IN ONORE DEL SS. CUORE DI MARIA, E DEL SUO PATROCINIO

IN ONORE DEL SS. CUORE DI MARIA, E DEL SUO PATROCINIO

Deus in adjutorium, etc. Gloria Patri, etc.

I. O Madre di misericordia, ed Avvocata pietosa dei peccatori, Maria, io ricorro al vostro potentissimo Patrocinio; e per lo zelo che ha sempre avuto il vostro Cuore amantissimo per la conversione dei peccatori; ottenetemi, vi prego, dal vostro divin Figliuolo la perfetta conversione del cuore, il perdono dei tanti miei peccati, ed un continuo dolore di averli commessi. Ave Maria,

II. O Dolcezza dei nostri cuori, e Cagione di nostra allegrezza, Maria, io mi metto sotto il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella sollecitudine che il vostro amabilissimo Cuore ha sempre avuto per la salute e vantaggio delle anime nostre; ottenetemi grazia onde io fugga sempre le occasioni del peccato, e mi tenga lontano dai tanti scandali che vi sono nel mondo. Ave Maria,

III. O Rifugio dei tribolati, e Speranza sicura dei supplichevoli, Maria, io imploro il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella protezione che il vostro pietosissimo Cuore ha sempre mostrata a quelli che ricorrono a Voi, vi prego di ottenermi forza per superare e vincere le mie passioni, e tenere a freno la concupiscenza della mia carne ribelle. Ave Maria, etc.

IV. O Aiuto dei Cristiani, e Protettrice amorosa di chi a Voi ricorre, Maria, io imploro il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella cura che il vostro Cuore dolcissimo ha sempre avuto per quelli che sono stati lavati nelle acque del S. Battesimo, e professano la fede di Gesù Cristo vostro Figliuolo, vi prego a volermi difendere da tutte le astuzie ed insidie del demonio non solamente nel corso tutto della mia vita, ma ancora e malto più nell’ora della mia morte. Ave Maria,

V. O Vita delle anime nostre, e Aiuto potente dei miserabili, Maria, io mi metto sotto il manto del vostro potentissimo Patrocinio; e per quell’impegno che il vostro ardentissimo Cuore ha sempre mostrato in difesa dei vostri devoti, vi prego di ottenermi la mortificazione perfetta delle potenze dell’anima mia, e dei sensi del mio corpo. Ave Maria,

VI. O Consolazione degli afflitti, o Rifugio universale dei bisognosi, Maria, io mi metto sotto il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella pienezza di grazie che Dio ha comunicata al vostro dolcissimo Cuore a nostro vantaggio, custodite, vi prego, la mia mente, il mio cuore e il corpo mio, ed ottenetemi la vera umiltà di cuore, la perfetta purità di anima e di corpo, e la costante perseveranza in queste sì necessarie e a voi si care virtù. Ave Maria,

VII. O Speranza delle Anime nostre, e Fonte perenne di tutte le grazie, Maria, io metto tutto me stesso sotto il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella potenza che Iddio ha dato al vostro amantissimo Cuore, affinché possiate fare a noi tanto bene,, quanto amate farcene, abbiate voi cura della vita e della morte mia , ed ottenetemi il puro e perfetto amore del vostro Figliuolo divino, 1’adempimento perfetto della sua santissima volontà, l’imitazione perfetta delle sue divine virtù, la santa perseveranza finale, e l’eterna gloria del Paradiso. Ave Maria, etc.

ANTIFONA. Sub tuum praesidium confugimus Santa Dei Genitrix; nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus nostris, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.

V. Ora prò nobis, sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

Concede quæsumus, omnipotens Deus, ut fideles tui, qui sub Sanctissimo Virginis Mariæ Nomine et Protectione lætantur; eius pia intercessione et a cunctis malis liberentur in terris et ad gaudia æterna pervenire mereamur in Coelis. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

13 MAGGIO 1991: CONSACRAZIONE DELLA RUSSIA AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA.

La consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria è stata la richiesta che la Madonna ha fatto a Fatima al Papa in unione con i Vescovi del mondo. I vari Pontefici succedutisi non hanno acconsentito ad esaudire il desiderio di Dio manifestato dalla Vergine Maria a Fatima, per cause diverse. I veri e validi Pontefici fino al ’58, forse mal consigliati, ostacolati, minacciati, più probabilmente eliminati [Pio XI, Pio XII] hanno tergiversato, tentennato, ritardato fino all’usurpazione del Soglio di Pietro, profeticamente vista e descritta da Leone XIII, e realizzata il 26 ottobre del 1958 con l’estromissione di Papa Gregorio XVII. Ma vogliamo iniziare il discorso dal sogno profetico di Don Bosco, il celebre “sogno delle due colonne”. Lo riportiamo qui di seguito dalle “Memorie biografiche” del Santo.

IL SOGNO DELLE DUE COLONNE IN MEZZO AL MARE

DON Bosco il 26 maggio aveva promesso ai giovani di raccontar loro qualche bella cosa nell’ultimo o nel penultimo giorno del mese. Il 30 maggio dunque raccontò alla sera una parabola o similitudine come egli volle appellarla.

“Vi voglio raccontare un sogno. È vero che chi sogna non ragiona, tuttavia io, che a voi racconterei persino i miei peccati, se non avessi paura di farvi scappar tutti e far cadere la casa, ve lo racconto per vostra utilità spirituale. Il sogno l’ho fatto sono alcuni giorni. – Figuratevi di essere con me sulla spiaggia del mare, o meglio, sopra uno scoglio isolato e di non vedere altro spazio di terra, se non quello che vista sotto i piedi. In tutta quella vasta superficie delle acque si vede una moltitudine innumerevole di navi ordinate a battaglia, le prore delle quali sono terminate da un rostro di ferro acuto a mo’ di strale, che ove è spinto ferisce e trapassa ogni cosa. Queste navi sono armate di cannoni, cariche di fucili, di altre armi di ogni genere, di materie incendiarie, e anche di libri, e si avanzano contro una nave molto più grossa e più alta di tutte loro, tentando di urtarla col rostro, di incendiarla o altrimenti di farle ogni guasto possibile. – A quella maestosa nave arredata di tutto punto, fanno scorta molte navicelle, che da lei ricevono i segnali di comando ed eseguiscono evoluzioni per difendersi dalle flotte avversarie. Il vento è loro contrario e il mare agitato sembra favorire i nemici. – In mezzo all’immensa distesa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, altissime, poco distanti l’una dall’altra. Sovra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, a’ cui piedi pende un largo cartello con questa iscrizione: – Auxilium Christianorum; – sull’altra, che è molto più alta e grossa, sta un’Ostia di grandezza proporzionata alla colonna e sotto un altro cartello colle parole: Salus credentium. Il comandante supremo sulla gran nave, che è il Romano Pontefice, vedendo il furore dei nemici e il mal partito nel quale si trovano i suoi fedeli, pensa di convocare intorno a sé i piloti delle navi secondarie per tener consiglio [il Concilio Vaticano 1869-1870] e decidere sul da farsi. Tutti i piloti [i Vescovi e Cardinali ndr.] salgono e si adunano intorno al Papa. Tengono consesso, ma infuriando il vento sempre più e la tempesta, [scoppio della guerra franco-prussiana [1]] sono rimandati a governare le proprie navi. Fattasi un po’ di bonaccia, il Papa raduna per la seconda volta intorno a se i piloti, mentre la nave capitana segue il suo corso. Ma la burrasca ritorna spaventosa. – [1] Con lo scoppio della guerra franco-prussiana, Napoleone III ritirò la sua guarnigione francese da Roma. Con questa guarnigione, l’esercito nazionale Massonico italiano (guidato da Garibaldi e Vittorio Emmanuele II e pienamente [Fonte – approvata dalla Chiesa: La Civilta Cattolica : “Sulla questione ebraica in Europa: le cause, gli effetti, i rimedi “, 1890 dC .] sostenuto dalla Sinagoga di Satana [gli ebrei] è stato in grado di prendere lo Stato pontificio di Roma il 20 settembre 1870, con il risultato che Pio IX diventò un “Prigioniero nel Vaticano” per i successivi otto anni, fino alla sua morte nel 1878..” Così anche i successivi pontefici, fino a Benedetto XV, eletto nel 1914. Ben presto, però, sembrò che si sviluppasse un futuro politico ancor più terrificante. Dopo la rivoluzione comunista del 1917 in Russia, l’Europa sembrava minacciata da una ascesa comunista, e in Italia gli attivisti socialisti stavano conducendo battaglie dell’intensità più violenta … ” (BR Lewis, “Prigioniero del Vaticano: 60 anni di isolamento”, 6 aprile 2011)]

Il Papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portar la nave in mezzo a quelle due colonne, dalla sommità delle quali tutto intorno pendono molte ancore e grossi ganci attaccati a catene. – Le navi nemiche (Giudeo-Massoneria) si muovono tutte ad assalirla e tentano ogni modo per arrestarla e farla sommergere.

il nemico” (la Giudeo-Massoneria) … Leone XIII svela la loro trama infernale per distruggere il Papato: “… ma contro l’Apostolica Sede e il Romano Pontefice arde più accesa la guerra. Prima di tutto egli fu sotto bugiardi pretesti spogliato del Principato civile, propugnacolo della sua libertà e de’ suoi diritti; poi fu ridotto ad una condizione iniqua, e per gli infiniti ostacoli intollerabile; finché si è giunti a quest’estremo, che i settari dicono aperto ciò che segretamente e lungamente avevano macchinato fra loro, doversi togliere di mezzo lo stesso spirituale potere dei Pontefici, e fare scomparire dal mondo la divina istituzione del Pontificato. (Humanum Genus, Lettera enciclica sulla massoneria, 20 aprile 1884). Le une cogli scritti, coi libri, con materie incendiarie di cui sono ripiene e che cercano di gettarle a bordo; le altre coi cannoni, coi fucili e coi rostri: il combattimento si fa sempre più accanito. Le prore nemiche l’urtano violentemente, ma inutili riescono i loro sforzi e il loro impeto. Invano ritentano la prova e sciupano ogni loro fatica e munizione: la gran nave procede sicura e franca nel suo cammino. Avviene talvolta che, percossa da formidabili colpi, [colpi formidabili” … Si dice che la verità è l’unica carità consentita nella Storia. L’eroico mons. Jouin denunciò il card. Rampolla essere massone al Conclave dopo la morte di Leone XIII. Rampolla non era solo un membro della Conventicola, ma anche Gran Maestro di una setta particolarmente occulta nota come OTO (Ordo Templi Orientis), in cui era stato iniziato in Svizzera qualche anno prima.] … riporta nei suoi fianchi larga e profonda fessura, ma non appena è fatto il guasto spira un soffio dalle due colonne e le falle si richiudono e i fori si otturano. – E scoppiano intanto i cannoni degli assalitori, si spezzano i fucili, ogni altra arma ed i rostri; [La guerra di San Pio X contro i Modernisti ha sicuramente mostrato e distrutto molte opere malefiche del furtivo “nemico Marrano”. Deo Gratias! Eppure, molte delle “talpe” moderniste sono tornate sotterranee per lasciar scorrere il tempo, sperando di rilasciare il loro veleno pestilenziale in un momento più opportuno.] si sconquassano molte navi e si sprofondano nel mare. Allora i nemici furibondi prendono a combattere ad armi corte; e con le mani, coi pugni, con le bestemmie e con le maledizioni. [“con le mani …” San Giovanni Bosco dice che i nemici stavano attaccando ad “armi corte” … e con le mani“. Ciò dimostra che NON era il combattimento tipico dei nemici che portano gli assalti dall’esterno della Chiesa (o con le loro talpe moderniste dall’interno), sparando sulla Nave ammiraglia Pontificia con falsi insegnamenti, ma è una chiara allusione ad un diverso tipo di assalto. Questo è un attacco da “vicino ad arma corta … con le mani” … un chiaro riferimento a quanto storicamente avvenuto al Conclave del 26 ottobre 1958.] – Quand’ecco che il Papa, colpito gravemente, cade. [“… il Papa colpito gravemente, cade.”. Questa parte cruciale della profezia è la chiave per capirla nel suo complesso. La cronologia di questa profezia papale – da Pio IX che convoca il Concilio Vaticano (1869-70), dagli eroici sforzi di San Pio X che distrusse i perfidi rostri dei nemici (1907, Pascendi) – si passa ora dalla battaglia, alla guerra totale, cioè al 26 ottobre 1958! Questo è il momento in cui i nemici della croce con la violenza e gravi minacce hanno detronizzato criminalmente il Vicario di Cristo legittimamente eletto: Sua Santità Papa Gregorio XVII (formalmente il Cardinale Siri di Genova). ” “Il Papa (Gregorio XVII) è stato colpito gravemente (dai manovratori del conclave) ed è caduto”. Sua Santità non era in grado di agire pubblicamente (visibilmente) per diritto divino nel suo ruolo di Santo Padre. L’antico obiettivo della Giudeo-Massoneria di rovesciare il Trono e l’Altare era stato raggiunto … dando così inizio all’Apostasia. È “de fide” che il Papato non sarà mai abbattuto. Il pontificato di Gregorio XVII di 31 anni è quello che la Chiesa definisce “sede impediti”…  cioè, è stato impedito da forze esterne di agire nel suo Ufficio, giustamente suo “de jure” (per legge).  Subito coloro che stanno insieme con lui, corrono ad aiutarlo e lo rialzano. [“corrono ad aiutarlo e lo rialzano” … Questa cruciale profezia papale si realizza dopo oltre tre decenni: il 14 giugno 1988 “Il Santo Padre sofferente profetizzato a Fatima (che bloccato dai poteri dell’oscurità sta [silenziosamente] conducendo il suo gregge), attraverso lo sforzo eroico di p. Khoat e della sua squadra, “viene rialzano”. La squadra di Khoat è riuscita a raggiungerlo dietro le “linee nemiche” e poi “lo ha sollevato”. Ciò significa che hanno salvato il vero successore di San Pietro (Gregorio XVII) e “lo hanno sollevato” esortandolo a compiere il Suo dovere, ad occupare operativamente il “suo” trono. La Santa Sede “esiliata” operava così “sotterraneamente” dal 14 giugno 1988 fino al 2 maggio 1989 nella sua peggiore persecuzione mai subita. Dove c’è Pietro c’è la Chiesa! Il Papa è colpito la seconda volta, cade di nuovo e muore. Un grido di vittoria e di gioia risuona tra i nemici; sulle loro navi si scorge un indicibile tripudio. [… “Il Papa è colpito la seconda volta, cade di nuovo e muore”. I carcerieri satanici di Papa Gregorio XVII hanno scoperto in qualche modo che egli stava operando attivamente per la Chiesa, con la creazione di suoi nuovi Cardinali e Vescovi (che sotto la sua direzione stavano organizzando pure una evacuazione di emergenza in elicottero del loro amato Comandante in capo). Gli usurpatori massonici della setta del Vaticano II lo uccisero (… pare con l’utilizzo di digitale, medicamento che sovra-dosato, provoca una morte terribile e crudele]. Sennonché appena morto il Pontefice un altro Papa sottentra al suo posto. I Piloti radunati lo hanno eletto così subitamente, che la notizia della morte del Papa giunge con la notizia dell’elezione del successore. Gli avversari incominciano a perdersi di coraggio. [La profezia di San Giovanni Bosco salta rapidamente e giunge al punto in cui il Cardinale (Camerlengo) designato da Papa Gregorio XVII, il 3 giugno 1990, annunciava un prossimo Conclave . I Cardinali, dopo aver superato molti ostacoli e pericoli, si sono riuniti a Roma per eleggere il suo successore nella primavera del 1991- 3 maggio 1991].

Il dettaglio storico della consacrazione pontificia della Russia al Cuore Immacolato di Maria. 

TCW [mondo cattolico odierno], anche se ha conservato per un po’ di tempo queste informazioni (direttamente ricevute [per iscritto] dalla Gerarchia) ora, attraverso la loro guida, pubblica i dettagli cronologici di questo evento di portata capitale:

1.- 2 maggio 1991, A Roma, a due anni dalla morte di Gregorio XVII, i suoi Cardinali celebrarono una Messa da Requiem in suo suffragio,  e continuarono subito dopo a tenere un Conclave.

 2.- 3 maggio 1991, È stato eletto il nuovo Pontefice che ha scelto il nome di Gregorio XVIII (262 ° Successore di San Pietro).

 3.- Il 13 maggio 1991, Gregorio XVIII ha consacrato la Russia, per nome, al Cuore Immacolato, in unione con tutti i Vescovi del mondo!

 4.-Il 14 maggio 1991 Gregorio XVIII ha tenuto una riunione con i suoi Cardinali e lasciava Roma per l’esilio in una località segreta, per volontà di Dio!

[TCW.(Riassunto): Sua Santità Gregorio XVIII (Gregorio XVIII) è stato eletto Papa a Roma in un conclave segreto. Il primo atto del Pontefice fu quello di consacrare la Russia per nome al Cuore Immacolato, in unione con tutti i Vescovi del mondo (cioè Vescovi Cattolici con missione canonica [* giurisdizione] da lui ricevuta, in una cerimonia pubblica per quanto consentito dalla prudenza. Dopo questo importante evento, ha colloquiato con i suoi Cardinali dando loro opportune disposizioni ed ha lasciato Roma per andare in esilio, in obbedienza alla Divina volontà.]

Il nuovo Papa sbaragliando e superando ogni ostacolo, guida la nave sino alle due colonne e giunta in mezzo ad esse, la lega con una catenella che pendeva dalla prora ad un’ancora della colonna su cui stava l’Ostia (Messa tridentina); e con un’altra catenella che pendeva a poppa la lega dalla parte opposta ad un’altra ancora appesa alla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata. (Atto Pontificio di Consacrazione della Russia al Cuore Immacolato, Il 13 maggio 1991 da Papa Gregorio XVIII, in unione con tutti i Vescovi del mondo).

– Allora succede un gran rivolgimento. Tutte le navi che fino a quel punto avevano combattuto quella su cui sedeva il Papa, fuggono, si disperdono, si urtano e si fracassano a vicenda. Le une si affondano e cercano di affondare le altre. [pseudo-tradizionalisti e sedevacantisti, negazionisti della bolla Ex Apostolatus officio, Fraternità paramassoniche del “cavaliere kadosh” e … “figlioccio”, i sedevancantisti menzogneri, etc. – La storia mostra che parte di queste comprendevano pure il capo controllore dell’opposizione, “il non-sacerdote M. Lefebvre]. – Alcune navicelle che hanno combattuto valorosamente col Papa vengono per le prime a legarsi a quelle colonne. – Molte altre navi che, ritiratesi per timore della battaglia si trovano in gran lontananza, stanno prudentemente osservando, finché dileguati nei gorghi del mare [“inghiottito nelle gole del mare” … Un riferimento agli imminenti 3 giorni di castigo dell’oscurità, che libereranno il mondo dagli eretici e dagli scismatici, cioè i nemici dell’invincibile Papato. Anche San Giovanni Bosco nella sua profezia ” Il Venerabile Vecchio del Lazio ” allude ai prossimi 3 Giorni, come hanno fatto molti altri santi e cattolici rinomati per santità.] – i rottami di tutte le navi disfatte, a gran lena vogano alla volta di quelle due colonne, ove arrivate si attaccano ai ganci pendenti dalle medesime, ed ivi rimangono tranquille e sicure, insieme colla nave principale su cui sta il Papa. Nel mare regna una gran calma. [“calma suprema” … questa calma suprema per il mondo cattolico – “periodo di pace” promesso da Nostra Signora a Fatima- sarà attuata dalla Divina Provvidenza dopo che “le nazioni sono state annientate” (con i 3 giorni di oscurità, il castigo prossimo che precederà la restaurazione gloriosa della Chiesa e il regno trionfale del Cuore Immacolato di Maria).]

Don Bosco a questo punto interrogò Don Rua: – Che cosa pensi tu di questo racconto? Don Rua rispose: – Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa, di cui esso è il Capo: le navi gli uomini, il mare questo mondo. Quei che difendono la grossa nave sono i buoni affezionati alla santa Sede, gli altri i suoi nemici, che con ogni sorta di armi tentano di annientarla. Le due colonne di salute mi sembra che siano la devozione a Maria SS. ed al SS. Sacramento dell’Eucarestia. – D. Rua non parlò del Papa caduto e morto e D. Bosco tacque pure su di ciò. Solo soggiunse: – Dicesti bene. Bisogna soltanto correggere un’espressione. Le navi dei nemici sono le persecuzioni. Si preparano gravissimi travagli per la Chiesa. Quello che finora è stato, è quasi nulla rispetto a ciò che deve accadere. I suoi nemici sono raffigurati nelle navi che tentano di affondare, se riuscissero, la nave principale. Due soli mezzi restano per salvarsi fra tanto scompiglio! – La Devozione a Maria SS. e la frequenza alla Comunione, adoperandoci in ogni modo e facendo del nostro meglio per praticarli e farli praticare dovunque e da tutti. Buona notte! – Le congetture che fecero i giovani intorno a questo sogno furono moltissime, specialmente riguardo al Papa; ma Don Bosco non aggiunse altre spiegazioni. – Intanto i chierici Boggero, Ruffino, Merlone e il signor Chiala Cesare descrissero questo sogno e ci rimangono i loro manoscritti. Due furono compilati il giorno dopo la narrazione di D. Bosco, e gli per gli altri due trascorse maggior tempo: ma vanno perfettamente d’accordo e variano solamente per qualche circostanza, che l’uno omette e l’altro nota”.

Memorie biografiche di San Giovanni Bosco, Vol. VII, Capitolo 18, pp. 169-172.

[in rosso il commento di TCW].

Nostra Signora di Fatima dice a Lucia, il 3 agosto 1931 dC (Rianjo, Spagna): (I Pontefici ) non hanno voluto rispettare la mia richiesta (la consacrazione dela Russia al Cuore Immacolato in unione con tutti i vescovi del mondo), ma come il re di Francia, si pentiranno e lo faranno, ma sarà tardi: la Russia avrà però già diffuso i propri errori in tutto il mondo, provocando guerre e persecuzioni alla Chiesa, ed il Santo Padre avrà molto da soffrire “.

Foto della vera suor Lucia di Fatima (prima che fosse eliminata e sostituita da un sosia)

1927 – Nostra Signora di Fatima a Sr. Lucia : “È arrivato il momento in cui Dio chiede al Santo Padre di fare, in unione con tutti i vescovi del mondo,  la Consacrazione della Russia al mio Cuore immacolato, promettendo di salvarla con questo mezzo “. – “Sr. Lucia riflette e si lamenta perché la richiesta della Madonna per la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato fu ignorata: “Lui (Dio) se voleva, poteva fare che la causa (le misure di Roma) si muovesse velocemente. Ma per punire il mondo, lo lascerà andare lentamente … la sua giustizia, provocata dai nostri peccati, lo richiede. Egli è dispiaciuto, non solo dai grandi peccati, ma anche dalla lassità e negligenza nel seguire le sue richieste. .. Sì, i crimini sono molti, ma soprattutto è molto più grande … “la negligenza di quelle anime che dovrebbero essere ardenti al suo servizio!” – Quando, nella Lettera Apostolica Sacro Vergente Anno del 7 luglio 1952, Papa Pio XII consacrò “i popoli russi” al Cuore Immacolato di Maria, molti credevano che tutto fosse stato adempiuto. Tuttavia, la suor Lucia scrive: “Sono rimasta afflitta che ancora non sia stata fatto nel modo che la Madonna ha chiesto. Pazienza! …” [in verità questa era già la falsa suor Lucia, l’agente degli Illuminati, che assicurava i suoi “mentori” che la Consacrazione di Pio XII (probabilmente “depistato” da agenti della “quinta colonna” infiltrati finanche nella sua Segreteria di Stato!) non era stata fatta secondo il desiderio della Vergine, per cui potevano esser tranquilli … infatti non si ebbe alcun effetto visibile sulla Russia che anzi intensificò la sua opera destabilizzante e di persecuzione – ndr. -].

 “Coloro che difendono la grande nave sono buone persone che amano la Santa Sede; Altri sono i suoi nemici che, con ogni sorta di armi, fanno tentativi per annientarla “.  (Don Michele Rua, amico di San Giovanni Bosco)

  “È necessario per la salvezza che tutti i fedeli di Cristo siano sottoposti al Romano Pontefice“. (Concilio Laterano V)

 Maria Ausiliatrice: Santuario di Maria Ausiliatrice Santuario di Maria Ausiliatrice (Torino, Italia)

Ho visto uno dei miei successori, con il mio stesso nome, Che stava fuggendo (da Roma) … egli morirà di una morte crudele “…

Visioni profetiche su Giuseppe Siri (Gregorio XVII) di Giuseppe Sarto (Pio X)

Nel 1909, durante un pubblico capitolo generale dell’Ordine Francescano, Papa Pio X è improvvisamente caduto in trance. Il pubblico aspettava in silenzio riverente. Quando si svegliò, il papa gridò:

“Quello che vedo è terrificante, sarà io stesso, o sarà il mio successore? Certo è che il Papa uscirà da Roma e lasciando il Vaticano dovrà camminare sui corpi morti dei suoi sacerdoti.”

Proprio prima della sua morte (20 agosto 1914), Papa Pio X ebbe un’altra visione:

Ho visto uno dei miei successori, mio omonimo (Giuseppe), che stava fuggendo sui corpi dei suoi fratelli, si rifuggerà in un luogo nascosto, ma dopo una breve tregua morirà di una morte crudele“.

Lo stesso Papa ha anche predetto la guerra per l’anno 1914 e, durante la sua agonia di morte (nel 1914), ebbe a dire:

  “Io vedo i  russi a Genova “.[1.]

[1] “… i russi a Genova”.  Riferimento ai carcerieri massonici di papa Gregorio XVII – che sorvegliavano ogni mossa del Papa in ostaggio a Genova (Italia) dove Sua Santità fu esiliato.

EFFETTI DELLA “VERA” CONSACRAZIONE

 [Gli effetti furono straordinariamente immediati:

Consacrazione: 13 maggio 1991;

Giugno 1991: prime libere elezioni in Unione Sovietica;

Agosto 1991: implosione e scomparsa del partito comunista sovietico,

8 Dicembre 1991 (festa dell’Immacolata): a Belaveža trattato che sancisce la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

26 Dicembre 1991: l’Unione Sovietica venne sciolta formalmente dal Soviet Supremo e smembrata in tanti Stati indipendenti]

 “Autorità della Chiesa: coloro che sono stati accolti nella gerarchia ecclesiastica non sono scelti dal popolo, né da autorità secolari, ma sono collocati nei gradi di potere degli ordini mediante ordinazione sacra. Nel Pontificato supremo la persona legalmente eletta, accettando liberamente l’elezione, riceve il potere di competenza per diritto divino . ” Tutti gli altri ricevono la giurisdizione tramite la missione canonica (can. 109).- (Testo: “A Dictionary Of Canon Law”, Second Revised Edition, 1919 Imprimatur )

 La Chiesa militante

 “La Chiesa, è in ogni tempo militante, per lei non c’è pace permanente sulla terra, le conseguenze del peccato  la indeboliscono solo, ma non la distruggono; – la battaglia deve essere condotta sempre: battaglia intellettuale … deve esserci eresia; battaglia morale … deve esserci scandalo; battaglia fisica … ci devono essere disgrazie, calamità, pubbliche e private, nazionali e individuali. La vita dell’uomo è una guerra da condurre con le braccia e con le mani contro i poteri dell’inferno, gli impuri sulla terra, le passioni del cuore che gli si schiantano contro: egli deve combattere e combattere fino alla fine, deve conquistare prima di poter essere incoronato “.  (Catechismo di perseveranza : esposizione storica, dottrinale, morale e liturgica della religione cattolica, Abbé Gaume, 1850, Imprimatur)

S. Cipriano: “Chi aderisce ad un falso vescovo di Roma (un falso” papa “) è fuori dalla comunione con la Chiesa“.

 Dichiariamo, diciamo, definiamo e proclamiamo che ogni creatura umana, per la salvezza, debba necessariamente essere interamente sottoposta al Romano Pontefice “. -Papa Bonifacio VIII, Unam Sanctum 18 novembre 1302 ex cathedra (infallibile)

 “Allora la Chiesa sarà … nelle catacombe … Tale è la testimonianza universale dei Padri della Chiesa Primitiva “. -Cardinal Manning

“L’ apostasia della città di Roma dal vicario di Cristo e la sua distruzione da parte dell’anticristo possono essere pensieri così nuovi a molti cattolici, che credo bene di recitare il testo di teologi di grande reputazione. In primis Malvenda, che scrive espressamente sul soggetto, afferma come sia  opinione di Ribera, Gaspar Melus, Biegas, Suarrez, Bellarmino e Bosi, che Roma apostaterà dalla fede, allontanerà il Vicario di Cristo e ritornerà al suo antico paganesimo … Poi la Chiesa sarà dispersa, guidata nel deserto e sarà per un certo tempo, come era all’inizio, invisibile, nascosta in catacombe, in caverne, in sotterranei, in luoghi in agguato, per un certo tempo sarà come spazzata dalla faccia della terra …  Questa è la testimonianza universale dei Padri della Chiesa Primitiva .” [-Cardinal Manning, la crisi attuale della Santa Sede , 1861, Londra: pp. 8-9]

RIFLESSIONI SUI NOVISSIMI E L’ETERNITÁ

RIFLESSIONI SUI NOVISSIMI E L’ETERNITÁ

[da: Il giardino spirituale; Napoli 1903 – imprim.]

I.—Sopra la morte.

.1. Il primo de’ Novissimi é la Morte, e felice quel cristiano che non la perde mai di vista, e che procura di esser tale, quale vorrebbe trovarsi in quel punto estremo, decisivo di una Eternità, o felice, o disperata per sempre. Anima mia, pensaci spesso, che questo è l’unico preservativo per vivere da buon Cristiano e salvarsi.

2. La morte è certa, ma il tempo, il luogo, la Maniera tutte le sue circostanze sono incerte. – Soltanto so che ho da morire, ma quando, o pur di qual male e di qual accidente, questo punto nol saprò: Iddio così ha ordinato affinché io stia vigilante, e sempre pronto a comparirgli davanti. Dunque devo vigilare di continuo sopra di me stesso, e pregar sempre la divina bontà acciò mi usi misericordia.

3. La morte è certa, ed è certo altresì che una sola volta debbo morire: e se questa volta io muoio male, cioè in peccato, allora è finita per me qualunque speranza di rimediare al mal fatto, resterò eternamente col peccato nell’anima, per conseguenza nemico di Dio, ed eternamente rinchiuso nell’orribile carcere dell’inferno; oh! quanto dunque è importante, anzi importantissimo il morir bene ! E perciò domanda spesso al Signore, e con molte lacrime, questa grazia, perché errato che si è una volta, si errato per sempre.

II.— Morte del Peccatore

.1. Ridotto che sarà il povero peccatore al punto terribile della morte, si vedrà circondato da innumerevoli demoni, i quali pieni d’ira pel poco tempo che loro resta, fanno tutti gli sforzi per assicurarsi di quell’anima; e per riuscirvi, e con forti tentazioni, e con incitamenti alla disperazione, combatteranno il povero moribondo per vincerlo e farne loro preda. Ora se in vita egli non ha resistito alle piccole tentazioni, come resisterà allora?

2. Il demonio rappresenterà al povero moribondo in un punto tutti i peccati commessi dacché ebbe l’uso di ragione; ed a questa vista, oh! Come tremerà egli! Non vorrebbe vederli, ma sarà dalla propria coscienza a rimirarli senza perderli mai di vista: egli allora vorrebbe tempo per piangerli, e poi farne vera penitenza, e questo tempo non avrà: allora il misero piangerà, ma inutilmente, tanto tempo perduto. Or chi mai potrà concepire la confusione, in cui si troverà?

3. Qual pena e qual timore semini il peccatore moribondo nel vedersi già prossimo a dover passare all’eternità, assediato da tanti demoni, colla storia luttuosa della sua vita innanzi agli occhi. Oh Dio! ed in qual costernazione si troverà egli! Temerà, e con ragione, di cadere tra pochi momenti nelle fiamme infernali, e dirà: Io ho errato. Ah! se vuoi evitare una tal morte, fa adesso ciò che allora non potrai.

III.— Stato del corpo morto.

.1. Immaginati di vedere un corpo morto. Oh Dio! che spettacolo funesto! ei più non vede, non parla, non ha moto, né sentimento alcuno, egli è così contraffatto, pallido, deforme, schifoso e puzzolente, per esser prossimo a corrompersi, che fa fuggire ognuno, e non ispira altro che orrore e spavento. Oh! che capitale dunque di umiliazioni ti porge una tale riflessione! E pure 1′ uomo superbo non sa umiliarsi!

2. Ei lascia per sempre i beni , le case, i mobili e quanto ha in questo mondo, ed altro non porta al sepolcro che una veste lacera! Resta solo in una stanza, abbandonato da tutti per l’orrore, ed appena si trova, e con ribrezzo, chi gli fa la carità di vestirlo; e tutte le possessioni in altro non consistono che d’esser posto in una fossa, dove sarà coperto di vermi. E questo spettacolo non è bastante a farti ravvedere?

3. Se vuoi quindi contemplare quel cadavere, apri quella fossa e miralo, che già è divenuto un marciume puzzolente, schifoso, putrefatto; in quella marcia si generano i vermi, i quali s’impadroniscono di tutto il corpo; sicché tra poco quel cadavere diverrà un arido scheletro, che poi si ridurrà in polvere. In questo ritratto vedi te stesso, e quello che sarai fra breve. Pensaci seriamente.

IV.— Giudizio particolare.

.1. Separata che sarà l’anima dal corpo, subito sarà presentata al divin tribunale di Cristo Giudice per ricevere la finale sentenza. Alla sinistra vede il demonio, che ride e sghignazza aprendole in faccia un gran volume, acciò legga tutti i suoi peccati: alla destra vede l’Angelo suo Custode mesto e turbato, che le manifesta come un piccolo libro quel poco di bene che fece. Oh! che comparsa orribile. Che pentimento, ma inutile pentimento avrà allora dei suoi peccati.

2. Il mio esame sarà minutissimo sopra tutti i peccati commessi con pensieri, parole ed azioni. I demoni che m’istigarono, mi accuseranno; i compagni che io sedussi, mi accuseranno; la mia stessa coscienza, che mi avvisò con tanti interni rimorsi, mi accuserà; e Cristo Giudice, che fu testimonio di tutte le mie iniquità, me ne domanderà strettissimo conto. Dove fuggirò allora?

3. La mia sentenza sarà irrevocabile; non vi sarà scusa, né supplica e né appellazione: appena profferita la sentenza, se sarà di gloria, subito l’anima sarà accompagnata dagli Angeli con festa in Paradiso: se poi sarà di pena, sarà all’ istante dai demoni trascinata all’Inferno. Oh! che orrenda pena sentirà il misero peccatore al primo tocco di quelle fiamme eterne! Da quale disperazione sarà preso! Deh meditatelo con attenzione!

V.— Segni del Giudizio universali.

.1. I segni che precederanno questo Giudizio saranno terribili: il sole si oscurerà, la luna si eclisserà, le stelle cadranno giù dal cielo; tutti i corpi celesti si sconvolgeranno, il mare in tempesta muggirà, la terra si aprirà in profonde voragini, guerre, pestilenze, etc. E quale spavento non sentiranno allora i poveri peccatori!

2. S. Girolamo ogni qualvolta pensava al Giudizio tremava dal capo ai piedi. Il Nazianzeno disse che il timore del futuro Giudizio non gli permetteva di respirare: e così ancora si legge di vari altri Santi. Il Vangelo poi dice che gli uomini diverranno quel gran giorno intisichiti per il timore di ciò che sopravverrà all’universo. E tu, anima mia, che dici? se non temi, guai a te! è segno questo, che o non ci credi, o hai perduto il cervello.

3. Pioverà fuoco dal cielo e si distenderà sulle quattro parti del mondo, e si dilaterà in un mare sterminato di fiamme, che infine consumeranno ed inceneriranno piante, animali, campagne, città, palazzi: quanto vi sarà nel mondo tutto diverrà un mucchio di cenere.

VI.— Giudizio universale.

.1. Peccatore, adesso fa quel che vuoi, ma verrà un giorno in cui Dio farà ciò che vorrà, e questo giorno sarà quello del Giudizio finale. Allora tutti al suono della tromba risorgeranno e ripiglieranno i loro corpi, e cosi in anima e corpo compariranno avanti al tribunale della divina Giustizia nella gran Valle di Giosafat, per essere giudicati. Allora tutti, pieni di costernazione e di timore, piangeranno, e sbalorditi tremeranno dal capo ai piedi per ciò che loro avverrà.

2. Peccatore, quale sarà la tua confusione in quel giorno, quando Dio ti metterà avanti gli occhi tutti i tuoi peccati, cioè le ubriachezze, le mormorazioni, le bestemmie, i furti, le disonestà, ecc.. in cui senza mai emendarti, t’immergi con grande offesa di Dio, e disgusto del tuo Angelo Custode. Ed allora di qual orrendo rossore arderà il tuo volto?

3. Profferita la finale sentenza, i giusti andranno in anima e corpo a godere Dio nel Cielo, e i peccatori ancor èssi in anima e corpo saranno gettati nel fuoco dell’Inferno e penarvi per sempre in compagnia dei demoni, nemici implacabili del genere umano: « Ibunt hi in supplicium æternum, iusti autem in vitam æternum. » Cosi finirà tutto. Gran punto è questo! Punto da farci incanutire per lo spavento, anche prima dell’età. Pensateci.

VII.— Sopra l’Inferno.

.1. L’Inferno è una radunanza d’infelici, di scellerati, di gente senza pietà, è una prigione piena di disperati e furibondi, di uomini vendicativi e sanguinari, sempre pieni di odio, di rabbia, etc. L’Inferno è un carcere orribile pieno di demoni, i quali ad altro non attendono che a straziare ed a tormentare sempre quei miseri dannati. Oh! Che luogo infame! che società orribile!

2. Le pene dell’Inferno sono senza numero, sono eccessive ed intollerabili. Atrocissima è quella del fuoco, in comparazione di cui il nostro è una ombra; e questo fuoco in un istante s’insinua per tutto il corpo del dannato; ed all’ardore di questo fuoco bollono gli umori, il sangue nelle vene, il cervello nel cranio, le viscere tutte, e sin le midolle nelle ossa. Or pensate se potete abitare « cum igne devorante, et cum ardoribus sempiternis. »

3. La pena della soffocazione sarà oltremodo orribile nell’Inferno, perché tutt’i dannati staranno ammucchiati, gli uni sopra degli altri, strettamente a guisa di uve premute sotto al torchio dell’ira di Dio; ed il dannato come cadrà nell’Inferno, così resterà immobile, e si sentirà soffocato per tutta la Eternità, senza poter mai muovere un piede, né una mano, senza potersi voltare dall’altro lato. Oh Dio’ e come farà un tale sventurato?

VIII.— Pena del senso che si soffre nell’Inferno.

.1. Così la fame come la sete sono un tormento il più insoffribile in questa vita, in modo che se uno starà per pochi giorni senza cibo, muore da disperato. Or quale sarà quella de’ dannati, i quali soffrono una fame canina, ma più di tutto, una sete ardentissima, senza poter avere in eterno un boccone di pane, né una stilla di acqua, e per la gran fame son costretti ad addentarsi le proprie carni. Oh! fame infernale, quanto sei insopportabile! Adesso nessuno pensa a te; ma bensì alle crapule ed alla golosità! Oh pazzia, dei mondani! –

2. Quale orrore mai io avrei se udir potessi le grida spaventevoli di milioni di condannati all’Inferno, ì quali, tra urli e gemiti da disperati, non fanno altro che bestemmiare e maledire Dio, l’umanità santissima di Gesù Cristo, Maria santissima, i Santi avvocati, etc. Malediranno ancora là in mezzo a quelle fiamme i loro genitori ed il giorno che nacquero. Qual vita da demonio sarà mai questa! Qual disperazione! Ah mio Dio, usatemi misericordia! –

3. La densità delle tenebre affliggerà, e la quantità del fumo chiuso là nell’Inferno, crucierà in modo i poveri dannati, che piangeranno dirottamente ed urleranno disperatamente. Oh! che spavento sarà ancora l’aver sempre ai lati demoni bruttissimi ed in vari modi orribili, che tormentano, percuotono, insultano, etc. Cercate dunque di chiudere i vostri occhi ad ogni oggetto pericoloso, per non piangere poi inutilmente per tutta l’Eternità nell’inferno.

IX.— Pena del danno.

.1. Anima mia, leggi e con riflessione, e di’ a te stessa: perdere Dio, e perderlo per sempre, senza speranza di mai più ricuperarlo: perdere Dio, e perderlo per colpa propria, e perderlo per non vederlo mai più. Oh! che pena è mai questa! Perdere Dio, sommo Bene, e perché? pel desiderio che io ebbi di godere, e per l’aborrimento che io ebbi al patire. Oh me sventurato! come farò se andrò dannato? starò senza Dio per una Eternità!

2. Fremono per lo sdegno, e si disperano quegli infelici nell’Inferno per aver avute tante belle occasioni di salvarsi, ed averle disprezzate; per aver avuto tanto tempo di salvarsi, ed averlo speso per dannarsi. Si ricorderanno dei piaceri passati, si conturberanno e diranno tra sé: E come! per poche soddisfazioni prese, per un piacere momentaneo, abbiamo perduto il Paradiso, l’anima e Dio per sempre! Oh per quanto poco potevamo salvarci ! e questo poco non l’abbiamo mai fatto, perché l’abbiamo sempre differito, abbiamo fatto i sordi alle divine voci. Guai a me, se a queste riflessioni io non mi ravvedo!

3. Se l’Inferno non fosse eterno, non sarebbe inferno, e questo è il tormento maggiore dei dannati, l’eternità delle pene, la quale è di fede. O Eternità, sei pure spaventevole, Eternità, che sempre duri! O Eternità chi mai ti può capire!

X.— Sopra il Paradiso.

1. Se la minaccia dell’Inferno non ti ha persuaso o anima mia, a mutar vita, forse ti arrenderai alla promessa ed al premio del Paradiso. Dove al primo entrare avrai tutt’i beni senza mescolanza di alcun male; là godrai tutt’i contenti, senza un minimo patimento, in compagnia di Gesù Cristo, di Maria Santissima, e di tutti gli Angeli e Santi del Paradiso. Oh! che bella è consolante conversazione sarà mai questa! E qual ineffabile godimento si avrà in quella celeste Sionne!

2. Il maggiore di tutti i contenti, e la più viva di tutte le delizie dei beati nel cielo, è vedere, amare e benedire Dio. Oh! come stupirai, anima mia, allorché vedrai la grandezza, la santità, la bontà infinita di questo Dio! ed a questo Dio l’anima beata starà sempre unita e trasformata in Lui, in modo che parrà sia divenuta un altro Dio. Deh ! rallegrati di tanta bontà del Signore, e nei patimenti e nelle pene di questa vita alza gli occhi al cielo, dicendo: Paradiso, quanto sei bello! tu sarai la patria mia, se mi uniformerò sempre, ed in tutto alla divina volontà.

3. Se vuoi salvarti, anima mia, due strade vi sono: l’innocenza e la penitenza. Per la strada dell’innocenza, non puoi, perché l’hai perduta pel peccato; per la strada della penitenza, non vuoi; come dunque devi salvarti? Mortificati e fa penitenza dei tuoi peccati, altrimenti non ci è perdono per te né speranza di Paradiso. L’intendi? E se l’intendi, perché non metti la mano all’opera? Pensa seriamente che si tratta d’un Paradiso eterno!

I NOVISSIMI

Mortal, ricordati

Che dèi morire,

E del gran Giudice

Tu devi udire

La tua sentenza

A pronunciar.

Se pura hai l’anima

Nel cielo andrai;

Ma se colpevole

Allor sarai,

Nel fuoco eterno

Dovrai piombar.

Mortal, deh pentiti

Che Dio t’invita.

Pensa che l’ultimo

Della tua vita

Questo momento

Forse sarà.

A queste immagini

Cosi tremende,

Chi può resistere,

Chi non s’arrende

Perduto ha il senno

Nell’empietà.

AVVERTIMENTO SULL’ETERNITÀ

Sappi, o divoto lettore, che chi entra una volta nell’ Inferno, non ne uscirà mai più, perchè questo luogo si chiama Casa di eternità: Domus æternitatis; e nel Vangelo di S. Giovanni si legge: “Ibunt hi in supplicium æternum”, E chi mai potrà col pensiero concepire che cosa sia Eternità? Ma ti Sei mai fissato di proposito a considerare ciò che dir voglia Eternità di pene? O Eternità! chi ti può capire? Dimmi un poco, se tu avrai la disgrazia di dannarti, come farai? Allora a chi ricorrerai? Ti figuri forse esser ciò impossibile a succederti ? E si ora tu fossi colpito dalla morte, che la Scrittura ci dice che viene come un ladro, “tamquam fur”, e ti trovassi in disgrazia di Dio, non saresti precipitato certamente nell’Inferno? Questa lusinga quanti ne ha precipitati negli abissi giacché per esser loro venuta buona, per tanto tempo, nel quale Dio gli aveva aspettati a penitenza con tanta pazienza, si son lusingati che gli avrebbe in avvenire anche sopportati, e frattanto si son veduti all’ improvviso assaliti dalla morte, ed ora si trovano ad urlare e gemere nelle fiamme dell’Inferno, senza speranza di più uscirne. Ad un tal riflesso trema dal capo ai piedi e procura che non succeda anche a te questa disgrazia, come di fatti è succeduta a tanti ingannati cristiani, i quali, perduti dietro le cose presenti, non hanno pensato seriamente all’Eternità delle pene. Procura tu, o caro mio lettore, di meditarla spesso, e prendila per regola della tua vita e della tua condotta. Ah! se avessi vivamente presente, che dopo questa vita vi è una Eternità inevitabile, che sarà per te o un colmo di felicità o un abisso di miserie, e dicessi fra te stesso, come s. Ambrogio: “in hanc, vel illam æternitatem vadam necesse est”, certamente non differiresti tanto a convertirti, e a darti di vero cuore a Dio. O Eternità! esclama S. Agostino, o Eternità! e si può pensare a te, senza pensare anche a far penitenza? Oh! questo non si può mai, almeno quando non si abbia perduto la fede, o non si abbia più cuore nel petto. “O æternitas, qui te cogitat, nec poenitet, aut certe fidem non habet aut si habet, cor non habet”. Se queste verità saranno impresse vivamente nel tuo cuore, penserai senza meno a servire Dio, starai sempre unito a Dio e nel tempo e nella beata Eternità.

Riflessioni sull’ Eternità.

Oh quanto lunga! quanto profonda! quanto immensa! quanto beata o misera è la signora di tutti i secoli, l’interminabile e sempre vivente eternità! O uomini mortali, che avete anima immortale, studiate, meditate, pensate attentamente questa gran parola: eternità! –

O Eternità! quanto sei lontana dal pensiero degli uomini: quanto di rado gli uomini pensano a te: Eternità

O Eternità! che potrò dire di te? In che modo ti esprimerò? E chi mai intenderà ciò che vuol dire eternità?

Io penso mille anni, e centomila, e cento milioni di volte mille anni, ed altrettanti milioni di mille anni, quante foglie e germogli di erba sono sulla terra, quanti grani di arena e gocce d’acqua sono nel mare, atomi nell’ aria e stelle nel firmamento: e non ho ancora incominciato a dire ciò che significa questa parola eternità.

Eternità! Oh Eternità di Paradiso! Chi non ti ha da volere?

Oh Eternità d’Inferno! Chi non ti ha da temere?

Che voglio io dire? Non lo posso, e non posso neppur pensarvi: lino a che Dio sarà Dio l’Inferno durerà. Ma quanto tempo, e fino a quando? Per sempre: per una eternità. Sempre! Mai! Eternità! . I piaceri passano; e le pene dei piaceri sono eterne. Le afflizioni passano; e le ricompense dureranno eternamente. Scegliete: o il piacere di un momento e la pena dell’Eternità, o la pena di un momento ed il piacere dell’Eternità. L’Eternità dipende dalla morte; la morte dipende dalla vita; la vita da un momento; da un momento dipende l’Eternità.

Conversione dell’anima a Dio.

Piangi, anima mia, detesta i tuoi peccati, lascia le tue iniquità, innalzati verso il tuo centro, e non differire più la tua conversione. Mira quel fuoco tormentosissimo acceso dal furore di un Dio Onnipotente, per vendicarsi di te per tutta l’Eternità, se ora disprezzando le sue chiamate paterne, non ti lascerai accendere dal dolcissimo fuoco del suo amore. Il passato più non è, l’avvenire non è in tuo potere, ed il presente non è che un momento a te accordato per servire a Dio, guadagnarti la beatissima Eternità, e scansare l’infelicissima Eternità. Comprendi bene e pesa la forza di queste parole:

UN DIO! UN MOMENTO! UNA ETERNITÀ!

Un Dio, che ti vede.

Un momento, che ti fugge.

Un’Eternità, che ti attende.

Un Dio, che è tutto.

Un momento, che non è niente.

Un’Eternità,che è la felicità,o l’infelicità per sempre.

Un Dio, che tu servi sì male!

Un momento, di cui ti approfitti si poco.

Un’Eternità, che tu rischi sì facilmente.

 

O DIO! O MOMENTO! O ETERNITÀ!

O mio Dio! io mi presento dinanzi a voi con un sincero pentimento dei miei falli. Io vi adoro con umile sommissione. Io credo in Voi e nell’ Eternità. Io spero in Voi e da Voi una felice Eternità. Io vi amo con tutto il mio cuore, e per tutta l’Eternità. Io mi sottometto a tutto ciò che vi piacerà qui ordinare di me. Bruciate, segate, tagliate, purché voi mi risparmiate nell’ETERNITÀ. Accordatemi, Dio Onnipotente ed infinitamente buono, le grazie necessarie per servirvi fedelmente in vita, e possedervi per tutta 1′ ETERNITÀ.

O Maria, Madre dell’eterna benedizione, fate che benediciamo il vostro divin Figliuolo, e nostro amabilissimo Gesù per tutta l’ETERNITÀ. Così sia.

DEVOZIONE A MARIA SANTISSIMA

DEVOZIONE A MARIA SANTISSIMA

[da manuale di Filotea del sac. G. Riva, XXX ed. Milano – 1888,]

Invito alla devozione a Maria.

Come alla rovina del mondo concorsero un uomo e una donna, così fu stabilito nei consigli della eterna Sapienza che alla sua riparazione concorresse col divino Unigenito incarnato nel tempo, anche la divina sua Madre. L’uno come fonte da cui dipendono tutte le grazie, l’altra come canale per cui a noi si trasmettono. Di qui è che, dopo la devozione a Gesù Cristo, autore e consumatore della nostra salute, non potrà mai essere abbastanza raccomandata la devozione a Maria, da Gesù Cristo stesso stabilita per arbitra e dispensatrice di tutti i celesti tesori.

Importanza della devozione a Maria.

Infatti, a restringere il tutto in poco, non può immaginarsi una Devozione di questa più necessaria, più doverosa, più santa, più soda, più consolante, più salutare, più universale. Diciamo una sola parola su tutte queste qualificazioni; 1Devozione più necessaria, perché, come dice s. Bernardo, non vengono grazie sopra la terra che prima non passino per le mani di Maria; e s. Anselmo protesta che perirà infallibilmente chi non avrà servito a questa gran Vergine con una devozione sincera Gens quæ non servierit tibi, peribit, … 2°. Devozione più doverosa, 1. Perché per mezzo di Maria si è compita la più grande dì tutte le opere, qual è la Redenzione di tutto il mondo; 2. perché per la divina maternità di cui venne Maria onorata fu e sarà sempre esaltata al di sopra di tutte le figlie d’Eva, e quindi glorificata nel cielo più di tutti i beati uniti insieme, per cui la Chiesa le ha decretato un culto affatto particolare che si denomina di Iperdulia, cioè superiore a quello che si presta ai Santi e agli Angioli, inferiore solamente a quello che si presta a Dio; 3. perché infine se sul Calvario fu dichiarata da Gesù Cristo per nostra Madre, nel Paradiso fu stabilita nostra Regina e nostra Padrona. Dunque niente è più doveroso per noi che il condurci verso Maria da figli amanti, da sudditi ossequiosi, da servi fedeli. — 3Devozione più santa, sia per la santità dell’oggetto che si propone, essendo Maria la più santa di tutte le creature; sia per la santità del motivo che ce la inspira, che è 1. la venerazione dovuta al merito singolarissimo di Maria; 2. la riconoscenza dovuta ai continui suoi benefici, 3. l’obbedienza agli ordini divini abbastanza espressi nei tanti titoli che Dio le diede ad essere parzialmente venerata i n tutto il mondo, 4. l’assecondamento dello spirito della Chiesa che in tante guise ne insinua e ne raccomanda la devozione più fervorosa; 5. l’imitazione di tutti i Santi che riguardarono sempre l’esercizio di questa devozione un un dovere indispensabile per arrivare a salute”, sia per la santità degli effetti che in noi deve produrre, quali sono l’acquisto di tutte le virtù, il conseguimento di tutte le grazie nella vita presente, e l’assicuramento del Paradiso nella vita avvenire, 4. Devozione più soda perché fondata sui principii e sui sentimenti di tutto il Cristianesimo verso la Madre di Dio, Regina degli Angioli, e degli uomini, e la sovrana dell’universo, la più eccellente di tutte quante le creature. 5. Devozione la più consolante: qual dolcezza, qual consolazione maggiore di quella di aver per propria madre la Madre stessa di un Dio, di poter quindi assicurarsi della bontà e della protezione di Lei che non esamina il merito dì chi La prega, ma solamente l’intenzione e il fervore con cui viene pregata? E di poter quindi con filiale confidenza ricorrere a Lei in ogni occasione? Qual gioia non desta in un cuore cristiano il sol Nome di Maria? 6. Devozione più salutare; essa diviene per noi sorgente di tutte le grazie ad assicurarci beata la eternità. Quanti peccatori non devono a questa devozione il loro ravvedimento? Quanti giusti la loro perseveranza? Quanti beati la felicità sempiterna di cui già sono al possesso? 7. Devozione più universale, dal principio del Cristianesimo fino a noi; scorrendo regolarmente per tutti i secoli, essa fu costantemente praticata da tutti i Santi, raccomandata da tutti i dottori, abbracciata da tutti i fedeli, professata da tutte le nazioni. Quanti Re non si fecero un dovere di mettere i propri Stati sotto la protezione della gran Madre di Dio? Quanti altari eretti a di Lei gloria? Quanti templi innalzati sotto il suo titolo? Quante feste stabilite a suo onore? Quante società di devoti formatesi sotto il suo nome? Quanti privilegi accordati ai suoi figliuoli? Quanti miracoli operati a intercessione di Lei? L’universo intero è un gran libro che pubblica continuamente ad ogni pagina le sue sovrane beneficenze. – Però a mostrare col fatto quanto importi lo spiegare il più grande impegno per la devozione a Maria, basti il ricordare quanto ha fatto la stessa SS. Vergine per impegnare gli uomini a mettersi fiduciosamente sotto il di Lei patrocinio colla devozione di nuovi Santuari, com maggiore decoramento dei già innalzati, specialmente, per essere sottratti alle più imminenti sciagure, così spirituali come temporali. Nella Valtellina, che doveva essere esposta agli assalti dei Protestanti, apparve la Vergine nel 1304 al nobile signore Mario Omodei, e gli comanda di dire al popolo che si erigesse un tempio dove posava allora i suoi sacri piedi, e gli dà segno l’istantanea sanità di un suo fratello da molto tempo gravemente infermo. Alla Motta nel Friuli nel 1510, si fa vedere ad un villano, e gli ordina di esortare la città e i paesi circonvicini a digiunare tre sabati in suo onore, e gli promette che ivi quanti La onorerebbero, tanti ne riporterebbero grazie meravigliose, e fu sì vero che il tempio che ivi si edificò si chiamò il tempio della Madonna dei Miracoli. A S. Severino nelle Marche nel 1519 una statua dell’Addolorata versa copiose lacrime, e col seguito dei miracoli riscalda il popolo alla pietà. A Treviglio nel Milanese nel 1532 una immagine della Vergine piange e suda copiosamente, e così chiaramente appare il miracolo che il francese generale Lautrec cessa dal mandare a sacco il paese, e si congiunge ai cittadini nel lodare e benedire Maria. A Brescia nel 1526, una immagine di Maria muove teneramente gli occhi ed apre le mani che nel dipinto erano congiunte, il divin Bambino egualmente si vede volgere le pupille alla Madre e stenderle amorosamente la mano. Il prodigio commuove tutta la città, si infervorano nella devozione anche i più traviati e la fede si rinforza contro gli errori. In Savona nel 1536 la Vergine si fa vedere ad un buon contadino e gli ordina di esortare il popolo alla penitenza. Tre fiammelle che si fanno vedere sopra la città assicurano il popolo della verità del fatto: accorrono al luogo della apparizione, e mille prodigiose grazie infiammano il popolo nella Religione. Così si dica di molte altre apparizioni, come a Reggio di Modena, dove uno privo affatto della lingua, pregando innanzi alla Madonna della Ghiaja l’acquistò e poté liberamente parlare. Come a Napoli, dove la Vergine apparve a una povera donna manifestandole una sua immagine che stava sotterrata in alte rovine. Come in Mesagna di Brindisi dove l’immagine della Vergine versò copioso sudore; come a Termini dove coll’olio della lampada che ardeva avanti alla Madonna della Consolata uno storpio fanciullo riacquistò all’istante gagliardia al camminare; come a Roma dove la Vergine apparve a una povera donna e l’avvisò che se voleva la vista cercasse nel Rione dei Monti di un diroccato fenile in cui era dipinta una sua immagine, e l’acquisterebbe. Il fatto confermò 1’apparizione e fu principio di mille e mille altri miracoli che ottennero ì Romani. Che dirò poi di ciò che vide Roma nel 1796! Ecco Maria in molte delle tante venerate sue immagini e di quelle singolarmente più esposte al pubblico, nel cospetto d’affollata moltitudine dei più cauti ed accorti, dei più male prevenuti ed increduli, e non per un giorno, ma per sei mesi interi, non in una immagine, ma in più di cento, ecco apre quegli occhi di misericordia e di amore, e pieni di luce, di vita, or li muove soavemente in giro, ora li alza guardando pietosamente il cielo, or li abbassa mirando il popolo supplicante, che a sì nuovo e portentoso spettacolo confonde coi singulti, coi gemiti i clamori e le preci e si disfà in tenerissimo pianto, a cui succede il più pronto ed edificante ravvedimento dei proprii errori.

Pratica della devozione a Maria

Ció premesso, chi può mai essere indifferente pel culto di Maria, mentre attestano i Santi, che, credere di salvarsi senza professare tal devozione è lo stesso che pretendere di volare senz’ale? Ora fra le pratiche utilissime a questo scopo non dobbiamo mai trascurare le seguenti 1. Consacrarsi a Maria per tutta la vita, eleggerla per nostra madre, e aspettar tutto dalla sua protezione, 2. Onorare specialmente i di Lei misteri, accostarci ai Sacramenti nelle sue festività, e distinguere con orazioni apposite e con qualche mortificazione, le novene che le precedono, non che i sabati di lutto l’anno; 3. Recitare ogni giorno qualche determinata preghiera a di Lei onore, come sarebbe la coroncina de’ suoi Dolori, quella delle sue Allegrezze, e specialmente il Rosario; oltre l’esser fedele in salutarla con l’Angelus Domini all’invito che fa la Chiesa, alla mattina, al mezzogiorno, alla sera; 4. Tenere qualche sua immagine in propria casa, qualche sua medaglia, o suo abitino al collo; 5. entrare nelle confraternite stabilite sotto il di Lei nome, specialmente in quelle del Rosario, del Carmine, della Cintura e della commemorazione dei suoi dolori, adempiendone fedelmente tutti i doveri; 6. Adoperarsi di propagare tal devozione negli altri, ascoltar volentieri le di Lei lodi; mostrare grande venerazione alle sue immagini, e concorrere per onorarle; 7. distinguere ogni anno con ossequi particolari il Mese di Maggio, che una pietà illuminata ha in modo particolare consacrato in onore di Maria, e praticare con fedeltà tutto quello che dai libri appositamente per ciò composti viene giornalmente insinuato. – Quando voi siate costante in tutto questo, potete ritenere come assicurata la vostra eterna salute, essendo la Chiesa medesima che mette in bocca a Maria quelle famose parole: Beato chi veglia continuamente alle mie porte — Chi ritrova me ritrova la vita, ed avrà la salute dal Signore. Egli è perciò che, scorrendo i fasti della Chiesa, si rileva ad ogni passo che i Santi di tutte le età e di tutte le nazioni, furono sempre devotissimi di questa grand’Arbitra d’ogni grazia, e non lasciarono intentato alcun mezzo per diffonderne in altri la devozione; e quanto più erano eminenti in santità, tanto maggiore spiegarono il proprio zelo per questo culto, reputandolo caparra sicura dei più distinti favori in questa vita, e di eterna gloria nell’altra. Di qui è che il mellifluo S. Bernardo scriveva — Taccia la vostra misericordia, o Vergine beatissima, se si trova alcuno che non abbia ottenuto il vostro favore quando l’ha chiesto ne’ suoi bisogni — Ed in altro luogo ci esorta tutti a fiducialmente ricorrere a Lei, con le seguenti parole — O tu, che fra l’onde di questo secolo vai fluttuando, se non vuoi perire nella tempesta, non levare mai gli occhi da questa stella. Se si leveranno i venti delle tentazioni, se sarai vicino ad urtare negli scogli delle cattive occasioni, mira la stella, chiama Maria. Se ti assalta l’onda della superbia, dell’ambizione, della mormorazione, dell’invidia, mira la stella, chiama Maria. Se la navicella della tua anima ondeggerà e sarà in pericolo per la cupidigia o per altro sensuale appetito, mira Maria. Se cominci a sommergerti per la gravezza dei tuoi delitti e la bruttezza della tua coscienza, o spaventato dal giudizio divino ti affliggi e temi di cadere nell’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nelle angustie, nei punti pericolosi pensa a Maria, chiama Maria. Maria non parta mai dalla tua bocca, non parta dal tuo cuore, ed affinché tu ottenga l’esaudimento della preghiera, non lasciar mai gli esempi della sua conversazione, perchè seguendola non esci di strada; pregandola non disperi; pensando ad Essa non erri; attenendoti a Lei non cadi, difendendoti Essa non hai paura; essendo Ella tua madre non ti stanchi; ed essendo Essa propizia sei sicuro di giungere al porto della eterna felicità. – E che non vi abbia veruna esagerazione in tutte queste asserzioni di S. Bernardo, lo provano i vari innumerevoli fatti che si trovano nelle più autentiche storie.

Frutti della devozione a Maria

Ma tra i tanti fatti che provano una verità si consolante, non si può lasciare di addurne alcuni. A S. Gregorio il taumaturgo vescovo di Ncocesarea, Maria apparve sensibilmente ed ordinò a S. Giovanni evangelista, che era con Lei, di insegnargli con la maggior precisione quanto doveva egli credere e predicare intorno al mistero della SS. Trinità. Per ovviare i danni di cui Giuliano 1’apostata minacciava la Chiesa, ad istanza di S. Basilio, ordinò a s. Marziale martire che uccidesse il tiranno; e così fu fatto sui campi di Persia. Apparve a ,S. Martino, e lo ricreo essendo accompagnata da un coro di Vergini che con Lei discesero dal cielo. S. Cirillo Alessandrino, il quale per difendere la sua prerogativa di vera Madre di Dio, combatté l’eresiarca Nestorio, e lo vinse, fu da Essa soccorso nella sua morte, e gli fu impetrato il perdono della colpa da lui commessa nell’aver avuto sinistra opinione di S. Giovanni Crisostomo. A S. Giovanni Damasceno, restituì la mano destra che il barbaro Re Isiàm, mosso da una falsa accusa degli eretici gli aveva fatto troncare; e a testimonianza di questo miracolo restò per segno, una specie di filo rosso nella congiuntura dove la mano si riattaccò al suo braccio. S. Gregorio Magno, colla immagine della Vergine dipinta da s. Luca, che Égli ordino che fosse portata in pubblica processione, mitigò l ‘ ira del Signore, e fece cessare quella spaventevole pestilenza, che aveva rovinato in gran parte, e stava per render deserta la città di Roma; e mandò come dono preziosissimo ai suo intimo amico s. Leandro, arcivescovo di Siviglia, una immagine della Madonna al presente in Guadalupe, e fa ogni giorno tanti miracoli, per cui non solo in tutta la Spagna, ma in tutto il mondo è in somma venerazione. S. Idelfonso, vescovo di Toledo, per avere difeso contro gli eretici Elvidiani nel modo il più concludente, la perpetua verginità di questa Regina degli Angioli, meritò di vederla ed adorarla sulla sua cattedra episcopale di Toledo circondata da gran maestà, e ricevere dalla sua mano quella celeste pianeta che ancor si conserva fra le più insigni reliquie. A Ruperto abbate, Tuitense, che per essere tardo di ingegno, diffidava di poter penetrare ed intendere i tanti misteri nascosti nella Sacra Scrittura, impetrò la SS. Vergine tanta luce di scienza che divenne uno dei saggi uomini del suo tempo, illustrato da molti miracoli in vita ed in morte. Lo stesso beneficio ricevette Alberto Magno, frate dell’ordine di s. Domenico, che stava per uscir dal convento supponendosi incapace di riuscire nella carriera delle scienze che fra’ suoi sempre coltivaronsi con grande impegno. Ma appena dietro suggerimento di alcune Vergini a lui apparse insieme a Maria SS., supplicò del suo aiuto questa vera sede della sapienza, divenne uno dei più scienziati, e fu maestro dei due grandi Dottori della Chiesa, s. Tommaso d’Aquino e s. Bonaventura. – Se non che, qual è mai quel favore di cui Maria non abbia degnato i suoi devoti? Ella visita, abbraccia, ed asciuga il sudor della fronte ad alcuni monaci cistercensi che nel campo mietono affaticati. Fa vento e rinfresca agli ardori febbrili una vedova sua devota. Consola ed asciuga parimenti il sudore ad un sacerdote moribondo che spesso l’aveva compatita nei suoi dolori. Restituisce benignamente la lingua ad un sacerdote cui era stata tagliata dagli eretici per averlo trovato un tal sabato a dir Messa in onore di Lei. Sostenta con le sue braccia un suo devoto ingiustamente condannato a forca, e fa che non iscorra il fatal laccio a strangolarlo. Invita ed accoglie in magnifico palazzo, e deliziosamente ristora due Religiosi dell’ordine di S. Francesco, smarritisi di notte in una selva. Dona una preziosa mirabile veste a san Bonito, vescovo di Alvernia. Ricucisce di propria mano il cilicio e dona un anello da sposo a S. Tomaso Cantuariense giovinetto. Imparadisa colla sua presenza e col suo canto Tomaso monaco Cisterciense. Sveglia il dormiente B. Ermanno premostratese, e lo libera dal pericolo di trovarsi poco meno che dissanguato per essergli sciolta la benda di un recentissimo salasso; altra volta colle sue mani gli rincassa nelle gengive due denti che s’erano sveltì nella sua bocca in una precipitosa caduta. Risaluta graziosamente Adamo di S. Vittore, si stringe al petto s. Bernardo, s. Domenico, s. Roberto vescovo Carnotese, e il Beato Alano della Rupe. Libera per sempre da una desolantissima tentazione s. Francesco di Sales. Conversa tutta una notte con s. Filippo Neri, e lo risana perfettamente mentre diffidavasi di sua guarigione. Ringrazia in persona il vescovo S. Brenone per avere .celebrato con distinta pompa la festa della sua Natività: lo stesso fa pure col P. Gesuita Martin Guttierez per aver fatto difendere pubblicamente la preminenza dei di Lei meriti sopra quelli di tutti i Beati uniti insieme; e da una marmorea statua collocata all’ingresso dell’Aula dell’università di Parigi, innanzi alla quale si fa a pregarla il celeberrimo Scoto Giovanni Duns, china visibilmente la testa per assicurarlo della sua assistenza nella difesa che stava per fare della sua Immacolata Concezione davanti a più di 200 Teologi. – Ne fu mai meno ammirabile la sua misericordia verso i peccatori, di quello sia stata magnifica la sua liberalità verso i proprii devoti. Chi non sa come questa Madre ed Avvocata dei peccatori liberò quell’arcidiacono e maggiordomo di Adama, città di Cilicia, nominato Teofilo, il quale per essersi veduto falsamente accusato, vinto dall’impazienza, ed accecato dal dolore rinnegò Cristo e la benedetta sua Madre, e si diede tutto in preda al Demonio con cedola scritta e sottoscritta di sua propria mano, la qual cedola gli fu poi da Maria medesima retrocessa, appena a Lei si rivolse pentito, e finì ad ottenere ampio perdono del proprio fallo, e morì da santo? Che dirò poi d i Maria la penitente, detta Egiziaca, la quale, essendo stata dapprima per molti anni un vero vaso d’abominazione e di scandalo, appena prostrata innanzi a un’immagine dipinta presso la porta di S. Croce in Gerusalemme, si raccomandò alla Vergine delle Vergini, e le promise intera e costante emendazione di vita, si sentì cambiata in tutt’altra, divenne uno specchio di santità, un prodigio di penitenza, vivendo per ben 47 anni solitaria in un deserto al di là del Giordano, dove non vide mai faccia d’uomo, né fu da altri visitata che dall’abbate Zosimo, che per celeste inspirazione andò ad amministrarle l’Eucaristia poco prima della sua morte! Né degna di minor meraviglia è la grazia che fu concessa ad una donna alemanna la quale nell’anno 1094 presso la città di Landau, essendo stata, come rea d’omicidio condannata al fuoco, mentr’era condotta al supplizio, invocò con gran fervore l’aiuto della Beatissima Vergine, e lo ottenne così compiutamente che, gettata due volte nel fuoco, non bruciò nemmeno un filo della sua veste, per cui, come protetta visibilmente dal cielo, fu pienamente lasciata libera. Ma chi potrebbe contare tutti i prodigi di cui Maria fu liberale verso quanti si fecero ad invocarla? Ah troppa ragione ebbe S. Bernardo di esclamare: Lasci per sempre di invocare Maria chi può asserire con verità di averla una sola volta invocata senza

CONSACRAZIONE A MARIA.

Protesto, o Vergine SS., Madre di Dio, Maria, avanti la SS. Trinità e a tutta la Corte celeste, di tenere Voi sola dopo Cristo per mia particolare Signora, avvocata e Madre; e per tale vi eleggo oggi e per sempre; e interamente a voi mi offerisco in vostro servo perpetuo. — Vi stimo, vi riverisco come vera Madre di Dio, e credo fermamente tutto quello che di Voi crede la Santa Madre Chiesa. Spero per vostro mezzo di salvarmi, mediante un vero dolore dei miei peccati, una sincera emendazione dei miei difetti, ed una fedele perseveranza nel vostro santo servizio; e di tutto vi supplico umilmente ad impetrarmi la grazia dal vostro santissimo Figliuolo. Vi amo dopo il vostro Figliuolo sopra tutte le cose; e vorrei, o amabile Signora mia, che tutti vi amassero e vi onorassero quanto meritate. Piango e maledico quel tempo in cui non vi ho amato: e desidero di amarvi con quell’ardore con cui vi amano e vi hanno amato le anime più fervorose. — Mi rallegro della vostra grandezza, o Madre del divin Figlio, o Figlia del divin Padre, o Sposa dello Spirito Santo, o Regina degli Angeli, o Imperatrice dell’universo; me ne compiaccio infinitamente più ancora che se fosse mia propria, e ringrazio infinitamente tutta la SS. Trinità che a tanto onore vi ha esaltata. — Madre mia amorosissima, io Vi ringrazio infinitamente per gli innumerevoli benefici che avete fatto a me, il più sconoscente tra i vostri servi, il più indegno tra i peccatori, o inventrice ed arbitra della grazia, benedetta fra tutte le donne, o Madre della misericordia, allegrezza delcielo, consolazione della terra, terrore dell’inferno, sempre Immacolata e sempre Vergin, prima del parto, e dopo il parto, Madre del bell’amore, Maria, io ripongo in Voi tutta la mia confidenza, e prometto di volervi sempre onorare a tutto potere fino alla morte, O sostegno dei vivi, conforto degl’infermi, speranza dei moribondi, luce dei ciechi, fortezza dei deboli, o rifugio dei peccatori, io vi supplico umilmente ad impetrarmi dal vostro divin Figlio tutte le grazie che vedete a me necessarie, e specialmente una plenaria remissione de’ miei peccati, un total distacco dal mondo e da me stesso, una continua imitazione delle vostre virtù, la stabilità nell’amore di Gesù Cristo, e la perseveranza finale. Così spero. Così sia.

INDULGENZE PER IL MESE DI MARIA

Con rescritto della S. C. Delle Indulgenze, 18 giugno 1822, a tutti i fedeli che in pubblico o in privato onoreranno con particolari ossequi, orazioni ed atti devoti la SS. Vergine in tutto il mese di Maggio, Pio VII concesse 300 giorni di Indulgenza ogni giorno, e la Plen. una volta al mese, nel giorno in cui, ricevuti i SS. Sacramenti, pregheranno secondo la mente del sommo Pontefice [l’attuale Gregorio XVIII –ndr.-]. Tale Indulgenza per concessione di Pio IX, 8 Agosto 1859, può lucrarsi anche nel 1° di Giugno.

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XLI-XLIV]

XLI.

NON BISOGNA ESSER BIGOTTO.

R. Eh! senza, dubbio, non bisogna esser bigotto! Chi vi parla di ciò? Il bigottismo non è la religione, esso ne è l’abuso. I difetti delle persone, che in tal modo abusano della religione, ordinariamente per ignoranza, non devonsi ad essa imputare. Si abusa di lei come si abusa di tutte le cose buone. Bisogna rigettare l’abuso, e conservare l’uso. Bisogna essere devoto: non bisogna esser bigotto. Dio ama l’uno, e non ama l’altro. Egli vuol vedere nel nostro cuore la devozione, cioè la prontezza al suo servizio, prontezza per i doveri che impone, e per l’amore alla sua legge; ma non vuol vedere il bigottismo,cioè queste smanie, queste abitudini meschine o superstiziose della Religione, che spesso sostituiscono al principale l’accessorio, e prendono i mezzi pel fine. Tuttavia, convien dirlo, che questi abusi della religione non sono né cosi grandi, né così odiosi come si vuol pretendere. – Ordinariamente non fan male a nessuno e non nuocono che a quelli che li commettono. Quei che vi cadono sono persone (donne per lo più; gli uomini sono meno portati a questi difetti) poco illuminate,che si stancano che s’impacciano in pratiche esteriori buone in sé ma troppo moltiplicate; che hanno modi singolari d’agire; che si angustiano la coscienza col timore di operar male: che s’accendono per un zelo mal inteso quando sarebbe meglio tacere ecc. Ecco che cosa è il bigottismo. È un difetto; ma piaccia a Dio che giammai vi sia altro abuso sulla terra! Quelli che declamano contro il bigottismo, quei che s’indignano per queste ridicolezze, mi rammemorano quel tale che condannato ai lavori forzati perpetui per un orribile assassinio, si sdegnava perché gli si era dato alla galera per compagno di catena… un Son ben più da condannarsi di quelli che essi riprendono. – Il loro libertinaggio, la loro condotta, la loro dimenticanza dei più sacri doveri, la loro ignoranza religiosa, ì loro discorsi impudichi, i loro esempi, ecc. ecc., tutte queste cose non sono esse abusi?E sovente non sono anche delitti? – La loro intera vita è un abuso; e l’abuso della devozione è il solo, io credo, di cui non sono colpevoli. Non sarebbe meglio, domando, che avessero questo solo e non gli altri? Non siate dunque bigotto, ma cristiano e buon cristiano. Amate Dio, serviteLo fedelmente, osservate tutti i suoi comandamenti, adempite per piacere a Dio tutti i vostri doveri, e siate docile agli insegnamenti dei ministri di Gesù Cristo.

XLIl.

LA VITA CRISTIANA È TROPPO FASTIDIOSA, È TROPPO TRISTE PRIVARSI DI TUTTO, AVER PAURA DI TUTTO: CHE VITA!

R. Eh! là là! piano piano, mio buon amico! non vi spaventale così presto! Non vi obbliga a temere tutto ed a privarvi di tutto. » Voi vi esagerate le cose; se la legge dell’evangelio è un giogo, nostro Signor Gesù Cristo che ce lo impose, ci dichiara Egli stesso a che questo giogo è dolce, che questo peso è leggero. » Conoscete senza dubbio dei buoni cristiani. Hanno essi forse l’aspetto sì triste, sì spiacevole, sì sgraziato? Tutti quelli che conosco, hanno al contrario un non so che dì piacevole, d’onesto, di gaio, sul volto; solo il vederli anima al bene. Io non nego che sia d’uopo per essere un vero cristiano, vegliare sopra se stesso ed evitare certi piaceri illeciti e dannosi. Io non nego che la lotta della volontà contro le passioni, non sia qualche volta difficilissima. Ma trovatemi uno stato di vita senza lotta e senza sacrifici! Per apprendere il vostro stato, per guadagnarvi la vita non è forse d’uopo che vi affatichiate e molto? Anche per divertirsi bisogna ordinariamente imporsi qualche sacrificio…. E si vorrebbe che la più grande, la più importante, la sola necessaria tra tutte le cose, che è l’opera della salute eterna, non costasse niente! Ciò è impossibile. Il mondo vede i Cristiani pregare, fare penitenza, imporsi dei sacrifici, dare ciò che hanno ai poveri, soffocare le loro passioni, privarsi dei piaceri del senso, e fare tali e tali altre cose che gli fanno parere questa vita sgradevole e rigorosa. – Ma ciò non n’è che la corteccia. Penetrate nell’interno, e vedrete il cuore giulivo e magnanimo che rende, facili anzi gradevoli questi sacrifici in apparenza sì penosi. – Un buon figlio che si priva di qualche cosa per sua madre, non è egli contento delle privazioni che si impone? La pietà cristiana cambia in dolce ciò che è amaro nella pratica del dovere, come le api che cambiano in miele il sugo amarissimo ch’esse raccolgono sul fiore del timo. Gustate e Bisogna provarle queste cose; le parole non le possono far comprendere a chi non ne ha l’esperienza. A tal fine forse voi non avete che a portare il pensiero ai giorni della vostra infanzia. Son pochi gli uomini, che non abbiano gustato questa pura contentezza dell’amore di Dio al grande e solenne momento della loro prima Comunione… Voi allora eravate felice!… Perché? Perché eravate puro, casto, dato al bene, in una parola perché eravate Cristiano. Ritornate a questo stato e ancora sarete felice. Il Dio della vostra infanzia non ha cambiato… come voi, eh! Egli vi ama sempre, ed aspetta il ritorno del suo figliuolo prodigo. Non abbiate paura di Lui; è desso l’amabile Salvatore, è il rifugio dei peccatori pentiti: Giammai, Ei disse, giammai Io rigetterò colui che viene a me! Addossatevi questo giogo dolce e leggero della vita cristiana, e troverete il riposo, la pace del cuore, la vera gioia in questo mondo, e dopo morte l’eterna felicità del cielo.

XLIII

BISOGNA LASCIAR PASSARE LA GIOVENTÙ

R. A far che? Sciocchezze? a ber vino? a perder l’anima, l’onore, la sanità, il denaro con libertini? a far ciò, che Dio proibisce di fare? Ecco al certo una ben strana morale! E non so da qual parte del vangelo, od anche dal buon senso sia stata dedotta! Si, bisogna lasciar passare la gioventù; ma è necessario che passi come tutta la vita nella pratica del bene, nella fuga del male, nell’adempimento del dovere. La sola differenza tra la gioventù e la vecchiezza consiste in ciò, che la gioventù ha più di vivacità e di forza, e che perciò deve fare il bene, con più zelo, più ardore, più prontezza. Sì, bisogna che la gioventù passi in guisa da essere onorevole avanti Dio e avanti gli uomini; per essere il preludio d una vecchiaia rispettabile e benedetta da Dio: per preparare di lontano in messe, che l’anima raccoglierà al giorno della sua partenza sulle soglie dell’eternità. Non vi ha nulla al mondo, che più rapisca, che una gioventù santa e pura. Non vi ha nulla di più bello, di più commovente, di più amabile d’un giovane casto, modesto, laborioso, fedele a’ suoi doveri! Oh! se la gioventù cristiana conoscesse ciò che essa è!… per nulla al mondo vorrebbe perdere la sua gloria! Perduta una volta non può più ritornare. Il pentimento ha le sue dolcezze, ma non è più l’innocenza! Oh se conoscesse la gioventù, se potesse la vecchiaia!

XLIV.

PIÙ TARDI PRATICHERÒ LA RELIGIONE, QUANDO NON AVRÒ PIÙ TANTI AFFARI. MI CONFESSERÒ PIÙ TARDI.  ALLA MORTE. CERTAMENTE NON MORRÒ SENZA SACRAMENTI.

R. Più tardi? — Certamente?

Sì, se v’ha un più tardi per voi, e se voi n’avete i mezzi al punto della morte, ciò che certamente è in dubbio. Quanti han detto come voi: « Domani, più tardi » per cui non vi ebbe più, che il giudizio e l’eternità!… Quanti han trascurato di confessarsi, quando facilmente il potevano, e non lo poterono fare quando l’avrebbero desiderato! Voi vi confesserete alla morte? Ma se Dio mette la morte avanti la confessione? « Oh! rispondete voi, .egli è misericordioso. » — Sì: e perciò Egli oggi vi offre un perdono, che non meritate. Ma Colui che ha promesso il perdono al peccatore penitente non gli ha promesso il domani. Ben all’opposto lo ha avvertito di tenersi sempre sulla vedetta perché la morte sarà mandata all’improvviso… Ascoltate il maestro ed il giudice: « A tutti il dico, vegliate! — State preparati, perché il Figliuol dell’uomo verrà in quell’ora che non pensate… Sì, il Signore verrà in un giorno, in cui non l’aspetterete, e nel momento, che ignorate; e rigetterà il servo infedele… Si è allora che vi sarà pianto e stridor di denti… » (s. Matt. c. XXIV). Qual follia metter a rischio l’eternità con un forse! Un giovane aveva abbandonato per trascuranza i suoi doveri religiosi. Tuttavia conservava la fede, e ragionava come voi: io mi confesserò più tardi; ad ogni costo non vorrò morire senza sacramenti. Egli cade gravemente ammalato. Sua madre gli parla dell’anima sua, di un prete, di confessione… Esita, e differisce. Il male peggiora. Finalmente si decide. Si corre a cercare il prete; era di notte. Era stato chiamato presso un altro malato… si passa qualche tempo nel cercarlo; finalmente si trova. Accorre in tutta fretta… Era troppo tardi!… Una crisi aveva tolto di vita l’infelice; moriva in un’orribile disperazione! Gli esempi di morti improvvise totalmente Impreviste, sono quotidiani. Egli è poco tempo (1849) un operaio padre di famiglia, e membro della società di mutua assistenza di s. Francesco Saverio, cadde dall’altezza di alcuni piedi sopra il lastrico della via de Vaugirard, a Parisi. Restò sul colpo. Non poté neanche mandare un grido!— Egli aveva capito l’avvertimento del Vangelo…si confessava e si comunicava ogni otto giorni. Se vi accadesse lo stesso in questo giorno, sareste voi pronto, come egli, ad entrare nella vostra eternità? Più recentemente ancora un uomo passava nella via di… vacilla e cade. Vien tosto circondato e portato in una vicina bottega. Si chiama un medico; egli esamina e dichiara che la morte era stata istantanea, anche avanti che l’infelice fosse interamente caduto a terra. Costui non era punto apparecchiato!… Dopo ciò, contate sul domani per salvarvi! Dopo ciò, parlatemi di più tardi! dopo ciò dormite tranquillo con questo pensiero: Io mi confesserò certamente alla morte! – Un fattorino aveva fatto da qualche mese la sua prima Comunione. Aveva preso una sola risoluzione, ma l’aveva presa seriamente: « Se vengo a cadere in un peccato mortale, andrò a confessarmi, avanti dì coricarmi, lo stesso giorno. » Questa disgrazia gli accadde. Era un sabbato; faceva tempo cattivo. Il prete stava lungi. Dice tosto fra sé: « Andrò a confessarmi fra alcuni giorni, ma la sua promessa gli passava per la memoria ed un non so che gli diceva: Fa ciò che hai pròmesso: vatti a confessare. Egli esitava. In questo combattimento interiore si mette a ginocchi, e dice un’Ave Maria per ottenere la grazia di conoscere la volontà di Dio…. La preghiera è la salute dell’anima… Si alza, e si mette in cammino. Al suo ritorno, incontra una signora, che gli domanda d’onde viene; colla gioia sul viso glielo racconta e le dice, che va a dormir in pace avendo ricuperata l’amicizia di Dio. Sua madre aveva l’usanza di lasciarlo in letto un poco più di tempo alla domenica che agli altri giorni. Secondo la sua usanza dunque essa non lo sveglia che a sette ore, picchiando alla porta della sua cameretta, e chiamandolo. Un quarto d’ora dopo Paolo dormiva ancora. La madre lo chiama di nuovo, e resa impaziente per non aver risposta, entra nella camera: «Su, pigro! sono ornai le sette e mezzo, non hai tu vergogna!… » Si avvicina al suo ragazzo, che non si moveva… gli prende la mano, la trova agghiacciata… Spaventata sta attonita . . . e mandando un grido spaventevole, cade a terra svenuta… Il fanciullo era morto, ed i1 suo cadavere già freddo!! Felice di non essersi rimesso al più tardi! di non essersi rimesso solo al dimani!! Voi che leggete questo libro, possiate essere altrettanto savio e fare lo stesso.

CONCLUSIONE

Mio caro lettore, forse voi udirete nel mondo, nelle officine, nei giornali sollevare altre difficoltà contro la religione. Noi qui non abbiamo notato che le più popolari. Quali esse siano, io vi do parola, che non sono che sofismi, cioè ragionamenti che hanno l’apparenza del vero, ma che peccano per qualche punto.— Contro la verità non si può aver ragione. – Se alcuna di queste obbiezioni vi colpisce, credetemi, andate a trovar qualche buon prete (grazie a Dio, fra noi non ne mancano); e state certo anzi tutto, che benevolmente vi accoglierà. Esponetegli francamente la vostra difficoltà; egli ve ne farà conoscere la soluzione. – Cercate d’istruirvi nella religione: più si conosce, più si ama, e più si ama, più si pratica. Molti l’attaccano, perché non la conoscono. Essi se la figurano lutt’altro da quello che è, ed hanno da ciò bel giuoco per burlarsene. Io auguro, che i miei discorsi con voi siano utili alla vostr’anima. —Rileggete, e meditate i punti, che vi fanno ancora difficoltà. Se gli argomenti che vi do, vi sembrano insufficienti, siate ben persuaso, che la colpa è solamente mia, non già della santa causa della verità, che ho voluto difendere. La necessità d’esser brevissimo nelle mie risposte e il povero mio ingegno, sono le sole cause della debolezza della difesa. Potessi io tuttavia esservi riuscito! Potessi aver aumentato nel vostro cuore il rispetto per la fede, l’amore per la virtù, lo zelo per la vostra salute; questa è tutta la mia pretensione in questa operetta! . . . Avrei faticato per la vostra felicità ed il mio libro sarebbe una buona azione. Prego Iddio di benedirlo, di benedir voi e di benedir me stesso. E con ciò vi lascio, mio caro lettore: a rivederci, come spero, in paradiso! G. S.

S. GREGORIO NAZIANZENO E GIULIANO L’APOSTATA

GIULIANO L’APOSTATA E GREGORIO NAZIANZENO

[J. –J. Gaume: il “Catechismo di perseveranza”: vol III, Torino 1881]

Giuliano, nipote del gran Costantino, era pervenuto all’Impero nel 355. Sedotto da filosofi pagani, e trascinato dalle sue proprie passioni, quel principe abiurò pubblicamente alla Religione, e si accinse a risuscitare l’idolatria, accendendo una persecuzione sorda e perfida contro i Cristiani. Saccheggiò le Chiese, revocò tutti i privilegi loro, soppresse le pensioni concesse da Costantino pel mantenimento de’ chierici, delle vedove e degli orfani, e proibì ai Cristiani di chiamare in giudizio e di esercitare gl’impieghi pubblici. Nè ciò bastandogli, vietò che essi insegnassero le belle lettere, ben conoscendo i vantaggi ch’essi traevano dai libri profani, per combattere il Paganesimo e l’irreligione. Quantunque affettasse in ogni circostanza un sommo disprezzo per i Cristiani, ch’ei chiamava galilei, ei però conosceva il vantaggio, che loro procacciava la purità dei costumi e lo splendore delle virtù, e non cessava di proporne l’esempio ai sacerdoti pagani. Fu questa l’indole della persecuzione di Giuliano; cioè la dolcezza apparente e la derisione del Vangelo. Quando però conobbe che tornavano inutili tutti gli altri mezzi, allora trascorse alle violenze, e sotto il suo regno gran numero di Martiri contrassegnarono la fede col proprio sangue. L’empio principe vedendo che tal guerra non aveva che un lento risultato, deliberò di abbattere il Cristianesimo con un colpo solo. A tal effetto si accinse a dare una mentita formale a Nostro Signore medesimo, volendo cosi convincerlo d’impostura, e abbandonare l’opera sua allo scherno di tutti i secoli. Ma vedremo quali sieno i consigli degli uomini, quando si volgono contro il Signore! – Il principale divisamento di Giuliano era di convincere di falsità le Profezie, tanto quella di Daniele, che predice la distruzione di Gerusalemme come irreparabile, quanto quella del Salvatore, che assicura espressamente che non vi rimarrebbe pietra sopra pietra, epperò intraprese a rialzare quell’edificio. Egli scrisse a tutti i Giudei una epistola lusinghiera, promettendo loro di aiutarli a tutto suo potere per far risorgere dalle sue rovine il tempio, ove per tanto tempo avevano adorato il Dio degli avi loro. A tal nuova accorrono i Giudei da Gerusalemme; con somma premura accumulano considerevoli somme; le donne giudee offrono le gioie e gli amuleti per contribuire alle spese dell’impresa; i tesori dell’Imperatore somministrano immense somme. L’Imperatore medesimo spedisce abili architetti dalle diverse provincie dell’Impero, affida la soprintendenza dei lavori ad Alipio suo amico intimo che invia sul posto per sollecitarne l’esecuzione. Tutto essendo per tal modo disposto, viene preparata una gran quantità prodigiosa di materiali, si lavora notte e giorno con un ardore incredibile a ripulire l’area dell’antico tempio e a demolire quanto rimaneva dei fondamenti. Alcuni Giudei avevano preparato per questo lavoro delle zappe e delle ceste d’argento. Le donne più delicate mettevano mano al lavoro, e trasportavano i scarichi nelle loro vesti più ricche. – Intanto, finita la demolizione si stava per gettare i nuovi fondamenti; ma Dio aspettava i propri nemici a quel punto. Ascoltiamo un autore, la cui testimonianza non ci può esser sospetta; è questo Ammiano Marcellino, pagano di religione, e che ha fatto di Giuliano l’eroe della sua storia. – « Mentre che il conte Alipio, assistito dal Governatore della provincia, sollecitava i lavori, spaventevoli globi di fiamme si slanciarono dai fondameti, arsero gli operai e resero loro inaccessibili i luoghi. Più volte gli operai si provarono a ripigliare il lavoro, ma persistendo sempre quell’elemento con una specie di ostinazione a respingerli, furono questi obbligati a tralasciare l’impresa »(lib. XXIII, c. 1). – Ecco in qual maniera si esprime uno storico che adorava gl’idoli del Paganesimo, e che era ammiratore di Giuliano. Chi ha potuto strappargli dalla penna una tale confessione, se non la verità? – S. Gregorio di Nazianzo, autore contemporaneo, aggiunge che cadde la folgore; che si videro croci di un colore nericcio scolpite sugli abiti di coloro che erano presenti; che molti, inseguiti dalle fiamme, vollero salvarsi in una chiesa vicina, ma un fuoco improvviso li raggiunse, consumò alcuni, mutilò altri, lasciando a tutti i segni i più visibili della formidabile potenza di Dio, ch’essi erano venuti ad insultare. Nonostante si ostinarono a intraprendere l’opera; ma quelle eruzioni di fuoco ricominciarono ogni qual volta vollero rinnovare i lavori, e non cessarono se non quando furono tralasciati del tutto. « È questo, egli dice, un fatto notorio, e da tutti riconosciuto » (Orat. IV, adv. Jul.). – Cosi, se rimaneva qualche pietra da togliere dai vecchi fondamenti del tempio, tutto quell’affaccendarsi riuscì a dare alle parole del Salvatore il loro compimento letterale. Giuliano voleva essere onnipotente, ma quando si trattò di riporre una sola pietra in quei fondamenti maledetti per sempre, ei vide venir meno tutta la sua potenza e tutto l’odio suo. È dunque vero che tutti gli attacchi diretti contro la Chiesa si volgono a sua gloria e trionfo! È questa un’osservazione che giova fare una volta per sempre. – Giuliano al colmo dell’ira giurò, a malgrado della propria disfatta, di spegnere il Cristianesimo, ma prima volle porre fine alla guerra contro i Persiani. Fece immensi preparativi, e innumerabili sacrifici, e sul partire giurò nuovamente di annichilare a tempo opportuno la Chiesa; ma Dio ebbe ancor modo a salvarla dall’arrogante e insensata minaccia. Questo principe essendosi impegnato all’avanguardia senza corazza, fu pericolosamente ferito. Mentre egli alzava la mano per incoraggiare le sue milizie gridando: « Tutto per noi »; fu ferito a morte da una freccia. Allora ei prese colla mano il sangue che scorreva dalla sua ferita, e scagliandolo verso il Cielo esclamò: « Finalmente tu hai vinto, o Galileo ». Fu questo l’ultimo grido del Paganesimo agonizzante. La notte dippoi, cioè il 26 giugno 363, Giuliano morì in età di trentadue anni, principe in tutto degno di avere per apologista un Voltaire ». – Questa morte funesta era stata predetta da un Santo che viveva a quei tempi. Un Pagano avendolo incontrato gli chiese beffandolo: che cosa fa in adesso il Galileo? – A cui il Santo rispose tosto: Sta preparando un feretro. – Egualmente noi pure, allorché, nei giorni del pericolo, vediamo la Chiesa combattuta, incatenata, spogliata, dileggiata ed udiamo richiederci fra le risa degl’empi: Che cosa fa il Galileo? Dobbiamo fidentissimi rispondere: “Prepara dei feretri.” Sì, egli apre sepolcri in cui devono cadere i suoi nemici; nei quali hanno da imputridire come in passato tutti gli avversari del regno del Cristo: Imperatori, filosofi, popoli interi. Giuliano non solo combatté la Religione con la spada, ma con la penna eziandio. Ma la Provvidenza suscitò de’ vigorosi antagonisti al coronato sofista. – Uno tra i primi a far mostra di sè è San Gregorio di Nazianzo. Questo dottore della Chiesa, sopracchiamato il Teologo, per la cognizione profonda ch’egli aveva della Religione, nacque nel territorio di Nazianzo, piccola città di Cappadocia in vicinanza di Cesarea. Gregorio suo padre era pagano, ma fu convertito per le preghiere di Santa Nonna sua moglie. Quella virtuosa donna dedicò al Signore suo figlio Gregorio fino dalla sua nascita. Ei corrispose ben presto alle premure, che i suoi genitori si presero di formarlo alla virtù. Dopo i suoi primi studi, fu mandato ad Atene, affinché profittasse delle lezioni de’ celebri uomini, di cui quella città era il soggiorno; colà si unì in stretta amicizia con San Basilio, che al pari di lui vi si era recato per terminarvi i suoi studi. Io vi citerò, ad esempio, e tutti i Cristiani citeranno per sempre, quei due grandi uomini come i perfetti modelli d’un’amicizia del pari tenera che santa. Essi erano inseparabili: solleciti di evitare le compagnie scandalose, non frequentavano che que’ loro condiscepoli, ne’ quali l’amore dello studio andava unito alla pratica delle virtù. Non mai furon visti assistere a spettacoli profani; non conoscevano nella città che due strade, quella che conduceva alla Chiesa, e quella che conduceva alle pubbliche scuole. Menavano una vita molto austera, e non adopravano del denaro inviato loro dalla famiglia, che il puro necessario per i bisogni indispensabili della natura, distribuendo ai poveri il resto. Gregorio tornò a Nazianzo, preceduto da una brillante reputazione, e suo primo pensiero fu di ricevere il Battesimo. Da quel momento, morto al mondo e a tutte le sue lusinghe, ei non conobbe altro zelo che quello per la gloria di Dio. Onde appagare il desiderio ch’ei nutriva della propria perfezione, ruppe ogni commercio col mondo, e andò a ritrovare San Basilio che viveva in solitudine. Le veglie, i digiuni e preghiere formavano le delizie di quei due grandi uomini; univano al lavoro delle mani il canto dei Salmi, e lo studio della sacra Scrittura. Nella spiegazione degli oracoli divini essi seguivano non già i propri lumi, nè il proprio particolare intendimento, ma le dottrine degli antichi padri e de’ dottori della Chiesa. Verso questo tempo Gregorio scrisse il suo celebre discorso contro Giuliano; in esso egli parla con quella energia che praticavano i Profeti, quando per ordine di Dio essi rimproveravano i delitti dei re e degli empi. Era suo unico scopo difendere la Chiesa contro i Pagani, smascherando l’ingiustizia, l’empietà e l’ipocrisia del suo più pericoloso persecutore. Dio non permise che quella splendida luce restasse più lungo tempo nascosta. La Chiesa di Costantinopoli gemeva da quarant’anni sotto la tirannia degli Ariani; i pochi Cattolici che ancora vi restavano erano privi di pastori e perfino di chies; si diressero a Gregorio, del quale conoscevano la dottrina, l’eloquenza e la devozione, e lo supplicarono caldamente di accorrere in loro aiuto. Molti Vescovi si unirono ad essi, onde ottenere più facilmente che fossero udite le loro preghiere, e dopo molta resistenza Gregorio dovrà arrendersi. – Non mi farò qui carico di narrare quanto ebb’egli a soffrire per parte degli eretici, mentre stette sulla sedia di Costantinopoli; basti dire che il Santo non oppose a tanti oltraggi che la preghiera e la pazienza. Le sue virtù e i suoi talenti traevano presso di lui un gran numero di persone. San Girolamo stesso abbandonò i deserti della Siria per recarsi a Costantinopoli. Ei si pose tra i discepoli di Gregorio, studiò sotto di lui la Scrittura, e si fece gloria per tutta la vita di avere avuto un tal precettore. – Intanto le turbolenze crebbero nella Chiesa di Costantinopoli, e fu adunato un Concilio per porvi un termine. Il santo Patriarca mostrò in tale occasione una grandezza d’animo superiore ad ogni elogio. Vedendo che vi era molto fermento negli animi, ei si alzò e disse all’assemblea: Se la mia elezione è quella che cagiona tanti torbidi, io mi sottopongo a subire la sorte di Giona; gettatemi in mare per calmare la tempesta che non ho suscitata. Io non ho mai desiderato di essere Vescovo; e se lo sono, ciò è mio malgrado; se vi sembra espediente che io mi ritiri, io son pronto a tornare alla mia solitudine, affinché la Chiesa di Dio possa finalmente ridivenire tranquilla. Vi prego soltanto di unire i vostri sforzi, affinché la sedia di Costantinopoli sia occupata da un personaggio virtuoso, che abbia zelo per la difesa della fede » (Carm. I). – Dopo avere così dato la sua dimissione, il Santo usci dall’assemblea e. si recò al palazzo; colà si gettò a’ piedi dell’imperatore Teodosio, e avendogli baciato la mano, « vengo, gli disse, o signore, non col divisamento di chiedere ricchezze ed onori per me o per i miei amici, né per sollecitare la vostra liberalità a pro delle Chiese, ma vengo a chiedere il permesso di ritirarmi. La maestà vostra non ignora che contro il voler mio fui collocato nella sedia di questa città, ch’io son divenuto odioso perfino a’ miei amici, perché io miro soltanto agl’interessi del Cielo; vi scongiuro a far sì che la mia dimissione sia gradita. Aggiungete alla gloria dei vostri trionfi quella di ristabilire nella Chiesa la pace e la concordia ». – L’Imperatore fu stranamente sorpreso di una tal grandezza d’animo, e non senza molta pena concesse al santo Vescovo ciò che ei domandava con tanto ardore. Gregorio si congedò con uno stupendo discorso, che pronunziò nella Cattedrale di Costantinopoli in presenza dei Padri del Concilio e d’una moltitudine immensa di popolo. Ei lo terminò prendendo commiato dalla sua diletta metropolitana, dalle altre chiese della città, dai Santi Apostoli che vi erano onorati, dalla cattedra episcopale, dal suo clero, dai monaci, da tutti i servi del Signore, dall’Imperatore e da tutta la corte d’Oriente e d’Occidente, dagli Angeli tutelari della sua Chiesa e dalla Santa Trinità che vi si venerava. « Figli miei, soggiunse, custodite il deposito della fede, e rammentatevi delle pietre che mi sono state scagliate, perché io mi affaticava a porre ne’ vostri cuori la vera dottrina ». I fedeli inconsolabili lo seguirono piangendo e pregandolo a rimanere con essi; ma dei motivi superiori lo costrinsero ad effettuare il suo proposito. Egli si ritirò nella solitudine d’Arianza, ove consumò il rimanente de’suoi giorni, poiché era allora ben vecchio ed infermo. Vi era nella solitudine un giardino, una fontana e un boschetto che gli facevano gustare i piaceri innocenti della campagna. Colà egli esercitava ogni specie di mortificazione corporale; spesso digiunava e vegliava, pregava molto in ginocchio, non adoprava mai fuoco, non si calzava, di una semplice tunica si vestiva, si coricava sulla paglia, e non aveva per coprirsi che un sacco. – In mezzo alle rigorose sue austerità quel grand’uomo compose dei poemi, per confutare gli eretici Apollinaristi. Tali furono le sue occupazioni fino alla beata sua morte, che avvenne nel 389. – Le opere di San Gregorio si compongono: 1° Discorsi in numero di cinquanta. Alcuni di quei discorsi trattano della fede e di diversi punti della morale cristiana; la maggior parte hanno per oggetto di difendere la dottrina della Chiesa contro gli assalti degli eretici, altri sono panegirici pronunziati in onore di diversi Martiri nel giorno della loro festa: ei dettò anche l’elogio di San Basilio suo illustre amico; 2° Lettere, in numero di 257. La maggior parte sono interessantissime, e ci fanno conoscere per minuto il carattere di quel grand’uomo; 3° Poemi e poesie amene in grandissimo numero. Secondo alcuni autori, San Gregorio è il primo tra gli oratori sacri e profani. Questo Padre concepì sempre le cose nobilmente, e le espresse con una delicatezza e una eleganza inimitabili. Vivo, caloroso, fiorito, maestoso, il suo stile contiene una serie di bellezze che non si potrebbero comunicare ad un’altra lingua. I suoi versi, degni dei suoi discorsi, meriterebbero ben più che quei di Virgilio, d’Omero o d’Orazio, d’essere i libri classici delle nostre scuole.

#    #    #

Gregorio Nazianzeno, un altro Gregorio [come il nostro Santo Padre Gregorio XVIII] che ha sofferto per la Chiesa difesa strenuamente contro i nemici di Cristo. Anche oggi, alla nostra Chiesa Cattolica eclissata, molto beffardi chiedono: “… ma che fa il vostro Signore “il Galileo”, sta a guardare o forse dorme, visto che gli apostati modernisti “giuliani” hanno usurpato ed invaso tutti gli spazi della Chiesa?”- Cosa possiamo noi rispondere se non con le parole del santo dei tempi di Giuliano: “Sta preparando un feretro”, anzi tantissimi feretri ove sprofondare i nuovi apostati, i traditori, gli usurpatori, i nemici di Dio e di tutti gli uomini, i marrani e quelli che hanno per padre il diavolo! Exsurgat Deus!

 

QUIS UT DEUS? 8 Maggio. Apparizione di S. Michele

QUIS UT DEUS?

APPARIZIONE DI S. MICHELE ARCANGELO

8 MAGGIO.

La Sacra Scrittura e la Tradizione ci fanno conoscere più apparizioni di S. Michele; e come una volta la Sinagoga dei Giudei, così ora la Chiesa di Dio onorò sempre S. Michele, quale suo custode e protettore. Onde dopo l’era delle persecuzioni sorsero ben presto in suo onore molte Chiese, sia in Oriente specie a Costantinopoli, come in Occidente, prima a Ravenna e poi a Roma. La solennità odierna venne istituita a ricordare l’apparizione di S. Michele sul monte Gargano, nella Capitanata, essendo Pontefice Gelasio I. – Narra la Tradizione, che essendo capitati su quel monte dei cacciatori, e vedendo un cervo di singolare bellezza, uno lasciò scoccare l’arco verso di lui, ma la freccia anziché colpire il cervo ritornò sul cacciatore. A tal vista spaventati tutti fuggirono, mentre l’accaduto veniva narrato al Vescovo della città; il quale credendolo cosa prodigiosa ordinò a tutto il suo popolo tre giorni di digiuno e di preghiere. Terminati i giorni di digiuno, tutto il popolo con a capo il Vescovo si recò processionalmente sul monte, ove il Vescovo vide e udì l’Arcangelo S. Michele dichiarare che quel luogo era stato posto in sua tutela. A questo favore tutti caddero in ginocchio, rendendo grazie a Dio per avere mandato S. Michele a prendere possesso di quel monte sul quale la pietà dei fedeli vi eresse un tempio, in cui ben presto si operarono tali prodigi da confermare la tradizione. Il monte Gargano divenne da quel giorno luogo di grandi pellegrinaggi, specie nei tempi di calamità, né mai vi salivano invano, poiché ogni volta per intercessione dell’Arcangelo S. Michele si manifestava la bontà divina, concedendo quanto si domandava. – Fatto luminoso è quello di S. Romualdo, il quale nell’anno 1002 impose all’imperatore Ottone III di salir sul monte Gargano a piedi nudi per incurvarsi a S. Michele ed espiare così il delitto di cui erasi reso colpevole permettendo fosse ucciso il senatore Crescenzio, cui aveva solennemente giurato la grazia di aver salva la vita. – Certo tutti gli spiriti celesti come ci insegna la Chiesa sono ministri di Dio, ma S. Michele ha potere grande presso l’Altissimo poiché ne difese la gloria coll’abbattere il superbo Lucifero. Memorabili sono le sue parole pronunciate prima di incominciare la lotta contro gli spiriti ribelli, parole di cui è formato il suo nome: « Michael?» « Quis ut Deus? Chi è come Dio?». Ricordiamoci che S. Michele, principe delle milizie celesti, con una moltitudine di Angeli, venne a noi mandato da Dio, il quale consegnò a loro le nostre anime affinché le conducano alla vita eterna.

RICORDO. — A fianco di ciascheduno fu posto un Angelo Custode: non offendiamone la presenza col peccato.

PREGHIERA. — Dio che con ammirabile ordine dispensi i ministeri degli Angeli e degli uomini, concedi propizio che la nostra vita in terra sia difesa da coloro che in cielo sempre ti servono ed assistono. Così sia

Preghiera a s. Michele Arcangelo.

O Gran Principe della milizia celeste, Voi che sempre state in difesa del popolo di Dio , già combatteste col Dragone, e lo scacciaste dal Cielo: a voi dico, efficacemente difendete la santa Chiesa, le porte dell’ inferno non possano prevalere contro di essa; assistetemi col vostro potente patrocinio in ogni cimento contro il demonio, e specialmente in quello che proverò nell’ ultimo dei miei giorni, ove temo per la mia debolezza di poter essere superato: vi prego dunque, o Principe fortissimo, a non abbandonarmi in quel punto, acciò possa costantemente resistere al nemico infernale, mediante la divina virtù: perché in tal modo trionfando di questo capitale nemico, possa poi lodare e benedire con voi, e con tutti gli Angioli la somma clemenza del mio Dio nel cielo.

Sancte Michael Archangele, defende nos in prælio, ut non pereamus in tremendo iudicio.

Inno a s. Michele (1).

[Per ottenere gli efficaci effetti del suo patrocinio sia in vita che in morte].

O gran virtù del Padre,

Del ciel vivo splendore,

Vita del nostro cuore.

Amato mio Gesù.

Noi ti lodiam per tutto

Fra gli Angioli purissimi,

Arcangeli santissimi,

Che pendono da te.

Folta coron di Duci,

Che mille e mille sono,

Combattono pel Trono

Del Padre, Spirto e Te.

Ma Vincitor fra tutti,

Col volto fiero e atroce,

Spiega Michel la Croce,

Gran segno d’umiltà

Di Satanasso il capo

Ei schiaccia velenoso,

E nel Tartaro ombroso

Per sempre il confinò.

Dalla celeste rocca

Lo fulmina, lo scaccia,

Senza voltar mai faccia.

Senza tremare il pie.

Contro il superbo Duce

Michel noi seguiremo,

Con lui combatteremo,

Forti senza timor.

Acciò dal Padre e Figlio

La gloria a noi ne vanga,

Lo spirto ci sostenga

Di santa e pura fé

Al Padre insiem col Figlio,

E a te Spirito santo,

Gloria si dia frattanto

Sempre ed in ogni età. Cosi sia.

Antifona. O principe gloriosissimo Michele Arcangelo, ricordati di noi; qui e dovunque prega sempre per noi il Figlio di Dio.

V.. Nel cospetto degli Angeli ti esalterò, mio Dio.

R.. Ti adorerà al tempio santo tuo, e confesserò il tuo Nome.

Orazione.

Dio, che con maraviglioso ordine distribuisci i misteri degli Angioli e degli uomini,

piacciati di fare che da questi ministri, che in Cielo ti fan corona, sia la vite nostra in terra soccorsa e fortificata.

 

(1) [Pio VII con rescrìtto perpetuo del 6 maggio 1817 concesse a tutt’i Fedeli 200 giorni d’Indulgenza per una volta al dì a chi lo reciterà e l’Indulgenza plenaria a quelli che giornalmente per un mese continuo lo diranno, in un giorno ad arbitrio, in cui confessati e comunicati, pregheranno secondo 1’intenzione del sommo Pontefice.]

NOVENA in onore di S. Michele Arcangelo

I . Grande esemplare di umiltà che fin dal principio compariste nel mondo, e Zelatore ardente della gloria di Dio, per quella sommissione perfetta da voi prestata all’infinita Maestà di Dio e per quello zelo con cui cacciaste dal Paradiso Lucifero a Dio ribelle; ottenetemi la vera umiltà di cuore, affinché, sottomettendomi perfettamente a Dio, ed alle creature tutte per amore di Lui, meriti da Dio medesimo quelle grazie che Egli ha promesso ai soli umili di cuore. Pater, Ave e Gloria.

II. Principe del Popolo di Dio, per quell’impegno, che mostraste sempre pei suoi vantaggi, e che vi fece pregare il Signore a far finalmente finire la schiavitù dello stesso popolo in Babilonia, e ne foste esaudito; ottenetemi voi da Dio il perdono dei miei peccati che mi fecero schiavo del demonio, ed impetratemi ancora la perfetta, costante e perseverante mutazione di vita, e la santità de’ costumi, affin di meritare insiem con voi la gloria promessa ai mondi di cuore. Pater, Ave e

III. Terror dei diavoli e di coloro che sono loro seguaci, per quello spavento che incuteste a Balaamo perché non maledicesse il popolo del Signore, e 1’obbligaste a benedirlo; difendetemi da tutte le insidie che mi terranno gli amatori del mondo, seguaci del diavolo, affinché possa io, scampato dai loro lacci, camminare sicuro per la via dell’eterna mia salata- Pater, Ave e Gloria.

IV. Modello ammirabile di ogni angelica virtù, che nell’opporvi al diavolo perché non fosse manifestato agli Ebrei il sepolcro di Mose per non farli idolatrare, non ardiste proferire contro di lui voce alcuna di bestemmia, ma lo vinceste con quelle ammirabili parole : Ti reprima il Signore; ottenetemi voi da Dio un santo Zelo contro dei peccatori, ed un vero amore verso il mio prossimo, senza mai offenderlo o fargli male né con fatti, né con parole, affin di meritare il premio promesso da Gesù Cristo a quelli che avranno avuto la vera carità verso del prossimo. Pater, Ave.e Gloria.

V. Difensore potentissimo delle anime contro le potestà delle tenebre, per quella difesa che prendeste del Sommo Sacerdote Giudaico, chiamato Gesù, contro le accuse del diavolo che lo voleva veder condannato, onde poi si vide risplendere di virtù, e governare coll’ assistenza degli Angeli il popolo di Dio; difendetemi voi dalle accuse che il demonio farà di me al Tribunale di Dio, specialmente nell’ora della mia morte, ed ottenetemi il perdono dei peccati miei, mediante una perfetta contrizione di cuore specialmente nell’ultimo punto di mia vita, affinché la mia morte sia la morte dei giusti nel bacio del Signore. Pater, Ave Gloria.

VI. Gloriosissimo Principe della Milizia Angelica, per l’aiuto che prestaste a quell’Angelo che comparve a Daniele, e ne appagò le brame; siate sempre voi in mio aiuto nel combattere il demonio, il mondo e la carne, sino alla morte, onde adempiendo i divini precetti, meriti la gloria, che voi godete fin dal principio del Mondo. Pater, Ave Gloria.

VII. Zelatore ardentissimo della salute degli uomini per esser voi costituito da Dio in Principe e Protettore delle anime elette nell’uscire di questa vita; voi assistetemi in vita, e molto più in morte, ottenendomi da Dio tutte quelle grazie che mi bisognano per vivere bene e ben morire, affin di essere da voi presentato a Cristo Giudice come cosa vostra, e meritare così la sentenza delle anime giuste. Pater, Ave e Gloria.

VIII. Arcangelo accettissimo al cuor di Dio, che siete da lui destinato in protettore delle anime giuste che trovansi in Purgatorio; colle vostre orazioni ottenete da Dio la liberazione sollecita di quelle anime sante da quelle atrocissime pene, e la sollecitudine stessa mostrate per me, se salvandomi, come spero per divina misericordia e per vostra intercessione, mi troverò ancor io nel numero di quelle anime che penano in quelle fiamme. Pater, Ave e Gloria.

IX. Principe gloriosissimo del Paradiso per la destinazione da Dio fatta di voi in Protettor della Chiesa di Gesù Cristo, come Io foste un’altra volta della Chiesa Giudaica, e ciò sino alla fine del mondo, quando venendo voi cogli Angeli vostri in aiuto di Enoc, e di Elia, e dei Ministri della Chiesa, combatterete e vincerete l’Anticristo, il Diavolo e gli Angeli suoi ribelli, che saranno da voi sommersi negli abissi infernali, deh voi proteggete sempre con fortezza la Chiesa “vera” di Gesù Cristo ed i suoi fedeli, ottenendo da Dio la conversione ai peccatori, l’aumento della grazia ai giusti, e a tutti la perseveranza finale. Pater, Ave e Gloria.

ANTIPHONA.

Princeps gloriosissime Michael Archangele, esto memor nostri, hic et ubique semper precare prò nobis filium Dei.

V.In cospectu Augelorum psallam tibi,Deus meus.

R. Adorabo ad templum sanctum tuum, et confitebor nomini tuo.

OREMUS.

Deus, qui miro ordine, Augelorum ministeria hominumque dispensas: concede propitius, ut a quibus tibi ministrantibus in coelo semper assistitur, ab his in terra vita nostra muniatur. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

[da: “Il giardino spirituale”;  Napoli 1903 – imprim.]

 

LA MADONNA DI POMPEI: Supplica e novena

Supplica alla Regina del SS. Rosario di Pompei

Da recitarsi a mezzogiorno l‘8 Maggio e nella prima Domenica di Ottobre.

 In nomine  Patris, et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

I. O augusta Regina delle Vittorie, o Vergine sovrana del paradiso, al cui nome potente si rallegrano i cieli e tremano per terrore gli abissi, o Regina gloriosa del Santissimo Rosario, noi tutti avventurati figli vostri che la bontà vostra ha prescelti in questo secolo ad innalzarvi un tempio in Pompei, qui prostrati ai vostri piedi, in questo giorno solennissimo della festa dei novelli vostri trionfi sulla terra degli idoli e dei demoni, effondiamo con lacrime gli affetti del nostro cuore, e con la confidenza di figli vi esponiamo le nostre miserie. – Deh! da questo trono di clemenza, ove sedete Regina, volgete, o Maria, lo sguardo vostro pietoso verso di noi, su tutte le nostre famiglie, sull’Italia, sull’Europa, su tutta la Chiesa, e vi prenda compassione degli affanni in cui volgiamo e dei travagli che ci amareggiano la vita. – Vedete, o Madre, quanti pericoli nell’anima e nel corpo ci circondano; quante calamità ed afflizioni ci costringono! O Madre, trattenete il braccio della giustizia del vostro Figliuolo sdegnato, e vincete con la clemenza il cuore dei peccatori; sono pur nostri fratelli e figli vostri che costano sangue al dolce Gesù e trafitture di coltello al vostro sensibilissimo cuore. Oggi mostratevi a tutti, qual siete, Regina di pace e di perdono. Salve, Regina, etc. ..

II. È vero, è vero, che noi per primi, benché vostri figliuoli, con i peccati torniamo a crocifiggere in cuor nostro Gesù, e trafiggiamo novellamente il vostro cuore. Sì, lo confessiamo, siamo meritevoli dei più aspri flagelli. Ma voi ricordatevi che sulle vette del Golgota raccoglieste le ultime stille di quel Sangue divino e l’ultimo testamento del Redentore moribondo. E quel testamento di un Dio, suggellato col Sangue di un uomo-Dio, vi dichiarava Madre nostra, Madre dei peccatori. Voi dunque come nostra Madre siete la nostra Avvocata, la nostra Speranza. E noi gementi stendiamo a voi le mani supplichevoli gridando: misericordia! – Pietà vi prenda, o Madre buona, pietà di noi, delle anime nostre, delle nostre famiglie, dei nostri parenti, dei nostri amici, dei nostri fratelli estinti, e soprattutto dei nostri nemici e di tanti che si dicono Cristiani, e pur lacerano il Cuore amabile del vostro Figliuolo. Pietà, deh! Pietà oggi imploriamo per le nazioni travagliate, per tutta l’Europa, per tutto il mondo che ritorna pentito al Cuor vostro. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia. Salve, Regina, etc. ..

III. Che vi costa, o Maria, l’esaudirci? Che vi costa il salvarci? Non ha Gesù riposto nelle vostre mani tutti i tesori delle sue grazie e delle sue misericordie? Voi sedete alla destra del vostro Figliuolo, rivestita di gloria immortale su tutti i cori degli Angeli. Voi distendete il vostro dominio per quanto son distesi i cieli, e a voi la terra e le creature tutte che in essa abitano sono soggette. Il vostro dominio si stende sino all’inferno, e voi sola ci strappate dalle mani di satana, o Maria. Voi siete l’onnipotente per grazia, voi dunque potete salvarci. Che se dite di non volerci aiutare, perché figli ingrati e immeritevoli della vostra protezione, diteci almeno a chi mai dobbiamo ricorrere per essere liberati da tanti flagelli. Ah, no! Il vostro cuore di Madre non patirà di veder noi, vostri figli, perduti. Il Bambino che vediamo sulle vostre ginocchia, e la mistica corona che miriamo nella vostra mano, c’ispirano fiducia che saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in voi, ci gettiamo ai vostri piedi, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, e oggi stesso, sì, oggi da voi aspettiamo le sospirate grazie. Salve, Regina, etc. ..

Chiediamo la benedizione a MARIA

Un’ultima grazia noi ora vi chiediamo, o Regina, che non potete negarci in questo giorno solennissimo. Concedete a tutti noi il vostro costante amore, ed in modo speciale la materna benedizione. No, non ci leveremo oggi dai vostri piedi, non ci staccheremo dalle vostre ginocchia finché non ci avete benedetti. Benedite, o Maria, in questo momento il Sommo Pontefice (Gregorio XVIII). Ai prischi allori della vostra corona, agli antichi trionfi del vostro Rosario, onde siete chiamata Regina delle Vittorie, deh! Aggiungete ancor questo, o Madre: concedete il trionfo alla Religione e pace alla umana società. Benedite il nostro Vescovo, i sacerdoti, e particolarmente coloro che zelano l’onore del vostro santuario. Benedite infine tutti gli Associati al vostro novello tempio di Pompei, e quanti coltivano e promuovono la devozione al vostro Santissimo Rosario. O Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci rannodi a Dio, vincolo di amore che ci unisci agli Angeli, torre di salvezza negli assalti d’inferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non vi lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell’ora di agonia: a te l’ultimo bacio della vita che si spegne. E l’ultimo accento delle smorte labbra sarà il nome vostro soave, o Regina del Rosario della valle di Pompei, o Madre nostra cara, o unico rifugio dei peccatori, o sovrana consolatrice dei mesti. Siate ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra ed in cielo . Così sia. Ave, Maria, etc. ..

Indulgenze: 7 anni o. v. plen. s.c. p.t.m.

NOVENA IN ONORE

DELLA SS. VERGINE DEL ROSARIO

Di POMPEI

Indulgenze concesse dal S. P. Leone XIII a chi recita la:

Novena d’impetrazione.

Con Rescritto della Sacra Congregazione dei Riti del 29 Novembre del 1887, il Santo Padre Leone Xlll ha concesso a tutti i fedeli i quali con cuore almeno contrito e per nove giorni continui devotamente reciteranno innanzi ad un’Immagine della Vergine di Pompei questa Novena composta di cinque preghiere, versetti, responsorii ed oremus, l’Indulgenza di trecento giorni una volta in ciascun giorno della Novena medesima, e l’Indulgenza Plenaria a quelli che avendola praticata come sopra, veramente pentiti, confessati e comunicati in un giorno, o dentro la Novena, o dopo averla compiuta, pregheranno per qualche spazio di tempo, secondo l’intenzione del Sommo Pontefice.

O Santa Caterina da Siena, mia protettrice e Maestra, tu che assisti dal Cielo i tuoi devoti allorché recitano il Rosario di Maria, assistimi in questo momento; e degnati di recitare insieme con me la Novena alla Regina del Rosario che ha posto il trono delle sue grazie nella Valle di Pompei, acciocché per tua intercessione io ottenga la desiderata grazia. Così sia.

V. Deus, in adiutorium meum intende;

R. Domine, ad adiuvandum me festina.

Gloria Patri, etc. ..

I. O Vergine Immacolata e Regina del S. Rosario, Tu, in questi tempi di morta fede e di empietà trionfante, hai voluto piantare il tuo seggio di Regina e di Madre sull’antica terra di Pompei, soggiorno di morti Pagani. E da quel luogo dov’erano adorati gli idoli e i demonii, Tu oggi, come Madre della divina grazia, spargi da per tutto i tesori delle celesti misericordie. Deh! da quel trono ove regni pietosa, rivolgi, o Maria, anche sopra di me gli occhi tuoi benigni, ed abbi pietà di me che ho tanto bisogno del tuo soccorso. Mostrati anche a me, come a tanti altri ti sei dimostrata, vera Madre di misericordia;Monstra te esse Matrem”; mentre che io con tutto il cuore ti saluto e t’invoco mia Sovrana e Regina del Santissimo Rosario.

Salve Regina, Mater etc. ..

II. Prostrata ai piedi del tuo trono, o grande e gloriosa Signora, l’anima mia ti venera tra gemiti ed affanni ond’è oppressa oltre misura. In queste angustie ed agitazioni in cui mi trovo, io alzo confidente gli occhi a Te, che ti sei degnata di eleggere per tua dimora le capanne di poveri ed abbandonati contadini. E là, rimpetto alla città, ed all’anfiteatro dai gentileschi piaceri, ove regna silenzio e rovina, Tu, come Regina delle Vittorie, hai levato la tua voce potente per chiamare d’ogni parte d’Italia e del mondo cattolico i devoti tuoi figli ad erigerti un tempio. Deh! Ti muovi alfine a pietà di quest’anima mia che giace avvilita nel fango. Miserere di me, o Signora, miserere di me che sono oltremodo ripieno di miserie e di umiliazione. Tu, che sei le sterminio dei demonii, difendimi da questi nemici che mi assediano. Tu, che sei l’Aiuto dei Cristiani, traimi da queste tribolazioni in cui verso miserevolmente. Tu, che sei la Vita nostra, trionfa della morte che minaccia l’anima mia in questi pericoli in cui trovasi esposta; ridonami la pace, la tranquillità, l’amore, la salute. Cosi sia.

Salve Regina, Mater etc. ..

III. Ah! il sentire che tanti sono stati da Te beneficati, solo perché sono ricorsi a Te con fede, mi infonde novella lena e coraggio d’invocarti a mio soccorso. Tu già promettesti a S. Domenico, che chi vuol grazie col tuo Rosario le ottiene; ed io, col tuo Rosario in mano, ti chiamo, o Madre, all’osservanza delle tue materne promesse. Anzi Tu stessa a’ di nostri operi continui prodigi per spingere i tuoi figli a edificarti un Tempio a Pompei. Tu dunque vuoi tergere le nostre lacrime, vuoi lenire i nostri affanni! Ed io col cuore sulle labbra, con viva fede Ti chiamo e t’invoco: Madre mia!… Madre cara!… Madre dolcissima, aiutami! Madre e Regina del Santo Rosario di Pompei non più tardare a stendermi la mano tua potente per salvarmi: che il ritardo, come vedi, mi porterebbe alla rovina.

Salve Regina, Mater etc. ..

IV. E a chi altri mai ho io a ricorrere, se non a Te, che sei il Sollievo dei miserabili, il Conforti degli abbandonati, la Consolazione degli afflitti?! – Oh, io tel confesso, l’anima mia è miserabile, gravata da enormi colpe, merita di ardere nell’inferno, indegna di ricever grazie! Ma non sei Tu la Speranza di chi dispera, la grande Mediatrice tra l’uomo e Dio, la potente nostra Avvocata presso il trono dell’Altissimo, il Rifugio dei peccatori? Deh, solo che Tu dica una parola in mio favore al tuo Figliuolo, ed Egli ti esaudirà. Chiedigli dunque, o Madre, questa grazia di che tanto io ho bisogno. (Si domandi la grazia che si vuole). Tu sola puoi ottenermela: Tu che sei l’unica speranza mia, la mia consolazione, la mia dolcezza, tutta la vita mia. Così spero, e così sia.

Salve Regina, Mater etc. ..

V. O Vergine e Regina del Santo Rosario. Tu che sei la Figlia del Padre celeste, la Madre del Figliuolo divino, la Sposa dello Spirito Settiforme; Tu che tutto puoi presso la Santissima Trinità, devi impetrarmi questa grazia cotanto a me necessaria, purché non sia di ostacolo alla mia salvezza eterna. (Si esponga la grazia che si desidera). Te la domando per la tua Immacolata Concezione, per la tua divina Maternità, pei tuoi gaudii, pei tuoi dolori, pei tuoi trionfi. Te la domando pel Cuore del tuo amoroso Gesù, per quei nove mesi che lo portasti nel seno, per gli stenti della sua vita, per l’acerba sua Passione, per la sua morte di Croce, pel Nome suo santissimo, pel suo preziosissimo Sangue. Te la domando infine pel Cuore tuo dolcissimo, nel Nome tuo glorioso, o Maria, che sei Stella del mare, Signora potente, Madre di dolori, Porta del Paradiso e Madre d’ogni grazia. In Te confido, da Te tutto spero, Tu mi hai da salvare. Così sia.

Salve Regina, Mater etc…

V. Dignare me laudare te, Virgo sacrata;

R. Da mihi virtutem contra hostes tuos.

V. Ora prò nobis, Regina sacratissimi Rosarii.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi. 

Oremus

 Deus, cuius Unigenitus per vitam, mortem, et resurretionem suam nobis salutis æternæ præmia comparavit, concede, quæsumus, ut hæc mysteria sanctissimo Rosario Maria; Virginis recolentes, et imitemur quod continent, et quod promittunt assequamur. Per eumdem Christum Dominum nostrum.

R. Amen.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “Traditi humilitati” (Pio VIII)

 Traditi humilitati

Pio VIII

Traditi humilitati è una Enciclica di Pio VIII, al  secolo Francesco Saverio Castiglioni, scritta dopo la sua elezione, unica del suo breve Pontificato. È una lettera piena di contenuti, ad iniziare dai particolari richiami ai Vescovi sulla formazione del clero, la santità dei sacerdoti e sui seminari diocesani. Richiami amorevoli, ma fermi e decisi nel delineare il ruolo e l’azione degli uni e degli altri, soprattutto per contrastare le perverse dottrine che minavano, come sempre, la linearità e la verità dell’insegnamento dottrinale cattolico. Il Pontefice denuncia quelli che erano all’epoca dei mali allo stato iniziale, anche se “in nuce” molto virulenti, mali che hanno preso il sopravvento non sola nella società scristianizzata attuale, ma soprattutto tra gli “addetti” alle cose sacre, oramai ridotti ad un esercito sempre più sparuto di zombi apostati, traditori del Cristo crocifisso, o a falsi prelati senza giurisdizione o mandato, falsamente consacrati, in pratica laici in maschera di carnevale che officiano riti invalidi e sacrileghi, oltre che finti sacramenti veicolo satanico privilegiato. Si sottolineano i mali dell’indifferenza religiosa e dell’ecumenismo, vero cancro che sconvolge la mente e lo spirito di tante anime che credendo ad esso come ad un principio cattolico, si candidano automaticamente per un posto garantito all’inferno. Un colpo di pugnale al cuore dei modernisti apostati è l’espressione seguente del Papa Pio VIII, … insegnare che la Cattolica è la sola vera religione, secondo le parole dell’Apostolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef IV,5)…. perciò sarà un profano, come diceva Girolamo, colui che mangerà l’agnello fuori da questa casa, e perirà colui che durante il diluvio non si rifugerà nell’arca di Noè… Ora invece tutto congiura a buttare fuori dall’arca di Noè [cioè la “vera” Chiesa Cattolica] anche quei pochi che già si trovavano in essa, ed a chiudere le porte a coloro che vorrebbero entrarvi. Altro “diretto” in pieno volto è il richiamo all’uso scorretto e deviante delle traduzioni bibliche, “ermeneuticamente” argomentate dalla delirante “nouvelle theologie”, dogma modernista, e delle false interpretazioni mille miglia lontane dalle verità da sempre evidenziate dai Padri della Chiesa e dai santi Teologi. La stoccata alle conventicole massonichefetida empietà di uomini scellerati mette al tappeto i grembiulini infiltrati nei sacri palazzi, quelli delle 4 “logge” in 8 edifici, e tutti gli sconsiderati che vorrebbero indurre a credere che la “vera” Chiesa possa dialogare alla pari con i servi di baal, del baphomet-lucifero da essi adorato. Ecco come li tratteggia, con brevi ed efficaci parole, il Santo Padre che ancora una volta li scomunica confermando le analoghe decisione dei suoi predecessori: “Tale setta si adopera, con scaltrezza, di assumere maestri corrotti che conducano i discepoli sui sentieri di Baal, con dottrine contrarie a Dio, ben sapendo che le menti e i costumi degli alunni sono plasmati dai precetti degli insegnanti… e citando S. Leone Magno continua: “La loro legge è la menzogna, il demonio la loro religione, la turpitudine il loro culto“. Continua poi con i seminari, affinché preparino santi Sacerdoti, cosa che oramai, da almeno circa un trentennio e più non vediamo perché, come recitano le cronache e gli interventi della Legge e di giudici nei tribunali, sono diventati ricettacolo di omosessuali, pedofili e depravati vari che vengono mandati come lupi rapaci tra le pecore e gli agnelli. C’è ancora spazio nella lettera per il ruolo sacro del Matrimonio e per l’Autorità Papale, garanzia assoluta del governo della Chiesa per tutti i veri Cristiani, oggi ridicolizzata dagli antipapi marrani!

Ma lasciamo perdere l’acattolicità degli spergiuri, nel fuoco già fino alla gola, e godiamoci questa santa e cattolica lettura: che possa darci, tra tanto sterco e tanta melma mediatica, una boccata di vera spiritualità cristiana, ormai retaggio di altri tempi fortunati:

TRADITI HUMILITATI nostræ pontificatus possessionem hac ipsa die …” – “Prima di recarci quest’oggi alla Basilica Lateranense, secondo la consuetudine introdotta dai Nostri Predecessori, per prendere possesso del Pontificato concesso alla Nostra umiltà, allarghiamo con gioia il Nostro cuore su di voi, Venerabili Fratelli, che a Noi foste assegnati, come coadiutori nell’adempimento di tanto grande incarico, da Colui che possiede ogni grado di dignità e domina ogni vicenda temporale. Non solo Ci riesce dolce e gradito esprimervi i Nostri intimi sentimenti di benevolenza, ma soprattutto, per il sommo bene della vita cristiana, Ci giova entrare in comunione spirituale con voi, e insieme conoscere quali maggiori vantaggi, giorno per giorno, si possano procurare alla Chiesa. È questo un impegno del Nostro ministero, a Noi affidato nella persona di San Pietro per divino incarico dello stesso Fondatore della Chiesa; per esso, a Noi compete pascere, guidare, governare non solamente gli agnelli, ossia il popolo cristiano, ma anche le pecore, ossia i Vescovi.Esultiamo con tutto il cuore e ringraziamo il Principe dei pastori per aver preposto a guardia del suo gregge siffatti pastori, animati unicamente dalla sollecitudine e dal pensiero di condurlo sulle vie della giustizia, di allontanare da esso ogni pericolo, di non perdere alcuno di coloro che il Padre ha loro affidato. Infatti, Venerabili Fratelli, Noi ben conosciamo la vostra salda fede, l’assiduo zelo per la Religione, l’ammirevole santità della vita, la singolare prudenza. Ci aspettiamo pertanto molti motivi di letizia per Noi, per la Chiesa, per questa Santa Sede da tale corona di irreprensibili operai; questa lieta speranza Ci ispira coraggio, timorosi come siamo sotto il peso di un tale incarico, e Ci ristora e Ci ricrea, anche se sopraffatti da tante inquietudini.Ma per non sollecitare senza motivo chi già s’affretta, ometteremo volentieri di intrattenervi a lungo circa i doveri che devono essere tenuti presenti nell’esercizio del vostro ministero, secondo quanto prescrivono i sacri canoni; non occorre ricordarvi che nessuno deve abbandonare il luogo e la custodia del gregge a lui affidato e con che cura e diligenza si deve affrontare la scelta dei ministri sacri. Rivolgiamo piuttosto le Nostre preghiere a Dio Salvatore perché vi protegga con la potenza della sua grazia e conduca a felice esito le vostre azioni e i vostri sforzi.Malgrado ciò, anche se il Signore Ci conforta per il vostro coraggio, Venerabili Fratelli, Noi siamo costretti ad essere ancora tristi, avvertendo le crudeli amarezze che, pur in una situazione di pace, i figli di questo secolo Ci infliggono. Parliamo, o Fratelli, di quei mali noti, manifesti che deploriamo con comuni lacrime, e che con solidale impegno dobbiamo correggere, estirpare, sconfiggere. Parliamo degli innumerevoli errori, delle dottrine perverse che combattono la fede cattolica, non più in segreto e di nascosto ma con palese accanimento.Voi sapete in che modo uomini scellerati abbiano alzato insegne di guerra contro la Religione, ricorrendo alla filosofia, di cui si proclamano dottori, e a fatui sofismi tratti da idee mondane. Questa Romana Santa Sede del beatissimo Pietro, su cui Cristo pose le fondamenta della sua Chiesa, è soprattutto perseguitata; a poco a poco si spezzano i vincoli della sua unità. Si incrina l’autorità della Chiesa, i sacri ministri vengono isolati e disprezzati. Sono rifiutati i più virtuosi precetti, derisi i riti divini, il culto di Dio è esecrato dal peccatore (Sir 1,32); tutto ciò che riguarda la Religione è considerato come una vecchia favola e come vana superstizione. Diciamo tra le lacrime: “Davvero ruggirono i leoni sopra Israele (Ger II,25); davvero si riunirono contro Dio e contro Cristo; davvero gli empi hanno gridato: distruggete Gerusalemme, distruggetela sino alle fondamenta– A questo fine mira la turpe congiura dei sofisti di questo secolo, che non ammettono alcun discrimine tra le diverse professioni di fede; che ritengono sia aperto a tutti il porto dell’eterna salute, qualunque sia la loro confessione religiosa, e che tacciano di fatuità e di stoltezza coloro che abbandonano la religione in cui erano stati educati per abbracciarne un’altra, fosse pure la Religione Cattolica. Certamente è un orrendo prodigio d’empietà attribuire la stessa lode alla verità e all’errore, alla virtù e al vizio, alla onestà e alla turpitudine. – È davvero letale questa forma d’indifferenza religiosa ed è respinta dal lume stesso della ragione naturale, la quale ci avverte chiaramente che tra religioni discordanti se l’una è vera, l’altra è necessariamente falsa, e che non può esistere alcun rapporto tra luce e tenebre. Occorre, Venerabili Fratelli, premunire i popoli contro questi ingannatori, insegnare che la Cattolica è la sola vera religione, secondo le parole dell’Apostolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef IV,5). Perciò sarà un profano, come diceva Girolamo, colui che mangerà l’agnello fuori da questa casa, e perirà colui che durante il diluvio non si rifugerà nell’arca di Noè. E infatti, oltre il nome di Gesù, nessun altro nome è concesso agli uomini che possa salvarli (At IV,12); chi avrà creduto sarà salvo, chi non avrà creduto sarà condannato (Mc XVI,16). – Bisogna inoltre vigilare sulle società di coloro che pubblicano nuove traduzioni della Bibbia in ogni lingua volgare, contro le salutari regole della Chiesa, per cui i testi vengono astutamente travisati in significati aberranti, a seconda degli umori di ciascun traduttore. Tali versioni vengono distribuite gratuitamente dappertutto, con spese esorbitanti, anche ai più ignoranti, e spesso vi sono inseriti perversi scritti in modo che i lettori bevano un letale veleno, là dove credevano di attingere le acque della salutare sapienza. Già da tempo la Sede Apostolica ha messo in guardia il popolo cristiano contro questo attentato alla fede, e ha condannato gli autori di così grande iattura. A tale scopo furono nuovamente richiamate alla memoria di tutti le regole statuite per decisione del Concilio di Trento e quanto fu disposto dalla stessa Congregazione dell’Indice per cui non devono essere consentite le versioni in lingua volgare dei sacri testi, salvo non siano approvate dalla Santa Sede e accompagnate da commenti tratti dalle opere dei Santi Padri della Chiesa . Allo stesso scopo il sacro Concilio Tridentino, per infrenare gl’ingegni più irrequieti, emise il seguente decreto: “In materia di fede e di costumi che riguardino la dottrina cristiana, nessuno osi confidare nel proprio senno e tradurre la sacra scrittura deformandola a proprio talento, ossia interpretarla in un senso diverso da quello che la Santa Madre Chiesa ha sempre seguito o contro l’unanime concordanza dei Padri” . Sebbene appaia evidente da questi decreti canonici che tali insidie contro la Religione Cattolica sono state da molto tempo respinte, tuttavia gli ultimi Nostri Predecessori di felice memoria, pieni di sollecitudine per l’incolumità del popolo cristiano, ebbero cura di reprimere quei nefasti ardimenti che essi vedevano rinnovarsi ovunque, e sull’argomento pubblicarono severe lettere apostoliche (Si leggano, fra le altre, la lettera apostolica di Pio VII all’Arcivescovo di Gniezno dell’1 giugno 1816, e all’Arcivescovo di Mohilew, del 3 settembre 1816). Usate le stesse armi, Venerabili Fratelli, per combattere le battaglie del Signore, mentre corre così grande pericolo la Sacra Dottrina, in modo che il letale veleno non si diffonda nel vostro gregge, portando a rovina gli stessi Sovrani. – Così, dopo aver evitato lo stravolgimento delle Sacre Scritture, è vostro dovere, Venerabili Fratelli, indirizzare gli sforzi contro quelle società segrete di uomini faziosi che, nemici di Dio e dei Principi, sono tutti dediti a procurare la rovina della Chiesa, a minare gli Stati, a sovvertire l’ordine universale e, infranto il freno della vera fede, si sono aperti la via ad ogni sorta di scelleratezze. Costoro si sforzano di nascondere nelle tenebre di riti arcani la iniquità dei loro conciliaboli e le decisioni che vi assumono, e per questo motivo hanno suscitato gravi sospetti circa quelle imprese infami che per la tristezza dei tempi, come da spiraglio di un abisso, eruppero a suprema offesa del consorzio religioso e civile. Perciò i sommi Pontefici Clemente XII, Benedetto XIV, Pio VII e Leone XII (Clemente XII, con la costituzione In eminenti; Benedetto XIV con la costituzione Providas; Pio VII, con la costituzione Ecclesiam a Jesu Christo; Leone XII con la costituzione Quo graviora), dei quali siamo successori anche se di gran lunga inferiori per meriti, scomunicarono quelle società segrete (qualunque fosse il loro nome) con pubbliche lettere apostoliche, le cui disposizioni Noi confermiamo nella pienezza del Nostro potere apostolico ordinando la scrupolosa osservanza di esse. Noi, con tutto il Nostro zelo, vigileremo perché la Chiesa e la società civile non ricevano alcun danno dalla cospirazione di tali sette e invochiamo la vostra quotidiana assiduità in tale impresa, in modo che, indossando l’armatura della costanza e rinsaldando validamente l’unità degli spiriti, Noi possiamo sostenere la nostra causa comune, o, meglio dire, la causa di Dio, al fine di distruggerei baluardi eretti dalla fetida empietà di uomini scellerati. – Tra tutte queste società segrete, abbiamo deciso di descriverne una in particolare, costituita di recente con lo scopo di corrompere l’animo degli adolescenti che frequentano i ginnasi e i licei. Tale setta si adopera, con scaltrezza, di assumere maestri corrotti che conducano i discepoli sui sentieri di Baal, con dottrine contrarie a Dio, ben sapendo che le menti e i costumi degli alunni sono plasmati dai precetti degli insegnanti.

Siamo perciò indotti a deplorare, gemendo, che la licenza dei giovani sia giunta al punto di rimuovere il timore della Religione, di rifiutar la disciplina dei costumi, di opporsi alla santità della più pura dottrina, di calpestare i diritti del potere religioso e civile, di non vergognarsi più di alcun delitto, di alcun errore, di alcuna audacia, per cui possiamo dire di essi, con Leone Magno: “La loro legge è la menzogna, il demonio la loro religione, la turpitudine il loro culto” . Allontanate tutti questi mali dalle vostre Diocesi, o Fratelli, e, per quanto vale la vostra autorità e il vostro ascendente, fate in modo che siano incaricati della educazione dei giovani uomini eminenti non solo per la loro cultura letteraria, ma soprattutto per purezza di vita e di pietà. – In tal senso vigilate con la più assidua sollecitudine nei seminari sui quali a voi in modo particolare è stata affidata la sorveglianza dai Padri del Concilio Tridentino . Dai seminari infatti devono provenire coloro che, compiutamente educati alla disciplina cristiana ed ecclesiastica, e ai princìpi della più sana dottrina, dimostreranno tale devozione nell’adempimento del loro divino ministero, tale dottrina nella educazione del popolo, tale severità di costumi che il ministero a loro affidato sarà apprezzato anche dai profani, ed essi potranno, con virtuose parole, rimproverare coloro che si allontanano dal sentiero della giustizia. Noi chiediamo alla vostra sollecitudine, per il bene della Chiesa, di dedicare tutto il vostro zelo nella scelta di coloro ai quali dovrà essere affidata la cura delle anime, in quanto dalla oculata scelta dei parroci deriva soprattutto la salute del popolo, e nulla contribuisce di più alla rovina delle anime quanto essere guidati da coloro che cercano il proprio bene e non quello di Gesù Cristo, o da coloro che, scarsamente imbevuti di vero sapere, si fanno volgere in giro da ogni vento e non sanno condurre il loro gregge ai salutari pascoli che non conoscono o che disprezzano. – Dal momento che proliferano ovunque smisuratamente libri funesti, mediante i quali l’insegnamento degli empi si diffonde come un tumore in tutto il corpo della Chiesa (2Tm 2,17), vigilate sul gregge e non sottraetevi a nessuna fatica pur di scongiurare la peste di quei libri, dei quali nulla è più pernicioso; ammonite le pecore di Cristo a voi affidate con le parole di Pio VII, Nostro santissimo Predecessore e benefattore (In litt. encyclicis ad universos episcopos datis Venetiis), secondo le quali il gregge deve considerare come pascoli salutari (e di essi nutrirsi) solo quelli a cui li abbiano invitati la voce e l’autorità di Pietro; qualora quella voce lo diffidi e lo richiami indietro da altre pasture, le si consideri nocive e pestifere, ci si allontani da esse con orrore, non ci si lasci ingannare da nessuna apparenza o perversa lusinga. – Ma, dati i tempi in cui viviamo, abbiamo deciso di raccomandare vivamente al vostro amore per la salute delle anime, di inculcare nel vostro gregge la venerazione per la santità del matrimonio, in modo che non accada mai nulla che diminuisca la dignità di questo grande sacramento, che offenda la purezza del letto nuziale, che possa insinuare alcun dubbio sulla indissolubilità del vincolo matrimoniale; si potrà raggiungere questo intento se il popolo cristiano sarà pienamente convinto che il matrimonio non è soltanto soggetto alle leggi umane ma anche alla legge divina; che bisogna considerarlo un bene sacro e non solo una realtà terrena, e che perciò è totalmente soggetto alla Chiesa. Infatti il vincolo coniugale che un tempo non aveva altro scopo che di procreare e di continuare la specie, ora è stato innalzato da Cristo Signore alla dignità di sacramento e arricchito di doni celesti, in quanto la Grazia ne perfeziona la natura; pertanto quel vincolo non è allietato tanto dalla prole, quanto piuttosto dall’educarla a Dio e alla sua divina Religione: così tende ad accrescere il numero degli adoratori del vero Dio. Risulta infatti che questa unione matrimoniale, di cui Dio è autore, raffigura la perpetua e sublime unione di Cristo Signore con la Chiesa, e che questa strettissima unione tra marito e moglie è un sacramento, ossia un sacro simbolo dell’amore immortale di Cristo per la Sua Sposa. In tal modo è necessario istruire i popoli (Legatur catechism. Rom. ad parochos de matrimon.) e spiegare ad essi ciò che è stato sancito e ciò che è stato condannato dalle regole della Chiesa e dai decreti dei Concilii, affinché i popoli operino in modo di conseguire la virtù del sacramento e non osino compiere ciò che la Chiesa ha condannato; e, per quanto possiamo, chiediamo al vostro zelo di prestarvi in questo con tutta la pietà, la dottrina e la diligenza di cui siete dotati. – Avete appreso, Fratelli, ciò che ora più di ogni altra cosa suscita dolore in Noi che, posti sul soglio del Principe degli Apostoli, dobbiamo essere presi dall’amore per tutta la casa di Dio. Si aggiungono anche altri argomenti, non meno gravi, che qui sarebbe lungo enumerare e che voi sicuramente conoscete. Ma potremmo Noi trattenere la Nostra voce in una congiuntura così difficile per la cristianità? Forse che, impediti da motivi umani, o torpidi nell’indolenza, sopporteremo in silenzio che sia lacerata la tunica di Cristo Salvatore, che neppure i soldati che lo crocifissero osarono dividere? Non accada, carissimi, che al gregge disperso venga a mancare la protezione del pastore amoroso e sollecito! Noi non dubitiamo che voi farete anche più di quanto vi chiede questo scritto e che vi adoprerete con i precetti, i consigli, le opere, lo zelo, a favorire la Religione avita, a diffonderla e a proteggerla. – Per la verità, ora, nella crudezza della situazione, dobbiamo in particolar modo pregare in ispirito e con maggior fervore; dobbiamo supplicare Dio affinché, come risanate piaghe d’Israele, faccia sì che la sua santa Religione fiorisca ovunque, e permanga incrollabile la vera felicità dei popoli; affinché il Padre della misericordia, volgendo lo sguardo propizio sui giorni del Nostro ministero, si degni di custodire e illuminare il pastore del suo gregge. Vogliano i potentissimi Principi, con il loro animo nobile ed elevato, favorire lo zelo e gli sforzi Nostri; quel Dio che loro ha donato un cuore docile all’adempimento delle sue prescrizioni, li rassicuri con un supplemento di sacri carismi, in modo che con tenacia compiano quelle azioni che riescano utili e salutari alla Chiesa afflitta da tante calamità. – Questo chiediamo supplichevoli a Maria Santissima Madre di Dio, che sappiamo, Lei sola, aver annientato tutte le eresie e che in questo giorno Noi salutiamo con riconoscenza col titolo di “Ausilio dei cristiani“, ricordando il ritorno del Nostro beatissimo Predecessore Pio VII in questa città di Roma, dopo tribolazioni di ogni genere. – Chiediamo al Principe degli Apostoli Pietro e al suo co-Apostolo Paolo di non permettere che alcun sconvolgimento Ci minacci, saldi come siamo sulla pietra della Chiesa per merito del Principe dei Pastori Gesù Cristo Nostro Signore, dal quale invochiamo di riservare sulle Fraternità Vostre e sui greggi a voi affidati i più abbondanti doni di grazia, di pace e di gaudio, mentre, quale segno del Nostro affetto, con tutto il cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 maggio 1829, anno primo del Nostro Pontificato.

DOMENICA III dopo PASQUA

DOMENICA III dopo PASQUA

Introitus Ps LXV:1-2. Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja. [Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

SALMO

Ps LXV:3 Dícite Deo, quam terribília sunt ópera tua, Dómine! in multitúdine virtútis tuæ mentiéntur tibi inimíci tui. [Dite a Dio: quanto sono terribili le tue òpere, o Signore. Con la tua immensa potenza rendi a Te ossequenti i tuoi stessi nemici.] V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja.[Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo. Orémus. Deus, qui errántibus, ut in viam possint redíre justítiæ, veritátis tuæ lumen osténdis: da cunctis, qui christiána professióne censéntur, et illa respúere, quæ huic inimíca sunt nómini; et ea, quæ sunt apta, sectári. [O Dio, che agli erranti mostri la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia, concedi a quanti si professano cristiani, di ripudiare ciò che è contrario a questo nome, ed abbracciare quanto gli è conforme.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli 1 Pet II: 11-19 “Caríssimi: Obsecro vos tamquam ádvenas et peregrínos abstinére vos a carnálibus desidériis, quæ mílitant advérsus ánimam, conversatiónem vestram inter gentes habéntes bonam: ut in eo, quod detréctant de vobis tamquam de malefactóribus, ex bonis opéribus vos considerántes, gloríficent Deum in die visitatiónis. Subjécti ígitur estóte omni humánæ creatúræ propter Deum: sive regi, quasi præcellénti: sive dúcibus, tamquam ab eo missis ad vindíctam malefactórum, laudem vero bonórum: quia sic est volúntas Dei, ut benefaciéntes obmutéscere faciátis imprudéntium hóminum ignorántiam: quasi líberi, et non quasi velámen habéntes malítiæ libertátem, sed sicut servi Dei. Omnes honoráte: fraternitátem dilígite: Deum timéte: regem honorificáte. Servi, súbditi estóte in omni timóre dóminis, non tantum bonis et modéstis, sed étiam dýscolis. Hæc est enim grátia: in Christo Jesu, Dómino nostro.” [Caríssimi: Vi scongiuro che, come forestieri e pellegrini vi asteniate dai desiderii carnali, che mílitano contro l’ànima, vivendo bene tra i gentili, affinché, pure sparlando di voi quasi siate malfattori, considerando le vostre opere buone, glorifichino Iddio nel giorno della sua venuta. Siate dunque soggetti ad ogni autorità umana per riguardo a Dio: sia al re come sovrano, sia ai prefetti come mandati da lui per far vendetta dei malfattori, e per onorare i buoni. Perché tale è la volontà di Dio, che facendo il bene chiudiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti. Comportatevi da uomini liberi, senza però che la libertà vi serva di pretesto alla malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti, amate i fratelli, temete Dio, rendete onore al re. Servi, siate soggetti con ogni timore ai padroni, non solo ai buoni e clementi, ma anche ai duri. Questa infatti è una grazia: in Gesù Cristo nostro Signore.] R. Deo gratias.

Alleluja

Allelúja, allelúja. Ps CX: 9 Redemptiónem misit Dóminus pópulo suo:alleluja. [Il Signore mandò la redenzione al suo pòpolo. Allelúia.] Luc XXIV:46 Oportebat pati Christum, et resúrgere a mórtuis: et ita intráre in glóriam suam. Allelúja. [Bisognava che Cristo soffrisse e risorgesse dalla morte, ed entrasse così nella sua gloria. Allelúia.]

Evangelium

Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen. Jube, Dómine, benedícere. Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen.

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem. R. Gloria tibi, Domine! – Joannes XVI:16: 22

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Módicum, et jam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis ejus ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me, et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo: Quid est hoc, quod dicit: Modicum? nescímus, quid lóquitur. Cognóvit autem Jesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quaeritis inter vos, quia dixi: Modicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora ejus: cum autem pepérerit púerum, jam non méminit pressúræ propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos igitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.” [In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre. Dissero perciò tra loro alcuni dei suoi discepoli: Che significa ciò che dice: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre? Cos’è questo poco di cui parla? Non comprendiamo quel che dice. E conobbe Gesù che volevano interrogarlo, e disse loro: Vi chiedete tra voi perché abbia detto: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete, laddove il mondo godrà, sarete oppressi dalla tristezza, ma questa si muterà in gioia. La donna, allorché partorisce, è triste perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno, a motivo della gioia perché è nato al mondo un uomo. Anche voi siete adesso nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà, e nessuno vi toglierà il vostro gàudio.] R. Laus tibi, Christe! S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

OMELIE

I lett. DOMENICA III DOPO PASQUA

[Mons. Bonomelli: Omelie vol. II – Omelia XIX.]

“Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini, affinché vi asteniate dalle cupidigie terrene, che fan guerra allo spirito. Diportatevi degnamente tra i Gentili, affinché se sparlano di voi, come di malfattori, giudicandovi dalle vostre buone opere, diano gloria a Dio nel giorno che li visiterà. Il perché, siate sommessi, per amore del Signore, ad ogni umana istituzione, sia a re, come a sovrano, sia ai governatori, come mandati da lui, a punizione dei malfattori e a lode dei buoni. Perciocché tale è la volontà di Dio, che, operando il bene, imponiate silenzio alla ignoranza di uomini stolti. Come liberi e non pigliando la libertà a mantello di malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti, amate i fratelli, temete Dio, riverite il re. Voi, servi, siate sommessi, con ogni riverenza, ai padroni non solo buoni e discreti, ma anche capricciosi. Perciocché questo è cosa grata, se alcuno per coscienza innanzi a Dio sostiene molestie, soffrendo ingiustamente „ (I. di S. Pietro,, c. II, vers. 11-19).

Due sentimenti affatto contrari provo in me stesso al pensiero di dovervi fare la chiosa delle sentenze, che avete udite, che son prese dalla prima lettera di S. Pietro; il primo sentimento è di vivo piacere, perché le verità che vi si contengono sono ad un tempo di somma rilevanza e pratiche per ogni classe di persone; il secondo sentimento è l’impaccio, nel quale mi trovo di svolgere come si deve ad una ad una queste verità, ciascuna delle quali richiederebbe un discorso. Mi è dunque forza congiungere insieme la brevità e il commento di tutti i nove versetti, che vi ho recitati: mi vi proverò, fidando sempre nella vostra attenzione. – « Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini, affinché vi asteniate dalle cupidigie terrene, che fan guerra allo spirito. „ Io non so dirvi, o fratelli, ciò che sento in cuore, allorché leggo e considero questa parola sì bella “Carissimi”, uscita dalla penna di S. Pietro. — Chi è colui, che scrive ? È il primo Vicario di Gesù Cristo, il Principe degli apostoli, il capo della Chiesa, carico di anni, di dolori e di meriti, già presso al patibolo, sul quale alla corona dell’apostolato si aggiungerà la palma del martire. A chi scrive? Ad alcuni cristiani, poveri, vessati, dispersi qua e là, usciti poc’anzi dalle tenebre del paganesimo e dai pregiudizi ebraici. E Pietro, questo primo depositario delle somme chiavi, lasciategli da Cristo, venerando per la dignità, per l’età, pei patimenti sofferti pel nome di Cristo, sembra quasi dimenticare se stesso, e con la effusione d’un padre, che abbraccia i suoi figliuoli, dice loro: “Carissimi!„ In questa parola si sente battere il cuore del sommo apostolo! Ah! se Pietro teneva coi semplici e poveri fedeli questo linguaggio pieno di affetto paterno, che dobbiamo fare noi? Noi, sacerdoti, noi, pastori di anime, oggi più che mai abbiamo bisogno d’informare i nostri cuori e le nostre parole al cuore, alle parole del primo apostolo! S. Pietro, dopo aver destata l’attenzione e guadagnato l’affetto dei suoi neofiti con quella parola -“Carissimi„- li esorta a considerarsi come stranieri e pellegrini sulla terra. Il pellegrino o straniero, che viaggia verso la patria sua, ricorda sempre d’essere pellegrino e straniero; non si cura delle cose che vede, passando, o appena le degna d’uno sguardo fuggevole, né punto lega ad esse il cuor suo; si sbriga di tutto ciò che lo impaccerebbe nel cammino e si restringe a portar seco solo quel tanto che è necessario e, fissa la mente nella patria, non bada a disagi e pericoli, non perde tempo con quelli che incontra per via, non contende con loro, li saluta cortesemente e studia il passo. — Ebbene: noi tutti, quaggiù sulla terra, siamo pellegrini e stranieri: la nostra patria è il cielo: là soltanto riposeremo: non fermiamoci per via, non leghiamo il nostro affetto a cose, che dobbiamo tosto abbandonare, non carichiamoci dell’inutile peso dei beni della terra, non consumiamoci tra noi con vani litigi, corriamo animosi verso la patria, dove ci aspetta Dio, Padre nostro, dove ci attendono i nostri fratelli, i Santi, dove tutto un giorno sarà pace e gioia purissima ed eterna. Se siete stranieri e pellegrini su questa terra “dovete astenervi – dice S. Pietro – dalle cupidigie terrene”, cioè dall’amore disordinato dei piaceri, dall’orgoglio, dall’ambizione, dalla gola, dalla avarizia, dall’ozio e sopra tutto dalla lussuria, che ritardano il vostro cammino, anzi vi incatenano a questo mondo. – L’anima, che viene da Dio, attratta dalla verità, che brilla in alto, mossa dalla grazia, che dolcemente la porta al cielo, quasi aquila generosa spiega le ali verso l’altezza suprema; ma le cupidigie, i piaceri del senso, quasi fili avvolgenti i suoi piedi, la tengono legata alla terra: rompiamo questi fili, stacchiamo i nostri affetti dalla terra e voleremo al cielo, nel seno stesso di Dio, e cesserà questa malaugurata lotta tra lo spirito e la carne, quello, che ci tira in alto, questa, che quasi palla di piombo, legata ai nostri piedi, ci tiene avvinti a questa misera terra. – Segue un’altra esortazione pratica: “Diportatevi degnamente tra i Gentili. „ I Cristiani devono sempre vivere come esige la loro professione di Cristiani, cioè degnamente e santamente, perché così vuole il loro dovere e così vuole Iddio: ma a questo motivo, che è il primo e principalissimo, altri buoni ed onesti si possono aggiungere; e buono ed onesto è pur quello di onorare la loro fede innanzi agli uomini, e particolarmente dinanzi ai nemici della fede tessa. Qual mezzo più efficace di mostrare la santità della religione, di renderla cara e degna di venerazione e di condurre a lei gli erranti ed i nemici suoi più fieri quanto il mostrarne i benefici effetti in noi stessi? Sta bene metterne in luce le prove con una parola eloquente, ma è molto meglio farne brillare la divina origine nelle opere e nelle virtù. Noi sappiamo che nei primi secoli la conversione dei Gentili, più che alla eloquenza dei grandi apologisti, si doveva alla vita illibata e santa dei cristiani, e perciò S. Pietro scriveva: “Diportatevi degnamente tra’ Gentili. „ Carissimi! ora noi non viviamo, grazie a Dio, tra Gentili, ma tra cristiani; ma quali Cristiani? Assai volte sono cristiani di nome, praticamente ed anche teoricamente miscredenti: sono cristiani di costumi perduti, immersi in ogni sorta di disordini e di scandali. Forse voi stessi avrete amici, conoscenti, congiunti, persone teneramente amate, che hanno perduta la fede, oppure, conservandola, la disonorano con una vita indegna. Volete guadagnarli a Dio? Il mezzo più sicuro è quello di offrire in voi stessi la pratica della religione, di presentare nelle vostre parole e nelle vostre opere il modello del vero cristiano. Spargete intorno a voi nella famiglia, nella conversazione, nella parrocchia il profumo della vita cristiana e a poco a poco ricondurrete sulla retta via gli erranti ed i poveri peccatori. Lo insegna S. Pietro, che va innanzi e dice: “Se i Gentili sparlano di voi e vi tengono come malfattori, quando vedranno le vostre opere buone, daranno gloria a Dio allorché Dio li visiterà, „ cioè li toccherà colla sua grazia. Che cosa è, o dilettissimi, la grazia di Dio? È una visita ch’Egli fa alle anime nostre: le visita col lume della verità, che. ci fa conoscere la verità e il dovere, che ci fa odiare il male, amare il bene: le visita colla grazia, che ci sveglia, ci scuote, ci rimprovera, ci stimola, ci sostiene, ci spinge innanzi nella via della virtù. Felice colui che riceve spesso la visita di Dio, più felice chi l’accoglie e si trattiene con Lui! – È da sapere, che nei primi secoli della Chiesa e al tempo stesso degli apostoli i cristiani erano considerati dai pagani come malfattori, nemici dell’impero e ribelli alle autorità costituite; lo sappiamo da Tacito, da Plinio, da Minuzio Felice, e qui ce lo fa sapere lo stesso S. Pietro : ” Quod detrectant de vobis tamquam de malefactoribus — Sparlano di voi come di malfattori. „ Non v’era delitto, per quanto enorme, che il popolo pagano, ingannato dai tristi, non apponesse ai cristiani, e il più comune e più terribile era quello, che essi disprezzavano le leggi e gli imperatori. – Era dunque natural cosa che gli apostoli respingessero la nera calunnia ed inculcassero pubblicamente il rispetto e l’obbedienza alle autorità civili in tutto ciò che era lecito [Allorché S. Pietro scriveva la sua lettera ai fedeli era già scoppiata o stava per scoppiare quella tremenda rivolta dei Giudei contro i Romani, che fini collo sterminio e colla dispersione di quelli. Presso i pagani troppo spesso Cristiano e Giudeo si confondevano, come apparisce da molti luoghi degli Atti Apostolici. Il fondatore del Cristianesimo era sorto in mezzo ai Giudei ed era Giudeo: i suoi apostoli erano Giudei, Giudei i primi cristiani, e tutta la parte dogmatica e morale del giudaismo era passata nella Chiesa cristiana. Qual cosa più facile per i pagani quanto il confondere i cristiani coi Giudei? Quindi è che lo spirito di rivolta dei Giudei si riputava comune ai cristiani e perciò era doppiamente necessario che gli apostoli separassero la causa dei cristiani da quella dei Giudei in cosa sì grave. Ecco una delle ragioni, per la quale S. Pietro e S Paolo insistono con tanta forza sul dovere che hanno i cristiani di rispettare ed ubbidire lo Autorità politiche e civili ancorché pagane. Si trattava di liberare i cristiani da una accusa e da un pericolo gravissimo in quei momenti supremi.]. – Egli è per questo che S. Paolo nella lettera ai Romani e in questa S. Pietro nei termini più espliciti e quasi identici ricordano ai cristiani questo dovere: “Siate dunque sommessi, scrive S. Pietro, per amore del Signore, ad ogni umana istituzione, sia a re, come a sovrani, sia a governatori, come mandati da Lui, a punizione dei malfattori ed a lode dei buoni. „ Il tempo, che mi è concesso, non mi permette di sviluppare largamente la dottrina del Vangelo o della Chiesa intorno ai doveri che abbiamo verso i poteri della terra, ma ve ne dirò quel tanto che basti all’uopo. Iddio ha creato l’uomo in modo che non può nascere, conservarsi, svilupparsi e perfezionarsi né quanto al corpo, né quanto all’anima se non nella società: prima nella società domestica, la famiglia, poi nella società civile e politica: esso è figlio, è fratello, è cittadino, e come il pesce non può vivere fuori dell’acqua, così l’uomo non può vivere fuori della società. E una necessità imposta dalla natura e perciò da Dio stesso, che ha creata la natura. Ora, o cari, perché gli uomini vivano insieme e i forti non opprimano i deboli e si mantenga l’ordine e la giustizia e si renda a ciascuno ciò che gli si deve, è necessario che vi sia una autorità, un potere, che mantenga quest’ordine e questa giustizia, e che impedisca che gli uni soverchino gli altri e procuri il bene privato e pubblico, ed eccovi l’autorità del padre in famiglia, l’autorità suprema nei tribunali, negli eserciti, nei regni, negli imperi, nelle repubbliche. Ora quel Dio che ha voluto che gli uomini vivano in società e regni la giustizia, ha voluto e deve volere, che vi siano le autorità od i poteri pubblici, che sono il mezzo necessario per conservare la società e far regnare la giustizia. Se voi, o cari, volete che i vostri figli imparino questa o quella scienza, facciano questo o quel viaggio, dovete anche volere, che abbiano i maestri, i libri e il tempo necessario per apprendere quelle scienze, e il danaro indispensabile per fare quei viaggi: è cosa manifesta, perché chi vuole il fine deve volere i mezzi. Se Dio vuole la società, vuole anche l’autorità che la governi: se vuole l’autorità che la governi, vuole anche l’obbedienza di quelli che devono essere governati, e perciò l’obbedienza alle autorità è voluta da Dio ed è un dovere di coscienza, e chi la rifiuta, offende Dio stesso. Ora comprenderete, o dilettissimi, come S. Pietro aveva ragione di dire ai primi fedeli : “Figliuoli, siate soggetti ad ogni umana istituzione, o legge, per amore di Dio, cioè perché lo vuole Iddio [S. Paolo (Rom. XIII, 1 seq.) dice: ” Ogni persona sia sottoposta ai potori superiori, perché non v’è potere se non da Dio, e quelli che sono esistenti, sono ordinati da Dio, a talché chi resiste al potere resiste all’ordine di Dio … È necessario essere soggetto al potere, non solo per timore, ma ancora per la coscienza. „ Vedete perfetto accordo di S. Pietro e di S. Paolo! Quasi le stesse frasi! S. Pietro dice che bisogna ubbidire ai poteri per amore di Dio, propter Deum; S. Paolo “per la coscienza” propter conscientiam. „] Siate soggetti al re, come al sovrano, cioè a colui, che vi sovrasta pel potere stesso. Veramente allora il potere supremo risiedeva nelle mani dell’imperatore, ma san Pietro colla parola “re” volle indicare l’imperatore, e forse lo chiamò re anziché imperatore, perché la parola “re” a lui ed agli Ebrei era famigliare, e nuova quella di imperatore, ma la sostanza è sempre la stessa. Ma ubbidiremo noi soltanto al re, od all’imperatore, od al potere supremo, quando immediatamente ci intima di ubbidire? No: noi ubbidiremo ad esso ed ai governatori, come a delegati da lui a punire i malvagi ed a lode dei buoni. Il potere supremo è come la vita: questa risiede nel capo, come nel suo centro, e di là si spande per tutto il corpo: il potere risiede nel capo o nei capi supremi dello Stato, e di là si dirama in tutti quelli, che variamente ne partecipano: e come il ferire o percuotere una mano od un dito è ferire e percuotere il capo, da cui deriva la vita ed il senso, così rivoltarci contro i poteri inferiori è rivoltarci contro il potere, del quale sono emanazione. Che fare pertanto? Ubbidire a tutti i poteri, per dovere di coscienza, per amore di Dio. Ai sommi, come agli inferiori, perché così vuole Iddio: “Quia sic est voluntas Dei”: lo vuole la necessità delle cose, lo vuole il nostro interesse, lo vuole il timore della pena, lo vuole sopra tutto Iddio! – E qui non vi sfugga, o cari, una osservazione di grande importanza, ed è questa: la fede nostra eleva, nobilita, divinizza il potere, e così eleva, nobilita e divinizza anche la nostra sommissione e la nostra ubbidienza. Ubbidire ad un uomo come noi, forse per ingegno, dottrina, ricchezza e virtù inferiore a noi, è cosa che offende l’amor proprio, che ci umilia, e tale può essere ed è assai volte chi comanda: ma allorché al di sopra di lui io veggo Dio, che così vuole, e mi dice: Ubbidendo a quest’uomo, tu ubbidisci a Me, Re dei re —, sento tutta la mia dignità, e lungi dall’abbassarmi, ubbidendo, mi innalzo: l’uomo del potere è un valletto, che mi porta i comandi di Dio; quello sparisce ai miei occhi e questo solo mi sta dinanzi: come non mi terrei onorato di ubbidire? S. Pietro voleva che i cristiani ubbidissero per coscienza al re, cioè all’imperatore; e chi era quell’imperatore? Sappiatelo bene: era il più scellerato degli imperatori, un vero mostro di crudeltà, uccisore del maestro e della madre sua; che due o tre anni appresso avrebbe fatto mettere in croce lui stesso, Pietro, e decollare il fratel suo nell’apostolato, Paolo: era Nerone. Ma Nerone era pagano! Non importa; Pietro a nome di Dio comanda di ubbidire anche al pagano: il potere sovrano è come un raggio di luce: esso può cadere sopra un diamante come sopra il fango: la luce è sempre luce e non si contamina illuminando le sozzure. Il padre pagano cessa di essere padre perché è pagano, e cessa forse nei suoi figli il dovere di rispettarlo ed ubbidirlo? Un ministro dell’altare potrebb’essere malvagio, empio, miscredente : ma il fulgore del carattere che suggella in lui il potere divino non si eclissa, non si spegne mai; così è il potere sovrano: esso può essere nel pagano, nell’eretico, nell’empio, e noi gli dobbiamo rispetto ed ubbidienza: non è l’uomo, ma Dio che in lui rispettiamo ed ubbidiamo. Ma l’imperatore era legittimo? Legittimo Nerone! Quale domanda! Allora non si facevano siffatte questioni, sempre difficilissime a sciogliersi anche dai dotti. Si diceva soltanto: Questi è l’imperatore: il potere supremo è nelle sue mani: il mio dovere è di ubbidire: il bene pubblico lo esige: non cerco altro, ubbidisco. E in che cosa dovevano ubbidire i cristiani? S. Pietro non determina nulla: vuole dunque che si ubbidisca in ogni cosa fin là dove un’altra autorità superiore dice: Qui comincia il mio regno e qui finisce quello dell’imperatore. — In altre parole: si deve ubbidire all’autorità terrena in tutto ciò che non si oppone alla legge di Dio; a Lui è soggetto ogni potere terreno, e allorché questo vuole ch’io mi ribelli a Dio ed alla sua Chiesa, io gli rispondo: Non ubbidisco a te, ma a Dio, che è mio e tuo Re. — Così fece Pietro con Nerone! E questa la gran regola tracciata dal Principe degli apostoli e costantemente osservata nella Chiesa e che noi custodiremo fedelmente. Con questa sommessione a tutti i poteri della terra voi non solo adempirete la volontà di Dio e farete il bene, scriveva S. Pietro, ma imporrete silenzio alla ignoranza di uomini insipienti. „ Con queste parole S. Pietro chiaramente ci fa conoscere le condizioni difficili e dolorose, nelle quali si trovavano i cristiani, sospettati non solo, ma denunciati pubblicamente come nemici dell’imperatore, sprezzatori delle leggi, pronti alla rivolta. Col vostro rispetto all’imperatore e a tutte le autorità, colla obbedienza alle leggi, voi, diceva S. Pietro, chiuderete la bocca a questi calunniatori, che, non conoscendovi, vi rappresentano come ribelli. – Miei cari! Alcun che di simile avviene anche al giorno d’oggi, nella nostra Italia. Certi giornali, certi scrittori, certi uomini ci designano pubblicamente come nemici della patria, come avversi alle sue istituzioni, alla sua libertà, alla sua grandezza, alla sua indipendenza: questa sì atroce accusa cade particolarmente sopra di noi, uomini di Chiesa. Ma seguendo l’esempio dei primi cristiani e il precetto di S. Pietro, colle opere, col nostro rispetto, colla nostra ubbidienza sincera e costante alle leggi ed alle autorità tutte ci studieremo di mostrare il nostro amore alla patria, e secondo le nostre forze ne procureremo la prosperità e la gloria, perché questo è pure un dovere impostoci da Dio. S. Pietro passa oltre e tocca una verità utile allora, oggi per noi necessaria, e che vorrei fosse da voi tutti debitamente ponderata. Udite: “Diportatevi come liberi, e non pigliando la libertà a mantello di malizia, ma come servi di Dio. „ Voi siete stati redenti da Gesù Cristo, e per Lui avete acquistata la libertà di figli di Dio. Ma che libertà è questa, che Gesù Cristo vi ha data? E la forza di vincere le vostre passioni, di conoscere la verità e rigettare l’errore, di praticare la virtù: Gesù Cristo vi ha chiamati alla libertà del bene, ma non vi ha sottratto ai vostri doveri, non vi ha sciolto dall’obbedienza, che dovete ai principi. Voi a ragione dite: Noi siamo liberi; ma badate bene di non usare della libertà per servire la iniquità, per gettarvi in braccio alle passioni, per coprire la licenza. Oggi la bella e santa parola di libertà per molti vuol dire “mantello di malizia” — “Velamen habentes malitiæ libertatem”.— Vogliono la libertà, ma quale libertà? La libertà di ingiuriare, di calunniare, di opprimere il fratello: la libertà di spargere la discordia: la libertà di scuotere il giogo della autorità paterna e sovrana: la libertà di farsi schiavi della superbia, della gola, dell’avarizia, della lussuria, del peccato. È questa libertà vera, o fratelli? Chiamereste voi libertà quella di potervi strappare gli occhi, di potervi tagliare, le braccia, di potervi togliere la ragione, di potervi gettare in un precipizio? Questo è abuso di libertà, non mai libertà. – Quella è vera libertà, che ci rende padroni di noi stessi, signori delle nostre passioni, che ci affranca dal vizio e dal peccato, che ci fa maggiormente simili a Dio, il quale non può far il male. Allora la nostra libertà è perfetta quando non offendiamo l’altrui, quando adempiamo tutti i nostri doveri, primo dei quali è ubbidire a Dio: Sicut servi Dei. Seguono quattro bellissime esortazioni di Pietro. “Onorate tutti, amate i fratelli, tetemete Dio, riverite il re. „ Il Vangelo fu e sarà sempre il più perfetto codice non solo di morale, ma eziandio di quella che dicesi civiltà ed educazione. Esso vuole che colle parole e colle opere sempre ed in ogni luogo onoriamo sinceramente non pure quelli che per dignità, scienza o per qualsiasi altro titolo ci sono superiori, ma gli eguali ed anche gli inferiori: “Omnes honorate”, prevenendovi gli uni gli altri con quegli atti, che sono segni di stima e di onore, come altrove insegna san Paolo. E onoreremo tutti, se tutti ameremo come fratelli: “Fraternitatem diligite”. Chi ama una persona la onora e vuole che da tutti sia onorata, e l’onore che le rende è sempre in ragione dell’amore. Quei superbissimi e terribili uomini della rivoluzione francese, che scossero tutta Europa e rovesciarono l’ordine antico di cose, scrissero sulla loro bandiera queste tre parole famose: Libertà, eguaglianza, fratellanza. Parole sante bene intese e bene applicate! Quei Titani della rivoluzione avevano l’orgoglio di credere d’aver essi pei primi proclamata la fratellanza universale, ignoravano che diciotto secoli prima S. Pietro aveva scritto: Fraternitatem diligite. — Amate la fratellanza. ” Temete Iddio — Deum timete. „ Temiamo Iddio, perché è infinita maestà e giustizia e non lascia impunita colpa alcuna; temiamo Iddio, non come lo schiavo teme il padrone, ma come il figlio teme il padre suo; il nostro sia timore di offenderlo, un timore misto ad amore. “Riverite il re — Regem honorificate. „ Ripete ciò che disse sopra per mostrare come la cosa gli stia a cuore, e non fa bisogno il dire, che questa riverenza dovuta al capo dello Stato deve manifestarsi nella obbedienza e nella preghiera, che per lui si deve fare, secondo ché S. Paolo comanda nella sua lettera a Timoteo (I. II, 1). – S. Pietro da Dio discende al re e dal re discende ai padroni ed ai servi e, rivolto a questi, dice: “Voi, servi, siate sottomessi, con ogni riverenza, ai padroni, non solo buoni e discreti, ma anche capricciosi. „ Quale insegnamento, o dilettissimi! La condizione dei servi, dirò meglio, degli schiavi, era orribile: potevano essere venduti e barattati come merce; potevano essere maltrattati, percossi ed anche uccisi: la legge non si curava di loro, perché li teneva in conto di proprietà del padrone, che poteva farne quell’uso, che voleva. Voi potete comprendere qual fosse la condizione di questi sventurati, venuti a mano dei padroni pagani, spesso senza cuore. L’apostolo non dice loro: Rivendicatevi a libertà, fate valere la vostra ragione: non avrebbe fatto che rendere più dolorosa la loro sì misera condizione: il Vangelo di Gesù Cristo ha collocato il rimedio dei maggiori mali nel grande segreto della pazienza e della rassegnazione che finisce col vincere e guadagnare gli stessi oppressori. S. Pietro vuole che questi infelici ubbidiscano ai loro padroni, ed ubbidiscano con ogni riverenza, e ubbidiscano ad essi non solo quando sono buoni, discreti, ma anche quando sono puntigliosi, capricciosi, cattivi, perché è questo il miglior modo di scemare i proprii mali e di rendere mansueti e trattabili i padroni. — Servi, dipendenti, che mi ascoltate e che forse talvolta trovate i vostri padroni difficili, duri, indiscreti, esigenti, capricciosi, ingiusti, ricordate le parole di san Pietro e fatene regola della vostra condotta. Il più terribile problema che si affacci alla mente dell’uomo, è questo: vedere la virtù avvilita, tribolata, oppressa, e la malvagità onorata, felice, trionfante. Se non ci fosse la fede, che ci mostra al di là della tomba la giustizia, che infallibilmente sarà fatta, sarebbe da disperare, da maledire la virtù, e ripetere col fiero Romano : “O virtù, tu non sei che un sogno. „ Ma la fede fa scendere dall’alto un raggio della sua luce e ci assicura che Dio un giorno renderà a ciascuno secondo le opere sue, e la ragione si calma, il cuore respira ed il problema è sciolto. Ecco ciò che insegna S. Pietro in quest’ultimo versetto: “Questo è cosa grata, se alcuno per coscienza innanzi a Dio sostiene molestie, soffrendo ingiustamente. „ – Sì, o cari, è un favore del cielo, è una gloria per noi soffrire molestie, dolori e persecuzioni ingiuste per amore di Dio, perché queste saranno il seme che ci frutterà la gioia eterna del cielo!

Omelia sul Vangelo della III Domenica dopo Pasqua

[del canonico G.B. Musso, Vol. II – 1851]

– Recidivi –

   “Miei cari (così Gesù Cristo a’ suoi discepoli nell’ultima cena, come abbiamo da S. Giovanni nell’odierno Vangelo), miei cari, fra poco più non mi vedrete, “Modicum, et non videbitis me”; e dopo un altro poco voi ritornerete a vedermi,” – “Modicuum, et videbitis me”. Attoniti i discepoli a questo parlare si domandano a vicenda qual ne sia il significato, e si protestano di non intenderlo. Fra non molto (dir voleva, secondo alcuni sacri spositori, il divino Maestro) fra non molto verrà l’ora e la potestà delle tenebre, sarà percosso il pastore e disperso il gregge, avverrà quel che più volte ho predetto, il Figliuol dell’uomo sarà dato in man dei gentili, sarà flagellato, deriso, crocifisso, sepolto, e perciò più non mi vedrete, “Modicum et non videbitis me”; ma poi dopo un altro poco, cioè dopo tre giorni, risorto da morte apparirò a voi in Galilea, e di nuovo mi rivedrete, “Modicum, et vìdebitis me”. Questa vicissitudine rinnovano in strano senso colpevole non pochi cristiani. Dicono anch’essi (almeno col fatto) ai lor piaceri, ai lor vizi, in vicinanza di Pasqua o di qualche altra solennità: convien accostarsi ai santi Sacramenti, bisogna lasciar il peccato, male pratiche, giuochi, ridotti, fra poco non mi vedrete. “Modicum, et non videbitis me”; ma siccome ogni cosa ha il suo tempo, dopo poco, passati i giorni santi torneremo a vederci. “Modicum, et vìdebitis me”. Ad impedire, quanto per me sia possibile, questa dannevolissima alternazione dal male al bene, dal bene al male, io vengo a dimostrarvi, che il far passaggio dal peccato alla grazia, dalla grazia al peccato, in una parola , che il ricader nel peccato egli è un delitto, che merita maggior castigo, sarà il primo punto della presente spiegazione; egli è un delitto che porta all’ultimo dei castighi, cioè l’impenitenza finale, sarà il secondo, se mi degnate di attenzione cortese.

I – Il ricadere in peccato merita maggior castigo. Volete vederlo? rammentate Caino, allorché tinte le mani del sangue di Abele, andava fuggiasco sulla faccia della terra. Ahimè, diceva egli preso dall’orrore del suo misfatto, ahimè, chiunque m’incontrerà vendicherà col sangue mio il sangue del mio tradito fratello. No, rispose Iddio, nol voglio. Perciocché ti porrò in fronte un tal segno, in cui ognuno legga il mio divieto. Anzi chi avesse 1’ardire di ucciderti, sarà punito sette volte di più, “punietur septuplum”: ma come? Il primogenito dei presciti uccide il primogenito degli elètti, e non dev’essere ucciso, e l’uccisore di questo scellerato, sette volte di più sarà punito, “septuplum punietur” (Gen. IV, 15)? Adoro, o Signore, i vostri profondi giudizi; ma non gl’intendo. Scioglie la Glossa la difficoltà, per questa ragione, perché sarebbe questi un secondo omicida, del primo assai più reo, “quia est homicida secundus”. E qual differenza passa tra il primo, ed il secondo omicida? Eccola, il primo, cioè Caino, non avea ancor veduta in faccia la morte, né della morte i tristi effetti e le lagrimevoli conseguenze, e perciò in questo senso è meno grave il suo reato. Ma il secondo omicida, dopo aver veduto morto un simile a sé, a terra steso, senza colore, senza moto, senza respiro, e poco dopo putrido, fetente, inverminito, ridotto ad uno scheletro, risolversi poi a dar morte ad un altr’uomo, merita costui di essere più gravemente punito “septuplum punietur”. – Ecco il vostro caso, peccatori fratelli, voi quando la prima volta peccaste per bollore di gioventù, o per impeto di passione, o per debolezza d’animo, o per sconsigliato trasporto, foste in qualche modo degni di compassione e di scusa; ma dopo aver conosciuto che il vostro peccato vi ha ucciso l’anima in seno, dopo aver conosciuto che, secondo la giusta espressione di S. Paolo, avete, quanto è da voi, rinnovata la Crocifissione e la morte al Figliuolo di Dio, dopo aver provato angustie d’animo, reclami della sinderesi, timori della rea coscienza, frutti amarissimi del peccato, dopo averlo detestato e pianto a piè del confessore, a piè del Crocifisso, tornando di nuovo a commetterlo, la malizia si fa maggiore, maggior la gravezza, merita per conseguenza punizione maggiore, “septuplum punietur”. – Fingete che il figliuol prodigo, dopo essere stato accolto fra i dolci amplessi e le tenere lacrime del suo buon genitore, da lui distinto con ricco anello, con abito sontuoso, con lauto banchetto, con i tratti dell’amor più sviscerato, colle rimostranze della più viva allegrezza, si fosse dopo pochi giorni nuovamente partito dalla casa paterna, senza dargli un addio, per portarsi in quei lontani paesi a ricominciare le sue scostumatezze, e consumare le sue sostanze; che avreste voi detto? Figlio disleale? figlio snaturato! Mostro d’ingratitudine! Sarebbero state queste le vostre giuste invettive. Or queste stesse invettive ricadrebbero sopra di voi, se dopo esser tornati a Dio ritornaste al peccato. Voi come il prodigo fuggiste dal Padre celeste, e al par delle sue furono le vostre dissolutezze e le vostre disgrazie. Pentiti poi de’ vostri traviamenti faceste a lui ritorno, ed egli accogliendovi a braccia spiegate, e a cuore aperto vi rivestì dell’abito preziosissimo della grazia santificante, foste ammessi alla sacra mensa, pasciuti delle carni immacolate del divino Agnello, e si fece in cielo gran festa pel vostro ravvedimento, come ne assicura il Vangelo. Se dopo tali grazie e tal finezze voltaste di nuovo a Dio le spalle per ripigliare il primiero costume di vita licenziosa, qual termine potrebbe esprimere la vostra sconoscenza, e qual vi trarreste addosso esemplare castigo! – Ma che dissi sconoscenza? Ingiuria invece, ingiuria atroce, insulto gravissimo. Udite come parla a Dio, colla voce del fatto più esprimente che le parole, chiunque dopo essersi riconciliato con Dio ritorna ai peccati di prima : Signore, ho provato quanto è tristo il mondo, quanto costa lo sfogo delle passioni, quanto è amaro il peccato, e punto da rimorsi, sazio di me stesso e stufo di peccare, sono a voi ricorso ravveduto e pentito. Ho allora sperimentato colla quiete di mia coscienza il bene della vostra amicizia, ho gustato il dolce della vostra grazia. Con tutto ciò mi sento ora nausea del vostro servizio, mi trovo allettato dai miei trascorsi piaceri, voglio di nuovo provare se starò meglio, se sarò più contento con soddisfar nuovamente i miei sensi, i miei capricci, le mie passioni. A tanto affronto, a tanto insulto, lascio a voi considerare, uditori, quale e quanta convenga rigorosa punizione e tremenda vendetta. – Né solo il ricader in peccato merita maggior castigo, ma porta all’ultimo e massimo di tutti i castighi, qual è l’impenitenza finale.

II – Io leggo che tutti i veri penitenti, entrati una volta nella strada della salute, d’ordinario non si sono più voltati addietro. Cosi Adamo, cosi Eva, cosi Davide, così Manasse. Mirate Matteo, mirate Zaccheo, si convertono, fanno restituzioni e limosine, ed usure non più. Piange Pietro, piange la Maddalena, questa abbandona per sempre le sue vanità, quegli abbomina per sempre i suoi spergiuri. Si converte Paolo, da persecutore si cangia in Apostolo, da lupo in agnello, e più non si muta, e compie col martirio l’intrapresa carriera. Si converte Agostino, scrive le sue Confessioni, e versa lacrime sui suoi trascorsi fino all’estrema agonia. Un S. Camillo, un S. Andrea Corsino, le sante Maria Egiziaca, Margherita da Cortona, escono dalla via di perdizione, e non ci metton piede mai più. Volgete l’antico Testamento ed il nuovo, leggete la storia della Chiesa, e vedrete che un vero penitente d’ordinario non cangia più strada, non muta più volontà. Una volontà per l’opposto, che domani ripiglia quel che ieri lasciò, che colla stessa facilità pecca e si pente, si pente e torna a peccare, mostra che la sua conversione non è sincera, ma di sola apparenza; ciò non di meno quest’istessa apparenza va lusingando il peccatore recidivo per modo che, non ostante la sua incostanza, crede una cosa facile passare dal peccato alla giustificazione onde ingannato s’incammina ad un morbo insanabile, che lo porta a morire impenitente. – Insegnano i fisici che una piaga non si può rimarginare se non colla quiete e col riposo, e perciò se avvenga che si apra una piaga nel nostro polmone, difficilmente si può saldare; perché essendo questo sempre in moto giorno e notte, nella veglia e nel sonno, per dare al corpo il necessario respiro, quel moto continuo impedisce che si chiuda la piaga, che congiunta con lenta etica febbre cagiona la morte. Non altrimenti passando voi, recidivi fratelli miei, con un movimento continuo dal peccato alla grazia, dalla grazia al peccato, o per dir meglio dalla confessione alla colpa, dalla colpa alla confessione, questo moto, questa incostanza farà che le piaghe della vostr’anima non possano rimarginarsi, e come avviene agli etici vi lusingherete di sempre star meglio, mentre sarete già marci, già morti agli occhi di Dio, e prossimi a chiudere la vita nell’ impenitenza finale, ultimo e massimo di tutt’i castighi. – Avverrà a voi, che Dio non voglia, ciò che avvenne ad Assalonne. Questo discolo figlio di Davide, dopo aver ucciso il suo fratello Ammone, fugge dall’indignato padre, esce fuori del regno; ma dopo tre anni, mal soffrendo il lungo esilio, tanto si adopra, tanto promette, che finalmente ottiene grazia e perdono. Eccolo di ritorno in Gerusalemme, eccolo nella reggia fra le braccia del genitore, che gl’imprime in volto mille teneri baci. “Post haec(II Re, XV, 1), dopo sì amorevoli tratti chi il crederebbe? Macchina il perfido contro del padre, forma disegni a toglierli la corona di fronte, e gli eseguisce. Già innalzato lo stendardo della ribellione, gli ha contro sollevato tutto Israele, e già coll’armi alla mano s’impegna in sanguinosa battaglia: ma disfatto il suo esercito nella foresta di Efraim, si dà avvilito a precipitosa fuga, passa sul suo destriero sotto una quercia, il vento gli solleva la chioma, s’impaccia questa fra i rami, gli sfugge di sotto il cavallo, ed ei resta in aria sospeso per i suoi capelli: si divincola in questo stato, si vuol liberare, ma non può, ma non vi riesce: vede appressarsi Gioabbo, e come io ne penso, gli avrà detto il cuore un pensiero: “Quegli è Gioabbo mio parente, quegli, che già una volta si è tanto adoprato per riconciliarmi col padre, senza dubbio ei viene a liberarmi: porta in mano una lancia, con quella senz’altro reciderà l’impaccio della mia chioma. Si accosta Gioabbo, e gli trapassa il cuore con tre colpi di lancia. – Cristiani penitenti, già vel dissi, voi avete data la morte co’ vostri peccati a Gesù Cristo vostro fratello, che con questo nome s’è compiaciuto appellarsi. Iddio compatendo la vostra fragilità, mosso dal vostro pentimento, dalle vostre preghiere, dalle vostre promesse, vi ha accordato il perdono, ed abbracciandovi vi ha stampato in fronte il bacio di pace. “Post hæc”, se dopo tratti così amorevoli, vi rivoltate contro un Dio sì pietoso, se armati di peccato gli muovete guerra, aspettatevi pure il tragico fine di Assalonne. Verrà sì, verrà anche per voi il giorno estremo, il punto di morte, in cui, come sospesi tra il tempo e l’eternità, agitati confusi non vi sarà dato di liberarvi dai vostri affannosi timori. Chiamerete allora quel confessore, quel Gioabbo, che già vi riconciliò con Dio: verrà alla sponda del vostro letto; ma sarete in quel punto da tre pensieri, come da tre lance, trafitti. Il pensiero del passato: “Oh! io era in grazia di Dio, feci quella buona confessione, se mi fossi mantenuto a Dio fedele non mi troverei in queste angosce”. Il pensiero del presente: Ecco il ministro di Dio che mi assolve, ma quest’assoluzione sarà forse un colpo per me di pesantissimo sacrilegio. Il pensiero del futuro: Ah! che la spada della divina giustizia mi pende sul capo, e tra poco scaricherà su di me il colpo fatale della giusta sua collera, e della mia eterna condanna. – Ecco l’ordinario fine dei peccatori recidivi. Si rassomigliano costoro al cane, che torna a divorarsi quel cibo che vomitò: “Sicut canis qui revertitur ad vomitum suum, così nei Proverbi: “Sicut canis reversus ad vomitum [Cap. XXVI, 11], così S. Pietro [2 Piet. II, 22]. Or che sarà di questi sordidi cani? Che ne sarà? Udite S. Giovanni. “Foris canes, et venefici, et impudici[Apoc. XXII, 15], fuori del regno dei cieli, fuori questa razza di cani stomachevoli, che vomitano il veleno de’ propri peccati, e ritornano ad ingoiarlo colla stessa franchezza,foris canes”! – I convertiti per lume celeste, conchiude l’Apostolo, i quali gustarono quanto è dolce star bene con Dio, e di nuovo cadono in peccato, egli è impossibile che si rialzino ad abbracciare un’altra volta la penitenza. “Impossibile est eos, qui semel sunt illuminati, gustaverunt bonum Dei, et prolapsì sunt, rursus reverti ad poenitentiam [Ebr. VI, 4,5,6.]: non già che sia ciò assolutamente impossibile, come insegnano Padri e Teologi. Finché c’è vita, c’è speranza, c’è luogo a perdono; ma la scrittura santa in più luoghi e S. Paolo nel testo citato, si servono della parola impossibile” per significare la grande grandissima difficoltà di risorgere, e di salvarsi per quei che ricadono nel mortale peccato già detestato e pianto. Se questo tuono non ci riscuote, v’è a temere il fulmine che c’incenerisca; che Dio ci liberi! 

Credo…

Offertorium V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus Ps CXLV:2 Lauda, anima mea, Dóminum: laudábo Dóminum in vita mea: psallam Deo meo, quámdiu ero, allelúja. [Loda, ànima mia, il Signore: loderò il Signore per tutta la vita, inneggerò al mio Dio finché vivrò, allelúia.]

Secreta His nobis, Dómine, mystériis conferátur, quo, terréna desidéria mitigántes, discámus amáre coeléstia. [In virtú di questi misteri, concédici, o Signore, la grazia con la quale, mitigando i desiderii terreni, impariamo ad amare i beni celesti.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Communio

Joannes 16:16 Módicum, et non vidébitis me, allelúja: íterum módicum, et vidébitis me, quia vado ad Patrem, allelúja, allelúja. [Ancora un poco e non mi vedrete più, allelúia: ancora un poco e mi vedrete, perché vado al Padre, allelúia, allelúia.]

Postcommunio S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus. Sacramenta quæ súmpsimus, quæsumus, Dómine: et spirituálibus nos instáurent aliméntis, et corporálibus tueántur auxíliis. [Fai, Te ne preghiamo, o Signore, che i sacramenti che abbiamo ricevuto ci ristòrino di spirituale alimento e ci siano di tutela per il corpo.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.