa o privata.

D 926. Per quale fine o intenzione si può offrire la Messa?

R. La Messa può essere offerta per ogni fine o intenzione che tende all’onore e alla gloria di Dio, al bene della Chiesa o al benessere dell’uomo; ma mai per qualsiasi oggetto che sia cattivo in sé o nei suoi scopi; né può essere offerta pubblicamente a persone che non sono membri della vera Chiesa.

D. 927. Cosa si intende per Messa da Requiem, Messa Nunziale e Messa Votiva.

R. Una Messa da Requiem è detta con paramenti neri e con preghiere speciali per i defunti. Si celebra una Messa nuziale nel matrimonio di due Cattolici e ha preghiere speciali a il loro beneficio. Una Messa votiva è detta in onore di qualche particolare mistero o Santo, in un giorno non separato dalla Chiesa per l’onore di quel mistero o santo.

D. 928. Da che cosa possiamo conoscere che dobbiamo offrire il Sacrificio con il Sacerdote?

R. Potremmo conoscere che dobbiamo offrire il Sacrificio Sacro con il Sacerdote dalle parole usate nella Messa stessa; poiché il Sacerdote, dopo aver offerto il pane e il vino per il Sacrificio, si rivolge alla gente e dice: “Orate Fratres”, ecc., che significa: “Pregate, fratelli, che il mio sacrificio e il vostro possano sia gradito a Dio Padre Onnipotente “, e il servente risponde, a nome nostro: “Possa il Signore ricevere il Sacrificio dalle tue mani a lode e gloria del suo Nome, a nostro beneficio e a quello di tutta la sua santa Chiesa “.

D. 929. Da che cosa è nata l’usanza di fare un’offerta al Sacerdote per aver detto la Messa?

R. La consuetudine di fare un’offerta al Sacerdote per aver detto la Messa è nata dalla vecchia usanza di portare al Sacerdote il pane e il vino necessari per la celebrazione della Messa.

D. 930. Non è forse simonia, o acquisto di una cosa sacra, dare denaro al Sacerdote perché dica Messa per la propria intenzione?

R. No, Non è simonia, o acquisto di una cosa sacra, l’offrire denaro al Sacerdote per dire Messa per la nostra intenzione, perché il Sacerdote non prende i soldi per la Messa stessa, ma solo allo scopo di fornire le cose necessarie alla Messa e per il suo sostentamento.

D. 931. C’è qualche differenza tra il Sacrificio della Croce e il Sacrificio della Messa?

R. Sì; il modo in cui viene offerto il Sacrificio è diverso. Sulla croce Cristo ha veramente versato il suo sangue ed è stato veramente ucciso; nella Messa non c’è vero spargimento di sangue né vera morte, perché Cristo non può più morire; ma il Sacrificio della Messa, mediante la consacrazione separata del pane e del vino, rappresenta la sua morte in croce.

D. 932. Quali sono le parti principali della Messa?

R. Le parti principali della Messa sono:

1. L’Offertorio, in cui i Sacerdoti offrono a Dio il pane e il vino da cambiare alla Consacrazione;

2. La Consacrazione, in cui la sostanza del pane e del vino sono cambiati nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo;

3. La Comunione, in cui il Sacerdote riceve nel proprio corpo la santa Eucaristia sotto Le specie del pane e del vino.

D. 933. In quale parte della Messa si svolge l’Offertorio, e quali parti della Messa lo precedono?

D. L’Offertorio si svolge immediatamente dopo la scoperta del calice. Le parti della Messa che lo precedono: L’introito, Kyrie, Gloria, Preghiere, Epistola, Vangelo e Credo. L’introito, le preghiere, l’epistola e il Vangelo variano per ogni Messa in coincidenza della festa celebrata.

D. 934. Qual è la parte della Messa, in cui si dicono le Parole della Consacrazione?

R. La parte della Messa in cui si dicono le parole della Consacrazione è chiamata Canone. Questa è la parte più solenne della Messa, ed è solo raramente e leggermente modificata in ogni Messa.

D 935. Cosa segue la Comunione alla Messa?

R. Dopo la Comunione della Messa, ci sono le preghiere di ringraziamento, la benedizione del popolo e la lettura dell’ultimo Vangelo.

D. 936. Quali cose sono necessarie per la Messa?

R. Le cose necessarie per la Messa sono:

1. Un altare ricoperto con teli di lino, le candele, il crocifisso, la pietra d’altare e il Messale;

2. Un calice con tutto il necessario per il suo uso e pane di farina di grano e vino d’uva;

3. Paramenti per il sacerdote, e

4. Un accolito o un servente.

D. 937. Cos’è la pietra d’altare e cosa ci ricorda?

R. La pietra dell’altare è quella parte dell’altare su cui il Sacerdote posa il Calice durante la Messa. Questa pietra contiene alcune sacre reliquie sigillate in esso dal Vescovo, e se l’altare è di legno, questa pietra viene inserita proprio davanti al Tabernacolo. La pietra d’altare ci ricorda la storia antica della Chiesa, quando le tombe dei Martiri venivano usate come altari dai cristiani perseguitati.

D. 938. Quale lezione traiamo dalla pratica dell’uso antico di usare le tombe dei martiri per gli altari?

R. Dalla pratica di usare le tombe dei martiri per gli altari, impariamo le difficoltà, le sofferenze ed i pericoli che i primi Cristiani subirono volontariamente per il piacere di ascoltare la Messa. Poiché la Messa è la stessa ora come allora, dovremmo sopportare ogni inconveniente piuttosto che essere assenti dalla Messa la Domenica o nei giorni festivi.

D. 939. Quali cose vengono usate con il calice durante la Messa?

R. Le cose usate con il calice durante la Messa sono:

– Il purificatoio o panno per pulirne l’interno;

– La patena o piccola lastra d’argento, utilizzata nella manipolazione dell’ostia;

– La palla, o carta bianca, usata per coprire il calice alla Messa;

– Il panno corporale o di lino su cui poggiano il calice e l’ostia.

D. 940. Che cos’è l’ostia?

R. L’ostia è il nome dato alla sottile fetta di pane usata alla Messa. Questo nome viene generalmente applicato, prima e dopo la Consacrazione, alla grande particola di pane usata dal Sacerdote, sebbene le piccole particole date al popolo siano anch’esse chiamate con lo stesso nome

D. 941. Grandi e piccole ostie sono consacrate durante ogni Messa?

R. Una grande ostia è consacrata ad ogni Messa, ma le piccole ostie sono consacrate solo in alcune Messe per poter essere date al popolo, o collocarle nel Tabernacolo, per la Santa Comunione dei fedeli.

D. 942. Quali paramenti utilizza il sacerdote durante la Messa e che cosa significano?

R. I paramenti usati dal sacerdote durante la Messa sono:

1. L’Amitto, un panno bianco attorno alle spalle per indicare la resistenza alla tentazione;

2. L’alba, una lunga veste bianca a significare l’innocenza;

3. La Cintura, una corda attorno alla vita, per indicare la castità;

4. Il Manipolo, o paramento appeso al braccio sinistro, a significare la penitenza;

5. La Stola o lungo paramento sul collo, per indicare l’immortalità;

6. La Casula, o paramento lungo su tutto il corpo, per significare l’amore e ricordare al Sacerdote, con la sua croce davanti e dietro, la Passione di Nostro Signore.

D. 943. Quanti colori di paramenti sono usati e cosa significano i colori?

R. Sono usati cinque colori di paramenti, cioè il bianco, il rosso, il verde, il viola o violaceo e il nero. Il bianco significa innocenza, e viene usato per le feste di Nostro Signore Benedetto, della Beata Vergine e di alcuni Santi. Il rosso significa amore, ed è usato nelle feste dello Spirito Santo e dei Martiri. Il Verde significa speranza ed è generalmente usato dalla domenica dall’Epifania a Pentecoste. Viola significa penitenza ed è usato in Quaresima e in Avvento. Il nero significa dolore, ed è usato il Venerdì Santo e nelle Messe per i defunti. L’oro è spesso usato in sostituzione del bianco in occasione di grandi feste.

D. 944. Che cos’è il Tabernacolo e cos’è il Ciborio?

R. Il Tabernacolo è la parte a forma di casa dell’altare, dove sono custoditi i vasi sacri contenenti il ​​Santissimo Sacramento. Il Ciborio è il grande vaso d’argento o d’oro che contiene il Santissimo Sacramento mentre si trova nel Tabernacolo e dal quale il Sacerdote dà la Santa Comunione al popolo.

D. 945. Che cos’è l’Ostensorio?

R. L’Ostensorio è un bellissimo recipiente a forma di ruota in cui il Santissimo Sacramento è esposto e custodito durante la Benedizione.

D. 946. Come dovremmo assistere alla Messa?

R. Dobbiamo assistere alla Messa con un grande raccoglimento interiore e pietà e con ogni segno esteriore di rispetto e devozione.

D. 947. Qual è il modo migliore di ascoltare la Messa?

R. Il modo migliore di ascoltare la Messa è quello di offrirla a Dio con il Sacerdote per lo stesso scopo per cui è detta, per meditare sulle sofferenze e la morte di Cristo e per andare alla Santa Comunione.

D. 948. Che cosa è importante per l’ascolto corretto e rispettoso della Messa?

R. Per l’ascolto corretto e rispettoso della Messa è importante essere al nostro posto prima che il Sacerdote arrivi all’altare e non lasciarlo prima che il Sacerdote lasci l’altare. In questo modo evitiamo la confusione e la distrazione causate dall’arrivo tardivo e dall’abbandono prematuro. Si dovrebbe evitare con molta attenzione lo stare sulle porte bloccando i passaggi, il discutendo negli spazi, per rispetto del Santo Sacrificio.

D. 949. Che cos’è la Benedizione del Santissimo Sacramento e quali paramenti vi si usano?

R. La benedizione del Santissimo Sacramento è un atto di adorazione divina in cui il Santissimo Sacramento, posto nell’ostensorio, è esposto per l’adorazione del popolo e viene innalzato per benedirlo. I paramenti usati per la benedizione sono: un grande mantello di seta e un velo omerale o da spalla.

D. 950. Perché il Sacerdote indossa paramenti speciali ed usa certe cerimonie mentre svolge le sacre funzioni?

R. Il sacerdote indossa paramenti speciali e usa certe cerimonie mentre svolge i suoi sacri doveri:

1. Per dare maggiore solennità e richiedere maggiore attenzione e rispetto al culto divino;

2. Per istruire le persone nelle cose che significano questi paramenti e tali cerimonie;

3. Per ricordare al Sacerdote stesso l’importanza e il carattere sacro della funzione nella quale è il rappresentante di Nostro Signore. Quindi dovremmo imparare il significato delle cerimonie della Chiesa.

D. 951. Come dimostriamo che le cerimonie della Chiesa siano ragionevoli e corrette?

R. Dimostriamo che le cerimonie della Chiesa siano ragionevoli e appropriate, dal fatto che tutte le persone con autorità, governanti, giudici o maestri, richiedono determinati atti di rispetto dai loro sudditi, e siccome sappiamo che Nostro Signore è presente sull’altare, la Chiesa richiede determinati atti di riverenza e di rispetto per i servizi che si tengono in Suo onore e alla Sua presenza.

D. 952. Ci sono altri motivi per l’uso delle cerimonie?

R. Ci sono altri motivi per l’uso delle cerimonie:

– – Dio ordinò che le cerimonie venissero usate nella vecchia legge, e

– Il Signore stesso ha fatto uso di cerimonie nell’eseguire alcuni dei suoi miracoli.

D. 953. Come sono denominate le persone che prendono parte ad una Messa solenne o ai Vespri?

R. Le persone che prendono parte ad una Messa solenne o ai Vespri sono così denominate: Il Sacerdote che dice o celebra la Messa, è chiamato il celebrante; quelli che lo assistono, come diacono e il sub-diacono, sono chiamati ministri; quelli che servono sono chiamati accoliti, e colui che dirige le cerimonie è chiamato: maestro delle cerimonie. Se il celebrante è un Vescovo, la Messa o i Vespri sono chiamati: Messa pontificale o vespri pontificali.

D. 954. Che cosa sono i Vespri?

R. I Vespri sono una parte dell’Ufficio Divino o preghiera quotidiana della Chiesa. È cantato in genere nelle Chiese, la domenica pomeriggio o la sera, e di solito è seguito dalla Benedizione del Santissimo Sacramento.

D. 955. Si può soddisfare il precetto, avendo trascurato la Messa la domenica, con l’ascoltare i vespri lo stesso giorno?

R. No, avendo trascurato la Messa la Domenica, non si soddisfa il precetto ascoltando i vespri lo stesso giorno, perché non c’è nessuna legge della Chiesa che ci obblighi, sotto pena di peccato, a partecipare ai Vespri, mentre c’è una legge che ci obbliga, sotto pena di peccato mortale, a sentire la Messa.

LEZIONE 25 –

SULLA ESTREMA UNZIONE E GLI SACRI ORDINI

D. 956. Cos’è il Sacramento dell’Estrema Unzione?

R. L’Estrema unzione è il Sacramento che, attraverso l’unzione e la preghiera del sacerdote, dà salute e forza all’anima, e a volte al corpo, quando siamo in pericolo di morte per malattia.

D. 957. Perché questo Sacramento è chiamato Estrema Unzione?

R. “Estrema” significa ultima, e “Unzione” significa unzione o strofinamento con olio, e poiché i Cattolici sono unti con olio al Battesimo, alla Confermazione e agli Ordini Sacri, l’ultimo Sacramento in cui viene usato l’olio è chiamato appunto Estrema Unzione, o l’ultima Unzione o unzione dell’infermo.

D. 958. Questo Sacramento è chiamato sempre Estrema Unzione, anche se la persona si riprende dopo averla ricevuta?

R. Questo Sacramento è sempre chiamato Estrema Unzione, anche se deve essere dato più volte alla stessa persona, poiché Estrema Unzion è il nome proprio del Sacramento, e può essere dato ogni volta che una persona si riprenda da un attacco morboso, ed è nuovamente in pericolo di morte per altro evento. In una malattia persistente può essere ripetuta dopo un mese o sei settimane, se la persona recupera leggermente e ricade nuovamente in una condizione di pericolo.

D. 959. A chi può essere data Estrema Unzione?

R. L’estrema unzione può essere data a tutti i Cristiani gravemente malati, che siano state in grado di commettere peccato dopo il Battesimo e che abbiano le giuste disposizioni per il Sacramento. Quindi non viene mai dato ai bambini che non hanno raggiunto l’uso della ragione, né alle persone che sono sempre state dementi.

D. 960. Quali sono le giuste disposizioni per L’Estrema Unzione?

R. Le giuste disposizioni per l’Estrema Unzione sono:

– La rassegnazione alla Volontà di Dio nei riguardo della nostra guarigione;

– Uno stato di grazia o almeno una contrizione per i peccati commessi,

– L’intenzione o un desiderio generale di ricevere il Sacramento. Questo Sacramento non viene mai dato agli eretici in pericolo di morte, perché non si può supporre che abbiano l’intenzione necessaria per riceverlo, né il desiderio di utilizzare il Sacramento della Penitenza mettendosi in uno stato di grazia.

D. 961. Quando e da chi è stata istituita l’Estrema Unzione?

R. L’Estrema Unzione fu istituita al tempo degli Apostoli, perché Giacomo l’Apostolo esorta i malati a riceverlo. Fu istituito da Nostro Signore stesso – sebbene non sappiamo in quale momento particolare – poiché solo Lui può rendere un atto visibile, mezzo di grazia, e gli Apostoli e i loro successori non avrebbero mai potuto ritenere che l’Unzione estrema fosse un Sacramento, usandolo in quanto tale, se non avessero avuto l’autorità nel farlo, da Nostro Signore.

D. 962. Quando dovremmo ricevere l’Estrema Unzione?

R. Dovremmo ricevere l’Estrema Unzione in pericolo di morte per malattia, per ferite o incidenti.

D. 963. Quali parti del corpo sono unte Nell’Estrema Unzione?

R. Le parti del corpo unte nell’Estrema Unzione sono: gli occhi, le orecchie, il naso o le narici, le labbra, le mani e i piedi, perché rappresentano i nostri sensi della vista, dell’udito, dell’olfatto, del gusto e del tatto, che sono i mezzi attraverso i quali abbiamo commesso la maggior parte dei nostri peccati.

D. 964. Quali cose dovrebbero essere preparate nella stanza del malato quando il Sacerdote viene a dare gli ultimi Sacramenti?

R. Quando il Sacerdote viene a portare gli ultimi Sacramenti, devono essere preparate le seguenti cose: una tavola coperta con un panno bianco; un crocifisso; due candele accese in candelabri; l’acqua santa in una bacinella, con un rametto di palma per aspergere; un bicchiere di acqua pulita; un cucchiaio, un tovagliolo o un panno, da porre sotto il mento di colui che riceve il viatico. Oltre a questi, se si deve dare anche l’Estrema Unzione, ci dovrebbe essere del cotone e un pezzetto di pane o limone per purificare le dita del Sacerdote.

D. 965. Che cosa sembra essere più appropriato circa le cose necessarie per gli ultimi Sacramenti?

R. Sembra molto appropriato che le cose necessarie per gli ultimi Sacramenti, vadano accuratamente custodite in ogni famiglia Cattolica e non dovrebbero mai, se possibile, essere utilizzate per nessun altro scopo.

D. 966. Che altro si deve osservare sulla preparazione per la amministrazione degli ultimi Sacramenti?

R. L’ulteriore preparazione per l’amministrazione degli ultimi Sacramenti richiede che, per rispetto dei Sacramenti stessi, ed in particolare per la presenza di Nostro Signore, tutto ciò che riguarda la stanza del malato, l’ammalato e anche gli astanti, dovrebbero essere resi decenti e il più pulito possibile. Soprattutto il volto, le mani e i piedi di chi deve essere unto, che siano perfettamente puliti.

D 967. Dovremmo aspettare fino a quando siamo in grave pericolo, per ricevere l’estrema unzione?

R. Non dovremmo aspettare di essere in estremo pericolo per ricevere l’Estrema Unzione, ma se possibile dovremmo riceverla quando ancora abbiamo l’uso dei nostri sensi.

D. 968. Che cosa dovremmo fare in caso di malattia grave se l’ammalato non acconsente o ha paura di ricevere i Sacramenti o, almeno, desidera rimandare la loro ricezione?

R. In caso di malattia grave, se il malato non acconsente, o ha paura di ricevere i Sacramenti, o almeno, desidera rinviare la loro ricezione, dovremmo interpellare subito il Sacerdote e lasciargli fare ciò che pensa sia meglio fare nel caso, e così ci libereremo dalla responsabilità di lasciare morire un Cattolico senza gli ultimi Sacramenti.

D. 969. Quali sono gli effetti del Sacramento dell’estrema unzione?

R. Gli effetti di Estrema Unzione sono:

– Confortarci nelle pene della malattia e rafforzarci dalle tentazioni;

– Rimettere i peccati veniali e purificare la nostra anima dai resti del peccato;

– Rimetterci in salute, qualora Dio lo ritenga opportuno.

D. 970. L’Estrema Unzione toglierà il peccato mortale se la persona morente non è più in grado di confessarsi?

R. L’Estrema Unzione toglierà il peccato mortale se il morente non è più in grado di confessarsi, purché abbia per i suoi peccati lo stesso dispiacere che sarebbe necessario per la degna recezione del Sacramento della Penitenza.

D. 971. Come sappiamo che questo Sacramento, più di ogni altro, sia stato istituito a beneficio del corpo?

R. 1. Sappiamo che questo Sacramento sia stato istituito più di ogni altro a beneficio del corpo:
1. Dalle parole di San Giacomo che ci esorta a riceverlo;

– Esso viene dato quando l’anima è già purificata dalle grazie della Penitenza e del santo Viatico;

– Uno dei suoi principali scopi è quello di riportarci alla salute se questa è necessaria al nostro bene spirituale, come indicano la maggior parte delle preghiere dette nel dare questo Sacramento.

D. 972. Dato che l’estrema unzione può riportarci in salute, non dovremmo essere noi contenti di riceverlo?

R. Dal momento che l’estrema unzione può riportarci in salute. dovremmo essere contenti di riceverlo, e non dovremmo ritardare la sua ricezione fino ad essere così vicini alla morte tanto che Dio possa risollevarci solo per miracolo. Ancora, questo Sacramento, come gli altri, conferisce la Grazia santificante e sacramentale, che dovremmo essere desiderosi di ottenere non appena la nostra malattia sia migliorata tanto da darci il privilegio di ricevere gli ultimi Sacramenti.

D. 973. Che cosa intendi per “resti” del peccato?

R. Per “resti” del peccato intendiamo l’inclinazione al male e la debolezza della volontà, che sono il risultato dei nostri peccati e che rimangono anche dopo che i nostri peccati siano stati perdonati.

D. 974. Come dovremmo ricevere il Sacramento dell’Estrema Unzione?

R. Dovremmo ricevere il Sacramento dell’Estrema Unzione nello stato di grazia, con viva fede e rassegnazione alla volontà di Dio.

D. 975. Chi è il ministro del Sacramento dell’Estrema Unzione?

R. Il ministro del Sacramento dell’Estrema Unzione. è il Sacerdote

D. 976. Qual preparazione finale dovremmo fare per ricevere gli ultimi Sacramenti?

R. La preparazione finale che dovremmo fare per ricevere gli ultimi Sacramenti consiste in uno sforzo sincero di rassegnazione alla Santa Volontà di Dio, nell’eccitarci al vero dolore per i nostri peccati, approfittare delle grazie che ci vengono date, cacciare dalla mente i pensieri del mondo e disporci, come meglio possiamo, alla degna ricezione dei Sacramenti e delle benedizioni per una buona morte.

D. 977. In qual momento le persone gravemente ammalate dovrebbero procedere alla sistemazione finale dei loro affari temporali o mondani?

R. Le persone gravemente ammalate dovrebbero procedere alla sistemazione finale dei loro affari temporali o mondani, proprio all’inizio della loro malattia, affinché queste cose non possano distrarli nell’ora della morte, per cui possano dedicare interamente le ultime ore della loro vita alla cura della loro anima.

D. 978. Cos’è il Sacramento degli Ordini Sacri?

R. Gli Ordini Sacri sono un Sacramento con il quale Vescovi, Sacerdoti e altri Ministri della Chiesa, sono ordinati. ricevondo il potere e la grazia per compiere i loro sacri doveri.

D. 979. Oltre ai Vescovi e ai Sacerdoti, chi sono gli altri Ministri della Chiesa?

R. Oltre ai Vescovi e ai Sacerdoti, gli altri Ministri della Chiesa sono i diaconi ed i suddiaconi, che, nel prepararsi al sacerdozio, hanno ricevuto alcuni degli Ordini Sacri, ma a cui non è stata ancora conferita la pienezza dei poteri del Sacerdote.

D. 980. Perché questo Sacramento si chiama Ordine Sacro?

R. Questo Sacramento è chiamato Ordine Sacro, perché è conferito attraverso sette diversi gradi o passi che si susseguono in un ordine fisso, in base al quale i sacri poteri del Sacerdozio vengono gradualmente conferiti a chi viene ammesso in quello stato di santità.

D. 981. Quali sono i gradi in base ai quali si giunge al Sacerdozio?

– I gradi con cui si ascende al Sacerdozio sono:

– La tonsura, o taglio dei capelli da parte del Vescovo, con cui il candidato al Sacerdozio si dedica al servizio dell’altare;

– I quattro ordini minori sono: Ostariato, Lettorato, Esorcistato e Accolitato, con cui si è autorizzato a svolgere determinati compiti che i laici non dovrebbero svolgere;

– Con il sub-diaconato, ci si assume l’obbligo di condurre una vita di perpetua castità e di dire ogni giorno l’Ufficio Divino;

– Il diaconato, mediante il quale si ricevere potere di predicare, battezzare e dare la santa Comunione. Il successivo passo, il Sacerdozio, conferisce il potere di offrire il Santo Sacrificio della Messa e perdonare i peccati. Questi Ordini non sono tutti dati subito, ma sono fissati di volta in volta dalle leggi della Chiesa.

D. 982. I diversi ordini non sono separati come Sacramenti?

R. Questi diversi ordini non sono Sacramenti separati. Nell’insieme, alcuni costituiscono una preparazione per il Sacramento, gli altri sono solo l’unico Sacramento dell’Ordine; così come le radici, il tronco e i rami formano solo un unico albero.

D. 983. Quale nome viene dato al sub-diaconato, diaconato e Sacerdozio?

R. Sub-diaconato, diaconato e sacerdozio sono chiamati ordini maggiori o superiori, perché coloro che li ricevono sono destinati a vivere definitivamente al servizio dell’altare e non possono tornare al servizio del mondo, per vivere come laici ordinari.

D. 984. Quale doppio potere la Chiesa possiede e conferisce ai suoi Pastori?

R. La Chiesa possiede e conferisce ai suoi pastori, il potere dell’Ordini e il potere di Giurisdizione; cioè, il potere di amministrare i Sacramenti e santificare i fedeli, e il potere di insegnare e legiferare in modo da dirigere i fedeli al loro bene spirituale. Un Vescovo ha il pieno potere dell’Ordine e solo il Papa ha il pieno potere di Giurisdizione.

D. 985. Come si classificano i pastori della Chiesa secondo l’autorità?

– I pastori della Chiesa si classificano, secondo l’autorità, come segue:

– Sacerdoti, che governano le parrocchie o le congregazioni in nome del loro Vescovo;

– Vescovi, che governano un certo numero di parrocchie o diocesi;

– Arcivescovi, che hanno autorità su un certo numero di diocesi o su una provincia;

– Primati, che hanno autorità sulle province ecclesiastiche, su vasti territori o su una nazione;

– Patriarchi, che hanno autorità su un intero Paese;

– ultimo e più alto, il Papa, che governa la Chiesa in tutto il mondo.

D. 986. In che modo i prelati o gli ufficiali superiori della Chiesa hanno dignità?

  1. R. I prelati o le più alte cariche della Chiesa sono dignitari con rango di autorità che, oltre a coloro che hanno dignità di Cardinali, sono accanto al Papa; i Vicari apostolici, i Monsignori ed altri con diversi titoli, sono inferiori ai Vescovi. I delegati pontifici e quelli appositamente nominati dal Papa si classificano secondo i poteri che sono stati dati loro.

 D. 987. Chi sono i Cardinali, quali sono i loro doveri e come sono divisi?

R. I Cardinali sono i membri del Consiglio supremo o del Senato della Chiesa. Il loro dovere è quello di consigliare ed aiutare il Papa nel governo della Chiesa, di eleggere un nuovo Papa quando il Papa regnante muore. Essi sono divisi in comitati chiamati Sacre Congregazioni, ciascuna delle quali ha il suo particolare lavoro da eseguire. Tutte queste Congregazioni prese nell’insieme sono chiamate “Sacro Collegio dei Cardinali”, il cui numero totale è settanta.

D. 988. Cos’è un Monsignore?

R. Un Monsignore è un degno sacerdote al quale il Papa conferisce tale titolo come segno di stima. Questo titolo conferisce certi privilegi e il diritto di indossare la porpora come un Vescovo.

D. 989. Che cos’è un Vicario generale?

R. Un Vicario generale è una prelato nominato dal Vescovo per essere aiutato nel governo della sua diocesi. Egli condivide il potere del Vescovo e in sua assenza agisce come Vescovo, con la sua autorità.

D. 990. Che cos’è un abate?

R. L’abate è colui che esercita su di una comunità religiosa maschile, l’autorità simile in molte cose a quella esercitata da un Vescovo sulla sua diocesi. Ha anche alcuni privilegi generalmente concessi ai Vescovi.

  1. 991. Che cos’è il pallio?
  2. Il pallio è una veste di lana bianca indossata dal Papa e inviata da lui a Patriarchi, Primati e Arcivescovi. È il simbolo della pienezza del potere pastorale e ricorda a chi lo indossa il Buon Pastore, di cui deve seguire l’esempio.

D. 992. Che cosa è necessario per ricevere degnamente gli ordini sacri?

R. Per ricevere degnamente gli Ordini sacri è necessario essere nello stato di grazia, avere la conoscenza necessaria e una “chiamata” divina a questo sacro ufficio.

D. 993. Quale nome viene dato a questa “chiamata” divina e come possiamo conoscere questa chiamata?

R. Questa chiamata divina è chiamata vocazione alla vita sacerdotale o religiosa. Possiamo riconoscerla dalla nostra costante inclinazione ad una vita votata al puro e santo motivo di servire Dio come meglio, insieme alla nostra idoneità ad essa, o, almeno, nella nostra capacità di prepararci, ad una vera pietà e al dominio sulle nostre passioni peccaminose e desideri illeciti.

D. 994. Come dovremmo determinare finalmente la nostra vocazione?

R. Dovremmo finalmente determinare la nostra vocazione:

(1) Conducendo la vita più santa che possiamo, per essere degni di essa;

(2) Pregando lo Spirito Santo che ci dia luce sull’argomento;

(3) Cercando il consiglio di persone sante e prudenti e soprattutto del nostro confessore.

D. 995. Che cosa dovrebbero pensare i genitori ed i tutori per quanto riguarda le vocazioni dei loro figli?

R. I genitori e i tutori dovrebbero tenere a mente per le vocazioni dei loro figli:

– Che è loro dovere aiutare i figli a scoprire la loro vocazione;

– È peccaminoso resistere alla Volontà di Dio, cercando di allontanare i figli dalla vera vocazione o impedire di seguirla ponendo ostacoli sulla loro strada e, peggio ancora, di spingerli ad entrare in un stato di vita al quale non siano stati chiamati divinamente;

– Che nel dare il loro consiglio debbano essere guidati solo dal futuro bene e dalla felicità dei loro figli e non da alcun movente egoistico né mondano che possa condurre alla perdita dell’anima.

D. – 996. Come i Cristiani dovrebbero considerare i Sacerdoti della Chiesa?

– I Cristiani dovrebbero considerare i Sacerdoti della Chiesa come messaggeri di Dio e dispensatori dei Suoi misteri.

D. 997. Come sappiamo che i Sacerdoti della Chiesa sono i messaggeri di Dio?

– Sappiamo che i Sacerdoti della Chiesa sono i messaggeri di Dio, perché Cristo ha detto ai suoi Apostoli, e attraverso di loro ai loro successori: “Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi”; vale a dire, predicare la vera religione, amministrare i Sacramenti, offrire Sacrifici e fare ogni sorta di bene per la salvezza delle anime.

D. 998. Quando i Sacerdoti della Chiesa hanno ricevuto questo triplice potere di predicare, perdonare i peccati e consacrare il pane e il vino?

R. I Sacerdoti della Chiesa hanno ricevuto questo triplice potere di predicare, perdonare i peccati e consacrare il pane e il vino, quando Cristo disse loro, attraverso gli Apostoli: “… insegnate a tutte le nazioni”; “… a chi perdonerete i peccati, saranno perdonati” e “… fate questo in commemorazione di Me”.

D. 999. Perché dovremmo mostrare grande rispetto per i Sacerdoti e i Vescovi della Chiesa?

R. Dovremmo mostrare grande rispetto per i Sacerdoti e i Vescovi della Chiesa:

– Perché sono i rappresentanti di Cristo sulla terra, e

– Perché amministrano i Sacramenti senza i quali non possiamo essere salvati. Pertanto, dovremmo essere più attenti in ciò che facciamo, diciamo o pensiamo riguardo ai ministri di Dio. Per mostrare il nostro rispetto in proporzione alla loro dignità, rivolgiamoci al sacerdote con “Reverendo”, al Vescovo con “Reverendissimo”, all’Arcivescovo con “Reverendissimo”, e al Papa con “Santo Padre”.

D. 1000. Dovremmo fare anche qualcosa di più che rispettare semplicemente i ministri di Dio?

R. Dovremmo fare di più che rispettare semplicemente i ministri di Dio. Dovremmo pregare seriamente e frequentemente per loro, affinché possano essere messi in grado di svolgere i compiti difficili e importanti del loro santo stato in modo gradito a Dio.

D. 1001. Chi può conferire il Sacramento degli ordini sacri?

R. I Vescovi possono conferire il Sacramento dell’Ordine.

D. 1002. Come sappiamo che esiste un vero sacerdozio nella Chiesa?

– Sappiamo che esiste un vero sacerdozio nella Chiesa:

– Perché nella religione ebraica, che era solo una figura della Religione cristiana, esisteva un vero sacerdozio stabilito da Dio;

– Perché Cristo ha conferito ai suoi Apostoli e non a tutti i fedeli, il potere di offrire Sacrifici, distribuire la santa Eucaristia e perdonare i peccati.

D. 1003. Ma – c’è bisogno di uno speciale Sacramento dell’Ordine per conferire questi poteri?

R. C’è bisogno di uno speciale Sacramento dell’Ordine per conferire questi poteri:

– Perché il Sacerdozio che deve continuare il lavoro degli Apostoli deve essere visibile nella Chiesa, e deve quindi essere conferito da qualche cerimonia visibile o segno esteriore;

– Poiché questo segno esteriore chiamato Ordine Santo non dà solo il potere ma pure la grazia, e fu istituito da Gesù Cristo, gli Ordini Sacri devono essere un Sacramento.

D. 1004. I Vescovi, i Sacerdoti e gli altri Ministri della Chiesa possono sempre esercitare il potere che hanno ricevuto negli Ordini Sacri?

R. I Vescovi, i Sacerdoti e gli altri Ministri della Chiesa non possono esercitare il potere che hanno ricevuto negli Ordini sacri se non autorizzati ed inviati dai loro legittimi superiori. Il potere non può mai essere autonomamente assunto da essi, perché il diritto di usarlo potrebbe essere ritirato per cause stabilite nelle leggi della Chiesa, o per le ragioni che meglio sembrano a chi ha autorità su di loro. Qualsiasi uso del Potere Sacro senza autorità è peccato, e tutti coloro che prendono parte a tali cerimonie, sono colpevoli di peccato.

 

 

 

CATECHISMO DI BALTIMORA (VII) – Lez. 20-22

CATECHISMO DI BALTIMORA (VII) – Lez. 20-22

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 20 –

SUL MODO DI FARE UNA BUONA CONFESSIONE

D. 825. Cosa dovremmo fare nell’entrare nel confessionale?

R. Entrando nel confessionale dovremmo inginocchiarci, fare il segno della croce e dire al sacerdote: “Benedicimi, padre”; quindi aggiungere: “Confesso a Dio Onnipotente è a te, padre, che ho peccato”.

D. 826. Quali sono le prime cose che dovremmo dire al sacerdote in Confessione?

R. Le prime cose che dovremmo dire al sacerdote in Confessione sono il tempo della nostra ultima Confessione, se abbiamo fatto la penitenza assegnata e se ci siamo accostati andati alla Santa Comunione.

D. 827. Dovremmo dire qualcos’altro riguardo alla nostra ultima confessione?

R. Riguardo alla nostra ultima confessione, dovremmo riferire anche quali restrizioni – se ce ne fossero – sono state da noi adottate in relazione alle nostre occasioni di peccato, e a quali obblighi abbiamo ottemperato in materia di pagamento di debiti, restituzione di roba, lesioni fatte a terzi e simili, obblighi che ci erano stati raccomandati.

D. 828. Dopo aver riferito circa il tempo della nostra ultima Confessione e Comunione cosa dovremmo fare?

R. Dopo aver riferito i tempi della nostra ultima Confessione e Comunione, dovremmo confessare tutti i peccati mortali commessi e tutti i peccati veniali che potremmo desiderare di menzionare.

D. 829. Che cos’è una Confessione generale?

R. Una Confessione generale è la narrazione dei peccati di tutta la nostra vita o di una gran parte di essa. È fatta allo stesso modo di una Confessione ordinaria, tranne che richiede più tempo e una più lunga preparazione.

D. 830. Quando dovrebbe essere fatta una confessione generale?

R. Una confessione generale:

1. È necessaria quando siamo certi che le nostre passate confessioni fossero cattive;
2. È utile in occasioni speciali nella nostra vita quando sta per verificarsi un cambiamento nel nostro modo di vivere;

3. Essa è dolorosa, e non deve essere fatta quando le persone sono eccessivamente scrupolose.

D. 831. Quali sono i segni di scrupoli e il rimedio contro di loro?

R. I segni dello scrupolo sono principalmente:

– Essere sempre insoddisfatti delle prorie Confessioni;

– Essere ostinati nel decidere ciò che sia peccaminoso e ciò che non lo sia. Il principale rimedio contro gli scrupoli, è seguire esattamente il consiglio del confessore senza mettere in dubbio le ragioni o l’utilità del suo consiglio.

D. 832. Che cosa dobbiamo fare quando il confessore ci fa delle domande?

R. Quando il confessore ci fa delle domande, dobbiamo rispondergli in modo veritiero e chiaro.

D. 833. Cosa dovremmo fare dopo aver detto i nostri peccati?

R. Dopo aver riferito i nostri peccati dovremmo ascoltare con attenzione il consiglio che il confessore ritenere più opportuno dare.

R. 834. Quali funzione svolge il Sacerdote nel confessionale?

R. Nel confessionale il Sacerdote svolge le funzioni:

– Di giudice, ascoltando le nostre auto-accuse ed emettendo sentenza sulla nostra colpevolezza o innocenza;

– Di padre, con il buon consiglio e l’incoraggiamento che ci dà;

– Di insegnante, con le sue istruzioni, e

– Di medico, scoprendo le afflizioni della nostra anima e dandoci i rimedi per ripristinare la salute spirituale.

D. 835. Perché è utile andare sempre, se possibile, dallo stesso confessore?

R. È utile andare sempre, se possibile, dallo stesso confessore, perché le nostre continue confessioni gli permettono di vedere più chiaramente il vero stato della nostra anima e di comprendere meglio le nostre occasioni di peccato.

D. 836. Dovremmo rimanere lontani dalla Confessione perché non possiamo andare dal nostro solito confessore?

R. Non dovremmo rimanere lontani dalla Confessione perché non possiamo andare al nostro solito confessore perché, anche se è bene confessarsi sempre dallo stesso Sacerdote, non è necessario farlo. Non si dovrebbe mai diventare così attaccati a un confessore al punto che la sua assenza o il grande inconveniente di andare da lui ogni volta, diventino una scusa per trascurare i Sacramenti.

D. 837. Come dovremmo concludere la nostra Confessione?

R. Dovremmo porre fine alla nostra Confessione dicendo: “Anch’io mi accuso di tutti i peccati della mia vita passata”, scegliendo uno o alcuni dei nostri peccati passati.

D. 838. Che cosa dovremmo fare mentre il Sacerdote ci sta dando l’assoluzione?

R. Mentre il Sacerdote ci sta dando l’assoluzione, dovremmo rinnovare nel nostro cuore l’atto di contrizione.

LEZIONE 21 –

SULLE INDULGENZE 

D. 839. Che cos’è un’indulgenza?

R. L’indulgenza è la remissione in toto o in parte della punizione temporale dovuta al peccato.

D. 840. Che cosa significa “indulgenza”?

R. La parola “indulgenza” significa un elargire un favore o una concessione. Un’indulgenza ottiene, con una leggera penitenza, la remissione delle pene che altrimenti sarebbero ben più gravi.

D. 841. L’indulgenza è un perdono del peccato o una licenza di commettere peccato?

R. Un’indulgenza non è un perdono del peccato, né una licenza di commettere peccato, e chi è in uno stato di peccato mortale, non può ottenere un’indulgenza.

D. 842. In che modo ci sono di vantaggio le buone opere fatte in uno stato di peccato mortale?

R. Le buone opere fatte in peccato mortale, ci sono di vantaggio nell’ottenerci la grazia di pentirci e talvolta delle benedizioni temporali. Il peccato mortale ci priva di tutti i nostri meriti, tuttavia Dio ci ricompenserà per ogni buona azione mentre ci punirà per ogni azione malvagia.

D. 843. Quanti tipi di indulgenze ci sono?

R. Esistono due tipi di Indulgenze: Plenaria e Parziale.

D. 844. Che cos’è l’indulgenza plenaria?

R. L’indulgenza plenaria è la piena remissione della pena temporale dovuta al peccato.

D. 845. È facile ottenere un’indulgenza plenaria?

R. Non è facile ottenere un’indulgenza plenaria, come possiamo capire dal suo grande privilegio. Per ottenere un’indulgenza plenaria, dobbiamo odiare il peccato, essere profondamente dispiaciuti anche per i nostri peccati veniali e non desiderare neppure il minimo peccato. Sebbene non possiamo guadagnare interamente ogni Indulgenza Plenaria che cerchiamo, ne otteniamo però sempre una parte; cioè, una indulgenza parziale, maggiore o minore in proporzione alle nostre buone disposizioni.

D. 846. Quali sono le più importanti indulgenze plenarie concesse dalla Chiesa?

R. Le più importanti indulgenze plenarie concesse dalla Chiesa sono:

– Le indulgenze di un giubileo che il Papa concede ogni venticinque anni o in grandi occasioni, con le quali conferisce speciali facoltà ai confessori per l’assoluzione pure dei peccati riservati;

– L’indulgenza concessa ai moribondi nella loro ultima agonia.

D. 847. Che cos’è un’indulgenza parziale?

R. Una indulgenza parziale è la remissione di parte della punizione temporale dovuta al peccato.

D. R. 848. Per quanto tempo è stata utilizzata la pratica della concessione delle Indulgenze nella Chiesa, e quale ne fu l’origine?

  1. La pratica della concessione delle Indulgenze è stata utilizzata nella Chiesa sin dai tempi degli Apostoli. Ha avuto la sua origine dalle preghiere sincere delle persone sante, e specialmente dei martiri che chiedono alla Chiesa, per il loro bene, di abbreviare le severe penitenze dei peccatori o di trasformarle in penitenze più leggere. La richiesta veniva spesso concessa e la penitenza rimessa, abbreviata o cambiata, e rimessa la penitenza, la pena temporale corrispondente veniva cancellata.

D. 849. Come dimostriamo che la Chiesa ha il potere di concedere le Indulgenze?

R. Dimostriamo che la Chiesa ha il potere di concedere le indulgenze, perché Cristo le ha dato il potere di rimettere tutta le colpe senza restrizioni, e se la Chiesa ha potere, nel Sacramento della Penitenza, di rimettere la pena eterna – che è il male più grande – deve avere il potere di evitare la pena temporale o diminuirla, anche al di fuori del Sacramento della Penitenza.

D. 850. Come sappiamo che queste Indulgenze hanno il loro effetto?

R. Sappiamo che queste Indulgenze hanno il loro effetto, perché la Chiesa, attraverso i suoi Concili, dichiara le Indulgenze utili; ma se non avessero alcun effetto, sarebbero inutili, e la Chiesa insegnerebbe l’errore nonostante la promessa di Cristo di guidarla.

D. 851. Sono mai esistiti degli abusi tra i fedeli nel modo di usare le indulgenze?

R. Sono esistiti, in epoche passate, alcuni abusi tra i fedeli nel modo di usare le Indulgenze, e la Chiesa ha sempre operato per correggere tali abusi il più presto possibile. Nell’uso delle pratiche pie dobbiamo infatti essere sempre guidati dai nostri superiori legittimi.

D. 852. In che modo i nemici della Chiesa si sono serviti dell’abuso delle Indulgenze?

R. I nemici della Chiesa si sono serviti dell’abuso delle Indulgenze per negare la dottrina delle Indulgenze, per abbatterne l’insegnamento e così limitare il potere della Chiesa. Per non essere ingannati in materia di fede, dobbiamo sempre distinguere molto attentamente tra gli abusi ai quali una devozione può condurre, e le verità su cui poggia la devozione.

D. 853. In che modo la Chiesa rimette, mediante le indulgenze, la pena temporale dovuta al peccato?

D. La Chiesa, mediante le indulgenze, rimette la pena temporale dovuta al peccato applicandoci i meriti di Gesù Cristo e le soddisfazioni sovrabbondanti della Beata Vergine Maria e dei Santi; e questi meriti e soddisfazioni sono il suo tesoro spirituale della Chiesa.

D. 854. Che cosa intendiamo per “soddisfazione sovrabbondante della Beata Vergine e dei Santi”?

R. Per “soddisfazione sovrabbondante della Beata Vergine e dei Santi”, intendiamo tutta la soddisfazione al di là di quella che era necessaria per soddisfare i propri peccati. Poiché le loro buone opere erano molte e i loro peccati pochi – la Vergine Benedetta anzi era senza peccato alcuno – la soddisfazione non necessaria per se stessi è ritenuta dalla Chiesa un tesoro spirituale da utilizzare per il nostro bene.

D. 855. La Chiesa, concedendo le indulgenze, ci esonera dal fare penitenza?

R. La Chiesa, concedendo le indulgenze, non ci esonera dal fare penitenza, ma semplicemente rende più lieve la penitenza per cui possiamo facilmente soddisfare ai nostri peccati e sfuggire così alle punizioni che essi meritano.

D. 856. Chi ha il potere di concedere le Indulgenze?

R. Solo il Papa ha il potere di concedere le Indulgenze alla Chiesa Universale; ma i Vescovi hanno il potere di concedere le Indulgenze parziali nella loro diocesi. Anche i Cardinali ed altri chierici, con il permesso speciale del Papa, possono avere il diritto di concedere alcune indulgenze.

D. 857. Dove troveremo le indulgenze concesse dalla Chiesa?

R. Troveremo le indulgenze concesse dalla Chiesa nelle dichiarazioni del Papa e della Sacra Congregazione cardinalizia. Queste dichiarazioni sono di solito riportate nei libri di preghiere e nei libri di devozione o di istruzione.

D. 858. Che cosa dobbiamo fare per ottenere un’indulgenza?

R. Per ottenere un’indulgenza dobbiamo essere nello stato di grazia e compiere le azioni ingiunte.

D. 859. Oltre ad essere in uno stato di grazia e ad eseguire le opere ingiunte, cos’altro è necessario per ottenere l’Indulgenza?

R. Oltre ad essere in uno stato di grazia e ad eseguire le opere ingiunte, è necessario per ottenere un’Indulgenza, avere almeno l’intenzione generale di ottenerle.

D. 860. Come e perché dovremmo avere un’intenzione generale di ottenere tutte le possibili indulgenze, ogni giorno?

R. Dovremmo avere un’intenzione generale nelle nostre preghiere mattutine per ottenere ogni giorno tutte le possibili indulgenze, perché molte delle preghiere che diciamo e le buone opere che eseguiamo possono avere Indulgenze ad esse associate, sebbene non ne siamo consapevoli.

D. 861. Quali opere sono generalmente richieste per ottenere le Indulgenze?

R. Le opere generalmente ingiunte per ottenere le Indulgenze sono: la recita di certe preghiere, il digiuno e l’uso di certi articoli di devozione; visite a chiese o altari e le donazioni di elemosine. Per ottenere le Indulgenze Plenarie è generalmente richiesto di accostarsi alla Confessione e alla Santa Comunione e pregare per le intenzione del Papa.

D. 862. Che cosa significa pregare per le intenzione di una persona?

R. Pregare per l’intenzione di una persona, significa pregare perché ottenga tutto quello per cui prega o desidera ottenere attraverso la preghiera: alcuni favori spirituali o temporali.

D. 863. Che cosa significa un’Indulgenza di quaranta giorni?

R. Un’indulgenza di quaranta giorni significa che per la preghiera o l’opera a cui è assegnata un’Indulgenza di quaranta giorni, Dio rimette la maggior parte delle nostre pene temporali come se rimesse dalla penitenza canonica, di quaranta giorni. Non sappiamo quanta punizione temporale Dio rimettesse per quaranta giorni di penitenza pubblica, ma di qualunque cosa si tratti, Egli la rimette lo stesso ora quando otteniamo un’Indulgenza di quaranta giorni. La stessa regola si applica alle indulgenze di un anno o a qualsiasi periodo di tempo.

D. 864. Perché la Chiesa ha moderato le sue severe penitenze di un tempo?

R. La Chiesa ha moderato le sue severe penitenze, perché quando i Cristiani – terrorizzati dalle persecuzioni – si sono indeboliti nella loro fede, c’era il pericolo che alcuni abbandonassero la loro religione piuttosto che sottomettersi alle dure penitenze imposte. La Chiesa, pertanto, desiderando salvare il maggior numero possibile di anime, ha reso la penitenza del peccatore la più leggera possibile.

D. 865. A quali cose possono essere annesse le indulgenze?

R. Le indulgenze plenarie o parziali possono essere annesse a preghiere e a solidi articoli di devozione; a luoghi come chiese, altari, santuari, ecc., da visitare; e con un privilegio speciale a volte sono annesse alle buone opere di certe persone.

D. 866. Quando le cose perdono le Indulgenze loro assegnate?

R. Le cose perdono le Indulgenze loro associate:

– Quando sono così cambiate da non essere più quello che erano una volta;
– Quando sono venduti, i rosari ed altri articoli indulgenziati non perdono le loro indulgenze, o quando vengono prestati o dati in prestito, perché l’indulgenza non è personale bensì è annessa all’articolo stesso.

D. 867. Una confessione settimanale sarà sufficiente per ottenere durante la settimana tutte le Indulgenze per le quali si ingiunge la Confessione come una delle opere da praticare?

R. Una confessione settimanale sarà sufficiente per ottenere durante la settimana tutte le Indulgenze a cui la confessione è ingiunta come una delle opere, purché continuiamo ad essere in uno stato di grazia, eseguiamo le altre opere ingiunte e abbiamo l’intenzione di ottenere queste Indulgenze.

D. 868. Come e quando possiamo applicare le Indulgenze a beneficio delle anime del Purgatorio?

R. Possiamo applicare le Indulgenze a beneficio delle anime del Purgatorio per intercessione; ogni qualvolta sia specificamente menzionata e permessa dalla Chiesa nel concedere l’Indulgenza, cioè, quando la Chiesa dichiara che l’Indulgenza concessa è applicabile alle anime dei vivi o alle anime del Purgatorio, di modo tale che possiamo ottenerla a beneficio di entrambi.

 

LEZIONE 22 –

SULLA SANTA EUCARISTIA

D. 869. Che cosa significa esattamente la parola Eucaristia?

R. D. La parola Eucaristia significa “rendimento di grazia”, e questo Sacramento è così chiamato perché ci rende più graditi a Dio per la grazia che impartisce, e ci offre il modo migliore di ringraziarLo per tutte le Sue benedizioni.

D. 870. Che cos’è la Santa Eucaristia?

R. La Santa Eucaristia è il Sacramento che contiene il corpo e il sangue, l’anima e la divinità, di nostro Signore Gesù Cristo sotto le apparenze del pane e del vino.

D. 871. Che cosa intendiamo quando diciamo che il Sacramento contiene il Corpo e il Sangue?

R. Quando diciamo che il Sacramento contiene il Corpo e il Sangue, intendiamo il Sacramento che “è” il Corpo e il Sangue, poiché dopo la Consacrazione non c’è altra sostanza presente nell’Eucaristia.

D. 872. Quando la Santa Eucaristia è un Sacramento, e quando è un sacrificio?

R. La Santa Eucaristia è un Sacramento quando la riceviamo nella Santa Comunione e quando rimane nel Tabernacolo dell’Altare. È un Sacrificio quando viene offerto nella Messa dalla consacrazione separata del pane e del vino, che significa la separazione del sangue di Nostro Signore dal Suo corpo quando morì sulla Croce.

D. 873. Quando Cristo ha istituito la Santa Eucaristia?

R. Cristo istituì la Santa Eucaristia durante l’Ultima Cena, la notte prima di morire.

D. 874. Chi erano i presenti quando nostro Signore istituì la Santa Eucaristia?

R. Quando Nostro Signore istituì la Santa Eucaristia, erano presenti i dodici Apostoli.

D. 875. In che modo nostro Signore istituì la Santa Eucaristia?

R. Nostro Signore ha istituito la Santa Eucaristia prendendo il pane, benedicendolo, spezzandolo e dandolo ai suoi Apostoli, dicendo: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”; e poi, prendendo il calice di vino, benedicendolo e dandolo loro, dicendo: “Bevetene tutti, questo è il mio sangue che sarà versato per la remissione dei peccati, fatelo per in mia commemorazione”.

D. 876. Cosa accadde quando nostro Signore disse: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”?

R. Quando Nostro Signore disse: “Questo è il mio corpo”, la sostanza del pane fu cambiata nella sostanza del Suo corpo; quando disse: “Questo è il mio sangue”, la sostanza del vino fu trasformata nella sostanza del Suo sangue.

D. 877. Come proviamo la presenza reale, cioè che nostro Signore è veramente e realmente presente nella Santa Eucaristia?

R. – Dimostriamo la presenza reale, cioè che Nostro Signore è veramente e realmente presente nella Santa Eucaristia:

– Mostrando che sia possibile cambiare una sostanza in un’altra;

– Mostrando che Cristo ha cambiato la sostanza del pane e del vino nella sostanza del suo corpo e del suo sangue;

– Mostrando che ha dato questo potere anche ai suoi Apostoli e ai Sacerdoti della sua Chiesa.

D. 878. Come sappiamo che sia possibile cambiare una sostanza in un’altra?

R. Sappiamo che è possibile cambiare una sostanza in un’altra perché:

– Dio ha cambiato l’acqua in sangue durante le “piaghe d’Egitto”.

– Cristo ha cambiato l’acqua in vino alle nozze di Cana.

– Il nostro cibo è cambiato ogni giorno nella sostanza della nostra carne e del sangue; e ciò che Dio fa gradualmente, può anche farlo istantaneamente con un atto della sua volontà.

D. 879. Questi cambiamenti sono esattamente uguali ai cambiamenti che avvengono nella Santa Eucaristia?

R. Questi cambiamenti non sono esattamente uguali ai cambiamenti che avvengono nella Santa Eucaristia, poiché mentre in queste trasformazioni anche l’aspetto è cambiato, nella Santa Eucaristia viene cambiata solo la sostanza, mentre l’apparenza rimane la stessa.

R. 880. Come dimostriamo che Cristo ha cambiato il pane e il vino nella sostanza del suo corpo e del suo sangue?

R. – Dimostriamo che Cristo ha cambiato il pane e il vino nella sostanza del suo corpo e del suo sangue:

– Dalle parole con le quali ha promesso la Santa Eucaristia;

– Dalle parole con le quali ha istituito la Santa Eucaristia;

– Dall’uso costante della Santa Eucaristia nella Chiesa fin dai tempi degli Apostoli;

– D. Dall’impossibilità di negare la presenza reale nella Santa Eucaristia senza negare allo stesso tempo tutto ciò che Cristo ha insegnato e fatto; poiché abbiamo prove più evidenti per la Santa Eucaristia che per qualsiasi altra verità cristiana.

D. 881. Gesù Cristo è intero ed integro sotto la forma del pane e sotto la forma del vino?

R. Gesù Cristo è intero e integro sotto la forma del pane e sotto la forma del vino.

D. 882. Come sappiamo che sotto l’aspetto del pane riceviamo anche il sangue di Cristo; e sotto l’aspetto del vino riceviamo anche il corpo di Cristo?

R. Sappiamo che sotto l’aspetto del pane riceviamo anche il sangue di Cristo, e sotto l’aspetto del vino riceviamo anche il corpo di Cristo, perché nella Santa Eucaristia riceviamo il corpo vivente di Nostro Signore, e un corpo vivente non può esistere senza il sangue, né può esistere sangue vivo senza un corpo.

D. 883. Gesù Cristo è presente interamente anche nella più piccola porzione della Santa Eucaristia, sotto forma di pane o vino?

R. Gesù Cristo è presente intero ed integro nella più piccola porzione della Santa Eucaristia sotto la forma del pane o del vino, poiché il suo corpo nell’Eucaristia è in uno stato glorificato e, poiché è partecipe del carattere di una sostanza spirituale, non richiede una dimensione o una forma definita.

D. 884. Rimane qualche cosa del pane e del vino dopo che la loro sostanza sia stata cambiata nella sostanza del corpo e del sangue di nostro Signore?

R. Dopo che la sostanza del pane e del vino sia stata cambiata nella sostanza del corpo e del sangue di Nostro Signore, rimangono solo le apparenze del pane e del vino.

D. 885 Cosa intendi per le apparenze del pane e del vino?

– Per le apparenze del pane e del vino intendo la figura, il colore, il sapore e qualsiasi cosa appaia ai sensi.

D. 886. Come viene chiamato questo cambiamento del pane e del vino nel corpo e nel sangue di nostro Signore?

R. Questo cambiamento del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Nostro Signore è chiamato Transustanziazione.

D. 887. Qual è il secondo grande miracolo nella Santa Eucaristia?

R. Il secondo grande miracolo nella Santa Eucaristia è la moltiplicazione della presenza del corpo di Nostro Signore in così tanti luoghi allo stesso tempo, mentre il corpo stesso non si moltiplica, perché c’è un solo corpo di Cristo.

D. 888. Non ci sono, quindi, tanti corpi di Cristo quanti sono i tabernacoli nel mondo, o per quante Messe vengono dette nello stesso tempo?

R. Non ci sono tanti corpi di Cristo quanti sono i tabernacoli nel mondo, o come ci sono Messe allo stesso tempo; ma solo un corpo di Cristo, che è dappertutto presente intero ed intero nella Santa Eucaristia, come Dio è ovunque presente, mentre Lui è un solo Dio.

D. 889. In che modo la sostanza del pane e del vino è cambiata nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo?

R. La sostanza del pane e del vino è stata trasformata nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo mediante il Suo potere onnipotente.

D. 890. Questo cambiamento di pane e vino nel corpo e nel sangue di Cristo continua aD essere fatto nella Chiesa?

R. Questo cambiamento di pane e vino nel corpo e nel sangue di Cristo continua ad essere fatto nella Chiesa da Gesù Cristo attraverso il ministero dei suoi Sacerdoti.

D. 891. Quando Cristo ha dato ai suoi Sacerdoti il ​​potere di cambiare il pane ed il vino nel Suo corpo e del Suo sangue?

R. Cristo ha dato ai suoi Sacerdoti il ​​potere di cambiare il pane e il vino nel Suo corpo e sangue quando disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di Me”.

D. 892. Che cosa significano le parole “fate questo in memoria di me”?

R. Le parole “fate questo in memoria di me” significano: fai ciò che Io, Cristo, sto facendo nella mia ultima cena, cioè, cambiare la sostanza del pane e del vino nella sostanza del mio corpo e del mio sangue; e fallo in memoria di Me.

D. 893. In che modo i Sacerdoti esercitano questo potere di cambiare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo?

R. I Sacerdoti esercitano questo potere di cambiare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo attraverso le parole della consacrazione nella Messa, che sono le parole di Cristo: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.

D. 894. In quale parte della Messa si svolge la Consacrazione?

R. La Consacrazione nella Messa si svolge immediatamente prima dell’elevazione dell’Ostia e del Calice, che si elevano sopra la testa del Sacerdote affinché il popolo possa adorare Nostro Signore che è appena giunto sull’altare con le parole della Consacrazione.

 

 

VISITAZIONE DELLA SANTISSIMA VERGINE

2 LUGLIO

VISITAZIONE DELLA SANTISSIMA VERGINE

[Dom P. Guéranger: l’Anno Liturgico, vol. II, Ed. Paoline, Alba – 1957 – impr. ]

Storia della festa.

Nei giorni che precedettero la nascita del Salvatore, la visita di Maria alla cugina Elisabetta ha già costituito l’oggetto delle nostre meditazioni. Ma era giusto tornare su una circostanza così importante della vita della Vergine, per mettere maggiormente in luce quale profondo insegnamento e quale santa letizia contenga questo mistero. Completandosi nel corso dei secoli, la sacra Liturgia doveva sfruttare questa preziosa miniera in onore della Vergine-Madre. – L’Ordine di san Francesco e alcune chiese particolari come quelle di Reims e di Parigi, avevano già – a quanto sembra – preso l’iniziativa quando Urbano VI, nel 1389, istituì la solennità odierna. Il Papa consigliava il digiuno alla vigilia della festa, e ordinava che fosse seguita da un’Ottava; concedeva alla sua celebrazione le stesse indulgenze che Urbano IV aveva, nel secolo precedente, attribuite alla festa del Corpus Domini. La bolla di promulgazione, sospesa per la morte del Pontefice, fu ripresa e pubblicata da Bonifacio IX che gli successe sulla Sede di san Pietro. Sappiamo dalle Lezioni del primitivo Ufficio composto per questa festa, che lo scopo della sua istituzione era stato, nel pensiero di Urbano, di ottenere la cessazione dello scisma che desolava allora la Chiesa. Mai situazione più dolorosa si era prodotta per la Sposa del Figlio di Dio. Ma la Vergine, a cui si era rivolto il vero Pontefice allo scatenarsi della bufera, non deluse la fiducia della Chiesa. Nel corso degli anni che l’imperscrutabile giustizia dell’Altissimo aveva stabilito di lasciare alle potenze dell’unabisso, essa stette in difesa, mantenendo così bene il capo dell’antico serpente sotto il suo piede vittorioso, che nonostante la terribile confusione da esso sollevata, la sua bava immonda non poté contaminare la fede dei popoli; immutabile restava il loro attaccamento all’unità della Cattedra di Roma, chiunque ne fosse il vero detentore in quella incertezza; cosicché l’Occidente, separato di fatto, ma sempre uno quanto al principio, si ricongiunse quasi automaticamente al tempo stabilito da Dio per riportare la luce.

Maria, arca di Alleanza.

Se ci si domanda perché Dio abbia voluto che appunto il mistero della Visitazione, e non un altro, diventasse, mediante la solennità ad esso consacrata, il monumento della pace riacquistata, è facile trovarne la ragione nella natura stessa del mistero e nelle circostanze in cui si compì. – È qui soprattutto che Maria appare, infatti, come la vera arca di alleanza, che porta in sé l’Emmanuele, viva testimonianza d’una riconciliazione definitiva e completa fra la terra e il cielo. Mediante essa, meglio che in Adamo, tutti gli uomini saranno fratelli; poiché colui che essa cela nel suo seno sarà il primogenito della grande famiglia dei figli di Dio. Appena concepito, ecco che comincia per lui l’opera di universale propiziazione. Beata fu la dimora del sacerdote Zaccaria che per tre mesi celò l’eterna Sapienza nuovamente discesa nel seno purissimo in cui si è compiuta l’unione bramata dal suo amore! Per il peccato d’origine, il nemico di Dio e degli uomini teneva prigioniero, in quella casa benedetta, colui che doveva costituirne l’ornamento nei secoli eterni; l’ambasciata dell’angelo che annunciava la nascita di Giovanni, e il suo miracoloso concepimento, non avevano esentato il figlio della sterile dal vergognoso tributo che tutti i figli di Adamo debbono pagare al principe della morte all’atto del loro ingresso nella vita. Ma ecco apparire Maria, e Satana rovesciato subisce nell’anima di Giovanni la sua maggiore sconfitta, che tuttavia non sarà l’ultima, poiché l’arca dell’alleanza non cesserà i suoi trionfi se non dopo la riconciliazione dell’ultimo degli eletti.

La letizia della Chiesa.

Celebriamo questo giorno con canti di letizia, poiché qualsiasi vittoria, per la Chiesa e per i suoi figli, si trova in germe in questo mistero; d’ora in poi l’arca santa presiede alle battaglie del nuovo Israele. Non più divisione tra l’uomo e Dio, tra il cristiano e i suoi fratelli; se l’antica arca fu impotente ad impedire la scissione delle tribù, lo scisma e l’eresia non potranno più tener testa a Maria per un numero più o meno grande di anni o di secoli, se non per far meglio risplendere infine la sua gloria. Da essa si effonderanno senza posa, come in questo giorno benedetto, sotto gli occhi del nemico confuso, la gioia degli umili, la benedizione di tutti e la perfezione dei pontefici (Sal. CXXXI, 8-9, 14-18). All’esultanza di Giovanni, all’improvvisa esclamazione di Elisabetta, al cantico di Zaccaria uniamo il tributo delle nostre voci, e che tutta la terra ne risuoni. Così un giorno veniva salutata la venuta dell’arca nel campo degli Ebrei; i Filistei, a quella voce, si accorgevano che era disceso l’aiuto del Signore e, invasi dallo spavento, gemevano esclamando: « Guai a noi; non vi era tanta gioia ieri; guai a noi! » (1 Re, IV, 5-8). Oh, sì: oggi insieme con Giovanni il genere umano esulta e canta; oh, sì: oggi giustamente il nemico si lamenta: il primo colpo del calcagno della donna (Gen. III, 15) schiaccia oggi il suo capo orgoglioso, e Giovanni liberato è in questo il precursore di tutti noi. Più fortunato dell’antico, il nuovo Israele è reso sicuro che non gli sarà mai tolta la sua gloria, non sarà mai presa l’arca santa che gli fa attraversare le onde (Gios. III, 4) e abbatte dinanzi a Lui le fortezze (ibid. 6).

Il cantico di Maria.

Come è dunque giusto che questo giorno, in cui ha termine la serie delle sconfitte iniziatasi nell’Eden, sia anche il giorno dei cantici nuovi del nuovo popolo! Ma a chi spetta intonare l’inno del trionfo, se non a chi riporta la vittoria? Cosicché, Maria canta in questo giorno di trionfo, richiamando tutti i canti di vittoria che furono di preludio, nei secoli dell’attesa, al suo divin Cantico.. Ma le vittorie trascorse del popolo eletto erano soltanto la figura di quelle che essa riporta, in questa festa della sua manifestazione, gloriosa regina che, meglio di Debora, di Giuditta o di Ester, ha cominciato a liberare il suo popolo; sulle sue labbra, gli accenti dei suoi illustri predecessori sono passati dall’aspirazione ardente dei tempi della profezia all’estasi serena che denota il possesso del Dio lungamente atteso. Un’èra nuova incomincia per i canti sacri: la lode divina riceve da Maria il carattere che non perderà più quaggiù, e che conserverà fin nell’eternità; ed è ancora in questo giorno che Maria stessa, avendo inaugurato il suo ministero di Corredentrice e di Mediatrice, ha ricevuto per la prima volta sulla terra, dalla bocca di sant’Elisabetta, la lode dovuta in eterno alla Madre di Dio e degli uomini. – Le considerazioni che precedono ci sono state ispirate dal motivo speciale che portò la Chiesa nel XVI secolo ad istituire l’odierna festa. Restituendo Roma a Pio IX esiliato il 2 luglio del 1849, Maria ha mostrato nuovamente che tale data era giustamente per essa un giorno di vittoria.

MESSA

Epistola (Cant. II, 8-15). – Eccolo venire, saltellando pei monti, balzando per i colli. È simile il mio diletto ad una gazzella, ad un cerbiatto. Eccolo, sta dietro al nostro muro, fa capolino dalla finestra, spia dalle grate. Ecco il mio diletto mi parla: Alzati, affrettati, o mia diletta, o mia colomba, o mia bella, e vieni. Ché l’inverno è già passato, la pioggia è cessata, è andata; e i fiori sono apparsi sulla nostra terra, il tempo di potare è venuto; s’è sentito nelle nostre campagne il tubar della tortorella; il fico ha messi fuori i suoi frutti primaticci; le vigne in fiore mandano il loro profumo. Sorgi, o mia diletta, o mia bella, e vieni. O mia colomba (che stai) nelle fessure delle rocce, nel nascondiglio delle muricce, mostrami il tuo viso, fammi sentir la tua voce, chè la tua voce è soave, e il tuo viso è leggiadro.

La visita del Diletto.

La Chiesa ci introduce nelle profondità del mistero. La lettura che precede non è altro se non la spiegazione di quelle parole di Elisabetta in cui si riassume tutta la festa: Al suono della tua voce, il bambino ha trasalito nel mio seno. Voce di Maria, voce della tortora che mette in fuga l’inverno e annuncia la primavera, i profumi e i fiori! A quel segnale così dolce, prigioniera nella notte del peccato, l’anima di Giovanni si è spogliata delle vesti dello schiavo e, sviluppando d’un tratto i germi delle più sublimi virtù, è apparsa bella come la sposa in tutto lo splendore del giorno delle nozze. Quale premura mostra Gesù verso quell’anima prediletta! Fra Giovanni e lo Sposo, quali ineffabili effusioni! Che sublime dialogo dal seno di Elisabetta a quello di Maria! O meravigliose madri, e più meravigliosi figli! Nel felice incontro, l’udito, gli occhi, la voce delle madri appartengono meno ad esse che ai benedetti frutti dei loro seni; e i loro sensi sono come le grate attraverso le quali lo Sposo e l’Amico dello Sposo si vedono, si comprendono e si parlano. Prevenuta dall’amico divino che l’ha cercata, l’anima di Giovanni si desta in piena estasi. Per Gesù, d’altra parte, è la prima conquista; è nei riguardi di Giovanni che, per la prima volta, dopo che per Maria, gli accenti del sacro epitalamio si formulavano nell’anima del Verbo fatto carne e fanno palpitare il suo cuore. Oggi – ed è l’insegnamento dell’Epistola – accanto al Magnificat si inaugura anche il divin cantico nella piena accezione che lo Spirito Santo volle dargli. I rapimenti dello Sposo non saranno mai più giustificati come in questo giorno benedetto né troveranno mai eco più fedele. Uniamo il nostro entusiasmo a quello dell’eterna Sapienza, di cui questo giorno segna il primo passo verso l’umanità intera.

Vangelo (Lc. I, 39-46). – In quel tempo. Maria si mise in viaggio per recarsi frettolosamente in una città di Giudea sulle montagne, ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Ed avvenne che appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel seno; ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo: ed esclamò ad alta voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno. E donde mi è dato che venga a me la madre del mio Signore? Ecco, infatti, appena il suono del tuo saluto mi è giunto all’orecchio, il bambino m’è balzato pel giubilo nel seno. E te beata che hai creduto, perché s’adempiranno le cose a te predette dal Signore. E Maria disse: L’anima mia glorifica il Signore; Ed il mio Salvatore. mio spirito esulta in Dio.

Carità fraterna…

Maria aveva saputo dall’arcangelo che Elisabetta sarebbe presto diventata madre. Il pensiero dei servigi richiesti dalla sua venerabile cugina e dal bambino che stava per nascere, le fa prendere subito la strada dei monti sui quali è situata l’abitazione di Zaccaria. Così agisce, così sospinge, quando è vera, la carità di Cristo (II Cor. V, 14). Non vi è posizione in cui, con il pretesto di una perfezione più elevata, il Cristiano possa dimenticare i propri fratelli. Maria aveva appena contratto con Dio l’unione più sublime; e facilmente la nostra immaginazione se la rafigurerebbe incapace di qualunque cosa, perduta nell’estasi in quei giorni in cui il Verbo, prendendo carne dalla sua carne, la inonda in cambio di tutti i flutti della sua divinità. Il Vangelo è tuttavia molto esplicito: è proprio in quegli stessi giorni (Lc. 1, 39) che l’umile vergine, assisa fino allora nel segreto del volto del Signore (Sal. XXX, 21), si leva per dedicarsi a tutte le necessità del prossimo nel corpo e nell’anima.

…e contemplazione.

Vuol forse dire che le opere superano la preghiera, e che la contemplazione non è più la parte migliore? No, senza dubbio; e la Vergine non aveva mai così direttamente né così pienamente come in quegli stessi giorni aderito a Dio con tutto il suo essere. Ma la creatura pervenuta alle vette della vita unitiva è tanto più atta alle opere esterne in quanto nessun dispendio di se medesima la può distrarre dal centro immutabile in cui è fissata.

La perfezione.

Sublime privilegio, risultato di quella separazione della mente e dell’anima (Ebr. IV, 12) alla quale non tutti pervengono, e che segna uno dei passi più decisivi nelle vie spirituali, poiché suppone la purificazione talmente perfetta dell’essere umano da formare soltanto più uno stesso spirito con il Signore (I Cor. VI, 17) e porta con sé una sottomissione così assoluta delle potenze che, senza urtarsi, esse obbediscono simultaneamente, nelle loro diverse sfere, all’ispirazione divina. Finché il cristiano non ha acquistato questa santa libertà dei figli di Dio (Rom. VIII, 21; II Cor. III, 17) non può infatti rivolgersi all’uomo senza lasciare in qualche modo Dio. Non già che debba trascurare per questo i suoi doveri verso il prossimo, nel quale Dio ha voluto che vediamo Lui stesso; beato tuttavia chi, come Maria, non perde nulla della parte migliore attendendo agli obblighi di questo mondo! Ma come é limitato il numero di questi privilegiati, e quale illusione sarebbe credere il contrario!

Maria, nostro modello.

La Madonna è vergine e madre. In essa si realizza l’ideale della vita contemplativa e della vita attiva: la Liturgia ce lo ricorda spesso. In questa festa della Visitazione, la Chiesa la invoca in modo particolare come il modello di tutti coloro che si dedicano alle opere di misericordia; se non a tutti è concesso di tenere nello stesso tempo, al pari di Lei la propria mente assorta più che mai in Dio, nondimeno tutti debbono cercare di accostarsi continuamente, mediante la pratica del raccoglimento e della lode divina, alle vette luminose in cui la loro Regina si mostra oggi nella pienezza delle sue ineffabili perfezioni.

Lode.

Chi è costei che s’avanza come aurora che sorge, terribile come un esercito schierato a battaglia? (Cant. VI, 9). O Maria, è oggi che per la prima volta il tuo soave chiarore allieta la terra. Tu porti in te il Sole di giustizia; e la sua luce nascente che colpisce le cime dei monti mentre la pianura è ancora immersa nella notte, raggiunge innanzitutto il Precursore di cui è detto che tra i figli di donna non v’è  uno maggiore. Presto l’astro divino, continuando la sua ascesa, inonderà con raggi di fuoco le più umili valli. Ma quanta grazia in quei primi raggi che si effondono dalla nube sotto la quale egli ancora si nasconde! Poiché tu sei, o Maria, la nube leggera, speranza del mondo e terrore dell’inferno (3 Re, XVIII, 44; Is. XIX, 1).

Preghiera per tutti.

Affrettati dunque, o Maria! Vieni a noi tutti: abbassati fino alle ingloriose zone in cui la maggior parte del genere umano vegeta, incapace di elevarsi sulle vette, e fin negli abissi di perversità più vicini al baratro infernale la tua visita faccia penetrare la luce della salvezza. Che noi possiamo, dalle prigioni del peccato, dalla pianura dove si agita il volgo, essere trasportati al tuo seguito! Sono così dolci i tuoi passi nei nostri umili sentieri (Cant. VII, 1), così soavi i profumi di cui inebrii oggi la terra (ibid. 1, 5)!

… per la Visitazione.

Benedici, o Maria, quelli che scelgono la parte migliore. Proteggi il santo Ordine che si gloria di onorare in modo speciale il mistero della tua Visitazione; fedele allo spirito dei suoi illustri fondatori, esso continua a dar ragione del suo nome, effondendo nella Chiesa della terra quegli stessi profumi di umiltà, di dolcezza e di preghiera nascosta che costituirono per gli angeli la principale attrattiva di questo grande giorno diciannove secoli or sono.

… per coloro che aiutano gli infelici.

Infine, o Vergine, non dimenticare le folte schiere di coloro che la grazia suscita, più numerosi che mai ai tempi nostri, perché camminino sulle tue orme alla ricerca misericordiosa di tutte le miserie; insegna ad essi come si può, senza lasciare Dio, consacrarsi al prossimo: per la maggior gloria di quel Dio altissimo e per la felicità dell’uomo, moltiplica quaggiù i tuoi fedeli imitatori. E fa’ infine che tutti noi, avendoti seguita nella misura e nel modo richiesto da Colui che elargisce a ciascuno i suoi doni come vuole (I Cor. XII, 11), ci ritroviamo nella patria per cantare ad una sola voce insieme con te l’eterno Magnificat!

UN’ENCICICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO – “FERMITER CREDIMUS”

Leggere questo breve documento, è come rammentare gli elementi basilari della fede Cattolica, aver chiari i gradini iniziali del cammino di fede, dai quali dipende poi tutto l’edificio dottrinale che porta alla salvezza eterna. Sembra inverosimile ma ancora oggi, persone che si definiscono Cattoliche, hanno difficoltà a credere che questi siano le vere basi del Cattolicesimo, abituati alle fantasie dottrinali dei modernisti apostati e ai deliri della Nouvelle theologie, infarciti da elementi trasferiti di sana pianta dagli influssi gnostico-massonici infiltrati dalla quinta colonna dei “cabalisti kazari”, i cripto-marrani e cripto protestanti del novus ordo, nonché al magistero rivisitato ad “usum cretini” … pardon “usum delphini”, dagli eretici fallibilisti lefebvriani, dai tesisti antitomisti, e dai sedevacantisti cerebrovacanti pluriapostati. In particolare impressiona la semplicità con la quale si colpisce ogni forma di “ecumenismo” o indifferentismo religioso: … Una, inoltre, è la Chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno ASSOLUTAMENTE (extra quam nullus omnino salvatur!!!) si salva e nella quale lo stesso Gesù Cristo è sacerdote e vittima. Chi può intendere … intenda!

FERMITER CREDIMUS

Concilio lateranense IV – Nov. 1215

[Innocenzo III]

COSTITUZIONE I

“Fermiter credimus et simpliciter confitemur “…

La fede cattolica

Crediamo fermamente e confessiamo apertamente che uno solo è il vero Dio, eterno e immenso, onnipotente, immutabile, incomprensibile e ineffabile, Padre, Figlio e Spirito Santo, tre Persone, ma una sola essenza, sostanza cioè natura assolutamente semplice. Il Padre non deriva da alcuno, il Figlio dal solo Padre, lo Spirito Santo ugualmente dall’uno e dall’altro, sempre senza inizio e senza fine. Il Padre genera, il Figlio nasce, lo Spirito Santo procede. Sono consostanziali e tra loro eguali, parimenti onnipotenti e eterni. Unico principio dell’universo creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e materiali che con la sua forza onnipotente fin dal principio del tempo creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature: quello spirituale e quello naturale, cioè gli Angeli e il mondo terrestre, e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo. Il diavolo, infatti, e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi. L’uomo poi ha peccato per suggestione del demonio. Questa Santa Trinità, indivisibile secondo la comune essenza, distinta secondo le proprietà delle Persone, ha rivelato al genere umano, per mezzo di Mosè, dei santi profeti e degli altri suoi servi la dottrina di salvezza, secondo un piano perfettamente ordinato nel corso dei tempi. Infine il Figlio unigenito di Dio, Gesù Cristo, incarnatosi per l’opera comune di tutta la Trinità, concepito da Maria sempre Vergine con la cooperazione dello Spirito santo, divenuto vero uomo, composto di un’anima razionale e di un corpo umano, una sola Persona in due nature, manifestò più chiaramente la via della vita, Immortale e incapace di soffrire secondo la divinità, Egli stesso si fece passibile e mortale secondo l’umanità; dopo aver sofferto sul legno della croce ed essere morto per la salvezza del genere umano, è disceso agli inferi, è risorto dai morti ed è salito al cielo; ma è disceso nella sua anima, è risorto nel suo corpo, è salito ugualmente con l’uno e l’altro; verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e per compensare ciascuno secondo le proprie opere, i reprobi come gli eletti. Tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti, per ricevere, secondo che le loro opere siano state buone o malvagie, gli uni la pena eterna con il diavolo, gli altri la gloria eterna col Cristo. Una, inoltre, è la Chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno assolutamente si salva e nella quale lo stesso Gesù Cristo è sacerdote e vittima; infatti il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel Sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo, e il vino nel sangue per divino potere; cosicché, per adempiere il ministero dell’unità, noi riceviamo da Lui ciò che Lui ha ricevuto da noi. Questo Sacramento non può assolutamente compierlo nessuno, se non il Sacerdote, che sia stato regolarmente ordinato, secondo i poteri della Chiesa che lo stesso Gesù Cristo concesse agli Apostoli e ai loro successori. Ma il Sacramento nel Battesimo che si compie nell’acqua, invocando la indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, giova alla salvezza sia dei bambini che degli adulti da chiunque sia stato conferito secondo le norme e la forma usata dalla Chiesa. Se uno, dopo avere ricevuto il Battesimo, è nuovamente caduto nel peccato, può sempre essere rigenerato mediante una vera penitenza. Non solo le vergini e coloro che osservano la continenza, ma anche le persone coniugate, che cercano di piacere a Dio, con retta fede e vita onesta, meritano di giungere all’eterna beatitudine.

FESTA DEL SANGUE PREZIOSISSIMO – Messa

MISSA

Pretiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu Christi

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Apoc V:9-10
Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum [Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.].
Ps LXXXVIII:2
Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo. [L’amore del Signore per sempre io canterò con la mia bocca: la tua fedeltà io voglio mostrare di generazione in generazione.]

Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum [Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Oratio
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac eius Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium sollémni cultu ita venerári, atque a præséntis vitæ malis eius virtúte deféndi in terris; ut fructu perpétuo lætémur in coelis.

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebraeos.
Hebr IX:11-15
Fratres: Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non huius creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti’? Et ídeo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem earum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Iesu,
Dómino nostro.

OMELIA I

[da Nuovo Saggio di OMELIE di mons. Bonomelli – 3^ ed. VOL. II- Marietti ed. Torino 1898- impr.]

Omelia IX

“Venuto Cristo, pontefice dei beni futuri, per un maggiore e più perfetto tabernacolo, non fatto a mano, cioè non di questa creazione, né pel sangue di capri o di vitelli, ma pel proprio sangue è entrato una volta per tutte nel Santuario, avendo compiuta una redenzione eterna. Che se il sangue dei “capri e dei tori ed il cenere di giovenca,, sparso sopra i contaminati, santifica a purità della carne; quanto più il sangue di Cristo, il quale, per lo Spirito santo, offerse se stesso immacolato a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente? E per questo egli è mediatore del nuovo Testamento, acciocché, intervenutavi la morte, a pagamento delle trasgressioni avvenute sotto l’Alleanza prima, i chiamati ricevano la promessa della eredità eterna „ (Agli Ebrei, IX, 11-15).

Sono cinque versetti, tolti dal capo IX della lettera di S. Paolo agli Ebrei, che la Chiesa ci fa leggere nella Messa di questa Domenica della festa del Preziosissimo Sangue di Cristo. – Questa lettera agli Ebrei, fu scritta dall’Italia, come si fa manifesto dal penultimo versetto dell’ultimo capo, forse da Roma, dove l’Apostolo era stato in carcere, di recente uscitone tra la prima e la seconda sua prigionia, circa sei anni prima della distruzione di Gerusalemme e quattro circa prima della sua morte. La lettera è scritta ai Cristiani di Palestina, che prima erano stati Giudei. Questi credevano che Gesù Cristo era il Messia, il Figliuol di Dio e tutto ciò ch’Egli aveva insegnato e comandato; ma, nati e cresciuti nel giudaismo, non sapevano staccarsi dalle sue leggi, dai suoi riti, dai suoi sacrifici, dalle sue grandezze, e male sapevano entrare nello spirito del Cristianesimo, tutto fede, vita interna, speranze future, rinnegamento di se stessi, insegnamento della croce. L’antico Patto, iniziato dagli Angeli, proclamato da Mosè, imperniato nel sacerdozio di Aronne, la magnificenza del tempio, le memorie del tabernacolo, dell’arca, delle tavole della legge e via dicendo, esercitavano un fascino incredibile sui loro animi, che noi oggi non possiamo abbastanza comprendere; non sapevano rinunciarvi e alla men peggio essi volevano che il mosaismo dovesse mantenersi per sempre anche nel Cristianesimo. S. Paolo nella sua lettera, si propone di dissipare questi pregiudizi dei Giudei convertiti, che di mente e di cuore erano in gran parte ancora Giudei. Perciò nella lettera toglie a dimostrare la sovrana eccellenza del nuovo sull’antico Patto, del Cristianesimo sul mosaismo, della Chiesa sulla sinagoga, specialmente per tre capi, cioè in quanto ché Cristo, Figlio di Dio, di infinito intervallo sovrasta agli Angeli, a Mosè, ad Aronne, ed è il mediatore per eccellenza e l’eterno Pontefice. E questo lo scopo di tutta la lettera, per chi bene la considera. Nel breve tratto recitato e che ora devo spiegare, l’Apostolo dimostra, che Cristo per ragione del suo sacerdozio sta sopra l’antico, perché Egli è entrato nel santuario vero, cioè il cielo, non nel sangue altrui, nel sangue delle vittime immolate, ma nel proprio sangue, avente efficacia per se stesso. Ora svolgiamo l’alto insegnamento dell’Apostolo, e voi, o cari, raddoppiate l’attenzione, perché il soggetto ne è ben degno. “Venuto Cristo, pontefice dei beni futuri, per un maggiore e più perfetto tabernacolo, non fatto a mano, cioè non di questa creazione, né per il sangue di capri o di vitelli, ma per il proprio sangue, è entrato una volta per tutte nel Santuario, avendo compiuta una redenzione eterna. „ Perché possiamo capire ciò che S. Paolo insegna in questo luogo, occorre accennare brevemente ciò che dice nei versetti precedenti, e che riguarda le cose principali spettanti al culto dell’antica legge. Le cose del culto nella legge mosaica erano minutamente determinate e tutte e ciascuna avevano un significato proprio. Il popolo ebraico aveva un sol tempio in Gerusalemme, al quale tre volte all’anno si recavano tutti i figli d’Israele giunti all’età di dodici anni. In quel tempio vastissimo tutto era ordinato: nel centro era il luogo destinato ai sacerdoti: nel mezzo il grande altare destinato agli olocausti, ossia al bruciamento delle vittime: oltre l’altare degli olocausti era il vestibolo od atrio: dopo l’atrio c’era il tabernacolo anteriore, o primo tabernacolo, o luogo santo, e finalmente il Santo dei santi, o Santissimo, o secondo tabernacolo, separato dal Santo dei santi, o Santissimo, mediante un velo. Nel primo tabernacolo, o luogo santo erano il candelabro con le sette lucerne sempre accese, la mensa coi dodici pani, uno per ciascuna tribù d’Israele, e che si rinnovavano ogni sette giorni. Nel Santo de’ santi, o Santissimo, si conservavano il turibolo d’oro, l’arca del Testamento, ed in essa, rivestita d’oro, l’urna d’oro racchiudente la manna, la verga d’Aronne e le tavole della legge. Nel luogo santo, o primo tabernacolo i sacerdoti entravano due volte al giorno per gli uffici sacri; ma nel secondo tabernacolo, o Santo dei santi, entrava il solo sommo pontefice ed una volta all’anno per offrirvi il sangue della vittima in espiazione dei peccati suoi e del popolo. – Tutto questo significava, dice S. Paolo, che non era ancora venuto il tempo, nel quale tutti potessero entrare nel Santo de1 santi, e che dovevano limitarsi a sacrifici, abluzioni e riti materiali, che non avevano forza di santificare la coscienza, e che tutto quel culto doveva durare finché venisse il raddrizzamento (usque ad tempus correctionis), cioè finché venisse Colui che compisse la legge e schiudesse il Santo de’ santi e vi introducesse tutti i redenti. Ora, continua S. Paolo: “E venuto Cristo,, pontefice dei beni futuri; „ al pontefice dell’ordine di Aronne è sottentrato Cristo, il sacerdote secondo 1’ordine di Melchisedec, alla figura è sottentrata la realtà. A quelli che vivevano sotto il sacerdozio mosaico, cioè ai figli d’Israele, se osservavano la legge, era promessa principalmente una mercede temporale: ma Cristo, pontefice della nuova legge, promette e a suo tempo darà beni celesti, ricompense incomparabilmente più nobili: Christus… Pontifex futurorum honorum. Voi, carissimi, non ignorate l’economia e il carattere dell’antica legge: a chi la trasgrediva erano minacciate pene temporali, e non rare volte inflitta perfino la morte: a chi la osservava erano promessi beni temporali, vittorie sui nemici, abbondanza dei frutti della terra, pace ed ogni prosperità. Ben è vero, che, oltre i castighi e le ricompense terrene, ai trasgressori ed agli osservatori della legge, erano riserbati altresì castighi e premi nella vita futura; ma in generale nei Libri santi si parla più assai di castighi e premi temporali, che degli eterni, attesa la natura grossolana del popolo ebraico. La legge nuova per contrario ai suoi seguaci non parla che dei premi e dei castighi della vita futura: ai credenti, ai virtuosi quaggiù sulla terra non promette mai la mercede dovuta, ma la mostra aldilà della tomba; anzi va più oltre: ai credenti, ai virtuosi, qui sulla terra annunzia persecuzioni, dolori, travagli, e l’apostolo S. Paolo non teme di proclamare altamente “che tutti quelli che vogliono vivere piamente secondo Cristo, soffriranno persecuzione — Omnes qui pie volunt vivere in Christo Jesu persecutionem patientur. „ È questo il carattere proprio della dottrina di Cristo, che in ciò si differenzia dal mosaismo e di gran lunga si innalza sopra di esso. Nondimeno, bisogna confessarlo, non mancano anche tra i cristiani alcuni, che, malamente applicando alla nuova legge le parole dei Libri santi, che si riferiscono soltanto alla mosaica, e seguendo un cotale spirito giudaico, promettono alla virtù ricompense terrene e al vizio denunziano terrene vendette (Talvolta Iddio può ricompensare la virtù e punire il vizio anche sulla terra ; ma non è economia regolare come nel mosaismo, e noi non possiamo dire ciò in particolare se non quando vi sono argomenti chiari ed evidenti.), e  tutto questo in modo ordinario ed a nome di Dio. Ah! no, carissimi. Noi dobbiamo vivere di fede, come vuole 1’Apostolo: la nostra vita deve essere la copia della vita di Cristo, che in terra patì ogni maniera di umiliazioni e dolori: la nostra speranza, la nostra mercede non è quaggiù, ma lassù in cielo: noi siamo discepoli di un Pontefice che promette beni futuri: Poritifex futurorum honorum. Il pontefice ebraico, una sola volta all’anno entrava nel Santo dei santi, ch’era opera degli uomini: Gesù Cristo, scrive l’Apostolo, il pontefice nostro, è entrato in un tabernacolo, nel vero Santo dei santi, raffigurato dal primo, che è il cielo dei cieli, non opera degli uomini, ma di Dio stesso. Il pontefice ebraico entrava nel Santo dei santi, offrendo il sangue di due vittime per i peccati propri e del popolo; Gesù Cristo è entrato in cielo, non col sangue delle vittime, ma pel sangue proprio, e offerto, non per i peccati suoi, che non poteva averne, lui sacerdote santo, innocente, immacolato, non avente parte alcuna con i peccatori (Capo VII, 26). Il pontefice ebraico entrava nel Santo dei santi una volta sola all’anno, ma tutti gli anni, ripetendo gli stessi sacrifici; Gesù Cristo. Pensano alcuni interpreti, anche assai autorevoli, che quel tabernacolo, maggiore e più perfetto, nel quale dicesi entrato Cristo, sia rappresentata la Chiesa militante, o l’Umanità santa di Cristo. Ma non so come Cristo debba passare per la Chiesa militante e molto meno possa passare per la sua Umanità. — L’una e l’altra sentenza parmi strana, è entrato in cielo una volta sola, e questa non si ripete, perché vale per tutte; e vale per tutte, perché la espiazione da Lui compiuta con il suo sangue è eterna, cioè bastevole per tutti e per tutti i secoli. Gli antichi sacrifici, quelli stessi offerti solennemente una volta all’anno dal sommo pontefice, si dovevano ripetere: ora la stessa necessità del dover ripetere quei sacrifìci, grida in altro luogo l’Apostolo, vi dimostra la loro poca efficacia, la loro impotenza di santificare gli uomini (Capo X, 2). Penso che, udendo questa dottrina dell’Apostolo, si affacci alla vostra mente una difficoltà, che è bene sciogliere. Se dal ripetersi i sacrifici nell’antica legge S. Paolo arguisce la loro poca efficacia e la loro impotenza di santificare le anime, altri potrebbe alla stessa maniera argomentare contro il sacrificio stesso di Cristo sulla croce, che ogni giorno si ripete senza numero sulla faccia della terra nel sacrificio dell’altare. Ma la risposta è facile e perentoria, o carissimi figliuoli. I sacrifici dell’antica legge erano diversi e distinti tra loro in guisa, che ciascuno era vero sacrificio da se stesso. La cosa va ben altrimenti quanto al sacrificio di Cristo consumato sulla croce e rinnovato sui nostri altari in ogni Messa, che si celebra. Noi teniamo per fede, che il sacrificio della nuova legge è un solo, quello della croce, al quale nulla si può aggiungere, nulla levare, e sovrabbonda a tutti i bisogni nostri. Nella Messa abbiamo un vero e proprio sacrificio, ma non è altro che quello stesso della croce: l’unica differenza che corre tra 1’uno e l’altro è accidentale, ossia di modo: quello della croce fu sanguinoso, questo della Messa è incruento e si compie sotto le specie del pane e del vino. La vittima che si offre, è la stessa, l’Uomo-Dio, Gesù Cristo; sul Calvario sparse visibilmente il suo sangue e morì: sull’altare sparge il sangue e muore misticamente in quanto che sotto le specie eucaristiche rappresenta veramente ciò che fece sulla croce. Sulla croce offerse e compì il suo sacrificio, sull’altare lo ripete, e quasi direi, lo prolunga e lo applica agli uomini attraverso lo spazio e il tempo. Un fiume sgorga dai fianchi delle Alpi, e scorrendo per valli e per pianure volge al mare l’ampio volume delle sue acque: esso è un solo fiume, sempre quel solo e medesimo fiume, che scaturisce dalle Alpi, che bagna le valli, che tocca le

borgate e le città che trova sulle sue sponde, che irriga le pianure, che sbocca nel mare. Così è il sacrificio del Calvario, un solo, sempre lo stesso, che sotto altra forma continua in tutti i punti dello spazio e del tempo fino all’ultimo giorno dei secoli. Ecco perché san Paolo più innanzi (X, 14) pronuncerà questa sublime sentenza: “Cristo con un solo sacrificio in perpetuo fece perfetti i santificati — Una oblatione consummavit in sempiternum sanctificatos. „ Ora torniamo al nostro commento là dove  l’abbiamo lasciato. Dopo aver detto che Cristo, eterno Pontefice, entrò nel vero Santuario, che è il cielo, una sola volta per tutte, e vi entrò col proprio sangue, offrendo a tutti per tutti i secoli una compiuta espiazione, prosegue e così ragiona: “Che se il sangue di capri e di tori ed il cenere di giovenca sparso sopra i contaminati (Nel Levitico e nei Numeri, particolarmente al c. XIX, Mosè parla a lungo di quelle che si dicono immondezze della carne od esterne. Era immondo il lebbroso e chi lo toccava: immonda la puerpera, chi toccava un cadavere, ecc. ecc. Erano immondezze materiali, non morali, ma che non permettevano a chi n’era macchiato, il consorzio civile e religioso, se non si purificava con le abluzioni o con i sacrifici prescritti, che erano molti e gravosi), santifica a purità della carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale, per lo Spirito Santo, offerse se stesso immacolato a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente! „ È un argomento semplicissimo e calzante usato con gli Ebrei divenuti Cristiani. Voi tenete che il sangue delle vittime e le purificazioni stabilite da Mose vi nettino dalle immondezze legali e vi rendano possibile il consorzio civile e la partecipazione delle cose sacre, e sta bene: ora come potrete voi, dice S. Paolo, dubitare che il sangue della vittima divina, pura ed immacolata, che è Gesù Cristo, che si offerse a Dio con atto d’amore ardentissimo, prosciolga le coscienze, le anime vostre da ogni sozzura di peccato e vi renda atti a servire debitamente a Dio? Qui l’Apostolo mette in rilievo la profonda differenza che passa tra l’efficacia dei sacrifici antichi e il sacrificio di Cristo. Quelli, per se stessi, non producevano che una purificazione esterna, legale, materiale, e se producevano anche la interna, spirituale, dinanzi a Dio, era unicamente in quanto risvegliava la fede nel futuro Messia e nel suo sacrificio, doveché questo monda l’anima per virtù propria, la rende bella agli occhi di Dio, liberandola dalle opere morte, cioè dai peccati. E perché i peccati si dicono opere morte? Perché come le cose morte, i cadaveri, sono brutti a vedersi, fanno ribrezzo, gettano lezzo, e nell’antica legge rendevano immondo chi li toccava; così i peccati fanno l’anima brutta e schifosa a Dio, e a così dire lo costringono a torcere altrove gli sguardi. Purificata dai peccati, l’anima è atta a servire al Dio vivente, dice l’Apostolo, mettendo in rilievo il passaggio di stato, d’essere prima soggetta alle opere morte, e poi di poter servire a Dio vivente. “E per questo, conchiude S. Paolo il suo ragionamento, e per questo è mediatore del Testamento nuovo, acciocché, intervenutavi la morte a pagamento delle trasgressioni avvenute sotto 1’Alleanza prima, i chiamati ricevano la promessa della eredità eterna. „ – L’Apostolo spiega perché Cristo è l’autore e mediatore del nuovo Testamento, e qui lasciate, o cari, che spieghi un po’ diffusamente il valore di queste parole testamento e mediatore. Si parla assai spesso di patto, di alleanza, di testamento antico, e di patto, di alleanza e

testamento nuovo. Che vogliono dire queste parole? Qual è la ragione del loro uso nel linguaggio sacro? Dio fece promesse solenni a Noè, ad Abramo, ad Isacco, a Mosè: promesse di protezione, di beni temporali e spirituali, e soprattutto fece la gran promessa del futuro Salvatore, che sarebbe venuto dalla progenie di Abramo e dalla famiglia di Davide. Le promesse dei beni temporali, come sapete, erano legate alla condizione, che i figli di Abramo e di Giacobbe sarebbero stati fedeli alla osservanza della legge. Le promesse divina furono accettate dai patriarchi e dal popolo registrate nei Libri santi. Era un patto, un’alleanza stretta tra Dio ed il suo popolo, una specie di contratto giurato e consacrato con il sangue delle vittime immolate. L’osservanza del patto con Dio da parte del popolo portava naturalmente il diritto di avere i beni da Dio promessi, e da parte di Dio l’obbligo di darli: ecco perché; i chiamò alleanza o patto si disse poi anche testamento, perché al possesso dei beni spirituali e della vita eterna che ne è il termine ultimo, non sarebbero giunti che per la morte di Cristo. Ben è vero che gli Ebrei ebbero i beni temporali prima della morte di Cristo: ma quei beni temporali erano figura degli spirituali, e poiché questi non si potevano ottenere che per la morte di Cristo, cosi anche per ragione de primi l’economia mosaica meritamente fu detta testamento. In una parola: la disposizione che dicesi testamento, ha vigore dopo la morte del testatore, e solo dopo questa l’erede riceve il possesso della eredità: ora tutte le promesse fatte da Dio agli uomini, quanto ai beni spirituali, erano tutte necessariamente legate alla morte di Cristo, come causa meritoria, e solo alla sua morte si sarebbero dischiuse le porte dei cieli ed avuto il possesso della vita eterna, ed è perciò che Cristo si chiama mediatore del Testamento nuovo, che completa il vecchio imperfetto. S. Paolo in questo luogo e in altri chiama Cristo mediatore in termini, implicitamente poi dovunque nei Libri santi è rappresentato come mediatore. La parola mediatore per se stessa importa l’idea d’uno che sta tra due e si adopera a conciliarli tra loro. A chi meglio che a Cristo si addice la dignità di mediatore. Egli primieramente è mediatore tra Dio e l’umano genere per natura, come avvertono i Padri. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo: in Lui è perfetta la natura umana non meno della divina, e unica la persona, e questa è divina. In Lui pertanto si congiungono la natura umana e la divina per guisa ch’Egli è veramente infinito e finito, eterno e temporario, immutabile e mutabile, in una parola Dio e uomo: Egli è, come scrisse S. Gregorio Nisseno, il punto che congiunge le due sponde del finito e dell’infinito, pel quale passano tutti i doni di Dio agli uomini, e pel quale gli uomini e gli Angeli stessi, dei quali ancora è capo, vanno a Dio. In questo senso Gesù Cristo è mediatore naturale. Egli poi adempie con sovrana perfezione gli uffici tutti di mediatore. Egli, in quanto uomo, paga per noi non solo, ma alla giustizia divina offre se stesso qual vittima espiatrice e propiziatrice in modo perenne, e salva da una parte tutti i diritti della giustizia eterna, pagando della sua stessa persona in misura infinita, e dall’altra spiegando le magnificenze della sua carità, col patire e morire per gli uomini colpevoli, ond’Egli è la nostra conciliazione e la nostra pace, come insegna l’Apostolo. Carissimi! Gesù Cristo è il Figlio di Dio e di Maria: in Lui il Padre trova tutte le sue compiacenze: in Lui ama ed abbraccia tutti quelli che per fede ed amore a lui sono uniti e somiglianti: a Gesù Cristo adunque, fratel nostro secondo la carne, stringiamoci per fede viva, per salda speranza, per ardente carità: a Lui facciamoci simili nelle parole e nelle opere, e dov’Egli è, noi pure saremo.

Graduale
1 Ioann V:6; V:7-8
Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Iesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine.
[Questo è colui che è venuto con acqua e con sangue: Cristo Gesù; non con acqua soltanto, ma con acqua e con sangue.]
Alleluja

  1. Tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus; et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sanguis: et hi tres unum sunt. Allelúia, allelúia. [In cielo, tre sono i testimoni: il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo; e i tre sono uno. In terra, tre sono i testimoni: lo Spirito, l’acqua, il sangue; e i tre sono uno. Alleluia, alleluia]
    1 Ioann V:9
    V. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei maius est. Allelúia.

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem.
Ioann XIX:30-35
In illo témpore: Cum accepísset Iesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Iudaei ergo – quóniam Parascéve erat -, ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati -, rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Iesum autem cum venissent, ut vidérunt eum iam mórtuum, non fregérunt eius crura, sed unus mílitum láncea latus eius apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit; et verum est testimónium eius.

[In quel tempo, quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». Poi, chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, essendo la Parascève, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un gran giorno quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e portati via. Andarono, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, e anche all’altro che era stato crocifisso con lui. Quando vennero a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe: ma uno dei soldati gli trafisse con la lancia il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua. Colui che ha visto ne rende testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera.]

OMELIA

(I Domenica di Luglio)

Del Preziosissimo Sangue di N. S. G. C.

[J. Thiriet: PRONTUARIO EVANGELICO, vol. VIII, Libreria Arciv. G. Daverio, MILANO, 1917]

“Dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostris in Sanguine suo”.

(Apoc. I, 5).

Ecco una festa che dovrebbe esserci tanto cara, ed eccitarci a grandi sentimenti di amore e di riconoscenza verso Nostro Signore Gesù Cristo. Che cosa ci ricorda? Ci ricorda l’immenso amore che Gesù Cisto ha avuto per noi. Dilexit nos… Spinse l’amor suo fino a versare il suo sangue, offrendolo all’Eterno suo Genitore in espiazione dei nostri peccati. Ha dimostrato questo suo grande amore proprio allora in cui a Dio eravamo nemici, quum inimici essemus… Inoltre questo suo sangue divino ci ha riscattati, ci ha purificati, ci ha santificati, ci ha aperte le porte del cielo: Lavit nos a peccatis nostris in sanguine suo… Consideriamo pertanto: 1. l’eccellenza e il prezzo di questo sangue divino; 2. la sua necessità pel nostro riscatto; 3. i suoi effetti meravigliosi.

1. — Eccellenza e prezzo del sangue di N. S.

1. — Da tutta l’eternità Iddio ha veduto la caduta dell’uomo: da tutta l’eternità ha parimenti veduto il rimedio ai tanti mali, che originò il fallo primo. Ha quindi accettato il Sangue del suo Unigenito Figliuolo in espiazione della ribellione, che l’uomo aveva perpetrato, peccando.

— Il sangue di Gesù Cristo è, per così dire, il compendio di tutta la Religione, perché tutto il culto si assomma nel Sacrificio, di cui l’effusione del Sangue di Cristo è la parte essenziale… Perché l’altare? Perché il calice?

— Gli antichi sacrifici, sì frequenti e sì tanto raccomandati, erano la figura del Sacrificio del Calvario: il sangue degli animali rappresentava quello della Vittima senza macchia, che solo era capace di placare lo sdegno di Dio, e di cancellare i nostri peccati. Parimenti il sangue dell’Agnello Pasquale, di cui gli Ebrei tinsero le loro porte, in tanto aveva virtù in quanto si connetteva al sangue dell’Agnello di Dio, il vero ed unico Salvatore del mondo.

— Il Sangue di Gesù Cristo è di un prezzo infinito; perché è stato formato per opera di Spirito Santo nel seno di Maria Ss. e, in virtù dell’unione ipostatica, è il sangue del Verbo di Dio, come dice S. Ireneo « Verbum Dei sanguine suo nos redemit… » È così prezioso, che una sola sua goccia vale di più che non tutti i tesori della terra, e basterebbe da sé a redimere milioni di mondi. « Non c’era proporzione tra l’iniquità dei peccatori e la santità di Colui che dava la sua vita per essi » così s’esprime S. Cirillo di Gerusalemme. E S. Giovanni Crisostomo soggiunge: « Tra Cristo e i peccatori c’era tanta distanza quanta ve n’ha tra l’immensità del mare ed una gocciolina d’acqua ».

— Ciò che ancora aumenta il prezzo del Sangue di N. S. è l’amore al Padre suo per noi. Lo ha versato tutto interamente, fino all’ultima stilla, in mezzo a tormenti atrocissimi, acciocché meglio comprendessimo l’enormità dei nostri peccati, e il pregio dell’anima nostra, e la grandezza del suo amore. Non corruptibilibus auro vel argento redempti estis, sed pretioso sanguine quasi Agni immaculati Jesus Christi— Empti enim estis pretio magno.

2. — Sua necessità per il nostro riscatto.

— Peccando, l’uomo aveva contratto un debito infinito con Dio. Né da solo, né tutti gli uomini potevano soddisfare… Qual mai tra i nati all’odio poteva presentarsi a Dio e dirgli: perdona? Ci voleva adunque una vittima di prezzo infinito, ci voleva, la vita, e il sangue di un Dio. Ecco il motivo per cui il Figlio di Dio scese sulla terra, e si fece uomo.

— Oh! i funesti effetti che cagionò il peccato!… L’uomo era caduto schiavo del demonio: l’anima sua aveva perduto la somiglianza con Dio, era diventato abbominevole a Dio…; sul suo capo s’erano chiuse le porte del cielo, s’era aperta sotto dei suoi piedi la voragine dell’inferno. Ebbene, solo il Sangue d’un Dio poteva porre riparo a sì tante rovine prodotte dal peccato… Habitavit in nobis… riscattò l’uomo, rese all’anima la primitiva sua beltà gli dischiuse le porte del cielo, gli restituì il diritto all’eredità dei figliuoli di Dio. Difatti, il Sangue prezioso di Gesù ha tutto restaurato… « mirabilius reformasti ».

— Data la nostra debolezza, di frequente, cadiamo e rinnoviamo la nostra rivolta contro Dio… Filii Israel peccatis veteribus jungentes nova. Come faremo a rientrare nella sua amicizia? Vi rientreremo per i meriti del Sangue di Gesù, che ogni giorno si offre sui nostri altari e si diffonde nelle anime nostre con la santa assoluzione… Nel tribunale di penitenza, il sangue di Gesù è il rimedio a tutte le nostre cadute, a tutte le nostre ferite: è un rimedio facile, certo, infallibile. Sull’altare, ove tquotìdie viene offerto dai sacerdoti, grida misericordia, e intercede per noi, secondo la promessa del Salvatore: Sanguis meus, qui prò vobis effundetur in remissionem peccatorum. Che sarebbe di noi, del mondo, se non ci fosse il Sangue di Gesù? Noi saremmo puniti, annientati, come furono gli uomini al tempo del diluvio, e i cittadini della Pentapoli. Il Sangue di Gesù è la nostra salvaguardia, ci protegge dalle folgori di Dio giustamente irritato contro di noi.

III. — I suoi effetti meravigliosi.

1. — In cielo. Offerto già questo sangue divino sul Calvario, e offrendosi ogni dì sui nostri altari, procaccia a Dio una gloria infinita, placa la sua giustizia, riconcilia l’uomo con lui, fa discendere tutte le grazie e tutte le benedizioni necessarie per farci santi. D’offerta e la preghiera di Gesù sono onnipossenti sul cuor di Dio: Exauditus est prò sua reveventia. Col Sangue suo versato, Gesù Cristo ha acquistato il diritto incontrastabile di signoria su di noi. Dominus meus et Deus meus. Finalmente questo Sangue divino procura altresì un aumento di gloria e di felicità alla Ss. Vergine Maria, che l’ha prestato ed offerto a Dio, dal quale ripete tutti i privilegi, di cui è stata insignita.

2. — Nel Purgatorio. Il sangue di Gesù, che ad ogni istante si offre a Dio, ha la virtù di estinguere, o diminuire le fiamme del Purgatorio, di refrigerare, di consolare, di liberare le anime che colaggiù vi sono trattenute. Come nel giorno della sua ascansione, tolse Gesù le anime giuste dal Limbo e le recò con sé in cielo, così il suo sangue prezioso che ogni dì si versa sui nostri altari, ha la possanza di liberare un gran numero di anime dal Purgatorio e di farle degne di salire al cielo.

3. — Sulla terra, a) Il sangue del Salvatore è il tesoro della S. Chiesa, sposa immacolata di Gesù, tesoro che costituisce il suo vanto, la sua gioia, la sua gloria, le sue rochezze. Fons patens domus David…. b) Distrugge l’impero di Satana e stabilisce nelle anime il regno di Gesù Cristo — c) Converte e purifica i peccatori, fortifica e santifica le anime giuste: Justificati in sanguine Christi, Salvi erimus ab ira per ipsum. Sentite con quali parole S. Giov. Crisostomo sintetizza i beneficii derivati da questo sangue divino, che, secondo la mente di S. Paolo, a noi profuse abundantiam gratiæ … « Non abbiamo solo ricevuto la quantità di grazia necessaria per cancellare il peccato, ma ne abbiamo ricevuto una quantità assai considerevole. Siamo stati liberati dal castigo, che ci attendeva, abbiamo completamente rejetto il peccato, abbiamo sepolto l’uomo vecchio, siamo stati sollevati oltre l’antico onor, siamo stati rigenerati ad una vita nuova, siamo stati giustificati, siam divenuti figli adottivi di Dio Padre, fratelli di Gesù Cristo, suoi eredi, membra del suo corpo, parte della sua carne, uniti a Lui di quell’unione, che intercede tra la testa ed il corpo. »

Conclusione. — Adoriamo profondamente il sangue prezioso di N. S. — segnatamente quando si versa sui nostri altari durante il Sacrificio della S. Messa. Ringraziamo Gesù dell’infinito amore ch’ebbe per noi, versando il suo sangue come prezzo del nostro riscatto. Rendiamogli amore per amore, viviamo per Lui, affinché possiamo meritare di essere un di’ fra coloro che … laverunt stolas suas  et dealbaverunt eas in sanguine agni.

Credo

Offertorium
Orémus
1 Cor X:16
Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est? [Il calice dell’eucarestia che noi benediciamo non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo].

Secreta
Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, Testaménti mediatórem Iesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus. [O Dio onnipotente, concedi a noi, per questi divini misteri, di accostarci a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e di rinnovare sopra il tuo altare l’effusione del suo sangue, che ha voce più benigna del sangue di Abele.]

Communio
Hebr 9:28
Christus semel oblítus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem. [Il Cristo è stato offerto una volta per sempre: fu quando ha tolto i peccati di lutti. Egli apparirà, senza peccato, per la seconda volta: e allora darà la salvezza ad ognuno che lo attende.]

Postcommunio
Orémus.
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis eius fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis:
[Ammessi, Signore, alla santa mensa abbiamo attinto con gioia le acque dalle sorgenti del Salvatore: il suo sangue sia per noi sorgente di acqua viva per la vita eterna:]

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO 2018

IL MESE di LUGLIO [2018]

LUGLIO è il mese che la CHIESA dedica al

PREZIOSISSIMO SANGUE DI CRISTO

IN HONOREM PRETIOSISSIMI SANGUINIS IESU

I

INVOCATIO

215

Te ergo quæsumus, tuis famulis subveni,

quos pretioso Sanguine redemisti

(ex Hymno Ambrosiano).

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap., 23

mart. 1933).

II

HYMNUS

216

Salvete, Christi vulnera,

Immensi amoris pignora,

Quibus perennes rivuli

Manant rubentis sanguinis.

Nitore stellas vincitis,

Rosas odore et balsama,

Pretio lapillos Indico»,

Mellis favos dulcedine.

Per vos patet gratissimum

Nostris asylum mentibus;

Non huc furor minantium

Unquam penetrat hostium.

Quot Iesus in praetorio

Flagella nudus excipit!

Quot scissa pellis undique

Stillat cruoris guttulas!

Frontem venustam, proh dolor!

Corona pungit spinea,

Clavi retusa cuspide

Pedes manusque perforant.

Postquam sed ille tradidit

Amans volensque spiritum,

Pectus feritur lancea,

Geminusque liquor exsilit.

Ut plena sit redemptio,

Sub torculari stringitur,

Suique Iesus immemor,

Sibi nil reservat sanguinis.

Venite, quotquot criminum

Funesta labes inficit:

In hoc salutis balneo

Qui se lavat, mundabitur.

Summi ad Parentis dexteram

Sedenti habenda est gratia,

Qui nos redemit sanguine,

Sanctoque firmat Spiritu. Amen.

(ex Brev. Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo pia hymni recitatio, quotidie peracta, in integrum mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934). 

III

PIUM EXERCITIUM MENSE IULIO

217

Fidelibus, qui mense iulio pio exercitio, in honorem pretiosissimi Sanguinis D. N. I. C. publice peracto, devote interfuerint, conceditur: Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis, si diebus saltem decem eidem exercitio adstiterint. Iis vero, qui præfato mense preces aliave pietatis obsequia in honorem eiusdem pretiosissimi Sanguinis privatim præstiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel singulis diebus;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem pietatis obsequium obtulerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento, quominus exercitio publico intersint

(S. C. Indulg., 4 iun. 1850; Pæn. Ap., 12 maii 1931).

Virtù del Sangue di Gesù.

« Avendo dunque, o fratelli – ci dice l’Apostolo – in virtù del sangue di Cristo, la fiducia di entrar nel Santo dei Santi, per la via nuova e vivente che egli inaugura per noi attraverso il velo, cioè attraverso la sua carne, accostiamoci con cuore sincero, colla pienezza della fede, purificato il cuore dalla cattiva coscienza, col corpo lavato dall’acqua pura. Conserviamo senza vacillare la professione della nostra speranza (essendo fedele chi ha promesso) e vigiliamoci a vicenda, per stimolarci alla carità e alle opere buone (Ebr. X, 19-24). – E il Dio della pace, il quale ha ritolto alla morte nostro Signor Gesù Cristo, vi renda capaci d’ogni bene, in modo che voi facciate la sua volontà, mentre egli opera in voi ciò che gli è grato per Gesù Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei secoli» (ibid. XIII, 20-21).

Storia della festa.

Non dobbiamo omettere di ricordare qui che questa festa è il memoriale di una fra le più splendide vittorie della Chiesa. Pio IX era stato scacciato da Roma, nel 1848, dalla Rivoluzione trionfante; in quegli stessi giorni, l’anno seguente, egli vedeva ristabilito il suo potere. Il 28, 29 e 30 giugno, sotto l’egida degli Apostoli, la figlia primogenita della Chiesa, fedele al suo glorioso passato, cacciava i nemici dalle mura della Città eterna; il 2 luglio, festa di Maria, terminava la conquista. Subito un duplice decreto notificava alla città e al mondo la gratitudine del Pontefice e il modo in cui egli intendeva perpetuare mediante la sacra Liturgia il ricordo di quegli eventi. Il 10 agosto, da Gaeta, luogo del suo rifugio durante la burrasca, Pio IX, prima di tornare a riprendere il governo dei suoi Stati, si rivolgeva al Capo invisibile della Chiesa e gliela affidava con l’istituzione dell’odierna festa, ricordandogli che, per quella Chiesa egli aveva versato tutto il suo Sangue. Poco dopo, rientrato nella capitale, si rivolgeva a Maria, come avevano fatto in altre circostanze san Pio V e Pio VII; il Vicario dell’Uomo-Dio attribuiva a colei che è l’Aiuto dei cristiani l’onore della vittoria riportata nel giorno della sua gloriosa Visitazione, e stabiliva che la festa del 2 luglio fosse elevata dal rito doppio maggiore a quello di seconda classe per tutte le Chiese: preludio alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione, che l’immortale Pontefice fin d’allora aveva in mente, e che doveva schiacciare ancor più il capo del serpente. Poi, nel corso del Giubileo indetto nel 1933 per commemorare il XIX centenario della Redenzione, Papa Pio XI, onde imprimere maggiormente nell’animo dei fedeli il ricordo e la venerazione del Sangue del Divino Agnello e per invocarne sulle anime nostre frutti più abbondanti, elevò la festa del Preziosissimo Sangue al doppio di prima classe. [Dom Guéranger, l’Anno liturgico]

Ecco di seguito le feste del mese di LUGLIO

1 LuglioDominica VI Post Pentecostem

                       Pretiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu

                        Christi  I. classis

2 Luglio In Visitatione B. Mariæ Virginis    II. classis

3 Luglio S. Leonis Papæ et Confessóris    Semidupl

5 Luglio S. Antonii Mariæ Zaccaria Confessóris    Duplex

6 Luglio In Octavam Ss. Petri et Pauli    Duplex majus

I° Venerdì

7 Luglio Ss. Cyrilli et Methodii Pont. et Conf.    Duplex

I° Sabato

8 Luglio Dominica VII Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I* – S. Elisabeth Reg. Portugaliæ       Víduæ

10 Luglio Ss. Septem Fratrum Mártyrum,

ac Rufinæ et Secundæ Virginum et Mártyrum                   Semiduplex

11 Luglio S. Pii I Papæ et Martyris    Feria

12 Luglio S. Joannis Gualberti Abbatis    Duplex

13 Luglio S. Anacleti Papæ et Martyris    Semiduplex

14 Luglio S. Bonaventuræ Epíscopi Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Luglio Dominica VIII Post Pentecosten                                            Semiduplex Dominica minor –   

S. Henrici Imperatoris Confessóris

16 Luglio In Commemoratione Beatæ Mariæ Virgine de Monte Carmelo    Feria

17 Luglio S. Alexii Confessóris    Feria

18 Luglio S. Camilli de Lellis Confessóris    Duplex

19 Luglio S. Vincentii a Paulo Confessóris    Duplex

20 Luglio S. Hierónymi Æmiliáni Confessóris    Duplex

21 Luglio S. Praxedis Virginis    Feria

22 Luglio

22 Luglio Dominica IX Post Pentecosten   

           Semiduplex  Dominica minor *I*

S. Mariæ Magdalenæ Pœnitentis    Duplex

23 Luglio S. Apollinaris Epíscopi et Martyris    Duplex

24 Luglio S. Christinæ Virginis et Martyris    Feria

25 Luglio S. Jacobi Apostoli    Duplex II. classis

26 Luglio S. Annæ Matris B.M.V.    Duplex II. classis

27 Luglio S. Pantaleonis Martyris    Feria

28 Luglio Ss. Nazarii et Celsi Mártyrum, Victoris I

Papæ et Martyris ac Innocentii I Papæ et

Confessóris    Duplex

29 Luglio Dominica X Post Pentecosten I. Augusti     

                                 Semiduplex Dominica minor *I*

S. Marthæ Virginis    Duplex

30 Luglio S. Abdon et Sennen Mártyrum    Feria

31 Luglio S. Ignatii Confessóris    Duplex majus

 

 

 

DOMENICA VI dopo PENTECOSTE (2018)

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVII:8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum. [Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum. [O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum. [Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias. [O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[Mons. Bonomelli: Omelie, vol. III, Torino 1899, impr. – Omelia XIII]

“Tutti quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte. Noi dunque siamo stati con Lui seppelliti per il battesimo, a morte; affinché, come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, similmente noi pure camminiamo nella vita nuova: perché se siamo stati innestati con Cristo alla conformità della sua morte, certo lo saremo ancora a quella della sua risurrezione. Sapendo questo, che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con Lui, affinché il corpo del peccato sia annullato, sicché noi non serviamo più al peccato, perché chi è morto è sciolto dal peccato. Ora se noi siamo morti con Cristo, crediamo che vivremo altresì con Lui. Sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più signoria sopra di Lui. Perché quanto all’essere morto per il peccato, Egli morì una volta: quanto al vivere, Egli vive a Dio. Così anche voi fate conto di essere bensì morti al peccato, ma di vivere a Dio in Gesù Cristo Signor nostro „ (Ai Rom. VI, 3-11).

– Delle quattordici lettere di S. Paolo, per sentenza unanime degli interpreti, la più importante e più difficile ad intendersi è quella indirizzata ai Romani, perché in essa il grande Apostolo tratta diffusamente della vocazione alla fede, della grazia divina e della sua gratuità, della rinnovazione che si opera per il santo Battesimo, del peccato originale e d’altri punti capitalissimi di dottrina cristiana. Il brano, che vi ho recitato, si legge nel capo sesto di questa epistola ai Romani. Esso riguarda ai doveri, che hanno i battezzati di morire al peccato e di vivere a Cristo, nel che si compendia tutta la sapienza pratica del Vangelo. È un argomento della più alta importanza, ma non facile a spiegarsi, attesa la forma concisa e serrata propria dell’Apostolo. La vostra attenzione renda a me più agevole la chiusa delle sentenze riportate ed a voi più fruttuoso l’apprenderne il senso. “Tutti quanti siamo stati battezzati in Cristo, fummo battezzati nella morte di Lui. „ Punto principalissimo della dottrina di Cristo, svolto in tutte le forme da san Paolo, è questo: noi siamo riconciliati a Dio per la fede in Gesù Cristo, e questo è dono totalmente gratuito, al quale, per nessun titolo avevamo diritto; e la larghezza di questo dono apparisce mirabilmente più grande se consideriamo lo stato di colpa universale, in cui tutti, senza eccezione, Giudei e Gentili ci trovavamo. Ora noi siamo battezzati, che è quanto dire siamo passati dallo stato di morte allo stato di vita, e tutto ciò per Gesù Cristo. Ma che vuol dire questa frase di san Paolo, ” fummo battezzati nella morte di Cristo? „ Noi sappiamo che al tempo degli Apostoli e dopo essi per molti secoli, cioè fino al tempo di S. Tommaso, il Battesimo solevasi amministrare quasi sempre per immersione: la persona tutta era immersa nell’acqua, anche il capo: in quest’atto o rito il battezzato rappresentava la morte e la sepoltura di Cristo, come nell’atto e nel rito di uscire dall’acqua rappresentava la sua risurrezione. Cristo, morendo sulla croce, cessò di vivere alla vita di prima, cioè al peccato del quale era schiavo; Cristo, uscendo dal sepolcro, rivive, ma di una vita nuova, immortale; così il battezzato uscendo dall’acqua deve ricominciare una vita nuova, spirituale, santa. Come Cristo lasciò nel sepolcro, a così dire, la vita sua passibile e mortale, così il battezzato lascia nell’acqua del Battesimo il peccato e tutte le opere del peccato. – È ciò che S. Paolo più chiaramente sviluppa nel versetto seguente: “Fummo sepolti con Cristo nel Battesimo, affinché come Cristo risuscitò dai morti, a gloria del Padre, così noi pure camminassimo in una vita nuova. „ Chi è desso il ristiano? domandava a se stesso Tertulliano, e rispondeva con frase ardita sì, ma vera ed incisiva: Alter Christus. Egli è un altro Cristo, una copia fedele di Cristo in ogni cosa. Tutto ciò che avvenne in Cristo, dice S. Agostino, ragguagliata ogni cosa, deve ripetersi nel suo vero discepolo: Cristo morì in croce alla vita naturale del corpo, e tu devi morire nel Battesimo al peccato, alle passioni, ai piaceri illeciti della carne, cioè devi essere a tutte queste cose quello che è un morto, che non se ne cura, non le vede, non le ama. Cristo risuscitò, rifiorente d’una immortale giovinezza: e tu devi uscire dalle acque del Battesimo rifatto, nei pensieri, nelle parole, nelle opere uomo nuovo, nuova creatura; e camminare per la via nuova della virtù e della santità. Cristo risuscitò e con la sua risurrezione ci provò la santità della sua dottrina e manifestò la gloria sua e la gloria del Padre, che l’aveva mandato: così tu, rinnovato nel Battesimo, con la tua vita, modellata su quella di Cristo, farai in te stesso testimonianza alla santità della Dottrina che professi, e renderai gloria a Dio, giacché gli uomini, come dice altrove Gesù Cristo stesso, vedendo le opere tue buone ed affatto nuove, frutto della tua fede, riconosceranno la grandezza e santità di Colui del quale sei discepolo, e glorificheranno Dio. In altre parole più brevi e forse più chiare, per il Battesimo (l’Apostolo parlava ad adulti) deve cessare in noi il peccato e la vita antica, vita schiava delle passioni, e deve cominciare la grazia e la vita nuova, la vita di Cristo. – Oh piacesse a Dio, che queste maschie verità penetrassero negli animi nostri e informassero la nostra condotta! Persuadiamocene bene, o dilettissimi, che il bisogno è grande in ogni classe di persone: la vera vita cristiana non sta in parole, in proteste, in pratiche esterne, in novene, in tridui, in processioni, in luminarie, in feste, in pellegrinaggi clamorosi, ma nelle opere della vita cristiana, nell’imitazione di Gesù Cristo, l’eterno modello di ogni perfezione. Tutte quelle pratiche esterne sono buone, commendevoli senza dubbio, ma sono mezzi e non fine, e intanto si hanno da fare in quanto ci conducono al fine, cioè alla pratica delle virtù cristiane. Se in noi non appare la vita di Gesù Cristo, cioè se in noi non risplendono le virtù di Gesù Cristo, tutte quelle pratiche religiose non giovano a nulla, sono una contraddizione manifesta e in qualche modo sono la nostra condanna. Ribadisco questa grande verità perché mi sembra che grande ne sia il bisogno. – S. Paolo ribadisce questa verità nel versetto che segue, scrivendo: “Se siamo stati innestati alla conformità della morte di Cristo, lo saremo eziandio a quella della risurrezione. „ Scopo dell’Apostolo è sempre quello di stabilire la unione intima di Cristo e dell’anima per Lui rigenerata e quella identità di vita, che forma la vera nostra grandezza, e che il divino Maestro espresse stupendamente allorché nel discorso dell’ultima Cena disse: Io sono la vite e voi siete i tralci: come il tralcio non può dare frutto alcuno, se non rimane unito alla vite, così voi pure se non rimarrete uniti a me. Osservate, dice S. Paolo, ciò che avviene nell’albero: se sopra quest’albero si inseriscono rami d’altri alberi, questi rami succhiano l’umore dell’albero, su cui sono innestati, di esso vivono e vigoreggiano e formano con l’albero stesso una sola cosa: così deve avvenire anche di noi, rami inseriti nell’albero della Vite divina, che è Gesù Cristo. Inseriti in Lui per il santo battesimo, siamo simili in ogni cosa a Lui, viviamo a Lui e con Lui, e produciamo i suoi frutti stessi. Che avverrà? Morti all’albero antico, da cui siamo tagliati, cioè all’uomo vecchio, ad Adamo peccatore per il battesimo e inseriti nell’albero della vita divina che è Cristo, con Cristo vivremo e risorgeremo: Si enim complantati facti sumus similitudini mortis ejus, sìmul et resurrectionìs erimus. Vedi: d’inverno l’albero si spoglia dell’ammanto delle sue frondi, e con ‘albero i rami, che sembrano morti: ritorna la bella stagione: l’aria si intiepidisce, il sole vibra più ardenti i suoi raggi, l’albero si desta dalla sua morte apparente, rifonde la vita nei rami, che tosto si ricoprono di foglie e di fiori e albero e rami insieme rivivono: così avverrà a noi, o cari, se saremo inseriti nell’albero della vite vera, che è Gesù Cristo; come Egli già risuscitò, noi pure risusciteremo e con Lui vivremo eternamente. Oh la bella e consolante dottrina dell’Apostolo! Inseriti in Cristo, risuscitiamo prima alla vita della grazia e per la grazia abbiamo in noi il germe felice della finale risurrezione anche del corpo: Sìmul et resurrectionis erimus. – Troppo preme all’Apostolo far comprendere ai fedeli di Roma il mistero della morte nostra per il Battesimo, e quindi della conseguente nostra risurrezione in Cristo, e perciò vi torna sopra nei versetti seguenti: “Questi ben sapendo, che il nostro vecchio uomo è stato con Lui (Cristo) crocifisso, affinché il corpo del peccato sia annientato. „ Voi, o fedeli, sapendo queste cose, cioè che noi siamo per il Battesimo morti al peccato, inseriti Cristo e che dobbiamo vivere una vita nuova, la vita stessa di Cristo, dovete anche sapere che il nostro uomo vecchio è crocifisso con Cristo. E che è questo uomo vecchio, del quale qui ed altrove si parla dall’Apostolo? Lo dissi altra volta, ma non sarà inutile ripeterlo qui. L’uomo vecchio, l’uomo fuor d’uso, l’uomo esterno, espressione che si trova nel solo S. Paolo, è detto per opposizione all’uomo nuovo, ossia rinnovato per Cristo. Il nuovo fu quello, che uscì pel primo dalle mani di Dio, come nuova dicesi quella casa, appena fabbricata dall’architetto: uomo vecchio è quello che vien dopo, che per ragione di tempo o per altre cause è guastato, come dicesi vecchia la casa, che ha bisogno d’essere ristorata. Adamo innocente era l’uomo nuovo: Adamo peccatore è l’uomo vecchio e uomo vecchio è ogni peccatore che viene da lui con il peccato d’origine e con gli altri peccati a quello aggiunti. Il vecchio uomo pertanto qui importa ogni uomo, guasto dal peccato originale, schiavo delle passioni e delle malvagie abitudini contratte. Or bene, dice san Paolo, sappiatelo bene: quest’uomo corrotto fu confitto alla croce con Cristo, cioè ucciso con Cristo nel Battesimo, e lo deve essere ogni giorno per la grazia di Cristo, in quanto ché ogni giorno noi dobbiamo combatterlo, crocifiggendo, e se fosse possibile, uccidendo tutte le sue perverse voglie. Che cosa deve fare ogni giorno il vero discepolo di Gesù Cristo? combattere e soggiogare le proprie passioni: ecco che cosa vuol dire crocifiggere con Cristo l’uomo vecchio; come Cristo confisse il suo corpo alla croce, così noi dobbiamo mettere in croce le nostre passioni : è tutta qui la sapienza di Cristo, l’insegnamento del Vangelo. E se ciò faremo, quale ne sarà la conseguenza? “Il corpo del peccato sarà annientato, „ Ut evacuetur corpus peccati. Questo corpo del peccato, di cui parla S. Paolo, può significare il cumulo dei peccati, onde ciascuno è aggravato, o meglio il corpo stesso in quanto che in esso si annida la concupiscenza, radice di tutti i peccati, e in questo senso è lo strumento ed anche l’incentivo dei peccati stessi. – Forse che s’intende che il corpo debba essere distrutto? No, per fermo, giacché l’Apostolo in altro luogo vuole che il corpo serva alla giustizia, a Dio, come prima ha servito all’iniquità: il corpo del peccato si dice dover essere annientato, cioè il corpo, ora strumento di peccato, deve essere sciolto da questo servaggio, diventando strumento della virtù: “Ut evacuetur corpus delinquentiæ per emendationem vitæ, non per interitum substantiæ”, disse sapientemente Tertulliano (De Besurr. Carnis, c. 47, apud A Lapide). Quando avremo crocifisso l’uomo vecchio, e annientato il corpo del peccato, che è la stessa cosa, allora noi non serviremo al peccato: “Et ultra non serviamus peccato”. Il nostro corpo, lo disse il maggiore dei filosofi pagani, è simile ad un destriero: questo ubbidisce a chi lo cavalca, e va dove esso vuole che vada. Se l’anima è rigenerata da Cristo, informata dalla sua grazia, il corpo ubbidisce ad essa e si presta alle opere di vita: se per contrario l’anima è in balia delle passioni e serva del peccato, il corpo fa opere di peccato. E qui l’Apostolo in una sentenza piena di energia compendia tutta la dottrina esposta in questi versetti, dicendo: “Chi è morto è sciolto dal peccato. „ Noi, nel Battesimo, dando il nostro nome a Cristo e venendo innestati in Lui, non abbiamo più nulla a fare col peccato: in faccia al peccato siamo come i morti rispetto alle cose che li circondano: per essi sono come se non fossero. E per tenerci all’altra immagine di S. Paolo, noi siamo rami tagliati da un albero per essere innestati nell’albero della vita, che è Gesù Cristo. Questi rami tagliati dall’albero sono morti totalmente all’albero stesso, né più possono produrre frutti innestati in un altro albero, possono vivere e fruttificare, ma vivono e fruttificano del nuovo albero. Similmente noi; dopo il Battesimo non dobbiamo più vivere di Adamo, cioè dell’uomo peccatore e far le opere sue, ma vivere di Cristo e fare le opere di Cristo. Questa sentenza sì profonda e sì forte dell’Apostolo ci stia fitta nell’animo. – Rigenerati in Cristo, viventi di Lui, non dobbiamo curarci del mondo, né dei suoi piaceri: tra noi e lui non ci debbono essere rapporti: egli è morto a noi e noi a lui. Il ramo che è innestato in un albero e vive di esso ed in esso, cerca egli forse di separarsi da questo per ritornare ancora all’albero antico, da cui fu reciso? Certamente no, e se lo facesse, per esso varrebbe quanto il disseccare ed il perire. Questa è la dottrina dell’Apostolo ed il succo del Vangelo: noi, che ora apparteniamo a Gesù Cristo per il Battesimo, dovremmo essere come morti all’amore sregolato del mondo e delle mondane cose: questo il nostro dovere. È così anche nel fatto? La nostra condotta è conforme alla nostra vocazione? Ohimè! quanto siamo lontani da questo sublime ideale del vero cristiano tratteggiato da S. Paolo. Col pensiero, con l’affetto sempre volti alle cose della terra, queste amiamo, queste cerchiamo, per queste viviamo, in queste collochiamo le nostre gioie, il nostro fine: a Gesù Cristo ed alle cose del cielo, noi, cristiani, raramente pensiamo, se pure qualche volta vi pensiamo. Quasi continuamente intesi ad accarezzare il corpo ed appagarne le voglie malnate, dimentichiamo il dovere che abbiamo di crocifiggerlo, di farlo morire al peccato! Eppure a questo si riduce tutta la vocazione e l’opera del Cristiano, e se non lo facciamo, non siamo Cristiani che di nome. – “Se dunque siamo morti con Cristo, crediamo, eziandio che vivremo insieme con Cristo. ,, È la conclusione naturale delle cose sopra accennate: se saremo imitatori di Cristo, nel far morire il nostro corpo ai piaceri terreni, avremo comune con Cristo la vita futura. Voi vedete che l’Apostolo con la somma cura con cui cerca porci sotto gli occhi i sacrifici che dobbiamo fare per la virtù, per l’imitazione di Cristo, ci ricorda anche il premio e la corona riserbata, e come tutto Egli consideri sempre in rapporto a Cristo. – “Sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più signoria sopra di Lui .. Quest’altro versetto si lega col primo e vuol dire che vivremo con Cristo. Quanto? Per sempre, perché Cristo è risorto per non ricadere più mai in potere della morte, che ha vinto. E prosegue, svolgendo meglio questo pensiero: Perché quanto all’essere morto per il peccato, Cristo morì una sola volta al peccato, una sola volta per sempre: così noi, morti una volta al peccato; fatta una volta la rinuncia al mondo e alle opere sue, dovremmo essere morti per sempre, e la rinuncia fatta una volta al mondo, non dovrebbe più aver bisogno d’essere rinnovata; e come Cristo, risorto una volta, è risorto per sempre e sempre vivrà nella gloria, così noi pure, resuscitati a Dio con la grazia, viventi in Cristo, dovremmo vivere in Lui per sempre e non ricadere più mai in balia della morte, ritornando al peccato. Eccoci all’ultimo versetto della nostra epistola: “Così ancor voi fate conto d’essere morti al peccato, ma di vivere a Dio in Gesù Cristo Signor nostro. „ Dopo avere esposta la dottrina evangelica, sì teorica come pratica in genere, l’Apostolo si rivolge direttamente e particolarmente ai fedeli, ai quali scrive e dice: “Ora a voi, o carissimi, applicare l’insegnamento che vi ho dato. Secondo le vostre forze studiatevi d’essere sempre morti al peccato e sempre vivi soltanto a Dio, ad imitazione di Gesù Cristo, o forse meglio, mercé l’aiuto di Gesù Cristo Signore nostro. „ – S. Paolo in tutti questi versetti, che abbiamo commentati, con linguaggio poetico ci rappresenta la virtù e il vizio, come due esseri viventi, che combattono tra loro, e si contendono tra loro la signoria del cuore dell’uomo. Questo sta in mezzo ai due contendenti, libero di darsi all’uno od all’altro; se si getta dal lato del vizio, diventa schiavo delle passioni, che militano nel corpo, vive della vita del corpo e muore per sempre a Dio; se per contrario si mette dalla parte della virtù, della santità, di Cristo, diventa figlio di Dio, muore al mondo e vive per sempre a Cristo. La scelta è inevitabile, e così l’uomo è l’artefice della propria sorte, o eternamente infelice col peccato, o eternamente beata con la virtù in Cristo. O morire a Dio per vivere col peccato; o morire al mondo per vivere con la grazia: non c’è via di mezzo, e tra i due è forza scegliere. A quale dei due, che domandano l’ingresso del nostro cuore, porgeremo noi le chiavi? Al peccato od alla virtù? Al mondo o a Cristo? A chi col piacere presente ci porta la morte eterna, o a chi col dolore passeggero ci offre la vita eterna? Voi non potete stare in forse un solo istante; la vostra scelta è fatta: voi vi schierate sotto la bandiera della virtù, che è la bandiera di Gesù Cristo, perché con Lui solo vi è la vita!

Graduale

Ps LXXXIX:13; LXXXIX:1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos. V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja. [Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi. V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja. [Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII:1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

Omelia II

[G. Bonomelli, ut supra, om. XIV]

“Essendosi radunata grande moltitudini, né avendo che mangiare, Gesù, chiamati a sè i discepoli, disse loro: Questa gente mi fa pietà, perché da tre giorni rimane presso di me e non hanno che mangiare. E se li rimando digiuni a casa loro, verranno meno per via, giacché alcuni di loro sono venuti da lontano. Ma i suoi discepoli gli risposero: Donde potrebbe alcuno, qui nel deserto, satollare costoro di pane? Ed Egli domandò loro: Quanti pani avete? Essi dissero: Sette. Allora Egli comandò alla moltitudine di sedersi in terra, e, presi i sette pani, rese grazie, li spezzò e li diede ai suoi discepoli, affinché li ponessero innanzi a quella, e così fecero. Avevano anche alcuni pochi pesciolini, e benedettili, comandò di porli loro innanzi. E mangiarono e furono sazi, e levarono degli avanzi di frusti sette sporte. Ora quelli che avevano mangiato erano circa quattromila: quindi li accommiatò „ (S. Marco, VIII, 1-9).

Due volte Gesù Cristo operò la moltiplicazione del pane, e ambedue le volte in Galilea, sulle rive del lago di Genesaret, e quasi nello stesso luogo. La prima volta Egli moltiplicò cinque pani d’orzo e due pesci, satollando circa cinque mila persone, senza tener conto delle donne e dei fanciulli, e questo fatto è narrato da S. Matteo, nel capo XIV, da San Marco, nel capo IV, da S. Luca, nel capo IX, e finalmente anche da S. Giovanni, nel capo VI. Quest’ultimo, che a studio omette quasi sempre ciò che è narrato dagli altri Evangelisti, riferì questo miracolo all’intento di riportare la promessa della Eucaristia, che fa seguito, omessa da quelli. Il secondo miracolo fu fatto da Gesù Cristo non molto dopo, ed è riferito solamente da S. Matteo, al capo XV, e nell’VIII da S. Marco, che ho riportato.Alcuni furono d’avviso che le due moltiplicazioni del pane fossero una sola, ma ciò è manifestamente falso, perché S, Matteo e san Marco avrebbero narrato due volte lo stesso fatto e con circostanze differenti, cosa affatto impossibile. Oltreché i particolari della seconda moltiplicazione presso S. Matteo e S. Marco non si possono comporre con la prima descritta da S. Luca e S. Giovanni; in questa si parla di cinque pani e due pesci moltiplicati, e di dodici canestri di avanzi raccolti, in quella di sette pani e pochi pesciolini, e di sette sporte di avanzi. Nessun dubbio pertanto che questo miracolo è distinto dall’altro e avvenuto qualche mese appresso, come non sarebbe difficile mostrare, raffrontando tra loro gli Evangelisti. Mandata innanzi questa breve avvertenza, vi piaccia seguirmi, non nella interpretazione del testo, che è chiarissimo, ma nelle applicazioni morali, che verranno a proposito. Gesù, accompagnato sempre dai suoi Apostoli, era stato sui confini della Fenicia, presso Tiro e Sidone, dove aveva risanata la figlia d’una donna cananea: di là, attraversata la Galilea, era ritornato sulle rive del suo lago prediletto di Tiberiade o Genesaret. Colà una gran moltitudine lo seguiva da tre giorni, attratta dai miracoli che operava, e rapita dalla sua parola. Gesù, vedendo quella folla, che lo seguiva con tanto amore e che non aveva che mangiare, chiamati a sé gli Apostoli, disse loro: Questa gente mi fa pietà, perché da tre giorni rimane presso di me e non hanno che mangiare. „ Noi, popoli occidentali, difficilmente possiamo formarci un’idea dei costumi orientali: per noi queste moltitudini di uomini, di donne e di fanciulli, che per tre giorni seguono il divino Maestro in luoghi lontani dall’abitato, presentano un fatto strano e quasi impossibile; ma se teniamo conto di quel clima, che nella maggior parte dell’anno permette di passare anche la notte in aperta campagna. Se poniamo mente a ciò che in quei paesi avviene anche al giorno d’oggi, non troveremo difficile ad intendersi ciò che si narra delle turbe che seguivano Cristo. Popoli, nei quali il sentimento religioso era profondo e potentissimo e fermentava l’idea del Messia aspettato, e nei quali le abitudini quasi nomadi non erano affatto dimenticate; popoli, che si erano sì fortemente scossi alla parola di Giovanni, e che ora udivano quella ammaliante di Cristo e vedevano i suoi miracoli, non potevano non levarsi in massa e seguitarlo dovunque con sacro entusiasmo. Nei nostri grandi pellegrinaggi possiamo avere una pallida immagine di ciò che avveniva a quei giorni intorno a Cristo. Quella moltitudine portava seco qualche provvisione di viveri, ma questa doveva essere interamente consumata, allorché Gesù, chiamati a sé gli Apostoli, esce in quelle parole piene d’ineffabile tenerezza: “Questa gente mi fa pietà, „ Misereor super turbam. E perché Gesù sente sì vivamente pietà di questa turba, che lo segue? Rende quattro ragioni semplicissime: “Perché da tre giorni questa gente rimane presso di me: perché non hanno da mangiare: perché se dovessero ritornare a casa così digiuni, verrebbero meno per via, e perché molti di loro sono venuti da lontani paesi. „

Quanta semplicità! quanta naturalezza di linguaggio! quanta bontà e soavità di affetto, quando si pensa, che Colui che parla in questo modo agli Apostoli e parla del popolo sofferente, è il Figlio di Dio, il Creatore dell’universo, il Salvatore del mondo, noi ci sentianio sopraffatti dalla meraviglia, la mente si smarrisce, vien meno la parola e sentiamo il bisogno di raccomandarci alla fede. Che cosa dobbiamo apprendere da Gesù? Che cosa ci insegna questo popolo, che per udire il divino Maestro, non bada a disagio di cammino e dimentica persino il bisogno naturale del cibo? Da Gesù, noi che teniamo una autorità qualunque, dobbiamo imparare la dolcezza, l’affabilità, la benignità, lo spirito di compatimento e di indulgenza verso quelli, che ci sono soggetti, quelli che soffrono, verso tutti i deboli ed i poveri. Sulla terra non c’è spettacolo più bello e più commovente quanto quello d’una autorità, che si china verso i sofferenti ed i piccoli, li ama, li soccorre e tratta con essi come se fossero eguali. Questa autorità non si abbassa, ma si innalza, non perde del suo decoro, ma lo accresce, più che farsi temere e rispettare si fa amare. Gesù ne è il modello più perfetto! Vedetelo in mezzo a quei poveri e rozzi pescatori, che erano i suoi Apostoli! Discorre con loro: li interroga, quasi li consulta ed apre con essi il suo cuore come un padre con i figli, che gli fanno corona; esprime i sensi del suo cuore, tocco di compassione alla vista di quella folla che soffre la fame, che ha fatto lungo viaggio: Misereor super turbarti. “Questa povera gente mi fa pietà! „ In queste parole sì semplici e sì care noi sentiamo, a così dire, oscillare il cuore di Gesù! Imitiamolo. Il popolo, che con tanta costanza e tanto suo disagio segue Gesù Cristo, ci insegna molte cose. Primieramente ci insegna, che in generale non sono i ricchi, i dotti, i grandi quelli che seguono Gesù Cristo; in mezzo a quella folla pare che non ve ne fossero; essi amano i comodi, gli agi, sdegnano di farsi discepoli: l’orgoglio li gonfia e non lascia loro vedere la verità, che entra soltanto nelle anime semplici ed umili; ciò che avveniva intorno a Cristo si ripete anche in oggi nella sua Chiesa. In secondo luogo quel popolo, che seguitava Gesù Cristo sulle rive del lago e fino nel deserto, soffrendo la fame per udire la sua parola, ci insegna come noi pure dobbiamo essere solleciti in accorrere al tempio per udire la stessa parola annunziata dai suoi ministri. Qual confronto tra noi e quel buon popolo! Esso per udire il divino Maestro doveva lasciare le sue case, i suoi campi, viaggiare lungamente, sfidare le intemperie della stagione, passare la notte senza un tetto amico, che l’accogliesse: noi l’abbiamo a pochi passi delle nostre case, a tutto nostro agio possiamo udirlo, eppure tante volte per ogni lieve motivo e spesso senza motivo trascuriamo di udirlo, di visitarlo nelle sue chiese! Quale vergogna e quale condanna per noi! – Quel popolo finalmente ci insegna, che chi segue Gesù Cristo riceve la mercede: esso non solo udì dalla sua bocca le verità celesti, che nutrono l’anima, ma fu fatto degno di vedere uno strepitoso miracolo e di ricevere un pane, che nutrisse anche i corpi. Giacché l’amabile Gesù, scrive S. Girolamo, dopo di avere risanato molti infermi, che gli erano stati presentati, ed ammaestrata quella moltitudine, volle miracolosamente sfamarla: Vult pascere quos curaverat et, ablatis debìlitatibus, jam sanis offerre cibos (in hunc locum, apud A Lapide). Gesù aveva detto agli Apostoli, che gli stavano intorno, che quella gente gli faceva pietà: che non gli reggeva il cuore rimandarli a casa così digiuni. Era un dir loro, che sentiva il bisogno di provvedere alle loro necessità in uno di quei modi, che alla sua onnipotenza non mancavano. Qualche tempo prima, in quei luoghi stessi aveva moltiplicato i cinque pani e i due pesci, e gli Apostoli non potevano aver dimenticato quel miracolo, che aveva ricolme le turbe di meraviglia per guisa, che volevano a forza dichiararlo loro re. Parea dunque, che, udite quelle parole, gli Apostoli dovessero rispondere prontamente a Gesù: “Maestro, tutto tu puoi: altra volta tu saziasti miracolosamente una grande moltitudine, noi lo ricordiamo e ne fummo testimoni. Ebbene: che ti costa rinnovare quel miracolo? Non altro che il volerlo. Tu senti pietà di questa gente che ha fame: seconda il tuo cuore, e rimandala nutrita, te ne preghiamo. „ Eppure nessuno di quegli Apostoli volse a Gesù una preghiera a favore di quella turba affamata: essi si limitarono a dare questa risposta al Maestro: “Donde potrebbe alcuno, qui nel deserto, saziare costoro di pane? „ Essi dichiaravano semplicemente, essere impossibile avere tanto pane in quel luogo deserto da nutrire tanta moltitudine, ed era questa dichiarazione che Gesù voleva dalla loro bocca, affinché riconoscessero essi medesimi il miracolo ch’era per operare. Perciò, rivolto verso di loro, disse: “Quanti pani avete? Essi risposero: Sette. „ Sembra che questi sette pani li portassero seco gli Apostoli, qual provvigione ai più urgenti bisogni, giacché la domanda è fatta a loro in guisa da farci comprendere, che questi pani erano loro proprietà: “Quanti pani . avete? „ – Leggendo queste cose nel Vangelo, la nostra mente, quasi senza accorgercene, corre a confronti, che possono essere istruttivi. Gli Apostoli formavano una famiglia abbastanza numerosa, della quale Gesù Cristo era naturalmente il capo. Essa non possedeva perfettamente nulla, e il suo capo divino altamente protestava di non avere un palmo di terra il che fosse suo e sul quale potesse adagiare la testa. Ridottosi in quel deserto con i suoi cari, trova che tutte le provvigioni per sé e per essi si riducono a sette pani! Possiamo immaginare strettezze e povertà di queste maggiori? Carissimi! quando le angustie della povertà vi assediano e vi premono, al termine d’una lunga giornata di lavoro ritornate alle vostre case, e trovate il vostro desco poveramente imbandito, non vi lagnate della vostra sorte, non fate offesa alla Provvidenza, non levate la voce contro il mondo, contro i ricchi, che nuotano nell’abbondanza, no, mai; pensate a Gesù, che nel deserto al chiudersi d’un giorno di grandi fatiche, non aveva un tetto ospitale, che lo accogliesse, non un giaciglio, su cui riposare, e solo sette pani da dividere con i suoi cari Apostoli. Ah! il contadino e l’operaio, che conservano la fede, che pensano alla vita sì travagliosa e sì povera di Gesù, nel suo esempio attingeranno sempre un conforto, che tutti i discorsi e tutti i libri dei dotti non potranno mai dare. – A taluno di voi recherà meraviglia la domanda di Gesù agli Apostoli: “Quanti pani avete ? „ Ma Gesù non conosceva ogni cosa? Senza dubbio, tutto Egli conosceva. Perché dunque domanda agli Apostoli, come se avesse bisogno che gli facessero conoscere ciò che già conosceva perfettamente? Perché essendosi Egli fatto uomo, in ogni cosa dell’ordine naturale si conformava agli altri uomini: perché con quella domanda: “Quanti pani avete? „ obbligava gli Apostoli a riflettere alla tenue provvisione del pane, che tenevano e quindi a riconoscere la evidenza e la grandezza del miracolo, che avrebbe operato. – Avuta la risposta degli Apostoli, Gesù comandò alla moltitudine di sedersi in terra: Præcepit turbæ discumbere super terram. Penso che questo comando fosse fatto da Gesù alle turbe per mezzo degli Apostoli, come aveva già fatto nella prima moltiplicazione dei cinque pani e due pesci. Vuole che la moltitudine segga, affinché riposi, gravandogli di vederla stanca e ritta in piedi, ed affinché fosse più agevole agli Apostoli la distribuzione del pane, ch’era per moltiplicare. Voi vedete che Gesù Cristo non dimentica nulla e tutto dispone con una semplicità e delicatezza di padre amoroso. Come quella turba si fu seduta, Gesù, “presi i pani, rese le grazie, li spezzò e diede ai suoi discepoli, perché li mettessero innanzi a quella, ed essi li misero. „ Qui, o cari, parecchie cose sono da considerare: il pane si moltiplica, nelle mani di Cristo, e come ciò avvenisse, lo dissi in altra omelia ed è qui superfluo ripeterlo. Prima di moltiplicarlo, rese grazie a Dio e lo dovette benedire, come poi benedisse i pesci. Rese grazie a Dio e benedisse quei pani, cioè pregò, volendo mostrare che la moltiplicazione non era opera umana, ma divina e che a Dio se ne doveva rendere tutto l’onore. Il pane si moltiplica nelle mani di Cristo, sotto gli occhi degli Apostoli, delle turbe, in luogo aperto, alla piena luce del giorno e la moltiplicazione dovette durare finché ve ne fu bisogno e fu compiuta la distribuzione a quelle migliaia di persone. L’evidenza del miracolo non poteva essere più splendida e solenne. Gesù, che moltiplicava il pane nelle sue mani, poteva certamente far sì che questo dalle sue passasse nelle mani di chi lo mangiava senza bisogno di passare per quelle degli Apostoli. Ma così non volle fare: volle che il pane prodigiosamente moltiplicato passasse per le mani degli Apostoli e da queste in quelle delle turbe, e ciò, se non erro, per due ragioni. In primo luogo, perché gli Apostoli toccassero, direi quasi con mano, il miracolo e la loro fede ne ricevesse conforto validissimo. In secondo luogo Gesù Cristo volle farci comprendere che come il cibo del corpo moltiplicato con un prodigio sì grande giungeva a chi ne aveva bisogno solamente per mezzo degli Apostoli, così per lo stesso mezzo il cibo dell’anima, cioè la verità e la grazia, si sarebbe comunicato costantemente agli uomini. – E questa, o cari, una verità che non è mai abbastanza inculcata. Noi non abbiamo accesso a Dio che per mezzo di Gesù Cristo, Dio-Uomo, Mediator nostro supremo; e a Gesù Cristo non abbiamo accesso che per mezzo della sua Chiesa, cioè per mezzo del sacerdozio, per il quale solo Gesù Cristo continua la sua azione santificatrice ordinaria sulla terra. Dio solo, Gesù Cristo solo è l’autore e la fonte inesausta della verità e della grazia; ma questa grazia e questa verità Egli la comunica in modo ordinario e costantemente per opera del Sacerdote: per esso ammaestra, per esso battezza, per esso conferma, per esso consacra, per esso proscioglie da’ peccati, per esso in una parola sparge sulla terra la luce della verità e spande l’onda vivifica della grazia. Togliete il sacerdozio ed avete rotto il ponte, per cui la terra comunica col cielo e il cielo comunica con la terra: togliete il sacerdozio e voi avete spezzato quel filo, quel vincolo prodigioso, pel quale la corrente della vita divina si spande sulla umanità pellegrinante su questa valle d’esilio. Ecco perché Gesù Cristo diede il pane a’ suoi discepoli, affinché essi lo ponessero dinanzi alle turbe: Et dabat discipulis suis ut apponerent, et apposuerunt turbæ. Noi, o cari, ci studieremo di continuare l’ufficio degli Apostoli, di dispensare a voi tutti il pane celeste della verità e della grazia, ma ancor voi studiatevi di riceverlo dalle nostre mani. – L’Evangelista osserva che coi sette pani gli Apostoli avevano seco alcuni pochi pesciolini: et habebant pisciculos paucos, e questi pure Gesù Cristo moltiplicò con i pani e come i pani furono distribuiti alla moltitudine. Era questa la vivanda più comune della povera gente, in particolare di quella che abitava sulle rive di quel lago pescosissimo. Voi vedete, che Gesù per nutrire quella folla opera un miracolo, è vero, ma con quel miracolo appresta un alimento comune, quale era in uso presso quelle popolazioni, pane e pesce, non un alimento squisito, insegnandoci che dobbiamo appagarci del necessario secondo il nostro stato. “E mangiarono, continua S. Marco, e furono satolli, e levarono di avanzi sette sporte; „ e pare che gli avanzi fossero raccolti ancora per volere di Gesù Cristo, come aveva fatto nella prima moltiplicazione, sia per comprovare sempre più il miracolo, sia per mostrarci che dobbiamo aver cura che nulla perisca, perché quello che non è necessario a noi può essere utile ad altri. Erano sette pani, e dopo aver saziata sì grande moltitudine se ne raccolsero precisamente sette sporte, volendo Gesù Cristo che la misura degli avanzi rammentasse a tutti la quantità del pane moltiplicato. Il nostro Evangelista chiude la narrazione del miracolo col dirci a un di presso il numero dei satollati, scrivendo: ” Quelli poi che avevano mangiato erano circa quattromila; ,, S. Matteo poi, narrando lo stesso fatto, dice che erano quattromila senza contare le donne e i fanciulli (XV, 38), ond’è a credere, che tutti compresi potevano essere un diecimila; moltitudine enorme, che prova maggiormente la certezza del miracolo. Dopoché ebbe sfamata tutta quella gente, ricevendone senza dubbio in cambio benedizioni, applausi ed acclamazioni, che potete immaginare, l’accommiatò per bel modo: Et dimìsit eos, e si tolse di mezzo a loro sia per cessare quel trionfo, sia per raccogliersi, come soleva fare, nel silenzio e nella pace della preghiera.

Credo …

Offertorium

Orémus

Ps XVI:5; XVI:6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine. [Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa risplendere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur. [Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.]

Communio

Ps XXVI:6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino. [Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore.]

Postcommunio

Orémus. Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio. [Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concédici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

 

DEVOZIONE AL CUORE DI GESU’ – Secondo fine: risarcirlo

[Sac. A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ; S. E. I. Ed. Torino, 1920 – V disc. ]

Secondo fine della divozione al Sacro Cuore di Gesù: Risarcirlo.

Prima che fosse il mondo, prima che esistessero le ore, prima che i primogeniti della creazione, gli Angeli, avessero cantato il loro primo cantico, allorché non c’era altro che Iddio, e rapito della sua bellezza e della sua bontà, inebriato del suo infinito amore, era assolutamente beato pur vivendo solo, Egli tuttavia già aveva risoluto di trarre ciascuno di noi dal nulla, già lo vedeva, più ancora, già lo amava, avendo Egli amato ciascuno di noi d’un amore eterno, vale a dire di un amore che non è mancato, che non è venuto meno mai. Or questo è appunto l’amore che troviamo nel Cuore Sacratissimo di Gesù. Fin da quel momento, in cui si compiva il grande mistero della Incarnazione, questo Amore già prendeva ad amarci, perché fin d’allora tutte le generazioni umane, passate, presenti e future sfilavano dinanzi a Lui. Ma ciò non è tutto; perciocché dovendo il Cuore di Gesù, essere considerato, come le altre sue facoltà umane, quasi uno strumento della sua divinità, quell’Amore senza principio, di cui Iddio senza alcun nostro merito ci ha fatto l’oggetto nella profondità della sua essenza, si impadronisce di questo Cuore, e questo Cuore può dirci: In charitate perpetua dilavi te: (IER. XXXI, 3) ti ho amato di un amore eterno. Ma questo amore per noi che nel Cuore di Gesù Cristo dura da tutta l’eternità, è stato un amore fecondo e sovrano, perciocché, come osserva S. Agostino, la carità non può a meno di generare dei figli e di nutrirli ed alimentarli del suo latte: Charitas mater est, charitas nutrix est. Il Cuore di Gesù pertanto amandoci da tutta l’eternità di un amore immenso, per la fecondità di questo amore ci ha anzi tutto generati alla vita e rifatti figliuoli adottivi del suo Padre celeste. E dopo di averci dato la vera vita, ha pensato a mantenerla cavando da sé il cibo divino de’ suoi Sacramenti, e soprattutto il cibo delle sue stesse carni e la bevanda del suo stesso sangue. Quale amore! Non è desso veramente l’amore più fecondo e più grande, a cui si poteva giungere dallo stesso Dio? Ora quale dovrebbe essere la corrispondenza nostra ad un tanto amore? Non dovrebbero forse tutti gli uomini struggersi di amore, massime innanzi al Sacramento della SS. Eucarestia, che è la prova finale dell’amore di Gesù Cristo per noi? Sì, senza dubbio, ma invece…. Lo stesso Gesù, apparendo a Santa Margherita Alacoque, diceva: « Ecco quel Cuore, che tanto ha amato gli uomini, ed in ricambio non ricevo dalla più parte, che ingratitudine, tante sono le freddezze, tanti gli abbandoni e gli oltraggi, che si commettono contro di me nel Sacramento di amore. » Epperò lo stesso Gesù manifestava alla sua diletta serva essere sua ardentissima brama, che nella divozione al suo Sacratissimo Cuore, si avesse pur questo fine particolare, di ripararlo degli indegni trattamenti, che riceve nella SS. Eucarestia. E noi, devoti del Sacro Cuore, non asseconderemo questa sua brama? Sì certamente: epperò animiamoci oggi a compiere tale dovere.

I. — La storia del popolo ebreo, narrata nelle Sacre Scritture, si potrebbe chiamare la storia dei benefizi di Dio e delle ingratitudini degli uomini. Ed in vero il Signore aveva scelto quel popolo fra i tanti altri, per farne il popolo prediletto e conservare in seno ad esso la vera religione. Lo aveva liberato dalla schiavitù dell’Egitto, e fattolo passare a piede asciutto il Mar Rosso, lo aveva guidato nel suo cammino verso la terra promessa con una colonna di nube. Per quarant’anni gli aveva mandato dal cielo la manna per somministrargli il cibo, e dalle viscere delle rupi aveva fatto scaturire per lui dell’acqua abbondante. Aveva quindi abbattuti i suoi nemici, gli aveva dato la vittoria sopra tutti i popoli del paese di Canaan e lo aveva introdotto a prendere pieno possesso di una terra che scorreva latte e miele. Ma, oltre che con questi benefizi temporali, Iddio aveva colmato questo popolo di benefizi spirituali. Si era degnato di dargli la sua santa legge e fargli esattamente conoscere la sua volontà, lo aveva istruito nel dovere di credere al futuro Messia, e gliene aveva mantenuta viva in cuore la speranza per mezzo dei profeti; aveva operato in suo prò i più strepitosi miracoli; e da ultimo mandò sulla terra propriamente in mezzo a questo popolo il suo Divin Figliuolo Incarnato, Gesù-Cristo, che vi passò nel mezzo, non facendo altro che del bene e spargendo a piene mani la luce di verità e la grazia di salute temporale ed eterna. Ora, dopo questi ed infiniti altri benefizi, con quale gratitudine avrebbe dovuto corrispondere? E invece vi corrispose coll’ingratitudine più nera, sino al punto di recare a Dio il massimo oltraggio, mettendo in croce il suo Divin Figlio. Oh popolo scellerato!… Ma no, non adiriamoci contro di questo popolo dell’antica legge. Abbiamo ben più ragione di adirarci contro quello della legge nuova. Gesù Cristo venuto sulla terra fece uscire dal suo Cuore Sacratissimo dei benefizi di gran lunga superiori ai benefizi fatti al popolo ebreo, e fra tutti gli altri il massimo che potesse fare agli uomini, il sacramento della SS. Eucarestia. Eppure Gesù Cristo in questo Sacramento è mal corrisposto, Gesù Cristo vi è ben poco amato. Ma come? Gesù Cristo è poco amato in questo Sacramento? Ma non è forse in questo Sacramento che si umilia continuamente per noi, stando lì nei tabernacoli sotto le specie di pane, offrendosi sempre, e dì e notte, quale vittima di, carità al divin Padre per noi? Non è lì, che sorregge e salva dalla rovina il mondo? Non è lì sempre pronto a versare torrenti di grazie nelle anime, che a Lui ricorrono? Anzi, non è lì, che si tiene a disposizione dei suoi figli per nutrirli di sé medesimo ed unirsi a loro nel modo più intimo che sia possibile? Sì, è lì in quel SS. Sacramento, che Gesù ci ama per eccellenza, in modo supremo, ed è lì perciò che dovrebbe avere per sé tutti i cuori degli uomini. Eppure… non ci vuol troppo per constatare, che Gesù nel SS. Sacramento è poco amato; basta considerare come lo trattano coloro medesimi, che sembrano amarlo. Proprietà di chi ama si è, nello stare coll’oggetto amato, di tenere sempre il pensiero, il cuore, la parola, tutto l’essere intento a sfogare il proprio amore. Osservate la madre. Che cosa non pensa, che cosa non dice, che cosa non fa col suo bambino, che tanto ama? Ora lo guarda con tenerezza ineffabile, ora lo piglia tra le braccia e se lo stringe con affètto al cuore, ora gli parla e lo vezzeggia, chiamandolo suo bene, sua vita, tesoro, ora lo solleva e lo abbassa, ed ora lo agita destra e a sinistra, ora gli abboccona le mani e le guance, gli dice di volerlo mangiare, ed ora si abbandona a tanti altri atti, che sembrerebbero follìe, se non fossero anche filosoficamente riconosciuti come atti del più grande, del più puro, del più bello fra gli amori terreni, dell’amore materno, tant’è, quando si ama, massimamente nello stare coll’oggetto amato, si vive in lui e per lui. Ora, è questo il contegno, che si tiene con Gesù nel SS. Sacramento da coloro medesimi, che sembrano amarlo? Costoro, è vero, si recano forse anche ogni giorno in chiesa ad assistere al Santo Sacrificio, a far visita a Gesù, e vi rimangono ben anche qualche ora, ma dove si trova il loro pensiero? dove il loro cuore? E dov’è il fuoco delle loro parole, dei loro sguardi, dei loro affetti per quel Gesù, che dicono di amare? Ahimè! Se si fosse al teatro, non si staccherebbe l’attenzione un istante dalla commedia; se si fosse in crocchio con gli amici, sempre si saprebbe di che parlare; se si facesse un bel viaggio, vi sarebbero sempre nuove meraviglie da contemplare, ma stando con Gesù, dinnanzi a Lui, oh quale freddezza! Nel santo Vangelo vi è un tratto che ci dipinge al vivo questa insana condotta degli stessi amici di Gesù Cristo, e ci rivela la pena che il suo Cuore ne prova. Il Divin Redentore entrato nel Getsemani, seguito da tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, col volto pallido per l’orrore della vicina Passione, si volse ad essi e disse: « L’anima mia è così afflitta che mi sento morire. Deh! non lasciatemi solo, ma mentre io m’inoltro qualche poco a confortarmi colla preghiera, restate qui ancor voi e vegliate con me. » Così disse Gesù a quegli apostoli, e puossi dubitare che non lo avrebbero accontentato? Non erano essi i prediletti da Gesù? Anzi, poco prima nell’ultima Cena, Simon Pietro non aveva detto: « Signore, io son pronto a morire con te? » Eppure, passata un’ora appena, Gesù, alzatosi da terra con il Cuore agonizzante, si avvicina ai tre Apostoli e li trova che dormivano! Un sacro interprete assicura, che questa freddezza degli Apostoli cominciò ad essere una delle pene più dolorose della sua Passione. Ed in vero Gesù rivoltosi a Pietro: « Così, gli disse, cioè dopo avervi io amato tanto, dopo d’avervi preferiti agli altri, dopo d’aver fatto tanto per voi ed essermi già per voi incamminato a morire, così non avete potuto vegliare un’ora con me? Sic non potuistis una hora vigilare mecum? (MATT. XXVI, 40). – Or, ecco il lamento che parmi di udire tante volte da Gesù Sacramentato : « Io sto qui, vittima di carità, tutto fuoco di amore; Io qui ho le mani piene di grazie per riversarle in seno a chi me le chiede, eppure coloro stessi che Io prediligo, che si dicono miei amici, che sono dal mondo creduti tali, stanno dinanzi a me con indifferenza, Con freddezza! Ecco lì dei cristiani, che se ne stanno muti, ritti in piedi, tesi della persona, affettando autorità come se Io fossi un loro pari. Ecco lì dei cristiani, che invece di pensare a me, pensano ai loro amici, ai loro affari, ai loro interessi. A che vale che mormorino delle preghiere, se intanto hanno altrove il loro affetto? Populus hic labiis me honorat, cor autem èorum longe est a me. (MATT. XV, 8) Ecco lì delle stesse anime a me consacrate, dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, che non mi dimostrano niente di pietà, che non hanno per me alcun fervore. E voi adunque, che vi dito amici miei, voi non potete passare un’ora con atti di fede, di amore, di preghiera con me? Sic non potuistis una hora vigilare mecum? Dite, carissimi, è possibile ascoltare questi pietosi lamenti del Cuore Sacratissimo di Gesù, e noi, suoi devoti, non risolvere di risarcirlo col fuoco dell’amor nostro? e noi non ardere alla sua presenza come i discepoli di Emmaus? E noi non languire anzi davanti a Lui, come facevano i santi?

II. — Ma quanto più ha da essere così, riflettendo che non solo Gesù in questo Sacramento è trattato freddamente, ma che, peggio ancora, è dalla maggior parte degli uomini lasciato in abbandono. Certamente è impossibile amare e non bramare di stare insieme più che sia possibile alla persona amata. Perché quei due amici bramano di vedersi sovente, di parlarsi, di stringersi teneramente la mano? Perché si amano. Perché quel fratello non vuole più svincolarsi dal fratello che parte, e sente come uno schianto al vederselo andar lontano? Perché lo ama. Perché quella madre esce in altissime grida e si smarrisce e vien meno alla morte di un suo figlio? Perché lo ama. Così fatto è l’amore, ed è questo solo che ci spiega in qualche modo come Gesù volle restare continuamente con noi nel Sacramento dell’altare. Ma potrà dirsi che gli uomini lo ricambino di amore, se nella maggior parte si danno così poco pensiero di venirgli a fare compagnia? Girate lo sguardo pel mondo: è un andare e venire di gente, è un correre continuo ai traffici, agli spettacoli, ai divertimenti; è un ricercare incessante di denari, di piaceri, di onori, è un affannarsi da mane a sera per soddisfare l’amor proprio; ma fra tanto agitarsi per la vita, quanti sono, che pigliano un momento di tregua per entrare in una chiesa e far breve visita a Gesù Sacramentato? Ahimè! non è difficile trovar moltitudine di gente nelle piazze, nei mercati, nei teatri, nei passeggi, ma le chiese, non solo durante le notti, ma assai spesso durante il giorno, son quasi deserte: Gesù vi è negletto, in nessun’altra compagnia che quella di una lampada, che lentamente si consuma. Ma forse che manca il tempo? Oh! il tempo non si getta forse nelle visite inutili, nelle vane ciance, nel mormorare dei fatti altrui, nella lettura di libri e giornali frivoli e cattivi? Il tempo non si cerca forse di ammazzarlo, come si dice, in gite di piacere, in partite di giuochi, in sollievi peccaminosi? E poi, come mancherebbe il tempo ad un’anima che amasse veramente Gesù? Non mancava, no, alle anime accese d’amor divino, benché aggravate da serissime occupazioni, e San Francesco Zaverio, S. Vincenzo de Paoli, S. Francesco di Sales, intenti senza posa nell’importante ministero della conversione dei popoli, della salute delle anime, ne trovavano ancor tanto da passare delle ore intere in adorazione al SS. Sacramento. Forse che manca la comodità? Ah! non ci sarebbe che da uscir di casa, fare pochi passi, e la chiesa, Gesù, si troverebbe subito. Quando si leggono gli annali della propagazione della fede, le lettere che scrivono i missionari, si resta commossi all’intendere che cosa fanno quei buoni convertiti per amore di Gesù. Solo per giungere ad ascoltare una Messa traversano vaste boscaglie, immensi deserti, larghissimi fiumi, e, dopo due o tre giorni di cammino, arrivati alla capanna dove il missionario celebra il santo sacrificio, non potendo starvi entro, si accontentano di inginocchiarsi fuori, esposti o al rigore di un intenso freddo, o al fastidio di un calore che abbrucia. Che cosa adunque impedisce a tanti cristiani di venire qualche istante a trovare Gesù in Sacramento? Pur troppo niente altro che l a noncuranza, il nessun amore che si ha per Lui. Ma ciò non è tutto. Gesù Cristo nella SS. Eucaristia ha voluto non solo restare con noi. ma farsi il cibo delle anime nostre, e nell’eccesso del suo amore per noi lo ha voluto per tal modo, da invitarci a prendere questo cibo prima con tutta la dolcezza del suo Cuore, e poi da minacciarci persino la più terribile sentenza, se non avessimo assecondato il suo invito. « In verità, in verità, Egli disse, se non mangerete la mia Carne e non berrete il mio Sangue, non avrete la vita in voi: solo chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue, avrà la vita eterna e sarà risuscitato da me nell’ultimo giorno. » Ed altra volta narrava la parabola di un ricco signore, che avendo preparata una gran cena ed invitatovi gran gente, si vide villanamente respingere l’invito dai convitati, a danno dei quali perciò disse, che nessun di loro più mai avrebbe assaggiata la sua cena. Certamente Gesù non poteva parlarci più chiaro per farci intendere la sua espressa volontà, che avessimo a frequentare la Santa Comunione. Eppure la massima parte dei cristiani passa le settimane, i mesi e persino gli anni interi senza venire alla sacra Mensa! Si sa, ancor essi, come i convitati del Vangelo, arrecano di questa condotta le loro scuse. Taluno, come il primo convitato, adduce il pretesto dell’imbarazzo, in cui si trova per le cose temporali: Villam emibisogna che si occupi del suo commercio, delle esigenze del suo negozio, della coltura delle sue terre, del mantenimento delle sue proprietà. Un altro, raffigurato da quello che aveva da andare a provare i buoi, mette innanzi la difficoltà di domare le sue passioni che impetuose tendenze lo travagliano che ei non può vincersi che forse più tardi quando i ghiacci dell’età avranno raffreddato i suoi sensi e il suo cuore. Un terzo, menando vita si tutto sensuale, rappresentato da colui, che aveva tolto moglie, non addurrà neppur più alcuna scusa, ma se dall’esortazione di una madre o dalle preghiere di una sposa, si sentirà ancora invitato ad accostarsi ai Sacramenti: Baie! esclamerà, son cose buone per voi povere donne, ma io non ne debbo più sapere. E così, da chi in un modo, e da chi in un altro, ma dalla massima parte per disamore, Gesù è lasciato in abbandono. Or chi sa dire la pena, che ne prova perciò il suo Sacratissimo Cuore? Egli sospirare cotanto di unirsi agli uomini, di entrare nel loro cuore, di far con ciascuno una cosa sola, e gli uomini in tanta moltitudine dirgli col fatto: Eh! che cosa è poi tutto questo? noi non ci vediam nulla di grande!… noi non sappiamo che fare di questo tuo dono!… E in questo diportarsi degli uomini con Dio non vi è la più nera ingratitudine? E noi, devoti del Sacro Cuore, non ci faremo a risarcirlo con tutte le nostre forze?… coll’essere frequenti noi alle sante visite ed alle sante Comunioni?

III. — Ma infine è per ben più gravi ragioni ancora, che noi dobbiamo riparare al Cuore Sacratissimo di Gesù; perciocché nel SS. Sacramento non solamente lo si tratta con una grande freddezza, e lo si lascia in abbandono, ma gli si recano pur troppo i più gravi oltraggi. E qui esclamerò col Profeta: Chi darà ai miei occhi due fonti di lagrime per piangere eccessi sì mostruosi e sì orrendi? L’inferno non accese il petto dei Giudei di tanto odio e furore contro Cristo, quanto ne mostrarono e ne mostrano gli eretici e gli empi contro questo divin Sacramento. Alla loro diabolica rabbia non fu bastevole saccheggiare le chiese, dove risiedeva Gesù nell’Eucaristia, profanarle, demolirle, atterrare gli altari, scannare i sacerdoti, contaminare e stritolare i vasi sacri; stesero ancora le invereconde mani sui cibori e sulle ostie consacrate, le gettarono per terra, le calpestarono, le diedero ai cani, le trafissero con pugnalate, le impiegarono ad usi i più abbominevoli ed esecrandi. In questi ultimi tempi poi il disprezzo e l’odio contro il SS. Sacramento è giunto a tale nel cuore di certi uomini veramente diabolici, che con una audacia incredibile e con una frequenza inaudita s’inoltrano nelle chiese a scassinare i santi tabernacoli e a rapirvi le sacre pissidi, disperdendo poi sacrilegamente le Santissime Ostie. E nel mentre che i poteri umani dovrebbero almeno dispiegare maggior zelo nel ricercare e punire questi ladri sacrileghi, quanto volte sembrano invece valersi della forza per cooperare ancor essi ad oltraggiare Gesù Sacramentato! Ed invero quante volte mentre si permisero le orgie dei baccanali, le mascherate carnevalesche più scandalose, le gazzarre e le dimostrazioni strepitose di gente nemica di Dio, che procedeva ardita e baldanzosa dietro la bandiera di Satana, al suono di musiche clamorose, si trovarono nulle pretesti per interdire od inceppare lo pubbliche dimostrazioni al divin culto, e Gesù Cristo Sacramentato, il Padrone sovrano dell’universo, il Redentore pietoso dell’uman genere fu condannato al carcere, fu costretto a restarsene prigioniero nelle chiese, fu impedito di uscire in processione per le contrade e per le piazze e ricevere gli omaggi del suo popolo! – Ma quasi ciò fosse ancor poco, ecco aggiungersi gli insulti di tanti Cristiani, commessi proprio alla sua presenza. Ah! se Gesù là, dentro al tabernacolo, non volesse darci l’esempio della più grande pazienza, quante volte dovrebbe levarsi di là e con aria maestosa e terribile, col flagello alla mano dovrebbe farsi a cacciar via dal tempio i suoi profanatori! Perciocché che cosa gli tocca di vedere tante volte dal tabernacolo? Gli tocca vedere dei Cristiani, che, nell’atto stesso ch’egli s’immola al suo divin Padre, ridono, ciarlano, danno sguardi malvagi e accendono in cuore cattivi desideri! Gli tocca vedere delle donne vane, che gli si recano innanzi con baldanza, con aria procace e libera a rubargli l’amore e le adorazioni. Gli tocca di vedere là in un angolo un pugno di giovinastri, che fa delle burle infami, e che con l’accento della bestemmia va mormorando contro di lui. Gli tocca di vedere la ragazzaglia, che entra a scorrazzare e fin anco a schiamazzare con insolenza sotto gli occhi suoi. Povero Gesù Sacramentato? Che indegno trattamento verso di Lui, là propriamente, dove ci dà tanta prova di amore! – Ma infine, più ingrati e più scellerati di tutti si offrono al mio pensiero quei pessimi Cristiani, che, Giuda novelli, osano ricevere Gesù in Sacramento collo labbra immonde, con l’anima ripiena di peccato. Ah? chi può dire la pena gravissima, che sono costoro al Cuore Sacratissimo di Gesù? Si narra nella storia della Chiesa di quell’iniquo tiranno che fu Massenzio, che a maggior tormento dei martiri, con finissima barbarie, immaginò di legare un uomo vivo ad uno schifoso cadavere, mani a mani, piedi a piedi, bocca a bocca, sì che a poco a con l’imputridire di quest’ultimo, il martire di Gesù Cristo lentamente e quasi direi a sorso a sorso bevesse la morte. Ma costoro, di questo infame tiranno sono infinitamente più barari e più inumani, perché accostandosi con immonda coscienza alla mensa eucaristica osano congiungere, con sacrilega ed empia unione, il Corpo immacolato di Gesù Cristo con un’anima macchiata di colpa mortale, innanzi ai suoi occhi divini più orribile di qualsiasi più schifoso cadavere, epperò gli recano il più grave ed il più spietato affronto. – Così adunque, voi lo vedete, intorno all’altare accade pur troppo quello stesso mistero di iniquità che accadeva sul Calvario. Là, carnefici furibondi, che si scagliavano contro il Corpo sacratissimo del Redentore, facendone crudo scempio; bestemmiatori sacrileghi, che insultavano ai suoi dolori ed alle sue umiliazioni; increduli maligni, che beffavano sarcasticamente la sua crocifissione e la sua morte. E qui, altri carnefici, profanatori delle Sante Ostie, altri empi, che bestemmiano orribilmente contro la carità di Dio, altri increduli che sogghignano a questo grande mistero. Là degli smemorati, degli Ignoranti e degli indifferenti, che dimentichi dei benefizi ricevuti, che non conoscendo Gesù, che non sentendo per Lui alcun amore. non partecipavano punto ai suoi patimenti, lo guardavano appena e poi lo lasciavano nel più villano abbandono. E qui altri indifferenti, altri ignoranti ed altri smemorati, che non sanno che farsi di questo Sacramento dì amore e ne vivono del tutto lontani. Là dei paurosi, dei deboli, degli accidiosi che pur avrebbero voluto appressarsi a Gesù, confortarlo nelle sue pene, unirsi al suo sacrificio, ma che intanto tremavano di farsi conoscere suoi discepoli, non avevano la forza di tenergli dietro, non si facevano animosamente a vincere la ritrosia della loro carne inferma. E qui altri paurosi, altri deboli, altri accidiosi, che pur sentendo di dover amare Gesù, non l’amano tuttavia come dovrebbero, vittime come sono del rispetto umano, delle distrazioni e della freddezza. – Tuttavia là, sul Calvario, accanto a questo mistero di iniquità, ne accadeva un altro di compassione e di amore. Inginocchiata appiè della Croce, e stretta alla medesima, vi era la Maddalena che si disfaceva in lagrime di dolore. Ritti presso la Croce vi erano Maria, l’eroica madre del Crocifisso, Giovanni, il discepolo prediletto, le pie donne di Gerusalemme, e questi tutti contemplavano Gesù morente, prendevano parte ai suoi dolori, si univano più che era possibile ai patimenti suoi. Or ecco la parte, che in opposizione agli oltraggiatori del SS. Sacramento, dobbiamo far noi intorno al santo altare; ecco l’atteggiamento che dobbiamo prendere, la condotta che dobbiamo tenere alla considerazione delle pene atrocissime, cui deve sottostare il Cuore di Gesù nel santo tabernacolo. È appunto a noi, o devoti del Sacro Cuore, che fra tante amarezze si volge il benignissimo Salvatore, e dopo d’averci ripetuto quelle tenere espressioni, con cui si lagnò con la sua fedele serva Margherita: « Ecco quel Cuore che tanto ama gli uomini e viene da loro sì mal corrisposto, » almeno voi, dice, almeno voi che vi dite miei devoti, porgetemi una qualche stilla di filiale consolazione. Miseremini mei, miseremini mei saltem vos, amici mei. (IOB. XIX, 21). O miei cari, è l’amoroso Gesù, che con parole sì commoventi ne cerca conforto; ci basterà l’animo di ricusarglielo? Lo costringeremo a rivolgerci quel rimprovero: Ne’ miei affanni cercai chi mi consolasse e nol trovai? Sustinui qui consolaretur me, et non inveni? (Ps. LXVIII) Ah no, no di certo! Come un figliuolo affettuoso si presenta talvolta al padre ingiuriato da un fratello, e invece di lui gli chiede scusa; come un suddito più leale si presenta al principe e gli promette maggior fedeltà in vista di altri sudditi rivoltosi; e come una sposa tratta con maggior affetto lo sposo per ricompensarlo degli affronti ricevuti da qualche villano, così noi, devoti del Sacro Cuore, per ripararlo delle freddezze, degli abbandoni e degli oltraggi di tanti cattivi cristiani, ci appiglieremo con slancio a quei mezzi, a quelle pratiche, che lo stesso Sacro Cuore ha indicato alla Beata Margherita essere le più acconce a ripararlo, vale a dire: Ogni anno ne celebreremo con grande divozione la festa, massimamente coll’accostarci alla Santa Comunione, e col fare atti di compassione, di amore e di pentimento al Sacro Cuore, oltraggiato nel Santissimo Sacramento. E questa Comunione riparatrice la faremo pure al primo venerdì di ogni mese. In ogni settimana, al venerdì, faremo qualche esercizio di pietà ad onore della Passione di Gesù Cristo. Ogni giorno faremo qualche visita devota al santo tabernacolo. E poi ci comunicheremo con la maggiore frequenza che sia possibile, faremo sovente atti di amore, ripeteremo spesso di vote giaculatorie, pregheremo incessantemente per la conversione dei poveri peccatori, e del continuo procureremo di vivere soltanto pel Sacro Cuore e nel Sacro Cuore di Gesù, offrendo a lui, come faceva la Beata Margherita, da lui ammaestrata, tutte le nostre opere, tutti i nostri discorsi, tutti i nostri patimenti, e persino le nostre ricreazioni. Per tal guisa noi consoleremo l’afflitto Cuore di Gesù, ci andremo acquistando la sua speciale benevolenza e saremo da lui favoriti delle più belle grazie. E voi, Cuore adorabile di Gesù, confermate questi nostri propositi con la grazia vostra. Dateci la forza per praticarli costantemente. Anzi accrescete sempre nei nostri cuori la fiamma di risarcirvi, tanto più perché tra coloro che malamente corrisposero al vostro amore ci troviamo anche noi. Anche noi vi abbiamo amato assai poco; anche noi vi lasciammo tanto tempo in abbandono; anche noi vi abbiamo talvolta villanamente oltraggiato. Deh! ci sia dolce da questo momento, mercé il vostro aiuto, consumare la nostra vita per voi e cancellare, se fosse possibile, col nostro sangue tutti i disprezzi recati a Voi. Ci sia caro con la vita e con la morte rendervi quell’onore e quella gloria, che vi son dovuti!