SALMI BIBLICI: “QUEMADMODUM DESIDERAT CERVUS” (XLI)

SALMO 41:”QUEMADMODUM desiderat cervus”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 41 (1)

In finem. Intellectus filiis Core.

[1] Quemadmodum desiderat cervus

ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus.

[2] Sitivit anima mea ad Deum fortem, vivum; quando veniam, et apparebo ante faciem Dei?

[3] Fuerunt mihi lacrimæ meæ panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie: Ubi est Deus tuus?

[4] Hæc recordatus sum, et effudi in me animam meam, quoniam transibo in locum tabernaculi admirabilis, usque ad donum Dei, in voce exsultationis et confessionis, sonus epulantis.

[5] Quare tristis es, anima mea? et quare conturbas me? Spera in Deo, quoniam adhuc confitebor illi, salutare vultus mei, et Deus meus.

[6] Ad meipsum anima mea conturbata est; propterea memor ero tui de terra Jordanis, et Hermoniim a monte modico.

[7] Abyssus abyssum invocat, in voce cataractarum tuarum; omnia excelsa tua, et fluctus tui super me transierunt.

[8] In die mandavit Dominus misericordiam suam, et nocte canticum ejus;

[9] apud me oratio Deo vitæ meæ. Dicam Deo: Susceptor meus es; quare oblitus es mei? et quare contristatus incedo, dum affligit me inimicus?

[10] Dum confringuntur ossa mea, exprobraverunt mihi qui tribulant me inimici mei, dum dicunt mihi per singulos dies: Ubi est Deus tuus?

[11] Quare tristis es, anima mea? et quare conturbas me? Spera in Deo, quoniam adhuc confitebor illi, salutare vultus mei, et Deus meus.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XLI (1)

Ardente desiderio di Davide di giungere alla visione di Dio, eterna felicità, trovandosi nei travagli dell’esilio. Nel suo desiderio si ravvisano gli argomenti dell’amor di Dio. — I figliuoli di Core, a cui  davasi il Salmo a cantare, doveano intendere essi  e far intender agli altri i sensi del Salmo stesso.

Per la fine; salmo d’intelligenza ai figliuoli di Core.

1. Come il cervo desidera le fontane di acqua, così te desidera, o Dio, l’anima mia. (2)

2. L’anima mia ha sete di Dio forte, vivo; e quando sarà ch’io venga, e mi presenti dinanzi alla faccia di Dio?

3. Mio pane furono le mie lacrime e notte e giorno, mentre a me si diceva: il Dio tuo dov’è?

4. Tali cose teneva io in memoria; ma dilatai in me l’anima mia; perocché io passerò al luogo del tabernacolo ammirabile, fino alla casa di Dio: dove voci di esultazione e di laude, festosi suoni di que’ che sono al banchetto.

5. Perché mai, o anima mia, sei tu afflitta, e perché mi conturbi? Spera in Dio, perocché ancora canterò le laudi di lui, salute della mia faccia e mio Dio.

6. Dentro di me è turbata l’anima mia; per questo mi ricorderò di te nel paese, che è dal Giordano fino a Hermon e alla piccola collina.

7. L’abisso chiama l’abisso al rumore delle tue cateratte. Tutte le tue procelle e i tuoi flutti son passati sopra di me. (3)

8. Nel giorno il Signore ordinerà che venga la sua misericordia, e la notte a lui darò laude. Meco avrò l’orazione a Dio, che è mia vita;

9. Dirò a Dio: Tu se’ mio aiuto. Perché ti sei scordato di me, e perché vo io contristato, mentre il nimico mi affligge?

10. Mentre sono spezzate le ossa mie, dicono a me improperii que’ nemici che mi perseguitano; dicendomi ogni dì: dov’è il tuo Dio?

11. Anima mia, perché ti rattristi e ti conturbi? Spera in Dio, perocché ancora canterò le lodi di lui, salute della mia faccia e Dio mio.

(1). Il secondo Libro dei Salmi, che comincia dal XLI, comprende trent’uno salmi, dei quali i primi 8 sono dei figli di “Core”, e tutti gli altri, eccetto il 49 di Asaf, ed il 71, attribuito a Salomone, sono di Davide, di cui quasi tutti portano il nome. Questa collezione sembra essere stata compilata verso il ventesimo anno del regno di Ezechia, dai figli di Core, il cui nome si trova in cima ai primi salmi di questo libro. Essi avrebbero aggiunto ai loro, quelli che si conservano per tradizione orale o in famiglie separate, tra i musicisti del tempio. Nei salmi di questo libro Dio è designato ordinariamente con la parola Elohim, e raramente con Jehovah, al contrario dei primi libri (si comparino soprattutto i salmi XIII e LII, che non sono che uno solo), benché quasi tutti in questo secondo libro siano di Davide, come molti salmi del primo libro. Questo deriva dal fatto che la seconda raccolta è stata fatta in un periodo in cui la parola Jehovah cominciava ad essere per i Giudei il nome ineffabile, e quindi, nei Salmi, fino ad allora conservati solo dalla tradizione orale, la parola Elohim aveva già rimpiazzato il nome che non era più permesso pronunziare. Ora i Salmi sono scritti così come si cantavano allora. I salmi dal XLI al XLVIII sembrano essere riconducibili ai tempi di Ezechia, durante l’invasione di Sennacherib (Re, XVIII, 19, Paral. XXXIII, Ezech. XXXVI, 27). I Salmi XLI, XLVIII, salvo il XLIV ed il XLVIII, hanno un doppio senso letterale. Secondo il primo, essi cantano lo stato della Giudea prima e dopo la disfatta di Sennacherib. Nel secondo, essi abbracciano tutta la storia della Chiesa dalla caduta di Adamo fino all’ultimo giudizio. Tutti, salvo l’ultimo, possono applicarsi alle due venute di Gesù-Cristo, e soprattutto la seconda, alla quale si riferisce il Salmo XLVIII (Le Hir.). – Questi Salmi presentano tutte le bellezze più grandi, così come grandi difficoltà.

(2). La noia dell’isolamento nel rimpianto ardente della patria assente, la descrizione della terra straniera e la sua comparazione malinconica con il suolo natale, la speranza nell’avvenire, la speranza del ritorno mista e confusa al ricordo del passato in un toccante abbraccio: tali sono questi due Salmi, o piuttosto tali sono questi due Salmi XLI e XLII, pieni di tenerezza e di dolci lacrime, e da cui alcune armoniose rimembranze sono tutti i giorni ripetute nella Messa.

(3) Come l’abisso risponde all’abisso nel giorno in cui rumoreggiano la sue cataratte, esse, così dirompenti e come ondate, cioè le tribolazioni, sono passate sopra di me.

Sommario analitico

Davide, dopo aver considerato nei due Salmi precedenti la Passione e la Resurrezione di Gesù-Cristo, esprime qui l’ardente desiderio di provare l’eterna felicità contemplando il Salvatore nei cieli.

I. Egli esprime la vivacità, l’ardore dei suoi desideri, con l’aiuto di una doppia analogia.

1° del cervo che corre verso le sorgenti di acqua viva (1), 2° di un uomo che prova una sete ardente e come una sorta di impazienza sempre più grande di comparire davanti a Dio (2).

II – Egli fa conoscere la grandezza del suo dolore a causa del ritardo impiegato nel compirsi dei suoi desideri:

1° le sue lacrime scorrono notte e giorno (3); 2° la sua anima si scioglie in ferventi preghiere (4); 3° tuttavia conserva la speranza di vedere i suoi voti esauditi ed indica come essi saranno.

III – Egli si considera come in balìa alla tempesta, ed enumera tutte le ondate dalle quali è travolto:

1° egli è agitato da ondate di tristezza interiore, e ne indica i rimedi: – a) la speranza in Dio; – b) il suo amore e le sue lodi (5), c) – il pensiero che è il nostro Sanatore ed il ricordo cosante della sua presenza (6).

2° Egli è stato scosso dalle tentazioni raddoppiate del demonio (7).

3° Ha visto piombare su di lui tutte le calamità, sia quelle inviate direttamente da Dio, sia quelle che Egli ha semplicemente permesse. Ne attende il rimedio nella misericordia di Dio che: – a) dà una nuova forza all’anima; – b) la porta ad indirizzare a Dio ferventi preghiere; – c) produce una intera e perfetta fiducia in Dio (8, 9).

4° I flutti che lo circondano sono gli attacchi che gli portano i suoi nemici, i loro oltraggi, le loro derisioni, i loro rimproveri. Il rimedio è – egli lo ripete – la speranza in Dio che dissipa ogni tristezza (10, 11).

Spiegazioni e Considerazioni

I . — 1, 2.

ff. 1. – È normale per coloro che amano, non tenere il proprio amore segreto, ma far conoscere a tutti quelli che li circondano, l’ardore dal quale sono animati; perché l’amore è per sua natura come una fiamma ardente, che l’anima non può nascondere. Siccome la parola è incapace di esprimere il suo amore, il Re-Profeta cerca da ogni parte un esempio che possa farci comprendere questo amore e farci parte dei suoi trasporti (S. Chrys.). – Ma perché il salmista sceglie il cervo come termine di paragone? Il cervo possiede quattro qualità rimarchevoli: innanzitutto esso è nemico dei serpenti ed è continuamente in lotta con essi; in secondo luogo, quando è inseguito dai cacciatori, acquisisce una rapidità nella corsa sulle alte montagne più alte; poi esso osserva, per naturale istinto, quel che l’Apostolo raccomanda ai Galati, cioè « … portare i pesi gli uni degli altri », perché quando i cervi camminano nel branco, o attraversano i fiumi a nuoto, appoggiano la testa sui loro vicini; infine, affaticato dalla lotta contro i serpenti, o per le corse sulle alte montagne, cerca ardentemente l’acqua dalle fonti. Così è colui che ama Dio! (Bellarm.). – « Immaginate questo cervo che, inseguito da una muta di cani, non abbia più fiato, né gambe; come si getta avidamente sull’acqua che cerca, con quale ardore si slancia e si immerge in questo elemento. Sembra come se volesse volentieri fondere e tramutarsi in acqua, per gioire più pienamente di questa frescura. Oh! Quale unione del nostro cuore a Dio nell’alto del cielo dove, dopo questi desideri infiniti del vero bene, non più asserviti a questo mondo, troveremo la sorgente potente e vivente. Ecco allora, così come si vede un lattante affamato, incollato al fianco della madre e attaccato alla sua mammella, sollecitare avidamente questa dolce fontana di soave e desiderato nettare, e sembra quasi che voglia immergersi tutto nel seno materno, e succhiare il petto nel suo, così sarà la nostra anima, assetata totalmente dalla bruciante sete del bene, quando incontrerà la sorgente inesauribile nella Divinità, o vero Dio! Quale santo e divino ardore l’unirsi ed il congiungersi a queste mammelle feconde di ogni bontà, per essere tutto inabissato in essa ed essere un tutt’uno in noi » (S. Franc. De Sales, T. de l’am. de Dieu. L. III, C. XI.). – Dove si è mai visto questo desiderio di comparire davanti a Dio così vivamente espresso? Se non fosse soprannaturale, lo si troverebbe nelle preghiere di altre religioni; ma non è così, non lo sarà mai. Orazio predice ad Augusto che sarà un “dio”, cosa che è più che vedere Dio, ma gli consiglia di non affrettarsi, malgrado tutto il piacere che si possa avere nell’essere nell’olimpo: egli ha ragione, non occorre essere “dio” in questo modo se non il più tardi possibile (La Harpe). – Tutti, santi e peccatori, perfetti ed imperfetti, giovani e vecchi, innocenti o penitenti, uomini solitari o gente mondana, tutti devono incontrarsi nel santuario di questo amore di desiderio, tutti devono attingere alle acque di queste sorgenti celesti. Quale creatura ragionevole potrebbe non desiderare Dio con un ardore infinito ed irresistibile? Quale intelligenza creata non prova il bisogno di essere inondato dalla sua dolce luce? Quale volontà creata non langue in attesa dal momento in cui sarà abbracciata dal fuoco del suo amore estatico? Daniele è chiamato nella scrittura l’uomo del desiderio, magnifico titolo che ricorderà fino alla fine dei tempi l’ardore con il quale il Profeta cercava Dio. Come sarebbe bello vedere con gli occhi di qualche sublime intelligenza, come questo desiderio di Dio faccia la bellezza e l’ordine di tutta la sua creazione che tende verso di Lui, sia negli empirei spirituali della santità angelica, sia attraverso la terra ed i mari, le montagne e le valli del nostro pianeta, delle intelligenze e delle volontà senza numero, ognuna tracciante la propria strada nel movimento generale! È questo desiderio che salva e giustifica, che dà la corona e la gloria; è questo amore che i tremori di una santa paura rendono più elevato e squisito. È un amore che non solo ci fa desiderare Dio, ma ce Lo fa desiderare sopra ogni altra cosa, unicamente e sempre con intensità. Senza tiranneggiarci, esso ci attira a cercare esclusivamente Dio in tutte le cose di quaggiù, e a sospirare presso di Lui come se fosse Egli solo il magnifico avvenire che colmerà le nostre speranze nella vita futura (Faber, Le Createur et la creat., p. 184).

ff. 2. – Il cervo desidera le sorgenti d’acqua per dissetarvisi o per bagnarvisi, noi lo ignoriamo. Ascoltate cosa dice in seguito, ed il vostro dubbio cesserà: « La mia anima ha sete del Dio vivente ». Ma qual è questa sete? « Quando verrò e apparirò davanti al cospetto di Dio? » Ecco la mia sete di venire ed apparire davanti a Dio. Io ho sete nel mio viaggio, io ho sete nella mia corsa: arrivando sarò assetato. Ma: « quando arriverò? ». Ciò che è sollecito per Dio, è lento nell’arrivare per colui che desidera (S. Agost.). – Il profeta non dice: la mia anima ama Dio, o che abbia un’affezione per Dio; per meglio esprimerci la vivacità del suo amore, lo compara al bisogno della sete, per farci comprendere l’ardore e la continuità di questo amore. « La mia anima ha sete del Dio forte e vivente ». Sembra per far intendere questi rimproveri più in alto alle orecchie di coloro che sospirano dietro alle cose di questa vita. Perché questa passione insensata per la materia? Perché questo amore per le cose deperibili? Perché questa ambizione di gloria? Perché questi desideri della voluttà? Nessuna di queste cose dura e vive eternamente; esse tutte passano e spariscono con rapidità; esse sono più vane dell’ombra, più ingannevoli dei sogni, appassiscono e cadono più rapidamente dei fiori di primavera. Le une, in effetti, periscono per noi in questa vita, le altre ci lasciano anche prima di questo termine fatale. Il possesso ne è incerto, l’uso di breve durata, ed il cambiamento rapido. In Dio al contrario, nulla di simile: Egli vive e dimora eternamente, e non è soggetto ad alcun cambiamento, ad alcuna vicissitudine. Lasciamo tutte le nostre cose fragili ed effimere, per riporre il nostro amore solo in Colui la cui esistenza è eterna (S. Chrys.). – Desideriamo allora anche noi attingere vivamente alle sorgenti del Salvatore. In Lui ci sono diverse sorgenti, benché unica sia la sorgente; e San Bernardo si prende cura di nominarle: sorgente di misericordia, per lavare le nostre anime, sorgente di saggezza per estinguere la loro sete; sorgente di grazia, per fecondarle; sorgente bruciante di amore per riscaldarle. Ma a queste quattro prime, bisogna aggiungerne una quinta, quella sulla quale poggia l’eterna felicità, quella che Davide aveva visto in questo versetto del salmo: « … la mia anima ha sete di Dio, che è la sorgente vivente » (S. Bern.). – « Quando verrò e comparirò davanti a Dio? ». Vedete un’anima tutta infuocata e consumata dall’amore. Davide sa che egli deve vedere Dio all’uscita da questa vita, ma non può attendere questo momento, egli non può soffrirne il ritardo, e si mostra qui animato dallo stesso spirito dell’Apostolo, al quale la lunghezza del pellegrinaggio di questa vita strappa dei gemiti (S. Chrys.). – Quali sentimenti di intima dolcezza, di gioia ineffabile inondano e penetrano la nostra anima, quali lacrime rallegrano il nostro cuore, quando al ritorno da un lungo viaggio noi scorgiamo da lontano, sotto un cielo brumoso, su di un triste lido, la povera casa dove ci attende nostro padre, nostra madre; quando noi riconosciamo la nostra stessa madre che viene sulla soglia a contemplare questa strada alla quale ella da tanto tempo richiede suo figlio! E queste non sono che le gioie della terra. Che sarà, dunque, mio Dio, cosa sarà il ricordo di tutte le cose felici in questo mondo, quando noi ritorneremo non più nella casa di fango dei nostri genitori mortali, ma a questa casa che non è fatta da mani d’uomo, alla casa che vi siete preparata per l’eternità nei cieli; non più nel pergolato di questa vita piena di offese, ma nel palazzo della nostra santa origine e delle vostre immortali grandezze; … ma a Maria, la Madre del vostro amore le immortali grandezze; ma a Maria, la Madre del vostro amore, … a Gesù, che ha tanto sofferto per riscattarci; … ma a Voi per l’eternità, nostro Padre e Padre della nostra eternità! (L.V., Rome et Lorette, p. 180). « Quando verrò, e quando comparirò al cospetto di Dio? Quando spinterà questo giorno felice? … giorno di liberazione e di beatitudine senza fine? Quando cesserà il tempo dell’esilio, il tempo della speranza e delle lacrime? Quando vedrò declinare le ombre che nascondono ai miei sguardi la faccia di Dio che io amo? »

II. — 3, 4.

ff. 3. – Finora, mentre medito, corro, sono in cammino, prima che venga, che compaia davanti a Dio, « … le mie lacrime sono state per me un pane, giorno e notte » , quando mi si dice ogni giorno: « dov’è il tuo Dio? ». Le mie lacrime – egli dice – sono state per me non amarezze, ma un pane. Queste lacrime mi erano dolci nella sete in cui ero quando cercavo questa fonte alla quale non potevo ancora bere, e mangiavo con avidità le mie lacrime; perché egli non ha detto: le mie lacrime sono per me diventate una bevanda, per timore di sembrare di averle desiderate così come le sorgenti delle acque, ma conservando questa sete che brucia e mi precipita verso le sorgenti delle acque, le mie lacrime sono diventate il mio pane in tutto il tempo in cui stavo lontano dalla mia meta. E mangiando le sue lacrime, senza alcun dubbio, egli ha via via sempre più sete delle sorgenti. In effetti, giorno e notte, le mie lacrime sono diventate il mio pane. Gli uomini mangiano durante il giorno questo nutrimento che si chiama pane, e la notte dormono. Ma il pane delle lacrime è mangiato giorno e notte, sia che consideriate il giorno e la notte da un punto di vista temporale, sia che consideriate il giorno come le prosperità, e la notte come le avversità di questo secolo. In tale prosperità o nelle avversità, io verso le lacrime del mio desiderio, e nulla perdo dell’avidità del mio desiderio, ed anche quando tutto nel mondo è bene, tutto è male, finché io non compaia al cospetto di Dio. Perché sforzarmi di essere felice, in qualche modo, del giorno, se qualche prosperità del mondo mi sorride? Non è deludente? Transitoria, corruttibile, mortale? Non è forse temporanea, cangiante, passeggera? Non porta più delusione che diletto? Perché dunque, anche in seno a questa prosperità, le mie lacrime non sarebbero il mio pane? Perché, anche quando la felicità di questo mondo brilla intorno a noi in tutto il suo splendore, finché siamo in questo corpo, noi viaggiamo lontano da Dio (II Cor. V, 6). Ed ogni giorno mi si dice: « dov’è il vostro Dio »? Costui mi mostra il suo Dio col dito, stende il suo dito verso qualche pietra e dice: ecco il mio Dio, « … dov’è il vostro Dio? » Se io rido di questa pietra, e se colui che me l’ha mostrata arrossisce, egli distoglie lo sguardo da questa pietra, guarda il cielo, e mostrando col dito forse il sole, dice ancora: ecco il mio Dio, « dov’è il vostro Dio »? Egli trova quel che può mostrare ai suoi occhi di carne; dal mio canto, non è che io non abbia nulla da mostrargli, ma egli non ha gli occhi con i quale vedere ciò che potrei mostrargli. Egli ha potuto mostrare il sole, che è il suo “dio”, ai miei occhi di carne, ma con quali occhi mostrargli Colui che ha fatto il sole? (S. Agost.). – Talvolta le lacrime non hanno una causa precisa: ci sono lacrime in tutto l’universo, ed esse ci sono così naturali, benché non abbiano causa, esse colerebbero senza causa, per il solo fascino di questa ineffabile tristezza di cui la nostra anima è pozzo profondo e misterioso. (Lacord. I, Conf. T. 1, p. 47). – Si piange come il bambino nella culla, senza saperne il perché; si piange perché si è esiliati, e nell’esilio il sentimento della patria bagna le palpebre, anche quando non ci sia un ricordo distinto e presente. Si piange perché nulla ci soddisfa completamente: il miglior latte contiene un misto di assenzio, il vino più dolce possiede delle gocce di amarezza. Chi mi dirà la causa di queste lacrime? « … è – scrive Bossuet – quel che non si può dire ». Non è vero, prendendo in altro senso il pensiero di Virgilio, che ci sono dappertutto lacrime nelle cose, « sunt lacrymæ rerum ». – Ci sono lacrime più preziose, più feconde, lacrime divine, che sembrano cadere dal cielo nel cuore dell’uomo. Sono le lacrime di un cuore amante, di un cuore che è proteso al cuore di Dio, e che piange perché Lo ama. Non ne abbiamo mai versate di queste lacrime profumate, … come le chiama santa Caterina? Ne avremmo dovuto spargere se non altro all’epoca della nostra prima Comunione, dopo un ritiro, in una orazione fervente, in quei giorni di luce inopinata in cui Dio sembra voler entrare bruscamente nel nostro cuore? E non parlo solo delle lacrime esteriori; quello che voglio specialmente designare, sono le lacrime misteriose che scendono nel silenzio di un cuore liquefatto d’amore, lacrime immateriali, invisibili, che gli Angeli appena percepiscono, ma che Dio distingue e riceve con gioia, come la più pura essenza dell’anima! Siete Voi che io saluto, che vorrei poter adorare come questo liquore balsamico che fuoriesce da certe piante nei paesi orientali! Voi ne discendete sempre: non è necessario che il tronco che vi contiene sia tagliato col ferro, è sufficiente solo che le sue foglie siano agitate dalla più leggera brezza d’amore (Mgr. Landriot, Béat. Ev. XVIII Conf.).

ff. 4. –  Tuttavia, a forza di sentir dire ogni giorno: « dov’è il vostro Dio? », a forza di nutrirmi tutti i giorni delle mie lacrime, io ho meditato giorno e notte su tutto ciò che ho inteso: « … dov’è il vostro Dio »? Io ho anche cercato il mio Dio, per non essere ridotto a credere solo in Lui, ma per vederlo in qualche modo, potendo. Io vedo in effetti ciò che ha fatto il mio Dio, ma Egli che ha fatto tutte queste cose, io non Lo vedo. Ma poiché sospiro come il cervo presso le fonti d’acque; poiché il mio Dio è la sorgente della mia vita; infine poiché le meraviglie invisibili di Dio siano comprese e percepite con l’aiuto delle meraviglie visibili che Egli ha creato (Rom. I, 30), cosa farò per ritrovare il mio Dio? Io consideravo la terra, la terra che Egli ha creato. Grande è la bellezza della terra, ma la terra ha Qualcuno che l’ha fatta; grandi sono le meraviglie delle semenze e delle generazioni, ma tutte queste cose hanno un Creatore. Io contemplo l’immensità dei mari che circondano le terre: io sono stupefatto, ammiro e cerco Chi le abbia fatte. Alzo i miei occhi al cielo verso la magnificenza degli astri: ammiro lo splendere del sole che produce il giorno, e la luna, che consola le tenebre della notte; tutte queste cose sono meravigliose, sono degne di ogni lode, o piuttosto confondono il nostro spirito: esse non appartengono più alla terra, essendo delle cose tutte celesti; e pertanto la mia sete non si arresta ancora là: io ammiro queste bellezze, le lodo, ma io ho sete di Colui che le ha fatte. (S. Agost.). – « Io ho allargato l’anima mia al di sopra di me stesso », e non mi resta più nulla da desiderare se non il mio Dio. In effetti è là, al di sopra della mia anima, che è la casa del mio Dio. Là Egli abita, da lì mi vede, da lì mi ha creato, da lì mi governa, provvede ai miei bisogni, da lì mi chiama, mi dirige, mi conduce, mi volge al porto. Ora, Colui che possiede nel più alto dei cieli una casa invisibile, ha anche una tenda sulla terra. La sua tenda sulla terra è la sua Chiesa, ancora in cammino. È là che bisogna cercarlo perché nella tenda si trova la strada che porta alla casa. In effetti, quando ho allargato la mia anima al di sopra di me, per raggiungere il mio Dio, perché l’ho fatto? « Perché io entrerò nel luogo del tabernacolo ». In effetti, fuori dal luogo del tabernacolo, io non potrei che ingannarmi cercando il mio Dio. « perché io entrerò nel luogo del tabernacolo meraviglioso, fino alla casa di Dio ». Nel presente, in effetti, io ammiro molte cose nel tabernacolo. Quali incomparabili meraviglie ammiro in questo tabernacolo! Perché il tabernacolo di Dio sulla terra, è formato dagli uomini fedeli. Io ammiro in esso la maniera in cui i loro membri sono loro sottomessi, perché il peccato non regna in essi per asservirli al desiderio del male e perché non abbandonino i loro membri al peccato, come strumento di iniquità, ma li offrano al Dio vivente con le loro buone opere. (Rom. VI, 12). – Io ammiro quando l’anima serve Dio, come i membri del corpo combattono per Dio; io vedo l’anima stessa obbedire a Dio, che regola le opere che devono compiere, frenando le cupidigie, respingendo l’ignoranza, procedendo nelle più dure e penose sofferenze, trattando gli altri con giustizia e carità. Ammiro anche queste virtù nell’anima, ma io non sono che nel luogo del tabernacolo. Io passo oltre, e per quanto mirabile sia questo tabernacolo, io sono stupefatto quando giungo alla casa di Dio (S. Agost.). – « In mezzo ai canti di allegrezza e di lode, in mezzo ai concerti che celebrano la gioia delle feste ». Quando in mezzo a noi si celebra qualche splendida festa, vi è l’abitudine di riunire, davanti casa, dei suonatori di strumenti, dei cantori, dei musicisti utilizzati nelle feste per eccitare al piacere, e quando noi li ascoltiamo, cosa diciamo passando? Cosa si fa là? E ci si risponde: vi si celebra una nascita o le nozze, di modo che questi canti non sembrano inopportuni ed il piacere trovi la sua scusante nella festa che vi si celebra. Nella casa di Dio c’è una festa continua. In effetti, non vi si celebra nulla che sia passeggero. La festa eterna è celebrata dai cori degli Angeli; e il viso di Dio, visto allo scoperto, causa una gioia che nulla può alterare. Nessun inizio c’è a questo giorno di festa, nessuna fine che possa concluderlo. Da questa festa eterna e continua sfugge non so qual suono che giunge dolcemente alle orecchie del cuore senza che si mescoli a nessun brusio umano. L’armonia di questa festa incanta l’orecchio di colui che cammina in questa tenda e che contempla le meraviglie che Dio ha operato per la redenzione dei fedeli; ed essa conduce il cervo verso le sorgenti delle acque. (S. Agost.).

III. — 5-11.

ff. 5. – Benché talvolta noi perveniamo, camminando sotto l’impulso del desiderio che dissipa le nubi intorno a noi, ad intendere questi suoni divini, in modo da percepire con i nostri sforzi, qualcosa della casa di Dio, ciò nonostante, attratti per i piedi dalla nostra debolezza, ricadiamo ben presto nelle nostre abitudini e ci lasciamo introdurre alla nostra vita scostumata. Ed anche quando nell’avvicinarci a Dio, noi abbiamo trovato la gioia, ricadendo sulla terra, troveremo di cosa gemere. In effetti, questo cervo, questo giusto che mangia la sue lacrime notte e giorno, e che è guidato dal suo desiderio verso le sorgenti dell’acqua, cioè verso le dolcezze interiori di Dio che espande la sua anima sopra di lui, e marcia nel luogo di questa mirabile tenda fino alla casa di Dio, condotto dalle delizie del canto interiore che ha compreso, quand’anche giunga a disprezzare tutte le cose esteriori e a non desiderare che le cose interiori, questo giusto non è ancora che soltanto un uomo; egli ancora geme qui in basso, porta ancora una fragile carne, è ancora in pericolo in mezzo agli scandali del mondo. Egli ha dunque gettato uno sguardo su se stesso, ritornando per così dire nelle sue altezze; egli ha comparato le tristezze in mezzo alle quali si trova con le meraviglie che ha intravisto entrando nella casa di Dio, e che ha lasciato uscendone; e si sente dire: « … Anima mia, perché sei triste, e perché mi turbate? ». Ecco che già abbiamo gioito di una certa dolcezza interiore; ecco che nella parte più elevata del nostro spirito, noi abbiamo potuto intravedere, benché succintamente e di sfuggita qualche cosa di mirabile; perché dunque mi turbate ancora? Perché ancora siete triste? In effetti voi non avete dubbi circa il vostro Dio; non siete privo di risposte contro coloro che dicono « … dov’è il vostro Dio »? Ho già pregustato ciò che è immutabile; perché ancora mi turbate? « Sperate in Dio ». E la sua anima gli risponde in segreto: perché mi turbate, se non perché io non sono in questa dimora dove si gusta questa dolcezza e in seno alla quale io già sono stata trasportata come di passaggio? È che ora che io beva a questa sorgente senza nulla temere? Cosa fare al presente per non temere alcuno scandalo? Sono forse al presente in sicurezza contro le mie cupidigie? Il demonio, mio nemico, non tende tutti i giorni contro di me perfide insidie? E non volete che io mi turbi mentre sono nel mondo, ancora esiliato dalla casa di Dio? Allora, alla sua anima che lo turba e che gli chiede conto, per così dire, di queste turbe, esponendogli i mali di cui è pieno il mondo, egli risponde: « Sperate in Dio ». Aspettando, aspettate quaggiù nella vostra speranza; « perché la speranza delle cose che si vedono, non è più una speranza; ma se speriamo ciò che non vediamo, noi lo attendiamo con pazienza » (Rom. VIII, 24S. Agost.). – Diversi sono i tipi di tristezza: la tristezza di questo mondo, che proviene dal dolore di aver perso i beni del secolo; dell’attaccamento vivo a questi beni putrescenti; dell’impotenza nel non vedersi soddisfatte le passioni: è questa una tristezza criminale che ci accomuna agli empi e produce la morte. – Tristezza nell’umore, nell’aspetto, di disgusto delle cose di Dio, di turbamento e di inquietudine: tristezza imperfetta e talvolta dannosa. – Tristezza secondo Dio, che viene dal fatto che il giusto, persecutore irreconciliabile delle proprie passioni, si trova ancora perseguitato dalle ingiuste passioni degli altri. – Tristezza secondo Dio che « riempie il cuore dei fedeli », quando sui fiumi di Babilonia ed in mezzo ai beni passeggeri, essi sentono i loro esilio e piangono ricordando Sion, la loro cara patria. – Tristezza secondo Dio che soprattutto produce, dice l’Apostolo, una stabile penitenza; tristezza santa e salutare, semenza di gioia divina e di salvezza eterna (Dug. e Bossuet: Trist. des enf. de Dieu).

ff. 6. –  « La mia anima è turbata in me ». È turbata in Dio? Essa è turbata in me, essa è alleviata in Colui che è immutabile; essa è turbata in me, che sono soggetto a cambiamenti. Io so che la giustizia di Dio è stabile, io non so se la mia sia durevole, perché l’Apostolo San Paolo non sbaglia quando dice: « … colui che crede di essere in piedi, prenda cura di non cadere » (I Cor. X, 12). Dunque, poiché non mi piace impormi, io non pongo in me la mia speranza, e non amo essere in me turbato. Volete che essa non sia turbata? Che non resti in voi, dite al contrario: « Signore io ho elevato la mia anima a Voi » (Ps. XXIV, 1). Non riponete dunque la vostra speranza in voi, ma nel vostro Dio; perché se la mettete in voi, la vostra anima è turbata, poiché non trova in voi motivo di sicurezza. Dunque, poiché la mia anima è turbata in me, cosa mi resta se non di essere umile per evitare ogni presunzione? Cosa mi resta se non occupare l’ultimo posto; se non umiliarmi per essere elevato, se non nulla attribuirmi, affinché Dio mi doni ciò che mi è utile. Dunque, perché la mia anima in me è turbata, è l’orgoglio che produce questo turbamento, «a causa di ciò, io mi sono ricordato di voi, mio Signore, dalle rive del Giordano e dalla piccola montagna dell’Hermoniim ». Dove mi sono ricordato di voi? Da una piccola montagna e dalle rive del Giordano. Forse è dal Battesimo, ove si trova la remissione dei peccati? Nessuno in effetti corre alla remissione dei peccati, se non colui che si confessa peccatore, e nessuno si confessa peccatore se non umiliandosi davanti a Dio (S. Agost.).

ff. 7, 8. – Ecco l’espressione figurata per esprimere la grandezza delle afflizioni paragonate a tracimazioni d’acqua che si susseguono continuamente le une alle altre. – Orbene, secondo i Santi Padri, l’abisso della miseria degli uomini, attira l’abisso della misericordia. Nel senso opposto l’abisso della malizia del cuore umano attira l’abisso della giustizia divina. – O ancora, la profondità impenetrabile del cuore dell’uomo, richiede la profondità infinita della scienza di Dio stesso che sonda, come si dice, i reni ed il cuore di tutti gli uomini (Duguet). – Quando i flutti del mare si sollevano e minacciano una prossima morte, coloro che si vedono sul punto di essere ingoiati dalle furiose ondate, non sono più toccati da nessuna preoccupazione della terra, né dai piaceri dei sensi. Essi gettano fuori dal vascello tutte le cose per le quali hanno attraversato i mari, ed il desiderio di salvare la loro vita fa sì che considerino un nulla ciò che stimavano di più. È quel che succedeva al Profeta, quello che succede tutti i giorni alle anime afflitte che si trovano avvolte sotto i flutti della giustizia di Dio. Esse sono insensibili a tutto ciò che accade nel mondo, a tutti i vani piaceri del secolo (Idem). – Dopo che saranno passate queste grandi acque e questi orribili abissi, il Signore invia, nel giorno della prosperità, la sua misericordia nel visitarci e nel consolarci. È un bel giorno questo che sorge dopo una notte oscura. Questo felice cambio arriva per coloro che sono fedeli a Dio nel tempo dell’afflizione e che, in luogo di piangere e mormorare durante la notte della desolazione, Gli cantano un cantico di azioni di grazie.

ff. 9. 11. – « In me è la mia preghiera, etc. …»: io non andrò in effetti a comprare al di là dei mari le suppliche che devo fare a Dio; o, perché Dio mi esaudisca, non navigherò più in paesi lontani, per riportarne l’incenso ed i profumi; io non prenderò dal mio gregge delle vittime per offrirgliele in sacrificio: « in me è la mia preghiera al Dio della mia vita ». Io ho dentro di me la vittima da immolare, ho dentro di me l’incenso da offrire, io ho dentro di me il sacrificio per placare il mio Dio (S. Agost.). – « Dov’è il tuo Dio? ». Questa domanda ironica degli empi è ripetuta due volte in questo Salmo, e si sente che è una delle prove più difficili alle quali la pietà possa essere esposta. La più grande pena di Giobbe e di Tobia era questa domanda insolente che veniva loro rivolta all’apice della loro sofferenza: dov’è dunque il vostro Dio? Dove la vostra speranza? Dove sono le vostre elemosine? Gesù-Cristo ha voluto essere così l’oggetto di simili beffe: « … ha posto la sua fiducia in Dio, che Dio lo liberi se Lo ama ». Il mondo non cessa di utilizzare verso i servi di Dio quest’arma del sarcasmo e del ridicolo. Occorre prepararsi di buon ora a questo genere di combattimento, ove si trionfa solo con un’umile pazienza e con profondo sentimento dell’onore cristiano. Chi teme Dio sfida tutte le altre paure; chi spera in Dio disprezza tutte le altre speranze. Contro un tale uomo, il mondo è disarmato (Rendu). – Cosa mi interessano l’ignoranza, il disprezzo di questi beffardi di professione che mi dicono tutti i giorni: « … dov’è il vostro Dio? », dov’è la vostra aspettativa? Chi considera la vostra pazienza? Cosa è diventata la promessa del suo avvento? Cosa importano le loro risate e le loro negazioni, lasciamo loro i dubbi e le oscurità, i loro ristretti orizzonti, le loro aspirazioni limitate alla terra, il loro spirito che si imprigiona nei tempi, il loro cuore vuoto di Dio, la loro anima chiusa alla speranza, la loro vita cupa e desolata che si svolgerà con inutili rimpianti. Ma noi che abbiamo lo sguardo più fermo, che davanti abbiamo le più ampie prospettive, conserviamo la nostra fede e la nostra fiducia in Dio, e le nostre speranze eterne, con la parte migliore e più pura del genere umano (Mgr. Freppel). – Ah, senza dubbio, i nostri occhi, come quelli del Re-Profeta, si bagnano di lacrime a queste parole di insulto e di incredulità, ma queste lacrime, noi le riversiamo su di loro, perché essi non conoscono nulla del destino sublime dell’uomo, … non vedono nulla al di là della corruzione della morte e della polvere delle tombe; noi piangiamo su di essi, perché sono completamente estranei a questa alleanza spirituale che Dio ha voluto contrarre con gli uomini, perché essi sono senza speranze circa i beni promessi e come senza Dio in questo mondo; sono queste delle anime vuote di fede, legate alle loro basi, aperte solo al tumulto dei sensi ed al delirio delle passioni: noi piangiamo su di essi, perché quale spettacolo più deplorevole che vedere delle anime immortali dire a Dio: « … io non voglio la vostra immortalità; io amo piuttosto la morte, il niente ». Ma nello stesso tempo noi espandiamo la nostra anima fuori da noi stessi, e diciamo: noi passeremo un giorno nel luogo di questo tabernacolo mirabile, fino alla casa di Dio. Perché dunque, anima mia, ti rattristi per le loro beffe, e perché mi turbi? La testimonianza dei morti prova qualcosa contro i viventi? Cosa fa a noi Cristiani, l’essere accusati di illusione, di credulità, di vana speranza, da uomini che non hanno né la fede, né il senso delle cose di Dio? Sanno essi su cosa riposano le nostre speranze? Conoscono i fondamenti incrollabili della nostra credenza dell’immortalità? Possono farne delle congetture? Chi dice loro che siamo vittime di un miraggio ingannatore, che fissiamo gli occhi su queste sponde immortali come verso il termine della nostra traversata in questo mondo? Essi non sanno che la croce di Gesù-Cristo ci ha aperto queste immense regioni che noi percorriamo con passo fermo sotto la condotta dello Spirito di Dio; essi non sanno che la croce di Gesù-Cristo, ha unito questi due termini così lontani: la terra con il cielo; essi non hanno inteso come questa voce del cielo che ci ha detto: « … Beati coloro che muoiono nel Signore! » Da allora, dice lo Spirito Santo, essi si riposano dai loro lavori, perché le loro opere li seguono (Apoc. XIV, 13). – « Spera in Dio, anima mia, perché è Egli mia salvezza e mio Dio ». (Serm.)

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 2 OTTOBRE, FESTA DEGLI ANGELI CUSTODI

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

[Da: I Sermoni del Curato d’Ars, trad. it. di Giuseppe D’Isengard, vol. IV, Torino, libreria del Sacro Cuore – 1907]

2 Ottobre.

FESTA DEI SS. ANGELI CUSTODI.

“Angeli eorum in cœlii semper vident faciem Patris mei, qui in cœlis est”

Gli Angeli di questi fanciulletti veggon continuamente il volto del mio Padre celeste.

(S. MATTEO XVIII, 10).

Qual bontà, miei fratelli, e qual tenerezza da parte di Dio! Non contento d’averci dato il suo Figliuolo unigenito, l’unico oggetto delle sue compiacenze, per sacrificarlo alla morte più crudele; non contento d’averci strappato alla tirannia del demonio, e averci chiamati alla gloriosa qualità di figli di Dio e scelti coeredi del suo regno, vuol di più mandare a ciascun di noi un Angelo dal cielo che ci custodisca in tutti i giorni della nostra vita. Quest’Angelo non deve abbandonarci, se prima non è comparso con noi dinanzi al tribunale di Gesù Cristo per rendergli conto di tutto ciò che avremo fatto. Sì, miei fratelli, gli Angeli nostri custodi sono i nostri amici più fidi, perché stanno con noi giorno e notte, in ogni tempo e in ogni luogo. La fede c’insegna che li abbiam sempre a fianco; il che fece dire a David, « che nulla ci potrà nuocere, poiché il Signore ha comandato ai suoi Angeli d’aver cura di noi » (Ps. XC, 11); e per far intender quanto sia grande la cura che hanno di noi, il profeta dice che ci portano tra le lor mani, come la madre porta il suo figlioletto. Ah! Dio previde i pericoli innumerevoli, a cui saremmo esposti sulla terra, tra tanti nemici che cercano tutti la nostra perdita. Sì, miei fratelli, i nostri Angeli custodi ci consolano nelle pene, ci avvertono quando il demonio ci si accosta per tentarci, presentano a Dio le nostre preghiere e tutte le nostre opere buone, ci assistono all’ora della morte e presentano le nostre anime al Giudice supremo. Oh! fratelli miei, quanti beni riceviamo pel ministero dei nostri buoni Angeli custodi. Per eccitarvi ad avere in essi grande fiducia, vi dimostrerò: 1° Quanto gran cura si pigliano di noi; 2° che cosa dobbiam fare per attestar loro la nostra riconoscenza.

I. — Voler dimostrare, fratelli miei, che esistono Angeli, sarebbe un perditempo. Fin dai primi giorni del mondo il commercio degli Angeli cogli uomini è così frequente, che la santa Scrittura ne fa menzione ad ogni momento. Bisognerebbe non aver ombra di buon senso per poterne dubitare. Quando Adamo era nel paradiso terrestre, il Padre celeste gli mandò i suoi Angeli per comunicargli i suoi voleri. Quando Adamo sgraziatamente peccò, un Angelo lo scacciò dal Paradiso, (Genesi III, 24 – dice, sì, che Dio pose un cherubino alla porta del paradiso terrestre, poiché Adamo ne fu cacciato; ma non parla punto delle comunicazioni precedenti del primo uomo cogli Angeli buoni. – Nota degli editori francesi). Quasi tutti i patriarchi e i profeti dagli Angeli vennero informati dei voleri del Signore. Vediamo anzi spesso Dio farsi rappresentare dagli Angeli. — Ma, direte forse, se si vedessero, si avrebbe in essi maggior confidenza. — Se ciò fosse stato necessario alla salute della nostra anima, Dio li avrebbe resi visibili. Ma ciò importa poco, perché nella nostra Religione conosciamo per via di fede, e ciò avviene perché tutti i nostri atti sian meritori. D’altra parte siam certi della loro presenza, come se li vedessimo cogli occhi nostri. Se desiderate sapere il numero degli Angeli e i loro uffici, vi dirò che sono innumerevoli; gli uni sono stati creati per onorare Gesù Cristo nella sua vita nascosta, sofferente e gloriosa, o per essere custodi degli uomini, senza cessar tuttavia di godere della divina presenza (« Angeli eorum (parvulorum sive hominum) in cœlis semper vident faciem Patria mei, qui in cœlis est». – S. MATTEO XVIII, 10). Altri sono occupati a contemplare le perfezioni di Dio e vegliano alla nostra conservazione, assicurandoci tutti i mezzi necessari per la nostra santificazione. Sebbene Dio solo basti a tutto, pure si vale del ministero degli Angeli pel governo del mondo. Alcuni sono costituiti protettori dei regni, altri degli imperi, ecc. Se consideriamo quanta cura ha Dio della nostra vita, dovremo concluder che l’anima nostra è pur qualche cosa di grande e prezioso, dacché a conservarla e santificarla si serve di quanto è nella sua corte di più grande. Ci ha dato il suo Figliuolo per salvarci. E il suo Figliuolo poi dà il suo Corpo e il suo Sangue a nutrimento delle anime nostre, si adatta a rimanere notte e giorno in mezzo a noi, e a ciascun di noi dà uno o anche parecchi Angeli, solo occupati di chiedergli per noi le grazie e gli aiuti necessari alla nostra salvezza. Non è vero, fratelli miei, che non abbiamo mai pensato bene a quel che siamo, a quel che vale l’anima nostra? Oh! quanto poco l’uomo conosce che cos’è e per qual fine fu creato!… Leggiamo nella santa Scrittura che il Signore diceva al suo popolo: « Vi manderò il mio Angelo, perché vi guidi in tutti i vostri passi » (Es. XXIII, 20). Oh! miei fratelli, chi potrà numerare le grazie che riceviamo per la protezione dei nostri Angeli custodi? Sì, essi ci consolano nelle afflizioni. Quando Agar, dice la Scrittura, fu cacciata dalla casa del suo padrone, si ritirò in un deserto, e siccome quivi s’abbandonava alla tristezza, il Signore le mandò un Angelo che la consolasse e le dicesse: « Non ti lasciar andare alla disperazione, ma torna alla casa del tuo padrone, e sii più sottomessa » (Gen. XVI, 9).Un Angelo fu mandato dal Signore a Lot per dirgli che uscisse subito dalla città di Sodoma, prima che il Signore vi facesse cadere il fuoco dal cielo (ib. XIX). Gli Angeli preservarono dalle fiamme i tre giovanetti nella fornace di Babilonia (Dan. III), e chiusero le fauci dei leoni per impedir loro di divorare Daniele profeta (ibid. VI, 22).Gli Angeli, fratelli miei, sono ben lieti di assisterci nelle cose nostre, se queste sono secondo il beneplacito di Dio: e ne abbiamo un bell’esempio nella persona del giovine Tobia. Suo padre lo mandò a Bages per richiedere il suo denaro: non conoscendo la via, Dio gli mandò l’arcangelo Raffaele, che gli si presento sotto l’aspetto d’un giovine (Tob. V, 5). Tobia gli chiese, se conosceva la strada per andare a Bages. L’Angelo rispose che la conosceva, e conosceva anche Gabelo presso il quale doveva andare. Il giovane, lietissimo, corre a dire al padre che aveva trovato un uomo che sapeva la via per Rages e conosceva Gabelo. L’Angelopartì dunque con Tobia, e gli diede tutte le intormazioni necessarie pel suo viaggio. Durante il cammino, essendo Tobia andato sulle sponde del Tigri, parve che un pesce enorme venisse contro di lui per divorarlo. Ricorse subito al suo protettore senza sapere che fosse un Angelo; e questi gli disse: « Non temere, ma tiralo a te ». E tosto il pesce morì. Gli disse pure: « Prendi il fiele e portalo teco: ne fregherai gli occhi del padre tuo, e così gli renderai la vista ». Lo condussepoi presso Raguele, suo parente, ove tutto si conchiuse pel meglio. Gli salvò anche la vita incatenando il demonio. Tornati che furono, il giovine Tobia, non sapendo come compensare tanti benefizi, disse a suo padre: « Padre mio, quando pur dessimo alla mia guida la metà di quanto abbiamo portato, non basterebbe in ricompensa di tutti i servigi che m’ha reso nel viaggio: m’ha condotto e ricondotto sano e salvo, m’ha liberato da un mostro che stava per divorarmi, ha riscosso egli in persona il denaro che Gabelo ci doveva, m’ha fatto prendere in moglie una donna secondo il cuore di Dio, finalmente ha impedito al demonio di darmi la morte, come ai sette mariti ch’essa aveva sposato prima di me ». Or volendo il padre fargli accettare la metà di quanto avevano portato, l’Angelo si fece conoscere e disparve. Essi poi, per mostrare a Dio la loro riconoscenza, stettero lungo tempo prostrati con la faccia per terra. Vedete, fratelli miei, quanta cura hanno gli Angeli di noi, se abbiamo in essi confidenza?… Della protezione del nostro angelo custode abbiamo pure un bell’esempio in S. Agnese, vergine e martire (RIBADENEIRA al 21 di Gennaio). Siccome apparteneva a una grande famiglia romana, fu chiesta in isposa da Procopio, figlio di Sinfronio, allora prefetto della città. Agnese, che s’era già data a Gesù Cristo, rifiutò tal partito, sebbene per lei vantaggioso. E non temette di dire a Procopio, venuto in persona a visitarla: « Ritirati, tiranno, stimolo di peccato, pietra di scandalo e pascolo di morte, e non pensare ch’io voglia essere infedele a Gesù Cristo, mio sposo. Il mio cuore è tutto suo: Egli è buono, è bello, ha quanti pregi possono desiderarsi ». Il prefetto la fece chiamare e la scongiurò a non ricusare di maritarsi al suo figliuolo; che, se rifiutasse, la farebbe trascinare in un luogo infame, ove perderebbe quella purezza che le stava tanto a cuore di conservare. Agnese rispose al prefetto: «Non v i affannate: non temo nulla: ho mio custode un Angelo, che avrà cura di me, e in maniera prodigiosa prenderà la mia difesa ». Vedendo che non poteva conseguire il suo scopo, il magistrato ordinò che fosse spogliata delle sue vesti, e trascinata così per tutta Roma per esser poi data in balìa dei libertini. Per un miracolo dell’onnipotenza di Dio i suoi capelli crebbero a segno, che bastarono a coprire il suo corpo. Arrivata al luogo infame, il suo Angelo custode le si fece vedere visibilmente per difenderla e ricoprirla d’una veste candida come la neve; e in pari tempo, quell’antro di impurità fu illuminato da una luce più splendente che il sole. I libertini entrarono là; ma, stupiti di tante meraviglie, e colpiti di spavento vedendo quell’Angelo d’incomparabile bellezza, tutti si convertirono. Procopio volle venire alla sua volta a sfidar tutti quei prodigi; ma l’Angelo che custodiva Agnese, lo colpì e cadde morto a’ piedi della santa. Il prefetto della città, informato che suo figlio era morto in quel luogo infame, venne da Agnese maltrattandola « qual furia uscita dall’inferno, mostro nato a perdizione de’ mortali ». Agnese rispose che non essa aveva fatto morir Procopio, ma egli stesso con la sua sfrontatezza era stato causa della propria morte. Perciò il suo Angelo custode l’aveva colpito quando appunto stava per rapirle il tesoro della sua purità. Tuttavia la santa, volendo far conoscere al magistrato la potenza del suo sposo, e mostrargli che i Cristiani sapevano rendere ben per male, risuscitò Procopio, che corse per tutta Roma, ripetendo senza posa che il Dio de’ Cristiani era il solo vero Dio.. . Quest’esempio dimostra quanto grandi aiuti e quante grazie riceviamo dai nostri buoni Angeli custodi, seppure abbiano la buona sorte d’avere in essi grande fiducia, soprattutto nelle tentazioni e nei pericoli… Ma, direte forse, quand’è che Dio ci manda dal cielo i nostri Angeli custodi? — Appena le nostre anime son create, fratelli miei, ossia appena i nostri corpi sono in tal condizione da poterli ricevere, sicché una madre incinta ha il proprio angelo custode ed anche quello del figliuolo che porta nel suo seno, il quale veglia perché nulla possa togliergli la vita prima che abbia ricevuto il santo Battesimo. Bisognerebbe esser capaci d’intendere, fratelli miei, quanto sia grande la gioia de’ nostri Angeli custodi, quando siam portati alla chiesa per ricevere il santo Battesimo. Con qual gioia scrivono il nostro nome nel libro della vita! È fuor d’ogni dubbio che abbiamo intorno gran quantità di demoni per farci cadere in peccato; e se l’Angelo custode non fosse accanto a noi per difenderci, soccomberemmo ad ogni assalto che il demonio ci muove. L’Angelo nostro custode ci fa scorgere la tentazione; egli c’ispira ad invocare l’aiuto di Dio, e ci richiama alla mente il pensiero della sua santa presenza per farci temere il peccato. Se sgraziatamente vi cadiamo, i nostri Angeli custodi vanno a gettarsi a’ piedi di Dio e gli domandano grazia per noi. Infatti dopo ogni peccato sentiamo d’ordinario il rimorso d’aver fatto male, e promettiamo a Dio di non più ricadervi. Senza dubbio l’Angelo custode, con le sue preghiere, ci ottiene questa grazia. Se ci vede insensibili alle offese che abbiam fatto a Dio, ci minaccia i castighi della divina giustizia: ci fa pensare alla morte e al rammarico che avremo in quell’ora d’aver fatto male. Ci fa pensare a qualche morte subitanea o spaventosa. Il pensiero del giudizio c’incalzerà, e quello dell’inferno ci si fisserà nel cuore a straziare l’anima nostra, e così ci costringerà in certo modo a non rimaner più a lungo in peccato. – I nostri Angeli custodi, fratelli miei, ci accompagnano dappertutto. È narrato nella storia che un giovane vedeva in modo sensibile il suo Angelo custode. Quando entrava in chiesa l’Angelo vi entrava sempre prima di lui. Appena fu prete, l’Angelo non volle più passare pel primo; si vedeva talora quel sacerdote parlare e rimaner lungo tempo sulla porta. Gli si domandò perché. « Prima ch’io fossi prete, rispose, il mio Angelo sempre mi entrava innanzi; ora non vuol entrar più, se io non entro pel primo » (HAMON, Vita di S. Francesco di Sales, T. I , p. 468). Ah! fratelli miei, se quando veniamo in chiesa ricordassimo che i nostri Angeli custodi ci precedono, con qual rispetto vi verremmo! Con qual modestia assisteremmo alla santa Messa, pensando che abbiamo a fianco un Angelo custode prostrato dinanzi al Dio di ogni grandezza! Con qual sollecitudine l’incaricheremmo di offrire a Gesù Cristo le nostre preghiere! Si narra pure che un giovane prìncipe inglese aveva abbandonato il suo palazzo per ritirarsi in un deserto. Dio, per mostrargli quanto ne fosse contento, gli concesse la lieta sorte di vedere ogni mattina ed ogni sera il suo Angelo custode. Di S. Francesca (Romana) si racconta che vedeva continuamente il suo Angelo custode in forma d’un fanciullo d’incomparabile bellezza, il cui volto era così risplendente che spesso di notte alla luce ch’esso spandeva poteva leggere il suo ufficio. L’Angelo era così sollecito di condurla alla perfezione, che, se nella sua solitudine per un momento si fosse lasciata andare a pensieri inutili, o le fosse sfuggita nella conversazione una parola oziosa, ei le faceva conoscere la sua colpa con lo sparire. Allora, tutta piena di confusione e di dolore per avere allontanato da sé il suo fedele custode, piangeva amaramente, pregando Iddio ad aver pietà di lei e promettendogli di correggersi. Dopo aver pianto qualche poco, vedeva ricomparire il suo Angelo custode, a cui esprimeva il suo cordoglio per averlo costretto ad allontanarsi. Se avveniva che chi era con la santa le dicesse qualche parola che potesse ferire anche menomamente la carità, manifestava la pena che ne sentiva, coprendosi il volto con le mani (RIBADENEIRA, al 9 marzo) … Fratelli miei, quantunque noi non vediamo, come lo vedeva questa santa, il nostro Angelo custode, pur siamo egualmente certi d’averlo vicino a noi per vegliare alla conservazione dell’anima nostra. Ohimè! di quali torture e di quali amarezze dobbiamo abbeverarlo conducendo vita così perversa! Che cosa deve pensare l’Angelo custode di chi non fa Pasqua, né si confessa? O d’una persona avanzata in età che si avvoltola continuamente nel peccato dell’impurità? Ah! mio Dio, se gli Angeli fossero capaci di patire, non sarebbero infelici al pari dei riprovati che ardono nell’inferno? Come mai gli Angeli, così puri, possono restare vicini a questi infami? Gli Angeli sì caritatevoli possono rimanere a fianco d’uomini vendicativi e pieni di malanimo? Gli Angeli così umili, possono accompagnare un superbo? Come può un Angelo, che ama Dio, esser felice con un empio, con un incredulo, che nega tutto e non crede a nulla? Possibile che siamo così cattivi e così ingrati verso amici così benefici, così fedeli a non lasciarci neppur per un istante? Sappiamo che i nostri Angeli custodi si danno gran pensiero di consolarci nelle nostre pene e nei nostri patimenti. – Leggiamo nella santa Scrittura (Gen. XXVIII) che Giacobbe, fuggendo il furore di suo fratello, s’addormentò lungo la via. Iddio per consolarlo gli mostrò in visione una scala, che andava dalla terra al cielo; e vedeva per essa Angeli che salivano e scendevano per offrire a Dio le nostre preghiere e riportarne le grazie da noi domandate. L’Angelo che aveva condotto e ricondotto il giovane Tobia, poiché si fu fatto conoscere disse a Tobia padre: « Quando pregavi piangendo e sepellivi i morti, io medesimo presentavo al Signore le tue opere buone » (Tob. XII, 12). Nella vita di S . Nicola da Tolentino (RIBADENEIRA, al 10 settembre) si narra che, ne’ due mesi della sua malattia, quattro Angeli stavano tutta la notte nella sua stanza, e cantavano sì dolce melodia che gli faceva dimenticare i suoi patimenti. Gli ultimi sei giorni prima della sua morte vi stettero giorno e notte: e quanti ebbero la bella sorte d’entrar nella sua camera, ebbero pur la consolazione d’udirne il canto. Gli angeli condussero seco l’anima sua in cielo. Mentre S. Liduina pativa atrocissimi dolori, le apparve un Angelo di sì grande bellezza che dimenticò le sue sofferenze (RIBADENEIRA, al 14 di Aprile). Possiam dire che gli Angeli si dilettano di renderci tutti i servigi di cui sono capaci, e che sta loro grandemente a cuore di farci aver parte alla loro felicità. Per essi vi è tra cielo e terra un santo commercio. Dio si servì spesso del ministero dei santi Angeli nei più importanti avvenimenti. Per mezzo loro istruiva i patriarchi e i profeti, per mezzo loro parlava al suo popolo. Leggiamo nella santa Scrittura che il Signore mandò il suo Angelo per dire in suo nome agli Israeliti: « Vi ho tratto fuori dall’Egitto e vi ho fatto entrare nella terra promessa e vi ho dato parola che non vi abbandonerò mai, ma a patto che mi foste fedeli. Voi non avete voluto udir la mia voce; perché avete fatto così? E appunto a cagione delle vostre infedeltà e del niun conto che avete fatto delle mie grazie, non vi ho difeso contro i vostri nemici » (Lev. XXVI, 13-17). Gli Israeliti, udendo queste parole dell’Angelo, mandarono lamentevoli grida, e versarono molte lacrime pregandolo di aver pietà di loro e non abbandonarli. Vediamo ancora che tutti gli uomini, i quali furono grandi sulla terra, furono annunziati dagli Angeli: Un angelo annunziò la nascita di Sansone, vendicatore del popolo di Dio (Giud. XIII, 3). Un Angelo annunzio la concezione di S. Giovanni (S. Luc. I, 13). Un Angelo annunziò la concezione del Salvatore (Ibid. I, 31); un Angelo né annunziò ai pastori la nascita (Ibid. II, 19), un Angelo intimò a Giuseppe di fuggire in Egitto (S. Matth. II, 13). Un Angelo pure consolò Gesù nella sua agonia nell’orto degli olivi (S. Luc. XXII, 43), gli Angeli seppellirono ed accompagnarono il corpo della SS. Vergine dopo la sua morte. Gli Angeli accompagneranno il Signore nell’estremo giudizio (S. Matth. XXV, 31). « Ciò posto, fratelli miei, se ciascuno dev’essere onorato secondo la sua dignità, dice S. Bernardo, qual onore e qual lode non dovremo rendere ai nostri Angeli custodi, la cui natura è sì perfetta, la cui santità cosi eminente, e di cui è sì splendida la gloria? » Ma più di tutto deve muoverci a venerazione verso di essi la loro inviolabile fedeltà a Dio. La loro innocenza non fu macchiata mai neppur della macchia più lieve, il loro amore e il loro zelo rimasero sempre costantemente gli stessi. Se amassimo Dio veramente, fratelli miei, quanto ci rallegreremmo perch’Egli riceve da questi spiriti beati lodi così perfette! Ohimè! quanto imperfette sono le lodi anche di quelli tra noi che lo amano di più! Quante distrazioni nel trattenerci con Dio! Nulla invece è capace di distrarre gli Angeli dalla presenza di Dio: tanto sono assorti nella contemplazione della sua grandezza! l’anno senza interruzione risuonare le volte de’ cieli di (mesto cantico di letizia: « Santo, santo, santo il Signore Dio degli eserciti: a Lui sia reso onore, gloria ed adorazione ne’ secoli de’ secoli » (Apocalisse, IV, 8). – Dico altresì che i nostri Angeli custodi son fedelissimi a soccorrerci nelle afflizioni. Negli Atti degli Apostoli (Act. XII) leggiamo questo fatto. S. Pietro, ch’era stato imprigionato per ordine d’Erode, dormiva tra i due soldati che gli facevano guardia la notte, ed era la vigilia del giorno in cui si doveva farlo morire; ad un tratto gli appare un Angelo, lo sveglia, spezza le sue catene, egli apre le porte del carcere dicendo: « Levati su prontamente, e seguimi ». Guidato dall’Angelo, uscì di prigione, e andò a battere alla porta della casa ov’erano adunati i discepoli. Una fantesca, udita la voce di Pietro, non potendo frenar la gioia, senza aprir la porta corse ad annunziare che Pietro era là. Non le si volle credere: chi la trattava di dissennata, chi credeva che fosse un Angelo. Ma Pietro, entrato, narrò a tutti i suoi fratelli che cosa aveva fatto il suo Angelo custode per liberarlo. Vediam pure che Dio mandava spesso i suoi Angeli a dare aiuto ai martiri. Così ai quaranta martiri di Sebaste gli Angeli recarono le corone, il che fu cagione che anche colui che li custodiva si convertisse vedendo quel prodigio (RIBADENEIRA, al 10 Marzo). – Il santo re David, che conosceva quanto siano gradite a Dio le loro lodi, invitava gli angeli a lodarlo e benedirlo dicendo: « Benedite il Signore voi tutti che siete ministri delle sue volontà » (Ps. CII, 21). Seguiamo l’esempio di questo santo re, fratelli miei, e preghiamo spesso gli Angeli a lodare e adorare Dio per noi; preghiamoli di prendere vicino a Lui il nostro posto per ringraziarlo di tutte le grazie che ci ha fatto nel corso della vita. Chiediamo ad essi che preghino Iddio a mutare i nostri cuori e farne cuori tutti celesti.

II — Per meritare la buona ventura della protezione dei nostri Angeli custodi, dobbiamo invocarli spesso, rispettarli assai e soprattutto cercar d’imitarli in tutte le nostre azioni. La prima cosa, in cui dobbiamo imitarli, è il pensiero della presenza di Dio: conforme al loro esempio non perdiamolo di vista mai. Ah! fratelli miei! se avessimo questa bella sorte, quanti peccati di meno!… Infatti se fossimo ben compresi del pensiero della presenza di Dio, come potremmo trascorrere al male? Oh! quanto più gradite a Dio sarebbero le nostre virtù e tutte le nostre opere buone! Non avremmo più rispetto umano, né mire umane. Se rammentassimo sempre la presenza di Dio, come avremmo cuore di rimanere in peccato, considerando quanto facciamo soffrire Gesù Cristo? Come potremmo voler male al nostro prossimo, pensando che Dio, la cui bontà è influita, osserva, legge ed ascolta tutti i movimenti del nostro cuore? Perciò Iddio, volendo elevare ad alta perfezione il patriarca Abramo, gli disse: « Abramo, vuoi esser perfetto? Cammina alla mia presenza » (Gen. XVII, 1). Come può essere che ci dimentichiamo sì facilmente di Dio, mentre l’abbiamo sempre dinanzi! Perché non siamo pieni di rispetto e di riconoscenza verso i nostri Angeli che giorno e notte ci sono compagni? Principi della corte celeste!… O mio Dio, siam pur felici! … Ma come siam lontani dall’intenderlo! — « Son troppo meschino, direte forse, per meritarlo ! » — Non solo, miei fratelli. Dio non vi perde di vista neppur un istante, ma vi dà un Angelo che guidi continuamente i vostri passi. Oh! felicità troppo grande, ma dagli uomini troppo poco conosciuta! Dobbiamo pure imitare il loro amore verso Dio. La sua gloria sta ad essi tanto a cuore, che quando sgraziatamente cadiamo in peccato, ci precipiterebbero nel profondo dell’inferno, se Dio non proibisse loro di punirci. Vorrebbero piuttosto esser gettati in mezzo ai dannati, che spiacere a Dio anche nella minima cosa. Perciò Nostro Signor Gesù Cristo ci dice che provano immensa gioia quando un peccatore si converte (S. LUCA XV, 10). Or se la conversione d’un peccatore rallegra tutta la corte celeste, qual gioia per questi ministri di pace, fratelli miei, quando vedono regnare tra noi quella carità che li congiunge a Dio in cielo! Dobbiamo certamente aver gran divozione a tutti gli Angeli, perché tutti s’occupano della nostra salute; ma particolar divozione dobbiamo avere ai nostri santi Angeli custodi per le grandi cure che hanno di noi e il grande desiderio onde sono accesi di condurci al cielo. Non possono lasciarci soli un istante per timore che il demonio c’inganni. Oh! qual felicità e quale consolazione, quando andiamo al riposo, sapere per fede che il nostro Angelo custode veglia durante la notte a nostra conservazione, e che la passerà tutta intera a pregare per noi! Qual gioia sapere che, quando usciamo di casa, non siamo mai soli per via! Gli antichi avean sì vivo il pensiero delia presenza degli Angeli custodi, che non salutavano alcuno senza insieme salutare il suo Angelo custode; e di qui viene pure l’antica usanza di dire ad una persona, quantunque sola: Saluto voi e la compagnia! Qual compagnia, se non quella dell’Angelo custode. Ma si dice senza riflettere. Poiché i nostri Angeli custodi non ci abbandonano mai. Dobbiamo essere docili agli ammonimenti che ci danno. Un solitario aveva spinto le sue penitenze a sì alto grado di rigore, che non poteva più reggersi in piedi. Siccome l’acqua, che doveva cercare, era molto lontana, diceva tra sé: « Poiché devo durar tanta fatica per andare a prender l’acqua, avvicinerò alla fontana la mia colletta ». Mentre era intento a questo pensiero, udì una voce che diceva: uno. due. tre », come di persona die contasse qualche cosa. Stupito di questo parlare, si volta e vede il suo Angelo custode, che contava i suoi passi, dicendo che il Signore glielo aveva comandato, e che nessuno ne sarebbe perduto. Il santo, vedendo che quella sua fatica era gradita a Dio, invece d’avvicinar la colletta, l’allontanò di più per acquistar maggior merito (Vite dei Padri del deserto). Ohimè! siam pur disgraziati, poiché non facciamo per Iddio tutte le nostre azioni! Quanto guadagneremmo pel cielo e qual consolazione daremmo al nostro Angelo custode! E quanto ci troveremmo ricchi all’ora della morte! Ohimè! Fratelli miei, quante volte i nostri peccati hanno costretto i nostri Angeli buoni ad allontanarsi da noi, cioè lasciarci in balìa de’ nostri nemici, che sono il demonio e le nostre passioni! Un’altra grazia riceviamo da essi, quando, essendo noi in peccato, destano senza posa nel nostro cuore rimorsi, e, siccome sono continuamente vicini a Dio, lo scongiurano a non lasciarci morire in tale stato. Allontanano da noi ogni occasione, e adoperano ogni sorta di mezzi per rimetterci in istato di grazia. Ci consolano nelle afflizioni e nelle persecuzioni. Ne abbiamo un bell’esempio nella storia di S. Vittore (RIBADENEIRA, ai 21 di Luglio. S. Vittore di Marsiglia.). Il suo Angelo custode gli si faceva vedere visibilmente per incoraggiarlo a soffrire il martirio, facendogli vedere la gloria grande che gli era preparata in cielo, e come si rendeva gradito a Dio. Perciò vediam pochi martiri, che abbiano sofferto con pari coraggio e pari gioia. Questo gran santo era soldato e viveva ai tempi di Diocleziano e Massiminiano. Questi due imperatori promulgarono l’editto che, chiunque non adorasse gli idoli, morrebbe tra i più crudeli supplizi. Vedendo che parecchi cristiani cominciavano a vacillare, Vittore andava di prigione in prigione, ove parecchi n’erano già rinchiusi, per accenderli del desiderio del martirio, ed anche li accompagnava al luogo del loro supplizio. Le sue parole avevano tanta forza e tanta grazia, che i martiri pareva non soffrissero punto, purché avessero accanto Vittore. Diceva loro: « Coraggio, amici miei, il cielo v’aspetta. Vedete Gesù Cristo che vi tende la mano; spregiate la vita che dura sì poco; innalzate verso il cielo i vostri cuori, e Gesù Cristo vi darà forza per combattere e vincere ». L’imperatore Massimiano, spinto dall’odio del nome cristiano, fa citare Vittore e ordina che sia attaccato ad un cavallo indomito, e trascinato per tutta la città: poi lo fa battere con le verghe, talché il corpo del santo era ridotto a un brano informe di carne. In mezzo a questi supplizi pregava Iddio che lo sostenesse con la sua grazia. Gesù Cristo, impietosito pei suoi patimenti, gli apparve con la sua croce e gli disse: « Coraggio, Vittore, io son Gesù Cristo, sono il tuo rifugio: non temere: sarò con te sino alla fine: abbi coraggio ». – Qualche tempo dopo gli apparve nella sua prigione il suo Angelo custode, gli tolse le catene, e lo consolò facendogli gustare anticipatamente le dolcezze che il Signore gli preparava in cielo. Poscia gli disse: « Esci di prigione, e fatti vedere all’imperatore, affinché sappia in che modo il Signore si prende cura di quei che lo servono ». Uscì di fatto. Il tiranno, stupito in vederlo, gli chiese chi l’aveva liberato. « Gesù Cristo, rispose, ha spezzato le mie catene pel ministero degli Angeli ». Massimiano fece ricondurre Vittore in prigione. Ma gli riapparve l’Angelo stesso, e riempì il carcere di sì viva luce, che tutti i prigionieri, che v’erano rinchiusi, domandarono istantemente il santo Battesimo. L’imperatore, informato di tutti questi prodigi, fece schiacciare Vittore con una enorme macina da mulino. Allora il suo Angelo custode ne condusse l’anima trionfalmente in cielo, ove Dio l’aspettava per darle la ricompensa. Perché dunque, fratelli miei, nelle tentazioni e nelle persecuzioni abbiam sì poco coraggio? A h ! perché facciamo assegnamento soltanto su noi medesimi, e non ricorriamo ai nostri Angeli custodi, che domanderebbero a Dio per noi la grazia di uscir vittoriosi, dai nostri combattimenti. Dico pure che, quando preghiamo, dobbiamo unirci bene ai nostri Angeli custodi, perché sono cosi accetti a Dio che Gesù Cristo non può ad essi negar nulla. Siam certi d’averli a fianco quando preghiamo, e specialmente quando ascoltiamo la santa Messa. Un discepolo di S. Giovanni Crisostomo ci narra che moltissime volte, mentre gli serviva la Messa, vedeva la casa di Dio piena d’una moltitudine d’Angeli; parte erano prostrati dinanzi al Corpo adorabile già presente sull’altare; parte andavano per la chiesa per ispirare ai fedeli il rispetto e l’amore, che dovevano avere per Gesù Cristo. Il diacono Pietro riferisce di S. Gregorio il fatto seguente: « Un giorno, nel tempo della Messa, giunto che fu a quelle parole che dice il celebrante: Pax Domini sit semper vobiscum: la pace del Signore sia sempre con voi, si udiron gli Angeli dir con voce risonante per modo che fu udita da tutti gli astanti: Et cum spiritu tuo: e col tuo spirito ». Perciò da quel tempo, quando il Sommo Pontefice celebra la Messa in pubblico, niuno risponde: Et cum spiritu tuo, per serbar memoria di quel miracolo. I nostri Angeli custodi non dimenticheranno poi segnar nel libro della vita tutte le nostre azioni buone per presentarle a Dio nel punto in cui saremo giudicati. Essi son depositari di tutto il bene da noi fatto in tutto il corso della nostra vita; essi, nel momento terribile della morte, ci ispireranno grande fiducia, e ci procureranno la bella sorte di ricevere gli ultimi Sacramenti. I nostri Angeli custodi chiedono a Dio per noi gran dolore dei nostri peccati. Raccogliamo tutto in due parole, fratelli miei: i nostri buoni Angeli custodi, dopo esserci stati compagni per tutta la nostra vita, dopo avere usato tutti i mezzi possibili o per farci uscir dal peccato o per farci perseverare nella grazia, conducono alfine le anime nostre trionfalmente in Paradiso. Se ne dubitate, udite Gesù Cristo il quale dice che gli Angeli recarono l’anima di Lazzaro nel seno d’Abramo, ch’è il luogo di salvazione. S. Antonio ci dice d’aver veduto l’anima di S. Paolo, primo eremita, portata in cielo dagli Angeli. – Ohimè! miei fratelli, chi potrà deplorare abbastanza la sciagura di quei Cristiani, che neppur sanno se abbiano un Angelo custode; e che lasceranno forse passare un tempo notevole senza ringraziare Iddio delle grazie che loro concede per la protezione del loro Angelo custode, o senza dire in suo onore un Pater ed Ave. Ah! non ci meravigliamo d’avere sì poco zelo per la gloria di Dio e la salute delle nostre anime! È perché il nostro Angelo custode ci abbandona a noi stessi in pena delle nostre ingratitudini; perciò facciamo molto male e poco bene. Ohimè! quanti Cristiani sono dannati per aver tenuto in niun conto i loro Angeli custodi. Quali rimproveri all’ora della morte, quando, nell’udirci implorare il suo soccorso, ci dirà, come a quel moribondo di cui si parla nella storia: « Va. sciagurato, non avesti per me che dispregio; perciò Dio m’ha comandato d’abbandonarti alla potenza dei demoni, di cui fosti servo fedele ». Ohimè! quant’è grande, mio Dio, il numero di costoro!… Vedete, fratelli miei, quanto la Chiesa desidera che abbiamo gran devozione verso gli Angeli. Ogni anno, nel mese d’Ottobre, celebra una festa in onore de’ santi Angeli e particolarmente de’ santi Angeli custodi. Com’è possibile dimenticare, fratelli miei, questi Angeli protettori, che ci son sempre a fianco e non ci abbandonano neppure un momento? Cerchiamo di ringraziare spesso Dio di questa grazia, e di ricorrere ad essi di frequente nelle nostre pene, nelle nostre malattie, nei nostri affanni, nelle nostre afflizioni. Sono i nostri migliori amici, ci amano e non si staccano da noi tinche non ci abbiano condotti in cielo. Cerchiamo di far di tratto in tratto qualche preghiera, qualche elemosina, e di far celebrare una Messa in loro onore; soprattutto lo facciano i padri e le madri per attirare sui loro figli e sui loro domestici la protezione de’ santi Angeli. Oh! se saranno fedeli a «presta pratica vedranno ben presto regnare nelle loro famiglie la pace e l’unione tra tutti i membri che le compongono; ma soprattutto la Religione, che li renderà felici in questo mondo aspettando d’esser felici nell’altro. Questa felicità vi desidero.

DELLA PRESENZA DI DIO

[S. A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e virtù cristiane; vol. II, Marietti ed. – Torino, 1917

– Trattato IV

DELLA PRESENZA DI DIO

CAPO I.

Dell’eccellenza di questo esercizio e dei gran beni che sono in esso.

“Quærite Dominum, et confìrmamini: quærite faciem ejus semper”

(Ps. CIV, 6).

Cercate Dio con fortezza e con perseveranza, dice il profeta David: cercate sempre la sua faccia… La faccia del Signore dice S. Agostino che è la presenza del Signore (D. Aug. super Psal. CIV): e così cercare la faccia del Signore sempre, è camminar sempre alla sua presenza, volgendo il cuore a Lui con desiderio e con amore. Isichio nell’ultima Centuria (e lo apporta anche il glorioso S. Bonaventura: D. Bonav. tom. 2 opusc, lib. 2 de prof. Relig. c. 20) dice, che lo star sempre in questo esercizio della presenza di Dio, è cominciare ad esser di qua beati; perché la beatitudine dei Santi consiste in veder Dio perpetuamente, senza giammai perderlo di veduta. Or giacché in questa vita non possiamo veder Dio chiaramente, né come Egli è, perché questo è proprio dei Beati; almeno imitiamoli nel modo nostro e secondo quello che comporta la nostra fragilità, procurando di star sempre riguardando, riverendo e amando Dio. Di maniera che siccome Dio Signor nostro ci creò per avere a stare eternamente alla sua presenza nel cielo, ed ivi goderlo; così volle, che avessimo qui in terra un ritratto e un saggio di quella beatitudine, camminando sempre alla sua presenza, contemplandolo e riverendolo, sebbene all’oscuro: Videmus nunc per speculum in ænigmate: tunc autem facie ad faciem (1 Cor. XIII, 12): Adesso il veggiamo e contempliamo noi per mezzo della Fede come per mezzo di uno specchio; di poi lo vedremo alla scoperta e a faccia a faccia: Ista est meritum, illa præmium: Quella vista chiara, dice Isichio, è il premio e la gloria e beatitudine che aspettiamo; quest’altra oscura è merito per mezzo del quale abbiamo da arrivare a conseguir quella. Ma infine al modo nostro imitiamo i Beati, procurando di non perdere mai Dio di veduta nelle nostre operazioni, siccome gli Angeli santi i quali sono mandati per nostro aiuto, per nostra custodia e nostra difesa, s’occupano in tal maniera in questi ministeri in prò nostro che mai non perdono Dio di vista; come lo disse l’Angelo Raffaello a Tobia: Videbar quidem vobiscum manducare et bibere: sed ego cibo invisibili, et potu, qui ab hominibus videri non potest, utor (Tob. XII, 19. 1) : Pareva bene che io stessi mangiando e bevendo con voi altri; ma io uso un altro cibo invisibile ed un’altra bevanda che non può esser veduta dagli uomini. Stanno gli Angeli santi del continuo come nutrendosi e sostentandosi di Dio: Semper vident faciem Patris mei, qui in cœlis est (Matth. XVIII, 10.): così noi altri sebbene mangiamo, beviamo, trattiamo e negoziamo cogli uomini, e pare che ci occupiamo e tratteniamo in questo; abbiamo non dimeno da procurare, che non sia questo il nostro cibo né il nostro trattenimento, ma un altro invisibile che gli uomini non veggono; cioè lo star sempre riguardando ed amando Dio e facendo la sua santissima volontà.Grand’esercizio fu quello che praticarono quei Santi e Patriarchi dell’antica legge in ordine a questo punto del camminare sempre alla presenza di Dio: Providebam Dominum in conspeciu meo semper; quoniam a dextris est mihi ne commovear (Ps. XV, 8). Non si contentava il reale Profeta di lodar Dio sette volte il giorno; ma sempre procurava di tenerlo presente. Era tanto continuo questo esercizio in quei Santi, che era anche comune linguaggio loro il pregiarsi di questo, soliti di spesso dire: Vivit Dominus, in cujus conspectu sto (III Reg. XVII, 1; – IV. Reg. III, 11): Vive il Signore, alla cui presenza io sto. Sono grandi i beni e le utilità che risultano dal camminar sempre alla presenza di Dio, considerando che Egli ci sta guardando; e perciò lo procuravano tanto quei Santi, perché questo basta a fare, che uno sia molto ben regolato e molto composto in tutte le sue azioni. Dimmi un poco, qual è quel servo che dinanzi agli occhi del suo padrone non proceda con molta puntualità? Ovvero qual servo si trova tanto sfacciato, che alla presenza del padrone non faccia quello che esso gli comanda, o ardisca di offenderlo sotto ai suoi occhi? ovvero qual sarà quel ladro a cui basti l’animo di rubare, mentre vede, che il Giudice gli sta guardando alle mani? Ci sta guardando Dio, il quale è nostro giudice ed è onnipotente, che può far che la terra s’apra e che l’inferno inghiottisca chiunque lo fa sdegnare contro di sé, e alcune volte l’ha fatto. Or chi ardirà di muoverlo a sdegno? E così S. Agostino diceva: Quando io, Signore, considero attentamente, che mi state sempre guardando e vegliando sopra di me notte e giorno, con tanta cura, come se in cielo e in terra voi non aveste altra creatura da governare che me solo: quando considero bene, che tutte le mie operazioni, pensieri e desideri, sono patenti e chiari dinanzi a voi, mi riempio tutto di timore e mi copro di vergogna (D. Aug. c. 14 soliloq.). Certo ci mette in grand’obbligo di viver giustamente e rettamente il considerare, che facciamo tutte le cose dinanzi agli occhi del Giudice che vede il tutto e a cui nessuna cosa si può celare. Se la presenza d’un uomo grave ci fa star composti, che farà la presenza di Dio?S. Girolamo sopra quello che Dio dice di Gerusalemme per mezzo del profeta Ezechiello, Meique oblita es (Ezech. XXII. 12), Ti sei dimenticata di me, dice: Memoria enim Dei excludit cuncta flagitia: La memoria di Dio esclude tutti i peccati. L’istesso dice sant’Ambrogio (D. Ambr. lib. de fide resurr. tom. 4). E in un altro luogo dice S. Girolamo: Certe quando peccamus, si cogitaremus Deum videre, et essa præsentem, numquam, quod ei displiceret, faceremus (D. Hieron. in Ezecb. 8 circa illum, Dicunt enim, non videbit Dominus nos). E’ tanto efficace mezzo la memoria di Dio e il camminar alla presenza sua, che se considerassimo che Dio è presente e che ci sta guardando, non ardiremmo mai di far cosa che gli dispiacesse. Alla peccatrice Taide bastò questo solo per lasciare la sua mala vita e andarsene all’eremo a far penitenza, come abbiamo detto di sopra (tract. V, c. 19). Diceva il santo Giob: Nonne ipse considerat vias meas, et cunctos gressus meos dinumerat (Job XXXI, 4)? Dio mi sta guardando come testimonio di veduta e mi va contando i passi; e chi ardirà mai di peccare né di far cosa mal fatta? – Per lo contrario tutto il disordine e tutta la ruina dei tristi nasce dal non ricordarsi che Dio è presente e che gli sta guardando, secondo quello che tante volte replica la Scrittura divina in persona degli uomini cattivi: Et dixisti: Non est, qui videat me ((3) Isa. XLVII, 10) — Non videbit novissima nostra (Jerem. XII, 4).E così lo notò san Girolamo sopra quel capo 22 di Ezechiello, ove il Profeta, riprendendo Gerusalemme di molti suoi vizi e peccati, viene a conchiudere, che la cagione di tutti essi era l’essersi dimenticata di Dio: e questa stessa cagione nota la Scrittura in molti altri luoghi. Siccome un cavallo senza freno si va a precipitare e una nave senza chi la governi si va a perdere; così levato via questo freno, l’uomo se ne va dietro ai suoi appetiti e alle sue passioni disordinate: Non est Deus in conspectu ejus: inquinata! sunt viæ illius in omni tempore (Psal IX, 26), dice il profeta David: Non tiene Dio dinanzi a’ suoi occhi, non lo considera presente dinanzi a sé; e perciò le vie sue, cioè le sue operazioni, sono macchiate di colpa in ogni tempo.Il rimedio che il beato S. Basilio in molti luoghi dà contra tutte le tentazioni e’ travagli, e contra tutte le cose e occasioni che ci si possono presentare, è la presenza di Dio (D. Basil, II. reg. brev. et in reg. fus. disput.). Onde se vuoi un mezzo breve e compendioso per acquistare la perfezione, il quale contenga e rinchiuda in sé la forza e l’efficacia di tutti gli altri mezzi, questo è desso, e per tale lo diede Dio ad Abramo: Ambula coram me, et esto perfectus (Gen. XVII, 1): Cammina alla mia presenza, e sarai perfetto. In questo, come in altri luoghi della sacra Scrittura, l’imperativo si piglia pel futuro, per significare l’infallibilità del successo. E cosa tanto certa, che sarai perfetto se andrai sempre riguardando Dio e se starai avvertito ch’Egli ti sta guardando; che da quest’ora ti puoi tenere pertale. Perché, siccome le stelle dall’aspetto del sole che hanno presente, e in cui stanno rivolte, traggono lume per risplendere dentro e fuori di sé, e virtù per influire nella terra; così gli uomini giusti i quali sono come stelle nella Chiesa di Dio, dall’aspetto del medesimo Iddio, dal mirarlo presente, e dal volgere il loro pensiero e desiderio a Lui, traggono lume col quale nell’interiore che Dio vede risplendono con vere e sode virtù, e nell’esteriore che veggon gli uomini risplendono con ogni decenza e onestà; e ritraggono virtù e forza per edificare e santificar altri. Non è cosa nel mondo che esprima tanto propriamente la necessità che abbiamo di star sempre alla presenza di Dio, quanto questa. Guarda la dipendenza che ha la luna dal sole, e la necessità che ha di star sempre rimpetto ad esso. La luna da sé non ha lume; ha solo quello che riceve dal sole, secondo l’aspetto col quale lo guarda; e opera nei corpi inferiori secondo il lume che riceve dal sole: e così i suoi effetti crescono e scemano secondo che ella stessa va crescendo e scemando: e quando si pone dinanzi alla luna qualche cosa che le impedisca l’aspetto e la vista del sole; subito nell’istesso punto si ecclissa e perde la sua luce, e con essa ancora gran parte dell’efficacia d’operare che aveva mediante il lume che riceveva dal sole. L’istesso accade nell’anima rispetto a Dio che è il suo sole. Perciò i Santi ci esortano a questo esercizio. S. Ambrogio e S. Bernardo trattando della continuazione e perseveranza che deve essere in noi intorno ad esso, dicono: Sicut nullum est momentum, quo homo non utatur vel fruatur Dei bonitate et misericordia; sic nullum debet esse momentum, quo eum præsentem non habeat in memoria (Ambr. lib. de dign. cond. bum. c. 2; D. Bernard, c. 6, medit.): Siccome non v’è punto né momento nel quale l’uomo non goda della bontà e misericordia di Dio; così non vi ha da esser punto né momento nel quale non abbia Dio presente nella sua memoria. E in un altro luogo dice S. Bernardo: In omni actu vel cogitatu suo sibi Deum adesse memoretur; et omne tempus, quo de ipso non cogilat, perdidisse se computet (S. Bern. in spec. mon.): In tutte le sue operazioni e in tutti i suoi pensieri ha da procurare il Religioso di ricordarsi, che ha Dio presente: e tutto il tempo che non pensa a Dio ha egli da tenerlo per perduto. Mai non si dimentica Dio di noi altri: sarà ben di ragione che noi altresì procuriamo di non mai dimenticarci di lui. S Agostino sopra quelle parole del Salmo 31, Firmabo super te oculos meos, dice: Non a te auferam oculos meos; quìa et tu non aufers a me oculos tuos (D. Aug. In Ps. XXXI, 8): Non leverò, o Signore, gli occhi miei da te; perché tu non levi mai i tuoi da me: sempre li terrò fermi e fissi in te, come faceva il Profeta: Oculi mei semper ad Dominum (Ps. XXIV, 15). S. Gregorio Nazianzeno diceva: Non tam sæpe respirare, quam Dei meminisse debemus (D. Greg. Naz. in I orat. Theol.): Tanto spesso e tanto frequente ha da esser il ricordarci di Dio, quanto il respirare, e anche più. Perché siccome ad ogni momento abbiamo necessità di respirare, per rinfrescare il cuore e per temperare il calor naturale, cosi abbiamo necessità di ricorrere in ogni momento a Dio coll’orazione, per raffrenare il disordinato ardore della concupiscenza che ci sta stimolando e incitando al peccare.

CAPO II.

In che cosa consiste quest’eserciziodi camminar sempre alla presenza di Dio.

Per poter noi cavar maggior frutto da quest’esercizio, bisogna che dichiariamo in che cosa consiste. In due punti consiste, cioè in due atti, l’uno dell’intelletto e l’altro della volontà. Il primo atto è dell’intelletto, poiché questo sempre si ricerca e si presuppone per qualsivoglia atto della volontà, siccome insegna la filosofia. La prima cosa dunque ha da essere il considerare con l’intelletto, che Dio è qui e in ogni luogo; che riempie tutto il mondo; e che sta tutto in tutto, e tutto in qualsivoglia parte di esso, e tutto in qualsivoglia creatura, per piccola che sia. Su questo si ha a fare un atto di fede, perché questa è una verità che la Fede ci propone per crederla: Non enim longe est ab unoquoque nostrum. In ipso enim vivimus, et movemur, et sumus (Ex Act. XVII, 27, 28), diceva l’Apostolo san Paolo: Non avete da immaginarvi Dio come lontano da voi, o come fuori di voi; perché è dentro di voi. S. Agostino dice di sé medesimo (lib. X Conf.): « Signore, io cercava fuori di me quello ch’aveva dentro di me. » Dentro di voi sta Egli. Più presente, più intimo e più intrinseco è Dio in me, che non sono io stesso. In esso viviamo, ci moviamo, e abbiamo l’essere: Egli è quegli che dà vita a tutto quello che vive; e quegli che dà forza a tutto quello che opera; e quegli che dà l’essere a tutto quello che è. E s’Egli non istesse presente, mantenendo tutte le cose, tutte lascerebbono d’ essere e si ridurrebbono al niente. Considera dunque, che sei tutto pieno di Dio, e circondato da Dio, e che stai come nuotando in Dio. Quelle parole, Pieni sunt cæli et terra gloria tua (Is. VI, 3), sono molto a proposito per questa considerazione: i cieli e la terra, o Signore, sono pieni della vostra gloria. – Alcuni per attuarsi meglio in questo esercizio considerano tutto il mondo pieno di Dio, come infatti Egli è: indi immaginano se stessi in mezzo di questo mare immenso di Dio, circondati da esso per ogni parte, in quel modo che starebbe una spugna in mezzo al mare, tutta inzuppata e piena d’acqua, e oltre di questo circondata d’acqua da tutte le bande. E non è questa cattiva similitudine rispetto al corto nostro intelletto; ma con tutto ciò ella stessa è assai debole e scarsa, e non arriva ad esprimere a sufficienza quel che diciamo; perché questa spugna in mezzo del mare se sale in alto trova fine; se cala al basso trova terra; se va da un canto all’altro trova lido; ma in Dio non troverà niuna di queste cose : Si ascenderò in cælum, tu illic es: si descendero in infernum, ades. Si sumpsero pennas meas diluculo, et habitavero in extremis maris, etenim illuc manus tua deducet me, et tenebit me dextera tua (Psal. CXXXVIII, 8, 9, 10). : S’io salirò in cielo, ivi sei Tu, Signore; e se me ne calerò sino all’inferno, pur vi sei; e se prenderò ali e me ne passerò di là dal mare, colà mi condurrà e mi terrà la tua potente mano. Non vi è fine o termine in Dio, perché è immenso e infinito. Inoltre la spugna, per esser corpo, non può esser totalmente penetrata dall’acqua la quale è un altro corpo; ma noi altri siamo in tutto e per tutto penetrati da Dio il quale è puro spirito. Pur finalmente queste ed altre simili comparazioni, ancorché scarse e manchevoli, aiutano e sono a proposito per farci comprendere in qualche modo l’immensità infinita di Dio, e come Egli è presente e sta intimamente dentro di noi e in tutte le cose. – E per questo le apporta S. Agostino (D. Ang. ep 57 ad Dard. et lib. 7 Confess. c. 5). Ma è d’avvertire in questo esercizio, che per questa presenza di Dio non fa di bisogno il formarci entro di noi alcuna sensibile immagine o rappresentazione di Dio, a forza di fantasia, figurandoci, che Egli ci stia a lato, o da un’altra banda determinata, né immaginarselo nella tale o tal altra forma o figura. Vi sono alcuni che s’immaginano di avere avanti di sé, ovvero al lato loro, Gesù Cristo nostro Redentore, che vada, o stia con essi, e gli stia sempre mirando in ciò che fanno: e in questa maniera stanno sempre alla presenza di Dio. Altri di questi s’immaginano Cristo crocifisso, che stia sempre loro dinanzi; altri se l’immaginano legato alla colonna; altri nell’orto in atto di far orazione e di sudar sangue; altri se l’immaginano in qualche altro passo della Passione, o in qualche mistero gaudioso della sua santissima Vita, secondo quello che suole più muovere ciascuno: ovvero per qualche tempo se l’immaginano in una azione e per qualche altro in un’altra. E ancora che questa sia cosa molto buona, se si sa fare; nondimeno, ordinariamente parlando, non è questo quello che più ci conviene e ci è più utile: perché tutte queste figure e immaginazioni di cose corporali straccano, e aggravano, e rompono assai la testa. Un S. Bernardo e un S. Bonaventura dovevano saper far questo d’altra maniera che noi, e vi trovavano gran facilità e quiete; e così se n’entravano in quei buchi delle Piaghe di Cristo e dentro al suo Costato, e quello era il loro ricovero, il loro rifugio e riposo, parendo loro d’udir quelle parole dello Sposo ne’ Cantici (Cant., II, 13, 14): Surge, amica mea, speciosa mea, et veni, columba mea, in foraminibus petræ, in caverna maceriæ. Altre volte s’immaginavano il piè della croce piantato e conficcato nel loro cuore, e stavano ricevendo nella loro bocca con grandissima dolcezza quelle gocciole di sangue che stillavano e scorrevano come da aperti fonti dalle Piaghe del Salvatore. Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (Isa. XII, 3). Facevano que’ Santi queste cose molto bene, e se ne stavano benissimo; ma se tu te ne vorrai stare tutto il giorno in queste considerazioni e con questa presenza di Dio, potrà essere, che, per un giorno e per un mese che tu lo faccia, perda tutto l’anno d’orazione; perché ti ci romperai il capo. Ben si vedrà quanta ragione abbiamo d’avvertire questa cosa; poiché anche per formarci la composizione del luogo, che è uno de’ preludi dell’orazione col quale ci facciamo presenti a quello che abbiamo da meditare, immaginandoci, che realmente quella cosa si faccia ed accada allora sotto i nostri occhi, avvertono quei che trattano dell’orazione, che non ha la persona da fissare né attuar molto l’immaginazione nella figura e rappresentazione di queste cose corporali che pensa; acciocché non si rompa la testa, e per guardarsi da altri inconvenienti d’illusioni che potrebbero occorrere. Ora se per un preambolo dell’orazione che si fa in così breve spazio di tempo, e stando uno quieto e posato, senza avere altra cosa che fare, vi bisogna tanta avvertenza e circospezione; che sarà volendosi tutto il giorno, e fra le altre occupazioni, ritenere questa composizione di luogo e queste materiali rappresentazioni? Quella presenza adunque di Dio della quale trattiamo adesso, esclude tutte queste immaginazioni e considerazioni, ed è molto lontana da esse; perché ora trattiamo della presenza di Dio in quanto Dio, il quale dico primieramente che non vi è bisogno di fingerselo presente, ma solamente di crederlo, perché questo è verissimo. Cristo nostro Redentore in quanto uomo sta in cielo e nel santissimo Sacramento dell’Altare; ma non istà in ogni luogo: onde quando c’immaginiamo presente Cristo in quanto uomo, questa è un’immaginazione che noi altri fingiamo; ma in quanto Dio è qui presente, e dentro di me, e in ogni luogo, e riempie ogni cosa: Spiritus Domini replevit orbem terrarum (Sap. I, 7). Non abbiamo dunque bisogno di fingere quello che non è; ma di attuarci in credere quello che è. Dico in secondo luogo, che l’umanità di Cristo si può bensì immaginare e figurare con l’immaginazione, perché ha corpo e figura; ma Dio, in quanto Dio, non si può immaginare né figurare com’Egli è; perché non ha corpo né figura, essendo puro spirito. Né anche un Angelo né la nostra propria anima possiamo immaginarci come sien fatti, perché sono spiriti; quanto meno potremo immaginarci né formarci concetto alcuno del come sia fatto Dio! – In che modo dunque abbiamo noi da considerare Iddio presente? Dico, che solamente col fare un atto di fede, presupponendo, che Dio è qui presente, poiché la Fede ce lo dice, senza voler sapere come né in che modo ciò sia: siccome dice san Paolo che faceva Mosè, il quale invisibilem tamquam videns sustinuit (Ebr. XI, 27) : Essendo Dio invisibile, egli lo considerava e lo teneva presente come se lo vedesse, senza voler sapere né immaginarsi come Egli fosse fatto: come quando uno sta parlando col suo amico di notte, senza voler cercare com’egli sia fatto né ricordarsi di questo, gode unicamente e dilettasi della conversazione e presenza dell’amico che sa esser ivi presente. In questa maniera abbiamo noi da considerare Dio presente: ci basti sapere, che il nostro amico è qui presente per godere della sua presenza. Non ti fermare a voler guardare come Egli sia fatto, che non ci affronterai, essendo di notte adesso per noi altri: aspetta, che si faccia giorno, e quando apparirà la mattina dell’altra vita, allora Egli si manifesterà, e potremo vederlo chiaramente com’Egli è fatto: Cum apparuerit, similes ex erimus; quoniam videbimus eum sicuti est (1 Giov. V, 2). Per questo Dio apparve a Mosè nella nuvola e nell’oscurità: non vuole che tu lo vegga; ma solamente che creda ch’Egli è presente. – Tutto questo che abbiamo detto appartiene al primo atto dell’intelletto che si ha da presupporre. Ma bisogna avvertire, che la principal parte di questo esercizio non consiste in questo; perché non si ha da occupare solamente l’intelletto, considerando Dio presente; ma s’ha da occupare anche la volontà, desiderando e amando Dio, e unendosi con esso: e in questi atti della volontà consiste principalmente quest’esercizio. Del che tratteremo nel capo seguente.

CAPO III.

Degli atti della volontà ne’ quali principalmenteconsiste quest’esercizio: e come abbiamoda esercitarci in essi.

S. Bonaventura nella sua mistica Teologia (D. Bonav. via 3 et in ep. 15 memorial, c. 22) dice, che gli atti della volontà con i quali in questo santo esercizio abbiamo da alzare il cuore a Dio, sono certi accesi desideri del cuore co’ quali l’anima desidera unirsi con Dio con perfetto amore; certi affetti infiammati, certi sospiri vivi delle viscere co’ quali ella chiama Dio; certi moti pii e amorosi della volontà co’ quali, come con ali spirituali, si stende ed alza in alto, e si va accostando e unendo più a Dio. Questi desideri e affetti del cuore veementi ed accesi, sono dai Santi chiamati aspirazioni; perché con essi l’anima s’alza a Dio, che è l’istesso che aspirare a Dio: ed anche, come dice S. Bonaventura (D. Bonav. ubi supra), perché  siccome respirando ricaviamo e tramandiamo senz’alcun altro atto deliberato il fiato dalla parte più intima del nostro corpo; così con gran prestezza e alle volte senza deliberazione, o quasi senza essa, caviamo questi accesi desiderii dall’intimo del nostro cuore. Queste aspirazioni e questi desiderii vengono dall’uomo espressi concerte brevi e frequenti orazioni che chiamano giaculatorie; Raptim jaculatas, dice S. Agostino (D. Aug. ep. ad Probam, quæ est 121); perché sono come certi dardi e saette infocate ch’escono dal cuore e in un punto si lanciano e drizzano a Dio. Usavano assai queste orazioni quei Monaci dell’Egitto, come dice Cassiano: Breves quidem, sed creberrimæ (Cass. Lib. 2 de ist. renunt.); e le stimavano e ne facevano gran conto; sì perché, come sono brevi, non istraccano il capo; sì anche perché si fanno con fervore e con spirito elevato, e in un punto si trovano nel cospetto di Dio; e così non danno tempo al demonio di frastornare colui che le fa, né di mettergli nel cuore impedimento alcuno. Dice S. Agostino certe parole degne di considerazione per tutti quelli che fanno profession d’orazione: Ne illa vigilans et erecta intentio, quæ tam necessaria est oranti, per productiores moras hebetetur (S. Aug. ep. ad Probam.); e le quali mostrano l’utilità di queste giaculatorie le quali servono acciocché quella vigilante e viva attenzione che è necessaria per orare colla dovuta riverenza e rispetto, non si vada rimettendo e perdendo, come suol avvenire nell’orazion lunga (S. Chrys. hom. 79). Ora con queste orazioni giaculatorie procuravano que’ santi Monaci di star sempre in questo esercizio, alzando molto spesso il cuore a Dio e trattando e conversando con esso Lui (Abbas Isaac collat. 10, c. 10). Questo modo di stare alla presenza di Dio è comunemente più a proposito per noi altri, più facile e più utile. Ma bisognerà dichiarar meglio la pratica di questo esercizio. Cassiano la mette in quel versetto, Deus, in adjutorium meum intende: Domine, ad adjuvandum me festina (Ps. LXIX), che la Chiesa replica nel principio di ciascuna Ora Canonica. Se cominci qualche affare pericoloso, chiedi a Dio che t’aiuti per uscirne bene. Signore, rivolgiti in aiuto mio: Signore, non tardare ad aiutarmi. Per ogni cosa abbiamo necessità del favor del Signore, e così sempre glielo abbiamo d’andare chiedendo. E dice Cassiano, che questo versetto è meraviglioso e molto a proposito per esprimere tutti i nostri affetti inqualsisia stato e in qualsivoglia occasione, o accidente nel quale ci veggiamo; perché con esso invochiamo l’aiuto di Dio; con esso ci umiliamo e riconosciamo la nostra necessità e miseria: con esso ci alziamo su e confidiamo di esser uditi e favoriti daDio; con esso ci accendiamo nell’amor del Signore che è il nostro rifugio e il Protettor nostro. Per quante battaglie e tentazioni ti si possono presentare, dice Cassiano, hai qui in pronto un fortissimo scudo, una corazza impenetrabile, e un muro inespugnabile: e così l’hai da portar sempre nella bocca e nel cuore; e questa ha da essere la tua continua e perpetua orazione, e il tuo camminare e star sempre alla presenza di Dio. S. Basilio mette la pratica di questo esercizio nel prendere occasione da tutte le cose di ricordarci di Dio. Se mangi, ringrazia Dio: se ti vesti, ringrazia Dio: se esci in campagna, o vai all’orto, o al giardino, benedici Dio che l’ha creato: se guardi il cielo, se guardi il sole, e tutto il resto, loda il Creatore di ogni cosa: quando dormi, ogni volta che ti svegli, alza il cuore a Dio (D. Basil. hom. in mart. Julitam). Altri, perché nella vita spirituale vi sono tre vie; una purgativa, che appartiene ai Principianti; un’altra illuminativa, che appartiene a’ Proficienti; e un’altra unitiva, che appartiene a’ Perfetti; mettono tre sorte d’aspirazioni e d’orazioni giaculatorie. Alcune sono indirizzate a conseguire il perdono de’ peccati e a purgare l’anima da’ vizi e dagli affetti terreni; e questea ppartengono alla via purgativa. Alcune altre sono indirizzate all’acquisto della virtù, al vincer le tentazioni, e ad incontrare di buon grado difficoltà e travagli per la virtù; e queste appartengono alla via illuminativa. Alcune altre poi sono indirizzate ad acquistar l’unione dell’anima con Dio mediante un legame di perfetto amore; e queste appartengono alla via unitiva; acciocché ciascuno s’applichi a questo esercizio proporzionatamente al suo stato e alla disposizione in cui troverassi. Ma quanto a questo, sia pur uno quanto si voglia perfetto, si può esercitare nel dolore de’ peccati, e in chieder a Dio il perdono di essi e grazia per non offenderlo mai, e sarà esercizio molto buono e molto grato a Dio. E questo tale, e quegli altresì che attende a purgar l’anima sua da’ vizi e dalle passioni disordinate, e ad acquistare le virtù, si potrà anche esercitare in atti di amor di Dio, per far questo stesso con maggiore facilità e soavità. E così tutti, in qualunque stato si trovino, possono indifferentemente per questo esercizio frequentare questi atti, dicendo: O Signore, non vi avessi mai offeso! Non permettete, Signore, che io vi offenda giammai. Morir sì, ma non peccare. Piaccia alla Divina Maestà Vostra, che più tosto io muoia ben mille volte, che mai cada in peccato mortale. Alcune altre volte può uno alzare il suo cuore a Dio, ringraziandolo dei benefici ricevuti, così generali come particolari, o chiedendo qualche virtù; quando profonda umiltà; quando perfetta ubbidienza; quando carità; quando pazienza. Alcune altre volte può uno alzare il suo cuore a Dio con atti d’amore e di conformità alla volontà sua santissima, come dicendo: Dilectus meus mihi, et ego illi (Cant. II, 16): — Non mea voluntas, sed tua fiat (Luc. XXII, 42) :Quid enim mihi est in cœlo et a te quid volui super terram (Ps. LXXII, 24)? Queste ed altre simili sono tutte buone aspirazioni ed orazioni giaculatorie, per istare sempre in questo esercizio della presenza di Dio: e le migliori e più efficaci sogliono essere quelle che il cuore mosso da Dio concepisce da se stesso, benché non sia con parole tanto eleganti e tanto ben composte come quelle che abbiamo dette. Né meno è necessario, che siano molte e diverse queste orazioni: perché una sola reiterata spesso e con grande affetto può bastare ad uno per far quest’esercizio molti giorni e anche tutta la vita. Se ti trovi bene coll’andar dicendo sempre quelle parole dell’apostolo S. Paolo: Signore, che cosa volete ch’io faccia? (Act. IX, 6) o quelle della Sposa: Il mio Diletto per me, ed io per esso: o quelle del profeta David: Che cosa ho io da volere, Signore, né in cielo, né in terra se non voi (PS. LXXII)? non hai bisogno d’altro: trattienti in questo, e sia questo il tuo continuo esercizio e il tuo camminare e stare alla presenza di Dio.

CAPO IV.

Si dichiara anche meglio la pratica di questoesercizio, e si propone un modo di camminare e stare alla presenza di Dio molto facile ed utile, e di gran perfezione.

Fra le altre aspirazioni ed orazioni giaculatorie che possiamo usare è molto principale e molto a proposito per la pratica di questo esercizio quella che c’insegna l’apostolo S. Paolo nella prima Epistola a que’ di Corinto: Sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis; omnia in gloriam Dei facite (1 ad Cor. X, 31): O mangiate, o beviate, o facciate qualsivoglia altra cosa; ogni cosa fatela a gloria di Dio. Procurate in tutte le cose che farete, o quanto più frequentemente potrete, d’alzare il cuore a Dio, dicendo: Per Voi, Signore, fo questa cosa: per darvi gusto e per piacere a Voi, perché così Voi volete. La vostra volontà, Signore, è la mia, e il vostro gusto è il mio; né ho io altro volere, né altro non volere, che quello che voi volete, o non volete: questa è tutta la mia allegrezza, tutto il mio gusto, tutta la mia ricreazione, l’esecuzione e l’adempimento della vostra volontà, il piacere e dar gusto a voi: né v’è altra cosa che volere, né che desiderare, né in che metter l’occhio né in cielo né in terra. Questo è un modo molto buono di camminare e star sempre alla presenza di Dio molto facile ed utile, e di gran perfezione: perché è star in un continuo esercizio d’amor di Dio. E perché  in altri luoghi abbiamo toccato e per l’avvenire toccheremo di nuovo questa cosa, qui solamente voglio dire, che questo è uno de’ migliori e più utili modi di star sempre in orazione che vi siano e che possiamo usare. Né pare che vi manchi altra cosa per finire di canonizzare e di esaltare questo esercizio, che dire, che con esso staremo in quella continua orazione che Cristo nostro Redentore ricerca da noi, come abbiamo dal sacro Evangelio: Oportet semper orare, et non deficere (Luc. XVIII, 1): perciocché qual orazione può esser migliore che lo star sempre desiderando la maggior gloria ed onore di Dio, e lo starci sempre conformando alla volontà sua, non avendo altro volere, né altro non volere, che quello che vuole, o non vuole Dio, e che tutto il nostro gusto e la nostra allegrezza sia il gusto e la soddisfazione di Dio? Perciò dice un Dottore mistico (D. Dionys. Rich. Lib. 1 de contempi, c. 25), e con gran ragione, che colui che persevererà diligentemente in quest’esercizio con questi affetti e desideri interni, caverà da esso tanto frutto, che in breve tempo sentirassi mutato e cambiato il cuore, e proverà in esso particolare avversione al mondo e singolare affezione a Dio Questo è cominciare di qua ad essere cittadini del cielo e famigliari della casa di Dio. Jam non estis hospites et advenos; sed estis cives Sanctorum, et domestici Dei (Ad Ephes. II, 19). Questi sono quei celesti cortigiani che vide S. Giovanni che avevano il nome di Dio scritto nelle loro fronti, che è la continua memoria e presenza di Dio. Et videbunt faciem ejus, et nomen ejus in frontibus eorum (2 Apoc. XXII, 4) perché la loro conversazione non è più in terra, ma in cielo: Nostra autem conversatio in cœlis est (Ad Philipp, III, 20). — Non contemplantibus nobis quæ videntur, sed quæ non videntur: Quæ enim videntur, temporalia sunt; quæ autem non videntur, æterna sunt (II. ad Cor. IV, 18).Bisogna però avvertire in quest’esercizio,che quando facciamo questi atti, dicendo: Per voi, Signore, fo questa cosa, per amor vostro, e perché così voi volete, ed altri simili; abbiamo da farli e da dirli come chi parla con Dio presente, e non come chi volge il cuore, o il pensiero, a cosa lontana da sé, o fuori di sé. Questa avvertenza è di grande importanza in questo esercizio; perché questo è propriamente camminare e stare alla presenza di Dio, e questo è quello che rende quest’esercizio facile e soave, e fa che muova e giovi più. Ancora nelle altre orazioni, quando meditiamo Cristo in croce, o alla colonna, avvertono quei che trattano d’orazione, che non abbiamo da immaginarci, che quel Mistero operossico là in Gerusalemme e mille e tante centinaia d’anni sono; perché questo stracca più e non muove tanto; ma che dobbiamo immaginarci ogni cosa come presente, e che tutto segua qui dinanzi a noi, figurandoci di sentire i colpi de’ flagelli e le martellate onde furono confitti i chiodi. E se facciamo la meditazione della morte, dicono, che abbiamo da immaginarci di star già per morire disperati dai medici e con la candela in mano. Quanto dunque sarà più ragionevole, che in quest’esercizio della presenza di Dio facciamo questi atti che abbiamo detti, non come chi parla con chi è assente e lontano da noi; ma come chi parla con Dio presente; poiché lo stesso esercizio lo ricerca e realmente la cosa sta così.

CAPO V.

Di alcune differenze e vantaggi che sono nelfin qui proposto esercizio della presenza di Dio relativamente ad altri che si soglion proporre.

Acciocché si possa veder meglio la perfezione e l’utilità grande di questo esercizio e modo di camminare e di stare alla presenza di Dio, del quale abbiamo ragionato, e resti con ciò la cosa meglio dichiarata, noteremo ora alcune differenze o vantaggi che trovansi in questo esercizio, rispettivamente ad alcuni altri. – Primieramente, in altri esercizi che alcuni sogliono preporre di camminare e stare alla presenza di Dio, ogni cosa pare che sia atto d’intelletto e ogni cosa pare che finisca in immaginarsi Dio presente; ma questo presuppone quest’atto d’intelletto e di fede, che Dio sia presente, e passa avanti a fare atti d’amore di Dio, e in questo consiste principalmente: e questa seconda cosa senza dubbio è migliore e più utile che la prima. Siccome nell’orazione diciamo (tract. 5, c. 11), che non ci dobbiam fermare nell’atto dell’intelletto, che è la meditazione e considerazione delle cose, ma negli atti della volontà, cioè negli affetti e desideri della virtù e dell’imitazione di Cristo, o che questo ha da essere il frutto dell’orazione; così qui la parte principale, migliore, e più utile di quest’esercizio, sta negli atti della volontà: onde questa è la cosa nella quale abbiamo da insistere. – Secondariamente, il che viene in conseguenza di quello che abbiamo detto, quest’esercizio è più facile e più soave degli altri; perché negli altri vi bisogna discorso e fatica dell’intelletto e dell’immaginativa per rappresentarci dinanzi le cose, che è quello che suole straccare e rompere il capo alle persone, e così non può durar tanto; ma in quest’altro esercizio non vi bisogna discorso, ma affetti e atti della volontà, i quali si fanno senza stanchezza; perché sebbene è vero, che vi è pur qualche atto dell’intelletto, questo però si presuppone per mezzo della Fede, senza che ci stracchiamo per farlo sì espressamente, come quando adoriamo il santissimo Sacramento, che presupponiamo per mezzo della Fede, che sta ivi Cristo Salvator nostro, tutta la nostra attenzione e occupazione si volge ad adorare, riverire, amare e chiedere grazie a quel Signore che sappiamo che sta ivi; così passa la cosa in quest’esercizio. E quindi è, che per essere più facile, potrà uno durare e perseverare in esso più lungamente; perciocché anche agli infermi, i quali non possono fare molta orazione, siamo soliti dar per consiglio, che usino d’alzare spesso il cuore a Dio con alcuni affetti e atti della volontà, essendo che questi si possono far facilmente. Onde, quando bene non avesse in sé altro vantaggio quest’esercizio, che il potersi durare e perseverare in esso più che negli altri, lo dovremmo stimare grandemente; quanto più poscia essendovi tanti vantaggi? – In terzo luogo, e questo è un punto principale e molto qui da avvertirsi, l’esercizio della presenza di Dio non è solamente per fermarci in esso, ma ci deve servire di mezzo per far bene le nostre operazioni. Perché, se ci contentassimo d’aver solamente attenzione all’essere Dio presente, e con ciò nelle nostre operazioni ci trascurassimo, e facessimo mancamenti ed errori in esse, questa non sarebbe buona divozione, ma illusione. Sempre abbiamo da premere in questo, che quantunque teniamo fisso un occhio alla sovrana Maestà di Dio, l’altro nondimeno stia volto a far bene le opere per amor suo. E il considerare che stiamo alla presenza di Dio ci ha da servire di mezzo per far meglio e con maggior perfezione ciò che facciamo. Or questo si fa molto meglio con questo esercizio che con gli altri; perché con gli altri s’occupa assai l’intelletto in quelle figure corporali che uno si vuol rappresentare innanzi, o nei concetti che vuol ricavare dall’avere presente quel Signore che ha, e per ricavarne il buon pensiero molte volte la persona non guarda a quello che fa, e lo fa malamente; ma quest’esercizio, come in esso non vi è occupazione dell’intelletto, non impedisce punto l’esercizio delle opere, anzi aiuta assai a farle riuscire ben fatte, perché la persona le sta facendo per amor di Dio che la sta mirando; e così procura di farle in tal maniera e tanto bene, che possano comparire innanzi agli occhi di Dio, e non sia in esse cosa indegna della sua presenza. Intorno al qual punto abbiamo già di sopra spiegato (tract. 2, c. 3) come questo stesso è un altro modo molto buono, e molto utile, e proposto ancora dai Santi, di camminare e stare alla presenza di Dio: e così non istaremo qui a replicare.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: OTTOBRE 2019

OTTOBRE  è il mese che la Chiesa Cattolica dedica al Santo Rosario, agli Angeli custodi, a CRISTO RE.

Indulgenze per il mese di OTTOBRE:

398

Fidelibus, qui mense octobri saltem tertiam Rosarii partem sive publice sive privatim pia mente recitaverint, conceditur:

Indulgentia septem annorum quovis die;

Indulgentia plenaria, si die festo B . M. V. de Rosario et per totam octavam idem pietatis obsequium præstiterint, et præterea admissa sua confessi fuerint, ad eucharisticum Convivium accesserint et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitationem instituerint;

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si post octavam sacratissimi Rosarii saltem decem diebus eamdem recitationem persolverint (S. C. Indulg., 23 iul. 1898 et 29 aug. 1899; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932).

RECITATIO ROSARII

395

a) Fidelibus, si tertiam Rosarii partem devote recitaverint, conceditur: Indulgentia quinque annorum;

Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem præstiterint (Bulla Ea quæ ex fidelium, Sixti Pp. IV, 12 maii 1479; S. C. Indulg., 29 aug. 1899 ; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932 et 22 ian. 1952).

ORATIO AD D. N. IESUM CHRISTUM REGEM

Indulg. plenaria suetis condicionibus semel in die (272)

DÒMINE Iesu Christe, te confiteor Regem universàlem. Omnia, quæ facta sunt, prò te sunt creata. Omnia iura tua exérce in me. Rénovo vota Baptismi abrenùntians sàtanæ eiùsque pompis et opéribus et promitto me victùrum ut bonum christiànum. Ac, potissimum me óbligo operàri quantum in me est, ut triùmphent Dei iura tuæque Ecclèsiæ. Divinum Cor Iesu, óffero tibi actiones meas ténues ad obtinéndum, ut corda omnia agnóscant tuam sacram Regalitàtem et ita tuæ pacis regnum stabiliàtur in toto terràrum orbe. Amen.

 La Festa di Cristo Re

Scopo della festa di Cristo Re

[SS. Pio XI: Quas primas]

… E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. – Infatti, più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti, il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue, faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale. – D’altra parte si ricava da documenti storici che tali festività, col decorso dei secoli, vennero introdotte una dopo l’altra, secondo che la necessità o l’utilità del popolo cristiano sembrava richiederlo; come quando fu necessario che il popolo venisse rafforzato di fronte al comune pericolo, o venisse difeso dagli errori velenosi degli eretici, o incoraggiato più fortemente e infiammato a celebrare con maggiore pietà qualche mistero della fede o qualche beneficio della grazia divina. Così fino dai primi secoli dell’era cristiana, venendo i fedeli acerbamente perseguitati, si cominciò con sacri riti a commemorare i Martiri, affinché — come dice Sant’Agostino — le solennità dei Martiri fossero d’esortazione al martirio. E gli onori liturgici, che in seguito furono tributati ai Confessori, alle Vergini e alle Vedove, servirono meravigliosamente ad eccitare nei fedeli l’amore alle virtù, necessarie anche in tempi di pace. – E specialmente le festività istituite in onore della Beata Vergine fecero sì che il popolo cristiano non solo venerasse con maggior pietà la Madre di Dio, sua validissima protettrice, ma si accendesse altresì di più forte amore verso la Madre celeste, che il Redentore gli aveva lasciato quasi per testamento. Tra i benefici ottenuti dal culto pubblico e liturgico verso la Madre di Dio e i Santi del Cielo non ultimo si deve annoverare questo: che la Chiesa, in ogni tempo, poté vittoriosamente respingere la peste delle eresie e degli errori. – In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie insidiassero la verità cattolica, con questo esito però, che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal letargo, tendessero a cose maggiori e più sante. – Ed invero le festività che furono accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu istituita la festa del Corpus Domini, e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la festività del Sacro Cuore di Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini, infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza della eterna salvezza. – Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i Cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

Le feste del mese di OTTOBRE sono:

1 Ottobre S. Remigii Episcopi et Confessoris    Feria

2 Ottobre Ss. Angelorum Custodum    Duplex majus *L1*

3 Ottobre S. Theresiæ a Jesu Infante Virginis    Duplex

4 Ottobre S. Francisci Confessoris    Duplex majus

                      PRIMO VENERDI’

5 Ottobre Ss. Placidi et Sociorum Martyrum    Feria

                       PRIMO SABATO

6 Ottobre Dominica XVII Post Pentecosten II. Octobris    Semiduplex Dominica minor

                 S. Brunonis Confessoris

7 Ottobre Beatæ Mariæ Virginis a Rosario    Duplex II. classis *L1*

8 Ottobre S. Birgittæ Viduæ    Duplex

9 Ottobre S. Joannis Leonardi Confessoris    Duplex

10 Ottobre S. Francisci Borgiæ Confessoris    Semiduplex

11 Ottobre Maternitatis Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. classis *L1*

12 Ottobre Sanctae Mariae Sabbato    Simplex

13 Ottobre Dominica XVIII Post Pentecosten III. Octobris    Semiduplex Dominica minor

           S. Eduardi Regis Confessoris   

14 Ottobre S. Callisti Papæ et Martyris    Duplex

15 Ottobre S. Teresiæ Virginis    Duplex

16 Ottobre S. Hedwigis Viduæ    Semiduplex

17 Ottobre S. Margaritæ Mariæ Alacoque Virginis    Duplex

18 Ottobre S. Lucæ Evangelistæ    Duplex II. classis

19 Ottobre S. Petri de Alcantara Confessoris    Duplex

20 Ottobre Dominica XIX Post Pentecosten IV. Octobris    Semiduplex Dominica minor *I*

           S. Joannis Cantii Confessoris   

21 Ottobre S. Hilarionis Abbatis    Feria

24 Ottobre S. Raphaëlis Archangeli    Duplex majus *L1*

25 Ottobre Ss. Chrysanthi et Dariæ Martyrum    Feria

26 Ottobre S. Evaristi Papæ et Martyris    Feria

27 Ottobre Dominica XX Post Pentecosten V. Octobris    Semiduplex Dominica minor

   Domini Nostri Jesu Christi Regis    Duplex I. classis *L1*

28 Ottobre Ss. Simonis et Judæ Apostolorum    Duplex II. classis *L1*

SALMI BIBLICI: “BEATUS QUI INTELLEGIT SUPER EGENUM” (XL)

SALMO 40: “BEATUS QUI INTELLEGIT super egenum”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 40

[1] In finem. Psalmus ipsi David.

[2] Beatus qui intelligit super egenum

et pauperem: in die mala liberabit eum Dominus.

[3] Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum ejus.

[4] Dominus opem ferat illi super lectum doloris ejus; universum stratum ejus versasti in infirmitate ejus.

[5] Ego dixi: Domine, miserere mei; sana animam meam, quia peccavi tibi.

[6] Inimici mei dixerunt mala mihi: Quando morietur, et peribit nomen ejus?

[7] Et si ingrediebatur ut videret, vana loquebatur; cor ejus congregavit iniquitatem sibi. Egrediebatur foras et loquebatur.

[8] In idipsum adversum me susurrabant omnes inimici mei; adversum me cogitabant mala mihi.

[9] Verbum iniquum constituerunt adversum me: Numquid qui dormit non adjiciet ut resurgat?

[10] Etenim homo pacis meae, in quo speravi, qui edebat panes meos magnificavit super me supplantationem.

[11] Tu autem, Domine, miserere mei, et resuscita me; et retribuam eis.

[12] In hoc cognovi quoniam voluisti me, quoniam non gaudebit inimicus meus super me.

[13] Me autem propter innocentiam suscepisti; et confirmasti me in conspectu tuo in æternum.

[14] Benedictus Dominus, Deus Israel, a sæculo, et usque in sæculum. Fiat, fiat.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XL

Anche questo Salmo è tutto della passione di Cristo, mentre Cristo stesso ne cita (in S. Giovanni, c. XIII) un versetto a mostrare predetto il tradimento di Giuda.

1. Per la fine; salmo dello stesso David.

2. Beato colui che ha pensiero del miserabile e del povero: lo libererà il Signore nel giorno cattivo.

3. Il Signore lo conservi, e gli dia vita e lo faccia beato sopra la terra; faccia beato sopra la terra; e noi dia in potere de’ suoi nemici.

4. Il Signore gli porga soccorso nel letto del suo dolore: tu, Signore, accomodasti da capo a pie il suo letto nella sua malattia.

5. Io dissi: Signore, abbi pietà di me; sana l’anima mia quantunque io abbia peccato contro di te.

6. I nemici miei bramarono a me sciagure: Quando morirà egli, e perirà il suo nome?

7. E se uno entrava a visitarmi, teneva bugiardi discorsi; il cuore di lui adunava in sé cose inique.

8. Usciva fuori, e ne parlava cogli altri. Contro di me tenevan consiglio segretamente  tutti i miei nemici; macchinavano sciagure contro di me.

9. Una iniqua cosa hanno determinato contro di me; ma uno che dorme, non si sveglierà adunque mai più?

10. Imperocché un uomo che era in pace con me, a cui io mi confidava, il quale mangiava il mio pane, mi ha ordito un gran tradimento.

11. Ma tu, o Signore, abbi pietà di me, e rendimi la vita; e darò ad essi la loro retribuzione.

12. Da questo ho conosciuto che tu mi hai amato, perché non avrà il mio nemico onde rallegrarsi riguardo a me.

13. Hai prese le mie difese a causa della mia innocenza; e mi hai posto in sicuro dinanzi a te per l’eternità.

14. Benedetto il Signore Dio d’Israele da un secolo fino all’altro secolo: così sia, così sia.

Sommario analitico

Davide in questo salmo parla nel nome e nella Persona di Gesù-Cristo tradito e messo a morte, ma che sta per trionfare per sempre. (Il Salvatore stesso ha applicato a Giuda il versetto 10 di questo salmo).

I. – Egli proclama beato colui che avrà esercitato la misericordia verso se stesso e verso gli altri poveri:

1° nel giorno del giudizio Dio lo libererà (1). – 2° Durante questa vita: – .a) Dio lo conserverà; – b) vivificherà la sua anima; – c) lo ricolmerà di onori e di ricchezze; – d) lo difenderà contro gli sforzi dei suoi nemici (2); – e) nelle prove e nelle malattie, gli porterà soccorso e ne addolcirà i dolori (3).

II. – Bisogna conoscere le cause della sua passione:

1° I peccati di tutti gli uomini (4).

2° I Giudei, dai quali fa uscire crimini molteplici: – a) il loro odio: “i miei nemici”; – b) i loro oltraggi. “essi hanno proferito imprecazioni contro di me”; – c) la loro crudeltà: “quando morirà, etc.” (5); – d) la loro ipocrisia e le loro menzogne: “chi viene a visitarmi, etc.” ; – e) la loro malvagità: “ il loro cuore è un cumulo ed un ammasso di iniquità …” (6); – f) la loro impudenza e le loro calunnie: “appena uscito parla contro di me” (7); – g) i loro mormorii segreti e la loro cospirazione contro il Salvatore (8); – h) l’ingiustizia sovrana del loro giudizio: “essi hanno emesso una sentenza iniqua”; – i) la loro incredulità nei confronti della resurrezione (9).

3° Il tradimento di Giuda: – a) la sua ipocrisia e la sua perfidia : “l’uomo con il quale vivevo in pace, etc.” (10); – b) la sua ingratitudine: “che mangiava il mio pane”; – c) la sua crudeltà: “ha alzato il suo calcagno contro di me”.

III. – Egli espone i frutti della sua resurrezione, richiesta a Dio; questi frutti sono:

1° Il potere dato a Gesù-Cristo di domare e punire i suoi nemici (11);

2° la testimonianza dell’amore del Padre celeste per Lui: “io ho conosciuto l’amore vostro per me”.

3° la gloria che è seguita alla sua resurrezione, nel ripagare tutti i suoi nemici (11). Per finire, indica:

4° la causa meritoria della sua resurrezione (12), vale a dire la sua innocenza, principio della eterna felicità della quale gode (13), e rende grazie a Dio per il grande beneficio della resurrezione (14).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3.

ff. 1. – Beato colui che ha cura del povero e dell’indigente! Ecco una delle parole divine che distinguono il linguaggio divino da ogni altro linguaggio: questa parola risuona nel mondo da tre mila anni, quando in ogni popolo non c’era che un grido: beato colui che possiede la ricchezza e che sa procurarsela (Rendu). – La bella parola di Davide è stata consacrata da Gesù-Cristo stesso, quando ha messo in cima alle beatitudini evangeliche la stima e l’amore della povertà. Ripetiamola dunque dal più profondo del cuore: beato colui che comprende il povero! E non soltanto il povero ordinario, che ci appare così sovente nelle nostre città, senza danaro, senza pane, senza alloggio, e che la divina Provvidenza ci indirizza per soccorrerlo e alleviarlo; ma anche e soprattutto, il Povero per eccellenza, il povero volontario che, maestro sovrano di ogni cosa, ha così gloriosamente preferito, in tutto il corso della sua vita mortale, l’indigenza alla ricchezza, la sofferenza al piacere, l’ignominia agli onori, alfine di lasciare agli uomini che vogliono affrancarsi dalla schiavitù dei sensi, una consolazione ed un esempio. Beato chi comprende questo divino povero in se stesso e nei suoi rappresentanti, in coloro dei quali ha detto: « tutte le volte che avete assistito uno dei miei fratelli più piccoli, avete assistito me stesso » (S. Agost.).

ff. 2. – « Beato chi ha cura del povero e dell’indigente ». Non è sufficiente aprire sui poveri gli occhi della carne, ma bisogna considerarli con gli occhi dell’intelligenza guidata dalla fede. Coloro che li guardano con gli occhi corporali li vedono dal basso e li disprezzano; coloro che aprono su di essi gli occhi interiori, cioè l’intelligenza guidata dalla fede, vedono in essi Gesù-Cristo; essi vi scorgono l’immagine della povertà, i cittadini del suo reame, gli eredi della sua promessa, i distributori delle sue grazie, i veri figli della sua Chiesa, i primi membri del suo Corpo mistico. È questo che li induce ad assisterli con zelo di carità. Ma non è ancora molto il soccorrerli nei loro bisogni, questo assistere il povero non è l’intelligenza sul povero. Colui che distribuisce loro qualche elemosina per sovvenire a qualche pressante necessità o toccato da qualche compassione naturale, allevia la miseria del povero, ma non di meno ha intelligenza sul povero. Colui che comprende veramente il mistero della povertà, considera i poveri come i primi figli della Chiesa, e onorando questa qualità, si crede obbligato a servirli; non spera di partecipare alle benedizioni del Vangelo se non per mezzo della carità e della comunicazione fraterna (Bossuet, sur l’émin. dign. des pauv.). – Questa beata intelligenza del povero comprende tre cose: 1° l’intelligenza dell’elemosina, nel suo obbligo, nel suo credito presso Dio, nelle promesse che gli sono fatte, nel numero e nella misura che sa attendere, nella maniera di praticarla; 2° l’intelligenza del povero, nella dignità di cui il Signore lo ha rivestito, nella potenza che gli ha affidato; 3° l’intelligenza della miseria del povero, nel soccorso che dobbiamo dare al suo corpo, al suo spirito e al suo cuore (Mgr. Lecourtier, 2° conf. sur l’aum.). I giorni cattivi verranno, che lo vogliate o no, essi arriveranno; il giorno del giudizio arriverà, giorno cattivo, se non avrete compreso il povero e l’indigente. In effetti, ciò che vi rifiutate di credere ora, si manifesterà alla fine. Ma voi non sfuggirete, quando si manifesterà, alla verità alla quale non credete, mentre è ancora nascosta. Vi si invita a credere ciò che non vedete, per timore che non abbiate ad arrossire quando lo vedrete. (S. Agost.).

ff. 1. – Questo cattivo giorno è il giorno della morte. « Ora, in quest’ultimo giorno, l’elemosina sarà un gran garanzia davanti a Dio, per tutti quelli che l’avranno fatta! » (Tob. IV, 12). L’esperienza giustifica questa asserzione: « Da nessuna parte, scrive S. Girolamo a Nepotiano, mi ricordo di aver letto che abbia fatto una cattiva morte colui si era dato volontariamente alla pratica delle opere di carità; quest’uomo ha per lui numerose intercessioni, perché è impossibile che tanti molteplici suffragi non siano esauditi ». (Epist. Nep.). Ora, non solo la cattiva morte è evitata all’uomo misericordioso, ma pure gli vengono date delle grazie sensibili, eccezionali che gli vengono accordate nell’ora del terribile passaggio; e mentre altri Cristiani, esemplari e regolari nella loro vita, ma più chiusi o meno generosi, sono agitati da apprensioni sempre crescenti nei confronti del giudizio, si vedono al contrario le anime più timorate, quelle che avevano timore di tutte le loro opere a causa dell’implacabile giustizia del Signore, quelle che avevano affanni nel portare il peso di Dio e che li temevano come flutti sospesi sopra di loro (Iob. IX, XXXI), concepire tutto ad colpo sentimenti di fiducia e rivestirsi di una sicurezza che nulla avrebbe fatto presagire. Così si realizza la parola del salmista: « beato colui che comprende i bisogni del povero e dell’indigente, Dio lo proteggerà nel giorno cattivo ». (Bellarm.).

ff. 2. – In questo versetto (2) vi sono due tipi di promesse: Dio non vi abbandona sulla terra e vi promette qualche cosa nel cielo; Egli deve vivificarvi eternamente nel cielo, e nell’attesa, Egli vi conserva e vi rende beato sulla terra (S. Agost.).

ff. 3. – Il Profeta non dice che colui che ha l’intelligenza del povero sarà preservato da ogni male, poiché gli è necessario soffrire per Gesù-Cristo; ma Egli assicura che quest’uomo sarà protetto dal Signore nel giorno dell’afflizione. Quando Dio ha istruito i suoi fedeli servitori alla scuola dell’avversità, e ha insegnato loro che non si impara se non nel libro dell’esperienza e del dolore, allora viene in loro soccorso, ed usa con essi questa carità compassionevole e tenera che si testimonia verso i malati che non possono riposare, ed ai quali si muove il letto perché possano riposare più mollemente e trovare nel sonno una tregua ai loro dolori. – « Tu hai rivoltato il suo giaciglio nella sua malattia ». Dio, rigirare un letto! Confesso che queste figure non sono nella vostra retorica; esse non sono del vostro Essere supremo, ma sono del buon Dio dei Cristiani, che sanno che nulla è piccolo per la sua bontà (Laharpe) – Dio consacra così con il suo esempio, le nobili cure di queste anime caritatevoli che percorrono i letti del languore, mescolano felicemente l’olio ed il vino sulle piaghe del malato, lo sostengono, lo cambiano di posizione e rimuovono la paglia che serve loro da letto. Il suo Profeta ce lo rappresenta in qualche modo come sceso dallo splendore dei cieli per venire presso i malati, e queste stesse mani che sostengono il mondo, li sostengono nelle loro debolezze, preparando e rigirando Egli stesso il letto della loro infermità (De Boulogne, sur la Char. Chret.).

II. — 4-9

ff. 4. – Dio è il solo che conosce bene la profondità delle piaghe della nostra anima, ed è il solo di conseguenza che possa guarirle. Ricorrere a Lui e pregarlo di aver pietà di noi, non certo per risparmiarci i suoi castighi che possano guarire la nostra anima dalle piaghe prodotte per aver peccato contro di Lui. Se Colui che non ha conosciuto il peccato è stato punito così severamente, se il medico misericordioso che è venuto al mondo per salvarci da tutte le nostre malattie, non ha disdegnato di aumentare Egli stesso il numero dei malati, e non ha rigettato l’asprezza dei rimedi, non siamo noi ancor più obbligati a soffrire con pazienza la mano di questo Medico supremo, che ci fa qualche incisione dolorosa ma salutare, per guarirci dai nostri peccati? Affidatevi interamente alle mani di questo Medico celeste, che non si inganna fino a tagliar le carni sane in luogo delle carni gangrenose. Egli conosce quel che esamina; Egli conosce le nostre colpe, perché ha creato la nostra natura; Egli discerne ciò che ha creato in noi da ciò che i nostri desideri sregolati hanno aggiunto (Dug.; S. Agost.). – Diciamo a Dio come Davide, nello spirito di una umiltà sincera. « Guarite la mia anima, Signore, guarite la mia anima, perché ho peccato contro di Voi ». Si, io ho peccato, ed non è né il mio naturale, né il mio temperamento che io accuso; ero io che dovevo regolarlo, perché io sapevo, volendo, tenerlo in ordine; questa passione, che mi ha dominato in pregiudizio della vostra legge, non ha mai avuto su di me l’impero nel pregiudicare i miei interessi. Essa era semplice e sottomessa alla mia ragione quando ne temevo le conseguenze davanti agli uomini, e non c’erano né escandescenze, né asperità che io non reprimessi quando credevo che ne andasse di mezzo la mia reputazione o la mia fortuna. « Io ho peccato contro di voi », e avrei torto a prendermela con il mondo, perché il mondo, per quanto pernicioso possa essere, non ha avuto ascendenza su di me quando non mi soddisfaceva (Bourd. Sévér. de la Pén.).

ff. 5. – Queste parole convengono sì chiaramente a Gesù-Cristo, che non occorre pensare di applicarle ad altri. Quando i Giudei Gli facevano qualche azione criminosa, tutto il mondo seguiva; quando, testimoni delle sue opere meravigliose, Lo accusavano di sedurre il popolo, non facevano altro che dire: « Quando morirà, e quando perirà il suo nome »? Quel che si è fatto nei riguardi del Capo, si vede ancora oggi ai giorni nostri nei confronti dei suoi membri. Gli empi non possono soffrire le persone dabbene, perché senza che dicano una sola parola, la loro vita è una condanna lampante delle loro sregolatezze (S. Agost.).

ff. 6. – Giuda è qui chiaramente designato: egli entrava per vedere, cioè per osservare Gesù-Cristo, e cercare i mezzi più idonei per tradirlo e perderlo (S. Ambr.). – Questa è l’immagine reale di cosa spesso accade nella Chiesa, particolarmente rispetto ai suoi ministri. Falsi fratelli osservano tutti i loro movimenti, tutte le loro parole, danno un cattivo senso alle loro più rette intenzioni, inasprendo tutto ciò che dicono e fanno, inventando rapporti falsi e menzogneri di tutto ciò che hanno visto ed inteso. Non fanno in questo altra cosa se non che il loro cuore ammassi un cumulo di iniquità che li perderà mentre essi vogliono perdere gli altri. Ricordate l’appropriatezza di questa espressione applicata a Giuda il traditore: « egli usciva fuori ». All’esterno in effetti vi sono i lupi, oltre ai briganti; all’interno Mosè si trattiene nella nube con Gesù, mentre la moltitudine resta fuori; al di dentro lo Spirito Santo grida nel cuore verso il Padre, al di fuori il nostro nemico veglia, come un leone per ghermire la sua preda; all’esterno gli infedeli, all’interno i veri servi di Dio. Giuda esce dunque e parte, esce dalla fede, esce dal collegio e dal numero degli Apostoli; egli usciva dal banchetto di Cristo per il brigantaggio del demonio; egli usciva dalla grazia che santifica per gettarsi nelle insidie della morte, lui che usava il linguaggio del tradimento per i perfidi nemici del Salvatore; egli usciva fuori, lui che abbandonava i misteri della vita interiore, egli usciva fuori, lui che non conosceva questi misteri della vita interiore, perché, se li avesse conosciuti, avrebbe compreso chi gli diceva: « colui che dorme non potrà forse resuscitare? » (S. Agost.).

ff. 8, 9. – « Tutti i miei nemici mormorano contro di me », con pensiero unico, con una comune cospirazione. Quanto sarebbe stato meglio se si fossero invece accordati tutti insieme a Lui? (S. Agost.). Qual è l’innocenza che possa tener conto dei nemici di professione che hanno formato il proposito ben riuscito di arrestare a qualunque prezzo Colui del quale hanno meditato la perdita? – Qual è questa parola iniqua per cui hanno arrestato il Cristo, quando dissero. « È meglio che un solo uomo muoia per il popolo, e non che tutta la nazione perisca ». (Joan. XI, 50); « Se liberi quest’uomo, non sei amico di Cesare » (XIX, 12); o ancora quando dissero: « uccidiamolo e l’eredità sarà nostra » (Matth. XXI, 38). Insensati come potrà appartenervi l’eredità? Perché Lo avete ucciso? Ecco, ora che Lo avete ucciso, l’eredità non vi apparterrà. E Colui che dorme non avrà forse il potere di svegliarsi? Mentre voi trionfate per averlo ucciso, Egli si è addormentato sì, ma si è svegliato, perché aveva il potere di lasciare la vita e di riprenderla. « Io mi sono addormentato – dice dalla bocca del salmista – ho cercato il sonno, e mi sono svegliato. » (S. Agost.).

III. — 10-14.

ff. 10. – Giuda è chiaramente designato in queste parole dal Figlio di Dio stesso. – Ma come può dire che aveva sperato in lui, che aveva in lui la sua fiducia? Non lo conosceva forse fin dall’inizio? Non sapeva, prima che Giuda fosse nato, ciò che un giorno sarebbe stato? Come ha potuto dunque sperare in lui, e, parlando così anche ai suoi membri, per cui molti fedeli hanno ben sperato di Giuda, il Signore ha loro applicato il suo pensiero? (S. Agost.). Egli dice che ha sperato in lui perché aveva il diritto di presumere che questo maledetto apostolo si spogliasse dei suoi primitivi sentimenti per seguire una via migliore, e che Colui che aveva ricevuto il potere di santificare gli altri, avrebbe conservato Egli stesso la grazia della santificazione, e si sarebbe impegnato a compiere fedelmente l’ufficio che gli era stato affidato. Nulla di più giusto di questa espressione: « Io ho sperato », perché ho dato all’uomo la facoltà di scegliere la via che deve seguire. « Io ho posto davanti a lui – Egli dice – il bene e il male » (Deuter. XXX, 15). Se scegliete il male, non è la natura che pecca, ma l’affezione colpevole di colui che fa una cattiva scelta (S. Ambr.). – C’è nell’idea del banchetto ove ci si siede per bere e mangiare insieme, un grandissimo, divino pensiero: è l’idea della comunicazione della vita alla quale si partecipa insieme, è una comunione naturale, è il godimento della medesima bevanda riparatrice, è un atto di società fraterna, e quando ci si alza da tavola, sembra che l’amicizia sia più vera, che i legami del cuore si siano rinserrati; così il profeta considera come la perfidia più nera, come una scelleratezza che merita un castigo speciale, quella di un uomo che tradisce dopo aver mangiato alla vostra tavola (Mgr. Landriot, Euch. IV Conf.). Piacesse a Dio che questa tradizione non si sia verificata che una volta, e che il discepolo apostata non abbia mai avuto successori. Essere tradito da un amico che si è ricolmato di beni, beni di cui non si è servito se non per attentare alla fortuna e alla vita del suo benefattore, è per il cuore dell’uomo una ferita profonda, irrimediabile; egli non cessa di parlarne negli sfoghi dell’amicizia, ed il profeta mette sulla bocca di Gesù, tradito dal perfido discepolo, questo lamento da nessuno ignorato: ma questo prete che ho chiamato con il nome di amico, al quale amavo confidare tutti i miei segreti, che io nutrivo come tutti i miei eletti con il pane della verità, della giustizia, un prete tradirmi, abbandonarmi! Non posso soffrirlo, io devo alla mia giustizia una vendetta eclatante (Boyer, Serm.).

ff. 11-14. – Gesù-Cristo fa a Dio quella preghiera in ragione della forma di schiavo che Egli ha preso, della forma di povero ed indigente (S. Agos.). non certo che Egli dubiti della sua Resurrezione, Lui che poteva dire: « Distruggete questo tempio ed Io lo ricostruirò in tre giorni » (Joan. II, 19); ma Egli dà all’uomo l’esempio di come sperare da Dio solo la misericordia e la resurrezione (S. Ambr.). I giudei si sono rallegrati quando hanno visto il Cristo crocifisso, essi hanno creduto di esser riusciti nel loro disegno di perderlo e sterminarlo, essi hanno scosso la testa e detto: « se Egli è il Figlio di Dio, che scenda dalla croce » (Matt. XXVII, 26). Egli poteva scendere, ma non ne è disceso; Egli non mostrava la sua potenza, ma ci insegnava la penitenza. Ma dopo aver rifiutato di cedere alle loro provocazioni, ha compiuto qualcosa di più considerevole di ciò che essi domandavano. In effetti è necessaria più potenza nell’uscire dal sepolcro che nello scendere dalla croce (S. Agost.). – La gioia più grande di cui il nemico irreconciliabile dell’uomo, il demonio, sia capace, è quella di portarlo al peccato, tenerlo sotto la dura servitù del peccato e di tormentarlo poi eternamente nell’inferno. – La testimonianza più grande che Dio lo ama, è quella di non permettere che egli sia l’oggetto di questa gioia maledetta (Dug.). « Voi mi avete preso sotto la vostra protezione a causa della mia innocenza ». Innocenza vera in Gesù-Cristo, integrità esente da qualsiasi peccato, cambiale senza debito, castigo senza averlo mai meritato (S. Agost.). – Felice il Cristiano che a causa della sua innocenza conservata, o riparata dalla penitenza, merita che Dio lo prenda sotto la sua protezione, e lo conservi davanti ai suoi occhi. – « Benedetto sia il Signore, il Dio di Israele ». Santa conclusione del salmo, che deve essere l’inizio e la fine di tutte le nostre giornate, di tutti i nostri anni, di tutta la nostra vita, di tutte le nostre azioni, e l’unica occupazione della nostra eternità.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPATI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO X – “AD DIEM ILLUM LÆTISSIMUM”

In questi tempi di errori, eresie, scismi latenti, striscianti od operanti, di rifiuto delle leggi ecclesiastiche, divine ed addirittura delle leggi naturali più elementari, la lettura di questo piccolo trattato di teologia mariana, è un sorso di acqua viva che, come il cervo del salmo XLI, permette al “piccolissimo” resto di fedeli Cattolici (per non dire “microscopico”!), di attenuare la sete ardente di acque spirituali di cui soffre a contatto con gli empi “travestiti” del novus ordo, con le loro stampelle vacillanti dei disobbedienti fallibilisti gallicani eredi ed emuli del cavaliere kadosh di Lille, degli anarchici “ladri e briganti” sedevacantisti e dei tanti “cani sciolti” senza padrone ed autoreferenziati. La Vergine Maria Madre di Dio, ricordata, in questo splendido documento magisteriale, composto in occasione dei 50 anni dalla proclamazione solenne di Pio IX del dogma della Immacolata Concezione, rappresenta la nostra ancora di salvezza per superare questo funesto periodo di eclissi, anzi oramai di “sepolcro” della Chiesa Cattolica, che deve imitare la vita del suo Capo, Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio e di Maria, incarnato, crocifisso, morto e sepolto per redimere e salvare l’umanità schiava del peccato e del demonio. Ella è, come opportunamente ricorda il Santo Papa Pio X, mediatrice di ogni grazia che Iddio ci concede per i meriti di Cristo, l’acquedotto, secondo l’espressione efficacissima di San Bernardo, il “collo mistico”, secondo l’espressione parimenti celebre di San Bernardino, che collega il Capo divino al Corpo mistico dei fedeli e della Chiesa tutta. Ogni grazia passa per la mediazione di Maria, e questo oggi è particolarmente importante nell’economia della salvezza, salvezza che si può ottenere mediante l’azione della grazia sacramentale e santificante impedita, oggi che i Sacramenti – quelli veri offerti da veri Sacerdoti con missione canonica ricevuta dal proprio legittimo Ordinario con giurisdizione conferita dall’Autorità del Sommo Pontefice “vero”, canonicamente eletto secondo le leggi cattoliche da validi Cardinali – sono di rara possibilità di ricezione. A questa grazia sacramentale, può supplire, in questi tempi di “Chiesa delle catacombe”, la grazia attuale dell’unione mistica col Padre mediante la filiazione al Cristo e l’azione dello Spirito Santo nelle anime sulla via della perfezione ed in stato di grazia. Ora, se tutte le grazie passano per Maria, l’amarla, l’onorarla, e lo sperare in Lei, Madre nostra, con una vita pura ed esente da peccati, è il modo oggi più efficace per ottenere grazie efficaci e santificanti per il merito e la gloria celeste. Ecco che allora questa lettera, oltre a costituire un meraviglioso esempio di teologia mariana, diventa uno strumento che recepito e messo in pratica, può meritarci le grazie di cui abbiamo bisogno per la salvezza (contrizione dei peccati commessi, proposito di evitare ogni peccato mortale e veniale abituale, perseveranza finale, aumento delle virtù teologali, cardinali e morali, santificazione di ogni azione, vita alla presenza di Dio, amore della croce e delle mortificazioni, buona morte, etc.) « … Ella ci procura de congruo, come dicono i teologi, ciò che Gesù Cristo ci ha procurato de condigno ed è la suprema dispensatrice di grazie … ». Leggiamola quindi con somma attenzione, facciamola nostra e pratichiamone i principi dogmatici, ascetici e mistici, così che il Signore Gesù, per opera dello Spirito Santo, per intercessione della sua e nostra Madre, la Vergine Immacolata, ci ottenga un aumento di grazia necessaria alla salvezza e all’eterna gloria.  

San Pio X

Ad diem illum lætissimum

Lettera Enciclica

Per celebrare il cinquantenario del dogma della Immacolata Concezione 1

Il Corso del tempo ci condurrà tra pochi mesi al giorno d’incomparabile letizia allorché, cinquant’anni or sono, circondato da una magnifica corona di Cardinali e di Vescovi, il Nostro Predecessore Pio IX, Pontefice di santa memoria, dichiarò e proclamò quale rivelazione divina per l’autorità del magistero apostolico, che Maria è stata, fin dal primo istante della Sua concezione, totalmente immune dal peccato originale. Proclamazione che nessuno ignora essere stata accolta da tutti i fedeli dell’universo con tale gioia e entusiasmo quale non si ebbe mai a memoria d’uomo e con manifestazione di fede, sia nei riguardi dell’Augusta Madre di Dio, sia per il Vicario di Gesù Cristo, così grandiosa e così unanime. – Oggi, Venerabili Fratelli, benché alla distanza di mezzo secolo, non possiamo sperare che il rinnovato ricordo della Vergine Immacolata provochi nelle nostre anime come una eco di quelle sante letizie e rinnovelli gli spettacoli magnifici di fede e d’amore verso l’Augusta Madre di Dio, spettacoli che si videro in questo passato già lontano? Ciò che Ce lo farebbe desiderare ardentemente è un sentimento, che Noi abbiamo sempre nutrito nel Nostro cuore, di devozione verso la Beata Vergine ed insieme di gratitudine profonda per i suoi benefizi. – Ciò che d’altra parte Ce ne darebbe la certezza è lo zelo dei cattolici, sempre vigile e sempre pronto e preparato ad ogni testimonianza d’amore da rendersi alla Grande Madre di Dio; e non vogliamo dissimulare che un’altra cosa ravviva grandemente questo Nostro desiderio: è che Ci sembra, se dobbiamo credere a un segreto Nostro istinto, che vi possiamo promettere il prossimo avverarsi di alte speranze nelle quali fu concepita, dal Nostro Predecessore Pio IX e da tutto l’episcopato, la definizione solenne del dogma dell’Immacolata Concezione. Queste speranze invero vi sono pochi che non si dolgano di non averle viste avverarsi e che non invochino le parole di Geremia: “Noi abbiamo atteso la pace e questo bene non è venuto; il tempo della guarigione ed ecco il terrore“. Ma non bisogna tacciare di poca fede gli uomini che trascurano di approfondire o di considerare sotto la loro vera luce le opere di Dio? Chi potrebbe infatti contare, chi valutare i tesori segreti di grazia che durante tutto questo tempo Iddio ha versato nella sua Chiesa per la preghiera della Vergine? E, lasciando a parte ciò, che dire del Concilio Vaticano così ammirabile di opportunità e della definizione dell’infallibilità Pontificia, formulata cosi a buon punto di fronte agli errori che stavano per sorgere? E di questo slancio di pietà che, cosa nuova e inaudita, ha fatto affluire da tanto tempo ai piedi del Vicario di Cristo, per venerarlo al suo cospetto, i fedeli di ogni lingua e di ogni parte? E non è un mirabile effetto della Divina Provvidenza, che i Nostri due Predecessori, Pio IX e Leone XIII, abbiano potuto in tempi così torbidi governare santamente la Chiesa, per un periodo così lungo quale prima non era stato concesso ad altro Pontificato? Al che bisogna aggiungere che non appena Pio IX aveva affermato la fede cattolica nella Concezione senza macchia della Madre di Dio, nella città di Lourdes si iniziavano le meravigliose manifestazioni della Vergine che furono l’origine dei templi elevati in onore dell’Immacolata Madre di Dio, opere di alta magnificenza e d’immenso lavoro, nei quali prodigi quotidiani, dovuti alla Sua intercessione, forniscono splendidi argomenti per combattere l’attuale incredulità umana. Tanti e così insigni benefizi accordati da Dio per le pietose sollecitazioni della Benigna Vergine durante i cinquant’anni che stanno per compiersi, non debbono farci sperare la salute per un tempo più vicino di quanto non abbiamo creduto? Così che, come ce l’insegna una legge della Provvidenza Divina, gli estremi mali non sono mai lontani dalla prossima liberazione: “Il suo tempo è vicino e i suoi giorni non sono lontani. Poiché il Signore prenderà Giacobbe sotto la sua pietà e avrà ancora il suo eletto in Israele“. È dunque completa fiducia che li sostiene di poter dire fra poco: “Il Signore ha infranto le verghe degli empi. La terra è nella pace e nel silenzio, essa si allieta ed esulta“. – Ma se il cinquantesimo anniversario dell’atto Pontificio per il quale fu dichiarata senza macchia la Concezione di Maria, deve provocare nel seno del popolo cristiano ardente entusiasmo, la ragione è soprattutto nella necessità che abbiamo esposta nella Nostra precedente Enciclica. Noi vogliamo dire di “tutto restaurare in Gesù Cristo“. Poiché chi non accetta che non vi è strada più sicura né più facile se non quella di Maria, per la quale gli uomini possono arrivare fino a Cristo e ottenere mediante Gesù Cristo questa perfetta adozione filiale che rende santi e senza macchia allo sguardo di Dio? – Certo, se è stato detto veramente alla Vergine: “O Beata che avete, creduto, perché le cose che Vi sono state dette dal Signore si avvereranno“, e cioè che Ella concepirebbe e darebbe alla luce il Figlio di Dio; se, conseguentemente, Ella ha accolto nel suo seno Colui che per natura è verità, di modo che “generato in un ordine nuovo… invisibile in sé, si rese visibile a noi“;dal momento che il Figlio di Dio è l’Autore e il Consumatore della nostra fede, è necessario che la Madre sia conosciuta come partecipante dei Divini Misteri e in qualche modo la loro custode e che su di Lei, come sul più nobile fondamento, dopo Gesù Cristo, riposi la fede di tutti i secoli. Come potrebbe essere altrimenti? Dio non avrebbe potuto per altra via mandarci il riparatore dell’umanità e il fondatore della fede? Ma dato che è piaciuto all’eterna Provvidenza del Signore che l’Uomo-Dio ci sia stato dato per il tramite di Maria e poiché questa avendolo ricevuto dalla feconda virtù dello Spirito Santo l’ha portato realmente nel suo seno, non ci rimane che ricevere Gesù dalle mani di Maria. Così noi vediamo nelle Sante Scritture, ovunque ci è profetizzata la grazia che deve giungere, dovunque o quasi il Salvatore degli Uomini vi appare insieme alla Sua Santissima Madre. Uscirà l’Agnello dominatore della terra, ma dalla pietra del deserto; il fiore crescerà, ma dalla radice di Jesse 2. Adamo trattiene le lacrime che la maledizione strappava al suo cuore, quando vede Maria nel futuro schiacciare la testa del serpente; Maria è oggetto del pensiero di Noè chiuso nell’arca liberatrice; di Abramo arrestato nel momento di immolare suo figlio; di Giacobbe quando vede la scala dove salgono e scendono gli Angeli; di Mosè in ammirazione davanti al cespuglio che arde senza consumarsi; di Davide cantando e danzando nel ricondurre l’Arca Santa; di Elia vedendo la piccola nube che sale dal mare. E senza aggiungere altro, noi troviamo sempre Maria dopo Cristo nella legge, nella verità delle immagini e delle profezie 3. Che appartenga alla Vergine, a Lei soprattutto, di condurci alla conoscenza di Cristo, non si può dubitare, se si considera fra l’altro che Ella sola al mondo ha avuto con Lui, come si conviene una madre col figlio, una comunità di vita di oltre trent’anni. I mirabili misteri della nascita e dell’infanzia di Cristo, e quelli che si collegano alla Sua assunzione dell’umana natura, principio e fondamento della Nostra Fede, a chi possono essere stati rivelati meglio che alla Madre? “Ella conservava e riviveva nel suo cuore“ciò che aveva visto fare da Lui a Betlemme, ciò che Ella aveva visto a Gerusalemme nel Tempio; non solo ma, iniziata al Suo pensiero e ai Suoi segreti progetti, Ella ha vissuto la vita stessa del Suo Figlio. No, nessuno al mondo quanto Lei ha conosciuto a fondo Gesù; nessuno è miglior maestro e miglior guida per far conoscere Cristo. – Di conseguenza, come abbiamo già accennato, nessuno è più efficace della Vergine per unire gli uomini a Gesù. Se, infatti, secondo la dottrina del Divino Maestro: “La vita eterna consiste nel conoscere Te che sei l’unico, il vero Dio e Colui che hai inviato, Gesù Cristo“, come noi giungiamo attraverso Maria a conoscere Gesù Cristo, cosi pure attraverso Lei ci è più facile ottenere quella vita di cui Egli è il principio e la fonte. – E ora, se consideriamo un momento quante e urgenti ragioni vi siano perché la Madre Santissima sia con noi generosa di quei tesori, quanto aumenteranno le nostre speranze! – Non è Maria la Madre di Dio? Dunque è anche nostra Madre 4. Poiché ciascuno deve avere la ferma convinzione che Gesù, Verbo incarnato, è anche il Salvatore del genere umano. Ora, in quanto Dio Uomo, Egli ha un corpo come gli altri uomini: in quanto Redentore della nostra razza, ha un Corpo spirituale o, come si dice, mistico,il quale non è altro che la società dei Cristiani legati a Lui dalla fede. “Numerosi come siamo, formiamo un solo corpo in Gesù Cristo“. La Vergine non ha concepito il Figlio di Dio soltanto perché ricevendo da Lei natura umana divenisse uomo; ma anche affinché diventasse il Salvatore degli uomini appunto per mezzo di quella natura che aveva ricevuto da Lei. Questa è la spiegazione delle parole degli Angeli ai pastori: “Oggi è nato a voi il Salvatore, Cristo Signore“. – Così, nel casto grembo della Vergine dove ha preso la carne mortale, Gesù ha preso anche il Corpo spirituale, formato da tutti coloro “che erano destinati a credere in Lui“: e si può dire che Maria, portando in seno Gesù, vi portava anche tutti coloro la vita dei quali era contenuta nella vita del Salvatore. – Dunque, tutti noi che uniti a Cristo siamo, come dice l’Apostolo: “le membra del suo corpo formate dalla sua carne e dalle sue ossa“, dobbiamo considerarci usciti dal grembo della Vergine come un corpo attaccato alla sua testa. – Per questo in verità noi siamo chiamati, in un senso spirituale e tutto mistico, i figli di Maria ed Ella, per parte Sua, è madre di noi tutti. “Madre secondo lo spirito, ma non per questo meno madre delle membra di Gesù Cristo che siamo noi“. – Se dunque la Beatissima Vergine è nello stesso tempo madre di Dio e degli uomini, chi può dubitare che Ella non impiegherà tutte le Sue forze presso Suo Figlio, “testa del Corpo della Chiesa“, perché Egli diffonda su di noi che ne siamo le membra i doni della Sua grazia, soprattutto quello di conoscerlo e di “vivere per Lui“? Ma la Vergine non ha soltanto la lode di aver fornito “la materia della Sua carne al Figlio unico di Dio che doveva nascere con membra umane” e di aver così preparato una vittima per la salvezza degli uomini; Ella dovette anche custodirla, quella vittima, nutrirla e presentarla nel giorno stabilito all’altare. Così vi fu tra Maria e Gesù una continua comunione di vita e di sofferenza, di modo che si può applicare tanto all’uno che all’altra la sentenza del profeta: “La mia vita si è consumata nel dolore, i miei anni sono trascorsi nei lamenti“. E quando venne per Gesù l’ultima ora e “Sua Madre stava presso la Croce“, oppressa dal tragico spettacolo e nello stesso tempo felice “perché Suo Figlio si immolava per la salvezza del genere umano e d’altronde Ella partecipava talmente ai Suoi dolori, che Le sarebbe sembrato infinitamente preferibile prendere su di sé tutti i tormenti del Figlio, se fosse stato possibile“. – La conseguenza di questa comunione di sentimenti e di sofferenze fra Maria e Gesù è che Maria “divenne legittimamente degna di riparare l’umana rovina“e perciò di dispensare tutti i tesori che Gesù procurò a noi con la Sua morte e il Suo sangue. Certo, solo Gesù Cristo ha il diritto proprio e particolare di dispensare quei tesori che sono il frutto esclusivo della Sua morte, essendo egli per Sua natura il mediatore fra Dio e gli uomini. Tuttavia, per quella comunione di dolori e d’angosce, già menzionata tra la Madre e il Figlio, è stato concesso all’Augusta Vergine di essere “presso il Suo unico Figlio la potentissima mediatrice 5 e conciliatrice del mondo intiero“. La fonte è dunque Gesù Cristo e “noi tutti abbiamo derivato qualcosa dalla Sua pienezza; da Lui tutto il corpo reso compatto in tutte le giunture dalla comunicazione prende gli incrementi propri del corpo ed è edificato nella carità“. Ma Maria, come osserva giustamente San Bernardo, è l’”acquedotto“, o anche quella parte per cui il capo si congiunge col corpo e gli trasmette forza e efficacia; in una parola, il collo. Dice San Bernardino da Siena 6: “Ella è il collo del nostro capo, per mezzo del quale esso comunica al suo corpo mistico tutti i doni spirituali“. È dunque evidente che noi dobbiamo attribuire alla Madre di Dio una virtù produttrice di grazie: quella virtù che è solo di Dio. Tuttavia, poiché Maria supera tutti nella santità e nell’unione con Gesù Cristo ed è stata associata da Gesù Cristo nell’opera di redenzione, Ella ci procura de congruo, come dicono i teologi, ciò che Gesù Cristo ci ha procurato de condignoed è la suprema dispensatrice di grazie. Gesù “siede alla destra della Maestà Divina nell’altezza dei Cieli“; Maria siede Regina alla destra di Suo Figlio, “rifugio cosi sicuro e ausilio cosi fedele in tutti i pericoli, che non si deve temere nulla né disperare sotto la sua guida, i suoi auspici, la sua protezione e la sua benevolenza“. – Dati questi principi, e per tornare al Nostro proposito, chi non riconoscerà che giustamente Noi abbiamo affermato che Maria, assidua compagna di Gesù dalla casa di Nazareth fino al luogo del Calvario, iniziata più di chiunque altro ai segreti del suo cuore, dispensatrice per diritto di Madre dei tesori dei suoi meriti, è per tutte queste cause l’aiuto più sicuro ed efficace per arrivare alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo? Una prova troppo evidente ce ne dànno, ahimè, con la loro condotta, quegli uomini che, sedotti dagli artifici del demonio o ingannati da false dottrine, credono di poter fare a meno del soccorso della Vergine. Disgraziati che trascurano Maria col pretesto di rendere onore a Gesù! Non sanno che non si può “trovare il Figlio se non con sua Madre“. – Stando così le cose, o Venerabili Fratelli, Noi vogliamo che mirino a questo scopo tutte le solennità che si preparano per ogni dove in onore della Santa e Immacolata Concezione di Maria. Nessun omaggio infatti Le è più gradito e più dolce che la nostra conoscenza e il nostro vero amore di Gesù Cristo. Folle di fedeli riempiano dunque le Chiese, si celebrino feste solenni, vi sia gioia nelle città: queste cose sono molto efficaci per ravvivare la fede. Ma se non si aggiungono a queste cose i sentimenti del cuore, non vi sarà che pura forma e semplice apparenza di devozione. A questo spettacolo la Vergine, usando le parole di Gesù Cristo, cosi giustamente ci rimprovererà: “Questa gente mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me“. – Poiché, infine, è efficace il culto della Madre di Dio che viene spontaneo dal cuore, gli atti del corpo non hanno in questo caso né utilità né valore, se sono separati dagli impulsi dell’animo. E questi impulsi debbono essere diretti a quest’unico oggetto: che noi osserviamo pienamente ciò che comanda il Divino Figlio di Maria. Infatti, se il vero amore è soltanto quello che ha la virtù di unire le volontà, necessariamente noi dobbiamo avere la stessa volontà di Maria, cioè di servire Gesù Cristo Nostro Signore. La sapientissima Vergine fa a noi la stessa raccomandazione che fece ai servitori delle nozze di Cana: “Fate tutto ciò che Egli vi dirà“. Ecco la parola di Gesù Cristo: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti“. Ciascuno si persuada dunque che se la devozione che professa verso la Beatissima Vergine non lo trattiene dal peccato o non gli ispira il desiderio di espiare le sue colpe, si tratta di una devozione falsa e menzognera, sprovvista del suo effetto e del suo frutto naturale. – Se qualcuno desidera una conferma a queste cose, può trovarla facilmente nel dogma stesso dell’Immacolata Concezione di Maria. Infatti, per tralasciare la Tradizione cattolica che è fonte di verità anche essa come le Sacre Scritture, come mai questa convinzione della Concezione Immacolata della Vergine è sempre stata casi consona al sentimento cattolico che la si può ritenere come incorporata e innata nell’anima dei fedeli? Citiamo la risposta di Dionisio il Certosino 7: Abbiamo orrore di dire che questa creatura femminile destinata a schiacciare un giorno la testa del serpente, è stata da lui sopraffatta e che, Madre di Dio, è stata figlia del diavolo“. No: l’intelletto del popolo cristiano non avrebbe potuto concepire che la carne di Cristo, pura, innocente e senza macchia, avesse avuto origine nel grembo di Maria da una carne contaminata anche solo per un attimo. E perché tutto questo, se non per il fatto che Dio è infinitamente lontano dal peccato? È questa, senza discussione, l’origine della convinzione comune a tutti i Cristiani: che Gesù Cristo, prima di rivestire la natura umana e di “lavare noi dai nostri peccati nel Suo sangue“, dovette accordare a Maria la grazia e il privilegio speciale di essere preservata e immune, al principio della concezione, da ogni macchia del peccato originale. Se dunque Dio aborrisce tanto il peccato da aver voluto la futura madre di Suo Figlio, libera, non solo di quelle macchie che ci contaminano per nostra volontà, ma per favore speciale e in previsione dei meriti di Gesù Cristo anche di quell’altra il cui triste marchio è trasmesso a tutti noi figli di Adamo per una specie di tragica ereditarietà; chi può dubitare che chiunque vuoi conquistarsi con la devozione il cuore di Maria, non abbia il dovere di emendare le proprie abitudini viziose e depravate e di domare le passioni che lo spingono al male? – Inoltre, chiunque vuole, e tutti devono volerlo, che la sua devozione verso la Vergine sia degna di Lei e perfetta, deve andare più oltre e sforzarsi in tutti i modi di imitare i suoi esempi. Per leggi divine, infatti, ottengono l’eterna beatitudine soltanto coloro che hanno imitate fedelmente la pazienza e la santità di Gesù Cristo: “In fatti coloro che Iddio ha conosciuti nella sua prescienza, li ha predestinati a essere conformi all’immagine di Suo Figlio, perché questi sia il primogenito fra molti fratelli“. Ma tale è la nostra debolezza, che la grandezza di simile esempio facilmente ci scoraggia; perciò Dio ha voluto provvedere proponendocene un altro, tanto vicino a Cristo quanto è permesso all’umana natura e più conforme alla nostra debolezza. Si tratta della Madre di Dio. A questo proposito dice Sant’Ambrogio: “Tale fu Maria che soltanto la sua vita è per tutti un insegnamento“. E conclude giustamente: “Abbiate dunque davanti agli occhi dipinte come in un quadro la verginità e la vita della Beatissima Vergine, che riflette come uno specchio lo splendore della purezza e l’aspetto stesso della virtù“. – Sebbene poi convenga che i figli imitino tutte le virtù di questa SS. Madre, tuttavia Noi desideriamo che i fedeli seguano preferibilmente quelle che sono le principali e come i nervi e le giunture della vita cristiana, cioè la fede, la speranza e la carità verso Dio e verso il prossimo. Tutta la vita di Maria porta la radiosa impronta di queste virtù in tutte le sue fasi; ma esse raggiunsero il più alto grado di splendore nel tempo in cui Ella assistette il Figlio Suo morente. Gesù è crocifisso e gli si rimprovera maledicendolo “di essersi fatto figlio di Dio“. Maria con ferma costanza riconosce e adora in Lui la divinità. Lo seppellisce dopo morto, senza dubitare un attimo della Sua resurrezione. La Sua ardente carità verso Dio la rende partecipe dei tormenti di Gesù Cristo e compagna della Sua passione; e con Lui, quasi dimentica del proprio dolore, implora perdono per i carnefici benché questi gridino ostinatamente: “Che il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli“. – Ma perché non si creda che Noi abbiamo perduto di vista il Nostro argomento, che è il mistero dell’Immacolata Concezione, quali grandi ed efficaci aiuti si trovano in questa per conservare quelle medesime virtù e praticarle come conviene! E in realtà, da quali principî partono i nemici della Religione per seminare tanti errori e così gravi che la fede di tanti comincia a vacillare? Cominciano col negare la caduta primitiva dell’uomo e la sua decadenza. Sostengono che sono favole il peccato originale e i danni che ne sono conseguiti, cioè la corruzione originaria dell’umanità destinata a corrompere a sua volta tutta la razza umana; e quindi che è una favola l’introduzione del male per gli uomini e l’implicita necessità di un Redentore. Posti questi principi, si comprende facilmente che non rimane più posto né per Cristo, né per la Chiesa, né per la Grazia, né per nulla che vada al di là della natura; in una parola, tutto l’edificio della fede è capovolto. Ora, se i popoli credono e professano che la Vergine Maria è stata fin dall’istante della Concezione preservata da ogni contaminazione, allora è necessario che ammettano il peccato originale, la riabilitazione dell’umanità operata da Gesù Cristo, il Vangelo, la Chiesa e infine la stessa legge della sofferenza; e grazie a questo, tutto ciò che nel mondo esiste di razionalismoe di materialismoviene sradicato e distrutto e rimane alla saggezza cristiana la lode di aver conservata e difesa la verità. – Inoltre è una malvagità comune ai nemici della fede soprattutto in questa nostra epoca, asserire e proclamare che bisogna rifiutare ogni rispetto e ogni obbedienza all’autorità della Chiesa e anche a ogni potere umano pensando che sarà più facile in seguito farla finita con la fede. E questa è l’origine dell’anarchia, la dottrina più nociva e più pericolosa che vi sia per ogni ordine di cose, naturale e soprannaturale. Ora, questa peste, fatale nello stesso tempo per la società e per il nome Cristiano, trova la propria rovina nel dogma dell’Immacolata Concezione di Maria; dogma che obbliga a riconoscere alla Chiesa un potere al quale deve piegarsi non solo la volontà, ma anche lo spirito. Poiché è per l’effetto di simile sottomissione che il popolo cristiano innalza alla Vergine questa lode: “Tu sei tutta bella o Maria e in Te non vi è macchia originale“. E con questo è giustificato ancora una volta ciò che la Chiesa afferma di Lei, cioè che: “Ella da sola ha sterminato le eresie in tutto il mondo“. E se la fede, come dice l’Apostolo, non è altro che “sostanza di cose sperate“, tutti saranno d’accordo nel riconoscere che se l’Immacolata Concezione di Maria rafforza la nostra fede, per la stessa ragione ravviva in noi la speranza. Tanto più che se la Vergine è stata resa immune dalla macchia originaria, è perché doveva essere la Madre di Cristo: ora Ella fu Madre di Cristo perché le nostre anime potessero risorgere alla speranza. – E ora, per tralasciare qui la carità verso Dio, chi non troverebbe nella contemplazione della Vergine Immacolata una spinta a osservare religiosamente il precetto di Gesù Cristo, quello che Egli ha dichiarato suo per eccellenza, e cioè che noi ci amiamo gli uni e gli altri, come Egli ci ha amato? – “Un grande segno— con queste parole l’Apostolo San Giovanni descrive una visione divina — un grande segno è apparso nel cielo: una donna vestita di sole coi piedi sulla luna e una corona di dodici stelle attorno al capo“. Tutti sanno che quella donna rappresenta la Vergine Maria che, rimanendo integra, partorì il nostro Capo. L’Apostolo continua: “Avendo il frutto nel suo seno, il parto le strappava alte grida e le causava crudeli dolori“. San Giovanni, dunque, vide la SS. Madre di Dio già in atto di godere l’eterna beatitudine e tuttavia travagliata da un misterioso parto. Quale parto? Il nostro certamente; di noi che, trattenuti ancora in questo esilio, abbiamo bisogno di essere generati al perfetto amore di Dio e all’eterna felicità. Quanto ai dolori del parto, significano l’ardore e l’amore coi quali Maria veglia su di noi dall’alto dei Cieli e lavora con infaticabili preghiere per completare il numero degli eletti. – Desideriamo che tutti i fedeli cerchino di acquistare quella virtù della carità e soprattutto approfittino per questo delle feste straordinarie che stanno per essere celebrate in onore dell’Immacolata Concezione di Maria. Con quale odio, con quale frenesia viene oggi attaccato Gesù Cristo e la religione che Egli ha fondato! E quindi, quale pericolo per molti; pericolo attuale e imminente di lasciarsi trascinare dall’errore e di perdere la fede! Perciò “Colui che pensa di essere in piedi, si guardi dal cadere“. E, nello stesso tempo, tutti rivolgano a Dio con l’intercessione della Vergine umili e insistenti preghiere perché riconduca sul sentiero della verità coloro che hanno avuto la disgrazia di allontanarsene. Sappiamo per esperienza che la preghiera che sgorga dalla carità e che si appoggia sull’intercessione di Maria nonè mai stata vana. Certamente non ci si può aspettare che gli attacchi contro la Chiesa abbiano mai a finire: “Infatti è necessario che vi siano le eresie perché le anime di fede provata siano palesi fra di voi“. Ma la Vergine non smetterà per conto Suo di sostenerci nelle nostre prove, per quanto siano dure, e di continuare la lotta che ha incominciato al momento della Sua Concezione, di modo che ogni giorno noi potremo ripetere: “Oggi è stata spezzata da Lei la testa dell’antico serpente“. – E affinché i tesori delle grazie Celesti, elargiti più abbondantemente del solito, ci aiutino a congiungere l’imitazione della Beatissima Vergine con gli omaggi che Le renderemo più solenni durante tutto quest’anno, e per arrivare cosi più facilmente a restaurare ogni cosa nel nome di Gesù Cristo, seguendo l’esempio dei Nostri Predecessori all’inizio del loro Pontificato, abbiamo deciso di accordare a tutto il mondo una indulgenza straordinaria sotto forma di Giubileo. – Perciò, appoggiandoCi sulla misericordia di Dio Onnipotente e sull’autorità dei Beatissimi Apostoli Pietro e Paolo, in base a quel potere di legare e di sciogliere che Ci è stato dato malgrado la Nostra indegnità: a tutti i fedeli in generale, e a ciascuno in particolare, dì ambo i sessi, che abitano qui a Roma o vi si trovano di passaggio, che avranno visitato tre volte le quattro basiliche patriarcali a cominciare dalla prima domenica di Quaresima 21 febbraio, fino al 2 giugno, compreso il giorno nel quale si celebra la solennità del SS. Sacramento; e che per un certo periodo avranno devotamente pregato per la libertà e l’esaltazione della Chiesa Cattolica e della Sede Apostolica, per l’estirpazione delle eresie e la conversione dei peccatori, per la concordia di tutti i Principi cristiani, per la pace e l’unità di tutto il popolo fedele, e secondo la Nostra intenzione; e che avranno, durante il periodo indicato, eccettuato i giorni non compresi nell’indulto quaresimale, digiunato una volta usando soltanto alimenti magri; che, avendo confessati i loro peccati, abbiano ricevuto il Sacramento dell’Eucaristia e così pure a tutti gli altri, di tutti i paesi fuori di Roma, che nel suddetto periodo o durante tre mesi da designarsi esattamente dall’ordinario, anche non continui se ciò risulti più comodo per i fedeli, ma in ogni caso prima dell’8 dicembre, avranno visitato tre volte la Chiesa cattedrale e in mancanza di questa la Chiesa parrocchiale e ancora in mancanza di questa la principale Chiesa del luogo; e che avranno devotamente compiute le altre opere più sopra indicate; concediamo e accordiamo l’indulgenza plenaria di tutti i loro peccati: permettendo anche che questa indulgenza, che si può ottenere una sola volta, possa essere applicata a guisa di suffragio alle anime che hanno lasciato questa vita nella grazia di Dio. – Permettiamo inoltre che i viaggiatori di terra e di mare, compiendo le opere più sopra indicate appena tornati al loro domicilio, ottengano la stessa indulgenza. – Ai confessori approvati di fatto dai loro ordinari, diamo la facoltà di commutare in altre opere di pietà quelle da Noi prescritte; questo a favore dei regolari di ambo i sessi e di tutte le altre persone, comunque siano, che non possano compiere queste opere; con facoltà anche di dispensare dalla Comunione quei bambini che non siano ancora stati ammessi a riceverla. – Inoltre, a tutti i fedeli in generale e a ciascuno in particolare, laici o ecclesiastici, regolari o secolari, di qualsiasi Ordine o Istituto, compresi quelli che esigerebbero menzioni speciali, Noi accordiamo il permesso di scegliersi a questo effetto un prete qualunque regolare o secolare fra i sacerdoti approvati (e di questa facoltà potranno essere anche le religiose, le novizie e le altre persone abitanti nei monasteri, purché il confessore in questo caso sia approvato per le monache); questo prete, ove le suddette persone si presentino a lui in questo periodo e gli si confessino nell’intento di ottenere l’indulgenza del Giubileo e di compiere le altre opere che esigono per questo, potrà per questa volta soltanto e unicamente nel foro interiore assolverli da ogni scomunica, sospensione e altre sentenze e censure ecclesiastiche, inflitte per qualunque causa dalla legge o dal giudice, anche nei casi particolarmente riservati a chicchessia, anche al Sovrano Pontefice e alla Sede Apostolica, come pure da tutti i peccati o delitti riservati agli ordinari e a Noi stessi e alla Sede Apostolica; non tuttavia senza avere imposta una salutare penitenza a tutte le altre ingiunzioni prescritte e, se si tratta di eresie, non senza l’abiura e la ritrattazione dovuta di diritto degli errori; lo stesso prete potrà inoltre commutare ogni specie di voto, anche pronunciato sotto giuramento e riservato alla Sede Apostolica (eccetto quello di castità, di religione o quelli che implicano un’obbligazione accettata da un terzo); potrà commutare i voti, dunque, in altre opere devote e salutari e se si tratta di penitenti costituiti negli Ordini, anche regolari, potrà dispensarli da ogni irregolarità contraria all’esercizio dell’Ordine o all’avanzamento a qualche Ordine superiore, ma contratta solamente per violazione di censura. Non intendiamo, d’altronde, con questa lettera, dispensare dalle altre irregolarità, qualunque esse siano e in qualunque modo contratte o per delitto o per difetto, sia pubblicamente, sia nascostamente, o per nota infamante o per qualche altra incapacità o inabilità; così pure non vogliamo derogare alla Costituzione promulgata da Benedetto XIV di felice memoria, che comincia con le parole: “Sacramentum poenitentiæ“, né alle dichiarazioni che sono in essa contenute; e finalmente non intendiamo che la presente lettera possa o debba essere di qualche utilità a coloro che Noi stessi e questa Sede Apostolica o qualche prelato o giudice ecclesiastico avrà espressamente scomunicati, sospesi, interdetti o colpiti con altre sentenze o censure, o che saranno stati pubblicamente denunciati a meno che abbiano dato soddisfazione nel periodo suddetto e che si siano accordati se possibile con le parti. – Siamo lieti di aggiungere che permettiamo che durante tutto il tempo del Giubileo ciascuno conservi interamente il privilegio di ottenere tutte le indulgenze anche plenarie, che sono state accordate da Noi o dai Nostri Predecessori. – Finiamo questa lettera, Venerabili Fratelli, esprimendo ancora la grande speranza che abbiamo nel cuore: e cioè che, per mezzo delle grazie straordinarie di questo Giubileo che Noi accordiamo sotto gli auspici dell’Immacolata Vergine, molti che si sono miserabilmente separati da Gesù Cristo, torneranno a Lui e che rifiorirà nel popolo cristiano l’amore delle virtù e l’ardore della pietà. Cinquant’anni fa, quando Pio IX Nostro Predecessore dichiarò che la Immacolata Concezione della Beatissima Madre di Gesù Cristo doveva essere ritenuta fondamentale nella Fede Cattolica si vide, l’abbiamo ricordato, un’incredibile abbondanza di grazie spargersi sulla terra e l’aumentata speranza nella Vergine apportare dappertutto un notevole progresso nell’antica religione dei popoli. Che cosa dunque ci impedisce di aspettarci qualcosa di meglio ancora per l’avvenire? Certamente noi viviamo in un’epoca triste e abbiamo il diritto di lamentarci con le parole del Profeta: “Non c’è più verità, non c’è più misericordia, non c’è più scienza sulla terra. La maledizione e la menzogna e l’omicidio e il furto e l’adulterio, invadono ogni cosa“. Ciononostante, in questo che si può chiamare un diluvio di male, l’occhio contempla, simile a un arcobaleno, la Vergine misericordiosa arbitra di pace tra Dio e gli uomini. “Io porrò un arco nelle nuvole e sarà un segno d’alleanza tra me e la terra“. Si scateni dunque la tempesta e una densa oscurità invada il cielo: nessuno deve tremare; la vista di Maria placherà Iddio ed Egli perdonerà. “L’arcobaleno sarà nelle nuvole e nel vederlo io mi ricorderò del patto eterno. E non ci sarà più diluvio per ingoiare la carne del mondo“. Non c’è dubbio che, se noi ci affidiamo come conviene a Maria, soprattutto nel tempo in cui solennizzeremo con più ardente devozione la sua Immacolata Concezione; non c’è dubbio che noi sentiremo che Ella è sempre quella Vergine potentissima “che col suo virgineo piede ha schiacciato la testa del serpente“. – Come augurio di queste grazie, o Venerabili Fratelli, vi impartiamo nel nome del Signore, con grande affetto, come pure ai vostri popoli, l’Apostolica Benedizione.

Roma, presso San Pietro, 2 febbraio 1904, anno I dei Nostro Pontificato.

NOTE

1 Il dogma dell’Immacolata Concezione, privilegio in virtù del quale la Vergine fu dal momento stesso della sua concezione esente dalla macchia del peccato originale, fu definito da Pio IX con la bolla Ineffabilis dell’8 dicembre 1854.

2 È il nome che viene dato a Isaia, padre di Davide. Radice di Jesse, vale “stirpe di Davide”.

3 Si allude ai vari passi biblici dai quali i teologi traggono argomento, riconoscendoli quali premonitori della missione divina di Maria.

4 Qui si fa richiamo alla definizione del Concilio di Efeso dell’anno 431, che attribuì a Maria la sublime maternità di Dio. L’unione ipostatica in Gesù Cristo della doppia natura divina ed umana porta a Maria di potere e dover essere chiamata Madre di Dio.

5 A Maria assunta alla gloria del Cielo (come al dogma definito solamente nel 1950) è dovuto il massimo culto che a creatura possa essere dedicato (iperdulia): come alla più sicura mediatrice di grazia presso il Figlio.

6 Nato a Siena nel 1380, morto all’Aquila nel 1444. A lui è dovuta l’opera di apostolato svolta durante la pestilenza che desolò Siena nel 1400. Di famiglia abbiente, abbandonò ogni ricchezza ai poveri e si fece religioso nell’Ordine dei Francescani.

7 Dei numerosi santi e teologi di questo nome è qui ricordato Denys le Chartreux (in italiano Dionisio il Certosino) che si ritrova anche citato con il nome di Denys di Reken dal nome del paese fiammingo dove era nato nel 1394. Teologo di grande fama: si contano a circa duecento le opere da lui composte. Morì nel 1471.

29 SETTEMBRE: S. MICHELE

29 Settembre: In Dedicatione S. Michælis Archangelis ~ Duplex I. classis

Doppio di 1′ classe. – Paramenti bianchi.

Il 29 settembre era una volta consacrato a tutti gli Angeli (Intr., Or., Grad., Com.); il Papa Bonifacio II, verso il 530, scelse questadata per dedicare a S. Michele una chiesa nel gran circo, a Roma.La Messa, usata per la circostanza, fu quella della 18a Domenica dopo la Pentecoste e si riferisce ad una dedicazione dellaChiesa. Quella attuale è di epoca più recente. Il nome di Michele significa in ebraico: «Chi come Dio?» e ci ricorda il combattimento che si scatenò In cielo tra « l’Arcangelo di Dio, che meritò di essere messo alla testa della milizia celeste » e il demonio. Caduti noi in potere di satana per il peccato, tocca a S. Michele continuare la lotta per liberarci (All. e Preghiera dopo la Messa). Egli ha vinto l’orgoglio di satana e ci ottiene l’umiltà. Egli presiede al culto di adorazione che si rende all’Altissimo, perché offre a Dio le preghiere dei Santi, simbolizzate dall’incenso il cui fumo sale verso il cielo (Off. Benedizione dell’incenso). Quando un Cristiano ha abbandonato questo mondo, si prega che il vessillifero S. Michele lo faccia entrare nel cielo: sovente viene rappresentato con la bilancia della giustizia divina, dove sono pesate le anime. Il suo nome si trova nel Confiteor dopo quello di Maria, che è la Regina degli Angeli. Angelo protettore della Sinagoga, S. Michele è anche quello della Chiesa che le succedette La liturgia attribuisce a lui la rivelazione del futuro fatta a San Giovanni nella sua Apocalisse (Ep.).

[Messale Romano di S. Bertola e G. De Stefani; L.I.C.E – R. Berruti & c. Torino, 1936]

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CII: 20.
Benedícite Dóminum, omnes Angeli ejus: poténtes virtúte, qui fácitis verbum ejus, ad audiéndam vocem sermónum ejus. [Benedite il Signore, voi tutti Ángeli suoi: gagliardi esecutori dei suoi ordini, pronti ad una sua parola].Ps CII: 1
Benedic, ánima mea. Dómino: et ómnia, quæ intra me sunt, nómini sancto ejus.
[
Benedici, ànima mia, il Signore, e tutto il mio intimo benedica il suo santo nome].

Benedícite Dóminum, omnes Angeli ejus: poténtes virtúte, qui fácitis verbum ejus, ad audiéndam vocem sermónum ejus. [Benedite il Signore, voi tutti Ángeli suoi: gagliardi esecutori dei suoi ordini, pronti ad una sua parola].

Oratio

Orémus.
Deus, qui, miro órdine, Angelórum ministéria hominúmque dispénsas: concéde propítius; ut, a quibus tibi ministrántibus in coelo semper assístitur, ab his in terra vita nostra muniátur. [O Dio, che con ordine meraviglioso distribuisci gli uffici degli Angeli e degli uomini, concédici, propizio, che da coloro che in cielo continuamente servono alla tua presenza, sia difesa in terra la nostra vita].

Lectio

Léctio libri Apocalýpsis beáti Joánnis Apóstoli.
Apoc 1: 1-5
In diébus illis: Significávit Deus, quæ opórtet fíeri cito, mittens per Angelum suum servo suo Joánni, qui testimónium perhíbuit verbo Dei, et testimónium Jesu Christi, quæcúmque vidit. Beátus, qui legit et audit verba prophetíæ hujus: et servat ea, quæ in ea scripta sunt: tempus enim prope est. Joánnes septem ecclésiis, quæ sunt in Asia. Grátia vobis et pax ab eo, qui est et qui erat et qui ventúrus est: et a septem spirítibus, qui in conspéctu throni ejus sunt: et a Jesu Christo, qui est testis fidélis, primogénitus mortuórum et princeps regum terræ, qui diléxit nos et lavit nos a peccátis nostris in sánguine suo.
[In quel tempo: Dio rivelò le cose che presto debbono accadere, inviando per mezzo del suo Angelo il messaggio al suo servo Giovanni, il quale attesta che tutto quello che vide è parola di Dio e testimonianza di Gesù Cristo. Beato chi legge e ascolta le parole di questa profezia: e serba le cose che in essa sono scritte, poiché il tempo è vicino. Giovanni alle sette Chiese che sono nell’Asia. Grazia a voi e pace da parte di Colui che è, era e sta per venire; e dei sette spiriti che sono dinanzi al suo trono, e di Gesù Cristo che è il testimonio fedele, il primogenito tra i morti e il principe dei re della terra, il quale ci amò e ci lavò dai nostri peccati col proprio sangue].

Graduale

Ps CII: 20; :1
Benedícite Dóminum, omnes Angeli ejus: poténtes virtúte, qui fácitis verbum ejus.
V. Benedic, ánima mea, Dóminum, et ómnia interióra mea, nomen sanctum ejus. Allelúja, allelúja.  

V. Sancte Míchaël Archángele, defénde nos in proelio: ut non pereámus in treméndo judício. Allelúja.


[Benedite il Signore, voi tutti Ángeli suoi, gagliardi esecutori dei suoi ordini, pronti ad una sua parola.
V. Benedici, ànima mia, il Signore, e tutto il mio intimo benedica il suo santo nome. Allelúia, allelúia.
V. San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia, affinché non periamo nel tremendo giudizio. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt XVIII: 1-10
In illo témpore: Accessérunt discípuli ad Jesum, dicéntes: Quis, putas, major est in regno cœlórum? Et ádvocans Jesus parvulum, statuit eum in médio eórum et dixit: Amen, dico vobis, nisi convérsi fuéritis et efficiámini sicut párvuli, non intrábitis in regnum cœlorum. Quicúmque ergo humiliáverit se sicut párvulus iste, hic est major in regno coelórum. Et qui suscéperit unum párvulum talem in nómine meo, me súscipit. Qui autem scandalizáverit unum de pusíllis istis, qui in me credunt, expédit ei, ut suspendátur mola asinária in collo ejus, et demergátur in profúndum maris. Væ mundo a scándalis! Necésse est enim, ut véniant scándala: verúmtamen væ hómini illi, per quem scándalum venit! Si autem manus tua vel pes tuus scandalízat te, abscíde eum et prójice abs te: bonum tibi est ad vitam íngredi débilem vel cláudum, quam duas manus vel duos pedes habéntem mitti in ignem ætérnum. Et si óculus tuus scandalízat te, érue eum et prójice abs te: bonum tibi est cum uno óculo in vitam intráre, quam duos óculos habéntem mitti in gehénnam ignis. Vidéte, ne contemnátis unum ex his pusíllis: dico enim vobis, quia Angeli eórum in cœlis semper vident fáciem Patris mei, qui in cœlis est.
[In quel tempo: Si presentarono a Gesú i discepoli e gli dissero: Chi ritieni tu il piú grande nel regno dei cieli? E Gesú, chiamato a sé un fanciullo, lo pose in mezzo ad essi e rispose: In verità vi dico che, se non vi convertirete e non diverrete come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli. Quindi, chiunque si farà piccolo come questo fanciullo, questi sarà il piú grande nel regno dei cieli. E chiunque accoglierà nel nome mio un fanciullo come questo, accoglie me stesso. Chi poi scandalizzerà uno di questi piccoli, che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una màcina d’àsino e fosse immerso nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali. Poiché è inevitabile che vi siano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale viene lo scandalo. Che se la tua mano e il tuo piede ti è di scandalo, troncali e gettali via da te: è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che essere gettato nel fuoco eterno con tutte e due le mani o i piedi. E se il tuo occhio ti è di scandalo, lévatelo e géttalo via da te: è meglio per te entrare nella vita con un solo occhio, che essere gettato nel fuoco della geenna con due occhi. Guardatevi dal disprezzare qualcuno di questi piccoli: vi dico che i loro Ángeli nei cieli vedono sempre il volto del Padre mio che è nei cieli].

Omelia

[Dom P. Guéranger. L’Anno liturgico, vol. II, Ed Pailine, Alba, 1956]

La dedicazione di S. Michele è la festa più solenne che la Chiesa celebra nel corso dell’anno in onore di questo Arcangelo, e tuttavia lo riguarda meno personalmente perchè vi si onorano tutti i cori della gerarchia angelica. Nell’inno dei primi Vespri la Chiesa propone alla nostra preghiera l’oggetto della festa di oggi con le parole di Rabano Mauro, abate di Fulda: Celebriamo con le nostre lodi Tutti i guerrieri del cielo, Ma soprattutto il capo supremo Della milizia celeste: Michele che, pieno di valore, Ha abbattuto il demonio (versione antica del Breviario monastico).

Origine della festa.

La festa dell’otto maggio richiama il ricordo dell’apparizione al monte Gargano e nel Medioevo si celebrava soltanto nell’Italia del Sud. La festa del 29 settembre è propria di Roma e segna l’anniversario della Dedicazione di una basilica, oggi scomparsa, che sorgeva sulla via Salaria, a Nord-Est della città. Il fatto della dedicazione spiega il titolo conservato alla festa nel Messale Romano: Dedicatio sancti Michaèlis. Le Chiese di Francia e Germania, che nel Medioevo seguivano la liturgia romana, hanno attenuato spesso nei loro libri liturgici il titolo originario della festa, che venne presentata come festa In Natale o In Veneratione sancti Michaèlis, così che dell’antico titolo non restava altro che il nome dell’Arcangelo.

L’ufficio di san Michele.

Anche l’Ufficio non poteva conservare il ricordo della dedicazione. Infatti gli antichi Uffici relativi alle dedicazioni celebravano il Santo in onore del quale la chiesa era consacrata e non l’edificio materiale in cui egli era onorato; non avevano perciò niente di impersonale e rivestivano anzi un carattere molto circostanziato. – L’Ufficio di san Michele può essere considerato una delle più belle composizioni della nostra liturgia e ci fa contemplare ora il Principe delle milizie celesti e capo degli Angeli buoni, ora il ministro di Dio, che assiste al giudizio dell’anima di ogni defunto, ora ancora l’intermediario, che porta sull’altare della liturgia celeste le preghiere dell’umanità fedele.

L’Angelo turiferario.

I primi Vespri cominciano con l’Antifona Stetit Angelus, che deriva il testo dall’Offertorio della Messa del giorno: « Un Angelo stava presso l’altare del tempio e aveva un incensiere in mano: gli diedero molto incenso e il fumo profumato si elevò fino a Dio ». L’Orazione della benedizione dell’incenso alla Messa solenne designa il nome di questo Angelo turiferario: « Il beato Arcangelo Michele ». Il libro dell’Apocalisse dal quale son presi i testi liturgici ci spiega che i profumi, che salgono alla presenza di Dio sono le preghiere dei giusti: « Il fumo degli aromi formato dalle preghiere dei santi salgono dalla mano dell’angelo davanti a Dio » (Apoc. 8, 4). –

Il Mediatore della Preghiera eucaristica.

È ancora Michele che presenta al Padre l’offerta del Giusto per eccellenza ed Egli infatti è designato nella misteriosa preghiera del Canone della Messa in cui la santa Chiesa chiede a Dio di portare sull’altare sublime, per mano dell’Angelo Santo, l’oblazione sacra in presenza della divina Maestà. È cosa molto sorprendente notare negli antichi testi liturgici romani che san Michele è sovente chiamato l’Angelo Santo, l’Angelo per eccellenza. Probabilmente sotto il pontificato di Papa Gelasio fu compiuta la revisione del testo del Canone nel quale l’espressione al singolare Angeli tui fu sostituita con quella al plurale Angelorum tuorum. Proprio a quell’epoca, sul finire del v secolo, l’Angelo era apparso al vescovo di Siponto, presso il Monte Gargano.

Vocazione contemplativa degli Angeli.

Come si vede la Chiesa considera san Michele mediatore della sua preghiera liturgica; egli è posto tra l’umanità e la divinità. Dio, che dispose con ordine ammirabile le gerarchie invisibili (Colletta della Messa) impiega, per opulenza, a lodare la sua gloria il ministero degli spiriti celesti, che contemplano continuamente l’adorabile faccia del Padre (Finale del Vangelo della Messa) e, meglio che gli uomini, sanno adorare e contemplare la bellezza delle sue infinite perfezioni. Mi-Ka-El: Chi è come Dio? Il nome esprime da solo, nella sua brevità, la lode più completa, la più perfetta adorazione, la riconoscenza totale per la trascendenza divina e la più umile confessione della nullità delle creature. – Anche la Chiesa della terra invita gli spiriti a benedire il Signore, a cantarlo, a lodarlo e esaltarlo senza soste (Introito, Graduale, Communio della Messa; Antifona dei Vespri). La vocazione contemplativa degli Angeli è modello della nostra e ce lo ricorda un bellissimo prefazio del Sacramentario leoniano: « È cosa veramente degna… rendere grazie a Te, che ci insegni, per mezzo del tuo Apostolo, che la nostra vita è trasferita in cielo, che, con benevolenza comandi, di trasportarci in spirito là dove quelli che noi veneriamo servono e di tendere verso le altezze, che nella festa del beato Arcangelo Michele contempliamo nell’amore, per il Cristo nostro Signore ».

Aiuto dell’umanità.

La Chiesa sa pure che a questi spiriti consacrati al servizio di Dio è stato affidato un ministero al fianco di coloro, che devono raccogliere l’eredità della salvezza (Ebr. I, 14). Senza attendere la festa del 2 ottobre, dedicata in modo speciale agli Angeli custodi, la Chiesa già oggi chiede a san Michele e ai suoi Angeli di difenderci nei combattimenti che dobbiamo sostenere (Alleluia della Messa; Preghiera ai piedi dell’altare dopo l’ultimo Vangelo). Chiede ancora a san Michele di ricordarsi di noi e di pregare per noi il Figlio di Dio, perché nel giorno terribile del giudizio non abbiamo a perire. Nel giorno terribile del giudizio il grande Arcangelo, vessillifero della milizia celeste, difenderà la nostra causa davanti all’Altissimo (Antif. Del Magnificat ai secondi Vespri) e ci farà entrare nella luce santa (Offertorio della Messa dei defunti).

Preghiera.

Da questa terra, nella lotta contro le potenze del male, possiamo rivolgere all’Arcangelo la preghiera di esorcismo che Leone XIII inserì nel rituale della Chiesa Romana: « Principe gloriosissimo della celeste milizia, san Michele Arcangelo, difendici nel combattimento contro le forze, le potenze, i capi del mondo delle tenebre e contro lo spirito di malizia. Vieni in soccorso degli uomini, che Dio ha fatti a sua immagine e somiglianza e riscattati a duro prezzo dalla tirannia del diavolo. » La Santa Chiesa ti venera come custode e patrono; Dio ti ha confidato le anime redente per portarle alla felicità celeste. Prega il Dio della pace, perché schiacci satana sotto i nostri piedi, per strappargli il potere di tenere gli uomini in schiavitù e di nuocere alla Chiesa. Offri le nostre preghiere all’Altissimo perché sollecitamente scendano su noi le misericordie del Signore e il dragone, l’antico serpente, chiamato diavolo e satana, sia precipitato, stretto in catene, nell’abisso, perché non possa più sedurre i popoli ».

 Credo …

Offertorium

Orémus
Apoc VIII: 3; 4
Stetit Angelus juxta aram templi, habens thuríbulum áureum in manu sua, et data sunt ei incénsa multa: et ascéndit fumus aromátum in conspéctu Dei, allelúja.  [L’Angelo si fermò presso l’altare del tempio, tenendo un turíbulo d’oro in mano, e gli fu dato molto incenso: e il fumo degli aromi salí al cospetto di Dio, allelúia].

Secreta

Hóstias tibi, Dómine, laudis offérimus, supplíciter deprecántes: ut easdem, angélico pro nobis interveniénte suffrágio, et placátus accípias, et ad salútem nostram proveníre concédas. [Ostie di lode Ti offriamo, o Signore, pregandoTi supplichevoli: affinché, per intercessione degli Ángeli, le accetti propizio e le renda proficue alla nostra salvezza].

Communio

Dan III: 58
Benedícite, omnes Angeli Dómini, Dóminum: hymnum dícite et superexaltáte eum in sǽcula. [Benedite il Signore, Angeli tutti del Signore: cantate inni e superesaltatelo nei secoli].

Postcommunio

Orémus.
Beáti Archángeli tui Michælis intercessióne suffúlti: súpplices te, Dómine, deprecámur; ut, quod ore prosequimur, contingamus et mente.
[Sostenuti dall’intercessione del tuo beato Michele Arcangelo: súpplici Ti preghiamo, o Signore, affinché di quanto abbiamo ricevuto con la bocca, conseguiamo l’effetto nell’ànima].

Per l’ordinario vedi:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXXV: 3; 5
Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te. [Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].
Ps LXXXV: 1
Inclína, Dómine, aurem tuam mihi, et exáudi me: quóniam inops, et pauper sum ego.
[Porgi l’orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi, perché sono misero e povero].

Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te. [Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].

Oratio

Orémus.
Tua nos, quǽsumus, Dómine, grátia semper et prævéniat et sequátur: ac bonis opéribus júgiter præstet esse inténtos.
[O Signore, Te ne preghiamo, che la tua grazia sempre ci prevenga e segua, e faccia che siamo sempre intenti alle opere buone].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios
Ephes III: 13-21

Fratres: Obsecro vos, ne deficiátis in tribulatiónibus meis pro vobis: quæ est glória vestra. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis et in terra nominátur, ut det vobis secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo et longitúdo et sublímitas et profúndum: scire etiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei. Ei autem, qui potens est ómnia fácere superabundánter, quam pétimus aut intellégimus, secúndum virtútem, quæ operátur in nobis: ipsi glória in Ecclésia et in Christo Jesu, in omnes generatiónes sæculi sæculórum. Amen.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,D

IL PROGRESSO DELLA VITA INTERIORE

“Fratelli: Vi scongiuro di non perdervi di coraggio a motivo delle tabulazioni che io soffro per voi. Esse sono la vostra gloria. Perciò io piego i ginocchi davanti al Padre del Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale prende nome ogni famiglia, in cielo e in terra, affinché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, d’essere fortemente corroborati, mediante il suo spirito, nell’uomo interiore: che Cristo per mezzo della fede abiti nei vostri cuori, affinché, profondamente radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità; e d’intendere anche quell’amore di Cristo che sorpassa ogni coscienza, di modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. A Lui che, secondo la possanza che opera in noi, può tutto infinitamente di là di quanto noi domandiamo e pensiamo: a Lui sia gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni di tutti i secoli”. (Efes. III, 33-21).

L’Epistola è tolta dalla lettera agli Efesini. Quei di Efeso sono stati chiamati alla fede. Per questo, S. Paolo, che si trova in prigionia a Roma, si rivolge a Dio, Padre degli Angeli e degli uomini, pregandolo ardentemente che spanda sugli Efesini la ricchezza della sua gloria, fortificandoli, per mezzo della grazia dello Spirito Santo, nella vita spirituale incominciata con il Battesimo, unendoli, mediante la fede e la carità in Gesù Cristo, con unione così intima, che la vita in Lui sia costante e in tutta la pienezza. E così diventino capaci di comprendere l’amor di Dio, che abbraccia tutta la creazione, che non conosce limiti di tempo, di spazio, di misura; e siano ricolmi di tutti quei doni, la cui piena sorgente si trova in Dio. L’Apostolo domanda molto; ma Dio, nella sua onnipotenza sa far di più di quanto noi possiamo domandare e comprendere. A Lui, dunque, si renda gloria per tutti i secoli. Il desiderio ardente dell’Apostolo per il progresso degli Efesini nella vita spirituale incominciata, si riferisce anche a noi. La nostra vita interiore:

1 Deve progredire,

2 Sostenuta dalla fede,

3 E dalla carità.

1.

Io piego i ginocchi davanti al Padre del nostro Signore Gesù Cristo… affinché vi conceda… d’essere fortemente corroborati, mediante il suo spirito, nell’uomo interiore.Con queste parole l’Apostolo assicura agli Efesini che trale angustie della prigionia non li dimentica, ma prega il Signore che, per mezzo delle grazie dello Spirito Santo, li rassodi e li fortifichi quanto alla vita interiore, cioè quanto alla vita dell’anima rigenerata alla grazia. Il Cristiano, che con il Battesimo è nato alla vita spirituale, sarebbe irragionevole se si accontentasse di vivere una vita spirituale stentata. Nessuno rinuncerebbe a una vita piena di sanità e di vigore per vivere una vita stentata, malaticcia, zoppicante. Il Cristiano che si accontenta di tirare innanzi come si può, di non commettere disordini gravi, di non perdere la grazia di Dio; … e non si dà premura di fortificarsi, rassodarsi nella vita spirituale, più che vivere, sonnecchia, più che camminare, zoppica. E se seguiamo Gesù Cristozo ppicando, resteremo molto indietro, con pericolo di perderlo.Dirai: quando uno ha lavorato, ha diritto a un riposo. Qualche cosa di buono ho fatto nella vita spirituale. Adesso basta. Ci sono dei lavori in cui non si può dir basta. Chi costruisce un edificio sarebbe burlato da tutti e stimato per pazzo se, arrivato a metà, dicesse: — Adesso basta. Questo edificio non ha più bisogno di altri lavori. Si è fatto abbastanza. — Nella costruzione del nostro edificio spirituale, sarebbe una pazzia fermarsi a metà. «Questa — dice S. Agostino — è la tua perfezione: l’aver superate alcune cose in modo che ti appresti a superarne altre» (En. in Ps. XXXVIII, 14). Col procedere degli anni, dunque, il Cristiano deve procedere anche nel bene. La sua vita spirituale, al contrario di quanto avviene rispetto alla vita fisica, col procedere degli anni, invece di affievolirsi deve ingagliardirsi sempre più. È evidente. Se Dio prolunga la vita all’uomo, lo fa per il suo maggior bene. «Dio non prolunga a nessuno il tempo, perché con il vivere a lungo abbia a cadere, e allontanarsi dalla retta fede nella sua longevità; dovendosi tra i benefici di Dio annoverare appunto la longevità, nella quale l’uomo non deve essere peggiore, ma migliore»  (S. Prospero d’Aquit. Sent. sup. cap. Gall. 3.) – «Progredite sempre più», diceva l’Apostolo ai Tessalonicesi (I Tess. IV, 1). E quanto a sé dichiarava: «Dimentico di quel che ho dietro le spalle, e stendendomi verso le cose che mi stanno davanti, mi avanzo verso il segno» (Filipp. III, 13-14). Imitiamolo.

2.

Io prego ancora — dice S. Paolo rivolto agli Efesini che Cristo per mezzo della fede abiti nei vostri cuori. Con ferma adesione a tutte le verità rivelate Cristo abiterà nei cuori degli Efesini in modo sempre più perfetto. Una ferma adesione alle verità della fede è più che mai necessaria per una vita spirituale vigorosa. Nel principio della vita spirituale sentiamo molte dolcezze. Dio provvede alla nostra infanzia spirituale con il cibo delicato delle consolazioni. Ma poi a questo cibo ne sostituisce uno più solido: quello delle amarezze. La fede ci sostiene nell’ora della prova, tenendo il luogo delle consolazioni. Quando Gesù, salendo al cielo, si sottrasse alla vista degli Apostoli; questi non sapevano decidersi a discendere dal monte: pareva loro di essere abbandonati. Ma presto si risovvennero delle parole di Gesù: «Ecco, Io sono con voi tutti i giorni fino al compimento del secolo» (Matth. XXVIII, 20). E in queste parole trovano coraggio e spinta a proseguire l’opera loro. Noi pure troviamo forza e vigore a proseguire nella vita spirituale cominciata negli insegnamenti della fede. Siano pochi o tanti gli ostacoli, siano da poco o molto grandi li vinceremo tutti con una fede viva nell’aiuto di Dio. Quando Giuda Maccabeo, con poca gente, si fece incontro al potente esercito di Siria, comandato da Seron, i suoi furono presi da grande scoraggiamento. « Come potremo  noi — gli osservarono, — sì poco numerosi, combattere contro una moltitudine tanto grande e potente, spossati come siamo oggi dal digiuno? Giuda rispose: « È cosa facile che molti restino preda di pochi. Per il Dio del cielo non c’è differenza tra il salvar per mano di molti o per mano di pochi. Poiché la vittoria in guerra non dipende dal numero delle schiere: la forza viene dal cielo » (1 Mac. III, 17-19). Animati da tale fede, Giuda e i suoi pochi si gettarono sull’esercito di Seron e lo sconfissero pienamente. Animati da una tale fede nell’aiuto e nelle promesse di Dio, non ci arresteremo e non vacilleremo mai, nella via dello spirito, davanti a ostacoli di qualsiasi genere e di qualsiasi numero: procederemo, anzi più fortificati e invigoriti. Quei che sono deboli nella fede cadono facilmente neitranelli che tendono i seminatori di errori, o, come dice più avanti l’Apostolo agli Efesini, sono come i « fanciulli vacillanti, portati qua e là da ogni vento di dottrina per gli inganni degli uomini; per le astuzie che rendono seducente l’errore » (Efes. IV, 14). Ma se la fede è ben radicata e fondata nei cuori, non sarà scossa dagli errori che gente superba o dal cuor guasto cerca di seminare ovunque, e che ci tolgono di vivere secondo i precetti di Dio, in stretta unione con Lui. Non deve recar meraviglia se coloro che vivono nell’idolatria, essendo privi del lume della fede, nella loro condotta seguano cecamente la via tracciata dalle passioni. È  incomprensibile, invece, che vivano una tale vita i Cristiani, i quali, nelle verità della fede, alla scuola di Gesù Cristo, trovano l’insegnamento della santità e l’impulso a praticarla. « Il sentiero dei giusti è come luce splendente, è come luce che cresce fino a pieno giorno », dice Salomone (Prov. IV, 18). Luce splendente e perfetta sono gli insegnamenti della fede, gli esempi che ci ha lasciati Gesù Cristo. Seguendo questi la nostra vita spirituale si rafforzerà di giorno in giorno.

3.

« La mente del credente assume le ali della fede, affinché, sollevato dalla terra e tutto assorto nello spirito possa comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e la profondità della scienza di Dio» (S. Gaudenzio di Brescia. Sermo 14, De div. cap. 4). Il credente, sull’ali della fede animata dalla carità, s’inoltra sempre più, per quanto a mente umana è possibile, nella cognizione di Dio e di quell’amore di Cristo, senza misura, che Egli ci ha dimostrato nell’Incarnazione. La sempre maggior cognizione di Dio, del suo amore immenso servono mirabilmente a far progredire il Cristiano nella sua vita spirituale; poiché quanto più conosciamo Dio, tanto più siamo spinti ad amarlo, con un amore che dia vita a tutte le nostre azioni. Come un albero, per mezzo dalle radici assorbisce l’umore che gli dà vita e incremento; così per mezzo della carità, o amor di Dio, il Cristiano vive e consolida la sua vita interna. L’amor di Dio fa trovar più gusto nella preghiera, nei sacramenti nell’ascoltar la parola del Vangelo, che non nei perditempi e nelle dissipazioni del mondo. L’amor di Dio fa preferire la mortificazione, il distacco dai beni terreni, le opere di misericordia, ai godimenti dei sensi, alla cupidigia, ai divertimenti pericolosi. L’amor di Dio dà il coraggio di mostrarsi pubblicamente Cristiani fra i motteggi e i sarcasmi del mondo; dà la costanza fra le dure prove. L’Apostolo chiede a Dio non solo che gli Efesini abbiano la carità, ma chiede che siano profondamente radicati e fondati nella carità, « affinché — come nota il Crisostomo — non possa essere smossa dai venti, né abbattuta da qualsiasi altra forza » (In Ep. ad Efes. hom. 7, 2). La maggior conoscenza di Dio e del suo amore immenso per noi ci renderà sempre più irremovibili nella buona via intrapresa. Fede viva e carità ardente ci renderanno saldi come quegli alberi che resistono all’infuriare di tutti i venti; e, passata la tempesta, sollevano la cima in atto di tendere sempre più in alto, al cielo. Dio non ci negherà il chiesto aiuto, Egli che può fare tutto infinitamente di là di quanto noi domandiamo o possiamo. Noi da parte nostra ricordiamoci che chi più lavora, più raccoglie.

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore, e tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. [Poiché il Signore ha edificato Sion e sarà veduto nella sua maestà.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit Dóminus. Allelúja.
[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché Egli fece meraviglie. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIV: 1-11
In illo témpore: Cum intráret Jesus in domum cujúsdam príncipis pharisæórum sábbato manducáre panem, et ipsi observábant eum. Et ecce, homo quidam hydrópicus erat ante illum. Et respóndens Jesus dixit ad legisperítos et pharisaeos, dicens: Si licet sábbato curáre? At illi tacuérunt. Ipse vero apprehénsum sanávit eum ac dimísit. Et respóndens ad illos, dixit: Cujus vestrum ásinus aut bos in púteum cadet, et non contínuo éxtrahet illum die sábbati? Et non póterant ad hæc respóndere illi. Dicebat autem et ad invitátos parábolam, inténdens, quómodo primos accúbitus elígerent, dicens ad illos: Cum invitátus fúeris ad núptias, non discúmbas in primo loco, ne forte honorátior te sit invitátus ab illo, et véniens is, qui te et illum vocávit, dicat tibi: Da huic locum: et tunc incípias cum rubóre novíssimum locum tenére. Sed cum vocátus fúeris, vade, recúmbe in novíssimo loco: ut, cum vénerit, qui te invitávit, dicat tibi: Amíce, ascénde supérius. Tunc erit tibi glória coram simul discumbéntibus: quia omnis, qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XLIV.

“In quel tempo Gesù entrato in giorno di sabato nella casa di uno de’ principali Farisei per ristorarsi, questi gli tenevano gli occhi addosso. Ed eccoti che un certo uomo idropico se gli pose davanti. E Gesù rispondendo prese a dire ai dottori della legge e ai Farisei: È egli lecito di risanare in giorno di sabato? Ma quelli si tacquero. Ed egli toccandolo lo risanò, e rimandollo. E soggiunse, e disse loro: Chi di voi, se gli è caduto l’asino o il bue nel pozzo, non lo trae subito fuori in giorno di sabato? Né a tali cose poterono replicargli. Disse ancora ai convitati una parabola, osservando com’ei si pigliavano i primi posti dicendo loro: Quando sarai invitato a nozze, non ti mettere a sedere nel primo posto, perché a sorte non sia stato invitato da lui qualcheduno più degno di te: e quegli che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedi a questo il luogo; onde allora tu cominci a star con vergogna nell’ultimo posto. Ma quando sarai invitato va a metterti nell’ultimo luogo, affinché venendo chi ti ha invitato, ti dica: Amico, vieni più in su. Ciò allora ti fia d’onore presso tutti i convitati. Imperocché chiunque si innalza, sarà umiliato; e chi si umilia sarà innalzato”.

Chi per poco considera la vita pubblica di nostro Signor Gesù Cristo, riconosce tosto, che la maggior parte dei suoi miracoli furono da Lui operati in giorno di sabbato. E il giorno di sabbato nell’antica legge, presso gli Ebrei, era il giorno festivo, al quale nella legge nuova dagli Apostoli, a ricordare i grandi misteri della Risurrezione di Gesù Cristo e della Pentecoste, fu sostituito il giorno di Domenica, che vuol dire appunto giorno del Signore. E perché mai il Salvatore fece preferibilmente i suoi miracoli in giorno di sabato? Soprattutto per due ragioni. La prima: per reagire contro i pregiudizi degli Ebrei, i quali dell’osservanza del sabbato erano andati a tale eccesso da contare sino a 39 i lavori interdetti in quel giorno e di aver formulate sino a 1279 regole in proposito! Così ogni miracolo operato da Gesù Cristo in giorno di sabbato faceva sentire agli Ebrei che il rigorismo dei loro Dottori della legge era un’esagerazione, e che l’amor di Dio e l’amor del prossimo debbono vincerla sulla legge del riposo, che è puramente positiva. La seconda poi, perché nel giorno di sabbato, in cui il popolo si asteneva dal lavoro, più facilmente poteva vedere ancor esso quei miracoli ed ascoltare le istruzioni, con cui li accompagnava. Imperciocché, dice San Giovanni Grisostomo, per quanto grande fosse la modestia del Salvatore, pure non tralasciava di provvedere a che i suoi miracoli non passassero inosservati, né potessero essere invocati in dubbio, onde confermare così sempre più efficacemente la dottrina, che andava predicando. Or bene il miracolo, che ci racconta il Vangelo di questa domenica, sebbene da Gesù Cristo operato in una casa privata, fu tuttavia operato in giorno di sabbato, e specialmente per la prima delle ragioni sopradette.

1. In quei tempi adunque, – dice il Vangelo – Gesù Cristo entrato in giorno di sabbato nella casa di uno dei principali Farisei per ristorarsi, questi gli tenevano gli occhi addosso. Or bene, che i Farisei, nemici dichiarati del Redentore, attentamente lo spiassero non ci deve recar meraviglia: già molte volte nel Vangelo abbiamo potuto conoscere la perfida condotta di questi maligni ipocriti contro di Gesù. Ciò che può far meraviglia sono queste due cose: la prima, che Gesù accetti di andar a pranzo; la seconda accetti di andarvi presso uno dei principali Farisei. Riguardo a quest’ultima osserva tosto San Cirillo, che Gesù accettò l’invito in quella casa allo scopo di essere utile a quei che vi erano presenti e con le parole e con i miracoli. Riguardo poi alla prima, Gesù ha voluto farci intendere che non è proibito anche ad un buon Cristiano il prender parte a qualche onesta allegria. Adunque sull’esempio del Figliuol di Dio un Cristiano può accettare qualche invito, che gli venga fatto, e sedere ad un banchetto. Simili adunanze non sono in se stesse cattive, e possono contribuire a stringere i vincoli, che uniscono le famiglie, ed a perpetuare fra parenti e vicini una dolce ed edificante armonia. I primi Cristiani avevano le loro agapi, ossia sacri banchetti, in cui i ricchi alimentava i poveri e con essi sedevano a mensa facendo per tal modo scomparire ogni distinzione sociale, e guardandosi davvero come fratelli e figliuoli d’un medesimo Padre, che è nei cieli. Ciò che tuttavia Gesù Cristo non intende assolutamente di approvare col suo esempio sono quei banchetti, in cui regna la prodigalità e la gozzoviglia, quei pasti in cui non si cerca altro che d’accontentare la gola. Difatti nel sacro testo del Vangelo è detto, che Gesù Cristo accettò di andare dal Fariseo manducare panem, per mangiare il pane, ossia quasi per prendere soltanto quel cibo, che da tutti è stimato di prima necessità. Quanti invece vi hanno fra i ricchi, i quali in un banchetto spendono e sprecano centinaia e migliaia di lire, che con tanta utilità potrebbero impiegare a soccorrere i poveri! Quanti poi vi sono tra i Cristiani, i quali dominati dallo sregolato amore al mangiare ed al bere si danno agli eccessi, ai disordini, alle ingordigie, a servire insomma, a contentare la gola. Eppure quanto detestabile è questo vizio! Ha detto molto bene un antico, che la gola uccide uomini più della spada; ed in vero questo vizio trae all’ubriachezza, all’intemperanza, alla disonestà, cose tutte che logorano il corpo, lo rendono infermo, e lo spingono precocemente alla tomba. E non è dunque una vergogna per un uomo ragionevole lasciarsi vincere dalla gola, anziché reprimerne gli stimoli? La gola inoltre porta al disprezzo delle leggi della Chiesa. Quando si ha questo vizio, non si è disposti gran fatto a praticare il digiuno e le altre astinenze ordinate dalla Chiesa; s’ignora che cosa voglia dire mortificazione, sembrano giogo insopportabile le leggi, che ordinano certe privazioni, si cercano pretesti per dispensarsene, e si viene non solo a violare il precetto del digiuno, ma anche a mangiare senza scrupoli cibi vietati. Da ultimo, la gola è cagione di contese. Dall’intemperanza nascono le querele, i risentimenti e le violenze. Ce ne fa fede lo Spirito Santo nella Scrittura dicendo: A chi dirassi misero? per chi i precipizi, le querele e le cadute? per chi le ferite? se non per coloro che passano il tempo a bere? e pongono il loro piacere nel vuotare tazze?Bisogna adunque abborrire un vizio sì indegno dell’uomo e molto più del Cristiano. Nel mangiare pratichiamo la cristiana sobrietà, la virtù che ci regola nel bere e nel mangiare secondo il bisogno, la virtù che rende più robusto il corpo e più lunga la vita. Vigiliamo su noi stessi per non sorpassare i limiti del bisogno in un’azione, che di per sé tende ad assecondare la natura. Un Cristiano considera il cibo come una necessità, non pensa quindi all’avidità o alla sensualità, sfugge la delicatezza e lo squisito di ciò che solletica i sensi: a dir breve pensa ad imitare Gesù Cristo, che ha voluto assoggettarsi a quest’azione per esserci modello, ed ha sempre presente l’avviso salutare che Egli dà nel Santo Vangelo: « Vigilate attentamente su voi stessi, perché i vostri cuori non diventino pesanti a cagione delle troppe carni e del troppo vino, ed improvvisamente non vi colga il giorno del Signore ». (Luc. XXI, 34).E il miglior mezzo per farci ricordare le regole della sobrietà, e darci forza di seguirle, si è dire bene l’orazione prima e dopo il pranzo o la cena. Se alcuno non avesse ancora questa santa pratica, la prenda tosto, imperciocché con siffatto modo trarremo su noi la benedizione di Dio ed otterremo la grazia di non offenderlo.

2. Dice in seguito il Vangelo: « Ed eccoti che un certo uomo idropico se gli pose davanti ». Non dice adunque in che modo fosse là entrato, quindi è che molti commentatori della Sacra Scrittura pensano che esso fosse stato posto maliziosamente in presenza del Salvatore dagli stessi Farisei, per vedere se lo guarisse ad onta del giorno di sabbato. In questo caso non avrebbero mancato di fargliene un delitto. E quanto allo stesso infermo, S. Cirillo pensa ch’egli non osò chiedere al Salvatore la sua guarigione, rattenuto come era dal timore dei Farisei, ma che essendo a Lui innanzi sperava muoverlo a compassione e riceverne la sanità. Ma il divin Salvatore, a cui nulla è occulto, e che scruta le reni e i cuori, vide quel che nell’animo loro pensavano i Farisei, là convenuti; epperò ancorché essi non gli avessero mossa alcuna domanda « … rispondendo prese a dir loro: È egli lecito di risanare in giorno di sabbato? Bastò questa interrogazione per metterli nel massimo imbarazzo. Se rispondono: No, non è permesso sanare in giorno di sabbato, e il Salvatore se ne astiene, eglino niente hanno a rimproverargli; se all’opposto dicono: È permesso, non possono più accusarlo d’essere un prevaricatore e di calpestare indegnamente la legge di Mosè. Eccoli dunque ridotti al silenzio. Nell’odio del loro cuore, nella gelosia che li rodeva, volevano tendere un laccio al Salvatore, fargli commettere ciò che avrebbero chiamato una colpa, un delitto. Ed il Salvatore con una sola parola li sconcerta; niente sanno rispondere alla divina interrogazione. Ma quelli tacquero, dice il Vangelo.Allora  il Salvatore interpretando il loro silenzio in un senso affermativo, « … toccando il poverello, lo risanò e lo rimandò a casa. » E così nostro Signor Gesù Cristo fece chiaramente intendere quale sia lo spirito del precetto del riposo festivo, che cioè se Iddio nel giorno di festa proibisce le opere servili, non intende proibire la pratica del bene e l’esercizio della carità, che anzi per ciò appunto sono proibite le opere servili, affinché l’uomo più liberamente possa consacrare i suoi pensieri, le sue parole, le sue opere nell’amor di Dio e del prossimo. Difatti, operato che ebbe il miracolo, Gesù Cristo rivoltosi a quei Farisei, che là erano presenti « soggiunse: Chi di voi, se gli è caduto l’asino o il bue nel pozzo, non lo trae subito fuori anche in giorno di sabbato? » Né crediate, o miei cari, che Gesù Cristo rivolgesse qui una domanda strana. In oriente è assai facile che un asino od un bue possa cader nel pozzo, perché i pozzi sono larghi assai e senza riparo di sorta, e ben sovente l’asino e il bue sono impiegati a far girare l’apposito meccanismo per attinger l’acqua. La domanda adunque del Redentore era assai a proposito, ed era di tal forza « … che non potevano replicargli ». Imperciocché era un dir loro: Come! o Farisei ingiusti, voi vi credete autorizzati ad interrompere il riposo del giorno festivo per salvare la vita ad un animale senza intelligenza, ed oserete condannar me, perché pratico la carità a riguardo di un uomo? Ed un uomo sarebbe dunque meno di una bestia? Ecco dunque perché a questo ragionamento non sapevano rispondere parola. Non dimentichiamo adunque il vero spirito del precetto, che riguarda il giorno del Signore.In questo giorno dobbiamo fare ancor maggior bene che negli altri, e dare a Dio dei segni più numerosi della nostra riconoscenza ed amore. Il giorno festivo appartiene a Dio, perché accordandoci gli altri giorni pei nostri affari materiali si è riservato questo. Ma Egli vuole che nel giorno festivo, lasciando da banda ogni opera servile, ci occupiamo soprattutto in ciò che spetta alla sua gloria, agli interessi dell’anima nostra ed all’adempimento delle opere di carità cristiana. Perciò oltre l’ascoltar bene la santa Messa e la parola di Dio, oltre al pregare con maggior fervore del solito ed al far buone letture, il visitare ed assistere gli infermi, il consolare gli afflitti, il far elemosine ai poveri, il prestar qualche soccorso a chi ne avesse bisogno sono pure opere bellissime, con le quali possiamo decorare dinanzi a Dio ed agli uomini il giorno festivo: epperò presentandocene l’occasione non ce la lasciamo sfuggire.

3. Osserva poi S. Gregorio che con ragione il Figliuol di Dio guarì quell’idropico in presenza dei Farisei, giacché dalla corporale malattia dell’uno era figurata la malattia della mente e del cuore degli altri. Ed in vero la terribile malattia dell’idropisia, che consiste in una enfiagione del corpo per radunamento di cattivi umori in qualche parte del corpo medesimo, è l’immagine dell’enfiagione spirituale, da cui erano travagliati i Farisei a cagione soprattutto di tre umori maligni che in misura sovrabbondante si adunavano nella loro mente e nel loro cuore, vale a dire l’invidia, l’interesse e la superbia. Di fatti quei maligni, ancorché alla presenza di Gesù si rimanessero muti, non lasciavano poi, Lui assente od in mezzo al popolo, di fargli continui rimproveri, perché operasse miracoli e guarisse infermi in giorno di sabbato. E perché tenevano riguardo a Gesù tale condotta? Perché  anzitutto erano divorati dall’invidia. Essi vedevano i felici successi del divin Salvatore, come il popolo sempre più gli si stringeva dappresso per i grandi miracoli che andava operando, epperò non vi voleva di più per rinfiammare del continuo la loro invidia contro di Lui, e per seguire il partito che avevano preso, di biasimare tutto quel che faceva nostro Signore. Oh qual trista consigliera è adunque l’invidia! Guardiamoci bene dal porgere orecchi alla perfida sua voce: essa ci renderebbe veramente ingiusti, guasterebbe il nostro intelletto, e falserebbe il nostro giudizio. Allontaniamo con grande premura codeste nubi dell’invidia, per timore, come dice il profeta Isaia (V, 12), che non pigliamo il bene per il male e il male per bene, che diamo alle tenebre il nome di luce, e alla luce quello di tenebre; che facciam passar per dolce ciò ch’è amaro e per amaro quello ch’è dolce. Se troviamo in noi questo vizio orribile, affrettiamoci a respingerlo, come respingeremmo il serpe che assalisse il nostro seno per roderlo. – In secondo luogo i Farisei oltre all’essere invidiosi, erano anche interessati ed avidi, poiché se in giorno di sabbato si sarebbero adoperati a salvare la loro bestia da soma, mentre invece acconsentivano di lasciare un povero infermo in preda ai cocenti suoi dolori, si è che in essi l’interesse, l’amor del denaro, l’avarizia la vinceva sulla carità. E così, o miei cari, si ha da dire lo stesso di tanti ricchi ai giorni nostri. Essi hanno una cura straordinaria, e direi pazza, pei loro cavalli e pei loro cani; impiegano delle somme vistosissime per ben nutrirli; se osassero li metterebbero a tavola con loro, come fece appunto Caligola col suo cavallo di nome Incitato; ma che cosa fanno a prò di tanti poveri, che soffrono nell’indigenza e nelle infermità? Che gran conto dovranno rendere a Dio questi signori! Ma quanti altri vi sono ancora, i quali sebbene non tanto ricchi, potrebbero tuttavia fare qualche elemosina, eppur non la fanno per amor del denaro, che talvolta vanno accumulando, anche facendo una vita stentata e misera! Anche costoro non devono temer meno i giudizi di Dio. Finalmente ciò che travagliava in modo speciale i Farisei era la superbia. Fieri della loro vana scienza, pieni di pretensione e di sdegno pei loro fratelli, orgogliosi al sommo, essi dappertutto cercavano i primi posti e segni di particolare rispetto. Anche in questa circostanza ne avevano dato prova e lo stesso divin Redentore aveva osservato come entrando nella sala del convito taluni si erano affannati per avere i primi posti. Così che voltosi ai convitati diceva ancor loro come per parabola: Quando sarai invitato a nozze, non ti mettere a sedere nel primo posto, perché potrebbe darsi che fosse stato invitato dal padrone di casa qualcheduno più ragguardevole di te, e in tal caso il padrone verrebbe a dirti: Cedi a questo il tuo luogo; e tu allora cominceresti a star con vergogna nell’ultimo posto. Quando adunque sarai invitato, va a metterti nell’ultimo posto, affinché venendo colui che ti ha invitato, ti dica: Amico, vieni più in su. Ciò allora ti sarà di onore presso tutti i convitati. Imperocché chiunque si innalza, sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato. Per tal guisa il divin Redentore condannava la superba condotta dei Farisei e faceva comprendere come la superbia sia ordinariamente punita anche quaggiù con la confusione e con la vergogna. Ed in vero colui che sopra di questa terra va in cerca di onori con tanta avidità, oltre al dispetto che prova nell’incontrare dei rivali o degli ostacoli, che costringono la sua ambizione a fermarsi, quando pure egli è arrivato a conseguire l’onore ambito, con molta facilità lo perderà, e con tanta maggior vergogna e confusione, quanto più alto era l’onore che aveva conseguito. Ad ogni modo quand’anche il Signore permetta, che il superbo goda su questa terra sino all’ultimo la soddisfazione del suo orgoglio, egli è certo che immensa ed eterna sarà la vergogna e la confusione a cui condannerà il superbo nel giorno dell’universale giudizio. Il superbo, che nel mondo si tenne dappiù degli altri, che gli altri guardò con disprezzo, che agli altri volle sempre andar innanzi, allora separato da coloro che in vita furono veramente umili, si vedrà e sarà veduto da tutti in tutta quanta la sua nullità e miseria, perciocché invano chiamerà i monti a riversarsi sopra di lui e a ricoprire la sua ignominia. Iddio vorrà allora nella sua giustizia far pubblicamente conoscere e castigare la stoltezza del superbo, adempiendo la sua parola: Chi si innalza sarà umiliato. Miei cari giovani e cari Cristiani, guardiamoci adunque da questo detestabile vizio. Non cerchiamo, no, di comparire in faccia agli uomini, di metterci innanzi, di far sapere e valere i nostri meriti, che con tutto ciò noi lavoreremmo a nostro danno. Amiamo invece la vita nascosta, amiamo sinceramente di essere creduti capaci a poco, di non essere presi in considerazione, e per tal modo ci prenderà in considerazione Iddio, e facendoci un dì risplendere della sua luce celeste al cospetto dell’universo, adempirà anche per noi l’altra parte della sentenza: chi si umilia, sarà innalzato.

Credo…

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 14; 15
Dómine, in auxílium meum réspice: confundántur et revereántur, qui quærunt ánimam meam, ut áuferant eam: Dómine, in auxílium meum réspice.
[Signore, vieni in mio aiuto: siano confusi e svergognati quelli che insidiano la mia vita per rovinarla: Signore, vieni in mio aiuto.]

Secreta

Munda nos, quǽsumus, Dómine, sacrifícii præséntis efféctu: et pérfice miserátus in nobis; ut ejus mereámur esse partícipes. [Puríficaci, Te ne preghiamo, o Signore, in virtù del presente Sacrificio, e, nella tua misericordia, fa sí che meritiamo di esserne partecipi].

Communio

Ps LXX: 16-17;18
Dómine, memorábor justítiæ tuæ solíus: Deus, docuísti me a juventúte mea: et usque in senéctam et sénium, Deus, ne derelínquas me. [O Signore, celebrerò la giustizia che è propria solo a Te. O Dio, che mi hai istruito fin dalla giovinezza, non mi abbandonare nell’estrema vecchiaia.]

Postcommunio

Orémus.
Purífica, quǽsumus, Dómine, mentes nostras benígnus, et rénova coeléstibus sacraméntis: ut consequénter et córporum præsens páriter et futúrum capiámus auxílium.
[O Signore, Te ne preghiamo, purifica benigno le nostre anime con questi sacramenti, affinché, di conseguenza, anche i nostri corpi ne traggano aiuto per il presente e per il futuro].

Per l’Ordinario della Messa vedi:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (79)

LO SCUDO DELLA FEDE (79)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE TERZA.

CONSEGUENZE DEL PERDERE LA S. FEDE E MODI DI PREVENIRLE

CAPITOLO II.

ALTRI BENI CHE CI VOGLIONO TOGLIERE I PROTESTANTI.

Ma non crediate che io abbia finito di rappresentarvi tutti i beni che vi vogliono rapire quei felloni che si brigano di nascosto a togliervi la S. Fede. Ne sentirete ben delle altre. Voi avete una gran fiducia nella protezione della Madonna SS. ed avete ragione di averla, perché tante volte quella buona Madre vi ha consolati, vi ha protetti, vi ha aiutati con le sue preghiere presso Gesù. Questo onore che voi rendete alla Madonna è molto giusto, molto doveroso e molto santo, perché la Madonna è la gran Madre del nostro Divin Salvatore Gesù, e perché quando onorate la Madre, voi onorate anche il Figliuolo, anzi tanto più onorate il Figliuolo, quanto più onorate la Madre. – Imperocché chi non direbbe che voi portate gran riverenza al padrone, quando per amore di lui riveriste perfino la madre di lui? Ora così facciamo noi. Amiamo tanto Gesù, che per amor suo amiamo moltissimo anche la Madre. Non è chiaro tutto ciò? E tuttavia questi Protestanti ingannatori non vogliono che voi onoriate la Madonna, che a Lei vi raccomandiate: sognano questa sciocchezza ed empietà, che se onorate la Madonna fate torto a Gesù, mentre anzi gli fate il più grande onore. E con tutte queste loro dicerie vi vogliono rubare la confidenza ed il patrocinio di Maria. Vogliono ridurvi ad essere figliuoli senza la buona vostra Madre: sicché quando siete afflitti non abbiate più quel cuore materno in cui consolarvi; quando i vostri peccati vi abbattono e vi fan perdere di coraggio, non abbiate più quel dolce rifugio che vi riceva e che pregando per voi Gesù suo figliuolo con Lui vi riconcili: vogliono levarvi il presidio sicuro di tutta la vostra famiglia, quella che protegge i vostri figliuoli, quella che ve li custodisce. Ah scellerati, quanti beni vi vogliono rapire! Anche dai vostri Santi Protettori voi ricevete molte grazie: perché, oltre all’esempio di ogni virtù che ci hanno lasciato qui sulla terra mentre vivevano con noi, adesso che sono nel cielo non lasciano mai di pregare per noi: e pregano particolarmente per quelli che si raccomandano a loro e che li onorano. Ora i Protestanti non vogliono sapere nulla di essi. Dicono anche qui che noi facciamo torto a Gesù, se ci raccomandiamo ai Santi. Eppure può dirsi sciocchezza più grande di questa? Dite: farebbe torto al Re, al Principe chi dovendo domandargli un favore, gli facesse presentare la supplica da uno della corte che è nella sua buona grazia? Ora che torto facciamo noi a Gesù se mandiamo al suo trono i Santi che Egli ha tanto cari? Tutto il contrario, noi lo onoriamo anche più di quel che faremmo se lo supplicassimo noi soli. E ben si vede poi dalle grazie che Dio ci concede per l’impetrazione dei Santi, quanto abbia caro che li invochiamo. Chi può dire tutte le grazie stupende che la Madonna ed i Santi c’impetrano di continuo? Basta andare ad un loro Santuario per vederne in tanti voti che pendono, in tante guarigioni ottenute, in tante disgrazie dalle quali hanno liberato i loro devoti, una prova solenne; ma tant’è, ci vogliono i Protestanti spogliare di tutto. – Sono dunque contenti di tutto ciò? Ci resta più altro da rubare togliendoci la S. Fede? Sì, dopo che ci hanno rubato tutto quel che avevamo di buono in vita, vorrebbero rubarci anche quello che abbiamo dopo la morte. Voi sapete che la S. Chiesa, Madre pietosa, dopo di averci aiutati in vita con tutti i suoi Sacramenti, con le sue preghiere, con l’intercessione della Vergine e dei Santi e con tanti altri mezzi. non ci dimentica neppure dopo la morte, ma con le sue orazioni, con le sue sante Indulgenze ci refrigera quando siamo nel Purgatorio. Ora i Protestanti ci vorrebbero rapire anche questo aiuto, che ella ci darà allora. Direte che non è possibile tanta malizia. Eppure è proprio così. Essi negano tutto il valore dei suffragi, delle orazioni, delle limosine, delle indulgenze per i defunti. Bestemmiano che non vi èPurgatorio, vi proibiscono di pregare pel vostro povero padre, per la vostra madre, per vostro marito, per la vostra sposa, per tutti i vostri parenti, e si beffano di tutta la vostra pietà. Snaturati che essi sono! Infuriare perfino contro dei morti! Eppure è così. Se dunque vi è qualcuno che si senta coraggio di rinunziare alla protezione della Madonna, all’intercessione dei Santi, alle preghiere della Chiesa, ai suffragi che essa ci farà dopo la nostra morte, faccia pure, rinunzi pure alla S. Fede Cattolica e si faccia Protestante, chela Fede Cattolica sarà più onorata col perdere un tal mostro che col ritenerlo.

SALMI BIBLICI: EXSPECTANS EXSPECTAVI DOMINUM” (XXXIX)

Salmo 39: “EXSPECTANS exspectavi Dominum”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo XXXIX

In finem. Psalmus ipsi David.

[1] Exspectans exspectavi Dominum,

et intendit mihi.

[2] Et exaudivit preces meas, et eduxit me de lacu miseriæ et de luto fæcis. Et statuit super petram pedes meos, et direxit gressus meos.

[3] Et immisit in os meum canticum novum, carmen Deo nostro. Videbunt multi, et timebunt, et sperabunt in Domino.

[4] Beatus vir cujus est nomen Domini spes ejus, et non respexit in vanitates et insanias falsas.

[5] Multa fecisti tu, Domine Deus meus, mirabilia tua; et cogitationibus tuis non est qui similis sit tibi. Annuntiavi et locutus sum, multiplicati sunt super numerum.

[6] Sacrificium et oblationem noluisti; aures autem perfecisti mihi. Holocaustum et pro peccato non postulasti; (1)

[7] tunc dixi: Ecce venio. In capite libri scriptum est de me,(2)

[8] ut facerem voluntatem tuam. Deus meus, volui, et legem tuam in medio cordis mei.

[9] Annuntiavi justitiam tuam in ecclesia magna, ecce labia mea non prohibebo; Domine, tu scisti.

[10] Justitiam tuam non abscondi in corde meo; veritatem tuam et salutare tuum dixi; non abscondi misericordiam tuam et veritatem tuam a concilio multo.

[11] Tu autem, Domine, ne longe facias miserationes tuas a me; misericordia tua et veritas tua semper susceperunt me.

[12] Quoniam circumdederunt me mala quorum non est numerus; comprehenderunt me iniquitates meae, et non potui ut viderem. Multiplicatæ sunt super capillos capitis mei, et cor meum dereliquit me.

[13] Complaceat tibi, Domine, ut eruas me; Domine, ad adjuvandum me respice.

[14] Confundantur et revereantur simul, qui quærunt animam meam, ut auferant eam; convertantur retrorsum et revereantur, qui volunt mihi mala.

[15] Ferant confestim confusionem suam, qui dicunt mihi: Euge, euge!

[16] Exsultent et lætentur super te omnes quærentes te, et dicant semper: Magnificetur Dominus, qui diligunt salutare tuum.

[17] Ego autem mendicus sum et pauper; Dominus sollicitus est mei. Adjutor meus et protector meus tu es; Deus meus, ne tardaveris.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXIX

Il salmo non è per morbo corporale, che Davide non ebbe mai; ma tutto di Cristo, che parla a Dio della redenzione, prima in persona del suo corpo, la Chiesa, poi in persona propria. — Vedi agli Ebrei, c. 10, ove a Cristo sono applicati diversi versetti.

Per la fine; salmo dello stesso David.

1. Aspettai ansiosamente il Signore, ed egli a me si rivolse

2. Ed esaudì le mie orazioni; e dall’alto della miseria mi trasse e dal sordido fango. E a’ piedi miei die fermezza sopra la pietra, e assicurò i miei passi.

3. E mise a me in bocca un nuovo cantico, una lauda al nostro Dio. Vedranno molti, e temeranno; e spereranno nel Signore.

4. Beato l’uomo, di cui la speranza è il nome del Signore, e gli occhi non rivolse alla vanità e alle follie dell’errore.

5. Molte sono le meraviglie fatte da te, o Signore Dio mio; e i tuoi consigli non v’ha chi possa raggiungerli. Gli annunziai, e li raccontai: la lor moltitudine sorpassa ogni numero.

6. Non hai voluto sacrifizio, né oblazione; ma a me tu formasti le orecchie. (1)Non hai richiesto olocausto e sacrifizio per lo peccato:

7. Allora dissi: Ecco che io vengo. (Nel complesso del libro, di me sta scritto). (2)

8. Per tare la tua volontà: Dio mio, io volli in mezzo al cuor mio aver la tua legge.

9. Ho annunziato la tua giustizia in una chiesa grande, ecco che non terrò chiuse le labbra: tu il sai o Signore.

10. Non ascosi dentro di me la tua giustizia; dimostrai la tua verità e il tuo salvatore. Non tenni ascosa la tua misericordia e la tua verità alla numerosa adunanza.

11. Ma tu, o Signore, non allontanare le tue misericordie da me: la tua pietà e la tua verità mi sostennero in ogni tempo.

12. Imperocché sono circondato da mali, che non han numero; mi hanno cinto le mie iniquità, ed io non potea vederle. Sono di maggior numero che i capelli della mia testa, e il cuore mi è mancato.

13. Piaccia a te, o Signore, di liberarmi: Signore, volgiti a darmi aita.

14. Siano confusi e svergognati coloro che cercano la mia vita, affin di rapirla. Siano messi in fuga e svergognati coloro che a me bramano il male.

15. Ricevano tosto l’ignominia che meritano coloro che a me dicono: Bene sta, bene sta.

16. Esultino, e in te si rallegrino tutti coloro i quali ti cercano; e quelli che amano la salute che vien da te, dicano in ogni tempo: Glorificato sia il Signore.

17. Io per me son mendico e senza aiuto: il Signore ha cura di me. Tu sei aiuto mio e mio protettore: Dio mio non tardare.

(1) Presso i giudei, si bucavano le orecchie agli schiavi giudei che quando arrivava l’anno sabbatico, non volevano riprendere la loro libertà e si rendevano così schiavi perpetui (Es. XXI, 6; Deut. XV, 17). Qui c’è un’allusione a questo uso: il Verbo, nel seno della Trinità, non poteva essere schiavo di suo Padre, occorreva pertanto che Egli prendesse un corpo, era così che poteva avere l’orecchio bucato. Anche “I Settanta” e San Paolo, appoggiati alla tradizione che ne aveva determinato il senso dei passaggi dogmatici, hanno tradotto esattamente, quasi parola per parola: « Voi mi avete formato un corpo ».

(2) In ebraico, in luogo di « in capo al libro » in capite libri, si dice in volumine libri, «nel rotolo del libro ». Si sa che anticamente i libri si arrotolavano. Sono qui menzionati quattro tipi di sacrifici: 1° « sacrificium », è il sacrificio eucaristico, 2° « oblationem », l’offerta di un pane composto da farina, olio e incenso, è il sacrificio impetratorio; 3° l’« olocaustum », in cui la vittima era consumata intera, è il sacrificio latreutico; 4° « victimam pro peccato », è il sacrificio propiziatorio.

Sommario analitico

Davide in questo salmo, che egli forse compose poco dopo essere stato liberato dalla persecuzione di Saul ed Assalonne, è figura di Gesù-Cristo, che di volta in volta parla nel nome e nella persona del suo corpo, che è la Chiesa, e nel suo nome, come capo della Chiesa (v. Ebr. X, 5). Qualche autore, trovando una grande affinità tra questo salmo ed i salmi XXX e XXXIV, pensa che siano stati composti tutti dallo stesso autore, cioè Geremia, l’immagine vivente del Messia Nostro Signore.

I. – Gesù-Cristo, in nome e nella persona della Chiesa, di cui Egli è il Capo, esprime i desideri ardenti di tutti i giusti per la venuta del Messia, ed espone i frutti di questa lunga attesa e di questa perseveranza nella preghiera:

1° L’incarnazione, oggetto di tante voci e preghiere (1).

2° I doni e le grazie di cui l’incarnazione era principio e causa, vale a dire: a) gli uomini liberati dai loro peccati e dalle loro miserie, b) e conformati nella fede, nella dottrina e negli esempi di Gesù Cristo (2); c) le luci che furono loro date per camminare con sicurezza nelle vie di Dio (2); d) la gioia spirituale ed i canti di lodi e di riconoscenza ispirati da questa grazia ineffabile (3); e) la conversione di tutto l’universo; f) l’eterna beatitudne celeste accordata a coloro che per Gesù-Cristo, hanno disprezzato tutte le vanità della terra (4).

II. – Gesù-Cristo, nel suo nome e come capo della Chiesa celebra:

1° il mistero dell’incarnazione, – a) che il Padre celeste ha decretato come l’opera più mirabile ed il sacrificio più eccellente (5, 6); – b) che Gesù-Cristo ha compiuto con un’obbedienza perfetta dell’intelligenza e della volontà (7, 8).

2° La sua predicazione, il cui oggetto è stato soprattutto la giustizia, la verità, la salvezza e la misericordia di Dio, proclamate in ogni luogo ed in piena libertà (9, 10).

3° La sua Passione, – a) che Egli ha sofferto con la speranza di essere soccorso dalla misericordia di Dio e dalla sua verità, che non è mai venuta a mancare (11); – b) che è stata per Lui la causa dei dolori più vivi e più numerosi di cui Dio solo poteva farlo trionfare (12, 13).

4° La sua Resurrezione, che ha avuto luogo, – a) per la confusione dei malvagi (14, 15), – b) per la gioia dei buoni (16); – c) per la gloria di Dio e di Gesù-Cristo, liberato dalle miserie e da tutti i pericoli di questa vita (17).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-4.

ff. 1. – Io ho atteso senza annoiarmi, non che qualche uomo mi avesse fatto una promessa, che potesse ingannarmi ed essere ingannato, non qualche uomo che mi consolasse, che potesse consumarsi per primo nella sua tristezza, piuttosto che darmi sollievo. Ogni uomo che mi è fratello, mi consola rattristandosi con me, cosicché gemiamo insieme, piangiamo insieme, preghiamo insieme, aspettiamo insieme. Ma cosa aspettiamo se costui non è il Signore, il quale non ritira le sue promesse, ma ne differisce il compimento. Egli le compirà certamente, perché già molte ne ha compiute; e noi non dobbiamo temere nulla della verità di Dio, quand’anche non ci desse più nulla. Io ho atteso senza stancarmi, dice il Profeta, ho atteso il Signore. E cosa ha fatto il Signore? Si è allontanato da voi? Vi ha disprezzato quando Lo aspettavate? O per caso non vi ha più visto? Non è sicuramente così! Cosa ha fatto dunque? « … Egli è stato attento verso di me ed ha esaudito la mia preghiera ». (S. Agost.). – Non piangete, anime sante, anime che vivete nell’attesa, non piangete se le vostre attese sono differite; aspettate, attendete ancora una volta. Non avete atteso per lungo tempo, aspettate ancora; aspettate nell’attesa, non vi stancate mai di attendere: Dio è fedele, e vuole essere atteso con fede. Ci sono delle grazie uniche in se stesse, il cui tratto iniziale non ritorna più, ma che si continuano e si rinnovano con il ricordo. Dio le fa attendere lungamente perché si eserciti la fede e per rendere la prova più viva. Dio le da quando gli piace, in modo improvviso e rapido; esse passano in un momento, ma ne resta un tenero ricordo, come un profumo: Dio le richiama, Dio le moltiplica, Dio le aumenta; ma Egli non vuole che siano richiamate da se stesse, con sforzi violenti; Egli vuole che le si attendano sempre, e che non si debbano permettere che dolci e come insensibili ritorni sulle sue antiche bontà (Bossuet, Elév. XVIII, Serm. V, El.). – Che cosa è l’abisso della miseria? Sono le profondità dell’iniquità, scavate dalle bramosie della carne. È quel che vuole anche dire: « pantano di fango ». Da dove lo avete tratte? Da un certo abisso da dove gridate verso di Lui in un altro salmo: « dal profondo abisso, io grido a Voi, Signore » (Ps. CXXIX, 1). – Ma coloro che gridano dalle profondità di un abisso, non vi sono piombati ancora interamente, e non gridano se non perché ne siano risollevati. Vi sono altri che si trovano ancor più profondamente sprofondati nell’abisso, al punto da non avvertire che vi sono dentro. Tali sono gli orgogliosi, pieni di un superbo disprezzo; non coloro che gridano chiedendo pietà, non quelli che gridano con le lacrime, ma coloro che somigliano a quei peccatori di cui parla la Scrittura in ultra parte: « … quando il peccatore è sprofondato nel più profondo del male, egli disprezza tutto ». (Prov. XVIII, 3). – Colui per il quale è poco essere solo un peccatore, e che non contento di non confessare le proprie colpe osa ancora difenderle, costui è nel più profondo dell’abisso. Ma colui che ha gridato dal fondo dell’abisso, ha già, nel gridare, sollevato la testa dalle profondità dell’abisso, ed è stato ascoltato, è stato tirato su dall’abisso della miseria, e dal pantano di fango. Egli ha già la fede che non aveva prima, e la speranza che gli mancava, cammina sulla strada di Cristo, egli che errava lungo la via del demonio. È per questo, in effetti, che il profeta ha detto. « Egli ha posato i miei piedi sulla pietra ed ha diretto i miei passi » (S. Agost.). – Dio ci ritira dall’abisso della miseria e della corruzione, non solo con la redenzione generale, di cui noi riceviamo gli effetti nei Sacramenti del Battesimo e della Penitenza, ma pure mediante una infinità di grazie delle quali si serve per impedire di ricadere nuovamente. – Ora, la pietra è il Cristo; saliamo allora sulla pietra e i nostri passi ne seguano la direzione (S. Agost.). – Se io mi appoggio alla pietra solida, essa mi stabilizza e mi sostiene; è per questo che Gesù-Cristo, nel suo Vangelo, consiglia all’architetto prudente di fondare il suo edificio non sulla sabbia mobile che le tempeste trascineranno, ma sulla solida pietra che resisterà alla tempesta. Colui, aggiunge, che ascolta la parola e la mette in pratica, sarà comparato al saggio che fonda la sua casa sulla pietra (S. Matt. VII). – Mio Dio, questo è vero, cosa sono tutte le parole umane? Un soffio le porta via! E cosa è la saggezza degli uomini? « … io perderò – dice l’Apostolo – la saggezza dei saggi ». Tutto si cancella e tutto perisce. « Il cielo e la terra passeranno, la vostra parola soltanto resta eternamente ». Questa vostra parola è la pietra sulla quale ci si posa con sicurezza, e che garantisce l’edificio contro le tempeste ed i marosi: è su questa pietra che io mi appoggerò e sulla quale fonderò una dimora per sempre (De La Bouillerie, Symb. I, 230). – Qual è questo nuovo cantico? « Un inno al nostro Dio ». Direte forse degli inni a degli dei stranieri, alle cupidigie del mondo, ai piaceri della carne: questi erano degli inni antichi, perché era l’uomo antico che li diceva, e non l’uomo nuovo. L’uomo nuovo dica allora un cantico nuovo; essendo rinnovato, egli ama le cose nuove che lo hanno rinnovato. Ma che cos’è più antico di Dio, che è prima di tutte le cose, senza fine e senza inizio? Egli diviene nuovo per voi che tornate a Lui, perché traendovi da Lui siete divenuto vecchio e dite. « Io sono invecchiato in mezzo a tutti i vostri nemici » (Ps. VI, 8), (S. Agost.). – Il timore salutare è misto alla speranza, e la vera speranza è sempre accompagnata dal timore filiale, che evita di offendere Dio, perché Lo ama come suo Padre.

ff. 4. – Così dunque coloro che vogliono riporre la loro speranza nel Signore, coloro che vedono e temono, rifiutano di marciare nelle cattive strade, nelle vie larghe, e preferiscono la via stretta ove i passi sono diritti ed aderenti alla pietra… La via larga è mortale; la sua larghezza piace per un tempo, ma la sua uscita è stretta per l’eternità. Ciò malgrado la folla fa un grande brusìo, la folla canta, la folla si dà pubblicamente alla gioia, corre e va veloce: … non fuorviate mai, queste sono vanità e follie menzognere. L’unica speranza sia il Signore vostro Dio. In effetti sono molti quelli che sperano da Dio del denaro, sperano dei fragili onori, sperano tutt’altro che Dio stesso. Ma voi chiedete lo stesso vostro Dio; ancor più, disprezzate tutto ciò che non è Lui, e avanzate verso di Lui; dimenticate ogni altra cosa e ricordatevi di Lui; lasciate indietro tutto il resto e slanciatevi verso di Lui. È sicuramente Lui che ha rimesso in cammino l’uomo che si allontanava da Lui, è Lui che lo dirige quando cammina rettamente, e lo conduce fino al termine. Per dove e a qual termine conduce l’avarizia terrena? Voi cercate dei terreni, volete possedere una terra, spodestare i vostri vicini, ed eliminati questi, voi vorreste ingoiare il vostro nuovo vicino, estendere la vostra avarizia fino ai limiti del fiume; eccovi al fiume, e adesso concupite le isole del mare; se voi possedeste tutta la terra, forse vorreste impadronirvi del cielo. Lasciate tutti questi vani attaccamenti: Colui che ha fatto il cielo e la terra è più desiderabile di tutto questo (S. Agost.).

II. 5-17.

ff. 5. – Cosa dare in cambio al Cristiano che ha cessato di posare il suo sguardo sulle vanità e le follie menzognere del mondo? Ascoltate quel che segue: « … Signore mio Dio, Voi avete fatto un gran numero di opere mirabili ». Egli si riferisce alle meraviglie degli uomini, che considera le meraviglie di Dio (S. Agost.). – Le opere di Dio, sono innumerevoli ed incomprensibili. Tutta l’occupazione degli uomini sulla terra doveva essere quella di ammirarle, adorarne l’Autore, cosa che costituirà l’esercizio continuo dei beati in cielo. – I pensieri di Dio sono infinitamente lontani da quelli dell’uomo. Essi si formano dalle idee di Dio, dai suoi disegni, dalla sua condotta, sono conformi alla debolezza o alla piccolezza della loro immaginazione. Ma essi ascoltano Dio stesso che dice loro: « I miei pensieri non sono i vostri pensieri, la mia condotta non è la vostra condotta; quanto i cieli sono elevati sopra la terra, tanto la mia condotta è elevata al di sopra della vostra condotta, ed i mie pensieri sopra i vostri pensieri. » (Isai. LV, 8). – Più si pensa alle meraviglie di Dio, più le si annuncia; e più se ne parla, più se ne scoprono di nuove. Non è più necessario che i cieli raccontino la gloria di Dio, né che il firmamento renda pubbliche le opere delle sue mani: un arboscello, un insetto, un piccolo fiore, contengono tante cose meravigliose che è impossibile ai grandi filosofi spiegarne i misteri (Duguet).

ff. 6-8. – Tutte le opere del Signore sono veramente meravigliose, in tutte risplende la grandezza dei suoi disegni, ma l’opera della Redenzione dell’uomo sopravanza tutte le altre (Bellarm.). Dio, spirito e verità, non può accettare dei sacrifici carnali e figurativi, incapaci di riparare l’ingiuria infinita che l’uomo ha fatto a Dio con i suoi crimini. Invano il genere umano, terrorizzato dal sentimento del suo crimine, ha cercato delle vittime e degli olocausti per surrogarli al posto suo; si dovettero spopolare tutti i loro greggi con ecatombi di immolazioni davanti ai suoi altari, ma è impossibile che la vita delle bestie ripaghi la vita degli uomini, la compensazione non è sufficiente; ecco perché questa massima dell’Apostolo è sempre di una eterna verità, « … non è possibile che i peccati siano lavati dal sangue dei tori e dei capri. » (Ebr. X, I). – Poiché dunque tra noi non c’era alcuna risorsa, che altra cosa restava se non che Dio stesso riparasse Egli stesso l’ingiustizia del nostro crimine con la giustizia della nostra pena, e soddisfacesse alla sua giusta vendetta a nostra giusta punizione? In questa crudele estremità, che saremmo diventati se il Figlio unico di Dio non avesse proposto questo felice scambio, profetizzato da Davide e riportato dal santo Apostolo: « … O Padre, olocausti non più volete »; è inutile che gli uomini lasciano al loro posto sacrificare altre vittime, esse non Vi sono gradite; ma Io dirò da me stesso di mettermi al loro posto; tutti gli uomini sono degni della tua vendetta, ma una Vittima della mia dignità può ben prendere giustamente il posto anche di una infinità di peccatori (Bossuet, 3° Serm. Sur la Passion). – Dio era sordo alle nostre preghiere, e noi Lo abbiamo indegnamente oltraggiato. Ma ci viene dato Gesù, riconciliazione e pace! Egli ha ascoltato le grida della nostra miseria. Ed ora Dio ci ama, e per Gesù, Egli ascolta le preghiere della terra, le riceve come la voce armoniosa della creazione che rallegra il suo cuore. Così Gesù Mediatore ha il segreto di Dio ed il segreto della creatura. Il cielo e la terra parlano per Lui. Egli ascolta, Egli dice, Egli unisce, ed il suo cuore è il legame d’amore, è la fede mutua della Chiesa e del Dio che Essa adora e che Essa ama. Tutto il mistero dell’Incarnazione del Verbo, tutta l’economia della riparazione del mondo è racchiusa in queste parole di Gesù-Cristo a Dio suo Padre: «Padre, Voi non gradite gli olocausti, » le vittime dell’antica legge, ma « … Voi avete dato le orecchie al mio cuore », un orecchio per ascoltare il Creatore, un orecchio per ascoltare la creatura; ora, eccomi » (Mgr. Baudry, Le sacre Coeur). – C’è un libro eterno, dove è scritto ciò che Dio vuole da tutti i suoi eletti, alla cui testa Egli vuole in particolare Gesù Cristo, che ne è il capo. Il primo articolo di questo libro è che Gesù Cristo sarà messo al posto di tutte le vittime, facendo la volontà di Dio con un’obbedienza completa. Ad essa si sottomette, e Davide Gli fa aggiungere: « … mio Dio, Io l’ho voluto, e la vostra legge è al centro del mio cuore » (Bossuet, Elév. XIII, S. VII, E.). – La prima oblazione di Gesù-Cristo, facendo la sua entrata nel mondo, è stato un atto di sottomissione universale, una promessa di obbedienza; il primo uso della sua volontà è stato il sottomettersi a quella del Padre suo, fino a soffrire la morte della Croce. « Io sono disceso dal cielo, non per fare la mia volontà, ma la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Giov. VI). – Questo è il sacrificio incomparabilmente più gradito a Dio che non tutte le oblazioni, tutti gli olocausti ed i sacrifici che Egli stesso aveva in precedenza ordinato. « Non sono gli olocausti e le vittime che Dio domanda, ma piuttosto che si obbedisca alla sua voce. L’obbedienza è migliore delle vittime, vale più sottomettersi a Dio che offrire i montoni più grassi del gregge. » (I Re, XV, 22). – Fare la volontà di Dio, avere la sua santa legge impressa nel proprio cuore, questo riassume tutta la professione, tutto il dovere, tutto l’oggetto di un Cristiano.

ff. 9, 10. – Gesù-Cristo parla ai suoi membri e li esorta a fare ciò che Egli stesso ha fatto: Egli ha reso pubblica la legge di Dio: essi ora la rendano pubblica; Egli ha sofferto, soffrano essi con Lui; Egli è stato glorificato, anche noi saremo glorificati con Lui. « Io ho manifestato la vostra giustizia in una grande assemblea ». Quale grande assemblea? Quella di tutte le nazioni. Perché l’assemblea di tutte le nazioni? Perché Egli è quel virgulto di Abramo nel quale devono essere benedette tutte le Nazioni (S. Agost.). Il dovere di un buon servitore di Dio, soprattutto di un ministro fedele, è quello di manifestare dappertutto la sua giustizia, la sua bontà, affinché Egli sia glorificato da tutti gli uomini: « … è bene nascondere il segreto del re, ma è cosa onorevole manifestare le opere di Dio. » (Tob. XII, 7). « Guai a me, perché sono rimasto in silenzio » (Isai. VI, 5); « guai a me se non predicassi il Vangeli, perché per me il farlo è un obbligo » (1 Cor. IX, 16). – Poiché noi abbiamo uno stesso spirito di fede, secondo il quale è scritto: « … io ho creduto, perciò ho parlato; noi pure crediamo, ed è per questo che parliamo » (II Cor. IV, 13). – « Conservare la verità tra l’ingiustizia », è un peccato molto comune tra i Cristiani tiepidi e timidi che si contentano di conservare la verità nel loro cuore e non osano manifestarla in presenza dei propri nemici. – Ci sono in effetti dei Cristiani che hanno la fede in fondo al cuore; ma in mezzo alle beffe amare degli empi o per i loro miserabili rispetti in mezzo a Cristiani infedeli, inetti, prodighi di ingiurie, temono di confessare con le labbra ciò che hanno nel cuore ed impediscono alle loro labbra di proclamare le verità che essi conoscono, ed i sentimenti che custodiscono in se stessi. Ma ascoltate ciò che li attende: « … se qualcuno, dice Gesù Cristo, si vergogna di me davanti agli uomini, Io mi vergognerò di lui davanti al mio Padre » (Marc., VIII). – Che le labbra dicano dunque ciò che il cuore racchiude, e questo contro ogni timore; che il cuore racchiuda ciò che le labbra dicono e questo contro ogni dissimulazione; poiché talvolta per timore, voi non osate dire ciò che conoscete molto bene e a cui credete; talvolta per dissimulazione parlate senza avere nel cuore ciò che dite. Si accordino le vostre labbra dunque col vostro cuore. Cercando la pace che viene da Dio, siate prima in pace con voi stessi, e non lasciate che si stabilisca tra la vostra bocca ed il vostro cuore un’indegna lotta (S. Agost.). – I predicatori, sull’esempio di Gesù-Cristo, devono soprattutto nei loro discorsi, annunciare: – 1° la giustizia di Dio. « Fate penitenza, il regno di Dio è vicino, ogni albero etc. »; – 2° la verità: « io sono nato, e sono venuto in questo mondo a rendere omaggio alla verità »; – 3° la salvezza, il Salvatore, l’economia della redenzione: « è una verità degna di fede che Gesù-Cristo sia venuto sulla terra per salvare i peccatori, etc. »; – 4° La misericordia, l’amore di Dio per gli uomini: a) « Dio ha fatto esplodere il suo amore per noi, perché quando noi eravamo ancora peccatori, Gesù-Cristo è morto per noi, nei tempi stabiliti » (Rom. V, 8, 9.). – « Io non ho nascosto la vostra misericordia e la vostra verità ad una grande assemblea ». Siamo di questa assemblea, facciamoci annoverare in questo corpo, e non nascondiamo la misericordia e la verità di Dio. Volete conoscere la misericordia di Dio? Allontanatevi dal peccato, e Dio perdonerà i vostri peccati. Volete conoscere la verità di Dio? Osservate fermamente la giustizia, la giustizia sarà coronata. Ora vi è predicata la misericordia, più tardi apparirà la verità; perché non è misericordioso per essere ingiusto, né giusto per non essere misericordioso. (S. Agost.).

ff. 11, 12. – Io non avrei mai la forza di convertirmi, se non fossi sicuro della remissione dei miei peccati; io non avrei la forza di perseverare, se non fossi sicuro del compimento delle vostre promesse. « La vostra misericordia e la vostra verità mi hanno sempre sostenuto ». Io considero che Voi siete buono, considero che siete giusto: buono, io Vi amo; giusto, io Vi temo, l’amore ed il timore mi conducono al fine perché la vostra misericordia e la vostra verità mi hanno sostenuto incessantemente (S. Agost.). – Rappresentiamoci il divino Salvatore sul Quale sono cadute tutte le iniquità della terra: da un lato i tradimenti e le perfidie; dall’altro le impurità e gli adulteri, dall’altro ancora le empietà ed i sacrilegi, le imprecazioni e le bestemmie; infine, tutto ciò che esiste di corruttibile in una natura tanto depravata come la nostra (Bossuet, 1° Serm. Sur la Pass.). – Solo la vista di questa terribile moltitudine di peccati, di questa catena quasi infinita di crimini che riempiono tutti i secoli, tutti gli anni, tutti i giorni, tutte le ore e tutti i momenti, dalla caduta del primo uomo fino alla fine dei secoli, aggredendo lo spirito di Gesù-Cristo, ebbe la forza di farlo cadere in un mancamento e nell’agonia della morte. – Che ognuno di noi riconosca la parte che ha in questo fardello. Ahimè, di quanto noi ne abbiamo aumentato il peso! Quanti crimini ed ingratitudini abbiamo caricato sulle sue spalle! Tutti i nostri peccati sono su di Lui, tutti lo appesantiscono, gli sono caricati addosso; ma quelli il cui peso è insopportabile, sono quelli di cui non facciamo penitenza (Bossuet, ibid.). – « Le mie iniquità si sono moltiplicate oltre il numero dei capelli della mia testa ». Il profeta cita i capelli della testa, per dare l’idea di un numero considerevole. Chi conta i capelli della propria testa? Si contano ancor meno i propri peccati che sorpassano di gran numero i capelli della testa. Essi sembrano senza gravità, ma invero sono numerosi. Voi avete evitato le grandi colpe, che sono come dei massi che schiacciano; ma nei riguardi dei piccoli peccati, cosa fate? Ne rigettate una massa enorme … immaginate di essere soffocato sotto granelli di sabbia. « Il mio cuore è venuto a mancarmi ». Il mio cuore è incapace di riconoscersi. È in questo salmo che il salmista dice: « … il mio cuore è venuto a mancarmi »? io voglio vedere il Signore con il mio cuore, e non lo posso per la moltitudine dei miei peccati; per poco il mio cuore più non si comprende! In effetti nessuno si comprende e nessuno di conseguenza deve presumere di se stesso (S. Agost.). – Davide era un tempo perso in questa terra straniera, ne è ben presto ritornato; ma nel passare, ascoltate cosa ci dice dei suoi errori: « … il mio cuore – dice – mi ha abbandonato » si è impegnato in una miserabile servitù. Ma mentre il suo cuore gli sfuggiva, il suo spirito si salvava? I pensieri del mio peccato mi occupavano interamente, e non potevo vedere niente altro. È ancora in questo stato che la luce dei suoi occhi non è più con lui. La conoscenza di Dio era oscurata, la fede come estinta e dimenticata. Qual traviamento, ma i peccatori vanno ben al di là ancora. Le verità di Dio ci sfuggono, ci perdiamo ed allontaniamo dalla vista il cielo, non si riesce a credere; non ci sono più che i sensi a colpirci ed occuparci (Bossuet, sur l’amour de plaisirs).

ff. 13-16. – C’è un’unica confusione da temere, ed è quella che generano l’oblio di Dio e la rivolta contro Gesù-Cristo e il suo Vangelo. Il Profeta che ha cominciato col dire: « … che retrocedano ed arrossiscano coloro che mi vogliono male », ha di mira poi un secondo genere di uomini che esercitano le loro malevolenze con perfidia ed una falsa benevolenza. « Coloro – egli dice – che mi dicono: coraggio, coraggio!, siano immediatamente coperti dalla confusione! ». Essi vi fanno delle false lodi. Voi siete un grande uomo, un letterato, un sapiente, ma siete Cristiano? Essi lodano in voi ciò che voi non vorreste udir lodato, e biasimano ciò di cui vi rallegrate, e se per caso voi dite: cosa lodate in me, lodate un uomo virtuoso, un uomo giusto? Se voi lo credete, sappiate che è Cristo che mi ha reso tale. Lodate Lui, dunque; ed essi vi risponderanno: « … no, non fateci ingiuria, è da voi stesso che possedete queste virtù ». – « Coloro che mi dicono: coraggio, coraggio siano coperti di confusione. » (S. Agost.).

ff. 17. – La gioia dei giusti e la Gloria di Dio, queste due cose sono inseparabili nella santa Scrittura. Dio ha fatto di tutto per assicurare questa gioia; i giusti devono fare di tutto per procurare questa gloria. Da questo punto di vista così elevato, da questa idea generale sì piena di magnificenza, Davide ci fa passare ad un sentimento tutto personale e pieno di umiltà, ma con quale fascino! Questo gran Dio che governa l’universo e che fa la felicità di tutti i suoi eletti, « si occupa di me! Io sono l’oggetto della sua sollecitudine ». A questo pensiero, il profeta si sente troppo commosso per continuare lo stile indiretto. Egli si volge verso questo Dio tanto buono quanto grande, che si affretta a portare il suo soccorso a tutti i suoi voti: Voi siete – egli dice – il mio aiuto ed il mio liberatore: mio Dio, non tardate! (Rendu). – David, benché fosse re, non esitava a proclamarsi povero e mendicante di cui il Signore aveva cura. Così, qualunque cosa noi siamo, la nostra condizione è quella di stazionare ogni giorno umilmente davanti alle porte della divina Maestà, e domandarvi la carità dicendo: « Padre, datemi oggi il pane quotidiano ». E se si obietta che la terra comprende anche uomini troppo potenti, troppo opulenti, la cui sussistenza è troppo largamente e troppo solidamente assicurata perché il personaggio del mendicante possa convenire loro, ci risponderanno che questo personaggio, conviene loro così come agli altri (Mgr. Pie, Panègyr du bienh. Labre). – Non ne arrossite: quantunque ricco possa essere un uomo sulla terra, egli è il mendicante di Dio. E di cosa ha bisogno il ricco? Ecco oso dirlo: egli ha bisogno ogni giorno del suo pane. Perché ha tutto in abbondanza, questo non è forse perché Dio gli ha dato tutto? Cosa sarà di lui se Dio ritira la sua mano? Quanti uomini si sono addormentati ricchi per svegliarsi poveri e spogli di tutto? Se dunque il ricco non manca di nulla, è un effetto della misericordia di Dio, non un atto della sua potenza (S. Agost.). E cosa farete, voi che siete poveri e mancate di tutto? Mendicate alla porta di Dio, bussate, e vi sarà aperto. Affidate al Signore la cura di tutto ciò che vi riguarda, mettete in Lui la vostra speranza, e Lui stesso farà ciò che vi necessita. (Ps. XLIV, 23). – Di cosa vi inquietate? … colui che mi ha fatto, avrà cura di me? Colui che ebbe cura di voi prima che voi foste, non avrà cura di voi quando siete diventato ciò che Egli voleva che voi foste? Già voi siete fedele, già camminate nella via della giustizia: Questi potrà non aver cura di voi, Colui che fa sorgere il sole sui buoni, come sui cattivi, e spargere la pioggia sui giusti e gli iniqui? (Matth. V, 43). Tanto più che siete giusti e vivete di fede, vi respingerà, vi abbandonerà, vi lascerà a voi stessi? Ma no, Egli vi circonda di cure, vi aiuta, vi dà tutto ciò che vi necessiti, ed allontana ciò che potrebbe nuocere. Quando vi dà, vi consola, affinché viviate; quando vi toglie, Egli vi riprende, per timore che voi periate. Il Signore si prende cura di voi, siate in piena sicurezza, Colui che vi ha fatto, vi conduce Egli stesso. Non vi lasciate cadere dalle mani del vostro Creatore, sarete stroncati. Ora è la vostra buona volontà che vi mantiene nelle mani del vostro Creatore. Dite: Dio lo ha voluto, Egli mi porterà, mi sosterrà. Gettatevi nel suo seno; astenetevi dal credere che questo sia il vuoto, e che gettandovi, sarete precipitato. Egli ha detto: Io riempio il cielo e la terra (Gerem. XXIII, 24). – Nulla vi può mancare; fate in modo di non mancare a Lui, e voi non mancherete a voi stessi (S. Agost.).