DOMENICA VIII dopo PENTECOSTE (2018).

DOMENICA VIII dopo PENTECOSTE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus Ps XLVII: 10-11.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua. [Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Ps XLVII: 2. Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitate Dei nostri, in monte sancto ejus. [Grande è il Signore, e degnissimo di lode nella sua città e nel suo santo monte.]

Ps XLVII: 10-11 Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua. [Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Oratio

Orémus.

Largíre nobis, quǽsumus, Dómine, semper spíritum cogitándi quæ recta sunt, propítius et agéndi: ut, qui sine te esse non póssumus, secúndum te vívere valeámus. [Concedici propizio, Te ne preghiamo, o Signore, di pensare ed agire sempre rettamente; cosí che noi, che senza di Te non possiamo esistere, secondo Te possiamo vivere.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII:12-17

Fratres: Debitóres sumus non carni, ut secúndum carnem vivámus. Si enim secúndum carnem vixéritis, moriémini: si autem spíritu facta carnis mortificavéritis, vivétis. Quicúmque enim spíritu Dei aguntur, ii sunt fílii Dei. Non enim accepístis spíritum servitútis íterum in timóre, sed accepístis spíritum adoptiónis filiórum, in quo clamámus: Abba – Pater. – Ipse enim Spíritus testimónium reddit spirítui nostro, quod sumus fíli Dei. Si autem fílii, et herédes: herédes quidem Dei, coherédes autem Christi.

“Fratelli, noi non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne; perché se vivrete secondo la carne, voi morrete: ma se con lo spirito avrete mortificato la carne, vivrete. Perché, quanti sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figliuoli di Dio. E’ vero, voi non avete ricevuto di nuovo lo spirito di servaggio a timore; ma avete ricevuto lo spirito di adozione, nel quale diciamo: Abba! Padre! Poiché lo stesso Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che noi siamo figliuoli di Dio. Se poi siamo figliuoli, siamo altresì eredi: eredi cioè di Dio, ma coeredi di Cristo „.

La dottrina contenuta in questi sei versetti, l’altezza delle idee, la forma del dire ed il contorno dei periodi vi dicono senz’altro, che questo tratto dell’Epistola appartiene all’Apostolo Paolo; e veramente si legge nel capo ottavo della sua lettera ai Romani. Questa lettera tra le quattordici lasciateci dall’Apostolo è la principale per la copia e profondità della dottrina dogmatica e morale ed anche per l’ampiezza dello svolgimento, e fra i sedici capi, onde consta la lettera, questo, a mio giudizio, tocca la massima altezza per ciò che spetta la natura e gli effetti della rigenerazione operata da Cristo. – Dopo aver toccata la felice condizione dei rigenerati in Cristo, raffrontati a quelli che vivono nella carne, afferma che in essi abita lo Spirito Santo, e che esso un giorno li risusciterà come già risuscitò Gesù Cristo. Qui o cari, comincia il testo, che devo interpretare e che domanda tutta la vostra attenzione. – “ Fratelli, noi non siamo debitori alla carne, per vivere secondo la carne. „ L’Apostolo, lo sapete, con la parola carne indica l’uomo vecchio, l’uomo del peccato, l’uomo corrotto, l’uomo schiavo delle passioni, le quali hanno la loro radice principalmente nella carne, e perciò lo chiama semplicemente carne: con la spirito significa l’uomo nuovo, l’uomo della grazia, l’uomo rigenerato nel Battesimo, l’uomo che segue lo spirito di Cristo, e perciò lo chiama spirito. Il Battesimo mette in noi la grazia, che cancella il peccato, depone in noi un germe nuovo, una forza, una vita nuova, che è la partecipazione della vita stessa di Cristo, ma non distrugge le conseguenze o pene del peccato, e lascia sussistere accanto al nuovo uomo il vecchio, accanto alla grazia la concupiscenza, accanto allo spirito di Cristo, la carne con le sue passioni, e ciò ad esercizio della virtù. Vedeste mai, o dilettissimi, spuntare una pianta gentile, una vaga rosa, un candido giglio in mezzo ad un terreno pantanoso? È un’immagine del Cristiano, esso ha in sé la grazia di Gesù Cristo, pianta gentile che germoglierà la rosa ed il giglio; ma la terra, in cui sorge e tiene le radici, è un pantano, che spesso esala miasmi pestilenziali, è il nostro corpo, la nostra natura corrotta, nella quale si annidano le più sozze passioni. Che dobbiamo far noi? Ciò che fa l’industre giardiniere: egli non guarda al pantano, non l’ama, non vi mette il piede, che vi s’imbratterebbe, non se ne cura, anzi ne torce lo sguardo, rimira e vagheggia con occhio di compiacenza la rosa ed il giglio e circonda la pianta di tutte le sue cure amorose. – Similmente noi pure, o dilettissimi. Gesù Cristo ha posto in noi, come dicevo, la sua grazia: col santo Battesimo a Lui ci siamo dati e gli abbiamo fatta solenne promessa di vivere come Lui, di seguire il suo spirito e di combattere il mondo, il demonio e la carne. Che cosa dobbiamo noi alla carne? Quali benefici ci ha essa fatti? Quali benefici possiamo aspettarci? Nessun beneficio ci ha fatto, né ci può fare, ed ogni male passiamo da essa temere. Dunque “non viviamo secondo la carne: „ – “Debitores sumus non carni, ut secundum carnem vìvamus.” La carne ci invita, ci trae a seguire la vanità, ad accumulare ricchezze, a mangiare e bere senza misura, a poltrire nell’ozio, ad odiare chi ci ha offesi, a vendicarci, a sfogare le basse voglie del senso e andate dicendo; no, non seguitiamo la carne per questa mala via; essa non ha diritto alcuno che noi la seguitiamo, e mal per noi se lo facessimo. E perché? – Perché esclama S. Paolo, “se vivrete secondo la carne, morrete: „ “Si enim secundum carnem vixiritis, morìemini”. Termine ultimo ed infallibile delle malnate vostre passioni soddisfatte, sappiatelo bene, sarà la morte. Qual morte? La morte dell’anima e con quella dell’anima, la morte altresì del corpo nell’eterna perdizione. Chi di voi non ha orrore della morte? Chi di voi non la fugge a tutto potere? Che non fareste voi per sottrarvi al suo braccio di ferro? Ebbene: non vivete secondo la carne, combattete virilmente le sue malvagie passioni e non sarete preda della morte. – No, noi non vivremo secondo la carne, come ci intimate voi, o grande Apostolo: come dunque vivremo? secondo qual legge? Udite: ” Se con lo Spirito avrete mortificate le opere della carne, vivrete: „ Si autem spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis. Comprendeste, o cari? Armati dalla grazia divina, come d’una spada a due tagli, avvalorati dalla forza dello spirito in noi infuso mercé del Battesimo e degli altri Sacramenti, dobbiamo rintuzzare le opere della carne, cioè le male cupidigie, che pullulano nella carne, ed allora vivremo, cioè avremo la vita eterna dell’anima e a suo tempo quella del corpo. Lo so, che il raffrenare e il castigare le perverse voglie della carne, cagiona assai volte dolori acutissimi, e la natura nostra fieramente si rivolta, né sa rassegnarsi a certi tagli crudeli; ma se vogliamo vivere è forza sottomettersi: Si spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis. – Un infelice è minacciato di gangrena in un braccio, in un piede o in altra parte del corpo: si chiamano i più valenti chirurghi: esaminano, si consultano tra loro e dichiarano unanimi, essere necessario il taglio. L’infermo impallidisce e domanda ansioso se non v’è altro rimedio. No, rispondono gli uomini della scienza: o il taglio e prontamente, o la vita. – Il misero s’arrende e lascia che il ferro penetri profondamente nelle carni, e recida senza pietà le parti cancrenose, vi dica Dio con quale atroce spasimo. – Quello sventurato trova, nella sua volontà e nel timore della morte e nel desiderio della vita temporale, la forza bastevole per sottomettersi al ferro ed al fuoco, e soffrire strazi indicibili e talora inutilmente; e noi nella nostra volontà sostenuta e rinvigorita dalla grazia divina, nel timore della morte e nel desiderio della vita eterna, non troveremo la forza necessaria per isvellere quella triste abitudine, per sbarbicare quel turpe amore, per recidere quella scellerata passione, che quasi cancro rode e va spegnendo la vita della misera anima? Che il timore della morte eterna e l’amore della vita eterna siano meno efficaci sul nostro cuore, del timore della morte temporale e dell’amore della vita temporale? Se così fosse, noi saremmo pessimi ragionatori. – Se voi seguirete, così l’Apostolo, se voi seguirete non gli appetiti della carne, ma lo spirito, ossia la grazia di Gesù Cristo, non solo non morrete, non solo avrete la vita, ma quella vita che è propria dei figli di Dio. Perché quanti sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio: „ “Quicumque enim Spiritu Dei aguntur, ii sunt filli Dei”. Questa espressione dell’Apostolo è molto forte e in alcuno può far sorgere il timore, che corra pericolo la nostra libertà; se siamo mossi dallo Spirito di Dio, si dirà, è tolta la libertà nostra, e se questa è tolta, è tolta la ragione del merito e della pena, e tra noi ed i bruti non corre differenza alcuna. Non temete, o cari, che lo Spirito di Dio tolga o scemi la nostra libertà; Esso non solo la rispetta, ma la sorregge e l’aiuta, perché sta scritto, che dove è lo Spirito di Dio, ivi è la libertà. – Il vento agita e muove l’albero; il sole muove intorno sé la terra ed i pianeti; il pilota guida dove e come vuole la sua nave, il cocchiere i suoi cavalli: è forse così che Dio con il suo Spirito muove le nostre volontà? No, per fermo; se così le muovesse, la libertà nostra sarebbe annientata: l’albero non può non muoversi sotto il soffio del vento, la terra ed i pianeti non sono liberi di seguire il sole, la nave non può resistere al pilota, ed i cavalli sono costretti ad ubbidire al freno. Come, dunque le nostre volontà sono mosse dalla grazia, eppure rimangono libere? Come! Un giorno vostro padre e vostra madre vi dissero: Figliuoli! voi non andrete nel tal luogo dove correreste pericolo; voi attenderete allo studio ed andrete alla scuola; voi non piglierete il tal cibo e la tal bevanda, ma quello che vi sarà dato ed all’ora per voi stabilita, e tutto ciò per il vostro bene. Se non lo farete, mal per voi; se lo farete, noi, vostri genitori ne gioiremo e ne avrete la giusta mercede. E voi che faceste? Per il timore del castigo, per l’amore dei vostri genitori, seguiste il consiglio, faceste il loro volere, vi lasciaste guidare dal loro spirito. Perdeste voi la vostra libertà? No, sicuramente. Potevate fare il contrario di ciò che vi era da essi consigliato o comandato? Chi ne dubita? E forse in parte lo faceste ed ora ne provate rimorso. Il somigliante avviene rispetto a Dio, Padre nostro. Ci fa conoscere ciò che dobbiamo sfuggire e ciò che dobbiamo fare: ci mostra la via del male e ci dice: “Non camminate per questa”; ci mostra la via del bene e ci dice: “Ti metti per questa”. Poi infonde nell’anima nostra la forza necessaria perché facciamo ciò che ci comanda, ma non ci costringe e ci lascia, come dice la Scrittura santa, in mano del nostro libero arbitrio. Dio dunque si muove, come si può muovere una volontà libera; ci muove come voi potete muovere la libertà d’un amico, dei vostri figli mostrando loro la verità, eccitandoli, esortandoli, minacciandoli, pregandoli, allettandoli ed in cento altri modo studiandovi di far sì che le loro volontà seguano la vostra (corre una gran differenza tra la nostra azione e quella di Dio: noi non possiamo agire sugli altri che in modo esterno, doveché Dio agisce esternamente ed internamente; esternamente illumina la mente ed internamente muove la volontà e la avvalora secondo i bisogni). Forse che voi costringete e fate violenza alla loro volontà? E ciò che fa Dio con noi con la sua grazia e voi potete comprendere, che essa non nuoce, ma giova alla libertà, come il vostro consiglio ed il vostro comando e i vostri eccitamenti giovano al bene de’ vostri figliuoli. – In quanto siamo mossi e guidati dallo Spirito di Dio, “siamo figli di Dio, „ scrive san Paolo: Quicumque Spiritu Dei aguntur, ii sunt fillii Dei”. È questa una dottrina altissima, che ha bisogno d’essere ben compresa, e a ben rischiararla, userò d’una similitudine. Un padre, modello d’ogni virtù, ha due figli: l’uno è la copia fedele del padre, come lui pio e virtuoso; l’altro è il rovescio, superbo, iracondo, invidioso, dissoluto, senza fede, viziosissimo. Sono entrambi figli dello stesso padre? Indubbiamente, perché entrambi da lui hanno ricevuta la vita e secondo l’ordine naturale, rispetto alla vita umana, sono fratelli e fratelli, li dice il popolo. Ma secondo la vita morale sono essi fratelli e figli dello stesso padre? Certamente, no, e il padre nel suo dolore più volte va esclamando: Ah! tu non sei mio figlio; e il popolo lo conferma, ripetendo: Questo non è figlio di quell’ottimo padre. Che differenza passa tra i due figli? Il primo ha in sé non solo la vita naturale del padre, ma anche la parte migliore di lui, la vita morale: ha in sé lo spirito del padre, è mosso e guidato dallo stesso spirito, si dice ed è perfettamente suo figlio. Il secondo ha dal padre la vita naturale, come il fratello, ma non ha la parte migliore, la vita morale, non ha lo spirito del padre, non è mosso, né guidato dallo stesso spirito, e perciò si dice che per questo rispetto non è figlio del padre. Così noi tutti siamo opera di Dio creatore, tutti riscalda un Dio redentore, e come tali tutti egualmente siamo figli di Dio; ma se la nostra condotta non è quale si conviene ai figli di Dio, se lo Spirito di Dio non ci muove e non ci guida, a ragione si deve dire che non siamo figli di Dio. Guardando alle opere nostre, ai pensieri, agli affetti, onde si informa il nostro spirito, troviamo noi d’essere simili a Dio e figli di Dio, perché mossi ed informati del suo Spirito? Se, si, rallegriamoci e ringraziamone il buon Dio; se, no, facciamo del nostro meglio per essere tali almeno in avvenire. – “E veramente, voi non avete ricevuto di nuovo lo spirito di servaggio a timore”; è questa la sentenza che segue la spiegata e la rincalza. Noi siamo figli di Dio, guidati dal suo Spirito; e come potrebbe essere altrimenti? dice l’Apostolo. Noi, uomini della nuova legge, discepoli di Gesù Cristo, non abbiamo ricevuto lo spirito della legge antica, lo spirito di quella legge e quello spirito era proprio, non di figli, ma di servi, non di figli che amano il padre, ma di servi che temono il padrone. Che vuol dir ciò, o carissimi? L’indole e lo spirito della legge mosaica era quello di incutere timore con le pene gravissime temporali e con esse frenare le passioni e metterle in orrore il peccato, onde quella legge riguardava soltanto le opere esterne e non poteva, se non indirettamente, esercitare l’azione sua sull’interno e formare il cuore. Gli Ebrei servivano a Dio più per timore che per amore, erano più servi che figli; ma noi, dice S. Paolo, siamo informati ad un’altra scuola: lo spirito che abbiamo ricevuto, quello di figli adottivi di Dio; è tale spirito che ci diritto di chiamare Iddio col dolce nome di Padre: “In quo clamamus: Abba, Pater”. Dio Padre, per opera dello Spirito Santo congiunse la Persona del Figliuol suo con la natura umana assunta, e lo congiunse per modo che l’Uomo-Cristo è vero Dio; Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo, con la grazia, con la carità e soprattutto con la S. Eucaristia, congiunge gli omini a se stesso, per guisa che formano con Lui una cosa sola, vivono della sua vita, partecipano della sua stessa natura e diventano anch’essi figli, non naturali, che è impossibile, ma adottivi, e come tali possono chiamare Dio loro padre. Che cosa importi questa eccelsa dignità di figliuoli adottivi di Dio, lo spiegai in altra omelia, e perciò qui me ne passo. – E possiamo noi sapere se abbiamo veramente in noi lo Spirito di Dio e se siamo suoi figli? Sì, risponde S. Paolo: “Per lo stesso Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che noi siamo figli di Dio. „ – Noi possiamo avere una certezza di fede come quella che abbiamo p. es. della presenza reale di Gesù Cristo nella S. Eucaristia, e questa è la massima ed esclude qualunque ombra, ancorché lievissima, di dubbio; perché il nostro assenso si appoggia all’autorità stesso di Dio, che non può né ingannare, né ingannarsi: e possiamo avere una certezza umana, che esclude pur questa ogni dubbio e che appoggia alla nostra ragione od alla testimonianza altrui; così io sono certo che ogni effetto suppone la sua causa e che esiste il Giappone, benché io non l’abbia veduto. Chi mai, che sia sano di mente, potrà dubitare di queste due verità? Ebbene: noi siamo certi, dice S. Paolo, d’essere figli di Dio. E d’onde questa certezza? A qual prova si appoggia? Alla testimonianza che lo Spirito di Dio ci rende internamente. E questa una certezza di fede (Il Concilio di Trento insegnò, che l’uomo giustificato non è tenuto a credere per fede di essere nel numero dei predestinati, e che nessuno sa con assoluta ed infallibile certezza di essere predestinato, se non lo conosce per via di speciale rivelazione. -Sess. VI, Can. 15, 16.-) se non vi è una speciale rivelazione di Dio, della quale qui l’Apostolo non fa cenno e che è fuori di questione, perché parla in generale di tutti i fedeli, dicendo: “Perché lo stesso Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che siamo figli, di Dio. „ È questa dunque una certezza umana, maggiore o minore, secondo le persone e secondo le circostanze, che tiene, a così dire, il mezzo tra la certezza assoluta e la congettura. Ma in qual maniera poi lo Spirito Santo ci accerta che siamo figli di Dio e perciò adorni della sua grazia? Lo Spirito di Dio nella Scrittura santa e nell’insegnamento ordinario della Chiesa ci dice chiaramente, che chi crede le verità della fede, ed osserva la legge divina ed adempie come meglio può i propri doveri tutti, costui si santifica e si salva: ora, se interrogando schiettamente la nostra coscienza, essa ci dice che tutto questo noi abbiamo fatto e facciamo, noi abbiamo l’umana certezza d’essere nella sua grazia e di salvarci. Come siamo noi certi di godere l’amicizia di questa o quella persona? Come siamo noi certi che i genitori ci amino? Guardando alle opere loro e nostre, considerando il complesso delle cose tutte, noi teniamo con maggior o minore certezza di poter riposare sulla fedeltà degli amici e sull’amore dei nostri genitori, tantoché assai volte non ci si affaccia un’ombra sola di dubbio. Similmente, ragguagliata ogni cosa, possiamo dire dell’amicizia e dell’amore di Dio. – Alcuni provano angustie penose e grandi timori perché ignorano se sono in grazia di Dio od in peccato, se si salveranno o perderanno, e si sentono stringere il cuore. Nessuno sa con assoluta certezza se è degno d’odio o di amore, come insegna la S. Scrittura: il nostro cuore è un abisso e solamente l’occhio di Dio vi legge con tutta chiarezza; con tutto ciò a noi pure è dato leggervi alcun poco e tanto, da poterne avere una cotale certezza, che ci procuri quella pace che quaggiù è possibile . – Carissimi! volete voi sapere se siete veramente in grazia di Dio e per conseguenza suoi figliuoli? Sì, mi rispondete voi ad una voce e mi domandate: “Come ottenere questa certezza sì desiderata e sì consolante?” Raccoglietevi in voi stessi, nel santuario della vostra coscienza, e mettendovi faccia a faccia con essa, indirizzatele queste domande semplicissime: Credo io tutto ciò che insegna la Chiesa, madre mia? Se conoscessi d’aver commesso un peccato grave, me ne pentirei di cuore e sinceramente me ne confesserei? Se Dio, ora, in questo punto, mi comandasse un sacrificio grande, doloroso, sarei io pronto a farlo, sostenuto dalla sua grazia? Se in questo istante mi si offrisse un grande onore, un tesoro a patto di offendere Dio con un peccato mortale, avrei io il coraggio di respingere quell’onore e quel tesoro? Se la vostra coscienza vi risponde: Sì, consolatevi, la grazie di Dio è in voi e voi siete suoi figli. È una prova che ciascuno può fare in se stesso ogni qual volta gli piaccia (sono questi i segni che siamo in grazia di Dio indicati da S. Francesco di Sales. Iddio poi vuole che la nostra certezza sia sempre accompagnata da un po’ di timore per scuotere la nostra pigrizia. “Perpende, dulcissima filia, così S. Gregorio M. ad una pia dama di corte, quia mater negligentiæ solet esse securitas. Habere ergo in hac vita non debes securitatem, per quam negligens reddaris”). – Se siamo figli, siamo altresì eredi, eredi di Dio, ma coeredi di Cristo. „ Con questa sentenza si chiude la lezione della nostra Epistola. Se siamo figli di Dio e perciò nell’anima nostra simili a Lui, quale ne sarà la conseguenza? quale il frutto? “Saremo eredi di Dio. „ il Figlio di Dio, il figlio docile ed amorevole, che adempie tutti i suoi doveri, ha diritto alla eredità del padre: così noi, se adempiremo fedelmente i doveri nostri verso Dio che ci ha adottati per sola sua bontà, saremo eredi suoi. Di quali beni saremo noi eredi? Di tutti i beni, onde risulta la eterna felicità, fonte dei quali è il possesso di Dio medesimo. – Direte: i figli,- siano essi naturali od adottivi, non ricevono la eredità che alla morte del padre; ora Dio, Padre nostro, non muore mai, né può morire: perché dunque i beni, che un giorno ci darà su in cielo, si chiamano eredità? Si chiamano eredità, per indicare i rapporti che passano tra Dio rimuneratore e gli uomini rimunerati, che sono appunto i rapporti tra padre adottante e i figli adottati. Oltreché, noi siamo fratelli di Gesù Cristo secondo la sua natura umana: Gesù Cristo, in quanto uomo, ricevette dal Padre tutti i beni, come Figliuol suo naturale, e questi beni si chiamano la sua eredità; il perché, per ragione di analogia, pure i nostri beni futuri si dicono eredità. Nell’ordine naturale i figli qui sulla terra ricevono l’eredità dopo la morte dei genitori; nell’ordine sovrannaturale i figli devono morire prima di riceverla dal Padre immortale; ad ogni modo, per avere questi beni, deve sempre precedere la morte, e perciò si chiama eredità. Eredi di Dio! “Hæredes Dei!” Quale dignità! Quale grandezza è la nostra! Quei beni sono certamente un dono gratuito di Dio, se consideriamo la loro radice, che è la grazia, ma ci sono anche dovuti, se poniamo mente alla nostra prerogativa di figli di Dio e alle opere nostre, frutto della grazia. La eredità è dovuta ai figli per giustizia: poteva Iddio non adottarci; ma dopo l’adozione non può negarcela; Egli stesso ce ne ha dato il diritto. Eredi di Dio! Queste parole svegliano nella mente dell’Apostolo un’altra idea nobilissima e subito la nota, dicendo: “E coeredi di Cristo. „ Sì, siamo figli di Dio, e quindi eredi suoi; figli ed eredi di Dio, perché il Figlio di Dio si fece uomo e fratello nostro, e per Lui ed in Lui, Figlio naturale ed erede necessario della eredità paterna, noi pure siamo figli per adozione di Dio e suoi eredi. Tutto dunque abbiamo per Gesù Cristo e perciò a Lui si devono tutte le grazie e la gloria di tanta grandezza. a cui siamo sollevati. – O poveri che mi ascoltate; che bagnate di sudore il vostro pane quotidiano, che non possedete un palmo di terra, che soffrite tutti i mali ed i dolori, che sono inseparabili compagni della povertà e della miseria, rallegratevi, gioite: levate i vostri occhi al cielo, esso è vostro. Iddio il Padrone d’ogni cosa, ha un Figliuolo, unico Figliuolo: Egli ha diritto al possesso di tutti i beni del Padre suo; per eccesso di bontà Egli ha voluto associare voi tutti ai suoi diritti sulla eredità paterna; voi sarete suoi coeredi, a quest’unica condizione, che vi riuniate a Lui con la fede, con la speranza e con la carità, e dietro a Lui portiate quella croce ch’Egli per primo portò dinanzi a voi.

 Graduale Ps XXX:3

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias. [Sii per me, o Dio, protezione e luogo di rifugio: affinché mi salvi.]

Ps LXX:1 V. Deus, in te sperávi: Dómine, non confúndar in ætérnum. Allelúja, allelúja. [V. O Dio, in Te ho sperato: ch’io non sia confuso in eterno, o Signore. Allelúia, allelúia]

Alleluja Ps XLVII:2

Alleluja, Alleluja.

Magnus Dóminus, et laudábilis valde, in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus. Allelúja. [Grande è il Signore, degnissimo di lode nella sua città e sul suo santo monte. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc XVI: 1-9

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Homo quidam erat dives, qui habébat víllicum: et hic diffamátus est apud illum, quasi dissipásset bona ipsíus. Et vocávit illum et ait illi: Quid hoc audio de te? redde ratiónem villicatiónis tuæ: jam enim non póteris villicáre. Ait autem víllicus intra se: Quid fáciam, quia dóminus meus aufert a me villicatiónem? fódere non váleo, mendicáre erubésco. Scio, quid fáciam, ut, cum amótus fúero a villicatióne, recípiant me in domos suas. Convocátis itaque síngulis debitóribus dómini sui, dicébat primo: Quantum debes dómino meo? At ille dixit: Centum cados ólei. Dixítque illi: Accipe cautiónem tuam: et sede cito, scribe quinquagínta. Deínde álii dixit: Tu vero quantum debes? Qui ait: Centum coros trítici. Ait illi: Accipe lítteras tuas, et scribe octogínta. Et laudávit dóminus víllicum iniquitátis, quia prudénter fecísset: quia fílii hujus saeculi prudentióres fíliis lucis in generatióne sua sunt. Et ego vobis dico: fácite vobis amicos de mammóna iniquitátis: ut, cum defecéritis, recípiant vos in ætérna tabernácula.

Omelia II

[Mons. G. Bonomelli, ut supra, om. XVIII]

“Gesù disse ai suoi discepoli: Vi era un certo ricco, che aveva un amministratore: questo fu accusato presso il padrone di avere sperperati i beni di lui. Ed egli, chiamatolo, gli disse: Che è ciò ch’io odo di te? Rendi conto del fatto tuo, perché non potrai più oltre ritenere l’amministrazione. Allora colui disse tra sé: Che farò io ora che il padrone mi toglie l’amministrazione? Non posso vangare, ho rossore a cercare la limosina. So bene quel che farò, affinché, rimosso dalla amministrazione, alcuni mi abbiano ad accogliere in casa loro. Chiamati dunque a sé ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al primo: Che debito hai tu col mio padrone? E quegli disse: Cento barili di olio: ed egli a lui: Prendi la tua quietanza e siedi presto e scrivi cinquanta. Poi disse ad un altro: E tu quanto devi? Cento staia di grano. E l’altro a lui: Prendi la tua quietanza e scrivi ottanta. E il Signore lodò l’amministratore fraudolento, perché aveva operato con avvedutezza; con ciò sia che i figliuoli di questo secolo, nel genere loro, siano più avveduti che i figliuoli della luce. Ed io dico a voi: Con le ingiuste ricchezze fatevi degli amici, affinché quando verrete meno, quelli vi accolgano negli eterni tabernacoli „ (S. Luca, c. XVI . 1-9).

Gli scribi ed i farisei come erano duri e crudeli con i peccatori, così si mostravano stretti ed avari coi poverelli. Gesù per guarirli dalla prima infermità, recitò loro le tre parabole del buon pastore, che va in cerca della pecorella smarrita, poi della donna che ha perduta una delle dieci dramme, e finalmente del padre, che accoglie il figliuol prodigo: queste tre parabole leggiamo nel c. xv di S. Luca. Per guarire poi quegli scribi e farisei dell’altra infermità non meno grave dell’avarizia, Gesù, nel capo seguente, propone la parabola, che avete udito e insegna a loro e a tutti qual uso dobbiamo fare delle ricchezze malamente acquistate. La parabola ci presenta un lato che di primo tratto può sembrare uno scandalo e la sanzione d’una truffa: ma se voi porgerete attento l’orecchio alla spiegazione, vedrete dileguarsi ogni ombra di ingiustizia e comprenderete in tutta la sua semplicità e verità l’insegnamento del divino Maestro. – Gesù disse a’ suoi discepoli. „ Come ho avvertito, le tre parabole che precedono, e questa che le segue immediatamente, come apparisce dal contesto del Vangelo, sono rivolte in modo particolare agli scribi ed ai farisei, ma ciò non toglie che siano utili a tutti. Ben è vero che gli Apostoli e i discepoli di Gesàù, erano quasi tutti poveri e che perciò l’applicazione della parabola non li poteva  gran fatto interessare: ma se non a loro direttamente, ai futuri discepoli poteva e doveva tornare utile e necessaria, e perciò quelle parole: “Gesù disse ai suoi discepoli, „ si vogliono intendere in senso largo, e si ha da riferire a tutti i credenti di tutti i tempi.  Segue la parabola, che vi ho recitata. In essa abbiamo il padrone, il suo fattore o amministratore e i debitori verso del padrone. Amministratore o fattore è colui, che non è padrone dei beni, ma ne tiene il governo a nome del padrone e li deve curare ed amministrare nell’interesse del padrone, al quale deve renderne conto e dal quale deve poi ricevere la sua mercede. – Noi tutti, quanti siamo uomini e Cristiani, e noi specialmente Sacerdoti, non siamo che amministratori dei beni della terra, non padroni, come osserva S. Ambrogio (1). Dio solo è padrone assoluto d’ogni cosa, perché Egli ne è il creatore e conservatore e può i disporre a talento; noi non ne abbiamo che l’uso temporaneo, ne siamo soltanto dispensatori, e nell’uso e nella distribuzione dobbiamo attenerci alla volontà del padrone, legge sovrana, alla quale dobbiamo conformarci. O padrone, o signore, o ricco, che mi ascolti, non dir mai: Queste cose son mie, posso farne ciò che mi piace: posso spendere in passatempi, in pranzi, in vesti, in lusso, in piaceri i miei denari e le mie sostanze e nessuno ha diritto di chiedermene ragione. No, gli uomini non potranno domandartene conto legalmente, perché la legge riconosce nel padrone il diritto di fare delle cose sue ciò che gli piace, appunto perché padrone, ma te lo comanderà bene Iddio, del quale sei amministratore. Che risponderai allorché ti dirà: Rendimi conto della tua amministrazione? „ A Lui non potrai sottrarre nulla, né sfuggire all’infallibile suo giudizio. Quello che sprecasti in lusso, in gozzoviglie, in bagordi, in piaceri forse colpevoli, potevi usarlo a vestire il fratello coperto di cenci e soffrente la fame: il tuo superfluo poteva fornire il necessario al penurioso. Ah! miei cari, se ci considerassimo tutti come amministratori e dispensatori dei beni del Signore e rammentassimo il conto che dovremo renderne, non si farebbe tanto scialacquo da una parte e tanta penuria dall’altra. E qui lasciate che tocchi una differenza notabile tra la legge umana e la legge divina. La legge umana, generalmente parlando, ammette nel padrone il potere anche di distruggere ciò che è suo, anche quando lo fa per capriccio. Uno per capriccio potrebbe bruciare la casa sua e il granaio, mentre i poveri sono affamati; tutti biasimeranno il capriccioso padrone, lo malediranno, se volete, ma la legge non lo può punire, perché non offende rigorosamente il diritto altrui; ma la legge naturale e divina lo riprova e non sfuggirà il giudizio di Dio. Voi vedete pertanto come la legge divina, di cui è depositaria e interprete la Chiesa, spinga la sua azione oltre i confini della legge umana,  e giovi a questa e ne avvalori la efficacia. – Ritorniamo alla nostra parabola. “L’amministratore fu accusato di avere sperperato i beni del padrone. „ La cosa era manifesta: l’amministratore viveva splendidamente, banchettava, largheggiava, sfoggiava come un gran signore e conveniva non aver occhi per non vedere, che doveva cacciare liberamente le mani negli averi del suo padrone; se ne sussurrava dovunque e, come suole accadere, qualcuno fu dal padrone e per sentimento di giustizia o per invidia e malanimo o per altra causa qualunque, gli riferì le voci sinistre che correvano sull’amministratore: Et hìc diffamatus est apud illum, quasi dissipasset bona sua. Il padrone, udite quelle voci, fece ciò che avrebbe fatto qualunque altro padrone, per non vedere sciupato il suo patrimonio; chiamato tostamente a sé il fattore infedele, e, avutolo innanzi, con piglio severo gli disse: “Che ciò ch’io odo di te? Rendimi conto del fatto tuo, perché non potrai più ritenere l’amministrazione. „ – Ecco, o cari, il primo e più naturale castigo, che Dio può e suole infliggere a chi usa male dei doni ricevuti, il castigo di levargli i beni stessi. E chi può muoverne lamento? Dov’è il padrone che lasci l’amministrazione de’ suoi beni in mano d’un fattore infedele ed anche solo caduto in sospetto di essere infedele? Anzi non è raro il caso che questi beni se li toglie egli stesso colui che ne abusa, e Dio lo punisce con le opere delle sue mani. Questi era ricco sfondato: si gettò al mal vivere, al lusso, a tutte le intemperanze del mangiare del bere: vedetelo sopra un letto di dolori, percosso da infermità insanabile; quegli godeva d’un’alta reputazione, e la sua condotta l’ha mortalmente ferita; quell’altro aveva la felicità della pace domestica; ora l’ha perduta e perché? Perché non seppe vincere se stesso e la mala educazione dei figli ha portato in casa la discordia. Ditemi, o cari: non è egli vero che troppe volte sono gli uomini che puniscono se stessi, che si privano di quei beni della perdita dei quali si lagnano? L’esperienza quotidiana lo dimostra e l’amministratore del Vangelo ne è una prova. La perdita del suo ufficio non la dovette alla durezza del padrone, ma sì alla sua condotta disonesta. – L’amministratore, udita l’intimazione del padrone, comprese tutta la gravità ed il pericolo del suo stato; la perdita dell’ufficio, con cui campava la vita, era inevitabile. Che fare? Raccolse i suoi pensieri e, chinata la testa fra le palme delle mani, prese a ragionare fra stesso, e disse: ” Che farò io, ora che il padrone mi toglie l’amministrazione? Come potrò vivere? Andrò a lavorare la terra come codesti contadini, che sudano sotto la sferza del sole e svolgono la gleba? Sono innanzi negli anni, non ho l’abitudine e non lo potrei fare. Stenderò la mano, chiedendo la limosina? Io che sin qui sono vissuto onorato ed agiato? Sarebbe per me vergogna intollerabile. Né l’una, né l’altra cosa: Fòdere non valeo, mendicare erubesco. Eppure è forza trovare un modo per uscire dal mal passo e provvedere a me stesso. Una cosa è degna di considerazione in questo amministratore, ed è che seco stesso riconosce il suo fallo, né pensa tampoco a coprire, o negare audacemente la sua colpa. – Dopo avere seco stesso considerato a lungo ciò che in tanta distretta gli conveniva, gli balenò alla mente un pensiero, lo colse, deliberò, e disse: ” Ora so bene ciò che farò, affinché, quando mi sarà tolta l’amministrazione, alcuni mi abbiano a ricevere in casa loro. „ – Osservate, o cari, come quest’uomo riconosce la sua infedeltà, confessa dinanzi alla propria coscienza il furto commesso, non cerca nemmeno di mascherarlo; ma egli non mostra pentimento alcuno, non fa la risoluzione generosa del figliuol prodigo, che disse: muoio di fame, andrò dal padre mio e gli dirò: Ho peccato contro Dio e contro di te”. Egli poteva gettarsi ai piedi del padrone, confessare il suo fallo, appellare alla sua carità  e domandargli perdono e di metterlo nel numero dei suoi servi; nulla di tutto ciò, nessun pentimento, nessun indizio di ravvedimento, di emenda, non pensa che allo stato miserabile in cui tra breve si troverà. – Senza dubbio non è male pensare al proprio stato ed al modo di provvedere onestamente a se medesimo ed ai bisogni futuri del corpo; ma oltre i bisogni del corpo vi sono quelli dell’anima, e questi sono senza confronto più importanti che quelli del corpo, onde a questi anzi tutto è da provvedere. Ma così non fece l’amministratore del Vangelo, e pur troppo in ciò lo imitano tanti Cristiani. In conseguenza delle loro malfrenate passioni e dei loro peccati trovansi ridotti in tristi condizioni, rovinati  nelle sostanze, nell’onore, nella salute stessa del corpo; gemono sotto il peso dei danni materiali, fanno ogni opera per cessarli, ma non si danno pensiero di rimuovere le cause che sono i peccati, di detestarli e riconciliarsi con Dio. Cecità incredibile! Non vogliono gli effetti, ma ne vogliono le cause; si studiano di sfuggire al castigo che Dio infligge per il peccato, ma vivono nel peccato e lo amano! E qual fu il partito, al quale si attenne l’amministratore infedele? Eccolo: “Chiamati ad uno ad uno i debitori del suo padrone disse al primo: Quanto devi tu al mio padrone? E quegli disse: Cento barili di olio; e lui: Prendi la tua quietanza e siedi e scrivi: Cinquanta. Quindi disse ad un altro: E tu quanto devi? E quegli: Cento staia di grano. E l’altro a lui: Prendi la tua quietanza e scrivi: Ottanta. „ – Questo amministratore, alle truffe già commesse a danno del padrone, ne aggiunge un’altra e forse più grave di tutte, dando ai debitori le obbligazioni per iscritto e lasciandole loro alterare, anzi esortandoli egli stesso ad alterarle, tantoché amministratore e debitore si fanno complici della falsificazione e del latrocinio, ciascuno con l’intento del proprio vantaggio: i debitori per diminuire il loro debito, l’amministratore per farseli amici e benevoli, e perché lo ricevano in casa, allorché sarà cacciato dal padrone. Noi, udendo questa truffa ordita di comune accordo tra l’amministratore e i debitori a danno del padrone, ci sentiamo indignati e la nostra coscienza si rivolta a questa ribalderia con tanta facilità disinvoltura consumata, e sta bene. Ma, siamo schietti, o cari fratelli: in mezzo alle nostre proteste di onestà, in mezzo alle lodi ed ai panegirici, che oggi a voce ed in iscritto si fanno della giustizia e della lealtà, in onta agli articoli del codice penale, le frodi, gli inganni, le falsificazioni ed i conseguenti latrocini di questo genere sono forse sì rari, come si potrebbe credere? Ohimè! me ne appello a voi stessi. Troppo spesso siamo spettatori di contratti fraudolenti, di usure enormi, di promesse violate, di obblighi calpestati, di alterazioni di firme e di fallimenti, che non sono sempre effetti di sventure fortuite, perché i falliti talora arricchiscono; e tutto questo perché? Per accumulare ricchezze, per vivere più lautamente, per grandeggiare in lusso, in conviti, in passatempi, e via dicendo. L’amministratore iniquo del Vangelo e i debitori non meno iniqui di lui, trovano troppi imitatori nella nostra società cristiana e la esecrabile fame del danaro, figlia della esecrabile fame de’ piaceri, continua l’opera sua demolitrice della pubblica morale. – Ma ritorniamo alla nostra parabola. Il padrone dovette ben presto conoscere la nuova truffa compiuta con tanta destrezza dal suo amministratore; lo cacciò via, come si rileva dal contesto del Vangelo, ma “il Signore, cioè Gesù Cristo, dice S. Matteo, lodò l’amministratore fraudolento, perché aveva operato con avvedutezza. „ Come? voi mi domanderete attoniti; come? Gesù Cristo lodò l’amministratore infedele e artefice della frode dei debitori? Come? Gesù Cristo adunque consacra l’inganno ed il furto? Ma questa è bestemmia: Laudavit Dominus vìllicum iniquitatis! Non turbatevi, o cari; Gesù Cristo, l’Uomo-Dio non può certamente approvare l’ingiustizia; sarebbe una bestemmia pure il pensarlo. Come dunque si vuole intendere quella sentenza dell’Evangelista: “Il Signore lodò l’amministratore fraudolento? „ Molto facilmente si intende e si spiega; Gesù non lodò, nè poteva lodare l’inganno, la frode ed il furto, ma la prudenza, la prontezza, l’industria, l’ingegno, col quale l’amministratore provvide a se stesso: Laudavit Dominus … quìa prudenter fecisset. Quando noi pure, udendo le scaltrezze con le quali taluno ha frodato il prossimo ed ha condotto a termine felice un inganno, un delitto anche atrocissimo, diciamo: Bravo! è un uomo d’ingegno! e lo ammiriamo. Nessuno di noi per fermo approva od ammira l’inganno e il delitto commesso, anzi lo detestiamo ad una voce, ma lodiamo e ammiriamo l’astuzia e l’ingegno, con cui fu compiuto, perché questo si considera separatamente dall’uso fattone, e per se stesso è buono e può essere degno di ammirazione, ed è unicamente in questo senso che Gesù Cristo lodò l’ingiusto amministratore. – Dalla parabola il divino Maestro discende a due applicazioni, che è prezzo dell’opera considerare particolarmente. “Conciossiaché i figliuoli di questo secolo, nel genere loro, ossia nel loro modo di operare, sono più avveduti, che non i figliuoli della luce. „ Chi sono i figliuoli di questo secolo? Indubbiamente gli uomini mondani, i tristi, i malvagi schiavi delle passioni. Chi sono i figli della luce? Evidentemente, per ragione dell’opposizione e secondo il linguaggio biblico, sono gli uomini spirituali, i credenti, quelli che hanno la luce della fede. L’amministratore disonesto, i debitori falsari e ladri, per sentenza di Gesù Cristo, sono messi tra i figli di questo secolo, e ciò conferma la spiegazione data or ora, allorché vi dicevo che Gesù non lodò l’opera dell’amministratore e dei debitori, ma sì la loro avvedutezza; e ciò è sì vero che l’Evangelista chiama l’amministratore: Villicum iniquìtatis, uomo ingiusto e fraudolento, benché gli dia lode di prudente, in quantochè provvide a se stesso. Gesù disse che i tristi sono più avveduti, s’intende alcuna dei buoni, nel loro modo di operare, ed è verità provata dall’esperienza direi quasi quotidiana. Noi vediamo molti uomini di mondo non ad altro intesi, che ad accumulare ricchezze, a salire in alto, a godere, in una parola, a raggiungere il loro fine affatto mondano. Quanti  sottili artifizi per riuscire! quante fatiche! Quanti sforzi! quanti sacrifici! Non si danno pace né giorno, né notte, e tutto ciò per servire alle loro passioni, per l’acquisto di beni fugaci, se pure meritano il nome di beni. – Vedete d’altra parte i figli della luce, i credenti, i buoni! Essi attendono ai beni imperituri del cielo, alla santificazione di se stessi, al servizio di Dio: non è egli vero, o cari che assai volte, a nostra vergogna, i figli del secolo fanno più assai per servire al mondo, loro padrone, che non i figli della luce per servire a Dio? Non è egli vero che lo zelo, il coraggio, l’attività di questi è vinta al paragone di quelli? Non è egli vero che il troppo spesso è servito meglio dai suoi seguaci, che non lo sia Gesù Cristo da’ suoi discepoli? Ecco il lamento che fa Gesù Cristo nel luogo citato. Miei cari! se noi esamineremo sinceramente noi stessi, facilmente troveremo d’aver fatto per il mondo, per le nostre passioni, molto più di quello che abbiamo fatto per Iddio, benché a quello non dobbiamo nulla e tutto a questo! E un fatto, che ci  deve umiliare in faccia alla nostra coscienza! Il divino Maestro conchiude la parabola con  una sentenza, che ne è il frutto principale,  dicendo: “Ed io vi dico: Fatevi amici con le ricchezze ingiuste, affinché quando verrete meno, ossia sloggerete dalla terra, quelli vi ricevano negli eterni tabernacoli. ,, – L’amministratore infedele usò dei beni che aveva, facendosi degli amici, che a tempo opportuno l’avrebbero aiutato; il somigliante fate voi, ci dice il Salvatore. Avete dei beni materiali? abbondanti ricchezze? Questi beni, queste ricchezze sono talora ingiuste, perché acquistate malamente, con usure, con inganni, con contratti illeciti; sono dette ingiuste anche, perché, quantunque acquistate onestamente, sono sempre incentivi al male, considerata la debolezza umana; ebbene, dice Cristo, volgete queste ricchezze all’acquisto del cielo, deponetele nelle mani dei poveri, ed essi vi riceveranno un giorno negli eterni tabernacoli, perché il fatto a loro, Dio lo reputa fatto a se stesso.- Direte: Ma se le ricchezze, che abbiamo, sono frutto di ingiustizie, queste dobbiamo riparare, e restituire il maltolto a chi si deve, e non convertirlo in limosine ai poverelli. Dite  il vero, e così senza dubbio si deve fare; ma allorché non è possibile rendere il mal tolto a chi si dovrebbe, come non di rado accade, allora vada ai poveri, lenisca i loro dolori, e noi li avremo nostri avvocati dinanzi  Dio. La sostanza è questa: non solo, vivendo sulla terra, dobbiamo acquistare il cielo, ma egli è con la terra che noi dobbiamo acquistare il cielo, vale a dire è col buon uso dei beni della terra che ci procureremo i beni del cielo.

Credo …

Offertorium

Orémus Ps XVII:28; XVII:32

Pópulum húmilem salvum fácies, Dómine, et óculos superbórum humiliábis: quóniam quis Deus præter te, Dómine? [Tu, o Signore, salverai l’umile popolo e umilierai gli occhi dei superbi, poiché chi è Dio all’infuori di Te, o Signore?]

Secreta

Súscipe, quǽsumus, Dómine, múnera, quæ tibi de tua largitáte deférimus: ut hæc sacrosáncta mystéria, grátiæ tuæ operánte virtúte, et præséntis vitæ nos conversatióne sanctíficent, et ad gáudia sempitérna perdúcant. [Gradisci, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che noi, partecipi dell’abbondanza dei tuoi beni, Ti offriamo, affinché questi sacrosanti misteri, per opera della tua grazia, ci santífichino nella pratica della vita presente e ci conducano ai gaudii sempiterni.]

Communio Ps XXXIII:9 Gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus: beátus vir, qui sperat in eo. [Gustate e vedete quanto soave è il Signore: beato l’uomo che spera in Lui.]

Postcommunio

Orémus.

Sit nobis, Dómine, reparátio mentis et córporis cæléste mystérium: ut, cujus exséquimur cultum, sentiámus efféctum. [O Signore, che questo celeste mistero giovi al rinnovamento dello spirito e del corpo, affinché di ciò che celebriamo sentiamo l’effetto.]

LO SCUDO DELLA FEDE (XIX)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XIX. LA CREAZIONE.

Iddio nel creare il mondo non si è servito di materia preesistente. Non l’ha tratto dalla sua sostanza. — L’ha cavato dal nulla. — Perché e quando Iddio l’ha creato. — I sei giorni della creazione. — Se Dio crei nuovi mondi e se i corpi celesti siano abitati.

— Questo mondo, che esiste, ha desso avuto un principio, oppure dura da tutta l’eternità?

Se il mondo esistesse fin dall’eternità come dicono certi cervelli balzani, non avrebbe un principio di esistenza, e conseguentemente esisterebbe da se stesso e per propria essenza. – Il mondo dunque sarebbe il Dio da adorarsi nel mondo. E si può dire una bestialità maggiore?

— Si deve dunque ritenere sul serio, che sia Iddio, che abbia creato tutto ciò che esiste?

E ti par questa una domanda da fare? Il mondo creato da Dio è una verità di fede, di cui non si può menomamente dubitare. Recitando il Credo devi dire: Credo in Dio Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra ». Il libro del Genesi, che è il primo della Sacra Scrittura, e fu scritto da Mosè, incomincia con queste parole: « Nel principio Dio creò il cielo e la terra ». S. Paolo nella sua lettera ai Colossesi, al capo I, versetto 16, dice che « per Lui sono state fatte tutte le cose nei cieli e in terra, le visibili e le invisibili ». Come vedi adunque, si tratta qui di una verità divinamente rivelata.

— Ma come ha fatto Iddio a creare? Si è forse servito di una materia preesistente?

* Se si fosse servito di una materia preesistente, da quanto tempo tale materia sarebbe esistita? Non avendola mai creata sarebbe esistita da tutta l’eternità. Sarebbe stata adunque infinita nella durata e per conseguenza nella grandezza, nell’intelligenza, nella vita, in ogni perfezione. Così vi sarebbero due infiniti, ciò che è assurdo. – No, Dio nel creare non si è servito di nessuna materia preesistente, ma il tutto ha cavato dal nulla. Perciocché creare, notalo bene, non è disporre, ordinare, trasformare, perfezionare o simili, ma è fare sì che esista una cosa che prima non era. Un artista per fare una statua si serve del marmo che già esiste, epperò non si può dire creatore della sua statua nel vero senso della parola. Iddio invece è Creatore dell’universo, perché non essendovi nulla all’infuori di sé, ha fatto che tutto l’universo esistesse.

— E perché dunque dinanzi ad una bella statua, mettiamo il Mosè di Michelangelo, siamo soliti di dire che è una sua stupenda creazione?

Noi siamo soliti di dire così, per modo di dire, ed anche perché la cosa in parte e sotto un aspetto è vera. Di fatti l’artista, che vuol fare una statua, crea nella sua intelligenza la figura, la forma, l’atteggiamento, che vuol dare alla statua; figura, forma, atteggiamento, che poi nell’esecuzione imprime realmente al marmo, che scalpella. Sotto questo aspetto l’artista si può dire autore e creatore della sua statua e la sua statua una creazione sua, cioè una creazione nella figura, nella forma, nell’atteggiamento che ha, ma solo in questo senso. – Al contrario Iddio è Creatore non solo delle forme, delle figure, dello stato di tutti gli esseri che esistono fuori di Lui, ma è l’Autore altresì di tutta la sostanza, di tutta la materia, di tutti gli elementi, di cui gli esseri si compongono.

— E questa sostanza, di cui Iddio ha creato il mondo, l’avrebbe forse tratta dalla sostanza sua?

Il credere ciò sarebbe un gravissimo errore. Perché la sostanza di Dio è indivisibile.

Essendo egli, come già ti spiegai parlando della natura di Dio, un essere semplicissimo, la sua sostanza non ha parti, altrimenti sarebbe soggetta a perire. Là dov’essa è, è necessariamente tutta intera, perfetta, infinita. Se dunque Dio avesse tratto il mondo dalla sua sostanza, questa sostanza divina sarebbe tutta intera, perfetta, infinita nel mondo, e per conseguenza il mondo stesso sarebbe infinito. Ora è così? Hai bisogno forse di dimostrazioni per conoscere che il mondo, composto di parti, che può esistere e non esistere, è finito e non già infinito? – Dunque il mondo non è stato tratto dalla sostanza divina, ma è stato cavato dal nulla.

— Ma io non posso capire questo cavare le cose dal nulla. Dal nulla non si fa nulla.

* Che tu non possa capire la creazione delle cose dal nulla non devi meravigliarti punto: non sei il solo. Si tratta qui di un mistero, e il mistero è mistero per tutti. Ma non perciò si tratta di cosa impossibile. Tu dici: « Dal nulla non si fa nulla ». Se con ciò intendi di dire che non si dà effetto senza causa, dici cosa giustissima, epperò vedendo il mondo ad esistere e comprendendo che non ha potuto dare a se stesso l’esistenza, devi precisamente inferire che è Dio la causa prima, che lo ha fatto esistere. Se poi dicendo : « Dal nulla si fa nulla », intendi dire che il nulla non è alcunché, da cui quasi da materia preesistente si possa cavare qualche cosa, dici certamente una verità, la quale però non si oppone affatto a che Iddio, senza che nulla esistesse, abbia creato il mondo. Se da ultimo tu vuoi parlare come i materialisti, e dire « essere impossibile fare qualche cosa senza materia, da cui si possa trarre », tu dirai cosa giustissima riferendola all’uomo, agli Angeli, a qualunque causa creata. Oh! non professiamo noi come verità incontrastabile che nessuno mai, all’infuori di Dio, sarebbe capace di creare, cioè di cavare dal niente, un solo filo d’erba? Ma se tu invece vuoi riferirla a Dio, e vuoi dire che è impossibile anche per Lui fare alcuna cosa senza materia, da cui trarla, allora dici una falsità enorme, e neghi a Dio l’onnipotenza e l’opera della creazione.

— Dunque Iddio ha creato Egli veramente tutto?

Sì, ogni cosa fu fatta da Lui.

— Ed è solamente il Padre che ha creato?

No; il Padre col Figlio e con lo Spirito Santo, con un solo, comune e medesimo atto.

— Perché dunque nel credo si dice soltanto: Credo in Dio Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra?

Si dice così perché dalla Scrittura si suole attribuire in particolare la creazione al Padre, la redenzione al Figlio, e la santificazione allo Spirito Santo, benché tutte e tre le Divine Persone abbiano cooperato insieme e alla creazione, e alla redenzione e alla santificazione. – Quindi è che si può dire benissimo: Dio, oppure la SS. Trinità ci ha creati, ci ha redenti, ci ha santificati, oppure; Il Padre ha creato il mondo, il Figliuolo lo ha redento, lo Spirito Santo lo ha santificato.

— E non poteva Iddio fare a meno di creare il mondo?

Altro che. E quale forza poteva mai spingerlo e determinarlo a creare? Non una forza esterna, perché fuori di Lui non c’era nulla; non una forza interna, perché Egli era perfettissimo da se stesso e di nulla poteva abbisognare.

— E perché dunque ha creato?

Perché nella sua infinita bontà gli è piaciuto che vi fossero altri esseri partecipi delle sue perfezioni, i quali a guisa di capolavori manifestassero ed esaltassero la sua grandezza, la sua potenza, la sua sapienza, la sua bontà, e così Egli rimanesse glorificato. E poi perché le stesse creature godessero dei beni creati, e noi uomini fossimo felici, giovandoci della creazione della nostra vita quaggiù e specialmente come mezzo per acquistarci l’eterna felicità.

— E quando è che Iddio prese a creare?

La nostra cronologia incomincia da circa sei mila anni, il che indica che l’uomo fu creato sei mila anni fa. Ma per il resto non possiamo dir nulla di preciso, perché la Sacra Scrittura non lo dice.

— E dei sei giorni della creazione che devesi pensare.

Puoi pensare a piacimento che siano veramente sei giorni di ventiquattro ore, e puoi credere che siano sei epoche indeterminate, come credono valenti interpreti e teologi, e puoi credere anche che siano sei giorni tipici, metaforici. La Chiesa su ciò lascia ampia libertà, e gli uomini della scienza possono, nella misura del tempo s’intende, riportare indietro l’esistenza del mondo quanto vogliono.

— Ma se io ritengo che i sei giorni della creazione siano sei giorni di ventiquattro ore, come posso conciliare i nuovi ritrovati della geologia, dell’etnografia, della archeologia, della paleontologia, e di altre simili scienze?

Ritieni caro mio, che i ritrovati delle scienze moderne, più che realtà e dimostrazioni evidenti, sono in gran parte semplici ipotesi e congetture. E poi considera che essendo Iddio onnipotente, cioè potendo creare in un attimo tutto ciò che vuole, sarebbe empio e ridicolo mettere in dubbio che Dio abbia potuto creare il mondo in sei giorni ordinari, e crearlo quale apparisce, producendo con la sua infinita virtù quei fenomeni e quegli effetti, che secondo le leggi di natura chiederebbero milioni e milioni di anni.

— Ma Mosè dice che Dio creò prima la luce e poi il sole. Come ci poteva essere la luce senza il sole?

* Ci poteva essere benissimo. Se noi possiamo generare la luce con l’elettricità e con la combustione, forse che Iddio avesse difficoltà a generare la luce senza sole?

— Mosè dice anche che il sole e la luna sono i luminari maggiori; eppure sappiamo benissimo che vi sono degli astri immensamente più grandi.

Mosè ha parlato come parliamo presentemente anche noi nel linguaggio popolare, che stando all’apparenza diciamo il sole e la luna più grandi delle stelle, e non intese parlare come parla un astronomo.

— A proposito di sole mi viene in mente che nella Storia Sacra si dice che « Giosuè fermò il sole ». E ciò non è contrario alla scienza, che ci mostra la terra girare attorno al sole?

E con tutta questa scienza non diciamo anche noi che il sole si leva, che il sole cade, che il sole è già alto, che il sole non c’è? Su queste espressioni popolari, com’è pure quella relativa a Giosuè, non bisogna sofisticare, ma prenderle per quel che valgono.

— È vero. Tornando ai sei giorni della creazione, ed anche ritenendoli per sei lunghe epoche, non si oppongono forse le scienze moderne a quanto racconta Mosè nel libro della Genesi intorno alla creazione stessa?

Mente affatto, anzi vi si accordano perfettamente. Senza dubbio Mosè non ha scritto la creazione del mondo in formule teologiche esattamente didattiche, e nemmeno ne ha fatto la esposizione scientifica, come potrebbe fare un geologo. Egli in certa guisa ha visto passare innanzi a’ suoi occhi successivamente sei quadri, come Iddio glieli mostrava, ed ha riferito la scena di ogni quadro in complesso, senza discendere come avrebbe potuto, ad infiniti particolari. Con tutto ciò i ritrovati della scienza si accordano onninamente con lui.

— Mi ha detto che quei sei giorni potrei riguardarli altresì come sei giorni tipici, metaforici. Questo non lo capisco.

Te lo spiegherò volentieri. Mosè avendo da fare con un popolo di dura cervice, e desiderando egli di indurlo facilmente a santificare il sabato, ossia il giorno festivo a quel popolo prescritto da Dio, dopo di aver detto che « Iddio a principio creò il cielo e la terra », enumera poi matematicamente sei giorni, in cui Iddio a guisa di operaio fece comparire al mondo i suoi diversi esseri, e finisce col dire che nel giorno settimo si riposò da ogni opera compiuta. Ora potrebbe essere benissimo che questi sette giorni così indicati da Mosè non siano che una figura tipica, di cui egli siasi servito per stabilire un’analogia tra l’azione e il riposo eli Dio da una parte, e il lavoro e il riposo degli uomini dall’altra; quasi per dire agli ebrei: Vedete? Iddio dopo aver lavorato da divino artefice per sei giorni, nel settimo si riposò. Dunque fate lo stesso anche voi: seguite il divino modello.

— In questo caso il racconto di Mosè sarebbe un’ingegnosa bugia?

No, e in questo caso Iddio, come dice un passo della Sacra Scrittura nell’Ecclesiastico, al capo XVIII, versetto primo, avrebbe creato tutto insieme, e i sei giorni, indicanti l’una dopo l’altra le diverse opere da Dio create, sarebbero giorni metaforici esprimenti in realtà l’ordine della mutua relazione, dipendenza, successione e distribuzione nel tempo e nello spazio di quelle opere, come vennero preordinate nella mente di Dio. Così Iddio da principio avrebbe con un atto solo della sua volontà creato l’universo, l’insieme di tutte quante le creature, con tutti i loro principii, con tutte le loro categorie, con tutte le relazioni, e con tutti i legami attivi e passivi di causa e di effetto, e poscia queste creature di per sé, senza nuovi atti della divina volontà, ma sempre in forza del primo atto, si sarebbero svolte e individuate, presentate e sussistite le une dopo le altre, nello spazio e nel tempo naturalmente.

— Mi sembra di aver capito: ma questa spiegazione intorno alla creazione non l’ho mai intesa.

Eppure è una spiegazione bellissima e data da molti ingegni moderni, e specialmente dallo Stoppani, il quale in queste materie è superiore ad ogni eccezione; e se tu lo desiderassi, potresti approfondirti meglio in questa idea col leggere il suo magnifico libro Sulla Cosmogonia Mosaica.

— È vero quel che dicono taluni che Dio continua tuttora a creare dei nuovi mondi, o

secondo l’ultima spiegazione datami ne faccia comparire dei nuovi a manifestarsi?

Può esserlo benissimo. Come ogni giorno e quasi ad ogni istante crea nuove anime, perché non potrebbe anche creare dei nuovi mondi?

— E si può ritenere come vero, che i corpi celesti disseminati nello spazio siano abitati da esseri viventi, ragionevoli, ancorché per natura diversissimi da noi?

Altro che. Ciò non è accertato, ma si può ben crederlo. « Armato di nuovo strumento ottico, ossia dello spettroscopio, il genio scientifico, dice Bougaud, ha preso ardimento. Ciascun astro è stato studiato e quasi anatomizzato. Gli si è fatto render ragione di ciò che conteneva nel suo seno ; e lo si è talmente avvicinato allo sguardo che si è potuto delinearne la mappa. Si è veduto perfettamente il levarsi e il declinare del giorno sopra certi globi; cadere le nevi in autunno e sciogliersi alla primavera sopra certi altri; altrove si sono distinti i mari, i laghi, i continenti; si è constatata l’atmosfera che li circonda; si sono vedute delle nubi, delle piogge, e si è quasi potuto dire qual tempo faceva in certi giorni sul tal pianeta. Finalmente si sono riunite delle prove così forti, così positive per dimostrare che la vita esiste in altri luoghi oltreché sul nostro globo, che ben presto sarà tanto impossibile rivocarlo in dubbio, come lo fu in tempo di Galileo, negare la rotazione della terra ». Oh! sì, la fecondità di Dio creatore è infinita, e la sua onnipotenza e sapienza si può manifestare in mille modi diversi, come meravigliosamente si manifesta anche solo in quel mondo che noi conosciamo. Sicché aveva ben ragione un poeta di cantare:

“Il mondo è un libro senza fin, né mezzo;

Per vivere ciascun ne legge un pezzo.

Sì profondo ne è l’accento,

Che scrutarlo invano io tento:

Vede il mondo Inocchio mio,

L’alma mia vi scerne Iddio.”

(Victor Hugo, Canti del crepuscolo, xx)

FALSI PROFETI

FALSI PROFETI

(Sac. G. Colombo, Pensieri sui Vangeli vol. Terzo. Milano,1939)

« Guardatevi dai falsi profeti, — raccomandò Gesù — che vengono vicino con lane d’agnelli, con belati di pecore: ma invece sono lupi rapaci ». Quando il Maestro disse queste parole la prima volta era sulla montagna, e i discepoli tutti, come se il lupo travestito dovesse sopraggiungere allora, si strinsero alla sua persona persuasi che solo da Lui potesse l’insidia venire sventata. « Come faremo noi, poveri ingenui, a riconoscerli? » — sembravano dire.

« Come fate — li rincuorò Gesù — a distinguere le piante buone e le cattive? »

Dai frutti: pianta buona dà frutto buono, pianta cattiva dà frutto cattivo. Certo voi non coglierete mai un grappolo d’uva dallo spineto, né un fico dal roveto. Così è degli uomini: non guardate alle loro parole, perché non quelli che diranno « Signore! Signore! » entreranno in Paradiso ma guardate alle loro azioni. Uomo buono fa buone azioni, uomo cattivo fa cattive azioni ». – L’immagine di Gesù che si stringe d’attorno i suoi apostoli per salvaguardarli dai falsi profeti, deve aver molto impressionato i Cristiani dei primi tempi, se fin dall’inizio del secolo III, essa è ricordata nelle pitture delle catacombe. Su di una volta del cimitero di Pretestato è dipinto il Pastore buono che stende la mano destra a proteggere sette agnelli. Ma questi alzano il muso e gli occhi pieni di spavento come se un pericolo grave li minacciasse. Difatti dalla parte sinistra s’avanzano due animali per far nocumento: l’asino e il porco. Ma già il Pastore buono ha levato contro di essi il suo lungo vincastro e li tiene lontani (WILPERT, Le pitture delle catacombe, vol. I, tav. 51). – Questa ingenua rappresentazione che ha rallegrato gli occhi di molti martiri, non simboleggia forse la storia perenne della Chiesa lungo tutti i secoli? Sempre il gregge del Signore è minacciato da due sorta di falsi profeti: gli uni, rappresentati dall’asino, sono quelli che tentano con errori di corrompere il sacro deposito della fede: gli altri, rappresentati bene dal porco, sono quelli che tentano di corrompere i buoni costumi e la purezza della vita cristiana. Intanto la interessante pittura delle catacombe, senza ch’io me ne fossi accorto, mi ha diviso la predica in due punti: i falsi profeti della fede; i falsi profeti dei costumi.

I FALSI PROFETI DELLA FEDE

Ritornava da Betel, dove Dio l’aveva mandato per un’importante ambasciata, un uomo giusto. Quand’ecco, sulla strada, incontra un falso profeta che gli dice: « Vieni con me, a casa mia, e prenderemo insieme un po’ di cibo ». L’uomo giusto gli rispose: « Non posso venire con te, né mangiare, né bere, con chiunque sia: me l’ha proibito il Signore ». E l’altro con lusinghevole voce cominciò a scalzare il suo proposito: « Anch’io sono profeta simile a te; e se a te il Signore ha fatto questa proibizione, a me è comparso un Angelo e mi ha ingiunto: — conducilo a casa tua e confortalo con una cenetta ». L’ingenuo credette alle parole dell’astuto e gli andò dietro e mangiò il pane e bevve l’acqua del falso profeta. Ma alla sera, alcuni uomini che transitavano per un sentiero solitario, videro disteso un cadavere e accanto un leone: era il cadavere dell’infelice ingannato. Esterrefatti ritornarono in città e divulgarono la cosa (III Re, XIII). – Questo fatto della storia sacra c’insegna assai chiaramente la fine che faranno le anime che, dimentiche degli avvisi di Gesù e de’ suoi ordini, si avvicineranno ai falsi profeti della fede: finiranno preda del leone infernale. E mi è piaciuto ricordare lo spaventoso episodio perché specialmente in questi tempi i Protestanti in ogni città e in ogni paese d’Italia hanno organizzato una lotta accanita per strappare molti dalla vera fede cattolica. Per essi s’addice bene la figura del falso profeta, descritto dal Vangelo, che s’avvicina in veste da pecora, ma che nell’intrinseco è belva rapace. Infatti essi hanno sulle labbra parole pie, si dicono evangelici e anche cattolici, predicano del Signore e della salvezza dell’anima, danno elemosine, diffondono libri e bibbie a pochissimo prezzo. Ma strappate a loro queste lane d’agnelli e sentirete sotto il puzzo di Lutero e della sua esecrabile eresia: e sentirete che essi non vogliono né la Madonna Madre di Dio, né il Papa capo infallibile della Chiesa. A nome di Cristo, dal suo altare, io alzo il grido d’allarme. Attendite a falsis prophetis. – Ma non è solo dai Protestanti e dagli altri eretici definiti che vi dovete guardare. Guardatevi specialmente da tutti quelli che non amano il Papa. « Sono cristiano anch’io — vi diranno forse — sono cattolico anch’io al pari di te, ma non sento bisogno di ubbidire ad ogni comando del Papa, di rispettare ogni sua parola, di pregare per il suo trionfo… ». Chi non è col Pontefice, non è con la Chiesa di Cristo e quindi è un falso profeta dell’errore. E se anche un Angelo vi annunciasse una dottrina diversa da quella che la Chiesa e il Papa insegnano, non credeteci! Perché quell’angelo è un demonio trasfigurato. Se poi desiderate una norma pratica che vi salvi da ogni astuzia dei falsi profeti della fede, seguite questi due consigli:

1) Istruitevi nella Dottrina Cristiana. Gesù è venuto dal Cielo sulla terra per insegnarci queste sublimi verità, e voi le trascurate? Come oserete sperare salvezza? Dottrina Cristiana! Dottrina Cristiana!

2 ) Fuggite la compagnia di chi non ama il Papa o la Madonna e disprezza la santa Eucaristia: tutte le eresie si riducono a questi tre punti.

Ricordate quello che di S. Giovanni Apostolo narra S. Ireneo. Era, una volta, entrato in una casa, ma come s’accorse che v’era dentro l’eretico Cerinto, non un minuto volle indugiarvi e fuggì gridando: « Indietro, indietro! Temo che il tetto di questa casa mi rovini addosso per la presenza di un simile uomo ». – E di S. Policarpo si racconta che in Roma, dov’era appena venuto, s’incontrò con Marcione che era un eresiarca. « Policarpo! — gli disse; — non mi conosci? io sono Marcione ». « Oh se ti conosco! — gli rispose il santo. — Tu sei il primogenito del demonio ». Agnosco diaboli primogenitum.

I FALSI PROFETI DEI COSTUMI

Fra tutti i vizi che contaminano il mondo moderno, non ve n’ha uno più diffuso del vizio impuro. Sembra quasi che in questo secolo il porco sferri l’assalto più furioso al gregge di Cristo. Ha invaso tutte le età, tutte le condizioni, tutti i luoghi. Nolite proiicere margaritas vestras ante porcos. E i profeti falsi che sorgono a difenderlo non sono pochi. « Non è un peccato, — dicono, — è un bisogno della natura. L’uomo può fare quello che vuole, purché né uccida, né rubi. Quelli che dicono di essere puri, sono impostori più corrotti degli altri ». Le letture, le amicizie, i divertimenti sono le armi più terribili e più infiorate che i falsi profeti dei costumi maneggiano a distruzione delle anime.

Le letture. — Ancor oggi, come all’inizio dei tempi, l’uomo è collocato alla presenza di due alberi che producono frutti diversi: l’albero della stampa del bene, l’albero della stampa del male. Il primo dà illustrazioni pudiche e belle, giornali utili e seri, libri buoni e di sincero godimento; l’altro dà frutti di peste e di morte. Ed ancora si ripete la scena del paradiso terrestre. Dall’albero della stampa cattiva ci parla il falso profeta, con la voce carezzevole del serpente antico : « Perché i preti vi proibiscono queste illustrazioni, questi romanzi? Hanno paura che diventiate più bravi di loro e non restiate più sottomessi alla loro parola. Non dovete forse sapere quello di cui parla tutto il mondo? Voi solo non guarderete né leggerete quello che si vede e si legge ora da per tutto ? Ah! che nel giorno in cui li leggerete, diverrete altrettanti Dei ».

Ed ecco tanti giovani e tante fanciulle anche, ecco tanti uomini di ogni età e condizione, cedere al falso profeta, accoglierlo in casa magari segretamente e poi… e poi… lasciare la propria innocenza a brano a brano nella bocca della bestia feroce. « Galeotto fu il libro e chi lo scrisse! », ci grida Dante dalla sua « Commedia ».

Le amicizie, — Talvolta il falso profeta si presenta sotto i sembianti d’un amico, specialmente di sesso diverso. Non vi getterà, no, tutto d’un colpo al fondo dell’abisso: ma vi spingerà lentamente ed un po’ alla volta. Comincerà ad adescarvi con la sua bella figura, coi modi gentili, con il carattere gioviale, con qualche biglietto: in principio si ascolta volentieri, poi si sorride, poi si risponde, poi si cede. Certo è che una volta che vi siete dati in mano a un tal falso profeta, non siete più liberi, divenite cosa sua, la sua preda. « Coraggio, che facciamo di male? », vi dirà. Intanto divorerà la vostra anima e vi trasformerà in un essere abbietto come lui. Questa trasformazione mi pare che bene la raffigura Dante nell’« Inferno ». Nell’ottavo girone, egli vide arrivare di furia un serpente di sei piedi, e avventarsi addosso a un’anima dannata e stringersela membro a membro come un’edera s’abbarbica a un tronco, fino a formare con esso un sol corpo mostruoso che si allontanò lentamente. Alcuni che pure assistevano alla paurosa scena, esclamavano: « Ohimè, Agnel, come ti muti! » (Inf., XXV, 67). – Quante volte si potrebbe ripetere accanto ad anime rovinata dalle cattive amicizie il grido straziante « O Agnel, tu che ti dai in braccio a quell’amico perverso, come cambi! Già incomincia la metamorfosi e presto striscerai con lui nella melma. Ohimè, Agnel! ».

I divertimenti. — Di certe sale, di certi divertimenti, non voglio dire che una parola, una sola: ed è quella che S . Agostino dice del suo amico Alipio che s’era recato a teatro con tutti i più feroci propositi di non peccare. « Levatesi per certa avventura d’un gladiatore alte grida, aprì gli occhi e guardò. Guardò: da quel momento non fu più Alipio » (Conf., libr. V I , cap. 8).

CONCLUSIONE

Se S. Paolo fosse vivo ancora, udite, Cristiani, che cosa vi scriverebbe in questa mattina: « Io vi prego, o fratelli, che abbiate gli occhi addosso a quelli che pongono inciampi e errori contro la dottrina che voi avete imparato, e ritiratevi da loro. Perché questi tali non servono il Cristo Signore nostro, ma il loro ventre… » (Rom., XVI, 17 s.). – « Vi sono ancora molti chiaccheroni e seduttori, che mettono a soqquadro tutte le famiglie, insegnando cose che non convengono. Ma la mente e la coscienza di essi è immonda… » (Tit., I, 10 s.). Se alle mie parole non volete ubbidire, ubbidite almeno a queste, che sono di San Paolo.

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (XII) – Lez. 35-37

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (XII) – Lez. 35-37

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 35 –

PRIMO E SECONDO PRECETTO DELLA CHIESA

D. 1325. Sono i Precetti della Chiesa pure Comandamenti di Dio?

R. I Precetti della Chiesa sono anch’essi dei Comandamenti di Dio, perché sono stabiliti con la sua autorità, e siamo quindi tenuti, sotto pena di peccato, ad osservarli.

D. 1326. Qual è la differenza tra i Comandamenti di Dio ed i Precetti della Chiesa?

R. I Comandamenti di Dio sono stati dati da Dio a Mosè sul Monte Sinai; i Precetti della Chiesa sono stati dati in diverse occasioni dalla legittima Autorità della Chiesa. I Comandamenti dati da Dio stesso non possono essere modificati dalla Chiesa; ma i Precetti della Chiesa possono essere cambiati dalla sua autorità come la necessità lo richieda.

D. 1327. Quali sono i Precetti capitali della Chiesa?

R. I Precetti capitali della Chiesa sono sei:

– Ascoltare la Messa la Domenica e nei giorni festivi di precetto.

– Digiunare ed astenersi nei giorni comandati.

– Confessarsi almeno una volta all’anno.

– Ricevere la Santa Eucaristia durante il periodo di Pasqua.

– Contribuire al sostegno dei nostri pastori.

– Non sposare persone non Cattoliche, nè che siano nostri consanguinei fino al terzo grado di parentela, né privatamente senza testimoni, né solennizzando il matrimonio nei tempi proibiti.

D. 1328. Perché la Chiesa ha istituito i Precetti?

R. La Chiesa ha istituito i Precetti per insegnare ai fedeli come adorare Dio e per proteggerli dalla negligenza nei loro doveri religiosi.

D. 1329. È peccato mortale non ascoltare la Messa di Domenica o in una festa di precetto?

R. Sì, è peccato mortale non ascoltare la Messa di Domenica o in una festa di precetto, a meno che non siamo scusati di un serio motivo. Commettono anche peccato mortale coloro che, avendo altri sotto la loro autorità, impediscono loro l’ascolto della Messa, senza una valida ragione.

D. 1330. Che cosa è un “grave motivo” che possa scusare dall’obbligo di sentire la Messa?

R. Una “grave ragione” che scusi dall’obbligo di ascoltar la Messa è qualsiasi motivo che renda impossibile o molto difficile partecipare alla Messa, come la malattia severa, la grande distanza dalla Chiesa, o la necessità di certe opere che non possono essere trascurate o rinviate.

D. 1331. I bambini sono obbligati, sotto pena di peccato mortale, come gli adulti, ad ascoltare la Messa la Domenica e nei giorni festivi di precetto?

R. Sì, i bambini che abbiano raggiunto l’uso della ragione, come gli adulti, sono tenuti sotto pena di peccato mortale, ad ascoltare la Messa la Domenica e nei giorni festivi di precetto; ma se essi ne sono impediti dai genitori o da altri, il peccato ricade su coloro che lo impediscono.

D. 1332. Perché sono stati istituiti dalla Chiesa i giorni festivi?

R. I giorni festivi sono stati istituiti dalla Chiesa per richiamare alla nostra mente i grandi misteri della Religione, nonché la virtù e l’anniversario dei Santi.

D. 1333. Quanti giorni festivi di obbligo ci sono in questo Paese?

R. In questo Paese ci sono sei giorni festivi di precetto, vale a dire:

– Festa dell’Immacolata Concezione (8 dicembre);

– Natale (25 dicembre);

  1. – Festa della circoncisione di nostro Signore (1 ° gennaio);

– Festa dell’Ascensione di nostro Signore (quaranta giorni dopo Pasqua);

– Festa dell’Assunzione della Beata Vergine (15 agosto); e

– Festa di tutti i Santi (1 novembre).

D. 1334. Come dovremmo trascorrere le feste di precetto?

R. Dovremmo trascorrere le feste di precetto come la Domenica.

D. 1335. Perché certi giorni festivi sono chiamati giorni festivi di precetto?

R. Alcuni giorni festivi sono chiamati giorni festivi di precetto, perché in questi giorni siamo obbligati, sotto pena di peccato mortale, ad ascoltare la Messa e non compiere opere servili, come facciamo la Domenica.

D. 1336. Che cosa deve fare chi è obbligato a lavorare in una Festa di precetto?

R. Chi è obbligato a lavorare in una Festa di precetto, dovrebbe, se possibile, ascoltare la Messa prima di andare a lavorare, e dovrebbe anche rendere conto di questa necessità nella confessione, in modo da ottenere un parere sull’argomento dal Confessore.

D. 1337. Cosa si intende per “giorni di digiuno”?

R. I giorni di digiuno sono giorni in cui ci è permesso un solo pasto completo.

D. 1338. È permesso nel giorni di digiuno prendere cibo oltre un pasto completo?

R. Nei giorni di digiuno, oltre a un pasto completo, è consentito prendere due altri pasti, senza carni, per mantenersi in forza, in base alle esigenze di ciascuno. Ma questi due piatti senza carne, sommati, non devono uguagliare un altro pasto completo.

D. 1339. Chi sono tenuti a digiunare?

R. Tutte le persone oltre i 21 anno, e sotto 59 anni di età, la cui salute e occupazione consentiranno loro di digiunare.

D. 1340. La Chiesa scusi alcune classi di persone dall’obbligo del digiuno?

R. La Chiesa scusa alcune categorie di persone dall’obbligo di digiunare, a causa della loro età, delle condizioni di salute, della natura del loro lavoro, o delle circostanze in cui vivono. Queste cose sono spiegate nel regolamento per la Quaresima, che sono lette pubblicamente nelle chiese ogni anno.

D. 1341. Cosa deve fare chi dubita del proprio obbligo al digiuno?

R. Nel caso di dubbio, in materia di digiuno, deve essere consultato il parroco o il confessore.

D. 1342. Quando cadono durante l’anno principalmente i giorni di digiuno?

R. I giorni di digiuno cadono principalmente durante l’anno durante la Quaresima e l’Avvento, le Tempora, le veglie o le vigilie di alcune grandi feste. In una veglia che cade di Domenica, il digiuno non viene però osservato.

D. 1343. Che cosa si intende per Quaresima, Avvento, tempora e le vigilie delle grandi feste?

R. La Quaresima è il periodo di sette settimane di penitenza che precedono la Pasqua. L’avvento si svolge nelle quattro settimane di preparazione precedenti il Natale. Le Tempora sono i tre giorni che contraddistinguono ciascuna delle quattro stagioni dell’anno come giorni speciale di preghiera e di ringraziamento. Le Veglie sono i giorni immediatamente precedenti le grandi Feste istituite come loro preparazione spirituale.

D. 1344. Che cosa si intende per giorni di astinenza?

R. I giorni di astinenza sono giorni nei quali non può essere consumata nessun tipo di carne (astinenza completa), oppure nei quali essa possa essere consumata solo una volta al giorno (astinenza parziale). Questo è spiegato nel regolamento per la Quaresima. Tutti i venerdì dell’anno sono giorni di astinenza, tranne quando una festa di precetto cada il venerdì al di fuori della Quaresima.

D. 1345. I bambini e le persone non in grado di digiunare sono obbligati ad astenersi nei giorni di astinenza?

R. Sì, i bambini, fin dall’età di sette anni e le persone che non riescono a digiunare, sono tenuti ad astenersi nei giorni di astinenza, a meno che non siano dispensati per una ragione seria.

D. 1346. Perché la Chiesa ci ordina di digiunare e di astenerci?

R. La Chiesa ci comanda di digiunare e di astenerci, perché possiamo mortificare le nostre passioni e soddisfare per i nostri peccati.

D. 1347. Cosa si intende per “nostre passioni”, e per “mortificare le nostre passioni?

R. Per “nostre passioni” si intendono i nostri desideri peccaminosi e le nostre inclinazioni. Mortificarle significa vietarle, e nel superarle, esse hanno meno potere di condurci al peccato.

D. 1348. Perché la Chiesa ordinarci di astenerci dalla carne il venerdì?

R. La Chiesa ci comanda di astenerci dalla carne il venerdì in onore del giorno in cui morì il nostro Salvatore.

LEZIONE 36

IL TERZO, QUARTO, QUINTO E SESTO PRECETTO DELLA CHIESA.

D. 1349. Cosa si intende con il Precetto di confessarci almeno una volta all’anno?

R. Con il comando di confessarci, almeno una volta all’anno si intende che siamo obbligati, sotto pena di peccato mortale, a confessarci nel corso dell’anno .

D. 1350. Dovremmo confessarci solo una volta all’anno?

R. Noi dovremmo confessarci frequentemente, se vogliamo condurre una buona vita.

D. 1351. Dovremmo andare a confessarci a tempo debito, anche se pensiamo che non abbiamo commesso alcun peccato dalla nostra ultima confessione?

R. Noi dovremmo andarci a confessarsi a tempo debito anche se pensiamo che non abbiamo commesso peccato dalla nostra ultima Confessione, perché il Sacramento della Penitenza ha per oggetto non solo il perdono dei peccati, ma ci concede anche la grazia di rafforzare l’anima contro la tentazione.

D. 1352. Anche i bambini dovrebbero andare alla confessione?

R. I bambini devono andare alla confessione quando sono abbastanza grandi per commettere peccato, che comunemente è ritenuta l’età di sette anni.

D. 1353. Commette peccato chi trascura di ricevere la Comunione durante il periodo di Pasqua?

R. Colui che trascura di ricevere la Comunione durante il periodo di Pasqua commette un peccato mortale.

D. 1354. Qual è il tempo di Pasqua?

R. Il tempo di Pasqua tempo è, in questo Paese, il tempo tra la prima domenica di Quaresima e la domenica della SS. Trinità.

D. 1355. Quando cade la domenica della SS. Trinità?

R. La Domenica della Santissima Trinità è la domenica successiva alla Pentecoste, cioè otto settimane dopo la Pasqua; in tal modo ci sono ben quattordici settimane in cui si può rispettare il precetto della Chiesa per ricevere la Santa comunione tra la prima domenica di Quaresima e la domenica della SS. Trinità.

D. 1356. Siamo noi obbligati a contribuire al sostegno dei nostri pastori?

R. Sì, siamo obbligati a contribuire al sostegno dei nostri pastori e a versare la nostra quota per le spese della Chiesa e della scuola.

D. 1357. Dove ha avuto origine il dovere di contribuire al sostegno della Chiesa e del clero?

R. Il dovere di contribuire al sostegno della Chiesa e del clero ha avuto origine fin dall’antica legge, quando Dio ordinò a tutti, di contribuire al sostegno del tempio e dei suoi sacerdoti.

D. 1358. Che cosa implica l’obbligo di sostenere la Chiesa e la scuola?

R. L’obbligo di sostenere la Chiesa e la scuola implica il dovere di utilizzare Chiesa e la scuola partecipando al culto religioso in quella e attendendo all’educazione cattolica nell’altra; infatti se la Chiesa e la scuola non fossero necessarie per il nostro benessere spirituale, non ci sarebbe stato comandato di sostenerle.

D. 1359. Il quinto precetto della Chiesa contempla il sostegno solo dei nostri pastori, della Chiesa e della scuola?

R. Il quinto precetto della Chiesa, comprende anche il sostentamento del nostro Santo Padre, il Papa, dei Vescovi, dei sacerdoti, delle missioni, delle istituzioni religiose e della Religione in generale.

D. 1360. Qual è il significato del precetto di non contrarre matrimonio entro il terzo grado di parentela?

R. Il significato del precetto di non contrarre matrimonio entro il terzo grado di parentela è che a nessuno è permesso di sposarsi con persona consanguinea entro il terzo grado di parentela.

D. 1361. Chi sono coloro che rientrano nel terzo grado di parentela?

R. I cugini di secondo grado costituiscono un terzo grado di consanguineità, e persone di cui il rapporto è ancora più prossimo ai cugini di secondo grado, hanno un grado maggiore di affinità. È pertanto vietato a persone così consanguinee contrarre matrimonio senza una dispensa o un permesso speciale della Chiesa.

D. 1362. Ci sono altre relazioni oltre alla consanguineità che rendono il matrimonio illegale senza una dispensa?

R. Sì, ci sono altre relazioni, oltre al rapporto di consanguineità che rendono il matrimonio illegale senza una dispensa, vale a dire, le relazioni contratto in matrimonio, che sono denominati gradi di affinità, e il rapporto contrattato essendo padrini di Battesimo, che si chiama affinità spirituale.

D. 1363. Cosa dovrebbero fare le persone per sposarsi, se sospettano di essere consanguinei?

R. Le persone, nel contrarre matrimonio, se sospettano di avere affinità reciproche, dovrebbero far conoscere i fatti al Sacerdote: egli esamina così il grado di parentela e può procurarsi una dispensa se necessario.

D. 1364. Cosa è il significato del precetto di non sposarsi privatamente?

R. Il comando di non sposarsi privatamente significa che nessuno deve sposarsi senza la benedizione del Sacerdoti di Dio, o senza testimoni.

D. 1365. Costituisce peccato per i Cattolici l’essere sposati davanti al ministro di un’altra religione?

R. Sì, è un peccato mortale per i Cattolici l’essere sposati davanti al ministro di un’altra religione, ed incorrono pure nella scomunica la cui assoluzione è riservata al Vescovo.

D. 1366. Qual è il significato del precetto di non solennizzare il matrimonio nei tempi proibiti?

R. Il significato del precetto di non rendere solenne il matrimonio nei tempi proibiti è che durante la Quaresima e l’Avvento la cerimonia del matrimonio non deve essere eseguita con pompa o con una Messa nuziale.

D. 1367. Cos’è la Messa nuziale?

R. La Messa nuziale è una Messa istituita dalla Chiesa per invocare una benedizione speciale sulla coppia di sposi.

D. 1368. I Cattolici dovrebbero sposarsi in una Messa nuziale?

R. I Cattolici dovrebbero essere sposati in una Messa nuziale, sia per mostrare una maggiore riverenza per il Santissimo Sacramento, sia per invocare ricche benedizioni sulla loro vita coniugale.

D. 1369. Quali limitazioni la Chiesa pone sulle cerimonie di matrimonio quando una delle persone non sia un Cattolica?

R. La Chiesa pone numerose restrizioni sulle cerimonie di matrimonio quando una delle persone non sia Cattolico. Il matrimonio non può aver luogo nella Chiesa; il sacerdote non può indossare i suoi paramenti sacri, né utilizzare l’acqua santa, né benedire l’anello, né lo stesso matrimonio. La Chiesa pone queste restrizioni per mostrare la sua sgradevolezza per tali matrimoni, comunemente chiamato matrimoni misti.

D. 1370. Perché i matrimoni misti non sono graditi alla Chiesa?

R. La Chiesa non ama i matrimoni misti perché tali matrimoni sono spesso infelici, danno luogo a molte controversie, mettono in pericolo la fede del membro cattolico della famiglia ed impediscono la formazione religiosa dei figli.

LEZIONE 37 –

IL GIUDIZIO FINALE E LA RESURREZIONE: INFERNO, PURGATORIO E PARADISO.

D. 1371. Quando ci Cristo giudicherà?

R. Cristo ci giudicherà immediatamente dopo la nostra morte e l’ultimo giorno.

D. 1372. Come è chiamato il giudizio che dobbiamo subire immediatamente dopo la morte?

R. La sentenza che dobbiamo subire immediatamente dopo la morte è chiamata il giudizio particolare.

D. 1373. Dove si terrà il giudizio particolare?

R. Il giudizio particolare si terrà nel luogo dove ogni persona muore, e l’anima andrà subito verso la sua ricompensa o punizione.

D. 1374. Come è chiamato il giudizio che tutti gli uomini devono subire nell’ultimo giorno?

R. La sentenza che tutti gli uomini devono subire nell’ultimo giorno è chiamata il giudizio universale.

D. 1375. La sentenza pronunziata nel giudizio particolare verrà modificata nel giudizio generale?

R. La sentenza emessa nel giudizio particolare, non verrà modificata al giudizio universale, ma sarà confermata e resa pubblica a tutti.

D. 1376. Perché Cristo giudica uomini immediatamente dopo la morte?

R. Cristo giudica gli uomini immediatamente dopo la morte per premiarli o punirli secondo le loro opere.

D. 1377. Come possiamo prepararci ogni giorno per il nostro giudizio?

R. Possiamo prepararci ogni giorno al nostro giudizio mediante un buon esame di coscienza, in cui dobbiamo scoprire i nostri peccati ed imparare a temere la punizione che essi meritano.

D. 1378. Che cosa sono i premi o le punizioni assegnate alle anime degli uomini dopo il giudizio particolare?

R. I premi o punizio ni assegnate alle anime degli uomini, dopo il giudizio particolare sono il Paradiso, il Purgatorio e l’Inferno.

D. 1379. Che cosa è l’Inferno?

R. L’inferno è una condizione in cui i malvagi sono condannati, in cui sono privati della vista di Dio per tutta l’eternità e sono in terribili tormenti.

D. 1380. I dannati soffriranno nel corpo e nella mente?

R. I dannati soffriranno in mente e il corpo, perché la mente e il corpo hanno una parte distinta nei loro peccati. La mente soffre il “dolore della perdita”, con cui si viene torturato dal pensiero di aver perduto Dio per sempre, mentre il corpo soffre il “dolore di senso”, con il quale viene torturato in tutti le suoi membra e nei sensi.

D. 1381. Che cosa è il Purgatorio?

R. Il Purgatorio è lo stato in cui soffrono per un certo tempo coloro che muoiono colpevoli di peccati veniali, o senza aver soddisfatto con la penitenza dovuta per i loro peccati.

D. 1382. Perché questo stato è chiamato Purgatorio?

R. Questo stato è chiamato Purgatorio perché in esso le anime eliminano e vengono purificate da tutte le loro macchie; e non si tratta, pertanto, di uno stato permanente o duraturo dell’anima.

D. 1383. Le anime del Purgatorio sono sicure della loro salvezza?

R. Le anime del Purgatorio sono sicure della loro salvezza, ed entreranno in paradiso, non appena purificati completamente e rese degne di godere di quella presenza di Dio che si chiama: la visione beatifica.

D. 1384. Conosciamo quali siano le anime del Purgatorio, e per quanto tempo debbano rimanere lì?

R. Noi non sappiamo quali siano le anime del Purgatorio, né per quanto tempo debbano rimanere lì; da qui continuiamo a pregare per tutte le persone che sono morte apparentemente nella vera fede e libere da peccato mortale. Essi sono chiamati i fedeli defunti.

D. 1385. I fedeli sulla terra possono aiutare le anime del Purgatorio?

R. Sì, i fedeli sulla terra possono aiutare le anime del Purgatorio con le loro preghiere, digiuni, elemosine, opere; con le indulgenze e facendo celebrare Messe per loro.

D. 1386. Dal momento che Dio ama le anime del Purgatorio, perché le punisce?

R. Proprio perché Dio ama le anime del Purgatorio, Egli le punisce poiché la sua santità richiede che nulla di contaminato possa entrare in Paradiso e la sua giustizia richiede che tutti siano puniti o ricompensati secondo ciò che meritano.

D. 1387. Se ognuno è giudicato immediatamente dopo la morte, che bisogno c’è di un giudizio universale?

R. Vi è necessità di un giudizio universale, anche se ognuno è già giudicato immediatamente dopo la morte, per il fatto che la Provvidenza di Dio, che, sulla terra, spesso consente ai buoni di soffrire ed ai malvagi di prosperare, possa infine apparire davanti a tutti gli uomini.

D. 1388. Cosa si intende per “Provvidenza di Dio”?

R. Per “Provvidenza di Dio” si intende il modo in cui Egli preserva, provvede, regola e governa il mondo e vi diriga tutte le cose con la sua volontà infinita.

D. 1389. Ci sono altre ragioni per il Giudizio Universale?

R. Sì, ci sono altre ragioni per il Giudizio Universale, soprattutto perché Cristo nostro Signore possa essere visto da tutto il mondo che gli ha negato l’onore alla sua prima venuta, così da essere costretto a riconoscerlo come suo Dio e Redentore.

D. 1390. I nostri corpi condivideranno la ricompensa o la punizione delle nostre anime?

R. I nostri corpi condivideranno la ricompensa o la punizione delle nostre anime, perché mediante la Risurrezione essi saranno ancora Uniti ad esse.

D. 1391. Quando avverrà la Risurrezione generale di tutti i defunti?

R. La Risurrezione generale di tutti i morti si svolgerà prima del Giudizio Universale, quando gli stessi corpi in cui abbiamo vissuto sulla terra, usciranno dalla tomba e saranno ricongiunti alla nostra anima, rimanendo uniti con essa per sempre, in Cielo o all’Inferno.

D. 1392. In che stato saranno i corpi alla Risurrezione?

R. I corpi dei giusti risorgeranno gloriosi ed immortali.

D. 1393. Risorgeranno anche i corpi dei dannati?

R. Anche corpi dei dannati risorgeranno, ma essi saranno condannati alle pene eterne.

D. 1394. Perché portiamo rispetto per i corpi dei morti?

R. Dobbiamo portare rispetto per i corpi dei morti, perché questi erano la dimora dell’anima, il mezzo attraverso il quale ha ricevuto i Sacramenti, e perché sono stati creati per occupare un posto in Paradiso.

D. 1395. Che cosa è il Cielo?

R. Il Cielo è lo stato di vita eterna in cui si vede Dio faccia a faccia, si è come Lui nella gloria e si gode la felicità eterna.

D. 1396. In che cosa consiste la felicità nei cieli?

R. La felicità in Paradiso consiste nel vedere la bellezza di Dio, nel conoscerlo come Egli è nell’avere ogni desiderio pienamente soddisfatti.

D. 1397. Cosa dice s. Paolo del cielo?

R. S. Paolo dice del cielo: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano“. (I. Cor II, 9.)

D. 1398. La ricompensa nel cielo, o le punizioni nell’inferno sono le stesse per tutti coloro che entrano in uno di questi stati?

R. I premi del Cielo e le punizioni nell’Inferno non sono le stesse per tutti coloro che entrano in uno di questi stati, perché ogni ricompensa o punizione è proporzionata alla quantità di bene o di male che si è fatto in questo mondo. Ma siccome il Paradiso e l’Inferno sono eterni, ognuno gode la sua ricompensa o soffre la sua punizione per sempre.

D. 1399. Quali sono le parole che dovremmo tenere sempre in mente?

R. Noi dovremmo tenere sempre in mente queste parole del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo: “Cosa giova ad un uomo guadagnare il mondo intero e soffrire la perdita della propria anima?”, “ … cosa darà l’uomo in cambio della sua anima?” – “Il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo con i suoi Angeli”; e “…Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere”.

R. 1400. Quali sono le verità religiose essenziali che dobbiamo conoscere e alle quali dobbiamo credere.

R. Le essenziali verità religiose che dobbiamo conoscere e alle quali credere sono:

– C’è un solo Dio, che ricompensa i buoni e punisce i malvagi.

– In Dio ci sono tre Persone Divine: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e queste Persone Divine sono chiamate la Santissima Trinità.

– Gesù Cristo, seconda Persona della Santissima Trinità, si è fatto uomo ed è morto per la nostra redenzione.

– Alla nostra salvezza è necessaria la grazia di Dio.

– L’anima umana è immortale.

(Fine)

 

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (XI) – Lez. 32-34

CATECHISMO DI BALTIMORA (XI) – Lez. 32-34

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 32 –

DAL SECONDO AL QUARTO COMANDAMENTO

D. 1217. Qual è il secondo Comandamento?

R. Il secondo Comandamento è: tu non nominerai il Nome del Signore tuo Dio invano.

D. 1218. Che cosa si intende per “Nome di Dio invano”?

R. Per “Nome di Dio invano” si intende il nominarlo senza riverenza, come maledirlo o utilizzandolo in maniera leggera e spensierata, come esclamazione.

D. 1219. Cosa ci viene comandato dal secondo Comandamento?

R. Dal secondo Comandamento ci viene ordinato di parlare con riverenza di Dio e dei Santi e di tutte le cose sante, e di mantenere i nostri legittimi giuramenti e i voti.

D. 1220. È peccaminoso usare le parole della sacra Scrittura in senso cattivo o mondano?

R. Si, è peccaminoso usare le parole della Sacra Scrittura in senso cattivo o mondano, scherzare su di esse, ridicolizzarne il significato sacro, o in generale darne un significato che sappiamo essere quello che Dio non ha voluto trasmettere con esse.

D. 1221. Che cosa è un giuramento?

R. Un giuramento è l’invocare Dio per testimoniare la verità di ciò che noi diciamo.

D. 1222. Come è fatto di solito un giuramento?

R. Un giuramento è fatto solitamente ponendo la mano sulla Bibbia o alzando la mano verso il cielo come segno che noi chiamiamo Dio a testimoniare che quello che stiamo dicendo è sotto giuramento e vero, al meglio della nostra conoscenza.

D. 1223. Cos’è lo spergiuro?

R. Spergiuro è il peccato che si commette quando consapevolmente si fa un falso giuramento: Giura che sia la verità ciò che sa essere falso. Dare falsa testimonianza è un reato contro la legge del nostro Paese e un peccato mortale davanti a Dio.

D. 1224. Chi ha il diritto di farci prestare giuramento?

R. Tutte le persone alle quali la legge del nostro Paese ha dato tale autorità, hanno il diritto di farci prestare giuramento. Essi sono principalmente giudici, magistrati e funzionari pubblici, che hanno il dovere di far rispettare le leggi. In materia religiosa i Vescovi e gli altri ai quali è data autorità, hanno anche il diritto di farci prestare giuramento.

D. 1225. Quando possiamo prestare un giuramento?

R. Noi possiamo prestare giuramento quando è ordinato dall’autorità legittima o necessario per l’onore di Dio o per conto nostro o per il bene del nostro prossimo.

D. 1226. Quando un giuramento è necessario per l’onore di Dio o per il nostro o il bene del nostro prossimo?

R. Un giuramento può essere richiesto per l’onore di Dio o per il bene nostro o del nostro prossimo, quando siamo chiamati a difendere la nostra Religione contro false accuse; o per proteggere la proprietà o il buon nome nostro o del nostro prossimo; o quando siamo chiamati a dare una testimonianza che permetterà alle autorità legali di scoprire la colpevolezza o l’innocenza di una persona accusata.

D. 1227. È mai possibile che si prometta sotto giuramento, nelle società segrete o altrove, di obbedire ad altri in tutto ciò che di bene o di male si comandi?

R. No, non è mai permesso promettere sotto giuramento, nelle società segrete o altrove, l’obbedienza ad altro in qualunque cosa questi comandi di buono o di male, perché con tale giuramento ci dichiariamo noi stessi pronti e disposti a commettere peccato, se venisse ordinato di farlo, mentre Dio ci comanda di evitare anche il solo pericolo di peccare. Quindi la Chiesa vieta di partecipare a qualsiasi società in cui siano fatti tali giuramenti dai loro membri.

D. 1228. A quali associazioni ci viene in generale proibito di unirci?

R. In generale ci è proibito di partecipare:

– A tutte le società condannate dalla Chiesa;

– A tutte le società il cui oggetto è illecito e i mezzi utilizzati peccaminosi;

– Alle società in cui vengono violati i diritti e le libertà della nostra coscienza da giuramenti temerari o pericolosi;

– Alle società in cui venga utilizzato qualsiasi tipo di cerimonia religiosa o forma di culto falso.

D. 1229. Sono proibite le associazioni sindacali o le associazioni benefiche?

R. I sindacati e le associazioni benefiche non sono di per sé vietate perché abbiano finalità legali, che essi possono garantire con mezzi leciti. La Chiesa incoraggia ogni società che aiuti i suoi membri spiritualmente o materialmente in modo legale e censura o rinnega ogni società che utilizzi mezzi illeciti o peccaminosi onde garantire anche un fine supposto buono; la Chiesa non può mai permettere a chiunque di fare del male perché da esso possa derivarne bene.

D. 1230. È lecito per voto o promessa, una rigorosa obbedienza al superiore religioso?

R. È lecito per voto o promessa, una rigorosa obbedienza al superiore religioso, perché tale superiore può esigere obbedienza solo nelle cose che hanno la sanzione di Dio o della sua Chiesa.

D. 1231. Che cosa è necessario onde fare un giuramento legittimo?

R. Per rendere lecito un giuramento è necessario che ciò che giuriamo sia vero e che ci sia una causa sufficiente per prestare tale giuramento.

D. 1232. Che cosa è un voto?

R. Un voto è una deliberata promessa fatta a Dio di fare qualcosa che Gli piaccia.

D. 1233. Quali sono i voti fatti più frequentemente?

R. I voti fatti più frequentemente sono i tre voti di povertà, castità e obbedienza, presi da persone che vivono in comunità religiosa o consacrata a Dio. A persone che vivono nel mondo è talvolta permesso di rendere tali voti privatamente, ma questo non dovrebbe mai essere fatto senza il consiglio e il consenso del loro confessore.

D. 1234. Cosa si richiede a chi fa i voti di povertà, castità ed obbedienza?

R. I voti di povertà, castità e obbedienza richiedono che coloro che li facciano non posseggano né acquisiscano alcuna proprietà o beni per sé solo; che non si sposino né si rendano colpevoli di atti di libidine, e che dovranno rigorosamente obbedire ai loro legittimi superiori.

D. 1235. È sempre stato un costume dei pii cristiani, fare i voti e promesse a Dio?

R. È stato sempre costume dei pii cristiani il fare i voti e promesse a Dio: per implorare il suo aiuto per qualche fine speciale, o per ringraziarlo di qualche beneficio ricevuto. Sono stati promessi pellegrinaggi, buone opere, elemosine o si è giurato di erigere chiese, conventi, ospedali o scuole.

D. 1236. Che cosa è un pellegrinaggio?

R. Un pellegrinaggio è un viaggio in un luogo santo fatto in un modo religioso e per uno scopo religioso.

D. 1237. È un peccato non soddisfare i nostri voti?

R. Si, non per soddisfare i nostri voti è un peccato, mortale o veniale, secondo la natura del voto e l’intenzione che abbiamo avuto nel farlo.

D. 1238. Siamo tenuti a fare un giuramento o un voto illecito?

R. No, noi non stiamo tenuti, ma, al contrario, ci è positivamente vietato fare un giuramento o un voto illecito. In tale giuramento o nel fare tal voto, siamo colpevoli di peccato, e saremmo colpevoli di peccato ancora maggiore nel mantenerli.

D. 1239. Che cosa proibisce il secondo Comandamento?

R. Il secondo Comandamento proibisce tutti i giuramenti falsi, temerari, ingiusti e inutili, la bestemmia, le maledizioni e le parole volgari.

D. 1240. Quando un giuramento, è temerario, ingiusto o inutile?

R. Un giuramento è avventato quando non siamo sicuri della verità di ciò che noi giuriamo; è ingiusto quando ferisce un altro illecitamente; ed è inutile quando non c’è nessuna buona ragione per prenderlo.

D. 1241. Che cosa è una bestemmia, e quali sono le parole volgari?

R. La bestemmia è qualsiasi parola o azione intesa come un insulto a Dio. Anche il dire che Egli sia crudele o il trovare un difetto nelle sue opere è una bestemmia. È un peccato molto maggiore dell’imprecazione o del nominare il nome di Dio invano. La volgarità è dire parole cattive, irriverenti o irreligiose.

D. 1242. Qual è il terzo Comandamento?

R. Il terzo Comandamento è: ricordati di santificare il giorno del riposo.

D. 1243. Cosa ci comanda il terzo Comandamento?

R. Con il terzo Comandamento ci viene ingiunto di santificare il giorno del Signore e le feste dell’obbligo, nelle quali noi siamo tenuti a mettere il nostro tempo al servizio e al culto di Dio.

D. 1244. Cosa sono i giorni festivi di precetto?

R. I giorni festivi di precetto sono delle feste particolari della Chiesa nelle quali siamo obbligati, sotto pena di peccato mortale, ad ascoltare la Messa ed astenerci dai lavori corporali o servili quando questo possa essere fatto senza grandi perdite o inconvenienti. Chi, a causa di varie circostanze, non possa rinunciare al lavoro nelle feste d’obbligo, dovrebbe fare ogni sforzo per ascoltare la Messa e dovrebbe anche giustificare in confessione la necessità di lavorare nei giorni festivi.

D. 1245. Come dobbiamo fare noi per adorare Dio la domenica e nei giorni festivi di precetto?

R. Dobbiamo adorare Dio la domenica e nei giorni festivi di precetto, ascoltando la Messa, pregando e facendo altre opere buone.

D. 1246. Qual è il nome di alcune delle opere buone consigliate per la Domenica.

R. Alcune delle opere buone consigliate per la Domenica sono: la lettura di libri o documenti religiosi, lo studio e l’insegnamento del Catechismo, il portare sollievo ai poveri o ai malati, la visita al Santissimo Sacramento, la frequentazione dei Vespri, la recita de Santo Rosario o altre devozioni nella Chiesa; anche la frequenza di riunioni dei sodalizi o delle associazioni religiose. Non è necessario spendere tutta la domenica in tali opere buone, ma dobbiamo dedicare qualche tempo ad esse, affinché per amor di Dio possiamo fare un po’ più di ciò che rigorosamente ci viene ordinato.

D. 1247. È vietato, quindi, cercare piaceri o godimenti domenicali?

R. Non è proibito cercare piaceri leciti o qualche godimento di Domenica, soprattutto da coloro che sono occupati durante tutta la settimana, perché Dio non ha inteso istituire la Domenica come una punizione, ma come un beneficio per noi. Pertanto, dopo aver ascoltato la Messa, possiamo concederci qualche ricreazione quando sia necessaria o utile per noi; ma dovremmo evitare qualsiasi divertimento volgare, rumoroso o vergognoso che trasforma il giorno di riposo e di preghiera in un giorno di scandalo e di peccato.

D. 1248. Il giorno di sabato e la Domenica sono uguali?

R. Giorno di sabato e la Domenica non sono uguali. Il sabato è il settimo giorno della settimana è il giorno che è stato ritenuto Santo nella legge antica; la domenica è il primo giorno della settimana ed è il giorno che è ritenuto Santo nella nuova legge.

D. 1249. Cosa si intende per “vecchia” e “nuova” legge?

R. La legge antica significa la legge o la religione data agli Ebrei; la nuova legge significa la legge o la Religione data ai Cristiani.

D. 1250. Perché la Chiesa ci ordina di santificare la Domenica anziché il sabato?

R. La Chiesa ci comanda di santificare la Domenica anziché il sabato perché fu di Domenica che Cristo risuscitò dai morti e di Domenica ha mandato lo Spirito Santo sugli Apostoli.

D. 1251. Riteniamo santa la Domenica invece del sabato, anche per qualche altro motivo?

R. Dobbiamo santificare la Domenica invece del sabato anche per insegnare che la legge antica non è più vincolante ora per noi, e che dobbiamo osservare la nuova legge, che ha preso il suo posto.

D. 1252. Che cosa proibisce il terzo Comandamento?

R. Il terzo Comandamento proibisce tutte i lavori servili inutili e quant’altro possa ostacolare il dovuto rispetto del giorno del Signore.

D. 1253. Quali sono le opere servili?

R. Le opere servili sono quelle che richiedono un impegno del corpo più che della mente.

D. 1254. Da che cosa le opere servili derivano il loro nome?

R. Le opere servili derivano il loro nome dal fatto che tali opere venivano fatte in precedenza dai servi. Di conseguenza, la lettura, lo scrittura, lo studiare e, in generale, tutte le opere che gli schiavi di solito non eseguivano non sono considerate opere servili.

D. 1255. Le opere servili di Domenica non sono mai lecite?

R. Le opere servili sono lecite la Domenica quando le imponga l’onore di Dio, il bene del nostro prossimo o una impellente necessità.

D. 1256. Si diano alcuni esempi di quando l’onore di Dio, il bene del nostro prossimo o la necessità possano richiedere le opere servili di Domenica.

R. L’onore di Dio, il bene del nostro prossimo o le necessità possono richiedere opere servili di Domenica come, ad esempio, la ricerca di un posto nella santa Messa, il salvataggio di beni da tempeste o da incidenti, la cottura di cibi o simili opere.

LEZIONE 33 – DAL QUARTO AL SETTIMO COMANDAMENTO

D. 1257. Qual è il quarto Comandamento?

R. Il quarto Comandamento è: Onora tuo padre e tua madre.

D. 1258. Che cosa si intende con la parola “onora” in questo Comandamento?

R. Con la parola “onore” in questo Comandamento, si intende tutto ciò che sia necessario per il benessere spirituale e materiale dei nostri genitori, la dimostrazione di un giusto rispetto e l’adempimento nel fare tutti i nostri doveri.

D. 1259. Cosa ci comandato il quarto Comandamento?

R. Dal quarto Comandamento ci viene imposto di onorare, amare e rispettare i nostri genitori in tutto ciò che non sia peccato.

D. 1260. Perché dovremmo rifiutarci di obbedire ai genitori o ai superiori che ci comandano di peccare?

R. Noi dovremmo rifiutarci di obbedire ai genitori o ai superiori che ci comandano di peccare, perché non agiscono in questo caso con l’autorità di Dio, ma al contrario ed in violazione delle sue leggi.

D. 1261. Noi siamo tenuti a onorare e rispettare altri oltre che i nostri genitori?

R. Siamo anche tenuti ad onorare e rispettare i nostri Vescovi, pastori, magistrati, insegnanti ed altri legittimi superiori.

D. 1262. Cosa sono i magistrati?

R. Per magistrati si intendono tutti i funzionari di qualsiasi rango che abbiano un legittimo diritto per legge, sopra noi e sui nostri affari o possedimenti temporali.

D. 1263. Cosa sono i legittimi superiori?

R. Per legittimi superiori si intendono tutte le persone a cui siamo in qualche modo sottoposti, come i datori di lavoro o altri sotto la cui autorità viviamo o lavoriamo.

D. 1264. Qual è il dovere di servitori o operai ai loro datori di lavoro?

R. Il dovere dei servi o degli operai verso i loro datori di lavoro è quello di servire fedelmente e onestamente, secondo i loro accordi evitando di danneggiare le loro proprietà o la reputazione.

D. 1265. I genitori ed i superiori hanno eventuali doveri verso coloro che sono sottoposti alla loro autorità?

R. Dovere dei genitori e dei superiori è il prendersi cura di tutti coloro che si trovano sotto la loro autorità dando loro l’esempio ed una giusta direzione.

D. 1266. Se i genitori o i superiori trascurano il loro dovere o abusano della loro autorità in un qualunque particolare ambito, dovremmo seguire la loro direzione e l’esempio in quel particolare ambito?

R. Se i genitori o i superiori trascurano il loro dovere o abusano della loro autorità in qualsiasi particolare non dobbiamo seguire la loro direzione o l’esempio dato in particolare, ma seguire sempre i dettami della nostra coscienza nell’adempimento del nostro dovere.

D. 1267. Qual è il dovere dei datori di lavoro nei confronti dei loro dipendenti od operai?

R. Il dovere dei datori di lavoro nei confronti dei loro dipendenti od operai è quello di badare che essi siano provvisti del necessario, trattati gentilmente ed onestamente, secondo i loro accordi, e che siano giustamente corrisposti i loro salari al momento pattuito.

D. 1268. Che cosa proibisce il quarto Comandamento?

R. Il quarto Comandamento proibisce ogni disobbedienza, il disprezzo e l’ostinazione verso i nostri genitori o verso i legittimi superiori.

D. 1269. Cosa si intende per disprezzo e testardaggine?

R. Disprezzo è l’intenzionale mancanza di rispetto per la legittima autorità, mentre per testardaggine ostinata è la determinazione a non cedere alla legittima autorità.

D. 1270. Qual è il quinto Comandamento?

R. Il quinto Comandamento è: non uccidere.

D. 1271. Quale uccisione proibisce questo Comandamento?

R. Questo Comandamento proibisce l’uccisione solo degli esseri umani.

D. 1272. Come facciamo a sapere che questo Comandamento proibisca l’uccisione solo degli esseri umani?

R. Noi sappiamo che questo Comandamento proibisce l’uccisione solo degli esseri umani, perché, dopo aver dato questo Comandamento, Dio ordinò che gli animali venissero uccisi per il sacrificio nel tempio di Gerusalemme, e Dio non contraddice se stesso.

D. 1273. Cosa ci viene comandato dal quinto Comandamento?

R. Dal quinto Comandamento ci viene comandato di vivere in pace ed in unione con il nostro prossimo, di rispettarne i diritti, di cercare il suo benessere spirituale e corporale e di prenderci cura della nostra vita e salute.

D. 1274. Qual peccato è distruggere la propria vita, o commettere suicidio, come è chiamato questo atto?

R. Distruggere la propria vita o suicidarsi, come viene chiamato questo atto, è un peccato mortale, e le persone che volontariamente e consapevolmente commettono tale atto, muoiono in uno stato di peccato mortale e sono privati della sepoltura cristiana. È anche errato esporsi inutilmente al pericolo di morte con atti temerari e rischiosi.

D. 1275. È lecito per qualche motivo togliere deliberatamente ed intenzionalmente la vita ad una persona innocente?

R. Non è lecito mai per qualunque causa, togliere la vita deliberatamente e intenzionalmente ad una persona innocente. Tali atti sono sempre omicidio e non possono essere scusati mai per qualsiasi motivo, anche se ritenuto importante o necessario.

D. 1276. In quali circostanze può la vita umana essere legittimamente tolta?

R. La vita umana può essere legittimamente tolta:

– Per autodifesa, quando si venga ingiustamente attaccati e non si abbia nessun altro mezzo per salvare la propria vita;

– In una guerra giusta, quando la sicurezza o i diritti della nazione lo richiedano;

– Nell’esecuzione legale di un criminale trovato, con prove inoppugnabili, colpevole di un crimine punibile con la morte quando la conservazione dell’ordine pubblico ed il bene della Comunità richiedano tale esecuzione.

D. 1277. Che cosa proibisce il quinto Comandamento?

R. Il quinto Comandamento proibisce tutti gli omicidio dolosi, i combattimenti, la rabbia, l’odio, vendetta e il cattivo esempio.

D. 1278. Il quinto Comandamento può essere violato, pure dando scandalo o cattivo esempio es inducendo altri a peccare?

R. Il quinto Comandamento può essere violato anche dando scandalo o cattivo esempio ed inducendo altri a peccare, perché tali atti possono distruggere la vita dell’anima conducendola in peccato mortale.

D. 1279. Che cosa è lo scandalo?

R. Scandalo è qualsiasi parola peccaminosa, atto od omissione che disponga gli altri al peccato, o che diminuisce il loro rispetto per Dio e la Religione Santa.

D. 1280. Perché i combattimenti o duelli, la rabbia, l’odio e la vendetta sono proibiti dal quinto Comandamento?

R. La lotta e duelli, la rabbia, l’odio e lavendetta sono proibiti dal quinto Comandamento perché essendo peccati in se stessi, possono condurre all’omicidio. I Comandamenti vietano non solo tutto ciò che li viola, ma anche tutto ciò che può essere causa di una loro violazione.

D. 1281. Qual è il sesto Comandamento?

R. Il sesto Comandamento è: non commettere adulterio.

D. 1282. Cosa ci impone il sesto Comandamento?

R. Dal sesto Comandamento ci viene comandato di essere puri nel pensiero e modesti di tutti i nostri sguardi, parole e azioni.

D. 1283. È peccato ascoltare le conversazione, le canzoni o gli scherzi immodesti?

R. Si, è peccato ascoltare conversazioni, canzoni o facezie immodeste quando possiamo evitarlo, per mostrare che in alcun modo prendiamo piacere in queste cose.

D. 1284. Che cosa proibisce il sesto Comandamento?

R. Il sesto Comandamento proibisce tutte le libertà dell’impudicizia con altra persona che non sia il proprio coniuge; inoltre tutte le immodestie con noi stessi o verso altri mediante sguardi, vestiti, parole ed azioni.

D. 1285. Perché i peccati di impurità sono i più pericolosi?

R. I peccati di impurità sono i più pericolosi:

– perché in generale più numerose sono le tentazioni;

– perché, se intenzionali, sono sempre mortali, e

– perché, più di altri peccati, conducono alla perdita della fede.

D. 1286. Il sesto Comandamento proibisce la lettura di giornali e libri cattivi e immodesti?

R. Si, il sesto Comandamento vieta la lettura di giornali e libri cattivi e immodesti.

D. 1287. Che cosa si dovrebbe fare con i giornali ed i libri immodesti?

R. I libri ed i giornali immodesti dovrebbero essere distrutti al più presto, appena possibile, e se non possiamo distruggerli da noi stessi, dovremmo indurre i loro proprietari a farlo.

D. 1288. Quali libri la Chiesa ritiene cattivi?

R. La Chiesa ritiene malvagi tutti i libri contenenti insegnamenti contrario alla fede o alla morale, o che volontariamente travisano la Dottrina e la pratica cattolica.

D. 1289. Quali sono i luoghi pericolosi per la virtù della purezza?

R. Pericolosi per la virtù della purezza sono i teatri indecenti ed i luoghi analoghi di divertimento, poiché le loro rappresentazioni sono spesso destinate a suggerire cose immodeste.

LEZIONE 34 – DAL SETTIMO AL DECIMO COMANDAMENTO D.

D. 1290. Qual è il settimo comandamento?

R. Il settimo Comandamento è: non rubare.

D. 1291. Cos’è il peccato di rubare?

R. Il rubare può essere un peccato mortale o veniale, secondo l’importo rubato, le modalità o i tempi in cui è compiuto. Varie circostanze possono rendere il peccato più o meno grave, e dovrebbero essere sempre precisate nella Confessione.

D. 1292. Può mai essere un sacrilegio il rubare?

R. Sì, rubare è un sacrilegio, quando la cosa rubata appartiene alla Chiesa e quando il furto avviene nella Chiesa.

D. 1293. Quali peccati sono equivalenti al rubare?

R. Lo sono tutti i peccati di imbroglio, frode o nocumento all’altrui proprietà; anche il prendere in prestito o l’acquisto con l’intenzione di non mai ripagare, equivalgono a rubare.

D. 1294. In quali altri modi può una persona peccato contro l’onestà?

R. Le persone possono peccare contro l’onestà anche ricevendo consapevolmente, acquistando o condividendo beni rubati; allo stesso modo lo è il dare o prendere tangenti per scopi disonesti.

D. 1295. Cosa ci viene ordinato con il settimo Comandamento?

R. Con il settimo Comandamento ci viene ordinato di dare a tutti gli uomini ciò che appartiene a loro e di rispettarne la proprietà.

D. 1296. Come possono le persone che lavorano per gli altri, essere colpevole di disonestà?

R. Le persone che lavorano per gli altri possono essere colpevoli di disonestà lavorando meno del tempo per il quale sono pagati, facendo un cattivo lavoro o impiegando materiali scadenti senza che il loro datore di lavoro ne sia a conoscenza.

D. 1297. In quale altro modo una persona può essere colpevole di disonestà?

R. Una persona può essere colpevole di disonestà nell’ottenere denaro o beni con pretesti ingannevoli, e utilizzandoli per scopi diversi da quelli per i quali siano stati dati.

D. 1298. Che cosa proibisce il settimo Comandamento?

R. Il settimo Comandamento proibisce tutto quanto sia ingiusto prendere o l’appropriarsi di ciò che appartiene a un altro.

D. 1299. Cosa dobbiamo fare con le cose trovate?

R. Dobbiamo restituire le cose trovato ai loro legittimi proprietari appena possibile, e dobbiamo anche usare tutti i mezzi ragionevoli per trovare i proprietari se a noi sconosciuti.

D. 1300. Cosa dobbiamo fare se scopriamo che abbiamo comprato della merce rubata?

R. Se scopriamo di aver comprato merci rubate e conosciamo i loro legittimi proprietari, dobbiamo loro restituire la merce al più presto senza un risarcimento da parte del proprietario per quello che abbiamo pagato per la merce.

D. 1301. Siamo costretti a restituire beni illecitamente acquisiti?

R. Sì, siamo tenuti a restituire i beni illeciti, o il valore di essi, per quanto siamo in grado; altrimenti noi non possiamo essere perdonati.

D. 1302. Cosa dobbiamo fare se non possiamo restituire tutto ciò che dobbiamo, o se la persona alla quale dovremmo ripristinare sia morta?

R. Se non possiamo restituire tutto che dobbiamo, dobbiamo restituire quanto possibile, e se la persona a cui noi dovremmo restituire sia morta, dobbiamo restituire ai suoi figli o agli eredi, e se questi non possono essere ritrovati, possiamo farne elemosine ai poveri.

D. 1303. Cosa deve fare chi non può pagare i suoi debiti e vuole ancora ricevere i sacramenti?

R. Uno che non possa pagare i suoi debiti e ancora vuole ricevere i Sacramenti deve sinceramente promettere di ripagare quanto prima e deve immediatamente fare ogni sforzo in merito.

D. 1304. Siamo obbligati a riparare i danni che abbiamo provocato ingiustamente?

R. Sì, siamo tenuti a riparare i danni che abbiamo provocato ingiustamente.

D. 1305. Qual è l’ottavo Comandamento?

R. L’ottavo comandamento è: non darai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

D. 1306. Cosa ci ordina l’ottavo comandamento?

R. Con l’ottavo Comandamento ci viene ordinato di dire la verità in tutte le cose e di stare attenti all’onore e alla reputazione di ognuno.

D. 1307. Che cosa è una bugia?

R. Una bugia è un peccato commesso consapevolmente nel dire ciò che è falso con l’intenzione di ingannare. Giurare circa una cosa menzognera rende il peccato maggiore, e tale giuramento è chiamato spergiuro. La finzione, l’ipocrisia, la falsa lode, il millantato credito, ecc., sono simili alle bugie.

D. 1308. Come possiamo conoscere il grado di colpevolezza di una bugia?

R. Possiamo conoscere il grado di peccaminosità in una bugia dalla quantità del danno che essa fa e dall’intenzione avuta nel raccontarla.

D. 1309. Ci scuserà un buon motivo per dire una bugia?

R. Una ragione, benché buona, non scuserà il profferire una bugia, perché una bugia è sempre un male in sé. Essa non è mai permessa, anche se fatta con l’intenzione di fare una cosa che non sia cattiva in sé.

D. 1310. Che cosa proibisce l’ottavo Comandamento?

R. L’ottavo Comandamento proibisce tutte le sentenze temerarie, la maldicenza, le calunnie e le menzogne.

D. 1311. Che cosa sono qualche escursionista, maldicenza, calunnia e giudizio temerario?

R. Il giudizio temerario è credere che una persona sia colpevole di peccato senza una causa sufficiente. La maldicenza è il dire cose cattive di un altro in sua assenza. La calunnia è dire bugie su di un altro con l’intenzione di ferirlo. La detrazione è rivelare i peccati altrui senza che ce ne sia la necessità.

D. 1312. È  permesso mai riferire le colpe di un altro?

R. È permesso dire le colpe di un altro quando sia necessario farle conoscere ai suoi genitori o ai superiori, di modo tale che i difetti possano essere corretti e così verrebbe impedito un peccato più grave.

D. 1313. Che cosa è racconto riportato, e perché è sbagliato?

R. Il racconto-riportato è l’atto di raccontare a persone ciò altri hanno detto su di loro, soprattutto se le cose che hanno detto sono malvagie. Esso è un errore, perché dà luogo a rabbia, odio, risentimento e malevolenza ed è spesso causa di peccati maggiori.

D. 1314. Cosa devono fare coloro che hanno mentito sul loro prossimo e gravemente ferito la loro reputazione?

R. Coloro che hanno mentito circa il loro prossimo e ne hanno ferito gravemente l’onore, devono riparare il danno fatto, per quanto siano in grado; nel caso contrario essi non saranno perdonati.

D. 1315. Qual è il nono Comandamento?

R. Il nono Comandamento è: non desiderare la donna del tuo prossimo.

D. 1316. Cosa ci ordina il nono Comandamento?

R. Dal nono comandamento ci viene imposto di mantenerci puri nel pensiero e nei desideri.

D. 1317. Che cosa proibisce il nono Comandamento?

R. Il nono Comandamento proibisce di desiderare un’altra donna o un altro uomo, nonché tutti i pensieri impuri illeciti, ed i pensieri immodesti.

D. 1318. I desideri ed i pensieri impuri sono sempre peccati?

R. Si, i desideri ed i pensieri impuri sono sempre peccati, a meno che essi ci dispiacciano e si cerca di eliminarli.

D. 1319. Qual è il decimo Comandamento?

R. Il decimo Comandamento è: non desiderare i beni del tuo prossimo.

D. 1320. Che cosa significa desiderare?

R. Desiderare, bramare, significa aver desiderio di ottenere ingiustamente ciò che un altro possiede o il rimpiangere di non poterlo avere al par di lui.

D. 1321. Cosa ci viene comandato dal decimo Comandamento?

R. Dal decimo Comandamento ci viene comandato di accontentarci di tutto quello che abbiamo e di gioire del benessere del nostro prossimo.

D. 1322. Non dovremmo, quindi, provare a migliorare la nostra posizione nel mondo?

R. Certamente, noi dovremmo cercare di migliorare la nostra posizione nel mondo, purché lo si possa fare onestamente e senza esporci a maggiori tentazioni o peccati.

D. 1323. Che cosa proibisce il decimo Comandamento?

R. Il decimo comandamento proibisce tutti i desideri di possedere o ritenere ingiustamente ciò che appartiene ad altri.

D. 1324. In che cosa consiste la differenza tra il sesto Comandamento ed il nono e tra il settimo ed il decimo?

R. Il sesto Comandamento si differenzia dal nono in questo, che il sesto si riferisce principalmente ad atti esterni di impurità, mentre il nono si riferisce più ai peccati di pensiero contro la purezza. Il settimo comandamento si riferisce principalmente ad atti esterni di disonestà, mentre il decimo si riferisce più ai pensieri contro l’onestà.

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (X)- Lez. 29-31

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (X)- Lez. 29-31

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 29 – SUI COMANDAMENTI DI DIO

D. 1125. È sufficiente appartenere alla Chiesa di Dio per essere salvati?

R. No, non è sufficiente appartenere alla Chiesa per essere salvati, ma dobbiamo anche osservare i Comandamenti di Dio e della Chiesa.

D. 1126. I precetti della Chiesa sono anch’essi Comandamenti di Dio?

R. I precetti della Chiesa sono anche essi Comandamenti di Dio, poiché sono stati emanati con la sua autorità e sotto la guida dello Spirito Santo; tuttavia, la Chiesa può cambiare o abolire i propri comandamenti, mentre non è possibile modificare o abolire i Comandamenti dati direttamente da Dio.

D. 1127. Quali sono i Comandamenti che contengono tutta la legge di Dio?

R. I Comandamenti che contengono tutta la legge di Dio sono questi due:

1. Amerai il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente;

2. Amerai il prossimo tuo come te stesso.

D. 1128. Perché questi due Comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo contengono tutta la legge di Dio?

R. Questi due Comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo contengono tutta la legge di Dio, perché tutti gli altri Comandamenti sono dati per aiutarci ad osservare questi due, o direttamente o per evitare ciò che si oppone a loro.

D. 1129. Si spieghino ulteriormente come i due Comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo contengano l’insegnamento di tutti i dieci Comandamenti.

R. I due Comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo contengono l’insegnamento dei dieci Comandamenti, perché: i primi tre dei dieci Comandamenti si riferiscono a Dio e ci obbligano ad adorare Lui solo, a rispettare il suo Nome e servirlo come Egli vuole e così facendo queste cose, lo ameremo; in secondo luogo poi, gli ultimi sette tra i dieci comandamenti, si riferiscono al nostro prossimo e vietano di danneggiarlo nel corpo, nell’anima, nelle cose sue proprie o nella reputazione, e se lo amiamo non gli faremo alcun danno in ognuna di queste cose, ma, al contrario, cercheremo di aiutarlo per quanto possibile.

D. 1130. Quali sono i Comandamenti di Dio?

R. I Comandamenti di Dio sono questi dieci:

1.-Io sono il Signore tuo Dio, che ti fece uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai dèi stranieri oltre a me. Non ti farai alcuna scultura, né immagine di qualsiasi cosa che sia lassù nel cielo o sulla terra, né di quelle cose che sono nelle acque o sotto la terra. Non li adorare, non li servire.

2. – Tu non userai il Nome del Signore tuo Dio invano.

3. – Ricordati di santificare il giorno del riposo.

4. -Onora tuo padre e tua madre.

5. – Non uccidere.

6. – Non commettere adulterio.

7. – Non rubare.

8. – Non attestare il falso contro il tuo prossimo.

9. – Non desiderare la moglie del tuo prossimo.

10. – Non desiderare i beni del tuo prossimo.

D. 1131. Che cosa significa, una “scultura” o “immagine di nulla che sia nei cieli, sulla terra o nelle acque” nel primo Comandamento?

R. Il primo Comandamento, con “scultura” o “nulla che somigli a cosa che è nei cieli, sulla terra o nelle acque”, intende la statua, la rappresentazione o l’immagine di qualsiasi creatura del cielo o di qualsiasi animale sulla terra o nell’acqua destinata ad essere un idolo ed essere adorata come un Dio.

D. 1132. Chi ha dato i dieci Comandamenti?

R. Dio stesso diede i dieci Comandamenti a Mosè sul Monte Sinai, confermati poi da Cristo nostro Signore.

D. 1133. Come e quando sono stati dati i Comandamenti a Mosè?

R. I Comandamenti, scritti su due tavole di pietra, sono stati dati a Mosè in mezzo al fuoco e al fumo, tra tuoni e fulmini, dai quali Dio parlò sulla montagna, circa cinquanta giorni dopo che gli Israeliti furono liberati dalla schiavitù dell’Egitto e durante il viaggio attraverso il deserto verso la terra promessa.

D. 1134. Che cosa intendiamo quando diciamo che Cristo confermò i Comandamenti?

R. Quando diciamo che Cristo confermò i Comandamenti intendiamo dire che Egli fermamente li ha approvati e ci ha dato, con il suo insegnamento, una conoscenza più completa e più chiara del loro significato e della loro importanza.

D. 1135. Chiunque era tenuto a osservare i Comandamenti, anche prima che fossero stati dati a Mosè?

R. Tutte le persone, fin dall’inizio del mondo, furono obbligate a osservare i Comandamenti: da sempre è stato peccaminoso bestemmiare Dio, uccidere, rubare o violare gli altri Comandamenti, anche se non erano stati scritti fino al tempo di Mosè.

D. 1136. Quanti tipi di leggi avevano gli Ebrei prima della venuta di nostro Signore?

R. Prima della venuta di nostro Signore gli Ebrei avevano tre tipi di leggi:
1. Leggi civili, che regolano gli affari della loro nazione;
2. Un cerimoniale di leggi, che regolavano la loro adorazione nel tempio;
3. Leggi morali, che guidavano la loro credenza religiosa e le loro azioni.

D. 1137. A quale di queste leggi appartenevano i dieci Comandamenti?

R. I dieci Comandamenti appartengono alla legge morale, perché sono un compendio o un breve resoconto di ciò che dobbiamo fare per salvare le nostre anime; proprio come il Credo degli Apostoli è un compendio di ciò che noi dobbiamo credere.

D. 1138. Quando le leggi civili e i cerimoniali degli Ebrei cessarono di esistere?

R. Le leggi civili degli Ebrei cessarono di esistere quando il popolo ebraico, poco prima della venuta di Cristo, ha cessato di essere come nazione indipendente. Le leggi cerimoniali cessarono di esistere quando la religione ebraica ha cessato di essere la vera religione; cioè, quando Cristo ha stabilito la Religione cristiana, di cui la religione ebraica era solo una figura o una promessa.

D. 1139. Perché non vennero abolite anche le leggi morali degli Ebrei quando venne fondata la Religione cristiana?

R. Le leggi morali degli ebrei non sono abolite dall’istituzione della Religione Cristiana, perché racchiudono la verità e la virtù, sono state rivelate da Dio, e tutto ciò che Dio ha rivelato come vero, è sempre vero, e tutto ciò che ha condannato come male, continua ad essere sempre male.

LEZIONE 30 – IL PRIMO COMANDAMENTO

D. 1140. Qual è il primo Comandamento?

R. Il primo Comandamento è: Io sono il Signore tuo Dio: non avrai dèi stranieri oltre me.

D. 1141. Che cosa significa nel Comandamento il termine “dèi”?

R. Gli dèi nel Comandamento significa: “idoli” o “falsi dei”, che gli Israeliti adorarono frequentemente quando, con i loro peccati, abbandonavano il vero Dio.

D. 1142. Come possiamo anche noi, in un certo modo, adorare gli dèi?

R. Anche noi, in un certo senso, possiamo adorare gli dèi abbandonando la salvezza delle nostre anime per la ricchezza, gli onori, i vizi sociali, i piaceri mondani, ecc., così da offendere Dio, rinunciando alla nostra fede e abbandonando la pratica della nostra Religione per la loro ricerca.

D. 1143. Come il primo Comandamento ci aiuta ad osservare il grande Comandamento dell’amore di Dio?

R. Il primo Comandamento ci aiuta ad osservare il grande Comandamento dell’amore di Dio, perché esso ci comanda di adorare soltanto Dio.

D. 1144. Come adoriamo Dio?

R. Noi adoriamo Dio con la fede, la speranza e la carità, con preghiera ed il sacrificio.

D. 1145. Con quali preghiere adoriamo Dio?

R. Noi adoriamo Dio con tutte le nostre preghiere, ma in particolare con la preghiera pubblica della Chiesa e, soprattutto, con il santo Sacrificio della Messa.

D. 1146. Come viene violato il primo Comandamento?

R. La violazione del Comandamento avviene:

– quando si dà ad una creatura l’onore che appartiene a Dio solo;

– con una falsa adorazione;

– attribuendo ad una creatura una perfezione che appartiene solo a Dio.

D. 1147. Che cosa è l’onore che appartiene solo a Dio?

R. L’onore che appartiene solo a Dio è un onore divino, al Quale solo offriamo sacrificio, incenso o preghiera, unicamente per se stesso e per la propria gloria. Dare tale onore a qualsiasi altra creatura, quantunque santissima, sarebbe idolatria.

D. 1148. Come possiamo offrire una falsa adorazione a Dio?

R. Offriamo il culto falso a Dio rifiutando la Religione che Egli ha istituito e seguendone una a nostra piacimento, con una forma di culto che Egli non ha mai autorizzato, approvato o sanzionato [tipico esempio ne è il Novus Ordo –ndr.-].

D. 1149. Perché noi dobbiamo servire Dio con il culto della Religione che Egli ha istituito e non con nessun altro?

R. Noi dobbiamo servire Dio nella forma della Religione ha Egli ha istituito e non in altro modo, perché il Cielo non è un diritto, ma una ricompensa promessa, un dono gratuito di Dio, che noi dobbiamo meritare nel modo in cui a Lui piace e con il quale ci dirige.

D. 1150. Quando noi attribuiamo a una creatura una perfezione che appartiene solo a Dio?

R. Noi attribuiamo ad una creatura una perfezione che appartiene solo a Dio, quando crediamo che possieda una conoscenza o un potere indipendentemente da Dio e che possa così, senza il suo aiuto, conoscere il futuro od operare miracoli.

D. 1151. Coloro che fanno uso di incantesimi, amuleti e scongiuri, o che credono nei sogni, nei medium, negli spiritisti, cartomanti e simili, peccano contro il primo Comandamento.

R. Chi ricorre ad incantesimi, talismani, scongiuri, magia, o crede ai sogni, ai medium, agli spiritisti, ai cartomanti e simili, pecca contro il primo Comandamento, perché attribuisce a delle creature delle perfezioni che appartengono solo a Dio.

D. 1152. Cosa sono gli incantesimi e gli scongiuri?

R. Incantesimi e scongiuri, sono determinate parole, dicendo le quali, persone superstiziose credono di scongiurare il male, procacciarsi fortuna o produrre qualche effetto soprannaturale o portentoso. Possono essere anche oggetti o articoli indossati allo stesso scopo.

D. 1153. Non sono formule di scongiuro anche gli Agnus Dei, le medaglie, scapolari, ecc, che indossiamo sui nostri corpi?

R. Gli Agnus Deis, le medaglie, gli scapolari, ecc., che indossiamo sui nostri corpi, non sono cose che producono effetti miracolosi, dalle quali ci aspettiamo aiuto per loro virtù propria, ma, attraverso la benedizione che hanno ricevuto dalla Chiesa, ci aspettiamo aiuto solo da Dio, dalla Madre Sua o dal Santo in onore del quale li indossiamo. Al contrario, coloro che indossano gli amuleti si aspettano aiuto dalla virtù loro propria, o da qualche spirito maligno.

D. 1154. Da che cosa dobbiamo noi stare in guardia in tutte le nostre devozioni e pratiche religiose?

R. In tutte le nostre devozioni e pratiche religiose, noi dobbiamo guardarci attentamente dal richiedere a Dio che compia miracoli quando pure le cause naturali possono portare a ciò che speriamo di ottenere. Dio a volte potrà miracolosamente aiutarci ma, di regola, solo quando tutti i mezzi naturali hanno fallito.

D. 1155. Cosa sono i sogni, e perché è vietato di credere in essi?

R. I sogni sono i pensieri che abbiamo nel sonno, quando la nostra volontà non è in grado di guidarli. È vietato credere in essi, perché sono spesso ridicoli, irragionevoli o malvagi e non sono diretti dalla ragione o dalla fede.

D. 1156. I brutti sogni sono peccaminoso in se stessi?

R. I brutti sogni non sono peccaminosi in se stessi, perché noi non possiamo impedirli, ma li possiamo rendere peccaminosi:

  1. Alimentando il piacere certe cose, quando siamo svegli e
  2. Con le cattive letture o gli sguardi immodesti, pensieri, parole, azioni, visione di spettacoli, prima di andare a dormire; per nessun’altra cosa potremmo ritenerci responsabili di brutti sogni.

D. 1157. Non si è Dio, nella legge antica, frequentemente degnato di avvalersi dei sogni come mezzo per far conoscere la propria volontà?

R. Dio frequentemente nella legge antica si è avvalso dei sogni come mezzo per far conoscere la sua volontà; ma in tali occasioni ha sempre dato prova che ciò che Egli faceva conoscere, non era un semplice sogno, ma piuttosto una rivelazione o una ispirazione. Ma ora Egli non fa più uso di tali mezzi, perché rende nota la sua volontà attraverso l’ispirazione della sua Chiesa.

D. 1158. Cosa sono i medium e gli spiritisti?

D. Medium e spiritisti sono persone che fingono di conversare con i morti o con gli spiriti di un altro supposto mondo. Inoltre fanno finta di dare questo potere agli altri, affinché possano sapere cosa stia succedendo in paradiso, in purgatorio o all’inferno.

D. 1159. Quale altra pratica è molto pericolosa per la fede e la morale?

D. Un’altra pratica molto pericoloso per la fede e la morale è l’uso del mesmerismo o ipnotismo, perché è suscettibile di abusi peccaminosi, priva una persona per un certo tempo del controllo della sua ragione, ponendo il suo corpo e la sua mente interamente nel potere di un altro.

D. 1160. Cosa sono i veggenti?

R. I veggenti sono degli impostori che, per passato apprendimento o indovinando, fanno finta di conoscere anche il futuro e di essere in grado di rivelarlo a chi paga per la sua conoscenza. Inoltre fanno finta di sapere tutto ciò che riguarda cose perse o rubate nonché i pensieri segreti, le azioni o le intenzioni degli altri.

D. 1161. Com’è che credendo agli incantesimi, agli scongiuri, a medium, a spiritisti e cartomanti, attribuiamo alle creature le perfezioni di Dio?

R. Credendo ad incantesimi, a scongiuri, medium, spiritisti e indovini, attribuiamo alle creature le perfezioni di Dio perché ci aspettiamo che queste creature compiano miracoli, rivelino le sentenze nascoste di Dio e facciano conoscere i suoi disegni per il futuro riguardo alle sue creature, cose che evidentemente solo Dio stesso può fare.

D. 1162. È peccaminoso consultare medium, spiritisti, cartomanti e simili, anche quando non crediamo in essi, magari solo per semplice curiosità di sentire cosa dicono?

R. Si, è peccaminoso consultare medium, spiritisti, cartomanti e simili, anche quando noi non crediamo in essi, magari per la semplice curiosità di sentire che cosa dicono:
1. perché è sbagliato esporci al pericolo di peccare anche se non abbiamo intenzione di peccare;

2. perché possiamo dare scandalo ad altri che non possono sapere che vi andiamo solo per mera curiosità;

3. perché con la nostra finta convinzione incoraggiamo questi impostori a continuare le loro pratiche malvagie.

D. 1163. Peccati contro la fede, la speranza e la carità sono anche peccati contro il primo Comandamento?

R. Si, i peccati contro la fede, la speranza e la carità sono peccati contro il primo Comandamento.

D. 1164. Come fa una persona a peccare contro la fede?

R. Una persona pecca contro la fede:
1. Nel non cercare di conoscere ciò che Dio abbia insegnato;
2. Rifiutando di credere a tutto ciò che Dio ha insegnato;
3. Trascurando di professare la fede in ciò che Dio ha insegnato.

D. 1165. Come riusciamo a non conoscere ciò che Dio abbia insegnato?

R. Riusciamo a non conoscere ciò che Dio abbia insegnato, trascurando di imparare la dottrina cristiana.

D. 1166. Che cosa significa che dobbiamo apprendere la dottrina cristiana?

R. Abbiamo molti mezzi di apprendimento della dottrina cristiana: in gioventù abbiamo il Catechismo e le istruzioni speciali adatte alla nostra età; più tardi abbiamo sermoni, missioni, ritiri, sodalizi religiosi e associazioni attraverso i quali possiamo imparare. In tutti i tempi, abbiamo libri di istruzione e, soprattutto, i sacerdoti della Chiesa, sempre pronti ad insegnare. Dio non scuserà la nostra ignoranza se trascuriamo di apprendere la nostra Religione, dal momento che ce ne ha dato tutti i mezzi.

D. 1167. Dovremmo imparare la dottrina cristiana solo per il nostro bene?

R. Noi dovremmo imparare la dottrina cristiana non solo per il nostro bene, ma per il bene anche di altri che sinceramente desiderano imparare da noi le verità della nostra Santa Fede.

D. 1168. Come dovrebbero essere fornite tali istruzioni a coloro che ce le chiedessero?

R. Tali istruzioni dovrebbero essere date a chi ce le chiedesse, in un genere e spirito cristiano, senza controversie od offendendo. Non dovremmo mai tentare di spiegare però, le verità della nostra Religione, se non siamo assolutamente certi di quello che diciamo. Quando non siamo in grado di rispondere a ciò che ci viene chiesto, dovremmo, a chi lo richieda, inviarlo al sacerdote o ad altri meglio istruiti di noi.

D. 1169. Chi sono quelli che non credono a tutto ciò che Dio abbia insegnato?

R. Coloro che non credono a tutto ciò che Dio ha insegnato, sono gli eretici e gli infedeli.

D. 1170. Si denominino le diverse classi di miscredenti ed i loro argomenti.

R. Le diverse classi di miscredenti sono:
1. Gli atei, che negano che vi sia un Dio;
2. I deisti, che ammettono che ci sia un Dio, ma negano che Egli abbia rivelato una religione;
3. Gli agnostici, che non ammettono, né negano l’esistenza di Dio;
4. Gli infedeli, che non sono mai stati battezzati e che, per mancanza di fede, si rifiutano di essere battezzati;
5. Gli eretici, che sono stati battezzati Cristiani, ma non credono a tutti gli articoli di fede;
6. Gli scismatici, che sono stati battezzati e credono tutti gli articoli di fede, ma non vogliono sottomettersi all’autorità del Papa;
7. Gli apostati, che hanno rifiutato la vera Religione, in cui hanno creduto precedentemente, unendosi ad una falsa religione;
8. I razionalisti e materialisti, che credono solo nelle cose materiali.

D. 1171. La negazione di un solo articolo di fede farà di una persona un eretico?

R. La negazione di un solo articolo di fede farà di una persona un eretico, colpevole di peccato mortale, perché la Sacra Scrittura dice: “ognuno deve osservare tutta la legge, e rifiutandone un solo punto si diventa colpevole di tutto.”

D. 1172. Che cosa è un articolo di fede?

R. Un articolo di fede è una verità rivelata così importante e così certa che nessuno possa negarla o dubitarne senza rifiutare la testimonianza di Dio. La Chiesa molto chiaramente sottolinea quali verità siano articoli di fede, così da poterli distinguere dalle Pie credenze e dalle tradizioni, così che nessuno possa essere colpevole del peccato di eresia senza saperlo.

D. 1173. Chi sono coloro che trascurano di professare la loro fede in ciò che Dio ha insegnato?

R. Coloro che trascurano di professare la loro fede in ciò che Dio ha insegnato sono tutti coloro che non riescono a riconoscere la vera Chiesa in cui credere veramente.

D. 1174. Quali sono le persone che, membri della Chiesa, sono negligenti nel professare la loro fede?

R. Sono le persone che pur membri della Chiesa, trascurano di professare le loro convinzioni vivendo contrariamente agli insegnamenti della Chiesa: cioè, con il trascurare la Messa o i Sacramenti, facendo ingiuria al loro prossimo e disonorando la propria religione con una vita peccaminosa e scandalosa.

D. 1175. Che cosa impedisce principalmente alle persone che credono nella Chiesa di diventarne membri?

R. È principalmente la mancanza di coraggio cristiano che impedisce a soggetti che credono nella Chiesa di diventarne membri. Essi temono troppo l’opinione o la disapprovazione degli altri, la perdita di posizioni, cariche sociali o di ricchezza, ed in generale, le prove che potrebbero dover soffrire per amore della vera fede.

D. 1176. Cosa dice nostro Signore di coloro che trascurano la vera Religione per il rispetto di parenti o amici, o per paura della sofferenza?

R. Il Signore dice di coloro che trascurano la vera Religione per il rispetto di parenti o amici, o per paura della sofferenza: “colui che ama il padre o la madre più di Me, non è degno di Me; e colui che ama il figlio o la figlia più di Me, non è degno di Me”; anche: “… chiunque non porta la propria croce e non viene dietro di Me non può essere mio discepolo.”

D. 1177. Quale scusa certuni trovano per aver trascurato di ricercare ed abbracciare la vera Religione?

R. Alcuni recano come scusa per trascurare di cercare ed abbracciare la vera Religione, quella di vivere nella religione in cui sono nati, e che una religione è buona come un altra se crediamo che stiamo servendo Dio.

D. 1178. Come dimostriamo che tale scusa è falsa e assurda?

R. Si dimostra che tale scusa è falsa e assurda perché:

1. È falso ed assurdo dire che dovremmo rimanere nell’errore dopo che lo abbiamo scoperto;

2. Perché se una religione è buona come un’altra, nostro Signore non avrebbe abolito la religione ebraica, né gli Apostoli avrebbero predicato contro l’eresia.

D. 1179. Possibile mai che costoro non riescano a professare la loro fede nella vera Chiesa in cui credono, aspettando di essere salvati in quello stato?

R. A coloro che non riescono a professare la loro fede nella vera Chiesa in cui credono ed aspettano di potersi salvare mentre sono in quello stato, Cristo ha detto: ” … chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, Io pure lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.”

D. 1180. Siamo obbligati a rendere aperta professione della nostra fede?

R. Noi siamo obbligati a rendere aperta professione della nostra fede, spesso sia come onore a Dio, e se il bene spirituale del nostro prossimo o nostro lo richieda. “Chiunque”, dice Cristo, “mi riconoscerà davanti agli uomini, anche Io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli.”

D. 1181. Quando per onore di Dio, e per il bene spirituale del nostro prossimo o per il nostro bene ci viene imposto di fare un’aperta professione della nostra fede?

R. Per onore di Dio, per il bene spirituale del nostro prossimo, o per il nostro ci viene imposto di fare un’aperta professione della nostra fede quando non possiamo nascondere la nostra Religione senza violare qualche legge di Dio o della sua Chiesa, o senza dare scandalo agli altri od esporci al pericolo di peccare. Le pratiche di pietà non comandate possono essere omesse senza che vi sia nessuna negazione della fede.

D. 1182. Quali sono i peccati contro la speranza?

R. I peccati contro la speranza sono la presunzione e la disperazione della salvezza.

D. 1183. Che cosa è la presunzione?

R. La presunzione è l’aspettativa di salvezza senza che si faccia un uso corretto dei mezzi necessari per ottenerla.

D. 1184. Come possiamo essere colpevoli di presunzione?

R. Noi potremmo essere colpevoli di presunzione:
1. Omettendo la confessione quando si è nello stato di peccato mortale;
2. Ritardando l’emendamento della nostra vita ed il pentimento per i peccati del passato;
3. Con l’essere indifferenti al numero di volte in cui cediamo a qualsiasi tentazione, dopo che, ceduto una volta, abbiamo infranto la nostra risoluzione di resistervi;
4. Pensando che possiamo evitare il peccato, senza evitarne però l’occasione prossima;
5. Presumendo troppo in noi stessi e trascurando di seguire i consigli del nostro confessore per quanto riguarda i peccati che confessiamo.

D. 1185. Che cosa è la disperazione?

R. La disperazione è la perdita della speranza nella misericordia di Dio.

D. 1186. Come possiamo essere colpevoli di disperazione?

R. Noi possiamo essere colpevoli di disperazione, credendo di non poter resistere a certe tentazioni, di non poter superare certi peccati, o modificare la nostra vita in modo da piacere a Dio.

D. 1187. Tutti i peccati di presunzione e di disperazione sono gravi allo stesso modo?

R. Non tutti i peccati di presunzione e disperazione sono gravi allo stesso modo. Essi possono essere molto lievi o gravi, in proporzione al grado con cui neghiamo la giustizia o la misericordia di Dio.

D. 1188. Come pecchiamo contro l’amore di Dio?

R. Si pecca contro l’amore di Dio con tutti i peccati, ma soprattutto con il peccato mortale.

LEZIONE 31 – IL PRIMO COMANDAMENTO
(Sull’onore e l’invocazione dei Santi)

D. 1189. Il primo comandamento proibisce l’onore dei Santi?

R. Il primo Comandamento non proibisce l’onore dei Santi, ma piuttosto lo approva; perché onorando i Santi, che sono gli amici selezionati di Dio, noi onoriamo Dio stesso.

D. 1190. Cosa significa “invocazione”?

R. L’invocazione è chiedere ad un altro aiuto o protezione, specialmente quando siamo in uno stato di bisogno o pericolo. Si usa specialmente per quanto riguarda l’invocazione di Dio o dei Santi, e quindi significa “preghiera”.

D. 1191. Come dimostriamo che onorando i Santi, noi onoriamo Dio stesso?

R. Dobbiamo onorare i Santi perché essi onorano Dio. Pertanto, è bene per noi che li onoriamo, perché essi onorano Dio.

D. 1192. Si dia un altro motivo perché onoriamo Dio onorando i Santi.

R. Un’altra ragione perché noi onoriamo Dio onorando i Santi è questa: come noi onoriamo il nostro paese, onorando i suoi eroi, così noi onoriamo la nostra Religione onorando i suoi Santi. Onorando la nostra Religione onoriamo Dio, che ce lo ha insegnato. Di conseguenza, onorando i Santi onoriamo Dio, perché essi per amore della Religione divennero eroi nella loro fede.

D. 1193. Il primo Comandamento non proibisce di pregare i Santi?

R. No, il primo comandamento non ci vieta di pregare per i Santi.

D. 1194. Perché il primo Comandamento non ci vieta di pregare per i Santi?

R. Il primo Comandamento non proibisce di pregare i Santi, perché se siamo autorizzati a chiedere le preghiere di altre creature amiche sulla terra, ci viene consentito anche di richiedere le preghiere dei nostri amici in cielo. Inoltre, i Santi hanno interesse ad accrescere il nostro benessere, perché tutto ciò che tende a renderci più buoni, tende anche alla gloria di Dio.

D. 1195. Che cosa intendiamo per pregare per i Santi?

R. Per pregare per i Santi, intendiamo chiedendo loro aiuto e la loro preghiera di intercessione.

D. 1196. Ma non facciamo un affronto a Dio, rivolgendo le nostre preghiere ai Santi?

R. No, non facciamo affronto a Dio offrendo le nostre preghiere ai Santi, ma, al contrario, mostriamo un maggiore rispetto per la sua maestà e la sua santità, riconoscendo, con le nostre preghiere ai Santi, che siamo indegni di rivolgerci a Lui da noi stessi e che noi, pertanto, chiediamo ai suoi amici Santi che ci ottengano ciò che noi stessi non siamo degni di chiedere.

D. 1197. Come facciamo a sapere che i Santi ci ascoltano?

R. Noi sappiamo che i Santi ci ascoltano, perché essi sono con Dio, che fa loro conoscere le nostre preghiere per essi.

D. 1198. Perché crediamo che i Santi ci aiuteranno?

R. Noi crediamo che i Santi ci aiuteranno perché anche loro sono membri della stessa Chiesa, ci amano come loro fratelli.

D. 1199. Com’è che i Santi e noi siamo membri della stessa Chiesa?

R. I Santi e noi siamo membri della stessa Chiesa, perché la Chiesa del cielo e la Chiesa sulla terra sono la stessa Chiesa, e tutti i suoi membri sono in comunione tra loro.

D. 1200. Come si chiama la comunione dei membri della Chiesa?

R. La comunione dei membri della Chiesa si chiama Comunione dei Santi.

D. 1201. Che cosa significa la comunione dei santi?

R. La Comunione dei santi significa l’Unione che esiste tra i membri della Chiesa sulla terra da una parte, con i Beati del cielo e con le anime sofferenti del Purgatorio.

D. 1202. Quali vantaggi derivano dalla Comunione dei Santi?

R. Dalla comunione dei Santi derivano i seguenti vantaggi: i fedeli sulla terra si assistono reciprocamente con le loro preghiere e con le opere buone, e sono aiutati dall’intercessione dei Santi in cielo, mentre entrambi, i Santi in cielo e i fedeli sulla terra aiutano le anime in Purgatorio.

D. 1203. Come possiamo meglio onorare i Santi, e dove dovremmo imparare loro virtù?

R. Noi possiamo meglio onorare i Santi imitando le loro virtù, apprendendole dai resoconti scritti delle loro vite. Tra i Santi troveremo modelli per ogni età, condizione o stato di vita.

D. 1204. Il primo Comandamento ci vieta di onorare le reliquie?

R. No, il primo Comandamento non ci vieta di onorare le reliquie, perché le reliquie sono i corpi dei Santi oppure oggetti collegati direttamente a loro o a nostro Signore.

D. 1205. Quanti tipi o classi di reliquie ci sono?

R. Esistono tre tipi o classi di reliquie:
1. Il corpo o una parte del corpo di un Santo;
2. Oggetti, indumenti o libri, utilizzati dal Santo;
3. Oggetti che hanno toccato una reliquia del corpo o altre reliquie.

D. 1206. Cosa c’è speciale in una reliquia della vera croce sulla quale nostro Signore è morto e anche degli strumenti della sua passione?

R. Le reliquie della vera croce e le reliquie delle spine, dei chiodi, ecc., impiegati nella passione, hanno diritto a una venerazione molto speciale, e hanno alcuni privilegi per quanto riguarda il loro uso e il modo di conservarle che non hanno altre reliquie. Una reliquia della vera Croce non è mai conservata o trasportata con altre reliquie

D. 1207. Quale venerazione la Chiesa permette di dare alle reliquie?

R. La Chiesa ci permette di dare alle reliquie una venerazione simile a quella che diamo alle immagini. Non veneriamo le reliquie per amor loro, ma per l’amore delle persone che esse rappresentano. Le anime dei Santi canonizzati sono certamente in cielo, e siamo certi che lo saranno anche i loro corpi. Di conseguenza, potremmo onorare i loro corpi perché glorificati in cielo così come furono santificati sulla terra.

D. 1208. Quale cura richiede la Chiesa nell’esame e nella distribuzione delle reliquie?

R. La Chiesa prende la massima cura nell’esame e nella distribuzione delle reliquie.

1. Dovrà essere determinata la canonizzazione o la beatificazione della persona di cui abbiamo la reliquia.

2. Le reliquie vengono inviate in pacchetti sigillati, che devono essere aperti solo dal Vescovo della diocesi a cui vengono inviate le reliquie, e ogni reliquia o pacchetto dovrà essere accompagnato da un documento o da uno scritto cartaceo dimostrante la sua autenticità.

3. Le reliquie non possono essere esposea alla pubblica venerazione, fin quando il Vescovo non le abbia esaminate e pronunciato l’autentica, vale a dire che siano quello che si sostiene esse siano.

D. 1209. Di che cosa dovremmo essere certi prima di utilizzare qualsiasi reliquia o nel darla ad altri?

R. Prima di utilizzare qualsiasi reliquia o darla ad altri, dovremmo essere certi che siano state soddisfatte tutte le disposizioni della Chiesa al riguardo, e che la reliquia sia davvero, per quanto dato possibile sapere, ciò che crediamo essa sia.

D. 1210. Dio stesso ha onorato le reliquie?

R. Dio stesso ha onorato frequentemente le reliquie permettendo miracoli avvenuti attraverso di loro. C’è un esempio dato nella Bibbia, nel IV libro dei Re, dove è riportato che un uomo morto, è tornato in vita quando il suo corpo ha toccato le ossa, vale a dire le reliquie, del Santo profeta Eliseo.

D. 1211. Il primo comandamento proibisce la realizzazione di immagini?

R. Il primo Comandamento vieta la realizzazione di immagini se sono fatte per essere adorate come divinità, ma non vieta la loro realizzazione quando ci eccitano la mente a Gesù Cristo, alla sua Madre Santissima e ai Santi.

D. 1212 Come indichiamo che la realizzazione di immagini sia vietata dal primo Comandamento solo quando questo sia fatto per il culto.

R. Si dimostra che è solo per il culto che il primo comandamento vieti la realizzazione di immagini:
1. Perché nessuno pensa sia peccaminoso scolpire le statue o fare fotografie o quadri di parenti o amici;
2. Perché Dio stesso ha comandato la realizzazione di immagini per il tempio dopo aver dato il primo Comandamento, e Dio non contraddice se stesso.

D. 1213. È giusto mostrare rispetto per le immagini e le immagini di Cristo e i suoi Santi?

R. Si, è giusto mostrare rispetto per le rappresentazioni e le immagini di Cristo e dei Santi, perché esse sono loro riferimenti e memoriali.

D. 1214. Abbiamo in questo paese ogni civile personalizzato simile a quello di onorare le immagini e le immagini dei Santi?

R. Noi abbiamo, nei nostri Paesi, consuetudini civili assai simili a quella di onorare le rappresentazioni e le immagini dei Santi, ad esempio le decorazioni di giorni memorabili, i fiori, le bandiere o gli emblemi di cittadini patrioti, poste innanzi alle statue dei nostri eroi civili deceduti, per onorare le persone che queste statue rappresentano; e come noi possiamo disonorare un uomo abusando della sua immagine, così possiamo onorarlo trattandolo con rispetto e riverenza.

D. 1215. È consentito pregare per il crocifisso o per le immagini e le reliquie dei Santi?

R. No, non è consentito pregare per il crocefisso o per le immagini e reliquie dei Santi, perché essi non hanno vita, né il potere di aiutarci, né i sensi per ascoltarci.

D. 1216. Perché allora preghiamo davanti al crocifisso, alle immagini e alle reliquie dei Santi?

R. Noi preghiamo davanti al Crocifisso, ad immagini e reliquie di Santi perché esse animano la nostra devozione con desideri ed affetti pii, ricordandoci di Cristo e dei Santi, dei quali possiamo imitare le virtù.

FRANCHEZZA NEL FARE IL BENE

FRANCHEZZA NEL FARE IL BENE

[V. STOCCHI: “PREDICHE”, Tipogr. A. Befani, ROMA 1882- impr.; predica XIII.]

“Filii huius sæculi prudentiores filiis lucis in generatione sua sunt.” –

Luc. VI. 8.

I. Uno dei più fastidiosi e miserabili spettacoli coi quali questo mondo tutto posto in malignità contrista l’animo di chi ama la virtù, è questo così comune a vedersi anzi presso che universale; che i cattivi non si vergognano di essere e di mostrarsi cattivi, i buoni si vergognano di essere o almeno di mostrarsi buoni. Ma come mai! Siamo uomini ragionevoli: al lume naturale della ragione abbiamo aggiunto il lume soprannaturale della fede e siamo cristiani: viviamo in terra cristiana, e proclamiamo tutto giorno che il vizio è cosa abbominevole e turpe, che è cosa nobile, onorata, preclara, riguardevole la virtù, e pure i cattivi marciano a fronte alta e fanno il male non solo liberamente ma con ostentazione e con fasto, i buoni si vergognano di essere buoni, e o lasciano il bene, o trascorrono al male non tanto per malignità e per nequizia, quanto per inerzia, per dappocaggine e per paura. Or donde, donde si sconcio e turpe disordine? Donde procede? Qual cagione lo genera? Perché in un mondo che ci stordisce da mane a sera le orecchie coi vocaboli di libertà, di dignità umana, di indipendenza; la sola iniquità mostra francamente la faccia, e la virtù o si deturpa o si maschera o si nasconde? La cagione è questa, e la definì con evidenza divina Gesù benedetto là dove disse: Filii huius saeculi prudentiores filiis lucis in generatione sua sunt. I cattivi capiscono che non avendo per se né il numero, né la ragione, né la giustizia, né la verità si conviene che giuochino di baldanza, e non mancano a se medesimi; e usufruttuando i tempi che corrono sì propizi per loro, insolentiscono quasi fiere alle quali è stata rotta la catena e la sbarra. I buoni invece di imitare questa prudenza dei tristi e contrapporre alla baldanza il coraggio, la fortezza alla tirannide, la libertà della verità e della giustizia alla soperchieria della iniquità e dell’ errore, usano la prudenza della dappocaggine e della paura, e piegano per viltà il dorso sotto la verga dispotica dei perversi, subiscono il duro giogo e prevaricano. Cadranno a male in cuore, ma cadono; andranno repugnanti e tergiversanti, ma vanno, e questa miserabile prudenza fa che sembrino un esercito i tristi, i buoni un drappello; mentre in verità senza questa i tristi sarebbero così pochi che dovrebbero nascondersi per vergogna. Però è che io voglio questa mattina insorgere contro questa miseria e argomentarmi di infondere un pò di coraggio nel petto dei timidi e dei dappochi. Per conseguire il quale effetto mostrerò di questa timidezza la vergogna ed il danno, e darò opera di fare una come levata di anime risolute che confessino Gesù Cristo in questo mondo che lo rinnega.

2. E comincio donde forse non aspettate: comincio dal confessare che il vincere la corrente e vendicarsi una nobile libertà nella professione della vita cristiana, è cosa di più bravura e contenzione ai dì nostri che pel passato non era, e vuole per conseguenza ed animo più eretto e cuore più risoluto e prontezza più magnanima alla battaglia. Una volta noi che predichiamo il Vangelo parlando di coloro che si ritenevano dal fare il bene e trascorrevano al male per paura delle dicerie e della persecuzione dei mondani e dei tristi, ci ridevamo del fatto loro e li chiamavamo gente che adombrava in faccia agli spauracchi come gli uccelli, e con ragioni palpabili mostravamo ad evidenza che adombrarne era puerilità, farne caso dappocaggine impaurirsene follia, recedere dal bene per cagione di esse viltà, trascorrere al male intollerabile insania. Ma oggigiorno lo confesso non è così. I tristi, così permettendolo Dio, hanno preso il di sopra, e valendosi del vantaggio che loro danno e la nequizia dei tempi e la tirannide della rivoluzione; mettono paura anche a quelli che li dovrebbero contenere in dovere: i buoni si trovano abbandonati senza difesa, sono oppressi o spaventati dalla efferatezza di coloro che hanno come disse S. Pietro il vocabolo di libertà per velame di malizia. Questo è verissimo. Ma d’altra parte, che conseguenza se non può ragionevolmente inferire? Che dunque si può tenere come suole dirsi il piede in due staffe? Zoppicare da due parti? • Pendere ora a destra ed ora a sinistra? Mareggiare tra poggia ed orza tanto da guadagnare la riva senza fatica? No: questa non è conseguenza da seguaci di Gesù Cristo: è un temperamento da schiavi infelici del mondo. La conseguenza unica, vera, legittima, irrepugnabile, è, che conviene armarsi di coraggio maggiore, e seguitare Gesù Cristo con animo pronto ad ogni sbaraglio. Perché Signori non ci è accaduto niente di singolare, niente di strano, niente che Gesù Cristo non ci abbia mille e mille volte predetto. La vita dell’uomo sopra la terra è milizia diceva Giobbe, e molto più è milizia la vita del Cristiano. Ora nella milizia alle volte corrono tempi di pace, e allora la vita militare porta lucro ed onore ma non espone a pericoli. Ma quando meno si aspetta, l’orizzonte politico si rabuffa e alla pace succede la guerra. E allora conviene cambiare la città col campo, ed esporre il petto al ferro ed al piombo sotto pena di essere bollato con la turpe nota di codardo in faccia al nemico. Il simile avviene nella milizia cristiana: corrono alle volte tempi tranquilli ed equabili: e Gesù Cristo è riconosciuto, riverita la Chiesa: e allora la professione aperta di Cristiano non espone a cimenti gravi e talvolta frutta anche onore: e di questa fatta furono i tempi che antecedettero la rivoluzione. Ma Gesù Cristo non ha mai detto che questo ordine di cose lieto e sereno sarebbe stato nella sua Chiesa ordine giornaliero e molto meno perpetuo. Ardisco anzi di dire che in tutto il Vangelo si trovano ad ogni pagina profezie di tempeste e promesse di soccorso fatte alla sua sposa, ma promesse di pace forse nessuna. Certo i Cristiani dei primi tre secoli furono sempre in battaglia, tregua ebbero talvolta, pace non mai, e i trucidati per Gesù Cristo si contano non a migliaia ma a milioni. Sappiamo ancora che avanti che il mondo finisca, deve venire una tribolazione quale non fu, da che le genti hanno cominciato ad essere, ne sarà mai più, onde i martiri che renderanno a Gesù Cristo testimonianza col sangue saranno molto più nella fine che negli esordi non furono. E quando vengono questi tempi: quando il nemico suona la tromba e presenta la battaglia, che conviene di fare? Scendere in campo e combattere. Allora il tempo che Gesù Cristo intuona ad alta voce. Chi vuol venire dietro a me pigli la sua croce e mi seguiti. Chi non piglia la sua croce e mi seguita non è degno di me. Chi si vergognerà di me al cospetto degli uomini anch’ io mi vergognerò di lui al cospetto del padre mio: non ci è scampo, non ci è via di mezzo, l’inferno incalza, Gesù Cristo non cede, o mostrare la fronte, costi quel che si vuole, o dannarsi. Ora questi tempi sono venuti. A vivere in essi è toccato propriamente a noi: conviene sfoderare la spada e scendere in campo altrimenti siamo perduti. Sentite come anima San Paolo i primi cristiani a cimentarsi da valorosi. Deponentes omne pondus et circumstans nos peccatum per potientiam curramus ad propositum nobis certamen. (Hebr. XII. 1. 2.). Gettiamo via il fardello della nostra dappocaggine e il peso di cui ci grava questa carne di peccato che ci circonda, armiamoci di pazienza e scendiamo in campo dove la tromba della tenzone ci appella. Ma il senso inorridisce, la carne ricalcitra, palpita il cuore, manca la lena: un’occhiata al Crocifisso e avanti. Aspicientes in auctorem fidei et consumatorem Iesum, qui proposito sibi gaudio sustinuit crucem confusione contempla et sedet a deoctris Dei. Ecco qua l’autore e consumatore della fede guardatelo o pusillanimi e confondetevi. Esso è andato avanti: si propose il gaudio di salvare le anime vostre e portarle in paradiso preziosa conquista; non badò a nulla non curò la confusione, sostenne la croce, e ora siede alla destra del Padre e vi chiama: avanti, avanti. La cosa dunque è decisa conviene andare. È arduo il passo non ce ne è altro. Sente di acerbo? Convien andare di qui. O questo o dannarsi.

3. Poiché dunque la cosa è cosi e non ci è transazione, alla prudenza non è lasciato altro partito che questo: di vedere di cavarsela meno peggio che può, e salva l’anima, la coscienza, l’onore di Dio, argomentarsi di soffrire meno che sia possibile. – E questo è buono, questo è lecito, questo è ordinato. Ma la via per soffrire meno, e cavarsela meno peggio col mondo, salva l’anima e la coscienza, qual sarà mai? Quella di cedere, di cagliare, di tenere il piede in due staffe, di porgersi con due manichi a chi ci vuol prendere? No: è quella di essere risoluto e fermo alla bandiera di Gesù Cristo. Ponete mente. Il mondo è cane dice S. Giovanni Crisostomo, e tutti i mondani qual più qual meno tengono del cagnesco. Ora quale è l’indole del cane? È questa di indracarsi contro a chi fugge, di cedere contro a chi mostra la faccia. Ti è accaduto di vedere? Se ne va quel passeggiero spensierato e franco pel suo viaggio e passa vicino alla casa dove il cane inquieto e ringhioso dorme tranquillamente nel suo giaciglio. Ode la mala bestia il mutare dei passi, drizza le orecchie, alza la testa, balza in piedi, scuote il dosso, e con alti latrati, con aspri ringhi corre e si avventa. Che farà il viandante mal capitato per evitare la rabbia e il dente di questo feroce? Darà le reni? Piglierà la fuga? Si renderà vinto? Dio ne lo guardi! La bestia piglierà tanto più di baldanza quanto esso mostrerà più di paura, e divenuta tremenda, implacabile gli farà sentire come fledano i suoi rienti, e non basta: perché tutta la canea del contorno sommossa e tratta dai latrati del maggior cane correrà anch’essa ad aggredirlo in massa, ed egli avrà alle mani assai duro partito. Che farà dunque? si rincuori, confermi l’animo, mostri alla turpe bestia la faccia, la guardi fisso, la bravi, le corra addosso e vedrà. Si arresta alla prima mostra di resistenza il bracco poltrone, poi caglia, poi cede; poi dà le groppe, poi fugge esterrefatto e si invola, e tutta la canea minore cede il campo e s’invola con esso. Il viandante si è vendicato in libertà, potrà passare mille volte per quella via, non patirà più mai molestia nessuna. Così il Crisostomo, il quale seguita domandando, onde avviene che il cane dia le reni e fugga se l’uomo resiste, e s’indraghi invece e diventi terribile se caglia e mostra paura? Avviene così. Sente il tristo animale la propria inferiorità in faccia all’uomo, e non ha altro coraggio che quello che l’uomo gli rinunzia quando abdicando per dire così la propria superiorità e il proprio grado, s’atterrisce e mostra paura. Essendo così, l’uomo è sempre uomo, signori miei e il vizioso sente la propria turpitudine e la propria viltà, e stima naturalmente la virtù e chi la possiede. Di qui è che invidia il virtuoso e, non potendo essere come lui, l’odia e lo perseguita con livore diabolico, ma mentre lo perseguita, lo riverisce interiormente e lo teme. Se l’uomo buono pertanto quando il perverso o lo deride o lo insulta o lo perseguita; si avvilisce, cede, mostra paura, trascorre a connivenze infelici, si nasconde, quasi vergognandosi di essere buono e di stare coi buoni, è finita: il tristo che è per natura vigliacco e ingeneroso, piglia baldanza come il cane in faccia all’uomo spaurato e vi perseguita con tale pertinacia ed efferatezza che non vi dà più pace, e tutta la canea dei tristi di second’ordine insorgerà contro di voi. Volete vincere in questo miserabile certame e vendicarvi la nobile libertà di essere cristiano cattolico a fronte aperta? Non curate questi soperchiatori codardi: alzate loro in faccia gli occhi: intimate liberamente che volete fare di vostro senno, e vedrete; vedrete che stringeranno dapprima i denti e ringhieranno contro di voi: poi daranno addietro, poi taceranno, non passerà gran tempo che potrete fare quel che volete, e non solo non vi molesteranno; ma vi loderanno e diranno di voi che siete uomo di principi e che non ammettete transazioni quando si tratta della coscienza. Girate gli occhi all’intorno e vedrete un certo numero di persone uomini e donne che professano liberamente i principi cattolici e sono rispettati da tutti. Come hanno fatto a imporre silenzio alla canea maggiore e minore? Con questa libertà dimostrata francamente in faccia ai soperchiatori. Oh se ciò intendesse la povera gioventù: oh quanti si salverebbero che miseramente prevaricano! Quella fanciulla ama la virtù e la pietà; le piace frequentare la chiesa, assidersi alla mensa celeste, non ama le leggerezze e le vanità alle quali corre dietro si perdutamente il suo sesso: quel giovane è stato bene educato, ha saldi in mente i sani principi: vuole attendere all’anima sua, aborre dalle sfrenatezze e dalle turpitudini dei dissoluti, dei disonesti e degli sboccati. Ma se ne sono accorti quella fanciulla civetta, quel giovinastro discolo e libertino: se ne sono accorti e quando li vedono li guardano con un cipiglio di scherno, sogghignano, insultano, fate largo, gridano, alla santa e al santo che passano. Sbalordiscono i cattivelli a questi dileggi, rappicciniscono, si tengono perduti, non è fanciullo che tremi tanto sotto la verga del pedagogo come costoro in faccia a questi censori. Semplicetti che siete! Sappiate che quella civetta e quel discolo vi stimano in loro cuore, e vorrebbero essere come voi: alzate la fronte, deridete chi vi deride, date loro i titoli che si meritano, e vedrete rannullarsi quella baldanza e quei censori sì baldanzosi, quasi bracchi poltroni, dare le groppe e pur ringhiando fuggire.

4. E qui guai a me se mi ascoltassero certuni e certune, che pure abbondano ai nostri giorni. Gente buona vedete, ma gente cauta, circospetta, guardinga quando si tratta del bene. – Ahimè direbbero inorriditi, che parlare è mai questo? Ma dunque la discrezione deve fuggire dalla terra? Dunque la prudenza non è più una virtù? Non date ascolto agli intransigenti, ai fanatici. Son tristi tempi: prudenza, per carità, prudenza. Così si grida da mane a sera, e la prudenza è un vocabolo che oramai trova luogo per tutto. Prudenza risuonano le case dei grandi, le officine dei piccoli ripetono prudenza, le sacrestie medesime, i presbiteri, i conventi prudenza echeggiano, prudenza, prudenza. Che farò io fra tanto frastuono? A qual partito mi appiglierò ? Io proporrò un caso di coscienza: voi lo risolverete coi principi di questa prudenza, poi voi ed io udiremo la soluzione magistrale di tale alla sentenza del quale sarà pur forza che ci rendiamo. Allorché Gesù Cristo nostro Signore viveva mortale sopra la terra e predicava la sua celeste dottrina era odiato a morte dagli scribi, dai farisei e da quasi tutti i personaggi di primo conto della sua nazione: aveva, si direbbe ai di nostri la pubblica opinione delle classi intelligenti contro di sé. E l’odio e l’astio il livore pervenne a tale che adunatisi nel Sinedrio che era, si direbbe, l’assemblea legislativa dei Giudei fecero questo decreto. Iam enim conspiraverant Iudœi, ut si quis confiteretur eum esse Christum extra sinagogam fieret. (Io IX, 22.) Che qualunque avesse confessato che Gesù di Nazaret era il Cristo e il Messia fosse espulso dalla Sinagoga. Questa pena era gravissima, ed equivarrebbe tra noi ad essere casso del numero dei cittadini e privato di tutti i dritti civili e politici con una specie di scomunicazione per giunta. Questo decreto fece paura a moltissimi e intorno a Gesù Cristo si fece deserto, e molti che prima erano sempre con Lui lo fuggivano, e se per la strada lo trovavano, facevano vista di non vederlo. Con tutto ciò che volete? L’uomo è pur sempre uomo e Gesù Cristo sbalordiva il mondo non con le parole ma con i miracoli: di che prosegue a dire S. Giovanni, ex principibus multi crediderunt in eum: (Ioan. XII, 42.) molti anche di personaggi di primissimo conto vedendo questi prodigi credettero in Lui. Credettero e credettero fermamente; solo si tenevano la loro fede nel cuore, al di fuori si guardavano bene dal dimostrarla per paura dei farisei e onde non essere cacciati dalla Sinagoga. Sed propter pharisæos non confìtebantur ut e Synagoga non eiicerentur. Questo è il caso: e qui si domanda. Facevano bene questi credenti? Erano degni di scusa? Li avreste assoluti? Sì, certo sì. Credevano e credevano davvero. Ma la fede si tenevano nel cuore: non la mettevano in piazza: era prudenza. I nemici di Gesù Cristo erano potenti, avevano in mano ogni cosa: guai se pigliavano in odio un mal capitato: la dichiarazione dei loro principi non giovava a Gesù, ad essi nuoceva. Perché mettersi in uggia ai primi della nazione? Si tennero indietro, fu prudenza, fecero bene. Questa è la soluzione vostra. Sentiamo ora la soluzione che diede chi mai? Nientemeno che lo Spirito Santo per bocca dell’Apostolo prediletto di Gesù Cristo. Dilexerunt enim magis gloriam hominum quam gloriam Dei. (Io: XII. 43.). Costoro che così fecero, furono una mano di vigliacchi che più amarono la gloria degli uomini che quella di Dio. Furono vigliacchi e più volte Gesù Cristo li rampognò: disse che non erano atti al regno di Dio, sentenziò che erano già giudicati, li fulminò asserendo che la loro fede, non era fede. Voi credete? Voi? Quomodo potestis credere qui gloriam ab invicem accipitis, et gloriam quae a Deo solo est non quæritis ? (Io. V. 44.) Ma che fede è la vostra se andate cercando la gloria l’uno dall’altro: della gloria che viene da Dio solo non vi curate? Il caso dunque è già risoluto e non ci è che ridire: di tal maestro è la risoluzione. Veniamo dunque a noi. Non è dunque più, dicevano, non è più una virtù la prudenza ? Sì, la prudenza è una virtù, e non una virtù qualunque ma una delle quattro che diconsi cardinali: oltrediché è virtù universale e condisce quasi sale tutte le altre virtù e le scorge sì che raggiungano il loro fine. Ma la fede ci insegna che ci sono due generi di prudenza. Una che si appella prudenza della carne, e un’altra che si chiama prudenza dello Spirito. La prudenza della carne consiste in questo: che si cerchi di non aver brighe per conto di Gesù Cristo; che si procuri di passarsela bene col secolo nemico suo, religiosi sì ma non eccessivi: una mano ai farisei, un’altra al Messia. Saper ridere a una bestemmia e biasciare una giaculatoria. Amici di tutti, bene con tutti, questa è prudenza. Prudenza sì ma della carne: e S. Giacomo Apostolo e S. Paolo non ne sentono troppo bene. Poiché S. Paolo dice prudentia carnis mors est (Rom. VIII 6.). La prudenza della carne è morte, e S. Giacomo la chiama sapienza ma sapienza non discesa dal cielo, bensì tutta di terra propria solo dell’animale e del diavolo : Non est enim ista sapientia desursum descendens; sed terrena, animalis, diabolica. (Iac. III. 15.) prudenza terrena, animale, diabolica. Se vi piace questa prudenza tal sia di voi, a noi ancora piace di esser prudenti ma con la prudenza dello spirito, che è quella di Gesù Cristo.

5. Il quale con la divina evidenza delle sue parole consigliò i suoi servi ad esser prudenti perchè si sarebbero trovati come pecore in mezzo ai lupi, ma definì la prudenza che dovevano avere, estote ergo prudentes sicut serpentes (Matth. X . 16.). Siate prudenti come i serpenti. Ora quale è la prudenza per la quale è nominato il serpente? È questa rispondono i Padri. Quando è inseguito e si vede in pericolo mette il capo insicuro: sicurato il capo salva se può anche la striscia che si trascina dietro delle sue spire, se no abbandona al nemico la coda purché il capo sia salvo. Ecco dunque qual è, e in che consiste la prudenza cristiana: prima di tutto salvare il capo, e non mai per pericolare pel rimanente del corpo la salute del capo. E il capo qual è? L’anima, uditori miei riveriti, l’anima, la grazia di Dio, la salute eterna, l’onore e la gloria di Dio e di Gesù Cristo. Questo, questo è il capo: questo e non altro. Questo dunque si salvi a qualunque patto : salvo questo, se si può si salvi anche il resto, se no vada tutto, vada anche la vita, ma il capo si salvi. Non vi impone no Gesù Cristo di essere temerari, audaci, provocatori: vi impone di essere forti. Si tratta per esempio di cedere in qualche cosa alla tirannide della moda ? Purché non intervenga peccato; si faccia: si tratta di arredare la casa così o così? Purché si stia nei limiti del proprio stato; accomodatevi agli usi del vostro tempo. Si tratta di una vesta, di un cappello, di un acconciatura più che di un’altra? Purché sia salva la verecondia, non dirò nulla, al più riderò. No certo non mi cruccerò con quel giovane se alza i capelli al zenit o li deprime al nadir, né appiccherò una lite con quella femmina perché si fabbrica coi capelli non suoi su quella testa un cimiero o una torre: o se spazza un miglio di paese con la coda del vestimento. Sono cose indifferenti potrò compatire chi si fa servo di queste inezie, ma non mi sdegnerò con nessuno. Ma è cosa indifferente il vergognarsi delle pratiche di pietà? Il cercare per adempiere i doveri di cristiano le ore più incompatte e i luoghi più solitari? L’andare a certi spettacoli infami per compiacenza? Il leggere certi libri nefandi per vergogna di rifiutarli? Il calpestare la onestà, l’accomodarsi al turpiloquio per non parere bigotto? È di questa l’atta il bazzicar cogli increduli il bestemmiare con essi la Chiesa e il Papa? L’aderire a certi partiti che altro scopo non hanno fuorché di far guerra a Dio e Gesù Cristo? Eppure trovate innumerabili che per paura di un pugno vile di miserabili, per tremore delle sozze pagine di un giornale, per ispavento di una derisione, di un ghigno, di un lazzo, fanno questo e peggio e il fare di questo modo chiamali prudenza. Prudenza questa? Ma a me pare che si onori troppo chiamandola prudenza della carne, perché è una tiranna che fa dell’uomo un vile mancipio e con le mani e coi piedi legati lo dà in balìa a ciò che è di più turpe e vile sopra la terra. E vaglia la verità. Ponete caso che ad alcuno o ad alcuna dei conoscenti o delle conoscenti che avete si mettesse nell’animo la voglia insana di tenervi di occhio, di spiare tutti i vostri procedimenti, di indagare come suol dirsi perfino i vostri sospiri. Vi venissero quindi per casa, volessero sapere quale è per voi l’ora della levata, quale quella del coricarvi. In quali occupazioni vi passi la giornata; quali ore diate al lavoro, quali al riposo. Quali cibi imbandiscono la vostra mensa, quali persone sono ammesse alla vostra dimestichezza; quali sono i vostri passeggi quali le visite, ciò che sia nei luoghi più riposti di casa vostra nella dispensa per esempio e nello scrigno, e ciò che non sia. E ciò che si conforma al loro capriccio approvassero, e disapprovassero ciò che non si conforma: né approvassero solamente o disapprovassero, ma dispoticamente proibissero o comandassero: mangerete i tali cibi, tratterete con le tali persone, in questi luoghi andrete in quelli no, vestirete così o così. Ammettereste voi questa sopravveglianza? Vi soggettereste a questa schiavitù? Subireste questo ignobile sindacato? Certo no, rispondete sdegnati, immaginando anche solo un procedere così screanzato e villano, e a chi si attentasse di esercitarlo rintuzzeremmo la voglia. Ottimamente avete risposto: e così deve fare qualunque è libero ed uomo. Eppure questi prudenti trascinano una catena e portano un giogo anche più vergognoso di questo. Aggiratevi infatti per le vie: entrate nelle case, mettete il pie’ nei palagi, insinuatevi perfino nel santuario. Quali sono le parole che udite più di frequente? Che si dirà? Non bisogna far dire. Ci vuol prudenza. Che si dirà? Ma da chi? Non bisogna far dire. Ma chi? Ma per rispetto di chi? Esiste una proterva e vilissima generazione di mal creati che pretende di esercitare una tirannide intollerabile sopra di tutti, di tener tutti a catena, di dettare a tutti la legge. Essi comandano a capriccio e a capriccio divietano: a capriccio lodano e a capriccio vituperano: a capriccio vogliono e a capriccio disvogliono. Spingono il temerario sindacato nelle case, investigano il santuario delle famiglie, osservano quel che si fa, notano quel che si lascia, ordinano e vogliono essere obbediti, interdicono e minacciano chi resiste. Si deve fare così, perché ad essi piace, così, perché ad essi non piace, non si deve fare. E con che autorità esercitano questa tirannide? Con nessuna. Chi ha dato loro il diritto di costituirsi legislatori? Nessuno. È tutto arbitrio, tutta audacia, tutta soverchieria. E questi prudenti che fanno? Vestono com’essi vogliono, parlano come essi vogliono, vanno dove essi vogliono, dove essi non vogliono non vanno. Si astengono a un loro cenno e da ciò che piace benché onestissimo, a ciò che ad essi non piace si accomodano benché reo, peccaminoso, turpe, molesto, e dilaniando col nome di opinione pubblica il cicaleccio ed il latrato di costoro, per poco non si fanno legge di non violarne i precetti neppure col pensiero, e se si pigliano talvolta qualche timida libertà, si guardano prima bene all’intorno e tremano come conigli per paura che lo risappiano i suoi tiranni. E tutto ciò lo ripeto non in cose indifferenti né cattive né buone per sé medesime, ma in cose gravissime, santissime, che affettano la religione, la salute dell’anima, i comandamenti di Dio e della Chiesa, e la sostanza medesima della fede e della vita cristiana. Ahimè questa non è prudenza dello spirito anzi neppur della carne. Non dello spirito, perché nemica di Dio, non della carne, perché alla carne, medesima nemica, molesta e pressoché intollerabile. Questa è dappocaggine, vigliaccheria, viltà, codardia, melensaggine. Eppure costoro se li sentite si chiamano spregiudicati, liberi, indipendenti. Voi spregiudicati? Voi indipendenti? Voi liberi? Ma se i nomi di poltrone, di mancipio, di schiavo non fossero nel vocabolario: bisognerebbe inventarli per chiamarvi come vi meritate. Sapete chi sono gli indipendenti ed i liberi? Colui e colei che sanno con petto valido rompere la marea e andare diritto senza impensierirsi di quel che faccia o dica il mondo nemico di Gesù Cristo, più di quello che si impensierisca la luna del notturno latrato dei cani. Eppure questi magnanimi sono derisi, e non è raro che si ascoltino questi codardi dispensar loro i titoli di bigotti, di stupidi, di imbecilli. Perché così va la cosa che ciascuno regala volentieri altrui quelle note che sa benissimo di meritare per sé. Su via, se volete essere veramente liberi e indipendenti, scuotete il giogo vile degli umani rispetti, vendicatevi la libertà della vostra fede e della vostra coscienza, e allora con la libertà e con la indipendenza avrete ancora la prudenza vera cioè la prudenza non della carne ma dello spirito, e prudenti come serpenti sarete anche semplici come colombe perché camminerete per la via diritta, e lasciando il mondo imperversare a sua posta, confesserete Gesù Cristo davanti agli uomini, ed Egli confesserà Voi al cospetto del Padre suo che è nei cieli.

6. Io sono certissimo che qualcuno di voi richiamandomi a quelle parole di Gesù Cristo: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi, vorrebbe dirmi così. Veramente il Cristiano Cattolico senza epiteti, intero, schietto, sincero, si trova a questi tempi come pecora inerme nel mezzo ai lupi e lupi feroci e terribili. Dunque che dovrà fare? Dovrà insorgere, dovrà tempestare, non dovrà conoscere né riserbo né modo? Io risponderò a questa domanda con un esempio che ci diede il nostro maestro Gesù, esempio accomodatissimo ai tempi nostri. Quando Gesù predicava la sua celeste dottrina, la Giudea era agitata da fiere tempeste politiche. I Giudei erano caduti sotto la dominazione romana e portavano il giogo di malissima voglia. Dicevano che essendo essi il popolo di Dio erano per gius divino liberi e indipendenti, che però i romani erano invasori iniqui, e che non era lecito pagar loro il tributo, onde peccatori per antonomasia chiamavano i pubblicani che erano gli esattori delle gabelle. Or di questa condizione di cose e stato degli animi si valsero i farisei per tendere un laccio a Gesù, ed ecco come. Un drappello di essi a Gesù se ne vennero con alcuni partigiani di Erode, e con ipocrita riverenza gli parlarono così: magister scimus quia verax es et viam Dei in veritate doces et non est tibi cura de aliquo. (Matth. XXII. 16). Maestro noi sappiamo che sei verace e insegni in verità la strada di Dio e non guardi in faccia a nessuno. Questo fu l’esordio, col quale lusingandolo, cercarono quei tristi di accalappiare Gesù, cattivandone la fiducia e poi proseguirono. Die ergo nobis quid tibi videtur: licet censum dare Cæsari an non? Dinne dunque su il tuo parere ma netto, esplicito, senza ambagi, senza inviluppi. È lecito pagare il censo a Cesare sì o no? Vogliono mettere Gesù alle strette: vogliono unsi o unno: e qui stava il tranello. Se Gesù rispondeva sì: è lecito; essi lo accusavano ai Giudei e lo mettevano in odio come fautore del dominio straniero e nemico della sua gente. Se rispondeva no: non è lecito: lo accusavano ai Romani come sedizioso o nemico di Cesare, così lo perdevano ad ogni modo e avevano condotto quegli Erodiani perché all’uopo facessero da testimoni. Che farà Gesù? Come si caverà dalla stretta di questo laccio: Con la prudenza del serpente congiunta colla semplicità della colomba. Cognita autem Iesus nequitia eorum ait: quid me tentatis hypocritæ? Prima di tutto fece intendere che li aveva conosciuti: e, ipocriti, disse, che venite qui a tentarmi? E poi proseguì: mostratemi la moneta del censo. Ostendite miài numisma census. Essi gliela diedero in mano, ed Ei proseguì. Di cui è questa immagine e questa scritta? Cuius est imago hœc et superscriptio? Risposero, di Cesare: Dicunt Ei, Cæsaris. Rendete dunque, conchiuse, a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio. Reddite ergo quæ sunt Cœsaris Cœsari, quœ sunt Dei Deo. Trovate se vi riesce una risposta all’insidioso quesito? Non la troverete in eterno. Gesù Cristo non rispose né sì né no, solo enunciò una verità incontrastabile, e così schivò il laccio: confuse la malizia dei suoi nemici e salvò sé medesimo, lasciando coloro scornati e confusi a digerire la rabbia, la confusione e lo scorno. Nel qual cimento mise in opera per sé quell’altro documento santissimo che diede a tutti: Nolite dare sanctum canibus. Eccovi uditori una lezione divina: eccovi come si vive nel mezzo ai lupi schivandone quanto si può, salva l’anima e la coscienza, l’insidie, le zanne e la rabbia. Verrà poi tempo che il lupo la dia per mezzo, e vedendo che le insidie non giovano, spieghi gli unghioni e adopri le zanne. Così fecero questi medesimi farisei con Gesù. Cercarono tutte le vie per coglierlo al laccio con apparenza almeno di ragione. Quando videro che non riuscivano, comprarono Giuda, mandarono ad arrestarlo una corte con lanterne, fiaccole ed armi, e lo crocifissero. Ma intanto a noi sta di togliere il pretesto, e il pretesto si toglie imitando il Signor nostro Gesù. Del quale richiamate l’avviso che è ottimo per noi, suoi Sacerdoti, nelle strette di questi tempi. Nolite dare sanctum canibus neque mittatis margaritas vestras ante porcos, ne forte conculcent eas pedibus suis et conversi dirumpant vos. (Matth VII. 6.) – Non vogliate dare le cose sante ai cani e non gittate dinanzi ai porci le margarite, non forse voltandosi contro di voi col grifo e conle zanne vi sbranino. Esistono, esistono di questi ciacchi e di questi cani che stanno in posta per vedere se gittate dinanzi a loro le cose sante e le perle e sbranarvi. Non le gittate loro: non ne son degni e odiandoli a morte vi preparano, se proseguite, ceppi e catene. A loro non le gittate. Esistono però gli agnelli del pastor buono, le pecorelle di Gesù Cristo, a queste date le cose sante, a queste mettete innanzi le gemme della verità. Che se i ciacchi e i cani grugniscono e latrano minacciandovi unghioni e zanne rispondete così: Noi diamo a Cesare, quel che è di Cesare: a Dio, quel che è di Dio.

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: UBI PRIMUM di PIO IX

Questa lettera, che porta identico nome di un’altro importantissimo ocumento di Leone XII del 1824 (già riportato in questa nostra serie), è una delle prime Encicliche di Pio IX, il quale presagiva già l’infiltrazione del clero da parte di empi corruttori delle fede cattolica. Il Santo Padre cercò di porre argine con questa lettera a questo morbo infetto e mortale per le anime, facendola seguire poi da altri importanti documenti. Qui ebbe cura anche di istituire una Congregazione cardinalizia che si occupasse in modo specifico dello “stato degli ordini regolari”. Le raccomandazioni erano rivolte in particolare alla scelta ed alla cura dei giovani che desideravano intraprendere la vita religiosa. Sua Santità aveva intuito, da profondo ed ispirato conoscitore delle trame del “secolo”, che gli empi demolitori dell’opera di Cristo, erano al lavoro proprio per corrompere i costumi non solo della società civile, ma nello specifico, della gioventù che si avviava al noviziato ecclesiale. A tutti oramai è noto come questa strategia della “quinta colonna”, si sia sviluppata nei decenni successivi, onde rendere possibile il “colpo di stato” del 1958 in Vaticano, ed il “ribaltone conciliare” che ha messo sottosopra, la Chiesa cattolica, invertendone tutti i valori e gli aspetti con certosina pazienza e gradualità centellinata in modo da non dar troppo nell’occhio ad incauti ed imprudenti ignoranti colpevolmente la dottrina. Lo spettacolo odierno è sotto gli occhi di tutti, ed è proprio il caso di ribadire il consiglio divino di Gesù, che riportato dal cap. VII di S. Matteo, diceva: “… dai frutti li giudicherete”. Certo oggi assistiamo all’obbrobrio di chierici omosessuali dichiarati ed inverecondi, di pedofili pubblici da sacrestia ed oratorio, per non parlare dei seminari (falsi per fortuna), gli allegri “Gay villages” come oggi si definiscono, delle diocesi maggiori. E allora, dobbiamo dichiarare Pio IX un fallito, la sua politica pontificia perdente ed abbattuta? A giudicare dalla falsa chiesa del “Novus ordo”, sì, è così. Ma ricordiamo che il documento, come tutto il Magistero pontificio, “luogo teologico” per eccellenza, non passerà mai, come la parola del Capo fondatore Gesù Cristo ci ha assicurato, e questa lettera diventerà la pietra fondante di una nuova generazione di figure clericali, figure sante, immacolate, come le desidera il “Capo”, e sarà stampato nella memoria e nella volontà di coloro che vogliono essere sinceri collaboratori dell’opera della Chiesa cattolica, pietre vive dell’edificio eterno della nuova Sion, la Santa Chiesa Cattolica: una, santa cattolica, apostolica romana che, dopo la sua momentanea eclisse, come Gesù nel sepolcro, tornerà a risplendere quando, dichiarata morta dagli infami e dagli empi festanti “nemici di Dio e di tutti gli uomini”, risorgerà per brillare luminosa fino alla fine dei tempi. … et “non praevalebunt”.

Pio IX
Ubi primum

Quando, per arcana decisione della divina Provvidenza, fummo elevati al governo di tutta la Chiesa, fra le precipue cure e sollecitudini del Nostro Ministero Apostolico nulla avemmo più a cuore che abbracciare con singolare affetto della Nostra paterna carità le vostre Religiose Famiglie, seguirle, proteggerle e difenderle con la massima attenzione, interessati a provvedere al loro sempre maggior bene e splendore. Esse, infatti, istituite – per la maggior gloria di Dio Onnipotente e per procurare la salvezza delle anime – ad opera di santissimi uomini sotto l’afflato dello Spirito Santo, e confermate da questa Sede Apostolica, con le loro molteplici caratteristiche formano quella bellissima varietà che mirabilmente abbellisce la Chiesa, e costituiscono quelle scelte milizie ausiliarie che furono sempre di grandissimo ornamento e di aiuto sia alla comunità cristiana, sia alla società civile. – Infatti i loro membri, chiamati per singolare dono divino a professare i precetti della sapienza evangelica, stimando che per loro nulla vale a confronto dell’eminente scienza di Cristo Gesù, disprezzando con animo eccelso e invitto tutti i beni della terra e guardando unicamente a quelli celesti, furono sempre visti intenti ad opere egregie e a compiere gloriose imprese con le quali hanno così grandemente meritato, sia per la Chiesa Cattolica che per la società civile. Nessuno infatti ignora né può ignorare che le Famiglie Religiose fin dalla loro prima istituzione furono celebri per la presenza di innumerevoli uomini egregi che, insigni per tante opere di dottrina e di cultura, con l’ornamento di tutte le virtù, risplendenti della gloria della santità, illustri anche per altissime cariche e ardenti di grandissimo amore verso Dio e verso gli uomini; fatti spettacolo al mondo, agli Angeli e agli uomini, non trovarono nulla di più delizioso che dedicarsi giorno e notte con ogni cura e costanza alla meditazione delle cose divine, portare sempre nel proprio corpo la mortificazione di Gesù, propagare la fede e la dottrina cristiana dal sorgere al tramontar del sole, combattere decisamente per esse, sopportando validamente amarezze, tormenti e supplizi, e dando anche la vita, per condurre popoli rudi e barbari dalle tenebre dell’errore, da costumi selvaggi e dalla abiezione del vizio alla luce della verità evangelica e alla cultura di una società civile, coltivando le lettere, le varie discipline e le arti, salvandoli dalla rovina; plasmando le tenere menti dei giovanetti e i loro ingenui cuori alla pietà e alla onestà, arricchendoli di sane dottrine e richiamando gli erranti alla salvezza. E questo non basta; infatti, rivestiti di intima misericordia, non c’è alcun genere di eroica carità che essi non abbiano esercitato, come prestare ogni genere di aiuto della cristiana beneficenza e provvidenza ai prigionieri rinchiusi nelle carceri, ai malati, ai moribondi e a tutti i miseri, ai poveri, ai colpiti da calamità per lenire il loro dolore, tergere le lacrime e provvedere alle loro necessità con ogni opera e possibile aiuto. – Da qui consegue che i Padri e i Dottori della Chiesa meritatamente e a pieno titolo hanno sempre esaltato con grandi lodi questi amanti della perfezione evangelica e hanno sempre combattuto contro i loro oppositori che temerariamente osano denunciare queste Sacre Istituzioni come inutili ed esiziali per la società. – I Pontefici Romani Nostri Predecessori, dimostrando sempre un benevolo affetto verso gli Ordini Regolari, non hanno mai desistito dal proteggerli con il patrocinio dell’Autorità Apostolica, dal difenderli e dal gratificarli con privilegi ed onori sempre maggiori, ben sapendo quali e quanti vantaggi ed utilità da questi Ordini si sono riversati in ogni tempo sull’intera Cristianità. Anzi, i Nostri Predecessori furono sempre tanto solleciti per questa così eletta porzione del gregge del Signore, che, appena sono venuti a sapere che il nemico di nascosto seminava zizzania in mezzo al buon grano e che le piccole volpi demolivano i fiorenti tralci, immediatamente si sono adoperati con ogni cura a svellere dalle radici e a distruggere qualsiasi cosa che potesse impedire i frutti copiosi e lieti della buona semente. Per questa ragione specialmente Clemente VIII, e pure Urbano VIII, Innocenzo X, Alessandro VII, Clemente IX, Innocenzo XI, e così pure Innocenzo XII, Clemente XI, Pio VII, Leone XII, Nostri Predecessori, sia prendendo salutari deliberazioni, sia emanando sapientissimi Decreti e Costituzioni non cessarono di usare tutti i mezzi della vigilanza Pontificia per rimuovere radicalmente i mali che in circostanze tristissime di eventi e di tempi si erano insinuati nelle Famiglie Religiose, onde difendere o restaurare in esse la regolare disciplina. – Noi, pertanto, per il grande amore che nutriamo per questi Ordini, emulando gli esempi illustri dei Nostri Predecessori e ispirandoci soprattutto alle sapientissime decisioni dei Padri del Concilio Tridentino, per il Nostro supremo ufficio di Apostolato abbiamo deciso di rivolgere tutte le nostre cure e i Nostri pensieri, con tutto l’affetto del cuore, alle vostre Famiglie Religiose, con lo speciale intento di consolidare ciò che fosse malfermo, di risanare ciò che fosse malato, di riannodare ciò che fosse sciolto, di recuperare ciò che fosse perduto, di rialzare ciò che fosse caduto, affinché rifioriscano l’integrità dei costumi, la santità della vita, l’osservanza della regolare disciplina, gli studi delle lettere, delle scienze, specialmente di quelle sacre, e le regole proprie di ciascun Ordine siano sempre più vigorose e fiorenti. Sebbene Ci rallegriamo nel Signore che vi siano molti membri di queste sante Famiglie che, memori della loro santa vocazione e distinguendosi nell’esempio di tutte le virtù e per la larghezza del sapere, si sforzano – seguendo santamente le vestigia dei loro Padri fondatori – di lavorare nel ministero della salvezza e di diffondere ovunque il buon profumo di Cristo, tuttavia Ci rattristiamo di trovare alcuni che, dimentichi della loro professione religiosa e della loro dignità, si sono talmente allontanati dalle Regole assunte che, non senza un grandissimo danno degli stessi Ordini e dei Fedeli, mettono in mostra soltanto una parvenza e un atteggiamento di pietà, mentre poi contraddicono con la vita e i loro costumi la santità, il nome e l’abito degli stessi Istituti che hanno abbracciato. – Inviamo quindi a Voi, Diletti Figli, che siete alla guida di codesti Ordini, questa Lettera che vi annuncia la Nostra sollecita e premurosa volontà, riguardo a Voi e ai Vostri Ordini Religiosi, e la Nostra intenzione di restaurare la regolare disciplina. Questa decisione intende soltanto raggiungere, stabilire e portare a termine, con l’aiuto di Dio, tutto quello che può contribuire a difendere l’incolumità e la prosperità di ciascuna Famiglia Religiosa, per procurare il vantaggio dei popoli, estendere il culto di Dio e accrescere sempre più la Gloria di Dio. Infatti nell’opera di rinnovamento della disciplina dei vostri Ordini, il Nostro intento e il Nostro desiderio sono di poter avere dagli stessi Ordini operai attivi e diligenti, che si distinguano non soltanto per la pietà, ma anche per la sapienza, perfetti uomini di Dio, preparati ad ogni iniziativa buona, in modo che possiamo usare della loro opera nel coltivare la vigna del Signore, nel propagare la fede cattolica, specialmente fra i popoli infedeli, e nel curare i gravissimi problemi della Chiesa e di questa Sede Apostolica. Affinché poi si realizzi prosperamente e felicemente un’impresa di tanta importanza per la religione e per gli stessi Ordini Regolari, come è grandissimo desiderio di tutti, e si raggiunga l’effetto auspicato, ripercorrendo le vestigia dei Nostri Predecessori abbiamo istituito una speciale Congregazione dei Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, che abbiamo denominata “Dello Stato degli Ordini Regolari“, affinché questi Nostri Venerabili Fratelli con la loro singolare sapienza, con la loro prudenza, con il loro consiglio e con la loro esperienza nell’operare Ci diano una mano in un’impresa tanto importante. – Ma a compartecipare a quest’opera chiamiamo anche Voi, Figli Diletti, e ardentemente Vi ammoniamo, esortiamo e scongiuriamo nel Signore di voler collaborare attivamente in questo Nostro lavoro, affinché il Vostro Ordine Religioso rifulga della pristina dignità e del primitivo splendore. Pertanto, per il posto che occupate, per l’ufficio di cui siete stati insigniti, non lasciate nulla di intentato affinché i Religiosi a Voi soggetti, meditando seriamente sulla vocazione alla quale sono stati chiamati, degnamente camminino in essa e si adoperino ad osservare sempre religiosamente quei voti che un tempo hanno fatto a Dio. – Provvedete con ogni vigilanza che essi, seguendo le vestigia insigni dei loro Maggiori, custodendo la santa disciplina, avversando completamente gli allettamenti del mondo, gli spettacoli e le occupazioni cui hanno rinunciato, si dedichino incessantemente alla preghiera, alla meditazione delle cose celesti, allo studio e alla lettura; si occupino della salvezza delle anime secondo le norme del proprio Istituto e, mortificati nella carne, ma vivificati nello spirito, si mostrino al Popolo di Dio modesti, umili, sobrii, benigni, pazienti, giusti, irreprensibili nell’integrità e nella castità, ferventi nella carità, degni di essere onorati per la sapienza, per non essere di offesa a chicchessia, ma in grado di mostrare a tutti l’esempio di buone opere, affinché chi è contrario si vergogni, non avendo nulla da dire contro di essi. Voi ben sapete di quale santità di vita e di quale ornamento di tutte le virtù devono risplendere coloro che, avendo rigettato radicalmente tutte le blandizie, le voluttà, gl’inganni e le vanità delle cose umane, hanno promesso e si sono consacrati a Dio soltanto e al culto di Dio, affinché il popolo cristiano, guardando a loro come in un nitidissimo specchio, ne tragga argomenti di pietà, di fede e di ogni virtù, onde percorrere le vie del Signore con passo sicuro. – E poiché lo stato e il decoro di ogni Religiosa Famiglia dipendono dalla oculata ammissione dei postulanti e dalla loro migliore formazione, Vi esortiamo caldamente di esaminare prima con cura l’indole, l’intelligenza, i costumi di coloro che vogliono entrare nella vostra Religiosa Famiglia e di investigare per quale deliberazione, con quale spirito e per quale ragione si sentano portati ad iniziare la vita religiosa. E allorché avrete conosciuto che essi nel disegno di abbracciare la vita religiosa non aspirano ad altro che alla gloria di Dio, all’utilità della Chiesa, alla salvezza propria ed altrui, dedicatevi con ogni cura e diligenza a quest’opera; cioè che nel tempo del probandato e noviziato siano educati piamente e santamente da ottimi Maestri, secondo le regole del proprio Ordine, e siano formati all’esercizio di ogni virtù e a vivere perfettamente la Regola di vita dell’Istituto che hanno abbracciato. E poiché fu sempre un particolare e illustre titolo di lode degli Ordini Regolari il favorire e coltivare lo studio delle lettere e illustrare la scienza delle cose divine e umane con tante opere dotte e laboriose, per questo Noi grandemente Vi invitiamo e Vi esortiamo a promuovere con la massima cura e solerzia la gestione degli studi e con ogni sforzo far sì che i vostri alunni si dedichino costantemente all’apprendimento delle lettere umanistiche e delle più severe discipline, specialmente quelle sacre, affinché essi per primi preparati nelle più sane e acute dottrine, sappiano affrontare le mansioni del proprio ufficio ed esercitare i sacri ministeri con fede e sapienza. Poiché grandemente desideriamo che tutti coloro che militano nel campo del Signore, tutti ad una sola voce rendano gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo e, perfetti nel medesimo sentimento e nel pensiero, siano solleciti nell’osservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace, Venerabili Fratelli, Noi Vi chiediamo che, uniti ai Vescovi ed al Clero secolare con strettissimo vincolo e patto di concordia e di carità, con somma unione di animi, niente Vi stia più a cuore che usare tutte le Vostre forze per l’opera del ministero, per l’edificazione del Corpo di Cristo, emulando sempre i migliori carismi. “Esistendo infatti un’unica Chiesa di Prelati Regolari e Secolari e di sudditi, sia esenti o non esenti, al di fuori della quale nessuno può salvarsi, e che hanno tutti lo stesso Signore, la stessa fede ed un unico Battesimo, è necessario che tutti coloro che appartengono allo stesso Corpo abbiano anche la stessa volontà e, come fratelli, siano sempre stretti dal vincolo della carità” . – Queste sono le esortazioni e gli ammonimenti che abbiamo voluto esprimere con questa Nostra Lettera, affinché comprendiate quanta benevolenza nutriamo per Voi e le Vostre Religiose Famiglie e con quanta sollecitudine vorremmo provvedere alla conduzione, all’utilità, alla dignità e allo splendore delle Vostre comunità. Non dubitiamo che anche Voi, per la Vostra esimia pietà, virtù, prudenza e per il grandissimo amore verso il Vostro Ordine, sarete santamente orgogliosi di rispondere pienamente ai Nostri desideri, alle Nostre cure e ai Nostri consigli. – Con questa fiducia e con questa speranza, e come testimonianza della Nostra particolarissima benevolenza e carità verso Voi e tutti i Religiosi Vostri Confratelli, impartiamo a Voi, Diletti Figli Religiosi, e ad essi, con tutto il cuore, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 17 giugno 1847, anno primo del Nostro Pontificato.

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2018)

… véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos!!!

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVI:2.  Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Ps XLVI:3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram. [Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.] Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. [O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Oratio

Orémus. Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas. [O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI :19-23

“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[Mons. Bonomelli, Omelie, vol. III, omelia XV.-Torino 1899]

Parlo da uomo, secondo la vostra naturale debolezza: siccome offriste le vostre membra a servire alla immondezza ed alla iniquità per la iniquità, così ora fate di offrirle alla giustizia per la santificazione. E invero, quando eravate servi del peccato, eravate franchi dalla giustizia. Ora qual frutto ricavaste da quelle opere, delle quali ora arrossite? Perché termine di quelle è la morte. Ma ora affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché lo stipendio del peccato è morte; ma il dono di Dio è vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore„ (Ai Rom. VI, 19-23).

L’omelia, che tengo, come sapete, si riduce costantemente ad un commento del Vangelo o della Epistola della Domenica corrente. Questo metodo ha il vantaggio di seguire l’esempio dei Padri, di rispondere alla lettera ed spirito della prescrizione tridentina, di esporre l’insegnamento divino della Scrittura, ma non va immune da alcune difficoltà, delle quali la principale è questa: il testo del Vangelo o della Epistola, che si legge nella santa Messa, è tolto qua e là da uno dei quattro Vangeli e dalle Lettere apostoliche. Naturalmente staccato dagli antecedenti e dai conseguenti, raro è che presenti un tutto insieme, che stia da sé e si possa comprendere separatamente dal contesto, e ciò specialmente quanto alla Epistola. Se voi vedete un ramo tagliato dal suo albero, per giudicarne siete obbligati di guardare all’albero, dal quale fu tagliato. Così avviene a me nella spiegazione in particolar modo della Epistola; per conoscere debitamente il senso della parte, che riferisco, sono obbligato a vedere ciò che precede il testo, affine di seguire il filo del ragionamento e trovare il nesso che congiunge le parti. – Scopo dell’apostolo Paolo in questo capo sesto della lettera ai Romani è di mostrare che il battezzato ha l’obbligo di vivere una vita nuova, la vita di Cristo, rimovendo la vita dell’uomo vecchio, la vita del peccando. Svolgendo questa verità, S. Paolo si avvia ad una applicazione pratica bellissima, e dice che tutto quello che in noi servì di strumento alle passioni ed al peccato prima del Battesimo, deve servire a strumento di virtù dopo il Battesimo: come prima eravamo servi del peccato, cosi dopo dobbiamo essere servi della giustizia. E qui comincia il testo dell’Apostolo, che avete udito e che deve formare il soggetto della presente omelia. – “Parlo secondo uomo per la vostra naturale debolezza: perché siccome offriste le vostre membra a servire alla immondezza ed alla iniquità, così or fate di offrirle alla giustizia per la santificazione. „ Vi ho detto, che voi col Battesimo siete diventati servi della giustizia: Servi facti estis justitiæ. Questa parola “servi”, soggiunge l’Apostolo quasi scusandosi, vi torna grave e quasi vi offende, perché l’essere servi importa l’aver perduto ciò che l’uomo ha di più alto e di più caro, la libertà; ma ho dovuto usare questa parola, non avendone altra a mano e che risponda alla cosa. Sono costretto a parlare così per la povertà del nostro linguaggio e per farmi intendere come meglio posso, e voi o Romani, non offendetevi della parola “servi” “Humanum dico, propter infìrmitatem carnis vestræ”. – Fors’anche questa frase Humanum dico, può significare: vi dico cosa piana affatto, naturale, facile ad intendersi. E qual è? Finché voi vivete nel peccato, seguendo le vostre passioni, voi foste servi delle stesse e portaste il loro giogo vergognoso. Le vostre membra furono strumento al peccato, gli occhi, le orecchie, la lingua, le mani, i piedi, tutto il vostro corpo, che altro fecero se non servire in mille modi al peccato? Voi, che disprezzate il servo e non volete essere servi di chicchessia, pure serviste ad ogni turpitudine, “Immunditiæ”, ad ogni iniquità in guisa di precipitare da iniquità in iniquità: Iniquitate in iniquitatem, ora non dovete aver vergogna d’essere servi della giustizia, della virtù, affine di santificarvi. Udite il commento che questa sentenza ci lasciò un Padre della Chiesa: “Con queste parole San Paolo vuole che i suoi lettori arrossiscano di se stessi, affinché facciano per la virtù quello che prima fecero pel vizio, quasi dicesse: prima i vostri piedi correvano al delitto, ora corrano alla virtù; prima le vostre mani si allungavano per rapire l’altrui, ora si stendano per largheggiare del vostro; prima i vostri occhi si volgevano intorno per bramare d’avere l’altrui, ora si volgano intorno per soccorrere i poverelli, e quel servizio che ciascun membro del vostro corpo prestò ai vizi, ora lo renda alle virtù, e se un tempo corse dietro a sozzi piaceri, ora batta le vie della castità e della santità. „ Vi torna amara questa parola” servi della giustizia, „ – “Servi facti estis justitiæ”; non la vorreste udire, perché vi sembra un oltraggio alla vostra dignità; ma ricordatevi di quel tempo, nel quale “eravate servi del peccato, ed eravate franchi, cioè liberi del giogo della giustizia: “Cum servi essetis peccati, lìberi fuistis justitiæ”. – Qui è necessario spiegare più largamente il pensiero dell’Apostolo. Vi è il bene, vi è il male; vi è la virtù, vi è il vizio; vi è la legge di Dio, vi è la legge del mondo e della carne: noi siamo posti tra la legge di Dio e la legge del mondo, tra il vizio e la virtù, tra il bene ed il male: dobbiamo necessariamente appigliarci all’uno od all’altro; lo starcene indifferente è impossibile e vorrebbe dire, se pure fosse possibile, che ci gettiamo dalla parte del male, del vizio e del mondo, perché chi non è con Cristo è contro di Lui. È dunque condizione assoluta dell’uomo il servire al bene od al male, al vizio od alla virtù, a Dio o al mondo; è la sua stessa natura, che l’obbliga a mettersi dall’una o dall’altra parte, a scegliere d’essere servo di Dio o del mondo, del peccato o della giustizia. Per quanto gli spiaccia questa parola servire, non è in poter suo sottrarsi a questa legge sovrana. Ora fino al giorno nel quale avete creduto a Cristo e avete ricevuto il battesimo, a chi avete voi servito? domanda l’Apostolo. Al peccato: Cum servi essetis peccato. Servendo al peccato, per fermo non servivate alla giustizia, eravate sciolti e franchi dal suo giogo: ora vi sembra, così argomenta l’Apostolo, che sia più degno dell’uomo servire al peccato od alla giustizia? Poiché vi è pur forza piegare il collo sotto il gioco dell’uno o dell’altra, chi non vede che è meglio servire alla giustizia che al peccato? – Strana e quasi incredibile contraddizione quella dell’uomo! Egli ha una tendenza innata, che gli fa considerare come nemico chiunque metta un limite alla sua indipendenza, e come un diritto sacro inalienabile quello di usare come meglio gli piace della sua libertà. Egli non vede che i suoi diritti e la sua libertà; di doveri e di dipendere non ama che gli si parli e volentieri li dimentica. Che cosa è la libertà debitamente intesa? È il potere di usare delle proprie forze, di fare o non fare certi atti, di non essere impedito nell’esercizio delle sue facoltà e de suoi diritti. Ora si può essa comprendere questa libertà dell’uomo senza il dovere di rispettare i diritti altrui, ossia la libertà altrui? Evidentemente, no. Intorno ad ogni uomo vi sono altri uomini, che hanno diritti eguali ai suoi, e vi sono libertà che limitano la sua, giacché dove comincia la libertà degli altri cessa la nostra. Al di sopra di lui vi è l’autorità civile e politica con le sue leggi: vi è la Chiesa con le sue leggi, e al di sopra della civile autorità e della Chiesa vi è Dio, il Padrone assoluto di tutti. In faccia ai diritti dei suoi simili, in faccia alle autorità umane, alla Chiesa, a Dio, che a tutti sovrasta, qual è il dovere d’ogni uomo? Che uso deve egli fare della sua libertà? L’uso ch’egli deve fare della sua libertà è quello di sottoporla a chi ha diritto d’averla a sè sottoposta. Allora essa è al suo posto, usa debitamente delle sue forze e con l’adempimento esatto dei suoi doveri si mostra rispettosa pei diritti altrui ed è vera libertà. – Come sarei felice se potessi farvi comprende che la libertà vera sta riposta, non già nel fare ciò che a noi piace, sia bene, sia male, ma solamente nell’adempire i nostri doveri e fare il bene, che solo veramente ci giova! L’occhio per vedere deve dipendere dalla luce, i polmoni per respirare devono dipendere dall’aria, il sangue per fare il suo giro deve dipendere dal cuore e così via via dite di tutte le membra del corpo, ciascuna delle quali più o meno dipende dalle altre. Oltre che direste voi se col pretesto di voler piena libertà l’occhio respingesse la luce, i polmoni non volessero aver che fare coll’aria, il sangue rigettasse ogni dipendenza dal cuore ed ogni membro rifiutasse sottostare all’altro e volesse fare da sé? Avremmo il disordine più perfetto e la morte. È la dovuta dipendenza quella che crea e mantiene la libertà di ciascun membro del nostro corpo: così la legittima dipendenza, o in altre parole l’adempimento perfetto dei nostri doveri verso i nostri simili, verso tutte le autorità e sovra tutto verso Dio quello che ci dà ed assicura la nostra vera libertà, e in questo senso Cristo disse, che chi commette il peccato è schiavo del peccato, e quegli è libero chi è liberato da lui. Dunque, o cari, non confondiamo le cose, non diamo il santo nome di libertà alla schiavitù, né col brutto nome nome di schiavitù vogliamo designare la vera libertà. Schiavo è colui che ubbidisce alle passioni, che serve al peccato; libero invece è quegli che frena le passioni, caccia da sé il peccato e serve alla giustizia ed alla virtù, perché l’uomo di sua natura è fatto per servire alla virtù e non per servire al peccato. – Vi è un figliuolo: egli rifiuta di ubbidire ai suoi genitori ed ubbidisce ad un servo, al quale deve comandare, vantandosi d’essere libero di così fare. Direte voi che questo figliuolo è veramente libero? Voi direte che è libero il figliuolo che ubbidisce ai suoi genitori e comanda al suo servo, perché così vuole la giustizia e l’ordine. Similmente noi diremo che chi respinge il giogo del peccato e serve a Dio, suo Padre, e a cui servire è regnare, è veramente libero. Deh! Carissimi cessiamo dal chiamare luce le tenebre e le tenebre luce, libertà la schiavitù e la schiavitù libertà. Siamo servi della giustizia, servi di Dio, e saremo liberi dal peccato e franchi dal mondo. Forse non mai nel corso dei secoli si parlò tanto di libertà come ai nostri tempi e forse non mai se n’ebbe un’idea sì confusa e sì falsa. Quanti al giorno d’oggi credono ci sia libertà vera fare ciò che piace, sia bene sia male! Quanti che vogliono per sé la libertà più sconfinata, non badando che questa importa la violazione dell’altrui libertà! Siffatta libertà metterebbe il mondo sossopra e produrrebbe la più brutta schiavitù. Ricordatelo bene: la libertà vera secondo la ragione e secondo il Vangelo, è rispettare e osservare le leggi di Dio, della Chiesa e di tutte le autorità anche civili: libertà vera è adempiere ciascuno i propri doveri, rispettando i diritti degli altri. Voi, ne sono certo, vi atterrete a questa legge, e così sarete veramente liberi. – Seguitando ora il nostro commento, vedete come l’Apostolo rincalzi a meraviglia la verità sopra accennata, vale a dire che dobbiamo essere servi della giustizia, e non del peccato. “Qual frutto aveste allora da quelle opere delle quali ora arrossite? „ Un tempo, così S. Paolo, prima di ricevere il battesimo, eravate servi del peccato, facevate le opere del peccato: ora, illuminati dalla verità, considerando quelle opere, non è vero che vi sentite salire sul volto la fiamma della vergogna? Non è vero che sentite tutta la vergogna di quel vituperoso servaggio? Ecco una prova indubitata che il servire al peccato non è libertà, ma servitù indegna, perché se fosse libertà non ne avremmo vergogna, anzi ne andremmo alteri. – Non solo il servire al peccato ci fa vergognare, continua l’Apostolo, ma vi è ben peggio: “Termine, ossia frutto delle opere del peccato è la morte, „ Finis illorurn mors est. Quale morte? La morte eterna! Bando adunque al servaggio del peccato, che dopo averci coperto di vergogna, spesso agli occhi del mondo, sempre a quelli della coscienza e di Dio, ci getta in braccio alla morte eterna. Bando al servaggio del peccato, che ci disonora ed uccide l’anima! – Che faremo dunque? “Sciolti o affrancati dal peccato e divenuti servi di Dio, avete per frutto la santificazione e per termine la vita eterna. „ In questo versetto S. Paolo ha condensato i doveri tutti dell’uomo nel tempo ed il suo destino nella eternità: romperla con le passioni e con il loro frutto, il peccato, santificarsi con l’esercizio della virtù e così toccare la meta ultima, il conseguimento della vita eterna: Finem vero vitam æternam. – Il versetto che segue, ultimo del capo e ultimo della nostra lezione è, possiam dire, la ripetizione di quello che abbiamo spiegato: “Perché lo stipendio del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore.„ L a parola stipendio qui adoperata, è tolta dall’uso militare e per sé significa il soldo che si dava qual mercede al soldato. Sì, sembra gridare l’Apostolo: se voi servirete alle passioni, al peccato, e come soldati militerete sotto la sua bandiera, avrete anche dal peccato la mercede dovuta alla vostra miserabile milizia: il vostro stipendio sarà la morte eterna. Volgerete voi le spalle al peccato?” Correrete sotto la bandiera della giustizia e combatterete animosamente per essa? Il vostro stipendio, !a vostra mercede sarà il dono di Dio, che è la vita eterna: autem Dei, vita æterna, e questa la dovrete ai meriti di Gesù Cristo. – Questa sentenza di S. Paolo ci presenta una difficoltà, ed è questa: S. Paolo ci insegna ripetutamente in altri luoghi, che la vita eterna è corona dovuta a chi combatte e vince: è mercede dovuta a chi lavora e dovuta rigorosamente per giustizia: Gesù Cristo stesso ci dice di rallegrarci, perché grande ed abbondante è la mercede, che ci è riserbata in cielo; ora come sta che qui S. Paolo la chiama dono o grazia di Dio? Gratia autem Dei, vita æterna? Se è grazia, non è mercede: se è mercede non può essere grazia. Forsechè l’Apostolo bruttamente contraddice a se stesso? L’Apostolo certamente non può contraddire a se stesso, e la risposta non è difficile. La vita eterna è mercede di giustizia dovuta alle opere nostre: Dio non può negarla a chi opera rettamente. Ma come, con qual mezzo facciamo noi le opere meritevoli della vita eterna? Col mezzo della grazia che Dio ci ha data. E la grazia, la prima grazia, è essa nostra, o dono di Dio? La grazia, la prima grazia non è opera nostra, non la possiamo in alcun modo meritare, ed è dono della bontà divina. La vita eterna pertanto considerata nella sua radice, che è la grazia, è dono di Dio affatto gratuito: considerata nelle opere, frutto della grazia e della nostra corrispondenza alla medesima, è mercede: corona a noi dovuta. Volete comprendere questa verità con una similitudine comunissima, che tolgo dal Vangelo e precisamente dalla parabola dei talenti? Udite. Un ricco signore vi dà una grossa somma da trafficare a vostro talento. Che diritto avete voi a quella somma? Nessuno: essa è dono, ch’egli vi fa per sola sua bontà. Voi trafficate e fate con quella somma, mercé della vostra industria un grosso guadagno. Quel guadagno è frutto delle vostre fatiche e insieme del dono ricevuto da quel generoso signore, ed io potrei dire il vostro guadagno è dono del signore ed anche che è mercede delle vostre fatiche, perché l’una e l’altra cosa è egualmente vera: così è vero il dire, che il cielo è grazia e dono di Dio, ed è vero altresì, che è mercede e ricompensa delle nostre fatiche, perché per guadagnarlo è necessaria la grazia di Dio e necessaria l’opera nostra, e se l’uno o l’altra fa difetto, è impossibile ottenerlo.

Graduale Ps XXXIII:12; XXXIII:6

Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur. [Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps XLVI:2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. Allelúja. [O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt VII:15-21 “In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.”

Omelia II

[Mons. G. Bonomelli, ut supra, Omelia n. XVI]

 “Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in sembianze di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Voi li riconoscerete dai loro frutti. Si colgono forse uve dalle spine o fichi dai triboli? Così ogni albero buono fa frutti buoni, ma l’albero tristo fa frutti tristi. Non l’albero buono fa frutti tristi, né l’albero tristo fa frutti buoni. Ogni  albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Voi dunque li riconoscerete dai loro frutti. Non chiunque dirà: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, quegli entrerà nel regno dei cieli „ (S. Matteo, VII, 15-21).

In questi sette versetti, che parola per parola ho reso nella nostra lingua, voi avete il tratto dell’Evangelo, che or ora si è letto nella S. Messa, e che si trovano precisamente nel capo VII di S. Matteo. Queste sì belle e sì pratiche sentenze fanno parte di quel maraviglioso discorso, detto del monte, nel quale Gesù Cristo compendiò la sostanza tutta del suo insegnamento morale. Nei quattordici versetti che precedono la nostra lezione Gesù Cristo ci vieta di giudicare i nostri fratelli e vuole che prima di correggere gli altri, badiamo ad emendare noi stessi: poi ricorda di non dare le cose sante agli indegni, inculca la preghiera e ne mostra la efficacia, e dopo aver detto che la via della salute è stretta, e larga quella della perdizione, ci mette in guardia contro i corruttori della verità, contro i maestri d’errore, che si atteggiano ad annunziatori della dottrina evangelica. Voi vedete, o cari, che se questo ammonimento era necessario al tempo di Gesù Cristo, oggi è senza confronto più necessario, perché i seminatori di scandali e di perverse dottrine di dieci tanti sono cresciuti. Un padre amoroso, che ha dato ai suoi cari figliuoli un grande tesoro; che da una parte vede la loro inesperienza, e dall’altra conosce le arti e le insidie dei tristi, che faranno ogni prova per ispogliarli, con grande insistenza raccomanda loro di stare in sull’avviso e di custodire con ogni diligenza il tesoro ricevuto. Qual cosa di questa più naturale? È ciò che fa Gesù Cristo nel Vangelo: dopo aver annunziato le più sublimi verità morali agli Apostoli ed alle turbe che l’ascoltavano, troppo bene conoscendo i pericoli che li circondavano, disse: “Guardatevi dai falsi profeti „ Attendite a falsìs prophetis. Voi sapete che la parola profeta ha vari significati nei Libri santi: ora significa uomo che annunzia cose future, ora uomo pio e virtuoso, ora uomo operatore di miracoli, ora semplicemente maestro delle cose sacre; questa parola nel testo che ci sta innanzi, è presa in quest’ultimo senso, come è chiaro. Ma come vi sono maestri buoni e maestri cattivi, uomini veramente pii e uomini ipocriti, così vi sono profeti veri e profeti falsi, maestri di verità e maestri di errori, e se dobbiamo ascoltare quelli, a questi dobbiamo chiudere le orecchie e, fuggirli, onde Gesù Cristo ci grida: “Guardatevi dai falsi profeti. „ Chi sono questi falsi profeti o maestri designati da Gesù Cristo? Erano gli scribi, i farisei, che facevano opera di allontanare da Lui la gente, che mettevano in mala voce la sua dottrina: erano gli eretici, gli scismatici, e tutti quelli che prevedeva sarebbero sorti nel corso dei secoli ed avrebbero tentato di rapire e corrompere il deposito della fede. Miei cari! ponetevi bene nell’animo queste verità: finché dura il presente stato di prova (e durerà fino alla fine dei tempi), durerà altresì la lotta tra il bene ed il male, tra il vizio e la virtù, tra la dottrina di Gesù Cristo e le massime false del mondo. Come l’ombra segue sempre il corpo e la malattia cammina a fianco della sanità, pronta ad assalirla, così accanto alla verità sta sempre l’errore, e mescolati con i maestri del Vangelo, si vedono sempre i suoi corruttori. Vi fu mai tempo, o paese sì privilegiato, che ne fossero al tutto immuni? No: con il buon grano più o meno crescono le male erbe, con il frumento si vede la paglia e con i maestri della verità sono frammisti i maestri dell’errore, i falsi profeti. Ed oggidì, che vediamo noi? Forse non mai nei passati tempi si videro tanti maestri d’errori, tanti e sì scaltri seduttori, quanti ne vediamo nel nostro. Essi spargono il veleno delle loro massime nei libri, nelle figure, a voce, in iscritto, in pubblico, in privato, nelle scuole, nelle adunanze e nelle conversazioni, in tutti i modi, liberamente!… Oh quanti maestri d’errore sono sparsi dovunque! Quanto veleno di dottrine false e di corruzione si versa dovunque, a piene mani, impunemente con rovina estrema di innumerevoli anime! La terra tutta ne è inondata. Che possiamo far noi, ministri della Chiesa? Noi non possiamo far altro che ripetere a voi tutti il grido doloroso di Gesù Cristo: “Guardatevi, guardatevi dai falsi profeti; „ ma specialmente poi da quelli “che vengono in sembianze di pecore e dentro sono lupi rapaci. „ – I maestri dell’errore si possono partire in due classi: quelli che scopertamente insegnano l’errore e si studiano di corrompere i costumi, e quelli che lo fanno copertamente. Ciascun vede che, se sono pericolosi e da fuggirsi i primi, lo sono maggiormente i secondi, perché con questi siamo meno cauti e più facilmente possiamo essere vittime delle loro insidie. Tali sono, o cari, certi libri, che nascondono il veleno di dottrine irreligiose e corruttrici; certi romanzi, che accendono il fuoco di laide passioni senza averne l’apparenza; tali sono certi maestri, che si danno l’aria di rispettare la religione, perché non ne parlano mai, perché si atteggiano ad indifferenti, perché lasciano altrui la piena libertà di praticarla, come se questa indifferenza non fosse per se stessa un’offesa alla Religione. E non offende gravemente i genitori quel figlio, che tratta con essi come con gli estranei, che non adempie con essi i suoi più sacri doveri? “Guardatevi dai falsi profeti, dice Cristo, e specialmente da quelli che si coprono della pelle di pecora e sono lupi rapaci. „ Guardatevi! E che dobbiamo fare per adempire questo precetto imposto da Cristo e che ha la sua radice nella natura stessa, giacché la stessa natura ci obbliga a scansare ogni pericolo di male che ci minacci, e pericolo di male gravissimo è senza dubbio il vivere in mezzo ai falsi profeti? Dobbiamo uscire da questo mondo? Dobbiamo separarci da ogni convivenza sociale? Rinunciare ai nostri uffici? Ridurci nella solitudine d’un chiostro? No, non si esige tanto. Varie sono le condizioni nelle quali ciascuno di noi si può trovare e vari i pericoli, che possiamo correre in questo mondo pieno di scandali e di errori. Faccia ciascuno del suo meglio per sfuggire a questi scandali, per cessare questi errori, e quando non è in poter suo cessare i pericoli e chiudere le orecchie ai falsi profeti, quali che essi siano, preghi fervidamente Iddio, confidi in Lui, ed Egli non permetterà mai che sia messo a prova superiore alle sue forze. “Guardatevi dai falsi profeti! „ Sì, o Signore, noi ce ne guarderemo, come voi comandate e come richiede la carità che dobbiamo a noi stessi. Ma come conoscerli con sicurezza, se Voi stesso dite che si possono nascondere sotto la pelle di pecora? Qual segno ci date per distinguerli? Udite la risposta del divino Maestro : “Voi li riconoscerete dai loro frutti. Forse si colgono le uve dalle spine, o i fichi dai triboli? Così ogni albero buono porta buoni frutti, ma l’albero tristo dà tristi frutti. „ Il segno per distinguere i maestri di verità dai maestri d’errore, per sentenza di Cristo, è guardare ai frutti, alle opere: se queste son buone, buono è il maestro; se cattive, cattivo è il maestro e non ascoltatelo. Questa regola dataci da Gesù Cristo non è immune da alcune difficoltà, che è prezzo dell’opera esaminare e sciogliere. Gesù Cristo, al principio di questo capitolo dice: ” Non vogliate giudicare affinché non siate giudicati, „ ed è sentenza ripetuta dall’Apostolo Paolo e scaturisce dal sentimento della nostra debolezza ed ignoranza e più ancora dalla legge della carità, la quale non vuole che apriamo l’animo nostro ad alcun sospetto sinistro che offenda il prossimo; come va dunque che in questo luogo, Gesù comanda di scrutare bene la condotta di chi annunzia la parola di Dio, e vedere se le loro opere siano conformi alla loro dottrina? Non è questo un dubitare della loro condotta? Non è questo un costituirci loro giudici contro la sentenza di Gesù Cristo stesso, che proclamò: “Non vogliate giudicare affinché non siate giudicati? „ Per fermo Gesù Cristo non può in questo luogo comandare ciò che vieta più sopra in questo stesso capo. Noi non dobbiamo mai giudicare il prossimo e nemmeno dubitare della sua onestà e bontà, quando non abbiamo motivo ragionevole di ciò fare, come senza motivo ragionevole non possiamo né correggerlo, né fuggire la sua compagnia; ma allorché si tratta di conoscere se questi è maestro di verità o maestro d’errore, e per conseguenza si tratta di cosa gravissima, che interessa la mia salute eterna, non solo posso, ma devo esaminare ed investigare accuratamente e giudicare se mi sia lecito od illecito porgergli orecchio. La carità che devo avere con altri e verso di me giustifica pienamente il mio giudizio, e sarei imprudente e colpevole se non lo facessi. Se in questi casi io non avessi il diritto di mettere alla prova dei fatti la dottrina che mi si annunzia, io sarei obbligato di credere a chiunque mi si presenti e mi dichiari che mi annunzia la verità, e diventerei necessariamente la vittima di qualunque apostolo di errore. A che mi varrebbe la ragione datami da Dio se non l’adoperassi per conoscere la verità ed abbracciarla, per conoscere l’errore e respingerlo? Dunque io non offendo la carità, anzi rendo omaggio alla carità quando, per amore della verità, sottopongo alla prova della ragione i titoli che un uomo mi mette innanzi per ottenere il mio assenso. – Ben è vero poi, o cari, che questo giudizio nostro vuol essere fatto con prudenza, con discernimento, chiedendo lume a chi per senno ed autorità spetta darcelo e può guidarci al conoscimento della verità. Dove l’autorità legittima ha pronunciato il suo giudizio, noi possiamo e dobbiamo ad esso acquetarci; ma prima del suo giudizio è forza seguire quello della nostra ragione e porre ogni studio affinché esso sia retto. Un’altra difficoltà, e certo non spregevole, ci si fa innanzi a proposito di questa regola dataci da Gesù Cristo, per discernere i maestri di verità dai maestri d’errore: “Voi li riconoscerete dai loro frutti, „ cioè la loro vita, le loro opere saranno la prova della dottrina che insegnano. “Forseché, direte, i ministri della Religione sono impeccabili? Gesù Cristo non disse forse, accennando ai maestri d’Israele: Fate quel che vi dicono, non ciò che essi fanno? Con queste parole ci fece intendere, che talvolta gli uomini possono tenere una condotta che contraddice alla verità, che insegnano. E noi stessi non vediamo talora la vita e le opere dei sacri ministri condannate dalla dottrina che predicano? E non conosciamo persone, che vivono onestamente ed hanno voltate le spalle al Vangelo di Gesù Cristo e lo combattono? Come dunque il Salvatore può dirci: Volete conoscere la verità d’una dottrina? Guardate alle opere di coloro che la promulgano: se le loro opere sono buone, buona è la dottrina; se cattive, cattiva altresì è la dottrina, “perché l’albero buono dà buoni frutti, e l’albero cattivo fa cattivi frutti. „ Guai a noi se le opere dei sacri ministri fossero sempre il criterio sicuro ed infallibile della verità della dottrina per loro insegnata! Come dunque è da intendere questa regola evangelica proposta da Gesù Cristo istesso? Questa regola non si vuole applicare costantemente a tutti ed a ciascun maestro: se così fosse, sarebbe fallace ed erronea, perché  è manifesto che un cattivo ministro può annunziare le più sante verità, come Caifa fu profeta, eppure consigliò di uccidere Cristo, anzi pronunciò solennemente contro di Lui la sentenza di morte, e un ministro dell’errore può avere una condotta morale buona, un miscredente può esercitare alcune virtù talvolta meglio di certi credenti. Gesù Cristo adunque ci dà questa regola per discernere i veri dai falsi profeti, non in modo assoluto, ma generale, utile e buona nel maggior numero dei casi. Così noi pure diciamo: Non fidatevi degli adulatori ; né delle persone che parlano molto: vi tradiranno. Noi non intendiamo di dire che gli adulatori e le persone che parlano molto, tradiscano sempre e tutti, ma vogliamo dire soltanto che spesso tradiranno e non conviene fidarci di loro. Similmente Cristo volle dire: Guardatevi dai falsi profeti: voi li riconoscerete generalmente dalle opere loro, perché per lo più chi opera male insegna anche male, e il frutto mostra la qualità dell’albero. Considerando attentamente le parole di Cristo, penso che si possano intendere in un altro senso anche più chiaro e più conforme al contesto evangelico. Volete voi conoscere la bontà d’una dottrina qualunque? Guardate, non alla condotta di chi l’annunzia, ma alle conseguenze ed alle applicazioni pratiche della dottrina stessa. Vi sono certe dottrine che per se stesse producono frutti di sì rea e sì maligna natura, da farvene conoscere prontamente la falsità senza bisogno di lungo studio e di profondo esame. Per ragion d’esempio vi dicono: — Bisogna seguire gli istinti tutti della natura per essere felici: dopo la vita, presente non c’è più nulla, perché tutto finisce nel cimitero: tutte le religioni sono egualmente buone: ciascuno ha diritto di pensare e fare come gli piace, ed il proprio vantaggio è l’unica norma che devesi seguire: per salvarsi basta la sola fede senza le opere: l’uomo non ha libertà e tutto ciò che fa, lo fa necessariamente. — Voi comprendete tosto col solo lume della ragione, che codeste dottrine messe in pratica devono produrre i frutti più tristi per se stesse: non avete bisogno d’altre prove per giudicare falsi profeti quelli che le spacciano, e fuggirli a tutto potere. Come l’albero cattivo non può dare che frutti cattivi, così codesti maestri e codeste dottrine non possono dare che opere cattive. Carissimi! che giova dissimularlo? Al giorno d’oggi troppo spesso ci avviene di leggere sui libri e sui pubblici diari, o di udire nelle conversazioni, nei ritrovi, o dalle cattedre del pubblico insegnamento dottrine, che applicate distruggerebbero ogni idea di morale, di giustizia, di vizio o di virtù, di bene o di male, di vero o di falso, e rovescerebbero dalla base non solo ogni religione, ma l’ordine stesso domestico e sociale. Ebbene: voi, al solo leggere od udire siffatte dottrine, sapete qual giudizio sia da farne. I frutti che esse producono nell’individuo e nella società sarebbero malefici e fatali: dunque via queste dottrine e lungi da coloro che le diffondono: essi sono falsi profeti; le opere loro abbastanza li manifestano: Ex fructibus eorum cognoscetis eos. Cattivi i frutti, dunque cattivi anche gli alberi: Mala arbor malos fructus facit. Che farà Iddio di questi alberi cattivi, che non danno che frutti cattivi? Ciò che fa il contadino degli alberi che non danno frutti, o li danno bacati, acerbi, disgustosi, cattivi: li taglia, li sbarbica dal suolo, che inutilmente ingombrano, e li getta sul fuoco. Così Iddio: Egli, alla morte, getterà questi miserabili seminatori di dottrine perverse, pascolo alle fiamme eterne: Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum: excìdetur et in ignem mittetur. Chiosando questa sentenza terribile, Gesù Cristo pronuncia un’altra sentenza gravissima, con la quale si chiude la nostra omelia: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è ne’ cieli, quegli entrerà nel regno de’ cieli. „ Egli ha parlato di albero buono e di albero cattivo, di frutti buoni e di frutti cattivi, e che da questi si conosce la natura e la qualità dell’albero: ha detto che l’albero senza frutti buoni sarà inesorabilmente gettato pasto alle fiamme: ora Gesù Cristo insiste sulla necessità dei frutti, ossia delle opere buone, e queste si riducono a fare il volere divino, in altri termini, all’osservanza della legge divina. Allora, come anche al presente, vi erano molti, i quali praticamente mostravano di ridurre la religione alla fede, poco o nulla curando le opere, come se queste non fossero necessarie non meno della fede. Invocar Dio, recarsi al tempio, adempire le pratiche materiali della religione, offrire sacrifici, fare lunghe orazioni, prostrarsi dinanzi alla sua maestà e gridare : Signore, Signore; ecco la loro religione. Quanto poi alla mondezza del cuore, all’umiltà dello spirito, all’osservanza della giustizia, alla mortificazione delle passioni, all’amore del prossimo, in una parola, alle opere nelle quali si attua la vera Religione, non se ne davano pensiero: onoravano Dio, così Cristo nel Vangelo, con le labbra, ma il loro cuore era lontano da Dio. Ah! tutti costoro, grida il divino Maestro, non entreranno nel regno dei cieli. – Dilettissimi! io non vorrei che anche tra voi si trovasse qualcuno, al quale si potesse rivolgere il rimprovero e la minaccia di Cristo. Buone e sante cose sono frequentare la Chiesa, pregare, far pellegrinaggi ed osservare altre pratiche religiose; ma badate bene di non ingannarvi: queste sole non bastano: si domandano le opere della carità, la purezza del cuore, la vittoria delle nostre passioni, in una parola, la vita cristiana. Senza di questa, tutto il resto è apparenza, è pula che si porta via il vento, è fogliame lussureggiante, che non salverà l’albero, che se ne ammanta, dalla condanna al fuoco eterno.

Credo …

Offertorium

Orémus Dan III:40

“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”. [Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]

Secreta

Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem. [O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]

Communio Ps XXX:3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me. [Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]

Postcommunio

Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat. [O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]

 

LO SCUDO DELLA FEDE (XVIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XVIII.

LA SANTISSIMA TRINITÀ.

È il più. profondo dei misteri. — In che consista. — La divina fecondità. — Le divine processioni. — Tre persone e un solo Dio. — Ciò è mistero, ma non assurdo.

— La fede cattolica insegna che Dio è uno e trino ad un tempo. Di questo mistero della Trinità non capisco proprio niente.

Sì, caro mio, la fede cattolica, in conformità a quello che Iddio ha lasciato scorgere ai profeti dell’antica legge e a quello che ha pienamente rivelato Gesù Cristo, ci insegna il mistero della santissima Trinità. Ed io ti avverto subito che questo mistero, il quale si può chiamare il fondamento di nostra santa Religione, è il più profondo dei misteri, che con la sola ragione non si può dimostrare, che anzi la mente umana non avrebbe mai potuto concepire, se Iddio non ce lo avesse rivelato. Basti il dire che S. Agostino col suo ingegno penetrante ed acutissimo lo fece oggetto di lunghissimi studi, senza speranza tuttavia di riuscire neppure a squarciare il gran velo che lo avvolge. – Io credo che tu sappia bene quel che si narra di lui in proposito. Un dì passeggiando sulla riva del mare, vide un fanciullo che, fatto un piccolo incavo nella sabbia, vi trasportava a cucchiaiate l’acqua e gli domandò che cosa voleva fare. Il fanciullo gli rispose che intendeva di mettere in quell’incavo tutta l’acqua del mare. S. Agostino sorrise e disse tosto al fanciullo che ciò era impossibile. Ma il fanciullo che era un Angelo del cielo, si fe’ tosto a soggiungergli: che era più facile far stare tutta l’acqua del mare in quell’incavo, che capire, come egli pretendeva, il mistero della Santissima Trinità.

— Dunque di questo mistero colla nostra ragione non possiamo farci alcuna idea?

Io non ho detto questo, e questo non è. Conla nostra ragione non possiamo né dimostrare, né conoscere questo mistero; tuttavia dopo che ci è stato rivelato e noi l’abbiamo appreso per fede, possiamo con la ragione, e specialmente per modo di analogia, formarcene un’idea come fecero appunto i più grandi geni del Cristianesimo.

— Allora amerei che mi dicesse anzitutto in che cosa propriamente consiste questo mistero.

Te lo dirò, ma tu acuisci la tua intelligenza. Ecco: il mistero della Santissima Trinità consiste in ciò che in un solo Dio vi sono tre Persone: Padre, Figliuolo e Spirito Santo, che ogni Persona è vero Dio, e non sono tuttavia tre dèi, che ogni Persona è realmente distinta dalle altre due, che queste tre Persone hanno relazioni tra di loro, un nome particolare, ed anche un ordine, per cui una è la prima, l’altra la seconda, l’altra la terza, che intanto sono tutte e tre uguali in perfezione e tutte e tre eterne.

— Ma per quale ragione tutte queste tre Persone divine si chiamano coi nomi di Padre Figlio e Spirito Santo?

Noi diamo il nome di padre a chi genera dei figli comunicando loro la sua stessa natura; diamo il nome di figlio a chi ha ricevuto con la esistenza la stessa natura o sostanza del padre, da cui si distingue; e diamo il nome di spirito o di alito, a ciò che emana da una persona o più persone, ed è da essa distinto. Or bene la prima Persona della Santissima Trinità si chiama Padre, perché esistendo da se stesso da tutta l’eternità, non essendo stato né creato, né generato da alcuno, genera da tutta l’eternità la seconda Persona, alla quale perciò diamo il nome di Figliuolo. E la terza Persona poi si chiama Spirito Santo perché da tutta l’eternità è prodotto dal Padre e dal Figliuolo, ossia emana, procede da essi, e da essi si distingue. Come vedi adunque le Persone della Santissima Trinità sono chiamate con i nomi di Padre, Figlio e Spirito Santo per l’analogia o somiglianza, che la nostra mente scorge tra i vicendevoli rapporti esistenti fra di esse, e il significato che questi tre vocaboli hanno nell’uso nostro comune di parlare.

— E come mai Iddio Padre genera un Figliuolo?

Vedi; ogni essere vivente su questa terra sia pure dotato di un sol fil di vita, possiede la fecondità, quella forza per cui riproduce degli altri esseri della sua stessa natura e della sua stessa specie. E così l’uccello riproduce l’uccello, il pesce il pesce, l’insetto l’insetto, la pianta la pianta, e l’uccello aquila riproduce uccelli aquile, il pesce spada pesci spada, l’insetto zanzara insetti zanzare, la pianta pesco piante peschi; insomma ogni generante riproduce esseri a sé uguali, non superiori, non inferiori, ma della stessa natura e specie, per guisa che il generato è come la continuazione del generatore e forma con esso una sola cosa. Ora questa fecondità, questa forza meravigliosa di riprodursi, che vi ha in tutti gli esseri viventi, da chi viene? Se tu dici dalla natura, ed io ti domanderò da chi l’ha ricevuta la natura e tu dovrai finire per rispondermi che l’ha ricevuta da Dio. Se Dio adunque è in fondo in fondo la causa della fecondità, che esiste in tutti gli essere viventi, e se l’effetto è necessariamente precontenuto, e con la massima perfezione, nella sua causa, bisogna conchiudere che anche Iddio è fecondo, che anch’Egli deve essere Padre, dal quale secondo la frase di S. Paolo, proviene ogni paternità in cielo e in terra (V. Lettera agli Efesini, capo III, versetto 15).

— Ma se Dio è fecondo, se Egli deve essere padre, perché non genera molti figliuoli, ma un solo?

La tua domanda è giustissima. Ed io ti rispondo che Dio Padre non può generare che un unico Figlio, perché essendo Egli essere infinito, nell’atto di generare spiega tutta quanta la sua attività infinita, e spiegando tutta la sua attività infinita deve naturalmente produrre la sua immagine perfetta, che non può essere che una sola, ed è l’unico Figliuolo di Dio.

— Dunque che il Padre generi il Figliuolo è una necessità?

Senza dubbio. Il Padre, sebbene con infinito gaudio della sua volontà generi il Figlio, tuttavia non può far a meno di generarlo, come pure è una necessità che Padre e Figlio producano lo Spirito Santo.

— E come avviene ciò?

Non so se arriverai bene a capirlo. Te lo dirò nondimeno nei termini più chiari e precisi. Il Padre conoscendo perfettamente sé medesimo deve formare nello stesso tempo una immagine perfettissima di sé, e questa immagine siccome origina dalla intelligenza ossia dalla conoscenza, che il Padre ha di se stesso, perciò si chiama il Verbo, ossia la sua parola, il suo pensiero. Questo Verbo, che è generato per tal guisa dalla intelligenza del Padre è il Figliuolo. Siccome poi il Padre, vedendo il suo Figliuolo, in tutto perfettissimo al pari di lui, con la sua volontà sentesi indotto ad amarlo, e il Figliuolo vedendo il suo Padre sentesi indotto ad amare Lui, amandosi vicendevolmente spirano l’uno verso l’altro un soffio di amore, che è infinito al pari delle due Persone, da cui procede. E questo amore distinto dalle due Persone,  che lo producono, forma la terza Persona, ossia lo Spirito Santo. Per tal modo si compiono nell’Essere divino due processioni interne: l’una, quella con cui il Figlio è generato dal Padre, per modo d’intelletto, l’altra, quella per cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio per modo di amore. Perciò il Padre si chiama anche Genitore, il Figliuolo Unigenito, lo Spirito Santo Procedente, come si canta nella seconda strofa del Tantum ergo.

— E questi nomi di Padre, Figliuolo e Spirito Santo li ha inventati la Chiesa?

No, essi ci furono appresi dallo stesso Gesù Cristo, quando prima di ascendere al cielo comandò agli Apostoli di battezzare tutti gli uomini « nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo (Vedi Vangelo di S. Matteo, capo XXVIII, versetto 19).

— Ma se queste tre Persone sono distinte fra di loro, non si può forse dividere la loro natura in tre parti e riguardarle come tre divinità?

No, ciò non è possibile. Tutte e tre le Persone divine, benché distinte fra di loro, vale a dire non confuse l’ima con l’altra, ma aventi ciascuna una personalità ben determinata, hanno tutte e tre una stessa indivisibile essenza e natura, cioè un’essenza e natura che non si può dividere in parte, perché semplicissima, cioè non composta di parti. Perciò essendo noi ammaestrati dalla fede che vi sono tre Persone divine, cioè tre soggetti, a cui questa essenza e natura appartiene come propria, ne viene di conseguenza, che essa è tutta nel Padre, tutta nel Figlio, tutta nello Spirito Santo. E quindi il Padre è vero Dio, il Figliuolo è vero Dio, cioè lo stesso Dio che il Padre, lo Spirito Santo è vero Dio e precisamente lo stesso Dio che il Padre ed il Figliuolo, ragione per cui la essenza e natura divina non si può dividere, né le tre Persone divine possono formare tre divinità. Se vuoi farti una qualche idea di ciò guarda il sole. Da esso viene la luce e il calore. E sebbene il sole, la luce e il calore siano tre cose distinte, tuttavia non formano che una cosa sola.

— Dunque le tre Persone divine sono tutte e tre uguali nelle loro perfezioni?

Certissimamente: hanno la stessa sapienza, la stessa bontà, vivono con la stessa vita, conoscono con l’istesso intelletto, vogliono con la stessa volontà, operano con la stessa onnipotenza, e non vi ha in nessuna di esse il menomo grado di superiorità od inferiorità alle altre. E la ragione di ciò è sempre la stessa, che cioè hanno la medesima natura e sostanza divina, e benché tre Persone distinte non sono che un solo Dio.

— Mi sembra però un assurdo questo mistero della Santissima Trinità.

Se parli così è segno che hai capito ancor poco di quanto ti ho detto. L’assurdo implica contraddizione nei termini, come se tu dicessi che un oggetto è nero e bianco ad un tempo. Ma quale contraddizione vi ha nei termini esprimenti il mistero della Santissima Trinità? Se si dicesse che Dio è uno e nel medesimo tempo è tre divinità, allora sì, in ciò vi sarebbe l’assurdo. L’uno non è tre, come tre non è uno. Ma è così che si dice? No affatto. Si dice che vi è una sola essenza e natura divina e che vi sono tre Persone aventi la stessa essenza e natura: così che l’uno si riferisce alla natura, il tre alle Persone, e natura e persona non sono due concetti identici. Certo è misterioso che la natura divina sia una sola e senza dividersi o moltiplicarsi si trovi tutta in tre Persone. Ma appunto perché la mente umana non vede nulla di questo mistero non è autorizzata a gridare all’assurdo. Del resto si sarebbe per dire che il Signore ha disseminato in tutta quanta la creazione le vestigia di questo mistero. « Gli angeli, dice il Monsabrè, il tempo, lo spazio, l’universo, i corpi, il movimento, i regni della natura, gli astri, la vita, la nostra carne, la nostra anima, le nostre operazioni intellettuali, le nostre famiglie ne portano l’impronta ». Difatti il mondo angelico ha tre gerarchie, ed ogni gerarchia ha tre cori; il tempo si compone di oggi, ieri e domani, di presente, passato e futuro; lo spazio ha tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità; la materia ha tre stati, solido, liquido e gazoso; il mondo terrestre ha tre regni, minerale, vegetale, animale; l’uomo possiede tre vite, la vegetativa, la sensitiva, la razionale; nell’anima sono tre facoltà, la memoria, l’intelligenza e la volontà; la famiglia si compie in tre persone, padre, madre e figlio ecc ».

— Queste cose sono bellissime e adombrano assai bene il gran mistero della Trinità.