ESERCIZIO SPIRITUALE PER LA MATTINA

ESERCIZIO SPIRITUALE

Per la Mattina.

DEL S. PONTEFICE INNOCENZO XI.

Approvato Dalla Sacra Congregazione dei Riti

[Via del Paradiso, 3a Ed. in Siena, 1823, presso Onorio Porri]

Appena svegliato.

Gesù mio, Signor mio, e Dio mio, vi adoro, vi ringrazio, e vi amo; in nome del Padre, etc.

Prendete l’acqua benedetta, e segnatevi la fronte, la bocca, e il petto, dicendo:

Gesù mio Crocifisso, purificate i miei pensieri, le mie parole e le opere mie.

Per il segno della Santa Croce liberatemi, Signore, dai miei nemici visibili, e invisibili.

Nel vestirvi.

Spogliate il mio cuore da ogni impurità, e rivestitelo, o mio Dio, del candore della innocenza.

Volgetevi al SS. Sacramento della chiesa a voi più vicina.

Vi adoro, e vi ringrazio ogni momento, o vivo Pan del Ciel gran Sacramento,

Disponetevi poi alla Preghiera della mattina con la seguente:

Preparazione di S. Bonaventura.

Signore, che purificate i cuori dei peccatori, quando vi piace, purificate talmente il mio, acciò vi preghi in questo giorno e sempre, con tutta l’attenzione e fervore possibile; e se io soffrirò qualche distrazione, abbiate pietà di me, e con la vostra grazia aiutatemi a correggere i miei difetti. Non permettete che io vi adori e vi preghi con la bocca solamente, né che il mio spirito si smarrisca, ma allontanate da me per vostra misericordia quanto potrebbe dispiacervi nelle preghiere, che devoto vi umilio.

Prendete l’Acqua benedetta.

Lavatemi, o Signore, con quest’acqua, che trae la sua virtù dal Sangue di Gesù Cristo, e l’anima mia diverrà bianca come la neve.

In Nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Amen.

Per la Mattina.

Io vi adoro, Dio mio, Santissima Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito Santo, tre Persone, e un Dio: io e con l’aiuto vostro, che supplichevole imploro, mi umilio nell’abisso del mio niente sotto il cenno della Maestà Vostra.

Vi credo fermissimamente, e porrei mille vite per testificare quello che vi siete degnato di farci sapere, per mezzo della sacra Scrittura e della vostra santa Chiesa.

Pongo ogni mia speranza in Voi,  e quanto posso aver di bene, tanto spirituale, quanto temporale, così in questa vita come nell’altra, tutto lo desidero e spero, e voglio solo dalle vostre mani, Dio mio, vita mia, e sola speranza mia.

A Voi consegno per oggi e per sempre il corpo, e l’anima mia, le mie potenze, Memoria, Intelletto, e Volontà, e tutti i sentimenti miei.

Mi protesto, che non consento, né sono per consentire, quanto è in me, a cosa, che sia di minima offesa della Maestà Vostra.

Propongo fermamente d’impiegarmi con tutto l’esser mio al servizio, e alla gloria vostra. – Son pronto a pigliare qualunque pena mi verrà dalle vostre mani, per darvi gusto. – Vorrei tutto impiegarmi, acciocché la Maestà Vostra fosse servita, glorificata, ed amata da tutti gli uomini del Mondo.

Godo sommamente della vostra eterna felicità, e mi rallegro, che siate tanto glorioso in Cielo e in terra. Vi ringrazio infinitamente dei benefici che io e tutto il mondo abbiamo ricevuti, e che riceveremo dalla Vostra Maestà. Amo la Bontà vostra per se stessa con tutto l’affetto del cuore e dell’anima mia, e vorrei sapervi amare, come vi hanno amato gli Angeli e i Giusti, con l’amore dei quali congiungo l’amore mio imperfettissimo. – Offerisco alla Maestà Vostra con i meriti dei Santi, della BB. Vergine, e di Cristo nostro Signore le opere mie per sempre, bagnandole col Sangue di Gesù Redentor mio. – Ho intenzione di prendere quante Indulgenze posso nelle azioni di questo giorno, e quelle applicabili ai Defunti intendo di applicarle a tutte le Anime del Purgatorio, e in particolare a quelle alle quali più debbo. – Ho anche intenzione d’offerire tutto quello che posso, e che farò e tutte le Messe, che per tutto il Mondo in tutte le ore del giorno d’oggi si offriranno in penitenza e soddisfazione dei miei peccati. – Dio mio, per essere Voi infinitamente degno di essere amato e servito, perché siete quello, che siete, mi dolgo e mi pento quanto più posso di tutti i miei peccati, e me ne dispiace più d’ogni altro male: ve ne domando umilmente perdono, e propongo di non offendervi mai più per l’avvenire. –  Resto nelle vostre Piaghe, Gesù, difendetemi dentro di quelle oggi e sempre, finché mi concediate di vedervi, e di amarvi in eterno in Paradiso. Amen.

Gesù, Giuseppe, e Maria, vi dono il cuore, e l’anima mia.

Oremus

Domine Deus omnipotens, qui ad principium hujus dièi nos pervenire fecisti, tua nos hodie salva virtute, ut in hac die ad nullum declinemus peccatum, sed semper ad tuam justitiam faciendam nostra procedant eloquia, dirigantur cogitationes et opera.

[Fidelibus, qui mane supra relatam orationem devote recitaverint, conceditur: Indulgentia quinque annorum; Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem eamdem recitationem pie praestiterint (S. Pæn. Ap., 15 oct. 1935)].

#    #    #

Dirigere, et santificare, regere, et gubernare, dignare. Domine Deus Rex Cœli, et Terræ, hodie corda, et corpora nostra, sensus, sermones, et actus nostros in lege tua, et in operibus mandatorum tuorum, ut hic, et in æternum, te auxiliante, salvi, et liberi esse mereamur.

Ure igne Sancti Spiritus renes nostros, et cor nostrum, Domine, ut tibi casto corpore serviamus, et mundo corde placeamus.

Concede nos famulos tuos, quæsumus, Domine, perpetua mentis et corporis sanitate gaudere, et gloriosæ beatæ Mariæ semper Virginis intercessione a praesenti liberari tristitia, et æterna perfrui letitia.

Sancte Michael Arcangele, defende nos in prælio, ut non pereamus in tremendo judicio.

Angele Dei, qui Custos es mei, me, tibi commissum pietate superna, hodie et semper, illumina, custodi, rege, et guberna.

Exaudi nos, Domine Sancte Pater omnipotens æterne Deus, et mittere digneris Sanctum Angelum tuum de Cœlis, qui nos custodiat, foveat, protegat, visitet, atque defendat omnes habitantes in hoc babitaculo.

Fidelium Deus, omnium Conditor et Redemptor, animabus famulorum, famularumque tuarum remissionem cunctorum tribue peccatorum, ut indulgentiam, quam semper optaverunt, piis supplicationibus consequantur. Per te, Jesu Christe Salvator Mundi, qui cum Patre, et Spiritu Sancto vivis, et  regnas per omnia sæcula sæculorum. Amen.

Fiat, laudetur, atque in æternum superexaltetur justissima , altissima, et amabilissima voluntas Dei in omnibus.

Misereatur nostri omnipotens Deus, et dimissis peccatis nostris, perducat nos ad vitam æternam.

Indulgentiam, absolutionem, et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis omnipotens, et misericors Dominus. Amen.

Dominus nos benedicat, ab omni malo defendat, et ad vitam perducat æternam, et Fidelium animæ per misericordiam Dei requiescant in pace. Amen.

Benedictione perpetua benedicat nos Pater æternus. Pater, Ave, Gloria, etc.

Unigenitus Dei Filius nos benedicere, et adjuvare dignetur.

Pater, Ave, Gloria, etc.

Spiritus Sancti gratia illuminet sensus et corda nostra. Pater, Ave, Gloria, etc.

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus exercituum, plena est omnia Terra gloriæ tuæ; Gloria Patri, Gloria Filio, gloria Spiritui Sancto. Amen.

Sia da tutti conosciuta, ed amata la SS. Trinità col SS. Sacramento; sia benedetta la santa purissima Concezione immacolata della beatissima Vergine Maria.

In nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

ATTI DI PREGHIERA PER UNA BUONA E S. MORTE.

Dispone domui tuæ, quia morieris;

Padre Eterno, che con la Vostra potenza mi avete tratto dal nulle conservato, difendetemi nella mia morte, e conducetemi al fine per cui mi avete creato.

Eterno Verbo, per quell’amore col quale vi siete fatto uomo per me, conducetemi a quella vita eterna, che mi avete meritata.

Divinissimo Paraclito Spirito, che mi avete santificato per mezzo dei Sacramenti, perfezionate l’opera vostra col glorificarmi, acciò vi ringrazi in eterno.

Mio Gesù, che mi avete amato più della vostra stessa vita, assistetemi nel gran punto della mia morte, e siate mio salvatore. – Maria SS. Avvocata pietosa dei moribondi, impetratemi da Gesù gli aiuti efficaci per ben morire. – Angiolo mio Custode, S. Giuseppe, Santi N. N. miei Avvocati, Santi tutti del Paradiso, per quanto vi stimate obbligati a quella divina Bontà, che vi salvò, impiagatevi tutti per la mia eterna salute.

V. Domine, exaudi orationem meam;

R. Et clamor meus ad te veniat.

Oremus.

Domine Jesu Chiste, qui de Cœlis ad Terram de sinu Patris descendisti, et Sanguinem tuum pretiosum in remissionem peccatorum nostrorum fudisti, te humiliter deprecamur, ut in die Judicii ad dexteram tuam audire mereamur: Venite Benedicti; Qui vivis, et regnas in sæcula sæculorum;

Amen.

61

Vi adoro, mio Dio, e vi amo con tutto il cuore.

Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e

conservato in questa notte. Vi offro le azioni

della giornata, fate che siano tutte secondo la

vostra santa volontà, per la maggior gloria vostra.

Preservatemi dal peccato e da ogni male.

La grazia vostra sia sempre con me. Così sia.

Fidelibus, qui mane supra relatam orationem pia mente recitaverint, conceditur: Indulgentia quingentorum dierum (S. Pæn. Ap., 10 oct. 1940).

 

SAN MARCELLINO PAPA, eretico come PAPA GREGORIO XVII, … dicono gli asini …

SAN MARCELLINO PAPA E MARTIRE

(26 aprile – Festa di Papa San Marcellino)

Alcune persone non catechizzate, o volutamente ignoranti, osano dire, dall’alto della loro orgogliosa empietà, che Papa Gregorio XVII (1958-1989), che fu vittima di grave violenza per 30 anni da parte dei massoni della “sinagoga di satana”, quinta colonna infiltrata nella Chiesa Cattolica, “avrebbe perso il suo Papato” per aver “forse” celebrato il reprobo “Novus Ordo Missæ”.

A tal proposito si cita il precedente storico nella vita della Chiesa Cattolica, di un altro Papa prigioniero, che ebbe il suo libero arbitrio impedito da satanici persecutori (anche questi della sinagoga di satana): Sua Santità, Papa San Marcellino, la cui festa è celebrata il 26 aprile:

Nel breviario romano si legge il 5 aprile. “Durante la crudele persecuzione dell’imperatore Diocleziano, Marcellino di Roma, sopraffatto dal terrore, offrì incenso agli idoli degli dei: per questo peccato fece penitenza e indossò un silicio, andò al Concilio di Sinuesse, dove molti Vescovi si erano radunati e lì apertamente ebbe confessato il suo crimine “.

Nota : questo atto non costituiva la perdita del Papato, dal momento che era commesso sotto grave costrizione. Papa San Marcellino è elencato ovviamente nella lista ufficiale dei Papi e finanche Canonizzato e considerato Martire della fede. Più volte abbiamo poi riportato su questo blog, a beneficio dei numerosi e saccenti pseudo-teologi, ignoranti veri, o “finti tonti” (specie tra gli eretici sedevacantisti, gli scismatici lefebvriani o i ridicoli tesisti) che, come riporta qualsiasi manualetto di Teologia morale, un conto è il “peccato” di eresia (commesso materialmente ma senza assenso interno), altro è il delitto di eresia, nel quale c’è condivisione convinta e pertinace, nonché pieno assenso in foro interno. Il peccato di eresia, benché grave, è considerato come un qualsiasi altro peccato grave in cui possa incorrere anche un Papa (senza perdere il suo incarico, come ribadito da sempre, v. Conc. di Costanza), mentre il “delitto” di eresia è la condizione in cui un Papa possa essere destituito, una volta che, avvertito da chi ne ha facoltà, sia pertinace. Quindi tutti gli “ignoranti” muli [senza offesa per i muli!] che, in buona o (soprattutto) in cattiva fede, si ostinano a non riconoscere come vero Papa Gregorio XVII, arrogandosi il diritto di condanna che non compete loro in nessun caso, sono da considerarsi, oltre che ignoranti pertinaci, degli eretici e scismatici, e quindi fuori dalla Chiesa Cattolica, e pertanto già con due piedi nell’inferno fino alla cintola, se non ricorrono ai ripari quanto prima (rimozione delle censure da chi ne ha potestà e Confessione Sacramentale) … a Napoli si dice però che: ” … a voler lavare la testa dell’asino, si perde la pezza ed il sapone!” (cioè il tempo, e l’impegno…). Inoltre occorre ricordare ai teologi dell’inganno, che: la proposizione 46 [A] Per la natura e per la definizione del peccato non è richiesta la volontarietà, e il problema non è di definizione, ma di causa e di origine, se ogni peccato debba essere volontario” e la proposizione 64(67), secondo la quale: “L’uomo pecca anche in modo degno di condanna, in quello che compie per necessità”, furono condannate da S. Pio V nel lontano 1568 nella bolla “Ex omnibus afflictionibus” contro Bajo.  Pertanto non c’è nemmeno peccato di eresia in Gregorio XVII. Beata ignoranza degli eretici modernisti, dei sedevacantisti scismatici, dei tradizionalisti vetero-gnostici del cavaliere kadosh! Andate a studiare, e prima di ragliare, … documentatevi!

* San Tommaso d’Aquino insegna che per costituire un vero atto della volontà: l’atto deve essere eseguito spontaneamente [o liberamente] – senza costrizione o uso della forza- (e che) l’uomo può essere costretto o indotto a fare qualcosa contro il suo volere in due modi: dalla violenza e dalla paura (VI 4, 5,6). Ciò che si fa sotto la violenza esteriore è del tutto involontario (VI 5).

(La vita di San Marcellino, Papa e martire, morto nel 304 d.C.)

San Marcellino, nato a Roma, succedette al Papa San Caio, il 30 giugno 296, governando poi la Chiesa per otto anni. Fu vittima della persecuzione di Diocleziano. Non sappiamo se morisse sotto i colpi dei suoi carnefici, o in seguito alle ferite riportate. La sua tomba, nel cimitero di Priscilla visitata dai fedeli, testimonia la venerazione che suscitò. I Donatisti, nel v secolo pretendevano che prima avesse offerto incenso agli dei, e che poi, pentitosi della sua colpa, l’abbia riparata con una coraggiosa confessione della fede, che gli valse infine la corona del martirio. [l’Anno Liturgico, vol. II]

* Nota: Il Papa S. Marcellino non perse ipso facto il suo ufficio di Papa, ma fu confermato da numerosi Vescovi al Sinodo di Sinuesse.

Quando Marcellino stava per essere decapitato, si dichiarò indegno della sepoltura cristiana e scomunicò tutti coloro che presumevano di seppellirlo. Così il suo corpo rimase insepolto per 35 giorni. Alla fine di quel tempo l’Apostolo Pietro apparve a Marcello, che  era succeduto a Papa e gli disse: “Fratello Marcello, perché non mi seppellisci?” Marcello rispose: “Non sei ancora stato sepolto, mio ​​Signore?” … e Pietro: “Mi considero insepolto finché Marcellino è insepolto!” “Ma non lo sai, mio ​​signore,” Marcello  rispose, “che egli ha lanciato una maledizione su chiunque lo voglia seppellire?” Pietro disse ancora: “Non è scritto che “chi si umilia deve essere esaltato”? Avresti dovuto tenerlo a mente! Ora va’ e seppelliscimi ai miei piedi. “Marcello andò subito e eseguì lodevolmente le ordinanze.” (Dal beato Giacomo, in “Legenda Aurea” , 1260 d.C.)

LO SCUDO DELLA FEDE (VIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

VIII.

I FALSI MIRACOLI E LO SPIRITISMO.

I Falsi miracoli delle false religioni. — I prodigi del diavolo e perché Dio li permétta. — Lo spiritismo e sua malizia. — Le apparizioni buone.

— Ma non vi sono forse miracoli in tutte le religioni?

Dato che ciò fosse vero, bisognerebbe spingerli senz’altro come seduzioni d’una potenza nemica del vero, del giusto, del divino.

— E perché?

Ascolta bene. Se Dio ha operati dei miracoli a prò della religione cristiana affine di

mostrarla vera, è chiarissimo che le altre religioni a lei contrarie sono false, e con esse sono falsi i pretesi miracoli, che si adducono in loro favore, perché già te l’ho detto, Iddio non farà mai dei miracoli che provino delle religioni contrarie a quella, che ha dimostrata vera precisamente coi miracoli.

— Che dire adunque di certi miracoli, che raccontano avvenuti nelle altre religioni?

Puoi dire che se qualche volta è avvenuto qualche vero miracolo, Dio l’avrebbe operato non in favore della falsa religione, in cui fu operato, ma a prò e difesa di qualche virtù. E così potresti credere del miracolo, che si dice avvenuto in favore della famosa Claudia vergine e sacerdotessa vestale, la quale, accusata di grave colpa, a dimostrarsi innocente dicesi aver portato dell’acqua in un crivello, senza che ne cadesse a terra una goccia. Non potrebb’essere che davvero Dio abbia operato questo miracolo a mostrare e difendere l’innocenza di quella donna? – Ma in generale puoi dire e credere che sono favole. Favole i pretesi prodigi di Apollonio Tianéo, raccontati da Filostrato, filosofo del terzo secolo, giacché nessuno degli altri scrittori più accreditati e suoi contemporanei ne fanno cenno; favola, della quale si ride lo stesso Cicerone, il miracolo di Accio Nervo, che dicesi aver tagliato una cote col rasoio; favola il miracolo di Vespasiano, che si narra aver guarito un cieco, che lo stesso Tacito attesta non aver perduta la forza visiva; favola il miracolo di Maometto, che riaggiustò la luna, la quale essendo caduta sulla terra si era fatta in pezzi!

— Dunque in comprova di una religione contraria alla Cattolica non possono accadere miracoli!

No, assolutamente: se si ammettesse ciò, sarebbe lo stesso che dire che può avvenire un miracolo per dimostrare che le tenebre sono la luce. Del resto la storia medesima comprova questa verità.

— Davvero? Sarei curioso di saper in proposito qualche cosa.

Ti accennerò due fatti principali, dei quali non si può avere alcun dubbio, essendo narrati da molti storici degnissimi di fede. Un falso patriarca ariano di Africa per nome Cirilla per opporsi al vescovo S. Eugenio, che dimostrava con tanti miracoli la verità del Cristianesimo, e guadagnar gente all’arianesimo, subornò un uomo con cinquanta monete d’oro, affinchè si fìngesse cieco, e al suo passaggio in un giorno determinato alla presenza di gran popolo gli chiedesse la vista. Così fece quel misero. E Cirilla gli comandò di aprire gli occhi e veder la luce. Ma ecco che in quel momento colui, che si era fìnto cieco, lo divenne realmente, epperò fattosi fremente di rabbia contro Cirilla disvelò la sua finzione e lo fece andare scornato. Buon per lui che essendo stato richiesto S. Eugenio, questi col segno della croce gli fece riacquistare la vista perduta. – Calvino, volendo egli pure acquistare fede ai suoi errori, s’intese con un certo Brulé, che si fingesse morto, perché egli potesse dare ad intendere di risuscitarlo. Il Brulé allettato dalla speranza di denaro si adattò a quell’inganno. Si finge morto, e la sua moglie mette grida di dolore nel momento che Calvino seguito da molti passava di là. Questi come per compassione entra con la sua comitiva in casa, si avvicina al morto e poi dice: « Affinché siate convinti che sono divine le cose, che io v’insegno, ecco che io adesso richiamerò a vita questo morto ». E preso il Brulé per mano gl’intima di risorgere. Ma… oh miracolo tutto all’incontrario! Chi si era finto morto, era morto davvero e nulla valse a farlo risuscitare. Chi può dire lo scorno patito da Calvino! Aveva dunque ragione Erasmo di Rotterdam nel dire ai Protestanti: « I miracoli non sono il vostro forte! Finora non avete guarito neppure un cavallo zoppo! » Vedi adunque se avvengano miracoli a prò delle false religioni.

— Ma per altro ho sentito dire che anche i diavoli, i maghi, gli spiritisti possono fare dei miracoli.

Certamente i diavoli, di natura spirituale, con l’esercizio della loro attività ed intelligenza di gran lunga superiore a quella dell’uomo, combinando prontamente e repentinamente varie leggi ed agenti naturali possono, permettendolo Iddio, operare dei prodigi, cui si può anche dare il nome di veri nel senso che sono fatti, i quali ancor essi sorpassano le leggi ordinarie della natura, come sarebbe far comparire una persona, una casa, sollevare in aria un uomo, far muovere delle tavole, dei candelabri, delle sedie, degli armadii, dei canestri, drizzare una penna su una tavola e farla scrivere rapidamente e simili. E come li possono operare per sé, così li possono col loro intervento far operare dai maghi, dai falsi sacerdoti, dai lama, dai bonzi, dagli spiritisti, da tutti i loro rappresentanti. La storia sacra ci parla appunto di quei maghi, che alla presenza di Faraone tramutarono le loro verghe in serpenti, e fecero qualche altro prodigio; e lo stesso Gesù Cristo dice nel Vangelo che negli ultimi tempi sorgeranno dei falsi cristi e falsi profeti, che faranno segni grandi e prodigi per modo, che gli stessi eletti, se fosse possibile, saranno indotti in errore. (V. Vangelo di S. Matteo, capo XXIV, versetto 24). I missionari poi e gli stessi viaggiatori nelle loro relazioni attestano di aver veduto coi loro occhi dei prodigi operati dai maghi e dagli stregoni dei popoli pagani. E da tutti si sa che per opera degli spiriti, nei nostri stessi paesi, alle volte per inganno e ciarlataneria, ma altre volte realmente, avvengono dei fenomeni affatto meravigliosi. Ma siccome Iddio ha scelto il miracolo come una prova della verità dei suoi insegnamenti, perciò non sarà mai che Egli permetta i prodigi diabolici per guisa che non possano facilmente riconoscersi per tali, come fece per esempio nei prodigi dei maghi di Faraone, i quali fino a tre o quattro volte poterono operare qualche cosa di simile ai veri miracoli di Mosè, ma poi non poterono più nulla, e dovettero confessare che solamente il dito di Dio poteva operare ciò, che Mose andava operando.

— E a quali indizi si possono riconoscere i veri miracoli dai prodigi diabolici?

I principali sono questi : 1° Nei veri miracoli si manifesta una potenza illimitata, somma, sia pei loro effetti, come pel loro numero; nei prodigi diabolici, sia per l’una che per l’altra cosa, c’è una potenza ristretta, limitata. 2° I veri miracoli sono operati generalmente dai santi, giacché, sebbene a rigore uomini perversi possano operare prodigi con parole sante e segni sacri, Dio non lo permette che per modo di eccezione. Invece gli operatori di prodigi diabolici, certi maghi, certi sacerdoti di false divinità sono gente scellerata, che, anche allora che non è addirittura immorale, non lascia di essere superba. 3° I veri miracoli sono compiuti dai santi con la massima semplicità, con qualche preghiera, con un segno di croce, con un comando fatto a nome di Dio; al contrario i prodigi diabolici sono operati in modo strano, con prestigi, con allucinazioni, con segni e figure ridicole, con cerimonie superstiziose e simili. 4° I veri miracoli hanno per scopo immediato generalmente la beneficenza e sono fatti per qualche grave necessità, come per guarire degli ammalati, per nutrire una moltitudine famelica, per eccitare la pietà. I prodigi del diavolo per lo più non hanno altro scopo che pascolare la curiosità pubblica facendo ad esempio rumori spaventevoli, evocando dei fantasmi, eccetera. 5° Da ultimo i veri miracoli si trovano in compagnia di, una dottrina santa, qual è la dottrina cristiana, dottrina che non può venire che da Dio; i prodigi diabolici si trovano invece in compagnia di dottrine cattive, materialistiche, opposte le une alle altre, epperò piene di errori.

— Ma se è dunque vero che i diavoli, e con il loro concorso i maghi, i falsi sacerdoti possano operare dei prodigi, ed è certo che questi prodigi sono avvenuti ed avvengono, e da essi molti popoli poterono e possono essere ingannati, come mai Iddio li permette?

Se dovessi rispondere adeguatamente a questa tua difficoltà entreremmo in un campo troppo vasto, e nel quale potremo entrare più di proposito in seguito. Per ora mi contento di osservarti che Iddio se ha permesso e permette tuttora questo rischio per tanti popoli, non è, forse, se non perché questi popoli con la loro malvagia vita e con la continua resistenza alle grazie sue si sono meritato tale castigo. Del resto che cosa non ha fatto, che cosa non fa anche oggi il Signore per mezzo dei santi e dei missionari affine di togliere dall’errore questi popoli disgraziati e a un tempo colpevoli! No, dell’inganno che questi popoli cercano pur troppo essi medesimi, o nel quale per lo meno amano di restare, non è da incolpare affatto la Divina Provvidenza, come non è da incolpare se vi hanno tra di noi di coloro che amano lo spiritismo, si abbandonano alle sue empie pratiche e vi annettono una somma importanza.

— Fanno adunque male coloro che si occupano di spiritismo e prendono parte alle sue pratiche?

Fanno male assai, perché lo spiritismo in certi casi è una semplice ciarlataneria, e il dedicarvisi e darvi importanza è allora una ciurmeria; in certi altri è l’effetto di cause naturali, pericolose e riprovevoli, ed allora è violazione della stessa legge di natura; ed in altri ancora è vero spiritismo, cioè rivela il vero intervento degli spiriti, ed allora il praticarlo è una vera empietà, e in tutti i casi è una vera immoralità.

— Avrei caro in proposito di conoscere meglio quanto asserisce.

Ti dirò qualche cosa con la massima brevità. Il vero spiritismo è una manifestazione di spiriti. Ecco in una sala alla presenza di molte persone una tavola muoversi e dare colpi cadenzati, una sedia levarsi in aria e danzare sulle teste, ecco una penna scrivere da sé o nella mano di un medium, rapidamente, sotto la dettatura di un essere misterioso, dare risposte, consigli, rivelazioni di cose lontane, di malattie interne e simili; ecco farsi avanti persino delle apparizioni incarnate, che si mostrano composte di carne d’ossa, come il corpo umano, e che nel loro linguaggio rivelano una intelligenza di gran lunga superiore a quella dell’uomo. Qui adunque siamo alla presenza di una forza soprannaturale ed intelligente, alla presenza di uno spirito: altrimenti non si possono spiegare questi fatti. Ora sarà egli possibile che si tratti di uno spirito buono, di un Angelo per esempio, dell’anima di un santo o di un defunto? No, assolutamente. Capisco che Iddio potrebbe metterci in commercio e con gli spiriti angelici e con quelli dei santi e di qualche defunto, ed è certo anzi che talvolta Egli lo fa. Ma in tutti i casi ei lo farebbe sempre per un fine buono, in modo degno di Lui, e in conformità del suo divino volere. Ma nello spiritismo non c’è nulla di ciò. Il fine non apparisce buono, perché a confessione degli stessi più celebri spiritisti, generalmente gli spiriti dicono cose, che sono di una empietà e malizia finissima e spudorata, che mirano perciò a travolgere la fede e a trascinare per la china delle passioni, non ostante che astutissimamente talora sembrino dare dei santi consigli per ingannare tanti poveri bagiani. Il modo non è decoroso, perché gli spiriti danno segno di loro presenza con strepiti, con rumori strani, con sghignazzi, con colpi di tavole, con balli di sedie e simili frivolezze. – Il fatto poi non è conforme al volere di Dio, perché nelle Sacre Scritture Iddio ha, espressamente proibito ogni evocazione degli spiriti e dei defunti. Di fatti nel libro I dei Re (Capo XXVIII, versetto 2) si rimprovera a Saul di avere chiesto alla Pitonessa l’evocazione dell’ombra di Samuele; nel Deuteronomio (Capo VIII, versetti 9-11) si legge: « Non imitate le genti degl’infedeli. Che tra di voi non vi sia un miserabile così temerario da interrogare gl’indovini, da badare ai segni ed agli auguri, da fare malefizi ed incantesimi… e da cercare presso i morti la verità; » e tutti i profeti condannano tali pratiche non solo in Israele, ma anche negli altri popoli, ed ascrivono giustamente a pratiche siffatte il castigo della prima schiavitù, cui dovette soggiacere il popolo ebreo, ciò che dimostra aver Iddio punite tali evocazioni spiritiche come gravi peccati. – Dunque, vedi chiaro da tutto ciò, che né gli spiriti degli Angeli, né quelli dei santi o dei defunti non sono quelli, che intervengano nello spiritismo. E se non sono gli spiriti buoni, bisognerà senza dubbio che siano gli spiriti malvagi, che siano i demoni, i quali per tal modo anche tra i popoli civili e colti si studiano di fare sempre maggiori acquisti. Ed ecco perché lo spiritismo è cattivo ed illecito, e la Chiesa giustamente ne ha fatto speciale e severissima proibizione.

— Ma allora se Dio non permette agli spiriti buoni di comunicare coi vivi, e nelle manifestazioni spiritiche è sempre uno spirito maligno che interviene, non potremmo riderci di tante rivelazioni, visioni, apparizioni dei santi?

Adagio, caro mio. Che Dio non permetta agli spiriti buoni di comunicare coi vivi vale solo per le manifestazioni dello spiritismo. Del resto già ti ho detto che Dio può, e non di raro vuole, fare delle manifestazioni celesti agli uomini, specialmente a qualche suo servo eletto. Ma nelle rivelazioni, visioni, apparizioni che si leggono nelle vite dei santi c’è una differenza enorme dalle manifestazioni spiritiche. In queste lo spiritista è egli che contro la volontà espressa di Dio batte alla porta dell’invisibile e invoca gli spiriti; in quelle invece il santo riceve una apparizione che non ha punto richiesta; nelle sedute spiritiche si ricorre a mezzi troppo spesso grotteschi, si prepara l’ambiente, si ricorre ai mediums ufficiali, si dispongono i mobili, si abbassa la luce…; nelle apparizioni ai santi o dei santi non accade nulla di tutto ciò; da ultimo nelle manifestazioni spiritiche vi è quasi sempre, sia pure velatamente, lo scherno alla fede ed alla morale; nelle apparizioni dei santi vi è invece l’eccitamento alla fede ed alla virtù, vi è nulla insomma che sia indegno di Dio e degli spiriti buoni, e in tutto l’insieme si manifestano celesti. Basta leggere le apparizioni avute da S. Teresa, da S. Caterina da Siena, dalla Beata Margherita Alacoque, da S. Filippo Neri, da S. Antonio di Padova, da S. Gaetano Tiene e da molti altri santi e sante per essere convinti della serenità, della calma, della soavità, della bellezza e della maestà delle medesime. Chi pertanto volesse mettere a paro queste rivelazioni, visioni od apparizioni colle manifestazioni spiritiche e ridersi di esse, sarebbe per lo meno un povero insensato.

— Ho inteso, e mi trovo soddisfatto.

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (V)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAP. IV

INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO.

§ I.

Nozione dl Mistero.

Come si definisce il mistero della Incarnazione?

Un mistero primario della Religione Cristiana, per il quale il Verbo Eterno inseparabilmente assunse in unità di Persona vera ed intera natura umana, per placare Iddio con i suoi patimenti e riconciliarlo col genere umano (Habert. de Incarn. c. 4).

— Perché lo chiamate mistero primario?

Perché è il fondamento della Cristiana Religione e l’appoggio di ogni nostra speranza.

— Perché si dice che il Verbo Eterno ecc.?

Per fare intendere che s’incarnò una Persona Divina, che perciò Cristo non è puro uomo, ma vero uomo e vero Dio; inoltre per denotare che sola si incarnò la seconda Persona della Ss. Trinità; e non si è incarnato né il Padre, né lo Spirito Santo (Habert ut sup.).

— Dunque l’Incarnazione del Figlio di Dio non è opera di tutta la Ss. Trinità? il Padre e lo Spirito Santo vi concorsero?

L’Incarnazione del Figlio di Dio è opera della Divina Onnipotenza, e perciò è opera della Ss. Trinità; vi concorsero dunque il Padre e lo Spirito Santo; per altro l’unione della natura umana si fece solo con la seconda Persona, solo il Figlio prese e assunse umana carne. Vi porterò un paragone materiale: figuratevi che Pietro si vesta, e siano Giacomo e Giovanni aiutandolo nel suo vestirsi, solo Pietro si mette la veste, ma Giacomo e Giovanni cooperano, concorrono al vestirsi di Pietro (ut sup.).

— Perché si mette quella parola. “inseparabilmente”?

Perché il Verbo avendo assunto la natura umana se la unì per non separarsene mai più; perciò morto Cristo sulla Croce si separò l’anima di Cristo dal suo corpo; ma il Verbo Eterno non si separò né dal corpo, che restò nel sepolcro, né dall’anima che discese al limbo; e per tutta l’Eternità Gesù Cristo sarà sempre vero Uomo e vero Dio (Habert ut sup.).

— Perché si dice che assunse la natura umana e non piuttosto l’uomo; non si potrebbe dire che si unì l’uomo?

Bisogna che intendiate che Dio non ha creato un’anima e un corpo, e non ne ha formato un uomo prima di unirselo nella Incarnazione; ma creò l’anima e il corpo assumendolo, ossia unendoselo alla sua Divina Persona; perciò il Verbo Eterno non prese persona umana, ma la natura umana. Chi dicesse che in Cristo vi sono due persone umana e Divina sarebbe un eretico: in Cristo vi sono due nature Divina ed umana; ma non due persone. Cristo è una sola Persona cioè la seconda della Ss. Trinità (ut mpra).

— Perché sarebbe eresia il dire che in Cristo vi sono due persone umana e Divina?

Perché la Chiesa ha condannato questo errore in Nestorio. Nestorio voleva che Cristo constasse di due persone umana e Divina unite insieme con il vincolo della carità; perché non voleva che Maria Ss. si chiamasse Madre di Dio, come madre della sola persona umana di Cristo, secondo il suo errore (ut supra).

— Dunque Maria è vera Madre dì Dio?

Questo è un articolo di fede, perché nel seno di Maria s’incarnò, e da Lei nacque Gesù Cristo Persona Divina (ut supra).

— Ammettendo di Gesù Cristo una sola Persona non si potrebbe anche dire che vi sia una sola natura?

Questa sarebbe l’eresia condannata in Eutichete. La Chiesa ha definito articolo di fede, che in Cristo vi sono due nature: umana e Divina, e una sola Persona Divina come si è detto; questo è che bisogna dire e credere fermamente (ut sup.).

— Quali conseguenze vengono da queste verità?

Che in Cristo si deve ammettere quella che è chiamata dai Teologi Communicatio idiomatum per la quale a Gesù Cristo si attribuiscano quelle proprietà ed attributi, che convengono tanto alla natura umana come alla natura Divina. Gesù Cristo perciò si dice nato e si dice eterno: nato perché la sua umanità ebbe principio nel seno di Maria Vergine; eterno perché la sua Divinità è sempre stata. Si dice limitato, e si dice immenso: limitato perché tale è la sua umanità; immenso perché tale è la sua Divinità; e così delle altre proprietà delle due nature (ut sup.).

— Si potrà dunque dire che l’umanità di Cristo è immensa, e che la sua Divinità è limitata?

Questo poi no; parlando assolutamente di Cristo, il quale è una sola Persona Divina, e ha due distinte nature, si può parlare di Lui come di Dio, e come di Uomo; ma quando si parla della sua Divinità o della sua Umanità separatamente, non si può fare questa reciproca comunicazione. Perciò bisogna dire che l’umanità di Cristo è limitata, immensa la sua divinità; che la sua umanità ebbe principio nel tempo, che la sua Divinità è eterna ecc.

— Quali altre conseguenze ne vengono?

Che Cristo si deve dire Figlio di Dio naturale, e non si deve chiamare Figlio di Dio adottivo, nemmeno come Uomo; e così ha definito la Chiesa contro alcuni eretici: Che Cristo si deve adorare col supremo culto di Latria, e non di Dulìa, o di Iperdulìa, come si adorano i Santi e Maria Ss.; Che le azioni di Cristo ebbero un merito infinito; Che Maria è vera Madre di Dio, ed altre conseguenze che si possono vedere nei Teologi.

— Se Maria Ss. devesi chiamare Madre di Dio perché nel suo seno s’incarnò il Figliuolo di Dio, si dovrà chiamare Padre di Dio lo Spirito Santo, mediante la cui operazione nel seno di Maria Vergine s’incarnò.

Perché uno si possa chiamar padre bisogna che conferisca della sua sostanza al figlio; lo Spirito Santo non conferì la sostanza alla formazione del corpo del Verbo Incarnato. Questa sostanza la somministrò soltanto Maria, dal cui purissimo sangue per virtù dello Spirito Santo, si formò il corpo di Gesù Cristo (Habert de Incarn., c. 1).

— Perché si dice inoltre che Cristo prese vera ed intera la natura umana?

Per allontanarsi dall’errore di quelli eretici, i quali insegnarono che Cristo aveva preso un corpo aereo, ed apparente, e perciò che non aveva preso vera carne umana. Similmente per indicare ch’Egli prese vera anima umana ragionevole, contro l’errore di altri eretici, i quali pensarono che Cristo avesse preso soltanto il corpo, o pure ammettendo che avesse preso l’anima, dicevano che non era un’anima umana, cioè non ragionevole; perché pensavano che in Cristo facesse le veci dell’anima il Verbo Eterno (Habert ut sup.).

— Per qual ragione si dice infine: per placare Iddio con i suoi patimenti, e riconciliarlo col genere umano?

Con queste parole si nota il fine dell’Incarnazione, il quale fu quello di liberare gli uomini dal peccato, e dal castigo che il peccato si merita; e si nota il mezzo che adoprò Cristo pel conseguimento di questo fine, ciò la sua passione, e la sua morte, mediante la quale la Divina Giustizia restò placata verso di noi.

— Cristo ha patito realmente, ha cioè veramente sentito quei dolori interni ed esterni che dimostrò di patire?

È di fede che Cristo abbia patito realmente, come è di fede che abbia preso vera umana carne. Il Verbo Eterno ha preso un corpo umano soggetto alla fame, alla stanchezza, alle ferite, al dolore, passibile e mortale, e veramente patì tutto ciò che dei suoi patimenti raccontano i Santi Evangelisti. Prese pure un’anima umana la quale era capace di tristezza, di tedio, di afflizione come quella degli altri uomini, con questa diversità che noi soffriamo tristezze, tedii, afflizioni che non possiamo bene spesso né togliere, né alleggerire con la nostra volontà; invece l’anima di Cristo regolava da padrona queste passioni, e le soffriva in quel grado che ella voleva (Habert ut sup.).

— È di fede che Cristo ci abbia meritato il perdono dei peccati, le grazie necessarie alla salute e ci abbia rimesso nel diritto, che avevamo perduto, alla vita eterna?

Queste sono verità di Fede, Gesù Cristo con le sue umiliazioni, e patimenti oltre all’aversi meritato la gloria del suo corpo, e l’esaltazione del suo nome, come dice S. Paolo (ad Philipp. II), ha meritato a noi ogni grazia soprannaturale; ed ha meritato non solo per quelli che vennero dopo il tempo della sua Incarnazione; ma anche per quelli che vissero prima di quel tempo; sicché tutte le grazie soprannaturali concesse agli uomini anche prima della sua Incarnazione, loro furono meritate da Gesù Cristo, cioè le ottennero a riguardo dei meriti di Gesù Cristo che doveva venire a soddisfare per i peccati di tutto il mondo, ed ottenere agli uomini ogni bene salutare per la vita eterna.

— Se Egli a tutti gli uomini ha meritato la vita eterna, vuol dire che tutti si salveranno?

Ha meritato la vita eterna a tutti gli uomini, per altro esige la cooperazione degli uomini per il conseguimento della medesima. Non ha meritato che gli uomini fossero sforzati a salvarsi, ma ha meritato che si potessero salvare volendo con la sua grazia; perciò nonostante i suoi meriti soprabbondanti, e capaci a salvare innumerevoli uomini di più di quanti ne esistettero, ne esistono, e ne esisteranno, chi vuole dannarsi si danna, come vediamo che fa la maggior parte degli uomini, i quali abusandosi della propria libertà, vanno perduti.

— Dio non avrebbe potuto in altro modo salvare gli uomini senza farsi uomo?

Di potenza assoluta avrebbe potuto salvarci in altra maniera. Ma Egli ha scelto questo modo per avere una condegna soddisfazione dell’ingiuria che gli fece il peccato. Bisogna notare che Dio di potenza assoluta avrebbe potuto perdonare il peccato senza esigerne alcuna soddisfazione, o accettando la soddisfazione, che gli fosse stata offerta da qualche santa creatura, p. es. da un Angelo; questa soddisfazione però sarebbe stata sproporzionata all’ingiuria ricevuta (Antoin. tract. de Incarn, cap. 1. est. 3).

— Per qual ragione adunque Dio ha scelto più quel modo che un altro?

Noi non dobbiamo cercare a Dio la ragione delle sue operazioni; per altro possiamo dire che scelse questo modo, perché era convenientissimo; restando in tal maniera pienamente soddisfatta la sua Divina Giustizia, e venendo manifestati in un grado incomparabile gli altri suoi attributi, come la Clemenza, la Sapienza, l’Onnipotenza ecc. Inoltre questo era il modo più efficace per conciliarsi il nostro amore; giacché un Dio che si fa uomo, si assoggetta ai patimenti, alla morte per salvare gli uomini, è un tratto di amore così eccessivo da obbligare anche i cuori più duri ad amar questo Dio (Antoin. ut sup. art. 2).

— Dio era obbligato a rimediare in qualche modo alla nostra rovina, nella quale eravamo incorsi per lo peccato?

Che abbia rimediato ai nostri mali fu un tratto della sua infinita Misericordia, e giustamente poteva abbandonarci nel peccato, e nelle sue conseguenze.

— L’Incarnazione del Figliuolo di Dio fu predetta prima che si sia effettuata?

Fu predetta subito dopo il peccato di Adamo e ne parlarono in seguito tutti i Profeti; perciò Gesù Cristo era aspettato dal Popolo Ebreo, e gli stessi Gentili, come si ricava dalle storie profane, aspettavano un Salvatore.

— Per qual ragione il Popolo Ebreo non volle riconoscerlo quando è venuto?

Per la sua superbia e ostinazione nei suoi pregiudizi. Il Popolo Ebreo fu assolutamente inescusabile, perché esso aveva le Profezie che ne parlavano chiaramente, e queste Profezie si vedevano avverate in Gesù Cristo.

§ II.

Del Corpo e dell’Anima di Cristo.

— Si deve dire che il Corpo di Gesù Cristo constasse di carne umana, e che Egli perciò siasi fatto figlio di Adamo?

Abbiamo già notato essere verità Cattolica che Cristo ha preso umana carne vera e reale come è quella degli altri uomini, con questa differenza, che Egli non  l’ha presa per opera di uomo, ma per opera dello Spirito Santo: perciò avendo preso vera, e reale umana carne si è fatto figlio di Adamo.

— S. Giuseppe Sposo di Maria non fu il Padre di Gesù?

Giuseppe fu Sposo di Maria; ma restò sempre vergine, e lasciò sempre Vergine Maria Ss. Sarebbe una eresia il dire che S. Giuseppe fosse vero Padre di Gesù Cristo; ne era Padre putativo, cioè creduto tale dalle persone, le quali sapendo che aveva sposato, ed abitava con Maria, vedendo che Ella aveva avuto un figliuolo, pensavano che lo avesse avuto da Giuseppe; ma invece S. Giuseppe visse sempre con Maria Ss., come se fosse stato suo fratello, e nulla più.

— Maria Ss. come ha potuto avere un figliuolo restando Vergine?

Questo è un miracolo della Onnipotenza di Dio, e miracolo tale, che non mai ne è succeduto un altro simile. Lo Spirito Santo, già abbiamo accennato, formò dal purissimo Sangue di Maria il Corpo di Gesù Cristo; al debito tempo Maria Ss. lo partorì nella stalla di Betlemme, restando pure allora Vergine come prima; perciò lo partorì senza alcuno spasimo, o dolore, e senza danno alcuno della sua inviolata integrità. Si noti essere articolo di fede che Maria fu Vergine prima del parto, nel parto, e dopo il parto, come definì il Concilio Generale di Calcedonia.

— Nel Santo Vangelo si nominano i fratelli di Gesù Cristo: vuol dire dunque che Maria Ss. ebbe altri figliuoli?

Gli Ebrei chiamavano col nome di fratelli anche gli altri parenti; perciò quelli erano parenti di Gesù Cristo, ma non suoi veri fratelli; e perciò Maria Ss. non ebbe altri figliuoli.

— Come é avvenuta la morte di Gesù Cristo?

Si separò l’anima dal suo corpo siccome avviene quando muoiono gli uomini, restando però, come già si é detto, unita la Divinità, cioè il Verbo Eterno, tanto al corpo quanto all’anima.

— Il corpo di Gesù Cristo in quel tempo che restò nel sepolcro aveva cominciato a corrompersi come avviene ai corpi dei morti?

Il corpo di Gesù Cristo non soffrì alcuna corruzione nel sepolcro: lo aveva predetto il Profeta Davide (Salmo XV).

— Per quanto tempo stette nel sepolcro il corpo di Cristo?

Parte del Venerdì, l’intero Sabato, e parte della Domenica. Nel mattino della Domenica, l’Anima si riunì di nuovo al suo corpo, e risuscitò glorioso, immortale e impassibile. Gesù Cristo in tal modo risorto, comparve molte volte ai suoi Discepoli, e dopo quaranta giorni dalla sua Risurrezione ascese al Cielo.

— Il Verbo Eterno facendosi uomo ha preso pure un’anima della stessa natura della nostra?

È articolo di Fede, come già abbiamo accennato, che il Verbo Eterno prese un’anima umana; e perciò della stessa natura che la nostra.

— In Cristo si deve riconoscere umana volontà, oltre la Divina?

È articolo di Fede che si debba riconoscere in Cristo umana volontà, la quale, sebbene libera come la nostra, fu però sempre uniforme alla Divina, non avendo mai voluto l’Anima di Cristo se non quello che voleva il Verbo Eterno. Questo articolo di Fede fu definito dalla Chiesa contro i Monoteliti, antichi eretici.

— In Cristo oltre le operazioni Divine si devono riconoscere anche le operazioni amane?

Essendo Cristo non solo vero Dio, ma anche vero Uomo, si devono certamente riconoscere in Lui operazioni umane; e in fatti quando nel Santo Vangelo leggiamo che Cristo soffrì fame, stanchezza, pianse, si attristò ecc., intendiamo subito che queste sono operazioni umane; però le umane operazioni di Cristo avevano un merito infinito stante che per l’unione ipostatica erano azioni di una Persona Divina (Habert de Incarn. Cap. I).

— L’Anima di Cristo era dotata di scienza?

L’Anima di Cristo fin dal primo momento della sua creazione, ebbe una piena e perfettissima scienza di tutte le cose; e sebbene crescendo poi Cristo in età, pareva, come nota il Vangelo, che crescesse nella scienza, in realtà non cresceva nella medesima, avendone avute subito la pienezza. L’anima di Cristo godeva pure della visione intuitiva di Dio, come ne godono i Santi in Paradiso, vedendo chiaramente la Persona del Verbo Eterno cui era unita ipostaticamente, e necessariamente insieme a quella, la Persona del Padre, e la Persona dello Spirito Santo.

— Se l’Anima di Cristo vedeva Dio chiaramente, doveva essere beata, e incapace di patire; come dunque può sussistere, con questa visione di Dio attribuita a Cristo, il dogma cattolico, che Cristo patì veramente nella sua Passione, e Morte?

È vero che la visione beatifica di Dio rende l’anima incapace di patire; ma per un gran miracolo della Divina Onnipotenza fu trattenuto, e a così dire raffrenato il gaudio che le veniva dalla visione di Dio nella parte superiore dell’anima, cioè intellettuale; affinché alla parte inferiore, cioè sensitiva, non si comunicasse, e in tal modo potesse patire; quindi veramente patì dolori interni ed esterni come ci insegna il Vangelo.

— Mi potrebbe meglio spiegare la cosa con una parità?

Osservate ciò che avviene nelle montagne molto alte; alle volte verso la metà delle medesime si condensano delle nuvole, e si formano delle tempeste mentre sulla cima risplende il sole. Per tanto chi è sulla cima del monte gode del Cielo sereno, chi è alle falde vede il Cielo nuvoloso ed è percosso dalla tempesta. Secondo il nostro modo d’intendere, avvenne le stesso nell’Anima di Cristo; la sua parte superiore, cioè intellettuale, godeva della chiara vista di Dio, la sua parte inferiore, cioè sensitiva, soffriva ogni genere di dolori, e di pene.

— L’Anima di Cristo vedendo e conoscendo Dio più chiaramente di qualunque creatura, arriva a comprenderlo, cioè a conoscerlo, quanto Dio comprende e conosce se stesso?

Abbiamo già notato (Cap. 2. § 4) che Dio, essendo incomprensibile, nessuna creatura lo può comprendere; perciò l’Anima di Gesù Cristo lo conosce più chiaramente di qualunque creatura, ma non lo comprende, cioè non lo conosce con quella pienezza di cognizione, con cui Dio conosce se stesso.

— L’Anima di Cristo era dotata di libertà?

Senza dubbio, altrimenti le sue operazioni non sarebbero state azioni umane, e sarebbe stata di una natura diversa dalla natura dell’anima nostra.

— Poteva peccare?

Unita ipostaticamente col Verbo Eterno non poteva peccare; anzi aveva la grazia detta di unione, ossia sostanziale, per la quale era santa sostanzialmente.

— Ebbe la grazia santificante?

L’ebbe in grado sommo, che eccede senza comparazione la grazia di tutti gli Angeli, di tutti i Santi, e della stessa Maria Ss. .

— Furono in Cristo tutte le virtù?

Senza dubbio, eccettuate quelle che suppongono il peccato o altra imperfezione; perché non poté avere la virtù della penitenza, giacché in Lui non si trovò cosa di cui si potesse pentire, né meno la virtù della Fede, o della Speranza, perché queste non possono ritrovarsi in un’anima che gode la vista intuitiva di Dio.

— L’Anima di Cristo, essendosi separata dal suo corpo quando morì sulla Croce, discese all’inferno?

È un articolo di Fede espresso nel Simbolo; però bisogna notare che sotto il nome d’inferno qui non s’intende l’inferno destinato ai demoni e ai dannati, ma quei luoghi sotterranei chiamati volgarmente col nome di Limbo, ove riposavano le Anime Sante di tutti i Giusti morti prima della venuta di Cristo, i quali aspettavano che, compita l’opera della Redenzione, loro fossero aperte le porte del Paradiso.

— I Giusti adunque morti prima dell’epoca della morte di Cristo non godevano in Cielo la vista di Dio?

Non la godevano: ma in somma pace e tranquillità riposavano nel Limbo. Quivi discese l’Anima di Cristo e li liberò da questa carcere per condurli al Cielo.

§ III.

Di vari titoli che convengono a Cristo, del culto che a Lui si deve, e di quello che compete ai suoi Santi.

— Quali titoli convengono a Cristo?

1. Egli è Figlio di Dio Naturale, e nemmeno considerandolo come Uomo si deve chiamare Figliuolo di Dio adottivo. 2. È Re secondo la Divinità non solo, ma anche secondo l’Umanità. 3. È Capo degli uomini e degli Angeli. 4. È Legislatore. 5. È Giudice. 6. È Sacerdote e Sacerdote in eterno. 7. È Mediatore, ossia Conciliatore di Dio con gli Uomini avendo pienamente, anzi sovrabbondantemente soddisfatto per essi appresso la Divina Giustizia (Habert de Incarn. e. 8).

— Cristo prega per noi il Divin Padre?

Dice S. Agostino che Cristo come Uomo prega per noi, e che, come Dio, esaudisce la preghiera insieme al Divin Padre: Christus homo prò nobis est orator, ut Deus est cum Patre exauditor (Habert ibid.).

— Quale culto si deve a Cristo?

Bisogna notare tre sorta di culto. Il primo è quello di Latria, che è l’adorazione somma ed assoluta con la quale si adora Dio per la sua Eccellenza increata ed infinita. Il secondo è di Dulia, e questa è l’adorazione con la quale si venera alcuna creatura per la sua dignità soprannaturale, non però eccellente in modo singolare. Il terzo di Iperdulìa, e questa è l’adorazione con la quale si onora una creatura per la sua dignità soprannaturale in modo singolare eccellente. Notate queste cose, è di fede che Cristo Uomo Dio, devesi adorare con adorazione di latria, e con adorazione di latria si deve pure adorare la sua Umanità, non per se stessa, ma per l’Increata e Infinita Eccellenza del Verbo Eterno, cui personalmente e sostanzialmente è unita (Antoin. de. Incarn. cap. 7. art. 1 et 2).

— A chi si deve il culto di Dulìa?

Si deve agli Angeli ed ai Santi, i quali hanno una dignità soprannaturale, ma non eccellente in modo singolare.

— A chi si deve il culto di Iperdulia?

Si deve soltanto a Maria Vergine, la quale ha una dignità soprannaturale, eccellente in modo singolare, essendo vera Madre di Dio come abbiamo detto.

— È cosa conveniente il venerare i Santi, gli Angeli, e Maria Vergine?

È cosa convenientissima, come fu sempre cosa convenientissima l’onorare gli amici, i ministri, e tanto più la Madre del Sovrano. I Sovrani in questa terra vedendo onorati i propri amici, ministri e madre, reputano fatto a loro stessi l’onore che si rende a quelli. Similmente Iddio si onora con l’onore reso ai Santi, agli Angeli, e a Maria Vergine.

— È ella cosa utile il ricorrere all’Intercessione dei Santi, degli Angeli, e di Maria?

É cosa utilissima: perché eglino ascoltano le nostre preghiere, sono zelantissimi del nostro bene, e ci ottengono le grazie delle quali abbisogniamo. Sopra tutto, è cosa utilissima il ricorrere all’intercessione di Maria Ss., perché Ella, appresso il suo Divin Figlio, è così potente con le sue preghiere, che ne varrebbe più una delle sue che tutte quelle degli Angeli e dei Santi tutti del Paradiso. La Chiesa ha sempre promosso con impegno singolarissimo la Divozione verso Maria Ss., la quale appunto consiste nel venerarla e nel pregarla ché interceda per noi. I Santi più distinti in scienza e pietà, si distinsero sempre per una specialissima devozione a Maria. Gli Autori che nella Chiesa godono il pregio di più sicura e immacolata dottrina, scrissero ognora grandi cose della Divozione a Maria; mentre il suo culto non è disapprovato che dagli eretici, e i poco devoti di Lei. sono solamente i poco buoni Cristiani. Mi perdoni perciò Maria, mi perdonino i suoi devoti, se io dico soltanto che la divozione a Maria è cosa utilissima; se ne dica di più senza timore di errare.

— Si esprimono bene, quelli che dicono che Maria fa delle grazie?

Si esprimono bene, perché la Chiesa domanda a Maria che faccia grazie: “Solve vincla reis, profer lumen cœcis etc;” per altro bisogna intendere che Maria le impetra, essendo certo che l’autore di ogni grazia è Dio, come l’Autore di ogni bene.

— Quali sono le cose espressamente definite di Fede a riguardo del culto dei Santi?

Il sacrosanto Concilio di Trento, nella sess. XXV, dichiarò di Fede che i Santi pregano per noi appresso Dio, e che è cosa buona ed utile l’invocarli supplichevolmente, perciò chi negasse queste verità, sarebbe un eretico.

— Si devono venerare le immagini Sante?

È cosa di Fede definita nel Concilio Niceno II, e nel Tridentino che si debbano venerare le sante immagini, riferendo però il culto che loro si presta o a Cristo, o alla Vergine, o ai Santi che rappresentano.

— Si devono pure venerare le reliquie dei Santi?

Il sacrosanto Concilio di Trento (sess. XXV) definì espressamente, che alle Reliquie dei Santi si deve venerazione ed onore; s’intende poi che speciale venerazione ed onore fra tutte le Reliquie merita il Legno della vera Croce di Cristo, come la più eccellente Reliquia che ci è rimasta del Salvatore.

25 APRILE, LITANIE DEI SANTI: INDULGENZE

Indulgenze per le LITANIE DEI SANTI

XXI
LITANIÆ SANCTORUM
-687-

a) Fidelibus, qui in festo S. Marci Ev. vel in feriis
Rogationum in ecclesiis vel publicis oratoriis peculiari
sacræ functioni, quæ hisce diebus celebrari solet, devote
interfuerint, conceditur:
Indulgentia decem annorum;
Indulgentia plenaria, si peccatorum veniam obtinuerint,
eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi
Pontificis mentem preces fuderint.
b) Iis vero, qui præfatis diebus, deficiente memorata
sacra functione, Litanias Sanctorum devote recitaverint,
conceditur:
Indulgentia septem annorum.
– c) Iis vero, qui ceteris anni diebus easdem Litanias
pie recitaverint, conceditur:
Indulgentia quinque annorum;
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie
per integrum mensem eamdem fecitationem iteraverint
(S. Pæn. Ap., 10 iul. 1935 et 21 mart. 1941).

[10 anni a chi partecipa alla funzione in pubblico oratorio o in Chiesa (funzione della Chiesa Cattolica “una cum” il Papa legittimo, S. S. GREGORIO XVIII); Ind. Plenaria a chi è pure confessato e comunicato; 7 anni se recitate nella giornata del 25 aprile e nei gioni delle Rogazioni minori anche senza partecipare alle funzioni; 5 anni in qualunque giorno dell’anno, e ind. plenaria s.c. se recitate per un mese).

25 Aprile: LITANIE O ROGAZIONI. – Litanie dei Santi

LA PREGHIERA (Alapide, 3)

PREGHIERA (3)

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide]

10. Come si può pregare sempre? — 11. Ma quando bisogna particolarmente pregare? — 12. Preghiera pubblica. — 13. La preghiera fatta in chiesa ha più efficacia. — 14. Bisogna pregare gli uni per gli altri. — 15. Delle varie preghiere in uso presso i cristiani. — 16. L’elevazione delle mani, nella preghiera, ci propizia Iddio ed è essa stessa una preghiera. — 17. Vi sono di quelli che pregano male. — 18. Errori che si commettono nella preghiera. — 19. Ostacoli alla buona riuscita della preghiera. — 20. Vi sono preghiere che invece di essere esaudite, meritano di essere punite. — 21. Disgrazia di quelli che non pregano. — 22. Mezzi per pregare bene.

10. Come si può pregare sempre? — Ma com’è mai possibile, dicono i partigiani del mondo, gli avari, i dissipati, come è possibile attendere di frequente alla preghiera, pregare, pregare sempre, in mezzo alle cure della famiglia, ai rumori e ai disturbi dei negozi? Senza contare che il tempo manca, come può reggere la mente ad una preghiera continua? Questa cosa è impossibile. Inganno ed errore: la cosa è non solamente possibile ma facilissima. Ascoltate come si può pregare sempre. – Il Venerabile Beda ci dà egli solo in due parole la soluzione di ogni difficoltà: « Sempre prega colui che fa tutte le sue azioni secondo Dio » dice il citato scrittore (In Sentent.). La stessa massima aveva già espresso S. Basilio con quelle altre consimili parole: «Chi si regola sempre bene prega sempre; la sua vita è una preghiera continua » (Hom in Iudittham mart.). Anche secondo S. Ambrogio, il giusto prega sempre, perché anche quando l’anima sua non prega, le opere ch’egli fa, intercedono per lui e tengono per lui il luogo di preghiera; anzi, perfino quando dorme, i fatti suoi risplendono innanzi al Signore e gli servono da patrocinatori presso Dio. Il peccatore medesimo che si trova in peccato mortale, prega sempre dal punto in cui desidera ardentemente di spezzare le sue catene e uscire dal peccato, pregando e offrendo a Dio i suoi sforzi, le sue azioni attuali per ottenere la grazia di convertirsi. Quindi se appena svegliati e levati, offrite a Dio il primo vostro pensiero, e le occupazioni giornaliere, il giorno intero sarà per voi una continua preghiera. Andate al lavoro? Fatene offerta a Dio, ed il vostro lavoro sarà una non interrotta preghiera. Vi sedete a mensa, o uscite a ricreazione? Offrite a Dio il vostro cibo, ricreatevi avendo lui in mente, e il cibo e il divertimento vi servirà di preghiera. Raccomandate a Dio il sonno prima di chiudere le palpebre, e il vostro sonno è una preghiera… Oh quanto ci arricchiremmo facilmente e senza disagio, se facessimo in questo modo! O come guadagneremmo il cielo quasi senza fatica, se veramente lo volessimo! Noi potremmo dire col Salmista: sebbene in altro senso: «Ebbero a bassissimo prezzo la terra desiderata » (Psalm. CV, 24).

11. Ma quando bisogna particolarmente pregare? — In 1° luogo bisogna pregare principalmente al mattino dopo che ci siamo levati: « Signore, dice il re profeta, voi ascoltate sul mattino la mia voce; in sui primi albori del giorno io mi presenterò a voi e contemplerò le opere vostre meravigliose » (Psalm. V, 4-5). « O Dio, Dio mio, io dono a voi i miei pensieri fin dall’aurora » (Psalm. LXII, 1). « Signore, io ho gridato a voi, e la mia preghiera salirà a voi di buon mattino » (Psalm. LXXXVII, 14). – Di buon mattino dobbiamo riempire il nostro cuore dei tesori della preghiera… L’Ecclesiastico ci dice che il vero savio « applicherà, in sul primo albeggiare dell’aurora, il suo cuore a pensare al Signore che lo ha fatto ed a pregare in presenza dell’Altissimo » (Eccli. XXXIX, 6); e l’autore della Sapienza ci fa notare che la manna la quale non poteva essere consumata dal fuoco, si squagliava al primo raggio di sole che l’avesse toccata, affinchè si rendesse a tutti manifesto che bisogna prevenire il sole per lodare Iddio, e conviene adorarlo sui primi albori del giorno (Sap. XVI, 27-28). – « Fin dal mattino, diceva S. Giovanni Climaco, io conosco la mia corsa di tutto il giorno » (Grad. VII); e voleva dire che la sua preghiera del mattino lo rischiarava e lo dirigeva per tutto il giorno, santificava la intera sua giornata. Questo eccellente vantaggio godrebbero tutti i cristiani, se tutti imitassero questo gran Santo… Con la preghiera del mattino; tutto il giorno è bene impiegato e Santificato. Si può quasi asserire che è intieramente profanato, triste e perduto quel giorno in cui si è trascurata la preghiera del mattino.

2° Bisogna pregare al principio ed alla fine di ogni azione… Con questo mezzo tutte le opere restano santificate; si schivano le azioni malvage, perchè non si può offrire a Dio quello che è cattivo.

3° Bisogna imitare il Salmista che diceva: « La sera, la mattina e al mezzodì invocherò il Signore, ed egli ascolterà la mia voce » (Psalm. LIV, 18). La Chiesa per ricordarci questa pia ed utile pratica e per incoraggiarci e aiutarci a seguirla, ha stabilito l’Angelus…

4° Bisogna pregare la sera, prima del riposo. Ascoltate il Salmista: « S’innalzi la mia preghiera come incenso al tuo cospetto; l’elevazione delle mie mani sia il mio sacrifìcio vespertino » (Psalm. CXL, 2).

5° Bisogna pregare nelle tentazioni, fra i pericoli, nelle infermità, quando si tratta della scelta dello stato, e generalmente in ogni affare di rilievo.

6° Bisogna particolarmente pregare nelle domeniche e nelle feste…

7° Bisogna pregare giunti all’età della ragione, in tutte le età della vita, e in tutti i luoghi, ma specialmente nell’ora suprema della morte.

 

12. Preghiera pubblica. — È cosa ottima la preghiera particolare, ma più potente ancora è presso Dio la preghiera pubblica. Dice Gesù Cristo : « Vi dico, in fede mia, che se due tra di voi si accordano su la terra per dimandare qualche cosa, l’otterranno dal Padre mio che è nei cieli, perchè dove si trovano due o tre congregati nel mio nome, io mi trovo in mezzo a loro » (Matth. XVIII, 19-20). – Il popolo tutto quanto pregò con Giuditta; quella preghiera operò prodigi… I Niniviti pregano tutti insieme, ottengono grazia… Gli Apostoli pregano insieme nel cenacolo, lo Spirito Santo discende sopra di loro, li colma de’ suoi doni… I primi Cristiani, unendosi agli Apostoli, fanno preghiere pubbliche, e ottengono la conversione dell’universo pagano. Ester suggerisce a Mardocheo che raduni tutto il popolo, e preghino tutti per lei mentre entrerà nelle stanze del re. Così fu fatto, ed in virtù di quella preghiera pubblica, Ester si rese celebre e gloriosa, cambiò Assuero, fece castigare Amano, liberò il suo popolo dalla strage, procurò grandissima gloria a Dio. Perciò in occasione di pubbliche calamità, di pesti, di carestie, di guerre e simili flagelli, la Chiesa ebbe sempre in uso di ricorrere alla preghiera pubblica. – Le preghiere pubbliche sono più efficaci presso Dio, che le altre, perchè nel numero vi sono sempre dei giusti mescolati coi peccatori, e Dio ascolta anche la preghiera dei peccatori, perchè unita a quella dei giusti… Principalmente nelle preghiere pubbliche lo Spirito Santo dimanda Egli medesimo per noi e supplica con gemiti ineffabili, come dice S. Paolo ai Romani (Rom, VIII, 26). I santi Padri dicono che lo Spirito Santo dimanda per noi, ossia si muove a domandare e gemere. Domanda poi con gemiti ineffabili, cioè celesti e divini, e per mezzo delle misteriose ispirazioni della grazia… Impariamo da questo, che la vera preghiera consiste nei gemiti, negli affetti, nei desideri, nelle orazioni giaculatorie, nei sospiri infocati. – Ma quantunque soli, noi possiamo in certo modo fare pubbliche preghiere, unendo la nostra intenzione a quella della Chiesa e domandando con essa, con tutti i suoi giusti ed i suoi santi, tutto quello che essa chiede a Dio. Vi è poi anche una preghiera comune che tutti possiamo fare. È perfetta e comune la preghiera di coloro che pregano col cuore, con l’anima, con lo spirito; che pregano con le parole, con la compostezza, col raccoglimento di tutti i sensi. Preghiera comune a tutto ciò che in noi può invocare il nome del Signore, è accoppiare insieme, quando preghiamo, la parola, l’attenzione, le buone opere, una vita santa, il corpo, l’anima, la volontà, lo spirito, il cuore. Questi sono come altrettanti esseri riuniti che pregano insieme; ed una preghiera cosiffatta è sempre la ben venuta, l’ascoltata, l’esaudita da Dio… Così pregava l’Apostolo il quale dice : « Che cosa farò io? Pregherò con lo spirito, con l’anima, col cuore » (I Cor. XIV, 15)… La più perfetta di tutte le preghiere pubbliche è la Messa, ossia il Sacrifizio dell’altare…

13. La preghiera fatta in chiesa ha più efficacia. — La preghiera che si fa in chiesa ha maggior pregio ed onora più Iddio, che fatta altrove, perché, 1° essendo la Chiesa la casa propria di Dio in questo mondo, la preghiera che vi si fa veste il carattere di pubblica invocazione, di lode, di adorazione a Dio in faccia a tutta la Chiesa. 2° Nella Chiesa, tutte le preghiere sono unite; quelle di Gesù Cristo, del sacerdote, dei fedeli. 3° Nel tempio, il giusto unito al peccatore viene in aiuto di questo. 4° Vi trova l’esempio degli altri, e questo esempio è di grande spinta e conforto. « Il Signore ha esaudito la mia preghiera nel suo santo tempio», diceva il re profeta (Psalm, XVII, 8). Il profeta Gioele dice che i sacerdoti, i ministri di Dio, piangeranno tra il vestibolo e l’altare, e grideranno: Perdonate, o Signore, perdonate al vostro popolo, e non abbandonate al vitupero la vostra eredità. E allora il Signore avrà pietà degli uomini, li risparmierà, e loro perdonerà; li colmerà de’ suoi favori e darà loro l’abbondanza dei frutti della terra (Ioel. II, 17-19). Salomone costruisce il tempio di Gerusalemme; e Dio gli annunzia e gli promette: « Io ho santificato questa casa da te fabbricata, per porre in essa il mio nome in eterno, e qui si volgeranno i miei sguardi, e quivi poserà il mio cuore per tutti i tempi » (II. Reg. IX, 3).

14. Bisogna pregare gli uni per gli altri. — « Pregate gli uni per gli altri, dice S. Giacomo, affinché andiate salvi », (Iac. V, 16). La carità ci invita e c’impone il debito di pregare gli uni per gli altri; a questo ci spinge l’esempio del Redentore, degli Apostoli e di tutti i Santi. « Padre santo, diceva Gesù a Dio Padre, io vi prego di conservare nel vostro nome quelli che a me avete dato, affinché siano tutti una sola cosa, come noi » (Ioann. XVII, 11). E tanto gli sta a cuore che preghiamo gli uni per gli altri, che non vuole esclusi da questa atto di carità i nemici medesimi; anzi ce ne ha fatto obbligo preciso, con quelle parole: «Pregate per quelli che vi perseguitano e calunniano » (Matth. V, 44), e suggellò il precetto con l’esempio, pubblicamente, in croce, allorché disse: «Padre, perdona loro (ai carnefici), perché non sanno quel che si fanno»  (Luc. XXIII, 34). «Noi pregheremo continuamente per tutti», dicevano gli Apostoli (Act, VI, 4). «Non cessiamo mai dal pregare per voi», scriveva San Paolo ai Colossesi (I, 3), e anche voi pregate per noi (IV, 3). Egli assicurava ai Romani, che faceva sempre ricordo di loro nelle sue orazioni (Rom. I, 9-10). A Timoteo poi raccomandava che si facessero nella sua chiesa preghiere, suppliche, domande, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per quelli che sono in alto grado (I Tito. II, 1-2). La Chiesa prega ogni giorno per tutti: non solamente prega per i suoi membri, ma per tutti gli uomini; per i pagani, per gli eretici, per gli scismatici; prega per i suoi nemici, per i persecutori, per i suoi carnefici. « Per me, esclamava Samuele, Dio mi guardi da questo peccato, che cessi mai dal pregare per voi! » (I Reg. XII, 23). «Se Stefano non avesse pregato per Saulo, forse la Chiesa non avrebbe un San Paolo», scriveva S. Agostino (Epl. XCVII)… Pregare per gli altri è carità, e la carità è la prima condizione della preghiera. Ciascuno dunque, conchiudo con S. Agostino, preghi per tutti, e tutti preghino per ciascuno (Epl. XCVII).

15. Delle varie preghiere in uso presso i Cristiani. — La preghiera del mattino giova a passare santamente la giornata…; quella della sera si fa perché Dio ci benedica e conservi lungo la notte. Con l’invocazione che premettiamo al pranzo ed alla cena, noi dimostriamo e confessiamo : 1° che riconosciamo di avere da Dio le vivande ed ogni altra cosa; 2° che vogliamo prendere il cibo per amor di Dio; 3° che non mangiamo come le bestie; 4° domandiamo che quell’alimento giovi all’anima ed al corpo; 5° preghiamo per ricordarci di Dio, o aver altro buon pensiero durante il pasto; 6° affinché il cibo non sia per satana un mezzo con cui tentarci; 7° per non mangiare troppo o per golosità, ma solo secondo il bisogno; 8° per scacciare il demonio dagli alimenti, non meno che da noi. Il ringraziamento dopo la mensa si fa: 1° per ringraziare Iddio degli alimenti somministratici nella sua bontà; 2° per ottenere la grazia di farne buon uso; 3° perché non abusiamo del vigore e delle forze che quel cibo ci ha dato; 4° affinché Dio continui a somministrarci il pane di ogni giorno… – La preghiera prima del lavoro ha per fine di attirare sopra di noi e su le opere nostre la benedizione di Dio nell’ordine temporale e nello spirituale. La preghiera dopo il lavoro ha lo scopo di ringraziare Dio di averci insinuato l’amore al lavoro, che è una virtù, di averci dato il coraggio per lavorare, e di chiedergli perdono delle colpe o mancanze commesse nel lavorare. – L’Angelus è per onorare la Madre di Dio, la Santissima Trinità, e per ricordarci l’insigne benefizio dell’Incarnazione del Verbo e la grandezza nostra per la Redenzione. La preghiera della domenica vale a santificare il giorno del Signore e ad ottenere grazie per la settimana, ecc., ecc…

16. L’elevazione delle mani, nella preghiera, ci propizia Iddio ed è essa stessa una preghiera. — « Io offro il mio sacrificio della sera, innalzando le mani », diceva il Salmista (Psalm. CXL, 2). « Signore, esclama egli altre volte, io ho innalzato le mie mani verso di te; l’anima mia è come terra arsa da siccità; deh! esaudiscimi presto! » (Psalm. CXLII, 6-7). Leggiamo nell’Esodo, che quando Mosè innalzava le mani, Israele era vittorioso dei nemici; ma quando le abbassava Amalec trionfava (XVII, 11). Del resto, noi troviamo che fin dai primi tempi del cristianesimo gli Apostoli avevano stabilito questa pratica nelle preghiere pubbliche e private : « Voglio, scriveva S. Paolo a Timoteo, che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando le mani pure » (I Tim., II, 8). – Ma con le mani dobbiamo innalzare anche i cuori nostri a Dio che è ne’ cieli, secondo l’avviso di Geremia (Lament. IlI, 41). A commento di queste parole, serve quel tratto di S. Gregorio : « Colui che convalida le sue preghiere con opere buone, alza le sue mani col cuore; come colui il quale prega senza aggiungervi le opere, alza il cuore ma non le mani; chi al contrario fa delle opere buone, ma non prega, costui alza le mani, non il cuore». A quelle parole del Prefazio della Messa il sacerdote alza le mani, e le tiene quindi in alto fino alla comunione… 1° Alzare le mani è atto da supplicante… 2° Noi tendiamo le mani come infelici che sul punto di naufragare, chiedono aiuto… 3° L’elevazione delie mani indica l’elevazione dell’anima a Dio… 4° Per l’estensione delle mani, noi ci offriamo a Dio e ci mettiamo nelle sue braccia divine… 5° Imitiamo la posizione di Gesù Cristo su la croce… 6° E il segnale della carità che abbraccia tutto il mondo… 7° Professiamo il nostro distacco dalla terra… 8° Accenniamo di tendere ed aspirare al cielo… 9° Facciamo violenza a Dio e, animati da confidenza, mostriamo di volere quasi afferrare con le mani quello che gli domandiamo… 10° Stendiamo le braccia come per avvinghiarci a colui che supplichiamo, per vincerlo e sforzarlo a farci misericordia, a patteggiare con noi, e a concederci l’oggetto dei nostri desideri… 11° Proclamiamo i meriti di Gesù crocifisso e li offriamo al Padre come mezzo efficacissimo di ottenere tutto ciò che domandiamo. Perciò il prete all’altare prega molte volte con le braccia stese in forma di croce. 12° Finalmente con questo atteggiamento mostriamo di voler respingere i nemici della nostra salute.

17. Vi sono di quelli che pregano male. — « Voi non sapete quello che domandate », disse Gesù Cristo agli Apostoli, a proposito della domanda da loro fatta di cosa non conveniente (Matth. XX, 22); a quanti si potrebbe dare questa risposta! « Voi domandate e non ricevete, perché chiedete male », a molti altri può ripetersi con S. Giacomo (Iac. IV, 3). – In tre modi può succedere che una persona parlando ad alcuno, non possa farsi intendere e capire: 1° o perché colui al quale si parla, non ode il suono delle parole; 2° o perché non ne afferra il significato; 3° o perché sta distratto in altri pensieri e non bada a quello che gli si dice… Dio ode tutto, intende tutto, comprende tutto, sta attento a tutto. Ma si vuol dire che talora non intende, o non sente, o non sta attento, perché non cura, anzi disprezza, la preghiera mal fatta, come se non badasse, o non udisse, o non intendesse. Perciò il Profeta, prima di mettersi in orazione, diceva al Signore: Porgete orecchio alle mie parole, ascoltate i gemiti miei, udite il grido del mio dolore, o mio re, o mio Dio; state attento alla mia preghiera (Psalm. V, 1-2). Egli chiede pertanto in sul principio che Dio l’intenda, presti l’orecchio, lo comprenda. Ora Dio disprezza, come se non intendesse il suono delle parole di colui che lo prega, quando costui è talmente distratto, che non capisce nemmeno egli medesimo quello che dice, ovvero prega con tanto torpore e tanta divagazione, che la sua preghiera non può levarsi in alto. Dio si regola come se non comprendesse quello che gli si domanda, quando chi prega non sa quello che dice, domandando quello che gli è inutile, ovvero anche nocevole, ancorché lo domandi con attenzione e desiderio. Finalmente Dio fa come chi è distratto, quando chi prega non è degno di essere ascoltato, o prega senza l’umiltà voluta, senza la confidenza necessaria e senza le altre disposizioni che devono accompagnare la preghiera, o quando, essendo peccatore, non ha nemmeno cominciato a pentirsi, a correggersi, a fare penitenza. – Il Salmista, inspirato dallo Spirito Santo, chiede dunque a Dio il dono di pregare bene, affinché gli sia dato di pregare come bisogna, acciocché Dio non rigetti la sua orazione, ma ne oda il suono, ne intenda il significato e l’ascolti. Il Salmista aggiunge, mio re, per ottenere più facilmente; perché un buon re suole esaudire il suo popolo. Soggiunge: mio Dio, per mostrare che in questo re egli vede il suo Dio di cui egli è creatura dipendente in tutto da lui, e che nulla può senza di lui… Dio né ascolta, né comprende, né guarda quelli che pregano male; e quindi non li esaudisce, non essendone meritevoli… .. – Oh come è grande il numero di quelli che pregano male! Se quelli che pregano male non raggiungono quello che domandano, non è da incolparne né Dio né la preghiera in se stessa, ma solamente chi prega male, perché egli prega con cattive disposizioni, o domanda male, o chiede quello che non deve chiedere… « Parecchi, dice S. Agostino, nel pregare languiscono e stanno dormigliosi. Come! il nemico veglia e tu dormi? (In Psalm. LXV). – Dunque pregano male e non meritano di essere né ascoltati né esauditi coloro che pregano senza preparazione, senz’attenzione, o non pregano nel nome di Gesù Cristo; quelli che pregano senza, zelo, senza diligenza, senza fede, senza fiducia, senza fervore, senza umiltà, senza compunzione, senza carità, senza perseveranza. Mancando anche una sola di queste disposizioni, si prega male… Voi domandate e non ricevete; non lagnatevi nè brontolate contro Dio o contro la preghiera: chiamate voi medesimi in colpa; voi non ricevete nulla, nemmeno allora che domandale, perché domandate male (Iac. IV, 3).

18. Errori che si commettono nella preghiera. — « Quello che dobbiamo domandare pregando, non lo sappiamo », dice il grande Apostolo (Rom. VIII, 26). Questo ci può accadere in sei modi: 1° Se domandiamo un bene temporale che sia per nuocere all’anima; 2° se preghiamo con intenzione di essere assolutamente liberati dalla tentazione o da una qualche infermità o croce la quale giova a tenerci bassi e a farci praticare qualche virtù speciale; 3° se chiediamo qualche favore, anche spirituale; ma per ambizione, come i figli di Zebedeo; 4° se domandiamo, per impeto di zelo indiscreto, come gli Apostoli che domandavano a Gesù Cristo che facesse piovere fuoco dal cielo su gli abitanti di Samaria, perché non lo avevano voluto ospitare tra le loro mura; 5° se preghiamo Dio che ci dia subito qualche grazia, la quale meglio ci conviene che ci sia differita, affinché per quest’indugio cresca in noi l’applicazione alla preghiera e il merito della pazienza, e della perseveranza; 6° se chiediamo una condizione nel mondo, o uno stato di vita, al quale Dio non ci chiama… Ora lo Spirito Santo invocato, ricevuto, regnante in noi, governa e dirige tutte queste cose nella preghiera, e dissipa tutti i nostri errori ed inganni. Questo è ciò che intende dire S. Paolo, con quelle parole: « Lo Spirito aiuta la nostra debolezza; poiché quello che ci convenga domandare pregando, noi non lo sappiamo, ma lo Spirito domanda Egli medesimo per noi, con gemiti ineffabili » (ut sup.). – « Vi sono molti, scrive S. Isidoro, i quali Dio non esaudisce secondo il loro volere, ma secondo che conviene alla loro salute ». Dio ci esaudisce talvolta togliendoci quella tribolazione da cui pregavamo di essere liberati, tal altra dandoci la virtù della pazienza, ed in quest’ultimo caso il dono è ancor più grande; qualche volta ci comunica non solo la pazienza, ma anche la gioia nelle prove, e questo è eccellentissimo benefizio… In quanto alle cose temporali, bisogna sempre domandarle con la condizione che possano tornare alla gloria di Dio, a nostra salute, ad edificazione del prossimo… Quelle spirituali possiamo chiederle senza riserva.

19. Ostacoli alla buona riuscita della preghiera. — 1° S. Isidoro nota come due ostacoli insuperabili al buon esito della preghiera, l’ostinarsi nel peccato e il negare il perdono di una ingiuria ricevuta.

2° Impedimenti alla preghiera sono l’agitazione, l’affanno, gli scrupoli. Come nell’acqua torbida non si vede nulla, così l’anima agitata, commossa, troppo scrupolosa, non può vedere Iddio nella preghiera, nè sapere quello che le manca, né domandare come bisogna…

3° « La preghiera è zoppa, dice il Crisostomo, quando l’azione non cammina di pari passo con l’orazione; perché la preghiera e le opere sono i due piedi che reggono l’anima ».

4° Il peccato, e principalmente l’abito del peccato, sono un ostacolo immenso all’efficacia della preghiera. « I vostri delitti alzarono un muro di divisione tra voi e il vostro Dio, leggiamo in Isaia; e i vostri peccati vi nascosero la sua faccia, sicché egli più non vi ode » (Isai. LIX, 2).

5° Pregare senza preparazione, forma un altro ostacolo al buon esito della preghiera. Di questo ci avverte lo Spirito Santo con quella sentenza : « Prima di pregare, prepara l’anima tua; e non essere come uomo che tenta Dio » (Eccli. XVIII, 23).

6° Altro ostacolo al felice esito della preghiera, è domandare cose ingiuste, inutili, vane, nocevoli. Dio, dice S. Cipriano, promette di essere presente e di esaudire le orazioni di coloro i quali rompono i legami dell’ingiustizia e fanno quello che egli comanda: questi meritano di essere esauditi dal Signore. Non bisogna pretendere di accostarci a Dio con preghiere disadorne, infruttuose, sterili; una preghiera nuda non ha efficacia presso Dio perché come ogni albero che non produce frutti è reciso e gettato al fuoco, così un’orazione senza buone opere, senza fecondità di virtù, non è capace di placare Dio e non merita di essere esaudita (Serm.).

7° « Cambiamo i nostri cuori, secondo l’avviso di S. Agostino: perché il giudice supremo si fa subito propizio per mezzo della preghiera, se chi prega si corregge delle sue cattive inclinazioni ».

 20. Vi sono preghiere che invece di essere esaudite, meritano di essere punite. — « Vi è una preghiera esecrabile, dice lo Spirito Santo, ed è quella di colui che si tura le orecchie per non udire la legge »  (Prov. XXVIII, 9); e di questa preghiera imprecava il Salmista: « L’orazione sua gli si ascriva a peccato »  (Psalm. CVIII, 7). 1° È questa la legge del taglione, perché Dio restituisce ciò che gli si presta; come l’empio non vuole ascoltare Iddio che parla per mezzo della sua legge, così a sua volta Iddio ricusa d’ascoltare l’empio, quando questi gli parla con la preghiera… 2° La preghiera di colui che si ostina nel peccato, andando congiunta all’affetto per il peccato e portando perciò con se stessa un disprezzo di Dio; è un peccato, riesce quindi abbominevole ed esecrabile a Dio: ora come volete che Dio l’ascolti senza punirla, piuttosto che rimunerarla? Chi prega con questa disposizione d’animo, dice infatti: Io voglio invocare Dio e servirlo, ma nel medesimo tempo offenderlo e irritarlo. Egli somiglia veramente a quei Giudei che, piegando il ginocchio innanzi a Gesù Cristo e adorandolo, gridavano: Ave, re del Giudei; e nello stesso mentre gli sputavano addosso (Matth. XXVII, 29). Di più, quegli che prega così, sembra fare complice Iddio del suo delitto, perchè preghiere di tal sorta domandano che favorisca il peccato e allora esse sono bestemmie e infinitamente oltraggiose a Dio. Prega davvero solamente colui che non vuole più peccare; ma chi prega e intanto continua nel peccato, si burla di Dio, anzi che pregarlo. 3° Il più delizioso profumo puzza se si mescola col lezzo di una cloaca; così è della preghiera : per quanto odorosa e cara sia a Dio in se stessa, se esce da un cuore infetto e incorreggibile, rimane corrotta dalle pestifere esalazioni del peccato: è un profumo corrotto che Dio non può più soffrire. 4° La preghiera di chi rimane nel peccato è esecrabile, perché chi si ostina nel male vive in istato di inimicizia con Dio : ora Dio odia necessariamente il suo nemico e non ne accoglie la preghiera. Perciò chi prega Dio mentre vuole rimanersene nel peccato, imita Giuda che tradisce il suo maestro mentre lo bacia. – S. Ambrogio, per farci comprendere l’accecamento e la disgrazia di coloro che continuano nel male, e intanto osano pregare senza volontà di correggersi e convertirsi, si serve del seguente paragone: Un tale stava affogato nella melma fino al collo; vedendo passare un viandante, stese le mani e gridò: Deh! abbi pietà di me e cavami di questa pozza. Il viandante gli porse la mano, ma quegli invece di aiutarsene a uscire, cacciò nel fango il braccio che gli veniva in aiuto, e cercò tuffare con sé nella pozzanghera il suo benefattore. Questi allora cambiata la carità in furore, gli disse: Triste ipocrita, perché domandarmi soccorso, mentre tu vuoi rimanerti nel lezzo, e cerchi affondarvi me stesso? Giacché tu ami la corruzione e la morte, restaci; tieni quello che hai scelto. Così fanno coloro i quali pregano Dio che li cavi dalla cloaca impura dei vizi, e frattanto si tengono strettamente abbracciati al vizio; non vogliono uscirne, e si ostinano a rimanervici (In c. IV Apoc.). – Oh! come è grande in questo mondo perverso il numero di coloro che imitano questo infelice! Tutti quelli che non vogliono osservare le leggi di Dio e della Chiesa, uscire dal peccato, allontanarsi dalle occasioni prossime del peccato, si burlano di Dio pregandolo; la loro preghiera è un peccato, è esecrabile O ciechi disgraziati e colpevoli, che non paghi di servirsi di ciò che è male in se stesso, cambiano anche il bene in male; che non contenti di bere acque avvelenate, cambiano in veleno le acque limpide e salutari in se stessei… Come appunto significò Iddio dicendo: « Quando voi stenderete le mani verso di me, io volgerò altrove i miei occhi; voi raddoppierete le preghiere ed io sarò sordo, perchè le vostre mani stillano sangue » (Isai. I, 15). – La ragione ne è evidente, dice Alvarez: Io non vi esaudirò perché siete coperti di peccati volontari: perché per quanto sta da voi, spargete il sangue di Gesù Cristo, e ve ne bagnate le mani (In cap. I Isai.). Non meno fortemente parla, S. Basilio: La causa, egli dice, per cui Dio non ci esaudisce, è che noi lo irritiamo coi nostri peccati. È come se un assassino con le mani tuttora grondanti del sangue di un figlio diletto, da lui svenato sotto gli occhi del padre, andasse a stenderle verso il padre desolato per abbracciarlo e chiedergli grazia. Il sangue del caro figlio, di cui rosseggiano le mani dell’uccisore, non muoverebbe piuttosto a collera che a pietà il padre? E una tal preghiera non è esecrabile? Se questo padre volgerebbe altrove gli occhi e non darebbe retta ad una simile preghiera, come guarderà Iddio, o come potrà esaudire le orazioni di quelli che calpestano le sue leggi, che lo vilipendono senza pentirsene, che vogliono continuare a oltraggiare e crocifiggere il suo divin Figlio? Chi prega Dio senza volontà di uscire dal peccato, tenta Dio, lo provoca, lo irrita con la sua temerità e irriverenza.

 

21. Disgrazia di quelli che non pregano. — Se è disgrazia, anzi peccato il pregare male, e specialmente con volontà di non lasciare la colpa, disgrazia più grave e peccato più enorme è abbandonare la preghiera; poiché sarebbe questo un rinunziare interamente alla propria salvezza e un voler vivere e morire dannato, eternamente reprobo e maledetto… Un orbo che più non vede il sole, è degno di tutta la nostra compassione; ma infinitamente più da compiangere è il cieco spirituale che più non vede la luce della preghiera. S. Bonaventura insegna che colui il quale abbandona la preghiera, porta un’anima morta in un corpo vivo, o è un corpo senz’anima (In Speculo). Abbandonare la preghiera equivale ad essere segnato col suggello della maledizione di Dio e dell’eterna riprovazione che è l’estrema di tutte le sciagure… Oloferne, visitando i dintorni di Betulia, trovò che l’acqua la quale serviva ad abbeverare la città, veniva dal di fuori; ed ordinò che si rompessero gli acquedotti per vincere con la sete la città assediata (Iudith. VII, 6). Il demonio toglie il canale della grazia, quando allontana dalla preghiera; ci priva di forze, ci soggioga e trionfa di noi a suo talento se riesce a farcela abbandonare… « Come città non munita di torri nè di mura, facilmente cade in potere del nemico, così il demonio con poco sforzo espugna e si sottomette un’anima non difesa dalla preghiera, e la spinge a poco a poco ad ogni sorta di scelleratezze ».

22. Mezzi per pregare bene. — 1° Come si può ottenere di non essere distratti, nel tempo della preghiera? domanda S. Basilio, e risponde: Col pensare che si è sotto gli occhi di Dio.

2° « Se procurassimo, dice S. Bernardo, di cercare, di domandare, di battere alla porta con sincera divozione, con grande affetto, con ardente desiderio, state certi che chi domanda riceverebbe, chi cerca troverebbe, a chi picchia sarebbe aperto ».

3° Bisogna accompagnare la preghiera col digiuno e con la elemosina… La preghiera da sola è debole, ma diventa vigorosa e robusta quando sia aiutata dalle due ali del digiuno e della elemosina; con queste ella vola rapida fino al cielo. Perciò il Signore dice: Spezza il tuo pane con l’affamato, da’ ricetto in tua casa al pellegrino, vesti il povero… Poi vieni ad invocarmi ed io ti esaudirò; grida a me ed io ti risponderò : eccomi presente (Isai. LVIII, 7-9). Appoggiato su queste parole, S. Cipriano insegna che Dio non esaudisce la preghiera, se non è congiunta ad opere pie (Serm.). Perciò Daniele diceva di essersi volto a pregare e supplicare Iddio nei digiuni, nella cenere e nel cilizio (Dan. IX, 3).

4° Finalmente chi intende di pregare bene e di ricavare frutto dalla preghiera, deve amare il ritiro: « Io allatterò quest’anima, dice Iddio, la condurrò nella solitudine e parlerò al suo cuore » (Ose. II, 14).

[Fine]

 

LA PREGHIERA (Alapide, 2)

PREGHIERA 2

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol. III, S.E.I. Torino, 1930]

5. Facilità della preghiera. — 6. Bontà infinita di Dio nella preghiera. 7. La preghiera è un onore, una gloria, una felicità. — 8. Motivi di pregare. — 9. Qualità della preghiera . 1° Che cosa si deve fare prima della preghiera; 2° Bisogna pregare nel nome di Gesù Cristo; 3° Bisogna pregare con attenzione; 4° Con zelo, diligenza, fervore; 5° Con fede e confidenza; 6° con umiltà e compunzione; 7° Bisogna pregare per quanto è possibile in istato di grazia; con cuore puro e scevro di odio; 8° Bisogna pregare sovente e perseverare nella preghiera fino alla morte.

5. Facilità della preghiera. — La preghiera è cosa facilissima a tutti, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, vecchi e giovani e tutti possono facilmente pregare. La preghiera, mentre è il più efficace, anzi l’indispensabile mezzo di salute, è nello stesso tempo il più facile. Si può pregare in ogni tempo e luogo… Chiunque ha cuore, possiede tutto quello che occorre per pregare. Dare il cuore a Dio, questo basta: Dio non domanda altra cosa… – Qualcuno alle volte si lamenta che non sa pregare. Come!? Non sapete pregare! questo proviene dal fatto che voi non pregate; pregate, e voi saprete pregare; e quanto più pregherete, tanto più saprete pregare; nessuno diventa sapiente nella preghiera, se non a misura che prega: pregando spesso, s’impara a pregare. – La preghiera è facile, perché può essere breve ed insieme efficacissima. Il Pater, che è la più ricca, la più perfetta di tutte le preghiere; il Pater che racchiude in sè tutte le altre preghiere, è una preghiera non lunga e da tutti conosciuta… Qual fu la preghiera del cieco? «Signore, fate che io veda!». Qual fu la preghiera del pubblicano? « Signore, siatemi propizio, perché io sono un peccatore ». Quale fu la preghiera degli Apostoli in pericolo di naufragare? « Signore, salvateci perché andiamo perduti ». Qual fu la preghiera del centurione? « Signore, io non sono degno che voi entriate in casa mia, ma dite una sola parola, ed il mio servo sarà salvo ». Qual fu la preghiera del buon ladrone su la croce? « Signore, ricordatevi di me quando sarete nel vostro regno ». Tutte queste preghiere sono brevi, facilissime e furono tutte esaudite immediatamente. La preghiera è facile, perché si può pregare in ogni ora, di notte e di giorno. La preghiera è facile, perché Dio che è sempre presente, è sempre disposto ad esaudirci, a soccorrerci, ad ascoltarci. La preghiera è facile, perché Dio è di facile accesso, benché infinitamente grande, vuole che ci rivolgiamo a lui con libertà grandissima. Facile riesce la preghiera, per le consolazioni che vi si gustano ed il sollievo che vi si t.7. rova a tutti i mali.

6. Bontà infinita di Dio nella preghiera. — L’apostolo S. Giacomo dice che chi ha bisogno « domandi a Dio il quale dà a tutti con abbondanza » (Iac. I, 5). Dice S. Giovanni Crisostomo: « Dio vuole che noi riceviamo per mezzo della preghiera quello che desideriamo; oh che felicità, che fortuna è mai questa per noi, di discorrere con Dio, di poter domandare quello che ci abbisogna! ». « Dio è tutto per noi, dice S. Agostino, noi troveremo in lui ogni cosa. Hai tu fame? è tuo cibo; hai tu sete? è tua bevanda; ti trovi a brancolare nel buio? è tua luce; sei tu nudo? è tuo vestimento per l’eternità ». Diciamo pure anche noi con S. Bernardo: « Iddio si è dato tutto a me; si è speso tutto quanto a mio vantaggio» (Servi. IlI, in Circumcis.).
« Dio è vicino a coloro che lo invocano » (Psalm.. CXLIV, 18); e quanti lo invocano, sono esauditi (Psalm. XCVIII, 6). E il Signore medesimo impegna la sua parola, che esaudirà colui il quale leverà a lui le sue grida (Psalm. XC, 15); e si appellava all’esperienza del Salmista, dicendo : « Tu mi hai invocato nella tribolazione, ed io ti ho liberato » (Psalm. LXXX, 8). Insomma, possiamo sfidare con l’Ecclesiastico tutto il mondo a dirci chi mai abbia invocato Dio e non sia stato esaudito (Eccli. II, 12). – È tanta la bontà di Dio, che più desidera egli di dare che non noi di ricevere; e pregato, molto più abbondantemente dà, di quel che non gli si chieda. Iddio, come osserva S. Tommaso, dà 1° liberamente, non vende i suoi doni…; 2° generalmente, non a uno solo, ma a tutti…; 3° copiosamente…; 4° generosamente e senza rimproveri… Si vergogni dunque di se stessa l’indolenza umana; Dio è più disposto a dare che noi a ricevere; è nella natura di Dio il dare.

7. La preghiera è un onore, una gloria, una felicità. — Come è bella e vera quella sentenza del Crisostomo : « La corte e le orecchie dei principi sono aperte per poche persone privilegiate, ma la corte e le orecchie di Dio stanno spalancate per chiunque voglia avervi accesso. »  (De Orand. Dom. 1. II). Nei reali appartamenti non si penetra che a stento; ai monarchi, raro è che si possa parlare, tanti sono gli ostacoli che chiudono il passo alla loro reggia ed alla loro persona! Ma la preghiera ha libera entrata in cielo; essa va a Dio quando le talenta; entra nella corte celeste, si spinge fino al trono della divinità, da sola e ad ogni istante, senza che nessuna guardia le gridi: olà, dove vai? il re del cielo non dà udienza; tu a quest’ora lo importuni. Anzi, le guardie della corte divina, che sono gli Angeli, dicono a chi prega: vieni, entra, chiedi quanto vuoi e ti sarà dato. — E se è onore insigne Tessere ammesso all’udienza di un re, che onore infinitamente più grande non è quello di avere sempre libero l’accesso alla persona del re del cielo! Il mendicante è cacciato via dai palazzi abitati da uomini i quali in fin dei conti sono simili a lui per natura; e i poveri, i miserabili sono quelli che il gran Dio ammette più facilmente nel suo corteo ed ascolta con più premura. Andate, dice continuamente a’ suoi ministri il Re dei re, il Signore dei monarchi, andate per le piazze e per le contrade, nei vicoli e per i crocicchi, e conducete qua tutti gli accattoni, infermi, ciechi, sciancati che troverete e fate loro ressa che entrino, in modo che la mia casa si riempia (Luc. IX, 21-23). Ma non solamente questo gran Dio ci permette di rivolgerci a lui, assicurandoci che ci darà tutto quello che domanderemo, la qual cosa è già altissimo onore e singolarissima distinzione, ma ce ne fa un obbligo… Supponiamo che un mendicante ardisse accostarsi alla mensa di un ricco, con quali parole e con quali maniere ne sarebbe scacciato! e il più misero dei mendicanti va, per mezzo della preghiera, a sedersi quando vuole alla tavola di Dio, presso la persona medesima di Dio. Che dignità! che onore! che gloria!… « Ti è permesso conversare con Dio, scrive il Crisostomo, ti è lecito trattenerti con lui a tuo piacere, per mezzo della preghiera ti è dato di meritare quello che brami. E benché tu non possa intendere con le orecchie del corpo la voce di Dio, ricevendo quello che domandi, ben vedi ch’egli si degna parlare con te, se non con parole certo con benefizi ». Domandate e riceverete, affinché il vostro gaudio sia perfetto, dice Gesù Cristo (Ioann. XVI, 24)… « E qual felicità più grande può avere l’uomo, esclama S. Basilio, che quella di riprodurre su la terra i concerti degli Angeli, attendere alla preghiera su l’alba, esaltare il Creatore con inni e cantici? E poi, spuntato il sole, applicarsi al lavoro, non però mai dimenticando la preghiera? E finalmente, condire come di sale, tutte le azioni con cantici spirituali? ». « Io ho creato la pace per frutto della preghiera», dice il Signore per bocca d’Isaia (Isai. LVII, 19). Ecco la mercede, la felicità, la dolcezza della preghiera: è la pace. Nulla infatti rende l’uomo tanto contento, allegro, tranquillo, quanto la preghiera, principalmente nelle prove, nelle tribolazioni, nella contrizione, e nel pianto dei peccati… Al mondo stolto che non prega, riesce di grave pena la preghiera; non trova tempo per pregare; non può intendere come le anime virtuose possano tanto amare e praticare la preghiera, da consacrarvi ore intere non solo senza noia, ma anzi con diletto. Infelici! essi non conoscono l’unzione della preghiera; non gustarono mai, perché non ne sono meritevoli, o meglio, perché non vogliono, le consolazioni ineffabili, le dolci gioie che accompagnano questo divino trattenimento con Dio! La preghiera è veramente un saggio anticipato delle delizie celesti. Anime tepide, aride, negligenti, pigre, provatevi, fate qualche sforzo, e comprenderete quello che dico, perché lo sentirete, lo proverete in fondo al cuore.

8. Motivi di pregare. — « Domandate, dice Gesù Cristo, cercate, picchiate » (Matth. VII, 7). Domandate per ottenere forze; perché voi non siete che debolezza… Cercate la luce e la verità con la preghiera, perchè voi non siete che tenebre ed errori… Bussate con l’orazione alla porta del cielo e della grazia; perchè vi sono necessari ambedue… Chiedete la grazia senza la quale non potete nulla… Sforzatevi di ritrovare con la preghiera la veste dell’innocenza e delle virtù che avete smarrito… Battete affinchè vi siano aperti i tesori del Cuore ricchissimo di Gesù Cristo. I motivi che ci spingono a pregare sono la nostra povertà…, la nostra fiacchezza…, i nostri debiti spirituali…, le colpe, l’accecamento…, il tempo che ci è dato apposta perchè preghiamo…, la morte…, il giudizio…, l’inferno, il paradiso…, l’eternità.

9. Qualità della preghiera. 1° Che cosa si deve fare prima della preghiera. — « Prima di metterti all’orazione, prepara l’anima tua », dice l’Ecclesiastico (Eccli. XVIII, 23). Ci prepariamo alla preghiera: 1) con la lettura…; 2) col pentimento…; 3) con la considerazione della divina maestà alla quale si va a parlare…; 4) con la meditazione del proprio nulla…; 5) con la considerazione dei propri bisogni…; 6) con la considerazione dei vantaggi della preghiera…; 7) con la premeditazione delle cose che intendiamo domandare, perché non ci accada di chiedere cose o inutili, o nocevoli, o ingiuste; ma la nostra domanda versi intorno ad oggetti giusti, santi, degni di Dio, a lui graditi, a noi salutari. S. Bernardo dice: «Quale tu ti apparecchierai per comparire innanzi a Dio con la preghiera, tale a te si mostrerà Iddio; com’Egli troverà voi, così voi troverete lui; perché Egli è santo, sarà con chi è santo, Egli l’innocente, sarà con l’innocente ».Dio avrà cura di esaudire chi preparerà la sua preghiera nell’attenzione e nel raccoglimento; si mostrerà premuroso e liberale con chi apporterà diligenza e generosità. Chi si mette a pregare senza preparazione, chi si avvicina a Dio senza darsene pensiero, non placa Dio con la sua orazione, ma lo tenta, l’irrita, lo provoca con la sua temerità, con l’audacia, con l’irriverenza, con l’impudenza sua; principalmente poi se trovandosi in peccato, e quindi nemico di Dio e sotto il peso della sua collera, osa chiamarlo amico, senza che provi nessun dolore di averlo offeso. Dio ascolta solamente coloro che gli indirizzano le preghiere accompagnate da fede retta e da buone opere… Dunque, prima di cominciare la preghiera, pensate che voi siete una persona sommamente vile, perché peccatore ingrato, che siete cenere, polvere e corruzione; e per questa considerazione umiliatevi. Pensate quindi alla grandezza del Dio innanzi a cui vi portate con la preghiera; che è un Dio sapientissimo, santissimo, ottimo, onnipotente; amatore delle nature angeliche, riparatore della natura umana, creatore di tutte le cose. Ammirate, rispettate, adorate la divina maestà intimamente presente; ella sta davanti a voi. Amate la sua immensa bontà che è inclinata ad ascoltarvi, ad esaudirvi, a farvi del bene. Riaccendete la vostra speranza, ben sapendo che non uscirete né a mani vuote, né col cuore desolato, dalla presenza di un così gran re, dopo di avergli indirizzata la vostra preghiera. – Ecco un modo pratico per apparecchiarvi alla preghiera: 1) Io intendo pregare per dare lode, benedizione, onore a Dio. Una preghiera cosiffatta è un atto di religione. 2) Mi propongo di pregare Dio per piacergli; questa preghiera vi è ordinata dall’amore. 3) Voglio pregare per ringraziare Dio di tutti i suoi doni temporali e spirituali, concessi a me e a tutti gli altri; ecco un atto di riconoscenza. 4) Voglio pregare per imitare Gesù Cristo, la Beata Vergine Maria, gli Angeli beati e tutti i Santi del cielo, che mai non cessano dal pregare; unisco le mie preghiere alle loro orazioni ed ai loro meriti; ed in questa unione io offrirò le mie preghiere a Dio. Ecco l’iperdulia ed il culto dei Santi… 5) Voglio pregare per ottenere il perdono de’ miei peccati e soddisfarvi; ecco un atto di penitenza… 6) Voglio pregare per la liberazione delle anime del purgatorio, per ottenere ai peccatori il perdono, ai giusti l’aumento della loro giustizia; ecco un atto dell’amor del prossimo… 7) Intendo ancora pregare per chiedere un aumento di grazia e di gloria, cioè di umiltà, di carità, di mansuetudine, di castità, di sobrietà, di forza, di costanza, di perseveranza, di zelo, e in conseguenza per domandare un accrescimento di gloria celeste che corrisponda all’aumento di queste virtù e di queste grazie: ecco un atto di speranza e di differenti virtù… Utilissima cosa è avere tali intenzioni non solamente nella preghiera, ma ancora in tutte le azioni del giorno… Ci siamo noi fino ad oggi apparecchiati così alla preghiera? –

2° Bisogna pregare nel nome di Gesù Cristo. — È promessa formale del divin Redentore, che tutto quello che domanderemo al Padre nel nome suo, egli lo farà (Ioann. XIV, 13). « Se non sempre subito, osserva S. Agostino, sempre per certo; poiché le grazie sono talora differite, non mai negate ». Altra volta ripete: « Vi do la mia parola, che qualunque cosa domandiate al Padre mio in mio nome, egli ve la darà»; e si lagnava con gli Apostoli, che non avessero fino a quel giorno domandato nulla in nome suo (Ioann. XVI, 23-24). Per questo noi vediamo la Chiesa conchiudere tutte le sue orazioni con l’invocazione del nome di Gesù Cristo. – Perché bisogna pregare nel nome di Gesù Cristo? Primieramente, perché Gesù è il nostro mediatore presso il Padre (I Ioann. II, 1). Secondariamente, perché Gesù Cristo ci ha riscattati… In terzo luogo perché tutte le grazie vengono da Lui che ne è l’autore ed il dispensiere… In quarto luogo, perché tutto abbiamo da lui, tutto dobbiamo a Lui, e principalmente l’efficacia delle nostre preghiere… – Quando è che noi domandiamo, ossia preghiamo nel nome di Gesù Cristo? “Risponde S. Gregorio: «Il nome del Figliuolo di Dio è Gesù; e Gesù vuol dire Salvatore : pertanto prega nel nome di Gesù, chi domanda cose le quali veramente giovino alla sua eterna salute ». Siccome poi Gesù Cristo ci ha aperto il cielo, si è fatto uomo ed è morto per procurarcelo, il vero mezzo di pregare nel nome di Gesù Cristo, sta nel mettere in pratica quelle parole del Salvatore: « Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, ed il resto l’avrete per di più » (Matth. VI, 33).

3° Bisogna pregare con attenzione. — Perché mai Gesù Cristo c’inculca di pregare in segreto, di allontanarci dal tumulto quando vogliamo pregare se non per insegnarci a stare attenti e raccolti nel tempo della preghiera? « Quando pregherete, dice, entrate nella vostra camera, e chiuso l’uscio, pregate il Padre vostro in segreto; ed egli che vede nel segreto, vi retribuirà » (Matth. VI, 33). Entrate nella vostra stanza, cioè raccoglietevi dentro di voi medesimi, fate attenzione a quello che dite… Chiudete l’uscio, cioè vigilate sui vostri sensi, cacciate le distrazioni, applicatevi con tutto l’animo all’orazione. Entrate nella vostra cella che è il vostro cuore; perché, secondo la frase di S. Francesco d’Assisi, « quando preghiamo, il corpo deve tenere luogo di cella, e l’anima fare l’uffizio di romito ». «State attenti nelle vostre preghiere», avvisa S. Pietro (I, IV, 7). « Non impiegate nel pregare molta copia di parole, scrive S. Agostino, ma con poche parole la preghiera riesce eccellente, quand’è fatta con pia e perseverante attenzione ». Tale era la preghiera di S. Paolo il quale diceva: « Pregherò con lo spirito, pregherò con attenzione » (I Cor. XIV, 15).Quando noi preghiamo, è come se dicessimo col Salmista: «Signore, porgete l’orecchio alle mie parole, ascoltate le mie grida; o mio re, o mio Dio, ascoltate la mia preghiera » (Psalm. V, 1-2). « Signore ascoltate la mia preghiera; essa non viene da bocca mentitrice » (Psalm. XVI, 1). Ora qual sarebbe la sfrontatezza, l’audacia nostra se mentre diciamo a Dio: ascoltateci, porgeteci orecchio, esaudite le  preghiere che in tutta sincerità vi indirizziamo, noi non facessimo punto attenzione a quello che diciamo, non pensassimo a quello che domandiamo, non sapessimo nemmeno noi quello che vogliamo? Noi siamo del continuo in distrazioni volontarie, attendiamo all’orazione sbadati, svagati, pigri, sonnolenti, pensando a tutt’altro che a Dio: ed è questo un pregare? Non è piuttosto un burlarsi di Dio, un insulto a Gesù Cristo? – La preghiera è un’elevazione della mente a Dio. Ma se mentre la bocca prega, l’anima vaga su la terra, si occupa della famiglia, degli affari, delle creature, e simili cose, può essa dire che è elevata a Dio? Ah! una tale preghiera, non merita il nome di preghiera. Noi ci lamentiamo molte volte che non otteniamo quello che domandiamo’. Ah! non è Dio che ricusi di darcelo, ma siamo noi che rifiutiamo di riceverlo. Oseremmo noi tenere tal modo nel chiedere qualche cosa agli uomini? « Voi domandate, diceva già S. Giacomo, e non ricevete, perchè domandate male » (Iac. IV, 3). « Ipocriti, direbbe Gesù Cristo a costoro, bene ha di voi profetato Isaia dove dice : Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me » (Matth. XV, 7-8).

4° Con zelo, diligenza, fervore. — Quando Gesù c’inculca di domandare, di cercare, certo egli c’insinua con questo modo di parlare, che la preghiera nostra dev’essere fatta con diligenza, zelo, fervore. Tale era la costumanza del profeta Davide il quale poteva dire a Dio: « O Dio, Dio mio, io vi cerco fin dall’aurora; chè assetata di voi è l’anima mia » (Psalm. LXII, 2). E poi ancora: « Io mi sono ricordato di voi stando nel mio letto nel più alto della notte; io ho meditato le vostre meraviglie al primo rompere dell’alba » (Id. 7). « A voi ho gridato, o mio Signore; e al mattino la mia preghiera vi previene » (Psalm. LXXXV, 14). I Santi vegliano la notte in preghiere, si alzano di buon mattino per pregare; e noi? noi poltriamo, noi dormiamo.
« O anima, dice S. Agostino, sii sollecita con Colui che è tutta sollecitudine a tuo riguardo; sii pura con Colui che è puro, sii santa con Colui che è santo, sii a disposizione di Colui che sta interamente ai tuoi cenni; quale sarai per Iddio, tale sarà Iddio per te »; cioè, come si esprime S. Eucherio di Lione: « quanta premura e diligenza noi portiamo all’orazione, tanta ne porrà Dio a esaudirci e a concederci le sue grazie» (Epist.). Se voi siete solleciti della preghiera, se procurate di prepararvi, di attendervi, di ben fare, Dio vi ammetterà Volentieri alla sua udienza, coronerà i vostri voti, adempirà i vostri desideri, vi colmerà di benefizi. Quanto meglio le vostre disposizioni concorderanno con quelle di Dio, tanto più vi ascolterà con piacere, vi risponderà con sollecitudine; poiché l’amico conversa volentieri con l’amico, si trattiene con lui lieto e festoso… « La preghiera, scrive l’Alvarez, non è sonno, ma veglia; non pigrizia, ma attività; perché il cuore deve applicarsi con diligenza, e l’intelletto adoprarsi con sollecitudine a comprendere le cose divine, affinché la volontà le gusti e vi si affezioni ». – Noi siamo sicuri di ottenere tutto ciò che domandiamo con la carità. Una preghiera breve ma fervente, vale infinitamente meglio che lunghissime orazioni fatte con tedio e rilassatezza. «La preghiera fervorosa, dice S. Bernardo, penetra certamente i cieli, donde non ritorna mai, senza alcun dubbio, vuota di effetto. Il grido che va diritto a ferire le orecchie di Dio, è il desiderio ardente che si sprigiona dal cuore per mezzo della preghiera ». « Non sono le alte grida, dice il Crisostomo, che scuotono Iddio, ma è il fervido amore, quello che lo muove. Dio non ascolta la voce, ma il cuore ». – « Voi m’invocherete, dice Iddio, e vi partirete esauditi; mi cercherete e mi troverete, perché mi avete cercato con tutto il cuore » (Ier. XXIX, 12-13). Ecco perché il re Profeta diceva che aveva trovato il suo cuore, per pregare (II Reg. VII, 27) : e si augurava che la sua preghiera salisse al cielo come incenso di soave odore (Psalm. CXL, 2). La preghiera fervorosa è incenso di grato odore. Tre cose si richiedono affinché l’incenso s’innalzi e sono l’incensiere, il fuoco, l’incenso. L’incensiere è il cuore, il fuoco dell’incensiere è l’amor di Dio, l’incenso è la preghiera. Senza fuoco, inutile è l’incenso. Quando il cuore avvampa di fervore, la preghiera sale in un attimo fino a Dio, e Dio colma l’anima di mille favori… La preghiera fiacca e accidiosa, è una preghiera non esaudita.

5° Con fede e confidenza. — Sono chiare le parole di Gesù Cristo : « Tutto quello che domanderete con fede, lo riceverete » (Matth. XXI, 22). È vero che la preghiera suppone la fede, altrimenti non si pregherebbe; ma questa non basta, si richiede una fede ferma e viva. Udite l’apostolo S. Giacomo : Se alcuno abbisogna di sapienza, si volga a chiederla a Dio, il quale la dà a tutti con abbondanza, e gli sarà data. « Ma domandi con fede, senza dubitare; perché chi dubita somiglia al flutto del mare, agitato e sobbalzato dal vento. Questo tale non si dia a credere di ricevere cosa veruna » (Iac. I, 5-7). « Il fondamento della preghiera è la fede; dunque, ne conchiude S. Agostino, crediamo per poter pregare, e preghiamo che questa fede la quale ci fa pregare, non ci manchi mai, né si intepidisca : la fede inspira la preghiera: la preghiera fatta ottiene la conferma della fede. Vegliate e pregate affinché non entriate in tentazione: che cosa è entrare in tentazione, se non uscire dalla fede? ». – «Bussate e vi sarà aperto», dice Gesù Cristo (Matth. VII, 7). Domandare e battere indicano la confidenza: non si domanderebbe, tanto meno poi si picchierebbe, quando non si avesse speranza di ottenere. Ma ci vuole una fiducia intera, assoluta, irremovibile… Si cerca, perché si ha fiducia di trovare. In ogni altro luogo la confidenza può essere ingannata; nella preghiera, non mai… Se Dio indugia a concederci quello che chiediamo, si raddoppi la confidenza e si otterrà. Quello che domandate, l’avrete a suo tempo. « Dio, dice il Profeta Abacuc, non ingannerà la vostra fiducia; se tarda a venire, aspettate, poiché verrà e non tarderà » (II, 3). Indegna cosa è tentennare nella confidenza… Chi manca di fiducia non merita di essere esaudito… La confidenza e la fede sono come le due ali della preghiera, con le quali essa Aula fino al trono di Dio e ottiene tutto ciò che le aggrada…

6° Con umiltà e compunzione. — Se, come insegna S. Paolo, noi non siamo capaci di concepire da noi medesimi il menomo buon pensiero, ma Dio è quegli che ce ne dà il potere (II Cor. II, 5), pensate voi se potremo pregare; importa adunque che chi vuole pregare si umilii innanzi a Dio, riconosca le sue miserie e i suoi bisogni, « L’orazione dell’uomo che si umilia, dice il Savio, passa le nubi, penetra nel cielo e non se ne parte finché l’Altissimo l’abbia guardata » (Eccli. XXXV, 21). No, Dio non isdegna mai né rigetta la preghiera dei poveri, cioè di quelli dal cuore umile, la guarda anzi con occhio benigno e cortese; come ci assicura il Salmista: (Psalm. XXI, 25) (Psalm. CI, 18); il quale perciò diceva a Dio: « Ascoltate la mia preghiera, perchè io mi sono umiliato profondamente » (Psalm. CXLI, 7). – L’umiltà è chiamata dal Crisostomo, il carro della preghiera (De Orat.). Anzi possiamo dire che essa le dà le ali con cui essa vola rapidissima al cielo, e senza le quali non fa che strisciare su la terra. Ne avete palpabile esempio nella preghiera del pubblicano, che è accettata immantinente ed esaudita da Dio, mentre quella del fariseo viene ributtata e punita. Osservate anche la preghiera del centurione: per umiltà e basso sentire che aveva di se medesimo, si professa indegno di accogliere tra le sue mura Gesù Cristo; ma appunto perché se ne conosce indegno, Gesù Cristo vuole andarvi. Ah! « Dio resiste agli orgogliosi, dice S. Giacomo, e dà la grazia sua agli umili » (Iac. IV, 6). – Nelle nostre preghiere dobbiamo imitare il mendicante. Appoggiato al suo bastone, il capo scoperto, se ne sta alla porta domandando un tozzo di pane per carità, e se ha alcune piaghe, le tiene scoperte. Tutte queste cose, i suoi cenci, le sue miserie, la sua voce fioca, la sua posizione umile, toccano il cuore del ricco il quale stende la sua mano benefica a sollevarlo… Noi siamo tutti quanti, dice S. Agostino, i mendicanti del grande Padre di famiglia; noi stiamo prostesi alla sua porta per domandargli il nostro pane quotidiano. Noi siamo stati scacciati dal paradiso terrestre, spogliati della veste dell’innocenza e privati di ogni bene, dal demonio e dal peccato. Bisogna dunque domandare con umiltà profondissima (Serra. XV, de Verb. Dovi. sec. Matth.); così pregando siamo certi di ottenere quanto ci occorre, perchè sempre Iddio gradì l’orazione degli umili (Iudith. IX, 16). – Quello poi che serve a un tempo ad eccitare in noi l’umiltà e a renderla certamente gradita a Dio e salutare a noi, è la compunzione del cuore; perchè Iddio non ripudia mai da sè un cuore contrito ed umiliato (Psalm. L, 19); e l’anima che prega compunta e contrita, al dire , di S. Bernardo, avanza rapidamente nella strada della salute. – « La preghiera, scriveva S. Agostino, si fa meglio con gemiti che con parole, più con le lacrime che con la lingua ». Oh come bella ed efficace preghiera sono le lacrime del cuore! « Quando tu pregavi piangendo, disse l’Angelo a Tobia, io presentava la tua preghiera al Signore » (Tob. XII, 12). « Mescoliamo le lacrime alle preghiere, ci suggerisce S. Cipriano: queste sono armi celesti le quali ci rendono invincibili: queste sono fortezze spirituali, e scudi divini che ci difendono ». Lisia si avanza alla testa di ottantamila uomini e di un forte nerbo di cavalleria e va ad assediare Betsura. Corsa voce a Giuda Maccabeo, che il nemico investiva la fortezza, si gettò per terra co’ suoi a domandare al Signore con pianto e gemiti che inviasse un Angelo per la salvezza d’Israele. Allora un cavaliere comparve innanzi ad essi, bianco vestito, con armi d’oro e con la lancia in pugno. Forti di questo soccorso, Giuda col suo esercito attacca battaglia col nemico, ne uccide gran parte, l’altra mette in fuga, riportando una splendida vittoria (II Mach. XI).

7° Bisogna pregare per guanto è possibile in istato di grazia; con cuore puro e scevro di odio. — Ci assicura S. Giacomo, che molto può la preghiera fervente e assidua del giusto (Iac. V, 16); e le preghiere che S. Giovanni vide esalare come profumi dalle coppe d’oro ch’erano tenute in mano dagli Angeli in Cielo, erano le preghiere de’ Santi (Apoc. V, 8). Le orazioni di coloro che si trovano in istato di grazia, sono paragonate ai profumi, a cagione del loro valore e del buon odore. Se Aronne, ponendosi in mezzo al popolo e alzando la voce a Dio con la preghiera, fece cessare la peste che mieteva la moltitudine, è perchè era giusto e santo (Num. XVI, 46). Se Mosè, Elia, Samuele, ecc. avevano tanta forza con le loro preghiere, da ottenere quanto chiedevano, e più ancora, lo dovevano allo stato di grazia in cui si trovavano. – Benché sia cosa desiderabile che chi prega si trovi in istato di grazia, tuttavia il peccatore il quale ha perduto la grazia, deve anche egli pregare, e pregare molto e più che il giusto, per ottenere il perdono de’ suoi peccati e riconciliarsi al più presto con Dio. Il malato ha bisogno di medico e di medicina; ora il peccatore è affetto dalla più spaventosa e orribile malattia che lo condurrebbe al sepolcro dell’inferno, se non adoprasse l’efficace rimedio dell’orazione, se non facesse ricorso a Gesù vero medico. – « Beati quelli dal cuore puro, perchè essi vedranno Dio », disse Gesù Cristo (Matth. V, 8). Ora se avviene che i puri, i casti veggano Dio quaggiù in terra, questo certamente avviene nella preghiera. Se noi ci presentiamo innanzi a Dio per pregarlo con cuore puro, noi potremo, diceva l’abate Giovanni, per quanto è possibile a uomo vestito di carne, vedere Dio e a lui volgere nella nostra preghiera, l’occhio del nostro cuore, e contemplare in ispirito l’Invisibile (Vit. Patr.). La castità di Giuditta unita alla sua preghiera, salvò il popolo giudeo da uno sterminio totale. La preghiera che parte da un’anima casta, pura, senza macchia, è infinitamente cara e gradita a Dio, e riesce onnipotente per l’uomo. – Ora che cosa sarà della preghiera che esce da un’anima travagliata dall’ira, rosa dall’odio? « Ah! nessuno, esclama S. Giovanni Crisostomo, sia così audace che si accosti a Dio con la preghiera, se cova nel suo cuore odio e vendetta ». Dio rigetta non meno con orrore la offerta, il sacrificio di chi prega con odio in cuore, che l’oblazione di chi prega col cuore volontariamente tuffato nel più fetente lezzo. – La preghiera perché  sia esaudita deve sgorgare da un cuore scevro di mal talento e pieno di carità. Pregando, l’uomo vuole e domanda che Dio gli usi misericordia; bisogna dunque che dimentichi e perdoni egli medesimo le ingiurie ricevute da’ suoi simili. Tutte le volte che l’uomo che odia profferisce quelle parole del Pater: Perdona a noi come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offesi, pronunzia la sua condanna; la sua preghiera è un oltraggio.

8° Bisogna pregare sovente e perseverare nella preghiera fina alla morte. — Non basta pregare una volta, ma bisogna essere assidui a questo esercizio, e mantenervisi perseveranti fino alla morte. « È necessario pregare sempre e non stancarsi mai » (Luc. XVIII, 1). « Se egli continua a bussare, vi assicuro che gli sarà dato tutto ciò che gli abbisogna » (panes) (Luc. XI, 8). « Io vi dico domandate e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto» (Ib. 9). Tutte queste sentenze sono di Gesù Cristo il quale, notate che non dice : domandate, cercate, battete una volta, due, dieci, mille volte; ma in termini generali raccomanda di sempre chiedere, sempre bussare. E la parola confortava con l’esempio; perché nella preghiera consumava le notti intere (Luc. VI, 12). Tre volte egli prega nel giardino degli ulivi, e solamente dopo la terza volta discende un Angelo a consolarlo. Non è questo un sublime esempio ed un forte stimolo per noi a perseverare nella preghiera? « Quando Iddio tarda un po’ a darci quello che gli domandiamo, ci vuole far notare il valore de’ suoi favori, non ce li nega, scrive S. Agostino; cosa lungamente aspettata, arriva più dolce e cara; se è subito concessa, non se ne tiene conto. Chiedendola e cercandola, cresce con l’appetito il gusto che poi si prova nell’assaporarla ». Quanti beni preziosi e abbondanti non ci darà Iddio nella sua bontà, dice il medesimo Santo; quel Dio che ci esorta a domandare e quasi si corruccia se non domandiamo; insistendo presso di lui con una violenza che, al dire di Tertulliano, gli riesce gratissima (Lib. de Orat.). Del resto, quegli che non persevera nella preghiera, non raccoglie nessun frutto duraturo: come non conseguisce il premio quel corridore il quale cade sfinito prima di avere toccato la mèta: la similitudine è di S. Lorenzo Giustiniani. – Degli Apostoli narra S. Luca, che ritornati a Gerusalemme dopo aver assistito all’ascensione del Salvatore, erano del continuo nel tempio a cantare le lodi del Signore (Luc. XXIV, 53); e perseveravano tutti d’accordo nella preghiera con le sante donne e con Maria madre di Gesù, e con i suoi fratelli (Act, I, 14). E tanto era l’amore che portavano alla preghiera, che rinunziarono ad ogni esteriore faccenda, per consacrarsi tutti di proposito alla preghiera continua (Act. VI, 4). Da ciò si comprende come inculcassero con tanta premura la preghiera ai cristiani. « Pregate con ogni sorta d’istanza e di supplica, in tutti i tempi, vigilando e pregando senza tregua, in ispirito, per tutti » (Eph. VI, 18). « Vegliate e perseverate nella preghiera con azioni di grazie » Coloss. IV, 2). « Pregate senza posa » (I Thess. V, 17). « La vera vedova deve perseverare giorno e notte nelle preghiere e nelle suppliche » (7 Tim. V, 5). E quello che raccomandava ai fedeli, lo eseguiva l’Apostolo medesimo che poteva dire di se stesso: «Io prego del continuo per voi » —  (Coloss. I, 3). « Non cesso mai dal pregare per voi e dal domandare che siate forniti della cognizione della volontà di Dio in tutta saviezza e intelligenza spirituale; affinché vi regoliate in maniera degna di Dio, cercando di piacere a lui in tutto » (Ib. 9-10). Mentre S. Pietro era custodito in carcere non si cessava di pregare per lui (Act. XII, 5); e Pietro ne fu scampato; perché grande valore, dice l’Apostolo S. Giacomo, ha la preghiera del giusto purché sia assidua (Iac. V, 16). – Dice S. Gregorio: « Iddio vuole che lo si preghi, che gli si faccia violenza, che lo si vinca con l’importunità. Perciò dice: Il regno de’ cieli va tolto a viva forza, e se ne impadroniscono quelli che usano violenza. Siate dunque assidui alla preghiera, siate importuni nelle vostre suppliche, non scoraggiatevi delle ripulse. Se colui che tu luoghi, pare che non ti ascolti, fagli violenza acciocché riceva il regno dei cieli: sii violento per forzare la porta del cielo. Dolce violenza è questa, per cui Dio non si offende, ma si placa: non si danneggia il prossimo, ma lo si aiuta; non si fa peccato, ma lo si cancella ». Ascoltiamo perciò il consiglio di S. Gerolamo : « Uscendo di casa tua, armati dell’orazione, e rientrandovi, riabbracciala; non dare mai riposo al tuo corpo se prima non hai nutrito l’anima con la preghiera ». Procuriamo con ogni diligenza, secondo il suggerimento di Bartolomeo dei Martiri, di far sì che per mezzo dell’assiduità alla preghiera, il nostro cuore stia sempre aperto a Dio : ricordando quel detto di S. Isidoro: « Chi vuol essere del continuo con Dio, deve frequentemente leggere e pregare: la frequenza nella preghiera ci ripara dall’assalto dei vizi ». Noi dovremmo poter dire col Salmista: «Abbi pietà di me, o Signore, perché ho gridato a Te tutto il giorno » (Psalm. LXXXV, 3). Questo re ci assicura ch’egli lodava e pregava il Signore sette volte al giorno: (Psalm. CXVIII, 164). Nel fatto di Giuditta è notato che, convocato tutto il popolo nel tempio, vi passò la notte in orazione, chiedendo soccorso al Dio d’Israele (Iudith. VI, 21). Che cosa fece Gesù allorché si trattò di scegliere i discepoli? « Se ne andò su la montagna a pregare, e stette in orazione tutta la notte: fattosi giorno, radunò intorno a sé i discepoli e ne scelse dodici tra loro, i quali chiamò Apostoli » (Luc. VI, 12-13). Impariamo da questo esempio a non mettere mai mano ad affare d’importanza, senza aver prima, sovente e per lungo tempo, invocato con la preghiera i lumi dello Spirito Santo. «Attendiamo dunque, conchiudiamo con S. Cipriano, a frequenti preghiere» (Epl. ad Mairtyr.); e ricordiamoci che, come dice lo Spirito Santo, è perseverante nella preghiera, colui che non cessa di pregare finché non abbia ottenuto dall’Altissimo quello che domanda (Eccli. XXXV, 21). Nella perseveranza sta la forza della preghiera; essa ottiene tutto quello che domanda con assiduità… La preghiera perseverante è indicata dal Crisostomo, come l’arma più forte (De Orando Dovi.). Chi non cessa di starsene accanto a Dio per mezzo di una preghiera perseverante, assicura l’anima sua da ogni tirannia di passioni…

                                                                                                                          [2- Continua]

 

LA PREGHIERA (Alapide, 1)

PREGHIERA (1)

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol. III, S.E.I., Torino, 1930]

1.-La preghiera, e sua necessità. — 2. Esempio di Gesù Cristo e dei Santi. — 3. Eccellenza della preghiera. 4. Efficacia della preghiera: 1° Gesù Cristo ci assicura che con la preghiera otteniamo tutto ciò che domandiamo; 2» La preghiera ottiene la saviezza e consola; 3° Chi prega sarà liberato dalle tribolazioni e dalle infermità; 4° Con la preghiera si ottiene la sanità dell’anima; 5° La preghiera opera una vera trasfigurazione nell’uomo; 6° La preghiera è onnipotente; 7° La preghiera è il terrore dei demoni; 8° La preghiera illumina; 9° Per la preghiera si ottiene la conversione dei peccatori; 10° La preghiera ci salva; 11° La preghiera contiene beni immensi. —

1. La preghiera, e sua necessità. — La parola preghiera nel linguaggio della Chiesa si dice oratio, quasi oris ratio, cioè ragione della bocca. La ragione infatti si manifesta per mezzo della parola, specialmente della preghiera, perché la preghiera fu data da Dio all’uomo per supplire la ragione; quel che la ragione, oscurata dal peccato, non può comprendere, lo comprende la preghiera… Del resto, presa in se stessa, la preghiera è un’elevazione della mente a  Dio, per la quale l’anima contempla, loda, ammira, ringrazia Iddio, ovvero gli espone i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi voti, e gli chiede che li soddisfi. Quanto e nell’uno e nell’altro senso sia necessaria la preghiera si vede facilmente se si getta uno sguardo sul Vangelo, su la dottrina dei Padri, su se medesimo: « Domandate, dice Gesù Cristo, cercate, bussate » (Matth. VII, 7). Ecco tre imperativi, e quando Dio parla in modo imperativo, la sua parola importa uno stretto dovere d’ubbidienza. « Bisogna pregare sempre e non stancarsi mai », dice ancora il Salvatore (Luc. XVIII, 1).
La preghiera è necessaria nello stato infelice di peccato per uscirne…; è necessaria nello stato di grazia per perseverarvi…; è necessaria per ottenere la grazia, senza la quale non siamo capaci di nulla…; è necessaria nelle tentazioni. Vegliate e pregate, ci ripete Gesù, come già agli Apostoli diceva: « Vegliate e pregate affinchè non cadiate nella tentazione; perché pronto è lo spirito, ma inferma la carne » (Matth. XXVI, 41). Chi non prega è come una città senza difesa, circondata, anzi già corsa da masnade di nemici.
« La preghiera è per l’uomo, come l’acqua per il pesce », dice il Crisostomo (Lib. II, De orand. Dom.in.). La preghiera è per l’anima nostra, quello che il sole è per la natura, per vivificarla e fecondarla, quello che è l’aria per i nostri polmoni, il pane per la vita materiale, l’arma per il soldato, l’anima per il corpo… E come no? dice infatti l’Apostolo: « Noi non bastiamo da noi medesimi nemmeno a pensare cosa veruna come di propria nostra virtù; ma ogni capacità e sufficienza ci viene da Dio (Il Cor. IlI, 5). Quindi pregate, ma pregate del continuo (I Thess. V, 17). Ah! ben comprendeva la necessità della preghiera il profeta Davide il quale diceva: « A voi rivolgo, o Signore, la mia prece, esauditemi secondo la moltitudine delle vostre misericordie. Cavatemi dal fango, affinché non vi resti affogato. Campatemi dagli artigli de’ miei persecutori, strappatemi al seno dell’abisso. La tempesta delle acque non mi sommerga, non m’ingoi il baratro, né si chiuda sul mio capo la bocca della voragine. Esauditemi, Signore, nella grandezza della vostra clemenza, e non torcete il volto dal vostro servo; io gemo tra angosce, affrettatevi a consolarmi. Venite, liberate l’anima mia, toglietemi al furore de’ miei nemici (Psalm. LXIII, 14-19). Signore, siatemi propizio ed esauditemi, perché povero ed indigente sono io » (Psalm. LXXXV, 1). « Io ho steso le mie mani verso di voi, come terra arsa da lunga siccità, la mia anima ha sete di voi, o Signore; correte in mio soccorso, perché il cuore mi vien meno » (Psalm. CXLII, 6-7). « Chi vuole stare con Dio, deve pregare, dice S. Isidoro; ogni qual volta il peccato minaccia l’anima nostra, ricorriamo alla preghiera ». « Figlio mio, dice l’Ecclesiastico, non lasciarti cadere d’animo nella tua infermità; ma prega il Signore, ed egli ti guarirà » (Eiccli. XXXVII, 9). Quindi il profeta Gioele ordinava ai sacerdoti e ai ministri del Signore che piangessero tra il vestibolo e l’altare, e gridassero: Perdonate, o Signore, perdonate al popolo vostro, e non permettete che l’eredità vostra divenga oggetto di scherno (Ioel. II, 17). Perciò con ragione S. Tommaso insegna che « dopo il battesimo è necessaria all’uomo una continua preghiera » (2a, 3, q. 5, art. 8). La preghiera è dunque necessaria perchè Dio la comanda; è necessaria per trionfare dei nostri nemici, per uscire dal peccato, per non ricadervi, per lavorare alla nostra salute, per ottenere la grazia, senza la quale non vi è salute; è necessaria per corroborare la nostra fiacchezza, per praticare la virtù, per arrivare al cielo…

2. Esempio di Gesù Cristo e dei Santi. — L’Evangelista S. Marco dice di Gesù Cristo, che si levava in sul fare del giorno e andava a pregare in un luogo deserto, ovvero saliva ad orare sopra un monte (I, 35) (Id, VI, 46). La medesima cosa attesta S. Luca, aggiungendo che nella preghiera spendeva le notti intere, e durante la preghiera avvenne la sua trasfigurazione (VI, 12, IX, 28). Da tutti gli Evangelisti poi sappiamo che non imprendeva mai opera di rilievo, non faceva mai miracolo senza che vi facesse precedere la preghiera. Prega nel giardino degli Ulivi, prega su la croce; la vita sua intera non è che una continua preghiera.Da lui ammaestrati, gli Apostoli dicevano: « Noi ci consacreremo del tutto all’orazione » (Act. VI, 4); e della moltitudine dei primi cristiani attesta S. Luca, che si erano tutti dati ad una continua preghiera comune (Id. I, 14). E quando Pietro vien gettato, carico di catene, in prigione, l’assemblea dei fedeli non cessa più di porgere preghiere a Dio per la sua liberazione (Id. XII, 5). –  « Noi preghiamo sempre per voi, scriveva S. Paolo ai Colossesi; e non ci restiamo mai dal domandare a Dio che vi riempia della cognizione della sua volontà, in tutta sapienza e intelligenza spirituale; affinché voi vi conduciate in maniera degna di Dio, cercando di piacere a lui in ogni cosa, fruttificando in ogni opera buona, e crescendo nella scienza di Dio ». I Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli i Santi tutti dell’antica e della nuova legge furono uomini di preghiera… Leggete le vite degli uomini di Dio, voi non ne trovate alcuno che non sia stato uomo di continua e fervente preghiera.
3. Eccellenza della preghiera. — Il pregio di un diamante è lo stesso, o che si trovi nelle mani di rozzo villano, o che si trovi nello scrigno di un gioielliere; cosi pure, dice S. Giordano, la preghiera è cosa tanto eccellente in se stessa, che tanto vale in bocca di un idiota quanto su le labbra di un dotto (Surius, In Vita). E infatti, udite l’elogio che ne tesse S. Efrem : « La preghiera è la custode della temperanza, il freno dell’iracondia, la repressione di un’anima orgogliosa, il farmaco contro l’odio, la giusta costituzione delle leggi e del diritto, la potenza dei regni, il trofeo e lo stendardo di una giusta guerra, la protettrice della pace, il sigillo della verginità, la custodia della fedeltà coniugale, il bastone dei viandanti, la guardiana di quelli che dormono, la fertilità per i coltivatori, lo scampo dei naviganti, l’avvocata dei re, la consolazione degli afflitti, la gioia di quelli che godono, il conforto di chi piange, il buon esito dei moribondi. Ah no! non vi è, in tutta la vita dell’uomo tesoro paragonabile alla preghiera ». L’Apocalisse ci dice che gli Angeli in cielo stanno innanzi all’Agnello, tenendo ciascuno arpe e coppe d’oro piene di profumi che sono le preghiere dei Santi (Apoc. V, 8). Le preghiere, quelle specialmente delle anime ferventi, sono paragonate ad un grato profumo sparso per l’atmosfera. Infatti, 1° la preghiera sale come il fumo d’incenso verso il cielo; 2° spande nello sprigionarsi tutt’attorno soavi olezzi; 3° come l’incenso caccia il fetore, così la preghiera caccia il pestifero lezzo del peccato, fuga i demoni, calma l’ira divina; 4° l’incenso brucia e fuma quando è messo sul fuoco; e la preghiera s’infiamma, nel fuoco delle tribolazioni; 5° i profumi sono composti di aromi polverizzati, la preghiera deve partire da un cuore spezzato dall’umiltà e dalla mortificazione; così pure dobbiamo seppellire l’anima nella preghiera, perché più non ne esca e conservi l’incorruttibilità datale dalla grazia. Espressioni consimili a quelle di S. Giovanni adopera l’Ecclesiastico là dove dice che « l’oblazione del giusto (e quale più vera oblazione della preghiera?) impingua l’altare ed esala nel cospetto dell’Altissimo soavissimo odore » (Eccli. XXXV, 8). « La preghiera è, dice S. Agostino, la cittadella delle anime pie, la delizia del buon angelo, il supplizio del diavolo, grato ossequio a Dio, gloria perfetta, speranza certa, sanità inalterabile, comprende insomma tutta la lode e tutto il merito della penitenza e della religione ». La preghiera è un colloquio con Dio; essa è il preludio della beatitudine eterna, l’occupazione degli Angeli, la soluzione di tutte le difficoltà, il rimedio di colui che è infermo nella via del Signore, la correzione e la fecondità dell’anima, l’abbracciamento dello Spirito Santo, la gioia e l’allegrezza… I Padri della Chiesa e i teologi insegnano che vi sono tre specie di buone opere alle quali tutte le altre si rannodano come membri al capo : la preghiera, il digiuno, la elemosina. La preghiera paga quello che è dovuto a Dio: il digiuno, quello che dobbiamo a noi medesimi; la elemosina, quello che dobbiamo al prossimo. La preghiera è paragonata alla rugiada. Come la rugiada tempera l’ardore dell’estate e rinfresca i corpi arsi dal calore solare, così la preghiera, questo familiare abboccamento con Dio, smorza le fiamme della concupiscenza e delle passioni: «Nella preghiera, scrive San Bernardo, si beve il vino celeste che rallegra il cuore dell’uomo; il vino dello Spirito Santo che bea l’anima e le fa dimenticare i piaceri carnali. Questo vino si confà ai bisogni di una coscienza arida e secca; converte nella sostanza dell’anima gli alimenti delle buone opere e ne informa tutte le facoltà rafforzando la fede, consolidando la speranza, dando vigore e ordine alla carità, gravità e fermezza ai costumi ». La preghiera somiglia a fiori belli e soavi che dilettano lo sguardo di Dio, e il cui divino olezzo s’innalza fino al trono di Dio. Ha l’odore della viola, il candore del giglio, la bellezza e l’incanto della rosa. È un fiore d’oro tinto dei più vaghi colori e spirante i più squisiti profumi; rallegra Dio medesimo, e riempie l’anima di celeste delizia…

4. Efficacia della preghiera. 1° Gesù Cristo ci assicura che con la preghiera otteniamo tutto ciò che domandiamo. — « Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perchè chi domanda, riceve; chi cerca, trova; e a chi picchia sarà aperto » (Matth. VII, 7-8). « Vi è forse un padre così crudele che a un figlio il quale gli domandi pane, dia una pietra? o gli dia invece di pesce, un serpente? Se dunque voi, cattivi come siete, sapete dare ai figli vostri cose buone, quanto più il Padre vostro che è nei cieli, vi darà quello che di buono domandate (Id. 9-11). State certi che tutto quello che dimanderete al Padre mio in mio nome, io lo farò; affinchè il Padre sia glorificato nel Figlio. E anche, se a me domanderete cosa alcuna in mio nome, io la farò (Ioann. XIV, 13-14). « Sì, vi dò mia parola, che qualunque cosa domandiate a mio Padre in mio nome, egli ve la darà. Fino ad ora non avete chiesto nulla in nome mio: domandate e riceverete, affinché sia compiuta la vostra gioia »  (Ioann. 23-24). Udite ora la conferma di queste promesse del Signore dalla bocca di chi ne parla per esperienza : « Io ho gridato al Signore, e mi ha esaudito » (Psalm. IlI, 5). « Mentre tuttora l’invocava, il Signore mi ha esaudito»  (Id. IV, 2). « Il Signore mi esaudirà quando, griderò a lui » (Id. IV, 4). « Il Signore mi ha inteso, si porse attento alla voce della mia preghiera » (Id. LXV, 19 )(Id. XCVIII, 6). « Egli alzerà la voce verso di me, ed io l’ascolterò », dice il Signore (Id. XC, 15). « Il Signore sta vicino a coloro che lo pregano, a quelli che lo invocano con sincerità di cuore » (Id. CXLIV, 18). Dietro queste molteplici testimonianze chiare, precise e positive della Sacra Scrittura, chi potrà dubitare che la preghiera non ottenga tutto ciò che domanda a Dio?

La preghiera ottiene la saviezza e consola. — « Se vi è tra di voi, dice S. Giacomo, chi abbisogni di sapienza, la domandi a Dio, il quale la dà a tutti in abbondanza, senza rifiutare persona; e gli sarà data » (Iac. I, 5). « Io ho desiderato e mi fu data l’intelligenza, confessa di sé Salomone, io ho pregato, e in me venne lo spirito di saggezza » (Sap. VII, 7). – « Geme alcuno di voi nella mestizia? preghi (e sarà consolato) » (Iac. V, 13). La preghiera è rimedio efficacissimo a guarire ogni piaga, ogni miseria; asciuga le lagrime, mitiga i dispiaceri, addolcisce le amarezze… – Gesù entra in una barca e prende mare, ed ecco che si leva improvvisa una tempesta, i venti soffiano, il tuono mugghia, le onde si accavallano e la barca già minaccia di sommergersi; in questo disperato frangente gli Apostoli si accostano a Gesù che placidamente dorme e svegliatolo gli dicono coll’accento del timore e dello spavento : « Salvateci, Signore, che periamo » . – Ed egli dolcemente rimproveratili del troppo loro timore e della non abbastanza salda fede, si alzò, fe’ cenno ai venti e alle onde, e incontanente il mare fu in bonaccia (Matth. IX, 23-27). Grande miracolo fu certamente questo; ma notate che Gesù lo fece ad istanza degli Apostoli e dopo che la loro preghiera gli ebbe detto: Signore, salvateci, perché altrimenti andiamo tutti naufraghi. Noi possiamo dire di colui che prega, quello che di Gesù Cristo andavano tra di loro dicendo gli spettatori del miracolo : « Chi è costui, al quale obbediscono i venti e le onde? ». Chi è colui che si fa obbedire dai venti delle tentazioni, e dalle onde della concupiscenza? È l’uomo che prega.

Chi prega sarà liberato dalle tribolazioni e dalle infermità. — « Signore, esclama il real Profeta, io non sarò mai confuso, perché ho invocato voi » (Psalm. XXX, 20). « E chi mai invocò Dio, e non si vide da Lui guardato? », domanda l’Ecclesiastico (II, 12). – « Tu mi hai invocato nella tribolazione, ed io te ne ho liberato », diceva il Signore a Davide (Psalm. LXXX, 8). E questi confermava la parola del Signore, esclamando : « In mezzo alle mie tribolazioni, ho levato le mie grida al Signore, ed egli mi ha esaudito » (CXIX, 1) : nè solamente io, ma quanti ricorsero al Signore nelle loro angustie, si videro liberati dalle loro miserie (CVI, 13). – Se parliamo poi in particolare delle infermità guarite per la preghiera, innumerabili ne sono gli esempi. Un uomo coperto di lebbra, vedendo Gesù, si prostra per terra e grida: « Signore, se volete, potete mondarmi » . — Gesù, a quella preghiera, stende la mano, lo tocca e dice : « Lo voglio, sii mondato; e subito la lebbra scompare » (Luc. V, 12-13). Altri due lebbrosi, andando incontro a Gesù che entrava in un villaggio, gridano ad alta voce: « Gesù, maestro nostro, abbi pietà di noi »; ed eccoli guariti su l’istante (Luc. XVII, 12-14).
Due ciechi stavano su l’orlo d’una strada, odono un calpestio di gente che si avanza, domandano qual novità vi sia e udendo che passa Gesù Cristo, cominciano a gridare: « Signore, figliuolo di David, abbi compassione di noi». Gesù si ferma, li chiama a sé, e domanda loro che cosa vogliono. Udita la loro preghiera, mosso da pietà verso di essi, loro toccò gli occhi ed a quel tocco essi ricuperarono la vista (Matth. XX, 30-34). – Marta e Maria pregano Gesù che abbia pietà di Lazzaro, loro fratello, giacente da quattro giorni nel sepolcro; ed a loro intercessione, Gesù lo risuscita (Ioann. XI). Innumerevoli altre miracolose guarigioni, dietro supplica dei malati, o per le preghiere di altre persone, operò Gesù Cristo: di modo che grandissimo era il numero di coloro che potevano dire : « A voi ho innalzato la mia voce, o Signore, e voi mi avete reso la sanità » (Psalm, XXIX, 3). Il re Ezechia cade mortalmente infermo; Is aia gli annunzia per parte di Dio la morte e gli dice: «Regola gli affari tuoi, perché morrai, e non vivrai più oltre » . — « Ezechia allora fa orazione al Signore » . E questi manda di bel nuovo Isaia a dirgli che aveva udito la sua preghiera, e che gli concedeva quindici anni di vita (Isai. XXXVIII, 1-3)… Quante guarigioni non ottennero i santi con le loro preghiere? quanti figli risanati per le orazioni di madri virtuose?

Con la preghiera s’ottiene la sanità dell’anima. — « I medici corporali, dice S. Lorenzo Giustiniani, si fanno pagare la sanità che ci restituiscono, e non sempre loro riesce di darcela; ma Dio guarisce infallibilmente l’anima senza oro e senz’argento; non esige altro che la preghiera; e guarisce sempre l’anima che prega e per cui si prega, per quanto grave e mortale sia la malattia che la travaglia. La preghiera risana i malati spirituali; essa è pronto ed efficacissimo, rimedio per colui che è fortemente tentato dai vizi. Ricorra egli a questo rimedio tutte le volte che ne ha bisogno, ed estinguerà il fuoco delle passioni e si purificherà. La preghiera smorza gli ardori della concupiscenza, come l’acqua spegne il fuoco ». – « II Signore, confessa di sé il real Profeta, si è abbassato verso di me, ha inteso il grido del mio cuore; e mi ha ritirato dall’abisso della miseria e dal fango puzzolente » (Psalm. XXXIX, 3). Altra volta esclamava : « Questo peccatore vi ha domandato la vita, e voi gliel’avete data » (Psalm. XX, 5). – Chi vuole liberarsi dal peccato e rompere le catene della vergognosa sua schiavitù, preghi: Dio spezzerà i suoi ceppi e gli farà misericordia. Il peccatore non può da solo convertirsi e ottenere salute, ma gli è necessaria la grazia di Dio; ora per mezzo della preghiera ottiene tutte le grazie…; la preghiera rende la vita all’anima; risuscita i morti spirituali : miracolo ben più stupendo che quello della risurrezione dei corpi. Perfino Plutarco lasciò scritto: «La preghiera è il vero medico dell anima » (In morib.).

La preghiera opera una vera trasfigurazione nell’uomo. — Narra San Luca che essendo salito Gesù sopra un monte accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni, per fare orazione, mentre piegava, la sua faccia divenne tutt’altra, e le sue vestimenta apparvero di un candore splendente (Luc. IX, 28-29). Gesù volle trasfigurarsi nella sua preghiera per mostrarci quali sono i frutti dell’orazione; per farci comprendere che nell’orazione noi siamo circondati, penetrati, investiti e come trasfigurati dalla luce celeste, affinché di terreni diventiamo celesti e divini, di uomini ci cangiamo in Angeli. Infatti la preghiera è la trasfigurazione dell’anima: 1) perché l’anima riceve la luce di Dio per conoscerlo, e conoscere e sapere quello ch’essa deve fare; e questo in modo chiaro e visibile. La preghiera ottiene lumi per discernere gli autori e i libri buoni dai cattivi, o pericolosi, o inutili; ottiene che s’intende, si vede, si comprende quello che si legge, lo si ritiene a memoria, e se ne cava profitto. 2) Per mezzo della preghiera si chiede e si ottiene da Dio la sua grazia, con cui tergere le macchie dell’anima, purgarla dai vizi, difenderla dalle tentazioni. Per la preghiera le consolazioni sottentrano alle ambasce, la forza alla debolezza, il fervore alla tiepidezza, la conoscenza al dubbio, il coraggio alla pusillanimità, la gioia alla tristezza, la veglia al sonno, la vita alla morte. Oh! preziosa trasfigurazione e ben degna che chi la prova esclami con Pietro, ebbro di felicità alla vista della Trasfigurazione del Signore : « Che fortuna è lo stare qui! facciamovi delle tende per rimanervi » (Matth. XVII, 4). 3) Per la preghiera l’anima s’innalza al di sopra di se stessa e, dirigendosi verso il cielo, ascende fino a Dio; là essa scorge e apprende che tutte le cose di quaggiù son vili; da quell’altezza in cui la preghiera l’ha portata, essa le disprezza, perché comprende che i veri onori, le vere ricchezze, i veri diletti non si trovano che in cielo. 4) Per la preghiera l’anima vede che tutte le croci sono lievi, che la povertà, le malattie, i rovesci, le prove, ecc. sono un peso leggero: quindi per mezzo della preghiera sopporta tutto; essa ripete con S. Paolo: « Stimo che i patimenti del tempo presente sono un nulla a confronto della gloria futura che sarà in noi rivelata » (Rom. VIII, 18). 5) Per la preghiera l’anima si unisce a Dio, si trasforma in Dio, partecipa della natura del Dio. « Quando preghiamo, dice S. Isidoro, noi parliamo a Dio; quando attendiamo a pie letture, Dio parla a noi ».La preghiera fa di noi il popolo di Dio : « Egli invocherà il mio nome, dice il Signore, ed io lo esaudirò. Io dirò: Tu sei il mio popolo; ed esso dirà: Tu sei il mio Dio» (Zach. XIII, 9). Esso pregherà il Signore, dice Giobbe, il quale si placherà, e gli mostrerà la sua faccia » (Iob. XXXIII, 26). Nè può essere altrimenti, perché la preghiera, dice il Crisostomo, fa di noi altrettanti templi di Gesù Cristo (De Orand. Dovi. lib. II). Inoltre essa ci dà la purezza e la castità, ed è parola di Gesù Cristo che quelli i quali hanno il cuore inondo e puro vedranno Iddio. E che l’orazione ci ottenga da Dio le dette virtù, lo dichiara espressamente Salomone per esperienza avutane: vedendo che gli era impossibile vivere continente, se Dio non lo soccorreva di sua grazia, a Lui fece ricorso con la preghiera (Sap. VIII).

La preghiera è onnipotente. — « Niente al mondo vince in potenza l’uomo probo che prega», sentenzia il Crisostomo (In Matth.). La preghiera è così potente, i suoi frutti, i suoi effetti sono così grandi, che nessun ostacolo l’arresta, non vi è nulla che non ottenga: «La preghiera, osserva S. Giovanni Climaco, a considerarne la natura è una conversazione familiare, è l’unione dell’uomo con Dio. Ma a considerarne l’efficacia e la potenza, è la conservazione del mondo, la riconciliazione con Dio, la madre e la figlia delle lagrime; è la remissione dei peccati, il ponte sotto cui passano le onde delle tentazioni, la fortezza contro l’impeto delle afflizioni, la tregua e la cessazione delle guerre, l’uffizio degli Angeli, l’alimento di tutti gli spiriti, la gloria futura, l’opera per l’eternità, la sorgente delle virtù, la riconciliatrice delle grazie divine, la perfezione spirituale, il cibo dell’anima, la luce dello spirito, il farmaco contro la disperazione, la dimostrazione della speranza, la consolazione nella mestizia, la ricchezza dei religiosi, il tesoro dei solitari, il freno della collera, lo specchio della perfezione religiosa, l’indice della regola, la manifestazione dello stato, la spiegazione delle profezie, il suggello della gloria eterna ». – La preghiera è il respiro dell’anima; pregando, noi mandiamo verso Dio il soffio del desiderio e riceviamo da lui il soffio delle virtù; noi aspiriamo Dio… L’anima che prega è inespugnabile fortezza… Pietro è in carcere, carico di ferri; la Chiesa fa per lui orazione, ed ecco che la vigilia del giorno in cui doveva essere messo a morte da Erode, nel cuore della notte, gli compare un Angelo del Signore, un vivo chiarore splende nel carcere, Pietro è svegliato e, al suo svegliarsi, le catene cadono infrante; egli si trova libero, le porte si aprono ed egli passando in mezzo alle guardie esce di prigione senza che alcuno dei suoi nemici se ne accorga. Chi operò tanti prodigi? La continua, fervida preghiera dei devoti (Act. XII, 5-9).  – La preghiera 1) calma la collera di Dio; ma che dico? lo trae ad obbedire all’uomo… Prega Giosuè ed il sole si arresta nel suo corso (Ios. X, 13). 2) Gli Angeli assistono a quelli che pregano (Dan. IX, 21). Offrono essi medesimi a Dio le orazioni di chi prega e gli riportano il frutto della preghiera esaudita, dice Giobbe (Iob. XII, 12). 3) La preghiera libera l’uomo da mille mali; ottiene la grazia e la salvezza presente e futura. 4) Domina tutti gli elementi e le creature tutte; ferma il corso degli astri; fa piovere fuoco dal cielo (IV, Reg. I, 10). Divide il mare ed i fiumi (Exod. IV, 15-21; Ios. IlI, 16). Risuscita i morti, libera le anime dal purgatorio; ammansa le belve feroci; guarisce la lebbra, la febbre; tiene lontana la peste ed i malori, calma gli uragani, spegne gli incendi, ferma i terremoti; impedisce i naufragi; prende dal cielo tutte le virtù e le grazie e le porta su la terra; trionfa di Dio onnipotente ed in certo qual modo lo incatena a sé. Geremia pregando è rincorato nella sua prigione… Daniele, nella fossa coi leoni, li rende mansueti come agnelli, e loro chiude le fauci con la preghiera… I tre fanciulli nella fornace ardente cantano le lodi del Signore e, a loro preghiera, le fiamme non toccano neppure le loro chiome… Giobbe sul letamaio, per mezzo della preghiera, trionfa di Satana e di ogni sua disgrazia… Con la preghiera, Giuseppe esce vittorioso della più terribile fra le passioni… Con la preghiera Susanna salva la sua virtù e la sua vita; è liberata dalle insidie dei due impudichi vecchioni i quali come calunniatori sono condannati a morte ignominiosa… Il buon ladrone, in virtù della preghiera, vola dalla croce al cielo… Stefano prega, e vede il cielo aperto e vi sale… Non vi è dunque né luogo né tempo in cui non si debba pregare. La preghiera è la colonna delle virtù, la scala della divinità, delle grazie, degli Angeli per discendere su la terra, e degli uomini per ascendere il monte eterno. La preghiera è la sorella degli Angeli, il fondamento della fede, la corona delle anime, il sostegno delle vedove, l’alleggerimento del giogo maritale. La preghiera è una catena d’oro che lega l’uomo a Dio, Dio all’uomo, la terra al cielo; chiude l’inferno, incatena i demoni; previene i delitti e li cancella… La preghiera è di tutte le armi la più, forbita e gagliarda; dà sicurezza incrollabile; è il più ricco tesoro; il porto sicuro della salute; il vero luogo di rifugio… « La preghiera è, dice S. Gregorio Nisseno, la robustezza dei corpi, l’abbondanza, la ricchezza di una casa » (De Orai.). Il popolo ebreo nel deserto prega, ed alla sua preghiera gli uccelli del cielo vengono a farsi sua preda; la manna gli piove dall’alto ed un pane miracoloso gli serve di cibo (Psalm, CIV, 40). Il popolo ha sete, prega, ed alla sua preghiera Dio spacca i massi e le acque ne zampillano in abbondanza, un fiume corre a innaffiare un arido deserto (16. 41). Giacevano sepolti nelle tenebre e nelle ombre di morte, incatenati dalla fame e dal ferro, e gridarono al Signore, ed esso li cavò dalle loro miserie. Li trasse fuori dal buio caliginoso della morte, infranse i loro ceppi, perché pregavano (Psalm. CVI, 14). La preghiera si può paragonare alla torre di Davide, della quale è detto nei Cantici, che s’innalza coronata di merli, munita di ogni difesa, guernita di migliaia di scudi e di ogni genere di armi robuste (Sant. IV, 4). «La preghiera è un’arma celeste, scrive S. Cipriano, una cittadella spirituale, un giavellotto divino che ci protegge ». S. Efrem la chiama un arco col quale noi lanciamo verso Dio saette di santi desideri; con queste frecce noi feriamo il cuore di Dio e ne trionfiamo: con le medesime frecce trapassiamo e abbattiamo i nostri nemici (De Orai.). La preghiera fa discendere il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, nell’anima; dirò meglio, innalza l’anima nel più alto dei cieli e la colloca in seno alla gloria della Triade Augusta; tanto che S. Gerolamo osa affermare che ha forza di arrestare e cangiare i decreti di Dio (In Exod.). E infatti Mosè, come dice la Sapienza, resisté alla collera di Dio, impiegando la preghiera (Sap. XVIII, 21); e quando già i cadaveri si alzavano a monti, egli con la preghiera si fece mediatore, disarmò la vendetta di Dio e la impedì di estendersi a quelli che ancora vivevano (Id. 23); la Sacra Scrittura afferma che se Abramo avesse trovato anche solo dieci giusti che avessero pregato, Sodoma non sarebbe perita (Gen. XVIII, 32). Volete altre prove dell’efficacia della preghiera? La storia del popolo ebreo ve ne somministra delle chiarissime ed innegabili. I Giudei peccano d’idolatria, adorando un vitello d’oro; il Signore sdegnato di tanta durezza, dice a Mosè che lo lasci (cioè, più non preghi per quella gente colpevole), ed egli li sterminerà nel furore del suo sdegno. Mosè non si arrende, ma con fervida preghiera si mette a scongiurare il Signore che gli perdoni e non adempia le sue minacce, affinché gli Egizi non possano dire, a ingiuria del suo nome, che egli li aveva cavati a bella posta dall’Egitto, per ucciderli nei monti, e sterminarli dalla faccia della terra. E il Signore si rappacificò col popolo e non fece quello che aveva stabilito (Exod. XXXII). Non diversamente avvenne quando il popolo ebreo mormorò contro Mosè. Anche allora Iddio disse a Mosè che se n’andasse via di mezzo alla moltitudine, e gli lasciasse libero il braccio per fulminarlo. Allora Mosè, adorato Iddio, corse da Aronne e gli disse: Prendi l’incensiere, e postovi del fuoco dell’altare con dell’incenso, va subito verso la folla, a pregare per essa, perché già la collera di Dio è scoppiata sul popolo e ne fa strage. Obbedì Aronne e corse tra  la moltitudine che già la fiamma divorava; offerse i timiami e stando in piedi tra i vivi e i morti, pregò per il popolo, e la piaga cessò (Num. XVI, 41-4-8). – Nell’Esodo si legge che essendo Israele stato combattuto e vinto da Amalec in Raphidim, Mosè ordinò a Giosuè che, fatta scelta di valorosi guerrieri, uscisse ed affrontasse Amalec, mentr’egli sarebbe asceso il domani su la vetta del monte, tenendo in mano la verga del Signore. Adempì Giosuè l’ordine del duce il quale andò alla volta sua, con Aronne ed Ur, su la vetta del monte prima che Giosuè ingaggiasse battaglia con Amalec. Ora fu osservato che mentre Mosè teneva alte le mani, Israele trionfava, ma se le abbassava, Amalec vinceva. Osservato ciò e veduto a un certo punto che le braccia di Mosè non potevano più reggersi alte per la stanchezza, lo fecero sedere sopra un sasso, ed Aronne ed Ur gli sostennero le braccia le quali perciò ressero in alto fino al tramonto del sole. E per questa preghiera di Mosè, Giosuè sbaragliò Amalec (Exod. XVIII, 8-13). « Mosè, dice il Crisostomo, stava sul monte, vicino al cielo, e quanto più alta era la montagna, tanto più la sua preghiera era vicina a Dio. Qual è il giusto che non abbia trionfato c-o-n la preghiera? qual è il nemico, che non sia stato Vinto con la preghiera?. Per-mezzo della preghiera Daniele penetra e svela le misteriose visioni, le fiamme si estinguono, i leoni si spogliano della loro ferocia, i nemici cadono sgominati e vinti ». Scorrete la storia del popolo ebreo per tutto il tempo in cui fu governato dai Giudici, e se da una parte ci vedete una catena di cadute, d’infedeltà nel servizio del Signore, di delitti, d’idolatrie, e quindi di sciagure, di disastri, di schiavitù, dall’altra si ammira una sequela di perdoni, di benefizi, di liberazioni, rinnovatesi quante volte il pentimento gli mosse il cuore e gli aprì la bocca alla preghiera. Se Otoniele vinse Chusan e liberò Giuda da una servitù di otto anni, mantenendolo poi in pace per quaranta; se Aod uccise Eglon, re dei Moabiti, e pose fine per Israele ad un servaggio di diciott’anni; se Debora mise in rotta l’esercito di Iabin, re di Canaan, freddandone di sua mano il capitano Sisara e tolse i figli di Giacobbe ad un’oppressione che durava da vent’anni; se Gedeone sconfigge i Madianiti, che da sette anni opprimevano Israele; se Iefte lo strappa alle mani dei Filistei i quali facevano pesare su di lui un giogo di ferro da oltre cinque lustri; e se Sansone lo libera di bel nuovo dalla servitù dei medesimi Filistei, prolungatasi per quarant’anni; alla preghiera, ed alle grida che la stirpe di Giacobbe mandava dal fondo del cuore a Dio, in quei crudeli frangenti, se ne deve il merito… Dio si moveva a pietà di loro e li perdonava sempre, quando pentiti facevano ricorso alla preghiera. Come tremendo è il peccato! come potente è la preghiera! Come l’iniquità è punita! come l’orazione è ricompensata! Dio suole dare più di quello che si dimanda. Salomone domanda solamente la sapienza e Dio oltre al concedergliela in sommo grado, vi aggiunge ancora molti favori temporali (II Reg. III). Sara ed Anna sono sterili; pregano, e Dio le fa madri, quella d’Isacco, questa di Samuele. « Chi prega, dice il Crisostomo, ricava segnalati beni dalla sua preghiera, prima ancora che riceva quello che ha domandato; la sua preghiera reprime i tumulti dell’anima, calma l’ira, caccia la gelosia, spegne la cupidigia, scema l’affetto alle cose periture, dà la pace, e fa ascendere al cielo ». Samuele prega per il popolo di Dio oppresso dai Filistei, e il Signore l’esaudisce (I Reg. VII, 9). I Filistei combattono con Israele; ma Samuele prega, e Dio fa rombare con sì orribile fracasso il tuono su di loro, che colti di spavento cadono in faccia all’esercito giudeo. Prega il profeta Elia, e due volte il fuoco del cielo divora i nemici del Profeta, cinquanta per volta (IV Reg. I, 10). Il re di Siria vuole impadronirsi di Eliseo, e spedisce a questo intento cavalli, carri e soldati scelti. Eliseo prega il Signore che accechi tutta quella truppa; e il Signore adempie immantinente la prece del profeta (16. II, 18). A proposito di questo fatto, S. Ambrogio osserva che « la preghiera si spinge a ferire più lontano che una saetta. Eliseo soggiogava i suoi nemici non con le armi, ma con l’orazione ». Poi più avanti ripiglia: Eliseo prega e colpisce di cecità tutta la schiera nemica. Dove sono coloro i quali dicono che le armi degli uomini sono più potenti delle preghiere dei Santi? Ecco qua come alla preghiera del solo Eliseo, un numero grandissimo di nemici è fatto prigioniero; per la preghiera e per i meriti di un solo Profeta, tutto un esercito è sbaragliato e vinto. Dov’è l’esercito sia pure numeroso, agguerrito e valente, il quale possa impadronirsi di tutti i nemici, senza eccettuarne pur uno, e così all’improvviso? Ma la preghiera opera questo prodigio, s’impadronisce di tutti i nemici, e con un altro prodigio non meno grande, di questi nemici, quantunque vinti, nessuno è ferito (ut sup.). Il re Ezechia prega, e con la sua preghiera ottiene lo sterminio delle numerose falangi Assire; Sennacherib vi perde la vita insieme a cento ottantacinque mila uomini (IV Reg. XIX). Tobia prega, e ricupera la vista… Sara prega, ed è liberata da sette mariti bestiali. Giuditta desidera e stabilisce di liberare il suo popolo e di salvarlo dalle mani di Oloferne. Che cosa domanda, ai suoi, per riuscire nel disegno? nient’altro se non che facciano orazione al Signore per lei, fino a tanto che non ritorni a portare loro delle notizie (Iudith. VII, 53). Armata della preghiera, parte; va al campo nemico, passa tra le Ale della soldatesca, entra nel padiglione del capitano, e sostenuta dalla preghiera, mozza il capo ad Oloferne, mette in fuga l’esercito assediante, libera Betulia. La santa donna Giuditta, dice S. Agostino, apre il cielo con le sue preghiere, con l’arte della preghiera fabbrica armi vittoriose con le quali abbatte il nemico e libera il suo popolo da spaventoso terrore. Betulia assediata da numerosa orda di barbari, più belve che uomini, gemeva nell’accasciamento e nella sfiducia. Tutti languivano, morivano di fame e di sete, tutti si figuravano già come caduti, nelle branche di quei feroci. Ma ecco Giuditta che, santificata colla preghiera, col digiuno, con la cenere e col cilizio, si avanza, speranza del popolo, destinata a rendergli sicurezza. Tra le mura di Betulia essa è inquieta, ma sostenuta dalla preghiera, rimane impavida là dove per essa tutto è pericolo. Per mezzo della preghiera, conserva la sua castità, salva il suo popolo, abbatte il nemico. La preghiera è più potente che non tutte le armi: con la preghiera una donna salva una città intera ed una nazione, mentre un esercito intero, senza preghiera, non può salvare il suo duce (In Iudith,). Un decreto di morte è promulgato contro il popolo di Dio schiavo nella Persia. Ester prega, la sua preghiera cambia il cuore, di Assuero, ed Israele è salvo. Ai tempi di Geremia il popolo vilipende il Signore e il Profeta si volge a pregare Iddio. Questi, volendo punire il popolo colpevole, dice al Profeta: la tua preghiera mi lega le mani; non pregare per loro, non indirizzarmi nè cantico nè supplica in loro favore, non opporti a me (Ierem. VII, 16). Dio si sente come inceppato dalle preghiere dei giusti, e non può punire i cattivi, come già aveva detto a Mosè: «Lasciami libero di esercitare la mia giusta vendetta » (Exod. XXXII, 10). Ma in verità Dio desidera che vi sia chi si opponga e trattenga la sua vendetta; si rallegra quando alcuno gli ferma il braccio vendicatore e gli lega le mani con la preghiera. Egli si lamenta, per bocca del profeta Ezechiele, che non gli si fa violenza con la preghiera, che non si prega per disarmarlo (Ezech. XIII, 5). « Io ho cercato tra di loro un uomo il quale s’intromettesse come siepe tra me ed essi, e a me si opponesse per salvare questa terra, affinché io non la disertassi; e non l’ho trovato » (Ezech. XXII, 30). « Perciò ho rovesciato sopra di loro il vaso del mio sdegno, li ho consumati col fuoco della mia collera (Id. 31). La preghiera è siepe e muro di opposizione alla giusta collera di Dio. Il mondo non sussiste se non per le preghiere delle anime ferventi. Perciò Gesù Cristo dice che alla fine dei secoli la fede sarà estinta; ed è perciò che verrà la fine del mondo. – Giona prega nel ventre della balena, e il Signore comanda al cetaceo di rigettare Giona su la riva (Ion. II, 2-11). « Giona, commenta qui S. Gregorio, grida a Dio dal ventre del pesce, dal fondo dell’oceano, dal seno della disobbedienza; e la sua preghiera ascende fino alle orecchie di Dio, e Dio lo libera dalla balena e dalle onde, lo assolve della sua colpa. Gridi il peccatore, che la tempesta delle passioni ha allontanato da Dio e sconquassato e sommerso, che è divenuto la preda del maligno spirito, che fu ingoiato dai flutti del secolo; riconosca e confessi ch’egli giace in fondo all’abisso, affinché la sua preghiera giunga a Dio ». – Finalmente S. Agostino compendia così tutti questi prodigi della preghiera : « Per la sua preghiera Geremia è confortato in carcere; Daniele sta lieto in mezzo ai leoni; i tre fanciulli inneggiano allegri nella fornace ardente; Giobbe trionfa del demonio dal suo letamaio; il ladrone passa dalla croce al cielo; Susanna scampa al tranello dei vecchioni; Stefano, vittorioso de’ suoi lapidatori, è ricevuto in cielo; non vi è dunque luogo in cui non si deva pregare. Preghiamo dunque sempre e in ogni luogo, e gli uni per gli altri, affinché ci salviamo. La preghiera è la santa colonna della virtù, la scala della divinità, lo sposo delle vedove, l’amica degli Angeli, il fondamento della fede, la corona dei religiosi, il sollievo dei coniugati ».
La preghiera è il terrore dei demoni. — « Vestitevi dell’armatura di Dio, suggeriva S. Paolo agli Efesini, affinchè possiate stare fermi e saldi contro le insidie del demonio » (Epist. VI, 11). A commento di queste parole, S. Bernardo scrive : « Fiere certamente sono le tentazioni che ci vengono dal nemico; ma ben più tremenda è per lui la nostra preghiera, che non per noi i suoi assalti ». Infatti, « non così presto, dice S. Giovanni Crisostomo, il ruggito del leone mette in fuga le belve, come la preghiera del giusto sbaraglia i demoni ». Essa è tale saetta, dice S. Ambrogio, che va a colpire il nemico, ancorché lontanissimo (Serra. LXXX, VI); e S. Agostino la chiama il flagello dei diavoli (De Orat.). La preghiera caccia i demoni dal corpo e dall’anima; li costringe all’obbedienza ed alla fuga; assennatissimo quindi è il consiglio che dava a’ suoi monaci l’abate Giovanni: « Che cosa fa un uomo, egli dice, quando vede qualche fiera venirgli incontro? O fugge o si arrampica sopra di un albero; così fate voi, quando il demonio vi tenta; fuggite verso Dio per mezzo della preghiera, montate a lui e sarete salvi; poiché la preghiera atterra le tentazioni e il tentatore, come l’acqua smorza il fuoco ». « Io loderò e invocherò il Signore, cantava il Salmista, e sarò liberato da’ miei nemici » (Psalm. XVII, 4). « Partiti da me, Satana » — Vade, Satana — comandò Gesù al diavolo che osava tentarlo (Matth. IV, 10), e Satana si ritirò immantinente, e gli Angeli si accostarono a lui per servirlo (Ib. 11). I medesimi favori procura a noi la preghiera, caccia gli spiriti cattivi e ci avvicina i buoni. Diciamo sovente : Via da me, o Satana; questa sola orazione mette in fuga l’inferno e ci fa comunicare col cielo’… Il demonio non ha mai potuto vincere chi prega sovente e come si conviene. Se dunque noi siamo vinti, è perchè o non preghiamo, o preghiamo male.

8° La preghiera illumina. — Si legge negli Atti Apostolici, che il Signore disse a un discepolo di nome Anania, che andasse nella contrada chiamata Betta e cercasse nella casa di Giuda, un certo Saulo di Tarso, « perchè egli prega » significandogli nel tempo stesso che quell’uomo il quale pregava, era un vaso di elezione per portare il nome di Gesù Cristo in mezzo ai gentili, dinanzi ai prìncipi della terra ed ai figli d’Israele. Andò Anania, entrò nella casa indicatagli e vi trovò Saulo in orazione; imponendogli le mani, gli disse: Saulo, fratello mio, il Signore Gesù mi ha inviato a te affinché tu veda e sia riempito di Spirito Santo. E su l’istante ricuperò la vista (Act. IX, 10-18). Osservate che Saulo riceve la visita di Anania, lo Spirito Santo e la restituzione della vista, perchè prega. Vogliamo noi che Dio ci visiti egli medesimo, che i buoni Angeli ci assistano; desideriamo di essere illuminati dallo Spirito Santo? Imitiamo Saulo che prega.

9° Per la preghiera si ottiene la conversione dei peccatori. — Basta a persuaderci di questo effetto della preghiera l’esempio di S. Monica il cui figlio Agostino era un grandissimo peccatore e pietra di scandalo. Essa prega, prega molto, prega sovente, non cessa di pregare, e continua per lunghissimo tempo a pregare, e si raccomanda a tutte le persone buone, che preghino per suo figlio; ma finalmente la sua preghiera fa di Agostino un gran santo ed uno dei primi Dottori della Chiesa; avverandosi quella parola di un vescovo alla madre: Andate tranquilla, ché il figlio di tante lagrime non può perire (In Vita). Si legge nella vita di S. Teresa, che essa ottenne con le sue preghiere la conversione di tanti peccatori, quanti ne aveva convertiti S. Francesco Zaverio, Apostolo delle Indie, con le sue prediche e con i suoi miracoli (In Vita).
Donde vengono quei subitanei cambiamenti, quelle stupende miracolose conversioni che avvennero in tutti i secoli e di cui noi siamo testimoni, e in vista delle quali noi dobbiamo dire : « Qui vi è il dito di Dio »? (Exod. XVIII, 19). Dalle preghiere del giusto, dei religiosi, della Chiesa… ,

10° La preghiera ci salva. — « I padri nostri, dice il Salmista, innalzarono le loro grida al Signore e furono salvati… Per me ho levato la mia voce verso Iddio, e il Signore mi salverà » (Psalm. XXI, 6) (Psalm. LIV, 17). – « La preghiera del giusto, dice S. Agostino, è la chiave del cielo; la preghiera ascende al cielo, e la misericordia di Dio ne discende » (Serm. CCXXVI); lo stesso dice S. Efrem, assicurandoci che la preghiera ha sempre l’adito aperto al cielo (De Orat.). Queste sentenze si fondano su la parola medesima di Dio, trovando noi nell’Ecclesiastico, che la supplice preghiera sale fino alle nubi; che l’orazione di chi si umilia passa le nuvole e non si arresta finché non giunge al trono medesimo di Dio (Eccli. XXXV, 20-21).
Quale non dev’essere la forza e l’efficacia della preghiera, se monta fino al cielo, l’apre, e s’inoltra fino al trono di Dio? Notevole esempio ne abbiamo nel profeta Elia, il quale con la sua preghiera apre e chiude a suo volere il cielo! – Per la preghiera, scrive il Crisostomo, noi cessiamo, anche nel tempo, di essere mortali; noi siamo per natura mortali, ma per la preghiera, per la nostra familiare conversazione con Dio, passiamo alla vita immortale. Colui che parla familiarmente con Dio, diventa necessariamente più forte della morte e di tutto ciò che è soggetto alla corruzione. La preghiera assicura la gloria immortale all’anima, e la risurrezione gloriosa ai corpi (In Eccles. c. XXVIII).

11° La preghiera contiene beni immensi, — Dio ascolta, rischiara, illumina, dirige, fortifica, esaudisce chi prega. « Di quanti tesori di saggezza, di virtù, di prudenza, di bontà, di sobrietà, di eguaglianza di costumi non ci riempie la preghiera! », esclama S. Giovanni Crisostomo. Nell’orazione si avvera quel detto di Dio al Salmista: – « Apri la tua bocca ed io l’empirò » (Psalm. LXXX, 11). Quanto più si domanda, tanto più si riceve; più si desiderano ricchezze e più Dio ne dà… « Grida a me, disse Iddio a Geremia, e ti esaudirò; e ti rivelerò cose grandi e certe che tu non sai » (Ierem. XXXIII, 3). – La preghiera è come lavoro in una miniera inesauribile; essa ottiene tutto ciò che vuole; siccome la miniera dei divini tesori non potrebbe mai essere esaurita, attingendovi tutto quello che si desidera, la miniera è sempre intera. A questo oceano di ricchezze, che è Dio, attingono da seimila anni tutti quelli che pregano; e questo mare che bagna e feconda la terra, non è diminuito neppure di una goccia. È sempre pieno, sempre ribocca su coloro che pregano. Diciamo di più, quelli che pregano stanno attorno a questo mare e la loro preghiera ve li immerge per l’eternità. Udiamo ancora alcuni tratti dei santi Padri su questo argomento: « La preghiera, così il Crisostomo, è la guardiana della temperanza, la repressione della collera, il freno della superbia, l’espiazione dei desideri di vendetta, l’estinzione dell’invidia, la conferma della pace ». Secondo S. Bernardo, « purifica l’anima, regola gli affetti, dirige le azioni, corregge gli eccessi, forma i costumi, costituisce la bellezza e l’ornamento della vita. Rasserena il cuore, dice Cassiano, lo allontana dalle cose caduche, lo purifica dai vizi, lo innalza alle cose celesti e lo rende capace e degno di ricevere tutti i beni » . Insomma, come dice S. Agostino, « la preghiera è un sacrificio gradito a Dio; è un soccorso a chi prega; è il flagello di Satana ». [1- continua …]

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI APOSTATI E SCISMATICI DI TORNO: “AUSPICIA QUÆDAM”

S. Pio XII, in questa breve enciclica, analizzando i momenti storici del tempo (siamo nell’immediato secondo dopoguerra) ancora denso di minacciose nubi di guerra, sollecita le preghiere soprattutto dei fanciulli nel mese di maggio, per scongiurare, con l’aiuto e l’intercessione della Vergine Santissima, i pericoli minacciati. Leggendo la breve lettera, si vede come l’attuale situazione mondiale, specie per le terre un tempo cristiane, sia praticamente analoga, se non peggiore. Facciamo nostro allora, almeno noi del “Pusillus grex” della Chiesa Cattolica eclissata ,“una cum” Gregorio XVIII, il consiglio del Santo Padre Pacelli, di ricorrere al Cuore Immacolato della Vergine Santissima, per scongiurare il pericolo e la minaccia bellica che ogni giorno viene ventilata in diversi luoghi della terra, là dove operano con più veemenza le forze del male asservite alle conventicole massoniche di ogni risma, dirette da “coloro che odiano Dio, il suo Cristo, e tutti gli uomini”. L’unico baluardo sicuro, schierato come esercito in battaglia, è veramente il Cuore Immacolato di Maria al quale è bene consacrarci tutti, per salvare: il genere umano dal totale sfascio spirituale e materiale  (così come desiderano lucifero e i suoi adepti), la Santa Chiesa di Cristo, oggi in eclissi e nelle catacombe, dagli eretici lefebvriani, dagli apostati novusordisti e dagli scismatici sedevacantisti, e soprattutto le anime nostre, immerse nello sterco delle false dottrine dell’inganno ( … la misericordia gratuita e senza pentimento, l’ecumenismo massonico e noachite, etc.) propinate da falsi pastori, lupi gnostici travestiti da agnelli in modo nemmeno tanto larvato, gente con sguardo truce, labbra blasfeme e lingua sacrilega. Leggiamo la lettera del Santo Padre e subito dopo rinnoviamo la nostra CONSACRAZIONE al CUORE IMMACOLATO di MARIA; mettiamoci quindi a pregare, in questo prossimo mese di Maggio, coinvolgendo i fanciulli in questa pia crociata fatta non con armi chimiche, da sparo, missili ed atomiche (tutte cose che a lucifero nessun nocumento apportano), ma con preghiere ed invocazioni di aiuto a Colei che sola ha il potere di schiacciare, con il suo calcagno, la testa del serpente maledetto e di coloro che appartengono della sua schiatta.

LETTERA ENCICLICA

AUSPICIA QUÆDAM
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XII

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI,
ARCIVESCOVI,
VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI
CHE HANNO PACE
E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA:
PREGHIERE NEL MESE DI MAGGIO
PER LA CONCORDIA DELLE NAZIONI

Alcuni indizi sembrano oggi chiaramente dimostrare che tutta la grande comunità dei popoli, dopo tanti eccidi e devastazioni causati dalla lunga e terribile guerra, è ardentemente orientata verso i salutari sentieri della pace; e che al presente si dà più volentieri ascolto a coloro che si dedicano con faticoso lavoro a opere di ricostruzione, che cercano di sedare e comporre le discordie, e si accingono a far risorgere da tante rovine che ci affliggono un nuovo ordine di prosperità, anziché a coloro che eccitano odi e rancori, dai quali non possono derivare se non nuovi e più gravi danni.  – Ma, quantunque Noi stessi e il popolo cristiano abbiamo non lievi motivi di consolazione e possiamo confortarci con la speranza di tempi migliori, non mancano tuttavia fatti e avvenimenti, che recano grande preoccupazione e angustia al Nostro animo paterno. Infatti, benché la guerra sia cessata quasi dovunque, tuttavia la desiderata pace non ha ancora rasserenato le menti e i cuori; anzi si vede tuttora il cielo oscurarsi di nubi minacciose.  – Noi, da parte Nostra, non cessiamo di adoperarci per quanto Ci è possibile, per allontanare dall’umana famiglia i pericoli di altre calamità che la sovrastano, e quando i mezzi umani si rivelano insufficienti, Ci rivolgiamo supplichevoli a Dio e in pari tempo esortiamo tutti i Nostri figli in Cristo, sparsi in ogni paese della terra, a volersi unire a Noi nell’impetrare gli aiuti celesti.  – Per questo motivo, come negli anni passati Ci fu di conforto il rivolgere la Nostra esortazione a tutti, e specialmente ai fanciulli, da Noi tanto amati, affinché durante il mese di maggio si stringessero numerosi intorno all’altare della grande Madre di Dio per implorare la fine della funesta guerra, così parimenti oggi, per mezzo di questa lettera, li invitiamo ardentemente a non interrompere questa pia costumanza e a volere congiungere alle loro suppliche propositi di rinnovamento cristiano e opere di salutare penitenza.  – Anzitutto porgano alla Vergine Madre di Dio e nostra benignissima Madre i più vivi ringraziamenti per aver ottenuto con la sua potente intercessione la sospirata fine della grande conflagrazione mondiale, e per i tanti altri benefici impetrati dall’Altissimo; ma in pari tempo imploriamo da Lei con rinnovate preghiere, che finalmente risplendano come un dono del Cielo la pace vicendevole, fraterna e piena fra tutte le genti, e la desiderata concordia fra tutte le classi sociali. – Cessino le discordie, che a nessuno sono vantaggiose; si compongano secondo giustizia le contese, che spesso sono semi di nuove sventure; si accrescano e si consolidino fra le nazioni le relazioni pubbliche e private; abbia la religione, fautrice di ogni virtù, la libertà che le è dovuta; e il pacifico lavoro umano, sotto gli auspici della giustizia e il soffio divino della carità, produca i frutti più abbondanti per il comune vantaggio. – Voi sapete bene, venerabili fratelli, che le nostre preghiere sono gradite alla santissima Vergine soprattutto, quando non sono voci effimere e vuote, ma sgorgano da cuori ornati delle necessarie virtù. Adoperatevi perciò con il vostro zelo apostolico, affinché alle pubbliche preghiere innalzate al cielo durante il mese di maggio, corrisponda un risveglio di vita cristiana. Infatti soltanto da questo presupposto è lecito sperare che il corso delle cose e degli avvenimenti, nella vita pubblica come in quella privata, possa essere indirizzato secondo il retto ordine e che agli uomini sia dato di conquistare, con l’aiuto di Dio, non solo la prosperità possibile in questo mondo, ma anche la felicità celeste, che non verrà mai meno.  – Ma vi è al presente un altro particolare motivo, che affligge e angustia vivamente il Nostro cuore. Intendiamo riferirci ai luoghi santi della Palestina, che già da lungo tempo sono turbati da luttuosi avvenimenti e sono quasi ogni giorno devastati da nuovi eccidi e rovine. Eppure se vi è una regione al mondo, che deve essere particolarmente cara ad ogni animo degno e civile, questa è di certo la Palestina, da cui fino dagli oscuri primordi della storia è sorta per tutte le genti tanta luce di verità; in cui il Verbo di Dio incarnato fece annunziare da cori di angeli la pace a tutti gli uomini di buona volontà, e nella quale infine Gesù Cristo, sospeso all’albero della croce, recò la salvezza a tutto il genere umano e, stendendo le braccia quasi a invitare tutti i popoli ad un amplesso fraterno, consacrò con l’effusione del suo sangue il grande precetto della carità.  – Desideriamo quindi, o venerabili fratelli, che questo anno le preghiere del mese di maggio abbiano in modo particolare lo scopo di impetrare dalla ss. Vergine che finalmente le condizioni della Palestina siano conciliate secondo equità, e che ivi pure trionfino felicemente la concordia e la pace.  – Noi nutriamo grande fiducia nel potentissimo patrocinio della nostra Madre celeste; patrocinio che, durante questo mese a lei consacrato, specialmente gli innocenti fanciulli vorranno impetrare con una santa crociata di preghiere. E sarà appunto vostro compito invitarli e stimolarli a questo con ogni sollecitudine; e non solo essi, ma anche i loro padri e le loro madri, che anche in ciò debbono precederli, numerosi, col loro esempio.  – Sappiamo bene che mai abbiamo fatto appello invano all’ardente zelo, di cui siete infiammati; e già Ci pare di vedere folte moltitudini di fanciulli, di uomini e di donne affollare i sacri templi per impetrare dalla gran Madre di Dio tutte le grazie e i favori, di cui abbiamo bisogno.  – Ella, che ci ha dato Gesù, ci ottenga che tutti coloro che si sono allontanati dal retto sentiero, facciano quanto prima a Lui ritorno, mossi da salutare pentimento; ci ottenga – ella che è nostra benignissima Madre e che in ogni pericolo si mostrò sempre nostro valido aiuto e mediatrice di grazie – ci ottenga, diciamo, che anche nelle gravi necessità da cui siamo angustiati si trovi una giusta soluzione alle contese, e che una pace sicura e libera finalmente risplenda alla chiesa e a tutte le nazioni.  – Qualche anno fa, come tutti ricordano, mentre ancora infuriava l’ultima guerra mondiale, Noi, vedendo che i mezzi umani si mostravano incerti e insufficienti ad estinguere quell’immane conflagrazione, rivolgemmo le Nostre fervide preghiere al misericordiosissimo Redentore, interponendo il potente patrocinio del Cuore Immacolato di Maria. E come il Nostro predecessore d’immortale memoria Leone XIII, agli albori del secolo ventesimo, volle consacrare tutto il genere umano al Cuore sacratissimo di Gesù, così Noi parimenti, quasi in rappresentanza dell’umana famiglia da lui redenta, volemmo consacrarla altresì al Cuore Immacolato di Maria Vergine.  – Desideriamo pertanto che, qualora l’opportunità lo consigli, si faccia questa consacrazione sia nelle diocesi, sia nelle singole parrocchie e nelle famiglie; e abbiamo fiducia che da questa privata e pubblica consacrazione sgorgheranno abbondanti benefici e celesti favori. – In auspicio dei quali e in pegno della Nostra paterna benevolenza, impartiamo con effusione di cuore la apostolica benedizione a ciascuno di voi, o venerabili fratelli, e a tutti coloro, che con animo volenteroso corrisponderanno a questa nostra lettera d’esortazione, e in modo particolare alle folte e numerose schiere dei carissimi fanciulli.

Roma, presso San Pietro, il 1° maggio 1948, anno X del Nostro pontificato.

ATTO DI CONSACRAZIONE AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA

Regina del Santissimo Rosario, ausilio dei Cristiani, rifugio del genere umano, vincitrice di tutte le battaglie di Dio, supplici ci prostriamo al vostro trono, sicuri di impetrare misericordia e di ricevere grazie e opportuno aiuto nelle presenti calamità, non per i nostri meriti, dei quali non presumiamo, ma unicamente per l’immensa bontà del vostro materno Cuore. A Voi, al vostro Cuore Immacolato, in questa ora grave della storia umana, ci affidiamo e ci consacriamo, non solo con tutta la santa Chiesa, corpo mistico del vostro Gesù, che soffre in tante parti e in tanti modi è tribolata e perseguitata, ma anche con tutto il mondo straziato da discordie, agitato dall’odio, vittima della propria iniquità. – Vi commuovano tante rovine materiali e morali, tanti dolori, tante angosce, tante anime torturate, tante in pericolo di perdersi eternamente! – Voi, o Madre di misericordia, impetrateci da Dio la riconciliazione cristiana dei popoli, ed anzitutto otteneteci quelle grazie, che possono in un istante convertire i cuori umani, quelle grazie che preparano e assicurano questa sospirata pacificazione. Regina della pace, pregate per noi e date al mondo la pace nella verità, nella giustizia, nella carità di Cristo. – Dategli soprattutto la pace delle anime, affinché nella tranquillità dell’ordine si dilati il regno di Dio. Accordate la vostra protezione agli infedeli e a quanti giacciono nelle ombre della morte; fate che sorga per loro il Sole della verità e possano, insieme con noi, innanzi all’unico Salvatore del mondo ripetere: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! Ai popoli separati per l’errore o per la discordia, e segnatamente a coloro che professano per Voi singolare devozione, date la pace e riconduceteli all’unico ovile di Cristo, sotto l’unico e vero Pastore. Ottenete libertà completa alla Chiesa santa di Dio; difendetela dai suoi nemici; arrestate il diluvio dilagante della immoralità; suscitate nei fedeli l’amore alla purezza, la pratica della vita cristiana e lo zelo apostolico, affinché il popolo di quelli che servono Dio aumenti in meriti e in numero. Finalmente, come al Cuore del vostro Gesù furono consacrati la Chiesa e tutto il genere umano, perché, riponendo in Lui ogni speranza, Egli fosse per loro fonte inesauribile di vittoria e di salvezza; così parimente noi in perpetuo ci consacriamo anche a Voi, al vostro Cuore Immacolato, o Madre nostra e Regina del mondo; affinché il vostro amore e patrocinio affrettino il trionfo del regno di Dio e tutte le genti, pacificate con Dio e tra loro, vi proclamino beata, e con Voi intuonino, da una estremità all’altra della terra, l’eterno «Magnificat» di gloria, amore, riconoscenza al Cuore di Gesù, nel quale solo possono trovare la verità, la vita e la pace (Pio Pp. XII).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si consecrationis actus quotidie in integrum mensem devote repetitus fuerit (Pio XII, Rescr. Secret. Status, 17 nov. 1942; exhib. docum., 19 nov. 1942).

DOMENICA TERZA DOPO PASQUA (2018)

 

DOMENICA TERZA dopo PASQUA

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXV:1-2. Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja. [Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Ps LXV:3 Dícite Deo, quam terribília sunt ópera tua, Dómine! in multitúdine virtútis tuæ mentiéntur tibi inimíci tui. [Dite a Dio: quanto sono terribili le tue òpere, o Signore. Con la tua immensa potenza rendi a Te ossequenti i tuoi stessi nemici.]

Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja.[Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio 

Orémus. – Deus, qui errántibus, ut in viam possint redíre justítiæ, veritátis tuæ lumen osténdis: da cunctis, qui christiána professióne censéntur, et illa respúere, quæ huic inimíca sunt nómini; et ea, quæ sunt apta, sectári. [O Dio, che agli erranti mostri la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia, concedi a quanti si professano cristiani, di ripudiare ciò che è contrario a questo nome, ed abbracciare quanto gli è conforme.]

 Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli: 1 Pet II: 11-19

“Caríssimi: Obsecro vos tamquam ádvenas et peregrínos abstinére vos a carnálibus desidériis, quæ mílitant advérsus ánimam, conversatiónem vestram inter gentes habéntes bonam: ut in eo, quod detréctant de vobis tamquam de malefactóribus, ex bonis opéribus vos considerántes, gloríficent Deum in die visitatiónis. Subjécti ígitur estóte omni humánæ creatúræ propter Deum: sive regi, quasi præcellénti: sive dúcibus, tamquam ab eo missis ad vindíctam malefactórum, laudem vero bonórum: quia sic est volúntas Dei, ut benefaciéntes obmutéscere faciátis imprudéntium hóminum ignorántiam: quasi líberi, et non quasi velámen habéntes malítiæ libertátem, sed sicut servi Dei. Omnes honoráte: fraternitátem dilígite: Deum timéte: regem honorificáte. Servi, súbditi estóte in omni timóre dóminis, non tantum bonis et modéstis, sed étiam dýscolis. Hæc est enim grátia: in Christo Jesu, Dómino nostro.”

OMELIA I

 [Mons. Bonomelli: Nuovo saggio di Omelie, Marietti ed., vol. II, 1898 – Omelia XIX.]

“Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini, affinché vi asteniate dalle cupidigie terrene, che fan guerra allo spirito. Diportatevi degnamente tra i Gentili, affinché se sparlano di voi, come di malfattori, giudicandovi dalle vostre buone opere, diano gloria a Dio nel giorno che li visiterà. Il perché, siate sommessi, per amore del Signore, ad ogni umana istituzione, sia a re, come a sovrano, sia ai governatori, come mandati da lui, a punizione dei malfattori e a lode dei buoni. Perciocché tale è la volontà di Dio, che, operando il bene, imponiate silenzio alla ignoranza di uomini stolti. Come liberi e non pigliando la libertà a mantello di malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti, amate i fratelli, temete Dio, riverite il re. Voi, servi, siate sommessi, con ogni riverenza, ai padroni non solo buoni e discreti, ma anche capricciosi. Perciocché questo è cosa grata, se alcuno per coscienza innanzi a Dio sostiene molestie, soffrendo ingiustamente „ (I. di S. Pietro,, c. II, vers. 11-19).

Due sentimenti affatto contrari provo in me stesso al pensiero di dovervi fare la chiosa delle sentenze che avete udite, che son prese dalla prima lettera di S. Pietro; il primo sentimento è di vivo piacere, perché le verità che vi si contengono sono ad un tempo di somma rilevanza e pratiche per ogni classe di persone; il secondo sentimento è l’impaccio, nel quale mi trovo di svolgere come si deve ad una ad una queste verità, ciascuna delle quali richiederebbe un discorso. Mi è dunque forza congiungere insieme la brevità e il commento di tutti i nove versetti, che vi ho recitati: mi vi proverò, fidando sempre nella vostra attenzione. – « Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini, affinché vi asteniate dalle cupidigie terrene, che fan guerra allo spirito. „ Io non so dirvi, o fratelli, ciò che sento in cuore, allorché leggo e considero questa parola sì bella “Carissimi”, uscita dalla penna di S. Pietro. — Chi è colui, che scrive ? È il primo Vicario di Gesù Cristo, il Principe degli apostoli, il capo della Chiesa, carico di anni, di dolori e di meriti, già presso al patibolo, sul quale alla corona dell’apostolato si aggiungerà la palma del martire. A chi scrive? Ad alcuni cristiani, poveri, vessati, dispersi qua e là, usciti poc’anzi dalle tenebre del paganesimo e dai pregiudizi ebraici. E Pietro, questo primo depositario delle somme chiavi, lasciategli da Cristo, venerando per la dignità, per l’età, pei patimenti sofferti pel nome di Cristo, sembra quasi dimenticare se stesso, e con la effusione d’un padre, che abbraccia i suoi figliuoli, dice loro: “Carissimi!„ In questa parola si sente battere il cuore del sommo apostolo! Ah! se Pietro teneva coi semplici e poveri fedeli questo linguaggio pieno di affetto paterno, che dobbiamo fare noi? Noi, sacerdoti, noi, pastori di anime, oggi più che mai abbiamo bisogno d’informare i nostri cuori e le nostre parole al cuore, alle parole del primo apostolo! S. Pietro, dopo aver destata l’attenzione e guadagnato l’affetto dei suoi neofiti con quella parola -“Carissimi„- li esorta a considerarsi come stranieri e pellegrini sulla terra. Il pellegrino o straniero, che viaggia verso la patria sua, ricorda sempre d’essere pellegrino e straniero; non si cura delle cose che vede, passando, o appena le degna d’uno sguardo fuggevole, né punto lega ad esse il cuor suo; si sbriga di tutto ciò che lo impaccerebbe nel cammino e si restringe a portar seco solo quel tanto che è necessario e, fissa la mente nella patria, non bada a disagi e pericoli, non perde tempo con quelli che incontra per via, non contende con loro, li saluta cortesemente e studia il passo. — Ebbene: noi tutti, quaggiù sulla terra, siamo pellegrini e stranieri: la nostra patria è il cielo: là soltanto riposeremo: non fermiamoci per via, non leghiamo il nostro affetto a cose, che dobbiamo tosto abbandonare, non carichiamoci dell’inutile peso dei beni della terra, non consumiamoci tra noi con vani litigi, corriamo animosi verso la patria, dove ci aspetta Dio, Padre nostro, dove ci attendono i nostri fratelli, i Santi, dove tutto un giorno sarà pace e gioia purissima ed eterna. Se siete stranieri e pellegrini su questa terra “dovete astenervi – dice S. Pietro – dalle cupidigie terrene”, cioè dall’amore disordinato dei piaceri, dall’orgoglio, dall’ambizione, dalla gola, dalla avarizia, dall’ozio e sopra tutto dalla lussuria, che ritardano il vostro cammino, anzi vi incatenano a questo mondo. – L’anima, che viene da Dio, attratta dalla verità, che brilla in alto, mossa dalla grazia, che dolcemente la porta al cielo, quasi aquila generosa spiega le ali verso l’altezza suprema; ma le cupidigie, i piaceri del senso, quasi fili avvolgenti i suoi piedi, la tengono legata alla terra: rompiamo questi fili, stacchiamo i nostri affetti dalla terra e voleremo al cielo, nel seno stesso di Dio, e cesserà questa malaugurata lotta tra lo spirito e la carne, quello, che ci tira in alto, questa, che quasi palla di piombo, legata ai nostri piedi, ci tiene avvinti a questa misera terra. – Segue un’altra esortazione pratica: “Diportatevi degnamente tra i Gentili. „ I Cristiani devono sempre vivere come esige la loro professione di Cristiani, cioè degnamente e santamente, perché così vuole il loro dovere e così vuole Iddio: ma a questo motivo, che è il primo e principalissimo, altri buoni ed onesti si possono aggiungere; e buono ed onesto è pur quello di onorare la loro fede innanzi agli uomini, e particolarmente dinanzi ai nemici della fede tessa. Qual mezzo più efficace di mostrare la santità della religione, di renderla cara e degna di venerazione e di condurre a lei gli erranti ed i nemici suoi più fieri quanto il mostrarne i benefici effetti in noi stessi? Sta bene metterne in luce le prove con una parola eloquente, ma è molto meglio farne brillare la divina origine nelle opere e nelle virtù. Noi sappiamo che nei primi secoli la conversione dei Gentili, più che alla eloquenza dei grandi apologisti, si doveva alla vita illibata e santa dei cristiani, e perciò S. Pietro scriveva: “Diportatevi degnamente tra’ Gentili. „ Carissimi! ora noi non viviamo, grazie a Dio, tra Gentili, ma tra cristiani; ma quali Cristiani? Assai volte sono cristiani di nome, praticamente ed anche teoricamente miscredenti: sono cristiani di costumi perduti, immersi in ogni sorta di disordini e di scandali. Forse voi stessi avrete amici, conoscenti, congiunti, persone teneramente amate, che hanno perduta la fede, oppure, conservandola, la disonorano con una vita indegna. Volete guadagnarli a Dio? Il mezzo più sicuro è quello di offrire in voi stessi la pratica della religione, di presentare nelle vostre parole e nelle vostre opere il modello del vero cristiano. Spargete intorno a voi nella famiglia, nella conversazione, nella parrocchia il profumo della vita cristiana e a poco a poco ricondurrete sulla retta via gli erranti ed i poveri peccatori. Lo insegna S. Pietro, che va innanzi e dice: “Se i Gentili sparlano di voi e vi tengono come malfattori, quando vedranno le vostre opere buone, daranno gloria a Dio allorché Dio li visiterà, „ cioè li toccherà colla sua grazia. Che cosa è, o dilettissimi, la grazia di Dio? È una visita ch’Egli fa alle anime nostre: le visita col lume della verità, che. ci fa conoscere la verità e il dovere, che ci fa odiare il male, amare il bene: le visita colla grazia, che ci sveglia, ci scuote, ci rimprovera, ci stimola, ci sostiene, ci spinge innanzi nella via della virtù. Felice colui che riceve spesso la visita di Dio, più felice chi l’accoglie e si trattiene con Lui! – È da sapere, che nei primi secoli della Chiesa e al tempo stesso degli apostoli i cristiani erano considerati dai pagani come malfattori, nemici dell’impero e ribelli alle autorità costituite; lo sappiamo da Tacito, da Plinio, da Minuzio Felice, e qui ce lo fa sapere lo stesso S. Pietro : ” Quod detrectant de vobis tamquam de malefactoribus — Sparlano di voi come di malfattori. „ Non v’era delitto, per quanto enorme, che il popolo pagano, ingannato dai tristi, non apponesse ai cristiani, e il più comune e più terribile era quello, che essi disprezzavano le leggi e gli imperatori. – Era dunque natural cosa che gli apostoli respingessero la nera calunnia ed inculcassero pubblicamente il rispetto e l’obbedienza alle autorità civili in tutto ciò che era lecito. Allorché S. Pietro scriveva la sua lettera ai fedeli era già scoppiata o stava per scoppiare quella tremenda rivolta dei Giudei contro i Romani, che finì con lo sterminio e con la dispersione di quelli. Presso i pagani troppo spesso Cristiano e Giudeo si confondevano, come apparisce da molti luoghi degli Atti Apostolici. Il fondatore del Cristianesimo era sorto in mezzo ai Giudei ed era Giudeo: i suoi Apostoli erano Giudei, Giudei i primi Cristiani, e tutta la parte dogmatica e morale del giudaismo era passata nella Chiesa cristiana. Qual cosa più facile per i pagani quanto il confondere i Cristiani coi Giudei? Quindi è che lo spirito di rivolta dei Giudei si riputava comune ai Cristiani e perciò era doppiamente necessario che gli Apostoli separassero la causa dei Cristiani da quella dei Giudei in cosa sì grave. Ecco una delle ragioni, per la quale S. Pietro e S Paolo insistono con tanta forza sul dovere che hanno i Cristiani di rispettare ed ubbidire lo Autorità politiche e civili ancorché pagane. Si trattava di liberare i Cristiani da una accusa e da un pericolo gravissimo in quei momenti supremi. – Egli è per questo che S. Paolo nella lettera ai Romani e in questa S. Pietro nei termini più espliciti e quasi identici ricordano ai Cristiani questo dovere: “Siate dunque sottommessi, scrive S. Pietro, per amore del Signore, ad ogni umana istituzione, sia a re, come a sovrani, sia a governatori, come mandati da Lui, a punizione dei malfattori ed a lode dei buoni. „ Il tempo che mi è concesso, non mi permette di sviluppare largamente la dottrina del Vangelo o della Chiesa intorno ai doveri che abbiamo verso i poteri della terra, ma ve ne dirò quel tanto che basti all’uopo. Iddio ha creato l’uomo in modo che non può nascere, conservarsi, svilupparsi e perfezionarsi né quanto al corpo, né quanto all’anima se non nella società: prima nella società domestica, la famiglia, poi nella società civile e politica: esso è figlio, è fratello, è cittadino, e come il pesce non può vivere fuori dell’acqua, così l’uomo non può vivere fuori della società. È una necessità imposta dalla natura e perciò da Dio stesso, che ha creata la natura. Ora, o cari, perché gli uomini vivano insieme e i forti non opprimano i deboli e si mantenga l’ordine e la giustizia e si renda a ciascuno ciò che gli si deve, è necessario che vi sia una autorità, un potere, che mantenga quest’ordine e questa giustizia, e che impedisca che gli uni soverchino gli altri e procuri il bene privato e pubblico, ed eccovi l’autorità del padre in famiglia, l’autorità suprema nei tribunali, negli eserciti, nei regni, negli imperi, nelle repubbliche. Ora quel Dio che ha voluto che gli uomini vivano in società e regni la giustizia, ha voluto e deve volere, che vi siano le autorità od i poteri pubblici, che sono il mezzo necessario per conservare la società e far regnare la giustizia. Se voi, o cari, volete che i vostri figli imparino questa o quella scienza, facciano questo o quel viaggio, dovete anche volere, che abbiano i maestri, i libri e il tempo necessario per apprendere quelle scienze, e il danaro indispensabile per fare quei viaggi: è cosa manifesta, perché chi vuole il fine deve volere i mezzi. Se Dio vuole la società, vuole anche l’autorità che la governi: se vuole l’autorità che la governi, vuole anche l’obbedienza di quelli che devono essere governati, e perciò l’obbedienza alle autorità è voluta da Dio ed è un dovere di coscienza, e chi la rifiuta, offende Dio stesso. Ora comprenderete, o dilettissimi, come S. Pietro aveva ragione di dire ai primi fedeli : “Figliuoli, siate soggetti ad ogni umana istituzione, o legge, per amore di Dio, cioè perché lo vuole Iddio! S. Paolo (Rom. XIII, 1 seq.) dice: ” Ogni persona sia sottoposta ai poteri superiori, perché non v’è potere se non da Dio, e quelli che sono esistenti, sono ordinati da Dio, a talché chi resiste al potere resiste all’ordine di Dio … È necessario essere soggetto al potere, non solo per timore, ma ancora per la coscienza. „ Vedete perfetto accordo di S. Pietro e di S. Paolo! Quasi le stesse frasi! S. Pietro dice che bisogna ubbidire ai poteri per amore di Dio, propter Deum; S. Paolo “per la coscienza” propter conscientiam. „ Siate soggetti al re, come al sovrano, cioè a colui, che vi sovrasta pel potere stesso. Veramente allora il potere supremo risiedeva nelle mani dell’imperatore, ma san Pietro colla parola “re” volle indicare l’imperatore, e forse lo chiamò re anziché imperatore, perché la parola “re” a lui ed agli Ebrei era famigliare, e nuova quella di imperatore, ma la sostanza è sempre la stessa. Ma ubbidiremo noi soltanto al re, od all’imperatore, od al potere supremo, quando immediatamente ci intima di ubbidire? No: noi ubbidiremo ad esso ed ai governatori, come a delegati da lui a punire i malvagi ed a lode dei buoni. Il potere supremo è come la vita: questa risiede nel capo, come nel suo centro, e di là si spande per tutto il corpo: il potere risiede nel capo o nei capi supremi dello Stato, e di là si dirama in tutti quelli, che variamente ne partecipano: e come il ferire o percuotere una mano od un dito è ferire e percuotere il capo, da cui deriva la vita ed il senso, così rivoltarci contro i poteri inferiori è rivoltarci contro il potere, del quale sono emanazione. Che fare pertanto? Ubbidire a tutti i poteri, per dovere di coscienza, per amore di Dio. Ai sommi, come agli inferiori, perché così vuole Iddio: “Quia sic est voluntas Dei”: lo vuole la necessità delle cose, lo vuole il nostro interesse, lo vuole il timore della pena, lo vuole sopra tutto Iddio! – E qui non vi sfugga, o cari, una osservazione di grande importanza, ed è questa: la fede nostra eleva, nobilita, divinizza il potere, e così eleva, nobilita e divinizza anche la nostra sottommissione e la nostra ubbidienza. Ubbidire ad un uomo come noi, forse per ingegno, dottrina, ricchezza e virtù inferiore a noi, è cosa che offende l’amor proprio, che ci umilia, e tale può essere ed è assai volte chi comanda: ma allorché al di sopra di lui io veggo Dio, che così vuole, e mi dice: Ubbidendo a quest’uomo, tu ubbidisci a Me, Re dei re —, sento tutta la mia dignità, e lungi dall’abbassarmi, ubbidendo, mi innalzo: l’uomo del potere è un valletto, che mi porta i comandi di Dio; quello sparisce ai miei occhi e questo solo mi sta dinanzi: come non mi terrei onorato di ubbidire? S. Pietro voleva che i cristiani ubbidissero per coscienza al re, cioè all’imperatore; e chi era quell’imperatore? Sappiatelo bene: era il più scellerato degli imperatori, un vero mostro di crudeltà, uccisore del maestro e della madre sua; che due o tre anni appresso avrebbe fatto mettere in croce lui stesso, Pietro, e decollare il fratel suo nell’apostolato, Paolo: era Nerone. Ma Nerone era pagano! Non importa; Pietro a nome di Dio comanda di ubbidire anche al pagano: il potere sovrano è come un raggio di luce: esso può cadere sopra un diamante come sopra il fango: la luce è sempre luce e non si contamina illuminando le sozzure. Il padre pagano cessa di essere padre perché è pagano, e cessa forse nei suoi figli il dovere di rispettarlo ed ubbidirlo? Un ministro dell’altare potrebb’essere malvagio, empio, miscredente : ma il fulgore del carattere che suggella in lui il potere divino non si eclissa, non si spegne mai; così è il potere sovrano: esso può essere nel pagano, nell’eretico, nell’empio, e noi gli dobbiamo rispetto ed ubbidienza: non è l’uomo, ma Dio che in lui rispettiamo ed ubbidiamo. Ma l’imperatore era legittimo? Legittimo Nerone! Quale domanda! Allora non si facevano siffatte questioni, sempre difficilissime a sciogliersi anche dai dotti. Si diceva soltanto: Questi è l’imperatore; il potere supremo è nelle sue mani; il mio dovere è di ubbidire; il bene pubblico lo esige; non cerco altro, ubbidisco. E in che cosa dovevano ubbidire i cristiani? S. Pietro non determina nulla: vuole dunque che si ubbidisca in ogni cosa fin là dove un’altra autorità superiore dice: Qui comincia il mio regno e qui finisce quello dell’imperatore. — In altre parole: si deve ubbidire all’autorità terrena in tutto ciò che non si oppone alla legge di Dio; a lui è soggetto ogni potere terreno, e allorché questo vuole ch’io mi ribelli a Dio ed alla sua Chiesa, io gli rispondo: Non ubbidisco a te, ma a Dio, che è mio e tuo Re. — Così fece Pietro con Nerone! E questa la gran regola tracciata dal Principe degli Apostoli e costantemente osservata nella Chiesa e che noi custodiremo fedelmente. Con questa sottommissione a tutti i poteri della terra voi non solo adempirete la volontà di Dio e farete il bene, scriveva S. Pietro, ma imporrete silenzio alla ignoranza di uomini insipienti. „ Con queste parole S. Pietro chiaramente ci fa conoscere le condizioni difficili e dolorose, nelle quali si trovavano i Cristiani, sospettati non solo, ma denunciati pubblicamente come nemici dell’imperatore, sprezzatori delle leggi, pronti alla rivolta. Col vostro rispetto all’imperatore e a tutte le autorità, con la obbedienza alle leggi, voi, diceva S. Pietro, chiuderete la bocca a questi calunniatori che, non conoscendovi, vi rappresentano come ribelli. – Miei cari! Alcun che di simile avviene anche al giorno d’oggi, nella nostra Italia. Certi giornali, certi scrittori, certi uomini ci designano pubblicamente come nemici della patria, come avversi alle sue istituzioni, alla sua libertà, alla sua grandezza, alla sua indipendenza: questa sì atroce accusa cade particolarmente sopra di noi, uomini di Chiesa. Ma seguendo l’esempio dei primi Cristiani e il precetto di S. Pietro, con le opere, col nostro rispetto, colla nostra ubbidienza sincera e costante alle leggi ed alle autorità tutte ci studieremo di mostrare il nostro amore alla patria, e secondo le nostre forze ne procureremo la prosperità e la gloria, perché questo è pure un dovere impostoci da Dio. S. Pietro passa oltre e tocca una verità utile allora, oggi per noi necessaria, e che vorrei fosse da voi tutti debitamente ponderata. Udite: “Diportatevi come liberi, e non pigliando la libertà a mantello di malizia, ma come servi di Dio. „ Voi siete stati redenti da Gesù Cristo, e per Lui avete acquistata la libertà di figli di Dio. Ma che libertà è questa, che Gesù Cristo vi ha data? E la forza di vincere le vostre passioni, di conoscere la verità e rigettare l’errore, di praticare la virtù: Gesù Cristo vi ha chiamati alla libertà del bene, ma non vi ha sottratto ai vostri doveri, non vi ha sciolto dall’obbedienza, che dovete ai principi. Voi a ragione dite: Noi siamo liberi; ma badate bene di non usare della libertà per servire la iniquità, per gettarvi in braccio alle passioni, per coprire la licenza. Oggi la bella e santa parola di libertà per molti vuol dire “mantello di malizia” — “Velamen habentes malitiæ libertatem”.— Vogliono la libertà, ma quale libertà? La libertà di ingiuriare, di calunniare, di opprimere il fratello: la libertà di spargere la discordia: la libertà di scuotere il giogo della autorità paterna e sovrana: la libertà di farsi schiavi della superbia, della gola, dell’avarizia, della lussuria, del peccato. È questa libertà vera, o fratelli? Chiamereste voi libertà quella di potervi strappare gli occhi, di potervi tagliare, le braccia, di potervi togliere la ragione, di potervi gettare in un precipizio? Questo è abuso di libertà, non mai libertà. – Quella è vera libertà, che ci rende padroni di noi stessi, signori delle nostre passioni, che ci affranca dal vizio e dal peccato, che ci fa maggiormente simili a Dio, il quale non può far il male. Allora la nostra libertà è perfetta quando non offendiamo l’altrui, quando adempiamo tutti i nostri doveri, primo dei quali è ubbidire a Dio: Sicut servi Dei. Seguono quattro bellissime esortazioni di Pietro. “Onorate tutti, amate i fratelli, tetemete Dio, riverite il re. „ Il Vangelo fu e sarà sempre il più perfetto codice non solo di morale, ma eziandio di quella che dicesi civiltà ed educazione. Esso vuole che colle parole e colle opere sempre ed in ogni luogo onoriamo sinceramente non pure quelli che per dignità, scienza o per qualsiasi altro titolo ci sono superiori, ma gli eguali ed anche gli inferiori: “Omnes honorate”, prevenendovi gli uni gli altri con quegli atti, che sono segni di stima e di onore, come altrove insegna san Paolo. E onoreremo tutti, se tutti ameremo come fratelli: “Fraternitatem diligite”. Chi ama una persona la onora e vuole che da tutti sia onorata, e l’onore che le rende è sempre in ragione dell’amore. Quei superbissimi e terribili uomini della rivoluzione francese, che scossero tutta Europa e rovesciarono l’ordine antico di cose, scrissero sulla loro bandiera queste tre parole famose: Libertà, eguaglianza, fratellanza. Parole sante bene intese e bene applicate! Quei Titani della rivoluzione avevano l’orgoglio di credere d’aver essi pei primi proclamata la fratellanza universale, ignoravano che diciotto secoli prima S. Pietro aveva scritto: Fraternitatem diligite. — Amate la fratellanza. ” Temete Iddio — Deum timete. „ Temiamo Iddio, perché è infinita maestà e giustizia e non lascia impunita colpa alcuna; temiamo Iddio, non come lo schiavo teme il padrone, ma come il figlio teme il padre suo; il nostro sia timore di offenderlo, un timore misto ad amore. “Riverite il re — Regem honorificate. „ Ripete ciò che disse sopra per mostrare come la cosa gli stia a cuore, e non fa bisogno il dire, che questa riverenza dovuta al capo dello Stato deve manifestarsi nella obbedienza e nella preghiera, che per lui si deve fare, secondo ché S. Paolo comanda nella sua lettera a Timoteo (I. II, 1). – S. Pietro da Dio discende al re e dal re discende ai padroni ed ai servi e, rivolto a questi, dice: “Voi, servi, siate sottomessi, con ogni riverenza, ai padroni, non solo buoni e discreti, ma anche capricciosi. „ Quale insegnamento, o dilettissimi! La condizione dei servi, dirò meglio, degli schiavi, era orribile: potevano essere venduti e barattati come merce; potevano essere maltrattati, percossi ed anche uccisi: la legge non si curava di loro, perché li teneva in conto di proprietà del padrone, che poteva farne quell’uso, che voleva. Voi potete comprendere qual fosse la condizione di questi sventurati, venuti a mano dei padroni pagani, spesso senza cuore. L’apostolo non dice loro: Rivendicatevi a libertà, fate valere la vostra ragione: non avrebbe fatto che rendere più dolorosa la loro sì misera condizione: il Vangelo di Gesù Cristo ha collocato il rimedio dei maggiori mali nel grande segreto della pazienza e della rassegnazione che finisce col vincere e guadagnare gli stessi oppressori. S. Pietro vuole che questi infelici ubbidiscano ai loro padroni, ed ubbidiscano con ogni riverenza, e ubbidiscano ad essi non solo quando sono buoni, discreti, ma anche quando sono puntigliosi, capricciosi, cattivi, perché è questo il miglior modo di scemare i proprii mali e di rendere mansueti e trattabili i padroni. — Servi, dipendenti, che mi ascoltate e che forse talvolta trovate i vostri padroni difficili, duri, indiscreti, esigenti, capricciosi, ingiusti, ricordate le parole di san Pietro e fatene regola della vostra condotta. Il più terribile problema che si affacci alla mente dell’uomo, è questo: vedere la virtù avvilita, tribolata, oppressa, e la malvagità onorata, felice, trionfante. Se non ci fosse la fede, che ci mostra al di là della tomba la giustizia, che infallibilmente sarà fatta, sarebbe da disperare, da maledire la virtù, e ripetere col fiero Romano : “O virtù, tu non sei che un sogno. „ Ma la fede fa scendere dall’alto un raggio della sua luce e ci assicura che Dio un giorno renderà a ciascuno secondo le opere sue, e la ragione si calma, il cuore respira ed il problema è sciolto. Ecco ciò che insegna S. Pietro in quest’ultimo versetto: “Questo è cosa grata, se alcuno per coscienza innanzi a Dio sostiene molestie, soffrendo ingiustamente. „ – Sì, o cari, è un favore del cielo, è una gloria per noi soffrire molestie, dolori e persecuzioni ingiuste per amore di Dio, perché queste saranno il seme che ci frutterà la gioia eterna del cielo!

Alleluja

Allelúja, allelúja. Ps CX: 9 Redemptiónem misit Dóminus pópulo suo:alleluja. [Il Signore mandò la redenzione al suo pòpolo. Allelúia.]

Luc XXIV:46 Oportebat pati Christum, et resúrgere a mórtuis: et ita intráre in glóriam suam. Allelúja. [Bisognava che Cristo soffrisse e risorgesse dalla morte, ed entrasse così nella sua gloria. Allelúia.]

Evangelium

Joannes XVI:16: 22

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Módicum, et jam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis ejus ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me, et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo: Quid est hoc, quod dicit: Modicum? nescímus, quid lóquitur. Cognóvit autem Jesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quaeritis inter vos, quia dixi: Modicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora ejus: cum autem pepérerit púerum, jam non méminit pressúræ propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos igitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.” [In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre. Dissero perciò tra loro alcuni dei suoi discepoli: Che significa ciò che dice: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre? Cos’è questo poco di cui parla? Non comprendiamo quel che dice. E conobbe Gesù che volevano interrogarlo, e disse loro: Vi chiedete tra voi perché abbia detto: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete, laddove il mondo godrà, sarete oppressi dalla tristezza, ma questa si muterà in gioia. La donna, allorché partorisce, è triste perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno, a motivo della gioia perché è nato al mondo un uomo. Anche voi siete adesso nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà, e nessuno vi toglierà il vostro gàudio.]

Omelia

[Idem ut supra, Omel. XX]

Gesù disse queste parole in un momento solenne, poche ore prima di cominciare la sua passione, e fanno parte di quel sublime discorso che tenne ai suoi cari dopo la Cena. Allorché si pensa che Gesù vedeva con tutta chiarezza e sicurezza gli inenarrabili dolori e la morte crudelissima e vituperosa che doveva soffrire il giorno appresso: allorché si pensa alle trepidazioni, alle angosce del suo cuore in quella sera fatale, e si legge quel discorso ammirabile, in cui apre l’animo suo ai suoi cari discepoli, li conforta, li consola, li ammaestra, dimenticando se stesso: allorché si considera la calma, la pace, la serenità, la tenerezza del suo linguaggio, la sublimità e la semplicità delle cose che dice, è forza esclamare: Gesù non è un uomo, perché un uomo in quelle terribili distrette non poteva parlare a quel modo: Gesù è Dio! Con profonda venerazione e viva fede raccogliamo le sue parole e meditiamole con amore. Il discorso di Gesù, che dicesi dell’ultima Cena, è riferito dal solo S. Giovanni, e comincia subito dopo la partenza di Giuda, dal capo XIII, vers. 31, e continua tutto il capo X. Alla fine del capo XIV Gesù dice: “Levatevi, andiamocene di qui. „ Allora egli con gli Apostoli uscì dal cenacolo e mosse verso il Getsemani, continuando il discorso che si legge nei capi XV, XVI e XVII, che fu certamente tenuto per via. Il perché anche le parole che ora siamo per ispiegare, da Gesù furono dette nel tratto di via che fece dal cenacolo all’orto del Getsemani. “Ancora un poco, diceva Gesù ai discepoli, con voce piena d’affetto, ancora un poco, e più non mi vedrete, e di nuovo, ancora un poco, e mi vedrete, perché me ne vo al Padre.„ – Non mi fermo a spiegare queste parole, perché tosto le udremo spiegate da Gesù Cristo stesso. Il pensiero di Gesù era fisso naturalmente su due punti capitali, l’imminente sua dipartita e la prova terribile a cui andavano incontro i suoi cari Apostoli, e non poteva essere altrimenti. Della sua imminente dipartita più volte fa cenno nel discorso, ma si direbbe che si studia di temperarne l’orrore per non sgomentare soverchiamente i timidi discepoli: ne parla, ma quasi velatamente e certo in modo meno particolareggiato, che non avesse fatto alcuni mesi prima, come in questo luogo: “Ancora un poco, e non mi vedrete più, ed ancora un poco, e mi vedrete. „ Udendo queste parole, che indicavano la prossima sua morte e risurrezione, come già tante volte, gli Apostoli non ne potevano afferrare il senso, che pure era abbastanza manifesto, massime se le avessero raffrontate alle altre ripetutamente da Lui udite. Che fecero, che dissero alcuni tra di loro? Quello che sogliono fare gli scolari d’un buon maestro, che sia altamente rispettato, allorché insegna cose ch’essi non capiscono. Si guardano gli uni gli altri e a bassa voce si domandano a vicenda: “Che vuol dire questo? Come si intende ciò che il maestro insegna?” – Essi non osano per riverenza interrogarlo direttamente, ma non possono dissimulare il desiderio di udire una spiegazione più chiara, che li appaghi, e la sperano dal buon maestro. Il somigliante avveniva intorno al divino Maestro. Alcuni de’ suoi discepoli (il Vangelo ne tacque il nome), camminando a fianco o dietro a Lui, bisbigliavano rispettosamente tra loro, e dicevano: “Che è mai questo che il Maestro dice: Anche un poco, e più non mi vedrete, ed anche un poco, e mi vedrete, perché me ne vado al Padre? Che è mai questo: Un poco? Non sappiamo che cosa egli voglia dire. „ Quanto candore in questa narrazione di S. Giovanni! Come apparisce la schiettezza degli Apostoli, il loro rispetto dinanzi al Maestro ed insieme la figliale confidenza che avevano in Lui, e la bontà e dignità tutta paterna ch’Egli aveva con loro! Figliuoli carissimi! allorché nella vostra mente spuntano dubbi angosciosi intorno alla fede e non sapete scioglierli, non potreste imitare gli Apostoli e chiedere a chi può dissiparli una parola di luce, un consiglio? È ciò che fanno i figli coi genitori, i discepoli col maestro. E ciò che timidamente fecero gli Apostoli con Gesù e Gesù spiegò loro la cosa. Gesù certo non aveva bisogno che le parole degli Apostoli giungessero a Lui per conoscere ciò che passava nell’animo loro, ma, come più e più volte vi dissi, Egli era uomo e in ogni cosa si acconciava a fare e parlare come uomo. E perciò, udite quelle parole degli Apostoli, come se da esse avesse appreso il bisogno che avevano d’uno schiarimento, senza una parola di meraviglia o di rimprovero, con tutta benignità ed amorevolezza, compatendo la loro ignoranza, si volse verso di essi e disse: “Voi state cercando tra di voi di ciò che ho detto: Ancora un poco, e non mi vedrete, e di nuovo un poco, e mi vedrete. „ – Eppure la cosa è facilissima ad intendersi, e l’amabile Maestro la spiega tosto, dicendo: “In verità, in verità vi dico: Voi gemerete e piangerete; il mondo godrà e voi vi rattristerete, ma la tristizia vostra si cangerà in gioia. „ Evidentemente in questi due periodi si dà la spiegazione dei due periodi della domanda fatta dagli Apostoli. “Ancora un poco, e non mi vedrete più, „ risponde alle parole: “Voi piangerete e gemerete. „ E perché? Ancora poche ore, ed Io dopo dolori senza nome morrò sulla croce e sarò calato nel sepolcro: Io sarò tolto di mezzo a voi e il vostro dolore avrà la misura nell’amore, che avete per me: voi piangerete, gemerete, sarete oppressi dalla desolazione più profonda, come figli amorosi, ai quali è rapito improvvisamente il padre. “Ma ancora un poco, e mi vedrete; „ queste altre parole trovano il loro riscontro nelle seguenti: “E la vostra tristezza si cangerà in gioia. „ Dopo poche ore Io risusciterò pieno di vita immortale, mi mostrerò a voi nella mia gloria, e il vostro dolore cesserà e si cangerà in gioia ineffabile. In altri termini Gesù volle dire: “Tra breve morrò, e voi sarete immersi nel più cocente dolore; ma poco dopo risorgerò, vi rivedrò, e grandissima sarà la vostra gioia”. In queste parole di Gesù Cristo due cose mi sembrano degne di osservazione. Primieramente Gesù Cristo non pronuncia mai la parola morte e l’altra relativa risurrezione, che senza dubbio erano più chiare. Per qual ragione? La parola morte, benché temperata dall’altra risurrezione, era troppo crudele ferita al cuore degli Apostoli, già ricolmi di tristezza, e perciò non la pronuncia ed usa una specie di circonlocuzione per raddolcire il dolore che doveva arrecare. Gesù fece con gli Apostoli come facciamo noi allorché dobbiamo annunziare a persone amate una grande sventura: non la diciamo di netto, apertamente: crederemmo, così facendo, d’essere indelicati e peggio, ma diciamo l’equivalente con un giro di parole che facciano sentire men viva la punta del dolore. Quanta delicatezza in questa condotta di Gesù coi suoi Apostoli! Quanta tenerezza! Che squisita bontà usa con loro! Imitiamolo nei nostri rapporti con tutti i fratelli nostri e più con i poveri, con gli ignoranti, perché più ne abbisognano. In secondo luogo Gesù Cristo, in queste parole e in tutto questo stupendo discorso dell’ultima Cena, non parla mai dei dolori che trafiggevano il suo cuore, delle agonie che gli sovrastavano, del calice amarissimo a cui era per accostare le labbra: Egli dissimula le sue ansie, i suoi affanni, che già dovevano premere sul suo cuore: non pensa a sé, non parla di sé, ma pensa ai suoi cari, ed ogni sua parola è volta a confortarli, a prepararli alla durissima ed imminente prova. Quale grandezza d’animo! Quale generosità di cuore! Quanta differenza tra noi e Lui! Noi, allorché siamo colti dal dolore, percossi da qualche sventura, non pensiamo che a noi stessi, non parliamo che dei nostri dolori, vogliamo che tutti se ne interessino e ci lagniamo se altri non se ne occupano e non ci compatiscono. Gesù non parla dei suoi dolori, dell’imminente sua passione e morte sì crudele e non si occupa che dei suoi cari e li conforta con una tenerezza veramente divina. Gesù Cristo rischiara il suo pensiero con una similitudine efficacissima: “Allorché la donna dà alla luce, soffre, perché è venuta l’ora sua: ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’ambascia, per la gioia che è nato un uomo al mondo. „ La similitudine non abbisogna di spiegazione: è facile immaginare come il dolore della madre si muti in vivissima gioia allorché vede, stringe tra le braccia e copre di baci il frutto del suo seno: essa più non ricorda i suoi dolori e le sue angosce e si bea e si allieta della vista del suo bambino. Similmente, dice Gesù Cristo agli Apostoli, avverrà a voi fra poco. Vedendo la mia morte, voi soffrirete dolore acerbissimo, ma sarà breve; come quello della madre che dà alla luce. Rivedendomi risorto, voi vi rallegrerete e gioirete, come si rallegra la madre, vagheggiando il suo nato. Allora la vostra gioia non vi potrà essere tolta da chicchessia. – Considerando queste parole, parrebbe quasi che nostro Signore non intenda significare la gioia degli Apostoli per la sua risurrezione e per le sue apparizioni, ma sì quella eterna del cielo, giacche dice: “Nessuno vi toglierà la vostra gioia. „ Ma la risposta è piana e chiarissima, quando si rifletta, che la prima gioia non si può separare dalla seconda, anzi è la radice della seconda. Allorché gli Apostoli videro risorto Gesù Cristo, conobbero ch’Egli era veramente il Figlio di Dio e l’aspettato Salvatore del mondo; essi da quel giorno credettero in Lui fermamente e lo amarono con tutto l’ardore dell’anima; essi poterono soffrire e soffrirono ogni maniera di dolori d’una morte crudele, ma in mezzo a quei dolori ed alle agonie più strazianti la certezza del premio li avvalorava, la speranza incrollabile di essere ricongiunti a Gesù che li aveva preceduti, li inebriava di gioia, tantoché S. Paolo diceva di sovrabbondare di consolazione in mezzo alle sue tribolazioni, e gli Apostoli si rallegravano d’essere fatti degni di patire per Cristo. Il giubilo pertanto degli Apostoli, che cominciò con la risurrezione di Cristo, dura in qualche senso tutta la loro vita e si compie in cielo, e d’esso Gesù Cristo poteva dire con tutta ragione: “Nessuno ve lo toglierà più mai. „ –  Qui ancora, o dilettissimi, si ribadisce quella grande dottrina che troviamo ad ogni pagina dei Libri santi, che è il nostro sostegno e nostro conforto nelle prove della vita e che risponde a meraviglia ai bisogni del nostro cuore; la dottrina è questa, che al nostro patire quaggiù è riserbato un godere eterno, ed alla virtù tribolata sulla terra Iddio prepara la corona in cielo. – Vi furono e vi sono uomini e talora forniti d’ingegno e di dottrina non comune, i quali affermano essere dovere fuggire il vizio e praticare la virtù, e nello stesso tempo osano insegnare che tutto finisce con la presente vita, che il cimitero è l’ultimo nostro termine. Se a codesti uomini voi domandate: “Qual premio dunque darete voi alla virtù se, dopo questa sì misera, non v’è un’altra vita?” Essi rispondono: “La virtù è premio a se stessa: il dovere vuolsi adempire per se stesso senza por mente al premio: una virtù, che si esercita in vista d’una ricompensa, è una virtù interessata, perde ogni pregio e non merita il nome di virtù” [Era questa la dottrina degli Stoici, che dicevano doversi praticare la virtù perché è il nostro dovere e perché essa con le sue gioie interne è ricompensa più che sufficiente. Tutta la scuola di materialità, che vorrebbe salvare una larva di virtù, ripete la stessa cosa al giorno d’oggi. È gente che non conosce il cuore dell’uomo e vuole ingannare se stessa. Non nego che talvolta la virtù apporti gioie interne soavissime: ma sempre? No. Ma durano molto? Pochi istanti. Ma contrappesano i sacrifici? No. Ma tutti ne sono capaci? Pochissimi. Ci vuol altro per ottenere i sacrifici della virtù!]. Ma allora, o dilettissimi, bisogna pigliare tutti i nostri Libri santi e lacerarli pagina per pagina, perché costantemente promettono all’uomo virtuoso la mercede nell’altra vita; e non solo bisogna rigettare l’insegnamento del Vangelo, che dice: “Rallegratevi, che la vostra ricompensa è grande in cielo, e nessuno più mai toglierà a voi il vostro gaudio: „ ma è necessario rinnegare tutte le tradizioni dei popoli, anche fuori della nostra religione, perché anch’essi, tutti, senza eccezione, e in tutti i tempi ammisero e professarono l’esistenza d’un’altra vita, dove il delitto è punito e debitamente retribuita la virtù. E poi, possiamo noi andare a ritroso della natura e rigettare e calpestare i suoi dettami più evidenti? Dite al contadino: Ora semina il tuo campo, pota e coltiva la tua vigna, ma bada di non pensare nemmeno alla messe: alla vendemmia. Dite all’operaio: Lavora nella tua officina, ma senza curarti della mercede. Dite al negoziante: Viaggia attraverso ai mari, logora la tua salute, ma l’idea del guadagno non deve essere il tuo fine. E costoro vorrebbero, che noi giorno e notte lavorassimo il campo dell’anima nostra, ne estirpassimo le male erbe, vi gettassimo il seme delle virtù, combattessimo contro le nostre perverse passioni, crocifiggessimo la nostra carne, lottassimo senza posa contro i nostri nemici, battessimo la via della virtù, seminata di spine e di bronchi, senza la speranza della mercede? — La virtù deve essere disinteressata! Buon Dio! possiamo noi dimenticare noi stessi? Noi siamo fatti per essere felici: il desiderio, il bisogno irresistibile della felicità ci segue da per tutto, ci incalza, non ci dà tregua un solo istante, è posto qui, in fondo al mio cuore, è il peso dell’anima mia: questo desiderio deve essere appagato, questo bisogno deve essere soddisfatto, e se non lo è col premio della virtù, in qual altro modo lo potrebbe mai essere? Io devo amare i miei fratelli, e perché li amo devo procurare loro quel bene che per me è possibile. Se devo amare i miei fratelli e procurare loro il bene per me possibile, perché non amerò prima me stesso? Non sono io uomo? Non sono io a me stesso più che fratello? Perché dunque non procurerò a me stesso il bene che posso? Perché della virtù, che mi costa tanti e sì amari sacrifici, non dovrò attendere la ricompensa? Lavorare, sudare, soffrire: ecco la virtù: e la virtù dovrebbe essere premio a se stessa? Allora il dolore: bel premio per fermo, bella ricompensa sarebbe la sua! Ah! Dio conosce bene il cuore umano: sa che per fuggire il vizio e praticare la virtù, ha bisogno del freno del castigo e dell’incoraggiamento del premio: perciò gli mette innanzi la carcere eterna da una parte, il cielo dall’altra, il possesso di se medesimo, una felicità immortale. Senza il timore della pena e la speranza della gioia, entrambe eterne, chi mai fuggirebbe il peccato, e correrebbe il sentiero sì aspro della virtù? Nessuno, io credo, perché nessuno vorrebbe soffrire senza speranza della mercede, nessuno vorrebbe patire tutta la vita sulla terra per nulla. Figliuoli! fissiamo gli occhi in quel gaudio che nessuna forza ci potrà mai rapire, e portiamo la croce inseparabile dall’esercizio della virtù.

Credo…

Offertorium

Orémus

Ps CXLV:2 Lauda, anima mea, Dóminum: laudábo Dóminum in vita mea: psallam Deo meo, quámdiu ero, allelúja. [Loda, ànima mia, il Signore: loderò il Signore per tutta la vita, inneggerò al mio Dio finché vivrò, allelúia.]

Secreta

His nobis, Dómine, mystériis conferátur, quo, terréna desidéria mitigántes, discámus amáre coeléstia. [In virtú di questi misteri, concédici, o Signore, la grazia con la quale, mitigando i desiderii terreni, impariamo ad amare i beni celesti.]

Communio

Joannes XVI:16 Módicum, et non vidébitis me, allelúja: íterum módicum, et vidébitis me, quia vado ad Patrem, allelúja, allelúja. [Ancora un poco e non mi vedrete più, allelúia: ancora un poco e mi vedrete, perché vado al Padre, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Sacramenta quæ súmpsimus, quæsumus, Dómine: et spirituálibus nos instáurent aliméntis, et corporálibus tueántur auxíliis. [Fai, Te ne preghiamo, o Signore, che i sacramenti che abbiamo ricevuto ci ristòrino di spirituale alimento e ci siano di tutela per il corpo.]