Omelia della Domenica delle Palme

OMELIA DELLA DOMENICA DELLE PALME

[del Canonico G.B. Musso -1851-]

-Gesù conosciuto e sconosciuto-

Dopo lo stupendo miracolo operato da Gesù Cristo in richiamare a vita Lazzaro già da quattro giorni putrido, e fetente nel suo sepolcro, miracolo di tanta evidenza e di tanta fama in Gerosolima, che non potea né mettersi in dubbio, né tenersi occulto, si presenta Gesù alle porte di questa città, sedente sopra un giumento, in aria, come già predisse un dei suoi profeti, ed in contegno di re pacifico e mansueto. Ed ecco tutto il popolo uscirgli incontro, memore di tanti altri veduti prodigi, ed accoglierlo colle più vive rimostranze di applauso, di ossequio e di trionfo. Con palme alla mano, con ispiegar lungo la via le proprie vesti, con giulive acclamazioni Lo festeggiano, Lo riconoscono figliuol di Davide, re d’Israele, e come da Dio mandato Lo colmano di benedizioni: “Hosanna filio David: benedictus qui venit in nomine Domini”. Ma oh dell’umana incostanza condizion deplorabile! Dopo tre giorni si cangia la scena. Gesù non è più conosciuto, che sotto le nere sembianze di malfattore, e reo di morte. Questo tragico avvenimento volesse il cielo che non si rinnovasse anche al presente. Da tutte le creature è stato riconosciuto Gesù per Figlio di Dio, come son per dimostrarvi; si riconosce tuttavia per tale da’ suoi cristiano, e pure in pratica viene sconosciuto ed oltraggiato da molto, massime in quel sacramento, ove dimora realmente presente. Gesù dunque riconosciuto in sua vita da tutte le sue creature per vero Dio, sarà la prima parte della nostra spiegazione, diretta a ravvivare la nostra fede. Gesù nella SS. Eucaristia non conosciuto, ed oltraggiato da molti suoi cristiani, sarà la seconda, diretta a compungere il nostro cuore, e a riformare la nostra condotta in un punto di tanta importanza. Incominciamo.

I. Sta Gesù ancora nascosto nell’utero materno, ed è riconosciuto da Giovanni, racchiuso anch’esso nel seno materno. Lo conosce Elisabetta, e se congratula con Maria, sua Vergine Madre. Lo conosce Zaccaria, e lo benedice per la sua discesa dall’alto a visitare e a redimere il popolo suo, e tutta l’umana generazione, come già fu predetto per bocca dei suoi santi profeti. Nasce Gesù in Betlemme, e discendono gli angeli a cantarne le glorie, ed accorrono i pastori ad adorarLo bambino. Una stalla, che stella chiamasi di Giacobbe secondo il linguaggio delle divine scritture, lo da a conoscere ai re dell’oriente, che sotto la sua scorta vengono a prostrarsi ai suoi piedi, e coi misteriosi loro doni Lo riconoscono vero Dio, vero uomo, re d’Israele, re del cielo e della terra. Erode, Erode anch’egli colla crudelissima strage di tant’innocenti fanciulli, promulga la fama del suo regal nascimento in tutto l’impero romano, ed in tutte le più remote nazioni. Fa così servire l’Altissimo l’empietà dei suoi nemici alla manifestazione di sua gloria. Che dirò di Simeone?questo santo vecchio, assicurato dallo Spirito Santo che non avrebbe la morte, se prima non vedeva con gli occhi propri l’unto del Signore, Lo prende tra le sue braccia, se lo stringe al seno, e lo chiama Salvatore, da Dio mandato per la salute dei popoli, lume a diradare gli errori del gentil esimo, e la gloria di Israele. Si aggiunse a Simeone Anna la profetessa, e anch’essa ne parla a tutti gli astanti, che aspettavano la redenzione di Israele, come già cominciata nel fanciulletto Gesù. Cresce Egli in età, e fin dai dodici anni cominciano a vedere in lampo di sua divina sapienza gli stupefatti dottori. Ammirano in seguito, i sacerdoti e scribi, e i saggi dell’ebraismo l’incomparabile dottrina, in chi non mai apprese lettere, o veduto maestro, e come sapea leggere nella loro mente i pensieri, e scoprire nel loro cuore l’invidio, l’ipocrisia, ed ogni più maliziosa intenzione. Così a questi lumi non avessero chiusi gli occhi con ribelle superba volontà!

Sentono la virtù dell’uomo-Dio le creature insensate, “quae faciunt verbum ejus”. Nelle nozze di Cana in Galilea l’acqua si cangia in vino. Si fa solido sotto i suoi piedi il mare. Ubbidiscono al suo comando il mare, i venti e le procelle. Ad una sua imprecazione inaridisce sull’istante la sterile ficaia. Al tocco delle sue mani vedono i ciechi, parlano i muti. Ad un atto di sua, ed esaltano la sua beneficenza. volontà son raddrizzati gli storpi, son mondati i lebbrosi, sono prosciolti gli ossessi. Gli infermi di ogni genere, di ogni età, di ogni sesso, ravvisano in Lui un potere sovrumano ed esaltano la sua beneficenza. Per la moltitudine dei pani nel deserto, le turbe saziate s’invogliano di farlo re. Che più? Lo conoscono, Lo temono gli stessi demoni, e usciti da’ i corpi invasati ad alta voce Lo confessano Figliuol di Dio. Lo conosce la morte, e vivi Gli abbandona il figlio della vedova di Naim, la figlia del principe della Sinagoga, e Lazzaro quatriduano.

Più chiara ancor risplende la luce, e la cognizione del divin Salvatore nelle tetre e dolorose vicende della sua passione e della sua morte. Sentirono pure le turbe, ad arrestarLo nell’orto, la forza di una sua parola, che le gettò rovesciate a terra; sentì pure l’iniquo discepolo Giuda il pungente rimorso, e confessò traditore se stesso, e Gesù sangue innocente. Provvidenza superna guida la man di Pilato a scrivere l’elogio di Lui crocifisso, Lo chiama re dei Giudei e per conseguenza Lo da a conoscere pel Messia da noi aspettato, e da tutte le genti. L’invoca dalla sua croce Disma il buon ladro col nome di suo Signore, e Lo prega di aver memoria di sé, all’entrar nel suo regno. Sente quella gran voce il Centurione, impossibile a tramandarsi da un Crocifisso nell’atto del suo spirare, e Lo dichiara altamente vero Figliuol di Dio, “vere filius Dei erat iste”. Il sole che nel suo morire si oscura per un non naturale eclisse, le tenebre che si spargono sulla faccia dell’universo, il gran tremuoto che scuote orribilmente la terra, le pietre che si spezzano, il velo del Tempio che si squarcia, i sepolcri che si sprono, i morti che risorgono, e si fan vedere nella santa città, non dan forse manifeste prove di conoscere e di compiangere il loro Creatore? Lo conoscon le turbe che discendono dal Calvario battendosi il petto. E Nicodemo, che Lo conobbe vivente, Lo riconosce defunto. Si aggiunge ad esso Giuseppe d’Arimatea (l’un principe, l’altro senatore) e con santo ardimento chiede a Pilato il corpo di Gesù Nazareno, ed entrambi rendono segnalata la loro fede con deporLo di croce, e darGli onorevolissima sepoltura.

A finirla, tutte le nazioni dell’uno e dell’altro emisfero han piegato la fronte al Figliuol di Dio crocifisso. Tutti i fedeli han detto, e dicono tuttora con Pietro, “Tu es Christus filius Dei vivi”, tutti L’adorano, e Lo riconoscono vivo e vero nell’augustissimo Sacramento, ove Egli volle restar con noi fino alla consumazione dei secoli. Si avverò quel che predisse Malachia Profeta, che dall’oriente all’occaso grande è il suo nome, ed ad onor del suo nome si offre in ogni luogo sacrificio ed oblazione immacolata. “Ab ortu solis, usque ad occasum, magnum est nomen meum in gentibus, et in omni loco sacrificatur et offertur nomini meo oblation munda” (Malac. I, 11).

II. Ora chi il crederebbe? Quest’Uomo-Dio così palese, così manifesto è un Dio ignoto ad una gran parte dei suoi cristiani. Vide S. Paolo ne’ contorni di Atene un altare, in fronte al quale leggevasi questa iscrizione, Ignoto Deo: ed entrato nell’Areopago alla presenza di quei sapienti, quel Dio, cominciò il suo discorso, quel Dio che onorate senza conoscerLo, son qui ad annunziarvi. “Quod ignorantes colitis, hoc ego annuntio vobis” (Att. XVII, 23). Oh per quanti e quanti cristiani si potrebbe scrivere la stessa epigrafe sui tabernacoli, ove Gesù Cristo realmente dimora! Questo dio, questo gran Dio, è un Dio ad essi affatto conosciuto, Ignoto Deo. Dio sconosciuto, perché entrano in Chiesa per tutt’altro fine che per adorarLo. Dio sconosciuto, perché della sua casa fan meno conto, che di una sala profana, perché quel luogo santo alle preghiere, sostituiscono le ciarle, alla devozione lo svagamento, alla pietà il libertinaggio, alla modestia l’inverecondia e lo scandalo: perché lasciano correre gli anni e le Pasque senza accostarsi a riceverLo; perché assistono al Sacrificio tremendo o con i piedi, come i Giudei sul Calvario, insultando Gesù sulla croce, o con piegar un ginocchio, come i soldati nel Pretorio, disprezzatori di Gesù coronato di spine. A rivederci al suo tribunale. Questo Dio ignoto si farà ben conoscere nel finale giudizio a chi noL conobbe, e a chi non volle conoscerLo, “cognoscetur Dominus iudicia facies” (Ps. IX).

Ma per noi, diran taluni, per noi non è un Dio ignoto. Noi Lo crediamo realmente presente nell’adorabile Sacramento, e ci disponiamo a riceverLo alla sacra mensa nella prossima Pasqua.

Vi risponde l’evangelista Giovanni: voi dite di conoscere Dio, ma se non osservate i suoi comandi, siete mentitori, siete bugiardi. “Qui dicit se nosse eum, et mandata eius non custodit, mendax est” (I Giov. II, 4). Dite di conoscere Dio, e volete disporvi a riceverlo nella pasquale comunione; conoscerete ancora la dignità, la grandezza, il merito di un tanto ospite. Or bene, qual luogo Gli preparate? Il vostro cuore? Ma se il vostro cuore non è retto con Dio, se il vostro cuore per l’ingiustizia è una spelonca di ladri, se per la disonestà una cloaca di immondezze, se per l’odio è un covile di serpenti, se vi abita il peccato mortale, se lo possiede il demonio, vorrete in questo albergare l’agnello di Dio senza macchia, il Santo dei santi, l’autore di ogni santità?dirò che conoscete Dio, quando a Lui vi appresserete con un cuore mondo per l’innocenza, o mondato e lavato con lagrime di contrizione sincera. Quando un sincero dolore delle vostre colpe sarà accompagnato da ferma, stabile ed efficace risoluzione di non più peccare, e per più non peccare, porrete in pratica i mezzi necessari che vi allontanino dal peccato, quali sono la custodia dei sensi, la fuga delle occasioni, l’uso della preghiera, la lettura dei libri divoti, la frequenza dei Sacramenti, la memoria de’ novissimi e delle massime eterne. Dirò che conoscete Dio quando, oltre le indicate disposizioni, prima di accostarvi all’altare di Dio, vi sarete riconciliati con i vostri fratelli, quando avrete dato la pace ai vostri nemici, quando avrete restituito la fama, e, potendo, la roba altrui; quando una fede viva, un’umiltà profonda, un amore, un desiderio ardente di unirvi a dio, vi accompagneranno all’eucaristico divino convito. Questo sì che sarà conoscere Dio in spirito e verità! Sarà questo un segno, fedeli miei, un segno di gran consolazione per voi, segno che vi caratterizzerà pecorelle del gregge di Gesù Cristo. Io, dice Egli, conosco le mie pecore, ed esse conoscono me, loro buon Pastore: “Ego cognosco oves meas, et cognoscunt me meae” (S. Giov. X, 14); e siccome io veggo che da esse veramente sono conosciuto, così ora do loro in pegno, e darò poi il premio dell’eterna vita, “et Ego vitam aeternam do eis” (S. Giov. X, 28): ove la sua grazia ci conduca.