SALMI BIBLICI: “CONSERVA ME DOMINE” (XV)

Salmo 15: “Conserva me Domine”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée. 

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XV

[1] Tituli inscriptio, ipsi David. 

  Conserva me, Domine,

quoniam speravi in te.

[2] Dixi Domino: Deus meus es tu, quoniam bonorum meorum non eges.

[3] Sanctis, qui sunt in terra ejus, mirificavit omnes voluntates meas in eis.

[4] Multiplicatæ sunt infirmitates eorum, postea acceleraverunt. Non congregabo conventicula eorum de sanguinibus; nec memor ero nominum eorum per labia mea.

[5] Dominus pars hæreditatis meæ, et calicis mei: tu es qui restitues hæreditatem meam mihi.

[6] Funes ceciderunt mihi in præclaris; etenim hæreditas mea præclara est mihi.

[7] Benedicam Dominum qui tribuit mihi intellectum; insuper et usque ad noctem increpuerunt me renes mei.

[8] Providebam Dominum in conspectu meo semper, quoniam a dextris est mihi, ne commovear.

[9] Propter hoc laetatum est cor meum, et exsultavit lingua mea; insuper et caro mea requiescet in spe.

[10] Quoniam non derelinques animam meam in inferno, nec dabis sanctum tuum videre corruptionem.

[11] Notas mihi fecisti vias vitae; adimplebis me lætitia cum vultu tuo: delectationes in dextera tua usque in finem.

SALMO XV

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

Il titolo del salmo è memorando e da non più abolire, quindi da scolpire su colonna. È l’orazione di Cristo al Padre per la sua glorificazione.

Dello stesso David: iscrizione da incidersi sopra una colonna.

1. Salvami, o Signore, perocché in te ho posta la mia speranza.

2. Ho detto al Signore: Tu se’ il mio Dio, e de’ miei beni non hai bisogno.

3. A prò de’ santi, che sono nella terra di lui, adempiè egli mirabilmente ogni mia volontà.

4. Eran moltiplicate le loro miserie; dietro a queste camminavano velocemente. Non convocherò le loro adunanze di sangue, né rammenterò i loro nomi colle mie labbra.

5. Il Signore è la porzione di mio retaggio e del mio calice; tu sei quegli che a me restituirai la mia eredità.

6. La sorte è caduta per me sopra le cose migliori; e certamente la mia eredità è preziosa per me.

7. Benedirò il Signore che a me dà consiglio: e di più ancor nella notte il mio cuore mi istruì.

8. Io antivedeva sempre dinanzi a me il Signore, perché egli si sta alla mia destra, affinché io non sia smosso.

9. Per questo rallegrassi il mio cuore ed esultò la mia lingua; anzi anche la carne mia riposerà nella speranza.

10. Perocché tu non abbandonerai l’anima mia nell’inferno, né permetterai che il tuo santo vegga la corruzione.

11. Mi facesti conoscere le vie della vita, mi ricolmerai di allegrezza colla tua faccia: delizie eterne sono alla tua destra.

Sommario analitico

Questo Salmo, uno dei più belli senza dubbio di tutto il Salterio, ha come autore Davide, come indicano il titolo e l’autorità di San Pietro (Act. II, 25) che lo attribuisce al Re-Profeta. Lo stesso Apostolo ne ha citato quattro versetti, che egli applica esclusivamente a Gesù Cristo, e San Paolo ne cita uno che egli anche non intende se non attribuito al Salvatore (Act. II, XIII, 35). Ma poiché la persona che parla nel Salmo è sempre la stessa, come il contesto fa intravedere, la conclusione naturale è: – 1) che questo Salmo intero riguardi, in senso veramente letterale, Nostro Signore che prega il Padre prima della sua passione: – 2) che non possa trattarsi di Lui solo in alcune parti. Nel senso tropologico, può essere applicato a tutti i fedeli membri di Gesù-Cristo, ed in particolare, come fa la Chiesa, a colui che ha lasciato tutto affinché il Signore sia sua parte. Davide, figura di Gesù-Cristo, nei tratti che possono convenire all’uno ed all’altro, si appoggia sulla fedeltà al Signore, per sperarne giorni di felicità che egli celebra in anticipo, tanto che è sicuro di ottenerla.

I. – Davide chiede a Dio di proteggerlo contro i suoi nemici:

1° perché ha posto tutta la sua speranza in Dio;

2° perché si sottomette a Lui come al suo Dio con la più perfetta dipendenza (1);

3° perché tutte le sue attrattive, tutte le sue inclinazioni, sono per i Santi di Dio (1) [i miei reni, cioè le mie affezioni più intime, mi eccitano a lodare il Signore], che egli ha soccorso nelle loro afflizioni nel tornare a Dio (2, 3);

4° perché ha una profonda avversione per gli empi, le loro assemblee, le loro opere (4).

II. – Egli si mostra pieno di baldanza e sicurezza: – 1) per l’eredità eterna che Dio stesso gli ha riservato (5); – 2) per i beni dell’anima di cui è ricolmo, a) nel suo spirito per l’intelligenza che Dio gli ha dato; b) nella sua volontà per l’ardore di cui è stato ripieno il suo cuore (7); c) nel compimento delle sue opere, per il soccorso presente che Dio non gli ha cessato di prestargli (8); – 3) per i beni del corpo, a) nel suo cuore, la gioia (9); b) nella sua bocca, i canti di allegria; c) nella sua stessa carne, un riposo pieno di speranza; – 4) per la grazia segnalata della resurrezione: a) la sua anima non resterà nel limbo; b) il suo corpo sarà preservato dalla corruzione della tomba e restituito alla vita (10); c) egli gioirà eternamente della visione di Dio e della felicità del cielo (11).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1. – La creazione e la conservazione non sono due cose differenti, esse non possono essere separate che dallo spirito; la prima conduce all’altra. Il concorso, l’influsso di Dio, non è meno necessario per noi del conservare l’essere che è stato creato primitivamente dal nulla. – Un bisogno continuo che noi abbiamo, è che Dio conservi in noi i doni della sua grazia; noi non ne possediamo alcuno per cui non possiamo perdere un istante per la mutabilità naturale dei nostri desideri. – Mettere la nostra speranza in Dio è il titolo più giusto per ottenere che Egli ce li conservi, e compia le molteplici promesse che ci ha fatto. – La grandezza di Dio è di non aver alcun bisogno di noi, né dei nostri beni. Una sorgente non viene aumentata dall’acqua dei ruscelli che escono da essa, né Dio dai beni che Egli ha dispensato alle sue creature. Cosa possiamo noi dare a Dio? Egli è la ricchezza e noi la povertà; dare a Lui la nostra indigenza è quello che Egli desidera! Cosa offrire alla pienezza delle acque della grazia se non un vaso vuoto nel quale esse possano riversarsi? Se voi siete senza Dio, sarete sicuramente diminuiti; ma se siete con Dio, Dio non diventerà più grande. Voi non potete aggiungere nulla alla sua grandezza, ma senza di Lui, voi giungerete alla vostra piccolezza … voi avete tutto da guadagnare avvicinandovi a Lui, tutto da perdere allontanandovi da Lui (S. Agost. Tratt. XI su S. Giov.). – Dio non ha alcun bisogno della nostra virtù, del nostro amore, ma Egli lo esige, Egli desidera che noi Lo amiamo, Egli ci comanda di amarlo, Egli ha sete che noi abbiamo sete di Lui, “sitis sitiri”, dice San Gregorio di Nazianze. Una sorgente viva che, per la continua fecondità delle sue acque chiare e fresche, si presenti da bere ai passanti assetati, non ha bisogno che la si lavi dalle sue sozzure, né che la si rinfreschi nel suo ardore; ma contentandosi essa stessa della sua nettezza e della sua freschezza naturale, essa non domanda – ci sembra – più niente, se non che la si beva e che ci si venga a lavare ed a rinfrescare con le sue acque. Così la natura divina, sempre ricca, sempre abbondante, non può più crescere né diminuire a causa della sua pienezza; e la sola cosa che le manca, se si può parlare in tal sorta, è che si vengano a poggiare nel suo seno le acque della vita eterna, di cui essa porta in sé una sorgente infinita ed inesauribile (Bossuet, Serm. Sur la Visit.).

ff. 2. – Le volontà ammirevoli di Gesù-Cristo per i Santi sono apparse soprattutto in tutto ciò che Egli ha fatto e compiuto per essi con i misteri dell’Incarnazione, della Redenzione, e che ha fatto tutto questo per essi, quando erano ancora suoi nemici (Rom. V, 8). – Dio ha reso ammirabile tutte le volontà di suo Figlio nei loro progressi spirituali, nei quali essi hanno compreso quanto era per loro utile che l’umanità in Gesù Cristo fosse unita alla divinità affinché potesse morire, e la divinità alla sua umanità, affinché potesse resuscitare (S. Agost.). – « È questo nei riguardi dei suoi Santi che abitano la sua terra », dei Santi che hanno posto la loro speranza nella terra dei viventi, dei cittadini della Gerusalemme celeste, di cui la vita spirituale, benché siano presenti con il corpo ancora su questa terra, è fissata dall’àncora della speranza in quella patria così giustamente chiamata la terra di Dio (S. Agost.). – Occorre imparare da Gesù Cristo ad essere pieni di carità per tutti gli uomini, soprattutto per i Santi che servono Dio in spirito e verità. – Raccolti in se stessi, non vedendo in me che peccato, imperfezione e nulla, io vedo nello stesso tempo al di sopra di me una natura felice e perfetta, ed in me stesso ripeto, come il salmista: « Voi siete il mio Dio, Voi non avete bisogno dei miei beni ». Voi non avete bisogno di alcun bene; « che mi serve la moltitudine dei vostri sacrifici »? (Isaia I, 2). Tutto è mio, ma io non ho bisogno di tutto ciò che è mio; per me è sufficiente essere, ed in me trovo ogni cosa; Io non ho bisogno delle vostre lodi; le lodi che voi mi innalzate vi rendono felici, ma esse non rendono me felice, ed Io non ne ho bisogno; « le mie opere mi lodano », ma Io non ho bisogno delle lodi che mi rendono le mie opere; tutto mi loda imperfettamente, e nessuna lode è degna di me, se non quella che mi rendo da me stesso gioendo di me stesso e della mia perfezione (Bossuet, Elév. III S. II Elév.).

ff. 3. – Le loro infermità sono state moltiplicate non per perderli, ma per far desiderare loro il medico. Alla vista delle loro infermità divenute sempre più numerose, si sono affrettati a cercare la loro guarigione (S. Agost.). – Il più forte è colui che conosce le proprie infermità, il più debole è colui che si illude di avere una sanità di presunzione. – Dire come San Paolo (II Cor. XII, 4): « Quando sono debole, è allora che sono forte » (Duguet). – Ecco il quadro ammirevole di un’anima toccata da Dio: essa era debole e malata, e la grazia gli ha reso la salute; essa non poteva camminare nella via della salvezza, mentre la grazia la fa correre in questa via. « Io ho corso nella via dei vostri Comandamenti, dice allora il Re-Profeta, quando Voi avete dilatato il mio cuore » (Berthier).

ff. 4. –  Si stabilisce la legge nuova: è venuta l’ora nella quale non è su questa montagna, né in Gerusalemme che adorerete il Padre vostro. È venuta l’ora in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre comanda simili adoratori (Giov. IV, 21-23). – È unico il sacrificio di Gesù Cristo che con una sola oblazione ha reso perfetto per tutti quello che ha santificato (Ebr. X, 14). – Dimenticato il nome antico « vi si chiamerà con un nome nuovo che il Signore stesso vi darà » ( Isaia: LXII, 2), il nome nuovo di cristiano. – « Io non mi unirò mai ad assemblee di sangue ». Le assemblee del mondo non sono spesso che delle riunioni di sangue, ove le ferite che le lingue fanno alla virtù più pura diventano uno spettacolo che diletta l’ozio e che allietano la noia? Bisogna che costi sangue e la reputazione ai loro fratelli perché si divertano; e colui che affonda il pugnale con maggiore abilità e successo è colui che ottiene i pubblici suffragi e le acclamazioni di queste assemblee di iniquità (Massillon).

ff. 5, 6. –  I Santi possiederanno con Gesù Cristo, come eredità, il Signore stesso. Che altri scelgano parti terrene e temporali per gioirne: la parte dei Santi, è il Signore eterno. Che altri bevano dalle voluttà che uccidono, la porzione versata nella mia coppa, è il Signore (S. Agost.). – Ricca e magnifica eredità, non agli occhi di tutti, ma agli occhi di coloro che l’apprezzano (Idem). – O Israele, grida il profeta Baruch, quanto è grande la casa di Dio, e quanto vasti sono i luoghi che Egli possiede! (Baruch, III, 24). – Come si può desiderare altra cosa? La figura del mondo passa e noi passiamo con esso; le sue ricchezze si corrompono, il suo splendore si oscura, le sue corone avvizziscono, ma Dio che è il mondo, la ricchezza, lo splendore, la corona degli eletti, è immortale ed inalterabile.

ff. 7. –  La vera ed unica intelligenza, quella che rende l’uomo veramente felice, è quella che gli fa scegliere il Signore come sua eredità. Non c’è che Dio che possa dare questa intelligenza e questo gusto. – Si Preghi il Padre della gloria affinché ci dia lo spirito di saggezza e di rivelazione per conoscerlo, che rischiari gli occhi del nostro cuore perché possiamo sapere quale sia la speranza della nostra vocazione, quali siano le ricchezze e la gloria dell’eredità che ha preparato ai Santi (Efes. I: 17-18). – Due grandi lezioni ci sono qui per noi: la prima, quella di offrirci allo Spirito di Dio come all’unica guida della nostra vita; la seconda di benedirlo nell’acme delle nostre tribolazioni, e di profittare di questa notte per segnalare la nostra costanza ed il nostro amore (Berthier).

ff. 8. – Sull’esempio di Gesù Cristo, occorre vivere in presenza di Dio e come sotto i suoi occhi, studiare i suoi disegni e le sue volontà su di noi, non perdere mai di vista la sua legge, mezzo, questo, per assicurarsi la sua protezione mediante una fiducia filiale e con una fede viva alla vigilanza paterna che ha su di noi (Duguet). La fede nella presenza di Dio fa che noi ci applichiamo questa santa presenza, che guardiamo Dio come applicato a proteggerci particolarmente. Sull’esempio di Gesù Cristo che vedeva Dio faccia a faccia, i veri Cristiani sono persuasi che Dio sia sempre al loro fianco, e riconoscano l’importanza dell’unione con Dio, dell’operare con Dio, di occuparsi incessantemente della sua presenza, e questa presenza influisca su tutte le loro azioni.

ff. 9. –  Frutti del santo esercizio della presenza di Dio sono: la gioia, i canti di allegria, la speranza del secolo da venire e di resuscitare un giorno, vincitore della morte e coperto di gloria. L’uomo tutto intero, corpo ed anima, ogni membro del suo corpo, ed ogni facoltà della propria anima siano incessantemente richiamate alla loro naturale e sublime destinazione: il servizio di Dio che li ha fatti, l’uno e l’altro per la loro felicità e per la sua gloria. L’uomo intero, corpo ed anima, avrà partecipato alla vita di sofferenze e di prove che non dura che un momento; l’uomo intero, corpo ed anima, parteciperà alla vita di delizie e di ricompense che non finirà mai (Rendu).

ff. 10. –  Queste parole si sono compiute letteralmente in Gesù Cristo, e in Gesù Cristo solamente, ad esclusione anche di David (Act. III e XIII). La morte, dice Bossuet (I. Serm. P. le jour de Paq.), ha avuto molto potere sul suo corpo divino, essa l’ha posseduto sulla terra senza che avesse movimento e senza vita; ma essa non ha potuto corromperlo, e noi possiamo indirizzargli oggi questa parola, questa stessa parola che Giobbe diceva al mare: « tu andrai fin la, e non passerai oltre; questa pietra segnerà il limite alla tua furia », e su questa tomba, come su di un baluardo invincibile, si infrangeranno i tuoi sforzi. – Gesù aveva vinto la morte nelle persone che erano morte naturalmente, e bisognava ancora vincerla quando sarebbe giunta con violenza. Egli l’aveva vinta fin nella tomba e nel putridume nella persona di Lazzaro. Restava solo che Egli impedisse anche la corruzione. Coloro ai quali aveva reso la vita, rimanevano mortali; rimaneva quindi che con la morte, Egli vincesse anche la mortalità. Era nella sua Persona che Egli doveva dimostrare una vittoria completa. Dopo averlo fatto morire, Egli resuscitò per non morire più, anche senza aver visto la corruzione, come aveva cantato il Salmista. Quello che si fece nel Capo, si compirà anche nei membri. La nostra immortalità ci viene assicurata da Gesù Cristo, a miglior titolo di quanto inizialmente ci fosse stata data in Adamo. La nostra prima immortalità era di poter non morire, la nostra ultima immortalità sarà di non poter più morire (Bossuet, Méd. S. l’Ev. I. P. IV j.). – Il corpo incorruttibile di Gesù Cristo è il rimedio della corruzione di Adamo, la semenza dell’incorruttibilità dei Cristiani, ed il germe dell’immortalità (Duguet). – Per l’unione che noi abbiamo con Gesù Cristo e per la promessa che ci è stata fatta, noi possiamo dire anche che il Signore non lascerà affatto la nostra anima all’inferno, e che Egli non permetterà che noi proviamo per sempre la corruzione. La nostra anima, all’uscita da questa vita, non è condannata, come quella dei giusti dell’Antico Testamento, a veder differito il momento della propria felicità. Il nostro corpo, benché condannato a tornare nella polvere, è nondimeno destinato a riprendere una nuova vita, più perfetta della prima (Berthier). – Cosa temi, tu anima cristiana, nell’avvicinarsi della morte? Temi di perdere il tuo corpo? Ma che la tua fede non venga meno: dal momento che ti sottometti allo Spirito di Dio, questo Spirito onnipotente te lo renderà migliore, saprà ben conservartelo per l’eternità. Forse che vedendo cadere la tua casa tu credi di essere senza protezione? Ma ascolta il divino Apostolo: « Noi sappiamo – dice ai Corinti – noi non siamo portati a credere a congetture dubbiose, ma noi lo sappiamo sicuramente e con piena certezza, che se questa casa di terra e di fango nella quale noi abitiamo è distrutta, noi abbiamo un’altra casa che non è fatta da mano d’uomo, e che ci è preparata in cielo ». O condotta misericordiosa di Colui che provvede a tutti i nostri bisogni! « C’è l’intenzione, dice S. Crisostomo, di riparare la casa che ci è stata data; mentre Egli la distrugge e la stravolge per poi ricostruirla, è necessario che noi sloggiamo », perché cosa faremmo in questo tumulto ed in questa polvere? E Lui stesso ci offre il suo palazzo, ci da un appartamento per farci attendere nel riposo l’intera riparazione del nostro antico edificio (Bossuet, Sur la Résur.).

ff. 11. –  Felice e necessaria conoscenza è quella del cammino della vita! Quanto poco è conosciuto ed ancor meno seguito? Quanti scambiano il cammino della morte per quello della vita? (Duguet). – Il cammino che ha condotto Gesù Cristo alla resurrezione è l’obbedienza alla volontà del Padre, la pazienza nelle prove di questa vita, la carità e lo zelo per la salvezza degli uomini (Berthier). – La grazia può mostrarci Dio più di quanto ce Lo faccia vedere la ragione … La conoscenza che ci dà la ragione, sublime per quanto sia, non è che una conoscenza ideale; Dio non si manifesta a noi direttamente; la sua Persona e la sua sostanza ci restano inaccessibili; ed essendo certi di Lui, certi della sua presenza e della sua azione nell’universo, ci resta l’incomparabile inquietudine di non averlo mai visto. Occorre che un’altra chiarezza si sovrapponga alla ragione perché tutte e due insieme elevino l’uomo alla visione della Personalità divina, e lo preparino a vederla un giorno nell’impenetrabile luce dell’essenza increata. Ora lo scopo della grazia, il suo effetto proprio, è di prepararci un giorno a vedere Dio, ed anche a vederlo da quaggiù (Lacord., Conf. De toul, Vie surn.). – Nel libro dei Santi, la faccia, il viso di Dio ci viene rappresentato quasi come – per così dire – l’amante verso il quale sono attirate tutte le creature. Nessuno dubita che per la parola “faccia” si intenda in generale la visione di Dio. La fede è la vista interiore delle cose invisibili. L’attrazione della santità creata è di aspirare alla faccia del Creatore, o piuttosto queste aspirazioni sono esse stesse la santità. Le cose nel mondo offrono certamente delle facce; ma tutte queste facce delle cose, benché belle o piuttosto coperte da una bella tristezza, cupe o sgradevoli, sono tutte rivestite da un’aria di attesa: i loro tratti dicono che esse non sono definitive e che non ci si deve arrestare ad esse. Nessuna di esse, fosse anche la migliore, può procurare la gioia, il riposo all’animo umano … il volto del Creatore, la manifestazione di questo volto nascosto: ecco quello che gli uomini devono ricercare con tutto l’ardore dei loro desideri. La lezione che la vita deve loro insegnare, è che non c’è vera vita al di fuori della visione di questo volto da sempre benedetto (Faber, Bethléem, I Ch. II). – Dio ha un viso per i giusti ed un viso per i peccatori: il viso che Egli ha per i giusti è un volto tranquillo e sereno, che dissipa tutte le nubi, che calma tutte le turbolenze della coscienza; un viso dolce e paterno « … che riempie l’anima di santa gioia » (Bossuet, II Serm. p. le Vend.-saint). – Quattro cose sono da considerare nella vita dei Santi: – 1) essa è piena, « voi mi colmerete di gioia »; – 2) essa è prodotta dalla visione di Dio « per la vista della vostra faccia »; – 3) essa è accompagnata dalla gloria « io gusterò delle delizie ineffabili alla vostra destra »; – 4) essa è eterna, « per l’eternità ».

IL CUORE DI GESÙ (21): Il Sacro Cuore di GESÙ e la gioventù.

CUORE DI GESÙ

 (A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ, S. E. I. Torino, 1920)

DISCORSO XXI

Il Sacro Cuore di Gesù e la gioventù.

Io non so chi vi sia tra di voi, già alquanto innanzi nel cammin della vita, che non si senta turbato e commosso nel vedersi dinnanzi un fanciullo od un giovane. Perciocché che cosa sono questo giovane e questo fanciullo? Essi sono un germe, che racchiude un molteplice avvenire; l’avvenire di loro stessi, temporale ed eterno, l’avvenire della famiglia, che un dì formeranno, l’avvenire della società, alla quale apparterranno e la cui vita avranno essi nelle mani. E a un tanto pensiero come non turbarsi e commuoversi nel vedere un fanciullo od un giovane? La Sacra Scrittura ne insegna apertamente, e l’esperienza quotidiana il comprova, che il giovane, presa che ha una buona via, più non si allontana da quella, nemmeno nella sua vecchiaia: Adolescens iuxta viam suam, etiam cum senuerit, non recedet ab ea. (Prov. XXII, 6) Sicché come è vero in generale, che se il giovane è buono, lo sarà ancora in seguito non solo per sé, ma pur in prò della famiglia e delia società, così è verissimo, che se il giovane è tristo, lo sarà pure negli anni ulteriori e per sé e per la famiglia e per la società. E dopo di ciò qual meraviglia, che tra gli amori speciali, di cui si mostrò infiammato il Cuore Santissimo di Gesù Cristo, tenga un posto principalissimo quello, che Egli ebbe verso la fanciullezza e la gioventù? Del che. leggendo il Vangelo, non possiamo avere alcun dubbio. Il Vangelo ci apprende, che a Gesù presentavano dei fanciulli, affinché imponesse loro le sue mani divine e li benedicesse, e cercando gli Apostoli d’impedirlo, loro diceva: « Lasciate che i fanciulli vengano a me, e non vogliate impedirli, perché di essi è il regno dei cieli. » (MATT. XIX) il Vangelo ci apprende, che Gesù Cristo un giorno pronunziò un terribile guai: « Guai a chi darà scandalo ad un fanciullo, che crede in me. Piuttosto di dare scandalo siffatto, meglio sarebbe che il disgraziato si legasse una pietra da molino al collo e con quella andasse a gettarsi nel profondo del mare. » Il Vangelo ci apprende, che Gesù Cristo ha detto ancora: « Guardatevi dal disprezzare alcuno dei fanciulli, perciocché io sono venuto a salvarli, e i loro Angeli custodi, che sempre veggono il volto del Padre mio, chiamerebbero sul vostro capo un’aspra vendetta. » ( MATT. XVIII) Infine il Vangelo ci apprende ancora, come Gesù Cristo abbracciando col suo amore i fanciulli e i giovani di tutti i tempi pronunziò quella grande parola creatrice delle più grandi opere a prò della gioventù, quella parola che ha suscitato gli Ignazii di Loyola, i Calasanzii, i Zaccaria, i Gerolamo Emiliani, i Giovanni Bosco, quella parola che ha allargato le braccia della Chiesa ad accogliere al suo seno con maggior predilezione i giovani per istruirli, per proteggerli, per salvarli: « Chiunque riceverà in mio nome un fanciullo, sarà come ricevesse me stesso: Qui susceperit unum parvulum talem in nomine meo, me suscipit. (MATT. XVIII, 5) Ah! prima che Gesù Cristo pronunziasse questa gran parola, nessuno si pigliava cura della gioventù e l’amava di un amor vero. E sebbene un retore pagano avesse riconosciuto che al fanciullo si deve massima riverenza, tutta via la gioventù non era riguardata che quale elemento di forza materiale, e, cosa orribile a dirsi, siccome pascolo di nefande passioni. Quale carità adunque non ebbe mai Gesù Cristo per la gioventù, illuminando gli uomini sul valore di questo brillante stadio dell’età umana! Ma, oh Dio! dopo diciannove secoli di Cristianesimo qual è il conto che fa la gioventù della carità di Gesù Cristo per lei? Rammentando che oggi la Chiesa onora e festeggia un giovine, che la carità di Gesù Cristo ricambiò con l’amore più ardente e più puro, e venendomi innanzi l’opposto e miserando spettacolo, che presenta la gioventù irreligiosa e scostumata dei nostri giorni, mi par conveniente farvi rilevare oggi come molta gioventù mal corrisponda alla carità di Gesù Cristo per lei.

I. — Qual è adunque il conto, che fa oggidì la gioventù della carità di Gesù Cristo per lei? Nessuno. Oggidì la gioventù non ama Gesù Cristo; a quindici, a diciotto, a venti la gioventù non prega più, non v a più a messa, non s’accosta più ai Sacramenti, non fa più pratiche religiose. E non solo la gioventù non ama Gesù Cristo e non si cura della sua religione; ma, cosa orribile a dirsi, eppur vera, la gioventù oggidì non crede più a Gesù Cristo e lo disprezza. Ecco quello che fa oggidì un giovane a quindici, a diciotto, a vent’anni. Se egli è un giovane del popolo, ai crocicchi delle vie, agli angoli delle piazze, tra i lavori dell’officina, non fa uscir dal suo labbro che bestemmie le più orribili contro di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine e dei Santi, insulti i più bassi e vigliacchi contro la Chiesa e i suoi ministri, discorsi i più scellerati ed immorali, da far fremere di orrore l’aria che li ascolta. Se egli poi è un giovane di più elevata condizione, benché non così rozzamente e rabbiosamente, tuttavia forse anche con maggior colpevolezza, perché con maggior raffinatezza e malizia, compie verso di Dio e di Gesù Cristo lo stesso dileggio. Egli è uscito appena dall’infanzia, ma perché in una scuola tecnica o liceale ha già apprese qualche po’ di latino e di greco, qualche po’ di fisica e di matematica, qualche squarcio di storia antica e moderna, e soprattutto perché egli ha letto qualche libercolo più o meno spiritoso contro il Cristianesimo, qualche osceno romanzetto, si pone con baldanza in faccia a Gesù Cristo e alla sua Religione, e dice senz’altro: Impostura, menzogna, follìa, superstizione, tenebre! Sì, così parla e sentenzia questo giovane; e mentre le verità della fede per diciannove secoli di Cristianesimo hanno occupate le menti dei più grandi geni, e sono state l’oggetto della loro più profonda ammirazione, questo giovane a quindici, a diciotto, a vent’anni, non ancora capace di seriamente studiare e riflettere, e senza aver punto studiato e riflesso, le giudica follle e le rigetta con disprezzo. Ah! miei cari, non si è mai veduto alcunché di simile, non mai è accaduto un fatto così lagrimevole. In altri tempi, giacché le passioni non sono di oggi, il vizio penetrava ben anche nel cuore dei giovani; in altri tempi venivano ben anche trasandate dai giovani le pratiche di Religione, ma la fede cristiana in fondo all’anima rimaneva, e il perderla affatto era cosa assai rara, di qualche individuo isolato. Oggidì invece… la gioventù più non crede. – Ma non è tutto. Nel tempo stesso che questa gioventù respinge e disprezza la fede di Gesù Cristo, ne respinge e disprezza la morale, anzi è appunto perché ne conculca la morale, che, ne rigetta la fede. La superbia dell’animo e la corruzione della carne, ecco ciò che tutti lamentano oggidì nella gioventù. Per essa non vi ha più alcun giogo che valga, trattisi pure dei più ragionevoli e necessari. In famiglia spadroneggia i genitori, che oggimai anziché padri e madri, son divenuti miseri schiavi ai capricci dei figli; nella scuola s’impone ai professori, ai quali cogli urli e coi fischi nega a suo piacere il diritto di far lezione, e di farla in un modo piuttosto che in un altro; nella società si rivolta contro lo stesso pubblico potere, e con gazzarre e tumulti per poco gli si fa a dettare la legge. E con la superbia dell’animo la corruzione della carne. Indarno, gettando lo sguardo sull’odierna gioventù voi cercate di scoprire in essa qualche tratto, che annunzi il minimo senso cristiano: l’immodestia del contegno e del portamento, l’occhio impudente e inverecondo, il parlare frivolo ed osceno, la frenesia pei liberi divertimenti, la voluttà per tutto ciò che inebria i sensi, tutto rivela che il vizio la domina e la corrode. Ed ahi! non di rado questa terribile rivelazione ò fatta da una fronte solcata di rughe premature, da occhi smorti ed incavati, da labbra impotenti a ritrarre il sorriso della bontà, da un volto insomma, che nella primavera della vita già porta sopra di sé le ingiurie del tempo, ed annunzia vicino lo schiudersi di una tomba. Ah! senza dubbio non è a dire che sia così di tutti i giovani. Guai se lo fosse! Giovani credenti, umili e ben costumati, per grazia di Dio, ve ne sono ancora. Come l’antichità pagana ci ha mostrato il grande e bello spettacolo del giusto, che rimane imperturbato in mezzo alle rovine del mondo crollante a’ suoi piedi: Et si fractus illabatur orbis impacidum ferient ruinæ; così l’ora presente ci mostra uno spettacolo più bello e più grande ancora, quello di un giovane, che ama Gesù Cristo, che lo crede, che lo confessa con sincerità e coraggio nelle parole e nei costumi non ostante il soffio delle proprie passioni e le terribili seduzioni del mondo. E se vi ha uno spettacolo, che tranquilizzi alquanto, che ravvivi la speranza e consoli l’anima è questo appunto di una gioventù credente e casta, che passa in mezzo al mondo come una soave emanazione del cielo, come Lot in mezzo alle infamie di Sodoma, che conserva perciò tutta la grazia, tutta la freschezza, tutto il vigore di tale età. O giovani carissimi, che siete qui ad ascoltarmi, voi la conoscete questa gioventù tanto degna di ammirazione e di stima, ed io ben la ravviso in voi, e in voi con tutta l’enfasi dell’anima mia le faccio plauso e le grido: Gloria e onore! Ma con tutto ciò, senza esagerazione di sorta, noi possiamo asserire, che in generale la gioventù odierna, nei due suoi terzi abbondantemente, è incredula, superba e corrotta, nemica giurata di Gesù Cristo, della sua fede e della sua morale. Come si spiega tutto ciò?! Quali cause ingenerano una rovina sì grande, sì numerosa sì precoce? Che cosa è che oggidì fa perdere ai giovani la fede, la sudditanza e la purità del costume? Tutti coloro, che hanno studiato a fondo questo spaventevole fenomeno, vanno tutti d’accordo nel dire, che le cause più vere, che lo hanno prodotto, sono l’ignoranza intorno alla Religione ed il pestifero ambiente irreligioso, in cui oggidì la gioventù viene cresciuta.

II. — Ed anzi tutto l’ignoranza intorno alla Religione. Di fatto, questi giovani, che con tanta sicumera si danno a trinciar sentenze su Dio, su Gesù Cristo e sulla sua Chiesa, che cosa ne sanno essi e di Dio, e di Gesù Cristo, e della sua Chiesa? Nulla! Molti non hanno mai avuto alla mano un piccolo catechismo. E talora se ne incontrano di quelli che, incredibile a dirsi, sebbene nati in paesi cristiani, da genitori Cristiani, non sanno tuttavia a farsi il segno della croce. Purtroppo per la più parte della gioventù Dio è il grande Ignoto cui S. Paolo trovava un altare dedicato in Atene. E come potrebbe essere diversamente? L’apostolo S. Paolo scriveva che la scienza e la fede delle verità divine non si ottiene, che per mezzo dell’udito, e l’udito per mezzo dell’insegnamento della dottrina cristiana: Fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi. (Rom. X, 17) L’uomo, ha detto il grande Lacordaire, è un essere insegnato. Epperò come le lettere e le scienze non entrano nella sua mente se non per mezzo dell’insegnamento, che glie ne vien fatto con la parola, così non può essere altrimenti della Religione. Ma chi è oggidì, che apprende ai giovani la Religione, che parla loro in modo conveniente di Dio, di Gesù Cristo, dei grandi misteri della fede! Questo grande insegnamento, non si può mettere in dubbio, appartiene alla famiglia, alla scuola ed alla Chiesa. Nella famiglia è la madre, che deve impartire ai figliuoli la prima istruzione religiosa; è dessa il primo ministro di Dio, il primo missionario, il primo apostolo, il primo dottore. E Dio le ha dato perciò un accento così tenero, così soave, così persuasivo. A lei adunque, non ad altri massimamente che a lei, si conviene d’istruire di buon’ora i suoi figli negli elementi della Religione, d’apprendere loro i misteri principali della fede, il simbolo degli Apostoli, i Sacramenti, i precetti di Dio e della Chiesa. A lei gettare nei loro vergini cuori i germi della pietà e del timor di Dio; a lei trasfondere nelle tenere loro anime l’amore di Gesù Cristo e della sua Santissima Madre; a lei mostrar loro il Cielo e metterli per tempo nella via, che ve li conduce. – Ma quando il fanciullo cresce e già comincia ad uscir di casa per entrar nella scuola, allora senza dubbio la scuola deve continuare essa quell’insegnamento, che la madre ha incominciato in famiglia; perciocché in fondo in fondo la scuola non deve essere altro che l’aiuto della famiglia nella cristiana educazione della gioventù. E come il padre e la madre ricordando del continuo che i figli, ricevuti da Dio, per Iddio sopra tutto devono allevarli, così i maestri insegnando le lettere e le scienze ai loro discepoli non devono mai trasandare il primo e più importante di tutti gl’insegnamenti, l’insegnamento, che apprende a conoscere, ad amare e servire Iddio. Anzi, poiché questi loro discepoli non vivono in un’isola separata dal mondo, e in cui non siano peranco penetrate le sue massime, ma vivono propriamente in mezzo all’empietà e corruzione del mondo, è perciò necessario che di mano in mano che col crescere degli anni si avanzano negli studi delle lettere e delle scienze, crescano altresì nello studio delle divine verità e ne vadano acquistando un conoscimento razionale, corrispondente alla loro coltura, affinché o nell’affacciarsi dei dubbi alla loro mente, o nell’udire o nel leggere difficoltà ed obbiezioni contro la loro fede, essi sappiano ricordarne almeno in complesso le grandi prove, e trovare in esse le armi per difendersi e star fermi nella loro credenza. – Ma infine insieme con la famiglia e con la scuola la Chiesa più che mai deve insegnare ai giovani le verità della fede. È questo uno dei suoi diritti e dei suoi doveri più sacrosanti. Tocca a lei pertanto con la divina autorità, di cui fu rivestita, quando Gesù Cristo disse ai suoi apostoli: « Andate ed ammaestrate tutte le genti, » tocca a lei e co’ suoi catechismi, e con le convenienti spiegazioni, far ben penetrare nell’animo dei fanciulli e dei giovani la dottrina e il sentimento cristiano. Ed è appunto questa dottrina e questo sentimento che soli riescono a rendere la gioventù, quale dovrebbe essere, religiosa, umile e morigerata. È questa dottrina e questo sentimento, che alla mente del giovane fanno rilucere quelle verità che sono la norma del ben pensare e del ben operare. È questa dottrina e questo sentimento, che avvalorano la naturale fragilità del giovane e lo spronano a combattere le sue ree inclinazioni. È questa dottrina e questo sentimento, che ingenerano nel suo animo il nobile sdegno per il piacere disonesto e per la colpa, e gli fanno battere, sia pur con sacrifizio, la strada severa e dignitosa della virtù. Ma ora io domando: queste tre cattedre, che devono trasfondere nell’animo del giovane una dottrina ed un sentimento così efficace, ed il solo efficace, compiono esse di comune accordo questo grande dovere? Io tremo in rispondere. L’insegnamento cristiano è taciuto nel massimo numero delle famiglie. Molte madri oggidì, piene di spirito mondano, non sognano pei loro figli che grandezze, che onori di mondo, che beni di fortuna. E simili a quell’uccello, di cui parla la Scrittura, che dopo fatte le uova le seppellisce nella terra, ove le dimentica e abbandona, le madri mondane non si curano di procacciare ai loro figli che vantaggi terreni, seppellendoli nella terra, circondandoli e coprendoli di terra, senza neppur pigliarsi un pensiero della loro anima e della loro eternità, senza talora seminare in fondo al loro cuore neppure una qualche idea cristiana; filia populi mei crudelis: quasi struthio in deserto dereliquit ova sua in terra. (Thren. iv, 3; IOB. XXXIX, 14) L’insegnamento cristiano, taciuto nel massimo numero delle famiglie, nella sbcuola poi, se si tratta di quella elementare, si imparte come un’elemosina, che ogni anno il padre di famiglia è costretto a chiedere formalmente; se si tratta della scuola tecnica, ginnasiale e liceale, e tanto più della universitaria, esso non c’entra, né deve entrarci affatto. E in chiesa? In chiesa indarno si trova al suo posto il prete per apprenderlo, perciocché quanti sono massime i giovani di famiglie un po’ agiate o ricche, che frequentano la dottrina cristiana? Pochissimi e talora nessuno, giacche entrando in una chiesa all’ora della dottrina, voi non vedrete ordinariamente, che un qualche gruppo di fanciulle povere, e negli oratori festivi, benché frequentati, quasi nient’altro che figli del popolo. E quando pure, a non parere esagerati, volessimo asserire che in generale fanciulli, che ricevono l’istruzione religiosa in famiglia, nella scuola e in chiesa ve ne sono ancora, che istruzione è dessa? Un’istruzione affatto elementare quale è richiesta dalla loro età, un’istruzione che consta più di esercizi di memoria, di parole e di formule, che non di cose e di verità, un’istruzione che dura fino ai dieci o ai dodici anni e poi si tronca lì per tutta la vita. E sarà dunque questa istruzione quella che valga a rendere religiosa, soggetta e costumata la gioventù? Ah! miei cari, voi dovete purtroppo dolorosamente riconoscere che l’insegnamento religioso manca alla gioventù in modo pressoché assoluto. E mancando tale insegnamento, ne viene per conseguenza quella stupida ignoranza, che nei giovani fa grossolanamente ripetere quelle obbiezioni, che sono state le mille volte confutate, quegli errori, che le mille volte furono sfatati, che li fa combattere quei dogmi, che le mille volte furono propugnati e difesi, che al pari degli eretici e dei pagani del tempo di S. Paolo, li fa bestemmiare quello che ignorano. E quel che è peggio, mancando la cognizione delle verità e delle massime cristiane, manca il più grande riparo al torrente delle male inclinazioni, che così irrompe, dilaga e rovina. Ma ohimè! ciò non è ancor tutto. Perciocché dal mondo crudele dei giorni nostri non solo è negato alla gioventù il cibo della cristiana istruzione, ma con un’educazione apertamente nemica della Religione, la si costringe a crescere su in un ambiente avvelenato. E quando non si nutre il corpo di un cibo adatto e per soprappiù gli si fa respirare un’aria malefica, come non cadrà vittima di qualche rio malore? Ah! certamente come l’aria contaminata e satura di miasmi contagiosi aggirandosi, insinuandosi e compenetrandosi nel corpo degli uomini indubbiamente li abbatte, li opprime e produce in loro febbri maligne e fatali, così l’atmosfera morale in cui la gioventù è allevata, l’atmosfera della famiglia, della scuola, della società, essendo guasta ed impestata, non può, senza un certo qual miracolo, non cagionare nella gioventù quelle gravi malattie dell’anima, alle quali nella gran maggioranza soccombe. Ed anzitutto l’atmosfera della famiglia. L’aria morale che prima di ogni altra respira il giovane è quella della famiglia: e quest’aria è pure indubbiamente quella, che influirà più d’ogni altra sulla sua vita avvenire, perciocché quest’aria morale, nel più intimo avvicinamento dei genitori coi propri figliuoli, in certa guisa si trasfonde e si inocula nel sangue di quest’ultimi, formando in loro con un’energia latente e decisiva le idee, che forse dureranno per tutta la vita. Ora qual è quest’aria morale, che il giovane comincia a respirare oggidì fin dall’infanzia nel seno della famiglia? Ah! diciamolo ad onor del vero: per parte di molte madri è ancor un’aria di religione e di virtù, un’aria, di cui Gesù Cristo costituisce un sufficiente elemento, ma per parte dei padri, fatte le debite eccezioni, tanto più nobili quanto più rare, per parte dei padri è un’aria d’indifferenza e persino di miscredenza spaventosa. In un gran numero di famiglie il padre non prega, il padre non va a messa, il padre non fa la Pasqua, il padre vive come se Dio non vi fosse. E forseché a sette anni il fanciullo, aprendoglisi il lume della ragione, non si avvede della irreligione del padre? Oh sì …, e come! Allora egli ricerca con ingenuità il perché della differenza, che passa tra gl’insegnamenti e gli esempi della madre e la condotta del padre; ma a dieci anni tutto ciò egli ricerca già con malizia, e a quindici alla madre, che da lui vorrebbe ad ogni costo l’esercizio delle pratiche religiose, risponde con audacia: E papà? … Tu vuoi che io preghi ancora, che vada ancora a Messa, che prenda ancora Pasqua; e non sono già abbastanza grande da vivere senza tutto ciò, come fa mio padre? Ma che dire quando insieme con l’irreligione del padre si congiunge nella famiglia la vita frivola ed irreligiosa della madre? Allora è fatto: i figliuoli con una educazione del tutto mondana e anticristiana sono sciaguratamente condannati ad una incredulità spaventosa e fatale. Allora si rinnova in peggior modo l’orrendo sacrifizio dei Druidi, che immolavano i fanciulli alle loro false divinità, bruciandoli vivi; allora si ripete la crudeltà esecranda di quei genitori, che al dir della Scrittura portavano i loro figli nelle braccia infuocate di Moloc; allora il padre e la madre non sono più i genitori della loro prole, ma ne sono gli spietati carnefici. Ma dopo l’ambiente di famiglia quello, che oggidì appesta l’animo della gioventù, è quello della scuola. La scuola, si sa, è quella dove si formano i convincimenti dell’uomo. E se la scuola tendesse seriamente al suo grande scopo, se essa fosse il prolungamento della famiglia, l’aiuto del padre e della madre nella cristiana educazione della gioventù, non potrebbe far a meno di trasfondere nell’animo dei giovani, insieme con la luce delle lettere e delle scienze, correnti di fede e fiamme ardenti di virtù. Così appunto faceva un tempo la scuola, non solo quella dei teneri fanciulli, che loro apprendeva prima d’ogni altra cosa la scienza di Dio, e con l’esempio e con la disciplina li spronava più che tutto alla pratica della pietà cristiana, ma eziandio la scuola dei giovani adulti, la stessa scuola universitaria. Ogni anno alle Università, il corso degli studi era inaugurato solennemente con la celebrazione della Messa e con l’invocazione dello Spirito Santo, ed era continuato con varie altre solenni funzioni religiose; e chi può dire quanto pei giovani fosso edificante lo spettacolo dei loro venerandi rettori e professori prostrati in mezzo a loro dinnanzi a quel Dio, che si chiama il Dio della scienza, pregare da Lui efficacia al loro insegnamento, a quell’insegnamento, in cui il nome di Dio veniva di spesso ripetuto colla massima riverenza? Chi può dire il rispetto, la stima, l’amore, che tutto ciò conciliava a quei veri educatori della gioventù! Tale rispetto era sì grande, che essi passavano tra i condiscepoli come divinità calate dal cielo. Or che accade invece ai giorni presenti? Io non posso dirlo senza fremere e senza a sentirmi bollire il sangue. Oggidì il fanciullo esce dalla casa domestica, ed entrando nella scuola egli entra non già in un prolungamento della famiglia, ma in una vera agenzia dello Stato; giacché i maestri e i professori non sono più ausiliari delle sollecitudini di buoni genitori e delle loro legittime ambizioni, no, essi sono gli impiegati dello Stato, che si sostituisce all’inviolabile autorità del padre e della madre e confisca la loro missione. Fin dai primi anni di età, nell’asilo infantile e su su, nelle scuole elementari, ginnasiali, tecniche, liceali, universitarie, lo Stato si impadronisce del giovine, e ne fa una cosa sua. Lo Stato giudica e stabilisce egli quello, che il giovine debba imparare, non imparare e disimparare, e per mezzo degli impiegati suoi, cui torrebbe il pane, se non fossero delle sue idee, egli istruisce, educa, plasma il carattere, inocula sentimenti, tendenze, abitudini a suo proprio uso. Lo Stato insomma, tolto il giovane, e sarebbe più proprio il dire strappatolo dalle mani della famiglia, lo fonde e lo rifonde al calore del suo fuoco, come si fa delle statue di bronzo. E qual è il calore di questo fuoco? Si dice: quello del patriottismo; ma in realtà è quello dei più spudorato scetticismo. Perciocché col preteso di esortare i giovani a mostrarsi degni figli della patria, col metter loro ipocritamente innanzi virtù menzognere, fin dai loro primi anni si comincia a por loro in derisione Gesù Cristo, la sua Chiesa, i suoi ministri, i suoi dogmi, i suoi Sacramenti, e poi si prosegue con un’audacia incredibile fino a che entrati i giovani nei corsi superiori sono poi completamente attossicati senza alcun ritegno. E non vi sono nei Licei e nelle Università nostre dei professori, talora in età già abbastanza matura, che insegnano in mezzo agli applausi della gioventù corrotta e leggiera, che Gesù Cristo non è che un mito, che non vi ha Dio, non anima, non immortalità, non distinzione del bene e del male, non libertà morale, non responsabilità; che tutte le passioni sono nella natura, e che per conseguenza tutto ciò che è nella natura è buono; che il piacere è l’unica realtà della vita, che la morale non è altro che un affare di istinto, che la coscienza non ò che un meccanismo, che si monta e si smonta a proprio piacimento, giacché se vi ha un Dio non è altro all’infuori di quello che ciascun uomo si crea da per sé? Sì, non è questo, che certi vecchiardi insegnano oggidì a giovani leggeri, guasti e tormentati dalle passioni? E dopo tali insegnamenti a giovani, che ne vanno troppo lieti per le conseguenze, che ne possono trarre, come non discacceranno essi Gesù Cristo, Iddio dal cuore e non prenderanno persino a disprezzarlo e odiarlo? Gesù Cristo non ò che un mito? Dio non c’è? Dunque a che Chiesa, a che fede, a che preghiera, a che Sacramenti? Sono gli imbecilli soltanto che si curano di ciò. Siamo tutta materia? dunque tendiamo al nostro fine, diamo alla materia, vale a dire alla carne, quegli sfoghi naturali, che essa domanda. Il piacere è l’unica realtà della vita? Dunque incoroniamoci di rose, scorriamo per ogni prato, beviamo al dolce calice, abbandoniamoci al piacere. Non sono che cretini coloro, che ne rifuggono siccome da cosa illecita. Al di là c’è il nulla? Dunque non siamo così bestie da non vivere, finché si vive, come vivono le bestie. Così, così, con una logica brutale, tolto Dio dal cuore dei giovani, tolta la fede, tolte le massime cristiane, è tolto altresì ogni ritegno alla scostumatezza, tolto eziandio il naturale pudore, ed il vizio trionfa pubblicamente. Sicché quando io vedo dei giovani come voi che mi ascoltate, i quali malgrado l’ambiente appestato della scuola, come i tre fanciulli della Bibbia nella fornace di Babilonia, non si abbruciano punto, e conservando la fede conservano la moralità e conservando la moralità conservano la vita, allora con tutta la commozione dell’anima io esclamo: No, l’antico valor non è ancor morto. Vi hanno ancora dei veri eroi; e come Leonida, padre di Origene vorrei baciare il cuore di questi giovani come il santuario dello spirito di Dio, come la manifestazione più efficace e più parlante della grazia del Signore. Ma infine un’atmosfera anche più pestilenziale, che non quella della famiglia e della scuola, perché più specialmente libera da riserve e da scrupoli, l’atmosfera della società è quella che compie l’opera devastatrice della vita morale della gioventù. Perciocché che cosa è che questa nostra società fa respirare ai giovani di quindici, diciotto, venti anni? L’irreligione e la immoralità da per tutto. Irreligione ed immoralità in un giornalismo dichiaratamente empio e pornografico; irreligione ed immoralità nei romanzi e nei libri, scritti con intento diabolico appositamente per lei: irreligione ed immoralità nei circoli e nelle società settarie, in cui si fa di tutto per irreticarla; irreligione ed immoralità nei teatri, di dove, si dice, gli spettatori adulti, benché poco delicati, sono talvolta costretti per un po’ di pudore che ancor li assale, levarsi e andarsene; irreligione ed immoralità in un nugolo di gente da trivio, appostata ad ogni angolo delle vie per darle l’assalto; irreligione ed immoralità nell’andamento di tutta la cosa pubblica, in cui l’onore posto sulla punta della spada, le truffe più ingenti e più audaci, l’ingiustizia più aperta e manifesta non fanno regnare che la ragion del più forte. E la gioventù, malamente educata in famiglia, scristianizzata del tutto nella scuola, come non cadrà asfissiata in questa atmosfera d’irreligione e d’immoralità, che le fa respirare la società in cui si trova? Sì, essa cadrà asfissiata, ma non impunemente, né per essa, né per la società. Non impunemente per essa, che talvolta se ne muore consunta a venticinque anni tra le strida di una madre, che non avrà pace più mai, e tal altra avanzandosi nel cammin della vita, tra i contrasti spaventosi, di cui è cosparso, senza fede in Dio e in Gesù Cristo, senza amore per Lui, si sentirà orribilmente straziata ora dal dubbio, ora dalla noia, ora dall’agitazione, ora dalla tristezza, ed ora persino dalla disperazione, che ingenera la pazzia e spinge al suicidio; non impunemente per la società, la quale avendo operato il suo assassinio e la sua rovina, resterà alla sua volta da lei assassinata e rovinata. Ecco, o miei cari, la catastrofe orrenda, a cui mette capo l’atmosfera senza Dio, senza Gesù Cristo, che oggidì si fa respirare alla gioventù nella famiglia, nella scuola e nella società. E dopo tutto ciò, se vi ha gente da mettere alla gogna, no, non sono tanto questi poveri giovani, ma sono gli scrittori infami, i seduttori maligni, i professori empii, i poteri pubblici prepotenti, e soprattutto, quei padri così ciechi da non vedere l’opera, che si compie in danno dei loro figli, cosi fiacchi da tollerarla in pace senza alcuna protesta, e talora così malvagi da coadiuvarla essi pure con le loro iniquità e coi loro scandali!

III. — Ma ora dopo d’aver riconosciuto la mala corrispondenza, che la gioventù odierna rende alla carità di Gesù Cristo per lei, e quali cause producono in lei sì nera ingratitudine, che cosa fare? Senza dubbio che si cambi radicalmente indirizzo nell’educazione della gioventù non è cosa da sperarsi, né è da pensare, che la gioventù, la quale si è spiegata in senso opposto alla verità ed alla virtù, tutto ad un tratto abbia a mutar idee e costumi. Per tutto ciò sarebbe necessario uno di quei prodigi, di cui Gesù Cristo non è sempre largo, massime quando gli uomini non ne hanno alcun merito. Ma tuttavia noi Cristiani, amanti di Gesù Cristo, dobbiamo sollecitarlo al più presto possibile con l’opera nostra. La Chiesa, in quanto è da sé, più che mai allarga le sue braccia ai fanciulli ed ai giovani coi moltiplicati oratorii festivi e con le scuole di Religione largamente istituite; e con tutta la tenerezza e l’insistenza della sua voce materna li invita a rifugiarsi nel suo seno, ad attingervi il santo timor di Dio, gridando: Venite, filii, audite me; timorem Domini docebo vos. (Ps. XXXIII, 12) Ma voi, o genitori Cristiani, non lasciate di fare la parte vostra. Anzitutto educate voi cristianamente i figli vostri, e quando trattisi di allontanarli dal vostro fianco per mandarli alla scuola e tanto più per affidarli al collegio, deh! aprite gli occhi e preferite sempre la scuola e il collegio, dove non solo entra la Religione come una larva ipocrita per tradire la vostra fiducia, ma dove la Religione è dichiaratamente rispettata e praticata. Ma soprattutto voi, o madri, imitando l’esempio di quelle donne ebree, che recavano a Gesù Cristo i loro figli, perché imponesse loro le mani e li benedicesse, recate anche voi a Gesù Cristo i tigli vostri, consacrandoli a Lui fin dal loro nascere, ammaestrandoli per tempo a conoscere ed amare Lui, aiutandoli sempre con le vostre esortazioni e coi vostri esempi a tenersi uniti a Lui. E quando cresciuti negli anni, per l’influenza malefica di una scuola atea e di una società scostumata, li vedeste con immenso dolore dell’animo vostro tralignare dalle speranze della loro verde età, e cader vittime sventurate dell’incredulità e delle passioni, ricordatevi allora che non vi ha spettacolo, che maggiormente commuova il Cuore di Gesù Cristo a compassione della sventura dei vostri figli, quanto quello delle vostre lagrime. Quando si portava alla sepoltura il figliuolo unico della vedova di Naim, spietatamente rapito dalla morte sul fior della vita, l’infelice madre gli teneva dietro con tale profluvio di lagrime, che avrebbe intenerito le pietre. E l’amabilissimo Gesù, alla vista di quello spettacolo di desolazione e di dolore, tocco nel più intimo del suo Cuore, si appressa a quella povera madre, con l’accento della più filande tenerezza e pietà le dice di cessare il pianto, e avendo comandato ai portatori della bara di fermarsi, voltosi al morto: « O giovane, gridò, io ti dico, sorgi. » E dall’istante quel giovane, che era morto, si levò a sedere e pieno di salute e di vita si fe’ a parlare. Ora, quello a cui valsero le lagrime di una madre per la vita fisica del suo figlio, sarà pur quello a cui varranno per la vita dell’anima. S. Monica lo ha ben provato nel suo Agostino. Non disperate pertanto, o povere madri, cui lo stato spaventoso dei figli vostri e la spirituale loro morte mette in desolazione e terrore. Piangete e pregate, e non cessate mai dal piangere e dal pregare. Forse anche per voi, come già per S. Monica, dovrà passare del tempo, prima che siate esaudite. Ma se al pari di lei sarete costanti a piangere ed a pregare, finirete com’essa per ottenere la grazia. Il Cuore di Gesù è troppo tenero per non commuoversi di voi e per non cambiare a tempo opportuno il vostro pianto di dolore in lagrime di gioia. Sì, egli vi consolerà di quanto avrete sofferto, risusciterà i vostri figliuoli morti e li ridonerà belli e vivi di una nuova vita cristiana al vostro amore. – Ma anche voi, o giovani Cristiani, che mi ascoltate, anche voi dovete mettere riparo alla sciagura di tanti altri giovani con la vostra fermezza nella fede e con la costanza vostra nella virtù. Rappresentatevi di spesso alla mente l’amore che Gesù Cristo vi porta, e siate generosi nel ricambiarlo. Senza dubbio, voi dovrete combattere le vostre passioni, perché anche voi figliuoli di Adamo, anche voi ne siete travagliati; ma ricordando la parola di Gesù Cristo: « Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso; » gettando lo sguardo sopra di Lui, modello di sacrifizio, di abnegazione, di mortificazione e di obbedienza, e sopra tutto accostandovi spesso a ricevere nel cuor vostro Lui, che è il frumento degli eletti ed il vino, che germina i vergini, voi domerete le vostre passioni, come il domatore delle belve doma il leone della foresta. Senza dubbio, dovrete resistere al gran pericolo di una scienza atea e materialistica, le cui dottrine vi è giocoforza ascoltare per la schiavitù dell’insegnamento; ma non dimenticando le lezioni sublimi intorno alla vostra origine, alla vostra natura ed ai vostri destini, appresi sulle ginocchia della vostra madre Chiesa e della vostra Chiesa-Madre, e con lo studio continuato della Religione convertendole in succo ed in sangue, voi, mercé di Dio, avrete mai sempre sufficiente intelletto per lasciare tutta a certi professori la gloria di essere un pugno di fango o razza di scimmie e di lombrichi. Senza dubbio voi dovrete superare gli umani rispetti, che vi assaliranno da ogni parte e da per tutto, perché la vostra fede e la vostra virtù, essendo un pruno negli occhi dei tristi, sarà sempre da loro oltraggiata e derisa; ma voi infiammati d’amore per la vera libertà, che Gesù Cristo è venuto a portare sulla terra, e che affranca da ogni servaggio, anche da quello del numero e della forza materiale, non sarà mai che vendiate la vostra coscienza a prezzo di una vile apostasia. Senza dubbio voi dovrete respingere la stolta calunnia, che la pietà cristiana rende stupidi e melensi e che la fede è contraria alla scienza, e col tenervi sempre lontani da coloro, cui ogni pretesto è buono per liberarsi dalla noia dello studio, col non partecipare mai alle loro gazzarre e baldorie, e coll’applicarvi invece seriamente agli studi, dimostrerete una volta di più, che col raggio della fede penetrate ben più a fondo che gli altri nelle verità scientifiche, e coll’aiuto della cristiana pietà riuscite anche meglio degli altri ad apprenderle. O giovani cattolici! o nobili speranze della Chiesa e della patria, gettate oggi lo sguardo sopra l’eroe, che la Chiesa festeggia e vi dà per modello, e checché sembri al mondo, seguendo le traccie luminose di S. Luigi Gonzaga, crescerete senza dubbio allo stato virile, « all’età di Gesù Cristo. » Presto o tardi il mondo avrà bisogno di voi. Sotto gli occhi spalancati del genere umano finirà il trionfo di una dottrina e di una virtù, che non è la vostra. Ed allora la società stanca di veder più a lungo lo spettacolo dell’incredulità e della corruzione, accasciata dal dolore di tante rovine, a voi, figliuoli unici della fede e dell’amore di Gesù Cristo, volgerà affannosa lo sguardo e stenderà anelante la mano gridandovi ad alta voce di trarla a salvamento. – E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che ponete mai sempre la vostra delizia tra i figliuoli degli uomini, soccorrete con la vostra grazia questi giovani volonterosi, che si stringono oggi intorno al vostro altare; date loro la forza di mantenersi costanti nella professione della fede e nella pratica della virtù e di essere pronti sempre a morire piuttosto, anziché venirvi meno. Ma ad un tempo stesso pietà vi prenda di quei giovani infelici, che vi disconoscono, che non vi amano, che anzi vi oltraggiano: pietà per amor di queste madri, che ora dinnanzi a voi versano amare lacrime per essi. Deh! o divino Pastore, richiamate presto, che ben lo potete, questi agnelli traviati al vostro ovile; stringeteli presto, cambiati di costume, tra le vostre braccia amorose, ed allora noi benediremo un’altra volta ai trionfi della vostra bontà e della vostra misericordia.

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-5B-)

BEATITUDINI EVANGELICHE

 [A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO QUINTO

Beati misericordes: quoniam ipsi misericordiam consequentur.

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia

III

VIRTÙ DI CHI CONOSCE IL CUORE UMANO

Il mondo è sempre piuttosto duro nel giudicare e trattare con chi è caduto nel male. Non ci rendiamo conto delle condizioni nelle quali sono cresciuti, della loro famiglia, dell’esempio che ivi ebbero nella loro fanciullezza e poi sempre. Neppure abbiamo notizia di quello che impararono quando tutto s’assorbe e si trasforma in elemento o di vita o di morte.

FAMIGLIA E SOCIETÀ’ SENZA DIO

Quanta miseria infesta certe famiglie, indegne dello stesso nome! Sono più covi e tane, che case di Cristiani. Vi regna piuttosto l’odio che l’amore. L’ira e l’invidia vi si respira, anziché la pace e la gioia della vita. Come può svolgersi un’anima? Né l’intelletto viene illuminato dalle verità della Fede; né il cuore scaldato dai principi della divina carità e dal desiderio della virtù. La virtù per tanti giovanetti è l’abilità di farla franca. Evitare con l’astuzia la sorveglianza della legge, questa è la qualità più pregiata. Sfuggire alle maglie della giustizia umana. Questo concetto della vita, come equilibrio tra il costume esterno e le proprie voglie disordinate, si conserva poi sempre; poiché vedono che molti cittadini onorati » lo tengono effettivamente, se non apertamente come guida e norma della loro riuscita. Povere esistenze prive d’ogni conforto, alle quali non giunge neppure l’ombra d’un gesto gentile, neppur l’eco d’una parola buona. Ignare del massimo patrimonio di vitale energia, che è la pietà religiosa, passano gli anni della giovinezza o annebbiati dallo spasso volgare o avvelenati da delusioni irritanti. Non sentono mai parola di Dio, se non per bestemmiarla;non conoscono i Sacramenti che han forse ricevuto da bambini, se non per un lontano e velato ricordo seducente; la Madonna di cui vedono le immagini dovunque, è per essi non il richiamo gentile e materno ma il termine di ingiurie innominabili per la bestialità battezzata; le virtù della purezza, della modestia, della carità, della mortificazione, sono ignote anche come vocaboli, come realtà esistenti. Miseria della vita di cui la responsabilità resta in gran parte della società effettivamente atea e tesa verso la contaminazione di tutti e di tutto. Siamo pertanto colpevoli in solido. E in solido dobbiamo renderne a Dio strettissimo conto. – Come dunque non essere misericordiosi, quando si conosca l’origine del male e la felicità per molti di cadérne vittime? Debole la natura, corrotta sovente la famiglia, la società colma di seduzioni maligne, i poveri che peccano quale responsabilità avranno al tribunale di Dio?

LA NOSTRA NOBILTÀ’

Vero è che sotto tutto codesto marasma sentiamo nell’uomo una grandezza e un alto destino. L’uomo è come un ricco decaduto; sotto i suoi cenci si avverte il tipo del nobile sangue, la linea distinta del volto, la delicatezza dell’indole. I suoi grandi desideri sono un «curo segno d’origine divina; la voce della coscienza, sempre vigile a suggerire il bene e a condannare il male, è voce che viene da più alto di lui; lo stesso bruciore del rimorso tradisce un fondo dello spirito, che si ribella alla schiavitù della terra. Non è forse vero, che le prime tentazioni turbano assai e che le prime cadute lasciano amara la bocca e il fiele in cuore? La stessa natura decaduta non ha cancellato la purità delle origini e insieme alla miseria presente sente ancora la sua congenita nobiltà. E poi v’è anche modo di leggere questa alta parola nella stessa vergogna delle passioni. Le quali esprimono, in fondo, il bisogno di possedere un oggetto eguale alla capacità del cuore umano. Sono pertanto, la manifestazione d’uno sforzo, che fallisce la sua direzione e batte una strada errata; ma lo scontento dice qualcosa. È sapienza conoscere così il nostro cuore e quello altrui. Da tale conoscenza acquista valore il sentimento di compassione e di misericordia. È questa sostanzialmente odio del male e amore del bene; salire alto verso il Cielo e discendere giù sino all’abisso. – Che cosa cerchiamo in Cielo, se non la luce di Dio, la sua bontà per noi, la volontà di salvezza che muove il suo cuore? Saliamo a Dio per attingervi il coraggio della virtù, le sue ragioni più pure, per sentire forte forte l’imperativo della coscienza — strato umano attraverso cui parla il Signore. È pertanto necessario questo incontro con Lui, per dire a noi medesimi: « Sta su d’animo, sei ancora buono e devi rimetterti in pace con te stesso per rappacificarti con Dio ». L a divina misericordia è benevola verso chi la seconda nella condotta della propria vita. Essa vi vede uno strumento docile delle sue effettuazioni nel mondo umano, un collaboratore intelligente e capace.

PENSIAMO Al PECCATORI

È evidente d’altronde, che con la salita alla sommità della scala verso il Giudice divino, occorre accoppiare la discesa verso l’abisso dove si trovano i caduti, per aiutarli nella fatica dell’uscire e del riprendersi in una vita rifatta in Dio. È questa un’opera di redenzione di alto valore ed apprezzata dal cuore del Signore, come una funzione ausiliatrice alla sua ed anche come lo sforzo di far meglio produrre la sua stessa Passione. Darle uno sviluppo nella effettiva applicazione agli smarriti, alle vittime dell’errore, della passione. La misericordia qui è la forma più evidentemente efficace dell’amore compassionante, che onora il Cristiano verace. « Siccome, diceva in un catechismo il santo Curato d’Ars, nulla affligge il cuore di Gesù quanto il vedere perdute, per un gran numero di persone, le sue sofferenze, gli sono bene accette le preghiere per la conversione dei peccatori. Son queste le suppliche più belle, perché i giusti possano perseverare, le anime del Purgatorio andare in Cielo, ma che sarà dei poveri peccatori, che non pregano mai, se qualcuno non prega per loro? « Alcuni esitano a convertirsi : un Pater e un’Ave basterebbero a deciderli. Quante anime potremo riportare al Signore con le preghiere! « La Santa Comunione e il Santo Sacrificio della Messa sono i due atti più efficaci per ottenere la conversione dei cuori. Vi sono pure le novene, soprattutto quelle che precedono le quattro grandi feste della Santa Vergine; spesso con queste funzioni si ricevono grazie, che non era stato possibile ottenere con altre preghiere, ma bisogna domandarle con il cuore puro. Quante belle anime ci sono, che ottengono tante conversioni con le loro preghiere! ». Infine, che cosa interpreta la nostra necessità spirituale meglio dell’esercizio della misericordia? Siamo in armonia con Dio, con noi medesimi, con il prossimo. Questo ambisce il soccorso in un affare di tale importanza; quello ha deciso che l’uomo debba collaborare alla propria salvazione; e noi intermediari siamo gli interpreti del diverso sentimento di ambedue. Anello di congiunzione fra il Cielo e la terra, entriamo, poveri ma volenterosi, nella funzione stessa del Redentore del mondo. Anche se la nostra persona val poco, la funzione è grande e onorevole. Noi allora ci sentiamo stimolati ed impegnati a servire il Signore con dignità e onore della nostra coscienza. Sentiamo cioè la vocazione all’esercizio della misericordia, per aiutare il Signore.

IV

L A MISERICORDIA ATTIRA MISERICORDIA COME SI AMA IL POVERO

L’animo, che sa commuoversi a pietà per il prossimo, sa compiere il sacrificio di piegarsi verso la sua debolezza e soccorrerla. A questo serve assai un cuore modesto. L’orgoglioso è troppo preoccupato di sé e dei suoi ambiziosi desideri, per avvertire il bisogno altrui. Gli pare, anzi, che il piegarsi verso gli altri sia una compromissione e una debolezza. Così è normale, che alla cura abituale dei poveri e dei deboli si consacrino i cuori umili e pii, i quali, sentendo l’amore di Dio, lo dimostrano praticamente sui prossimi, per onorare lui. – Quando Federico Ozanam sentì ben robusto quest’amore, si avvide del poco che gli dava per la sua gloria, notò che l’amare il prossimo lo avrebbe aiutato a dargli il tributo del suo cuore e, con altri amici del medesimo sentimento, pur essendo studenti alla Sorbona, si dedicò alle opere da cui nacquero le Conferenze di san Vincenzo. Il mondo presente appare ostentatamente orgoglioso delle sue opere sociali. Si pavoneggia delle molte effettuazioni a vantaggio dei poveri. Ma anche si avvede, che le necessità maggiori sfuggono alle sue attenzioni, non sa soccorrerle a dovere. Gli abbisogna l’aiuto della Religione e del suo unico spirito di carità. Questa sa fecondare gli animi con mezzi esclusivi. Insegna ad accostare il povero senza umiliarlo e dà senza condizioni. Il suo appoggio e le sue ragioni sono soltanto in Dio. Nell’intento di Ozanam l’aiuto materiale non deve scompagnarsi da quello spirituale; ma senza ombra di ostentazione. Soleva dire ai compagni, che anche nelle conversazioni coi poveri non si deve introdurre la Religione, se non al momento in cui essa viene naturalmente richiesta, o per consolare un’afflizione, che non ha alcun terreno conforto, o per spiegare alle menti oscurate dall’errore, come sia giusta e soccorrevole la Provvidenza. « Badiamo, che uno zelo impaziente, invece che fare dei Cristiani, non faccia degli ipocriti». Questa delicatezza è ben notata dai poveri. I quali stabiliscono dei confronti fra coloro che si dedicano per ufficio al loro soccorso; e sanno apprezzare la finezza di chi dà senza mirare a soddisfare la propria vanità, il proprio orgoglio, e neppure il senso soltanto umano della compassione, ma che vedono nel povero l’immagine di Dio da consolare e da purificare con l’amore disinteressato. Orbene questo si misura dall’offerta del tempo e della vita.

« Multum facit qui multum dilìgit — molto fa chi molto ama » dice l’Imitazione. E il solo amore del Signore dà il tono del disinteresse totale. La misericordia salva il misericordioso. Anche davanti a Dio. I poveri hanno certo il diritto d’essere aiutati, ma devono pure riconoscere, che non può bastare un proposito umano, un fine politico a spingere il benestante ad affondare le mani nei forzieri per toglierne da distribuire ai bisognosi. Il motivo umano servirà talvolta a stimolare alla donazione; ma il cuore è mosso soltanto dal pensiero di Dio e dal dovere della generosità in faccia al bisogno materiale altrui. Per altro vediamo bene come vivono gli avari.

GRANDE URGENZA DI OFFRIRSI

« Da queste parti c’era un avaro che s’ammalò… racconta san Giovanni Vianney. Al curato che andò a visitarlo disse: « Beviamo e parliamo della guerra signor curato ». — « Avete del vino dunque? » — « Andate in cantina e vedrete ». Era piena di barili di vino. Disse ancora: «Andate nel granaio». Era pieno di grano. « Ah! mio Dio, datemi ancora un anno di vita! » Ebbene no, morì e lasciò tutto quanto. Egli voleva mangiarsi tutte le provviste e non ne ebbe il tempo. Era disperato di dover morire e lasciare ad altri questi beni. Se fosse stato un buon Cristiano avrebbe considerato di nessun valore i suoi beni, poiché tutto proviene dalla terra ». La naturale accortezza suggerisce quello appunto che ci dice la Fede. Perché essere duri e insensibili verso i nostri compagni di viaggio poveri, mentre noi non siamo certi di poter godere neppure una parte dei nostri beni? Certa invece è la necessità di costoro. Clemente IX volle prender come stemma un pellicano, che alimenta i suoi piccini, e come motto: « Aliis non sibi clemens — clemente non verso di sé, ma verso gli altri ». E un altro Papa, sommo giurista, Innocenzo III, soleva dire ch’egli considerava la compassione superiore al diritto. Sopra tutte le autorità umane, Dio stesso si pronuncia per l’amore. Scrisse il Cardinale De Berulle nelle Grandezze di Gesù: « Così Dio incomprensibile si fa conoscere in questa umanità; Dio ineffabile, si fa udire nella voce del suo Figlio incarnato; Dio invisibile, si fa vedere nella carne che egli unì con la natura dell’eternità; e Dio che si fa sentire nella sua dolcezza, nella sua benignità e impone terrore nello splendore della sua grandezza, nella sua umanità… O meraviglia! O grandezza! » Sicché il trionfo è della sensibilità del cuore di Dio. Volete scorgere chiaramente come Dio si umiliò per potere amare la sua creatura umana? « La santa anima di N. S . Gesù Cristo scrisse il gesuita Lallemant non fu creata che per l’amore di noi; il suo sacro corpo non fu formato che per noi; la sua umanità non fu unita alla persona del Verbo, che per gli uomini.. Che cosa facciamo noi per Cristo?

L’ANIMA DELLA CARITÀ’

Noi siam fatti pure per amare. E l’amore non sta senza un soffio d’umiltà. « Non ti far giudice non competente di te medesimo, scrive in un’omelia san Basilio; né volere esaminarti, mettendo in conto alcuna cosa di buono, che ti sembri aver fatto, dimenticandoti a bella posta dei tuoi peccati, ovvero non insuperbire di ciò che hai fatto bene oggi, scusando poi le cose malfatte… Ma se mai il presente ti gonfia, riduciti alla memoria il passato e l’insensata gonfiezza si riumilierà. E quando vedrai peccare il prossimo, non considerare di lui questa cosa sola, ma ricordati insieme quante cose egli ha fatto e fa rettamente, e sovente troverai lui essere migliore di te, facendo la ricerca di tutte le sue azioni e non sentenziando solo rispetto a una parte ». – Se noi, insomma ci poniamo sempre di fronte ai nostri simili, verso i quali siamo tentati di sentire malamente, avremo tante ragioni di compatirli e di giudicarli meno colpevoli di quanto sembri, mentre sovente sono migliori di noi. – Sicché la misericordia è spesso un dovere di giustizia. « Perdona a noi come noi perdoniamo ai nostri debitori ». Ma anche per questo occorre tanto sentimento di umiltà, che ci tenga presente la indegnità nostra e il bisogno di una espiazione fervorosa e continua. In questa condizione morale sono abitualmente le anime più aperte alla grazia. Carlo Psichari, mentre era ai suoi primi esperimenti di vita religiosa nel secolo, espandeva il suo cuore così col Padre Clérissac, suo direttore spirituale: « È una adorabile scoperta ch’io faccio in questo momento, è una dolce e crudele riconoscenza, e non v’è ufficio (religioso) nel quale io non versi le lagrime abbondanti davanti al Maestro, che ho sì a lungo crocifisso e che la Francia stessa crocifigge ogni momento… Io ho potuto accostarmi ogni mattina alla Santa Mensa e l’ho fatto con coraggio, contando sulla misericordia di Nostro Signore, per ottenere il perdono delle mie debolezze, che mi rendono così indegno di ricevere il suo Corpo, e abbandonarmi del tutto a Lui in ogni cosa… Credo bene, che sia quando siamo abbattuti il momento di desiderare con più vivo amore l’Eucaristia; e, quanto a me, è in queste ore che mi volgo con maggior confidenza verso il Maestro al quale ormai io sono rivolto ». – Anime tanto ardenti e umili, così poco fiduciose di sé affatto abbandonate nel Signore, sono destinate ad attirare dal suo Cuore ogni delicatezza. Non danno esse tutto a Dio? Perché il Signore non si darà loro con quella generosità delicata, di cui offre esempio nella esperienza dei santi? La misura usata da Dio non è proporzionata al nostro merito, bensì alla sua ricchezza.

1 Agosto: SAN PIETRO IN VINCOLI (2019)

San Pietro in Vincoli

Hymnus {ex Proprio Sanctorum}
Quodcúmque in orbe néxibus revínxeris,
Erit revínctum, Petre, in arce síderum:
Et quod resólvit hic potéstas trádita,
Erit solútum cæli in alto vértice;
In fine mundi judicábis sǽculum.

Patri perénne sit per ævum glória,
Tibíque laudes concinámus ínclitas,
Ætérne Nate; sit, supérne Spíritus,
Honor tibi decúsque: sancta júgiter
Laudétur omne Trínitas per sǽculum.
Amen.

Lettura 1


Dagli Atti degli Apostoli

Atti XII: 1-5
1 Il re Erode mise mano a maltrattare alcuni della Chiesa.
2 Uccise di spada Giacomo, fratello di Giovanni.
3 E vedendo che ciò piaceva ai Giudei, procedé anche all’arresto di Pietro. Erano i giorni degli azimi.
4 E fattolo catturare, lo mise in prigione, dandolo in guardia a quattro picchetti, di quattro soldati ciascuno, volendo dopo la Pasqua processarlo davanti al popolo.
5 Pietro dunque era custodito nella prigione. Ma dalla Chiesa si faceva continua orazione a Dio per lui.

Lettura 2
Atti XII: 6-8
6 Or, la notte stessa che Erode stava per processarlo, Pietro dormiva tra due soldati, legato con due catene; e le sentinelle alla porta custodivano la prigione.
7 Quand’ecco si presenta un Angelo del Signore e brilla una luce nella cella, e dato un colpo nel fianco a Pietro, lo risvegliò, dicendo: Lévati su in fretta. E caddero le catene dalle mani di lui.
8 Poi l’Angelo gli disse: Mettiti la cintura e lègati i sandali. Ed egli fece così. E gli soggiunse: Buttati addosso il tuo mantello, e seguimi.

Lettura 3
Atti XII: 9-11
9 E uscito che fu, lo seguiva, senza rendersi conto che fosse realtà quanto si faceva dall’Angelo; ma credeva di avere un’allucinazione.
10 E passata la prima e la seconda sentinella, giunsero alla porta di ferro che mette in città, la quale s’aprì loro da sé medesima; e usciti fuori, s’inoltrarono in una contrada, e d’improvviso l’Angelo si partì da lui.
11 Pietro allora, rientrato in se, disse; Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo, e m’ha liberato dalle mani d’Erode, e da tutta l’attesa del popolo dei Giudei.

Lettura 4
Sotto l’imperatore Teodosio il giovane, Eudossia, sua sposa, essendo andata a Gerusalemme per sciogliere un voto, vi fu colmata di numerosi doni. Il più prezioso di tutti fu il dono della catena di ferro, ornata d’oro e di gemme, colla quale si affermava essere stato legato l’Apostolo Pietro da Erode. Eudossia, dopo aver venerato piamente detta catena, l’inviò in seguito a Roma, alla figlia Eudossia, che la portò al sommo Pontefice. Questi a sua volta glie ne mostrò un’altra colla quale lo stesso Apostolo era stato legato sotto Nerone.

Lettura 5
Mentre dunque il Pontefice confrontava la catena conservata a Roma con quella portata da Gerusalemme, avvenne ch’esse si unirono talmente da sembrare non due, ma una catena sola fatta dallo stesso artefice. Da questo miracolo si cominciò ad avere tanto onore per queste sacre catene , che la chiesa del titolo d’Eudossia all’Esquilino venne perciò dedicata sotto il nome di san Pietro in Vincoli, in memoria di che fu istituita una festa al 1° Agosto.

Lettura 6
Da questo momento, gli onori che usavasi tributare in questo giorno alle solennità dei Gentili, si cominciò a darli alle catene di Pietro, il contatto delle quali guariva i malati e scacciava i demoni. Il che avvenne nell’anno dell’umana salute 969 a un certo conte, famigliare dell’imperatore Ottone, il quale essendo posseduto dallo spirito immondo, si lacerava coi proprii denti. Condotto per ordine dell’imperatore dal Pontefice Giovanni, non appena le sante catene n’ebbero toccato il collo, il maligno spirito se ne fuggì all’istante lasciando libero l’uomo: dopo di che la devozione alle sante catene si diffuse in Roma sempre più.

Lettura 7
Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 16:13-19
In quell’ occasione: Gesù venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, interrogò i suoi discepoli dicendo: La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? Eccetera.


Omelia di sant’Agostino Vescovo

Sermone 29 sui Santi, alla metà
Pietro è il solo degli Apostoli che meritò di udire: «In verità ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» Matth. XVI,18; degno certo d’essere, per i popoli di cui sarebbesi formata la casa di Dio, la pietra fondamentale, la colonna di sostegno, la chiave del regno. Così leggiamo nel sacro testo: «E mettevano fuori, dice, i loro infermi, affinché, quando Pietro passava, almeno l’ombra sua ne coprisse qualcuno» Act. V,15. Se allora l’ombra del suo corpo poteva portare soccorso, quanto più ora la pienezza del suo potere? se, mentr’era sulla terra, si sprigionava al suo passaggio tal fluido salutare per i supplicanti, quanta maggior influenza non eserciterà ora ch’è nel cielo? Giustamente dunque in tutte le chiese cristiane si ritiene più prezioso dell’oro il ferro delle catene onde egli fu legato.

Lettura 8
Se fu sì salutare l’ombra del suo passaggio, quanto più la catena della sua prigionia? Se la fuggitiva apparenza d’una vana immagine poté avere in sé la proprietà di guarire, quanta maggior virtù non meritarono d’attrarre dal suo corpo le catene onde egli soffrì e che il peso impresse nelle sacre membra? S’egli a sollievo dei supplicanti fu tanto potente prima del martirio, quanto più efficace non sarà dopo il trionfo? Benedette catene, che, da manette e ceppi dovevano poi cambiarsi in corona, e che toccando l’Apostolo, lo resero così Martire! Benedette catene, che menarono il loro reo fino alla croce di Cristo, più per immortalarlo, che per farlo morire!

(dal Breviario Romano, Mattutino).

La Santa Madre Chiesa ha istituito questa festa proprio per questi tempi, per richiamarci alla fiducia in Gesù-Cristo ed alla presenza ininterrotta fino alla fine dei tempi, del suo Vicario in terra che, se pur tra vincoli come ai tempi di Erode, è tra noi, impedito ed ammutolito dai nemici di Dio, tradito dai falsi prelati che sanno e restano cani muti, e da quelli che sono sotto costante ricatto perché … non amano la verità, ma il loro ventre … i precursori dell’anticristo che è oramai alle porte, quelli della lobby gay del “novus ordo” ed i fiancheggiatori empi delle sette sedevacantiste e dei fallibilisti disobbedienti delle fraternità paramassoniche. Pietro è vivo e presto tornerà libero ed operante quando il soffio di Cristo brucerà l’anticristo ed i suoi seguaci maledetti, gli usurpanti servi di satana.

Viva Pietro, il Principe degli Apostoli, Vicario di Cristo e pietra fondante la Chiesa Cattolica, l’unica Arca in cui c’è salvezza e vita eterna.

Qui mange le Pape meurt!!!

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 1 AGOSTO – Sul martirio dei MACCABEI

1 Agosto.

SUL MARTIRIO DEI MACCABEI (1).

Parati sumus mori, magis quam patrias Dei leges prævaricari”.

[Siamo pronti a morire, anziché violare le leggi di Dio e della patria].

(II de’ Maccabei VII, 2).

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VANNEY, trad. It. di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim. Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

(1) La festa dei santi Maccabei si celebra con solennità nella diocesi di Belley e in altre circonvicine: un’antica chiesa di Lione era ad essi intitolata. (Nota degli editori francesi).

Tale risposta diede ad Antioco, famoso persecutore della religione, l’illustre famiglia de’ Maccabei. Quei giovani ebrei risposero coraggiosamente: « Dobbiamo a Dio un amore forte ad ogni prova, e nessun tormento potrà farci violare la fedeltà di cui gli siamo debitori. Eccoci: puoi farci patire; i nostri corpi sono in tuo potere; ma della nostra fede e del nostro amore non sei padrone; rispetto a questo non hai impero su noi; non aspettarti dunque che facciamo cosa la quale possa dispiacere al Signore: siam lieti di morire ». Non esitano punto: coll’aiuto di Dio son risoluti di perdere non solo i beni e l’onore, ma anche la vita. Vedete qual coraggio in quegli antichi martiri, che avevano meno grazie che noi? No, miei fratelli, questi santi martiri non avevano veduto come noi Gesù Cristo portar la croce al Calvario; non avevano ancor veduto quelle schiere di eroi che, conformandosi all’esempio di Gesù Cristo, con tanto coraggio han sacrificato la vita; essi invece segnavan la via. Non avevano come noi la bella sorte d’udir la voce di Gesù Cristo, il quale, dall’alto della croce, par che ci dica: « Venite, figli miei, salite sul vostro Calvario, com’io son salito sul mio ». Ecco un linguaggio capace di darci forza. Ma no, essi non ebbero sì bella sorte! Oh! se i nostri padri ricomparissero tra noi, potrebbero forse riconoscerci per loro figliuoli ed eredi nella fede? Ohimè! quanti fra noi, non per timor della morte o della perdita dei beni, ma per un meschino rispetto umano, un lieve timore d’essere scherniti, abbandonano Iddio e arrossiscono d’esser buoni Cristiani! Quanti altri disonorano questa santa Religione con una vita tutta pagana e secondo il costume del mondo? Per eccitarvi, fratelli miei, a non temer nulla, quando si tratta di piacere a Dio e salvar l’anima nostra, vi metterò sott’occhio il coraggio de’ santi martiri dell’antico Testamento e di qualcuno del nuovo. Ma non contentiamoci d’ammirarne l’intrepidezza e lo zelo per la gloria di Dio e la salute dell’anima loro. Raffrontiamo la loro vita con la nostra, il loro coraggio con la nostra viltà, i loro tormenti col nostro orrore alla penitenza, e vediamo se possiamo, com’essi sperare il cielo facendo quel che facciamo. Ohimè! quanti Cristiani dannati! Facciamo quanto è in poter nostro per imitar questi eroi.

I. — Se apriamo i Libri santi vediamo in tutti i tempi i buoni perseguitati dai cattivi. E questo dobbiamo aspettarci se vogliamo sperare il cielo. Vedete Abele e Caino, Giuseppe e i suoi fratelli, Davide e Saul, Giacobbe ed Esaù, ecc. Non abbiamo altro retaggio quaggiù, e ce lo provano abbastanza quelli che ci hanno preceduti. In ogni tempo chi volle esser di Dio dovette fare il sacrifìcio de’ suoi beni, della sua riputazione ed anche della vita: se vogliamo sperare eguale ricompensa dobbiamo imitarne l’esempio, altrimenti non avremo la sorte felice di aver parte a’ medesimi gaudi. Ecco un esempio che servirà a meglio convincervene. – Leggiamo nell’antico Testamento (1 Macc. I) che gli Ebrei, tornati dalla schiavitù di Babilonia, stettero in pace finché non salì sul trono l’empio Antioco. Questo re perverso suscitò la più crudele persecuzione che fino allora si fosse veduta. Dio, è vero, lo permise per far prova de’ suoi servi fedeli, e d’altra parte il profeta Daniele l’aveva loro predetto (Dan. XI). Era divisamento di quell’empio re abolire, se gli fosse riuscito, il culto del vero Dio. Intimò, sotto pena di morte, di profanare il sabbato e le feste, spogliare i luoghi santi, edificare altari e templi al demonio, e sacrificare animali, che la legge proibiva. Nel tempio fece porre un idolo infame, e i libri della legge furono distrutti ed abbruciati. Quei Giudei che volevano servire al Signore erano subito arrestati e puniti di morte. La citta santa fu abbandonata da’ suoi abitatori e diventò dimora de’ pagani. Il tempio rimase deserto, le feste si mutarono in duolo; tuttavia, non ostante i terrori che cominciavano a diffondersi per costringere i Giudei a rinunziare al vero Dio, parecchi risolvettero di non far nulla contro la legge e morire anziché violarla. Tra quelli che si mostrarono intrepidi fu un buon vecchio per nome Eleazaro, in età di novantanni, noto per la purità ed innocenza della sua vita (II Macc. VI). I persecutori l’arrestarono e gli comandarono di mangiar carne offerta agli idoli, altrimenti, secondo la legge del malvagio re, sarebbe fatto morire. Poiché vi si rifiutava, si volle costringerlo: alcuni gli aprivano la bocca: altri v’introducevano la carne, come se non sapessero, quegli insensati, che la volontà sola commette il peccato e che non è colpevole un’azione nella quale il cuore non ha parte. Eleazaro non poté esser vinto: volle piuttosto la morte che obbedire al re mangiando quella carne contro il divieto della legge. « Preferisco, diss’egli, una morte innocente ad una vita rea ». Mentre andava con gioia al supplizio ebbe ad incontrare da parte de’ suoi amici una prova, la quale, per ciò stesso, fu ben più formidabile che quella a cui l’aveva posto l’empio re. Venuti a visitarlo, gli dissero piangendo : « Amico, Siam venuti per salvarti, come ci siamo salvati noi. Faremo portar carne non immolata agli idoli, cioè al demonio, e tu, per condiscendere al nostro desiderio, la gusterai soltanto: e noi diremo agli ufficiali del re che hai obbedito. Ecco un mezzo sicuro di sfuggire la morte e conservarti al tuo popolo ». Ma il santo martire gridò: « No, no: non lo farò mai; mi si conduca subito al supplizio anziché commettere simile viltà che offenderebbe il mio Dio; piuttosto mi si getti vivo nel sepolcro; ciò mi è mille volte più caro. Ecché. mio Dio, mi si crede capace di dissimulare, all’età mia, e far credere che sia superstizione la mia religione? Io dar sì cattivo esempio alla gioventù che vuol prendermi qual modello! Io lasciar credere ad essa d’essere stato vinto dall’amor della vita e dal timor de’ tormenti? No, no! Ne’ brevi giorni di vita che mi restano non mi lascerò davvero andare a tale viltà. Quando pure oggi potessi, prostituendo l’anima mia e la mia coscienza, scansare i supplizi degli uomini, potrei forse sfuggire alla giustizia di Dio? No: moriamo costanti, amici miei, e mostriamoci degni della nostra età, poiché Dio si degna di eleggerci per darci come spettacolo alla gioventù. La morte, anche più crudele, è dolce del pari che gloriosa quando si fa a Dio il sacrificio della vita. Perché dovrei temere di perder la vita, che ben presto dovrò abbandonare senza merito, mentre sacrificandola adesso per amor di Dio, ne riceverò si bella ricompensa per l’eternità? Venite. carnefici, aggiungeva con singolare coraggio, venite, e vedrete quali sacrifici possono fare coloro cui sostiene la virtù dall’alto: mi toglierete un avanzo di vita, e mi procurerete in ricambio la vita eterna. Ah! mi par di veder gli Angeli che vengono a me per condurre in cielo l’anima mia (L’anima .di Eleazaro non poteva esser condotta immediatamente in Paradiso, perché il cielo era chiuso finché fosse compita la Redenzione. – Nota del Traduttore); no, no, amici miei, non temo né i tormenti né la morte: tutto questo è per me un bene. Moriamo pel nostro Dio, e li faremo vedere che l’amiamo veramente. Moriamo, figli miei, e lasceremo la guerra e i patimenti per andarcene in un luogo di pace, di gaudio, di delizie. Sì, mio Dio, vi faccio volentieri il sacrifizio della vita ». Oh! fratelli miei, quanto son belli questi sentimenti! E come son degni della grandezza d’un’anima bella e d’una Religione santa qual è la nostra! Tutte queste belle parole, da Eleazaro pronunziate dinanzi a’ suoi carnefici, avrebbero dovuto commuoverli e mutarne il cuore; ma no: divengono anzi più furibondi. Si scagliano su quel povero vegliardo, lo gettano per terra, lo spogliano, lo legano; i manigoldi armati di verghe, lo battono fino a perder la lena: ma tra tanti dolori raccoglie le poche forze che gli restano, e si volge al Signore dicendo: « Lo sapete, o mio Dio, che soffro per voi, per timore d’offendervi; sostenetemi, mio Signore, e fate che muoia per amor vostro ». Non cessarono di batterlo finché non ebbe reso la sua bell’anima a Dio. – Qual esempio per noi, miei fratelli: ma insieme qual vergogna per tanti codardi Cristiani che per un maledetto rispetto umano trasgrediscono sì spesso le leggi della Chiesa mangiando carne nei giorni proibiti! Ditemi, se foste stati posti a simili prove, avreste fatto come quel buon vecchio di novant’anni che volle morire anziché far mostra di mangiar la carne proibita dalla legge giudaica? Qual condanna per tanti apostati che si mettono sotto ai piedi le sante nostre leggi! Andate in occasione di fiera in una bettola in giorno di venerdì o in altro in cui sia vietato mangiar carne: vedete quelle tavole che ne sono coperte, osservate quei che ne mangiano. Ohimè! son padri, madri di famiglia, padroni e padrone che forse avranno con sé i loro figliuoli o i loro domestici; son cattivi Cristiani, e anche sacrileghi, che avranno adempiuto al dovere pasquale, e tante volte bau promesso di non più trasgredire questa legge! Quale idea si ha ai giorni nostri di Dio, della sua religione, delle sue leggi? Ohimè! miei fratelli, agli occhi del maggior numero de’ Cristiani la nostra santa Religione è ormai una chimera, un fantasma; non si conservano più che certe esteriorità, quando non ce ne viene alcuna molestia, o il conservarle non ci costa nulla: ma al menimo ostacolo dispregiamo tutto e pare che siam divenuti apostati. Oh! quanti Cristiani perduti! Son pur disgraziati, poiché commettono il peccato con tanta riflessione, sapendo pur bene che dan morte a Gesù Cristo, e strappano a Lui la loro povera anima per trascinarla all’inferno! Che cosa potranno rispondere quando Gesù li giudicherà? Diran forse che la loro fragilità o miseria li ha indotti a far questo? Quale vergogna per quei sciagurati apostati, di cui gli uni han peccato per empietà schernendo le leggi della Chiesa, altri per maledetto rispetto umano! Anziché sopportare l’onta d’una parola uscita dalla bocca d’un empio, d’un libertino, vollero piuttosto perder l’anima loro ed offendere Iddio!…. Passiamo ad altri esempi, fratelli miei, e vedremo che, se la vecchiaia è naturalmente più ferma nella fede, anche l’età più tenera ci dà esempi non meno grandi. Dopo i combattimenti di quel buon vecchio, entrarono in campo una madre coi sette suoi figli nel fior dell’età. Avevano tanto candore e tanta modestia, ch’erano a tutti oggetto d’ammirazione. Il crudele Antioco se li fece condurre dinanzi, e immantinente comandò loro di mangiar carne offerta al demonio, e senza replica conforme agli ordini da lui dati. Ad una voce ricusarono di farlo. A tal rifiuto li fece in sua presenza spogliare e ordinò che fossero battuti a colpi di flagelli e di nervi di bue, finche il loro corpo ne fosse tutto straziato. Il primogenito dei sette fratelli, non punto stupito di tale trattamento, parla pel primo e dice al tiranno: «Che cosa vuoi da noi? Impara che noi sappiano patire e morire, ma non tradire la legge del Signore ». Questa risposta fece salir l’empio Antioco in sì grande furore, che comandò tosto di far arroventar caldaie di bronzo, e mentre tutti i manigoldi s’affrettavano ad obbedirlo, furente contro quel giovane che a nome di tutti l’aveva affrontato, gli fece tagliar la lingua, strappare la pelle del capo, tagliar le mani ed i piedi sotto gli occhi della madre e dei fratelli. Fece poi accostare a tutte le parti del suo corpo strisce di ferro infocato; e siccome dopo siffatto tormento viveva ancora, ordina che sia gettato nella caldaia di bronzo, che il fuoco aveva resa ardente come una verga di ferro ch’esca dal fuoco, e si trattiene spietatamente a vederlo bruciare. Frattanto sua madre e i suoi fratelli s’incoraggiavano vicendevolmente a patire. « Orsù, figliuoli miei, gridava quella madre, coraggio! Con la nostra morte possiamo dar gloria a Dio e addivenire eternamente felici! Poiché tutti siamo condannati a morire pel peccato dei nostri progenitori, moriamo: la nostra morte avverrà in pochi istanti; ma avremo una ricompensa, una felicità eterna ». Morto il primo, fu preso il secondo. Prima di tutto gli si strapparono i capelli e la pelle del capo, chiedendogli se volesse mangiar di quella carne che gli sarebbe messa innanzi. Rispose che saprebbe patire e morire conforme all’esempio di suo fratello, ma non commetterebbe mai la viltà di violare la legge del Signore. Gli si fecero soffrire gli stessi tormenti, gli si tagliarono le mani ed i piedi. Vicino a rendere l’ultimo respiro disse al re: « Re scellerato, tu ci togli la vita presente; ma siam certi che il Signore, per cui la perdiamo, ce la renderà eterna ». Dopo questo si venne al terzo, che da sé stesso si presentò, e senza aspettare d’essere interrogato si offerse pronto ai medesimi supplizi. Gli si chiesero le sue mani e le presentò con gioia: « Dal cielo, disse, ho ricevuto queste membra, e le lascio volentieri in vostra balìa perché le facciate soffrire, dacché con questi patimenti posso glorificare Iddio e guadagnarmi il Paradiso ». – Ah! fratelli miei, se avessimo una fede viva al pari di quella di questi santi martiri, come dispregeremmo la nostra vita e i piaceri sensuali!…. Avremmo forse il coraggio di sacrificare ad essi così facilmente la nostra anima e la nostra eternità?…. Ah! se pensassimo alla nostra risurrezione che sarà tanto più gloriosa, quanto più i nostri corpi saranno stati sprezzati e perseguitati!… Di qual gloria appariranno cinte quelle schiere di martiri, che lasciarono mettere in brani il loro corpo!… Il re e i suoi cortigiani non conoscevano abbastanza qual forza dà la religione; e non potevano riaversi dal loro stupore. Ne divennero sempre più furibondi. Antioco passò al quarto de’ santi fratelli; non si die più la briga di minacciare, perché sapeva bene ch’era tempo perduto, e mise mano subito ai tormenti. Gli fece dunque strappare la pelle: gli si tagliarono le mani e i piedi e fu gettato in una caldaia rovente. Ma anch’egli rispose: « Non temo i tuoi tormenti, perché una risurrezione gloriosa ci aspetta, e il Dio che serviamo è tutta la nostra speranza: tu pure risusciterai un giorno, ma non alla vita: t’aspetta un’eterna morte ». S’impadronirono del quinto e il re disse furente: « Vedremo, se saran tutti egualmente insensibili ». Il giovinetto non aspetta che i manigoldi l’afferrino, ma corre loro incontro, e dal mezzo delle fiamme, ove il suo corpo era già tutto lacerato, leva tranquillo lo sguardo verso il tiranno: « Tu fai adesso di noi ciò che ti piace; ma verrà tempo in cui alla tua volta proverai il rigore della giustizia divina ». Il re non poteva più contenersi: « Finiamo, disse ai suoi carnefici, di sterminare questa famiglia insolente ». – Viene il sesto con la dolcezza dipinta sulla fronte: si fa innanzi con gioia e si abbandona senza terrore tra le mani de’ manigoldi. Quei manigoldi incominciano a straziarlo, gli strappano la pelle e gli tagliano mani e piedi: « Che temi tu, o re spietato? disse il martire generoso : non mi resta più che un fratello e la madre; un fanciullo e una donna; i miei fratelli m’aspettano in cielo: tu mi fai morire, e ne son ben contento ». Tuttavia più degno d’ammirazione è l’atteggiamento di quella povera madre, che vede senza versare una lacrima morir sotto i suoi occhi tutti i suoi figliuoli e in un giorno solo. Seppe sì bene frenare il suo dolore, che faceva invece quanto poteva per incoraggiarli. O madri, che m’ascoltate, se i vostri figli non sono religiosi, o piuttosto son senza religione, non ne incolpate che voi medesime!… Se aveste la bella sorte d’imitare questa madre generosa, se, com’essa, pensaste che Dio vi ha fatto dono de’ vostri figliuoli solo per darli al cielo!… « Ah! miei figliuoli, gridava loro mentre se ne straziavano i corpi e venivano fatti a brani, miei figliuoli, coraggio, morite pel Signore e il paradiso sarà vostro! Perdete pur codesta vita piena di miserie: ne avrete una felice ed eterna ». Ohimè! Quante povere madri, troppo deboli, vedono i loro poveri figli precipitare nel male, o piuttosto all’inferno senza versare una lagrima, fors’anche senza dire un Pater ed un Ave! Lasciamo da parte, fratelli miei, queste tristi riflessioni. Frattanto di sette figli restava a quella povera madre un solo, il più giovane. Antioco, pieno di confusione per non aver potuto vincere quei fanciulli, volle tentare un ultimo sforzo per guadagnare almeno questo. Gli fece belle promesse dicendo che lo annovererebbe tra’ suoi favoriti, purché rinunziasse alla sua religione. Ma il fanciullo era irremovibile. Il re, fingendo compassione, chiamò a se la madre coraggiosa: « Salva almeno, ten prego, quest’ultimo figliuolo. Sarà tua gioia e tua consolazione pei favori di cui lo ricolmerò ». Padri e madri, venite ad istruirvi: udite il linguaggio d’una madre, la quale sa bene che i figliuoli le sono dati per guidarli al cielo e non per dannarli. Disse dunque al figliuolo in presenza del re : « Figliuol mio, abbi pietà di colei che t’ha portato nove mesi nel seno, che ti ha nutrito per tre anni del suo latte, e ti ha allevato sino all’età a cui sei giunto: considera, figliuol mio, quel bel cielo: tu sei sulla terra soltanto per giunger là: vedi i tuoi fratelli, che siedono già su troni di gloria? Ti aspettano: conforme al loro esempio, sacrifica volentieri la tua vita pel tuo Dio ». Queste parole ispirarono al fanciullo così grande amor verso Dio, che si volse al carnefice dicendo: « Che aspetti? Credi tu ch’io voglia obbedire a’ vostri empi comandi? No, no: voglio mostrare che son degno di camminare sulle orme dei miei fratelli cui la vostra crudeltà ha posto su troni di gloria: essi m’aspettano: vedi che mi tendon le mani? Sì, com’essi sacrifico il corpo e la vita in difesa della legge del mio Dio ». Il re, allora, vedendo che una donna e un fanciullo si burlavano di lui, fu acceso di tal furore, che volle farlo soffrire anche più. Gli fece tagliar mani e piedi…. e alfine lo fece gettare in una caldaia arroventata, ove quel tiranno, con gioia diabolica, pigliava diletto nel vederlo soffrire. Rimase sola la madre in mezzo alle membra sparse de’ suoi figliuoli; da qualunque parte volga lo sguardo, vede i piedi, le mani, la pelle e la lingua dei suoi figli, gittate qua e là intorno ad essa per sempre più torturarla. Antioco, non avendo più speranza di espugnare l’animo della madre, le fece soffrire sì atroci tormenti, che morì tra i supplizi benedicendo Dio della lieta ventura che le aveva dato di vedere tutti i suoi figli morire e andarsene in cielo. Così morì quella madre beata, che lasciò la terra pel paradiso. Madre avventurata, i cui sette figli sono ora assisi su troni gloriosi! O figli fortunati, che aveste una tal madre, la quale vi ha dato la vita sol per condurvi al possesso di Dio! – Quanto ad Antioco, lo sciagurato tiranno la mano vendicatrice dell’Onnipotente lo punì in modo manifesto: fu colpito da una piaga invisibile ed incurabile, giusta pena ad un tiranno, che aveva inventato tanti supplizi per far soffrire i servi di Dio. Cadde dal suo carro, e si ammaccò tutto il corpo. Le sue viscere formicolavano di vermi, le sue carni cadevano a brandelli; mandava così insopportabile fetore, che niuno poteva avvicinarsegli o servirlo. Sentendosi colpito dalla mano invisibile di Dio, fece grandi promesse e prese le più belle risoluzioni; ma lo Spiritò santo ci dice che solo il timore de’ tormenti ve l’induceva. Dio non ascoltò la sua preghiera e lo sgraziato principe morì roso dai vermi. Così d’ordinario fluiscono gli empi, che par vivano soltanto per offendere Iddio, e indurre gli altri a far male. Dio, stanco delle loro empietà, li colpisce e li precipita all’inferno per purgarne la terra. Se vi fu sì grande differenza, fratelli miei, fra Antioco e quella madre coi suoi figliuoli, la differenza è anche maggiore di presente: il re è all’inferno, mentre quella madre e i suoi figliuoli sono in cielo. Oh! quanto pochi Cristiani ai dì nostri son pronti, non dico a dar la vita per Iddio, come fecero que’ sette fratelli, ma anche solo a sopportar la minima cosa per non violare le leggi della nostra Religione! Quanti vi sono che omettono la Confessione e la Comunione pasquale? Quanti non badano ai digiuni prescritti dalla Chiesa, e passano il tempo santo della penitenza come un tempo qualsiasi, senz’alcuna mortificazione, forse neppure astenendosi dal mangiare tra un pasto e l’altro? Ohimè! quanti altri frequentano pur le bettole, o, se nol fanno, passano almeno i giorni sacri alla penitenza, senza fare una preghiera o un’opera buona di più? E quanti senza difficoltà mancano alle funzioni parrocchiali, e forse vi mancheranno tre domeniche consecutive, sapendo benissimo di che li minaccia la Chiesa? (Forse il Beato allude qui a pene minacciate dalle Costituzioni sinodali di qualche diocesi particolare. – Nota del Traduttore). Quanti padri e quanti padroni costringono i loro figliuoli o i loro domestici a lavorare nel giorno santo della Domenica, e quanti poveri fanciulli stanno forse mesi interi senza assistere alle funzioni! Ohimè! quanti padroni dannati! Altri non si contentano di violare le leggi della Chiesa, spregiarle, farsene beffe; ma non fan conto alcuno della parola del Signore, che riguardano come parola umana. Quanti assistono alle sante funzioni senza divozione, e lasciano correre la loro mente, ove meglio le piace! A stento sanno che cosa vengono a fare in chiesa, e sarebbero in un bell’impiccio se dovessero rispondere a chi chiedesse loro, perché vengon alla santa Messa. Quanti fanno appena l’atto di mettersi in ginocchio!… Non si ha difficoltà di mancare ai vespri, all’istruzione, al rosario, alla Via Crucis, alla preghiera della sera. Taluni non fànno mai una visita al SS. Sacramento nell’intervallo tra le varie funzioni, e passano il giorno santo della Domenica meno bene che gli altri giorni. Oh! come osano poi sperare il cielo? Come possono credere che Dio debba far loro misericordia in quel giorno terribile, che ha fatto tremare anche i più gran santi, la cui vita era stata tutta opere buone, e che, per poche colpe leggere, avevano fatto tante penitenze? Quanti ancora tra codesti poveri Cristiani passano intere giornate senza pensare a Dio e senza far un po’ di riflessione sopra se stessi, cioè sulla lor povera vita, per concepire orrore de’ lor peccati, ed eccitarsi a far qualche opera buona onde attirarsi la misericordia di Dio! Ecco, fratelli miei, come si comporta la maggior parte dei Cristiani de’ nostri giorni! Non pensano punto alla propria salute: sono interamente occupati delle cose temporali, pensano che la morte non debba per essi giunger mai. E ciò nonostante quel momento arriva per tutti; e se non si è fatto nulla per assicurarsi il paradiso, la moltitudine de’ nostri peccati si affaccia alla nostra memioria, e insieme tutte le grazie disprezzate, le opere buone e le preghiere che si sarebbero potute fare e non si son fatte. In quel terribile momento si vedranno tutte lo anime perdute pei nostri cattivi esempi, che avremmo potuto condurre a Dio, se avessimo dati esempi buoni. Oh! quale infelicità si apparecchia chi è vissuto senza religione, senza far penitenza, senza esaminare a che l’obbligassero i Comandamenti di Dio e della Chiesa!.» Non così si deve fare, né così fecero i santi, ai quali stava tanto a cuore di piacere a Dio e salvar le anime loro, che non solo si studiavano di sfuggire anche i minimi peccati, ma di più passavano la vita nelle opere buone, nelle lacrime e nella penitenza. Gran numero di martiri sacrificarono la vita per assicurarsi il cielo; e ne abbiamo belli esempi nella storia de’ santi del nuovo Testamento. Vi citerò soltanto quello di S. Cosma e Damiano (Ribadeneira, 27 settembre).

II. — Erano due gemelli. La lor madre, timorata di Dio, ebbe tutte le cure possibili per istillar loro l’amor del Signore: parlava sovente ad essi della felicità di quelli che dan la vita per Gesù Cristo. I due fratelli, che avevano dinanzi agli occhi soltanto buoni esempi, furono naturalmente tratti ad imitare le virtù della loro madre. Oh! qual grazia, quale felicità pei figli l’aver buoni genitori! Oh ! quanti poveri figli van dannati, e sarebbero invece in Paradiso se avessero avuto parenti veramente religiosi! Mio Dio! Possibile che la mancanza di religione de’ parenti precipiti tante anime all’inferno? Sciagurati parenti, che pare abbiano figliuoli soltanto per trascinarli alla perdizione!… Come possono praticar la virtù quei figliuoli che han dinanzi agli occhi solo esempi cattivi? I figliuoli saran migliori de’ parenti, che non si confessano e non fan Pasqua, che punto non pregano, ma si levano e vanno al riposo come bestie da soma; che han sempre alla bocca cattive parole; che giungono sino a schernire e a censurare la Religione e chi la pratica, e mettono in ridicolo la Confessione e coloro che si confessano? I figliuoli, dico, saran migliori de’ loro parenti, che li lasciano vivere a loro talento, e permettono ad essi giuochi, balli e taverne; che forse vi passano anch’essi notti quasi intere con ogni sorta di libertini? Se un pastore, vedendo sì mali esempi, cercherà di far loro conoscere la colpa loro e quelle de’ loro figliuoli, andranno in collera, lo biasimeranno, ne diran male e faranno ai loro figliuoli mille contrarietà. Oh! quanti poveri fanciulli malediranno il giorno della loro nascita e i loro parenti, che, invece d’aiutarli a salvarsi, s’adoprarono a perderli con la lor poca cura nel fare ad essi conoscere i loro doveri religiosi e la gravezza del peccato!… Ohimè! fratelli miei! un giorno riconoscerete pur troppo che questo è vero!… Ma torniamo a’ nostri santi, ch’ebbero la sorte felice d’aver parenti sì virtuosi. Finiti i loro studi, riuscirono abilissimi nella medicina. La loro scienza era accompagnata dal dono della grazia, sicché col solo visitare gli infermi, restituivano ad essi la sanità: i ciechi riacquistavano la vista, gli zoppi camminavano, i sordi riavevan l’udito, e alla loro sola presenza i demoni fuggivano. Lo splendore di tante meraviglie li faceva da tutti ammirare; ma quest’alta rinomanza fu causa del loro martirio. Avendo gli imperatori Diocleziano e Massimiano rinnovato la persecuzione contro i Cristiani, mandarono nella città di Egea, qual prefetto, Lisia, perché ne facesse ricerca e li punisse secondo le leggi. Appena Lisia fu giunto in Egea, gli furono denunziati i due medici, che andavano di provincia in provincia e operavano stupendi prodigi nel nome di Colui al quale davano il nome di Gesù Cristo. Si aggiunse che per tal modo molti abbandonavano il culto degl’idoli per abbracciare una Religione all’atta nuova. Avuta questa denunzia, Lisia li fece arrestare. Quando gli furono dinanzi, pieno di collera disse loro: « Siete dunque voi quei seduttori, che andate per le città e per le province, sollevando il popolo contro gli dei dell’impero col pretesto di far loro adorare un uomo crocifisso? Se da questo momento non rinunziate a codesto Dio, e non obbedite agli editti degli imperatori, userò ogni sorta di tormenti per farvi patire. Ditemi i vostri nomi e la vostra patria » . — « Siamo Arabi, ed abbiamo nome, l’uno Cosma e l’altro Damiano. Abbiamo altri tre fratelli, che, come noi, adorano il vero Dio ». Lisia comandò loro d’offrir incenso al demonio. Poiché ricusarono, li fece mettere alla tortura, e fece loro soffrire supplizi terribilmente crudeli. Tuttavia i santi martiri erano così avvalorati dalla grazia di Dio, che ueppur sentivano i loro tormenti; sicché gli dissero: « Tu ci fai soffrire troppo leggermente; se hai altri supplizi, usali, perché questi neppur li sentiamo ». Il prefetto, divorato dalla rabbia, per sbarazzarsene più presto, li fece gettar in mare. Ma un Angelo ruppe le loro catene, li ritrasse dall’acqua e li ricondusse alla riva. Il prefetto, attribuendo questo prodigio al demonio, intimò loro d’insegnargli i sortilegi, di cui si valevano, per servirsene anch’egli com’essi. « Non sappiamo, risposero i martiri, che cosa sia magia, in nome di Gesù Cristo facciamo tutte queste cose. Se vuoi farti Cristiano, riconoscerai la verità di ciò che ti diciamo ». — « In nome del dio Apollo, riprese Lisia, voglio operare un simile prodigio ». Appena uscita dalle sue labbra questa bestemmia, due demoni s’impadronirono di lui, lo batterono senza misericordia, e lo avrebbero ucciso se i due santi non li avessero cacciati. « Vedi bene, gli dissero, che i tuoi dei non son che demoni, i quali cercano solo di nuocerti; riconoscerai adesso il nostro Dio, come il solo vero? Detesta dunque i tuoi idoli ». Non ostante la grazia ottenuta il prefetto rimase insensibile; di più fece condurre in prigione i suoi liberatori. Il giorno dopo comandò che gli fossero ricondotti innanzi, e, vedendo di non poterli vincere, fece accendere un gran fuoco e ve li fece gettar dentro. Ma essi passeggiavano in mezzo alle fiamme senza alcun dolore, anzi erano come in un giardino di delizie e cantavano inni di ringraziamento; e il fuoco, che non faceva loro alcun danno, si volse ad abbruciare gli idolatri, di cui gran numero perdette la vita. Queste meraviglie, che avrebbero dovuto convertire il prefetto, lo indurarono invece sempre più. Li fece stender sul cavalletto, ove i carnefici li tormentarono fino a perder la lena; poi furono appesi ciascuno ad una croce, per farne scempio a colpi di pietra; ma le pietre ricadevano impetuosamente su quelli che le lanciavano. Lisia, inasprito perché non riusciva a farli morire, diede egli stesso mano alle pietre per lanciarle sul loro capo; ma ricaddero su lui con tanta forza che gli spezzarono i denti. Diede poi ordine ai soldati d’armarsi di frecce per lanciarle contro i santi; ma anche queste, anziché nuocer loro, tornarono indietro e uccisero gran numero d’uomini e di donne venuti a vedere questo spettacolo. Il prefetto, disperando di farli morir in mezzo ai tormenti, li fece decapitare. Ecco che cosa può la grazia in un buon Cristiano, e ne’ figliuoli educati con cura da’ genitori, ispirando loro grande amor verso Dio, e sincero disprezzo dei beni di questo mondo e anche della vita. Avventurati figliuoli e beati genitori! Ecco, fratelli miei, come i buoni genitori salvano i loro figli! D’altra parte avete veduto, che i parenti senza Religione trascinano all’inferno con sé i loro poveri figliuoli, coi loro cattivi esempi, e col curarsi poco d’educarli nell’amor di Dio. Terminiamo, miei fratelli, dicendo che noi non siamo certamente esposti a prove sì grandi, come questi santi; ma se volessimo far buon uso delle pene, alle quali andiamo incontro, potremmo pur meritare la corona del martirio. Quante malattie, quante contraddizioni, quante umiliazioni, quanti disprezzi! Quante volte ci tocca rinunziare alla propria volontà, quanti sforzi dobbiam fare per perdonare e amare chi ci fa qualche cosa di male! Ebbene ecco il martirio, fratelli miei, cui Dio vuole che tolleriamo per meritare l’istessa felicità, di cui ora godono i santi! Chiediamo spesso, miei fratelli, a questi buoni santi d’ottenerci tal forza e tal coraggio nelle nostre prove quotidiane; così lavoreremo per piacere a Dio e pel paradiso. Questa felicità vi desidero.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: AGOSTO 2019

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA

AGOSTO 2019

LA CHIESA DEDICA IL MESE DI  AGOSTO ALLA B. V. MARIA ASSUNTA ED AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA, MADRE DI DIO.

AD B. V. M. IN CÆLUM ASSUMPTAM

439 bis

Oratio

O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini!

I. Noi crediamo con tutto il fervore della nostra fede nella vostra Assunzione trionfale in anima e in corpo al cielo, ove siete acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le schiere dei Santi; e noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore, che vi ha esaltata sopra tutte le altre pure creature, e per offrirvi l’anelito della nostra devozione e del nostro amore.

II. Noi sappiamo che il vostro sguardo, che maternamente accarezzava l’umanità umile e sofferente di Gesù in terra, si sazia in cielo alla vista della umanità gloriosa della Sapienza increata, e che la letizia dell’anima vostra nel contemplare faccia a faccia l’adorabile Trinità fa sussultare il vostro cuore di beatificante tenerezza; e noi, poveri peccatori, noi a cui il corpo appesantisce il volo dell’anima, vi supplichiamo di purificare i nostri sensi, affinché apprendiamo, fin da quaggiù, a gustare Iddio, Iddio solo, nell’incanto delle creature.

III. Noi confidiamo che le vostre pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le vostre labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che Voi sentiate la voce di Gesù dirvi di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: Ecco il tuo figlio; e noi, che vi invochiamo nostra Madre, noi vi prendiamo, come Giovanni, per guida, forza e consolazione della nostra vita mortale.

IV. Noi abbiamo la vivificante certezza che i vostri occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal sangue di Gesù, si volgono ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, alla oppressione dei giusti e dei deboli; e noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal vostro celeste lume e dalla vostra dolce pietà sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra patria.

V. Noi crediamo infine che nella gloria, ove Voi regnate, vestita di sole e coronata di stelle, Voi siete, dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi; e noi, da questa terra, ove passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo verso di Voi, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza; attraeteci con la soavità della vostra voce, per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del vostro seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria (Pio Pp. XII).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem devote repetita (S. Pæn. Ap., 17 nov. 1951).

Queste sono le feste del mese di AGOSTO

1 Agosto S. Petri ad Vincula    Duplex majus *L1*

2 Agosto S. Alfonsi Mariæ de Ligorio Episc. Conf. et Eccles. Doct.    Duplex

             Primo Venerdì

3 Agosto De Inventione S. Stephani Protomartyris    Feria

             Primo   Sabato

4 Agosto Dominica VIII Post Pentecosten I. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

                            S. Dominici Confessoris    Duplex majus

5 Agosto S. Mariæ Virginis ad Nives    Duplex

6 Agosto In Transfiguratione Domini Nostri Jesu Christi    Duplex II. classis *L1*

7 Agosto S. Cajetani Confessoris    Duplex

8 Agosto Ss. Cyriaci, Largi et Smaragdi Martyrum    Semiduplex

9 Agosto S. Joannis Mariæ Vianney Confessoris    Duplex

10 Agosto S. Laurentii Martyris    Duplex II. classis *L1*

11 Agosto Dominica IX Post Pentecosten II. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

Ss. Tiburtii et Susannæ Virginum et Martyrum    Simplex

12 Agosto S. Claræ Virginis    Duplex

13 Agosto Ss. Hippolyti et Cassiani Martyrum    Feria.

14 Agosto In Vigilia Assumptionis B.M.V.    Duplex II. classis *L1*

15 Agosto In Assumptione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis *L1*

16 Agosto S. Joachim Confessoris, Patris B. M. V.    Duplex II. classis

17 Agosto S. Hyacinthi Confessoris    Duplex

18 Agosto Dominica X Post Pentecosten III. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

               S. Agapiti Martyris    Simplex

19 Agosto S. Joannis Eudes Confessoris    Duplex

20 Agosto S. Bernardi Abbatis et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

21 Agosto S. Joannæ Franciscæ Frémiot de Chantal Viduæ    Duplex

22 Agosto

Immaculati Cordis Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. classis

23 Agosto S. Philippi Benitii Confessoris    Duplex

24 Agosto S. Bartholomæi Apostoli    Duplex II. classis

25 Agosto Dominica XI Post Pentecosten IV. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

                S. Ludovici Confessoris    Duplex

26 Agosto S. Zephyrini Papæ et Martyris    Feria

27 Agosto S. Josephi Calasanctii Confessoris    Duplex

28 Agosto S. Augustini Episcopi et Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

29 Agosto In Decollatione S. Joannis Baptistæ    Duplex *L1*

30 Agosto S. Rosæ a Sancta Maria Limanæ Virginis    Duplex

31 Agosto S. Raymundi Nonnati Confessoris    Duplex

SALMI BIBLICI: “DOMINE QUIS HABITAVIT” (XIV)

Salmo 14: “Domine quis habitavit”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.o

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 14

Psalmus David.

[1]  Domine, quis habitabit

in tabernaculo tuo? aut quis requiescet in monte sancto tuo?

[2] Qui ingreditur sine macula, et operatur justitiam;

[3] qui loquitur veritatem in corde suo; qui non egit dolum in lingua sua;

[4] nec fecit proximo suo malum, et opprobrium non accepit adversus proximos suos.

[5] Ad nihilum deductus est in conspectu ejus malignus; timentes autem Dominum glorificat.

[6] Qui jurat proximo suo, et non decipit; qui pecuniam suam non dedit ad usuram, et munera super innocentem non accepit.

[7] Qui facit hæc non movebitur in æternum.

SALMO XIV

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

La scienza della salute, o la via alla vita eterna.

Salmo di David.

1. Signore, chi abiterà nel tuo tabernacolo, ovvero, chi riposerà nel tuo santo monte?

2. Colui che vive esente da ogni macchia e fa opere di giustizia:

3. Colui che dice la verità, che ha in cuor suo, e non ha ordita fraude colla sua lingua:

4. Non ha fatto danno al prossimo suo, e non ha dato ricetto alla maldicenza contro i suoi prossimi.

5. Negli occhi di lui è un niente il maligno; ma onora quelli che temono Dio.

6. Fa giuramento al suo prossimo, e non lo inganna; non dà il suo denaro ad usura, e non riceve regali contro dell’innocente.

7. Chi fa tali cose, non sarà smosso in eterno.

Sommario analitico

Davide in questo Salmo enumera le condizioni richieste a coloro che vogliono svolgere funzioni sacerdotali o levitiche, nel tabernacolo sulla montagna di Sion. In un senso più elevato, siccome questo tabernacolo e questa montagna erano figura della Chiesa, si possono vedere in questo Salmo le virtù che la Chiesa cristiana richiede ai suoi ministri. – Infine, con S. Agostino ed altri interpreti, si può dire che il Re-Profeta faccia qui l’elenco delle virtù che devono praticare qui giù i veri abitanti della casa di Dio, se vogliono arrivare al cielo e alla vita eterna.

Davide, volendo eccitare il desiderio del cielo, erge come una scala, per cui propone:

I. – il termine, cioè il cielo che è il tabernacolo di Dio;

  1. la sua santa montagna (1).

II. – I dieci gradini: .1) il desiderio perseverante di evitare il male e fare il bene (2); 2) la sincerità del cuore; 3) la fedeltà nelle parole (3); 4) la carità verso il prossimo; 5) l’odio dei detrattori (4); 6) la fuga dalla società dei malvagi; 7) le testimonianze d’onore date ai giusti (5); 8) l’orrore dello spergiuro; 9) la liberalità verso i poveri; 10) l’amore della giustizia e l’incorruttibilità nei giudizi (6).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1.

ff.1. –  Curiosità biasimevole ed inutile è voler sapere il numero ed il nome di quelli che debbano essere salvati; ma curiosità santa e molto necessaria, è invece informarsi di cosa bisogna fare per essere di questo felice numero. – Occorre indirizzarsi a Dio stesso, che solo può istruirci, e domandargli con profondo sentimento di rispetto: « Signore, chi dimorerà nel vostro tabernacolo? » (Duguet). Il Profeta qui non dice “sulla vostra montagna”, prima di aver detto “nel vostro tabernacolo”, “nella vostra tenda”. Una tenda non è una dimora stabile, una tenda non ha fondamenta, la si trasporta da un luogo ad un altro, ed essa segue il cammino di colui al quale offre rifugio, perché essa non è radicata al suolo. Ma una casa vera e propria riposa su fondamenta solide. La montagna qui rappresenta la vita eterna (S. Gerolamo). – L’idea dell’eternità, dice San Tommaso, è collegata alla immutabilità.

II — 2-6.

ff. 2. –  « Colui che cammina senza macchia ed opera la giustizia. » Se colui al quale non manca alcuna virtù e che trascorre la sua vita senza peccato, è veramente senza macchia, in cosa differisce da colui che pratica la giustizia? Le due parti della proposizione hanno lo stesso senso, anche se bisogna dare a ciascuna di essa un significato particolare, nel senso che essere senza macchia, è avere tutte le perfezioni della virtù, secondo l’uomo interiore, mentre colui che pratica la giustizia è colui che produce al di fuori, con atti esteriori, la forza di agire di cui è dotata la sua anima. Pertanto noi dobbiamo non solo fare il bene, ma farlo nello spirito retto e giusto, secondo queste parole del Deuteronomio: « Voi ricercherete giustamente ciò che è giusto » (XVI, 20). – Così colui che cammina senza macchia, è perfetto interiormente; colui che pratica la giustizia è, come l’Apostolo (2 Tim. II, 15), un ministro degno di Dio. Notate ancora la precisione del linguaggio del Re-Profeta. Egli non dice: “colui che cammina”, “colui che ha praticato”; ma « colui che cammina senza macchia, che pratica la giustizia ». Perché un solo atto di virtù non è sufficiente a rendere l’uomo virtuoso, ma bisogna che la pratica della virtù abbracci tutto il corso della sua vita (S. Basilio, Psal. XIV). – Breve ma ammirabile questa risposta che riassume tutta la morale dei Profeti, del Vangelo e degli Apostoli. Due cose sono essenziali per essere salvati: – 1) camminare nell’innocenza, astenersi dal male, cosa che comprende tutte le azioni, sia esteriori che interiori e si estende a tutto il corso della vita; – 2) fare le azioni di giustizia. Il Profeta non dice “colui che pratica la castità, la saggezza, la forza”… o altre simili virtù, ma “… la giustizia”, che è la grande virtù, ed è come la madre di tutte le altre virtù (S. Gerolamo).

ff. 3. – Vi sono due tipi di inganni, uno nel cuore, l’altro sulla lingua. La verità deve essere prima nel cuore, e poi nella semplicità nelle parole (Duguet). – Alcuni hanno la verità sulle labbra ma non nel cuore. Essi sono simili a coloro che, conoscendo che una via è piena di pericoli, fraudolentemente la indicano dicendo: « andate di la e viaggerete in sicurezza ». Se accade in effetti che non si trovino pericoli, egli avrà detto il vero; ma non nel suo cuore, perché egli pensava il contrario, ed avrà detto il vero senza saperlo. È dunque poco dire una cosa vera se la verità non è nel cuore (S. Agost. e S. Girol.). « Dire la verità nel proprio cuore » è di una grande ampiezza: – 1) affezionarsi con il cuore e la volontà a tutte le verità rivelate; 2) amare queste verità e conformarvi la propria condotta; – 3) non dire mai nulla che il cuore neghi, e non parlare mai contro coscienza; – 4) non ingannare se stessi con falsi giudizi sul valore delle cose umane e delle cose eterne (Berthier).

ff. 4. Il Profeta intende qui il male premeditato che si farebbe al prossimo. Non è sempre in nostro potere non fare agli altri che cose piacevoli. Ci sono occasioni nelle quali si è obbligati a difenderci contro di essi, a reprimerli, a correggerli, a punirli anche. È la cattiva intenzione che qui il Re-Profeta condanna, è il desiderio di nuocere, è la malvagità che egli riprova (Berthier). Grande vigilanza ci vuole per non ferire nessuno, né con le parole, né con le azioni. – Dire o ascoltare maldicenze contro il prossimo, egualmente è agire contro la carità. – Più facile è non sgridare il prossimo per la maldicenza, che difendersi dalla credulità che vi consente, dalla malignità che ce la fa adottare, rilevare e da qui continuare nella maldicenza.

ff. 5. « Egli considera un niente il malvagio, ma glorifica coloro che temono Dio ». È segno di uno spirito veramente grande, incrollabile tra le vicissitudini delle cose umane, e di un uomo pervenuto al grado più alto della giustizia, rendere a ciascuno quello che gli è dovuto, il considerare i malvagi come gente da niente, qualunque sia la loro dignità, l’ammontare della loro ricchezza, lo splendore della propria nascita e i pretesi omaggi dei loro simili. Se l’uomo del bene scopre qualche traccia di iniquità o di ingiustizia, non ha considerazione per nessuno, nessuna stima, e questa è la prova di uno spirito veramente grande. Al contrario quelli che temono il Signore, fossero anche poveri, di natali oscuri, senza il dono della scienza né della parola, sono ai suoi occhi degni dei più grandi onori; egli li colma di lode e di gloria e, istruito dallo Spirito Santo stesso, proclama altamente che essi sono i soli beati (S. Basile). – Grande e rara virtù è detestare il male, non solo in sé, ma anche negli altri. – Vizio al contrario molto comune, è l’onorare i malvagi e considerare come gente da niente coloro che temono il Signore (Duguet). – Non si faccia alcun caso agli empi, considerati dal lato della loro empietà; si onorino coloro che temono il Signore: due sentimenti che nascono dall’alta idea che l’uomo giusto ha di Dio e della Religione. Tutti i talenti più brillanti, riuniti come in un nemico di Dio, non attirano l’ammirazione dell’uomo giusto; egli disprezza anzi colui che abusa in modo indegno dei doni di Dio. Al contrario, tutti gli svantaggi derivanti dalla nascita, dalla fortuna, dallo spirito stesso e dai talenti, riuniti in un uomo che teme Dio e che Lo serve, sono un nulla agli occhi del giusto. San Crisostomo considerava maggiormente l’abitazione di Aquila e Priscilla che il palazzo degli imperatori, perché Aquila e Priscilla, amici di San Paolo, avevano partecipato alle fatiche del suo apostolato. Questo grande Santo sapeva che la vera nobiltà non è legata alle dignità, ma alla probità ed all’innocenza dei costumi (Berthier). Tra le dieci condizioni richieste per abitare nella casa di Dio, o, se si vuole, i dieci gradini che conducono alla montagna santa, sette sono comuni ed obbligano tutti gli uomini, e sono sempre quelle che precedono; tre sono particolari a certi stati, ed obbligano solo in certi casi, e solo alcune persone. Per entrare nel regno dei cieli, bisogna dunque, indipendentemente dalle condizioni precedenti, badare al proprio giuramento, essere distaccato dai beni della terra e rinunciare ai guadagni sordidi, mostrarsi inaccessibile ad ogni interesse quando si tratta di rendere giustizia.

ff. 7. – L’unico e solido fondamento della salvezza, è praticare ciò che Dio comanda. – Ogni devozione che poggi su altri princîpi dai quali si ritiene venga la salvezza, è pericolosa o piuttosto è un errore pernicioso (Duguet). – Non ci si culli su leggere pratiche devozionali che impediscono forse un male peggiore, come l’empietà ed il disprezzo manifesto di Dio, ma che non fanno progredire un’anima e sono piuttosto un ostacolo perpetuo al suo progresso sulla via del bene. Costoro mettono la loro fiducia in cose da nulla, dice il profeta Isaia, e si dilettano delle vanità. La tela che hanno intessuto è una tela di ragno, e per questo, dice il Signore, « Le loro tele non servono per vesti, essi non si possono coprire con i loro manufatti » (Isaia LIX, 6.).

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-5A-)

BEATITUDINI EVANGELICHE

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO QUINTO (5A)

Beati misericordes: quoniam ipsi misericordiam consequentur.

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia

I.

LA MISERICORDIA DOPO LA GIUSTIZIA

Poveri noi, se Iddio per il nostro giudizio usasse la sola misura della giustizia! Se Egli ci giudicasse soltanto in base ai comandamenti e alla carenza delle nostre opere buone e se la sua sentenza fosse formulata sotto la fredda luce del diritto e del dovere, come mai potremmo noi salvarci? È vero, che Cristo Giudice non sarà appena giusto, ma anche ispirato dalla misericordia.

L’ABUSO DELL’INDULGENZA

Ed ecco, che l’uomo trova anche in questa consolante verità il pretesto per secondare ogni mala tendenza. Siamo tanto frivoli, da raggiungere tutte le forme della ingratitudine. Dietro la affermazione « Dio è buono », anziché favorire una volontà tenace nell’obbedienza e nel sacrificio, deponiamo, come in un rifugio provvido, il proposito di indipendenza e di ribellione. Ma l’abuso del senso del perdono, oltre ad essere grave offesa al Signore, è un piano inclinato su cui si scivola verso ogni bassezza. Abusare della indulgenza di Dio è provocare la sua più severa condanna. – E quando fossimo tentati in questo senso, subito reagiamo mantenendoci nella ferma ubbidienza alla legge del Signore. Provocare la divina giustizia è stoltezza. – Dice l’Autore della Imitazione: « O miserabile e sciocco peccatore, che cosa risponderai a Dio consapevole di tutte le tue iniquità, mentre ora talvolta tremi davanti ad un uomo sdegnato? » (I, 24, I).

Ma la misericordia esiste. La misericordia vive ed agisce. È anzi la nostra garanzia di salvezza. Sopra di essa noi poggiamo tutta l’opera della Redenzione. Non è per merito di questo attributo divino, forse, che noi leggiamo e gustiamo la storia della nostra liberazione dalla schiavitù di satana? Storia tragica, ma soffusa di una ineffabile atmosfera di indulgenza. In essa noi abbiamo la prova e il documento della potenza di Dio, che salva ciò che era perduto nella oscurità della colpa e che redime ciò che era smarrito dietro la vanità della mondana leggerezza. E sappiamo, che questa potenza salvatrice non s’è esaurita nei secoli, ma piuttosto sviluppata e affermata in una ricchezza e varietà stupenda di applicazioni. « Della misericordia del Signore è piena la terra ». Ed « è per la tua misericordia se noi non siamo ridotti in frantumi ».

DIO NON E’ NOSTRO SERVITORE

Penso alle colpe dei singoli contro la Divinità. È una cosa orrenda, una enormità, che l’uomo, creatura fragile, da un incidente minimo distrutto, ardisca ribellarsi contro il suo Creatore. Chi lo penserebbe d’un uomo verso un altro uomo, a lui superiore? Lo può fare un pazzo. Deve essere più che pazzo il peccatore, che sfida la giustizia del Signore. Talvolta l’incredulità si nasconde dietro il peccato e ne è la causa segreta. È una vera provocazione della Divinità, fatta da un essere di nessuna consistenza e tutto e in tutto alla sua mercé. L’uomo intende invitare Dio a dimostrargli la sua presenza e potenza e lo fa in tono di sfida insana. Ho letto una dimostrazione evidente del modo come Dio osserva questa pretensiosa empietà. – « Due uomini stanno davanti a un angolo della camera, coperto da una tenda.

A dice a B: — Sotto quella tenda sta un uomo con un’arma carica. B sorride e risponde: — Io non ci credo; tu vuoi darmela ad intendere per spaventarmi. A : — Certo, ci sta. Allora B : — Io voglio mostrarti che non v’è dentro nessuno. Si ferma indietro alquanto, poi grida verso la tela: — Ehi, tu, se effettivamente vi sei nascosto, uccidimi! A è terrorizzato e aspetta il colpo mortale; ma nessuno si muove.

Ride B e dice: — Vedi ora, che non v’è nessuno dietro la tenda? Ambedue si dirigono verso l’angolo, sollevando la tela e davvero vedono un uomo con l’arma carica in mano. Stupore e terrore di B. Il quale chiede all’uomo: — Perché non hai sparato? Egli risponde: — Devo io farlo quando lo dici tu? Puoi tu impormi qualcosa? — Così, allorché il bestemmiatore sfida apertamente la divina giustizia e Dio non risponde, non è lecito affermare che Dio non esiste, ma soltanto: — Dio, in questo caso non si muove. – Altrimenti Dio sarebbe alla mercé del nostro capriccio e noi potremmo provocare miracoli. Ha forse Dio il dovere di manifestare prodigiosamente la sua esistenza, per far piacere al peccatore? Quando entreremo nell’eternità, sarà levato il velo e il negatore fatuo e presuntuoso si sentirà invaso da una sorpresa spaventosa. – La più elementare prudenza deve suggerire all’uomo di non provocare la divina giustizia. Anche perché la sua legge è l’espressione delle esigenze della  nostra natura, del bisogno insopprimibile di elevatezza, della volontà di pace. È vero, che ci sono i negatori ostinati e affatto irragionevoli, caparbi e chiusi ad ogni prospettiva di luce. Si tengono estranei alle sollecitudini dello spirito con un’attenzione, che ha del diabolico, tradiscono quasi la paura della verità. Ma sovente, sotto l’animo amareggiato, che non sia scettico di proposito, anche se persiste a lungo nelle negazioni, si scopre come queste siano piuttosto « amantium iræ », capaci di diventare salde affermazioni di fede e di attaccamento alla verità. – Il peccatore, ha scritto Giovanni Papini, è « sovente crisalide miracolosa di possibile santità ». L a giustizia infatti è quaggiù lenta e paziente. Dio è Padre e amoroso e generoso; nondimeno si deve rimanere prudenti, davanti al pericolo. « Si nolueris servire charitati, necesse est ut servias iniquitati (S. Agost., in Ps. XVIII, 15).

PROCESSO Al POPOLI

Occorre altresì pensare alla giustizia nei confronti delle colpe dei popoli. Il Signore li processa quaggiù; poiché nell’altra vita entrano i singoli, non le collettività. È una cosa ben dolorosa vedere gli innocenti puniti insieme e per colpa degli iniqui. Ma Dio ha modo e sa compensare lautamente quelli e farli risplendere come oggetti della sua benevolenza. Sono essi infatti gli assertori della sua volontà; li glorifica e premia per impegno e riconoscimento di giustizia. Oggi lo vediamo sotto gli occhi nostri il processo da Dio intentato contro i popoli. L’apostasia da lui ha raggiunto le estreme conseguenze. Delle lacerazioni fatte alla Chiesa nel secolo X e poi nel XVI, che fu la più gravida di deleterie conseguenze, oggi assistiamo ai risultati visibili in una tragica affermazione delle passioni a Dio ribelli. L’avarizia e la lussuria esaltate dalla superbia. Ecco l’umanità che cammina verso l’autodistruzione.

« E disse: Va’ e dirai a questo popolo: Gli orecchi per udire li avete, ma non volete capire; avete gli occhi per vedere, ma non volete intendere. Acceca il cuore a questo popolo e indura le sue orecchie e chiudigli gli occhi affinché non vegga co’ suoi occhi, né oda coi suoi orecchi e non comprenda col suo cuore e si converta e lo risani ». (Is., VI, 9-10). E non soltanto il popolo ebreo ebbe ad essere vittima dell’ira giusta di Dio. Ira la quale si esprime e si effettua secondo l’ordine delle volontà umane; poiché il male reca in sé il seme del suo proporzionato castigo. Talvolta questo si avvera con lentezza, ma non falla, se non intervenga una disposizione contraria di Dio medesimo. La giustizia deve essere in ogni caso soddisfatta. A noi non è dato di conoscere le proporzioni in cui egli sa inserirvi la sua misericordia; ma certo è che la sua giustizia deve essere placata per intero. Ed è piuttosto ragione di conforto che di timore; giacché la giustizia è un bene, è una virtù, che onora Dio, è una garanzia per tutti. E oltre a ciò è il segno della serietà e del rispetto che Dio ha per noi. Egli mantiene la parola data e dimostra in noi fiducia. Si interessa alla nostra condotta, promettendo e minacciando, ci guarda con occhio di padre e non ci abbandona alla nostra sorte, come estranei. Nella « fedeltà » di Dio troviamo la ragione della nostra dignità di uomini.

II

IMITARE LA DIVINA MISERICORDIA

Non ci spaventa la divina giustizia, ma ci tiene svegli e attenti all’orientamento della nostra volontà. Il timor santo di Dio ha questo fine appunto. Sappiamo d’altronde quanto grande sia la sua misericordia, la quale in Lui è la stessa virtù. Un’armonia inesprimibile per noi, ma effettiva e reale. L’armonia della vita divina, dell’amore sovrano, della pietà sconfinata. È deplorevole, che noi non sappiamo sempre con vivezza e ardore sentire tutto questo, che è Iddio, poiché la nostra esistenza sarebbe ancorata così saldamente, da affrontare qualunque contrasto per il bene con animo vittorioso. Sentite come il poeta salmista parla delle attenzioni di Dio nei riguardi dell’uomo. « Circumduxit eum et erudivit eum; et custodivit eum sicut pupillam oculi; gli fece la guida, lo ammaestrò, lo custodì come la pupilla dell’occhio suo; Sicut aquila tegit nidum suum et super pullos suos circumblanditur — come l’aquila che addestra al volo i suoi piccoli e vola sovressi: expandit pennas suas et accepit eos; et elevavit eos super scapulas suas — stese le sue al Signore! sollevò Israele, e lo portò sulle sue spalle » Duter., XXXII, 10-12). È la parola dello Spirito Santo attraverso la mente di un popolo ancora agli inizi delle espressioni dell’amore di Dio verso di lui. Ma noi allora, che cosa dovremmo dire? Non ci bastano i simboli dell’amore umano più appassionato e più alto. La nostra anima è fasciata dalla sua misericordiosa bontà. La nostra giornata è segnata da sempre nuove prove della sua attenta tenerezza per noi. Le vicende della vita nostra recano sempre più palesi impronte del suo amore per i criteri nostri impossibile. Le parole della Scrittura, che lo cantano ed esaltano, sono appena un tenue attestato della riconoscenza dell’uomo. Non dicono a noi più grandi cose; perché assuete e senza profonde risonanze nel nostro spirito. Le riputiamo con sentimento, come il meglio che ci sia suggerito, come il canto dei secoli, come il grido delle anime fedeli d’ogni tempo, come l’eco di milioni di cuori commossi e grati. Ma vorremmo ben altre voci levare verso i cieli e con commozioni mille volte più profonde.

LA NOSTRA MIOPIA

Sappiamo tuttavia, che la migliore riconoscenza non è questa delle lodi, sebbene quella delle opere in sincerità di spirito. Queste sono la prova dell’amore, soprattutto se importano sacrificio, rinunce, sforzi della pigra volontà. E poiché siamo sotto l’impressione della divina misericordia, dimostrare a Dio la decisione di usar questa virtù nei nostri rapporti con i fratelli, con gli altri suoi figli. Sicché dover nostro è di farci realizzatori di misericordia. Quando viene la Domenica in cui leggiamo nel Vangelo la storia del servo iniquo, il quale dopo d’aver ottenuto con lagrime bugiarde la remissione del suo grosso debito, si mostrò crudele verso un collega, che gli doveva poche lire, ci pare di non poter trovare dei riferimenti pratici nella nostra vita comune, ci sembra, che per incontrare tanta malvagità occorra cercare assai lontano. Non ci sfiora lo spirito Il dubbio d’essere tante volte duri e cattivi con chi ci vive accanto. Manchiamo di coerenza e di sincerità. Siamo facili e pronti a trovare perdonanza per noi; stentati e sofistici a scoprire in noi colpe e deficienze. Usiamo le lenti d’ingrandimento sulle magagne dei prossimi e abbiamo gli occhi miopi per noi. Siamo nel fondo dell’animo soddisfatti di non vedere in noi gravità da condannare, ma non egualmente generosi se le si rilevano nei vicini. Ci pare insomma, che il bene altrui ci faccia piccoli e l’altrui colpa invece ci esalti. L’angustia del nostro spirito si accentua in presenza della generosità del Signore. Eppure, se siamo sinceri verso di noi, dobbiamo pur riconoscere, che il dominio delle cattive tendenze è cosa non facile. L’uomo è fragile davanti alla tentazione. Sta in questo appunto l’argomento psicologico che prova la verità del dogma del peccato originale. Manca in noi l’equilibrio delle tendenze: da un lato un gran desiderio di bene, di virtù, di elevatezza, da un altro invece il peso di tante forze di seduzione verso il piacere disordinato, e perciò, illecito e peccaminoso. È vero, che la grazia di Dio è per noi di vigoroso soccorso. Si vince con essa e la volontà di bene ottiene il sopravvento. Grande conforto per tutti e prova della sovrana esistenza del Signore su noi e sulla nostra vita morale. Ma la constatazione ci deve far sempre più persuasi della nostra debolezza. Orbene, se siamo deboli noi, lo sono pure i nostri prossimi; e se noi riteniamo d’aver diritto a compatimento e ad indulgenza, altresì i vicini, che soffrono di quello scompenso intimo e umiliante. È chiaro, che la bontà dei santi verso chi si presenta loro come colpevole, sia abbondante e spesso sorprendente. Essi, i migliori indagatori di spiriti, le guide e i consiglieri di tante anime, gli sperimentatori della vita sotto le sue facce più disparate, sono sempre anche sconfinatamente indulgenti e compassionevoli. Essi mirano in tutto a incoraggiare, a seminare confidenza, a stimolare l’abbandono totale nel Signore.

LA COMPRENSIONE DEI SANTI

Leggiamo una pagina dei Catechismi del santo Curato d’Ars. « Se ci elogiano un amico senza rammentarci, ne siamo contrariati; c’indispettiamo anche nel vedere che altri sono più virtuosi di noi, perché, pensiamo, saranno maggiormente amati e onorati. Se vediamo qualcuno, convertito da poco tempo, fare progressi rapidi nella virtù e raggiungere alla svelta un alto grado di perfezione, ne soffriamo e sentendo lodarlo, diciamo con afflizione: — Oh! non è stato sempre così; era come gli altri, ha fatto questo e quell’altro. Differentemente è il Cristiano, figlioli miei; lo paragonano a una colomba, perché è privo di livore; ama tutti i buoni, perché son tali, i cattivi per compassione e perché vede in essi delle anime riscattate dal sangue di Gesù Cristo. Prega per i peccatori e dice a Nostro Signore: Mio Dio non permettete, che periscano queste povere anime. Così si giunge al Cielo, mentre coloro che hanno stima di se medesimi, perché fanno qualche pratica di pietà, ma che vivono sempre nell’odio, nella gelosia, si ritroveranno spogli nell’ultimo giorno. Dobbiamo odiare soltanto i demoni, il peccato e noi stessi. È necessario acquistare la carità di S. Agostino, che gioiva vedendo un’anima buona: « Almeno, diceva, eccone una che risarcisce Dio del mio poco amore ». – Il rancore verso gli altri è lontano le mille miglia dalla vita cristiana. La dottrina di Gesù è troppo diversa e anzi opposta. Se pensiamo, per giustificarci, al male ricevuto dal prossimo, dobbiamo piuttosto chiederci, se non abbiamo noi stessi meritato l’umiliazione, la critica, l’avversione, per altri peccati. Ora il Signore permette, che noi li scontiamo; ma non è lecito giustificare in nessun modo il rancore. Del resto, neppure alcuna forma di vendetta. Senza la carità si è in contrasto con Dio. In punto di morte avremo davanti tutti i nostri difetti e le mancanze di ogni natura e non sarà una impressione lusinghiera; ma se potremo sentire che ciò nonostante abbiamo coltivato la carità e siamo stati pronti a reprimere ogni risentimento, dimenticate le ingiurie, perdonate le offese, potremo essere tranquilli. Il Signore della carità ci userà misericordia.

SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO” (XIII)

Salmo 13: “Dixit insipiens in corde suo”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE,1878

IMPRIM. Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.P

TOME PREMIER.

Salmo 13:

[1] In finem. Psalmus David.

 Dixit insipiens in corde suo:

Non est Deus.

[2] Corrupti sunt, et abominabiles facti sunt in studiis suis; non est qui faciat bonum, non est usque ad unum.

[3] Dominus de caelo prospexit super filios hominum, ut videat si est intelligens, aut requirens Deum.

[4] Omnes declinaverunt, simul inutiles facti sunt. Non est qui faciat bonum, non est usque ad unum.

[5] Sepulchrum patens est guttur eorum; linguis suis dolose agebant. Venenum aspidum sub labiis eorum.

[6] Quorum os maledictione et amaritudine plenum est; veloces pedes eorum ad effundendum sanguinem.

[7] Contritio et infelicitas in viis eorum, et viam pacis non cognoverunt; non est timor Dei ante oculos eorum.

[8] Nonne cognoscent omnes qui operantur iniquitatem, qui devorant plebem meam sicut escam panis?

[9] Dominum non invocaverunt; illic trepidaverunt timore, ubi non erat timor.

[10] Quoniam Dominus in generatione justa est, consilium inopis confudistis, quoniam Dominus spes ejus est.

[11] Quis dabit ex Sion salutare Israel? Cum averterit Dominus captivitatem plebis suae, exsultabit Jacob, et lætabitur Israel.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata Tradotto in lingua mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XIII.

Corruzione della umana natura, e profezia del Salvatore.

Per la fine, salmo di David.

1. Disse lo insensato in cuor suo: Iddio non è.

2. Si sono corrotti, e sono divenuti abbominevoli  ne’ loro affetti; non v’ha chi faccia il bene,  non v’ha neppur uno.

3. Il Signore dal cielo, gettò lo sguardo sui figliuoli degli uomini, per vedere se siavi chi abbia intelletto, o chi cerchi Dio.

4. Tutti sono usciti di strada, son divenuti egualmente inutili; non havvi chi faccia il bene, non ve n’ha nemmen uno.

5. La loro gola è un aperto sepolcro; colle loro lingue tessono inganni, veleno d’aspidi chiudon le loro labbra.

6. La bocca de’ quali è ripiena di maledizione e di amarezza; i loro piedi veloci a spargere il sangue.

7. Nelle loro vie afflizione e calamità, e non han conosciuta la via della pace; non è dinanzi a’ loro occhi il timore di Dio.

8. Non se n’avvedranno eglino tutti coloro i quali fan loro mestiere dell’iniquità, coloro che divorano il popol mio come un pezzo di pane?

9. Non hanno invocato il Signore; ivi tremarono di paura dove non era timore.

10. Perché il Signore sta con la stirpe dei giusti: voi vi faceste beffe dei consigli del povero, perché il Signore è la sua speranza

11. Chi darà da Sionne la salute d’Israele? quando il Signore ritornerà il suo popolo dalla schiavitù, esulterà Giacobbe e sarà in allegrezza a Israele.

Sommario analitico

Non si può dire con certezza a quale circostanza precisa della vita di Davide si riferisca questo salmo. – Il sentimento più probabile è quello che lo applica agli empi che osano negare Dio, se non con la bocca, con le opere criminali. San Tommaso l0 applica soprattutto ai Giudei, Bellarmino ai gentili. Si può applicare generalmente a tutti noi, perché come osserva Jansénius, il Re-Profeta descrive qui la moltitudine di malvagi che, persuasi che Dio non esista e non cercando di conoscerlo, non temono di darsi ad ogni tipo di eccessi per opprimere i giusti. Ma essi finiranno per conoscere, per loro sventura, che questo Dio che verrà li castigherà e libererà i giusti dalla violenza e dalla oppressione nella quale essi li tengono. San Paolo ha citato questo salmo quasi per intero. Può essere applicato a tutti gli atei.

Davide in questo salmo mostra:

I. – L’empietà dell’ateo.

1) Cieco nella sua intelligenza, con la quale nega perfino Dio (1);

2) nella sua volontà, ove tutte le affezioni, tutte le inclinazioni sono corrotte;

3) nelle opere che presentano l’omissione assoluta di ogni bene (2);

4) il Profeta conferma ciò che viene a dire dalla testimonianza di Dio, che attesta: a) la corruzione, gli artifici dei loro discorsi; b) le loro calunnie e le loro blasfemie, c) il loro incitamento a commettere il crimine e a spandere il sangue (3, 6).

II.Il castigo degli atei. – 1° Le angosce e la desolazione sono nelle loro vie (7), 2° essi non conoscono il sentiero della pace; 3° il timore del Signore non è davanti ai loro occhi, ed essi non hanno nessuna intelligenza né di questi disegni, né della sua giustizia (8); 4° essi non Lo invocano mai e per questo tremano la dove non c’è nulla da temere (9).

III. Il trionfo e la gioia dei giusti che Dio protegge: – 1° in questa vita, dimorando con essi con la fede e la carità (10); 2° consolandoli, con la speranza, nelle loro afflizioni; 3° dando loro la grazia della salvezza; 4° liberandoli da ogni cattività; 5° colmandoli di gioia e di allegria (11).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1. –  « L’insensato ha detto nel suo cuore … »; nessun uomo in effetti osa dire queste cose, anzi nemmeno pensarle (S. Agost.). – Tre tipi di atei vi sono, in rapporto alle tre facoltà dell’anima: l’intelligenza, la volontà e la memoria. Questo vuol dire che ci si può rendere colpevoli in diversi modi di questo errore insensato: per errore, per volontà, per dimenticanza. In primo luogo gli atei e i libertini, che dicono apertamente che le cose vanno secondo il caso e l’avventura, cioè senza ordine, senza governo, senza una condotta superiore. La terra contiene pochi di questi mostri, gli idolatri stessi e gli infedeli sono loro in orrore; e quando alla luce del Cristianesimo se ne scopre qualcuno, lo si deve stimare maledetto ed abominevole. Altri non negano fino a questi eccessi la divinità, ma pressati e spinti dalle loro passioni smodate, dalle leggi che li condannano, dalle minacce che li atterriscono, dal timore dei giudizi che li disturbano, preferirebbero che Dio non ci fosse; ancor più essi vorrebbero credere che Dio non sia che un nome, e dicono nel loro cuore, non per persuasione, ma per desiderio: « Non c’è Dio … ». Tre modi dunque, per dire che Dio non esiste: ciò che noi disdegniamo pensare e come un nulla ai nostri sguardi. Costoro, quindi, dicono in cuor loro che Dio non c’è, che non giudicano degno il pensare a Lui. Appena sono attenti alla sua verità quando si predica, alla sua maestà quando si sacrifica, alla sua giustizia quando colpisce, alla sua bontà quando dona; infine Lo ritengono talmente un niente, che pensano di non aver nulla da temere e che non abbiano che se stessi per testimone (Bossuet, Nécess. de trav. à son salut.). – L’empio domanda: perché c’è Dio? Io gli rispondo: perché Dio non dovrebbe esserci? È forse perché Egli è perfetto, e la perfezione è un ostacolo all’essere? Errore insensato; al contrario, la perfezione è la ragione dell’essere. Perché l’imperfetto sarebbe ed il perfetto non potrebbe essere? Perché l’Essere a cui nulla manca non sarebbe piuttosto che l’essere al quale manca qualcosa? Chi può dunque impedire che Dio non ci sia? E perché il niente di Dio, che l’empio vuole immaginare nel suo cuore insensato, perché – io dico – questo niente di Dio prevarrebbe sull’esitenza di Dio, e vorrebbe che Dio non sia l’Essere? O Dio, ci si perde in tale accecamento! L’empio si perde nel niente di Dio, che egli vuole preferire all’essere di Dio; in se stesso, quest’empio non si sogna di chiedere a se stesso perché egli è. (Bossuet, Elév. I Sein. 2° El.). – Gesù-Cristo è la sapienza, la giustizia, la verità, la santità; la sapienza è negata dalla follia, la giustizia dall’iniquità, la verità dalla menzogna, la santità dalla vita sensuale e viziosa; ed una volta che veniamo vinti dal vizio, è allora che neghiamo che Dio esista. Al contrario, tutte le volte che facciamo una buona azione, confessiamo, se non con la bocca almeno con le opere, l’esistenza di Dio (S. Girol.). – L’insensato ha detto nel suo cuore: « Dio non c’è »! Ecco che questo grido di inesprimibile delirio è stato inteso, questa negazione che se non parte dal cuore e dalla regione dei sensi, supporrebbe l’estinzione completa della ragione, è stato audacemente opposto alla credenza venerabile di tutti i secoli ed ai più eclatanti lumi dell’evidenza (Doublet, Psaumes, etc. T. III, 294).

ff. 2. –  Ecco la sequela naturale ma deplorevole della depravazione del cuore: la fede ed il timor di Dio, sono due freni salutari onde arrestare il peccatore; una volta rotti questi due freni, si precipita in ogni sorta di disordini. – Affezioni e desideri smodati, sono la sorgente corrotta delle azioni più abominevoli (Duguet). – Non peccare e fare bene, due cose differenti se si tratta del bene assoluto e perfetto; perché questi uomini, privati della fede e della grazia, ridotti alle sole forze della natura, peccano ordinariamente; ma essi fanno anche opere talvolta moralmente buone, che non si possono chiamare peccato, benché non siano assolutamente buone non conducendo al Bene sovrano (Bellarmino). – Il Profeta, in questo versetto e nel quarto, si leva contro coloro che non fanno il bene. Dio non si contenta dell’omissione del male, Egli giudica e condanna l’omissione del bene. Parole di Gesù-Cristo all’ultimo giudizio; molti, al giudizio di Dio avranno visto il bene; essi lo avranno anche consigliato, insegnato, lodato, ricompensato, ma se essi non lo avranno fatto da se stessi, non sfuggiranno al giudizio di Dio (Berthier).

ff. 3. – Si consideri qui: Chi guarda, è il Signore; da dove guarda? dal cielo, dal soggiorno che abita in particolare, e là dove apre ai suoi servitori tutti i tesori della sua divinità; siccome guarda da lontano tutta la terra, come un maestro guarda da un luogo elevato i suoi servitori che contravvengono ai suoi ordini; cosa guarda? … i figli degli uomini; con quale fine? … per vedere, non per apprendere ciò che non conosce, ma per portare soccorso, alfine di vedere se c’è qualcuno che conosca Dio. Dio infatti è meno cercato che conosciuto: ricorrere a Dio per ottenerne beni temporali, non è cercare Dio, è cercare i beni della terra. – Quale spettacolo agli occhi della fede! Dio dall’alto del cielo, affacciandosi sulla terra ed interrogando con i suoi sguardi tutti gli uomini che l’abitano o la percorrono, più o meno occupati nei loro affari, cerca di scoprire – in questa folla innumerevole di esseri che Egli ha creato a sua immagine – un uomo, un solo uomo intelligente che cerchi Dio per conoscerlo meglio ed affermarsi nella fede della sua esistenza, sia per amarlo, sia per servirlo con più ardore. Ma non ne trova! (Rendu.). – Gli uomini non vogliono cercare Dio, essi non vogliono pensare a Dio, essi hanno per tanto tempo omesso di farlo, non sospettando per un solo momento a qual grado essi Lo ignorano o Lo dimenticano. Chi di noi non ha visto tante persone discendere tranquillamente la corrente della vita, piene di nobili sentimenti e di istinti generosi, benefacenti e disinteressati, senza un’ombra di debolezza nel carattere, ardenti, delicati, fedeli, indulgenti, prudenti e nonostante ciò senza Dio, nel mondo; sono anime scelte che farebbero onore alla fede, se avessero l’occasione di pensare per una volta a questi due termini: “Noi siamo delle creature, noi abbiamo un Creatore, noi abbiamo un Dio”? (Faber.).

ff. 4, 5, 6. – Cercare il proprio bene, la gioia e la felicità nelle creature vuol dire deviare dal retto cammino. – Condurre una vita oziosa e inutile, è sufficiente per essere gettati nelle tenebre esterne. Vi sono due tipi di servitori unitili: 1) quelli che consumano i beni della Chiesa, senza far nulla per la Chiesa; 2) quelli che amano il riposo, non fanno nulla per la loro salvezza e non pensano che a gioire della vita (Duguet). – Applicazione alle anime tiepide che si trascinano più che marciare nella via della salvezza: esse non hanno comprensione del loro vero interesse; si vantano di cercare Dio, ma … quale ricerca?! Esse contano di trovarla nell’amore del mondo o di se stesse? Esse sono inutili in pratica, poiché non fanno alcun bene solido e vero: preghiere senza fervore e senza attenzione, Comunioni senza frutto, Confessioni senza emendamento, conversazioni senza utilità per il prossimo, lavoro senza spirito interiore, prove o afflizioni senza pazienza. La curiosità, la leggerezza, la vanità, riempiono i giorni e gli anni (Berthier).

ff. 6. –  Il veleno del cuore si diffonde ben presto sulla lingua, sepolcro chiuso che non tarda più ad aprirsi. – Veleno di aspide, veleno nascosto appena percepibile, causa certa di morte. – Calunnie, oltraggi, acidità, occasioni ordinarie per versare sangue. – « Essi tremano la dove non c’è motivo di temere ». È un tremore come in un viaggiatore sperduto tra le tenebre di una foresta profonda, che la caduta di una foglia fa sussultare: le malattie, le prove, i colpi di fortuna, le separazioni, le doglie, la morte, si ergono davanti a lui come tanti fantasmi che lo spaventano (Doublet, Ps.).

ff.7. –  « La desolazione e l’infelicità sono nelle loro vie », ciò che è ugualmente vero sia in senso attivo che passivo. Ci sono persone che non sembrano nate se non per rendere gli altri infelici; è il loro unico oggetto, il loro unico studio, e per una giusta reciprocità, tutti i colpi che vogliono portare agli altri, ricadono su loro stessi. – L’assenza del timor di Dio, è sorgente di tutti i disordini, è causa di tutti i crimini.

II — 7-8.

ff.8. Coloro che commettono l’iniquità non conoscono né temono la giustizia di Dio. Essi la conosceranno un giorno, e ne saranno stupefatti (Duguet). « Non spetta forse a voi conoscere la giustizia? – dice il profeta Michea – nemici del bene e amanti del male, voi che strappate loro la pelle di dosso e la carne dalle ossa. Divorano la carne del mio popolo e gli strappano la pelle di dosso, ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi come carne in una pentola, come lesso in una caldaia » (Michea III, 1-3). « Come se mangiassero un pezzo di pane », tutti i giorni; … come si mangia il pane ogni giorno, con la stessa facilità e senza mai stancarsi (Duguet). – I malvagi non si sottraggono a nessuna violenza, pur di soddisfare la propria cupidigia, la loro avarizia, il loro libertinaggio. Il giudizio di Dio è necessario per rivelare tutte le rapine, tutte le frodi, tutte le ingiustizie che si commettono segretamente nel mondo (Berthier).

ff. 9. Ci sono coloro che immaginano di invocare il Signore, ma in realtà senza invocarlo, allo stesso modo di colui che offre a Dio il frutto delle sue rapine: in realtà non Gli si offre niente, perché Dio non può ricevere una tale offerta; così è per quelli che spogliano e divorano i loro fratelli: essi non invocano Dio credendo invece di invocarlo (S. Chrys.). – Il Profeta indica qui la causa o l’effetto della malvagità degli uomini; essi guardano il Signore essere a loro completamente estraneo, non Lo invocano affatto; essi vivono nel suo impero, sotto le leggi della sua provvidenza, tra le sue opere, ricolmi dei suoi benefici, senza testimoniargli alcuna riconoscenza. – Così tutto è sregolato nella condotta e nella vita dei peccatori. Essi temono là dove non si dovrebbe temere, similmente ad un bambino spaventato da una figura orrida, ma non temono di cadere nel fuoco. Essi temono la povertà, l’umiliazione, le sofferenze, etc., che chiamano “mali”. Essi desiderano e ricercano gli onori, i piaceri, le ricchezze, etc., che stimano come veri beni (Duguet). – « Essi hanno tremato per lo spavento, la dove non c’era nulla da temere », cioè per la perdita dei beni temporali. « Se noi lo lasciamo fare, dicevano i Giudei, tutti crederanno in Lui, ed i Romani verranno e ci porteranno via il nostro paese e la nostra nazione » (S. Giov. XI, 18). Essi hanno temuto di perdere un regno terreno, cosa che non dovevano temere, ed hanno così perso il Regno dei cieli, l’unica cosa veramente da temere. La paura che essi avevano di perdere le cose del tempo, impediva loro di pensare a quelle dell’eternità, ed essi così persero le une e le altre (S. Agost.).

ff. 10. – Dio non è con coloro che amano il secolo. È ingiusto in effetti, trascurare il Creatore dei secoli ed amare il secolo, … servire la creatura al posto del Creatore (S. Agost.). – Dio è in mezzo alla generazione dei giusti, come un Re mezzo ai suoi soggetti, come un generale in mezzo ai suoi soldati. Egli dice nel suo Vangelo: « Là dove sono riuniti due o tre nel mio nome, ivi Io sono in mezzo a loro ». Se Egli ama essere in mezzo a due o tre dei suoi fedeli servitori, quanto più in mezzo ad una generazione intera di giusti (S. Chrys.). – La vita dei giusti è sempre stata e sarà sempre oggetto di critiche, di censure degli empi e dei mondani. Gli empi di professione rimproverano quelli che hanno conservato la fede; gli uomini del mondo, senza pietà e senza fervore, prendono in giro gli uomini ferventi. Ci sono dei termini consacrati per questo tipo di guerra. Si confonde colui che teme Dio con l’ipocrita; colui che spera in Lui, con il superstizioso (Berthier).

ff. 11. – La venuta del Messia, la salvezza di Israele doveva uscire da Sion, il desiderio di tutti gli antichi profeti. Il Messia non è ancora venuto per un gran numero di Cristiani, che non hanno approfittato della sua venuta. I peccatori sono ancora sotto la legge, e devono sospirare lo stato di grazia. I giusti hanno ancora una parte di se stessi che non è santificata e che geme nell’attesa della liberazione (Duguet).

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “QUI NUPER”

In questa brevissima lettera, il Santo Padre, sottolinea ancora una volta la necessità per la Chiesa di Cristo, di possedere un principato civile « … dichiariamo essere necessario a questa Santa Sede il principato civile, perché senza alcun impedimento possa esercitare, nell’interesse della Religione, la sua sacra potestà (principato civile che i perversissimi nemici della Chiesa di Cristo si sforzano di strapparle), » . Sappiamo ora come è andata a finire la questione per la Sede Apostolica, ma solo in parte sappiamo cosa è successo alla Nazione italiana (guerre coloniali, guerre mondiali, dittatura feroce, milioni di giovani ragazzi immolati al moloch della guerra, milioni di civili falcidiati dagli oppressori nazisti e dai “liberatori” anglo-americani, distruzioni e miserie senza numero …) e possiamo solo immaginare cosa l’aspetti ancora nel tempo prossimo venturo, visto che il Signore è lento nel manifestare la sua ira ma colpisce inesorabilmente quando tutto sembra procedere nel migliore dei modi. Ma le ingiurie per il Santo Padre, il Vicario di Cristo, vero unico e definitivo bersaglio dei servi del demonio [ … satanisti massoni, satanisti modernisti, satanisti pseudo-religiosi della quinta colonna del “novus ordo”, satanisti sedevacantisti e gallicani fallibilisti, kazaro kabalisti …], non sono finite con la usurpazione dei territori strappati alla Chiesa, ma sono proseguite fino alla cacciata del Papa dal suo trono ereditato da Pietro, il Principe degli Apostoli, occupato da un fantoccio manipolato dai poteri demoniaci attraverso i “masculorum concubitores” già annunziati da San Paolo ai suoi fedeli di Corinto: « … nam ejusmodi pseudoapostoli sunt operarii subdoli, transfigurantes se in apostolos Christi. Et non mirum: ipse enim satanas transfigurat se in angelum lucis. Non est ergo magnum, si ministri ejus transfigurentur velut ministri justitiæ: quorum finis erit secundum opera ipsorum ». (II Cor. 11, 13-15). Ma chi persevererà fino alla fine, si salverà, chi non persevererà … ahimè! … là sarà pianto e stridor di denti, secundum opera ipsorum!

Pio IX
Qui nuper

Quel moto di sedizione testé scoppiato in Italia contro i legittimi Principi, anche nei paesi confinanti con i Domini Pontifici, invase pure, come una fiamma d’incendio, alcune delle Nostre Province; le quali, mosse da quel funesto esempio e spinte da eccitamenti esterni, si sottrassero alla Nostra paterna autorità, cercando anzi, con lo sforzo di pochi, di sottoporsi a quel Governo italiano che in questi ultimi anni fu avverso alla Chiesa, ai legittimi suoi diritti ed ai sacri Ministri. Ora, mentre Noi riproviamo e lamentiamo questi atti di ribellione con i quali una sola parte del popolo, in quelle province così ingiustamente disturbate, risponde alle Nostre paterne cure e sollecitudini, e mentre apertamente dichiariamo essere necessario a questa Santa Sede il principato civile, perché senza alcun impedimento possa esercitare, nell’interesse della Religione, la sua sacra potestà (principato civile che i perversissimi nemici della Chiesa di Cristo si sforzano di strapparle), a Voi, Venerabili Fratelli, in così gran turbine di avvenimenti indirizziamo la presente lettera per dare qualche sollievo al Nostro dolore. – In questa occasione vi esortiamo anche affinché, secondo la provata vostra pietà e l’esimia vostra sollecitudine per la Sede Apostolica e la sua libertà, procuriate di compiere quello che leggiamo avere già prescritto Mosè ad Aronne, supremo Pontefice degli Ebrei: “Prendi il turibolo e spargi l’incenso sul fuoco prelevato dall’altare, e incamminati rapidamente verso il popolo per pregare per esso; infatti l’ira del Signore si è già messa in cammino e la ferita incrudelisce grandemente” (Nm 16,6-7). Del pari vi esortiamo a pregare, come già fecero quei santi fratelli Mosè ed Aronne i quali “con il volto chino dissero: O Dio, più forte di tutti i viventi, a causa dei peccati di alcuni la tua ira si sfogherà contro tutti?” (Nm 16,22). A questo fine, Venerabili Fratelli, vi scriviamo la presente lettera, dalla quale riceviamo non lieve consolazione, giacché confidiamo che Voi risponderete abbondantemente ai Nostri desideri ed alle Nostre cure. – Del resto, Noi dichiariamo apertamente che, vestiti della virtù che discende dall’alto e che Dio, supplicato dalle preghiere dei fedeli, concederà alla Nostra pochezza, soffriremo qualunque pericolo e qualunque dolore piuttosto che abbandonare in qualche parte il Nostro dovere apostolico e permettere qualsiasi cosa contraria alla santità del giuramento con cui Ci siamo legati quando, per volontà di Dio, salimmo, benché immeritevoli, a questa suprema Sede del Principe degli Apostoli, rocca e baluardo della Fede Cattolica. – Augurandovi, Venerabili Fratelli, ogni allegrezza e felicità nel compiere il vostro dovere pastorale, con ogni affetto impartiamo a Voi ed al Vostro Gregge l’Apostolica Benedizione, auspice della celeste beatitudine.

Dato in Roma, presso San Pietro, il 18 giugno 1859, anno decimoquarto del Nostro Pontificato.