San Lorenzo Martire

Omelia del S. S. GREGORIO XVII nel giorno di S. LORENZO – S. Messa (1981)

Le parole di Gesù: “Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, non reca frutto” (cfr. Gv XII, 24), sono state dette per spiegare agli Apostoli il mistero della Sua Passione e Morte, del Suo sacrificio completo. Erano duri a comprendere: avrebbero fatto presto capire se si parlava di gloria, ma si parlava di Croce. Ecco lo scopo per cui queste parole sono state dette. Ora vediamo di dipanare queste parole e apprenderle in tutto il loro significato, quello che segue non è altro che un commento, una continuazione del concetto, fino all’invito: “Chi vuol venire dietro a me, faccia come ho fatto io: mi segua nella via della croce”(cfr. Gv XII, 26). Ripeto: cerchiamo di dipanare. Che cosa vuol dire Nostro Signore? Vuol dire questo: “ per salvare il mondo peccatore ci vogliono dei sacrifici”. Questa è l’affermazione generale. ” E per questo il sacrificio ultimo, determinativo lo prendo io stesso”. Ma dice a noi: “La vostra parte ve la dovete prendere”. C’è un altro elemento compreso in queste parole, l’elemento più propizio per un mondo che è soltanto di prova per la vita eterna: è la sofferenza, il sacrificio. In realtà queste parole per noi suonano dure, però, quando guardiamo ai nostri genitori, capiamo che hanno fatto la loro parte a prezzo di sacrifici; quando guardiamo a degli amici, se ne abbiamo,  guardiamo se per noi sanno fare sacrifici. Tutto diventa siglato da un’eterna Provvidenza, quando porta con sé il sacrificio. – Ma andiamo avanti. Il sacrificio è necessario per gioire. Guardate: il mondo oggi muore di noia; per togliersi questa noia, fa cose incredibili, che noi non oseremmo dare per penitenza anche a chi avesse commesso cento omicidi; le fa tutti i sabati e tutte le domeniche: fugge! E che cosa trova? Guardate le facce al lunedì mattina, e vi diranno che cosa hanno trovato. Non è forse vero che per mangiare bene bisogno avere appetito, cioè bisogna che prima preceda quella tal cosa che in se stessa è desiderabile, ma che non è gaudiosa, perché aver fame non è proprio una gioia? Per poter dormire bene di sera bisogna essere stanchi morti. Chi apre la porta della gioia – attenti – è sempre il sacrificio; non è quello, il sacrificio, che apre la porta soltanto della gioia, ma è anche la premessa di tutti i gaudi possibili, onesti e duraturi in questo mondo. Ecco il significato del Vangelo. – Siccome i veri commentatori del Vangelo sono i Santi. Il commento a questo Vangelo oggi lo fa S. Lorenzo, del quale in questa chiesa a lui dedicata da almeno dodici o tredici secoli celebriamo il ricordo della sua nascita al cielo, perché per i martiri, ma anche per gli altri, il giorno della morte è il giorno della nascita al cielo. Noi ricordiamo questo santo. Badate bene che questo poteva fuggire, perché, quando hanno preso e ucciso immediatamente il Papa Sisto II, del quale lui era diacono, nelle catacombe di Callisto, l’hanno lasciato. Lorenzo poteva fuggire; non è fuggito. Era il cancelliere della Chiesa romana; nello stesso posto aveva l’ufficio, dove oggi sorge il palazzo della Cancelleria apostolica. Sapeva che Valeriano aveva indetto la persecuzione dei cristiani per poter ricapitalizzare lo Stato che era estenuato – cosa facile a succedere in tutti i tempi – e sperava di metter mano sopra il tesoro della Chiesa, che al secolo III per il mantenimento della Chiesa stessa e dei poveri romani era già costituito. Lui ha distribuito tutto ai poveri, e, nonostante la boria imperiale, di poveri a Roma ce ne erano molti. Ha distribuito tutto. Dopo tre giorni dall’uccisione di Sisto, vanno a prendere lui e gli chiedono i denari, l’oro, e lui dice, mostrando una turba di poveri: “Ecco i tesori: sono questi”. Si sono sentiti burlati (perché anche in questa burla, l’aspetto di burla, si vede la grandezza dell’uomo) e per questo motivo, nonostante il fatto che era cittadino romano sebbene nato in Spagna e aveva diritto di morire semmai con l’unico colpo di scure, non hanno osservato la legge e lo hanno condannato a morire di fuoco lento. Sopra la sua tomba, nella basilica di S. Lorenzo in Campo Verano a Roma, c’è ancora la tavola di marmo bucherellata; ha un grande spessore, ha i buchi radi per potere prolungare al massimo il martirio. Se lo avessero messo su una semplice graticola, come quella che il Tavarone ha dipinto nell’affresco dell’abside, dopo cinque minuti era fritto; no, è stato un martirio lentissimo, atroce, superato con la dignità di un uomo, che sapeva di servire Iddio e sapeva che il dolore era l’anticamera della gioia. – Perché l’insegnamento che lascia S. Lorenzo è questo: quello che a noi sembra sacrificio, di fatto è sempre, anche nelle piccole cose umane, l’anticamera della gioia. Questo non per voler rovesciare il mondo, no; perché il mondo quando è rovesciato – e lo è – per metterlo a posto bisogna rovesciarlo un’altra volta!

LO SPIRITISMO (2)

CAPITOLO XXXIV.

(seguito del precedente.)

Frutti dello spiritismo — Negazione sempre più generale del Cristianesimo — Libertà data a tutte le passioni — Pazzia — Suicidio — Statistiche — Ultimo ostacolo all’invadimento satanico: il Papato — Grido della presente guerra : Roma o morte — Timore, generale sentimento d’Europa — Unico mezzo di calmarlo rimettersi sotto il governo dello Spirito Santo — maniera di farlo.

La novella religione dà i suoi frutti. È dote essenziale d’ogni dottrina concretarsi in fatti, che ne sono i frutti naturali. Sinora, fra i più palesi effetti dello spiritismo s’annovera, nell’ordine religioso, la negazione che si fa sempre più generale del Cristianesimo, come opera divina e come religione positiva; il diminuirsi del timore de’ divini giudizi, la fede della metempsicosi, la quale portando in pieno secolo decimonono gli errori dello gnosticismo teorico, mena allo gnosticismo pratico, vale a dire allo sbrigliamento degli scorretti appetiti. – E potrebbe forse accadere altrimenti? Venir fuori a proclamare in mezzo ad un mondo come il nostro, che le pratiche del cattolicismo punto non sono obbligatorie; e che qualunque vita s’abbia menata, se ne potrà saldare i conti con pene transitorie; che queste pene medesime andranno sempre scemando, finché si giunga a perfetta ed eterna felicità; non è egli un gettar legna sul fuoco e stimolar le passioni in modo terribilmente efficace? « Le strade derivate, dicono con ragione gli spiritisti, hanno fatto cadere le barriere materiali. La parola d’ordine dello spiritismo: senza carità non vi è salute, farà cadere tutte le barriere morali. Farà in special maniera cessare l’antagonismo religioso, cagione di tanti odi e sanguinosi conflitti; attesoché allora ebrei, cattolici, protestanti, turchi, si stenderanno la mano, adorando, ciascuno alla sua maniera, l’unico Iddio di misericordia e di pace ch’é lo stesso per tutti. [Rivista spiritisti a , ivi, p. 23.]- [Questi concetti di spiritismo pratico, o satanismo operante, sono oggi addirittura spacciati dal “novus ordo” degli adoratori del baphomet-luciferino, nei sacri palazzi un tempo cattolici, come modello per i fedeli-ignoranti che si pretendono cattolici –ndr.-] » E in altro luogo: «Il principio della pluralità delle esistenze, ha soprattutto una singolare tendenza a entrar nell’opinione delle moltitudini, e nella filosofìa moderna. » [Ivi,, p. 5.]. E noi lo crediamo facilmente. Di tutti questi errori più o meno seducenti, qual’ è il finale resultato? quello che il demonio ha sempre ambito e che unicamente ambisce: la perdita delle anime, cioè la separazione eterna del Verbo redentore: « Satana, dice san Cipriano, non ha altro desiderio che di allontanare gli uomini da Dio e attirarli al suo culto, togliendo loro l’intelligenza della vera religione. Punto». egli cerca di farsi dei compagni del suo supplizio, di coloro che rende con i suoi inganni, partecipi del suo delitto.» – E sant’Agostino: «I demoni fìngono d’essere costretti dai maghi a cui obbediscono volentieri, a fine di allacciarli essi e gli altri, più fortemente nelle loro reti e di ritenerveli. » « Il demonio, aggiunge Alfonso di Castro, finge d’esser preso per prenderti meglio; vinto, a fine di vincerti, sottomesso alla tua volontà, per sottometterti alla sua; prigioniero per metterti nei suoi ferri; finge d’essere attaccato, per le tue invocazioni ad una statua, ad una pietra (a una tavola) all’oggetto di attaccarti con le catene del peccato e di trascinarti nell’inferno. » E in mezzo a nazioni battezzate, si lascia tranquillamente propagarsi una simile religione? – Nell’ordine sociale, i suoi effetti non sono punto meno funesti. Per ciò stesso che egli tende a distruggere il Cristianesimo, lo spiritismo prepara la rovina della società. Bisogna aggiungere che i principali agenti della Rivoluzione europea sono spiritisti, e che gli oracoli degli Spiriti, circa i futuri avvenimenti sono mandati da Garibaldi. Fra esso e i capi dello spiritismo vi è una attivissima corrispondenza. Nell’ordine civile o domestico, la nuova Religione si rivela con la pazzia e col suicidio. Cosi doveva essere. satana é l’implacabile nemico dell’uomo: chiunque scherza con esso, scherza col fuoco. Vittima della sua temerità, egli si trova colla pazzia quando credeva abbracciar la ragione: in seno alla morte, credendo andare alla vita: imperocché, uccidere l’uomo nell’anima e nel corpo, è il supremo intento del grande omicida. – Son questi adunque i due grandi contrassegni del regno di satana, che si manifestano sul mondo presente, segni che lo Spiritismo ha resi più che mai chiari e spiccati. Ahimè! guardate che terribile forza ha la muta eloquenza delle seguenti cifre. Il numero dei pazzi in cura ne’manicomi in Francia, era nel 1835, quando s’ebbe a farne per la prima volta il novero, di 10,539. Nel 1851, di pazzi o scemi, ricoverati ne’pubblici ospizi, o dimoranti nelle loro case, se ne contarono 44,960. Nel 1856 il numero dei pazzi propriamente detti crebbe a 35,031; dei quali 11,714 nelle loro case, e 23,515 negli spedali. Nel 1861, negli 86 dipartimenti dell’antica Francia, si contarono 14,853 pazzi propriamente detti a domicilio, e quindi quasi 20 per cento più che nel 1856. Il l° gennaio del 1860, il numero de’pazzi negli spedali era di 28,706. « Siccome questo numero cresce incessantemente; noi non esitiamo punto a metterlo, pel giugno 1861, di 29;500: onde risulterebbe un totale di 44,353 pazzi, nei manicomi o a domicilio. Sommando insieme pazzi, scemi e cretini, si ha per l’antica Francia, nel 1861, un totale di 80,839 di cotesti infermi. » [Giornale della Società di statistica di Parigi. Del movimento dell’alienazione mentale, ecc., del signor Legoyfc capo di divisione e di statistica generale in Francia, marzo 1863. — L’Inghilterra segue lo stessa progresso. Al 1° gennaio 1864 vi si contavano 44,695 pazzi per l’ Inghilterra e il paese di Galles, e questo numero non rappresenta tutto che imperfettamente le reali proporzioni della pazzia in tutto il regno.]. – Dal che si vede che nei ventisei ultimi passati anni il numero dei pazzi noverati in Francia si è quasi triplicato. [Statistica della Francia . 2a serie, t. III, 2a parte — e Censimento del ministero dell’Interno, 1861.] – Non è altrimenti un calunniare lo spiritismo, l’attribuirgli gran parte del merito di cotesto bel progresso. Or sono dieci anni, negli Stati Uniti, si calcolava che nei casi di pazzia e di suicidio esso ci entrava per un decimo. In un suo ragguaglio sullo Spiritismo, considerato come causa di pazzia, e letto recentemente alla società degli studi medici di Lione, il Dott. Burlet cosi riepilogava le sue conclusioni: « L’influenza della pretesa dottrina spiritica è oggidì ben dimostrata dalla scienza. Le osservazioni che la mostrano vera e reale si contano a migliaia. Ci sembra cosa posta fuori di dubbio che lo spiritismo può venir collocato fra le più feconde cagioni dell’alienazione mentale » [Nampon, Disc. sullo spirit., p. 41 e 43]. E una lettera da Lione, posteriore a codesto ragguaglio dice: « È un fatto, che, dopo l’invasione dello Spiritismo nelle nostre mura, il numero di coloro che s’ebbero a chiudere nell’ospedale per cagione di pazzia, si è più che duplicato. » Somigliante progresso appalesasi dovunque pianta le sue tende lo spiritismo. L’arcivescovo di Bordeaux, in una sua pastorale per la Quaresima del 1863, diceva al suo clero: « Difendete la cattolica verità contro le pratiche misteriose, le evocazioni, le malie, cose che rammentano tristi epoche nella storia del mondo, e che, troppo sovente, hanno, fra gli altri loro lacrimevoli effetti, quello altresì di produrre la pazzia. » E, notato che il numero dei pazzi si è in questi ultimi tempi triplicato, il cardinale soggiunge: « Sì è giunti, fra le congreghe, che noi crediamo dover nostro segnalare alla sollecitudine deinostri padri di famiglia, al segno di formulare dottrine contrarie a quelle della Chiesa. State costantemente sulla breccia; allontanate i fedeli da’luoghi in cui si esercitano queste dannevoli superstizioni.» Segno manifesto dell’influenza del demonio si è, anco  più della pazzia, il suicidio. Suprema violazione della legge divina, negazione assoluta della fede del genere umano, questo disperato delitto non è in natura. Ogni essere ripugna alla sua propria distruzione: mortem horret, dice sant’Agostino, non opinio sed natura, di guisa che le bestie medesime non si uccidono volontariamente. Il pensiero del suicidio, che rende l’uomo inferiore alle bestie, non può dunque venirgli che da suggestione fuori della sua natura. Ora, gli ispiratori del pensiero sono due soltanto: Lo Spirito Santo, e Satana. Non viene dallo Spirito Santo: che anzi lo vieta e condanna: Non occides. Viene dunque da satana, il grande omicida, che, fin dal principio del mondo, non ha mai cessato, e non cesserà mai, di odiare l’uomo di mortalissimo odio. E se vien dal demonio il pensiero, che dire del delitto stesso del suicidio ? Per spingere l’uomo a distruggere sé stesso, oh Dio! che dominio non bisogna mai che abbia sopra di lui! E l’uomo suicida, quanto più consuma l’orrendo delitto a sangue freddo, dà segno che è tanto meno libero di sé  stesso: proprio com’è il moderno suicidio. Pertanto, tutte le volte che sentirete dire che un uomo s’é dato a sangue freddo la morte, dite pure francamente, ch’egli era in balìa del demonio. Parimente se troverete nella storia tempo, in cui il suicidio si mostri più frequente, dite pure anche allora: il demonio in questo tempo volle avere una gran signoria. E se voi v’abbattete a trovar tempo in cui il suicidio sia più frequente che in altri mai; che lo si commetta a sangue freddo, per qualsiasi motivo, in ogni età e condizione dell’uomo; in modo insomma che cessi d’incutere orrore e spavento, ahimè! quello sarà tempo di dover tremare. E si ha un bel negarlo, ma pur troppo si può dirlo ad alta voce, e senza paura di errare, che il demonio sul tempo nostro regna con signoria, quasi diremmo, sovrana: la storia é li pronta a confermarlo. Quando, nell’antico mondo, il suicidio desolava in miseranda guisa l’umana società, il regno di satana era al suo apogèo: codesto delitto n’è il segno e la misura. Divenuto simile alla Bestia che adorava, l’uomo s’era abbrutito. E non credeva più a nulla, nemmeno a sé stesso: a sanare il mondo, a purgarlo della profonda sua corruzione, ci voleva il ferro dei barbari, e il diluvio di sangue. Scacciato dal Cristianesimo, il suicidio ricomparve in Europa in un col Risorgimento; in modo che di mano in mano che questo andava recando i suoi frutti, il suicidio cresceva ancor esso; imperocché egli è uno di quei frutti. Presentemente s’è fatto tale che, in questa parte, i tempi nostri passano gli antichi. Lo si commette per i più leggieri motivi, da uomini e donne, da fanciulli e da vecchi, da ricchi e da poveri, nelle campagne, del pari che nelle città. Non fa più orrore né spavento: se ne leggono i casi come una novella della giornata. La, legge civile più non lo punisce: e sa male che la Chiesa il condanni: per la coscienza di molti non è più manco peccato. – Volete vedere, nel suo laido splendore, codesto segno, del regno di Satana sul mondo presente ? Nel 1783, Mercier scriveva nel suo Quadro di Parigi: « Da alcuni anni in qua, si contano circa venticinque suicidi per anno, in Parigi. » E nelle provincie, allora, era delitto quasiché ignoto, e sempre orribile; cosicché un solo caso che ne avvenisse, bastava a gettar lo spavento in tutto un paese. Mezzo secolo dopo il Mercier, Parigi fu spettatrice di cinquantasei suicidi in un mese. Del resto, ecco qui, per la Francia, la statistica ufficiale del suicidio nel 1861. « Il numero de’ suicidi in Francia è, tratta una media, da 10 a 11 al di, cioè 3899 all’ anno. « Figurano in cotesto numero 842 donne, e 3057 uomini: 16 fanciulli furono suicidi: 9 di 15 anni ; 3 di 14: 2 di 13: 2 di 11, « 49 nonagenari, di cui 38 uomini, e 11 donne. » [Statistic a pubblicata dal Ministero della giustizia. Nel 1866 il numero dei suicidi in Francia è stato di 5,119, cioè 173 di più che nel 1865. S tatistica id. 1868.]. – Da quanto reca l’esattissimo e molto ben fatto libro intitolato: Del suicidio in Francia, pubblicato nel 1862, dal sig. Ippolito Blanc, capo d’uffizio nel ministero dell’istruzione pubblica, il numero dei suicidi in Francia, dal 1827 al 1858, vale a dire in 32 anni, crebbe sino all’ enorme somma totale di 99,662. Gran Dio, in trentadue anni, nel regno cristianissimo, novantanove mila uomini volontariamente uccisi di propria mano! Sarà egli lo Spirito Santo che ha ispirato sì orrenda strage ? E poi si nega l’operar di satana sul mondo! E si celia su d’esso! E si parla di miglioramento morale sempre crescente! – E non è da pretermettere che la Frància, in cotesto satanico macello, punto non fa eccezione: anzi in tal progresso di nuovo genere non primeggia nè anco. Da’ quanto ricavasi dai più recenti documenti ufficiali, i vari stati d’Eùropa danno; sovra un milione di abitanti, i seguenti numeri di suicidi:

.- Belgio ……. 57  – Prussia…………………. 108

.- Svezia…………………. 67 – Sassonia…………… 202

.- Inghilterra……………. 84 – Ginevra…………………..267

.- Francia ………. 100   .- Danimarca ………………….. 288 –

.- Norvegia……………….108 [Annali d’igiene pubblica, gennaio 1862, p. 85. Quanto alla Russia, ecco quel.che ne dice il sig. D. K. Schedo-Ferroti nei suoi Studi sull’avvenire della Russia, pubblicati in Berlino, 1863. « Si conta gran numero di sètte in Russia; eccone qui alcune, che più vannp segnalate per la stravaganza delle loro dottrine. « I Kapitoni, cosi detti dal loro capo, il monaco Kapiton, formano la più antica delle sètte, senza clero: essi considerano il suicidarsi per la fede come la più meritoria delle azioni. « I bespopowzì, della Siberia, credono che 1’Anticristo è venuto e regna sulla chiesa russa, onde fa d’uopo evitare ogni contatto coi suoi servi o aderenti. Come buon mezzo d’involarsi al pericolo di cader vittima delle astuzie del demonio, raccomandano specialmente il suicidio col fuoco; e tali raccomandazioni non sono punto vane ; attesoché, in un dì, 1700 persone perirono volontariamente per via dell’immacolato battesimo del fuoco, implorato dal loro capo. – « I pomoreni e i fllipponi professano la stessa credenza sull’efficacia del suicidio per la fede. « Ve ne sono dei mostruosi, come per es. gli uccisori di bambini, i quali stimano atto meritorio mandare al cielo l’anima di un tenero bambino: i soffocatori, i quali credono che il cielo non sarà aperto se non a coloro che muoiono di morte violenta, e si fanno un dovere di soffocare o accoppare quei dei loro congiunti, nei quali una qualche grave malattia faccia temer la sventura d’una morte naturale. Anzi i più fanatici spacciano fin anche i loro amici vegeti e sani. – Oggi le “società sedicenti civili, lo fanno con l’eutanasia” – ndr. –]. – E in questo conto non entrano che i suicidi ufficialmente denunziati. Quanti ve n’ha che, per un motivo o per un altro, sfuggono alla pubblicità ufficiale! Tale si è la sanguinosa via in cui, da quattro secoli, cammina l’Europa, l’antica Città del bene. Al vedere il suicidio, abolito già dal Cristianesimo, tornato, col Risorgimento, endemico in Europa, che altro conchiuderne se non che il Risorgimento fu il ritorno del Satanismo in Europa: che il grande omicida ha ricuperato parte del suo impero e regna sui nuovi suoi soggetti con signoria pari all’antica? che dico? con signoria ancora più estesa; attesoché la si vede, a certi segni, maggiore d’ assai dell’antica. – E lo spiritismo la va facendo crescere sempre più [Ecco alcune confessioni che abbiamo raccolte dalla bocca stessa di spiritisti avanzatissimi nelle pratiche dello spiritismo, e testimoni dei fatti che ci confidavano. « Lo spiritismo è pieno di pericoli per la salute a ed anche per la vita. Dappertutto ove si sviluppa con una certa intensità, sorgono malattie anomali, un immenso numero di casi di pazzia e la deplorevole propagazione del suicidio, che vanno a colpire coloro che vi si danno con ardore. » Ravvedutisi non senza fatica dei loro errori, gli stessi spiritisti ci riferivano moltissimi casi di suicidio e di follia, avvenuti tra i loro fratelli in spiritismo. La loro testimonianza non faceva che confermare la nostra personale esperienza» A questo proposito la Vera buona novella racconta che a Firenze dove il magnetismo ed il sonnambulismo contano numerosi osservanti, un empio si è dato al mestiere dello spiritismo. Egli ha trovato per medium una povera giovane, e si è messo ad evocare gli spiriti infernali. A forza di essere chiamati, gli spiriti, che non sono sordi, sono venuti: son venuti così spesso che hanno stimato per la più corta di stabilirsi a dimora presso la giovane, la quale a quest’ora, è diventata ossessa e sul punto di morire.]; imperocché lo spiritismo toglie il timor dell’inferno, anzi gli spiriti bene, spesso invitano a venir con essi i viventi e ad entrare, per via della morte, in una nuova incarnazione più perfetta, od anche a godersi lo stato di puri spiriti. Da quanto confessano gli spiritisti medesimi, confermato dai molti fatti riferiti dai giornali, dalle osservazioni dei medici, dai ragguagli datine dalle famiglie, risulta pur troppo chiarissima l’influenza omicida della novella religione. – Si giudichi adesso se la Chiesa ha avuto ragione di condannare gli spiriti, i sonnambuli, i magnetizzatori, i loro libri e le loro pratiche. Sino dall’anno 1856, il Sommo Pontefice segnalava le pratiche diaboliche che avevano per fine di evocare le anime dei morti, e raccomandava a tutti i vescovi del mondo cattolico di adoperare tutte le forze, per estirpare queste pratiche abusive. [Enciclica del 4 agosto 1856].  – Quantunque il decreto non nomini lo spiritismo col suo proprio nome, attesoché a quest’ epoca non si era ancor bene smascherato, nulladimeno egli è chiaramente condannato con queste parole: evocare le anime del morti e ottenere risposte, è una cosa illecita ed eretica. Più tardi, avvenne più direttamente, allorquando lo stesso Pio IX, mediante il decreto della S. Congregazione del Santo Uffizio data del 20 aprile, e della Congregazione del Concilio del 25 dello stesso mese 1864 condannò tutte le opere di Allan Kardec, che trattano dello spiritismo, e tutte le altre opere concernenti le stesse materie: omnes libri similia tractantes. – Infine il Padre Perrone, gesuita romano, stabilì teologicamente la proposizione seguente che è la condanna delle moderne pratiche diaboliche: « Il magnetismo animale, il sonnambulismo e lo spiritismo nel loro insieme non sono altra cosa che la restaurazione della superstizione pagana e dell’impero del demonio. [De Virt. Relig. Etc., p. 351] – Una sola cosa impedisce tuttavia allo spiritismo di recare tutti i suoi frutti: il Cattolicesimo. Or il Cattolicesimo si personifica nel Papato; e satana lo sa molto meglio ancora di Garibaldi e Mazzini. Quindi i fatti,di cui siamo spettatori: l’accanita sua guerra contro di Roma. Dal suo babelico concilio fino alla venuta del Messia, i perseveranti sforzi del principe delle tenebre mirarono ad un solo scopo: formare la sua gigantesca città, e stabilirne Roma capitale. Ci riuscì, imperocché con l’essere padrone di Roma, era padrone del mondo. Ed invero, non sì tosto comparvero gli Apostoli armati di Spirito Santo, Roma diventò l’oggetto del combattimento. Roma o Morte., era il grido della Città del bene e della Città del male, che per tre secoli echeggio da Oriente ad Occidente; ed undici milioni di martiri attestano quanto grande fosse e tremendo il conflitto. – Per il Verbo incarnato, Roma vuol dir l’impero: per satana, morte vuol dire perdita di Roma e dell’impero., Chi non resterà stupito al vedere, dopo diciotto secoli, Roma diventare un’altra volta oggetto della pugna; ed il grido di guerra Roma o morte servire di parola d’intesa ai due campi opposti? Fra tutti i segni dei tempi, questo, per nostro avviso, non è punto il meno degno di attenzione. Che Roma sia il grido del mondo attuale, il grido che passa ogni altro, è fatto che non ha bisogno di prova. Re e popoli, diplomatici e filosofi, scrittori e soldati, cattolici e rivoluzionari, tutti agognano Roma per diversi motivi. Oggidì più che mai l’odio e l’amore si contendono Roma; e tutto ciò che parla di Roma scuote gli animi, ed eccita la duplice passione del bene e del male.- Questo dramma supremo, di che il mondo fu spettatore solo una volta, di che cosa è prova? Di quel medesimo che diciotto secoli fa. Prova che Roma è la regina del mondo; prova che satana, cacciato di regno, e stretto in catene dal Redentore, tenta spezzare quelle catene e rifare la sua città; città formidabile, in quanto che va composta di gran parte d’Europa, tolta al Cristianesimo. Prova che, per ricostituirla qual era una volta, non gli resta più che renderle Roma, sua antica capitale; ch’ei la vuole ad ogni costo, e per conquistarla cammina alla testa d’immenso esercito di rinnegati, non facendo, come già altre volte, distinzione tra mezzo e mezzo, e ripromettendosi una non lontana vittoria, la quale, giusta il detto di Pio IX, rìcomincierà l’era dei Cesari e dei secoli pagani, vale a dire farà ricadere il mondo nella morale e materiale schiavitù, da cui lo aveva liberato il cristianesimo.[Encic. 8 ic. 1849]. – Detto verissimo. Ora s’egli è chiaro che il mondo va sempre peggio sottraendosi all’influenza dello Spirito Santo, è chiaro non meno che esso cade, in pari misura, sotto l’impero dello Spirito maligno, e si sottopone per sua grande sventura a tutte le conseguenze della sua colpevole infedeltà. Il passato è storia dell’avvenire. Non ostante le lusinghiere predizioni dei loro falsi profeti, i popoli dei tempi nostri hanno un cotal presentimento di quel che li aspetta: essi hanno paura. È questo indefinibile sentimento, ignoto in tempi regolari, un contrassegno dei nostri. – L’Europa soggioga città reputate inespugnabili, e pure ha paura. Con pochi soldati ottiene, in lontani paesi, splendide vittorie su potenti nemici, e pure ha paura. Vegliano alla sua difesa quattro milioni di baionette, e pure ha paura. Doma gli elementi, annulla le distanze da popoli a popoli, vanta i prodigi della sua industria; l’oro scorre abbondante nelle sue mani; alle rustiche divise ha sostituita la seta; la natura tutta s’è fatta tributaria del suo lusso; la sua vita somiglia al convito di Baldassarre; e pure ha paura. Dappertutto regna la paura. Le nazioni hanno paura delle nazioni: i re hanno paura dei popoli, e i popoli hanno paura dei re. L’uomo ha paura dell’uomo. La società ha paura del presente, e più ancora dell’avvenire ; chi ha paura di qualcheduno, o di qualche cosa, il cui nome è un mistero. Perché ha ella paura ? Perché l’istinto della sua propria conservazione 1’avverte che non è più retta dallo spirito di verità, di giustizia, di carità, senza del quale non v’ha ordine possibile, né società durevole, né sicurezza per alcuno. E questo temere non è altrimenti vano. Per le nazioni si come per gl’individui, tra la Città del bene e la Città del male, tra Cristo e Belial, non si dà punto di mezzo. – Or, ritornando nel mondo, satana, checché ne dicono i suoi apologisti, ci ritorna qual è, fu, e sarà sempre: l’odio. Lasciate che cotesto forzato dell’inferno, esca della sua galera, sciolto e libero della camicia di forza che si chiama Cattolicesimo, e vedrete quel che farà. Padre della superbia e della crudeltà, della menzogna e della voluttà fallace, farà domani quello che ha fatto in tutti i tempi che fu dio e re, quel che seguita a far tuttavia in tutti i popoli ancor sottoposti al suo impero. La guerra sarà generale; la terra diventerà un campo di rovine; lacrime e sangue scorreranno a torrenti: il genere umano avvilito, sarà fatto segno ad Oltraggi non rammentati ancor dalla storia, giusto castigo di una ribellione allo Spirito Santo, simile al’quale la storia parimente non conta. Salvo un miracolo, tale si è, non accade dissimularlo, lo spalancato abisso, a cui camminiamo. Come arrestarci sul fatale pendio? Via tutti i mezzi di salvamento, che viene a proporre 1’umana sapienza. No, cento volte no; l’Europa infedele allo Spirito Santo non sarà salvata né dalla filosofia, né dalla diplomazia, né dall’assolutismo, né dalla democrazia, né dall’ oro, né dall’industria, né dalle arti, né dalle banche, né dal vapore, né dall’elettrico, né dal lusso, né dalle belle parole, né dalle baionette, né dai cannoni rigati, né dalle navi corazzate. Come dunque vorrà ella esser salvata, se lo dev’essere? La risposta è facile: perdutosi per essersi dato in braccio allo spirito del male, il mondo moderno sì come 1’antico, non andrà salvo che col darsi allo spirito del bene. Il flgliuol prodigo non risorge a vita se non ritornando nelle braccia di suo padre. Attesi gl’incalcolabili pericoli onde, nell’ora che corre, è minacciata la vecchia Europa, questo ritorno allo Spirito Santo, pronto, sincero, universale, è la prima necessità urgentissima. A fine di farla vedere finanche ai ciechi, noi ci siamo indotti a rinfrescar la memoria dell’esistenza, dimenticata troppo, dei due spiriti opposti, che si contendono l’impero del mondo e con sovrana autorità lo governano: e abbiamo posta in chiaro l’ineluttabile alternativa, in cui si trova il genere umano, di vivere sotto l’impero dell’uno ò dell’altro. Finalmente la storia universale, riepilogata in breve nella descrizione parallela delle due Città, ci ha detto quel che ridonda all’uomo dall’essere cittadino della Città del bene, o cittadino della Città del male. – Ma il solo sapere quel che bisogna fare, punto non basta, e resta a indicare i mezzi corrispondenti. I quali tutti consistono e riduconsi nel conoscere lo Spirito Santo, all’oggetto di amarlo, invocarlo, rimetterci sotto il suo impero, e restarvi. Finora abbiamo mostrata l’opera più dell’artefice: l’opera esteriore e generale, più che l’opera intima e particolare; il corpo piuttosto che l’anima. Or’è d’uopo far conoscere in se stessa quest’Anima divina dell’uomo e del mondo: questo Spirito Creatore, a cui il cielo e la terra vanno debitori del loro splendido ammanto: questo Spirito vivificatore, che ci nutre come l’aria, che ci circonda come la luce: questo Spirito santificatore, Autore del mondo della grazia e delle sue magnifiche realtà. E’ si vogliono spiegare le multiformi sue operazioni nell’ordine della natura e nell’ordine della grazia, si nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Teologica, acciocché sia esatta; semplice e in certo modo catechetica, acciocché la verità sia nelle mani del Sacerdote un pane più facile a rompere alle menti meno forti e capaci, tale dev’essere la seconda parte del nostro lavoro. La quale, diciamolo schiettamente, è, più ancor della prima, superiore alle nostre forze. Vi ci accingiamo tuttavia, confortati nella nostra debolezza da due cose: cioè dalla benevola indulgenza delle persone illuminate, le quali intendono la difficoltà di tale lavoro; e dalla infinita bontà di Colui per cui lavoriamo : “Da mihi sedium tuarum assistricem saptentiamut im eum sit et mecum làboret” [Sap., IX, 4.].

LO SPIRITISMO (1)

 

[J.- J. Gaume – “Il Trattato dello Spirito Santo” – Firenze, 1887: Vol. I, Capp. XXXIII e XXXIV]

Capit. XXXIII

Lo Spiritismo.

Farsi adorare, supremo scopo di Satana — Lo spiritismo — Sua apparizione — Sua pratica — Sua dottrina — Sue mire — Forma una nuova religione — Suo simbolo — Suoi regolamenti — Sue finanze — Suoi mezzi di propagazione — Numero crescente dei suoi adepti.

Farsi adorare, il Verbo incarnato è re, è Dio: per tale duplice titolo a Lui spettano gli omaggi e le adorazioni del genere umano. Satana, implacabile nemico del Verbo, vuole ad ogni costo pigliarne il posto, e come re e come Dio. Tale si è lo scopo supremo cui sempre mirò, cui ottenne nel mondo antico, e ancora ottiene in tutti i popoli non cristiani. La storia entra come testimone di questo fatto, antico quanto l’umana progenie. A tale uopo, nel mondo antico, egli aveva diffuso tre grandi errori, che arretravano tutta quanta la terra: il panteismo, il materialismo ed il razionalismo. Piantati negli animi, questi tre errori soppiantavano radicalmente il Verbo Redentore, la cui Incarnazione pareva quindi impossibile, oppure incredibile. Preparato in questa guisa il terreno, satana montava a piè pari sui troni e sugli altari. E la ragione n’è semplice assai: l’uomo non può stare senza un Signore né un Dio. Creato per ubbidire e adorare, bisogna, checché egli faccia, che ubbidisca e adori: Gesù Cristo Dio e re, ovvero satana dio e re, non c’é via di mezzo. Or, esaminando gli errori dominanti nell’Europa moderna, agevolmente, si trova che si riducono ai tre antichi sistemi; il panteismo, il materialismo ed il razionalismo. Adesso come in antico, il supremo loro termine è la distruzione del domma dell’incarnazione. Se tutto è Dio, non accade incarnazione veruna: se tutto è materia, incarnazione non si dà: se non v’ha verità che passi i limiti della ragione, non occorre parlar di misteri, e perciò nemmeno d’Incarnazione. Fa egli mestieri di dire che la negazione diretta di questo domma fondamentale torna a saltar fuori fra noi con tale sfoggio di audace ignoranza, qual non s’era mai visto dal Vangelo in poi? E s’ha egli ad aggiungere che la si vede accolta con tale calore da doverne chinare la fronte per la vergogna e tremare? È un segno dei tempi. Senza l’elemento cattolico, che lotta tuttavia per mantenere sul divino suo seggio la persona del Verbo incarnato, il mondo presente tornerebbe come l’antico. E quanto più quell’elemento viene scemando, tanto più s’appiana la via al demonio per risalire sovra i suoi antichi altari. La ragione lo dice, e la storia lo conferma: l’uomo presente siccome l’antico ha bisogno d’un Dio: detronizzando il Verbo, si cade in satana. – Al mirare l’Europa volgente le spalle al Cristianesimo, tale caduta potevasi preveder facilmente: e v’ebbe chi la previde, annunziò, dimostrò da più di venti anni. Ma i veggenti furono trattati da sognatori. Nel secolo decimonono, il mondo tornare al paganesimo! Insensato chi il dice, sciocco chi il crede. Intanto, il paganesimo, ne’ suoi elementi costitutivi, seguitava ad invadere la società; già era il paganesimo stesso. Per paganizzare gli animi, non fa altrimenti mestieri trarre fuori idoli materiali: il mondo era pagano prima che la mano dell’uomo presentasse alle sue adorazioni dèi di marmo o di bronzo. Il paganesimo è la negazione del Verbo incarnato e del sovrannaturale divino; e, qual conseguenza inevitabile, l’adorazione di ciò che non è il vero Dio, di ciò che non è il vero sovrannaturale. Or, adorare ciò che non è il vero Dio, è adorare un dio falso, è adorare satana, è essere pagano. « Abbia o non abbia l’oggetto dell’idolatria una forma plastica, è nondimeno sempre idolatria, » così Tertulliano. – Siccome l’anima chiama il corpo, così il culto interiore chiama il culto esteriore. In antico, satana godevasi l’uno e l’altro; e ancor se li gode nei popoli idolatri. Or bene, satana punto non muta né invecchia. E’ vuol essere quel che già fu: avere quello che già ebbe. E lo vuole tanto più, in quanto che gli oracoli, le evocazioni, le apparizioni, le guarigioni, i prestigi erano il precipuo mezzo del suo regno, e parte integrante della sua religione. Era dunque più che certo che tosto o tardi, sarebbe ritornato con tutto quell’accompagnamento di pratiche vittoriose, destramente modificate secondo i tempi e le persone. Cosi parlava la logica, la quale aspettava con fede, anzi, con terrore, la conferma dei suoi ragionamenti. Stavano le cose in questi termini, quand’ecco, nel popolo più razionalista del mondo, apparire mille strani fenomeni, attribuiti ad agenti sovrannaturali, e al cui aggregato, fu dato il nome di Spiritismo, ossia Religione degli spiriti. Uno de’ suoi pontefici ve ne fa la storia cosi: « Verso il 1850, la pubblica attenzione venne, negli Stati Uniti d’America, chiamata su diversi fenomeni strani, consistenti in rumori, colpi e movimenti d’oggetti, senza causa conosciuta. Tali fenomeni accadevano spesso spontaneamente, con intensità e persistenza singolari; ma si notò ancora che in più speciale maniera manifestavansi sotto l’influenza di certe persone, alle quali si diede il nome di Mediums, è che in certa qual maniera potevano eccitarli a lor senno: onde s’ebbe modo di replicare gli esperimenti. « S’adoperarono a tale uopo specialmente tavole; non perché tale oggetto vada meglio d’un altro; ma solo perché é mobile, più comodo, s’ebbero giri della tavola, poi movimenti in tutti i versi, scosse, arrovesciamenti, alzamenti, forti colpi, ecc. È il fenomeno che in principio chiamavasi delle Tavole giranti ». «Non si tardò a riconoscere, in quei fenomeni, effetti intelligenti: infatti il muoversi della tavola ubbidiva alla volontà: la tavola volgevasi a destra od a sinistra, verso una persona designata, drizzavasi, al comando: su uno o due piedi picchiava il richiesto numero di colpi, batteva il tempo, ecc. Restò fin d’allora evidente che la cagione di tali fenomeni punto non era meramente fisica; e, secondo 1’assioma: Se ogni effetto ha una causa, ogni effetto intelligente deve avere una causa intelligente, si conchiuse che la causa di tale fenomeno doveva essere un’intelligenza. » Non c’è che dire; il ragionamento è giusto, sì come il fatto medesimo è incontestabile; ma quale si era la natura di questa intelligenza? Qui stava il punto: « Cosi sul primo si pensò che potesse essere un riflesso dell’intelligenza del medium, o degli astanti: ma l’esperienza mostrò che questo era impossibile; attesoché, si ottennero cose interamente estranee al pensiero ed alle cognizioni delle persone presenti, ed anzi contrarie alle loro idee, volontà, desideri: non poteva dunque appartenere che ad un essere invisibile. E semplicissimo era il mezzo di rendersene certi. Non sognava altro che mettersi in conversazione con quell’essere: il che si faceva mediante un numero di colpi fissati, significanti si, ovvero no, sulle lettere dell’alfabeto: e in questa guisa s’avevano le risposte alle fatte domande. » È il fenomeno detto delle Tavole parlanti. Tutti gli esseri, che cosi si comunicarono, interrogati sulla loro natura, dichiararono di essere Spiriti ed appartenere al mondo invisibile. Or, quei medesimi effetti essendosi manifestati in molti luoghi, per mezzo di persone diverse, ed essendo d’altra parte stati osservati da uomini gravissimi ed illuminatissimi, non era possibile che fossero giuoco d’una illusione. Dall’America passò quel fenomeno in Francia, e nell’altre parti d’Europa: dove, per alcuni anni, le tavole giranti e parlanti furono cosa di moda, e divertimento delle brigate; poi quando se n’ebbe abbastanza, si lasciarono da parte per altre distrazioni. Le comunicazioni a colpi battuti erano lente ed imperfette. Si trovò che mettendo per acconcio modo una matita in qualche oggetto mobile, per es. in un paniere, in un tavolino, su cui si ponessero le dita, quell’oggetto prendeva a muoversi, e segnare caratteri. Vennesi poi a conoscere che tali oggetti erano meramente accessori, e se ne poteva far senza. L’esperienza mostrò che lo Spirito, operante su corpo inerte per volgerlo a suo senno, poteva altresì operare sul braccio o la mano, per guidar la matita. S’ebbero allora i Mediums Scriventi, vale a dire persone scriventi in maniera involontaria sotto l’impulso degli Spiriti, de’ quali venivano quindi ad essere strumenti e interpreti. Allora le comunicazioni non ebbero più limite….» – Ai Mediums scriventi, s’aggiungono oggidì i Mediums evocatori, ed i Mediums risanatori. I primi, numerosissimi da due anni in qua, ottengono dagli spiriti i più strani fenomeni; apparizioni di spettri, o di fiamme fosforescenti, suoni articolati, scritture spontanee, rigidità e insensibilità di tutte le membra del corpo, immobilità istantanea di tutti gli orologi d’un appartamento, ecc. [Tutti sanno che i fenomeni dello Spiritismo sono andati crescendo col crescer dei suoi addetti. Non più soltanto con tavole giranti, o scriventi, ma con assunzione temporanea di umane sembianze, Satana scimmia perpetua dell’Uomo Dio, comunica coi suoi adoratori. Questi fenomeni dei quali i periodici spiritistici parlano con frequenza, sono avvenuti in presenza a persone di troppa, serietà da poterli mettere in dubbio. La ossessione poi, quantunque non completa, delle persone ci è rivelata da quei fenomeni che oggi chiamano ipnotici, mediante i quali a volontà dell‘ipnotizzante, anche con distanza di luogo e di tempo la persona ipnotizzata compie per necessità azioni che mai vorrebbe compiere fuori dell’ipnosi. — Chi volesse le sicure riprove dei più strani fenomeni spiritistici, non ha che a leggere The spiritualist, e The Medium, and Daybreak oppure The spiritual Sdentist. (N, d. Ed.). Gli altri, tendono a moltiplicarsi, secondoché gli spiriti hanno annunziato, affine di propagare lo Spiritismo, per l’impressione che questo nuovo genere di fenomeni non può mancar di produrre sulle moltitudini; perché non v’ha alcuno, anche de’ più increduli a cui non piaccia la sua salute…. Tra il magnetizzatore ed il medium risanatore, passa questa capital differenza, che il primo magnetizza col suo proprio fluido, e l’altro col fluido epurato degli spiriti. I medium risanatori sono un de’ mille mezzi provvidenziali, per accelerare il trionfo dello Spiritismo.[Rivista spiritica, del gennaio 1804 p. 10 e 11. — Che i demoni possano operare delle guarigioni più o meno reali la cosa non sembra dubbia. Tertulliano ne dà il segreto: ed i numerosi ex voto appesi alle mura dei templi pagani antichi, attestano la credenza dei popoli; checché se ne dica gli spiriti non arrivano ora fin qui. Il loro gran medium che guarisce, lo zuavo Jacob, la cui fama occupava tutta Parigi, l’anno passato 1867 ha finito col fare un fiasco completo. » – Tali sono, finora, i principali fenomeni spiritistici e i modi ordinari di comunicazione cogli spiriti. Ma, in fin dei conti, che s’ha egli a pensare di codesti fenomeni, e che spiriti sono quelli? Dire, come certuni fanno: « Io nego tutti questi fenomeni, perché finora non ne ho veduto alcuno, torna allo stesso che dire: Io nego l’esistenza della città di Pechino, perché non vi sono mai stato. È un dire a coloro che vi parlano di quei fenomeni: voi siete ingannati, o ingannatori. Or bene, si noti che chi fa tal complimento, lo fa non a poche persone, facili ad essere tratte in inganno, o complici interessati di grossa menzogna: ma a migliaia dì persone, gravi e rispettabili, di ogni paese, le quali fra loro punto non conoscendosi, né pur mai essendosi vedute, si troverebbero allucinate lo stesso dì, nella stessa ora: o s’accorderebbero per affermare come vero un fatto materialmente falso. E insomma un dire: Io nego perché nego: cioè perché voglio dire una sciocchezza; attesoché sciocchezza vera è negare senza provare. Se la tenga chi vuole, e noi andiamo innanzi. – Dire con altri: « Questi fenomeni esistono, ma non hanno niente di sovrannaturale. Giuochi di fisica, ciurmerie, o al più al più effetti di certe influenze dei fluidi; altro non c’è. » Giuochi di fisica! E la prova? « Ah la prova si è che il nostro famoso prestidigitatore, Robert Houdinì ne fa dei somiglianti. » Voi dunque avete veduto da Robert-Houdin quello che migliaia di testimoni affermano di aver veduto dagli Spiriti, tavole che giravano, si alzavano, battevano il tempo, al contatto del dito mignolo d’un fanciullo? Dunque avete veduto tavole intelligenti, che rispondevano alle vostre interrogazioni, e scrivevano esse medesime le risposte? Dunque avete, veduto Robert-Houdin dirvi quel che accadeva cento miglia lontano; scoprirvi cose note a voi soli? L’avete sentito, al semplice contatto dei vostri capelli, esattamente descrivervi una qualche interna malattia, di cui finora nessun medico valse a guarirvi, e spiegarvene la natura, e nominarvi, pur non essendo medico ne chimico, con precisione e con i loro nomi scientifici, i rimedi necessari a guarirne? Oh! No. Robert-Houdini non v’ha fatto vedere nulla di simile. Ciurmerie, e la prova? Ahi la prova, si è che ai tempi nostri i ciarlatani sono tanti e sì destri, che non c’è più da fidarsene. » Vero, verissimo che i ciarlatani, ai tempi che corrono, sono molti e d’una destrezza da non si dire: e voi farete ottimamente a guardarvene. Ma la questione non è questa. Si tratta di sapere le ragioni che voi avete di credere che gli Spiriti son ciarlatani, e i testimoni dei loro fenomeni, gente prezzolata o illusa. Fuori dunque le ragioni, se volete che discutiamo: imperocché ben sapete che su quel che non si conosce, non si da’ discussione. « Le ragioni, voi rispondete, io le ho già dette: io non posso ammettere l’intervento .degli spiriti in questo genere di fenomeni. » Dire che voi non potete, è dire che non potete: non é un recare prove, ma niente altro che affermare la vostra, impotenza, né più né meno. Ma che volete? a questa vostra impotenza, trionfalmente risponde la potenza del testimoniare, mille volte ripetuto, di migliaia di testimoni oculari, sani di mente e di corpo, e come voi, dotati di ragione e forniti di scienza, di esperienza, di sangue freddo e di diffidenza: più che voi per avventura non pensate. Risponde, anzi più, la testimonianza di .tutto il mondo, da migliaia d’ anni; imperocché migliaia d’anni sono che il mondo vede Spiritisti. Or bene, da queste due testimonianze esce una voce che domina tutte le altre e dice: No, i fenomeni dello Spiritismo non sono ciurmerie.L’influenze dei fluidi! E la prova? « Ah! la prova, si è che i fluidi sono agenti misteriosi, atti a produrre effetti da stordire, e che a noi paiono sovrannaturali, comecché siano naturalissimi. » Ammettiamo i fluidi; ma prima ditemi di grazia quello che in sostanza è un fluido. L’avete voi veduto? toccato? analizzato? Che colore ha? di che elementi è composto? È cosa spirituale o materiale? Se è cosa materiale, spiegatemi come possa un agente materiale produrre effetti non materiali: farmi leggere cogli occhi chiusi, vedere a distanza, sapere quello che si fa in lontani paesi, da. me non mai veduti, e dove non conosco persona. Se poi il fluido è qualche cosa di natura spirituale, allora siamo d’accordo; quello a cui voi date nome di fluido, noi lo chiamiamo Spirito. Ma voi a dare un’esatta definizione del fluido vi trovate impacciato: perché voi stesso lo dite un agente. Se è un agente misterioso, dunque non lo conoscete, o lo conoscete troppo poco da potergli, con certezza, attribuire questi o quelli effetti. Questa maniera di ragionare non è però nuova, né recente: imperocché già tutta la materialistica-setta di Epicuro l’adoperava contro gli oracoli ed i prestigi, vale a dire contro l’antico Spiritismo. A detta loro, tutti quei fenomeni procedevano da sotterranee esalazioni d’ignota natura: e i poveretti non s’accorgevano che la paura del sovrannaturale li faceva dare in contraddizioni ed assurdi: badiamo di non caderci anche noi. E sarebbe in verità un cadervi, se ci contentassimo di mal definite parole per sostituirle a fatti veri e reali. Insomma, salvo dare nel pirronismo universale, è giuocoforza ammettere nel loro complesso, la realtà dei fenomeni spiritistici, e la spiritualità degli agenti che li producono. Ma che spiriti son questi? Non possono essere altro che angeli buoni o cattivi, anime sante ovvero anime dannate. Or, angeli buoni né  anime sante non sono: imperocché, prima di tutto, gli angeli buoni e. le anime sante non stanno altrimenti ai cenni dell’uomo, nel senso che vengano, in maniera sensibile, alla chiamata del primo venuto, per soddisfare la sua curiosità e servirgli di spasso: non si è mai veduto, né detto, né creduto nulla di simile. E poi, Iddio vieta, sotto severissime pene, l’interrogare i morti. I pretesi morti che rispondono, disobbediscono a Dio; e perciò non sono santi. Che sono essi dunque? anime dannate, o demoni. Ma anche i dannati non stanno altrimenti, più che i santi, ai cenni di chiunque li evochi. Quali saranno dunque codesti spiriti, che rispondono? I demoni; che stanno attorno a noi, pronti sempre ad ingannarci; al quale intento hanno mille arti e mezzi. Cosi, in perentoria maniera, la ragiona Monsignor vescovo di Poitiers: « Se non è lecito, dice il dotto prelato, interrogare i morti, e se, per conseguenza, Iddio loro non dà facoltà di rispondere alle interrogazioni, che i vivi non possono loro fare lecitamente, onde credete voi che vengano codeste risposte, che altri si vanta di ottenere, e talvolta ottiene? Evidentemente, che possa rispondere a queste colpevoli interrogazioni, altri non v’ha se non lo Spirito delle tenebre. È dunque la comunicazione cogli spiriti, né più né meno che il commercio con i demoni. È quindi un ritornare ai mostruosi disordini e dannose superstizioni, che misero per tanti secoli, e mettono ancora, i popoli pagani sotto la vituperosa servitù delle potenze infernali. [Istr. past. tom. Ili, p. 48, 45.] » – All’autorità dell’ illustre vescovo – aggiungiamo quella di un teologo romano, la cui recente opera é onorata di una lettera del Sovrano Pontefice, Pio IX. « Il Magnetismo animale, dice il P. Perrone, il sonnambulismo e lo spiritismo nel loro complesso, non sono altro che la restaurazione della superstizione pagana, e dell’impero del demonio.» Gli Spiritisti, negando la personalità dei demoni fan loro proteste contro tal ragionare; ma poi sostengono, contro i loro princìpi, e in modo da doverne andare confusi, come fra poco vedremo, che le comunicazioni cogli Spiriti sono un fatto, noto fin dagli antichissimi tempi. « La realtà dei fenomeni spiritistici, così essi, trovò molti contradditori. Gli uni non ci seppero vedere altro che una ciurmeria…. I materialisti misero l’esistenza degli Spiriti nel novero delle favole assurde…. Altri, non potendo negare i fatti, sotto l’impero d’un certo ordine di idee  (Intendi il clero e i cattolici, fedeli alle dottrine rivelate), attribuirono tali fenomeni a mera influenza del Diavolo, e con questo intesero, di spaventar ì timidi.. Ma oggidì la paura del Diavolo ha molto e poi molto perduto del suo prestigio. Se ne è parlato tanto, lo si è presentato in tante maniere, che la gente si è addimesticata con tale idea; e molti hanno detto; bene! e si vuol cogliere l’occasione di vedere una volta che cosa infine è il diavolo. Onde venne che, salvo poche donne di timorata coscienza, l’annunzio dell’arrivo del vero diavolo aveva alcun che di solleticante, per coloro che non l’avevano mai veduto, se non in pittura, o al teatro: di guisa che per molte persone fu un efficace stimolo. » (Àllan Kardec. Lo spiritualismo nella sua più semplice espressione). – In altro luogo, questo medesimo oracolista dello Spiritismo, dopo aver fatta, senza pensarvi, una giusta pittura delle generali disposizioni del mondo moderno rispetto al demonio, dice: « Sebbene i fenomeni Spiritistici si siano in questi ultimi tempi manifestati in maniera più generale, nondimeno v’han mille prove ch’ebbero luogo fin da’più remoti tempi. Questa, di cui noi siamo al presente testimoni, non è dunque una moderna scoperta: è il- ridestarsi dell’antichità; ma dell’antichità sciolta e libera da quella mistica farraggine, che ha prodotto le superstizioni dell’antichità illuminata dalla civiltà e dal progresso nelle cose positive…. (Vuol dire, dell’antichità qual era prima del Cristianesimo, e quale ritorna secondo che il cristianesimo va perdendo terreno. Queste parole del Sig. Allan Kardec valgono, tant’oro. Se noi l’avessimo pagato per sostenere la nostra gran tesi del paganesimo moderno, non avrebbe potuto dir’meglio). – « Il fatto delle comunicazioni col mondo invisibile si trova in termini non equivoci nelle narrazioni bibliche, in s, Agostino, s. Girolamo, s. Giovanni Grisostomo, s. Gregorio Nazianzeno. I più sapienti filosofi dell’antichità l’hanno ammesso; Platone, Zoroastro, Confucio, Pitagora… Lo troviamo nei misteri e negli oracoli … negli indovini e fattucchieri del Medio Evo…. In tutto lo stuolo delle ninfei dei geni buoni e cattivi, delle siili, de’gnomi, delle fate, dei folletti, ecc. » (Rivista spiritistica, 8 gennaio 1858.). Tale dunque si è la bella genealogia dello Spiritismo. Da quanto confessa il loro più solenne maestro, gli spiritisti moderni hanno per antenati e colleghi tutte le pitonesse, tutte, le maliarde, tutti gli Spiriti dei tempi antichi. Quest’antichità loro piace, e se ne vantano. Cosi vediamo compiacersi i Protestanti d’aver per loro antenati gli Ussiti, i Valdesi, gli Albigesi, e per mezzo di essi farsi su, fino ai primi tempi della Chiesa. Nel programma d’una magnetizzatrice, dimorante in uno dei bei quartieri di Parigi, leggiamo (marzo 1864): « La scienza, di cui ci accingiamo a parlare ai nostri lettori, è certamente una delle più antiche ed importanti per l’umana specie. Prima del secolo decimosesto, era questa scienza conosciuta sotto il nome di Spirito, di sortilegio e di magia. Due secoli dopo, il dottore Mesmer ravvisò, in questa scienza non definita, un potente agente che s’insinua per influenza- celeste, presso i nervi, de’quali sviluppa l’attività, ecc. » – Il summenzionato messere, che dello Spiritismo ha tessuto la genealogia che abbiamo veduto, dice giusto, giustissimo: i fenomeni spiritistici dei tempi nostri sono i medesimi dell’antichità pagana, e dei popoli che ancora giacciono nelle tenebre dell’idolatria. Qual differenza infatti trovate voi, se non forse nella forma, tra le evocazioni  gli oracoli, le consultazioni, i prestigi che vediamo, dopo diciotto secoli di Cristianesimo, ricomparire in Europa, e quanto avveniva, due mila anni fa, a Claros, a Dodona, a Preneste, in tutte le città dei Greci e dei barbari, come dice Plutarco, e quanto tuttavia avviene in Africa, nelle Indie, nel Tibet, nella Cina, insomma dovunque non fu predicato il Vangelo? Se l’autore non fosse stato accecato dal suo premeditato intento, avrebbe conchiuso dicendo: l’identità degli effetti mostra l’identità della causa. Or, l’antichità tutta attribuisce a’demoni, e non alle anime dei morti, i fenomeni dello spiritismo: dunque se non si può far contestazione sul fatto, nemmeno sulla causa. (I cattolici si rammenteranno che sarebbe altrettanto pericoloso che assurdo, il negare nel loro complesso l’autenticità delle manifestazioni diaboliche attuali, La negazione del soprannaturale satanico, conduce alla negazione del soprannaturale divino. Quello satanico non è tale che per rapporto a noi; rapporto ai demoni è naturale. Questo è il significato che noi diamo a questa parola nel corso dell’opera nostra). – Che tutta l”antichità attribuisca ai demoni cotali fenomeni, è fatto che nessuno può negare senza dar nello scetticismo. E avendolo noi già provato, basti qui recar Tertulliano; il quale strappando, già ben diciasette secoli fa, la maschera ai pretesi morti di Allan Kàrdec e degli spiritisti moderni, diceva: « La magìa promette di evocare i morti. Che dunque diremo essere la magìa? quello che la dicono quasi tutti, un inganno. Ma è inganno che è noto soltanto a noi cristiani, che sappiamo i fatti degli spiriti maligni. I demoni sono autori della magia, per mezzo della quale si danno per morti. Ben s’invocano dunque i morti giovani, e di morte violenta; ma sono i demoni che operano, sotto la maschera dell’anime. » [Magia…. quæ animas…. evocaturam te ab inferum incolatum  pollicetur. Quid ergo dicemus magiam? quod omnes pene, fallaciam. Sed ratio fallaciæ solos non fugit cbristianos, qui spiritualia nequìziæ novimus…. In qua se dæmones perinde mortuos fingunt…. Itaque invocantur quidem Ahoxi et Biothanati, sed dæmones operantur sub obtentu earum (animarum). De Anim c. LVII]. Sant’Agostino aggiunge: « Questi «piriti, ingannatori non per natura ma per malizia, si dantio per iddii o per tante anime dèi morti, e non per demoni come sono realmente. » – Al chiaro parlare della tradizione, i Padri aggiungevano l’autorità detratti. Colle prove alla mano, essi disvelavano la natura di quei pretesi morti, facendo notare gli errori .e l’immoralità della loro dottrina; e nulla è mutato. Non ostante tutti i suoi artifizi, in nessuna altra cosa il demonio si mostra più evidentemente che nell’insegnamento che dà ai moderni spiritisti, coll’incarico di farsi suoi organi. E il suo insegnamento, strano miscuglio di vero e di falso, adesso come già in altri tempi, finisce con errori radicali. In fatti, il Cattolicesimo è la verità, tutta la verità, niente altro che tutta la verità; ed ogni affermazione contraria è errore, e viene senz’altro dal Padre della menzogna. – Or bene, gli Spiriti insegnano sei errori, vale a dire sei negazioni, che menano alla totale distruzione del Cattolicesimo. Essi negano: 1° resistenza dei demoni; – 2° Teternità delle pene ; – 3° la risurrezione dei corpi; – 4° il peccato originale; – 5° la rivelazione cristiana; – 6° e per conseguenza la divinità stessa di nostro Signore. – Mano alle prove. Per l’organo di tutti i loro medium e specialmente per bocca del loro gran sacerdote, Allan-Kardec, gli Spiritisti dicono: « Lo spiritismo, così essi, impugna l’eternità delle pene, il fuoco materiale dell’inferno, la personalità del diavolo. Secondo la dottrina degli spiriti intorno a’demoni, il diavolo è la personificazione del male; è un essere allegorico, che ha in sé tutte le male passioni degli spiriti imperfetti. Gli spiriti altro non sono che le anime. « Gli Spiriti prendono temporaneamente un corpo materiale. Quelli che seguono la via del bene camminano avanti più presto, sono meno lenti a giungere alla mèta e vi giungono senza penar tanto…. Il perfezionamento dello Spirito è frutto del suo proprio lavoro. Non potendo, in una sola esistenza corporale, acquistare tutte le qualità morali e intellettuali, che lo devono condurre alla mèta, e vi giunge per mezzo di varie esistenze successive, in ciascuna delle quali fa alcuni passi innanzi nella via del progresso…. Quando un’ esistenza fu male spesa, resta senza profitto per lo spirito, il quale deve ricominciarla da capo, in condizioni più o meno penose, secondo la sua negligenza e mal volere…. « Gli Spiriti, incarnandosi, recano seco quello che hanno acquistato nelle esistenze precedenti. Le cattive inclinazioni naturali formano quei rimasugli d’imperfezioni dello Spirito, di cui non s’è interamente purgato: sono i segni delle colpe che ha commesse ed il vero peccato originale…. Dicendo che l’anima, rinascendo, porta seco il germe della sua imperfezione, delle sue esistenze antecedenti, viene a darsi del peccato originale una spiegazione logica, che ognun può intendere ed ammettere…. « Nelle sue incarnazioni susseguenti: essendosi lo spirito a poco a poco spogliato delle sue impurità e perfezionato col lavoro, giunge al termine delle sue esistenze corporali, appartiene allora all’ordine degli spiriti puri, ossia degli angeli, e gode ad un tempo la piena vista di Dio ed una perfetta felicità in eterno. (Intorno alla pretesa rincarnazione delle anime, gli spiritisti non sono d’accordo. Allan Kardec e la sua scuola lo sostengono; Pierart e la sua scuola lo negano radicalmente. Ma spiritisti e spiritualisti, Kardec e Pierart sono d’accordo per attaccare il Cristianesimo e sostituirvi la religione degli Spiriti). – « Lo Spiritismo è indipendente da ogni culto particolare…. E’ non ne prescrive alcuno, né bada a dommi particolari..,. Si può dunque essere cattolico, greco o romano, protestante, ebreo o turco…. ed essere spiritista; e se n’ha la prova in ciò che lo Spiritismo ha seguaci in tutte le sètte…. Uomini di qualsiasi classe, sètta, colore, voi siete tutti fratelli: perché Dio tutti vi chiama a sé. Stendetevi dunque la mano, qualunque sia la vostra maniera di adorarlo, e non mandatevi a vicenda l’anatema; imperocché l’anatema è la violazione della legge di carità proclamata da Cristo. » [Lo spiritismo nella sua più semplice espressione, p. 15, 16, 18, 19, 21, 22, 28, 5a ediz. 1868 — e Istruzioni pratiche sulle manifestazioni spiritiche, passim, Parigi, 1858. — Voi non sapete ciò che vi dite: il Cristo del quale voi invocate l’autorità non ha Egli lanciato l’anatema contro quegli che non crede? « Colui che non crederà sarà condannato; è già giudicato, Colui che non ascolta la Chiesa deve essere tenuto per un pagano e un pubblicano. » La vostra carità senza la fede è una chimera. L’unione dei cuori suppone l’unione degli intelletti. — Gli stessi errori sono insegnati in tutti i libri e giornali spiritisti]. [Oggi si sente lo stesso ritornello, “siamo tutti fratelli” nelle logge massoniche e nella “sinagoga di satana” del “novus ordo”, la cui radice culturale è con tutta evidenza la stessa: lo spiritismo infernale ed il culto del baphomet! – ndr.-]. – Il credereste? per render loro agevole la via, lo Spiritismo ha l’audacia di mettere i suoi errori in bocca a persone le più santamente cattoliche; san Giovanni Evangelista, san Paolo, sant’Agostino, san Luigi, san Vincenzo dei Paoli, i nostri celebri predicatori e perfino il ven. curato d’Ars tornano dall’altro mondo, a dire ai vivi che i nostri dommi sacrosanti sono favole; ed essi, per conseguenza, ingannati od impostori! Non è questa in verità la più radicale e perfida negazione del Cattolicismo, che mai si sia veduta tra i popoli cristiani? [Il povero mons. Gaume si sbagliava, ma non poteva certo immaginare che la negazione più perfida sarebbe avvenuta dal 1958 in poi, nella falsa chiesa-sinagoga dell’uomo, con il diabolico ecumenismo del “novus ordo”– ndr. -]  Ne volete di più per far conoscere la natura degli Spiriti che rispondono alla chiamata degli Spiriti? Nondimeno, il distruggere la religione del Verbo incarnato non è altro che la parte, direm cosi, negativa dell’opera: ha la sua parte positiva nel sostituire alla religione del Verbo la religion degli Spiriti, vale a dire dei demoni. « Gli Spiriti annunziano, vel dice Allan Kardec, che i tempi, segnati dalla Provvidenza per una manifestazione universale, sono giunti [basta dare un’occhiata alle 4 logge massoniche in Vaticano! –ndr.- ]: e che, essendo essi ministri di Dio e strumenti della sua volontà, la loro missione è d’istruire ed illuminare gli uomini, aprendo un’era nuova per la rigenerazione del genere umano…. – « Parecchi scrittori di buona fede, che hanno impugnato a spada tratta lo spiritismo, rinunziano ad una lotta ravvisata inutile. Di vero, la necessità d’una trasformazione morale va facendosi ogni dì meglio sentire. Lo sfacelo del vecchio mondo è imminente; attesoché le idee da lui predicate non corrispondono più all’altezza, cui è giunta l’umanità intelligente. Si sente che ci vuole qualche cosa di meglio di quel che esiste, e nel mondo attuale lo si cerca invano. Gira per aria qualche cosa come una elettrica corrente preannunziatrice, e ognuno sta in aspettazione; ma ciascuno intende altresì che non è all’umanità che tocca indietreggiare. » [Rivista spiritista, gennaio 1864, p. 4 e 5.]. – Ma dove anderà ella? Gli spiriti dichiarano a voce unanime ch’essa va allo spiritismo. « Lo Spiritismo,, dicono, è la Religione dell’avvenire. [Ne abbiamo un esempio nel cosiddetto “rinnovamento nello spirito … non Santo, movimento trainante del “novus ordo” – ndr. –]”.  Lo spiritismo è la religione legata agli uomini da Cristo, purificata da tutti gli errori, che il loro orgoglio o la loro ignoranza vi hanno introdotto…. -Lo Spiritismo è lontano dall’essere una nuova religione, ma la stessa essenza dei principii sublimi che il Cristo ha legati agli uomini, presentiti da Socrate e da Platone; imperocché niente è venuto a distruggere, bensì ad appurare la legge mosaica, come oggi lo spiritismo quella del cristianesimo. » [La Verità giornale spiritista di Lione, L’Avvenire, Monitore dello spiritismo, 24 novembre 1864. Quest’ultimo giornale aveva per redattore in capo, Alis d’Ambel, luogotenente di Allan Kardec, il quale secondo l’uso troppo comune tra gli spiritisti, sì è suicidato.]. – Altrove: « Lo spiritismo chiarisce tutto; egli é la sintesi di tutte le scienze, di tutte le rivelazioni, di tutte le religioni. Come il Cristianesimo di cui è il complemento e la consacrazione, così lo spiritismo avrà i suoi Giuda: e come questa dottrina sacra, così gli bisognerà rovesciare, migliaia di ostacoli che il vecchio mondo e le vecchie credenze coalizzate dirigono e dirigeranno da tutte le parti contro di lei. » [Avvenire id.,8 settembre 1864]. Uno dei loro medium, parlando sotto l’influenza dello Spirito, è ancor più esplicito : « Si, lo spiritismo è una religione, poiché essa procede dalla onnipotenza dell’Altissimo, ma non come nel vostro mondo s’intende questa parola, vale a dire contornata da culto esteriore, di simulacri, di canti,, corteggio obbligato di tutte le istituzioni, le quali sino a questo giorno hanno preso questo titolo. Lo Spiritismo è la religione del cuore, lo spirito dei pensieri emessi da Cristo…. Oggi la religione cristiana non vive più, atterrita alla sua volta da un cattolicismo pagano…. cioè da quella religione falsata dalle tradizioni, dalle dispute teologiche, dai concili che l’attuale spiritismo ha per missione di rigenerare. » [Come sopra, 17 novembre 1864]. [Sembra di riascoltare il “benemerito” patriarca universale degli “Illuminati di Baviera”, quando si faceva adorare come Principe degli Apostoli! – ndr. -]]. Medesime dottrine o piuttosto medesime bestemmie sulle labbra di un altro Spirito parlante a Parigi per l’organo del medium P. S. Leymarie: « Le tendenze dell’uomo hanno cambiato ; l’epoca attuale,* come la crisalide, sembra trasformarsi per prendere ali: la scienza degli Spiriti, impossibile cinquant’anni fa, adesso s’identifica col generale buon senso. Voi ascoltate queste voci amiche che vengono a distruggere le vostre incertezze. Il loro programma è un lavoro di propaganda spirituale. Quel che vogliono è la rinnovazione delle idee religiose come base e condizione della società europea, riorganizzata su nuovi principi…. È un lavoro religioso tale che sarà l’opera capitale di questo secolo; e uno dei più grandi movimenti dell’intelligenza umana dopo Gesù Cristo. » [Avvenire, Monitore dello Spiritismo, 17 novembre 1864]. E altrove : « Si, lo spiritismo è altresì una leva potente che deve rendere alla morale cristiana il suo movimento normale ed effettivo attraversato da tanti secoli. Si, l’unico suo scopo e il suo effetto immediato è per l’appunto la rigenerazione dell’umanità.  » [Avvenire, monitore dello spiritismo, 17 nov. 1864]. – Più sotto : « Se qualcuno vi domanda ciò che lo spiritismo ha insegnato, dite, che egli ha da principio insegnato ciò che la maggior parte degli uomini avevano bisogno di sapere, cioè che cosa é l’anima; ciò che essa diventa dopo la morte; se vi sono delle purgazioni o stati intermedi; qual progresso vi si compie…. che Dio in questo momento prepara la razza umana ad una universale restaurazione; che nessun cristianesimo vale una festuca, salvo il cristianesimo primitivo, e che il vecchio cadavere delle Chiese oggidì esistenti, deve da prima ricevere un nuovo alito di vita se esse vogliono rivivere. » [Spiritual Magazine, apr. 1863] – [sembra un discorso dopo l’Angelus attuale! –ndr.- ] Potremmo citare cento altri passi simili, in cui gli Spiriti dichiarano che il Cattolicismo è una istituzione decrepita; il Nostro Signore Gesù Cristo un semplice mortale, la Chiesa una maestra d’errori, tutte le religioni tante sette non intelligenti, e lo spiritismo la sola vera religione, là religione dell’avvenire. Non contenti di predicare nei loro libri, nei loro giornali, nelle loro assemblee, nelle loro conversazioni particolari, la religione degli Spiriti, gli addetti la predicano anche pubblicamente e la propagano con successo. Essi la praticano, e qual nome dare a quel che noi vediamo? – L’ evocazione degli spiriti, la consultazione orale, l’idromanzia, la negromanzia, l’ornitomanzia, la divinazione, il magnetismo, il sonnambulismo artificiale ed altre pratiche spiritiste, esercitate senza scrupolo e senza spavento, da una moltitudine di persone, nell’antico e nel nuovo mondo, non sono essi forse nient’altro che un avviamento verso il culto dei demoni, o piuttosto non sono questo culto medesimo? Così lo comprendono gli spiriti. Ci hanno detto: per essi lo spiritismo non è una semplice scuola di filosofia, ma una religione, e lo provano con la loro condotta. Ogni religione mira a mettere l’uomo in diretta relazione col mondo sovrannaturale, con mezzi sovrannaturali, allo scopo di ottenere effetti sovrannaturali. Lo scopo palese degli spiritisti è di mettersi in immediata comunicazione cogli Spiriti. Il mezzo che usano, è la preghiera. La preghiera è l’atto fondamentale di ogni religione, il cui carattere n’é quindi determinato. Il Cattolicismo è la vera religione, perché la sua preghiera è indirizzata al vero Dio. Il paganesimo è religione falsa, perché la sua preghiera è indirizzata al demonio. Lo spiritismo, che indirizza la sua preghiera ai demoni celati sotto la maschera dei morti, è dunque una religione, ed una religione falsa. [Perfìn nel linguaggio affettano i religiosi loro intendimenti, parlandosi o scrivendosi; si chiamano: cari fratelli nello spiritismo.]. –  Il che appare tanto più vero, in quanto hanno costoro per scopo, d’ottenere il dono di guarire i malati, e la potestà di scacciare i demoni. « I nostri medium risanatori, così eglino stessi, cominciano con innalzare la loro anima a Dio…. Iddio, sollecito, manda loro potenti aiuti…. Sono gli spiriti buoni che vengono a comunicare il benefico loro fluido al medium, il qual lo trasmette al malato. Quindi é che il magnetismo adoperato dai medium risanatori, è cosi efficace, e produce quelle guarigioni che son dette miracolose e che son dovute semplicemente alla natura del fluido effuso sul medium. Attesoché questi benefici fluidi sono proprietà degli spiriti superiori, è quindi necessario ottenere il concorso di questi; e perciò ci vuole la preghiera e l’invocazione. 1 » [Bivista spiritica, gennaio 1864, p. 8-10]. Aggiungono che la preghiera è necessaria specialmente nel caso di ossessione; perché bisogna avere il diritto d’imporre la sua autorità allo spirito.  [Id., p. 12]. Essi annunziano che fra breve le ossessioni diventeranno frequentissime, e saranno il trionfo dello spiritismo. « Codesti casi di possessione, secondo che è annunziato, si hanno a moltiplicare con grande energia, di qui a qualche tempo, acciocché sia fatta ben bene palese l’inefficacia dei mezzi adoperati finora. Anzi una circostanza di cui noi non possiamo ancora parlare, ma che .ha una cotale analogia con quanto avvenne ai tempi di Cristo, contribuirà a sviluppare questa specie di epidemia diabolica. Non v’ha dubbio pertanto che si vedranno medium speciali, forniti della potestà di cacciare gli spiriti cattivi, come gli apostoli avevano quella di cacciare i demoni…. per dare agli increduli una novella prova dell’esistenza degli spiriti. » [Ibid., p. 12. — Non ammettendo gli spiritisti, angeli cattivi, quel che da loro vien chiamato demonio, altro non vuol essere che un’anima impurificata. Tutto è nuovo: idee e parole]. – Intanto che si aspetta codesta epidemia diabolica, gli Spiritisti già si trovano aver alle mani alcune speciali ossessioni, e malattie credute incurabili. Ecco in che modo gli addetti risanatori scrivono ai loro capi: «Stiamo in questo punto curando un secondo epilettico. La malattia questa volta sarà per avventura più malagevole a guarire, perché é ereditaria. Il padre ha lasciato ai suoi quattro figliuoli il germe di codesta affezione. Ma con l’aiuto di Dio e degli spiriti buoni, noi speriamo di riuscirne a bene in tutti e quattro. Caro maestro, noi chiediamo l’aiuto delle vostre preghiere e quelle dei nostri fratelli di Parigi. Sarà per noi quest’aiuto incoraggiamento e stimolo ai nostri sforzi. E poi, i vostri buoni spiriti-possono venire ad aiutarci. « M. G-…. di L…. ci deve condurre suo cognato, cui un spirito malefico soggioga da due anni in qua. La nostra guida spirituale Lamennais c’incarica della cura di questa ostinata ossessione. Iddio ci darà egli altresì la podestà di scacciare i demoni? Se così fosse, altro non avremmo a fare che umiliarci per si alto favore. » Lettera d’un ufficiale de’Cacciatori, che dice: «Noi passiamo le lunghe ore d’inverno attendendo con ardore allo svolgimento delle nostre facoltà medianimiche. La triade dei 4° Cacciatori, sempre unita, sempre vivente, si ispira ai suoi doveri. » Ibid., p. 6, e 7]. – Per ottenerlo, i maestri, giusta gli oracoli loro venuti dall’altro mondo, rispondono: «Ad agire sullo Spirito ossessore, vuolsi l’azione non meno energica d’uno spirito buono disincarnato… Questo vi mostra quel che dovrete fare d’or innanzi, in caso di possessione manifesta. Bisogna chiamar in vostro aiuto la persona d’uno spirito elevato, fornito ad un tempo di potenza morale e fluidica; come, per es., l’eccellente curato d’Ars, e voi sapete che sull’assistenza di questo degno e santo Vanney potete contare…. Quando si magnetizzerà Giulio bisognerà innanzi tutto cominciare colla’ fervente evocazione del curato d’Ars e degli altri Spiriti buoni, che ordinariamente si comunicano fra voi, pregandoli di agire contro i cattivi Spiriti che molestano codesta fanciulla, e che fuggiranno dinanzi alle limane loro falangi » [Rivista spiritistica, p. 16-17]. – Tranne lo scherno vituperoso e inaudito, con cui satana pretende d’avere per complici dei suoi prestigi gli Apostoli e i santi del cielo, non è egli cotesto precisamente quello che in altri tempi già facevano i pagani, e ancora fanno i moderni idolatri? Non invocano essi forse continuamente i genii buoni contro i cattivi? Finora gli Spiriti buoni degli Spiritisti si sono, per lo manco pubblicamente, contentati di chieder preghiere: ma se chiedessero poi, per prezzo dei loro favori, una genuflessione, un granello d’incenso, un voto, un’offerta qualunque, è egli ben certo che tale omaggio lor sarà diniegato? È egli ben certo che non esigeranno tale omaggio, che non ne esigeranno anzi di maggiori? In questa materia non accade asseverare per certo, né questo né quello. Quando si fa ciò che il demonio volle ed ottenne dagli antichi pagani, ciò che vuole e ancora ottiene da’moderni idolatri; quando si pensa che sotto l’influenza1 dello spirito del 93 che punto non era lo Spirito Santo, la Francia ufficiale ha adorata una cortigiana, e che Parigi edificò un tempio a Cibele, s’intende che nulla v’ha d’impossibile. Quanto a noi, restiamo con la triste convinzione che se lo Spiritismo giungesse a dominare la società, e venisse  vaghezza agli Spiriti di chiedere, come già altre volte, combattimenti di gladiatori, ne sarebbero contentati, e la gente trarrebbe in folla allo spettacolo. – Essi la praticano pubblicamente. Lo spiritismo ha preso corpo; egli si è autenticamente costituito sotto il nome di Società parigina degli studi spiritisti, alla quale vanno a congiungersi i gruppi spiritisti della Francia e dell’estero. Dietro il parere del Ministro dell’Interno e della Sicurezza generale, il governo francese, che ha dichiarato la franco-massoneria società d’ utilità pubblica, ha riconosciuto ed autorizzato lo spiritismo per decreto del prefetto di polizia, in data del 13 aprile 1858. [Regolamento della Società Parigina degli studi spiritisti, p. 1]. In perfetta armonia con lo spirito moderno e col principio ateo dell’eguaglianza dei culti, questa società forma, come essa medesima lo dice, il nucleo di una nuova religione, la quale ammette nel suo seno uomini di ogni casta, di ogni setta, di ogni colore, alla sola condizione di credere agli Spiriti e di accettare le loro dottrine. – À fine di provvedere alle spese del culto, la religione spiritista ha le sue finanze. L’articolo 15 del regolamento reca: « Per provvedere alle spese della Società, si paga una tassa annuale di 24 lire pei titolari, e di lire 20 per gli associati liberi. I membri titolari, nella loro accettazione, pagano inoltre un diritto d’entrata di 10 lire una volta tanto. » Codeste tasse, formando considerevoli somme à disposizione dei capi della società, riescono nelle loro mani, potenti mezzi di propagazione. – Ha le sue adunanze periodiche. Art. 17 : « Le sedute della società hanno luogo tutti i venerdì alle 8 della sera. Niuno può prendere la parola senza averla prima ottenuta dal presidente. Tutte le domande indirizzate agli Spiriti devono farsi per mezzo del presidente. » – Art. 21. « Le sedute particolari sono riservate Smembri della società. Si tengono il primo, il terzo e, se v’ è, il quinto venerdì d’ogni mese. » – Art. 22. « Le sedute generali han luogo il secondo e quarto venerdì d’ogni mese. » Secondo ché abbiamo visto, in codeste congreghe tutte le domande si devono dal presidente indirizzare agli Spiriti, e ognuno deve ascoltarle in religioso silenzio. In alcune, l’evocazion degli Spiriti si fa con questa formula: « Io prego Iddio onnipotente di porgere orecchio alla mia supplica, di permettere ad uno Spirito buono (oppure allo spirito di tal persona) di venir qui fino a me, di farmi scrivere sotto la sua influenza. » L’evocatore prende una penna, oppure una matita, la cui punta mette lievemente sulla calia, aspettando che lo Spirito venga egli stesso a guidargli la mano. « Questa mano, dicono gli Spiritisti, è una macchina che lo Spirito disincarnato signoreggia a talento. » Il fatto sta che i medium possono discorrere di cose affatto diverse da quelle che scrivono, con le persone astanti, e pur mentre il loro braccio va con una prestezza bene spesso meravigliosa. La è, sotto altra forma, una continuazione delle antiche pitonesse. Essi la propagano con successo. Lo Spiritismo ha i suoi predicatori ed Apostoli. In America, paese suo natio, ventidue grandi giornali sono diventati suoi organi. In Francia ne conta dieci, a Parigi la Rivista Spiritista (mensile) redatta da Allan Kardec, la Rivista Spiritualista (mensile) redatta da Pierart; [La Rivista spiritista esce ogni mese, e se ne tirano 1800 copie: della Rivista spiritualistica, 600: le quali cifre, paragonate alle migliori Riviste cattoliche, similmente periodiche, sono in verità enormi. L’Avvenire Monitore dello Spiritismo (settimanale); a Lione, la Verità, giornale della spiritismo (settimanale) ; a Bordeaux, l’Alveare Bordelese (bimestrale); il Salvatore dei popoli (settimanale); La luce per tutti (settimanale); La voce dell’altro mondo (settimanale) ; a Tolosa, il Medium evangelico, (idem); a Marsiglia, L’eco del mondo di là (idem); Il Belgio ne ha due: Il mondo musicale (idem), a Bruxelles ; la Rivista Spiritista a Anversa (mensile). Torino, gli Annali dello Spiritismo (mensile); Bologna la Luce; Napoli ha il suo; Palermo pure; Londra i suoi; Spiritual Magazine; Spiritual Times; la Germania i suoi. Possiamo aggiungere l’Almanacco Spiritista che si stampa a Bordeaux. Appena abbiamo noi in Francia ed in Italia altrettanti organi assolutamente cattolici. Oltre a queste pubblicazioni periodiche, libri d’ogni prezzo e formato, altri dotti ed altri popolari, avidamente letti, attivamente spacciati, propalano le risposte degli Spiriti, e le loro dottrine, per irrecusabile prova delle quali sono fatti valere i prestigi. E niuno creda che noi diciamo queste cose a caso, alla leggiera. Abbiamo sottecchi più di sessanta opere spiritistiche, di recente pubblicazione, delle quali altre sono alla terza, altre alla quinta, altre alla sesta, altre alla duodecima edizione. Ed una delle più pericolose di codeste opere, per il suo prezzo e formato, è, per l’Europa, tradotta in tedesco, in portoghese, in polacco, in italiano, in spagnolo; e, per l’oriente, in greco moderno. Nel 1863 quest’opera contava già cinque edizioni. Lo stesso avviene in Inghilterra; l’Allemagna è di tali opere inondata. Aggiungasi che da qualche tempo esiste a Parigi una scuola di spiritismo tenuta da due donne; una locanda spiritista, e nel dipartimento dell’Oise uno stabilimento di educazione spiritista. Londra ha un liceo spiritista, diretto da un sig. Powell.Per conseguenza, La religione degli Spìriti ha i suoi discepoli in tutte le età ed in tutte le classi della società. Le officine, la borghesia, i tribunali, la nobiltà, la, medicina, l’esercito soprattutto gli forniscono il loro contingente. D’anno in anno questo contingente aumenta in un modo spaventoso. «Quest’anno 1863, scrive Allan Kardec, è segnato dall’accrescimento del numero dei gruppi di società che si sono formati in una moltitudine di località dove ancora non ve n’erano, tanto in Francia che all’estero; segno evidente dell’aumento del numero degli addetti e della diffusione della dottrina. Parigi che era rimasta addietro, cede talmente all’impulso generale e comincerà a muoversi. Ogni giorno vede formarsi delle particolari riunioni per uno scopo eminentemente serio e in eccellenti condizioni; la società che noi presiediamo vede con gioia moltiplicarsi intorno a sé dei vivaci rampolli, atti a spargere la buona sementa. Se per un istante si è potuto concepire qualche timore sull’effetto di certe dissensioni nel modo di considerare lo spiritismo, un fatto é di natura da dissiparli completamente; si è il numero sempre crescente delle società, le quali, da tutti i paesi si pongono spontaneamente sotto il patrocinio di quella di Parigi e inalberano la sua bandiera. » [Stato dello Spiritismo al 1863. Rivista spiritica, gennaio, 1864]. – I ragguagli che abbiamo potuto aver fra le mani, danno, che Parigi ha non meno di cinquanta mila Spiritisti, o persone di ogni condizione, dedite abitualmente, come attori o spettatori alle pratiche dello Spiritismo. Calcolare il numero degli Spiritisti a Parigi, sul numero dei centri di riunioni ufficialmente noti, e su quelli dei membri che li frequentano, sarebbe un errore. Oltre i crocchi pubblici, vi sono le riunioni private, chiamate dagli Spiritisti riunioni di famiglia. Possiamo affermare che queste riunioni sono più che moltiplicate, quasi che permanenti, frequentatissime e che si trovano in tutti i quartieri di Parigi. In queste riunioni, prolungate sino a notte avanzata, migliaia di Cristiani fanno ciò che facevano i pagani a Delfo, a Claros, in tutti i tempi d’oracoli, evocazioni, e consultazioni, precedute o seguite da preghiere agli Spiriti. – Possiamo altresì affermare che a Parigi molti medici hanno al loro servizio, per consultar sulle malattie; sonnambule, fanciulle o donne; dì guisa che il magnetismo artificiale diventa una professione come un’altra; e i sonnambuli punto non temono, al pari delle altre professioni, di spargere i loro programmi e procacciarsi clienti. – Ne sia, fra gli altri una prova, questo che fu fatto girar per Parigi (marzo 1864); « Belle maraviglie del onagnetismo e del sonnambulismo e delle loro applicazioni rigeneratrici. — La signora F., dopo aver fatti con buon esito parecchi corsi e subiti gli esami dei professori medico-magnetizzatori, esercita da dieci anni questa meravigliosa scienza, con soddisfazione delle persone da lei pienamente guarite. Può trovarsi, ad ogni ora, in sua casa, via S.-H. dove si é sicuri di avere una sonnambula di primo grado di lucidità, colla quale s’entra in relazione; e soddisfa ad ogni domanda. « Si può alla sonnambula fare ogni possibile domanda, senza tuttavia offendere la buona creanza; si può chiedere ogni parere o consulto sulla probabile riuscita d’un matrimonio, d’un processo, d’una speranza di futura o presente eredità; su ogni smarrimento d’oggetti, o denaro, anche sotterrato o nascosto. La sonnambula risponderà ad rem con lucidità e presenza di spirito sui risultati di cose lontane, anche, milleduecento leghe. Se la persona che consulta ha una malattia qualunque, la consultata sentirà da sé stessa la parte malata, e potrà dare consigli, senza aver mai imparata la maniera di guarire. » Leggesi ancora il seguente annunzio: Sibilla moderna, sonnambula eminentemente lucida, via della Senna, 16, primo piano, a Parigi. Avvenire politico e privato. Malattie inveterate e incurabili. Spiegazione dei sogni, previsioni, ricerche e informazioni diverse. Riceve tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 5. Si può avere la consultazione mediante lettere indirizzate franche alla Sibilla. Se queste promesse non avessero altra malleveria che la parola della sonnambula, sarebbe permesso di dubitarne; ma c’è ben altro. Le riferite domande sono né più né meno che le stesse che si proponevano agli antichi oracoli; a tal segno che, leggendole, quasi ti crederesti leggere una pagina di Porfirio. Ispirate dal medesimo spirito, sciolte con analogo procedimento, e quelle e queste hanno dunque lo stesso valore. Or bene, l’autorità degli oracoli era stabilita, stabilitissima; vale a dire, in altri termini, falsissimo crederebbe, chi pensasse tutto essere stato falsità nelle loro risposte. – A guisa di Parigi procedono le provincie. Tra tutte, la città della SS. Vergine, Lione, si distingue pel suo fervore al nuovo culto e pel numero degli aderenti che essa gli dà. È a tal punto, ci scrive da questa città una persona bene informata, che il capo dello spiritismo, Allan Kardec, il quale passando da Lione nel 1861, vi contava appena quattro o cinque mila spiritisti, nel 1862 punto non teme di portar quel numero a venticinquemila. Credo però di non essere lontano dal vero, riducendo tal numero a quindici o ventimila. » – Bordeaux conta circa diecimila spiritisti. Metz, Nancy, Lisieux, Oléron, Marennes, Le Havre, Saumur, Marsilia, Arbois, Strasburgo, Brest, Montreuil-sur-Mer, Carcagsonne, Chauny, Lavai, Angers, Moulins, Gallóne vicino a Tullìns, Passy, Saint-Ètienne, Tolosa, Limoges, Pontfouchard, Marmande, Macon, Valence, Niort, Douai, Pau, Villenave-de-Rions, Cadenet, Grenoble, Besangon, posseggono tanti gruppi di spiritisti più o meno numerosi. Fuori di Francia, Bruxelles, Anversa, Pietroburgo, Algeri, Constantina, Smirne, Palermo, Napoli, Torino, Firenze, gareggiano di zelo per lo spiritismo e altre pratiche diaboliche. [Nel numero del 21 marzo 1861, il giornale italiano il Movimento contiene quest’annunzio: Trovasi da qualche giorno in Genova il signor Francesco Guidi, professore di magnetologia. E gli percorre l’Europa da undici anni dando delle pubbliche sedute di magnetismo. Ne darà una sabato sera al Teatro Nazionale di Sant’Agostino. »Gli stessi cattolici che vogliono occuparsi dello spiritismo ne costatano i progressi. « Al tempo nostro non si vive più, poiché non c’è tempo; ma si consuma la vita, di maniera che gli avvenimenti invecchiano rapidamente, e cessano presto d’attrarre l’attenzione, anche quando le loro conseguenze continuano a svolgersi. Ecco perché il pubblico ha cessato da qualche tempo di occuparsi dello spiritismo, quantunque il mostro non cessi di crescere. Sì, non bisogna dissimularselo, lo spiritismo non cessa di guadagnare nuovi sèttari, favorito com’é dalla generale tolleranza…. Abbiamo raccolto numerosi fatti e degni di un serio esame. »Fondati su fatti a noi molto ben noti, e su altri, non così noti a noi, ma che ci paiono autentici, gli spiritisti proclamano baldanzosamente i loro progressi sempre crescenti. « Dacché egli apparve, lo Spiritismo non ha mai cessato di crescere, non ostante la guerra fattagli; e al presente ha piantata la sua bandiera su tutti i punti del globo. I suoi aderenti si contano a milioni; e se si pone mente alla via che ha fatta da dieci anni in qua, tra gl’innumerevoli ostacoli opposti, si può giudicare quel che sarà di qui a dieci anni, tanto più che gli ostacoli scemano di mano in mano che va innanzi. » [Discorso del presidente della Società spiritica di Marennes, Rivista ecc., gennaio 1864]. In Oriente lo stesso progresso. Il Presidente della Società Spiritista di Costantinopoli cosi si esprime: Voi conoscete da lungo tempo la mia devozione alla causa spiritista. Secondato dai Signori Valauri e Montani, io non trascuro nessuna occasione per farla penetrare nello spirito della popolazione di Costantinopoli. Perciò, confesso con legittima soddisfazione che i nostri sforzi non sono stati infruttuosi…. Laonde noi che rappresentiamo gli spiritisti di Costantinopoli gridiamo : coraggio!… L’idea spiritista non é più una grande incognita. Come una rugiada penetrante essa ha fatto rinvigorire il vecchio globo. Essa ha già fatto il giro del mondo, e dovunque essa penetra, ha fatto sorgere dei ferventi adepti. Non è questa una prova evidente del suo intrinseco valore? Cosi lo spiritismo deve da qui innanzi camminare a testa alta…. Il passato è finito, l’èra dell’inferno è chiusa. L’èra della pace, della libertà e dell’amore sorge all’orizzonte. Gloria a Dio nel più alto dei cieli. » [Costantinopoli, 8 novembre 1864 ; il vostro fratello in spiritismo. B. Bepos. Avvenire Monitore dello Spiritismo, 20 aprile 1865]. – Finalmente, da calcoli fatti altrove, colla maggiore esattezza possibile, si ha che il numero degli spiritisti è di cinque milioni. [Vedi l’ottima rivista napoletana La Scienza e la fede, giugno 1863, p. 374.]. – Misuriamo adesso il cammino che lo spiritismo ha fatto dopo sedici anni. Nella sua origine non era che un divertimento, una moda, un giuoco, tutt’al più un oggetto di curiosità più o meno vana. Propagato da principio come una traccia di polvere nell’antico e nel nuovo mondo, sembrava ora scomparso. Lo si credeva morto e non era che addormentato. Con la guerra d’Italia si è risvegliato più vivace che mai. Gettando la maschera, di semplice passatempo è diventato Società dotta; e, cosa seria, uomini di tutte le condizioni se ne occupano. « Nei saloni come nelle fabbriche, si fanno oggi adunanze per lo studio dei nostri fenomeni. Non è più come al principio delle tavole giranti, quando ci si contentava del fenomeno innocente di alcuni responsi insignificanti col si o col no. Oggi, è cosa grave e seria. L’evocazione si fa religiosamente. Punto ciarlatanismo, e niente di scenico. Tutto si fa semplicemente; e le comunicazioni hanno un non so che di carattere elevato e profondo che incute rispetto e attenzione, ». – Però lo spiritismo ha fatto un passo di più. Oggi ei si traduce in culto, e si proclama la religione dell’avvenire, la religione che deve sottentrare a tutte le altre. Il suo simbolo, come dettato dagli Spiriti medesimi, e redatto dal loro gran sacerdote Allan Kardec, è la negazione radicale del cristianesimo, e l’affermazione dommatica degli errori fondamentali dell’antico paganesimo. Concentrare tutta la nostra attenzione sopra altri punti, per quanto possano sembrare importanti, e lasciare inosservato questo fatto minaccioso, sotto pretesto che il tempo farà pronta giustizia degli spiritisti, come l’ha fatta dei suoi predecessori, sarebbe agli occhi nostri una illusione deplorevole. Al contrario noi diciamo che lo spiritismo è una potenza con cui bisogna seriamente contare. Da una parte è l’incarnazione religiosa della Rivoluzione, vale a dire del paganesimo, come il socialismo ne sarà l’incarnazione sociale. Dall’altra, notabili differenze lo distinguono dal Mesmerismo, dal Sonnambulismo, dal Magnetismo, e altre pratiche diaboliche dei secoli passati. Queste differenze sono tra le altre; l’estensione del fenomeno ; la sua rapida propagazione; la sua negazione confessata del cristianesimo; lo stabilimento della religione degli Spiriti. Fermiamoci per un istante a quest’ultima differenza. Il pericolo grande dello spiritismo è, ch’esso viene a tempo per lui opportuno. Credere che l’indebolimento attuale della fede conduca il mondo al protestantismo, al giudaismo, al maomettismo, all’ateismo sarebbe un errore. – L’Europa incredula non pensa punto a farsi protestante, ebrea, o maomettana. Quanto all’ateismo non sarà, come alcuno ha detto, l’ultima religione della umanità. L’ateismo è una negazione: il mondo non può vivere di negazione; non è mai vissuto così. In qualunque modo gli è necessaria una affermazione religiosa. Ora non cessiamo di ripeterlo: tra la religione di Gesù Cristo, e la religione di Belial, tra il cristianesimo e il satanismo, non vi è via di mezzo. Il inondo moderno che volge il dorso al Cristianesimo, dove va egli ? Va al satanismo: e lo spiritismo non è altra cosa che il satanismo, imperii dœmonis instauratio. – Se dunque il clero non oppone allo spiritismo una potente lega, e se Dio non interviene da sovrano in questa lotta decisiva, chi impedirà al nuovo culto di prendere, avanti la fine di questo secolo, proporzioni sconosciute? La prima condizione di questa lega, è di istruire solidamente i fedeli non solo nei catechismi, ma altresì nei sermoni e nei libri, sulla potenza degli angeli buoni e malvagi. In questo punto la nostra educazione è da fare o da rifarsi. Si aggiunga che lo Spiritismo è aiutato da potenti ausiliari. Per preparargli la via, liberandogli il terreno, lavorano notte e giorno due armate innumerevoli: le società segrete, e i Solidari. Come dubitare della gravità della situazione ? Come non vedere che oggidì la Chiesa si trova avviluppata nella Città del male, e che all’ordine sociale, in Europa, minato nelle fondamenta, sovrasta qualche inaudita catastrofe? Tale condizione di cose fa venire in mente il detto di sant’Agostino : « In quella guisa che lo Spirito di verità spinge gli uomini a farsi compagni degli angeli santi, così lo spirito dell’empietà li spinge alla società dei demoni. – “Sicut veritas hortatur homines fieri socios sanctorum angelorum, ita seducit impietas ad societatem dæmoniorum”. –Epist. CII; n. 19.- » E non par egli proprio anche il caso di rammentare la predizione dell’Apostolo: « Ma lo spirito dice apertamente che, negli ultimi tempi, alcuni apostateranno dalla fede, dando retta agli spiriti ingannatori; e alle dottrine de’demoni? »  “Spiritus autem manifeste dicit, quia in novissim is temporibus discedent quidam a fide, attendentes spiritibus erroris et doctrinis dæmoniorum”. I Tim . IV, 1]. [Continua …]

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “CASTI CONNUBI”

Basta leggere anche sommariamente questa lettera Enciclica di S.S. Pio XI, per capire qual è il chiarissimo pensiero cattolico su di una materia così delicata e fondante dell’esistenza spirituale del cristiano. In epoca in cui si parla, nella totale apostasia, tracimata addirittura nel cosiddetto “divorzio breve cattolico” [che, sia ben chiaro, di cattolico non ha assolutamente nulla, se non per gli stolti ciechi che si ostinano a non voler aprire gli occhi!], che rende la dissoluzione del matrimonio più rapido e semplice fin’anche delle leggi degli stati laico-massonici … in attesa di vederci propinare, da menti di invertiti maniaco-demenziali, schifose, luride e stercoracee iniziative, come quella delle bestiali nozze sodomitiche … una volta “peccato che grida vendetta agli occhi di Dio”, ed oggi “vizietto impuro dei falsi chierici” da sdoganare agli stolti acclamanti ed ossequienti. Una vergogna inaudita, che suona scandalo agli uomini e grida vendetta agli occhi di Dio. I servi del baphomet-lucifero, che usurpano dal 1958 tutti i templi, i palazzi sacri, gli uffici e la giurisdizione della Gerarchia cattolica, hanno oramai perso ogni timore di mostrare i loro attributi [corna, coda, artigli, etc.] ai loro adepti della setta ecumenico-mondialista del “novus ordo” da essi capeggiata, sostenuti dalle stampelle dei sedevacantisti eretico-scismatici e dai tradizionalisti disobbedienti fallibilisti, acefali “fai da te”, nel contempo tutti ben fieri di viaggiare spediti verso il fuoco eterno guidando come mercenari [finti chierici mai tonsurati e mai validamente ordinati, senza missione né giurisdizione] i loro agnelli ignari, ma colpevoli di ignoranza volontaria, verso lo stesso luogo di dannazione eterna. Chi vuole almeno avere una pallida idea di cosa sia il matrimonio cattolico e la vita coniugale per la Chiesa di Cristo, non ha che da sgranare gli occhi davanti a tanta sapienza di dottrina cristiana. È vero che senza Grazia, non si comprende comunque nulla, ma il Signore potrebbe, nella sua infinita bontà, risvegliare qualche sopito spirito immemore della dottrina Cattolica. Per questo preghiamo in particolare e, per l’intercessione della Vergine Maria Assunta in cielo, invochiamo il potente intervento dello Spirito Santo! Che Dio ci conceda! L’Enciclica è indubbiamente lunga, ma si legge tutta d’un fiato, venendo pervasi dalla gioia della verità che scende dritta nell’animo del cristiano verace. Successivamente occorrerà fissarne i punti essenziali per poterne godere i frutti personalmente e in famiglia!

LETTERA ENCICLICA
CASTI CONNUBII*
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
PACE E COMUNIONE:
SUL MATRIMONIO CRISTIANO.
PIO PP. XI
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

 Quanto grande sia la dignità del casto connubio, si può principalmente riconoscere, Venerabili Fratelli, da ciò che Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio dell’Eterno Padre, quando assunse la natura dell’uomo decaduto, in quella amorosissima economia con la quale compì la totale riparazione del nostro genere umano, non solo volle comprendere in maniera particolare anche questo principio e fondamento della società domestica e quindi del consorzio umano, ma richiamandolo inoltre alla primitiva purità dell’istituzione divina, lo elevò a vero e « grande » Sacramento della Nuova Legge, affidandone perciò tutta la disciplina e la cura alla Chiesa sua Sposa. – Ma perché da questo rinnovamento del matrimonio si possano raccogliere i frutti desiderati presso i popoli di ogni regione e di ogni età, si debbono anzitutto illuminare le menti degli uomini con la vera dottrina di Cristo intorno al matrimonio; inoltre occorre che i coniugi cristiani, con la grazia divina che internamente ne corrobora la debole volontà, conformino in tutto pensieri e condotta a quella purissima legge di Cristo, al fine di ottenerne per sé e per la propria famiglia la vera pace e felicità. – Purtroppo tuttavia, non solamente Noi che da questa Apostolica Sede come da una specola guardiamo con occhi paterni tutto il mondo, ma voi pure, Venerabili Fratelli, certamente vedete e insieme con Noi amaramente lamentate come tanti uomini, dimentichi di quell’opera divina di restaurazione, o ignorino del tutto la grande santità del matrimonio cristiano o sfrontatamente la neghino, o persino qua e là vadano conculcandola, seguendo i falsi princìpi di una certa nuova e del tutto perversa moralità. E poiché si sono cominciati a diffondere anche tra i fedeli questi perniciosissimi errori e questi depravati costumi, che tentano d’insinuarsi insensibilmente ma sempre più profondamente, abbiamo creduto essere dovere del Nostro ufficio di Vicario di Gesù Cristo in terra di supremo Pastore e Maestro, alzare la Nostra voce apostolica per allontanare le pecorelle a Noi affidate dai pascoli avvelenati e, per quanto dipende da Noi, custodirle immuni. – Abbiamo perciò deciso, Venerabili Fratelli, di parlare a voi e per mezzo vostro a tutta la Chiesa di Cristo e a tutto il genere umano, della natura del matrimonio cristiano, della sua dignità, dei vantaggi e benefìci che ne derivano alla famiglia e alla stessa umana società, degli errori contrari a questo gravissimo punto della dottrina evangelica, dei vizi che si oppongono alla stessa vita coniugale, e infine dei principali rimedi da apportarvi. E in ciò intendiamo seguire le orme del Nostro predecessore Leone XIII, di s. m., la cui Enciclica « Arcanum » scritta or sono cinquant’anni intorno al matrimonio cristiano, con questa Nostra Enciclica facciamo Nostra e confermiamo e, mentre esponiamo alquanto più diffusamente alcuni punti per riguardo alle condizioni e ai bisogni del tempo nostro, dichiariamo che essa non solo non è andata in disuso ma conserva tutto il suo vigore. – E per esordire da quella stessa Enciclica, che quasi unicamente mira a rivendicare la divina istituzione, la dignità sacramentale e la perpetua indissolubilità del matrimonio, resti anzitutto stabilito questo inconcusso inviolabile fondamento: che il matrimonio non fu istituito né restaurato dagli uomini, ma da Dio; non dagli uomini ma da Dio, autore della natura, e da Gesù Cristo, Redentore della medesima natura, fu presidiato di leggi e confermato e nobilitato. Tali leggi perciò non possono andar soggette ad alcun giudizio umano e ad alcuna contraria convenzione, nemmeno degli stessi coniugi. Questa è la dottrina della Sacra Scrittura, questa la costante ed universale tradizione della Chiesa; questa la solenne definizione del Concilio Tridentino che proclama e conferma con le parole stesse della Sacra Scrittura l’origine da Dio Creatore della perpetuità e indissolubilità del vincolo del matrimonio, e la sua stabilità ed unità. – Benché però il matrimonio di sua natura sia d’istituzione divina, anche l’umana volontà arreca in esso il suo contributo, e questo nobilissimo. Infatti ogni particolare matrimonio, in quanto unione coniugale fra quest’uomo e questa donna, non può cominciare ad esistere se non dal libero consenso di ambedue gli sposi; e questo atto libero della volontà, col quale ambedue le parti danno e accettano il diritto proprio del connubio, è talmente necessario perché esista vero matrimonio, che non può venire supplito da nessuna autorità umana. Senonché tale libertà a questo soltanto si riferisce: che i contraenti vogliano realmente contrarre matrimonio e contrarlo con questa determinata persona; ma la natura del matrimonio è assolutamente sottratta alla libertà umana, in modo che una volta che uno abbia contratto matrimonio, resta soggetto alle sue leggi e alle sue proprietà essenziali. Infatti il Dottore Angelico, trattando della fede e della prole, dice «Questo è causato dallo stesso patto coniugale, così che se nel consenso, che fa il matrimonio, si esprimesse qualche cosa di contrario a ciò, non esisterebbe vero matrimonio ». – Mediante il connubio, dunque, si congiungono e si stringono intimamente gli animi, e questi prima e più fortemente che non i corpi, né già per un passeggero affetto dei sensi o dell’animo, ma per un decreto fermo e deliberato di volontà; e da questa fusione di anime, così avendo Dio stabilito, sorge un vincolo sacro ed inviolabile. – Tale natura, affatto propria e speciale di questo contratto, lo rende totalmente diverso, non solo dagli accoppiamenti fatti per cieco istinto naturale fra gli animali, in cui non può esservi ragione o volontà deliberata, ma altresì da quegli instabili connubii umani, che sono disgiunti da qualsivoglia vero ed onesto vincolo di volontà e destituiti di qualsiasi diritto di domestica convivenza. – Da qui già appare manifesto che la legittima autorità ha diritto e dovere di frenare, impedire e punire questi turpi connubii, contrari a ragione e a natura; ma trattandosi qui di cosa che consegue alla stessa natura umana, non è meno certo quello che apertamente ammoniva il Nostro predecessore Leone XIII di f. m. «Nella scelta del genere di vita, non è dubbio che è in potere ed arbitrio dei singoli il preferire l’una delle due: o seguire il consiglio di Gesù Cristo intorno alla verginità, oppure obbligarsi col vincolo matrimoniale. Nessuna legge umana può togliere all’uomo il diritto naturale e primitivo del coniugio; o in qualsivoglia modo circoscrivere la cagione principale delle nozze, stabilita da principio per autorità di Dio: Crescete e moltiplicatevi ». Pertanto il sacro consorzio del vero connubio viene costituito e dalla divina e dall’umana volontà; da Dio provengono l’istituzione, le leggi, i fini, i beni del matrimonio; dall’uomo, con l’aiuto e la cooperazione di Dio, dipende l’esistenza di qualsivoglia matrimonio particolare coi doveri e coi beni stabiliti da Dio, mediante la donazione generosa della propria persona ad altra persona per tutta la vita.

I

Ma mentre Ci accingiamo ad esporre quali e quanto grandi siano questi beni divinamente concessi al vero matrimonio, Ci vengono alla mente, Venerabili Fratelli, le parole di quel preclarissimo Dottore della Chiesa che, non molto tempo addietro, commemorammo con l’Enciclica « Ad salutem » nel XV centenario dalla sua morte ; «Tutti questi — dice Sant’Agostino — sono i beni per i quali le nozze sono buone: la prole, la fede, il sacramento ». Che poi a buon diritto si possa dire che questi tre punti contengono uno splendido compendio di tutta la dottrina sul matrimonio cristiano, ci viene eloquentemente dichiarato dallo stesso Santo quando dice: «Nella fede si provvede che fuor del vincolo coniugale non ci sia unione con un altro o con un’altra; nella prole che questa si accolga amorevolmente, si nutra benignamente, si educhi religiosamente; nel sacramento poi che non si sciolga il coniugio, e che il rimandato o la rimandata nemmeno per ragione di prole si congiunga con altri. Questa è come la regola delle nozze, dalla quale ed è nobilitata la fecondità della natura ed è regolata la pravità dell’incontinenza ». – Pertanto fra i beni del matrimonio occupa il primo posto la prole. E veramente lo stesso Creatore del genere umano, che nella sua bontà volle servirsi degli uomini come ministri per la propagazione della vita, questo insegnò quando nel paradiso, istituendo il matrimonio, disse ai progenitori e in essi a tutti i coniugi futuri: «Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra » . Questa stessa verità deduce elegantemente Sant’Agostino dalle parole dell’Apostolo San Paolo a Timoteo, dicendo: « Che le nozze si contraggano per ragione della prole, così ne fa fede l’Apostolo: Voglio che i giovani si sposino. E come se gli dicesse: E perché? subito soggiunge: A procreare figliuoli, ad essere madri di famiglia ». – Quanto poi questo sia un grande beneficio di Dio e un gran bene del matrimonio appare dalla dignità e dal nobilissimo fine dell’uomo. Infatti l’uomo, anche solo per l’eccellenza della natura ragionevole, sovrasta a tutte le altre creature visibili. Si aggiunga che Iddio vuole la generazione degli uomini, non solo perché esistano e riempiano la terra, ma assai più perché ci siano cultori di Dio, lo conoscano e lo amino e lo abbiano poi infine a godere perennemente nel cielo; il qual fine, per l’ammirabile elevazione, compiuta da Dio, dell’uomo all’ordine soprannaturale, supera tutto quello che « occhio vide, ed orecchio intese e poté entrare nel cuore dell’uomo » . Da ciò appare facilmente quanto gran dono della bontà divina e quanto egregio frutto del matrimonio sia la prole, germogliata per onnipotente virtù divina e con la cooperazione dei coniugi. – I genitori cristiani intendano inoltre che solo destinati non solo a propagare e conservare in terra il genere umano; anzi non solo ad educare comunque dei cultori del vero Dio, ma a procurare prole alla Chiesa di Cristo, a procreare concittadini dei Santi e familiari di Dio, perché cresca ogni giorno più il popolo dedicato al culto del nostro Dio e Salvatore. E quantunque i coniugi cristiani, per quanto siano essi santificati, non possono trasfondere nella prole la santificazione, ché anzi la naturale generazione della vita è divenuta via di morte, per la quale passa alla prole il peccato originale, tuttavia essi partecipano in qualche modo alcunché di quel primitivo coniugio del paradiso terrestre, essendo loro ufficio offrire la propria prole alla Chiesa, perché da questa fecondissima madre di figli di Dio la prole venga rigenerata per mezzo del lavacro del battesimo alla giustizia soprannaturale, e perché diventi membro vivo di Cristo, partecipe della vita immortale e infine erede della gloria eterna, alla quale tutti aneliamo dall’intimo del cuore. – Se una madre veramente cristiana a ciò riflette, comprenderà certamente che a lei, e in senso più alto e pieno di consolazione, vanno applicate quelle parole del nostro Redentore: « La donna … quando ha dato alla luce un bambino, non ricorda più le sue angustie per il gaudio che prova, perché un uomo è venuto al mondo » ; e rendendosi superiore a tutti i dolori, alle cure, ai pesi della maternità, molto più giustamente e santamente di quella matrona romana, madre dei Gracchi, si glorierà nel Signore di una floridissima corona di figli. Ambedue i coniugi, poi, riguarderanno questi figli, ricevuti con animo pronto e grato dalla mano di Dio, quale un talento loro affidato da Dio, non già per impiegarlo solamente a vantaggio proprio o della patria terrena, ma per restituirlo poi col suo frutto nel giorno del conto finale. – Il bene però della prole non si esaurisce nel beneficio della procreazione, ma occorre che se ne aggiunga un secondo, che consiste nella debita educazione di essa. Troppo scarsamente, invero, Dio sapientissimo avrebbe provveduto alla prole venuta alla luce, e quindi a tutto il genere umano, se a coloro a cui ha dato il potere e il diritto di generare, non avesse altresì dato il dovere e il diritto di educare. Nessuno infatti può ignorare che la prole non può bastare né provvedere a se stessa nemmeno in ciò che riguarda la vita naturale, e molto meno in ciò che concerne la vita soprannaturale, ma abbisogna per molti anni dell’altrui aiuto per la formazione e l’educazione. È noto poi come, per disposizione naturale e divina, questo dovere e diritto all’educazione della prole appartengono anzitutto a coloro che con la generazione iniziarono l’opera della natura, e ai quali è vietato di esporre al rischio della perdita l’opera incominciata, lasciandola imperfetta. Ora a questa tanto necessaria educazione dei figli si è provveduto nel miglior modo possibile col matrimonio, in cui, essendo i genitori stretti tra loro con vincolo indissolubile, prestano sempre ambedue l’opera loro e il loro vicendevole aiuto. – Ma avendo già trattato altra volta a lungo dell’educazione cristiana della gioventù, possiamo riassumere tutte queste cose ripetendo le parole di Sant’Agostino: «Quanto alla prole, si richiede che sia accolta con amore e religiosamente educata », il che ci viene pure espresso stringatamente nel Codice di diritto canonico: « Il fine primario del matrimonio è la procreazione e l’educazione della prole » . – Né si deve tacere che, essendo di tanta dignità e tanta importanza l’uno e l’altro compito affidato ai genitori per il bene della prole, qualsiasi onesto uso della facoltà data da Dio per la generazione di una nuova vita, secondo l’ordine del Creatore e della stessa legge di natura, è diritto e prerogativa del solo matrimonio e deve essere assolutamente contenuto dentro i limiti sacri del matrimonio.  Il secondo bene del matrimonio menzionato da Sant’Agostino, come abbiamo detto, è il bene della fede, che è la vicendevole fedeltà dei coniugi nell’adempimento del contratto matrimoniale; sicché quanto compete per questo contratto sancito secondo la legge divina al solo coniuge, né a lui sia negato, né permesso ad una terza persona; e neppure al coniuge stesso sia concesso ciò che non si può concedere in quanto contrario alle leggi divine e del tutto alieno dalla fede matrimoniale. – Questa fede pertanto richiede in primo luogo l’unità assoluta del matrimonio, che il Creatore stesso adombrò nel matrimonio dei primi genitori, volendo che esso non fosse se non fra un uomo solo e una sola donna. E sebbene poi il supremo Legislatore, Iddio, allargò alquanto questa legge primitiva per qualche tempo, non vi è tuttavia dubbio alcuno che la legge evangelica abbia ristabilito pienamente l’antica e perfetta unità, abrogando ogni dispensa, come dimostrano chiaramente le parole di Cristo e la dottrina e la prassi costante della Chiesa. A buon diritto perciò il Sacro Concilio Tridentino dichiarò solennemente: «Cristo Signore insegnò più apertamente che con questo vincolo due sole persone si vengono strettamente a congiungere, quando disse: Non sono dunque più due, ma una sola carne » . – E Nostro Signore Gesù Cristo non volle solamente proibire qualsiasi forma, sia successiva sia simultanea, come dicono, di poligamia e di poliandria o qualsiasi altra azione esterna disonesta; ma di più ancora, perché si custodisse inviolato il santuario sacro della famiglia, proibì gli stessi pensieri volontari e desideri su tali cose: «Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con lei ». Queste parole di Cristo non possono andare annullate, neppure per consenso del coniuge, giacché esse rappresentano la legge medesima di Dio e della natura, che nessuna volontà umana può distruggere o modificare.  – Anzi, perché il bene della fede splenda nella debita purezza, le stesse vicendevoli manifestazioni di familiarità tra i coniugi debbono essere caratterizzate dal pregio della castità, in modo tale che i coniugi si comportino in tutte le cose secondo la norma di Dio e delle leggi di natura, e si studino di seguire sempre, con grande riverenza verso l’opera di Dio, la volontà sapientissima e santissima del Creatore. – Questa fede della castità, come da Sant’Agostino è giustamente chiamata, risulterà più facile, anzi molto più piacevole non meno che nobile per un altro pregio importantissimo: per l’amore coniugale, cioè, che pervade i doveri tutti della vita coniugale e nel matrimonio cristiano tiene come il primato della nobiltà. « Richiede inoltre la fede del matrimonio che il marito e la moglie siano fra loro congiunti di un amore singolare, santo e puro, e non si amino fra di loro come gli adulteri ma in quel modo che Cristo amò la Chiesa; perché questa regola prescrisse l’Apostolo quando disse: Uomini amate le vostre mogli, come anche Cristo amò la Chiesa, e certo Egli l’amò con quella sua carità infinita, non per un vantaggio suo, ma solo proponendosi l’utilità della Sposa ». Parliamo dunque di un amore non già fondato nella inclinazione sola del senso che in breve svanisce, né solo nelle parole carezzevoli, ma nell’intimo affetto dell’anima e ancora — giacché la prova dell’amore è l’esibizione dell’opera — dimostrato con l’azione esterna Questa azione, poi, nella società domestica non comprende solo il vicendevole aiuto, ma deve estendersi altresì, anzi mirare soprattutto a questo: che i coniugi si aiutino fra di loro per una sempre migliore formazione e perfezione interiore, in modo che nella loro vicendevole unione di vita crescano sempre più nelle virtù, massimamente nella sincera carità verso Dio e verso il prossimo, da cui alfine « dipendono tutta la legge e i Profeti » . Possono insomma, e debbono tutti, di qualunque condizione siano e qualunque onesta maniera di vita abbiano eletto, imitare l’esemplare perfettissimo di ogni santità, proposta da Dio agli uomini, che è N. S. Gesù Cristo, e con l’aiuto di Dio giungere anche all’altezza somma della perfezione cristiana, come gli esempi di molti santi ci dimostrano. – Una tale vicendevole formazione interna dei coniugi, con l’assiduo impegno di perfezionarsi a vicenda, in un certo senso verissimo, come insegna il Catechismo romano, si può dire anche primaria causa e motivo del matrimonio, purché s’intenda per matrimonio, non già nel senso più stretto, l’istituzione ordinata alla retta procreazione ed educazione della prole, ma in senso più largo, la comunanza, l’uso e la società di tutta la vita. – Con questo stesso amore si debbono conciliare tanto gli altri diritti quanto gli altri doveri del matrimonio, in modo tale che non solo sia legge di giustizia ma anche norma di carità quella dell’Apostolo: « Alla moglie renda il marito quello che le deve, e parimenti la moglie al marito » . – Rassodata finalmente col vincolo di questa carità la società domestica, in essa fiorirà necessariamente quello che è chiamato da Sant’Agostino ordine dell’amore. Il quale ordine richiede da una parte la superiorità del marito sopra la moglie e i figli, e dall’altra la pronta soggezione e ubbidienza della moglie, non per forza, ma quale è raccomandata dall’Apostolo in queste parole: « Le donne siano soggette ai loro mariti, come al Signore, perché l’uomo è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa ».

Una tale soggezione però non nega né toglie la libertà che compete di pieno diritto alla donna, sia per la nobiltà della personalità umana, sia per il compito nobilissimo di sposa, di madre e di compagna; né l’obbliga ad accondiscendere a tutti i capricci dell’uomo, se poco conformi alla ragione stessa o alla dignità della sposa; né vuole infine che la moglie sia equiparata alle persone che nel diritto si chiamano minorenni, alle quali per mancanza della maturità di giudizio o per inesperienza delle cose umane non si suole concedere il libero esercizio dei loro diritti; ma vieta quella licenza esagerata che non cura il bene della famiglia, vieta che nel corpo di questa famiglia sia separato il cuore dal capo, con danno sommo del corpo intiero e con pericolo prossimo di rovina. Se l’uomo infatti è il capo, la donna è il cuore; e come l’uno tiene il primato del governo, così l’altra può e deve attribuirsi come suo proprio il primato dell’amore. – Quanto poi al grado ed al modo di questa soggezione della moglie al marito, essa può essere diversa secondo la varietà delle persone, dei luoghi e dei tempi; anzi, se l’uomo viene meno al suo dovere, appartiene alla moglie supplirvi nella direzione della famiglia. Ma in nessun tempo e luogo è lecito sovvertire o ledere la struttura essenziale della famiglia stessa e la sua legge da Dio fermamente stabilita. – Dell’osservanza di questo ordine tra marito e moglie così parlò già con molta sapienza il predecessore Nostro Leone XIII di f. m. nell’Enciclica, che abbiamo ricordato, del matrimonio cristiano: « Il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie la quale pertanto, perché è carne della carne di lui ed ossa delle sue ossa, non dev’essere soggetta ed obbediente al marito a guisa di ancella, bensì di compagna; cioè in tal modo che la soggezione che ella rende a lui non sia disgiunta dal decoro né dalla dignità. In lui poi che governa ed in lei che ubbidisce, rendendo entrambi l’immagine l’uno di Cristo, l’altro della Chiesa, sia la carità divina la perpetua moderatrice dei loro doveri » . – Queste sono dunque le virtù che vanno comprese nel bene della fede: unità, castità, carità, nobile e dignitosa ubbidienza; le quali riescono poi altrettanti vantaggi dei coniugi e del loro coniugio, in quanto, assicurano o promuovono la pace, la dignità e la felicità del matrimonio. Non fa quindi meraviglia che questa fede sia stata sempre annoverata tra i benefìci insigni e proprî del matrimonio. – Senonché a tutto il cumulo di benefìci così grandi, il compimento e la corona ultima vengono da quell’altro bene proprio del matrimonio cristiano, che abbiamo chiamato con la parola di Agostino Sacramento, e che designa l’indissolubilità del vincolo ed insieme la elevazione e consacrazione, fatta da Cristo, del contratto in segno efficace della grazia. – E anzitutto, quanto all’indissolubile fermezza del patto coniugale, Cristo medesimo vi insiste dicendo: «Ciò che Iddio ha congiunto, l’uomo non separi »; e: « Chiunque ripudia la propria moglie e ne prende un’altra, commette adulterio; e chiunque, prende quella che è stata ripudiata dal marito, commette adulterio ». – In questa indissolubilità ripone appunto Sant’Agostino il bene che egli chiama del sacramento, con queste chiare parole: «Nel sacramento, poi si esige che il matrimonio non sia disciolto e il ripudiato o la ripudiata non si unisca ad altri, neppure a causa della prole » . -Ora questa inviolabile fermezza, quantunque non competa ad ogni matrimonio con la stessa misura di perfezione, compete nondimeno a tutti i veri matrimoni; perché il detto del Signore: «Ciò che Iddio ha congiunto, l’uomo non separi » essendo stato pronunciato a proposito del matrimonio dei primi progenitori, prototipo di qualsiasi altro matrimonio futuro, deve di necessità comprendere tutti assolutamente i veri matrimoni. Che se prima di Cristo la sublimità e la severità della legge primitiva andarono tanto attenuate, che Mosè permise ai cittadini dello stesso popolo di Dio, per la durezza del loro cuore, di dare per motivi determinati la lettera del ripudio, Cristo invece, giusta il suo potere di legislatore supremo, revocò questo permesso di una maggiore libertà, e rimise pienamente in vigore la legge primitiva con quelle parole assolutamente indimenticabili: «Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non separi ». Molto saggiamente perciò Pio VI, Nostro predecessore di f. m., così rispondeva al Vescovo di Agra: « Per questo è evidente che il matrimonio, nel medesimo stato di natura e certo assai prima che fosse sollevato alla dignità di Sacramento propriamente detto, è stato divinamente istituito in maniera da portare seco la perpetuità e la indissolubilità del nodo, tale perciò che da nessuna legge civile possa essere disciolto. Quindi, sebbene la ragione di sacramento possa andare disgiunta dal matrimonio, come tra gli infedeli, anche in tale matrimonio tuttavia, se è vero matrimonio, deve restare e certamente resta in perpetuo quel nodo che fino dalla prima origine è così inerente al matrimonio che non va soggetto a nessun potere civile. Così qualsiasi matrimonio si dica contratto, o venga contratto in modo da essere un vero matrimonio, avrà insieme quel nodo perpetuo che per diritto divino va connesso con ogni vero matrimonio; ovvero si suppone contratto senza tale nodo perpetuo, e allora non è vero matrimonio, ma una illecita unione contraria per il suo oggetto alla legge divina, e che perciò non si può lecitamente né iniziare né mantenere ». – Se questa fermezza sembra patire qualche eccezione, sebbene rarissima, come in certi matrimoni naturali che siano contratti tra infedeli solamente o, se tra fedeli, che siano sì ratificati ma non ancora consumati, una siffatta eccezione non dipende da volontà di uomini né di qualsiasi potere meramente umano, ma dal diritto divino, di cui unica custode e interprete è la Chiesa di Cristo. Ma una tale occasione non potrà mai verificarsi per nessun motivo nel matrimonio cristiano rato e consumato. In questo infatti, come il nodo coniugale ottiene la piena perfezione, così risplendono per volontà di Dio la massima fermezza e indissolubilità, tali da non potersi rallentare per nessuna autorità umana. – Se vogliamo investigare con riverenza l’intima ragione di questa volontà divina, facilmente la troveremo, Venerabili Fratelli, in quella mistica significazione del matrimonio cristiano, che si verifica con piena perfezione nel matrimonio consumato tra fedeli. Il matrimonio dei cristiani, infatti, secondo la testimonianza dell’Apostolo nella sua lettera (in principio accennata) agli Efesini [37], rappresenta quell’unione perfettissima che corre fra Cristo e la Chiesa: «Questo Sacramento è grande, io però parlo riguardo a Cristo e alla Chiesa »: la quale unione per nessuna separazione potrà mai sciogliersi, finché vivrà Cristo, e la Chiesa per Lui. Il che pure Sant’Agostino chiaramente insegna in quelle parole: «Questo infatti viene custodito in Cristo e nella Chiesa; e per nessun divorzio sia separato il vivente col vivente in eterno. Del quale Sacramento è tanto gelosa l’osservanza nella città del Dio Nostro … cioè nella Chiesa di Cristo … che quando per avere figli o le donne prendano marito o gli uomini prendano moglie, non è lecito abbandonare la moglie sterile per prenderne un’altra feconda. Se qualcuno fa questo, è reo di adulterio, non per la legge di questo secolo (dove, intervenendo il ripudio, si concede, senza farne colpa, di contrarre matrimoni con altri; ciò che il Signore testifica avere  anche il santo Mosè permesso agli Israeliti per la durezza del loro cuore) ma per la legge del Vangelo; così pure è rea di adulterio la donna se si sposerà ad un altro ».

Quanti poi e quanto grandi vantaggi derivino dall’indissolubilità del matrimonio, lo intende senz’altro chiunque rifletta un istante sia al bene dei coniugi stessi e della prole, come alla salute di tutta l’umana società. Anzitutto i coniugi, nella fermezza assoluta del vincolo, hanno quel contrassegno certo di perennità, quale di natura sua è voluto dalla generosa donazione di tutta la persona e  dall’intima unione dei cuori, poiché la carità vera non viene meno mai. Ivi inoltre è un saldo baluardo a difesa della castità fedele, contro gl’interni ed esterni eccitamenti all’infedeltà, se mai sopravvengano; esclusa ogni ansietà o timore che o per qualche disgrazia o per la vecchiaia l’altro coniuge non si abbia ad allontanare, sottentra invece una tranquilla sicurezza. Ad assicurare similmente la dignità dei coniugi ed il vicendevole aiuto, soccorre nel modo più opportuno il pensiero del vincolo indissolubile, ricordando loro che non all’intento di caduchi interessi, né a soddisfazione di piacere, ma per cooperare insieme al conseguimento di beni più eccelsi ed eterni, essi strinsero il patto nuziale, infrangibile se non dalla morte. Egregiamente, ancora, la fermezza del matrimonio provvede alla cura e alla educazione dei figli, opera di lunghi anni, piena di gravi doveri e di fatiche, quali più agevolmente le forze unite dei genitori possono sostenere. Né minori sono i vantaggi che ne provengono a tutta la società umana. L’esperienza insegna infatti come all’onestà della vita in genere ed all’integrità dei costumi immensamente conferisce la fermezza inconcussa dei matrimoni; e come dalla severa osservanza di tale ordinamento vengano assicurate la felicità e la salvezza della cosa pubblica; infatti tale sarà lo Stato, quali sono le famiglie, quali gli uomini, di cui esso è composto, come il corpo delle membra. Ond’è che quanti difendono strenuamente l’inviolabile saldezza del matrimonio, si rendono grandemente benemeriti sia del bene privato dei coniugi e della prole, sia del bene pubblico dell’umana società. – Ma in questo beneficio del Sacramento, oltre i vantaggi della inviolabile stabilità, sono contenuti, più eccellenti ancora, altri vantaggi designati esattamente dal vocabolo stesso di Sacramento, giacché per i cristiani questo non è nome vano e vuoto di senso, sapendo essi che Cristo, « istitutore e perfezionatore di venerabili Sacramenti », con l’elevare alla dignità di vero e proprio Sacramento della Nuova Legge il matrimonio dei suoi fedeli, lo rese in effetto segno e fonte di quella speciale grazia interna, con la quale « portava l’amore naturale a maggior perfezione, ne confermava l’indissolubile unità, e i coniugi stessi santificava » [41]. E poiché Cristo stabilì che lo stesso valido consenso matrimoniale tra fedeli fosse il segno della grazia, quindi la ragione di Sacramento va col coniugio cristiano così strettamente connessa, che tra battezzati non può darsi matrimonio « che non sia con ciò stesso anche Sacramento » .

Con ciò stesso dunque i fedeli che danno con animo sincero un tale consenso, aprono a sé il tesoro della grazia sacramentale, ove attingere le forze soprannaturali occorrenti ad adempiere le proprie parti ed i propri doveri fedelmente, santamente, con perseveranza fino alla morte. – Questo Sacramento, in coloro che non vi oppongono positivo ostacolo, non solo accresce il principio di vita soprannaturale, cioè la grazia santificante, ma vi aggiunge ancora altri doni speciali, disposizioni e germi di grazia, come novello vigore e perfezione alle forze della natura, affinché i coniugi possano non solo bene intendere, ma intimamente sentire, con ferma convinzione e risoluta volontà stimare e adempiere quanto appartiene allo stato coniugale e ai suoi fini e doveri; ed a tale effetto infine conferisce il diritto all’aiuto attuale della grazia, ogniqualvolta ne abbisognino per adempire agli obblighi di questo stato. – Siccome, nondimeno, è legge di provvidenza divina nell’ordine soprannaturale che, dai Sacramenti ricevuti dopo l’uso di ragione, l’uomo non tragga tutto intero il frutto loro quando non cooperi alla grazia, così anche la grazia propria del matrimonio rimarrebbe in gran parte come talento inutile sepolto sotto terra qualora i coniugi non adoprassero le forze soprannaturali, trascurando di coltivare e far fruttificare i preziosi semi della grazia. Se all’incontro si studiano, quant’è in loro, di bene cooperare, potranno della loro condizione sopportare i pesi, adempiere i doveri, e dalla potenza di tanto Sacramento si sentiranno ravvalorati, santificati e come consacrati. Poiché, secondo quanto insegna Sant’Agostino, come per i sacramenti del Battesimo e dell’Ordine l’uomo viene rispettivamente designato ed aiutato o a condurre vita cristiana o ad esercitare l’Ufficio sacerdotale, né l’aiuto sacramentale di quelli sarà mai per mancargli, così in modo simile (ancorché senza il carattere sacramentale), i fedeli, uniti una volta col vincolo del matrimonio, non potranno esser privati mai né dell’aiuto, né del legame sacramentale. – Anzi, soggiunge il medesimo Santo Dottore, quel vincolo sacro, qualora cadessero in adulterio, se lo porterebbero seco, quantunque non più alla gloria della grazia, ma nella pena della colpa, « a quella maniera che l’anima dell’apostata, quasi separandosi dal coniugio di Cristo, anche dopo perduta la fede, non perde il Sacramento della fede, ricevuto nel lavacro della rigenerazione » .- Gli stessi coniugi poi, dall’aureo vincolo del sacramento non incatenati ma adorni, non impacciati ma rinvigoriti, si adopreranno con tutte le forze a far sì che il loro connubio, non solamente per la proprietà e il significato del sacramento, ma anche per lo spirito loro e la condotta della loro vita, sia sempre e rimanga immagine viva di quell’unione fecondissima di Cristo con la sua Chiesa, che è certamente mistero venerando di perfettissimo amore. – Se tutte queste verità, Venerabili Fratelli, si considerano con ponderatezza e fede viva, se questi preziosi beni del matrimonio, la prole, la fede e il Sacramento, sono messi nella debita luce, è impossibile non restare ammirati della sapienza, santità e bontà divina, le quali con tanta larghezza provvidero insieme a mantenere la dignità e la felicità dei coniugi, e ad ottenere la conservazione e propagazione dell’uman genere mediante la sola casta e sacra unione del vincolo nuziale.

II

Nel ponderare, Venerabili Fratelli, il pregio così grande delle caste nozze, tanto più Ci appare doloroso il vedere come questa divina istituzione, in questi nostri tempi soprattutto, sia spesso e facilmente dispregiata e vilipesa. – È un fatto, in verità, che non più di nascosto e nelle tenebre, ma apertamente, messo da parte ogni senso di pudore, così a parole come in iscritto, con rappresentazioni teatrali d’ogni specie, con romanzi, con novelle e racconti ameni, con proiezioni cinematografiche, con discorsi radiofonici, infine con tutti i trovati più recenti della scienza, è conculcata e messa in derisione la santità del matrimonio, e invece o si lodano divorzi, adultèri e i vizi più turpi, o se non altro si dipingono con tali colori che sembra si vogliano far comparire scevri d’ogni macchia ed infamia. Né mancano libri, che si decantano come scientifici, ma che, in verità, della scienza sovente altro non hanno che una certa qual tintura, con l’intento di potersi più agevolmente insinuare negli animi. E le dottrine in essi difese si spacciano quali meraviglie dell’ingegno moderno, cioè di quell’ingegno che si vanta come amante solo della verità, di essersi emancipato da tutti i vecchi pregiudizi, fra i quali annovera e bandisce anche la dottrina tradizionale cristiana del matrimonio. – Anzi, tali massime si fanno penetrare fra ogni condizione di persone, ricchi e poveri, operai e padroni, dotti e ignoranti, liberi e coniugati, credenti e nemici di Dio, adulti e giovani; a questi soprattutto, come a più facile preda, si tendono i lacci più pericolosi. – Certo, non tutti i fautori di siffatte nuove massime giungono alle ultime conseguenze della sfrenata libidine; vi sono taluni che, sforzandosi di arrestarsi come a mezzo della china, vorrebbero far qualche concessione ai tempi nostri, solamente su alcuni precetti della legge divina e naturale. Ma questi non sono altro che mandatari, consapevoli più o meno, di quell’insidiosissimo nemico che sempre si adopera a soprasseminare zizzania in mezzo al frumento. Noi pertanto, che il Padre di famiglia ha posto a custodia del proprio campo, e perciò siamo tenuti dall’obbligo sacrosanto a vigilare che il buon seme non sia soffocato dalle male erbe, stimiamo a Noi rivolte dallo Spirito Santo quelle gravissime parole, con le quali l’Apostolo Paolo esortava il suo diletto Timoteo: «Ma tu, veglia, adempi il tuo ministero … predica la parola, insisti a tempo, fuori di tempo: riprendi, supplica, esorta con ogni pazienza e dottrina » .  – E poiché, ad evitare le frodi del nemico, è anzitutto necessario scoprirle, e giova molto avvisare gl’incauti degl’inganni suoi, non possiamo del tutto tacerne, per il bene e la salute delle anime, sebbene preferiremmo nemmeno nominare simili malvagità, « come conviene ai Santi » . – E per incominciare dalle fonti stesse di tanti mali, la loro principale radice sta nel blaterare che il matrimonio non ha origine da divina istituzione, né è stato dal Signor Nostro Gesù Cristo sollevato alla dignità di Sacramento, ma è un’umana invenzione. Altri sostengono di non averne riconosciuto indizio alcuno nella stessa natura e nelle leggi da cui è retto, ma di avervi trovato soltanto la facoltà generativa, e ad essa congiunto un forte impulso ad adempierla, come che sia; vi sono, nondimeno, alcuni che riconoscono nella natura umana alcuni princìpi, come germi di un vero connubio, nel senso che se gli uomini non si congiungessero con qualche fermezza di vincolo, non si sarebbe provveduto a sufficienza alle dignità dei coniugi al fine naturale della propagazione e della educazione della prole. Nondimeno anche costoro insegnano che lo stesso matrimonio, come istituto che è al disopra di quei germi, col concorso di varie cause è stato escogitato dalla sola umana mente, ed istituito dalla sola volontà degli uomini. – Ma quanto grave sia l’errore di tutti costoro, e come essi vergognosamente deviino dalle norme dell’onestà, già si comprende da quanto, in questa Nostra lettera, abbiamo esposto intorno alla origine e alla natura del matrimonio, e dei fini e dei beni ad esso proprii. E che queste invenzioni siano dannosissime, appare anche dalle conseguenze che gli stessi loro propugnatori ne deducono: essendo le leggi, le istituzioni, le consuetudini dalle quali è regolato il matrimonio, nate solo dalla volontà degli uomini, a questa soltanto soggiacciono; quindi esse si potranno e dovranno stabilire, modificare, abrogare a piacere degli uomini e secondo le esigenze delle condizioni umane; e quanto alla virtù generativa, come quella che si fonda nella stessa natura, insegnano che è più sacra e più ampia dello stesso matrimonio: potersi quindi adoperare così dentro come fuori dei cancelli della vita matrimoniale, anche senza tener conto dei fini del matrimonio, come se il libertinaggio di una immonda meretrice godesse quasi gli stessi diritti della casta maternità della legittima consorte. – Movendo da tali princìpi, alcuni giunsero al punto di inventare altre forme di unione, adatte, come essi credono, alle presenti condizioni degli uomini e dei tempi, e propongono quasi nuove forme di matrimonio: l’uno « temporaneo », l’altro « a esperimento », un terzo che dicono « amichevole », e che si attribuisce la piena libertà e tutti i diritti del matrimonio, eccettuato il vincolo indissolubile; escludono la prole, se non nel caso in cui le parti vengano poscia a trasformare quella comunione di vita e di consuetudine in matrimonio di pieno diritto. – E ciò che è peggio, non mancano coloro i quali pretendono e si adoperano perché simili abominazioni siano coonestate dall’intervento delle leggi o, se non altro, vengano giustificate in forza delle pubbliche consuetudini di popoli e delle loro istituzioni; e sembra non sospettino nemmeno che simili cose, lungi dal potersi esaltare quali conquiste della « cultura » moderna, di cui menano sì gran vanto, sono invece aberrazioni nefande, che ridurrebbero senza dubbio anche le nazioni civili ai costumi barbarici di alcuni popoli selvaggi. – Ma per venire ormai, Venerabili Fratelli, a trattare dei singoli punti che si oppongono ai diversi beni del matrimonio, il primo riguarda la prole, che molti osano chiamare molesto peso del connubio e affermano doversi studiosamente evitare dai coniugi, non già con l’onesta continenza, permessa anche nel matrimonio, quando l’uno e l’altro coniuge vi consentano, ma viziando l’atto naturale. E questa delittuosa licenza alcuni si arrogano perché, aborrendo dalle cure della prole, bramano soltanto soddisfare le loro voglie, senza alcun onere; altri allegano a propria scusa la incapacità di osservare la continenza, e la impossibilità di ammettere la prole a cagione delle difficoltà proprie, o di quelle della madre, o di quelle economiche della famiglia. – Senonché, non vi può esser ragione alcuna, sia pur gravissima, che valga a rendere conforme a natura ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura. E poiché l’atto del coniugio è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questo effetto, operano contro natura, e compiono un’azione turpe e intrinsecamente disonesta. – Quindi non meraviglia se la Maestà divina, come attestano le stesse Sacre Scritture, abbia in sommo odio tale delitto nefando, e l’abbia talvolta castigato con la pena di morte, come ricorda Sant’Agostino: « Perché illecitamente e disonestamente si sta anche con la legittima sposa, quando si impedisce il frutto della prole. Così operava Onan, figlio di Giuda, e per tal motivo Dio lo tolse di vita » . – Pertanto, essendovi alcuni che, abbandonando manifestamente la cristiana dottrina, insegnata fin dalle origini, né mai modificata, hanno ai giorni nostri, in questa materia, preteso pubblicamente proclamarne un’altra, la Chiesa Cattolica, cui lo stesso Dio affidò il mandato di insegnare e difendere la purità e la onestà dei costumi, considerando l’esistenza di tanta corruttela di costumi, al fine di preservare la castità del consorzio nuziale da tanta turpitudine, proclama altamente, per mezzo della Nostra parola, in segno della sua divina missione, e nuovamente sentenzia che qualsivoglia uso del matrimonio, in cui per la umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura, e che coloro che osino commettere tali azioni, si rendono rei di colpa grave. – Perciò, come vuole la suprema autorità Nostra e la cura commessaCi della salute di tutte le anime, ammoniamo i sacerdoti che sono impegnati ad ascoltare le confessioni e gli altri tutti che hanno cura d’anime, che non lascino errare i fedeli loro affidati, in un punto tanto grave della legge di Dio, e molto più che custodiscano se stessi immuni da queste perniciose dottrine, e ad esse, in qualsiasi maniera, non si rendano conniventi. Se qualche confessore o pastore delle anime, che Dio non lo permetta, inducesse egli stesso in simili errori i fedeli a lui commessi, o, se non altro, ve li confermasse, sia con approvarli, sia colpevolmente tacendo, sappia di dovere rendere severo conto a Dio, Giudice Supremo, del tradito suo ufficio, e stimi a sé rivolte le parole di Cristo: « Sono ciechi, e guide di ciechi: e se il cieco al cieco fa da guida, l’uno e l’altro cadranno nella fossa ».  Quanto, poi, ai motivi che li inducono a difendere l’uso perverso del matrimonio, questi non di rado — per tacere di coloro che ridondano a loro vergogna — sono immaginari o esagerati. Nondimeno la Chiesa, pia Madre, intende benissimo e apprende al vivo le difficoltà che si ripetono intorno alla salute della madre e al suo pericolo per la vita stessa. E chi mai potrebbe, se non con viva commiserazione, ponderarle? Chi non sarebbe preso da ammirazione somma nel vedere una madre offrirsi, con forza eroica, a morte quasi certa, pur di risparmiare la vita alla prole già concepita? Tutto ciò che ella avrà sofferto per adempiere perfettamente l’ufficio che la natura le affidò, solo Dio ricchissimo e misericordiosissimo potrà a lei retribuirlo, e, senza dubbio, darà non solo la misura colma, ma anche sovrabbondante. E ben sa altresì la santa Chiesa che non di rado uno dei coniugi soffre piuttosto il peccato, che esserne causa, quando, per ragione veramente grave, permette la perversione dell’ordine dovuto, alla quale pure non consente, e di cui quindi non è colpevole, purché memore, anche in tal caso, delle leggi della carità, non trascuri di dissuadere il coniuge dal peccato e allontanarlo da esso. Né si può dire che operino contro l’ordine di natura quei coniugi che usano del loro diritto nel modo debito e naturale, anche se per cause naturali, sia di tempo, sia di altre difettose circostanze, non ne possa nascere una nuova vita. Infatti, sia nello stesso matrimonio, sia nell’uso del diritto matrimoniale, sono contenuti anche fini secondari, come il mutuo aiuto e l’affetto vicendevole da fomentare e la quiete della concupiscenza, fini che ai coniugi non è proibito di volere, purché sia sempre rispettata la natura intrinseca dell’atto e, per conseguenza, la sua subordinazione al fine principale. – Penetrano pure nell’intimo Nostro i gemiti di quei coniugi che, oppressi duramente da mancanza di mezzi, provano difficoltà gravissima a mantenere la loro prole. – Con tutto ciò bisogna attentamente vigilare, perché le deplorevoli condizioni delle cose materiali non siano occasione a un errore ben più deplorevole. Infatti non possono mai darsi difficoltà di tanta gravità che valgano a dispensare dai comandamenti di Dio, che proibiscono ogni atto che sia cattivo di sua natura; e, in qualsivoglia condizione di cose, possano sempre i coniugi, sostenuti dalla grazia di Dio, fedelmente compiere l’ufficio loro e conservare nel matrimonio, pura da macchia tanto abominevole, la castità, perché resta inconcussa la verità della fede cristiana, proposta dal magistero del Concilio di Trento: «Nessuno ardisca pronunciare quel detto temerario, condannato dai Padri sotto la minaccia di anatema, che per l’uomo giustificato i comandamenti di Dio siano impossibili ad osservarsi. Dio non comanda cose impossibili, ma nel comandare ammonisce di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi, e aiuta perché tu possa ». E la dottrina medesima fu dalla Chiesa solennemente ripetuta e confermata nella condanna della eresia giansenistica, che aveva osato bestemmiare contro la bontà di Dio affermando che « alcuni precetti di Dio agli uomini giusti, che pur vogliono e procurano di osservarli, sono impossibili secondo le forze che hanno al presente: e loro manca la grazia, che li renda possibili ». Ma dobbiamo ricordare pure, Venerabili Fratelli, l’altro gravissimo delitto, col quale si attenta alla vita della prole, chiusa ancora nel seno materno. Per alcuni la cosa è lecita, e lasciata al beneplacito della madre e del padre; per altri è invece proibita, salvo il caso in cui esistano gravissimi motivi, che chiamano col nome di « indicazione » medica, sociale, eugenica. Costoro richiedono che, quanto alle pene, con cui le leggi dello Stato sancirono la proibizione di uccidere la prole generata, ma non venuta ancora alla luce, le pubbliche leggi riconoscano la « indicazione », secondo che ciascuno a modo suo la difende, e la dichiarino libera da qualsiasi pena. Anzi, non mancano coloro i quali domandano che le pubbliche autorità prestino il loro aiuto in simili mortifere operazioni; enormità che, purtroppo, in qualche luogo, si commette frequentissimamente, come è noto. – Per quanto riguarda la « indicazione medica e terapeutica » — per adoperare le loro stesse parole — già abbiamo detto, Venerabili Fratelli, quanta compassione Noi sentiamo per la madre, la quale, per ufficio di natura, si trova esposta a gravi pericoli, sia della salute, sia della stessa vita: ma quale ragione potrà mai aver forza da rendere scusabile, in qualsiasi modo, la diretta uccisione dell’innocente? Perché qui si tratta appunto di questa. Sia che essa si infligga alla madre, sia che si cagioni alla prole, è sempre contro il comando di Dio e la voce stessa della natura: «Non ammazzare ! » . È infatti egualmente sacra la vita dell’una e dell’altra persona, a distruggere la quale non potrà mai concedersi potere alcuno, nemmeno all’autorità pubblica. E, con somma leggerezza, questo potere si fa derivare, contro innocenti, dal diritto di spada, che vale solo contro i rei; né ha qui luogo il diritto di difesa, fino al sangue, contro l’ingiusto aggressore (chi, infatti, chiamerebbe ingiusto aggressore una innocente creaturina?); né può essere, in alcun modo, il diritto che dicono « diritto di estrema necessità », e che possa giungere fino all’uccisione diretta dell’innocente. Pertanto i medici probi e capaci si adoperano lodevolmente a difendere e conservare sia la vita della madre, sia quella della prole; per contro si farebbero conoscere indegnissimi del nobile titolo di medici coloro che, sotto il pretesto di usare l’arte medica, o per malintesa pietà, insidiassero alla vita della madre o della prole. – Tutto ciò pienamente s’accorda con le severe parole del Vescovo d’Ippona, il quale inveisce contro quei coniugi depravati che s’industriano di evitare la prole; ed ove non ottengano l’intento, non temono di ucciderla. «Talvolta — dice — questa crudeltà impura o impurità crudele giunge fino al punto di ricorrere ai veleni atti a procurare la sterilità e, se non vi riesce, a estinguere con qualche mezzo il frutto concepito e a liberarsene, bramando che la propria prole muoia prima di vivere, o se già viveva nel materno seno, sia uccisa prima di nascere. Per certo, se ambedue sono tali, non sono coniugi: e se tali furono fin da principio, non si congiunsero per connubio, ma piuttosto per turpitudine; se tali non sono tutti e due, oso dire: o che ella, in qualche modo, si prostituisce al marito, o che egli si rende adultero verso di lei ». – Quanto poi alla « indicazione » sociale ed eugenica, le cose che si propongono, con mezzi leciti e onesti, e dentro i dovuti confini possono, sì, e devono esser prese in considerazione; ma quanto al voler provvedere alla necessità, a cui si appoggiano, con la uccisione degli innocenti, ripugna alla ragione ed è contrario al precetto divino, promulgato pure dalla sentenza apostolica: «Non si deve fare del male per conseguire beni » . – A coloro, infine, che tengono il supremo governo delle nazioni, e ne sono legislatori, non è lecito dimenticare che è dovere dell’autorità pubblica di difendere con opportune leggi e con la sanzione di pene la vita degli innocenti; e ciò tanto maggiormente, quanto meno valgono a difendersi coloro la cui vita è in pericolo, e alla quale si attenta; e fra essi, certo, sono da annoverare anzitutto i bambini nascosti ancora nel seno materno. Se i pubblici governanti non solo non prendono la difesa di quelle creature, ma anzi con leggi e con pubblici decreti le lasciano, o piuttosto le mettono in mano dei medici o d’altri, perché le uccidano, si rammentino che Dio è giudice e vindice del sangue innocente, il quale dalla terra grida verso il cielo.  – Si deve infine riprovare quella prassi dannosa, che riguarda il diritto naturale dell’uomo a contrarre matrimonio, ma che appartiene pure, con qualche vera ragione, al bene della prole. Vi sono, infatti, alcuni, che dei fini eugenici troppo solleciti, non si contentano di dare alcuni consigli igienici atti a procurare più sicuramente la salute e il vigore della futura prole — il che, certo, non è contrario alla retta ragione — ma vanno così innanzi da anteporre l’« eugenico » a qualsiasi altro fine, anche di ordine più alto, e pretendono che l’autorità pubblica vieti il matrimonio a tutti coloro che, secondo i procedimenti della propria scienza e le proprie congetture, credono che, per via di trasmissione ereditaria, saranno per generare prole difettosa, anche se siano, per sé, capaci di contrarre matrimonio. Anzi, vogliono perfino che essi, per legge, anche se riluttanti, siano, con l’intervento dei medici, privati di quella naturale facoltà; né ciò come pena cruenta da infliggersi dalla pubblica autorità per delitto commesso, né a prevenire futuri delitti dei rei, ma contro il giusto e l’onesto attribuendo ai magistrati civili un potere che mai ebbero, né mai possono legittimamente avere. – Tutti coloro che operano in tal guisa, malamente dimenticano che la famiglia è più sacra dello Stato, e che gli uomini, anzitutto, sono procreati non per la terra e per il tempo, ma per il cielo e per l’eternità. E non è giusto, certamente, accusare di grave colpa uomini d’altra parte atti al matrimonio, i quali, anche adoperando ogni cura e diligenza, si prevede che avranno una prole difettosa, se contraggono nozze, sebbene da esse spesso convenga dissuaderli. – Le pubbliche autorità, poi, non hanno alcuna potestà diretta sulle membra dei sudditi; quindi, se non sia intervenuta colpa alcuna, né vi sia motivo alcuno di infliggere una pena cruenta, non possono mai, in alcun modo, ledere direttamente o toccare l’integrità del corpo, né per ragioni « eugeniche », né per qualsiasi altra ragione. Questo insegna pure San Tommaso d’Aquino quando, proponendo la questione se i giudici umani per prevenire mali futuri possano recar qualche danno al suddito, lo concede quanto a certi altri mali, ma a ragione lo nega per quanto riguarda la lesione corporale: «Mai, secondo il giudizio umano, alcuno deve essere punito, senza colpa, con pena di battiture, per essere ucciso, o per essere mutilato o flagellato ». – Del resto, la dottrina cristiana insegna, e la cosa è certissima anche al lume naturale della ragione, che gli stessi uomini privati non hanno altro dominio sulle membra del proprio corpo se non quello che spetta al loro fine naturale, e non possono distruggerle o mutilarle o per altro modo rendersi inetti alle funzioni naturali, se non nel caso in cui non si può provvedere per altra via al bene di tutto il corpo. – Ed ora, per venire all’altro capo di errori che riguardano la fede coniugale, ogni peccato che si commetta in danno della prole è di conseguenza peccato in qualche modo anche contro la fede coniugale, perché i beni del matrimonio vanno connessi l’uno con l’altro. Ma inoltre sono da annoverare partitamente altrettanti capi di errori e di corruttele contro la fede coniugale, quante sono le virtù domestiche che questa fede abbraccia: la casta fedeltà dell’uno e dell’altro coniuge; l’onesta soggezione della moglie al marito, e infine il saldo e sincero amore tra i due. – Corrompono dunque anzitutto la fedeltà coloro che stimano doversi essere indulgenti verso le idee e i costumi del nostro tempo, intorno alla falsa e dannosa amicizia con terze persone, e sostengono doversi in queste relazioni estranee consentire ai coniugi una certa maggior licenza di pensare e di operare, e ciò tanto più che (come vanno dicendo) non pochi hanno una congenita costituzione sessuale, a cui non possono soddisfare tra gli angusti confini del matrimonio monogamico. Quindi quella disposizione d’animo, per la quale gli onesti coniugi condannano e ricusano ogni affetto ed atto libidinoso con terza persona, essi la stimano un’antiquata debolezza di mente e di cuore o un’abbietta e vile gelosia; perciò dicono nulle o da annullare le leggi penali dello Stato intorno all’obbligo della fede coniugale. L’animo nobile dei casti coniugi, anche solo per lume naturale respinge e disprezza certamente simili errori, come vanità e brutture; e siffatta voce della natura è approvata e confermata dal comandamento di Dio «Non fornicare », e da quello di Cristo: « Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con lei » . E nessuna consuetudine o pravo esempio e nessuna parvenza di progresso umano potranno mai indebolire la forza di questo divino precetto. Perché come è sempre il medesimo «Gesù Cristo ieri e oggi e nei secoli », così è sempre identica la dottrina di Cristo, della quale non cadrà un punto solo, sino a tanto che tutto sia adempito. I citati maestri di errori che offuscano il candore della fede e della castità coniugale, facilmente scalzano altresì la fedele ed onesta soggezione della moglie al marito. E anche più audacemente molti di essi affermano con leggerezza essere quella una indegna servitù di un coniuge all’altro; i diritti tra i coniugi devono essere tutti uguali, ed essendo essi violati con la servitù di una parte, tali maestri bandiscono superbamente come già fatta o da procurarsi una certa « emancipazione » della donna. Questa emancipazione dicono dovere essere triplice: nella direzione della società domestica, nell’amministrazione del patrimonio, nell’esclusione e soppressione della prole. La chiamano emancipazione sociale, economica, fisiologica; fisiologica in quanto vogliono che la donna, a seconda della sua libera volontà, sia o debba essere sciolta dai pesi coniugali, sia di moglie, sia di madre (e che questa, più che emancipazione, debba dirsi nefanda scelleratezza, già abbiamo sufficientemente dichiarato); emancipazione economica, in forza della quale la moglie, all’insaputa e contro il volere del marito, possa liberamente avere, trattare e amministrare affari suoi privati, trascurando figli, marito e famiglia; emancipazione sociale, in quanto si rimuovono dalla moglie le cure domestiche sia dei figli come della famiglia, perché, mettendo queste da parte, possa assecondare il proprio genio e dedicarsi agli affari e agli uffici anche pubblici. – Ma neppure questa è vera emancipazione della donna, né la ragionevole e dignitosa libertà che si deve al cristiano e nobile ufficio di donna e di moglie; ma piuttosto è corruzione dell’indole muliebre e della dignità materna, e perversione di tutta la famiglia, in quanto il marito resta privo della moglie, i figli della madre, la casa e tutta la famiglia della sempre vigile custode. Anzi, questa falsa libertà e innaturale eguaglianza con l’uomo tornano a danno della stessa donna; giacché se la donna scende dalla sede veramente regale, a cui, tra le domestiche pareti, fu dal Vangelo innalzata, presto ricadrà nella vecchia servitù (se non di apparenza, certo di fatto) e ridiventerà, come nel paganesimo, un mero strumento dell’uomo. – Quell’eguaglianza poi di diritti, che tanto si esagera e si mette innanzi, deve riconoscersi in tutto quello che è proprio della persona e della dignità umana, che consegue dal patto nuziale ed è insito nel matrimonio. In questo, certo, l’uno e l’altro coniuge godono perfettamente dello stesso diritto e sono legati da uno stesso dovere; nel resto devono esservi una certa ineguaglianza e proporzione, richieste dal bene stesso della famiglia e dalla doverosa unità e fermezza dell’ordine e della società domestica. – Tuttavia se in qualche luogo le condizioni sociali ed economiche della donna maritata debbono mutarsi alquanto per le mutate consuetudini ed i mutati usi della umana convivenza, spetta al pubblico magistrato adattare alle odierne necessità ed esigenze i diritti civili della moglie, tenuto conto di ciò che è richiesto dalla diversa indole naturale del sesso femminile, dall’onestà dei costumi e dal comune bene della famiglia, purché l’ordine essenziale della società domestica rimanga intatto, come quello che fu istituito da un’autorità e da una sapienza più alte della umana, cioè divina, e non può essere cambiata per leggi pubbliche o per gusti privati. – Ma vanno ancor più oltre i recenti sovvertitori del matrimonio, sostituendo al sincero e solido amore, che è il fondamento dell’intima dolcezza e felicità coniugale, una certa cieca convenienza di carattere e concordia di gusti, che chiamano simpatia, al cessar della quale sostengono che si rallenta e si scioglie l’unico vincolo con il quale gli animi si uniscono. Che altro mai sarà questo, se non un edificare la casa sopra l’arena? Della quale Cristo dice che appena venga assalita dai flutti dell’avversità subito vacillerà e ruinerà: « E soffiarono i venti e imperversarono contro quella casa, ed essa andò giù, e fu grande la sua ruina » [61]. Al contrario, la casa che sia stata eretta sulla pietra, cioè sul mutuo amore tra i coniugi, e rassodata da una consapevole e costante unione di animi, non sarà mai scossa né abbattuta da nessuna avversità.

Abbiamo fin qui rivendicato, Venerabili Fratelli, i due primi eccellentissimi beni del matrimonio cristiano, insidiati dai sovvertitori della società odierna. Ma siccome a questi va innanzi di gran lunga un terzo bene, quello del « sacramento », così non ci stupisce vedere che anzitutto questa bontà ed eccellenza siano da costoro molto più aspramente impugnate. Dapprima insegnano che il matrimonio è cosa affatto profana e meramente civile, e in nessun modo da affidare alla società religiosa, cioè alla Chiesa di Cristo, ma soltanto alla società civile. Soggiungono inoltre che il nodo nuziale dev’essere affrancato da ogni legame d’indissolubilità, non solo tollerando ma sancendo con la legge le separazioni ossia i divorzi dei coniugi; dal che infine nascerà che il matrimonio, spogliato di ogni santità, rimarrà nel novero delle cose profane e civili. – Come prima cosa stabiliscono che l’atto civile sia da ritenere quale vero contratto nuziale (e lo chiamano comunemente « matrimonio civile »); l’atto religioso poi sia una mera aggiunta, o al più da permettere al volgo superstizioso. Inoltre vogliono che senza rimprovero d’alcuno sia lecito il matrimonio tra cattolici ed acattolici, non avendo riguardo alla religione e senza chiedere il consenso dell’autorità religiosa. Un’altra cosa, che viene di conseguenza, consiste nello scusare i divorzi effettuati e nel lodare e propugnare quelle leggi civili, che favoriscono la dissoluzione del vincolo stesso. – Per quanto riguarda la natura religiosa di qualsivoglia matrimonio, e molto più del matrimonio cristiano che è altresì sacramento, avendo Leone XIII largamente trattato e appoggiato con gravi argomenti ciò che in questa materia è da notare, rimandiamo all’Enciclica che Noi più volte abbiamo citata e apertamente dichiarata Nostra. Qui stimiamo dover ripetere soltanto alcuni pochi punti. – Anche col solo lume della ragione, massime chi voglia investigare gli antichi monumenti della storia e interrogare la costante coscienza dei popoli e consultare le istituzioni e i costumi di tutte le genti, si può dedurre chiaramente essere inerente allo stesso matrimonio naturale qualche cosa di sacro e di religioso, « non sopravvenuto ma congenito; non ricevuto dagli uomini, ma inserito dalla natura », avendo il matrimonio « Dio per autore, ed essendo stato, fin da principio, una tal quale figura della Incarnazione del Verbo di Dio ». La ragione sacra del coniugio, che va intimamente connessa con la religione e con l’ordine delle cose sacre, risulta sia dall’origine sua divina, che abbiamo ricordato, sia dal suo fine, che è generare ed educare a Dio la prole e condurre parimenti a Dio i coniugi mediante l’amore cristiano e il vicendevole aiuto; sia infine dall’ufficio stesso naturale del matrimonio, voluto dalla provvida mente di Dio Creatore, perché sia come un tramite onde si trasmette la vita, facendo in ciò i genitori quasi da ministri dell’onnipotenza divina. A tutto questo si aggiunge la nuova ragione di dignità, derivante dal Sacramento, in grazia del quale il matrimonio cristiano è divenuto di gran lunga più nobile ed è stato elevato a tanta eccellenza, da apparire all’Apostolo « un grande mistero, in tutto onorabile » . – La natura religiosa del matrimonio e la sublime sua significazione della grazia e dell’unione fra Gesù Cristo e la Chiesa, richiedono dai futuri sposi una santa riverenza per le nozze cristiane e un santo amore e zelo perché il matrimonio, che stanno per contrarre, si avvicini il più possibile al modello di Cristo e della Chiesa.- Molto mancano su questo punto, e talora mettono in pericolo la loro salvezza eterna, coloro che, senza gravi motivi, contraggono matrimonio misto. Da siffatti matrimoni misti il provvido amore materno della Chiesa distoglie i fedeli per gravissime ragioni, come risulta da molti documenti compresi in quel canone del Codice di diritto canonico, dove si legge: « La Chiesa con ogni severità vieta dappertutto, che si contragga matrimonio tra due persone battezzate, delle quali una sia cattolica, l’altra appartenente a setta eretica o scismatica; se poi vi è pericolo di perversione del coniuge cattolico e della prole, il matrimonio è vietato dalla stessa legge divina ». Ed anche quando la Chiesa si induce, attese le circostanze dei tempi, delle cose e delle persone, a concedere la dispensa da queste severe disposizioni (salvo il diritto divino e rimosso con opportune guarentigie, quanto è possibile, il pericolo di perversione), non può non avvenire, se non difficilmente, che il coniuge cattolico abbia a risentire qualche danno da siffatto matrimonio. Da esso infatti non raramente deriva nei discendenti una luttuosa defezione dalla religione, o almeno il cadere facilmente nell’indifferenza religiosa, vicinissima alla incredulità ed alla empietà. Inoltre, in questi matrimoni misti, è resa molto più difficile quella viva unione degli animi, la quale deve imitare il mistero dianzi ricordato, cioè l’arcana unione della Chiesa con Cristo. – Verrà a mancare facilmente la stretta unione degli animi, la quale, com’è segno e nota distintiva della Chiesa di Cristo, così dev’essere distintivo, decoro ed ornamento del coniugio cristiano. Infatti suole sciogliersi o almeno rallentarsi il vincolo dei cuori, dove è diversità di pensiero e di affetto circa le cose più alte e supreme dall’uomo venerate, cioè nelle verità e nei sentimenti religiosi. Quindi viene il pericolo che languisca l’amore tra i coniugi e ne vadano in rovina la pace e la felicità della famiglia, la quale fiorisce principalmente dall’unità dei cuori. E così, già da tanti secoli, l’antico diritto romano aveva definito: « Il matrimonio è la congiunzione dell’uomo e della donna nel consorzio di tutta la vita e nella comunicazione del diritto divino ed umano » . – Ma ciò che soprattutto impedisce la restaurazione e la perfezione del matrimonio stabilito da Cristo Redentore, è, come avvertimmo, Venerabili Fratelli, la sempre crescente facilità dei divorzi. Anzi, gli odierni fautori del neopaganesimo, per nulla fatti saggi dall’esperienza, vanno sempre più acremente contestando la sacra indissolubilità del coniugio e le leggi che la sostengono, e affermano doversi dichiarare lecito il divorzio, e che una legge nuova e più umana venga a sostituire leggi antiquate e sorpassate. – Essi presentano molte e varie ragioni per il divorzio; alcune provenienti da vizio o colpa delle persone, altre inerenti alle cose stesse (le une dicono soggettive, le altre oggettive); in una parola, tutto ciò che rende più aspra ed ingrata la indivisibile convivenza. Pretendono di dimostrare siffatte ragioni per molti capi: dapprima, per il bene di ambedue i coniugi, sia dell’innocente, il quale ha perciò il diritto di separarsi dal coniuge reo, sia del colpevole di delitti, che per questo appunto deve essere separato da una unione ingrata e coatta; poi, per il bene della prole, la quale resta priva della retta educazione, essendo troppo facilmente scandalizzata e allontanata dalla via della virtù per le discordie e altre colpe dei genitori; infine, per il bene comune della società, il quale richiede che anzitutto si sciolgano quei matrimoni che non valgono più ad ottenere il fine inteso dalla natura. Inoltre si permettano dalla legge i divorzi sia per prevenire quei delitti che si possono facilmente temere dalla convivenza di tali coniugi, sia per evitare che cadano sempre più in ludibrio i tribunali e l’autorità delle leggi, quando i coniugi, per ottenere la bramata sentenza di divorzio, o commettono a bella posta quei delitti per i quali il giudice può sciogliere il vincolo a norma di legge, o sfacciatamente mentiscono e spergiurano di averli commessi, nonostante il giudice veda chiaramente lo stato delle cose. Pertanto, essi dicono, le leggi devono in ogni modo conformarsi a tutte queste necessità, alle mutate condizioni dei tempi, alle opinioni degli uomini, alle istituzioni e ai costumi delle nazioni: tali motivi per sé soli, e massimamente se tutti insieme considerati, dimostrerebbero con evidenza che per determinate cause deve assolutamente concedersi la facoltà di divorzio. – Altri, con più audacia, opinano che il matrimonio, come contratto meramente privato, deve essere lasciato al consenso e all’arbitrio privato dei due contraenti, come avviene negli altri contratti privati; e perciò sostengono che può essere sciolto per qualsiasi motivo. – Senonché, contro tutte queste demenze, sta immobile, Venerabili Fratelli, la legge di Dio, da Cristo amplissimamente confermata, e che non può venire smossa da nessun decreto degli uomini, opinione di popoli o volontà di legislatori: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non separi » . E se l’uomo ingiuriosamente tenta separarlo, il suo atto sarà del tutto nullo, e resta immutabile quanto Cristo apertamente affermò: « Chiunque rimanda la moglie e ne sposa un’altra, è adultero; e chi sposa la rimandata dal suo marito, è adultero ». E queste parole di Cristo riguardano qualsiasi matrimonio, anche quello soltanto naturale e legittimo, giacché ad ogni vero matrimonio spetta quella indissolubilità, per la quale esso è sottratto, quanto alla soluzione del vincolo, all’arbitrio delle parti e ad ogni potestà laicale. – E qui deve pur essere ricordato il solenne giudizio con il quale il Concilio Tridentino condannò tali insanie di anatema: « Chiunque dice che il vincolo del matrimonio può essere sciolto dal coniuge, a causa di eresia o di molesta coabitazione o di pretesa assenza, sia anatema » ; e inoltre « Chiunque dice che la Chiesa erra quando ha insegnato e insegna che, secondo la dottrina evangelica ed apostolica, non può essere disciolto il vincolo del matrimonio per l’adulterio di uno dei coniugi, e che nessuno dei due, neanche l’innocente che non diede motivo all’adulterio, può contrarre altro matrimonio, vivente l’altro coniuge, e che commette adulterio tanto colui il quale, ripudiata l’adultera, sposa un’altra, quanto colei che, abbandonato il marito, ne sposa un altro, sia anatema » . – Se la Chiesa non errò né erra in questa sua dottrina, e perciò è del tutto certo che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto neppure per l’adulterio, ne segue con evidenza che molto minor valore hanno tutti gli altri motivi di divorzio, di molto più deboli, che sogliono o possono allegarsi, e quindi non è da farne alcun conto. – Del resto, le obiezioni che vengono mosse contro la saldezza del vincolo da quel triplice capo, sono di facile soluzione. Infatti, i danni ricordati vengono impediti e i pericoli rimossi, se in quelle estreme circostanze si permette la separazione imperfetta dei coniugi, rimanendo cioè intatto il vincolo; la quale separazione è consentita chiaramente dalla legge della Chiesa nelle chiare parole dei canoni che trattano della separazione del talamo, della mensa e dell’abitazione. Lo stabilire poi le cause di tale separazione, le condizioni, il modo e le cautele onde si provveda all’educazione dei figli e all’incolumità della famiglia, e si rimuovano quanto è possibile i danni tutti derivanti ai coniugi, alla prole e alla stessa comunità civile, spetta alle leggi sacre e, almeno in parte, anche alle leggi civili, in quanto si attiene alle cose e agli effetti civili. – Tutti gli argomenti, poi, che sogliono apportarsi e sopra abbiamo toccati, a dimostrare la indissolubilità del matrimonio, valgono chiaramente con uguale forza ad escludere non solamente la necessità ma anche ogni facoltà o concessione di divorzio. Inoltre quanti sono gli eccellenti vantaggi che militano per la indissolubilità, altrettanti all’opposto appaiono i danni del divorzio, e questi perniciosissimi sia agli individui sia a tutta l’umana convivenza. – E, per valerCi di nuovo della dottrina del Nostro predecessore, è appena necessario osservare che quanta copia di beni in sé contiene la fermezza indissolubile del matrimonio, altrettanta messe di mali portano con sé i divorzi. Da una parte, con la fermezza del vincolo, i matrimoni sono pienamente sicuri; dall’altra invece, con la possibilità e anzi probabilità del divorzio, il legame nuziale diventa mutabile o almeno soggetto ad ansietà e sospetti. Da una parte vengono mirabilmente consolidate la mutua benevolenza e comunione di beni; dall’altra deplorevolmente indebolito il legame, per l’offerta facoltà di separarsi. Da una parte validi presidii alla fedeltà dei coniugi; dall’altra perniciosi incitamenti all’infedeltà. Dall’una la procreazione, protezione ed educazione dei figli efficacemente promosse; dall’altra la prole esposta ai più gravi danni. Da una parte chiuso l’adito molteplice alle discordie tra le famiglie e i parenti; dall’altra se ne presenta più frequente l’occasione. Dall’una più facilmente sopiti i germi di dissenso; dall’altra più copiosamente e largamente diffusi. Dall’una massimamente reintegrati e felicemente restaurati la dignità e l’ufficio della donna nella famiglia e nella società; dall’altra indegnamente depressa, esposta com’è la sposa al pericolo di « venire abbandonata dopo aver servito alla passione dell’uomo » . E poiché a distruggere le famiglie — per concludere con le gravissime parole di Leone XIII — « e ad abbattere la potenza dei regni niente ha maggior forza che la corruzione dei costumi, è agevole conoscere che alla prosperità delle famiglie e delle nazioni sono funestissimi i divorzi, i quali nascono da depravate consuetudini, e come ne attesta l’esperienza, aprono l’adito ad una sempre maggiore corruttela del pubblico e privato costume. E questi mali appariranno anche più gravi se si considera che non vi sarà mai alcun freno così potente che valga a contenere entro certi e prestabiliti confini la licenza una volta concessa ai divorzi. È grande la forza degli esempi, maggiore quella delle passioni; per tali eccitamenti avverrà certo che la sfrenata voglia dei divorzi, serpeggiando ogni dì più largamente, invada l’animo di moltissimi, a guisa di morbo che si sparge per contagio, o come torrente che, rotti i ripari, trabocca » . – Perciò, come nell’Enciclica stessa si legge, « ove non si muti consiglio, le famiglie e la società umana dovranno stare in perpetuo timore di essere travolte nel rivolgimento e nello scompiglio di tutte le cose » . Orbene, la corruzione ogni giorno crescente e l’incredibile depravazione della famiglia nelle regioni pienamente dominate dal comunismo, ben dimostrano con quanta verità tutto ciò sia stato preannunciato cinquant’anni addietro.

III

Finora, Venerabili Fratelli, abbiamo con venerazione ammirato le disposizioni date dal sapientissimo Creatore e Redentore del genere umano in ordine al matrimonio, addolorati in pari tempo di vedere così spesso rese vane e conculcate tali sante intenzioni della divina Bontà dalle passioni, dagli errori e dai vizi degli uomini. È quindi naturale che Noi rivolgiamo la sollecitudine paterna dell’animo Nostro a trovare rimedi opportuni ad estirpare interamente i perniciosissimi abusi già ricordati, e a rendere dappertutto il dovuto rispetto al matrimonio. – Aiuterà a ciò principalmente il ricordare quella massima certissima, che è comunemente ammessa dalla sana filosofia e dalla sacra teologia: che per ricondurre al loro pristino stato, secondo la loro natura, le cose che hanno deviato dalla rettitudine, non vi è altra via che di riportarle a conformità della ragione divina, la quale (come insegna l’Angelico) è l’esemplare della perfetta rettitudine. Per questo il Nostro predecessore di f. m. Leone XIII, ben a ragione, incalzava i naturalisti con queste gravissime parole: « È legge divinamente sancita che le cose istituite dalla natura e da Dio, si sperimentino da noi tanto più utili e salutari, quanto più rimangono intere ed immutabili nel loro stato naturale; Iddio, creatore di tutte le cose, ben conobbe ciò che alla istituzione e al mantenimento di ciascuna sia espediente, e tutte con la volontà e mente sua le ha in guisa ordinate, che ognuna debba convenientemente raggiungere il suo fine. Ma se la temerità e malvagità degli uomini volessero mutare e sconvolgere l’ordine delle cose provvidissimamente stabilito, allora anche le cose con somma sapienza ed altrettanta utilità istituite o cominciano a nuocere, o cessano di giovare, sia perché col mutare abbiano perduto la virtù di far bene, sia perché Iddio stesso voglia piuttosto adottare siffatti castighi dell’orgoglio e dell’audacia dei mortali ». – È dunque necessario, per ricondurre il retto ordine nella materia matrimoniale, che tutti considerino il disegno divino intorno al matrimonio e cerchino di conformarsi ad esso. – E poiché tale studio è soprattutto contrastato dalla forza della concupiscenza, che è senza dubbio la cagione principale per cui si pecca contro le sante leggi coniugali, e non potendo l’uomo tenere a sé soggette le passioni se prima non sottomette sé a Dio, a ciò bisogna anzitutto rivolgere le cure secondo l’ordine divinamente stabilito. È legge inderogabile che chi vive soggetto a Dio veda con l’aiuto della divina grazia assoggettare a sé le passioni e la concupiscenza, ed al contrario, chi è ribelle a Dio esperimenti con dolore l’interna lotta delle passioni violente. Né ciò avviene senza una sapiente disposizione, come dimostra Sant’Agostino: « Infatti è giusto che l’inferiore si assoggetti al superiore; in modo che chi vuole a sé soggetto chi è sotto di sé, debba a sua volta star soggetto a chi è sopra di sé. Riconosci l’ordine, cerca la pace! Tu a Dio: e la carne a te. Che di più giusto? che di più bello? Tu al maggiore, a te il minore: servi tu a Colui che creò te, perché a te serva ciò che è stato creato per te. Bada però, l’ordine non l’intendiamo, non lo proponiamo così: A te la carne, e tu a Dio, sibbene Tu a Dio, e la carne a te! E se trascuri il Tu a Dio, non raggiungerai mai l’A te la carne. Tu che non ubbidisci al Signore, sei tormentato dal servo » . – Tale ordinamento della divina Sapienza è pure attestato, per ispirazione dello Spirito Santo, dal Santo Dottore delle Genti, dove, a proposito dei sapienti antichi i quali ricusavano di prestare culto e venerazione al Creatore dell’universo da essi ben conosciuto, si esprime così: « Per questo, Iddio li abbandonò ai desideri del loro cuore, all’immondezza, talché disonorassero in se stessi i corpi loro »; e di nuovo « Per questo, Iddio li diede in balìa di ignominiose passioni », perché « Iddio resiste ai superbi e largisce la grazia agli umili », senza la quale, come insegna lo stesso Dottore delle Genti, l’uomo non può soggiogare la ribelle concupiscenza. – Poiché dunque non è possibile frenare, come si deve, le indomite brame, senza che prima l’anima presti l’umile ossequio della pietà e della riverenza al Creatore, questo soprattutto è necessario: che coloro che stringono il sacro vincolo matrimoniale siano bene compenetrati da una profonda pietà verso Dio, la quale informi tutta la loro vita, e riempia la mente e la volontà di somma venerazione verso la suprema Maestà di Dio. – Ben dunque si comportano, conformemente al più sano e perfetto senso cristiano, quei Pastori di anime i quali, per impedire che gli sposi non abbiano nel matrimonio a deviare dalla legge di Dio, anzitutto li esortano agli esercizi di pietà e di religione, ad unirsi totalmente a Dio, ad invocarne costantemente l’aiuto, a frequentare i sacramenti, a fomentare e custodire, sempre e in tutto, sentimenti di devozione e pietà verso Dio. – Grandemente invece si ingannano coloro i quali, lasciati da parte questi mezzi che trascendono la natura, credono di potere, per mezzo dei soli ritrovati delle scienze naturali (come la biologia, lo studio delle trasmissioni ereditarie, e simili), persuadere gli uomini a frenare le concupiscenze carnali. Né con ciò intendiamo dire che non si debba tener conto anche di questi aiuti naturali quando non siano illeciti: perché è lo stesso Dio, unico autore della natura e della grazia, il quale ha disposto che i beni sì dell’uno come dell’altro ordine servano ad uso ed utilità degli uomini. I fedeli, dunque, possono e debbono giovarsi anche degli aiuti naturali. Ma sbagliano coloro che credono bastare questi a garantire la castità dell’unione matrimoniale, o che stimano trovarsi in essi una maggiore efficacia che non nell’aiuto soprannaturale della grazia. – Ma tale conformità della convivenza e dei costumi matrimoniali alle leggi di Dio, senza la quale non si potrebbe avere un’efficace restaurazione di essa, suppone che da tutti si possa conoscere facilmente, con ferma certezza e senza mescolanza di errore, quali siano queste leggi. A nessuno può sfuggire a quanti inganni si aprirebbe l’adito, quanti errori si mischierebbero alla verità, se tale indagine fosse lasciata alla ragione individuale munita del solo lume naturale, ovvero se tale investigazione fosse affidata alla privata interpretazione della verità rivelata. Il che se vale per tante altre verità di ordine morale, soprattutto si deve dire per quelle che spettano al matrimonio, dato che tanto facilmente la passione della voluttà può sopraffare la debolezza umana, ingannarla e sedurla; tanto più che l’osservanza della legge di Dio richiede talvolta dai coniugi dei sacrifici ardui e diuturni; e l’esperienza dimostra che di questi appunto si serve l’umana fragilità come di pretesti per esimersi dall’osservanza della legge divina. – Affinché pertanto la conoscenza vera e sincera della legge divina, e non una simulazione ed una corrotta immagine di essa, sia di luce e guida alle menti e alla condotta degli uomini, si richiede che alla pietà verso Dio e alla brama di ubbidire a Lui, vada unita pure una filiale ed umile ubbidienza verso la Chiesa. Infatti è stato il medesimo Cristo Signor Nostro colui che costituì la Chiesa Maestra di verità anche in queste cose spettanti alla direzione e alla regola dei costumi, quantunque tra esse molte non siano per se stesse inaccessibili all’umano intelletto. E come il Signore, quanto alle verità naturali riguardanti la fede e i costumi, volle aggiungere al semplice lume della ragione quello della rivelazione, sicché queste cose giuste e vere « anche nelle condizioni presenti dell’umana natura, da tutti possano conoscersi facilmente e con certezza assoluta e senza ombra di errore », così, per lo stesso fine, volle costituire la Chiesa custode e maestra delle verità tutte che riguardano la religione e i costumi: ad essa quindi i fedeli, se vogliono serbarsi immuni da errori di intelletto e da corruzione morale, debbono ubbidire e assoggettare la mente ed il cuore. E per non privarsi da se stessi di un aiuto apprestato con sì larga benignità dal Signore, essi debbono prestare doverosa obbedienza non solo alle definizioni più solenni della Chiesa, ma altresì, osservata la debita proporzione, alle altre Costituzioni o Decreti, coi quali certe opinioni vengono proscritte come perverse e pericolose. – I cristiani debbono quindi tenersi lontani da una smodata indipendenza di giudizio e da una falsa « autonomia » della ragione, anche rispetto a certe questioni che sul matrimonio si dibattono ai giorni nostri. – È infatti disdicevole, per un cristiano degno di tal nome, fidarsi tanto della propria intelligenza da voler prestar fede soltanto a quelle verità di cui apprende da sé l’intrinseca natura; il ritenere che la Chiesa, da Dio destinata a maestra e reggitrice dei popoli, non sia abbastanza illuminata intorno alle cose e circostanze moderne; ovvero il non prestarle assenso ed obbedienza se non in ciò che essa impone per via di definizioni più solenni, quasi che le altre sue decisioni si potessero presumere o false, o non fornite di sufficienti motivi di verità e di onestà. È proprio invece di tutti i veri seguaci di Cristo, sia dotti, sia ignoranti, lasciarsi reggere e guidare dalla santa Chiesa di Dio in tutte le cose spettanti alla fede e ai costumi, per mezzo del suo Supremo Pastore, il Pontefice Romano, il quale è retto a sua volta da Gesù Cristo Signor Nostro. – Siccome tutto si deve riportare alla legge e alle idee di Dio, perché si ottenga una generale e stabile restaurazione del matrimonio dobbiamo considerare di primaria importanza che i fedeli siano bene istruiti circa il matrimonio, a voce e in iscritto, non una volta sola e superficialmente, ma spesso e ampiamente, con argomenti chiari e solidi, in modo che queste verità s’imprimano bene nell’intelletto e penetrino fino in fondo al cuore. Sappiano e considerino assiduamente quanta sapienza, santità, bontà abbia dimostrato il Signore verso il genere umano, sia con l’istituzione del matrimonio, sia presidiandolo di sante leggi, e più ancora elevandolo alla mirabile dignità di Sacramento, per cui si apre agli sposi cristiani una sì copiosa fonte di grazie da poter corrispondere, in castità e fedeltà, agli alti fini del matrimonio, al bene e alla salute propria e dei figli, di tutta la società civile e dell’umanità intera. – E certo se i moderni distruttori del matrimonio si danno tanto da fare con discorsi, con libri ed opuscoli e con infiniti altri mezzi, a pervertire le menti, a corrompere i cuori, a mettere in derisione la castità matrimoniale, e ad esaltare i vizi più vergognosi, molto più Voi, Venerabili Fratelli, che « lo Spirito Santo ha costituiti Vescovi per reggere la Chiesa di Dio da Lui conquistata col Sangue suo », non dovrete lasciare alcun mezzo intentato, o per Voi stessi, o per mezzo dei sacerdoti a Voi soggetti, come pure mediante i laici opportunamente scelti fra gli iscritti all’« Azione Cattolica » tanto da Noi bramata e raccomandata in aiuto dell’apostolato gerarchico, in modo da contrapporre la verità all’errore, alla turpitudine del vizio lo splendore della castità, alla servitù delle passioni la libertà dei figli di Dio, alla iniqua facilità dei divorzi la perenne stabilità del vero amore coniugale e dell’inviolabilità fino alla morte del prestato giuramento di fedeltà. – In tal modo i cristiani ringrazieranno Dio, di tutto cuore, di essere vincolati dal precetto e di essere con soave violenza costretti a tenersi lontani il più possibile da ogni idolatria della carne e dall’ignobile schiavitù della libidine. E sentiranno profondo orrore, e fuggiranno con ogni diligenza quelle nefande opinioni che oggi appunto, a disonore della verace dignità umana, si vanno diffondendo a voce e in iscritto, col nome di « perfetto matrimonio » e che fanno di tal perfetto matrimonio un « matrimonio depravato », come giustamente e meritamente è stato detto. – Ma questa sana istruzione ed educazione religiosa circa il matrimonio cristiano starà ben lontana da quella esagerata educazione fisiologica, con la quale ai dì nostri certi riformatori della vita coniugale presumono di venire in aiuto agli sposi, spendendo moltissime parole su tali questioni fisiologiche, dalle quali tuttavia più che la virtù di una vita casta si apprende l’arte di peccare abilmente. – Perciò ben di cuore facciamo nostre, Venerabili Fratelli, le parole che il Nostro predecessore di f. m. Leone XIII rivolgeva ai Vescovi di tutto il mondo nell’Enciclica sul matrimonio cristiano: «Per quanto si possono estendere i vostri sforzi è l’autorità vostra, fate opera perché presso i popoli affidati alla vostra tutela si mantenga intera e incorrotta la dottrina che Cristo Signore e gli Apostoli, interpreti dei voleri del Cielo, insegnarono, e che la Chiesa cattolica conservò gelosamente e comandò che fosse dai cristiani per tutte le età custodita » . – Ma anche la migliore educazione impartita per mezzo della Chiesa, da sola non basta ad ottenere la conformità del matrimonio alla legge di Dio: all’istruzione della mente, negli sposi deve andar congiunta la ferma volontà di osservare le sante leggi di Dio e della natura intorno al matrimonio. Qualunque teoria altri voglia, o con discorsi o con scritti, affermare e diffondere, i coniugi stabiliscano e propongano con fermezza e costanza di volere, senza alcuna esitazione, attenersi ai comandamenti di Dio in tutto ciò che riguarda il matrimonio: nel prestarsi cioè mutuamente l’aiuto della carità, nel serbare la fedeltà della castità, nel non attentare mai alla stabilità del vincolo, nell’usare dei diritti matrimoniali sempre conforme alla moderazione e pietà cristiana, specialmente nel primo periodo dell’unione, in modo che se, in appresso, le circostanze imponessero la continenza, ad ambedue per l’abitudine contratta riesca più facile osservarla. – Servirà loro di grande aiuto a concepire, mantenere ed attuare una sì ferma volontà, il considerare spesso lo stato loro, e la memoria attiva del Sacramento ricevuto. Si ricordino assiduamente che sono stati santificati e fortificati nei doveri e nella dignità dello stato loro per mezzo di uno speciale Sacramento, la cui efficace virtù, sebbene non imprima carattere, è tuttavia permanente. Riflettano perciò a queste parole, veramente feconde di soda consolazione, del santo Cardinale Roberto Bellarmino, il quale, con altri autorevoli teologi, così piamente sente e scrive: « Il Sacramento del matrimonio si può riguardare in due modi; il primo mentre si celebra; il secondo mentre perdura dopo che è stato celebrato. Infatti è un sacramento simile all’Eucarestia, la quale è Sacramento non solo mentre si fa, ma anche mentre perdura: perché, fin quando vivono i coniugi, la loro unione è sempre il Sacramento di Cristo e della Chiesa » . – Ma perché la grazia di questo Sacramento eserciti tutta la sua efficacia, si richiede altresì, come abbiamo già accennato, il concorso dei coniugi: e questo consiste in ciò che con l’opera ed industria propria si sforzino seriamente di compiere per quanto dipende da loro nell’adempimento dei doveri. Come nell’ordine naturale, perché le forze date da Dio manifestino tutto il loro vigore, bisogna che siano applicate dall’opera e dall’industria umana, e ove questa si trascuri non se ne può trarre alcun profitto, così anche nell’ordine della grazia, le forze che nel ricevere il Sacramento vengono depositate nell’anima, debbono essere esercitate dagli uomini con la propria opera ed industria. Badino dunque gli sposi di non trascurare la grazia propria del Sacramento che sta in loro, ma dandosi alla diligente osservanza dei propri doveri, siano pure difficili, di giorno in giorno sperimenteranno in sé più efficace la virtù della grazia. Se talora si sentiranno alquanto più oppressi dai travagli dello stato e della vita loro, non si lascino abbattere, ma stimino come dette a sé le parole che, circa il sacramento dell’Ordine, San Paolo scriveva al suo dilettissimo discepolo Timoteo, per sollevarlo dalle fatiche e dagli strapazzi ond’era quasi oppresso: «Ti raccomando di ravvivare in te la grazia di Dio che è in te mediante l’imposizione delle mie mani, poiché Iddio non ci ha dato spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza ». – Ma quanto detto finora, Venerabili Fratelli, in gran parte dipende dall’accurata preparazione, sia remota, sia prossima, degli sposi al matrimonio. Non si può infatti negare che tanto il saldo fondamento dell’unione felice, come le rovine delle unioni disgraziate, si vanno preparando e disponendo nel cuore dei fanciulli e delle fanciulle sin dalla loro puerizia e giovinezza. È da temere che coloro che nel tempo precedente alle nozze, dappertutto non cercavano che se stessi e le proprie comodità, e solevano accondiscendere ai propri desideri, anche se turpi, giunti poi al matrimonio, siano poi tali quali erano prima, e che abbiano poi a mietere ciò che hanno seminato: vale a dire che abbiano a ritrovare tra le mura domestiche tristezza, pianto, disprezzo scambievole, litigi, avversione di animo, noia della vita coniugale, e, ciò che è peggio, abbiano a trovare se stessi con le proprie sfrenate passioni. – I futuri sposi dunque si presentino al matrimonio ben disposti e ben preparati, perché possano a vicenda porgersi il dovuto conforto nelle vicende tristi e liete della vita, e molto più nel procurarsi la salute eterna e nel formare l’uomo interiore nella misura dell’età piena di Cristo. Ciò servirà loro di aiuto a dimostrarsi veramente tali verso la loro diletta prole, quali Iddio vuole che siano i genitori verso i loro figli: cioè un padre che sia veramente padre, una madre che sia veramente madre; sicché, grazie al loro pio amore e alle loro cure assidue, la casa paterna diventi per i figli, anche nella povertà più dura, in questa valle di lacrime, quasi un’immagine di quel paradiso di letizia, dove il Creatore dell’uman genere aveva collocato i nostri progenitori. Anche per questo avverrà che dei figli sapranno fare degli uomini perfetti e dei perfetti cristiani, imbevuti dello schietto sentimento della Chiesa cattolica, e infonderanno loro quel nobile amore e sentimento di patria ch’è richiesto dalla pietà e dalla riconoscenza. – Pertanto, sia coloro che pensano di contrarre un giorno questo santo connubio, sia coloro che hanno cura dell’educazione della cristiana gioventù, facciano grandissimo conto di questo avvenire, lo preparino lieto e impediscano che sia triste, tenendo in mente gli ammonimenti da Noi dati nell’Enciclica sopra l’educazione: « Sono dunque da correggere le inclinazioni disordinate, da promuovere e ordinare le buone sin dalla più tenera infanzia, e soprattutto si deve illuminare l’intelletto e fortificare la volontà con le verità soprannaturali e i mezzi della grazia, senza i quali non si può né dominare le perverse inclinazioni né raggiungere la debita perfezione educativa della Chiesa, compiutamente dotata da Cristo della dottrina divina e dei Sacramenti, mezzi efficaci della grazia » . – Rispetto poi alla preparazione prossima di un buon matrimonio è di somma importanza la diligenza nella scelta del coniuge; da essa infatti dipende molto la felicità o l’infelicità futura del matrimonio, potendo l’un coniuge essere all’altro di grande aiuto a condurre nello stato coniugale una vita cristiana, oppure di grande pericolo ed impedimento. Affinché dunque non abbia per tutta la loro vita da scontare la pena di una scelta inconsiderata, chi desidera sposarsi sottoponga a matura deliberazione la scelta della persona con la quale dovrà poi sempre vivere; ed in siffatta decisione abbia anzitutto riguardo a Dio ed alla vera religione di Cristo, indi a se medesimo, al coniuge, alla futura prole, come pure alla umana e civile società, la quale dal matrimonio nasce come da propria fonte. Implori con fervore il divino aiuto, perché possa scegliere secondo la cristiana prudenza, e non già spinto dal cieco e indomito impeto della passione, o dal mero desiderio di lucro, o da altro men nobile impulso, bensì da vero e ordinato amore, e da sincero affetto verso il futuro coniuge, cercando nel matrimonio quei fini appunto per i quali esso fu da Dio istituito. Non tralasci infine di richiedere il prudente consiglio dei genitori sulla scelta da fare; anzi, di questo faccia gran conto, affinché mediante le loro maggiore esperienza e matura conoscenza delle cose umane, abbia ad evitare dannosi errori, e ottenga pure più copiosamente, nel contrarre il matrimonio, la divina benedizione del quarto comandamento: «Onora il padre e la madre tua (che è il primo comandamento della promessa): affinché tu sia felice e viva lungamente sopra la terra ». E poiché non di rado l’esatta osservanza della legge divina e l’onestà del matrimonio sono esposte a gravi difficoltà, quando i conıugi sono oppressi dalla scarsezza dei mezzi e dalla grande penuria di beni temporali, bisognerà certamente, nel miglior modo possibile, venire in aiuto delle loro necessità.- Ed in primo luogo dovrà con ogni sforzo procurarsi quanto fu già sapientissimamente decretato dal nostro predecessore Leone XIII, cioè che nella civile società le condizioni economiche e sociali siano così ordinate, che ogni padre di famiglia possa meritare e lucrare quanto è necessario al sostentamento proprio, della moglie e dei figli, secondo le diverse condizioni sociali e locali, « poiché è dovuta all’operaio la sua mercede », e il negarla o il non darla in equa misura è commettere una grande ingiustizia, che dalla Sacra Scrittura viene annoverata tra i massimi peccati. Così pure non è lecito pattuire salari tanto esigui, che non siano sufficienti per le condizioni dei tempi e le circostanze in cui si trova la famiglia da sostenere. – Occorrerà tuttavia provvedere che gli stessi coniugi, già molto tempo prima di contrarre matrimonio, rimuovano gli ostacoli materiali, o procurino almeno di diminuirli, lasciandosi istruire da persone esperte sul modo di riuscirvi efficacemente, nonché onestamente. Se essi da soli non bastano, si provveda con l’unione degli sforzi delle persone di simili condizioni, e mediante associazioni private e pubbliche, ai modi di soccorrere alle necessità della vita. – Allorché poi i mezzi fin qui indicati non riescano a pareggiare le spese, soprattutto se la famiglia è piuttosto numerosa o meno capace, l’amore cristiano per il prossimo richiede assolutamente che la carità cristiana supplisca a quanto manca agli indigenti, che i ricchi anzitutto assistano i più poveri, e quelli che hanno beni superflui, anziché impiegarli in vane spese o addirittura dissiparli, li impieghino per la vita e la sanità di coloro che mancano del necessario. Quelli che nei poveri daranno a Cristo delle proprie sostanze, riceveranno dal Signore abbondantissima mercede, allorché Egli verrà a giudicare il mondo; coloro invece che faranno il contrario saranno puniti. Infatti non invano avverte l’Apostolo: « Chi avrà dei beni di questo mondo, e vedrà il suo fratello in necessità, e gli chiuderà le sue viscere, come la carità di Dio dimora in lui? » . – Qualora poi i privati sussidi non bastassero, compete alla pubblica autorità supplire alle forze insufficienti dei privati, specialmente in una cosa di tanta importanza per il bene comune, quanto è la condizione delle famiglie e dei coniugi che sia degna di uomini. Se infatti alle famiglie, a quelle specialmente che hanno una numerosa figliolanza, mancano convenienti abitazioni; se l’uomo non riesce a trovare l’opportunità di procacciarsi lavoro e vitto; se le cose occorrenti agli usi quotidiani non possono comprarsi che a prezzi esagerati; se perfino le madri di famiglia, con non piccolo danno dell’economia domestica, sono gravate dalla necessità e dal peso di guadagnar denaro col proprio lavoro; se esse, negli ordinari o anche straordinari travagli della maternità, mancano del conveniente vitto, delle medicine, dell’aiuto di un medico esperto, e di altre simili cose: non è chi non vegga quanto grande pericolo ne possa nascere per la pubblica sicurezza, la salvezza e la vita stessa della società civile, se tali uomini, non avendo più nulla da temere che sia loro tolto, siano spinti a tanta disperazione, che osino ripromettersi di poter forse conseguire molto dallo sconvolgimento dello Stato e di ogni cosa. – Quanti dunque hanno cura della cosa pubblica e del bene comune, non possono trascurare queste materiali necessità dei coniugi e delle famiglie, senza arrecare grave danno alla cittadinanza ed al bene comune; ed è perciò necessario che, nel fare le leggi e nell’ordinare le pubbliche spese, tengano in massimo conto la cura di venire in aiuto alla penuria delle famiglie povere, stimando ciò tra i precipui doveri della loro carica. – Con dolore poi avvertiamo non essere oggi raro il caso in cui, contrariamente al retto ordine, molto facilmente si provvede di pronto e copioso sussidio la madre e la prole illegittima (sebbene a questa pure si debba soccorrere, anche per impedire mali maggiori), mentre alla legittima o è negato il soccorso, o concesso grettamente e quasi strappato a forza. – Sennonché, non soltanto per quello che spetta ai beni temporali, Venerabili Fratelli, importa moltissimo alla pubblica autorità che il matrimonio e la famiglia siano bene costituiti, ma anche per quanto concerne i beni propri delle anime: il sancire cioè giuste leggi, che riguardino la fedeltà della castità e il mutuo aiuto dei coniugi e cose simili, e la loro fedele osservanza, giacché, come insegna la storia, la salvezza dello Stato e la prosperità della vita temporale dei cittadini non possono restare salde e sicure, ove vacilli il fondamento su cui si appoggiano, che è il retto ordine morale, e ove per i vizi dei cittadini si costruisca la fonte donde nasce la comunità, cioè il matrimonio e la famiglia. – Ma alla tutela dell’ordine morale non bastano le forze esterne della comunità e le pene, e nemmeno il proporre agli uomini la bellezza stessa della virtù e la sua necessità; è necessario che vi si aggiunga l’autorità religiosa, che illumini la mente con la verità, diriga la volontà e valga a fortificare l’umana fragilità con gli aiuti della divina grazia. Tale autorità è soltanto la Chiesa, istituita da nostro Signore Gesù Cristo. – Pertanto, vivamente esortiamo nel Signore quanti hanno la suprema potestà civile ad entrare in concorde amicizia, e sempre più rafforzarla, con questa Chiesa di Cristo, affinché mediante la collaborazione e la solerte opera della duplice potestà si allontanino i danni enormi che, per le irruenti e procaci libertà contro il matrimonio e la famiglia, minacciano non solo la Chiesa, ma la stessa civile società. – A questo gravissimo compito della Chiesa possono infatti giovare assai le leggi civili, se nei loro ordinamenti terranno conto di ciò che prescrive la legge divina ed ecclesiastica, e stabiliranno pene contro i violatori. Non mancano infatti persone che stimano essere loro lecito, anche secondo la legge morale, quanto dalle leggi dello Stato è permesso o almeno non è punito; oppure, anche contro la voce della coscienza, compiono queste azioni poiché né temono Dio, né vedono esservi alcunché da temere dalle umane leggi; donde non di rado e a se stessi e a moltissimi altri sono causa di rovina. – Né poi è da temere alcun pericolo o menomazione dei diritti e dell’integrità della società civile da questo accordo con la Chiesa. Sono insussistenti e del tutto vani siffatti sospetti e timori, come ebbe già a mostrare eloquentemente Leone XIII: «Non v’è dubbio — egli dice — che Gesù Cristo, fondatore della Chiesa, abbia voluto la potestà sacra distinta dalla civile, e che l’una e l’altra avessero nell’ordine proprio libero e spedito l’esercizio del proprio potere, ma con questa condizione tuttavia, che torna bene all’una ed all’altra e che è di molta importanza per tutti gli uomini, che cioè fossero tra loro unione e concordia … Se l’autorità civile va in pieno accordo con la sacra potestà della Chiesa, non può non derivarne grande utilità ad entrambe. Dell’una infatti si accresce la dignità, e sotto la guida della religione il suo governo non riuscirà mai ingiusto; all’altra poi si offrono aiuti di tutela e di difesa per il comune vantaggio dei fedeli » . – E, per portare un esempio recente e illustre, così appunto è avvenuto, secondo il retto ordine e del tutto secondo la legge di Cristo, che nelle solenni convenzioni felicemente stipulate tra la Santa Sede e il Regno d’Italia, anche rispetto ai matrimoni fossero stabiliti un pacifico accordo ed una amichevole cooperazione, quali si addiceva alla gloriosa storia ed alle vetuste memorie sacre del popolo italiano. Così infatti si legge decretato nei Patti Lateranensi: « Lo Stato italiano, volendo ridonare all’istituto del matrimonio, ch’è base della famiglia, la dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al Sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili » . A tale norma fondamentale sono aggiunte ulteriori determinazioni del mutuo accordo. – Questo può a tutti essere di esempio e di argomento, onde anche nella nostra età nella quale, purtroppo, così di frequente si va predicando una assoluta separazione dell’autorità civile dalla Chiesa, anzi da qualsiasi religione, possano le due supreme potestà, senza alcuno scambievole detrimento dei propri diritti e poteri sovrani, congiungersi ed associarsi con mutua concordia e patti amichevoli, per il bene comune dell’una e dell’altra società, e possa aversi dalle due potestà una comune cura per ciò che spetta al matrimonio, in modo che siano rimossi dalle unioni coniugali cristiane pericoli perniciosi, anzi la già imminente rovina. – Tutti questi argomenti, Venerabili Fratelli, che con Voi abbiamo attentamente ponderato, mossi dalla pastorale sollecitudine, vorremmo che fossero largamente diffusi, secondo le norme della cristiana prudenza, tra tutti i Nostri diletti figli, alle vostre cure immediatamente commessi, tra quanti sono membri della grande famiglia cristiana, affinché tutti pienamente conoscano la sana dottrina intorno al matrimonio, si guardino diligentemente dai pericoli tesi dai divulgatori di errori, e soprattutto, « rinnegata l’empietà e i desideri del secolo, vivano in questo secolo, con temperanza, con giustizia e con pietà, aspettando la beata speranza, e l’apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo ». – Ci conceda il Padre onnipotente « da cui ogni paternità in cielo e in terra prende nome », il quale corrobora i deboli e dà coraggio ai pusillanimi e ai timidi; Ci conceda Cristo Signore e Redentore, « istitutore e perfezionatore dei venerabili Sacramenti », il quale volle e fece del matrimonio una mistica immagine della sua ineffabile unione con la Chiesa; Ci conceda lo Spirito Santo, Dio Carità, lume dei cuori e vigore delle menti, che le cose da Noi esposte nella presente Nostra lettera intorno al santo sacramento del matrimonio, alla mirabile legge e volontà divina rispetto ad esso, agli errori e pericoli che sovrastano, ai rimedi con cui ad essi si può ovviare, tutti valgano a bene intenderle, ad accettarle con pronta volontà e, con l’aiuto della grazia divina, a metterle in opera; sicché rifioriscano e prosperino nei matrimoni cristiani la fecondità a Dio dedicata, la fedeltà illibata, l’inconcussa stabilità, la sublimità del sacramento e la pienezza delle grazie. – Ed affinché Iddio, che delle grazie tutte è autore e dal quale è tutto il « volere e l’eseguire », si degni di compiere e concederci tutto ciò, secondo la grandezza della sua benignità ed onnipotenza, mentre Noi con ogni umiltà alziamo fervide preghiere al Trono della sua grazia, come pegno della copiosa benedizione dello stesso Onnipotente Iddio, a voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo commesso alle vostre assidue e vigilanti cure, impartiamo con ogni affetto l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 31 dicembre 1930, nell’anno nono del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

DOMENICA IX dopo PENTECOSTE

 

Introitus
Ps LIII:6-7.
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine. [Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]
Ps LIII:3
Deus, in nómine tuo salvum me fac: et in virtúte tua libera me.
[O Dio, salvami nel tuo nome: e líberami per la tua potenza.]
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine. [Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]

Oratio
Orémus.
Páteant aures misericórdiæ tuæ, Dómine, précibus supplicántium: et, ut peténtibus desideráta concédas; fac eos quæ tibi sunt plácita, postuláre.
[Porgi pietoso orecchio, o Signore, alle preghiere di chi Ti súìupplica, e, al fine di poter concedere loro quanto desiderano, fa che Ti chiedano quanto Ti piace.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor X:6-13
Fatres: Non simus concupiscéntes malórum, sicut et illi concupiérunt. Neque idolólatræ efficiámini, sicut quidam ex ipsis: quemádmodum scriptum est: Sedit pópulus manducáre et bíbere, et surrexérunt lúdere. Neque fornicémur, sicut quidam ex ipsis fornicáti sunt, et cecidérunt una die vigínti tria mília.
Neque tentémus Christum, sicut quidam eórum tentavérunt, et a serpéntibus periérunt. Neque murmuravéritis, sicut quidam eórum murmuravérunt, et periérunt ab exterminatóre. Hæc autem ómnia in figúra contingébant illis: scripta sunt autem ad correptiónem nostram, in quos fines sæculórum devenérunt. Itaque qui se exístimat stare, vídeat ne cadat. Tentátio vos non apprehéndat, nisi humána: fidélis autem Deus est, qui non patiétur vos tentári supra id, quod potéstis, sed fáciet étiam cum tentatióne provéntum, ut póssitis sustinére.

 Omelia I

[Mons. Bonomelli, Omelie, Torino, 1899]

OMELIA XIX

“Non siamo desiderosi di cose malvagie come anche quelli ne desiderarono. Non diventate idolatri, come alcuni di loro, secondoché sta scritto: Il popolo si sedette e si pose a mangiare e bere, poi si levò per danzare. Non fornichiamo, come alcuni di loro fornicarono, e in un sol giorno ne caddero ventitré mila. Non tentiamo Cristo, come alcuni di loro tentarono e furono uccisi dai serpenti. Non mormorate come alcuni di loro mormorarono e furono distrutti dallo sterminatore. Ora tutte queste cose avvenivano a quelli in figura e sono scritte ad ammonimento di noi, nei quali si sono scontrati i termini dei secoli. Il perché chi pensa di restar ritto, badi che non cada. Non vi colga tentazione se non umana; Dio è fedele, ed egli non permetterà Che siate tentati sopra le forze vostre; ma colla tentazione darà l’uscita, affinché la possiate “ sostenere „ (I. ai Corinti, X, 6-13;)

Voi stessi vi sarete accorti, che la lezione della Epistola propria della Messa è quasi sempre tolta dalle lettere di S. Paolo. E perché ciò, o dilettissimi? Se non erro, le ragioni principali di quest’uso della sacra liturgia, devono essere le seguenti: le lettere dell’Apostolo, messe insieme, formano un volume pressoché eguale a quello dei quattro Evangeli uniti e di gran lunga superiore a quello che formerebbero le sette lettere, che ci rimangono di S. Giacomo, di S. Pietro, di san Giovanni e di Giuda Taddeo. Qual meraviglia, che formando le Epistole di S. Paolo una parte
sì considerevole del nuovo Testamento, forniscano anche in proporzione assai maggiore delle altre la materia di lettura nella santa Messa? Oltreché vuoisi avvertire che nelle Epistole di S. Paolo si condensa in modo ammirabile la dottrina dogmatica e particolarmente la morale di Cristo, e perciò queste si prestano a preferenza d’altre parti scritturali alla considerazione ed edificazione dei fedeli [Nei Vangeli occupano una parte considerevole i fatti della vita di Cristo, dovechè nelle Epistole di S. Paolo di fatti non se ne fa menzione, che pochissime volte: in quella vece vi si espone la dottrina di Cristo si dogmatica come morale, onde per questa parte si può dire che nelle Epistole abbiamo una ricca miniera al pari e più degli Evangeli.] – Nei versetti precedenti S. Paolo ha detto, che gli conveniva lavorare e mortificare il suo corpo, se non voleva trovarsi tra i reprobi dopo di aver predicato agli altri. Giustifica poi questo suo timore per sè e per gli altri, di esser trovato reprobo, coll’esempio del popolo d’Israele, caduto quasi tutto miseramente nel deserto prima di entrare nella terra promessa; e qui, colto il destro, applica ai cristiani, moraleggiando, i fatti che avvennero agli Ebrei nel deserto. Vedete, dice l’Apostolo: dei seicentomila Ebrei, dai vent’anni in su, che uscirono dall’Egitto, due soli entrarono nella terra promessa: ciò potrebbe accadere anche a noi viaggianti verso la vera terra promessa, il cielo. “ Non siamo desiderosi di cose malvage, come anche quelli ne desiderarono. „ Continua il riscontro tra gli Ebrei e noi cristiani; gli Ebrei nel deserto, rammentando i cibi succulenti che si mangiavano in Egitto : Sedebamus super ollas carnium, e dimenticando l’orribile schiavitù, che vi soffrivano, si levarono a rumore contro Mosè e contro Dio, che li aveva condotti in quel luogo selvaggio, e desideravano le carni: il desiderare le carni per sè non sarebbe stato un gran delitto, ma lo era bene, e gravissimo, il lagnarsi di Dio, il ribellarsi a Mosè, il dimenticare i beneficii innumerevoli ricevuti e il rimpiangere la servitù, ond’erano stati liberati. Iddio punì quell’ingrato e maligno popolo, e gran numero di
esso rimase in quel luogo percosso di morte, tantoché gli fu dato il nome di Sepolcri della concupiscenza; Sepulchrum concupiscentiæ (Num. c. XII, 33, 34). Badiamo, grida qui l’Apostolo, di non imitare codesti Ebrei, per non incorrere il loro castigo ed essere esclusi dal cielo. Il popolo, o fratelli miei, è sempre lo stesso, simile ad un fanciullo, mobile, facile ad essere sedotto, a dimenticare i benefizi. Vedete gli Ebrei: dovevano rammentare gli orrori della schiavitù in Egitto, le fatiche intollerabili, i bambini dal barbaro tiranno fatti gettare nel Nilo, i prodigi Operati da Mosè: nulla di tutto ciò. In un momento di malcontento, di dispetto, d’ira, pensa alle cipolle ed alle carni d’Egitto: si lamenta di Dio, grida contro Mosè, si solleva contro il liberatore e lo minaccia. E non è ciò che troppo spesso facciamo noi pure? Liberati dal peccato, col pensiero torniamo agli antichi piaceri, rimpiangiamo la servitù, le catene delle passioni portate sì a lungo e ci pare troppo aspra la via della virtù, troppo dura la vita cristiana? Stolti! desideriamo di ritornare in Egitto e volgiamo le spalle alla terra promessa, la vera terra promessa, a cui Dio ci chiama. Non desideriamo cose malvage; Non simus concupiscentes malorum! Il desiderio dei Giudei si riferiva soltanto alle carni, come apparisce dal sacro testo, ed era colpevole: l’Apostolo proclama che noi cristiani dobbiamo guardarci in genere da ogni desiderio di cose malvage: Non simus concupiscentes malorum. Gli uomini non vedono che le cose esterne, e questo pure in modo assai imperfetto; ma l’occhio di Dio penetra nelle pieghe del nostro cuore, nelle fibre del nostro spirito, e tutto vede, pesa e misura senza pericolo di errore. – Carissimi! quanti desideri spuntano, si agitano, si succedono in fondo al nostro cuore! Chi potrebbe mai contarli? S’incalzano come le onde del mare, e tutti vi lasciano la traccia del loro passaggio: non importa che si manifestino negli atti e gli uomini li vedano e li contino: li vede e li conta Iddio! Ora quali sono questi desideri, figli dei nostri pensieri e dei nostri amori? Sono tutti buoni, retti, onesti, o almeno indifferenti? Ohimè! se siamo sinceri, dovremo confessare che molti di questi desideri, che erompono dal fondo dell’anima nostra, sono viziosi, colpevoli e tali, che arrossiremmo, se fossero conosciuti, non
che da altri, ma dai nostri amici! Perché aprire il cuore, vagheggiare e accarezzare questi desideri, che vorremmo nascondere agli uomini, ai nostri cari istessi e sono manifesti a Dio, e un giorno saranno manifestati all’universo intero? Vegliamo adunque su questi desideri, e quelli che sono buoni e santi coltiviamo, quelli che sono malvagi o pericolosi cacciamo prontamente perché imbrattano l’anima: “Non simus concupiscentes malorum”. S. Paolo prosegue ne’ suoi riscontri, e dice: “ Non siamo idolatri, come alcuni di loro (cioè degli Ebrei nel deserto). „ Mosè narra, che mentre egli era sul monte e riceveva la legge, il popolo si fabbricò un vitello d’oro (era un idolo degli Egiziani) e lo adorò, gli offerse sacrifici e probabilmente, secondo l’uso dei gentili, mangiò delle carni offerte all’idolo stesso e si pose a danzare. Non dimentichiamo che queste danze sacre dei gentili dinanzi ai loro idoli erano orge oscene e lascivie senza nome, e possiamo credere che tali fossero pur quelle degli Ebrei dinanzi al vitello d’oro. Ebbene, cosi ragiona S. Paolo: Stiamo in guardia noi pure cristiani, e non sia mai che per noi si cada nella idolatria alla maniera
degli Ebrei. Di quale idolatria discorre l’Apostolo? Chiaramente della idolatria nel senso rigoroso della parola, perché così vuole l’allusione alla idolatria ebraica; né deve far meraviglia, che S. Paolo creda necessario mettere in sull’avviso i fedeli contro il pericolo della idolatria. Non pochi dei fedeli, ai quali scriveva, erano stati gentili ed idolatri e la loro conversione era recente. Il pericolo di ricadere era assai grave, considerata la loro triste abitudine, e visto che l’idolatria allora regnava padrona assoluta dal trono alla capanna. La storia ci narra che non erano rari gli esempi di apostasie e di cristiani, che dopo ricevuto il battesimo, o per timore delle persecuzioni, o per interesse, o per altre cause ritornavano al culto degli idoli. L’esortazione dunque di S. Paolo non era fuor di luogo, anzi molto opportuna e necessaria. Oggidì per noi non vi è più ombra di pericolo che si cada nella idolatria antica: quel periodo del massimo degradamento morale per i nostri popoli è passato e passato per sempre. Ma se è cessato il pericolo della idolatria propriamente detta, non è cessata, anzi dura più elle mai vigorosa e generale un’altra idolatria, l’amore sfrenato dei beni della terra, ai quali si sacrifica troppo spesso l’onore, il dovere, la coscienza, Dio stesso. Che faceva l’idolatra? Pigliava un tronco di legno, un pezzo di metallo, ne foggiava una statua e cadendo ginocchioni dinanzi ad essa, l’adorava, le offriva sacrifici, ed esclamava: Tu sei il mio Dio ! — Che fa l’uomo schiavo dell’amore sfrenato dei beni di quaggiù? Accumula oro ed argento: vagheggia un posto d’onore: ficca cupido gli sguardi in volto seducente e prostrandosi vilmente dinanzi a loro, grida: Voi avete il mio cuore, tutto l’amor mio; io vivo per voi; voi siete il mio Dio; a voi tutto sacrifico. Non è questa brutta e schifosa idolatria? Una mente, un cuore, uno spirito, che adorano la materia e vituperosamente vi si tuffano? E ch’io non esageri punto, me ne assicura il grande Apostolo, il quale in altro luogo, parlando della cupidigia e della avarizia, la chiama “ servitù di idoli, cioè idolatria: „ Quod est idolorum servitus. Noi detestiamo l’idolatria, come un gran delitto e il sommo vituperio della natura umana, e lo è veramente: detestiamo pur anco ed abbominiamo quest’altra idolatria, per la quale diveniamo adoratori delle ricchezze, degli onori e dei piaceri: Neque idolatræ efficiamìni, sicut
quidam ex ipsis. In alto le menti e i cuori! appuntiamo lo spirito nostro in Dio e in lui e con lui ci eleveremo: lui solo adoriamo: i beni della terra sono appena degni di stare sotto i nostri piedi, e vi stiano sempre. – Prosegue S. Paolo il suo riscontro tra noi e i figli d’Israele nel deserto e dice: “ Né fornichiamo, come alcuni di quelli fornicarono. „ Mosè nel libro dei Numeri narra come moltissimi Ebrei si abbandonarono al turpe peccato colle figliuole dei Moabiti, e come per comando di Dio furono terribilmente puniti, rimanendone sul campo ben ventitré mila trucidati. Tanta strage ci riempie di stupore e di terrore; ma non dobbiamo mai dimenticare, che quel popolo di dura cervice e di cuore incirconciso, si facile in trascorrere ad ogni eccesso, solamente con queste tremende lezioni poteva essere contenuto, quando pur queste bastavano. Quel formidabile castigo ci mostra come sia brutta e gravissima colpa la fornicazione. Lungi dunque da noi, sembra dire l’Apostolo, questo delitto, che trasse in capo ai figli d’Israele sì aspra vendetta: Neque fornicemur, sicut quidam ex ipsis fornicati sunt. Questa sozzura è dessa rara tra i cristiani, figli della legge di grazia e d’amore? Dio immortale! essa, a vergogna del nome cristiano, è frequente e in certi luoghi, in certe città si considera come cosa da nulla e passa quasi in trionfo. Ah! cosa da nulla questo peccato, che la giustizia di Dio percosse si fieramente, e lavò col sangue di ventitré mila vittime? E bensì vero che si paurosi castighi, per bontà di Dio, ora non si rinnovellano; ma non crediate, che si detestabile peccato rimanga sempre impunito anche quaggiù sulla terra, sotto la legge evangelica. Dio dispone le cose per guisa, che soventi volte gli schiavi di questo peccato si puniscono da se stessi colle opere delle loro mani. Le discordie, gli odii, gli scialacqui, lo sperpero dei più ricchi patrimoni, la miseria, il disonore, i duelli, i delitti di sangue, le più vergognose infermità dello spirito e del corpo, l’ebetismo e la morte precoce non sono frequentemente gli amari frutti di questo peccato? Se noi potessimo conoscere le vittime che questo peccato va facendo in mezzo a noi e contarle ad una ad una, inorridiremmo, e forse dovremmo confessare che il braccio di Dio anche al presente non è meno terribile di quello che fosse coi figliuoli d’Israele. – Allora era Dio, che direttamente percuoteva il popolo fornicatore, ora sono gli stessi fornicatori che si puniscono da se stessi, e trovano qui nel loro peccato un saggio di quella pena eterna, che si tesoreggiano nella vita futura. S. Paolo continua: “ Non tentiamo Cristo, come alcuni di loro tentarono e perirono pei morsi dei serpenti. „ Il popolo ebreo (Num. c. XXI, vers: 5 seg.) nel deserto prese a lagnarsi di Dio e di Mosè, perché mancava l’acqua e si annoiava dello stesso cibo, e dovette prorompere in invettive è bestemmie: esso, dimentico dei tanti prodigi veduti e dei tanti beneficii ricevuti, metteva a dura prova la bontà e la pazienza di Dio: Tentaverunt! E Dio lo fiagellò, mandando in mezzo a quel popolo ingrato e ribelle gran moltitudine di serpenti; i loro morsi erano mortali e gran numero di Ebrei miseramente perì. Ciò che accadde a loro sia nostro ammaestramento: Non tentiamo Cristo, cioè non dubitiamo delle promesse divine, delle verità, che ci furono annunziate; non facciamo come gli Ebrei, che ad ogni istante domandavano miracoli: ci basta la parola di Gesù Cristo e sopra di essa riposiamo tranquillamente. Iddio regge le cose umane colla sua provvidenza, vale a dire con quelle leggi ordinarie, che egli ha stabilite e sulle quali poggia tutto l’ordine naturale: il miracolo è una eccezione fatta a quelle leggi, è l’intervento diretto ed immediato di Dio e questo non si deve ammettere se non quando la evidenza ci obbliga ad ammetterlo, perché le leggi naturali sono la regola, il miracolo è l’eccezione e l’eccezione si ammette solo quando è necessario ammetterla e la ragione naturale ci costringe ad ammetterla. Dio può fare la eccezione, ossia il miracolo ; ma lo deve fare quando è necessario; ma quando è necessario? Egli ed egli solo ne è il giudice assoluto e nessuno può imporglielo, perche nessuna creatura può dire al Creatore: Voi dovete far questo e questo, s’egli non ha promesso di farlo e farlo in quel modo e in quel tempo. Volere adunque che Iddio faccia un miracolo, a nostro modo, e deroghi a nostro cenno alle sue leggi, è un tentare Dio, un imporgli la legge e mostrarci diffidenti delle sue promesse e del corso ordinario della sua provvidenza. Noi possiamo e dobbiamo pregarlo in ogni nostro bisogno con piena confidenza ed umiltà, rimettendoci con figliale abbandono alla sua paterna bontà quanto al modo, al tempo ed alla misura, con cui vorrà esaudirci. “ Nè mormoriate, prosegue S. Paolo, come alcuni di loro mormorarono e furono annientati dallo sterminatore; „ è questo l’ultimo dei riscontri, che ci lasciò l’Apostolo fra la storia del popolo ebreo e ciò che può accadere al popolo cristiano. Molte volte Israele mormorò nel deserto contro Dio e Mosè, che a nome di Dio lo guidava: a quale di queste mormorazioni del popolo qui si alluda non è chiaro: certo è che tutte le volte fu più o meno punito, ondechè non irragionevolmente possiamo dire che qui il sacro testo tutte le comprenda. Le mormorazioni del popolo contro Mosè e perciò contro Dio, che mandava Mosè, per vero dire, sono piuttosto sommosse e ribellioni, e Dio ne fece aspra giustizia. L’autorità ha sempre la sua fonte in Dio, da cui solo deriva, sia nell’ordine naturale, sia nell’ordine sovrannaturale: gli uomini, che ne sono investiti, non sono che i mandati e i rappresentanti di Dio, e perciò il mormorare contro di essi, e più assai il ribellarsi, è un offendere Dio stesso ed uno sconvolgere l’ordine per lui stabilito. Può bene accadere, che quelli, i quali sono investiti dell’autorità, volete civile, volete paterna, volete anche ecclesiastica, nelle varie sue gradazioni,, falliscano al loro dovere ed anche ne abusino malamente; noi possiamo richiamarcene alla autorità superiore, mostrare il torto che riceviamo e chiedere giustizia nei modi onesti e stabiliti, ma rivoltarci contro di loro non mai; l’interesse pubblico e l’ordine posto da Dio non lo consente. I ribelli a Mosè là nel deserto furono percossi da Dio; se al presente Dio non punisce i riottosi quaggiù in modo visibile, senza fallo non sfuggiranno alla sua giustizia nella vita futura. Rispettiamo dunque, o cari, Ogni autorità, quale ch’essa sia, e quelli che ne sono investiti, e rispettiamoli in ragione della grandezza ed eccellenza dell’autorità stessa, perché questo è il volere di Dio e chi vien meno non sfuggirà al castigo di Colui che disse: Chi sprezza voi sprezza me. Seguitiamo il testo dell’Apostolo: “ Ora tutte queste cose avvenivano a quelli, vale a dire agli Ebrei, in figura e sono scritte ad ammonimento di noi, nei quali i termini dei secoli si sono riscontrati, „ ossia di noi, che veniamo ultimi, nell’ultimo periodo dei secoli. Siamo dunque accertati per questa sentenza dell’Apostolo, che tutti i fatti accaduti agli Ebrei e qui commemorati, erano e sono una figura di ciò che accade nella Chiesa, e devono essere un ammaestramento per noi. Ve lo dissi altra volta, i fatti dell’antico Testamento sono anch’essi come altrettante parole, che ci
ammaestrano intorno ai nostri doveri, a ciò che dobbiamo credere, fare od evitare, ed è questo quel senso delle Scritture, che dicesi mistico, o recondito. – Forseché tutti e ciascuno dei fatti registrati nell’antico Patto sono figure di dottrine e di fatti del nuovo Testamento? Ciò sarebbe eccessivo, e S. Paolo non disse semplicemente “ tutte le cose, „ ma si tutte queste cose, che vi ho accennato, erano figura di quello che sarebbe avvenuto nel nuovo patto. – L’Apostolo, dopo aver toccati questi quattro fatti dell’antico Patto e cavatane la pratica morale pei fedeli di Corinto, ai quali scrive, passa ad una osservazione od esortazione generale, scrivendo; “Chi crede di stare ritto in piedi, veda di non cadere. „ Avete visto, o cari, così egli, come i figli d’Israele, messi alla prova caddero; vedete ancor voi, che vi riputate saldi, di non cadere come quelli. La nostra volontà è debole, si muta ad ogni istante, e benché siamo certi che l’aiuto della grazia divina a chi lo vuole non fa mai difetto, non siamo mai certi di corrispondere alla stessa, e perciò la nostra perseveranza nel bene a Dio solo è nota. Diffidiamo dunque di noi stessi, temiamo della nostra debolezza, umiliamoci dinanzi a Dio, preghiamolo con gran fede: sono questi i mezzi per star fermi nella grazia ricevuta. Viviamo sulla terra, vero campo di incessanti battaglie: affrancarci da ogni tentazione, interna od esterna, non è possibile. Che fare? “ Nessuna tentazione vi colga, scrive S. Paolo, se non umana: „ Tentatio vos non apprehendat, nisi humana. Che cosa è dessa questa tentazione umana? Penso che mente dell’Apostolo sia di esortare i fedeli a fuggire tutte le tentazioni che si possono fuggire, rassegnandosi a quelle, che sono inevitabili e a queste virilmente resistendo. Vi sono tentazioni, che è in poter nostro prevenire e schivare, e queste, secondo le circostanze, con ogni cura preveniamo e schiviamo: vi sono altre tentazioni, che nostro malgrado ci si affacciano, ci stringono, ci travagliano in mille modi, e vengono dalla carne, dal mondo, dal demonio: queste si dicono umane da S. Paolo, cioè inerenti alla nostra condizione presente, che avvengono secondo l’andamento ordinario delle cose umane. Queste Iddio le permette per i suoi fini altissimi e per il nostro bene. E allorché queste tentazioni umane sopraggiungono e vi molestano, quale deve essere la vostra regola e la vostra condotta? Anzi tutto ricordatevi, che “ Dio è fedele: „ Fidelis Deus est: ciò che promette, fedelmente mantiene: ha promesso di aiutarvi; non ne dubitate, vi aiuterà secondo il bisogno. Non basta: imporreste voi al vostro servo, ai vostri figliuoli un peso troppo grave, sotto del quale rimarrebbero oppressi? No, di certo; se lo faceste, sareste ingiusti e crudeli: ora voi siete servi di Dio, anzi suoi figli bene amati : : sarebbe bestemmia pure il pensare che Iddio, padrone giustissimo, anzi padre amorosissimo, vi sottometta ad una prova o tentazione superiore alle vostre forze; statene sicuri: “ Dio non lascerà che siate tentati sopra ciò che potete. „ E verità insegnata in termini da S. Paolo, e quando pure non la trovassimo nei libri santi, la dovremmo tenere per la sola ragione, tanto essa è manifesta. Nessuno adunque dica giammai: “La tentazione era troppo forte; io era impotente a resistere. E una menzogna, un’ingiuria atroce a Dio, è un far ricadere sopra di lui la causa del nostro peccato. Dio non comanda mai cose impossibili, o se le comanda, dà la forza perché siano possibili. E verità questa consolante per noi tutti, che ogni giorno ci troviamo alle prese col nemico e che ci toglie ogni scusa se soccombiamo. – Va innanzi S. Paolo ed alle due verità si belle e si consolanti espresse nelle due sentenze brevissime: “ Dio è fedele, e non permettérà, che siate tentati sopra le vostre forze, „ ne fa seguire una terza, dicendo: Ma colla tentazione darà l’uscita a poterla sostenere: „ Sed faciet cum tentatione proventum, ut possìtis sustinere. Permettendo che la tentazione v’ incolga, Dio vi darà la grazia di uscirne vittoriosi, e lungi dal riportarne danno alcuno, ne avrete vantaggi non lievi. Quali? Quelli che riporta il soldato valoroso, che torna vincitore dalle battaglie. Questo nelle battaglie si addestra sempre meglio a combattere il nemico ed a vincerlo, onde tr i’ soldati novelli il veterano a ragione si reputa più valente. Come gli atti ripetuti in un’arte qualunque ci danno l’abito della stessa e ce ne rendono più facile e più perfetto l’esercizio, cosi le tentazioni sviluppano meglio le forze spirituali, ci fanno più forti e più generosi, ci fanno correre più speditamente la via della virtù e della perfezione e per conseguenza ci rendono più agevole la resistenza alle tentazioni future: Ut possitis sustinere. Finalmente le tentazioni ci porgono occasione di procacciarci maggiori meriti pel cielo, giacché ogni tentazione superata è una vittoria riportata sul nemico, ed ogni vittoria ci dà il diritto ad una nuova corona, secondochè sta scritto : “ Colui che avrà debitamente combattuto riceverà la corona. „

Graduale  Ps VIII:2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in universa terra!
Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome su tutta la terra!
V. Quóniam eleváta est magnificéntia tua super cœlos. Allelúja, allelúja [Poiché la tua magnificenza sorpassa i cieli. Allelúia, allelúia]

Alleluja Ps LVIII:2
Alleluja, Alleluja

Eripe me de inimícis meis, Deus meus: et ab insurgéntibus in me líbera me. Allelúja.  [Allontànami dai miei nemici, o mio Dio: e líberami da coloro che insorgono contro di me. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIX:41-47
“In illo témpore: Cum appropinquáret Jesus Jerúsalem, videns civitátem, flevit super illam, dicens: Quia si cognovísses et tu, et quidem in hac die tua, quæ ad pacem tibi, nunc autem abscóndita sunt ab óculis tuis. Quia vénient dies in te: et circúmdabunt te inimíci tui vallo, et circúmdabunt te: et coangustábunt te úndique: et ad terram prostérnent te, et fílios tuos, qui in te sunt, et non relínquent in te lápidem super lápidem: eo quod non cognóveris tempus visitatiónis tuæ. Et ingréssus in templum, coepit ejícere vendéntes in illo et eméntes, dicens illis: Scriptum est: Quia domus mea domus oratiónis est. Vos autem fecístis illam speluncam latrónum.
Et erat docens cotídie in templo”. [In quel tempo: Essendo Gesú giunto vicino a Gerusalemme, scorgendo la città, pianse su di essa, dicendo: Oh! se in questo giorno avessi conosciuto anche tu quello che occorreva per la tua pace! Ma tutto ciò è ormai nascosto ai tuoi occhi. Perciò per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno con trincee, ti assedieranno e ti angustieranno da ogni parte; e getteranno a terra te e i tuoi figli che abitano in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, poiché non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata. Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare quanti lí dentro vendevano e compravano, dicendo loro: Sta scritto: La mia casa è casa di preghiera. Voi invece ne avete fatta una spelonca di ladri. E ogni giorno insegnava nel tempio.]

Omelia II

Omelia della Domenica IX dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

[Vangelo sec. S. Luca XIX, 41-47]

-Anima in peccato-

“Infelice Gerusalemme (cosi lagrimando dicea Gesù-Cristo in vista di quella sciagurata città, come ci narra l’odierna evangelica storia) Gerusalemme infelice! Buon per te, se conoscessi in questo tuo giorno l’amorevole visita, che ti fa Colui che è mandato per la tua salvezza; ma tu hai sugli occhi e sul cuore un velame di cecità e di perfidia, che non ti lascia vedere il presente tuo stato, né lo stato peggiore, a cui fra non molto sarai ridotta, quando i nemici tuoi si stringeranno intorno con assedio sì fiero, che ti ridurranno all’ultimo sterminio, fino a non lasciare di te pietra sopra pietra”. – Queste divine minacce ben si possono rivolgere ad un’altra e mistica Gerusalemme, cioè all’anima di coloro che trovansi in istato di colpa mortale. Essi per lo più non conoscono né il misero loro stato presente, né il pericolo di un peggiore stato avvenire. Sono essi da un denso velo avvolti nella mente e nel cuore, onde non vedono né il loro male presente, né il rischio di un estremo male futuro. A rimuovere questo velo fatale io dico che un’anima rea di grave peccato ella è in istato di spiritual morte ciò che vedremo da prima, ella è in pericolo di eterna morte, ciò che vedremo dapprima se mi favorite di attenzione cortese.

I. Anima in grave peccato, anima morta. Adamo, vedi tu quest’albero? In segno di mio dominio e di tua ubbidienza non ne gusterai. Che se avrai l’ardimento di rompere quest’unico mio precetto, in quel giorno stesso sarai colto da certa morte: “In quocumque die comederis ex eo, morte morieris(Gen. II, 17). Così al nostro primo padre Iddio Creatore. Mangia Adamo il vietato pomo e non muore: come si avvera la divina minaccia? Si avvera, risponde S. Agostino, in doppio modo (2Tract. 47 in Joan.). Adamo prima immortale, resta in quell’istante di sua trasgressione soggetto alla morte, e ciò riguardo al corpo. Muore al tempo stesso di più funesta morte, e ciò riguardo all’anima. Che cosa è morte? prosegue il santo Dottore: è la separazione dell’anima dal proprio corpo (De Civ. Dei lib. 13, c. 2). Ora siccome la vita del corpo è l’anima che l’informa; così la vita dell’anima è Dio che la vivifica. Divisa l’anima dal corpo, ecco la natural morte. Diviso per lo peccato Iddio dall’anima, ecco la morte spirituale. – A questa spiritual morte volle alludere il Signore, allorché dopo la caduta di Adamo discese nel terrestre paradiso, si fece così a chiamarlo, ed a compiangerlo, “Adam … ubi es(Gen. III, 9)? E dir volle, secondo il prelodato S. Agostino, “o Adamo, a quale stato deplorabile ti sei ridotto? Tu, creato nell’originale giustizia, tu dotato della santificante grazia, tu ricco per tanti doni, ora pel tuo delitto di lutto spogliato, morto alla mia grazia, sei divenuto agli occhi miei oggetto di abominazione più che un verminoso cadavere”. – Tal è lo stato luttuoso, a cui il peccator si riduce talvolta per un vile interesse, per un immondo piacere, per uno sfogo di brutale passione. Una goccia di mele, può dir di sé stesso, mi è costata la vita; “gustans gustavi… paululum mellis, et ecce morior(1 Reg. XIV, 43). Oh Dio! A quanti dirsi potrebbe ciò che nel divino Apocalisse fu detto a quel vescovo, “nomen habes quod vivas et mortuus es(III, 1). Voi siete vivo, vegeto, sano, robusto, “nomen habes quod vivas”, ma portate in seno un’anima morta, “sed mortuus es”. – Ma questo non è il tutto. Muore pel grave peccato insieme coll’anima ogni opera buona, ogni merito acquistato. A ciò comprendere più chiaramente rammentate quel che dell’anime prevaricatrici scrive l’apostolo S. Taddeo nella sua epistola Cattolica. Chiama egli quell’anime: alberi autunnali due volte morti, “arbores autumnales, eradicatæ , bis mortuæ(V, 12). Avrete forse veduto sul cominciar dell’autunno un albero carico di frutti non ancor giunti a maturità; quando un turbine procelloso gli si aggira d’intorno, lo stravolge, lo schianta fin dall’ime radici, e lo distende sul campo. Quest’albero è due volte morto; morto perché dalla radice non può più trar lumor vitale, morto perché non può più maturare i suoi pomi, i quali per mancanza di alimento cadono disseccati sul terreno. Tanto avviene ad un’anima colpita da grave peccato; perde colla vita di grazia il frutto di tutte le precedenti sue opere buone. Avesse acquistati tutt’i meriti de confessori, delle vergini, de’ martiri, degli Apostoli, di tutti i beati del cielo, resta di tutti onninamente spogliata. “Omnes iustitiæ eius, quas fecerat, non recordabitur” (Ezech. XIII, 24). – Alla vista di tanta perdita, alla considerazione di questa doppia morte chi vi è che si risenta, che si commuova? “Io mi aggiro talvolta (diceva S. Giovanni Crisostomo al popolo Antiocheno) talvolta mi aggiro per le vostre contrade, e mi accade sentire da qualche casa uscir un mischio di pianti, di sospiri, di gemiti e di clamori, volgo il piede verso la casa rimbombante di tanti lamenti, ascendo le scale, ed ecco m’incontro in un cadavere, intorno a cui piangono inconsolabili i congiunti, i familiari, gli amici: chi singhiozza, chi urla, chi si dibatte, chi si strappa i capelli. Ah, miei figliuoli, esclamo allora, piangete pure la perdita, piangete la morte di un vostro caro, ben ne avete ragione. Si concede in questi casi funesti un moderato sfogo alla natura e al vostro dolore, ma di grazia per il ben che vi voglio, per l’amor che vi porto, permettetemi che io vi mostri un oggetto assai più meritevole del vostro pianto. Se voi per lo peccato siete in disgrazia di Dio, l’anima vostra è morta a Dio, alla sua grazia, alla sua amicizia: è questa la morte che più di ogni altra merita le vostre lacrime. Ma ohimè! che al sentir questa morte, morte degna di eterno pianto, io vi vedo stupidi, insensibili, indifferenti. O miei figli, o santa fede! Possibile, che per un defunto, che pur una volta doveva cessar di vivere, siete inconsolabili, e per la morte della vostr’anima immortale ed eterna non versiate una lacrima, non alziate un sospiro! Tanta commozione ed ambascia per un corpo fatto cadavere, e tanta indolenza e freddezza per un’anima resa per il mortale peccato a condizione più luttuosa di mille fetenti cadaveri, o miei figliuoli, o santa fede ! che cecità ella è mai questa?

I. Ma tutto qui finisce. Un’anima rea di grave delitto non solo è in istato di spiritual morte, ma essa è in pericolo di eterna morte. Ritorniamo a quella casa di lutto, ove ci ha condotti il Crisostomo. Io veggio uscir dalle sue porte collocato in un feretro il compianto defunto. Figli, così dunque lasciate portar via l’amato genitore? Egli è morto, voi mi rispondete. Consorte, come soffrite che vi sia tolto dagli occhi il fido vostro compagno? Egli è morto. E voi congiunti, domestici, amici. .. Egli è morto. E che volete voi dirmi con questo tanto ripetere: “egli è morto” ? Vogliam dire che un cadavere chiama il sepolcro, che chi più non vive sopra la terra, deve andare sotterra; Ho inteso: per chi è morto “solum superest sepulchrum (Giob. XVII). Così è, non deve funestare i vivi chi è nel numero de’ morti. Il suo luogo è la tomba: è questa la pratica di tutti i secoli. Ditemi ora, fratelli carissimi, se l’anima vostra, che Dio non voglia, fosse morta per grave peccato, a qual luogo sarebbe essa destinata? Non rispondete? Morta che ella è, anch’essa chiama il suo sepolcro. E qual è il sepolcro di un’anima rea, di un’anima morta? Egli è l’inferno. Così affermò Gesù Cristo quando parlò dell’Epulone, “mortuus est… dives, et sepultus est in inferno( Luc. XVIII, 22). Trapassato che fu quel ricco malvagio sarà stato per avventura il suo corpo collocato da suo pari in qualche superbo mausoleo; ma 1’anima sua fu sepolta nell’abisso infernale, “sepultus est in inferno”. Ecco la tomba che sta aspettando ogni anima peccatrice. – S’è così, e perché, voi ripigliate, un’anima morta non vien tosto colà giù seppellita? E perché, vi rispondo, un corpo morto nol mandate subito dal letto al sepolcro? Perché dopo un giusto contristamento degli addolorati congiunti convien comporlo in casa, esporlo poscia in Chiesa, e dar tempo che si compiano intorno ad esso le sacre ecclesiastiche cerimonie. E costume di tutte le nazioni incivilite di lasciar sopra terra i defunti per uno o più giorni secondo gli usi, le circostanze, o le qualità del soggetto. Dite altrettanto riguardo ad un’anima nel suo stato di morte. Chiama ella il suo sepolcro, cioè l’inferno; ma Iddio pietoso mosso dalle preghiere della Chiesa, dall’intercessione dei Santi, e dalle viscere della sua misericordia, più che al castigo propende al perdono, differisce il suo destino, accorda tempo, aspetta che si ravveda, che apra gli occhi sul suo pericolo, che si adopri, che chieda aiuto per tornare in vita; e a questo fine, con una pazienza tutta propria, dice S. Agostino, di un Dio Onnipotente, con un amore tutto diretto a salvarla, indugia, ritarda per mesi, per anni a seppellirla nell’abisso. Guai però per chi non si profitta di quest’indugio, guai per chi si abusa del tempo concesso pel suo ravvedimento! – Potrà dire di sè quest’infelice: “Si sustinuero, infernus domus mea est. (Giob. XVII). Se io continuo in questo stato di morte, se non tronco quell’amicizia, se non abbandono quella pratica, se non dismetto quel giuoco, se non restituisco 1’altrui roba, se non riparo l’altrui fama, in una parola, se non lascio il peccato, “si sustinuero”, la mia tomba, la mia abitazione perpetua sarà l’inferno; “si sustinuero infernus domus mea est”. – Che facciam dunque, peccatori miei cari? Vogliamo persistere in questo luttuosissimo stato di morte con evidente pericolo di morte sempiterna? Ah! no, diamo ascolto alla voce di Dio, ai richiami della nostra coscienza, agli amorevoli inviti dell’apostolo Paolo, che a me peccatore e a ciascuno di voi così va dicendo: “O cristiano fratello, tu sei sepolto in un sonno letargico, tu sei morto a Dio e alla sua grazia; via su, svegliati in questo istante, apri gli occhi alla luce, sorgi da morte, che Gesù Cristo ti stende la mano, e di figlio che sei delle tenebre, ti cangerà in figlio di luce: “Surge qui dormis, et exurge a mortuis, et illuminabit te Christus(Ephes. V, 14). Lo so, per la nostra spirituale risurrezione, ci vuole un miracolo della divina onnipotente destra, maggior di quel che si richiede a risuscitare un morto; miracolo ch’è pronto a farlo Iddio pietoso. Passa però questa differenza tra la vivificazione di un corpo, e la vivificazione di un’anima: che il corpo nulla può contribuire al proprio risorgimento; l’anima però, tuttoché morta, è sempre fornita del libero arbitrio, non è in essa estinto il lume della fede, non è insensibile ai pungoli della sinderesi, non è priva di qualche naturale virtù; onde assistita dalla grazia, che sempre è pronta a porgerle aiuto, può e deve concorrere al suo risorgimento. – Mezzo efficacissimo a questo risorgimento, è l’umile e fervorosa preghiera; e perciò a voi rivolto, mio pietoso Signore, vi prego più col cuore che con le labbra, a dar la vita a chi n’è privo. Forse io son quello; ma deh! Voi fatemi penetrare alla mente un raggio di viva luce, acciò non mi addormenti in un sonno mortifero, per cui il mio nemico, il demonio si vanti di avermi vinto e perduto. “Illumina oculos meos ne unquam obdormiam in morte, ne quando dicat inimicus meus: preavalui adversus eum(Ps, XII,4) .

Credo

Offertorium
Orémus
Ps XVIII:9;10;11;12
Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulcióra super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea.
[La legge del Signore è retta e rallegra i cuori, i suoi giudizii sono piú dolci del miele e del favo: e il servo li custodisce.]

Secreta
Concéde nobis, quǽsumus, Dómine, hæc digne frequentáre mystéria: quia, quóties hujus hóstiæ commemorátio celebrátur, opus nostræ redemptiónis exercétur. [Concedici, o Signore, Te ne preghiamo, di frequentare degnamente questi misteri, perché quante volte si celebra la commemorazione di questo sacrificio, altrettante si compie l’opera della nostra redenzione.]

Communio Joann VI:57
Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo, dicit Dóminus.
[Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, ed io in lui, dice il Signore.]

Postcommunio
Orémus.
Tui nobis, quǽsumus, Dómine, commúnio sacraménti, et purificatiónem cónferat, et tríbuat unitátem.
[O Signore, Te ne preghiamo, la partecipazione del tuo sacramento serva a purificarci e a creare in noi un’unione perfetta.]

« O Dio, che nella gloriosa Trasigurazione del tuo Unigenito confermasti con la testimonianza dei patriarchi i misteri della fede, e con la voce uscita dalla nube luminosa proclamasti mirabilmente la perfetta adozione dei figli, concedici, nella tua bontà, di divenire coeredi della gloria e partecipi della medesima » (Colletta del giorno). Nobile formula, che riassume la preghiera della Chiesa e ci presenta il suo pensiero in questa festa di testimonianza e di speranza.

Ma è bene osservare subito che la memoria della gloriosa Trasigurazione è già stata fatta due volte nel Calendario liturgico: la seconda Domenica di Quaresima e il Sabato precedente. Che cosa significa ciò, se non che la solennità odierna ha come oggetto, più che il fatto storico già noto, il mistero permanente che vi si ricollega, e più che il favore personale che onorò Simon Pietro e i igli di Zebedeo, il compimento dell’augusto messaggio di cui essi furono allora incaricati per la Chiesa? Non parlate ad alcuno di questa visione, fino a quando il Figlio dell’uomo non sia risuscitato dai morti (Mt. XVII, 9). La Chiesa, nata dal costato squarciato dell’Uomo-Dio sulla croce,non doveva incontrarsi con lui faccia a faccia quaggiù; e quando, risuscitato dai morti, avrebbe sigillato la sua alleanza con lei nello Spirito Santo,solo della fede doveva alimentarsi il suo amore. Ma, per la testimonianza che supplisce la visione, nulla doveva mancare alle sue legittime aspirazioni di conoscere.

La scena evangelica.

A motivo di ciò, appunto per lei, in un giorno della sua vita mortale, ponendo tregua alla comune legge di sofferenza e di oscurità che si era imposta per salvare il mondo, egli lasciò risplendere la gloria che colmava la sua anima beata. Il Re dei Giudei e dei Gentili (Inno dei Vespri) si rivelava sul monte dove il suo pacifico splendore eclissava per sempre i bagliori del Sinai; il Testamento dell’eterna alleanza si manifestava, non più con la promulgazione d’una legge di servitù incisa sulla pietra, ma con la manifestazione del Legislatore stesso, che veniva sotto le sembianze dello Sposo a regnare con la grazia e lo splendore sui cuori (Sa. XLIV, 5). La profezia e la legge, che prepararono le sue vie nei secoli dell’attesa, Elia e Mosè, partiti da punti diversi, si incontravano accanto a lui come fedeli corrieri al punto di arrivo; facendo omaggio della loro missione al comune Signore, scomparivano dinanzi a lui alla voce del Padre che diceva: Questi è il mio Figlio diletto. I Tre testimoni, autorizzati più di tutti gli altri, assistevano a quella scena solenne: il discepolo della fede, quello dell’amore, e l’altro figlio di Zebedeo che doveva per primo sigillare con il sangue la fede e l’amore apostolico. Conforme all’ordine dato e alla convenienza, essi custodirono gelosamente il segreto, fino al giorno in cui colei che ne era interessata potesse per prima riceverne comunicazione dalle loro bocche predestinate.

Data della festa.

Fu proprio quel giorno eternamente prezioso per la Chiesa? Parecchi lo affermano. Certo, era giusto che il suo ricordo fosse celebrato di preferenza nel mese dell’eterna Sapienza: Splendore della luce increata, specchio immacolato dell’infinita bontà (Verso alleluiatico; cfr. Sap. VII, 26). Oggi, i sette mesi trascorsi dall’Epifania manifestano pienamente il mistero il cui primo annuncio illuminò di così dolci raggi il Ciclo ai suoi inizi; per la virtù del settenario qui nuovamente rivelata, gli inizi della beata speranza sono cresciuti al pari dell’Uomo-Dio e della Chiesa; e quest’ultima, stabilita nella pace del pieno sviluppo che l’offre allo Sposo (Cant. VIII, 10), chiama tutti i suoi figli a crescere come lei mediante la contemplazione del Figlio di Dio fino alla misura dell’età perfetta di Cristo (Ef. IV, 13). Comprendiamo dunque perché vengano riprese in questo giorno, nella sacra Liturgia, formule e cantici della gloriosa Teofania. Sorgi, o Gerusalemme; sii illuminata; poiché è venuta la tua luce, e la gloria del Signore s’è levata su di te (I Responsorio di Mattutino; cfr. Is. LX, 1). Sul monte, infatti, insieme con il Signore viene glorificata la sua Sposa, che risplende anch’essa della luce di Dio (Capitolo di nona; cfr. Apoc. XXI, 11).

Le vesti di Gesù.

Mentre infatti « il suo volto risplendeva come il sole – dice di Gesù il Vangelo – le sue vesti divennero bianche come la neve » (Mt. XVII, 2). Ora quelle vesti, d’un tale splendore di neve – osserva san Marco – che nessun tintore potrebbe farne di così bianche sulla terra (Mc. 9, 2), che altro sono se non i giusti, inseparabili dall’Uomo-Dio e suo regale ornamento, se non la tunica inconsutile, che è la Chiesa, e che Maria continua a tessere al suo Figliuolo con la più pura lana e con il più prezioso lino? Sicché, per quanto il Signore, attraversato il torrente della sofferenza, sia personalmente già entrato nella sua gloria, il mistero della Trasfigurazione non sarà completo se non allorché l’ultimo degli eletti, passato anch’egli attraverso la laboriosa preparazione della prova e gustata morte avrà raggiunto il capo nella sua resurrezione. O volto del Salvatore, estasi dei cieli, allora risplenderanno in te tutta la gloria, tutta la bellezza e tutto l’amore. Manifestando Dio nella diretta rassomiglianza del suo Figliuolo per natura, tu estenderai le compiacenze del Padre al riflesso del suo Verbo che costituisce i figli di adozione, e che vagheggia nello Spirito Santo fino alle estremità del manto che riempie il tempio (Is. VI, 1).

Il mistero dell’adozione divina.

Secondo la dottrina di san Tommaso, infatti (III, qu. 45, art. 4), l’adozione dei figli di Dio, che consiste in una conformità di immagine con il Figlio di Dio per natura (Rom. VIII, 29-30), si opera in duplice modo: innanzitutto per la grazia di questa vita, ed è la conformità imperfetta; quindi per la gloria della patria, ed è la conformità perfetta, secondo le parole di san Giovanni: « Ora noi siamo figli di Dio; ma non si è manifestato ancora quel che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà saremo simili a lui, perchè lo vedremo quale egli è » (I Gv. III, 2).

Le parole eterne: Tu sei il mio Figliuolo, oggi io ti ho generato (Sal. II, 7) hanno due echi nel tempo, nel Giordano e sul Tabor; e Dio, che non si ripete mai (Giobbe XXXIII, 14) non ha in ciò fatto eccezione alla regola di dire una sola volta quello che dice. Poiché, per quanto i termini usati nelle due circostanze siano identici, non tendono però allo stesso fine – dice sempre san Tommaso – ma a mostrare quel modo diverso in cui l’uomo partecipa alla rassomiglianza con la filiazione eterna. Nel battesimo del Signore, in cui fu dichiarato il mistero della prima rigenerazione,come nella sua Trasfigurazione che ci manifesta la seconda, apparve tutta la Trinità: il Padre nella voce intesa, il Figlio nella sua umanità, lo Spirito Santo prima sotto forma di colomba e quindi nella nube risplendente; poiché se, nel battesimo, Egli conferisce l’innocenza indicata dalla semplicità della colomba, nella resurrezione concederà agli eletti lo splendore della gloria e il ristoro di ogni male, che sono significati dalla nube luminosa (III, qu. 45, ad 1 et 2).

Insegnamento dei padri.

« Saliamo il monte – esclama sant’Ambrogio; – supplichiamo il Verbo di Dio di mostrarsi a noi nel suo splendore e nella sua magnificenza; che fortifichi se stesso e progredisca felicemente, e regni nelle anime nostre (Sal. XLIV). Alla tua stregua infatti, o mistero profondo, il Verbo diminuisce o cresce in te. Se tu non raggiungi quella vetta più elevata dell’umano pensiero, non ti appare la Sapienza; il Verbo si mostra a te come in un corpo senza splendore e senza gloria » (Comm. su san Luca, 1. VII, 12). Se la vocazione che si rivela per te in questo giorno é così santa e sublime (VII Responsorio di Mattutino; cfr. Tim. 1, 9-10), «adora la chiamata di Dio -riprende a sua volta Andrea da Creta (Discorso sulla Trasfigurazione): – non ignorare te stesso, non disdegnare un dono così sublime, non ti mostrare indegno della grazia, non essere tanto pusillanime nella tua vita da perdere questo celeste tesoro. Lascia la terra alla terra, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt. VIII, 22); disprezzando tutto ciò che passa, tutto ciò che muore con il secolo e con la carne, segui fino al cielo senza mai separartene Cristo che per te compie il suo cammino in questo mondo. Aiutati con il timore e con il desiderio, per sfuggire alla caduta e conservare l’amore. Donati interamente; sii docile al Verbo nello Spirito Santo, per raggiungere quel fine beato e puro che é la tua deificazione, con il gaudio di indescrivibili beni. Con lo zelo delle virtù, con la contemplazione della verità, con la sapienza, arriva alla Sapienza principio di tutto e in cui sussistono tutte le cose» (Col. 1, 16-17).

Storia della festa.

Gli Orientali celebrano questa festa da lunghi secoli. La vediamo fin dagli inizi del secolo IV in Armenia, sotto il nome di « splendore della rosa », rosæ coruscatio, sostituire una festa floreale in onore di Diana, e figura tra le cinque feste principali della Chiesa armena. I Greci la celebrano nella settima Domenica dopo Pentecoste, benché il loro Martirologio ne faccia menzione il 6 di agosto. – In Occidente, viene celebrata soprattutto dal 1457, data in cui il Papa Callisto III promulgò un nuovo Ufficio e la rese obbligatoria in ringraziamento della vittoria riportata l’anno precedente dai cristiani sui Turchi, sotto le mura di Belgrado. Ma questa festa era già celebrata in parecchie chiese particolari. – Pietro il Venerabile, abate di Cluny, ne aveva prescritto la celebrazione in tutte le chiese del suo Ordine quando Cluny ebbe preso possesso, nel secolo XII, del monte Thabor.

La benedizione delle uve.

Vige l’usanza, presso i Greci come presso i Latini, di benedire in questo giorno le uve nuove. Questa benedizione si compie durante il santo Sacrifìcio della Messa, al termine del « Nobis quoque peccatoribus ». I Liturgisti, insieme con Sicardo di Cremona, ci hanno spiegato la ragione di tale benedizione in un simile giorno: « Siccome la Trasfigurazione si riferisce allo stato che dev’essere quello dei fedeli dopo la resurrezione, si consacra il sangue del Signore con vino nuovo, se è possibile averne, onde significare quanto è detto nel Vangelo: Non berrò più di questo frutto della vite, fino a quando non ne beva del nuovo insieme con voi nel regno del Padre mio » (Mt. XXVI, 29).

Terminiamo con la recita dell’Inno di Prudenzio, che la Chiesa canta nei Vespri ed al Mattutino di questo giorno:

INNO

O tu che cerchi Cristo,

leva gli occhi in alto; ivi scorgerai il segno della

sua eterna gloria.

La luce che risplende manifesta Colui che non conosce termine,

il Dio sublime, immenso, senza limiti,

la cui durata precede quella del cielo e del caos.

Egli è il Re delle genti, il Re del popolo giudaico,

e fu promesso al patriarca Abramo e alla sua stirpe per tutti i secoli.

I Profeti sono i suoi testimoni, e sotto la loro garanzia,

testimone egli stesso,

il Padre ci ordina di ascoltarlo e di credere in lui.

Gesù, sia gloria a te che ti riveli agli umili,

a te insieme con il Padre e

lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

 

 

IL PAPA DELL’ASSUNZIONE DI FATIMA (2)

[Card. F. Tedeschini, da: Attualità di Fatima, Città della pieve, 1954 –impr.-] 

IL PAPA DEL SANTO ROSARIO

Nell’illustrare le mirabili e, a prima vista, non immaginabili, incredibili coincidenze tra il Papa e Fatima, longa adhuc restat via; e quando uno creda di averla percorsa, sempre longa adhuc restat via; onde correre è d’uopo, e contentarsi di prelibare, e di scegliere fior da fiore. Coincidenza sesta. Quale è la sesta? Dicemmo, raccolta dalle labbra Mariane, la necessità d ella preghiera; l’urgenza della penitenza; l’invito ai peccatori: convertitevi! e quello che or ora abbiamo visto come contenuto dell’Anno Ma due cose altresì, vogliamo raccogliere  dagli accenti Mariani: le più belle e le più salutari. L’una, conosciuta da sette secoli e rimasta nella pia costumanza cristiana alla guisa di un  sacramentale; l’altra, non nuova essa pure, ma di tarda cognizione; e per i1 costante ed universale ed imperdonabile oblìo in cui era caduta, quasi sconosciuta, e certamente negletta!

Il Rosario, la prima cosa; il Cuore Immacolato di Maria, la seconda. Con l’una un ricordo volle ridestarci Maria, quasi ad immemori e non adeguati estimatori. Il Rosario è qua e là praticato, ma non sempre come preghiera familiare; e meno ancora quotidiana, essendo questa una caratteristica di ben poche, e sempre più poche famiglie. – Col ricordo, uno sprone; e con lo sprone, un velato, tenero, materno rimprovero. Con l’altra, Maria ci dà un annunzio: ci porta, da parte del Figlio, un messaggio, e sempre da parte del Figlio, ci svela, sì, un segreto, e  ci trasmette un desiderio. Desiderio di un Dio, manifestatoci dalla sua Madre; qual comando maggiore?

Il Rosario? Indicibile mezzo di salute! Insuperabile arma! Infallibile istanza! – Il mondo lo sapeva; fin dal secolo XIII dalla ispirata predicazione del Santo spagnolo che, con San Francesco e con S. Bernardo, più incantò il divino Poeta. – Lo sapeva, ma lo negligeva. Sapeva quanto grato fosse a Maria; quanto potente per l’aiuto dei cristiani; quanto efficace per la confusione delle eresie; e quanto beneficio per la cristiana integrità e perfezione delle famiglie, e per le grazie che il focolare domestico ne trae. – Sì, il Rosario era divenuto preghiera di pochi; anzi di eletti. E se necessità vi è di preghiera, e di tal preghiera, provvido stimolo  è stata in Fatima la dolce voce di Maria, e non di essa sola, ma anche del Figlio, perché questa torni ad essere la preghiera non solo comune, ma  universale; non solo d egli eletti, ma di tutti! non solo dei timorati di Dio e dei devoti di Maria, ma anche dei peccatori, degli ingrati, dei ribelli. E tanto è a cuore alla Madre di Dio il commendarlo che, Maria, più che in nome suo, ne fa in nome di Dio ed in vista delle anime, l’intento massimo e l’argomento principe ed in ognuno dei sei giorni incultato, delle sue memorabili apparizioni. Dicemmo dianzi che cominciano i misteri! E nelle raccomandazioni del Rosario, e nelle insistenze di Maria SS.ma, come non vedere un altro mistero? – Alla santificazione del mondo, con la conversione dei peccatori e con l’infervoramento dei giusti, non si perviene con istrumento più facile, più idoneo, e più confacente agli individui e dalle famiglie, del santo Rosario. – Le cose più semplici il mondo non le intende. L’occhio del mondo si ostina a non voler essere né semplice né lucido. E allora, dopo sette secoli, Maria si fa, al mondo, amorosa predicatrice e premurosa taumaturga. – E io domando al mio spirito: perché dal secolo scorso Maria ama mostrarsi sempre col Rosario, e il Rosario non intrecciato e quasi occulto fra le auguste mani, ma pendente da quel braccio, che è il più assomigliabile al braccio dell’Onnipotente? Vivente Maria, nessuno la salutò col Rosario. Ma bene l’aveva salutata con le più preziose parole del Rosario il grande Arcangelo dei grandissimi messaggi: Gabriele. Come nel Rosario dalle nostre labbra, cosi erano allora uscite dalle labbra dell’Arcangelo le parole che iniziarono la redenzione: Ave Maria, gratia piena, Dominus tecum! Ed uscite da labbra, ispirate dallo Spirito Santo, di cui Elisabetta era ripiena, erano già le altre paradisiache parole, con cui la nostra Ave Maria ed il nostro Rosario continuano il messaggio dell’Arcangelo: Benedicta tu in mulieribus et Benedictus fructus ventris tui! Ma ora Maria ci visita, per tornare a parlarci le parole che fece risonare nel cuore di S. Domenico. – Tempi tristissimi, anche quelli e non i nostri soltanto: e tempi di urgentissimo soccorso. Pregate e non discutete, ispirò Maria a San Domenico. E per pregare, ripetete le parole dell’Arcangelo e di S. Elisabetta. Parole dell’Arcangelo e di Santa Elisabetta, che non vedranno tramonto, per l’ineffabile evocazione del Verbo incarnato, e per il ricordo di quel saluto, che è il saluto, al cielo e alla terra il più caro possibile, dacché contiene la prima proclamazione della maternità divina, e la beatitudine di chi crede. Mater Domini mei! Beata quæ credidisti! – Ma a chi, più che ad altri, piacciano queste parole? Piacciono, occorre dirlo subito, a Maria innanzitutto. Non lo vediamo noi, che amiamo il Rosario, con l’esperienza quotidiana? E piacciono a Lei, perché non può non esserle gratissimo, il ricordare l’infinito privilegio: essere piena di grazia! E ricordare il privilegio infinitissimo: essere la madre di Dio, e la benedetta fra quante donne possano esistere! E piacciono al Figlio; e infinitamente più che alla Madre. Un Figlio è sempre l’innamorato della madre! Lo sono io; lo siete voi! E se al figlio, umano figlio, piace sentire l’elogio, e il ripetuto elogio, della propria madre mortale, chi comprenderà quanto più piaccia all’Unigenito dell’Eterno Padre, sentire dalle labbra coscienti e riconoscenti dei suoi redenti, e sentire per 150 volte in ogni Rosario perfetto, le lodi della Madre che Egli si elesse, che Egli si fabbricò, che Egli si eccettuò dalla comune infezione, e quanto non debba una sì indovinata preghiera muovere Madre e Figlio ad esaudire gli invocanti, a bandire i mali, a rendere sane famiglie e Nazioni? Solo sei Pontefici poterono ascoltare reiterato e celestialmente proclamato il mariano e divino desiderio. Da Lourdes in poi; e furono Pio IX, Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII; e tutti si affrettarono a farsi banditori della necessità del Rosario, ed il Rosario propagarono e fomentarono in individui, in famiglie, in popoli interi. Chi non ricorda, per attenerci ad uno solo, le splendide Encicliche di Leone XIII e la consacrazione del mese di ottobre che Egli volle offrire a Maria? – Tutti i Papi, a dunque, estasiati dall’apparizione di Lourdes, portarono sul loro braccio, come Maria, la corona del Rosario, e con facile gesto, esso indicarono come sicura salvezza. – Ma il Papa che udì il ricordo ed il comando di Maria e del Divino Figlio, non pure da Lourdes, ma anche da Fatima, e ribadito in sei continue apparizioni, come strumento di grazie, e lo udì fin dalle ore stesse in cui Egli ricevette la pienezza del sacerdozio, è solo il nostro dilettissimo Papa, Pio XII. – E perciò Egli si è fatto, non pure autorevolissimo commendante, come i precedenti Pontefici, ma anche peculiarissimo delegato ed invitante, con quell’invito che non solo vale e muove, ma rapisce e trascina: l’esempio. Ed eccolo, memore ed ossequiente, recitare Rosario col popolo cristiano: nella sua augusta Cappella, sulle onde della Radio, nella Basilica di S. Pietro, con i bambini, coi poveri, col suo popolo, col mondo. – Contatto, questo, il più tenero, familiare, personale, filiale del nostro eccelso Papa, con la Madonna di Fatima. Lo stesso contatto, vorrei dire che, per lo storico miracolo, operato da Maria! quella che fu per i cristiani, ben più che per Napoleone le Piramidi, la più grande occasione dei pericoli, nelle acque di Lepanto, sperimentò prodigiosamente il Santo Papa Pio V, allorché, ora tutto il mondo cattolico per la difesa, l’incolumità e la salvazione della cristianità, si vide visitato in estatica visione dalla Madonna nostra. E come non ci piacerebbe il pensare che anche a Lui Vergine dei Rosarianti apparisse con questa arma onnipotente: il Rosario sul braccio, affine questo passasse ad essere non pure il Rosario sul braccio, ma anche il Rosario su ogni labbro? E non fu questa, mi vien fatto d i pensare, la più bella televisione della storia?

IL PAPA DEL CUORE IMMACOLATO

Questo, il Rosario; ma il segreto di Maria che io dissi in Fatima svelato, quale fu? E quale fu l’ordine divino che, collegato alla rivelazione di Fatima, la Madre di Dio si compiacque comunicare?

Il Cuore Immacolato! La devozione al Cuore suo Immacolato! La necessità della consacrazione, del mondo e di quanti, famiglie o individui, il mondo compongono, al benedetto Cuore suo Immacolato! – Coll’insistenza che usò per il Rosario, e con non minore chiarezza e con non meno appassionato animo, inculcò allora Maria, premurosa dell’onore del Figlio, e della salute del mondo, la consacrazione al suo Cuore Immacolato, e la inculcò, non come volere suo, ma come volere del Figlio, e come rifugio supremo alle ormai sventuratissime genti e come certissimo mezzo per ovviare agli accresciuti mali della terra, e segnatamente allo ormai sempre minaccioso, sempre universale e sempre incombente flagello: la guerra! Il segreto, il segreto di Dio, era in realtà cosa conosciuta, ma anche essa sventuratamente obliata, o, come dicemmo, negletta. Appena cenni nella Liturgia. Appena il nome in qualche Istituto Religioso, dei più amanti di scrutarne gli inesplorati abissi delle bellezze del brillante infinito di Maria. Appena il passo, il più deciso, del Santo Antonio Claret, e di qualche altro conservo di Dio, nello scrivere sul glorioso Istituto: « Figli del Cuore Immacolato di Maria ». Per chiamare attenzione ed amore, tali, quali la Madre di Dio meritavasi, sul centro sensibile della sua Immacolatezza, fu d’uopo che il Figlio disponesse l’apparizione più bella, più ingenua, più familiare, più apertamente premurosa della sua Grande Madre, e che suscitasse ed anzi comandasse, e di Persona, la venerazione, la devozione, l’affetto a quel Suo e nostro Tesoro, che, sebbene ignorato prima o non curato, fu sempre alla nostra mano e sempre al tempo stesso, nel cielo; tesoro per il cui oggetto, la conquista dei cuori, tanto il mondo si affanna e sospira; tesoro che, più che l’oro e le pietre preziose, avvince e colma il nostro cuore, come affetto di madre. Si svegli pertanto il mondo a riconoscere, a bramare, a guadagnarlo tutto, il tesoro svelato, e sappia il mondo che, più prezioso del Cuore di Maria, non ci ha dato Iddio tesoro nessuno; e sembrò anzi non volere offuscarlo con troppa luce, giacché se al genere umano largì pubblicamente Maria e la sua Immacolata Concezione, la bellezza invece e il pregio della Immacolatezza li nascose tutti nel Cuore, in quel Cuore che nel purissimo Corpo, dopo l’anima, è la sede ed è la luce, ed è l’incanto della candidezza onnimoda della Madre di Dio. Sì; « Il Figlio vuole la devozione e vuole la consacrazione al mio Cuore Immacolato » disse Maria. – Il Figlio lo vuole; e la Madre lo annunzia. Non era della Madre il volerlo: era del Figlio! Era invece della Madre il commendarlo, perché ama il Figlio e perché ama i figli, ai quali vuole schiudere la nuova inesauribile fonte. Mediatore è del Padre il Figlio. Ma mediatrice e del Padre e del Mediatore Figlio, è la Madre. Così in Cana, principio dei miracoli della vita Pubblica; e così in Fatima, inizio dei più grandi miracoli dell’era Mariana, che ha per fonte un cuore: il Cuore Immacolato! Grazie, o inclita  Deipara, grazie dal fondo dei nostri poveri, miseri, macchiati cuori: grazie. Noi, si, diciamo grazie, perché mercé vostra, noi torniamo alla conoscenza ed al pregio di quel Cuore, nel quale conservate tutte le gesta della Redenzione, alla guisa di ogni madre terrena, che, nel cuore suo, custodisce ogni opera, ogni affetto, ogni anelito del figlio. Ma dal vostro cuore sono passati alle mani, alla voce, alla sollecitudine del Vicario di Cristo, il gradimento, il desiderio, il comando, svelatici  da Voi, o celeste Ambasciatrice; ed ecco perché il Papa, fin dal 1942, nel messaggio del 31 ottobre, tutto il mondo, Egli Capo e rappresentante del mondo, consacrò al Cuore di Maria Immacolato. – Era il secondo anno della più crudele delle guerre. Era il 25° del suo Augusto pieno Sacerdozio. Era il momento in cui più viva veniva dilatandosi l’eco delle esortazioni Mariane di Fatima; era, infine, il momento in cui universalmente era sospirato un celeste rimedio ai crescenti strazi della umanità. Quale migliore consiglio, quale più dolce balsamo, che consacrare il mondo a quel Cuore? Ed ecco perché il Pontefice, non pago di averlo fatto in uno storico messaggio, non tardò, come non si tarda negli affari che più stanno a cuore, a ripetere, e non col solo scritto o con la sola diffusione della Radio, ma in persona, con la sua presenza e con la sua Augusta voce, la consacrazione del genere umano, e, più da vicino, della sua diocesi Romana, datagli da Dio, e del Romano popolo, in mezzo al quale era nato, al Cuore Immacolato di Maria. Io ero presente l’8 dicembre del 1942. Era il giorno dell’Immacolata; e giorno dell’Immacolata vuol dire giorno, più che di altro, del Cuore Immacolato di Maria. Quale tenerezza nel Papa, in atto così paterno e commovente! Quale attenzione e quale unione nel popolo di Roma! Quali propositi in ogni cuore della capitale del mondo cattolico, che, con la preghiera pronunziata dal Papa e con l’offerta dei cuori dal Papa presentata, si sentiva legato, cuore a cuore, con la Madre celeste, e ne riceveva garanzia, pegno e gioia per sentirsi sicuro! Grazie; ancora una volta, grazie, o Maria, di averci svelato, e non solo, svelato, ma comandato, l’inestimabile segreto! E grazie per averlo voluto non solo pronunziare colle Vostre celesti labbra, ma metterlo nella parola, nell’opera nelle disposizioni del Vicario di Gesù! Grazie! voi ci avete confidata, permettetemi di così dire, la vostra debolezza per noi e quella del Figlio vostro per conseguire il nostro amore. Presa da questo lato, la fortezza si espugna.

FATIMA E IL DOGMA DELL’ASSUNZIONE

Se questo fu un ulteriore legame, e siamo già al settimo, tra il Papa Pio XII e la Madonna di Fatima, un altro ancora, il più divino e possente, Fatima ne fornì al suo gran Papa: l’Assunta. L’Assunta legata con Fatima? Il Papa operò dunque in relazione con Fatima definendo l’Assunta? Certamente, e nella guisa più intima. – L’Assunta, il domma dell’Assunta, la gloria di Maria come Assunta, la gioia nostra per l’Assunta, trovansi equidistanti tra il domma dell’Immacolata Concezione e l’Apparizione di Fatima. Equidistante, in ordine alla Concezione Immacolata, poiché se Maria fu Assunta in cielo, in anima e in corpo, tanto miracolo segue necessariamente all’essere Essa la Immacolata Madre di Dio! Onde questa unica fortuna, era voluta, o, come oggi suol dirsi, reclamata, dall’essere, Maria, Immacolata. – Equidistante da Fatima, perché dall’averci Essa svelato essere desiderio, del Divin Figlio che si instauri tra i fedeli la devozione al Cuore Immacolato di Maria, e che al medesimo si consacrino la Chiesa, il fede1e le Nazioni, non dovremo noi dedurre che questo concetto e questo invito hanno richiamato potentemente il pensiero della Chiesa e del Papa alla ininterrotta credenza dell’Assunzione di Maria in cielo anche col Cuore, ed alla opportunità e convenienza di corrispondere alla degnazione ed alla indicazione di Nostro Signore Gesù Cristo e di Maria, col proporre, il Papa, a Sé stesso come Vicario di Cristo, di contraccambiare la degnazione  con l’omaggio, e col cogliere il gran momento del terminare dell’Anno Santo, quale anno di penitenza inculcata da Fatima, per portare a definizione il domma già in ogni dove dalla Chiesa professato, e per utilizzare per la prima volta, dopo il Concilio Vaticano, ed onore di M a ria, privilegio Pontificio della definita infallibilità nella fede e nei costumi? – Piace dunque pensare piamente che alla superiore mente del Sommo Pontefice, mentre fu grato l’invito partito da Fatima, di onorare il Cuore Immacolato, sia anche da Fatima sorta la riflessione: lasceremo dunque, oltre questa propizia circostanza e dopo questa celeste e miracolosa esaltazione e segnalazione, che di quel Cuore, che si propone a culto, a devozione, a consacrazione, possa ormai alcuno opinare, senza mancare alla integrità della fede, essere esso soggiaciuto alla corruzione, e non debba piuttosto fermamente credere che trovasi assunto, Cuore di Madre con Cuore di Figlio, là dove il Figlio trovasi asceso? Questo, ben a ragione, dice Fatima: e con questo, Fatima apre il cammino al primo novembre del 1950. – Dall’anima al Corpo, ambedue senza macchia di origine, è breve il passo. Dall’invito di Cristo e di Maria, alla deliberazione del Pontefice, è ancora più breve. Aperta dunque e spontanea appare la via che da Fatima fino al Papa conduce, a dare forma dommatica alla conseguenza teologica del Cuore Immacolato, infondere la divina e ben pensabile ispirazione di dichiarare come esplicita e di fede, sulla fronte di Maria, quella corona che il popolo, nella infallibile tradizione della Santa Chiesa piamente sempre le attribuì, e della quale Fatima indicò la radice ed il merito primo, il Cuore Immacolato! Siamo dunque a quell’immortale, incomparabile, insuperabile primo di Novembre: festa di tutti i Santi; festa della più bella grazia dell’Anno Santo; festa della Regina del Cielo, dei Santi, dell’Anno Santo! E si apprende, con congrua anteriorità, che il Papa si è proposta una cosa grave ed insolita: il primo uso ufficiale e solenne del privilegio della Infallibilità. Infallibilità come concessione e come privilegio di Cristo, alla persona del suo Vicario; ed Infallibilità, come definita per il solo Vicario di Cristo, dal Concilio Vaticano. Imperocché, a chi spetta, secondo la dottrina cattolica, l’infallibilità promessa da Cristo alla Chiesa ed al suo Vicario? Alla Chiesa, sì, ma col suo Vicario; già lo dicemmo. Al Concilio, sì, con chi lo autorizza, con chi lo presiede, con chi lo approva: il Vicario di Cristo. Ma anche e specialmente e personalmente al Vicario medesimo, non dipendente, non condizionata, non ratificata dal Concilio o dalla Chiesa. Per lo contrario; ad esso solo: Tibi dabo! Rogavi prò Te! Non deficiet fides Tua! Pertanto non solo il Papa vagheggia la grande Idea: ma si decide. Prima, per altro, usa ogni presidio che la prudenza, divina ed umana, e le responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi ai fedeli richiedono. Ricerche, studi, meditazioni consultazioni, preghiere. Preghiere soprattutto. E giunge, giunge davvero, e pare un sogno, e giunge con tutto l’Episcopato, con innumeri fedeli, con pellegrini che si accalcano come incessanti onde di mare; giunge bramato come il Natale, come la Pasqua; giunge come quel giorno  dell’8 Dicembre del 1854 auspicato fin dal concepimento immacolato della Figlia di Anna e Gioacchino; giunge il giorno della definizione dell’Assunta; della glorificazione, celeste e massima, sulla terra, della Madre di Dio; del nuovo riflesso sul mondo, di quella festa in descrivibile, quale fu nel cielo l’Assunzione vera. Noi la acclamiamo; il Cielo la feci e lo a testinone della universale esultanza di quel dì, ed anche ad artefice delle divine bellezze di quel dì! Divine bellezze; perché, chi potrà mai dare, a chi non fu presente, a chi tra i posteri leggerà, una pallida idea di quella giornata celeste! Primo Novembre! ma che cosa vide mai il Novembre di più bello? E che cosa videro mai di più mirabile i trecento sessantaquattro rimanenti giorni dell’anno? – Oh, sole! Oh, so1e di Dio! Oh, sole di Maria! Oh, sole di cui, in verità, si vide essere vestita Maria! Oh, sole, somigliando al quale, avanzò Maria ed avanzò su di noi Maria: processit sicut sui; essa che, unica, può procedere, incedere, stupire con tanto splendore, da apparire solo con ciò Madre di Dio; Incessa pulii il Dea! Ella che tanto è bella quanto non può mai esserlo neppure il Re degli astri, anche quando questo bellissimo Re vuole inchinarsi alla Regina del Cielo e della terra e sua per farle omaggio di bellezza! Cielo e terra quando mai foste così d’accordo? Orazio, dalle sublimi Odi romane, avrei io voluto vederlo, assistere a quel divinissimo istante! Allora, non avrebbe cantato: oh, sole! che tu non possa mai vedere cosa più grande di Roma! Voto, augurio e sogno solo dell’affetto! Ma avrebbe cantato: Oh, sole! ed, oh, Roma: voi non vedrete mai cosa più grande di Roma, in quel giorno, né giorno più grande di quel giorno! cosa non di sogno, né di effetto, ma di realtà, l’unica più splendida realtà del così bel sole di Roma! E la parola del Papa! E la comunicazione, che tutti, non solo intendevamo, ma scorgevamo, tra il Papa che definiva e Dio che lo assisteva! E la figura di Maria, che non cessò di essere fissa e dipinta in ogni occhio, come la Regina Assunta, incoronata, proclamata inscindibilmente dispensatrice, in cielo ed in terra, delle grazie ai mortali! E il plauso della sterminata moltitudine! E il pianto della commozione più cocente! E i canti; ed anzi il canto, unico canto di infinite, non voci, ma anime, del risonante per tutta la immensa Piazza Te Deum Laudamus.

IL MIRACOLO DEL SOLE

Ma passiamo alla nona nota: la nona relazione di Fatima col Papa! Quante note, quanti rapporti, quanti legami! E più sarebbero di quanti noi ne accenniamo! E tutti, i più veri! – Ma uno mi sta più che mai a cuore rilevare qui; come, d’altronde, lo rilevai, e dinanzi a moltitudine estatica nel gran giorno della chiusura ufficiale dell’Anno Santo in Fatima, ed alla guisa stessa, con cui, presso il Trono del Cuore Immacolato di Maria di Fatima, io stimai di poterlo rilevare e rivelare: a titolo, cioè, esclusivamente mio, ed assumendo io stesso, io solo, e nella maniera più ampia, ogni possibile non pure responsabilità, ma apprezzamento e commento; il miracolo, voglio dire, del sole di Fatima, nel giorno ultimo delle celesti apparizioni, 13 ottobre 1917; miracolo ripetuto, rinnovato, e, sono per dire, accresciuto, e vedrete il perché, in Roma agli occhi del Papa, nella sua Sede Vaticana! A chi sfuggirà mai, l’immenso, superiore significato di tanto prodigio? In quei giorni? Nelle circostanze della definita Assunzione non solo dell’anima, ma altresì del corpo e del Cuore Immacolato di Maria Santissima, al Cielo: quando Maria, insieme al prodigio, di null’altro parlò con più calore come del Cuore Suo, Cuore Immacolato e Cuore vero nel Cielo? – Era nel giorni della definizione; ed in uno essi, in un incontro, per adunanze ufficiali, con Sua Santità, la Santità Sua, visibilmente commossa, si degnò confidarmi: « Ieri ho visto un portento, che mi ha profondamente impressionate » – E mi raccontò come avesse visto il sole, in quella forma, con quei prodigi, in quella apocalittica convulsione, con cui noi sappiamo che si esibì a trentamila persone in Fatima! – Il sole, chi potrebbe descrivere quale fosse! solo ripetere le auguste parole? – Io rimasi attonito, muto, trasumanato! Era la prima volta che io sentiva e quasi vedeva parlare un redivivo: l’ispirato di Palmas Evangelista! E il Pontefice, tanto commosso e tanto colpito, come non lo vidi mai. – Scorsero i giorni; ed io passai ad altri pensieri; ma non dimenticando; ruminando al sempre il celeste, e giammai né visto, né cantato né immaginato segno. – Volgeva intanto al termine il secondo Anno Santo; quello universale; e si approssimava la solennità della chiusura, insieme a questo quesito: dove sarà chiuso? Ma non, per la verità, insieme all’altro: Chi sarà delegato a chiuderlo? E allora si degnò il Papa inviarmi un alto Prelato della sua Segreteria di Stato, per dirmi che Sua Santità mi affidava, se così fosse di mio piacimento, l’Augusta Missione di presiedere, quale Suo Legato a Latere, la solenne chiusura, e questa, nel Santuario di Fatima. Per la Madonna, per il Papa, per Fatima, per il Portogallo, accettai, e con riconoscenza. Sennonché, meditando io sui prodigiosi avvenimenti del 1917 in Fatima, e studiando il fenomeno e miracolo, nuovo nella storia del mondo e della Chiesa, del sole, col quale piacque a Maria Santissima dare la promessa conferma delle sue celesti rivelazioni ai tre bambini ed a tutta la moltitudine per tanto annunzio adunatasi in Fatima, io mi sovvenni della Augusta conversazione, che Sua Santità si era degnata tenermi; e subito pensai che il complemento, ed anzi l’ampliamento di quel miracolo, ripetuto agli occhi del Vicario stesso di Cristo, e rinnovato nelle circostanze rilevantissime a me confidate, non fosse da tenere occulto; occorresse, invece, darne la notizia ai fedeli, ai devoti, ai figli tutti di Maria, a conforto e d’incoraggiamento, di loro e del mondo, ed anche in ottemperanza alle parole del Vangelo; “Videant, et glorificent Deum”! – Via, non potendo e non volendo osare tanto per solo mio avviso, io mi permisi, in un giorno di sovrana udienza, la filiale domanda: Perdoni, Santo Padre; in che giorno accadde quel prodigio di cui Vostra Santità si degnò parlarmi? « No, no, non dire nulla », mi rispose il Papa. Sì; ripresi io; non dire nulla per sola vanità. Ma, se per la gloria di Dio? E, se per la gloria di Maria? E se per il bene delle anime? Tacere, allora, un prodigio, che Iddio ha operato per la sua gloria? Sua Santità rimase pensoso. Evidentemente assai le costava, specie per la sua fin troppo nota, abituale, delicatissima modestia ed umiltà, di autorizzare, sia pure condiscendendo, la manifestazione di un segreto, che, se di vera gloria a Dio ed a Maria, toccava non di meno così da vicino la sua Augusta Persona. – Ma, alla fine, cessò di opporsi. E tacque; e col tacere, lasciò che io agissi, secondo la possibile prudenza inseparabile della mia missione. Ed io lo ringraziai, assicurando che sarei stato fedele a Dio, alla Vergine ed a Lui, e che non avrei ecceduto i limiti di una mia, più che privata, apertura. Questa apertura io voglio oggi, a distanza di due anni e poiché mi consta essere stata quella mia rivelazione la fonte di un immenso bene e di consolantissima soddisfazione per le anime (e me ne dava anche recente conferma un Ambasciatore presso la Santa Sede, che nella sua lontanissima Nazione ne aveva raccolto le prove), questa io voglio consegnare in questo scritto, che, al solo scopo di apportare qualche bene alle anime, da anime rette e pie mi è stato richiesto; ed umilmente prego il Cuore Immacolato, perché si degni indirizzarlo, tutto, quanto è, a gloria Sua e dell’amato Pontefice. In qual giorno dunque ed in qual forma si produsse agli occhi del Papa questo portentosissimo fenomeno? Era il 30 ottobre 1950 — Egli mi narrò — antivigilia del giorno, da tutto il mondo cattolico atteso con tanta ansia, della solenne definizione dell’Assunzione in cielo di Maria Santissima. Verso le ore 4 pom., facevo la consueta passeggiata nei giardini Vaticani, leggendo e studiando come di solito, varie carte di ufficio. Salivo dal piazzale della Madonna di Lourdes verso la sommità della collina, nel viale di destra che costeggia il muraglione di cinta. A un certo momento, avendo sollevato gli occhi dai fogli che avevo in mano, fui colpito da un fenomeno, mai fino allora da me veduto. Il sole, che era ancora abbastanza alto, appariva come un globo opaco giallognolo, circondato tutto intorno da un cerchio luminoso, che però non impediva in alcun modo di fissare attentamente il sole, senza riceverne la minima molestia. Una leggerissima nuvoletta si trovava davanti. Il globo opaco si muoveva all’esterno leggermente, sia girando, sia spostandosi da sinistra a destra e viceversa. Ma nell’interno del globo si vedevano con tutta chiarezza e senza interruzione fortissimi movimenti. Lo stesso fenomeno si ripeté il giorno seguente, 31 ottobre, e il 1° novembre, giorno della definizione; poi l’8 novembre, ottava della stessa solennità. Quindi non più. Varie volte cercai negli altri giorni, alla stessa ora, e in condizioni atmosferiche eguali o assai simili, di guardare il sole per vedere se appariva il medesimo fenomeno, ma invano; non potei fissare il sole nemmeno un istante, rimanendo subito la vista abbagliata. Questa è, in brevi e semplici termini, la pura verità. – Quattro volte pertanto; e sempre e tutto nel periodo della definizione del Domma dell’Assunzione di Maria; ed una di quelle volte, il giorno stesso, quasi a solennizzarla; l’altra e la terza nell’antivigilia e nella vigilia, quasi a prepararla; la quarta, nell’ottava, come a suggellare e la festa e l’evento e la sua prolungazione nel futuro. Chi potrebbe ora non vedere il più stretto, celeste, e presso che inimmaginabile fra i legami intercedenti tra la Vergine di Fatima ed il Papa? Tra la Vergine Assunta in Cielo, e il Papa che tale la definiva? Fra l’Anno Santo di Roma e del mondo, e la gioia del Cielo, sia per l’omaggio fatto a Maria, sia per la pietà dimostrata ed i frutti nell’Anno Santo raccolti? Oh, santa e cara Madre di Dio, grazie! Ed oh, carissimo Padre nostro, il Papa! Grazie; grazie per me; grazie per il mondo; grazie per la Chiesa! Ma grazie, soprattutto, per Maria! Ed a voi, o Padre Santo, oltre che grazie, perdono io dico, e perdono io chiedo per quanta violenza ebbe a costarvi la vostra degnazione verso di me. Voi, che delle approvazioni del Cielo, vi compiaceste solo per la Chiesa, mentre per Voi riservaste pene ed amarezze, insieme alle fatiche, alle lotte, alle sollecitudini omnium ecclesiarum. Voi che accedeste solo per affetto alla Chiesa, solo per amore a Maria! Grazie! E la Madonna di Fatima benedica e consoli Voi; e se le mie parole non sanno dir tutto, parlate Voi, o Maria, il linguaggio che arriva ad ogni cuore e vi arriva con infinita più precisione e finezza che, in materia così divina, non sappia penna umana raggiungere o pensare, e meno ancora la mia, se non col desiderio, con l’intenzione, con la grazia.

 FATIMA, ANNO SANTO PERENNE

Amo chiudere questo mio umile scritto, con accennare ad un’altra relazione del Vicario di Cristo con la Santissima Madre nostra di Fatima: il decimo dei tanti vincoli, che ad un osservatore, amante di Maria e del Papa, sarebbe dato di descrivere. Ed il vincolo decimo è, mi si perdoni il ravvisarlo deliberatamente così, un altro miracolo! Un altro miracolo, fatto da Maria di Fatima, e fatto in Portogallo, e fatto per amore alle anime di una così nobile e cattolica Nazione, per ossequio e difesa della Chiesa, per affetto al Romano Pontificato, per tutela della cristiana civiltà. – Chi non ricorda l’infausto periodo, che il piccolo e grande Portogallo, grande nella storia, nel Cattolicesimo, nelle opere, nelle scoperte, nelle missioni, nella propagazione della Fede, ed infine nel suo glorioso Impero, attraversò dopo la prima decade del presente secolo? Per mio conto, io accennerò solo, e di sfuggita, alla solenne Cappella Papale per la celebrazione di una Messa di Requie, nell’Aula delle Beatificazioni al Vaticano, alla presenza dell’allora Beato Pio X, nel 1911, in suffragio della Famiglia Reale del Portogallo, caduta per regicidio. Io vi assisteva; e ricordo l’atmosfera di mestizia che dominava nella maestosa Cappella. Quel luttuoso episodio fu il segnale e l’insegna massima dell’anticristiano sconvolgimento, che travolse il Portogallo in quei tristissimi anni e che tanto cordoglio gettò nel cuore del Santo Pontefice e in quello dell’amata Chiesa e Nazione Portoghese. – Come l’esperienza sempre dettò, la Santa Chiesa in una sola maniera resiste alle persecuzioni e le vince: soffrendo! Alla Chiesa che ha quattro note: una, santa, Cattolica e Apostolica, una quinta si addice, che tutte le riassume: Perseguitata Soffrendo, adunque: soffrendo e confidando nell’aiuto immancabile, del Fondatore ed in quella sua infallibile parola: “confidite! Ego vici mundum!” – Chi non sa d’altronde che Iddio, se fece le anime convertibili, fece le Nazioni sanabili? Sanabili; ma in quanto tempo? Imperoché la vita delle Nazioni non è breve e fugace come la umana. – Per il Portogallo invece Iddio volle, non pure operare un inconsueto prodigio, ma il più significante dei prodigi, nel voler sana la Nazione con prestezza anche più mirabile che non fosse quella usata al suo popolo eletto. Parve come se dolesse al Cuore di Dio, che la Chiesa ed il mondo cristiano restassero a lungo privi dell’esempio, della luce e della sacra libertà della benemerita Nazione. – Trascorrono pochi anni, non più di sette, e, senza nessuno degli accorgimenti politici, per non dire delle insidie, pubbliche o recondite, che dall’esterno e dall’interno avevano preparato, condotto ed imposto il trionfo sovvertitore, ed anche senza nessuna delle riscosse che sogliono maturare negli oppressi, e senza neppure le abilità e le industrie che la diplomazia ed i cuori vogliono usare, il Portogallo, come il forte inebriato che si desta e rinviene, ricupera di repente il proprio controllo, e la antica coscienza, e spogliate le estranee vestiture nemiche, torna, con nobile e forte gesto, alla derelitta Casa del Padre. – Quando accadde la splendida e finora non mai superata conversione? Nel 1918! Io ricordo, quasi come di ieri, perché partecipe anch’io, la visita che, con l’abituale sua peculiarissima bontà, il Cardinale Gasparri, allora Segretario di Stato dell’indimenticabile Pontefice di quei terribili anni bellici, Benedetto XV, si compiacque fare, confidenzialmente, e sopra ogni uso protocollare, al nuovo Ministro Plenipotenziario che la Nazione Portoghese era tornata ad accreditare presso il Vicario di Cristo. E non meno ricordo come, nel luglio di quell’anno anche la Santa Sede si affrettò a dare pubblica prova di immutata benevolenza, nominando presso il Portogallo un suo Incaricato d’Affari nella persona dell’ora  Cardinale Aloisi-Masella. – Ed altresì ricordo le filiali premure, di cui, l’immediato successore del primo inviato, fece non solo dimostrazione, ma anche ambizione, verso ogni cosa che fosse relativa alla Santa Sede, fino a volere che io, allora Sostituto alla Segreteria di Stato, accettassi, autorizzato dal Pontefice, di essere Padrino di Cresima di uno dei suoi figli! Il torrente, straripato in quella magnifica Nazione, era tornato al suo alveo; aveva ripreso il suo vetusto secolare corso; si era rimesso nel maestoso suo andare. Dove cercheremo noi la intima ragione di così immediata, profonda, spontanea, onnimoda trasformazione? – Il pubblico, e la storia delle relazioni tra lo Stato Portoghese e la Santa Apostolica Sede, lo ignorano. Ma a me, che Iddio in tanta parte ha strettamente collegato agli avvenimenti e alle sorti di quella bene amata Nazione, è di luce meridiana. L’anno 1917, l’apparizione in Fatima e la materna e carezzevole visita della Madonna di Fatima al privilegiato Portogallo. L’anno 1918, il rinnovamento! il nesso è stretto ed istantaneo il prodigio, il rarissimo prodigio, è aperto, chiaro, indubitabile. – Ma le prove della presenza di una mano materna e di un Cuore materno ed immacolato sul Portogallo, continuarono; e se queste si moltiplicarono nel segreto delle anime e nell’irresistibile influsso spirituale sui governanti e sui governanti in ricambio, le corrispondenze del Paese alle ispirazioni della Madre furono, come devono essere in Stati Cattolici, manifeste, pubbliche e solenni; ed anzi, di tanto maggiore rilievo e pregio, quanto più ostentoso ed irriverente era stato il distacco, e quanto più, per quel lasso di tempo, era ancora ignoto, alla pietà ed alla ammirazione dell’universo, il mirabile poema delle apparizioni di Fatima. – Tardarono infatti le gesta di Fatima a percorrere il mondo, quanto più tardò, avvedutamente l’Autorità ecclesiastica a corroborare la credenza, col suo elevato giudizio. Ma, pur ignorata e nel silenzio, la protezione di Maria progrediva perché presente, e muoveva i cuori Lusitani a porgere al Pontificato Romano ossequi tanto maggiori e tanto stimabili, quanto più aspro era stato il dissidio e più vivente il ricordo. – Quello che fu massima prova, e la più ricercata, e la più intensa, non debbo e non voglio io passarla sotto silenzio, sebbene essa mi induca a far menzione della mia umile persona, la quale se a ciò si persuade, non è per l’io, ma per Chiesa e per Iddio, e perché ancor più visibile ne risaltino l’opera di Fatima, e la rispondenza filiale dei reggitori e del popolo. E Dio sa quanto più volentieri io accennerei all’argoménto, se si fosse svolto, non attorno a me, ma attorno ad altri. Si celebrava nel 1925 il quarto centenario del grande navigatore e scopritore Portoghese Vasco De Gama: e la Nazione volle celebrarlo con le solenni onoranze ed anzitutto con inviti ufficiali a Rappresentanze straniere. Straniera, certo, non era la Santa Sede; ma perché intima al popolo portoghese e perché dal popolo e dall’Autorità più studiosamente venerata, volle il Governo che alle celebrazioni la Santa Sede partecipasse per prima, e lo facesse con accreditare presso la giovane Repubblica un suo speciale Rappresentante. – La Santa Sede, sempre benevola e premurosa, offrì di destinare all’uopo, con nuove credenziali, il suo stesso Nunzio Apostolico, S. E. Mgr. Nicotra, che in quell’anno presiedeva alle relazioni diplomatiche col Paese. Ma non questo gradivano i Governanti; chiesero invece che un Inviato speciale venisse dal di fuori. Ed allora, di nuovo condiscendente, l’Augusto Pontefice Pio XI, di venerata memoria, ordinò al Nunzio di Spagna, che era lo scrivente, di recarsi per speciale mandato a partecipare ai festeggiamenti col nome e grado di Ambasciatore straordinario del Papa. Io pertanto a Lisbona mi recai il 23 Gennaio del detto anno 1925; e colà dimorai, così disponendo la Santa Sede, e così desiderando il Presidente ed il Governo, per ben otto giorni, tra le accoglienze, le attenzioni e le onoranze, che più potessero dar prova dell’apprezzamento dell’atto, e della riconoscenza, veramente nazionale e ufficiale, al Romano Pontefice. Io lo vidi, e tutti lo sanno; si delineava già, anche alla vista della storia, la salvezza operata da Maria. Maria aveva repentinamente, progressivamente, visibilmente, salvato quella che era da antico la terra di Maria; salvata la fede, salvata l’Autorità, salvati i cittadini, salvata l’economia, salvato l’Impero. Del Portogallo aveva Maria fatto la sua Reggia; il Trono delle sue grazie; la santa invidia dei popoli: e questo, dove? a Fatima! E questo, perché? per Fatima! – E non dimeno, allora di Fatima non ancora si parlava. Solo qua e là, qualche sobrio accenno, mantenuto in limiti di prudenza dagli ordini e dalle religiose investigazioni dell’Autorità della Chiesa. – Ma chi non saprebbe, mirando agli effetti, risalire alla causa? A Fatima; a Maria; all’amore della Madre; alla promessa, insita nella Augusta Mariana visita, dì protezione particolarissima al Portogallo, per primo, al mondo, di poi? Così si vide allora. Così si è continuato a vedere dal 1925 ad oggi; così sarà finché a Fatima duri l’eco della Celeste Visita, delle parole, della promessa, del patrocinio singolarissimo della Vergine, e di quello che fu il nuovo ed indubitato suo pegno: il Cuore Immacolato! Quale miracolo più stupendo e più insolito, e quale salvezza più piena? E’ la salvezza che può dare un Cuore, che ama, ma non misura: un cuore che non richiesto, né pensato, è venuto ad offrirsi; un Cuore che, non pago di essere amato nel Cielo, è studiatamente disceso a ridestare ed a riassumere il privilegiato amore di quella sua terra e del mondo. O amato Portogallo! Giacché la Madonna tua e nostra di Fatima, con così stretti vincoli mi hanno avviato al tuo benedetto suolo, io non cesserò di darne grazia alla Madre. Ma dopo la Madre, io al Pontefice, di cui ho avuto l’onore e l’intimo filiale gaudio di evocare i particolarissimi vincoli Suoi e del Pontificato, con Fatima, elevo ora la mia indicibile gratitudine per avermi eletto a rappresentare, nella chiusura dell’Anno Santo, il Papa che a Maria ispirante obbedì; a restituire, in nome del Pontefice di Fatima, la visita a Maria nel suo stesso Santuario, consacrato dai piedi, oh! quam speciosi, Evangelizantis Pacem; a far presente l’amatissimo Papa, al Santuario, alla Nazione, al mondo universo colà accorso con una fede ed un amore, di cui ho sempre negli occhi la meraviglia, e nel cuore la commozione. Chiuso, io proclamai, tra le benedizioni del Papa alla Nazione ed all’universo, e tra le incessanti acclamazioni dei popoli alla Vergine ed al Papa, l’Anno Santo; ma non per te, o Portogallo. Hæc lex — dice la Chiesa all’Immacolata — non est prò te, sed prò omnibus! – Per te l’Anno Santo rimane aperto nella inesauribile effusione di quella Madre, che amò farsi e chiamarsi Portoghese, che parlò in Portoghese al suo popolo e all’universo, e che rimane la tua massima gloria e la fonte perenne della tua celeste protezione e della ardente fedeltà con cui tu sai a Lei corrispondere! Ma più aperto, quale Anno Santo imperituro, rimane il Cuore Immacolato, che nella visione e nella rivelazione Portoghese fece immortale il Pontefice dell’Assunta e di Fatima, e che, svelatoci per amore, con amore guiderà l’umanità sotto la stella di Fatima.

Federico Card. Tedeschini

 

 

IL PAPA DELL’ASSUNZIONE DI FATIMA (1)

IL PAPA DELL’ASSUNZIONE DI FATIMA (1)

[Card. Tedeschini, da: Attualità di Fatima, Città della pieve, 1954 –impr.-]

Gran cosa parlare del Papa! Più grande, parlare del Papa nostro, Pio XII; ancor più grande, parlare del Papa e dell’Assunta! E più grande ancora, parlare del Papa, dell’Assunta e di Fatima: le tre cose più grandi che, non separate né lontane, ma unite insieme, i secoli abbiano visto, e che la storia della Chiesa abbia tramandato! Il vivere le cose, al di fuori della diretta impressione, le rende piccole; il guardarle nella storia, le ingigantisce nella luce dei secoli, ma in una statura anch’essa piccola, perché lontana. Solo il tornare a viverle da vicino, il meditarle e il tornare a meditarle, le pone nella vera grandezza. – Così è di questi tre temi: da una parte il Papa! Pilastro principale e pietra angolare dei disegni di Dio, sulla Chiesa; fonte inesauribile di vita e di sviluppo per la Chiesa. E dall’altra, i due aspetti, che ai nostri giorni ci hanno rappresentato Maria: Maria nell’Assunzione e Maria in Fatima. Ma fra i tre, Papa, Assunzione e Fatima, questa sta nel centro: Fatima, il nome più piccolo della geografia, tanto da essere stato sempre, fino a noi, trascurabile ed anche sconosciuto; ma ora scelto ed innalzato a fastigi mondiali da Colei che sempre « respexit humilitatem » .

LA VERGINE E LA INFALLIBILITÀ’ PAPALE

Ma dirò di più: da questa altra parte, cioè dalla parte di Maria, tre cose si vedono unite e divine: l’Immacolata, l’Assunzione e Fatima. – L’Immacolata? Perché anche l’Immacolata? Perché Assunta e Fatima suppongono, nella mente di Dio e nello svolgimento dello spettacolo divino ed eterno della nostra fede, una preparazione; suppongono, perché non dislegati, ma essenzialmente collegati, altri aspetti, altre verità, altri dommi; e prima fra tutti, l’Immacolata. Chi non vede come l’Assunzione presuppone l’Immacolata? E chi non vede come Assunzione ed Immacolata, presuppongono, dinanzi a noi, il poderosissimo ed essenziale domma della Infallibilità Pontificia? Quante meraviglie che non ci giungono isolate, ma come in un volume di verità; distinte e separate solo da brevi spazi di tempo, e discese dal cielo al momento voluto da Dio; e fortunatamente al momento nostro, come di fedeli e di credenti privilegiati. Erano trascorsi tanti secoli, diciannove secoli, e non mai la Chiesa si era trovata dinanzi ad una effusione prodiga e torrenziale di misteri e di doni di Dio, quale è quella riservata solo per noi, e per quelli che ci seguiranno: i misteri e di doni del secolo di Maria; ed anzi dell’ora di Maria; e più ancora, del trionfo e dei trionfi di Maria! – Come mai, trionfi di Maria al tempo nostro, e come dono alla Chiesa di oggi ed a noi, se Maria ha trionfato in ogni secolo, tanto da essere, essa stessa, sinonimo di trionfo, di vittoria, di impero senza confini? Eppure, è così. E sebbene sia vero che sempre Maria trionfò e sempre trionferà, è più che vero che questo secolo è, sopra ogni altro, il secolo di Maria, ed è il secolo della presenza, dell’assistenza, della tenerezza effusa e commovente di Maria, quali non videro, non intravidero, non immaginarono mai, e, meno ancora, godettero mai, i secoli andati! Pio IX aprì questa èra: quel grande Papa cui Dio elesse per il torbido periodo di faticose transizioni, che durano, e in molti aspetti crescono anche oggi. Il Papa, cui Maria confortò nell’angoscioso lungo e molteplice Calvario, confermando le parole di suo Figlio: Io sono con voi; e completandole, da buona Madre, coll’aggiungere a quelle divine parole, queste, tutte sue: Io vengo a voi! Io vengo! Come? Con tre visite. Tutte e tre solo per i nostri tempi; solo con intenzione, ed intenzione di madre; cioè come prova espressa e voluta di speciale e materno amore. Dapprima il domma dell’Immacolata. Le tante splendidissime verità concernenti la Madre di Dio, sono sempre vive nella Chiesa e brillano in ogni sua parte ed in ogni sua età. Ma giunge l’ora, anche per Maria, in cui una Madre vuole sentirsi dire dai figli, sopra ogni abituale affetto: Ti amo! E se una è santa: oh, madre santa! E se una fosse immacolata, come lo fu Maria sola: Tu sei immacolata, cioè senza macchia! E se una è bella, ed ogni madre agli occhi dei figli è bella: oh! come sei bella! E se una è bella perché anche Immacolata, e specialmente perché Immacolata e perché creata in proposito da Dio, e perché Ei etiam Dominus contulit splendorem, oh! come sei bella, tutta bella! Ecco perché esplose quell’inno che si canta con tanta allegrezza: « Tota pulcra es, Maria ». Onde, ciò che la Chiesa aveva sempre creduto e creduto anche a prova di sangue, giunse il giorno in cui lo volle definito. Definito, perché fosse vero? più vero? Lungi da noi. Definito, perché fosse proclamata una gloria di più; e perché una gemma di più fosse incastonata, a voce di popolo, sul suo diadema. Questo vollero, a questo aspirarono, questo giurarono le Nazioni più aderenti alle glorie mariane: l’Italia, con quel cuore che nessuno supererà, e che è cuore di Dio: Roma! La Spagna, che vanto, e così giusto vanto ne mena, e che si gloria, ed è vero, che a preparare, ad affrettare, a diffondere, a giurare il domma, fu essa! La Francia, coi suoi Santuari e col suo entusiasmo per ogni bellezza mariana. E così il Portogallo, così il Belgio e così l’America Ispana; così ogni popolo ed ogni città ed ogni villaggio, specialmente del vecchio e sempre giovane mondo latino. Onde Pio IX non poteva più differire: Egli, e con Lui l’Episcopato, e con l’Episcopato, l’universo. Dopo il domma, nel 1854, ecco subito la visita di soddisfazione, di gratitudine, di premio: Maria stessa si presenta e parla a Lourdes nel 1858. Quando mai, per il passato, erano accaduti due fatti così vicini e così incisivi nella storia della Chiesa e così lapidari, da restare eterni nel significato e nell’impressione del mondo? Pochi altri anni passano; ed il Concilio Vaticano, mentre, volgendosi al passato, emette una conferma, guardando al futuro, ci dà un’altra chiave per aprire il tesoro di Cristo;  chiave che esisteva, ma che diviene ora ufficiale; chiave di sicurezza, perché chiave di oro; chiave la più opportuna, e per il bisogno della Chiesa e per lo splendore della sua regalità, perché per l’uno e per l’altro sembra fatta questa estrazione dai tesori di Dio; chiave che non solo schiude i tesori, ma è essa stessa un tesoro ed un altro preziosissimo monile: l’Infallibilità!L’Infallibilità, per controllare la via, la misura e la garanzia della unità inscindibile della santa fede della Chiesa; e l’Infallibilità, per spianar e ancor più quella via, quella misura, quelle garanzie, e per rendere più spedito, per ogni caso, l’uso d ella divina e papale ed abituale prerogativa. E’ dunque infallibile il Concilio, ossia la Chiesa docente; uniti però al Papa! Ma il vero infallibile è il Papa; solo, o, se così accade, con il Concilio, cioè con la Chiesa Docente. Solo, perché se la Chiesa, e la Chiesa docente sono infallibili, per il Papa lo sono; Egli il primo docente: Egli il primo ed unico ed a sé bastante maestro: Egli l’unico, a cui, come a suo alter ego, Cristo abbia garantito che la sua fede ed il suo insegnamento « non deficient »! Pio IX, come tutti i suoi augusti Predecessori, l’aveva inteso e l’aveva compiuto per l’Immacolata questo divinissimo monopolio. Ma Pio IX non si reputò pago. Egli riassume nella sua pienezza l’autorità di tutti i docenti; e, a nome di tutti, e ratificando il pensiero del Concilio, convertì l’implicito e l’abituale in esplicito e solenne, e munì la Chiesa e tutti i Pontefici futuri, di un domma divenuto essenziale anche a credersi; credere cioè, pena il vedersi avulsi ed estranei alla Chiesa, che, in materia di fede e di costumi le labbra dei Pontefici sono quelle stesse di Cristo: infallibili! Avanzano intanto le dimostrazioni di quello incoercibile materno trasporto in pro della sua umana stirpe, che Maria volle riservato ai giorni nostri; dimostrazioni per lo innanzi non viste, ma che ora si vedono crescere a misura della crescente umana freddezza e del bisogno, e perciò, ma per la ragione dei contrari, dell’affetto di Maria. L’uomo si allontana da Dio e si attacca alla materia, con tanto maggiore oblio del celeste suo destino, quanto più ha visto e gustato i progressi del basso mondo. E Maria lo cerca, lo raggiunge, e da Madre gli dice: mi vedi? Ecce Mater tua! – Arriva così l’anno 1917. E’ scoppiata la guerra! La prima guerra mondiale, che scuote per sempre quel po’ di equilibrio che era rimasto sulla terra, ed infrange le vetuste e secolari tradizioni di costumi, di contentabilità umana, e di ordine. Giunge così l’anno in cui la lotta è al massimo del suo bollore, e gli uomini al massimo della effusione di fraterno sangue. Ed allora, ecco che Maria ripete la visita. Mirabile visita quella del 1858 a Lourdes! Più mirabile la nuova, del 1917. Dove? Colà dove meno si penserebbe. Nel deserto lontano più sconosciuto, del cattolico Portogallo; e, come sempre, a bambini; a tre bambini; a tre pastorelli; a tre innocenti! Eccoci dunque a Fatima! La Donna del Cielo incede e parla. A Lourdes si era annunziata quale è nella sua qualità primordiale: Io sono l’Immacolata Concezione! A Fatima, si descrive con le qualità che assunse con San Domenico: Chi sei dunque? « Io sono la Vergine del Rosario! ». E poi, si descrive ancora, e prende il tono consentaneo agli scopi della sua venuta; il dolore! Io sono la Madre dei dolori: la Addolorata! Ma spiegaci, Chi sei?, o Vergine del Rosario! Che cosa ci annunzi? Penitenza! Bando al peccato, dal quale troppo è offeso il divino mio Figlio! Conversione, conversione, conversione! Sempre uguale la parola di Cristo e quella di sua Madre: la parola di ieri e quella di oggi! Penitenza! Non peccare! Convertirsi! E con quali ammonimenti? Con quelli della giustizia divina! con l’inferno stesso, minaccia sempre incombente. – E quali mezzi ci porgi? Due mezzi; uno che è un segreto e non mai avrebbe dovuto esserlo: Il Cuore mio Immacolato; ed un altro che è antico e familiare: il Rosario! E chi è che questi mezzi prescrive? Il Rosario, io. Recitatelo ogni giorno. Il Cuore mio Immacolato, il Figlio mio divino, che a questo Cuore vuole la consacrazione del mondo. E, da ultimo, il suggello. Io farò un grande miracolo! Maria non aveva mai parlato così, da Cana in poi. Persino un miracolo promette; anzi il primo miracolo, che sia stato solennemente promesso; il più grande quindi, il più atteso, il più sbalorditivo e stupendo; il miracolo più ineffabile, il miracolo più terrificante!

* * *

E poi: venite, o bambini, e venite per sei volte: il 13 di ogni mese, a cominciare da oggi! I bambini rimangono attoniti; hanno udito la voce di altra madre; più madre di quella terrestre; madre di essi e Madre di Dio: ed obbediscono. L’apparizione, dapprima segreta, comincia a propagarsi; viene risaputa, perché nessun segreto ha imposto Maria; ed anzi, chi non stimerebbe un dovere, rivelare le glorie della Madre? I tre bambini vanno, ed attraggono. Poco a poco, nel corso di quei mesi, il villaggio, ed anzi la regione, ed anzi la Nazione, a mano a mano che le mensili apparizioni si succedono, tutti porgono orecchio ai racconti, alle rivelazioni, a quel suono di voce celeste, che è la voce della Madre di Dio, e che, come sussurro di aria lieve, non schianta, ma accarezza, si spande, e riempie, come per l’eco d’incanti, il fortunato paese. La regione è piena della buona nuova; un Vangelo; il Vangelo, il buon annunzio di Maria si diffonde; dalla terra e dal cielo! – Ma anche alla venuta ed anche alla voce, ed anche all’invito di Maria, il mondo si ribella. Che sciocchi, siete, o bambini! Quale superstizione! Che credulità! Sono fole di bambini anche queste! Ridicole cose, nel secolo della scienza! E le autorità, sprezzanti e premurose, risolute ad imporre fine alle dicerie, alle favole, ai commenti, alle aspettazioni di un misero popolino, mandano guardie e gendarmi: le buone guardie ed i buoni custodi dell’ordine, che hanno, purtroppo, anche il dovere di obbedire! – I bambini sono presi; sono cacciati in prigione; sono minacciati. Ma la verità sgorga sempre limpida, dai cuori limpidi, incapaci di inganno! L’abbiamo vista! L’abbiamo udita! Farà un miracolo: E la verità, ripetuta tante volte, quante volte quel compressore autoritario passa su di loro, è sempre la stessa! Non poteva non essere la stessa. – Grandi date: il 13 maggio ed il 13 ottobre del 1917. Quella, la prima, era passata, e nessuno, in quel giorno, ne parlò. Quest’altra giunse anch’essa; ma tutto il popolo, il popolo delle attonite contrade, lo aspetta, e all’alba del giorno, tutto il popolo, fino a settanta mila. tutto si riversa su Fatima. Misteri di Fatima! Erano cominciati il 13 maggio; ed oggi, 13 ottobre, si compiono! Le moltitudini, impazienti, sono là; ad attendere. Pioveva! Quale sarà il miracolo? Cessa la pioggia, ed appare il sole! Oh, davvero i misteri si compiono! La luce soave, della Dama, si espande. La Dama, solo i bambini la vedono. La luce, tutto il mondo. Tenebre alla morte di Cristo. Luce all’arrivo di Maria. – Si oscura il sole, alla morte di Cristo. Giubila e danza il sole, mostrandosi Maria. Sì, giubila e danza; è l’agnellino saltante, in obbedienza alla gioia ed in ossequio a Colei che è la Regina del Sole! Il sole, dunque, il pacifico sole, che solo Giosuè, per vincere, fermò, e la cui ombra solo il Profeta, per attestare la parola di Dio, fece indietreggiare, prende a muoversi; a girare; a girare e rotare, come ruota di fuoco; adare sbalzi, a segnare una curva, ad imprendere una discesa, a lanciarsi ad una caduta, a staccarsi dal firmamento, a precipitare ed a piombare sulla moltitudine! I colori dell’Iride, emananti all’improvviso, isolati, o frammisti, dalla sfera solare fatta simile a disco di argento, avvolgono la regione e si succedono in visione apocalittica, riflettendosi sui volti, e cangianti, essi e di volti, ad ogni istante. Grida, lagrime, invocazioni, sospiri, riempiono l’aria: miracolo! Vergine santa! Misericordia! Perdono! Il sole che presta omaggio alla sua Regina, il sole che i colori suscita nelle meraviglie, ma non nello spavento; il so1e che, se tramonta, tace, ma se risorge non semina che vita, aveva cessato per un istante il perpetuo suo ministero; ed aveva dato un segno: signum Dei! Terribile segno! Quando mai si era visto somigliante terrore, e quando mai a lato ed a corteggio di quella Dama che è il sorriso di Dio? Signum magnum apparuit in cœlo! La donna vestita di sole, aveva scosso sull’universo un nuovo paludamento, quello del sole, non più sole, ma astro di ammonimento. Il sole aveva danzato; si era inchinato alla sua sovrana: aveva rivolto un saluto alla terra; ma qual saluto! Terribile saluto, e saluto non di meno, di Maria, la Patrona dei penitenti e dei convertendi, e che, dopo sei visite, e sei colloqui e sei materni sguardi, improntati a così grande e così materna tristezza, prendeva congedo dai bambini e dal popolo. Cessa il miracolo. E tutto il popolo, l’immenso popolo, riavuto dallo stupore, rimane cogli occhi al cielo, come per cercare Colei che il prodigio, l’atteso prodigio, il più grande prodigio dei secoli, aveva, per amor del popolo, operato; e con singhiozzi e con tremiti, va ripetendo: Miracolo! Miracolo! Vergine santa, misericordia! Vergine Maria, pregate per noi! Perdono! Perdono!

COINCIDENZA PRESAGA

Fatima trovasi cronologicamente prima della Assunta; intendo dire, prima della definizione del domma di Maria Assunta in cielo. Ma Fatima sta, ideologicamente e cronologicamente, come vedremo, intrecciata e connessa col domma dell’Assunta. E Fatima, infine, segue il domma, e corona, come col diadema più grandioso, di grazie, di gloria, di gratitudine, Maria, il Cielo, il prodigio dell’apparizione, e quella devozione universale e gigantesca che circonda l’umile e grandissimo Santuario, e che, sotto ogni aspetto, è offerta da Maria, ed è voluta da Maria! Non fu così per il domina dell’Immacolata. Venne questo dopo la maturità dei tempi, dopo il clamore incessante dei devoti, dopo le postulazioni di ogni Nazione, di ogni ceto, di ogni secolo. E neppure fu così per il domma dell’Assunta, preceduto da eguale credenza, da identica professione mondiale, da invocazioni in nulla dissimili, affinché l’Autorità suprema non più oltre indugiasse a redimere la fronte della Regina di questo venti volte secolare diadema. L’Assunta seguiva, sì, l’aspirazione dei secoli; ma essa ha con Fatima, la improvvisa Fatima, questo identico contrassegno: essa arriva in quello che tutti abbiamo chiamato e proclamato il secolo, il momento, il trionfo di Maria. E Maria, per amor nostro e per accompagnare i nostri voti, ha voluto, quasi per incoraggiare alla celeste proclamazione, visitarci. Essa stessa! In immagine, o nel corpo? La Chiesa lo sa. Noi amiamo credere quello che la Chiesa crede. Ma i fanciulli sei volte la videro e con essa conversarono! Era Essa dunque, Maria, la gran Madre di Dio! Onde, come Cristo, risorto, ci visitò col suo Sacro Corpo, oltre che ci è sempre presente con la Sacrosanta e reale Eucarestia, così non è alieno dal vero il pensare ed il credere che Maria Assunta al Cielo, e alla vigilia del Domma nuovo, abbia voluto visitarci con le sue carni benedette per dirci: Ecco Colei che fu Assunta! A quella guisa che la pia tradizione della Cattolica Spagna, ricorda nel Santo Pilar, colonna come di Roma, ed immortale trofeo di Saragozza, la Deipara in carne! Precedette, dunque, con un avvenimento il più clamoroso ed il più benevolo dei nostri tempi, la definizione del domma; e la definizione del domma, con tanta preparazione di Mariane grazie, indubitatamente e da vicino preparò; e la medesima, con certissime voci del Cielo, da vicino seguì: voci mirabili, voci intenzionate, voci le più significanti, come qui appresso descriverò. – Intanto, è mio dovere di accennare che Fatima, in tutto il corso dei 35 anni che si successero alle apparizioni del 1917, fu da Dio e dalla divina Madre costantemente associata, legata e predestinata al Pontefice Pio XII, e conseguentemente, al domma dell’Assunzione e ai più rilevanti atti del governo religioso del nostro Papa. – Legata ed associata al Papa? Legata all’Assunta? Legata ai più salienti atti del Pontificato di Pio XII? E’ storia questa della Divina Provvidenza sul mondo, e più ancora della vigilante cordialità con cui Maria Santissima, qual Madre amorosa, che non abbandona, ma tanto più avvicina i figli quanto più perigliosa è l’ora, si fa a noi dappresso, guida i nostri passi, impetra i divini soccorsi, ed ispira il pensiero e la sollecitudine e si fa quasi maestra e mediatrice del Capo della Chiesa per il bene della Chiesa. – Certo, l’opera e l’intervento di Maria nel mondo sono abitualmente e ad ogni istante così veri ed attivi, che l’uomo, distratto, esiterebbe a crederli, a comprenderli, a riconoscerli nella loro costante e palpabile realtà. Il fedele lo sa; ma non ne misura l’ampiezza. Il fedele lo implora; ma reputa, quando lo consegue, non altro che una eccezione per lui, ciò che è per la universalità una incessante effusione. D’altronde, non è forse vero che Iddio, omnia nos habere voluit per Mariam? E se tutte le cose volle che noi ricevessimo dalle mani di Maria, non è Maria associata a tutte le grazie, che a noi sono dispensate, siano esse grazie con il nostro affanno impetrate, siano grazie, favori e doni, che la munifica liberalità divina ad ogni istante spontaneamente ci prodiga, cominciando dal dono della esistenza, della fede e dell’amore verso la Gran Madre? – Ma per Pio XII Maria, e Maria di Fatima, ha voluto essere Madre e Madre tanto presente, come non lo fu per nessun altro, come non lo fu per nessun Pontefice; come non lo fu, se non per Giovanni l’Evangelista! Tredici Maggio del 1917! Lo ricordo come di oggi. Eugenio Pacelli riceveva nella Sistina la Consacrazione Episcopale dalle mani del Pontefice Benedetto XV, che lo aveva eletto Arcivescovo di Sardi e Nunzio Apostolico in Baviera. Io, antico suo compagno e collega nella Segreteria di Stato; io, che non potevo scrutare il futuro, e solo intravvedevo nel Pacelli il fondamento, il principio e l’indubitabile protagonista, io era tra gli assistenti, e tra gli assistenti palpitanti tutti di allegrezza e di commozione per la elevazione del diletto amico, ma anche palpitanti di rammarico, perché l’augusto rito non consacrava solo l’elevazione del più degno Prelato di Roma, ma anche la lontananza; lontananza da Roma, dalla sua Roma, dai compagni, dagli amici, dal Papa! – Io era colà; e seguiva il rito, e cantava, con la voce dei suoi Parenti, Padre, fratello, nipoti, ma non della Madre, votata già al Cielo, il Te Deum, che ricordo persino nelle sue note! Mancava la Madre, quella cui, dopo Dio, spettava il merito di tanto figlio, e l’esultanza di così chiara intronizzazione! ,, – Ma perché non mi concesse Iddio di vedere, o, per lo meno, di figurarmi, presente allora nella Sistina, l’altra Madre sua, Maria, proprio allora, proprio in quegli istanti, discendente Augusta Visitatrice, sul mondo, ed annunziante un periodo nuovo, un Pontificato nuovo, che doveva essere associato al nome di Fatima, e verificarsi non più di 22 anni appresso, ed iniziante una nuova straordinaria arcana Provvidenza, e sul novello Presule, e sulla Chiesa, e sul mondo? Imperocché, proprio allora, oh! mirabile divino incontro e celestiale convegno di Cielo e Terra! proprio allora Maria, la celeste Madre del futuro Papa, stampava le auguste orme sulla deserta boscaglia di Fatima! Proprio in quel giorno, mentre sul giovanissimo Arcivescovo scendeva la pienezza del sacerdozio, e di grazie predestinate lo inondava lo Spirito Santo, Fatima si delinea va sull’orizzonte, per non esserne più cancellata, e per di venire anzi la guida più alta, la protezione più significata, che doveva essere il motore di un Pontificato, di un’era, di un mondo! Il mondo non lo sa ancora; ma è d’uopo che non ignori, con quanta benevolenza Maria Santissima di Fatima, la Messaggera della più consolante novità voluta dal Figlio, nella conversione della umanità, nella pietà delle genti, nelle grazie, nelle ispirazioni, nei portenti, abbia a Se avocato i destini ed i progressi del futuro Pontificato, allora adombrato, e del futuro Pontefice, allora dotato della pienezza del Sacerdozio, cui solo mancava la pienezza del Primato! Legami? Certamente, e molti, e singolarissimi, e tali che possono, essi soli, spiegare il cammino di Pio XII.

Primo legame e prima coincidenza! Giungono insieme, simultaneamente, come ad un appuntamento del Cielo e della terra, la Vergine di Fatima e quell’Episcopato, che andava a preparare il Pontificato del Papa Pio XII; del Pontificato di Eugenio Pacelli, ma più specialmente il Pontificato che Maria doveva far Suo. Imperocché, ogni Pontificato ed ogni Pontefice sono sotto l’egida di Maria, e sono amati da Maria. Ma per Pio XII la Vergine di Fatima riservava un affetto che solo per Pietro, il primo Papa, si rese eminentemente manifesto. Pietro rinnegò: fece al suo Maestro e Benefattore la più sprezzante delle offese: non lo conosco! Ma Maria, come Cristo nel Pretorio, ebbe per Lui uno sguardo particolarmente, generosamente, vittoriosamente materno; uno sguardo come ad un figlio caduto, ma che ha cuore per rialzarsi. Va da Gesù! digli che lo ami! Ti perdonerà! E Pietro non finì, come Giuda, vinto dalla disperazione. Fu uno sguardo quello, per degnazione quasi vicino allo sguardo che Cristo volse a Giovanni dalla Croce, nominandolo ad una dignità, infinitamente più grande di quella riservata a Pietro: la dignità di Figlio di Maria! Non di Vicario, ma di vero Alter ego suo, al cospetto, nel Cuore, e nella vita e nella casa di Maria, sebbene casa di Giovanni! Ma per Pio XII lo sguardo che nei secoli gli teneva riservato Maria, fu indicibilmente più materno. Fu uno sguardo, dillo tu, o Dante, che la vedesti:

a più di mille angeli festanti,

ridere una bellezza che letizia

 era negli occhi a tutti gli altri Santi! (Paradiso, XXXI, 125)

Uno sguardo non di misericordia, come emanante da illos tuos misericordes oculos; non di perdono, quale ne ha e ne avrà sempre per ognuno di noi; non di risurrezione, quale per Pietro et prò nobis peccatoribus; ma sguardo, tutto amore della Madre del bell’amore, e, solo, il più simile a quello che, da Cristo e da Maria, l’unico Giovanni conobbe. Egli è che Iddio amava Eugenio Pacelli, e amò il Pontificato di lui; e per darne una prova, anche a noi intelligibile, pose e rese manifesto quell’amore nel Cuore di Maria, sotto il manto di Maria, all’insegna della Madonna, la Visitatrice, per lui e per noi più recente, più toccante, più universale: la Madonna di Fatima!

IL PAPA DI FATIMA

Coincidenza dell’Apparizione Mariana e dell’Episcopato del nuovo Pio; e coincidenza e legame della nascita alla vita e della nascita al Pontificato; ed è la seconda. Nacque dunque due volte Pio XII? Nessuno nasce due volte. Solo si quis renatus fuerit ex Spiritu Sancto, rinasce! ed è vera nascita e migliore nascita. Oppure, si quis renatus fuerit, dalla nostra più vera madre, la Madre che ci è Madre e Regina! Non solo dunque alla Madre Provvidenza o alla Madre Chiesa, Madre in senso più lato delle due vere Madri; ma anche all’altra più vera Madre noi lo dobbiamo questo Pontefice, mariano per intero; la quale, mentre il mondo vede che il Pacelli nacque il 2 marzo dalla madre terrena, volle che lo vedesse nascere, il 2 marzo, anche da altra Madre, che allora il mondo non poté comprendere, ma che i 15 anni, già registrati in questo predestinato Pontefice, dovevano rivelare, Madre di Dio, Madre di Fatima, e, attraverso Fatima, Madre specialissima sua.

* * *

Fu un caso? Il caso per un cristiano? Per un Papa? E fra i Papi, per il Papa Pio XII? Fu provvidenza: ma fu Provvidenza della Madre della Provvidenza, che, come ventidue anni prima, per l’Episcopato, così lo volle in identica data e di un ulteriore genetliaco dell’anno 1939 sotto la stella di quell’invocazione, che doveva dal nuovo Papa glorificarsi: Fatima! Solo così e giova ripeterlo, si nasce due volte: dallo Spirito e dalla Madre, comune a noi, ma particolare a Lui. Solo così ha un significato, e non è illusione di caso, il 2 marzo per Eugenio nascente in Roma e il 2 marzo per il Pacelli nascente alla più alta dignità Vaticana e del mondo. – E solo così, tale è la nascita quale è la vita, e, per converso, quale è la vita, tale è la nascita. – Dice bene S. Gregorio Magno: non passi mai per la mente dei fedeli il pensiero che esista il fato. – Non il fato, ma la stella esiste. E se si vuole questa stella, la più bella delle stelle, la Regina delle stelle, essa fu il bel fato di chi nacque a Romana Cattedra in quella stessa data, il 2 marzo: la Stella di Fatima che non cessò e non cesserà di splendere per tutto il Pontificato di Pio XII. Fu la sua stella e non cessò di splendere: ogni più eminente grazia di Maria verso il suo Papa lo conferma; ogni più brillante iniziativa di Pio XII, quasi eco alla guida Mariana, lo comprova. Non caso dunque ma stella voluta e inseparabile: la Madre di Fatima, divenuta Stella di Fatima.

LA CORONAZIONE CANONICA DELLA VERGINE DI FATIMA

Una terza coincidenza ed un terzo legame: la coronazione canonica.  La Vergine di Fatima non aveva tardato a sperimentare la riconoscenza, la devozione, l’amore e il santo e legittimo orgoglio del Popolo Portoghese, ricevendo il nazionale ossequio di una corona dell’oro Imperiale Lusitano. Ma quella glorificazione non proveniva dall’Autorità Apostolica. Cosicché non passò molto, e popolo e Autorità tutte, e primo l’Episcopato, convennero nel supplicare il Pontefice di degnarsi di onorare Maria della Corona Papale. Ed un Cardinale partì da Roma; il Cardinale che più di ogni altro Porporato aveva legami col Portogallo, per avervi vissuto, in silenziosa rappresentanza della Roma che non abbandona, i tempi della tribolazione: il Cardinale Aloisi-Masella. Ed  egli ebbe la ventura, nel maggio del 1946, di fare in terra quello che l’Eterno Padre nel Cielo: porre sulla fronte augusta della Regina di Fatima la Corona più insigne che alle Immagini di Maria possa la Chiesa decretare: la Corona che venga per diretta autorità, deliberazione e Missione del Vicario di Cristo. Quale Vicario? Pio XII. Ora, questo altissimo riconoscimento si conferisce ai Santuari ed alle Immagini, i quali abbiamo vetustà massima di culto, di storia, di omaggio dei popoli. Ma Fatima è, tra tutti, il santuario più recente. Perché dunque, a Fatima, e per le mani di un Porporato che si parte di proposito da Roma? Perché Fatima sta a cuore al Vicario di Cristo, come cosa sua: e la Corona ha il valore di tributo del Portogallo e del mondo: ma più personalmente, del Papa! Ed anche perché Fatima ha vinto i tempi e le tappe, e si è posta all’avanguardia della storia.

FATIMA E L’ANNO SANTO

Ma una coincidenza havvi tra il Papa e la Vergine di Fatima, che giunge a grado veramente intimo, e agli occhi umani quasi occulto; grado per conseguenza il più commovente, il più arcano, il più pontificio e Mariano e il più universale: l’Anno Santo. E più che nella prima che nella seconda coincidenza, qui cominciano i misteri. Certo, tutto è mistero nella vita dei Papi. Papa e Chiesa sono mistero; e l’opera di Dio nel governo della Chiesa, è essa, più che mai, a chi voglia scrutarla, un mistero: un mistero continuo, ed universale: che non si comprende, ma subito si intende; che anzi, spesso, quasi a contrastare col mistero, si vede. Ma più assai lo è stato e lo è nella vita di Pio XII, ed in particolare per Fatima! Quale è stato, fra i recenti, il più grande mistero, nella universalità, nella diretta mira alle anime, nella dispensazione del Sangue preziosissimo? L’Anno Santo! Mistero perché lo ha indetto il Papa? No: ma perché apre le più arcane vie alla salvazione delle anime: perché le chiama, le invita e quasi le costringe; perché rinnova l’invio di Giona a questa popolosa, ricca e dissipata città, che è il mondo; e fa levare, nella voce del Papa, la voce del Profeta, che clama: “Ecco il tempo accettevole! ecco i giorni della salvezza!” – Questo aspetto, peraltro, è proprio di ognuno degli anni Santi. Ma il nostro, che cosa ebbe di proprio? Ebbe l’ispirazione, ebbe lo spirito, ebbe gli intenti, ebbe le parole stesse di Maria di Fatima: cosicché, se esso ha caratteristiche, queste sono di Fatima. – Annunzio di Fatima: pregare; riparare; mortificarsi; pentirsi dei peccati; soffrire per i peccatori; cessare dalle offese al Divin Figlio, che ne è troppo contristato; convertirsi! Programma di Pio XII: guadagnare le Indulgenze, dischiuse nell’Anno Santo con insolita larghezza, sì; ma ad un solo scopo! Facilitare il pentirsi! il convertirsi! il trasformarsi! l’Anno Santo, dopo le sventure e le aberrazioni della più esiziale delle guerre, dovrà essere una meta ove il pio pellegrino giunga per dire, abbracciato al Collo del Padre: Peccavi! E a chi si ravvede (e tutti sono chiamati a ravvedersi), è offerto, a gran voce, con l’esempio del Papa che precede le folle, portatore del Crocifisso, con le esortazioni di ogni discorso, con le istruzioni per ogni pellegrinaggio, con i riti di Roma, con le provvidenze apprestate in ogni Basilica, il perdono, ed anzi il gran perdono; grande, perché a tutti si estende; e grande, perché a tutti è diretto, e col perdono, l’invito al ritorno. Ed anche questo, il gran ritorno, si vuole sia ritorno di tutti, sia rigenerazione cristiana di tutto un mondo folleggiante e corrotto, sia l’allegria nel cielo e nella terra, negli Angeli e nei giusti  sia il gaudio super uno peccatore pœnitentiam ægente, e, ad uno ad uno, il gaudio sopra tutti i peccatori, chiamati a dire: basta! Non è questo l’avvertimento, non è questa la aspettazione della nostra Madre di Fatima, quando lanciò, da Madre misericordiosa, una voce che precedesse questo Anno Santo penitenziale e che tutti i figli convocasse? Non è questa l’ansia del padre della parabola evangelica, non è questo l’anelo rinnovato in Pio XII, che sta in sospirante attesa del figlio peccatore, e sta spiando da lungi, da lungi, come dall’anno ’17 al ’50, ed aguzza la vista, e scorge al fine il figlio e, arrivato, lo abbraccia, e lo colma di paterno perdono e di paterna consolazione, ed accogliendo, ed abbracciando, i figli, ad uno ad uno, a tutti si prodiga, a tutti parla, a tutti si fa tutto, profondendo con quanto vi è di cuore in un’anima angelica, la gioia che fa piangere, la commozione che fa sussultare, l’impulso che fa convertire? Chi conosceva un anno santo così penitente, santificante, convertente? Chi ravvisava nell’Anno Santo del 1925, in quello della Redenzione del 1933 il messaggio penitenziale di Fatima? Eppure Fatima esisteva; ma l’eco non si era propagata. Giunse l’ora del Papa, che raccolse e irradiò la voce di Fatima e considerò suo compito dar opera agli Augusti Materni ammonimenti. Onde subito appare la coincidenza; messaggio di Fatima e messaggio dell’Anno Santo, Fatima ha voluto, Pio XII ha promulgato. Sia benedetta Fatima! Sia benedetto il Pontefice di Fatima! – Ecco dunque Fatima in Roma, ed ecco, come sempre e come in ogni atto di Pio XII, Roma che guarda Fatima, e segue Fatima e, direi, obbedisce a Fatima.

ROMA E FATIMA

Vi è, e vi può essere, una quinta coincidenza? Non la quinta sola, ma molte altre, e tutte tanto coincidenti, da creare una cosa sola: Fatima in Roma, e Roma in Fatima. Roma in Fatima! Chi lo avrebbe potuto dire e pensare, soffermandosi alle sole parole Roma e Fatima, o riflettendo solo ad altri Pontefici, ma lontani da Fatima, o non strettamente convergenti con il programma di Fatima? Ecco, invece, che in verità, Roma va a Fatima; Roma sceglie Fatima; Roma convoca il mondo a Fatima; Roma crea per un giorno, centro del mondo cattolico, un’altra Roma; la Roma che fu creata ed eletta da Maria, nell’umile ma celeste Trono di Fatima. L’Anno Santo, il Romano, è già celebrato ed è già conchiuso: in Roma, come era di ragione. Ma è celebrato ed è da chiudere anche l’Anno Santo Universale. – E dove celebrare la mondiale chiusura, fra i tanti Mariani Santuari che sarebbe sempre caro additare, come fu bello, per il Papa Pio XI, scegliere ed additare Lourdes? – Un consiglio giunge ispirato; ed ispirato da Maria, la patrona dei due Anni Santi nell’unico Anno Santo: Chiudere l’Anno Santo universale e penitenziale a Fatima! Porgere alla Madonna di Fatima, in testimonio di riconoscenza, l’omaggio del mondo intero; ritornare a Fatima, compiuta, la voce della penitenza da Fatima partita; trasferire, per memorande ore, il Papa a Fatima, nella persona del suo Messo, e dire alla celeste Vìsitatrice ed ispiratrice: ecco ai Tuoi piedi l’Anno Santo, che hai voluto! Eccolo: poni ad esso il sigillo della tua materna soddisfazione e del tuo premiante sorriso. – Che cosa è Fatima? Una deserta e monotona boscaglia, ove nulla ha di grande la terra; ma dove tutto ciò che nel cielo e sulla terra è di più grande, risiede, irraggia ed impera con la semplicità che non domanda contorni; la presenza della Gran Madre di Dio, nella più recente visita al mondo! Io vi arrivai la sera del 12 ottobre; avevo attraversato duecento chilometri della bellissima terra Lusitana, fra le acclamazioni d’ogni villaggio e fra il tripudio filiale delle borgate più umili e più entusiaste, tutte filialmente osannanti al Papa. Era già notte, e piovigginava. – La spianata, ove il Santuario sorge, è smisurata. Le genti pellegrine si perdevano a vista d’occhio. – Sorge il Santuario? Certo; ma io non lo trovai. Trovai solo una impercettibile e quasi invisibile Cappellina, eretta sul luogo ubi steterunt pedes eius! Tanto piccola, che io non fui invitato ad entrarvi. Io genuflessi dunque al di fuori, dinanzi alla piccola porta; e lì, con gli occhi della mente e del cuore all’Apparizione, depositai quanto di affetto potevo e se come umile pellegrino, e quanto di omaggio potevo apportare come Legato Pontificio. Con preci e con canti, e con pioggia e con freddo, fu salutata la Madonna da tutto il corteo e dall’innumerevole concorso. E poi ci ritirammo in piccola casa, inizio delle costruzioni che la celebrità del luogo domanda, e che l’affluenza! non già Romei, ma visitanti internazionali mariani, di anno in anno sempre più richiede, anno in anno sempre più abbisogna. – Io ho appreso che cosa è Fatima. L’ho appreso più nella vigilia che nella festa; e direi meglio, più nella notte che nel gran giorno. – La notte era caduta, ma non sulla quiete, sul silenzio, sul sonno; bensì su di un mare vivente, vibrante e palpitante di innumerevoli fremiti. – Mare, non di onde, ma di gente. È nella solitudine di quei campi, simili ad un deserto, in quell’altipiano silenzioso e solenne, spoglio di opere umane, di Basiliche, di alberghi, di asili, di ritrovi riposanti, e persino, direi, di case, che non siano un inizio di futuri edifici, una sterminata moltitudine, quasi arena in littore maris, che l’occhio non abbraccia, e tutta assorta in null’altro che in Maria! tutta tendente, braccia, cuori ed occhi, a Maria! tutta trasportata da un amore che a Fatima diventa visibile: l’amore a Maria! Ma anche più è amore quel che l’osservatore vedeva, e quello che io, da una finestra osservava. Tutti in piedi! In piedi, tutta la notte; sotto le fredde gocce! I piedi, nel fango! Una coperta sulle spalle! Gli occhi tutti fissi all’istesso punto! E cantando; cantando sempre, e spandendo nell’aria una letizia, una pietà, una unità di pensiero, un ardore di entusiasmo, che io non vidi in nessuna Basilica, che io non vidi e non è possibile vedere neppure in Roma. E sopra questo spettacolo, sopra questa scena nuova, sopra questa paziente e maestosa devozione, giganteschi riflettori, passeggianti fra le tenebre, con fasci di luce bianca, vivace, frettolosa, che pareva si affacciasse a continui getti per contare non le persone, ma i popoli. Erano come raggi dalla pallida luce, lanciati da quella lima che le nubi occultavano, ma che è sempre sub pedibus eius; ai piedi di Maria! Ecco Fatima! Ecco la fede! Ecco la corrispondenza alla voce di Maria! Ecco l’Anno Santo, condensato nel programma di Maria! – E il dì seguente, 13 ottobre, il gran giorno della universale chiusura di quel caro Anno Santo che ci sfuggiva, la stessa fede, la stessa fiamma, le stesse turbe infinite, la stessa penitenza; ma anche la stessa serenità, la stessa letizia, la stessa giocondità, la stessa unità di Famiglia. E mentre incede in quella foltissima massa il Rappresentante del Papa, procedente al grandissimo e non più visto Pontificale, il grido unanime, appassionato, incessante, inestinguibile di: Viva il Papa! Ed io ne1 cuore ripetevo: Viva il Papa di Fatima! Viva i figli di Fatima! Viva il Portogallo, ospitale a Maria ed al mondo! E tutti genuflettevano a quella, che era nell’ombra della Benedizione del Papa! Ma vi era, visibile e sensibile, la Benedizione di Maria! – Il Pontificale si svolse, e l’Apocalisse, l’ispirato quadro raffigurante i seniori del cielo attorno all’Aquila, e i canti delle millia millìum, osannanti e giubilanti, parevano volere descrivere tutto, in confronto di quelle maestose schiere dei nuovi seniori, i Cardinali ed i Vescovi, i Reali, i Governanti, i Dignitari, gli Ambasciatori, e quanto conta di grande e nobile l’universo, allorché l’universo si ricorda di ciò che è pietà, di ciò che è grazia, di ciò che è amore, di ciò che è il suo debito verso la Regina del Cielo. Oh, fortunata Fatima! Oh fortunata Lusitania! Oh fortunatissimi, fortunatos nimium, direbbe Virgilio, voi, o Portoghesi, di gran lunga più fortunati perché glorificati da questa trionfatrice èra di Maria, beati! Beati voi, che, come già alla chiamata missionaria, rispondete ora bellamente, fervidamente, specchiatamente, alla chiamata Mariana, e scrivete, agli occhi del forestiero, anche d alla privilegiata montana  terra di Fatima, le antiche parole della vostra nobiltà celeste: Terra di Maria! Beati, perché a voi guarderanno tutte le generazioni, e perché le vostre gesta gloriose, se non saranno superate da uomini, Maria, sì, lo sono; voi ne godete, e per essa, e per voi, e per tutti!

 

CALENDARIO LITURGICO di AGOSTO: il mese che la CHIESA dedica all’ASSUNTA e al Cuore Immacolato di Maria

Agosto è il mese che la CHIESA dedica all’ASSUNTA e al Cuore di Maria

NOVENA IN ONORE DELL’ASSUNZIONE

DI MARIA SS.

(Comincia il dì 6 Agosto).

Deus in adjutorium, etc. Gloria Patri, etc.

– I. Augustissima Madre di Dio, e sempre Vergine gloriosa Maria, per l’apparecchio che faceste al vostro felice passaggio da questa terra al Cielo, menando una vita distaccata da ogni cosa terrena, ripiena di un cumulo immenso di meriti e di virtù, e tutta di Dio; ottenetemi grazia, che a vostra imitazione io viva con un cuor distaccato da tutte le cose di questa terra, e attenda da vero alla perfezione del mio stato, avanzandomi continuamente nell’amore di Dio. Ave Maria, etc.

– II. Augustissima Madre di Dio, e sempre Vergine gloriosa Maria, per l’assistenza che fecero al vostro felice transito non solo gli Apostoli e gli Angeli del Paradiso, ma lo stesso vostro divin Figlio amantissimo, nelle cui mani consegnaste immacolata l’anima vostra; ottenete anche a me colla vostra potentissima intercessione, che dopo di aver menata una santa vita, io faccia una morte felice, assistito da Voi, dal vostro divin Figliuolo, e dagli Angeli del Paradiso. Ave Maria, etc.

– III. Augustissima Madre di Pio, e sempre Vergine gloriosa Maria, la cui morte fu un puro effetto del vostro veemente amore a Dio; ottenete vi prego, anche a me questo divine amore, affinchè io pianga da vero i miei peccati in tutta la vita mia, e l’ultimo mio respiro sia un atto di perfetto dolore di averli commessi, e di perfetto amore di Dio. Ave Maria, etc.

– IV. Augustissima Madre di Dio, e sempre Vergine gloriosa Maria, il cui corpo benedetto non vide dopo morte la corruzione, ma riunito alla vostra sant’anima meritò di essere trasportato dagli Angeli al Paradiso; ottenete, vi prego, anche a me, che la mia vita e la mia morte siano tali, che io meriti nel giorno dell’universale Giudizio la gloriosa risurrezione dei giusti. Ave Maria, etc.

– V. Àugustissima Madre di Dio, e sempre Vergine gloriosa Maria, per quella gloria immensa di cui Iddio vi ha coronata nel Cielo, il Padre come sua dilettissima Figlia, il Figlio qual sua direttissima Madre, lo Spirito Santo come sua dilettissima Sposa; ottenete, vi prego, anche a me di esser partecipe di questa vostra gloria, e di menare per ciò una vita tale da meritarmela. Ave Maria, etc.

– VI. Augustissima Madre di Dio, e sempre Vergine gloriosa Maria, per quel posto sublime in cui Iddio vi ha collocata nel Cielo, superiore a tutti gli Angeli e Santi del Paradiso, che vi tributano tutti gli onori qual loro Signora e Regina; vi prego di ammettere anche me nel loro numero, ottenendomi grazia che io vi onori incessantemente come Voi meritate, per così meritare il vostro potentissimo patrocinio in vita e molto più nell’ora della morte mia. Ave Maria, etc.

– VII. Augustissima Madre di Dio, e sempre Vergine gloriosa Maria, per quel potere che Iddio vi ha dato nel Cielo, costituendola Regina dell’Universo, e Tesoriera delle grazie, che Iddio a noi concede; ottenetemi, vi prego, tutte quelle grazie che mi bisognano per fare condegna penitenza dei miei peccati per non offendere mai più Dio, per amarlo con tutto il cuore sino all’ultimo respiro di vita mia, per poi goderlo insieme con Voi e ringraziarlo in eterno sì della gloria che ha a Voi concessa, che delle misericordie a me compartite. Ave Maria, etc. .

ANTIPHONA.

Hodie Maria Virgo cœlos ascendit, gaudete, quia cum Christo regnat in æternum.

V). Exaltata est sancta Dei Genitrix.

R). Super choros Angelorum ad cœlestia regna.

OREMUS.

Famulorum tuorum, quæsumus, Domine, delictis ignosce: ut qui tibi piacere de actibus nostris non valemus, Genitricis Filii tui Domini nostri intercessione salvemur. Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculorum. Amen.

[“Il giardino spirituale” – Ed. Russo, Napoli, 1903 – imprim. ]

Le feste del mese di AGOSTO

1 Agosto  S. Petri ad Vincula    Duplex majus *L1*

2 Agosto  S. Alfonsi Mariæ de Ligorio Episc. Conf. et Eccles. Doct.    Duplex

3 Agosto De Inventione S. Stephani Protomartyris    Semiduplex *L1*

4 Agosto    S. Dominici Confessoris    Duplex majus Primo venerdì del mese

5 Agosto     S. Mariæ Virginis ad Nives    Duplex Primo sabato del mese

6 Agosto Dominica IX Post Pentecosten II. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

                  In Transfiguratione Domini Nostri Jesu Christi    Duplex II. classis

7 Agosto  S. Cajetani Confessoris    Duplex

8 Agosto  Ss. Cyriaci, Largi et Smaragdi Martyrum    Semiduplex

9 Agosto  S. Joannis Mariæ Vianney Confessoris    Duplex

10 Agosto  S. Laurentii Martyris    Duplex II. classis *L1*

11 Agosto Ss. Tiburtii et Susannæ Virgin. Martyrum    Simplex

12 Agosto S. Claræ Virginis    Duplex

13 Agosto Dominica X Post Pentecosten III. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

14 Agosto  In Vigilia Assumptionis B.M.V.    Duplex II. classis *L1*

15 Agosto In Assumptione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis *L1*

16 Agosto S. Joachim Confessoris, Patris B. M. V.    Duplex II. classis

17 Agosto S. Hyacinthi Confessoris    Duplex

18 Agosto Quarta die infra Octavam S. Assumptionis    Feria major *L1*

19 Agosto S. Joannis Eudes Confessoris    Duplex

20 Agosto Dominica XI Post Pentecosten IV. Augusti    Semiduplex Dominica minor *I*

                   Bernardi Abbatis et Ecclesiæ Doctoris Duplex

21 Agosto S. Joannæ Franciscæ Frémiot de Chantal Víduæ    Duplex

22 Agosto Immaculati Cordis Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. classis

23 Agosto S. Philippi Benitii Confessoris    Duplex

24 Agosto S. Bartholomǽi Apostoli    Duplex II. classis

25 Agosto  S. Ludovici Confessoris    Duplex

26 Agosto Sanctae Mariae Sabbato    Ferial S. Zephyrini Papæ et Martyris    Simplex

27 Agosto Dominica XII Post Pentecosten V. Augusti    Semiduplex Dominica minor

                              Josephi Calasanctii Confessoris Duplex

28 Agosto  S. Augustini Episcopi et Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

29 Agosto In Decollatione S. Joannis Baptistæ    Duplex *L1*

30 Agosto S. Rosæ a Sancta Maria Limanæ Virginis    Duplex

31 Agosto S. Raymundi Nonnati Confessoris    Duplex

UN’ENCICLICA al giorno toglie il MODERNISTA-APOSTATA di torno: “ UBI ARCANO DEI CONSILIO”

– UBI ARCANO DEI CONSILIO – 

DEL SOMMO PONTEFICE PIO XI

  “Pax Christi in regno Christi: è questo il sottotitolo vero di questa prima enciclica del Santo Padre Ambrogio Achille Ratti, S. S. Pio XI, appena insediatosi nella Sede Apostolica. Dopo una lucida analisi dei mali della società dell’epoca, in primis la lotta di classe, il nazionalismo esasperato, l’allontanamento da Dio, la famiglia e la scuola senza Dio, mali che coinvolgono stati, famiglie, e singoli, compresi i chierici in piena crisi morale e spirituale deputati alla guida dei fedeli, dà opportune indicazioni sul modo di restaurare la pace, la cui prima cura è la pacificazione degli animi, premessa indispensabile che può condurre agli effetti morali e materiali della vera pace. Il Pontefice indica, come già i suoi predecessori, il “Regno di Cristo”, ordinato secondo i principi evangelici e le direttive magisteriali della Chiesa Cattolica, come unica vera e duratura soluzione delle crisi evidenti in ogni ambito. L’invito è ancor più valido oggi, tempi in cui il marcio è arrivato a livello del naso, e non si intravedono soluzioni dopo averne tentate diverse, politiche, economiche, sociali in modo inconcludente, anzi con una caduta a capofitto nell’inferno materiale di cui già tutti sperimentiamo le conseguenze. Non ci illudiamo, non esistono altre soluzioni, e chi le dovesse proporre, sotto ogni bandiera e a qualsiasi titolo, è semplicemente un falso ingannatore. La pace, di cui tanto si parla al punto da giustificare assurde guerre per “imporre” una pace ingiusta, umiliante ed unilaterale utile a tenere buoni gli oppressi incatenati ai piedi degli oppressori, si può avere solo “restaurando tutto in Cristo”, secondo le parole di S. Pio X, ed “instaurando la pace di Cristo nel Regno di Cristo”, secondo il pensiero analogo di Pio XI. La lettera è impegnativa nella lettura, ma letta con attenzione e meditata, offre svariati punti di riflessione nei quali ritrovare l’anima cattolica, ormai oscurata dall’indifferentismo e dall’ecumenismo satanico-massonico, imposto da “quelli che odiano Dio e tutti gli uomini” che, dopo aver eclissato la Chiesa di Cristo ed averla sostituita con la brutta copia finanche della “sinagoga di satana”, per mezzo di burattini decrepiti, logori, demenziali e facilmente smascherabili da chi possiede ancora qualche bastoncello nella retina, o qualche neurone vitale nella corteccia cerebrale. Ma bando alle considerazioni e godiamoci finalmente uno scritto cattolico di un Santo Padre “vero”, liberamente operante … almeno negli scritti.

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA: SULLA QUESTIONE ROMANA

Ubi arcano Dei consilio ac nutu Nos, qui nullia sane meritis commendaremur, ad … ”

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Fin dal primo momento in cui, per gli imperscrutabili disegni di Dio, Ci vedemmo elevati, sebbene indegni, a questa cattedra di verità e di carità, abbiamo vivamente desiderato di rivolgere la parola del cuore a voi tutti, Venerabili Fratelli, e a tutti i diletti vostri figli dei quali voi avete il governo e la cura immediata. A questo desiderio si ispirava la solenne benedizione che, urbi et orbi, dall’alto della Basilica Vaticana, appena eletti, impartimmo ad un’immensa moltitudine di popolo: benedizione che voi tutti, da tutte le parti del mondo, unendovi al Sacro Collegio Cardinalizio, accoglieste con manifestazione di grata letizia: il che fu per Noi, nell’accingerci ad assumere d’improvviso il gravissimo officio, il più soave conforto dopo quello che Ci proveniva dalla fiducia nell’aiuto divino. Ora « la Nostra parola viene a voi » nell’imminenza del giorno natalizio di Nostro Signor Gesù Cristo ed all’inizio del nuovo anno, e viene come strenna festiva ed augurale, che il Padre manda a tutti i suoi figli. – Di più presto soddisfare il Nostro desiderio Ci impedirono finora molteplici ragioni. Fu dapprima la gara di filiale pietà, con la quale da tutte le parti del mondo, in lettere senza numero, Ci giungeva il saluto dei fratelli e dei figli, che davano il benvenuto e presentavano i loro primi devoti ossequi al novello Successore di S. Pietro. Si aggiungeva poi subito la prima personale esperienza di quella che S. Paolo chiamava « il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese ». E con le cure ordinarie vennero pure le straordinarie: quelle dei gravissimi negozi, che trovammo già avviati e che dovemmo proseguire, riguardanti i Luoghi Santi e le condizioni di cristianità e chiese fra le più cospicue dell’orbe cattolico; convegni e trattative che toccavano le sorti di popoli e nazioni, dove, fedeli al ministero di conciliazione e di pace da Dio affidatoci, cercammo di far risonare la parola della carità insieme con quella della giustizia, e di procurare la dovuta considerazione a quei valori e a quegli interessi, che, per essere spirituali, non sono i meno grandi né i meno importanti, anzi lo sono più e sopra tutti gli altri; le sofferenze inenarrabili di popoli lontani, falciati dalla fame e da ogni genere di calamità, per i quali, mentre Ci affrettavamo a inviare il maggior aiuto a Noi possibile nelle Nostre presenti angustie, invocavamo insieme l’aiuto del mondo intero: e infine le competizioni e le violenze scoppiate in seno allo stesso popolo diletto, dal quale avemmo i natali ed in mezzo al quale la mano di Dio collocò la Cattedra di Pietro: competizioni e violenze che parvero mettere in forse le stesse sorti del Nostro paese e che Noi non tralasciammo con ogni mezzo di sedare. – Non mancarono tuttavia straordinari avvenimenti che Ci portarono nell’animo la nota più lieta: il XXVI Congresso Eucaristico internazionale e le solennità trecentenarie della Sacra Congregazione di Propaganda. Furono quelle inesprimibili consolazioni e gioie spirituali, che mai avremmo immaginato potessero in tanta copia riversarsi sui primi inizi del Nostro Pontificato. Vedemmo allora quasi tutti i Porporati del Sacro Collegio e potemmo anche intrattenerci a privati colloqui con centinaia di Vescovi accorsi da tutte le parti della terra, quanti, nelle condizioni ordinarie, appena avremmo veduto in parecchi anni; a migliaia e migliaia vedemmo pure e paternamente benedicemmo larghe ed insigni rappresentanze dell’immensa famiglia che Iddio Ci ha affidata, proprio come dice la sacra pagina apocalittica, « di ogni tribù, lingua, popolo e nazione ». E con loro assistemmo a spettacoli veramente divini: vedemmo il divin Redentore sotto i veli eucaristici, quasi a riprendere il suo posto di Re degli uomini, delle città e dei popoli, venir portato in grandioso e veramente regale trionfo di fede, di adorazione e di amore, nel centro di questa Nostra Roma, in un immenso corteo, nel quale popoli e nazioni di tutte le parti del mondo erano rappresentati. Vedemmo lo Spirito di Dio ridiscendere nelle anime dei sacerdoti e dei fedeli e riaccendere in esse lo spirito di preghiera e di apostolato, come nella prima Pentecoste; e la fede vivace dei Romani di nuovo annunciarsi nell’universo mondo, con magnifica glorificazione di Dio ed edificazione delle anime. Ed intanto la Vergine santa, Madre di Dio e Madre nostra benignissima, Maria, Ella che già amorevolmente Ci aveva sorriso dai santuari di Częstochowa e di Ostrabrama, dalla taumaturgica grotta di Lourdes e dall’aerea cuspide della Nostra Milano, nonché dal piissimo santuario di Rho, degnavasi anche gradire l’omaggio del Nostro amore e della Nostra devozione, allorquando, riparati i gravissimi danni dell’incendio, restituivamo al venerabile santuario di Loreto la devota effige già prima presso di Noi preparata, da Noi benedetta ed incoronata. Fu quello uno splendidissimo trionfo di Maria, cui parteciparono in nobile gara, da Roma a Loreto, dovunque passò la sacra icona, le fedeli popolazioni, accorrendo da tutte le vicinanze, con una spontanea e luminosa affermazione di profonda religiosità, nella quale rifulsero il tenero affetto alla Santissima Vergine e il devoto attaccamento al Vicario di Gesù Cristo. – Per l’eloquenza di svariati avvenimenti, che Noi tramandiamo alla edificazione dei posteri, veniva sempre più chiarendosi alla Nostra mente quello che sembra rivendicare a sé le prime e più sollecite cure del Nostro apostolico ministero, e, per ciò stesso, quello che dovessimo dire con la prima solenne parola a voi rivolta.

Gli uomini, le classi sociali, i popoli, non hanno ancora ritrovato la vera pace dopo la tremenda guerra, e perciò ancora non godono di quell’operosa e feconda tranquillità nell’ordine che è il sospiro ed il bisogno di tutti: ecco la triste verità che da tutte le parti si presenta. Riconoscere la realtà e la gravità di tanto male ed indagarne le cause è la prima cosa e più necessaria a farsi da chi, come Noi, voglia con frutto studiare ed applicare i mezzi per combattere il male stesso efficacemente. È questo l’obbligo che la coscienza dell’apostolico officio Ci fa sentire imperioso e che Ci proponiamo di adempiere, sia ora con questa prima lettera enciclica, sia in appresso con tutta la sollecitudine del pontificale ministero. Purtroppo continuano nel mondo le stesse tristissime condizioni che formarono la costante ed angosciosa cura di tutto il pontificato del venerato Nostro antecessore Benedetto XV; e perciò Noi, come è naturale, facciamo Nostri gli stessi pensieri e propositi suoi a questo riguardo. Così possano essi divenire i pensieri ed i propositi di tutti, sì che, con l’aiuto di Dio e con la generosa cooperazione di tutti i buoni, se ne veggano presto copiosi i frutti nella riconciliazione degli animi. – Sembrano scritte per i nostri giorni le ispirate parole dei grandi Profeti: « Aspettammo la pace, ma non c’è alcun bene; il tempo della salvezza, ed ecco il terrore, l’ora del rimedio, ed ecco il timore. Aspettammo la luce, ed ecco le tenebre;  … aspettammo la giustizia, e non c’è; la salvezza, ma essa è ancora lontana da noi ». Si sono infatti deposte le armi fra i belligeranti di ieri, ma ecco nuovi orrori e nuovi timori di guerre nel vicino oriente: condizioni terribilmente aggravate in una grandissima parte di quelle sterminate regioni, dalla fame, dalle epidemie, dalle devastazioni che mietono innumerevoli vittime, massime fra i vecchi, le donne ed i bambini innocenti. Su tutto quanto, si può ben dire, l’immenso teatro della guerra mondiale le vecchie rivalità continuano, dissimulate nei maneggi della politica, palliate nella fluttuazione della finanza, ostentate nella stampa, in giornali e periodici di ogni fatta, penetrando ben anche nelle regioni, naturalmente serene e pacifiche, degli studi, delle scienze e dell’arte. – Quindi la vita pubblica ancora avvolta in una fosca nebbia di odî e di mutue offese, che non dà respiro ai popoli. Che se più gravemente soffrono le nazioni vinte, non mancano guai gravissimi alle vincitrici; le minori si dolgono di essere sopraffatte o sfruttate dalle maggiori; le maggiori si adontano e si lagnano di trovarsi malviste o insidiate dalle minori: tutte risentono i tristi effetti della passata guerra. Né quelle stesse nazioni che andarono esenti dall’immane flagello ne scansarono i mali, né ancora vanno libere dal risentirne gli effetti, come e più li risentono le antiche belligeranti. I danni del passato, tuttora persistenti, vanno sempre più aggravandosi per l’impossibilità di pronti rimedi, dopo che i ripetuti tentativi di statisti e politici, per curare i mali della società, a nulla hanno approdato, se pure non li hanno coi loro medesimi fallimenti aggravati. Tanto più perciò si rincrudisce l’angoscia delle genti per la minaccia sempre più forte di nuove guerre le quali non potrebbero essere che più spaventose e desolatrici delle passate; donde il vivere in una perpetua condizione di pace armata, che è quasi un assetto di guerra, il quale dissangua le finanze dei popoli, ne sciupa il fiore della gioventù e ne avvelena e intorbida le migliori fonti di vita fisica, intellettuale, religiosa e morale. – Altro, anche più deplorevole male, si aggiunge alle inimicizie esterne dei popoli per le discordie interne, che minacciano la compagine degli Stati e della stessa civile società. Primeggia la lotta di classe divenuta ormai il morbo più inveterato e mortale della società, quasi verme roditore, che ne insidia tutte le forze vitali: lavoro, industria, arte, commercio, agricoltura, tutto ciò insomma che conferisce al benessere e alla prosperità pubblica e privata. E la lotta appare sempre più irreconciliabile, mentre si combatte tra gli uni insaziabilmente avidi di beni materiali, e gli altri degli stessi beni egoisticamente tenaci: nonché fra i soggetti e le classi dirigenti, per la comune brama di godere e di comandare. Quindi le frequenti sospensioni del lavoro da una parte e dall’altra provocate; le rivoluzioni e sommosse, le reazioni e repressioni; il malcontento di tutti e il danno comune. – Si aggiungano le lotte dei partiti, non sempre ingaggiate per una serena divergenza di opinioni circa il pubblico bene e per la sincera e disinteressata ricerca di esso, ma per bramosia di prevalere ed in servigio di particolari interessi a danno degli altri. Onde il trascendere sovente alla congiura, all’insidia, alle depredazioni contro i cittadini e contro la stessa autorità e i suoi ministri; eccedere con minacce di pubblici moti o anche con aperte sommosse ed altri disordini, tanto più deplorabili e dannosi per un popolo chiamato a partecipare, in qualche maggior grado, alla vita pubblica ed al governo, come avviene nei moderni ordini rappresentativi, i quali, pur non essendo per sé in opposizione alla dottrina cattolica, sempre conciliabile con ogni forma ragionevole e giusta di regime, sono tuttavia i più esposti al sovvertimento delle fazioni. – Ed è ancor più doloroso notare come ormai il sovvertimento sia penetrato anche nel mite e pacifico santuario della famiglia, che forma il primo nucleo della società, dove i mali germi della disgregazione, già da tempo sparsi, sono stati più che mai fomentati nel tempo della guerra dall’allontanamento dei padri e dei figli dal tetto familiare e dalla tanto aumentata licenza di costumi. Così vedonsi bene spesso i figli alienarsi dal padre, i fratelli inimicarsi coi fratelli, i padroni coi servi e i servi coi padroni: troppo spesso dimenticata la stessa santità del vincolo coniugale e dimenticati i doveri che esso impone davanti a Dio e davanti alla società. – E come del malessere generale di un organismo, o di una sua notevole parte, si risentono anche le parti minime, così anche agli individui si propagano i mali che affliggono la società e la famiglia. Lamentiamo infatti il diffondersi di un’irrequietezza morbosa in ogni età e condizione; il disprezzo dell’ubbidienza e l’intolleranza della fatica passare in costume; il pudore delle donne e delle fanciulle conculcato nella licenza del vestire, del conversare, delle danze invereconde, con l’insulto aperto all’altrui miseria, reso più provocante dall’ostentazione del lusso. Di qui l’aumentarsi del numero degli spostati, che finiscono quasi sempre con ingrossare le file dei sovvertitori dei pubblici e privati ordinamenti. – Quindi non più fiduciosa sicurezza, ma trepida incertezza e sempre nuovi timori; non operosa laboriosità, ma indolenza e disoccupazione; non più la serena tranquillità dell’ordine, nel che consiste la pace, ma dappertutto un irrequieto spirito di rivolta. Ond’è che, illanguidite le industrie, diminuiti e ritardati i commerci, reso sempre più difficile il culto delle scienze, delle lettere e delle arti, e, ciò ch’è molto più grave, danneggiata la stessa civiltà cristiana, per inevitabile conseguenza, invece del tanto vantato progresso, si aggrava sempre più un regresso doloroso verso l’imbarbarimento della società. – A tutti i mali ricordati voglionsi aggiungere e porre in cima quelli che sfuggono all’osservatore superficiale, all’uomo del senso, il quale, come dice l’Apostolo, non comprende « le cose dello spirito di Dio », ma che pur costituiscono quanto hanno di più grave e profondo le odierne piaghe sociali. Vogliamo dire quei mali che trascendono la materia e la natura, toccando l’ordine più propriamente spirituale e religioso, cioè la vita soprannaturale della anime; e sono mali tanto più deplorabili quanto più lo spirito sovrasta alla materia. Infatti, oltre il rilassamento troppo diffuso dei cristiani doveri, che abbiamo accennato, Noi lamentiamo con voi, Venerabili Fratelli, che non siano tuttora restituite alla preghiera ed al culto non poche delle moltissime chiese cui la guerra volse ad usi profani; che restino ancora chiusi molti seminari, dove unicamente alla vita religiosa dei popoli si preparano e formano idonei duci e maestri; decimate quasi in tutti i paesi le file del clero, parte del quale o cadde vittima della guerra nell’esercizio del sacro ministero, o n’ebbe più o meno turbata la disciplina e lo spirito per le troppo violente e contrastanti condizioni di vita; ridotta in troppi luoghi al silenzio la predicazione della divina parola coi suoi necessari ed inestimabili benefici « per l’edificazione del corpo mistico di Cristo ». – I danni spirituali della terribile guerra si fecero sentire fino agli estremi confini del mondo e fin nelle più interne ed appartate regioni dei lontani continenti, perché anche i missionari dovettero abbandonare i campi delle loro apostoliche fatiche e purtroppo molti non poterono più tornarvi, interrompendo ed abbandonando magnifiche conquiste di elevazione morale e materiale, di religione e di civiltà. Vero è che queste grandi iatture spirituali non furono senza qualche prezioso compenso, mentre più chiaramente apparve, smentendo viete calunnie, quanto alta e pura e generosa ardesse nei cuori consacrati a Dio la fiamma della carità di patria e la coscienza di tutti i doveri; mentre più larghi si profusero i supremi benefìci del sacro ministero sui campi cruenti dove la morte mieteva a migliaia le vittime; mentre moltissime anime, deposti, in presenza di mirabili esempi d’abnegazione, gli antichi pregiudizi, si riaccostarono al sacerdozio ed alla Chiesa. Ma di questo andiamo unicamente debitori all’infinita bontà e sapienza di Dio, che anche dal male sa trarre il bene. – Fin qui abbiamo esposto i mali che affliggono la società ai nostri giorni; è tempo ormai di ricercarne le cause con tutto lo studio che Ci sarà possibile, pure avendone già toccate alcune.

E fin dall’inizio, Venerabili Fratelli, Ci sembra di udire il divino consolatore e medico delle umane infermità ripetere le grandi parole: «Tutti questi mali provengono dall’intimo ». Fu bensì firmata la pace fra i belligeranti con tutte le esteriori solennità; ma questa restò scritta nei pubblici istrumenti, non fu già accolta nei cuori, che ancora nutrono il desiderio della lotta e minacciano sempre più gravemente la tranquillità del civile consorzio. Troppo a lungo il diritto della violenza ebbe fra gli uomini l’impero, attutendo e quasi annientando i sensi naturali della misericordia e della compassione, che la legge della carità cristiana aveva sublimati; né  la pace fittizia, fissata sulla carta, ha risvegliato ancora tali nobili sentimenti. Di qui l’abito della violenza e dell’odio troppo lungamente intrattenuto e fattosi quasi natura in molti, anzi in troppi; di qui il facile sopravvento dei ciechi elementi inferiori, di quella legge delle membra, « repugnante alla legge dello spirito », che faceva gemere l’apostolo Paolo. – Gli uomini non più fratelli agli uomini, come detta la legge cristiana, ma quasi stranieri e nemici; smarrito il senso della dignità personale e del valore della stessa umana persona nel brutale prevalere della forza e del numero; gli uni intesi a sfruttare gli altri per questo sol fine di meglio e più largamente godere dei beni di questa vita; tutti erranti, perché rivolti unicamente ai beni materiali e temporali, e dimentichi dei beni spirituali ed eterni al cui acquisto Gesù Redentore, mediante il perenne magistero della Chiesa, ci invita. Ora, è nella natura stessa dei beni materiali che la loro disordinata ricerca diventi radice di ogni male e segnatamente di abbassamento morale e di discordie. Infatti da una parte non possono quei beni, in se stessi vili e finiti, appagare le nobili aspirazioni del cuore umano, che, creato da Dio per Iddio, è necessariamente inquieto, finché in Dio non riposi. Dall’altra parte (al contrario dei beni dello spirito, che quanto più si comunicano tanto più arricchiscono senza mai diminuire) i beni materiali quanto più si spartiscono fra molti, più scemano nei singoli, dovendosi di necessità sottrarre agli uni quello che agli altri è dato; onde non possono mai né contentare tutti egualmente, né appagare alcuno interamente, e con ciò diventano fonte di divisione ed insieme afflizione di spirito, come li sperimentò il sapiente Salomone: « vanità delle vanità … e un inseguire il vento ». E ciò avviene nella società non meno che negli individui. «Donde mai le guerre e le contese tra voi ? — domanda l’apostolo San Giacomo — Non forse dalle vostre concupiscenze? ». – Così la cupidigia del godere, la « concupiscenza della carne », si fa incentivo, il più esiziale, di scissioni non solo nelle famiglie, ma anche nelle città; la cupidigia dell’avere, la « concupiscenza degli occhi », diviene lotta di classe ed egoismo sociale; la cupidigia del comandare e del sovrastare, la « superbia della vita » si converte in concorrenze, in competizioni di partiti, in perpetua gara di ambizioni, fino all’aperta ribellione all’autorità, al delitto di lesa maestà, al parricidio stesso della patria. – Ed è questa esorbitanza di desideri, questa cupidigia di beni materiali, che diviene pure fonte di lotte e di rivalità internazionali, quando si presenta palliata e quasi giustificata da più alte ragioni di Stato o di pubblico bene, dall’amore cioè di patria e di nazione. Poiché anche questo amore, che è per sé incitamento di molte virtù ed anche di mirabili eroismi, quando sia regolato dalla legge cristiana, diviene occasione ed incentivo di gravi ingiustizie, quando, da giusto amor di patria, diventa immoderato nazionalismo; quando dimentica che tutti i popoli sono fratelli nella grande famiglia dell’umanità, che anche le altre nazioni hanno diritto a vivere e prosperare, che non è mai né lecito né savio disgiungere l’utile dall’onesto, e che infine, « la giustizia è quella che solleva le nazione, laddove il peccato fa miseri i popoli ». Onde il vantaggio ottenuto in questo modo alla propria famiglia, città o nazione, può ben sembrare (il pensiero è di Sant’Agostino) lieto e splendido successo, ma è fragile cosa e tale da ispirare i più paurosi timori di repentina rovina: « gioia cristallina, splendida, ma fragile, sulla quale sovrasta ancora più terribile il timore che improvvisamente si spezzi ». – Senonché della mancata pace e dei mali che conseguono dall’accennata mancanza, vi è una causa più alta insieme e più profonda; una causa che già prima della grande guerra era venuta largamente preparandosi; una causa alla quale l’immane calamità avrebbe dovuto essere rimedio, se tutti avessero capito l’alto linguaggio dei grandi avvenimenti. Sta scritto nel libro di Dio: « quelli che abbandonarono il Signore andranno consunti »; e non meno noto è ciò che Gesù Redentore, Maestro degli uomini, ha detto: « senza di me nulla potete fare »; ed ancora: « chi non raccoglie meco, disperde ». – Queste divine parole si sono avverate, ed ancora oggi vanno avverandosi sotto i nostri occhi. Gli uomini si sono allontanati da Dio e da Gesù Cristo e per questo sono caduti al fondo di tanti mali; per questo stesso si logorano e si consumano in vani e sterili tentativi di porvi rimedio, senza neppure riuscire a raccogliere gli avanzi di tante rovine. Si è voluto che fossero senza Dio e senza Gesù Cristo le leggi e i governi, derivando ogni autorità non da Dio, ma dagli uomini; e con ciò stesso venivano meno alle leggi, non soltanto le sole vere ed inevitabili sanzioni, ma anche gli stessi supremi criteri del giusto, che anche il filosofo pagano Cicerone intuirà potersi derivare soltanto dalla legge divina. E veniva pure meno all’autorità ogni solida base, ogni vera ed indiscutibile ragione di supremazia e di comando da una parte, di soggezione e di ubbidienza dall’altra; e così la stessa compagine sociale, per logica necessità, doveva andarne scossa e compromessa, non rimanendole ormai alcun sicuro fulcro, ma tutto riducendosi a contrasti ed a prevalenze di numero e di interessi particolari. – Si volle che non più Dio, non più Gesù Cristo presiedesse al primo formarsi della famiglia, riducendo a mero contratto civile il matrimonio, del quale Gesù Cristo ha fatto un « Sacramento grande », con erigerlo a santo e santificante simbolo dell’indissolubile vincolo che a Lui stesso lega la sua Chiesa. Ne rimase abbassata, oscurata e confusa nei popoli tutta quella elevatezza e santità di idee e di sentimenti, di cui la Chiesa aveva circondato fin dal suo primo formarsi questo germe della società civile, che è la famiglia: la gerarchia domestica, e con essa la domestica pace, andò sovvertita; sempre più minacciata e scossa la stabilità ed unità della famiglia; il santuario domestico sempre più frequentemente profanato da basse passioni e da micidiali egoismi, che tendono ad avvelenare ed inaridire le sorgenti stesse della vita, non soltanto della famiglia, ma anche dei popoli. – Non si volle più Dio, né Gesù Cristo, né la dottrina sua nella scuola, e la scuola, per triste ma ineluttabile necessità, divenne non soltanto laica e areligiosa, ma anche apertamente atea e antireligiosa, dovendo l’ignaro fanciullo presto persuadersi che nessuna importanza hanno per la vita Dio e la Religione, di cui mai sente parlare, se non forse con parole di vilipendio. Così, ed anche solo per questo, la scuola cessava di guidare al bene, ossia di educare, privata di Dio e della sua legge, e della stessa possibilità di formare le coscienze e le volontà alla fuga dal male, alla pratica del bene. Così veniva pur meno ogni possibilità di preparare alla famiglia ed alla società elementi di ordine, di pace e di prosperità. – Spente così od oscurate le luci dello spiritualismo cristiano, l’invadente materialismo non fece che preparare il terreno alla vasta propaganda di anarchia e di odio sociale degli ultimi tempi: donde, infine sfrenata, la guerra mondiale gettava nazioni e popoli gli uni contro gli altri, a sfogo di discordie e di odi lungamente covati, abituando gli uomini alla violenza ed al sangue, e col sangue suggellando gli odi e le discordie di prima. – La constatazione però di tanti e si gravi mali non deve toglierci, Venerabili Fratelli, la speranza e la cura di trovarne i rimedi, tanto più che i mali stessi già ne danno qualche indicazione e suggerimento. – Prima di ogni altra cosa, infatti, occorre ed urge pacificare gli animi. Una pace occorre, che non sia soltanto nell’esteriorità di cortesie reciproche, ma scenda nei cuori, ed i cuori riavvicini, rassereni e riapra a mutuo affetto di fraterna benevolenza. – Ma tale non è se non la pace di Cristo; « e la pace di Cristo regni nei vostri cuori », né altra potrebbe essere la pace sua che Egli dà, mentre Dio, com’Egli è, intuisce i cuori, e nei cuori ha il suo regno. D’altra parte Gesù Cristo ha ben diritto di chiamare sua questa vera pace dei cuori, Egli che per primo disse agli uomini « voi siete tutti fratelli » e loro promulgava, suggellandola nel suo sangue, la legge di universale mutua dilezione e tolleranza: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate a vicenda come io vi ho amati »; « Sopportate gli uni i pesi degli altri, e così adempirete alla legge di Cristo ». – Ne consegue immediatamente che la pace di Cristo dovrà bensì essere una pace giusta (come il suo profeta l’annuncia: « la pace, opera di giustizia »), essendo Egli quel Dio che giudica la giustizia stessa; non potrà però constare soltanto di dura ed inflessibile giustizia, ma dovrà essere fatta dolce e soave da una almeno uguale misura di carità con effetto di sincera riconciliazione. Tale è la pace che Gesù Cristo conquistava a noi ed al mondo intero e che l’Apostolo, con tanto energica espressione, in Gesù Cristo stesso impersona, dicendo: « Egli è la nostra pace »; perché, soddisfacendo alla divina giustizia, col supplizio della crocifissa carne sua, in se stesso uccideva ogni inimicizia, facendo la pace e riconciliando tutti e tutto in se stesso. Così è che nell’opera redentrice di Cristo, che pure è opera di divina giustizia, l’Apostolo stesso non vede che una divina opera di riconciliazione e di carità: « Dio riconciliava a sé il mondo in Cristo »; « a tal segno Iddio ha amato il modo, che ha dato il suo Figliuolo unigenito ». Il Dottore Angelico ha trovato la formula ed il conio per l’oro di questa dottrina, dicendo che la pace, la vera pace, è cosa piuttosto di carità che di giustizia; perché alla giustizia spetta solo rimuovere gli impedimenti della pace: l’offesa e il danno; ma la pace stessa è atto proprio e specifico di carità. – Della pace di Cristo, cosa del cuore e tutta di carità, si può e si deve ripetere quello che l’Apostolo dice del regno di Dio, che appunto per la carità signoreggia nei cuori: « Il regno di Dio non è questione di cibo e di bevanda », cioè la pace di Cristo « non si pasce di beni materiali e terreni », ma di spirituali e celesti. Né potrebbe essere altrimenti, dato che proprio Gesù ha rivelato al mondo i valori spirituali e rivendicato loro il dovuto apprezzamento. Egli ha detto: « Che cosa giova all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi danneggia l’anima sua? O che cosa darà l’uomo in cambio dell’anima sua? ». Egli è colui che diede quella divina lezione di carattere: «Non temete coloro che uccidono il corpo, e non possono uccidere l’anima, ma piuttosto temete colui che può mandare in perdizione e l’anima e il corpo »!. – Non che la pace di Cristo, la pace vera, debba rinunciare ai beni materiali e terreni: al contrario, tutti le sono da Cristo stesso formalmente promessi: « Cercate prima il regno di Dio, … e tutto ciò vi sarà dato in più ». Ma essa sovrasta al senso e lo domina: « La pace di Dio sorpassa ogni intelligenza », ed appunto  per questo domina le cieche cupidigie ed evita le divisioni, le lotte e le discordie alle quali l’ingordigia dei beni materiali necessariamente dà origine. – Infrenata la cupidigia dei beni materiali, rimessi nell’onore che loro compete i valori dello spirito, alla pace di Cristo, per naturale felicissimo accordo, si accompagna, con la illibatezza e dignità della vita, l’elevazione dell’umana persona, nobilitata nel Sangue di Cristo, nella figliuolanza divina, nella santità e nel vincolo fraterno che ci unisce allo stesso Cristo, nella preghiera e nei Sacramenti, mezzi infallibilmente efficaci di elevazione e partecipazione divina, nell’aspirazione all’eterno possesso della gloria e beatitudine di Dio stesso, a tutti proposto come meta e premio. – Abbiamo visto e considerato che precipua causa dello scompiglio, delle inquietudini e dei pericoli che accompagnano la falsa pace è l’essere venuto meno l’impero della legge, il rispetto dell’autorità, dopo che era venuta meno all’una ed all’altra la stessa ragion d’essere, una volta negata la loro origine da Dio, creatore e ordinatore universale. Orbene, il rimedio è nella pace di Cristo, giacché pace di Cristo è pace di Dio, né questa può essere senza il rispetto dell’ordine, della legge e dell’autorità. Nel Libro di Dio infatti sta Scritto: « Conservate la Pace nell’ordine »; «Gran pace avrà chi amerà la tua legge, o Signore »; « Chi osserva il precetto si troverà in pace ». E Gesù stesso più espressamente insegna: « Rendete a Cesare quel ch’è di Cesare », e perfino in Pilato Egli riconosce l’autorità sociale che viene dall’alto, come aveva riconosciuto l’autorità addirittura nei degeneri successori di Mosè, e riconosciuto in Maria e Giuseppe l’autorità domestica, loro assoggettandosi per tanta parte della sua vita. E dagli Apostoli suoi faceva proclamare quella solenne dottrina che, come insegna « doversi da tutti riverenza ed ossequio ad ogni potestà legittima », così proclama pure « potestà legittima non esservi se non da Dio ». – Se si riflette che i pensieri e gli insegnamenti di Gesù Cristo, sui valori interni spirituali, sulla dignità e santità della vita, sul dovere dell’ubbidienza, sull’ordinamento divino della società, sulla santità sacramentale del matrimonio e la conseguente santità vera e propria della famiglia; se si riflette, diciamo, che questi pensieri ed insegnamenti di Cristo (insieme con tutto quel tesoro di verità da lui recato all’umanità), furono da Lui stesso unicamente affidati alla sua Chiesa, con solenne promessa di indefettibile assistenza, affinché in tutti i secoli ed in tutte le genti ne fosse la maestra infallibile, non si può non vedere quale e quanta parte può e deve avere la Chiesa Cattolica nel portare rimedio ai mali del mondo e nel condurre alla sincera pacificazione. – Appunto perché per divina istituzione è l’unica depositaria ed interprete di quei pensieri e insegnamenti, la Chiesa sola possiede, vera ed inesauribile, la capacità di efficacemente combattere quel materialismo, che tante ruine ha già accumulate e tante altre ne minaccia alla società domestica e civile, e di introdurvi e mantenervi il vero e sano spiritualismo, lo spiritualismo cristiano, che di tanto supera in verità e praticità quello puramente filosofico, di quanto la rivelazione divina sovrasta alla pura ragione: la capacità ancora di farsi maestra e conciliatrice di sincera benevolenza, insegnando ed infondendo alle collettività ed alle moltitudini lo spirito di vera fraternità, e nobilitando il valore e la dignità individuale con l’elevarla fino a Dio; la capacità, infine, di correggere veramente ed efficacemente tutta la vita privata e pubblica, tutto e tutti assoggettando a Dio, che vede i cuori, alle sue ordinazioni, alle sue leggi, alle sue sanzioni; penetrando così nel santuario delle coscienze, tanto dei cittadini quanto di coloro che comandano, e formandole a tutti i doveri ed a tutte le responsabilità, anche nei pubblici ordinamenti della società civile, perché « sia tutto e in tutti Cristo ». – Per questo, per essere cioè la Chiesa, ed essa sola, formatrice sicura e perfetta di coscienze, mercé gli insegnamenti e gli aiuti a lei sola da Gesù Cristo affidati, non soltanto essa può conferire nel presente alla pace tutto ciò che le manca per essere la vera pace di Cristo, ma può ancora, più di ogni altro fattore, contribuire ad assicurare questa pace anche per l’avvenire, allontanando il pericolo di nuove guerre. Insegna infatti la Chiesa (ed essa sola ha da Dio il mandato, e col mandato il diritto di autorevolmente insegnarlo) che non soltanto gli atti umani privati e personali, ma anche i pubblici e collettivi devono conformarsi alla legge eterna di Dio; anzi assai più dei primi i secondi, come quelli sui quali incombono le responsabilità più gravi e terribili. – Quando dunque governi e popoli seguiranno negli atti loro collettivi, sia all’interno sia nei rapporti internazionali, quei dettami di coscienza che gli insegnamenti, i precetti, gli esempi di Gesù Cristo propongono ed impongono ad ogni uomo; allora soltanto potranno fidarsi gli uni degli altri, ed aver anche fede nella pacifica risoluzione delle difficoltà e controversie che, per differenza di vedute e opposizione d’interessi, possono insorgere. – Qualche tentativo si è fatto e si fa in questo senso, ma con ben esigui risultati, massime nelle questioni più importanti, che più dividono ed accendono i popoli. E non vi è istituto umano che possa dare alle nazioni un codice internazionale, rispondente alle condizioni moderne, quale ebbe, nell’età di mezzo, quella vera società di nazioni che fu la cristianità; codice troppo spesso violato in pratica, ma che pur rimaneva come un richiamo e come una norma, secondo la quale giudicare gli atti delle nazioni. – Ma v’è un istituto divino atto a custodire la santità del diritto delle genti; un istituto che appartiene a tutte le nazioni, che a tutte è superiore, e di più dotato di massima autorità, e venerando per pienezza di magistero, la Chiesa di Cristo: la quale sola appare adatta a tanto ufficio, sia per mandato divino, sia per la sua medesima natura e costituzione, per le tradizioni sue e per il prestigio, che dalla stessa guerra mondiale usciva, non soltanto non diminuito, ma piuttosto di molto aumentato. – Appare, da quanto siamo venuti considerando, che la vera pace, la pace di Cristo, non può esistere se non sono ammessi i princìpi, osservate le leggi, ubbiditi i precetti di Cristo nella vita pubblica e nella privata; sicché, bene ordinata la società umana, vi possa la Chiesa esercitare il suo magistero, al quale appunto fu affidato l’insegnamento di quei princìpi, di quelle leggi, di quei precetti. – Ora tutto questo si esprime con una sola parola: « il regno di Cristo ». Poiché regna Gesù Cristo nella mente degli « individui » con la sua dottrina, nel cuore con la sua carità, nella vita di ciascuno con l’osservanza della sua legge e l’imitazione dei suoi esempi. Regna Gesù Cristo « nella famiglia » quando, formatasi nella santità del vero e proprio Sacramento del matrimonio da Gesù Cristo istituito, conserva inviolato il carattere di santuario, dove l’autorità dei parenti si modella sulla paternità divina, dalla quale discende e si denomina; l’ubbidienza dei figli su quella del fanciullo Gesù in Nazareth; la vita tutta quanta s’ispira alla santità della Sacra Famiglia. Regna infine Gesù Cristo « nella società civile » quando vi è riconosciuta e riverita la suprema ed universale sovranità di Dio, con la divina origine ed ordinazione dei poteri sociali, donde in alto la norma del comandare, in basso il dovere e la nobiltà dell’ubbidire. Regna quando è riconosciuto alla Chiesa di Gesù Cristo il posto che Egli stesso le assegnava nella società umana, dandole forma e costituzione di società, e, in ragione del suo fine, perfetta, suprema nell’ordine suo; costituendola depositaria ed interprete del suo pensiero divino, e perciò stesso maestra e guida delle altre società tutte quante: non per menomare l’autorità loro, nel proprio ordine competente, ma per perfezionarle, come la grazia perfeziona la natura, e per farne valido aiuto agli uomini nel conseguimento del fine ultimo, ossia della eterna felicità, e con ciò renderle anche più benemerite e più sicure promotrici della stessa prosperità temporale. – È dunque evidente che la vera pace di Cristo non può essere che nel regno di Cristo: « La pace di Cristo nel regno di Cristo »; ed è del pari evidente che, procurando la restaurazione del regno di Cristo, faremo il lavoro più necessario insieme e più efficace per una stabile pacificazione. – Così Pio X, proponendosi di « restaurare tutto in Cristo », quasi per un divino istinto preparava la prima e più necessaria base a quella « opera di pacificazione », che doveva essere il programma e l’occupazione di Benedetto XV. E questi due programmi dei Nostri Antecessori Noi congiungiamo in uno solo: la restaurazione del regno di Cristo per la pacificazione in Cristo: « La pace di Cristo nel regno di Cristo »; e con ogni sforzo Ci studieremo di attuarlo, unicamente confidando in quel Dio, che nell’affidarCi questo sommo potere, Ci prometteva la sua indefettibile assistenza. – Per quest’opera a tutti Noi chiediamo aiuto e cooperazione, ma la chiediamo e l’aspettiamo innanzi tutto da voi, Venerabili Fratelli, cui il nostro duce e capo Gesù Cristo, che affidava a Noi la cura e responsabilità di pascere tutto l’ovile, chiamava a parte della Nostra universale sollecitudine; voi che « lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa », voi che fra i primi, insigniti del « ministero della riconciliazione, fate le veci di ambasciatori per Cristo », partecipi del suo magistero divino, « dispensatori dei misteri di Dio » e perciò chiamati « sale della terra e luce del mondo », maestri e padri dei popoli cristiani, « fatti sinceramente esemplari del gregge » per essere poi chiamati « grandi nel regno dei cieli », voi — diciamo — che siete come gli anelli d’oro per i quali « compaginato e connesso » tutto il corpo di Cristo, che è la Chiesa, sulla solidità della pietra sorge e si regge. – E dell’esimia operosità vostra Noi avemmo nuovo e recente argomento quando, per l’occasione già ricordata del Congresso Eucaristico internazionale di Roma e per le solennità centenarie della Congregazione di Propaganda, parecchie centinaia di Vescovi da tutte le parti del mondo si trovarono intorno a Noi riuniti sulla tomba dei Santi Apostoli. – E quell’incontro fraterno fra tanti pastori Ci fece pensare alla possibilità di un convegno almeno virtualmente generale dell’episcopato cattolico in questo centro della cattolica unità, per il vantaggio che potrebbe provenirne opportunamente al riassetto sociale, dopo così profondo scompiglio. La vicinanza dell’Anno Santo Ci infonde una dolce speranza di vedere effettuato il Nostro pensiero. – Che, se non osiamo espressamente includere nel Nostro programma la ripresa e la continuazione del Concilio Ecumenico che Pio IX, il Pontefice della Nostra giovinezza, poté bensì largamente preparare, ma di cui poté attuare solo una parte sebbene importante, è pur vero che anche Noi, come il pio condottiero del popolo eletto, attendiamo, pregando che il Signore, buono e misericordioso, voglia darCi qualche più chiaro segno del suo volere. Intanto, benché consapevoli che al vostro zelo non dobbiamo aggiungere stimoli, ma piuttosto tributare ben meritati encomî, tuttavia la coscienza dell’apostolico ufficio e dell’universale paternità Ci impone di chiedervi sempre più tenere e sollecite cure verso quelle parti della grande famiglia delle quali a ciascuno di voi è affidata l’immediata provvidenza. – Per le informazioni da voi dateCi e per la stessa pubblica fama, confermata anche dalla stampa e da altre prove, Noi sappiamo quanto dobbiamo con voi ringraziare il buon Dio per il gran bene che, secondo l’opportunità dei tempi, con l’opera vostra e dei vostri antecessori, si è venuto, in mezzo al clero e a tutto il vostro popolo fedele, saggiamente maturando e poi, giusta le circostanze, lodevolmente effettuando e moltiplicando largamente. – Intendiamo dire le svariate iniziative per la sempre più accurata cultura religiosa e santificazione degli ecclesiastici e dei laici; le unioni del clero e del laicato in aiuto delle missioni cattoliche nella loro molteplice attività di redenzione fisica e morale, naturale e soprannaturale, mercé la dilatazione del regno di Cristo; le opere giovanili con quella loro così ardente e salda pietà eucaristica e con la tenera devozione alla Beata Vergine, garanzia sicura di fede, di purezza, di unione; le solenni celebrazioni eucaristiche, che al divino Principe della pace procurano trionfali cortei veramente regali, ed intorno all’Ostia di pace e d’amore raccolgono le moltitudini dei diversi luoghi e le rappresentanze di tutte le genti e nazioni del mondo, mirabilmente unite in una stessa fede, adorazione, preghiera e fruizione dei beni celesti. – Intendiamo dire — frutto di questa pietà — il sempre più diffuso ed operoso spirito di apostolato che, con la preghiera, con la parola, con la buona stampa, con l’esempio di tutta la vita, con tutte le industrie della carità, cerca con ogni via di condurre anime al Cuore divino e di ridare al Cuore stesso di Cristo Re il trono e lo scettro nella famiglia e nella società; la « santa battaglia » su tanti fronti ingaggiata, per rivendicare alla famiglia ed alla Chiesa i diritti che da natura e da Dio loro competono nell’insegnamento e nella scuola; infine quel complesso di iniziative, di istituzioni e di opere presentate sotto il nome di «Azione Cattolica », a Noi tanto cara, e a cui abbiamo già rivolto sollecite cure. – Tutte queste forme ed opere di bene devono non solamente mantenersi, ma anche rafforzarsi e svilupparsi sempre più, secondo la condizione delle persone e delle cose. Senza dubbio esse sono ardue e vogliono da tutti, pastori e fedeli, sempre nuove prestazioni di opera ed abnegazione; ma, siccome certamente necessarie, esse appartengono ormai innegabilmente all’ufficio pastorale ed alla vita cristiana; giacché, per le stesse ragioni, ad esse si riconnette indissolubilmente la restaurazione del regno di Cristo e lo stabilimento di quella vera pace che a questo regno unicamente appartiene: « La pace di Cristo nel regno di Cristo ».

Dite dunque, Venerabili Fratelli, ai vostri cleri che conosciamo le loro generose fatiche su questi diversi campi, e che anche per averle da vicino vedute e condivise altissimamente le apprezziamo; dite che quando essi danno la loro cooperazione a voi uniti come a Cristo e da voi come da Cristo guidati, allora più che mai essi sono con Noi, e Noi siamo con essi benedicendoli paternamente. – Non occorre poi che vi diciamo, Venerabili Fratelli, quale e quanto assegnamento, per l’esecuzione del programma propostoci, Noi facciamo pure sul clero regolare. Voi sapete, al pari di Noi, quale contributo esso rechi allo splendore interno ed all’esterna dilatazione del regno di Cristo; esso, che di Cristo attua non soltanto i precetti ma anche i consigli; esso che, nel silenzio meditativo dei chiostri come nel fervore dell’operosità esteriore, attua in frutti di vita i più alti ideali della perfezione cristiana, tenendo vivo nel popolo cristiano il richiamo all’alto, con l’esempio continuo della rinuncia magnanima a tutto quello che è terreno e di privato comodo, per l’acquisto dei tesori spirituali e per la consacrazione intera al bene comune, con l’opera benefica, che arriva a tutte le miserie corporali e spirituali e per tutte trova un soccorso ed un rimedio. E in ciò, come ci attestano i documenti della storia ecclesiastica, i religiosi, per l’impulso della divina carità, avanzarono bene spesso a tal segno che, nella predicazione del Vangelo, diedero anche la vita per la salute delle anime e, con la propria morte propagando l’unità della fede e della cristiana fratellanza, sempre più dilatarono i confini del regno di Cristo. – Dite ai vostri fedeli del laicato che quando essi, uniti ai loro sacerdoti ed ai loro Vescovi, partecipano alle opere di apostolato individuale e sociale, per far conoscere e amare Gesù Cristo, allora più che mai essi sono « la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato » [55]. Allora più che mai sono essi pure con Noi e con Cristo, benemeriti essi pure della pace del mondo, perché benemeriti della restaurazione e dilatazione del regno di Cristo. Poiché solo in questo regno di Cristo si dà quella vera uguaglianza di diritti per la quale tutti sono nobili e grandi della stessa nobiltà e grandezza, nobilitati dal medesimo prezioso Sangue di Cristo; e quelli che presiedono non sono che ministri del bene comune, servi dei servi di Dio, degli infermi specialmente e dei più bisognosi, sull’esempio di Gesù Cristo Signor Nostro. – Senonché quelle stesse vicende sociali che crearono ed accrebbero la necessità della accennata cooperazione del clero e del laicato, hanno pure creato pericoli nuovi e più gravi. Sono idee non rette e non sani sentimenti, dei quali, dopo l’uragano della guerra mondiale e degli avvenimenti politici e sociali che le tennero dietro, l’atmosfera stessa si direbbe infetta, così frequenti sono i casi di contagio, tanto più pericoloso quanto meno prontamente avvertito, grazie alle apparenze ingannevoli che lo dissimulano, sicché gli stessi alunni del santuario non ne vanno immuni. – Molti sono, infatti, quelli che credono o dicono di tenere le dottrine cattoliche sull’autorità sociale, sul diritto di proprietà, sui rapporti fra capitale e lavoro, sui diritti degli operai, sulle relazioni fra Chiesa e Stato, fra religione e patria, fra classe e classe, fra nazione e nazione, sui diritti della Santa Sede e le prerogative del Romano Pontefice e dell’episcopato, sui diritti sociali di Gesù Cristo stesso, Creatore, Redentore, Signore degli individui e dei popoli. Ma poi parlano, scrivono e, quel che è peggio, operano come non fossero più da seguire, o non col rigore di prima, le dottrine e le prescrizioni solennemente ed invariabilmente richiamate ed inculcate in tanti documenti pontifici, nominatamente di Leone XIII, Pio X e Benedetto XV. – Contro questa specie di modernismo morale, giuridico, sociale, non meno condannevole del noto modernismo dogmatico, occorre pertanto richiamare quelle dottrine e quelle prescrizioni che abbiamo detto; occorre risvegliare in tutti quello spirito di fede, di carità soprannaturale e di cristiana disciplina, che solo può dare la loro retta intelligenza ed imporre la loro osservanza. Tutto questo occorre più che mai fare con la gioventù, massime poi con quella che si avvia al sacerdozio, perché nella generale confusione non sia, come dice l’Apostolo, « portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, per quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore ». Da questo apostolico centro dell’ovile di Cristo, il Nostro sguardo e il Nostro cuore, Venerabili Fratelli, si volgono anche a coloro che, purtroppo in gran numero, ignorando Cristo e la sua redenzione, o non integralmente seguendo le sue dottrine, non appieno mantenendo l’unità da Lui prescritta, ancora stanno fuori dell’ovile quantunque ad esso da Dio destinati e chiamati. Il Vicario del divin Pastore, vedendo le tante pecorelle sbandate, non può non ripetere e non far sua la parola, che nell’energica semplicità dice tutto l’ardore del desiderio divino: « bisogna che io le conduca »; non può non allietarsi nella soave profezia nella quale esultava il Cuore divino: « e udranno la mia voce e si farà un solo ovile e un solo pastore ». Voglia Iddio, come Noi con voi tutti e con tutti i credenti intensamente lo preghiamo, presto compiere la sua profezia e ridurre presto in atto la consolante visione. – Ecco intanto di questa religiosa unità brillarci innanzi un felice auspicio in quel mirabile fatto che voi non ignorate, Venerabili Fratelli, inaspettato a tutti, ad alcuni forse sgradito, a Noi certo ed a voi graditissimo: che cioè, in questi ultimi tempi i rappresentanti e reggitori di quasi tutti gli Stati del mondo, quasi ubbidendo ad un comune istinto e desiderio di unione e di pace, si sono rivolti a questa Sede Apostolica per stringere o rinnovare con essa concordia ed amicizia. Della quale cosa Noi andiamo lieti, non tanto per il cresciuto prestigio della santa Chiesa, quanto perché sempre più chiaramente appare, e da tutti si sperimenta, quale e quanta benefica virtù essa possiede per la felicità, anche civile e terrena, della società umana. Sebbene infatti la Chiesa, per divina volontà, intenda direttamente ai beni spirituali e sempiterni, tuttavia per una certa connessione di cose, tanto giova anche alla prosperità terrena degli individui e della società, che più non potrebbe se ad essa dovesse direttamente servire. – Non vuole dunque né deve la Chiesa, senza giusta causa, ingerirsi nella direzione delle cose puramente umane; ma neanche permettere e tollerare che il potere politico ne prenda pretesto, con leggi o disposizioni ingiuste, a ledere i beni di ordine superiore, ad offendere la divina costituzione di lei o a violare i diritti di Dio stesso nella civile società. – Facciamo dunque Nostre, Venerabili Fratelli, le parole che Benedetto XV, di f. m., pronunciava nell’ultima sua allocuzione tenuta nel Concistoro del 21 novembre dell’anno andato, a proposito dei patti chiesti ed offerti dai diversi Stati: «Non consentiremo mai che in questi Concordati si insinui alcunché di contrario alla dignità e alla libertà della Chiesa, poiché importa altamente alla stessa prosperità del civile consorzio, specialmente ai giorni nostri, che tali libertà e dignità rimangano salve e intatte ». – Appena occorre dire a questo proposito, con quanta pena all’amichevole convegno di tanti Stati vediamo mancare l’Italia, la carissima patria Nostra, il paese nel quale la mano di Dio, che regge il corso della storia, poneva e fissava la sede del suo Vicario in terra, in questa Roma, che da capitale del meraviglioso ma pur ristretto romano impero, veniva fatta da Lui la capitale del mondo intero, perché sede di una sovranità divina che, sorpassando ogni confine di Nazioni e di Stati, tutti gli uomini e tutti i popoli abbraccia. Richiedono però l’origine e la natura divina di tale sovranità, richiede l’inviolabile diritto delle coscienze di milioni di fedeli di tutto il mondo, che questa stessa sovranità sacra sia ed appaia manifestamente indipendente e libera da ogni umana autorità o legge, sia pure una legge che annunci guarentigie. – La guarentigia di libertà onde la Provvidenza divina, governatrice e arbitra delle umane vicende, senza danno, anzi con inestimabili benefìci per l’Italia stessa, aveva presidiato la sovranità del Vicario di Cristo in terra; quella guarentigia che per tanti secoli aveva opportunamente corrisposto al disegno divino di tutelare la libertà del Pontefice stesso, e al cui posto né la Provvidenza divina ha finora indicato, né i consigli degli uomini hanno finora trovato altro mezzo consimile, che convenientemente la compensi, quella guarentigia venne e rimane tuttora violata; onde si è creata una condizione di cose anormale, con grave e permanente turbamento della coscienza dei cattolici in Italia e nel mondo intero. – Noi dunque, eredi e depositari del pensiero e dei doveri dei Nostri venerati Antecessori, com’essi investiti dell’unica autorità competente nella gravissima materia e responsabili davanti a Dio, Noi protestiamo, com’essi hanno protestato, contro una tale condizione di cose, a difesa dei diritti e della dignità dell’Apostolica Sede, non già per vana e terrena ambizione, della quale arrossiremmo, ma per puro debito di coscienza, memori di dover morire e del severissimo conto che dovremo rendere al divino Giudice.  – Del resto l’Italia nulla ha o avrà da temere dalla Santa Sede: il Papa, chiunque egli sia, ripeterà sempre: «Ho pensieri di pace, non di afflizione: pensieri di pace vera, e perciò stesso non disgiunta da giustizia, sicché possa dirsi: la giustizia e la pace si sono baciate ». A Dio spetta addurre quest’ora e farla suonare; agli uomini savi e di buona volontà non lasciarla suonare invano: essa sarà tra le ore più solenni e feconde per la restaurazione del Regno di Cristo e per la pacificazione d’Italia e del mondo. – Per questa universale pacificazione più fervidamente Noi preghiamo ed a pregare tutti invitiamo, mentre ritornano, dopo venti secoli, il giorno e l’ora, in tutto il mondo così soavemente solenni, nei quali il dolce Principe della pace faceva l’umile e mansueto suo ingresso nel mondo e le « milizie celesti » cantavano: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà ».

E di questa pace sia a tutti caparra la Benedizione Apostolica, che vogliamo scenda sopra di voi e sul vostro gregge, sul vostro clero e sui vostri popoli, sulle loro famiglie e sulle loro case, e rechi felicità ai vivi, pace e beatitudine eterna ai defunti. La quale Benedizione a voi, al vostro clero e al vostro popolo in attestato della nostra paterna benevolenza, con tutto il cuore impartiamo.

Dato a Roma, presso San Pietro il giorno 23 dicembre 1922, anno primo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

DOMENICA VIII dopo PENTECOSTE

Introitus Ps XLVII:10-11.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua. [Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Ps XLVII:2. Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitate Dei nostri, in monte sancto ejus. [Grande è il Signore, e degnissimo di lode nella sua città e nel suo santo monte.]

Ps XLVII:10-11 Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua. [Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Oratio

Orémus.

Largíre nobis, quǽsumus, Dómine, semper spíritum cogitándi quæ recta sunt, propítius et agéndi: ut, qui sine te esse non póssumus, secúndum te vívere valeámus. [Concedici propizio, Te ne preghiamo, o Signore, di pensare ed agire sempre rettamente; cosí che noi, che senza di Te non possiamo esistere, secondo Te possiamo vivere.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII:12-17

Fratres: Debitóres sumus non carni, ut secúndum carnem vivámus. Si enim secúndum carnem vixéritis, moriémini: si autem spíritu facta carnis mortificavéritis, vivétis. Quicúmque enim spíritu Dei aguntur, ii sunt fílii Dei. Non enim accepístis spíritum servitútis íterum in timóre, sed accepístis spíritum adoptiónis filiórum, in quo clamámus: Abba – Pater. – Ipse enim Spíritus testimónium reddit spirítui nostro, quod sumus fílii Dei. Si autem fílii, et herédes: herédes quidem Dei, coherédes autem Christi.

Omelia I

[Mons. Bonomelli. Omelie, vol. III, Torino, 1899].

Omelia XVII

Fratelli, noi non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne; perché se vivrete secondo la carne, voi morrete: ma se con lo spirito avrete mortificato la carne, vivrete. Perché, quanti sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figliuoli di Dio. E’ vero, voi non avete ricevuto di nuovo lo spirito di servaggio a timore; ma avete ricevuto lo spirito di adozione, nel quale diciamo: Abba! Padre! Poiché lo stesso Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che noi siamo figliuoli di Dio. Se poi siamo figliuoli, siamo altresì eredi: eredi cioè di Dio, ma coeredi di Cristo „ (Ai Romani, VIII, 12-17).

La dottrina contenuta in questi sei versetti, l’altezza delle idee, la forma del dire ed il contorno dei periodi vi dicono senz’altro, che questo tratto dell’Epistola appartiene all’Apostolo Paolo; e veramente si legge nel capo ottavo della sua lettera ai Romani. Questa lettera tra le quattordici lasciateci dall’Apostolo è la principale per la copia e profondità della dottrina dogmatica e morale ed anche per l’ampiezza dello svolgimento, e fra i sedici capi, onde consta la lettera, questo, a mio giudizio, tocca la massima altezza per ciò che spetta la natura e gli effetti della rigenerazione operata da Cristo. – Dopo aver toccata la felice condizione dei rigenerati in Cristo, raffrontati a quelli che vivono nella carne, afferma che in essi abita lo Spirito Santo, e che esso un giorno li risusciterà come già risuscitò Gesù Cristo. Qui o cari, comincia il testo, che devo interpretare e che domanda tutta la vostra attenzione. – “ Fratelli, noi non siamo debitori alla carne, per vivere secondo la carne. „ L’Apostolo, lo sapete, con la parola carne indica l’uomo vecchio, l’uomo del peccato, l’uomo corrotto, l’uomo schiavo delle passioni, le quali hanno la loro radice principalmente nella carne, e perciò lo chiama semplicemente carne: con la spirito significa l’uomo nuovo, l’uomo della grazia, l’uomo rigenerato nel battesimo, l’uomo che segue lo spirito di Cristo, e perciò lo chiama spirito. Il battesimo mette in noi la grazia, che cancella il peccato, depone in noi un germe nuovo, una forza, una vita nuova, che è la partecipazione della vita stessa di Cristo, ma non distrugge le conseguenze o pene del peccato, e lascia sussistere accanto al nuovo uomo il vecchio, accanto alla grazia la concupiscenza, accanto allo spirito di Cristo, la carne con le sue passioni, e ciò ad esercizio della virtù. Vedeste mai, o dilettissimi, spuntare una pianta gentile, una vaga rosa, un candido giglio in mezzo ad un terreno pantanoso? È un’immagine del cristiano, esso ha in sé la grazia di Gesù Cristo, pianta gentile che germoglierà la rosa ed il giglio; ma la terra, in cui sorge e tiene le radici, è un pantano, che spesso esala miasmi pestilenziali, è il nostro corpo, la nostra natura corrotta, nella quale si annidano le più sozze passioni. Che dobbiamo far noi? Ciò che fa l’industre giardiniere: e gli non guarda al pantano, non l’ama, non vi mette il piede, che vi s’imbratterebbe, non se ne cura, anzi ne torce lo sguardo, rimira e vagheggia con occhio di compiacenza la rosa ed il giglio e circonda la pianta di tutte le sue cure amorose. – Similmente noi pure, o dilettissimi. Gesù Cristo ha ha posto in noi, come dicevo, la sua grazia: col santo battesimo a Lui ci siamo dati e gli abbiamo fatta solenne promessa di vivere come Lui, di seguire il suo spirito e di combattere il mondo, il demonio e la carne. Che cosa dobbiamo noi alla carne? Quali benefici ci ha essa fatti? Quali benefici possiamo aspettarci? Nessun beneficio ci ha fatto, né ci può fare, ed ogni male passiamo da essa temere. Dunque “non viviamo secondo la carne: „ – “Debitores sumus non carni, ut secundum carnem vìvamus.” La carne ci invita, ci trae a seguire la vanità, ad accumulare ricchezze, a mangiare e bere senza misura, a poltrire nell’ozio, ad odiare chi ci ha offesi, a vendicarci, a sfogare le basse voglie del senso e andate dicendo; no, non seguitiamo la carne per questa mala via; essa non ha diritto alcuno che noi la seguitiamo, e mal per noi se lo facessimo. E perché? – Perché esclama S. Paolo, “se vivrete secondo la carne, morrete: „ “Si enim secundum carnem vixiritis, morìemini”. Termine ultimo ed infallibile delle malnate vostre passioni soddisfatte, sappiatelo bene, sarà la morte. Qual morte? La morte dell’anima e con quella dell’anima la morte altresì del corpo nell’eterna perdizione. Chi di voi non ha orrore della morte? Chi di v o i non la fugge a tutto potere? Che non fareste voi per sottrarvi al suo braccio di ferro? Ebbene: non vivete secondo la carne, combattete virilmente le sue malvagie passioni e non sarete preda della morte. – No, noi non vivremo secondo la carne, come ci intimate voi, o grande Apostolo: come dunque vivremo? secondo qual legge? Udite: ” Se con lo Spirito avrete mortificate le opere della carne, vivrete: „ Si autem spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis. Comprendeste, o cari? Armati dalla grazia divina, come d’una spada a due tagli, avvalorati dalla forza dello spirito in noi infuso mercé del battesimo e degli altri Sacramenti, dobbiamo rintuzzare le opere della carne, cioè le male cupidigie, che pullulano nella carne, ed allora vivremo, cioè avremo la vita eterna dell’anima e a suo tempo quella del corpo. Lo so, che il raffrenare e il castigare le perverse voglie della carne cagiona assai volte dolori acutissimi, e la natura nostra fieramente si rivolta, né sa rassegnarsi a certi tagli crudeli; ma se vogliamo vivere è forza sottomettersi: Si spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis. – Un infelice è minacciato di gangrena in un braccio, in un piede o in altra parte del corpo: si chiamano i più valenti chirurghi: esaminano, si consultano tra loro e dichiarano unanimi, essere necessario il taglio. L’infermo impallidisce e domanda ansioso se non v’è altro rimedio. No, rispondono gli uomini della scienza: o il taglio e prontamente, o la vita. – Il misero s’ arrende e lascia che il ferro penetri profondamente nelle carni, e recida senza pietà le parti cancrenose, vi dica Dio con quale atroce spasimo. – Quello sventurato trova, nella sua volontà e nel timore della morte e nel desiderio della vita temporale la forza bastevole per sottomettersi al ferro ed al fuoco, e soffrire strazi indicibili e talora inutilmente; e noi nella nostra volontà sostenuta e rinvigorita dalla grazia divina, nel timore della morte e nel desiderio della vita eterna non troveremo la forza necessaria per isvellere quella triste abitudine, per isbarbicare quel turpe amore, per recidere quella scellerata passione, che quasi cancro rode e va spegnendo la vita della misera anima? Che il timore della morte eterna e l’amore della vita eterna siano meno efficaci sul nostro cuore del timore della morte temporale e dell’amore della vita temporale? Se così fosse, noi saremmo pessimi ragionatori. – Se voi seguirete, così l’Apostolo, se voi seguirete non gli appetiti della carne, ma lo spirito, ossia la grazia di Gesù Cristo, non solo non morrete, non solo avrete la vita, ma quella vita che è propria dei figli di Dio. Perché quanti sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio: „ “Quicumque enim Spiritu Dei aguntur, ii sunt filli Dei”. Questa espressione dell’Apostolo è molto forte e in alcuno può far sorgere il timore, che corra pericolo la nostra libertà; se siamo mossi dallo Spirito di Dio, si dirà, è tolta la libertà nostra, e se questa è tolta, è tolta la ragione del merito e della pena, e tra noi ed i bruti non corre differenza alcuna. Non temete, o cari, che lo Spirito di Dio tolga o scemi la nostra libertà; Esso non solo la rispetta, ma la sorregge e l’aiuta, perché sta scritto, che dove è lo Spirito di Dio, ivi è la libertà. – Il vento agita e muove l’albero; il sole muove intorno sé la terra ed i pianeti; il pilota guida dove e come vuole la sua nave, il cocchiere i suoi cavalli: è forse così che Dio con il suo Spirito muove le nostre volontà? No, per fermo; se così le muovesse, la libertà nostra sarebbe annientata: 1’albero non può non muoversi sotto il soffio del vento, la terra ed i pianeti non sono liberi di seguire il sole, la nave non può resistere al pilota, ed i cavalli sono costretti ad ubbidire al freno. Come, dunque le nostre volontà sono mosse dalla grazia, eppure rimangono libere? Come! Un giorno vostro padre e vostra madre vi dissero: Figliuoli! voi non andrete nel tal luogo dove correreste pericolo; voi attenderete allo studio ed andrete alla scuola; voi non piglierete il tal cibo e la tal bevanda, ma quello che v i sarà dato ed all’ora per voi stabilita, e tutto ciò pel vostro bene. Se non lo farete, mal per voi; se lo farete, noi, vostri genitori ne gioiremo e ne avrete la giusta mercede. E voi che faceste? Pel timore del castigo, per l’amore dei vostri genitori, seguiste il consiglio, faceste il loro volere, vi lasciaste guidare dal loro spirito. Perdeste voi la vostra libertà? No, sicuramente. Potevate fare il contrario di ciò che vi era da essi consigliato o comandato? Chi ne dubita? E forse in parte lo faceste ed ora ne provate rimorso. Il somigliante avviene rispetto a Dio, Padre nostro. Ci fa conoscere ciò che dobbiamo sfuggire e ciò che dobbiamo fare: ci mostra la via del male e ci dice: Non camminate per questa; ci mostra la via del bene e ci dice: Ti metti per questa. Poi infonde nell’anima nostra la forza necessaria perché facciamo ciò che ci comanda, ma non ci costringe, e ci lascia, come dice la Scrittura santa, in mano del nostro libero arbitrio. Dio dunque si muove, come si può muovere una volontà libera; ci muove come voi potete muovere la libertà d’un amico, dei vostri figli mostrando loro la verità, eccitandoli, esortandoli, minacciandoli, pregandoli, allettandoli ed in cento altri modo studiandovi di far sì che le loro volontà seguano la vostra (corre una gran differenza tra la nostra azione e quella di Dio: noi non possiamo agire sugli altri che in modo esterno, dovechè Dio agisce esternamente ed internamente; esternamente illumina la mente ed internamente muove la volontà e la avvalora secondo i bisogni). Forse che voi costringete e fate violenza alla loro volontà? E ciò che fa Dio con noi con la sua grazia e voi potete comprendere, che essa non nuoce, ma giova alla libertà, come il vostro consiglio ed il vostro comando e i vostri eccitamenti giovano al bene de’ vostri figliuoli. – In quanto siamo mossi e guidati dallo Spirito di Dio, “siamo figli di Dio, „ scrive san Paolo: Quicumque Spiritu Dei aguntur, ii sunt fillii Dei”. È questa una dottrina altissima, che ha bisogno d’essere ben compresa, e a ben rischiararla, userò d’una similitudine. Un padre, modello d’ogni virtù, ha due figli: l’uno è la copia fedele del padre, come lui pio e virtuoso; l’altro è il rovescio, superbo, iracondo, invidioso, dissoluto, senza fede, viziosissimo. Sono entrambi figli dello stesso padre? Indubbiamente, perché entrambi da lui hanno ricevuta la vita e secondo 1’ordine naturale, rispetto alla vita umana, sono fratelli e fratelli, li dice il popolo. Ma secondo la vita morale sono essi fratelli e figli dello stesso padre? Certamente, no, e il padre nel suo dolore più volte va esclamando: Ah! tu non sei mio figlio; e il popolo lo conferma, ripetendo: Questo non è figlio di quell’ottimo padre. Che differenza passa tra i due figli? Il primo ha in sé non solo la vita naturale del padre, ma anche la parte migliore di lui, la vita morale: ha in sé lo spirito del padre, è mosso e guidato dallo stesso spirito, si dice ed è perfettamente suo figlio. Il secondo ha dal padre la vita naturale, come il fratello, ma non ha la parte migliore, la vita morale, non ha lo spirito del padre, non è mosso, né guidato dallo stesso spirito, e perciò si dice che per questo rispetto non è figlio del padre. Così noi tutti siamo opera di Dio creatore, tutti riscalda un Dio redentore, e come tali tutti egualmente siamo figli di Dio; ma se la nostra condotta non è quale si conviene ai figli di Dio, se lo Spirito di Dio non ci muove e non ci guida, a ragione si deve dire, che non siamo figli di Dio. Guardando alle opere nostre, ai pensieri, agli affetti, onde si informa il nostro spirito, troviamo noi d’essere simili a Dio e figli di Dio, perché mossi ed informati del suo Spirito? Se, si, rallegriamoci e ringraziamone il buon Dio; se, no, facciamo del nostro meglio per essere tali almeno in avvenire. – “E veramente, voi non avete ricevuto di nuovo lo spirito di servaggio a timore”; è questa la sentenza che segue la spiegata e la rincalza. Noi siamo figli di Dio, guidati dal suo Spirito; e come potrebbe essere altrimenti? dice l’Apostolo. Noi, uomini della nuova legge, discepoli di Gesù Cristo, non abbiamo ricevuto lo spirito della legge antica, lo spirito di quella legge e quello spirito era proprio, non di figli, ma di servi, non di figli che amano il padre, ma di servi che temono il padrone. Che vuol dir ciò, o carissimi? L’indole e lo spirito della legge mosaica era quello di incutere timore con le pene gravissime temporali e con esse frenare le passioni e metterle in orrore il peccato, onde quella legge riguardava soltanto le opere esterne e non poteva, se non indirettamente, esercitare l’azione sua sull’interno e formare i l cuore. Gli Ebrei servivano a Dio più per timore che per amore, erano più servi che figli; ma noi, dice S. Paolo, siamo informati ad un’altra scuola: lo spirito che abbiamo ricevuto, quello di figli adottivi di Dio; è tale spirito, che ci diritto di chiamare Iddio col dolce nome di Padre: “In quo clamamus: Abba, Pater”. Dio Padre, per opera dello Spirito Santo congiunse la Persona del Figliuol suo colla natura umana assunta, e lo congiunse per modo, che l’Uomo-Cristo è vero Dio; Gesù Cristo vero dio e vero Uomo, con la grazia, con la carità e soprattutto con la S. Eucaristia, congiunge gli omini a se stesso per guisa che formano con Lui, una cosa sola, vivono della sua vita, partecipano della sua stessa natura e diventano anch’essi figli, non naturali, che è impossibile, ma adottivi, e come tali possono chiamare Dio loro padre. Che cosa importi questa eccelsa dignità di figliuoli adottivi di Dio, lo spiegai in altra omelia, e perciò qui me ne passo. – E possiamo noi sapere se abbiamo veramente in noi lo Spirito di Dio e se siamo suoi figli? Sì, risponde S. Paolo: ” Per lo stesso Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che noi siamo figli di Dio. „ – Noi possiamo avere una certezza di fede come quella che abbiamo p. es. della presenza reale di Gesù Cristo nella S. Eucaristia, e questa è la massima ed esclude qualunque ombra, ancorché lievissima, di dubbio; perché il nostro assenso si appoggia all’autorità stesso di Dio, che non può né ingannare, né ingannarsi: e possiamo avere una certezza umana, che esclude pur questa ogni dubbio e che appoggia alla nostra ragione od alla testimonianza altrui; così io sono certo che ogni effetto suppone la sua causa e che esiste il Giappone, benché io non l’abbia veduto. Chi mai, che sia sano di mente, potrà dubitare di queste due verità? Ebbene: noi siamo certi, dice S. Paolo, d’essere figli di Dio. E d’onde questa certezza? A qual prova si appoggia? Alla testimonianza che lo Spirito di Dio ci rende internamente. E questa una certezza di fede (Il Concilio di Trento insegnò, che l’uomo giustificato non è tenuto a credere per fede di essere nel numero dei predestinati, e che nessuno sa con assoluta ed infallibile certezza di essere predestinato, se non lo conosce per via di speciale rivelazione. -Sess. VI, Can. 15, 16.-) se non vi è una speciale rivelazione di Dio, della quale qui l’Apostolo non fa cenno e che è fuori di questione, perché parla in generale di tutti i fedeli, dicendo : ” Perché lo stesso Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che siamo figli, di Dio. „ È questa dunque una certezza umana, maggiore o minore, secondo le persone e secondo le circostanze, che tiene, a così dire, il mezzo tra la certezza assoluta e la congettura. Ma in qual maniera poi lo Spirito Santo ci accerta che siamo figli di Dio e perciò adorni della sua grazia? Lo Spirito di Dio nella Scrittura santa e nell’insegnamento ordinario della Chiesa ci dice chiaramente, che chi crede le verità della fede, ed osserva la legge divina ed adempie come meglio può i propri doveri tutti, costui si santifica e si salva: ora, se interrogando schiettamente la nostra coscienza, essa ci dice che tutto questo noi abbiamo fatto e facciamo, noi abbiamo l’umana certezza d’essere nella sua grazia e di salvarci. Come siamo noi certi di godere l’amicizia di questa o quella persona? Come siamo noi certi che i genitori ci amano? Guardando alle opere loro e nostre, considerando il complesso delle cose tutte, noi teniamo con maggior o minore certezza di poter riposare sulla fedeltà degli amici e sull’amore dei nostri genitori, tantoché assai volte non ci si affaccia un’ombra sola di dubbio. Similmente, ragguagliata ogni cosa, possiamo dire dell’amicizia e dell’amore di Dio. – Alcuni provano angustie penose e grandi timori perché ignorano se sono in grazia di Dio od in peccato, se si salveranno o perderanno, e si sentono stringere il cuore. Nessuno sa con assoluta certezza se è degno d’odio o di amore, come insegna la S. Scrittura: il nostro cuore è un abisso e solamente l’occhio di Dio vi legge con tutta chiarezza; con tutto ciò a noi pure è dato leggervi alcun poco e tanto da poterne avere una cotale certezza, che ci procuri quella pace, che quaggiù è possibile . – Carissimi! volete voi sapere se siete veramente in grazia di Dio e per conseguenza suoi figliuoli? Sì, mi rispondete voi ad una voce e mi domandate : Come ottenere questa certezza sì desiderata e sì consolante? Raccoglietevi in voi stessi, nel santuario della vostra coscienza, e mettendovi faccia a faccia con essa, indirizzatele queste domande semplicissime: Credo io tutto ciò che insegna la Chiesa, madre mia? Se conoscessi d’aver commesso un peccato grave, me ne pentirei di cuore e sinceramente me ne confesserei? Se Dio, ora, in questo punto, mi comandasse un sacrificio grande, doloroso, sarei io pronto a farlo, sostenuto dalla sua grazia? Se in questo istante mi si offrisse un grande onore, un tesoro a patto di offendere Dio con un peccato mortale, avrei io il coraggio di respingere quell’onore e quel tesoro? Se la vostra coscienza vi risponde: Sì, consolatevi, la grazie di Dio è in voi e voi siete suoi figli. È una prova che ciascuno può fare in se stesso ogni qual volta gli piaccia (sono questi i segni che siamo in grazia di Dio indicati da S. Francesco di Sales. Iddio poi vuole che la nostra certezza sia sempre accompagnata da un po’ di timore per scuotere la nostra pigrizia. “Perpende, dulcissima filia, così S. Gregorio M. ad una pia dama di corte, quia mater negligentiæ solet esse securitas. Habere ergo in hac vita non debes securitatem, per quam negligens reddaris”). – Se siamo figli, siamo altresì eredi, eredi di Dio, ma coeredi di Cristo. „ Con questa sentenza si chiude la lezione della nostra Epistola. Se siamo figli di Dio e perciò nell’anima nostra simili a Lui, quale ne sarà la conseguenza? quale il frutto? “Saremo eredi di Dio. „ il Figlio di Dio, il figlio docile ed amorevole, che adempie tutti i suoi doveri, ha diritto alla eredità del padre: così noi, se adempiremo fedelmente i doveri nostri verso Dio, che ci ha adottati per sola sua bontà, saremo eredi suoi. Di quali beni saremo noi eredi? Di tutti i beni, onde risulta la eterna felicità, fonte dei quali è il possesso di Dio medesimo. – Direte: i figli,- siano essi naturali od adottivi, non ricevono la eredità che alla morte del padre; ora Dio, padre nostro, non muore mai, né puo’ morire: perché dunque i beni, che un giorno ci darà su in cielo, si chiamano eredità? Si chiamano eredità, per indicare i rapporti che passano tra Dio rimuneratore e gli uomini rimunerati, che sono appunto i rapporti tra padre adottante e i figli adottati. Oltreché, noi siamo fratelli di Gesù Cristo secondo la sua natura umana: Gesù Cristo, in quanto uomo, ricevette dal Padre tutti i beni, come Figliuol suo naturale, e questi beni si chiamano la sua eredità; il perché, per ragione di analogia, pure i nostri beni futuri si dicono eredità. Nell’ordine naturale i figli qui sulla terra ricevono l’eredità dopo la morte dei genitori; nell’ordine sovrannaturale i figli devono morire prima di riceverla dal Padre immortale; ad ogni modo, per avere questi beni deve sempre precedere la morte, e perciò si chiama eredità. Eredi di Dio! “Hæredes Dei!” Quale dignità! Quale grandezza è la nostra! Quei beni sono certamente un dono gratuito di Dio, se consideriamo la loro radice, che è la grazia, ma ci sono anche dovuti, se poniamo mente alla nostra prerogativa di figli di Dio e alle opere nostre, frutto della grazia. La eredità è dovuta ai figli per giustizia: poteva Iddio non adottarci; ma dopo l’adozione non può negarcela; Egli stesso ce ne ha dato il diritto. Eredi di Dio! Queste parole svegliano nella mente dell’Apostolo un”altra idea nobilissima e subito la nota, dicendo: “E coeredi di Cristo. „ Sì, siamo figli di Dio, e quindi eredi suoi; figli ed eredi di Dio, perché il Figlio di Dio si fece uomo e fratello nostro, e per Lui ed in Lui, Figlio naturale ed erede necessario della eredità paterna, noi pure siamo figli per adozione di Dio e suoi eredi. Tutto dunque abbiamo per Gesù Cristp e perciò a Lui si devono tutte le grazie, e la gloria di tanta grandezza. a cui siamo sollevati. – O poveri che mi ascoltate; che bagnate di sudore il vostro pane quotidiano, che non possedete un palmo di terra, che soffrite tutti i mali ed i dolori, che sono inseparabili compagni della povertà e della miseria, rallegratevi, gioite: levate i vostri occhi al cielo, esso è vostro. Iddio il padrone d’ogni cosa, ha un Figliuolo, unico Figliuolo: Egli ha diritto al possesso di tutti i beni del Padre suo; per eccesso di bontà Egli ha voluto associare voi tutti ai suoi diritti sulla eredità paterna; voi sarete suoi coeredi, a quest’unica condizione, che vi riuniate a Lui con la fede, con la speranza e con la carità, e dietro a Lui portiate quella croce ch’Egli per primo portò dinanzi a voi.

 Graduale Ps XXX:3

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias. [Sii per me, o Dio, protezione e luogo di rifugio: affinché mi salvi.]

Ps LXX:1 V. Deus, in te sperávi: Dómine, non confúndar in ætérnum. Allelúja, allelúja. V. O Dio, in Te ho sperato: ch’io non sia confuso in eterno, o Signore. Allelúia, allelúia

Alleluja Ps XLVII:2

Alleluja, Alleluja.

Magnus Dóminus, et laudábilis valde, in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus. Allelúja. [Grande è il Signore, degnissimo di lode nella sua città e sul suo santo monte. Allelúia].

 

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc XVI:1-9

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Homo quidam erat dives, qui habébat víllicum: et hic diffamátus est apud illum, quasi dissipásset bona ipsíus. Et vocávit illum et ait illi: Quid hoc audio de te? redde ratiónem villicatiónis tuæ: jam enim non póteris villicáre. Ait autem víllicus intra se: Quid fáciam, quia dóminus meus aufert a me villicatiónem? fódere non váleo, mendicáre erubésco. Scio, quid fáciam, ut, cum amótus fúero a villicatióne, recípiant me in domos suas. Convocátis itaque síngulis debitóribus dómini sui, dicébat primo: Quantum debes dómino meo? At ille dixit: Centum cados ólei. Dixítque illi: Accipe cautiónem tuam: et sede cito, scribe quinquagínta. Deínde álii dixit: Tu vero quantum debes? Qui ait: Centum coros trítici. Ait illi: Accipe lítteras tuas, et scribe octogínta. Et laudávit dóminus víllicum iniquitátis, quia prudénter fecísset: quia fílii hujus saeculi prudentióres fíliis lucis in generatióne sua sunt. Et ego vobis dico: fácite vobis amicos de mammóna iniquitátis: ut, cum defecéritis, recípiant vos in ætérna tabernácula. [In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli questa parabola: Vi era un uomo ricco che aveva un fattore, e questi fu accusato presso di lui di avergli dissipato i beni. Allora lo chiamò e gli disse: Che cosa sento dire di te? réndimi conto del tuo operato, perché ormai non potrai più essere mio fattore. Questi disse fra sé: Cosa farò poiché il padrone mi toglie la fattoria? Non posso zappare, mi vergogno di chiedere l’elemosina. Ma so quello che farò, affinché quando sarò cacciato dalla fattoria, possa essere accolto in casa altrui. Adunati quindi tutti i debitori del suo padrone, diceva al primo: Quanto devi al mio padrone? E questi: Cento orci d’olio. E il fattore: Prendi la tua obbligazione, siediti e scrivi: cinquanta. Poi disse a un altro: E tu, quanto devi? Cento staia di grano. E il fattore: Prendi la tua lettera e segna: ottanta. E il padrone lodò il fattore disonesto che aveva agito con astuzia, poiché i figli del secolo sono piú accorti, fra loro, dei figli della luce. E io dico a voi: fatevi degli amici con le ricchezze dell’iniquità, affinché, quando morrete, gli amici vi accolgano nelle loro eterne dimore.]

Omelia II

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

[Vangelo sec. S. Luca XVI, 1-9]

-Tre tribunali-

“Rendimi conto, economo infedele (così Cristo introduce a parlare nell’evangelica parabola un padrone mal soddisfatto del suo fattore), rendimi conto, servo malvagio, di tua condotta nell’amministrazione a te affidata de’ miei averi; perciocché tu più non avrai né impiego, né tempo a dissipare le mie sostanze!: redde rationem villicationis tuæ: iam enim non poteris villicare”. Atterrito da questa minaccia il tristo castaldo cominciò a pensare, e a dire fra sé: “Che farò quando dal mio Signore io venga rimosso dalla mia carica? Zappare? Io non ho forza. Mendicare? Io non ho faccia. So ben io quel che fare mi giova”; e chiamati i debitori del suo padrone, se l’intese con quelli, e provvide, sebbene ingiustamente, a’ suoi futuri bisogni. Cristiani uditori, saremo ancor noi citati un giorno innanzi al divino giudice, anche a noi sarà intimato quel “redde rationem villicationis tuæ”. Non potremo in quel dì pigliar tempo, e provvedere a noi stessi, come lo scaltro fattore. Il tempo che allora ci mancherà l’abbiamo adesso: Iddio ce l’accorda al presente, non ce lo promette in futuro. Anzi, notate finissimo tratto della sua immensa bontà, acciò al suo divin tribunale possiamo rendere buon conto di noi, Egli, dice il Crisostomo, Egli ha stabilito due altri tribunali: “tribunal mentis, tribunal poenitentiæ, tribunal iudicii[Homil. De poenit.]. Osservate con qual ordine. Il primo è piantato nel nostro cuore da Dio Creatore, il secondo nella sua Chiesa da Dio Redentore, il terzo al fin di nostra vita da Dio giudice; il primo è un tribunale di giustizia e di misericordia: il secondo di pura misericordia; il terzo di sola giustizia. Il primo è diretto acciò ricorriamo al secondo, il secondo affinché ci disponiamo al terzo. Guai se non usiamo bene de’ due primi, saremo irrevocabilmente condannati nel terzo. Uditemi attentamente.

I. Il primo tribunale collocato nel nostro cuore da Dio Creatore, egli è un tribunale di giustizia insieme e di misericordia; e primieramente di giustizia. – Appena gl’incauti nostri progenitori rompono il primo precetto, che sull’istante, presi da confusione e da rossore, si ritirano, si nascondono, si coprono di fronde e foglie. Chi li accusa? Chi li condanna? Non hanno ancor sentito la voce di Dio sdegnato nel terreno paradiso, perché dunque si turbano, si coprono, e si nascondono? E non lo vedete; chi li accusa, e chi li condanna è quel giudice inesorabile da Dio Creatore custodito nel loro cuore, che alza la voce, che li confonde, che fa provare tutto l’orrore, che fa sentire tutto il peso del loro delitto. Una più chiara prova ci somministrano le parole del grande Iddio dirette al loro primo figliuolo, invidioso Caino. Io leggo, o Caino nel tuo volto turbato un certo iniquo disegno. Ascolta, infelice, se tu opererai il bene ne avrai la ricompensa, se il male, ne porterai subito la pena. Il peccato, come un cane latrante alla porta del tuo cuore, ti farà provare i più fieri rimorsi : “Si bene egeris, recipies, sin autem male, statim in foribus peccatun aderit” [Gen. IV, 6], Così avvenne. Appena tinto del sangue dell’innocente fratello, un torbido orrore gl’invase la mente, un così strano e gelido spavento gli sconvolse l’animo, che profugo sulla terra temeva ad ogni passo incontrarsi in chi gli desse la morte. – È questo il tribunale della coscienza, “tribunal mentis”, in cui, come nel tribunale degli uomini, v’interviene il reo detenuto, gli accusatori che denunziano, il giudice, che condanna. Reo detenuto è il peccatore, che non può fuggire da sé stesso; accusatori sono 1’intelletto che gli fa conoscere, la memoria, che gli ricorda i suoi delitti; il giudice è la coscienza, giudice inesorabile, che parla contro chi non vorrebbe, che non si può far tacere, che dà sentenze, che pronunzia condanna. Tu tieni ingiustamente la roba altrui, dice ad uno, tu sei un ladro coperto, ma sei un ladro. Tu sei un disonesto, dice ad un altro, ti nascondi agli occhi del mondo, ma a te stesso nascondere non ti puoi. Tu sei in stato di dannazione, dice ad un terzo, se tu non lasci il peccato, se non ti penti, se non ti confessi, tu sei perduto. – Via, peccatori quanti mai siete, distraetevi pure dai reclami della rea coscienza, fate strepito per non sentirla, passate senza interrompimento dall’uno all’altro piacere, dal convito al giuoco, al passeggio, al ballo, al teatro, vi saprà ben seguire e mordere in ogni luogo, in ogni tempo il verme della sinderesi, e massime alla prima disgrazia che v’intervenga, o alla prima malattia che vi colga. Disingannatevi, dice il Crisostomo, ovunque possiate rivolgervi, porterete sempre con voi un giudice che la farà da carnefice per tormentarvi. – Questo tribunal di giustizia ne’ disegni di Dio pietoso è anche un tribunale di misericordia, fa Iddio con noi come medico sagace, che maneggia il ferro, adopra il fuoco per ridurre a sanità il povero infermo. Quelle fitte, peccatori miei cari, quelle spine, che vi trafiggono, sono dirette a farvi conoscere che il peccato non può farvi contento, che bisogna togliere la spina se volete che cessi il dolore. Ad una di queste spine deve la sua conversione il penitente Profeta: “conversus sum in aerumna mea, dum conficitur spina” [Ps. XXXI]. Sono spine, è vero, sono punture, ma sono grazie del misericordioso Signore, acciò afflitti e conturbati nel tribunale della vostra coscienza cerchiate rimedio alle vostre piaghe e pace al vostro cuore nel tribunale della penitenza.

II. Il tribunale di penitenza, posto da Dio Redentore nella sua Chiesa, è tribunale di misericordia. Ne’ tribunali terreni la confessione del peccato si trae addosso la pena, confessarsi reo e condannarsi è la cosa stessa. Tutto il contrario nel tribunale della penitenza. Chi si discolpa moltiplica il suo reato: chi si accusa, chi si condanna, resta assoluto e prosciolto: “Si nosmetipsos diiudicaremus, non utique iudicaremur” [I Cor. XI, 31]. – È sempre stato questo 1′ ordinario costume del nostro Iddio, che è la stessa bontà e la stessa giustizia, di condannar chi si scusa, e di perdonar chi s’incolpa. Si scusa Adamo, e dice: “la donna, che dato mi avete, fu la cagione del mio trascorso”. Si scusa Eva, e ne ascrive la causa al serpente. Scuse in faccia di un Dio veggente? Fuori del terren Paradiso! Si scusa Aronne e dell’idolo da lui innalzato alle falde del Sinai, ne fa carico alla turba tumultuante, e viene escluso perciò dal metter piede nella terra promessa. Si scusa Saul, e di sua trasgressione al divino comando ne incolpa il popolo; e Samuele gli annunzia la perdita del regno temporale, a cui si aggiunse poi la perdita del regno eterno. In somma, reo che si scusa dinanzi a Dio, non l’indovina. Per l’opposto chi si umilia, chi si confessa colpevole disarma la divina giustizia, e ottiene grazia e perdono. .- “Peccavi , dice Davide , peccavi Domine”, e Natan profeta l’assicura che il suo peccato è rimesso, “Dominus quoque transtulit peccatum tuum” [ II Reg. XII, 13]. Si dichiara massimo peccatore il Pubblicano, si batte il petto cogli occhi a terra e se n’esce giustificato dal tempio. Si protesta il prodigo indegno del nome di figlio, e viene accolto con festa dal buon genitore. Si confessa, a finirla, il buon ladro meritevole del suo supplizio, ed ottiene da Gesù moribonde e perdono e promessa di paradiso. – Ecco come 1’umile confessione delle proprie colpe placa la giusta collera di Dio offeso, e ciò in tutti i tempi, massime però nel tribunal di penitenza, in cui la sincera confessione dell’uomo ravveduto e compunto acquista soprannatural vigore, e maggior merito per l’efficacia del Sacramento, in modo, dice S. Isidoro, che se siete infermi vi risana, se in disgrazia di Dio, vi giustifica, se meritevoli di castigo vi perdona, perché nella sacramental Confessione ha collocata la sua sede la divina misericordia: “in confessione locus misericordiæ”. Aggiustiamo dunque, fratelli carissimi, in questo tribunale di misericordia i nostri conti con Dio, se vogliamo incontrar bene al tribunale, a cui appena morti dovremo comparire, tribunale di pura giustizia.

III. Così è, a quel finale giudizio presiede la sola giustizia di Dio, e la misericordia è da quello affatto lontana: “Judicium sine misericordia”. Dura la divina misericordia finché dura la vita: finita questa, si chiude la porta della divina clemenza per non aprirsi mai più. A quel tremendo tribunale non ci accompagnano se non le nostre opere o buone o malvagie. Portiamo con noi il nostro processo, da cui dipende la nostra eterna sorte. Quivi, a nostro modo di intendere, ognun di noi sarà posto nelle bilance di rigorosa giustizia: se, come Baldassarre, saremo trovati mancanti, una sentenza irrevocabile, una condanna di eterno supplizio sarà il giusto castigo, che ci renderà eternamente infelici. – Ah, mio Dio! Dunque se io vi comparisco davanti col peccato nell’anima, sarò da voi rigettato in eterno? E in quel finale giudizio sarà dalla spada della vostra giustizia recisa per sempre la via della pietà e della misericordia? “Numquid in æternum proiiciet Deus …aut in finem misericordiam suam abscìndet?! [Ps. LXXVI, 7-8] Ah mio Signore! E non ci dite voi per bocca di un vostro profeta, che in mezzo all’ira vi ricorderete della misericordia? Appunto, di me sta scritto, “cum iratus fueris misericordiæ recordaberis” (Habac. II, 5), e ben me ne ricordo di quella misericordia usata con voi in tutto il corso della vostra vita: mi ricordo della mia pazienza in sostenervi per tanto tempo peccatori: mi ricordo dell’abbondanza delle mie grazie, e dell’ostinazione dei vostri rifiuti. Quanti lumi ho fatto balenare alla vostra mente, quanti impulsi ho fatto sentire al vostro cuore, quanti stimoli alla vostra coscienza per svegliarvi dal mortale letargo delle vostre viziose abitudini? La mia misericordia è quella, che colla voce delle mie ispirazioni, e con quella dei miei ministri vi chiamava al tribunale di penitenza; affinché in quello saldaste i debiti colla mia giustizia, e non aveste in questo a provarne i rigori, questi e mille altri sono i tratti della clemenza usata con voi, e al rammentarli in quest’istante si accende di maggior fiamma il giusto mio sdegno. Itene dunque maledetti per sempre. Voi non siete più miei, Io non sono più vostro; “Vos non populus meus, et ego non ero vester (Osea I, 9 ). – Miei cari, se vogliamo in quel tribunale schivar la sentenza di eterna morte, profittiamo del primo tribunale, che Dio Creatore ha posto nel nostro cuore, ricorriamo al secondo della penitenza, che Dio Redentore ha stabilito nella sua Chiesa. L’avviso è del Crisostomo : “Si volumus a tribunali iudicii particularìs absolvi, duo reliquia iudicia frequentemus” [Hom. de Pœnit.].

Credo …

Offertorium

Orémus Ps XVII:28; XVII:32

Pópulum húmilem salvum fácies, Dómine, et óculos superbórum humiliábis: quóniam quis Deus præter te, Dómine? [Tu, o Signore, salverai l’umile popolo e umilierai gli occhi dei superbi, poiché chi è Dio all’infuori di Te, o Signore?]

Secreta

Súscipe, quǽsumus, Dómine, múnera, quæ tibi de tua largitáte deférimus: ut hæc sacrosáncta mystéria, grátiæ tuæ operánte virtúte, et præséntis vitæ nos conversatióne sanctíficent, et ad gáudia sempitérna perdúcant. [Gradisci, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che noi, partecipi dell’abbondanza dei tuoi beni, Ti offriamo, affinché questi sacrosanti misteri, per opera della tua grazia, ci santífichino nella pratica della vita presente e ci conducano ai gaudii sempiterni.]

Communio Ps XXXIII:9 Gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus: beátus vir, qui sperat in eo. [Gustate e vedete quanto soave è il Signore: beato l’uomo che spera in Lui.]

Postcommunio

Orémus. Sit nobis, Dómine, reparátio mentis et córporis cæléste mystérium: ut, cujus exséquimur cultum, sentiámus efféctum. [O Signore, che questo celeste mistero giovi al rinnovamento dello spirito e del corpo, affinché di ciò che celebriamo sentiamo l’effetto.]