SANTA GENOVEFFA, VERGINE PATRONA DI PARIGI

SANTA GENOVEFFA, VERGINE PATRONA DI PARIGI

[Dom Guéranger: l’ANNO LITURGICO, Ed. Paoline, Alba, 1957]

Il Martirologio della Chiesa Romana ci presenta oggi il nome d’una santa vergine la cui memoria è troppo cara alla Chiesa di Parigi e a quelle di tutta la Francia, perché possiamo passare sotto silenzio i suoi meriti gloriosi. Insieme con i Martiri e con il Confessore e Pontefice Silvestro, la vergine Genoveffa brilla d’un soave splendore accanto a sant’Anastasia, e custodisce con amore la culla del divino Bambino del quale imitò la semplicità e meritò di esser la Sposa. In mezzo ai misteri del parto verginale, è giusto rendere solenni onori alle Vergini fedeli che son venute dopo Maria. Se ci fosse possibile esaurire i Fasti della santa Chiesa, che magnifica pleiade di spose di Cristo dovremmo glorificare in questi quaranta giorni della Nascita dell’Emmanuele! Genoveffa è stata celebre nel mondo intero. Viveva ancora in questa carne mortale che già l’Oriente conosceva il suo nome e le sue virtù; dall’alto della sua colonna, Simone stilita la salutava come sorella nella perfezione del Cristianesimo. A d essa è affidata la capitale della Francia: una semplice pastorella protegge i destini di Parigi, come un povero lavoratore, sant’Isidoro, veglia sulla capitale della Spagna. – L’elezione che Cristo si era degnato di fare della fanciulla di Nanterre quale sua Sposa, fu proclamata da uno dei maggiori vescovi della Gallia nel V secolo. San Germano d’Auxerre si recava in Gran Bretagna dove il Papa san Bonifacio I lo mandava per combattere l’eresia pelagiana (verso il 430). Accompagnato da san Lupo, vescovo di Troyes, che doveva condividere la sua missione, si fermò al villaggio di Nanterre; e siccome i due prelati si dirigevano verso la chiesa in cui volevano pregare per il successo del loro viaggio, il popolo fedele li circondava con una pia curiosità. Illuminato da una luce divina, Germano distingueva tra la folla una fanciulla di sette anni, e fu avvertito interiormente che il Signore se l’era scelta. Chiese agli astanti il nome di quella fanciulla, e pregò che la conducessero alla sua presenza. Si fecero dunque avvicinare i genitori, il padre chiamato Severo e la madre di nome Geruntia. L’uno e l’altra furono commossi alla vista delle carezze di cui il santo vescovo colmava la loro figliuola. « È vostra questa fanciulla? » chiese Germano. – « Sì », risposero. – « Beati voi che siete i genitori di una simile figlia! » riprese il vescovo. « Alla nascita di questa fanciulla, sappiatelo, gli Angeli hanno fatto gran festa nel cielo. Questa fanciulla sarà grande davanti al Signore, e con la santità della sua vita sottrarrà molte anime al giogo del peccato ». – Quindi, rivolgendosi alla fanciulla: « Genoveffa, figlia mia! » disse. – « Padre santo », rispose essa, « la tua serva ti ascolta ». – E Germano: « Parlami senza timore: vorresti essere consacrata a Cristo in una purezza senza macchia, come sua Sposa? » – « Siate benedetto. Padre mio! » esclamò la fanciulla, « ciò che voi mi chiedete è il desiderio più ardente del mio cuore. È tutto quello che io voglio: degnatevi di pregare il Signore che me lo conceda ». « Abbi fiducia, figlia mia » riprese Germano; « sii ferma nella tua risoluzione; siano le tue opere conformi alla tua fede, e il Signore aggiungerà la sua forza alla tua bellezza ». – I due vescovi, accompagnati dal popolo, entrarono nella chiesa, e si cantò l’Ufficio di Nona, che fu seguito dai Vespri. Germano aveva fatto condurre Genoveffa presso di sé, e per tutta la salmodia tenne le sue mani sul capo della fanciulla. L’indomani, allo spuntar del giorno, prima di mettersi in cammino, fece condurre a sé Genoveffa dal padre. « Salve Genoveffa, figlia mia! » le disse; « ricordi la promessa di ieri? » – « O Padre santo! » rispose la fanciulla, « ricordo quanto ho promesso a Dio; il mio desiderio è quello di conservare sempre, con l’aiuto del cielo, la purezza dell’anima e del corpo ». A questo punto, Germano vide per terra una medaglia di cuoio segnata con l’immagine della Croce. La raccolse e, presentandola a Genoveffa le disse: « Prendila, mettila al collo, e conservala in ricordo di me. Non portare mai né collana né anello d’oro o d’argento, né pietra preziosa; perché se l’attrattiva delle bellezze terrene venisse a dominare il tuo cuore, perderesti subito la tua divisa celeste che deve essere eterna ». Germano disse alla fanciulla di pensare spesso a lui in Cristo, e raccomandatala a Severo come un deposito doppiamente prezioso, si mise in cammino per la Gran Bretagna con il suo pio compagno. – Abbiamo voluto riprodurre questa graziosa scena quale ci è narrata negli Atti dei Santi per mostrare la potenza del Bambino di Betlemme che agisce con tanta libertà nella scelta delle anime che ha risoluto di legare a sé con un legame più stretto. Egli si comporta da maestro, nulla gli è di ostacolo, e la sua azione non è meno visibile in questo secolo di decadenza e di tiepidezza di quanto lo fosse ai giorni di san Germano e di santa Genoveffa. Alcuni, purtroppo, ne provano dispiacere; altri stupiscono; la maggior parte non riflette affatto; gli uni e gli altri si trovano tuttavia di fronte a uno dei segni più evidenti della divinità della Chiesa.

Vita. – Genoveffa nacque a Nanterre verso il 419. A sette anni, fu consacrata vergine dal vescovo S. Germano di Auxerre. Con la sua preghiera e con i suoi miracoli protesse contro gli attacchi dei Normanni, e nutrì durante l’assedio, la città di Parigi che la invoca quale patrona. Dopo una vita trascorsa nella pratica delle più eminenti virtù, s’addormentò nel Signore il 3 gennaio del 512. La sua tomba, resa insigne da numerosi miracoli, è diventata la meta di un pellegrinaggio nazionale.

“ O Genoveffa, vergine fedele, noi vogliamo renderti gloria per i meriti che il divino Bambino si è compiaciuto di radunare in te. Tu sei apparsa sulla Francia come un Angelo tutelare; le tue preghiere sono state per lungo tempo oggetto della fiducia dei Francesi, e ti sei onorata, in cielo e in terra, di proteggere la capitale del regno di Clodoveo, di Carlo Magno e di san Luigi. Sono giunti tempi degni di esecrazione, durante i quali il tuo culto è stato sacrilegamente abrogato, i tuoi templi sono stati chiusi, e le tue preziose reliquie profanate. Tuttavia, tu non ci hai abbandonati; hai implorato per noi giorni migliori; e possiamo riprendere una certa fiducia nel vedere il tuo culto rifiorire in mezzo a noi, malgrado le profanazioni più recenti venute ad aggiungersi alle antiche. – In questo periodo dell’anno che illustra e consacra il tuo nome, benedici il popolo cristiano. Apri i nostri cuori all’intelligenza del mistero del Presepio. Ritempra quella nazione che ti è stata sempre cara alle pure sorgenti della fede, e ottieni dall’Emmanuele che la sua Nascita, rinnovantesi ogni anno, divenga un giorno di salvezza e di vera rigenerazione. Noi siamo malati, periamo, perché le verità sono scemate presso di noi, secondo le parole di David; e la verità si è oscurata perché l’orgoglio ha preso il posto della fede, l’indifferenza quello dell’amore. Solo Gesù conosciuto e amato nel mistero della sua ineffabile Incarnazione può ridarci la vita e la luce. Tu che l’ha ricevuto e l’hai amato nella tua lunga e casta vita, conduci anche noi alla sua culla. Veglia, o potente pastora, sulla città che ti è stata affidata. Guardala dagli eccessi che sembrano talora renderla simile a una grande città pagana. Dissipa le tempeste che si formano nel suo seno, e da apostola dell’errore, consenta a diventare finalmente discepola della verità. Nutri ancora il suo popolo che muore di fame, ma solleva soprattutto le sue miserie morali. Calma quelle febbri ardenti che bruciano le anime e sono ancor più terribili di quel brutto male che bruciava solo i corpi. Accanto al tuo sepolcro vuoto, dall’alto del Monte che domina il grandioso tempio che si eleva sotto il tuo nome e rimane tuo per volere della Chiesa e dei padri nostri, a dispetto dei reiterati attacchi della forza bruta, veglia su quella gioventù di Francia che si stringe attorno alla cattedra della scienza umana, gioventù così spesso tradita dagli stessi insegnamenti che dovrebbero dirigerla, e assicura alla patria generazioni cristiane. Brilli sempre la croce, a dispetto dell’inferno, sulla cupola del tuo santuario profanato, e non permettere mai che ne sia tolta. Che quella croce immortale regni di nuovo presto e pienamente su di noi, e stenda le sue braccia, dalla sommità del tuo tempio, su tutte le case della città peccatrice restituita alla sua antica fede, al tuo culto, alla tua antica protezione.

NOME DI GESU’

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol. II; S.E.I. Torino, 1930]

1. Che cosa significa il nome di Gesù. — 2. Il nome di Gesù annunziato dai profeti. — 3. Grandezza del nome di Gesù. — 4. Il nome di Gesù è prezioso. — 5. Bisogna invocare sovente il santo nome di Gesù.

– 1. CHE COSA SIGNIFICA IL NOME DI GESÙ. — Il nome di Gesù vuol dire Salvatore e Redentore. « Nella lingua ebraica, scrive Sant’Epifanio, Gesù significa colui che guarisce, ovvero medico e salvatore ». L ‘ Angelo Gabriele dà egli medesimo questo senso al nome di Gesù, quando dice a Giuseppe che non tema di prendere in sposa Maria: poiché quello che è nato in Lei le viene dallo Spirito Santo. « Essa partorirà un figlio e lo chiamerai Gesù, perché libererà il suo popolo dai suoi peccati » — Vocabis nomen eius Iesum ipse enim salvum faciet populum suum a peccatis eorum ( MATTH. 1, 20-21). « Non si dà salute in nessun altro, predicava S. Pietro, se non in Gesù di Nazareth, e non è dato in terra agli uomini altro nome, in virtù del quale possano essere salvi » — Non est in alio aliquo salus. Nec enim aliud nomen est sub cœlo datum hominibus in quo oporteat nos salvos fieri (Act. IV, 12). « Il mio nome, è nuovo », dice il Signore nell’Apocalisse: — Nomen meum novum (III, 12). Il nome al quale qui si accenna è quello di Gesù; nome da lui ricevuto nella circoncisione.

– 2. IL NOME DI GESÙ ANNUNZIATO DAI PROFETI. — « Io aspetterò, o Signore, la vostra salute » — Salutare tuum expectabo, Domine (Gen. XLIX, 18), diceva Giacobbe vicino a morire; più esplicito il profeta Abacuc chiamava questa salute col proprio nome, esclamando: « Io mi rallegrerò nel Signore, e tripudierò di gioia in Gesù Dio della mia salute » — Ego autem in Domino gaudebo, et exultabo in Deo Iesu meo ( HABAC. III, 18). « Stillate, o cieli, la vostra rugiada, pioveteci, o nubi, il giusto; si apra la terra e produca il Salvatore » — E orate cœli desuper et nubes pluant Iustum: aperiatur terra et germinet Salvatorem ( ISAI. XLV, 8) andava sospirando Isaia.

-3. GRANDEZZA DEL NOME DI GESÙ. — « Dio ha esaltato il Cristo, scrive il grande Apostolo egli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome: così che al nome di Gesù si piega ogni ginocchio in cielo, in terra, e nell’inferno » — Exaltavit illum et donavit illi nomen quod ut super omne nomen: ut in nomine Iesu omne genu flectatur coelestium, terrestrium et infernorum (Philipp. II, 9-10). Il Padre eterno ha dato al Cristo 1° il nome di Dio e di Figlio di Dio ; ora, i l nome si prende per la cosa che significa; il nome di Dio è dunque Dio stesso, è la divinità. 2° Dio Padre ha dato al Cristo il nome di Gesù, cioè la celebrità e la glorificazione di questo nome, affinché in qualità di Messia e Salvatore, Gesù fosse conosciuto e rinomato e celebrato in tutti i luoghi e per sempre sulla terra, in cielo e nell’inferno. 3° Per la sua umiltà ed obbedienza fino alla morte, Cristo si è meritato il nome di Gesù che è il titolo di Salvatore e di Redentore, e per la morte di croce egli è infatti divenuto il Salvatore e Redentore del mondo. – Il nome di Gesù è al disopra di ogni altro nome, e non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale possano essere salvi; perché il nome di Gesù è il nome proprio del Verbo incarnato. Quindi il nome di Gesù rappresenta tutta l’economia della Incarnazione del Verbo e della Redenzione, nelle quali più che in tutte le altre opere divine spiccano unite la sapienza e la potenza, la bontà e la maestà di Dio, con tutti gli altri suoi attributi. Chi è infatti Gesù Cristo, se non la suprema maestà, il sommo amore, per mezzo del quale ci vengono e ci sono date la salute, la gloria, tutti i beni del corpo e dell’anima, tanto in questa che nella futura e beata vita, per tutta l’eternità! Da ciò ne segue che il nome di Gesù è in modo assoluto più grande, più santo, più venerabile che non il nome stesso di Jehovah. E la ragione fondamentale sta in ciò, che Jehovah significa Dio, in qualità di Signore e Creatore, mentre Gesù indica Dio, in qualità di Salvatore e Redentore. – Ora, siccome il benefizio e l’opera della redenzione stanno molto al di sopra, per ciò che è di eccellenza intrinseca e di vantaggio all’umanità, all’opera e al benefizio della creazione, così il nome di Gesù o Salvatore vince in grandezza e santità e venerabilità il nome sacro di Iehovah, ossia Creatore. – Perciò la Chiesa canta nella sua liturgia, che la nascita dell’uomo a nulla avrebbe giovato senza la redenzione: — Nil nasci profuit, nisi redemi profuisset (In benedici. Cerei pasch.). Inoltre il nome di Dio Redentore racchiude il nome di Dio Creatore, mentre questo non contiene quello; essendo evidente che la redenzione presuppone la creazione, e la creazione non porta con sé di necessità, la redenzione. Il nome di Jehovah dice: Colui che è, ed è il nome appunto con cui Dio chiamò se stesso quando volle manifestarsi a Mose: « Io sono colui che sono » — Ego sum qui sum (Exod. III, 14). Il nome di Gesù dice Colui che crea e salva quelli che sono perduti, che li giustifica,  vivifica, beatifica, e divinizza. Jehovah è il principio e la sorgente dell’essere; Gesù è il principio e la sorgente della grazia, della salute, della gloria. Jehovah è il vincitore, il soggiogatore di Faraone e dell’Egitto; Gesù è il trionfatore del demonio e dell’inferno. Jehovah è il legislatore dei Giudei, l’autore dell’antico Patto; Gesù è il legislatore di tutti i cristiani, l’autore del nuovo Testamento. Jehovah guida gli Ebrei nel paese di Canaan a traverso del mar Rosso; Gesù ci conduce al cielo a traverso i flutti del suo sangue, nel quale siamo battezzati e lavati. Ecco perché i pii fedeli chinano il capo o genuflettono pronunziando il nome di Gesù, il che non fanno a l proferirsi il nome di Jehovah. Chi oltraggia o bestemmia il nome di Gesù, pecca più gravemente che chi insulta e strapazza il nome di Dio. Difatti il nome di Gesù è il nome proprio del Verbo incarnato e contiene e sopravanza tutti gli altri nomi del Cristo; di modo che è un nome superiore a tutti gli altri nomi: — Nomen quod est super omne nomen. — Bisogna dunque che al nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio, in cielo, in terra e nell’inferno: — In nomine Iesu omne genuflectatur. cœlestium, terrestrium et infernorum. — Ogni ginocchio deve piegarsi al nome di Gesù, cioè tutti gli esseri dotati, d’intelligenza devono adorare questo santo nome… Il cielo riverisce e adora il nome di Gesù, perché in virtù di questo nome gli Angeli furono confermati in grazia e in gloria. La terra lo riverisce e adora, perché a questo nome essa deve il suo riscatto e la sua salute. L’inferno freme udendolo pronunziare e lo rispetta, perché chi lo porta è il vendicatore delle leggi divine, il giudice ed il padrone dei demoni e dei reprobi. « Ogni lingua confessi, continua S. Paolo, che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre » — Omnis lingua confìteatur quia Dominus Iesus Christus in gloria est Dei Patris (Loc. cit. 12). Queste parole denotano che, come Dio, Gesù ha l’essenza, la gloria, la maestà, la potenza del Padre e che, come uomo, fu collocato alla destra di Dio Padre ed elevato al di sopra di tutti gli uomini e di tutti gli Angeli; che partecipa così da vicino ed in sì alta misura alla gloria del Padre, che si può dire con tutta ragione che Egli è nella medesima gloria, ed infinitamente meglio di tutti gli Angeli e di tutti i santi che, ciascuno a suo modo, si trovano pure nella gloria di Dio Padre. – Non dimentichiamo mai l’esortazione di S. Paolo ai Tessalonicesi: « Il nome di Gesù Cristo sia reso chiaro e glorioso in voi e voi in esso, mediante la grazia del nostro Dio, e del Signore Gesù Cristo » — Clarifìcetur nomen Domini nostri Iesu Christi in vobis, et vos in ilio secundum gratiam Dei nostri, et Domini Iesu Christi ( I I Thess. I , 12).

– 4. IL NOME DI GESÙ È PREZIOSO. — O nome benedetto, esclama S. Bernardo, olio prezioso sparso in tutti i luoghi! È già da gran tempo che questo nome è venerato in cielo, nella Giudea, e di là in tutta la terra! La Chiesa innalza la voce da un capo all’altro del mondo e dice: Il vostro nome, o Gesù, è olio dolce e soave, sparso dappertutto e largamente sparso; esso non si dilata solamente per il cielo e per la terra, ma penetra perfino negli inferni; tanto che al nome di Gesù si piega ogni ginocchio in cielo, in terra, e nell’inferno. Ah sì! ogni lingua confessi e dica che il vostro nome è olio delizioso largamente sparso in ogni luogo (Serm. XV in Cant.). L’olio, continua il medesimo Padre, splende, nutrisce, conforta. E esca al fuoco, cibo al corpo, lenimento al dolore; serve di luce, di alimento, di rimedio. Vedete ora come simili effetti produce il nome di Gesù. Annunziato, illumina; meditato, nutrisce; invocato, solleva e guarisce. Studiamo ad una ad una queste meraviglie: donde credete che abbia potuto uscire, per spandersi sull’universo, così improvvisa e così splendida la luce della fede, se non da Gesù rivelato, annunziato, predicato? Non è forse per mezzo dello splendore di questo nome, che Dio ci ha chiamati all’ammirabile sua luce? Illuminandoci, ha fatto splendere ai nostri occhi la sua luce, nella luce che spandeva il nome di Gesù. Con ragione dice S. Paolo: Altre volte voi eravate tenebre, al presente siete luce nel Signore. Il nome di Gesù non è solamente luce, ma anche cibo. E infatti non vi sentite voi rinvigorire quando richiamate alla mente questo prezioso nome? Quale pensiero mi sostiene più di questo? quale ricordo rinfranca di più i sensi, affranti dall’esercizio e dal lavoro? che cosa vi è che più rassodi le virtù, mantenga i casti affetti, rinsaldi i buoni e onesti costumi? Arido e insipido è ogni cibo dell’anima, che non sia ammollito di questo dolcissimo olio; esso è insulso, se non è condito di questo sale celeste. Non gusto gli scritti, se non vitrovo il nome di Gesù; a noia mi vengono i ragionamenti, e discorsi, quando non sento il nome di Gesù. Gesù è miele alla mia bocca, melodia al mio orecchio, giubilo al mio cuore. Finalmente, il nome di Gesù è rimedio. Vi è tra di voi chi sia triste, afflitto, tormentato? si getti costui sul petto di Gesù, penetri nel sacro Cuore di lui, ne proferisca con la lingua il santo nome; e tosto al comparire di questo splendido, potente nome, si dileguerà ogni nebbia e il cielo dell’anima ridiverrà sereno. Cade alcuno nella colpa, e corre rischio di dare nella disperazione! il soffio della vita lo rianimerà non appena avrà invocato questo vivifico nome. Sarà forse la durezza del cuore, il torpore nato dall’indolenza e figlio della viltà, la corruzione dell’anima, la languidezza dell’accidia, che possa resistere alla potenza di questo nome salutare? Nessun rimedio calma più prontamente la violenza della collera e dissipa l’enfiagione dell’orgoglio, quanto questo nome divino. Guarisce la piaga dell’invidia, arresta la lussuria, spegne il fuoco della passione infame, estingue la sete dell’avarizia, doma il fremito di tutti i cattivi istinti che potrebbero togliere l’onore. Infatti quando nomino Gesù, il mio pensiero corre e si ferma sopra un essere dolce e umile di cuore, buono, sobrio, casto, misericordioso, in somma notevole per purità e santità: io nomino il medesimo Dio onnipotente che col suo aiuto ed esempio, medica, guarisce, e rinforza. Tutte queste meraviglie suonano al mio orecchio, quando sento il nome di Gesù. Sia questo sempre nel vostro cuore, suoni del continuo sulle vostre labbra; perché in virtù di questo prezioso nome, tutti i vostri sentimenti e tutte le vostre azioni si dirigono verso Gesù Cristo, che loro serve di principio e di termine. Non è forse egli in persona che v’invita a fare così, quando vi dice nel Cantico dei Cantici (VIII, 6): « Mettetemi come un sigillo sul vostro cuore, come un’impronta sul vostro braccio » — Pone me ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum (Serm. XV in Cant.)! Eipetiamo anche noi con S. Pietro: Non da altri abbiamo salute se non da Gesù di Nazareth; perché non vi è sotto il cielo altro nome nel quale dobbiamo essere salvati: — Non est in alio aliquo salus. Nec enim aliud nomen est sub cœlo datum hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri (Act. IV, 12); ma per questo nome augusto tutti possono avere salvezza… Due soli nomi vi sono nel mondo, portatori di pace, di ordine, di armonia, di virtù e di felicità e sono i dolci, potenti nomi di Gesù e di Maria. – Il santissimo nome di Gesù, 1° seda le tempeste e calma gli uragani di qualunque passione: 2° sparge la grazia e la misericordia; 3° nutrisce l’anima e l’infiamma di amore celeste; 4° porta conforti ineffabili e divini; 5° procura una buona fama; 6° bandisce la tristezza e rallegra il cuore; 7° dà vigore ai martiri e a tutti i fedeli che combattono per la fede; fa che trionfino generosamente di tutti gli ostacoli, di tutti i patimenti, di tutte le prove, di tutte le persecuzioni e della morte stessa; questo sacro nome corona i vincitori; 8° medica tutte le piaghe, cura tutte le infermità dell’anima e del corpo: 9° incatena il demonio, il mondo e la concupiscenza della carne. Tutti i Padri della Chiesa ci dicono che il demonio nessuna cosa teme tanto, quanto l’invocazione del Nome di Gesù. « I demoni, dice S. Giustino, impauriscono di questo nome che li fa tremare; e anche ora ci obbediscono, se nel nome di Gesù Cristo crocefisso li scongiuriamo… In qualunque luogo suoni il nome del Signore, quivi tutte le cose riescono a bene (Eius nominis potentiam dæmones tremunt et reformidant: hodie quoque illi per nomen Iesu Christi crucifixi adiurati nobis parent… Ubicumque fuerit nomen Domini, ibi prospera erunt omnia – Hom. VIII) ». Origene avverte che vi è nel nome di Gesù sì grande forza per vincere i demoni, che pronunziandolo si ottiene quanto si desidera, come insegnava il divin Maestro quando diceva: Molti nel giorno del giudizio mi diranno: Nel tuo nome, abbiamo cacciato i demoni. « Basta la sola invocazione del nome di Gesù, soggiunge Teodoreto, per far sì che l’avversario nostro ci rispetti e ci tema grandemente ». Racconta un gravissimo autore, che è severamente proibito ai fattucchieri e a quanti si consacrano di proposito al demonio, d’invocare o ricordare in qualunque modo nei loro notturni convegni, il nome di Gesù, ancorché avessero rinnegato il divin Salvatore. Noi sappiamo che il diavolo e tutta la sua corte scompare immediatamente, quando alcuno della setta pronunzia, anche senza averne intenzione, il nome di Gesù (TYREUS, de Dæmon. c. XLII, n. 22). – S. Giovanni Crisostomo diceva che: « il nome di Gesù, e la potenza della croce tengono per noi cristiani il luogo d’incantesimi spirituali. Questo incanto, non solamente caccia il dragone dalla sua caverna e lo precipita nel fuoco, ma rimedia ancora alle ferite da esso fatte all’anima nostra. Il nome di Gesù suona terribile ai demoni i quali appena uditolo menzionare si dileguano; riesce salutare a guarirci delle nostre infermità e agitazioni. Divenga esso dunque il nostro ornamento, e sia per noi un muro di difesa (Hom. VIII ad pop.) ». – S. Ignazio di Loyola non volle che la sua congregazione prendesse nome da lui, ma da Gesù, affinché questo nome le fosse d’incentivo ad operare sempre con energia, e ad affrontare i supplizi e la morte. – Al nome di Gesù conviene in modo speciale quel detto dei Proverbi: « Torre munitissima è il nome del Signore; a Lui avrà ricorso il giusto e sarà esaltato » — Turris fortissima nomen Domini; ad ipsum currit iustus et exaltabitur (Prov. XVIII, 10). « Gesù si è fatto nostra fortezza in faccia al nemico, dice qui a proposito S. Agostino; guardate che il demonio non vi ferisca e per ciò rifugiatevi nella torre. Colà i dardi di satana non vi potranno mai colpire e voi ci starete i n tutta sicurezza e pace (In Psalm.) » . – Con l’invocazione del nome di Gesù, si ottiene tutta la sua protezione ed ogni desiderabile aiuto. « Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvo », dice Gioele: — Omnia qui invocaverit nomen Domini, salvus erit (IOEL. II, 32). Perciò dice il Salmista: « Io loderò e invocherò il Signore, e sarò liberato di tutti i miei nemici » — Laudans invocabo Dominum, et ab inimicis meis salvus ero (Psalm. XVII, 4), e il profeta Abacuc esclamava: « Io mi rallegrerò nel Signore, ed esulterò di gioia in Gesù, Dio, mia salute » — Ego in Domino gaudebo; et exultabo in Deo Iesu meo (III, 18). Questi profeti c’insegnano quanto sia amabile e prezioso il nome di Gesù, affinché ci rallegriamo e lo prendiamo per protettore e guida. Il nome di Gesù significa, 1° che tutti i beni ci vengono da Lui, poiché la salvezza, portataci dal Redentore, comprende tutti i doni di Dio e tutti i beni. Come le acque che si dividono in molti rivi, zampillano da una sola sorgente; come tutti i raggi vengono dal sole e tutti i bracci di mare appartengono all’oceano, così ogni virtù e grazia e santità nel loro principio, nel mezzo, nel fine, vengono da Gesù Cristo. È Gesù che scancella col suo sangue le macchie dei nostri peccati; è Lui che tempra gli ardori della concupiscenza, che rompe i ceppi delle cattive consuetudini, che doma il furore delle passioni, che ci sottrae al giogo del demonio; è Lui che rende la libertà allo spirito, che orna l’anima della grazia e ne fa la sposa, la figlia, il tempio di Dio; è Lui che quieta e rasserena la coscienza, dà vita ai nostri sensi e al nostro spirito, illumina il nostro intelletto mediante la cognizione delle cose divine, eccita la nostra volontà a ricercarle, fortifica la nostra debolezza, ci dà vittoria nelle tentazioni e ci ottiene il trionfo nel combattimento. Se gemete nella desolazione, invocate Gesù e non tarderete a provare il potente soccorso di questo consolatore. Sei timori, le ansietà, gli scrupoli vi mettono nelle angustie, invocate Gesù, egli vi aprirà e allargherà il cuore, lo libererà e renderà lieto ed allegro. Se la febbre dei patimenti corporali e delle passioni vi abbrucia e vi consuma, invocate Gesù; il fiele della sua passione e il miele della sua mansuetudine misericordiosa, la calmeranno e troncheranno dalle radici. Se la povertà, le malattie, le tribolazioni, i nemici della salute si scagneranno e rovesceranno su di voi per atterrarvi, invocate Gesù con fiducia e perseveranza e voi supererete tutte le prove, trionferete di tutto e sarete coronati per mano di Gesù medesimo… Ecco perché le persone pie portano incessantemente nel cuore ed hanno del continuo su le labbra i dolci nomi di Gesù e di Maria e vi ricorrono in tutte le occasioni. – Essi sanno per prova la verità di quel detto di S. Bernardo: che di tutti coloro i quali, in ogni tempo, hanno invocato i nomi di Gesù e di Maria, neppure uno si è perduto (Serm. XV in Cant.). – 2° Il nome di Gesù non indica soltanto il Salvatore e la salute che ci è venuta da Lui, ma anche l’eccellente e mirabile maniera con cui ci ha salvati. – Egli infatti non ci ha salvati con una parola, come con una parola ha creato il mondo, ma ha preso sopra di sé le nostre infermità per guarircene; si è preso sopra di sé i nostri peccati e li espiò con durissime pene nel corpo e nell’anima, per distruggerli in noi. Egli ha accettato la morte alla quale noi eravamo condannati per uccidere la nostra morte e restituirci alla vita della grazia e della gloria. Quando pertanto pronunziamo il nome di Gesù, noi esprimiamo che il Verbo si è fatto carne, che Dio si è incarnato per noi, che nacque in una stalla e fu deposto in una greppia, e circonciso; che ha lavorato e sudato e pianto; che ha sofferto la fame, la sete, il caldo, il freddo; che per noi fu preso, legato, sputacchiato, flagellato, oltraggiato, coronato di spine, abbeverato di fiele, crocefisso. Tutto questo ricorda il nome di Gesù Cristo, ed è per ciò che suona infinitamente venerabile e adorabile agli uomini ed agli Angeli, ed infinitamente terribile ai demoni che all’udirlo fremono, tremano e fuggono.

– 5. BISOGNA INVOCARE SOVENTE IL SANTO NOME DI GESÙ. — S. Bernardo dice: « Abbi sempre Gesù nel cuore, e l’immagino del Crocefisso non si allontani mai dalla tua mente. Sia Gesù tuo cibo e tua bevanda, tua dolcezza o tua consolazione, tuo miele e tuo desiderio, tua lettura e tua meditazione, tua preghiera e tua contemplazione, vita, morte e risurrezione tua. Gesù è miele alla bocca, melodia all’orecchio, letizia al cuore ». – Sia Gesù il nostro amore e il centro dei nostri affetti; sia il soffio del nostro respiro, l’oggetto dei nostri discorsi; sia l’anima e la vita nostra, di modo che siccome noi siamo, noi viviamo, noi operiamo in lui e per lui, così pure non serviamo che lui, non ci studiamo di piacere ad altri che a lui, non parliamo che di lui solo; ci stia incessantemente sotto gli occhi; camminiamo sempre alla sua presenza, lavoriamo e soffriamo per lui; siamo pronti a fare per lui ogni sacrificio, ancorché difficile e penoso; moriamo finalmente per lui,  in lui e di lui, affinché regniamo eternamente con lui nel soggiorno della felicità e della gloria.

DISCORSO PER IL PRIMO GIORNO DELL’ANNO

DISCORSO PER IL PRIMO GIORNO DELL’ANNO

[Mons. Billot, “Discorsi parrocchiali”, 2a ediz. S. Cioffi edit. Napoli, 1840]

Sopra il buon impiego del tempo

Renovamini spiritu mentis vestræ et induite

novum hominem, qui secundum Deum

creatus est in iustitia et sanctitate veritatis.

[Eph. 4.]

Per ben cominciare quest’anno, fratelli miei, e procurarvelo felice, voi non potete far meglio che seguire l’avviso che vi dà l’Apostolo s. Paolo. Rinnovatevi dunque nello spirito del cristianesimo, imitando Gesù Cristo vostro modello, cui dovete essere conformi per trovarvi nel numero dei predestinati. Si tratta di spogliarvi dell’uomo vecchio, per servirmi delle parole dello stesso Apostolo, cioè rinunziare a tutte le vostre inclinazioni perverse, e fare a Dio in questo nuovo anno il sacrificio di tutte le vostre passioni. Bisogna che coll’anno che avete finito finisca altresì il regno del peccato: che con lui finiscano l’empietà, l’irreligione, le bestemmie, le imprecazioni, gli odi, le vendette, le ingiustizie, le impurità, le intemperanze, gli scandali, in una parola tutti i delitti che si sono commessi: possano essi rimanere sepolti in un eterno obblio! e che in loro vece rinascere si vedano in questo nuovo anno la pietà, la religione, la temperanza, la modestia, la carità, l’unione dei cuori. Tale è, fratelli miei, il compendio della morale rinchiusa nelle parole del grande Apostolo; Renovamini etc. – Se l’anno che voi cominciate si passa nella pratica delle virtù cristiane; se è un anno santo, egli sarà per voi fortunato. Invano accompagnato verrebbe dalla felicità più perfetta secondo il mondo invano vi presenterebbe tutto ciò che può appieno appagare le vostre brame nei piaceri e negli onori passeggieri; se non è un anno cristiano, sarà egli per voi disgraziato. Se all’opposto voi santamente il passate, fosse ben egli altronde attraversate da qualunque sinistro accidente, egli sarà sempre favorevole, perché vi condurrà alla felicità eterna. Profittatene dunque nel disegno che Dio ve lo dà, cioè per operare la vostra salute; destinatene tutti i momenti a questo beato fine. Per indurvi a questo, voglio proporvi alcune riflessioni sopra il buon impiego del tempo, Quali sono i motivi che debbono indurvi a ben impiegare il tempo? primo punto: come dovete voi impiegarlo? secondo punto. –

I Punto: Quando più prezioso e necessario si e un bene che ci viene offerto, tanto più dobbiamo noi stimarlo. Più è limitato l’uso che ci vien dato, più dobbiamo affrettarci di metterlo a profitto, principalmente quando dopo di averlo perduto non è più in nostro potere ricuperarlo per trarne vantaggio. – Ora tale è la natura del tempo di nostra vita; egli è prezioso, egli è breve, egli è irreparabile: tre ragioni che c’impegnano a ben impiegarlo. – Il tempo è prezioso e per riguardo al fine per cui ci è dato e per riguardo a quel che ne ha costato a Gesù Cristo per procurarcelo. Per qual fine, infatti, Dio vi ha dato, fratelli miei, e vi dà ancora del tempo a vivere sulla terra? È egli forse per accumular ricchezze, innalzarvi agli onori, appagar le vostre passioni? No, fratelli miei, no, ma bensì per guadagnare il cielo. Il tempo deve condurvi all’eternità, e la vostra eternità sarà felice o sgraziata secondo il buono o cattivo uso che avrete fatto del tempo. Voi potete ad ogni istante guadagnare un’eternità di gloria, perché non evvi alcun istante nella vita in cui non possiate entrare in grazia di Dio, se siete peccatori; ovvero, se siete in istato di grazia, meritar potete tanti gradi di gloria, quante buone opere farete: ecco perché dire si può che da un momento l’eternità dipende, perché basta un momento per meritarla o perderla. Se voi passar lasciate questo momento che vi è dato; se voi non profittate del tempo presente, dopo la morte voi non potrete più meritare : Tempus non erit amplius (Apoc. X). Dopo la morte non vi sarà più perdono dei vostri peccati ad ottenere; più opera alcuna che possa essere nel cielo ricompensata. I reprobi nell’inferno non potranno mai, con tutti i pianti che verseranno, con tutti i tormenti che soffriranno, ottenere il perdono di un solo peccato; i santi nel cielo non potranno mai, con tutto l’amore che avranno per Dio, accrescere un solo grado della loro beatitudine perché fuori della vita non avvi più merito. Oh quanto è dunque prezioso il tempo della vita e quanto importa il profittarne! poiché ciascun momento vale, per così dire, il possesso di un Dio, vale una felicità eterna. – Ma quale stima ancora non dobbiamo noi fare del tempo, se consideriamo quanto ha costato a Gesù Cristo per procurarcelo? Gli è per meritarci questo tempo che questo Dio salvatore è nato in una stalla, si è assoggettato ai rigori delle stagioni, agl’incomodi della fame e della sete, ai patimenti e alla morte ignominiosa della croce: gli è per meritarci il tempo di far penitenza ch’Egli si è offerto alla giustizia del Padre suo, il che non ha fatto per gli angeli ribelli, che non hanno avuto un solo istante per rialzarsi dalla loro caduta, nel mentre che il Signore ci dà dei giorni, dei mesi, degli anni per cancellare i nostri peccati, calmare la sua giustizia, meritare i doni della sua misericordia. A chi siamo noi debitori di questo favore? Ai meriti, ai patimenti, ed alla morte di Gesù Cristo. Quante volte Iddio, sdegnato contro il peccatore, ha alzato il braccio della sua giustizia per recidere questo albero infruttuoso, e quanti di questi alberi sterili sarebbero già nel fuoco, se Gesù Cristo, il mediatore supremo, non avesse per essi domandata grazia, pregando suo Padre di aspettare ancora per dar loro tempo di portar frutto? Dimitte illam et hoc anno (Luc. XIII). Ah! Signore, aspettate ancora un anno, che quest’albero produca frutti, e se egli non ne produrrà, voi lo taglierete. Ecco, o peccatori, ciò che domanda Gesù Cristo per voi; e di questo tempo, che è il frutto dei suoi patimenti e della sua morte, quale stima ne fate? in che l’impiegate? Dio ve lo dà per salvarvi, voi ve ne servite per perdervi: questo tempo ha costato la vita di un Dio, e lungi dal metterlo a profitto, voi ne fate un malvagio uso. Gli uni lo passano senza far niente: nihil agentibus. Sono quelle persone oziose e sfaccendate cui fare si può il rimprovero che faceva il padre di famiglia agli operai che se ne stavano in piazza e non si curavano di andare al lavoro: Quid hic statis tota die Matt. XX)? Si passano i giorni, le settimane, i mesi interi senza far nulla per la salute. Non sappiamo che cosa fare, dicono essi, troviamo il tempo ben lungo; bisogna dunque cercare di ricrearsi e sollazzarsi; e a questo fine il passano in divertimenti frivoli, in render visite, in ispacciar novelle, trattenersi in cose vane ed inutili, andar e venir da una compagnia all’altra, giuocare, andar al passeggio; perché, dicono essi, convien poi passar il tempo in qualche cosa. Ah insensati! voi dite di non avere cosa alcuna a fare? Trovate voi il tempo lungo? Oh quanto la discorrete male, dice s. Bernardo, dicendo che convien cercare di passar un tempo che vi è dato per fare penitenza, per ottenere il vostro perdono, per meritare la grazia, per procurarvi una felicità eterna! Ah! che dovete voi fare? — Non bisogna pregare, far delle buone opere, visitar le chiese, gl’infermi, ammaestrarvi con leggere libri di pietà? Non avete voi doveri ad adempire, virtù a praticare? Ah! se voi foste ben persuasi che avete un affare importante, qual è quello della salute, e che non avete se non il tempo della vita per faticarvi intorno, ben lungi dal trovarlo lungo, vi sembrerebbe troppo breve; per assicurarvi la riuscita di questo affare importante, voi ne mettereste sollecitamente a profitto tutti i momenti. Se i dannati dell’inferno avessero, non dico tutto il tempo, ma solamente una parte di quello di cui voi abusate, con qual precauzione non ne userebbero? – Altri si abusano ancora del tempo a fare tutt’altro che ciò che far dovrebbero: aliud agentibus. Moltissimi si occupano nel mondo, l’uno passa tutti i suoi giorni ad avvantaggiare i suoi negozi, l’altro a proseguire le sue liti, questi a condurre affari stranieri, quegli a fare azioni che non sono né del suo stato né della sua professione. Gli uni rovinano la loro sanità coll’applicazione della mente, gli altri coi travagli del corpo; ma quasi nessuno pensa alla sua salute. Ciò non ostante questi giorni sì pieni sono interamente vuoti di buone opere; si fa tutt’altro che quel che far si dovrebbe; e a che serve lavorar per gli altri, se non si lavora per sé? Questo è faticar inutilmente, questo è perdere il suo tempo: aliud agentibus. – Ma 1’abuso peggiore che si fa del tempo, si trova in quelli che lo passano in far del male: male agentibus. Abuso che pur troppo è comune tra gli uomini. Basta vedere quel che passa tra di essi. Gli uni non pensano dalla mattina alla sera che ai mezzi di contentare una rea passione, di mantenere una pratica, di soddisfare la loro cupidigia, la loro sensualità colle delizie e coll’abbondanza del riposo. Gli altri avidi di arricchirsi, commettono tante ingiustizie, quante occasioni trovano di usurpare l’altrui; tutta la loro vita la passano a meditar i mezzi di soppiantar gli uni e d’ingannar gli altri, di distruggere coloro che resister non gli possono. A che si riducono la maggior parte delle conversazioni? A parlar di affari progettati o conchiusi per la soddisfazione delle sue passioni, a spacciar novelle per lo meno inutili, a passar in rivista tutti gli stati, tutte le condizioni, a ricercare scrupolosamente i doveri di ciascuno, fuorché i loro propri; a censurare senza discrezione quei che impiegati sono nelle diverse cariche della società. M’inganno forse? Nulla è di tutto questo? Sarebbero dunque discorsi contro la religione, contro i costumi? Finalmente, per la disgrazia più deplorabile, non si vede, non si ode parlar dappertutto che di scelleratezze e di disordini: male agentibus; cioè, del mezzo che Dio loro dà per santificarsi, per meritar il cielo, se ne servono per consumare la loro riprovazione. Quale accecamento e quale insensibilità per i suoi interessi! Poiché questo tempo sì prezioso che ci vien dato per salvarci è sommamente breve. – Secondo motivo che deve indurci a metterlo a profitto. Infatti, fratelli miei, che cosa è la vita dell’uomo? È un sogno che sparisce nell’istante in cui uno si sveglia; è, dice il santo Giobbe, una foglia che il vento trasporta, un fumo che si dissipa nell’aria. Appena l’uomo è venuto al mondo che conviene pensare a lasciarlo. Non evvi, per così dire, che un passo dalla culla al sepolcro. La maggior parte degli uomini vive poco; e che compaiono alfine della vita gli anni di quei medesimi che vivono lungo tempo? Mille anni, dice il profeta, non sono innanzi a Dio che come il giorno di ieri che è passato: Mille anni tanquam die hesterna quæ præteriit (Ps.LXXXIX). La vita più lunga, a paragone dell’ eternità, è meno che una gocciola d’acqua vi pare, fratelli miei, dei venti, quaranta, sessant’anni che vissuto avete sopra la terra? Che cosa vi sembra dell’anno che ora è passato? É un giorno, è un momento: tutti i vostri anni passeranno nella stessa guisa, e voi vi troverete al fine come se pur allora incominciaste a vivere. Insensato è colui che si attacca alle cose transitorie di questo mondo, che cerca la sua felicità in una vita sì breve e che non se ne profitta per assicurarsi una più durevole felicità. – Dio ci ha dato il tempo della vita come un bene ad affitto, che ci toglierà dopo un certo tempo. I nostri corpi sono case che cadono ogni giorno in rovina e che ci tocca fra poco abbandonare; la nostra vita si accorcia tutti i giorni, di modo che più abbiamo noi vissuto, meno ci resta a vivere. Verrà fra breve l’ultimo giorno, in cui nulla vi sarà più a contare. Affrettiamoci di profittare di un tempo che se ne fugge veloce e la cui perdita è inoltre irreparabile. Ed invero, il tempo perduto non ritornerà più, gli anni che noi abbiamo vissuto sulla terra non sono più in nostro potere. Felici noi, se li abbiamo ben passati, sono altrettanti tesori di merito che abbiamo acquistati e che sussistono: mentre la virtù è il solo bene che sia sicuro dall’ ingiuria del tempo; le nostre preghiere, i nostri digiuni, le nostre limosine, tutto ciò noi troveremo alla morte e nell’ eternità. Ma se noi abbiamo passati male i giorni di nostra vita, la perdita che fatta abbiamo, è senza rimedio. Possiamo, è vero, ricuperar la grazia di Dio che abbiamo perduta nel tempo passato, ma non ricupereremo giammai quei momenti favorevoli cui aveva Iddio annesse certe grazie che forse non ci darà più e che deciso avrebbero di nostra predestinazione. Il nostro fervore può supplire ancora al numero delle buone opere che non abbiamo fatte; noi possiamo ancora, come gli operai della vigna che vennero all’ultima ora, meritare la ricompensa che fu data ai primi; ma non raccoglieremo giammai quell’abbondanza di frutti che tutti i momenti di un costante fervore ci avrebbero prodotti. – Qual sarà dunque alla morte il rammarico di coloro che abusato avranno del tempo? Qual sarà il cordoglio di quei peccatori che vedranno fuggiti quei bei giorni che non dipendeva che da essi l’impiegare pel cielo? Quei bei giorni in cui la grazia li sollecitava a staccarsi dalla creatura, a rompere quegli attacchi illeciti che li soggettavano al loro impero. Vedranno i loro piaceri passati col tempo; desidereranno di aver ancora quel tempo; ma con tutte le loro lagrime e i loro tormenti, non potranno giammai far ritornare un solo di quei momenti che avrebbero bastato per preservarli dall’ eterna disgrazia. – Aspetterete voi, fratelli miei, a questo stesso momento per riflettere sul prezzo del tempo e sospirare quello che perduto avrete? Oimè! di quanti momenti non vi siete voi già abusati? Interrogate su di ciò la vostra coscienza e domandate a voi medesimi: da poi che io sono sopra la terra, che cosa ho fatto per la mia salute? Molto ho lavorato per gli altri, e nulla ho fatto per me; forse che se io dovessi al presente comparire innanzi a Dio, presentargli non potrei una sola azione degna delle sue ricompense: all’opposto tutte le azioni di mia vita non meritano che i suoi castighi. Ah! ormai è tempo che io esca dal letargo in cui ho sin adesso vissuto, che incominci a vagliare per me, e che ripari il passato con un santo uso, del tempo. E qual deve essere quest’uso? Ecco il secondo punto.

  1. II. Punto. Per fare un sant’uso del tempo, dice s. Bernardo, convien considerarlo per riguardo al passato, al presente ed al futuro. Bisogna riparar il passato, regolar il presente, cautelarsi contro l’avvenire e non contarvi sopra. – Quantunque non sia in poter nostro far ritonare il tempo già passato, possiamo nulladimeno ripararlo, o, per servirmi delle parole di s. Paolo, riscattarlo: redimentes tempus etc. Ora che cosa è riscattare un podere nel commercio del mondo? É pagare, per ritirarlo, il prezzo che ne abbiamo ricevuto, è soddisfar un debito che abbiamo contratto, Voi avete venduto, prostituito il vostro tempo al mondo e alle vostre passioni, voi avete alienato questo fondo che Dio aveva confidato alla vostra economia; e per cattivo uso da voi fattone, avete contratto dei debiti verso la giustizia di Dio. Ora quali sono questi debiti? Sono i peccati che avete commessi. Questi peccati sono passati, è vero; i piaceri da voi gustati nel commetterli non sussistono più, ma il vostro delitto sussiste ancora nella macchia che ha impressa nella vostra anima, che la rende difforme agli occhi di Dio e ne fa 1’oggetto delle sue vendette: questa macchia rimarrà sempre, sin tanto che non sia cancellata con le lagrime della penitenza. Alla penitenza dunque convien ricorrere per purificarvi; e a questo fine entrate nei sentimenti di un re penitente, il quale riandava nell’amarezza del suo cuore gli anni della sua vita: Recogitabo Ubi omnes annos meos in amaritudine animæ meæ [Isai. XXXVIII). Oimè! dovete voi dire, sono tanti anni che io vivo alla terra, e nulla ho ancora fatto per la mia salute; a nient’altro ho pensato che a far fortuna in questo mondo, che a soddisfar le mie passioni. Di quei beni che ho ricercato, di quei piaceri che ho gustato,, che cosa mi resta? Una trista rimembranza, che mi trafigge l’anima, ma di pungenti rimorsi. Vane apparenze di dolcezze, che vi siete dileguate come un sogno, voi null’altro più siete che un’ombra che svanì. Ah! tempo infelice in cui vi ricercai! tempo infelice in cui tanto vi amai! O mio Dio, che siete una bellezza sempre antica e sempre nuova, ah quanto sono stato cieco ed insensato a cercare altra contentezza che quella che gustasi nell’amarvi e nel servirvi. Io ne ho il cuor penetrato dal più vivo dolore; e giacché voi mi date ancor tempo di riparare le mie disgrazie, io voglio profittarne per non attaccarmi che a Voi solo e risarcirvi col mio fervore l’ingiuria che vi ho fatta coll’abusarmi del tempo che Voi mi avete dato. – Se voi siete, fratelli miei, in questi sentimenti e li metterete in pratica, voi, meriterete che Dio vi tenga conto di quegli anni che prostituiste al mondo, al demonio e al peccato: Reddam vobis annos quos, comedit locusta, bruchus et rubigo (Joel. 2). Con questo riparerete le vostre perdite, riscatterete il tempo che avete perduto, ma si tratta di fare in primo luogo un santo uso di quello che presentemente si trova in vostra disposizione. Voi dispor più non potete del tempo passato, perché più non esiste; neppure dispor potete del tempo avvenire, perché non esiste ancora e forse voi non l’avrete: non evvi dunque che il tempo presente, che è in vostre mani ed ancora vi fugge nello stesso momento che ne parlate; profittate adunque con diligenza di quel che avete, perché è il solo su cui potete contare, è un talento che Dio vi dà, non lasciatene perdere la minima parte: Particula boni doni non defraudet te ( Ecli. XIV). Può essere che Dio abbia attaccato al momento che è adesso in vostra disposizione certe grazie speciali da cui dipende la vostra eterna salute. – Se voi sicuri foste di non aver più che quest’anno, questo giorno a vivere, come, io vi domando, come lo passereste voi? Non l’impieghereste tutto nella pratica delle buone opere?… Rimarreste voi un sol momento in peccato? Ebbene vivete in questa guisa, e voi farete un santo uso del tempo. Dite a voi medesimi: questo forse è l’ultimo anno di mia vita, convien dunque che lo passi come se lo fosse in realtà; e voi lo passerete santamente. Perciocché finalmente, fratelli miei, ne verrà uno che sarà l’ultimo, e qual è? Potete voi assicurarvi che non sia questo? Quanti ve ne sono stati che. cominciato avendo lo scorso anno in ottima sanità, non ne han veduto il fine! Quanti cominciano questo e non lo vedranno finire! Chi viver crede ancora molti anni forse è colui che morrà il primo e fra poco. Se alcuno avesse detto a quell’uomo, a quella donna, che sono stati sotto gli occhi vostri sepolti nei sepolcri dei loro padri: Voi non avete più che quest’anno a vivere come passato l’avrebbero? Si dice a voi la medesima cosa al principio di questo: egli sarà per qualcheduno l’ultimo, e non evvi alcuno che dir non possa: forse lo sarà per me, forse a me toccherà di andar in quest’anno alla sepoltura; perché posso io lusingarmi di andarvi più tardi che un’altro? Ah bisogna dunque, senza esitare, metter ordine alla mia coscienza, restituire quella roba mal acquistata, riconciliarmi con quel nemico, corregger quel cattivo abito, dire addio al peccato, allontanare quell’occasione pericolosa, quell’oggetto che mi seduce, bisogna finalmente che io faccia tutto il bene che da me dipende, che io fatichi alla mia salute, mentre ne ho il tempo: Dum tempus habemus, operemur bonum (Gal. 6). – Tali sono, fratelli miei, le salutevoli risoluzioni che suggerir vi debbono la brevità del tempo e l’importanza della buona riuscita nell’affare della vostra salute. Voi potete lasciar il restante a terminare ai vostri eredi, lasciar loro quella fabbrica a perfezionare, quella lite a finire, ma non già la vostra salute; se voi non vi ci siete adoperato nel tempo, non potrete più farlo dopo la morte, né altri vi faticherà per voi. Profittate dunque, torno a dirvi, del momento che se ne fugge per non ritornare giammai, ed occupatevi incessantemente nella pratica delle buone opere che vi seguiranno nell’eternità: Quodcumque potest manus tua, instanter operare (Eccl. 9). Distribuite il vostro tempo ad adempiere i doveri del vostro stato, regolate si bene i vostri esercizi di pietà che ciascheduna cosa abbia il suo tempo: che la preghiera, la messa, la lettura di pietà, l’adorazione del Santissimo Sacramento, la visita dei poveri trovino luogo nella distribuzione che voi ne farete. Date pure le vostre attenzioni ai vostri affari temporali, al governo della vostra famiglia: ma la vostra salute tenga sempre il primo posto, e tutti gli altri a lei rapportino. Cosi i vostri giorni si troveranno pieni, la vostra anima sarà carica di meriti pel cielo, e vi precauzionerete per l’avvenire, sul quale voi contar non dovete. E come, infatti, contar si può sopra un tempo che è così incerto? Iddio non ce l’ha promesso, né il vigore dell’età né la forza del temperamento possono assicurarcelo; poiché vediamo sovente persone giovani e robuste colpite dalla morte così presto, come le inferme e le vecchie. Tale che si promette di vivere ancora un gran numero d’anni morrà fra poco: ciò che è ben certo si è che si muore più presto di quel che si pensa. Bisogna dunque preveder l’avvenire ed operare come se non dovessimo averlo. È lo stesso che arrischiare la sua eterna salute, l’esporla all’incertezza di un tempo avvenire. Ah! non fate così, fratelli miei, quando si tratta di affari temporali! Quando trovate l’occasione di arricchirvi, voi la cogliete avidamente, niente vi distoglie dal profittarne; se si presenta un buon acquisto a fare, voi non aspettate all’indomani, per tema che un altro più pronto di voi non vi prevenga. Eh! Perché non fate lo stesso per la vostra salute? Potete voi in quest’oggi convertirvi, riconciliarvi con Dio. Non differite di più; forse non avvi domani per voi. La prudenza richiede che voi pensiate all’avvenire; e perciò voi fate provvisione di quanto vi sarà necessario per sussistere un numero di anni che credete ancora vivere sulla terra e per una stagione in cui non potete più lavorare. Ah! forse non sarete più in quest’anno, per cui fate tanti cumuli e non pensate a far provvisioni per l’eternità, ove sarete per sempre. Qual follìa! Qual accecamento! Al vedervi sembra che abbiate da star sempre sulla terra, e che convenuti vi siate, per così dire, con la morte, affinché ella non vi colpisca se non quando piacerà a voi. Ah! insensati! voi morrete forse prima di aver terminato un solo dei vostri affari, e la vostra gran disgrazia sarà di morire senza aver operato la vostra salute! Imitate un viaggiatore che trattenuto si è nel suo cammino in frivoli divertimenti, e, vedendo il fine del giorno, raddoppia i suoi passi per riparare il tempo perduto e giungere al termine del suo viaggio. Voi arrestati vi siete alle bagattelle del secolo; i beni, i piaceri hanno occupato tutte le vostre sollecitudini; e voi non avete ancora pensato alla soda felicità: nondimeno il sole s’abbassa. Inclinata est iam dies (Luc. XXIV). Eccovi al fine di vostra vita; forse voi toccate, il momento che deve farvi passare dal tempo all’eternità. Profittate dunque del tempo che vi resta, camminate sinché la luce vi rischiara, perché la notte s’avvicina, in cui nulla più potrete operare per la salute; precipitate il vostro corso, poiché vi resta ancora molta strada a fare.

Pratiche. Il più importante ed il più premuroso per voi è di uscire dallo stato del peccato per riconciliarvi con Dio con una buona confessione, che rinnoverà in voi la immagine dell’uomo nuovo: Renovamìni etc. Non potete voi meglio cominciar l’anno che con questa santa pratica. Correggete i vostri cattivi abiti e riformate tutto ciò che conoscete di difettoso nella vostra condotta. Tale è la circoncisione spirituale che Gesù Cristo domanda da voi in questo giorno, in cui ha Egli sofferto la circoncisione corporale per la vostra salute. Dopo aver Egli tanto sofferto per esser vostro Salvatore, non vorrete voi fare cosa alcuna per esser salvi? Giacché si è per voi sacrificato, non dovete voi altresì fargli un qualche sacrificio col troncare tutto ciò che in voi gli dispiace? – Ringraziate Iddio dei beni che vi ha fatti negli anni scorsi; fate a questo fine una visita a Gesù Cristo, offeritegli i pochi anni che vi restano per impiegarli nel suo servizio. Vivete questo anno, questo giorno stesso, come se non aveste più che quest’anno, che questo giorno a vivere; fate ogni mattina questa risoluzione. Ravvivate il vostro fervore nel servizio di Dio con quelle parole di s. Paolo: Dum tempus habemus, operemur bonum (Gal. VI); facciamo del bene mentre ne abbiamo il tempo, per raccoglierne il frutto nell’eternità. Così sia.

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “Christianæ reipublicæ”

Il Santo Padre Clemente XIII prendeva atto, già ai suoi tempi, della diffusione di scritti, stampati e libri diretti a confondere la mente dei dotti e soprattutto dei semplici fedeli di Cristo, il gregge della Chiesa Cattolica, per deviarne il retto pensiero ed i princîpi della fede salvifica. La proliferazione di tali pestiferi libri era giustamente avvertita come minaccia all’integrità della fede, e quindi minaccia alla eterna salvezza dell’anima, per cui si stimolavano i Vescovi, in particolare, a vigilare onde arrestare la diffusione della mortale zizzania. Tale breve enciclica deve essere ricordata opportunamente nei nostri tempi, nei quali oramai i libri empi e malvagi vengono scritti e diffusi anche da chi si spaccia falsamente come difensore della Chiesa, in realtà sgretolandola e minandola ancor più profondamente. Bisogna rendersi conto che nei giorni attuali, nei quali non esiste alcuna garanzia su ciò che la stampa ed i mezzi di comunicazione diffondono a piene mani ed in modo virulento, gli unici scritti che possono dirigerci verso le eterne verità, sono quelli che ancora sono muniti di “imprimatur” e “nihil obstat” ecclesiastico, cioè i libri pubblicati fino alla metà del secolo scorso, antecedenti all’instaurarsi della falsa chiesa degli antipapi succedutesi dal 28 ottobre del 1958, con la soppressione del Santo Officio e dell’Index librorum annesso! Solo queste opere hanno garanzia di fede retta e salvifica da cui attingere a piene mani per l’edificazione del proprio spirito e per la crescita nelle virtù cristiane. Tutto quanto invece non ha garanzia ecclesiastica, anche nei mezzi di diffusione di massa e di comunicazione elettronica, è da evitare come la peste, anche da menti (oramai sempre di meno) educate cristianamente; infatti anche le persone che osservano norme igieniche corrette, al contatto con lebbrosi, appestati o con i loro umori, aliti ed escrementi, vengono colti dal morbo crudele dell’eresia e dell’incredulità, senza accorgersene se non quando è oramai tardi o quando poi occorre sottoporsi a dolorose e spesso inefficaci “terapie”. Da evitare, naturalmente tutti gli scritti di agnostici, atei, gnostici, massoni, acattolici, eretici e scismatici vari, soprattutto di coloro che si spacciano per cristiani, quest’ultimi ancor più insidiosi: ci riferiamo qui alla valanga di scritti di esponenti di ogni categoria del “novus ordo”, cioè della falsa chiesa dell’uomo della setta modernista-apostatica post-(s)concilio vaticana, ed agli esponenti dei falsi tradizionalisti gallicano-fallibilisti reduci da Ecône, nonché degli eretici sedevacantisti di sfumature varie, ma tutte spiritualmente tragiche. Attenzione, quindi, ascoltiamo il Santo Padre in questa enciclica e guardiamoci dal contaminarci lo spirito, perché da questo potrebbe dipendere la salvezza o la dannazione eterna dell’anima nostra.

Clemente XIII
Christianæ reipublicæ

La salvezza del popolo cristiano, della quale ricevemmo il mandato dal Principe dei Pastori e Vescovo della anime, Ci spinge a prestare attenzione perché la sfacciata e pessima licenziosità dei libri, emersa da segreti nascondigli e giunta a recare grave danno e di notevole ampiezza, non diventi tanto più dannosa quanto più si espande di giorno in giorno. L’esecrabile perversità dell’errore e l’audacia di uomini nemici, che in mezzo al frumento seminano zizzania in gran quantità con lo scritto e con la parola, soprattutto in questi giorni si sono estese a tal punto, che se non poniamo la falce alla radice e non stringiamo in fasci i cattivi germogli per gettarli nel fuoco, poco manca che le spine della malvagità, sviluppatesi, tentino di soffocare la piantagione del Signore degli eserciti celesti. Infatti, certi uomini scellerati convertitisi alle fandonie e non aderenti alla sana dottrina, da ogni parte invadono la rocca di Sion, e per mezzo del pestifero contagio dei libri, dai quali siamo quasi sommersi, vomitano dai loro petti veleno di aspidi a rovina del popolo cristiano; infangano le pure sorgenti della fede; sradicano le fondamenta della Religione. Resisi detestabili nei loro intenti, sedendo fra le insidie, di nascosto lanciano dalla faretra dardi con i quali dolosamente colpiscono i retti di cuore. Cosa vi è di talmente Divino, Santo e consacrato dall’antichissima pietà di tutti i tempi, da cui abbiano tenuto lontano le loro menti empie, e su cui non abbiano esercitato bellicosamente le loro lingue, taglienti come spade? Si lanciarono fin dall’inizio con alterigia contro Dio, e armati di doviziosa menzogna si sono irrobustiti contro l’Onnipotente. Suscitando dalle ceneri le follie degli empi tante volte demolite, non per ottusa incapacità d’ingegno, ma per sola decisione della loro volontà depravata, negano l’esistenza di Dio che parla di sé ovunque e appare ogni giorno davanti agli occhi; oppure descrivono Dio incapace ed ozioso, del quale non onorano la provvidenza e non temono la giustizia.

Con ripugnante licenza di pensiero, assolutamente pazza, sostengono mortale, o per lo meno minorata rispetto agli Angeli, l’origine e la natura dell’anima nostra, creata ad immagine del supremo Fondatore. Nell’universo delle cose create ritengono che non esista nessuna cosa all’infuori della materia, sia che la giudichino creata, sia eterna e non sottoposta a causa alcuna; oppure, costretti ad ammettere la coesistenza dello spirito con la materia, declassano tuttavia l’anima da questa celeste condizione, non volendo ammettere, in questa debolezza nella quale siamo immersi, alcunché di spirituale e d’incorrotto in forza del quale intendiamo, agiamo, vogliamo e con il quale prevediamo anche il futuro, contempliamo il presente e ricordiamo il passato.

Altri invece, benché capiscano molto bene che la debolezza dei ragionamenti umani deve essere ripudiata e che il fumo della sapienza umana deve essere respinto dall’occhio di una Fede illuminata, tuttavia osano giudicare con pesi umani i reconditi Misteri della Fede che superano ogni umana percezione: creatisi giudici della maestà, non temono di venire oppressi dalla gloria. Viene derisa la Fede dei semplici; sono sventrati gli arcani di Dio; le questioni sulle altissime verità sono discusse temerariamente; l’audace ingegno del ricercatore usurpa per sé ogni cosa; tutto indaga, nulla riservando alla fede, della quale nega il valore, mentre cerca la controprova nella ragione umana. Forse non ci si deve sdegnare anche con coloro che, con turpissima oscenità di fatti e di parole, con somma scelleratezza corrompono costumi severi e pudichi, suggeriscono detestabile leggerezza del vivere alle menti inesperte ed arrecano i massimi danni alla pietà? Che di più? Cospargono i loro scritti di una certa ricercata nitidezza e scorrevole fioritura di discorso e civetteria, in modo che quanto più facilmente saranno penetrati negli animi tanto più profondamente li potranno inquinare col veleno dell’errore. Così agli sprovveduti propinano il fiele del drago nel calice di Babilonia: questi, attratti ed accecati dalla soavità del discorso, non avvertono il veleno a causa del quale periscono. Chi infine non sarà colpito da acerbissima tristezza nel vedere che i terribili nemici, dopo aver superato qualsiasi limite di modestia e di rispettoso ossequio, stampando libri offensivi ora in modo aperto, ora in modo ambiguo, si lanciano contro la stessa Sede di Pietro, che il Redentore del forte Giacobbe pose come colonna ferrea e muraglia di bronzo contro i principi delle tenebre? I nemici forse sono spinti dal malvagio pensiero che, una volta stroncato il capo, più facilmente potranno far strage delle membra della Chiesa.

Pertanto, Venerabili Fratelli, che lo Spirito Santo pose quali Vescovi a reggere la Chiesa di Dio ed ammaestrò circa il singolare sacramento dell’umana salvezza, non possiamo, in così grande corruzione di libri, che eccitare, secondo quanto è il Nostro compito, lo zelo della vostra fedeltà, affinché – chiamati a partecipare della cura pastorale – applichiate in questa il vostro maggior sforzo possibile. Si deve lottare accanitamente, come richiede la circostanza stessa, con tutte le forze, al fine di estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi facinorosi di pravità non periscano bruciati. Fatti dispensatori dei Misteri di Dio ed armati della sua potenza per distruggere i luoghi fortificati, fate in modo che il gregge a voi affidato, redento dal sangue di Cristo, sia allontanato dai pascoli avvelenati. Se infatti è necessario tenersi lontano dalla compagnia degli uomini perversi, perché le loro parole spingono all’empietà ed il loro discorso si insinua come cancro, quale distruzione opererà la pestilenza di libri che, preparati in maniera acconcia e pieni di astuzia, durano perpetuamente, rimangono sempre con noi, con noi passeggiano, con noi restano in casa e penetrano nelle stanze, dove non è vietato l’ingresso ad alcun cattivo ed occulto autore?

Costituiti Ministri di Cristo fra le genti, per santificare il suo Vangelo, datevi da fare, lavorate e, per quanto è nelle vostre possibilità, con l’opera e con le parole tagliate le radici dell’inganno, ostruite le corrotte fonti dei vizi, suonate la tromba, perché le anime che passano non siano strappate dalla mano del custode. Lavorate in virtù del posto che avete, in virtù della dignità di cui siete insigniti, in forza della potestà che avete ricevuto dal Signore. Inoltre, poiché nessuno può e deve essere segregato dal partecipare a simile tristezza e, in così grande pericolo di fede e di religione, unica e comune è la motivazione di angustiarsi e di portare aiuto, dove sia il caso implorate l’avita pietà dei Principi cattolici; esponete la causa della Chiesa che geme, e spingete i suoi amorosi figli, per tanti motivi sempre egregiamente benemeriti verso di lei, a portare aiuto; e siccome non senza motivo portano la spada, dopo aver congiunte l’autorità del Sacerdozio e quella dell’Impero, frenino e distruggano energicamente gli uomini malvagi che combattono contro le falangi d’Israele. Conviene soprattutto, Venerabili Fratelli, che rimaniate fermi come muro, perché non sia posto fondamento diverso da quello costituito, e difendiate il santissimo deposito della Fede, a custodia della quale dedicaste con giuramento voi stessi durante la solenne iniziazione. Siano fatte conoscere al popolo fedele le volpi che demoliscono la vigna del Signore; si avvisi il popolo in modo che non si lasci trascinare dai nomi splendidi di certi autori, perché non sia abbindolato dalla cattiveria e dall’astuzia degli uomini verso l’inganno dell’errore; in una parola, detesti i libri nei quali si trovi qualcosa che offenda il lettore, o contrasti con la Fede, la Religione, i buoni costumi e non rispecchi l’onestà cristiana. In questo veramente ci congratuliamo gioiosamente con molti di voi che, aderendo alle istituzioni Apostoliche, quali valorosi vindici delle leggi ecclesiastiche, forti e vigilanti posero ogni zelo per allontanare tale peste, impedendo che gl’ingenui dormissero con i serpenti.

Certamente Noi, che abbiamo la cura di tutte le Chiese e della salvezza del popolo cristiano, non risparmiandoci fatica alcuna, Ci ripromettiamo in così grande pericolo di essere aiutati da voi. Frattanto, nell’umiltà del Nostro cuore non cesseremo d’invocare Dio perché aiuti voi dal suo santuario ad evitare l’astuzia degli uomini insidiosi, e perché possiate adempiere tutte le mansioni del vostro ministero.

In auspicio di tale desiderato evento, molto volentieri impartiamo a voi ed al vostro gregge l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 25 novembre 1766, nell’anno nono del Nostro Pontificato.

DOMENICA INFRA OTTAVA DI NATALE

DOMENICA INFRA OTTAVA di NATALE

Incipit 
In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 
Sap XVIII:14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit [Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII:1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.
[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit [Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Oratio 
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.
[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio 
Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV:1-7
Patres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

OMELIA I

[Mons. Bonomelli: Omelie, Torino 1899, vol. I, Omelia IX]

“Fratelli, fintantoché l’erede è fanciullo, non differisce punto dal servo, benché sia padrone di tutto: ma sta sotto, tutori ed amministratori fino al tempo stabilito prima dal padre. Così noi pure: mentre eravamo fanciulli, eravamo tenuti in servitù sotto gli elementi del mondo. Ma quando venne il compimento dei tempi, Iddio mandò il Figliuol suo, fatto di Donna, soggetto alla legge, affine di riscattare quelli che erano sotto la legge, sicché fossimo adottati in figliuoli. E poiché siete figliuoli, Iddio ha mandato lo Spirito del Figliuol suo nei vostri cuori, che grida: Abba, Padre „ (Ai Galati, IV, 1-6).

Queste poche sentenze, che avete udite e che l’apostolo Paolo scriveva ai fedeli di Galazia, rispondono a meraviglia al mistero sì sublime e sì dolce, che abbiamo celebrato in questi giorni. Il Figlio di Dio fatto uomo! ecco il mistero del S. Natale, di cui festeggiamo l’ottava. Ora qual è il fine, il frutto principalissimo di questo mistero? Perché il Figlio di Dio si è fatto uomo? Affinché gli uomini diventassero Dei, vi risponde S. Agostino e con lui ad una voce tutti i Padri: affinché gli uomini diventassero figli di Dio, risponde S. Paolo nel testo sopra riportato. Bene a ragione pertanto la Chiesa in questa Domenica ci invita a meditare le parole dell’Apostolo, che vi ho recitate: in esse si chiude il frutto pratico della Incarnazione e del santo Natale; a me lo spiegarvele, a voi l’udirle. – Scopo di tutta la lettera di S. Paolo ai Galati è quello di mostrare che la legge mosaica con tutte le sue cerimonie e tutti i suoi sacrifici doveva cessare per dar luogo alla legge di Gesù Cristo; la legge di Mosè, dice S. Paolo, era il pedagogo, che doveva condurre a Gesù; venuto questo, l’ufficio del pedagogo non aveva più ragione di essere e naturalmente cessava. Per illustrar meglio questa idea fondamentale, Paolo ricorre ad una idea affine e tolta dalla legge stessa civile, evoluzione della legge naturale. Udite l’Apostolo. “Fintantoché l’erede è fanciullo, non differisce punto dal servo, benché sia padrone di tutto; ma sta sotto tutori ed amministratori fino al tempo stabilito prima dal padre. „ Vedete un fanciullo: egli è l’erede del padre suo e perciò veramente padrone di tutta la sua sostanza; ma finché è fanciullo, finché è nella minorità, non differisce dal servo: deve ubbidire all’aio: deve lasciar amministrare la sua sostanza al tutore, ai procuratori e restare in questo stato di dipendenza, lui padrone, finché sia spirato il tempo fissato dalla legge e dal padre ed egli acquisti il pieno e libero esercizio dei suoi diritti di figlio. Fino a quel tempo non vi è differenza tra il servo ed il figlio; tutta la differenza è questa: la condizione del servo è stabile, quella del figlio è temporaria. Noi, così ragiona S. Paolo, noi Ebrei, sotto la legge mosaica, noi Gentili, prima del Vangelo, eravamo come fanciulli, impotenti ad ogni cosa; eravamo tenuti in servitù, sotto gli elementi del mondo; eravamo cioè legati alle prescrizioni sì gravi e sì minute della legge di Mose; eravamo schiavi delle superstizioni gentilesche; eravamo come quei fanciulli, che prima di studiare ed apprendere le scienze, devono imparare le lettere dell’alfabeto. Insomma tutto il tempo, che corse da Adamo a Cristo, è un tempo di preparazione: l’umanità tutta è come un pupillo, un minore, che aspetta il tempo, in cui sarà emancipata: acquisterà la piena libertà di se stessa per opera di Gesù Cristo, sciogliendosi dalle fascio della sinagoga e dalle superstizioni e dagli errori del paganesimo. – E questa emancipazione dell’umanità quando avvenne? “Quando venne il compimento dei tempi, Iddio mandò il Figliuol suo, fatto di Donna, soggetto alla legge. „ Che cosa è questo compimento o pienezza del tempo, come dice il testo latino? Una cosa è piena quand’è compita e perfetta, e allora viene la pienezza dei tempi, quando i tempi sono maturi e compiute le cose: quando son giunti i tempi e i fatti annunziati dai profeti, quando tutto è disposto, Dio manda il Figliuol suo, cioè il Figliuol di Dio si fa uomo. Si dice che Dio, cioè Dio-Padre, che di sé, ab eterno, genera il Figliuol suo, lo manda sulla terra. Non dovete immaginare che il Padre mandi il Figlio, come un padre terreno manda i suoi figli, no; Dio-Padre non si può mai separare dal Figlio, con cui ha comune la natura, come non possiamo separare il pensiero dalla nostra mente; non lo manda con movimento materiale, che in Dio è impossibile: non lo manda a guisa di chi fa un comando: Dio-Padre manda il Figliuol suo, cioè fa sì che il Figliuolo, che ha una sola volontà con Lui, assuma la natura umana, ed essendo Dio eterno ed immutabile, cominci ad essere anche uomo. Il Figliuolo del Padre eterno si fa uomo, pigliando dalla donna la natura umana. E qui badate che S. Paolo dice che Gesù Cristo prese dalla Donna la natura umana per indicare, che non vi ebbe parte l’opera dell’uomo e che perciò Gesù Cristo nacque da una Vergine. — Il Figlio di Dio nacque da una Vergine e fu posto sotto la legge, s’intende, la mosaica. Certamente Gesù Cristo, anche in quanto uomo non era obbligato alla legge mosaica, essendo Egli sopra ogni legge; ma, benché non tenuto alla legge mosaica, volontariamente ad essa si sottopose e ne osservò scrupolosamente tutte le prescrizioni, dalla circoncisione alla celebrazione della pasqua. E per qual motivo Gesù Cristo volle sottoporsi alla legge mosaica, Egli che non ne aveva obbligo alcuno? Risponde S. Paolo: “Affine di riscattare quelli che erano sotto la legge, sicché fossimo adottati in figliuoli. „ Gesù Cristo pigliò sopra di sé tutto il peso della legge mosaica per due motivi secondo san Paolo: perché fossimo liberati noi da quella legge di servi ed acquistassimo tutti i diritti di figliuoli adottivi. — La legge mosaica era una legge di timore; a moltissime delle sue trasgressioni era inflitta la pena di morte: essa riguardava più il corpo che lo spirito, aveva ricompense terrene; era tal giogo che, diceva S. Pietro, non abbiam potuto portare noi, né i padri nostri (Atti, xv, 10). Ebbene Gesù Cristo la tolse sopra di sé, come tolse sopra di sé il peccato, e la chiuse per sempre, a quella sostituendo la sua legge. Quale? “La legge di figliuoli di adozione, „ che è il Vangelo. – Noi per natura siamo creature di Dio e perciò suoi servi, e come servi erano trattati i figli d’Israele, percossi terribilmente ogni qualvolta traviavano. Nella nuova legge, portata da Gesù Cristo, noi siamo elevati alla dignità di figli di Dio, e perciò da noi si esige più l’amore che il timore. – Siamo figli di Dio per adozione! Voi sapete che cosa sia l’adozione e i diritti ch’essa porta seco. Un uomo sceglie un giovane qualunque, lo dichiara suo figlio, lo tiene presso di sé, lo tratta, lo ama come se fosse suo figlio naturale e morendo gli lascia in eredità la sua sostanza e porta il nome del padre, che lo ha adottato. Ecco il figliuolo adottivo ed ecco la nostra dignità, di cui siamo debitori a Gesù Cristo. Egli senza merito nostro di sorta ci scelse di mezzo agli uomini, col santo Battesimo ci fece suoi figliuoli, ci accolse nella Chiesa, che è la sua famiglia ed il suo regno: ci ama come figli, ci fa partecipi di tutti i beni spirituali della sua Chiesa e ci darà l’eredità eterna del cielo. Ecco che cosa vuol dire essere figli adottivi di Dio! Ma non ho detto tutto, o cari. La nostra dignità di figli di Dio per adozione importa tra noi e Dio rapporti senza confronto maggiori di quelli che corrono tra il padre che adotta, ed il figlio che è adottato, e qui vi prego di porre ben mente alla cosa. Un uomo adotta un figlio, e questo si considera come se fosse veramente figlio dell’adottante e ne ha tutti i diritti. Ma ditemi: il padre adottante che cosa mette di proprio nella persona del figlio adottato? Perfettamente nulla. Il padre adottante ami pure il figlio adottato coll’amore più intenso; lo dica pure suo figlio, lo colmi di favori, di ricchezze finché vuole: quel figlio non sarà mai veramente figlio dell’adottante se non per virtù della legge e nell’apprezzamento comune; nelle vene di quel giovane adottato non scorrerà mai una stilla sola di sangue del padre adottante; sarà sempre vero che quel giovane ha avuto la vita da un altro uomo e che il vero padre dell’adottato non è, ne sarà mai colui che l’ha adottato, e forse la fisionomia, l’indole morale, le tendenze, il carattere e le abitudini lo mostreranno a chiare note. – Ben altra è l’adozione che noi abbiamo ricevuto da Dio. Egli nell’adottarci ha posto in noi ciò che ha di più intimo, la partecipazione del suo spirito, della sua vita stessa. Ce lo dice in termini S. Paolo: “E poiché siete figliuoli, Iddio ha mandato lo Spirito del Figliuol suo nei nostri cuori. „ Lo spirito di Gesù Cristo è lo stesso Spirito Santo, l’amore sostanziale del Padre e del Figlio, e Gesù Cristo lo spande nelle nostre anime con la grazia che ci santifica nel Battesimo, che si accresce nella Confermazione e particolarmente nella santa Eucaristia e in tutti i Sacramenti. E che è questa grazia, questo dono dello Spirito Santo? È una forza che emana da Dio stesso, che investe e penetra tutta l’anima, l’abbellisce, la trasforma e la rende simile a Dio. Vedete il ferro messo nel fuoco: esso è tutto penetrato dal fuoco, quasi trasformato nel fuoco, rimanendo pur sempre ferro. È una immagine dell’anima adorna della grazia di Dio. Essa è unita intimamente a Dio; è fatta bella della bellezza di Dio, come il fiore è bello della luce del sole; essa riceve in sé l’influsso della vita stessa di Dio, come il tralcio riceve la sua vita dalla radice e dal tronco della vite; per la grazia l’anima, restando pur sempre anima creata, partecipe della divina natura e porta in se stessa i lineamenti, la somiglianza di Dio e sente di avere tutto il diritto di dire a Dio: Padre nostro! Oh! sì: grida S. Giovanni, non solo possiamo dirci figliuoli di Dio, ma lo siamo realmente: “Ut filii Dei nominemur et simus.,, Quale dignità! quale grandezza, o carissimi! Figli di Dio! Dunque, come figli, dobbiamo rispettarlo, ubbidirlo, onorarlo con la nostra condotta, porre in Lui ogni fiducia, amarlo teneramente e sopra ogni cosa.

 Graduale Ps XLIV:3; 44:2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.
[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]
V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis. [V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja Allelúja, allelúja
Ps 92:1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.
[Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 
Sequéntia  sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc II:33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilaeam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo. [In quel tempo: Giuseppe e Maria, madre di Gesù, restavano meravigliati delle cose che si dicevano di lui. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: Ecco egli è posto per la rovina e per la resurrezione di molti in Israele, e sarà bersaglio di contraddizioni, e una spada trapasserà la tua stessa anima, affinché restino svelati i pensieri di molti cuori. C’era inoltre una profetessa, Anna, figlia di Fanuel, della tribù di Aser, molto avanti negli anni, vissuta per sette anni con suo marito. Rimasta vedova fino a ottantaquattro anni, non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con preghiere e digiuni. E nello stesso tempo ella sopraggiunse, e dava gloria al Signore, parlando di lui a quanti aspettavano la redenzione di Israele. E quando ebbero compiuto tutto secondo la legge del Signore, se ne tornarono in Galilea, nella loro città di Nazaret. E il fanciullo cresceva e si irrobustiva, pieno di sapienza: e la grazia di Dio era con lui.]

OMELIA II

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

Gesù posto in rovina e risurrezione di molti.

Ecce positus est hic in ruinam, et resurrectionem Multorum”. Ella è questa una parte della celebre profezia che fece il santo vecchio Simeone alla Vergine Madre allorché, in adempimento della legge di Mose, presentò il suo divin Figliuolo al Tempio, come ci narra San Luca dell’odierno sacrosanto Vangelo. “Questo pargoletto tuo figlio, le disse, sarà per molti causa di risurrezione e di salute, e per altri molti occasione di rovina e di morte” – “positus est hic in ruinam, et resurrectionem multorum”. Ma come, dirà forse alcun di voi, non è Egli Gesù, il nostro Salvatore, la nostra luce, la nostra vita? Come dunque può essere insieme cagion di nostra perdita, e di nostra rovina? A questa interrogazione, a questa difficoltà darò risposta e scioglimento del corso della presente spiegazione, se per poco d’ora mi favorite della gentile vostra attenzione. Gesù adunque è per molti causa di salute, e per molti altri occasione di rovina? Così è! Non sorprenda, uditori miei, che una stessa causa produca effetti diversi. La luce si fa candida nel giglio, pallida nella viola e nella rosa vermiglia, e pur è sempre la stessa luce. L’ape e la serpe da un medesimo fiore suggono l’umore stesso, e pur nel seno dell’ape quel sugo si cambia in miele, nel sen della serpe si cangia in veleno. La manna nel deserto per molti era cibo leggero e nauseante, e per altri era cibo avente in sé ogni squisito sapore. Così Gesù luce del mondo, fior nazzareno, manna dal ciel disceso, sempre buono, sempre uguale in se stesso, per la malizia degli uomini riesce diverso nei suoi effetti, e ciò in speciale maniera, o si riguardi la sua fede, o la sua legge, o i suoi sacramenti. Vediamolo a parte a parte. – La fede in Gesù Cristo è la sola che salva. Questa fede, che ha origine dal principio del mondo, allor che dopo la caduta dei nostri progenitori venne loro promesso un liberatore, fu quella che li salvò con la penitenza di tutta lor vita. Abele innocente, Seth temente Iddio, il giusto Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giobbe, Tobia, Davide, in una parola tutti i patriarchi e profeti e tutti quei personaggi santissimi, i nomi dei quali stanno nel libro della vita, e nell’antico Testamento, si sono salvati per la fede in Gesù Cristo, poiché non vi è altro Nome in cui si possa essere salvezza, e siccome noi ci salviamo per la fede in Cristo già venuto, così si salvarono essi per la fede in Cristo venturo, unendo alla loro fede le più eccellenti virtù. Tale essere deve la nostra fede, fede viva, operante, fede osservatrice della divina legge, seguace degli esempi del Redentore, ed Egli allora si potrà e si dovrà dire esser causa benefica di nostra resurrezione e salvezza, “positus est hic in resurrectionem multorum”. Udite com’Egli medesimo si esprime nel suo santo Vangelo. Io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me (e in Cristo non può dirsi che veramente creda chi con la fede non unisce l’opere buone da Lui prescritte) ancorché fosse morto per il peccato, risorga a nuova vita di grazia, e vivrà in eterno. Ego sum resurrectio et vita; “qui credit in me, etiamsi mortuus fuerit, vivet, et omnis qui credit et credit in me, non morietur in æternum” (Io. XI, 25, 26). – Che diremo ora di quelli sconsigliati, che spargono dubbi circa la cristiana credenza, bestemmiano quel che ignorano, e col carattere della fede in Gesù Cristo impresso nell’anime loro nel santo Battesimo, accoppiano vita e costumi da epicurei e da maomettani? Diremo non per insultarli, quel che di ciascun d’essi pronunzia l’Evangelista Giovanni: è già giudicato chiunque non crede, “qui non credit, iam judicatus est” (Io. III, 17): diremo che convien pregare il Padre dei lumi acciò rischiari la mente di quei che giacciono nelle tenebre e nelle ombre di morte. Diremo che un cuor retto, un animo non vizioso, un costumato cattolico, mai si rivolta contro la fede. Solo della fede è nemico un cuor guasto, uno spirito corrotto da ree passioni. E perché? Perché fede e peccato, fede e viziose abitudini, fede e sregolate passioni, sono tra loro in necessaria guerra; onde ne segue che chi non vuol abbandonare il peccato, e del peccato non vuol soffrire i rimorsi, si arma, si scaglia contro la fede, come sua nemica, per tentare se per questa via gli riesca di far tacere i latrati, e mitigare i rimorsi della rea coscienza. Ed ecco in ciò come Gesù Cristo, che per costoro esser doveva, per mezzo della sua fede, pietra fondamentale e causa di salute vien dalla loro incredulità trasformato in pietra d’inciampo ed occasione di rovina: “positus est hic in ruinam”, – va del pari con la fede di Gesù Cristo la santa sua legge. Anch’essa ha il suo principio dall’origine del mondo, anzi da Dio medesimo, che è la legge eterna. Tre leggi, direte voi, son note a tutti, una che chiamasi di natura, l’altra scritta, la terza Evangelica. No, miei carissimi, sono tre nomi diversi, ma una sola è la legge. In quella guisa ch’è sempre lo stesso uomo quel che bambino vagisce in cuna, quel che cresce in giovane adulto, quel che poi nella virilità arriva ad essere uomo perfetto; così la legge di natura scritta da Dio nel nostro cuore fu una legge bambina; passò ad essere una legge adulta quando dal dito di Dio fu scritta sulle tavole a Mosè; e finalmente fu legge perfetta, quando uscì dalla bocca dell’incarnata Sapienza Cristo Gesù, e si promulgò col suo santo Vangelo; ma è sempre una stessa legge nel suo principio, nel suo progresso e nella sua perfezione; ond’è che Gesù Cristo si protestò altamente che non era venuto al mondo per togliere la legge, ma per adempirla e perfezionarla “Non veni volvere legem, sed adimplere” (Io. V, 17). – In questa legge divina, e nell’osservanza della medesima sta la salute e la vita, e perciò a quel giovane, che domandò al redentore per qual mezzo poteva conseguire la vita eterna, rispose: “serva mandata” [osserva i comandamenti] (Matth. XIX, 17). Questi comandamenti li sapete dalla vostra infanzia. Adora ed ama il tuo Dio, non profanare il suo santo Nome, santifica le feste a Lui consacrate, rispetta, ubbidisci, soccorri i tuoi genitori, non togliere ai tuoi simili né roba, né vita, né arma, astieniti dal vizio impuro, dallo spergiuro, e dal desiderio perfino di tutto ciò che non è tuo, ma del tuo prossimo. Ecco la legge, ecco la via per andar salvi. Nella fedele osservanza di questa lege è riposta la nostra giustificazione e salute. “Factores legis iustificabuntur” (Ad Rom. II, 13). Sarà Gesù allora causa propizia del nostro risorgimento e della nostra salvezza, “positus est hic in resurrectionem”. – Or questa legge così cauta e salutare come da noi viene adempiuta? Ohimè un’altra legge regna nel cuore dell’uomo: le legge del peccato e della carnale concupiscenza, … oh quanti conta osservatori questa legge tiranna! Un’altra legge si fa ubbidire con minore efficacia: la legge del mondo perverso e perversore, che consiglia, che comanda odio ai nemici, vendetta degli affronti, oppressione degli umili, disprezzo dei maggiori. Legge del mondo che approva le usure e i monopoli, che autorizza la frode e la bugia nei contratti, che fa prevalere l’impegno alla giustizia, il danaro all’onestà, l’interesse all’anima e a Dio. E non è questo il secolo della pressoché universale depravazione della legge dell’Altissimo? Non sarà iperbole , se noi ripeteremo nell’amarezza dell’animo ciò a Dio rivolto diceva piangendo il Re Profeta: “Tempus faciendi, Domine”. Questo è il tempo, o Signore, in cui per le umane azioni non vi è più né regola né freno, e la vostra legge francamente si disprezza e si calpesta … “tempu faciendi, Domine, dissipaverunt legem tuam” (Ps. CXVIII). Qual meraviglia poi, se per questi prevaricatori della divina legge sia posto Gesù in loro spirituale ed eterna rovina? “Positus est hic in ruinam multorum”. – Finalmente Gesù nei suoi Sacramenti è causa di vita, e occasione di morte. Tra questi per esser breve, mi restringo ai due più frequentati, la Penitenza cioè, e l’Eucaristia. Rapporto al primo vi accostate al tribunale di penitenza in spirito di umiltà, e col cuore contrito (appressatevi pure con fiducia a questa salubre Probatica, e ne uscirete risanati. Sarà Cristo, per mezzo del suo ministro, il pietoso Samaritano, che col vino della sapienza e con l’olio della misericordia medicherà le vostre ferite, se foste morti alla grazia, Egli sarà il vostro risorgimento, “positus est in resurrectionem”. – Ma se invece senza esame, senza dolore, senza sincerità nelle accuse, senza proposito e volontà di lasciare il peccato e l’occasione dello stesso, vi presentaste ai piedi del Sacerdote, voi avrete il mal incontro. Il sangue adorabile di Gesù-Cristo, che con la sacramentale assoluzione s’applica all’anima vostra, si cangerà in materia di dannazione; discenderà sopra di voi questo sangue tremendo come disceso su gl’imperversati Giudei di rovina e di sterminio. – carissimi miei, tenetevi a mente questa figura, che parmi assai spiegante ed istruttiva. Ecco là nella prigione Giuseppe in mezzo a due carcerati: uno è il coppiere, l’altro il panettiere del faraone. Tutti e due han fatto un sogno, e ne domandano a Giuseppe l’interpretazione. Io, dice il primo, sognando premeva a mano un grappolo d’uva nella coppa del mio sovrano. Buon presagio, rispose il divino interprete, tu sarai rimesso in grazia del tuo signore, e ristabilito nel tuo impiego. E a me, soggiunge l’altro, pareva di portare un canestro pieno di pani e di ciambelle per la regia mensa, e mentre mi stava sul capo, una torva di corvi e di altri uccelli rapaci nol lasciarono vuota la cesta. Cattivo pronostico, rispose Giuseppe: tu sarai sospeso ad un legno, ed i corvi e gli avvoltoi si divoreranno le tue carni. Tanto disse e tanto avvenne! Applicate la figura, uditori miei. Siede sul sacro tribunale il sacerdote, interprete della divina volontà, e giudice da Dio costituito, portate ai piedi suoi un cuore come un grappolo del coppiere, premuto dal dolore e mutato in un altro cuore, cioè da cuor peccatore in cuore penitente, come l’uva di grappolo cangiata in vino. Consolatevi, voi avrete buone risposte, sarete ammessi al perdono, ritornerete in grazia del vostro Dio, risorti a nuova vita. – Se per l’opposto accostandovi al sacro ministro porterete solo in mente e nella memoria le vostre colpe, come il canestro sul capo del panettiere tanto da farne al confessore una fredda narrazione, ma senza dolore d’averle commesse, senza proposito di emendarvi, senza volontà di restituire la roba altrui, di abbandonare le occasioni pericolose, di adempiere le obbligazioni del proprio stato, guai per voi! O vi saran date giuste come da giuste ma funeste risposte, o se riceverete la sacramentale assoluzione, vi aggraverete di un nuovo e maggiore peccato e morendo in questo misero stato, i demoni faranno di voi orrido strazio; perché la sacramentale confessione, da Gesù Cristo istituita per salvarvi, l’avete praticata per perdervi, e l’abuso sacrilego che fatto ne avete, ha trasformato Gesù Salvatore in vostro nemico e in vostra rovina. Positus est in ruinam. – Lo stesso avviene nel Sacramento della santissima Eucaristia. Ogni fedele che con cuore e con l’anima monda, almeno da grave peccato, si pasce delle carni dell’Immacolato Agnello di Dio, riceve conforto, ristoro ed aumento di grazia santificante, e Gesù, che è pane di vita, vita gli dà spirituale ed eterna. – Se poi taluno ardisse mangiar questo divin pane con la coscienza rea di colpa mortale, si mangerebbe quest’indegno, dice l’Apostolo, il suo giudizio e la sua condanna. Osservate soggiunge l’Angelico, come lo stesso pane celeste per l’anime buone è cibo di vita, per le malvagie è cibo di morte. “Mors est malis, vita bonis: vide par is sumptionis quam sit dispar exitus”. – Si legge nel libro quinto dei Numeri, che se un marito per ragionevole sospetto temuto avesse della fedeltà della proprii consorte, era autorizzato dalla legge di Mosè a condurla innanzi al sacerdote. Questi, a depurare il dubbio, raccolta dal pavimento del Tabernacolo poca polvere e mescolatala con acqua, la dava a bere alla donna sospetta. Se questa era rea, quella bevanda, come fosse potentissimo veleno, la faceva sull’istante cadere morta ai piedi dei circostanti, se innocente, senza soffrire alcun nocumento ritornava a casa sua fra gli applausi dei congiunti e dei cittadini. Lo stesso, vedete, miei cari, lo stesso avviene, sebbene in modo invisibile, nella santa Eucaristica Comunione. Guai a quell’anima che conscia di peccato mortale dalla man del sacerdote riceve la sacra particola! Sarà questa per lei micidiale veleno. Buon per quell’altra che se ne pasce con cuore innocente e con un cuor purgato da vera penitenza; fra gli applausi degli Angeli avrà vita e salute e pegno di vita eterna: ed ecco come Gesù Cristo positus est in ruinam et resurrectionem multorum”. Ah dunque, miei cari, teniamoci ben stretti alla fede di Gesù Cristo, ch’è la sola che salva: osserviamo la sua legge, che è la necessaria condizione per salvarci: siam peccatori? Andiamo ai suoi piedi al tribunale di penitenza col cuore umiliato e contrito, e saremo giustificati: accostiamoci alla sacra mensa con le debite disposizioni, e Gesù sarà per noi cibo, vita, salute, seme d’immortalità, pegno della futura gloria, che per sua grazia ci conceda.

  Credo …

 Offertorium 
Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.
[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta 
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat. [Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

Communio 
Matt II:20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri. [Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 
Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur. [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

CALENDARIO LITURGICO della CHIESA CATTOLICA: GENNAIO

GENNAIO è il mese che la CHIESA dedica al Nome di Gesù, all’Epifania e al Battesimo di GESU’

… Balaam andò, e, il giorno dopo il suo arrivo, Balac lo condusse sopra un’alta montagna, d’ove si scuopriva l’armata di Israello. A quella vista Balaam, preso dallo spirito del Signore, si fa a benedire quel popolo che era venuto a maledire, e in cominciando a profetare esclama:

« Parola di Balaam figliuolo di Beor, parola di quell’uomo che ha chiuso l’occhio; parola di lui, che ha udito i parlari di Dio, che fa la dottrina dell’Altissimo, e vede le visioni dell’Onnipotente…. Io lo vedrò ma non ora: fisserò in lui lo sguardo ma non da vicino. Di Giacobbe nascerà una stella, e spunterà da Israele una verga e percuoterà i capi di Moab… da Giacobbe verrà il dominatore e sterminerà gli avanzi della città».

Una tradizione inalterabile comune ai Giudei e ai Cristiani, mantenutasi più di 3500 anni, ha sempre attestato che Balaam designava il Messia con quelle parole: Una stella nascerà da Giacobbe, una verga sorgerà da Israello. Le parole del profeta avevano risuonato per tutto l’Oriente; la memoria se n’era perpetuata d’età in età; e quando la stella apparve, i Magi, istruiti e dalla tradizione e dalla grazia, si misero in cammino per andare ad adorare Il glorioso germe d’Israello, che trovarono in Betlemme con la sua Madre divina, ed al quale offersero in dono oro, incenso e mirra. Seguendo l’orientale costume, tutt’oggi in vigore, di non psentarsi ai Re senza qualche tributo, i Magi deposero ai piedi del bambino Gesù misteriosi donativi. Coll’oro, confessarono la sua origine regale, il suo dominio sull’universo, il suo diritto alla sudditanza delle nazioni tutte: coll’incenso, emblemi dell’adorazione, del sacrificio, dell’annientamento della creatura innanzi a Dio venerarono la sua divinità: colla mirra, adoperata nelle imbalsamazioni, riconobbero la sua santa umanità. Ed ecco in questi regali un ammaestramento per noi pure giacché al Bambino di Betlemme noi tutti dobbiamo offrire l’oro della carità e dell’obbedienza assoluta, l’incenso delle nostre orazioni e della nostra fede, la mirra della mortificazione e dell’estinzione dei nocevoli appetiti. Ecco quali sono i tributi ch’Egli da noi richiede. – Furono i Magi le primizie del Gentilesimo, sicché fin dal loro arrivo a Betlemme comincia quell’epoca nuova di grazie e di benedizioni, in cui il Sole di verità e di giustizia illumina l’intero universo: epoca per sempre memorabile, di cui la Chiesa ha consacrata la ricordanza per mezzo della solennità dell’Epifania.

Le feste del mese di Gennaio 2018

1 Gennaio Die Octavæ Nativitatis Domini  Feria privilegiata *L1*

2 Gennaio Sanctissimi Nominis Jesu   Duplex II. classis *L1*

5 Gennaio 1° Venerdì

6 Gennaio In Epiphania Domini  Duplex I. clasis *L1* – 1° Sabato

7 Gennaio Dom. I post Epiphaniam Sanctæ Familiæ Jesu Mariæ Joseph    Duplex

13 Gennaio Commemoratio Baptismatis D. N. Jesu Christi    Duplex II. classis

14 Gennaio Dominica II post Epiphaniam  Semiduplex Dominica minor *I*

                        S. Hilarii Epíscopi Confessoris Ecclesiæ Doctoris

15 Gennaio S. Pauli Primi Eremitæ et Confessoris – Duplex

16 Gennaio S. Marcelli Papæ et Martyris – Semiduplex

17 Gennaio S. Antonii Abbatis    Duplex

18 Gennaio Cathedræ S. Petri    Duplex majus *L1*

19 Gennaio Ss. Marii, Marthæ, Audifacis, et Abachum martyrum    Simplex

20 Gennaio Ss. Fabiani et Sebastiani Martyrum    Duplex

21 Gennaio Dominica III Post Epiphaniam   Semiduplex Dominica minor *I*

                         S. Agnetis Virginis et Martyris

22 Gennaio Ss. Vincentii et Anastasii Martyrum    Semiduplex

23 Gennaio S. Raymundi de Peñafort Confessoris    Semiduplex

24 Gennaio S. Timothei Epíscopi et Martyris    Duplex

25 Gennaio In Conversione S. Pauli Apostoli    Duplex majus *L1*

26 Gennaio S. Polycarpi Epíscopi et Martyris    Duplex

27 Gennaio S. Joannis Chrysostomi Epíscopi Conf. et Eccl. Doc.   Duplex

28 Gennaio  Dominica in Septuagesima    Semiduplex 2nd class *I*

                            S. Petri Nolasci Confessoris

29 Gennaio S. Francisci Salesii Epíscopi Confessoris Ecclesiæ Doct. Duplex

30 Gennaio S. Martinæ Virginis et Martyris – Semiduplex

31 Gennaio S. Joannis Bosco Confessoris  – Duplex

MEDITAZIONI SULLA NATIVITA’ di N.S. GESU’ CRISTO

MEDITAZIONI …

[A. Carmagnola: Meditazioni, vol. I; S.E.I. ed. Torino, 1942]

… Sopra alcune parole di S. Paolo.

Mediteremo sopra queste parole di S. Paolo: Benignitas et humanitas apparuit Salvatoris nostri Dei: è apparsa la benignità e l’umanità del Salvator nostro Iddio (Tit., III, 4). C’immagineremo di vedere dinanzi a noi il Bambino Gesù, che nella grotta di Betlemme, adagiato sopra la paglia del presepio, in vita alla fiducia, al pentimento e all’amor suo, dicendo a ciascuno di noi: Præbe, fili mi, cor tuum mihi: Dammi, o figlio, dammi il tuo cuore. E adorandolo con i santi pastori, nell’atto che essi gli offrono i loro doni, noi gli daremo risoluti tutto ciò che egli ci chiede.

PUNTO 1°.

Da benignità del Bambino Gesù ispira fiducia.

Il Salvatore, venendo nel mondo, vi entrò non nella natura angelica, m a nella natura umana: Nusquam angelos apprehendit, sed semen Abrahæ (Hebr., II, 16). E pur prendendo la carne, la forma e la vita degli uomini, non volle venire nel mondo con statura perfetta e piena di maestà, ma come tenero bambino, pieno di benignità e piacevolezza, sicché per la sua nascita è apparsa al mondo, dice S. Paolo, la benignità e l’umanità del Salvatore nostro Iddio. Questo Bambino che viene a salvare il mondo è Dio: come angelo non ci avrebbe ispirata sufficiente fiducia, come Dio ci avrebbe atterriti. Perciò, oltre al non prendere la natura angelica, si spoglia ancora di ogni divina ed umana maestà e rivestendo la nostra misera carne si presenta a noi come la benignità e l’umanità per eccellenza. Sì, dice San Bernardo, perché tutto il mondo sa, avendolo la natura stessa insegnato a tutto il mondo, quanto sia grande la forza, quanto dolce l’attrattiva, che esercita sul cuore umano la vista di un delicato e caro bambino. Se Gesù Cristo non fosse nato così, alla semplice notizia dell’apparizione di Dio sulla terra gli uomini sarebbero fuggiti come Adamo colpevole, quando sentì la voce di Dio e presentì la sua presenza, e avrebbero tremato e disperato pensando alle offese fattegli e all’ingratitudine usatagli. Ma come fuggire, come tremare, come disperare dinanzi ad un debole e amabilissimo bambinello?

PUNTO 2°.

La benignità del Bambino Gesù adduce a penitenza.

L o stesso S. Paolo, il quale ci dice che per la nascita di Gesù è apparsa la benignità e l’umanità del Salvatore nostro Dio, ci insegna che la benignità di Dio ci alletta, ci spinge e ci vuol condurre alla penitenza dei nostri peccati: Ignoras quoniam benigniias Dei ad pœnitentiam te adducivi (Rom., II, 4). Gesù è nato bambino, perché noi, presentandoci a chiedergli perdono delle nostre colpe, non temiamo severi rimbrotti e una penitenza troppo grave; giacché, dice S. Bernardo, un tenero pargoletto senza più si placa e ci concede la sua grazia: Parvulus est, leviter placari potest; quis enim nesciat quia puer facile donat? (I Epiph.). D’altronde, anche cresciuto negli anni ed entrato nella sua vita pubblica, ha sempre fatto spiccare la sua benignità nell’accogliere i poveri peccatori e nel non esigere da essi altra penitenza che una vita scevra di peccato e feconda di buone opere. E nell’invitarci a seguirlo col prendere sulle nostre spalle il suo giogo ci ha assicurato che esso è lieve e soave. L’amore per Lui rende leggiere e dolcissime anche le penitenze più dure. Gesù Bambino dalla sua culla ci mostra la sua penitenza, perché uniamo la nostra alla sua. Non facciamogli più oltre ripetere quel vagito: ah! ah! hoc est: anima, anima, te quæro (S. Bern.): anima, anima peccatrice, te io cerco.

PUNTO 3°.

La benignità del Bambino Gesù domanda amore.

Gesù si è abbassato fino a nascere tenero Bambino sopra tutto per dimostrarci il suo amore immenso per ciascuno di noi, benché peccatore, benché iniquo, benché disertore, benché superbo. Filius Dei, dice S. Agostino, caro factus est propter te peccatorem, propter te iniustum, propter te desertorem, propter te superbum. No, non vi è altra cagione maggiore della sua venuta fra di noi sotto le sembianze di maschino bambinello all’infuori della manifestazione del suo amore: quæ maior est causa adventus Domini, nisi ut ostenderet dilectionem in nobis? La Chiesa, volgendosi a Gesù stesso, così canta: O autore beato del mondo, o Cristo di tutti Redentore, fu il tuo amore che ti indusse a prendere un corpo mortale: Amor coëgit te tuus — Mortale corpus sumere. Per questo ancora Egli volle nascere bambino, per essere più sicuro di acquistare l’amor nostro. Cosi, dice S. Bernardo, ha voluto nascere Colui che volle essere amato e non temuto: Sic nasci voluit, qui amari voluit, non timerì. Ah! Se sgraziatamente non l’abbiamo amato sin qui. diamoci ora ad amarlo come merita di essere amato. Amiamolo con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la volontà, con tutte le forze; amiamolo di un amore generoso e costante. Chi non ama il Bambino Gesù sia da noi segregato, dice S. Paolo: si quis non amat Dominum nostrum Jesum Christum, anatema sit (I Cor., XVI, 22).

####

… Sopra alcune parole di Isaia.

Prostrati in ispirito dinanzi al Santo Bambino Gesù nella grotta di Betlemme e adorandolo insieme con Maria, con Giuseppe e coi pastori ci diremo, per ben meditarle, quelle parole così consolanti del profeta Isaia: Questo Bambino è nato per noi; questo Figlio di Dio e di Maria è stato dato a noi; e porta sulle spalle il suo principato: Parvulus natus est nobis, filius datus est nobis, et factus est principatus eius super humerum eius (Is., IX, 1). C’immagineremo che Gesù Bambino dal suo presepio ci volga i suoi occhi misericordiosi, come per confermarci questa verità, che Egli è tutto per noi e vuol essere il re dei nostri cuori; e noi risponderemo dicendogli con tutto l’affetto: Diligam te, Domine, foriitudo mea: ti amerò, o Signore, mia forza (Ps., XVII, 1).

PUNTO 1°.

Il Santo Bambino è nato per noi.

Il Figlio di Dio è nato pargoletto per noi, per nostro spirituale vantaggio, per nostro salutare ammaestramento. Egli volle dirci nel modo più efficace: Se non vi farete anche voi bambini come me, non entrerete nel regno dei cieli. Nei bambini vi sono due doti: innocenza e semplicità. Così in Gesù Bambino. Si è dato dunque a noi Piccolino per apprenderci queste due condizioni necessarie alla nostra salute: innocenza e semplicità, virtù sommamente importanti per trattare come si deve con Dio e col prossimo. L’innocenza attira sopra di noi la compiacenza di Dio e la sua benedizione. Se sgraziatamente l’abbiamo perduta, dobbiamo riacquistarla con le lagrime della penitenza, ossia coll’essere sinceramente pentiti delle nostre passate colpe e col fare volontaria penitenza, o con l’accettare almeno per penitenza le tribolazioni che il Signore ci manda. – La semplicità poi, nelle nostre parole, nelle nostre azioni, in tutta la nostra condotta ci faccia procedere candidamente, con schiettezza e col cuore alla mano. Dinanzi a Gesù Bambino, bando alla prudenza umana e secolaresca, ingannatrice del prossimo e detestabile agli occhi di Dio.

PUNTO 2°.

Il Figlio di Dio e di Maria è stato dato a noi.

Il Bambino Gesù giacente nel santo presepio è il Figlio di Dio, che lo genera da tutta l’eternità nello splendore dei santi, ed è il Figlio di Maria, che lo ha generato nel tempo, nella povera capanna di Betlemme. L’Eterno Padre e Maria SS. Ci hanno dato questo Bambino, perché sia veramente nostro e lo abbiamo a possedere sempre, in questa vita e nell’eternità. – Bambino di valore infinito, perché Dio Egli stesso e donatoci dall’Eterno Padre e da Maria unicamente per amore. Oh immensa liberalità del nostro Padre celeste e della nostra SS. Madre! Eppure vi sono uomini, che non vogliono ricevere questo gran dono; sono coloro che chiudono il cuore all’amore di Dio per aprirlo all’amore delle creature. Che è di me, o caro Gesù? Vi costringerò ancora per tanto tempo a stare alla porta del mio cuore e a battervi per entrare ? Vi obbligherò ancora a ripetere: Aprimi, aprimi: aperi mihi? No, o caro Bambinello: libererò una buona volta il mio cuore dall’affetto alle creature, che non mi appaga, che anzi mi è di affanno e di tormento: Ho trovato in voi chi l’anima mia vuol amare con tutte le sue forze, vi terrò a me unito e non vi lascerò mai più allontanar da me: Inveni quem diligit anima mea, tenui eum, nec dimittam (Con., III, 4).

PUNTO 3°.

Il Santo Bambino ha sulle spalle il suo principato.

Il principato, che il Bambino Gesù ha sulle sue spalle, è primieramente l’anima di ciascuno di noi. Egli è venuto dal cielo in terra come un re a riacquistare il suo regno perduto, il regno delle anime, che a cagione del peccato di Adamo e dei peccati nostri era sfuggito dalle sue mani per cadere in quelle di satana. Che gran conto adunque ha fatto Gesù dell’anima nostra! Qua! conto ne facciamo noi? Deh! riflettendo che l’anima nostra è portata amorosamente in sulle sue spalle da Gesù e la riguarda come il suo principato, preghiamolo che in essa regni veramente da sovrano. Altro principato che sta sulle spalle del Santo Bambino è il fascio enorme dei peccati di tutti gli uomini. – E in questo peso così grave e ripugnante per Gesù ci sono anche i peccati miei! E sarò io così crudele da accrescerglielo ancora con nuovi peccati? Non cercherò anzi di alleggerirglielo col portare volentieri il giogo della sua santa legge e dei santi voti? Infine altro principato che sta sulle spalle a Gesù è la croce, che appena nato abbraccia con affetto per mezzo de’ suoi patimenti, affinché, nel vederlo noi ancora sì piccolo soffrire già cotanto per amor nostro, non ci rincresca di portare anche noi la croce delle tribolazioni per amor suo.

NASCITA DI GESU’

Nascita di Gesù Cristo.

[G. Bertetti: I TESORI DI S. TOMMASO D’AQUINO; S.E.I. Torino, 1918]

1. Il grande avvenimento (S. Th., 3*, q. 35, art. 6, 7, 8). — 2. Come la nascita di Gesù fu manifestata agli uomini (ibid., q. 36, art. 1-6).

1. Il grande avvenimento. — Gli altri uomini nascono soggetti alla necessità del tempo; Gesù Cristo invece, signore e dominatore di tutti i tempi, si elesse il tempo della nascita, come si elesse la Madre e il luogo: « Venuta la pienezza del tempo, ha mandato Dio il Figliuol suo, fatto di donna, fatto sotto la legge » (Gal., IV, 4). – Gesù Cristo veniva a ricondurci dallo stato di servitù a quello di libertà; e, siccome prese la mortalità nostra per darci la vita, così « si degnò d’incarnarsi quando appena nato sarebbe stato iscritto nel censo di Cesare e annoverato come suddito per la nostra liberazione » (S. BEDA, in Luc., 5). Tutto il mondo viveva allora sotto un solo sovrano: « se leggiamo la storia, troveremo che fino al 28° anno di Cesare Augusto ci fu discordia in tutta la terra, ma alla nascita del Signore cessò ogni guerra » (S. GEROLAMO, super Isa., 2) secondo la profezia (ISA., II, 4); nel tempo in cui un solo principe dominava nel mondo, nasceva Gesù Cristo, che « è la nostra pace » (Eph., II, 14) e che veniva a congregare i suoi in modo da formarne « un solo ovile e un solo pastore » (JOAN., X, 16). Volle nascere sotto un re straniero, perché s’adempisse la profezia di Giacobbe: « Non sarà tolto lo scettro di Giuda e il condottiero dalla sua coscia fin quando venga chi dev’essere mandato » (Gen., XLIX, 10); perché, come dice il Crisostomo, « finché il popolo giudaico era sotto il comando di re giudaici, quantunque peccatori, erano mandati dei profeti per suo rimedio: ora che la legge di Dio era tenuta sotto la potestà d’un re iniquo, nasce Gesù Cristo, perché quella grande e disperata infermità richiedeva un medico più valente. – Volle nascere nella stagione fredda per cominciar fin d’allora a patire per noi; e nel principio dell’inverno, quando il giorno comincia ad allungarsi, per dimostrare ch’Egli era venuto a far progredire gli uomini nella luce divina (Luc., 1, 79). – Volle nascere in Betlemme, dov’era nato Davide, perché dallo stesso luogo della nascita si dimostrasse adempiuta la promessa speciale fatta a Davide intorno a Cristo (2° Reg., 23, 1). Il nome di Betlemme significa « casa del pane », ed è lo stesso Gesù Cristo che disse: « Io sono il pane vivo disceso dal cielo » (JOAN., VI, 35, 51). Davide, nato in Betlemme, scelse Gerusalemme per costituirvi la sede del regno e per edificarvi il tempio di Dio, per farne insomma una città regale e sacerdotale nello stesso tempo. Così Gesù Cristo scelse Betlemme per la nascita e Gerusalemme per la passione, in cui principalmente si compì il suo sacerdozio e il suo regno. E anche a confutar la gloria degli uomini, che si vantano d’aver tratta la loro origine da illustri città e da esse vogliono esser massimamente onorati, Gesù Cristo volle invece nascere in una città oscura e soffrire l’ignominia i n una nobile città. La nascita di Gesù non ebbe alcun dolore, come non ebbe alcuna corruzione per la Madre: le recò anzi somma giocondità, perché nasceva l’uomo Dio nel mondo (ISA., XXXV, 2). Dalla sentenza che colpisce tutte le altre madri (Gen., III) « è eccettuata la Vergine madre di Dio, la quale senza macchia e senza danno concepì Cristo, senza dolore lo generò, senza violazione d’integrità rimase col verginal pudore intatto » (S. AGOST., in serm. de Assumpt.). – L a stessa Vergine, senza aiuto d’altra donna, ravvolse in panni il bambino e lo collocò nel presepio (Luc., II, 7).

  1. Come la nascita di Gesù fu manifestata agli uomini. — Non a tutti gli uomini in genere conveniva che fosse manifestata la nascita di Gesù: — 1 ° perché ne sarebbe stata impedita l’umana redenzione, che se gli uomini l’avessero conosciuto, « giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria» (la Cor., II, 8 ); — 2 ° sarebbe stato diminuito il merito della fede per mezzo della quale era venuto a giustificare gli uomini (Rom., III, 22), che se per manifesti indizi fosse stata conosciuta da tutti la nascita di Gesù, non ci sarebbe più stata ragion di fede, che è « dimostrazione delle cose che non si vedono » (Hebr., XI, 1); — 3 ° ne sarebbe venuta in dubbio la sua reale umanità: « se avesse fatto tutto in modo meraviglioso, avrebbe tolto ciò che fece in modo misericordioso » (S. AGOSTINO, ad Volusianum). Ma a nessuno sarebbe stata proficua la nascita di Gesù, se a tutti fosse rimasta occulta: a qualcuno dunque doveva esser manifestata. Appartiene poi all’ordine della divina sapienza il far pervenire i suoi doni e i suoi segreti non egualmente a tutti, ma ad alcuni in modo immediato, e per mezzo di questi agli altri (Act., X, 40). Maria e Giuseppe dovevano essere istruiti intorno alla nascita di Gesù, prima ch’Egli nascesse: perché spettava loro dimostrar riverenza e ossequio al Bambino: ma la loro testimonianza domestica intorno alla grandezza di Gesù sarebbe stata accolta con sospetto; ad altre persone estranee, la cui testimonianza non avrebbe potuto essere sospetta, doveva esser manifestato il grande avvenimento. – Da Gesù doveva venir la salvezza a tutti gli uomini senza distinzione (Coloss., III, 11): e a tutte le condizioni degli uomini fu manifestata la nascita di Gesù, affinché prefigurasse l’universalità della salvezza. « Israeliti furono i pastori, gentili i Magi, gli uni vicini, gli altri lontani, gli uni e gli altri ÙÙconcorrono tuttavia verso la medesima pietra angolare » (S. AGOSTINO, serm. de Epiph., 32); i magi furono sapienti e potenti, i pastori semplici e di vile condizione. Fu manifestato ai giusti, Simeone e Anna; fu manifestato ai magi peccatori. Fu manifestato a uomini e a donne, per farci intendere che nessuna condizione d’uomini è esclusa dalla salvezza cristiana. Essendo la nascita di Gesù ordinata all’umana salvezza mediante la fede, doveva esser manifestata in modo che la dimostrazione della sua divinità non pregiudicasse la fede nella sua umanità. Perciò Gesù Cristo manifestò la sua nascita non per se stesso ma per mezzo d’alcune altre creature: « i magi trovarono e adorarono il bambino Gesù per nulla dissimile da tutti gli altri bambini » (S. LEONE, serm. 4 de Epiph.,); ma questo bambino mostrava in sé la virtù della Divinità per mezzo delle creature di Dio. La manifestazione si fa per mezzo di cose famigliari a quelli cui si vuol fare la manifestazione. Or è evidente che per gli uomini giusti è cosa famigliare e consueta l’essere ammaestrati da interiore istinto dello Spirito Santo, senz’alcuna dimostrazione di segni sensibili, cioè con lo spirito di profezia. – Altri poi, dediti alle cose corporali, sono spinti alle cose intelligibili per mezzo di cose sensibili. I Giudei erano avvezzi a ricevere i divini responsi per mezzo d’Angeli, e per mezzo d’Angeli avevano ricevuto la legge (Act., VII, 53): invece i Gentili, e massime gli astrologhi, erano avvezzi a considerar il corso delle stelle. Perciò ai giusti, Simeone e Anna, la nascita di Gesù fu manifestata da interno istinto di Spirito Santo (Luc., II, 26); ai pastori e ai magi, come dediti a cose corporali, fu manifestata con visibili apparizioni. E poiché la nascita di Gesù non era puramente terrena ma in certo qual modo celeste, per mezzo di segni celesti agli uni e agli altri si rivela. Ai pastori, ch’erano giudei, si rivela per mezzo d’Angeli; ai magi, avvezzi alla considerazione dei corpi celesti, si rivela per mezzo d’una stella. I pastori ebbero la manifestazione nello stesso giorno della nascita (Luc.,II, 8); i magi giunsero presso Gesù il 13° giorno della nascita; i giusti Simeone e Anna ebbero la manifestazione i l 40° giorno della nascita (Luc., II, 22). Quest’ordine ha una ragione: i pastori significano gli apostoli e gli altri credenti fra i Giudei che ebbero la prima manifestazione della legge di Cristo e che non annoverarono fra loro « né molti potenti né molti nobili » (la Cor., 1, 26); poi la fede giunse alla moltitudine dei gentili, prefigurata nei magi, per giungere poi alla pienezza de’ Giudei prefigurata in Simeone e Anna.

SAN GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA

SAN GIOVANNI, APOSTOLO ED EVANGELISTA

[Dom Guèranger: l’Anno Liturgico, vol I; Ed. Paoline, Alba – 1957 impr.]

L’Apostolo- Vergine.

Dopo Stefano il Protomartire, Giovanni, l’Apostolo e l’Evangelista, è il più vicino alla mangiatoia del Signore. Era giusto che il primo posto fosse riservato a colui che ha amato l’Emmanuele fino a versare il proprio sangue per il suo servizio, poiché, come dice il Salvatore stesso, non vi è amore più grande del dare la propria vita per coloro che si amano (Gv. XV, 13). D’altronde il Martirio è stato sempre considerato dalla Chiesa come il supremo slancio della carità, ed ha perfino la virtù di giustificare il peccatore in un secondo Battesimo. Ma dopo il sacrificio del sangue, il più nobile, il più coraggioso, quello che conquista soprattutto il cuore dello Sposo delle anime è il sacrificio della verginità. Ora, allo stesso modo che santo Stefano è riconosciuto come il tipo dei Martiri, san Giovanni ci appare come il Principe dei Vergini. Il Martirio è valso a Stefano la corona e la palma; la Verginità ha meritato a Giovanni prerogative sublimi che, mentre dimostrano il pregio della castità, pongono questo discepolo fra i più nobili membri dell’umanità. – Giovanni ebbe l’onore di nascere dal sangue di David, nella famiglia stessa della purissima Maria; fu dunque parente di nostro Signore, secondo la carne. Tale onore gli fu comune con san Giacomo il Maggiore, suo fratello e figlio di Zebedeo come lui; con san Giacomo il Minore e san Giuda, figlio d’Alfeo. Nel fiore della giovinezza, Giovanni seguì il Cristo e non si volse più indietro; la tenerezza particolare del cuore di Gesù fu tutta per lui, e mentre gli altri erano Discepoli e Apostoli, egli fu l’amico del Figlio di Dio. La ragione di questa rara predilezione fu, come afferma la Chiesa, il sacrificio della verginità che Giovanni offrì all’Uomo-Dio. Ora, è giusto mettere in risalto, nel giorno della sua festa, le grazie e le prerogative che sono derivate a lui dal sublime favore di questa amicizia celeste.

Il Discepolo prediletto.

Questa sola espressione del santo Vangelo: il Discepolo che Gesù amava, dice, nella sua mirabile concisione, più di qualsiasi commento. Pietro, senza dubbio, è stato scelto per essere il Capo degli Apostoli e il fondamento della Chiesa; è stato più onorato; ma Giovanni è stato più amato. Pietro ha ricevuto l’ordine di amare più degli altri; ha potuto rispondere a Cristo, per tre volte, che era proprio così; tuttavia, Giovanni è stato più amato da Cristo dello stesso Pietro, perché era giusto che fosse onorata la Verginità. La castità dei sensi e del cuore ha la virtù di avvicinare a Dio l’uomo che la possiede, e di attirare Dio verso di lui; è per questo che nel momento solenne dell’ultima Cena, di quella Cena feconda che doveva rinnovarsi sull’altare fino alla fine dei tempi, per rianimare la vita nelle anime e guarire le loro ferite, Giovanni fu posto accanto a Gesù stesso, e non soltanto ebbe questo insigne onore, ma nelle ultime effusioni dell’amore del Redentore, questo figlio della sua tenerezza osò posare il capo sul petto dell’Uomo-Dio. Fu allora che attinse, alla divina sorgente, la luce e l’amore; e tale favore, che era già una ricompensa, divenne il principio di due grazie speciali che presentano in modo particolare san Giovanni all’ammirazione di tutta la Chiesa.

Il Dottore.

Infatti, avendo voluto la divina Sapienza manifestare il mistero del Verbo, e affidare alla Scrittura i segreti che fin allora nessuna penna umana era stata chiamata a narrare, fu scelto Giovanni per questa grande opera. Pietro era morto sulla croce, Paolo aveva piegato il capo alla spada, gli altri Apostoli avevano anch’essi sigillato la propria testimonianza con il sangue. Rimaneva in piedi solo Giovanni in mezzo alla Chiesa; e già l’eresia, profanando l’insegnamento apostolico, cercava di annientare il Verbo divino, e non voleva più riconoscerlo come Figlio di Dio, consustanziale al Padre. Giovanni fu invitato dalle Chiese a parlare e lo fece, con un linguaggio celeste. Il suo divino Maestro aveva riservato a lui, mondo da ogni bruttura, il compito di scrivere con la sua mano mortale i misteri che i suoi fratelli erano stati chiamati solo ad insegnare: il Verbo, Dio eterno, e questo stesso Verbo fatto carne per la salvezza dell’uomo. Con questo si elevò come l’Aquila fino al Sole divino; lo contemplò senza restarne abbagliato perché la purezza dell’anima e dei sensi l’aveva reso degno di entrare in rapporto con la Luce increata. Se Mosè, dopo aver conversato con il Signore nella nube, si ritirò dai divini colloqui con la fronte risplendente di raggi meravigliosi, come doveva essere radioso il volto venerabile di Giovanni, che si era posato sul Cuore stesso di Gesù, dove – come dice l’Apostolo – sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col. II, 3)! Come dovevano essere luminosi i suoi scritti, e come divino il suo insegnamento! Cosicché quell’immagine sublime dell’Aquila descritta da Ezechiele e confermata da san Giovanni stesso nella sua Rivelazione, gli è stata applicata dalla Chiesa, insieme con il bel nome di Teologo che gli dà tutta la tradizione.

L’Apostolo dell’amore.

A quella prima ricompensa, che consiste nella penetrazione dei misteri, il Salvatore aggiunse per il suo Discepolo prediletto un’effusione d’amore inusitata, perché la castità, distogliendo l’uomo dagli affetti bassi ed egoistici, lo eleva ad un amore più puro e più generoso. Giovanni aveva accolto nel cuore i discorsi di Gesù: ne fece partecipe la Chiesa, e soprattutto rivelò il divino Sermone della Cena, in cui effonde l’anima del Redentore, che, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine (Gv. XIII, 1). Scrisse delle Epistole, e lo fece per dire agli uomini che Dio è amore (Gv. IV, 8), che chi non ama non conosce Dio (Gv. IV, 8), che la carità esclude il timore (ibid. 18). Fino al termine della sua vita, fino ai giorni della sua estrema vecchiaia, insisté sull’amore che gli uomini si devono scambievolmente, sull’esempio di Dio che li ha amati; e come aveva annunciato più chiaramente degli altri la divinità e lo splendore del Verbo, così più degli altri si mostrò l’Apostolo di quella infinita carità che l’Emmanuele è venuto a portare sulla terra.

Il Figlio di Maria.

Ma il Signore gli riservava un dono veramente degno del discepolo vergine e prediletto. Morendo sulla croce, Gesù lasciava Maria sulla terra; ormai, da parecchi anni, Giuseppe aveva reso l’anima al Signore. Chi avrebbe vegliato dunque su un così sacro deposito? Chi sarebbe stato degno di riceverlo? Avrebbe Gesù mandato i suoi Angeli per custodire e consolare la Madre sua? Quale uomo sulla terra avrebbe potuto meritare tale onore? Dall’alto della croce, il Salvatore scorge il discepolo vergine: tutto è fissato. Giovanni sarà un figlio per Maria, Maria sarà una madre per Giovanni; la castità del discepolo l’ha reso degno di ricevere un legato così glorioso. Così – secondo quanto rileva eloquentemente san Pier Damiani – Pietro riceverà in deposito la Chiesa, Madre degli uomini; ma Giovanni riceverà Maria, Madre di Dio. Egli la custodirà come un suo bene, prenderà accanto a lei il posto del suo divino amico, l’amerà come la propria madre, e sarà come un suo figlio.

La gloria di S. Giovanni.

Circondato com’è di tanta luce, riscaldato da tanto amore, stupiremo che san Giovanni sia divenuto l’ornamento della terra, la gloria della Chiesa? Enumerate allora, se potete, i suoi titoli, enumerate le sue qualità. Parente di Cristo tramite Maria, Apostolo, Vergine, Amico dello Sposo, Aquila divina. Teologo santo, Dottore della Carità, figlio di Maria, è anche l’Evangelista per il racconto che ci ha lasciato della vita del suo Maestro e amico. Scrittore sacro per le sue tre Epistole, ispirato dallo Spirito Santo, Profeta per la sua misteriosa Apocalisse, che racchiude i segreti del tempo e dell’eternità. Che cosa gli è dunque mancato? La palma del martirio? Non lo si potrebbe dire, poiché se non ha consumato il suo sacrificio, ha tuttavia bevuto il calice del Maestro, quando, dopo la crudele flagellazione, fu immerso nell’olio bollente davanti a porta Latina, in Roma, nell’anno 95. Giovanni fu dunque Martire di desiderio e di intenzione, se non di fatto; e se il Signore, che lo voleva conservare nella sua Chiesa come un monumento della stima che ha per la castità e degli onori che riserba a tale virtù, arrestò miracolosamente l’effetto d’uno spaventoso supplizio, il cuore di Giovanni non aveva meno accettato il Martirio in tutta la sua estensione (morì presumibilmente ad Efeso sotto il regno di Traiano, 98-117 d. C.). – Questo è il compagno di Stefano accanto alla culla nella quale onoriamo il divino Bambino. Se il Protomartire risplende con la porpora del sangue, il candore virgineo del figlio adottivo di Maria non è forse più abbagliante di quello della neve? I gigli di Giovanni non possono sposare il loro innocente splendore allo splendore vermiglio delle rose della corona di Stefano? Cantiamo dunque gloria al neonato Re, la cui corte brilla di colori sì freschi e ridenti. Questa celeste compagnia si è formata sotto i nostri occhi. Dapprima abbiamo visto Maria e Giuseppe soli nella stalla accanto alla mangiatoia; subito dopo, l’armata degli Angeli è apparsa con le sue melodiose coorti; quindi son venuti i pastori con i loro cuori umili e semplici; poi, ecco Stefano il Coronato, Giovanni il Discepolo prediletto; e nell’attesa dei Magi, altri verranno presto ad accrescere lo splendore delle pompe, e ad allietare sempre più i nostri cuori. Quale nascita è mai quella del nostro Dio! Per quanto umile appaia, quanto è divina! Quale Re della terra, quale Imperatore ha mai avuto attorno alla sua culla onori simili a quelli del Bambino di Betlemme? Uniamo dunque i nostri omaggi a quelli che Egli riceve da tutti questi membri beati della sua corte; e se ieri abbiamo rianimato la nostra fede alla vista delle palme sanguinanti di Stefano, ridestiamo oggi in noi l’amore della castità, all’ardore dei celesti profumi che ci mandano i fiori della corona virginea dell’Amico del Cristo.

Vangelo della Messa (Gv. XXI, 19-24). – In quel tempo. Gesù disse a Pietro: Seguimi. Pietro, voltatosi, si vide vicino il discepolo prediletto da Gesù, quello che nella cena posò sul petto di lui, e disse: Signore, chi è il tuo traditore? Or vedutolo Pietro disse a Gesù: Signore e di lui che ne sarà? Gesù rispose: Se io voglio che resti finche io non torni, che te ne importa? Tu seguimi. Si sparse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non morrebbe. Gesù però non disse non morrà; ma: Se voglio che egli resti finch’io non tomi, che te ne importa ? È questo il discepolo che attesta tali cose, e le ha scritte: sappiamo che la sua testimonianza è verace. – Il brano del Vangelo di oggi ha impegnato molto i Padri e i commentatori. Si è creduto di vedervi la conferma del sentimento di coloro che hanno preteso che san Giovanni sia stato esentato dalla morte fisica, e che aspetti ancora nella carne, la venuta del Giudice dei vivi e dei morti. Non bisogna vedervi tuttavia, con la maggior parte dei santi Dottori, se non la differenza delle due vocazioni: quella di san Pietro e quella di san Giovanni. Il primo seguirà il Maestro, morendo come lui sulla croce; il secondo sarà preservato, raggiungerà una felice vecchiaia, e vedrà venire a sé il Maestro che lo toglierà a questo mondo con una morte pacifica. O diletto discepolo del Bambino che ci è nato, come è grande la tua felicità! quanto è meravigliosa la ricompensa del tuo amore e della tua verginità! In te si compiono le parole del Maestro: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. E tu non soltanto l’hai visto, ma sei stato suo amico, hai riposato sul suo cuore. Giovanni Battista ha timore di tendere le mani per immergere nel Giordano il suo capo divino; Maddalena, rassicurata da lui stesso, non osa sollevare il capo, e si ferma ai suoi piedi; Tommaso aspetta l’ordine per osar di mettere il dito nelle cicatrici delle sue piaghe: e tu, alla presenza di tutto il Collegio Apostolico, prendi accanto a lui il posto d’onore, appoggi il tuo capo mortale sul suo seno. E non soltanto godi della visione e del possesso del Figlio di Dio incarnato; ma, poiché il tuo cuore è puro, voli con la rapidità dell’aquila, e fissi con lo sguardo tranquillo il sole di Giustizia, nel seno stesso della luce inaccessibile in cui egli abita eternamente con il Padre e lo Spirito Santo. Questo è dunque il prezzo della fedeltà che tu gli hai mostrata conservando per lui, puro da ogni macchia, il prezioso tesoro della castità. Ricordati di noi, tu che sei il favorito del grande Re! Oggi, noi confessiamo la divinità del Verbo immortale che tu ci hai fatto conoscere; ma vorremmo anche avvicinarci a lui, in questi giorni in cui si mostra così accessibile, così umile, così pieno d’amore, sotto le vesti dell’infanzia e della povertà. Ma purtroppo i nostri peccati ci trattengono; il nostro cuore non è puro come il tuo; abbiamo bisogno d’un protettore che ci introduca alla mangiatoia del nostro Signore (Is. 1, 3). Per godere di questa felicità, o prediletto dell’Emmanuele, noi speriamo in te. Tu ci hai svelato la divinità del Verbo nel seno del Padre; portaci alla presenza del Verbo incarnato. Che per mezzo tuo possiamo entrare nella stalla, fermarci accanto alla mangiatoia, vedere con i nostri occhi e toccare con le nostre mani il dolce frutto della vita eterna. Ci sia concesso di contemplare i dolci lineamenti di Colui che è nostro Salvatore e nostro Amico, di sentire i battiti di quel cuore che ti ha amato e che ci ama; di quel cuore che, sotto i tuoi occhi, fu squarciato dal ferro della lancia, sulla croce. Ottienici di restare accanto alla culla, di essere partecipi dei favori del celeste Bambino, di imitare come te la sua semplicità. E infine, tu che sei il figlio e il custode di Maria, presentaci alla Madre tua che è anche la nostra. Ch’Ella si degni, per la tua preghiera, di comunicarci qualcosa di quella tenerezza con la quale veglia accanto alla culla del suo divin Figlio; ch’ella veda in noi i fratelli di Gesù che ha portato nel seno, che ci associ all’affetto materno nutrito per te, fortunato depositario dei segreti e degli affetti dell’Uomo-Dio. – Ti raccomandiamo anche la Chiesa di Dio, o santo Apostolo! Tu l’hai piantata, l’hai irrorata, l’hai adornata del celeste profumo delle tue virtù, l’hai illuminata con i divini insegnamenti; prega ora affinché tutte le grazie che tu hai arrecate, fruttifichino fino all’ultimo giorno; affinché la fede brilli di un nuovo splendore, l’amore di Cristo si riaccenda nei cuori, i costumi cristiani si purifichino e rifioriscano, e il Salvatore degli uomini, quando ci dice, con le parole del tuo Vangelo: Non siete più miei servi, ma miei amici, senta uscire dalle nostre bocche e dai nostri cuori una risposta d’amore e di coraggio la quale lo assicuri che lo seguiremo dovunque, come tu stesso l’hai seguito.

** * *

Consideriamo il sonno del Bambino Gesù in questo terzo giorno dalla sua nascita. Ammiriamo il Dio di bontà, disceso dal cielo per invitare tutti gli uomini a cercare fra le sue braccia il riposo delle loro anime, che si sottomette a prendere il proprio riposo nella loro dimora terrena, e che santifica con il sonno divino la necessità che ci impone la natura. Poco fa ci confortava vederlo offrire sul suo petto un luogo di riposo a san Giovanni e a tutte le anime che vorranno imitarlo nella purezza e nell’amore; ora vediamo Lui stesso dormire dolcemente nel suo umile giaciglio, o sul seno della Madre sua. –

Sant’Alfonso de’ Liguori, in uno dei suoi deliziosi cantici, celebra così il sonno del divino Bambino e la tenerezza della Vergine Madre:

Fermarono i cieli

La loro armonia,

Cantando Maria

La nanna a Gesù

Con voce divina

La Vergine bella,

Più vaga che stella

Diceva così:

Mio Figlio, mio Dio,

Mio caro Tesoro

Tu dormi, ed io moro

Per tanta beltà.

Dormendo, mio Bene,

Tua Madre non miri,

Ma l’aura che spiri

È fuoco per me.

O bei occhi serrati,

Voi pur mi ferite:

Or quando v’aprite,

Per me che sarà?

Le guance di rosa

Mi rubano il core;

O Dio, che si more

Quest’alma per Te!

II

Mi sforz’a baciarti

Un labbro sì raro:

Perdonami, Caro,

Non posso, più, no.

Si tacque ed al petto

Stringendo il Bambino,

Al Volto Divino

Un bacio donò.

Si desta il Diletto

E tutto amoroso

Con occhio vezzoso

La Madre guardò.

Ah Dio ch’alla Madre

Quegli occhi, quel guardo

Fu strale, fu dardo

Che l’Alma ferì.

E tu non languisci,

O dur’alma mia,

Vedendo Maria

Languir per Gesù.

Se tardi v’amai,

Bellezze Divine;

Or mai senza fine

Per voi arderò.

Figlio e la Madre,

La Madre col Figlio.

La rosa col giglio

Quest’alma vorrà.

Onoriamo dunque il sonno di Gesù Bambino; rendiamo i nostri omaggi al Neonato nello stato di volontario riposo, e pensiamo alle fatiche che l’attendono al risveglio. Crescerà questo Bambino; diventerà un uomo, e camminerà, attraverso tanti travagli, alla ricerca delle anime nostre, povere pecorelle smarrite. Che almeno, in queste prime ore della sua vita mortale, il suo sonno non sia turbato; il pensiero dei nostri peccati non agiti il suo cuore; e Maria goda in pace la gioia di contemplare il riposo di quel Bambino che deve più tardi causarle tante lacrime. Verrà presto il giorno in cui egli dirà: « Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli dell’aria i loro nidi, ma il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo ». – Pietro di Celles dice eloquentemente nel suo quarto Sermone sulla Natività del Signore: « Cristo ha avuto tre posti dove posare il capo. Innanzitutto, il seno del suo eterno Padre; Egli dice: Io sono nel Padre, e il Padre è in me. Quale riposo più delizioso di questa compiacenza del Padre nel Figlio, e del Figlio nel Padre? In un mutuo e ineffabile amore, essi sono beati per l’unione. Ma, pur conservando quel luogo di riposo eterno, il Figlio di Dio ne ha cercato un secondo nel seno della Vergine. L’ha coperto dell’ombra dello Spirito Santo, e ha preso ivi un lungo sonno, mentre si formava in essa il suo corpo umano. La purissima Vergine non ha turbato il sonno del suo Figliuolo; ha tenuto tutte le forze dell’anima sua in un silenzio degno del cielo, e rapita in se stessa intendeva dei misteri che non è dato all’uomo ripetere. – Il terzo luogo di riposo del Cristo è nell’uomo; è nel cuore purificato dalla fede, dilatato dalla carità, elevato dalla contemplazione, rinnovato dallo Spirito Santo. Tale cuore offrirà al Cristo non già una dimora terrena, ma un’abitazione celeste, e il Bambino che ci è nato non rifiuterà di prendervi il suo riposo ».

 

SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

26 DICEMBRE

SANTO STEFANO, PROTOMARTIRE

[Dom Guéranger: l’Anno Liturgico, ed. Paoline, Alba – 1957 impr.]

Gesù e santo Stefano.

San Pier Damiani apre il suo Discorso sulla odierna solennità con le seguenti parole: « Abbiamo ancora fra le braccia il Figlio della Vergine, e onoriamo con le nostre carezze l’infanzia di un Dio. Maria ci ha condotti all’augusta culla; bella fra le figlie degli uomini, benedetta fra le donne, ci ha presentato Colui che è bello tra i figli degli uomini e più di tutti essi, colmo di benedizioni. Ella solleva per noi il velo delle profezie, e ci mostra i disegni di Dio compiuti. Chi di noi potrebbe distogliere gli occhi dalla meraviglia di questa nascita? Tuttavia, mentre il neonato ci concede i baci della sua tenerezza, e ci lascia nello stupore con sì grandi prodigi, d’improvviso Stefano, pieno di grazia e di forza opera cose meravigliose in mezzo al popolo (Atti VI, 8). Lasceremo dunque il Re per rivolgere lo sguardo su uno dei suoi soldati? No certo, eccetto che il Principe stesso ce lo ordini. Orbene, ecco che il Re, Figlio di Re, si leva egli stesso, e viene ad assistere alla battaglia del suo servo. Corriamo dunque ad uno spettacolo al quale egli stesso corre, e consideriamo questo porta-bandiera dei Martiri ». La santa Chiesa, nell’Ufficio odierno, ci fa leggere l’inizio d’un Discorso di san Fulgenzio sulla festa di santo Stefano: « Ieri, abbiamo celebrato la Nascita temporale del nostro Re eterno; oggi, celebriamo la Passione trionfale del suo soldato. Ieri il nostro Re, rivestito della carne, è uscito dal seno della Vergine e si è degnato di visitare il mondo; oggi, il combattente è uscito dalla tenda del suo corpo, ed è salito trionfante al cielo. Il primo, pur conservando la maestà della sua eterna divinità, ha assunto l’umile cintura della carne, ed è entrato nel campo di questo secolo per combattere; il secondo, deponendo l’involucro corruttibile del corpo, è salito alla magione del cielo per regnarvi per sempre. L’uno è disceso sotto il velo della carne, l’altro è salito sotto gli allori imporporati del suo sangue. L’uno è disceso da mezzo alla gioia degli Angeli, l’altro è salito da mezzo ai Giudei che lo lapidavano. Ieri, i santi Angeli, pieni di gaudio, hanno cantato: Giona a Dio nel più alto dei cieli! Oggi, hanno ricevuto giubilanti Stefano nella loro compagnia. Ieri, Cristo è stato per noi avvolto in fasce; oggi, Stefano è stato da lui rivestito della veste dell’immortalità. Ieri, una angusta mangiatoia ha ricevuto il Cristo bambino; oggi l’immensità del cielo ha ricevuto Stefano nel suo trionfo ». Così, la divina Liturgia unisce le gioie della Natività del Signore con l’allegrezza che le ispira il trionfo del primo dei suoi Martiri; e, per di più, Stefano non sarà il solo a ottenere gli onori di questa gloriosa Ottava. Dopo di lui celebriamo Giovanni, il Discepolo prediletto; gli Innocenti di Betlemme; Tommaso, il Martire della libertà della Chiesa; Silvestro, il Pontefice della Pace. Ma, in questa splendida scorta del Re neonato, il posto d’onore appartiene a Stefano, il Protomartire che, come canta la Chiesa, ha restituito per primo al Salvatore la morte che il Salvatore ha sofferto per lui. Così meritava di essere onorato il Martirio, questa sublime testimonianza che compensa pienamente Dio dei doni concessi alla nostra stirpe e sigilla con il sangue dell’uomo la verità che il Signore ha affidata alla terra.

Il martire, testimone di Cristo.

Per comprendere bene ciò, è necessario considerare il piano divino per la salvezza del mondo. Il Verbo di Dio è inviato per ammaestrare gli uomini; egli semina la sua divina parola, e le sue opere rendono testimonianza di lui. Ma, dopo il suo Sacrificio, sale nuovamente alla destra del Padre; e la sua testimonianza, per essere ricevuta dagli uomini che non hanno visto nè sentito quel Verbo di vita, ha bisogno d’una nuova testimonianza. Ora, questa nuova testimonianza, sono i Martiri che gliela renderanno; e la renderanno non già semplicemente con la confessione della bocca, ma con l’effusione del proprio sangue. La Chiesa s’innalzerà dunque per la Parola e il Sangue di Gesù Cristo; ma si sosterrà, attraverserà i tempi e trionferà di tutti gli ostacoli per il sangue dei Martiri, membra di Cristo; e questo sangue si mescolerà con quello del Capo divino, in uno stesso e identico Sacrificio. I Martiri rassomiglieranno in tutto al loro supremo Re. Saranno, come egli ha detto, « simili ad agnelli in mezzo ai lupi » (Mt. X, 16). Il mondo sarà forte contro di essi; al suo confronto, essi saranno deboli e disarmati; ma, in questa lotta impari, la vittoria dei Martiri sarà ancora più splendida e più divina. L’Apostolo ci dice che il Cristo crocifisso è la forza e la sapienza di Dio (I Cor. I, 24). I Martiri sono immolati, e tuttavia sono i conquistatori del mondo. Con una testimonianza che il mondo stesso comprenderà, attesteranno che Cristo che hanno confessato e il quale ha dato loro la costanza e la vittoria, è veramente la forza e la sapienza di Dio. È dunque giusto che siano associati a tutti i trionfi dell’Uomo-Dio, e che il ciclo liturgico li glorifichi, come la Chiesa stessa li onora ponendo sotto la pietra dell’altare le loro sante reliquie, onde il Sacrificio del loro Capo trionfatore non sia mai celebrato senza che essi siano offerti con Lui nell’unità del suo Corpo mistico. « La testimonianza » di santo Stefano. – La lista gloriosa dei Martiri del Figlio di Dio comincia da santo Stefano; vi risplende per il suo bel nome che significa l’Incoronato, divino presagio della sua vittoria. Egli dirige, sotto l’impero di Cristo, la bianca armata cantata dalla Chiesa, essendo stato chiamato per primo, prima degli stessi Apostoli, e avendo risposto degnamente all’onore dell’appello. Stefano ha reso una forte e coraggiosa testimonianza alla divinità dell’Emmanuele, davanti alla Sinagoga dei Giudei; ha urtato le loro orecchie incredule, proclamando la verità; e subito una gragnuola di pietre è stata scagliata contro di lui dai nemici di Dio divenuti anche i suoi nemici. Egli ha ricevuto quell’affronto restando dritto e senza vacillare; si sarebbe detto, secondo la bella espressione di san Gregorio Nisseno, che una neve dolce e silenziosa cadesse su di lui a falde leggere, o anche che una pioggia di rose scendesse mollemente sul suo capo. Ma, attraverso le pietre che s’incrociavano per recargli la morte, una luce divina giungeva fino a lui: Gesù, per il quale egli moriva, si manifesta al suo sguardo; e un’ultima testimonianza alla divinità dell’Emmanuele vibrava nella bocca del Martire. Quindi, sull’esempio del suo divino Maestro, per rendere il proprio sacrificio completo, il Martire pronuncia l’ultima preghiera per i suoi stessi carnefici: piega le ginocchia, e chiede che non sia loro imputato quel peccato. Così tutto è consumato; e il tipo del Martire è ormai noto alla terra per essere imitato e seguito per tutte le generazioni, sino alla fine dei secoli, fino all’ultimo compimento del numero dei Martiri. Stefano si addormenta nel Signore, e viene sepolto nella pace, in pace, fino a quando la sua sacra tomba non sarà rinvenuta, e la sua gloria si diffonderà nuovamente per tutta la Chiesa a motivo di quella miracolosa Invenzione, come per una resurrezione anticipata. Stefano ha dunque meritato di fare la guardia presso la culla del suo Re, come capo dei valenti campioni della divinità del celeste Bambino che noi adoriamo. Preghiamolo, insieme con la Chiesa, di facilitarci l’avvicinamento all’umile giaciglio in cui si trova il nostro sommo Signore. Chiediamogli di iniziarci ai misteri di quella divina Infanzia che dobbiamo tutti conoscere e imitare in Cristo. Nella semplicità della mangiatoia, egli non ha contato il numero dei suoi nemici, non ha tremato di fronte al loro furore, non si è sottratto ai loro colpi, non ha imposto il silenzio alla sua bocca. Ha perdonato al loro furore, e la sua ultima preghiera è stata per essi. O fedele imitatore del Bambino di Betlemme! Gesù non ha fulminato gli abitanti della città che rifiutò un asilo alla Vergine Maria nel momento in cui stava per dare alla luce il Figlio di David, nè arresterà il furore di Erode che presto lo cercherà per farlo morire; fuggirà piuttosto in Egitto, come un proscritto, dal cospetto del volgare tiranno. Attraverso tutte quelle apparenti debolezze mostrerà la sua divinità, e il Dio Bambino sarà il Dio Forte. Passerà Erode, e con lui la sua tirannia; Cristo invece resterà, sempre più grande nella sua mangiatoia dove fa tremare un re che è sovrano sotto la porpora tributaria dei Romani; più grande dello stesso Cesare Augusto, il cui impero colossale dovrà servire di sgabello alla Chiesa che sarà costituita da quel Bambino così umilmente iscritto nei registri della città di Betemme.-

(……) – Così, o glorioso Principe dei Martiri, fosti condotto fuori delle porte della città per essere immolato, e messo a morte con il supplizio dei bestemmiatori. Il discepolo doveva essere in tutto simile al Maestro. Ma né l’ignominia di quella morte, né la crudeltà del supplizio intimidirono la tua grande anima: tu portavi il Cristo nel Cuore, e con lui, eri più forte di tutti i tuoi nemici. Ma quale fu la tua gioia allorché, apertisi i cieli sul tuo capo, il Dio Salvatore ti apparve nella sua carne glorificata ritto alla destra del Padre, e gli occhi del divino Emmanuele incontrarono i tuoi! Quello sguardo di un Dio sulla sua creatura che deve soffrire per lui, della creatura verso il Dio per il quale si immola, ti rapì di te stesso. Invano le pietre crudeli piovevano sul tuo capo innocente: nulla poté distrarti dalla visione del Re eterno che alzandosi dal suo trono, muoveva incontro a te, con la Corona che ti aveva preparata da tutta l’eternità e che tu ricevevi in quell’ora. Chiedi dunque oggi, nella gloria in cui regni, che anche noi siamo fedeli, e fedeli fino alla morte, a quel Cristo che non si limitò a levarsi, ma è disceso fino a noi sotto le vesti dell’infanzia. – (……) – I Martiri sono offerti al mondo per continuare sulla terra il ministero di Cristo, rendendo testimonianza alla sua parola, e sigillando col proprio sangue tale testimonianza. Il mondo li ha misconosciuti; come il loro Maestro, hanno saputo risplendere nelle tenebre, e le tenebre non li hanno compresi. Tuttavia, parecchi hanno ricevuto la loro testimonianza, e sono nati alla fede da quel seme fecondo. La Sinagoga è stata respinta per aver versato il sangue di Stefano, dopo quello di Cristo; guai dunque a chiunque misconosce il merito dei Martiri! Ascoltiamo piuttosto le sublimi lezioni che ci offre il loro sacrificio; e la nostra religione verso di essi testimoni la nostra riconoscenza per il sublime ministero che essi hanno adempiuto e che adempiono ogni giorno nella Chiesa. La Chiesa infatti non è mai senza Martin come non è mai senza miracoli; è la duplice testimonianza che essa renderà sino alla fine dei secoli, e attraverso la quale si manifesta la vita divina che il suo autore ha posto in essa. – O Stefano, tu che sei il primo e il principe dei Martiri, noi ci uniamo alle lodi che ti inviano tutti i secoli cristiani! Ci felicitiamo con te per essere stato scelto dalla santa Chiesa per assiderti al posto d’onore, presso la culla del supremo Signore di tutte le cose. Come è gloriosa la confessione che tu hai resa fra i sassi mortali che laceravano le tue membra generose! Come è risplendente la porpora che ti ricopre come un trionfatore! Come son luminose le cicatrici delle ferite che ricevesti per il Cristo! Quanto è numerosa e magnifica l’armata dei Martiri che ti segue come suo capo, e che continua gloriosamente fino alla consumazione dei secoli! In questi giorni della Nascita del nostro comune Salvatore, noi ti preghiamo, o Stefano, di farci penetrare nelle profondità dei misteri del Verbo incarnato. Spetta a te, fedele custode del Presepio, introdurci presso il celeste Bambino che vi riposa. Tu hai reso testimonianza alla sua divinità e alla sua umanità; l’hai predicato, questo Uomo-Dio, fra le grida furenti della Sinagoga. Invano i Giudei si turarono le orecchie; bisognò che sentissero la tua voce risonante che denunciava il deicidio da loro commesso, condannando a morte Colui che è insieme il Figlio di Maria e il Figlio di Dio. Mostra anche a noi questo Redentore del mondo, non ancora trionfante alla destra del Padre, ma umile e dolce, nelle prime ore della sua manifestazione, avvolto in fasce e posto nella mangiatoia. Anche noi vogliamo rendergli testimonianza, annunciare la sua Nascita piena d’amore e di misericordia, far vedere con le nostre opere che è nato anche nei nostri cuori. Ottienici quella devozione al divino Bambino, che ti ha reso forte nel giorno della prova. Noi l’avremo, se siamo semplici senza timori, come sei stato tu, se abbiamo l’amore di questo Bambino; perché l’amore è più forte della morte. Non ci avvenga mai di dimenticare che ogni cristiano deve essere pronto al martirio, per il fatto stesso che è cristiano. La vita di Cristo che comincia in noi, vi si sviluppi mediante la nostra fedeltà e le nostre opere, di modo che possiamo giungere, come dice l’Apostolo, alla pienezza del Cristo (Ef. IV, 13). Ricordati, o glorioso Martire, ricordati anche della santa Chiesa, in quelle regioni in cui i disegni del Signore esigono che essa resista fino al sangue. Ottieni che il numero dei tuoi fratelli si completi con tutti quelli che sono provati, e che nessuno venga meno nella lotta. Che né  l’età né il sesso inclinino a vacillare, affinché la testimonianza sia piena, e la Chiesa colga ancora, nella sua vecchiezza, le palme e le corone immortali che hanno onorato i primi anni di cui tu fosti l’ornamento. Intercedi, affinché il sangue dei Martiri sia fecondo, come negli antichi giorni; affinché la terra ingrata non lo assorba, ma ne faccia germogliare ricche messi. Che l’infedeltà ritragga sempre più le sue tristi frontiere; che l’eresia si spenga e cessi di divorare, come lebbra, quelle membra il cui vigore costituirebbe la gloria e la consolazione della Chiesa. Che il Signore, tocco dalle tue preghiere, conceda ai nostri ultimi Martiri il compimento delle speranze che hanno fatto palpitare il loro cuore, nell’istante in cui curvavano il capo sotto la spada, o spiravano la propria anima fra i tormenti.