LO SCUDO DELLA FEDE (63)

LO SCUDO DELLA FEDE (63)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]S

CAPITOLO XV.

IL PROTESTASTlSMO È FALSO PERCHÉ NON HA TRADIZIONE

Il Protestantismo è una religione falsa perché ha disconosciute e rigettate molte delle istituzioni che Gesù Cristo stabilì e volle che si conservassero poi sempre nella Chiesa. Tuttavia per darsi un po’ di colore e per ingannare più sicuramente, i Protestanti fingono di avere un gran rispetto alla parola di Dio, la lodano, l’esaltano, la magnificano, gridano sempre: parola di Dio, parola di Dio! Volesse il cielo che lo dicessero con sincerità, perché sarebbe almeno un poco di bene in mezzo al tanto lor male! Il vero è però che quel rispetto non è altro che apparente, poiché della parola di Dio ne hanno fatto e ne fanno con le loro interpretazioni un tale strazio che mette orrore. Alla parola di Dio fanno esprimere le più assurde contradizioni, le più empie bestemmie; la parola di Dio mutilata nella Bibbia la gettano a tutti i popoli anche selvaggi, anche gentili, sul pretesto di far conoscere la verità; e quelli ne adoprano poi le carte che la contengono a tutti gli usi anche più schifosi. Questo è quello che hanno ottenuto più frequentemente con le loro bibliche società. Ma il torto più grande che fanno alla parola di Dio, è con l’asconderne una gran parte ai fedeli. Come! 1 Protestanti ascondono la parola di Dio? Ci avevano detto tutto il contrario, che erano i Cattolici che la nascondevano, e adesso voi ci dite che sono invece i Protestanti? Eppure è proprio così. I Protestanti fanno come certi debitori falliti, che si fingono creditori, per non essere obbligati a pagare quello che debbono. Eccovi il come. Avete da sapere che la parola di Dio noi l’abbiamo per bocca dei Santi Apostoli e degli Evangelisti, i quali ce l’hanno tramandata, avendola essi avuta dalla bocca stessa di Gesù, od avendola ricevuta da quelli che avevano udito Lui; e siccome tanto gli Apostoli che gli Evangelisti erano assistiti specialmente dallo Spirito Santo per non errare, conforme alla promessa fatta loro da Gesù, così ebbero grazia di trasmetterla pura ed intatta senza mescolanza di errore. In due maniere però ce la tramandarono. Una col mettere per iscritto una parte delle cose intese da Gesù, e così è che noi abbiamo i Libri del nuovo Testamento, e perciò giustamente diciamo che quei libri contengono la Divina parola e noi portiamo ad essi una infinita riverenza. L’altra maniera con cui ci tramandarono questa divina parola, si è la predicazione che essi fecero di viva voce. Imperocché, com’erano assistiti dallo Spirito Santo quando scrivevano, così erano assistiti dal medesimo Spirito quando predicavano la S. Fede e fondavano le Chiese. Ed in questo secondo modo principalmente ci fecero conoscere la parola di Gesù, perché questo è stato il modo primamente inteso e voluto da Gesù, il quale mandò suoi Apostoli ad insegnare di viva voce la sua Fede e piantarla, prima che nei libri, nei cuori degli uomini. La parola di Dio insegnata così di viva voce fu accolta dai popoli, dai sacri pastori che gli Apostoli preponevano alle Chiese da loro fondate, e custodita con ogni diligenza nelle abitudini della S. Chiesa, negli scritti dei Padri, nei decreti dei Concili, nelle orazioni pubbliche, e fu tramandata infino a noi, ed è quella parola di Dio che noi chiamiamo tradizione, perché ci fu tradita ossia consegnata dai nostri maggiori nella Fede. Che però questa tradizione sia necessaria alla S. Chiesa Cattolica è a\ indubitabile, per l’autorità della stessa S. Scrittura. Non è la S. Scrittura che ne dice con S. Paolo: Pertanto, o fratelli, guardate le tradizioni che avete ricevute sia per discorso, sia per lettera? (2 Tess. II, 144) Sulle quali parole scrive S. Girolamo che dunque è manifesto che gli Apostoli non insegnarono ogni cosa per iscritto, ma molte ancora senza scritto. Non è S. Giovanni che afferma che: Avendo molte cose da scrivervi, noi volli fare per carta ed inchiostro (2 Joan.III, 12), sebbene di viva voce e così lasciarne la tradizione? Non è S. Paolo che dice al suo Timoteo: Tu hai la forma delle parole sane che hai udite da me, conservane il deposito buono? (1 Tim. I, 14) e più sotto: Le cose che hai udite da me, per molti testimoni, raccomandale ad uomini fedeli che saranno idonei ad ammaestrarne anche gli altri (ibid.) ? Puossi dir nulla di più chiaro per autenticar le tradizioni? Eccone tutto il processo. L’Apostolo parla, i testimoni ne autenticano le parole, S. Timoteo le commette ad altri e questi ad altri via via con una specie di fidecommesso sacrosanto e così la Tradizione si mantiene in tutta la Chiesa. Non è tutto ciò semplice e chiaro? Inoltre se nella tradizione non si contenesse la vera parola di Dio, bisognerebbe condannare come senza fede quasi tutte le Chiese più antiche, anche quelle fondate dai Santi Apostoli; imperocché tutte furono edificate dalla parola annunziata di viva voce e non iscritta, mentre certe parti del nuovo Testamento non furono scritte che sessanta anni dopo la morte di Gesù, e tutte non furono raccolte insieme e fatte comuni alla Chiesa se non dopo oltre quattrocento anni. Se dunque non vogliamo dire che molte Chiese piene di fervore, le quali avevano già trasmesse al cielo delle belle legioni di Martiri, non avessero avuto la Fede, perché non avevano la parola scritta, ma solo quella che si contiene nella tradizione; bisogna dire che anche questa sia viva e vera parola di Dio. – Finalmente volete più? Che la tradizione contenga la vera parola di Dio, noi l’abbiamo per testimonianza degli stessi Protestanti, i quali contradicendo a sé medesimi, come è proprio di tutti gli eretici, mentre si ostinano da una parte a negarla, dall’altra la ricevono. Essi mettono tutto il fondamento della loro fede nelle S. Scritture, ed affermano che quella sola è la parola vera di Dio. Ebbene, bisognerà adunque che sappiano con gran sicurezza quali siano i libri che compongono la vera Santa Scrittura, che siano certi che non sono stati guastati, poiché essendo stati composti in tempi tanto lontani da noi e confusi in mezzo a tanti altri libri, che pure si spacciano per S. Scrittura, se non si accerti quali siano i veritieri, i Protestanti mancheranno di quelle Scritture sopra cui si fondano interamente. Ora come si assicurano essi di tutto ciò? Unicamente col ricorrere alla tradizione che si conserva nella Chiesa Cattolica. Epperò se vogliono avere il tesoro delle Scritture debbono anche ammettere là verità della Tradizione. Qui dunque dove fa loro comodo l’ammettono, e poi perché ammettendola universalmente si troverebbero confusi e convinti di errore in tante loro pretensioni, allora la rigettano. Operano cioè del tutto a capriccio, mentre non si regolano con la norma della verità, ma con quello che torna meglio ai loro preconcetti disegni. –  Intanto però rinunziando come fanno a tante belle tradizioni che ci rivelano la verità anzi non rinunziandovi solo, ma condannandole, ci vengono a togliere gran parte della divina parola. Tutto quello cioè che non fu scritto nei Vangeli, ma che pure gli Apostoli tramandarono come udito di viva voce da Gesù Cristo: tutto quello che Dio inspirò a loro che c’insegnassero, e che essi misero subito in atto nel fondare la Chiesa, e nell’ammaestrare i Vescovi ed i Sacerdoti che costituivano dappertutto a reggere la greggia dei semplici fedeli, tutto ciò ce lo rapiscono, e così privano il popolo Cristiano di molte verità sublimi, di molte pratiche necessarie; in una parola ci tolgono gran parte della divina parola, mentre sempre gridano parola di Dio, parola di Dio. Non sono dunque essi che hanno tutta la parola di Dio, perché ne trascurano sì gran parte, e però non sono essi che costituiscono la vera Chiesa di Gesù Cristo, la quale se ha un rispetto infinito per quella parte della divina parola che si contiene nei libri Santi, non ha minor riverenza per quella che confidata di viva voce dai Santi Apostoli alle Chiese da loro fondate, vien custodita nel vivo insegnamento dei Sacri Pastori, cui Dio ha posti a reggere la sua Chiesa. Di qua avete da trarre un’altra conseguenza molto importante, ed è la risposta che dovete dare a certi maestri d’iniquità, quando vi fanno delle domande insidiose intorno ad alcuni punti della dottrina cattolica. Dove sta scritto, vi chiedono, nel S. Vangelo che si debba per esempio digiunare? dove sta scritto che dobbiamo sentire la S. Messa? dove sta scritto che andiamo in Chiesa, che riceviamo i Sacramenti, che ci esercitiamo in tante opere di pietà? E voi dovete rispondere: che tutto ciò sta scritto abbastanza chiaro nel nuovo Testamento per chi ha occhi da leggerlo; ma dove anche non fosse scritto non importerebbe nulla, perché è parola di Dio consegnata dai SS. Apostoli alla Chiesa, e dalla Chiesa insegnata a noi. E la parola di Dio che ci viene per questa via è tanto infallibile quanto è infallibile quella che è registrata nel nuovo Testamento. Epperò se è sacrilego chi rifiuta o disprezza le S. Scritture, è parimente sacrilego chi rifiuta o disprezza la Tradizione. Ma dicono i Protestanti che la S. Scrittura condanna le Tradizioni. E voi rispondete loro che mentono per la gola. Tutto all’opposto le S. Scritture le raccomandano e le inculcano grandemente. S. Paolo vuole che si custodiscano diligentemente le tradizioni e che niuno ammetta altra dottrina fuori di quella che egli ha insegnato di viva voce, e che certi insegnamenti non li vuol dare per iscritto, ma solo con la parola viva. Che se una volta Gesù Cristo riprese i Farisei, perché trasgredivano la legge per osservare le loro tradizioni (Matt. XV, 3 e segg.): Gesù non parlava né punto né poco delle tradizioni Apostoliche, di cui stiamo ora trattando; parlava di certe consuetudini introdotte dal popolo superstiziosamente, contro l’autorità divina. Oh bella perché si riprende un abuso introdotto dal popolo, si dovranno abolire tutte le leggi che sono state fatte pel popolo? Gesù Cristo vieta certe usanze dei Giudei, per osservare le quali essi violavano la legge divina: dunque conchiudono i dottori Protestanti, dunque non si hanno più ad accettare gl’insegnamenti santissimi degli Apostoli che sono adatto conformi ai precetti divini? Ma non è questo un discorso da pazzi? Eppure è così. Noi non riconosciamo per tradizione Apostolica, se non quelle tradizioni che sono provate tali con tutto rigore dai Padri, dai Dottori e dai monumenti di S. Chiesa. Noi non le accettiamo dal popolo ma bensì dai sacri Pastori. Noi non le accettiamo dove esse siano in opposizione alla parola divina che sta registrata nelle Sante Scritture, perché la parola divina non può esser contraria alla divina parola. Noi finalmente, non le ammettiamo se non sull’autorità della S. Chiesa che non può fallire intorno al deposito della verità che ha ricevuto da Gesù Cristo. E perciò riescono autenticate anche dalla divina Scrittura che ci obbliga a sottoporci alla Chiesa in tutte le nostre dubbietà. Lo schermirsi adunque dal ricevere la tradizione divina sul pretesto che Gesù Cristo ha vietato certe costumanze ed usi del popolo Giudaico male introdotti e peggio mantenuti, è un ignorare quel che sia la Tradizione, è un fraintendere quel che ha detto Gesù, è un cercar pretesti per ricoprire la propria disobbedienza e ribellione. Resti dunque, che i Protestanti non avendo la Tradizione, non hanno tutta la parola divina, e non avendo tutta la parola divina né sono, né possono essere la vera Chiesa di Gesù Cristo.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (17): Il Sacro Cuore di GESÙ e l’operaio

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ – S. E. I. Torino, 1920]

DISCORSO XVII

Il Sacro Cuore di Gesù e l’operaio.

“Voi altri preti, siete i nostri capitali nemici. Lo abbiamo ormai conosciuto: è con voi soli, che dovremo fra non molto disputarci il terreno. Ma intanto, voi che combattete con tanta asprezza le nostre idee, è egli vero, che nelle vostre abbiate trovato e teniate in pronto il rimedio ai mali dell’ora presente? Se l’avete trovato e lo tenete pronto, perché non lo applicate tosto? Perché non ponete fine a questa disuguaglianza immensa, che regna nel mondo? E non vedete? Da una parte dei nobili, dei padroni, dei capitalisti, dei ricchi sfondati che vengono meno di noia nella sazievole abbondanza di tutte le cose. Essi palazzi, ville, campagne, denari; essi ogni giorno banchettare allegramente coi loro amici ad una mensa imbandita dei cibi e dei vini più squisiti; essi vestire sfarzosamente e passeggiare, anzi adagiati mollemente nei più superbi cocchi farsi condurre in giro, quasi in trionfo, per le vie delle nostre città. E dall’altra parte il misero popolo, i proletari, poveri operai, poveri contadini, poveri manovali, che sono costretti a guadagnare a sé ed alla famiglia un tozzo di pane nelle dure fatiche e versando continui sudori; e che talvolta, peggio ancora, cacciati dal lavoro e divenuti inabili al medesimo sono obbligati, vincendo la vergogna ingenerata dall’umana dignità a stendere la mano al passeggero per chiedergli la elemosina. Or bene! Che cosa fate voi, o preti, per far scomparire questa enorme disuguaglianza? Che cosa fate contro il ricco capitalista a vantaggio del povero proletario? Che cosa fate? Accarezzate il ricco, perché vi giova e mandate in pace il povero, perché non vi dà nulla. Ecco quello che fate! E vi vantate poi d’avere nelle vostre idee il rimedio di tutti i mali ? » – Miei cari! Questo, voi lo avete già compreso, è il linguaggio del Socialismo, che attizzando nel povero popolo l’odio contro dei padroni e dei ricchi pretenderebbe senz’altro con la trasformazione della proprietà personale in collettiva, e con l’uguale distribuzione degli utili e degli agi tra gli uomini, mutare le sorti del mondo. Ma questo linguaggio lanciato contro i Preti e che ho lealmente riferito in tutta la sua crudezza, non è i Preti propriamente che vada a ferire: giacché se i Preti, come Preti hanno idee, queste non sono loro, ma di Gesù Cristo e del suo Vangelo, di cui sono i rappresentanti ed i predicatori su questa terra. Io dico i Preti, come Preti; perché anche i Preti come individui privati possono avere delle idee contrarie a Gesù Cristo ed al Vangelo, e persino idee socialistiche; ma i Preti come Preti no, perché i Preti sono ministri di Gesù Cristo, di quel Gesù Cristo, che è Dio e mai non muta le sue idee. E dunque contro di Gesù Cristo, che si dice: “Che ha fatto Egli per far scomparire le disuguaglianze sociali? Che ha fatto Egli a prò dei poveri proletari, a vantaggio del misero popolo?” – Che ha fatto? Si getti lo sguardo sopra il suo Cuore Sacratissimo. Quelle fiamme così ardenti, che lo circondano e ne erompono fuori, sono il simbolo de’ suoi particolari amori. E tra questi amori particolari, primeggia senza dubbio quello che ebbe per gli uomini del popolo, per gli operai e per i poveri. E per virtù di questo amore, con l’esempio e con la dottrina fece quanto conveniva per nobilitare l’operaio e il povero, per renderli contenti nel loro stato, per far scomparire la distanza che passa fra essi ed i ricchi. Ed ecco l’argomento che prenderemo a svolgere oggi e domani, cominciando in questo discorso a parlare peculiarmente della prova d’amore, che Gesù Cristo ha dato all’operaio.

I . — Prima di vedere quali fiamme di carità il Cuore Sacratissimo di Gesù abbia avuto in sé per gli uomini del popolo, e che cosa abbia fatto per far scomparire nel modo convenevole le disuguaglianze sociali, è necessario premettere due cose. Ed anzitutto è da osservare, che il lavoro, che la maggior parte degli uomini riguarda come gravosissimo peso, da cui vorrebbero essere liberati, è una legge che ha il suo principio da Dio medesimo, e che cominciò ad avere forza fin dal primo esistere dell’uomo. Perciocché Dio stesso, dalla Chiesa chiamato ne’ suoi inni: Patrator orbis, fabricator mundi, fattore e fabbricatore del mondo, allorquando si accinse a crearlo prese appunto a lavorare. Non già che la creazione del mondo abbia costato a Dio alcuna fatica, no: Egli disse un semplice fiat, e tutte le cose, l’una dopo l’altra, con l’ordine da Lui voluto, furono fatte. Ma il fiat che egli pronunziò fu propriamente il lavoro della pura intelligenza, che Egli è; e perché l’uomo avesse poi sempre dinnanzi a sé l’esempio divino del lavoro e persino la regola del tempo, che nel lavoro doveva impiegare, potendo con un fiat solo creare subito tutte le cose, che esistono, volle invece pronunciarlo ripetutamente per sei epoche distinte, dalla Sacra Scrittura chiamate giorni. Per tal guisa, avendo Iddio posta la base della legge del lavoro, la mise subito in vigore, appena ebbe creato l’uomo, ponendolo nel paradiso terrestre, ut operaretur, (Gen. II, 15) affinché lavorasse. Perciocché quantunque tutte le cose create da Dio fossero « molto buone, » tuttavia egli le aveva create in modo da lasciare in esse vasto campo all’operosità dell’uomo. Tutto il creato racchiudeva in sé delle forze, delle potenze, delle ricchezze immense e latenti, di cui toccava all’uomo, fatto sovrano della terra, impadronirsi e cavarne fuori delle opere che fossero financo nipoti con quelle di Dio. E cioè, toccava all’uomo valersi del legno delle piante, dei metalli della terra, dei marmi delle montagne, della pelle degli animali, della lana delle pecore, delle piume degli uccelli, dei colori dei minerali, delle sostanze dei vegetali, della luce dei gas, delle forze elettriche, di quelle magnetiche, di tutto ciò insomma che era in potenza, per formare le case, i mobili, gli abiti, gli ornamenti, i quadri, le statue, le macchine, la luce, il movimento e quante altre cose col suo genio avrebbe potuto inventare e compiere colle sue mani. Senza dubbio nello stato di grazia, il lavoro non tornava all’uomo di fatica. Era il lavoro di un uomo ricco e felice, che per gusto, e direi per passatempo, compone e adorna le aiuole del suo giardino, oppure si compiace di costruire un artificioso meccanismo, o si diletta di ritrarre sulla tela i più bei paesaggi. Ma tuttavia il lavoro era una legge, a cui l’uomo nella sua natura doveva sottostare; ed è perciò appunto, che in generale, non nutriamo pel lavoro una ripugnanza insuperabile come pel dolore e per la morte, ma anzi lo amiamo e persino quando ci impone dei veri sacrifici. Ma questa legge di natura, che sebbene legge non imponeva tuttavia che un lavoro dolce e piacevole, divenne poi una dura necessità dopo il peccato. Poiché allora il Signore, giustamente adirato, dopo di aver maledetto il serpente, dopo aver inflitta ad Eva massimamente la pena del dolore, voltosi all’uomo, inflisse a lui in particolare la gravezza del lavoro: « Maledetta la terra per quello che tu hai fatto, disse: tu, o uomo, la lavorerai con grandi fatiche, ed essa non ti produrrà che triboli e spino, e tu non ti ciberai, che di un pane guadagnato col sudor della fronte. » (Gen. III , 17-19) Ecco la causa del lavoro duro e penoso qual è presentemente, il peccato. Ma, notiamolo almeno di passaggio, anche in questo lavoro, che è un castigo della divina giustizia, ecco risplendere la divina bontà. Perciocché questa terra che abbandonata a se stessa non produce davvero che triboli e spine, come diventa bella, come si fa fiorita e frugifera quando dall’uomo è coltivata. E lavorando seriamente in qualsiasi genere di lavoro, mentre l’uomo si procaccia il necessario sostentamento, come giova altresì al suo spirito e al cuore! Il Savio ha detto che l’oziosità è maestra di molta malizia: ma per converso il lavoro aiuta efficacemente ad essere virtuosi. Sì, l’onestà e la castità sono ordinariamente la grandezza degli uomini e dei popoli laboriosi. Così pertanto Iddio condannandoci al lavoro, ci ha dato in esso non solo un mezzo di espiazione, ma altresì un mezzo di santificazione. Ma, tornando al nostro proposito, se il lavoro è una legge ed una pena giustamente meritata, tutti dobbiamo sottostarvi, ed il volerne andare esenti sarebbe lo stesso che un volersi ribellare a Dio. Ma qui intendiamo bene la cosa. Lavorare non vuol dire soltanto battere il ferro e rompere le zolle; se vi ha il lavoro che affatica e logora il corpo, non manca quello che affatica e logora la mente. È lavoro pertanto quello dell’operaio, che nell’officina esercita il suo mestiere, lavoro quello del contadino, che innaffia la terra de’ suoi sudori, lavoro è quello dell’artista, che trae fuori dal marmo o getta sulla tela le produzioni della mente; ma è lavoro altresì quello dello scienziato, che ricerca con sempre maggior profondità le utili cognizioni, quello del letterato, che scrive libri per erudire le menti e render buoni i cuori, quello dei capi della città e delle nazioni, che amministrano con intelligenza ed onestà le cose pubbliche, e vigilano con saviezza all’ordine ed al bene dei cittadini, quello del soldato, che serve la patria, quello del sacerdote, che intende alla santificazione delle anime, quello dell’avvocato, del medico, dell’ingegnere, del maestro e simili, perché ciascuno di questi lavori entra nella serie di quelli, che Dio volle comprendere nella gran legge del lavoro. Epperò si ingannano certamente l’operaio e il contadino, quando si credono di essere essi soli a lavorare, e molte volte s’ingannano altresì nel credere che il loro lavoro, più faticoso pel corpo sia il più grave di tutti. Riconosciuta questa legge e necessità del lavoro bisogna riconoscere altresì la necessità delle differenti condizioni sociali. Ed in vero, poiché Iddio secondo i disegni della sua sapienza infinita crea gli uomini con una grande varietà di forze fisiche e intellettuali, con sanità e robustezza diverse, con diverso ingegno e diversa solerzia, perciò solo nasce inevitabilmente e di necessità la differenza delle condizioni sociali. « E ciò torna a vantaggio sì degli individui, che di tutta la società; perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi, e l’impulso principale, che muove gli uomini ad esercitare tali uffici, è la disparità della condizione. » (V. Enc. Rerum novarum SS. Leonis XIII). Supponete, per un istante, che tutti gli uomini avessero la stessa forza, lo stesso ingegno, la stessa solerzia, che sarebbe delle scienze, delle arti? dei mestieri? Gli uomini cesserebbero perciò avere dei bisogni e delle inclinazioni, alla cui completa soddisfazione è necessario il reciproco soccorso. Ma allora, dotati utti in ugual misura degli stessi beni e fisici e intellettuali, e per conseguenza eziandio dei beni materiali, chi vorrebbe ancora fare altrui gli abiti, fabbricare altrui le case, seminare e lavorare altrui i campi, impastare e cuocere altrui il pane? Nella varietà adunque delle forze, che Iddio ha distribuito e va distribuendo agli uomini, creandoli, rifulge mirabilmente la sua sapienza; e posta questa varietà bisogna ammettere altresì necessariamente le disuguaglianze sociali. Il Socialismo non ostante la varietà delle forze e fìsiche e intellettuali degli individui « vorrebbe tentare di far sparire dal mondo quelle disparità. Ma com’è ciò possibile? Si abolisca pure la proprietà, e di tutti i patrimoni particolari si formi un patrimonio comune da amministrarsi per mano del Municipio o dello Stato; » (V. Id.) la distribuzione degli utili e degli agi verrà fatta ugualmente? Ma allora dovrà essere ugualmente retribuito chi lavora più e chi lavora meno, chi lavora male e chi lavora bene, chi lavora in un’arte manuale e chi si applica al lavoro del pensiero? Chi fra gli uomini si adatterebbe a questa uguaglianza? « perciocché lo stesso operaio che si vorrebbe migliorare, non sarebbe perciò ridotto all’infelice condizione di aver perduto il diritto e la speranza di migliorarsi davvero? poi non ne nascerebbero al primo istante delle recriminazioni, delle discordie, degli asti? E tolto per tal guisa all’ingegno e all’industria individuale ogni stimolo, non inaridirebbero le fonti stesse della ricchezza. (V. Id.) » Che se la distribuzione degli utili e degli agi sarà fatta secondo il merito del lavoro, allora saranno perciò create di bel nuovo le disuguaglianze sociali, che si faranno in breve sempre maggiori, quanto maggiore sarà l’ingegno, l’attività e l’economia degli uomini, ed eccoci perciò di bel nuovo da capo con dei ricchi e dei poveri, dei capitalisti e dei proletari, dei padroni e degli operai, degli uomini elevati e del basso popolo. Si travagli pur dunque il Socialismo nella sua impresa, ne venga ben anche a capo; oltreché avrà consumate le più gravi ingiustizie manomettendo i diritti dei legittimi proprietari, alterando le competenze e gli uffici dello Stato, e scompigliando tutto l’ordine sociale, potrà riuscire a questo di invertire le parti, di fare padroni gli operai, capitalisti i proletari, ricchi i poveri, e poveri i ricchi, proletari i capitalisti, operai i padroni, ma questa sarà una sostituzione di persone e non già di principii. Non sono adunque i sistemi escogitati dalla mente umana quelli, che valgono a far camminare dirittamente il mondo, In tutto e per tutto a stabilire e far regnare l’ordine, l’armonia, la pace e la prosperità non vi ha che la parola di Dio, la dottrina del Vangelo, quella dottrina, che anche qui illumina di vera luce le menti, fa schivare le fallaci e sovversive teorie, fa accettare come un  fatto necessario la diversità delle classi e delle condizioni; quella dottrina, che a sciogliere i molteplici problemi sociali mette innanzi le regole di quella carità sovrumana, che Gesù Cristo ha dichiarato essere la nota caratteristica de’ suoi seguaci, e che sola è destinata a dare alla società un avvenire di pace, di prosperità e di fortuna.

II. — Riconosciuta la necessità del lavoro e delle disuguaglianze sociali, vediamo ora che cosa abbia fatto Gesù Cristo in pro dell’operaio, sia per animarlo al lavoro e renderglielo leggiero, sia per sollevare la sua misera condizione. Gesù Cristo anzi tutto ha dato all’operaio la proprietà del suo lavoro. Oggi un operaio, un servo, un contadino si presenta ad un padrone e gli dice: — Signore, io ho due braccia robuste; son capace di lavorare, perché ho appresa discretamente la mia arte, il mio mestiere; mi vuole al lavoro presso di lei? — Il padrone risponde: — Sì, vi prendo volentieri, perché capitate proprio in un punto che ho bisogno di operai. — E quale sarà la mia paga? soggiunge tosto l’operaio. — Venite, al lavoro: vi proverò, e quando avrò visto quel che siete capace di fare, ve lo dirò. — L’operaio fa la sua prova, terminata la quale, il padrone lo chiama e gli dice: — Operaio, ho visto quel che siete capace di fare, ho visto come lavorate. Ecco, per vostra mercede vi darei tanto. Vi piace? — Dite, o miei cari, l’operaio è libero di rispondere di sì o di no? Senza dubbio. E se risponde di no, perché non gli sembra equa la retribuzione offertagli dal padrone, egli liberamene se ne va in cerca di un altro padrone, che gli paia essere più generoso e convenirgli di più. Se risponde di sì, rimane al servizio di questo padrone, che ha trovato; darà ad esso il suo lavoro, ed il padrone darà a lui in ricambio la mercede pattuita. Cosa naturale, direte voi. Cosa naturale adesso, un tempo, prima che venisse Gesù Cristo sulla terra, benché così Dio avesse ordinato di fare nella sua legge, così tuttavia generalmente non era. Udite. Un giorno sotto al bel cielo di Napoli, alle radici del Vesuvio, si radunavano da duecento a trecento uomini. La miseria di tutta la loro persona diceva abbastanza chiaro, che erano schiavi. Se ne stavano tutti con le braccia conserte, con la testa china e muti, aspettando che un di loro sorgesse a parlare. E sorse. Salito egli sopra di un’altura, in vista di tutti, così prese a dire : « Miei cari compagni di sventura, e fino a quando porteremo noi le catene ai polsi? fino a quando non penseremo a spezzarle ed a metterci in libertà? È tempo, è tempo ornai che lo facciamo. Ed anzi tutto contiamoci. Noi siamo il numero, perché di gente come noi i nostri padroni ne hanno tanta, che la gettano eziandio nelle peschiere ad ingrassare le murene, di cui imbandiscono le loro mense. Ed i nostri padroni non sono altro che un pugno di patrizi, che ancora sopravvivono, perché sino ad ora a noi non è bastato l’animo di metter loro il ginocchio sullo stomaco e schiacciarli. Né siamo solamente il numero, ma siamo ancora l’ingegno e la forza; perché se i nostri padroni ed i figli loro sanno qualche cosa l’hanno appreso da noi: dà noi hanno appreso quelle lettere, quella filosofia, quell’eloquenza, di cui fanno sì boriosa pompa nel foro. E siamo noi che coltiviamo loro le terre, siamo noi, che loro fabbrichiamo i palazzi, noi, che facciamo la guardia alle loro case, noi che li portiamo sulle nostre spalle, noi insomma, che li serviamo vilmente in tutti i loro più stupidi capricci. Ma più che il numero, l’ingegno e la forza, noi siamo il diritto. Perciocché, che cosa è, che ha fatto sì, che essi siano i nostri padroni e noi siamo i loro schiavi? La guerra? Ebbene facciamo la guerra anche noi, e la guerra, ne son certo, deciderà adesso, che noi siamo i loro padroni ed essi siano i nostri schiavi. » Ciò detto, Spartaco distese una mano verso il cielo come per dire che gli dèi sarebbero stati propizi alla loro impresa. E quei duecento o trecento schiavi compresero, che avevano un capo. Di lì a pochi giorni essi eran più di quarantamila; e se il senato romano, accortosi ancora abbastanza a tempo del pericolo che correva la romana repubblica, non avesse spedito contro di essi Pompeo, Roma forse, come ai tempi di Annibale, sarebbe stata in procinto di far vedere da lungi le sue rovine fumanti. Ma perché, o miei cari, il grido di Spartaco : affranchiamoci? La cosa è facile a comprendersi. La libertà è cosa troppo cara all’uomo e troppo degna di lui. Ma ciò, a cui non tutti rifletteranno, si è, che il grido di Spartaco non era cagionato soltanto dal desiderio della libertà, ma eziandio da quello della ricchezza. Perché la schiavitù era la condizione pressoché generale del proletario, e la povertà era la condizione inevitabile dello schiavo, e tanto, che non solo era privo di ogni proprietà sulle ricchezze, ma privo eziandio della proprietà del suo lavoro. Il ricco diceva al povero: « Io sono ricco: ho denari in quantità, ho fondi sterminati. E perché sono ricco ed ho denari, voglio avere palagi, che mi prestino tutte le comodità e le agiatezze della vita. Perché ho fondi voglio che mi siano coltivati per modo, che mi fruttino il più abbondantemente, che sia possibile. Ma io non voglio lavorare, perché non voglio stancarmi. Tu sei povero e sei mio, perché ti ho comperato: mio in tutta la estensione e capacità del tuo essere: mio nelle tue braccia, mio nel tuo ingegno, mio nella tua abilità. Va dunque e lavora per me. Per me bagna de’ tuoi sudori la terra, e falla fruttificare. Per me costruisci i più superbi palagi. Va e fa tutto questo. Anzi vieni, portami sul tuo dosso, fa la guardia alla mia casa, solleva le cortine al mio passaggio, servimi come mi piace; ed io, finché mi piacerà, avrò cura che tu non abbia a morire di fame. » Queste parole, espresse più ancora col fatto, che con le labbra, dicono con tutta verità le cose come allora passavano. Il proletario, povero e schiavo, era riguardato come un animale domestico, che guarda la casa, e che lavora i campi, ed al quale due o tre volte al giorno si getta il pasto, perché non perisca di fame. Ora, chi ha spezzato questo infame diritto, secondo il quale si governava la società di un tempo? Chi ha rotte le catene del servo, dell’operaio, del contadino, e, affrancandolo, nella sua povertà gli ha dato tuttavia una proprietà, la proprietà del lavoro? Chi? Gesù Cristo, nessun altro che Gesù Cristo col suo Vangelo. Voi mi dispenserete certamente dall’addurvene le prove particolari, perché dovrei recarvi delle pagine intere; ma voi conoscete abbastanza, che il Vangelo, sgorgato dalla fonte del Cuore sacratissimo di Gesù, da capo a fondo, sia nei fatti, sia nelle parabole, sia negli insegnamenti è tutto nell’inculcare lo spirito di fraternità, di eguaglianza, di carità, di giustizia, di larghezza, da parte dei grandi verso i piccoli, dei ricchi verso i poveri, dei padroni verso dei servitori e degli operai, è tutto insomma nel dire ciò, che sembra aver compendiato in una frase semplice, ma ad un tempo grande e scultoria: Dignus est operarius mercede sua; (Luc., V, 7) all’operaio è dovuta la sua mercede. Frase così espressiva e così forte, che gli apostoli non dubitarono punto, nel ripeterla, di trarne la conseguenza, che il defraudare la mercede all’operaio, sia direttamente con la violenza, sia indirettamente con le frodi e con le usure, è colpa sì enorme che grida vendetta al cospetto di Dio. « Ecco, dice S. Giacomo, (V, 4) la mercede degli operai, che fu defraudata da voi, grida, e questo grido ha ferito le orecchie del Signore degli eserciti. » Egli è vero pur troppo, che anche oggidì vi hanno tra gli stessi popoli cristiani dei padroni, che pieni di cupidigia, pur caricando di pesante lavoro il povero operaio, gli negano la dovuta mercede, o con ingorda e crudele speculazione gliene vanno divorando la più gran parte, facendolo gemere per tal guisa sotto un giogo poco men che servile. Ma la ragione di questa scelleraggine non proviene d’altronde, che dalla dimenticanza, e dallo stesso disprezzo di ciò, che Gesù Cristo ha stabilito in proposito doversi fare. E se pure oggidì vi hanno in grande quantità degli operai veramente schiavi, come prima di Gesù Cristo, essi sono là, dove non è peranco entrato il Vangelo, o per la ostinazione degli uomini non ha potuto impossessarsi dei loro cuori. Che se il Vangelo potesse trionfare da per tutto, e da per tutto gli uomini si conformassero ai suoi santi dettami, egli è certo, che come in ogni altra cosa, così anche in questa il disordine scomparirebbe. Epperò apprendete, o miei cari, quanto sia nera la ingratitudine di certi uomini, che bestemmiando Gesù Cristo e accagionando persino il Cristianesimo dei mali presenti, combattono la sua morale dandosi a credere che le loro idee ed i loro sistemi debbano compiere un’opera più grande della sua! Sappiano i poveri illusi, che è gran ventura anche per essi, che la forza del Vangelo prevalga contro della loro. In quel giorno, in cui si abbassasse la croce in sull’orizzonte come un astro logoro, il proletario sarebbe schiavo di nuovo, e, quel che è più, tra i suoi figli sventurati vi sarebbero essi pure. – Ma al povero operaio la proprietà del lavoro non era ancor basta. Iddio nel creare l’uomo, lo ha fatto grande: perciocché non lo ha creato soltanto come gli altri esseri animati, ma a sua stessa immagine e somiglianza faciamus hominem ad imagineni et similitudinem nostram. (Gen. I, 26) L’uomo pertanto, chiunque egli sia, sente in fondo alla natura la sua grandezza: opperò egli non ha bisogno di pane soltanto, ma di stima e di rispetto. E così è dell’operaio. Ma pure prima che Gesù Cristo venisse al mondo, l’operaio, oltre ad essere schiavo, giaceva ancora per conseguenza della schiavitù nella più grande abbiezione. Gli stessi grandi filosofi lo riguardavano non già come uomo, ma come uno strumento qualsiasi, di cui a piacimento del padrone era lecito disfarsi. E i popoli, che si riputavano i più civili del mondo, dietro gl’insegnamenti di quei maestri, consideravano l’operaio come l’uomo più vile, anzi per poco diverso dal più vile giumento. Di fatti gettato per poche ore della notte a languire, non già a riposare, in umido od oscuro ergastolo, ne veniva tratto fuori al mattino o per essere condotto alla sferza del sole colla palla ai piedi e colle ciglia rase a battere le zolle del campo, o per essere seppellito di nuovo in fondo ad una pistrina a girarvi la mola, o per essere altrimenti rinchiuso ad esercitare gravissime fatiche, e non ricevere che scarso pane ed abbondanti scudisciate. E ciò finché fosse abile al lavoro, poiché in seguito, quando non era piaciuto al padrone di disfarsene prima, veniva miseramente abbandonato a perire di fame. Né crediate che in ciò vi sia esagerazione di sorta. Così pur troppo accade ancora presentemente dove non risplendette ancora la Croce, o presto si spense la sua benefica luce. Bisognava adunque, che l’operaio fosse sollevato dall’abbiezione, in cui giaceva, e che pigliando posto onorato nella società, potesse ancor egli, non meno degli altri uomini, drizzare con santa alterezza la fronte. È ciò, che accade da diciannove secoli, dove è conosciuto e amato Gesù Cristo, dove è apprezzata e fedelmente seguita la sua dottrina; perciocché Gesù Cristo venendo sulla terra col suo Cuore ardente di carità anche per l’operaio ha tolto da lui ogni ombra d’obbrobrio, e lo ha fatto singolarmente grande nella stima degli uomini. E che ha operato Egli a tal fine? Si è fatto operaio Egli stesso. Sì, benché venendo al mondo avesse potuto esimersi dalla legge del lavoro, volle tuttavia sottostarvi e nel modo più umiliante e perfetto. Nacque adunque da una madre povera, obbligata a guadagnare il pane col lavoro, pigliò per suo custode un povero falegname, e in questa famiglia di operai Egli stesso per trent’anni maneggiò la pialla, sudò, stentò, faticò lavorando. O Cuore Santissimo di Gesù! Che amore hai tu nutrito per l’operaio! Come lo hai esaltato. Sì, è vero, nei tre anni della tua vita pubblica, predicando e beneficando non lasciasti di innalzare anche il lavoro dello spirito e del cuore, ma prima e per trent’anni tu hai voluto innalzare il lavoro delle mani! E dopo tale condotta di Gesù Cristo, chi oserà ancora riguardare la condizione dell’operaio come condizione abbietta? Chi anzi non ambirà di stringergli con affetto la mano? E che stringendogliela, non si sentirà fremere in cuore un sentimento di gioia, pensando, che stringe una mano, per quanto incallita, così somigliante a quella di Gesù Cristo? E quale sarà ancora l’operaio, che sentirà fastidio del suo stato, che anzi non ne farà alta stima, e non l’amerà di sincero amore? E che bisogno avrà egli di conseguire altri titoli di nobiltà e di onoratezza per mettersi più vicini ai grandi ed ai ricchi? Ah sia pure, che mercé il nuovo spirito di uguaglianza, che domina nel mondo, egli abbia ottenuto il diritto di dare il suo voto nelle elezioni amministrative e politiche; sia pure che riesca a mandare per suoi rappresentanti ai Consigli ed alle Camere legislative gli stessi suoi compagni di officina; sia pure che abbia le sue Camere di lavoro, dove si fa forte de’ suoi diritti; tutto ciò è meno che nulla in confronto della sola vera grandezza, che gli ha dato Gesù Cristo. Questo Divino Benefattore gli ha tolto di mezzo l’immensa distanza, che lo separava dai grandi e dai ricchi, e col fatto gli h a detto: Tu sei più grande di tutti i grandi e di tutti i ricchi, perché Io, che sono giusto estimatore delle cose, essendo in cielo grande e ricco, ho preferito di farmi qui in terra povero e servo, misero operaio al par di te!

III. — Con tutto ciò, o miei cari, sebbene Gesù Cristo col suo Cuore infiammato di carità per gli uomini del popolo, ne abbia così mirabilmente sollevata la condizione, non bisogna darsi a credere, che Egli lo abbia fatto a scapito della giusta superiorità dei grandi, dei ricchi e dei padroni. Tutt’altro. Egli volle che l’operaio ricevesse la debita mercede del suo lavoro e fosse giustamente stimato, ma volle altresì, che nel posto assegnatogli dalla divina Provvidenza si diportasse in modo del tutto conveniente al suo stato imponendogliene i doveri. E qui, o miei cari, notate ben la diversità che passa tra i predicatori del Vangelo e i predicatori del mondo: questi predicando agli operai, non gli parlano mai d’altro che dei suoi diritti; noi gli parliamo altresì de’ suoi doveri. Io dico adunque che Gesù Cristo ha pur stabilito pel proletario dei doveri. All’opposto dei demagoghi odierni, che nel padrone mostrano all’operaio il suo maggior nemico, Gesù Cristo mostrò in esso l’immagine di Dio; pur troppo non tutti i padroni la fanno risaltare; cheanzi ve ne saranno di quelli che con la loro poco savia condotta la sfigureranno: pur non importa, Gesù Cristo mostra sempre in essi i rappresentanti divini. Epperò mostrando in essi dei divini rappresentanti anzitutto richiede per essi dall’operaio il rispetto, la sudditanza e l’obbedienza. S. Pietro e S. Paolo parlano in suo nome e parlano chiaro. Il primo dice: « Siate soggetti ai padroni, e non solo ai buoni e moderati, ma altresì ai tristi . » (I Petr. II, 18) E il secondo: « Tutte le potestà che esistono sono stabilite da Dio, epperò chi resiste alla potestà, è all’ordine stesso di Dio che resiste. Di necessità pertanto bisogna star soggetti all’autorità, non solo per timore della pena, ma ancora per coscienza. » (Rom. XII, 1-5) Dalle quali parole è al tutto manifesto, che l’operaio deve stimare, riverire, ubbidire ai suoi padroni, ne mai può insorgere contro i medesimi. Che se pure dovrà talora difendere i suoi diritti, e lo potrà legittimamente, non è mai tuttavia agli atti violenti, agli ammutinamenti ch’egli si possa appigliare, ma alle calme e rispettose ragioni. – In secondo luogo Gesù Cristo impone all’operaio il lavoro coscienzioso, vale a dire compiuto con giustizia, in quel tempo e in quel modo che egli è richiesto, e in corrispondenza alla mercede che riceve. Ciò Gesù Cristo fece chiaramente conoscere con la parabola del servo infingardo, che nell’assenza del padrone anzi ché trafficare il talento, che ne aveva ricevuto, lo andò a nascondere sotto terra, e che perciò in seguito fu giustamente punito della sua pigrizia e della sua ingiustizia. L’operaio pertanto che lavora solamente quando lo scorge l’occhio del padrone e poi riceve la mercede, come avesse lavorato sempre; l’operaio che non ha cura della roba del padrone, ma la guasta e la sperde, talora a bella posta per recargli danno e offesa; l’operaio che si appropria la roba del padrone, sotto il pretesto di darsi delle compensazioni per la poca mercede che riceve, benché sia quella pattuita, commette delle vere ingiustizie, dei veri furti, di cui pur rimanendo impunito dagli uomini, assai difficilmente andrà impunito da Dio, anche in questa stessa vita. Ecco adunque come Gesù Cristo, sollevando la condizione dell’operaio, non ha lasciato tuttavia di stabilire esattamente i suoi doveri. E in ciò gli ha resa sempre più manifesta la prova del suo amore per lui. Perciocché, se l’operaio porge benigno ascolto ai dettami di Gesù Cristo, anche nella bassezza di sua condizione si sentirà felice e gusterà delle gioie, che non gustano neppure i re sui loro troni. Sia pure che debba versare molti sudori in gravose fatiche, che sia meschina la sua abitazione, povera e sufficiente appena per sé e per i figli la sua mensa, modestissimo il suo vestito… Sia pure che tal volta gli tocchino dei rimproveri, delle parole umilianti e persino delle oppressioni e delle frodi nella mercede a lui dovuta!… sia pure che gli giungano quei momenti critici … quando viene a mancare il lavoro… quando sopraggiunge una malattia… quando lo assale la miseria… e si vede lì dinnanzi i figlioletti laceri, tremanti per la fame e per il freddo …; momenti terribili, in cui la natura inferma e risentita vorrebbe sospingerlo a metterele mani nei capelli, a digrignare i denti, a levare la voce, ad imprecare, a maledire… Sia pur tutto ciò; ma l’operaio, che ha stampato nel cuor suo la dottrina di Gesù Cristo sa tacere, sa soffrire, sa pregare, sa affidarsi alla divina Provvidenza, sa essere contento del suo stato, anche in mezzo alle sue grandi sofferenze, perché sa che se qui in terra gli tocca di faticare assai, avrà in cielo un eterno riposo; che se magro e inadeguato è il salario che riceve quaggiù, grandissimo sopra ogni dire sarà quello che riceverà lassù: dove sarà saziato di ogni bene; e che poi… anche nel corso di questa vita Iddio, Padre amoroso, non abbandona giammai il giusto, che in Lui confida, né lascia che vadano raminghi e pieni di fame i suoi figli. E non sarà mai, che questo operaio Cristiano si associ a quei miserabili, che stanno impazienti alle vedette per azzannare il patrimonio del padrone e sfruttare come cosa comune il suo campo e la sua vigna; non sarà mai che egli scenda in piazza con la più trista canaglia per avventarsi contro le abitazioni dei ricchi, invaderle e saccheggiarle; non sarà che con la sua mano brandisca un pugnale od apparecchi le bombe per lanciarsi contro dei padroni e dei governanti a toglier loro la vita. L’assassino dei sovrani e dei padroni, l’invasore rapace degli altrui averi, il ribelle alle autorità, il tumultuante, il rivoluzionario, l’incendiario, il nemico dell’ordine e della società si trova in quell’operaio, che insulta la Religione, maledice ai Preti, impreca a Dio, in quel dissennato, che vive non più da uomo, ma da bestia, ignaro o dimentico affatto di Gesù Cristo e della sua dottrina. Operai Cristiani, che mi ascoltate, deh! continuate a stimare e praticare quella Religione, che appalesandovi la vostra grandezza ed insegnandovi i vostri doveri vi dà modo di essere felici nel tempo e nell’eternità. Ma guardatevi bene dal porgere ascolto a quegli sciagurati, i quali col pretesto di voler rialzare la vostra condizione, ve la dipingono a neri colori e mettendovene in cuore il malcontento, cercano di eccitarvi alla rivolta contro dei padroni e dei ricchi. Tutti costoro sono folli utopisti, che anziché fare il vostro bene, fanno la vostra rovina. E se voi darete ascolto a questi sobillatori e traditori, passerete la vostra vita nell’agitazione, la farete passare agitata alle vostre donne ed ai vostri figli, non otterrete mai ciò che valga, secondo voi, a farvi felici, e dopo una sì grama esistenza, priva di ogni consolazione vi resterà poi al termine di essa da aggiustare i vostri conti con Dio. – Ma voi pure, o padroni non venite meno alla parte vostra. Rispettate nell’operaio la dignità della persona umana, perciocché sebbene dall’insufficienza delle sue risorse sia costretto a porsi sotto la vostra dipendenza e vendervi le sue fatiche, dell’umana dignità divide tuttavia con voi le sacre prerogative. Non abbiatelo adunque in conto di schiavo; non imponetegli lavori sproporzionati alle sue forze o mal confacenti con l’età e col sesso. Retribuitelo con la giusta mercede, ne abusatevi della sua necessità, o della sua debolezza, o della sua ignoranza per fargli accettare delle condizioni leonine, per dare un salario inferiore al giusto, per frodarlo, ledendo così i diritti della stessa naturale giustizia. Se è necessario, siate severi, o per lo meno franchi o decisi; la debolezza è pure un’abdicazione della giusta autorità; ma più ancora siate buoni. La bontà del padrone è l’olio che nell’operaio fa girare senza fatica la ruota del dovere, che lenisce l’asprezza del suo lavoro, che suscita e riscalda nel suo cuore l’amore per il padrone istesso. Mettetevi dunque al suo contatto, partecipate alle sue gioie, compatite le sue pene: interessatevi della sua famiglia, confortatelo all’onestà e al bene, correggetelo ma senza collera e senza disprezzo, soccorretelo ne’ suoi bisogni, ma senza avvilirlo, fatevi insomma i suoi veri padri. Ma sopra tutto, avendo riguardo alla Religione ed ai beni dell’anima, » asciategli la comodità e il tempo richiesto per compiere i doveri religiosi; e precedetelo ed animatelo agli stessi con l’esempio e con la parola. (V. Enc. Rerum novarum di S. S. Leone XIII, da cui sono stati raccolti lesti doveri pei padroni, e por gli operai.). La Religione, checché si pensi da insani politici, che osano metterla in fascio coi sistemi sovversivi, sarà mai sempre il più forte riparo contro il socialismo e qualsiasi altro sistema di disordine e sovversione, perché è la Religione;, che a tutti impone quei doveri, dall’adempimento dei quali non può nascere che ordine e pace. Guai adunque, se voi negando agli operai di poter essere religiosi, se non essendolo voi stessi, ridendovi della Chiesa, dei suoi insegnamenti, delle sue leggi, violandole apertamente, toglierete la base dell’edificio sociale! Non la filosofia dell’interesse, non le improvvisate elargizioni, non le affrettate leggi dei dazi sospesi, non il pane venduto a dieci centesimi il chilogramma, non gli stati d’assedio e i governi militari, non gli eserciti sguinzagliati contro le moltitudini, non i cannoni puntati e sparati contro le città lo ratterranno ancora in piedi! Esso cadrà, e voi sarete schiacciati sotto le sue rovine. – Il secolo decimottavo aveva cominciato in Francia col grido: schiacciamo l’infame. Ma si chiuse con uno spettacolo sì orrendo, che l’umanità non riuscirà a dimenticarlo sì presto. Sì, si chiusero i templi, si spezzarono le croci, si atterrarono gli altari; ma vi furono allora dei mostri, che, come Nerone, avrebbero desiderato, che l’umanità non avesse che una sola testa per troncarla d’un tratto. Il sangue scorse a rivi e le teste si ammonticchiarono sul suolo. Iddio tenga lontane dalla società nostra sì orrende catastrofi; ma noi, o carissimi, non stiamo con le mani in mano. Operai e padroni ritornino tutti all’amore di Gesù. Cristo, in cui solo vi è salute. E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che di tanta carità avvampate per gli uomini del popolo, deh! continuate a far sentire sopra di essi il benefizio del vostro peculiare amore. Chiudete le loro orecchie ai lusinghieri discorsi ed ai fallaci insegnamenti, con cui gli odierni demagoghi e bugiardi maestri tentano di trascinarli sulla via della rivolta e della rapina; raffermateli nella fede alla vostra parola, che è parola di ordine, di pace e di prosperità; difendeteli dalle sventure e dalla miseria; forniteli mai sempre del pane, che abbisognano per sé e per le loro famiglie, ma soprattutto confortateli della vostra grazia e delle vostre benedizioni, perché abbiano mai sempre a magnificare la bontà vostra, adesso e per tutti i secoli.

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (7)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (7)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

§ 2. IL SIGNOR ORACOLO (S. O.) ORA CONTINUA A PARLARE EX CATHEDRA.

« E nella speranza – egli Dice – di contrastare le false impressioni trasmesse da tale insegnamento, che desidero sottoporre le domande precedenti e le risposte ad un equo esame, lasciateci dire la verità – dice ancora – e svergognare il diavolo ». Per comprendere bene l’esame a cui quel grande Sacerdote della Chiesa sta per sottoporre alcune nostre domande e risposte, bisogna ricordare che abbiamo dato molte prove chiare a favore della verità che non esiste salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica Romana, vale a dire che: Cristo ha dichiarato solennemente che saranno salvati solo coloro che hanno fatto la volontà di Dio sulla terra, come spiegato, non con una interpretazione privata, ma mediante l’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica Romana. « Non tutti coloro che mi dicono: “Signore, Signore” – dice Cristo –  entreranno nel regno dei cieli, ma solo colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, entrerà nel regno dei cieli ». (Matteo VII, 21). La volontà del Padre celeste è che tutti gli uomini ascoltino e credano a suo Figlio, Gesù Cristo.  « Questo è il mio diletto Figlio. Ascoltatelo ». Ora, Gesù Cristo disse ai suoi Apostoli e a tutti i loro legittimi successori: « Colui che ascolta te, ascolta me, e colui che disprezza te, disprezza me, e colui che disprezza me, disprezza il Padre celeste, che mi ha mandato ». – Ora tutti quelli che non ascoltano Gesù Cristo che parla loro attraverso San Pietro e gli Apostoli, nei loro legittimi successori, disprezzano Dio Padre; non fanno la sua volontà, e quindi il Paradiso non sarà mai loro possesso. Il non-Cattolico è come un servo che nell’essere assunto dice al suo padrone: « Ti servirò a condizione che tu mi dia trecento dollari al mese, ma ti servirò secondo la mia volontà, non secondo la tua ». Come può, quindi, Dio Padre, ammettere nel suo Regno un tale che ha sempre rifiutato di fare la sua volontà? … che, invece di imparare a fare la volontà di Dio, ad osservare la piena dottrina di Cristo, attraverso la Chiesa Cattolica, presume di essere egli stesso maestro, legislatore e giudice, in tutte le questioni religiose? – « Andate e insegnate a tutte le nazioni: insegnate loro ad osservare tutto ciò che ho Io vi ho comandato: Chi non crede a tutte queste cose sarà condannato ».  – Il nostro divin Salvatore dice:  « Nessuno può venire al Padre se non attraverso me ».  Se poi desideriamo entrare in cielo, dobbiamo essere uniti a Cristo, al suo Corpo, che è la Chiesa, come dice San Paolo. Pertanto, fuori dalla Chiesa non c’è salvezza. – Ancora Gesù Cristo dice: « Chiunque non ascolterà la Chiesa, consideratelo un pagano e un pubblicano », cioè un grande peccatore. Pertanto, fuori dalla Chiesa non c’è salvezza.  – La Sacra Scrittura dice: « Il Signore ha aggiunto ogni giorno alla Chiesa coloro che dovevano essere salvati ». (Atti, II, 47.). Perciò gli Apostoli credevano e le Sacre Scritture insegnavano che “… non c’è salvezza fuori dalla Chiesa”. – Quindi i Padri della Chiesa non hanno mai esitato a definire perduti per sempre tutti quelli che muoiono fuori dalla Chiesa Cattolica Romana: « Chi non ha la Chiesa per madre – dice San Cipriano – non può avere Dio per il Padre »; e con lui i Padri in generale dicono che « come tutti coloro che non erano nell’arca di Noè perirono nelle acque del Diluvio, così periranno tutti coloro che sono fuori dalla vera Chiesa ». Sant’Agostino e gli altri vescovi dell’Africa, al Concilio di Zirta, 410 d. C., dicono: « Chiunque sia separato dalla Chiesa Cattolica, per quanto lodevole possa essere considerata la sua vita, per la ragione stessa che è separato dall’unione di Cristo, non vede la vita, ma l’ira di Dio dimora su di lui ». Perciò, dice Sant’Agostino, « un Cristiano non dovrebbe temere nulla tanto quanto l’essere separato dal corpo di Cristo (la Chiesa), perché, se è separato dal corpo di Cristo, non è un membro di Cristo; se non è un membro di Cristo, non è vivificato dal suo Spirito ». (Tract. XXVII. In Joan., N 6, col. 1992, tom. III). « Ai nostri tempi – dice Pio IX – molti dei nemici della fede cattolica dirigono i loro sforzi nell’equiparare ogni opinione mostruosa al medesimo livello della Dottrina di Cristo, o confondendola con essa, e così provano sempre di più a propagare quel sistema empio dell’indifferenza delle religioni. Ma inoltre, rabbrividiamo nel dirlo, certi uomini non hanno esitato a calunniarci dicendo nella loro follia che noi condividiamo, favoriamo il sistema il più malvagio, trattando con benevolenza ogni classe dell’umanità, come se supponessimo che non solo i figli della Chiesa, ma anche i restanti, per quanto alienati dall’unità cattolica, possano essere ugualmente nella via della salvezza ed arrivare alla vita eterna. Abbiamo come uno smarrimento, per l’orrore, nel trovare parole onde esprimere la nostra riprovazione per questa nuova ed atroce ingiustizia che ci viene fatta ». (Allocuzione ai Cardinali, tenutasi il 17 dicembre 1847). Possiamo anche aggiungere che Papa Leone XIII., nella sua Lettera Enciclica agli Arcivescovi e Vescovi di Baviera, insegna, come Pastore della Chiesa Universale, che « la sottomissione al Papa è necessario per la salvezza ». – « Quanto grati allora – dice Sant’Alfonso – dovremmo essere a Dio per il dono della vera fede: quanto è grande il numero degli infedeli, eretici e scismatici. Il mondo è pieno di essi e, se muoiono fuori dalla Chiesa, saranno tutti condannati, tranne i bambini che muoiono dopo il Battesimo. » (Catech, primo comand., n. 10 e 19). « Perché – come dice sant’Agostino – dove non c’è fede divina, non può esserci carità divina e dove non c’è carità divina, non può esserci grazia giustificante o santificante, e morire senza essere in grazia santificante, significa essere perso per sempre ». (Lib. I. Serm. Dom. In monte, cap. V.). – La Chiesa, come abbiamo già visto, insegna molto chiaramente che questa fede è richiesta nella professione di fede che i convertiti devono fare prima di essere ricevuti nella Chiesa; il primo articolo infatti recita come segue:  « Io, N. N., avendo davanti ai miei occhi il santo Vangelo che tocco con la mia mano, e sapendo che nessuno può essere salvato senza quella fede che la Santa, Cattolica, Apostolica, Romana Chiesa detiene, crede e insegna, verso la quale mi pento ché ho grandemente peccato, ecc. ».  Quindi è evidente che non c’è salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica. Abbiamo fornito molte di queste prove per questa grande verità nella “spiegazione familiare…”. Coxe, il vescovo protestante, e il Signor Oracolo hanno riportato questo in modo disonesto, e quest’ultimo in particolare ha impudentemente affermato che abbiamo travisato la Dottrina Cattolica; egli afferma, inoltre, che questa Dottrina, che noi abbiamo provato con le parole di Nostro Signore, dei suoi Apostoli e dei Padri della Chiesa, sia stata travisata dal nostro Signore stesso, dai suoi Apostoli, e dai Padri e dai Dottori della Chiesa. Che grande pietà, fa tutto questo! Ma, per costoro, un piccolo libro come la Familiar Explanation, che dà così tante semplici ragioni per dimostrare che la salvezza fuori dalla Chiesa sia impossibile, è una “mano cattiva”, e non dovrebbe cadere nelle mani dei non-cattolici, perché la sua lettura potrebbe indurli ad unirsi alla Chiesa Cattolica Romana. – In risposta alla D. 19., abbiamo riportato dieci motivi popolari sull’argomento per dimostrare che nessuna salvezza sia possibile per coloro che aderiscono colpevolmente ai principi protestanti e muoiono in essi. Queste ragioni sono:

1. Perché i veri protestanti o i veri eretici non hanno fede divina;

2. Perché ritengono bugiardi Gesù Cristo, lo Spirito Santo e gli Apostoli;

3. Perché essi non hanno fede in Gesù Cristo;

4. Perché si sono allontanati dalla vera Chiesa di Cristo;

5. Perché sono troppo orgogliosi per sottomettersi al Papa, il Vicario di Cristo;

6. Perché non possono compiere buone opere per cui possano ottenerne il Paradiso;

7. Perché non ricevono il Corpo e il Sangue di Cristo;

8. Perché muoiono nei loro peccati;

9. Perché mettono in ridicolo e bestemmiano la Madre di Dio e i Santi del cielo;

10. Perché calunniano la Sposa di Gesù Cristo, la Chiesa Cattolica. –

Abbiamo dimostrato ciascuna di queste affermazioni; ma il vescovo Coxe e S. O. hanno omesso disonestamente di nuovo otto di queste prove, perché esse sarebbero state così tante “mani cattive” per i non Cattolici, e che, dopo la lettura di queste ragioni, avrebbero potuto decidere di unirsi alla Chiesa Cattolica, nonostante tutte le difficoltà. Che modo eccellente di dire la verità sopprimendola e nascondendola al pubblico! Che modo ridicolo di far vergognare il diavolo! Che modo onorevole di svergognarsi!  Per impedire ai non Cattolici di ottenere il piccolo volume contenente prove così chiare della verità della nostra Religione, hanno attaccato alcune ragioni date per dimostrare che i veri protestanti non hanno fede in Cristo. S. O. ha ripreso alcuni di questi motivi per dimostrare che abbiamo travisato sia le credenze cattoliche che quelle protestanti. Ma vediamo di nuovo come abbia detto la verità e umiliato il diavolo, e soprattutto se stesso. Bisogna ricordare che egli ha dovuto dimostrare innanzitutto che la salvezza fuori dalla Chiesa sia possibile, avendo noi dimostrato con molte ragioni come ciò sia impossibile. Egli ha poi solennemente dichiarato che questa Dottrina Cattolica sia stata travisata, cosa che avrebbe dovuto provare, qualora la sua affermazione fosse stata vera, con la Sacra Scrittura, con i Concili generali della Chiesa e con gli scritti dei Padri,; purtroppo però la sua anonima autorità non vale niente… non ha provato nessuna delle sue affermazioni, né è stato in grado di confutare la nostra dottrina, perché dicendo il contrario si sarebbe dimostrato un eretico. Non è questo un bel modo di dire la verità, di svergognare il diavolo e soprattutto se stesso!

§ 3. S. O. ESAMINA E SPIEGA DOMANDA E RISPOSTA.

D. I protestanti hanno qualche fede in Cristo?

R. Non l’hanno mai avuta. ”

A questa risposta S. O.: –

« Mi chiedo, allora, che cosa fanno tutti i protestanti, tranne quelli chiamati Unitari, credono essi in Gesù Cristo? Essi credono precisamente a ciò che insegna la Chiesa Cattolica, cioè che Egli sia vero Dio e vero uomo, la Persona del Verbo incarnato, concepito dallo Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria, che Egli sia il Messia, il Redentore, che per i Suoi infiniti meriti sia possibile ed ottenibile la salvezza dell’umanità ». S. O. afferma che i protestanti credono precisamente ciò che la Chiesa Cattolica insegna di Cristo; ma si ricordi che non credono a quelle verità perché la Chiesa cattolica le insegna; se le credono, è perché scelgono di crederle. La nostra FEDE in Cristo è assoluta e DIVINA; quella dei protestanti è tutta umana. – Ma il nostro aspirante teologo probabilmente non ha mai compreso la differenza tra Fede divina e umana, altrimenti avrebbe fatto la distinzione che noi facciamo, e quindi non avrebbe potuto dire quello che dice della Fede Cattolica e protestante in Cristo. Ed allora insegniamogli la differenza.

§ 4. CHE COSA È LA FEDE CATTOLICA.

Nessuno può andare in Paradiso se non conosce la via per il Paradiso. Se vogliamo andare in una determinata città, la prima cosa che facciamo, è chiederci il modo in cui ci si possa arrivare. Se non ne conosciamo la strada, certo non possiamo aspettarci di arrivare in quella città. Allo stesso modo, se desideriamo andare in Paradiso, dobbiamo conoscere la via che conduce ad esso. Ora, la via che conduce ad esso è la conoscenza ed il fare la volontà di Dio. Ma è Dio solo che può insegnarci la sua volontà, cioè quello che ci richiede di credere e di fare, per essere felici con Lui in Paradiso. Il fine per il quale l’uomo è stato creato – la sua unione eterna con Dio – dice il Concilio Vaticano, è di gran lunga al di sopra della comprensione umana. Era quindi necessario che Dio si facesse conoscere all’uomo e gli insegnasse il fine per il quale è stato creato, e ciò che deve credere e fare per diventare degno della felicità eterna. « Se vuoi giudicare bene di un grande edificio, devi studiare in dettaglio la sua forma e le sue dimensioni, devi esaminare minuziosamente il suo stile architettonico e sforzarti di comprendere il progetto dell’architetto. Tutto ciò ti causerà molti problemi ed impazienza, e ciononostante la tua conoscenza dell’edificio non sarà completa. Ma se l’architetto stesso ti spiega il suo piano e, oltre alla conoscenza che hai già dell’edificio, ti dà sufficienti informazioni sulla sua prima causa, allora sarai in grado di dare una descrizione completa e precisa dell’intero edificio ». – « Allo stesso modo, un uomo istruito può impegnarsi in tutte le occasioni, con tutti i mezzi naturali in suo potere, a conoscere la causa prima del grande edificio della creazione, il suo piano e il suo oggetto. Tutto questo gli darà molti problemi, eppure la conoscenza dell’opera della creazione sarà molto incompleta fintanto che non avrà appreso la sua causa prima, il piano e l’oggetto dello stesso divino Architetto. » (San Tommaso d’Aquino). Ora, Dio stesso, nella sua infinita misericordia, venne a dirci perché ci aveva creati; è venuto e ci ha insegnato le Verità che dobbiamo credere, i Comandamenti che dobbiamo osservare ed i mezzi di Grazia che dobbiamo usare per realizzare la nostra salvezza. Conoscere la volontà di Dio è conoscere la vera Religione che è la vera VIA verso il Paradiso. Come Dio non è che Uno, così la sua santa volontà non è che una, e quindi la sua Religione è solo una stessa e medesima cosa. Per poter apprendere, con infallibile certezza, questa unica vera Religione, Dio Onnipotente stabilì una sola autorità per l’insegnamento infallibile – la Chiesa Cattolica Romana – e comandò a tutti di ascoltarla e credere alla sua Dottrina infallibile, sotto pena di esclusione dalla vita eterna. Ora, Dio è la stessa verità infinita. Egli solo conosce le cose così come sono e può parlare di esse perché le conosce. Come Autore, Sovrano e Signore di tutte le cose, ha un’autorità assoluta su tutti gli uomini, – Autorità che può esercitare direttamente da solo, o attraverso un Angelo, o un Profeta, o una o più delle sue creature ragionevoli. Dio, quindi, ha il diritto di comandare, sotto pena di dannazione eterna, ha il diritto di imporre alla comprensione umana di credere a certe verità; ha il diritto di comandare alla volontà umana di adempiere a certi doveri, ed ai sensi di fare certi sacrifici. Niente può essere più ragionevole che il sottomettersi a un tale comando di Dio. Questa sottomissione della comprensione e della volontà alla rivelazione di Dio si chiama FEDE, che, come dice san Paolo, « rende ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo » . (II Cor. X, 5.) Non appena, quindi, l’uomo percepisce la voce del suo Creatore, è destinato a dire: Amen, è così, ci credo, non importa se lo capisco o no. Il Signore del cielo e della terra è la stessa Verità infallibile, Egli non può né ingannare né essere ingannato. Egli è il come e il perché della mia convinzione. Quindi, San Basilio dice: « La fede, sempre potente e vittoriosa, esercita sulle menti un maggior ascendente di tutte le prove che la ragione e la scienza umana possano fornire, perché la fede ovvia a tutte le difficoltà, non dalla luce di prove manifeste, ma con il peso dell’Autorità infallibile di Dio, che li rende incapaci di ammettere qualsiasi dubbio » . « C’è – dice Tommaso d’Aquino – più certezza nella fede, che nella scienza umana e in tutte le altre virtù intellettuali. Dobbiamo considerare la certezza di una cosa nella sua causa, e non dall’oggetto che la riceve. Essendo Dio, la fonte e l’origine di ogni verità, secondo questo principio quindi, nessuna certezza è paragonabile a quella della fede » . « Si potrebbe dire che colui che sa, percepisce meglio di colui che crede; ne conseguirebbe che la conoscenza naturale abbia più certezza della fede? No, perché una cosa deve essere considerata piuttosto dalla sua causa che dalla disposizione di colui che la riceve. – La scienza umana e l’arte sono solo contingenze, ma l’oggetto della fede è la conoscenza delle Verità eterne: la prudenza e la conoscenza procedono dalla ragione e dall’esperienza, ma la fede viene dall’operazione dello Spirito Santo ». Tutti i nostri organi sensibili e le facoltà intellettuali sono passibili di errore, ma la fede è infallibile, poiché è fondata sulla parola di Dio: « … l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete » (I Tess. II, 13. )  – Ora, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, ha rivelato la nostra Religione e ha investito tutte le verità della sua rivelazione in un Corpo insegnante infallibile: la Santa Chiesa Cattolica Romana, attraverso la quale le ha fatto conoscere e continua a farle conoscere a tutte le nazioni, fino alla fine dei tempi, nel modo più semplice e infallibile. Essa è l’erede dei diritti di Gesù Cristo; Essa è la fedele depositaria dei tesori spirituali di Gesù Cristo; Essa è l’infallibile Maestra delle dottrine di Gesù Cristo; Essa esercita l’autorità di Gesù Cristo, Essa vive della vita e dello spirito di Gesù Cristo, ama la guida e l’aiuto di Gesù Cristo; Essa parla, ordina, comanda, concede, proibisce, definisce, scioglie e lega nel nome di Gesù Cristo. Alla luce della fede divina, ricevuta nel Battesimo, il Cattolico crede all’Autorità divina della Chiesa, e perciò crede ed obbedisce a tutte le cose; credendo e obbedendo ad Essa, crede ed obbedisce a Dio Onnipotente stesso, che disse agli Apostoli e ai loro legittimi successori nella Chiesa Cattolica: «Chi ascolta te, ascolta me, e colui che disprezza te, disprezza me”. (Luca: X, 16.) La fede del Cattolico, quindi, è divina, perché è basata sull’Autorità divina: egli sa e crede che Gesù Cristo gli parla attraverso la sua Chiesa, e quindi crede tutte le verità che Egli insegna, con la massima fermezza e semplicità, con una convinzione incrollabile della loro realtà. Il fatto che Gesù Cristo l’abbia detto, l’abbia fatto, l’abbia insegnato alla sua infallibile Chiesa alla quale ha comandato di insegnarlo a tutte le nazioni, è per lui il più importante di tutti i motivi per crederci. La famosa parola dei Pitagorici, « … lo ha detto il maestro », era solo un’idolatria sciocca, credendo essi, che nessuno potesse essere così ingannato. Applicato, tuttavia, a Gesù Cristo, questo è un principio capitale, un assioma sacro per ogni Cattolico. I cieli e la terra passeranno, ma « la verità del Signore rimane per sempre ». (Salmo CXVI, 2.) Il buon Cattolico zittisce ogni obiezione alla sua fede dicendo: « Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, ce lo ha rivelato mediante la sua Chiesa, e non abbiamo più domande da porre ». Infatti san Tommaso d’Aquino dice: « I princîpi e la regola della fede dipendono dall’autorità e dalla dottrina della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica, quindi fuori dalla vera Chiesa non c’è fede o salvezza. Quando la luce della fede e della grazia brilla nell’anima, allora l’uomo crede fermamente a tutto ciò che Dio ha rivelato e propone alla nostra fede mediante la sua Chiesa; pertanto un atto di fede differisce da tutti gli altri atti dell’intelletto umano per quanto è vero o falso ». – Questo è il motivo per cui la Chiesa non consente a nessuno dei suoi figli di rimettere in discussione la sua missione divina. La luce della fede che risplende nella mente di un Cattolico, scioglie così completamente ogni dubbio, che da quel momento in poi, non può essere intrattenuto se non per sua grande colpa.  « La fede – dice Sant’Alfonso – è una virtù, o un dono, che Dio infonde nelle nostre anime nel Battesimo, dono mediante il quale noi crediamo alle verità che Dio stesso ha rivelato alla Santa Chiesa e che Essa propone alla nostra credulità.  – « Per Chiesa si intende la Congregazione di tutti coloro che sono battezzati e professano la vera fede sotto un Capo visibile, cioè il Sovrano Pontefice. »  – « Io dico, la vera fede, per escludere gli eretici che, sebbene battezzati, sono separati dalla Chiesa.  « Io dico, sotto un capo visibile, per escludere gli scismatici, che non obbediscono al Papa, e per questo motivo passano facilmente dallo scisma all’eresia. » San Cipriano dice bene: « Eresie e scismi non hanno altra origine che questo: il rifiuto di obbedire al Sacerdote di Dio, e alla nozione che ci possano essere più di un Sacerdote per volta a presiedere la Chiesa, e che più di un Giudice alla volta assuma  l’ufficio di Vicario di Cristo ». – « Abbiamo tutte le verità rivelate nelle Sacre Scritture e nelle Tradizioni gradualmente comunicate da Dio ai suoi servi, ma come potremmo essere capaci di accertare quali siano le vere Scritture e le vere Tradizioni, e quale sia il loro vero significato, se noi non avessimo la Chiesa che ci  insegni? » Questa Chiesa Gesù Cristo ha stabilito come pilastro e fondamento della verità. A questa Chiesa il nostro stesso Salvatore ha promesso che non sarà mai conquistata dai suoi nemici. « … Le porte dell’inferno non prevarranno contro di Essa » (Matteo, XVIII) Le porte dell’inferno sono le eresie e gli eresiarchi che hanno fatto sì che tante anime illuse deviassero dalla retta via: questa Chiesa è colei che ci insegna, attraverso i suoi Pastori, le Verità che dobbiamo credere. Perciò Sant’Agostino dice: « Non crederei al Vangelo se non fossi mosso dall’Autorità della Chiesa, quindi la causa che mi impone di credere alle verità della fede è che Dio, la Verità infallibile, le ha rivelate, e perché la Chiesa le propone alla mia fede. La nostra regola di fede, quindi, è questa: Mio Dio, perché tu che sei la verità infallibile, e hai rivelato alla Chiesa le verità di fede, io credo tutto ciò che la Chiesa propone alla mia fede. » (Primo comand., 5, 6). Tale è la Fede che Dio prescrive nel primo Comandamento. È solo con tale Fede che Egli è veramente onorato e adorato; poiché, con tale fede, lo riconosciamo come l’Essere Sovrano delle infinite Perfezioni, reso a noi noto per rivelazione; come Sovrana Verità, che non può né ingannare né essere ingannato. – Quando al famoso e valoroso conte di Montfort fu detto che nostro Signore nell’ostia era apparso visibilmente nelle mani del Sacerdote, disse a quelli che lo spingevano ad andare a vedere il miracolo: « Lasciate che vadano a vederlo coloro che dubitano. Per quanto mi riguarda, io credo fermamente nella Verità del Mistero della Santa Eucaristia, come insegna la nostra Madre Santa Chiesa. Pertanto spero di ricevere in cielo una corona più brillante delle corone degli Angeli; perché essendo faccia a faccia con Dio, non posso dubitare. » – Guarda i martiri che, da pagani, sono diventati Cristiani. Non morirono per il gusto di un’opinione religiosa; morirono per amore della Religione, perché erano certi e convinti della sua Verità. I martiri videro la Verità, e come potevano essi parlar di quello che avevano visto? Essi potevano rabbrividire per il dolore, ma non potevano fare a meno di vedere la Verità della loro Religione. Le minacce non potevano annullare le Verità celesti, e quindi non potevano far tacere la loro confessione. « La Verità – dice San Tommaso d’Aquino – è il bene dell’intelletto, la vita dell’intelletto, mentre la menzogna è il male, la morte dell’intelletto. Finché l’uomo è rimasto innocente, era impossibile per l’intelletto umano credere che fosse vero ciò che era veramente falso: come nel corpo del primo uomo non poteva esserci presenza di alcun male, così, allo stesso modo, nella sua anima non poteva esserci la credenza in nulla di falso ». Quindi comprendiamo facilmente perché anche i bambini Cattolici innocenti abbiano un’intuizione della Verità senza alcuna paura e confusione, e parlano di Dio e dei suoi Misteri come se avessero conversato con gli Angeli, mentre mostrano una chiara conoscenza dell’intero circolo delle verità rivelate, a confronto delle quali, le conoscenze, le supposizioni selvagge e le contraddizioni perpetue dei più famosi ed istruiti pagani, filosofi o settari non credenti, sono solo grida inarticolate. – Un giorno una ragazzina irlandese piangeva nel trovarsi in una scuola protestante, nella quale era stata portata con la forza, e dove era considerato un utile impiego di tempo, bestemmiare la Madre di Dio. « Come sai che è in paradiso? », disse un’acida zitella protestante alla ragazzina. La bambina sapeva molto bene che la Madonna era la Regina del cielo, e sedeva sul trono del suo divin Figlio, ma non si era mai chiesta come lo sapesse, né aveva mai incontrato nessuno che fosse così tanto sfacciato da negarlo. Trasalì per un momento, come se avesse ricevuto un colpo, poi tirandosi indietro i lunghi capelli che le ricadevano sul viso, questa figlia di un contadino di Galway rispose con fierezza: « Come faccio a sapere che Ella è in paradiso? Perché tu protestante non credi nel Purgatorio: quindi se non è in Paradiso, deve essere all’inferno, e un bravo Figlio non manderebbe mai sua madre all’inferno! Una simile risposta non sorprenderà nessun Cattolico; potrebbe stupire solo un protestante. Altri bambini dicono tali parole centinaia di volte. Il dono della Fede è una luce dello Spirito Santo che illumina le menti dei fedeli, anche dei bambini, nel sapere e nel credere che ciò che insegna la Chiesa è una Dottrina santa e divina. Senza questo inestimabile dono di grazia – la luce della FEDE DIVINA – è impossibile essere salvati, come abbiamo dimostrato nella nostra Familiar Explanation. Ma Coxe e S. O. hanno soppresso in modo disonesto questa verità e l’hanno nascosta ai loro simili.

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMINO SALVATUR (6)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (6)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

CAPITOLO V.

Introduzione

[Confutazione delle false asserzioni dei reverendi S. O., Cronin e Young.]

Come commenti S. O. le seguenti domande e risposte contenute nella “Familiar Explanation”.

« D.: I protestanti hanno fede in Cristo?

R.: No, non l’hanno mai avuta

D.: Perché no?

R.: Perché essi hanno sempre conosciuto un Cristo come loro immaginano e credono.

D.: In che tipo di Cristo credono?

R.: In una di quelle persone che essi rendono impunemente un bugiardo e le cui dottrine possono essere interpretate a loro piacimento e che non importa a cosa creda un uomo, purché appaia  onesto al cospetto del mondo.

D.: Una tale fede in tale Cristo salverà i protestanti?

R.: Nessun uomo ragionevole asserirà mai una simile assurdità.

D.: Cosa dirà loro Cristo nel giorno del giudizio?

R.: Io non vi conosco, perché voi non mi avete mai conosciuto:

D.: I protestanti sono disposti a confessare i loro peccati ad un Vescovo o ad un Sacerdote Cattolico, che solamente hanno il potere da Cristo di perdonare i peccati? “… a chi perdonerete i peccati, saranno perdonati.”.

R.: No; poiché generalmente hanno una totale avversione alla Confessione, e quindi i loro peccati non saranno perdonati mai per tutta l’eternità.

D.: Cosa ne consegue?

R.: Che morendo nei loro peccati, saranno dannati. »  –

Il commento che il vescovo Coxe ha fatto a queste domande e risposte, è quello che, si dice, abbia dato occasione a « … il più eminente sacerdote degli Stati Uniti » di esprimere il proprio parere sulle stesse domande e risposte. – Ci sono delle regole per interpretare la Sacra Scrittura; così come ci sono delle regole per interpretare le leggi e l’ultima volontà di un uomo; e ci sono delle regole anche per interpretare la dottrina di un autore. Una di queste regole è quella di comprendere bene lo status quæstionis ed esprimerlo con parole semplici, ma questo il “sacerdote più eminente” degli Stati Uniti … lo ha volutamente ignorato. – Un’altra regola per interpretare la dottrina di un autore è che, se un autore ha pubblicato un piccolo lavoro, e ha scritto con più ampiezza sullo stesso argomento, dobbiamo intendere il suo lavoro minore in base a ciò che dice nel suo lavoro più grande e nell’ultima edizione di tale suo lavoro. Ora, quale Vescovo, quale Prete, quale redattore cattolico di un giornale non sa che il Rev. M. Muller, C.SS.R., ha pubblicato nove grandi volumi della spiegazione della Dottrina Cattolica? Chi può credere che S. O. non sia a conoscenza di questo fatto? Forse allora la carità e la giustizia non gli dicevano chiaramente che, nello spiegare il piccolo volume di Padre Muller sulla Dottrina Cristiana, dovesse seguire la Spiegazione della Dottrina Cristiana che lo stesso Padre Muller ha illustrato nella sua vasta opera di Dottrina Cristiana? – Un’altra regola per interpretare la dottrina di un autore è quella di spiegarla in relazione al contesto. Ma nessuna meraviglia che il protestante Mons. Coxe abbia disonestamente omesso tutte le prove che abbiamo fornito in “Spiegazione della Dottrina Cristiana” dalle pp. 10 a pag. 86; … che abbia disonestamente ripreso delle frasi avulse dalle prove che le precedono, dalla pp. 87 alla 97, e le seguono dalla pp. 98 alla 116, e che dimostrano che non c’è salvezza possibile fuori dalla Chiesa Cattolica Romana; … che le abbia interpretate in modo errato, possiamo facilmente spiegarlo, visto che sa bene persino come riportare erroneamente la Sacra Scrittura e interpretarne erroneamente il significato! Tutti gli eretici hanno fatto questo. C’è bisogno di spiegarci la sua disonestà nel rimescolare ed interpretare erroneamente la sana dottrina di un autore cattolico? Nessun Cattolico si meraviglia di questo, perché sappiamo tutti che le eresie sono state sostenute per tanto tempo dagli stessi falsi princìpi da cui sono nate. Sappiamo che ci sono molti protestanti che vivono nell’ignoranza vincibile o colpevole della vera Religione, cioè della vera Chiesa di Cristo. Non essendo disposti a rinunciare alla loro falsa religione umana, sono contenti di trovare ragioni anche futili per calmare le loro inquiete coscienze e rimanere così come sono. Anche i predicatori protestanti lo sanno dalla loro stessa esperienza, e per questo citano i testi della Sacra Scrittura per tranquillizzarli e farli sentire a proprio agio, così come fa pure il più “eminente sacerdote” degli Stati Uniti, quando a loro favore dice: « Loro (i protestanti) dicono con noi, con la lingua e nel significato dell’Apostolo: non c’è altro Nome (Gesù Cristo) sotto il cielo dato agli uomini, per cui possiamo essere salvati. » Allo stesso modo, i predicatori protestanti tratteranno erroneamente e interpreteranno erroneamente alcune dottrine degli autori cattolici distaccate dal contesto, e traggono da esse ragioni fatue per cui tranquillizzano le coscienze inquiete di alcuni membri delle loro congregazioni riguardo alla vera Religione. Sapendo che i predicatori disonesti hanno, in questo modo, manipolato alcune risposte avulse dal contesto nella nostra “Familiar Explanation of Christian Doctrine” prima edizione, abbiamo, più di un anno fa, cambiato, nella seconda edizione, quelle risposte, anche se erano essenzialmente vere nel senso dato. Ma ahimè! che la disonestà, la tortuosità ed il funambolismo delle menti dei predicatori protestanti, dovessero essere imitati da un fratello Sacerdote, che avrebbe invece dovuto confermare ai protestanti colpevoli e agli incolpevolmente ignoranti, la loro errata credenza; e non avrebbe dovuto nel contempo rendere i Cattolici già deboli nella fede, ancora più deboli in essa, rafforzando i cattolici liberali nelle loro idee sbagliate, è qualcosa che confonde quasi ogni credo.  – Ora, per mostrare chiaramente e comprendere bene i suoi gravissimi errori, dobbiamo indicare chiaramente il punto in questione. Questo punto è: « Fuori dalla Chiesa Cattolica Romana non c’è salvezza … – Gli eretici sono fuori dalla Chiesa Cattolica Romana; quindi, se muoiono come eretici, sono persi per sempre. »  Qui sorge la domanda: “Chi è un eretico ?”  La parola eretico deriva dal greco e significa “scegliere” o aderire ad una certa cosa. Pertanto un battezzato, professando il Cristianesimo e scegliendo da sé cosa credere e cosa non credere a suo piacimento, in ostinata opposizione ad una particolare verità che sa essere insegnata dalla Chiesa Cattolica come una verità rivelata da Dio, è un eretico! – Per rendere una persona colpevole del peccato di eresia, sono necessarie tre cose:

1. Deve essere battezzato e professare il Cristianesimo. Questo lo distingue da un ebreo e da un idolatra;

2. Deve rifiutarsi di credere in una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come rivelata;

3. Deve ostinatamente aderire all’errore, preferendo il proprio giudizio privato, in materia di fede e morale, all’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica. Ne segue quindi che sono colpevoli del peccato di eresia le seguenti persone:

1. Tutti quei battezzati che professano il Cristianesimo e rifiutano ostinatamente una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come rivelata;

2. Coloro che abbracciano un’opinione contraria alla fede, la mantengono ostinatamente e rifiutano di sottomettersi all’autorità della Chiesa Cattolica;

3. Coloro che volontariamente dubitano della verità di un articolo di fede, poiché, con tale dubbio intenzionale, mettono in dubbio la conoscenza e la verità di Dio, e nel farlo si è colpevoli di eresia;

4. Coloro che riconoscono la Chiesa Cattolica come l’unica vera Chiesa, ma non abbracciano la sua fede;

5. Coloro che potrebbero conoscere la Chiesa, se la cercassero sinceramente, ma che, a causa dell’indifferenza e di altri colpevoli motivi, trascurano di farlo;

6. Quegli anglicani che riconoscono la vera Chiesa, ma non diventano Cattolici, pensando di avvicinarsi molto alla Chiesa Cattolica, perché le loro preghiere e le loro cerimonie sono simili a molte preghiere e cerimonie della Chiesa Cattolica, e perché il loro credo è il Credo degli Apostoli: questi sono eretici in linea di principio, poiché « il vero carattere dell’eresia retta – dice San Tommaso d’Aquino – consiste nella mancanza di sottomissione all’autorità dell’insegnamento divino nel Capo della Chiesa ». – L’eresia, quindi, è una corruzione della vera fede. « Questa corruzione –  dice San Tommaso d’Aquino – ha luogo sia alterando le verità che costituiscono i principali articoli di fede, sia negando ostinatamente quelli che ne derivano, ma, siccome l’errore di un geometra non influenza i principi della geometria, così l’errore di una persona che non influisce sulle verità fondamentali della fede, non costituisce nessuna vera eresia ». – Se una persona ha abbracciato un’opinione contraria alla fede, senza sapere che sia contraria alla fede, non è, in questo caso, un eretico, oltretutto se è disposto a rinunciare al suo errore non appena viene a conoscere la verità.  Ma è falso dire che siano verità di fede solo quelle che sono state definite dalla Chiesa, e che quindi è un eretico solo chi nega una verità definita. – Se un uomo ruba una grande somma di denaro al suo vicino, non è forse quell’uomo un ladro già prima che il tribunale lo abbia dichiarato colpevole di furto?  Gesù Cristo ha rivelato alla sua Chiesa un certo numero di verità. Essa sa quali sono queste verità. Essa le ha sempre credute e insegnate come verità rivelate. « Ogni verità rivelata – dice il Cardinale Manning – è precisa e certa, tuttavia non tutte sono definite, e d’altra parte la Chiesa ha definito molte di queste verità, in termini precisi, solo quando sia stato formale o necessario farlo; e questa forma opportuna o necessaria, sorse quando una verità rivelata fu oscurata o contestata, o negata da un’ignoranza vincibile o invincibile. Quelli che, per invincibile ignoranza, negarono certe verità rivelate, furono scusati dall’eresia finché la Chiesa li liberò dall’ignoranza di queste verità dichiarandole e definendole in termini precisi. La definizione, tuttavia, non aggiunge nulla alla sua intrinseca certezza, poiché questa deriva dalla Rivelazione divina, solo la definizione aggiunge la certezza estrinseca della promulgazione universale dell’autorità dottrinale della Chiesa, imponendone l’obbligo a tutti i fedeli »  – Senza dubbio, Lutero, Calvino e gli altri eresiarchi del sedicesimo secolo furono considerati dalla Chiesa come eretici ancor prima che Essa avesse definito quelle verità che erano state negate da quegli uomini empi; e quelle verità negate erano degli articoli di fede, e ad essi come tali si credeva fermamente sia prima che dopo la loro definizione nel Concilio di Trento. « Così allo stesso modo – dice il cardinale Manning – l’esistenza di Dio è sempre stata un articolo di fede, eppure è stata definita, solo pochi anni fa, nel Concilio Vaticano, per cui tutte queste verità sono articoli di fede che vengono insegnati dalla Chiesa come verità rivelate, indipendentemente dal fatto che siano definite o meno. » (Ad esempio, la Chiesa insegna l’Assunzione della Beata Madre di Dio, corpo e anima, in cielo, avendo istituito la festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, nel suo Ufficio e nella santa Messa di questa festa, e chiaramente Essa potrebbe insegnarla definendo questa verità – dogma poi definito da Pio XII –ndr.-). « Chiunque, quindi, sa che la Chiesa insegna una verità rivelata, è obbligato in coscienza a crederla come un articolo di fede, e se non la crede così, egli è un eretico davanti a Dio ». (Dal: Vat. Counc. Cardinal Manning)  – Chiunque, quindi, conosca a sufficienza le verità della vera Religione e ne neghi anche una sola, commette uno dei più grandi peccati. Rifiutare ciò che sappiamo essere stato rivelato da Dio non è solo  staccarci da tutte i benefici della Religione, ma è mettere in discussione il fatto che il Signore del cielo e della terra sia un Dio di verità, e colui che mette in discussione questa Verità, rivolge a Dio il più grande insulto. Noi crediamo alle Verità della fede, perché Dio le ha rivelate e le propone per mezzo della sua Chiesa infallibile alla nostra fede. Ora, credere in alcune di queste verità e respingerne una o più di una, equivale a dire: credo che Dio abbia detto la verità in questo punto, ma non in quell’altro. Questa è una bestemmia orribile. L’eresia volontaria, quindi, riguardo anche a una sola sacra verità della Religione, distrugge ogni fede, attaccando, come fa, l’autorità di Dio, che ne ha rivelato la verità. Se un uomo che avvelena il cibo dei suoi simili è più condannabile agli occhi di Dio, quanto più condannabili non sono quelli che avvelenano le anime degli uomini con il seme dell’eresia? Portare via la vita del corpo è un peccato mortale. Ora, non è un crimine più grande rubare la vita dall’anima, la grazia di Dio, e condurla alla perdizione eterna mediante false dottrine? Quindi ecco perché la Sacra Scrittura condanna il peccato di eresia nei termini più forti.  – « Un uomo – dice San Paolo – che è un eretico, dopo la prima e la seconda ammonizione, evitalo, sapendo che chi è tale è pervertito e pecca, essendo condannato dal suo stesso giudizio » (Tit. III. 10.). E ancora dice:  « Anche se noi, o un Angelo del cielo, vi predicassimo un altro Vangelo, oltre a quello che vi abbiamo predicato, sia anatema », cioè maledetto. (Galati I, 8, 9). San Paolo classifica anche le sette o le eresie tra le opere della carne, e dice che coloro che fanno tali cose non otterranno il regno di Dio (Galati I, 8, 9). – Ma non tutti quelli che vivono nell’eresia sono colpevoli del peccato di eresia. Quindi distinguiamo due tipi di eretici: quelli che sono, e quelli che non sono colpevoli del peccato di eresia. Abbiamo fatto questa distinzione tra eretici nel nostro piccolo lavoro Familiar Explanation of Christian Doctrine, come testimonia S. O. quando dice: 1. È evidente che l’autore di Explanation “… aveva in mente un ostinato, pertinace, irriducibile, che sfidava Dio, rigettante la verità, un eretico impenitente;” 2. quando, dalla “Spiegazione Familiare”, cita la seguente domanda e risposta:

D.: Che cosa dobbiamo pensare della salvezza di coloro che sono fuori dalla Chiesa senza colpa loro, e che non hanno mai avuto alcuna possibilità di conoscerla meglio? R.: La loro invincibile ignoranza non li salverà, ma se temono Dio e vivono la loro coscienza, Dio, nella sua infinita misericordia, fornirà loro i mezzi necessari per la salvezza, anche mandando, se necessario, un Angelo ad istruirli nella Fede Cattolica, piuttosto che lasciarli morire a causa dell’ignoranza invincibile. –

Secondo questa distinzione tra eretici, dividiamo la dottrina della Chiesa sugli eretici in due parti. Nella parte I. parleremo di quelli che sono i veri eretici, cioè di coloro che sono colpevoli del peccato di eresia e che muoiono in esso; e nella parte II. parleremo di coloro che non sono colpevoli del peccato di eresia.

CAPITOLO V

Parte I.

[Non c’è salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica Romana per coloro che muoiono senza essere uniti ad Essa.]

§ 1. S. O. (Signor Oracolo) COSÌ COMINCIA A COMMENTARE LE DOMANDE E LE RISPOSTE DI CUI SOPRA.

S. O. dichiara con enfasi che:

“Tali esposizioni della dottrina della Chiesa applicate ai moderni protestanti hanno, a mia conoscenza, fatto molti danni a persone oneste, ben intenzionate e coscienziose, e danno un’idea completamente falsa del credo dei protestanti. Non c’è nulla da guadagnare se si cerca di travisare le nostre stesse dottrine, ed ancor meno se si travisano le dottrine di coloro  che non credono a tutto ciò che facciamo “.

Non c’è molta ignoranza contenuta nelle suddette parole di S.O.? Rappresentare in modo errato le nostre stesse dottrine cattoliche significa travisare Dio che le ha rivelate; significa travisare la Chiesa di Cristo che le insegna; e fare tutto questo è un crimine terribile. Ora, cosa può significare, travisare le dottrine protestanti? Molto probabilmente questo: « è molto sbagliato dipingere il diavolo più nero di quanto non sia, e chiamarlo l’autore del protestantesimo; è molto sbagliato dire che la credenza protestante è solo una credenza umana e non serve a nulla per la salvezza; che questa loro fede non è una fede assoluta, divina in Cristo e nella sua Religione; in una parola, è molto sbagliato rappresentare il protestantesimo così com’è. »  – Nulla, egli dice, si acquisisce presentando erroneamente Dio e il diavolo, gli insegnanti di Dio e quelli del diavolo, la verità e la menzogna, la fede divina e la umana, il vero e il falso Cristianesimo. – Ma non c’è nulla da guadagnare dal travisare Dio e la sua Religione? Non c’è nulla da guadagnare nel rappresentare il credo protestante come è? Ahimè, S.O. sembra non vedere perdite nel primo, né il guadagno in quest’ultimo modo di agire! Sarà, quindi, un atto di carità continuare a mostrargli, nel seguito di questo trattato, le cattive conseguenze del travisamento di Dio e della sua Religione, e il buon risultato nel rappresentare chiaramente il diavolo e la sua religione contraffatta.

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (5)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (5)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

CAP. IV

La disonestà del vescovo Coxe.

[Assurdità del protestantesimo]

La storia racconta di un treno diretto verso ovest, che viaggiava alla velocità di un fulmine; era poco dopo il tramonto. All’improvviso si udì rumore come di un incidente: il treno si fermò. “Qual è il problema?” i passeggeri si sono chiesti l’un l’altro. Un enorme gufo, abbagliato dallo splendore dei fari, aveva urtato contro il riflettore anteriore al motore, aveva raffreddato il vetro e cercato di spegnere la luce, mentre un grande toro aveva urtato la testa contro il motore, per fermare il treno. La lampada si riaccese, il motore riprese la sua funzione, ma lo stupido gufo ed il toro ostinato, furono gettati via tramortiti, lasciati a marcire e divorati dalle bestie feroci. Un irlandese, vedendoli, esclamò: « Ammiro il vostro coraggio, ma condanno il vostro giudizio ». – Questo treno può essere paragonato alla santa Chiesa Cattolica che, inviata dal cielo, corre con la sua missione di condurre gli uomini in cielo alla luce della sua divina Dottrina. Lo sciocco gufo, nemico della luce e amico delle tenebre, rappresenta lucifero, che, come nemico di Dio e della luce della santa Religione di Dio, ha sempre cercato di estinguere la luce della vera Religione. Il toro rappresenta invece i re e gli imperatori, gli eretici ed i membri delle società segrete, che lucifero usa per fermare, se possibile, i progressi della Chiesa Cattolica, portatrice della luce della fede. Anche se è difficile, in un certo senso, non ammirare il coraggio degli agenti di lucifero, non possiamo però non condannare il loro giudizio, la loro follia e la malvagità nell’opporsi all’opera di Dio, attirando così su se stessi l’eterna maledizione dell’Onnipotente.  – Il nostro divin Salvatore, Gesù Cristo, è venuto per infrangere il potere del diavolo sull’umanità; è venuto a bandire l’idolatria, cioè l’adorazione del diavolo tra gli uomini, e così ricondurli all’adorazione ed al servizio del Padre suo celeste con il suo santo esempio e la sua dottrina divina. Ma non appena aveva iniziato a insegnare agli uomini la sua Dottrina salvifica, ecco che satana gli si oppose: satana è chiamato, nella Sacra Scrittura, il padre della menzogna; dall’inizio del mondo egli ha cercato sempre di travisare ogni verità religiosa. Ha praticato quest’arte tenebrosa già in Paradiso; e da quando l’ha praticata con tanto infelice successo, si è adoperato sempre per propagare l’errore ed il vizio tra gli uomini. Quando il Salvator nostro cominciò a predicare la sua santa Religione, satana praticava la sua arte tenebrosa, anche alla presenza di Cristo stesso. Cristo fu contraddetto da uomini malvagi, i ministri di satana, e travisato nella sua dottrina; ed infatti, invece di essere creduto, fu considerato un sacrilego e come un bestemmiatore, per aver insegnato che Egli era il Figlio di Dio, come l’empio Caifa appunto dichiarò, dicendo: « Egli ha bestemmiato, è colpevole di morte! » (Matt. XXVI, 65.); fu travisato nella sua reputazione: perché Egli era nobile, di stirpe reale, e tuttavia era disprezzato: « … non è questi il figlio del falegname? » (Matteo XIII, 55.). Egli è la Sapienza stessa, e veniva considerato un uomo ignorante: « … come quest’uomo conosce le scritture, non avendole mai studiate? » (Giovanni VII, 17). Fu considerato come un falso profeta: « … lo bendarono e gli diedero schiaffi sul volto schernendolo: … profetizza chi ti ha colpito! » (Luca, XXII, 64). Venne considerato un folle: « … è pazzo, perché ascoltarlo? » (Giovanni, X, 20); rappresentato come un ubriacone, un ghiottone e un amico di peccatori: « … ecco un uomo che è un mangione e un bevitore di vino, un amico dei pubblicani e dei peccatori ». (Luca, VII, 34); considerato alla stregua di uno stregone: « … per mezzo del principe dei diavoli scaccia i demoni » (Mt. IX, 34); ritenuto un eretico ed un posseduto: « … non diciamo noi bene di te, che sei un samaritano e hai un demonio? » (Giovanni, VIII, 48). In una parola, Gesù fu rappresentato al popolo come un uomo così cattivo e famigerato, che non fu ritenuto necessario nessun processo per condannarlo, come gli Ebrei dissero a Pilato: « … se Egli non fosse un malfattore, noi non te lo avremmo consegnato! » (Giovanni, XVIII, 30). Se mai un’infame calunnia sia stata portata all’eccesso, questo avvenne senza dubbio nel caso del nostro Salvatore, « … che non conosceva il peccato », che non aveva mai pronunciato una parola ingannevole, che « … ha fatto bene tutte le cose », e che « … ha passato la sua vita a fare il bene e a guarire ogni sorta di infermità ». La santa Dottrina di Cristo e della sua santa Chiesa, la Maestra delle sue Dottrine divine, finanche ora che è sul suo trono, regnante gloriosamente in cielo, è travisata dagli agenti di lucifero. Il nostro divin Salvatore e i suoi santi Apostoli hanno parlato di questi agenti e hanno avvertito i Cristiani di stare in guardia contro di essi. Che il protestante Mons. Coxe sia uno di questi è un fatto ben noto. Di lui si parla in diversi passaggi della Sacra Scrittura. Ne citiamo alcuni a proposito:  

1. Il nostro santo Salvatore, predicendo la venuta di falsi maestri, dice: « … Attenti ai falsi profeti, che vengono da voi con vesti di pecore, ma interiormente sono dei lupi rapaci, dai loro frutti li conoscerete »; e poi ci dice, procedendo con la similitudine di un albero, quale sarà la caratteristica di tali falsi profeti: « Ogni albero che non produce frutti buoni sarà tagliato e gettato nel fuoco ». (Mt. VII. 15, 19.) Tale è il destino dei falsi maestri, secondo Gesù Cristo. – San Paolo li descrive nella stessa luce prospettica, ed esorta i pastori della Chiesa a vegliare su di loro, affinché possano impedire la seduzione del gregge. « … So che dopo la mia partenza i lupi rapaci entreranno in mezzo a voi, non risparmiando il gregge; e tra voi stessi sorgeranno uomini che parlano di cose perverse, per attirare i discepoli dietro a loro, quindi guardatevi da essi ». (Atti: XX, 29.) Tale è l’idea che la parola di Dio dà di tutti coloro che si allontanano dalla Dottrina della Chiesa di Cristo ed insegnano la menzogna; sono lupi famelici, seduttori del popolo, che parlano di cose perverse e la cui fine è il fuoco!  –

2. San Paolo, concludendo la sua Epistola ai Romani, li mette in guardia contro tali maestri con queste parole: « Ora, vi raccomando, fratelli, di ben guardarvi da coloro che causano dissidi ed ostacoli contrari alla Dottrina che avete imparato, e di evitali, perché quelli che sono tali non servono Cristo nostro Signore, ma il loro proprio ventre, e con piacevoli discorsi e buone parole seducono il cuore degli innocenti ». (Rm XVIII 17.) Possono, questi che causano dissidi contrari all’antica Dottrina, sedurre le anime riscattate dal Sangue di Gesù, essi che non sono servitori di Cristo, ma suoi nemici, e schiavi del loro stesso ventre. Possono costoro – dico – essere sulla via della salvezza? Ahimè! Lo stesso santo Apostolo descrive il loro destino in un altro testo: « Questi sono nemici della croce di Cristo, la cui fine è la distruzione, il cui dio è il loro ventre e la cui gloria è nella loro vergogna ». (Filipp. III, 18.)

3. Durante l’assenza di San Paolo, tra i Galati erano entrati alcuni falsi maestri, e volevano persuaderli che fosse necessario per la salvezza che si unisse la circoncisione con il Vangelo; per questo motivo l’Apostolo scrive la sua epistola per correggere questo errore; e sebbene non fosse che un errore su un solo punto, e apparentemente nemmeno di grande importanza, tuttavia, poiché era comunque una falsa dottrina, il santo Apostolo lo condanna: “… Mi meraviglio che così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo, passiate ad un altro vangelo. In realtà, però, non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un Angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! ” (Galati I, 7-9.) Questo dimostra, in pratica, qual sia il crimine ed il destino dei falsi maestri, sebbene la loro dottrina possa essere falsa solo circa un singolo punto.

4. San Pietro descrive questi uomini infelici con le tinte più fosche. « Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno sette di perdizione (o, come dice la traduzione protestante, maledette eresie), rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina; » (II Piet. II. 1.) e continuando a descriverli, dice: « … ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato ». (v 3.) – « Il Signore sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del giudizio … soprattutto coloro che nelle loro impure passioni vanno dietro alla carne e disprezzano la potestà, audaci, amanti di loro stessi, non temono di introdurre delle sette bestemmiando.  (v 9.); « … Abbandonando la retta via si sono sviati … ». (v 15). « Questi sono pozzi senza acqua e nuvole sbattute dai turbini  per i quali si serba caligine tenebrosa » (v 17.) Dio santo, in che stato terribile essi sono!

5. San Paolo, parlando di coloro che sono portati via da ciò che San Pietro chiama dannate eresie, dice: « Un uomo che è un eretico, dopo la prima e la seconda ammonizione, sfuggilo, sapendo che questo tale è pervertito e pecca, come quegli che per suo proprio giudizio è condannato. » (Tit. III. 10.) “Alcuni offensori sono giudicati e cacciati fuori dalla Chiesa per la sentenza dei pastori; ma gli eretici, più infelici, lasciano la Chiesa da soli e, così facendo, giudicano e condannano le loro anime”. (Il Cristiano Sincero del Vescovo HAY)  – Nello scrivere questo, ci sovviene un evento straordinario accaduto in Francia, nel 1556, la cui conoscenza potrebbe essere utile al signor Coxe. È risaputo che la Chiesa Cattolica ha ricevuto il potere da Gesù Cristo di scacciare i demoni per impedir loro di recare danno alle creature di Dio. La Chiesa spesso fa uso di questo potere. Essa ha istituito alcuni riti e preghiere perché siano utilizzati da Vescovi e Sacerdoti per cacciare i demoni dai posseduti. Nel nostro piccolo lavoro, Trionfo del Santissimo Sacramento, abbiamo raccontato come Dio Onnipotente permettesse agli spiriti maligni di possedere una donna di nome Nicole Aubry, della città di Vervins, in Francia. La possessione avvenne nel 1565 e durò diversi mesi. Il Vescovo di Laon, con Cristo nel Santissimo Sacramento, espulse gli spiriti maligni per sempre, l’8 febbraio 1566.  Quando le strane circostanze della possessione di Nicole divennero note ovunque, diversi predicatori calvinisti vennero con i loro seguaci per « … smascherare questo imbroglio papista », come essi dicevano. Al loro ingresso, il diavolo li salutò beffardamente, chiamandoli per nome ed annunciò ad essi che erano venuti in obbedienza a lui. Uno dei predicatori prese il suo libro di preghiere protestanti e cominciò a leggerlo con una espressione molto solenne. Il diavolo prese a ridere di lui e, assumendo un’espressione molto divertita, disse: « Oh! Oh mio buon amico! Hai intenzione di espellermi con le tue preghiere e con i tuoi inni? Pensi che mi facciano male? Ma come, tu non sai che sono miei? Non sai che sono io che ne suggerisco la composizione? » –  « Ti caccerò nel nome di Dio – disse solennemente il predicatore ». – «Tu – disse il diavolo beffardamente – non mi caccerai, né nel nome di Dio, né nel nome del diavolo. Hai mai sentito, infatti, di un diavolo che ne cacci un altro? »  – « Io non sono un diavolo – disse il predicatore con rabbia – io sono un servo di Cristo! » – « Un servitore di Cristo, ma davvero?! – disse satana con un sogghigno – Ma guarda … ! Io ti dichiaro invece che tu sei peggio di me: io credo, tu invece non vuoi credere. Supponi che tu possa espellermi dal corpo di questa miserabile disgraziata! Allora io ti dico: Va’ prima ad espellere tutti i demoni che sono nel tuo cuore! ». A questo punto il predicatore si congedò, un po’ frastornato, e andandosene, disse, mostrando il bianco dei suoi occhi: « Oh Signore, ti prego, aiuta questa povera creatura! » – « Ed io prego lucifero – sogghignò lo spirito – che possa non lasciarti mai, ma ti tenga sempre saldamente in suo potere, proprio come fa ora. Va’, fai i tuoi affari ora: tu sei tutto mio, e sono io il tuo padrone ». I calvinisti quindi se ne andarono. … avevano visto e sentito già abbastanza, … certo più di quello che volevano. – Mons. Coxe è ben noto come un famoso esorcista. Fa tutto ciò che è in suo potere per impedire che il diavolo (anche se quello che fa, lo attinge dalla fede cattolica) si impossessi dei protestanti. Egli sa però che, se questa possessione dovesse davvero aver luogo, egli non avrebbe alcun potere di espellere il diavolo dell’idolatria. Un’oncia di prevenzione è, a suo avviso, migliore di un chilo di cura. In questo, imita i suoi antenati. Sant’Agostino ci dice che i Manichei e i Donatisti fecero tutto ciò che era in loro potere per suscitare pregiudizi nella mente del popolo contro la Chiesa Cattolica Romana. Essi dicevano agli uomini che l’insegnamento della Chiesa era una dottrina infondata e profana, piena di princìpi malvagi ed invenzioni umane, invece che essere la fede Divina; e tutte queste calunnie si diffondevano all’esterno tra la gente, in modo che non pensassero più di andare in Chiesa per apprendere la verità, e persino sospettando che Essa non fosse la Chiesa di Cristo. « La ragione principale – dice Sant’Agostino – perché ho continuato a vivere così a lungo negli errori dei Manichei e ho messo in discussione la Chiesa Cattolica con così tanta violenza, era che io pensavo che tutto ciò che avevo sentito contro la Chiesa fosse vero! Ma quando ho scoperto che era tutto falso, ho fatto conoscere questa falsità al mondo, per disingannare gli altri che erano stati catturati nella stessa trappola. Ho mescolato gioie e rossori, e mi vergognavo di aver emesso, per così tanti anni, latrati e ragli, non contro la Fede cattolica, ma solo contro la falsità delle mie presunzioni carnali. Io ero così avventato e empio, che quelle cose che avrei potuto apprendere dai Cattolici con semplici domande, le ho caricate di accuse. Ero pronto più ad accettare la menzogna che ad essere informato della verità. » Questo lo fece, illuso e ingannato dai Manichei. Ahimè! Questo non è stato solo il caso di S. Agostino, ma di quasi tutti quelli che hanno dato ascolto ai disertori di questa Chiesa; anzi, è proprio di questi giorni il caso di un numero infinito di protestanti e di infedeli che, seguendo sant’Agostino nei suoi errori, non indagano su come queste cose siano credute o comprese dalla Chiesa, ma si oppongono a tutti in modo riluttante, come se questi capissero ciò che loro immaginano. Non fanno differenza tra ciò che insegna la Chiesa Cattolica, e ciò che essi pensano che essa insegni. Così credono che Essa sia colpevole di tante assurdità, follie ed impietà, come facevano i pagani di un tempo. Questo è un protestante: egli considera l’antichità della Chiesa Cattolica Romana; la sua unità nella fede; la purezza e la santità della sua Dottrina; il suo stabilimento da parte di poveri pescatori in tutto il mondo, nonostante tutti i tipi di opposizione; la sua durata invariabile dal tempo degli Apostoli; i miracoli che sono avvenuti in Essa; la santità di tutti coloro che vivono secondo le sue leggi; la profonda scienza dei suoi dottori; il numero quasi infinito dei suoi martiri; la pace della mente e la felicità dell’anima vissuta da coloro che sono entrati nel suo seno; il fatto che tutti i protestanti ammettano che un fedele Cattolico possa essere salvato nella sua Religione; la terribile punizione inflitta da Dio a tutti i persecutori della Chiesa Cattolica; la morte infelice degli autori delle eresie; l’adempimento costante delle parole di nostro Signore, che la sua Chiesa sarebbe sempre stata perseguitata. Egli considera seriamente tutto questo; è illuminato dalla grazia di Dio per vedere che la Chiesa Cattolica Romana è la sola vera Chiesa di Gesù Cristo; è convinto che la sua autorità provenga da Dio e che ascoltare e obbedire alla sua autorità sia ascoltare e obbedire a Dio stesso: e così accetta e crede a tutto ciò che insegna; perché le viene dall’autorità di Dio, e quindi deve essere vero; non perché lui stesso vede come o perché sia vero. Questa è la vera fede divina – questo è il modo giusto per diventare Cattolici. Tale fede è assolutamente necessaria. È necessario per necessità di precetto. Il nostro benedetto Signore dice: « Chi crede e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crede sarà condannato! ». Questo precetto è affermativo, nella misura in cui ci obbliga a credere a tutto ciò che Dio ha rivelato; è negativo, nella misura in cui ci vieta di esprimere opinioni contrarie alla verità rivelata. – Tale fede è necessaria per necessità di mezzo, perché « …  senza fede è impossibile piacere a Dio ». (Ebr. XI.) « Se non credete, morrete nei vostri peccati ». (Giovanni, VIII, 24.). Ora, un protestante così, sta per unirsi alla Chiesa Cattolica. Coxe lo sente … così va e tiene lezioni sull’idolatria e gli errori della Chiesa Cattolica Romana, per impedirgli di cadere, come lui stesso le chiama, “in mani cattive”.  Lord Stafford era un buon Cattolico, ma sua moglie era una protestante severa. Aveva vissuto diversi anni ad Abbeville, in Francia. Pregò il vescovo di Amiens, monsignor De la Motte, di convertire sua moglie. « Dio solo può convertire l’anima – rispose il Vescovo – puoi farle più bene tu pregando per lei, che io parlando con lei. » – Ora Lady Stafford aveva una grande stima per San Francesco di Sales. « Se potessi incontrare un Vescovo come lui – diceva – potrei diventare Cattolica ». Ebbe così un colloquio con il Vescovo di Amiens. All’inizio egli evitò l’argomento della Religione e cercò di ottenere la sua fiducia. Un giorno le chiese se la sua coscienza fosse completamente tranquilla, e, se non avesse dubbi sulla sua religione, vivendo così separata com’era dalla Chiesa. « Con la Bibbia in mano – ella rispose – non temo nessuno, sono abbastanza soddisfatta ». Le parole del Vescovo, tuttavia, le fecero una profonda impressione. Cominciò allora a dubitare seriamente della verità della sua setta. Venne di nuovo a consultare il Vescovo. Ella ascoltò uno dei suoi sermoni e concepì un grande desiderio di poter professare la stessa fede religiosa di questo santo prelato. Aveva ancora dei dubbi sulla santa Messa e sul Purgatorio. Consultò ancora una volta il Vescovo. Ma invece di risolvere immediatamente i suoi dubbi, il Vescovo le disse: « Madame, voi conoscete bene il vescovo protestante di Londra, avete evidentemente una grande fiducia in lui. Andate, dunque, e riferitegli ciò che ora vi dico: il Vescovo di Amiens dichiara che diventerà protestante, se puoi confutare il fatto che S. Agostino, che tu consideri una delle più grandi luci della Chiesa, abbia offerto la santa Messa, … ed  offerta per i morti, vale a dire per la madre sua defunta. » La proposta venne accettata. Lady Stafford chiese al marito di andare a Londra, e lì, in incognito, pose il messaggio scritto nelle mani del vescovo protestante, riportandone la risposta scritta. Il vescovo protestante lesse il messaggio e, alla richiesta di scrivere una risposta, disse: « Questa signora è caduta in cattive mani, sarà pervertita, qualsiasi cosa io possa dire non ostacolerà il male, ma darà adito a incomprensioni e recriminazioni spiacevoli ». Come possiamo immaginare, Lady Stafford fu molto sorpresa da questa risposta. Era sincera: era evidente che il vescovo non desiderava rispondere, perché non poteva. In particolare, l’hanno spinta a compiere il passo finale questi due pensieri: « 1. Nessun Cattolico è mai diventato un protestante facendo penitenza per i propri peccati per ritornare a Dio, mentre molti protestanti sono diventati Cattolici proprio per questa ragione.  – 2. I protestanti onorano come santi, molti dottori e padri della Chiesa che hanno insegnato una dottrina proprio contraria al protestantesimo e, di conseguenza, i protestanti devono ammettere che si possa diventare santi imitando questi santi dottori e vivendo e morendo nella loro fede. Lady Stafford fece gli esercizi spirituali per alcuni giorni in un convento, e finalmente divenne una buona e fervente cattolica. » (Herbert.)  – Come il vescovo protestante di Londra, anche il vescovo Coxe sa che molti non Cattolici sono caduti in “cattive” mani e sono diventati Cattolici molto edificanti. Egli sa pure che i buoni libri cattolici, che spiegano chiaramente la Religione Cattolica, sono anch’essi delle “cattive mani” con cui molti non Cattolici si sono convertiti alla Chiesa Cattolica. Sa quindi che anche “Familiar Explanation of Christian Doctrine è una di queste “cattive mani”. Ma con l’evitare che i non Cattolici leggano questo piccolo libro, egli dimostra così chiaramente che solo la Chiesa Cattolica Romana è la “vera” Chiesa di Cristo, e che nessuna salvezza è possibile fuori da Essa; pertanto egli estrapola alcune domande e risposte, disonestamente avulse dal contesto, e le ingarbuglia, come fa con la Sacra Scrittura, per la distruzione di se stesso e quella del suo prossimo.  Non abbiamo saputo cosa abbia detto Mons. Coxe su queste domande e risposte; ma, a giudicare dall’articolo anonimo: Queer Explanation, (una spiegazione strana) possiamo capire che le abbia usate come argomenti per denunciare l’idolatria e l’errore della Religione Cattolica.  Il signor Coxe non è del parere di dichiarare che la Religione Cattolica sia idolatra e piena di errori, poiché sa troppo bene che l’idolatria è stata eliminata dalla Chiesa Cattolica e che, se non fosse stato per Essa, egli stesso sarebbe stato un idolatra. Se Coxe calunnia la Sposa di Cristo in modo tanto empio, ciò dipende da un odio diabolico che nutre per Essa. E perché egli e molti altri protestanti nutrono un odio diabolico verso la Chiesa cattolica? « I cosiddetti riformatori – dice il dottor O. A. Brownson – supponevano, in un primo momento, di poter mantenere la religione dogmatica per mezzo della Bibbia, senza alcun interprete o maestro divinamente autorizzato, poiché non erano a conoscenza di quanto la loro interpretazione delle Scritture dipendesse dalla tradizione della Chiesa nella quale erano stati educati tutti. Quando questo fu evidenziato dai Cattolici, che dimostrarono pure che la Bibbia, interpretata dalla tradizione, sosteneva le affermazioni del Papato e della Chiesa Cattolica, dalla quale essi si erano separati, furono costretti, per essere coerenti con se stessi, a ritornare alla Chiesa Cattolica o a rifiutare l’interpretazione tradizionale della parola scritta, e ad affidarsi perciò esclusivamente, da allora in poi, nella loro interpretazione del testo sacro, alla grammatica e al lessico. Ma interpretando unicamente con la grammatica e con il lessico, fu presto scoperto che non si potesse evincere alcun sistema dogmatico uniforme e coerente in grado di avere un qualsiasi grado di certezza tollerabile dalle Sacre Scritture. Questo è un fatto innegabile. Le variazioni del protestantesimo, anche durante la vita dei riformatori, la moltiplicazione delle sette protestanti, tutte attingenti al testo sacro, e l’esperienza di trecento e più anni, lo rendono indubitabile. I protestanti, spinti dai loro oppositori Cattolici, furono spinti alla triste alternativa di condannare la loro separazione dalla Chiesa e tornare alla sua comunione, o di rinunciare alla religione dogmatica come fatto non essenziale, ricorrendo alle emozioni o al sentimento interiore. – “I riformatori immaginavano di essersi opposti mediante una verità all’autorità della Chiesa nell’ostentare l’autorità della Bibbia, ma in tal modo cambiarono solo la forma della loro negazione: la loro affermazione circa l’autorità della Bibbia era puramente negativa: questo era in realtà semplicemente la negazione dell’autorità della Chiesa di interpretarla o declamarla e applicarne il senso, e non significa né più né meno quel che la Chiesa ha sempre affermato nel dichiarare l’autorità della Bibbia, interpretata e giudicata dal tribunale divinamente istituito all’uopo. La Bibbia, come l’esperienza protestante ha poi dimostrato, senza la Chiesa come tribunale, non ha alcuna autorevolezza, come lo sono gli statuti di un regno o di una repubblica lasciati al giudizio privato del cittadino o del soggetto, senza che il tribunale civile li interpreti e li applichi su di un caso in esame; essi non si opponevano alla Chiesa se non come principio della negazione di ogni verità o autorità: nient’altro che la pura negazione, storicamente e logicamente; il protestantesimo, nonostante le scappatoie o i sotterfugi, ha raggiunto il suo inevitabile fine, cioè: la negazione di ogni autorità, esterna o interna, spirituale o secolare, e quindi di ogni fede, di ogni verità oggettiva e di ogni Religione; poiché la natura stessa della Religione è quella di legare la coscienza con l’obbligo dell’uomo di obbedire a Dio. « Quindi – dice Sant’Alfonso – Rifiutare l’insegnamento divino della Chiesa Cattolica, è rifiutare la base stessa della ragione e della rivelazione, poiché né i principi dell’una, né quelli dell’altra hanno più alcun solido sostegno su cui reggersi; perché questo può quindi essere interpretato da ognuno a suo piacimento, si possono negare tutte le verità che si vuol negare; pertanto ripeto: se l’autorità divina di insegnamento della Chiesa e l’obbedienza ad Essa sono respinte, ogni errore sarà approvato e potrà essere tollerato.” (Appendice al suo lavoro “Il Concilio di Trento”). « In effetti, negando il fondamento stesso della Religione, o rifiutando la verità rivelata – dice Brownson – priviamo la ragione stessa della sua forza e ne oscuriamo la luce, smettendo di essere in grado di mantenere, con una solida comprensione, la verità che giace nel suo stesso ordine, come dimostra l’immensa superiorità intellettuale dei Cattolici sui protestanti: paragona un contadino irlandese o spagnolo ad un contadino inglese o ad un protestante-tedesco, o i dotti benedettini di San Maur o i Bollandisti ai tuoi eruditi studiosi e critici protestanti, o i grandi dottori medievali ai teologi protestanti più lodati: la differenza di lucidità mentale, l’acutezza e la forza è così grande da rendere quasi completamente ridicolo il confronto ».  – « L’età attuale – dice il dottor O. A. Brownson – si vanta della sua liberalità, ma la sua sfacciata liberalità è il risultato del suo indifferentismo alla teologia dogmatica e della sua mancanza di ferma convinzione in ogni verità positiva o affermativa. Le sette hanno smesso di sgozzarsi a vicenda, poiché non vale la pena discutere le differenze tra esse, dal momento che sono tutte animate da un solo e medesimo spirito e si muovono nella stessa direzione. Tuttavia, quantunque l’epoca sia più seria, è comunque intollerante come qualsiasi epoca precedente. Ci possono essere individui che detestano onestamente l’intolleranza in ogni modo o forma, ma questi si trovano principalmente tra i Cattolici che prendono sul serio la dottrina popolare della libertà religiosa, e fanno di tutto per rifiutare ogni solidarietà con la storia passata della loro Chiesa, e protestare contro lo spirito, se non proprio contro la lettera, del Sillabo. La Chiesa insegna la verità, e tutta la verità è intollerante, e rifiuta di tollerare anche la parvenza dell’errore; l’impopolarità di un principio o di una dottrina non ha nulla a che fare con la sua verità o con l’obbligo di osservarla. Dove i Cattolici sono in minoranza, come da noi, la prudenza del mondo può sembrare che consigli la difesa di quella che viene chiamata, ma falsamente chiamata, la libertà di coscienza, cioè il diritto di ogni uomo di formare o di scegliere da sé il proprio credo religioso e rispettarlo; ma una prudenza più alta, la Prudenza divina, consiglia l’adesione al principio cattolico, a ciò che è vero sempre e dappertutto. Né i principi né le dottrine della Chiesa cambiano o subiscono alcuna modifica con i cambiamenti o le variazioni del tempo o del luogo. Nessun uomo ha il diritto di fronte a Dio, per quanto possa averlo davanti allo Stato, di professare una qualsiasi religione tranne l’unica e vera Religione, la Cattolica, e nessuno può aderire a nessun’altra se non a proprio rischio e pericolo.  « Eppure, con tutta la loro sfacciata liberalità, i protestanti affermano solo la libertà di negare la verità, e se la loro intolleranza alla Cattolicità ha cambiato la sua forma, non è diminuita però nella sua intensità. Il loro odio per la Chiesa non è diminuito in alcun modo. Le nazioni ora non perseguitano i Cattolici, come hanno fatto all’inizio, per la paura dell’intervento dei governi cattolici stranieri, anche se, in senso stretto, non ci sono più governi cattolici sulla terra, ma il loro terrore per la Chiesa e l’ostilità a tutto ciò che è Cattolico sono più grandi che mai, e proprio perché il termine cattolico si oppone direttamente alla negazione della verità oggettiva, con il dissolvimento della Religione in un sentimento o in un’emozione soggettiva, che varia con il luogo e il tempo, da individuo a individuo, essi sentono che la Cattolicità è l’affermazione della verità cattolica, e quindi che la Chiesa differisce da loro non semplicemente nel grado, come un più o un meno, ma nella natura, e contraddice direttamente il loro intero ordine di pensiero. Quindi l’intolleranza dei protestanti verso la Cattolicità non è ispirata dall’amore per la verità o dallo zelo per la parola di Dio, ma dalla loro mancanza di fede, per cui desiderano sentirsi liberi da ogni obbligo di credere e di osservare strettamente la verità, di seguire la ragione o la rivelazione, soddisfatti delle proprie opinioni, qualunque esse siano, e soddisfatti di vivere e morire nel loro indifferentismo religioso o semplicemente nel soggettivismo religioso. Questo non possono farlo più nel confrontarsi con la Chiesa Cattolica per cui essi devono distruggerla per essere in grado di godere con tranquilla coscienza delle proprie convinzioni o meglio delle loro “non credenze”. – « L’ostilità verso la Chiesa non deriva dalle sue dottrine o da dogmi speciali, né da alcuna convinzione intellettuale che siano falsi o irragionevoli, ma dal fatto che Essa insegna che la verità è oggettiva, indipendente dal credente, ed è obbligatoria, e nessuno ha o può avere il diritto di opporsi a Dio. I protestanti odiano la Chiesa per due ragioni: 1° perché afferma di insegnare infallibilmente con l’assistenza divina, e 2° perché sostiene che la verità è cattolica e lega sia la ragione, che la coscienza. Il diritto della Chiesa di insegnare tramite l’autorità divina attraverso il Papa e i Concili, era l’oggetto principale dell’ostilità all’inizio, una necessità assoluta della posizione assunta dai riformatori, ma abbiamo visto che, col passare del tempo, si è reso necessario, per sostenere la loro posizione contro la pressione degli argomenti Cattolici, il negare non solo l’autorità della Chiesa, ma anche l’autorità della Verità stessa, e quindi non si ritengono obbligati nell’osservarla, ma si considerano liberi di resisterle ogni volta che possono scegliere.La presenza e l’influenza della Chiesa si oppone a questa libertà interiore dalla Verità, che i non credenti chiamano “libertà di pensiero”, e i protestanti “libertà religiosa”, ed entrambi fanno guerra ad Essa, una guerra all’ultimo sangue, perché Essa non può e non può assolutamente favorirli: essi, increduli e protestanti, formano un’alleanza contro di Essa e cercano, con tutte le arti e i dispositivi in ​​loro potere, la sua totale distruzione dalla faccia della terra; perché entrambi sentono istintivamente che o Essa o loro devono perire. « È degno di nota che nella guerra che i protestanti e gli infedeli hanno finora condotto contro la Chiesa, non hanno né pretendono di avere alcuna verità o principio per opporsi ad Essa. Essi non combattono per la verità, né per alcun principio affermativo o Cattolico che negano o trascurano, ma per quello che chiamano i “diritti della mente”, che, tradotto in un inglese semplice, significa l’emancipazione della mente umana dall’autorità della Verità, e quindi da Dio che è la Verità, o, in termini più semplici ancora, la libertà di trattare la Verità e la menzogna come se avessero uguale valore, siano ugualmente indifferenti, o di negare ogni reale distinzione tra loro, e quindi tra il giusto e l’errato. Né la Ragione né la Rivelazione possono tollerare questo tipo di libertà, piuttosto questa è una licenziosità intellettuale e morale, e la sola stessa esistenza e la presenza della Chiesa la condannano, da qui l’inconciliabile antagonismo tra la Chiesa e le sette; ma c’è una notevole differenza tra il temperamento e le motivazioni delle due parti: ad esempio La Chiesa è sempre calma e raccolta, perché sa che ha la Verità; non indulge a nessuna passione, non ricorre ad alcuna violenza, a nessuna crudeltà o durezza contro i suoi nemici, perché sa che stanno solo facendo del male a se stessi, e non ad Essa; e quindi si commuove nella sua resistenza alla loro rabbia cieca, solo per quella carità divina che cerca di salvare le anime, non di distruggerle. È mossa dall’amore per i suoi nemici e cerca sempre, con tutti i mezzi in suo potere, di renderli buoni, buoni per il tempo e per l’eternità. Il suo atteggiamento verso di loro è quello di tenerezza e di compassione infinite. Ma il temperamento dei suoi nemici verso di Essa è quello della stizza e dell’odio immotivato; essi non sono mossi né dalla carità, né dall’amore per le anime; perché, se credessero nella salvezza, saprebbero che le anime possono essere salvate solo nella Chiesa, e non al di fuori di Essa, e quindi, ecco che i traditori nelle loro stesse odiose passioni, non pongono un limite alla violenza o alla crudeltà a cui potrebbero ricorrere, avendone il potere, se lo dovessero giudicare necessario o utile alla loro causa. Ne vediamo le prove nella legislazione anticattolica e nelle misure della Prussia, della Svizzera, dell’Italia protestante, della Spagna rivoluzionaria e delle misere repubbliche del Sud di questo Continente, dove l’influenza della nostra repubblica è stata più ostile alla Religione, alla pace e all’ordine della società.  – « Tutte queste cose provano, in primo luogo, che il partito protestante non si oppone alla Chiesa, come essi pretendono, per ragioni puramente politiche, perché essa non ha alcun potere politico o connessione ad esso e, in secondo luogo, perché davvero, qui e dappertutto, si oppongono ad Essa, perché è Cattolica nel suo insegnamento, afferma la Verità come vincolante per l’intelletto e la coscienza, in diretta contraddizione con la loro dottrina dell’indifferenza alla Verità e alla menzogna, secondo la quale ogni uomo ha il diritto naturale di professare qualsiasi religione, anche non Cattolica, o nessuna religione, a suo piacimento ». – « Ci sono, senza dubbio, un gran numero di protestanti che si attengono ai principali misteri cristiani così come insegnati dalla Chiesa e tramandati dalla Tradizione, ma essi, come abbiamo detto, li professano non come verità cattolica, ma come opinioni, che non rendono vincolante l’intelletto o la coscienza, e che essi sono liberi di accettare o respingere a loro gusto, secondo la loro convenienza o il loro capriccio. Nel linguaggio popolare del giorno, sono chiamati semplicemente opinioni religiose, non “dogmi” e raramente “articoli di fede”. Alcuni potrebbero considerarli come delle dottrine essenziali del Cristianesimo, ma il Cristianesimo stesso è considerato un’opinione, o un sentimento interiore, non come una legge che nessuno ha il diritto di contestare e a cui ognuno è tenuto ad obbedire. Essa è solo una tra molte religioni, nessuna delle quali è del tutto falsa o del tutto vera.  « Ci sono, ci piace credere, tra i protestanti, molte persone che sono molto superiori al loro protestantesimo, che non hanno ancora imparato a diffidare della ragione, che ritengono che la verità sia obbligatoria, che la Religione sia la legge della coscienza, che sono onesti, retti, gentili e benevoli secondo la loro luce, e che intendono essere veri credenti Cristiani: con questi si può ragionare e possono essere più o meno influenzati dalle argomentazioni; essi non sono autentici protestanti, potrebbero non capire molto bene le dottrine predicate dalla Chiesa dai primi riformatori, ma credono che siano Verità rivelate, che per loro sarebbe peccaminoso negare, e non delle semplici opinioni che si è liberi di accettare o meno, professandole secondo il proprio piacere. Questo serve a mantenere una parvenza di religione nelle diverse sette protestanti, ma essi non sono governati dallo spirito protestante e, se portati via dal movimento protestante, poiché non ne sono i leaders, sono i ritardatari della marcia in avanti del protestantesimo. Se ne trovano alcuni a Ginevra, che condannano seriamente le misure adottate dal Concilio contro il vescovo Mermillod e il clero cattolico; alcuni, come il signor von Gerlach, in Prussia, che resistono con tutti i mezzi in loro potere alla legislazione adottata dal governo contro la Chiesa e i suoi fedeli pastori; e un piccolo numero anche in questo Paese che si oppone apertamente all’ingiustizia di tassare i Cattolici per il sostegno delle scuole a cui le loro coscienze vietano di mandare i propri figli. Non sono questi, come uomini, come individui, che noi denunciamo, perché molti di loro li onoriamo e li stimiamo, bensì il “protestantesimo” a cui sono associati. – « Che i protestanti, almeno i cosiddetti protestanti ortodossi, professino di osservare e rivendichino al loro protestantesimo, molte cose che sono professate anche dai Cattolici, nessuno lo nega, ma queste cose non fanno parte del protestantesimo, perché la Chiesa le ha professate ed insegnate secoli prima che nascesse il protestantesimo: sono parte integrante dell’unica fede cattolica e appartengono solo ai Cattolici; i protestanti possono legittimamente rivendicare, come protestanti, solo quelle cose in cui si differenziano dalla Chiesa, e che la Chiesa nega, e che essi asseriscono, vale a dire, ciò che è peculiare o distintamente protestante: non possiamo permettere che rivendichino come loro ciò che è, e che è sempre stato nostro, accordiamo ad essi volontariamente ciò è loro, ma niente di più: tutto ciò che essi professano e conservano insieme a noi, è solo nostro, non loro. Adottando questa regola, che è giusta e inoppugnabile, praticamente nulla appartiene loro, ma solo le smentite, e siccome tutte le loro negazioni sono, come abbiamo visto, prive del principio o della verità cattolica, costituiscono delle pure eguaglianze; poiché il protestantesimo è puramente negativo, di conseguenza in esso non c’è religione, perché la vera Religione è solo affermativa.  – « Niente di tutto questo! Noi abbiamo visto che le negazioni protestanti, in entrambi i loro sviluppi logici e storici, portano alla negazione di ogni Religione dogmatica, di ogni Verità oggettiva, e riducono le verità della ragione e della rivelazione a mere opinioni personali, e quindi implicano la negazione di quelle stesse dottrine che i protestanti professano di tenere in comune con noi. L’immensa maggioranza dei protestanti abbandonerà queste dottrine, o acconsentirà a considerarle semplicemente come opinioni prive di autorità oggettiva, prima di abbandonare il movimento protestante o respingere i dinieghi che sono l’essenza del protestantesimo, quando comprenderà che l’essenza di una negazione, è quella di non avere un essere in sé stessa o altrove. Alcuni dei più recenti protestanti potranno essere occasionalmente coinvolti, ma la maggior parte di essi accelererà il passo e chiuderà con il corpo principale. Le conversioni individuali, in effetti, avvengono, ed in generale sono considerevoli, ma sono poco più che polvere nell’equilibrio generale rispetto al numero intero di protestanti, anche se sono di gran lunga più numerosi dei Cattolici che cadono, qui e altrove, nel protestantesimo o nell’infedeltà.  – « È ovvio quindi che per portare avanti una polemica, i protestanti, come se fossero dei Cristiani semplicemente erranti in merito a certi aspetti della fede cristiana, non possono esprimersi, non possono essere convinti dalle argomentazioni, perché non posseggono fermamente nulla che possa servire loro come base di un argomento: ci sembra molto più importante spogliarli di tutte le pretese cristiane, privarli del loro prestigio e del potere di seduzione che la loro professione cristiana dà loro, mostrando loro la totale nudità come dei veri e propri infedeli, piuttosto che faticare per far loro accettare le dottrine cattoliche che dichiaratamente rifiutano. Gli infedeli sono così, e non è poco importante dimostrare che nessun uomo può essere un protestante ed essere allo stesso tempo un Cristiano o un seguace di Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Dobbiamo questo ai non istruiti o a quelli imperfettamente istruiti, e specialmente ai nostri Cattolici dalla visione mondana, che sono esposti alle influenze e alle seduzioni protestanti e che si allontanerebbero con orrore dall’infedeltà e dalla negazione del Signore che ci ha comprati, e tuttavia sono tentati di fraternizzare con i protestanti che fingono di essere Cristiani e di avere l’essenziale della fede cristiana, se scoprono che i Cattolici stessi ammettono che i protestanti sono Cristiani, anche se Cristiani eterodossi. Lo dobbiamo anche a coloro che, tra le fila dei protestanti, si sentono destinati ad essere Cristiani e vorranno essere Cristiani. Entrambe le classi dovrebbero essere istruite per capire come sia vero che il protestantesimo non è il Cristianesimo, non è una Religione, ma è, quando viene spinto alla sua ultima conseguenza, la negazione della Rivelazione, la negazione della Ragione, la negazione di Dio, l’autore della Ragione, ed è solo un ateismo mascherato, o una forma sottile di negazione universale o nichilismo. Ogni protestante onesto dovrebbe, per quanto possibile, impegnato a capirlo, in modo che possa comprendere il rischio che corre se rimane nei ranghi dei protestanti; e ogni Cattolico dovrebbe pure capirlo, in modo che possa vedere chiaramente che, se cede alla seduzione del protestantesimo, si separa completamente e interamente da Cristo nostro Signore, e si assicura la sua eterna perdizione. » Non conosciamo nulla di più riprovevole del mambypambyismo (buonismo accomodante) balbettato dai Cattolici sentimentali sulla buona fede dei “nostri fratelli separati”. Ci possono essere persone in buona fede tra i protestanti, ma, in tal caso, non mancano le opportunità di poterlo dimostrare ed uscire dalla Babilonia in cui sono stati allevati. Gli uomini non possono essere salvati senza Cristo, perché non c’è altro Nome dato sotto il cielo per cui possono essere salvati: senza la fede è impossibile piacere a Dio, e chi viene a Dio deve esserne consapevole, Egli stesso è il compenso di coloro che lo cercano, e come si può essere salvati da Cristo se si aderisce ad una fazione che lo respinge e che gli fa guerra? E come si può avere fede o credere in Dio se si è in comunione con coloro che riducono tutta la fede, tutte le convinzioni, tutte le verità, in realtà, ad una semplice opinione, o ad un sentimento interiore che varia in base a ciascun individuo? Se la Cattolicità è essere Cristiano, se la Ragione è autorevole e per se stessa competente, nulla è più certo del fatto che il protestantesimo non è in alcun senso cristiano, e che le persone che vivono e muoiono protestanti non possono essere salvate. È stoltezza del senso comune voler affermare il contrario, e questo praticamente neutralizza tutti i nostri sforzi per convertire i protestanti e per portarli a vivere e salvarsi nella fede in Cristo. – « Noi sappiamo ciò che dicono i teologi dell’ignoranza invincibile e non osiamo contraddirli: l’ignoranza invincibile scusa dal peccato in ciò di cui uno è invincibilmente ignorante (ignoranza non rimediabile), ma essa non dà la fede, non ha virtù, e senza fede, senza virtù positiva, nessun uomo può essere salvo. L’uomo che detiene implicitamente la Fede Cattolica, ma errando a causa dell’invincibile ignoranza nei confronti di alcuni dei suoi precetti e persino dei dogmi, può essere salvato, ma come si può dire che un uomo abbia implicitamente la Fede Cattolica, se non detiene affatto, o rifiuta ogni principio che la sottintende? Non è quindi certa questa  applicazione ai protestanti, che in realtà negano tutto ciò che sia Cattolico, regola che invece è oltremodo giusta se applicata ai Cattolici sinceri ma ignoranti o ai Cattolici che errano a causa della ignoranza incolpevole. Il protestantesimo non regge al confronto dell’eterodossia ordinaria, esso non è più cristiano del paganesimo greco e romano. – Senza dubbio, questo sarà recepito come illiberale, come troppo severo, ma l’unica domanda che dobbiamo porre è: è questa la Verità? È questa la legge? Se questa è la legge di Dio, essa è vera; è ciò che insegna la Chiesa, e non abbiamo nulla da recriminare per la questione della sua libertà o illiberalità, della sua severità o della sua clemenza. Tutto ciò di cui dobbiamo guardarci è affermare la Verità, seppure in uno spirito duro o illiberale, con un temperamento severo e crudele o con qualsiasi altra mancanza di carità, perché è  salvaguardia per coloro che si espongono alle terribili conseguenze del rigetto di Cristo e della sua legge, o che si rifiutano di accettare che Egli regni su di loro. Possiamo amare e pregare per loro, ma cercare di alterare la divina costituzione del suo regno è un incorrere nella colpa della ribellione: c’è solo una via giusta, e mentre è nostro dovere incamminarci in essa, è anche nostro dovere fare del nostro meglio per mostrarla a coloro che ne siano fuori, e cercare di riportarli a rientrare in essa. Sarebbe un peccato contro la carità lasciare che essi pensino di poter essere salvati al di fuori di questa unica via, o in altro modo. Non cambierebbe nulla nella legge esistente, indipendentemente da loro e da noi, se dovessimo farlo. Un uomo può essere liberale quanto gli piace con ciò che è suo, ma dare via ciò che è di un altro è un’ingiustizia. Dio è giusto e misericordioso, e ama tutte le opere delle sue mani, perché non avrebbe mai fatto nulla, se l’avesse odiato. Cristo ha tanto amato anche i peccatori, che ha dato la sua vita per loro, ed è una mancanza di fede in Lui il dubitare della saggezza o della giustizia, della bontà o della misericordia della sua legge. La Chiesa non può salvare coloro che la respingono, ma piange come una madre amorevole su coloro che sono fuori strada e si avviano verso una sicura perdizione. La carità è più alta e più ampia del cieco sentimentalismo, Essa ama tutti gli uomini, ma li ama in Dio. » (Review, ottobre 1873). –  Ogni Cattolico bene istruito conosce e comprende questa grande verità della nostra Religione e si sentirebbe molto indignato per il suggerimento circa la minima cosa contraria ad essa. Circa cinque anni fa, se ricordiamo bene, un predicatore protestante di New Orleans ha agito come il vescovo protestante Coxe. Scelse, dalla Familiar Explanation of Christian Doctrine, le stesse frasi avulse, citate da Coxe, per provare da esse l’idolatria e l’errore della Religione Cattolica. Egli fece inserire il suo lungo discorso in un giornale protestante di New Orleans. Il suo scopo era di impedire alle donne protestanti di prendere parte ad una fiera, i cui profitti dovevano andare a pagare i debiti di alcune chiese cattoliche. In risposta a questo articolo malevolo, il giudice McGloin, un erudito e devoto Cattolico di New Orleans, inserì nello stesso giornale un articolo elaborato, in cui dimostrava chiaramente, come fanno i buoni autori Cattolici, che la spiegazione che avevamo dato della Dottrina Cattolica in questione era perfettamente corretta.

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (4)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (4)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

CAPITOLO III

La grande rivolta contro Cristo.

[L’origine del protestantesimo dallo spirito di lussuria, di orgoglio, di cupidigia – Le atrocità dei protestanti]

Dall’inizio del mondo ci sono stati due elementi – il bene e il male – che si combattono l’un l’altro. “Devono esserci scandali”, dice il nostro Signore; San Michele e lucifero si combattono l’un l’altro in cielo; Caino e Abele nella famiglia di Adamo; Isacco e Ismaele nella famiglia di Abramo; Giacobbe ed Esaù nella famiglia di Isacco; Giuseppe e i suoi fratelli nella famiglia di Giacobbe; Solomone e Assalonne nella famiglia di Davide; San Pietro e Giuda in compagnia di Nostro Signore Gesù Cristo; gli Apostoli e gli imperatori romani nella Chiesa di Cristo; San Francesco d’Assisi e fratello Elia nell’Ordine Francescano; San Bernardo e suo zio Andrea nell’ordine cistercense; Sant’Alfonso e padre Leggio nella Congregazione del Santissimo Redentore; Fede ortodossa ed eresia e infedeltà, nel Regno di Dio sulla terra; il giusto e il malvagio, in tutti i luoghi; infatti, dov’è il paese, la città, il villaggio, la comunità religiosa o la famiglia, per quanto piccola possa essere, in cui questi due elementi non si trovino in opposizione. La parabola del seminatore e della zizzania è dappertutto verificata; anche se si dovesse essere completamente soli, la grazia e la natura si combattono a vicenda. « E i nemici di un uomo saranno quelli della sua stessa casa » (Matth. X, 36). Strano a dirsi, non solo il bene e il male si trovano in conflitto perpetuo; ma Dio, per fini sapienti, permette che anche che il più santo e il migliore degli uomini a volte siano diametralmente opposti l’uno all’altro, e persino incitino alla persecuzione, l’uno contro l’altro, sebbene ciascuno possa essere guidato dal più puro e più santo dei motivi. Ci devono essere scandali, un avvertimento fatale, benché divino! Ci devono essere tempeste in natura per purificare l’aria dagli elementi pericolosi. Allo stesso modo, Dio permette le “tempeste–eresie” che sorgono nella sua Chiesa sulla terra, di modo che le dottrine errate ed empie degli eretici possano, per contrasto, esporre in modo più chiaro le vere e sante dottrine della Chiesa. Come la luce è nel mezzo dell’oscurità, l’oro è in contrasto con il piombo, il sole è tra i pianeti, il saggio è tra gli sciocchi, così la Chiesa Cattolica Romana è tra i non Cattolici. « Se due cose di diversa natura – dice il Saggio – sono messe in opposizione, l’occhio ne percepisce subito la differenza ». Il bene è contro il male e la vita contro la morte: così anche il peccatore è contro l’uomo giusto, e così guarda tutte le opere dell’Altissimo: «Considera perciò tutte le opere dell’Altissimo; due a due, una di fronte all’altra ». (Eccl. XXXIII, 15.)  – Cristo, quindi, permette alle tempeste delle eresie di abbattersi sulla sua Chiesa, al fine di portare una luce più chiara sulla sua dottrina divina, e di rimuovere gli elementi pericolosi dal suo Corpo Mistico, la Chiesa Cattolica Romana. All’inizio del sedicesimo secolo, con l’eccezione degli scismatici greci, di pochi lollardi in Inghilterra, di alcuni valdesi in Piemonte, di dispersi albigesi o manichei, e di alcuni seguaci di Huss e Zisca tra i boemi, tutta l’Europa era Cattolica. Inghilterra, Scozia, Irlanda, Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Germania, Svizzera, Ungheria, Polonia, Olanda, Danimarca, Norvegia e Svezia, ogni nazione civile era nell’unità della fede Cattolica. Molte di queste nazioni erano all’apice della loro potenza e prosperità. Il Portogallo stava spingendo le sue scoperte oltre il Capo di Buona Speranza e stava formando insediamenti cattolici nelle Indie Orientali. Cristoforo Colombo, un Cattolico Romano, aveva scoperto l’America, sotto il patrocinio della Cattolica Regina Isabella di Spagna. L’Inghilterra era in uno stato di grande prosperità: le sue due università cattoliche di Oxford e Cambridge contavano, insieme, più di cinquantamila studenti; il Paese era coperto da nobili chiese, abbazie e monasteri e da ospedali in cui i poveri venivano nutriti, vestiti e istruiti. Tuttavia, i progressi della civiltà tendevano a promuovere uno spirito di orgoglio e incoraggiavano la brama delle novità. La prosperità della Chiesa portò al lusso e in molti casi ad un rilassamento della disciplina. C’erano, come sempre, in ogni periodo della Chiesa, giorni in cui gli Apostoli non erano accettati, e cattivi uomini nella Chiesa. Il grano e le zizzanie crescono insieme fino alla mietitura. La rete della Chiesa racchiude il bene e il male. Gli scritti di Wickliffe, Huss e dei loro seguaci avevano turbato la mente di molti. I prìncipi erano irrequieti a causa del controllo operato dalla Chiesa sulla loro rapacità e concupiscenza. Enrico VIII, per esempio, voleva divorziare da una moglie con la quale era sposato da vent’anni, per sposare una donna giovane e bella. Non poteva farlo, dovendo riconoscere la supremazia spirituale del Papa. Philip, Landgrave d’Assia, voleva due mogli. Nessun Papa gli avrebbe dato una dispensa per risposarsi e vivere con due donne contemporaneamente. Poi c’erano moltitudini di nobili cattivi e avari, che volevano solo un pretesto per saccheggiare le chiese, le abbazie e i monasteri, le cui proprietà erano adibite all’educazione del popolo e alla cura dei poveri, degli anziani e degli ammalati, in tutta Europa. Poi c’erano preti e monaci desiderosi di abbracciare una disciplina rilassata, e molte persone che, incitate al grido di libertà, erano pronte a correre in soccorso, e fare la guerra per ogni principio di religione e di ordine sociale, non appena le circostanze avessero favorito lo scoppio di questo spirito ribelle negli individui e nelle masse. Ora, quando Dio, dice san Gregorio, vede nella Chiesa molti che guazzano nei vizi, e, come osserva San Paolo, pur credendo in Dio e confessando la verità dei suoi misteri, sminuiscono la loro fede con le loro opere, Egli li punisce permettendo che dopo aver perso la grazia, perdano anche la santa conoscenza che avevano dei suoi Misteri, e che, senza alcuna altra persecuzione se non quella dei loro vizi, neghino la fede. È di questi David che parla, quando dice: “Distruggi Gerusalemme fino alle sue fondamenta”; (Salmi CXXXVI, 7) … non lasciare pietra su pietra. Quando gli spiriti malvagi hanno rovinato in un’anima l’edificio della virtù, ne fiaccano il fondamento, che ne è la fede. San Cipriano, quindi, disse: « Nessuno pensi che uomini virtuosi e buoni Cristiani lasciano mai il seno della Chiesa, non è il grano che il vento solleva, ma la paglia; gli alberi profondamente radicati non vengono abbattuti dalla brezza, ma solo quelli che non hanno radici; è dagli alberi insani che cadono frutti marci; i cattivi Cattolici diventano eretici, come una malattia è generata dai cattivi umori. In primo luogo, la fede languisce in loro, a causa dei loro vizi; diventano malati, poi muoiono, poiché il peccato è essenzialmente una cecità di spirito: più un uomo pecca, più è cieco, e la sua fede diventa sempre più debole, la luce di questa torcia divina diminuisce, e presto il minimo vento della tentazione o del dubbio è sufficiente per estinguerlo ». Testimone ne è la grande defezione dalla fede nel XVI secolo, quando Dio permise alle eresie di sorgere, al fine di esercitare la sua giustizia contro coloro che erano pronti ad abbandonare la verità, e la sua misericordia verso coloro che rimanevano attaccati ad essa; per scrutare, attraverso le prove, coloro che erano fermi nella fede e separarli quindi da quelli che avevano commesso l’errore; … per esercitare la pazienza e la carità della Chiesa e santificare gli eletti; … per dare l’occasione che si illustrasse la verità religiosa e della Sacra Scrittura; … per rendere i pastori più vigili e valorizzare ancor più il sacro deposito della fede; in fine, … per rendere l’autorità della tradizione più chiara ed incontestabile. L’eresia sorse in tutta la sua forza: Martin Lutero ne fu il capo e il portavoce. Martin Lutero, un frate agostiniano, un uomo audace e declamatore veemente, avendo assorbito i sentimenti errati dagli scritti eretici di John Huss di Boemia, prese l’occasione dalla pubblicazione delle indulgenze, promulgate da Papa Leone X, per rompere con la Chiesa Cattolica, e propagare i suoi nuovi errori, nel 1517, a Wittenberg, in Sassonia. In un primo momento protestò contro l’abuso delle indulgenze; poi ne mise in discussione l’efficacia, ed infine le respinse totalmente. Poi si espresse contro la supremazia della Sede di Roma e condannò tutta la Chiesa, adducendo il pretesto che Cristo l’avesse abbandonata, e che egli voleva riformarla, oltre che nella fede, anche nella disciplina. Così questo nuovo “evangelista” iniziò quella defezione fatale dall’antica fede, che fu definita “Riforma”. Le nuove dottrine, essendo mirate a soddisfare le viziose inclinazioni del cuore umano, si diffusero con la rapidità di un’inondazione. Federico, elettore di Sassonia, John Frederick, suo successore, e Filippo, Landgravio d’Assia, divennero discepoli di Lutero. Gustavus Ericus, re di Svezia, e Christian III., Re di Danimarca, si dichiararono pure a favore del luteranesimo, che si assicurò anche un posto in Ungheria. La Polonia, dopo aver vagliato una grande varietà di dottrine, lasciò ad ogni individuo la libertà di scegliere per se stesso. Munzer, un discepolo di Lutero, si autonominò dottore e, con Nicholas Stark, diede vita alla setta degli anabattisti, che fu propagata in Svevia, in altre province della Germania, e nei Paesi Bassi. Calvino, uomo di spirito audace e ostinato, instancabile nelle sue fatiche, ad imitazione di Lutero, divenne anch’egli riformatore. Riuscì ad elaborare le sue nuove dottrine esponendole a Ginevra, nel 1541. Dopo la sua morte, Beza predicò la stessa dottrina; questi si infiltrò in alcuni luoghi della Germania, dell’Ungheria, della Boemia e in Olanda impose questa religione. Questa poi fu importato da John Knox, un prete apostata, in Scozia dove, sotto il nome di Presbiterianesimo, mise profonde radici e si diffuse nel regno. Ma tra le nazioni illuse, nessuno più dell’Inghilterra beveva in profondità nel calice dell’errore. Per molti secoli questo Paese era stato di notevole importanza nel mondo cristiano per l’ortodossia della sua fede, come anche per il numero dei suoi Santi. Ma per la sfortuna di non essersi mai sufficientemente ribellata, e per un insondabile giudizio dall’alto, la sua Chiesa condivise un destino che sembrava lungi dal minacciarla. La concupiscenza e l’avarizia di un sovrano dispotico, abbatterono il fiero edificio e lo strapparono dalla roccia su cui si era assestato fino a quel momento. Enrico VIII, dapprima valoroso sostenitore della Fede Cattolica contro Lutero, lasciando il posto alle violente passioni che non aveva abbastanza coraggio di frenare, si pronunciò contro la giurisdizione suprema che il Papa aveva sempre tenuto nella Chiesa, presuntuosamente arrogando a sé medesimo quel potere nei suoi stessi domini, e dando quindi un colpo mortale alla Religione. Quindi costrinse i suoi sudditi alla stessa fatale defezione. Una volta introdotto gli errori, presto questi infestarono tutta la nazione. Essendo, per sua natura, non limitato da nessun principio fisso, il protestantesimo ha assunto centinaia di forme diverse, con nomi diversi, come: Calvinisti, Arminiani, Antinomiani, Indipendenti, Kilhamiti, Glassiti, Haldaniti, Bereani, Swedenborgiani, Nuovi-Jerusalemiti, Quaccheri ortodossi, Hicksiti, Agitatori, Cercatori, Cercatori, Saltatori, Metodisti riformati, Metodisti tedeschi, Metodisti Albright, Metodisti episcopali, Metodisti Wesleyan, Metodisti del Nord, Metodisti del Sud, Metodisti protestanti, Episcopaliani, Episcopali della Chiesa alta, Episcopaliani della Chiesa bassa, Ritualisti, Puseyiti, Riformati olandesi, Israeliani cristiani, Battisti, Battisti particolari, Battisti del settimo giorno, Battisti di Hardshell, Battisti di conchiglie, Battisti quarantisti, Battisti sessantisti, Battisti africani, Battisti del libero arbitrio, Battisti della chiesa di Dio, Battisti regolari, Battisti anti-missione, Battisti dei sei principi, Fratelli del fiume, Vitivinicoltori, Mennoniti, Secondi Avventisti, Milleriti, Cristiani Universalisti, Congregazionalisti ortodossi, Campbelliti, Presbiteriani, Presbiteriani della vecchia scuola e Presbiteriani della Nuova Scuola, Presbiteriani del Cumberland, Presbiteriani Uniti, L’unica vera chiesa di Cristo, 573 Bowery, NY, su per le scale, 5 ° storia, Santi degli ultimi giorni, Restauratori, chiesa di Schwenfelder, Spiritualisti, Mormoni, Perfezionisti cristiani, etc., etc., etc. Tutte queste sette sono chiamate “protestanti” perché tutte si uniscono per protestare contro la loro Madre, la Chiesa Cattolica Romana. Qualche tempo dopo, quando lo spirito riformatore aveva raggiunto la sua piena crescita, Dudithius, un erudito protestante, nella sua epistola a Beza, scrisse: « Che tipo di persone sono i nostri protestanti, che vanno e vengono da ogni vento di dottrina, a volte da questa parte, a volte a quella. … Potresti forse sapere quali sono i loro sentimenti in materia di religione oggi, ma non puoi mai dire con esattezza cosa essi saranno domani. » In quale articolo di religione convengono queste chiese che hanno respinto il Vescovo di Roma? Esamina tutto da cima a fondo, e non troverai una cosa affermata da una che non sia stata immediatamente condannata da un’altra come cattiva dottrina. La stessa confusione di opinioni è stata descritta da un protestante inglese, il dotto Dr. Walton, verso la metà del secolo scorso, nella sua prefazione al suo “Poliglotta”, dove dice: « Aristarco non ha potuto allora trovare sette saggi in Grecia; presso di noi al contrario si trovano così tanti idioti, perché tutti sono dottori, tutti sono divinamente ispirati: non c’è nemmeno il più meschino fanatico che non ti dia i suoi sogni come parola di Dio. I pozzi senza fondo sembra siano stati aperti, da essi è sorto un fumo che ha oscurato il cielo e le stelle, e ne sono venute fuori come locuste pungenti, numerose razze di settari e di eretici, che hanno rinnovato tutte le antiche eresie ed hanno inventato molte mostruose opinioni personali, e questi hanno riempito le nostre città, villaggi, campi, case, anzi, i nostri pulpiti, e conducono i poveri illusi con loro, fino alla fossa della perdizione.» – « Sì – scrive un altro autore – ogni dieci anni, o quasi, la letteratura teologica protestante subisce una rivoluzione completa: ciò che è stato affermato durante il primo decennio, viene respinto nel successivo, e l’immagine che hanno adorato viene bruciata, lasciando il posto a nuove divinità; i dogmi che sono stati tenuti in onore, cadono poi in discredito; il trattato classico di moralità è bandito tra i vecchi libri scaduti, la critica stravolge le critiche, il commento di ieri ridicolizza quello del giorno successivo, e quel che fu chiaramente dimostrato nel 1840, non è meno chiaramente confutato nel 1850. I sistemi teologici del protestantesimo sono numerosi quanto le costituzioni politiche della Francia! una rivoluzione attende solo un’altra ». – (Le Semeur, giugno 1840). È davvero impossibile trattenere i vari membri di una sola setta dalle dispute perpetue, persino riguardo alle verità essenziali della Religione rivelata. E quelle differenze religiose esistono non solo nella stessa setta, non solo nella stessa nazione e città, ma anche nella stessa famiglia. Anzi, lo stesso individuo, in diversi periodi della sua vita, è spesso in flagrante contraddizione con se stesso. Oggi proferisce opinioni che ieri ha aborrito, e domani le scambierà di nuovo per altre più nuove. Alla fine, dopo aver fatto parte successivamente di varie sette nuove di zecca, in genere si finisce per professare un assoluto disprezzo per tutte loro. Con le loro continue dispute e battibecchi, dividendosi e suddividendosi, le varie sette protestanti sono state svergognate dalle menti oneste, hanno fatto sghignazzare i pagani e gli infedeli. Queste sette umane, le « opere della carne », come le chiama San Paolo, alterano la loro forma, come le nuvole, ma « non risentono alcun colpo – dice Marshall – perché non hanno sostanza ». Lottano molto l’una con l’altra, ma nessuno se ne accorge, nemmeno loro stessi, né ci si cura di cosa ne sia di loro: se una setta umana perisce, è sempre facile crearne un’altra o una mezza dozzina, esse hanno la vita dei vermi e si propagano per corruzione La loro vita è così simile alla morte che, se non altro che per il putridume che espongono in entrambe le fasi, è impossibile dire quali siano ancor vive e, quando sono alfine sepolte, nessuno può trovare le loro tombe: sono semplicemente scomparse! Lo spirito del protestantesimo, o lo spirito di rivolta contro Dio e la sua Chiesa, è sorto dallo spirito di incontinenza, di ostinazione e di bramosia dei riformatori. Lutero, nonostante il voto fatto solennemente a Dio di mantenere la continenza, sposò una monaca ugualmente, essa stessa, legata a quella sacra promessa religiosa; ma, come dice San Girolamo, « è raro trovare un eretico che ami la castità ». – L’esempio di Lutero era stato in effetti anticipato da Carlostadtius, un prete e capo dei Sacramentari, che si era sposato poco prima; e fu presto seguito dalla maggior parte dei capi della Riforma.  Zwinglius, un prete e capo della setta che portava il suo nome, prese una moglie. Bucer, un membro dell’ordine di San Domenico, divenne luterano, lasciò il suo chiostro e sposò una suora. Œcolampadius, un monaco Brigidino, divenne Zwingliano e poi sposato.  Cranmer, arcivescovo di Canterbury, aveva anche egli moglie.  Peter Martyr, un canonico regolare, abbracciò la dottrina di Calvino, ma seguì l’esempio di Lutero e sposò una suora.  Ochin, generale dei cappuccini, divenne un luterano ed anch’egli prese moglie. Così i principali dirigenti della Riforma andarono avanti, predicando il nuovo vangelo, con due sigilli su di essi: l’apostasia dalla fede e l’aperta violazione dei sacri voti. La passione della lussuria, come è già stato detto, spinse anche Enrico VIII d’Inghilterra ad una separazione dalla Chiesa Cattolica, e lo si classificò tra i riformatori. Non ci si poteva aspettare che quei malvagi insegnassero una santa dottrina; predicavano una “libertà evangelica” fino ad allora inaudita, mentre la disdegnavano. Dissero ai loro simili che non erano più obbligati a sottomettere la loro comprensione ai Misteri della fede ed a regolare le loro azioni secondo le leggi della morale cristiana; dissero che tutti erano liberi di modellare le proprie convinzioni e le proprie pratiche sulla base delle proprie inclinazioni. Seguendo questa dottrina accomodante, hanno spolpato la Fede Cattolica fino a ridurla a un semplice scheletro; ne hanno asportato la realtà del Corpo e del Sangue di Cristo nella Santa Eucaristia, il Sacrificio cristiano divino offerto nella Messa, la Confessione dei peccati, la maggior parte dei Sacramenti, gli esercizi penitenziali, molti dei libri canonici della Scrittura, l’invocazione dei santi, il celibato sacerdotale, la maggior parte dei Concilii generali della Chiesa e tutte le autorità della Chiesa esistenti; hanno pervertito la natura della giustificazione, affermando che la sola fede basta a giustificare l’uomo; hanno reso Dio l’autore del peccato e hanno ritenuto impossibile l’osservanza dei comandamenti. Come esempi della dottrina di Lutero, si apprenda quanto segue: « I comandamenti di Dio sono tutti ugualmente impossibili ». (De Lib. Cristo., T. II, Fol. 4.) « Nessun peccato può dannare un uomo, ma solo l’incredulità. » (De Captiv. Bab., T. II., 171.) « Dio è giusto, anche se per sua volontà ci pone sotto la necessità di essere dannati, e sebbene danneggi coloro che non lo hanno meritato ». (Tom II, cad. 434, 436.) « Dio opera in noi sia il bene che il male ». (Tom, II .., 444.) « Il corpo di Cristo è in ogni luogo, non meno della stessa divinità ». (Tom, iv., 37.) Quindi, per il suo principio a lui caro della giustificazione mediante la fede, nel suo undicesimo articolo contro Papa Leone, dice: « Credi fermamente che sei assolto, e assolto sarai, che tu abbia o non la contrizione. ». Ed ancora, nel suo sesto articolo: « La contrizione che si acquisisce esaminando, ricordando e detestando i propri peccati, per cui un uomo richiama alla mente il passato della vita sua, nell’amarezza della sua anima, riflettendo sull’enormità e sulla moltitudine delle sue offese, che determina la perdita della beatitudine eterna e la condanna ad un dolore eterno, questa contrizione, dico, rende un uomo ipocrita, anzi, persino un peccatore più grande di prima. » – Così, dopo la vita più immorale, un uomo ha un metodo tanto comodo per salvarsi, semplicemente credendo che i suoi peccati siano rimessi per i meriti di Cristo.  Siccome Lutero previde lo scandalo che sarebbe sorto dai suoi e da simili matrimoni sacrileghi, preparò il mondo ad esso, scrivendo contro il celibato del clero e contro tutti i voti religiosi; e fino in fondo, fin dai suoi tempi, ha avuto imitatori. Ha proclamato che tutti questi voti « erano contrari alla fede, ai Comandamenti di Dio e alla libertà evangelica ». (De Votis Monast.) Ha detto ancora: « Dio disapprova un tale voto di vivere in continenza, allo stesso modo come se dovessi giurare di diventare la madre di Dio, o di creare un nuovo mondo ». (Epist. Ad Wolfgang Reisemb.) E ancora: « Tentare di vivere senza sposarsi, è chiaramente combattere contro Dio ». Ora, quando gli uomini danno libero sfogo alla depravazione della natura, qual meraviglia se ne derivano le pratiche più scandalose? Come conseguenza, apparve un esempio eclatante di questo genere di pensiero nella licenza concessa, nel 1539, a Philip, Landgravio d’Assia, di avere due mogli contemporaneamente, licenza firmata da Lutero, Melanchthon, Bucer e altri cinque predicatori protestanti.  D’altra parte, fu aperta una grande porta ad un’altra specie di scandalo: la dottrina della Riforma ammise i divorzi nello stato del matrimonio in certi casi, contrariamente alla dottrina del Vangelo, e permise anche alle parti così separate di sposarsi con altre mogli ed altri mariti. – Per elencare gli errori di tutti i riformatori supereremmo i limiti di questo trattato. Perciò aggiungerò solo i principali capi della dottrina di Calvino e dei calvinisti: 1. Che il Battesimo non è necessario per la salvezza; 2. Che le buone opere non sono necessarie; 3. Che l’uomo non ha libero arbitrio; 4. Adamo non poté evitare la sua caduta; 5. Una gran parte dell’umanità viene creata per essere dannata, indipendentemente dai propri demeriti; 6. L’uomo è giustificato dalla sola fede, e quella giustificazione, una volta ottenuta, non può essere persa, neppure con i crimini più atroci; 7. I veri fedeli sono anche infallibilmente certi della loro salvezza; 8. L’Eucaristia non è altro che una figura del Corpo e del Sangue di Cristo. In tal modo fu rovesciato l’intero sistema di fede e moralità. Essi abolirono completamente tutta la tradizione; e sebbene non potessero rifiutare l’intera scrittura, universalmente riconosciuta come parola di Dio, ebbero tuttavia la presunzione di cancellare alcuni libri che non coincidevano con le loro opinioni, e presumevano di sentirsi in diritto di spiegare il resto come meglio credevano. Alle anime pie, avevano promesso un ritorno al fervore del Cristianesimo primitivo; agli orgogliosi, la libertà del giudizio privato; ai nemici del clero, la divisione del loro bottino; ai sacerdoti e ai monaci che erano stanchi del giogo della continenza, l’abolizione di una legge che, dicevano, era contraria alla natura; ai libertini di tutte le classi, la soppressione del digiuno, dell’astinenza e della Confessione. Dissero ai re che volevano mettersi a capo della Chiesa e degli Stati, che sarebbero stati liberati dall’autorità spirituale della Chiesa; ai nobili, che avrebbero visto un ordine rivale umiliato e impoverito; alle classi medie e ai vassalli della Chiesa, che sarebbero stati emancipati da tutti i debiti e dai servizi forzati. Diversi principi della Germania e dei cantoni svizzeri sostennero con le armi i predicatori delle nuove dottrine. Enrico VIII impose la sua dottrina ai suoi sudditi: il re di Svezia attirò il suo popolo nell’apostasia. Il Tribunale di Navarra accolse i calvinisti; la Corte di Francia li favorì segretamente. Alla fine Papa Paolo III convocò un Concilio generale a Trento, nel 1545, a cui gli eresiarchi avevano fatto appello. Non solo furono invitati a venire tutti i Vescovi Cattolici, ma anche tutti i principi cristiani, anche i protestanti. Ma in tal modo lo spirito di orgoglio e l’ostinazione divenne più evidente. Enrico VIII rispose al Papa che non avrebbe mai affidato l’opera di riforma della religione nel suo regno a nessuno tranne che a se stesso. I principi apostati della Germania dissero al legato papale che riconoscevano solo l’imperatore come loro sovrano; il viceré di Napoli consentì a quattro Vescovi di andare al Concilio; il re di Francia mandò solo tre prelati, che ritirò poco dopo. Carlo V, creò difficoltà e mise ostacoli sulla strada. Gustavo Vasa non permetteva a nessuno di andare al Concilio. Anche gli eresiarchi rifiutarono di apparire. Il Concilio, tuttavia, si svolse nonostante queste difficoltà. Durò più di diciotto anni, perché fu spesso interrotto dalla peste, dalla guerra e dalla morte di coloro che dovevano presiederlo. Le dottrine degli innovatori furono esaminate e condannate dal Concilio nell’ultima sessione alla quale furono presenti e parteciparono più di trecento Vescovi; tra questi c’erano nove Cardinali, tre Patriarchi, trentatré Arcivescovi, per non parlare di sedici Abati o Generali di ordini religiosi e cento quarantatré teologi. Tutti i decreti pubblicati dall’inizio sono stati letti e sono stati nuovamente approvati e sottoscritti dai Padri conciliari. Di conseguenza, Pio IV, in un concistoro tenuto il 26 gennaio, nel 1564, approvò e confermò il Concilio in un libro che fu firmato da tutti i Cardinali. Redasse poi, nello stesso anno, una professione di fede conforme a tutti gli effetti, alle definizioni del Concilio, ed in cui si dichiarava che la sua autorità veniva universalmente accettata; e da quel momento, non solo tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica, ma tutti i Sacerdoti chiamati ad insegnare la via della salvezza anche ai bambini, anzi, tutti i non Cattolici, abiurando i loro errori e tornando in seno alla Chiesa, giuravano di non avere altra fede che quella del santo Concilio. – I nuovi eresiarchi, tuttavia, continuarono ad oscurare e sfigurare il volto della Religione. Per quanto riguarda i sentimenti di Lutero nei confronti del Papa, dei Vescovi, dei Concili, ecc., egli dice, nella prefazione al suo libro, De Abroganda Missa Privata: « Con quanti potenti rimedi e con le più evidenti Scritture, ho scarsamente potuto fortificare la mia coscienza per osare da solo contraddire il Papa, e credo che egli sia l’Anticristo, i Vescovi suoi apostoli e le università le sue case-bordelli »; e nel suo libro, De Judicio Ecclesiæ de Grave Doctrina, dice: « Cristo prende dai Vescovi, dai dottori e dai Concili, sia il diritto che il potere di giudicare le controversie, e le dà a tutti i Cristiani in generale ». La sua censura sul Concilio di Costanza e su quelli che vi avevano partecipato è la seguente: « Tutti gli articoli di John Huss furono condannati a Costanza dall’Anticristo e dai suoi apostoli » (nel senso del Papa e dei Vescovi), « in quel sinodo di satana, composto da molti sofisti malvagi; a te, Santissimo Vicario di Cristo, dico chiaramente in faccia, che tutte le dottrine condannate da John Huss sono evangeliche e cristiane, ma tutte le tue sono empie e diaboliche. Egli, parlando ai Vescovi, « … che per il futuro non ti garantirò tanto onore da sottomettere la dottrina al tuo giudizio, o a quello di un Angelo dal cielo ». (Prefazione al suo libro Adversus falso nominatum ordinem Episcoporum). Tale era il suo spirito di orgoglio che rese aperta la professione di disprezzo per l’autorità della Chiesa, dei concili e dei Padri, dicendo « Tutti quelli che si avventureranno nelle loro vite, nelle loro proprietà, il loro onore e il loro sangue, in un’opera così cristiana da sradicare tutti i vescovati e i Vescovi, che sono i ministri di satana, e strappano fino alle radici tutta la loro autorità e giurisdizione nel mondo, queste persone sono i veri figli di Dio e obbediscono ai suoi comandamenti “. (Contra Statum Ecclesia et falso nominatum ordinem Episcoporum). Questo spirito di orgoglio e di ostinazione è anche più evidenziato dal fatto che il protestantesimo non si è mai vergognato di usare argomenti, sebbene mai così frivoli, incoerenti o assurdi, per difendere i suoi errori, diffamare e travisare la Religione Cattolica in ogni modo possibile. Si dimostra questo di nuovo nelle guerre che il protestantesimo ha intrapreso per introdurre e sostenere se stesso. I principi apostati di Germania entrarono in una lega, offensiva e difensiva, contro l’imperatore Carlo V., e si levarono in armi per fondare il protestantesimo. Lutero aveva predicato la licenziosità e offeso l’imperatore, i principi e i Vescovi. I contadini non persero tempo a liberarsi dai loro padroni. Essi invasero il paese con bande senza legge, bruciato castelli e monasteri, e commesso le più efferate crudeltà tra la nobiltà e il clero. La Germania divenne infine la scena della desolazione e delle atrocità più crudeli durante la Guerra dei Trent’anni (1618-1648). Più di centomila uomini caddero in battaglia; sette città furono devastate; un migliaio di case religiose furono rase al suolo; trecento chiese e immensi tesori di statue, dipinti, libri, ecc. furono distrutti. Ma cosa è più evidente e più noto dello spirito di avidità del protestantesimo? Ovunque il protestantesimo mettesse piede, saccheggiava le chiese, usurpava ogni proprietà della Chiesa, distruggeva i monasteri e si appropriava delle sue entrate. In Francia, i calvinisti distrussero ventimila chiese cattoliche; uccisero solo nel Delfinato duecento e venticinque preti, centododici monaci e bruciarono novecento città e villaggi. In Inghilterra, Enrico VIII, ebbe confiscato alla corona, o distribuito tra i suoi favoriti, la proprietà di seicento quarantacinque monasteri e novanta collegi, centodieci ospedali, e duemila trecentosettantaquattro cappelle e  liberi oratori. Hanno persino osato profanare, con mani sacrileghe, i resti dei martiri e dei confessori di Dio. In molti luoghi hanno forzatamente preso i corpi dei Santi dai sepolcri in cui erano stati deposti, ne hanno bruciate e disperso le ceneri all’estero. Quale altra atroce indegnità potevano ancora essere concepite? Sono mai stati trattati peggio assassini o criminali? Tra gli altri esempi, nel 1663, i calvinisti aprirono il santuario di San Francesco di Paola, a Plessis-Lestours; e trovando il suo corpo incorrotto cinquantacinque anni dopo la sua morte, lo trascinarono per le strade e lo bruciarono in un incendio che avevano fatto con il legno di un grande crocifisso, come raccontano Billet ed altri storici.  Così a Lione, nello stesso anno, i calvinisti presero il santuario di San Bonaventura, lo spogliarono delle sue ricchezze, bruciarono le reliquie del Santo nella piazza del mercato e gettarono le sue ceneri nel fiume Saone, come riferito da Pœsevinus, che a quel tempo era a Lione. Anche i corpi di Sant’Ireneo, di S. Ilario e di San Martino, come asserisce Surius, furono trattati nello stesso modo ignominioso. Tale era anche il trattamento riservato alle reliquie di San Tommaso, arcivescovo di Canterbury, il cui ricco santuario, secondo le parole di Stowe, nei suoi annali, « … fu adibito ad uso del re, e le ossa di San Tommaso, per ordine di Lord Cromwell, furono ridotte in cenere nel settembre del 1538.  La Religione Cattolica ha coperto il mondo con i suoi magnifici monumenti. Il protestantesimo ora dura da trecento anni; era potente in Inghilterra, in Germania, in America … che cosa ha provocato? Ci mostrerà le rovine che ha prodotto tra le quali ha piantato dei giardini o stabilito alcune fabbriche. La Religione Cattolica è essenzialmente un potere creativo, costruito non per distruggere, perché è sotto l’influenza immediata di quello Spirito Santo che la Chiesa invoca come Spirito Creativo, “Creator Spiritus”. Il protestante, o lo spirito filosofico moderno, è un principio di distruzione, di perpetua decomposizione e di disunione. Sotto il dominio del potere protestante inglese, per quattrocento anni, l’Irlanda stava rapidamente diventando spoglia e svuotata degli antichi memoriali, al pari delle terre selvagge dell’Africa. I Riformatori stessi si vergognavano così tanto del progresso dell’immoralità tra i loro proseliti, che non potevano fare a meno di lamentarsi. Così parlava lo stesso Lutero: « Gli uomini sono ora più vendicativi, avidi e licenziosi, di quanto non siano mai stati nel Papato ». (Postil. Super Evang. Dom. I., Avvento.). Poi ancora: « Fino ad allora, quando eravamo sedotti dal Papa, ogni uomo compiva volentieri buone opere, ma ora nessuno dice o sa nient’altro, se non accaparrare ciò che può con le rapine, il saccheggio, il furto, la menzogna, l’usura ». (Postil. Super Evang. Dom XXVI., P. Trinit.). Calvino ha scritto nello stesso tono: « Di così tante migliaia – disse – che, rinunciando al Papato, sembravano desiderose di abbracciare il Vangelo, quanti pochi hanno modificato le loro vite! No, cos’altro faceva la maggior parte di loro fingendo di scrollarsi di dosso il giogo della superstizione, se non darsi più libertà nel seguire ogni tipo di licenziosità? » ( Liber de scandalis. ) Il Dr. Heylin, nella sua Storia della Riforma, lamenta anche « il grande aumento della malvagità » in Inghilterra, nel regno riformatore di Edoardo VI. Erasmo dice: « Prendi visione di questo popolo evangelico, i protestanti, forse è per mia disgrazia, ma io non ho mai incontrato uno che non sembri cambiato in peggio ». (Epist. Ad Vultur. Neoc.) E ancora: « Alcune persone – egli dice – che conoscevo precedentemente come innocenti, leali e senza inganno, non appena li ho visti unirsi alla setta (i Protestanti), hanno cominciato a parlare di donne, a giocare a dadi, a smettere di pregare, a diventare estremamente mondani, più impazienti, vendicativi, vanitosi, come vipere, ad aggredirsi l’un l’altro. » (Ep. Ad Fratres Infer. Germania.). M. Scherer, il principale esponente di una scuola protestante in Francia, scrisse, nel 1844, che egli vede nella sua Chiesa riformata « … la rovina di ogni verità, la debolezza di una divisione infinita, la dispersione del gregge, l’anarchia ecclesiastica … il socinianismo si vergogna di se stesso; il razionalismo edulcorato come una pillola, senza dottrina, senza coerenza. … Questa chiesa, privata della sua struttura e del suo carattere dogmatico, della sua forma e della sua dottrina, privata di tutto ciò che la rendeva una Chiesa cristiana, ha in realtà cessato di esistere nelle file delle comunità religiose. Il suo nome continua ad esistere, ma rappresenta solo un cadavere, un fantasma o, se vogliamo, un ricordo o una speranza. Per mancanza di una autorità dogmatica, l’incredulità si è fatta strada in tre quarti dei nostri adepti. » (L ‘Etat Actual de l’Eglise Reformée in Francia, 1844). Tale è stato il protestantesimo fin dall’inizio. È scritto con il sangue e il fuoco sulle pagine della storia. Se si considera la forma del luteranesimo in Germania, in Danimarca e in Svezia; dell’Anglicanesimo in Gran Bretagna, o del Calvinismo e Presbiterianesimo in Svizzera, Francia, Olanda, Scozia e America, si vede che è stato ovunque sempre lo stesso. È alimentato dal tumulto e dalla violenza; si è propagato con la violenza e la persecuzione; si è arricchito con i saccheggi e non ha mai cessato, con aperta aggressione, perseguitando con leggi o con la calunnia, di alimentare il suo tentativo di sterminare la fede Cattolica, e distruggere la Chiesa di Cristo, che i padri del protestantesimo lasciarono guidati dallo spirito di lussuria, di orgoglio e di cupidigia, uno spirito che ha indotto molti dei loro compatrioti a seguire il loro turpe esempio; uno spirito per il quale si sarebbero persi in ogni caso, anche se non avessero lasciato la loro Madre, la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Lo spirito principale del protestantesimo, quindi, è sempre stato quello di dichiarare ogni uomo indipendente dall’autorità divina della Chiesa Cattolica Romana e di sostituire a questa autorità divina, l’autorità umana. – Papa Pio IX ha parlato del protestantesimo, in tutte le sue forme, come di una « … rivolta contro Dio, essendo il tentativo di sostituire un’autorità umana alla divina, e una dichiarazione di indipendenza della creatura dal Creatore. » – « Un vero protestante, quindi – dice Marshall, – non riconosce che Dio abbia il diritto di insegnargli; oppure, se riconosce questo diritto, non si sente obbligato a credere a tutto ciò che Dio gli insegna attraverso coloro che Dio ha designato per insegnare all’umanità. Egli dice a Dio: « Se mi istruisci, io mi riservo il diritto di esaminare le tue parole, di spiegarle come scelgo e ammettere solo ciò che mi sembra vero, coerente e utile ». – « Perciò – Sant’Agostino dice – … tu, che credi ciò che ti piace e respingi ciò che vuoi, credi alla tua fantasia piuttosto che al Vangelo ». – « La fede del protestante, quindi, si basa solo sul suo giudizio privato, che è umano. » –  « Siccome il suo giudizio è modificabile – dice Mr. Marshall – sostiene naturalmente che la sua fede e la sua dottrina siano modificabili a piacimento, ed infatti la stanno continuamente modificando. Evidentemente, quindi, non si ritiene che esso sia la verità, perché la verità non cambia mai, né ritiene che sia la legge di Dio, alla quale è tenuto ad obbedire, perché se la legge di Dio fosse modificabile, essa può essere modificata solo da Dio stesso, mai dall’uomo, da alcun corpo di uomini o da qualsiasi creatura di Dio ».

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – SÆPE VENERABILES

In questa breve lettera enciclica, il Santo Padre ringrazia tutti coloro che gli sono stati vicini, materialmente, con doni ed offerte varie, e soprattutto con preghiere ed intenzioni spirituali, nelle turbinose vicende che hanno interessato i suoi ventisei anni di Pontificato, anni intensi e pieni di avvenimenti e vicende apparentemente funeste per la Chiesa Cattolica combattuta e perseguitata dagli empi nemici, e dai servi del demonio delle conventicole massoniche e delle società annesse, oltre che dai soliti marrani infiltrati anche tra il clero. Ma il Sommo Pontefice, memore delle parole del divin Maestro e Salvatore … non prævalebunt!, incoraggia tutti a resistere ed a persistere senza cedere di un palmo, nelle pratiche spirituali ove possibili. Queste espressioni di incoraggiamento e di fiducia cieca nella parola evangelica, nella certezza della vittoria finale, anche se umanamente non sia possibile intravvederla tra le dense fumate nere dei persecutori indomiti ed accaniti, i kazari mondialisti, i satanisti delle logge, i politici e governanti corrotti ed asserviti ad occulti tenebrosi poteri luciferini, sono di speciale aiuto per il “pusillus grex” Cattolico odierno, sempre più sparuto, ma a sua volta indomito e cocciuto nella fede in Dio e nel suo Cristo, a costo di persecuzioni violente e della propria vita se necessario, a camminare con le parole evangeliche stampate nel cuore e nella mente: « … non temete, Io ho vinto il mondo » e: « … non temete coloro che possono uccidere il vostro corpo e poi non possono fare più nulla … temete piuttosto colui che può uccidere l’anima ed il corpo e trascinarvi all’eterna dannazione ». Sentiamo particolarmente nostre le parole del Santo Padre, che sono le parole del Vicario di Cristo in terra, ed in definitiva di Cristo-Dio stesso, parole che oggi assumono significato particolarmente incoraggiante: « … specialmente rivolgete il pensiero e le forze affinché, sempre più strettamente congiunti tra Voi come una serrata falange, possiate affrontare i nemici di Dio, i quali, con arti e con impeto sempre nuovi, assaltano la Chiesa (che da nessuna forza può mai essere distrutta), e più facilmente e più efficacemente possiate resistere al loro urto e sbaragliare le loro schiere. Queste cose, che vivamente desideriamo e con ardore invochiamo, di tutto cuore auguriamo a Voi ed a tutta la famiglia cattolica », famiglia cattolica, come accennato, ridotta al profetizzato “Pusillus grex” che, oltre ai nemici summenzionati, deve oggi guardarsi dalle blasfeme e sacrileghe falangi del pseudotradizionalismo – gli scismatici sedevacantisti ed i fallibilisti gallicani – e soprattutto dal potente modernista “novus ordo” della falsa ed aberrante “chiesa dell’uomo”, parto distocico del “signore dell’universo”, il baphomet-lucifero, camuffato ed adorato nei templi e nei palazzi apostolici una volta cattolici e persino sulla Cattedra di Pietro usurpata, il nemico il più subdolo e mostruoso che mai abbia scosso la Chiesa Cattolica. Ma anche questa volta la Vergine Maria, alla testa del piccolo esercito schierato in battaglia, schiaccerà la testa del serpente infernale, proprio quando questi penserà di aver vinto e soppresso la Chiesa di Cristo. Ma « … non prævalebunt … et IPSA conteret caput tuum! »

S. S. Pio IX


Sæpe, Venerabiles

Spesse volte rivolgendoci a Voi, Venerabili Fratelli, in questo lungo Pontificato Vi manifestammo con quanta gratitudine accogliessimo sempre le espressioni di quella devozione ed affetto che in Voi e nei fedeli affidati alla vostra cura il Dio delle misericordie ha suscitato verso Noi e questa Sede Apostolica. Invero, quando i nemici di Dio cominciarono ad invadere il suo civile Principato, per prevalere infine, se fosse possibile, contro Gesù Cristo e la Chiesa, che è il Suo corpo e la Sua pienezza, Voi, Venerabili Fratelli, ed il popolo cristiano non cessaste mai dal supplicare Iddio, cui obbediscono i venti e il mare, perché volesse calmare la procella, né tralasciaste mai di rinnovare le testimonianze del vostro amore e di adoperare tutti i mezzi coi quali poteste consolarci nella Nostra tribolazione. Ma dopo che fummo spogliati di questa stessa città, centro di tutto l’orbe cattolico, e lasciati all’arbitrio di coloro che Ci avevano oppresso, Voi, insieme alla maggior parte dei fedeli delle vostre Diocesi, raddoppiaste le preghiere, e con frequenti indirizzi confermaste i sacrosanti diritti della Religione e della giustizia, che con incredibile attentato sono conculcati. – Ora poi, con avvenimento nuovo dopo San Pietro, ed assolutamente straordinario nella serie dei Romani Pontefici, avendo Noi raggiunto il vigesimo sesto anno dal Nostro Apostolico ministero nella Cattedra Romana, avete dato così splendide prove del vostro giubilo per questo insigne beneficio concesso alla Nostra pochezza, e così chiaramente dimostraste il floridissimo vigore del quale è dappertutto informata la famiglia cristiana, che ne fummo profondamente commossi; ed aggiungendo i Nostri voti ai vostri, nuove forze attingemmo per aspettare con maggior fiducia il pieno ed assoluto trionfo della Chiesa. Ci fu poi oltremodo gradito constatare che da ogni parte numerosissime schiere di supplicanti affluirono ai templi più venerati e che in questi, per tutto il mondo, fu grandissimo il concorso dei fedeli, i quali insieme al loro Pastore, con pubbliche preghiere e con l’accostarsi ai Sacramenti, rendevano grazie a Dio del beneficio a Noi concesso ed a Lui continuamente domandavano la vittoria della Chiesa. – Sentimmo inoltre non solamente alleviarsi di molto la Nostra afflizione e i Nostri travagli, ma mutarsi anche in allegrezza per i rallegramenti, gli ossequi ed i voti espressi nelle vostre lettere, per la presenza di numerosissimi fedeli qui convenuti da ogni dove, fra i quali moltissimi risplendevano per nobiltà di natali, od erano insigniti di dignità ecclesiastiche e civili: ma assai più nobili per la loro fede, coloro i quali, tutti congiunti insieme nell’affetto e nell’opera alla maggior parte dei cittadini di questa città e delle province occupate, accorsero qua anche da lontane regioni e vollero affrontare gli stessi pericoli e le stesse contumelie a cui Noi siamo esposti, per testimoniare palesemente i loro sentimenti e quelli dei loro concittadini verso di Noi, e portarci volumi nei quali molte centinaia di migliaia di fedeli d’ogni nazione, con la propria firma, fortemente condannavano l’invasione del Nostro Principato e ne domandavano vivamente la restituzione, reclamata ed imposta dalla religione, dalla giustizia e dalla stessa civiltà.

In questa occasione, poi, più abbondante del solito giunse a Noi l’obolo, con il quale poveri e ricchi si sono sforzati di soccorrere la povertà a Noi cagionata: ad esso si aggiunsero molteplici, svariati e nobilissimi doni, splendido tributo delle arti cristiane e degli ingegni, specialmente acconcio a far risaltare la duplice potestà, spirituale e regia, a Noi concessa da Dio. Inoltre Ci fu donata una copiosa e splendida suppellettile di sacre vesti ed utensili, con la quale potessimo alleviare in ogni parte lo squallore e la povertà di tante Chiese. Meraviglioso spettacolo, invero, dell’unità cattolica, che dimostra evidentemente come la Chiesa Universale, quantunque sparsa per tutto il mondo e composta di popoli diversi per costumi, per ingegno, per studi, sia informata dal solo spirito di Dio; e tanto più prodigiosamente sia da Lui sostenuta, quanto più furiosamente l’empietà la persegue e le fa guerra, e quanto più astutamente tenta sottrarle ogni aiuto umano. – Si rendano dunque fervide ed altissime grazie a Colui che, mentre così glorifica il Suo nome con la presente manifestazione della Sua virtù e del Suo aiuto, solleva le menti alla speranza d’indubitato trionfo. Ma se dal Datore di ogni bene riconosciamo questi doni, proviamo insieme un sentimento di gratissima riconoscenza anche verso coloro che, facendosi strumenti della provvidenza divina, Ci hanno prodigato ogni testimonianza d’aiuto, di conforto, d’ossequio, di devozione e di amore. Sollevati al cielo gli occhi e le mani, tutto ciò che per Noi hanno fatto i Nostri figli in nome di Dio a Lui offriamo, supplicandolo con ardore, affinché più sollecitamente accolga i comuni loro voti per la libertà di questa Santa Sede, per la vittoria della Chiesa, per la tranquillità del mondo, e largamente a ciascuno di essi dia quelle grazie, sia celesti sia terrene, che Noi non possiamo ricambiare. Sarebbe certamente Nostro desiderio manifestare particolarmente a tutti e ai singoli la Nostra gratitudine ed attestare la Nostra profondissima riconoscenza; ma la stessa copiosissima quantità di dimostrazioni dateci da ogni parte con fatti, con scritti, con parole, non lo consente assolutamente. – Per conseguire dunque in qualche modo ciò che è nei Nostri desideri, preghiamo Voi, Venerabili Fratelli, cui indirizziamo la parte principale di questi Nostri sentimenti, di annunciarli e manifestarli distintamente al vostro Clero e al popolo. Esortate poi tutti a perseverare con Voi costantemente nell’orazione, con animo pienamente fiducioso. Infatti, se l’assidua preghiera del giusto penetra le nubi, né si diparte finché l’Altissimo non l’accolga – e Cristo promise che Egli si sarebbe trovato in mezzo a due uniti insieme nel Suo nome ed animati da una medesima volontà, e che il Padre celeste avrebbe concesso tutto ciò che essi avessero domandato – tanto più certamente la Chiesa Universale, con la preghiera costante ed unanime, otterrà che, placata la divina giustizia, possa finalmente vedere distrutte le forze dell’inferno, sconfitti ed annientati gli sforzi della malizia umana, e ricondotte sulla terra la pace e la giustizia. – Per ciò che Vi riguarda, Venerabili Fratelli, specialmente rivolgete il pensiero e le forze affinché, sempre più strettamente congiunti tra Voi come una serrata falange, possiate affrontare i nemici di Dio, i quali, con arti e con impeto sempre nuovi, assaltano la Chiesa (che da nessuna forza può mai essere distrutta), e più facilmente e più efficacemente possiate resistere al loro urto e sbaragliare le loro schiere. Queste cose, che vivamente desideriamo e con ardore invochiamo, di tutto cuore auguriamo a Voi ed a tutta la famiglia cattolica. Intanto, auspice del sospiratissimo evento e del divino favore, testimonianza non dubbia della particolare Nostra benevolenza e gratitudine, dal più profondo del cuore affettuosissimamente impartiamo l’Apostolica Benedizione a ciascuno di Voi, Venerabili Fratelli, ed al Clero e all’intero popolo affidato alle cure di ciascuno di Voi.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 5 agosto 1871, festa di Santa Maria all’Esquilino, anno vigesimosesto del Nostro Pontificato.

DOMENICA TRA L’ASCENSIONE (2019)

DOMENICA TRA L’ASCENSIONE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7, 8, 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja. [Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo? [Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja. [Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore,e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Oratio.

Orémus. – Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre. [Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV: 7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.” [Carissimi: Siate prudenti e perseverate nelle preghiere. Innanzi tutto, poi, abbiate fra di voi una mutua e continua carità: poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare: ognuno metta a servizio altrui il dono che ha ricevuto, come si conviene a buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come fossero parole di Dio: chi esercita un ministero, lo faccia come per virtù comunicata da Dio: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo nostro Signore.]

L’Apostolato

“Carissimi: Siate prudenti e vegliate nella preghiera. Ma soprattutto ci sia tra di voi una carità scambievole e continua; poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Datevi ospitalità senza mormorare. Da buoni amministratori dalla svariata grazia di Dio, ciascuno metta a servizio degli altri il dono ricevuto. Se uno parla, parli secondo i dettami di Dio. Se uno esercita un ministero, lo eserciti come usando una forza che viene da Dio, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo Signor nostro”. (1 Piet. IV, 7-11).

Il brano è tolto dalla I lettera di S. Pietro. Passerà il mondo, passerà la vita presente. Presto per noi verrà la fine di tutte le cose e il giorno del giudizio. È necessario che i Cristiani vi si preparino con la prudenza, la vigilanza, la preghiera e, soprattutto, con la carità scambievole. Questa si dimostrerà con l’ospitalità cordiale; — così necessaria in oriente ai tempi di S. Pietro — con il buon uso dei doni spirituali, sia in parole, sia in opere. I Cristiani devono considerare questi doni come ricevuti da Dio per usarne a vantaggio degli altri, e non devono proporsi altro fine che l’onore e la gloria del Signore. Le esortazione di S. Pietro ci suggeriscono di parlare dell’Apostolato.

L’Apostolato:

1. È vario,

2. È doveroso per tutti,

3. È facile per chi cerca la gloria di Dio.

1.

Da buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno metta a servizio degli altri il dono ricevuto. – I doni e i favori che Dio concede ai Cristiani, e peri quali essi possono rendersi utili al prossimo sono vari. Se sono varie le attitudini e i talenti dati da Dio a ciascuno, è chiaro che vario è pure il campo dell’apostolato che ciascuno deve esplicare. Non è necessario che tutti si trovino nelle medesime condizioni e nelle medesime circostanze. Secondo le condizioni di ciascuno, e sempre usandoquella discrezione e quella prudenza che sono suggerite dalle varie circostanze, gli uni saranno apostoli nella famiglia, gli altri nella scuola, nei campi, nelle officine, nelle botteghe, nei salotti, negli uffici, nei ritrovi, nei viaggi, ecc.Non è neppure necessario che l’apostolato prenda delle forme appariscenti. Chi ha la dovuta attitudine e preparazione faccia dell’apostolato, osservando le dovute norme, con istruzioni, con conferenze, con manifestazioni grandiose. Chi ha danari faccia dell’apostolato aiutando istituzioni benefiche, istituzioni che curano la formazione cristiana della fanciullezza; sostenga le opere di culto; aiuti la buona stampa, che tanta diffidenza e noncuranza trova anche da parte dei Cattolici, e che pure è tanto necessaria per contrastare alle conseguenze della stampa atea e immorale.Ma si può portare il sassolino all’edificio dell’apostolato, anche con mezzi, all’apparenza, più modesti. Un’affermazione fatta a proposito, un ammonimento dato a tempo opportuno, una verità fatta sentire a chi ne ha bisogno; un rimprovero fatto con carità, un consiglio a uno che non sa decidersi, possono ben spesso ottenere l’effetto di un lungo e dotto discorso. Chi non può sostenere le opere buone con mezzi finanziari, può aiutare i promotori e gli apostoli di queste opere, con parole di approvazione e di incoraggiamento, che tante volte son più necessarie del danaro. C’è, poi, una forma d’apostolato che può dirsi la più necessaria, ed è possibile a tutti indistintamente, l’apostolato della preghiera. Senza la grazia di Dio tutte le nostre opere non approderanno a nulla, come non approdò a nulla, senza la presenza di Gesù, la pescagione fatta dagli Apostoli per un’intera notte. Senza l’aiuto di Dio, alla fine di tutte le nostre fatiche dovremmo confessare, come gli Apostoli: «Abbiam affaticato tutta la notte, e non abbiamo preso niente » (Luc. V, 5). E l’aiuto di Dio si ottiene con la preghiera. A essa tutto è stato promesso:« Tutte le cose che domanderete nella preghiera, abbiate fede di ottenerle, e le otterrete » (Marc. 11, 24), disse Gesù. E anche voi, o vecchi, che non avete più il vigore necessario per le opere materiali, potete essere apostoli con i lumi della vostra esperienza, con l’offerta a Dio delle noie della vita. Voi, infermi, che state inchiodati sul letto, potete essere apostoli, unendo i vostri dolori a quelli di Gesù Cristo in offerta per la salvezza delle anime.

2.

S. Pietro vuole che ciascuno metta a profitto degli altri il dono ricevuto. Se i doni della grazia sono vari, e c’è chi ha ricevuto uno, e chi ha ricevuto cinque, nessuno ne è senza. Perciò sbagliano quei timidi, e quegli amanti del dolce far nulla, che vorrebbero l’apostolato come opera esclusiva dei Sacerdoti e dei religiosi. In guerra ci sono i capi che guidano, e che hanno maggior responsabilità degli altri. Ma tutti, dal comandante in capo all’ultimo soldato, combattono per lo scopo comune, che è la vittoria. Tutti i Cristiani sono soldati che devono combattere per il trionfo del regno di Gesù Cristo. Chi ha una parte principale, chi una parte secondaria, ma l’azione dev’essere comune a tutti. Clero e laicato, uomini e donne, adulti e giovani, padroni e dipendenti, professionisti e operai devono formare una esercito unico, che riconduca Gesù Cristo nella mente e nel cuore della nostra società. Qui la parola, là la penna. Ora il prestigio del proprio nome e della propria condizione; ora il contributo materiale. Quando l’opera privata, e quando l’opera collegata delle associazioni. Che l’Apostolato debba interessare tutti i Cristiani di qualsiasi condizione è cosa chiarissima per se stessa. È possibile che un Cristiano soffra indifferentemente che l’onore di Dio venga offeso, che il nome del Signore sia disconosciuto, magari bestemmiato, che la sua legge sia calpestata?« I miei occhi — dice il salmista, rivolto al Signore — spargono rivi di lagrime, perché non si osserva la tua legge » (Salm. CXVIII, 136).Non piange sulle sventure toccategli, sulle umiliazioni subite, piange perché i nemici non osservano la legge del Signore. Non si può rimanere indifferenti a vedere la rovina delle anime per le quali Gesù Cristo ha versato il suo sangue. Ci commoviamo alla notizia di un terremoto, di un’alluvione, di un incendio, che hanno seppellito e distrutto ricchezze e preziose opere d’arte; tanto più dobbiam commuoverci alla rovina delle anime create da Dio a sua immagine, e rese preziosissime, perché riscattate col prezzo del suo sangue. Le anime fredde provocano il disgusto di Dio. Ma « nulla è più freddo — dice il Crisostomo — d’un Cristiano che non si cura della salvezza delle anime» (In Act. Ap. Hom. 20,  4). Gesù Cristo ci ha detto di chiedere al Padre l’adempimento della sua volontà. È un’invocazione e, nello stesso tempo, un impegno che ci assumiamo di cooperare al trionfo di questa volontà. Ci impegniamo presso Dio a operare per le anime dei nostri fratelli poiché: « Volontà di Lui sopra ogni altra è la salvezza di coloro che ha Adottato » (Tertulliano – De orat. 4).

3.

Anche quelli che sono persuasi di dover essere apostoli, secondo la propria condizione, non trovano mai il momento di cominciare sul serio il loro apostolato. Ora la preoccupazione di non urtare i sentimenti degli altri, ora lo spirito d’inerzia impediscono di mettersi a lavorare davvero e alacremente per la gloria di Dio. Costoro pensano poco alla santità del fine dell’apostolato, quale ci viene descritto da S. Pietro: Se uno esercita un ministero, lo eserciti come usando una forza che vieti da Dio, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo dì Gesù Cristo Signor nostro. Il Cristiano non deve servire il prossimo per far risaltare il proprio io, per far pompa dei doni che Dio gli ha dato. Egli deve essere apostolo per un fine ben diverso: perché sia glorificato Dio. È un fine che, per chi ama Dio, ha una forza che tutto vince. Quanto più è grande l’amore che si porta a Dio, tanto più ci si sente spinti a operare per il suo onore e per la sua gloria. Dove manca l’amor di Dio si spiegano troppo bene le incertezze, i « se », i « ma », i « poi », e tutte le tergiversazioni, suggerite dalla paura della fatica e del sacrificio. Amiamo il Signore e la sua gloria e ci sembrerà facile ogni cosa difficile; stimeremo breve tutto ciò che è lungo» (S. Gerolamo. Epist. 22, 40 ad Eust.). Amore non sente peso né fatica. Chi fa le cose per amore non dice mai: adesso basta; ho fatto anche troppo. Facciano gli altri la loro parte, che io ho fatto la mia. – Tra coloro che negli ultimi anni si dedicarono con zelo instancabile alle opere dell’apostolato per trarre anime a Dio, non è ultimo il Servo di Dio, Don Luigi Guanella, Trattato da pazzo, da visionario, sul suo cammino non incontrò che amarezze e avversità. Ma le avversità degli uomini e dei tempi non fiaccarono la tempra di questo apostolo invitto. Un giorno gli si rivolse una domanda, che le circostanze giustificavano: « E se tutto crollasse? E se contro di voi si scatenassero le persecuzioni più violente, e se i vostri preti e le vostre suore vi abbandonassero, che cosa fareste? ». A questa domanda inquietante Don Luigi Guanella rispose con calmo sorriso: Tornerei da capo» (Mons. C. Salotti: Prefaz. Al libro – Pietro Alfieri Tognini, Don Luigi Guanella. – Roma 1927). Così son disposti a fare gli uomini, che nel compiere opere di apostolato cercano la gloria di Dio. Cacciati da una porta ritornano per un altra. Fermati da un ostacolo, trovano presto il modo di riprendere il cammino con la stesso alacrità di prima; come la corrente che, urtata e divisa dallo scoglio, tosto lo supera, e continua la sua rapida corsa. Distrutto il frutto delle loro fatiche non posano sfiduciati; ma ritornano al lavoro con la stessa fermezza e con la stessa speranza che sostenevano i primi tentativi. E se dopo anni e anni di lavoro non vedono alcun frutto, se non c’è speranza d’una adeguata corrispondenza? Non sostano ancora, perché sanno di far piacere a Dio. « Negli amici infatti non si richiede l’effetto, ma la volontà » (S. Girol. Epist. 68 ad Castrut.).

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XLVI: 9

V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja. [Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo. Alleluja.]

Joannes XIV: 18 V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja. [Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rallegrerà. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli:

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XLVI: 9

V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja. [Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo. Alleluja.]

Joannes XIV: 18 V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja. [Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rallegrerà. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli:

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE: XXVII

“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Venuto che sia il Paracleto, che io vi manderò dal Padre, Spirito di verità, che procede dal Padre, Egli renderà testimonianza per me, e voi ancora renderete testimonianza, perché siete meco fin da principio. Ho detto a voi queste cose, affinché non siate scandalizzati. Vi cacceranno dalle sinagoghe: anzi verrà tempo che chi vi ucciderà, si creda di rendere onore a Dio. E vi tratteranno così perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho dette queste cose, affinché, venuto quel tempo, vi ricordiate che io ve le ho dette” (Jo. XV, 26-27; XVI, 1-4).

Come una madre veramente affettuosa e saggia pone ogni attenzione per dare agli amati suoi figli i più utili ammonimenti secondo la diversa opportunità delle circostanze, così la Chiesa, nostra madre affettuosissima e sommamente saggia, non trascura mai secondo la diversa opportunità dei tempi di richiamare la nostra attenzione su quegli ammaestramenti di Gesù Cristo, che ci possano tornare più utili. Così fa, ad esempio, in prossimità delle feste del S. Natale; così soprattutto fa durante la Quaresima per degnamente prepararci alla santa Pasqua, e così fa pure in questa domenica fra l’ottava dell’Ascensione, che precede immediatamente la grande solennità di Pentecoste, in cui celebriamo la venuta fra di noi dello Spirito Santo. Di fatti il tratto di Vangelo che ci fa leggere oggi nella S. Messa, e che è ancora un tratto del discorso di Gesù Cristo nell’ultima cena, è, come vedrete, uno dei più acconci alla circostanza, in cui ci troviamo. Facciamoci pertanto a considerarlo brevemente.

1.  Disse adunque Gesù ai suoi discepoli: Venuto che sia il Paracleto, che io vi manderò dal Padre, Spirito di verità, Egli renderà testimonianza per me. Con queste parole il divino Maestro ci apprende anzi tutto alcune proprietà dello Spirito Santo. Ci apprende che lo Spirito Santo è il nostro Consolatore, giacché Paracleto (parola greca) significa ciò per l’appunto. Epperò in mezzo alle nostre pene, ai nostri dolori, ai nostri affanni ecco a chi noi dobbiamo fare ricorso per essere consolati, allo Spirito Santo, ed Egli che è Consolatore ottimo, Dio di ogni consolazione, non mancherà di consolarci in ogni tribolazione nostra. Ci apprende la fonte ed il principio donde ci viene questo Spirito di consolazione. Questa fonte e questo principio sono il divin Padre e lo stesso divin Figliuolo Gesù Cristo, i quali ce lo comunicano per farci consorti della divina natura e per farci entrare nella loro più intima ed ineffabile unione. Il divin Redentore nel cenacolo volse al divin Padre a pro dei suoi seguaci questa commovente preghiera: «Padre mio, che i miei discepoli siano una cosa sola, come voi ed Io siamo uno. » Or bene, o carissimi, il vincolo di unione designato da Gesù Cristo e da Lui chiesto al suo divin Padre in questa preghiera è appunto lo Spirito Santo. Epperò se tutti i popoli della terra conoscessero e possedessero lo Spirito Santo, è certo che sarebbero tra di loro uniti con la più ammirabile carità. Gesù Cristo ci apprende altresì, che lo Spirito Santo è Spirito di verità. La verità, o miei cari è il primo bisogno della nostr’anima; senza di essa nulla vediamo di quel mondo spirituale, nel quale è forza respirare e vivere, se vogliamo giungere alla patria celeste, in quella guisa che senza gli occhi, organi della vista, niente conosceremmo di questo mondo della natura, nel quale siamo posti. Oh! quanto è da compiangere il cieco, privo della luce, e che non può veder nulla di quelle meraviglie senza numero, che tutto giorno noi ammiriamo! Ma molto più sono da deplorare i ciechi spirituali, estranei alla viva luce della verità! coloro cioè che non sono illuminati dallo Spirito Santo. Camminano essi con una benda sugli occhi; ignorano e il loro punto di partenza e la via che devono tenere, e il termine del loro corso; si riguardano come un prodotto dal caso gettato su questa terra, e s’immaginano che in questo corto spazio di tempo che separa la culla dalla tomba, non abbiano a pigliarsi altra cura, che di evitare ciò che può contristarli e di cercare all’opposto tutto ciò, che può loro procurare qualche godimento e qualche piacere; e con tali errori per la mente corrono, senza avvedersene, all’eterna perdizione. E Dio volesse che fosse scarso il numero di questi ciechi! Ma pur troppo con tante menzogne, con tante infamie, con tanti errori sparsi a piene mani nelle scuole, nelle officine, sui libri, sui giornali, il numero di questi disgraziati ingrossa ognor più. Epperò qual bisogno vi ha mai anche ai dì nostri dello Spirito di verità. Che Egli discenda abbondante a distruggere questi inganni, che travolgono tante povere menti, massime quelle del popolo e della gioventù! Che egli discenda abbondante sopra di noi, perché non abbiamo a restar vittima anche noi delle menzogne e degli errori moderni! Gesù Cristo ci apprende ancora che lo Spirito Santo avrebbe resa testimonianza per lui. Questa testimonianza l’aveva già resa pubblica e solenne nel battesimo di nostro Signore. Gesù, essendo giunto all’età di trent’anni, da Nazaret si recò alle rive del Giordano, ove si trovava San Giovanni Battista, per essere da lui battezzato. Sebbene questi non lo conoscesse ancora di vista, tuttavia illuminato dallo Spirito Santo, gli andò incontro e gli disse: Come? tu vuoi essere battezzato da me, mentre io dovrei essere battezzato da te? Gesù rispose: lascia fare per ora, imperciocché conviene che si compia da noi ogni giustizia. Giovanni allora accondiscese, e, come l’ebbe battezzato, d’improvviso si aprirono i cieli, e lo Spirito Santo discese in forma di colomba sopra Gesù. Nel tempo stesso si udì una voce, che disse: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale io mi sono compiaciuto. Di questa guisa Gesù Cristo dal divin Padre e dallo Spiritò Santo fu con solenne testimonianza dichiarato vero Figlio di Dio, mandato per salvare gli uomini. Ma nel giorno della Pentecoste lo Spirito Santo gli avrebbe resa una nuova testimonianza, confermando la verità dei suoi insegnamenti e dando agli Apostoli, secondo la promessa di Gesù, tutto ciò che loro mancava per compiere la loro missione. Ecco, o miei cari, gli importanti insegnamenti che Gesù Cristo ci diede riguardo allo Spirito Santo in questo primo tratto del Vangelo di questa Domenica. E tutto ciò non è forse per farci almeno indirettamente comprendere l’importanza della prossima venuta dello Spirito Santo nel dì della Pentecoste e della necessità che abbiamo di ben disporci alla medesima? Sì, senza dubbio, epperò, secondo il desiderio di Gesù Cristo e ad imitazione degli Apostoli, raccolti insieme nel cenacolo, prepariamoci convenientemente ad una sì grande solennità. Prepariamoci come essi con una preghiera fatta in questa settimana con maggior fervore e raccoglimento: prepariamoci come essi con un attaccamento più vivo a Maria SS. nostra Madre: prepariamoci come essi con la mondezza dell’anima nostra. Ed allora possiamo sperare che Gesù benedetto manderà anche sopra di noi il suo Santo Spirito, che anzi lo porterà a noi nella santa Comunione di quel giorno, riempiendo l’anima nostra dei suoi preziosissimi doni, e facendoci ricchi di ogni sorta di bene per il tempo e per l’eternità.

2. Il divin Salvatore dopo aver detto agli Apostoli che lo Spirito Santo avrebbe reso testimonianza di Lui, soggiunse che ciò l’avrebbero fatto ancor essi: E voi ancora renderete testimonianza, perché siete meco fin da principio. E come Gesù predisse, così avvenne. Anche gli Apostoli resero a Gesù la loro testimonianza: anzi tutto quella della parola col predicare il Vangelo in tutte le parti del mondo, e poi quella ancor più eloquente e dimostrativa, la testimonianza del sangue, poiché tutti immolarono la loro vita per l’amore di Colui, che li aveva scelti ed innalzati all’onore dell’Apostolato. E voi ancora renderete testimonianza: queste parole il divin Redentore rivolge pure a noi, o carissimi, a noi che fummo trascelti per essere i membri di quel corpo, di cui Egli è capo, a noi, che portiamo il titolo di figliuoli di Dio a noi che siamo stati fatti soldati di Gesù Cristo, a noi che dobbiamo un giorno essere i fortunati abitanti del cielo. Quando un Generale mostra ai suoi soldati la bandiera, che debbono amare e difendere, e lor dice: Soldati, ecco la bandiera della patria! chi tra di voi non sarà disposto a renderle la testimonianza del valore, del sangue, della morte? tutti si levano e con la mano sull’arme giurano di piuttosto morire, anzi che tradire ed abbandonare ai nemici la loro bandiera. Or ecco quel che dobbiam fare ancor noi. Noi tutti apparteniamo a Gesù Cristo, che ci ha dato mille testimonianze dell’ineffabile suo amore per noi; epperò è dover nostro di rendere a Lui testimonianza del nostro amore, anche in mezzo alle più dure prove. Molte volte ci accadrà di trovar di coloro che vogliono farci un’onta della nostra sommissione a Dio, della pratica della nostra fede, dell’adempimento dei nostri doveri. Essi ci sono larghi di beffe e di sarcasmi; ci mostrano a dito come insensati, ci trattano con disprezzo e con disdegno. E noi, veri e coraggiosi soldati di Gesù Cristo, non dobbiamo sbigottirci, ma a somiglianza del valoroso soldato, che si avanza tra le palle e la mitraglia, dobbiamo andar innanzi a fare il bene anche attraverso alle ingiurie ed agli oltraggi. Se fosse d’uopo, dovremmo, come gli Apostoli, essere pronti a dare il sangue per testimoniare la nostra fede e il nostro amore per Dio. Or bene, o carissimi, siamo davvero questi soldati forti e coraggiosi, che rendono sempre la testimonianza di fedeltà al loro capitano? Ahimè! Taluni di noi dovranno forse confessare di essere soldati di carta, che cadono al più leggiero soffio di rispetto umano, e che per il minimo rispetto umano lasciano di piacere a Dio per piacere invece agli uomini. Che cosa è infatti quel rispetto umano, da cui tanti giovani e tanti Cristiani sono dominati, se non un vano timore che ci impedisce di far il bene o che ci spinge a fare il male per non dispiacere agli uomini? E non si può dire quanto sia grande il numero di coloro, che si fanno vittima del rispetto umano e che non rendendo a Dio la testimonianza dovuta se ne vanno perciò all’eterna perdizione. Molti certamente camminerebbero per la via della virtù, se questo vano timore non li ingannasse e non facesse loro abbandonare il bene che debbono fare, spingendoli ad operare quel male, che in cuor loro abborriscono. Quel Cristiano vuol darsi a Dio, frequentare i Sacramenti, regolarsi bene nell’adempimento de’ suoi doveri, ma egli teme che i suoi conoscenti lo burlino. Quel giovane vorrebbe recarsi alla chiesa per ascoltare la Messa, per confessarsi e fare la santa Comunione, vorrebbe astenersi dal prender parte a certi discorsi alquanto liberi, vorrebbe lasciare una cattiva compagnia, vorrebbe farsi ascrivere a qualche pia congregazione od a qualche società cattolica; ma non lo fa, sempre per timore delle chiacchere altrui. E per questi vani timori si continua nel male e si ommettono le pratiche più belle di nostra santa Religione. E quante volte ancora vi sono di coloro, che per umano rispetto, per evitare le burle dei compagni si danno a bella posta a commettere il peccato ed arrivano persino alla stoltezza di vantarsi talora dei peccati, che non hanno commesso mai, e di una malvagità superiore a quella che realmente hanno in cuore! Oh quanto adunque sono infelici costoro, che giacciono nella misera schiavitù del rispetto umano e lasciano di rendere a Dio la dovuta testimonianza della loro fede e del loro amore! E tanto più perché ordinariamente le chiacchere altrui, che si temono, non ci sono affatto, ma è solo un timor vano che le fa pensare. Poiché, credete, o miei cari, che chiunque vi vedrà seriamente costanti nell’adempimento dei vostri doveri cristiani non può far a meno di sentire per voi una grande venerazione. D’altronde quando anche dicessero le cose che voi temete, ne avverrebbe forse qualche danno alla vostra roba ed alla vostra riputazione? E supposto pure che vi avvenisse qualche danno, dovreste forse perciò lasciare di fare quel che dice Iddio per fare quel che dice il mondo? Ecco: parla il mondo e parla Gesù Cristo; chi è più degno di essere ascoltato? È meglio ascoltare Gesù Cristo e andare alla vita eterna, oppure ascoltare il mondo e andare all’inferno? Oh pazzi! diceva un buon Cristiano a taluni che volevano lusingarlo al male, pazzi che siete; se per ascoltare voi io vado all’inferno, chi di voi verrà poi a cavarmi fuori? Oh ci risolva adunque l’invito che Gesù Cristo ci rivolge oggi con quelle parole: E voi ancora renderete testimonianza. Che se questo invito non bastasse a farci disprezzare i rispetti umani ci risolva almeno quello che Gesù Cristo stesso ha minacciato: Chiunque confesserà me dinnanzi agli uomini, anch’Io confesserò lui dinnanzi al mio Padre celeste; chi poi si vergognerà di confessar me avanti agli uomini, Io pure avrò vergogna di confessare lui in presenza del mio celeste Padre. Animo adunque, o carissimi, siate forti nel vincere il rispetto umano, e per dare testimonianza del vostro amore a Gesù Cristo operate il bene ed evitate il male con una santa baldanza. Se così facendo vi è chi ride di voi, lasciate che ei rida; verrà un giorno nel quale si morderà le labbra per il dispetto e per la vergogna, e sarà il giorno dell’universale giudizio, nel quale i malvagi alla sinistra mirando i giusti alla destra diranno con angoscia suprema: Noi insensati, stimavamo stoltezza la loro vita e la loro fine senza alcun onore; ecco invece che ora sono annoverati fra i figliuoli di Dio e toccano la stessa sorte dei Santi.

3. Da ultimo il divin Redentore per animare gli Apostoli a non temere per nulla degli ostacoli, che avrebbero incontrato nel rendergli testimonianza, e dello stesso sacrifizio della vita, che avrebbero dovuto fare, soggiungeva: Ho detto a voi queste cose, affinché non siate scandalizzati. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi verrà tempo che chi vi ucciderà, si crede rendere onore a Dio. E vi tratteranno così, perché non hanno conosciuto né il Padre, né me. Ma vi ho dette queste cose, affinché venuto quel tempo, vi ricordiate che io ve le ho detto. Ecco che cosa dice Gesù Cristo agli Apostoli per animarli alla loro missione: « Vi accadrà ben anche di essere uccisi da coloro che si ostineranno a non volermi conoscere, ma allora ricordatevi che questo ve l’ho detto Io; Io, che sono il vostro Creatore, il vostro Redentore, il vostro Dio; Io, che non lascerò perciò di aiutarvi in tutti i pericoli, che correrete, Io che saprò e potrò anche ricompensarvi di tutto ciò che farete per la mia fede e pel mio amore ». Or bene, o carissimi, con le stesse parole Gesù Cristo, volgendosi a noi, anima ancor noi a riporre in tutto e per tutto la nostra confidenza in Dio, persuasi che Iddio in mezzo a tutte le necessità, a tutti i pericoli, a tutte le tentazioni, in cui ci troveremo non lascerà di darci, come amorosissimo Padre, tutti gli aiuti che ci abbisognano. Oh quanto bella, quanto giovevole è per ogni Cristiano la virtù della confidenza in Dio! Benedetto, esclama Geremia, l’uomo che confida nel Signore! Questi sarà suo sostegno. Egli crescerà come arboscello piantato sulle sponde d’un fiume, che bagna le sue radici nell’acqua, non temerà le arsure dell’estate; sempre verdeggianti mostrerà i suoi rami, non appassirà nei giorni della siccità e non cesserà mai dal produrre frutti. Iddio pertanto per mezzo di questo Profeta dice che benedirà l’uomo che a lui s’affida; imperocché la confidenza onora infinitamente Dio. Quegli infatti che confida in Dio, che si getta nel suo seno, come bambolo nelle braccia di buona e tenera madre, pubblica altamente che Dio è buono, fedele nelle sue promesse, pieno di misericordia e di generosità. Ecco dunque perché Iddio soccorre e prospera con prontezza e larghezza grande chi in lui si arrìda. Ponete ben mente. Abramo ebbe confidenza contro ogni speranza, perciò Dio gli diede per miracolo una prosperità numerosa, lo colmò di benedizioni, l’illustrò con l’incomparabile ed ineffabile onore di veder uscire dalla sua progenie Gesù Cristo e la Santa Vergine. Daniele è gettato nella fossa dei leoni; i leoni non lo toccano, egli esce di là senza riportarne scalfittura; donde tal miracolo? da ciò che Daniele ha posto ogni sua fiducia in Dio. Armato di questa forza che viene dalla confidenza in Dio, S. Giovanni Elemosiniere diceva: Quando tutti gli uomini, che abitano la terra, si versassero a un tempo in Alessandria per domandar l’elemosina, io la farei a tutti, perché il mondo intero non può esaurire i tesori di Dio. Ed in vero quanto più egli dava, tanto più riceveva da Dio. E Santa Clara vedendo la città ed il convento, che abitava, in sul punto di cader preda dei nemici, s’avanza tutta sola, ma piena di confidenza, sulle mura; e là sotto gli occhi degli assediati manda al Signore questa preghiera del Profeta: Non abbandonar alle branche delle bestie i tuoi servi: e in sull’istante colpiti da timore panico i Saraceni si danno a precipitosa fuga. Ecco le meraviglie della confidenza in Dio. – Al contrario deve grandemente temere che non riescano a bene le opere sue colui, che con la sua condotta mostra di diffidare di Dio; giacché chi manca di confidenza in Dio gli arreca grave ingiuria. Difatti la diffidenza può provenire da due cose. Anzi tutto da mancanza di fede, perché chi diffida non crede vivamente che Dio è onnipotente, previdentissimo e buono: e poi anche dalla speranza che si mette negli uomini e nelle creature, quasi che essi avessero più potenza e più volontà d’aiutarci essi che non Iddio. Or chi non vede essere questa una condotta da pagani e ingiuriosissima a Dio? Quindi Egli assai di spesso la punisce, permettendo che le creature, in cui taluno si è confidato, abbandonino, ingannino, nuocciano, ed impediscano la buona riuscita delle cose; mentre al contrario fa sempre che prosperino e trionfino, soprattutto spiritualmente, quelli che a Lui affidano i loro interessi. Qual innocente, grida Giobbe, è giammai perito! chi vide il giusto soccombere? Riponiamo adunque, o cari giovani e cari Cristiani, tutta la nostra confidenza in Dio per la riuscita di qualsiasi opera buona che abbiamo alle mani. Non tralasciamo, no, di fare la parte nostra, perché anche questa Dio la esige: ma facendo noi tutto quello che possiamo, sia per provvederci quel che abbisogna alla nostra vita, sia per vincere le difficoltà degli studi o degli uffizi, sia per guarire da qualche infermità, sia molto più per superare le tentazioni del demonio, le lusinghe del mondo, gli assalti delle nostre passioni, per evitare il male ed operar il bene, confidiamo interamente nell’aiuto di Dio, e Dio, secondo la sua promessa, non mancherà di venire in nostro soccorso e dare a noi quell’aiuto, che maggiormente servirà a procacciarci l’eterna salute.

Credo …

Offertorium

Orémus

Ps XLVI:6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem. [Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste.].

Communio

Joannes. XVII:12-13; 15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja. [Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio.

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus. [Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

DEVOZIONE AL CUORE SS. DI GESÙ

Divozione al Cuore SS. di Gesù.

[p. Secondo Franco: “il Mese di Giugno”, Tip. Orat. di s. Franc. Di Sales, 1872]

Qualunque persona che sia d’indole buona, di belle virtù e di eccellente santità, non può esser a meno che non abbia un bel cuore, e che non cerchi diffondere anche negli altri la sua bontà: Bonus homo de bono thesauro cordis sui proferì bonum (Luc. VI, 44). Ma quanto più l’Uomo-Dio, Gesù Signor nostro, il quale è la bontà e la santità medesima, quegli ch’ è venuto a bella posta nel mondo e che ha conversato con gli uomini per beneficarli! Che cosa dunque non devono sperare da Lui i devoti d’un Cuore sì buono e sì benefico? Il primo motivo di questa speranza è la natura stessa del Cuore amoroso di Gesù Cristo. Imperocché avete mai considerato, che cosa è il Cuore di Gesù? È il Cuore dell’Uomo-Dio, un Cuore ipostaticamente unito alla persona del Verbo e alla divinità. Dunque è un Cuore infiammato e compreso con tutta la pienezza e senza misura dagli influssi di quell’amore infinito, di cui il Verbo medesimo arde per noi sino dall’eternità; amore che lo ha condotto in terra a conversare coi figliuoli degli uomini e a farsi uno di loro. Egli è un Cuore che è stato ed è l’organo materiale e sensibile degli affetti più santi e più eccellenti dell’anima santissima di Gesù Cristo, e che ha corrisposto con i suoi naturali movimenti a quel perfetto amore, onde ella avvampa per noi. Dunque è un Cuore sensibile alle nostre afflizioni, alle nostre disgrazie e a tutti i nostri mali; è un Cuore compassionevole, un Cuore pieno di tenerezza per noi e sommamente desideroso del nostro bene. Il Cuore di Gesù Cristo è il Cuore del nostro Padre il più tenero, il più amoroso e il più sollecito; è il Cuore del fratello, e dell’amico, e dello Sposo il più fedele; è il Cuore del re il più magnifico, il più potente e più liberale che siavi stato e che possa esservi mai perché è il Cuore del re del cielo e della terra. Dunque è un Cuore più interessato al nostro bene, e più costante nel suo amore per noi del cuore di qualunque padre, amico e sposo di questa terra, che ami svisceratamente la sposa, l’amico, il figlio; è un Cuore che vuol farci ogni bene, e può farlo senza ostacolo e senza misura. Il Cuore di Gesù Cristo è un Cuore fabbricato e organizzato dallo Spirito Santo, il quale è l’amore del Padre e del Figliuolo, un Cuore conformato e preparato da Lui alle impressioni più sensibili e più efficaci dell’amore; un Cuore che non potendo più trattenere imprigionate le sue fiamme si è lasciato ferire ed aprire da una lancia, quasi per trovare uno sfogo a quel fuoco che lo consuma per diffondere le sue vampe in tutto il mondo, e per aprire un asilo di rifugio, un luogo di delizie, un porto di pace alle anime tentate, tribolate e penitenti: Ad hoc perforatum est Latus tuum, ut nobis patescat introitus. Ad hoc vulneratum est Cor tuum, ut in illo, et in te, ab exterioribus perturbationibus absoluti habitare possimus (Auctor. Serm. de Passione. Domini, cap. III). – Dunque che cosa non deve sperare un Cristiano dal Cuore d’un Dio, in cui concorrono tante cagioni e tante sorgenti d’incomprensibile, instancabile e potentissimo amore? Noi speriamo nei meriti di Gesù. Ma che meriti non ci ha acquistati Gesù con le sofferenze, con la pazienza, con la rassegnazione, con le umiliazioni e con la carità del suo Cuore? Noi speriamo nella Passione di Gesù. Ma che cosa non ha patito per noi specialmente quel Cuore divino? Tutti i tormenti da Gesù sofferti nel corpo si possono quasi chiamare una piccola cosa a confronto delle angustie e delle agonie da Lui sofferte nel Cuore. Noi speriamo nel Sangue di Gesù. Ma appunto il suo Cuore è la viva e perenne sorgente di quel sangue prezioso che si è diffuso nel corpo, che si spremé per tristezza a ruscelli dalle sue membra e si versò a torrenti dalle sue vene. – Noi speriamo nelle piaghe di Gesù. Ma qual piaga più salutare e più potente ad ottenerci dal suo divin Padre il perdono e la grazia, quanto la piaga del costato e del Cuore, il quale si può dire che parla, e prega, e geme continuamente per noi? Oh felice adunque chi ha ritrovato questo Cuore, e lo ama, e ne pratica fedelmente la devozione! Egli ha ritrovato il Cuore di un re il più magnifico e liberale che v’abbia e possa ritrovarsi sulla terra: ha ritrovato il Cuore di un fratello, d’un amico, e di uno sposo il più sviscerato, benefico e fedele. Quel Cuore è cuor nostro, perché è Cuor di Gesù Cristo capo di quella Chiesa, di cui ancora noi siamo le membra; e se il cuor nostro è troppo freddo nell’amare Iddio, abbiamo il Cuor di Gesù nostro ancor esso, con cui amarlo e pregarlo degnamente per essere esauditi: Inveni cor meum, ut orem Deum meum (II. Reg. VII, 27). Et ego inveni cor regis, fratris et amici benigni Jesu, Cor illius meum est, quia caput meum Christus est (Idem Auct. ibidem). Un secondo motivo di speranza ci deve portare la qualità stessa di questa devozione, la quale di sua natura è sommamente idonea ad impegnar Gesù Cristo a compartirci tutte le grazie. Imperocché qual è il fine di questa devozione? Primieramente di dare un attestato e contrassegno della nostra gratitudine al Cuor di Gesù per il beneficio incomparabile della istituzione del Sacramento dell’Eucaristia. Ora non vi è cosa che impegni tanto un amico a farci dei nuovi benefizi; quanto il mostrar gratitudine per quelli che si sono ricevuti. Questa gratitudine è la mercede che l’amico aspetta de’ suoi benefizi; è quella che gli fa conoscere che i suoi benefizi sono ricevuti ed accettati con piacere; è quella infine che gli fa scoprire le buone disposizioni e il buon cuore dell’amico, e in conseguenza ch’è degno e meritevole dei suoi favori. Ma questa verità quanto più risalta in faccia a Dio ed al sacro Cuor di Gesù il quale è stato il primo ad amarci, ci ha dato tutto il suo, ci ha donato per fin se stesso, e il quale non può aspettare altra mercede e ricompensa dalle sue creature che amore e gratitudine? Se dunque noi ci mostreremo grati al suo divin Cuore, Egli vedrà per prova che conosciamo e accettiamo di buon grado le sue grazie, che non sono in noi mal collocati i suoi benefizi, e che può sperare sempre maggior corrispondenza, se vorrà compartirne degli altri; ed in conseguenza cercherà di provocare con maggior calore il nostro amore e la nostra gratitudine per avere la soddisfazione d’esser da noi corrisposto. L’altro fine di questa divozione è il consolare il Cuor di Gesù nelle sue afflizioni e agonie. Ora riflettete che un padre addolorato e abbandonato da tutti ne’ suoi dolori, se vede un figlio amoroso che prende parte nelle sue pene, che gli tiene assidua compagnia nelle sue tristezze, che si ingegna di trovar motivi e parole per consolarlo, e studia tutti i modi per procurargli sussidio e conforto, egli allora diviene così sensibile a questa continua assistenza, si compiace a tal segno della sua compassione e amorevolezza, sì lo distingue a preferenza degli altri figliuoli nei beni dell’eredità, come questi si è distinto verso di lui nell’amore e nella gratitudine. Ah! che il Cuor di Gesù ferito, desolato, abbandonato in un mar di angosce e di pene dagl’ingrati suoi figliuoli, se ritrova qualcuno di loro che sappia trattenersi con lui, compatirlo e consolarlo, è impossibile che non gli faccia parte e non l’arricchisca a preferenza degli altri dei suoi inestimabili tesori e delle sue segrete delizie. – L’imitazione delle virtù sovrumane nel Cuor di Gesù Cristo è anch’ essa uno dei fini principali di questa divozione. Ma può forse Gesù Cristo non riguardare con particolar dilezione quelli che si studiano di ricopiare nel proprio cuore la mansuetudine, l’umiltà, la rassegnazione e l’amore di suo Cuor divino? Allora egli trova in quel Cuore un giardino dove deliziarsi per la fragranza dei fiori che vi nascono, ed egli stesso gli innaffia coll’acqua prodigiosa che usci dal suo costato, li fa crescere, li difende dagli insulti e li conserva sempre verdeggianti e odorosi. Finalmente il devoto del Cuore di Gesù è impegnato a risarcirlo dei torti e degli affronti, ch’Egli soffre ogni giorno specialmente nel Sacramento dell’Altare. Ora questa premura d’un devoto quanto deve provocare quel Cuore divino a favore di Lui! Se noi abbiamo ricevuta una qualche ingiuria e un qualche discapito nelle sostanze o nella fama, e se troviamo un amico che prenda a suo carico di riparare tutti quei danni e compensarci di tutte le perdite, quello diventa il vero e solo nostro amico. Non possiamo stancarci di raccontare a tutti questo prodigio di vera amicizia, e se egli si troverà in simili circostanze, noi ci crederemo obbligati a rendergli il contraccambio col difendere ad ogni costo la sua fama, la sua roba, la sua persona. Se non ci adoprassimo in questa maniera il nostro cuore medesimo ci farebbe sentire gagliardi rimproveri di una sì nera ingratitudine, e se non altro per vergogna di esser tacciati come anime vili, faremmo ogni sforzo per corrispondergli in qualche maniera. Ah! sarà egli possibile che il Cuor di Gesù sia men grato del cuor d’un uomo, se con le visite frequenti, con le comunioni fervorose, con la quotidiana assistenza al divin Sacrificio, con procurare ancora il suo onore estrinseco nelle suppellettili delle di Lui chiese, e il suo maggior culto nel cuore de’ fedeli, noi studieremo di risarcirlo degli affronti che sol in tanti modi, e specialmente in questi tempi? Egli non vorrà certamente comparire meno liberale e generoso con noi, né ci lascerà in abbandono nelle nostre miserie e disgrazie senza compensarci almeno con le delizie del suo Cuore dolcissimo, le quali sorpassano tutti i beni caduchi e menzogneri di questa terra.

Fate dunque animo, abbracciate coraggiosamente la pratica di questa divozione, cominciate una volta a gustare quanto è dolce e amoroso quel Cuore, e sperate, sperate, che gli fareste un gran torto a mostrare la minima diffidenza delle sue promesse. Ed ecco l’ultimo motivo che vi propongo di santa fiducia di godere gli effetti di questa divozione. Gesù Cristo medesimo ha promesso ogni sorta e ogni abbondanza di grazie ai devoti del suo sacratissimo Cuore. E che volete dunque di più? Ma quali grazie ha promesso? Grazie di conversione ai peccatori, i quali ricorrono al fonte delle misericordie. Il mio Cuore, disse Gesù alla beata Margherita Alacoque, vuol manifestarsi agli uomini per arricchirli con quei preziosi tesori che racchiudono grazie santificanti valevoli a ritrarli dalla loro perdizione (Vita, 1, iv, §51). Grazie di celeste amore di salute e di santificazione. Così dichiarò lo stesso Gesù alla sua serva dicendo, che nel suo cuore apriva tutti i tesori d’amore, di grazie, di misericordia, di santificazione e di salvezza 1, VII, §39). Grazie di convertire e di santificare anche gli altri. Il mio divin Salvatore mi ha fatto intendere, dice la suddetta, che chi si affatica per la salvezza delle anime, avrà l’arte di muovere i cuori i più indurati, e faticherà con meraviglioso profitto, se nutrirà egli stesso una tenera divozione al suo Cuore (1, VI, §90). Grazie anche temporali. Per ciò che riguarda le persone secolari, troveranno con questo mezzo tutti i soccorsi necessari al loro stato, la pace nella famiglia, il sollievo nelle fatiche, e le benedizioni del Cielo nelle loro intraprese (Ivi). Grazie per tutto il tempo della vita, e specialmente in punto di morte. In quel Cuore adorabile troveranno un luogo di rifugio nel tempo della loro vita, e molto più nell’ora della loro morte. Ah che dolce morire dopo avere avuta una costante divozione al Sacrosanto Cuore di chi dovrà giudicarci!(Ivi). – Ma che dico grazie? Ogni grazia si trova in questa divozione, lo ti prometto, son voci di Gesù alla sua serva, Io ti prometto che à chiunque professerà divozione al mio santissimo Cuore, verserò in seno ogni grazia, ma soprattutto a quelli che procureranno l’avanzamento della divozione al divin Cuore.Accostiamoci dunque con fiducia aquel divin Cuore, e troveremo la pace,la consolazione, il gaudio, ricordandociche questo è un Cuore che ardentementedesidera ed efficacementeprocura la nostra santificazione e salute.

Accedamus ergo ad te, et exultabimus, et lætabimur in te memores Cordis tui (Auct., de Passion. Domin., cap. III).

LO SCUDO DELLA FEDE (62)

LO SCUDO DELLA FEDE (62)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

CAPITOLO XIV.

IL FROTESTASTISMO È FALSO PERCHÉ NON HA SACRIFIZIO.

Coll’errore di che abbiamo discorso nel Capitolo precedente, congiungono i Protestanti un altro gravissimo errore, per cui si dimostra di nuovo che è falsa la loro credenza: ciò è  che essi non riconoscono, e rigettano il Santo Sacrifizio della Messa. Perché intendiate bene questo errore, dovete prima sapere, che il più gran dovere che gli uomini abbiano sulla terra verso Dio, è riconoscere la sua grandezza e la sua Maestà. Dio è nostro Creatore e noi siamo sua opera: Dio è nostro Padrone e noi siamo suoi servi: Dio è nostro Padre e noi siamo suoi figliuoli: epperciò come figliuoli, come servi, come creature, dobbiamo rendergli ossequio di adorazione, di servitù, di timore e d’amore. Questo è indubitabile, ma vi è ancora di più: perché l’uomo avendo peccato in Adamo, ed a quel primo peccato avendone poi noi aggiunti tanti altri, siamo debitori a Lui di una soddisfazione che mai non potremmo dargli, attesa la nostra meschinità. Come fare adunque a pagare a Dio questi gran debiti ? Con le preghiere, col chieder perdono, ma specialmente con le oblazioni e coi sacrifizi. Offrendogli le nostre cose benché meschine, noi veniamo come a riconoscere che Egli è il padrone di tutto: sacrificandogli qualche cosa, noi veniamo, come ad esprimere, che se potessimo gli sacrificheremmo la nostra stessa persona in segno di quella riverenza che gli dobbiamo, ed in isconto delle colpe che abbiamo commesse. Epperò è che fino dai primi tempi del mondo subito furono in uso le offerte ed i sacrifizii. Caino offriva i frutti delle sue campagne a Dio, Abele offriva gli agnelli e le pecore della sua greggia. Più tardi furono istituite da Dio stesso le offerte del pane e del vino e delle primizie delle campagne e dei bestiami, come ancora i sacrifizii nei quali s’immolavano agnelli e tori. Sebbene tutto ciò era troppo poco per la Maestà infinita del Signore. – Quando ecco che l’Unigenito Figliuolo di Dio, compatendo alla nostra piccolezza che non aveva offerte e sacrifizii degni di quell’infinita maestà, venne sulla terra, e preso un corpo come il nostro si offerse e si sacrificò sull’Altare della Croce per pagare tutti i nostri debiti e per onorare degnamente la Divinità. Con quell’offerta fu finalmente placato Iddio, e Dio ebbe un culto quale gli si conveniva di valore infinito. Che però? fatta già quella grande offerta, la S. Chiesa fondata da Gesù Cristo rimarrà poi priva di Sacrifizio? E noi che siamo i figliuoli di Dio nella legge dell’amore e della grazia, saremo privi di quello che non mancava neppure agli antichi Padri ed ai Giudei? No no: anche noi abbiamo il Sacrifizio, degno affatto della Maestà di Dio; noi offriamo sempre alla SS. Trinità quello stesso Gesù che si è immolato sopra la Croce, e rinnoviamo, sebbene senza spargimento di sangue, quel medesimo Sacrifizio che allora tu fatto; Sacrifizio ammirando, che come un incenso prezioso sale al Trono della Divinità; Sacrifizio che placa dolcemente il Signore, che mitiga la sua collera, che lo ringrazia debitamente di tutti i favori che ci ha fatti, che impetra una pioggia feconda di ogni bene sopra la terra, che soprattutto riconosce degnamente a nome di tutti gli uomini la suprema ed eccelsissima Divina Maestà. Oh che bei misteri sono questi! Oh che mirabile invenzione dell’amor Divino a nostro riguardo! Ma come sappiamo poi noi che Gesù abbia veramente istituito questo gran Sacrifizio? Miei cari, lo sappiamo dallo stesso Gesù, il quale nell’ultima cena, prima offerse Egli questo gran Sacrifizio, poi ordinò agli Apostoli ed ai loro successori che facessero altrettanto. Come questo gran Sacrifizio è riposto nella Consacrazione che rappresenta la separazione del Corpo dal Sangue di Gesù e per conseguente la sua morte: così Gesù consacrando separatamente prima il pane, poi il calice, venne a consumare Egli stesso questo gran Sacrifizio e comandando poi agli Apostoli che facessero lo stesso, venne ad istituirlo per tutta la Chiesa. Così si verifica quello che disse David di Gesù Cristo, che sarebbe stato sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek (Ps. CIX, 4), il quale sacrificò nel pane e nel vino. Così si verifica un’altra bella Profezia di Malachia, che rigettati i sacrifizi antichi, si sarebbe dall’ Oriente all’ Occideute in mezzo anche ai popoli una volta gentili offerta un’oblazione monda e fatto un Sacrifizio puro (Malach. I, 11).Così si verifica quello di S. Paolo che noi abbiamo un Altare di cui non possono partecipare i Giudei (Hebr. XIII, 10). Fondati sopra l’esempio di Gesù Cristo e sulla S. Scrittura, cominciarono subito i Santi Apostoli a celebrare questo gran Sacrifizio in tutta la terra. L’Apostolo S. Andrea, come si ha dagli Atti del suo martirio, « io sacrifico – diceva – ogni giorno non le carni dei tori, ma l’Agnello immacolato sopra l’Altare, le cui carni dopo che tutto il popolo dei credenti ha mangiato, ed il cui sangue dopo che ha bevuto, l’agnello sacrificato resta vivo ed intatto. Gli altri Apostoli stabilirono pur essi in tutte le Chiese che fondarono, questo gran Sacrifizio, e noi ne abbiamo la prova nelle Liturgie, cioè nell’ordine della Messa, che vanno sotto il nome di S. Pietro, di S. Giovanni, di S. Matteo, di S. Marco. Gli stessi antichissimi Eretici, che tanto inimicarono la S. Chiesa e che da Essa si separarono, pure portarono con sé e sempre mantennero la celebrazione della S. Messa: gli antichissimi Padri, come S. Clemente discepolo di S. Pietro, S. Giustino Martire, S. Ignazio, S. Cipriano, S. Giovanni Grisostomo e S. Agostino non solo lodavano grandemente la S. Messa, ma la celebravano con gran riverenza e divozione: i Santi più dotti e più illuminati fino ai dì nostri formarono sempre la loro delizia di questo grande Mistero. S. Tommaso si struggeva tutto di amore nel celebrare, S. Filippo Neri e S. Ignazio non si sapevano distaccare dall’Altare, poiché provavano delizie di Paradiso nel celebrare, e servivano anche alla S. Messa con fervore, stimandolo, com’è veramente, un uffizio angelico. Ma dopo tanti secoli che questa verità è così bene stabilita, così autentica, ecco che vengono i Protestanti a negare tutto ciò, a distruggere tutto e ad insegnare dalla loro Cattedra di pestilenza che non vi è la Messa, che non è necessario un tal Sacrifizio e giungono alcuni fino a chiamarla una idolatria. Ah perfidi nemici di Gesù Cristo, e perturbatori del popolo Cristiano! Diteci dunque almeno perché non è necessaria la Messa? Ecco il perché: perché Gesù Cristo, dicono, ha già compita la Redenzione, e celebrare altri Sacrifizi è fargli un torto, quasi il suo non bastasse. Ma in questa ragione quanta ignoranza si contiene e quanta malizia! E che? Forse i Cattolici vogliono fare altri Sacrifizi, perché non sia bastante la Redenzione? No, offrono il Sacrifizio della S. Messa, per impetrare l’applicazione ed i frutti del S. Sacrifizio della Croce.Avete da sapere adunque in proposito che Gesù Cristo con la sua Passione e Morte ha bensì meritato a tutti gli uomini il perdono dei peccati, la riconciliazione con Dio, gli aiuti necessari per la salvezza, ma tutte queste grazie non ci giovano se non ci sono applicate. Egli ha accumulato, dirò così, un gran tesoro, ma questo tesoro, che Gesù potrebbe dispensare senza che noi ci dessimo nessuna briga, non vuol dispensarlo se anche noi non ci mettiamo l’opera nostra. Vuole rigenerarci ad una nuova vita quando veniamo al mondo, ma vuole che v’impieghiamo il Battesimo; vuol perdonarci le nostre colpe, ma vuole che noi ci sforziamo col suo santo aiuto a detestarle con tutto il cuore; vuole unirci a sé e stringerci di santo amore, ma vuole che ancor noi facciamo i nostri sforzi per arrivarvi, sia con atti di carità, sia con la S. Comunione; ci vuol dare il Paradiso che Egli ci ha meritato, ma vuole che anche noi con le nostre buone opere ci studiamo di conseguirlo: e così nel caso nostro se vuole farci partecipi di tutti i frutti del S. Sacrifizio della Croce, vuole che noi rinnovando quel gran Sacrifizio all’Altare, facciamo commemorazione con affetto, con riverenza, con fede, con amore, di tutto quello che Egli fece patendo e morendo per noi. E così s’intende quel che diceva S. Paolo « di adempire nel suo corpo quello che manca alla Passione di Cristo per la sua Chiesa (Col. I, 24). Che è quanto dire, che sebbene Gesù Cristo abbia soddisfatto per tutti con prezzo sovrabbondante, nullameno vuole che ognuno con orazioni, con patimenti, con sacrifizi sel faccia proprio, applicando tal prezzo a sé medesimo: e così le nostre opere non sono prezzo, ma sono condizione e mezzo per applicare la Redenzione a noi stessi. E questa dottrina invece di far torto a Gesù, come sognano i Protestanti, gli rende il massimo onore; prima perché noi riconosciamo che senza Gesù mai non avremmo avuto quel tesoro di meriti e di grazie che sono necessarie alla nostra salute: poi perché riconosciamo che senza Gesù non ci sarebbe conferita questa grazia, né questi meriti applicati. In secondo luogo confonde la malizia dei Protestanti, i quali sul pretesto che i nostri sforzi, le nostre buone opere, il Sacrifizio dei nostri Altari facciano torto al Sacrifizio della Croce, si danno a credere di non avere più obbligo di far nulla e se ne vivono spensierati di loro salute, con una confidenza presuntuosa nei meriti di Gesù. Il che quanto sia alieno dallo Spirito Cristiano, lo può intendere chiunque non abbia perduto il senso comune, e che abbia inteso un poco il Santo Vangelo il quale inculca in ogni pagina all’uomo di astenersi, combattendo contro di sé, da ogni male, e di praticare, costi che vuol costare, ogni sorta di opere buone e di virtù. Il perché quando vi dicono che il S. Sacrifizio della Messa fa torto a Gesù, dite loro, che quello che fa torto a Gesù è la loro perfidia nel disconoscerlo, è la loro malizia nel disseminare sì grandi errori, ed il ridurre i Cristiani, come essi vorrebbero, ad essere senza Sacrifizio, come i selvaggi dei paesi più barbari e come le bestie. – Non vi contentate poi neppure di avere in altissimo orrore quelli che discreditano sì gran Sacrifizio, ma procacciate di essere di quelli che immensamente lo pregiano, poiché di tutte le preghiere che voi potete fare, niuna è comparabile a quella della S. Messa. Allora è Gesù che viene sull’Altare, Egli che si sacrifica, Egli che si offre al Padre celeste, Egli che con la sua divina mediazione impetra per noi: epperò allora le grazie piovono sulla terra in gran copia, e niente ci si nega di quello che è necessario alla nostra salute. Guai alla terra se non vi fosse sì gran Sacrifizio! Cheforse Iddio l’avrebbe mille volte distrutta come fece ai tempi del diluvio! Ma guai a noi se cessasse sì gran Sacrifizio nel nostro paese!