22 Agosto: FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DELLA VERGINE MARIA MADRE DI DIO (2020)

FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DELLA VERGINE MARIA (2020)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

 Hebr IV: 16.
Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.
[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno]

XLIV: 2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea regi.
Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema].

Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno]

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui in Corde beátæ Maríæ Vírginis dignum Spíritus Sancti habitáculum præparásti: concéde propítius; ut ejúsdem immaculáti Cordis festivitátem devóta mente recoléntes, secúndum cor tuum vívere valeámus.

[O Dio onnipotente ed eterno, che nel cuore della beata Vergine Maria hai preparato una degna dimora allo Spirito Santo: concedi a noi di celebrare con spirito devoto la festa del suo cuore immacolato e di vivere come piace al tuo cuore].

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli 24:23-31
Ego quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei, fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchræ dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctæ spei. In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ, et virtútis. Transíte ad me omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.
[Come una vite, io produssi pàmpini di odore soave, e i miei fiori diedero frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza. In me si trova ogni grazia di dottrina e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, voi tutti che mi desiderate, e dei miei frutti saziatevi. Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e la mia eredità più dolce di un favo di miele. Il mio ricordo rimarrà per volger di secoli. Chi mangia di me, avrà ancor fame; chi beve di me, avrà ancor sete. Chi mi ascolta, non patirà vergogna; chi agisce con me, non peccherà; chi mi fa conoscere, avrà la vita eterna].

Graduale

Ps XII: 6
Exsultábit cor meum in salutári tuo: cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi.

[Il mio cuore esulta nella tua salvezza. Canterò al Signore perché mi ha beneficato,Inneggerò al nome del Signore, l’Altissimo.]

Ps XLIV: 18
Mémores erunt nóminis tui in omni generatióne et generatiónem: proptérea pópuli confitebúntur tibi in ætérnum. Allelúja, allelúja.

[Ricorderanno il tuo nome di generazione in generazione, e i popoli ti loderanno nei secoli per sempre. Alleluia, alleluia].

Luc 1:46; 1:47

Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo. Allelúja.

[L’anima mia magnifica il Signore, e si allieta il mio spirito in Dio, mio Salvatore. Alleluia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 25-27
In illo témpore: Stabant juxta crucem Jesu mater ejus, et soror matris ejus María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus. Deinde dicit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

OMELIA

[P. V. STOCCHI, S. J.: “DISCORSI SACRI”, Tipogr. Befani, ROMA, 1884]

DISCORSO XXIV.

SANTISSIMO CUORE DI MARIA

Qui me invenerit, inveniet vitam.

PROV. VIII, 35.

Fino da quando da chi mi tiene il luogo di Dio mi fu posto sopra le spalle il carico alla natura poco soave, di predicare la parola di Dio in tanta iniquità di tempi, il mio cuore e i miei occhi si conversero subito alla stella benedetta del mare, alla Madre immacolata di Dio e Madre nostra Maria, e posi incontanente le mie povere fatiche sotto gli auspici e sotto il patrocinio di Lei, alla quale fino dagli anni primi della mia vita ho dedicato tutte le cose mie e me medesimo. Da Lei madre di grazia, di luce, di fortezza e di verità sperai forza e vigore, da Lei grazia e virtù, da Lei efficacia e dono per condurre le anime a Gesù Cristo, da Lei insomma ogni cosa, e se nulla hanno operato le povere mie fatiche, se qualche frutto ha secondato il sudore e il travaglio della parola di Dio seminata da me, tutto il inerito è stato sempre di Maria della quale la misericordia e il patrocinio e nel corpo e nell’anima tocco tutto giorno con mano. Essendo così, è naturale che io ardentemente desideri di fare alcuna cosa che sia cara a questa Vergine gloriosa per attestarle la mia gratitudine; e fra le altre è mio costume di argomentarmi di tirare a Lei i cuori di tutti persuadendo a tutti che trovata Maria, troveranno la vita conforme a quello: qui me invenerit inveniet vitam. E per riuscire in questo intento soavissimo io ho per costume di non lasciare che trascorra alcun corso di predicazione, nella quale io abbia parte, senza favellare del Cuore benedetto di Maria, additandolo a tutti come porto unico e soavissimo di pace, di sicurezza, di misericordia. Tale io ho trovato il Cuore di Maria per me, tale l’ho sempre mostrato agli altri, tale a voi, se mi udirete, lo mostrerò stamattina signori miei. Vi parlerò del cuore di Maria pianamente e devotamente, quanto mi sarà possibile, cercando di innamorarne tutti e specialmente i poveri tribolati, gli afflitti e i peccatori, e beato me se riuscirò nell’intento. Innamorarsi del Cuore di Maria è come far suo quel Cuore benedetto; chi ha fatto suo il cuore di chi che sia è padrone di tutto l’uomo. E che bramerà di vantaggio chi abbia fatto suo il Cuor di Maria?

1. È cosa che si ripete ogni giorno nella santa Chiesa cattolica, e che mille volte ridetta torna sempre gradita come se nuova fosse al popolo cristiano, che nulla è più amabile più soave più salutare del pensiero, del nome, della memoria della Madre di Dio. Maria! Basta pronunziare questo nome perché palpiti ogni cuore, perché sorrida ogni labbro, perché ogni tristezza si dilegui, perché ogni petto si riempia di giubilo. Come, se dando luogo i nembi, la stella del mattino scintilla tremula nell’azzurro del firmamento, o come se dopo la pioggia si colori tra le nubi la variopinta gloria dell’iride, così dice Bernardo, tra le tenebre di questa terra sgombrano le nuvole, riede il sereno, chetano i turbini e fiorisce la pace, quando s’invoca Maria: Maria nella quale tutto innamora, il nome, il grado, la grazia, la gloria, la dignità. Tutto questo è verissimo e io mi glorio di predicarlo, né tacerò le glorie e le misericordie di tanta Madre, finché il cuore nel petto mi palpita, e si snoda alla parola la lingua. Con tutto ciò dilettissimi dopo avere detto Maria, provatevi a dire Cuore di Maria, voi sentite subito di avere detto qualche cosa di più caro, di più tenero, di più soave che dicendo semplicemente Maria. Accade a noi o Madre benedetta quando menzioniamo il tuo Cuore quello che ci accade quando menzioniamo il Cuore del tuo Figliuolo. Io dico Gesù, e il nome di Gesù è miele alle labbra, melodia alle orecchie, giubilo al cuore, ma se dopo avere detto Gesù passo innanzi e dico Cuore di Gesù, sento l’anima mia essere percossa di affetti insoliti verso il mio Redentore e me ne rendo questa ragione. Quando io dico Gesù, mi si rappresenta al pensiero nella pienezza della sua magnificenza della sua potestà il Verbo incarnato. Lo vedo quindi non solamente uomo ma Dio, non solamente amico e fratello, ma Pontefice e Re, non solamente Padre ma Giudice. Non così quando dico Cuore di Gesù. Il cuore è simbolo dell’amore, è sede dell’amore, è organo dell’amore. Chi dice Cuore dice amore, chi vede il cuore vede l’amore, e quando nomino il Cuore di Gesù, sparisce il giudice, il re, l’onnipotente a cui ogni ginocchio si curva in Cielo ed in terra, e vedo solo l’amante delle anime, il Pastor buono, il vero padre ed amico dell’uman genere morto in croce per me. E anche in questo o Madre benedetta voi vi rassomigliate al vostro Figliuolo. Io dico Maria, e nominandovi vedo Voi tutta quanta. Non vedo solamente la più amabile e misericordiosa creatura che abbia fatto il Signore, ma vedo ancora la augusta Regina della terra e del Cielo, l’innalzata al consorzio della Trinità sacrosanta, la piena e soprappiena di santità. E allora sento di amarvi, ma all’amore si mesce la riverenza, e per alta ammirazione la mia fronte si curva davanti a Voi. Eppure noi abbiamo bisogno di accostarci a Maria con fidanza filiale. E però passiamo avanti e diciamo Cuore di Maria. Ed ecco alla menzione del cuore sparisce la grande, la Regina, la sublime, la tutta santa, e altro più non vediamo fuorché la Madre piena di misericordia e di amore. Vengono quindi al dolce richiamo del tuo cuore vengono gli uomini al tuo cospetto o Maria e ti raccontano i loro dolori e ti partecipano le gioie, ti svelano le proprie miserie e ti chiedono le tue ricchezze, i nostri peccati, i nostri peccati medesimi non ci sgomentano vedendo il tuo cuore, e scoprendoli a te, sentiamo rilevarsi l’anima e speriamo la misericordia e il perdono. E questo è il motivo perché in questi miseri tempi Maria ha svelato straordinariamente il suo cuore. Ha voluto alla nostra generazione pervertita dalla empietà offrire un’esca dolcissima e un porto di salute e di pace. E gli uomini hanno inteso quest’arte di amore, e veduto il Cuor di Maria come trovato avessero un centro di attrazione invincibile, a quello sono corsi e in quello hanno trovato vita, salute, grazia, ogni bene: e più facile sarebbe contare le stelle del cielo e le arene del mare che le misericordie e le grazie d’ ogni maniera, che la devozione al suo cuore ha espugnato a Maria. No, quando si fa capo al suo cuore, Maria non resiste.

2. Ma entriamo alquanto più addentro e scandagliamo la ragione intima di tanta forza di attraimento che esercita sugli uomini il Cuore benedetto di Maria e la troveremo, per cosi dire, naturale nell’ordine soprannaturale della grazia. Mi aiuti Maria Perché il concetto della mente esprima adeguatamente la lingua. Uno degli spettacoli più misteriosi e più teneri che la natura appresenti è l’amore dei figliuoli verso la madre, e viceversa l’amore della madre verso i figliuoli. Ferì questo spettacolo la mente e gli occhi del divino Crisostomo, e lo espresse con viva eloquenza così. Mostra a un pargoletto lattante ancora e ignaro di tutto una regina coronata di gemme e vestita di oro dall’una parte, dall’altra mostragli la sua madre avvolta nei cenci e coperta di povertà e di squallore e vedrai. Nulla intende quel piccioletto nulla conosce, ma con tutto ciò non cura la regina, la sprezza, la sdegna, la risospinge, ma non così colla madre. Si ravviva tutto vedendola, brilla, sorride, e protendendo verso di essa con l’animo la persona, si scaglia e quasi si avventa per abbracciarla. Che è mai questa attrattiva, questo impeto e questa foga che rapisce quell’animo inconsapevole verso la madre? Che sia, non domandare che io non lo so, so che è cosa verissima e potentissima ed è un senso, un istinto ideato dalla mente divina e dalla divina mano inserito nell’anima, che stabilisce, corrobora, illeggiadrisce le relazioni naturali tra figlio e madre, tra madre e figlio. Essendo così, qual luogo tiene Maria nell’ordine mirabile della redenzione e della grazia? Tiene il luogo di madre. Mirabil cosa. Gesù Cristo è venuto in terra per stabilire tra gli uomini una famiglia collegata coi vincoli dell’amore e della fede, la quale in terra si inizi, e si consumi e perfezioni nel Cielo. In questa famiglia è un Padre ed è Pio, un primogenito ed è Gesù Cristo, fratelli moltissimi di ogni popolo, d’ogni tribù, di ogni lingua. Ma alla buona economia della casa è richiesto che ogni famiglia abbia una madre, che divida col padre l’autorità, che vegli con occhio amoroso la prole, e sopraintenda agli uffici più intimi e più delicati di casa. Ora Dio non ha voluto che a questa gran famiglia della sua Chiesa una madre mancasse, ed ottima di tutte le madri le ha dato Maria. E Madre la saluta la Chiesa, e il vocabolo col quale ogni Cristiano appella Maria è il dolce nome di Madre. Né questa è squisitezza o esagerazione mistica, ma verissima dottrina cattolica: e i Padri di tutti i secoli con consenso pienissimo insegnano che come Gesù Cristo è il nuovo Adamo miglior dell’antico, capo del genere umano rigenerato, così è Maria l’Eva novella madre per grazia di tutti quelli che Gesù Cristo rigenerò alla salute; e sono celebri i paralleli che tra Eva e Maria tessono Ireneo, Epifanio, Agostino e Bernardo. Voleva quindi ogni ragione che come nell’ordine della natura Dio inserisce nei figli un attraimento arcano verso la madre per cui anche il pargoletto inconsapevole la discerne tra mille e a lei corre e in lei si abbandona; cosi nell’ordine della grazia un affetto arcano, una propensione quasi istintiva fosse inserita verso Maria. E questo affetto questa propensione lo Spirito Santo medesimo inserisce nei petti cristiani sino da allora che nel santo Battesimo muoiono all’antico Adamo e rinascono al nuovo Adamo che è Gesù Cristo. In quelle acque sacrosante nelle quali veniamo rigenerati, insieme colla grazia santificante e cogli abiti delle virtù soprannaturali che ci si infondono, ci si infonde ancora l’abito dell’amore a Maria. E per negare che questo affetto ce lo troviamo quasi inserito nel cuore bisogna chiudere gli occhi alla luce, bisogna negare quello che ci dice ragionando altamente nel nostro cuore l’intimo senso. Pigliare quel pargoletto e quella pargoletta che pendono ancora dal seno materno, mostrate loro la immagine di Maria. Vedrete un’arcana simpatia, una tenerezza, una propensione, un attraimento di quell’anima innocente verso la benedetta fra le donne. Insegnategli a giungere le tenere mani e a balbettare con labbro infantile Maria, e vedrete con quanta facilità con quanto diletto quel dolce nome si stampa in quella memoria e in quel cuore, e dal cuore viene sul labbro, e sarete costretti a dire che lo Spirito Santo diffuso nei loro cuori generi questo affetto, generato lo nutrisca, nutrito lo perfeziona. Quindi è che questo affetto, se il peccato e l’iniquità non lo spengono, insieme colla fede cresce cogli anni e ci appresenta quello spettacolo che tutto giorno e agli altri porgiamo noi stessi, e noi stessi ammiriamo negli altri. Se ci stringe un pericolo, chi invochiamo per soccorso? Maria. Se ci rallegra insolazione chi ringraziamo per gratitudine? Maria. Se un ci preme, chi invochiamo per refrigerio? Maria. Se ci assedia una necessità a chi ci volgiamo per sovvenimento? A Maria. Si vede, o si vede e si tocca con mano in questa gran famiglia cristiana quello che si vede in ogni ben composta famiglia, e come in quella in ogni necessità, in ogni pena, in ogni consolazione, i figli fanno capo alla madre e tratti quasi da una dolce necessità ne la chiamano a parte; così anche in questa. E come nella famiglia un figlio che non ama la madre, che la disconosce e le fa villania si ha in conto di mostro snaturato e maledetto dagli uomini e da Dio; così fra i Cristiani quelli che non amano, che non curano, che hanno alieno e avverso l’animo da Maria, sono pochi perché sono mostri, e i mostri non sono mai un gran numero. Anche fra i Cristiani di vita prodigata e perduta troverete di rado alcuno che non serbi nel petto qualche scintilla di amore a Maria, e questo è pegno di salute e ancora di misericordia, e basta perché non se ne debba disperare la conversione. Ma se qualcuno se ne trova o Dio guai a lui; fa orrore, mette spavento appunto come un mostro, e fra i segni di riprovazione non ce n’è alcuno che sia più terribile di una non so quale alienazione e avversione di animo da Maria. Questa avversione questo allenamento si è sempre visto negli eresiarchi più atroci e più empì, e Lutero diceva, siccome è noto, tutta l’anima mia si ribella e non posso patire in pace che mi si dica che la mia speranza è Maria. Infelice, cui il demonio invasava il petto del veleno e dell’odio che lo consuma contro la sua nemica. Quest’odio vediamo rinnovellato ai dì nostri nei settari che si sono venduti alle congreghe d’inferno, e fanno guerra a Maria ne bestemmiano il nome, ne distruggono il culto e le immagini, anime reprobe e destinate all’inferno. Da questi infuori regna in tutti i cuori cattolici l’amore, la tenerezza e una propensione filiale verso Maria. Ma che dico solo tra i Cattolici? Domandate donde trae suo principio la conversione degli eretici alla Chiesa Cattolica e sentirete che il primo passo fu un pio affetto che sentirono nascersi in petto verso Maria. Interrogate il missionario che si aggira per le barbare spiagge dell’Australia e della Polinesia come fa ad attrarre a sé quei barbari e di bestie farli uomini e di uomini Cristiani? Sotto un padiglione di verzura adorna di veli e di fiori che dà il paese, campeggia una cara immagine di Maria. Il selvaggio dal folto dei macchioni e dal cupo degli antri dove si intana vede quella cara sembianza e si accosta, e attonito domanda chi sia quella matrona sì augusta e sì amabile? Ode che è la Madre di Dio, e tirato e vinto quasi da catena amorosa dal nome di Maria è condotto a Gesù Cristo e alla Chiesa. Non vi faccia meraviglia. L’anima, disse sapientemente Tertulliano, è naturalmente cristiana, e avendo col Cristianesimo proporzione sì grande, non può non avere propensione naturale verso chi è la Madre di Gesù Cristo e del Cristianesimo, delle membra e del capo. Ma se Maria è la Madre universale andate al suo cuore. La madre più che altro si governa col cuore, e se volete espugnarla ragionate poco e date opera di guadagnarle il cuore: guadagnato il cuore è già vinta. Maria è madre andiamo al suo cuore, preghiamola pel suo cuore, espugniamo il suo cuore: la impresa è facile, ed otterremo ogni cosa.

3. Ma Dio tanto amore ha infuso e propensioni affettuose così mirabili nel cuore del popolo cristiano verso Maria, avrà poi lasciato imperfetta l’opera sua, e non avrà acceso una fiamma di amore corrispondente nel cuore di tanta Madre? Voi intendete bene che questa mia domanda significa questo. Se ci ama Maria, e il nostro cuore ha risposto a quest’ora, se ci ama Maria? E non è il medesimo dire Maria e dire la più tenera e amorosa di tutte le madri? Le opere di Dio sono perfette nell’ordine della natura, ma nell’ordine della grazia sono perfette infinitamente di più. Ora la natura con la sua mano innesta nel petto dei figli l’amore verso la madre, ma nel cuore delle madri inserisce un amore molto più veemente molto più tenero, molto più sviscerato e costante. Vedrete quindi moltissimi figli disamorati delle loro madri, ma madri che non amino i figli le troverete rarissime, e appena qualcuna che vi metterà come snaturata sdegno e ribrezzo. Ora volendo Dio dare in Maria al mondo una madre, inserì nel cuore degli uomini un grande amore di Lei, ma nel cuore di Lei accese verso di noi un amore che non ha paragone altro che coll’amore che per noi arde nel cuore di Gesù. E per questo affetto cominciò il signore l’opera sua fino da quando questa futura Madre di Dio e degli uomini fu concetta, e le collocò in petto un cuore somigliante a quello che da Lei preso avrebbe Gesù, perché Maria, dice sapientemente S. Efrem Siro, è un’opera fatta solamente pel Verbo incarnato, di forma tale che se il Verbo non si fosse dovuto incarnare Maria non sarebbe stata nel mondo introdotta. A questo cuore poi lavorato apposta per amare gli uomini, Gesù medesimo che creato lo aveva, dette colla sua mano stessa la perfezione e la tempera, e lo empié del suo amore medesimo e lo scaldò della sua medesima fiamma. E chi ne può dubitare? Gesù prese carne dei sangui purissimi sgorgati dal Cuore di Maria, Gesù albergò nove mesi nel santuario verginale dell’utero di Maria, e quei due cuori palpitarono di un medesimo palpito e vissero di una medesima vita. Che faceva quei nove mesi che tenne compresso il claustro delle viscere materne, che faceva dico, il Cuore di Gesù? Ardeva di amore smisurato ed ineffabile verso i figliuoli degli uomini. Come dunque non doveva accendere il cuore di Maria del suo medesimo ardore e temperarlo alla fucina delle fiamme che consumavano il suo? Ma che sarà stato poi durante quei trentatré anni che Ella dimorò con Gesù pellegrina celeste sopra la terra? Ci dice il Vangelo che questa Verginella prudente teneva sempre gli occhi in quel modello divino e tutto esaminava notava tutto, e quello che Gesù faceva e quel che diceva, e le comunicazioni mirabili col Padre, e le predilezioni verso i figliuoli degli uomini, e le propensioni, e i desideri e gli affetti, e nulla le sfuggiva e faceva tesoro di tutto, e tutto conservava dentro al suo cuore e tutto ponderava, tutto pensava, tutto seco medesima conferiva con diligenza celeste. Conservabat omnia verba hæc in corde suo. (Luc. II, 51) Avete udito? Teneva assiduamente il suo cuore alla scuola del Cuore di Gesù e lo formava su quel modello divino con sollecitudine tenera, gelosa, assidua, squisita. Conservàbat omnia verba hæc in corde suo. E che altro da quel Cuore poteva imparare il tuocuore o Maria fuor che ad amare quantunque immeritevoli, quantunqueingrati i figliuoli degli uomini? Ma che fa mestieri procedereper argomenti a mostrare l’amore di Maria verso gli uomini?Basta aver occhi per vedere com’Ella tutti mirabilmenteforniscegli uffici di ottima madre. A che prove conoscete se unamadre ama veramente i figliuoli? Alle opere. Vedete non vive altroche per la sua famiglia, altro non cerca, di altro non si briga,non pensa ad altro. Ora in ogni famiglia ben ordinata, chi guardibene vedrà che essendoci una madre e un padre sono tra questoquasi domestico magistrato compartiti gli uffici. L’autorità paterna èun’autorità grave e robusta, la materna, amorosa e soave,il padre sopraintende ai negozi che escono fuori delle pareti domestiche,e regola le relazioni esterne della famiglia, la madre èuna autorità casalinga a cui appartengono le cure tenui ed interne.Alle cure grandi e rilevanti attende il padre, la madre dàopera alle incombenze minute. Però la madre si tiene davanti damane a sera la sua famigliuola e vede tutto, tutto procura, nullale sfugge. Al modo medesimo passano le cose in questa gran famigliadella Chiesa, dice Bernardo. Ci è Dio nostro padre e GesùCristo nostro fratello e da loro scende ogni bone. Ma ci è ancheuna madre a cui appartiene il governo e l’economia domestica di questa famiglia ed essa è Maria. Si tiene Ella però davantitutti i figli della santa Chiesa Cattolica, e tutti ci vede, ci conoscetutti, tutti ci custodisca, tutti ci veglia, vede tutte le nostronecessità, indaga i bisogni e atutti e pensa e provvede. E questopovero figlio è peccatore, è peccatrice questa povera figlia: equesto è tribolato, quest’altra èafflitta: e quale è infermo e qualein pericolo: a questo tende insidie il demonio, quest’altro ilmondo lusinga: questa sta per cedere a un seduttore, quell’altroincatenano i lacci di una occasione: vede Maria vede, il cuorematerno incenerisce, l’amore la sollecita e non ha pace. Si volgeal Figlio, si appresenta al trono della Trinità sacrosanta, e supplicae implora a questo la conversione, la salute a quell’altro,a chi la forza e la grazia, a chi la speranza, a chi la consolazione,a chi lo scampo e la vita, a chi la vittoria contro il malignoin vita e in morte. Però è sempre attorno pel Paradiso, ei santi Padri leggiadramente la chiamano del Paradiso la faccendiera.però come nella famiglia i figlioletti chiamano più la madre che i l padre, così nella Chiesa cattolica si chiama Maria continuamente,Maria Maria. Non udite? Maria si grida dal mare seminaccia procella, e se l’onda è tranquilla le si insegna a salutarla stella del mare: Maria si invoca dalla terra o volgono prosperie felici i successi o corrono torbidi e avversi. Dai letti deldolore si chiama Maria, nelle angustie e nelle distrette Maria s’invoca.Ed Ella? Ed Ella come colei che tota suavis est ac plena misericordiae, che tutta è soave e piena di misericordia, omnibus sese exorabilem, dice Bernardo, omnibus clementissimam præbet, omnium necessitatibus amplissimo quodam miseratur affectu. Con quel suo cuore buono, largo, benfatto, generoso, benefico,a tutti si porge esorabile, clementissima a tutti, e conamplissimo affetto s’intenerisce alle necessità di tutti. Però ognitempio, ogni lido, ogni terra, ogni spiaggia è piena dei monumentie dei voti che attestano, che cuore sia quello di Maria, equei monumeni e quei voti gridano in loro linguaggio, Maria haun cuore grande, tenero, gentile, benefico: chi fa capo a quelcuore non patisce ripulsa: omnium necessitatibus amplissimo quodam miseratur affectu.

4. E perché Maria fosse tale Dio volle esercitare e perfezionare col dolore il cuor suo immacolato, verginale, santissimo, innocentissimo. Avrete sentito dire che Maria dal momento che divenne Madre di Dio divenne madre ancor di dolore, e portò sempre infitta nel mezzo al cuore una spada. È verissimo e cosi fu, e così conveniva che fosse. Perché osservate. Una madre buona e degna di questo nome ama tutti egualmente i figliuoli suoi: non ha parzialità per nessuno: sono tutti frutti delle sue viscere, li ama tutti ad un modo. Ma se tra i figli alcuno ne sia pel quale sperimenti più tenerezza qual’è ? È quello per cui ha molto patito. Il cuore di ogni madre è fatto così, il dolore patito genera amore, e il figliuolo delle lacrime e del dolore è il figliuolo prediletto. Essendo così, Dio che ci ha dato per figli a Maria, e ha costituito Lei nostra madre perché tutti ci avesse in grado di prediletti ha voluto che tutti fossimo per Lei figli di dolore. Già fin da quando aperse le sue viscere al Verbo di Dio intese che quel figliuolo destinato ad essere vittima del genere umano sarebbe per lei figliuolo di lacrime: ma lo intese anche meglio poco di poi. Aveva appena da quaranta giorni partorito Gesù e madre fortunata e incomparabile portava al tempio il frutto delle sue viscere, quando torbido e rabbuffato le si fece incontro un vegliardo per nome Simeone e presole di tra le braccia il bambino, questo bambolo, esclamò, è posto in ruina e in resurrezione di molti, e in bersaglio di contradizione: e tu donna preparati perché per conto di Lui una spada ti trapasserà il cuore da parte a parte. Intese allora Maria tutto il mistero e capi che quel figlio all’età di trentatré anni le morirebbe crocifisso. Povero cuore da quel giorno in poi non ebbe più lieta un’ora, e come Gesù dal presepio al calvario ebbe sempre nel cuore la croce, così tu o Maria avesti sempre nel cuore la spada. Cresceva Gesù, crescendo in età sempre diveniva più vezzoso, più giocondo, più bello, lo irraggiava la sapienza, lo infiorava la grazia, Dio e gli uomini si compiacevano in esso, le spose e le madri di Sion ti predicavano beata, e tu tacevi: ma chi ti avesse letto nel cuore avrebbe letto le parole della desolata Noemi: non mi chiamate felice ma amara perché il Signore mi ha ripiena di amaritudine: e il significato di queste parole si sarebbe inteso quel giorno che ti sarebbe conferito il grado di madre degli uomini. Orsù dilettissimi, rispondete: quando e dove Maria veramente ci partorì e diventò madre noi? Nel gran giorno del dolore là sul Calvario. Stabat iuxta crucem Iesu Mater Eius. (Ioan. XIX, 25.) Pendeva Gesù dalla croce sanguinolento olocausto: ai piedi della croce stava Maria. Presso Maria, rappresentante nostro, stava Giovanni. Maria trambasciava di dolore, Gesù la vide, e additandole Giovanni le disse: ecco il tuo figliuolo, e a Giovanni: ecco la madre tua. Allora divenne Maria madre nostra, e in Giovanni tutti quanti ci accettò per figliuoli, e Gesù consumò l’opera gettandole in petto una parte di quella fiamma che nel suo Cuore allora ardeva per noi. Coraggio o carissimi, coraggio: Maria ci ama, siamo suoi figli e non figli in qualunque modo, ma figli del suo dolore, e però prediletti, e quando ci vede ricordandosi quel che ha patito s’intenerisce, il suo cuore non regge più e dimentica tutto e solo sente le voci dell’amore. Tutta la terra è piena delle misericordie di Maria verso i figliuoli degli uomini che si cantano in ogni lingua, si magnificano da ogni labbro. Come mai in tal Regina tanto amore verso una generazione scortese, ingrata, villana? Non vi stupite gli uomini sono figliuoli del suo dolore. Nessuno dunque abbia temenza di accostarsi a Maria. Ogni temenza sarebbe irragionevole. Andate pure e sappiate che quando un figliuolo la supplica, il cuor suo non resiste. Guardatela ha il cuore in mano e par che vi dica son io sì, son io, son vostra madre, accostatevi e vedrete che cuore è questo.

5. E però è che la anta Chiesa tutti invita, tutti sprona a rifuggire al Cuor di Maria: ma di preferenza appresenta quel cuore ai peccatori, che pei peccatori sembra che sia aperto principalmente in questi tempi novissimi, onde la devozione al Cuore di Maria è ordinata principalmente alla conversione dei peccatori. Intendo, intendo. Datemi una madre tenera, sviscerata quanto volete dei suoi figliuoli, datemela a vostro talento imparziale verso tutti i frutti delle sue viscere, vedrete con tutto ciò, che se uno dei suoi figliuoli o le cade infermo e il morbo si aggrava, o geme prigioniero, o vaga tribolato e ramingo sembra che questa madre muti natura. Non sembra più imparziale né eguale con tutti i figli: sembra invece che dimentichi tutti gli altri, che non li curi: tutte le sollecitudini sembrano essere pel figliuolo che tribola e che patisce, sembra che in lui si concentri tutto l’affetto. La vedete quindi o assisa di dì e di notte alla sponda del letto molcere le angosce e alleviare i dolori del caro infermo: o sollecita di sapere le novelle del prigioniero diletto, e dell’amato ramingo, di altro non favella se parla, ad altro non pensa se tace, non ode volentieri che si parli di altri fuorché di loro. Sono tribolati, hanno ragioni sovrane sul cuor materno. Ora chi sono in questa gran famiglia che Dio ha dato a Maria i poveri peccatori? Sono figli prigionieri, sono figli raminghi, son figli infermi. Infermi della pessima malattia del peccato, raminghi ed esuli dalla casa del Padre, prigionieri del diavolo già condannati all’inferno. Li vede Maria e ne sa la miseria incomparabile, e il suo Cuore materno si strugge e si consuma di dolore e di amore. Poveri figli non sanno quello che fanno, sono ciechi, sono travolti da infelicissimo errore: si perdono e non intendono il loro male. Ah! il Cuor di Maria non ha pace, grida mercé al suo Figlio, li cerca, li scuote, li sollecita, li invita, li alletta, e con tenere voci da mane a sera li chiama, e poiché non ascoltano si volge ai figli fedeli, e voi, dice, voi aiutatemi, se mi amate, aggiungete la vostra voce alla mia, e uniti insieme riconduciamo al Padre questi profughi sconsigliati e cari. Peccatori, sentite a quando a quando quelle voci al cuore, quelle grida della coscienza lacerata, quegli impeti, quegli impulsi a tornare al Padre? Sono le voci di Maria che vi chiama, ah! se avete cuore umano nel petto consolate il dolore e rasserenate il cuore di questa Madre. Su rispondete, parlate. Quem fructum habuistis in quibus nunc erubescitis? (Rom. VI, 21) Vi è messo conto a partirvi dalla casa del Padre? A mettervi per le vie tribolate dell’iniquità? A cambiare il giogo di Gesù colla catena del diavolo? O cari anni della vostra innocenza! O giorni felici della coscienza serena! Allora passavano i dì tranquilli, allora correvano placide e dolci le notti, allora guardavate il cielo con lieto sembiante, allora invocavate con dolce affetto i nomi di Gesù e Maria, il presente era giocondo, non vi atterriva il futuro, la pace del cuore si dipingeva nell’occhio sereno e nel volto. E ora? E ora non ci è più pace. Torbidi i giorni, tetre le notti, la coscienza s’indraga siccome un serpe, pochi momenti di briaca voluttà e poi tempesta e fremito nel cuore, e il tumulto e la rabbia del cuore vi si dipinge negli occhi torvi, nel volto arroncigliato, nelle parole rabbiose, nei modi protervi. Su dunque sorgete, poveri assetati di pace, tornate al Padre. Ma vi manca la lena, il giogo del peccato vi grava verso la terra, vi stringe i piedi la catena inveterata di satana. Ecco vi si apre in buon punto il Cuor di Maria. Alzate gli occhi: guardate quella benedetta sembianza, contemplate quegli occhi, quel cuore, quel dolce atto d’invito e poi non confidate se vi riesce. O sì, sì confidiamo, confidiamo tutti o Maria. Il tuo nome infonde fiducia, rincuora la tua sembianza, ma se contempliamo il tuo Cuore, forza è che ci diamo per vinti, perché esercita un’attrattiva che ci trascina. Trahe nosdunque trahe nos Maria. Mostraci mostraci cotesto Cuore. In odorerm curremus unguentorum, (Cant. IV, 10) correremo all’odore dei tuoi profumi, e riconciliati con Dio e salvi con Te e per Te, cominceremo nel Tempo e continueremo nella eternità a cantare o clemens, o dulcis, Virgo Maria.

CREDO…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Luc. 1: 46; 1: 49
Exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus.

[L’anima mia esulta perché Dio è mio Salvatore, perché il Potente ha operato per me grandi cose e il Nome di Lui è Santo.]

Secreta

Majestáti tuæ, Dómine, Agnum immaculátum offeréntes, quǽsumus: ut corda nostra ignis ille divínus accéndat, cui Cor beátæ Maríæ Vírginis ineffabíliter inflammávit.

[Offrendo alla tua maestà l’Agnello immacolato, noi ti preghiamo, o Signore: accenda i nostri cuori quel fuoco divino che ha infiammato misteriosamente il cuore della beata Vergine Maria.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Joann XIX: 27
Dixit Jesus matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus: deinde dixit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[Gesù disse a sua Madre: «Donna, ecco il Figlio tuo». Poi al discepolo disse: «Ecco la Madre tua». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

Postcommunio

Orémus.
Divínis refécti munéribus te, Dómine, supplíciter exorámus: ut beátæ Maríæ Vírginis intercessióne, cujus immaculáti Cordis solémnia venerándo égimus, a præséntibus perículis liberáti, ætérnæ vitæ gáudia consequámur.

[Nutriti dai doni divini, ti supplichiamo, o Signore, a noi che abbiamo celebrato devotamente la festa del suo Cuore Immacolato, concedi, per l’intercessione della beata Vergine Maria: di essere liberati dai pericoli di questa vita e di ottenere la gioia della vita eterna.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (3)

R. P. CHAUTARD D . G. B .

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (3)

Traduzione del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B.

8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

PARTE PRIMA

5.

Risposta a una prima obbiezione: la vita interiore è oziosa?

Questo libro è indirizzato soltanto agli uomini di azione o animati da un desiderio ardente di dedicarsi al bene, ma esposti al pericolo di trascurare i mezzi necessari perché il loro sacrificio riesca fecondo per le anime, senza che sia per loro stessi la perdita della vita interiore. Non è affatto nostro scopo stimolare i pretesi apostoli amanti del riposo, destare le anime illuse dall’egoismo che fa loro vedere nell’ozio un mezzo di favorire la pietà, scuotere l’indifferenza degli indolenti e degli addormentati i quali, con la speranza di vantaggi e di onori accettano di dare il loro nome a qualche opera, purché non ne siano turbati nella loro quiete e nel loro ideale di tranquillità; questo compito richiederebbe un libro a parte.  Perciò, lasciando ad altri la cura di far capire a questa categoria di apatici la responsabilità di un’esistenza che Dio voleva attiva e che il demonio, d’accordo con la natura, rende infeconda per mancanza di attività e di zelo, ritorniamo ai nostri cari e venerati confratelli ai quali specialmente sono dedicate queste pagine. – Nessun termine di confronto ci può rappresentare l’intensità infinita dell’attività che si svolge in seno a Dio: la vita interiore del Padre è tale, che genera una Persona divina; dalla vita interiore del Padre e del Figlio procede lo Spirito Santo.  La vita interiore comunicata agli Apostoli nel Cenacolo accese subito in essi lo zelo. La vita interiore, per qualunque persona istruita che non voglia studiarsi di snaturarla, è un principio di abnegazione. – Quand’anche essa non si rivelasse affatto con manifestazioni esteriori, la vita di orazione, in se stessa e intimamente, è una SORGENTE DI ATTIVITÀ alla quale nessun’altra si può paragonare. Non vi è nulla di più falso che il considerarla come una specie di oasi dove uno si possa rifugiare per trascorrere in pace la vita: basta che essa sia la strada che conduce più direttamente al regno dei cieli, perché le si possa applicare in modo speciale il testo: Regnum cœlorum vim patitur, et violenti rapiunt illud (Il regno dei cieli si acquista con la forza ed è preda di coloro che usano violenza – MATT. XI, 12).  – Don Sebastiano Wyart che aveva provato le fatiche dell’asceta e quelle della vita militare, il lavoro degli studi e le cure inerenti all’uffizio di superiore, soleva ripetere che vi sono tre sorta di lavoro:

1° Il lavoro quasi interamente fisico di coloro che esercitano un mestiere manuale, di operaio, di artigiano, di soldato; questo lavoro, egli diceva, comunque si pensi, è certo il meno duro.

2° Il lavoro intellettuale dello studioso, del pensatore alla ricerca, spesso difficile, della verità, il lavoro dello scrittore, del professore i quali fanno ogni sforzo per far penetrare la verità in altre intelligenze, il lavoro del diplomatico, del negoziante, dell’ingegnere ecc., gli sforzi mentali del generale durante la battaglia per prevedere, dirigere e decidere. Questo lavoro in se stesso è più penoso del primo, come lo conferma il proverbio che LA LAMA LOGORA IL FODERO.

3° Finalmente il lavoro della vita interiore; di tutti e tre, egli non esitava a proclamarlo, questo è il più pesante quando vien preso sul serio (Maior labor est resistere vitiis et passionibus, quam corporalibus insudare laboribus – S. Gregorio). Ma è pure quello che ci offre quaggiù maggiori consolazioni, come pure è anche il più importante, perché esso non forma più la professione dell’uomo, ma forma l’uomo stesso. Quanti si gloriano di essere coraggiosi nei due primi generi di lavoro che portano alla fortuna e alla gloria, e poi sono inerti, pigri e vili quando si tratta di lavorare per la virtù! Sforzarsi di dominare continuamente se stesso e le cose esteriori, per cercare in tutte le cose soltanto la gloria di Dio, è l’ideale dell’uomo risoluto ad acquistare la vita interiore, e perché il suo ideale diventi realtà, egli si sforza di restare unito a Gesù Cristo in ogni circostanza e perciò di tenere fisso lo sguardo al fine che deve raggiungere e di considerare tutte le cose alla luce del Vangelo. Egli ripete con sant’Ignazio: Quo vadam et ad quid? (Dove vado e a che cosa?) In lui dunque tutto dipende da un principio, intelligenza e volontà, memoria, sensibilità, fantasia e sensi. Ma quanto deve affaticarsi per giungere a tale risultato! Sia che si mortifichi o che si conceda qualche onesto piacere, che pensi o che agisca, che lavori o che riposi, che ami il bene oche senta avversione per il male, che desideri o che tema, che accetti la gioia o la tristezza, pieno di speranza o di tristezza, sdegnato o tranquillo, in tutte le cose e sempre egli si sforza di dirigere il suo timone verso il BENEPLACITO DIVINO. Nella preghiera, e soprattutto vicino all’Eucaristia, egli si apparta ancora di più dalle cose visibili per poter trattare con Dio invisibile come se lo vedesse (Invisibilem enim tamquam videns sustinuit – Ebr. XI, 2). Anche in mezzo alle sue fatiche apostoliche egli tende a tradurre in pratica quell’ideale che san Paolo ammirava in Mosè.  – Né avversità della vita, né tempeste delle passioni non lo possono far deviare dalla linea di condotta che si è imposta; se per caso vien meno un momento, subito si rianima e riprende con maggior vigore il suo cammino. Quale lavoro! E come si comprende come Dio ricompensi anche quaggiù con gioie speciali colui che accetta gli sforzi che simile lavoro richiede!  Oziosi, concludeva Don Sebastiano, oziosi i veri religiosi, i Sacerdoti di vita interiore e zelanti! Via! Vengano pure i mondani più affaccendati e verifichino se il loro lavoro si può paragonare al nostro!  Chi non l’ha provato? Qualche volta sarebbero preferibili lunghe ore di un’occupazione faticosa, a una mezz’ora di orazione ben fatta, all’assistenza seria di una Messa, alla recita attenta dell’Ufficio (« Qualunque siano le difficoltà della vita attiva, soltanto gli inesperti osano negare le prove della vita interiore. Molte persone attive, pure sinceramente pie, confessano che molto spesso ciò che a loro costa di più nella loro vita, non è l’azione, ma la parte obbligatoria dell’orazione, e si sentono sollevate quando arriva l’ora dell’azione »(D. Festugière, O. S. B.). 3). Il P. Faber constata con amarezza, che per certuni « il quarto d’ora che segue la Comunione è il quarto d’ora più noioso della giornata ». Se si trattasse di un breve ritiro di tre giorni, quanta ripugnanza ne proverebbero certuni! Appartarsi per tre giorni dalla vita facile, benché molto occupata, e vivere nel soprannaturale e farlo penetrare, durante quel tempo di ritiro, in tutti i particolari della propria vita, sforzare la mente a vedere tutte le cose, per quel breve tempo, alla sola luce della Fede, sforzare il cuore a dimenticare tutto per respirare soltanto Gesù e la sua vita, rimanere a discutere con se stessi e scoprire le proprie infermità e debolezze spirituali, gettare l’anima nel crogiuolo senza sentire pietà alle sue proteste, tutto questo è una prospettiva che fa indietreggiare molte persone che pure sarebbero disposte a qualunque fatica, finché si tratta di spendere un’attività puramente naturale. – Ma se tre giorni di tale occupazione sembrerebbero già tanto penosi, che cosa proverà la natura all’idea di sottoporre gradatamente una vita intera al regime della vita interiore? Certamente in questa vita di spogliamento la grazia ha molta parte e rende soave il giogo e leggero il peso; ma quante occasioni di sforzi vi trova l’anima! È per essa sempre uno sforzo il rimettersi sulla retta via e ritornare al Conversatio nostra in cælis est(La nostra conversazione è nei cieli – Filipp. III, 20). San Tommaso lo spiega molto bene: L’uomo – egli dice – è collocato tra gli oggetti della terra e i beni spirituali nei quali si trova l’eterna felicità; quanto più aderisce agli uni, tanto più si allontana dagli altri (Est homo constitutus inter rea mondi huius et bona spiritualia in quibus æterna beatitudo consistiti, ita quod, quanto plus inhaeret uni eorum, tanto plus recedit ab altero, et e contrario – la 2ae, q. 108, a. 4). Nella bilancia se si abbassa uno dei piatti, l’altro s’innalza altrettanto. – Ora la catastrofe del peccato originale che sconvolse l’economia del nostro essere, ha reso penoso questo doppio movimento di adesione e di allontanamento, e per stabilire e conservare, mediante la vita interiore, l’ordine e l’equilibrio in questo «piccolo mondo» che è l’uomo, si richiede fatica, pena e sacrificio. Si tratta di ricostruire un edificio in rovina e di difenderlo poi da un nuovo crollo. – Strappare continuamente dai pensieri terreni, per mezzo della vigilanza, della rinunzia e della mortificazione, questo onere aggravato da tutto il peso della natura corrotta, gravi corde(Salmo IV), riformare il proprio carattere particolarmente nei punti in cui è più dissimile dalla fisionomia dell’anima di Gesù Cristo, nella dissipazione, nei trasporti d’ira, nella compiacenza in sé e fuori di sé, nelle manifestazioni della superbia o delle miserie della natura, come la durezza, l’egoismo, la mancanza di bontà ecc., resistere alle attrattive del piacere presente e sensibile con la speranza di una felicità spirituale che si avrà soltanto dopo una lunga attesa, staccarsi da tutto ciò che ci può far amare la terra, fare un olocausto completo di tutto, delle creature, dei desideri, delle passioni, delle concupiscenze, dei beni esteriori, della propria volontà e del proprio giudizio… quale lavoro! – Eppure questa è soltanto la parte negativa della vita interiore. Dopo questa lotta a corpo a corpo che faceva gemere san Paolo (Condelector enim legi Dei secundum interiorem hominem: video autem aliam legem in membris mela repugnantem legi mentis meæ et captivantem me in lege peccati, quae est in membris meis. Infelix ego homo; quis me liberabit de corpore mortis huius? – Rom. VII, 22-24), e che il P. Ravignan esprimeva con queste parole: «Mi domandate che cosa ho fatto nel mio noviziato?Eravamo in due; ne buttai uno dalla finestra e sono rimasto solo»; dopo questa lotta senza tregua contro un nemico sempre pronto a rinascere, bisogna proteggere da ogni assalto dello spirito della natura un cuore che, purificato con la penitenza, si strugge dal desiderio di riparare gli oltraggi fatti a Dio, spiegare tutta l’energia per tenerlo attaccato unicamente alle bellezze invisibili delle virtù che si devono acquistare per imitare quelle di Gesù Cristo, sforzarsi di conservare anche nei più minuti particolari della vita un’assoluta confidenza nella Provvidenza; questo è il lato positivo della vita interiore. Chi può immaginare l’immensità di questo campo di lavoro! È un lavoro intimo, assiduo, costante; eppure proprio con tale lavoro l’anima acquista una meravigliosa facilità e rapidità di esecuzione per i lavori apostolici. Soltanto la vita interiore possiede questo segreto. Le opere immense compiute, nonostante una salute precaria, da un Agostino, da un Giovanni Crisostomo, da un Bernardo, da un Tommaso d’Aquino, da un Vincenzo de’ Paoli, ci fanno sbalordire. Ma più ancora ci fa meraviglia il vedere questi uomini, con tutte le loro fatiche quasi ininterrotte, mantenersi nella più costante unione con Dio. Questi Santi che per mezzo della contemplazione si dissetavano di più alla sorgente della vita, ne attingevano più abbondante capacità di lavorare. È questa la verità che un gran Vescovo, sovraccarico di lavoro, esprimeva ad un uomo di Stato, anch’egli oppresso dagli affari, il quale gli domandava il segreto della sua inalterabile serenità e della meravigliosa riuscita delle sue opere: « Caro amico, a tutte le vostre occupazioni aggiungete una mezz’ora di meditazione ogni mattina: non solo sbrigherete i vostri affari, ma troverete anche il tempo per nuove imprese».  – Finalmente noi vediamo il santo re Luigi IX il quale, nelle otto o nove ore che consacrava ogni giorno agli esercizi della vita interiore, trovava il segreto e la forza di applicarsi con tanta sollecitudine agli affari di Stato e al bene dei sudditi, che mai, come confessò un oratore socialista, neppure ai nostri giorni, non si è fatto tanto in favore delle classi operaie, quanto sotto il regno di questo principe.

6.

Risposta ad un’altra obbiezione: la vita interiore è egoistica?

Non parliamo del pigro né del goloso spirituale i quali fanno consistere la vita interiore nelle gioie di un piacevole ozio e cercano assai più le consolazioni di Dio, che non il Dio delle consolazioni: costoro hanno una falsa pietà. Ma colui che leggermente, oppure per partito preso, dice che la vita interiore è egoistica, non la capisce meglio di quegli altri. Già abbiamo detto che questa vita è la sorgente pura e abbondante delle opere più generose della carità verso le anime e della carità che conforta i dolori di quaggiù; esaminiamo ora l’utilità della vita interiore sotto un altro aspetto. Si dirà dunque che fu sterile ed egoistica la vita interiore di Maria e di san Giuseppe! Che bestemmia e che assurdo! Eppure non è loro attribuita nessuna opera esteriore: la sola irradiazione di una intensa vita interiore sul mondo, i meriti delle preghiere e dei sacrifizi applicati all’estensione dei benefizi della Redenzione, bastarono a costituire Maria regina degli Apostoli e Giuseppe patrono della Chiesa universale (In un altro capitolo si vedrà qual è questa vita interiore che dà alle opere la loro fecondità). Soror mea reliquit me solam ministrare(Mia sorella lascia me sola a servire  – Luc. X, 40), dice con le parole di Marta, lo sciocco presuntuoso il quale vede soltanto le sue opere esteriori e i loro risultati.  La sua sciocchezza e la sua poca intelligenza delle vie di Dio non arrivano al punto di fargli supporre che Dio non sappia quasi fare a meno di lui; ma intanto ripete volentieri con Marta, incapace di apprezzare l’eccellenza della contemplazione di Maddalena: Dic illa ut me adiuvet, (Dille dunque che mi aiuti – Luc. X, 40)., e arriva persino a dire: Ut quid perditio hæc (Perché questa perdita? – MATT. XXIV, 8), rimproverando come una perdita dì tempo i momenti che i suoi fratelli di apostolato, che fanno vita interiore più di lui, si riservano per assicurare la loro intima unione con Dio. Io santifico me stessa per loro, AFFINCHÈ essi pure siano santificati nella verità (Pro eis ego sanctifico meipsum ut sint et ipsi sanctificati in veritate – Giov. XVII, 19), risponde l’anima che ha inteso tutta la forza di questa parola del Maestro, AFFINCHÈ, e che conoscendo il valore della preghiera e del sacrifizio, unisce alle lacrime e al sangue del Redentore le lacrime dei suoi occhi e il sangue di un cuore che si va purificando sempre più di giorno in giorno. Con Gesù, l’anima che fa vita interiore, sente la voce dei delitti del mondo salire verso il Cielo e chiedere sui loro autori un castigo del quale essa ritarda la sentenza con l’onnipotenza della supplica capace di fermare la mano di Dio pronta a scagliare i fulmini.  « Coloro che pregano – diceva dopo la sua conversione l’insigne statista Donoso Cortes – fanno per il mondo assai più di quelli che combattono, e se il mondo va di male in peggio, è perché vi sono più battaglie che preghiere».  « Le mani alzate – dice Bossuet – sbaragliano più battaglioni che non le mani che colpiscono ». I solitari della Tebaide in mezzo ai loro deserti avevano spesso in cuore il fuoco che animava san Francesco Saverio. «Sembrava – dice sant’Agostino – che avessero abbandonato il mondo più del bisogno: Tidentur nonnullis res humanas plus qua ni oportet deseruisse: ma non si riflette che le loro preghiere, rese più pure dal loro grande distacco dal mondo, erano più efficaci e più NECESSARIE per questo mondo corrotto». Una breve ma fervida preghiera ordinariamente affretterà una conversione più che le lunghe discussioni e i bei discorsi. Colui che prega, tratta con la CAUSA PRIMA e agisce direttamente su essa. Egli ha pure in sua mano tutte le cause seconde, perché queste ricevono la loro efficacia unicamente da questo principio superiore. Perciò l’effetto desiderato si ottiene allora più sicuramente e più presto. Secondo una rispettabile rivelazione, diecimila eretici furono convertiti da una sola ardente preghiera della serafica santa Teresa la cui anima, infocata per Gesù Cristo, non poteva comprendere una vita contemplativa, una vita interiore la quale non partecipasse alle ardenti sollecitudini del Salvatore, per la salvezza delle anime. « Io accetterei, essa diceva, il purgatorio fino al giorno del Giudizio, per liberare una sola di esse. Che cosa m’importa la lunghezza dei miei patimenti, se così potessi liberare una sola anima, e meglio ancora parecchie anime, per la maggior gloria di Dio!» E alle sue religiose diceva: « Figlie mie, riferite sempre a questo fine tutto apostolico le vostre orazioni, le vostre discipline, i vostri digiuni e i vostri desideri». Così infatti fanno le Carmelitane, le Trappiste, le Clarisse: esse seguono i passi degli Apostoli e li sostengono con la sovrabbondanza delle loro preghiere e delle loro penitenze. Le loro preghiere scendono dall’alto e giungono fin dove cammina la Croce e splende il Vangelo, sulle anime, su queste prede del Signore. O meglio, è il loro amore nascosto, ma attivo, che risveglia dovunque, nel mondo dei peccatori, le voci della misericordia. Nessuno quaggiù conosce il perché di quelle lontane conversioni di pagani, della resistenza eroica di quei Cristiani perseguitati, della gioia celeste di quei missionari martirizzati: tutto questo è invisibilmente legato alla preghiera di quell’umile claustrale. Con le dita sulla tastiera dei perdoni divini, la sua anima silenziosa e solitaria dirige la salvezza delle anime e le conquiste della Chiesa (Lumière et flamme: P. LEON, O. M.). – Monsignor Favier, Vescovo di Pechino, diceva: «Io voglio dei Trappisti in questo Vicariato apostolico; desidero anzi che si astengano da ogni ministero esteriore, affinché nulla li distragga dal lavoro della preghiera, della penitenza e degli studi sacri; perché conosco quanto aiuto darà ai missionari l’esistenza di un monastero fervoroso di contemplativi in mezzo ai nostri poveri Cinesi ». E più tardi diceva: «Siamo finalmente riusciti a penetrare in una regione finora inaccessibile: io attribuisco questo fatto ai nostri cari Trappisti».  Un Vescovo della Cocincina diceva al Governatore di Saigon: «Dieci Carmelitane che pregano, mi daranno aiuto più che venti missionari che predicano». Sacerdoti secolari, religiosi e religiose, dedicati alla vita attiva, ma anche alla vita interiore, hanno sul cuore di Dio la stessa potenza che hanno le anime claustrali. Un Padre Chevrier, un Don Bosco, un Padre Maria Antonio ne sono magnifici esempi. Sant’Anna Maria Taigi, nelle sue funzioni di umile massaia, era un apostolo, come pure san Benedetto Giuseppe Labre che schivava le vie battute. Dupont, il santo di Tours, il colonnello Paqueron ecc., divorati dallo stesso ardore, erano potenti nelle loro opere perché facevano vita interiore; il generale de Sonis, tra una battaglia e l’altra, trovava il segreto del suo apostolato nell’unione con Dio. Chi oserà chiamare egoistica e sterile la vita di un Curato d’Ars? Tale affermazione non meriterebbe risposta. Qualunque mente giudiziosa attribuisce appunto alla sua intimità con Dio, lo zelo e i meravigliosi risultati di questo Sacerdote non ricco d’ingegno ma che, contemplativo come un certosino, sentiva una gran sete di anime, resa inestinguibile dai suoi progressi nella vita interiore, e riceveva da Gesù di cui viveva, una certa partecipazione della potenza divina per convertire i peccatori. Si oserà dire che fu infeconda la sua vita? Ma supponiamo che in ogni diocesi vi fosse un santo Curato d’Ars; in meno di dieci anni l’intera nazione sarebbe rigenerata e assai più  profondamente che non da moltitudini di opere cattoliche non abbastanza fondate sulla vita interiore, e alla cui organizzazione concorressero con i molti mezzi pecuniari, l’ingegno e l’attività di migliaia di apostoli. Noi riteniamo che il motivo principale di sperare bene per la resurrezione della Francia, è che in nessun altro tempo forse non vi furono, come da alcuni anni possiamo constatare, anche tra i semplici fedeli, tante anime così ardentemente desiderose di vivere unite al Cuore di Gesù e di estendere il suo regno, facendo germogliare intorno a sé la vita interiore. Queste anime elette sono un’infima minoranza: sia pure; ma che cosa importa il numero se vi è l’intensità? Il risorgere della Francia dopo la Rivoluzione si deve attribuire a quel gruppo di Sacerdoti maturati nella vita interiore dalla persecuzione; per mezzo loro una corrente di vita divina venne a riscaldare una generazione che l’apostasia e l’indifferenza sembravano aver votato a una morte che nessuno sforzo umano avrebbe potuto scongiurare. Dopo cinquant’anni di libertà d’insegnamento in Francia, dopo questo mezzo secolo che vide fiorire istituzioni innumerevoli e durante il quale noi abbiamo avuto in mano nostra tutta la gioventù del paese e l’appoggio quasi totale dei governanti, come mai, nonostante risultati apparentemente gloriosi, non abbiamo potuto formare nella nazione una maggioranza abbastanza profondamente cristiana che potesse lottare contro la lega dei ministri di satana!  Certamente contribuirono a tale impotenza l’abbandono della vita liturgica e la cessazione del suo irradiare sui fedeli: la nostra spiritualità è divenuta gretta, arida, superficiale, esterna o puramente sentimentale, e non ha più quella penetrazione e quel fascino sulle anime, che suole dare la liturgia, questa grande forza di vitalità cristiana. Ma non vi è forse un’altra causa in questo fatto che, mancando di una intensa vita interiore, noi, Sacerdoti ed educatori, non abbiamo potuto generare altro che anime di una pietà superficiale senza forti ideali, senza sode convinzioni? Come professori, non abbiamo noi rivolto il nostro zelo più al conseguimento delle licenze e al buon nome dell’Istituto, che nell’infondere una soda istruzione religiosa nelle anime! Non abbiamo forse speso l’opera nostra senza avere di mira  soprattutto la formazione della volontà per scolpire l’impronta di Gesù Cristo su caratteri ben formati! E questa mediocrità non è molte volte effetto della meschinità della nostra vita interiore?  A un Sacerdote santo – si dice – corrisponde un popolo fervoroso; a un sacerdote fervoroso, un popolo pio; ad un sacerdote pio, un popolo onesto; ad un sacerdote onesto, un popolo empio: in quelli che sono generati spiritualmente, vi è sempre un grado di vita di meno. – Non accetteremo certamente a occhi chiusi tale affermazione, ma consideriamo che le seguenti parole di sant’Alfonso esprimono abbastanza LA CAUSA a cui bisogna dare la responsabilità della nostra condizione attuale:  « I buoni costumi e la salvezza delle popolazioni dipendono dai buoni pastori; se alla testa di una parrocchia vi è un buon parroco, ben presto si vedrà in essa fiorire la divozione, i Sacramenti frequentati e l’orazione mentale in onore. Di qui il proverbio: Qualis pastor, talis parœcìa, secondo il testo dell’Ecclesiastico (X, 2): Qualis est rector civitatis, tales et inhabitantes in ea» (Homo Apostolicus, VII, 16).

7.

Obbiezione tratta dall’importanza della salvezza delle anime

Ma, dirà l’anima di vita tutta esteriore, in cerca di pretesti contro la vita interiore, come oserò io mettere un limite alle mie opere di zelo! Posso io fare troppo, soprattutto quando si tratta della salvezza delle anime! La mia attività non sostituisce forse, e con vantaggio, tutto il resto, con il sublime esercizio dell’abnegazione! Chi lavora prega, e il sacrifizio vale più che la preghiera. San Gregorio non dice forse che lo zelo è il sacrifizio più gradito che si possa offrire a Dio! Nullum sacrificium est Deo magis acceptum quam zelus animarum– s. GREGORIO, Homilia 12 in Ezech.).  Prima di tutto precisiamo il vero significato del testo di san Gregorio, con le parole del Dottore Angelico. Offrire spiritualmente a Dio un sacrifizio – egli dice – vuol dire offrirgli qualche cosa che lo glorifica; ora, fra tutti i beni, il più gradito che l’uomo possa offrire al Signore, è certamente la salvezza di un’anima. Ma ciascuno deve prima offrire la sua anima, secondo le parole della Scrittura: Se volete piacere a Dio, abbiate pietà dell’anima vostra. Compiuto questo primo sacrifizio, ALLORA ci sarà permesso di procurare anche ad altri la stessa felicità. Quanto più STRETTAMENTE l’uomo unisce a Dio prima la sua anima e poi quella di un altro, tanto più gradito è il suo sacrifizio; ma questa unione intima, generosa e umile, non si può fare SE NON PER MEZZO DELL’ORAZIONE. Applicare se stesso o altri alla vita di orazione, alla contemplazione, piace dunque al Signore PIÙ che il dedicarsi o l’impegnare altri all’azione, alle opere esteriori. Perciò – egli conchiude – quando san Gregorio afferma che il sacrifizio più grato a Dio è la salvezza delle anime, egli non intende di dare alla vita attiva la preferenza sulla contemplazione, ma vuol dire che l’offrire a Dio una sola anima, è per Lui infinitamente più glorioso e per noi assai più meritorio, che l’offrirgli quanto ha la terra di più prezioso (S. TOMM., 2a 2æ, q. 182, a. 2 ad 3.). – La necessità della vita interiore non deve affatto distogliere dalle opere di zelo le anime generose, se la manifesta volontà di Dio vuole questo da loro; che anzi il sottrarsi a tale lavoro o il farlo male, l’abbandonare il campo di battaglia col pretesto di coltivare meglio l’anima propria e di giungere ad una più perfetta unione con Dio, sarebbe una vera illusione e, in certi casi, una sorgente di pericoli. Væ mihi, diceva san Paolo, si non evangelizavero(Guai a me se non annunzio il Vangelo – I Cor. IX, 16). – Ma, fatta questa riserva, diciamo subito che il darsi alla conversione delle anime dimenticando se stessi, produce un’illusione più grave. Dio vuole che noi amiamo il prossimo come noi medesimi, ma non più che noi medesimi, cioè non mai fino al punto di nuocere a noi stessi personalmente, e questo in pratica è lo stesso che esigere una maggior cura dell’anima nostra, che non di quella altrui, perché il nostro zelo dev’essere regolato dalla carità, ed è pur sempre un assioma teologico che Prima sibi charitas(Prima di tutto carità per sé). – « Io amo Gesù Cristo – diceva sant’Alfonso de Liguori – e perciò ardo dal desiderio di dargli delle anime, PRIMA LA MIA, poi moltissime altre ». Questa è la pratica del Tuus esto ubique(Sii dappertutto di te stesso – S. BERNARDO, Hb. II de Consid., cap. III) di san Bernardo: «Non è saggio colui che non appartiene a se stesso».  Il santo Abate di Chiaravalle, vero portento di zelo apostolico, seguiva questa regola, e Goffredo, suo segretario, così lo dipinge: Totus primum sibi et sic totus omnibus(Prima di tutto di se stesso, e così tutto per gli altri – GOFFREDO, Vita S. Bernardi). – Non vi dico già, scrive lo stesso santo al papa Eugenio III, di sottrarvi interamente alle occupazioni secolari; soltanto vi esorto a non abbandonarvi totalmente ad esse. Se siete l’uomo di tutto il mondo, siate dunque anche di voi stesso; altrimenti che cosa vi gioverebbe guadagnare tutti gli altri, se doveste perdere voi stesso? Riserbate dunque qualche cosa anche per voi, e se tutti vengono a bere alla vostra fontana, non dovete astenervi dal bervi anche voi; dovreste dunque voi solo restare assetato!? Cominciate sempre con pensare a voi: INVANO VI DARESTE AD ALTRE CURE, SE VENISTE A TRASCURARE VOI STESSO. Tutte le vostre riflessioni INCOMINCINO DUNQUE CON VOI E FINISCANO CON VOI; siate per voi il primo e l’ultimo e ricordatevi che nell’affare della vostra salute nessuno vi è più prossimo che il figlio unico di vostra madre (S. BERNARDO, Ub. II de Consid., cap. III). – Èmolto eloquente questo appunto di un ritiro spirituale, scritto da Mons. Dupanloup: «Io ho un’attività terribile che mi rovina la salute, disturba la mia pietà e non serve affatto alla mia scienza: bisogna regolarla. Dio mi ha fatto la grazia di riconoscere che ciò che soprattutto si oppone in me, a una vita interiore tranquilla e fruttuosa: è l’attività naturale e la smania delle occupazioni. Inoltre ho riconosciuto che questa MANCANZA DI VITA INTERIORE è la causa di tutte le mie cadute, dei miei disturbi, della mia aridità, dei miei disgusti, della mia cattiva salute. Risolvo dunque di rivolgere tutti i miei sforzi all’acquisto della vita interiore che mi manca, e per questo fine, con la grazia di Dio stabilisco questi punti:

1° Mi prenderò sempre più tempo di quanto è necessario per fare ogni cosa: è questo il mezzo di non essere mai né frettoloso né sopraffatto.

2° Siccome avrò sempre più cose da fare, che non tempo di farle, e siccome questo mi preoccupa e mi trascina, non penserò più alle cose da fare, ma al tempo che devo impiegarvi. Impiegherò il tempo senza perderne nulla, cominciando con le cose più importanti, e non mi inquieterò per quello che non avrò potuto fare ecc. »  – Il gioielliere preferisce a parecchi zaffiri, la più piccola scaglia di diamante: così, secondo l’ordine stabilito da Dio, la nostra intimità con Lui lo glorifica più di tutto il bene possibile da noi procurato a molte anime, ma con danno del nostro progresso. Il Padre nostro celeste il quale si applica di più nel governare un cuore in cui regna, che non nel governo naturale di tutto l’universo e al governo civile di tutti i regni (P. LALLEMANT, Doc. Spirit.), vuole nel nostro zelo quest’armonia. Egli preferisce talora lasciar scomparire un’opera, se la vede diventare un ostacolo allo sviluppo della carità dell’anima che ad essa attende. satana invece non esita a favorirne i risultati superficiali, se può, purché riesca a impedire all’apostolo di progredire nella vita interiore, tanto la sua rabbia sa indovinare dove si trovano i veri tesori per Gesù Cristo: per sopprimere un diamante, volentieri concede qualche zaffiro.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/24/lanima-dellapostolato-4/

DA SAN PIETRO A PIO XII (16)

Da SAN PIETRO A PIO XII (16)

[G. Sbuttoni: da san Pietro a Pio XII, Ed. A.B.E.S. Bologna, 1953]

PARTE SECONDA:

DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI

CAPO V.

I. LA RIFORMA PROTESTANTE

PREAMBOLO

Prodromi del protestantesimo

Verso la prima metà del sec. XVI, tutto era pronto in Europa per lo scoppio d’un vasto incendio, le cui conseguenze nessuno poteva prevedere. Bastava che qualcuno lasciasse cadere una scintilla nell’immane polveriera. Malauguratamente, questa scintilla fu gettato da Lutero. Le cause principali, che avevano creato un ambiente così infiammabile  si possono ridurre alle seguenti:

« Le condizioni particolari in cui erano venuti a trovarsi la Chiesa romana e il Papato ».

1) La chiesa di Roma aveva ricevuto una grave scossa durante la cattività avignonese e il grande scisma d’Occidente.

2) I Papi, dopo lo scisma, avrebbero dovuto porre mano ad una riforma profonda della Chiesa, per togliere i gravi disordini e il malcontento che ovunque regnava, ma, o per esser troppo assorbiti da attività politiche e terrene, o per difetto di quella autorità che sarebbe stata assolutamente necessaria in quel tempo, le loro intenzioni non approdarono a nulla.

A ciò si aggiunga:

3) Il Rinascimento, il quale, in genere, ebbe un carattere spiccatamente antiecclesiastico e anticlericale. Ben sovente gli Umanisti gettarono il discredito non solo sulla Scolastica, ma altresì sulle dottrine e sulle istituzioni della Chiesa.

ERASMO di ROTTERDAM,

ad esempio, benché insignito degli ordini religiosi, insegnava che vi era più d’un santo fuori del calendario della Chiesa e che sono molti i pagani che hanno raggiunto una virtù non mai sorpassata dalla santità cristiana. Si può dire che prìncipi e letterati, laici e chierici, s’accordassero nell’odio contro la Chiesa di Roma ed erano pronti a salutare con gioia il segnale di qualunque rivolta. Ormai esisteva un desiderio sfrenato di mutamenti, un anelito di libertà e d’indipendenza nel pensiero e nell’azione. Le stesse vecchie eresie, ripullulando ovunque, colpivano di preferenza, come quelle di Wycliff e di Giovuuni Huss, gli scandali veri o presunti dei Papato e del clero e contestavano alla gerarchia ecclesiastica il diritto d’interpretare la S. Scrittura.

4) Si aggiunga inoltre il senso d’ irritazione contro quelle che si definivano ingiuste ingerenze della Curia Romana in molti paesi dell’Europa settentrionale. La Chiesa infatti possedeva in Germania, in Francia, in Inghilterra ricchi benefici, ricevuti per legittima donazione e quasi lutti sfruttati dalla corte pontificia o assegnati in godimento a prelati italiani; ora i prìncipi bramavano impossessarsi di questi beni, conseguendo l’indipendenza assoluta dalla Chiesa e, possibilmente, assorbendo essi medesimi la giurisdizione spirituale. Infine non mancavano coloro che. desiderosi di tornare alla dottrina pura del Vangelo, si dimostravano pronti ad aiutare chiunque lanciasse un’idea di riforma e prestasse fiducia di ridonare al mondo un miglioramento spirituale. A queste cause generali si accompagnarono, in Germania, in Isvizzera, in Inghilterra, altre cause particolari, che si concretarono nella diversa fisionomìa assunta dal movimento di riforma in ciascuno di questi paesi.

1). Che cosa rappresenta la Riforma Protestante.

— Uno dei periodi più tragici della storia della Chiesa.

D. Perché mai?

— Perché:

1) l’unità del Cattolicesimo, salvata dall’energica opera di Gregorio VII al tempo della lotta delle investiture, cade infranta;

2) il prestigio elevato, conseguito allora dall’autorità pontificia, colpito a più ripreseda un seguito di sciagure (quali: a) la Schiavitù avignonese, b) lo scisma d’occidente, c) la dottrina conciliare della superiorità del concilio al Papa, d) lo spirito inondano del Rinascimento) s’indebolisce talmente che, al sopravvenire della bufera luterana, Roma non può arginare l’eresia, e l’unità religiosa europea si spezza, dando origine a mali incalcolabili.

D. Quale poteva essere il miglior rimedio?

— Una vigorosa riforma, « in capite et in romana curia », ma proprio questa mancò.

D. In quale regione il male, poteva dirsi peggiore!

— In Germania, dove

I) le mense vescovili e le prebende canonicali erano retaggio incontrastato dell’aristocrazia:

2 ) la cura d’anime era abbandonata al clero inferióre, ignorante e povero, vera specie di proletariato ecclesiastico:

3) gli Ordini erano conferiti senza tirocinio e senza preparazione di scienza e pietà:

4) i monasteri erano troppo numerosi e troppo ricchi, ed erano diventati il rifugio dei rifiuti dell’aristocrazia, dei cadetti; ed era impossibile riformarli, perché esenti dalla giurisdizione vescovile.

D. Non si era quindi ad ini ritorno dei disordini combattuti da Gregorio VII!

— Sì; solo che mentre quelli eran derivati dalle investiture laiche, questi eran invalsi in gran parte dall’uso di quei tempi di assegnare i vescovadi e i canonicati ai cadetti dell’aristocrazia, e quindi ad elementi senza vocazione, impreparati, premurosi solo di godere le rendite e dediti ad una vita che spesso avrebbe l’atto arrossire anche uno spregiudicato.

D. Era possibile il rispetto: 1) ad una gerarchia cos’i degenere,

2) ad un clero così sfaccendato,

3) a monaci così indegni!

— In nessun modo. Ogni giorno più anzi cresceva contro di essi 1’avversione dei laici, rinfocolata dalle apostrofi degli Umanisti, intenti a gettar lo scredito sulla Scolastica, sul Medio Évo, su tutto. Così fecero Erasmo di Rotterdam, Ulrico di Hutten ed altri, schizzanti veleno contro dottrine e istituzioni della Chiesa cattolica.

D. Che avveniva in tale situazione!

— Avveniva che i buoni invocassero un rigeneratore; gli altri attendessero un segnale di rivolta per sconvolger tutto.

D. Chi sorse purtroppo in tali condizioni !

— Lutero, la malefica scintilla, che incendiò tutta l’Europa settentrionale e la staccò da Roma.

LUTERO

D). Chi è Lutero!

— Un tedesco, nato ad Eisleben nel 1483 ed ivi morto nel 1546, di modesti natali, che, tuttavia, iniziò gli studi ad Eisenach e li continuò ad Erfurt (1500), dove consegui il grado di baccelliere (1505). Divenne frate Agostiniano.

D. Che cosa lo determinò a farsi religioso agostiniano!

— Lo spavento per un fulmine scoppiatogli vicino e quindi probabilmente senza vocazione. Ricevette presto gli ordini fino al sacerdozio (1507), sempre angosciato da lotte interiori.

D. Quale ministero esercitò?

— Chiamato all’Università di Wittenberg, vi insegnò prima dialettica e fìsica aristotelica, poi (1500) sacra Scrittura, senza un’adeguata preparazione filosofica scolastica e di Teologia. Addottoratosi per consiglio del P. Staupitz in Teologia, in teologia, tornò all’insegnamento della s. Scrittura, allontanandosi sempre più dal « sensus Ecclesiæ », specialmente sul punto del peccato originale e della giustificazione.

D. Quando incominciò la sua aperta ribellione?

— Nel 1517, quando apertamente insorse contro la predicazione della indulgenza straordinaria che Leone X aveva concessa a chi facesse offerta di denaro per terminare la costruzione del tempio di San Pietro in Roma ed attaccò alla porta della Chiesa del castello di Wittenberg 95 tesi, in cui impugnava la dottrina cattolica delle indulgenze e sulla potestà e la gerarchia ecclesiastica.

D. Che fece papa Leone X?

— Richiamò Lutero, che attraverso discussioni varie portò in lungo la cosa e si andò sempre più affermando ribelle alla Chiesa. Nel 1520 Leone X con ia Bolla « Exurge, Domine » condannava i gravi errori di Lutero, che invece di sottomettersi, bruciò la bolla pontificia sulla piazza di Wittenberg e, gettata la maschera, passava alla lotta aperta.

D. Chi intervenne a questo punto?

— L’imperatore Carlo V, che, per sedare il fermento popolare, convocò a Worms una dieta di Stati e di principi (1521): vi intervenne Lutero, ma ricusò di ritrattarsi, e, messo al bando dell’impero, fu ospitato dall’elettore di Sassonia.

D. Che avviene intanto in Roma?

— Muore Leone X, responsabile di non aver dato il giusto peso alla insorgente eresia; gli succede Adriano VI, che non prende nuove decisioni.

D. Quale tentativo fece Adriano VI nella dieta di Norimberga?

— Tentò di addivenire a una conciliazione con i riformatori.

D.  Chi fu il successore di Adriano VI?

— Dopo un governo della Chiesa di poco più d’un anno, gli succedette Clemente VII (1523 – 1534). Egli inviò un Legato alla dieta di Spira (1529), allo scopo di raggiungere un compromesso in attesa della convocazione del Concilio ecumenico, richiesto tanto dai cattolici che dai novatori, ma costoro protestarono contro le deliberazioni e si appellarono all’imperatore.

D. Che derivò dal loro atteggiamento ?

— Il nome di PROTESTANTI, rimasto ad indicare i seguaci di Lutero.

D. Che fece l’imperatore Carlo V?

— Carlo accolse l’appello e indisse la dieta d’Augusta (Giugno 1530) alla quale i Protestanti intervennero, fidando che l’imperatore approvasse la loro Confessione Augustana, composta dal discepolo prediletto di Lutero, Filippo Melantone, nella quale, sorvolando i punti fondamentali della controversia, si elencavano gli « abusi felicemente soppressi », e cioè: la confessione auricolare, la comunione sotto una sola specie, la messa privata, il celibato ecclesiastico, i voti religiosi, la giurisdizione episcopale ecc.

D. Approvò Carlo V la Confessione Augustana?

— No, perché lesiva delle verità della Fede e della disciplina ecclesiastica, e ordinava la restituzione ai cattolici di quanto era stato loro ingiustamente tolto.

D. Che aveva fatto frattanto Lutero?

— Nel 1525, gettato l’abito monastico, sposa una smonacata, Caterina Bore; così, come dice Erasmo, « l’affare che si presentava come una tragedia, finì come tutte le commedie in un matrimonio». Stabilitosi a Wittenberg, attese con Melantone a precisare, sviluppare, diffondere la sua dottrina e ad organizzare la sua chiesa in antitesi alla Chiesa Romana, con il favore di principi eretici e di aristocratici avidi di beni ecclesiastici.

— Essa era spezzata dolorosamente; se non esplose subito la guerra civile fu perché l’invasione dei Turchi in Ungheria indusse Carlo V a venire a un compromesso, riconoscendo piena libertà di culto ai protestanti e sospendendo i processi contro i rapinatori di benefici ecclesiastici in attesa della convocazione del Concilio.

IL CONCILIO DI TRENTO

D. Chi convocò il Concilio?

— Paolo III, succeduto a Clemente VII il 12 ottobre 1534, e lo convocò, dopo inaudite difficoltà, a Mantova nel 1537.

D. Vi intervennero i novatori d’Oltralpe?

— No. Lo stesso Lutero, che si era continuamente appellato al Concilio, risponde che di concili non ne ha bisogno; ne ha bisogno la Cristianità per conoscere gli errori nei quali è vissuta sì a lungo.

D. Che avviene allora del Concilio?

— Viene rimandato « sine die », non solo per colpa dei protestanti, ma anche dei sovrani cattolici, che non si trovano d’accordo sul luogo di convocazione.

D. Qual è finalmente l’avvenimento che favorisce la convocazione?

— La pacificazione del re di Francia con l’imperatore; dopo di che Paolo III il 13 dicembre 1545 nel duomo di Trento apre solennemente quel Concilio ecumenico, che sarà l’assise più importante della storia della Chiesa.

D. Perché fu scelta Trento?

— Perché a metà strada fra la Germania e Roma, geograficamente italiana e politicamente tedesca, era sottratta ad ogni ingerenza della Chiesa e poteva garantire la serenità dei lavori.

D. Accettano questa volta ì protestanti?

— Neppur per sogno. Essi vogliono la convocazione di un Concilio che possa decretare senza il Papa e contro il Papa, e nel quale abbiano diritto di voto anche i laici.

D. Che si fa allora?

— Carlo V muove contro di loro e li riduce all’impotenza, ma per sue divergenze con il Papa e la sospensione del Concilio, viene a un « modus vivendi » . Così il protestantesimo trionfa. Lutero muore il 18 febbraio 1546.

D. Viene ripreso il Concilio dì Trento.

— Sì, dopo la momentanea sospensione, dovuta allo scoppio della peste, viene ripreso. In tre tappe, segnate dai pontefici Paolo III, Giulio II e Pio IV: le sue 25 Sessioni — nonostante i maneggi dei protestanti e le interferenze dei principi — chiarirono in modo mirabile la perenne dottrina della Chiesa, specialmente riguardo ai punti attaccati dai novatori, e dettero alla autentica riforma basi tanto sagge che pratiche.

D. Che cosa provocò la rivoluzione religiosa protestante?

— La riscossa della Chiesa, sia con l’opera della santa inquisizione, sia — e più efficacemente — con i mezzi morali, intellettuali e disciplinari.

D. Come si chiamò tale riscossa!

— Si chiamò « Controriforma ».

D. Che casa dimostrò infatti il Concilio di Trento!

— La perenne vitalità della Chiesa e delle sue divine forze di ricupero.

Toccò tutti i gangli della vita della Chiesa con mirabile senso di attualità, precorrendo anche i tempi: dogma e disciplina, pastorale e liturgia, pastori, fedeli e religiosi, sacramenti e benefìci e patrimonio ecclesiastico, indulgenze e pene, vita ascetica e attività sociale per una integrale rinascita cristiana.

D. Come ne usci il protestantesimo?

— Il protestantesimo, causa di tante rovine morali e materiali, venne dal Concilio nettamente condannato.

D. Vennero attuale le disposizioni conciliari!

— Sì, dai tre grandi Papi elle succedettero a Pio IV e dalla schiera di Santi (S. Carlo Borromeo, S. Francesco di Sales, S. Filippo Neri, S. Vincenzo de’ Paoli, ecc.), che curarono con zelo indefesso il ritorno del clero e del popolo a una vita rispondente ai principi del Vangelo.

D. Dove furono raccolte le dottrine approvate dal Concilio?

— Nella « Professio Fidei tridentina » e nel « Catechismo Romano ».

D. Quali altri punti toccò!

— Modificò il tribunale dell’Inquisizione, stabilì la Congregazione dell’Indice per vigilare la stampa e compilare l’elenco dei libri proibiti, furono ordinati i seminari, si prepararono veri ecclesiastici, e si lottò contro i cattivi costumi, gli abusi del clero, il nepotismo e le feste superstiziose.

D. Da chi fu integrata l’opera del Concilio!

— Dagli antichi e nuovi Ordini religiosi. I Francescani ripresero le tradizioni di S. Francesco; la Confraternita della Trinità, i Teatini, i Barnabiti, i Somaschi, i Filippini, le Orsoline, gli Scalzi, e le Suore della Carità, assistendo gli ammalati, istruendo i fanciulli, e curando gli orfani e i poveri, fecero opera veramente degna ed ammirevole che apportò lustro e decoro alla Chiesa.

D. Quale tu l’Ordine più famoso e più potente.’

— Fu la « Compagnia di Gesù » fondata da S. Ignazio di Loyola, che nacque in lspagna e fu guerriero valoroso. Ignazio, ferito in combattimento, all’assedio di Pamplona, ricoverato all’ospedale, si diede alla lettura di libri sacri, tanto per passare il tempo. Il risultato fu che decise, con l’approvazione di Papa Paolo III, egli, che non a torto diceva di essere rimasto soldato, di istituire l’ordine della « Compagnia di Gesù » per combattere i nemici del Cristianesimo.

D. Quali sono gli obblighi del gregario della nuova milizia.’

— Oltre i voti ordinari, esso si obbliga ad un’assoluta obbedienza al « Generale della Compagnia » : dev’essere intelligente, robusto e disciplinato fino al sacrificio.

D. Quale fu il campo d’azione dell’ordine?

— L’educazione del popolo, dei nobili e delle corti.

D. Che gli sopravvenne nel sec. XVIII?

— La (momentanea) soppressione, in seguito all’odio di varie Corti europee.

ATTUAZIONE DEL CONCILIO

D. Chi furono i tre grandi Pupi che attuarono le disposizioni conciliari?

— 1) S . Pio V (1566-1572), che fece accettare le decisioni del Concilio tridentino a quasi tutti i sovrani cattolici, e che costituì la « Lega cristiana ». la cui flotta, al comando dell’arciduca Giovanni d’Austria, nelle acque di Lepanto inflisse una tremenda sconfitta ai Turchi.

2) GREGORIO XIII (1572-1585), revisore del Corpo del Diritto Canonico, riformatore del Calendario, detto poi appunto « gregoriano ».

3) SISTO V (1585-1590), che riassestò lo Stato della Chiesa, liberandolo dal brigantaggio e imprimendo notevole sviluppo all’industria e al commercio. Abbellì Roma. Istituì 15 Congregazioni cardinalizie ( = Ministeri) per il disbrigo dei diversi affari; fissò a 70 i cardinali. Pubblicò il Vecchio Testamento secondo i Settanta e l’edizione della Volgata.

D. Che cosa venne a compensare la Chiesa delle gravi perdite in Europa?

— Vennero le conquiste missionarie, iniziatesi appena scoperta l’America da C. Colombo, ad opera dei Francescani e Domenicani, proseguite ora con nuovo impulso dai Gesuiti, dai Lazzaristi, dai Cappuccini. Nel 1622 Gregorio XV istituisce la Propaganda Fide, per coordinare e incrementare l’attività delle Missioni Estere.

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (2)

R. P. CHAUTARD D . G. B .

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (2)

TRADUZIONE

del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B.

8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

3.

Che cosa è la vita interiore?

Le espressioni vita di orazione, vita contemplativa, adoperate in questo libro, si riferiscono, come nell’Imitazione di Gesù Cristo, allo stato delle anime le quali si danno sul serio a una vita cristiana non comune, eppure accessibile a tutti e, in sostanza, obbligatoria per tutti (Pure, prescindendo sempre dai fenomeni che accompagnano certi stati straordinari di unione con Dio, siamo persuasi che Dio spesso concede, all’infuori di tali fenomeni, grazie speciali di orazione alle anime generose che bramano di vivere in intimità con Lui). Non è nostra intenzione fermarci qui in uno studio di ascetismo, ma ci limiteremo a ricordare in breve quello che CIASCUNO è obbligato ad accettare come assolutamente certo, per il governo intimo dell’anima sua.

I. VERITÀ. La vita soprannaturale è in me, la Vita di Gesù Cristo medesimo, per mezzo della Fede, della Speranza e della Carità, perché Gesù è la causa meritoria esemplare e finale e, come Verbo, è col Padre e con lo Spirito Santo la causa efficiente della grazia santificante nell’anima nostra.  La presenza di Gesù per mezzo di questa vita soprannaturale non è la presenza reale propria della santa Comunione, ma una presenza di AZIONE VITALE, come l’azione della testa o del cuore sulle altre membra; azione intima che Dio per lo più nasconde all’anima mia, per accrescere il merito della mia fede; dunque azione abitualmente insensibile alle mie facoltà naturali, che soltanto la fede mi obbliga a credere formalmente; azione divina che non distrugge il mio libero arbitrio e che si serve di tutte le cause seconde, fatti, persone e cose, per farmi conoscere la volontà di Dio e per darmi occasione di acquistare o di accrescere la mia partecipazione alla vita divina.  – Questa vita cominciata col Battesimo con lo stato di grazia, perfezionata con la Cresima, ricuperata con la Penitenza, mantenuta e arricchita con l’Eucarestia, è la mia VITA CRISTIANA.

II. VERITÀ. Per mezzo di questa vita, Gesù Cristo mi comunica il suo Spirito; così Egli diventa un principio di attività superiore il quale, se non vi metto ostacolo, mi fa pensare, giudicare, amare, volere, soffrire e lavorare con Lui, in Lui, per mezzo di Lui, come Lui. Le mie azioni esteriori diventano la manifestazione di questa vita di Gesù in me, e così io tendo ad effettuare l’ideale della VITA INTERIORE formulato da san Paolo: Non sono più io che vivo, ma è Gesù che vive in me. – Vita cristiana, Pietà, Vita interiore, Santità non sono cose essenzialmente diverse, ma sono i gradi diversi di un medesimo amore: sono il crepuscolo, l’aurora, la luce, lo splendore di un medesimo sole.  – Quando in questo libro adoperiamo l’espressione Vita interiore, non intendiamo tanto la vita interiore abituale, cioè, se così possiamo esprimerci, « il capitale di vita divina » che possediamo per la grazia santificante, quanto piuttosto la Vita interiore attuale, ossia il buon uso di questo capitale per mezzo dell’attività dell’anima e della fedeltà alle grazie attuali. Possiamo dunque definirla lo stato di attività di unanima che REAGISCE per DOMINARE le sue inclinazioni naturali e si sforza di acquistare L’ABITUDINE di giudicare e di regolarsi IN TUTTO secondo la luce del Vangelo e gli esempi di Gesù Cristo.  Vi sono dunque due movimenti: col primo, l’anima si ritrae da ciò che il creato può avere di contrario alla vita soprannaturale, e cerca di essere sempre presente a se stessa: Aversio a creaturis; col secondo, l’anima si porta verso Dio e si unisce a Lui: Conversio ad Deum.  – Quest’anima vuole perciò essere fedele alla grazia che Nostro Signore le offre in ogni momento; insomma, essa vive unita a Gesù e avvera in se stessa la parola di Lui: Qui manet in Me et Ego in eo Me fert fructum multum – Chi si tiene in me, e in chi io mi tengo, questi porta gran frutto (Giov. XV, 5).

III. VERITÀ. Mi priverei di uno dei mezzi migliori per acquistare questa vita interiore, se non mi sforzassi di avere una fede PRECISA E CERTA di questa presenza attiva di Gesù in me e soprattutto di ottenere che tale presenza sia per me una realtà viva, ANZI VIVISSIMA, la quale penetri sempre più nella cerchia delle mie facoltà. Così, divenendo Gesù la mia luce, il mio ideale, il mio consiglio, il mio appoggio, il mio rifugio, la mia forza, il mio medico, il mio conforto, la mia gioia, il mio amore, insomma la mia vita, io acquisterò tutte le virtù. Soltanto allora potrò recitare con sincerità la bella preghiera di san Bonaventura, che la Chiesa mi propone come ringraziamento dopo la Messa: Transfige, etnicissime Domine Jesu..,

IV.VERITÀ. In proporzione dell’intensità del mio amore per Dio, la mia vita soprannaturale può crescere ogni momento per una nuova infusione della grazia della presenza attiva di Gesù in me, e questa infusione è prodotta:

1° Da ATTI MERITORI (virtù, lavoro, patimenti nelle loro varie forme, privazione di creature, dolore fisico o morale, umiliazione, abnegazione: preghiera, Messa, atti devoti verso Maria santissima ecc.) —

2° Dai SACRAMENTI e soprattutto dall’Eucaristia.

Dunque è cosa certa — e questa conseguenza mi schiaccia con la sua sublimità e con la sua profondità, ma più ancora mi rallegra e m’incoraggia — è dunque cosa certa che in ogni avvenimento, persona o cosa, siete Voi, o Gesù, proprio Voi che vi presentate a me e in ogni minuto! Sotto quelle apparenze Voi nascondete la vostra sapienza e il vostro amore e sollecitate la mia cooperazione, per accrescere in me la vostra vita! – O anima mia, è sempre Gesù che ti si presenta per mezzo della GRAZIA DEL MOMENTO PRESENTE, della preghiera che devi dire, della Messa che devi celebrare o ascoltare, della lettura che devi fare, degli atti di pazienza, di zelo, di rinuncia, di lotta, di confidenza, di amore che devi fare, e tu oseresti voltare la faccia o nasconderti?

V. VERITÀ. La triplice concupiscenza causata dal peccato originale e accresciuta da ciascuno dei miei peccati attuali, produce in me ELEMENTI DI MORTE, opposti alla vita di Gesù. Ora nella stessa misura con cui tali elementi si sviluppano, diminuiscono l’esercizio di tale vita e possono purtroppo anche arrivare a sopprimerla.  Tuttavia né inclinazioni, né sentimenti contrari a tale vita, né tentazioni anche violente e prolungate, non le possono nuocere finché la mia volontà vi si oppone; e in tal caso — oh! verità consolante! — essi contribuiscono anzi ad aumentarla,in proporzione del mio zelo, come qualunque elemento di lotta spirituale.

VI.VERITÀ. Se non faccio uso continuo di certi mezzi, la mia intelligenza si accecherà, e la mia volontà diventerà troppo debole per cooperare con Gesù ad accrescere ed anche a mantenere la sua vita in me; allora avviene una diminuzione progressiva di questa vita in me e io cammino verso la TEPIDEZZA DELLA VOLONTÀ (Questa tepidezza è ben diversa dall’aridità e anche dal disgusto che provano talvolta, loro malgrado, i fervorosi. Le colpe veniali che sfuggono alla fragilità e che sono combattute e subito detestate appena commesse, non rivelano neppur esse la tepidezza della volontà. L’anima che ha questa tepidezza, ha due volontà opposte, una buona e l’altra cattiva; una calda e l’altra fredda. Da una parte vuole la salute e perciò evita i peccati mortali e manifesti; d’altra parte non vuole le esigenze dell’amor di Dio, vuole invece le comodità di una vita libera e facile e perciò si permette peccati veniali deliberati… Quando questa tepidezza non è combattuta, per ciò stesso vi è nell’anima cattiva volontà, non totale, ma parziale; vi è cioè una parte della volontà che dice a Dio: « Su questo o su quel punto, non voglio cessare di dispiacervi » – P. DESURMONT, C. SS. R., Le Retour continuel à Dieu). Per dissipazione, per vigliaccheria, per illusione o per accecamento, vengo a patti col peccato veniale e per conseguenza divento incerto della mia salute, essendo quella una disposizione facile al peccato MORTALE.  – Se avessi la disgrazia di cadere in questa tepidezza, e tanto più se avessi la disgrazia di cadere anche più in basso, dovrei tentare ogni mezzo per uscirne, 1° con ravvivare il mio timor di Dio, rappresentandomi al vivo il mio fine, la morte, i giudizi di Dio, l’inferno, l’eternità, la malizia del peccato ecc.; 2° col ravvivare la mia compunzione per mezzo della scienza amorosa delle vostre Piaghe, o misericordioso Redentore, e portandomi in ispirito al Calvario, mi prostrerò ai vostri piedi santi, affinché il vostro Sangue vivo, scorrendo sulla mia testa e sul mio cuore, dissipi il mio accecamento, sciolga il ghiaccio dell’anima mia e desti dal torpore la mia volontà.

VII. VERITÀ. Devo seriamente temere di non avere il grado di vita interiore che Gesù esige da me:

1° Se tralascio di accrescere in me la SETE di vivere di Gesù, sete che mi dà il desiderio di piacere in ogni cosa a Dio e il timore di dispiacergli in qualche cosa; ora questo avviene necessariamente se non adopero più i mezzi che sono le preghiere del mattino, la Messa, i Sacramenti e l’Uffizio, gli esami particolare e generale, la lettura spirituale; oppure se per colpa mia tali mezzi non hanno effetto.

2° Se non ho almeno il puro necessario del RACCOGLIMENTO che mi permetta, durante le mie occupazioni, di custodire il mio cuore in una purezza e in una generosità sufficienti perché non venga soffocata la voce di Gesù che mi avverte degli elementi di morte che si presentano, e m’invita a combatterli. Ora quel tanto di raccoglimento mi mancherà, se trascuro i mezzi che me lo possono assicurare, cioè Vita liturgica, giaculatorie soprattutto in forma di suppliche, comunioni spirituali, esercizio della presenza di Dio ecc.  – Senza quel raccoglimento, i peccati veniali verranno a pullulare nella mia vita, e io non potrò forse neppure dubitarne; per nasconderli e anche per non lasciarmi vedere uno stato più deplorevole, l’illusione si gioverà dell’apparenza di pietà più speculativa che pratica, di zelo per l’azione ecc. Ma intanto il mio accecamento sarà colpevole, perché ne avrò messa o mantenuta la causa, con la mancanza di quel raccoglimento indispensabile.

 VIII. VERITÀ. La mia vita interiore sarà quale è la mia Custodia del cuore: Omni custodia serva cor tuum, quia ex ipso vita procedit (Prima di tutto custodisci il tuo cuore, perché da esso viene la vita (Prov. IV, 23).  La custodia del cuore altro non è che la sollecitudine ABITUALE o almeno frequente per preservare tutte le mie azioni, man mano che si presentano, da tutto ciò che potrebbe viziarle o nel loro MOTIVO o nella loro ESECUZIONE.  

Sollecitudine calma, tranquilla, senza sforzo, ma però forte, perché fondata sul filiale ricorso a Dio. È questo un lavoro del cuore e della volontà più che della mente la quale deve restare libera per compiere i suoi doveri. La custodia del cuore non solo non disturba l’azione, ma la perfeziona, perché la regola secondo lo spirito di Dio e l’aiuta nei doveri del proprio stato.  – Questo esercizio si può fare ogni momento; è come uno sguardo del cuore sulle azioni presenti a un’attenzione tranquilla sulle diverse parti di un’azione che si sta facendo; è la perfetta osservanza dell’Age quod agis. L’anima come una sentinella attenta esercita la sua vigilanza su tutti i movimenti del cuore, su tutto ciò che avviene nel suo interno, intenzioni, impressioni, passioni, inclinazioni, insomma su tutti i suoi atti interni ed esterni, pensieri, parole e azioni.  Per la custodia del cuore si richiede un certo raccoglimento, e un’anima dissipata non ne è capace. – Con la frequenza di questo esercizio, a poco a poco se ne acquista l’abitudine.

Quo vadam et ad quid? Che cosa farebbe Gesù, come si comporterebbe al mio posto! Che cosa mi consiglierebbe? Che cosa chiede da me in questo momento? Ecco le domande spontanee che vengono all’anima avida di vita interiore.  Per l’anima che va a Gesù per mezzo di Maria, la custodia del cuore prende un carattere ancora più facilmente affettivo, e per il suo cuore diventa un continuo bisogno il ricorrere a questa buona Madre.

IX. VERITÀ. Gesù Cristo regna nell’anima quando questa vuole imitarlo sul serio, in tutto e con affetto. In questa imitazione vi sono due gradi:

1° L’anima si sforza di divenire indifferente alle creature considerate in se stesse, siano esse conformi oppure contrarie ai suoi gusti. Come Gesù, non accetta altra legge che la Volontà di Dio in tutte le cose: Descendi de cœlo non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me (Sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato  – Giov. VI, 38).  —

Christus non sibi placuit (Rom. XV, 3. Il Cristo non ebbe compiacenza per se. ). L’anima tende più volentieri a ciò che è contrario e ripugna alla natura. Essa allora mette in pratica l’Agendo contra di cui parla sant’Ignazio nella sua celebre meditazione del Regno di Gesù Cristo; è l’azione contro la natura per dare la preferenza a ciò che imita la povertà del Salvatore e il suo amore dei patimenti e delle umiliazioni. Allora l’anima, secondo l’espressione di san Paolo, conosce davvero il Cristo: Didicistis Christum (Efes. IV, 20.).

X. VERITÀ. Qualunque sia il mio stato, se  voglio pregare ed essere fedele alla grazia, Gesù mi offre tutti i mezzi per ritornare ad una vita interiore che mi restituisce la sua intimità e mi permette di sviluppare in me la sua vita. Allora, nel suo progredire, l’anima possederà la gioia, anche in mezzo alle prove, e si avvereranno per lei le parole d’Isaia: Allora splenderà la tua luce come l’aurora, e la guarigione presto verrà; la tua giustizia camminerà dinanzi a te; la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai il Signore, ed Egli ti esaudirà; tu griderai, ed Egli dirà: Eccomi… E il Signore sarà la tua guida; sazierà l’anima tua nei luoghi aridi e darà vigore alle tue ossa; tu sarai come un giardino bene irrigato, come una sorgente le cui acque non vengono mai meno (Is. LVIII, 8, 9).

XI. VERITÀ. Se Dio vuole da me che io esplichi la mia attività non soltanto per la mia santificazione, ma anche per le opere di zelo, devo anzitutto formare nell’anima mia questa convinzione ferma: Gesù deve e vuole essere la vita di queste opere. – I miei sforzi da soli non sono nulla, assolutamente nulla: Sine me nihil potesti facete (Senza di me, voi non potete fare nulla  – Giov. XV, 5); non saranno né utili né benedetti da Dio, se non li unisco continuamente all’azione vivificatrice di Gesù, con una vera vita interiore; saranno invece onnipotenti, se così farò: OMNIA possum in eo qui me confortat (Io posso tutto in Colui che mi conforta – Filipp. IV, 13). Ma se derivassero da presunzione orgogliosa, dalla fiducia nella mia capacità, dal desiderio di una bella riuscita, i miei sforzi sarebbero rigettati da Dio: non sarebbe infatti una stoltezza sacrilega la mia, se volessi rubare qualche cosa alla gloria di Dio, per farmene bello? Tale convinzione non solo non mi renderà pusillanime, ma sarà la mia forza. Come mi farà sentire il bisogno della preghiera per ottenere questa umiltà che è tesoro per l’anima mia, assicurazione dell’aiuto di Dio e pegno di buona riuscita per le mie opere! – Ben convinto dell’importanza di questo principio, mi esaminerò seriamente nei giorni di ritiro, per vedere – se la mia convinzione della nullità delle mie azioni quando è sola, e della sua forza quando è unita all’azione di Gesù, non si è indebolita; – se escludo inesorabilmente la compiacenza, la vanità e la personalità nella mia vita di apostolo; – se conservo un’assoluta diffidenza di me stesso; – se prego Dio di dare vita alle opere e di difendermi dall’orgoglio, che è l’ostacolo principale al suo aiuto.  – Questo CREDO della vita interiore, quando è per l’anima la base della sua esistenza, le assicura fino di quaggiù una partecipazione alla felicità del cielo. 

La vita interiore è la vita dei predestinati.

Essa corrisponde al fine propostosi da Dio nel crearci (Ad contemplandum quippe Creatorem suum homo conditus fuerat eius semper speciem quæreret atque in noi idi tate amorfa illius habitaret (S. GREG., Moral. VIII, cap. XII). Essa corrisponde al fine dell’Incarnazione: Filium suum Unigenitum misit Deus in mundum ut vivanvus per eum (Dio mandò il suo Figlio Unigenito nel mondo, affinché noi viriamo per Lui  – I Giov. IV, 9).  È uno stato felice: Finis humanæ creaturæ est adhærere Deo: in hoc enim felicitas eius consistit (Il fine della creatura umana è di unirsi a Dìo; qui sta tutta la felicità (S. Tommaso). All’opposto delle gioie del mondo, se fuori vi sono spine, dentro vi sono rose. Come sono da compiangere i poveri mondani! dice il santo Curato d’Ars; essi portano su le spalle un mantello foderato di spine e non si possono muovere senza pungersi; invece i veri Cristiani portano un martello foderato di pellicce. Crucem vident, unctionem non vident (Si vede la croce, ma non se ne vede l’unzione – S. Bernardo).  – È uno stato celeste: l’anima diventa un cielo vivente (Semper memineris Dei, et cœlum mens tua evadit (S. Efrem). — Mens animæ paradisus est, in qua, dum cœlestia meditatur, quasi in paradiso voluptatis delectatur (Ugo da San Vittore). – Come santa Margherita Maria, essa canta: « Io posseggo in ogni tempo e porto in ogni luogo il Dio del mio cuore e il cuore del mio Dio ». – È il principio della beatitudine: Inchoatio quœdam beatitudinis (S. TOMM., 2a 2æ, q. 180, a. 4): la grazia è il Cielo in germe.

4.

Come è conosciuta male questa vita interiore

San Gregorio Magno, il quale fu esperto amministratore e apostolo zelante e nel tempo stesso un gran contemplativo, con questa semplice espressione Secum vivebat (Egli viveva con se stesso), caratterizza lo stato d’animo di san Benedetto il quale a Subiaco gettava le fondamenta della sua Regola, divenuta poi una delle più potenti leve di apostolato, di cui Dio si sia servito sulla terra. Della maggior parte dei nostri contemporanei bisognainvece dire il contrario; vivere con se stesso, in se stesso, voler governare se stesso e non lasciarsi governare dalle cose esteriori, obbligare la fantasia, la sensibilità, e anche l’intelligenza e la memoria a fare la parte di serve della volontà e conformare sempre la propria volontà a quella di Dio, è un programma che si accetta sempre di meno in questo secolo di agitazione, il quale vide nascere un ideale nuovo, cioè l’amore dell’azione per l’azione.  Per evitare questa disciplina delle facoltà, si prende per buono ogni pretesto; gli affari, le cure della famiglia, l’igiene, la buona fama, lo spirito di corpo, la pretesa gloria di Dio vanno a gara per non lasciarci vivere in noi stessi; questa specie di delirio della vita esteriore arriva anche ad attrarci irresistibilmente.Allora che meraviglia se la vita interiore è mal conosciuta? Dire che è mal conosciuta è anzi troppo poco; essa è spesso disprezzata e messa in ridicolo proprio da quelli che dovrebbero stimarne di più i vantaggi e la necessità. Per protestare contro le funeste conseguenze di un’ammirazione esclusiva per l’azione, ci voleva la memorabile lettera di Leone XIII al Cardinale Gibbons, Arcivescovo di Baltimora.  – L’ecclesiastico, per schivare la fatica della vita interiore, arriva al punto di non riconoscere l’eccellenza della vita con Gesù, in Gesù, per mezzo di Gesù,, di dimenticare che, nel disegno della Redenzione, tutto si fonda sulla vita eucaristica, come tutto è costruito sulla rocca di Pietro. Mettere in second’ordine quello che è ESSENZIALE, è appunto quello a cui tendono inconsciamente i partigiani di quella spiritualità moderna detta AMERICANISMO; per costoro la Chiesa non è ancora un tempio protestante, il santo tabernacolo non è ancora vuoto, ma la vita eucaristica, a loro giudizio, non può adattarsi né, molto meno, bastare alle esigenze della civiltà moderna, e la vita interiore la quale deriva necessariamente dalla vita eucaristica, ha fatto il suo tempo. Per le persone, purtroppo assai numerose, le quali sono imbevute di queste teorie, la Comunione non ha più il vero significato che in essa trovavano i primi Cristiani; esse credono all’Eucaristia, ma non vedono in essa un elemento di vita così necessario, tanto per loro che per le loro opere. Non fa perciò meraviglia che, non esistendo quasi più per loro l’intimità con Gesù, la vita interiore venga considerata come un ricordo del Medioevo.  – Davvero che al sentire questi uomini di azione a parlare delle loro imprese, sembrerebbe che il Creatore, il quale creò i mondi scherzando e per il quale l’universo è polvere e nulla, non possa fare a meno del loro concorso! Molti fedeli, e persino sacerdoti e religiosi, arrivano insensibilmente, con il culto dell’azione, a farsene una specie di dogma che ispira la loro condotta, le loro azioni, e li spinge ad abbandonarsi sfrenatamente alla vita esteriore. La Chiesa, la diocesi, la parrocchia, la congregazione, l’Azione Cattolica hanno bisogno di me; volentieri si vorrebbe poter dire… Io sono molto utile a Dio!… E se non si osa dire simile sciocchezza, stanno però nascoste in fondo al cuore la presunzione, che ne è la base, e la diminuzione di fede, che l’ha prodotta. Spesso si prescrive al nevrastenico di astenersi, talvolta anche per molto tempo, da qualunque lavoro; ma è questo un rimedio per lui insopportabile, perché appunto la sua malattia lo mette in una agitazione febbrile che diventa come una seconda natura e lo spinge a cercare continuamente nuovi sperperi di forze e nuove emozioni che aggravano il suo male.  Lo stesso avviene spesso all’uomo di azione, riguardo alla vita interiore; egli la sdegna, anzi sente di essa tanto maggiore ripugnanza appunto perché nella sua pratica soltanto si trova il rimedio al suo stato morboso; peggio ancora, cercando di stordirsi sempre più in un cumulo di lavori nuovi e non bene diretti, perde ogni possibilità di guarire. La nave corre a tutto vapore; ma mentre chi la guida ne ammira la velocità, Dio giudica che, per mancanza di un saggio pilota, quel bastimento va alla ventura e corre pericolo di perdersi. Dio vuole prima di tutto adoratori in ispirito e verità: l’americanismo invece pensa di dare grande gloria a Dio, mirando principalmente ai risultati esteriori.  Questo modo di pensare ci spiega come ai nostri giorni, se si fa un gran conto delle scuole, dei dispensari per i poveri, delle missioni, degli ospedali, sia invece sempre meno compresa l’abnegazione nella sua forma intima, cioè nella penitenza e nella preghiera. Chi non sa più credere al valore dell’immolazione nascosta, non si accontenta di trattare da vili e da illusi coloro che la praticano nella solitudine del chiostro, senza cederla, nell’ardore per la salute delle anime, ai più infaticabili missionari, ma metterà anche in ridicolo le persone di azione le quali credono cosa indispensabile il rubare qualche momento alle occupazioni più utili, per andare a purificare e a riscaldare il loro zelo dinanzi al Tabernacolo, per ottenere dall’Ospite divino migliori risultati alle loro fatiche.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/21/lanima-dellapostolato-3/

DA SAN PIETRO A PIO XII (15)

Da SAN PIETRO A PIO XII (15)

[G. Sbuttoni: da san Pietro a Pio XII, Ed. A.B.E.S. Bologna, 1953]

APPENDICE I.

L’INQUISIZIONE

PREAMBOLO

Collochiamola nella vera luce

Dal tempo della riforma protestante,  l’Inquisizione è generalmente conosciuta dal volgo — e in questo argomento è volto anche gran parte della cosiddetta cultura — come un capo d’accusa contro la Chiesa. Si ignorano le distinzioni, le forme, i procedimenti, le giustificazioni storiche, giuridiche, teologiche degli istituti designati da quella parola polivalente; eppure mentre negli ambienti in cui sorse e funzionò per lunghi secoli non aveva suscitato serie opposizioni né pratiche né teoriche perché si trovava in armonia con la struttura sociale d’allora, dall’epoca luterana solitamente si considera l’Inquisizione come un’infamia. – Il malvezzo ha già un’imponente storia letteraria e artistica: romanzi, drammi, poemi, storie romanzate, articoli di giornale e di rivista, libelli, pitture, sculture, incisioni, pezzi musicali… pullularono copiosamente dal Rinascimento in poi, alimentati originariamente dalla ribellione antichiesastica. Era facile ai falsari della storia eccitare l’immaginazione del credulo lettore e conquistare il suo commosso consenso, dipingendo, dinanzi ai suoi occhi ingenui, balenìi di roghi, orrori di prigioni, carni straziate da barbare torture, sevizie di inquisitori carnefici, innocenze idilliche dì accusati…; e si sa che il lettore sprovveduto, quando vede scorrere il sangue e lampeggiar la fiamma, senza esame dà torto ai giudice e alla giustizia. Fantasie di cattivo gusto, invenzioni abbondantemente menzognere; sia perché nascondono le fortissime ragioni che dinanzi agli spiriti bennati legittimarono in generale l’istituto dell’Inquisizione, sia perché in particolare ne deformano violentemente la natura, mettendole in conto soltanto i rari abusi e rari errori — del resto inevitabili — in cui cadde nella persona di alcuni suoi rappresentanti e in speciali circostanze storiche, dilatando a dismisura gli aspetti della sua azione che non rispondono più alla coscienza moderna, e minimizzando al contrario gli aspetti che farebbero onore al più perfetto tribunale. Cosi avvenne che gli acattolici trassero motivo dall’Inquisizione per dimostrare che la Chiesa Romana, rea di tanta tirannìa, non poteva essere la vera Chiesa del dolcissimo e giustissimo Gesù. Gli anticlericali trovarono nell’Inquisizione il più caro e comodo idolo polemico per la loro forsennata sassaiola contro la Chiesa. I più moderati preferiscono non parlarne per non sentirsi costretti a intrupparsi nella fauna degli anticlericali. Anche alcuni Cattolici sembrano vergognarsi, dell’Inquisizione, come di un’infausta colpa della madre e, per farsela meglio perdonare dagli avversari, non sono i meno severi nel giudicarla. – Oggi nel popolo la carica passionale dell’argomento è di molto precipitata: non forse per resipiscenza o maggior conoscenza, ma forse per ragione della generale indifferenza per le questioni religiose. – Neppure il comunismo sovietico, nella sua lotta cieca e furiosa contro la Chiesa, non manovra l’arma dell’Inquisizione nella misura che si attendeva; forse perché i suoi tribunali di Russia, di Ungheria, di Bulgaria, di Cecoslovacchia, di Jugoslavia devono ancora farsi perdonare dal mondo civile tali infamie che, a patto di esse, i declamati orrori dell’Inquisizione, compresa quella spagnola, sono trastulli innocenti di bimbi. Invece il mondo della cultura, anche, acattolica, s’è fatto più sereno, più saggio, perché più informato: le nuove scoperte e le pubblicazioni degli atti originali dei processi han fatto cadere come sacchi vuoti quasi tutte le antiche calunnie. Sicché, oggi, maneggiare le vecchie frecce avvelenate contro l’Inquisizione è gioco grottesco che può piacere soltanto a chi non teme di far cattiva figura.

* * *

D. Che cos’è l’Inquisizione?

— È un tribunale straordinario che la Chiesa istituì per individuare le eresie, che i sovversivi, nascondendosi sotto il pretesto religioso, diffondevano sovvertendo l’ordine pubblico e commettendo violenze e rapine.

— La ricerca (Inquisitio) e la repressione degli eretici furono sempre un dovere e un diritto dei Vescovi, esercitati solitamente da essi mediante le officiante diocesane, eccezionalmente, dai Legati Pontifici. La recrudescenza dell’ eresìa, manifestatasi in forme sociali imponenti nei sec. XI-XIII, rendendo quel compito ordinario particolarmente urgente, difficile e gravoso, provocò una nutrita legislazione ecclesiastica. – Quando Gregorio IX s’accorse del tentativo dell’ imperatore Federico II di avocare a sé il giudizio e la repressione dell’eresìa per conquistarsi una posizione di privilegio, e il primato sullo stesso potere pontificale, allora con abile mossa rivendicò alla Chiesa le cause di eresia e all’intemperante interessato zelo imperiale oppose un giudice delegato permanente, creando il tribunale straordinario dell’Inquisizione a salvaguardia delle competenze ecclesiastiche, a miglior tutela della fede e a difesa degli stessi, eretici.

D . Aveva diritto la Chiesa di istituire tale tribunale?

— Sì, perché società perfetta, fondata da Gesù Cristo, con il mandato esplicito di custodire il divino deposito delle verità rivelate.

D. Tale diritto lo ha sempre esercitato?

— Sì; ogni società, del resto, ha il diritto di provvedere alla sua conservazione e alla sua difesa. Gli stessi pagani non permettevano la diffusione di dottrine antireligiose ed antisociali.

D. Come lo ha esercitato?

— Da prima con la scomunica, poi con l’apposito tribunale.

D. Chi diede all’Inquisizione la sua forma giuridica?

— Fu papa Gregorio IX (1227 – 1241), il quale, davanti al momento delicatissimo che la Chiesa e la civiltà stavano attraversando, capì che solo mediante una ferrea repressione si poteva combattere l’eresia.

D. Erano poi tanto pericolosi gli eretici?

— Sì, perché nello Stato cristiano ciò che minacciava 1’ordine religioso era pure una minaccia all’ordine sociale. E appunto per questo, prima dell’inquisizione ecclesiastica, funzionava già un’inquisizione laica, come il tribunale costituito da Federico II, il quale considerava il delitto di eresia superiore allo stesso delitto di lesa maestà. E l’aver sottratto ai giudici secolari la punizione degli eretici segnò un progresso, perché furono mitigate le pene.

D. E l’Inquisizione di Spagna?

— Fu introdotta, con Bolla di Sisto IV del 1 Novembre 1478 dal re Ferdinando il Cattolico, date le condizioni particolari di quella nazione.

D. Quali erano queste condizioni particolari?

— Quelle determinate dalla lotta formidabile che questo re ebbe a sostenere, alla fine del sec. XV, contro i « Maranos » ( — ebrei, finti Cristiani) e i « Moriscos »  — i mori», i quali costituivano un serio pericolo non solo per la fede, ina anche per l’unità nazionale.

D. Non furono commessi abusi!

— Purtroppo si; ina l’Inquisizione spagnola fu manovrala dall’autorità civile, giacché era composta di sei laici e di due soli ecclesiastici eletti anch’essi dal re.

D). Che ne dicono gli storici!

— Tutti gli storici, compresi i protestanti, hanno considerato la Inquisizione di Spagna un’istituzione civile, con la quale i sovrani spagnoli si proposero di raggiungere e mantenere l’unità religiosa e civile del loro paese. Se commise degli eccessi, questi non furono né voluti, né tanto meno approvati dalla Chiesa.

D. Quante furono le vittime dell’Inquisizione Spagnola?

— Il Llorente, unica fonte storica, dice 30.000. Ma non è attendibile, perché distrussi» tutti i documenti originali dai quali aveva attinto le sue notizie. Del resto se tale cifra la si confronta con le stragi di milioni di vittime perpetrate dalle polizie segrete degli Stati totalitari d’oggi giorno diventa irrisoria. – Le stesse pretese torture usate allora, paragonate con quelle messe in atto dal fascismo, dal nazismo, dal comunismo (luoghi di confino, campi e forni e camere di eliminazione, i processi tipici sovietici,, come il Mindszentj, ecc., inoltre i processi in Messico e nella Cina di Mao contro il clero cattolico, le suore, i fedeli in genere…) vedono svanire gran parte del decantato orrore.

D. Quante le vittime dell’Inquisizione a Roma?

— Quelle che salirono il patibolo furono tre: Giordano Bruno, Pietro Carnesecchi e Antonio Paleario; numero ben esiguo in confronto delle stragi di Cattolici consumate dal Protestantesimo fino al Comunismo.

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (1)

R. P. CHAUTARD D. G. B.

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (1)

TRADUZIONE del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B. 8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

PREPAZIONE

Perché la versione di questo libro?

Datomi all’Azione Cattolica fin dai primi anni della mia vita ecclesiastica, notai ben presto che il piò, valido aiuto mi veniva da coloro che, sebbene laicierano stati formati nello spirito da un vecchio Sacerdote, il quale non aveva molta coltura, ma aveva però molta pietà, e passava tutto il suo tempo in una piccola chiesa, ove, con istruzioni sacre in forma molto semplice, e col promuovere la frequenza dei Sacramenti, lavorava con zelo in prò delle anime. Alla scuola di quel pio Sacerdote imparai anch’io la necessità che avevo di ritemprare spesso lo spirito con gli Esercizi Spirituali, e di ricorrere frequentemente air orazione per raccogliere dall’operosità quel frutto che ardentemente bramavo. Capii quindi fin d’allora che l’Azione Cattolica, mentre è commendevole sotto molti rispetti, può tuttavia divenire facilmente per tutti (anche pei Sacerdoti) sorgente di dissipazione, se chi la esercita non attende seriamente a coltivare anzitutto lo spirito in sé e negli altri.  Divenuto poi Vescovo, nel governo della Diocesi questa verità mi apparve sempre più evidente, e deplorai che, per non avere tenuto nel debito conto un principio così essenziale, fossero le tante volte e in tanti luoghi riuscite sterili le fatiche ed inutili i vari mezzi adoperati per dar vita o incremento all’Azione Cattolica. Mi provai quindi a manifestare questa mia convinzione desiderosissimo di rimuovere la causa di sì funesta sterilità, ma mi parve die pochi mi volessero dare ascolto, ed i più avessero invece una specie di compatimento per me, quasi che io non conoscessi le anime moderne e l’azione che deve spiegarsi ai giorni nostri dai cattolici. Avrei desiderato che su tale argomento vi fosse qualche libro per diffonderlo largamente, e dissipare con siffatto  mezzo i pregiudizi che offuscano le menti, ma non ne conoscevo alcuno.  Gesù buono seppe rimediare a tutto, ed un bel giorno, per le mani di uno zelante Religioso della Società di Maria, mi fece capitare il libro che da tanto tempo sospiravo.  Io non sto a lodare il libro presente, perché le cose belle come le cose buone, bisogna gustarle per apprezzarle convenientemente. Dirò soltanto che in Francia è giunto in breve alla settima edizione, e se ne sono già pubblicati 70.000 esemplari, e spero che in Italia sì diffonderà così da emulare anche in questo la Francia cattolica. Per conto mio, faccio voti che vada in mano a tutti i Parroci ed a tutti i Sacerdoti della mia Diocesi, né manchi a nessuno di quelli che fanno parte delle Associazioni Cattoliche della Diocesi di Arezzo.

All’ardente ed umile solitario, che tra i rigori della troppa scrisse, pregando, questo libro, in cui si rispecchia al vivo il suo animo di apostolo, conceda il Maestro Divino copiose benedizioni e quell’approvazione che Egli già fece sentire ad altri, i quali coi loro libri dettero a Lui gloria ed alle anime luce e pascolo salutare.

Arezzo, dall’Episcopato, 7 giugno 1918, festa del Sacro Cuore di Gesù.

GIOVANNI VOLPI, Vescovo d’Arezzo

INTRODUZIONE

Ex quo omnia, per quem omnia, in quo omnia.

O Dio infinitamente grande e buono, le verità che la Fede ci rivela sulla nostra vita intima, sono ammirabili e stupende.  O Padre santo, Voi vi contemplate eternamente nel Verbo, vostra perfetta immagine; il vostro Verbo trasalisce rapito dalla vostra Bellezza; e dalla vostra comune estasi divampa un fuoco di amore, lo Spirito Santo.  O adorabile Trinità, voi sola siete la vita interiore perfetta, sovrabbondante e infinita.  Voi, bontà infinita, volete diffondere fuori di voi la vostra vita intima; Voi parlate, e le vostre opere si slanciano dal nulla, per manifestare le vostre perfezioni, per cantare la vostra gloria.  Tra Voi e la polvere animata dal vostro soffio, corre un abisso che il vostro Spirito di amore vuole colmare: così potrà soddisfare l’immenso suo bisogno di amare e di darsi.  Egli dunque, nel vostro Seno, provoca il Decreto della nostra divinizzazione, e questo fango plasmato dalle vostre mani potrà, o meraviglia!, essere deificato e partecipare alla vostra eterna felicità!  Per compiere quest’opera, si offre il vostro Verbo: Egli si fa carne, affinché noi diventiamo Dèi (Factus est homo, ut homo fieret deus – S. AGOSTINO, Serm. 9 de Nativ.). Voi intanto, o Verbo, non lasciate il Seno di vostro Padre: là è la vostra vita essenziale, e da quella sorgente sgorgheranno le meraviglie del vostro Apostolato.  O Gesù, Emanuele, Voi affidate ai vostri Apostoli il vostro Vangelo, la vostra Croce, la vostra Eucaristia, e date loro la missione di andare a generare figli di adozione al Padre vostro. – Poi risalite al Padre. O Spirito divino, ora tocca a Voi il compito di santificare e dì governare il Corpo mistico dell’Uomo-Dio (Deus cujus Spiritu totum corpus sanctificatnr et regitur… – Liturgia). Perché dal Capo scenda nelle membra la vita divina, Voi vi degnate di scegliere dei collaboratori all’Opera Vostra; accesi del fuoco della Pentecoste, essi andranno per tutto il mondo a seminare nelle intelligenze il verbo che illumina, e nei cuori la grazia che infiamma, e a comunicare cosi agli uomini quella vita divina di cui Voi siete la Pienezza.  O fuoco divino, destate in tutti coloro che partecipano al vostro Apostolato, quegli ardori che trasformarono i felici congregati del Cenacolo: essi saranno allora non più semplici predicatori del dogma e della morale, ma organi viventi della trasfusione del Sangue divino nelle anime.  O Spirito di luce, scolpite a caratteri indelebili nelle loro intelligenze questa verità, che cioè il loro apostolato sarà efficace soltanto in quella misura in cui essi stessi vivranno di quella vita intima soprannaturale di cui Voi siete il primo PRINCIPIO e di cui Gesù Cristo è la SORGENTE.  O Carità infinita, accendete nella loro volontà una sete ardente della vita interiore: penetrate il loro cuore con i vostri soavi e potenti effluvi, fate sentire loro che anche quaggiù non vi è vera felicità fuori di quella vita che è imitazione e partecipazione della vostra e di quella del Cuore di Gesù nel seno del Padre di tutte le misericordie e di tutte le tenerezze. O Maria Immacolata, Regina degli Apostoli, degnatevi di benedire questo modesto libro. A tutti quelli che lo leggeranno, ottenete la grazia di comprendere bene che, se Dio si vuole servire della loro attività come di uno strumento ordinario della Provvidenza, per diffondere nelle anime i suoi beni celesti, tale attività, per dare buoni risultati dovrà partecipare in qualche modo della natura dell’Uomo divino, quale Voi lo contemplavate nel Seno di Dio, quando nelle vostre viscere verginali s’incarnò Colui al quale dobbiamo la fortuna di potervi chiamare nostra Madre.

PARTE PRIMA

Dio vuole le opere e la vita interiore

1.

Le opere, e perciò anche lo zelo sono voluti da Dio

È proprio della natura divina l’essere sommamente liberale. Dio è Bontà infinita, e la bontà tende a diffondersi e a comunicare il bene di cui essa gode.  La vita mortale di Gesù Cristo non fu altro che una continua manifestazione di questa inesauribile liberalità: il Vangelo ci presenta il Redentore che sparge a piene mani i tesori di amore di un Cuore avido di attirare gli uomini alla verità e alla vita.  Gesù Cristo comunicò quella fiamma di Apostolato alla Chiesa che è dono del suo amore, diffusione della sua vita, manifestazione della sua verità, splendore della sua santità; e la Sposa mistica di Gesù, animata dello stesso ardore, continua attraverso i secoli l’opera di apostolato del suo divino Modello.  – È un magnifico disegno, una legge della Provvidenza, che per mezzo dell’uomo, l’uomo debba conoscere la via della salute (Ad communem legem id pertinet qua Deus Providentissimus, ut homines plerumque fere por homines salvandos decrerlt… ut nlmirum, quemadmodum Chrysostomus ait, per homines a Deo discamus – Lettera di LEONE XIII, 22 gennaio 1899, al Card. Gibbons). Soltanto Gesù versò il sangue che redime il mondo, perciò Egli solo ne potrà applicare la virtù e agire direttamente sulle anime, come fa per mezzo dell’Eucarestia. Egli però volle avere dei cooperatori nel distribuire i suoi benefizi; e perché! Certamente cosi voleva la Maestà divina, ma ve lo spingevano anche le sue tenerezze per l’uomo. Se è conveniente per il più grande dei monarchi, che in via ordinaria governi per mezzo di ministri, quale condiscendenza da parte di un Dio, che egli si degni di associare povere creature al suo lavoro e alla sua gloria! La Chiesa, nata sulla Croce, uscita dal fianco ferito del Salvatore, continua col ministero apostolico l’azione benefica e redentrice dell’Uomo-Dio; e tale ministero voluto da Gesù, diventa il fattore essenziale della diffusione della Chiesa in mezzo alle nazioni e lo strumento più ordinario delle sue conquiste.  Per tale apostolato vi è in prima fila il clero, la cui gerarchia forma i quadri dell’esercito di Gesù Cristo; clero illustrato da tanti Vescovi e Sacerdoti santi e pieni di zelo, e onorato gloriosamente dalla recente beatificazione del Curato d’Ars. – Accanto al clero ufficiale, fin dall’origine del Cristianesimo, sorsero compagnie di volontari, veri corpi scelti la cui continua e rigogliosa vegetazione sarà sempre uno dei fenomeni più manifesti della vitalità della Chiesa. Sono anzitutto, nei primi secoli, gli Ordini contemplativi la cui preghiera continua e le dure macerazioni contribuirono tanto alla conversione del mondo pagano. Nel Medioevo sorgono gli Ordini predicatori, gli Ordini mendicanti, gli Ordini militari, gli Ordini dedicati all’eroica missione della redenzione dei prigionieri in potere degli infedeli. Finalmente i tempi moderni vedono nascere una moltitudine di Milizie insegnanti, Istituti, Società di missionari, Congregazioni di ogni specie, la cui missione è quella di diffondere il bene spirituale e corporale sotto tutte le forme. La Chiesa inoltre, in ogni epoca della sua storia, ha trovato preziosi collaboratori nei semplici fedeli, come quei ferventi Cattolici che oggi sono legione, persone di azione — secondo l’espressione di uso — cuori ardenti che sanno unire le loro forze e mettono interamente a servizio della nostra Madre comune, tempo, capacità, averi, sacrificando spesso la loro libertà e talora il loro sangue.  – È davvero uno spettacolo ammirabile e confortante questa provvidenziale fioritura di opere che spuntano a tempo opportuno e così adatte alle circostanze. La storia della Chiesa dimostra che ogni nuovo bisogno, ogni pericolo da scongiurare, vide sempre apparire l’istituzione richiesta dalle necessità del momento. Così vediamo ai nostri giorni opporsi a mali di particolare gravità, una moltitudine di opere che prima appena si conoscevano: Catechismi di preparazione alla prima comunione, Catechismi di perseveranza, Catechismo per i fanciulli abbandonati, Congregazioni, Confraternite, Riunioni e Ritiri per uomini e per giovani, per signore e per fanciulle, Apostolato della Preghiera, Apostolato della carità, Leghe per il riposo festivo, Patronati, Circoli cattolici, Opere di assistenza per i soldati, Scuole private, Buona stampa ecc., forme tutte di apostolato suscitate da quello spirito che infiamma l’anima di un san Paolo: Ego autem libentissime impendam et superimpendar ipse prò animabus vestris(Assai volentieri spenderò il mio e spenderò di più me stesso per le anime vostre – II Cor. XII, 15), e che vuol diffondere dappertutto i benefizi del sangue di Gesù Cristo.  Vadano queste umili pagine ai soldati che, tutto zelo e ardore per la loro nobile missione, si espongono, appunto per la loro attività, al pericolo di non essere prima di tutto uomini di vita interiore e che, se un giorno venissero puniti con insuccessi in apparenza inesplicabili, come pure da gravi danni spirituali, si sentirebbero tentati di abbandonare la lotta e di rientrare scoraggiati sotto la tenda.  I pensieri sviluppati in questo libro hanno aiutato anche me a lottare contro la dissipazione prodotta dalle opere esteriori. Possano essi evitare a qualcuno le delusioni e guidare meglio il loro coraggio, mostrando loro che il Dio delle opere non deve mai essere abbandonato per le opere di Dio e che il Væ mihi si non evangelizavero (Guai a me se non evangelizzerò – 1 Cor. I X , 16). non ci dà il diritto di dimenticare il Quid prodest Uomini si mundum universum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur (Che giova all’uomo il guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima? – MATT. XVI, 26).  – I padri e le madri di famiglia, a cui non sembra ancora un libro troppo vecchio l’Introduzione alla vita divota, gli sposi Cristiani che si credono obbligati vicendevolmente ad un apostolato che essi esercitano nel tempo stesso verso i loro figli per formarli all’amore e all’imitazione del Salvatore, possono anche essi applicare a sé medesimi l’insegnamento di queste modeste pagine. Possano essi meglio comprendere la necessità di una vita non solo pia, ma interiore, per rendere efficace il loro zelo e per imbalsamare la loro casa con lo spirito di Gesù Cristo e con quella pace inalterabile che, nonostante le prove, sarà sempre il retaggio delle famiglie profondamente cristiane.

2.

Dio vuole che Gesù sia la vita delle opere

La scienza, e non a torto, va superba dei suoi immensi risultati; però una cosa le fu fino a oggi e le sarà sempre impossibile, cioè il creare la vita, il far uscire dal laboratorio di un chimico un chicco di grano, una larva. Le clamorose sconfitte dei difensori della generazione spontanea ci dicono qualche cosa su tale pretesa. Dio riserva per sé il potere dì creare la vita. Nel regno vegetale e animale, gli esseri viventi possono crescere e moltiplicarsi, ma la loro fecondità si esplica soltanto nelle condizioni stabilite dal Creatore. Quando però si tratta della vita intellettuale, Dio la riserva a sè, ed è lui che crea direttamente l’anima ragionevole. Vi è tuttavia un dominio di cui è ancora più. geloso, quello della Vita soprannaturale, perché questa è un’emanazione della vita divina comunicata alla Umanità del Verbo incarnato.  L’Incarnazione e la Redenzione stabiliscono Gesù Cria io Sorgente, e Sorgente unica, di quella vita divina alla cui partecipazione sono chiamati tutti gli uomini. Per Dominum nostrum Jesum Christum; Per ipsum, et curri ipso et in ipso (Per mezzo di Nostro Signor Gesù Cristo. — Per mezzo di Lui, con Lui e in Lui – Liturgia). L’azione essenziale della Chiesa consiste nel diffonderla per mezzo dei Sacramenti, della Preghiera, della Predicazione e di tutte le opere che vi si riferiscono.  Dio fa tutte le cose per mezzo di suo Figlio: Omnia per Ipsum facta sunt et sine Ipso factum est nihil – Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e non fu fatto niente senza dì Lui  – Giov. I, 3). Questo è vero nell’ordine naturale, ma quanto più nell’ordine soprannaturale, dove si tratta di comunicare la sua vita intima e di fare gli uomini partecipi della sua natura, per renderli figli di Dio! Veni ut vitam habeant; — In Ipso vita erat;— Ego sum vita (Io sono venuto affinché abbiano la vita (Giov. X, 10). — In Lui era la vita (Giov. I, 4). — Io sono la vita (Giov. XIV» 6). Quanta precisione in queste parole! Quanta luce nella parabola della vite e dei tralci, nella quale il Maestro svolge questa verità! Con quanta insistenza Egli vuole scolpire nella mente dei suoi Apostoli questo principio fondamentale, che Egli solo, Gesù, è la Vita, e questa conseguenza che, per partecipare a tale Vita e per comunicarla agli altri, essi debbono essere innestati su l’Uomo-Dio! – Gli uomini chiamati all’onore di collaborare col Salvatore per trasmettere alle anime questa Vita divina, debbono dunque considerare se stessi come modesti canali incaricati di attingere a questa unica Sorgente.  L’uomo apostolico il quale non riconoscesse questi princìpi e credesse di poter produrre la più lieve traccia di vita spirituale senza attingerla totalmente da Gesù, ci farebbe credere che la sua ignoranza di teologia è uguale alla sua sciocca presunzione. Se pure riconoscendo teoricamente, che il Redentore è la causa prima di ogni vita divina, l’apostolo, nella sua azione, dimenticasse tale verità e, accecato da una stolta presunzione che è ingiuriosa per Gesù Cristo, non facesse assegnamento che sulle sue forze, sarebbe questo un disordine meno grave dell’altro, ma però sempre insopportabile agli occhi di Dio. Il respingere la verità o il fare astrazione da essa nell’azione, è sempre un disordine intellettuale, o dottrinale o pratico; è la negazione di un principio che deve informare la nostra condotta. Il disordine sarà ancora più grave se la verità, invece di risplendere, trova nell’uomo di azione un cuore che per il peccato o per la tepidezza abituale sia in opposizione col Dio della luce.  Ora la condotta pratica di chi si occupa delle opere come se Gesù non fosse il solo principio di vita, è chiamata dal cardinale Mermillod ERESIA DELL’AZIONE. Con tale espressione egli condanna l’aberrazione di un apostolo il quale dimenticando che la parte sua è secondaria e subordinata, attendesse la buona riuscita del suo apostolato unicamente dalla sua attività personale e dalla sua capacità. E non è forse, praticamente, la negazione di una gran parte del Trattato della Grazia? È vero che tale conseguenza a prima vista ripugna, ma se vi si pensa un poco, essa è purtroppo vera.

Eresia dell’Azione! L’attività febbrile che si sostituisce alla azione di Dio; la grazia disconosciuta; l’orgoglio umano che vuole detronizzare Gesù; la vita soprannaturale, la potenza della preghiera, l’Economia della Redenzione collocate, almeno praticamente, nel numero delle astrazioni, sono un caso tutt’altro che immaginario, che lo studio delle anime mostra anzi come assai frequente, benché in gradi diversi, in questo secolo di naturalismo, in cui l’uomo giudica soprattutto dalle apparenze e agisce come se il risultato di un’opera dipendesse principalmente da una buona organizzazione. Anche prescindendo dalla Rivelazione, alla sola luce della sana filosofia, ci farebbe pietà la vista di un uomo fornito di belle doti, il quale non volesse riconoscere Dio come il principio delle buone qualità che si vedono in lui.  Che cosa deve dire un Cattolico istruito nella Religione, alla vista di un apostolo il quale mostrasse, almeno implicitamente, la pretesa di fare a meno di Dio, per comunicare alle anime anche solo il minimo grado di vita divina? Noi chiameremmo insensato l’operaio evangelico che osasse dire: «Mio Dio, non mettete ostacoli alle mie imprese, non venite a intralciarle e io m’incarico di condurle a buon termine! ».  – Il nostro sentimento non sarebbe che un riflesso dell’avversione che prova Dio alla vista di un simile disordine, alla vista di un presuntuoso il quale spinge il suo orgoglio fino alla pretesa di dare la vita soprannaturale, di produrre la fede, di far cessare il peccato, di spingere alla virtù, di infervorare le anime con le sole sue forze e senza attribuire tali effetti all’azione diretta, costante, universale e sovrabbondante del Sangue divino il quale è il prezzo, la causa e il mezzo di ogni grazia e di ogni vita spirituale. – Perciò, per riguardo all’Umanità di suo Figlio, Dio deve confondere questi pseudocristi col paralizzare le loro opere di superbia o col permettere che esse non producano altro che un miraggio effimero.  Eccetto quello che agisce sulle anime ex opere operato, Dio, per riguardo dovuto al Redentore, deve privare l’apostolo presuntuoso delle sue migliori benedizioni, per darle al tralcio che umilmente riconosce di trarre dalla Vite divina ogni suo vigore. Ma se Dio benedicesse con risultati seri e durevoli un’attività infetta dal veleno chiamato Eresia dell’Azione, sembrerebbe incoraggiare quel disordine con permetterne il contagio.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/19/lanima-dellapostolato-2/

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – “SÆPE NOS”

Ecco come il Santo Padre interviene nella questione irlandese «… di evitare ogni atto contrario all’ordine pubblico e alla carità; di non insistere nel negare a chi di diritto la restituzione di ciò che gli è dovuto; di guardarsi dal far violenza alle persone o ai beni di chicchessia o di opporre la forza alle leggi, o anche a coloro che ricoprono un incarico pubblico; di non aggregarsi in associazioni clandestine o in altre dello stesso genere ». Questo è il compito del “vero” Papa, quello cioè di ricordare nelle situazioni scabrose e difficili, la retta dottrina per guidare ogni azione, sia essa personale, sociale o politica, al fine supremo al quale ogni fedele debba tendere: la salvezza eterna dell’anima. È quello che il Sommo Pontefice fa appunto in questa breve lettera sfidando in modo paterno tutti coloro che fomentavano rivolte e delitti sotto il preteso di giustizia e benessere, o liberazione da soprusi e tirannie. A questo oggi non siamo abituati, anzi i falsi “burattini in talare” orientano, o meglio disorientano, volutamente i presunti ciechi-fedeli (oramai essi stessi non sanno più di chi siano fedeli!)  a comportamenti anticristiani, sotto il pretesto di una tolleranza buonista, che in realtà è tolleranza, o meglio incoraggiamento dell’empietà, del sacrilegio, del peccato e di tutto quanto il loro padre, il diavolo, suggerisce loro.

+
Leone XIII
Saepe Nos

Lettera Enciclica

Spesso, dall’atto di questo Apostolico ufficio, Noi abbiamo dedicato attenzioni e riflessioni ai vostri concittadini Cattolici: più di una volta abbiamo espresso il nostro proposito con pubbliche lettere, nelle quali è manifesto ad ognuno, senza alcun dubbio, da quali sentimenti siamo animati verso l’Irlanda. Oltre i decreti che negli anni precedenti la Sacra Congregazione di Propaganda Fide promulgò a nome Nostro sulle questioni irlandesi, parlano abbastanza chiaro le lettere che a più riprese abbiamo inviato al Nostro Venerabile Fratello Cardinale Mac-Cabe, Arcivescovo di Dublino; lo stesso si dica del discorso che abbiamo recentemente rivolto a molti Cattolici della vostra nazione, dai quali abbiamo ricevuto non solo felicitazioni e voti per la Nostra salute, ma anche espressioni di gratitudine per la Nostra buona disposizione verso gli Irlandesi. Anche in questi ultimi mesi, quando si decise di innalzare in questa alma Città un tempio in onore di Patrizio, grande Apostolo degli Irlandesi, Noi abbiamo incoraggiato questo proposito con tutto il fervore dell’anima e ne favoriremo il compimento secondo le Nostre forze. – Ora, mentre perdura in Noi questo stesso paterno affetto, non possiamo tuttavia nascondere la profonda angoscia che Ci proviene dalle recenti vicende di costà. Ci riferiamo a quella inattesa concitazione degli animi, sorta all’improvviso in seguito al decreto del Santo Ufficio che nella lotta contro i nemici della Chiesa proibisce di usare quel metodo che si chiama piano di campagna e boicottaggio a cui molti avevano cominciato a far ricorso . – Ed è ancor più deplorevole il fatto che siano in gran numero coloro che si ostinano a radunare il popolo in tumultuose assemblee nelle quali si diffondono sconsiderate e pericolose opinioni, senza rispetto per l’autorità del decreto che viene travisato con fallaci interpretazioni, molto lontane dal fine cui esso realmente tende. Anzi, negano perfino che da esso derivi l’obbligo dell’obbedienza, come se la missione vera e propria della Chiesa non fosse quella di giudicare della onestà e della malvagità delle azioni umane. Un tal modo di agire si allontana parecchio dalla professione del nome Cristiano, di cui senza dubbio sono compagne le virtù della moderazione, del pudore, dell’obbedienza verso il potere legittimo. Inoltre non conviene, in una buona causa, dare l’impressione di imitare quegli uomini che pretendono di ottenere con le agitazioni ciò che chiedono senza alcun diritto. E ciò è tanto più grave in quanto Noi abbiamo esaminato con cura ogni questione per poter conoscere a fondo e senza errore la vostra situazione e i motivi delle proteste popolari. Abbiamo informatori degni di fede; abbiamo personalmente interrogato voi stessi e inoltre, lo scorso anno, Noi vi abbiamo inviato come Legato un uomo apprezzato e serio con l’incarico di ricercare con la massima diligenza la verità e di riferirla fedelmente a Noi. Per questo nostro zelo il popolo Irlandese volle renderci pubblici ringraziamenti. Non è dunque avventato chi afferma che Noi abbiamo giudicato senza un’adeguata cognizione di causa? Tanto più che abbiamo riprovato azioni che gli uomini onesti concordemente condannano, cioè tutti coloro che non sono coinvolti in codesta vostra contesa e quindi possono esaminare i fatti con più sereno giudizio. – È del pari offensivo il sospetto che la causa dell’Irlanda non Ci stia debitamente a cuore e che non Ci preoccupiamo abbastanza della condizione del vostro popolo. Al contrario, la sorte degli Irlandesi Ci colpisce assai più di chiunque altro, e nulla desideriamo maggiormente che di vederli sereni, dopo aver conseguito la pace e la prosperità dovuta e meritata. Ad essi Noi non abbiamo mai contestato il diritto di battersi per una vita migliore, ma si può sopportare che nella contesa si dia adito ai delitti? Anzi, proprio perché nell’irrompere delle passioni e degli interessi delle fazioni politiche, il lecito e l’illecito si trovano rimescolati nella stessa causa, Noi ci siamo sempre preoccupati di distinguere ciò che è onesto dal disonesto, e di distogliere i Cattolici da tutto ciò che la morale cristiana non approvava. Perciò con tempestivi suggerimenti abbiamo raccomandato agli Irlandesi di ricordare la loro fede cattolica, di non fare mai nulla che contrastasse con la normale onestà e che non fosse consentito dalla legge divina. Pertanto il recente decreto non deve essere giunto inatteso, tanto più che Voi stessi, Venerabili Fratelli, riuniti a Dublino nel 1881, avete raccomandato al Clero e al popolo di evitare ogni atto contrario all’ordine pubblico e alla carità; di non insistere nel negare a chi di diritto la restituzione di ciò che gli è dovuto; di guardarsi dal far violenza alle persone o ai beni di chicchessia o di opporre la forza alle leggi, o anche a coloro che ricoprono un incarico pubblico; di non aggregarsi in associazioni clandestine o in altre dello stesso genere. Queste raccomandazioni, ispirate a giustizia e del tutto opportune, hanno ottenuto i Nostri elogi e la Nostra approvazione. – Tuttavia, dato che il popolo era travolto e sconvolto da inveterato ardore di passioni, né mancavano coloro che ogni giorno suscitavano nuove fiammate, abbiamo compreso che occorreva formulare precetti più definiti di quelli di carattere generale che in precedenza avevamo ricordato a proposito di giustizia e di carità. Il Nostro ufficio ci proibiva di tollerare che tanti Cattolici, la cui salvezza è anzi tutto affidata a Noi, continuassero a percorrere una via lubrica e precipitosa che conduceva alla sovversione più che a un lenimento delle miserie. Occorre dunque la situazione secondo verità: l’Irlanda riconosca in quel decreto il Nostro animo ricolmo d’amore per essa e concorde nel desiderio di prosperità, poiché una causa, per quanto giusta essa sia, non incontra mai tanti ostacoli come quando è difesa con la forza e con gli oltraggi. – L’Irlanda apprenda, grazie al vostro magistero, Venerabili Fratelli, ciò che vi abbiamo scritto. Noi abbiamo fiducia che Voi, uniti, come è necessario, da idee e volontà comuni, e sorretti non solo dalla vostra ma anche dalla Nostra autorità, conseguirete i migliori risultati e specialmente quello di impedire che le tenebre delle passioni offuschino ancora la facoltà di distinguere il vero e soprattutto che i sobillatori del popolo si pentano di aver agito in modo temerario. Siccome sono molti coloro che sembrano cercare pretesti per sfuggire ai doveri, anche i più elementari, fate in modo di non concedere spazio all’ambiguità circa l’efficacia di quel decreto. Comprendano tutti che non è assolutamente lecito adottare una linea di condotta che Noi abbiamo interdetta. Cerchino tutti, onestamente, beni onesti, e soprattutto, come si addice ai Cristiani, serbando intatte la giustizia e l’obbedienza alla Sede Apostolica: in queste virtù l’Irlanda ha trovato in ogni tempo conforto e forza d’animo.

Frattanto, come auspicio di celesti doni e come testimonianza del Nostro affetto, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al popolo Irlandese, con grande amore nel Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 giugno 1888, nell’anno undicesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2020)

Semidoppio – Paramenti verdi.

La Chiesa nella liturgia di questo giorno ci insegna come Dio accordi il suo aiuto divino a tutti quelli che lo domandano con confidenza. Ezechia guarì da una malattia mortale, grazie alla sua preghiera, come pure liberò il suo popolo dai nemici; mercè la sua preghiera sulla croce, Gesù cancella i nostri peccati (Ep.) e risuscita il suo popolo a nuova vita mediante il Battesimo di cui è simbolo la guarigione del sordo muto, dovuta pure alla preghiera di Cristo (Vang.). Così, dato che per la virtù dello Spirito Santo, Gesù caccio il demonio dal sordo muto e che i sacerdoti di Cristo cacciano il demonio dall’anima dei battezzati, si comprende come questa XI Domenica dopo Pentecoste si riferisca al mistero pasquale ove, dopo aver celebrata la risurrezione di Gesù si celebra la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa, e si battezzano i catecumeni nello Spirito Santo e nell’acqua affinché, come insegna S. Paolo seppelliti con Cristo, con Lui resuscitino. – Il regno delle dieci tribù (regno d’Israele) durò 200 anni circa (938-726) e contò 19 re. Quasi tutti furono malvagi al cospetto del Signore e Dio, allora, per castigarli, dette il loro paese ai nemici. Salmanassar, re d’Assiria, assediò Samaria e trascinò Israele schiavo in Assiria nell’anno 722. I pagani, che presero il posto nel paese; non si convertirono totalmente al Dio d’Israele e furono detti samaritani dal nome di Samaria. — Il regno di Giuda durò 350 inni circa (938-586) ed ebbe 20 re. Una sola volta questa stirpe regale fu per perire, ma venne salvata dai sacerdoti che nascosero nel tempio Gioas, al tempo di Atalia. Parecchi di questi re furono malvagi, altri finirono come Salomone nel peccato, ma quattro furono, fino alla fine, grandi servi di Dio. Questi sono Giosafat, Gioathan, Ezechia, Giosia. L’ufficio divino parla in questa settimana di Ezechia, tredicesimo re di Giuda. Egli aveva venticinque anni quando diventò re e regnò in Gerusalemme per ventinove anni. Durante il sesto anno del suo regno Israele infedele fu tratto in schiavitù. « Il re Ezechia, dice la Santa Scrittura, pose la sua confidenza in Jahvè, Dio d’Israele e non vi fu alcuno uguale a lui fra i re che lo precedettero o che lo seguirono; così Jahvè fu con lui ed ogni sua impresa riuscì bene ». Allorché Sennarerib, re d’Assiria, voleva Impadronirsi di Gerusalemme, Ezechia salì al Tempio e innalzò una preghiera a Dio, pura come quelle di David e Salomone. Allora il profeta Isaia disse a Ezechia di non temere nulla poiché Dio avrebbe protetto il suo regno. E l’Angelo di Jahvè colpì di peste centottantacinque mila uomini nel campo degli Assirii. Sennacherib, spaventato, ritornò a marce forzate a Ninive ove morì di spada. Dio accordò più di cento anni di sopravvivenza al regno di Giuda pentito, mentre aveva annientato il regno d’Israele impenitente. — Ma Ezechia cadde gravemente malato e Isaia gli annunciò che sarebbe morto: « Ricordati, o Signore, disse allora il re a Dio, che io ho proceduto avanti a te nella verità e con cuore perfetto, e che ho fatto ciò che a te è gradito » (Antifona del Magnificat). E Isaia fu mandato da Dio ad Ezechia per dirgli: « Ho intesa la tua preghiera e viste le tue lacrime; ed ecco che ti guarisco e fra tre giorni tu salirai al Tempio del Signore ». Ezechia infatti guari e regnò ancora quindici anni. Questa guarigione del re che uscì, per cosi dire, dal regno della morte il terzo giorno, è una figura della risurrezione di Gesù. Così la Chiesa ha scelto oggi l‘Epistola di S. Paolo nella quale l’Apostolo ricorda che il Salvatore è « morto per i nostri peccati, è stato seppellito ed è resuscitato « nel terzo giorno » e che per la fede in questa dottrina noi saremo salvi come l’Apostolo stesso. Per questo stesso motivo è preso per l’Introito il Salmo 67, nel quale lo stesso Apostolo ha visto la profezia dell’Ascensione (Ephes., IV, 8).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXVII: 6-7; 36

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]
Ps LXVII: 2
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus.

[Sorga Iddio, e siano dispersi i suoi nemici: fuggano dal suo cospetto quanti lo odiano.

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui, abundántia pietátis tuæ, et merita súpplicum excédis et vota: effúnde super nos misericórdiam tuam; ut dimíttas quæ consciéntia metuit, et adjícias quod orátio non præsúmit.

O Dio onnipotente ed eterno che, per l’abbondanza della tua pietà, sopravanzi i meriti e i desideri di coloro che Ti invocano, effondi su di noi la tua misericordia, perdonando ciò che la coscienza teme e concedendo quanto la preghiera non osa sperare.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 1-10
“Fratres: Notum vobis fácio Evangélium, quod prædicávi vobis, quod et accepístis, in quo et statis, per quod et salvámini: qua ratione prædicáverim vobis, si tenétis, nisi frustra credidístis. Trádidi enim vobis in primis, quod et accépi: quóniam Christus mortuus est pro peccátis nostris secúndum Scriptúras: et quia sepúltus est, et quia resurréxit tértia die secúndum Scriptúras: et quia visus est Cephæ, et post hoc úndecim. Deinde visus est plus quam quingéntis frátribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormiérunt. Deinde visus est Jacóbo, deinde Apóstolis ómnibus: novíssime autem ómnium tamquam abortívo, visus est et mihi. Ego enim sum mínimus Apostolórum, qui non sum dignus vocári Apóstolus, quóniam persecútus sum Ecclésiam Dei. Grátia autem Dei sum id quod sum, et grátia ejus in me vácua non fuit.”

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

LA RISURREZIONE DELLA CARNE

“Fratelli: Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti, e mediante il quale sarete salvi, se lo ritenete tal quale io ve l’ho annunciato, tranne che non abbiate creduto invano. Poiché in primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito, e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture; che apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve e più di cinquecento fratelli in una sol volta, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Più tardi appare a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Finalmente, dopo tutti, come a un aborto, appare anche a me. Invero io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno di portare il nome d’Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per la grazia di Dio, però sono quel che sono; e la sua grazia in me non è rimasta infruttuosa.”

L’ultima questione di grande importanza a cui risponde S. Paolo nella prima lettera ai Corinti è quella della risurrezione dei morti. Questo domma, stimato assurdo dai pagani, ripugnava a molti cristiani di Corinto, i quali avevano difficoltà ad ammetterlo. S. Paolo prova la risurrezione dei morti argomentando dalla risurrezione di Gesù Cristo, e dimostrando le assurde conseguenze che verrebbero dalla negazione di questa verità. L’epistola di quest’oggi contiene la prova della risurrezione di Gesù Cristo. Parliamo anche noi della risurrezione dei morti, la quale:

1. È un punto fondamentale della dottrina cattolica,

2.  È basata sulla risurrezione di Gesù Cristo,

3. Avrà conseguenze diverse pei giusti e per i reprobi.

I.

Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti. Parole solenni con le quali S. Paolo si introduce a parlare della resurrezione dei morti. Per mezzo della fede nel Vangelo i Corinti perverranno all’eterna salvezza, se saranno costanti sino alla fine, e se crederanno nel Vangelo tal quale l’Apostolo l’ha predicato, senza togliere o travisare alcuna verità. Quei Corinti che non credono alla verità della risurrezione dei morti, credono invano. Al conseguimento dell’eterna salute a nulla giova credere le altre verità, se negano questa.La fede nella risurrezione dei morti è di grande efficacia nel sostenere il Cristiano in questa vita « Fiducia dei Cristiani è la risurrezione dei morti» (Tertull. De Resurr. carnis). Nella speranza della futura risurrezione i martiri trovano la forza di andar contro ai tormenti e alla morte. Se essi perdono, tanto volentieri. la vita presente, è per la speranza di entrare nella vita futura. S. Ignazio martire che scongiura i Romani a non impedirgli il martirio, esclama: « È bello tramontare al mondo diretti a Dio. per risorgere in Lui!» (ad Rom. 2). Senza l’immortalità dell’anima e la conseguente risurrezione del corpo, sarebbe irragionevole esporsi alla perdita della vita; bisognerebbe anzi cercar di prolungarla il più possibile. Le malattie, le privazioni, le fatiche logorano questo nostro corpo continuamente; gli anni gli tolgono ogni vigore; la morte lo riduce in polvere. Chi può sottrarsi a un senso di grande tristezza e di noia della vita? Chi pensa alla risurrezione. Chi pensa che un giorno Gesù Cristo «trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso» (Filipp. III, 21). Chi pensa che questo stesso nostro corpo risorgerà immortale, e non sarà più soggetto alle debolezze e ai dolori. – Una delle più amare circostanze per l’uomo quaggiù è la perdita dei suoi cari. Il dolore in quel momento è troppo giusto e legittimo. È impossibile sottrarsi alle lagrime. S. Ambrogio, parlando delle lagrime che aveva versato per la morte del fratello Satiro, osserva: «Ho pianto anch’io, si, è vero; ma pianse anche il Signore. Egli sopra un estraneo; io sopra un fratello» (De excessu. frat. sui. Sat. Lab. 1, 10). Ma al momentaneo tributo di lagrime, che pagano tutti, succede nei Cristiani un pensiero consolante: I nostri cari, partendosi da questo mondo, non ci lasciano ma ci precedono. «Non vogliamo — scriveva l’Apostolo ai Tessalonicesi — che siate nell’ignoranza intorno a quelli che si sono addormentati, affinché non vi rattristiate come gli altri che non hanno speranza» (1 Tess. IV, 13). Se si sono addormentati, un giorno si sveglieranno. Quando Gesù, entrato nella casa di Giairo, vide gente che piangeva e ululava per la morte della figlia di questi, disse: «Perché v’affannate e piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme» (Marc. V, 39). E, dette queste parole, la sveglia da quel breve sonno di morte. Quando s’apre la tomba per qualche persona amata la fede dice a ciascuno di noi: quella persona a te cara non è morta, ma dorme. I nostri parenti, i nostri amici, i nostri benefattori, dovunque abbiano avuto una sepoltura, non sono morti, ma dormono. Catene di monti, distese di mari divideranno i sepolcri d’una stessa famiglia; ma verrà il giorno in cui questi sepolcri si apriranno; i cadaveri riprenderanno nuova vita; e i beati riprenderanno in Dio quell’unione, che la morte non ha potuto troncare che temporaneamente. –

II.

Che cosa aveva insegnato San Paolo ai Corinti? Udiamolo da lui: In primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellireito e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture. Il racconto della Resurrezione di Gesù Cristo, fatto dai Vangeli, contiene quanto è necessario per ottenere fede indiscussa sulla realtà della risurrezione di Lui. Lo stupore e il dolore delle pie donne che trovano vuoto il sepolcro. Il timore là cui erano state prese, tanto da mettersi a fuggire e da non aver parola, sulle prime, per narrare quanto avevano veduto; l’Angelo che mostra il luogo preciso ove giaceva Gesù, il quale non va più cercato tra i morti, perché è risuscitato; l’apparizione a Maria Maddalena, dicono abbastanza perché uno che non sia dominato da preconcetti debba credere alla verità della risurrezione di Gesù Cristo. Ma v’ha di più. Dopo che alla Maddalena Gesù apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sol volta… Più tardi apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. – È da notare che quando le pie donne annunciano agli Apostoli la risurrezione di Gesù Cristo, sono trattate da deliranti. Pietro entra nel sepolcro, vede i lenzuoli per terra, non trova più il corpo del Maestro, ne è meravigliato, ma non si decide ancora a credere alla risurrezione. La Maddalena annunzia agli Apostoli d’averlo visto risuscitato, d’aver parlato con Lui, « ed essi, avendo udito com’egli era vivo, e com’ella l’aveva visto, non credettero » (Marc. XVI, 11). Ènecessario che Gesù appaia a Pietro, appaia agli Apostoli e ai discepoli radunati insieme, e mostri loro le mani e il costato con le cicatrici gloriose, perché ogni dubbio sia tolto da loro. Davanti a prove così numerose e così palmari, anch’essi sono costretti a credere la risurrezione del divin Maestro, che predicheranno poi con una fermezza incrollabile. – Gli Apostoli danno principio alla predicazione insistendo sul fatto della risurrezione di Gesù Cristo. San Pietro rinfaccia ai Giudei: «Gesù di Nazaret… voi lo avete trafitto per mano d’empi, e ucciso… Dio l’ha risuscitato, avendo infranto i legami della morte» (Att. XXII-24) E questo si rinfacciava ai figli d’Israele pochi giorni dopo l’avvenimento; quando era facilissimo interrogare, controllare, vivendo ancora tutti o quasi tutti coloro a cui Gesù Cristo era apparso. E vediamo che i Giudei invece di fare obiezione alle parole di Pietro si compungono nei loro cuori, e gli domandano quel che han da fare. Non sappiamo se si possono desiderare prove più concludenti. Ne consegue che se risuscitò Gesù Cristo, risusciteranno anche i fedeli. Questi formano un sol corpo mistico con Lui. Gesù è il capo; e se il capo è risuscitato, non si spiega perché le membra debbano rimanere nel sepolcro. La risurrezione di Gesù Cristo ha introdotto un nuovo ordine di cose. Con Adamo era entrato nel mondo il dominio della morte. Con la risurrezione di Gesù Cristo questo dominio fu vinto. Egli lo ha vinto per sé e lo ha vinto per noi. E così «la morte del Figlio di Dio, che egli subì nella carne, distrusse in noi la duplice morte, quella dell’anima e quella del corpo, e la risurrezione della sua carne ci apportò la grazia della risurrezione spirituale e corporale » (S. Fulgonio Episcop. 17,16).

III.

S. Paolo aggiunge che Gesù Cristo apparve anche a lui l’ultimo degli Apostoli. Tanto egli poi, l’ultimo degli Apostoli, già persecutore della Chiesa, a cui Gesù apparve sulla via di Damasco, quanto gli altri Apostoli, ai quali Gesù risorto apparve prima di salire al cielo, hanno sempre predicato la stessa cosa: la risurrezione di Gesù Cristo. «Cristo è risuscitato, primizia dei dormienti !» esclama più innanzi S. Paolo, con un grido come di vittoria (I. Cor. XV, 20). – Non si può parlar di primizia senza supporre il seguito della messe. Quando compare la primizia, la messe è garantita. Gesù Cristo risorge pel primo a vita immortale: primo per ordine di tempo, di dignità, di merito. Dopo di Lui, a suo tempo, quando Egli comparirà di nuovo su questa terra. resusciteranno tutti i giusti. – Anche i reprobi resusciteranno? La parola di Gesù Cristo non lascia dubbio alcuno. «Verrà un tempo — dice il Redentore — in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udiranno la voce del Figliuolo di Dio, e usciranno fuori quelli che hanno fatto opere buone risorgendo per vivere: quelli poi che avranno fatto opere malvage, risorgendo per essere condannati» (Giov.V, 28-29). « La maniera della resurrezione sarà duplice. La prima è quella dei santi i quali, radunati con distintivo reale, al primo suono della tromba ricevono, con grande trionfo, il regno della beatitudine sotto Cristo, re eterno: la seconda è quella che assegna alla pena eterna gli empi assieme con i peccatori e con tutti gli increduli» (S. Zenone, L. 1, Tract. 16, 11). Il corpo dei giusti fu unito all’anima nel fare il bene; riceva, dunque, con essa il premio eterno. Il corpo dei cattivi cooperò con l’anima a fare il male: riceva con essa il meritato castigo. A ciascuno il suo. La società non è composta né esclusivamente di buoni, né esclusivamente di cattivi. Come in un campo frammischiata al buon grano si trova la zizzania, così, nella società, frammisti ai buoni si trovano i cattivi. E come al tempo della raccolta si lega la zizzania in fastelli per essere bruciata e il grano vien radunato nei granai, così succederà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai giusti, «e getteranno quelli nella fornace di fuoco: ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del loro Padre» (Matt. XIII, 42-43). È chiaro che un tal giorno infonda coraggio ai buoni che l’attendono come il giorno del trionfo finale, e rechi sgomento ai peccatori, che lo temono come il giorno della finale rovina. Questo timore sarebbe salutare, se servisse a trattenerli dal peccato, o meglio a farli uscire dallo stato di peccato. S. Agostino narra di sé stesso: « Né altro mi richiamava dal profondo abisso dei piaceri carnali che il timor della morte e del giudizio avvenire: il qual timore,… non si partì mai dal mio petto » (Conf. L. 6, 16,).Se non ci dimenticheremo del giorno della risurrezione della carne, e del giudizio che vi avrà luogo, sarà facile la riforma di noi stessi. Chi teme quel giorno comincia a vegliare sulle proprie passioni, a guardarsi dall’avarizia, dall’impurità, dall’odio. Per vincer gli assalti del demonio comincia a mortificar se stesso con la custodia dei sensi. Le buone opere che prima gli erano pesanti diventeranno una necessità. I doveri del proprio stato gli saranno molto leggeri da compiere, e finirà per desiderare ciò che prima temeva: la seconda venuta di Cristo, nella speranza, di risalire con Lui in cielo a godere nel regno della gloria.

Graduale

Ps XXVII:7 – :1
In Deo sperávit cor meum, et adjútus sum: et reflóruit caro mea, et ex voluntáte mea confitébor illi.

[Il mio cuore confidò in Dio e fui soccorso: e anche il mio corpo lo loda, cosí come ne esulta l’ànima mia.]

V. Ad te, Dómine, clamávi: Deus meus, ne síleas, ne discédas a me. Allelúja, allelúja

[A Te, o Signore, io grido: Dio mio, non rimanere muto: non allontanarti da me.]

Alleluja

Allelúia, allelúia
Ps LXXX:2-3
Exsultáte Deo, adjutóri nostro, jubiláte Deo Jacob: súmite psalmum jucúndum cum cíthara. Allelúja.

[Esultate in Dio, nostro aiuto, innalzate lodi al Dio di Giacobbe: intonate il salmo festoso con la cetra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc VII:31-37
In illo témpore: Exiens Jesus de fínibus Tyri, venitper Sidónem ad mare Galilaeæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas ejus: et éxspuens, tétigit linguam ejus: et suspíciens in coelum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures ejus, et solútum est vínculum linguæ ejus, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.

[“In quel tempo Gesù, tornato dai confini di Tiro, andò por Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapali. E gli fu presentato un uomo sordo e mutolo, e lo supplicarono a imporgli la mano. Ed egli, trattolo in disparte della folla, gli mise le sua dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi verso del cielo, sospirò e dissegli: Effeta, che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Ed egli ordinò loro di non dir ciò a nessuno. Ma per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte lo cose: ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino!”


Omelia II

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra la maldicenza.

Solutum est vinculum linguæ eius, et loquebatur recte.

Che bella sorte per quell’uomo sordo e muto nello stesso tempo, di cui parla il Vangelo, di trovar un medico cosi pietoso e così potente come Gesù Cristo! Ma che avremmo noi detto di quell’uomo se, dopo aver ricevuto un sì gran beneficio, se ne fosse servito per oltraggiare il suo benefattore; se, invece di usar della sua lingua per lodare benedire Colui che gliel’aveva snodata l’avesse impiegata a maledirlo? Sarebbe egli stato ritenuto senza dubbio e si riterrebbe ancora al giorno d’oggi un mostro d’ingratitudine. Or quel che avreste biasimato con giusta ragione in quell’uomo, si è, fratelli miei, ciò che voi fate tutti i giorni. Dio vi ha dato l’uso della parola, egli è un beneficio che voi avete ricevuto dalla sua bontà: e come vi servite voi di questa parola? Qual uso fate voi della vostra lingua? Gli uni se ne servono a bestemmiare il santo nome di Dio; gli altri se ne servono a pronunciare parole oscene; questi a gettare colpi di maldicenza contro il prossimo; quegli a moltiplicare rapporti che lo disonorano; e se si vedono tante riputazioni macchiate, tanti giusti ricoperti d’obbrobrio, tanti odi perpetuarsi nelle famiglie, non ne sono forse cagione queste lingue armate del fiele della maldicenza? Si è dunque a voi, maldicenti, ch’io indirizzo in quest’oggi la parola e a cui vorrei, se fosse possibile, imporre eterno silenzio, poiché voi fate un sì malvagio uso del talento, che Dio vi ha confidato, e attaccando la reputazione del prossimo, che dovreste risparmiare, voi attaccate Dio medesimo, che dovete amare nel vostro prossimo – Ma come posso io sperare di distrugger un male oggidì sì comune, e che fa tante stragi nella società umana? Quanto mi stimerei io fortunato, se potessi almeno correggere qualcheduno di coloro, che vi sono soggetti! Per ciò io dico: niente di più comune della maldicenza, primo punto; niente più difficile a riparare che le conseguenze della maldicenza, secondo punto. Conoscendo la cagione della maldicenza, voi la distruggerete; scoprendo i suoi funesti effetti, la riparerete. Cominciamo.

I . Punto. Ella è una grande obbligazione, che noi abbiamo a Dio per averci dato l’uso della parola. Per mezzo di essa noi possiamo manifestare i nostri sentimenti agli uomini, mantenere con essi una dolce e piacevole società, cercar aiuto nei nostri bisogni, consolazione nelle nostre afflizioni. Ma la fatalità dell’uomo è di far servire alla sua rovina i doni, ch’egli ha ricevuti da Dio per suo vantaggio; e si può dire che il dono della parola è uno di quelli, di cui si fa il più malvagio uso. Il che ha fatto dire all’ apostolo S. Giacomo, che la lingua è un fuoco divorante, un mondo d’iniquità, una sorgente piena di veleno mortale: Lingua ignis est, universitas iniquitatis,malum inquietum, piena veleno mortifero (Jac. 3). Si è principalmente con la maldicenza, che questa velenosa sorgente comunica il suo veleno tanto più rapidamente, quanto che vi sono più maniere di mormorare, si trova più facilità ed occasione di mormorare e quasi niuno s’astiene dal mormorare. Le diverse specie di maldicenze, la facilità delia maldicenza, il gran numero delle persone date alla maldicenza, ecco ciò che prova che questo vizio è molto comune. Che cosa è mai la maldicenza? Ella dice s. Tommaso, è un parlar ingiurioso con cui si denigra l’altrui riputazione; il che si fa in più maniere, dice lo stesso dottore: l’una che si chiama diretta e l’altra indiretta. Si dice male direttamente del suo prossimo. allorché gli si imputa un delitto di cui è innocente; ecco la calunnia;: 2. quando si esagera un mancamento che ha fatto, facendo credere un peccato considerabile ciò che è mancamento leggiero; 3. Quando si rivela un mancamento occulto, che egli ha commesso, o un diletto cui è soggetto; 4. quando; si dà un malvagio colore alle azioni del prossimo o s’interpreta in mala parte il bene, che ha fatto: ecco la maldicenza. Si dice male indirettamente allorché si nega il bene, che taluno ha fatto, o si sminuisce, ovvero si osserva un silenzio ingiurioso, quando si odono gli elogi che gli si danno. Voi vedete di già, fratelli miei, da queste diverse specie di maldicenze, quanto questo peccato sia comune, e forse vi riconoscete di già colpevoli di qualcheduna di queste guise di maldicenza. Quante volte vediamo noi al giorno d’oggi persone innocenti, che la calunnia ha caricate di atroci delitti cui esse non hanno neppur pensato? Calunnia che non ha per l’ordinario altro fondamento che un sospetto ingiurioso, un giudizio temerario che si fa del prossimo. Quell’uomo, quella donna, male intenzionati a riguardo d’un altro, pensano male sulla sua condotta, interpretano in cattiva parte un’azione da sé indifferente, ed anche lodevole nel suo principio e nel suo fine. Avranno essi veduta questa persona entrar in una casa, parlar ad un’altra, le danno subito qualche malvagia intenzione. Avrà taluno fatto qualche perdita di beni, egli sospetterà aver quell’altro commessa quell’ingiustizia; non ardisce esso subito accertare ciò che non prende che per una congettura, ma palesando quei sospetti ingiuriosi, che ha concepiti sull’altrui condotta, producendo quelle congetture, egli dà a credere che le parole dette sono la pura verità. Il che fa che dal sospetto si viene alla persuasione, all’accusa, alla calunnia, che distrugge in un istante la riputazione della persona più innocente. Qual precauzione non si deve prendere, non solo per ritener la lingua, ma per non formare alcun sospetto ingiurioso sulla condotta del prossimo, né ascoltare coloro che temerariamente lo giudicano? Egli è vero che si trovano comunemente calunniatori, che oltrepassano i limiti della equità, sino ad imputar il delitto ad un innocente. Ma quanti ve ne sono che non si fanno alcuno scrupolo d’ingrandire gli altrui vizi, di esagerare una colpa, che han veduta commettere a taluno, di far credere una scelleratezza ciò che non è che un leggero mancamento, o una inavvertenza? Qualche parola poco pesata, sfuggita senza riflessione ad una persona d’un certo grado, qualche convenienza tralasciatali alcune leggerezze, effetto più di fragilità umana, che di malizia, sono tenuti da certuni per grandi delitti. Si spacceranno per tali, si faran nascere le idee più disgustose sopra certi falli, che non erano in verun modo così considerabili come furono immaginati. Si è questa forse una specie di calunnia molto comune nel mondo? Perciocché invece di scusare i mancamenti altrui si fanno alcuni un piacere maligno d’accrescerli e d’ingrandirli. Oh quante volte cangiano di natura per esser pubblicati da lingue, maldicenti! Ma, diranno altri, noi nulla asseriamo, che non sia vero; nulla aggiungiamo al mancamento, che riveliamo. Non è forse permesso, e non è anche un bene, il far conoscere gli uomini quali sono, affinché si badi a cui fidarsi e non si confonda la virtù col vizio, che si deve smascherare e fare conoscere palesemente per non lasciarsi da esso sorprendere? Questo è, fratelli miei, una specie di sotterfugio alla maldicenza per accreditarsi nei suoi passi; sotto il falso pretesto che tutto quel che si dice è vero, si crede sia permesso dire ogni cosa, rivelare indifferentemente i mancamenti del prossimo. Eh! dove è dunque, fratelli miei, quella carità, che deve coprire la moltitudine dei peccati? Charitas operit moltitudinem peccatorum!. (Pet. IV). La carità ci proibisce di far ad altri ciò che non vorremmo che si facesse a noi medesimi, perché dunque vi prendete la libertà di scoprire i mancamenti del vostro prossimo? Invano coprite voi la maldicenza col pretesto della giustizia e del ben pubblico, il quale richiede, a vostro parere, che si conoscano gli uomini per quel che sono. – Finché il mancamento del vostro prossimo è segreto, egli ha diritto alla sua reputazione, ed è un’ingiustizia il rapirgliela: il bene pubblico non chiede neppure che voi facciate conoscere i difetti del vostro fratello. 1. Scoprenti il suo mancamento, voi non lo guarite, ma lo inasprite. 2. Voi somministrate agli altri una occasione di peccato, insegnando loro ciò che non sapeva apprendendo loro il traviamento di persona per cui avevano della stima, e che era commendabile agli occhi loro per altri titoli: con questo, voi autorizzate il vizio nei ribaldi, e le vostre maldicenze divengono pei deboli una pietra d’inciampo. Ma, direte voi , io ho rivelato quel mancamento ad una persona confidente, ho raccomandato il tenerlo segreto. Or io vi domando: con questa precauzione, quasi sempre inutile, fate voi men perdere a quella persona la stima, che essa aveva pel vostro fratello, di cui voi parlate male? D’altra parte, voi le avete confidato sotto segreto ciò che avete detto; voi credete dunque che non era permesso di divulgare quel mancamento; e perché rivelarlo a quella persona? Pensate voi forse, che quella sarà più fedele a custodire il segreto che voi? Oimè!. quante cose confidate sotto segreto, divengono pubbliche in tutto un villaggio, sotto pretesto che ciascuno le ha confidate sotto segreto? – Non è dunque punto permesso di parlare dei mancamenti del suo prossimo, quantunque nulla si dica che non sia vero, fuorché ciò sia per suo bene, come sarebbe di avvertire un padre, una madre, un padrone, un superiore, di correggere i disordini dei figliuoli o di quelli che loro sono soggetti, o per il bene di colui cui si rilevano i mancamenti, che gli cagionerebbero gran danni, se non li conoscesse; ma bisogna in queste occasioni usare molta prudenza e non seguir la passione che ci porta ordinariamente ad eccessi o contro la giustizia o contro la carità. – Veniamo adesso ad altre specie, di maldicenze, che non sono meno frequenti, e che noi chiamiamo maldicenze indirette. Si ha orrore d’imputar a qualcheduno un delitto di cui è innocente, si prova anche una pena a rivelare un mancamento commesso; ma non si teme di spargere sopra le virtù altrui una tinta che ne offusca lo splendore. Si fa l’elogio di qualche azione virtuosa; altri si sforza di toglierne la gloria a chi è dovuta, o negando che abbia egli fatto quell’azione, o dandole un cattivo colore, o attribuendola ad una malvagia intenzione, o diminuendo il merito con qualche circostanza viziosa che si aggiunge. Alcuni Giudei accusavano il Salvatore di scacciare il demonio nel nome di Belzebù, di amar i piaceri della mensa, perché mangiava coi peccatori per trarli a sé. Si vuol investigare sino fondo delle coscienze per iscoprirvi un male, che non vi è. Un uomo caritatevole per i poveri farà delle limosine, dirassi che lo fa per vanità ad ostentazione: un altro avrà renduto un servigio essenziale ad alcuno che ne aveva bisogno, si dirà che per interesse. Quella donna, quella donzella sarà regolata nella sua condotta; questo, dirà taluno, è per ipocrisia, o perché il mondo non sa che farne, o a fine di esser creduta la gloria della pietà cristiana. Quell’uomo paziente, moderato, perdona un’ingiuria e rende bene per male: è stupidità, e bassezza di spirito; quell’altro regola con prudenza i beni che il Signore gli ha dati, egli è un avaro; oppure se fa qualche liberalità, egli è un prodigo: in una parola, non è virtù alcuna che i maldicenti non trovino il segreto di avvelenare. Essi conservano sotto le loro labbra, per servirmi delle parole del profeta, il veleno degli aspidi, e portano dappertutto la contagione dei loro discorsi: Venenum aspidum sub labiis eorum (Ps. XIII). Altri, non meno a temere, renderanno al merito la giustizia, che gli è dovuta, converranno volentieri del valore di quell’azione, del pregio di quella virtù, incominceranno a far l’elogio di coloro che vogliono biasimare. Quell’uomo è caritatevole verso i poveri; ma egli ha un difetto, che non gli si può perdonare, mantiene un commercio con una persona che frequentar non dovrebbe. Quell’altro fa lunghe preghiere, è assiduo ai divini uffizi; ma egli è un usurpatore dei beni altrui. Quella donna è modesta in chiesa, governa bene la sua casa, ma ella è una maldicente, una lingua da temere. Che gran danno di quel giovane, di quella giovane! Hanno eccellenti qualità; ma l’uno è soggetto all’intemperanza, l’altra alla vanità. – L’avreste voi creduto, dirà questi, che quella persona che conoscevate sì virtuosa fosse caduta in quel mancamento? Io ne sono afflitto e per riguardo ad essa e per riguardo della sua famiglia. Quel sacerdote, dirà quell’altro (poiché il maldicente non risparmia alcuno) sì zelante, sì esatto a compiere il suo dovere, sarebbe perfetto, se non fosse cotanto attaccato ai beni della terra. Così, fratelli miei, il maldicente, secondo l’espressione del profeta, tempera i suoi dardi nell’olio, affinché penetrando più addentro, facciano più profonde ferite: Molliti sunt sermones eius super oleum, et ipsi sunt iaculo,. (Ps. LIV). Si lodano le virtù, a fine di meglio persuadere i vizi di coloro di cui si vuole oscurare la riputazione. Se non si osa denigrarli apertamente, si trova il segreto di farlo con certi segni, certi gesti, con cenni d’occhio od anche con un silenzio affettato, o con una tristezza che si mostra ascoltando le lodi altrui, silenzio e tristezza, che dicono sovente più che le parole, perché sono una specie di disapprovazione di quanto si avanza. Io non finirei mai fratelli miei, se volessi rappresentarvi tutte le vie per cui la maldicenza sparge il suo veleno. Ciò che dà ancora una sì grand’estensione a questo vizio, si è la facilità, che evvi di cadervi, e le occasioni che si trovano di commetterlo. Infatti non si può dire di questa passione come delle altre, che sono arrestate dagli ostacoli che esse incontrano. Un ladro non può sempre riuscire nei furti che medita: un impudico non trova sempre l’occasione e gli oggetti per appagare la sua passione: il vendicativo trova resistenza in un nemico che lo perseguita; ma quanto al maldicente, tutto concorre a rendergli facile il suo peccato, facile dal canto di colui, che spaccia la maldicenza, facile dal canto di coloro che l’ascoltano. La maldicenza è facile dal canto di colui che la spaccia. Che cosa si ricerca, infatti, per contentare su di ciò la sua inclinazione? La lingua e la parola sono sempre in disposizione nostra: un segno ci basta per venire a capo del nostro progetto, e portare alla riputazione altrui il colpo più funesto. Negli uni è una precipitazione, un certo prurito di parlare, onde nulla tacer possono di quel che sanno per diffamare il loro prossimo; si è un peso che li opprime, di cui sono impazienti di alleggerirsi alla prima occasione, che troveranno; negli altri è una maligna gelosia della gloria e della prosperità altrui che li rende più attenti a cercarne e a pubblicarne i difetti, che le sue buone qualità; e quante occasioni.non trovano di soddisfarsi sopra questo punto! Occasioni dalla parte di quelle danno materia alla maldicenza poiché chi è quell’uomo sì perfetto che non mostri qualche volta tratti di debolezza, e che non sia esposto alla censura dei maldicenti? Occasioni nel commercio, che si ha col mondo nelle conversazioni  che fanno i legami della società, e che si aggirano per lo più sopra gli altrui difetti: senza questo dicesi, esse languirebbero, convien più metter qualcheduno sulla scena; siamo sempre accolti con piacere in una compagnia quando sappiamo rallegrarla a spese di qualcheduno, che ha dato materia di parlare. Con questo la maldicenza diventa facile per parte di coloro che l’ascoltano. Quantunque si abbia dell’avversione per i maldicenti, si ama la maldicenza, si ascolta con piacere, si è curioso di sapere ciò che il tale ha detto, ha fatto; di conoscere la sua condotta, i suoi costumi, di osservare il suo modo di operare; si vuole penetrare il segreto delle famiglie ed anche dei pensieri; si prova piacere a conoscere le inclinazioni, gli andamenti di quella persona. Per animare il maldicente, si fa applaudire ai suoi discorsi, si lodano i tratti ingegnosi di cui servesi per lanciare i suoi colpi penetranti contro coloro che non sono in istato di avvisarli; si osserva un reo silenzio quando si ode parlar male del prossimo; mentre chi è che ne prende la difesa? Ecco ciò che autorizza, che incoraggia il maldicente. Egli non trova che approvatori della sua malvagità; attacca gli assenti, quando sono fuori di stato di difendersi, e che gli chiuderebbero la bocca se fossero presenti; niuno si ritrova caritatevole abbastanza per prendere le loro parti, al contrario, quelli che ascoltano il maldicente, si uniscono spesse volte a lui per caricare della loro maligna critica coloro in cui esso ha già portato i colpi mortali. Convien forse stupirsi dopo questo, che la maldicenza faccia sì grandi progressi nella società umana, poiché non trova essa alcun ostacolo che le resista, e la maggior parte al contrario si fa un piacere di ascoltarla e di divulgarla? – Imperciocché, chi sono coloro, fratelli miei, che vanno esenti da questo vizio ? Oimè! Quasi tutte le condizioni della vita ne sono infette. Egli regna nella città, come nelle campagne; egli è il vizio dei ricchi come dei poveri, dei grandi come dei piccoli, dei sapienti come degli ignoranti. Si entri nelle case, si ascolti ciò che si dice nelle conversazioni: appena si vedranno due o tre persone insieme che non abbiano messo qualcheduno in giuoco nei loro discorsi. Appena si passa un’ora di tempo, di cui la maldicenza non occupi la maggior parte. Non è questo principalmente il difetto degli oziosi, di quelle persone, che, annoiate di sé medesime, vanno di conversazione in conversazione a spandere il veleno della loro maligna oziosità, alzando dappertutto tribunale, ove condannano senza pietà tutto ciò che loro dispiace ? Voi li vedrete scorrere minutamente tutti gli stati della vita; ora è l’avarizia o la prodigalità d’un ricco; or è l’insolenza d’un povero, che serve di materia alla loro censura. – Senza risparmiare sacro né profano, voi li vedrete scatenarsi senza pietà contro la condotta delle persone consacrate a Dio, la cui riputazione è necessaria al bene pubblico. Qui è un mercante che ne scredita un altro, che egli vede più accreditato di sé nel negozio; là è un artigiano che per mettersi in credito dispregia il lavoro di quelli della sua professione. Non si vedono forse anche persone d’altra parte regolate nella loro condotta, che, per stabilire la loro riputazione sulla rovina di quella degli altri, non hanno difficoltà di vibrare i colpi della loro maligna critica contro quelli la cui virtù fa loro ombra? A udir questi astuti maldicenti, non è già per invidia né per odio che essi divulgano certe debolezze che han vedute nel loro prossimo; ma è per zelo della gloria di Dio e del ben pubblico; e sotto questo pretesto si credono in diritto di rivelare ciò che converrebbe occultare. Non spacceranno, per verità, atroci calunnie, nere maldicenze; ma useranno di certi artifizi per sminuire l’altrui stima. Si è una compassione, che fingono di avere alla loro debolezza; sono sospiri che gli altrui mancamenti cavano dai loro cuori; faranno doglianze su qualche cattivo tratto che altri usa loro, su qualche parola scortese, che ha offeso il loro amor proprio; e sotto pretesto di cercare consolazione del loro dispiacere, non pensano che a soddisfare la loro vendetta, manifestando tutto ciò che riconoscono di difettoso in quelli che hanno avuta la disgrazia di loro dispiacere. Ah! quanto è mai raro di trovare in questo mondo persone irreprensibili su questo punto; ed è con molta ragione che s. Giacomo ha detto, che convien essere molto perfetto per non peccare parlando: Si quis in verbo non offendit, hic perfectus erit (Jac. III). Ma quanto la maldicenza è comune, altrettanto le sue conseguenze sono difficili a riparare.

II. Punto. Egli è un principio incontrastabile nella Religione e nella morale, che, per ottenere il perdono del suo peccato, bisogna farne la penitenza e la riparazione. Se ci siamo impadroniti della roba altrui o se gli abbiamo cagionato qualche danno, non evvi salute alcuna a sperare, sin che non l’abbiamo ristabilito nei suoi diritti. Lo stesso obbligo sussiste per il torto che abbiamo fatto colla maldicenza all’onore, e alla riputazione altrui. Ma quanto questa riparazione non è ella difficile? Difficile dalla parte dell’onore che convien riparare, difficile dalla parte di colui che deve fare questa riparazione. La riputazione consiste nella stima, che alcuno si è acquistata nello spirito degli uomini con le sue buone qualità, con azioni virtuose, che hanno meritato la loro approvazione. Ella è un bene di cui ciascuno è così geloso che sacrificherebbe volentieri tutti gli altri per conservare questo. Mentre a che servono tutti i beni senza l’onore? Non osiamo più comparir nel mondo, vi siamo morti civilmente tosto che siamo denigrati su questo punto. Quindi qual precauzione lo Spirito Santo non ci comanda di prendere per conservarlo? Curam habe de bono nomine (Eccli XLI). Egli è un bene che ci è personale, un bene che è la sorgente di molti altri beni, che ci tien dietro anche dopo la morte. Ma tosto che questa riputazione è oscurata dai neri vapori che una lingua maledica vi ha sparsi, non è possibile di renderle il suo primo splendore; ella è una piaga in certo modo incurabile. Ed in vero, per guarir questa piaga, per riparare il torto fatto alla riputazione, che convien fare? Bisogna ristabilire nei suoi diritti la persona cui abbiamo rapito l’onore, e per ciò cancellare le sinistre idee, che abbiamo impresse sulla sua condotta nello spirito degli altri: or è forse cosa facile cambiare queste malvage impressioni? L’orgoglio che signoreggia gli uomini non ispira loro che buoni sentimenti per se medesimi e dispregio per gli altri. Quindi ne viene che si prova ordinariamente maggior piacere nell’udire biasimare qualcheduno, che negli elogi che gli si danno; amiamo di autorizzarci nei nostri disordini, con l’esempio di coloro che sono sregolati. Ecco perché si ascolta e si crede così facilmente ciò che lusinga le passioni, e cosi difficilmente si depongono le idee che le favoreggiano. Perciò un maldicente avrà bel fare a disingannare coloro cui egli ha parlato male del suo prossimo, ma non gli riuscirà; molti discorsi non basterebbero per rendere alla riputazione il primo lustro, che un sol tratto di lingua le ha tolto. Poiché, o chi ha parlato male ha detto il vero o ha detto il falso: se quel che ha detto è vero, non potendo più disdirsene, tutte le lodi che esso darà al suo prossimo per rifarne la riputazione, non le renderanno giammai il suo primiero splendore; qualunque azione virtuosa egli pubblichi in lode della persona di cui ha parlato male, sarà sempre vero che questa persona è colpevole d’un mancamento che sminuisce la stima che si aveva della sua virtù. Se il male che il maledico ha pubblicato è vero, e se ne disdica, si è forse taluno, perché un confessore l’ha obbligato a farlo, o perché ha qualche ragione particolare d’interesse: forse i cattivi discorsi che si sono tenuti avevano qualche fondamento. Checché ne sia, è forse molto comune che la ritrattazione della maldicenza equivalsi all’ingiuria? Si è ciò che l’esperienza fa vedere pur troppo sensibilmente. Quegli era tenuto per un uomo dabbene nel concetto altrui, era tenuto per uomo giusto e ragionevole: ma un nemico geloso del suo onore e dei suoi successi ha sparso sulla sua condotta il veleno della sua censura; egli l’ha dipinto per un uomo di malvagia fede, e per un impostore, che non cerca che il suo interesse in pregiudizio degli altri. Ecco quell’uomo divenuto tutt’altro che non era nello spirito di coloro che lo stimavano; le sue virtù, i suoi meriti l’hanno abbandonato; non osa più comparire, non è più riguardato che come un uomo pericoloso alla società, qualunque cosa possa fare per sostenere la sua riputazione e qualunque cosa fare possa il maledico per disingannare gli animi, ch’egli ha contro di lui prevenuti. – Quel ministro del Signore, esatto a compiere i suoi doveri, ha voluto correggere alcuni disordini, riprendere un libertino della sua vita licenziosa: questi, per vendicarsi ed autorizzarsi nella sua empietà, l’accuserà ingiustamente di essere soggetto alle medesime debolezze. Sarà egli creduto, malgrado tutto ciò che potrà fare quel ministro del Dio vivente per cancellare con una condotta edificante le impressioni che altri ha concepito contro di lui. Si chiudono gli occhi sopra le sue virtù: venga egli annunciato per un santo quanto si vorrà, il libertino prevenuto non si disinganna più dei suoi pregiudizi, e l’uomo di Dio rimane coperto d’obbrobrio e diventa inutile alle anime che gli sono affidate. – Quella donna, quella fanciulla, regolate nella loro condotta, non avevano giammai dato luogo a parlar mal di sé; ma una lingua maledica ha sparsi malvagi rumori sui loro andamenti, eccole rovinate nella stima; tutto ciò che potranno esse fare non le impedirà di essere sospette d’intrighi peccaminosi, di disordini cui non hanno esse neppure pensato; e checché ne dica il maldicente per ritrattare quanto ha asserito, è stato creduto e lo sarà sempre. – Ah! fratelli miei, quanto i colpi di lingua di un maldicente sono terribili, e quali stragi un uomo di tal fatta cagiona nella società [Terribilis homo linguosus – Eccl. IX]. È un incendio che ha messo il fuoco in una casa, che non si può più estinguere; è una saetta mortale, che ammazza tanto vittime, quante sono le persone cui porta i suoi colpi. Egli è la cagione delle perpetue divisioni e di discordie nelle famiglie, e di perdite di beni cui non rimedierà giammai. Quel marito, quella moglie erano uniti insieme; quei congiunti, quei vicini vivevano in buona armonia; ma l’uomo nemico, che si compiace di seminar la zizzania tra il buon grano, ha fatto cattivi rapporti contro gli uni e gli altri; il marito e la moglie non possono più sopportarsi; i congiunti, i vicini sono divenuti nemici irreconciliabili. I confessori, i predicatori impieghino pure tutto ciò che v’ha di più forte nella Religione per riunirli, non ne potranno venir a capo. Chi è mai la cagione di questi mali? Siete voi, lingue di vipere, che avete cercati i motivi di divisione, o che non avete saputo osservare il silenzio sopra quei segreti a voi affidati. Invano farete degli sforzi per disingannare gli animi divisi; non ne verrete a capo: voi avrete parlato male di quell’uomo, che occupa nel mondo un posto vantaggioso, di quel mercante, di quell’artigiano, di quel servo; il posto di quell’uomo gli diventa inutile; il negozio di quel mercante cade, quell’artigiano perde i suoi avventori, quel servo non può più trovare padrone. Voi avete macchiato l’onore di quel giovane, di quella zitella, che erano sul punto di prendere un collocamento; essi sono al presente frustrati delle loro speranze, non possono più trovar partito. Come riparerete i danni che avete loro cagionati? Eppure voi siete a questo obbligati sotto pena di dannazione; ma troppo vi costerebbe l’adempiere a quest’obbligo; e però voi non lo farete. Ed ecco ciò che rende il vostro peccato in qualche modo irremissibile per una certa impossibilità in cui siete di ripararne i funesti effetti, tanto più ancora che questa riparazione trova in voi medesimi ostacoli quasi insuperabili. – Quando alcuno ha fatto torto al prossimo ne’ beni di fortuna, può ripararlo senza farsi conoscere; egli può servirsi d’una via straniera, come d’un amico fedele, d’un prudente confessore, per le restituzioni a cui è obbligato; può anche ritrovarsi in uno stato d’impossibilità, che lo esenti affatto dalla restituzione; ma non così della riparazione che deve farsi alla riputazione che si è denigrata. Siccome quest’obbligo non può esser adempito che da colui che ha parlato male, bisogna che comparisca in persona, e che si faccia conoscere in questa riparazione; il che non può fare che a danno della sua propria riputazione. Cioè a dire, che deve o farsi credere un impostore, se quel che ha detto non è vero; oppure un indiscreto, un indegno, un invidioso, un temerario, se quel che ha detto è vero: bisogna dunque che ripari l’altrui onore con la perdita dei suoi propri beni. Or è ella cosa facile di sacrificare il suo onore, la sua riputazione, infamarsi, screditarsi nel concetto degli altri, per onorare quelli che si sono diffamati? Ah! quanto mai non costa questo all’amor proprio sempre ingegnoso a evitar l’obbrobrio, e a conservarsi la stima altrui! Un tale sforzo non può essere che l’effetto d’una grazia onnipotente e di un desiderio ardentissimo della sua salute. Ma la prova che questo passo è difficile, si è che non si fa. Si odono moltissimi mormorare, ma se ne vedono forse molti che riparino il torto, che han fatto con la maldicenza? Eppure è un obbligo indispensabile, ove non si può allegare pretesto d’impossibilità, perché siamo sempre padroni di parlare a vantaggio del prossimo, e nulla è maggiormente a nostra disposizione che l’uso della parola. – Ma io suppongo ancora, che il maldicente si faccia violenza per rendere alla riputazione altrui il lustro che le ha tolto: ne potrà egli venir a capo, quando il veleno della sua maldicenza si è sparso si lungi che non è quasi più possibile di arrestarlo? Quando la sua maldicenza è giunta alle orecchie d’un gran numero di persone, come accade ordinariamente, allorché essa è divulgata in un villaggio, in una città, in una provincia; Come mai il maldicente potrà egli riparare l’onore altrui in tutti i luoghi ove è stato macchiato? Ed è forse d’uopo il dirvi, fratelli miei, che, se Dio domandasse questa riparazione per intero, la maldicenza diverrebbe un peccato irremissibile? Eppure se in queste circostanze la riparazione diventa impossibile, il maledico non lascia perciò di essere obbligato di fare tutto ciò che dipende da lui per riparare il male che ha fatto. Or farà egli tutto ciò che è necessario per questo? Prenderà egli tutte le misure convenevoli per scaricarsi dell’obbligo in cui si è impegnato? Lo farete voi? L’avete voi di già fatto, voi che avete questi rimproveri a farvi? Ah! grande e giusto Dio, quanti mali e qual difficoltà per ripararli! Avvertite dunque ben bene, dice lo Spirito Santo, a non peccare con la lingua, per tema che la vostra caduta, divenuta incurabile, non vi dia la morte: Casus insanabilis ad mortem (Eccli. XXVIII).

Pratiche. Mettete dunque un freno alla lingua, e non ve ne servite giammai per intaccare la riputazione altrui. Parlate sempre bene degli assenti; se nulla in loro lode avete a dire, tenetevi in silenzio; poiché diceva un antico, niuno si penti mai tanto di aver taciuto, quanto di aver parlato: Nullum locutum fuisse sæpe poenituit, tacuisse nunquam. Mettetevi in luogo di coloro di cui vorreste censurare la condotta. Sareste voi contenti che taluno vi trattasse nel modo che trattate gli altri? Non vorreste voi forse al contrario, che se qualcheduno parlasse male di voi in un’assemblea, un altro prendesse la vostra difesa? Fate lo stesso a riguardo del vostro prossimo, ed eserciterete la carità, che Dio richiede da voi. Imponetevi per penitenza, osservare il silenzio un certo tempo della giornata, e domandate a Dio ogni mattina la grazia di fare un santo uso della vostra lingua. Se voi avete diffamato il vostro prossimo di qualche delitto che gli abbiate imputato per calunnia, bisogna a qualunque costo disdirvi: se il delitto di cui l’avete accusato è vero, bisogna con tutte lodi che potete dargli, cancellare le malvage impressioni, che la vostra maldicenza ha fatto sopra lo spirito di coloro che vi hanno udito. Siccome la maldicenza viene ordinariamente dalla superbia, e dalla brama che abbiamo d’innalzarci al di sopra degli altri, siate umili ed abbiate bassi sentimenti di voi medesimi, ad esempio del grande Apostolo, che si riguardava come un aborto ed il maggiore dei peccatori: allora voi non parlerete male di alcuno. Ricordatevi ancora dell’avviso che vi dà lo Spirito Santo; di non frequentar né ascoltare i maldicenti: Cum detractoribus ne commisceamini (Prov. XXIV),poiché se voi li ascoltate , vi renderete complici della loro maldicenza per l’occasione che loro darete, Voi sareste ancora molto più colpevoli, se induceste i maldicenti a parlar male, o con i vostri cattivi consigli o con interrogazioni che loro fareste, o con l’approvazione, che loro dareste tenendo un iniquo silenzio. Allorché alla vostra presenza si opprime un innocente, che non dipenderebbe che da voi di giustificare, voi siete obbligati in quell’occasione a prendere la sua difesa e ad opporvi alla calunnia. Se la maldicenza che si spaccia è vera, voi siete sempre colpevoli di prestarle orecchio. Che convien dunque fare quando udiamo parlare male? Se coloro che mormorano sono vostri inferiori, servitevi, della vostra autorità per imporre loro silenzio; se sono vostri uguali, opponetevi alla maldicenza, o volgendo altrove il discorso e scusando coloro di cui si parla male sopra l’intenzione, la debolezza, la fragilità umana o qualche altra circostanza, che una carità ingegnosa sa benissimo ritrovare, o finalmente abbandonando la compagnia, se si può convenevolmente: se sono vostri superiori, coloro che parlano male, dimostrate il vostro dispiacere col silenzio, gemete nel fondo della vostra anima su ciò che udite; mettete, secondo il consiglio dello Spirito Santo, delle spine alle vostre orecchie, affinché il veleno della maldicenza non penetri nel vostro cuore, vale a dire, rendetele inaccessibili alle impressioni che essa fa in un cuore che volentieri vi si arrende, o che non sa difendersene. Finalmente in qualunque occasione il caso o la necessità vi esponga ad udire parlar male, comportatevi in tal modo che il vostro contegno faccia conoscere quanto la maldicenza vi dispiace; poiché siccome, dice la Scrittura, il vento di aquilone dissipa le piogge, così un mesto sembiante arresta la lingua d’un detrattore: Ventus aquilo dissipat pluvias, et facies tristis linguam detrahentem (Prov. XXV). Fatevi una legge non solamente di non fare giammai alcun rapporto contro chicchessia, ma ancora di non ascoltare giammai coloro che ve ne faranno; mentre o colui che vi riferisce qualche fallo che può muovervi a sdegno contro d’un altro è un nemico, o è suo amico. Se è un nemico, egli opera per odio, voi non dovete credergli; se è un amico, egli è un amico falso che non ne merita il nome; riguardatelo come un traditore, un indegno, un infedele, capace di rendere un sì malvagio servizio a voi come ha fatto con altri. Finalmente, fratelli miei, regolate così bene la vostra lingua che non ve ne serviate giammai se non per ben parlare, per glorificar Dio in questo mondo, a fine di glorificarlo nell’altro. Così sia.

 Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps XXIX:2-3
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me, nec delectásti inimícos meos super me: Dómine, clamávi ad te, et sanásti me.

[O Signore, Ti esalterò perché mi hai accolto e non hai permesso che i miei nemici ridessero di me: Ti ho invocato, o Signore, e Tu mi hai guarito.]

Secreta

Réspice, Dómine, quǽsumus, nostram propítius servitútem: ut, quod offérimus, sit tibi munus accéptum, et sit nostræ fragilitátis subsidium.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno al nostro servizio, affinché ciò che offriamo a Te sia gradito, e a noi sia di aiuto nella nostra fragilità.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Prov III: 9-10
Hónora Dóminum de tua substántia, et de prímitus frugum tuárum: et implebúntur hórrea tua saturitáte, et vino torculária redundábunt.

[Onora il Signore con i tuoi beni e con l’offerta delle primizie dei tuoi frutti, allora i tuoi granai si riempiranno abbondantemente e gli strettoi ridonderanno di vino.]

Postcommunio   

Orémus.
Sentiámus, quǽsumus, Dómine, tui perceptióne sacraménti, subsídium mentis et córporis: ut, in utróque salváti, cæléstis remédii plenitúdine gloriémur.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo sacramento, noi sperimentiamo l’aiuto per l’ànima e per il corpo, affinché, salvi nell’una e nell’altro, ci gloriamo della pienezza del celeste rimedio.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – “MUNIFICENTISSIMUS DEUS”

Davanti a questa Lettera Enciclica si resta come rapiti ed estasiati davanti alla scienza teologica, alla dottrina così sapientemente esposta, alla devozione manifestata con tale amore filiale, con la decisione ed il piglio sicuro di chi si assume in piena autorità e responsabilità il compito di definire un dogma di fede così importante e fondamento dell’edificio spirituale Cattolico. Si intravede qui con chiarezza il “dito di Dio” e la pienezza dello Spirito Santo in azione. Innanzitutto il Pontefice non nasconde le difficoltà della vera Chiesa di Cristo, e del suo Pontificato « … assillato da tante cure, preoccupazioni e angosce, per le presenti gravissime calamità e l’aberrazione di molti dalla verità e dalla virtù … », e dopo aver dato tutte le prove dottrinali, scritturali, patristiche e teologiche per la definizione del grande dogma di fede cattolica e divina, si augura che ciò possa portare il Cristiano a vivere con gioia la sua vita di fede nell’attesa di una resurrezione così splendidamente illustrata da questo procedente eclatante e meraviglioso … « mentre il materialismo e la corruzione dei costumi da esso derivata minacciano di sommergere ogni virtù e di fare scempio di vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi agli occhi di tutti in modo luminosissimo a quale eccelso fine le anime e i corpi siano destinati ». Non c’è nulla da aggiungere a commento delle parole sapientissime del Sommo Pontefice, anche se non possiamo rammaricarci del fatto che tanti Cristiani, senza scienza né conoscenza dottrinale neghino nei fatti questa verità di fede guidati come sono da un’orda di irresponsabili chierici, per lo più finti e sacrileghi, che guidano milioni di anime verso il modernismo anticristiano, somma di tutte le eresie, praticato dalla setta del “falso profeta”, quella del Vaticano II, condividendone la sorte finale: lo stagno di fuoco eterno. Che la Vergine Assunta in cielo possa schiacciare il capo del dragone maledetto, che è il diavolo, capo della bestia, le sue membra, cioè gli aderenti alle conventicole di perdizione, ai partiti politici laici anticristiani, ai poteri cosiddetti forti nell’empietà, e al falso profeta, cioè a tutte le sette eretiche e scismatiche che operano sacrilegamente a perdizione delle anime create da Dio per partecipare alla vita divina ed all’eterna felicità in anima e corpo.

PIO XII
SERVO DEI SERVI DI DIO
A PERENNE MEMORIA

COSTITUZIONE APOSTOLICA

MUNIFICENTISSIMUS DEUS (1)

LA GLORIFICAZIONE DI MARIA
CON L’ASSUNZIONE AL CIELO
IN ANIMA E CORPO

Il munificentissimo Dio, che tutto può e le cui disposizioni di provvidenza sono fatte di sapienza e d’amore, nei suoi imperscrutabili disegni contempera nella vita dei popoli e in quella dei singoli uomini dolori e gioie, affinché per vie diverse e in diverse maniere tutto cooperi in bene per coloro che lo amano (cf. Rm VIII, 28).  – Il Nostro pontificato, come anche l’età presente, è assillato da tante cure, preoccupazioni e angosce, per le presenti gravissime calamità e l’aberrazione di molti dalla verità e dalla virtù; ma Ci è di grande conforto vedere che, mentre la Fede Cattolica si manifesta pubblicamente più attiva, si accende ogni giorno più la devozione verso la vergine Madre di Dio, e quasi dovunque è stimolo e auspicio di una vita migliore e più santa. Per cui, mentre la santissima Vergine compie amorosissimamente l’ufficio di madre verso i redenti dal sangue di Cristo, la mente e il cuore dei figli sono stimolati con maggiore impegno a una più amorosa contemplazione dei suoi privilegi.  Dio, infatti, che da tutta l’eternità guarda Maria vergine, con particolare pienissima compiacenza, «quando venne la pienezza del tempo» (Gal. IV, 4), attuò il disegno della sua provvidenza in tal modo che risplendessero in perfetta armonia i privilegi e le prerogative che con somma liberalità ha riversato su di lei. Che se questa somma liberalità e piena armonia di grazie dalla chiesa furono sempre riconosciute e sempre meglio penetrate nel corso dei secoli, nel nostro tempo è stato posto senza dubbio in maggior luce il privilegio della corporea assunzione al cielo della vergine Madre di Dio Maria.  – Questo privilegio risplendette di nuovo fulgore fin da quando il nostro predecessore Pio IX, d’immortale memoria, definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione dell’augusta Madre di Dio. Questi due privilegi infatti sono strettamente connessi tra loro. Cristo con la sua morte ha vinto il peccato e la morte, e sull’uno e sull’altra riporta vittoria in virtù di Cristo chi è stato rigenerato soprannaturalmente col battesimo. Ma per legge generale Dio non vuole concedere ai giusti il pieno effetto di questa vittoria sulla morte se non quando sarà giunta la fine dei tempi. Perciò anche i corpi dei giusti dopo la morte si dissolvono, e soltanto nell’ultimo giorno si ricongiungeranno ciascuno con la propria anima gloriosa. – Ma da questa legge generale Dio volle esente la beata vergine Maria. Ella per privilegio del tutto singolare ha vinto il peccato con la sua concezione immacolata; perciò non fu soggetta alla legge di restare nella corruzione del sepolcro, né dovette attendere la redenzione del suo corpo solo alla fine del mondo. 

Plebiscito unanime

 Per questo, quando fu solennemente definito che la Vergine Madre di Dio Maria fu immune della macchia ereditaria fin dalla sua concezione, i fedeli furono pervasi da una più viva speranza che quanto prima sarebbe stato definito dal supremo Magistero della Chiesa anche il dogma della corporea Assunzione al cielo di Maria Vergine.  – Infatti si videro non solo singoli fedeli, ma anche rappresentanti di nazioni o di province ecclesiastiche e anzi non pochi padri del concilio Vaticano chiedere con vive istanze all’apostolica sede questa definizione.  In seguito queste petizioni e voti non solo non diminuirono, ma aumentarono di giorno in giorno per numero ed insistenza. Infatti per questo scopo furono promosse crociate di preghiere; molti ed esimi teologi intensificarono i loro studi su questo soggetto, sia in privato, sia nei pubblici atenei ecclesiastici e nelle altre scuole destinate all’insegnamento delle sacre discipline; in molte parti dell’Orbe Cattolico furono tenuti congressi mariani sia nazionali sia internazionali. Tutti questi studi e ricerche posero in maggiore luce che nel deposito della fede affidato alla Chiesa era contenuto anche il dogma dell’Assunzione di Maria Vergine al cielo; e generalmente ne seguirono petizioni con cui si chiedeva instantemente a questa Sede Apostolica che questa verità fosse solennemente definita. – In questa pia gara i fedeli furono mirabilmente uniti coi loro pastori, i quali in numero veramente imponente rivolsero simili petizioni a questa Cattedra di S. Pietro. Perciò quando fummo elevati al trono del Sommo Pontificato erano state già presentate a questa Sede Apostolica molte migliaia di tali suppliche da ogni parte della terra e da ogni classe di persone: dai nostri diletti figli Cardinali del sacro collegio, dai venerabili fratelli Arcivescovi e Vescovi, dalle diocesi e dalle parrocchie. Per la qual cosa, mentre elevavamo a Dio ardenti preghiere perché infondesse nella Nostra mente la luce dello Spirito Santo per decidere di una causa così importante, impartimmo speciali ordini perché si fondessero insieme le forze e venissero iniziati studi più rigorosi su questo soggetto, e intanto si raccogliessero e si ponderassero accuratamente tutte le petizioni che dal tempo del Nostro predecessore Pio IX, di felice memoria, fino ai nostri tempi erano state inviate a questa Sede Apostolica circa l’assunzione della Beatissima Vergine Maria al cielo.(2)

Il Magistero della chiesa

Ma poiché si trattava di cosa di tanta importanza e gravità, ritenemmo opportuno chiedere direttamente e in forma ufficiale a tutti i venerabili fratelli nell’episcopato che Ci esprimessero apertamente il loro pensiero. Perciò il 1° maggio 1946 indirizzammo loro la lettera [enciclica Deiparae Virginis Mariae, in cui chiedevamo: «Se voi, venerabili fratelli, nella vostra esimia sapienza e prudenza ritenete che l’assunzione corporea della beatissima Vergine si possa proporre e definire come dogma di fede, e se col vostro clero e il vostro popolo lo desiderate».  – E coloro che «lo Spirito Santo ha costituito Vescovi per pascere la chiesa di Dio» (At XX, 28) hanno dato all’una e all’altra domanda una risposta pressoché unanimemente affermativa. Questo «singolare consenso, dell’episcopato cattolico e dei fedeli»,(3) nel ritenere definibile, come dogma di fede, l’assunzione corporea al cielo della Madre di Dio, presentandoci il concorde insegnamento del Magistero Ordinario della Chiesa e la fede concorde del popolo cristiano, da esso sostenuta e diretta, da se stesso manifesta in modo certo e infallibile che tale privilegio è verità rivelata da Dio e contenuta in quel divino deposito che Cristo affidò alla sua Sposa, perché lo custodisse fedelmente e infallibilmente lo dichiarasse.(4) Il Magistero della Chiesa, non certo per industria puramente umana, ma per l’assistenza dello Spirito di verità (cf. Gv XIV, 26), e perciò infallibilmente, adempie il suo mandato di conservare perennemente pure e integre le verità rivelate, e le trasmette senza contaminazione, senza aggiunte, senza diminuzioni. «Infatti, come insegna il concilio Vaticano, ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo, perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, ossia il deposito della fede».(5) Pertanto dal consenso universale di un Magistero Ordinario della chiesa si trae un argomento certo e sicuro per affermare che l’Assunzione corporea della Beata Vergine Maria al cielo, – la quale, quanto alla celeste glorificazione del corpo virgineo dell’augusta Madre di Dio, non poteva essere conosciuta da nessuna facoltà umana con le sole sue forze naturali è verità da Dio rivelata, e perciò tutti i figli della Chiesa debbono crederla con fermezza e fedeltà. Poiché, come insegna lo stesso Concilio Vaticano, «debbono essere credute per fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o trasmessa oralmente o col suo Ordinario e Universale Magistero, propone a credere come rivelate da Dio».(6)  – Di questa fede comune della Chiesa si ebbero fin dall’antichità lungo il corso dei secoli varie testimonianze, indizi e vestigia; anzi tale fede si andò manifestando sempre più chiaramente. I fedeli, guidati e istruiti dai loro pastori, appresero bensì dalla s. Scrittura che la Vergine Maria, durante il suo terreno pellegrinaggio, menò una vita piena di preoccupazioni, angustie e dolori; inoltre che si avverò ciò che il santo vecchio Simeone aveva predetto, perché un’acutissima spada le trapassò il cuore ai piedi della croce del suo divino Figlio, nostro Redentore. Parimenti non trovarono difficoltà nell’ammettere che Maria sia morta, come già il suo Unigenito. Ma ciò non impedì loro di credere e professare apertamente che non fu soggetto alla corruzione del sepolcro il suo sacro Corpo e che non fu ridotto in putredine e in cenere l’augusto tabernacolo del Verbo divino. Anzi, illuminati dalla divina grazia e spinti dall’amore verso Colei che è Madre di Dio e Madre nostra dolcissima, hanno contemplato in luce sempre più chiara l’armonia meravigliosa dei privilegi che il provvidentissimo Iddio ha elargito all’alma Socia del nostro Redentore, e che hanno raggiunto un tale altissimo vertice, quale da nessun essere creato, eccettuata la natura umana di Cristo, è stato mai raggiunto.

L’omaggio dei fedeli

Questa stessa fede attestano chiaramente quegli innumerevoli templi dedicati a Dio in onore di Maria Vergine Assunta al cielo, e le sacre immagini ivi esposte alla venerazione dei fedeli, le quali pongono dinanzi agli occhi di tutti questo singolare trionfo della Beata Vergine. Inoltre città, diocesi e regioni furono poste sotto la speciale tutela e patrocinio della Vergine Assunta in cielo; parimenti con l’approvazione della Chiesa sono sorti Istituti religiosi che prendono nome da tale privilegio. Né va dimenticato che nel Rosario mariano, la cui recita è tanto raccomandata da questa Sede Apostolica, viene proposto alla pia meditazione un mistero che, come tutti sanno, tratta dell’Assunzione della Beatissima Vergine.

La liturgia delle chiese d’oriente e d’occidente

Ma in modo più splendido e universale questa fede dei sacri Pastori e dei fedeli Cristiani è manifestata dal fatto che fin dall’antichità si celebra in Oriente e in Occidente una solenne festa liturgica: di qui infatti i santi Padri e i Dottori della Chiesa non mancarono mai di attingere luce, poiché, come è ben noto, la sacra liturgia, «essendo anche una professione delle celesti verità, sottoposta al supremo Magistero della Chiesa, può offrire argomenti e testimonianze di non piccolo rilievo, per determinare qualche punto particolare della dottrina cristiana».(7)  – Nei libri liturgici, che riportano la festa sia della Dormizione sia dell’Assunzione di santa Maria, si hanno espressioni in qualche modo concordanti nel dire che quando la vergine Madre di Dio salì al cielo da questo esilio, al suo sacro Corpo, per disposizione della divina Provvidenza, accaddero cose consentanee alla sua dignità di Madre del Verbo incarnato e agli altri privilegi a Lei elargiti. Ciò è asserito, per portarne un esempio insigne, in quel Sacramentario che il Nostro predecessore Adriano I, d’immortale memoria, mandò all’imperatore Carlo Magno. In esso infatti si legge: «Degna di venerazione è per noi, o Signore, la festività di questo giorno, in cui la santa Madre di Dio subì la morte temporale, ma non poté essere umiliata dai vincoli della morte Colei che generò il tuo Figlio, nostro Signore, incarnato da lei».(8) – Ciò che qui è indicato con la sobrietà consueta della Liturgia romana, nei libri delle altre antiche liturgie, sia orientali, sia occidentali, è espressa più diffusamente e con maggior chiarezza. Il Sacramentario gallicano, per esempio, definisce questo privilegio di Maria «inspiegabile mistero, tanto più ammirabile, quanto più è singolare tra gli uomini». E nella liturgia bizantina viene ripetutamente collegata l’assunzione corporea di Maria non solo con la sua dignità di Madre di Dio, ma anche con altri suoi privilegi, specialmente con la sua Maternità verginale, prestabilita da un disegno singolare della Provvidenza divina: «A te Dio, re dell’universo, concesse cose che sono al disopra della natura; poiché come nel parto ti conservò vergine, così nel sepolcro conservò incorrotto il tuo corpo, e con la divina traslazione lo conglorificò».(9)

La festa dell’Assunta

Il fatto poi che la Sede Apostolica, erede dell’ufficio affidato al Principe degli apostoli di confermare nella fede i fratelli (cf. Lc XXII, 32), con la sua autorità rese sempre più solenne questa festa, stimolò efficacemente i fedeli ad apprezzare sempre più la grandezza di questo mistero. Così la festa dell’Assunzione dal posto onorevole che ebbe fin dall’inizio tra le altre celebrazioni mariane, fu portata in seguito fra le più solenni di tutto il ciclo liturgico. Il Nostro predecessore s. Sergio I, prescrivendo la litania o processione stazionale per le quattro feste mariane, enumera insieme la Natività, l’Annunciazione, la Purificazione e la Dormizione di Maria.(10) In seguito s. Leone IV volle aggiungere alla festa, che già si celebrava sotto il titolo dell’Assunzione della beata Genitrice di Dio, una maggiore solennità, prescrivendone la vigilia e l’ottava; e in tale circostanza volle partecipare personalmente alla celebrazione in mezzo a una grande moltitudine di fedeli.(11) Inoltre che già anticamente questa festa fosse preceduta dall’obbligo del digiuno appare chiaro da ciò che attesta il Nostro predecessore s. Niccolò I, ove parla dei principali digiuni «che la santa Chiesa Romana ricevette dall’antichità ed osserva tuttora».(12) – Ma poiché la liturgia della Chiesa non crea la Fede Cattolica, ma la suppone, e da questa derivano, come frutti dall’albero, le pratiche del culto, i santi Padri e i grandi Dottori nelle omelie e nei discorsi rivolti al popolo in occasione di questa festa non vi attinsero come da prima sorgente la dottrina; ma parlarono di questa come di cosa nota e ammessa dai fedeli; la chiarirono meglio; ne precisarono e approfondirono il senso e l’oggetto, dichiarando specialmente ciò che spesso i libri liturgici avevano soltanto fugacemente accennato: cioè che oggetto della festa non era soltanto l’incorruzione del corpo esanime della beata vergine Maria, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste «glorificazione», a somiglianza del suo unigenito Gesù Cristo.

La voce dei Santi Padri

Così s. Giovanni Damasceno, che si distingue tra tutti come teste esimio di questa tradizione, considerando l’assunzione corporea dell’alma Madre di Dio nella luce degli altri suoi privilegi, esclama con vigorosa eloquenza: « Era necessario che Colei, che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità, conservasse anche senza alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Era necessario che Colei, che aveva portato nel suo seno il Creatore fatto bambino, abitasse nei tabernacoli divini. Era necessario che la Sposa del Padre abitasse nei talami celesti. Era necessario che Colei che aveva visto il suo Figlio sulla croce, ricevendo nel cuore quella spada di dolore dalla quale era stata immune nel darlo alla luce, lo contemplasse sedente alla destra del Padre. Era necessario che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio e da tutte le creature fosse onorata come Madre e Ancella di Dio ».(13) – Queste espressioni di s. Giovanni Damasceno corrispondono fedelmente a quelle di altri, affermanti la stessa dottrina. Infatti parole non meno chiare e precise si trovano nei discorsi che in occasione della festa tennero altri Padri anteriori o coevi. Così, per citare altri esempi, s. Germano di Costantinopoli trovava consentanea l’incorruzione e l’Assunzione al cielo del corpo della Vergine Madre di Dio, non solo alla sua divina Maternità, ma anche alla speciale santità del suo stesso corpo verginale: «Tu, come fu scritto, apparisci “in bellezza”, e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto domicilio di Dio; cosicché anche per questo sia poi immune dalla risoluzione in polvere; trasformato bensì, in quanto umano, nell’eccelsa vita della incorruttibilità; ma lo stesso vivo, gloriosissimo, incolume e dotato della pienezza della vita».(14) E un altro antico scrittore dice: « Come gloriosissima Madre di Cristo, nostro Salvatore e Dio, donatore della vita e dell’immortalità, è da Lui vivificata, rivestita di corpo in un’eterna incorruttibilità con Lui, che la risuscitò dal sepolcro e la assunse a sé, in modo conosciuto da Lui solo».(15) – Con l’estendersi e l’affermarsi della festa liturgica, i pastori della chiesa e i sacri oratori, in numero sempre maggiore, si fecero un dovere di precisare apertamente e con chiarezza il mistero che è oggetto della festa e la sua strettissima connessione con le altre verità rivelate.

L’insegnamento dei teologi

Tra i Teologi scolastici non mancarono di quelli che, volendo penetrare più addentro nelle verità rivelate e mostrare l’accordo tra la ragione teologica e la Fede Cattolica, fecero rilevare che questo privilegio dell’Assunzione di Maria Vergine concorda mirabilmente con le verità che ci sono insegnate dalla sacra Scrittura. – Partendo da questo presupposto, presentarono per illustrare questo privilegio mariano diverse ragioni, contenute quasi in germe in questo: che Gesù ha voluto l’Assunzione di Maria al cielo per la sua pietà filiale verso di Lei. Ritenevano quindi che la forza di tali argomenti riposa sulla dignità incomparabile della Maternità divina e su tutte quelle doti che ne conseguono: la sua insigne santità, superiore a quella di tutti gli uomini e di tutti gli Angeli; l’intima unione di Maria col suo Figlio; e quell’amore sommo che il Figlio portava alla sua degnissima Madre. – Frequentemente poi s’incontrano teologi e sacri oratori che, sulle orme dei santi Padri, (16) per illustrare la loro fede nell’Assunzione si servono, con una certa libertà, di fatti e detti della s. Scrittura. Così per citare soltanto alcuni testi fra i più usati, vi sono di quelli che riportano le parole del Salmista: «Vieni o Signore, nel tuo riposo; tu e l’Arca della tua santificazione» (Sal CXXXI, 8), e vedono nell’Arca dell’Alleanza fatta di legno incorruttibile e posta nel tempio del Signore, quasi una immagine del corpo purissimo di Maria Vergine, preservato da ogni corruzione del sepolcro ed elevato a tanta gloria nel cielo. Allo stesso scopo descrivono la Regina che entra trionfalmente nella reggia celeste e si asside alla destra del divino Redentore (Sal XLIV, 14-16), nonché la Sposa del Cantico dei cantici «che sale dal deserto, come una colonna di fumo dagli aromi di mirra e d’incenso» per essere incoronata (Ct III, 6; cf. IV, 8; VI, 9). L’una e l’altra vengono proposte come figure di quella Regina e Sposa celeste, che, insieme col divino Sposo, è innalzata alla reggia dei cieli. – Inoltre i dottori scolastici videro adombrata l’assunzione della vergine Madre di Dio, non solo in varie figure dell’Antico Testamento, ma anche in quella Donna vestita di sole, che l’Apostolo Giovanni contemplò nell’isola di Patmos (Ap 12, 1s). Così pure, fra i detti del Nuovo Testamento, considerarono con particolare interesse le parole «Ave, o piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne» (Lc 1, 28), poiché vedevano nel mistero dell’Assunzione un complemento della pienezza di grazia elargita alla beatissima Vergine, e una benedizione singolare in opposizione alla maledizione di Eva. – Perciò sul principio della teologia scolastica il pio Amedeo, Vescovo di Losanna, afferma che la carne di Maria Vergine rimase incorrotta; – non si può credere infatti che il suo corpo vide la corruzione, – perché realmente fu riunito alla sua anima e insieme con essa fu circonfuso di altissima gloria nella corte celeste. «Era infatti piena di grazia e benedetta fra le donne (Lc 1, 28). Lei sola meritò di concepire Dio vero da Dio vero, che partorì vergine, vergine allattò, stringendolo al seno, ed al quale prestò in tutto i suoi santi servigi e omaggi».(17) – Tra i sacri scrittori poi che in questo tempo, servendosi di testi scritturistici o di similitudini ed analogie, illustrarono e confermarono la pia sentenza dell’assunzione, occupa un posto speciale il dottore evangelico, s. Antonio da Padova. Nella festa dell’Assunzione, commentando le parole d’Isaia: «Glorificherò il luogo dove posano i miei piedi» (Is 60, 13), affermò con sicurezza che il divino Redentore ha glorificato in modo eccelso la sua Madre dilettissima, dalla quale aveva preso umana carne. «Con ciò si ha chiaramente – dice – che la beata Vergine è stata Assunta col corpo, in cui fu il luogo dei piedi del Signore». Perciò scrive il Salmista: «Vieni, o Signore, nel tuo riposo, tu e l’Arca della tua santificazione». Come Gesù Cristo, dice il santo, risorse dalla sconfitta morte e salì alla destra del Padre suo, così «risorse anche dall’Arca della sua santificazione, poiché in questo giorno la Vergine Madre fu assunta al talamo celeste».(18)

La dottrina di s. Alberto Magno e di s. Tommaso d’Aquino

Quando nel Medio Evo la teologia scolastica raggiunse il suo massimo splendore, s. Alberto Magno, dopo aver raccolti, per provare questa verità, vari argomenti, fondati sulla s. Scrittura, la tradizione, la liturgia e la ragione teologica, conclude: «Da queste ragioni e autorità e da molte altre è chiaro che la beatissima Madre di Dio è stata Assunta in corpo ed anima al disopra dei cori degli Angeli. E ciò crediamo assolutamente vero».(19) E in un discorso tenuto il giorno dell’Annunciazione di Maria, spiegando queste parole del saluto dell’Angelo: «Ave, o piena di grazia …», il dottore universale paragona la Santissima Vergine con Eva e dice espressamente che fu immune dalla quadruplice maledizione alla quale Eva fu soggetta.(20) – Il Dottore Angelico, seguendo le vestigia del suo insigne Maestro, benché non abbia mai trattato espressamente la questione, tuttavia ogni volta che occasionalmente ne parla, ritiene costantemente con la Chiesa Cattolica che insieme all’anima è stato assunto al cielo anche il corpo di Maria.(21)

L’interpretazione di s. Bonaventura

Dello stesso parere è, fra molti altri, il dottore serafico, il quale ritiene assolutamente certo che, come Dio preservò Maria santissima dalla violazione del pudore e dell’integrità verginale nella concezione e nel parto, così non ha permesso che il suo corpo si disfacesse in putredine e cenere.(22) Interpretando poi e applicando in senso accomodatizio alla Beata Vergine queste parole della s. Scrittura: «Chi è costei che sale dal deserto, ricolma di delizie, appoggiata al suo diletto?» (Ct VIII, 5), così ragiona: «E di qui può constare che è ivi (nella città celeste) corporalmente. … Poiché infatti … la beatitudine non sarebbe piena, se non vi fosse personalmente; e poiché la persona non è l’anima, ma il composto, è chiaro che vi è secondo il composto, cioè il corpo e l’anima, altrimenti non avrebbe una piena fruizione». (23)

Il pensiero della Scolastica nel secolo XV

Nella tarda scolastica, ossia nel secolo XV, s. Bernardino da Siena, riassumendo e di nuovo trattando con diligenza tutto ciò che i teologi del Medioevo avevano detto e discusso a tal proposito, non si restrinse a riportare le principali considerazioni già proposte dai dottori precedenti, ma ne aggiunse delle altre. La somiglianza cioè della divina Madre col Figlio divino, quanto alla nobiltà e dignità dell’anima e del corpo – per cui non si può pensare che la celeste Regina sia separata dal Re dei cieli – esige apertamente che «Maria non debba essere se non dov’è Cristo»; (24) inoltre è ragionevole e conveniente che si trovino già glorificati in cielo l’anima e il corpo, come dell’uomo, così anche della donna; infine il fatto che la Chiesa non abbia mai cercato e proposto alla venerazione dei fedeli le reliquie corporee della Beata Vergine, fornisce un argomento che si può dire «quasi una riprova sensibile».(25)

La conferma dei più recenti scrittori sacri

In tempi più recenti i pareri surriferiti dei santi Padri e dei Dottori furono di uso comune. Aderendo al consenso dei Cristiani, trasmesso dai secoli passati, s. Roberto Bellarmino esclama: «E chi, prego, potrebbe credere che l’arca della santità, il domicilio del Verbo, il tempio dello Spirito Santo sia caduto? Aborrisce il mio animo dal solo pensare che quella carne verginale che generò Dio, lo partorì, l’alimentò, lo portò, o sia stata ridotta in cenere o sia stata data in pasto ai vermi».(26) – Parimenti s. Francesco di Sales, dopo avere asserito che non è lecito dubitare che Gesù Cristo abbia seguito nel modo più perfetto il divino mandato, col quale ai figli s’impone di onorare i propri genitori, si pone questa domanda: «Chi è quel figlio che, se potesse, non richiamerebbe alla vita la propria madre e non la porterebbe dopo morte con sé in paradiso ?».(27) – E s. Alfonso scrive: «Gesù preservò il corpo di Maria dalla corruzione, perché ridondava in suo disonore che fosse guasta dalla putredine quella carne verginale, di cui Egli si era già vestito».(28) – Chiarito però ormai il mistero che è oggetto di questa festa, non mancarono dottori i quali piuttosto che occuparsi delle ragioni teologiche, dalle quali si dimostra la somma convenienza dell’Assunzione corporea della beata Vergine Maria in cielo, rivolsero la loro attenzione alla fede della Chiesa, mistica Sposa di Cristo, non avente né macchia, né grinza (cf. Ef V., 27), la quale è detta dall’Apostolo «colonna e fondamento della verità» (1 Tm III, 15) e appoggiati a questa fede comune ritennero temeraria per non dire eretica, la sentenza contraria. Infatti s. Pietro Canisio, fra non pochi altri, dopo avere dichiarato che il termine Assunzione significa la glorificazione non solo dell’anima, ma anche del corpo e dopo aver rilevato che la Chiesa già da molti secoli venera e celebra solennemente questo mistero mariano dell’Assunzione, dice: «Questa sentenza è ammessa già da alcuni secoli ed è issata talmente nell’anima dei pii fedeli e così accetta a tutta la Chiesa, che coloro che negano che il corpo di Maria sia stato assunto in cielo, non vanno neppure ascoltati con pazienza, ma fischiati come troppo pertinaci, o del tutto temerari e animati da spirito non già cattolico, ma eretico».(29)  Contemporaneamente il dottore esimio, posta come norma della mariologia che «i misteri della grazia, che Dio ha operato nella Vergine, non vanno misurati secondo le leggi ordinarie, ma secondo l’onnipotenza di Dio, supposta la convenienza della cosa in se stessa, ed esclusa ogni contraddizione o ripugnanza da parte della s. Scrittura» (30) fondandosi sulla fede della chiesa tutta, circa il mistero dell’assunzione, poteva concludere che questo mistero doveva credersi con la stessa fermezza d’animo, con cui doveva credersi l’Immacolata Concezione della Beata Vergine; e già allora riteneva che queste due verità potessero essere definite. – Tutte queste ragioni e considerazioni dei santi padri e dei teologi hanno come ultimo fondamento la s. Scrittura, la quale ci presenta l’alma Madre di Dio unita strettamente al suo Figlio divino e sempre partecipe della sua sorte. Per cui sembra quasi impossibile figurarsi che, dopo questa vita, possa essere separata da Cristo – non diciamo, con l’anima, ma neppure col corpo – Colei che lo concepì, lo diede alla luce, lo nutrì col suo latte, lo portò fra le braccia e lo strinse al petto. Dal momento che il nostro Redentore è Figlio di Maria, non poteva, come osservatore perfettissimo della divina legge, non onorare oltre l’eterno Padre anche la Madre diletta. Potendo quindi dare alla Madre tanto onore, preservandola immune dalla corruzione del sepolcro, si deve credere che lo abbia realmente fatto.

Maria è la nuova Eva

Ma in particolare va ricordato che, fin dal secolo II, Maria Vergine viene presentata dai santi Padri come nuova Eva, strettamente unita al nuovo Adamo, sebbene a lui soggetta, in quella lotta contro il nemico infernale, che, com’è stato preannunziato dal protovangelo (Gn III, 15), si sarebbe conclusa con la pienissima vittoria sul peccato e sulla morte, sempre congiunti negli scritti dell’Apostolo delle genti (cf. Rm cc. V e VI; 1 Cor XV, 21-26.54-57). Per la qual cosa, come la gloriosa risurrezione di Cristo fu parte essenziale e segno finale di questa vittoria, così anche per Maria la lotta che ha in comune col Figlio suo si doveva concludere con la glorificazione del suo corpo verginale: perché, come dice lo stesso Apostolo, «quando… questo corpo mortale sarà rivestito dell’immortalità, allora sarà adempiuta la parola che sta scritta: è stata assorbita la morte nella vittoria» (1 Cor XV, 54). – In tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità «con uno stesso decreto» (31) di predestinazione, immacolata nella sua concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro, e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli (cf. 1 Tm 1, 17).

Le ragioni del nuovo dogma

Poiché la Chiesa universale nella quale vive lo Spirito di verità e la conduce infallibilmente alla conoscenza delle verità rivelate, nel corso dei secoli ha manifestato in molti modi la sua fede, e poiché tutti i Vescovi dell’Orbe Cattolico con quasi unanime consenso chiedono che sia definita come Dogma di fede divina e cattolica la verità dell’Assunzione corporea della Beatissima Vergine Maria al cielo – verità fondata sulla s. Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli, confermata dal culto ecclesiastico fin dai tempi remotissimi, sommamente consona con altre verità rivelate, splendidamente illustrata e spiegata dallo studio della scienza e sapienza dei teologi – riteniamo giunto il momento prestabilito dalla provvidenza di Dio per proclamare solennemente questo privilegio di Maria Vergine. – Noi, che abbiamo posto il Nostro Pontificato sotto lo speciale patrocinio della santissima Vergine, alla quale Ci siamo rivolti in tante tristissime contingenze, Noi, che con pubblico rito abbiamo consacrato tutto il genere umano al suo Cuore Immacolato, e abbiamo ripetutamente sperimentato la sua validissima protezione, abbiamo ferma fiducia che questa solenne proclamazione e definizione dell’Assunzione sarà di grande vantaggio all’umanità intera, perché renderà gloria alla santissima Trinità, alla quale la Vergine Madre di Dio è legata da vincoli singolari. Vi è da sperare infatti che tutti i Cristiani siano stimolati da una maggiore devozione verso la Madre celeste, e che il cuore di tutti coloro che si gloriano del nome Cristiano sia mosso a desiderare l’unione col Corpo Mistico di Gesù Cristo e l’aumento del proprio amore verso Colei che ha viscere materne verso tutti i membri di quel Corpo augusto. Vi è da sperare inoltre che tutti coloro che mediteranno i gloriosi esempi di Maria abbiano a persuadersi sempre meglio del valore della vita umana, se è dedita totalmente all’esercizio della volontà del Padre celeste e al bene degli altri; che, mentre il materialismo e la corruzione dei costumi da esso derivata minacciano di sommergere ogni virtù e di fare scempio di vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi agli occhi di tutti in modo luminosissimo a quale eccelso fine le anime e i corpi siano destinati; che infine la fede nella corporea Assunzione di Maria al cielo renda più ferma e più operosa la fede nella nostra Risurrezione. – La coincidenza provvidenziale poi di questo solenne evento con l’Anno santo che si sta svolgendo, Ci è particolarmente gradita; ciò infatti Ci permette di ornare la fronte della vergine Madre di Dio di questa fulgida gemma, mentre si celebra il massimo giubileo, e di lasciare un monumento perenne della nostra ardente pietà verso la Regina del cielo.

La solenne definizione

« Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio Onnipotente, che ha riversato in Maria Vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo ».

Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla Fede Divina e Cattolica. – Affinché poi questa Nostra definizione dell’Assunzione corporea di Maria vergine al cielo sia portata a conoscenza della Chiesa Universale, abbiamo voluto che stesse a perpetua memoria questa Nostra lettera apostolica; comandando che alle sue copie o esemplari anche stampati, sottoscritti dalla mano di qualche pubblico notaio e muniti del sigillo di qualche persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti assolutamente da tutti la stessa fede; che si presterebbe alla presente, se fosse esibita o mostrata. – A nessuno dunque sia lecito infrangere questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o ad essa opporsi e contravvenire. Se alcuno invece ardisse di tentarlo, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso S. Pietro, nell’anno del massimo giubileo 1950, 1° novembre, festa di tutti i santi, nell’anno dodicesimo del Nostro pontificato.

Noi PIO, Vescovo della Chiesa Cattolica,
così definendo abbiamo sottoscritto


(1) PIUS PP. XII, Const. apost. Munificentissimus Deus qua fidei dogma definitur Deiparam Virginem Mariam corpore et anima fuisse ad caelestem gloriam assumptam, 1 novembris 1950: AAS 42 (1950), pp. 753-771.

La glorificazione di Maria nella sua corporea assunzione è verità radicata profondamente nel senso religioso dei cristiani, come dimostrano lungo il corso dei secoli innumerevoli forme di specifica devozione, ma soprattutto il linguaggio della liturgia dell’Oriente e dell’Occidente. I santi padri e i dottori della chiesa, facendosi eco della liturgia, nelle feste dell’Assunta parlano chiaramente della risurrezione e glorificazione del corpo della Vergine, come di verità conosciuta e accettata da tutti i fedeli. I teologi, trattando di questo argomento, dimostrano l’armonia tra la fede e la ragione teologica e la convenienza di questo privilegio, servendosi di fatti, parole, figure, analogie contenuti nella sacra Scrittura. Accertata così la fede della chiesa universale, il papa ritiene giunto il momento di ratificarla con la sua suprema autorità.

(2) Petitiones de Assumptione corporea B. Virginis Mariae in Cælum definienda ad S. Sedem delatæ, 2 voll., Typis Polyglottis Vaticanis, 1942.

(3) Bulla Ineffabilis Deus: Acta Pii IX, pars I, vol. 1, p. 615; EE 2/app. 

(4) Cf. CONC. VAT. I, Const. dogm. Dei Filius de fide catholica, c. 4: COD 808-809.

(5) CONC. VAT. I, Const. dogm. Pastor Æternus de Ecclesia Christi, c. 4: COD 816.

(6) CONC. VAT. I, Const. dogm. Dei Filius de fide catholica, c. 3: COD 807.

(7) Litt. enc. Mediator Dei: AAS 39 (1947), p. 541; EE 6/475.

(8) Sacramentarium Gregorianum.

(9) Menæi totius anni

(10) Liber Pontificalis.

(11) Ibidem.

(12) Responsa Nicolai Papæ I ad consulta Bulgarorum, 13 nov. 866.

(13) S. IOANNES DAMASCENUS, Encomium in Dormitionem Dei Genetricis semperque Virginis Mariæ, hom. II, 14; cf. etiam ibid., n. 3.

(14) S. GERMANUS CONST., In sanctæ Dei Genetricis Dormitionem, sermo I.

(15) Encomium in Dormitionem sanctissimæ Dominae nostrae Deiparae semperque Virginis Mariae (S. Modesto Hierosol. attributum), n. 14.

(16) Cf. S. IOANNES DAMASCENUS, Encomium in Dormitionem Dei Genetricis semperque Virginis Mariæ, hom. II, 2, 11; Encomium in Dormitionem… (S. Modesto Hierosol. attributum). 

(17) AMEDEUS LAUSANNENSIS, De Beatæ Virginis obitu, Assumptione in Caelum, exaltatione ad Filii dexteram.

(18) S. ANTONIUS PATAV., Sermones dominicales et in solemnitatibus. In Assumptione S. Mariæ Virginis sermo.

(19) S. ALBERTUS MAGNUS, Mariale sive quæstiones super Evang. “Missus est”, q. 132.

(20) S. ALBERTUS MAGNUS, Sermones de sanctis, sermo XV: In Annuntiatione B. Mariæ; cf. etiam: Mariale, q. 132. ,

(21) Cf. Summa theol., III, q. 27, a. 1 c.; ibid., q. 83, a. 5 ad 8; Expositio salutationis angelicæ; In symb. Apostolorum expositio, art. 5; In IV Sent., D. 12, q. 1, art. 3, sol. 3; D. 43, q. 1, art. 3, sol. 1 et 2.

(22) Cf. S. BONAVENTURA, De Nativitate B. Mariæ Virginis, sermo 5. 

(23) S BONAVENTURA, De Assumptione B. Mariæ Virginis, sermo 1.

(24) S. BERNARDINUS SENENSIS, In Assumptione B.M. Virginis, sermo 2. 

(25) IDEM, l.c.

(26) S. ROBERTUS BELLARMINUS, Conciones habitæ Lovanii, concio 40: De Assumptione B. Mariæ Virginis.

(27) Oeuvres de St François de Sales, Sermon autographe pour la fete de l’Assomption.

(28) S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, Le glorie di Maria, parte II, disc. 1.

(29) S. PETRUS CANISIUS, De Maria Virgine.

(30) SUAREZ F., In tertiam panem D. Thomæ, quaest. 27, art. 2, disp. 3, sec. 5, n. 31.

(31) Bulla Ineffabilis Deus: l. c., p. 599; EE 2/app.

FESTA DELL’ASSUNTA (2020)

15 AGOSTO. Assunzione della B. V. M.

[D. G. LEFEBVRE O. S. B.: Messale romano – L.I.C.E. –R. BERRUTI, TORINO 1936]

Doppio di I classe con Ottava Comune – Paramenti bianchi.

In questa festa, la più antica e la più solenne del Ciclo Mariano (VI secolo), la Chiesa invita tutti i suoi figli sparsi nel mondo a unire la loro gioia (Intr.), la loro riconoscenza (Pref.) a quella degli Angeli che lodano il Figlio di Dio, perché sua Madre è entrata in questo giorno, con il corpo e con l’anima, nel cielo (All.). Nella Basilica di Santa Maria Maggiore si celebra a Natale il Mistero, che è il punto di partenza di tutte le glorie della Vergine ed ancora si celebra oggi l’Assunzione, che ne è l’ultimo. Maria, porta in sé l’umanità di Gesù al momento dell’incarnazione del Verbo; oggi è Gesù, che riceve a sua volta il corpo di Maria in cielo. Ammessa a godere le delizie della contemplazione eterna, la Madre ha scelto ai piedi del suo divin Figlio la miglior parte, che non le sarà giammai tolta (Vang., Com.).

In altri tempi si leggeva il Vangelo della Vigilia, dopo quello del giorno, a fine di dimostrare che la Madre di Gesù è la più fortunata tra tutte, perché meglio d’ogni altra, « Ella ascoltò la parola di Dio ». Questa Parola, questo Verbo, questa Sapienza divina che stabilisce, sotto l’Antica Legge, la sua dimora nel popolo d’Israele (Ep.), è discesa sotto la Nuova Legge in Maria. Il Verbo si è incarnato nel seno della Vergine e ora negli splendori della celeste Sion egli l’ha colmata delle delizie della visione beatifica. Come Marta, la Chiesa sulla terra si dedica alle sollecitudini delle quali necessita la vita presente ed ancora come Marta, la Chiesa reclama l’aiuto di Maria (Or., Secr., Postc). Una processione fu sempre fatta nel giorno della festa dell’Assunzione. A Gerusalemme era formata dai numerosi pellegrini che andavano a pregare sulla tomba della Vergine e contribuirono così all’istituzione di questa solennità. Il clero di Costantinopoli faceva anch’esso nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria una processione. A Roma, dal VII al XVI secolo, il corteo papale, al quale prendevano parte le rappresentanze del Senato e del popolo, andava in quel giorno dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore. Questo si chiamava fare la Litania.

Assunzione della Beata Maria Vergine.

[Appendice al Messale ut supra]

La credenza nell’Assunzione corporea di Maria SS. era già radicata da secoli nel cuore dei fedeli, profondamente persuasi che la Vergine, sin dal momento del suo transito da questa terra al Cielo, era stata glorificata da Dio anche nel corpo, senza che dovesse attendere che questo risorgesse, insieme con quello di tutti gli altri, alla fine del mondo. Cosi La festa dell’Assunzione, celebrata già verso il 500 in Oriente, costituì la più antica e la maggiore solennità dell’anno in onore di Maria SS. . Tuttavia la realtà dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo non fu oggetto di una solenne definizione da parte del Papa se non il 1° novembre 1950. In tale giorno, il Sommo Pontefice Pio XII proclamò dogma di fede che « Maria, terminata la carriera della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste quanto all’anima e quanto al corpo. – Questa definizione, maturata lentamente, ma incessantemente nei diciannove secoli che seguirono al beato transito di Maria da questa terra, ha ed avrà un’eco incalcolabile nella dottrina come nella vita cristiana. – Una delle sue conseguenze pratiche sarà quella di attirare vieppiù l’attenzione dei fedeli sulla futura glorificazione nostra non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo. Come Adamo ci rovinò nell’una e nell’altro, così Gesù ci redense non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo, cosicché l’anima del giusto è destinata ad una beatitudine immensa mediante la visione beatifica di Dio, ed il corpo alla sua volta verrà risuscitato, trasformato e configurato a quello glorioso del Cristo. Per Maria SS. la glorificazione corporea avvenne alla fine della sua carriera mortale; per gli altri giusti non avverrà che alla fine del mondo; ma se devono attenderla, non possono però dubitarne; la loro redenzione è certissima e sarà completa e perfetta (Rom. VIII, 23; Ef. IV, 30). Avendo già realizzato pienamente in se stessa il disegno divino della nostra redenzione, Maria SS. è per noi, colla sua Assunzione corporea, un altro modello, oltre quello di Gesù, della divinizzazione dell’anima mediante la visione beatifica e della glorificazione del corpo cui tutti siamo chiamati e che tutti dobbiamo meritare con le buone opere e con le sofferenze di questa vita cristianamente sopportate. Come del Cristo, così saremo coeredi di Maria SS., se soffriremo con Lei e come Lei (Rom. VIII, 17). – D’altra parte l’Assunta non soltanto ci ricorda quale sia la nostra meta soprannaturale e la via per raggiungerla, ma ci presta anche il suo validissimo aiuto. A quel modo che una buona mamma mira sempre a rendere partecipi della sua felicità tutti i suoi figli, così la Madre nostra celeste regna in Paradiso sempre sollecita della salvezza di tutti gli uomini. S. Paolo ci rappresenta Gesù che vive alla destra del Padre, sempre pregando per noi (Rom. VIII, 34; Ebr. VII, 25); la Chiesa, alla sua volta, ci dice che la Vergine è stata assunta in cielo, affinché fiduciosamente s’interponga presso Dio per noi peccatori (Segreta della Vigilia).

Affine di perpetuare anche nella Liturgia il ricordo della definizione del dogma dell’Assunzione di Maria SS., la Santa Sede ha pubblicato una nuova Messa in onore dell’Assunta, ordinando di inserirla nel Messale il giorno 15 d’agosto, in luogo di quella antica (A. A. S. 1950, pag. 703-5).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ap XII: 1
Signum magnum appáruit in cœlo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: perché ha fatto meraviglie].

Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes.

[Onnipotente sempiterno Iddio, che hai assunto in corpo ed ànima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figlio: concédici, Te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose soprannaturali, possiamo divenire partecipi della sua gloria].

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII, 22-25; XV:10

Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri.
[Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo!]

Graduale

Ps XLIV: 11-12; XLIV: 14
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum.

[Ascolta, o figlia; guarda e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il re della tua bellezza.]

V. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus. Allelúja, allelúja.

[V. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. Allelúia, allelúia].

V. Assumpta est María in cælum: gaudet exércitus Angelórum. Allelúja.  

[Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc. 1:41-50
“In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum.”

[In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme.]

OMELIA

ASSUNZIONE E INCORONAZIONE DI MARIA

(G. PERARDI: “LA VERGINE MADRE DI DIO E LA VITA CRISTIANA”, Libr. del SACRO CUORE, TORINO, 1908)

[Imprim. AUG. Card. RICHELIMY, Archiepiscopus. Torino]

XXIV.

Assunzione e Incoronazione di Maria

Un profondo pensatore (Nicolas) meditando sulle relazioni che corrono tra i misteri che celebriamo in onore di Gesù Cristo e quelli che celebriamo in onore di Maria vi riscontrò un’analogia grande, espressa in una splendida pagina che merita di essere ricordata come introduzione al mistero che oggi ricordiamo: l’Assunzione di Maria Vergine al cielo, e la sua incoronazione. – Non v’è un solo mistero di Gesù Cristo, che non abbia il suo accompagnamento, e come il suo eco, in un mistero corrispondente della santissima Vergine, e questo parallelo de’ misteri del Figlio e di quelli della Madre è così costante, che è impossibile non vedervi una legge. Così il primo di tali misteri, quello della predestinazione di Gesù Cristo, implica necessariamente quello della predestinazione di Maria, poiché Egli è predestinato solo in quanto Uomo, e per conseguenza come Figlio di Maria. Il secondo mistero di Gesù Cristo, quello della sua prenunciazione profetica non si presenta a noi senza associar Maria alla medesima grandezza: la donna, la Vergine è sempre mostrata congiuntamente al suo seme, ossia al suo Figliuolo… – Il mistero della venuta di Gesù Cristo sulla terra nell’Incarnazione del Verbo, ne forma un solo con quello dell’Annunciazione: il medesimo mistero che produce un Uomo-Dio fa una Madre di Dio. Il mistero della visita di Gesù Cristo al suo Precursore e della santificazione che gli reca, va unito con quello della visitazione di Maria a sant’Elisabetta; e lo Spirito santo per bocca di questa non benedice a Gesù nascituro senza benedir a Maria. Il mistero del Natale presenta il Bambino con Maria sua madre, sulla quale riflette lo splendore della sua divinità e della gloria che gli danno gli Angeli, i pastori ed i re. Il mistero della presentazione di Gesù al Tempio si congiunge con quello della Purificazione di Maria: di Gesù è annunziato che sarà posto come segno di contraddizione: a Maria è annunziato che la spada del dolore le trapasserà l’anima. – La fuga e il ritorno dall’Egitto ci fanno vedere il Bambino e la Madre, affidati, come unico tesoro, alla custodia, alla fedeltà di Giuseppe. Gesù manifesta nel Tempio la sua sapienza divina; manifesta nel medesimo tempo la sua sommissione a Maria. Inizia i prodigi a Cana di Galilea, che aprono la serie della vita apostolica, ma vi appare l’intercessione potente di Maria. Muore in croce per la nostra salute; presso la Croce sta Maria: in quell’ora dolorosa mentre Gesù morendo diviene nostro Salvatore, Maria coi suoi dolori diviene nostra Madre.  – Così accanto ad ogni mistero, ad ogni gloria di Gesù v’ha un mistero, v’ha una gloria di Maria. Solamente il mistero dell’Ascensione di Gesù non avrà il suo riscontro in un mistero di Maria? Due destini così meravigliosamente uniti sin dalla loro origine e in tutto il loro corso, si separeranno al loro termine? (La Vergine sec. il Vangelo, capo XXII, p. 5°) No! E noi oggi ricordando la gloriosa Assunzione di Maria in corpo ed anima, al cielo, troviamo il mirabile compimento della piena e perfetta unione delle glorie di Maria colle glorie di Gesù Cristo. Esultiamo di questo novello trionfo di Maria.

I . — Maria, morta, venne seppellita. Il corpo di Maria, come quello di Gesù scese nella tomba. Vi rimarrà preda della corruzione? La morte è l’eco della vita. Maria visse umile; ma la sua vita è un intreccio di grandezze. Queste grandezze debbono riflettersi sulla sua morte, accordarvisi in meraviglioso concerto e comporre, nella sua Assunzione al cielo, la gloria delle sue glorie, la grandezza delle sue grandezze (Nicolas, op. cit.). – 1° Maria da tutta l’eternità è stata predestinata Madre di Gesù, Madre di Dio, e perciò è la più santa e la più perfetta immagine del suo Figliuolo. Non si può concepire Gesù senza Maria, separato da Maria; come non possiamo pensare il figlio senza la madre. Maria, per divina predestinazione, unita con Gesù in tutto ne sarebbe poi separata nell’ultimo termine per essere confusa col termine generale degli uomini? La ragione vi ripugna. La destinazione dev’essere al medesimo livello della predestinazione. Maria superiore a tutte le creature per la sua predestinazione di Madre di Dio, deve altresì salire a tutta l’altezza di questa dignità, esservi come portata dal peso medesimo di questa dignità. La predestinazione richiede l’Assunzione perché il primo mistero del destino della Vergine corrisponde all’ultimo.

2° Vi ha un rapporto fra l’entrata e l’uscita di questa vita, tra la concezione e la morte: ed è la mortalità, l’essere soggetti alla morte. Al nostro entrare nel mondo, il peccato originale, la morte spirituale dell’anima ci attende; al nostro uscire la morte ci aspetta. La morte è figlia del peccato. Dove il peccato ebbe una volta accesso trascina dietro di sé la morte. Ma dove il peccato non ha mai potuto avere accesso, neppure la morte ha potere di nuocere. La vita finisce nella morte, perché la vita s’inizia in una morte: la morte del peccato. Tale è la sorte infelice di tutti i figli di Adamo. Di qui la preghiera del profeta che domanda la custodia divina nell’entrata e nell’uscita dal mondo (Salm. CXX, 8. Dominus custodiat introitum tuum et exitum tuum).), nei due passi pericolosi, in due insidie. La grazia di Gesù esaudì la preghiera del profeta e ci libera da queste due insidie: dal peccato originale nel rinascimento spirituale, dalla morte per la risurrezione finale. Questa grazia però lascia sussistere le conseguenze temporali e specialmente la concupiscenza per l’anima durante la vita, e la corruzione pel corpo durante il tempo. Maria preservata dal peccato originale che è la causa della concupiscenza, della morte e della corruzione dell’uomo, doveva pure essere preservata da queste funeste conseguenze. Preservata dal peccato originale che è la corruzione dell’anima, doveva pure essere preservata dalla corruzione del corpo che è la conseguenza del peccato. Perché crederemo noi che Dio abbia accordato a Maria il primo privilegio che è il più grande e non le abbia accordato il secondo che è ben meno del primo? Maria è morta. La morte non fu per Maria l’effetto, la conseguenza del peccato. Morendo, piuttostoché morire, dice il Nicolas « depone la sua mortalità nella tomba per rivestirvi la gloria. Ella fu come concepita alla gloria frammezzo alla morte, come era stata concepita alla grazia di mezzo al peccato. Concepita alla grazia sotto l’involucro spinoso del peccato, senza riceverne il morso, Ella è stata ugualmente concepita alla gloria sotto l’inviluppo della morte senza riceverne la corruzione… È passata per la morte, ma non vi è restata; ella è passata per la morte, ma non per la corruzione. Vi è passata come e perché vi è passato il suo Figliuolo: Egli vi è passato per virtù propria; Ella mercé la grazia di Lui, di quella medesima grazia che ha prevenuto in lei la corruzione, come vi aveva prevenuto il peccato ». La Concezione Immacolata ha come il suo compimento nell’Assunzione.

3° Tra i misteri del Cristianesimo, scrive Bossuet (Sermone II per la festa dell’Assunzione), v’è una concatenazione ammirabile. Il mistero dell’Assunzione di Maria ha un legame particolare coll’Incarnazione del Figliuolo di Dio. Maria ha ricevuto altra volta Gesù dal cielo; è giusto che alla sua volta Gesù riceva in cielo Maria; discendendo fino a Maria, doveva esaltarla lino a sé. Anzi Gesù prende la vita umana da Maria: a Maria rende la vita per riconoscenza. E come appartiene a Dio di mostrarsi sempre più munifico, mentre da Maria non ricevette che una vita mortale, è degno della sua grandezza dartene una gloriosa. Così questi due misteri sono concatenati insieme: e affinché la relazione sia più perfetta gli Angeli intervengono nell’uno e nell’altro, si rallegrano oggi con Maria di vedere un sì bel seguito del mistero ch’essi hanno annunziato. Gesù Cristo, alla fine del mondo, invitando gli eletti alla gloria celeste, dirà loro: « Venite benedetti dal Padre mio, possedete il regno preparatovi fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame, e mi rifocillaste; ebbi sete, e mi deste da bere; fui pellegrino, e mi ricettaste; ignudo e mi copriste; infermo, e mi visitaste; carcerato, e veniste da me… Quante volte avete fatto qualche cosa a uno di questi de’ minimi miei fratelli, l’avete fatta a me» (S. MATTEO XXV 34-36, 40). Or con qual sollecitudine Gesù ha dovuto andare incontro a questa creatura Benedetta fra tutte che l’ha ricevuto in persona, che gli ha dato la vita, l’ha nutrito, allevato per la salute del mondo e per quella gloria celeste di cui ora gode la sua umanità? – Anche sotto un altro aspetto conveniva che Gesù elevasse Maria al trono del cielo, in corpo ed anima, perché conveniva che in cielo fosse onorato il segno sensibile della divina marternità; cioè il corpo stesso di Maria. Per essere glorificato in questo titolo di Figliuolo dell’uomo, Gesù Cristo è asceso al cielo col suo corpo. Per la medesima ragione era conveniente che sollevasse quel corpo di Maria, che ha fornito la materia del suo, per rendere testimonianza a quella qualità di Figliuolo, nella quale ha voluto ricevere le adorazioni nel sommo de’ cieli come le aveva ricevute prima in terra. – Era la gloria, l’onore stesso di Gesù che esigeva l’Assunzione di Maria. – Che cos’è Maria? Ci risponde un principe dell’eloquenza cristiana, che Maria è come Gesù Cristo incominciato. Difatti Gesù è nato da Maria. E perciò dopo l’Ascensione di Gesù al cielo, Maria è stata come un resto di Gesù. E Gesti avrebbe permesso la corruzione nella tomba della carne sua, nella propria Madre ? Gesù trasse la sua vita da Maria e perciò la volle non solo pura nell’anima, ma la onorò singolarmente anche nel corpo per la verginità. Per Gesù, Maria fu vergine e di una verginità singolare, nobilitata pel voto. Gesù nascendo conserva incorruttibile cioè intatto questo corpo verginale. Come ammettere che quel corpo che diede la vita a Gesù, adorno di tante grazie, sia stato abbandonato alla corruzione del sepolcro, sia diventato quell’orribile decomposizione che ci fa indietreggiare inorriditi, quel non so che, pel quale non si ha più nome in alcuna lingua? Come ammettere che la potenza e l’amore di Dio che hanno conservata la casta integrità di Maria, l’abbiano dimenticata poi sino a lasciarla diventare obbrobrio della nostra natura nella tomba? Esclama a questo proposito sant’Agostino: Non solo non ardisco dirlo, ma sento orrore al solo pensarlo. E soggiunge: Se Gesù ha avuto la potenza di conservare, nascendo, vergine Maria, Egli ha avuto altresì il potere di conservarla incorruttibile nella tomba. Se n’ebbe il potere, n’ebbe la volontà e perciò lo ha fatto.

4° Abbiamo altra volta considerato Maria a’ pie’ della Croce, ov’Ella combatte il combattimento decisivo contro il demonio. Maria ha compito sul Calvario la sua missione: è divenuta corredentrice col più grande, col più doloroso sacrificio che creatura abbia mai potuto compiere. Sola Maria, sul Calvario, soffriva non solo nell’anima, ma anche nel corpo quello che Gesù soffriva per le sue ferite. Ella che ha così intimamente partecipato ai dolori, agli strazi di Gesù, doveva egualmente partecipare alla sua gloria. Nel Paradiso terrestre l’uomo e la donna perdettero l’umanità col peccato; entrambi portarono il doloroso peso della prevaricazione. Sul Calvario, a Gesù è associata Maria per la Redenzione dell’uomo. L’Ascensione di Gesù al cielo ha, come risulta da tutta la Scrittura, relazione diretta colla sua dolorosa passione. Egli stesso lo manifestò apertamente ai discepoli d’Emmaus: O stolti, e tardi in cuore a credere cose dette già tutte dai profeti. Non doveva forse Cristo patire tali cose, e così entrare nella sua gloria? (S. LUCA XXIV, 25, 26) E come mai Maria così strettamente unita a Gesù nel dolore della passione, sarebbe esclusa dal suo trionfo? Oh non dubitiamo! Al Calvario doloroso risponde per Gesù la gloria dell’Ascensione, risponde per Maria il trionfo dell’Assunzione.

II. — L’Assunzione di Maria al cielo, non è solo dogma di fede (1 Nov. 1950 Munificetissimus Deus) ma è verità che non possiamo mettere in dubbio senza venire meno al nostro onore ed al nostro dovere di Cristiani.

1° La tradizione cristiana ha sempre ritenuto come verità l’Assunzione di Maria al cielo. I Venerandi Padri del Concilio Vaticano, nella domanda per la definizione dogmatica dell’Assunzione di Maria così parlano: « Se non si vuole appuntare di leggerezza e di credulità la fede della Chiesa in riguardo all’Assunzione di Maria — pensare il che, sarebbe empietà — senza dubbio bisogna fermamente ritenere che tale credenza abbia origine dalla tradizione apostolico-divina, ossia dalla rivelazione ». San Giovanni Damasceno ci ricorda che Giovenale, Patriarca di Gerusalemme, rispondendo nell’anno 451 all’imperatore Marciano che gli aveva inviato messaggeri per avere notizie del sepolcro di Maria, rispondeva, unitamente a’ vari Vescovi di passaggio a Gerusalemme reduci dal Concilio di Calcedonia, dicendo che il corpo di Maria non era nel sepolcro su cui era edificata una Chiesa, ma che il terzo giorno dopo il transito era stato trasportato dagli Angeli in cielo; che il sepolcro, aperto dagli Apostoli, non conteneva che i lintei e le sacre vesti in cui era stata avvolto il cadavere, dalle quali emanava una celestiale fragranza.

2° La Chiesa ha in vari modi confermato la sua fede nell’Assunzione di Maria al cielo. Il pontefice Nicolò I, nell’anno 858 parla del digiuno e della vigilia di tale festa, tramandata dall’antichità coi digiuni delle vigilie di Natale e Pentecoste. Già sotto san Gregorio Magno (590-604) la festa dell’Assunzione era celebrata con rito festivo. Fu pur confermata dall’istituzione dell’ottava che segue la solennità; e nello stabilire festa di precetto il giorno dell’Assunzione.

III. — Oh fossimo capaci di contemplare, o almeno di raffigurarci la gloria di Maria nella sua risurrezione, e nella gloriosa Assunzione. Oseremo tentarlo noi, poveri e deboli mortali? O Maria, deh! manifestaci la gloria dei tuoi trionfi, perché siamo tuoi figli.

1° Il terzo giorno dopo che Maria fu seppellita, riferisce la tradizione, « gli Apostoli che si trovavano a Gerusalemme, essendo sopravvenuto san Tommaso, l’unico che non era stato presente alla morte di Maria, il quale ardentemente desiderava di venerare anche una volta il sacro Corpo che aveva concepito il Figlio di Dio fatto Uomo, aprirono il sepolcro; ma non vi ritrovarono il sacro cadavere » (TAIT, Vita di Maria. Occorre anche notare che, mentre possediamo molte reliquie dei corpi degli Apostoli, nessuno ha mai preteso di possedere una reliquia del corpo di Maria. Se .Maria non fosse assunta in cielo bisognerebbe dire che mentre i primi Cristiani ebbero tanta premura di conservarci i resti mortali degli Apostoli e dei Martiri non si siano dato alcun pensiero dei resti mortali della madre del loro Signore). – Presi di ammirazione alla vista di questo mistero, gli Apostoli, assistiti dallo Spirito di Dio, l’interpretarono così: che Quegli a cui era piaciuto di prender carne nel seno immacolato di Maria, il Verbo di Dio, il Signore della gloria, che nel parto stesso di Lei non aveva voluto offendere la integrità di quel corpo verginale, si era compiaciuto di trasportarlo incorruttibile e immacolato nella gloria, senza fargli aspettare la comune e universale risurrezione degli eletti. Insieme cogli Apostoli si trovavano a questo grande avvenimento Timoteo primo vescovo di Efeso, e Dionigi l’areopagita il quale ne parla egli stesso ne’ suoi scritti (S. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso 2° sulla Dormizione di Maria; Sofronio, Sant’ATANASIO, ecc., Breviar. Rom., die 18 augusti. — Non dobbiamo discutere questa tradizione perché non fondiamo tanto sopra di lei, quanto nel Vangelo la nostra fede in questo glorioso mistero. Tuttavia, osserveremo col Nicolas « …non possiamo trattenerci dal far osservare questa prova morale della sua perfetta veracità, che, se fosse stata un’invenzione, non si sarebbe mancato di rendere gli Apostoli testimoni del miracolo medesimo dell’Assunzione, come lo erano stati di quello dell’Ascensione; eche, limitandosi ad arguire l’Assunzione dal fatto solo della scomparsa del corpo della Santissima Vergine e dalle circostanze che avevano accompagnate la morte e la traslazione di lei, lo stesso racconto imprime, per la sua propria riservatezza, a queste circostanze soprannaturali ea questa induzione dell’avvenimento principale, uncarattere di veracità più conveniente che non sarebbe stata la descrizione dell’avvenimento medesimo »). – Maria a guisa di una nube d’incenso, uscita dalla tomba, si era innalzata verso il cielo. È il dolce paragone che ci presenta la sacra Scrittura: Chi è costei che ascende per deserto quasi piccola colonna di fumo dagli aromati di mirra ed incenso ? (Cant. III, 6). E noi ammirati, rispondiamo: Maria, la Vergine Madre di Dio.

2°Così finisce la scena della terra: nel medesimo tempo s’inizia il trionfo di Maria in cielo. Rappresentate alla vostra mente tutto quanto di grande, di splendido vi è dato immaginare: in confronto della realtà è un nulla. Quando l’intrepida Giuditta tornò vittoriosa dal campo degli Assiri portando la testa del duce Oloferne, « corsero a lei tutti piccoli e grandi… e accesi de’ lumi, se le affollarono tutti d’intorno… tutti adorando il Signore le dissero: Il Signore ti ha benedetta comunicandoti la sua possanza… E Ozia capo del popolo di Israele, le disse: Benedetta se’ tu, o figliuola, dal Signore Dio altissimo, sopra tutte le donne della terra. Benedetto il Signore… perocché Egli questo dì ha talmente esaltato il tuo nome che le tue lodi saranno mai sempre nelle bocche degli uomini… E tutto il popolo disse: Così è, così è » (Giud. XII ). Più tardi « Joakim sommo sacerdote si portò da Gerusalemme a Betulia con tutti gli anziani per vedere Giuditta. Ed essendo ella andata ad incontrarli, la benedissero tutti ad una voce dicendo: Tu gloria di Gerusalemme, tu letizia d’Israele, tu onore del popolo nostro: perocché virilmente hai operato, e hai avuto un cuore costante, perché hai amato la castità » (Ibid. XV, 9-12). Giuditta è figura di Maria: il trionfo suo è una pallida e meschina immagine del trionfo di Maria.

3° L’incomparabile donna s’avvicina al cielo. Principi della Gerusalemme celeste, apritene le porte imperocché si avvicina la vera Giuditta, la benedetta fra tutte le donne. S’aprono i cieli, e n’escono a schiere gli spiriti celesti per andare incontro alla vittoriosa Regina, e farle solenne corteggio. Non più un Angelo solo la saluta piena di grazia; i cori angelici l’acclamano: Gloria di Gerusalemme, letizia del cielo. Non più la sola madre del Battista, non più una sola donna rapita dalla sapienza del Redentore ne acclama beata la madre: ma gli eletti tutti a cori le si fanno incontro: i patriarchi, i profeti, i giusti dell’antico Testamento, i martiri, i vergini l’acclamano giubilanti. Adamo riconosce in Lei la donna promessa. Le eroine di Israele che la figurarono, i suoi santi genitori, il suo sposo Giuseppe gioiscono del suo trionfo. E Maria, più splendida dell’aurora, « bella come la luna, eletta come il sole, terribile come un esercito » (Cant. VI, 9), acclamata da tutti i cori celesti entra nella gloria. Oh feste, oh trionfi della terra! siete un nulla in confronto del trionfo di Maria in cielo. Maria entra in cielo; Iddio, il Signore degli Angeli, le si fa incontro: Surrexit rex in occursum eius (III Re, II, 19). Oh immaginate, se siete capaci, l’incontro di Maria con Dio! Con Gesù suo divino Figliuolo!… la mente si confonde, la parola viene meno. Iddio le stende la mano, la invita alla corona: Veni de Libano, coronaberis (Cant. IV, 18); le addita il trono preparatole da tutta l’eternità. Iddio Padre accoglie la sua figlia; e Maria l’adora. Gesù accoglie la Madre sua; Maria rivede, ritrova il suo Figlio nella gloria che non verrà meno. Lo Spirito Santo accoglie la sua sposa. L’eterno Padre incorona Maria della sua potenza; il Figliuolo della sua sapienza; lo Spirito santo della sua bontà, del suo amore. Maria, sollevata al di sopra degli ordini dei Patriarchi, dei Profeti, de’ Martiri, de’ Vergini, delle Potestà; de’ Cherubini, de’ Serafini, che l’acclamano Signora e Regina, ascende il suo trono alla destra del divin Figlio, riceve gli omaggi di tutti gli spiriti beati della Corte celeste. In quell’istante divenne realtà, la visione che san Giovanni contemplò in cielo: « Una donna vestita di sole, e la luna sotto i piedi di Lei, e sulla testa di Lei una corona di dodici stelle » (Apoc. XII, 1). Intanto la Vergine, mentre gli spiriti beati la circondano in rispettoso silenzio, traendo un’altra volta dal cuore il cantico della riconoscenza, esclama: « L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore. Perché Egli ha riguardato alla bassezza della sua ancella: ed ecco da questo punto mi chiameranno beata tutte le generazioni» (S. Luc. I, 46-48). Anche noi uniamo la mente ed il cuore agli eletti del cielo, anche noi acclamiamo Maria, anche noi deponiamo dinanzi al suo trono i nostri devoti omaggi proclamiamola nostra celeste Regina!

4° La gloria di Maria è gloria nostra perché di Maria siamo figli devoti. Ma oh quali salutari pensieri si affollano alla mente, ricordando il trionfo, l’assunzione e l’incoronazione di Maria in cielo. Maria fu dalla SS. Trinità coronata di gloria come figlia del Padre, come madre del Figlio, come sposa dello Spirito santo, come Regina degli Angeli e degli uomini; coronata per la purezza più angelica, di cuore, di spirito, di corpo, per l’ubbidienza perfetta e l’umiltà profonda, per la carità ardente che la fece vivere e morire d’amor di Dio. E nella eternità beata da sola rende a Dio una gloria più grande di quella che Egli riceve da tutta la Corte celeste; colla sua presenza accresce la gioia di tutti i beati, è mediatrice fra il cielo e la terra, e colla sua intercessione ottiene a noi tutte le grazie. Iddio, coronando, la Santissima Vergine come Regina del cielo, non ha limitato la potenza che le ha decretato sulla creazione. I Dottori pensano che gli eletti vedano in Dio la loro famiglia, le persone colle quali ebbero relazioni in questo mondo. Maria che ha adottato tutti gli uomini ai piedi della Croce, e che ha per noi viscere materne, non può restare indifferente al nostro destino quaggiù; e una delle prerogative della sua beatitudine è quella di seguire col suo sguardo e di proteggere il nostro triste esilio in questa valle di dolore. – Maria ci vede; la divinità è come uno specchio immenso nel quale si riflettono agli occhi della Regina del cielo tutte le creature e tutte le loro opere buone o cattive, ha dunque conoscenza delle nostre miserie, e dell’estremo bisogno che abbiamo della grazia, della misericordia divina, e conosce insieme tutto ciò che Iddio vuole e aspetta da noi. Ora la vista del bene aumenta la sua felicità; essa esulta quando uno dei suoi figliuoli pensa a Dio, ed opera con rettitudine e con carità. Maria ci ama, come oggetto dell’eterno amore di Dio, come immagine di Lui, sue creature di predilezione, e suoi figli; ama in noi i fratelli di Gesù Cristo, conquista e prezzo del suo Sangue adorabile, i tempi dello Spirito santo, i futuri eredi del cielo, di tal guisa, dice sant’Alfonso de’ Liguori, che tutte le tenerezze riunite della terra non sono paragonabili all’affetto che Maria dal cielo porta a ciascuna anima amata da Dio. – Maria ci protegge. Essa è non solo per noi mediatrice supplichevole, ma potente avvocata; non domanda solo per grazia e misericordia, ma quasi comanda. Offre per noi i meriti di Gesù Cristo, e v’aggiunge i suoi; e, come Gesù interpone per noi i suoi meriti avanti al Padre, Maria difende la nostra causa presso Gesù. Il Figlio di Dio ama di essere pregato dalla Madre sua, perché vuole accordare a noi, per l’intercessione di Lei, tutte le sue grazie. E Dio ha dato a Maria un cuore proporzionato a tanto ministero; essa prova un desiderio ardente della salute di ciascuno di noi, e uno zelo indicibile per aiutarci a raggiungere il nostro fine, a meritare la felicità eterna. Oh rallegriamoci dunque che n’abbiamo ben ragione. Maria desidera la nostra salute: dasideriamola anche noi. Maria ci vuole aiutare a conseguirla: vogliamo conseguirla; desideriamo l’aiuto di Maria, domandiamolo, e cerchiamo di rendercene ognor più degni.

IV. — La gloriosa risurrezione e incoronazione di Maria porta di necessità il nostro pensiero al ricordo del nostro ultimo destino. Il nostro corpo, morto, sarà portato al cimitero, seppellito. La corruzione sarà l’ultima sorte del nostro corpo nella tomba? No! Rallegriamoci: questo corpo tempio vivo di Dio, consacrato nel Battesimo, albergo di Dio, un giorno risusciterà. La morte è il trionfo del demonio, perché il peccato, opera del demonio, ha introdotto la morte nel mondo. La risurrezione sarà la riparazione di questo disordine. Sarà anzi l’applicazione della Redenzione al corpo. Nel Battesimo, la Redenzione è applicata all’anima; nella risurrezione verrà applicata al corpo. — Sarà il trionfo completo di Gesù Cristo sulla morte. Se il corpo non risuscitasse, il demonio avrebbe trionfato di Dio, guastando per sempre l’opera di Lui. L’anima è creata per essere unita al corpo. Il demonio è riuscito a rompere questa armonia, col peccato. Alla fine del mondo, Dio, trionfando completamente del demonio, riunirà il corpo e l’anima. — Non l’anima solamente, ma tutto l’uomo, anima e corpo, hanno concorso ad operare il bene ed a commettere il peccato. Così è giusto che non l’anima sola, ma tutto l’uomo (anima e corpo riuniti per la risurrezione) riceva il premio od il castigo meritato. E perciò san Paolo insegna : « È necessario per tutti noi di comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno ne riporti quel che è dovuto al corpo secondo che ha fatto il bene od il male » (II Corinti v, 10. Il Grisostomo – Omelia 103 sulla II ai Corinti – cosi commenta: «Ciò che è stato istrumento di virtù o vizio, non resterà escluso dalla ricompensa o dal castigo; ma insieme coll’anima anche il corpo riceverà tormento o premio »). Dio metteva già sulle labbra di Giobbe queste parole: « Io so che vive il mio Redentore e che nell’ultimo giorno io risorgerò dalla terra, e di nuovo sarò rivestito di questa mia pelle, e nella mia carne vedrò il mio Dio, cui vedrò io medesimo » (Giob. IX, 25-27). Dio, per mezzo di Daniele ci insegna che « la moltitudine di quei che dormono nella polvere della terra si risveglieranno, altri per la vita eterna, ed altri per l’ignominia » (Dan XII, 2). Il secondo dei fratelli Maccabei diceva al tiranno: « Tu, o uomo iniquissimo, distruggi noi nella vita presente, ma il Re dell’universo risusciterà per la vita eterna noi, che moriamo per le sue leggi »; il quarto vicino a morire, diceva: « Ell’è cosa molto buona l’essere uccisi dagli uomini colla speranza in Dio di essere da Lui nuovamente risuscitati, perocché la tua risurrezione non sarà per la vita (I Macc, VII, 9, 14). Diceva Gesù: « Viene l’ora in cui tutti nei sepolcri udiranno la voce del Figliuolo di Dio, e ne usciranno quanti fecero il bene in risurrezione di vita; quanti poi fecero il male, in risurrezione di condanna» (S. Giov. V, 28, 29). E prima di risuscitar Lazzaro volle che Marta facesse un atto di fede nella risurrezione finale, e poi Egli soggiunse: « lo sono la risurrezione e la vita » (S. Giov. XI, 25). – Come preparazione poi alla promessa della SS. Eucaristia tenne un discorso, in cui tra le altre cose disse : « …La volontà del Padre, che mi ha mandato, è questa: chiunque conosce il Figlio e crede in Lui, abbia la vita eterna; e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (ibid. VI, 40). Risusciteremo dunque. Saremo anche noi assunti in cielo in corpo ed anima? Oppure avremo ad essere precipitati negli eterni tormenti in anima e corpo? Siamo devoti di Maria, onoriamola non solo colle parole, cogli atti esterni, ma col cuore, colle virtù, e forti della sua protezione vinceremo il demonio e la carne nelle lotte della vita, e meriteremo così di vincere allora la morte con una risurrezione gloriosa che sarà per noi il principio dell’eterna e perfetta gloria, cui saremo ammessi nel nostro essere perfetto di corpo ed anima.

ESEMPIO. — Maria Teresa. — Correvano giorni dolorosi per la monarchia austro-ungarica. La donna che ne reggeva le sorti, benché di mente eletta ed impavida di cuore, dopo la morte di suo padre Carlo VI, abbandonata da tutti, venne assalita dai principi vicini, che le rubavano le provincie e minacciavano di sfasciarle il regno. L’infelice regina vedeva che al suo figliuolo, anziché un diadema, avrebbe lasciato una corona di spine. Come rimediare? Radunò a Presburgo i Grandi restatile fedeli, e alla loro presenza, tenendo il bambino sulle braccia, pronunciò queste commoventi parole: « Abbandonata da tutti, non ho altra difesa che la vostra generosità; nelle vostre mani, o miei amici, io confido il figlio dei vostri re, che aspetta da voi la sua salvezza ». Alla vista di quella sfortunata regina e del tenero bambino, i nobili Ungheresi si sentirono profondamente commossi, e pieni di santo entusiasmo, sguainarono la spada, gridando ad alta voce: Moriamo per la nostra regina Maria Teresa! Al grido di questi prodi l’Ungheria si scosse; da tutte le parti si corse alle armi, e si formò un formidabile esercito, che, di vittoria in vittoria, ricacciò i nemici dalle sue terre. In breve ogni cosa mutò aspetto e colla pace di Aquisgrana nel 1748 la regina ed il figliuolo ripresero il pacifico possesso della loro eredità. Questo fatto mi richiama alla mente un’altra ben più grande regina e tenera Madre, ancor Essa abbandonata oggi da molti, anzi perseguitata. Maria, l’augusta Regina del cielo, col suo Gesù in braccio, si vede costretta ad uscire da tanti cuori, da tante famiglie, dove aveva fissato il suo trono. Le si muove una guerra spietata, preferendo a Lei il suo eterno nemico, il demonio. Essa si volge a noi e c’invita a prendere le sue difese e ristabilire fra gli uomini il regno del suo divin Figlio, mettendo in fiore la Religione, e le pratiche devote. Coraggio, fratelli, all’opera; lo richiede l’onor della nostra Madre e della nostra Religione. Si, o Vergine Santa, noi ci faremo vostri apostoli, ci adopreremo con tutte le nostre forze per trarre i nostri fratelli dall’errore e dal vizio e condurli a’ vostri piedi. Vogliamo che voi regniate sopra di tutti, perché  siete Regina dell’universo, Madre di Dio, la donna sublime, sola degna delle divine compiacenze. Ed incominciamo ad offrirvi la nostra mente ed il nostro cuore, perché vi riconosciamo e proclamiamo nostra Regina.

CREDO …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Gen III:15
Inimicítias ponam inter te et mulíerem, et semen tuum et semen illíus.

[Porrò inimicizia tra te e la Donna: fra il tuo seme e il Seme suo.]

Secreta

Ascéndat ad te, Dómine, nostræ devotiónis oblátio, et, beatíssima Vírgine María in coelum assumpta intercedénte, corda nostra, caritátis igne succénsa, ad te júgiter ádspirent.
[Salga fino a Te, o Signore, l’omaggio della nostra devozione, e, per intercessione della beatissima Vergine Maria assunta in cielo, i nostri cuori, accesi di carità, aspirino sempre verso di Te.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Luc 1: 48-49
Beátam me dicent omnes generatiónes, quia fecit mihi magna qui potens est.

[Tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salutáribus sacraméntis: da, quǽsumus; ut, méritis et intercessióne beátæ Vírginis Maríæ in coelum assúmptæ, ad resurrectiónis glóriam perducámur.
[Ricevuto, o Signore, il salutare sacramento, fa, Te ne preghiamo, che, per i meriti e l’intercessione della beata Vergine Maria Assunta in cielo, siamo elevati alla gloriosa resurrezione.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/