UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO … e pure il masso-illuminato dell’«ECCLESIA»: HUMANUM GENUS

HUMANUM GENUS

S. S. Leone XIII

LETTERA ENCICLICA AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE.

“CONDANNA DEL RELATIVISMO FILOSOFICO E MORALE DELLA MASSONERIA”

VENERABILI FRATELLI SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Il genere umano, dopo che “per l’invidia di Lucifero” si ribellò sventuratamente a Dio creatore e largitore de’ doni soprannaturali, si divise come in due campi diversi e nemici tra loro; l’uno dei quali combatte senza posa per il trionfo della verità e del bene, l’altro per il trionfo del male e dell’errore. Il primo è il regno di Dio sulla terra, cioè la vera Chiesa di Gesù Cristo; e chi vuole appartenervi con sincero affetto e come conviene a salute, deve servire con tutta la mente e con tutto il cuore a Dio e all’Unigenito Figlio di Lui. Il secondo è il regno di Satana, e sudditi ne sono quanti, seguendo i funesti esempi del loro capo e dei comuni progenitori, ricusano di obbedire all’eterna e divina legge, e molte cose imprendono senza curarsi di Dio, molte contro Dio. Questi due regni, simili a due città che con leggi opposte vanno ad opposti fini, con grande acume di mente vide e descrisse Agostino, e risali al principio generatore di entrambi con queste brevi e profonde parole: “Due città nacquero da due amori; la terrena dall’amore di sé fino al disprezzo di Dio, la celeste dall’amore di Dio fino al disprezzo di sé (De Civit. Dei, lib. XIV, c. 17). – In tutta la lunga serie dei secoli queste due città pugnarono l’una contro l’altra con armi e combattimenti vari, benché non sempre con l’ardore e l’impeto stesso. Ma ai tempi nostri i partigiani della città malvagia, ispirati e aiutati da quella società, che larga mente diffusa e fortemente congegnata prende il nome di Società Massonica, pare che tutti cospirino insieme, e tentino le ultime prove. Imperocché senza più dissimulare i loro disegni, insorgono con estrema audacia contro la sovranità di Dio; lavorano pubblicamente e a viso aperto a rovina della Santa Chiesa, con proponimento di spogliare affatto, se fosse possibile, i popoli cristiani dei benefizi recati al mondo da Gesù Cristo nostro Salvatore. – Gemendo su questi mali, spesso, incalzati dalla carità, Noi siam costretti a gridare a Dio: “Ecco, i nemici tuoi menano gran rumore e quei che t’odiano hanno alzato la testa. Hanno formato malvagi disegni contro i tuoi santi. Hanno detto: venite, e cancelliamoli dai numero delle nazioni” (Psalm. XXXII, 2-5). – In sì grave rischio, in sì fiera ed accanita guerra al Cristianesimo, è dover Nostro mostrare il pericolo, additare i nemici, e resistere quanto possiamo ai disegni ed alle arti loro, affinché non vadano eternamente perdute le anime che Ci furono affidate, e il regno di Gesù Cristo, commesso alla Nostra tutela, non solo stia e conservisi intero, ma per nuovi e continui acquisti si dilati in ogni parte della terra. – Chi fosse e a che mirasse questo capitale nemico, che usciva fuori dai covi di tenebrose congiure, lo compresero tosto i Romani Pontefici Nostri Antecessori, vigili scolte a salute del popolo cristiano; e antivenendo col pensiero l’avvenire, dato quasi il segnale, ammonirono Principi e popoli non si lasciassero ingannare alle astuzie e trame insidiose. Diede il primo avviso del pericolo Clemente XII (Cost. In eminenti, 24 Aprile 1738); e la Costituzione di lui fu confermata e rinnovata da Benedetto XIV (Cost. Providas, 18 maggio 1751). Ne seguì le orme Pio VII (Cost. Ecclesiam a Jesu Christo, 13 Settembre 1821); poi Leone XII con l’Apostolica Costituzione Quo graviora (Cost. in. data del 23 Marzo 1825), abbracciando in questo punto gli atti e i decreti de’ suoi Antecessori, li ratificò e suggellò con irrevocabile sanzione. Nel senso medesimo parlarono Pio VIII (Encicl. Traditi, 31 Maggio 1829), Gregorio XVI (Encicl. Mirari, 15 Agosto 1832) e più volte Pio IX (Encicl. Qui pluribus, 9 Novembre 1846. Alloc. Multiplices inter, 25 Settembre 1865, ecc.). – Imperocché da fatti giuridicamente accertati, da formali processi, da statuti, riti, giornali massonici pubblicati per le stampe, oltre alle non rare deposizioni dei complici stessi, essendosi venuto a chiaramente conoscere lo scopo e la natura della setta massonica, quest’Apostolica Sede alzò la voce, e denunziò al mondo, la setta dei Massoni, sorta contro ogni diritto umano e divino, essere non men funesta al Cristianesimo che allo Stato, e fece divieto di darvi il nome sotto le maggiori pene, onde la Chiesa suol punire i colpevoli. Di che irritati i settari e credendo di poter, parte col disprezzo, parte con calunniose menzogne sfuggire o scemare la forza di tali sentenze, accusarono d’ingiustizia o di esagerazione i Papi, che le avevano pronunziate. – In questo modo cercarono di eludere la autorità ed il peso delle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII, di Benedetto XIV, e similmente di Pio VII, e di Pio IX. Nondimeno tra i Frammassoni medesimi ve ne ebbe alcuni i quali riconobbero loro malgrado, che quelle sentenze dei Romani Pontefici, ragguagliate alla dottrina e alla disciplina cattolica, erano altamente giuste. E ai Pontefici si unirono non pochi Principi ed uomini di Stato, i quali ebbero cura o di denunziare all’Apostolica Sede le Società Massoniche, o di proscriverle essi stessi con leggi speciali nei loro domini, come fu fatto nell’Olanda, nell’Austria, nella Svizzera, nella Spagna, nella Baviera, nella Savoia ed in altre parti d’Italia. – Ma la saggezza dei Nostri Predecessori ebbe, ciò che più conta, piena giustificazione dagli avvenimenti. Imperocché le provvide e paterne loro cure, o fosse l’astuzia e l’ipocrisia dei settari, ovvero la sconsigliata leggerezza di chi pure aveva ogni interesse di tener gli occhi aperti, non avendo né sempre né per tutto sortito l’esito desiderato, nel giro d’un secolo e mezzo la società Massonica si propagò con incredibile celerità; e traforandosi per via di audacia e d’inganni in tutti gli ordini civili, incominciò ad essere potente in modo da parer quasi padrona degli Stati. – Da sì celere e tremenda propagazione ne sono seguiti a danno della Chiesa, della potestà civile, della pubblica salute, quei rovinosi effetti, che i Nostri Antecessori gran tempo innanzi avevano preveduti. Imperocché siamo ormai giunti a tale estremo da dover tremare pei le future sorti non già della Chiesa, edificata su fondamento non possibile ad abbattersi da forza umana, ma di quegli Stati, dove la setta di cui parliamo o le altre affini a quella e sue ministre e satelliti, possono tanto. – Per queste ragioni, appena eletti a governare la Chiesa, vedemmo e sentimmo vivamente nell’animo la necessità di opporCi, quanto fosse possibile, con la Nostra autorità a male si grande. E colta bene spesso opportuna occasione, venimmo svolgendo or l’una or l’altra di quelle capitali dottrine, in cui il veleno degli errori massonici pareva che fosse più intimamente penetrato. Così con la Lettera Enciclica “Quod Apostolici muneris“, sfolgorammo i mostruosi errori dei Socialisti e Comunisti: con l’altra “Arcanum” prendemmo a spiegare e difendere il vero e genuino concetto della famiglia, che ha l’origine e sorgente sua nel matrimonio: con quella che incomincia “Diuturnum” ritraemmo l’idea del potere politico, esemplata ai principi dell’Evangelo, e mirabilmente consentanea alla natura delle cose e al bene dei popoli e dei sovrani. – Ora poi, ad esempio dei Nostri Predecessori, Ci siam risoluti di prender direttamente di mira la stessa società Massonica nel complesso delle sue dottrine, dei suoi disegni, delle sue tendenze, delle sue opere, affinché, meglio conosciutane la malefica natura, ne sia schivato più cautamente il contagio. – Varie sono le sètte che, sebbene differenti di nome, di rito, di forma, d’origine, essendo per uguaglianza di proposito e per affinità de’ sommi principi strettamente collegate fra loro, convengono in sostanza con la setta dei Frammassoni, quasi centro comune, da cui muovono tutte e a cui tutte ritornano. Le quali, sebbene ora facciano sembianza di non voler nascondersi, e tengano alla luce del sole e sotto gli occhi dei cittadini le loro adunanze, e stampino effemeridi proprie, ciò nondimeno, chi guardi più addentro, ritengono il vero carattere di società segrete. – Imperocché la legge del segreto vi domina e molte sono le cose, che per inviolabile statuto debbonsi gelosamente tener celate, non solo agli estranei, ma ai più dei loro adepti: come, ad esempio, gli ultimi e veri loro intendimenti; i capi supremi e più influenti; certe conventicole più intime e segrete; le risoluzioni prese, e il modo ed i mezzi da eseguirle. A questo mira quel divario di diritti, cariche, offici tra’ soci; quella gerarchica distinzione di classi e di gradi, e la rigorosa disciplina che li governa. – Il candidato deve promettere, anzi, d’ordinario, giurare espressamente di non rivelar giammai e a nessun patto gli affiliati, i contrassegni, le dottrine della setta. Così, sotto mentite sembianze e con l’arte d’una continua simulazione, i Frammassoni studiansi a tutto potere di restare nascosti, e di non aver testimoni altro che i loro. Cercano destramente sotterfugi, pigliando sembianze accademiche e scientifiche: hanno sempre in bocca lo zelo della civiltà, l’amore della povera plebe: essere unico intento loro migliorare le condizioni del popolo, e i beni del civile consorzio accomunare il più ch’è possibile a molti. Le quali intenzioni, quando fossero vere, non sono che una parte dei loro disegni. Debbono inoltre gli iscritti promettere ai loro capi e maestri cieca ed assoluta obbedienza: che ad un minimo cenno, ad un semplice motto, n’eseguiranno gli ordini; pronti, ove manchino, ad ogni più grave pena, e perfino alla morte. E di fatti non è caso raro, che atroci vendette piombino su chi sia creduto reo di aver tradito il segreto, o disubbidito al comando, e ciò con tanta audacia e destrezza, che spesso il sicario sfugge alle ricerche ed ai colpi della giustizia. – Or bene questo continuo infingersi, e voler rimanere nascosto: questo legar tenacemente gli uomini, come vili mancipii, all’altrui volontà per uno scopo da essi mal conosciuto: e abusarne come di ciechi strumenti ad ogni impresa, per malvagia che sia: armarne la destra micidiale, procacciando al delitto la impunità, sono eccessi che ripugnano altamente alla natura. La ragione adunque evidentemente condanna le sètte Massoniche e le convince nemiche della giustizia e della naturale onestà. – Tanto più che altre e ben luminose prove ci sono della sua rea natura. Per quanto infatti sia grande negli uomini l’arte di fingere e l’uso di mentire, egli è impossibile che la causa non si manifesti in qualche modo pe’ suoi effetti. “Non può un albero buono dar frutti cattivi, né un albero cattivo frutti buoni” (Matth. VII, 18). Ora della Massonica sètta esiziali ed acerbissimi sono i frutti. Imperocché dalle non dubbie prove che abbiamo testé ricordate apparisce, supremo intendimento dei Frammassoni esser questo: distruggere da capo a fondo tutto l’ordine religioso e sociale, qual fu creato dal Cristianesimo, e pigliando fondamenti e nome dal Naturalismo, rifarlo a loro senno di pianta. – Questo per altro, che abbiamo detto o diremo, va inteso della setta Massonica considerata in se stessa, e in quanto abbraccia la gran famiglia delle affini e collegate società; non già dei singoli suoi seguaci. Nel numero dei quali può ben essere ve ne abbia non pochi, che, sebbene colpevoli per essersi impigliati in congreghe di questa sorta, tuttavia non piglino parte direttamente alle male opere di esse, e ne ignorino altresì lo scopo finale. Così ancora tra le società medesime non tutte forse traggono quelle conseguenze estreme, a cui pure, come a necessarie illazioni dei comuni principi, dovrebbero logicamente venire, se la enormità di certe dottrine non le trattenesse. La condizione altresì dei luoghi e dei tempi fa che taluna di esse non osi quanto vorrebbe od osano le altre. Il che però non le salva dalla complicità con la setta Massonica, la quale più che dalle azioni e dai fatti, vuol esser giudicata dal complesso de’ suoi principi. – Ora fondamentale principio dei Naturalisti, come il nome stesso lo dice, egli è la sovranità e il magistero assoluto dell’umana natura e dell’umana ragione. Quindi dei doveri verso Iddio o poco si curano, o mal ne sentono. Negano affatto la divina rivelazione; non ammettono dogmi, non verità superiori all’intelligenza umana, non maestro alcuno, a cui si abbia per l’autorità dell’officio da credere in coscienza. E poiché è privilegio singolare e unicamente proprio della Chiesa cattolica il possedere nella sua pienezza, e conservare nella sua integrità il deposito delle dottrine divinamente rivelate, l’autorità del magistero, e i mezzi soprannaturali dell’eterna salute, somma contro di lei è la rabbia e l’accanimento dei nemici. Si osservi ora il procedere della setta Massonica in fatto di religione, là specialmente dov’è più libera di fare a suo modo, e poi si giudichi, se ella non si mostri esecutrice fedele delle massime dei Naturalisti. Infatti con lungo ed ostinato proposito si procura che nella società non abbia alcuna influenza, né il magistero né l’autorità della Chiesa; e perciò si predica da per tutto e si sostiene la piena separazione della Chiesa dallo Stato. Così si sottraggono leggi e governo alla virtù divinamente salutare della religione cattolica, per conseguenza si vuole ad ogni costo ordinare in tutto e per tutto gli Stati indipendentemente dalle istituzioni e dalle dottrine della Chiesa. – Né basta tener lungi la Chiesa, che pure è guida tanto sicura, ma vi si aggiungono persecuzioni ed offese. Ecco infatti piena licenza di assalire impunemente con la parola, con gli scritti, con l’insegnamento, i fondamenti stessi della cattolica religione: i diritti della Chiesa si manomettono; non si rispettano le divine sue prerogative. Si restringe il più possibile l’azione di lei; e ciò in forza di leggi, in apparenza non troppo violente, ma in sostanza nate fatte per incepparne la libertà. Leggi di odiosa parzialità si sanciscono contro il Clero, cosicché vedesi stremato ogni giorno più e di numero e di mezzi. Vincolati in mille modi e messi in mano allo Stato gli avanzi dei beni ecclesiastici; i sodalizi religiosi aboliti, dispersi. – Ma contro l’Apostolica Sede e il Romano Pontefice arde più accesa la guerra. Prima di tutto egli fu sotto bugiardi pretesti spogliato del Principato civile, propugnacolo della sua libertà e de’ suoi diritti; poi fu ridotto ad una condizione iniqua, e per gli infiniti ostacoli intollerabile; finché si è giunti a quest’estremo, che i settari dicono aperto ciò che segretamente e lungamente avevano macchinato fra loro, doversi togliere di mezzo lo stesso spirituale potere dei Pontefici, e fare scomparire dal mondo la divina istituzione del Pontificato. Di che, ove altri argomenti mancassero, prova sufficiente sarebbe la testimonianza di parecchi di loro, che spesse volte in addietro, ed eziandio recentemente dichiararono, essere veramente scopo supremo dei Frammassoni perseguitare con odio implacabile il Cristianesimo, e che essi non si daranno mai pace, finché non vedano a terra tutte le istituzioni religiose fondate dai Papi. – Che se la setta non impone agli affiliati di rinnegare espressamente la fede cattolica, cotesta tolleranza, non che guastare i massonici disegni, li aiuta. Imperocché in primo luogo è questo un modo di ingannar facilmente i semplici e gli incauti, ed un richiamo di proselitismo. Poi con aprir le porte a persone di qualsiasi religione si ottiene il vantaggio di persuadere col fatto il grand’errore moderno dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti: via opportunissima per annientare le religioni tutte, e segnatamente la cattolica che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia esser messa in un fascio con le altre. – Ma i Naturalisti vanno più oltre. Messisi audacemente, in cose di massima importanza, per una via totalmente falsa, sia per la debolezza dell’umana natura, sia per giusto giudizio di Dio che punisce l’orgoglio, trascorrono precipitosi agli errori estremi. Così avviene che le stesse verità, che si conoscono pei lume naturale di ragione, quali sono per fermo l’esistenza di Dio, la spiritualità ed immortalità dell’anima umana, non hanno più pei essi consistenza e certezza. Or negli scogli medesimi va per via non dissimile ad urtare la setta Massonica. – L’esistenza di Dio, è vero, i Frammassoni generalmente la professano: ma che questa non sia in ciascun di loro persuasione ferma e giudizio certo, essi stessi ne fan fede. Imperocché non dissimulano, che nella famiglia massonica la questione intorno a Dio è un principio grandissimo di discordia; ed anzi è noto come pur di recente si ebbero tra loro su questo punto gravi contese. – Fatto sta che la setta lascia agl’iniziati libertà grande di sostenere circa Dio la tesi che vogliono, affermandone o negandone la esistenza; e gli audaci negatori vi hanno accesso non men facile di quelli che, a guisa dei Panteisti, ammettono Iddio, ma ne travisano il concetto: ciò che in sostanza riesce a ritenere della divina natura non so quale assurdo simulacro, distruggendone la realtà. Ora abbattuto o scalzato questo supremo fondamento, forza è che vacillino anche molte verità di ordine naturale, come la libera creazione del mondo, il governo universale della provvidenza, l’immortalità dell’anima, la vita futura e sempiterna. – Scomparsi poi questi, come dire, principi di natura, importantissimi per la speculativa e per la pratica, è agevole il vedere che cosa sia per addivenire il pubblico e il privato costume. Non parliamo delle virtù sovrannaturali, che senza special favore e dono di Dio niuno può né esercitare, né conseguire, e delle quali non è possibile che si trovi vestigio in chi superbamente disconosce la redenzione del genere umano, la grazia Celeste, i Sacramenti, l’eterna beatitudine: parliamo dei doveri che procedono dalla onestà naturale. Imperocché Iddio, creatore e provvido reggitore del mondo; la legge eterna, che comanda il rispetto e proibisce la violazione dell’ordine naturale; il fine ultimo degli uomini, posto di gran lunga al di sopra delle create cose, fuori di questa terra; sono queste le sorgenti e i principi della giustizia e della moralità. I quali principi se, come fanno i Naturalisti ed altresì i Frammassoni, si tolgano via, incontanente l’etica naturale non ha più né dove appoggiarsi, né come sostenersi. E per fermo la morale, che sola ammettono i Frammassoni, e che vorrebbero educatrice unica della gioventù, è quella che chiamano civile e indipendente, ossia che prescinde affatto da ogni idea religiosa. Ma quanto sia povera, incerta, e ad ogni soffio di passione variabile cotesta morale, lo dimostrano i dolorosi frutti, che già in parte appariscono. Imperocché ovunque essa ha cominciato a dominare liberamente, dato lo sfratto alla educazione cristiana, la probità e integrità dei costumi scade rapidamente, orrende e mostruose opinioni levan la testa, e l’audacia dei delitti va crescendo in modo spaventoso. Il che si lamenta e deplora da tutti; e spesse volte, sforzati dalla verità, non pochi di quegli stessi l’attestano, che pur tutt’altro vorrebbero. – Oltre a ciò, per essere l’umana natura infetta dalla colpa di origine, e perciò più proclive al vizio che alla virtù, non è possibile vivere onestamente senza mortificare le passioni, e sottomettere alla ragione gli appetiti. In questa pugna è bene spesso necessario disprezzare i beni creati, e sottoporsi a molestie e sacrifici grandissimi, a fine di serbar sempre alla ragione vincitrice il suo impero. Ma i Naturalisti e i Massoni, ripudiando ogni divina rivelazione, negano il peccato originale, e stimano non esser punto affievolito né inclinato al male il libero arbitrio (Conc. Trid. Sess. VI, De justif., c. I.). Anzi esagerando le forze e l’eccellenza della natura, e collocando in lei il principio e la norma unica della giustizia, non sanno pur concepire che, a frenarne i moti e moderarne gli appetiti, ci vogliono sforzi continui e somma costanza. E questa è la ragione, per cui vediamo offerte pubblicamente alle passioni tante attrattive: giornali e periodici senza freno e senza pudore; rappresentazioni teatrali oltre ogni dire disoneste; arti coltivate secondo i principi di uno sfacciato verismo; con raffinate invenzioni promosso il molle e delicato vivere; insomma cercate avidamente tutte le lusinghe capaci di sedurre e addormentare la virtù. Cose altamente riprovevoli, ma pur coerenti ai principi di coloro che tolgono all’uomo la speranza dei beni Celesti, e tutta la felicità fanno consistere nelle cose caduche, avvilendola sino alla terra. – Ed a conferma di ciò che abbiamo detto, può servire un fatto più strano a dirsi, che a credersi. Imperocché gli uomini scaltri ed accorti non trovando anime più docilmente servili di quelle già dome e fiaccate dalla tirannide delle passioni, vi fu nella setta Massonica chi disse aperto e propose, doversi con ogni arte ed accorgimento tirare le moltitudini a satollarsi di licenza: così lesi avrebbero poi docile strumento ad ogni più audace disegno. – Quanto al consorzio domestico, ecco a un dipresso tutta la dottrina dei Naturalisti. Il matrimonio non è altro che un contratto civile; può legittimamente rescindersi a volontà dei contraenti; il potere sul vincolo matrimoniale appartiene allo Stato. Nell’educare i figli non s’imponga religione alcuna: cresciuti in età, ciascuno sia libero di scegliersi quella che più gli aggrada. – Ora questi principi i Frammassoni li accettano senza riserva: e non pure li accettano, ma studiansi da gran tempo di fare in modo, che passino nei costumi e nell’uso della vita. In molti paesi, che pur si professano cattolici, si hanno giuridicamente per nulli i matrimoni non celebrati nella forma civile; altrove le leggi permettono il divorzio; altrove si fa di tutto, perché sia quanto prima permesso. Così si corre di gran passo all’intento di snaturare le nozze, riducendole a mutabili e passeggere unioni, da formarsi e da sciogliersi a talento. – Ad impossessarsi altresì della educazione dei giovanetti mira con unanime e tenace proposito la setta dei Massoni. Comprendono ben essi, che quell’età tenera e flessibile lasciasi figurare e piegare a loro talento, e però non esserci espediente più opportuno di questo per formare allo Stato cittadini tali, quali essi vagheggiano. Quindi nell’opera di educare e istruire i fanciulli non lasciano ai ministri della Chiesa parte alcuna né di direzione, né di vigilanza: e in molti luoghi si è già tanto innanzi, che l’educazione della gioventù è tutta in mano dei laici; e dall’insegnamento morale ogni idea è sbandita di quei grandissimi e santissimi doveri, che l’uomo congiungono a Dio. – Seguono le massime di scienza sociale. Dove i Naturalisti insegnano, che gli uomini hanno tutti gli stessi diritti, e sono di condizione perfettamente eguali; che ogni uomo è, per natura, indipendente; che nessuno ha diritto di comandare agli altri; che volergli uomini sottoposti ad altra autorità, da quella in fuori che emana da loro stessi, è tirannia. Quindi il popolo è sovrano: chi comanda, non aver l’autorità di comandare se non per mandato o concessione del popolo; tantoché a talento di questo egli può, voglia o non voglia, esser deposto. L’origine di tutti i diritti e doveri civili è nel popolo, ovvero nello Stato, che si regga per altro secondo i nuovi principi di libertà. Lo Stato inoltre dev’essere ateo; tra le varie religioni non esservi ragione di dar la preferenza a veruna: doversi fare di tutte lo stesso conto. – Ora che queste massime piacciano ugualmente ai Frammassoni, e che su questo tipo e modello vogliano essi foggiati i governi, è cosa notissima, e che non ha bisogno di prova. Egli è un pezzo, di fatti, che, con quanto hanno di forze e di potere, apertamente lavorano per questo, spianando così la via a quei non pochi più audaci di loro, e più avventati nel male, che vagheggiano l’uguaglianza e comunanza di tutti i beni, fatta scomparire dal mondo ogni distinzione di averi e di condizioni sociali. – Da questi brevi cenni si scorge chiaro abbastanza, che sia e che voglia la setta Massonica. I suoi dogmi ripugnano tanto e con tanta evidenza alla ragione, che nulla può esservi di più perverso. Voler distruggere la religione e la Chiesa fondata da Dio stesso, e da Lui assicurata di vita immortale, voler dopo ben diciotto secoli risuscitare i costumi e le istituzioni del paganesimo, è insigne follia e sfrontatissima empietà. Ne meno orrenda e intollerabile cosa egli è ripudiare i benefizi largiti per Sua bontà da Gesù Cristo non pure agl’individui, ma alle famiglie e agli Stati; benefizi, per giudizio e testimonianza anche di nemici, segnalatissimi. In questo pazzo e feroce proposito pare quasi potersi riconoscere quell’odio implacabile, quella rabbia di vendetta, che contro Gesù Cristo arde nel cuore di satana. – Similmente l’altra impresa, in cui tanto si travagliano i Massoni, di atterrare i precipui fondamenti della morale, e di farsi complici e cooperatori di chi, a guisa di bruto, vorrebbe lecito ciò che piace, altro non è che sospingere il genere umano alla più abbietta e ignominiosa degradazione. – Ed aggravano il male i pericoli, onde sono minacciati tanto il domestico, quando il civile consorzio. Come di fatti esponemmo altra volta, esiste nel matrimonio, per unanime consenso dei popoli e dei secoli, un carattere sacro e religioso: oltreché per legge divina l’unione coniugale e indissolubile. Or se questa unione si dissacri, se permettasi giuridicamente il divorzio, la confusione e la discordia entreranno per conseguenza inevitabile nel santuario della famiglia, e la donna la sua dignità, i figli perderanno la sicurezza d’ogni loro benessere. – Che poi lo Stato faccia professione di religiosa indifferenza, e nell’ordinare e governare il civile consorzio non si curi di Dio, né più né meno che se Egli non fosse, è sconsigliatezza ignota agli stessi pagani; i quali avevano nella mente e nel cuore così scolpita non pur l’idea di Dio, ma la necessità di un culto pubblico, che giudicavano potersi più facilmente trovare una città senza suolo, che senza Dio. E veramente la società del genere umano, a cui siamo stati fatti da natura, fu istituita da Dio autore della natura medesima, e da Lui deriva come da fonte e principio tutta quella perenne copia di beni senza numero, ond’essa abbonda. Come dunque la voce stessa di natura impone a ciascuno di noi di onorare con religiosa pietà Iddio, perché abbiamo da Lui ricevuto la vita e i beni che l’accompagnano; così per la ragione medesima debbono fare popoli e Stati. Opera perciò non solo ingiusta, ma insipiente ed assurda fanno coloro, che vogliono sciolta da ogni religioso dovere la civile comunanza. – Posto poi che per volere di Dio nascano gli uomini alla società civile, e che il potere sovrano sia vincolo così strettamente necessario alla società stessa, che, dove quello manchi, questa necessariamente si sfascia, ne segue che l’autorità di comandare deriva da quello stesso principio, da cui deriva la società. Ed ecco la ragione, che l’investito di tale autorità, sia chi si voglia, è ministro di Dio. Laonde fin dove è richiesto dal fine e dalla natura dell’umano consorzio, si deve obbedire al giusto comando del potere legittimo, non altrimenti che alla sovranità di Dio reggitore dell’universo: ed è capitalissimo errore il dare al popolo piena balia di scuotere, quando gli piaccia, il giogo dell’obbedienza. – Così ancora chi guardi alla comune origine e natura, al fine ultimo assegnato a ciascuno, ai diritti e ai doveri che ne scaturiscono, non è da dubitare che gli uomini sono tutti uguali fra loro. Ma poiché capacità pari in tutti è impossibile, e per le forze dell’animo e del corpo l’uno differisce dall’altro, e tanta è dei costumi, delle inclinazioni, e delle qualità personali la varietà, egli è assurdissima cosa voler confondere e unificare tutto questo, e recare negli ordini della vita civile una rigorosa ed assoluta uguaglianza. Come la perfetta costituzione del corpo umano risulta dall’unione e compagine di vali membri che, diversi di forma e di uso, ma congiunti insieme e messi ciascuno al suo posto, formano un organismo bello, forte, utilissimo e necessario alla vita; così nello Stato quasi infinita è la varietà degl’individui che lo compongono; i quali, se, parificati tra loro, vivano ognuno a proprio senno, ne uscirà una cittadinanza mostruosamente deforme; laddove, se distinti in armonia di gradi, di offici, di tendenze di arti, bellamente cooperino insieme al bene comune, renderanno immagine d’una cittadinanza ben costituita e conforme a natura. – Del resto i turbolenti errori, che abbiamo accennati, debbono troppo far tremare gli Stati. Imperocché tolto via il timore di Dio e il rispetto delle divine leggi, messa sotto i piedi l’autorità dei Principi, licenziata e legittimata la libidine delle sommosse, sciolto alle passioni popolari ogni freno, mancato, dai castighi in fuori, ogni ritegno, non può non seguirne una rivoluzione e sovversione universale. E questo sovversivo rivolgimento è lo scopo deliberato e l’aperta professione delle numerose associazioni di Comunisti e Socialisti: agli intendimenti dei quali non ha ragione di chiamarsi estranea la setta Massonica, essa che tanto ne favorisce i disegni, ed ha comuni con loro i capitali principi. Che se non si trascorre coi fatti subito e da per tutto alle estreme conseguenze, il merito di ciò deve recarsi, non già alle massime della setta o alla volontà dei settari, ma alla virtù di quella divina religione, che non può essere spenta, e alla parte più sana dell’umano consorzio, che, sdegnando di servire alle società segrete, si oppone con forte petto all’esorbitanza dei loro conati. – E volesse il Cielo, che universalmente dai frutti si giudicasse la radice, e dai mali che ci minacciano, dai pericoli che ci sovrastano si riconoscesse il mal seme! Si ha da fare con un nemico astuto e fraudolento che, blandendo popoli e monarchi, con lusinghiere promesse e con fini adulazioni entrambi ingannò. – Insinuandosi sotto specie di amicizia nel cuore dei Principi, i Frammassoni mirarono ad avere in essi complici ed aiuti potenti per opprimere il Cristianesimo; e a fine di mettere nei loro fianchi sproni più acuti, si diedero a calunniare ostinatamente la Chiesa come nemica del potere e delle prerogative reali. Divenuti con tali arti baldanzosi e sicuri, acquistarono influenza grande nel governo degli Stati, risoluti per altro di crollare le fondamenta dei troni, e di perseguitare, calunniare, discacciare chi tra’ sovrani si mostrasse restio a governare a modo loro. – Con arti simili adulando il popolo, lo trassero in inganno. Gridando a piena bocca libertà e prosperità pubblica; facendo credere alle moltitudini che dell’iniqua servitù e miseria, in cui gemevano, tutta della Chiesa e dei sovrani era la colpa, sobillarono il popolo, e lui smanioso di novità aizzarono ai danni dell’uno e dell’altro potere. Vero è bensì che dei vantaggi sperati maggiore è l’aspettazione che la realtà: anzi oppressa più che mai la povera plebe vedesi nelle miserie sue mancare gran parte di quei conforti, che nella società cristianamente costituita avrebbe potuto facilmente e copiosamente trovare. Ma di tutti i superbi, che si ribellano all’ordine stabilito dalla provvidenza divina, questo è il consueto castigo, che donde sconsigliatamente promettevansi fortuna prospera e tutta a seconda dei loro desideri, trovino ivi appunto oppressione e miseria. – Quanto alla Chiesa, se comanda di ubbidire innanzi tutto a Dio supremo Signore di ogni cosa, sarebbe ingiuriosa calunnia crederla perciò nemica del potere de’ Principi, od usurpatrice dei loro diritti. Vuole anzi essa, che quanto è dovuto alla potestà civile, lesi renda per dovere di coscienza. Il riconoscere poi da Dio, com’essa fa, il diritto di comandare, aggiunge al potere politico dignità grande, e giova molto a conciliargli il rispetto e l’amore dei sudditi. Amica della pace, autrice della concordia, tutti con affetto materno abbraccia la Chiesa; e intenta unicamente a far bene agli uomini, insegna doversi alla giustizia unir la clemenza, al comando l’equità, alle leggi la moderazione; rispettare ogni diritto, mantenere l’ordine e la tranquillità pubblica, sollevare al possibile privatamente e pubblicamente le indigenze degl’infelici. “Ma – per usare le parole di Sant’Agostino – credono o vogliono far credere che non torna utile alla società la dottrina del Vangelo, perché vogliono che lo Stato posi non sul fondamento stabile delle virtù, ma sull’impunità dei vivi” (Epist. CXXXVII, al. III, ad Volusianum c. v, n. 20). Per le quali cose opera troppo più conforme al senno civile e necessaria al comune benessere sarebbe, che Principi e popoli, in cambio di allearsi coi Frammassoni a danno della Chiesa, si unissero alla Chiesa per respingere gli assalti dei Frammassoni. – In ogni modo, alla vista d’un male sì grave e già troppo diffuso, è debito Nostro, Venerabili Fratelli, applicar l’animo a cercarne i rimedi. E poiché sappiamo che nella virtù della religione divina, tanto più odiata dai Massoni, quanto più temuta, consiste la migliore e più salda speranza di rimedio efficace, a questa virtù sommamente salutare crediamo che prima di tutto sia da ricorrere contro il comune nemico. Tutte queste cose pertanto, che i Romani Pontefici Nostri Antecessori decretarono per attraversare i disegni e render vani gli sforzi della setta Massonica; tutte quelle che sancirono per allontanare o ritrarre i fedeli da così fatte società; tutte e singole Noi con l’Autorità Nostra Apostolica le ratifichiamo e confermiamo. E qui confidando moltissimo nel buon volere dei fedeli, preghiamo e scongiuriamo ciascuno di loro per quanto su questo proposito fu prescritto dall’Apostolica Sede. Preghiamo poi e supplichiamo voi, Venerabili Fratelli, che cooperiate con Noi ad estirpare questo rio veleno, che largamente serpeggia in seno agli Stati. A voi tocca difendere la gloria di Dio e la salvezza delle anime; tenendo, nel combattimento, questi due fini davanti agli occhi, non vi mancherà coraggio né fortezza. Il giudicare quali sieno i più efficaci mezzi da superare gli ostacoli è cosa che spetta alla prudenza vostra. – Pur nondimeno trovando Noi conveniente al Nostro ministero l’additarvi alcuni dei mezzi più opportuni, la prima cosa da farsi si è togliere alla setta Massonica le mentite sembianze, e renderle le sue proprie, ammaestrando con la voce, ed eziandio con Lettere Pastorali, i popoli, quali siano di tali società gli artifizi per blandire ed allettare; quali la perversità delle dottrine e la disonestà delle opere. – Conforme dichiararono più volte i Nostri Predecessori, chiunque ha cara quanto deve la professione cattolica e la propria salute, non si lusinghi mai di poter senza colpa iscriversi, per qualsivoglia ragione, alla setta Massonica. Niuno si lasci illudere alla simulata onestà; imperocché può ben parere a taluno che i Massoni nulla impongano di apertamente contrario alla fede e alla morale: ma essendo essenzialmente malvagio lo scopo e la natura di tali sètte, non può essere lecito di darvi il nome, né di aiutarle in qualsivoglia maniera. – È necessario in secondo luogo con assidui discorsi ed esortazioni mettere nel popolo l’amore e lo zelo dell’istruzione religiosa: e a tal fine molto raccomandiamo, che con ragionamenti opportuni a voce e in iscritto si spieghino i principi fondamentali di quelle santissime verità, nelle quali consiste la cristiana sapienza. Scopo di ciò è guarire con l’istruzione le menti, e premunirle contro le molteplici forme degli errori, e i vari allettamenti dei vizi, massime in questa gran licenza di scrivere ed insaziabile brama di imparare. – Opera faticosa di certo: nella quale tuttavia partecipe e compagno delle fatiche vostre avrete specialmente il clero, se in grazia del vostro zelo sarà ben disciplinato e istruito. Ma causa così bella e di tanta importanza richiede altresì l’industria cooperatrice di quei laici, che all’amore della religione e della patria congiungono probità e dottrina. Con le forze unite di questi due ordini procurate, Venerabili Fratelli, che gli uomini conoscano intimamente ed abbiano cara la Chiesa; perché quanto più crescerà in essi la conoscenza e l’amore di lei, tanto maggiormente saranno aborrite e schivate le società segrete. Egli è per questo che, giovandoCi della presente occasione, torniamo non senza ragione a ricordare la opportunità inculcata altra volta, di promuovere caldamente e proteggere il Terz’Ordine di San Francesco, di cui recentemente con prudente condiscendenza mitigammo la regola. Imperocché, secondo lo spirito della sua istituzione, esso non mira ad altro, che a trarre gli uomini all’imitazione di Gesù Cristo, all’amore della Chiesa, alla pratica di tutte le cristiane virtù: e però tornerà efficacissimo a spegnere il contagio delle sètte malvagie. Cresca dunque di giorno in giorno questo santo sodalizio, da cui, tra molti altri, può anche sperarsi questo prezioso frutto, di ricondurre gli animi alla libertà, alla fraternità, alla uguaglianza: non quali va sognando assurdamente la sètta Massonica, ma quali Gesù Cristo recò al mondo e Francesco nel mondo ravvivò. La libertà diciamo dei Figli di Dio, che affranca dal servaggio di Satana e dalle passioni, tiranni pessimi: la fraternità, che da Dio prende origine, Creatore e Padre di tutti: l’uguaglianza che, fondata sulla giustizia e carità, non distrugge tra gli uomini tutte le differenze, ma dalla varietà della vita, degli offici, delle inclinazioni forma quell’accordo e quasi armonia, voluta da natura a utilità e dignità del civile consorzio. – In terzo luogo esiste un’istituzione, attuata sapientemente dai nostri maggiori, e poi coll’andar del tempo dimessa, la quale può servire ai di nostri come di modello e di forma a qualcosa di simile. – Intendiamo parlare dei Collegi e Corpi di arti e mestieri, destinati, sotto la guida della religione, a tutela degl’interessi e dei costumi. I quali Collegi, se per lungo uso ed esperienza riuscirono di gran vantaggio ai nostri padri, torneranno molto più vantaggiosi all’età nostra, perché opportunissimi a fiaccare la potenza delle sètte. I poveri operai, oltre ad essere per la stessa condizione loro degnissimi sopra tutti di carità e di sollievo, sono in modo particolare esposti alle seduzioni dei fraudolenti e raggiratori. Vanno perciò aiutati con la massima generosità, e invitati alle società buone, affinché non si lascino trascinare nelle malvagie. Per questo motivo Ci sarebbe assai caro che, adattate ai tempi, risorgessero per tutto sotto gli auspici e il patrocinato dei Vescovi a salute del popolo siffatte aggregazioni. E Ci è di grandissimo conforto il vederle fondate già in molti luoghi insieme coi patronati cattolici: due istituzioni, che mirano a giovare la classe onesta dei proletari, a soccorrere e proteggere le loro famiglie, i loro figli, e a mantenere in essi con l’integrità dei costumi l’amore della pietà, e la conoscenza della religione. – E qui non possiamo passare sotto silenzio la Società di San Vincenzo de’ Paoli, insigne per lo spettacolo e l’esempio che porge, e si altamente benemerita della povera plebe. Le opere e le intenzioni di codesta società sono ben note: essa è tutta in sovvenire i bisognosi e i tribolati, prevenendoli amorosamente, e ciò con mirabile sagacia, e con quella modestia, che quanto meno vuol comparire, tanto è più opportuna all’esercizio della carità e al sollevamento delle umane miserie. – In quarto luogo, a conseguir più facilmente l’intento, alla fede e vigilanza vostra raccomandiamo caldissimamente la gioventù, speranza dell’umano consorzio. – Nella buona educazione di essa ponete grandissima parte delle vostre cure, e non vi date mai a credere di aver vigilato e fatto abbastanza, pel tener lontana l’età giovinetta da quelle scuole e da quei maestri donde sia da temere l’alito pestifero delle sètte. Fate che i genitori, i direttori spirituali, i parroci, nell’insegnare la dottrina cristiana, non si stanchino di ammonire opportunamente i figli e gli alunni intorno alla rea natura di tali sètte, anche perché imparino per tempo le varie e subdole arti, solite usarsi dai propagatori di quelle per irretire la gente. Anzi quei che apparecchiano i giovinetti alla prima comunione faranno benissimo, se gl’indurranno a proporre e promettere di non ascriversi, senza saputa dei propri genitori ovvero senza consiglio del parroco o del confessore, a società alcuna. – Ma ben comprendiamo, che le comuni nostre fatiche non sarebbero sufficienti a svellere questa perniciosa semenza dal campo del Signore, se il Celeste padrone della vigna non ci sarà largo a tale effetto del suo generoso soccorso. Convien dunque implorarne il potente aiuto con fervore veemente ed ansioso, pari alla gravità del pericolo e alla grandezza del bisogno. Inorgoglita dei prosperi successi, la Massoneria insolentisce, e pare non voglia più metter limiti alla sua pertinacia. Per un’iniqua lega ed un’occulta unità di propositi da per tutto i seguaci suoi congiunti insieme, si dànno scambievolmente la mano e l’uno rinfocola l’altro a più osare nel male. Assalto sì gagliardo vuole non men gagliarda difesa: vogliam dire che tutti i buoni debbono collegarsi in una vastissima società di azione e di preghiera. Due cose pertanto dimandiamo da loro; da una parte, che unanimi, a schiere serrate, a piè fermo resistano all’impeto ognora crescente, delle sètte; dall’altra, che sollevando con molti gemiti le mani supplichevoli a Dio, implorino a grande istanza, che il Cristianesimo prosperi e cresca vigoroso; che riabbia la Chiesa la necessaria libertà; che i traviati ritornino a salute; che gli errori alla verità, i vizi faccian luogo alla virtù. – Invochiamo a tal fine l’aiuto e la mediazione di Maria Vergine Madre di Dio, affinché contro l’empie sètte, in cui si vedono chiaramente rivivere l’orgoglio contumace, la perfidia indomita, la simulatrice astuzia di Satana, dimostri la potenza sua, essa che trionfò di lui sin dal suo primo concepimento. – Preghiamo altresì San Michele, principe dell’angelica milizia, debellatore del nemico infernale; San Giuseppe, sposo della Vergine Santissima, Celeste e salutare patrono della cattolica Chiesa; i grandi Apostoli Pietro e Paolo, propagatori e difensori invitti della fede cristiana. Per il patrocinio di essi e per la perseveranza delle comuni preghiere confidiamo, che Iddio si degnerà di sovvenire pietosamente ai bisogni della umana società, minacciata da tanti pericoli.

A pegno poi delle grazie Celesti e della benevolenza Nostra impartiamo con grande affetto a voi, Venerabili Fratelli, al clero e a tutto il popolo commesso alle vostre cure l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 20 Aprile 1884, anno VII del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII

Dopo aver letto, nei giorni appena trascorsi, l’opera di F. Sarda e Salvany (v. in: exsurgatdeus.org/massonismo e Cattolicesimo I, II, III) e l’Enciclica su riportata del Santo Padre, S. S. Leone XIII, non ci resta da aggiungere altro, se non che le idee del massonismo, oramai dilaganti, imperanti nella nostra società moderna, cosiddetta “civile” [leggi: massonizzata!], ben oltre il quadro descritto per quei tempi, sono diventate le colonne portanti del “modernismo religioso” attuale, altresì imperante “in toto” nella falsa chiesa dell’uomo, che ha preso il posto della Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica, tornata, come millenni orsono, nelle catacombe, dopo l’estromissione nel 1958 del Papa legittimamente eletto: Gregorio XVII [cardinal G. Siri], dopo il c.d. concilio Vaticano II, il conciliabolo già condannato anzitempo da Pio II nella sua terribile bolla “Execrabilis”, e dopo l’intronizzazione di satana in Vaticano, nella cappella Paolina, il 29 giugno del 1963, in una doppia messa nera, alla presenza del falso papa allora appena insediato. In realtà il modernismo religioso attuale del “Novus ordo” ed il massonismo, hanno la medesima radice spirituale: il “luciferismo pragmatico”. Che Dio, che “irridebit eos et subsannabit eos…”, ci liberi! E la Vergine Maria schiacci il serpente infernale che Le insidia il calcagno quanto prima! “… Ipsa conteret caput tuum”. Noi ci sentiamo sicuri, confortati dalla parola di Gesù il Cristo “Non prævalebunt”, e per la sentenza già pronunziata per il traditore, antico o moderno che sia: “… melius illi erat, si natus non fuisset”!  

… et Ipsa conteret caput tuum!

Un’ENCICLICA al giorno toglie IL MODERNISTA APOSTATA di torno: ACCEPIMUS PRÆSTANTIUM

In questa enciclica di S. S. Benedetto XIV, viene sottolineata l’importanza e la necessità di un elemento liturgico, oggi considerato dagli apostati modernisti come un “optional” da antiquariato di cui frequentemente fare a meno, anche perché, essi dicono, non serve più al sacerdote (per altro al giorno d’oggi una finta e tragica maschera dell’antichiesa), il quale essendo rivolto al popolo, non fissa più il suo sguardo su di Esso: il “crocifisso sull’altare” tra i candelabri, che non vengono più posti sul tavolaccio da fast food ove si compirebbe “coram populi” la transustansazione (fortunatamente solo da pochi ben stagionati ottuagenari prelati e con formula quantomeno dubbia). La rigorosa osservanza delle regole ecclesiastiche, come possiamo notare nel documento rivolto ai “novatori” del tempo, costituisce un elemento fondamentale nel culto divino, che non può essere, a proprio arbitrio, gestito con superficialità, noncuranza o con invenzioni estemporanee di carattere sacrilego. Ecco quanto il Santo Padre all’epoca prescriveva e tuttora vige nella “vera” chiesa Cattolica.

Benedetto XIV

Accepimus praestantium

Abbiamo appreso dalle testimonianze di uomini insigni che già da tempo è stata introdotta in alcune città della giurisdizione ecclesiastica un’abitudine che permette la devozione e favorisce il sentimento religioso, ma che si oppone agli ordinamenti della Chiesa e alla consuetudine dei più. Noi stessi abbiamo osservato ciò in alcune Chiese di questa Nostra città di Roma, e parimenti in altre che sono sottoposte ai Vescovi suburbani. Sembrerebbe che Noi mancassimo al Nostro dovere, se di questo non venissero avvertiti coloro che da Noi sono stati nominati ministri per la direzione spirituale di questa città, e gli altri, che hanno cura delle anime reggendo episcopati suburbani, o la sede episcopale di un’altra città nella Giurisdizione Pontificia. – Sugli Altari che sono stati eretti tramite le comunità cristiane, e sui quali avviene per tradizione il rito sacro, davanti ad una tavola più grande, la quale mostra o dipinta oppure intagliata l’immagine del Santo, al cui nome e ricordo è stato consacrato l’Altare, ha cominciato ad essere aggiunta un’altra tavola più piccola, sulla quale il ritratto di un altro Santo o è rappresentato a colori oppure è inciso sul bronzo, nel legno o nel marmo; conseguentemente viene rimossa la Croce, la quale deve essere posta tra i candelieri, accanto alle Rubriche. Affinché, in verità, non rimanga ignoto ad alcuno che il rito sacro non può essere compiuto, se la Croce con l’immagine del Santissimo Crocifisso non è posta sopra l’Altare, da qui un Crocifisso assai piccolo viene posto sopra la tavola minore, affinché né si presenti facilmente agli occhi del sacerdote celebrante, né possa essere quasi distinto da nessun altro, a meno che questi non scruti accuratamente, o sia stata esposta in realtà l’immagine del Crocifisso sopra l’Altare. – In verità non disapproviamo il fatto che il medesimo Altare sia dedicato al nome e alla memoria di più Santi, o il fatto che siano dipinti su una tavola più grande uno solo o anche più Santi, o infine il fatto che un’altra tavola più piccola sia collocata più in basso, o in un altro qualunque modo, dove uno o più Santi sono esposti alla venerazione dei fedeli. In nessun modo possiamo permettere che la Messa venga celebrata su questi Altari, che sono privi dell’immagine del Crocifisso, o dove la stessa è posta in modo non consono davanti al Sacerdote celebrante, o sia così minuta da sfuggire quasi allo sguardo dello stesso Sacerdote e del Popolo presente; ciò infatti è contrario alle Leggi e alle istituzioni della Chiesa, che sono raccolte nei codici e nelle altre norme ecclesiastiche: ciò è anche massimamente contrario alla sacra antichità e anche alla consuetudine delle Chiese orientali. Pertanto è certissimo che sono violate le leggi della Chiesa, se solo una piccola immagine del Crocifisso è posta dinnanzi ad una tavola più piccola, oppure alla statua del Santo, che vi è posta sopra, per essere venerato dai fedeli. – Nelle Rubriche del Messale, sotto il titolo Sulla preparazione dell’Altare e dei suoi paramenti, si leggono queste parole: “Sopra l’altare sia posta nel mezzo la Croce, e almeno due candelieri con le candele accese da una parte e dall’altra dei suoi lati. Nel Pontificale Romano Sulla consacrazione dell’eletto a Vescovo, quando vi è la predica dall’Altare, dove il Vescovo da consacrare attende al rito sacro fino all’Offertorio, compiuto il quale la Messa continua su un altro Altare, dove il Vescovo che consacra compie il rito sacro, in quel Pontificale si tenga presente questo: “Nella cappella più piccola destinata all’Eletto, la quale deve essere separata dalla più grande, sia aggiunto un Altare con la Croce e due candelieri. Inoltre il Cerimoniale dei Vescovi, dopo aver fatto menzione al libro I, cap. 12, dei candelieri e delle candele, aggiunge: “Nel mezzo di questi sarà collocata una Croce del medesimo metallo e fattura, molto alta, così che il piede della Croce eguagli l’altezza dei vicini candelabri e tutta la Croce stessa si elevi al di sopra dei candelieri con l’immagine del Santissimo Crocifisso rivolta verso la parte anteriore dell’Altare. – Noi stessi abbiamo parlato di questa vecchia usanza di collocare la Croce sull’Altare, quando si compie il rito sacro, nei Nostri scritti Sul sacrificio della Messa, che da Noi sono stati composti in Italiano; molti poi ne abbiamo aggiunti, quando gli stessi, tradotti in latino, sono stati pubblicati una seconda volta. A questi aggiungiamo anche che, soprattutto a motivo dell’antichità di questa usanza, una grandissima devozione è stata sempre dedicata alla Croce, la quale è collocata al centro dell’Altare, quando si celebra la Messa; gli stessi rinnovatori più ostili hanno avuto grande paura ad allontanarla dal centro, quando consacrano l’Eucaristia; di ciò è testimone il Gretser nel suo Trattato sulla Croce, al cap. 13, tomo I di quell’edizione, che alla fine è stata stampata. – In verità, se osserviamo l’usanza degli orientali, i Greci hanno stabilito di porre presso la porta principale del Santuario, da entrambi i lati, le immagini di Cristo Signore e della Beata Vergine, e sopra l’Altare la Croce assieme al libro dei Santi Vangeli. Nella liturgia copto-araba, che, desunta dai manoscritti Codici Vaticani, è stata stampata nell’anno 1736 nel Collegio Urbano della Propaganda Fide, a p. 33 si prescrive al Sacerdote celebrante di impartire al popolo la benedizione con la Croce, che poi la baci e che la porga ad un diacono, perché la collochi sopra l’Altare. Infine il rito siriano dei Maroniti stabilisce precisamente le stesse disposizioni che abbiamo indicato più sopra e che sono prescritte nelle Rubriche del Messale Romano. Infatti il Patriarca Stefano così scrive: “Codesta usanza si sviluppò in tutte le Chiese, così che il simbolo della salutifera Croce è posto sopra l’Altare” (libro 2, trattato 2, 4). Anche il Sinodo nazionale, che è stato convocato nell’anno 1736 sul monte Libano e che Noi stessi abbiamo convalidato con la Lettera apostolica Sulla sacrosanta Messa, così stabilisce: “Sull’Altare sia collocata, nel mezzo, la Croce; ai suoi lati, almeno due candelabri con le candele accese, da una parte e dall’altra” (§ 2, cap. 13). – Gli scrittori che hanno spiegato i sacri riti intraprendono alcune discussioni: anzitutto se sia sufficiente porre la nuda Croce sull’Altare, o se sia opportuno nello stesso momento aggiungere l’immagine del Crocifisso. In verità le Rubriche del Messale citano la sola Croce. Tuttavia, dal momento che il Cerimoniale dei Vescovi ricorda nello stesso momento la Croce e il Crocifisso, e dal momento che ciò è conforme ad una comune consuetudine della Chiesa, nessun sapiente dubiterà perciò che questo parere debba essere apprezzato. Così la pensano il Gavantus e Claude La Croix, il quale nella sua opera Sulla Messa ammette che in forza del tradizionale comune uso, senza l’immagine del Crocifisso appesa alla Croce, il rito sacro non può avvenire, se non lo abbia impedito una necessità, come, all’inizio della storia della Chiesa, quando i fedeli temevano di incitare grandemente i gentili all’ira se avessero esposto Cristo Crocifisso da adorare pubblicamente (lib. 6, § 2, n. 318). Tuttavia esponevano apertamente la Croce ornata in moltissimi modi e apponevano alla Croce, inciso o dipinto, l’Agnello, la cui immagine sempre è stata associata all’amatissimo Salvatore, affinché almeno in quel modo mostrassero l’immagine del Crocifisso; ciò tuttora si osserva in alcune Chiese di questa Città ed è dimostrato anche dalla testimonianza di Magrio nel suo Iero lessico, sotto la voce Crux. – In secondo luogo si esamina se il Crocifisso appeso alla Croce debba essere posto sull’Altare, anche se il Salvatore nostro Crocifisso appaia dipinto o scolpito su una tavola più grande dell’Altare. Il Gavantus è senz’altro d’accordo; in verità altri lo giudicano minimamente necessario, purché tuttavia il Crocifisso o dipinto o scolpito su una più grande tavola sia in primo piano davanti alle altre figure ivi rappresentate. Così sono del parere Pasqualigus (cf. Il Sacrificio della Messa, quest. 716), Quarto (cf. Rubriche del Messale, § 1, tit. 20, dub. 10) e Giribaldo (cf. Sui Sacramenti e il Sacrificio della Messa, cap. 9, dub. 2, n. 20). A questo parere parimenti si è conformata la Congregazione dei Sacri Riti, come risulta dalla risposta che la stessa ha reso nota nell’anno 1663 e che Meratus esamina attentamente (cf. La preparazione dell’Altare, n. 6; Indice dei Decreti, stesso tomo, § 2, n. 400). – In terzo luogo si discute se il Crocifisso deve essere collocato sull’Altare (quando vi viene celebrata la Messa) dove è posto il Tabernacolo, in cui è contenuta la Pisside con le Sacre Particole; tanto più se davanti al medesimo Tabernacolo è sempre posta una piccola Croce con l’immagine del Salvatore Crocifisso. Infatti nel Cerimoniale dei Vescovi si legge: “Non è sconveniente ma massimamente decoroso, che sull’Altare, dove si trova il Santissimo Sacramento, non si celebrino Messe, usanza che crediamo sia stata osservata da tempo antico. Nel vecchio Cerimoniale, al tempo del Pontificato di Clemente VIII, si leggeva: “Consuetudine che vediamo esser stata osservata da tempo antico“. Pur tuttavia ciò sembra ad alcuni del tutto inaccettabile, per il fatto che, come essi stessi argomentano, nelle antiche Chiese veniva costruito un unico Altare, o la Divina Eucaristia non era in essi custodita, oppure nessuna Messa vi veniva celebrata. Al contrario, coloro che conoscono ed approfondiscono tale consuetudine, ritengono che essa sia stata praticata anticamente quando la Sacra Eucaristia era conservata in una cappella della Chiesa, o in un elegante armadio fissato al muro, come anche ora osserviamo nella Basilica della Santa Croce in Gerusalemme. Dello stesso parere è il Mabillon (cf. Museo Italico, tomo I, p. 89, e tomo II, p. 139). Ma ciò che al presente genera difficoltà e nulla risolve nell’esame dell’esposta controversia è il fatto che, secondo l’uso corrente, la Sacra Eucaristia è conservata nel Tabernacolo posto sopra un Altare della Chiesa sul quale, senza regola, viene celebrata la Messa, dopo che è stato accuratamente esaminato il testo del Cerimoniale, dal momento che è stato riconosciuto che ciò non contrasta assolutamente con la suddetta celebrazione, come valuta Christianus Lupus al tomo XI della più recente edizione del trattato Sulle sacre processioni, p. 356. Pertanto dal momento che Noi stessi esaminiamo altrove questa controversia nei sopracitati scritti su Il sacrificio della Messa, § 4, sett. 1, 18 abbiamo apprezzato il parere di coloro i quali ritengono che il Crocifisso deve essere posto tra i candelieri e che una piccola Croce, fissata al Tabernacolo, non è sufficiente perché non sia violata la Rubrica; come spiegheremo più sotto. La medesima norma è stata stabilita dalla Congregazione dei Sacri Riti nell’anno 1663, come si legge nell’Indice dei Decreti, presentato dal Meratus, dove si trovano queste parole: “Una piccola Croce con l’immagine del Crocifisso posta sopra il Tabernacolo, nel quale (sull’Altare) è custodito il Santissimo Sacramento, non è sufficiente durante la celebrazione della Messa: nel mezzo dei candelieri deve essere collocata un’altra Croce” (§ 2, tomo I, n. 400). – In quarto luogo si discute se il Crocifisso è bene sia posto tra i candelabri, quando si termina il rito sacro su quell’Altare, dove la Divina Eucaristia non è chiusa nel Tabernacolo, ma è esposta alla pubblica venerazione dei fedeli. La Congregazione dei Sacri Riti il giorno 14 maggio 1707 ha ritenuto che ciò sia indispensabile. Infatti era stato chiesto: “Se sopra l’Altare, sul quale è stato esposto il Santissimo Sacramento, la Croce debba essere collocata secondo la consuetudine. Così allora è stato risposto: “Giammai bisogna tralasciare di porre la Croce con l’immagine del Crocifisso. Ricordiamo inoltre che quando Noi stessi (occupavamo allora la carica di Coadiutore del Promotore della Fede) abbiamo partecipato alla medesima Congregazione, in occasione di quella decisione i voti sono stati vari e discrepanti; ci volle prudenza, perché la stessa decisione non vedesse la luce. La questione è stata di nuovo sollevata all’inizio del Nostro Pontificato il giorno 2 settembre 1741 nella medesima Congregazione dei Sacri Riti, la quale, dopo aver esaminato il tutto con scrupolo, ha decretato che qualunque Chiesa mantenesse anche per l’avvenire l’usanza che fino ad allora aveva praticato. In verità, a favore della rimozione della Croce dall’Altare mentre vi si celebra la Messa, e l’Eucaristia vi è esposta alla pubblica venerazione, poco importa che alcuni ritengano che è sconveniente che l’immagine di Cristo si trovi nel luogo, in cui Cristo stesso in forma di pane è realmente presente e da tutti è visto sotto la medesima specie di pane. Ciò senza dubbio avviene ogni volta in cui il Sacerdote, compiendo il rito sacro su qualsiasi Altare, consacra l’Eucaristia; e giammai la Chiesa ha ritenuto che si debba decidere che, compiuta la consacrazione, la Croce sia rimossa dall’Altare. Analogamente per coloro i quali sostengono che la Croce deve essere necessariamente sull’Altare su cui è stato esposto il Sacramento alla pubblica venerazione, se la Messa vi viene celebrata: a nulla può giovare il fatto che nella pubblica esposizione dell’Eucaristia sono indicati il trionfo e la gloria del Salvatore, mentre nella Messa è rievocata la sua morte; la Chiesa, tanto durante la Messa, nella quale si consacra l’Eucaristia, quanto nella conclusione delle preghiere, le quali sono recitate alla presenza della medesima ormai consacrata ed esposta apertamente alla venerazione dei fedeli, si serve egualmente della stessa Colletta composta da san Tommaso d’Aquino: “Dio, che lasciasti a noi il ricordo della tua passione entro il mirabile Sacramento, concedi, Ti chiediamo, che noi veneriamo i sacri misteri del tuo Corpo e del Tuo Sangue, così che sentiamo sempre in noi il frutto della tua redenzione (cioè della passione e della morte)”. Stando così le cose e dal momento che gl’interpreti e gli scrittori di riti, per i motivi che sono stati riferiti, hanno espresso diversi pareri, non possono essere sufficientemente raccomandati i Decreti che accortamente e sapientemente sono stati emessi dalla predetta Congregazione dei Sacri Riti, appunto perché ogni Chiesa o Diocesi possa mantenere la propria consuetudine; così come nulla venga modificato in quella Diocesi, dove la Croce suole essere posta sull’Altare, mentre viene celebrata la Messa, anche se la sacra Eucaristia sia pubblicamente esposta; né venga incoraggiata una nuova disciplina in quella Diocesi, dove si è affermata già da tempo una consuetudine ad essa contraria. – Abbiamo accuratamente esposto tutte queste questioni, non certo per preparare sull’argomento un completo trattato, ma perché tramite queste fosse conosciuto e osservato quanto sia alieno dai sacri riti ciò che molti hanno compiuto alla leggera e senza riflessione, cioè di celebrare il rito sacro presso Altari, sui quali la Croce non si elevi sopra i candelabri, ma soltanto un piccolo Crocifisso sia affisso alla tavola di qualche Santo che, o dipinto o scolpito, era solitamente aggiunto alla tavola maggiore dell’Altare. – Se, infatti, in conformità delle Rubriche del Messale, la Croce deve essere posta tra i candelabri; se, in conformità del Cerimoniale dei Vescovi, la Croce con l’immagine del Crocifisso deve elevarsi al di sopra dei candelabri; se in conformità del pensiero della Congregazione dei Sacri Riti, un piccolo Crocifisso infisso al Tabernacolo non è giudicato sufficiente, quando la Messa viene celebrata presso l’Altare, dove la Pisside con le Sacre Particole è chiusa nel Tabernacolo; se nella presente non si tratta dell’Altare, su una tavola del quale l’immagine del Salvatore Crocifisso è mostrata in primo piano ai fedeli, e nemmeno dell’Altare sul quale la Sacra Eucaristia è esposta alla pubblica adorazione, non vi può essere nessuno che non veda che il procedimento di cui si discute, recentemente introdotto e praticato da singole persone con particolare aggressività, debba essere assolutamente disapprovato per quanto esposto, tanto più, quando dal piccolo Crocifisso affisso alla tavola di quel Santo che è posto sopra l’Altare, certamente non consegue quell’utilità che stabilisce la Chiesa, allorché decide che la Croce deve essere collocata tra i candelabri. Su quest’argomento l’eccellentissimo cardinale Bona così lasciò scritto: “Dalla vista della Croce è richiamata alla memoria del Sacerdote celebrante la passione di Cristo, passione della quale questo Sacrificio è la vera immagine e la reale rappresentazione, esprimendo in modo incruento la morte cruenta del nostro Salvatore; quantunque in modo diverso, viene presentato lo stesso Sacrificio che fu offerto sulla Croce. Con queste ultime parole è indicata la dottrina ortodossa, espressa dal Concilio di Trento (Rerum liturgicarum, lib. I, cap. 25, n. 8). – Pertanto, Voi tutti, Venerabili Fratelli, a cui indirizziamo questi scritti apostolici, impedite con tutta l’anima che si insinui nelle vostre Diocesi la consuetudine, che più sopra abbiamo spiegato. Se la stessa si fosse già affermata, utilizzando prima la mitezza e poi la severità, se fosse necessario, sradicatela fino in fondo. Si tratta del Sacrificio della Messa; perciò nessuno di voi ignora che dal Concilio di Trento è stata attribuita ai Vescovi ed agli Ordinari dei diversi luoghi quell’autorità in forza della quale, anche come delegati della Sede Apostolica, possano correggere le cattive abitudini, che si oppongono al rito della celebrazione della Messa; così chiaramente si desume nel decreto della sessione 22 Sulle cose da osservare e da evitare nella celebrazione della Messa. Né a voi è ignoto che non vi è alcun privilegio o immunità, che possa essere concesso a coloro che non si attengono a questa disposizione, affinché siano puniti dalla vostra autorità, con pene da voi irrogate. In questo modo si è espressa più volte la Sacra Congregazione interprete del Concilio di Trento, richiamandosi al Decreto del medesimo Sinodo che poco fa abbiamo ricordato. Ciò testimonia Fagnanus: “In generale la Sacra Congregazione ha stabilito che anche i Regolari fossero compresi in questo Decreto, quantunque esclusi; tutti coloro che erano stati esentati saranno tenuti ad osservare scrupolosamente nella celebrazione delle Messe le norme disposte dagli Ordinari; a ciò potranno essere costretti con pene e censure ecclesiastiche da irrogarsi dagli stessi Ordinari” (De officio Ordinarii, cap. Grave, n. 46). – Noi, in verità, con questa Lettera confermiamo di nuovo quell’autorità, della quale già siete stati insigniti. Resta da ricordare che Noi non siamo del parere che voi portiate via dal centro le immagini dei Santi, che sono state poste sopra la predetta tavola maggiore dell’Altare, dal momento che non mancheranno gli invidiosi, i quali, per infliggere una macchia al vostro sentimento religioso, divulgheranno fra il popolo che voi non siete trasportati verso quel Santo da alcuna devozione, la cui immagine sottraete alla venerazione dei fedeli. Questo vi prescriviamo: che in alcun modo permettiate che il rito sacro venga celebrato presso Altari nei quali il Crocifisso non si elevi tra i candelabri, in modo che il Sacerdote che celebra e il popolo che assiste al Sacrificio possano guardare agevolmente lo stesso Crocifisso, cosa che non può avvenire, se è mostrata ai fedeli solamente una piccola Croce fissata ad una tavola minore. Se tale corruzione non si è estesa sensibilmente nella Diocesi, facilmente potrà essere estirpata, se privatamente i Superiori delle Chiese informeranno di ciò i Regolari o i Secolari. Ma se si è diffusa ampiamente per la Diocesi, allora necessariamente da voi dovrà essere promulgato un editto, che si conformi a questa Nostra Lettera. – Tralasciamo di scrivervi di più: Noi vi stimiamo degni di lode quanto a prudenza e a dottrina. Sappiate con certezza che il Nostro appoggio, ogni qualvolta sarà necessario, non vi mancherà mai se lo chiederete per condurre a buon fine questa disposizione. Frattanto, alle Vostre Fraternità e ai Popoli affidati alla vostra cura impartiamo molto amorevolmente l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 16 luglio 1746, anno sesto del Nostro Pontificato.

 

Tutta la “vera” Chiesa non ha mai dubitato della elezione di Gregorio XVII: sul “Papa dubius”

Su: “Papa dubius, nullus Papa

(Profezia sul Papa del Venerabile Bernardo de Bustis, XV sec.): “… nel tempo dell’Anticristo avverrà … un conflitto così violento con la Chiesa Romana che ci saranno grandi tribolazioni. In questo periodo, si produrrà nel seno della Chiesa uno scisma in occasione dell’elezione del Papac’è uno che sarà chiamato il vero papa, ma egli non sarà veramente tale … egli farà perseguitare il vero Papa e tutti coloro che gli obbediscono, affinché la maggioranza si dichiari per l’antipapa, piuttosto che per il vero Papa. Ma questo antipapa farà una triste fine e quello vero RIMARRÀ il Pontefice unico ed incontrastato. …”

Mani violente si abbatteranno sul capo supremo della Chiesa Cattolica… Sì, sì, il gregge diventerà piccolo.” (profezia di G. Wittman d. 1833)

Il Cardinale Johann Baptist Franzelin S.J., d. 1886 (nella foto sopra), considerato da molti come il più grande teologo del XIX secolo – espone la corretta comprensione di questo assioma spesso citato a sproposito e compreso erroneamente : “Papa dubius, nullus papa.”

Nel 1857, Franzelin fu nominato professore di teologia dogmatica, presso il Collegio Romano, posizione che mantenne fino al 1876. Nominato Consultore della Sacra Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari il 23 aprile 1869, servì come teologo del Papa nel Concilio Vaticano e diede un contributo considerevole alla stesura della Costituzione “De Fide Catholica”. Consultore della sacra Congregazione di Propaganda Fide, Concilio Tridentino, per gli affari ecclesiastici straordinari e ‘qualificatore’ del Sant’Uffizio. Creato Cardinale il 3 aprile 1876 dal Papa Pio IX, quest’ultimo lo nominò prefetto della Sacra Congregazione delle Indulgenze e delle Reliquie il 28 marzo 1885. Le sue opere teologiche sono conosciute in tutta la Chiesa per la loro solidità, erudizione e scrupolosa precisione.

Ecco un passaggio del cardinale Franzelin che discute circa “l’assioma del Papa dubbio“.

Versione breve: una volta che un uomo sia diventato un vero Papa, nessun dubbio da parte della Chiesa può privarlo del Pontificato. Se l’intera chiesa dovesse dubitare della legittimità di colui che rivendica il Papato, questo sarebbe un segno certo che costui non è mai stato un vero e legittimo Pontefice.

[Cardinale Franzelin, S.J., De Ecclesia Christi, pp. 230-36] (tradotto dal latino). Ci sembra opportuno esporre qui molto brevemente il nostro parere sul modo in cui avvenne l’estinzione di questo scisma tanto disastroso ed il ristabilimento della piena unità della Chiesa, o meglio della comunione effettiva di tutti i Cattolici con l’erede legittimo alla Sede Apostolica; questo dovrebbe a nostro avviso essere spiegato. Per ammissione di tutti i teologi, infatti tutta la Chiesa fu interamente d’accordo per il fatto in sé dell’estinzione dello scisma mediante l’elezione legittima e indubbia di Martino V come un vero successore di Pietro, tuttavia non c’è tale consenso, anche se non esiste nessuna piccola differenza di opinione tra i teologi e gli interpreti della legge quando si è trattato di valutare del modo in cui si giunse legittimamente a questo felice esito. Soprattutto ora, dopo le lucide ed esplicite definizioni del Concilio Vaticano [1870 D.C.–ndr.-] circa i diritti divini del Primato e sulle relazioni che esistono tra esso e tutto il resto della Chiesa, i principi dogmatici contenuti in queste definizioni del Concilio o che necessariamente sono seguiti ad esse, dovrebbero essere tenuti bene in vista per un più certo e costante trattamento della questione proposta.

. Come da legge divina, è stabilito che il “PRIMATO” di Pietro viene propagato in ognuno dei suoi legittimi successori, per tutta la durata della Chiesa, la quale è costruita e eretta su questa roccia perpetua; la legittima elezione del Pontefice Romano è l’UNICA CONDIZIONE, soddisfatta la quale, l’eletto entra nella serie dei successori di Pietro, ricevendo tutto il potere divinamente istituito del primato, non dagli elettori, che non ce l’hanno, ma dalla forza dell’istituzione di Cristo e da Cristo stesso, che è la Roccia propriamente originaria, costituita come una roccia dal potere partecipativo.

2º. A colui che è stabilito come Pontefice, la Chiesa sia nei suoi singoli pastori che nelle greggi e pecore, è considerata un tutt’uno, con tutti i pastori e greggi e pecore insieme, soggetto come un gregge ad un Pastore supremo: non che la Chiesa, anche presa nella sua interezza, abbia alcun potere di giurisdizione sopra il Pastore supremo, ma al contrario Egli ha la pienezza del potere su di Essa, come sul gregge, secondo le norme divinamente stabilite. –

3°. Così non esiste nessun potere nella Chiesa che, una volta che un Pontefice sia stato costituito, possa limitare o togliere il Potere supremo divinamente conferitogli con tutti i suoi diritti. Il potere stabilito da Cristo e conferito al successore di Pietro, non può cessare in lui tranne che in caso di: – rinuncia spontanea, la cui validità è abbastanza certa dopo la definizione di San Celestino V come dottrina ed azione nota nella Chiesa universale, o – per la spontanea defezione dalla Chiesa per eresia manifesta e pertinace. Tale scandalo si andrebbe a verificare quando come pastore e dottore della Chiesa, si allontanasse dalla promessa e dall’istituzione di Cristo con l’errare formalmente nelle sue definizioni, anche solamente come dottore privato, cosa mai avvenuta e che non senza ragione è contestata dai teologi, considerando la tenera Provvidenza di Cristo per la sua Chiesa e la sua divina promessa (cfr Bellarmino in “de ROM. Pontif.” l. IV. CC. 6. 7.).

. Non potrà mai cadere nell’eresia formale né nell’eresia materiale, cioè negando positivamente ciò che è rivelato, o affermando come rivelato ciò che non è rivelato, la Chiesa tutta, il Regno della verità, promessa dello Spirito di verità, che rimane in Essa per l’eternità; con lo stesso ragionamento della promessa dell’unità perenne, il cui centro e legame visibile è il romano Pontefice, tutta la Chiesa, Corpo di Cristo, non può mai essere separata da un vero e legittimo Romano Pontefice, suo Capo visibile, né con uno scisma formale né materiale. Se ad un certo momento “sembra” che tutta la Chiesa abbia operato una secessione, come negli ultimi anni di Pietro de Luna, che aveva preso il nome di Benedetto XIII, non si tratta di una defezione dal “vero” e legittimo Pontefice, che veniva privato del suo potere, cosa che è impossibile (v. al n. 3.), ma questo è semplicemente un segno certo che costui non è mai stato un vero e legittimo Pontefice. Pertanto ciò che viene detto da molti per spiegare gli atti dei concilii di Pisa e di Costanza, con l’assioma: “Il papa dubbio non è un Papa”, vale solo se c’è un dubbio e a causa di questo dubbio c’è una secessione dell’intera Chiesa; ma esso non può essere ammesso se, dopo che un Pontefice sia stato legittimamente costituito, in una parte o anche nella sola parte più elevata della Chiesa ci siano dubbi e ne derivi una secessione a causa delle anomalie introdotte.

. Quando una parte della Chiesa, senza sua colpa, a causa della oscurità nel presentarsi delle cose, aderisce con uno scisma materiale a qualcuno come ad un legittimo Romano Pontefice, alcuni dei suoi atti giurisdizionali, soprattutto quelli che riguardano il foro interno, possono acquisire validità mediante un titolo colorato; ma né da essa, né da alcun altro suo potere, anche legittimo, ma inferiore, possono validamente essere abrogate o modificate le leggi stabilite da un “vero” Romano Pontefice, in particolare quelle che determinano la validità degli atti relativi alla Fondazione visibile  della Chiesa stessa, come è appunto l’elezione del Capo della Chiesa (v. al n. 2.). – Premessi questi principi, non riusciamo a capire come si potrebbe ammettere l’opinione di coloro che nello spiegare gli atti DEL CONCILIO [di] Constanza dicono, con Bellarmino e Suarez, che il diritto di tutti i tre che a quel tempo rivendicavano il pontificato, era dubbioso, perché le “obbedienze individuali”, come le parti aderenti ai diversi pontefici sono state definite, consideravano due di loro come illegittimi; tuttavia, un tale Pontefice “dubbio” non è un vero pontefice, o come abbiamo sentito dire da Suarez: “potrebbe essere che nessuno di loro fosse stato un Pontefice certo e quindi si trattasse di un non-pontefice, perché nessuno di loro aveva ancora ricevuto il consenso sufficiente della Chiesa.”Ma colui che è legittimamente eletto, è costituito da questo unico fatto vero Pontefice, non dalla Chiesa ma da Cristo stesso (v. al n. 1.), né è richiesto il “consenso sufficiente” della Chiesa che debba servire come condizione necessaria perché egli sia un vero Pontefice; il “consenso sufficiente” è ottenuto dalla preghiera e dalla promessa di Cristo per l’unità della sua Chiesa a cui segue l’obbedienza dovuta, essendo questi un “vero” Pontefice (n. 4.). Inoltre, è evidente che a Costanza, per quanto riguarda le modalità di elezione ed i legittimi elettori stessi, sono state dichiarate e fatte molte cose particolari che erano contrarie alle leggi per la valida elezione istituite, per il potere supremo dei Romani Pontefici, da Alessandro III, Gregorio X e Clemente V. Ma tale cambiamenti e sospensioni delle leggi del potere supremo non possono essere che fatti dalla stessa potenza suprema del Romano Pontefice, divinamente costituita e che pone tutta la Chiesa in obbedienza al potere del supremo Pastore, cosa che anche Suarez ammette: “… perché una potenza inferiore non può cambiare ciò che è stato stabilito da una superiore e perché il primato di Pietro è stato dato a lui ed i suoi successori, e solo a lui o al Supremo Pontefice… appartiene il prescrivere le modalità della sua elezione e della successione” (Vedi sopra th. XII. n. III.). Ora infatti se a quel tempo non c’era nessun vero Pontefice, perché (come questi teologi asseriscono) nessuno era indubbio e determinato, è manifesto che il potere inferiore della Congregazione a Costanza, abbia agito contro le modalità dell’elezione prescritte dal potere supremo dei Sommi Pontefici. Così, nel modificare le modalità prescritte per l’elezione, sono stati ammessi ad esempio come elettori, oltre ai cardinali, anche altri vescovi e sacerdoti semplici non appartenenti oltretutto al clero della Chiesa Romana; ma le difficoltà sono esistite per quanto riguarda anche gli stessi Cardinali appartenenti alle tre obbedienze [e quindi molti di essi falsamente nominati -ndr.-], difficoltà che non si vedono risolte né citate da questi teologi, né si vede allo stesso modo come, secondo le loro ipotesi, si possano risolvere. Se per circa quarant’anni (dal 27 marzo 1378, quando morì Gregorio XI, fino all’elezione di Martino V l’11 novembre 1417) nessuno fosse stato un vero Pontefice, tutti questi cardinali creati da tali pseudo-pontefici, come hanno potuto essere considerati legittimi Cardinali, visto che provenivano dalle varie obbedienze e quindi da pontefici contrari, riconosciuti reciprocamente come illegittimi nei raduni di Pisa e di Costanza, contraddicendo quindi gli stessi pontefici dai quali erano stati creati, e come hanno potuto reclamare per se stessi i diritti propri del Cardinale? Inoltre, se l’elezione di Urbano VI (8 aprile 1378) non fosse stata valida, perché non era allora da considerarsi valida l’altra di Clemente VII (20 settembre 1378)? Se tuttavia, cosa che non può ora essere giustamente messa in dubbio, Urbano VI era stato creato Papa, e molti di quei Cardinali che in seguito hanno defezionato, lo avevano riconosciuto in atti pubblici come il legittimo successore di San Pietro, almeno fino al mese di giugno, mentre poi in lettere scritte successivamente si è gradualmente insinuato e propagato il dubbio fino al punto da farlo ritenere decaduto dal Pontificato, come non riconoscerlo, visto che il Primato non viene conferito né dai Cardinali né dalla Chiesa, ma immediatamente da Cristo-Dio? Pertanto, se non poteva essere spogliato del Pontificato divinamente conferito da eventuali atti di un uomo qualunque fino alla sua morte (avvenuta il 15 ottobre 1389 nella sua sede romana), egli è rimasto il “vero” successore di Pietro, e senza dubbio i suoi successori, eletti secondo tutte le leggi stabilite, e cioè Bonifacio IX, Innocenzo VII e Gregorio XII, furono dei veri e legittimi successori nella sede di Pietro. Quei dubbi che da parte dei Cardinali causarono i noti problemi e furono insinuati e propagati dopo che l’elezione e il riconoscimento di Urbano VI era stato già stabilito, validazioni pertanto estese pure ai suoi successori, potrebbero bastare solo, come abbiamo detto sopra, a considerare coloro che erano legati alle fazioni di Roberto di Ginevra (Clemente VII) e del suo successore Pietro de Luna (Benedetto XIII) e poi di Alessandro V eletto a Pisa (26 giugno 1409) e del suo successore Giovanni XXIII, a non essere stati formalmente, ma solo materialmente, degli scismatici, per cui tra essi potevano pure trovarsi uomini santi; ma questi dubbi, né quelli seguiti al conciliabolo di Pisa con l’elezione anche di un terzo [falso -ndr.-] romano pontefice, potrebbero assumere, al di là di Urbano VI e dei suoi successori validamente eletti, la dignità e la potenza della Chiesa Universale. L’accusa di scisma e di “famigerate eresie” portate da Pisa contro Gregorio XII, come promotore e difensore ostinato di un scisma e che, avendo negato la verità rivelata dell’unità della Chiesa, fosse di conseguenza decaduto dal Pontificato, implicava una contraddizione; essi dicevano: “ … se fosse stato il vero Pontefice che aveva da Cristo la suprema potestà sulla Chiesa universale, avrebbe dovuto difendere questo suo potere contro avversari che erano, almeno materialmente, scismatici”; tali avversari infatti egli non attaccò, né tantomeno egli negò la dottrina dell’Unità della Chiesa istituita da Cristo, principalmente nel suo Capo e sotto il suo Capo visibile. Né in seguito, “queste famigerate eresie” di Gregorio XII a Costanza sono mai state riconosciute tali come avallate nella verità dal giudizio di Pisa, cosa che fu subito chiarita. Quindi secondo essi, Gregorio, che non era obbligato a lasciare il suo Pontificato spontaneamente, in quella dispersione della Chiesa avrebbe peccato nell’opporsi a tale obbligo; ma l’asserzione che il Pontefice è privato del suo potere a causa di peccati diversi dalle eresie, è condannata all’articolo 8 contro Wycliff e negli articoli 12, 13, 20, 22 e 24 contro John Hus così come fu definito da Martino V nello stesso Concilio di Costanza.

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Questo scritto di Franzelin evidentemente è di somma importanza nella comprensione dei diritti pontifici, per cui la tanto sbadierata sedevacanza durante lo Scisma d’occidente, in realtà non è mai esistita, essendosi succeduti a Gregorio XI, sia il “vero” Papa legittimamente eletto, Urbano VI, sia, alla sua morte, i successori Bonifacio IX, Innocenzo VII e Gregorio XII, fino all’elezione a Costanza di Martino V. Questi princìpi ovviamente sono i medesimi che fanno considerare il Pontificato di Gregorio XVII [che coloro che sono a-cattolici dicono: Cardinal Siri] legittimo e valido a tutti gli effetti, potendosi così considerare assolutamente “fasulli” gli impostori antipapi che ne hanno impedito il Magistero, ed i loro ancor più fasulli gli attuali sacrileghi successori nonché i fiancheggiatori pseudo-chierici. Questo conferma ancora una volta che le leggi della Chiesa costituiscono un ingranaggio perfetto, più perfetto di un orologio svizzero, e solo stolti e malvagi servi di satana e dell’anti-Cristo possono pensare di modificarlo o interpretarlo maldestramente a loro piacimento!

… et IPSA conteret caput tuum!

Un’ENCICLICA al giorno toglie IL MODERNISTA APOSTATA di torno: “LIBERTAS”.

Libertas è una delle più profonde e dense encicliche di S. S. Leone XIII, nella quale viene affrontato il tema della “vera” libertà dell’uomo, quella che ci deriva dalla verità di CRISTO, ben diversa da quella falsa sbandierata dalla società laico-massonizzata, allora ed ancor più oggi imperante nel mondo e portatrice di deliranti principi, “in primis” il liberalismo [il “non serviam” luciferino!] che riporta nella morale i princìpi del naturalismo e del razionalismo, la sovranità della ragione umana e che esclude le leggi provenienti da Dio. Quello che ci lascia senza parole, leggendo le parole del Santo Padre, è che molti avvertimenti dell’epoca, fatti opportunamente per scongiurare mali manifesti, le cui conseguenze si sono già storicamente rivelate esatte nelle previsioni della realtà dei fatti, è che oggi anche i modernisti della falsa chiesa dell’uomo (la sinagoga di satana di apocalittica memoria!), accettano e tollerano come sacralità pressoché dogmatiche, spacciandole per concetti “ecumenici”, la libertà di culto, l’indifferentismo religioso, la libertà di parola (e di idiozia) e di stampa, la libertà di coscienza e la tolleranza dell’errore e dell’inganno manifesto, la libertà di insegnamento di ogni stupidaggine anche evidente, la separazione dello stato dalla Chiesa, la Chiesa adattata alle moderne esigenze [cioè il libero peccare impunemente!] etc. tutti concetti giustamente anatemizzati dalla Chiesa Cattolica per mezzo della voce del Papa, il Vicario di Cristo in terra, assistito in materia di fede e morale dallo Spirito Santo nel suo Magistero universale, ordinario e straordinario] anche in questo caso, giusto per chiarire la “vera” dottrina cristiana. Effettivamente questa lettera Enciclica è adatta a tener lontano il modernista apostata con tutte le sue idiote farneticazioni ed ad … aprire gli occhi ai poveri fedeli … impinocchiati [ci si perdoni il neologismo masso-fabulistico]! Buona lettura e … respirate a pieni polmoni la cattolicità! : “Libertas, præstantissima naturæ bonum, …”

S. Leone XIII

Libertas

Lettera Enciclica

“La libertà, nobilissimo dono di natura, proprio unicamente di creature dotate d’intelletto e di ragione, attribuisce all’uomo la dignità di essere “in mano del proprio arbitrio” e di essere padrone delle proprie azioni. Tuttavia è molto importante stabilire in che modo tale dignità debba manifestarsi, poiché dall’uso della libertà possono derivare grandi vantaggi ma anche grandi mali. Infatti è facoltà dell’uomo ubbidire alla ragione, seguire il bene morale, tendere direttamente al suo fine ultimo. Ma egli può anche deviare verso tutt’altri scopi e, perseguendo false immagini del bene, può turbare l’ordine prestabilito e precipitare in volontaria rovina. Gesù Cristo, liberatore del genere umano, restaurando ed elevando la primitiva dignità di natura, giovò moltissimo alla volontà dell’uomo e la innalzò verso miglior segno, ora soccorrendola con la sua grazia, ora proponendo la sempiterna felicità nei cieli. Per tale motivo la Chiesa Cattolica ha giovato e gioverà sempre a questo eccellente bene di natura, poiché è sua missione diffondere in tutto il corso dei secoli i benefici recati a noi da Gesù Cristo. Eppure sono molti coloro che considerano la Chiesa contraria alla libertà umana. La causa di tale pregiudizio proviene da un perverso e confuso concetto di libertà, che viene snaturato nella sua essenza o allargato più del giusto, in modo da coinvolgere situazioni nelle quali l’uomo non può essere libero, se si vuol giudicare rettamente. – In altre occasioni, e soprattutto nella Enciclica Immortale Dei, discorremmo delle cosiddette libertà moderne, facendo distinzione tra ciò che è onesto e il suo contrario; dimostrammo ad un tempo che ciò che vi è di buono in quelle libertà è tanto antico quanto la verità e che la Chiesa lo ha sempre favorevolmente approvato e messo in pratica. Ciò che vi aggiunse di nuovo, a dire il vero, consiste nella parte più corrotta che provenne da tempi turbolenti e da eccessiva brama di novità. Ma poiché vi sono molti che si ostinano nella opinione che quelle libertà, anche quando siano segnate dal male, sono da considerare come il sommo vanto della nostra età e il necessario fondamento delle formazioni statali, così che, senza di quelle, negano che si possa concepire un perfetto governo dello Stato, Ci sembra sia necessario trattare specificamente tale argomento, avendo come obiettivo il pubblico bene. – Noi perseguiamo direttamente la libertà morale, sia che riguardi le singole persone, sia il civile consorzio. Prima però è opportuno trattare brevemente della libertà naturale poiché, sebbene si distingua affatto da quella morale, tuttavia costituisce la fonte e il principio donde scaturisce spontaneamente ogni forma di libertà. La ragione e il generale senso comune, autentica voce di natura, riconoscono la libertà soltanto in quegli esseri che sono dotati d’intelligenza o di razionalità, e in ciò sta il motivo per cui l’uomo è considerato giustamente responsabile delle sue azioni. Infatti, mentre gli altri animali sono guidati soltanto dai sensi e per solo istinto di natura cercano ciò che loro giova, e fuggono da quanto loro nuoce, l’uomo invece ha come guida la ragione nelle singole vicende della vita. La ragione giudica se tutti e i singoli beni che esistono sulla terra hanno o non hanno carattere di necessità e perciò, constatando che nessuno di essi è da considerare necessario, concede alla volontà il potere di scegliere ciò che preferisce. – Ma l’uomo può giudicare il carattere contingente (come suol dirsi) dei beni sopraddetti per il motivo che ha un’anima semplice per natura, spirituale, dotata di pensiero; e proprio perché siffatta, non trae origine dalla materia né dipende da essa per sussistere, ma creata direttamente da Dio e trascendendo di gran lunga la comune condizione dei corpi, ha un suo proprio genere di vita e di azione; ne deriva che, conosciute le immutabili e necessarie ragioni del vero e del bene, si rende conto che quei beni particolari non sono necessari. Pertanto, quando si stabilisce che l’anima umana è separata da ogni concrezione mortale e ha facoltà di pensare, nello stesso tempo si colloca la naturale libertà sul suo più saldo fondamento. – Invero, la natura semplice, spirituale e immortale dell’anima umana, e la libertà non sono state proclamate a gran voce, né con maggiore costanza da nessuno come dalla Chiesa cattolica, la quale insegnò in ogni tempo l’uno e l’altro principio e lo sostenne come un dogma. Non solo: contro i predicatori di eresie e i fautori di nuove dottrine, la Chiesa assunse il patrocinio della libertà e preservò dalla distruzione un così grande bene dell’uomo. A questo proposito, opere letterarie testimoniano con quale vigore essa respinse gl’insani attacchi dei Manichei e di altri; nessuno ignora con quanto zelo e con quanta energia, in epoca più recente, sia nel Concilio di Trento, sia poi contro i seguaci di Giansenio, essa abbia combattuto a favore del libero arbitrio dell’uomo, non consentendo in alcun tempo o in alcun luogo che potesse sussistere il fatalismo. – Pertanto la libertà, come abbiamo detto, appartiene a coloro che sono dotati di ragione o d’intelligenza; se si considera la sua natura, essa non è altro che la facoltà di scegliere i mezzi idonei allo scopo che ci si è proposti, in quanto chi ha la facoltà di scegliere una cosa tra molte, è padrone dei propri atti. Invero, poiché ogni cosa che sia assunta come causa di desiderio, ha carattere di bene che prende il nome di utile, il bene è tale per natura in quanto sollecita un desiderio e perciò il libero arbitrio appartiene alla volontà, o piuttosto è la volontà stessa, in quanto nell’agire ha facoltà di scelta. Ma la volontà non si manifesta, se prima non si accese la cognizione intellettuale, quasi come una fiaccola; cioè, il bene desiderato dalla volontà, è necessariamente un bene in quanto riconosciuto tale dalla ragione. Tanto più che in tutti gli atti volontari, la scelta è sempre preceduta dal giudizio sulla verità dei beni e sul bene da anteporre agli altri. Nessun filosofo dubita che l’atto di giudicare appartenga alla ragione e non alla volontà. Dunque, se la libertà è tutt’uno con la volontà che per sua natura è desiderio sottomesso alla ragione, ne consegue che anch’essa, come la volontà, inclini al bene conforme a ragione. – Sennonché, poiché entrambe le facoltà sono lontane dalla perfezione, può accadere, e spesso accade, che la mente proponga alla volontà ciò che in realtà non è affatto un bene, ma ha solo un’apparenza di bene e che ad esso la volontà si adegui. Ma come la possibilità di errare, e l’errare di fatto, è un vizio che denuncia l’imperfezione della mente, similmente l’appigliarsi a beni fallaci e apparenti è una prova di libero arbitrio, come la malattia è prova di vita, e tuttavia denota un vizio di libertà. Così la volontà, in quanto dipende dalla ragione, quando desidera alcunché di difforme dalla retta ragione, inquina profondamente la libertà e fa un uso perverso di essa. Per questo motivo Dio infinitamente perfetto, essendo sommamente intelligente e solo bontà, è anche sommamente libero e perciò in nessun modo può volere il male della colpa; né lo possono i beati celesti in quanto contemplano il bene supremo. Saggiamente Agostino ed altri, contro i Pelagiani, avvertivano che se il sottrarsi al bene era conforme alla natura e alla perfezione della libertà, allora Dio, Gesù Cristo, gli Angeli, i Beati, nei quali non sussiste quel potere, o non sarebbero liberi o certamente lo sarebbero meno perfettamente dell’uomo pellegrino e imperfetto. Su questo argomento il Dottore Angelico disserta spesso ampiamente e da lui si può evincere che la facoltà di peccare non significa libertà ma schiavitù. Acutamente egli dice, commentando le parole di Gesù Cristo “chiunque commette il peccato è schiavo del peccato” (Gv VIII,34): “Ogni cosa è ciò che le conviene secondo la propria natura. Quando dunque è mossa per impulso estraneo, non agisce in modo autonomo, ma per influenza altrui, cioè servilmente. Ora, l’uomo è ragionevole per natura. Quando dunque agisce secondo ragione, agisce di propria iniziativa e secondo la propria natura: questa è libertà. Quando invece commette peccato, agisce contro ragione e allora egli è sospinto quasi da un altro e imprigionato entro limiti altrui; “perciò chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”. Questa verità era stata individuata chiaramente anche dagli antichi filosofi, e soprattutto da coloro che per principio ritenevano essere libero soltanto il sapiente; definivano sapiente, come è noto, chi avesse appreso a vivere costantemente secondo natura, cioè onestamente e virtuosamente. – Poiché tale è nell’uomo la condizione della libertà, era necessario proteggerla con idonei e saldi presidi che indirizzassero al bene tutti i suoi impulsi e la ritraessero dal male; altrimenti il libero arbitrio avrebbe recato grave danno all’uomo. Dapprima fu necessaria la legge, vale a dire una norma che regolasse le azioni e le omissioni; legge che in senso proprio non può esistere tra gli animali che agiscono per necessità comunque si comportino: agiscono per impulso di natura e non possono seguire altro modo di agire. Invece, coloro che godono della libertà, hanno facoltà di agire, di non agire, di agire in un modo o altrimenti poiché scelgono ciò che vogliono, facendo precedere quel giudizio razionale a cui già accennammo. In virtù di tale giudizio non solo si stabilisce che cosa sia onesto e che cosa sia turpe, ma anche che cosa in concreto sia il bene da compiere e il male da evitare; la ragione cioè prescrive alla volontà ove dirigere il desiderio e da dove rimuoverlo, in modo che l’uomo possa raggiungere il suo fine ultimo, in vista del quale si deve agire in ogni momento. Ora, questo ordinamento della ragione si chiama legge. – Perciò la causa prima della necessità della legge va ricercata, come in radice, nello stesso libero arbitrio dell’uomo, ossia nel fatto che le nostre volontà non siano in disaccordo con la retta ragione. Nulla si potrebbe dire o pensare di più perverso e assurdo che il considerare l’uomo esente da legge in quanto libero per natura: se così fosse, ne conseguirebbe che per essere libero dovrebbe sottrarsi alla ragione; invece è assai evidente che deve sottostare alla legge proprio perché libero per natura. Dunque la legge è guida all’uomo nell’azione, e con premi e castighi lo induce al ben fare e lo allontana dal peccato. Sovrana su tutto: tale è la legge naturale, scritta e scolpita nell’anima di ogni uomo, poiché essa non è altro che l’umana ragione che ci ordina di agire rettamente e ci vieta di peccare. Invero questa norma della ragione umana non può avere forza di legge se non perché è voce ed interprete di una ragione più alta, a cui devono essere soggette la nostra mente e la nostra libertà. La forza della legge infatti consiste nell’imporre doveri e nel sancire diritti; perciò si fonda tutta sull’autorità, ossia sul potere di stabilire i doveri e di fissare i diritti, nonché di sanzionare tali disposizioni con premi e castighi; è chiaro che tutto ciò non potrebbe esistere nell’uomo, se, legislatore sommo di se stesso, prescrivesse a sé la norma delle proprie azioni. Dunque ne consegue che la legge di natura sia la stessa legge eterna, insita in coloro che hanno uso di ragione, e che per essa inclinano all’azione e al fine dovuto: essa è la medesima eterna ragione di Dio Creatore e reggitore dell’intero universo. – A questa regola nell’agire e alle remore nel peccare sono stati aggiunti, per grazia di Dio, altri speciali soccorsi, adattissimi a rafforzare e a regolare la volontà umana. Sovrasta tra essi ed eccelle la virtù della divina grazia; essa illumina la mente; sospinge sempre la volontà, rinvigorita da salutare costanza, verso il bene morale; rende più facile e insieme più sicuro l’uso della libertà naturale. È ben lontano dalla verità il supporre che l’intervento di Dio renda meno liberi gl’impulsi volontari: infatti è intima nell’uomo e conforme alle sue naturali inclinazioni la forza della divina grazia, poiché deriva dallo stesso Autore dell’anima e della volontà nostra; da Lui ogni cosa è mossa in conformità della propria natura. Anzi, la grazia divina, come afferma il Dottore Angelico, per il motivo che deriva dal Creatore della natura, è mirabilmente concepita ed idonea a tutelare ogni creatura, a conservare i costumi, la forza, l’efficienza degl’individui. – Quanto si è detto circa la libertà dei singoli uomini può essere facilmente riferito agli uomini tra loro uniti in civile consorzio. Infatti, ciò che la ragione e la legge naturale operano nei singoli uomini, del pari agisce nella società la legge umana promulgata per il bene comune dei cittadini. Tra le leggi degli uomini alcune riguardano ciò che per natura è bene o male; esse, corredate dalla debita sanzione, insegnano a seguire l’uno e a fuggire l’altro. Ma siffatte disposizioni non traggono origine dalla società umana, poiché come la stessa società non ha generato la natura umana, così del pari non crea il bene che conviene alla natura, né il male che ripugna alla natura; piuttosto precorrono la stessa società civile e sono assolutamente da ricondurre alla legge naturale e perciò alla legge eterna. Dunque i precetti di diritto naturale contenuti nelle leggi umane, non hanno solo la forza di legge umana ma soprattutto comprendono quell’autorità molto più alta e molto più augusta che proviene dalla stessa legge di natura e dalla legge eterna. In questo genere di leggi, il dovere del legislatore civile è comunemente quello di condurre all’obbedienza i cittadini, dopo aver adottato una comune disciplina, reprimendo i malvagi inclini ai vizi, affinché, distolti dal male, perseguano la rettitudine o almeno non siano d’impedimento e danno alla società. – Invero, altre ordinanze del potere civile non derivano subito e direttamente dal diritto naturale, ma da più lontano e in modo obliquo, e definiscono varie questioni che la natura non ha definito se non in generale e in modo indeterminato. Così la natura comanda che i cittadini contribuiscano alla tranquillità e alla prosperità pubblica: ma quanto, come, in quali occasioni non è stabilito da natura, bensì dalla saggezza degli uomini. Ora, in queste particolari regole di vita suggerite dalla prudenza della ragione e introdotte dal legittimo potere, consiste la legge umana propriamente detta. Questa legge impone a tutti i cittadini di concorrere al fine indicato dalla società e vieta di abbandonarlo; la stessa legge, finché segue dolcemente e consenziente i dettami di natura, conduce alla rettitudine e distoglie dal male. Da quanto detto si comprende che sono tutte riposte nella eterna legge di Dio la norma e la regola della libertà dei singoli individui, non solo, ma anche della comunità e delle relazioni umane. – Dunque nella società umana la libertà nel vero senso della parola, non è riposta nel fare ciò che piace, nel qual caso subentrerebbe il maggior disordine che si risolverebbe nella oppressione della cittadinanza, ma consiste nel vivere agevolmente in virtù di leggi civili ispirate ai dettami della legge eterna. D’altra parte la libertà di coloro che governano non risiede nel poter comandare in modo sconsiderato e capriccioso, il che sarebbe parimenti dannoso e deleterio per lo Stato: per contro, la forza delle leggi umane deve derivare dalla legge eterna e non deve sancire alcuna norma che sia estranea ad essa, fonte del diritto universale. Scrive il sapientissimo Agostino : “Penso che in quella (legge) temporale tu non possa vedere alcunché di giusto e di legittimo che gli uomini non abbiano derivato a proprio beneficio da questa (legge) eterna”. Se dunque un qualunque potentato sancisce una norma che sia in contrasto con i principi della retta ragione e sia funesto per lo Stato, essa non ha nessuna forza di legge, poiché non è regola di giustizia e allontana gli uomini dal bene, per il quale la società è nata. – Pertanto la natura della libertà umana, comunque la si consideri, tanto nelle persone singole quanto consociate, e non meno in coloro che comandano come in coloro che ubbidiscono, presuppone la necessità di ottemperare alla suprema ed eterna ragione, che altro non è se non l’autorità di Dio che comanda e vieta. Questa sacrosanta sovranità di Dio sugli uomini è ben lontana dal sopprimere la libertà o dal limitarla in alcun modo, tanto che, se mai, la protegge e la perfeziona. Infatti la vera perfezione di tutte le creature consiste nel perseguire e conseguire il proprio fine; il fine supremo a cui deve tendere la libertà umana, è Dio. – La Chiesa, ammaestrata dagli esempi e dalla sapienza del divino Fondatore, ovunque diffuse e affermò questi precetti di una veritiera e sublime dottrina, da noi conosciuta soltanto alla luce della ragione; né mai desistette dal prenderli a norma della propria missione e di inculcarli nei popoli cristiani. Per quanto riguarda i costumi, le leggi evangeliche non solo sovrastano di gran lunga tutta la sapienza pagana, ma apertamente chiamano ed educano l’uomo a una santità ignota agli antichi, e nell’avvicinarlo a Dio lo rendono capace di più perfetta libertà. Pertanto apparve sempre grandissima l’influenza della Chiesa nel custodire e proteggere la libertà civile e politica dei popoli. A tal riguardo, non è questo il momento di enumerare i suoi meriti. Basti ricordare l’abolizione della schiavitù, antica vergogna delle genti pagane, soprattutto per opera ed interessamento della Chiesa. Primo fra tutti, Gesù Cristo affermò l’imparzialità del diritto e la vera fratellanza tra gli uomini: a Lui fece eco la voce dei suoi Apostoli, per cui non esiste né Giudeo, né Greco, né Barbaro, né Sciita, ma tutti sono fratelli in Cristo. A questo proposito è tanto grande e tanto conosciuta la forza della Chiesa, che in qualunque plaga della terra imprima la sua orma, è certo che i rozzi costumi non possono resistere a lungo; in breve la mansuetudine dovrà succedere alla crudeltà, la luce della verità alle tenebre della barbarie. Parimenti la Chiesa non desistette mai dal recare grandi benefici ai popoli ingentiliti dalla civiltà, o resistendo all’arbitrio dei prepotenti o allontanando le offese dal capo degli innocenti e dei più deboli, o infine facendo in modo che prevalesse l’ordinamento statale preferito dai cittadini per la sua equità, e temuto dagli stranieri per la sua potenza. – Inoltre, uno dei doveri più ragionevoli sta nel rispettare l’autorità e nell’obbedire alle leggi giuste: ne deriva che i cittadini sono tutelati contro la violenza dei malvagi, dall’equità e dalla vigilanza delle leggi. Il potere legittimo deriva da Dio e chi resiste al potere, resiste all’ordine di Dio; in tal modo l’obbedienza acquista molto in nobiltà, divenendo ossequio verso un’autorità giustissima ed elevata in sommo grado. Invero, dove il diritto di comandare è assente o dove si prescrive alcunché di contrario alla ragione, alla legge eterna, alla sovranità di Dio, è giusto non obbedire agli uomini per obbedire a Dio. Precluso in tal modo l’adito alla tirannide, lo Stato non dovrà avocare tutto a sé: sono salvi i diritti dei singoli cittadini, della famiglia, di tutti i componenti la società, concedendo ampiamente a tutti la vera libertà che consiste, come dimostrammo, nel poter vivere ciascuno secondo le leggi e la retta ragione. – Se quando si discute di libertà ci si riferisse a quella legittima e onesta quale or ora la ragione e la parola hanno descritta, nessuno oserebbe perseguitare la Chiesa accusandola iniquamente di essere nemica della libertà dei singoli e dei liberi Stati. Ma già sono assai numerosi gli emuli di Lucifero – che lanciò quell’empio grido non servirò –, i quali in nome della libertà praticano un’assurda e schietta licenza. Sono siffatti i seguaci di quella dottrina così diffusa e potente che hanno voluto darsi il nome di Liberali traendolo dalla parola libertà. – Ovviamente, là dove mirano in filosofia i Naturalisti o i Razionalisti, ivi mirano, in tema di morale e di politica, i fautori del Liberalismo i quali applicano nei costumi e nella condotta di vita i principi affermati dai Naturalisti. Ora, il primato della ragione umana è il caposaldo di tutto il Razionalismo, il quale rifiuta l’obbedienza dovuta alla divina ed eterna ragione, si definisce artefice della propria legge, e perciò considera se stesso il sommo principio, la fonte e l’unico giudice della verità. Così i seguaci del Liberalismo, di cui si è detto, nella vita pratica pretendono che non vi sia alcun divino potere a cui si debba obbedienza e che ognuno debba essere legge per se stesso; perciò nasce quella filosofia morale che chiamano indipendente e che, dietro l’apparenza di libertà, tende a rimuovere la volontà dalla osservanza dei divini precetti e quindi suole concedere all’uomo infinita licenza. È facile comprendere quali conseguenze abbiano tali affermazioni sulla società umana. Infatti, accettato e stabilito il principio per cui nessuno è al di sopra dell’uomo, ne consegue che la causa che determina la concordia e la società civile è da ricercare non già in un principio esterno o superiore all’uomo ma nella libera volontà dei singoli; che il potere pubblico emana, come da fonte primaria, dal popolo. Inoltre, come la ragione di ciascuno è la sola guida e norma della condotta privata, così la ragione di tutti deve essere guida per tutti nella vita pubblica. Perciò la maggioranza ha poteri maggiori; la maggior parte del popolo è sorgente dei diritti e dei doveri universali. – Ma è evidente, da quanto si è detto, che queste affermazioni contrastano con la ragione. Non volere che tra l’uomo e la società civile interceda alcun vincolo con Dio creatore e supremo legislatore, ripugna assolutamente alla natura, e non solo alla natura dell’uomo ma di tutte le creature; poiché è necessario che tutti gli effetti abbiano qualche attinenza con la causa da cui sono scaturiti, riguarda tutte le creature; attiene alla perfezione di ciascuna rimanere nel posto e nel grado che l’ordine naturale ha stabilito, in modo che il mondo inferiore sia sottoposto e obbedisca a quello che lo sovrasta. Per di più, siffatta dottrina è gravemente perniciosa sia per i singoli che per la società. Una volta confinato nella sola e unica ragione umana il criterio del vero e del bene, la corretta distinzione tra il bene e il male sparisce; le infamie non differiscono dalla rettitudine in modo oggettivo ma secondo l’opinione e il giudizio dei singoli; il libito diventa lecito; stabilita una regola morale che non ha praticamente il potere d’infrenare e di placare le torbide passioni dell’animo, si spalancherà spontaneamente la porta ad ogni corruttela. Nell’ordine pubblico, poi, il potere di comandare viene separato dal giusto e naturale principio da cui esso attinge ogni virtù generatrice del bene comune; la legge, nello stabilire i limiti del lecito e dell’illecito, è lasciata all’arbitrio della maggioranza, che è la via inclinata verso il regime tirannico. Ripudiato il dominio di Dio sull’uomo e sul consorzio civile, ne consegue l’abolizione di ogni culto pubblico e la massima incuria per tutto ciò che ha attinenza con la religione. Del pari, la moltitudine, armata della convinzione di essere sovrana, degenera in sedizioni e tumulti e, tolti i freni del dovere e della coscienza, non resta altro che la forza, la quale, tuttavia, non è così grande da potere da sola contenere la passioni popolari. Lo dimostra la lotta pressoché quotidiana contro i socialisti ed altre schiere di sediziosi che da tempo tentano di sovvertire radicalmente la società civile. Chi è in grado di giudicare rettamente, valuti dunque e stabilisca se tali dottrine giovino a una vera libertà degna dell’uomo, o piuttosto la pervertano e la corrompano del tutto. – Certo, non tutti i seguaci del Liberalismo concordano con quelle opinioni, spaventose per la loro assurdità, che considerammo nemiche della verità e causa di mali assai funesti. Anzi, molti di essi, sospinti dalla forza della verità, non esitano ad ammettere o addirittura affermano spontaneamente che la libertà diventa viziata e degenera in licenza se osa varcare certi limiti e trascurare la verità e la giustizia. Perciò è necessario che la libertà sia guidata e governata con retto raziocinio e sia soggetta, di conseguenza, al diritto naturale e alla sempiterna legge divina. Ma i liberali qui si fermano; sono convinti che un uomo libero non debba sottostare alle leggi che Dio volle imporre; fanno eccezione per le leggi ispirate dalla ragione naturale. – Ma tale affermazione non è affatto coerente. Infatti se, come essi ammettono e come tutti devono ragionevolmente convenire, si deve obbedire alla volontà di Dio legislatore, poiché ogni uomo è in potere di Dio e tende a Dio, ne consegue che nessuno può stabilire norma e confini alla Sua autorità legislatrice, senza andar contro la dovuta obbedienza. Anzi, se la mente umana fosse così presuntuosa da voler stabilire quali e quanti diritti appartengano a Dio e quali doveri a se stessa, il rispetto delle leggi divine sarà più apparente che reale e il suo arbitrio prevarrà sull’autorità e la provvidenza di Dio. È pertanto necessario assumere, con devozione costante, una norma di vita sia dalla legge eterna, sia da tutte e da ogni singola legge che Dio, d’infinita sapienza e potenza, tramandò nel modo che a Lui piacque, e che noi possiamo conoscere con certezza attraverso segnali chiari e immuni da ogni dubbio. Tanto più che siffatte leggi, poiché hanno la stessa origine della legge eterna e lo stesso autore, del tutto armonizzano con la ragione e aggiungono perfezione al diritto naturale; inoltre contengono il magistero di Dio stesso che, per evitare che la mente o la volontà nostra cadano nell’errore, regge benignamente entrambe col suo cenno e con la sua guida. Sia dunque congiunto con salda pietà ciò che non può né deve essere disgiunto, e in ogni occasione, come prescrive la stessa ragione naturale, si presti a Dio umile obbedienza. – Alquanto più moderati, ma per nulla più coerenti, sono coloro che dicono che la vita e i costumi dei privati devono essere regolati dal dettato delle leggi divine, ma non quelli dello Stato; che è lecito sottrarsi ai comandamenti di Dio nei pubblici affari e non rifarsi ad essi in alcun modo nel formulare le leggi. Ne deriva quel funesto corollario per cui è necessario dissociare la Chiesa dallo Stato. Ma non è difficile comprendere l’assurdità di queste affermazioni. Infatti la stessa natura prescrive che ai cittadini siano dati mezzi e opportunità per condurre una vita onesta, cioè conforme alla legge di Dio, poiché Dio è il principio della rettitudine e della giustizia e quindi è inconcepibile che lo Stato ignori quelle stesse leggi o che possa fondare una convivenza ad esse ostile. Inoltre coloro che governano i popoli hanno il dovere verso la comunità di provvedere non solo al benessere e ai beni materiali, ma soprattutto ai beni spirituali con la sapienza delle leggi. E invero non si può immaginare nulla di più adatto ad accrescere questi beni che quelle leggi di cui Dio è autore; perciò, nel governo della società, coloro che rifiutano di applicare le leggi divine, fanno sì che il potere politico si svii dal suo scopo e dall’ordine di natura. Ma ciò che più importa e che già da Noi stessi fu più volte ricordato, è il fatto che, sebbene il governo civile miri a fini diversi rispetto al potere sacrale, e non percorra lo stesso itinerario, tuttavia nell’esercizio del potere è inevitabile che talora l’uno e l’altro s’incontrino. Infatti entrambi hanno il dominio sulle stesse persone e accade spesso che entrambi affrontino le stesse questioni sia pure con diverso criterio. Ogni volta che un tal caso si presenta, poiché il conflitto è assurdo e profondamente ripugna alla sapientissima volontà di Dio, è necessario che vi sia un metodo e un ordine per cui possa sussistere un ragionevole accordo nell’operare, dopo aver rimosso le cause di dispute e di conflitti. Una siffatta concordia fu già paragonata, non senza ragione, all’unione che esiste tra l’anima e il corpo, con vantaggio di entrambe le parti; la loro disunione è soprattutto nociva al corpo, in quanto ne spegne la vita. – Ad ulteriore chiarimento, è opportuno considerare separatamente quelle varie conquiste di libertà che sono un’esigenza dell’epoca nostra. In primo luogo notiamo nelle singole persone un atteggiamento che è profondamente contrario alla virtù religiosa, ossia la cosiddetta libertà di culto. Questa libertà si fonda sul principio che è facoltà di ognuno professare la religione che gli piace, oppure di non professarne alcuna. Eppure, fra tutti i doveri umani, senza dubbio il più nobile e il più santo consiste nell’obbligo di onorare Dio con profonda devozione. – Tale obbligo deriva dal fatto che noi siamo sempre in potere di Dio, siamo governati dalla volontà e dalla provvidenza di Dio e, da Lui partiti, a Lui dobbiamo ritornare. Si aggiunga che senza religione non può esservi virtù nel vero senso della parola; infatti è virtù morale quella che ha per dovere di condurre a Dio, ultimo e sommo bene per l’uomo; perciò la religione, che determina le azioni che direttamente e immediatamente hanno il fine di onorare Dio, è sovrana e moderatrice di tutte le virtù. E a chi si chiede quale unica religione sia doveroso seguire, tra le molte esistenti e tra loro discordi, la ragione e la natura rispondono: certamente quella che Dio ha prescritto e che gli uomini possono facilmente riconoscere da certi aspetti esteriori con cui la divina provvidenza volle distinguerla, poiché in una questione di tanta importanza ogni errore produrrebbe immense rovine. Perciò, una volta concessa quella libertà di cui stiamo parlando, si attribuisce all’uomo la facoltà di pervertire o abbandonare impunemente un sacrosanto dovere, e conseguentemente di volgersi al male rinunciando a un bene immutabile; questa non è libertà, come dicemmo, ma licenza e schiavitù di un’anima avvilita nel peccato. – La stessa libertà, se considerata nell’ambito della società, pretende che lo Stato non faccia propria alcuna forma di culto divino e non voglia professarlo pubblicamente; pretende che nessun culto sia anteposto ad un altro, ma che tutti abbiano gli stessi diritti, senza tener conto della volontà popolare, se il popolo si dichiara cattolico. Ma perché fossero corretti tali principi, dovrebbe essere vero che gli obblighi della società civile verso Dio o sono nulli o possono essere impunemente disattesi: e ciò è falso in entrambi i casi. Infatti non si può dubitare che gli uomini siano uniti in società per volontà di Dio, sia che si consideri la società stessa nelle sue parti, sia nella forma che assume l’autorità, sia nello scopo, sia nell’abbondanza di quei cospicui vantaggi che ne provengono all’uomo. È Dio che ha creato l’uomo socievole e lo ha posto nel consorzio dei suoi simili, affinché ciò che secondo natura desiderava e non poteva conseguire da solo, divenisse un facile acquisto vivendo in società. Perciò è necessario che la società civile, proprio in quanto società, riconosca Dio come padre e creatore suo proprio, e che tema e veneri il suo potere e la sua sovranità. Pertanto, la giustizia e la ragione vietano che lo Stato sia ateo o che – cadendo di nuovo nell’ateismo – conceda la stessa desiderata cittadinanza a tutte le cosiddette religioni, e gli stessi diritti ad ognuna indistintamente. – Dunque, dal momento che è necessaria la professione di un sola religione nello Stato, è necessario praticare quella che è unicamente vera e che non è difficile riconoscere, soprattutto nei Paesi cattolici, per le note di verità che in essa appaiono suggellate. Conseguentemente i governanti la conservino, la proteggano, se vogliono provvedere con prudenza e profitto, come devono, alla comunità dei cittadini. Il potere pubblico è stato costituito per il vantaggio dei sudditi, e sebbene il suo scopo immediato sia quello di condurre i cittadini alla felicità della vita che si trascorre in terra, tuttavia non deve ridurre ma accrescere nell’uomo la facoltà di conseguire quel supremo ed estremo bene in cui consiste l’eterna felicità degli uomini e a cui non si può pervenire se si trascura la religione. – Ma di ciò parlammo più diffusamente altra volta: in questo momento vogliamo soltanto che ci si renda conto che una siffatta libertà è assai nociva alla vera libertà, sia dei governanti che dei governati. Giova invece mirabilmente la religione, in quanto essa riconosce da Dio stesso l’origine del potere, e severamente ammonisce i sovrani perché siano memori dei loro doveri, perché non comandino nulla di ingiusto o di crudele, e governino i sudditi benevolmente e quasi con carità paterna. Essa impone ai cittadini di sottostare alla legittima potestà, come a ministri di Dio; essa li unisce ai reggitori dello Stato non solo con l’obbedienza, ma con il rispetto e l’amore, vietando le sedizioni e tutte quelle imprese che possono turbare l’ordine e la pubblica tranquillità, e che infine producono l’effetto di limitare con più stretti vincoli la libertà dei cittadini. Tralasciamo di dire quanto la religione conduca a buoni costumi, e quanto i buoni costumi conducano alla libertà. Infatti la ragione dimostra, e la storia conferma, che le nazioni, quanto più sono morigerate, tanto più prosperano per libertà, ricchezza e potenza. – Ora si consideri un poco la libertà di parola e ciò che piace esprimere per mezzo della stampa. È appena il caso di dire che questa libertà non può essere un diritto se non è temperata dalla moderazione ed esorbita oltre la misura. Infatti il diritto è una facoltà morale: come dicemmo e come dovremo più spesso ridire, è assurdo pensare che essa sia concessa dalla natura in modo promiscuo e accomunata alla verità e alla menzogna, alla onestà e alla turpitudine. La verità e l’onestà hanno il diritto di essere propagate nello Stato con saggezza e libertà, in modo che diventino retaggio comune; le false opinioni, di cui non esiste peggior peste per la mente, nonché i vizi che corrompono l’animo e i costumi, devono essere giustamente e severamente repressi dall’autorità pubblica, perché non si diffondano a danno della società. Gli abusi dell’ingegno sregolato, che si risolvono in oppressione delle moltitudini ignoranti, devono essere repressi dall’autorità delle leggi non meno che le offese recate con la forza ai più deboli. Tanto più che una gran parte di cittadini non può affatto – o talvolta lo può con estrema difficoltà – guardarsi dai sofismi e dagli artifici dialettici, soprattutto se blandiscono le passioni. Concessa a chiunque illimitata libertà di parola e di stampa, nulla rimarrà d’intatto e d’inviolato; non saranno neppure risparmiati quei supremi e veritieri principi di natura che sono da considerare come un comune e nobilissimo patrimonio del genere umano. Così oscurata a poco a poco la verità dalla tenebre, come spesso accade, facilmente prenderà il sopravvento il regno dell’errore dannoso e proteiforme. Perciò quanto più la licenza avrà spazio, tanto maggiore danno avrà la libertà; tanto più sarà ampia e sicura la libertà, quanto più efficaci i freni alla licenza. Invero, ove natura non si opponga, è concesso, su questioni opinabili permesse da Dio alla discussione degli uomini, esprimere liberamente ciò che piace e ciò che si sente; infatti una tale libertà non conduce mai gli uomini a conculcare la verità, ma semmai ad indagarla e a rivelarla. – Su quella che è chiamata libertà d’insegnamento occorre esprimere un giudizio non diversamente motivato. È fuor di dubbio che solo la verità deve informare le menti, poiché in essa sono posti il bene, il fine e la perfezione degli esseri intelligenti; quindi la dottrina non deve insegnare altro che la verità, tanto a chi la ignora quanto a chi la conosce, in modo che al primo rechi la conoscenza del vero, nell’altro la conservi. Per questo motivo è stretto dovere degli insegnanti svellere l’errore dalle menti e con validi argomenti sbarrare la via alle opinioni fallaci. Pertanto appare del tutto contraria alla ragione e predisposta a pervertire totalmente le menti quella libertà, cui si riferisce il nostro discorso, in quanto essa pretende per sé il diritto d’insegnare secondo il proprio arbitrio; licenza che il pubblico potere non può accordare alla società senza venir meno al proprio dovere. Tanto più che l’autorità dei maestri ha molta influenza sui discepoli, e raramente l’alunno può giudicare in modo autonomo se sia vero ciò che il maestro insegna.

Perciò occorre che anche questa libertà, per essere giusta, sia circoscritta da precisi confini, affinché non accada impunemente che l’arte di insegnare si trasformi in veicolo di corruzione. Inoltre la verità, a cui deve unicamente mirare la dottrina degli insegnanti, è di due specie: naturale o soprannaturale. Le verità naturali, quali sono i principi di natura e quelli che da essi la ragione deduce, sono come il patrimonio comune del genere umano. Su di esso, come su solidissime fondamenta, poggiano la morale, la giustizia, la religione e la stessa coesione della società umana, e perciò nulla vi è di tanto empio e di tanto stolidamente inumano, quanto permettere che quel patrimonio sia violato e dilapidato impunemente. Né va conservato meno devotamente il prezioso e santissimo tesoro di quelle realtà che conosciamo per rivelazione divina. Con numerosi e limpidi argomenti che gli Apologeti usarono spesso, si possono stabilire certi punti essenziali che sono quelli divinamente rivelati da Dio: l’Unigenito Figlio di Dio si è incarnato per rendere testimonianza alla verità; da Lui è stata fondata una società perfetta, quale è la Chiesa, di cui Egli stesso è il capo e con la quale promise di rimanere fino alla consumazione dei secoli. Tutte le verità che Egli ha insegnato volle affidate a questa società perché le custodisse, le difendesse, le divulgasse con legittima autorità; ad un tempo prescrisse a tutti i popoli di ascoltare la parola della sua Chiesa come fosse la propria: chi agirà diversamente, si perderà nell’eterna dannazione. Per questo motivo risulta evidente che Dio è il migliore e più sicuro maestro per l’uomo, fonte e principio di ogni verità; che l’Unigenito, in unione col Padre, è la via, la verità, la vita, la vera luce che illumina ogni uomo; al suo insegnamento devono essere docili tutti gli uomini: “E saranno tutti discepoli di Dio” (Gv 5,45). Ma Dio stesso volle la Chiesa partecipe del divino magistero in materia di fede e di morale, rendendola infallibile per sua divina grazia; perciò la Chiesa è la più alta e sicura maestra dei mortali e in essa è presente l’inviolabile diritto alla libertà d’insegnamento. In realtà, vivendo della sapienza di origine divina, la chiesa nulla ritenne più importante che l’adempiere santamente la missione a lei affidata da Dio: più forte delle difficoltà che l’assediavano da ogni lato in nessun momento cessò di combattere per il libero esercizio del proprio magistero. In questo modo la terra, respinta la miserabile superstizione, fu rinnovata alla luce della sapienza cristiana. La stessa ragione insegna chiaramente che le verità rivelate da Dio e le verità naturali non possono ovviamente essere tra loro contrarie; per questo motivo deve essere falso tutto ciò che con esse non concorda; perciò il divino magistero della Chiesa è tanto lontano dall’ostacolare l’impegno di apprenderei progressi delle scienze o dal ritardare in alcun modo l’avanzamento di una più civile umanità, ma piuttosto è portatrice d’intensa luce e di sicura tutela. La stessa Chiesa giova non poco alla perfezione della libertà umana, avendo presente quella sentenza di Gesù Cristo Salvatore per cui l’uomo è reso libero dalla verità: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv VIII,32). Pertanto non vi è motivo per cui la vera libertà debba indignarsi o la scienza degna di questo nome debba dolersi delle leggi giuste e necessarie che secondo i concordi dettami della Chiesa e della ragione debbono regolare l’apprendimento umano. Anzi la Chiesa, mentre agisce soprattutto a tutela della fede cristiana, si adopera altresì per favorire e far progredire ogni forma di umano sapere, come la realtà stessa dimostra diffusamente. Infatti è onesto di per sé e lodevole e desiderabile il decoro della cultura; inoltre l’erudizione che derivi da un sano raziocinio e che corrisponda alla verità oggettiva, serve non poco ad illuminare quegli articoli di fede in cui crediamo perché dettati da Dio. Davvero sono dovuti alla Chiesa questi grandi benefici: l’aver nobilmente conservato i monumenti dell’antica sapienza; l’aver aperto ovunque istituti scientifici; l’aver sempre incoraggiato il progresso intellettuale, alimentando con grande zelo quelle stesse arti medesime per le quali soprattutto si distingue la civiltà contemporanea. – Infine non si può tacere che un campo immenso si spalanca in cui l’iniziativa e l’intelligenza degli uomini possono liberamente spaziare ed esercitarsi: cioè sui temi che non hanno alcun necessario rapporto con i principi di fede e di morale cristiana o sui quali la Chiesa, senza far uso della sua autorità, lascia libero e integro il giudizio dei dotti. Da quanto si è detto si comprende quale sia nella fattispecie quella libertà che con pari ardore rivendicano e predicano i seguaci del Liberalismo. Per un verso pretendono per sé e per lo Stato una licenza così eccessiva che non esitano ad aprire un varco anche alle opinioni più perverse; d’altra parte intralciano in tanti modi la Chiesa e restringono la sua libertà entro i più angusti limiti, per quanto è loro possibile, quantunque dalla dottrina della Chiesa non solo non si deve temere alcun danno ma ci si deve aspettare ogni sorta di benefici. – Inoltre si predica assiduamente quella che viene chiamata libertà di coscienza; la quale, se interpretata nel senso che a ciascuno è giustamente lecito, a piacer suo, di venerare o di non onorare Dio, trova la sua smentita negli argomenti svolti in precedenza. Ma può avere anche questo significato: all’uomo è lecito, nel civile consorzio, seguire la volontà e i comandamenti di Dio secondo coscienza e senza impedimento alcuno. Questa vera libertà, degna dei figli di Dio, che assai giustamente tutela la dignità della persona umana, è più forte di qualunque violenza e offesa, ed è sempre desiderata e soprattutto amata dalla Chiesa. Con costanza, gli Apostoli rivendicarono per sé una siffatta libertà; gli Apologisti la sancirono con gli scritti; i Martiri la consacrarono in gran numero col loro sangue. E meritatamente, in quanto questa libertà cristiana attesta ad un tempo il supremo e giustissimo potere di Dio sugli uomini e l’assoluto e primario dovere degli uomini verso Dio. Essa non ha nulla in comune con uno spirito sedizioso e ribelle, né la si può in alcun modo incolpare di voler sottrarsi all’ossequio verso il pubblico potere, poiché comandare e pretendere obbedienza, nella misura che tale diritto appartiene al potere umano, per nulla contrasta col potere divino e si mantiene nell’ordine voluto da Dio. Ma quando si danno ordini che palesemente contrastano con la divina volontà, allora si esce da quella misura e nello stesso tempo si entra in conflitto con la divina autorità: perciò è giusto non obbedire. – Al contrario i seguaci del Liberalismo che considerano lo Stato padrone assoluto e onnipotente, e affermano che la vita deve essere vissuta senza rispetto alcuno verso Dio, non riconoscono affatto la libertà di cui parliamo, congiunta a onestà e religione; se si fa qualcosa per conservarla, accusano di aver agito a danno dello Stato. Se dicessero il vero, esisterebbe una tirannide così crudele, alla quale non si dovrebbe né sottostare né ubbidire. – La Chiesa vorrebbe ardentemente che in tutti gli ordini statali penetrassero e fossero praticati quegli insegnamenti cristiani di cui abbiamo parlato sommariamente. Infatti essi sono molto efficaci come rimedio dei mali dell’età nostra, non pochi né lievi e in gran parte generati da quelle stesse libertà che con tanta enfasi sono esaltate e nelle quali sembrava di scorgere semi di salute e di gloria. L’esito ingannò la speranza. Invece di frutti dolci e salutari ne provennero altri acerbi e avvelenati. Se si cerca un rimedio, lo si trovi nel ripristino di sane dottrine, dalle quali soltanto ci si può aspettare con fiducia la conservazione dell’ordine e infine la tutela della vera libertà. Tuttavia la Chiesa, con intelligenza materna, considera il grave peso della umana fragilità e non ignora quale sia il corso degli animi e delle vicende da cui è trascinata la nostra età. Per queste ragioni, senza attribuire diritti se non alla verità e alla rettitudine, la Chiesa non vieta che il pubblico potere tolleri qualcosa non conforme alla verità e alla giustizia, o per evitare un male maggiore o per conseguire e preservare un bene. Dio stesso provvidentissimo, infinitamente buono e potente, consentì tuttavia che nel mondo esistesse il male, in parte perché non siano esclusi beni più rilevanti, in parte perché non si conseguano mali maggiori. Nel governo delle nazioni è giusto imitare il Reggitore del mondo: anzi, non potendo l’umana autorità impedire ogni male, deve “concedere e lasciare impunite molte cose che invece sono punite giustamente dalla divina Provvidenza”. Tuttavia, come complemento a quanto detto, se a causa del bene comune e soltanto per questo motivo la legge degli uomini può o anche deve tollerare il male, non può né deve approvarlo o volerlo in quanto tale: infatti il male, essendo di per sé privazione di bene, ripugna al bene comune che il legislatore, per quanto gli è possibile, deve volere e tutelare. E anche in questo caso è necessario che la legge umana si proponga di imitare Dio il quale, nel consentire che il male esista nel mondo “non vuole che il male si faccia, né vuole che il male non si faccia, ma vuole permettere che il male si faccia, e questo è bene”. Questa affermazione del dottore Angelico contiene in sintesi tutta la dottrina sulla tolleranza del male. Ma bisogna riconoscere, se si vuole giudicare rettamente, che quanto più in uno Stato è necessario tollerare il male, tanto più questo tipo di Stato è lontano da una condizione ottimale; così pure, quando si opera secondo i precetti della prudenza politica, è necessario circoscrivere la tolleranza dei mali entro i limiti che il motivo – cioè la salute pubblica – richiede. Perciò, se la tolleranza reca danno alla salute pubblica e procura mali maggiori allo Stato, ne consegue che non è lecito praticarla, poiché in tali circostanze viene a mancare il movente del bene. Se poi accade che, per particolari condizioni dello Stato, la Chiesa si adegui a certe moderne libertà, non perché le prediliga in quanto tali, ma perché giudica opportuno permetterle, nel caso che i tempi volgessero al meglio, adotterebbe certamente la propria libertà e persuadendo, esortando, pregando si dedicherebbe, come deve, all’adempimento della missione a lei assegnata da Dio, che consiste nel provvedere all’eterna salute degli uomini. Tuttavia è pur sempre eternamente vero che codesta libertà di tutti e per tutti non è desiderabile di per se stessa, come più volte abbiamo detto, poiché ripugna alla ragione che la menzogna abbia gli stessi diritti della verità. E per quanto riguarda la tolleranza, sorprende quanto siano distanti dalla equità e dalla prudenza della Chiesa coloro che professano il Liberalismo. Infatti, con l’assoluta licenza di concedere tutto ai cittadini, come dicemmo, varcano completamente la misura e giungono al punto di non attribuire alla onestà e alla verità maggior valore che alla falsità e alla malvagità. Essi poi accusano di essere priva di pazienza e di mitezza la Chiesa, colonna e firmamento di verità, incorrotta maestra di moralità, perché ripudia costantemente, come deve, una tale dissoluta e perniciosa specie di tolleranza e nega che sia lecito praticarla; comportandosi in questo modo non si accorgono di trasformare in colpa ciò che è motivo di encomio. Ma in tanta ostentazione di tolleranza, di fatto accade spesso che i liberali siano tenacemente restrittivi verso il cattolicesimo e che prodighi di libertà verso il volgo, rifiutino in molti casi di lasciar libera la Chiesa. – Ma ricapitoliamo brevemente tutto il discorso con i suoi corollari, per motivi di chiarezza: è per necessità suprema che l’uomo si trovi completamente sotto il vero e perpetuo potere di Dio: perciò non si può affatto concepire la libertà dell’uomo se non dipendente da Dio e soggetta alla Sua volontà. Negare in Dio tale sovranità o non assoggettarsi ad essa non è comportamento di uomo libero, ma di chi abusa della libertà per tradirla; in verità da tale disposizione d’animo si forma e si realizza il vizio capitale del Liberalismo. Il quale tuttavia si distingue in molteplici forme: infatti la volontà, in modo e in grado diversi, può rifiutare l’obbedienza che è dovuta a Dio o a coloro che sono partecipi del potere divino. – Certamente, ricusare radicalmente la sovranità del sommo Dio e rifiutargli ogni obbedienza, sia nella vita pubblica, sia nella vita privata e domestica, è la massima perversione della libertà come anche la peggiore specie di Liberalismo: in tale senso deve essere inteso quanto finora abbiamo detto contro tale dottrina. – Affine è la concezione di coloro che sono d’accordo sulla necessità di sottomettersi a Dio, Creatore e Signore del mondo, in quanto dal suo potere riceve armonia la natura, però temerariamente ripudiano le leggi della fede e della morale in quanto non rientrano nella natura ma provengono dall’autorità di Dio, o almeno – dicono – non vi è alcun motivo di tenerle in considerazione, soprattutto nella società civile. Abbiamo visto più sopra quanto costoro siano involti nell’errore e quanto poco siano coerenti con se stessi. Da questa dottrina, come da una sorgente, deriva la funesta opinione che la Chiesa deve essere separata dallo Stato; è invece evidente che entrambi i poteri, dissimili nei doveri e diversi di grado, devono tuttavia essere tra loro consenzienti nell’agire concorde e nello scambio dei compiti. – Tale opinione è soggetta a una duplice interpretazione. Molte persone infatti vogliono lo Stato totalmente separato dalla Chiesa, in modo che in ogni norma che regola la convivenza umana, nelle istituzioni, nei costumi, nelle leggi, negli impieghi statali, nella educazione della gioventù, si debba considerare la Chiesa come se non esistesse, pur concedendo infine ai singoli cittadini la facoltà di dedicarsi alla religione in forma privata, se così piace. Contro costoro vale la forza di tutti gli argomenti coi quali confutammo l’opinione relativa alla separazione della Chiesa e della società civile, ma con questa postilla: è assurdo che il cittadino onori la Chiesa e che la società la disprezzi. – Altri non contestano che la Chiesa esista, né potrebbero affermare diversamente; essi tuttavia le negano il carattere e i diritti propri di una società perfetta e la facoltà di fare le leggi, di giudicare, di punire, ma soltanto di esortare, persuadere, governare coloro che spontaneamente le si sottomettono. Pertanto con tale opinione snaturano il carattere di questa divina società; debilitano e restringono l’autorità, il magistero e tutta la sua influenza, amplificando al contempo la forza e il potere del principato civile fino al punto di sottoporre la Chiesa di Dio al dominio e all’arbitrio dello Stato, come fosse un qualsivoglia associazione volontaria di cittadini. Per respingere questi argomenti valgono quelli usati dagli Apologisti e da Noi ricordati particolarmente nell’Enciclica Immortale Dei, dai quali si evince che, per istituzione divina, alla Chiesa compete tutto quanto appartiene alla natura e ai diritti di una legittima, suprema e perfetta società. – Vi sono molti, infine, che non approvano la separazione della Chiesa dallo Stato, ma ritengono che la Chiesa debba adeguarsi ai tempi e si pieghi e si adatti a quelle misure che nella amministrazione degli Stati sono suggerite dalla moderna avvedutezza. È onesto il parere di costoro, se lo si intende come ragionevole equità che possa coesistere con la verità e la giustizia: cioè in modo che la Chiesa, accolta la speranza di qualche gran bene, si mostri indulgente e conceda ai tempi quanto più le è possibile, fatta salva la sacralità della sua missione. Ma non è così quando si tratta di fatti e dottrine che siano introdotte dalla mutazione dei costumi e da fallaci opinioni. Nessuna epoca può fare a meno della religione, della verità, della giustizia; Dio ordinò che questi sommi e santissimi beni fossero posti a tutela della Chiesa e perciò nulla è tanto assurdo quanto pretendere che la Chiesa ipocritamente accetti sia la falsità che l’ingiustizia, o sia connivente con ciò che nuoce alla religione. – Da quanto si è detto consegue che non è assolutamente lecito invocare, difendere, concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d’insegnamento o di culto, come fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all’uomo. Infatti, se veramente la natura li avesse concessi, sarebbe lecito ricusare il dominio di Dio, e la libertà umana non potrebbe essere limitata da alcuna legge. Ne consegue del pari che queste varie libertà possono essere tollerate se vi sia un giusto motivo, ma entro certi limiti di moderazione, in modo che non degenerino nell’arbitrio e nell’arroganza. Dove infatti vige la consuetudine di queste libertà, i cittadini le trasformino in facoltà di agire correttamente e di esse abbiano il concetto medesimo che ne ha la Chiesa. Pertanto ogni libertà è da ritenere legittima finché procura più frequenti occasioni di onesta condotta, altrimenti no. – Dove la tirannide opprima o sovrasti in modo tale da sottomettere la cittadinanza con iniqua violenza, o costringa la Chiesa ad essere priva della dovuta libertà, è lecito chiedere una diversa organizzazione dello Stato, in cui sia concesso agire liberamente; in questo caso non si rivendica quella smodata e colpevole libertà, ma qualche sollievo a vantaggio di tutti e si agisce così solamente perché non sia impedita la facoltà di comportarsi onestamente là dove si concede licenza al malaffare. – Inoltre, non è vietato preferire un tipo di Stato regolato dalla partecipazione popolare, fatta salva la dottrina cattolica circa l’origine e l’esercizio del pubblico potere. Tra i vari tipi di Stato, purché siano di per se stessi in grado di provvedere al benessere dei cittadini, nessuno è riprovato dalla Chiesa; essa pretende tuttavia ciò che anche la natura comanda: che i singoli Stati si reggano senza recare danno ad alcuno, e soprattutto rispettino i diritti della Chiesa. – È onesto partecipare alla pubblica amministrazione, a meno che in qualche luogo, per eccezionali circostanze di tempo e di cose, non venga disposto diversamente; anzi la Chiesa approva che ognuno dedichi l’opera sua al comune vantaggio e che con ogni sua iniziativa – nei limiti del possibile – difenda, consolidi, renda prospero lo Stato. La Chiesa non condanna una nazione che voglia essere indipendente dallo straniero o da un tiranno, purché sia salva la giustizia. Infine non rimprovera neppure coloro che propugnano uno Stato retto da proprie leggi, e una cittadinanza dotata della più ampia facoltà di accrescere il proprio benessere. – La Chiesa fu sempre coerente fautrice delle libertà civili, purché non intemperanti: ne sono validi testimoni le città d’Italia che, attraverso i Comuni, raggiunsero la prosperità, la ricchezza, la gloria esercitando i propri diritti, nel tempo in cui la virtù salutare della Chiesa si era diffusa in ogni parte dello Stato, senza alcun contrasto. – Venerabili Fratelli, confidiamo che questi concetti, che abbiamo espresso guidati ad un tempo dalla fede e dalla ragione nell’adempimento del Nostro dovere apostolico, riescano fruttuosi per molti, soprattutto se coopererete con Noi. E Noi, nell’umiltà del Nostro cuore, alziamo supplici gli occhi a Dio e con ardore Lo preghiamo perché voglia benevolmente infondere negli uomini il lume della sua sapienza e del suo consiglio, in modo che, confortati da queste virtù, possano distinguere la verità in situazioni così difficili, e di conseguenza possano vivere in privato, in pubblico, in ogni tempo, con inalterabile costanza fedeli alla verità. Come auspicio di celesti doni e come testimonianza della Nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al popolo a Voi affidato, impartiamo con grande affetto nel Signore l’Apostolica Benedizione”.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 giugno 1888, nell’anno undecimo del Nostro Pontificato.

Un’ENCICLICA al giorno toglie IL MODERNISTA APOSTATA di torno: “UBI PRIMUM AD SUMMI”.

Leone XII Ubi primum

Per illustrare sempre meglio l’apostasia modernista conciliare dell’anti-Chiesa, guidata dai marrani kazari antipapi servi del B’nai B’rith e del N.O.M., esaminiamo una enciclica breve ma densissima di contenuti che il S. P. Leone XII scrisse nel 1824 per l’elezione al Sommo Pontificato, in un momento drammatico sia per la società civile, che per la Santa Chiesa Cattolica, attaccate entrambe dalle subdole sette liberal-massoniche di ispirazione luciferina che ancora oggi operano in modo sempre più chiaro e tracotante. Certo oggi è mutata la strategia delle sette, che operano mediante l’infiltrazione diretta sia nei poteri civili ed economici, sia nella gerarchia della Chiesa fino al suo apice, come già profetizzato da S.S. Leone XIII e che la Vergine Immacolata aveva preannunziato nell’apparizione de La Salette e nel terzo segreto di Fatima, preconizzando una falsa Chiesa ormai ridotta ad una larva disidratata senza più valori soprannaturali e fede divina. Nella “UBI PRIMUM AD SUMMI”, Papa Leone XII desiderava programmare nel suo Pontificato, la restaurazione dell’unica “vera” religione, mortificata e vilipesa da vergognosi ed ignobili movimenti filosofici e rivoluzionari, con il sollecitare l’azione dei Vescovi, con il combattere contro gli errori che minacciavano la fede, condannando le sette occulte e, in materia di religione, in particolare l’indifferentismo, e le società bibliche. – Oggi tutti vediamo come le società bibliche si siano moltiplicate e pubblichino edizioni delle Sacre Scritture che nulla più hanno di sacro, le orride bibbie ecumeniche, c.d. interreligiose, che tutto contengono tranne le verità cattoliche interpretate dai Padri e dai Pontefici; inoltre assistiamo con raccapriccio alle evoluzioni dialettiche, fasulle ermeneutiche di falsi teologi e gerarchi anti-cristiani, che non sanno più cosa inventarsi per restare aggrappati alle loro posizioni assurde onde giustificare il disprezzo del Magistero e dell’autorità di Pietro, l’ecumenismo massonico, padre iniquo dell’indifferentismo religioso [… empietà di uomini deliranti…] trionfante in tutti gli ambiti ed in tutti i templi ed i palazzi sacri una volta cattolici, e dimentichi colpevoli dell’“extra Ecclesia, nulla salus”. Ma ripensando alle parole del reale Profeta: Et tu, Domine, deridebis eos; ad nihilum deduces omnes gentes” [Ps. LVIII, 9], e fiduciosi dell’intervento divino, affinché rivesta di rinnovato splendore la Chiesa Cattolica, ci tuffiamo in questo mare di Cattolicità per un bagno salutare dell’anima, circondata oggi da immondezze e sterco satanico, dall’abominio della desolazione della sinagoga di satana!

Roma, 5 maggio 1824

Enciclica

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi.

Il Papa Leone XII.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione. -Non appena fummo innalzati all’alta dignità del Pontificato, cominciammo subito ad esclamare con San Leone Magno: “Signore, udii la tua voce ed ebbi paura; considerai l’opera tua, e fui colto da spavento. Che cosa, infatti, vi può essere di più straordinario e di più temibile del lavoro per chi è debole, dell’innalzamento per chi si trova in basso, della dignità per chi non la merita? Ciò nonostante, non ci disperiamo, né ci scoraggiamo, perché non presumiamo di noi stessi, ma di Colui che opera in noi”. Così, per modestia, parlava quel Pontefice non mai abbastanza lodato; Noi, in omaggio alla verità, diciamo ciò e lo confermiamo. – Anche Noi, Venerabili Fratelli, volevamo ardentemente parlare con voi al più presto, e aprire il Nostro cuore con voi che siete la Nostra corona e la Nostra gioia; così come Noi confidiamo che voi troviate la vostra gioia e la vostra corona nel gregge che vi è affidato. Sennonché, in parte altri importanti lavori della Nostra missione apostolica, in parte specialmente i dolori di una lunga malattia, Ci hanno impedito fin qui, con Nostro dispiacere e rammarico, di soddisfare i Nostri desideri. Ma Dio, largo nella misericordia e abbondantemente munifico nei confronti dei supplicanti e di chi prega con fiducia, Dio, che Ci ha ispirato questo proposito, Ci concede oggi di recarlo ad effetto. Tuttavia il silenzio che forzatamente abbiamo tenuto fino a oggi non è stato del tutto privo di conforto. Colui che consola gli umili Ci ha consolato con l’affetto religioso della vostra devozione e del vostro zelo per Noi: in tali sentimenti riconosciamo bene la pietà dell’unità cristiana, tanto che sempre di più ne gioivamo e ringraziavamo Dio. E così, quale testimonianza del Nostro affetto, vi inviamo questa lettera per spronarvi maggiormente a proseguire sulla via dei comandamenti divini e a combattere con maggior vigore le battaglie del Signore. Con ciò avverrà che dalla vittoria del gregge del Signore si glorifichi lo zelo del pastore. – Voi non ignorate, Venerabili Fratelli, ciò che l’Apostolo Pietro insegnò ai Vescovi con queste parole: “Pascete con previdenza il gregge di Dio che è in Voi, non per forza, ma spontaneamente, secondo il volere di Dio; non per la speranza di un guadagno vergognoso, ma volontariamente; non come dominatori del clero, ma divenuti col cuore forma del gregge”. Da queste parole chiaramente voi comprendete quale sia il genere di condotta che vi è proposto, di quali virtù dobbiate sempre più arricchire il vostro cuore, di quale scienza abbondante ornare il vostro spirito, e quali frutti di pietà e di affetto dobbiate non solo produrre, ma partecipare al vostro gregge. In tal modo voi raggiungerete lo scopo del vostro ministero, poiché, divenuti nell’animo forma del vostro gregge, e dando agli uni il latte, agli altri più solido cibo, non solo informerete lo stesso gregge di dottrina, ma anche lo condurrete con l’opera e con l’esempio ad una tranquilla vita in Gesù Cristo e al conseguimento dell’eterna beatitudine insieme a voi, così come si esprime lo stesso capo degli Apostoli: “E quando apparirà il principe dei pastori, voi otterrete una imperitura corona di gloria”. – Noi vorremmo veramente ricordarvi tante considerazioni, ma ne toccheremo soltanto alcune, dovendoci soffermare più estesamente sugli argomenti di maggiore importanza, come richiede la necessità di questi infelici tempi. – Così, scrivendo a Timoteo, l’Apostolo Ci ha insegnato con quale saggia precauzione e con quale serio esame bisogna conferire gli ordini minori, e soprattutto quelli sacri: “Non affrettarti a imporre troppo presto le mani a chicchessia” . – Quanto alla scelta dei pastori che nelle vostre Diocesi debbono essere preposti alla cura delle anime, e per quanto riguarda i seminari, il Concilio Tridentino ha dato regole precise, in seguito maggiormente chiarite dai Nostri Predecessori: tutto ciò vi è talmente noto, che non occorre soffermarvisi più a lungo. – Voi ben sapete ancora, Venerabili Fratelli, quanto importi che costantemente e personalmente risiediate nelle vostre Diocesi; questo è un obbligo che avete contratto accettando il vostro ministero, come è dichiarato da parecchi decreti dei Concilii e dalle Costituzioni apostoliche, confermate in questi termini dal santo Concilio di Trento: “Poiché per divino precetto è stato comandato a tutti coloro ai quali è affidata la cura delle anime di conoscere le loro pecorelle, di offrire per esse il santo Sacrificio, di pascerle con la predicazione della parola divina, con l’amministrazione dei Sacramenti e con l’esempio di ogni buona opera, di avere una sollecitudine paterna per i poveri e per tutte le altre persone che sono nell’afflizione, e di provvedere a tutti gli altri doveri pastorali, che non possono certo essere prestati ed adempiuti da coloro che non vigilano il proprio gregge, né lo assistono, ma lo abbandonano come fanno i mercenari, il santo Sinodo li esorta e li ammonisce affinché, memori dei divini precetti, e fattisi veramente forma del loro gregge, lo nutrano e lo guidino nella giustizia e nella verità” . Anche Noi, colpiti dall’obbligo di un dovere tanto grande e tanto grave, pieni di zelo per la gloria di Dio, lodiamo di cuore coloro che osservano con scrupolo questo precetto. Se alcuni non obbediscono compiutamente a questo obbligo (in un numero così grande di pastori ve ne possono essere alcuni: la cosa può non sorprendere, quantunque sia dolorosa), per le viscere della misericordia di Gesù Cristo li ammoniamo, esortiamo e supplichiamo affinché pensino seriamente che il giudice supremo cercherà il sangue delle sue pecorelle nelle loro mani ed emetterà un giudizio durissimo nei confronti di coloro che sono preposti ad esse. – Questa terribile sentenza, come senza dubbio sapete, non colpisce soltanto coloro che trascurano personalmente la residenza, o tentano di sottrarvisi con qualche vano pretesto, ma anche coloro che rifiutano senza valido motivo di sobbarcarsi l’incarico della visita pastorale e di eseguirla secondo le prescrizioni canoniche. Non saranno mai ossequienti al decreto Tridentino se non si preoccuperanno di avvicinarsi personalmente alle pecorelle e, come fa il buon pastore, di nutrire quelle buone, di ricercare quelle disperse e, finalmente richiamandole ed operando ora dolcemente, ora con la forza, di condurle all’ovile. – In verità, i Vescovi che non obbediscono agli obblighi della residenza e della visita pastorale con la dovuta sollecitudine non sfuggiranno al tremendo giudizio del supremo Pastore nostro Salvatore, adducendo come giustificazione che hanno adempiuto a questi doveri per mezzo di appositi ministri. – A loro, infatti, non ai ministri, è affidata la cura del gregge; a loro furono promessi i doni carismatici. Dal che deriva che le pecorelle odono molto più volentieri la voce del loro pastore piuttosto che quella di un sostituto, e che prendano con più fiducia e ricevano con più lieto animo il cibo salutare dalla mano del primo piuttosto che del secondo, come dalla mano di Dio, l’immagine del quale riconoscono nel loro Vescovo. Tutto ciò, oltre a quanto detto fin qui, è confermato abbondantemente dalla stessa esperienza, che è maestra delle cose. – Sarebbe di per sé sufficiente l’avervi scritto quanto sopra, Venerabili Fratelli: a voi, dico, che non siete ingrati tacendo dei doni, né superbi presumendo dei meriti. Tali, senza dubbio, conviene che siano coloro che vogliono passare di virtù in virtù, e progredire con animo ardente, e che, emulando gli esempi degli antichi e recenti santi Vescovi, si gloriano di aver sconfitto i nemici della Chiesa e di aver riformato in Dio i costumi corrotti. Alla vostra mente sia sempre presente l’aurea sentenza di San Leone Magno: “In questa battaglia non si ottiene mai una vittoria tanto felice che non sorga, dopo il trionfo, anche la necessità di sostenere nuovi combattimenti” . – Quante battaglie, in verità, e quanto crudeli si sono accese in questo nostro tempo, e quasi ogni giorno si manifestano contro la Religione Cattolica! Chi, ricordandole e meditandole, può trattenere le lacrime? – Fate attenzione, Venerabili Fratelli, “Non è la piccola scintilla” di cui parla San Girolamo; non è – dico io – la piccola scintilla che a malapena si vede quando si guarda, ma una fiamma che cerca di divorare tutta la terra, di distruggere le mura, le città, le foreste più vaste e tutte le contrade; è un lievito che unito alla farina tenta di corrompere tutta la massa. In questa allarmante situazione il servizio del nostro apostolato sarebbe del tutto insufficiente se non vegliasse di continuo Colui che custodisce Israele e che dice ai suoi discepoli: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli”; se Egli non si degnasse di essere non solo custode delle pecore, ma anche pastore degli stessi pastori. – Ma, che significa tutto ciò? Esiste una setta, a voi certamente nota, la quale, arrogandosi a torto l’appellativo di filosofica, ha riesumato dalle ceneri disperse falangi di quasi tutti gli errori. Questa setta, presentandosi sotto la carezzevole apparenza della pietà e della liberalità, professa il tollerantismo (così lo chiama), o indifferentismo, e lo estende non solo agli affari civili, sulla qual cosa non esprimiamo parola alcuna, ma anche alla materia religiosa, insegnando che Dio ha dato a tutti gli uomini un’ampia libertà, in modo che ognuno, senza alcun pericolo, può abbracciare e professare la setta e l’opinione che preferisce, secondo il proprio personale giudizio. Contro tale empietà di uomini deliranti, l’Apostolo Paolo ci mette in guardia: “Io vi esorto, fratelli, a controllare coloro che alimentano divisioni e scandali contro la dottrina che avete appresa, e ad allontanarvi da loro. In questo modo, essi non servono nostro Signore Gesù Cristo, ma il proprio ventre, e attraverso dolci parole e benedizioni seducono le anime semplici” (Rm XVI, 17-18). – È vero che tale errore non è nuovo, ma in questi tempi esso infierisce contro la stabilità e l’integrità della fede cattolica. Infatti Eusebio, citando Rodone, riferisce che questa follia era già stata propagata da certo Apelle, eretico del secondo secolo, il quale asseriva che non occorreva approfondire la fede, ma che ciascuno doveva arroccarsi nell’opinione che si era formata. Apelle sosteneva che coloro i quali avevano riposto la propria speranza nel Crocifisso si sarebbero salvati, purché la morte li avesse raggiunti nel corso di buone opere. Anche Retorio, come attesta Agostino, blaterava che tutti gli eretici camminavano nella retta via e predicavano delle verità. “Ma ciò è così assurdo, osserva il santo Padre, che mi sembra incredibile”. In seguito, questo indifferentismo si è talmente diffuso e accresciuto, che i suoi seguaci riconoscono non solo tutte le sette che, fuori della Chiesa cattolica, ammettono oralmente la rivelazione come base e fondamento, ma affermano spudoratamente che sono nella retta via anche quelle società che, respingendo la divina rivelazione, professano il semplice deismo ed anche il semplice naturalismo. L’indifferentismo di Retorio fu giudicato da Sant’Agostino cosa assurda in diritto e nel merito, anche se veniva circoscritto in determinati limiti. Ma una tolleranza che si estenda fino al deismo ed al naturalismo – teorie che furono respinte perfino dagli antichi eretici – potrebbe mai essere ammessa da una persona che usi la ragione? Tuttavia (Oh tempi! Oh filosofia menzognera!) una siffatta pseudo-filosofia è approvata, difesa e sostenuta. – Per la verità, non sono mancati qualificati scrittori che, professando la vera filosofia, aggredirono questo mostro e abbatterono certe opere con invincibili argomenti. Ma evidentemente è impossibile che Dio, sommamente vero, Egli stesso Verità suprema, Provvidenza ottima e sapientissima, Remuneratore delle buone opere, possa approvare tutte le sette che predicano falsi principii – spesso in contraddizione fra di loro –, e che possa assicurare il premio eterno a chi le professa; del pari è superfluo fare altre considerazioni in materia. Noi disponiamo infatti di profezie ben più sicure e, scrivendo a voi, Noi parliamo di sapienza fra dotti: non della sapienza di questo secolo, ma della sapienza del mistero divino, nella quale siamo appunto istruiti; per fede divina crediamo che c’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo e che nessun altro nome è stato dato agli uomini sulla terra per operare la loro salvezza se non quello di Gesù Cristo di Nazaret: pertanto dichiariamo che fuori della Chiesa non esiste salvezza. – Per la verità, oh, smisurata ricchezza della sapienza e della scienza di Dio! Oh, incomprensibile pensiero di Lui! Dio, che annienta la sapienza dei sapienti (cf. 1Cor 1,18), sembra aver consegnato i nemici della sua Chiesa e i detrattori della Rivelazione soprannaturale a quel senso reprobo (Rm 1,28) e a quel mistero d’iniquità che era scritto sulla fronte dell’impudente donna di cui parla Giovanni (Ap 1,5). Infatti, quale maggiore iniquità di questi orgogliosi, che non solo si staccano dalla vera religione, ma con ogni genere di cavilli, con parole e scritti pieni di sofismi vogliono anche irretire i semplici? Sorga Dio, e impedisca, sconfigga ed annienti questa sfrenata licenza di parlare, di scrivere e di diffondere tali scritti. [Exsurgat Deus et hanc loquendi, scribendi, scriptaque vulgandi offrenem licenzia cohibeat, perdeat, et ad nihilum redigat] – Che dirò ora di più? L’iniquità dei nostri nemici si accresce talmente che, oltre alla colluvie dei libri perniciosi e contrari alla fede, giungono al punto di volgere a danno della Religione quelle sacre scritture che dall’alto ci sono state concesse per l’edificazione della Religione stessa. – Voi ben sapete, Venerabili Fratelli, che una società volgarmente chiamata Biblica si estende ora audacemente su tutta la terra, e che, a dispetto delle tradizioni dei Santi Padri e contro il notissimo decreto del Concilio Tridentino, s’impegna con tutte le sue forze e con tutti i mezzi di cui può disporre a tradurre, o per meglio dire a corrompere la sacra Bibbia, volgendola nel volgare di tutte le nazioni. Da ciò deriva un fondato motivo di temere che, come in alcune traduzioni già note, così per altre si debba dire, quale conseguenza di un’interpretazione perversa, che invece del Vangelo di Cristo si trovi il vangelo dell’uomo o, peggio ancora, il vangelo del demonio. – Per allontanare tale flagello, parecchi nostri predecessori pubblicarono delle Costituzioni, e negli ultimi tempi Pio VII, di santa memoria, ha inviato due Brevi, uno ad Ignazio, Arcivescovo di Gnesna, e l’altro a Stanislao, Arcivescovo di Mohilow. In essi si trovano molte testimonianze, accuratamente e sapientemente ricavate dalle divine scritture e dalla tradizione: esse ci mostrano quanto questa sottile invenzione possa nuocere alla fede e alla morale. – Noi pure, Venerabili Fratelli, in forza del Nostro impegno, vi esortiamo a tener lontano con cura il vostro gregge da questi mortali pascoli. Fate conoscere, pregate, insistete a proposito e a sproposito, con pazienza e dottrina, affinché i vostri fedeli, richiamandosi scrupolosamente alle regole della nostra Congregazione dell’Indice, si persuadano che “se si lascia tradurre la Bibbia nella lingua volgare senza permesso, ne risulterà, causa la temerarietà degli uomini, più male che bene”. – L’esperienza dimostra la verità dell’assunto. Sant’Agostino, oltre ad altri Padri, ne dà conferma con queste parole: “Le eresie e certi dogmi perversi che avviluppano le anime e le precipitano nell’abisso nascono in coloro che non comprendono bene le sacre scritture: dopo averle mal capite, sostengono l’errore con temerarietà e arroganza” ). – Ecco, o Venerabili Fratelli, dove è indirizzata questa società, che nulla lascia d’intentato affinché si realizzi l’affermazione dell’empio proposito. Infatti, essa si compiace non solo di stampare le proprie versioni, ma, percorrendo tutte le città, di diffonderle fra la gente. Inoltre, per sedurre le anime dei semplici, talvolta si preoccupa di venderle, talaltra, con perfida liberalità, le distribuisce gratuitamente. – Che, se qualcuno vuole cercare la vera origine di tutti i mali che fin qui abbiamo deplorato, e di altri che per motivi di brevità abbiamo omesso, si convincerà senza dubbio che sia nei primordi della Chiesa, come ora, essa va ricercata nell’ostinato disprezzo dell’autorità della Chiesa: di quella Chiesa che, come insegna San Leone Magno, “per volontà della Provvidenza riconosce Pietro nella Sede Apostolica, e nella persona del Romano Pontefice vede ed onora il suo successore: colui nel quale risiedono la cura di tutti i pastori e la tutela delle pecore loro affidate, e la dignità del quale non viene meno anche se si tratta di un indegno erede” . – “In Pietro, dunque (come afferma in proposito il predetto santo Dottore) la forza di tutti si consolida, e l’aiuto della grazia divina s’indirizza a che la fermezza concessa a Pietro nel nome di Cristo, attraverso Pietro sia trasmessa agli Apostoli”. – È evidente, poi, che questo disprezzo dell’autorità della Chiesa si oppone al comando di Cristo che s’indirizza agli Apostoli, e nelle loro persone ai ministri della Chiesa loro successori: “Chi ascolta voi ascolta me; chi disprezza voi disprezza me” (Lc X, 16). Questo disprezzo si oppone alle parole dell’Apostolo Paolo: “La Chiesa è la colonna e la base della verità” (1Tm III, 15). Agostino, meditando tali indicazioni, disse: “Se qualcuno verrà trovato fuori della Chiesa, sarà escluso dal numero dei suoi figli; né avrà Dio come padre colui che non avrà voluto avere la Chiesa come madre”. – Voi dunque, Venerabili Fratelli, tenete presenti con Agostino, e meditate frequentemente, le parole di Cristo e dell’Apostolo Paolo, in modo che possiate insegnare al popolo a voi affidato quanto sia da rispettare l’autorità della Chiesa voluta direttamente da Dio stesso. Ma voi, Venerabili Fratelli, non perdetevi d’animo. Da ogni parte, lo dichiariamo ancora con Sant’Agostino , mugghiano attorno a noi le acque del diluvio (cioè la molteplicità delle diverse dottrine). Non ci troviamo immersi nel diluvio, ma ne siamo circondati: le sue acque c’incalzano, ma non ci toccano; c’inseguono, ma non ci sommergono. – Pertanto, vi esortiamo nuovamente a non perdervi d’animo. Voi avrete per voi – e Noi certamente confidiamo nel Signore – l’aiuto dei principi terreni, i quali, come lo provano la ragione e la storia, difendendo la propria causa difendono l’autorità della Chiesa. Infatti, non sarà mai possibile che si dia a Cesare ciò che è di Cesare, se non si dà a Dio ciò che è di Dio. Inoltre, per usare le parole di San Leone, i buoni uffici del Nostro ministero saranno per voi tutti. Nelle traversie, nei dubbi, in ogni vostra necessità, ricorrete a questa Sede Apostolica. “Dio, come dice Sant’Agostino , pose la dottrina della verità sulla cattedra dell’unità”. – Infine, Noi vi scongiuriamo per la misericordia del Signore. Aiutateci con i vostri voti e con le preghiere rivolte a Dio affinché lo Spirito della grazia si mantenga in Noi e i vostri giudizi non abbiano incertezze: Colui che vi ha ispirato il piacere dell’unanimità solleciti il dono della pace in comune con Noi, affinché in tutti i giorni della Nostra vita trascorsi al servizio di Dio onnipotente, pronti a prestarvi il nostro appoggio, possiamo con fiducia innalzare al Signore questa preghiera: “Padre santo, conserva nel tuo nome coloro che Tu mi hai affidato”. Quale pegno della Nostra fiducia e del Nostro amore impartiamo di tutto cuore l’Apostolica Benedizione a voi e al vostro gregge.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 5 maggio 1824, anno primo del Nostro Pontificato.

7 MARZO: SAN TOMMASO D’AQUINO

In questo giorno in cui i Cattolici Romani dell’orbe cristiano festeggiano il Dottore Angelico, S. Tommaso D’Aquino, lungi dal cimentarci in lodi e panegirici di cui la nostra infima statura culturale non sarebbe capace, affidiamo la celebrazione di tale genio teologico al Santo Magistero della Chiesa, quanto mai pieno di riferimenti all’opera sua straordinaria ed insostituibile per la vita della “vera” Chiesa, in netto contrasto, anzi in diametrale opposizione alla Nouvelle Theologie [o meglio “falsa teologia”], base del satanico modernismo, sintesi di tutte le eresie, attualmente imperante. Tra le diverse bolle ed encicliche ci piace qui riportare la lettera enciclica di S.S. Pio XI “Studiorum ducem” pubblicata in occasione del seicentesimo anno della canonizzazione del Santo domenicano.

PIO XI

LETTERA ENCICLICA

STUDIORUM DUCEM

DEL SOMMO PONTEFICE AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA, IN OCCASIONE DEL VI CENTENARIO DELLA CANONIZZAZIONE DI SAN TOMMASO D’AQUINO

 

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Con recente Lettera Apostolica [Officiorum omnium dell’1° agosto 1922] confermammo quanto era già stato stabilito dal Diritto Canonico e ordinammo che Tommaso d’Aquino dovesse essere considerato la principale guida negli studi delle discipline superiori. – Ed avvicinandosi ora il giorno, in cui si compie il seicentesimo anno da quando egli fu ascritto nel numero dei Santi, Ci si presenta una bella occasione per inculcare maggiormente la medesima cosa nell’animo dei nostri, e dichiarare loro in che modo potranno profittare alla scuola di tanto Maestro. Poiché la vera scienza e la pietà, che di tutte le virtù è compagna, sono tra di loro mirabilmente congiunte; ed essendo Iddio la stessa verità e bontà, non basterebbe certo, per ottenere la gloria di Dio e la salvezza delle anime — scopo principale e proprio della Chiesa — che i sacri ministri fossero bene istruiti nella cognizione delle cose, se essi non fossero pure abbondantemente forniti di idonee virtù. Ora questa unione della dottrina con la pietà, della erudizione con la virtù, della verità con la carità, fu veramente singolare nel Dottore Angelico, a cui venne attribuito il distintivo del sole, poiché, mentre egli porta alle menti la luce della scienza, accende nelle volontà la fiamma della virtù. – E sembrò che Iddio, fonte d’ogni santità e sapienza, volesse mostrare in Tommaso come queste due cose si aiutino a vicenda, come cioè l’esercizio delle virtù disponga alla contemplazione della verità ed a sua volta l’accurata meditazione della verità renda più pure e perfette le stesse virtù. Perché chi vive integro e puro, e con la virtù tiene a freno le sue passioni, quasi libero da un grande impedimento, potrà elevare alle cose celesti molto più facilmente il suo spirito e meglio fissarsi nei profondi misteri della Divinità, secondo le parole dello stesso Tommaso: «Prima è la vita che la dottrina; perché la vita conduce alla scienza della verità » (1); se l’uomo avrà messo tutto il suo studio nel conoscere le cose che sono sopra la natura, per questo stesso si sentirà non poco eccitato al vivere perfetto; né una tale scienza, la cui bellezza tutto lo rapisca e a sé lo attiri, potrà mai dirsi arida ed inerte, ma attiva in grado supremo. – Sono questi gli ammaestramenti che questa solennità centenaria ci fornisce, Venerabili Fratelli; ma per renderli più manifesti, Noi pensammo di dover trattar brevemente della santità e dottrina di Tommaso d’Aquino e mostrarvi quali vantaggi possa trarre da un tale argomento sia tutto l’ordine sacerdotale, i giovani del clero specialmente, sia tutto intero il popolo cristiano. – Tutte le virtù morali furon possedute da Tommaso in altissimo grado e talmente associate e connesse, che, come vuole egli stesso, si unirono nella carità « la quale dà la forma agli atti di tutte le virtù » (2). Se poi cerchiamo le caratteristiche proprie e particolari di questa santità, ci vien fatto di trovare per prima quella virtù per cui Tommaso sembrò assomigliare alle nature angeliche, la castità, per la quale egli fu degno di esser cinto ai fianchi dagli Angeli di una mistica cintura, avendola egli conservata intatta in un pericolosissimo cimento. A purezza così esimia andò congiunto il distacco dai beni terreni e il disprezzo degli onori; e sappiamo come egli vincesse, con somma costanza, l’ostinazione dei parenti che lo volevano con tutti i mezzi trattenere nella vita agiata del secolo; e come poi, offerti a lui dal Pontefice Sommo i parimenti sacri, lo scongiurasse a non imporgli quel peso, per lui formidabile. Ma il principale distintivo della santità di Tommaso è quello che da Paolo è chiamato « il linguaggio della sapienza » (3), quell’unione cioè della duplice sapienza, acquisita ed infusa, come vengono dette; con le quali nulla meglio si accorda quanto l’umiltà, l’amore della preghiera, la carità verso Dio. – Quanto all’umiltà, che Tommaso mise a fondamento di tutte le altre sue virtù, fu manifesta dall’essersi egli posto nelle azioni della vita quotidiana, sotto l’ubbidienza di un fratello laico; né meno essa si rivela dalla lettura dei suoi scritti, dai quali spira ogni riverenza verso i Padri della Chiesa; e « siccome egli ebbe in somma venerazione gli antichi dottori, così sembrò che di tutti egli ereditasse l’intelligenza » (4). – La stessa cosa viene bene chiarita dall’aver egli impiegato, per il trionfo della verità, tutte le forze del suo divino ingegno, senza cercare per nulla la propria gloria. E così, mentre i filosofi si propongono spesso quale méta la propria fama, egli invece si studiò, nell’insegnare le sue dottrine, d’oscurare se stesso, appunto perché splendesse di per sé la luce della verità divina. Questa umiltà pertanto, congiunta alla purezza del cuore, di cui abbiamo parlato, ed alla grande assiduità nelle sante preghiere, rendeva l’animo di Tommaso docile e tenero tanto a ricevere quanto a seguire gl’impulsi e le illuminazioni dello Spirito Santo, nel che consiste la sostanza della contemplazione. E per impetrarle dall’alto, egli soleva spesso astenersi da ogni cibo, passare le intere notti in continua preghiera, e di quando in quando con l’impeto d’un’ingenua pietà appoggiare il suo capo al tabernacolo dell’augusto Sacramento, e rivolgere di continuo i suoi occhi e il suo spirito addolorato all’immagine di Gesù Crocifisso, che fu il massimo libro da cui apprese tutto quello che seppe, com’egli stesso confessò all’amico suo San Bonaventura; sicché di Tommaso poteva dirsi quello che si era detto del suo santo padre e legislatore Domenico, che non parlava se non di Dio o con Dio. – E siccome egli soleva contemplare tutto in Dio come causa prima ed ultimo fine di tutte le cose, gli fu facile seguire tanto negli insegnamenti della sua « Somma Teologica », quanto nella sua vita, l’una e l’altra sapienza, che egli stesso così definisce: « Per la sapienza acquisita mediante lo studio umano si ha il retto giudizio delle cose divine secondo l’uso perfetto della ragione. Ma ve n’è un’altra che discende dall’alto e che giudica delle cose divine per una certa connaturalità ad esse. E questa è un dono dello Spirito Santo, per cui l’uomo divien perfetto nelle divine cose, e non solo le apprende, ma in se stesso le sente ». – Accompagnata dagli altri doni dello Spirito Santo, questa sapienza derivata da Dio per infusione in Tommaso, fu in un continuo aumento al pari della carità, signora e regina di tutte le virtù. Poiché per lui fu dottrina certissima che l’amore di Dio deve in noi crescere sempre « a norma del primo precetto: ‘Amerai Iddio tuo Signore con tutto il tuo cuore’; perché tutto e perfetto sono la stessa cosa … Fine del precetto è la carità, come c’insegna l’Apostolo (6); ora nel fine non si pone misura alcuna, ma solo nelle cose che servono al fine » (7). E questa è la causa per cui la perfezione della carità cade sotto precetto; perché essa è il fine a cui tutti devono tendere secondo la loro condizione. E siccome « l’effetto proprio della carità è che l’uomo tenda a Dio unendo a lui il suo affetto, perché egli viva non più a sé ma a Dio stesso », noi vediamo come in Tommaso il divino amore, insieme con quella duplice sapienza, aumentò senza posa, fino ad ingenerare in lui il prefetto oblio di se stesso; tale che, essendogli stato detto da Gesù Crocifisso: «Tommaso, hai scritto bene di me », e domandato: «Qual premio tu desideri per l’opera tua? », Egli rispose: «Te solo, o Signore ». Ond’è che, stimolato dalla carità, s’impegnava assiduamente a favore degli altri con lo scrivere ottimi libri, coll’aiutare i fratelli nei loro lavori, e si spogliava delle stesse sue vesti per soccorrere i poveri, ed anche restituiva agli infermi la salute, come avvenne nella Basilica Vaticana, dove egli predicò nella solennità di Pasqua, allorché liberò ad un tratto da un inveterato flusso di sangue una donna che gli aveva toccato il lembo della veste. E dove mai si trovò più chiaro che nel Dottore Angelico questo « linguaggio di sapienza », mentre a lui non bastò erudire le menti degli uomini, ma con ogni studio cercò di eccitare le volontà loro a riamare un tanto amore, che è la causa di tutte le cose? « L’amore di Dio », egli afferma con frase sublime, « è quello che infonde e crea nelle cose la bontà », né mai si stanca, trattando dei varii misteri ad uno ad uno, di illustrare questa diffusione della divina bontà. «Appartiene » egli dice, « alla natura del sommo bene, che in sommo grado comunichi se stesso; e questo massimamente è fatto da Dio coll’Incarnazione » . – E nessun’altra cosa più apertamente dimostra questa potenza non meno del suo ingegno che della sua carità, quanto l’ufficio ch’egli compose dell’augusto Sacramento; e quanto amore egli avesse in tutta la vita verso l’Eucarestia, lo dichiarò nella parola che proferì morendo prima di ricevere il santo Viatico: « Io ti ricevo, prezzo della redenzione dell’anima mia, per amore del quale io studiai, vegliai e lavorai ». Dopo questo breve cenno intorno alle grandi virtù di Tommaso, sarà più agevole comprendere l’eccellenza della sua dottrina, che nella Chiesa ha un’autorità e un valore ammirabili. I nostri Predecessori la esaltarono sempre con unanimi lodi. – Alessandro IV non dubitò di scrivere a lui vivente: «Al diletto figlio Tommaso d’Aquino, uomo eccellente per nobiltà di natali e onestà di costumi, che per grazia di Dio si acquistò un vero tesoro di coscienza e dottrina». E dopo la sua morte Giovanni XXII sembrò voler canonizzare ad un tempo le sue virtù e la sua dottrina, mentre, parlando ai Cardinali in Concistoro, pronunciò quella memorabile sentenza: « Egli illuminò la Chiesa di Dio più di qualunque altro Dottore; e ricava maggior profitto chi studia per un anno solo nei libri di lui, che chi segua per tutto il corso della sua vita gl’insegnamenti degli altri ». La fama perciò della sua intelligenza e sovrumana scienza fece sì che San Pio V lo scrivesse nel numero dei Dottori e gli confermasse il titolo di Angelico. Del resto, quale fatto più chiaramente dimostra la stima che la Chiesa ha fatto sempre d’un tanto Dottore, quanto l’essere stati esposti sopra l’altare dei Padri Tridentini due soli volumi, la Scrittura e la Somma Teologica, perché potessero ispirarsi ad essi nelle loro deliberazioni? E per non riportare la serie degli innumerevoli documenti della Sede Apostolica su quest’argomento, è sempre vivo in Noi il felice ricordo del rifiorire delle dottrine dell’Aquinate per l’autorità e le premure di Leone XIII; e questo merito di così illustre nostro Precedessore è tale, come dicemmo altre volte, che da solo basterebbe a dargli gloria immortale quand’anche altre cose sapientissime egli non avesse fatto o stabilito. Seguì il suo pensiero Pio X di santa memoria, specialmente nel Motu proprio «Angelici doctoris » ove troviamo questa bella sentenza: «Dopo la morte beata del Santo Dottore, non fu tenuto nella Chiesa alcun Concilio ove egli non sia stato presente con la sua preziosa dottrina ». E più prossimo a Noi, Benedetto XV, Nostro compianto Antecessore, più d’una volta mostrò la stessa compiacenza; e a lui spetta la lode della promulgazione del Codice di Diritto Canonico, ove vengono consacrati « il metodo, la dottrina e i principii » dell’Angelico Dottore (11). E Noi, mentre facciamo eco a questo coro di lodi date a quel sublime ingegno, approviamo che egli non solo sia chiamato Angelico, ma altresì che gli sia dato il nome di Dottore Universale, mentre la Chiesa ha fatto sua la dottrina di lui, come da moltissimi documenti viene attestato. E siccome sarebbe troppo lungo esporre qui tutte le ragioni addotte dai Nostri Predecessori intorno a tale argomento, basterà che Noi dimostriamo che Tommaso scrisse animato dallo spirito soprannaturale onde viveva, e che i suoi scritti, ove sono insegnati i principii e le regole di tutte le scienze sacre, sono da giudicarsi di natura universale. – Trattando egli infatti delle cose divine nei suoi insegnamenti e nei suoi scritti, porse ai teologi un luminosissimo esempio della strettissima relazione che deve correre fra gli studi e i sentimenti dell’animo. E siccome non può dirsi che abbia esatta notizia di un lontano paese chi ne conosca anche la più minuta disposizione, se non vi avrà per alcun tempo vissuto, così nessuno potrà acquistare un’esatta cognizione di Dio con la sola diligente ricerca scientifica, se non sarà anche con Dio in perfetta unione. E a questo appunto tende tutta la teologia di San Tommaso; a condurci a vivere una vita intima con Dio. E come fanciullo a Montecassino non si stancava di domandare: « Chi è Dio? », così i libri da lui composti intorno alla creazione del mondo, intorno all’uomo, alle leggi, alle virtù e ai Sacramenti, tutti quanti trattano di Dio come autore della nostra eterna salvezza.  Perciò, disputando intorno alle cause che rendono sterili gli studi, come la curiosità, lo smodato desiderio di sapere, l’ottusità dell’ingegno, l’avversione allo sforzo ed alla perseveranza, egli non trova a tali cause altro rimedio che una gran prontezza alla fatica, rinvigorita dall’ardore della pietà, e come derivata dalla vita dello spirito. – Ed essendo i sacri studi diretti da un triplice lume: la retta ragione, la fede infusa e i doni dello Spirito Santo che perfezionano l’intelligenza, nessuno più di Lui ebbe questa luce in abbondanza, perché dopo avere in qualche ardua questione impiegato tutte le forze del suo ingegno, implorava da Dio la spiegazione delle difficoltà con i digiuni e con umilissime preghiere; e Dio soleva ascoltarlo con tanta benignità, che mandò talora gli stessi Prìncipi degli Apostoli ad ammaestrarlo. – Né fa meraviglia se, avvicinandosi alla fine della sua vita, egli raggiunse un così alto grado di contemplazione, che le cose da lui scritte non gli parevano altro che paglia, e diceva di non poter dettare più oltre; così già egli aveva fisso il pensiero nelle verità eterne da non bramare ormai più altro che di vedere Dio. Poiché questo, come Tommaso stesso insegna, è il frutto che deve principalmente cogliersi dagli studi: un grande amore di Dio e un gran desiderio delle cose eterne. – Ma mentre con il suo esempio egli c’insegna come dobbiamo comportarci negli studi di vario genere, così di ogni particolare disciplina ci dà fermi e stabili precetti. E innanzi tutto, chi meglio di lui spiegò la natura e la ragione della filosofia, le sue parti e l’importanza di ciascuna? Ecco con quanta perspicacia egli dimostra la convenienza e l’accordo delle varie membra che formano come il corpo di tale scienza: «Al sapiente » egli dice « spetta l’ordinare. E la ragione è che la sapienza è principalmente perfezione di ragione, della quale è proprio conoscere l’ordine; poiché, sebbene le virtù sensitive conoscano alcune cose in modo assoluto, l’ordine fra l’una e l’altra non lo conosce che l’intelletto e la ragione. Così, secondo i diversi ordini che la ragione considera, sono diverse le scienze. L’ordine che la ragione, considerando, produce nel proprio atto appartiene alla filosofia razionale (ossia alla Logica) che propriamente considera l’ordine delle parti del discorso fra di loro e l’ordine dei principii sia fra loro stessi, sia rispetto alle conclusioni. Alla filosofia naturale (ossia alla Fisica) spetta il considerare l’ordine delle cose che la ragione umana considera, ma non fa: e così nella filosofia stessa naturale noi comprendiamo anche la Metafisica. L’ordine delle azioni volontarie viene considerato dalla filosofia morale, che si divide in tre parti: la prima considera le operazioni dell’individuo in ordine al fine e si chiama Monastica; la seconda considera le operazioni della moltitudine domestica e si chiama Economica; la terza considera le operazioni della moltitudine civile, e si chiama Politica »(12). Tutte queste parti della filosofia sono state trattate diligentemente da Tommaso, ciascuna nel proprio modo, cominciando da quelle che sono più strettamente congiunte alla ragione umana, e gradatamente salendo alle più remote, fino a fermarsi, per ultimo, « al vertice supremo di tutte le cose ». – È fermissima dottrina del Nostro quella che riguarda il valore dell’intelligenza umana. « Il nostro intelletto naturalmente conosce l’ente e le cose che appartengono all’ente in quanto tale, e su questa cognizione si fonda la notizia dei primi principii » (14). Dottrina che distrugge fin dalle radici gli errori e le opinioni di quei recenti filosofi che negano all’intelletto la percezione dell’ente, lasciandogli solo quella delle impressioni soggettive; errori da cui segue l’agnosticismo, così vigorosamente riprovato dall’Enciclica Pascendi. – Gli argomenti con cui San Tommaso dimostra l’esistenza di Dio e che egli solo è lo « stesso Essere sussistente », sono anche oggi, come nel medioevo, le prove più valide, chiara conferma del dogma della Chiesa proclamato nel Concilio Vaticano e interpretato egregiamente da Pio X con queste parole: « Iddio, come principio e fine di tutte le cose, può conoscersi e con certezza dimostrarsi con lume naturale della ragione, per le cose fatte, ossia per le opere visibili della creazione, come dagli effetti si conosce certamente la causa » (15). E la sua metafisica, sebbene tuttora, e non di rado, acerbamente impugnata, ritiene ancora la sua forza e tutto il suo splendore, quasi oro che nessun acido può alterare; e bene aggiunge lo stesso nostro Predecessore: « Allontanarsi dall’Aquinate, specialmente in metafisica, non può essere senza un grande danno ». – La più nobile tra le umane discipline è certamente la Filosofia, ma, secondo l’ordine attuale della divina Provvidenza, non possiamo definirla al disopra delle altre perché essa non abbraccia tutto intero l’insieme delle cose. Tanto nell’inizio della « Somma contro i Gentili », quanto in quello della « Somma Teologica », il Santo Dottore descrive un altro ordine di cose superiore alla natura ed eccedente la capacità stessa della ragione, e che mai l’uomo avrebbe conosciuto, se la bontà divina non glielo avesse rivelato. È il campo dove domina la fede, e questa scienza della fede si chiama Teologia, la quale si troverà più perfetta in chi avrà cognizione più profonda dei documenti della fede, e insieme più piena e più alta facoltà di filosofare. Ora non è da dubitare che la Teologia sia stata elevata al più alto grado dall’Aquinate, avendo egli posseduto perfettamente i documenti divini della fede, e disponendo di un ingegno mirabilmente disposto a filosofare. – Perciò Tommaso, non tanto per la sua dottrina filosofica quanto per gli studi di una tal disciplina, è nelle nostre scuole il principale maestro. Nessuna parte, infatti, vi è nella Teologia in cui egli non abbia felicemente mostrato la straordinaria ricchezza della sua mente. Anzitutto egli stabilì su propri e genuini fondamenti l’Apologetica, definendo bene la distinzione che corre fra le cose della ragione e quelle della fede, tra l’ordine naturale e il soprannaturale. Perciò il sacrosanto Concilio Vaticano, allorché definì che alcune verità religiose si possono conoscere naturalmente, ma che per conoscerle tutte e senza errore bisognò per necessità morale che fossero rivelate, e che per conoscere i misteri fu assolutamente necessaria la divina rivelazione, si servì di argomenti tratti non da altri che da Tommaso, il quale vuole che chiunque si accinga alla difesa della dottrina cristiana tenga fermo questo principio: « Assentire alle verità della fede non è leggerezza, benché esse siano al disopra della ragione » (17). Egli infatti dimostra che, sebbene le cose di fede siano arcane ed oscure, pure le ragioni che inducono l’uomo alla fede sono chiare e manifeste, poiché « egli non crederebbe, se non vedesse che le cose sono da credere ».(18) Ed aggiunge altresì che la fede, lungi dall’essere un impedimento od un giogo servile imposto all’umanità, è invece da stimarsi un massimo beneficio, essendo ella in noi un « preludio della vita eterna ». – L’altra parte della Teologia che riguarda l’esposizione dei dogmi è trattata da Tommaso con ricchezza tutta speciale; e nessuno ha penetrato più a fondo o più accuratamente esposto i misteri augustissimi della fede, come quelli che appartengono alla vita intima di Dio, al segreto della predestinazione eterna, al soprannaturale governo del mondo, alla facoltà di conseguire il loro fine concessa alle creature ragionevoli, alla redenzione del genere umano operata da Gesù Cristo e continuata dalla Chiesa e dai Sacramenti: due mezzi che il Dottore Angelico chiama in certo modo « reliquie della Divina Incarnazione ». Egli stabilì inoltre una sicura dottrina teologica morale per l’orientamento di tutti gli atti umani al fine soprannaturale. Da perfetto teologo egli assegna non solo agli individui in particolare, ma anche alla società domestica e civile le norme sicure della vita: in ciò consiste la scienza economica e politica dei costumi. Così nella parte seconda della Somma Teologica sono assai eccellenti le cose che insegna intorno al regime paterno, ossia domestico, al regime legale dello Stato e della Nazione, al diritto naturale e a quello delle genti, alla pace, alla guerra, alla giustizia e al potere, alle leggi e alla loro osservanza, al dovere di provvedere sia alle private necessità, sia alla pubblica prosperità; e tutto questo tanto nell’ordine naturale, quanto nel soprannaturale. Precetti, che, se venissero inviolabilmente ed esattamente osservati in privato ed in pubblico nonché nelle mutue relazioni tra nazioni e nazioni, nient’altro ormai si richiederebbe per ottenere tra gli uomini « la pace di Cristo nel regno di Cristo » a cui tutto il mondo anela. Pertanto è molto desiderabile che sempre più si conoscano le dottrine dell’Aquinate intorno al diritto delle genti ed alle leggi che stabiliscono le relazioni dei popoli fra di loro, contenendo esse i veri fondamenti di quella che si chiama « Società delle Nazioni ». – Non ebbe in lui minor pregio la dottrina ascetica e mistica, perché, ridotta tutta l’economia morale alla ragione di virtù e di doni, stabilisce questa dottrina ed una tale economia secondo le diverse classi degli uomini, tanto di coloro che vogliono vivere secondo le regole comuni, quanto di quelli che aspirano di proposito a conseguire la perfezione cristiana del loro spirito, e ciò in un doppio genere di vita: attiva e contemplativa. Chi voglia conoscere quanto si estenda il precetto dell’amore di Dio, come crescano in noi la carità e i doni dello Spirito Santo ad essa congiunti, come tra di loro differiscano i vari stati della vita, quali lo stato di perfezione, lo stato religioso, l’apostolato, e quale sia la natura di ciascuno, o altri punti di teologia ascetica o mistica, dovrà principalmente consultare l’Angelico Dottore. – In tutte le opere che egli scrisse, ebbe somma cura di mettere a base e fondamento le Sacre Scritture. Tenendo fermo che la Scrittura in tutte e singole le sue parti è parola di Dio, egli ne esige l’interpretazione secondo le norme stesse che diedero i Nostri Predecessori Leone XIII nell’Enciclica « Providentissimus Deus » e Benedetto XV nell’altra Enciclica « Spiritus Paraclitus », e posto per principio che « lo Spirito Santo è autore principale della Sacra Scrittura… mentre l’uomo non ne fu che l’autore strumentale »(20), non permette che alcuno muova dubbi contro l’autorità storica della Bibbia; mentre dal fondamento del significato delle parole, o sia senso letterale, egli ricava le copiose ricchezze del senso spirituale, di cui suole spiegare con la massima precisione il triplice genere: l’allegorico, il tropologico e l’anagogico. – Infine, il Nostro ebbe il dono e il privilegio singolare di poter tradurre gl’insegnamenti della sua scienza in preghiere ed inni della liturgia, e divenire così il poeta e il massimo lodatore della divina Eucaristia. Poiché la Chiesa Cattolica in ogni parte del mondo e presso tutte le genti, nei riti sacri si serve e si servirà sempre, con ogni zelo, dei cantici di Tommaso, dai quali spira il sommo fervore dell’animo supplichevole, e che contengono ad un tempo l’espressione più esatta della dottrina tradizionale intorno all’augusto Sacramento, che principalmente si chiama «Mistero di fede », ripensando a questo e ricordando l’elogio già citato fatto a Tommaso da Cristo stesso, nessuno si meraviglierà se a lui è stato dato anche il titolo di Dottore Eucaristico. – Da quanto si è detto, Noi ricaviamo queste conseguenze molto opportune per la pratica. Occorre anzitutto che i giovani in particolare prendano a loro modello San Tommaso e cerchino d’imitare e seguire con ogni diligenza le grandi virtù che in lui risaltarono, soprattutto l’umiltà, che è il fondamento della vita spirituale, e la purezza. Da quest’uomo, sommo per impegno e dottrina, imparino sia a frenare ogni moto d’orgoglio del proprio animo, sia ad implorare umilmente sui loro studi l’abbondanza della luce divina. Apprendano altresì da tale maestro a fuggire instancabilmente gli allettamenti del senso, per non dover poi contemplare la sapienza con occhio ottenebrato. Questo infatti egli insegnò nella sua vita con l’esempio, e confermò col suo insegnamento: « Se uno si astiene dai piaceri corporali per attendere più liberamente alla contemplazione della verità, questo appartiene alla rettitudine della ragione » (21). Siamo per questo ammoniti dalla Sacra Scrittura: «Nell’anima malevola non entrerà la sapienza, né abiterà in un corpo venduto al peccato » (22). Perciò, se la pudicizia di Tommaso, nel pericolo estremo a cui fu esposta, fosse venuta meno, è da ritenersi che la Chiesa non avrebbe avuto il suo Angelico Dottore. E vedendo la maggioranza dei giovani, ingannati dagli allettamenti del piacere, gettare tanto presto la loro purezza e darsi ai diletti del senso, Noi, Venerabili Fratelli, con ogni premura vi raccomandiamo di propagare dovunque, e specialmente tra i seminaristi, la società della Milizia Angelica, fondata per la conservazione e la custodia della purità sotto la tutela di Tommaso, e confermiamo tutte le indulgenze pontificie di cui essa fu arricchita da Benedetto XIII e da altri Nostri Predecessori. E perché più facilmente ognuno s’induca a dare il suo nome tale a Milizia, concediamo il permesso, a coloro che ne faranno parte, di portare, invece del cingolo, una sacra medaglia appesa al collo, che porti impressa da un lato l’immagine di San Tommaso cinto dagli Angeli, e dall’altro quella della Vergine, Regina del Santissimo Rosario. – Essendo poi San Tommaso dichiarato patrono di tutte le scuole cattoliche, come colui che mirabilmente congiunse in se stesso una duplice sapienza, quella cioè che si acquista con la ragione e quella che ci viene infusa da Dio, e nel risolvere le questioni più difficili unì alle preghiere i digiuni, e ritenne l’immagine di Gesù Cristo Crocifisso come suo libro principale, la gioventù consacrata a Dio apprenda da lui come debba esercitarsi nei buoni studi per ritrarne il maggior frutto. I membri delle famiglie religiose abbiano presente come in uno specchio la vita di Tommaso, che ricusò le dignità d’ogni grado, anche altissimo, per poter vivere nell’esercizio d’una perfetta ubbidienza e morire nella santità della sua professione. Tutti i fedeli cristiani abbiano nell’Angelico Dottore un esempio della più tenera devozione verso l’augusta Regina del cielo, della quale egli recitava spesso il saluto angelico e soleva scrivere il dolce nome nelle sue pagine; ed al Dottore Eucaristico domandiamo il fervore verso il divino Sacramento. E questo conviene che chiedano sopratutto i sacerdoti. «Ogni giorno, quando l’infermità non lo impediva, Tommaso celebrava una Messa, e poi ne ascoltava un’altra del suo compagno o di altri, e spesso la serviva », come racconta il diligentissimo autore della sua vita. E chi può esprimere il fervore del suo spirito nel celebrare il santo sacrifizio, e con quanta diligenza si preparasse, e, terminatolo, quali ringraziamenti egli porgesse alla Maestà divina? – Per evitare poi gli errori che sono la prima origine di tutte le miserie della nostra età, occorre rimanere fedeli, oggi ancor più che in altri tempi, alle dottrine dell’Aquinate. Le varie opinioni e teorie dei Modernisti sono da lui vittoriosamente confutate, tanto le filosofiche, difendendo, come vedemmo, il valore e la forza dell’intelligenza umana e provando con fermissimi argomenti l’esistenza di Dio; quanto le dogmatiche, ben distinguendo l’ordine naturale dal soprannaturale e illustrando le ragioni del credere e tutti quanti i dogmi; e mostrando nella teologia che le cose credute per fede non si appoggiano sopra un’opinione, ma sulla verità e sono immutabili; nella scienza biblica dando il vero concetto della divina ispirazione; nella disciplina morale, sociale e giuridica, con lo stabilir bene i principii della giustizia sia legale e sociale, sia commutativa e distributiva, e le relazioni della giustizia stessa con la carità; nell’ascetica col dare insegnamenti sulla perfezione della vita cristiana e contrastando coloro che al suo tempo avversavano gli ordini religiosi. E contro quella emancipazione da Dio che oggi si vanta, egli afferma i diritti della prima Verità e l’autorità che ha sopra di noi Iddio supremo Signore. Da qui si rileva perché i Modernisti nessun altro dottore della Chiesa paventino quanto Tommaso d’Aquino. – Come dunque un giorno fu detto agli Egiziani, nel loro estremo bisogno di vivere, « Andate da Giuseppe » perché avessero da lui in abbondanza il frumento per alimentare il loro corpo, così ora a tutti gli affamati di verità Noi diciamo: « Andate da Tommaso » per aver da lui, che ne ha tanta abbondanza, il pascolo della sana dottrina e il nutrimento delle loro anime per la vita eterna. Che un tal cibo sia pronto e alla portata di tutti fu attestato con la santità del giuramento quando si trattò di ascrivere Tommaso nel catalogo dei Santi: «Alla scuola luminosa ed aperta di questo Dottore fiorirono moltissimi maestri religiosi e secolari per il suo modo succinto, facile, e chiaro … ed anche laici ed uomini di scarsa intelligenza desiderano avere i suoi scritti ». – Ora noi vogliamo che tutte le cose stabilite principalmente da Leone XIII e da Pio X, e da Noi stessi comandate nello scorso anno, siano attentamente e inviolabilmente osservate specialmente da coloro che nelle scuole del clero insegnano le materie superiori. Essi tengano presente che soddisferanno bene ai loro doveri e compiranno i Nostri voti se, cominciando ad amare il Dottore d’Aquino e rendendo a sé familiari i suoi scritti, comunicheranno agli alunni della propria disciplina questo ardente amore, facendosi interpreti del suo pensiero, e li renderanno capaci di eccitare negli altri un eguale ardore. – Fra i cultori di San Tommaso, quali devono essere tutti i figli della Chiesa che attendono ai buoni studi, Noi certamente vogliamo che, nei limiti di una giusta libertà, vi sia quella bella emulazione che fa progredire i buoni studi, ma desideriamo che sia il più possibile evitata quell’asprezza di contrasto che non giova alla verità e serve soltanto a rallentare i vincoli della carità. Sia adunque da tutti inviolabilmente osservato ciò che è prescritto nel Codice di Diritto Canonico: «Gli studi della filosofia razionale e della teologia, e l’istruzione degli alunni in tali discipline, siano assolutamente trattati dai professori secondo il metodo, la dottrina e i principii del Dottore Angelico, e questi siano religiosamente mantenuti » (25). Essi si regolino in modo da poterlo con tutta verità chiamare loro maestro. Ma nessuno esiga dagli altri più di quello che da tutti esige la Chiesa, maestra e madre comune; perché nelle cose in cui autori di buona fama sogliono disputare fra loro in senso diverso, essa certo non vieta che ciascuno segua la sentenza che gli sembra migliore. – Pertanto, siccome a tutta la cristianità importa che questo centenario sia degnamente celebrato, quasi che, onorando San Tommaso, si tratti non solo della gloria di lui, ma dell’autorità della Chiesa docente, è Nostro desiderio che una tale ricorrenza, dal giorno 18 luglio dell’anno che volge fino alla fine dell’anno venturo, si celebri in tutto il mondo, dovunque esistano scuole di giovani chierici; non soltanto, cioè, presso i Frati Predicatori « all’Ordine dei quali », come dice Benedetto XV, « ha da darsi lode non meno per averci dato il Dottore Angelico, che per non aver mai abbandonato d’un punto la sua dottrina » (26), ma anche presso le altre famiglie religiose e in tutti i Collegi ecclesiastici, Università e Scuole cattoliche, a cui egli fu dato per celeste Patrono. – E converrà che nel celebrare queste feste solenni la prima sia quest’alma Città, ov’egli fu per un certo tempo Maestro del Sacro Palazzo; e che nel manifestare la loro santa letizia vadano, avanti a tutti gli istituti ove si coltivano gli studi sacri, il Pontificio Collegio Angelico, ove si direbbe che Tommaso abiti come in casa sua propria, e tutti gli altri Atenei Ecclesiastici che si trovano in Roma. – E Noi, per accrescere lo splendore e il frutto di questa solennità, col Nostro potere, accordiamo:

I. che in tutte le chiese dell’Ordine dei Predicatori e in qualunque altra chiesa o cappella pubblica o dove il pubblico possa introdursi, specialmente presso i Seminari, i Collegi e le Case di educazione per la gioventù, si celebri un triduo od un ottavario od una novena, in cui possano lucrarsi le stesse indulgenze che si concedono per simili funzioni in onore di Santi o Beati;

II. che nelle chiese dei Frati e delle Suore dell’Ordine Domenicano, soltanto per le celebrazioni centenarie, durante i giorni di tali funzioni, i fedeli, confessati e comunicati possano lucrare l’Indulgenza Plenaria tante volte quante volte avranno pregato dinanzi all’altare di San Tommaso;

III. che nelle predette chiese domenicane i sacerdoti dell’Ordine ed i terziari, durante l’anno centenario, possano ogni mercoledì, o nel primo giorno libero della settimana, celebrare la Messa in onore di San Tommaso, come nella festa, recitando in essa od omettendo il Gloria e il Credo secondo il rito del giorno, e concediamo, tanto a chi celebra la Messa quanto a quelli che l’ascoltano, l’Indulgenza Plenaria alle condizioni consuete. – Si cerchi inoltre di tenere nei sacri Seminari e negli altri Istituti ecclesiastici, durante questo tempo, qualche solenne disputa filosofica o sopra altre gravi discipline, in onore del Dottore Angelico. E perché in seguito la festa di San Tommaso sia celebrata come si conviene a quella del Patrono di tutte le scuole cattoliche, Noi vogliamo che in tale giorno si faccia vacanza dalle lezioni, e che non solo in esso si celebri la Messa solenne, ma che, almeno nei Seminari e nelle Famiglie religiose, sia tenuta una delle dispute di cui abbiamo parlato. – Infine, perché sotto la guida dell’Angelico Maestro d’Aquino gli studi dei nostri alunni diano sempre maggiori frutti a gloria di Dio e a vantaggio della Chiesa, aggiungiamo a questa Lettera, con la raccomandazione di divulgarla, la formula della preghiera da lui stesso usata. A coloro che devotamente la reciteranno, Noi concediamo per ogni volta, con la Nostra autorità, l’indulgenza di sette anni e sette quarantene. – Auspice infine dei doni celesti e segno della Nostra benevolenza, Noi impartiamo di tutto cuore a voi, Venerabili Fratelli, al clero ed al popolo affidato alle vostre cure, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno 1923, festa del Principe degli Apostoli, anno secondo del Nostro Pontificato.

 

PREGHIERA DI SAN TOMMASO

Creatore ineffabile, che dai tesori della tua sapienza hai tratto le tre gerarchie degli Angeli, le hai collocate con meraviglioso ordine sopra il cielo empireo ed hai disposto con grandissima precisione tutto l’universo; Tu, che sei celebrato come autentica Fonte della Luce e della Sapienza, e supremo Principio di ogni cosa, dégnati di infondere sulle tenebre del mio intelletto il raggio della tua chiarezza, liberandomi dalle due tenebre in cui sono nato: il peccato e l’ignoranza. – Tu, che rendi feconde le lingue degl’infanti, istruisci la mia lingua e infondi nelle mie labbra la grazia della tua benedizione. Dammi l’acutezza dell’intelligenza, la capacità della memoria, il modo e la facilità dell’apprendere, la perspicacia dell’interpretare, il dono copioso del parlare. Disponi Tu l’inizio, dirigi lo svolgimento e portami fino al compimento: Tu che sei vero Dio ed uomo, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

 

Un’enciclica al giorno toglie il modernista apostata di torno: DEI FILIUS

Un’enciclica al giorno toglie il modernista apostata di torno o … in questo caso …:

l’anatema papista all’inferno manda l’apostata modernista!

a voi la scelta!

Proponiamo oggi all’attenzione del lettore questa Costituzione Apostolica del Concilio Vaticano, XX ed ultimo della Chiesa Cattolica, presieduto dall’autorità di S. S. Pio IX, che si batté allo stremo contro i novatori, già all’epoca infiltrati nel Concilio, ma ancora minoritari rispetto ai Santi Padri ancora Cattolici. Vengono qui ribadite le verità basilari della fede cattolica, opposte alle idiozie e ai deliri del panteismo, del naturalismo, del deismo, dello scientismo fasullo, della interpretazione razionale della Sacra Scrittura, della pretesa libertà di non osservare come divinamente ispirato il Magistero ordinario ed universale della Chiesa, in pratica tutti gli abomini oggi trionfanti nel modernismo ecumenico, liberista e massonico della setta oggi imperante come “abominio della desolazione” ed occupante i sacri Palazzi ed i templi, un tempo cristiani, di tutto l’orbe. Stiano attente però, queste menti bacate e corrotte fin nel midollo, perché tali idee moderniste ed ultramoderniste, alle quali nulla manca per essere pari agli apostati scismatici di ogni risma dei secoli passati, succedutisi con vergognosa sfacciataggine, nell’ergersi contro la santa fede divinamente ispirata, e rigettando nelle parole o nei fatti, il santo Magistero di sempre della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica romana: i venti anatemi di questa costituzione sono eterni ed inviolabili e portano dritto all’eterna riprovazione, comune a tutti quelli che, eretici o apostati o scismatici, o anche solo prossimi all’eresia, come ben precisato in coda a questo scritto sacro, si pongono fuori dall’unica Chiesa di Cristo, fuori dalla quale non c’è salvezza! Attenti al fuoco che arderà in eterno, secondo la promessa evangelica … “ e la sarà pianto e stridor di denti!”. Ai veri Cattolici ora diciamo: fermiamo un attimo la nostra preghiera per i tanti fratelli ingannati dai lupi modernisti, servi del signore dell’universo, cioè il baphomet luciferino che essi adorano nel falso rito rosacrociano insediato come “abominio” in luogo della Santa Messa, del Sacrificio di Cristo offerto al Padre in remissione delle nostre colpe, e gustiamo, con l’esultanza dello spirito, questa goduria per l’anima: “Dei filius et generi humani Redemptor Dominus noster Jesus Christus … 

COSTITUZIONE APOSTOLICA

“DEI FILIUS”

DEL SOMMO PONTEFICE PIO IX

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI

AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE

PACE E COMUNIONE

PIO PP. IX

SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

“Il Figlio di Dio e Redentore del genere umano, il Signore Nostro Gesù Cristo, accingendosi a ritornare al Padre celeste, promise che sarebbe rimasto con la sua Chiesa militante sulla terra, tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli. Pertanto Egli, in nessun tempo, mai tralasciò di essere sollecito ad aiutare la sua sposa diletta, di assisterla nell’insegnamento, di benedirla nelle sue opere, di soccorrerla nei pericoli. Questa sua salutare Provvidenza, come apparve di continuo da altri innumerevoli benefici, così si manifestò grandissima in quei frutti che pervennero a tutto l’Orbe cristiano dai vari Concili Ecumenici e segnatamente da quello di Trento, quantunque sia stato celebrato in tempi malagevoli. – Da questo Concilio infatti furono più espressamente definiti e più ampiamente esposti i dogmi santissimi della Religione, con la condanna e la repressione degli errori. Da tale Concilio venne reintegrata la disciplina ecclesiastica e più saldamente rinsaldata; fu promosso nel Clero l’amore della scienza e della pietà; furono preparati i collegi per educare gli adolescenti alla milizia sacerdotale; infine, furono restaurati i costumi del popolo cristiano con una più diligente istruzione dei fedeli e con l’uso più frequente dei Sacramenti. Ne derivò inoltre una maggiore comunione delle membra col Capo visibile, e si aggiunse maggior vigore a tutto il Corpo mistico di Cristo; si moltiplicarono gli ordini religiosi e gli altri istituti di pietà cristiana, e sorse quell’ardore assiduo e costante nel propagare largamente per il mondo il regno di Cristo, fino allo spargimento del sangue. – Ma mentre, con animo grato, rammentiamo doverosamente questi ed altri benefici che la divina clemenza ha elargito alla Chiesa, specialmente per mezzo dell’ultimo Sinodo ecumenico, non possiamo comprimere l’acerbo dolore causato principalmente dal fatto che o cadde in disprezzo presso moltissimi l’autorità del predetto santo Concilio, o perché si trascurarono i suoi sapientissimi decreti. – Certamente nessuno ignora che le eresie, già condannate dai Padri del Concilio Tridentino, si divisero in varie sette in conseguenza del rigetto che si faceva del divino magistero della Chiesa e con il lasciare in balìa del giudizio di ciascuno le verità relative alla religione; e queste sette, discordando tra loro e combattendosi, fecero venir meno in molti ogni fede in Cristo. Così le stesse Sacre Scritture, che prima erano proclamate come la sola fonte della verità e il codice unico della dottrina cristiana, finirono coll’essere ritenute non più libri divini, fino ad essere annoverate fra i racconti mitici. – Allora nacque e si diffuse ampiamente quella dottrina del razionalismo, o naturalismo, che combattendo in tutto la religione cristiana appunto perché di istituzione soprannaturale, con ogni sforzo si adopera di ottenere che il Cristo sia bandito (il solo Signore e Salvatore nostro) dalla mente degli uomini, sia dalla vita e dai costumi dei popoli, si potesse instaurare il regno – come dicono – della pura ragione e della natura. Abbandonata poi e rigettata la religione cristiana, rinnegato il vero Dio e il suo Cristo, alla fine molti precipitarono nel baratro del panteismo, del materialismo, dell’ateismo, cosicché, negando la stessa natura razionale e ogni norma di giustizia e di rettitudine, arrivano ad abbattere i fondamenti essenziali della società umana. – Imperversando poi dovunque questa empietà, accadde miserabilmente che molti, pure figli della Chiesa cattolica, si smarrirono dalla via della vera pietà, ed oscurandosi in loro a poco a poco le verità, si attenuò anche il sentire cattolico. Trasportati da queste instabili e speciose dottrine, confondendo malamente la natura con la grazia, la scienza umana con la fede divina, arrivano a corrompere il senso genuino dei dogmi professati dalla Santa Madre Chiesa e mettono in pericolo l’integrità e la sincerità della fede. – In considerazione di tutte queste cose, come non possono commuoversi le intime viscere della Chiesa? Poiché, come Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano a conoscere la verità; come Cristo venne per salvare ciò che era perduto a congregare in uno i figli che erano dispersi, così la Chiesa, costituita da Dio Madre e Maestra dei popoli, ben sa di essere debitrice a tutti: pertanto è sempre pronta a sollevare i caduti, a sostenere i vacillanti, ad abbracciare quelli che ritornano, a confermare i buoni e ad indirizzarli verso le cose migliori. Perciò in nessun tempo essa può astenersi dall’attestare e predicare la verità di Dio che risana ogni cosa, non ignorando quello che a lei è stato detto: “Lo Spirito mio che è in te, e le mie parole che posi sulla tua bocca, non si allontaneranno dalla tua bocca né ora, né mai” (Is XLIX,21). – Noi dunque, seguendo le orme dei Nostri Predecessori, in virtù del Nostro Apostolico mandato, non cessiamo mai d’insegnare e difendere la verità cattolica e di condannare le dottrine perverse. Ora poi essendo qui uniti con Noi, deliberanti, tutti i Vescovi del mondo cattolico, dalla Nostra autorità congregati nello Spirito Santo in questo Concilio Ecumenico, fondandoci sulla parola di Dio, contenuta nella Scrittura e nella Tradizione, come l’abbiamo ricevuta, santamente custodita e genuinamente interpretata dalla Chiesa cattolica, determinammo di professare e dichiarare al cospetto di tutti, da questa Cattedra di Pietro, con la potestà a Noi trasmessa da Dio, la salutare dottrina di Cristo, proscrivendo e condannando gli errori ad essa contrari.

Capitolo I – Dio creatore di tutte le cose

La Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana crede e confessa che uno solo è il Dio vivo e vero, Creatore e Signore del cielo e della terra, onnipotente, eterno, immenso, incomprensibile, infinito per intelletto, volontà e per ogni perfezione, il quale essendo unica singolare, assolutamente semplice ed immutabile sostanza spirituale deve essere predicato realmente e per essenza, distinto dal mondo, in sé e per sé beatissimo, ineffabilmente eccelso sopra tutte le cose che sono e che si possono concepire fuori di Lui. – Questo solo vero Dio, per la Sua bontà e per la Sua onnipotente virtù, non già per accrescere od acquistare la Sua beatitudine, ma per manifestare la Sua perfezione attraverso i beni che dona alle Sue creature, con liberissima decisione fin dal principio del tempo produsse dal nulla l’una e l’altra creatura contemporaneamente, la spirituale e la corporale, cioè l’angelica e la terrena, e quindi l’umana, costituita in comune di spirito e di corpo [CONC. LATER. IV, c. 1, Firmiter]. – Iddio, con la Sua provvidenza, conserva e governa tutte le cose che Egli ha creato, estendendosi da un confine all’altro con forza, e disponendo soavemente ogni cosa (Sap. VIII,1). Infatti, tutte le cose sono nude e scoperte ai Suoi occhi (cf. Eb IV,13), anche quelle che per libera scelta delle creature saranno in avvenire.

Capitolo II – La Rivelazione

La medesima Santa Madre Chiesa professa ed insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza al lume naturale della ragione umana attraverso le cose create; infatti, le cose invisibili di Lui vengono conosciute dall’intelligenza della creatura umana attraverso le cose che furono fatte (Rm 1,20). Tuttavia piacque alla Sua bontà e alla Sua sapienza rivelare se stesso e i decreti della Sua volontà al genere umano attraverso un’altra via, la soprannaturale, secondo il detto dell’Apostolo: “Dio, che molte volte e in vari modi parlò un tempo ai padri attraverso i Profeti, recentemente, in codesti giorni, ha parlato a noi attraverso il Figlio” (Eb 1,1-2). – Si deve a questa divina Rivelazione se tutto ciò che delle cose divine è di per sé assolutamente inaccessibile alla ragione umana, anche nella presente condizione del genere umano può facilmente essere conosciuto da tutti con certezza e senza alcun pericolo di errore. Tuttavia non per questo motivo deve dirsi assolutamente necessaria la Rivelazione, ma perché nella Sua infinita bontà Dio destinò l’uomo ad un fine soprannaturale, cioè alla partecipazione dei beni divini, che superano totalmente l’intelligenza della mente umana; infatti Dio ha preparato per coloro che Lo amano quelle cose che nessun occhio vide, nessun orecchio mai udì, nessun cuore umano conobbe (1Cor II,9). – Questa Rivelazione soprannaturale, secondo la fede della Chiesa universale, proclamata anche dal santo Concilio Tridentino, è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte ricevute dagli Apostoli dalla stessa bocca di Cristo o dagli Apostoli dalla stessa bocca di Cristo o dagli Apostoli, ispirati dallo Spirito Santo, tramandate di generazione in generazione fino a noi [CONC. TRID., Sess. IV, Decr. De Can. Script.]. Ora questi libri, sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, integri in tutte le loro parti, come sono numerati nel decreto del medesimo Concilio e come si trovano tradotti nell’antica edizione latina, devono ritenersi per sacri e canonici. La Chiesa li considera sacri e canonici non perché, composti da opera umana, siano poi stati approvati dalla sua autorità, e neppure perché contengono la Rivelazione divina senza errore, ma perché, essendo stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio come autore e come tali sono stati affidati alla Chiesa. – Poiché quelle cose che il santo Concilio Tridentino decretò per porre conveniente freno alle menti presuntuose sono state interpretate in modo malvagio da taluni, Noi rinnoviamo il medesimo decreto e dichiariamo che questo è il suo significato: nelle cose della fede e dei costumi appartenenti alla edificazione della dottrina Cristiana deve essere tenuto per vero quel senso della sacra Scrittura che ha sempre tenuto e tiene la Santa Madre Chiesa, alla cui autorità spetta giudicare del vero pensiero e della vera interpretazione delle sante Scritture; perciò a nessuno deve essere lecito interpretare tale Scrittura contro questo intendimento o anche contro l’unanime giudizio dei Padri.

Capitolo III – La Fede

Essendo l’uomo, in tutto il suo essere, dipendente da Dio, suo Creatore e Signore, ed essendo la ragione creata completamente soggetta alla Verità increata, noi siamo tenuti a prestare con la fede il nostro pieno ossequio di mente e di volontà a Dio rivelante. La Chiesa cattolica professa che questa fede, che è l’inizio della salvezza dell’uomo, è una virtù soprannaturale, con la quale, sotto l’ispirazione e la grazia di Dio, crediamo che le cose da Lui rivelate sono vere, non per la loro intrinseca verità individuata col lume naturale della ragione, ma per l’autorità dello stesso Dio rivelante, il quale né può ingannarsi, né può ingannare. La fede è, per testimonianza dell’Apostolo, sostanza delle cose sperate, argomento delle non apparenti (Eb XI,1). Ma affinché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli aiuti interiori dello Spirito Santo, si unissero gli argomenti esterni della sua Rivelazione, cioè gli interventi divini, come sono principalmente i miracoli e le profezie che dimostrano luminosamente l’onnipotenza e la scienza infinita di Dio e sono segni certissimi della divina Rivelazione e adatti all’intelligenza di tutti. Per questo Mosè e i profeti, ma specialmente Cristo Signore fecero molti e chiari miracoli e profezie; e degli Apostoli leggiamo: “Essi poi partirono e predicarono dappertutto, cooperando il Signore e confermando la loro predicazione con prodigi che li accompagnavano” (Mc XVI, 20). – Sta pure scritto: “Abbiamo il linguaggio profetico più sicuro, che fate bene ad osservare, come lampada che splende in un luogo oscuro” [2Pt 1,19] . Benché, dunque, l’assenso alla fede non sia un cieco impulso dell’anima, tuttavia nessuno riesce ad aderire alla verità del Vangelo nel modo necessario per il conseguimento dell’eterna salvezza, senza l’illustrazione e l’ispirazione dello Spirito Santo, il quale dà a tutti soavità nel consentire e credere alla verità [Syn. Araus., II, can. 7]. Pertanto la stessa fede, anche quando non opera per la carità, è dono di Dio, e il suo atto è opera ordinata alla salvezza, con cui l’uomo presta a Dio libera obbedienza, cooperando e consentendo alla Sua grazia, alla quale però può sempre resistere. – Quindi si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio, scritta o trasmessa per tradizione, e che vengono proposte dalla Chiesa, o con solenne definizione, o con il magistero ordinario e universale, come divinamente ispirate, e pertanto da credersi. – Poiché senza la fede è impossibile piacere a Dio e giungere all’unione con i suoi figli, così senza di essa nessuno potrà mai essere assoluto, come pure nessuno conseguirà la vita eterna senza aver perseverato in essa sino alla fine. Affinché poi potessimo adempiere il dovere di abbracciare la vera fede e perseverare costantemente in essa, Dio, mediante il Suo Figlio Unigenito, istituì la Chiesa e la insignì di così chiare note perché potesse essere conosciuta da tutti come custode e maestra della parola rivelata. – Infatti alla sola Chiesa cattolica appartengono tutte quelle cose così ricche e così meravigliose che sono state divinamente predisposte per la credibilità della fede cristiana. Anzi, la Chiesa, per se stessa, cioè per la sua ammirevole propagazione nel mondo, per la sua esimia santità e per l’inesausta fecondità di tutti i suoi beni, per la sua unità, per l’invitta solidità è un grande e perenne motivo di credibilità, una testimonianza irrefragabile della sua istituzione divina. Onde avviene che essa, come vessillo levato fra le genti (Is XI,12), invita continuamente a sé quelli che non credono, e assicura i suoi figli che la fede da loro professata poggia su solidissimo fondamento. A questa testimonianza proviene un efficacissimo aiuto dalla suprema virtù. Infatti il misericordioso Signore eccita gli erranti, e li aiuta con la sua grazia affinché possano giungere a conoscere la verità; conferma con la stessa grazia coloro che trasse dalle tenebre nella sua mirabile luce, affinché perseverino nella stessa luce: non abbandona mai nessuno se non è abbandonato. Conseguentemente, non è pari la condizione di coloro che con il celeste dono della fede aderirono alla verità cattolica e la condizione di coloro che, guidati da opinioni umane, seguono una falsa religione. Infatti, quelli che sotto il Magistero della Chiesa hanno ricevuto la fede, non possono avere alcun giusto motivo per cambiare o mettere in dubbio la loro fede. Stando così le cose, rendendo grazie a Dio Padre, il quale ci ha fatti degni di partecipare nella luce alla sorte dei santi, non trascuriamo tanta salvezza, ma guardando all’autore e perfezionatore della fede, Gesù, manteniamo immutata la confessione della nostra speranza.

Capitolo IV – Della Fede e della Ragione

L’ininterrotto pensiero della Chiesa cattolica sostenne e sostiene che esiste un duplice ordine di cognizioni, distinto non solo quanto al principio, ma anche riguardo all’oggetto; quanto al principio, perché in uno conosciamo con la ragione naturale, nell’altro con la fede divina; quanto all’oggetto perché, oltre le cose a cui la ragione naturale potrebbe arrivare, ci viene proposto di credere misteri nascosti in Dio: misteri che non possono essere conosciuti senza la rivelazione divina. Per questo l’Apostolo, il quale asserisce che Dio è conosciuto dalle genti attraverso le cose che sono state create, trattando poi della grazia e della verità che ci sono venute da Gesù Cristo (Gv 1,17), afferma: “Noi parliamo di una sapienza di Dio, misteriosa, che è nascosta: di una sapienza che Dio ha ordinato prima dei secoli per la nostra gloria, e che nessuno dei principi di questa terra ha conosciuto. A noi è stata rivelata da Dio per mezzo del Suo Spirito: quello Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le cose profonde di Dio (1Cor 2,7-9). Lo stesso Figlio Unigenito ringrazia il Padre di aver tenuto nascoste queste cose ai sapienti e di averle rivelate ai pargoli” (Mt XI, 25). Per la verità, la ragione, quando è illuminata dalla fede e cerca diligentemente, piamente e con amore, ottiene, con l’aiuto di Dio, una certa comprensione dei misteri, già preziosa per sé, sia per l’analogia con le cose che già conosce naturalmente, sia per la connessione degli stessi misteri fra di loro relativamente al fine ultimo dell’uomo. Essa, però, non è mai in grado di comprendere tali misteri allo stesso modo delle verità che costituiscono l’oggetto naturale delle proprie capacità conoscitive. Infatti, i misteri di Dio trascendono per loro natura in modo così elevato l’intelletto creato, che anche se insegnati dalla Rivelazione e accolti con fede, restano tuttavia coperti dal velo della stessa fede e quasi avvolti nell’oscurità finché in questa vita mortale noi pellegriniamo lontani dal Signore: giacché noi camminiamo per fede e non per conoscenza (2Cor V,7). – Ma sebbene la fede sia superiore alla ragione, pure non vi può essere nessun vero dissenso fra la fede e la ragione, poiché il Dio che rivela i misteri della fede e la infonde in noi è lo stesso che ha infuso il lume della ragione nell’animo umano; Dio non può quindi negare se stesso, né la verità contraddire la verità. La vana apparenza di queste contraddizioni nasce soprattutto o perché i dogmi della fede non sono stati compresi ed esposti secondo la mente della Chiesa, o perché false opinioni sono state considerate verità dettate dalla ragione. Stabiliamo pertanto che ogni asserzione contraria alla verità della fede illuminata è totalmente falsa [CONC. LAT. V, Bulla Apostolici regiminis]. La Chiesa, poi, che insieme con l’ufficio apostolico d’insegnare ha ricevuto pure il mandato di custodire il deposito della fede, ha da Dio anche il diritto e il dovere di proscrivere la falsa scienza, affinché nessuno sia ingannato da una filosofia vana e fallace (Col II,8). Conseguentemente non solo è vietato a tutti i fedeli cristiani di difendere come legittime conclusioni della scienza tali opinioni che sono contrarie alla dottrina della fede, specialmente quando sono state riprovate dalla Chiesa, ma gli stessi cristiani sono assolutamente tenuti a considerarle come errori che hanno ingannevole parvenza di verità. – La fede e la ragione non solo non possono essere mai in contrasto fra loro, ma anzi si aiutano vicendevolmente in modo che la retta ragione dimostri i fondamenti della fede e, illuminata da questa, coltivi la scienza delle cose divine, e la fede, dal canto suo, renda la ragione libera da errori, arricchendola di numerose cognizioni. Pertanto, non è affatto vero che la Chiesa si opponga alla cultura delle arti e delle discipline umane; anzi, le coltiva e le favorisce in molti modi. Essa non ignora né disprezza i vantaggi che da esse provengono alla vita umana; anzi dichiara che esse, dato che derivano da Dio, Signore delle scienze, conducono l’uomo a Dio, con l’aiuto della Sua grazia, qualora siano debitamente coltivate. La Chiesa non vieta certamente che le diverse discipline si valgano dei propri principi e del proprio metodo, ciascuna nel proprio ambito, ma mentre riconosce questa giusta libertà, vigila attentamente che esse non accolgano nel proprio interno errori contrari alla divina dottrina, oppure che, travalicando i propri confini, non occupino né sconvolgano le materie appartenenti alla fede. – La dottrina della fede che Dio rivelò non è proposta alle menti umane come una invenzione filosofica da perfezionare, ma è stata consegnata alla Sposa di Cristo come divino deposito perché la custodisca fedelmente e la insegni con Magistero infallibile. Quindi deve essere approvato in perpetuo quel significato dei sacri dogmi che la Santa Madre Chiesa ha dichiarato, né mai si deve recedere da quel significato con il pretesto o con le apparenze di una più completa intelligenza. Crescano dunque e gagliardamente progrediscano, lungo il corso delle età e dei secoli, l’intelligenza e la sapienza, sia dei secoli, sia degli uomini, come di tutta la Chiesa, ma nel proprio settore soltanto, cioè nel medesimo dogma, nel medesimo significato, nella medesima affermazione [VINC. LIR. Common., n. 28].

CANONI

I – Di Dio creatore di tutte le cose

  1. Se qualcuno negherà l’unico vero Dio Creatore e Signore di tutte le cose visibili ed invisibili: sia anatema.
  2. Se qualcuno non arrossirà affermando che nulla esiste all’infuori della materia: sia anatema.
  3. Se qualcuno dirà che unica e identica è la sostanza, o l’essenza, di Dio e di tutte le cose: sia anatema.
  4. Se qualcuno dirà che le cose finite, sia materiali, sia spirituali, o almeno le spirituali, sono emanate dalla sostanza divina; ovvero che la divina essenza per la sua manifestazione ed evoluzione diventa ogni cosa; ovvero infine che Dio è ente universale od indefinito, il quale determinando se stesso costituisce l’universo delle cose, distinto in generi, specie ed individui: sia anatema.
  5. Se qualcuno non dichiara che il mondo e tutte le cose che in esso sono contenute, sia spirituali, sia materiali, secondo tutta la loro sostanza, sono stati da Dio prodotti dal nulla; o dirà che Dio non per volontà libera da ogni necessità, ma tanto necessariamente creò, quanto necessariamente ama se stesso; o negherà che il mondo sia stato creato a gloria di Dio: sia anatema.

II – Della Rivelazione

  1. Se qualcuno dirà che l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore, non può essere conosciuto con certezza dal lume naturale della ragione umana, attraverso le cose che da Lui sono state fatte: sia anatema.
  2. Se qualcuno dirà che non è possibile o spiegabile che l’uomo, attraverso la divina Rivelazione, sia ammaestrato e illuminato su Dio e sul culto che Gli si deve prestare: sia anatema.
  3. Se qualcuno dirà che l’uomo non può essere divinamente elevato ad una conoscenza e ad una perfezione che superino quelle naturali, ma che può e deve da se stesso arrivare al possesso di ogni verità e di ogni bene in un continuo progresso: sia anatema.
  4. Se qualcuno non accetterà come sacri e canonici i libri interi della sacra Scrittura, in tutte le loro parti, come li ha accreditati il santo Concilio Tridentino, o negherà che siano divinamente ispirati: sia anatema.

III – Della Fede

  1. Se qualcuno dirà che la ragione umana è così indipendente che Dio non le può comandare la fede: sia anatema.
  2. Se qualcuno dirà che la fede divina non si distingue dalla conoscenza naturale di Dio e delle cose morali, e che perciò non si richiede alla fede divina che la verità rivelata sia creduta per l’autorità di Dio rivelante: sia anatema.
  3. Se qualcuno dirà che la Rivelazione divina non può rendersi credibile per segni esterni, e che perciò gli uomini devono procedere verso la fede solo attraverso l’interiore esperienza o l’ispirazione privata di ciascuno: sia anatema.
  4. Se qualcuno dirà che i miracoli sono impossibili e che quindi la loro narrazione, anche se contenuta nella sacra Scrittura, sia da relegare tra le favole e i miti; ovvero che i miracoli non si possono mai conoscere con certezza, né per mezzo di essi si può conoscere e provare sufficientemente la divina origine della religione cristiana: sia anatema.
  5. Se qualcuno dirà che l’assenso alla fede cristiana non è libero, ma che si produce necessariamente dagli argomenti della ragione umana; ovvero che la grazia di Dio è necessaria alla sola fede viva che opera per la carità: sia anatema.
  6. Se qualcuno dirà che la condizione dei fedeli e quella di coloro che ancora non sono arrivati all’unica vera fede sono pari, così che i cattolici possono avere giusto motivo per mettere in dubbio la fede che già ricevettero sotto il magistero della Chiesa, sospendendone l’assenso finché non abbiano compiuto la dimostrazione scientifica della credibilità e della verità della loro fede: sia anatema.

IV – Fede e Ragione

  1. Se qualcuno dirà che nella rivelazione divina non è contenuto alcun mistero vero e propriamente detto, ma che tutti i dogmi della fede possono essere compresi e dimostrati dalla ragione debitamente coltivata per mezzo dei principi naturali: sia anatema.
  2. Se qualcuno dirà che le discipline umane devono essere trattate con tale libertà che le loro asserzioni, anche se contrarie alla dottrina rivelata, possono essere ritenute vere e non possono essere condannate dalla Chiesa: sia anatema.
  3. Se qualcuno dirà che può accadere che ai dogmi della Chiesa si possa un giorno – nel continuo progresso della scienza – attribuire un senso diverso da quello che ha inteso e intende dare la Chiesa: sia anatema.

* * *

Pertanto, eseguendo il dovere del Nostro supremo ufficio pastorale, per le viscere di Gesù Cristo scongiuriamo tutti i fedeli di Cristo, specialmente coloro che presiedono o hanno l’ufficio d’insegnare, anzi comandiamo loro, con l’autorità dello stesso Dio e Salvatore nostro, che dedichino il loro studio e la loro opera per allontanare ed eliminare questi errori dalla Santa Chiesa e spandere la luce della purissima fede. E poiché non basta evitare gli errori dell’eresia, se non si fuggono diligentemente anche tutti gli altri errori che più o meno ad essa si avvicinano, richiamiamo tutti al dovere di osservare anche le Costituzioni e i Decreti con i quali furono condannate e proibite da questa Santa Sede tutte le false dottrine e opinioni di questo genere che qui non sono esplicitamente indicate.”

Dato a Roma, nella pubblica Sessione solennemente celebrata nella Basilica Vaticana l’anno dell’Incarnazione del Signore 1870, il 24 aprile, nell’anno ventiquattresimo del Nostro Pontificato.

PIO PP. IX

Suicidio ed eutanasia: telepass garantito per l’eterno fuoco!

Quinto comandamento.

[E. Ione: compendio di teologia morale – Marietti ed. ]

Il quinto comandamento proibisce, in primo luogo, ogni ingiusta uccisione, tanto di se stessi quanto di altri. In secondo luogo, proibisce ogni ingiusto ferimento o mutilazione.

E poiché la morte può venire anche per trascuratezza della propria salute, v’è pure un obbligo correlativo di curare la propria sanità.

CAPITOLO I .

Obblighi verso la propria vita.

I. Il suicidio diretto è peccato grave, quando si faccia di propria autorità. – È pure vietato il tentativo di suicidio, ponendo un atto da cui « per accidens » segua la morte, per abbreviarsi la vita, per es. bere eccessivamente, fumare troppo. — I suicidi vengono puniti con la privazione della sepoltura ecclesiastica, se prima di spirare non abbiano dato segni di pentimento (can. 1240), ovvero non possano essere scusati per mancanza di grave imputabilità (cfr. can. 2218, § 2) . — Probabilmente è lecito eseguire contro se stessi, per incarico dell’autorità pubblica, la sentenza di morte pronunziata legittimamente dalla stessa autorità. –

II. È pure proibito per sé uccidersi indirettamente; tuttavia è lecito, per un motivo proporzionatamente molto grave. – Si uccide indirettamente chi, in realtà non ha lo scopo di sopprimere la vita, ma sapendo e volendo, pone un’azione da cui non solo segue un buon effetto inteso e voluto, ma anche la morte. In ciò si presuppone che l’effetto buono abbia a seguire immediatamente da quell’azione, almeno nello stesso tempo della morte. – Pertanto è lecito gettarsi giù da un punto alto per sfuggire la morte nel fuoco, specialmente quando v’è ancora speranza di salvare la vita. Allo stesso modo può agire una donna per liberarsi dalle mani di un male intenzionato, che voglia afferrarla e violentarla. — Similmente è lecito in guerra far saltare una fortezza, una nave ecc. per danneggiare il nemico, anche se si prevede che si incontrerà la morte.

III. Solo per un motivo proporzionato, è lecito esporsi ad un pericolo di morte. Il motivo deve essere tanto più grande quanto più prossimo è il pericolo di morte. Esporsi a un pericolo remoto di morte, senza un motivo sufficiente, costituisce soltanto peccato veniale. — È lecito curare gli appestati, anche con pericolo di incontrarvi la morte. — I carpentieri edili possono lecitamente esporsi ai pericoli propri della loro professione. Ai prigionieri è lecito tentare l’evasione, sia pure con pericolo della vita, per sfuggire alla esecuzione capitale o alla prigionia perpetua. – È illecito eseguire giochi da saltimbanco pericolosi o giochi da circo per la sola brama di guadagno. Qualora, data l’abilità personale acquisita, il pericolo sia divenuto remoto, non vi è peccato, almeno mortale. Sotto tale categoria di azioni illecite, devono porsi pure le irragionevoli scommesse di prendere eccessive quantità di cibi o di bevande. –

IV. Abbreviare il tempo della vita anche di parecchi anni o danneggiare la salute a causa di una professione o genere di vita o di lavori pesanti, è lecito per motivi proporzionati. È perciò permesso il lavoro negli altiforni, nelle miniere, nelle vetrerie, in certi stabilimenti chimici. Similmente sono leciti ragionevoli esercizi di penitenza. Chi scientemente abbrevia al quanto la vita con l’abuso dei cibi e delle bevande, commette peccato veniale; ma abbreviare notevolmente la vita o rovinare la salute con l’abuso, per es. di morfina o di cocaina, è peccato grave.

V. La mutilazione del proprio corpo è permessa soltanto per salvare la vita. – La mutilazione di solito è peccato grave. L’amputazione di una parte insignificante e che non ha importanti funzioni fisiologiche, per es. il lobo dell’orecchio, è solo veniale. – L’evirazione e la sterilizzazione diretta sono gravemente colpevoli, sia che si abbia lo scopo di diminuire le tentazioni, sia che lo si faccia per conservare la voce di soprano, oppure per motivi di eugenetica sociale (S. U f f . 24 febb. 1940, AAS, XXXII, 1940, p. 73; cfr. pure il discorso di Pio XII alle ostetriche, 29 ott. 1951, AAS, XLIII, 1951, p. 835-854; XLVI, 1954, p. 587 ss.). Sembra lecita, per motivi proporzionatamente gravi di salute, la sospensione temporanea delle facoltà generative. — La vasectomia, l’estirpazione dell’utero e delle ovaie sono colpe gravi, se si fanno per impedire la procreazione. — In casi di cancro, di avvelenamenti ecc. è lecita l’amputazione di un membro.

VI . È lecito per motivo proporzionato desiderare la morte [ma non metterla in atto!! -ndr.-], sottomettendosi però alla divina volontà. – Motivo buono è il desiderio dell’eterna beatitudine, la preservazione da un infortunio o dolore terreno oltremodo grande (per es. una malattia molto penosa e diuturna). — Per i soliti incomodi della vita, desiderare seriamente la morte è peccato grave.

VII. La conservazione della vita e della sanità esige l’uso dei mezzi ordinari indispensabili. Fra i mezzi ordinari viene in primo luogo una adeguata nutrizione. Pertanto lo sciopero della fame, quando sia fatto realmente con la decisa intenzione di morire di fame piuttosto che rinunziare al raggiungimento del proprio scopo, è peccato grave. Ai mezzi ordinari appartengono pure un conveniente vestiario, abitazione, sollievo fisico moderato; l’uso di relative medicine e di rimedi sanitari, supposto che non siano eccessivamente costosi per l’ammalato; la visita o chiamata del medico. Si suppone, in tali casi, che non si tratti di malattia o di incomodi piuttosto leggeri, che passino da sé, e che vi sia fondata speranza che il medico o la medicina possa giovare. – L’uso di mezzi straordinari per la conservazione della vita non è di solito obbligatorio. Quindi, anche le persone ricchissime non sono obbligate a ricercare soggiorni climatici o bagni distanti, a chiamare celebrità della medicina, neppure nel caso che, altrimenti, dovessero morire. Similmente, nessuno è per sé obbligato a sottoporsi a una operazione difficile. — Si fa solo eccezione quando qualcuno sia moralmente necessario alla famiglia o alla società e il successo sia moralmente certo; solo, in tale ipotesi, il padre o il superiore può anche comandare di sottoporsi all’operazione chirurgica.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MOSERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “APPETENTE SACRO”

Con l’approssimarsi della Quaresima è giusto rileggere la lettera enciclica di S. S. Clemente XIII “Appetente sacro”, un breve scritto che ricorda l’importanza fondamentale della penitenza quaresimale nella vita del Cristiano, in espiazione delle proprie colpe e di quelle della intera società. Oggi purtroppo questa pratica è diventata pressoché inusitata, inutile per la contro-Chiesa della falsa misericordia, quella dell’orgoglioso modernismo che, pretendendo la propria autosufficienza, secondo il costume massonico ben assorbito, rifugge dal soprannaturale, a detrimento della vita dell’anima e pure del corpo. Oggi si propongono le diete più strampalate, menù dettati dalla fantasia più stupida e pericolosa per la salute, sotto il pretesto dell’esotismo e di un salutismo mai provato, mentre l’unica pratica, veramente salutare e vantaggiosa per la vita del corpo e dell’anima, viene neghittosamente rigettata, con i risultati che tutti purtroppo vediamo in ogni ambito, da quello medico a quello mentale, sociale, morale e spirituale, solo per citarne alcuni. In questa enciclica, che dimostra come i Santi (veri) Pontefici siano preoccupati e dediti alla cura delle anime loro affidate, suggerendo ogni accortezza che possa esser loro di vantaggio per la vita attuale, ma soprattutto in vista della salvezza eterna dell’anima. Qui si richiama la pratica del digiuno che il Cristiano deve offrire al Signore senza sotterfugi o inganni, anzi con gioia e gratitudine per avere l’occasione di intraprendere questa pia opera espiatrice, apportatrice di benessere materiale e spirituale senza pari.

Clemente XIII

Appetente sacro [20 dic. 1759]

1.- Avvicinandosi il sacro tempo Quaresimale che, ricco di dottrina misteriosa, non senza alcunché di arcano, precede la grande solennità di Pasqua, nella quale trovano compimento e dignità tutte le solennità, vi esortiamo, Venerabili Fratelli, affinché il santissimo digiuno sia scrupolosamente e inviolabilmente praticato dai fedeli, come raccomandato dalla Legge e dai Profeti, santificato da Cristo Signore, tramandato dagli Apostoli così come la Chiesa Cattolica sempre ritenne, affinché attraverso la mortificazione della carne e l’umiliazione dello spirito ci accostassimo più preparati ai misteri della Passione del Signore e dei Sacramenti Pasquali, e potessimo risorgere nella sua risurrezione; dopo essere morti con lui nella passione, avendo deposto l’uomo vecchio. Per il desiderio di difendere tanto religiosa e salubre istituzione il nostro predecessore Benedetto XIV di felice memoria, anche se inviandovi due lettere in forma di Breve eccitò lo zelo esimio delle Vostre Fraternità perché la disciplina del digiuno quaresimale, minacciata da molte depravazioni, per merito e zelo vostro fosse riportata alla primitiva osservanza, tolse di mezzo alcuni cavilli, dai quali ogni validità dei sacri digiuni veniva infranta. Tuttavia dal tremendo e odiosissimo nemico del genere umano sono state fatte così numerose e continue insidie al gregge del Signore, che c’è da temere che successivamente quella vecchia volpe suggerisca agli animi dei più deboli nuove motivazioni e cattive consuetudini, dalle quali la severità del digiuno venga svigorita, e donde dianzi era stata revocata, colà nuovamente torni indietro. Giudicammo perciò necessario mandarvi questa lettera per significare alle vostre Fraternità in quanto grande timore Ci troviamo che rimanga alcunché della precedente corruzione, oppure nuovo danno venga inferto a questo riguardo alla disciplina ecclesiastica, con nocumento delle anime dei fedeli.

2. – Abbiamo capito che questo Nostro timore di tanto sarebbe diminuito di quanto fosse stata sollecitata la Vostra personale vigilanza. Per mezzo di essa, con l’aiuto di Dio, impegnatevi affinché tutti gli errori siano eliminati dalle fondamenta: sia ciò che possa essere rimasto dell’antica corruttela dopo le ricordate Lettere del suddetto Nostro Predecessore, sia le nuove opinioni dirette ad infrangere le leggi del digiuno, sia le consuetudini aborrenti dal vero significato e dalla natura del digiuno recentemente introdotte dalla cattiveria dell’ingegno umano. – Tra questi errori certamente pensiamo si debba includere quell’abuso, che una certa voce ha fatto giungere fino a Noi. Alcuni, ai quali per giuste e legittime motivazioni si è concessa la dispensa dall’astinenza delle carni, credono sia loro lecito assumere bevande miste con latte, contrariamente a quanto è stato previsto dal predetto Nostro Predecessore, il quale pensò che tanto i dispensati dall’astinenza delle carni quanto i digiunanti in qualsiasi modo, eccettuata l’unica commestione, devono essere in tutto da equiparare a coloro che non hanno alcuna dispensa, e perciò possano servirsi di carne oppure di ciò che deriva dalla carne soltanto relativamente all’unica commestione.

3. – In verità, né più convenientemente né con maggiore speranza di profitto giungerete a richiamare gli uomini alla sacrosanta legge del Digiuno se non insegnando ciò ai popoli. La Penitenza del cristiano, oltre alla cessazione dal peccato, la detestazione della vita passata trascorsa male e la Confessione Sacramentale dei medesimi peccati, chiede anche che, per mezzo di digiuni, elemosine, preghiere e altre opere di vita spirituale rendiamo soddisfazione alla giustizia divina; infatti ogni iniquità, piccola o grande che sia, deve essere punita o dal penitente stesso o da Dio vendicante. Se dunque non vogliamo essere puniti da Dio, non possiamo fare diversamente che punirci da noi stessi. Se tale dottrina sarà costantemente inculcata negli animi dei fedeli, e dai fedeli profondamente recepita, evidentemente si dovrà temere di meno che coloro che avranno rigettato i costumi vinti, e lavato per mezzo della Confessione Sacramentale i loro peccati, non vogliano espiare i medesimi peccati per mezzo del digiuno, frenando la concupiscenza della carne. Inoltre coloro che saranno persuasi di pentirsi in maniera meno dubbia dei loro peccati, non permettendo a se stessi di restare impuniti, presi dal desiderio della penitenza, certamente si rallegreranno nel tempo di Quaresima (ed in certi altri giorni, quando la Santa Madre Chiesa ordina ai fedeli il digiuno) che sia offerta loro l’occasione di produrre frutti degni di penitenza. Poiché è sempre opportuno tenere domata la concupiscenza (è scritto infatti: “Non andare al seguito della concupiscenza, e allontanati da essa“), facilmente indurranno il loro animo, specialmente durante il tempo più sacro di tutto l’anno, a temperare l’intemperanza del corpo col digiuno; di modo che l’anima, ripresa conoscenza di se stessa, comprenda con quale compunzione si debba preparare a ricordare i Santissimi Misteri della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Pertanto, sospinti dagli stimoli della penitenza, cerchino di meno le soavità nei pasti, seguano di meno le delizie delle ghiottonerie che, benché non sembrino discordare con l’astinenza dai cibi proibiti, tuttavia potrai dire giustamente che colui che le pone sulla sua mensa non tanto ha allontanato le solite dolcezze, quanto ha trasferito la sua cupidigia verso inusitate attrattive, o quanto meno, infine, cerca motivi di scampo con i quali sottrarsi al Digiuno, oppure si appresta ad infrangere la legge Ecclesiastica.

4. – È dunque compito vostro, Venerabili Fratelli, precedendo i fedeli con l’esempio egualmente che con la parola, infondere nel loro animo tanto zelo e amore di penitenza in modo che, affrontando decisamente il Digiuno, lo osservino secondo le leggi prescritte dalla Chiesa Cattolica e lo santifichino anche con elemosine e con la preghiera; tenendo presente soprattutto ciò a cui guarda la Chiesa, possano infine ottenere che, mortificati nel corpo e consepolti con Cristo, chiamati alla nuova vita del nuovo uomo nella solennità di Pasqua, con grande fiducia possano andare incontro a Cristo Signore risorto. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi tutti, ai quali con grande affetto impartiamo l’Apostolica Benedizione, pegno della nostra benevolenza e carità verso di voi.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 20 dicembre 1759, nell’anno secondo del Nostro Pontificato.

IL FEENEYSMO

S. Alfonso, martello degli eretici

Dopo circa duemila anni, come se non bastassero tutte le bestialità di eretici e settari catalogate in una lunga lista di errori che hanno gangrenato la Chiesa, si è aggiunta alla predetta lista, di recente, una nuova eresia. Nel bel mezzo del XX secolo, durante il pontificato di Pio XII, il prete gesuita Leonard Feeney si è spinto a negare il Battesimo di sangue ed il Battesimo di desiderio. Questo punto della dottrina era per lui una libera interpretazione del dogma: “Fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza”. Così secondo il padre Feeney, solo il Battesimo con acqua permette la salvezza dell’anima. La Chiesa Cattolica ha invece sempre insegnato ed applicato il Battesimo di desiderio e di sangue. Essa ha onorato in diverse occasioni i martiri che non avevano ricevuto il Battesimo con acqua. A titolo di esempio, quando essa ancora catecumena, san Emerenziana morì martirizzata nel IV secolo prima di essere canonizzata dalla Chiesa. Era stato dunque applicato il Battesimo di sangue. – Il Concilio di Trento, come il Catechismo di san Pio X, sono formali su questo dogma di fede. Il Codice di diritto canonico menziona che “il Battesimo è necessario, di fatto o almeno di desiderio, alla salvezza di tutti”. Nella Summa teologica [III, Q 66 art. 11] san Tommaso d’Aquino precisa sul soggetto del Battesimo di desiderio: “supponiamo ora un adulto che desidera il battesimo ed in pericolo di morte, che il prete non voglia battezzarlo senza denaro. Egli deve, se vuole, farsi battezzare da qualcun altro. Se questa possibilità non può realizzarsi, egli non deve assolutamente comprare col denaro il suo Battesimo, ma piuttosto morire senza averlo ricevuto. Il Battesimo di desiderio supplisce per lui al Sacramento che non può ricevere”. Il catechismo di San Pio X riprende la stessa tesi, infatti Papa San Pio X nel Catechismo della Chiesa cattolica scrive [III parte, n.545]: Q. Si può supplire in qualche modo alla mancanza del Battesimo? – R. Alla mancanza del Sacramento del Battesimo può supplire il martirio, che chiamasi Battesimo di sangue, o un atto di perfetto amor di Dio o di contrizione, che sia congiunto al desiderio almeno implicito del Battesimo, e questo si chiama Battesimo di desiderio. – Riferendosi al Concilio di Trento, san Alfonso Maria de’ Liguori scrive nella sua “Teologia morale”: “il Battesimo secondo l’etimologia greca significa abluzione o immersione nell’acqua, si distingue in battesimo di acqua, di fuoco (di desiderio), e di sangue (martirio). Più avanti tratteremo del battesimo di acqua; che molto probabilmente secondo san Tommaso, Salma, il maestro delle sentenze, Soto, Vasquez etc. fu istituito prima della Passione di Nostro Signore Gesù-Cristo, ai tempi in cui fu battezzato da San Giovanni. Ma il Battesimo di fuoco (di desiderio), è una perfetta conversione a Dio mediante la contrizione o l’amore di Dio sopra ogni altro con la voce esplicita o implicita del vero Battesimo d’acqua: questo dunque supplisce la forza, secondo il Concilio di Trento, quanto alla remissione del peccato, ma non quanto all’impressione del carattere, né quanto alla soppressione di tutta la pena del peccato. È detto “di fuoco” perché giunge per impulso dello Spirito-Santo, che è rappresentato da una fiamma.”. – Nel suo Catechismo di Perseveranza, monsignor Gaume è molto chiaro su questa questione: “Si distinguono tre tipi di Battesimo : il Battesimo di acqua, è il Sacramento del Battesimo, il Battesimo di sangue, è il martirio, il Battesimo di fuoco, è il desiderio di ricevere il Battesimo. Il secondo ed il terzo non sono dei sacramenti, ma essi suppliscono al Battesimo quando non è possibile riceverlo”. Una spiegazione simile è data nel “Catéchisme expliqué par monseigneur Cauly”: “Benché così rigorosa sia la legge del Battesimo d’acqua, questo Sacramento può essere supplito, per gli adulti, in due modi. Con la carità perfetta, che si chiama pure Battesimo di fuoco o di desiderio, e con il martirio, che si chiama talvolta il Battesimo di sangue”. Infine l’abate Francesco Spirago nel “Catechismo Cattolico Popolare” conclude: “Quando il Battesimo di acqua è impossibile, esso può essere supplito dal desiderio del Battesimo o dal martirio per Gesù-Cristo. Valentiniano II si era messo in cammino per andare a Milano a ricevere il battesimo, ma fu assassinato lungo la strada, e Sant’Ambrogio disse in questa occasione: “il suo desiderio del Battesimo, lo ha purificato”. Note sono pure le parole di S. Agostino: «Che il martirio qualche volta faccia le veci del Battesimo lo sostiene validamente S. Cipriano prendendo argomento da quel ladro non battezzato a cui fu detto: “Oggi sarai con me nel Paradiso”.[De bapt. contra Donat. 4, 22]. Nel Codice canonico pio-benedettino del 1917, documento accluso e parte integrante dell’enciclica di S. S. Benedetto XV: “Providentissima Mater”, e quindi da considerarsi senza alcun dubbio Magistero infallibile, il canone 1239, nello stabilire a chi debba essere concessa o negata la sepoltura ecclesiastica, afferma: “Non si ammetterà alla sepoltura ecclesiastica chi non è battezzato. .. I catecumeni sono ammessi, se ancora non battezzati senza loro colpa … – Potremmo ancora moltiplicare le fonti che approvano il Battesimo di desiderio e di sangue che suppliscono il Battesimo di acqua. Essi attestano una continuità e non una qualunque novità nell’insegnamento della Chiesa. Comunque il padre Leonard Feeney, che riteneva che Santi canonizzati, Pontefici e Concilii vari, fossero tutti in errore, mentre egli solo, ovviamente, possedeva la verità, rimase irremovibile; persistendo nell’errore questo americano di origine irlandese fu convocato dalla Chiesa romana. Non essendosi presentato alla convocazione, fu scomunicato nel 1953. La tesi del pr. Feeney è oggi ripresa dai fratelli Dimond del C.M.R.I. e della linea Thuc, i cui discepoli si considerano pure sedevacantisti [altra grave eresia]. Oltre il Battesimo del sangue e di desiderio, aderire a questa tesi eretica, significa pure rimettere in questione l’Infallibilità del Magistero della Chiesa, poiché il Concilio di Trento ed il catechismo di san Pio X sono considerati fallibili, così come il Codice canonico del 1917. Secondo questo ragionamento, la Chiesa Cattolica non sarebbe dunque di natura divina [come si vede la Congregazione Feeneysta del CMRI, della quale fanno parte pure dei finti sacrileghi vescovi senza giurisdizione e altrettanto finti sacerdoti senza alcuna missione canonica, quindi sacrileghi e “lupi vestiti da agnelli”, proclama una robusta serie di stravaganti eresie e, pur affermando che “fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza”, si pone lontanissima dall’atrio della Chiesa Cattolica … beata incoerenza, essi sanno bene che fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza, eppure non vi entrano loro, né fanno entrare quegli sventurati che li seguono]. Si realizza la profezia del Principe degli Apostoli: “Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di impropèri. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato. [2 Piet. II, 1-3]