TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (3)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (3)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO SECONDO

ATTIVITÀ DELLO SPIRITO SANTO NEL MONDO

Essendo, la nostra natura umana, finita, non esiste che in una sola persona. Dato invece che la natura divina è infinita, la Rivelazione c’insegna che esiste in tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. È una vita infinita di cui il Padre è la sorgente, il Figlio ne è il Verbo o la parola, la luce, la Sapienza. Quanto allo Spirito Santo è come un soffio di amore che va continuamente dal Padre al Figlio e torna di continuo dal Figlio al Padre. Sempre secondo la Rivelazione, al Padre si attribuisce più particolarmente la potenza; al Figlio il pensiero; allo Spirito Santo l’amore. Ma la potenza del Padre appartiene egualmente al Figlio e allo Spirito Santo; il Pensiero del Figlio appartiene egualmente al Padre e allo Spirito Santo; l’amore dello Spirito Santo appartiene egualmente al Padre ed al Figlio. Nella Trinità Santa non vi è di distintivo e, per conseguenza, di costitutivo delle Persone che le relazioni: la relazione di paternità, per la quale il Padre genera eternamente il Figlio, la relazione di filiazione per la quale il Figlio è generato eternamente dal Padre; la relazione di spirazione passiva per la quale lo Spirito Santo procede eternamente, come da un solo principio, dal Padre e dal Figlio, Secondo la concezione che la Rivelazione ci dà, la Trinità Santa appare come un movimento vitale, ineffabile, infinito che parte continuamente dal Padre e termina allo Spirito Santo, passando per il Figlio, e ritorna continuamente verso il Padre, passando per il Figlio. Perciò lo Spirito Santo appare come il termine della vita divina. È Colui per il quale, col quale, nel quale il Padre ed il Figlio compiono tutte le loro azioni nel mondo. Ma in tutte queste opere esterne, il Padre ed il Figlio agiscono quanto lo Spirito Santo. La Scuola dice molto bene: Omnia opera ad extra Sanctissimae Trinitatis sunt communia tribus personis. Tuttavia il Padre ed il Figlio agiscono sempre per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, come lo esprimono, sotto le più varie forme, con altrettanta poesia che pietà, le dossologie liturgiche. – Poiché lo Spirito Santo è il termine della vita divina, ed è in qualche modo Colui per il quale la vita trinitaria è rivolta verso il mondo, Colui per il quale, col quale, nel quale essa agisce, ne risulta che devono essere più particolarmente attribuite allo Spirito Santo tutte le operazioni esterne della Santissima Trinità. E siccome Egli è l’Amore che va al Padre per il Figlio, Verbo incarnato, e che trascina le anime, prima verso il Verbo incarnato, e, per il Verbo incarnato, verso il Padre, tutto ciò che lo Spirito Santo fa nel mondo, lo fa sempre per amore e per un disegno di santificazione. S’intuisce l’attività prodigiosa, meravigliosa, infinita, infinitamente ricca e varia dello Spirito Santo nel mondo. – È questa attività che cercheremo di descrivere.

I

Nella descrizione dell’attività dello Spirito Santo nel mondo, ci limiteremo a indicare quella che gli è esplicitamente attribuita dai Libri Santi e dalla Tradizione. Prima di tutto salutiamo lo Spirito Santo come Spirito creatore. Nel capitolo primo del Genesi leggiamo: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso, e lo Spirito Santo si librava sopra le acque » (Gen. 1, 1-2). Così, in principio Dio creò il cielo e la terra. – Creò il cielo e la terra per mezzo del Suo Verbo nello Spirito Santo. E lo Spirito Santo si librava al di sopra del caos per formare il mondo, simile all’aquila che, sulle vette ove ha fatto il nido, si libra sopra i suoi piccoli per riscaldarli, comunicar loro forza e audacia, e vivificarli. L’autore del Genesi si è ispirato a questa commovente immagine. La conservazione nell’esistenza è una creazione continua. Lo Spirito Santo crea e conserva creando. Egli è dappertutto immanente nel mondo, sebbene dovunque distinto dal mondo. È in tutti gli esseri. Mediante una creazione continua li conserva tutti nell’esistenza, li dirige verso uno scopo determinato, e secondo un piano d’insieme. A tal punto che se lo Spirito Santo si ritirasse dal mondo, non vi sarebbe più in esso né direzione particolare, né direzione d’insieme, non esisterebbe più alcun essere. Sarebbe il nulla. Nella misura in cui Egli si ritira dal mondo e da noi, scacciato dall’abuso della nostra volontà libera, è il disordine. Creatore del mondo, lo Spirito Santo è il creatore della vita, di ogni vita. «E il Signore formò l’uomo dal fango della terra e gli ispirò in faccia il soffio della vita e l’uomo divenne persona vivente » (Gene II, 7). Dio prese un po” di fango delle sponde di uno dei grandi fiumi che cominciavano a solcare la terra. Con un soffio del Suo Spirito Santo, Dio animò questo fango e l’uomo diventò essere vivente. Mentre gli comunicava la vita naturale, con un soffio del Suo Spirito Santo Dio animò l’uomo della vita soprannaturale. E unitamente a questa duplice vita, ma a motivo della vita soprannaturale, Dio si compiacque perfezionare nell’uomo la vita naturale, perché in lui non vi fosse troppa distanza tra la vita naturale e quella soprannaturale. Gli diede un’intelligenza vigorosa. Lo gratificò di una volontà forte, libera, ben equilibrata, capace di mantenere in lui l’armonia fra tutte le potenze e assicurare l’ordine tra la natura e la grazia. Così l’uomo divenne persona vivente, vivente della vita naturale e di quella soprannaturale, simile a Dio. Dio lo aveva creato simile a Sé per farne il proprio amico e vivere con lui in rapporti di dolce intimità. L’uomo adorerebbe il suo Dio, lo ringrazierebbe, si offrirebbe a Lui, lo pregherebbe. Lavorerebbe la terra, svilupperebbe e approfondirebbe le sue cognizioni mediante lo studio. Ma i doni di privilegio che aveva ricevuto, gli avrebbero reso tutto facile. Sarebbe felice. E tutti i suoi discendenti erediterebbero gli stessi doni di Dio. – Creatore del mondo e creatore della vita, lo Spirito Santo è presentato nell’Antico Testamento come l’autore dei doni speciali, cioè di quei doni da cui dipende tutto l’avvenire del popolo di Dio. È lo Spirito Santo che illumina Giuseppe e gli fa comprendere i sogni di Faraone (Gen. XLI, 14-36). È lo Spirito Santo che dà a Giosuè le virtù che gli permetteranno di succedere a Mosè (Num. XXVII, 18). – È lo Spirito Santo che illumina i profeti. Il profeta dichiara da sé di essere l’uomo dello Spirito Santo (Osea IX, 7). – È lo Spirito Santo che ispira il sacro scrittore e dirige la sua mano. Risultato meraviglioso di questo lavoro divino-umano compiuto nel corso di molti secoli, sarà la Bibbia. È lo Spirito Santo che, mediante la comunicazione della pienezza dei Suoi doni, conferirà l’unzione messianica al Re venturo. Gli comunicherà i doni di sapienza e d’intelletto; i doni di consiglio e di fortezza; quelli di scienza e di timor di Dio. Perciò il Servo di Dio dirà per bocca del profeta Isaia: « Sopra di me è lo Spirito del Signore; poiché, Dio mi ha unto per portare la buona novella agl’infelici » (Is. XI, 1-3). È per opera dello Spirito Santo che il Verbo di Dio si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria (Lc. I, 35). È lo Spirito Santo che fa sapere al vecchio Simeone che non morrà prima di aver visto il Redentore del mondo, e gl’ispira il cantico che noi recitiamo: «Or lascia, o Signore, che il Tuo servo, secondo la Tua parola, se ne vada in pace, perché gli occhi miei hanno mirato il Redentore del mondo » (Lc.: II, 27-32). È lo Spirito Santo che, per mezzo di un Angelo, dà a Giuseppe l’ordine di fuggire in Egitto per sottrarsi alla persecuzione di Erode (Mt. II, 13-15). Al battesimo di Gesù, sulle rive del Giordano, lo Spirito Santo sotto il simbolo della colomba, si libra sul Salvatore, e la voce di Dio Padre risuona: «Ecco il mio Figlio diletto: ascoltatelo » (Mt. III, 13-17; Mc. I, 9-11; Lc. :III, 21-22). – Autore dei doni speciali, lo Spirito Santo è l’autore della vita soprannaturale nelle anime. Per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo che Egli manda, il Salvatore spinge i peccatori alla penitenza e alla fede. La penitenza e la fede, ecco il principio della vita del regno che è venuto a stabilire. Tutti i peccati verranno rimessi eccettuato uno solo, che non può essere rimesso in questo mondo e neppure nell’altro, il peccato contro lo Spirito Santo, cioè il rifiuto di cedere ai lumi, agl’inviti, alle ingiunzioni del divino Spirito nell’anima. Tutti coloro che accettano di cedere allo Spirito Santo si convertono, credono in Gesù, lo seguono. È per mezzo dello Spirito Santo che il Salvatore sceglie e forma gli Apostoli. Quando non sarà più visibilmente presente, lo Spirito Santo sarà in essi e manterrà l’unione tra il Maestro e i discepoli; finirà di illuminarli e mostrar loro i misteri; riceveranno lo Spirito Santo in tutta la pienezza, e per lo Spirito, con lo Spirito, andranno alla conquista spirituale del mondo. Per lo Spirito Santo rigenereranno le anime; rimetteranno i peccati; daranno alle anime la forza di lottare contro la potenza delle tenebre che è nel mondo, e contro tutte le forme di rispetto umano. L’epiclesi della cerimonia eucaristica, cioè l’invocazione allo Spirito Santo, sarà la grande preghiera con la quale si chiederà l’unione di tutti i fedeli, prima in un solo corpo eucaristico, e poi, mistico. Lo Spirito Santo formerà il cuore dei diaconi, e farà dei sacerdoti, altri cristi. Li sosterrà, li illuminerà, animerà la Chiesa fino alla fine dei tempi. Alle origini del Cristianesimo, sostiene i martiri, i confessori, le vergini, come ce ne rende testimonianza il fatto seguente, scelto tra mille. È il 13 dicembre dell’anno 303, a Siracusa, in Sicilia; Diocleziano è imperatore. Una vergine che conta appena qualche anno di più di sant’Agnese, è tradotta davanti al prefetto di Siracusa. Si chiama Lucia. Essa dichiara di aderire a Gesù, per lo Spirito Santo, con tutte le fibre del cuore. E il prefetto le rivolge questa domanda: « Credi dunque che lo Spirito Santo è in te e ti suggerisce le parole che dici? » – « Credo », risponde la vergine, « che quelli che vivono nella castità, sono tempio dello Spirito Santo ». La spada si abbatte sul capo della vittima innocente, testimone del Cristo e dello Spirito Santo. Così è della Chiesa: né l’odio, né la cattiveria, né l’incomprensione, né la stoltezza degli uomini, le impediranno di vivere, fino alla fine del mondo, per compiervi la sua opera di salvezza, perché essa è illuminata, sostenuta, animata dallo Spirito Santo.

2.

Esiste però un problema che ha già tormentato molti spiriti. Da un lato tutte le operazioni della Santissima Trinità, nel mondo, sono comuni alle tre Persone; e, dall’altro, secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, a cui, per essere completi, è necessario aggiungere l’esperienza dei santi, le operazioni esteriori della Santissima Trinità sono attribuite allo Spirito Santo con tale insistenza da sembrare che tali operazioni siano unicamente opere dello Spirito Santo. Come conciliare quest’apparente contraddizione? La maggior parte dei teologi scolastici insegnano che se, nella Sacra Scrittura e nella Tradizione dei Padri, la santificazione delle anime è sempre attribuita allo Spirito Santo, è unicamente a motivo della relazione che esiste fra il carattere di tale operazione e il nome distintivo e personale di questa divina Persona. La santificazione delle anime, non è propria dello Spirito Santo, ciò che richiederebbe l’esclusione delle altre Persone; essa gli è solamente appropriata. Si tratta dunque di un’attribuzione fondata sopra una semplice appropriazione. Il P. Petau, l’illustre rinnovatore della teologia positiva, ha creduto poter sostenere un’opinione assai differente. « L’unione dello Spirito Santo con l’anima giusta, scrive nei suoi Dogmata theologica, procede dalla divinità comune alle tre Persone, ma in quanto questa divinità sussiste nell’ipostasi dello Spirito Santo. Così esiste una certa ragione secondo la quale la Persona dello Spirito Santo si applica alle anime dei giusti e che non conviene alle altre Persone nella medesima maniera (De Deo trino, 1. vir, cap. VI, 6). Qual è questa maniera che conviene specialmente allo Spirito Santo? « Le tre Persone, prosegue l’autore, abitano realmente nell’anima giusta. Ma solo lo Spirito Santo è come la forma santificante, quasi forma sanctificans, ed è Lui solo che, per mezzo della comunicazione di Se stesso, rende l’uomo giusto » (Ibid. 8). Che cosa vuol dire il P. Petau, quando scrive che solo lo Spirito Santo è come la forma santificante, ed è il solo ad unirsi sostanzialmente, secondo un’espressione tolta da san Gregorio Nazianzeno e a san Cirillo Alessandrino? Petau ha già spiegato il senso di questa formula. « Nessuno nega, egli scrive, che le tre Persone abitino nel giusto. Ora tutta la questione sta nel sapere il modo di abitazione. Non è necessariamente lo stesso in tutti i casi. Così il Padre e lo Spirito Santo non abitano meno del Verbo nell’Uomo-Cristo. Ma il modo di esistere è differente. Poiché, oltre il modo che gli è comune con le altre Persone, il Verbo ha un modo speciale, in virtù del quale è come una forma che rende Dio, quest’uomo… Parimente, nell’uomo giusto, abitano le tre Persone. Ma solo lo Spirito Santo è come la forma santificante ». Non bisognerebbe far dire al P. Petau, il cui testo è tanto preciso e luminoso, ciò che è ben lungi dal suo pensiero. Non dice che vi è parità fra il modo di unione del Figlio con la natura umana, nell’Incarnazione, e il modo di unione dello Spirito, Santo con l’anima giusta, nella santificazione. Insegna soltanto che l’unione dello Spirito Santo con l’anima giusta, è propria o speciale allo Spirito Santo, come, ma in tutt’altro modo, l’unione del Verbo con l’umanità è propria o speciale al Verbo. Così il P. Petau distingue fra l’abitazione nell’anima e il modo di quest’abitazione, tra l’inabitazione e l’unione. L’inabitazione appartiene egualmente alle tre Persone: l’unione è propria allo Spirito Santo. L’opinione di Petau è condivisa da parecchi altri teologi. Tutti questi autori pretendono che tale dottrina sia quella dei Padri greci. E tuttavia se si ha cura di esaminare più da vicino la patristica greca, sembra che essa esiga un’altra interpretazione. Così, come lo dice benissimo il P. Petau, l’inabitazione delle tre Persone nell’anima giusta appartiene egualmente a tutte e tre. Esse, secondo il loro linguaggio, vi abitano sostanzialmente, termine, diciamolo subito, che bisogna tradurre con l’espressione in sostanza, per evitare un’altra questione. I Padri greci sono unanimi su questo punto. Ma il modo d’inabitazione o l’unione è una proprietà dello Spirito Santo? Sembra che essi abbiano identificato l’inabitazione e il modo d’inabitazione o l’unione santificante. Quando i teologi scolastici contestano la distinzione del P. Petau, non già, è vero, in nome della critica testuale, ma in nome della ragione teologica, il che è più facile, ciò non è senza qualche fondamento. Da un altro lato, i Padri greci distinguono accuratamente tra l’inabitazione o l’unione santificante (che oppongono all’unione ipostatica, che è propria al Verbo Incarnato) e l’atto che ha per termine quest’abitazione. In altre parole, essi distinguono fra l’inabitazione passiva e l’inabitazione attiva. E insegnano che l’inabitazione attiva è più particolarmente opera dello Spirito Santo. Qui bisogna vedere soltanto una conseguenza della maniera dei Padri greci di rappresentarsi la vita trinitaria. Poiché lo Spirito Santo è il termine della vita divina, se questa vita agisce sulle creature, non può essere se non per mezzo dello Spirito Santo che procede dal Padre per il Figlio e che ritorna al Padre per il Figlio. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo agiscono egualmente. Ma il Padre ed il Figlio agiscono per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo. Così l’inabitazione attiva è più particolarmente opera dello Spirito Santo, perché tale è, in certo modo, l’ordine o la legge fondamentale della vita trinitaria di non agire ad extra che per mezzo dello Spirito Santo. Il Padre e il Figlio agiscono per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo. Ad extra, tutto si fa per lo Spirito, con lo Spirito, nello Spirito, senza che vi sia in nessun modo esclusività del Padre e del Figlio. Senza dubbio sarebbe preferibile rinunziare a questa espressione scolastica di azione propria, che richiede sempre un intervento, ad esclusione degli altri interventi, per adottare un’espressione alla quale l’uso accordi un significato più largo e meno tecnico. Ne segue che la trasformazione dell’anima, che consiste nell’infusione di una vita nuova e nella sparizione del peccato, sarà più particolarmente opera dello Spirito Santo. Ma è permesso allargare il soggetto, quanto può esserlo, e dire che tutte le operazioni ad extra della Santissima Trinità, che si tratti della creazione del mondo materiale, della creazione della vita, della comunicazione di doni speciali, oppure dell’Incarnazione del Verbo, di tutte le opere ad extra della Santissima Trinità, sia nell’ordine della natura che in quello della grazia, sono più particolarmente opere dello Spirito Santo. Niente si oppone a ciò che la soluzione che ne abbiamo data, e che s’ispira alla rivelazione che ci è stata fatta della vita trinitaria, non serva a spiegare le operazioni che, nella Sacra Scrittura e secondo la Tradizione dei Padri, sono attribuite unicamente, almeno sembra, al Padre, al Figlio o allo Spirito Santo. – Allo Spirito Santo appartengono più particolarmente tutte le operazioni ad extra della Santissima Trinità. L’espressione è stata compresa e giudicata. Ma inoltre, secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, nella Trinità Santa, al Padre, sembra appartenere unicamente la potenza; al Figlio, unicamente il pensiero; allo Spirito Santo, unicamente la carità, l’amore. Si tratta forse di un’attribuzione che dipende unicamente dalla relazione che esiste tra il carattere di una data azione e il nome distintivo o personale di una Persona divina determinata? Oppure di un’attribuzione fondata sopra una semplice appropriazione, come lo insegnano la maggior parte dei teologi scolastici? Vi è di più? – Allo Spirito Santo; secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, appartiene la carità, l’amore. Questa attribuzione dipende esclusivamente dalla relazione che esiste fra il carattere dell’amore, che è come un soffio, e il nome distintivo della Persona dello Spirito Santo, che è come un soffio? Vi è di più? – Termine e pieno sviluppo della vita divina, perfezione della vita trinitaria, lo Spirito Santo non può essere che la carità, l’amore, come la carità dovrà essere il termine, lo sviluppo sempre più completo la perfezione ognor più compiuta della nostra vita soprannaturale. Perciò san Giovanni, servendosi per nominare Dio, della perfezione che ne è il compimento, il termine, ha potuto dire: Dio è Amore (1 Giov. IV, 16). – Allo Spirito Santo appartiene dunque più particolarmente l’amore. Tale attribuzione è fondata sull’ordine intimo, sull’economia della vita trinitaria, quale la Rivelazione ce la fa conoscete, sul posto dello Spirito Santo nella vita trinitaria, quindi sulla missione più particolare che Esso vi compie. Al Padre, secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, appartiene la potenza. Qui dobbiamo fare la stessa domanda. Questa attribuzione dipende unicamente dalla relazione che esiste tra la potenza e il nome distintivo della persona del Padre? La vita trinitaria ci è stata rivelata con un movimento vitale, ineffabile, infinito che parte continuamente dal Padre e termina allo Spirito Santo, passando dal Figlio, e torna continuamente verso il Padre passando dal Figlio. Il Padre è come la sorgente della vita trinitaria, come il punto di partenza che le conferisce il suo slancio, la sua potenza. Perciò al Padre si attribuisce più particolarmente la potenza. – Al Figlio, secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, appartiene il pensiero. Quest’attribuzione dipende forse unicamente dalla relazione che esiste tra il pensiero e il nome distintivo della Persona del Figlio? – Il Verbo è Colui per il quale il Padre va allo Spirito Santo, come è Colui per il quale lo Spirito Santo va al Padre. Egli è il centro della vita trinitaria. Ne è il pensiero, la Sapienza, il Logos, la parola, il Verbo di Dio; ne è come il piano vitale che ha servito alla ricostruzione dell’umanità decaduta. Come in principio servì alla creazione della prima umanità, perciò al Figlio appartiene più particolarmente il pensiero. – Non ci resta che chiedere perdono alla Santissima Trinità per aver cercato di penetrarne i misteri e rivolgerle questa preghiera d’invocazione, nella quale metteremo tutta la nostra adorazione, la nostra riconoscenza e il nostro amore:

Eterno Padre, siate la perfezione dell’anima mia:

Figlio di Dio, siatene la luce;

Spirito Santo, che l’anima mia sia mossa unicamente da Voi!

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (4)

CRISTO REGNI (1)

CRISTO REGNI (1)

 P. MATHEO CRAWLEY

(dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione – SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur Mediolani, die 4 febr. 1926

Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR

In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 – Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

PREM. TIP. PONT. ED ARCIV. S., GIUSEPPE – MILANO

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1° L’autorità del Re dei re diminuita.

2.° La santità del Re d’Amore oltraggiata.

Crisi di pudore, di modestia, di morale.

3.° L’onore del Re della gloria disdegnato.

Crisi di vocazioni sacerdotali e religiose.

PREFAZIONE

Salve Regina

A te, Regina dei cuori dedico queste pagine scritte col sangue del mio povero cuore, in difesa dei diritti del Re d’Amore, tuo Figlio.

Salve Regina!… Tu, che nella notte del primo Natale, vegliasti tra le sofferenze, senza poter trovare né un tetto che ti ricoprisse, né una porta aperta che ti ricevesse… Tu, la grande Riparatrice, aiutami a restaurare la sovranità di Gesù nelle famiglie e nella società, batti Tu stessa alle porte dei cuori e delle famiglie cristiane, chiedendo un trono di gloria per il Cristo-Re!

Salve Regina !… Tu la sola bella, santa, immacolata, aiuta la nostra impotenza nelle lotte contro le iniquità di un mondo senza Dio; aiutaci a distruggere il vituperio di un Cristianesimo falsato; aiutaci a far risplendere nei focolari che ti sono devoti l’antica austerità dei costumi ed il sole del tuo purissimo Cuore tra i fanciulli, le vergini, le spose, le madri cristiane; oh! Madre senza macchia! Che il Cuore di Gesù troneggi nel tabernacolo delle famiglie, adornato del giglio della purezza e della modestia. – Che il Vangelo, in tutta la sua integrità sia l’unica legge di dignità sociale e di virtù cristiana. Dissipa, o Regina di purezza, le nubi dei pregiudizi pagani, delle convenienze assurde e vigliacche per le quali Gesù vien flagellato. Oh! fa ch’Egli diventi nuovamente, nelle famiglie e nella società, il Cristo-Re!

Salve Regina !… Tu sei la Regina del Cenacolo della Chiesa, Tu la dolce Sovrana del clero e dei chiostri, Tu comunichi ai preti ed alle spose consacrate una parte della tua divina maternità, moltiplicando per mezzo di essi i Gesù che daranno Gesù alle anime ed al mondo. Grazie!… ma, ohimè! Tu sai, o Maria, che il mondo che odia Gesù, vorrebbe anche spegnerne la discendenza più che nobile, inaridendo la sorgente degli apostoli, distruggendo gli altari e spogliando i giardini fioriti dei chiostri. Sii, o Regina del Cuore di Gesù, più forte di una armata schierata in battaglia, dà Tu stessa il grande assalto e noi avremo certamente la vittoria. – Oh! per assicurarla alla Chiesa dacci dei sacerdoti, dei sacerdoti-apostoli, e degli apostoli-ostie!… Maria, Mediatrice, esaudiscici, non tardare più, la Chiesa piangendo ti tende le braccia… Ritorna sulla terra, benedici le famiglie, spargi tra di esse una semenza divina, fa che in esse fioriscano i germi di santità sacerdotale, fiori di santità verginale per gli altari, fiori benedetti per i chiostri… Dà, o Regina d’amore, subito la vittoria al Cristo-Re!…

Salve Regina!

P. MATHEO CRAWLEY

Braine-le-Comte, 22-12-1922.

INTRODUZIONE

Nisi Dominus ædificaverit domum, invanum laboraverunt qui ædificant eam.

(P. CXXVI, 1).

[Se il Signore non edifica la casa, invano lavorano coloro che la edificano.]

V’è un male morale, vera cancrena della vita privata e sociale, l’estensione ed i danni del quale, palesatisi attraverso gli avvenimenti, ci spaventano. – Dopo il conflitto armato, dopo le epidemie, mortifere più ancora della stessa guerra, questo flagello, terribile come una epidemia morale, angoscioso come una malattia mortale, triste come una lotta interiore, implacabile come un’offensiva vittoriosa che distrugge ed abbatte qualunque barriera, questo flagello, dico, ci opprime e sembra spingerci nell’abisso. – Non intendo far qui allusione all’effervescenza rivoluzionaria, né allo squilibrio politico delle nazioni, né all’incoerenza delle folle che si sollevano, desiderose di far nascere e stabilire una comunanza universale. – Limito invece le mie osservazioni esclusivamente al piccolo, ma nello stesso tempo grande regno che è la famiglia, a questa sorgente di vita e d’azione sociale, — il focolare — così profondamente sminuito e pervertito da questo male. – Ohimè! La morale sociale e privata, messa dalla guerra a sì dura prova, non ne è uscita né purificata né rinnovellata. E tuttavia, questo male, o meglio, questo groviglio di mali sì gravi, che alcuni immaginano nuovi, e di cui anche i più noncuranti si lamentano, è proprio un frutto della guerra? Sì, in una certa misura. Per la sua stessa natura, la guerra, che è un disordine, non ha potuto che contribuire al disordine generale ed al rilassamento dei principî. E se alcuni sono stati veramente rigenerati dalle sofferenze, quanti altri invece ne sono stati sfiorati soltanto superficialmente! La guerra ha aperto degli abissi nella società! Ma noi crediamo tuttavia che la maggior parte di tali mali, di cui un giorno potremo dolerci, non sono stati che svelati e caratterizzati dalla guerra. Questa è stata come una bomba caduta in un giardino pubblico; la cui esplosione ha messo allo scoperto dei cadaveri in putrefazione e delle ossa disseccate. Non si sapeva più ciò che quel terreno fiorito ricoprisse; e si danzava su quel tappeto di terra verdeggiante: la dinamite ha messo in luce il vecchio cimitero che vi giaceva sotto. – Un triplice male, estremamente grave, male mortale, rodeva intanto nascostamente le viscere della società moderna, senza che essa volesse rendersene conto. Aveva paura di constatarlo? La sua noncuranza, in ogni modo, non faceva che accentuarlo.

1° Era un male di raffinato orgoglio, ossia una corruzione dello spirito. Due manifestazioni tipiche e tormentose ce ne rivelarono l’esistenza: una profonda ignoranza religiosa sempre più sistematica, in certe categorie apparentemente intellettuali e dirigenti; quindi, come logica conseguenza, un disprezzo orgoglioso del divino; e infine, l’odio, crescente come un’onda di rabbia settaria, e che minacciava di sommergere le istituzioni del diritto pubblico, cristiano ed ecclesiastico.

2° Era un male d’apatia rapidamente trasformatosi in un male di indifferenza e di disgusto per l’idea e le cose religiose, perché la corruzione della coscienza cristiana segue da vicino la corruzione dello spirito. Com’è grande, tra la gente onesta, il numero di coloro che sono completamente indifferenti ad un regime, qualunque esso sia, religioso o laico!  L’agitarsi dei problemi dell’educazione dell’infanzia, del matrimonio o della legislazione cristiana, tutto quello insomma che non tocca da vicino l’interesse ed il piacere, non riesce a smuovere la loro calma e beata indifferenza…

3.° Era soprattutto un male di voluttà, una febbre spaventosa, un delirio intenso dei piaceri sensuali. Questa corruzione dei sensi già esisteva adunque, ed era un orribile tumore che il coltello della guerra ha aperto, rivelando agli occhi attoniti degli stessi grandi Maestri di sociologia, nuovi abissi d’infamia. – Allorché scoppiò la guerra, questi grandi mali, e tutti gli altri che, come dal loro naturale focolaio, sono da essi scaturiti, erano molto più profondamente radicati di quello che la società nostra, così fiera della sua cultura e della sua civiltà, non credesse. Precisamente questa società, che si crede cristiana, che si vanta di esserlo, e soprattutto di sembrarlo era contaminata dai suoi vizi mortali, anche più di quanto si pensasse. – Soltanto quando il sangue ha zampillato, si è constatato con sorpresa ch’esso era già corrotto. La crudele e spaventosa amputazione fatta dalla guerra. non è stata soltanto una provocazione nefasta ma anche una rivelazione benefica di tanti mali. E la Provvidenza che tutto guida, l’ha permessa perché si facesse la luce. luce; e con la luce, la guarigione delle famiglie e della società. – È ovvio che alcuni istinti perversi, alcune malattie morali e profonde, non potevano essere facilmente guarite; anzi, la guerra, nel rivelarle, le ha acutizzate. Essa ha fatto conoscere il punto debole e gli abissi latenti della nostra società, più cristiana all’epidermide che nello spirito, e piuttosto pagana nei costumi. – Ascoltate S. S. Pio XI: « Molto prima che la guerra incendiasse l’Europa, la principale causa di queste grandi calamità già si agitava » (Enciclica Ubi arcano Dei).  Si dormiva, ed anche più, si danzava sull’orlo di un abisso. Veder oggi tutto questo sì da vicino, ci spaventa; esaminarlo a due passi, ci irrita, perché esso suona accusa per molte persone intelligenti e colpevoli, e per tanti malfattori che eran creduti gente onesta. Ma questa visione d’orrore, questo risveglio di soprassalto al rombo del cannone, sarà per molti la tavola di salvezza.  Parliamo francamente e cristianamente. È meglio certo fare, anche contro la volontà del malato, la diagnosi della malattia, per portare il necessario rimedio, che far l’autopsia del cadavere, per constatare il male che ne causò la morte. Che i mali immensi, del resto, di cui ci lamentiamo, siano o non siano frutto nefasto della guerra, non importa; quel che ci preme è che essi son là, come una voragine aperta, che minaccia d’inghiottire quello che non è stato ancora distrutto dal conflitto mondiale. Noi attraversiamo una crisi morale e sociale, eccezionalmente acuta; tuttavia io sono e resto ottimista, perché credo. Questa crisi, per quanto formidabile essa sia, non è la più grave della storia. L’umanità, prima della venuta di Nostro Signore, ne ha conosciute delle altre e ancora più gravi, per il fatto istesso che Gesù Cristo, nostro Liberatore, non era ancora venuto. Io credo in Lui ch’è venuto. Credo in Lui, che è e sarà sempre la origine della vita immortale, la forza redentrice, la sorgente della virtù, la resurrezione dei morti. Questo Maestro, questo Legislatore, questo Re, questo Liberatore, non è passato già come un bagliore che lascia soltanto una scia luminosa e brillante dietro a sè. No, Egli non è passato; Egli è venuto ed è restato con noi, Sole e Luce delle anime e della società. E non ci ha lasciato soltanto il suo mantello, ma il suo. Cuore palpitante che batte all’unisono coi nostri cuori, a due passi degli infermi, a portata di mano di tutti gli uomini, suoi fratelli. – Quegli che disse: «Io sono la Risurrezione » non è solamente il Verbo, estatico nella visione del Padre celeste, ma è l’uomo Dio, il Figlio di Maria: Egli si chiama Gesù. Risiede in mezzo a noi colla sua presenza reale nella Santa Eucaristia, e governa la Chiesa, sotto le vesti del Pontefice di Roma. Noi non siamo ancora perduti, perché Egli è il Re, e il Centro della terra che ha bevuto il suo sangue, e che gli vuole riscattare col suo amore. – Dal Tabernacolo e dalla Chiesa, come un tempo sul lago di Genezareth, Egli domina le tempeste, le placa, ed i flutti tumultuosi sono ove la sua mano li dirige. Per rassicurare la Chiesa, e i credenti, Egli non ha che a dire queste parole: « Sono io… Venite, non temete… Io ho vinto il mondo! » – Noi possiamo e dobbiamo vincerlo con Lui. Più forte della più forte tempesta, è la pentecoste della carità del Cuore di Gesù; più potente dell’inferno la onnipotenza misericordiosa del Dio d’Amore che è Gesù, il Verbo, il Figlio di Dio e Figlio di Maria. Ricordiamoci la sua parola: « Il Figlio dell’Uomo è venuto a salvare ciò che era perduto » (Matteo XVII, I).

L’unico Liberatore, sei Tu, o Gesù!

Ma per questo: Oportet: è necessario ed urgente ch’Egli sia di fatto un Re.

CRISTO REGNI (2)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (2)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (2)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO PRIMO

SIMBOLI DELLO SPIRITO SANTO

Dio si è rivelato agli uomini mediante il pensiero umano che Egli ha illuminato, di cui ha diretto le espressioni verbali, le parole, come cantiamo nel nostro Simbolo: Qui locutus est per prophetas. Egli ha pure assistito gli autori ispirati che scrivevano la parola rivelata. È in questo modo che ci sono venuti i Libri Santi. La Tradizione, diretta da Dio, ci ha trasmesso la parola non scritta nei Libri Santi, alla quale si riferiscono spesso i Padri della Chiesa. Ma soprattutto ci ha trasmesso il pensiero rivelato e scritto nei Sacri Libri. Nel medesimo tempo ha approfondito questo pensiero in modo da penetrarne sempre più gli aspetti. La Chiesa, assistita da Dio, ha diretto questo duplice lavoro di trasmissione e di approfondimento. Il lavoro di trasmissione o di tradizione può considerarsi terminato con san Gregorio Magno, morto nel 604. Ma quello di approfondimento o di penetrazione, continua. La Chiesa assistita da Dio, nei Concili o per mezzo del Papa infallibile, ha definito i termini di questo lavoro di trasmissione e di approfondimento, o di solo approfondimento. È così che Dio dapprima si è fatto conoscere. Ma san Tommaso ci avverte che il linguaggio umano, sia pure pieno dell’assistenza di Dio, resta sempre umano, quindi relativo alle categorie del pensiero umano, enunciativo del mistero di Dio senza dubbio, ma in forma umana o, come si suol dire, in modo analogico. E ci dà questo avvertimento a proposito del più grande dei misteri, enunciato in linguaggio umano, il mistero di un solo Dio in tre persone (Summa theol. 1, q. 30, a. 3.). – Dio si è egualmente fatto conoscere per mezzo del sentimento umano, cioè mediante le intuizioni del cuore. E questa maniera di farsi conoscere, essendo più diretta, meno elaborata, meno umanizzata, ha maggiori probabilità di essere esatta. È ancora san Tommaso che ce ne avverte quando dice di avere appreso i misteri di Dio più nelle meditazioni davanti al crocifisso, che mediante la lettura di tutti gli scritti sacri o profani. Dio si è pure rivelato per mezzo dei fatti. Siamo a Cafarnao. Viene presentato a Gesù un paralitico. Di fronte alla fede di quest’uomo e di coloro che glielo hanno portato, Gesù gli dice: « Ti sono rimessi i tuoi peccati ». I Farisei presenti, Dottori della legge, Scribi, si scandalizzano. E che dicono, additando Gesù, ecco che Egli si attribuisce un  potere tutto divino, quello di rimettere i peccati — infatti, i peccati che sono offese di Dio, non possono essere rimessi se non da Dio solo — ecco che si fa eguale a Dio e si dice Dio. Egli bestemmia! E Gesù risponde: affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha veramente il potere di rimettere i peccati: « Alzati e cammina », dice al paralitico che si alza tosto e cammina. Qui Dio parla per mezzo di un fatto sull’importanza del quale nessuno può ingannarsi. Egli firma, accredita con un fatto, la dichiarazione del Salvatore e l’interpretazione che i Farisei ne dànno: Gesù è proprio eguale a Dio, è Dio. – Ma Dio parla ancora per mezzo degli elementi che sono nel mondo. Si serve pet questo dei più potenti: il vento, l’acqua, il fuoco. Con tali elementi, da Lui animati, Egli significa o simboleggia la Sua presenza, le diverse forme della Sua azione. Ed è specialmente lo Spirito Santo, la Sua presenza e i suoi molteplici interventi, che ha significato o simboleggiato servendosi degli elementi. Forse con questo modo di rivelarsi si fa conoscere meno. Il più delle volte non abbiamo delle nostre potenze fisiche e intellettuali, che una coscienza confusa. Un’osservazione più attenta di noi stessi ce le fa conoscere. Avviene lo stesso dello Spirito Santo. Ci muoviamo in Lui nell’ordine della natura e in quello della grazia. Troppo spesso non abbiamo di Lui che un sentimento vago. Si è anche potuto chiamarlo il « Divino Sconosciuto ». Ma lo sguardo penetrante della fede viva non s’inganna. E, per essa, il linguaggio degli elementi è più espressivo e rivelatore dell’umano linguaggio. Lo Spirito Santo è il Dio che la vivifica, il Dio che essa adora e glorifica con le sue dossologie, Colui per mezzo del quale va continuamente al Figlio, Verbo di Dio fatto uomo e, per il Figlio, al Padre.

1.

La parola Spirito, Spiritus, significa soffio, vento. Serve a designare la terza Persona della Santissima Trinità, perché questa divina Persona ci è stata rivelata ed è come un soffio, talvolta potente e maestoso, che scuote e rinnova la faccia della terra; tal’altra lieve e dolce che increspa la superficie delle riviere e dei laghi, fa ondulare le messi quasi mature, agita delicatamente le foglie dei grandi alberi, accarezza i fiori, rinfresca la nostra fronte: e, ancor più, perché la terza Persona dell’Augusta Trinità ci è stata rivelata ed è come quel soffio inspirato continuamente nei nostri polmoni per ossigenarvi il sangue, ed anche di continuo espirato per espellere dal sangue l’acido carbonico, duplice soffio d’inspirazione e di espirazione che chiamiamo respirazione, talmente necessaria alla nostra vita che la continuazione di essa mantiene e significa la vita e la sua cessazione, provoca e significa la morte. – Così lo Spirito Santo ci è stato rivelato ed è soprattutto come il soffio di Dio che producendo la respirazione in tutto ciò che vive, ne assicura la vita, e sospendendola, ne cagiona lo sfacelo e ben presto la morte. – Ma qui il simbolismo della respirazione si trasforma e si eleva. Lo Spirito Santo è come un duplice soffio che ci dà Dio e, dopo averci rinnovati, mediante la comunicazione della grazia e la purificazione dell’anima nostra, ci dà a Dio. Dio è Vita, Luce e Amore. Lo Spirito Santo è come un soffio che ci vivifica, c’illumina, c’infiamma e fatto questo, ci dà a Dio, Vita, Luce e Amore. Lo Spirito Santo ci prende e, dopo averci rinnovati, ci trascina nel movimento della vita divina. Dio formò l’uomo dal fango della terra e gl’ispirò in faccia il soffio della vita, leggiamo all’inizio del Genesi, e l’uomo divenne persona vivente (Gen. II, 7. È lo spirito che ci anima. Di qui queste due parole, spirito e anima per designare il principio misterioso, che è in noi capace di conoscete, stimare, pesare o pensare, capace anche di volere liberamente, e, come tale, spirituale e immortale, e che costituisce la nostra trascendenza. Unito sostanzialmente al nostro corpo, fa di noi ciò che siamo.). Diventò un essere vivente della vita naturale ed anche, nel medesimo tempo, della vita soprannaturale, come per mezzo della fede affermiamo. – Per essere il più possibile esatti, diciamo che, in questo soffio di Dio che ci anima, si può distinguere come un soffio creato, uno spirito creato, che chiamiamo il nostro spirito o l’anima nostra; poi un soffio creato consistente nel duplice movimento continuo d’inspirazione e di espirazione, che si chiama respirazione ed è necessario alla nostra vita terrena; quindi, immanente, ma distinto, sia nel soffio creato che è l’anima nostra, come nel soffio creato che è la nostra respirazione, un soffio increato che anima l’anima nostra e la nostra respirazione ed è come il soffio di Dio, la terza Persona della Santissima Trinità, lo Spirito Santo. – E, per essere questa volta, non soltanto esatti, ma completi, diciamo che vi è come il soffio di Dio nell’ordine naturale, che ha per termine la nostra vita semplicemente umana, e come il soffio di Dio nell’ordine soprannaturale che ha per termine la nostra vita in Dio mediante la fede e la carità. – Questo soffio di Dio, la Chiesa non cessa d’invitarlo, in un ordine o nell’altro, con questa preghiera che pone sulle labbra di coloro che lavorano — soprattutto di quelli che si dànno con slancio agli esercizi della vita spirituale e allo studio delle verità religiose — e che si affaticano, e vogliono santificare il proprio lavoro e la loro fatica: «Vieni, o Santo Spirito, riempi i cuori dei Tuoi fedeli, e accendi in essi il fuoco del Tuo amore ». « Manda il Tuo Spirito per mezzo del quale non cessi di conservare e di creare tutte le cose: e mediante il quale rinnoverai la faccia della terra ». – «Ti preghiamo, o Signore, che hai ammaestrato i cuori dei fedeli mediante il lume dello Spirito Santo; donaci in questo divino Spirito e per questo divino Spirito, di amare ciò che è vero e trovar sempre la nostra più grande gioia nelle sue consolazioni ». – Il simbolo del soffio, del vento, dello spirito, col quale abbiamo cercato di farci qualche idea della terza Persona dell’Augusta Trinità, ci ha messi di fronte ad una realtà assai complessa e misteriosa, sulla quale tuttavia è riuscito a proiettare un po’ di luce. Soprattutto questa. Lo Spirito Santo è il vincolo vivente che ci unisce a Dio, ci fa vivere in Dio nell’ordine della natura, come in quello della grazia. È come una respirazione misteriosa che ci dà Dio e, dopo averci rinnovati, ci dà a Dio. Con questa divina respirazione, è la vita: senza di essa, è la morte. Torna al pensiero, ma applicandola più particolarmente allo Spirito Santo, secondo, del resto, il suo significato profondo, la celebre parola dell’Apostolo san Paolo, il Dottore della teologia dello Spirito Santo: In ipso enim vivimus, et movemur, et sumus. Così egli insegnava all’Areopago, come già avevano detto alcuni filosofi greci (Atti XVII, 28). –

2.

Lo Spirito Santo è ancora simboleggiato o significato dall’acqua. È come un fiume d’acqua viva, scrive il veggente dell’Apocalisse: « E ostendit mihi fluvium aquæ vivæ, procedentem de sede Dei et Agni. Emi mostrò un fiume d’acqua viva, che scaturivano dal Trono di Dio e dell’Agnello » (Apoc. XXII; 1). Questo fiumed’acqua viva che procede dal Trono di Dio.cioè da Dio Padre, per l’Agnello, cioè il Verbo incarnato, simboleggia lo Spirito Santo, spiega Sant’Agostino (De Gen. contr. Manich. n. 37). E nel Salmo 45, 5, scrive lo stesso sant’Agostino (In Ps. 45, n. 5), si tratta pure dello Spirito Santo quando il Salmista esclama: « Fluminis impetus lætificat civitatem Dei: sanctificavit tabernaculum suum Altissimus.Il corso di un fiume rallegra la città di Dio,l’Altissimo ha santificato il Suo tabernacolo ».Secondo il Salmista, lo Spirito Santo è anche un fiume immenso che irriga, feconda e rallegra la città celeste, il santuario ove abita l’Altissimo.Se uniamo i due simboli dell’Apocalisse e del Salmista formandone uno solo, otteniamo un simbolo di potentissimo effetto. Lo Spirito Santo è come un fiume che dal Padre si frange nel Figlio, edal Figlio rimbalza verso il Padre trascinando seco la moltitudine delle anime beate, prima verso il Figlio, Verbo di Dio fatto uomo, in un movimento di contemplazione, cioè d’intuizione e d’amore, e, per il Figlio, verso il Padre. Eccoci elevati in piena vita trinitaria. La teologia dei Padri greci c’insegnerà infatti, che la vita trinitaria consiste in un movimento immenso e ineffabile, senza principio, senza soste, senza fine, che parte dal Padre e termina allo Spirito, passando per il Figlio, e si rivolge verso il Figlio, e dal Figlio, verso il Padre. Ne segue che, per lo Spirito Santo e nello Spirito Santo, tutte le anime degli eletti vivono in Dio nella più stretta unione. Esse vivono tra loro della vita più intensa e più intima che mai possa esistere. Nessuna parola umana diretta, può dire queste cose. Solo quel meraviglioso simbolo del fiume che si frange e del fiume che rimbalza, analogo al simbolo del duplice soffio respiratorio che ci dà Dio e ci dà a Dio, può lasciarle intravedere. È il cielo. Noi siamo sulla terra. Ora, in questo mondo, è mediante le proprietà dell’acqua, che lo Spirito Santo simboleggia o significale differenti forme della Sua attività nelle anime.« Rorate celi desuper, et nubes pluant Justum, aperiatur terra, et germinet Salvatorem.Cieli, spandete dall’alto la vostra rugiada e le nubi facciano piovere il Giusto.Si apra la terra e germini il Salvatore ».È questa la preghiera ardente che la liturgia prende dal libro di Isaia (Is. XLV, 8) e ne fa il motivo principale della sua supplica durante il tempo dell’avvento. Questa rugiada benefica, queste nubi abbondanti, che nel periodo di siccità s’invocano con desiderio così grande soprattutto nei paesi di Oriente, quasi nubes pluviæ in tempore. siccitatis (Eccli. XXXV, 26), sono ordinariamente, nei Libri Santi, simbolo dello Spirito Santo. Qui si domanda che la rugiada e le nubi si riversino sulla terra per provocarvi la fecondità e la germinazione. Simbolismo molto espressivo per significare l’attività dello Spirito Santo nel compimento del mistero dell’Incarnazione del Verbo. Infatti, è per opera dello Spirito Santo che il Figlio eterno del Padre si è fatto uomo. È per suo mezzo che si è operata la soprannaturale germinazione nel seno della Vergine Maria: Et incarnatus est de Spiritu Sancto, ex Maria Virgine: et homo factus est. È ancora mediante le proprietà dell’acqua che lo Spirito Santo simboleggia e significa la Sua attività nell’opera della nostra santificazione. «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva, » ha detto il Salvatore. « Dal seno di chi crede in me scaturiranno fiumi di acqua viva. Egli diceva questo, » scrive san Giovanni, « dello Spirito che dovevano ricevere e già ricevevano quelli che credono in Lui » (Giov. VII, 37-38). Ora quest’acqua mistica abbondante e rapida come le acque dei fiumi, che simboleggia e significa lo Spirito Santo, purifica il cuore mediante la penitenza, unisce l’intelligenza e la volontà a Dio per mezzo della fede, slancia l’anima verso Dio, Sommo Bene, mediante la speranza, ci unisce strettamente a Dio con la carità, stabilisce in noi un equilibrio moderatore con le virtù di prudenza, giustizia, fortezza, temperanza e con tutte quelle che da esse derivano. – Verrà istituito un sacramento che per mezzo dell’abluzione dell’acqua conferirà lo Spirito Santo, con tutte le grazie da esso simboleggiate o significate, e che tutti gli uomini dovranno ricevere per entrare nel regno dei Cieli. « Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum cælorum.Chi non rinascerà per acqua e Spirito Santo, non può entrare nel regno dei Cieli» (Giov. III, 5). Questo sacramento è il Battesimo. Così l’acqua diventa il simbolo, il segno, il sacramento, nel quale e per mezzo del quale lo Spirito Santo si comunica o vuol comunicarsi a tutti gli uomini, per rigenerarsi, purificarli, comunicar loro la Sua grazia, farne dei fratelli del Verbo di Dio fatto uomo, dei figli di Dio Padre. « Euntes ergo docete omnes gentes, baptizantes eos în nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Andate dunque ed ammaestrate tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e de Figlio e dello Spirito Santo » (Mt. XXVIII, 19). – Lo Spirito Santo ci è stato rivelato. come un soffio, un soffio inspiratore per mezzo del quale Egli ci dà Dio, per rinnovare l’anima nostra, e un soffio espiratore per mezzo del quale, una volta rinnovata l’anima nostra, ci diamo a Dio. Così, per lo Spirito Santo che è come la nostra divina respirazione, viviamo per mezzo di Dio, viviamo in Dio.

3.

Lo Spirito Santo ci è stato pure rivelato come un fiume che viene dal Padre per il Figlio, Verbo di Dio fatto uomo, e che trascina verso il Padre, per il Figlio. Quando si tratta degli eletti che sono in cielo, lo Spirito Santo viene e trascina, come in un flusso e riflusso continuo e armonioso. Nessun irrigidimento da parte delle anime beate: invece, una infinita docilità, il più perfetto slancio. Lo Spirito Santo dà all’anima il Verbo di Dio, Vita e Luce, e dà l’anima al Verbo di Dio, Vita e Luce. È la contemplazione al grado più elevato. Nello stesso modo, lo Spirito Santo viene in noi per darci il Verbo di Dio e trascinarci verso di Lui. Ma quale peso da sollevare, quante difficoltà da sormontare, quanti peccati da vincere! Talvolta lo Spirito Santo si adopera a ciò durante tutta la nostra vita, fino al termine di essa; non cede, non si ritira che di fronte alla nostra ultima cattiva volontà. – Così lo Spirito Santo è, per noi che viviamo sulla terra, lo Spirito purificatore. La purificazione si fa mediante la penitenza. Ed è unita all’illuminazione per mezzo della fede. E tale illuminazione è tanto più viva quanto la purificazione è più completa e profonda. La fede opera per mezzo della carità. La carità sarà tanto più perfetta quanto più la fede sarà viva. Il fuoco è ciò che purifica meglio. È una fiamma che illumina ed incendia. Esso significa mirabilmente le proprietà dello Spirito Santo. Quindi non reca stupore che lo Spirito Santo ci sia stato rivelato sotto il simbolo del fuoco. «Ignem veni mittere în terram et quid volo nisi ut accendatur? Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che posso desiderare se non che si accenda ?»(Lc. XII, 49). Il Salvatore diceva questo dello Spirito Santo che era venuto a portare sulla terra: lo Spirito Santo sarà come un fuoco che purificherà le coscienze,una luce che illuminerà le menti, una fiamma che incendierà i cuori, suscitando in essi l’ardore della carità, lo zelo, la dedizione, il sacrificio.Fate penitenza dei vostri peccati. È il primo e principale messaggio del Salvatore, come fu il messaggio di Giovanni Battista e quello di tutti i profeti. Entrando nel mondo Gesù aveva voluto che la Sua vita fosse presentata, nel suo insieme, quale omaggio di adorazione a Dio Suo Padre (Ebr. X, 5), in opposizione al rifiuto di adorazione che trovasi infondo ad ogni peccato degli uomini.Fin dall’inizio del Suo ministero pubblico, dichiara implacabile lotta al peccato. Lo insegue in tutti i partiti, Farisei, Sadducei, Pubblicani, non appartenendo per questo ad alcun partito; in tutti gli ambienti, giudeo, greco o gentile, in tutte le classi,tra i ricchi, come fra i poveri. Là ove trova il pentimento perdona e, in segno di perdono, opera miracoli. In cielo, Egli dichiara, si fa più festa per un peccatore pentito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di perdono. Al Getsemani, la sofferenza che lo opprimerà, che lo getterà nell’angoscia fino a provocare un sudore di sangue, sarà cagionata dalla vista chiarissima dell’ingratitudine del peccato degli uomini. È questa l’azione esteriore del Salvatore; la esercita già per lo Spirito. Santo. Essa è unita ad un’azione interiore intensa che,per lo Spirito Santo, il Salvatore opera nelle menti e nei cuori. Egli si applica a far comprendere e sentire a ciascuno tutto ciò che il peccato ha di odioso. Esso è ad un tempo un’offesa fatta a Dio, sovrano Signore, una disobbedienza alle Sue leggi,un’ingiustizia, un disordine, un errore, un’ingratitudine.L’uomo è stato creato per adorare Dio, amarlo e servirlo. Col peccato, ricusa di servire amare e adorare il suo Dio. Va contro il proprio destino; perde la sua ragione d’essere, si mette in opposizione col bene, col proprio bene. Sono le vedute, i sentimenti, i rimproveri, i rimorsi che, per mezzo dello Spirito Santo che Egli manda, il Salvatore non cessa di mantenere nelle coscienze. Una purificazione s’impone e deve tradursi in un raddrizzamento delle volontà e in un cambiamento di vita. In verità lo Spirito Santo è come un fuoco Purificatore acceso sulla terra dal Salvatore il quale vuole che arda. Fate penitenza, Egli dice, e credete. La purificazione delle coscienze si accompagnava all’illuminazione degli spiriti mediante la fede. Lo Spirito Santo che è come un fuoco che purifica, è nel medesimo tempo una luce che illumina. Dovete credere di avere un medesimo Padre che è nei cieli e di essere tutti fratelli senza distinzione di razze, di nazioni, di caste, di famiglie. Se tra voi scoppiano dei conflitti, cosa inevitabile, fate che si risolvano sotto il segno della fraternità umana che vi unisce. – Credete che la vita presente deve terminare in una vita che non finisce, la vita eterna, quindi deve esserne la preparazione, l’iniziazione, il principio. Credete molto di più. Il Verbo di Dio, Vita e Luce, si è fatto uomo. Ha comunicato all’umanità che ha assunto, la pienezza della Sua vita e della Sua luce, affinché, da questa umanità, mediante la fede e la comunione eucaristica, riceviamo della pienezza di questa vita e di questa luce. È per mezzo dello Spirito che il Verbo di Dio ci manda, che noi riceviamo, della pienezza di questa vita e di questa luce. Così lo Spirito Santo è la luce che brilla nello spirito e nel cuore di ciascun uomo. È un fuoco che brucia e una luce che illumina. Tutti uniti per la fede e l’Eucarestia, nel Verbo di Dio fatto uomo, tutti fratelli in Lui, ed in Lui figli del medesimo Padre che è nei cieli, un vincolo che deve unirci. Di questo vincolo, lo Spirito Santo è l’ispiratore, l’autore, l’anima. La volontà del divino Spirito è che tale vincolo diventi sempre più vivente, sempre più intimo e si manifesti mediante la dedizione e i sacrifici di ogni genere, e sia come una fiamma che incendia tutti i cuori. Così lo Spirito Santo, fuoco che purifica, luce che illumina, è anche una fiamma che incendia. Il fuoco è il simbolo che meglio significa lo Spirito Santo, la Sua, presenza e la Sua azione. – Quando il Salvatore ebbe compiuto sulla terra l’opera della nostra Redenzione, era necessario ricordare agli Apostoli i minimi particolari della vita di cui erano stati testimoni, fissarli nell’anima loro. Bisognava rammentare loro gl’insegnamenti ricevuti che non avevano quasi compresi e non avevano potuto comprendere, come Gesù stesso aveva detto. Erano imbevuti dei pregiudizi del loro tempo, ancora preoccupati dei loro meschini interessi e di quelli materiali di questo mondo. Restava da compiere in essi un lavoro di purificazione, d’illuminazione e di carità disinteressata. Sarà questa l’opera dello Spirito Santo. – Dieci giorni sono trascorsi dall’Ascensione del Salvatore. Gli Apostoli sono radunati nel Cenacolo, divenuto il luogo abituale della loro riunione. La mattina del decimo giorno, pregano con maggiore ardore del solito. La Santissima Vergine è in mezzo a loro. Si ode un rumore come di vento impetuoso che scuote la casa dove si trovano e quelle dei dintorni. Sul loro capo splendente di vivissima e purissima luce appaiono delle lingue di fuoco. Sotto il simbolo del fuoco, è lo Spirito Santo che viene in essi per purificarli, illuminarli, infiammare il loro cuore di carità ardente che si affermerà fino alla testimonianza del sangue. Con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, il Maestro adorato ed amato, il Verbo incarnato, asceso alla gloria, tornava tra loro, per partire con essi alla conquista del mondo. Sarà in mezzo a loro, con loro tutti i giorni, fino alla fine dei secoli, confermando con segni e miracoli la verità della dottrina che insegnano. Il fuoco, simbolo dello Spirito Santo, per opera del quale si compiono tutte queste cose, brilla ovunque, purifica, infiamma.

4.

Come si legge nel Genesi, alle origini dell’umanità sopravvenne un cataclisma per purificare gli uomini già tarati di ogni vizio. Quando tutto fu terminato, apparve nel cielo una colomba, la cui bianchezza è simbolo dell’innocenza, il cui canto lo è della dolcezza. Essa recava un ramo d’ulivo, emblema della pace. Da quel momento la colomba che porta il ramoscello d’ulivo è stata sempre considerata; in tutte le letterature religiose e profane, quale simbolo della pace. La colomba simboleggia lo Spirito Santo. Nei tempi antichi, sotto il segno della colomba recante il ramo di ulivo, lo Spirito Santo annunziava e portava al mondo la pace di Dio. «Io non maledirò più la terra a causa degli uomini, dice Dio, perché i sensi e i pensieri del cuore umano sono inclinati al male fin dall’adolescenza; quindi non colpirò più ogni vivente come ho fatto. Finché durerà la terra, sementi e messe, freddo e caldo, estate e inverno, notte e giorno non cesseranno mai » (Gen. VIII, 21-22). Sulle rive del Giordano, mentre Giovanni Battista battezzava il Salvatore, leggiamo nei tre Sinottici, una voce si fece udire: « Questo è il mio Figlio diletto: ascoltatelo » (Mt. III; 11-17; Mc. 1. 6-11; Lc. III; 15-22). Era la proclamazione dell’unzione messianica di cui Cristo era stato oggetto fin dal suo ingresso in questo mondo. Lo Spirito Santo, sotto il simbolo di una colomba, riposava sopra Gesù, per significare la missione della quale era rivestito e che Egli doveva continuare, attraverso il mondo, fino alla fine dei tempi: una missione di pace nell’ordine, nella verità, nella giustizia, nella carità, nel lavoro rimuneratore e benefico per tutti, sotto tutte le forme, per il bene degl’individui, delle famiglie, delle nazioni, dell’umanità. Spirito Santo che procedi dal Padre per il Figlio, vieni in noi!

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “CUM MULTA SINT”

« … dove la Religione viene soppressa, è inevitabile che vacilli la solidità di quei principi che sono il fondamento della salute pubblica, che ricevono grande vigore dalla Religione e che consistono soprattutto nel governare con giustizia e moderazione, nell’ubbidire per coscienza del proprio dovere, nel domare con la virtù la cupidigia, nel dare a ciascuno il suo, nel rispettare i beni altrui … ». Si tratta di uno dei passaggi chiave con cui il Sommo Pontefice Leone XIII si rivolge ai fedeli e ai Pastori spagnoli, invitandoli all’unità sociale sulla linea dei princìpi cattolici base della coabitazione pacifica di popoli e singoli. L’adesione alla Chiesa Cattolica deve avvenire con la stretta unione dei fedeli alla sacra Gerarchia, cioè in primis ai Vescovi, capi delle Chiese locali, a loro volta obbedienti e in sintonia perfetta con il Vicario di Cristo, capo in terra della vera ed unica Chiesa di Cristo, la Cattolica romana. Queste adesioni strutturano un corpo sociale solido avendo come fondamento e pietra angolare, il Cristo Figlio di Dio, e come anima l’azione dello Spirito Santo che abita mediante la grazia nei veri Cristiani. Su questa struttura modellante si conforma anche il corpo sociale e politico delle Nazioni che trae tutti i benefici materiali e morali idonei a creare uno sviluppo armonico delle parti ed il benessere di una vita vissuta nella fede e nella speranza della vita soprannaturale, quindi sulla carità. La mancanza di queste solide radici rende tutte le strutture traballanti, vacillanti e soggette alla rovina economica e sociale prima, spirituale poi. Ecco perché la nostra società pseudo-civile, fondata un tempo su valori cristiani, è oggi pressoché crollata in ogni suo aspetto senza che se ne possa vedere una ripresa seppur lontana. Eliminando la Pietra angolare su cui tutta la costruzione fonda, cioè Dio, il Cristo e la sua vera Chiesa, l’uomo ha creato le premesse per una catastrofe già in atto, e della quale sarà sempre più evidente lo sfascio fino al tracollo estremo e non più rimediabile. La realtà è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono guardare senza paraocchi, realtà per altro ben descritta dalle divine Scritture a più riprese e oggi irrimediabilmente materializzata. Fuori Dio, fuori il Cristo Re, fuori la sua vera Chiesa militante, Corpo mistico vivo, sostituita da una sinagoga infame ed ingannevole, si è diventati ancora una volta schiavi del serpente antico! Ma non ci illudiamo, non è finita qua sul nostro pianeta desinato al fuoco, il peggio arriverà dopo, nella vita eterna, e là … sarà pianto e stridor di denti.

CUM MULTA SINT

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

Pur essendo molti i meriti per cui eccelle la generosa e nobile nazione Spagnola, tuttavia è da porre in primo piano quello di aver conservato (dopo il vario succedersi di vicende e di uomini) l’antico e quasi ereditario amore per la fede cattolica, con il quale parvero sempre congiunte la salute e la grandezza del popolo Spagnolo. Molti motivi confermano un siffatto amore: specialmente il grande rispetto verso questa Sede Apostolica, del quale gli Spagnoli offrono spesso chiara testimonianza con ogni sorta di espressioni, con lettere, con generosità, con pellegrinaggi affrontati per motivi religiosi. Né si perderà la memoria di questi ultimi tempi in cui l’Europa ammirò il loro animo parimenti forte e puro, quando avversi eventi turbarono la Sede Apostolica. In tutti questi fatti, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, oltre ad una speciale grazia di Dio Noi ravvisiamo il frutto della vostra vigilanza e il lodevole comportamento del popolo stesso che in tempi così ostili al Cattolicesimo si stringe con tanto zelo alla Religione avita e non esita ad opporre alla grandezza dei pericoli pari grandezza e fermezza d’animo. Certamente non vi è nulla che con ragione non si possa sperare dalla Spagna, se a tale disposizione degli animi daranno sostegno l’amore e una durevole concordia di volontà. – Ma a questo proposito non nasconderemo la realtà; pensando al modo di agire che alcuni Cattolici di Spagna ritengono giusto adottare, l’animo Nostro è colto da un certo dolore che ha qualche somiglianza con quell’ansiosa sollecitudine sofferta un tempo dall’Apostolo Paolo per causa dei Corinzi. Si era conservata costà una sicura e tranquilla concordia dei Cattolici, sia tra loro, sia soprattutto coi Vescovi; a tal proposito Gregorio XVI, Nostro Predecessore, giustamente lodò il popolo Spagnolo poiché gran parte di esso “perseverava nel suo antico rispetto verso i Vescovi e verso i pastori più umili, costituiti secondo i canoni” . Ora però, sopraggiunte le passioni di parte, appaiono tracce di dissensi che dividono gli animi quasi in diverse schiere, e non poco turbano quelle stesse società che si erano formate per merito della Religione. Accade spesso che tra coloro che discutono circa il modo migliore di difendere il Cattolicesimo, l’autorità dei Vescovi sia considerata meno del dovuto. Anzi, talora se il Vescovo dà un suggerimento, se prende una decisione conforme ai propri poteri, non mancano coloro che provano fastidio o apertamente contestano, mostrando di credere che egli abbia voluto favorire gli uni e nuocere ad altri. – In verità si avverte chiaramente quanto sia importante conservare intatta la concordia degli animi, tanto più che fra una così rilevante e diffusa licenza di opinioni aberranti, in una così aspra e insidiosa ostilità verso la Chiesa Cattolica, è assolutamente necessario che tutti i Cristiani, unendo le loro forze e con il più attivo concorso delle volontà, resistano in modo da non soccombere separatamente, vinti dall’astuzia e dall’impeto degli avversari. Pertanto, sospinti dal pensiero di siffatte difficoltà, con questa lettera facciamo appello a Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, e vi chiediamo con insistenza che, come interpreti dei Nostri salutari ammonimenti, usiate la Vostra prudenza e la Vostra autorità per consolidare la concordia. – Sarà inoltre opportuno, in primo luogo, ricordare la interdipendenza delle questioni religiose e civili, poiché molti cadono nell’errore opposto. Taluni, infatti, sono soliti distinguere la politica dalla Religione, non solo ma addirittura le disgiungono nettamente in modo che nulla vi vogliono scorgere di comune né ritengono che l’una possa influire sull’altra. Costoro, per certo, non sono molto lontani da chi preferisce una società costituita e amministrata senza Dio Creatore e Signore di tutte le cose, e incorrono in un errore tanto più grave in quanto avventatamente sottraggono allo Stato una copiosa fonte di beni. Infatti, dove la Religione viene soppressa, è inevitabile che vacilli la solidità di quei principi che sono il fondamento della salute pubblica, che ricevono grande vigore dalla Religione e che consistono soprattutto nel governare con giustizia e moderazione, nell’ubbidire per coscienza del proprio dovere, nel domare con la virtù la cupidigia, nel dare a ciascuno il suo, nel rispettare i beni altrui. – Ma come si deve evitare un errore tanto empio, così anche si deve rifuggire dalla contraria opinione di coloro che mescolano la Religione con qualche fazione civile e le confondono in un unico insieme fino al punto che coloro che sono di altro partito sono ritenuti quasi disertori del Cattolicesimo. Questo significa sospingere avventatamente le fazioni politiche nel campo augusto della religione: voler spezzare la concordia fraterna, spalancare l’ingresso e la porta a una funesta serie di sventure. – Pertanto, è necessario che si tengano separate, nel giudizio e nella opinione, la sfera del sacro da quella della politica, che per origine e per natura sono distinte. Infatti, questo genere di questioni civili, per quanto oneste e serie di per se stesse, non oltrepassano mai i confini della vita che conduciamo in terra. Invece la Religione che, nata da Dio, a Dio tutto riconduce, si espande più in alto e raggiunge il cielo. Essa infatti questo vuole, a questo tende: a educare l’animo, che è la parte più nobile dell’uomo, nella conoscenza e nell’amore di Dio e a condurre sicuramente tutto il genere umano nella futura città che andiamo cercando. Perciò è giusto che si consideri di ordine superiore la Religione e tutto ciò che ad essa è collegato con un vincolo particolare. Da ciò deriva che, essendo il sommo bene, essa deve conservarsi integra nella varietà delle umane vicende e nelle stesse mutazioni delle comunità statali: infatti essa abbraccia tutte le distanze di tempo e di luogo. I fautori di partiti opposti, pur dissentendo in parte, devono poi tutti convenire sulla necessità che il Cattolicesimo sia fatto salvo nel consorzio umano. – A codesto nobile e necessario devono tendere con ardore, e quasi stretti ad un patto, tutti coloro che amano il nome cattolico; devono tacere un poco sulla questione politica, pur essendo diverse le opinioni che si vorrebbero imporre e che al momento opportuno possono essere difese in modo legittimo e onesto. Infatti, la Chiesa non condanna affatto attività di tal genere se non contrastano con la Religione e con la giustizia; ma estranea ad ogni chiassoso contrasto, continua l’opera sua in favore del comune vantaggio, nell’amare con sentimento materno tutti gli uomini, soprattutto coloro la cui fede e pietà sono più grandi. – La concordia di cui abbiamo parlato è il fondamento stesso del Cristianesimo e di ogni bene ordinata repubblica; cioè l’obbedienza al legittimo potere che, comandando, vietando, guidando, rende pienamente concordi i mutevoli animi degli uomini. A questo proposito ricordiamo cose note e conosciute da tutti: tali, tuttavia, da non serbare soltanto nella memoria ma da rispettare nei costumi e nel comportamento quotidiano come regola della propria attività. E come il Pontefice Romano è maestro e principe di tutta la Chiesa, così i Vescovi sono i rettori ed i capi delle Chiese che i singoli, secondo il rito, hanno il mandato di governare. È buona norma che essi, ciascuno nella propria giurisdizione, presiedano, ammaestrino, correggano e in generale decidano sulle questioni che riguardano la vita cristiana. Infatti essi sono partecipi della sacra potestà che Cristo Signore ricevette dal Padre e lasciò alla Sua Chiesa: per questo motivo il Nostro Predecessore Gregorio IX disse ai Vescovi: “Non abbiamo alcun dubbio che i chiamati ad affrontare parte dei Nostri doveri religiosi sono da considerare vicari di Dio” . E questo potere appartiene ai Vescovi con sommo vantaggio di coloro sui quali esso si esercita: infatti per sua natura mira alla “edificazione del corpo di Cristo” e agisce in modo che ogni Vescovo unisca e quasi incateni nella comunione della fede e della carità i Cristiani ai quali è preposto, tra loro e col Sommo Pontefice, come membra con il capo. In materia è importante la sentenza di San Cipriano: “La Chiesa consiste in loro, nel popolo che si aduna attorno al sacerdote, nel gregge che si stringe attorno al suo Pastore”. Più importante è quest’altra: “Devi sapere che il Vescovo è nella Chiesa, e la Chiesa nel Vescovo, e se qualcuno non è col Vescovo, non è nella Chiesa”. Tale è la costituzione della repubblica cristiana, ed è immutabile e perenne; se non verrà religiosamente osservata, è inevitabile che sopravvenga un profondo turbamento dei diritti e dei doveri una volta che venga sciolto l’ordinamento delle membra, sapientemente unite nel corpo della Chiesa, “il quale, strutturato e costruito con nessi e correlazioni, cresce in gloria di Dio” (Col II,19). Da tutto ciò risulta che verso i Vescovi occorre usare il rispetto dovuto alla dignità del loro ufficio, e che occorre obbedire in quei casi che rientrano nel loro potere. – Considerate dunque le passioni che costì agitano molte coscienze in questi tempi, non solo esortiamo ma scongiuriamo tutti gli Spagnoli perché si ricordino di questo così importante dovere. E specialmente procurino con ogni impegno di praticare la modestia e l’obbedienza coloro che fanno parte del Clero, le parole e l’azione dei quali hanno ovunque grande influenza in ogni parte come esemplari. Sappiamo che quanto essi fanno nell’adempimento del proprio dovere sarà assai fruttuoso per loro e salutare per il prossimo se si piegheranno agli ordini e al cenno di colui che regge le sorti della Diocesi. Invero, i sacerdoti che si abbandonano alle passioni di parte in modo da sembrare più solleciti dei beni umani che dei celesti, non si comportano come esige la loro missione. Comprendano dunque che si devono guardare dal varcare i limiti della serietà e della misura. Adottata questa cautela, siamo certi che il Clero Spagnolo si renderà ogni giorno più benemerito, con la virtù, con la dottrina, col sacrificio, non meno della salute delle anime che del progresso civile. – In soccorso dell’opera sua giudichiamo assai opportune quelle associazioni che sono come le schiere ausiliarie nel promuovere il cattolicesimo. Pertanto, approviamo la loro istituzione e la loro attività, e desideriamo vivamente che, crescendo in numero e in impegno, producano frutti sempre più abbondanti. Invero, qualora essi si propongano la tutela e la diffusione del Cattolicesimo, e le questioni cattoliche siano affrontate nelle singole Diocesi dal Vescovo, ovviamente consegue che esse siano soggette ai Vescovi ed è doveroso attribuire gran merito alla loro autorità e al loro comando. E non meno essi devono impegnarsi nel preservare l’unione degli animi: infatti è in primo luogo comune ad ogni gruppo di persone far derivare la loro forza ed efficienza dal concorso delle volontà; quindi, sommamente conviene che in tali sodalizi risplenda il mutuo amore, il quale deve essere compagno di ogni opera buona e distinguere i seguaci della dottrina cristiana come un segnale e un vessillo. E siccome gli associati possono facilmente avere opinioni diverse circa lo Stato, perché non sia spezzata la concordia degli animi dalle opposte passioni di parte, occorre ricordare a qual fine tendano le associazioni che prendono il nome di cattoliche; nel prendere decisioni, occorre volgere gli animi verso l’unico proposito di non appartenere a nessuna fazione, memori della divina sentenza di San Paolo: “Tutti voi che siete battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non vi è più Giudeo né Greco, non vi é più schiavo né uomo libero… tutti voi, infatti, siete uno in Cristo” (Gal III, 27-28). In questo modo si avrà il vantaggio che non solo i singoli soci ma anche le varie associazioni del genere si troveranno tra loro in amichevole e benevolo rapporto: il che occorre perseguire con grande zelo. Deposte dunque, come dicemmo, le passioni di parte, saranno anche rimosse le prevalenti cause di nefaste competizioni; ne verrà di conseguenza che una sola causa attiri a sé tutti, in quanto eccelsa e nobilissima, tale da non consentire alcun dissenso tra i Cattolici degni di questo nome. – Infine, è di grande importanza che si adeguino a questa stessa disciplina coloro che con gli scritti, specialmente se quotidiani, combattono per l’integrità della Religione. Ci è noto a qual fine essi tendano, e con quanta volontà si battano, né possiamo fare a meno di rivolgere loro la giusta lode di meritarsi il nome di Cattolici. Invero la causa da essi abbracciata è tanto eccellente e sublime che richiede molte qualità, alle quali non devono venir meno i difensori della giustizia e della verità: infatti essi, adempiendo ad un dovere, non possono trascurare gli altri. Dunque, gli avvertimenti che rivolgemmo alle associazioni, li rivolgiamo anche agli scrittori, affinché, rimossi i contrasti, assicurino con la dolcezza e la mansuetudine l’unione degli animi sia tra loro, sia nel popolo: l’opera degli scrittori, infatti, ha molto potere su entrambe le parti. Nulla poi è così avverso alla concordia come le parole aspre, i sospetti temerari, le simulazioni sleali: pertanto è necessario rifuggire con la massima cautela da tutto ciò, fino ad odiarlo. Per i sacri diritti della Chiesa, per i principi del Cattolicesimo non si ricorra ad aspre dispute, ma queste siano moderate e temperate, tali da assicurare allo scrittore la vittoria nel conflitto, più con il peso della ragione che con uno stile troppo veemente ed aspro. – Siamo convinti che queste norme pratiche possono contribuire moltissimo a rimuovere le cause che impediscono la perfetta concordia degli animi. Sarà vostro compito, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, farvi interpreti del Nostro pensiero presso il popolo e impegnarvi per quanto vi è possibile, in modo che tutti regolino la loro vita quotidiana secondo quanto dicemmo. Confidiamo che gli Spagnoli seguiranno spontaneamente questi precetti, sia per la nobile disposizione d’animo verso questa Sede Apostolica, sia per gli auspicabili benefìci della concordia. Richiamino alla memoria i domestici esempi; pensino che i loro antenati, se compirono molte imprese, in patria e altrove, con splendido valore, questo avvenne non certo per aver dissipato le energie nelle contese, ma per aver agito con animo e mente concordi. Infatti, animati da amore fraterno e “avendo gli stessi sentimenti l’uno per l’altro”, trionfarono sul vessatorio dominio dei Mori, sulla eresia, sullo scisma. Seguano dunque le orme di coloro da cui trassero la fede e la gloria e imitandoli facciano in modo di essere riconosciuti non solo eredi di quel loro nome, ma anche delle loro virtù. – D’altra parte riteniamo, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, che per ottenere l’unione degli animi e l’uniformità della disciplina, giovi che vi riuniate in consiglio, quanti siete nella vostra provincia di residenza, tra voi e con l’Arcivescovo, per consultarvi insieme sui comuni problemi; quando poi la situazione lo richieda, è opportuno rivolgersi a questa Sede Apostolica, da cui promanano l’integrità della fede e la virtù della disciplina insieme con la luce della verità. I pellegrinaggi che ovunque dalla Spagna si dipartono, offrono, in proposito, una agevole opportunità d’incontro. Infatti, a comporre dissidi e a dirimere controversie nulla è più idoneo della voce di Colui che Cristo Signore, Principe della Pace, designò come vicario del Suo potere, nonché l’abbondanza dei carismi celesti che in gran copia emanano dai sepolcri degli Apostoli. – Ma poiché “ogni nostra capacità viene da Dio” pregate fervidamente Dio insieme con Noi perché renda efficaci le Nostre ammonizioni e disponga l’animo dei popoli pronto all’obbedienza. L’augusta Madre di Dio Maria Vergine Immacolata, patrona degli Spagnoli approvi le comuni imprese; ci assista l’Apostolo Giacomo; ci assista Teresa di Gesù, vergine legislatrice, grande luce di Spagna, nella quale l’amore della concordia, la carità di patria, l’obbedienza cristiana rifulsero come ammirevole esempio. – Frattanto, auspice di celesti doni e testimonianza della Nostra paterna benevolenza verso Voi tutti, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, e verso tutte le genti di Spagna, impartiamo con affetto, in nome del Signore, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 dicembre 1882, anno quinto del Nostro Pontificato.

DOMENICA IV DI AVVENTO (2021)

IV DOMENICA DI AVVENTO (2021)

Stazione alla Chiesa dei 12 Apostoli.

Dom. privil. Semid. di II cl. Paramenti violacei.

Come tutta la liturgia di questo periodo, la Messa della Quarta Domenica dell’Avvento, ha lo scopo di prepararci al doppio Avvento di Cristo, avvento di misericordia a Natale, nel quale noi commemoriamo la venuta di Gesù, e avvento di giustizia alla fine del mondo. L’Introito, il Vangelo, l’Offertorio e il Communio fanno allusione al primo, l’Epistola si riferisce al secondo, e la Colletta, il Graduale e l’Alleluia possono applicarsi all’uno e all’altro. Le tre grandi figure delle quali si occupa la Chiesa durante l’Avvento ricompaiono in questa Messa. Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria. Il Profeta Isaia annuncia di S. Giovanni Battista, ché egli è: « … la voce di colui che grida nel deserto: preparate la via del Signore, appianate tutti i suoi sentieri, perché ogni uomo vedrà la salvezza di Dio ». E la parola del Signore si fece sentire a Giovanni nel deserto: ed egli andò in tutti i paesi intorno al Giordano e predicò il battesimo di penitenza (Vang.). « Giovanni, spiega S. Gregorio, diceva alle turbe che accorrevano per essere battezzati da lui: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire la collera che sta per venire? La collera infatti che sovrasta è il castigo finale, e non potrà fuggirlo il peccatore, se non ricorre al pianto della penitenza. « Fate dunque frutti degni di penitenza. In queste parole è da notare che l’amico dello sposo avverte di offrire non solo frutti di penitenza, ma frutti degni di penitenza. La coscienza di ognuno si convinca di dover acquistare con questo mezzo un tesoro di buone opere tanto più grande quanto egli più si fece del danno con il peccato » (3° Nott.). « Iddio, dice anche S. Leone, ci ammaestra Egli stesso per bocca del Santo Profeta Isaia: Condurrò i ciechi per una via ch’essi ignorano e davanti a loro muterò le tenebre in luce, e non li abbandonerò. L’Apostolo S. Giovanni ci spiega come s’è compiuto questo mistero quando dice: Noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza perché possiamo conoscere il vero Iddio ed essere nel suo vero Figlio » (2° Nott.). – Per il grande amore che Dio ci porta ha inviato sulla terra il Suo unico Figlio, che è nato dalla Vergine Maria. Proprio questa Vergine benedetta ci ha dato di fatto Gesù; così, nel Communio, la Chiesa ci ricorda la profezia di Isaia: « Ecco che una Vergine concepirà e partorirà l’Emmanuele », e nell’Offertorio Ella unisce in un solo saluto le parole indirizzate a Maria dall’Arcangelo e da Santa Elisabetta, che troviamo nei Vangeli del mercoledì e del venerdì precedenti: « Gabriele, (nome che significa « forza di Dio »), è mandato a Maria — scrive S. Gregorio — perché egli annunziava il Messia che volle venire nell’umiltà e nella povertà per atterrare tutte le potenze del mondo. Bisognava dunque che per mezzo di Gabriele, che è la forza di Dio, fosse annunciato Colui che veniva come il Signore delle Virtù, l’Onnipotente e l’Invincibile nei combattimenti, per atterrare tutte le potenze del mondo » (35° Serm.). La Colletta fa allusione a questa «grande forza» del Signore, che si manifesta nel primo avvento, perché è nella sua umanità debole e mortale che Gesù vinse il demonio, come anche ci parla dell’apparizione della sua «grande potenza» che avverrà al tempo del suo secondo avvento, quando, come Giudice Supremo, verrà nello splendore della sua maestà divina, a rendere a ciascuno secondo le sue opere (Ep.). Pensando che, nell’uno e nell’altro di questi avventi, Gesù, nostro liberatore, è vicino, diciamogli con la Chiesa « Vieni Signore, non tardare ».

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Exod XVI :16; 7
Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]


Ps XXIII: 1
Dómini est terra, et plenitúdo ejus: orbis terrárum, et univérsi, qui hábitant in eo.

[Del Signore è la terra e quanto essa contiene; il mondo e e tutti quelli che vi abitano.]

Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus.

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]

Oratio  

Oremus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: et magna nobis virtúte succúrre; ut per auxílium grátiæ tuæ, quod nostra peccáta præpédiunt, indulgéntiæ tuæ propitiatiónis accéleret:

[O Signore, Te ne preghiamo, súscita la tua potenza e vieni: soccòrrici con la tua grande virtú: affinché con l’aiuto della tua grazia, ciò che allontanarono i nostri peccati, la tua misericordia lo affretti.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Corinthios
1 Cor IV: 1-5
Fratres: Sic nos exístimet homo ut minístros Christi, et dispensatóres mysteriórum Dei. Hic jam quaeritur inter dispensatóres, ut fidélis quis inveniátur. Mihi autem pro mínimo est, ut a vobis júdicer aut ab humano die: sed neque meípsum judico. Nihil enim mihi cónscius sum: sed non in hoc justificátus sum: qui autem júdicat me, Dóminus est. Itaque nolíte ante tempus  judicáre, quoadúsque véniat Dóminus: qui et illuminábit abscóndita tenebrárum, et manifestábit consília córdium: et tunc laus erit unicuique a Deo.

[ “Fratelli miei, così ci consideri ognuno come ministri di Cisto, e dispensatori dei misteri di Dio. Del resto poi ciò che si richiede ne’ dispensatori è che sian trovati fedeli. A me pochissimo importa di esser giudicato da voi, o in giudizio umano; anzi nemmeno io giudico di me stesso. Poiché non ho coscienza di nessun male; ma non per questo sono giustificato; e chi mi giudica, è il Signore. Onde non vogliate giudicare prima del tempo, finché venga il Signore: il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre, e manifesterà i consigli de’ cuori, ed allora ciascuno avrà lode da Dio”.]

A qual fine la Chiesa fa leggere oggi questa lettera?

Per avvertire quelli che ieri ricevettero i sacri Ordini a distinguersi per la fedeltà ai loro doveri e per la santità della vita, quanto sono distinti per l’alta dignità del loro stato; per ispirare il rispetto dovuto ai sacerdoti. che sono i ministri di Gesù Cristo, e i dispensatori dei divini misteri; ed in ultimo per ricordare ai Fedeli questa seconda venuta del Figliuolo dell’uomo; ed invitarli così a giudicarsi da se stessi, a purificare il loro cuore per la festa del Natale, ed a ricevere degnamente Gesù Cristo come Salvatore, sicché non l’abbiamo a temer come Giudice.

Perché S. Paolo non voleva giudicar se stesso?

Perché non sapeva come Dio lo giudicava, sebbene di niente gli rimordesse la coscienza: senza una rivelazione di Dio, nessuno sa se sia degno d’amore o d’odio. Dio scandaglia i cuori e le reni; nulla può sfuggire al suo sguardo, ed i giudizi di Lui sono ben differenti da quelli degli uomini, che accecati dall’amor proprio e dalla passione, spesso non vedono il male che fanno; nascondono sé a se stessi, e si giustificano quando dovrebbero condannarsi. Tale si crede innocente e si riguarda come santo, che al giorno poi del giudizio sarà ricoperto di confusione, quando Dio svelerà in faccia all’universo tutte le azioni di lui e tutti gli interni segreti. Non giudichiamo gli altri; di loro ci è ignoto l’interno; ma giudichiamo noi stessi: esaminiamoci accuratamente, pesiamo tutte le nostre azioni, scendiamo nel fondo della nostra coscienza, frugando tutte le pieghe e i nascondigli del nostro cuore; ed imiteremo s. Paolo che si giudicava così da se stesso; ma imitiamo parimente s. Paolo che in un altro senso non si giudicava da sé, cioè se dopo un’esatta ricerca, non troviamo nulla di riprensibile in noi, senza troppo fidarci del nostro giudizio, rimettiamo a Dio il giudizio definitivo, ed affatichiamoci per la nostra salvezza con timore e tremito, ponendo la confidenza nella misericordia del Signore.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale 

Ps CXLIV:18; CXLIV:  21
Prope est Dóminus ómnibus invocántibus eum: ómnibus, qui ínvocant eum in veritáte.

[Il Signore è vicino a quanti lo invocano: a quanti lo invocano sinceramente.]


V. Laudem Dómini loquétur os meum: et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus.

[La mia bocca dia lode al Signore: e ogni mortale benedica il suo santo Nome.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
V. Veni, Dómine, et noli tardáre: reláxa facínora plebis tuæ Israël. Allelúja

[Vieni, o Signore, non tardare: perdona le colpe di Israele tuo popolo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc III:1-6
Anno quintodécimo impérii Tibérii Cæsaris, procuránte Póntio Piláto Judæam, tetrárcha autem Galilaeæ Heróde, Philíppo autem fratre ejus tetrárcha Ituraeæ et Trachonítidis regionis, et Lysánia Abilínæ tetrárcha, sub princípibus sacerdotum Anna et Cáipha: factum est verbum Domini super Joannem, Zacharíæ filium, in deserto. Et venit in omnem regiónem Jordánis, praedicans baptísmum pæniténtiæ in remissiónem peccatórum, sicut scriptum est in libro sermónum Isaíæ Prophétæ: Vox clamántis in desérto: Paráte viam Dómini: rectas fácite sémitas ejus: omnis vallis implébitur: et omnis mons et collis humiliábitur: et erunt prava in dirécta, et áspera in vias planas: et vidébit omnis caro salutáre Dei.”

“L’anno quintodecimo dell’impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Ponzio Pilato, e tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello, tetrarca dell’Idurea della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i Pontefici Anna e Caifa, il Signore parlò a Giovanni figliuolo di Zaccaria, nel deserto. Ed egli andò per tutto il paese intorno al Giordano, predicando il battesimo di  penitenza per la remissione dei peccati: conforme sta scritto nel libro dei sermoni d’Isaia profeta: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore; raddrizzate i suoi sentieri: tutte le valli si riempiranno, e tutti i monti e le colline si abbasseranno: e i luoghi tortuosi si raddrizzeranno, e i malagevoli si appianeranno: e vedranno tutti gli uomini la salute di Dio”. (Luc. III, 1-6).

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

APRI IL TUO CUORE AL SIGNORE CHE NASCE

Pochi giorni ci separano dal santo Natale. Penso a molti secoli fa, nell’imminenza del grande avvenimento, quando a Betlemme gremita di forestieri, entrarono due modesti sposi che venivano da Nazareth. Penso alla trepidazione di Giuseppe che supplicava con la parola e con gli occhi sulle porte degli alberghi, perché facessero al Padrone del mondo un po’ di posto, per nascere. In mezzo agli uomini non ce n’era più: dovette trovarglielo in mezzo alle bestie. Se per il prossimo Natale S. Giuseppe ritornasse a cercargli un posto, lo credereste più fortunato dopo venti secoli? Purtroppo il crudele rifiuto si ripeterebbe punto per punto. Immaginiamolo. – Ecco S. Giuseppe batte alla porta del ministero di qualche nazione moderna, ove si forgia il destino dei popoli, e chiede umilmente: « Fate la carità di un posto per nascere al Re del Cielo! ». «Ma non c’è più il Cielo. Non sapete ch’era una fandonia inventata per tener quieti quelli che non potevano mangiare abbastanza sulla terra?… ». «…È il Padrone del mondo ». «Il padrone del mondo siamo noi. Noi lo coltiviamo con le macchine e con i concimi chimici, noi lo scaviamo per estrarne oro e petrolio, noi lo percorriamo inalto e basso, per lungo e per traverso, con treni, con navi, con aeroplani. E poiché il rombo del temporale non fa più paura, noi lo spaventiamo con il rombo dei cannoni e lo scoppio delle bombe atomiche ». «… È Dio ». «Silenzio! Noi abbiamo le temibili organizzazioni dei « Senza Dio ». Ed ecco S. Giuseppe in giro per le città moderne. Batte alla porta dei cinema e dei teatri, dei caffè, delle osterie, ma spesso si vedono e si dicono cento cose che non è conveniente siano udite o viste dalla Vergine Maria: e lo respingono. Batte alla porta di negozi e di officine, ma si sente dire in faccia: « Indietro! Se ti facciamo un posto, poi bisognerà osservare la morale nel commercio. E con la morale non si fanno affari, e si va alla malora ». Batte alle edicole dei giornali, per chiedere se qualcuno inserisca tra gli avvisi economici una domanda d’alloggio per lui e per la Vergine Maria, e per il Bambino che deve nascere. «Ah no! — gli rispondono. — Se incominciamo a mettere sui giornali i nomi dei Santi e le cose vere e serie della Madonna e del Signore, i lettori s’infastidiscono, e non li vogliono più leggere. Perfino i Cattolici preferiscono i giornali un po’ liberali e larghi, e lasciano volentieri entrare in casa certi settimanali, illustrati magari con poca arte, ma con molta immodestia… » S. Giuseppe si decide a battere alla porta di famiglie private. Gli viene incontro il capo di casa che gli getta addosso uno sguardo non incoraggiante. « Impossibile; non ho stanze. Di figliuoli in casa non ne voglio più, primo perché non ho posto, e poi perché mia moglie ha già troppi fastidi, figurarsi se posso prendermi in casa un figlio di altri, sia pure il Figlio di Dio! ». – Che resta ancora a S. Giuseppe? Gli resta da battere alla porta del nostro cuore. Non lo sentite parlarvi, in questi giorni di santa aspettativa, con la voce della coscienza, con la voce della liturgia, con la voce innocente dei vostri bambini? « Apri il tuo cuore al Signore che nasce ». Il tuo cuore! da quanto tempo è forse ingombro di passioni cattive e di affetti illeciti e di peccati non confessati, o confessati male, o confessati senza né dolore né proponimento! Il nostro cuore forse è diventato una regione dove il demonio impera con la sua legge d’orgoglio, con i piaceri della sensualità, con le frodi e le ipocrisie. Come quando in una città deve arrivare il Re, ferve da per tutto il lavoro di pulizia, di riordino, di abbellimento, così con tutte le forze dobbiamo in questi giorni lavorare, nel raccoglimento, intorno al nostro cuore per disporvi le degne accoglienze al Re dei re. E che dobbiamo fare? Ce lo dice S. Giovanni nel Vangelo di questa domenica. « Udite la voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore. Spianate i monti.  Coltivate le valli. Raddrizzate i sentieri tortuosi ». – SPIANATE I MONTI. Le vette da rovesciare sono quelle irte e gelide dell’odio e del rancore. Nel Vangelo è detto: « Da questo vi riconoscerò per miei discepoli se vi amerete tra di voi» (Giov., XIII, 35). Ecco che Gesù viene nel santo Natale, e guarda i cuori che sono suoi, per entrarvi. Ma dove c’è rancore, desiderio di vendetta, odio, Egli non li riconosce per suoi, e non entra. Nel Vangelo è detto: « Se stai per presentarti all’altare e ti ricordi che c’è una ruggine tra te e il tuo fratello, torna indietro, e va prima a riconciliarti » (Mt., V, 23-24). Se questo comandamento vale per ogni occasione, tanto più nella massima festa cristiana del santo Natale. «Ho già perdonato una volta e due — si scuserà qualcuno — ma poi mi ha fatto peggio ». Anche questo caso è contemplato nel Vangelo. « Se tuo fratello ha sbagliato verso di te, perdonagli. E quand’anche sbagliasse sette volte al giorno, se egli venisse sette volte al giorno a chiederti scusa, tu sempre gli perdonerai ». (Lc., XVII, 3-4). COLMATE LE VALLI. Le valli da colmare, acquitrinose e malariche, donde esala un’aria febbricosa. sono quelle dei piaceri sensuali, degli affetti morbidi, dei desideri impuri. Per nascere, al Figlio di Dio non importò né di ricchezze, né di casa, né di cuna. D’una sola cosa non poté fare a meno, essendo Dio: della purezza. Nacque da una Vergine. Beati quelli che saranno trovati in questi giorni col cuore puro: la grazia del santo Natale li inonderà, sentiranno la bellezza e il fascino di questa virtù che ci rende capaci di vedere Dio, godranno la pace promessa dagli Angeli agli uomini di buona volontà. Buona volontà di mortificare i sensi e il cuore, perché Dio non può nascere « dove i demoni ballano e le sirene fanno il nido ». (S. GEROLAMO, P. L. XXII, 398). – RETTIFICARE I SENTIERI TORTUOSI. I sentieri tortuosi sono tutte quelle vie coperte di frodi, di furti più o meno piccoli, di inganni, di bugie, di sotterfugi di cui troppo spesso si lascia inquinare anche l’uomo onesto. « Sono inezie, è un danno di cui non s’accorge nessuno! ». – « Colui che è fedele nelle piccole cose è anche fedele nelle grandi, e colui ch’è infedele nelle piccole è anche infedele nelle grandi ». (Lc., XVI, 10). – «Fanno tutti così ». Eppure vi dispiacerebbe che si sapesse che anche voi fate come tutti; che si sapesse quella vostra astuzia, o la provenienza di quella roba, o il modo di farvi dare quel denaro. E del Signore, che lo sa non vi rincresce? Non temete la sua giustizia? S. Giovanni grida ancora nel deserto: « Ah, gente tortuosa come le vipere chi vi insegnerà a sfuggire l’ira ventura? Viene il Signore col ventilabro, e separerà nettamente il grano dalla pula ». Raddrizzate i sentieri del vostro lavoro e del vostro commercio. – S. Francesco d’Assisi, parecchi giorni prima della festa di Natale, chiamò un uomo molto pio, di nome Giovanni, e gli disse che desiderava passare il Natale a Greccio. Doveva però preparargli nella foresta un presepio con la mangiatoia e col bue e l’asino, per rappresentare in una maniera viva il mistero della divina nascita. Nella santa notte arrivò la gente da tutte le parti con fiaccole e con lanterne: tutta la foresta palpitava di luce e risonava di gioia, Francesco con i suoi frati, in ginocchio, cantava le lodi del Signore davanti alla mangiatoia. Fu allora che al buon Giovanni parve di vedere una cosa meravigliosa. Nella greppia c’era un Bambino con gli occhi chiusi, come un morto. San Francesco s’avvicinò dolcemente e lo svegliò da quel profondo sonno di morte. Cristiani, il Natale è qui. Ma nella cuna di tanti cuori, il Bambino Gesù è morto. Sono stati i peccati a ucciderlo, così piccolo ed innocente! Lo dice S. Paolo che chi commette peccato lo fa morire nel proprio cuore. Bisogna farlo rinascere. – Sardanapalo, famoso re d’Assiria, statua di fango e di vizi da vivo, ha voluto che dopo la sua morte gli fosse eretta sulla pubblica piazza una statua di bronzo, con questa infame iscrizione sul piedestallo: «Passante, bevi, mangia, godi: il resto è nulla». Aristotile stesso ch’era un pagano leggendola esclamò: « Che altro scriveresti sul sepolcro non di un re, ma di un bue? ». Eppure Sardanapalo, simbolo del godimento sensuale, è oggi deificato da per tutto, sulla grande piazza pubblica del mondo e gli uomini ripetono il grido che San Paolo pose in bocca ai disperati mondani: « Non ci sia piacere che l’anima nostra non abbia provato: incoroniamoci di rose prima che marciscano; mangiamo e beviamo perché domani morremo » (I Cor., XV, 32). Ma in faccia alla statua di Sardanapalo, da due mila anni, un’altra fu eretta, non di bronzo, ma di legno; e sul legno inchiodato e sanguinante sta Gesù Cristo che morendo dice: « Se qualcuno mi vuol seguire, prenda la sua croce, e vi configga sopra spietatamente le sue cattive passioni ». (Mt. XVI, 24). Dove ci mettiamo noi? Sotto la statua di Sardanapalo o sotto la croce? Sceglieremo i piaceri del mondo e la vita sensuale delle bestie, o la penitenza di Cristo e la vita spirituale degli Angeli? Sceglieremo la strada larga dell’inferno, o quella stretta del Paradiso? Quello che ci convien fare, ce lo predica dal Vangelo San Giovanni Battista. Regnava a Roma da quindici anni Tiberio Cesare, Ponzio Pilato era governatore di Gerusalemme, Erode tetrarca della Galilea, Anna e Caifa, sommi sacerdoti, quando il figliuol di Zaccaria venne nei paesi lungo il Giordano a predicare il battesimo della penitenza. Prædicans baptismum pœnitentiæ. A quelli che l’ascoltavano diceva: « Razza di vipere! chi v’insegnò a fuggire l’ira che vi sovrasta? fate penitenza. Già l’ascia è sulla radice della pianta: fate penitenza. Già s’avvicina il regno dei cieli: fate penitenza ». Non è dunque la vita spensierata, ma la vita dura del proprio dovere che impone il Precursore; e dopo il mangiare, il bere e il godere ricordiamoci che c’è l’ira che ci sovrasta, c’è l’ascia che abbatte, c’è il regno dei cieli per i buoni e l’inferno per i cattivi. Facciamo dunque penitenza. – Ma che cos’è la penitenza? Ce lo spiega chiaramente S. Gregorio Magno: transacta flere, ea illa deinceps non committere. È il dolore, dunque, dei peccati, ed il fermo proposito di evitarli. Il dolore è la penitenza che cancella i peccati commessi. Il proposito è la penitenza che preserva i peccati futuri. PENITENZA CHE CANCELLA I PECCATI. Dopo la Pentecoste, S. Pietro uscì sulla pubblica piazza e predicò con parole ferventissime. « Uomini d’Israele! Ascoltatemi in silenzio. Gesù Nazareno, figlio di Dio, famoso per dottrina, per virtù, per miracoli, voi l’avete ucciso. Vos interemistis. Perché l’avete ucciso? forse perché illuminò i vostri ciechi, o forse perché mondò i lebbrosi? Forse perché guariva i vostri ammalati, o perché abbracciava, benedicendo, i vostri bambini? Perché l’avete ucciso? rispondete! ». Sotto la rovente foga di quel discorso la folla doveva sussultare come un bosco battuto dal vento. Gli uomini d’Israele si guardavano in faccia, atterriti, e gemevano tristamente: « Quid faciemus, viri fratres? ». Che faremo adesso per cancellare il delitto enorme? Come S. Pietro li udì mormorare così, rispose: « Fate penitenza! ». Pœnitentiam agite (Atti, II, 38).Non appena ai Giudei, ma anche a noi S. Pietro potrebbe ripetere: «Gesù Nazareno,voi l’avete ucciso. Voi coi vostri peccati, l’avete di nuovo crocifisso nell’anima vostra ». Quando avete assecondato quei pensieri disonesti, voi l’avete novellamente crocifisso sul legno infame della vostra impurità. Quando avete trasgredito il precetto del venerdì voi l’avete nuovamente crocifisso sul legno infame della vostra golosità. E potrei continuare. Ma allora, o fratelli, se noi siamo colpevoli di così gran delitto, che dobbiamo fare? Pœnitentiam agite. Buttiamoci ai piedi del crocifisso, guardiamo quelle piaghe che noi abbiamo aperte, e domandiamogli perdono. Questa contrizione delle nostre colpe, questo vivo rincrescimento d’aver offeso Dio che è tanto buono, questo dispiacere grande d’aver nuovamente crocifisso Cristo, è la penitenza che predicava S. Giovanni nei paesi lungo il Giordano, quella penitenza che è simile al Battesimo perché ci lava da ogni peccato. Prædicans baptismum pœnitentiæ. Il dolore d’aver offeso Dio, quanto più è perfetto, tanto più ci otterrà, non solo il perdono dei peccati, ma la remissione della pena dovuta al peccato.Quando S. Vincenzo Ferreri predicò in Francia, un giovane andò a gettarsi ai suoi piedi, piangendo. Aveva condotto una vita dissoluta, ora la grazia di Dio lo toccava in un modo mirabile. Il santo ascoltò la sua lunga confessione, poi gli assegnò una penitenza austera di sette anni.« Ma come, padre! — ripigliò il giovane — a me che tanto peccai, solo sette anni di penitenza! » e singhiozzava. Il santo, vedendo tanto dolore, rispose. « Figlio, andate: farete soltanto tre giorni di penitenza perché Dio è tanto buono ». – « Appunto perché Dio è buono e ciò nonostante io l’offesi, merito una grande penitenza ».« Orsù — rispose il santo — contentatevi di recitare tre Ave ». Allora il giovane scoppiò in pianto e S. Vincenzo Ferreri, per virtù di Dio, vide la sua anima così bianca che se fosse morto in quell’istante, senz’altra penitenza che il suo dolore, sarebbe volato direttamente al Cielo. – PENITENZA CHE PRESERVA DAL PECCATO. E Gesù entrò in Gerico. Passando sotto un sicomoro, scorse tra le foglie una breve figura d’uomo: Zaccheo. Lo chiamò: « Zaccheo, scendi in fretta che ho pensato di venire a casa tua ». La guardia doganale confusa e commossa, si calò giù dall’albero e si trovò in faccia al Signore: « Andiamo, Zaccheo, — disse Gesù — oggi voglio fermarmi un poco da te ». E s’avviarono. Zaccheo intanto pensava alle sue ingiustizie, ai furti, alle esose estorsioni di danaro fatte sulle carovane che passavano il confine tra la Giudea e la Perea; Zaccheo intanto sentiva i mormorii della folla scandalizzata al vedere il divin Maestro prendere stanza presso quel doganiere. Pensava e sentiva tutto questo con un senso di disgusto e di dolore per la sua vita passata. Ma a che sarebbe valso questo dolore, se non fosse stato seguito dal proposito efficace? Per ciò quando furono sul limitare si rivolse e disse: « Signore! dò la metà dei miei beni ai poveri e per ogni estorsione ingiusta, restituirò il quadruplo ». – Gesù guardò con amore quell’uomo di forte proposito, e in faccia alla folla gli rispose: « Questa casa ha ricevuto la salute, oggi, poiché anche costui è diventato figlio d’Abramo » (Lc., XIX, 19). – Da questo brano evangelico consegue che la vera penitenza non consiste solo nel detestare i peccati commessi, ma soprattutto nel ripararli, e nell’usare tutti quei mezzi che possono preservare dalle ricadute. Non bastano quindi parole e sospiri: mi confesso, mi pento, è mia colpa, mia massima colpa; ci vogliono i fatti. A quante persone si potrebbe dire: la tua voce è quella di Giacobbe, ma la tua mano è quella d’Esaù! Di parole e di promesse ne hai tante, ma in pratica c’è troppo poco. Il santo Natale è vicino, Gesù ha pensato di venire in casa nostra: come un giorno nella casa di Zacheo; via le chiacchiere adunque e convertiamoci. È necessario distruggere il corpo del peccato che è dentro di noi come dice l’apostolo: Ut destruatur in vobis corpus peccati (Rom., VI, 6). Rinunciamo a quelle mille cose dilettevoli che acuiscono in noi le passioni; perciò via dai nostri occhi soggetti e libri che suscitano la concupiscenza. Via dal nostro labbro quella scandalosa libertà di parola che rovina la nostra anima e l’altrui. Via quegli spettacoli, dei quali l’unico effetto è ridestare le immagini più losche. Via quelle amicizie morbose nelle quali noi stessi presentiamo vicina la caduta fatale. Anche la gola bisognerà mortificare, anche la pigrizia che ci tiene a letto quando alla prim’alba le campane ci chiamano alla Messa. Il regno dei cieli si conquista con la violenza; con la violenza che ciascuno di noi deve fare alla propria carne. Castigo corpus meum et in servitutem redigo (I Cor., IX, 27). – Ma dunque, dirà qualcuno spaventato da questo battesimo di penitenza, la Religione cristiana è proprio melanconica. Aveva ragione il poeta paganeggiante quando diceva a Cristo: cruciato martire, tu cruci gli uomini. Ascoltate: Gesù un giorno andò a un banchetto di nozze che si faceva in Cana. Sul più bello del convito manca il vino: nessuno ci aveva pensato. Gesù allora, benché a malincuore, — ma come resistere alla Madonna che lo pregava! — chiamò i servi: « Riempite le idrie d’acqua e poi versate che ne uscirà vino ». Tutti bevvero il vino del miracolo; ma come l’ebbe saggiato l’architriclino, ne fu meravigliato. Ne centellinò qualche sorso e poi esclamò: « Maestro! tutti, in principio, offrono ai convitati il vino migliore e poi, quando sono ubriachi, li riempiono di quello scadente; tu invece hai fatto il contrario. Hai dato prima il vino peggiore ed hai serbato alla fine un vino estasiante ». Cristiani: il calice del mondo è del demonio, il calice di Sardanapalo comincia col dolce, e poi dopo averci ubriacati nei vizi, finisce con il fiele del rimorso in questa vita, e con l’inferno nell’altra. Il calice di Cristo comincia con l’amaro della penitenza e finisce con la pace e la benedizione di Dio in questa vita, e con il paradiso nell’altra. – VOCE NEL DESERTO. Dice S. Tommaso da Villanova che l’anima del peccatore è un deserto. Ne ha infatti tutto l’aspetto: è arida e incolta, non produce frutto alcuno di vita, è ingombra dei rovi di cattivi pensieri, delle spine di cattivi desideri, delle ghiande di passioni immonde. E neppure mancano i serpenti, che sono i demoni. E poi, quanta solitudine dove Dio manca! quanta siccità dove la grazia non piove!… Ebbene, in questo deserto Dio non cessa di parlare per chiamarci al battesimo della penitenza e alla remissione dei peccati. E ci chiama con la voce della predicazione e con quella dell’ispirazione; con la voce del beneficio e con quella del castigo. a) Voce della predicazione. — Come in quei tempi il Signore si fece preparare i cuori dalle prediche del Battista, così attraverso i secoli Egli si è sempre servito della parola dei sacerdoti. La predicazione è come l’acqua fecondatrice: ove essa non discende, vi è terra dura e sterile. La predicazione è come la manna alimentatrice: chi non ne raccoglierà morirà di fame spirituale. La predicazione è come l’olio che nutre la lampada: chi non se ne procura, rimarrà al buio. S. Ilario d’Arles vide una volta alcune persone che, appena ebbe cominciata la spiegazione del Vangelo, si dileguarono fuori di chiesa per sottrarsi alla noia d’una predica. Il santo allora gridò verso di quelli: « Uscite pure: ora potete fuggire dalla chiesa, ma verrà tempo che non potrete fuggire dall’inferno ». – b) Voce dell’ispirazione. — Ma talvolta il peccatore è così indurito che nessuna voce esteriore può penetrarlo, nessun grido può risvegliare il suo deserto. E allora Dio, buono e misericordioso, parla direttamente a quel cuore, parla quella sua parola viva, più acuta della spada a due tagli, che penetra gelida e rovente fino alle più intime compagini dell’anima (Hebr., IV, 12). « Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?» diceva l’Innominato dei Promessi Sposi, quell’uomo che aveva riempito di spavento e di delitto una intera regione. E a lui il Card. Federico Borromeo rispondeva così: «Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo. confessiate, l’imploriate? ». – c) Voce dei benefici. — Ci sono certi periodi della vita in cui Dio ci manda ogni fortuna: salute, danaro, onori; ed aspetta quasi che l’uomo dica: « Anima mia, serviamo un Padrone così buono e generoso: non vedi che meritiamo pene e ci dà gioie? ». Ma invece l’uomo non riconosce attraverso le creature la voce del suo Padrone: Il cielo grida: «O uomo, io giro per tuo comodo e utilità ». Il sole grida: «O uomo, io ti riscaldo e ti fortifico: io, a primavera, rinnovo la terra e l’adorno come un paradiso; io faccio crescere i frutti sulle piante e le piante sul suolo ». Grida la terra: «O uomo, io ti lavo, rinfresco, e fecondo ogni cosa ». E tutte insieme dicono le creature: « Riconosci dunque, e ringrazia il tuo generoso Signore ». L’uomo non ode. E Dio si lamenta: « anche il bue è grato all’uomo che lo nutre, anche l’asino riconosce che la stalla è del suo padrone: solo Israele non ha conosciuto me, solo il mio popolo lascia cadere nel deserto la mia voce » (Is., I, 3). – d) Voce dei castighi. — Come un padre che ama suo figlio ricorre ai castighi quando non è ubbidito, così il Padre eterno fa con noi. Anche i suoi castighi sono un segno del suo grande e tenero amore. Se la malattia non lo avesse costretto a letto, Ignazio di Loyola forse non sarebbe diventato mai santo. Se una ostinatissima piaga non avesse travagliato Camillo de Lellis, egli non sarebbe forse mai diventato il grande amico degli ammalati. Se la morte non avesse rapito crudelmente il marito a Margherita di Cortona, noi ora non la venereremmo. E se la miseria e la tribolazione non avessero colpito i fratelli di Giuseppe, essi non si sarebbero giammai pentiti del loro peccato orribile ». « Merito hæc patimur, — dicevano, — quia peccavimus în fratrem nostrum » (Gen. XLII, 21). I veri Cristiani che non sono sordi alla voce di Dio così devono dire nei dolori: « Soffro giustamente, perché ho peccato contro il mio fratello Gesù Cristo ». – PREPARARE LA STRADA DEL SIGNORE. La strada per la quale il Signore deve venire nel nostro cuore, al prossimo Natale, ora impedita, forse, dalle colline del peccato, dalle valli che simboleggiano la mancanza delle buone opere, dai sentieri tortuosi che invece di mirar diritto al fine si perdono nei piaceri e nelle lusinghe del mondo. – a) Abbattiamo i colli del peccato con una sincera confessione. Sarebbe un’ironia crudele per un Cristiano festeggiare la venuta del Salvatore, mentre il suo cuore è già occupato dal demonio. Una buona confessione dunque! Non come quella di Saul che disse a Samuele: « Ho peccato!» e si sentì rispondere: «Il Signore ti ha rigettato », perché non era pentito; ma una confessione sincera e dolorosa come quella di David che disse a Nathan: « Ho peccato! »  e si sentì rispondere: « Il Signore ha già distrutto il tuo peccato ». – b) Non basta la confessione, se poi non si continua, con le opere buone, a camminare sulla strada intrapresa. Le opere buone che ci preparano meglio al santo Natale sono la preghiera e la elemosina: la preghiera perché senza di essa noi siamo come una città senza difesa; l’elemosina perché in cielo è preferita a qualsiasi penitenza corporale: «Non sapete quale sia il digiuno che io prediligo? dice il Signore Iddio: Spezzare il proprio pane con l’affamato, Albergare i poveri senza asilo, Vestire chi si trova ignudo, Non sottrarsi alle necessità. del proprio fratello. Allora la tua luce spunterà come l’aurora… ». (Is., LVIII, 6-8) – c) Ed infine viviamo un po’ più ritirati; amiamo un poco anche noi il deserto, come S. Giovanni Battista. Lontani dai divertimenti pericolosi, lontani dai ritrovi rumorosi, lontani dalle compagnie corrompitrici; noi vivremo dolcemente, cristianamente tra la nostra casa e la nostra chiesa. Senza questa volontà di isolamento le antiche abitudini cattive ci riprenderanno facilmente. Quando S. Antonio passò da Alessandria, il governatore d’Egitto voleva fermarlo per qualche giorno. Gli rispose il santo: « Capita al monaco quello che capita al pesce: l’uno muore se lascia l’acqua, l’altro muore se lascia la sua solitudine ». Capita anche al Cristiano quello che capita al pesce: l’uno muore: se lascia l’acqua, l’altro muore alla grazia se lascia la solitudine della sua casa e della sua Chiesa, e si espone ai pericoli e alle seduzioni del mondo: – E un’altra volta è vicino il Natale del Signore, In questa solennità, alcuni vedono una festa di piacere. Già stanno organizzando veglie danzanti, spettacoli lussuriosi, ricevimenti mondani, e trascorreranno la notte santa in cui il Salvatore venne al mondo per redimerli, nell’ebbrezza dei sensi, sprofondando sempre più nel fango e nel peccato. – Altri vedono invece nel Natale una festa di benessere corporale. Anche i più poveri per un giorno almeno all’anno possono nutrirsi a sazietà e con cibi succulenti e con bevande corroboranti; quelli poi che non son poveri imbandiscono la loro mensa con inconsuete e laute vivande. Sicché c’è della gente che tutta questa settimana sarà indaffarata per il pranzo di Natale, senza trovare tranquillità e tempo per pensieri diversi da quelli gastronomici. – Vi sono altri ancora che vedono nel Natale una festa sportiva. Alla vigilia o all’antivigilia, con maglioni e calzettoni per difendersi dal rigore invernale, partiranno per la montagna, a sciare. « Ah che religiosità commovente — dicono — contemplare dalle finestre d’un albergo alpino le stelle della notte natalizia scintillanti sugli abeti coperti di neve! che senso di pace e di purezza volar tutto il giorno come Angeli sui campi immacolati!». E la Messa di Natale? « Probabilmente non mancherà. Forse verrà lassù un prete a celebrare ». Così tutta la santificazione della grande solennità cristiana si esaurisce in una ipotetica Messa. E nessuno, che non sia maligno, sospetti ipotetiche profanazioni. Altri, infine nel Natale non vedono che una festa di poesia domestica. Nessuno manca della famiglia, anche i lontani sono ritornati, almeno per un giorno. È gioia del cuore raccogliersi in casa, dove tutto luccica per la recente pulizia, e arde il focherello sul camino; e c’è l’albero fosforescente di cordelline e di dolciumi, e c’è il presepio, e c’è qualche fanciullo che declama un complimento in rima stringendo nelle mani i doni del Bambino Gesù. – Ma non è Natale veramente e compitamente cristiano se non quello in cui si vede con la fede il Signore. « E vedrà ogni uomo la salvezza di Dio ». Questo è l’insegnamento che S. Giovanni Battista ci dà nel Vangelo odierno. Infatti, prima che Gesù incominciasse la vita pubblica, egli si mosse a preparargli la strada, e predicando la penitenza, diceva: « Preparate la via al Signore che viene! Ogni valle si colmi; ogni colle si spiani, ogni tortuosità si rettifichi. Così vedrà ogni uomo la salvezza in Dio ». Bisogna dunque prepararci al Santo Natale in modo tale da meritare di vedere spiritualmente il Signore. Ma per meritare tanta grazia occorre prepararci con la purità dell’anima, con la bontà delle opere. – Perché l’anima veda Iddio, non basta colmare le valli del peccato con una sincera confessione, non basta spianare ogni ostacolo opaco con la custodia dei sensi: occorre che Dio viva nell’anima con le opere buone. – Verso il Natale del 396, l’ultimo che gli restava da vivere in terra; S. Ambrogio si sentiva stanco e alla fine delle sue eroiche fatiche; ma aveva il cuore pieno d’una pace vasta e serena com’è quella del colono, quando in certe domeniche d’autunno contempla beato la sua campagna colma di frutti, mentre in lontananza campane suonano a distesa. In quei giorni appunto, a Paolino, il suo fedele segretario, dettava queste parole: « Cristo vive in me: cioè, vive quel Pane vivo che discese dal cielo e nacque a Betlemme, vive la sua carità, vive la sua pace, vive la sua giustizia, vive la sua sapienza». Mirabili espressioni, che ci suggeriscono con quali buone opere Cristo deve nascere in noi nel prossimo Natale. Vive in me quel Pane vivo, la prima opera, la più bella e cara a Lui che sta per venire: è la santa Comunione. – I pastori si ritennero fortunatissimi in quella notte in cui lo poterono vedere e forse baciare. I re magi fecero lunghissimo e pericoloso viaggio per poterlo trovare. Il vecchio Simeone per i molti anni della sua vita non desiderò altro; e come lo poté stringere tra le sue braccia tremanti, disse che non gli importava di morire, perché il suo cuore non chiedeva più nulla. La gioia dei pastori, dei magi, di Simeone, ci è vicina: perché non ne approfitteremo? È vero che siamo peccatori e oppressi d’infinite miserie, però se un rincrescimento profondo delle nostre colpe, se un desiderio vivo di farci più puri per più vedere il Signore c’è dentro di noi, quel Dio che venne al mondo in una stalla, non sdegnerà il nostro povero cuore. – Vive in me la sua carità: Non può gustare il Natale cristiano chi si priva della consolazione di fare in questi giorni un po’ di carità, con le opere di misericordia corporali e spirituali. I poveri pastori e i ricchi magi non si presentarono a mani vuote al Celeste Bambino, ma ciascuno con un dono proporzionato alla propria condizione: agnellini, frutti agresti, formelline di tenero cacio erano i doni dei poveri, oro, incenso, mirra erano i doni dei re. Così tutti noi, poveri e ricchi, dobbiamo avvicinarci alla culla di Gesù col nostro dono proporzionato. È dato al Dio nato poverissimo e inerme tutto quanto è donato senza ostentazione. ai poveri e agli infermi. Vive in me la sua pace. Colui che nasce fu vaticinato come il Principe della pace. Egli stesso ha detto: «Io vi dono la mia pace: ma non ve la dono come fa il mondo » (Giov. XIV, 27). Il mondo, quando vuol sembrare buono, fa la pace con quelli che la meritano; i Cristiani, che vogliono essere buoni, fanno pace con tutti, anche con quelli che non la meritano e da cui sono stati offesi. Perciò nessuna scusa è valevole, nessuna ragione è plausibile, perché tra noi si conservi anche un solo rancore durante il santo Natale. Vive in me la sua giustizia: Quand’Egli nacque gli Angeli dissero agli uomini: «Non temete più: vi annunciamo una grande gioia ». Ora che il suo Natale ritorna, c’è forse qualcuno che non può gioire per colpa nostra? Nessuno dei nostri fratelli può accusarci d’ingiustizia nei danari, nella roba, nei commerci, nei contratti, nei debiti e nei crediti? Non abbiamo nulla con noi che invoca il suo legittimo padrone? – Vive in me la sua sapienza: Ascoltiamo e meditiamo volentieri in questi giorni santi la parola di Dio per poter capire qualche cosa almeno dell’infinita sapienza nascosta nel mistero della natività del Salvatore. Se vi si offre il tempo e l’occasione, leggete nel Vangelo il racconto della nascita di Gesù, così lo potrete raccontare alla sera ai vostri figliuoli, che sono avidissimi d’ascoltarlo dalle vostre labbra. – Un giorno Napoleone passava in rivista le sue truppe. Un umile soldato anziano attirò il suo sguardo, per alcune cicatrici che gli apparivano sul volto. L’imperatore  si fermò davanti a lui, e, con un gesto consueto gli pose una mano sulla spalla; poi, guardandolo negli occhi gli rivolse brevissime domande. «Tu, a Ulm?». « C’ero ». «A Austerlitz? ». « C’ero ».  «A Iena? ». « C’ero ». –  «A Wagram? ». « C’ero ». – «A Dresda? ». « C’ero ».  «Bene, capitano! ». L’altro, ch’era soltanto soldato, voleva correggere il grado credendo fosse uno sbaglio. Ma l’imperatore, senza correggersi, aggiunse: « Capitano, decreto per voi la grande croce della legione d’onore ». Quando preparate le strade secondo il consiglio di Giovanni Battista, il nostro Re divino giungerà nel santo suo Natale e passerà in rivista i suoi fedeli; felice colui che potrà rispondere alle sue domande franco e ardito come quel soldato napoleonico.  «Alla dottrina cristiana? ». « C’ero ». – «Alla messa festiva? ». « C’ero ». – « Al confessionale? ». « C’ero ».  – «Alla balaustra? ». « C’ero » – « Nella resistenza aspra contro le tentazione? ». « C’ero ». – «Nella professione coraggiosa della fede in faccia a chiunque? ». « C’ero ». – « Bene, servo buono e valoroso: perché nel poco sei stato fedele, ti darò autorità sul molto, e verrai nella gioia del tuo Re ».

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, gratia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

Sacrifíciis pæséntibus, quǽsumus, Dómine, placátus inténde: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno alle presenti offerte: affinché giovino alla nostra devozione e alla nostra salvezza.]

Comunione spirituale:

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is. VII:14
Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium: et vocábitur nomen ejus Emmánuel.

[Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio: e si chiamerà Emanuele.]

Postocommunio

Orémus.
Sumptis munéribus, quǽsumus, Dómine: ut, cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Assunti i tuoi doni, o Signore, Ti preghiamo, affinché frequentando questi misteri cresca l’effetto della nostra salvezza.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (186)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXIII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

II. — Il Battesimo.

D. In che modo il Battesimo è un punto di partenza?

R. Esso segna il Cristiano e lo rende atto agli atti religiosi, nel che la vita cristiana consiste. È quello che si chiama il suo carattere oramai incancellabile. Il Battesimo. nel nome della Trinità è il segno spirituale del Cristiano come la circoncisione del giudeo era il suo segno carnale.

D. È dunque un’iniziazione, guisa degli antichi misteri?

R. È un’iniziazione, ma senza alcuna di quelle superstizioni che degradavano i misteri pagani. Esso fa entrare nella vera vita, la vita con Dio, che, fin di quaggiù, è una vita eterna. La vita con Dio promessa per più tardi è posta così anticipatamente in nostro possesso; perché, dice S. Agostino, la rigenerazione battesimale e la vita dell’altro mondo non sono che una sola e medesima opera.

D. Come comprendi tu in questo caso il Battesimo di Cristo? Facendosi battezzare sulle rive del Giordano, Gesù entrava forse nella vita cristiana?

R. Vi entrava come il sole entra nel giorno; dopo di Lui, per la stessa via, passeranno i satelliti che siamo noi.

D. Non dici che il Battesimo cancella la colpa originale?

R. Il Battesimo applicandoci i meriti di Cristo, cancella la colpa originale e tutte quelle che noi abbiamo potuto aggiungervi di nostra iniziativa; ma questo non è che un preludio e una disposizione negativa. Positivamente, si tratta di entrare nel Regno de’ cieli terrestre, cioè nella Chiesa, in vista del Regno de’ cieli celeste, da conquistare mediante l’uso della grazia battesimale.

D. Il Battesimo conferisce dunque una grazia?

R. Solo così può esso introdurre il cristiano nella vita soprannaturale il cui principio è la grazia. Per il fatto stesso che è un’iniziazione, il Battesimo è dunque una grazia, la grazia fondamentale, se si può dire così; esso qualifica l’anima cristiana per il suo fine proprio; la munisce per il viaggio, nello stesso tempo che le apre la via.

D. Hai parlato dell’entrata nella vita cristiana come di una incorporazione a Cristo: è questo l’effetto del Battesimo?

R. Il Battesimo di fatto c’incorpora a Cristo; ossia ci fa rivestire Cristo secondo la metafora energica di S. Paolo.

D. Che cosa significano esattamente queste espressioni?

R. Essere incorporato a Cristo è far parte di ciò che chiamiamo suo corpo mistico, ossia spirituale, cioè la Chiesa. – Rivestire Cristo esprime questa stessa incorporazione sottolineando il suo benefizio. Prima, noi eravamo nudi; la nostra natura peccatrice era sola; i meriti del Salvatore non la coprivano, non la corazzavano contro il male, non la ornavano come una figlia di Dio, una erede, una coerede di Cristo.

D. Non chiami tu il Battesimo il sacramento della fede?

R. Esso è il sacramento della fede, perché la prima condizione per entrare in un gruppo religioso è aderire all’idea sociale che forma questo gruppo, ai fini che esso si propone e ai considerandi delle sue leggi. Ecco l’oggetto della fede. Venendo a Dio, dice S. Paolo, bisogna sapere che Egli è, e che è rimuneratore, e tutto il resto di quello che Egli disse agli uomini per bocca del suo Cristo per rischiarare la via eterna.

D. Allora sembra che il Battesimo dovrebbe essere riservato a quei che sono in grado di credere. Perché voi altri battezzate i bambini?

R. La fede non è unicamente dell’uomo. L’abbiamo già detto: è una grazia, e vedremo più tardi che essa è un atto comune di Dio e dell’uomo, dell’uomo che acconsente e di Dio che inclina il suo cuore. In quanto che è una grazia, essa può prevenire il consenso, prepararlo e attenderlo. Perciò, riguardo al bambino stesso, il Battesimo si chiama illuminazione, per notare l’azione interiore dello Spirito Santo, alla quale più tardi si darà l’anima.

D. Perché questa anticipazione? Perché una società spirituale ammette colui nel quale non ha ancora palpitato lo spirito?

R. La vita cristiana è più larga di questa obiezione individualista. Soprannaturalmente come secondo la natura, noi siamo una stirpe; l’individualità sboccia in grembo alla stirpe; essa segue, ma non precede, come abbiamo spiegato studiando la Chiesa. Come dunque un padre, in seno a una patria, iscrive suo figlio allo stato civile, lo impegna in una corrente di vita materiale, intellettuale e morale che il bambino non può controllare, ma che egli giudicherà un giorno, quando sarebbe troppo tardi per ottenerne il pieno benefizio: così un padre, in grembo alla Chiesa che ha benedetto la sua unione e ne attende i frutti, introduce suo figlio là dov’è lui stesso, là dove crede che è la via, la verità e la vita. A questo figlio più tardi, spetta di giudicare il dono che egli ha ricevuto, di sanzionarlo con la sua libera accettazione; salvo che egli non preferisca o non creda di dover ripudiare insieme Dio e l’amorosa pietà paterna.

D. Ammetti che sì rigetti così il proprio Battesimo?

R. Non l’ammetto certamente. Se non è un gran delitto, è ad ogni modo una gran disgrazia.

D. Ciò non può essere altro che una disgrazia?

R. Sì, nel caso di quell’errore che noi chiamiamo invincibile.

D. Ma la grazia del Battesimo si può perdere senza colpevolezza?

R. No; ma nel caso contemplato, la grazia del Battesimo non sarebbe perduta. Abbiamo detto che si può avere la grazia senza saperlo ed essere figli di Cristo anche nell’incoscienza.

D. Sono casi strani.

R. Strana è la nostra vita; ma Dio è pieno di giustizia e di misericordia.

D. Perché l’entrata nella vita cristiana ha luogo sotto il segno dell’acqua?

R. La ragione essenziale si è che l’entrata nella vita cristiana suppone come condizione negativa, come dicevamo, la cancellazione del peccato, il ripudio dell’antico stato di allontanamento in cui era la nostra stirpe per rapporto a Dio. Il simbolo dell’acqua è allora indicatissimo: come l’acqua lava il corpo, così la grazia di Cristo purifica l’anima nostra.

D. Vi sono altre ragioni?

R. Ce n’è una più profonda, benché meno immediata. Le tradizioni umane hanno sempre accostato l’elemento liquido all’origine prima delle cose, come per un’anticipazione delle teorie moderne che traggono la vita dal fondo dei mari. Sotto questo aspetto, il Battesimo vorrebbe dire: Tu che nascesti dal mare, ripiombati in questo Mare più profondo: nella Divinità di cui l’acqua del mare non è che uno zampillo. Origine delle origini, sorgente delle sorgenti, in essa tu devi perderti un giorno, per ritrovarti veramente, e fin d’ora, per la grazia e per la santa vita, essa deve comporre il tuo ambiente interiore, come l’acqua del mare, ambiente originale della vita, bagna le tue membra.

D. È questa veramente una concezione tradizionale?

R. Io l’ho presa dagli antichi dottori, e l’ho modernizzata solamente nella forma. Essi aggiungono più semplicemente che la freddezza naturale dell’acqua e la sua purezza refrigerante sono il simbolo del rinfrescamento che la grazia oppone a quell’eccitazione carnale, figlia del peccato di razza, che ci trascina al male. L’acqua, essendo diafana, significa ancora la ricettività dell’anima per rapporto ai lumi divini. Quando s’immergevano i catecumeni, nelle cerimonie più complete di una volta, vi si vedeva altresì, con S. Paolo, una specie di morte e di seppellimento, seguiti da una risurrezione, come se l’uomo di peccato fosse annegato e lasciasse il posto all’uomo nuovo generato dall’azione di Cristo.

D. Il Battesimo è indispensabile alla salute?

R. Il Battesimo è indispensabile alla salute al medesimo titolo che l’incorporazione a Cristo, l’adesione a Dio per Cristo, e l’entrata nella Chiesa di Cristo.

D. Allora chi non è battezzato è perduto?

R. Ciò non ne segue affatto, poiché noi sappiamo che l’incorporazione è Cristo, la vita in Dio per Cristo e l’appartenenza alla Chiesa spirituale se non alla Chiesa visibile, possono avere luogo senza alcuna condizione esteriore.

D. Dunque il mezzo di salute chiamato Battesimo non è, finalmente, un mezzo necessario?

R. Finalmente, cioè assolutamente e senza eccezione, no, poiché esso comporta dei supplementi morali; ma è nondimeno il mezzo necessario in diritto, il mezzo ufficiale, il mezzo sociale; di modo che, se da una parte la società spirituale non l’applica punto, e se, d’altra parte, il soggetto non reca o non può recare nessun supplemento morale, la salute come la intendono i Cristiani non si potrebbe ottenere.

D. Perché queste precauzioni di linguaggio?

R. Lo vedrai; ma tu devi intendere che si tratta specialmente dei piccoli esseri che non arrivano all’età della ragione e muoiono senza Battesimo.

D. Vuoi che questi piccoli si dannino?

R. La parola dannazione, ammessa un tempo, dev’essere eliminata, perché suggerisce un’idea falsa. Parlando del peccato originale, abbiamo detto: Esso implica una colpevolezza della stirpe, ma per nulla una colpevolezza personale. Ora, osserva S. Tommaso, un soggetto personalmente innocente non potrebbe giustamente essere privato dei beni della natura, benché si possa giustamente, nel nome di una responsabilità solidaria, privarlo dei benefizi gratuiti concessi alla sua stirpe e da essa perduti. Ne segue che l’anima immortale sfuggita da questo mondo senza rigenerazione battesimale non può, senza dubbio, accedere al soprannaturale, ottenere la salute cristiana, che è una vita sublime nella Trinità; ma noi crediamo alla sua beatitudine naturale, senza avere nessuna nozione positiva riguardante questo stato.

D. Ciò pare ingiusto! Perchè l’uno è battezzato, mentre l’altro non è battezzato?

‘R. Non giudichiamo la Provvidenza. Abbiamo riconosciuto più sopra la nostra incompetenza in simili questioni. Del resto, si può sfidare chiunque a trovare qui ombra d’ingiustizia?

D. Non vi è ingiustizia a trattare diversamente quelli che non hanno agito diversamente?

R. Il bambino battezzato e il bambino non battezzato non hanno agito diversamente, poiché non hanno agito affatto. Ma il primo, non avendo fatto niente personalmente, trae benefizio da un’azione collettiva e deve essere riconoscente. – Il secondo, non avendo parimenti fatto nulla, non ha avuto la medesima felicità: è una felicità in meno e non ne può essere afflitto; non ci si può affliggere per lui; ma poiché non ha fatto niente e non gli si toglie niente di ciò che appartiene al suo caso normale, come si potrebbe parlare d’ingiustizia? Avviene come di un bambino nato nella Guyana da parenti deportati, e i cui fratelli per una felice sorte fosser ricondotti in patria. Questi avrebbero da lodare Dio; ma l’altro non ha da elevare sdegnose rivendicazioni. Non è punito personalmente. La Guyana permette di vivere. Se un fortunato ritorno nel suo paese gli è rifiutato per un fatto d’una responsabilità di famiglia, è un affare negativo; molte fortune positive gli restano, e se la deportazione della famiglia fu giusta, non vi è ingiustizia.

D. Ad ogni modo vi è disuguaglianza. Perché questi, perché non quegli? Si capiscono queste sorti in un ordine umano; ma non sì capiscono in un ordine divino.

R. L’ordine divino non è indipendente dall’ordine umano; esso l’avvolge; lo rispetta; lo utilizza e si compone con esso. La sorte stessa, come abbiamo detto, entra nella provvidenza.

D. Ma gli esseri devono soffrire dell’evento provvidenziale?

R. Ancora una volta, non si tratta di soffrire. Noi non martirizziamo nessuno. Si tratta dell’assenza non dolorosa di una felicità di soprappiù, di una felicità non sperimentata, alla quale il soggetto non è naturalmente adatto, che noi stessi, che patrociniamo in suo favore, non immaginiamo neppure, di cui spesso, troppo spesso non ci curiamo, che tutt’a un tratto ci ritorna in mente per accusare la Provvidenza. Il gioco non è serio. Il non battezzato appartiene a un’altra classe di esseri, ecco tutto. Il suo destino risponde alla sua classe; esso è buono; è anch’esso creato per lodare Dio, e se egli si lagnasse perché altri, in ragione della stessa provvidenza, ebbero accesso a una felicità più grande, Dio gli potrebbe rispondere quello che il padrone della vigna rispose agli operai gelosi della parabola: Non sono libero di fare quello che voglio? O bisogna che il vostro occhio sia cattivo perché io sono buono?

D. Dio può essere inegualmente buono?

R. Dio non può essere inegualmente buono in se stesso, essendo la bontà infinita; ma guardando agli effetti, se Dio fosse ugualmente buono, siccome la sua bontà è la causa degli esseri, tutti gli esseri sarebbero uguali in tutte le maniere; non vi sarebbero dunque nature diverse; non vi sarebbero gradi; non vi sarebbero neppure scambi; non vi sarebbero movimenti e progresso; non vi sarebbe universo.

D. Ciò pare strano.

R. Penetra bene l’idea, che del resto abbiamo già incontrata a proposito della provvidenza, e vedrai che esigere l’uguaglianza, sotto il falso nome di giustizia, sia nel mondo materiale sia nel mondo morale, è negare l’universo.

D. Io vedo benissimo un universo in cui tutti sarebbero salvi.

R. Provati a costruirlo senza perpetui miracoli: non ci riusciresti.

D. Ritorno al caso dell’adulto. Tu dici che egli può supplire, con le sue disposizioni, all’assenza del Battesimo?

R. Sì, a condizione che il Battesimo non sia disprezzato o gravemente trascurato, ma ignorato, o impossibile, sia materialmente, sia moralmente.

D. Allora che cosa è che supplisce?

R. Il buon volere che implica l’adesione esplicita o implicita ai mezzi di Dio, e per conseguenza al Battesimo.

D. Dunque il Battesimo, sotto questa forma indiretta, è ancora il mezzo di salute.

R. Sì, si può dire, ed è ciò che vuol significare la celebre distinzione dei tre battesimi: Battesimo d’acqua, Battesimo di sangue e Battesimo di desiderio.

D. Che cosa è il Battesimo di sangue?

R. È il martirio, nel caso in cui vi è assenza involontaria del Battesimo d’acqua, ma in cui il dono di sé spinto fino all’eroismo prova sovrabbondantemente il buon volere che noi abbiamo richiesto.

D. E il Battesimo di desiderio?

R. Là dove il desiderio del Battesimo è esplicito, l’espressione si comprende da se stessa. Se il Battesimo è ignorato o involontariamente sconosciuto, il Battesimo di desiderio si compendia nella conversione del cuore, come dice S. Agostino, vale a dire, sotto l’impulso della grazia, nell’amore del bene divino così come è appreso, e nella disposizione sincera prenderne i mezzi, appena che saranno conosciuti.

D. Tu chiami questa semplice disposizione un Battesimo?

R. Sì, perché essa costituisce una specie di Battesimo in intenzione; perché assicura d’altra parte i frutti del Battesimo reale e incorpora colui che vi accede non solo a Dio, che vede il cuore, ma alla Chiesa stessa, non alla Chiesa gerarchica, visibile, poichè, per ipotesi, essa è sconosciuta o disconosciuta, ma alla Chiesa interiore, invisibile e universale, di cui l’altra non è che il simbolo e il mezzo.

III. — La Confermazione:

D. Che cosa è la Confermazione?

R. È un rito complementare del Battesimo, che una volta si dava nel medesimo tempo, e il cui significato è quello di un accrescimento: accrescimento di grazia dalla parte di Dio; accrescimento di buon volere e di fedeltà, nel Cristiano, riguardo alle realtà superiori.

D. Perché ciò fare in due volte?

R. Perché la nostra vita è sottomessa al tempo, e per seguire sempre più le condizioni del simbolismo, che è alla base delle nostre istituzioni sacramentali. Vi è un sacramento della nascita spirituale; e ci dev’essere un sacramento della virilità spirituale, dell’età adulta, atta all’azione fruttuosa e alla lotta.

D. Ci dovrebbe dunque essere anche un sacramento della vecchiaia.

R. Nello spirituale, non c’è vecchiaia; la vita cristiana deve normalmente crescere sempre, fino al perfetto che la vita eterna realizza.

D. A che età si conferisce il sacramento della virilità?

R. A un’età qualsiasi, per quella stessa ragione d’indipendenza dello spirituale, e specialmente del soprannaturale, rispetto alla vita fisica. Come il « sacramento della fede » a chi non può attualmente credere: così il sacramento della fortezza si può conferire a un debole bambino. Aggiungi che di questa fortezza il bambino sa dare esempi all’uomo. I sette figli di Felicita, saldi davanti alle tenaglie e alle caldaie, o il giovane Tarcisio morente con l’eucaristia sul suo cuore, provano che anche per l’eroismo religioso «il valore non attende il numero degli anni ».

D. Il confermato è dunque una specie di soldato?

R. È anzitutto un perfetto cittadino, per una stretta e ferma ubbidienza alla legge sociale cristiana. Per l’esterno, è un soldato di fatto; il sacramento lo fa entrare in uno stato marziale, gli suggerisce uno spirito di diffusione e di conquista. Gli si fa capire che essere illuminato vale quanto essere delegato alla luce per il mondo oscurato; essere elevato a un piano superiore di vita vale quanto essere invitato a tendere la scala agli altri, ed essere arrolato da Cristo in un gruppo spirituale sempre militante significa che si deve «combattere la buona battaglia » per la comune vittoria.

D. Chi è incaricato di questa promozione, di questo conferimento di grado?

R. Naturalmente il capo supremo di ciascun gruppo religioso: il Vescovo. Un’azione completiva riguarda colui che è rivestito del sacerdozio completo. L’artista ritocca il marmo, dopo il lavoro dell’abbozzatore.

D. Che materia adopera questo sacramento?

R. Poiché si tratta di fortezza, l’atletismo offre naturalmente l’arsenale delle immagini. L’atleta antico ungeva d’olio il suo corpo, per fortificarlo, proteggerlo, per renderlo flessibile nelle lotte corporali. Si ammetterà l’unzione, e l’olio, che ne è la materia, come segno del rafforzamento dell’anima e della sua preparazione alle lotte cristiane. Di più, dovendo la virilità cristiana impiegarsi ad aiutare la vita attorno a sé, si aggiunge all’olio dei forti il balsamo, per significare che nello spirituale, il profumo che si spande, vale a dire l’esempio, è una forza. Donde questa espressione: Il buon odore di Cristo, spesso usata da S. Paolo in poi.

D. Come sono adoperate queste materie?

R. Si fa l’unzione in forma di croce, come s’impone la spada o il vessillo al cavaliere, per invitarlo alle battaglie di giustizia. Si segna la fronte, come il luogo più nobile e il più apparente, quello su cui si afferma la saldezza dell’atteggiamento, come, in caso di debolezza, vi si manifesterebbe il rossore della timidezza o il pallore della paura.

D. E tu attribuisci a queste unzioni un effetto interiore?

R. Noi crediamo che l’anima tragga il benefizio di una grazia, e che essa, come il corpo, sia segnata di un carattere che le faciliterà la realizzazione dei simboli. Come gli apostoli, nel Cenacolo, furono trasformati, in vista di tutta la Chiesa, dalla venuta dello Spirito: così noi crediamo a una misteriosa conformazione dell’anima, in rapporto con ciò che abbiamo detto della grazia e dell’azione dello Spirito Santo.

D. Ci dovrebbe dunque essere qui, come nel Cenacolo, qualcosa di strepitoso.

R. Si suonano le campane per la comunità; ma non si suonano per l’entrata d’un fedele alla messa. Nel Cenacolo ebbe luogo la confermazione solenne della Chiesa: donde le lingue di fuoco, segno di conquista ardente e di comunicazione collettiva, e il vento violento, che corre gli spazi di terra e di mare, come i portatori della Buona Novella. Per la confermazione intima di un semplice Cristiano, non si ha bisogno di strepito.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (1)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (1)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

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PREFAZIONE

La teologia dello Spirito Santo viene generalmente insegnata nel Trattato della Santissima Trinità, in quello del Verbo Incarnato o nei trattati di teologia ascetica e mistica. Ciò spiega perché essa non ha ricevuto tutto il suo sviluppo, tutta l’ampiezza che merita. Cercheremo di colmare tale lacuna pubblicando il presente « Trattato dello Spirito Santo ». –  Adottiamo un titolo che fu caro a san Basilio, quello dei tre Padri Cappadoci che ha più e meglio esposto e difeso la dottrina dello Spirito Santo. Tutto il nostro desiderio è di continuare la tradizione di questo padre per il quale abbiamo sempre avuto speciale affezione, in modo da condurre le menti a meglio comprendere lo Spirito Santo, lo Spirito che il Maestro si compiaceva chiamare il Suo Spirito, che Egli mandò In tutta la pienezza agli Apostoli per attrarli maggiormente a Sé, per mezzo del quale si rivelava, si faceva loro conoscere, li fortificava, li consolava, li animava; per Il quale, col quale, nel quale durante î tre anni della Sua vita pubblica ha fatto ogni cosa; per il quale, col quale, nel quale continua a fare tutto nel mondo; per il quale, col quale, nel quale dal seno della Sua gloria, vive in noi per farci vivere in Lui, in modo sempre più perfetto ed intenso, In attesa dell’ora gloriosa della nostra unione con Lui, per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, ora che ci permetterà di vedere lo Spirito Santo in tutta la pienezza della Sua attività, della Sua grandezza, di tutta la Sua beltà, lo Spirito Santo, terza Persona della Santissima Trinità, consustanziale al Padre e al Figlio, lo Spirito Santo, nostro Dio.

Ecco l’ordine che seguiremo in questo « Trattato dello Spirito Santo ».

Dopo un Prologo nel quale il dogma dello Spirito Santo è esposto in uno sguardo d’insieme, vengono gli undici articoli seguenti:

I. I simboli dello Spirito Santo.

II. L’attività dello Spirito Santo nel mondo.

III. Le caratteristiche dell’attività dello Spirito Santo.

IV. La Pentecoste.

V. Come il Verbo di Dio fatto uomo ci ha rivelato il Padre, così ci ha rivelato lo Spirito Santo.

VI. La dottrina dello Spirito Santo secondo le Lettere di san Paolo.

VII. Lo Spirito Santo è Dio, consustanziale al Padre ed al Figlio.

VIII. Lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio.

IX. L’abitazione dello Spirito Santo nelle anime giuste.

X. Le missioni dello Spirito Santo.

XI. I doni dello Spirito Santo.

La Conclusione è un invito ad abbandonarci al Padre per mezzo del Figlio con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, per lo Spirito Santo.

Che lo Spirito Santo di Nostro Signor Gesù Cristo c’illumini e ci guidi affinché in questo Trattato, non scriviamo neppure una parola che non contribuisca a farlo meglio conoscere, amare e servire!

PROLOGO

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli è Dio da Dio, luce di luce, Figlio eterno del Padre, Suo unico Figlio, consustanziale al Padre. Dal Padre e dal Figlio, procede lo Spirito Santo, consustanziale al Padre ed al Figlio Dio come il Padre ed il Figlio. – Tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo, più esplicitamente per mezzo dello Spirito che procede dal Padre e dal Verbo, a tal punto che nulla assolutamente nulla delle cose create, è stato fatta senza lo Spirito che procede dal Padre e dal Verbo. In Lui, come nel Verbo, era la vita, e la vita era la luce degli uomini. Fin dall’origine, il Verbo del Padre, pet mezzo dello Spirito ha creato l’uomo. Lo ha fatto ad immagine di Dio, santo per eccellenza, comunicandogli parte della pienezza della Sua vita e della Sua luce. Ma lo creò libero di scegliere per o contro Dio. E l’uomo non tardò ad optare contro il suo Dio ricusandogli obbedienza ed amore. – Così l’uomo introdusse il peccato nel mondo. Il peccato era la ribellione contro Dio. Era ad un tempo ricusare la vita di Dio e rifiutare la luce. Secondo il linguaggio dei Libri Santi, il peccato era una schiavitù, cioè il servaggio del nostro spirito, del nostro cuore e dei nostri sensi a una potenza di peccato. Era immergerci nelle tenebre dell’errore e del vizio. Il peccato era la morte alla vita di Dio in noi. – Tuttavia, il Verbo del Padre continuò a vivificare e illuminare gli uomini per mezzo del Suo Spirito. Non permise al peccato di soffocare la vita, né alle tenebre d’invadere la luce. Ma a quanti ricevettero la Sua vita e la Sua luce, diede il potere di diventare figli di Dio. Poi scelse nel mondo un popolo che sarà il Suo popolo, e, in esso, dei re e dei profeti, dei re che lo governeranno con saggezza e fermezza, dei profeti che saranno le sue guide intellettuali e religiose, insegneranno il regno di Dio nel mondo, e annunzieranno progressivamente il Suo disegno di riscattare l’umanità dalla schiavitù del peccato. In questo popolo eletto, dalla famiglia di David, il più grande dei re d’Israele, da un padre e da una madre, poveri secondo il mondo, ma infinitamente ricchi di doni divini e dei quali la storia ha conservato i nomi, Gioachino ed Anna, sotto la direzione dello Spirito Santo, nacque la Santissima Vergine Maria, la più bella, la più pura, la più santa di tutte le Vergini, l’Immacolata. Crebbe; poi, quando fu giunto il tempo, il Verbo di Dio per opera delle Spirito Santo s’incarnò nel Suo seno. Nacque, piccolo fanciullo, Dio fatto uomo, a Betlemme, borgata della Giudea, patria del re David, Suo grande antenato. Gli Angeli vennero ad adorarlo e i pastori dei dintorni si prostrarono dinanzi a Lui. Giunsero anche i Magi. Poi, silenzio. Il Dio Bambino crebbe sotto lo sguardo di Maria Sua Madre, circondato dall’affetto dolcissimo, tenero ed illuminato di Lei Mai il Cielo è stato né sarà maggiormente presente sulla terra. È la Trinità Santa circondata da una gloria di Angeli, di Arcangeli, di Serafini, cioè: Padre, il Figlio di Dio fatto uomo e lo Spirito Santo con la Santissima Vergine Maria e san Giuseppe padre putativo della Sacra Famiglia. – Gesù, Verbo di Dio fatto uomo, ha trent’anni. È giunta la Sua ora. Comincia la predicazione del Suo Vangelo. Per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo che lo anima, uno col Suo divino Spirito insegna, illumina, commuove: cambia le menti ed i cuori; converte le moltitudini. Egli chiama i dodici Apostoli, dà loro un capo, Pietro. Con essi e sotto i loro occhi, per ben fondare le loro convinzioni e la loro fede, come per fondare le convinzioni e la fede della Sua Chiesa, moltiplica i miracoli. I ciechi vedono, gli zoppi camminano, risorgono i morti. Per mezzo del Suo Spirito, col Suo Spirito, una cosa sola col Suo divino Spirito, agisce nei cuori e nelle menti, agisce nelle coscienze. Trasforma la società di quel tempo. I poteri civili si commuovono. Sono gl’intellettuali di allora, i Farisei, gli Scribi, i Dottori della legge. È il potere civile, rappresentato da Erode, re di Giudea, e soprattutto dal procuratore romano, Ponzio Pilato. Gesù è tradito da uno dei Suoi, preso, accusato di sedurre le folle. È condannato a morte, alla morte più crudele ed ignominiosa, alla morte di croce. Questa morte, il Verbo di Dio fatto uomo l’ha voluta. È l’atto di umiliazione, di obbedienza e di amore che Egli offre a Dio Suo Padre per il riscatto di tutti gli uomini dalla schiavitù del peccato, per la salvezza del mondo. Tre giorni dopo, risuscita da morte. Prima di morire sul Calvario, aveva istituito l’Eucarestia, nella quale resterà sempre presente. Era il sacrificio con cui annunziava la Sua morte di croce. E dopo la Risurrezione, sarà il sacrificio mediante il quale perpetuerà la Sua presenza e il Suo sacrificio sulla Croce, e il sacramento nel quale si darà in cibo a tutti i Suoi. Non si contenta di venire in essi spiritualmente, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, uno col Suo Spirito. Vuol venire corporalmente con la Sua umanità, risorta e gloriosa, per essere in ciascuno di essi, il nutrimento della vita spirituale che Egli ha dato loro e vuol perpetuare. Cristo risuscitato, il Verbo di Dio fatto uomo, organizza la Chiesa che deve continuare la Sua opera di salvezza fino alla fine dei tempi. Gli Apostoli ne sono i capi. Egli dà loro il Suo Santo Spirito. Per il Suo Spirito, col quale, nel quale sarà con essi e in essi, avranno il potere di rimettere i peccati, il potere che non appartiene che a Dio. Egli li manda alla conquista spirituale del mondo, che proseguiranno fino alla fine dei tempi. Ma non saranno soli. Sarà con loro, in loro col Suo divino Spirito, per illuminarli, fortificarli, animarli, sostenerli nella vite nel martirio. Torno al Padre mio, disse prima di ascendere al cielo, ma abbiate fiducia, non vi lascerò soli, non vi lascerò orfani; è questa la parola usata da Lui, per far meglio risaltare il carattere delle relazioni paterne che ha con essi, tornerò con voi, sarò con voi per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito, per illuminarvi, animarvi, aiutarvi, confortarvi nella vita, nella morte, nella testimonianza che mi renderete in mezzo agli uomini. Ed ecco l’Ascensione in una gloria talmente incomparabile, che gli occhi degli Apostoli ne restano e ne resteranno abbagliati. Dieci giorni dopo: la Pentecoste, risposta alla grande promessa. È la venuta dello Spirito Santo nell’anima degli Apostoli. Con lo Spirito Santo, per lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, è il ritorno di Cristo, Verbo eterno del Padre, Figlio unico di Dio, Dio, in mezzo agli Apostoli, nel cuore degli Apostoli. – La Pentecoste è un mistero che si perpetua nel cuore di tutti i Cristiani attraverso il tempo e attraverso lo spazio. Per lo Spirito che non cessa di mandare agli Apostoli o ai loro successori, e a tutti i fedeli, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, il Cristo, Verbo eterno del Padre, Figlio unico di Dio, Dio, vive nel cuore di tutti i Suoi, per illuminarli, animarli, sostenerli e aiutarli a rendere testimonianza al Suo nome, nella vita, in un arduo ed incessante lavoro, in mezzo a persecuzioni di ogni sorta, nella morte, nella gloria. Non temete, abbiate fiducia. Per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito, tutti i giorni sono con voi, in voi, fino alla fine dei tempi.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (2)

CONGETTURE SU LE LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (9)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (9)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA

CAPITOLO V.

LA SETTIMA ETÀ DELLA CHIESA

I buoni sono costituiti, i martiri sono preparati, i santi stanno per soffrire; la bella chiesa di Filadelfia dura poco tempo; i princìpi anticristiani che erano stati indeboliti e schiacciati, ma non distrutti, riappaiono allo scoperto e seducono nuovamente gli uomini. Lo zelo dei sacerdoti e dei pastori si raffredda; la tiepidezza lo sostituisce, e con essa giunge una maggiore indifferenza, una più generale apostasia, una più criminale prevaricazione (Prævaricantes prævaricati sunt, et prevaricatione transgressorum prævaricati sunt – Questo passaggio è così forte che è intraducibile). Il cane ritorna alle ordure che aveva vomitato; il maiale, una seconda volta, sguazza nel suo brago (Contigit enim eis illud veri proverbii: Canis reversus ad suum vomitum, et sus lota in volutabro luti, II. Epistola di San Pietro, cap. II, v. 22); infatti, più o meno nello stesso momento in cui la santa Chiesa di Filadelfia iniziava il suo benefico dominio, tutto l’inferno si affollava, con diabolica gioia, intorno alla culla di colui che sarà l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’anticristo!

(*)

La Suora della Natività rappresenta qui la settima età, e il quadro che ne dipinge è anche appropriato alla fine della quinta età e all’inizio della sesta, sotto molti aspetti:

T. 1, p. 313. « Vedo in Dio che, molto prima dell’arrivo dell’anticristo, il mondo sarà afflitto da guerre sanguinose (La guerra propriamente detta è il carattere della prima rivoluzione iniziata nel 1789); i popoli si solleveranno contro i popoli, le nazioni contro le nazioni (la guerra civile, le insurrezioni sono i caratteri principali della seconda rivoluzione, che si chiama rivoluzione di luglio, con le sue conseguenze) – [noi aggiungiamo le guerre mondiali del XX secolo – ndr.-], a volte unite e a volte divise per combattere per o contro lo stesso partito. Gli eserciti si scontreranno spaventosamente e riempiranno la terra di omicidi e di carneficine. Queste guerre interne ed esterne causeranno enormi sacrilegi, profanazioni, scandali e mali infiniti per le incursioni fatte nella santa Chiesa usurpandone i diritti. Oltre a questo, vedo che la terra sarà scossa in vari luoghi da terremoti e movimenti terribili. Vedo le montagne frantumarsi e scoppiare con uno schianto che si propaga alla terra intorno. Vedo vortici di fiamme, fumo, zolfo e bitume uscire da queste montagne, che riducono in cenere intere città. Tutto questo e mille altri disastri precederanno la venuta dell’uomo del peccato (Tutto questo è storia contemporanea, ricordate Pointe à Pitre nel 1844, Tebe nel 1847, Brousse nel 1854, l’isola di Candia nel 1856, il regno di Napoli nel 1857, il Messico nel 1858, così come le numerose commozioni avvertite in tutte le parti del mondo dal 1854). »

T. 2 p. 318. « Più ci avviciniamo al regno dell’anticristo e alla fine del mondo, più le tenebre di satana si diffonderanno sulla terra, e più i suoi satelliti faranno sforzi per far cadere i fedeli nelle loro trappole e nelle loro reti. »

T. 1, p. 316. « Più ci avviciniamo alla fine del mondo, più vedo che il numero dei figli della perdizione aumenta e quello dei predestinati diminuisce. » Questo sarà fatto in tre modi… 1° per il grande numero di coloro che Egli (Dio) chiamerà a sé per salvarli dalle terribili piaghe che colpiranno la sua Chiesa; 2°. Per il gran numero di martiri che fortificherà nella fede coloro che la persecuzione non avrà falcidiato;  3° per la moltitudine di apostati che rinunceranno a Gesù Cristo per seguire il partito del suo nemico (… abbiamo detto qualcosa di simile nella seconda parte, capitolo 4 (VIII). »

T. 1, p. 7. « Ci saranno tanti martiri alla fine come all’inizio della Chiesa, e ho saputo che la persecuzione sarà così violenta negli ultimi tempi che in pochi anni ci sarà lo stesso numero di immolati di allora, dopo di che avrà luogo il Giudizio universale. »

T. 1, p. 317.« Qualche anno prima della venuta del mio grande nemico, satana susciterà falsi profeti che annunceranno l’anticristo come il vero Messia promesso, e cercheranno di distruggere tutti i dogmi del Cristianesimo… e io farò profetizzare i piccoli bambini… (Le parole della Santa Vergine ai due pastorelli de La Salette sembrano essere una delle realizzazioni di questo annuncio…) e i vecchi; i giovani annunceranno cose che faranno conoscere il mio ultimo avvento… Quello che ti dico qui, figlia mia, così come tutto quello che ti ho mostrato, sarà letto e raccontato fino alla fine dei secoli. » (*).

La storia di questa settima e ultima età è tracciata dal resto della sesta tromba (la sesta tromba è divisa tra la sesta età e la settima, perché l’azione dei malvagi in queste due età è la stessa, nasce dalle stesse cause, procede dagli stessi principi, e ha lo stesso oggetto: il regno dell’anticristo), dalla settima Chiesa, dal settimo sigillo, la settima tromba e la settima lode. Inizierà al primo attacco che seguirà la Chiesa di Filadelfia, che ci sembra durare circa 30 anni (Holzhauer fa iniziare quest’epoca con la nascita (nativitatem) dell’Anticristo. M. de Wüilleret – vol. 1, p. 208 – traduce “nascita” invece che “apparizione”). – Durante la sesta epoca, il Vangelo era stato predicato in tutto il mondo; tutti i popoli avevano accettato il Cristianesimo, ad eccezione del maggior numero di Giudei, che contavano solo quattro o cinque milioni di anime nel mondo, e di una parte dei maomettani, che erano stati ricacciati nei deserti orientali. Questa predicazione universale, che doveva precedere la consumazione, era stata fatta come una testimonianza di condanna per le nazioni che di lì a poco sarebbero cadute nell’apostasia, e che d’ora in poi sarebbero state inescusabili (Et prædicabitur hoc evangelium in universo orbe, in testimonium genti bus, et tunc veniet consummatio, San Matteo, cap. XXIV, v. 14). Ed ora, dopo poco tempo, San Giovanni, nel suo capitolo XI, vv. 1-2, vede e ci mostra la Chiesa Cattolica, così grande e così estesa nel passato, ridotta alle esili dimensioni di un solo tempio, che si ordina di misurare essendo la cosa facile a causa dell’esiguità del terreno occupato da questo edificio, e del piccolo numero dei fedeli che vi sono raccolti (Et datus est mihi calamus similis virgæ, et dictum est mihi: Surge et metire templum Dei, et altare, et adorantes in eo, – Apoc . cap. XI, v. 1). Quanto alla corte e a tutto ciò che si trova al di fuori di questo tempio, e che quindi è molto più grande, l’Apostolo non deve tenerne conto, né misurarlo, perché la loro immensa estensione renderebbe l’operazione troppo lunga e difficile, e perché d’altra parte sono stati abbandonati ai popoli apostati e anticristiani che calpesteranno sotto i loro piedi la Città Santa per quarantadue mesi – Atrium autem, quod est foris templum, ejice foras, et ne metiaris illud : quoniam datum est gentibus, et civitatem sanctam conculcabunt mensibus quadraginta duobus – ibid. v. 2 – (Holzhauser – t. 1, p. 466, ecc., Wüilleret – pensa che questi due versetti indichino, al contrario, l’espansione del Cattolicesimo in tutto il mondo. Questo è il contrario della nostra opinione. Le ragioni che egli ne dà non hanno alcun valore e sono confutate dal testo. È impossibile accettare che un tempio che si trovi di solito in una città sia più grande della città stessa. Ora i malvagi calpestano la città santa, che è certamente più grande di un tempio, per quarantadue mesi; quindi, la visione di Holzhauser non può essere sostenuta.).

I. Il nome e la storia della settima Chiesa, quella di Laodicea, danno le cause di questa grande defezione, di questo cambiamento così straordinario. Il venerabile Holzhauser – vol. 1, p. 209, ecc. Wüilleret) dà al nome di questa Chiesa il significato di vomito; si è senza dubbio ispirato ad un passo dell’Apocalisse relativo a questo tempo; ma la lingua greca non può dare luogo a una tale traduzione. Laodicea è composta da due parole: λαος (= laos – popolo) e ὄικη (= oike: diritto, giudizio, giustizia). La combinazione di queste due parole può fornire due significati ugualmente plausibili: il primo: che le creature negheranno il loro Creatore, e si arrogheranno gli attributi della Divinità (cosa che effettivamente l’anticristo farà); e il secondo: che Dio giudicherà poi il popolo, cosa notoriamente certa.

II. Gesù Cristo, rivolgendosi a questa Chiesa, prende il titolo di Testimone fedele e vero, di Creatore (Testis fidelis et verus, qui est principium creaturæ Dei, Apoc. cap. III, v. 14) perché ha già dato la sua testimonianza a tutte le nazioni, specialmente nell’ultima e universale predicazione del Vangelo (in testimonium omnibus gentibus, San Matteo, cap. XXIV, v. 14), e perché non è affatto come l’anticristo, questo testimone infedele e bugiardo, che vuole spacciarsi per Dio, quando è invece solo un semplice mortale, per il Creatore, quando è solo una creatura. « Conosco le vostre opere – dice il divino Maestro a questa Chiesa infelice – so che non siete né freddi né caldi, che siete tiepidi; è per questo che vi rigetterò, che comincerò a vomitarvi dalla mia bocca, a esercitare tutta la mia ira contro di voi, a punirvi secondo i vostri demeriti e a lasciarvi andare al mio nemico, che è principalmente il vostro. (Scio opera tua, quia nec frigidus, nec calidus; utinàm frigidus esses, aut calidus! Sed quia tepidus es, nec frigidus, nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo, – Apoc. cap. III, v. 16). E con queste parole ci fa sapere in anticipo quanto profonda sarà la caduta di questi Cattolici, che una volta erano così pii, così ferventi e così zelanti. Una volta caduti in uno stato così degradante, gli uomini non avranno più il senso del diritto e del dovere, del giusto e dell’errato. Essi cercheranno, con più foga che nella quinta età, onori, ricchezze, piaceri, comodità e la soddisfazione di una natura viziata, senza nemmeno sospettare che questa condotta sia in diretta opposizione ai consigli e ai precetti del Salvatore. Pensano di essere ricchi perché hanno grandi beni sulla terra, e non vedono che sono infelici, miserabili, poveri e nudi, perché non possiedono i veri beni, quelli della grazia. Presuntuosi fino all’eccesso, penseranno di poter fare del bene con la propria virtù, di non aver bisogno della potenza di Dio per questo, e dimenticheranno che l’uomo non è altro che peccato, e che, privato dell’aiuto del cielo, non può fare alcun bene soprannaturale, ed è capace solo di male. Si crederanno dotti, eruditi e profondi, perché avranno una conoscenza approfondita delle scienze che hanno per oggetto il tempo e la materia, e non si accorgeranno di essere così accecati da non poter più vedere la verità e la sana dottrina che sono le luci e gli occhi dell’intelligenza. Immagineranno di essere abbondanti nelle buone azioni, mentre presenteranno solo una spaventosa nudità agli occhi divini (Quia dicis, quod dives sum, et locupletatus, et nullius egeo: et nescis quia tu es miser, et miserabilis, et pauper, et cæcus, et nudus, – ibid, v. 17). Per questo il divino Maestro consiglia loro di comprare da Lui l’oro puro, provato dal fuoco della tribolazione, lo zelo e la carità, per diventare veramente ricchi, per rivestirsi della veste bianca della penitenza, poiché non hanno più la veste bianca dell’innocenza per coprire la confusione della loro nudità; di ungere i loro occhi con il collirio della verità, affinché cessi la loro cecità (suadeo tibi emere a me aurum ignitum, probatum, ut locuples fias, et vestimentis albis induaris, et non appareat confusio nuditatis tuæ, et collyrio inunge oculos tuos, ut videas, – ibid. v. 18). Egli dichiara loro che, se abbandona al loro senso reprobo coloro che lo odiano e che Egli odia, non agisce allo stesso modo nei confronti di coloro che ancora ama nonostante la loro pigrizia e il loro errore; ma li avverte, parla loro, li rimprovera e li castiga nel tempo per salvarli per l’eternità (Ego quos amo castigo. Æmulare ergo, et pænitentiam age, – ibid. v. 19). Poiché la fine del mondo è vicina, dice loro che sta davanti alla porta delle anime e del tempo; che bussa perché essa gli sia aperta; e che coloro che gli apriranno saranno uniti a Lui in un banchetto divino che non avrà mai fine (Ecce sto ad ostium, et pulso: si quis audierit vocem meam, et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum, et cænabo cum illo , et ipse mecum, ibid. v. 20). E infine, poiché il Figlio dell’uomo sta per ottenere la vittoria suprema sugli uomini e sui demoni e il suo trono sta per essere stabilito nei secoli dei secoli, promette al vincitore di farlo sedere con Sé su quel trono, proprio come Egli stesso, che ha vinto, siede sul trono con il Padre suo celeste (Qui vicerit, dabo ei sedere mecum in throno meo: sicut et ego vici, et sedi cum Patre meo in throno ejus, ibid. v. 21).

III. Il settimo sigillo ci dà un’idea ancora più triste della settima età. Non appena viene aperto il cielo, c’è un silenzio come di mezz’ora (Et cum aperuisset sigillum septimum, factum est silentium in cælo, quasi media hora (Holzhauser – t. 1, p. 234, etc., Wüilleret – vede in questo silenzio così breve il regno di Giuliano l’Apostata. Noi non possiamo ammettere questa opinione; ne abbiamo già dato le ragioni in vari luoghi), Apoc. cap. VIII, v. 1. – Questo silenzio non è sulla terra, che è piena di tumulti, sconvolgimenti, confusione e crimini; è in cielo, nel bene, nella verità; esso annuncia, a nostro avviso, la proibizione della predicazione del Vangelo, la proscrizione del culto cattolico, l’abolizione del Sacrificio perpetuo (juge sacrificium), la chiusura e la profanazione dei templi del vero Dio, di cui uno solo (quello che a San Giovanni fu ordinato di misurare) rimane ad uso dei fedeli, la quasi invisibilità della Chiesa, che si nasconde nelle montagne e nei deserti (Tunc qui in Judæa sunt fugiant ad montes San Matt. cap. XXIV, v. 16 – Holzhauser, t. 2, p. 36, Wüilleret – dice che la Chiesa avrà allora il suo ritiro in Occidente sulle montagne.), il dominio dell’empietà sul male, il regno dell’abominio della desolazione.

(*)

La Suora dettaglia gli eventi che precederanno il regno dell’anticristo. Ci sono ancora dei passaggi che possono essere applicati alla quinta e alla sesta età. L’albero della Rivoluzione non essendo stato sradicato, ma tagliato rasente al suolo, le sue quattro radici fanno crescere quattro germogli che vengono riconosciuti per quello che sono, e vengono immediatamente tagliati (tom. 1, p. 406). Gli empi avevano formato la loro trama in segreto (le società rivoluzionarie e anticattoliche sono chiamate “società segrete”), perché le radici erano nascoste nel terreno, e si affrettarono ad attaccare la Chiesa.

T. 4, p. 407. Ci saranno alcuni, dice la Suora, che si nasconderanno in luoghi sotterranei… Faranno anche uso di diavoli, dell’arte della magia e degli incantesimi (Le tavole rotanti e battenti, i medium, quello che si chiama spiritismo, sembrano entrare in questa categoria di mezzi che saranno usati, e sono già stati usati da tempo). Questi nemici della Chiesa avranno belle apparenze, ma saranno scoperti e colpiti. La loro azione non sarà di lunga durata; potrà durare qualche anno. La Chiesa non sarà oppressa nei suoi ministri e nel loro ministero; ma molte persone di entrambi i sessi saranno ingannate (vol. 1, p. 407).

I malvagi scoperti e condannati si nasconderanno, faranno riunioni notturne e si rinchiuderanno nelle foreste. Comporranno opuscoli pieni di ogni sorta di devozioni, novità e storie false, che saranno diffuse dai loro amici. Gli opuscoli saranno seguiti da opere più seriose, che si diffonderanno allo stesso modo e infetteranno diverse regioni con il loro veleno, senza che nessuno se ne accorga. Essi stabiliranno una falsa legge che chiameranno inviolabile. Essi istruiranno e governeranno come i legislatori di satana (tom. 4, p. 414). –

Per meglio riuscire si daranno a grandi austerità, faranno grandi elemosine, daranno tutti i loro beni ai poveri e si impegneranno in tutti i tipi di pratiche devozionali. Ci saranno dei sacerdoti in buona fede intercessori presso i Vescovi; molti di questi ultimi saranno addirittura ingannati (tom.. 4, p. 416).

La Chiesa si stupirà di un cambiamento che non sarà stato prodotto da missioni e sermoni (La Chiesa sarà sorpresa di un cambiamento che non è stato portato dalle missioni e dalle prediche. Alcuni preti si accorgeranno di cose sospette – t. 4, p. 412). Quando questi malvagi si crederanno scoperti, ricorreranno all’ipocrisia, appariranno molto più religiosi, negheranno qualsiasi associazione con gli empi, e si scuseranno della loro ignoranza quando sarà loro dimostrata (tom. 4, p. 412). –

La Chiesa, avendoli fatti osservare e scoprire (vol. 4, p. 468), ordinerà digiuni, processioni, missioni, preghiere pubbliche, un giubileo che convertirà molti di coloro che furono sedotti e preserverà quelli che erano disposti ad essere ingannati (t. 4, p. 425).

Quando questi malvagi avranno un numero di discepoli tanto grande quanto serve per popolare un regno, si spargeranno e faranno molto male alla Chiesa, che sarà attaccata da tutte le parti da stranieri, idolatri, e dai suoi stessi figli. » (t. 4, p. 415).

Dal momento in cui questi empi usciranno dalle loro caverne, fino a quando la Chiesa riconoscerà il loro male, ci sarà un lungo tempo, forse anche mezzo secolo più o meno, che essi impiegheranno per sedurre i fedeli ( t. 4, p. 419). (Tutti questi eventi segreti potranno prendere una grande porzione della bella e santa Chiesa di Filadelfia. Tutto sarà nascosto per molto tempo. Quando saranno scoperti, saranno immediatamente colpiti).

Finita questa crisi, ne seguirà presto un’altra. I malvagi, vedendosi traditi e scoperti, saranno furiosi (t. 4, p. 425), e si riuniranno con il loro capo nella città più famosa (t. 4, p. 428), per tramare ancora. La grazia toccherà una parte di loro, anche diversi capi, stregoni e maghi (vol. 4, p. 430), che saranno fedeli alla grazia (vol. 4, p. 432, 433), diventeranno santi così come i loro figli, ed in seguito subiranno il martirio (tom. 4, p. 434).

Questa seconda volta si convertiranno, attraverso le austerità e le preghiere della Chiesa, quasi altrettanti peccatori che la prima volta, attraverso missioni, digiuni e giubilei (tom. 4, pagina 434).

Quelli che avanno perseverato nella loro ribellione, sentendo la loro impotenza, si daranno a satana, che apparirà in mezzo a loro, li rimprovererà per la loro viltà, prometterà loro l’anticristo e tutti i beni della terra; essi faranno un contratto con lui, gli giureranno fedeltà fino alla morte, si impegneranno a odiare Gesù Cristo, a rinunciare al loro Battesimo, ad amare ed adorare il diavolo, e gli diverranno simili (vol. 4, pp. 437, 440, 441, 442, 445). La loro legge maledetta, detta inviolabile, sarà unita al contratto che hanno sottoscritto con satana – vol. 4, p. 446 – Essi esorteranno il popolo a seguire questa legge con la minaccia di costringerli a farlo. La faranno affiggere e leggere pubblicamente, e pubblicheranno tutti i tipi di castighi destinati a punire il recalcitrante (t. 4, p. 450). Prima di usare il rigore, prenderanno mezzi di seduzione più efficaci. I demoni appariranno sotto le spoglie di angeli della luce per annunciare il vero Messia; passeranno diversi anni prima che essi usino apertamente la forza e la coercizione ( vol. 4, p. 451 ), e allora inizierà la persecuzione dell’Anticristo che sarà diventato il loro capo.

Quando i complici dell’anticristo inizieranno la guerra, si metteranno vicino a Roma, che perirà interamente. Il Papa subirà il martirio; la sua sede sarà preparata per l’anticristo (ma egli non la occuperà, non ne avrà il tempo. La Suora non sa se questo sarà fatto un po’ prima dell’anticristo dai suoi complici, o dall’anticristo stesso – vol. 4, p. 460).

Quando il Figlio della Perdizione si presenterà come tale, ci sarà un terribile scandalo nella Chiesa, una terribile carneficina in tutto l’universo. Non ci sarà altro che inganno, tradimento, ipocrisia, gelosia, abomini, malvagità, illuminazione, falsi devoti, produzione di illusioni magiche, falsi miracoli, false profezie, falsi profeti. Arriveranno al punto di far apparire luci e figure splendenti, che prenderanno per divinità (Abbiamo visto nella seconda parte, cap. 1, che l’Antipapa, luogotenente dell’anticristo in Europa, animerà il ritratto della Bestia. Questo ha qualche connessione con le parole della Suora della Natività. – tom. 1, p. 320).

I ministri di Gesù Cristo combatteranno contro tutte queste mostruosità, ma saranno messi a morte e periranno con il martirio (tom. 1, p. 322).

Ci si applicheranno sui pastori e sui fedeli tutte le circostanze della crocifissione di N. S. J.-C. – Il numero dei martiri che Dio avrà segnato non sarà superato (volume 1, p. 322, 323, 330, 331, tom. 4, p. 452).*)

IV. L’ultima parte della sesta tromba ci fa conoscere l’azione di Dio e soprattutto quella di satana nei tempi malvagi. – Enoch ed Elia, i due grandi testimoni del Creatore (Sic Holzhauser, t. 1, p. 482, Wüilleret) appaiono nel mondo, vestiti di sacchi. – Essi sono come due ulivi che producono l’olio untuoso e salutare della conversione e della santità, come due candelabri che illuminano gli intelletti in mezzo alle fitte tenebre dell’inferno. Predicano e profetizzano per milleduecentosessanta giorni agli uomini che si sono smarriti; annunciano loro l’avvicinarsi della fine dei tempi e la venuta finale del Figlio dell’uomo, in modo da farli sfuggire alla seduzione, o per sottrarre ad essa coloro che ne siano già stati colpiti (Et dabo duobus testi bus meis, et prophetabunt diebus mille ducentis sexu ginta, amicti saccis. Hi sunt duæ olivæ, et duo cande labra, in conspectu Domini terræ stantes, Apoc. cap. XI, v. 3, 4).  Per esercitare più efficacemente il loro ministero, questi due profeti ricevono un grande potere da Dio; essi hanno il potere di far uscire un fuoco dalla loro bocca, cioè di produrre per loro ordine un fuoco che divorerà coloro che si sono fatti loro nemici e cercano di far loro del male (Si quis voluerit eis nocere, ignis exiet de ore eorum, et devorabit inimicos eorum: et si quis voluerit eos lædere, sic oportet eum occidi, ibid. v. 5). Essi hanno anche il potere di chiudere il cielo, di impedire che piova sulla terra durante il tempo della loro profezia, di trasformare l’acqua in sangue, e di colpire il mondo con piaghe ogni volta che vogliono (Hi habent potestatem claudendi cælum, ne pluat diebus prophctia ipsorum; et potestatem habent super aquas convertendi eas in sanguinem, et percutere terram omni plaga quotiescumque voluerint, ibid. v. 6.

(*) Estratto analitico della Suora della Natività.

A causa del gran numero di martiri e di apostati, la Chiesa è ridotta a un piccolo numero, in confronto a quello che era in passato (Nel cap. XI, v. 1, dell’Apocalisse, a San Giovanni viene ordinato di costruire il tempio di Dio. Holzhauser vede la Chiesa più numerosa che mai, mentre sa che l’altro capitolo tratta della persecuzione dell’anticristo e della fine del mondo. Noi interpretiamo questo versetto nel senso opposto; la Suora della Natività è conforme alla nostra congettura. Dopo i giorni in cui ci sono più martiri, San Michele si presenta alla Chiesa, la rende invisibile e la fa passare in mezzo ai suoi nemici (Questa invisibilità della Chiesa rimanda al silenzio di mezz’ora che si trova nel settimo sigillo, capitolo VIII, v. 1), perché il numero dei martiri è compiuto, e la conduce in una solitudine dove deve soffrire la fame, la sete, la carestia e la povertà, ma dove Dio la sostiene con miracoli reali, la nutre con un pane miracoloso, la sua parola divina e il suo stesso corpo. I suoi nemici, non vedendola più, penseranno di averla distrutta, ma Essa persiste; le grotte formate dalle montagne che si sono aperte le servono da rifugio. Vi si costruiscono templi, vi si erigono altari (vol. 1, p. 334), i buoni Angeli vengono a raccontare ai fedeli ciò che accade altrove, e riportano alla Chiesa molti sventurati che l’avevano rinnegata o non l’avevano mai conosciuta (vol. 1, p. 339). Nei giorni in cui ci sarà stato il maggior numero di martiri, Nostro Signore stesso apparirà alla sua Chiesa, e manderà San Michele a renderla invisibile e a condurla nella solitudine, finquando il numero dei martiri sarà completato (vol. 4, p. 482).

V. Elia deve predicare ai Giudei a Gerusalemme e in Palestina (Qui scriptus es in judiciis temporum lenire iracundiam Domini, cor patris ad filium, et restituere tribus Jacob (Elia viene annunciato nelle profezie come colui che debba mitigare l’ira del Signore, far tornare il cuore del Padre al Figlio suo e restaurare le tribù di Giacobbe.- Eccles. cap. XLVIII, v. 10); è quindi necessario che la loro dispersione sia cessata in anticipo e che siano riuniti nel loro paese. – Ezechiele ci rappresenta questo ritorno sotto l’immagine di ossa aride in cui ritorna lo spirito della vita e che rivivono (cap. XXXVII), e dice, in nome di Dio: « Ecce ego assumam filios Israel de medio nationum ad quas abierunt, et congregabo eos undique, et adducam eos ad humum suam. Et faciam eos in gentem unam in terra in montibus Israel, et rex unus erit omnibus imperans, et non erunt ultra duæ gentes, nec dividentur ampliùs in duo regna – Io prenderò i figli d’Israele tra le nazioni in cui erano andati. Li radunerò da tutte le parti, li farò diventare una sola nazione, nella loro terra, sui monti d’Israele. Un solo re regnerà su di loro; non saranno più due nazioni e due regni » (ibid. v. 21, 22). – Perché questa profezia si compia, i Giudei devono poter formare di nuovo un popolo, e l’impero turco, che occupa il loro paese, deve essere distrutto. La prima condizione è più o meno soddisfatta, la seconda sarà presto realizzata. Fino alla fine del secolo scorso, i figli di Israele erano disprezzati e rifiutati in tutto il mondo. Tenuti accuratamente lontani da tutte le carriere, il loro unico mezzo di sussistenza era il commercio, poiché non potevano possedere proprietà. Trattati come nemici ed emarginati da tutte le nazioni, e specialmente dai maomettani, non avendo alcuna forza materiale, erano odiati da tutti a causa del loro deicidio, e rispondevano a questa avversione generale con un’ostilità occulta verso tutti i popoli, vivendo solo di inganni, rapine, usura e bugie. La filosofia e la sua figlia legittima, la rivoluzione, forse volendo smentire le profezie cattoliche, emancipò i Giudei in Francia, e questo esempio fu gradualmente seguito da quasi tutta l’Europa, così che i turchi sono quasi gli unici al momento, a tenerli ancora in schiavitù. L’emancipazione ha prodotto gli effetti che ci si aspettava, ha permesso a questo popolo di intraprendere tutte le carriere; ha avuto ministri notevoli, finanzieri eminenti, grandi oratori, soldati illustri, abili ingegneri, scienziati di prim’ordine, magistrati, profondi giureconsulti, grandi artisti; in una parola, possiede tutto ciò che è necessario per formare una nazione indipendente che governi se stessa. – Per quanto riguarda l’impero turco, la sua caduta è imminente, come abbiamo già detto. Questo grande corpo non può più sostenersi da solo; la vita lo ha abbandonato; è stato ridotto in uno stato di agonia; esso sarebbe già inesistente da più di quasi quarant’anni, se gli si fosse potuto sostituire qualcosa, o se si fosse potuto raggiungere un accordo per la divisione dei suoi vasti possedimenti.

VI. Quando i Giudei saranno tornati nel loro paese e vivranno con fiducia e sicurezza nella terra dei loro padri, Gog, l’anticristo, verrà su di loro con un grande esercito, come annuncia Ezechiele quando dice: « Post dies multos visitaberis; in novissimo annorum venies ad terram, quæ reversa est à gladio, et congregata est de populis multis ad montes Israel, qui fuerunt deserti jugiter. Hæc de populis educta est, et habitabunt in ea confidenter universi – Tu sarai visitato dopo molti giorni. Nell’ultimo dei tuoi anni verrai nel paese distrutto dalla spada, i cui abitanti sono stati radunati da tutti i popoli sui monti d’Israele, che erano stati a lungo desolati, dove abiteranno con fiducia. » (cap. XXXVIII, v. 8). – L’uomo del male non sorgerà immediatamente come il Messia promesso, egli sorgerà dall’abisso del nulla e dell’oscurità; sorgerà come Tamerlano, che iniziò come capo di una banda di ladri e assassini, e diventerà il capo dei Mussulmani (Bestia quæ ascendit de abysso, Apoc. XI, v. 7. Bestia quam vidisti fuit et non est, et ascensura est de abysso, ibid. cap. XVII, v. 8).

Secondato da questo popolo, discendente di Magog, figlio di Jafet, egli farà grandi conquiste. Avendo raggiunto una grande potenza, verrà, negli ultimi anni della sua vita (In novissimo annorum, Ezech. cap. XXXVIII, v. 8), dalle parti di Aquilone, per ascendere sulla Palestina, con diversi popoli (Et venies de loco tuo à lateribus Aquilonis, et populi multi tecum, ibid. v. 15. Et ascendes super populum meum Israel quasi nubes, ut operias terram; in novissimus diebus eris – Negli ultimi tuoi anni, tu verrai dai lati di Aquilone e molti popoli con te, e monterai sul mio popolo Israele come una nuvola per coprire la terra. Tu ci sarai negli ultimi giorni – ibid. v. 16).

Divenuto padrone della Terra Santa, concepirà un pensiero malvagio, quello di farsi adorare come Dio (In die illa ascendent sermones super cor tuum, et cogitabis cogitationem pessimam, ibid. v. 10. Qui adversatur et extollitur supra omne quod dicitur Deus , aut quod colitur , ita ut in templo Dei sedeat , ostendens se tanquàm sit Deus – In quel giorno i discorsi che vi saranno fatti gonfieranno il vostro cuore, e concepirete il pensiero più cattivo … Colui che si pone come nemico e vuole esaltarsi al di sopra di tutto ciò che si chiama Dio e viene adorato come tale, fino al punto di sedersi nel tempio e mostrarsi come se fosse Dio). II Tessalonicesi 2, v. 4) (Ego veni in nomine Patris mei, et non accepistis me; si alius venerit in nomine suo, illum accipietis – Sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete. Se un altro viene nel suo nome, lo riceverete. Sic Holzhauser, t. 4, p. 471, Wüilleret). Vangelo di San Giovanni, cap. V, v. 43).

VII. Elia ed Enoch combattono contro l’anticristo con tutto il loro potere, per impedire che i popoli siano sedotti, per trattenerli o per farli ritornare; e per questo colpiscono la terra con un gran numero di piaghe. – La prima piaga è un’ulcera crudele e pericolosa che colpisce coloro che portano il segno della bestia e adorano la sua immagine, e che risparmia tutti gli altri (Et abiit primus -Angelus – et effudit phialam suam in terram, et factum est vulnus sævum et pessimum in homines qui habebant characterem bestiæ, et in eos qui adoraverunt imaginem ejus – Il primo Angelo versò la sua coppa sulla terra, e gli uomini che avevano il segno della bestia o che avevano adorato la sua immagine furono colpiti da una piaga crudele e molto maligna), Apoc. cap. XVI, v. 2). – Il secondo trasforma il mare in sangue e dà la morte a tutto ciò che ha vita in esso (Et secundus Angelus effudit phialam suam in mare, et facta est sanguis tanquàm mortui, et omnis anima vivens mortua est in mari – E il secondo Angelo versò la sua coppa nel mare, che divenne sangue, come il sangue di un cadavere, e ogni anima vivente nel mare morì, 1 – ibid. v. 3). – Il terzo trasforma le altre acque in sangue (Et tertius effudit phialam suam super flumina, et super fontes aquarum, et factus est sanguis – E il terzo Angelo versò la sua coppa sui fiumi e sulle sorgenti, ed essi furono trasformati in sangue – ibid. v. 4). La quarta è il calore e il fuoco che affliggeranno gli uomini (Et quartus Angelus effudit phialam suam in solem, et datum est illi æstu affligere homines et igni. Et æstuaverunt homines ostu magno, et blas phemaverunt nomen Dei habentis potestatem super has plagas, neque egerunt pænitentiam ut darent illi gloriam – E il quarto Angelo versò la sua coppa sul sole. E gli fu dato di colpire gli uomini con calore e fuoco; e gli uomini ebbero grande calore e bestemmiarono il Nome di Dio, che aveva potere su queste piaghe, e non peccarono, né glorificarono Dio – ibid. v. 8, 9). – La quinta piaga è rappresentata dalle tenebre che oscurano il trono della bestia e il suo impero (Et quintus Angelus effudit phialam suam super sedem bestiæ, et factum est regnum ejus tenebrosum, et commanducaverunt linguas suas præ dolore; et blasphemaverunt Deum coeli pro doloribus et vulneribus suis, et non egerunt pænitentiam ex operibus suis – E il quinto Angelo versò la sua coppa sul trono della bestia e lo riempì di tenebre e si divorarono la lingua per il dolore. Hanno bestemmiato Dio per questo, e non hanno fatto penitenza per i loro peccati – ibid. v. 10, 11).

VIII. La sesta coppa è ben rimarchevole: essa non ha alcun legame con le piaghe con cui i due profeti colpiranno la terra; al contrario, indica l’operazione dell’anticristo e dei suoi seguaci. Questa coppa è versata sul grande fiume Eufrate, cioè sui paesi civilizzati, sull’Europa, che sono rappresentati, come abbiamo detto, dal nome di questo fiume; essa prosciuga tutte le acque vivificanti della verità e della grazia per mezzo dello pseudoprofeta, l’antipapa, che fa apostatare l’Occidente e lo sottomette all’anticristo e ai re dell’Oriente (Et sextus Angelus effudit phialam suam in flumen illud magnum Euphraten , et sic cavit aquam ejus, ut præpararetur via regibus ab ortu solis – E il sesto Angelo versò la sua coppa sul grande fiume Eufrate per preparare la via ai re dell’Oriente. – ibid. v. 12).

IX. Dopo questa apostasia dell’Occidente, il mondo intero è sottomesso all’uomo del male. Questo, gonfio dei suoi successi, vuole elevarsi fino alla Divinità; si impegna a detronizzare il vero Messia, a farsi adorare come Dio. Per questo, tre spiriti immondi escono dalla sua bocca, come dal drago e dal falso profeta, come rane che gracchiano. Sono spiriti di demoni che operano prodigi e vanno da tutti i re della terra per radunarli per il giorno della grande battaglia di Dio (Et vidi de ore draconis, et de ore bestiæ, et de ore pseudoprophetæ spiritus tres immundos in modum ranarum . Sunt enim spiritus dæmoniorum facientes signa, et procedunt ad reges totius terræ congregare illos in prælium ad diem magnum Omnipotentis, ibid. v. 13, 14). Il numero di questo esercito è incalcolabile; esso copre la faccia della terra, circonda il campo dei santi e la città amata (Et congregabit eos in prælium, quorum numerus est sicut arena maris, Apoc. cap. XX, v. 7. Et ascenderunt super latitudinem terræ, et circumierunt castra sanctorum et civitatem dilectam (Questo testo prova che avevamo ragione nel dire che il tempio che San Giovanni doveva misurare, nel capitolo XI, v. 1, 2, significa che la Chiesa sarà ridotta a un piccolo numero, e che ciò che è fuori del tempio è molto più grande, poiché, secondo il capitolo XX dell’Apocalisse, gli empi coprono la terra. L’anticristo li riunirà in un luogo chiamato in ebraico Armageddon, mentre il Figlio dell’uomo annuncia che verrà come un ladro, per confondere questo grande impostore (Ecce venio sicut fur, Apoc. XVI, v. 15. Et congregabit illos in locum, qui vocatur hebraïcè Armagedon, ibid. v. 16). – Dio, per vendicare la sua gloria oltraggiata, opprime la terra con terribili disgrazie; tutta la natura è desolata; uomini e animali sono in grande costernazione davanti al volto adirato del Signore; le montagne, le muraglie sono rovesciate; strade e sentieri scompaiono; il fratello alza la spada contro il fratello; la spada è su tutte le montagne del Signore, sui capi del Cattolicesimo. Peste, sangue, una pioggia torrenziale, pietre enormi colpiscono gli uomini. Lo zolfo e il fuoco cadono sull’esercito del figlio della perdizione e sui numerosi popoli che lo seguono (Et commovebuntur à facie mea pisces maris, et volucres coeli, et bestiæ agri, et omne reptile quod movetur super humum, cunctique homines qui sunt super faciem terræ; et subvertentur montes et cadent sepes, et omnis murus corruet in terram, Ezech, cap. XXXVIII, v. 20. Et convocabo adversùs eum in cunctis montibus meis gladium, ait Dominus Deus: gladium uniuscujusque in fratrem suum dirigetur, ibid. v . 21. Et judicabo eum peste, et sanguine, et imbre vehementi, et lapidibus immensis. Ignem et sulphur pluam super eum, et super exercitum ejus, et super populos multos qui sunt cum eo (I pesci del mare, gli uccelli del cielo, le bestie dei campi, ogni essere strisciante che striscia sulla terra e ogni uomo vivente saranno in preda al terrore e all’agitazione in mia presenza. I monti saranno abbattuti, le siepi e i muri cadranno. Chiamerò una spada su tutti i miei monti, dice il Signore; la spada di un fratello sarà rivolta contro il suo fratello. Li giudicherò con pestilenza, sangue, pioggia battente e grandi pietre. Farò piovere fuoco e zolfo su di lui, sul suo esercito e sulle persone che sono con lui. (ibid. v. 22). I malvagi, lungi dall’umiliarsi e chiedere pietà, si induriscono ancora di più alla vista di tanti mali. Bestemmiano il Nome di Dio invece di fare penitenza. Diventano ancora più feroci contro i Cristiani. Il terrore è ovunque. Per evitare un pericolo, si cade nelle trappole, nelle reti che vengono tese. La terra è disfatta, schiacciata, scossa, agitata come un ubriaco. Interi paesi sono inghiottiti nell’abisso che si apre (Formido, et fovea, et laqueus super te, qui habitator es terræ. Et erit: Qui fugerit à voce for midinis cudet in foveam, et qui se explicaverit de foved tenebitur laqueo. Cataractæ de cælis apertæ sunt, et concutientur fundamenta terra. Confractione confringetur terra, contritione conteretur terra, commotione commovebitur terra. Agitatione agitabitur terra sicut ebrius, et auferetur quasi tabernaculum unius noctis, et gravabit eam iniquitas sua, et corruet, et non adjiciet ut resurgat (Paura, insidie e reti sono su di te, o abitante della terra; chi sviene dalla paura cadrà nella fossa. Colui che esce dalla fossa sarà trattenuto dalla rete. Le cataratte del cielo si apriranno, le fondamenta della terra saranno fortemente scosse, la terra sarà spezzata, schiacciata e riversata; sarà traballante come un ubriaco, e portata via come la tenda di una sola notte. La sua iniquità peserà su di lei, e sarà appesantita e non si rialzerà (come nella sesta epoca). Isaia, cap. XXIV, v. 17-20).

(*) Dio assiste la sua Chiesa, manda veri profeti, elargisce miracoli, anche per sostenere i fedeli (Essendo il permesso di comprare e vendere concesso solo a coloro che avranno il segno della bestia, gli altri devono essere in miseria. (Apoc. cap, XIII, v. 17.) (Suor della Natività, t. 4, p. 452). I buoni avranno frequenti apparizioni degli Angeli buoni, specialmente di San Michele. Vedremo la resurrezione pubblica e notoria di diversi martiri (Nel cap. XI, v. 11, di Apoc. si dice che Elia ed Enoch, messi a morte dall’anticristo, risorgeranno.) Elia ed Enoch, uccisi dall’anticristo, saranno risuscitati, contro i quali non si potrà fare nulla, perché non moriranno, e consoleranno e fortificheranno i fedeli (Elia ed Enoch, quindi, forse predicheranno anche dopo la loro risurrezione. Questa volta i Giudei seguiranno Elia. – . Anche se visibili ai loro fratelli, essi godranno della vista di Dio – tom. 1, p. 332. *).

X. Quando Enoch ed Elia hanno terminato la loro testimonianza, cioè milleduecentosessanta giorni dopo averla iniziata, sono messi a morte dall’anticristo a Gerusalemme (Et cùm finierint testimonium suum, bestia quæ ascendit de abysso faciet adversùs cos bellum, et vincet illos, et occidet eos – Non appena avranno finita la loro testimonianza, la bestia che sale dal pozzo senza fondo farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà). Apoc. cap. XI, v. 7). I loro corpi rimangono per tre giorni e mezzo nelle strade della città, perché è vietato seppellirli. Tutti gli uomini li vedono e possono così accertare la loro morte (Et corpora eorum jacebunt in plateis civitatis magnæ, quce vocatur spiritualiter Sodoma et Ægyptus, ubi et Dominus eorum crucifixus est. Et videbunt de tribubus, et populis, et linguis, et gentibus corpora eorum per tres dies et dimidium; et corpora eorum non sinent poni in monumento – E i loro corpi saranno deposti nelle piazze della grande città che è spiritualmente chiamata Sodoma ed Egitto, dove il loro Signore fu crocifisso. E gli uomini di ogni tribù, popolo, lingua e nazione vedranno i loro corpi per tre giorni e mezzo, perché non sarà permesso di metterli in una tomba. – ibid, v. 8, 9). – Grande è la gioia degli abitanti della terra nell’apprendere di questa doppia morte; si danno a tutti i segni esteriori di contentezza; mandano regali per congratularsi gli uni con gli altri, perché i due inviati di Dio li avevano notevolmente tormentati (Et inhabitantes terram gaude bunt super illos, et jucundabuntur; et muncra mittent invicem, quoniam hi duo prophetæ cruciaverunt eos, qui habitabant super terram, ibid. v. 10.

(*) L’anticristo, vedendosi vittorioso ovunque, si fa adorare come Dio; ma viene colpito dal soffio della bocca di Gesù Cristo, e viene gettato con i suoi complici nell’inferno (t. 1, p. 323, t. 4, p. 453). Non tutti i suoi complici cadono con lui, un gran numero viene risparmiato. Molti di questi ultimi si convertono (Vol. 1, p. 325, Vol. 4, p. 455), così come molti poveri Cristiani che erano stati sviati dalla paura e dalle illusioni. Quelli che periranno formeranno i due terzi dei complici. Quelli che saranno risparmiati e salvati ne costituiranno un terzo (tom. 4, p. 456*).

XI. Ma questa gioia cieca è molto breve; perché tre giorni e mezzo dopo la loro morte (Holzhauser-t. 1, p. 495, ecc. Wüilleret- pensa che questi tre giorni e mezzo forniscano tre settimane o ventuno giorni. Questo ci sembra arbitrario e sistematico). Lo spirito della vita ritorna nei corpi dei due profeti per ordine di Dio; essi si raddrizzano e si alzano in piedi; un grande timore coglie tutti coloro che li vedono (Et post dies tres et dimidium, spiritus vitae à Deo intravit in eos; et steterunt super pedes suos, et timor magnus excidit super eos qui viderunt eos, ibid. v. 11). Una grande voce dal cielo disse loro: “Salite qui”, ed essi si alzarono in una nuvola alla vista dei loro nemici (Et audierunt vocem magnam de cœlo dicentem: Ascendite hùc; et ascenderunt in cælum in nube, et viderunt illos inimici eorum, ibid. V. 12).

XII. L’Anticristo è confuso a questa vista; sente scoperta la sua impostura; invoca satana, affinché lo aiuti a tenere sotto il suo impero il popolo cieco che lo adora. Egli capisce che deve anche salire in aria, come i profeti; lo fa per il potere del diavolo; sale dal monte degli Ulivi (Sic Holzhauser, t. 1, p. 501, Wüilleret). Ma il fulmine che esce dalla bocca del Figlio dell’uomo lo precipita nell’abisso (Et tunc revelabitur ille iniquus quem Dominus Jesus interficiet spiritu oris sui, II° Tess. cap. 2, v. 8. Et ignis des cendit de cælo, et devoravit eos; et Diabolus, qui seducebat eos, missus est in stagnum ignis et sulphuris, ubi et bestia et pseudoprophetæ cruciabuntur die ac nocte in sæcula sæculorum – E allora sarà rivelato quell’uomo malvagio che il Signore Gesù finirà con un soffio della sua bocca. E il fuoco scese dal cielo e li divorò, e il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia e i falsi profeti saranno tormentati notte e giorno nei secoli dei secoli. -) È a questa battaglia, a questo trionfo di Gesù Cristo sull’anticristo e i suoi seguaci, che si riferiscono i vv. 11-21 del capitolo XIX dell’Apocalisse, dove il cavaliere su un cavallo bianco, che è chiamato il Verbo di Dio – et vocatur nomen ejus Verbum Dei -, governa le nazioni con una verga di ferro, calpesta il torchio dell’ira di Dio e, dopo una battaglia senza pari, distrugge la bestia, i falsi profeti, i loro numerosi eserciti e tutti coloro che erano dalla loro parte. – Apoc.. XX, v. 9, 10. – Nello stesso tempo, c’è un grande terremoto; la decima parte della città di Gerusalemme è rovesciata e distrutta (Et adhuc decimatio et convertetur – Sarà decimata di nuovo, e sarà convertita. – La decima parte della città è caduta, Isaia, cap. VI, v. 13. – Et decima pars civitatis cecidit, Apoc. cap. XI, v. 13). Settemila uomini sono sepolti sotto le rovine, e quei Giudei che avevano seguito il figlio della perdizione come il vero Messia, colpiti dalla resurrezione e dall’ascensione di Elia ed Enoch, dalla terribile caduta dell’anticristo e dal grande cataclisma che l’accompagna, riconoscono di essersi ingannati, danno gloria a Dio e confessano Gesù Cristo (Et in illa hora factus est terræmotus magnus, et decima pars civitatis cecidit; et occisa sunt in terræ motu nomina hominum septem millia. Et reliqui in terrorem sunt missi, et dederunt gloriam Deo cæli, Apoc. cap. XI, v. 13. Et post hæc revertentur filii Israel, et pavebunt ad Dominum et ad bonum ejus in novissimo dierum, Osea, cap. III, v. 5. Et aspicient ad me quem confixerunt, et plangent cum planctu magno quasi super unigenitùm – In quell’ora ci fu un grande terremoto. La decima parte della città cadde, sette mila uomini morirono. Gli altri, pieni di paura, diedero gloria a Dio. – Dopo questo, i figli d’Israele ritorneranno a Dio e al bene, e saranno pieni verso di Lui di un timore ossequioso. “Essi getteranno gli occhi su di me che hanno confitto, piangeranno su di me come su di un figlio unico e diletto” – Zacc. cap. XII, v. 10). E con questa tardiva ma sincera conversione, i Giudei, che erano il primo popolo di Dio nell’ordine dei tempi, diventano anche il suo ultimo popolo; e mentre il deicidio che avevano commesso, aveva fatto loro preferire i Gentili dal punto di vista morale e religioso, e li aveva resi gli ultimi, diventano di nuovo i primi davanti a Dio (Sic erunt novissimi primi, et primi novissimi – Gli ultimi saranno i primi, e i primi saranno gli ultimi – S. Matth. cap. XX, v. 16).

XIII. Dieci dei capi degli eserciti dell’anticristo sparsi per il mondo, che sono anche dieci re, o le dieci corna della bestia di cui si parla nel capitolo XVII dell’Apocalisse (Et decem cornua quo vidisti decem reges sunt, v. 12 ), non sono abbattuti dalla caduta del loro padrone. Lungi da ciò, essi continuano a seguire le sue vie e ad esercitare il suo potere per un’ora dopo di lui, cioè per un tempo molto breve (Potestatem tanquàm reges unâ horâ accipient post bestiam, ibid. v. 12). Combattono contro l’Agnello, sono vinti da Lui, abbandonano la legge empia del figlio della perdizione, la grande prostituta di questo tempo, si rivoltano contro di essa, contro coloro che la difendono e contro la grande città che ne è il bastione; li desolano, li spogliano, mangiano la loro carne e li bruciano con il fuoco (Hi cum Agno pugnabunt, et Agnus vincet illos , Apoc. XVII, v. 14. Hi odient fornicuriam et desolatam facient illam et nudam, et carnes ejus manducabunt, et ipsam igni concremabunt, ibid. v. 16). Un grande massacro ha luogo in tutto il mondo dei seguaci dell’anticristo, e specialmente a Gerusalemme e in Terra Santa. Gli uccelli dell’aria e le bestie della terra banchettano sui loro corpi e si ubriacano del loro sangue (Tu ergo, fili hominis, hæc dicit Dominus Deus: Dic omni volucri, et universis avibus, cunctisque bestüs agri: Convenite, properate, concurrite undiquè ad victimam meam, quam ego immolo vobis, victimam grandem super montes Israel, ut comedatis curnem et bibatis sanguinem, Ezech . XXXIX, v. 17. Et comedetis adipem in saturitatem, et bibetis sanguinem in ebrietatem, de victimâ quam ego immolo vobis – Tu dunque, figlio dell’uomo, di’ a tutti gli uccelli del cielo e alle bestie dei campi: Affrettatevi, venite e radunatevi da ogni parte alla grande vittima che io ho posto davanti a voi sul monte d’Israele, perché possiate mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Ne sarete soddisfatti, ne sarete felici, tanto è grande questa vittima! –  ibid. v. 19.). Questi grandi eventi convertono molti uomini; Dio è nuovamente glorificato e santificato; al ritorno di Israele si aggiunse quello di gran parte delle Nazioni, che finalmente capiscono che Dio ha abbandonato il suo popolo solo a causa dei loro crimini (Et magnificabor et sanctificabor, et notus ero in oculis multarum gentium, ct scient quia ego Dominus, Ezech. XXXVIII, v. 23. Et ponam gloriam meam in gentibus, et videbunt omnes fines terræ judicium meum quod fecerim et manum meam quam posuerim super eos. Et scient domus Israel quia Dominus Dcus à die illa et deinceps: et scient gentes quoniam in iniquitate sud capta est domus Israel, eo quòd dereliquerint me – Io sarò glorificato, santificato e conosciuto in molte nazioni; sapranno che io sono il Signore. Metterò la mia gloria tra i popoli e tutti gli abitanti della terra capiranno la giustizia del mio giudizio e del castigo che ho inflitto loro, e la casa d’Israele saprà per sempre che io sono il Signore. E le nazioni sapranno che ho colpito la casa d’Israele per la loro iniquità e perché mi hanno abbandonato – Ezech. XXXIX, v 21, 22, 23). – Come si è potuto vedere, noi abbiamo detto che la seconda parte del capitolo XIX dell’Apocalisse, che inizia al v. 11, potrebbe forse essere applicata all’azione del grande Monarca; noi la applichiamo qui, senza paura, al grande e ultimo combattimento dell’Agnello contro l’anticristo, perché il capitolo XIX è forse figurativo e potrebbe convenire a più tempi, proprio come la grande meretrice si trova in più epoche. – San Giovanni è completamente d’accordo con Ezechiele su questa seconda applicazione, perché dice come lui: Et vidi unum Angelum stantem in sole, et clamavit voce magna, dicens omnibus avibus, quæ volabant per medium cæli: Venite, et congregamini ad cœnam magnam Dei; ut manducetis carnes regum, et carnes tribunorum, et carnes fortium, et carnes eouorum, et sedentium in ipsis, et carnes omnium liberorum, et servorum, et pusillorum, et magnorum. Et vidi bestiam, et reges terræ, et exercitus eorum congregatos, ad facien dum prælium cum illo qui sedebat in equo, et cum exercitu ejus. Et apprehensa est bestia, et cum eâ pseudo propheta: qui fecit signa coram ipso, quibus seduxit eos, qui acceperunt characterem bestiæ, et qui adora verunt imaginem ejus. Vivi missi sunt hi duo in stagnum ignis ardentis sulphure: Et cæteri occisi sunt in gladio sedentis super equum, qui procedit de ore ipsius: et omnes aves saturatæ sunt carnibus eorum – E vidi un Angelo che stava in piedi nel sole, e gridava a gran voce, dicendo a tutti gli uccelli che volano nel cielo: Venite e radunatevi al grande banchetto di Dio, per mangiare la carne di re, di capitani, di uomini potenti, di cavalli, di cavalieri, di uomini liberi e di schiavi, piccoli e grandi; e vidi la bestia, i re della terra e i loro eserciti, radunati insieme, per combattere contro colui che sedeva sul cavallo e contro il suo esercito. E la bestia fu presa, e con essa il falso profeta, che aveva fatto prodigi davanti a lui, con i quali aveva ingannato coloro che avevano ricevuto il segno della bestia e adorato la sua immagine; ed entrambi furono gettati vivi nel lago di fuoco e di zolfo. Gli altri furono uccisi dalla spada di colui che era sul cavallo, che usciva dalla sua bocca; e tutti gli uccelli furono riempiti della loro carne. – XIX, v. 17-21).

XIV. Dopo una carneficina così vasta e spaventosa, una quantità innumerevole di cadaveri copre la terra e infetta l’aria. Devono essere sepolti per evitare che la peste uccida quelli che sono ancora vivi. Israele usa sette mesi per seppellire i corpi dei seguaci dell’anticristo, per purificare l’atmosfera. (Et sepelient eos domus Israel, ut mundent terram septem mensibus, Ezech. XXXIX, v. 12). In altre parti del mondo, poiché la morte si è diffusa ovunque, vengono nominati dei commissari onde percorrere la terra, per cercare i cadaveri, per segnare i luoghi dove si trovano e per farli seppellire. Queste operazioni iniziano dopo i sette mesi già menzionati (Sepeliet autem eum omnis populus terræ, et erit … Et viros jugiter constituent lustrantes terram, qui se peliant et requirant eos qui remanserant super faciem terræ, ut emundent eam: post menses autem septem quærere incipient. Et circuibunt peragrantes terram; cumque viderint os hominis, statuent juxta illud titulum, donec sepeliant illud pollinctores in valle multitudinis Gog). I popoli della terra li seppelliranno a loro volta. Saranno istituiti dei commissari che andranno in giro per il mondo a cercare coloro che sono rimasti sulla superficie della terra per purificarla. Inizieranno la loro ricerca dopo sette mesi. Attraverseranno tutti i luoghi; appena vedranno un cadavere, gli metteranno vicino un segno di riconoscimento, e i becchini lo seppelliranno nella valle della moltitudine di Gog. – Ezech . cap. XXXIX, v. 13, 14, 15); e inoltre durante sette anni consecutivi, i figli d’Israele usano, per cucinare i loro cibi e riscaldarsi, la legna proveniente dalle armi e dalle macchine da guerra delle truppe dell’anticristo (Et egredientur habitatores in civitatibus Israel, et succendent et comburent arma, clypeum, et hastas, arcum, et sagittas, et baculos manuum, et contos: et succendent ea igni septem annis – Gli abitanti delle città d’Israele usciranno e bruceranno per sette anni le armi, gli scudi, le lance, gli archi, le frecce, i bastoni e gli elmi. – Non sic Holzhauser (t. 1, p. 502, ecc., Wüilleret). Egli sostiene che dopo la caduta dell’anticristo, non ci saranno più né anni, né mesi, ma solo giorni. Il passo di Ezechiele distrugge questa opinione da cima a fondo. Holzhauser non avrebbe commesso questo errore se non si fosse limitato al testo dell’Apocalisse.), ibid. v. 9.

XV. Il secondo “guai” è passato (Væ secundum abit, Apoc. cap. 11, v. 14). Il terzo viene presto, più rapidamente del secondo arrivato dopo il primo, e al suono della settima tromba ( Et ecce tertium venit cito, ibid.). Molti uomini timorosi si sono avvicinati alla Chiesa, di cui Israele, convertito, forma il nucleo; ma molti altri si sono induriti ancora di più e vogliono iniziare una nuova guerra contro l’Onnipotente. D’altra parte, la fine del mondo è vicina, e deve essere annunciata da segni di avvertimento (Et iratæ sunt gentes, et advenit ira tua, et tempus mortuorum judicari, et reddere mercedem servis tuis prophetis, et sanctis, et timentibus nomen tuum, pusillis et magnis, et exterminandi eos qui cor ruperunt terram – E le nazioni sono adirate, e la tua ira è venuta, e il tempo di giudicare i morti, e di dare la ricompensa ai tuoi servi i profeti, ai tuoi santi, a quelli che temono il tuo Nome, ai piccoli e ai grandi, e di sterminare quelli che hanno corrotto la terra. – Apoc. cap. XI, v. 18) . – Appena si sente il suono della settima tromba, grandi voci gridano nel cielo: “È fatta, il regno di questo mondo è diventato il regno del Signore e del suo Cristo” – Et septimus Angelus tubâ cecinit, et factæ sunt voces magnæ in cælo, dicentes: Factum est regnum hujus mundi, Domini nostri et Christi ejus – Questo dimostra che prima del regno del mondo c’era il regno di Satana chiamato principe di questo mondo – et regnabit in secula seculorum. Amen – E il settimo Angelo suonò, e vi furono grandi voci nel cielo, dicendo: Il regno di questo mondo è diventato il regno del Signore e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli – ibid. v. 15). Il settimo Angelo alzò la sua coppa in aria, e una grande voce uscì dal tempio che è vicino al trono e gridò: È fatto (Et septimus Angelus effudit phialam suam in ae rem, et exivit vox magna de templo à throno, dicens: Factum est (Sic Holzauzer – t. 1, p. 502, Wuilleret). E il settimo Angelo versò la sua coppa nell’aria, e venne una voce dal tempio, vicino al trono, dicendo: “È fatto”. – Apoc. cap. XVI, v. 17. Nello stesso tempo il sole si oscura, la luna rifiuta la sua luce, le stelle cadono dal firmamento e le virtù dei cieli sono scosse; Questo può essere inteso sia moralmente che fisicamente (Statim autem post tribulationem dierum illorum, sol obscurabitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cœlo, et virtutes cælorum commovebuntur – Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole sarà oscurato, la luna non darà più la sua luce ; le stelle cadranno dal cielo e le virtù dei cieli saranno scosse. ) (S. Matt. cap. XXIV, v. 29). Poi si vedono lampi, si sentono tuoni, si sentono terremoti così forti che non c’è mai stato né ci sarà mai nulla di simile (Et facta sunt fulgura, et voces, et tonitrua, et terræ motus factus est magnus qualis nunquàm fuit ex quo homines fuerunt super terrum, talis terræ motus sic magnus, Apoc. XI, v. 18). . Le città delle nazioni cadono, e Dio si ricorda della grande Babilonia (La grande città, che potrebbe essere Gerusalemme – Questa è l’opinione di M. de Wüilleret), colpita già nella sesta età e che era stata sollevata dalla sue rovine, per farle bere, una seconda volta, il calice del vino della sua ira; e tutte le isole spariscono sotto le acque e le montagne non si trovano più. (Queste cose possono essere intese sia in senso morale che naturale). (Et facta est civitas magna in tres partes, et civitates gentium ceciderunt, et Babylon magna venit in memoriam ante Deum, dare illi calicem vini indignationis iræ ejus. Et omnis insula fugit, et montes non sunt inventi.

(*)

Estratto dalla Suora della Natività:

« Dopo questa catastrofe, i terremoti aumentano; si diffonde una fitta oscurità. La terra si apre da tutte le parti; uomini e città sono inghiottiti. Gli elementi confusi si scontrano, le virtù dei cieli sono scosse. Il fuoco del cielo e della terra si unisce al tuono e al fulmine. Il mare minaccia di inondare la terra (vol. 1, p. 325), i peccatori sono parzialmente distrutti, la punizione di alcuni provoca, per paura, la conversione di molti altri (tom. 1, p. 326, tom. 4, p. 458). Più della metà del numero di quelli finiti sull’orlo dell’abisso, che sono stati risparmiati, si convertono; l’altra metà si riunisce per cospirare ancora: a loro volta essi sono colpiti e precipitati, in mezzo ai loro piaceri e dissolutezze (tom. 1, p. 327; tom. 4, pp. 457, 458).

« Sterminati i malvagi, San Michele istruisce la Chiesa, la fa uscire dalla solitudine e la conduce al suo ultimo giorno (tom. 1, p. 339); perché il giudizio non deve arrivare subito dopo (Ci sarà dunque ancora un periodo di tempo abbastanza lungo tra l’arrivo della Chiesa al suo ultimo soggiorno e l’ultimo giorno del mondo. – Se teniamo conto anche di tutti gli eventi che seguono la caduta dell’anticristo, si potrà pensare che, se il giudizio dovesse arrivare nel secolo del 1900, giungerà solo nella sua seconda parte). Se ne ignora l’epoca (tom. 4, p. 457).

« Vedo in Dio – dice la Suora – che possono passare diversi anni. Ma non vedo quanti anni ci saranno (tom. 4, p. 457).

« Questo ultimo soggiorno della Chiesa è un luogo dove la natura ha “raccolto tutte le sue ricchezze e tutte le sue bellezze” (Quest’ultimo soggiorno somiglierà dunque al primo, cioè al Paradiso Terrestre) e dove “l’uomo non ha nulla da desiderare per la vita del corpo; una terra di “delizie, un vero paradiso terrestre … un terreno che produce naturalmente tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la felicità dei suoi abitanti … San Michele proibisce loro di andare oltre i limiti del distretto che ha prescritto loro, perché la terra che li circonda è una terra maledetta, macchiata dai crimini e dalla corruzione di coloro che la abitano… Ciò che più mi colpisce di questa terra felice è che ha un corpo di luce fatto apposta per essa, e che solo i suoi abitanti ne beneficeranno (Volume 1, p. 343) … Essi godranno, oltre ad altri vantaggi, della dolce e confortante luce di un sole che sarà fatto solo per loro, e che illuminerà solo l’orizzonte sensibile e lo stretto recinto di quest’altro Eden, mentre si vedrà solo un orribile caos in tutta l’estensione dei paesi lontani o circostanti. » (vol. 1, p. 345). – I fedeli vi costruiranno diversi templi; uno solo sarebbe insufficiente, perché non ci potrebbe essere mai una parrocchia così grande (vol. 1, p. 345) (Questa costruzione di diversi templi indica anche che ci sarà un tempo piuttosto lungo e notevole dall’arrivo della Chiesa in questo luogo, fino all’ultimo giorno). Il fervore dei fedeli sarà molto grande; gli Angeli porteranno a loro tutti coloro che si convertiranno, anche molti uomini non battezzati che non avevano conosciuto Dio (vol. 1, p. 346); essi formeranno una piccola repubblica dove non ci saranno leggi, né giurisdizione, né polizia. Questa sarà la vera teocrazia, che sarebbe stata l’unico governo, se l’uomo non avesse peccato – questo è conforme alle parole di Dio a Samuele I Re, VII, 7. – (vol. 1, p. 348). L’incertezza sull’ultimo giorno e il desiderio di gioire della vista di Gesù Cristo diffonderanno una grande pena sui Cristiani. Tutto gli aiuti del cielo saranno ritirati da loro; gli Angeli non li assisteranno più visibilmente, non sentiranno più i profeti, saranno quasi tentati di perdere la speranza (Il tempo deve dunque essere abbastanza lungo, altrimenti non si sarebbe tentati di perdere la speranza). (t. 1, p. 350, 356, 357, 358, 364). Infine, moriranno tutti in un’estasi divina, nel ringraziamento che seguirà ad una Comunione generale, nel momento in cui non se lo aspettavano (tom.. 1, p. 364, 356). Gli altri uomini moriranno nello stesso momento. (tom.. 1, p. 365). (*)

XVI. Dopo questi terribili eventi, il tempio di Dio si apre nel Cielo, mostrando a tutti gli occhi l’arca del suo testamento. Nuovi lampi attraversano i cieli; si sentono voci meravigliose; una enorme grandinata si abbatte sugli uomini; spaventosi terremoti spargono ovunque terrore e morte. Gli empi si induriscono ancora di più, bestemmiano ancora di più il Nome di Dio. (Et apertum est templum Dei in cælo, et visa est arca testamenti ejus in templo ejus; et facta sunt fulgura, et voces, et tonitrua, et terræ motus; et grando magna sicut talentum descendit de cœlo in homines, et blasphemaverunt Deum homines propter plagam grandinis, quoniam magna facta est vehementer – E il tempio di Dio si aprì nel Cielo, e in questo tempio si vide l’arca del testamento, ci furono lampi, voci, terremoti e una forte grandinata, una grandine emorme come un talento scese sugli uomini: E questi bestemmiarono Dio a causa di quella grandine, perché era molto crudele. Allo stesso tempo, tutti coloro che vivono sulla terra muoiono in una sola volta; il Figlio dell’Uomo appare su un grande trono bianco, così come è salito in cielo il giorno della sua ascensione. (Hic Jesus qui assumptus est à vobis in cælum sic veniet, quemadmodùm vidistis eum euntem in Cœlum, Act. Ap. cap. 1, v. 11). I cieli e la terra scompaiono davanti alla sua augusta presenza, i corpi risorgono; il mare del Battesimo rende i cadaveri che conteneva; la morte spirituale, la dannazione, abbandona gli sventurati che saranno condannati pubblicamente alle fiamme eterne, e che sono già condannati dal giudizio particolare. I libri sono aperti per la perdita dei malvagi; il libro della vita è anche aperto per la glorificazione e la ricompensa dei fedeli che il mare ha reso; i decreti eterni sono promulgati; gli eletti seguono il loro Redentore nella Gerusalemme celeste, e i reprobi, l’inferno e la morte sono gettati nelle fiamme eterne, cosa che costituisce la seconda morte. (Et vidi thronum magnum candidum, et sedentem super eum, à cujus conspectu fugit cœlum et terra, et locus non est inventus eis. Et vidi mortuos, magnos et pusillos, stantes in conspectu throni, et libri aperti sunt: et alius liber apertus est qui est vitæ, et judicati sunt mortui ex his quæ scriptu erant in libris, secundùm opera ipsorum. Et dedit mare mortuos suos, qui in eo erant: et mors et infernus dederunt mortuos suos, qui in ipsis erant – Si deve pensare che il mare rappresenti qui gli eletti, se si nota che San Giovanni ne parla in opposizione alla morte e all’inferno che sono gettati nel lago di fuoco.): et judicatum est de singulis secundùm opera ipsorum. Et infera nus et mors missi sunt in stagnum ignis. Hæc est mors secunda. Et qui non inventus est in libro vitæ scriptus, missus est in stagnum ignis – Poi vidi un grande trono bianco e su di esso sedeva una figura davanti alla quale il cielo e la terra fuggirono e scomparvero. Poi ho visto i grandi e i piccoli morti apparire davanti al trono. Furono aperti dei libri: uno era il libro della vita, e i morti furono giudicati secondo ciò che era scritto nei libri, secondo le loro opere. Il mare consegnò i morti che aveva, la morte e l’inferno consegnarono i loro; e ognuno fu giudicato secondo le sue opere. L’inferno e la morte furono gettati nel lago di fuoco. Questa è la seconda morte, e tutti coloro che non erano scritti nel libro della vita furono gettati in questo lago – Apoc. cap. XX, v. 11 a 15).

XVII. Quanto al giorno, alla settimana, al mese, all’anno in cui arriverà la fine, nessuno li conosce tranne Dio; ma ci sembra certo che tra la caduta dell’anticristo e l’ultimo giorno del mondo, ci sarà un numero più o meno grande di anni, ma che saranno sempre più di sette (Holzhauser – tomo 1, pag. 502, 505, Wüilleret – pensa che invece di anni e mesi, passeranno solo giorni. – Il Commento all’Apocalisse di Holzhauser è generalmente considerato come ispirato dal cielo; e per questa ragione molte menti rifiuteranno le nostre congetture nei molti punti in cui esse differiscono da ciò che è contenuto nel suo libro; dobbiamo quindi dichiarare tutto il nostro pensiero su questo argomento; il lettore lo apprezzerà. – Noi crediamo che Holzhauser sia stato ispirato o assistito. Troviamo tra l’altro un segno in ciò che dice sulla durata della vita dell’anticristo, che fissa a cinquantacinque anni e mezzo (seicentosessantasei mesi), senza sostenere la sua affermazione con alcun ragionamento, con alcun motivo umano.  – Troviamo, al contrario, una prova di non ispirazione in ciò che ha scritto sul tempo che separa la caduta dell’anticristo dalla fine del mondo; perché se Gog di Ezechiele è l’anticristo, ovviamente il mondo finirà dopo più di sette anni, non meno di un mese dopo questa caduta. Come conciliare tutte queste cose che sembrano contraddittorie? Crediamo di poterlo fare nel modo seguente: “Non è stabilito che tutto ciò che ci venga dato come commento di Holzhauser sia interamente suo. I suoi amici e seguaci non ispirati potrebbero aver aggiunto delle cose dopo la sua morte. – D’altra parte, Holzhauser può essere stato ispirato per alcune cose, per alcune parti, e non per altre, dove sarebbe stato lasciato a se stesso ed esposto all’errore. – Non è quindi straordinario trovare nel suo Commento sia verità che falsità.)

XVIII. Concludendo queste congetture, benediciamo l’Agnello che si è incarnato per noi e ci ha redento con lo spargimento di tutto il suo sangue. Facciamo ora quello che faranno i santi e gli eletti alla fine della settima età, quando il Signore dirà loro: Venite, benedetti del Padre mio (Venite, benedetti Patris mei, S. Matt. cap. XXV, v. 35). Diamogli la settima lode, la benedizione (benedictionem, Apoc. cap. V, v. 12), con un cuore sincero, devoto e pentito, e riceveremo la grazia di benedirlo per tutta l’eternità.

FINE

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (8)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (8)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA

CAPITOLO IV.

LA SESTA ETÀ DELLA CHIESA

.I. Il male si è elevato nella quinta età e nel tempo di transizione da questa età alla sesta, si è spinto fino all’abolizione del Sacrificio perpetuo, all’abominazione della desolazione nel luogo santo. Invece di adorare un solo mortale, come avverrà nella settima epoca, ogni uomo adorava se stesso e si faceva il suo Dio. Gli empi hanno dominato ovunque; solo loro hanno avuto abbondanza, influenza, potere e tutto ciò che la terra può dare loro. I figli della Chiesa, in gran numero, hanno rinnegato e apostatato da Dio ed il suo Cristo; li hanno disprezzati, oltraggiati, dileggiati e bestemmiati; i veri fedeli, ridotti a pochi individui isolati, hanno vissuto nell’umiliazione, nella povertà, la sofferenza e l’oppressione. I Pastori hanno lasciato che molti del loro gregge si perdessero a causa della loro negligenza e del loro lassismo. Molti di quelli che sembravano buoni erano viziati e incancreniti come gli altri; pensavano di essere vivi e invece erano morti (Nomen habes quod vivas, et mortuus es, Apoc. cap. III v. 1), perché seguivano le vie dell’inferno mentre pensavano di seguire quelle del cielo. Ancora un po’ di tempo, non ci sarebbe stata più fede sulla terra, e il Figlio dell’Uomo venendo non ne avrebbe trovata affatto (Filius hominis veniens, putas, inveniet fidem in terra? San Luca. Vangelo cap. XVIII, v. 8). Si potrebbe pensare che siamo arrivati agli ultimi giorni, e che non ci resti altro da fare che avvolgerci in un sudario, coprirci gli occhi e aspettare, in questo stato, il grande e supremo cataclisma: la morte di ogni creatura. Ma no, la fine non è ancora arrivata; gli empi devono prima essere confusi e ricevere le punizioni dovute ai loro crimini, e devono essere inferti colpi così forti da provocare la loro conversione quasi forzata e lo sterminio di coloro che non si arrendono; Dio deve vendicare la sua gloria oltraggiata, la sua croce disprezzata, e riprendere possesso di un mondo che gli appartiene, che ha creato e che gli uomini avevano dato a satana (In gloriam meam creavi eum, formavi eum et feci eum, Isaia, cap. XLIII, v. 7). Il Signore deve far esplodere la sua giustizia ed esercitare il suo giudizio su quei viventi che hanno così a lungo e così fortemente insultato la sua divinità, la sua bontà, il suo amore, la sua potenza (Dominus a dextris tuis confregit in die iræ suæ reges. Judicabit in nationibus, implebit ruinas, conquassabit capita in terra multorum (Sal. CIX, v. 5, 6). Bisogna che Egli rialzi i suoi fedeli oppressi, toglierli da sotto la verga dei peccatori, affinché non stendano le mani nell’iniquità, e infine dare loro l’impero (Hic patientia sanctorum est qui custodiunt mandata Dei et fidem Jesu, Apoc. cap. XIV, v. 12. Qui autem perseveraverit in finem, hic salvus erit, S. Matt. cap. XXIV, v. 13. Quia non relinquet Dominus virgum peccatorum super sortem justorum, ut non extendant justi ad iniquitatem manus suas, Ps. CXXIV, v. 3). È necessario che il numero degli eletti debba essere riempito, il numero dei martiri debba essere completo, il che richiede una preparazione precedente (Et dictum est illis ut requiescerent, donec compleantur conservi eorum et fratres eorum qui interficiendi sunt sicut et illi , Apoc. cap. VI, v. 11). Il Vangelo deve essere predicato in tutto il mondo, non in modo nascosto ed individuale, come è stato finora tra i popoli infedeli, ma in modo aperto e pubblico, come è nei Paesi meglio disposti al Cattolicesimo; deve inoltre essere rispettato e praticato da ogni tribù, ogni lingua, ogni Nazione, ogni popolo (Et prædicabitur Evangelium in universo mundo in testimonium gentibus, St. Matth. cap. XXIV, v. 14), perché è solo dopo questo felice evento che verrà la consumazione (Et tunc veniet consummatio, ibid. v. 14). Infine, Babilonia, la grande prostituta, la madre delle fornicazioni e delle abominazioni della terra, deve cadere, ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù (Et vidi mulierem ebriam de sanguine sanctorum et de sanguine martyrum Jesu, Apoc. XVII, v. 6), Babilonia, la grande confusione, che regna sui popoli e sui re (Aquæ quas vidisti ubi mulier sedet populi sunt, et gentes, et linguæ, Ap. cap. XVII, v. 15. Et mulier quam vidisti est civitas magna quæ habet regnum super reges terræ, v. 18 ). Dio deve tutte queste cose a se stesso, perché ha fatto dire a San Giovanni: « Tu devi profetizzare di nuovo alle nazioni, ai popoli, alle lingue e a molti re ». (Oportet te etenim prophetare gentibus, et populis, et linguis, et regibus multis, cap. X, v. 11). Lo deve ai suoi Santi, ai quali lo promise nel quinto sigillo, quando gli chiesero: « Fino a quando, Signore, che sei santo e verace, rinvierai il giudizio su quegli esseri viventi che ci opprimono, quando vendicherai il nostro sangue ingiustamente sparso? » (Usquequò, Domine – sanctus et verus – non judicas, et non vindicas sanguinem nostrum de iis qui habitant in terra? cap. VI, v. 10), e ai quali ha raccomandato la pazienza fino a quando il numero dei confessori e dei martiri non fosse completato (Et dictum est illis ut requiescerent adhuc tempus modicum, donec compleantur conservi eorum et frutres eorum qui interficiendi sunt sicut et ipsi, ibid. v. 11); Egli lo deve all’immutabilità e alla necessità della sua parola, poiché ha detto che i Santi avrebbero infine ricevuto il potere e ottenuto il regno con la loro pazienza (Suscipient autem regnum sancti Dei altissimi, et obtinebunt regnum, Dan. cap. X, v. 18). – E tutti questi annunzi e promesse sono ripetuti nell’Apocalisse, quando San Giovanni dice: « Vidi un altro Angelo che volava in mezzo al cielo, avendo il Vangelo eterno da annunciare alla terra, ad ogni nazione, ad ogni tribù, ad ogni lingua, ad ogni popolo, e dicendo a gran voce: temete il Signore e rendetegli l’onore che gli è dovuto, perché l’ora del suo giudizio si avvicina; adorate, voi semplici creature, Colui che ha fatto il cielo e la terra e il mare e le sorgenti d’acqua. E un altro Angelo venne dopo di lui, dicendo: È caduta, è caduta, la grande Babilonia, che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino e l’ira della sua fornicazione. (Et vidi alterum Angelum volantem per medium cæli, habentem Evangelium æternum, ut evangelizaret sedentibus super terram, et super omnem gentem, et tribum, et linguam, et populum, Apoc. cap. XIV, v. 6. Dicens voce magna: Timete Dominum, et date illi honorem, quia venit hora judicii ejus; et adorate Eum qui fecit cælum et terram, mare et fontes aquarum, v. 7. Et alius Angelus secutus est dicens: Cecidit, cecidit Babylon magna, quæ à vino iræ fornicationis suæ potavit omnes gentes, v. 8).

II. L’ora del trionfo dei buoni e della confusione degli empi è arrivata. L’Agnello, che per tanto tempo ha sopportato pazientemente i crimini degli uomini, sta finalmente per colpirli per riconquistare un mondo che è suo; comincia denunciando loro la sua giusta ira, e dice loro, per bocca di Davide, il suo Profeta, e con più ragione che mai: « Perché le nazioni fremono, e perché i popoli hanno formato vane trame? I re e i governanti della terra si sono uniti e si sono posti come nemici davanti al Signore e davanti al suo Cristo. – Spezziamo le loro catene, hanno detto, e gettiamo via da noi il loro giogo. Insensati! Colui che abita nei cieli si riderà di loro e il Signore si prenderà gioco di loro. Egli parlerà loro nella sua ira, e nella sua ira li metterà a soqquadro. Quanto a me, che questi ciechi non vogliono più, sono stato stabilito dal Signore, mio Padre, re su Sion, il suo santo monte, da dove predico la sua legge e i suoi precetti. Mi disse: Tu sei mio figlio, Io oggi ti ho generato. Chiedi a me e io ti darò le nazioni come tua eredità e tutta la terra come tuo dominio. Li dominerai con una verga di ferro e li frantumerai come un vaso di vasaio. E ora, o re, abbiate comprensione; comprendete la mia lezione, istruitevi, voi che giudicate la terra. (Quare fremuerunt gentes, et populi meditati sunt inania? Astiterunt reges terræ, et principes convenerunt in unum adversùs Dominum et adversùs Christum ejus. Dirumpamus vincula eorum, et projiciamus à nobis jugum ipsorum. Qui habitat in cælis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos. Tunc loquetur ad eos in ira sua, et in furore suo conturbabit eos. Ego autem constitutus sum Rex ab eo super Sion montem sanctum ejus, prædicans præceptum ejus. Dominus dixit ad me: Filius meus es tu, ego hodie genui te. Postula e me, et dabo tibi gentes hæreditatem tuam, et possessionem tuam terminos terra. Reges eos in virgâ ferrea, et tanquàm vas figuli con frange eos. Et nunc, reges, intelligite, erudimini qui judicatis terram. Ps. 2).

III. Onde applicare queste parole, il sesto sigillo viene aperto, e improvvisamente c’è un grande terremoto; il sole diventa nero come un sacco di crine, e la luna tutta rossa come sangue (Et vidi, cùm aperuisset sigillum sextum, et ecce terræ motus magnus factus est, et sol factus est niger tanquàm saccus cilicinus, et luna tota facta est sicut sanguis, Apoc. cap. VI, v. 12). Un gran numero di stelle, cioè di sacerdoti che si credevano buoni, cadono sulla terra e, come il fico lascia cadere i suoi giovani germogli quando è agitato da un gran vento, affondano giù nel crimine (Et stellæ de coelo ceciderunt super terram, sicut ficus emittit grossos suos, cùm à magno vento movetur, ibid. v. 13). Gli uomini perduti non hanno più guide, non hanno più luce, non hanno più sentieri da seguire per condursi (Et cælum recessit sicut liber involutus – E il cielo si ritirò come un libro che è stato arrotolato -, ibid. v. 14). I potenti sono rovesciati, i grandi sono cacciati dai luoghi elevati che occupavano (Et omnis mons, et insulæ de locis suis molæ sunt – E ogni montagna e ogni isola sono rimosse dai loro luoghi-. Questo grande terremoto e le sue conseguenze possono essere un tutt’uno con gli eventi segnati alla fine del capitolo III immediatamente precedente, o possono venire immediatamente dopo di essi come risposta del cielo alle provocazioni della terra -, ibid. v. 14). I re della terra, i principi, i capitani, i ricchi, i forti, gli schiavi e i liberi si nascondono nelle caverne e nelle tane delle rocce e gridano ai monti e alle colline: cadeteci addosso e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, perché il gran giorno dell’ira è venuto; e chi potrà resistere? (Et reges, et principes, et tribuni, et divites, et fortes, et omnis servus et liber absconderunt se in speluncis et in petris montium, ibid. v. 15. Et dicunt montibus et petris: Cadite super nos, et abscondite nos à facie sedentis super thronum, et ab irá Agni, v. 16. Quia venit dies magnus iræ ipsorum, et quis poterit stare (Holzhauser – t. 1, p. 293, Wüilleret – vede negli eventi che segnalano l’apertura del sesto sigillo la persecuzione di Diocleziano e Massimiano. Coloro che tremano davanti all’ira dell’Agnello e che hanno quindi paura di Lui sarebbero i fedeli, coloro che si preparano al martirio. – Questa opinione non ci sembra sostenibile. Sono ovviamente i malvagi che cercano di nascondersi in questo modo dalla faccia di Colui che è sul trono, e dall’ira dell’Agnello; perché l’Agnello è irato solo con loro, e non con coloro che lo amano al punto da dare la loro vita per Lui. L’opinione di Holzhauser confonde l’ira degli imperatori romani con quella dell’Agnello), v  17).

(*)

Nel T. 1, p. 308, la Suora della Natività vede una grande potenza guidata dallo Spirito Santo, che ristabilirà il giusto ordine con un secondo sconvolgimento. Il primo albero che la Suora aveva visto, che aveva cominciato ad abbattere l’albero della Chiesa e l’albero dello stato religioso, e che rappresentava il filosofismo, è completamente sradicato; infatti, la Suora dice, nel vol. 1, p. 291: “Ho sentito una voce che gridava: Tagliate l’albero selvatico alla radice, distruggetelo, e fate attenzione a preservare i primi due alberi. Ho sentito l’albero maledetto che veniva colpito, e l’ho visto cadere e rotolare con gran fracasso.” – Per quanto riguarda l’albero della rivoluzione, che ha quattro grandi radici che rappresentano la nazione (tom. 4, p. 407), esso è tagliato raso al suolo, e non sradicato; perché è detto, nel tom. 4, p. 394; « Anticiperò il tempo di tagliare questo albero; ma è la mia volontà, esso sarà solo tagliato fino a terra (Da questo possiamo concludere che il filosofismo non riparerà più, e non sarà usato dall’anticristo che, facendosi adorare come Dio, dovrà di conseguenza stabilire una religione. Quanto alla rivoluzione, questa sarà conservata; l’uomo del male la userà come mezzo per dividere e governare.). »

Nel Tom. 4, p. 401, la Suora vede questa caduta: « Vedo in Dio – dice – che verrà un tempo in cui questo grande albero sarà tagliato. Quando l’ora del Signore sarà venuta, Egli fermerà in un momento questa fortezza armata di satana, e rovescerà questo grande albero al suolo più rapidamente di quanto il piccolo Davide rovesciò il grande Golia. Allora grideremo: Rallegriamoci, gli operatori di iniquità sono vinti dalla forza del braccio onnipotente del Signore. Il cambiamento in meglio sarà improvviso, l’azione divina sarà necessariamente riconosciuta. » Questo concorda molto bene con il v. 8, cap. III dell’Apocalisse, Chiesa di Filadelfia: “Ecce dedi coram te ostium apertum quod nemo potest claudere, quia modicam habes virtutem, et servasti verbum meum, et non negasti nomen meum”.  « Vedo che la fede e la santa Religione si stavano indebolendo quasi quanto in tutti i regni cristiani; Dio permise che fossero flagellati dagli empi per risvegliarli dal loro assopirsi. » (La parola assopirsi concorda bene con quanto abbiamo detto sulla quinta età e l’inizio della sesta – Cum enim dormirent homines).

IV. Nello stesso tempo Sobna, prefetto del tempio, è portato via come un gallo; è gettato, come una palla di merce, su un terreno ampio e spazioso; muore nel luogo della sua caduta (Hæc dicit Dominus Deus exercituum: Vade, ingredere ad eum qui habitat in ta bernaculo, ad Sobnam, præpositum templi, et dices ad cum, Isaia, cap. XXII, v. 15: Quid tu hic, aut quasi quis hic? Quia excidisti tibi hìc sepulcrum, excidisti in excelso memoriale diligenter, in petra tabernaculum tibi, v. 16. Ecce Dominus asportari te faciet, sicut as portatur gallus gallinaceus, et quasi amictum sic sublevabit te, v. 17. Coronans coronabit te tribulatione, quasi pilam mittet te in terram latam et spatiosam: ibi morieris, et ibi erit currus gloriæ tuæ, ignominia domús Domini tui, v. 18; et expellam te de statione tua, et de ministerio tuo deponam te (Non possiamo dire chi sia questo Sobna; da queste parole, præpositum templi, sembrerebbe a prima vista un personaggio ecclesiastico. Il testo dà anche indicazioni leggermente diverse. Spetta quindi al futuro designare la persona che viene così nominata. Quanto a noi, riportiamo tutto ciò che ci sembra riferirsi all’apertura della sesta epoca, lasciando al futuro il compito di spiegare tutto), v. 19.

V. Allo stesso tempo, è colpita la grande Babilonia, cioè l’Inghilterra protestante, la cui condotta, sia interna che esterna, non è che un crimine da tre secoli, per la rivoluzione che essa conserva, alimenta, mantiene e arricchisce; e per l’anticristianesimo la grande città che lo propaga e ne è la sede, è colpita. I capi dei popoli avevano dato il loro potere alla bestia che portava la prostituta; ma ora la odiano, la colpiscono (Attrita est civitas vanitatis, Isaia, cap. XXIV, v. 10), la rendono deserta (clausa est omnis domus nullo introeunte, ibid. v. 10), la circondano con ogni sorta di mali (Et calamitas opprimet portas, ibid. v. 12), la desolano, la spogliano, mangiano la carne dei suoi abitanti e la distruggono con il fuoco (Hi odient fornicariam, et desolatam facient illam et nudam, et carnes ejus manducabunt, et ipsam igni concremabunt – La condotta degli Indiani verso l’Inghilterra assomiglia a quella che si tiene verso la prostituta). A questo scopo, un Angelo scende dal cielo, armato di grande potenza; la sua gloria illumina la terra; egli grida nella sua forza: “È caduta, è caduta, la grande Babilonia; è diventata la dimora dei demoni, degli spiriti immondi e degli uccelli immondi, perché gli uomini non vi abitano più. (Et post hæc vidi alium Angelum des cendentem de cælo, habentem potestatem magnam, et terra illuminata est à gloriâ ejus, Apoc. XVIII, v.). Et exclamavit in fortitudine dicens: Cecidit, cecidit Babylon magna, et facta est habitatio Dæmoniorum, et custodia omnis spiritus immundi, et custodia omnis volucris immundæ et odibilis, v. 2). Egli dichiara che la ragione di questa caduta che ha spaventato gli uomini è che questa donna prostituta aveva fatto bere a tutte le nazioni l’ira della sua fornicazione; che i re della terra si erano corrotti con lei, e i mercanti si erano arricchiti con il suo lusso e le sue delizie (Quia de vino iræ fornicationis ejus biberunt omnes gentes, et reges terræ cum illa fornicati sunt, et mercatores ejus de virtute deliciarum ejus divites facti sunt, v. 3). Ordina ai fedeli di lasciare questa città prima che sia colpita, per non essere a loro volta colpiti dai suoi nuovi crimini e dalla sua punizione (Exite de illâ, popule meus, ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis, v. 4); e davanti a questa immensa rovina, gli uomini piangono con tremore, come mostra il resto del capitolo XVIII dell’Apocalisse, che non svilupperemo, perché è solo la narrazione dettagliata di questo grande evento, e a noi interessano solo le grandi linee. Dopo questo terribile giudizio, che raggiunse gli uomini viventi e distrusse tutto ciò che si opponeva al bene, si apre la bella e santa chiesa di Filadelfia, che è inclusa nella sesta età, e il cui nome, che significa amore fraterno, annuncia che gli uomini vivranno allora come fratelli, come figli di Dio, e che ci sarà un solo Pastore e un solo gregge (Et erit unum ovile et unus pastor, San Giovanni, cap. X, v. 16); questo annuncia la fine degli scismi e delle eresie, come dice Holzhauser – Volume 1, p. 188, Volume 2, p. 12, Wüilleret -, e apre un’era di pace e di calma che potrebbe ben riferirsi a quella grande tranquillità che, sulla parola del divino Maestro, successe a una spaventosa tempesta scoppiata sul mare, e che fece dire agli Apostoli: « Et ecce motus magnus factus est in mari, ita ut navicula operiretur fluctibus, ipse verò dormiebat (Questo sonno di Gesù Cristo durante la tempesta si riferisce bene al carattere che abbiamo riconosciuto nella quinta età.). Et accesserunt ad eum discipuli ejus, et suscitaverunt cum dicentes: Domine, salva nos, perimus. Et dicit eis Jesus: Quid timidi estis modicæ fidei ? tunc surgens imperavit ventis et mari, et factu est tranquillitas magna, s. Matth. VIII, v. 24, 25, 26).

VI. Gesù Cristo apre questa chiesa, perché ha la chiave di Davide, e quindi Lui solo può aprire la porta del bene senza che nessuno possa chiuderla prima del tempo stabilito, e chiudere la porta del male, senza che nessuno possa riaprirla prima dello stesso tempo (Et Angelo Philadelphiæ ecclesiæ scribe : hæc dicit Sanctus et Verus, qui habet clavem David, qui aperit et nemo claudit, claudit et nemo aperit – Scrivi all’angelo di Filadelfia: Questo è ciò che dice colui che è santo e vero, che ha la chiave di Davide, che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre. – Apoc. cap. III, v. 7). Egli apre questa porta ai pochi fedeli della fine della quinta epoca e dell’inizio della sesta, perché avevano poca forza e, nonostante ciò, mantennero la sua parola e non rinnegarono il suo nome (Ecce dedi coram te ostium apertum quod nemo potest claudere, quia modicam habes virtu tem, et servasti verbum meum, et non negasti nomen meum. Ecco, io ti ho dato questa porta aperta davanti a te che nessuno può chiudere, perché tu hai poca forza, e tuttavia hai mantenuto la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. – ibid. v. 8). – Queste terne notevoli dei v. 7 e 8 del capitolo 3 di San Giovanni collegano evidentemente il tempo di cui si tratta con quello di cui parla Isaia nel capitolo XXII, a proposito del rovesciamento di Sobna, prefetto del tempio; perché, al posto di quest’ultimo, che è in una posizione dove non dovrebbe essere (Quid tu hic, aut quasi quis hic? Isaia, cap. XXII, v. 16), Dio chiama il suo servo Eliacim, figlio di Helcias (Et erit in die illa, vocabo servum meum Eliacim filium Helciæ, ibid. v. 20); mette sulla sua spalla la stessa chiave di David di cui si parla nell’Apocalisse, e tramite lui apre, come in San Giovanni, senza che nessuno possa chiudere; chiude senza che nessuno possa aprire (Et dabo clavem David super humerum ejus; et aperiet, et non erit qui claudat; et claudet, et non erit qui aperiat, – E io darò la chiave di Davide sulla sua spalla; egli aprirà e nessuno potrà chiudere; egli chiuderà e nessuno potrà aprire. – Isaia cap. XXII, v. 22) Questo Eliacim diventa lo strumento e il mezzo della misericordia divina e del regno dell’Agnello nel mondo. La profezia di Daniele e l’Apocalisse danno alcuni dettagli su questo strumento. “Nel primo, vediamo un personaggio simile al Figlio dell’uomo, e che quindi non è Lui, poiché è solo la sua immagine, che viene sulle nuvole del cielo, raggiungendo il trono degli Antichi Giorni, e che è condotto e posto dagli Angeli alla presenza della Maestà divina (Aspiciebam ergò in vi sione noctis, et ecce in nubibus cæli quasi Filius hominis veniebat, et usque ad Antiquum dierum pervenit, et in conspectu ejus obtulerunt eum – Guardai allora nella visione della notte, e vidi nelle nuvole del cielo uno che era simile al Figlio dell’uomo. Ed egli venne e si avvicinò all’Antico dei Giorni, e lo misero alla sua presenza. – Dan. cap. VII, v. 13). È a questo personaggio, immagine dell’Agnello, che Dio dà il regno e il potere, senza dubbio al posto dell’oppressione che pesava su di lui (Et dedit ci potestatem, et honorem, et regnum, et omnes populi, tribus et linguæ servient ei – E gli diede il potere e l’onore e il regno, e tutti i popoli, le tribù e le lingue, – ibid. v. 14). In lui e con lui i santi finalmente regnano in tutto il mondo (Suscipient autem regnum sancti Dei altissimi, ibid. v. 8. Et regnum obtinuerunt sancti, v. 22. Regnum autem, et potestas, et magnitudo regni quce est subter omne cælum detur populo sanctorum Altissimi – Ma i santi dell’Altissimo riceveranno potere; otterranno impero, regno, potenza, grandezza; il dominio su tutto ciò che è sotto il cielo sarà dato al popolo dei santi dell’Altissimo), v. 27).

VII. Secondo l’Apocalisse, questo strumento di misericordia è quel figlio maschio che la Chiesa ha dato alla luce, che è sfuggito alla furia del drago, perché è stato assunto fino a Dio ed è salito al suo trono (questo bambino potrebbe anche designare una famiglia che Dio ha così preservato). E fu destinato fin dal momento della sua nascita a governare tutte le nazioni con una verga di ferro (Et peperit filium suum masculum qui recturus erat gentes in virgâ ferrea, et raptus est filius ejus ad Deum et ad thronum ejus, Apoc. X, v. 5). Questo è il personaggio simile al Figlio dell’uomo, che viene su una nuvola bianca, proprio come dice Daniele, avendo una corona d’oro sul capo e una falce in mano (Et vidi, et ecce nubem candi dam, et super nubem scdentem Filio hominis, habentem in capite suo coronam auream, et in manu suâ falcem acutum, Apoc . XIV, v. 14). Sull’ordine che riceve di un Angelo, questo inviato di Dio miete la terra, sradica le zizzanie per gettarle nel fuoco, raccoglie il buon grano nel granaio del padre di famiglia (Et alius Angelus exivit de templo, clamans voce magnâ ad scdentem super nubem: Mitte falcem tuam, et mete, quia venit hora ut metatur, quo niam aruit messis terræ, ibid. v. 15. Et misit qui se debut super nubem falcem suam in terram, et demessa est terra – E un altro Angelo uscì dal tempio, gridando ad alta voce a colui che sedeva sulla nuvola: “Gettate la vostra falce e mietete la terra, perché il tempo della mietitura è venuto, e la messe è già disseccata. E colui che sedeva sulla nuvola mandò la sua falce sulla terra, e la terra fu mietuta” – ibid. v. 16). Inoltre, al tempo di questo grande Monarca, un nuovo Angelo, che può rappresentare un uomo, anche lui con in mano una falce affilata, obbedisce agli ordini di un altro Angelo che esce dal cielo, il quale, per questo, può essere il Santo Pontefice, Et alius Angelus exivit de altari, qui habebat potestatem super ignem , et clamavit voce magnâ ad eum qui habebat falcem acutum, dicens : Mitte falcem tuam acutam, et vindemia botros terræ, quoniam maturæ sunt uvæ ejus, Apoc, cap. XIV, v. 18. Et misit Angelus falcem suam acutam in terram, et vindemiavit vineam terræ, et misit in lacum iræ Dei magnum – E un altro Angelo uscì dall’altare avendo potere sul fuoco, e gridò forte a colui che aveva la falce, dicendo: Getta la tua falce affilata e raccogli l’uva della terra, perché è matura. E l’Angelo mandò la sua falce sulla terra e raccolse la vite della terra, e la gettò nel grande lago dell’ira di Dio. Holzhauser (vol. 2, p. 115, Wüilleret) vede il grande Monarca nell’uomo del capitolo XIV dell’Apocalisse, come lo vide nel figlio del capitolo XII, ibid.). Nel capitolo XIX dell’Apocalisse, San Giovanni vede il cielo aperto e un cavallo bianco montato da un cavaliere che è chiamato il Fedele, il Verace, che giudica e combatte con giustizia (Et vidi cælum apertum, et ecce equus albus, et qui sedebat super eum vocabatur fidelis et verax, et cum justitiâ judicat et pugnat, v. 11). I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco: molti diademi coronano il suo capo (Se questo cavaliere potesse rappresentare il grande Monarca, i vari diademi sul suo capo potrebbero indicare che egli regnerà su molti regni e porterà, per questo, il titolo di Imperatore.). Egli porta un nome scritto che nessuno conosce tranne lui (Oculi autem ejus sicut flammam ignis, et in capite ejus diademata multa, habens nomen scriptum quod nemo novit nisi ipse, v. 12). Le sue vesti sono cosparse di sangue, senza alcuna indicazione che egli stesso sia insanguinato, e il suo nome è il Verbo di Dio (Et vestitus erat veste aspersâ sanguine, et vocatur nomen ejus Verbum Dei, v. 15). Gli eserciti del cielo lo seguono, montati su cavalli bianchi e puri come i suoi, coperti di lino bianco e immacolato (Et exercitus qui sunt in cælo sequebantur eum, in equis albis, vestiti byssino albo et mundo, v. 14). Sulla sua veste e sulla sua coscia è scritto che egli è il Re dei re e il Dominatore dei dominatori (Et habet in vestimento et in femore suo scriptum: Rex regum et Dominus dominantium, v. 16). Il versetto 15 dello stesso capitolo ci dice che questo meraviglioso cavaliere ha in bocca una spada affilata da entrambi i lati, con la quale colpisce le nazioni, che governa con una verga di ferro, e che calpesta il torchio del furore dell’ira di Dio onnipotente (Et de ore ejus procedit gladius ex utrâque parte acutus, ut in eo percutiat gentes, et ipse reget eos in virgâ ferrea, et ipse calcat torcular vini furoris iræ Dei omnipotentis). Questo stesso versetto 15 sembrerebbe autorizzare a confondere questo cavaliere con il figlio del capitolo XII di San Giovanni, che, anche lui, governa le nazioni con una verga di ferro, con l’uomo del capitolo XIV dello stesso Profeta che miete la terra, e con l’uomo del capitolo VII di Daniele, perché i santi regnano finalmente nel mondo, e viene il Re dei re e Signore dei governanti. Ma non arriveremo a fare questo collegamento, a causa del nome incomunicabile di Verbo di Dio, che questo cavaliere porta, che un semplice strumento non potrebbe ricevere, se non per rappresentazione, e ci limiteremo a presentare alcune osservazioni su questo argomento che il lettore apprezzerà, dopo aver risposto a un’obiezione che ci può essere fatta riguardo al figlio del capitolo XII, l’uomo del capitolo XIV e quello di Daniele. Cosa sia del cavaliere del capitolo XIX di San Giovanni, Isaia ce lo mostra realmente come lo strumento della bontà divina; lo chiama Eliacim, il nome dato a Joas, che era rinchiuso nel tempio sotto la guardia del sommo sacerdote Joiada. Gli dà come suo padre Helcias, tutto ciò che non può convenire a N.S.J.-C.; e lo stesso Profeta celebra la grandezza di questo inviato dal cielo con queste notevoli parole: A finibus terræ laudes audivimus , gloriam justi – Dalle estremità della terra, abbiamo sentito la gloria del Giusto – cap. XXIV, v. 16, rifiutando di rivelare il futuro su questo punto e aggiungendo, per questo, queste significative parole: Et dixi: Secretum meum mihi, secretum meum mihi – E dissi: Il mio segreto è per me, il mio segreto è per me – ibid. v. 16). – Passiamo ora alla confutazione dell’obiezione di cui abbiamo parlato e alle osservazioni che abbiamo annunciato. L’obiezione consiste nel dire che queste parole: Similem Filio hominis del capitolo XIV di San Giovanni, e quelle: Quasi Filius hominis di Daniele, che sono tradotte in francese con “simile al Figlio dell’uomo”, designano Gesù Cristo stesso, e non il suo strumento; questo si basa sul capitolo I, v. 13, dove San Giovanni, vedendo, come si sostiene il nostro divino Maestro in persona, scrive di aver visto un personaggio simile al Figlio dell’uomo, perché la similitudine sarebbe qui l’identità. – Non pretendiamo che questa valutazione sia del tutto inesatta; è verissima se consideriamo il Salvatore come l’unico autore, l’unico principio del bene fatto da colui che è solo il suo strumento; ma ci sembra che i testi presi nel loro insieme o isolatamente non siano ripugnanti al nostro modo di vedere, e che lo sostengano, al contrario. Prima di tutto, il figlio del capitolo XII è, come abbiamo detto, il figlio della Chiesa, cosa che difficilmente sarà contestata; quindi non è il suo sposo, cioè Gesù Cristo stesso. L’uomo del capitolo XIV riceve da un Angelo l’ordine di mietere la terra; quello di Daniele è presentato dagli Angeli davanti alla Maestà divina; ora, Gesù Cristo non riceverebbe ordini dalle sue creature, non avrebbe bisogno di loro per presentarsi davanti a suo Padre; quindi non è personalmente nessuno di questi due uomini. La semplice somiglianza che indica una rappresentazione, una somiglianza nella funzione, come tra lo strumento e l’autore, porta alla non identità, prendendo i termini nel loro senso naturale e letterale. D’altra parte, non è affatto stabilito che la figura vista da San Giovanni nella sua visione al capitolo I sia Gesù Cristo stesso; è più probabile che non sia Lui stesso, ma solo il suo rappresentante, e se possiamo dimostrare questo punto per quanto sia possibile in una semplice congettura, l’obiezione cadrà naturalmente. Non si può affermare che sia stato il Maestro Divino in persona a parlare, apparire e mostrarsi a San Giovanni. Il versetto 1 del capitolo I dell’Apocalisse sembra contrario a questa opinione, quando dice che questo personaggio è solo l’Angelo, cioè l’inviato di Gesù Cristo, e che si esprime nel modo seguente: “Apocalisse” di Gesù Cristo, che ha ricevuto da Dio per scoprire ai suoi servi le cose che devono presto accadere, e che ha manifestato per mezzo del suo Angelo inviato a Giovanni, suo servo. (Apocalypsis Jesu Christi quam dedit Deus palàm facere servis suis quae oportet fieri citò, et significavit mittens per Angelum suum servo suo Joanni); e nel versetto 16 del capitolo XXII, Nostro Signore stesso conferma questo punto dichiarando di aver mandato il suo Angelo a fare questa rivelazione e a certificare queste cose (Ego, Jesus, misi Angelum meum testificari vobis hæc in Ecclesià). È perché colui che appare e mostra San Giovanni è un Angelo, che parla, non in nome proprio e in prima persona, ma in nome di un altro diverso da sé, in nome di Dio, di cui riporta solo le parole, come risulta dai testi seguenti: Hæc dicit qui tenet septem stellas, cap. 2, v. 1. Hæc dicit primus et novissimus, ibid. v. 8. Hæc dicit qui habet romphæam, ibid. v. 12. Hæc dicit Filius Dei, ibid. v. 18). Hæc dicit qui habet Spiritus Dei, cap. 3, v. 1. Hæc dicit Sanctus et Verus, ibid. v. 7. Hæc dicit: Amen, testis fidelis et verus, ibid. v. 14. Dio Padre e Gesù Cristo sono rappresentati in modo diverso. Il primo è visto seduto sul trono nel capitolo IV, v. 2 (Et ecce sedes posita erat in cælo , et supra sedem sedens – E vidi un seggio posto in cielo, e su questo seggio qualcuno seduto) . È lui che dice nel capitolo XXI, v. 5: “Farò nuove tutte le cose. (Et dixit qui sedebat in throno: Ecce nova facio omnia). Gesù Cristo appare nel corso della visione sotto la figura di un agnello che è come ucciso, con sette corna e sette occhi (Et vidi: Et ecce in medio throni … Agnum stantem tan quàm occisum habentem cornuu septem et oculos septem, cap. V, v. 6). Egli si mostra a San Giovanni in forma umana solo nella Gerusalemme celeste, dopo la fine della rivelazione che riguarda la terra e il tempo, e lo fa per dichiarare che colui che ha parlato fino ad allora non è Lui, ma il suo Angelo. La figura simile al Figlio dell’Uomo, il cui magnifico aspetto è descritto nell’Apocalisse capitolo I, v. 13-17, dice a San Giovanni nel v. 17: “Non temere, io sono il primo e l’ultimo”; e aggiunge nel v. 18: “Io sono vivo e sono stato morto; ecco, io vivo per sempre; ho le chiavi della morte e dell’inferno”. (Noli timere , ego sum primus et novissimus, v. 17. Et vivus et fui mortuus; et ecce sum vivens in sæcula sæculorum, et habeo claves mortis et inferni, v. 18); ma, da un lato, l’Angelo poteva apparire e parlare così per rappresentazione del Dio fatto uomo di cui occupava il posto in questo momento, prendendo in prestito per questo il suo esterno e riproducendo le sue stesse parole; d’altra parte, San Giovanni stesso lo confuse due volte con il vero Figlio dell’Uomo prostrandosi ai suoi piedi per adorarlo, tanto che l’Angelo dovette fargli notare che egli era solo un servo e che l’adorazione era dovuta solo a Dio (Et cecidi ante pedes ejus, ut adorarem eum; et dixit mihi: Vide ne feceris; conservus tuus sum. .. Deum adora, cap. XIX, v. 10. Et postquàm audissem et vidissem, cecidi ut adorarem antè pedes Angeli qui mihi hæc ostendebat, et dixit mihi: Vide ne feceris; conservus enim tuus sum … Deum adora. cap. XXII, v. 8, 9). Inoltre, anche se le parole Similem Filio hominis del v. 13, cap. I, si applicassero realmente e unicamente a Gesù stesso, non se ne potrebbe dedurre che debbano essere tali anche gli stessi termini usati da San Giovanni nel capitolo XIV e da Daniele nel capitolo VII, perché l’Apostolo, all’inizio della rivelazione, vede Gesù per la prima volta dalla sua ascensione che dice: “Io sono il Figlio di Dio”. Questo perché l’Apostolo, all’inizio della rivelazione, vedendo Gesù Cristo per la prima volta dalla sua ascensione, avrebbe potuto benissimo non riconoscerlo subito, trovando, a prima vista, solo una semplice somiglianza dove c’era un’identità, senza che questo avesse alcuna conseguenza per il resto della visione dove la sue conoscenze erano più sviluppate e più esatte. – Quanto al cavaliere del capitolo XIX dell’Apocalisse, che confonderemmo con lo strumento della bontà divina, con il figlio e l’uomo di San Giovanni, come pure con la figura di Daniele, se non fosse chiamato il Verbo di Dio, ci limiteremo a far notare che non avremmo mai confuso le persone, ma solo il ministero, vedendo nello strumento solo l’immagine dell’autore; che spesso la Sacra Scrittura fa questa confusione davanti alla quale noi indietreggiamo, come è per Ciro che, dovendo liberare i Giudei dalla cattività materiale, riceve il nome di Cristo, come il Salvatore che libera il suo popolo dalla servitù del peccato (Hæc dicit Dominus Christo meo Cyro – Questo è ciò che il Signore dice al mio Cristo Ciro – Isaia, cap. XLV, v. 1). E che a volte penseremmo di sbagliare, nel vedere in un passaggio l’azione di un inviato invece di quella del Figlio dell’Uomo, mentre un altro testo ci dimostra che è uno strumento che agisce nella stessa circostanza. Quest’ultima osservazione è fornita dal v. 7, capitolo III dell’Apocalisse, dove San Giovanni scrive: “Questo è ciò che dice colui che è santo e vero, che ha la chiave di Davide, che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre. (Hæc dicit Sanctus et Verus qui habet clavem David; qui apprit et nemo claudit, claudit et nemo aperit). Quando leggiamo queste parole, le applichiamo solo al Maestro divino; avremmo paura di fare violenza al testo estendendo questa applicazione ad un semplice strumento; eppure, se leggiamo Isaia, cap. XXII, v. 20, 22, vediamo che se il Verbo agisce con la sua divinità, non lo fa Egli stesso direttamente all’esterno, ma si serve di Eliacim figlio di Helcias, e pone sulla spalla di Eliacim questa potente chiave di Davide, che tramite lui, almeno esternamente, apre e nessuno chiude, chiude e nessuno apre (Vocabo servum meum Eliacim filium Helciæ, et dabo clavem David super humerum ejus: et aperiet , et non erit qui claudat , et non erit qui aperiat). Questa identità di azione e di ministero potrebbe permettere, non di confondere le persone, ma di comprendere l’autore e lo strumento sotto lo stesso nome, il nome principale, quello dell’autore. Tuttavia, come abbiamo detto, non trarremo alcuna congettura da questi versi del capitolo XIX della profezia di San Giovanni. In ogni caso, l’applicazione del capitolo XIX dell’Apocalisse a colui che sarà lo strumento della misericordia divina nel mondo, i capitoli XII e XIV di San Giovanni, il capitolo VII di Daniele e il capitolo XXII di Isaia, sembrano riferirsi a questo stesso strumento, e possiamo indagare chi è o sarà colui attraverso il quale tre Profeti dell’Altissimo hanno scritto cose così mirabili. Questo personaggio è, secondo noi, il grande Monarca il cui avvento nella sesta epoca Holzhauser annuncia in molti passi del suo Commentario (Holzhauser riconosce che il “figlio” del capitolo XII dell’Apocalisse può rappresentare il grande Monarca; ma siccome applica con ragione l’immagine di questo capitolo a varie epoche, vi vede anche l’imperatore Eraclio, poi Carlo Magno. Per quanto riguarda Eraclio, la sua applicazione, vera sotto un aspetto, è imprecisa sotto un altro. Questo sovrano fece grandi cose all’inizio del suo regno, ma poi cadde nell’eresia e morì monotelita; non poteva quindi essere, in tutta verità e per tutto, il figlio prediletto della Chiesa, perché perseguitò sua madre). Chi sarà questo grande re, qual è la sua famiglia, la sua personalità? È già venuto? Regna ora o deve ancora venire? Una fitta nube copre tutti questi misteri: sappiamo solo che il nome di Eliacim significa Dei resurrectio, che sembra essere inteso in senso morale, e che il nome di suo padre Helcias significa Pars Dei. Spetta al futuro dirci il resto e farci conoscere il nome di questo personaggio, che nessuno conosce se non lui (Habens nomen scriptum quod nemo novit nisi ipse, Apoc. cap. XIX, v . 12). Nonostante questa incertezza, abbiamo tutte le ragioni per pensare che questo grande Monarca sia o sarà un sovrano francese, e che la verga di ferro con cui governerà il mondo sia un esercito francese che gli sarà totalmente devoto. Ne traiamo le ragioni: 1° dal capitolo XII di San Giovanni, che lo mostra come il figlio maggiore o prediletto della Chiesa; 2° da quel detto così antico e riconosciuto in tutti i secoli: Gesta Dei per Francos (Gli atti di Dio sono compiuti sulla terra dai francesi. – Se la Francia ha fatto prigionieri due Ponteſici, ha pure resa possibile l’indipendenza temporale della Chiesa e ha restituito Pio IX ai suoi Stati.) ; 3° il carattere particolare che l’incoronazione dà ai nostri sovrani, che costituisce come sacerdoti, come i soli veri re, a tal punto che l’imperatore di Germania, venendo a sapere dell’assassinio giuridico di Luigi XVI, disse semplicemente alla sua corte: Il re è morto; 4° le credenze diffuse generalmente in tutto l’Oriente, che un principe francese sarà il distruttore dell’impero turco e il salvatore di coloro che seguono il falso profeta Maometto (Questa distruzione è già iniziata dalla guerra d’Oriente. Chi lo completerà? Il futuro ce lo dirà). (Scisma dei Greci. Maimbourg); 5° e il modo in cui la Chiesa cattolica ha sempre considerato la Francia. Il Papa Alessandro III dichiarava, infatti, che l’esaltazione dell’impero dei Franchi era inseparabile da quella della Chiesa romana. I francesi avevano ottenuto dalla Santa Sede i gloriosi titoli di concittadini degli Apostoli e servi di Dio (aves Apostolorum et domestici Dei). Sulla porta di San Luigi dei Francesi, a Roma, si leggevano e si leggono ancora queste toccanti parole: “Dieci giorni di indulgenza quando si prega per il Re di Francia”. Ma ciò che è più espressivo su questo argomento, è l’orazione che i Pontefici facevano fare per il nostro Paese. Eccone il testo: Omnipotens sempiterne Deus, qui, ad instrumentum divinissimæ tuæ voluntatis per orbem, et ad gladium et propagnaculum Ecclesiæ tuæ sanctæ, Francorum imperium constituisti, cælesti lumine, quæsumus, filios Francorum supplicantes semper et ubiquè præveni, ut ea quæ agenda sunt ad regnum tuum in hoc mundo efficiendum, videant, et ad implenda quæ viderint, charitate et fortitudine perseverantes convalescant, per Dominum, etc. – Dio onnipotente ed eterno, che per servire come strumento della tua divina volontà nel mondo e per la difesa e il trionfo della tua santa Chiesa, stabilisti l’impero dei Franchi, illumina sempre e ovunque con i tuoi lumi divini i figli dei Franchi che ti supplicano, affinché vedano ciò che devono fare per stabilire il tuo regno nel mondo, e affinché, perseverando nella carità e nella forza, portino a termine ciò che hanno visto. Per il N.-S. etc.). Questi sono i titoli della Francia! Qual è il popolo che ne possiede di simili? Quale è così ben posizionato, anche geograficamente, per compiere una tale missione? Quale nazione è missionaria e apostola per natura, nel bene e nel male? Il diavolo teme tutti i paesi cattolici, ma soprattutto il nostro Paese. Ecco perché l’ha attaccato per primo, sapendo che sarebbe stato seguito e imitato dalle altre nazioni. In questo non si sbagliava. La rivoluzione che, nel XVI secolo, aveva avuto in Inghilterra il suo regicidio, la sua repubblica, il suo dittatore, la sua usurpazione, è diventata universale solo alla fine del XVII secolo, quando è stata tale per il fatto che era francese; il male è iniziato in Francia, ma il bene vi si è sempre conservato e lotterà con l’inferno in un combattimento supremo; esso sarà vittorioso, e il nostro popolo aiuterà gli altri a scuotere il giogo del crimine, dell’anarchia e dell’empietà.

VIII. Essendo state esposte queste tre cose, dobbiamo solo seguire la storia del resto della sesta età nella sesta Chiesa, il resto del sesto sigillo, la sesta tromba, la sesta lode, e i dettagli forniti nei capitoli 12, 14, 17 e 19. La sesta Chiesa, la chiesa di Filadelfia, cioè dell’unità cattolica nel mondo intero (Et fiet unum ovile et unus pastor, San Giovanni, cap. X, v. 16), è la più bella che sia mai esistita. Ha questo in comune con la seconda Chiesa, quella di Smirne e delle persecuzioni romane: che Dio non la rimprovera; ma ha, più di essa, una testimonianza molto preziosa, quella di Dio che dichiara di amarla (Et scient quia ego dilexi te.). Questa testimonianza d’amore si accorda bene con le nozze dell’Agnello, di cui parleremo più avanti. Gesù Cristo parla alla sua Chiesa come a una sposa amata (Apoc. cap. III, v. 9). Il nostro Divino Maestro si annuncia a questa Chiesa come santo e verace (La verità farà scomparire l’errore, quindi scompariranno le eresie. – Sic Holzhauser, 61, p. 188, Wüilleret). – Hæc dicit sanctus et verus, ibid. v. 7). Erano queste stesse perfezioni che i poveri Cristiani oppressi della quinta età adoravano e chiedevano quando invocavano Dio per salvarli e vendicarli (Usquequò, Domine, sanctus et verus non judicas et non vindicas sanguinem nostrum de iis qui habitant in terra, cap. VI, v. 10). Il Maestro divino non viene allora (nella quinta epoca), rimanda la sua venuta alla sesta epoca, quando giudicherà e condannerà i civilizzatori e farà mietere la terra. Con queste perfezioni si annuncia che la santità regnerà nel mondo, che la verità sarà conosciuta e generalmente adottata, che ci sarà verità in tutto, in tutti i rami, in tutte le arti, in tutte le scienze, che saranno spinte fino agli ultimi limiti della possibilità; che tutti gli errori cadranno e non si vedranno più sulla faccia della terra – Sic Holzhauser, t. 1, p. 189, 195, 194, 201, Wüilleret). Il nostro Salvatore appare ancora come l’Onnipotente, che può fare tutto ciò che vuole, e la cui azione nessuno può ostacolare o impedire (Qui habet clavem David, qui aperit et nemo claudit, claudit et nemo aperit, cap. III, v. 7); Egli apre ai suoi fedeli una porta, quella del bene, che essi stessi non potevano aprire, e che nessuno potrà chiudere, perché, nonostante le loro poche forze, hanno mantenuto la sua parola e non hanno rinnegato il suo nome (Ecce dedi coram te ostium apertum quod nemo potest claudere, quia modicam habes virtutem, et servasti verbum meum, et non negasti nomen meum, ibid. v. 8). Egli conosce le loro opere e le approva pienamente (Scio opera tua, v. 8; quoniam servasti verbum patientiæ meæ, v. 10); gli promette la conversione di un certo numero di Giudei (Holzauzer – t. 1, p. 199, 200, Wüilleret – applica questa conversione, non a una parte dei Giudei, ma agli eretici e agli scismatici greci. (Ecce dabo de synagoga Satanæ qui dicunt se Judæos esse et non sunt, sed mentiuntur. Ecce faciam illos ut veniant, ut adorent ante pedes tuos, et scient quia ego dilexi te, ibid. v. 9). Egli annuncia la vicinanza del suo ultimo avvento, raccomanda loro di rimanere sempre fedeli, affinché nessuno riceva “la tua corona” (Ecce venio cito, tene quod habes ut nemo accipiat coronam tuam, v. 11); dichiara loro che, poiché hanno conservato la parola della sua pazienza, li preserverà dall’ora della tentazione (quella dell’anticristo), che verrà nel mondo intero per mettere alla prova coloro che abitano sulla terra, cosa che potrà fare, sia chiamandoli in cielo con una morte ordinaria ma prematura, sia dando loro la forza di uscire vittoriosi dalla battaglia (Holzhauser fornisce lo stesso mezzo di preservazione – t. 1, p. 202, 203, Wüilleret -) (Quoniam servasti verbun patientiæ meæ, et ego servabo ab hora tentationis, quo ventura cst in orbem universum, tentare habitantes in terra, v. 10). E infine promette al conquistatore di renderlo saldo, come una colonna nel tempio del suo Dio, di fissarlo per sempre in questo tempio, cioè nel bene, affinché non lo lasci più, di scrivere su di lui il nome del suo Dio, il suo nuovo Nome, e il nome della Gerusalemme celeste, che non lascerà più (Qui vicerit, faciam illum columnam in templo Dei mei, et foras non egredietur ampliùs; et scribam super eum nomen Dei mei, et nomen civitatis Dei mei, novæ Jerusalem quæe descendit de cœlo, et nomen meum novum – Sic Holzhauser, t. I p. 186, Wüilleret – v. 12).

(*).

Estratto della Suora della Natività:

T. 4, p. 401 « Dopo che Dio avrà soddisfatto alla sua giustizia, farà piovere abbondanti grazie sulla sua Chiesa; estenderà la fede; ravviverà la disciplina della Chiesa in tutte le regioni dove era diventata tiepida e lassa…  – Vedo tutti i poveri popoli, stanchi delle fatiche e delle prove così gravi che Dio ha mandato loro, tremare… Essi diranno: Signore, tu hai riversato nei nostri cuori la gioia e la forza della giovinezza; non sentiamo più il dolore del lavoro, della fatica e della persecuzione. (Così, lavoro, fatica e persecuzione sono la sorte dei veri figli della Chiesa fino al momento del trionfo. Questo è ciò che le nostre congetture tendono a stabilire). La Chiesa diventerà più fervente e più fiorente e sana che mai a causa della sua fede e della sua pietà. (Questo è molto in linea con il carattere della sesta Chiesa, che Dio non rimprovera, e alla quale dà una così bella testimonianza, dicendo in Apocalisse, cap. III, v. 9: “Et scient quia ego dilexi te”.). Questa buona Madre vedrà molte cose consolanti, anche da parte dei suoi persecutori, che verranno a gettarsi ai suoi piedi, la riconosceranno e chiederanno perdono a Dio e a lei per tutti i crimini e gli oltraggi che hanno commesso contro di essa. Questa santa Madre accoglierà nel suo seno tutti questi poveri penitenti; non li considererà più come suoi nemici, ma li metterà nel numero dei suoi figli »).

IX. L’apertura del sesto sigillo ci aveva mostrato un grande cataclisma che converte o estirpa i malvagi. La continuazione di questo sigillo, facendo la storia pubblica di una parte della sesta età, ci mostrerà sia gli effetti della bontà divina, sia quelli dello zelo ardente e veramente apostolico che caratterizza i fedeli, e specialmente il sacerdozio durante la chiesa di Filadelfia, e la concordanza fondamentale che esiste tra la Chiesa e il sigillo durante questo periodo di tempo. – Nel capitolo VII di San Giovanni, ove vediamo quattro Angeli che stanno ai quattro lati del mondo, trattenendo i venti che lo avrebbero tormentato, e impedendo loro di soffiare sulla terra, sul mare e sugli alberi che rappresentano il clero (Holzhauser – t. 1, p, 301, Wüilleret – vede in questi quattro Angeli i quattro imperatori romani Galerio, Massimino e Licinio. È la conseguenza forzata della sua opinione sui sigilli, e sul sesto in particolare. Un altro Angelo sale dall’Oriente, portando il segno del Dio vivente, e grida ad alta voce ai quattro Angeli ai quali è stato dato il potere di danneggiare la terra e il mare, di non farlo più finché non avrà segnato gli eletti di Dio sulla loro fronte. (Post hæc vidi quatuor Angelos stantes super quatuor Angelos terræ, tenentes quatuor ventos terræ, ne flarent super terram, neque super mare, neque in ullam arborem, Apoc. VII, v. 1. Et vidi alterum Angelum ascendentem ab ortu solis, ha bentem signum Dei vivi, et clamavit voce magnâ qua tuor Angelis quibus datum est nocere terræ et mari, v. 2. dicens: Nolite nocere terræ et mari, neque arboribus, quoadusquè signemus servos Dei nostri in frontibus eorum, v. 3). Questi servi così segnati (signati) sono innanzitutto i centoquarantaquattromila, dodicimila per ciascuna delle tribù d’Israele, con la particolarità che la tribù di Dan non è inclusa, il che può venire dalla sua totale estinzione, perché era la meno numerosa, come prova la piccola estensione che occupava; e che la tribù di Giuseppe è contata come due tribù, quella di Efraim e quella di Manasse, e che il numero delle dodici tribù è così ripristinato. cap. VII, v. 4 a 8). Questi centoquarantaquattromila uomini segnati per prima ci sembrano essere il numero dei Giudei la cui conversione N.-S. promise alla chiesa di Filadelfia, quando disse ad essa, nel cap. III, v. 9: Ecce dabo de synagoga Satanæ qui dicunt se Judæos esse, et non sunt, sed mentiuntur (Holzhauser – t. 1, p. 306, Wüilleret – vede in questi centoquarantaquattromila uomini segnati quelli che il martirio dei Cristiani porta alla conversione), perché i veri figli di Giuda sono i Cristiani Cattolici. I servitori segnati sono poi un numero innumerevole di persone di tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue che abbracciano la fede di Gesù Cristo (Post hæc vedi turbam magnam quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus, et tribubus, et populis, et linguis – Dopo questo, ho visto una grande moltitudine che nessuno poteva contare, da ogni nazione, tribù, popolo e lingua, Apoc. cap. VII. V. 9). Propter hoc in doctrinis glorificate Dominum , in insulis maris nomen Domini Dei Israel –  Per questo motivo, glorificate il Signore con il vostro insegnamento, celebrate nelle isole del mare il nome del Dio d’Israele.- Isaia, cap. XXV, v. 13). – Questi nuovi Cristiani, dopo essersi rivestiti del candore della santità con il loro Battesimo e il loro fervore, stanno davanti al trono alla presenza dell’Agnello che fino ad allora li aveva misconosciuti, portando nelle loro mani la palma della vittoria che hanno ottenuto sull’errore e sul peccato, e nel trasporto della più viva gratitudine al Dio che li ha così portati alla conoscenza della verità, dicono ad alta voce: “Salve al nostro Dio che siede sul trono e all’Agnello! (Stantes ante thronum, et in conspectu Agni, amicti stolis albis, et palmæ in manibus eorum, et clamabant voce magna, dicentes: Salus Deo nostro qui sedet super thronum et Agno (Holzhauser –  t . 1 , p, 306, Wüilleret) applica questi passaggi alla persecuzione di Diocleziano. Questa applicazione ci sembra arbitraria, senza ragioni serie e molto improbabile. – Apoc. cap. VII, v. 9, 10)

(* – Dopo questo trionfo, la Chiesa regna sul mondo con Cristo.

Nel vol. 1, p. 295 a 301, N.-S. mostra alla Suora della Natività il Cristiano apostata e infedele e le mostra la facilità con cui quest’ultimo è convertito, annunciando così l’estensione della fede tra numerosi popoli.

Nel vol. 1, p. 301, la Suora dice: « Tutti i falsi culti saranno aboliti; tutti gli abusi della rivoluzione saranno distrutti e gli altari del vero Dio restaurati. I costumi antichi saranno ripristinati e la religione diventerà più fiorente che mai.

In t. 4, p. 401, aggiunge: “Vedo in Dio che la Chiesa sarà stabilita in molti regni, anche in luoghi dove non esisteva più da diversi secoli (Questi paesi ci sembrano essere Inghilterra, Scozia, Scandinavia, Russia, Grecia, diverse parti della Germania, Siria e Asia Minore.). Essa produrrà frutti in abbondanza, come per vendicare gli oltraggi che ha subito attraverso l’oppressione dell’empietà e le persecuzioni dei suoi nemici. »*)

X. La sesta tromba era iniziata con una nuova azione del male, e vedremo che finirà nello stesso modo. Ma come la santa Chiesa di Filadelfia è posta tra due Chiese molto deplorevoli, quelle di Sardi e Laodicea, così le due parti malvagie della sesta tromba sono separate da un intervallo di tempo che è tutto buono, perché, per effetto della potenza divina, l’azione del male è nulla sulla terra durante la sesta Chiesa. – L’Apocalisse, capitolo X, ci mostra un Angelo molto forte che scende dal cielo, vestito di una nuvola come una veste, con un arcobaleno sulla testa, la faccia che brilla come il sole e i piedi che brillano come una colonna di fuoco. Questo Angelo forte ha in mano un libro aperto, e mettendo un piede sulla terra e l’altro sul mare, grida con grande voce: che non ci sarà più tempo, ma che nei giorni del settimo Angelo, il mistero di Dio sarà consumato (Et vidi alium Angelum fortem descendentem de cælo, amictum nube, et iris in capite ejus; et facies ejus erat ut sol, et pedes ejus tanquàm columnæ ignis. Et habebat in manu suâ libellum apertum: et posuit pedem suum dextrum super mare, sinistrum autem super terram: Et clamavit voce magnà, quemadmodum cùm leo rugit, levavit manum suam in cælum, et juravit per viventem in sæcula sæculorum, qui creavit cælum et ca quæ in eis sunt, et terrum et ea quæ in eâ sunt , et mare et ea quæ in eo sunt: Quia tempus non erit amplius. Sed in dicbus vocis septimi Angeli, cùm coeperit tubâ canere consummabitur mysterium Dei, sicut evangelizavit per servos suos prophetas, Apoc. cap. X, v. 1, 2, 3, 5, 6, 7).

Questo Angelo che annuncia la fine dei tempi ci sembra essere il Santo Pontefice, che guiderà e consiglierà il grande Monarca. Questo libro aperto, e quindi pubblico e rivolto a tutti, ci sembra essere la raccolta delle decisioni di un grande Concilio che sarà tenuto dal grande Papa, sotto la cura del forte Monarca. Colui a cui viene detto di venire a prendere questo libro ci sembra essere questo monarca stesso, che deve farlo eseguire in tutto il mondo. Questo libro è dolce alla bocca e al gusto, perché contiene le regole e le vie della santità, che è dolce, anche in mezzo alla sofferenza; ma è amaro allo stomaco e difficile da digerire, perché può essere osservato solo da scismatici, eretici e infedeli con grande difficoltà. (Holzhauser – vol. 1, p. 449, Wüilleret) pensa che questo Angelo non sia il Santo Pontefice, ma il grande Monarca, e concorda con noi che il libro aperto indica un grande Concilio. Ma allora dovrebbe vedere in quest’epoca il Pontefice, poiché un Concilio è prima di tutto sotto la sua guida. Il forte Monarca lo riceve solo per eseguirlo. Tuttavia, il grande Monarca, consigliato dal santo Papa, deve farlo adottare da questi popoli; poiché sta scritto: “Devi profetizzare di nuovo alle nazioni, ai popoli, alle lingue e a molti re”. (Et audivi vocem de cælo iterùm loquentem mecum et dicentem: Vade et accipe librum apertum de manu Angeli stantis super mare et super terram. Et abii ad Angelum, dicens ei , ut daret mihi librum. Et dixit mihi: Accipe librum, et devora illum, et faciet amaricari ventrem tuum, sed in ore tuo erit dulce tamquàm mel. Et accepi librum de manu Angeli , et devoravi illum, et erat in ore meo tanquàm mel dulce; et cùm devorassem eum, amaricatus est venter meus, et dixit mihi: Oportet te iterùm prophetare gentibus, et populis , et linguis , et regibus multis, Apoc. cap. X, v. 8, 9, 10, 11)

(* – T.1, p. 308. « Vedo in Dio una numerosa assemblea dei ministri della Chiesa che sosterrà i diritti della Chiesa e del suo capo, e restaurerà la sua antica disciplina. In particolare, vedo due ministri del Signore che si distingueranno in questa gloriosa lotta.*)

XI. Il capitolo 19 di San Giovanni, v. 7, annunciava che le nozze dell’Agnello stavano per aver luogo, e il v. 9 proclamò beati coloro che vi sarebbero stati chiamati (Gaudeamus et exultemus, et demus gloriam ei; quia venerunt nuptiæ Agni, et uxor ejus præpara vit se . Et dixit mihi: Scribe: Beati, qui ad cœnam nuptiarum Agni vocati sunt; et dixit mihi: Hæc verba Dei vera sunt – Rallegriamoci, allietamoci, e rendiamogli gloria, perché son giunte le nozze dell’Agnello ed è pronta la sua Sposa,  e mi dice: beati coloro che sono invitati alle nozze dell’Agnello; e inoltre mi dice: queste parole sono vere. – Apoc. XIX, v. 7, 9). – Con questo banchetto, che ha luogo dopo la grande vittoria che Cristo ottiene attraverso i suoi rappresentanti, il Santo Pontefice e il Forte Monarca, durante la sesta età, e che è la figura di quello delle nozze eterne che avranno luogo in Cielo dopo l’ultimo giudizio, il divino Maestro sembra aver inteso sia la Chiesa di Filadelfia, sia la conversione generale di cui si parla in San Matteo, capitolo XXII, vv. 8-13, e in San Luca, capitolo XIV, vv. 6-24. – Questo padre di famiglia che vuole fare il matrimonio di suo figlio, è Dio Padre. E siccome nessun matrimonio o banchetto si tiene senza invitati, egli manda i suoi servi a convocare quelli che ha invitato; questi si rifiutano di venire. Manda loro nuovi servitori, sperando di non ricevere per due volte la stessa risposta sprezzante; questi, per affrettarsi e lasciare quelli a cui sono inviati senza scuse nel loro ritardo, dicono loro che non devono indugiare e perdere tempo, perché tutto è pronto. Offesi di malavoglia da questa insistenza, che è del tutto naturale in tali circostanze, e rifiutando di accettare l’insigne onore che è stato loro concesso, coloro che sono stati invitati non tengono alcun conto dell’invito. Vanno altrove, alcuni per occuparsi delle loro proprietà, altri dei loro affari; altri, più malvagi, sequestrano i servi, li oltraggiano e li uccidono. – E mi disse: “Queste parole sono veraci. Dio si adirò e ordinò alla gente della sua casa di andare nelle piazze, nelle strade e nei crocicchi, per portare i poveri e gli storpi, gli zoppi e i ciechi. Questo ordine viene eseguito; ma la sala del banchetto non è piena, il numero degli eletti non è ancora colmo, e il Signore comanda ai suoi ministri di insegnare di nuovo al mondo, di non limitarsi agli uomini delle città e delle periferie, cioè ai paesi civilizzati, ma di spingersi nei deserti, Egli comanda che, se non entrano volentieri, siano costretti ad entrare, in modo che la sala del banchetto non sia più vuota (Exi in vias, et sepes, et compelle intrare, ut impleatur domus mea, San Luca, cap. XIV, v. 23). – Quest’ultima predicazione e questa chiamata degli uomini alla salvezza differisce dalle precedenti, in quanto avviene, in un certo senso, per costrizione (compelle intrare); e questo si accorda molto bene con la condotta del grande Monarca che guiderà le nazioni con una verga di ferro (qui recturus erat omnes gentes in virga ferrea, – cap. XII, v. 5), li costringerà ad eseguire le prescrizioni del grande Concilio, dichiarerà guerra a tutti coloro che si rifiuteranno di farlo, e li costringerà ad entrare nell’ovile di Cristo. Quanto a questo sventurato che, solo tra tutti gli esseri viventi che partecipano al banchetto dell’Agnello, non era vestito con la veste nuziale, ci sembra essere l’anticristo stesso, che avrebbe vissuto allora, e che sarebbe stato un Cristiano Cattolico, poiché era nella sala del banchetto, ma si sarebbe dato al demonio. È perché il grande Monarca usa la forza per far tornare gli uomini al loro Dio, che il capitolo XIV di San Giovanni lo rappresenta come il mietitore della terra.

XII. Alla sesta età corrisponde la sesta lode, la gloria (gloriam, Apoc. cap. V, vv. 12 ); e, in effetti, una molto grande ne è resa a Dio da tutto il mondo che lo conosce, lo adora, lo ama e lo serve.

*) Estratto dalla Suor della Natività, riguardante la durata della sesta Chiesa:

T. 1, p. 308: « Ma, ahimè! Ma, ahimè, Signore, quando arriverà questo “tempo felice”… e quanto durerà? Questo è senza dubbio un segreto che tieni per te. Qui vedo solo che all’avvicinarsi dell’ultimo avvento di Cristo, ci sarà un sacerdote malvagio che causerà molte afflizioni alla Chiesa (Questo cattivo prete, non sarà l’antipapa di cui abbiamo parlato?). »

T. 4, p. 404: « La Chiesa godrà di una pace profonda per un tempo che sembra probabile di breve lunghezza. La tregua (Questi termini e questa parola tregua indicano che questo tempo sarà breve rispetto alle altre età della Chiesa) sarà più lunga questa volta, non di quanto sarà da ora fino al giudizio generale nell’intervallo delle rivoluzioni. Più ci avviciniamo al giudizio generale, più brevi saranno le rivoluzioni contro la Chiesa; e più breve sarà anche la pace che ne seguirà. »

«La Chiesa sarà ristabilita… ma sempre un po’ nel timore, perché assisterà a molte guerre tra diversi principi e re; le tregue tra queste guerre, saranno brevi, e ci saranno molte agitazioni nelle leggi civili » *)

CONGETTURE SU LE LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (9)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (7)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (7)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA

CAP. III.

GLI ULTIMI TEMPI DELLA QUINTA ETÀ ED I PRIMI TEMPI DELLA SESTA

I. Lutero aveva stabilito il principio della sovranità della ragione di ogni uomo per l’interpretazione delle Sacre Scritture; il filosofismo, la coda della Riforma, ne aveva tratto l’indipendenza della ragione umana da Dio. Bisognava far emergere la sovranità pratica del popolo per rovesciare tutto e riuscire a decattolicizzare le nazioni demonarchizzandole; e quest’ultimo passo, il più difficile di tutti, perché bisognava prima di tutto rovesciare delle fortezze armate che si sarebbero difese, aveva bisogno, per riuscire, di una forza sovrumana. D’altra parte, i mille anni di prigionia di satana nell’abisso erano stati completati; il gran dragone usciva dalla sua prigione e appariva sulla terra per sedurla di nuovo. Il capitolo XII dell’Apocalisse dirà cosa sta per fare. San Giovanni vede un grande segno nel cielo: una donna avvolta nel sole come in un vestito, con la luna sotto i suoi piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo; era gravida, gridava nei dolori del parto e subiva grandi tormenti per dare alla luce il figlio che portava in grembo (Et signum magnum apparuit in caelo: mulier amicta sole, et luna sub pedibus ejus, et in capite corona stellarum duodecim; et in utero habens, clamabat parturiens, et cruciabatur ut pariat, Apoc . cap. XII, v. 1, 2).

II. Cos’è questa Donna? È la Chiesa; il sole che la circonda è il Sole di giustizia, Gesù Cristo stesso, che, come un tenero sposo, è con Essa fino alla fine dei tempi. Questa luna è l’umanità, che, come la stella della notte, riceve la sua luce dal Sole delle intelligenze, da Gesù Cristo, e senza di Lui sarebbe nelle tenebre. Queste dodici stelle rappresentano i dodici Apostoli, che sono come la corona della Chiesa Cattolica. Questo parto è la funzione essenziale della Chiesa, che dà continuamente figli al suo Sposo, producendoli solo nel dolore e nelle lacrime, perché essa è e sarà sempre militante sulla terra (Sic Holzhauser (t. 2, p. 3, Wüilleret); ma, inoltre, il parto di cui si parla qui sembra presentare qualcosa di straordinario e molto più notevole, come si può congetturare dal resto del testo sacro. – Dopo questa prima meraviglia, San Giovanni ne vede una seconda in cielo. È un grande drago rosso, con sette teste e dieci corna, e sette diademi sulle sette teste. La sua coda portava via con sé la terza parte delle stelle del cielo e le faceva cadere sulla terra. Questo drago vede la Donna e si ferma e sta davanti ad essa allorquando sta per partorire, per divorarne il figlio appena nato (Et visum est aliud signum in cælo: Ecce draco magnus, rufus, habens capita septem et cornua decem, et in capi tibus diademata septem; et cauda ejus trahebat tertiam partem stellarum cæli, et misit eas in terram; et draco stetit ante mulierem, quæ erat paritura, ut cùm peperisset filium ejus devoraret, ibid., v. 3, 4). Se la donna di cui abbiamo parlato è la Chiesa Cattolica, questo grande drago rosso è ovviamente satana. Le sue sette teste, che portano sette diademi, sono da un lato, moralmente, i sette peccati capitali che regnano nel mondo, e sono diventati, ai nostri tempi, la regola dei costumi e della condotta; dall’altro lato, le sette potenze con cui ha agito, e che hanno compiuto la sua opera, a volte controvoglia, contro la loro volontà e spinti dalla forza delle cose; e infatti la prima rivoluzione francese, che divenne universale per la potenza di espansione del nostro paese, aveva sette teste o sette governi, cioè il governo costituzionale negli ultimi anni del regno di Luigi XVI, la Convenzione, il Direttorio, il Consolato, l’Impero, la prima Restaurazione, i Cento Giorni. Le dieci corna possono essere dieci re che gli hanno offerto la loro potenza, si sono asserviti ai suoi disegni, spesso senza sospettarlo, e che finiranno per rivoltarglisi contro, quando l’Agnello li avrà illuminati e cambiati. Le stelle del cielo, di cui la coda del drago trascina la terza parte, facendola cadere sulla terra, rappresentano i sacerdoti, i religiosi, i Vescovi che egli ha sedotto con il rilassamento, la tiepidezza, i piaceri dei sensi, il richiamo dei beni della terra e l’orgoglio, che ha reso prima ribelli e scismatici con la costituzione civile del clero, e che ha precipitato, dopo, nei più grandi crimini (Holzhauser (t. 2, p. 12, Wüilleret vede in queste stelle cadenti lo scisma greco che, dopo essere tornato all’unità cattolica, durante la Chiesa di Filadelfia, seguirà poi l’anticristo. – Questo significato potrebbe essere uno di quelli veri).

III. Questo drago è il nemico naturale della Chiesa; inoltre, appena viene liberato e può agire in libertà, si ferma davanti ad Essa, non per sedurla, perché sa che non può, ma per divorare il suo bambino appena nato (Secondo Holzhauser – t. 2, p. 15, Wüilleret – questo drago rappresenta Chosroe, Maometto, l’anticristo. A noi sembra che sia solo satana, il capo degli angeli ribelli; il testo lo dimostra espressamente). Chi è questo bambino a cui il diavolo vuole impedire di vivere? Egli rappresenta, a nostro avviso, tutti i fedeli e ciascuno di loro in particolare; egli rappresenta il Cattolicesimo e in particolare l’esercizio pubblico del suo culto, che il demonio non può soffrire e che vorrebbe proibire su tutta la terra, come sarà nei giorni dell’anticristo. Inoltre, questo bambino potrebbe avere un significato particolare che crediamo di dover sottolineare, anche se ci è ancora avvolto nel mistero, a causa della nostra ignoranza del futuro.  La donna del capitolo XII dell’Apocalisse, cioè la Chiesa, ha altri figli. Ecco perché è detto, nel v. 17 di questo capitolo, che il drago si adirò con la donna, e che andò a fare guerra al resto dei suoi figli che osservano i comandamenti di Dio e danno testimonianza a Cristo (Et iratus est draco in mulierem, et abiit facere prælium cum reliquis de semine ejus qui custodiunt mandata Dei, et habent testimonium Christi). Da questa pluralità di figli della Donna, quindi, si può concludere che quello di cui si parla più in particolare nel capitolo XII è il principale di loro, il suo Figlio preferito, il suo Primogenito, non il maggiore dei suoi figli, quello con il destino più alto, e dal quale satana ha più da temere. Nonostante questa rabbia attenta, la Donna dà alla luce questo figlio maschio (Il sesso maschile indica la forza), che toglierà al diavolo l’impero del mondo e dominerà tutte le nazioni con una verga di ferro; e questo Figlio, sul quale riposano tante speranze, sfugge alla crudeltà del drago, venendo portato a Dio e salendo al suo trono (Et peperit filium masculum, qui recturus erat omnes gentes in virgâ ferreâ, et ruptus est filius ejus ad Deum et ad thronum ejus, cap. XII, v. 5).

IV. Furioso per non poter divorare questo figlio che il potere divino aveva messo fuori dalla sua portata, satana è deciso ad attaccare la Chiesa, sua madre. Ella fugge nella solitudine, dove Dio le ha preparato una dimora in cui è nutrita per mille e duecentosessanta giorni (Et mulier fugit in solitudinem ubi habebat locum paratum à Deo, ut ibi pascant eam diebus mille ducentis sexaginta, ibid. v. 6). La Chiesa cattolica si trovò veramente in questa solitudine, dal punto di vista terreno e umano, quando le nazioni e le potenze della terra la abbandonarono, permisero alla rivoluzione francese di impadronirsi degli Stati romani, e di prendere in prigionia due sovrani Pontefici, uno dei quali morì in esilio a Valencia in Francia, e l’altro poté, dopo cinque anni di prigionia, tornare nella Città eterna e finirvi i suoi giorni. – In questa posizione, la Chiesa era veramente nella solitudine, poiché Dio solo la conservava, la sosteneva e la nutriva, mentre gli uomini, lungi dal fornirle un qualsiasi sostegno, la perseguitavano senza tregua (Holzhauser, che è tedesco, vede in questa solitudine la Germania pagana che divenne cristiana nel IX secolo, per servire da baluardo alla Chiesa romana – t. 2, p. 19, Wüilleret – È un bel baluardo questo: il Paese che ha prodotto l’hussismo, il protestantesimo, si è impadronito di Roma sotto Carlo V, e metà del quale è ostile alla Chiesa cattolica!) – I milleduecentosessanta giorni di cui si parla nel v. 6 possono rappresentare la durata della prigionia di Pio VI, ben diversa da quella del suo successore, che si protrasse per un tempo simile; ma si potrebbe anche considerare la durata della prima rivoluzione francese. In questo caso, ogni testa del drago avrebbe regnato per mille duecentosessanta giorni, poiché ognuna di esse porta un diadema; e siccome ci sono sette teste, otterremmo circa venticinque anni per il tempo di questa rivoluzione, perché mille duecentosessanta giorni fanno tre anni e mezzo, e sette volte tre anni e mezzo fanno circa venticinque anni. – Il regno del moderno Apollyon, menzionato nel capitolo IX, v. 11, e nelle parole di Nostro Signore in Matteo XXIV, v. 6: « Sentirete parlare di guerre e voci di guerre; non turbatevi. Queste cose devono  avvenire, ma non è ancora la fine » (Audituri enim estis prælia et opiniones præliorum: videte ne turbemini; oportet enim hæc fieri, sed nondum est finis); infatti, la prima rivoluzione fu solo una lunga e crudele battaglia in Europa, Asia, Africa e persino in America. – Possiamo anche applicare a questi brutti tempi questo passo di Isaia, che descrive così bene le disgrazie che hanno segnato la fine del secolo scorso, con assassinii, regicidi, patiboli, annegamenti, matrimoni cosiddetti repubblicani, massacri, emigrazioni, proscrizioni, trasposizioni, furti e confische: « Ecco, il Signore dissiperà la terra, la spoglierà, ne affliggerà la faccia e disperderà i suoi abitanti. Sarà il popolo come il sacerdote, il servo come il suo padrone, la domestica come la sua padrona, il compratore come il venditore, il prestatore come il mutuatario, colui che deve come colui che chiede ciò che è dovuto. La terra sarà orribilmente dissipata e saccheggiata, perché il Signore ha pronunciato questa parola. La terra ha pianto e non ha cessato dal farlo ed è caduta nell’infermità. Anche l’intero universo ha pianto; le grandezze del popolo della terra caddero in debolezza. La terra è stata infettata e contaminata dai suoi abitanti, perché hanno trasgredito le leggi, mutato il diritto e violata l’alleanza eterna. Così la maledizione divorerà la terra e gli abitanti peccheranno ancora di più. Per questo motivo, i coltivatori diventeranno come degli insensati, e rimarranno pochi uomini. » (Ecce Dominus dissipabit terram, et undabit eam, et affliget faciem ejus, et disperget habitatores ejus, cap. XXIV, v. 1. Et erit sicut populus, sic sacerdos; et sicut servus, sic dominus ejus; sicut ancillæ, sic domina ejus; sicut emens, sic ille qui vendit; sicut fenerator, sic is qui mutuum accipit; sicut qui repetit, sic qui debet, v. 2. Dissipatione dissipabitur terra et direptione præ dabitur; Dominus enim locutus est verbum hoc , v. 3. luxit et defluxit terra, et infirmata est; defluxit orbis, infirmata est altitudo populi terræ, v. 4. et terra infecta est ab habitatoribus suis, quia transgressi sunt leges, mutaverunt jus, dissipaverunt fædus sempiternum, v. Propter hoc maledictio vorabit terram, et peccabunt habitatores ejus; ideòque insanient cultores ejus, et relinquentur homines pauci, v. 6). – Leggendo queste parole del Profeta, si può facilmente riconoscere che sono la storia esatta della prima rivoluzione. Il re Luigi XVI morì sul patibolo; la regina e Madame Elisabeth subirono la stessa sorte. I grandi che formavano l’altezza dei popoli della terra (altitudo populi terræ) furono abbassati, cacciati e massacrati. I ricchi e i poveri, i sacerdoti e il popolo furono ridotti in miseria; la terra fu saccheggiata e devastata da barbari civilizzati, mille volte più crudeli e rapaci dei barbari del Nord. Il commercio era distrutto, i campi erano abbandonati e desolati; Vescovi, sacerdoti e grandi uomini vagavano infelicemente lontano dalla loro patria, chiedendo agli stranieri il loro pane quotidiano, che spesso veniva loro rifiutato. Crimini sconosciuti fino ad allora venivano commessi ogni giorno e a migliaia, con il grande applauso delle tigri infuriate che erano salite al potere. La rivoluzione aveva trasgredito le leggi fondamentali di tutte le società, di tutte le monarchie; aveva cambiato la legge sociale (mutaverunt jus), schiavizzando e poi massacrando coloro che avevano ricevuto il diritto di governare da Dio, e dando potere a coloro che avevano il dovere di obbedire; aveva trasgredito, proscritto la legge divina e gettato al vento l’alleanza eterna detronizzando Dio, cacciandolo dai suoi templi, abolendo il Sacrificio perpetuo (juge sacrificium), adorando la ragione umana sotto l’immagine sozza ed ignobile di una prostituta, e mettendo sui nostri altari profanati l’abominio della desolazione al posto del Dio vivente.

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Nel tomo 1, p. 302 e seguenti, la suora della Natività si trova su una bella montagna dove sorgeva una bella casa. Tutte le strade erano libere; tutte le entrate erano aperte ai forestieri che vi accorrevano con un’aria molto dissipata.  Improvvisamente dalla terra salirono vapori, formarono una nuvola nera che oscurò il giorno e si spinse verso la montagna. Sotto la nuvola c’era un oggetto sensibile, una specie di mezzaluna rossa, che ondeggiava rapidamente in tutte le direzioni e che, arrivando alla montagna, si staccò dalla nuvola e cadde ai piedi della Suora … era un drago spaventoso (Si noti la conformità della dichiarazione della Suora che vede un grande drago rosso con il v. 3, cap. XII dell’Apocalisse: Ecce draco magnus rufus). Ella corse immediatamente verso la bella casa. La Suora gridò nel prestare attenzione, ma fu derisa e si pensò che fosse pazza. –  Questa montagna e questa bella casa rappresentavano la Francia. Questi vapori rappresentavano i princìpi dell’irreligione e del libertinaggio in parte prodotti dalla Francia, in parte provenienti dall’estero. « La tempesta – dice la Suora – si è spinta verso la Francia, che deve essere il primo teatro della sua devastazione, dopo esserne stata il centro (la Francia è il centro del male che veniva in parte da altrove; ma è anche il centro del bene: Gesta Dei per Francos). L’oggetto che appariva sotto la nuvola rappresentava la rivoluzione o la nuova costituzione che si stava preparando per la Francia. »

Nel tomo 1, p. 289. La Suora vede prima due alberi. Uno bello, grande e forte, la Chiesa, l’altro della stessa natura, meno forte, che termina con una cima a due punte: lo stato religioso dei due sessi; poi vede un terzo albero, la filosofia moderna, che si erge in mezzo agli altri due e li batte entrambi. Il primo non ha perso nessuno dei suoi fiori, foglie e frutti, e continua a resistere; il secondo ha conservato solo il tronco e le radici.

Nel tomo 4, p. 394 e seguenti, ella vede un altro albero, la rivoluzione, senza foglie né verde, la cui corteccia era dura come il metallo di un cannone, e gli assomigliava, perché il suo spirito sarebbe stato sempre bellicoso. Era così alto che non se ne poteva vedere la cima, e si poggiava su una bella chiesa, sulla quale posava per schiacciarla. Aveva i suoi rami più o meno tagliati, cosa che rappresentava le guerre civili ed i massacri che Dio aveva permesso in Francia, e che, uniti alle guerre straniere, avevano fatto perire le anime più orgogliose e quelle più crudeli nella malizia.

I buoni facevano ogni sforzo per allontanare e sradicare questo albero; ma Dio vi si oppose, promettendo di abbreviare il tempo della sua caduta, e dichiarando che un giorno non sarebbe stato sradicato, ma tagliato al suolo. «Io Conosco – diceva Gesù Cristo – la ferocia e la durezza di questi spiriti maligni che sono più duri della corteccia di quest’albero dove la scure non può entrare, ma io farò un miracolo con la mia grazia (Quando si vede tutto ciò che è necessario perché Dio regni sulla terra, la debolezza dei mezzi umani, e quando si sente che questo regno debba venire presto, si tocca con mano la necessità di un grande miracolo per ottenere questo risultato).

La Suora, parlando dei crimini della prima rivoluzione, si esprime nel modo seguente:

T. 1, p. 263. «Io ho visto una grande potenza sollevarsi contro la santa Chiesa; ha sradicato, saccheggiato e devastato la vigna del Signore, dopo aver insultato il celibato e oppresso lo stato religioso; questa superba audacia ha usurpato i beni della mia Chiesa e si è come rivestita dei poteri di N. S. P. il Papa di cui ha disprezzato la persona e l’autorità (La Rivoluzione ha sempre disprezzato l’autorità del Papa; ha disprezzato tre volte la sua persona, con due catture e un esilio).  – Ho visto vacillare le colonne della Chiesa; ho visto persino cadere molte di esse, dalle quali c’era motivo di aspettarsi una maggiore stabilità. Tra coloro che dovevano sostenerla, c’erano vigliacchi, indegni, falsi pastori, lupi rivestiti dalla pelle dell’agnello, che entravano nell’ovile solo per sedurre le anime semplici, per divorare il gregge di Gesù, e per consegnare l’eredità del Signore alla depredazione dei rapitori, i templi e gli altari sacri alla profanazione (questi pastori sono le stelle del cielo che il dragone trascina con la sua coda e che faceva cadere sulla terra al v. 4 del cap. XII dell’Apoc.). Guai, dice J.-C.! Guai ai traditori e agli apostati, ai agli usurpatori dei beni della mia Chiesa e a tutti coloro che disprezzano la sua autorità! »

T. 1, p. 272  «Figlia mia – mi diceva Gesù Cristo – ci sono stati dei Giuda nella mia Chiesa che mi hanno tradito e venduto. Sono stato abbandonato, rinnegato di nuovo. Hanno liberato Barabba, e mi hanno condannato a morte. Sono stato crudelmente flagellato e coronato di spine. Sono stato ricoperto di vergogna e di obbrobri. Sono stato condotto al supplizio per essere crocifisso una seconda volta (Questi sacerdoti e pastori sono le stelle del cielo, che il drago trascinò con la sua coda e fece cadere sulla terra, al v. 4, capitolo XII dell’Apocalisse). Quali punizioni meritano così tanti e così sanguinosi oltraggi? Tuttavia  ho ascoltato le preghiere della mia Chiesa; il suo gemito e il suo sospiro mi hanno fatto violenza, e ho deciso di abbreviare il tempo del suo esilio (La parola esilio applicata alla Chiesa rappresenta bene la fuga della donna nel v . 6 , cap. XII dell’Apocalisse). » – Noi abbiamo congetturato che la prima rivoluzione sarebbe durata circa venticinque anni; la Suora non dice nulla di preciso su questo argomento, limitandosi a queste parole nel …

– tomo 4, p. 400: « Abbiate pazienza per molto tempo. – Dio era irritato contro la Francia, minacciava di distruggerla; Egli dice alla Suora: « La dividerò, essa sarà divisa come un vecchio mantello che si strappa e si butta via. Non lo do per certo, aggiunge la Suora, può succedere di meglio o di peggio, o niente del tutto, perché vedo questo in Dio solo in modo confuso (La divisione della Francia fu proposta nel 1815, è un fatto noto.).

V. Uno stato così violento non poteva durare a lungo; i popoli desideravano la pace. Essa fu data alla terra alla fine del primo guai (Væ unum abit, Apoc. cap. IX, v. 12); ma, poiché quest’ultima disposizione non proveniva che da lassitudine, poiché il fondo dei cuori non era cambiato, e poiché essi non vollero riconoscere e ringraziare la bontà divina che aveva concesso questa grazia, il male seguì la sua marcia progressiva. La guerra non si faceva sulla terra, che era tranquilla dal punto di vista materiale, ma in cielo, contro la verità, contro Dio. Essi furono attaccati da dottrine sataniche, chiamate liberali, che si coprivano di un bel nome e avevano l’apparenza del bene; da società più o meno segrete; da una crociata abilmente organizzata e condotta che, addormentando i difensori e le sentinelle avanzate della Religione, fu in questi pochi anni che il mondo fu sedotto al punto che la gente non osava più dichiararsi per Dio, che la veste di un sacerdote era disonorata e vituperata quando appariva sulle nostre piazze, e che le nostre solennità religiose erano sporcate da uomini impudenti e lascivi che venivano ad insultare Dio ai piedi dei suoi altari. – Fu in questi pochi anni che restaurarono la fortuna materiale della Francia e dell’Europa, e che, dal punto di vista morale, non furono una restaurazione, ma una rovina maggiore aggiunta a tante altre, ed il male, inesperto e volgare durante la prima agitazione, si fece sistema; fu allora che si stabilirono queste dottrine infernali del Liberalismo, del Radicalismo, del Socialismo e del Comunismo. – Questa fu probabilmente la grande battaglia combattuta dal drago contro San Michele e i suoi Angeli (Et factum est prælium magnum in cælo, Michael et Angeli ejus præliabuntur cum dracone, et draco pugnabat et Angeli ejus. – Holzhauser – t. 2, p. 23 a 28 Wüilleret – pensa che questa lotta fu combattuta tra gli Angeli ribelli e quelli fedeli, i primi volendo impedire che la Chiesa si stabilisse in Germania, e gli ultimi volendo il contrario. Questa applicazione può essere fatta, poiché i testi sacri possono riguardare diversi periodi, ma non è la principale. – Se si pensasse che l’applicazione che facciamo qui alla prima Rivoluzione francese e alla Restaurazione non sia chiara e sembri forzata, vi pregheremmo di notare che essa segue quasi necessariamente dalla divisione dell’Apocalisse, come l’abbiamo vista posta nel §. 4 dell’Introduzione, e dall’interpretazione del cap. XX contenuta nel §. 6; così la difficoltà risalirebbe più in alto. Apoc. cap. XII, v. 7). satana non poteva né sconfiggere l’esercito celeste, né estinguere completamente la verità (Et non valuerunt, neque locus inventus est eorum ampliùs in cælo, ibid. v. 8). Al contrario, egli fu respinto sulla terra con tutti i suoi angeli, e non nell’abisso; il che sembra indicare che cominciò a suscitare un nuovo tumulto, perché non era riuscito nella completa seduzione che aveva tentato (Et projectus est draco ille magnus, serpens antiquus qui vocatur Diabolus et Satanas, qui seducit universum orbem, et projectus est in tcrram, et Angeli ejus cum eo missi sunt, ibid. v. 29). – La Corte celeste celebrò questo trionfo del cielo, che annunciava per il futuro una vittoria sulla terra (Et audivi vocem magnam in cœlo dicentem: Nunc facta est salus et virtus, et regnum Dei nostri et potestas Christi ejus. Quia projectus est accusator fratrum nostrorum qui accusabat illos ante conspectum Dei nostri die ac nocte, ibid. v. 10. Et ipsi vicerunt propter sanguinem Agni, et propter verbum testimonii sui, et non dilexe runt animas suas usque ad mortem, v. 10; propterea lætamini, cæli, et qui habitatis in eis – Sentii una grande voce nel cielo: ora arrivano la salvezza, la virtù, il regno di Dio e la potenza del suo Cristo, perché l’accusatore dei nostri fratelli che li accusava davanti a Dio notte e giorno, è stato gettato a terra. Hanno vinto per il sangue dell’Agnello, per la parola della sua testimonianza. L’amore per la vita non ha impedito loro di sacrificarla per Gesù Cristo; rallegratevi, o cieli, e coloro che vi abitano!), v. 12.

(Si può benissimo applicare alla Restaurazione un passaggio della Suora della Natività: In Tom. 2, p. 26. « Vidi in spirito una grande sala che sembrava una Chiesa, ed era quasi piena di sacerdoti vestiti con albe bianche molto belle e fini, ma senza cappelli o casule. Erano arricciati e incipriati, molto gai e molto contenti. Essi cantavano arie di giubilo. Alcuni di loro leggevano ad alta voce composizioni in versi ed in prosa alle quali gli altri applaudivano. La Suora si rallegrò di gioia; ma vide accanto a lei il bambino Gesù, che sembrava avere tre anni, con in mano una grande croce – questa grande croce che Gesù portava non è la Croce di Migné -, che le disse, guardandola con uno sguardo triste: « Figlia mia, non ti ingannare, vedrai presto un cambiamento; non tutto è finito, e non sono alla fine come pensano; non è ancora il momento di cantare vittoria. Questa è l’alba che comincia, ma il giorno che segue sarà doloroso e tempestoso.)

VI. La vittoria riportata in cielo non si realizza così presto sulla terra. Il dragone, furioso per la sconfitta subita in alto, dove non c’è più spazio per lui (Neque locus inventus est eorum ampliùs in cælo, v. 8), solleverà prima una seconda rivolta che sarà tanto più forte, in quanto sa che gli resta poco tempo, e perseguiterà di nuovo la Donna che aveva dato alla luce un figlio maschio, e di conseguenza forte (Væ terræ et mari, quia descendit Diabolus ad vos, habens iram magnam, sciens quòd modicum tempus habet, ibid. v. 12). Et postquàm vidit draco quòd projectus esset in terram, persecutus est mulierem quæ peperit masculum – Guai a voi, terra e mare perchè il diavolo è disceso verso di voi con grande collera, sapendo che gli resta poco tempo – E quando il dragone vide che era stato gettato sulla terra, ri rimise a preseguitare la donna che aveva partorito il figlio maschio – ibid. v. 13), e la croce distesa e allungata, la croce sofferente e non ancora trionfante, apparve nell’aria nel 1826, il 17 dicembre, alla vista di diverse migliaia di spettatori, a Migné, nel cattolico Poitou, per iniziare ed aprire questa seconda persecuzione, che non assomiglia in alcun modo a quella che l’ha preceduta, e presenta un carattere molto particolare, a causa delle ali di una grande aquila che furono allora date alla Chiesa, quando essa fuggì.  In quest’epoca (1826), è stata concessa alla stampa in Francia la più completa libertà. La censura è abolita; la rivolta della rue Saint Denis, quella di Rouen, diretta contro i missionari cattolici, denotò la nuova piega che la società stava per prendere. Il Parlamento avido di regalità; le ordinanze ostili alla Chiesa sono strappate (giugno 1828) ad un re buono e religioso circondato da ministri senza fede, e in particolare da un Vescovo cieco o infedele al suo ministero. Il male trabocca e invade tutto. Il monarca vuole opporsi con nuove ordinanze, modelli di saggezza e verità, e alle quali un famoso oratore, che si atteggiava a difensore della legittima regalità, ha avuto il triste coraggio di dare la deplorevole qualificazione di colpevoli (Questo oratore è M. Berryer). Poi il trono fu rovesciato sulle rovine dell’altare da una formidabile insurrezione, aiutata dal tradimento di coloro sui quali il sovrano doveva contare di più. Da qui la sottomissione del Belgio, della Polonia, dell’Italia, del Portogallo, della Spagna e di tutti i Paesi cattolici d’Europa, perché era il Cattolicesimo che l’inferno e i suoi scagnozzi cercavano. Il pontefice Gregorio XVI, eletto dal Conclave il 2 febbraio 1831, fu costretto a rinchiudersi il giorno dopo nel Castello di Sant’Angelo di fronte alla rivolta dei suoi sudditi, concepita e guidata da stranieri. I suoi Stati furono invasi da corpi d’armata che non aveva chiamato in aiuto e che, in piena pace, sfondarono le porte aperte di Ancona e si impadronirono di quella città. Allo stesso tempo, Arcivescovadi e Chiese furono saccheggiate; i prelati furono cacciati dalle loro sedi; donne, bambini e vecchi, che avevano fatto un baluardo dei loro corpi innoffensivi, furono massacrati ai piedi della croce che i demoni volevano rovesciare. D’altra parte, il sangue inonda l’Europa; scorre in Francia in vari momenti e in vari punti: a Parigi, nel luglio 1830, nel giugno 1832, nell’aprile 1834, nel maggio 1839, nel febbraio 1848, il 13 giugno 1849 e nel dicembre 1851; a Lione, nel novembre 1831, nell’aprile 1834, nel giugno 1849; nella Vandea, nel 1832; a Marsiglia, nel giugno 1848, e in tutta la Francia nel dicembre del 1851. Esso cola in Spagna dal settembre 1833 al 1840, nella guerra civile che si è riaccesa più volte da allora, come nei movimenti insurrezionali menzionati dai rivoluzionari per ventiquattro anni; In Portogallo, nella guerra civile che detronizzò il re legittimo, Don Miguel, per intronizzare, con l’aiuto e il beneficio dell’Inghilterra, una regina brasiliana, così come nelle numerose ribellioni che hanno avuto luogo dal 1833; nei movimenti sediziosi di Svizzera, Prussia, Danimarca, Italia austriaca, Boemia, Vienna, Ungheria, Piemonte, Sicilia, Napoli, Roma. Il Sovrano Pontefice, che si era tentato di assassinare, si rifugiò nel novembre 1848 sotto l’ala protettrice dell’unico re Borbone rimasto sul trono, e tornò nella sua capitale solo nell’aprile 1850, grazie ad un esercito francese. Nello stesso tempo, la peste (il colera), portata dall’Estremo Oriente dalle truppe russe venute da lontano per sopprimere l’insurrezione polacca, e di conseguenza richiamata dalla rivoluzione francese che aveva provocato questa rivolta, si abbatté sull’Europa; cominciò invadendo l’Inghilterra, la più grande prostituta dei tempi moderni, quel Caino dei popoli che, se non sa combattere con vantaggio contro i popoli civili, respira, ispira e inocula il male in coloro che sono capaci di agire. Da lì arrivò a Parigi e al nord della Francia, dopo aver colpito la Russia, la Polonia e la Germania. Nel 1834 e 1835, desolò due volte Marsiglia e il sud della Francia; nel 1837 stese il suo sudario di morte su Italia, Sicilia, Spagna e Portogallo, visitando Marsiglia una terza volta; e nel 1849 devastò quasi tutta l’Europa e altre parti del mondo. A tutte queste disgrazie si aggiunge il terribile flagello delle inondazioni che devastarono molte regioni dal 1840 al 1845, e quello della carestia per la malattia della patata, iniziata nel 1842, che raggiunse il suo punto più alto nel 1846, e che decimò così fortemente le popolazioni, specialmente quelle dell’Irlanda, e fece morire di fame tanti uomini; dalla penuria di grano che si verificò nel 1846 e 1847, e dai terremoti che causarono tanta paura e disastri in tanti luoghi. Durante tutto questo tempo di sofferenza e di crimini, quando il male regnava sovrano, quando satana era veramente il principe di questo mondo, e quando il bene non lo era, la Chiesa era ancora in mezzo alla terra come in un deserto, abbandonata dagli uomini, tradita o perseguitata dalla maggior parte delle potenze; era sola, sostenuta da Dio solo, senza alcun mezzo esterno per difendersi. Tuttavia, non scomparve dall’Europa, fu conservata e nutrita da Colui che è l’Onnipotente, e che, come segno di una prossima vittoria e trionfo, le diede due ali di una grande aquila (Et datæ sunt mulieri alæ duæ aquilæ magnæ, ut volaret in desertum in locum suum, ubi alitur per tempus et tempora et dimidium temporis à facie serpentis (Apoc. XII, v. 14). (Alla donna furono date due ali di una grande aquila per volare nel deserto, nel luogo che era stato preparato per lei, dove fu nutrita per un tempo, tempi e mezzo tempo, fuori dalla presenza del serpente. – Secondo Holzhauser (vol. 2, pp. 33-37, Wüilleret), queste ali d’aquila rappresentano l’imperatore Carlo Magno, difensore della Chiesa). Il tempo di cui si parla nel v. 14 (Tempus, tempora et dimidium temporis) ci sembra che includa tre anni e mezzo, il che farebbe un nuovo regno del drago da ognuna delle sette teste, e che, a questo conteggio, fornirebbe ancora venticinque anni; infatti, ogni testa del drago regna a turno, poiché porta un diadema; così, aggiungendo questo numero di anni alla data dell’apparizione della croce di Migné, si arriverebbe alla fine del dicembre 1851 o all’anno 1852; e se si verificasse esattamente tutto ciò che è accaduto, si potrebbero trovare in Francia sette cambiamenti o modifiche di governo che hanno avuto luogo in questo intervallo di tempo (Potremmo essere accusati di vedere tutto in Francia, e di contare gli altri popoli per niente. Non è colpa nostra, se consideriamo soprattutto la Francia. Dio e il diavolo fanno tutto attraverso la Francia, e in Francia, ciò che è francese diventa universale; ciò che non è francese non si sviluppa in questa maniera e non raggiunge che delle località, a meno che la Francia non l’adotti. Questi sono fatti incontestabili, così come è certo che nel 1852, l’Europa, che era stata agitata per quattro anni, si è calmata e riposata dopo il colpo di stato, per l’infinita bontà di Dio. Il rimprovero che verrebbe fatto contro di noi potrebbe essere fatto contro l’Europa dagli asiatici, dagli africani e dagli americani; perché noi vediamo tutto in Europa. Si può dire in tutta verità che la Francia è per l’Europa ciò che l’Europa è per il mondo. Inoltre, per quanto riguarda le operazioni intellettuali, ci deve essere un luogo dove esse si depositano, germinano e nascono, per farsi strada nel mondo. La Francia ci sembra essere questo luogo sia per il bene che per il male, perché da sola fornisce più di tre quarti dei missionari. Coloro che disapprovano il nostro modo di vedere, indichino un altro luogo. Abbiamo preso tre anni e mezzo per significare tre anni e mezzo, e non 1278 anni e mezzo, come abbiamo fatto nel primo capitolo di questa seconda parte, perché la divisione dell’Apocalisse, come l’avevamo tracciata nella nostra Introduzione § 4, e la brevità del tempo rimanente, ci hanno obbligato ad agire così).

(*)

Rivelazioni della Suora della Natività:

T. 4, p. 407. “La Chiesa avrà ancora molto da soffrire; il primo assalto che dovrà sostenere, dopo quello che soffre ed attualmente ha subito, verrà dallo spirito di satana che susciterà contro di essa delle leghe e delle assemblee (la rivoluzione del 1830 si è fatta con la lega di tre partiti rivoluzionari che hanno regnato ognuno a turno, e per mezzo delle assemblee, la Camera dei deputati ed i 224).

T. 2. p. 76, “Ecco ancora (la parola ancora indica l’inizio di una nuova rivoluzione) l’ora del potere delle tenebre si avvicina; il cielo lascerà ancora un grande potere finché i miei nemici non siano giunti al precipizio che stavano ciecamente scavando sotto i loro piedi. – Altre volte, Gesù Cristo mi ha parlato della persecuzione della sua Chiesa solo per deplorare la perdita di anime e l’offesa alla Divinità. Oggi, al contrario, non mi parla che dei trofei della sua passione, delle vittorie della sua Chiesa e del castigo dei suoi nemici, dai quali si prepara a trarre una vendetta eclatante. – I miei nemici si rallegrano e dicono tra di loro… La nostra vittoria sarà presto completa… Insensati! Essi corrono verso la loro perdita… Vedo il turbine dell’ira divina che li inghiottirà e li seppellirà proprio quando la loro empietà credeva di raggiungere il suo termine … I miei nemici si rallegrano… ma la loro gioia sarà seguita da molti dolori. Essi innalzano dei trofei contro di me, ma con i trofei delle loro vittorie Io stabilirò la loro rovina e la loro sconfitta. I malvagi fanno decreti contro la mia Chiesa, ma secondo i decreti della mia giustizia, essi periranno con i loro decreti e le loro leggi sacrileghe (La differenza nelle parole di N. S., durante la seconda rivoluzione e durante la prima, corrisponde bene alle ali di una grande aquila che la donna riceve durante la seconda rivoluzione. – Apoc. cap. XII, v. 14).

VII. In mezzo a tanti mali e tanta corruzione, un certo numero di Cattolici aveva preso coraggio e si era impegnato a combattere contro il terrore e l’inferno, cosa che non era stata fatta durante la prima rivoluzione. Non arrossirono di fronte al Crocifisso; difesero la Religione, se non con successo, almeno con grande ardore e zelo. I Vescovi appoggiarono questa santa crociata con tutto il loro potere; Roma applaudiva e si rallegrava, perché vedeva la vittoria dopo la lotta (Fu nel 1833 che questa crociata cominciò ad essere organizzata e ad agire in Francia. Uomini che erano devoti al Cattolicesimo a corte, che erano stati sedotti da M. F. de Lamennais e dai suoi errori, e che ruppero con lui senza abdicare a tutti i loro principii, che, per questo, erano rimasti politicamente nella Rivoluzione, e quindi avevano la franchezza della parola, stabilirono la Lega Cattolica di cui il conte de Montalembert fu uno dei capi più eminenti. Di là la creazione di un giornale quotidiano, l’Univers nel 1837. Coloro che dirigono questo giornale dopo più di dieci anni si sono dimostrati ancora più zelanti e devoti di M. de Montalembert; hanno difeso la Chiesa con più calore, anche con più talento. Istruiti dall’esperienza, hanno rifiutato il gallicanesimo e diversi principi rivoluzionari, in particolare il parlamentarismo e le libertà pubbliche. C’è solo una verità sociale che non riconoscono espressamente. Speriamo che un giorno la sosterranno; e pensiamo, nel frattempo, che se non lo fanno al momento, è perché vogliono preservare i mezzi per parlare liberamente per la Chiesa; perché ci sono momenti in cui non si può dire tutta la verità.). –  Questo nuovo elemento crebbe a poco a poco; radunò tutti i cuori giusti, tutte le menti giuste; fu in grado di combattere con qualche vantaggio contro i falsi principi e le cattive passioni, sostenuto com’era dalle ali di una grande aquila che questa volta la nostra santa madre Chiesa aveva ricevuto (Et datæ sunt mulieri alæ duæ aquilæ magnæ, ibid . v. 14). – Il cielo, che aveva avvertito l’umanità colpevole con l’apparizione della croce di Migné, ha riversato abbondanti grazie sulla terra per convertirla. Abbiamo visto i numerosi miracoli della Medaglia Miracolosa, l’istituzione dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, la discesa misericordiosa della nostra buona Madre sulla montagna di La Salette, i prodigi abbaglianti delle immagini miracolose d’Italia, la propagazione e l’estensione della devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù, l’erezione dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, l’erezione dell’Opera stabilita nella diocesi di Langres come arciconfraternita per la riparazione dei giuramenti, delle bestemmie, delle violazioni dei giorni consacrati al Signore, tutte cose che presagivano a tempi migliori e che mostravano  la stella del mattino (stella matutina) ancora in lontananza, illuminando il mondo con la sua luce più brillante con la proclamazione della sua Immacolata Concezione (Possiamo fare qui un’osservazione che ci giustifica nel nostro desiderio di vedere tutto in Francia. Molti miracoli sono avvenuti in Italia e nel nostro paese. In Italia, i prodigi (tranne l’apparizione al signor Regensburg che era francese) avvenivano su immagini di Gesù e di Maria. In Francia Maria stessa è apparsa e ha parlato. Da questo si può dedurre che il ruolo principale appartiene alla Francia. Non è dunque lo spirito nazionale che ci fa parlare in questo modo; al contrario, tremiamo per la nostra Nazione se, ricevendo tante grazie e favori, non compie, come dovrebbe, tutti i disegni della Provvidenza e non compie tutta la sua missione.). – Così, durante la seconda rivoluzione appartenente alla quinta età, il germe della sesta età fu posto nelle menti, e rappresentato dalle ali di una grande aquila. Da allora cresce, si sviluppa e lotta contro le disposizioni prevalenti, per superarle con la forza divina e poi per farle scomparire completamente. – Nel 1852, il tumulto della strada cessò, i trasporti, le deportazioni, gli internamenti produssero una tranquillità più apparente che reale; gli spiriti superficiali, quelli che conoscevano poco del loro dovere o se ne preoccupavano poco, sentendosi troppo stanchi della lotta, sprofondarono in un indegno letargo; abdicarono in ogni azione, diedero un assegno in bianco a coloro ai quali il contraccolpo delle rivoluzioni aveva attribuito il potere, come se un potere qualunque non avesse bisogno, per combattere il male, dell’appoggio attivo e continuo della parte onesta del popolo; e chiedevano un solo permesso, quello di andare tranquillamente per i loro affari e le loro funzioni, mentre l’anticattolicesimo, che non era né morto né disarmato, lavorava nell’ombra, con il massimo ardore, e si preparava a sconvolgere nuovamente il mondo.

VIII. Il cielo malediceva questa azione oscura e criminale dei malvagi, ma è stato ben lungi dall’approvare la compiacenza e l’indifferenza di molti di coloro che erano chiamati i buoni. Così ha raddoppiato i suoi colpi in modo sorprendente. Era stata promessa la pace, e nello stesso momento sorgeva una guerra lontana e formidabile, quasi senza causa, che durò due anni, costò la vita di più di un milione di uomini in quel breve intervallo, e che fu il più grande salasso che sia stato fatto, in pari tempo, all’umanità da quando essa esiste. La carestia ha devastato la terra con la continuazione della malattia della patata, con la malattia generale dell’uva, la prima a verificarsi, che è iniziata nel 1850 e 1851, e che non ha fatto che aumentare, diffondersi, ed esiste ancora oggi; con la penuria di cereali che è durata fino all’anno 1857; con la straordinaria mortalità del bestiame; con le inondazioni (1856) più grandi di quelle che avevano già avuto luogo; da un costo così elevato delle cose più necessarie alla vita, che il popolo vive, da parecchi anni, solo di privazioni e di dolori, e che la mortalità, a causa della miseria e della fame, è salita, solo in Francia, secondo le statistiche riportate dai giornali, da 71.000 nel 1854, a 80.000 nel 1855, poiché le cifre del 1856 e 1857 non sono ancora state date; dalla peste (colera) che ha colpito tutta l’Europa per due anni consecutivi, nel 1854 e nel 1855; dai numerosi e terribili terremoti che, iniziati nel giugno 1854, si sono rinnovati, ora su un punto, ora su un altro, e hanno appena colpito in modo così crudele il regno di Napoli, dove più di trentamila dei suoi abitanti sono stati recentemente persi (A questi terremoti si può aggiungere quello che ha appena avuto luogo in Messico). Ah, se i flagelli del cielo indicano che Dio non è contento dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni degli uomini, in nessun altro momento Egli è stato così arrabbiato, in nessun altro momento gli abitanti della terra sono stati così colpevoli; perché i colpi così forti, così frequenti e così raddoppiati che Egli sta mandando contro di noi negli ultimi cinque anni, superano di gran lunga tutti quelli con i quali Egli ha colpito nei secoli precedenti, anche nella prima metà del nostro. – A questo triste periodo dal 1827 al 1852, sembrano riferirsi 1° queste parole di Nostro Signore, in San Matteo, cap. XXIV, v. 7, 8: « Consurget enim gens in gentem, et regnum in regnum, et erunt pestilentiœ et fames et terræ motus per loca. Hæc autem omnia initia sunt dolorum » (Una nazione si solleverà contro una nazione e un regno contro un regno. Ci saranno piaghe, carestie e terremoti in vari luoghi. Tutte queste cose sono l’inizio dei dolori.), termini che sono l’esatta, succinta e completa storia di tutto ciò che abbiamo visto. 2° E questo passo di Isaia che annunciava, duemilaseicento anni prima, le disgrazie che avrebbero un giorno colpito la terra, e in particolare questa epidemia generale dei vigneti che fu predetta una seconda volta, ai nostri giorni, sul monte di La Salette (Et terra in fecta est ab habitatoribus suis, quia transgressi sunt leges, mutaverunt jus, dissipaverunt fædus sempiternum, cap. XXIV, v. 5. Propterea maledictio vorabit terram, et peccabunt habitatores ejus. Ideòque insanient cultores, et relinquentur homines pauci, v . 6. Luxit vindemia, infirmata est vitis, ingemuerunt omnes qui lætabantur corde, v. 7. Cessavit gaudium tympanorum, quievit sonitus lætantium, conticuit dulcedo cithara, v. 8. Cum cantico non bibent vinum, amara erit potio bibentibus illum, v. 9 Attrita est civitas vanitatis, clausa est omnis domus nullo introeunte, v. 10. Clamor erit super vino in plateis; deserta est omnis lætitia, translatum est gaudium terræ, v. 11. Relicta est in urbe solitudo, et calamitas opprimet portas – La terra è stata contaminata dai suoi abitanti, perché hanno trasgredito le leggi, cambiato la legge, dissipato il patto eterno. Per questo motivo, la maledizione divorerà la terra e i suoi abitanti peccheranno ancora di più. I contadini diventeranno insensati, e rimarranno pochi uomini; la vendemmia ha pianto, la vigna è malata. Tutti coloro il cui cuore si rallegrava gemono. La gioia degli strumenti musicali è cessata. Il brusio di coloro che gioivano non si fa più udire, né i dolci accordi dell’arpa; non berranno più il vino cantando, la bevanda sarà amara a coloro che la berranno. La città della vanità è colpita; le sue case sono chiuse, nessuno vi entra, la città è nella desolazione e la sventura è alle sue porte. – Noi abbiamo citato e citeremo ancora diversi passaggi di Isaia. Si potrà obiettare che noi facciamo false applicazioni, perché questo Profeta non ha visto fino alla fine del mondo. Noi risponderemo che è de fide, per un Cattolico sottomesso alla Chiesa, che Isaia abbia predetto fino agli ultimi giorni; testimone ne è questo saggio passaggio dell’Ecclesiaste, cap. XLVIII, 25, 27, 28: «Isaias, propheta magnus, et fidelis in conspectu Dei, – spiritus magnus vidit ultima usque in sempiternum. Ostendit futura et abscondita antequam evenirent »), v. 12. E la causa di tutte queste disgrazie è, come dice il Profeta, la trasgressione delle leggi, il cambiamento della legge, il rifiuto sprezzante dell’alleanza eterna. – Lungi dal battersi il petto e tornare al loro Dio, gli uomini diventano ogni giorno più malvagi e sprofondano nel crimine; qui la predicazione cattolica è ostacolata, là la Chiesa è contaminata, i suoi prelati sono imprigionati ed esiliati; altrove e in molti luoghi, si commettono orribili regicidi che trovano esecutori, attori, glorificatori e persino remuneratori. – Questa azione perseverante del male, sostenuta dall’ambizione, dall’apatia, dalla mancanza di intelligenza o dalla debosciatezza di coloro che dovrebbero combatterla, il disprezzo delle grazie del cielo e degli avvertimenti divini più numerosi di quelli dati in altre epoche; le preghiere dei fedeli, la necessità, come risultato dei decreti divini, di una conversione generale, che sarà portata o da una straordinaria effusione di grazia, se i buoni faranno sufficiente riparazione per i malvagi, o dalla forza del castigo, secondo le parole di Nostro Signore in San Luca, cap. XIV, 23: « Compelle intrare, ut impleatur domus mea – Costringeteli ad entrare finché la mia casa sia piena); la potente bontà di Maria, alla quale la terra ha finalmente riconosciuto il suo più glorioso privilegio, il principio della sua divina Maternità, porterà certamente prima o poi ad una lotta più forte di tutte le altre, ad una crisi decisiva dove il diavolo userà tutti i suoi mezzi, dove Dio dispiegherà la sua potenza. Il serpente, questa volta, getterà dalla sua bocca, dietro alla Donna (la Chiesa), un fiume per portarla via con il torrente delle acque. Ma la terra, per la prima volta dopo molto tempo, aiuterà la santa Sposa di Gesù Cristo; aprirà i suoi abissi e inghiottirà il fiume minaccioso; E il drago, furioso per la sua sconfitta sul campo di battaglia che aveva scelto, e dove sperava di piantare per sempre il suo vessillo, combatterà tutti gli altri popoli che obbediscono alla Chiesa, e non si fermerà fino al bordo del mare, alla fine di tutta la terra, e dopo essere stato sconfitto ovunque (Et misit serpens ex ore suo post mulierem aquam tanquàm flumen , ut cam faceret trahi à flumine, Apoc. cap. XII, v. 15. Et adjuvit terra mulierem, et aperuit terra os suum, et absorbuit flumen, quod misit draco de ore suo, v. 16. Et iratus est draco in mulierem, et abiit facere prælium cum reliquis de semine ejus, qui custodiunt mandata Dei, et habent testimonium Jesu Christ , v. 17. Et stetit supra arenam maris – E il serpente fece uscire dalla sua bocca dietro alla donna un’acqua grande come un fiume, per trascinarla via con la forza del torrente di acque. Ma la terra aiutò la donna, aprì le sue profondità e assorbì il fiume che il drago aveva vomitato dalla sua bocca, e il drago era ancora più arrabbiato con la donna, e se ne andò a combattere contro gli altri figli che osservano i comandamenti di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, e si fermò sulla sabbia del mare -, v. 18) – Holzhauser – vol. 2, p. 37, Wüilleret) vede in questo fiume le deplorevoli tragedie dei secoli 11°, 12° e 13° che agitarono la Chiesa latina, e che non erano molto forti.-). Non si dica che queste grandi acque, questo fiume, non rappresentino i popoli sollevati contro la Chiesa; perché San Giovanni afferma che è così, e ci dice, nel capitolo XVII, che le grandi acque su cui siede la prostituta (Quæ sedet super aquas multas, v. 1) sono i popoli, le nazioni e le lingue (Aquæ quas vidisti, ubi meretrix sedet, populi sunt, et gentes, et linguæ, v. 15). – Il capitolo IX dell’Apocalisse ci sembra descrivere ancora meglio questo triste periodo dal 1827 alla grande crisi che abbiamo appena menzionato. San Giovanni sembra collocarsi in un periodo di calma, che sembrano essere i quindici anni di quella che è stata chiamata la Restaurazione, durante i quali i venti rivoluzionari non hanno soffiato sulla terra in modo tale da sconvolgerla. Al suono della sesta tromba, una voce venne dall’altare e disse all’Angelo che suonava la tromba di sciogliere i quattro angeli che erano legati al grande fiume Eufrate, cioè i rivoluzionari e gli anticattolici che erano senza potere nella civile Europa; infatti, Eufrate significa una cosa ben ordinata (Et sextus Angelus tuba cecinit, et audivi vocem unam ex quatuor cornibus altaris aurei, quod est ante oculos Dei, v. 13. Dicentem sexto Angelo qui habebat tubum: Solve quatuor Angelos qui alligati sunt in flumine magno Euphrate – E il sesto angelo suonò la tromba, e sentii una voce dai quattro angoli dell’altare d’oro che è davanti agli occhi di Dio, che diceva al sesto angelo che aveva la tromba: Sciogliete i quattro angeli che sono legati sul grande fiume Eufrate. – Holzhauser dice che questo sesto angelo è Lutero, e altrove lo sterminatore – vol. 1, pp. 381-393, Wüilleret). Queste due cose cose si escludono a vicenda. – se l’Angelo che suona la sesta tromba slega gli angeli ribelli, è perché le trombe indicano il male e la condotta dei malvagi, come abbiamo detto), v. 14. – E allora furono sciolti quei quattro angeli malvagi (poiché solo gli angeli ribelli sono legati), che erano preparati per l’ora, il giorno, il mese e l’anno in cui dovevano uccidere la terza parte degli uomini, e che, per questo motivo, si alzarono improvvisamente senza alcun pensiero. La loro cavalleria (che indica la loro grande velocità) era così numerosa che il Profeta la stima in venti milioni di uomini; i cavalieri avevano corazze di fuoco, giacinto e zolfo; le teste dei cavalli sembravano teste di leoni, il che rappresenta la loro forza e malvagità, e dalle loro bocche uscivano fuoco, fumo e zolfo (Et soluti sunt quatuor Angeli, qui parati erant in horam, et dicm, et mensem , et annum, ut occiderent tertiam partem hominum, v. 15. Et numerus equestris exercitûs vicies millies dena millia; et audivi numerum corum , v. 16. Et ita vidi equos in visione, et qui sede bant super eos habebant loricas igneas , et hyacinthinas et sulphureas , et capita equorum erant tanquàm capita leonum, et de ore eorum procedit ignis, et fumus, et sulphur, v. 17). – Queste tre piaghe, fuoco, fumo e zolfo, che uscirono dalla bocca dei cavalli, perché c’era il loro potere, le loro bestemmie e le loro abominazioni, uccisero la terza parte degli uomini, perché la spaventosa trama degli empi porterà a grandi massacri (Et ab his tribus plagis occisa est tertia pars hominum , de igne , de fumo et sulphure qui procedebant de ore ipsorum, v. 18. Potestas enim equorum in ore eorum est, v. 19) . Questi cavalli avevano anche code che assomigliavano a serpenti che ingannano gli uomini e ingannano le persone. Hanno fatto a gara con i cavalieri per danneggiare l’umanità colpevole, e per questo ci sembra che rappresentino le dottrine societarie, o meglio, antisociali dei nostri giorni, che hanno spinto il principio anarchico e anticristiano alle sue ultime conseguenze, e hanno così fortemente deluso coloro che hanno poca educazione, moralità e fortuna (Nam caudæ eorum similes serpentibus, ha bentes capita, et his nocent (Perché le loro code sono come serpenti, hanno la testa, e fanno male con queste.), v. 19. – Tante piaghe, castighi e tormenti temporali accumulati dalla bontà divina per convertire gli uomini con il timore, che è l’inizio della sapienza, non producono l’effetto proposto, anche su molti di coloro che erano considerati buoni. Gli uomini ciechi non riconoscono la mano che li colpisce e che ha aspettato così a lungo per farlo. Non si pentono delle opere delle loro mani; sprofondano ancora di più nel male; continuano a correre dietro agli onori, ai piaceri, agli agi e alle comodità della vita, a seguire ancora più fortemente e in tutto, la natura viziata, per la quale Dio è un male, perché la legge comanda di combatterlo; ad adorare così i demoni, gli idoli d’oro e d’argento, di ottone, di pietra e di legno; non fanno penitenza per i loro omicidi, i loro avvelenamenti morali o fisici, le loro fornicazioni e furti, che hanno costituito la proprietà di molti di loro (Et cœteri homines qui non sunt occisi in his plagis, ncque pænitentiam egerunt de operibus manuum suarum, ut non adorarent dæmonia et simulacra aurea, et argentea, etærca, et lapidea, et lignea quæ neque videre possunt, neque audire, neque ambulare, v. 20 Et non egerunt pænitentiam ab homicidiis suis, neque à veneficiis suis, neque à fornicatione suâ, neque à furtis suis, v. 21).

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (8)