LO SCUDO DELLA FEDE (IX)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

IX.

I TESTIMONI.

 — I martiri testimoni della, verità, della dottrina cristiana. — Il loro numero. — Se siano stati fanatici o ambiziosi. — I falsi martiri. — Intervento divino nel fatto del martirio.

— È vero che le profezie precisamente avverate ed i miracoli operati mi danno dei motivi assoluti per credere agli insegnamenti della Chiesa Cattolica, come ad insegnamenti rivelati da Dio. Ma come sarò io sicuro dell’avveramento delle profezie e dei miracoli operati?

Lo sarai con la testimonianza di coloro che hanno veduto tutto ciò. Come fa il giudice ad accertarsi di un fatto, su cui ei deve pronunziare sentenza di assoluzione, o di condanna? Interroga i testimoni. Così noi volendo assicurarci dell’avveramento delle profezie e dei miracoli operati, dobbiamo far lo stesso, interrogare coloro che ne sono stati testimoni.

— Ma molte volte i testimoni sono falsi.

Precisamente perciò noi interrogando i testimoni, di cui parliamo, ricercheremo altresì se sono giusti, degni di fede.

— E quali sono questi testimoni?

Sono gli Apostoli, i discepoli di Gesù? e quei cristiani, che massime nei primi secoli della fede furono martiri.

— Come mai?

La parola martire (parola greca) in nostra lingua non significa altro che testimonio. Durante i tre primi secoli del Cristianesimo quasi da per tutto, in seguito poi qua e là, dapprima gli Apostoli e i discepoli di Gesù Cristo, poi i cristiani che abbracciarono la fede da loro insegnata, furono tentati con le persecuzioni a rinnegarla. Pestando essi costanti nella medesima, furono condannati a morte. Ed essi andandovi incontro volonterosi, confessando fino all’ultimo che la loro fede era divina, perché quel Gesù Cristo che era venuto ad insegnarla si era comprovato Dio, testimoniarono con le parole e col fatto la divina rivelazione fatta da Gesù Cristo medesimo.

— Ma i martiri non furono uccisi per delitti comuni? per certe scelleratezze che si dice abbiano commesse? e specialmente per essere stati nemici e odiatori degl’imperatori romani?

Ciò è falso, falsissimo. E la prova più lampante si è, che appena un cristiano avesse rinnegato la fede, era tosto lasciato in libertà, e ben anche colmato di onori e di ricompense. Come si sarebbe fatto ciò, se si intendeva di martirizzare i cristiani non già per la loro fede, ma pei delitti di cui erano imputati? E poi è bensì vero che si andava buccinando per ogni dove che i cristiani erano empi, perché ricevevano e si cibavano della SS. Eucaristia, ossia delle carni immacolate di Gesù Cristo; che erano nemici ed odiatori degli imperatori romani perché  in fatto di religione non la pensavano come essi volevano; ma in realtà non si poté mai provare alcuna delle scelleratezze loro addebitate, e tutt’altro che essere nemici ed odiatori degli imperatori, ne erano i sudditi più fedeli, tanto che il celebre Tertulliano, apologista cristiano, che viveva sulla fine del 2° secolo e per buona pezza del 3°, prese a difendere i cristiani dalle accuse che loro si facevano, e poté sfidare gl’imperatori romani e i magistrati a citare il nome di anche un solo cristiano, che avesse avuto parte nelle congiure o nelle guerre civili, che di quel tempo desolarono quasi del continuo l’impero.

— Ma per l’appunto Tertulliano ed altri apologisti non furono causa con le loro imprudenti parole di provocare lo sdegno degli imperatori?

Ecco il bel modo di ragionare che si usa anche ai dì nostri contro dei buoni cristiani, contro i preti, i vescovi, il Papa, contro la Chiesa. Si gettano contro di loro le più nere calunnie, e poi se essi prendono a ribatterle su pei giornali, o nei libri, od anche ricorrendo ai tribunali, si dice che sono provocatori; se tacciono e lasciano correre, si grida: Perché non fanno le loro difese, perché contro di tali accuse non danno querela? E questa ti pare giustizia? Ma via, quand’anche gli apologisti cristiani fossero stati imprudenti usando delle espressioni troppo violente contro degli imperatori; forse che questi erano in diritto di uccidere in massa i cristiani e di adoperare verso di loro tormenti così atroci, quali furono per l’appunto quelli che adoperarono? Dovevano adunque i cristiani lasciarsi massacrare senza che alcuno di loro si levasse su a protestare contro l’orribile ingiustizia, che si commetteva verso di essi? E qualora fosse stato così non si sarebbe detto che erano poveri sciocchi, ignoranti e testardi?

— Ciò è vero. Ma furono realmente molti i cristiani martirizzati?

Molti? Si tratta di milioni.

— Di milioni! Eppure mi pare aver letto non so dove che i martiri sono alla fin fine ben pochi.

Così hanno osato di dire certi scrittori razionalisti e protestanti dei nostri giorni, ma tuttavia ben diversamente è provato dalla storia. E a chi dobbiamo noi credere ? Ad un misero critico, che gonfio della sua scienza fallace, seduto tranquillamente nel suo gabinetto, con un tiro di penna cassa i calcoli stabiliti da quindici secoli per opera dei più gravi scrittori, od a coloro che quei morti caduti nei combattimenti della verità videro essi medesimi coi loro occhi? E non sono gli stessi pagani, loro contemporanei, quelli che fanno salire a milioni gli uomini, le donne, i vecchi, i fanciulli, i preti, i laici, i nobili, i plebei, i liberi, gli schiavi assassinati nel nome degli dèi per avere pronunziata questa sola parola: « Io sono cristiano? – E non asserisce forse Tacito che si trattava di una moltitudine immensa? Non scrive forse Plinio, che era un popolo infinito sparso per ogni dove e appartenente a ogni classe della società ? E Marco Aurelio, il coronato filosofo, non copre forse de’ suoi disprezzi intere turbe di fanciulli uccisi? E non attesta il medesimo Giuliano apostata, che i cristiani, a schiere, a schiere, correvano al martirio, come le api all’alveare? Ridurre adunque ai minimi termini il numero dei martiri, come fa oggidì qualche scienziato incredulo è un contraddire palesemente la verità, è un rinnegare la luce del sole.

— Ma i martiri non potevano essere vittime infelici del loro fanatismo, del loro esaltamento di animo, anziché testimoni della fede?

Obbiezione vecchia questa ! Ma l’ingente loro numero non è già una prova contraria? Che qualche uomo muoia vittima del fanatismo, cioè dell’animo esaltato da cieca passione, passi; ma che muoiano centinaia, migliaia, milioni… E tra questi milioni non c’erano anche in gran numero illustri filosofi, grandi dottori, uomini di coltura e di genio, gente insomma che non può essere vittima del fanatismo! E poi l’atteggiamento dei martiri era quello di gente fanatica? I martiri fanatici, se possiamo accoppiare insieme questi due termini, mostrano anche morendo inquietudine, agitazione frenetica, orgoglio, fierezza, odio. Tra questi pretesi martiri si pongono Giovanni Huss, Girolamo da Praga, Giordano Bruno. Giovanni Huss fu dapprima sacerdote e poi eretico, e non ostante che fosse stato convinto dei suoi errori in un Concilio radunatosi a Costanza, ostinatamente rifiutò di rinnegarli. Epperò venne abbandonato all’autorità civile, che secondo le leggi di quel tempo lo condannò al rogo (anno 1415). Lo stesso accadde a Girolamo da Praga semplice laico, ma amico di lui e sostenitore dei suoi errori, ed a Giordano Bruno, che fu dapprima domenicano e poscia pervertito si diede ad insegnare pubblicamente ogni sorta d’immoralità e bestemmie (anno 1600), ed al quale, a scopo settario, si volle nel 1889 innalzare a Roma in Campo di Fiori, ove era stato giustiziato, un monumento. – Ma tutti costoro anche negli estremi istanti di loro vita si dimostrarono pieni di superbia, di presunzione, di disprezzo verso coloro, che li dannarono. Nei martiri cristiani invece non si vede che pace, che rassegnazione, che carità, che generosità, che umiltà, che tutto un insieme di virtù, che rapisce e strappa le lagrime. E ciò per tre secoli continui! Dimmi sono cose queste che si possano spiegare col fanatismo! Per fare ciò bisognerebbe essere fanatici davvero!

— Mi viene tuttavia in mente un’altra difficoltà. Ora i martiri della Chiesa Cattolica sono molto onorati, tanto che si erigono loro degli altari, si pongono in venerazione le loro immagini, si celebrano con splendore le loro feste, si fanno i loro panegirici. Non potrebbe essere che prevedendo essi tutto ciò, si lasciassero indurre al martirio dalla vanagloria e dall’ambizione?

E si può dire davvero che, umanamente parlando, essi prevedessero la gloria e gli onori, che avrebbero ricevuto dalla Chiesa? Che anzi non vedevano per lo più che i corpi dei martiri, che li avevano preceduti, restavano insepolti, che le loro ossa e le loro membra dilacerate venivano gettate di spesso in fondo alle cloache? E molte volte ne erano uccisi tanti insieme, per modo che di molti di essi restasse ignoto persino il nome? Ed anche allora che avessero preveduti gli onori resi ad essi in seguito, ti par possibile che ciò bastasse per indurli a soffrire con la più eroica pazienza i più orribili tormenti? Eh! caro mio, devi sapere che i vari generi di morte, con cui si punivano i più scellerati malfattori, la decapitazione, la forca, la crocifissione, erano stimati tormenti troppo miti per far morire i cristiani. Ed ecco perciò le graticole infuocate, le lamine incandescenti, i tori di bronzo arroventati, le tenaglie, gli uncini e i pettini di ferro, gli eculei, le caldaie di olio bollente, il piombo liquefatto, gli orsi, le pantere, i leoni… tutto ciò che l’odio diabolico e l’umana barbarie ha saputo inventare. Or pare a te che la vanagloria e l’ambizione avesse tale forza da indurre l’uomo a lasciarsi scorticare vivo, od abbrustolire, o strappare le carni a brani, o stritolare le ossa dalle belve feroci? E qualora la vanagloria e l’ambizione ottenesse tale effetto sopra un qualche uomo, come l’otterrebbe sopra intere moltitudini e specialmente su poveri idioti, su miseri schiavi, su donne e fanciulli, quali erano moltissimi dei martiri? Di più; vorresti tu che Iddio intervenisse con i suoi miracoli ad approvare degli ambiziosi?

— E Iddio ha Egli fatto pure dei miracoli a prò dei martiri?

Senza dubbio, e moltissimi. Basterebbe che tu leggessi i loro Atti per esserne del tutto persuaso. Talvolta gli strumenti, che si adoperavano per. martirizzarli, da se stessi si spezzavano e diventavano inetti, tal’altra i leoni più feroci diventavano con essi quali miti agnelli e si facevano a lambire le loro mani, altre volte ancora il fuoco non li abbruciava e sterminava invece i loro persecutori, oppure essendo immersi nelle acque ritornavano vivi a galla, oppure a loro intercessione si operavano strepitose guarigioni e persino risurrezioni di morti… insomma i miracoli a pro dei martiri furono senza numero e dei più grandi. Ora se essi fossero stati fanatici, ambiziosi, come si dice, Iddio avrebbe forse operati tanti miracoli per approvare il loro fanatismo, la loro ambizione?

— Non si può negare che queste osservazioni siano di una forza irresistibile. Ma non è egli vero che tutte le religioni hanno i loro martiri? E se è così non si dovrebbe inferire che tutte le religioni sono vere?

Si dice che tutte le religioni abbiano i loro martiri, ma non è così assolutamente. Martire, già l’ho detto, significa testimonio, e testimonio è colui che testifica di aver udito oppure veduto un fatto esterno e visibile. I cristiani morendo per la fede cattolica sì che erano veramente martiri, perché sia con le parole e più ancora col sangue testificavano il fatto che Gesù Cristo si è comprovato Dio, sia con l’avveramento in Lui delle profezie, sia con i miracoli, e lo testificavano precisamente perché molti di essi, come gli Apostoli, e i discepoli di Gesù Cristo, lo videro coi loro occhi ed appresero con le loro orecchie, e gli altri tutti lo intesero dagli Apostoli e dai discepoli di Gesù Cristo e loro successori, e ne furono accertati dai miracoli, che in gran numero videro ancor essi in prova di tal fatto Ma invece i pretesi martiri delle altre religioni di quale fatto mai resero essi testimonianza? Di nessuno. Se essi sembrarono morire per la loro religione, in realtà morirono per le loro fissazioni, per l’attaccamento alle proprie idee, per eccesso di passione ed altre simili ragioni. E chi muore in tal guisa potrà chiamarsi pazzo, fanatico, ostinato, e se vuoi, potrà anche dirsi uomo di coraggio, fermo e tenace nelle proprie idee e nelle sue convinzioni, ma non già martire, ossia testimonio.

— Ma non era la stessa cosa nei martiri? Non morivano anch’essi per tenacia e fermezza delle loro idee e convinzioni religiose?

Allora non hai ancora capito quello che ti ho detto sopra. Sì, è vero, i martiri morivano santamente tenaci e fermi nelle loro idee e convinzioni religiose, ma queste idee sicure, queste convinzioni profonde, che essi avevano della fede cattolica, questa persuasione massima di essa, da che proveniva nei loro animi? Forse solo dallo studio ed apprendimento che essi facevano della religione? No, certo; perché se molti fra di essi furono di tale intelligenza ed elevatezza di ingegno da poter fare tale studio ed apprendimento, la più parte erano indotti, fanciulli, popolani, schiavi, donne, che senz’altro credevano sulla parola degli Apostoli, dei discepoli di Gesù Cristo e dei loro successori. La incrollabile certezza della fede cattolica negli animi cristiani, tanto in quelli degli indotti come in quelli dei dotti, proveniva dalla certezza incrollabile che avevano dei miracoli operati da Gesù Cristo, dagli Apostoli, dai discepoli di Gesù Cristo e dai loro successori, da altri santi martiri, miracoli che una gran parte di essi aveva veduto o andava vedendo coi propri occhi. Testimoni adunque di questi miracoli, ossia di questi fatti esterni e visibili, i quali comprovavano la divinità di Gesù Cristo, e per conseguenza la verità della fede cattolica da loro professata, essi morirono testificando di aver veduto tali fatti, ed è così che furono veramente martiri.

— Mi pare di aver compreso. Vuol dire adunque che se tra i pagani, tra i mussulmani, tra gli ebrei e i protestanti vi sono stati di coloro, che morirono per la loro religione, non fecero altro che attestare la propria convinzione interna, ma nessun fatto esterno che fosse tale da renderli pienamente sicuri della loro interna convinzione.

Benissimo. Insomma i martiri dimostrarono per la fede cattolica una fortezza eroica, anzi sovrumana e miracolosa, perché della fede cattolica avevano una certezza assoluta, che in essi era generata dai fatti miracolosi, di cui erano stati testimoni e dei quali versando il sangue e morendo rendevano la suprema testimonianza.

— E perché dice sovrumana e miracolosa la fortezza dei martiri?

* Perché tutte le circostanze, che accompagnano il martirio cristiano, insieme riunite formano cosa tale che dalla sola natura umana non può provenire, cosa tale, che non altrimenti si può spiegare che con l’intervento di Dio. Il numero dei martiri, la loro condizione, i martini orribili, cui furono sottoposti, la fermezza, la pace, la letizia, con cui li sopportarono, persino vecchi cadenti, donne imbelli, fanciulle timide e giovanetti di prima età, i miracoli che frequentissimi accaddero durante il martirio… son cose tutte che ci fanno dire: Dio era là! Sì, Dio era là a produrre egli stesso il miracolo di tanto coraggio ed eroismo. Ed era appunto questo miracolo che tante volte, essendone spettatori i pagani, operava la loro conversione. « No, non può essere che divina quella fede, che infonde nell’uomo tale forza, dicevano essi, e merita perciò di essere abbracciata e seguita ». E l’abbracciavano, e seguivano. Ciò che fece dire a Tertulliano: « Più voi, o persecutori, ci mietete, e più ci moltiplichiamo: il sangue dei cristiani è seme ». E non solo Dio era là nella forza miracolosa, di cui davano prova i martiri, ma vi era ancora nell’adempimento della profezia fatta da Gesù Cristo sulle persecuzioni. Gesù Cristo aveva chiaramente profetato ai seguaci suoi « che sarebbero stati trascinati innanzi ai tri bunali, davanti ai governatori, ai re, ai presidi per rendergli testimonianza…, che sarebbero stati gettati in carcere, flagellati, straziati uccisi per il suo nome ».

— Ma questa predizione di Gesù Cristo si può chiamare profezia!

Senza dubbio, si può e si deve.

— E non era naturale il prevedere e predire che i pagani si sarebbero levati su a perseguitare i cristiani?

Era naturale il prevedere e predire che i pagani si opponessero alla dottrina dei cristiani, perché si trattava di una dottrina che contrastava la loro vita malvagia, ma non era naturale affatto il prevedere e predire quell’odio così furibondo e quelle persecuzioni così atroci, che si scatenavano contro di loro, mentre in tutto l’impero romano e specialmente a Roma vi era la massima libertà di culto. Si poteva dunque tutto al più prevedere e predire che sarebbero stati non curati o guardati con disprezzo, ma non già così ferocemente perseguitati. Avendo dunque Gesù Cristo fatta una vera profezia intorno alle persecuzioni de’ suoi seguaci e questa essendosi perfettamente avverata in una carneficina, che durò trecento anni, il martirio perciò si deve riguardare ancora come un fatto divino per essere l’adempimento di un oracolo divino. Di maniera che ben si può dire che nel martirio cristiano vi sono le due più grandi forze che siano al mondo: la testimonianza degli uomini al suo grado più alto e la testimonianza di Dio: la Chiesa che afferma col sangue de’ suoi figli la rivelazione divina, e Dio che interviene e si manifesta in questa affermazione della Chiesa. E così il martirio cristiano si può riguardare come la prova massima della verità della fede.

— Sì, davvero, dinanzi a tale prova bisogna essere ben ciechi e maligni per non darsi vinti e non credere fermamente l’insegnamento cristiano.

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (VI)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO V.

DELLA GRAZIA DI DIO.

§ 1.

Nozioni delle varie sorti di Grazia, e particolarmente della Grazia Attuale.

— Che cosa s’intende sotto il nome di grazia di Cristo?

Un dono soprannaturale di Dio, il quale a riguardo dei meriti di Gesù Cristo è conferito all’uomo gratuitamente, perché conseguisca il suo fine soprannaturale, che è la salvezza eterna. Da questa definizione si vede, che sotto il nome di grazia di Cristo non intendiamo di parlare delle grazie naturali quali sono per esempio la sanità, o il buono ingegno; nemmeno della grazia concessa al primo uomo nello stato d’innocenza, ed agli Angeli; ma della grazia medicinale del Salvatore, la quale si concede all’uomo dopo la caduta del peccato originale a riguardo dei meriti del Salvatore medesimo.

— Come si divide questa grazia?

Si divide in grazia esterna, in grazia interna, e in grazia gratis data. Le grazie esterne sono gli esempi di Cristo, la predicazione del Santo Vangelo ecc. Le grazie interne sono le buone inspirazioni, i doni dello Spirito Santo. Le grazie gratis date sono quelle che si danno all’uomo non tanto per il di lui proprio vantaggio quanto per l’altrui, come i doni di profezia, di discrezione di spirito, di miracoli ecc. Ma la grazia della quale noi più di proposito vogliamo parlare è quella che si chiama dalle scuole: gratia interna gratum faciens, la quale è un dono soprannaturale particolarmente diretto alla spirituale salute di colui a cui si concede, e questa si divide in grazia attuale e grazia santificante, ovvero abituale.

— Quale é la grazia attuale?

Le grazie attuali sono quegli aiuti detti dalle scuole transeuntia, noi diremmo passeggieri, transitorii, momentanei, con i quali Dio, di volta in volta, aiuta la nostra debolezza affinché operiamo il bene, e non commettiamo il male in ordine alla salute dell’anima.

— Quale è la grazia santificante, ovvero abituale?

La grazia santificante è un dono di Dio soprannaturale, permanente e inerente per modo di abito all’anima nostra, mediante il quale l’uomo addiviene giusto e amico di Dio, perciò figlio di Dio adottivo, adottivo fratello di Gesù Cristo, ed erede del Paradiso.

— Potrebbe con qualche similitudine spiegarmi meglio la diversità che passa tra la grazia attuale e la grazia santificante?

Immaginatevi un fanciullino che sia caduto in un lago di fango. Questo fanciullo non ha forza per drizzarsi da sé, e ha bisogno di una veste asciutta e monda, perché la sua è tutta molle e sporca di fango. Arriva la madre, quanto prima gli dà la mano perché si rialzi, poi lo riveste com’è conveniente: ecco che al doppio bisogno del fanciullino corrisponde un doppio aiuto della madre; ma il primo è un aiuto passeggero, transitorio, momentaneo, giacché il rialzarlo che fa la madre non è cosa che gli resti indosso, per esprimermi materialmente; il secondo poi è un aiuto permanente; giacché la nuova veste di che lo copre resta indosso al fanciullino. Nell’aiuto che gli dà la madre perché si rialzi, ecco una similitudine della grazia attuale, nella veste che gli mette, eccone un’altra della grazia abituale: la prima è transitoria e la seconda è permanente, che resta all’uomo.

— La grazia attuale è necessaria all’uomo?

È dogma di Fede che l’uomo, senza la grazia soprannaturale di Dio, non può fare alcun bene conferente alla Vita Eterna. Or si deve dire che la grazia attuale è necessarissima, cosicché non possiamo fare la minima buona azione, che conferisca alla salute dell’anima se non ci muove, ossia se non ci eccita nel suo principio, se non ci accompagna nel suo decorso, e fin nel suo fine; e questa poi non solo è necessaria ai peccatori, ma anche ai giusti; cioè a quelli che hanno la grazia santificante. Dice Sant’Agostino che per quanto l’occhio sia sano, non può veder senza luce, così per quanto l’uomo sia giusto, non può operar bene senza la grazia che lo muova e l’accompagni nella sua buona opera e salutare.

— Senza la grazia non si possono vincere le tentazioni?

Nessuna tentazione si può vincere senza grazia soprannaturale, o per motivo d’amor di Dio, o per motivo di timor di Dio, che sia soprannaturale; perché chi vince la tentazione per alcuno di questi motivi fa un’opera buona, in se stessa meritoria e salutare per la vita eterna. Per altro alcune tentazioni si possono vincere, particolarmente le leggiere, per altri motivi, e in tal caso non sempre si richiede la grazia; io p. es. vinco la tentazione del furto per il timore del castigo, che vi assegna la legge civile; similmente vinco la tentazione di dire bugia temendo il rossore che me ne verrebbe se fosse conosciuta la mia mala fede; ecco che tali tentazioni sarebbero vinte per motivi naturali, niente conferenti alla vita eterna; in questo modo anche gl’infedeli e i peccatori più perduti vincono molte tentazioni. Però in generale bisogna dire che le tentazioni non si vincono senza grazia, giacché infinite sono quelle tentazione anche gravi alle quali si potrebbe acconsentire senza timore di mali temporali, e senza questo timore si può sempre acconsentirvi almeno con la compiacenza e col desiderio (Bellar. controv. de Grat. et lib. c. 7.).

— Senza la grazia non si possono osservare tutti i precetti della legge naturale?

Non si possono osservare tutti, particolarmente quelli contro i quali le tentazioni sono più forti e frequenti; segue da questo, che senza la grazia non si possono evitare tutti i peccati (Antoin. de Grat. cap. 5, art. 2, § 2).

— Per evitare in questa vita tutti e singoli i peccati veniali, è necessario che abbiano i giusti una grazia particolare?

Ella è verità definita dal Sacro Concilio di Trento (sess. VI, can. 23) che nemmeno i giusti possano evitare, in tutto il Corso della loro vita, tutti i peccati anche veniali senza uno speciale privilegio di Dio; il quale privilegio non consta che sia mai stato concesso a nessuno eccettuata la B. Vergine Maria, che non mai fu macchiata da qualsivoglia ombra di colpa.

— La grazia di perseverare fino alla morte nell’amicizia di Dio, cioè la grazia della perseveranza finale è un dono speciale di Dio?

Senza dubbio è un dono speciale; perciò il Sacro Concilio di Trento la chiama il gran dono (sess. VI, c. 16).

— La grazia attuale come si divide?

Si divide in efficace e sufficiente.

— Qual è la grazia efficace?

È quella che ottiene il suo effetto; p. es. Dio mi dà la grazia perché mi converta sinceramente a Lui, io non resisto a questa grazia, anzi vi coopero col mio libero arbitrio, e perciò mi converto in realtà: ecco che questa grazia è efficace, cioè ottiene il suo effetto.

— Qual è la grazia sufficiente?

⁕ È quella grazia la quale dà all’uomo forze bastanti per fare il bene ed evitare il male, alla quale però l’uomo resistendo con la sua cattiva volontà, essa non ottiene il suo effetto.

— Si potrebbe spiegare in altro modo l’efficacia e la sufficienza della grazia?

I Teologi formarono vari sistemi, e spiegarono chi in un modo, chi in un altro l’efficacia e la sufficienza della grazia; ma a noi in questa materia difficilissima basterà sapere ciò che è certo e non si può mettere in dubbio. È certo che vi sono delle grazie efficaci, le quali cioè ottengono il loro effetto. È certo che vi sono delle grazie solo sufficienti, alle quali si resiste e non ottengono il loro effetto; e questa è verità di Fede definita contro Giansenio. Queste grazie sufficienti devono essere capaci, cioè bastanti ad ottenere il loro effetto per cui si danno. Se non bastassero al loro fine sarebbero insufficienti, e una grazia sufficiente, che non basta, che cioè non è sufficiente, è una contraddizione. É certo che Dio vuole sinceramente la salute di tutti gli uomini, è certo che senza la sua grazia interiore e attuale, nessuno degli adulti si può salvare; dunque è certo che Dio non lascerà loro mancare i veri aiuti di grazia come mezzi assolutamente necessari per la consecuzione del fine, cioè della loro salvezza. Dunque tutti abbiamo grazie bastanti per salvarci e, se a queste cooperiamo, la nostra salute è in sicuro. « Ad ognuno, è dato lume e grazia che facendo quello che è in sé, si può salvare dando solo il suo consenso ». Questa é dottrina, e sono parole di S. Caterina da Genova, la cui autorità come tutti sanno deve valere a paragone di quella di un Teologo (vedi Vita del Muìneri cap. 11). D’altronde precisamente, e in tutto il rigore dell’espressione, questa è la credenza di tutto quanto il popolo Cristiano. Io in fine confesso che per tutti i sistemi mi valgono quelle belle parole del Concilio di Trento. « Dio non comanda cose impossibili; ma comandando ti avvisa di far ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi, ti aiuta intanto affinché tu possa.  I suoi Comandamenti non sono gravosi, il suo giogo è soave, il suo peso leggero … Quelli che ha giustificato una volta Egli non abbandona, se non è prima abbandonato da essi, » Ecco la consolante Dottrina dello Spirito Santo, tanto più consolante, perché infallibile.

— Si danno grazie necessitanti, le quali facciano operar l’uomo per necessità?

Queste non sarebbero grazie ma violenze: è articolo di Fede, che la grazia non toglie e non impedisce all’uomo l’uso della sua libertà, perciò tutto quello che si fa con la grazia, è tutto libero. Diceva S. Paolo: Io “posso ogni cosa in Colui che mi conforta”, non diceva, “… in colui che mi violenta”. È tanto di Fede che nelle buone opere vi ha parte la grazia, quanto è di Fede che vi ha parte il libero arbitrio.

— Iddio comparte mai alcuna grazia ai peccatori indurati e ostinati?

Vi sono certi peccatori, i quali per le loro iniquità e ostinazione nelle medesime, non hanno più quelle grazie ordinarie e prossime per fare il bene ed evitare il male che Dio comunemente concede; per altro loro non mancano alcune grazie remote, almeno per potere pregare ed ottenere misericordia, delle quali se si valessero, non mancherebbero poi della grazia della conversione. Il totale abbandono di Dio in questa vita, non si accorda col sentimento dei fedeli, i quali pensano che non si debba disperare della salvezza di alcuno finché vive; e non si accorda con S. Paolo il quale parlando ai peccatori indurati e impenitenti li avvisa che la benignità di Dio, li invita a penitenza (Ad Rom. cap. 2) (Antoin. de grat. cap. 4, art, 3, § 2).

— Che si dovrà dire degl’infedeli, i quali non hanno cognizione della vera Fede, perché loro non è annunziata?

Anche questi hanno alcune grazie, mediante le quali potrebbero osservare la legge naturale, e se costoro se ne valessero facendo ciò che loro è possibile con le forze naturali aiutate da quelle grazie, Dio o con mezzi ordinari o straordinari, li farebbe venire in cognizione della vera Fede, affinché si potessero salvare (S. Thom. in q. 14 de verit. art. 11 ad 1 (Dice pure che viene dalla nostra negligenza che noi manchiamo della grazia: « Defectus gratiæ prima causa est ex nobis » ( 1, 2, 112 art. 3). « Ex negligentia sua est ut quis gratìam non habeat. (De Verit. q. 24, art. 14 ).

— Le grazie attuali si danno ai meriti dell’uomo?

Questa sarebbe un’eresia chiaramente condannata dalle divine Scritture e dalle decisioni della Chiesa. Le grazie sono doni gratuiti, che Iddio concede a chi vuole e quando vuole (Conc. Trid. sess. VI, c. 5).

— Vuol dire dunque che i buoni non hanno alcun fondamento di sperare che Iddio tenga per loro una particolare provvidenza di grazie?

Questo sarebbe un altro errore; perché, sebbene le grazie non si possano meritare, Dio tuttavia nelle divine Scritture, promette ai buoni una speciale assistenza. « Gli occhi del Signore sono vigilanti sopra dei giusti, e le sue orecchie attente alle loro preghiere » (Salmo XXXIII). Perciò, quantunque Iddio non sia obbligato a fare grazie né ai giusti né ai peccatori, Egli, che ama chi lo ama ( Prov. VIII), abbonda ordinariamente di grazie maggiori con chi gli si mostra fedele: dico ordinariamente, perché alle volte per manifestare nei modi più mirabili la sua misericordia, concede grazie grandissime anche ai grandi peccatori. Tali le concesse a Davide, alla Maddalena, al buon ladrone, ecc.

§ II.

Della Grazia Santificante.

— Che cosa giustifica l’uomo?

La grazia santificante, la cui definizione fu data nel paragrafo antecedente nella risposta alla D. 4.

— La grazia santificante quando si acquista?

Si acquista nel Santo Battesimo.

— Acquistata che sia, si può perdere?

Si perde per qualunque peccato mortale, come con qualunque peccato mortale si perde la carità.

— Perduta che sia si può riacquistare?

Si può riacquistare mediante il Sacramento della Penitenza, il quale è instituito a questo fine: di togliere i peccati commessi dopo il Battesimo, e anche mediante la carità che inchiude il voto, ossia desiderio del Sacramento, come si dirà nel Capitolo seguente.

— Questa grazia santificante, è forse la stessa Giustizia di Gesù Cristo a noi imputata?

Il dire che la grazia santificante sia la stessa Giustizia di Gesù Cristo a noi imputata, è una eresia condannata dal Concilio di Trento (sess. VI). Questa grazia consiste in un dono soprannaturale non imputato, ma realmente conferito e che si fa intrinseco all’anima nostra, mediante il quale restiamo veramente giustificati, e veramente mondi dal peccato.

— Non si potrebbe dire, che la grazia santificante serve all’anima come di una veste, che copra e nasconda la bruttezza dei peccati?

Il dir questo sarebbe pure eresia, condannata dallo stesso Concilio. La grazia santificante non è estrinseca all’anima, come una veste è estrinseca al corpo che copre; e con l’infusione di questa grazia non si nascondono, non si coprono i peccati; ma assolutamente si tolgono e si scancellano; sicché non esistono più le loro macchie. In quella guisa che lavando una veste macchiata, le macchie non si coprono ma si tolgono, sicché non esistono più; Dio giustificando l’uomo con l’infusione della sua grazia, toglie i peccati dall’anima.

— Non basterà per la giustificazione dell’anima la sola Fede?

Questa sarebbe dottrina eretica condannata similmente dal S. Concilio di Trento (sess. VI). La Fede è soltanto la radice e il fondamento della giustificazione, come definì il Concilio; diversamente tutti i fedeli sarebbero in istato di grazia, e non si potrebbe trovare il peccato mortale, se non negl’infedeli. Per la giustificazione dell’uomo si richiedono anche le buone opere. La Fede senza buone opere è morta, lo dice S. Giacomo (cap. II, v. 20).

— Alcuni pensarono che solo fossero giustificati, e perciò solo avessero la grazia santificante, quelli che credessero fermamente di avere questa grazia, come si devono credere fermamente i dogmi della Fede: che direbbe di questa dottrina?

Essa è pure dottrina eretica condannata dal Concilio, anzi si deve notare che nessuno può credere fermamente di aver questa grazia, senza una speciale rivelazione di Dio.

— Dunque nessuno può essere certo di avere la grazia santificante?

Il Cristiano che non è conscio a se stesso di peccato mortale, o per non sapere di averne mai commesso, o per averlo confessato e detestato convenientemente nel caso che vi fosse già caduto, può essere certo di avere la grazia santificante; però la sua certezza non può essere ferma e sicura come la certezza infallibile con cui crediamo le verità della Fede. La ragione è che Dio ha rivelato le verità della Fede, e in esse perciò non vi può essere inganno; ma non ha rivelato né a questo, né a quello che non abbia mai commesso peccato mortale, o che dopo averlo commesso lo abbia convenientemente confessato e detestato, sicché ne abbia pure ottenuto il perdono. Per tanto nella certezza di essere in istato di grazia è possibile che l’uomo s’inganni.

— Per qual ragione Iddio ci lascia in questa incertezza?

Affinché il timore ci sia di uno sprone continuo, che ci stimoli ad assicurarci sempre più il possesso della sua grazia mediante l’esercizio delle virtù cristiane, e in tal modo si accrescano i nostri meriti per la vita eterna. Per altro noi possiamo essere certi di avere la grazia santificante non di certezza infallibile e divina, ma di certezza morale ed umana. Bisogna anzi guardarsi dall’avere in questo punto un timore soverchio, perché questo diminuirebbe la confidenza in Dio, e il suo amore (Bellarm. Controv. de Just, lib. 3. c. 11).

— Quale sarà il più forte argomento che noi possiamo avere di essere in istato di grazia?

Ascoltatelo da S. Francesco di Sales riportato da S. Alfonso Liguori (Trat.di am. G. C. Cap. 8), ambedue erano» grandi Teologi. – « La maggior sicurezza che noi possiamo avere in questo mondo di essere in grazia di Dio, non consiste già nei sentimenti che abbiamo del suo amore, ma nel puro ed irrevocabile abbandonamento di tutto il nostro affetto nelle sue mani, e nella risoluzione ferma di non mai consentire ad alcuno peccato né grande, né piccolo »  Rassegniamoci dunque tutti in Dio, siamo risoluti di soffrire qualunque cosa più tosto che offenderlo con avvertenza anche nelle minime cose, e avremo il più forte argomento che possa aversi in terra: di possedere il gran tesoro della grazia santificante.

— La grazia santificante può avere aumento nell’anima del giusto?

Questa è verità di Fede definita dal Sacro Concilio di Trento (sess. VI. e XXIV), e questo aumento si acquista mediante le buone opere.

— Vuol dire dunque che la grazia santificante si può meritare?

La grazia della giustificazione non si può meritare, essa è un dono gratuito di Dio, e ciò è di Fede; pertanto nessuno che sia in peccato si può meritare che Dio gli perdoni e lo arricchisca della grazia santificante; per altro il giusto, cioè quegli che possiede la grazia santificante, con le sue buone opere (come si spiegherà nel paragrafo seguente) merita veramente un accrescimento di questa grazia.

— La grazia santificante è necessaria alle buone opere?

È necessaria affinché le buone opere siano meritorie della vita eterna, per altro si possono fare delle opere che siano buone anche d’innanzi a Dio senza la grazia santificante. Si vede infatti che Dio accettò le limosine del Centurione che era infedele. Daniele consigliava Nabucodònosor a fare delle limosine ecc., e perciò i peccatori devono anzi procurare di fare buone opere, le quali quantunque loro non serviranno per il merito della vita eterna, serviranno per altro onde impetrino con quelle, misericordia da Dio.

— Alcuni dissero che tutte le opere degli infedeli e peccatori sono peccati.

Questo errore detestabile fu condannato nelle proposizioni di Baio XXV e XXXV, dai Sommi Pontefici S. Pio V, Gregorio XIII e Urbano VIII. Dico errore detestabile, perché mette i peccatori nella disperazione, e loro toglie l’uso di quei mezzi, cioè delle buone opere, con i quali otterrebbero misericordia da Dio, e la grazia della conversione.

— La grazia santificante è la stessa cosa che la carità?

L’opinione più probabile è che sia la stessa cosa, alcuni per altro pensano che sia un dono distinto della carità. Comunque sia la cosa, è certo che chi ha la carità ha la grazia santificante, e chi ha la grazia santificante ha la carità.

§ III.

Del merito delle Opere buone.

— Le buone opere sono meritorie?

È verità di Fede definita dal Sacrosanto Concilio di Trento, che con le buone opere fatte in grazia, si merita veramente l’accrescimento della grazia medesima; cioè della grazia santificante, e la vita eterna (Conc. Trid.. sess. VI, c. 32 ).

— Come è possibile che con lo opere buone, le quali per molte e grandi che siano, non hanno proporzione alcuna con la preziosità di un premio eterno, si possa meritare il Paradiso, e meritarlo veramente?

Bisogna considerare, che con le nostre buone opere riguardate da per se stesse solamente, non potremmo meritarci la vita eterna, perché non vi sarebbe alcuna proporzione tra queste opere e il premio che loro si dà. Ma le nostre buone opere, dobbiamo considerarle come nobilitate dai meriti infiniti di Gesù Cristo, e innalzate a tanto di dignità e di valore da questi meriti, che v’ha benissimo proporzione tra esse e la vita eterna. Di più bisogna presupporre la divina promessa, con la quale Dio si obbligò a premiarle in tal modo; questa è quella divina promessa che rende Iddio in largo senso obbligato verso di noi a ricompensarci con quel premio. Dico in largo senso, perché Iddio non può essere obbligato a un debito rigoroso verso di noi; ma resta obbligato alla sua stessa infinita fedeltà, la quale esige che alle sue promesse non manchi. Perciò si vede che la vita eterna è vera grazia e vera mercede; è vera grazia, perché tutti i nostri meriti nascono dalla grazia di Dio, e per un semplice tratto della divina bontà le nostre opere buone furono innalzate a tanto valore di meritarci il Paradiso, il quale inoltre per un semplice tratto della divina bontà loro fu promesso; è però insieme vera mercede, perché stante la loro soprannaturale eccellenza e dignità, e stante la divina promessa con cui Dio si è obbligato a premiarle, loro si deve veramente un tal premio. Perciò, come è definito contro gli eretici, con le buone opere fatte in grazia, meritiamo veramente, non solo l’aumento della stessa grazia, ma anche la Vita Eterna. (Antoine Tract. de Grat., cap, 7, art. 1, § 2. Besp, ad, 3, et nota ad Resp. ad 6).

— Quali condizioni devono avere le buone opere, affinché siano meritorie?

La prima è, che le buone opere si facciano dagli uomini viatori, cioè durante questa vita; perciò i Santi in Cielo, che non sono più viatori, ma arrivati al termine e hanno conseguito il loro fine, non possono più meritare. La seconda è che siano libere; perché l’uomo meriti bisogna che sappia quel che fa e che possa fare, e non fare quel che fa. La terza che siano fatte dall’uomo giusto, ossia in istato di grazia come già si è accennato. La quarta, che siano opere buone per bontà soprannaturale, o per sé stesse come il ricevere i Sacramenti, o almeno per il fine, come il viaggio ad un Santuario per venerarvi una devota immagine di Maria Ss. Queste quattro, oltre la divina promessa, che si suppone, sono le condizioni che necessariamente e senza alcun dubbio, si richiedono nelle opere buone perché siano veramente meritorie, come si può vedere nei Teologi.

— Per qual ragione dice il Concilio che si merita l’aumento della grazia?

Perché come definì lo stesso Concilio (sess. VIII. c. 8), la prima grazia santificante non si può veramente meritare. Il peccatore che è privo della grazia può impetrarla con preghiere e buone opere, ma meritarla veramente non può, non avendo le sue preghiere e buone opere tanto valore; quando poi ottiene la grazia santificante, e perciò resta giustificato con le buone opere che fa in seguito, merita veramente l’aumento di detta grazia (Antoine ut sup. art. 6 ).

— Mi spieghi meglio la seconda condizione la quale esige che le buone opere siano libere?

Tanto per meritare quanto per demeritare davanti a Dio, cioè tanto per fare una buona opera che sia degna di ricompensa, quanto per fare un peccato che sia degno di castigo, si richiede nell’uomo libertà, e questa libertà richiede cognizione e determinazione non violentata o necessitata da qualunque causa, o esterna, o interna. Richiede cognizione; e perciò se io faccio un dono a un povero credendolo ricco, il mio dono non ha il merito della limosina, come se io dessi il veleno ad alcuno, credendo dargli una salubre bevanda, io non avrei il reato dell’omicidio. Richiede determinazione senza violenza di causa esterna, e perciò se alcuno, p. es., mi facesse prostrare a viva forza innanzi al Ss. Sacramento, io non avrei il merito dell’adorazione, e se mi facesse prostrare innanzi ad un idolo, io non avrei il reato della idolatria. Bisogna pure che non vi sia violenza, o necessità proveniente da causa interna; e perciò se la grazia di Dio sforzasse la nostra volontà come immaginò Calvino, o irresistibilmente la traesse come insegnò Giansenio, non vi potrebbe essere alcun merito nelle opere buone; e se in pari modo la concupiscenza la sforzasse e la traesse, ugualmente non vi potrebbe essere demerito alcuno nelle opere cattive. E in verità ciò che non si potrebbe supporre negli uomini senza far loro gran torto, si dovrà supporre in Dio? Se vi fosse un Sovrano che premiasse le azioni buone fatto da chi non potesse a meno di farle, e punisse le azioni cattive commesse da chi non potesse a meno di commetterle, non si direbbe nel primo caso che è uno stupido, e nel secondo che è un tiranno? Dopo questo facilmente s’intenderà perché dicasi che, onde l’uomo meriti con le sue buone opere, bisogna che sappia quel che fa, e che sia in suo potere di fare, o non fare quel che fa. Che il libero arbitrio sia restato all’uomo dopo il peccato originale, è verità di Fede definita dal sacrosanto Concilio di Trento (sess. VI, cara. 5). Che per meritare e demeritare si richieda nell’uomo la libertà, immune non solo da qualunque violenza, ma anche da qualunque necessità, è verità definita di Fede nella condanna della terza proposizione di Giansenio. Prima di Giansenio aveva bestemmiato Baio che un uomo pecca e merita punizione anche nelle cose che fa necessariamente ».

MESE DI MAGGIO [G. Gilli]

[D. Gaspare Gilli: PICCOLO MESE DI MAGGIO AD USO DEL POPOLO; Tip. Dell’Imm. Concezione ed. – 1864]

I. GIORNO

Maria prima della creazione.

Da tutta l’eternità il Signore ha decretato il mistero dell’Incarnazione di suo Figlio e preparato i mezzi che servir dovevano ad attuare quest’atto d’infinito amore. Quindi da tutta l’eternità eziandio egli conobbe Maria, la elesse fra tutte le donne, l’amò con amore di singolare preferenza, la fece sua sposa. Laonde possiamo dire che, nella mente di Dio, Maria già esisteva nel cielo, prima di tutti i tempi, accanto a Gesù, Pontefice eterno, e che già stava preparato in salute del mondo questo capolavoro della divina misericordia. Il mondo aveva ancora da imparare a riporre in Maria tutta la sua speranza, e già destinata era Maria a riparare ad ogni futura disgrazia del mondo. Ecco il perché noi siamo sì cari al suo cuore; ecco il perché non cesserà mai la Santa Chiesa d’invocarla: Salute degli infermi, Rifugio dei colpevoli, Aiuto dei cristiani, Consolatrice degli afflitti e via dicendo; perché dal nostro infortunio appunto nacque la sua gloria. – Io ancora fui da tutta l’eternità presente al pensiero di Dio, e da Lui infinitamente amato. Da tutta l’eternità mi preparò i benefici e le grazie che adesso con tanta liberalità mi largisce. Alla mia salute si riferisce tutto il piano dell’Incarnazione e della Redenzione. L’amor di Dio verso di me, fu in certa guisa, più disinteressato di quello che ebbe per Maria, perché fui da Esso amato malgrado la schifosa lebbra del peccato di che già vedevami contaminato, mal grado la previsione dell’abuso che avrei fatto delle sue grazie, malgrado la mia sconoscenza, e la mia malizia. E non mi risolverò ancora di porre un termine al corso, oimè! Già troppo protratto delle mie ingratitudini e delle infedeltà mie?..

ESEMPIO.

La Spagna si distinse mai sempre per la sua venerazione verso la Madre di Dio; già ne celebrava le feste priaché fossero venute a notizia di altri popoli eziandio cattolici; si distinse ancora per la moltitudine e la magnificenza dei santuari, degli oratorii a lei dedicati; per il gran numero dei Santi devoti di Maria, e degli ordini religiosi istituiti a di Lei gloria. Presentemente ancora distinguesi la Spagna pel suo culto alle statue ed alle immagini della SS. Vergine; si trovano rinomatissimi santuarii a Madrid, Saragozza, Toledo, Siviglia, Gruadalupa, Valenza, Barcellona, Agreda, ed in quasi tutte le città e villaggi le confraternite del Rosario e dello Scapolare. Passo sotto silenzio il suo culto verso l’immacolata Concezione, poiché ne parlai in altra operetta – Il mese dell’Immacolata Concezione – Dirò solamente che nel 1859, dichiarata la guerra all’impero del Marocco, la regina Isabella II fe’ preparare per l’armata belligerante uno speciale vessillo, sul quale era dipinta l’immagine di Maria concepita senza peccato. E le rapide e decisive vittorie riportate dagli Spagnoli in quella sì malagevole guerra, ben provarono che non indarno si venera Maria, e nel suo patrocinio si confida.

Orazione.

O Vergine tutta piena di dolcezza, di bontà, di clemenza, la quale non foste arricchita dal Signore di tanta potenza e bontà, se non perché vi faceste per tutti i secoli la consolatrice degli afflitti, il sostegno dei deboli, il rifugio de’ poveri peccatori, deh! pregate per me adesso, e nell’ora della mia morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Portate sul cuore l’immagine di Maria; e premendola con affetto al seno, ditele spesso: Questo cuore, o Maria, voglio che sia tutto vostro.

GIACULATORIA.

Dignare me laudare te, Virgo sacrata.

Lasciate, o Vergine,

Che anch’io vi onori:

Voi siete l’unica

Gioia de’ cuori.

-343-

O Domina mea, sancta Maria, me in tuam

benedictam fidem ac singularem custodiam et

in sinum misericordiae tuae, hodie et quotidie

et in hora exitus mei animam meam et corpus

meum tibi commendo: omnem spem et consolationem

meam, omnes angustias et miserias meas,

vitam et finem vitae meae tibi committo, ut per

tuam sanctissimam intercessionem et per tua

merita, omnia mea dirigantur et disponantur

opera secundum tuam tuique Filii voluntatem.

Amen (S. Aloisius Gonzaga).

Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, quotidiana orationis recitatione in integrum mensem producta (S. C. Indulg., 15 mart. 1890; S. Pæn. Ap., 28 mari. 1933).

II. GIORNO.

Concezione di Maria.

Non v’ha dubbio che l’anima di Maria non sia stata fregiata dal Signore di tutti i doni della natura; ma non v’ha dubbio neanco che il più prezioso di questi doni, quello senza cui un nulla sono tutti gli altri, si è il dono della santità. Maria fu concepita senza peccato, è dogma di fede, la fede de’ figli suoi. Tutti i discendenti di Adamo sono redenti, purificati pei meriti del Redentore; Maria sola è preservata: ricevono gli altri una grazia di purgazione, di riparazione; riceve Maria una grazia di preservazione, di conservazione. Quindi fin dalla sua concezione Ella è dotata del perfetto uso di ragione, e di tutte le grazie che sono ad un tempo il principio, le compagne, gli effetti d’una più che angelica innocenza. Quindi ancora il suo cuor puro, la sua anima innocente, il suo spirito ripieno di sapienza e d’intelligenza, fin da quel punto elevaronsi naturalmente e senza sforzo verso il cielo: fin da quel punto Maria conobbe, adorò, amò il Signore con maggior ardore dei serafini: fin da quel punto Maria poté dire: II mio amore è il mio peso. – Ed io, figlio del peccato, caduto nel fango al primo mio passo nella vita, col marchio dell’anatema del padre mio in fronte, contaminato dalla colpa della mia madre, schiavo d’un padrone infame e crudele, non ho, non sento propensione, attrazione che pel male! verso il male si diressero le prime mie inclinazioni; non cerco se non il male; non respiro, non conosco, non opero che il male! Io posso a tutta ragione esclamare: Il mio peso, il movimento del mio cuore è un principio di male…. Ed ardisco camminare con la testa alta; ardisco nutrire pensieri di vanità, di superbia, io schifoso verme di terra, io disprezzabile composto di lordura e di peccato!

ESEMPIO.

L’Algeria, celebre contrada del nord dell’Africa, ove la religione cristiana fiorì con tanta gloria, ai tempi specialmente di S. Agostino, vescovo d’Ippona, restò sepolta per molti secoli nelle tenebre del maomettismo. Gli Algerini tuttavolta conservarono l’idea di un Dio solo, e del culto della Madre del Messia. Ma dal 1839, epoca in cui fu creato il primo loro vescovo Monsignor Dupuch, la religione cristiana risorse a vita novella. Un misto di stupore e di edificazione s’impadronisce del cuore nell’osservare questi Arabi teneramente commossi alla vista delle immagini di Maria. Quando nelle solennità, la processione percorre la città, essi piegano il ginocchio dinanzi allo stendardo della Vergine Immacolata, e nelle infermità de’ loro figliuoli, corrono innanzi tutto ad offrirli a questa tenera Madre, perché credono che là è la salute degli infermi.

Orazione.

Balzò di gioia il cuor mio, o Vergine innocentissima, in udendo la voce del successore di Pietro annoverare tra i dogma di fede l’Immacolata vostra Concezione. Io lo credo questo dogma, e vorrei mi fosse dato soscriverlo col mio sangue, e morire ripetendo col cuore pieno di amore: O Maria concepita senza peccato pregate per me che a voi ricorro. Così sia.

OSSEQUIO.

Fate una visita ad un’immagine di Maria, e raccomandate caldamente alla sua intercessione l’anima vostra.

GIACULATORIA.

Salva, me, Domina, salva me.

Un dono voglio

Da voi, Maria;

Salvate, pregovi,

Quest’alma mia.

#    #    #

Ave Maria, etc.
O Domina mea! 0 Mater mea! Tibi me totum
offero, atque, ut me tibi probem devotum, consecro
tibi oculos meos, aures meas, os meum,
cor meum, piane me totum. Quoniam itaque
tuus sum, o bona Mater, serva me, defende me
ut rem ac possessionem tuam.

[Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodooblationis actus quo tidie per integrum mensem pie iterates fuerit (S. C . Indulg., 5 aug. 1851; S. Pæn. Ap.,
21 nov. 1936).

III. GIORNO.

Nascita di Maria.

Maria nasce nell’oscurità e nel silenzio; viene al mondo, come la grazia, senza strepito, senza splendore. Deposta in povera culla, la sua nascita non è festeggiata che dai suoi genitori e da qualche congiunto. Che se ignari della loro fortuna, insensibili dìmostraronsi gli uomini, chi può ridire qual fu il primo sguardo di amorosa compiacenza abbassato dall’augusta Trinità sopra questa benedetta fanciulla? Sì, la mano dell’Onnipotente si stese con ineffabile tenerezza sopra Maria, la quale, fin da quel primo istante, già faceva ascendere al trono di Lui l’ossequio delle più pure e più fervide adorazioni. Rischiarata da lume celeste, Maria già ravvisa la vita che per Lei comincia, sotto il suo vero punto di vista; un viaggio più o meno lungo che mette all’eternità; un tempo di prova; un campo ove pochi giorni sono concessi all’uomo per seminar nel tempo quello che desia raccogliere nell’eternità: quindi si getta con perfetto abbandono tra le braccia del Signore, domandandogli una sol cosa, amarlo, amarlo sempre con novello ardore; ed intrepida s’avvia per la strada che se le apre dinanzi, e che dovrà innaffiare di tante lacrime. – Ad esempio di Maria abbiamo noi considerata la vita al lume della fede? Oimè! I primi nostri anni furono di dissipazione, e di oblio del Signore. Ben lungi dal ravvisare la vita come un tempo di prova, destinato alla conquista del cielo, l’abbiamo tenuto qual lungo giorno di festa che tutto scorrere doveva tra i piaceri. Poi, allor che l’età dell’esperienza sottentrò alle illusioni della giovinezza, invece di considerarci quali viaggiatori sviati, e piangere nell’amarezza del cuore il lungo tratto di vita percorso senza Dio, ci siamo ingolfati negli interessi del tempo senza por mente a quelli dell’eternità, senza por mente che ben tosto verrà la morte a gettarci poveri e nudi d’ogni merito ai piedi del tribunale del Giudice eterno! E adesso che cosa risolviamo?….

ESEMPIO.

Fin dal II, secolo della Chiesa, con la propagazione del Vangelo si propagò in Germania, vastissima contrada posta nel centro dell’Europa, il culto di Maria; e già le di lei feste solennizzavansi con grande magnificenza ai tempi di Carlo Magno. Tutti gli imperatori, pochissimi eccettuati, fino al regnante Francesco Giuseppe, si professarono devoti di Maria. S. Stefano la proclamò signora dell’Ungheria; Ottone I pose la Baviera sotto la di Lei protezione; Federico il Vittorioso la Sassonia; Massimiliano II la Boemia; Ferdinando III tutta l’Austria; ed un gran numero di regine assunsero l’augusto nome di Maria. Fra tutti i sovrani però, quelli d’Austria dimostraronsi i più zelanti per la gloria dell’Immacolata Concezione; fin dal 1725 ottennero dalla s. Sede il privilegio al loro clero di recitarne l’ufficio in tutti i sabati, ed in mezzo alle molte statue di bronzo dei suoi imperatori, Vienna lascia vedere sulla piazza principale, la statua della Vergine innalzata da Ferdinando III nel 1629, sul cui piedestallo leggesi: Alla Vergine Madre di Dio concepita senza peccato. Le strade della Boemia, Sassonia, Ungheria, ecc., sono seminate di statue e d’immagini di Maria; numerose le cattedrali a Lei dedicate.

Orazione.

Prostrato ai piedi della vostra culla, o celeste bambina, vi offro l’omaggio della mia adorazione e dell’amor mio; ma deh! voi permettetemi che, da questo istante, unisca la mia vita alla vostra, onde renderla gradita al vostro divin Figlio, e copra la mia nudità col dovizioso tesoro dei vostri incomparabili meriti. Così sia.

OSSEQUIO.

Se avete qualche peccato mortale, andate subito a confessarvene, oppure detestate quelli che commetteste per lo addietro.

GIACULATORIA.

Solve vìncla reis, Profer lumen cæcis.

Il pie’ scioglietemi

Da lacci rei;

E luce fatevi

Degli occhi miei.

348

Concede nos famulos tuos, quæsumus, Domine Deus, perpetua mentis et corporis sanitategaudere; et, gloriosa beatæ Mariæ semper Virginis
intercessione, a præsenti liberari tristitia et æterna perfrui lætitia.

Per Christum Doninum
nostrum. Amen (ex Miss. Rom.).
Indulgentia trìum annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie
per integrum mensem devote repetita (S. Paen. Ap.,
i8 mart. 1935).

IV. GIORNO.

Infanzia di Maria.

E il fanciullo cresceva in sapienza, in età, in grazia dinanzi a Dio, e dinanzi agli uomini. Tale fu il Figlio: tale per conseguenza esser dovette la Madre, ricevendo ognora, ed ognora più rendendosi fedele nel corrispondere alla grazia ricevuta. Il corpo di Lei prendeva lente proporzioni, ed in ragione dell’età; la di Lei anima però batteva a passi di gigante la strada della perfezione. Ma qual perfezione non chiedeva da Maria l’eccelso ministero che doveva poi un giorno esserle affidato? E Maria, fedele, obbediente agli impulsi della grazia, docile alla voce del Dio che la custodiva e governava, non pose mai il menomo ostacolo, non mai arrestò il corso della grazia nel proprio cuore; laonde per un progressivo accrescimento di celeste soccorso, pervenne a sì fatto apice di virtù, di meriti e di grazie che vincerà sempre ogni nostro concetto, come ogni nostra espressione.Ed a me quando mai mancò la grazia, e quando mai le ho io corrisposto? Ah! sì preziosa è la grazia che un’anima, la quale siane in possesso, può ad ogni istante alzare al cielo uno sguardo di speranza, d’amore, e dire a se medesima: Là è la mia patria, là io sono amata, attesa, desiderata: là ho un Padre il cui amore veglia sopra di me, la cui orecchia sta sempre aperta alle mie preghiere, il cui cuore s’intenerisce ad ogni mio sospiro; là infine ho un possente mediatore il quale perora la mia causa presso il Padre suo; una Madre e dei fratelli che mi tendono la mano onde ajutarmi a raggiungere il trono che mi sta presso di loro preparato. Eppure! io che sono sì sensibile agli avversi colpi di fortuna; io che sono inconsolabile nella perdita della sanità, de’ parenti, ho fatto lagrimevole getto d’un bene così prezioso qual è la grazia, e poi non solo non trovo una lacrima a spargere per una perdita sì grande, ma vivo gli anni interi senza darmi pensiero di riacquistarla! O Maria, o Madre mia, pietà, soccorso!

ESEMPIO.

L’Anatolia, la Siria, la Palestina, le quali stavano tanto a cuore agli Apostoli, fin dalla culla del Cristianesimo, e distinguevansi per la loro fede e per la loro divozione verso l’immacolato Cuore della Vergine tutta santa, presentano pur anco oggi giorno non pochi esempi di fedeltà alla vera religione e di pietà verso Maria. Nicomedia, Nicea, Smirne, Efeso, Antiochia, Neocesarea, Damasco, Tiro, Palmira, ecc., ricche di religiose rimembranze, queste celebri città conservano ancora molte immagini, statue, reliquie della Madre di Dio, e rispettosi gli abitanti inchinansi tuttora dinanzi ai venerabili avanzi degli antichi santuari, ove cantavansi altre volte le di Lei grandezze, ed i prodigi da Dio operati in virtù delle di Lei orazioni. Così le antiche città della Palestina: Nazaret. Betlemme, Gerusalemme, Ioppe, Edessa ecc., nomi sì cari al cuore cristiano, e sono e saranno mai sempre l’oggetto d’incessanti pellegrinaggi.

Orazione.

O Madre della grazia, sovvengavi che io sono la debolezza, la fragilità in persona; vegliate voi medesima alla custodia del prezioso tesoro che mi fu dal Signore confidato; proteggetemi, difendetemi, copritemi col manto della vostra materna protezione fino all’estremo mio respiro. Così sia.

OSSEQUIO.

Fate un atto di mortificazione della gola in penitenza delle soddisfazioni illecite date al vostro corpo.

GIACULATORIA.

Munda cor et corpus meum, Sancta Maria.

Questa mia carne

Questo mio cuore

Purgate al fuoco

Del vostro amore.

347
Adiuvet nos, quæsumus Domine, gloriosæ
tuæ Genitricis semperque Virginis Mariae intercessio
veneranda: ut quos perpetuis cumulavit
beneficiis, a cunctis periculis absolutos,
sua faciat pietate concordes: Qui vivis et regnas
in sæcula sæculorum. Amen (ex Miss. Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidiana orationis recitatio i n integrum mensem produhierit
(S. Pæn. Ap., 6 febr. 1934):

V. GIORNO.

Presentazione di Maria al tempio.

Maria conta appena tre anni di vita, e già la vediamo condotta al tempio da’ suoi pii genitori; vanno essi a trapiantare a pie degli altari del Dio vivente questo giglio abbagliante di purezza e d’innocenza, onde cresca e si spanda all’incontaminata ombra del santuario. Per riguardo a Maria, si è il suo cuore che la guida al tempio; il suo cuore tutto ardente d’amore non è penetrato che da un pensiero, da un desiderio: essere tutto del Signore senza interruzione di tempo, senza divisione d’affetti. Il mondo non conteneva pericolo di sorta per la Vergine Immacolata, e vi avrebbe potuto vivere pura e senza macchia; è vero: Maria tuttavolta vivere doveva vicino a Dio. Fanciulla, il suo posto è il santuario; madre presso la culla del Figlio; poi un giorno presso la croce di Lui; più tardi alla destra di Lui ne’ cieli. – Voleva il Signor che la vita di Maria offrisse un modello a tutte le persone del suo sesso, quale che fosse la posizione in cui sarebbersi trovate; laonde cominciò a darla perfetto esemplare a quelle che avrebbero un giorno eletto la miglior parte, e rinunziato a tutto per non possedere che Lui solo. – Quanto differente è la nostra condotta! Non che imitar Maria nell’offrire a Dio le primizie della nostra vita, crediamo di far gran cosa nel conservargliene i miserabili avanzi. E nulladimeno abbiamo appreso fin dalla nostra infanzia che fummo creati all’unico fine di amare e servire il Signore, e per tal via conseguire la vita eterna. Non sono tutti chiamati come Maria a rinunziare ad ogni terreno affetto o legame, onde consacrarsi a Dio in un chiostro; ma nessuno tuttavia è dispensato dal dovere di tendere alla perfezione propria del suo stato o della sua condizione. L’essenziale, su che trovasi, generalmente parlando, fondata l’eterna nostra salute, si è di corrispondere ai disegni di Dio, vedere di conoscere la propria vocazione, e poi generosamente seguire la divina chiamata.

ESEMPIO.

La Religione Cattolica, abbracciata dalla Svizzera fin dai primi tempi del Cristianesimo, vigorì in tutta la sua purezza fino al secolo XVI, in cui Lutero, Zwinglio e Calvino vi seminarono l’eresia. Presentemente sono misti insieme eretici e cattolici, ed i templi dedicati a Maria, dei quali non pochi sono venerabili per la loro antichità, trovansi seminati, come porti di salute, in mezzo alle popolazioni sedenti nelle tenebre dell’errore. A Unterwald, ove il pellegrino non iscorge sotto a’ suoi piedi se non ispaventevoli precipizi, e sopra il suo capo enormi massi di pietra quasi lanciati in alto, avvi un santuario adorno di graziosi dipinti, rappresentanti gli attributi della SS. Vergine, nel quale si venera da parecchi secoli una celebre statua chiamata Nostra Signora del Passeggero. Qui vengono i Calvinisti medesimi nelle loro afflizioni ad implorare la misericordia di Maria. A Einsiedeln il santuario di Nostra Signora la miracolosa, è sempre affollatissimo di pellegrini d’ogni regione; nel 1859 vi si recò con tutta la sua famiglia Carlo Antonio, principe regnante di Hohenzollern-Sigmaringen. All’abbadia del medesimo villaggio, in una sotterranea cappella, incavata nel vivo masso, si onora l’antica e graziosa immagine della beata Vergine, chiamata Nostra Signora della Pietra, meglio nota però sotto il titolo di Nostra Signora degli Eremiti, rinomatissima per sorprendenti prodigi. – A questo santuario pellegrinarono nel 1858 l’arciduca Luigi d’Austria, fratello dell’attuale imperatore Francesco Giuseppe; e nel 1859 un grandissimo numero di ufficiali francesi ed austriaci. In Ginevra finalmente, metropoli del Calvinismo, Monsig. Marilley vescovo di Losanna, accompagnato da tre altri vescovi e da più di 150 sacerdoti, consacrò una magnifica chiesa dedicata all’Immacolata Concezione.

Orazione.

O Vergine immacolata, la quale con fedeltà sì perfetta corrispondeste ai disegni di Dio, insegnate alla povera anima mia la strada che batter dee per non perdersi; e poi, quale che ella siasi, impetratemi quello spirito di generosità che fa coraggiosamente superare ogni ostacolo, e trovare tutta la sua felicità nell’ adempimento della volontà divina. Così sia.

OSSEQUIO.

Eccitate qualche orazione in onore di Maria.

GIACULATORIA.

Vitam prcesta puram, iter para tutum.

O Madre datemi

Un alma pura:

Del ciel mostratemi

La via sicura.

349
Sancta Maria, succurre miseris, iuva pusillanimes,
refove flebiles, ora prò populo, interveni
prò clero, intercede prò devoto femineo sexu:
sentiant omnes tuum iuvamen, quicumque celebrante
tuam sanctam commemorationem

(ex Breviario Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummododevota orationis recitatio,  quotidie peracta, in integrum
mensem producta fuerit (S. Pænit. Ap., 29 maii 1936).

VI. GIORNO

Dimora di Maria nel tempio.

Nascosta nella solitudine del tempio, Maria non ha che un desiderio: glorificare il Signore e ad ogni respiro di sua vita dargli un novello attestato dell’amor suo. Ma per giungere a questo fine non ignora ella non esser d’uopo di fare strepitose azioni, le quali risveglino l’ammirazione degli uomini, severamente eseguire la volontà divina, né esser altra questa volontà divina se non il perfetto adempimento dei doveri annessi allo stato in che ella ci ha posto. Quali sono i doveri dello stato di Maria? Quelli di tutti i fanciulli in generale, e specialmente delle giovani figlie; la preghiera, il lavoro, l’obbedienza, la carità. — Più infiammata d’amore che i serafini l’anima di Maria elevavasi a Dio con prodigiosa rapidità ed agevolezza. — Dall’orazione passava al lavoro; ma la sua intima ed abituale unione con Dio volgeva in una incessante preghiera ogni suo lavoro, ogni sua azione. — Posta sotto l’ubbidienza, un desiderio di chi la guidava, equivaleva per Lei ad un comando; e faceva consistere la propria felicità nel prevenirne eziandio gli ordini ed i desideri, — Educata nel tempio in compagnia di altre fanciulle, Maria copriva col velo di carità le loro imperfezioni, ed alla loro invidia non opponeva che dolcezza ed invitta pazienza. La santità che Dio da noi richiede, consiste nell’adempire esattamente i doveri del nostro stato; ed adempirli con l’unico intento di piacere al Signore e fare la volontà sua. Fuori di qui, non vi ha, non dirò perfezione, ma neanco salute. Sì, intendiamola bene, negligentare i propri doveri sotto pretesto di occuparsi in opere più perfette, la è grossolana illusione; e le opere che noi anteponiamo ai propri doveri, per quantunque sante esser possano in se medesime, non che tornar gradite al Signore, ci costituiscono colpevoli e degni di punizione al divin suo tribunale.

ESEMPIO.

La Russia, impero sì vasto al presente, era ancora un deserto nel iv secolo. S. Ignazio di Costantinopoli vi mandò missionari nell’870. Nel 950 fu solennemente battezzata la principessa Olga col nome di Elena, e tosto per ogni dove edificaronsi templi all’augusta Madre del Salvator del mondo. Valdimiro I nel 992 nella città da lui edificata, ed alla quale impose il proprio nome, eresse un sontuoso tempio, in cui collocò un’immagine di Maria, inviatagli da Nicolao patriarca di Costantinopoli, divenuta poi rinomatissima pei prodigi che operava. Si è alla vista di quest’immagine che Pietro il Grande pose fine alla strage degli Strelitz nel 1698. Separandosi con la scisma dalla Chiesa romana i Russi non abbandonarono già il culto di Maria. Dedicata all’Assunzione di Maria è la più bella chiesa di Mosca, la cattedrale; se ne porta processionalmente l’immagine sotto un magnifico baldacchino, ed eziandio nella casa degli infermi a loro consolazione e sollievo. Ad una porta del Kremlin è sovrapposta una prodigiosa immagine della B. Vergine guardata da due sentinelle a capo scoperto. Dinanzi a questa profondamente inchinossi Napoleone I nel 1812. – Fino alla superstizione spingono il culto di Maria i Russi. Si è per tale motivo che Mosca è considerata come una città santa, ed in essa fannosi incoronare gli imperatori.

Orazione.

O Maria, perfetto esemplare di tutte le età, di tutte le posizioni in cui possono trovarsi le persone del vostro sesso, ottenetemi la grazia che, a vostro esempio, io doni un principio di vita a tutte le mie azioni per mezzo di un’intima ed abituale unione con Dio, onde possa, all’uscir dal tempo, ricevere nell’eternità il guiderdone promesso a chi è fedele nelle piccole cose. Così sia.

OSSEQUIO.

Nelle tentazioni prendete in mano la corona e baciatela. Disgustar Maria mentre baciate il suo rosario, nol farete per fermo.

GIACULATORIA.

A Peccato mortali lìbera me, Domina.

Lungi tenete

Da questo seno

Dell’atra colpa

Il rio veleno.

351
  O Mater pietatis et misericordiæ, beatissima
Virgo Maria, ego miser et indignus peccator ad
te coniugio toto corde et affectu; et precor pietatem
tuam ut, sicut dulcissimo Filio tuo in
Cruce pendenti adstitisti, ita et mihi misero
peccatori et fidelibus omnibus sacrosanctum Filii
tui Corpus sumentibus clementer adsistere
digneris, ut tua gratia adiuti, digne ac fructuose
illud sumere valeamus. Per eumdem Christum
Dominum nostrum. Amen.
Fidelibus supra relatam o rationem ante Communionem recitantibus conceditur: Indulgentia trium annorum; Indulgentia plenaria, si quotidie per integrum mensemidem præstiterint et præterea sacramentalem confessionem, alicuius ecclesiæ vel publici oratorii visitationem
et ad mentem Summi Pontificis preces addiderint (S. Pænit.
Ap., 25 maii 1941)

VII. GIORNO.

Voto di Verginità.

Separata ed ignorata dal mondo cresceva Maria in età, in santità, in grazia all’ombra del santuario. Sempre volta dalla parte del cielo, la sua anima pura ed immacolata consumavasi già tra i casti ardori del divino amore, né altra felicità conosceva od altra gloria che la felicità e la gloria d’essere tutta di Dio. Una bocca divina non ancora aveva proclamato l’eccellenza della purità, e Maria già l’ha indovinata col suo cuore, il quale comprende ed ama tutto che è puro e santo. Gelosa quindi di riserbare per Dio solo tutti gli affetti del suo cuore, a Lui si consacra col voto di verginità. Quest’atto eroico, divenuto in seguito l’irresistibile calamita delle anime generose presuppone una prodigiosa virtù, in Maria. Difatto viva più che mai era in que’ giorni tra la nazione l’attesa del Messia; non ignoravasi che nascer doveva dalla prosapia di David; Maria erane un rampollo: qual donna avrebbe rinunziato alla seducente speranza di divenire madre dell’Aspettato dalle genti?… Maria fu più che donna; con questo voto si rese superiore agli Angeli stessi. O Vergine Immacolata! non sarà sterile tanta virtù; a te, a te sola sta riserbata la gloria che fuggi; diverrai madre del Figlio di Dio. Beate le anime dal cuor puro, esse vedranno Dio. Vedranno Dio per l’affettuosa conoscenza che egli loro comunica delle sue grandezze, delle infinite sue perfezioni, delle sue misericordie, dell’amor suo: vedranno Dio per l’attitudine ad abbracciare tutto che a Lui si riferisce, per la facilità a comprendere i misteriosi rapporti che esistono tra il Creatore e la povera creatura. Si Dio rivelasi al cuor puro, gli si manifesta, lo tratta con la dolce ed intima famigliarità di amico ad amico. Ma non obliamo che questo fiore del cielo non agevolmente si acclimata sulla nostra terra: onde conservisi, è d’uopo circondarlo di precauzioni, di sollecitudini assidue; che estrema è la sua delicatezza, e ben poca cosa è sufficiente a cagionargli la morte.

ESEMPIO.

Il Portogallo non ha solamente comune con la Spagna il territorio, ma i costumi eziandio e gli affetti religiosi, il rispetto e la divozione verso l’Immacolato Cuore di Maria. Sì profonde radici aveva piantato la religione cristiana fra questo popolo che, per molti secoli fu l’unica religione permessa: ragione per cui il sommo Pontefice Benedetto XIV concesse ai re di Portogallo l’ereditario titolo di Fedelissimo. – La divozione alla beata Vergine vigorisce tuttora, sebbene la fede abbia rimesso non poco di sua vivezza, e rari sono i Portoghesi i quali non portino lo scapolare di Maria, od una qualsiasi di Lei immagine, purché tuttavolta abbia toccato alcuna di quelle che sono riputate prodigiose. Onorasi a Cieca un’immagine denominata la B. Vergine degli sgozzati, perché, dicesi, molte persone strangolate nella guerra di Alfonso II nel 1253, portate dinanzi a quest’immagine, istantaneamente risuscitarono. – Un’altra è venerata a Villa-Viciosa, sotto il titolo di Nostra Signora della Stella; ed una terza presso Lisbona da parecchi secoli rinomatissima, appellata Nostra Signora dei lumi, presentemente visitata da innumerevoli pellegrini portoghesi e spagnoli.

Orazione.

O Vergine Immacolata, chiamata con tanta ragione da santa Chiesa, Madre senza macchia, giglio splendido di purezza e d’innocenza, pregate per me sì fragile, sì contaminato da innumerevoli colpe. Sovvengavi che vostro figlio io sono; deh! accorrete in mio soccorso nell’ora della tentazione, e della mia morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Prostratevi dinanzi ad un immagine di Maria e pregatela a tener lontano da voi i divini castighi.

GIACULATORIA

Mater Dei, ora pro me.

Voi che di Dio

La Madre siete

Potenti suppliche

Per me porgete.

339
Memorare, o piissima Virgo Maria, non esse
auditum a sæculo, quemquam ad tua recurrentem
praæsidia, tua implorantem auxilia, tua petentem
suffragia esse derelictum. Ego tali animatus
confidentia ad te, Virgo Virginum, Mater,
curro; ad te venio; coram te gemens peccator
assisto. Noli, Mater Verbi, verba mea despicere,
sed audi propitia et exaudi. Amen.
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, quotidianaorationis recitatione i n integrum mensem producta (S. C.
Indulg., 11 dec. 1846; S. Pæn. Ap., 8 sept. 1935).

VIII. GIORNO.

Annunciazione.

 Da qualche tempo Maria, per obbedire ai ministri di Dio, era uscita dal santuario, ed unitasi in matrimonio con l’artigiano Giuseppe. Ma questo sposo, puro e vergine anch’esso, non doveva essere che il custode, il protettore della verginità di Maria. Intanto suona l’ora della nostra redenzione; l’arcangelo Gabriele, ad un cenno dell’Eterno, scende dal cielo, viene a gettarsi ai piedi di Maria, e le dice: Io vi saluto, o piena di grazia; il Signore è con voi. Queste sublimi parole: Piena di grazia, atterriscono l’umiltà di Maria: ah! se Ella inquietasi per un sì rispettoso saluto, qual effetto produrrà in lei la parola del celeste messaggero con cui le domanda il consenso di divenir madre del suo Dio?- Son vergine, risponde la timida fanciulla, e vergine io vo’ rimanere. Ma al sentire che il prodigio dell’amore e della misericordia di Dio sarà in Lei l’opera dello Spirito Creatore, abbassa il capo ed esclama: Io sono l’ancella, del Signore, in me si compisca la di Lui volontà. Sì, niente meno richìedevasi che un abisso di umiltà e di delicatezza per contenere l’abisso dell’amore e dell’annientamento di quell’immensa maestà che non può essere contenuta da cosa alcuna. – Perché mai siamo noi sempre umili unicamente in parole, ed in pratica non mai! Ah! si è perché non conosciamo noi medesimi; che anzi paventiamo lo studio del nostro cuore, perché questo studio,- persuadendoci della nostra debolezza, della grandezza della nostra miseria, c’insegnerebbe ad un tempo l’umiltà; essendo impossibile conoscerci quali siamo in realtà, e conservare qualche stima per noi medesimi. – Oimè! noi siamo un nulla; abbandonati alle proprie nostre miserie, siamo impotenti a tutto; sprovvisti della grazia siamo inabili ad ogni bene, abilissimi ad offender Dio con i più deplorabili disordini, e nulla possediamo che non sia un dono della liberalità del Signore. Laonde chi non è umile commette un furto a Dio, e la più schifosa delle ingiustizie.

ESEMPIO.

La Russia divide presentemente con la Turchia il possesso dell’Armenia, vasta contrada dell’Asia occidentale che abbracciò il culto di Maria col Vangelo fin dal primo secolo della Chiesa. Nella città di Van, la più antica di tutta l’Armenia, si ravvisano ancora i venerabili avanzi d’ un celebre santuario di Maria, erettovi, dicesi, dall’apostolo s. Bartolomeo, quando vi predicò il Dio crocifìsso per la salvezza degli uomini. C’insegna una costante tradizione che veneravasi fin d’allora una prodigiosa immagine della Madre di Dio, affidata dallo stesso Apostolo alle sollecite cure di sante donne. Trovasi nell’Armenia un buon numero di antiche chiese, parecchie delle quali dedicate a Maria, che partironsi tra di loro i Greci uniti, i Greci scismatici ed i Musulmani. Generalmente parlando, fassi ognor più ardente adesso la divozione degli Armeni all’immacolato Cuore di Maria.

Orazione.

O Maria, Vergine purissima, la quale foste la più elevata delle creature, appunto perché foste la più umile, volgete uno sguardo di misericordia sopra di me così pieno di amor proprio, e fate che modellando il mio cuore sul vostro, il quale è parlante immagine di quello di Gesù, possa un giorno conseguir la mercede promessa ai dolci ed umili di cuore. Così sia.

OSSEQUIO

Baciate tre volte la terra, ripetendo a voi medesimo queste parole: Quid superbis terra, et cinis?

GIACULATORIA.

Tu nos ab hoste protege, et mortis hora suscipe.

Nell’ultima ora

Della mia vita

Imploro, o Madre,

La vostra aita.

293
Dignare me laudare te, Virgo sacrata;
Da mihi virtutem contra hostes tuos.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suet is conditionibus, si quotidianainvocationis recitat io in integrum mensem producta fuerit.
(S. C. Indulg., 5 apr. 1786; S. Paen. Ap., 28 mari. 1933).

IX. GIORNO.

La Maternità divina.

Erudita nelle sacre scritture, non ignorava Maria quanto caro le sarebbe costato il titolo di Madre di Dio; e che il suo Figlio avrebbe dovuto comprare a prezzo di sangue il nome di Salvatore, e quindi Ella parimenti pagare con lacrime, e lacrime ben amare il nome di Madre. Che farà Maria dinanzi a sì dolorosa prospettiva? Rassicuriamoci: il Signore ha parlato, e l’umile Vergine non sa che obbedire. Si è quindi col sentimento di profonda umiltà, e perfetta sommissione a ciò che tutto chiederà il Signore da Lei e dal suo divin Figlio, che esclama: Io sono l’ancella del Signore, in me si compisca la volontà di Lui. Chiniamo il capo dinanzi a queste parole le quali ci dipingono al naturale il Cuore della nostra Madre del cielo, l’abisso della sua umiltà, l’estensione della sua rassegnazione. Io sono l’ancella di Dio; qui accetta per sé la gloria della maternità divina, e poi più tardi accetterà per sé, per suo figlio le miserie di Betlemme, l’oscurità d’una vita laboriosa, e più tardi ancora gli strazi del Calvario. Ottenuto questo consenso da Maria, il Signore fecondò il seno verginale di Lei con l’onnipotente sua virtù, ed essa divenne vera Madre del Figlio di Dio. Non invidiamo a tanta fortuna di Maria; che per mezzo della comunione siamo noi eziandio chiamati a dividerla con Lei. La comunione ci unisce non solamente alla divinità ma all’umanità ancora dell’adorabile Salvatore; a quel sangue prezioso che pagò sul Golgota il riscatto dell’anima nostra; a quel sacro Cuore che dimostrossi così misericordioso, così sensibile alle nostre miserie. Tale unione con chi mai la contrae Iddio per mezzo della comunione? Con l’uomo: con l’uomo, essere d’un giorno, chiamato dal nulla alla vita dalla di Lui potenza; essere mortale che oggi esiste e domani non è più contato nel novero dei viventi. Approssimiamoci pertanto alla mensa degli Angeli con fede viva, con umiltà profonda, con ardente carità, con purezza di coscienza ed allora diverrà per noi il preludio dell’eterna nostra comunione nel cielo.

ESEMPIO.

Il regno d’ Inghilterra fu convertito al Vangelo nel 590 da s. Agostino, consacrato in seguito primo arcivescovo di Cantorbery. In brevissimo tempo elevaronsi per ogni dove sontuosissime chiese dedicate a D. O. M. sotto l’invocazione di Maria, e non piccol numero di monasteri e di abbadie in di Lei onore, tra cui primeggiano quelle di Glastembury, di Abingdon, di Ramsy, di York, di Westminster. Sorse eziandio un gran numero di cattedrali consacrate alla Regina degli Angeli; per la costruzione di quella di Salisbury impiegaronsi 39 anni, e ne conta poche pari in magnificenza. Una passione, oimè! non frenata nei suoi inizi, bastò a svellere dal corpo della Chiesa questo regno, chiamato per antonomasia, la terra dei Santi; la cupidigia distrusse i monasteri, l’empietà chiuse i templi, e la barbarie trucidò vescovi, sacerdoti, monaci, vergini… Siffatte conseguenze seco si trasse la brutta passione! Povera Inghilterra! In tuo favore non altro abbiamo che lacrime e voti; ma in tuo prò congiungono le loro preghiere alle nostre ed a quelle di Maria, gli Agostini, gli Anselmi, i Tommasi, gli Edoardi, gli Edmondi, e ben già se ne ravvisano i salutari effetti. Noi vediamo quel governo farsi di giorno in giorno meno ostile al cattolicismo: già si contano 926 chiese cattoliche; un cardinale creato nel 1840, 18 tra arcivescovi e vescovi, 1217 sacerdoti esercitano liberamente le loro funzioni. Un gran numero di scuole, di seminarii, di ospizi, di ospedali, la più parte affidati alla tutela di Maria, danno le più care speranze di un prossimo ritorno al seno di santa Chiesa di tutto il regno.

Orazione.

O Maria, primo tabernacolo del Verbo fatto carne, la quale riceveste con tanto amore nel santo vostro seno questo Dio annichilato, ottenetemi le disposizioni necessarie, onde fervorose sempre e meritorie siano le mie comunioni in vita, e sopra ogni altra fervorosa e santa quella che precederà la mia morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Nel mettervi a letto figuratevi d’essere al divin tribunale, ed ascoltate ciò che vi dice la coscienza.

GIACULATORIA.

In Die judicìi libera me, Domina.

Nel giorno estremo

Giorno di pianto,

Madre copritemi

Col vostro manto.

-295-

Virgo ante partum, ora prò nobis.
Ave Maria.
Virgo in partu, ora prò nobis.
Ave Maria.
Virgo post partum, ora prò nobis.
Ave Maria.
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, invocationibus quotidie per integrum mensem iteratis (S. C . Indulg.,
20 maii 1893; S. Pæn. Ap., 12 oct. 1934).

X. GIORNO.

Visitazione.

Il bambino che vive nelle castissime viscere di Maria venne a portare sulla terra il sacro fuoco della carità; il suo cuore ne è la sorgente, e già lo accese nel cuore di sua Madre. Al contatto del cuore di Gesù, il cuor di Maria diviene fornace divampante di amore e di carità: questo fuoco è attivissimo epperciò la stimola, la spinge a comunicarlo ad altri cuori. Quindi alla primiera notizia che la situazione d’Elisabetta domanda le sue cure, Maria esce dalla cara sua solitudine di Nazaret, s’avvia verso le montagne della Giudea, e va a costituirsi ancella di colei alla quale ella medesima è immensamente superiore. Ma lo spirito di Maria non conosce quelle idee di preminenza, di dignità, d’autorità, e va dicendo, di che il mondo si pasce con tanta sicurezza; eh! no: più la è grande, e più è umile; né altro ravvisa in Elisabetta che una sua parente la cui avanzata età e gravidanza merita le sue attenzioni. — La carità comunica i tesori del cielo: ovunque passa, Maria semina benedizioni: alle sue parole Giovanni è santificato, Elisabetta profetizza, la casa del Levita esulta di gioia, e Maria prende parte sincera alla felicità di che è cagione. Per poco che si esaminino le parole dell’adorabile Salvatore intorno alla virtù della carità, di leggieri si scorge che questa virtù la vince sopra ogni altra agli occhi di Lui, ed è come la respirazione, la vita del suo divin cuore tutto ardente d’amore verso Dio, e degli uomini. E qual amore? ah! Betlemme, il Calvario, il tabernacolo altamente ci predicano che sì fatto amore non si contentò di parole: operò, sofferse, sacrificossi in pro nostro. Laonde non illudiamo noi medesimi; la carità che Dio esige da noi verso il prossimo esser dee una carità non teorica ma pratica, perciò disse; Tutto che FARETE al minimo dei vostri fratelli, lo considererò come fatto a me stesso.

ESEMPIO.

Fin dal IV secolo noi vediamo s. Adalberto vescovo di Gnesne, comporre inni a Maria per l’armata polacca, la quale combatteva ne’ paesi ancora infedeli della Pomerania e della Prussia. Uno di questi, le cui iniziali erano: Boga Botsica (Madre di Dio), fu per molti secoli il loro cantico guerriero. I Poloni ascrissero mai sempre a loro precipuo onore l’essere detti i figli della Chiesa Cattolica Romana, ed i servi fedelissimi della Madre di Dio, da essi chiamata la Regina del cielo e della Polonia, od eziandio semplicemente la Regina della Polonia. Ad avere un’idea caratteristica della venerazione che questo sventuratissimo regno sentiva per Maria, parmi sufficiente questo fatto. Per legge di stato era formalmente vietato l’imporre a chi che sia il nome di Maria, onde col rendersene familiare il nome, non si venisse a scemar di rispetto verso di Lei; e questa proibizione fu spinta a tal segno che Ladislao IV, impalmandosi a Maria Luigia di Nevers, nel contratto nuziale appose la clausola che la novella regina abbandonerebbe il nome di Maria, perché forse non l’avrebbero i polacchi tollerato. Indarno tentarono per lo addietro la riforma ed il sinodo russo di schiantare questo culto da quella infelice nazione; ma pur troppo! da tre anni sì feroce è la persecuzione mossale dai luogotenenti dello Czar Alessandro, sotto politici pretesti, che quasi quasi presentemente (1867) non rimane più vestigia né di polacchi, né di culto cattolico. Il cielo solo può ancora rimediare a tanto sterminio; preghiamo e speriamo!

Orazione.

O Maria, consolatrice degli afflitti, ispirate al mio cuore un grammo di quella carità che rese l’immacolato vostro Cuore così sensibile alle nostre miserie. Deh! fate che a vostro esempio, io sia pieno di misericordia, d’indulgenza, di compassione pe’ miei fratelli, e specialmente per quelli che mi offendono, o da cui ricevo qualche torto, onde conseguir possa il premio promesso alla carità. Così sia.

OSSEQUIO.

Stando in Chiesa, dite: Se io dovessi star qui in ginocchio per tutta l’eternità, oh! che disperazione. E nell’inferno! e nell’inferno!

GIACULATORIA.

A pœnis inferni libera me, Domina.

Dal cupo, orribile

Eterno esilio

Madre salvatemi

Son vostro figlio.

XI. GIORNO.

Il Magnificat.

Continuiamo ad ammirare i prodigi di che è feconda la visita di Maria ad Elisabetta. — La Vergine immacolata ascolta le lodi che le sono prodigate dalla cugina ad ispirazione di Dio; non le rifiuta queste lodi, che la vera umiltà come ama la verità così odia e detesta la menzogna. Ma il suo cuor verginale, non che ripiegarsi sopra se medesimo onde compiacersi od invanirsi della propria eccellenza, non pone mente se non ai benefizi del Signore, e trovasi talmente ricolmo da sentimenti di gratitudine e d’amore verso di Lui che, impotente a contenerli dentro se medesimo, simile a vaso troppo pieno, apresi un’uscita, e lega ai secoli avvenire il più soave cantico che vanti la novella alleanza, qual perenne monumento della sua umiltà, riconoscenza ed amore. — L’anima mia glorifica il Signore, ed il mio spirito è rapito di gioia in Dio mio Salvatore, perché guardò l’umiltà della sua ancella; ed ecco che tutte le generazioni mi diranno beata ecc. – E questo inno di paradiso è cantato da Maria a nome di tutti i beneficati dal Signore, di tutti i redenti del Calvario. Ad esempio di Maria, siamo noi riconoscenti ai benefici di Dio? La ricordanza della liberalità di questo Dio, il quale è per noi il Padre più tenero ed il benefattore più generoso, accende per avventura ne’ nostri cuori un profondo sentimento di gratitudine e d’amore? Oimè! l’abitudine di ricevere i benefici dal nostro Dio ci rese insensibili, e ce ne serviamo senza neanco benedire alla mano che sopra di noi li sparge; non ne conosciamo il prezzo se non allorché ne siamo privi; e le nostre labbra che apronsi così spesse fiate onde implorare novelli favori, ignorano poi la via d’aprirsi allorché è d’uopo renderne grazie a Colui dal quale scende ogni dono perfetto. Oh! Perché mai non arrossiamo di comparir ingrati verso Dio, noi i quali arrossiamo di comparir ingrati verso gli uomini?

ESEMPIO.

Sebbene fin dal II secolo, e poi nuovamente nel VI fosse predicato il Vangelo nella Baviera da s. Roberto, possiam dire tuttavolta che la Religione Cattolica, col culto della Madre di Dio, non divenne la religione dominante che nel 755, in cui s. Bonifazio vescovo di Metz e di Magonza fondò l’arcivescovado di Eichstadt. Ottone I pose tutti i suoi stati sotto il patrocinio di Maria. Alla metà del secolo XVIII noveravansi nella Baviera 315 case religiose, tutte dedicate al culto della B. Vergine, e la più parte occupate nell’educazione della gioventù. Ad Alten-Oelting è venerata una prodigiosa statua, celebre per innumerevoli pellegrinaggi che vi si fanno. Frequentatissima da ogni ceto di persone è l’immagine della B. Vergine al monastero della Visitazione in Oggersheim. La festa della Natività solennizzata nella chiesa della santa Casa di Loreto, vi radunò nel 1845, oltre a dodici mila fedeli, di cui otto mila accostaronsi ai Sacramenti, A Munich, in una cappella attigua al convento de’ Cappuccini, si scorge la più gran venerazione a Maria V. Addolorata. La cattedrale di Passau, dedicata alla Annunziazione di Maria, vi trae ogni anno un considerevole numero di pellegrini, e Maria Annunziata li rinvia consolati, paghi nei loro voti.

Orazione.

O Maria, perfetto modello di gratitudine, non permettete che la sconoscenza agghiacci il mio cuore; ma prestatemi il vostro per benedire al Signore di tutti i beni spirituali e temporali a me prodigati, onde la mia vita divenga un continuo ringraziamento, e quest’inno di benedizione, di laude cominciato nel tempo, possa continuarlo perennemente nell’eternità. Così sia.

OSSEQUIO.

Risolvetevi ad una pratica di divozione a Maria da farsi ogni giorno affinché vi liberi dall’inferno.

GIACULATORIA.

Gratias tibi, Virgo, quia non ardeo.

Se tra le eterne

Fiamme non sono,

Vergine eccelsa

Fu vostro dono.

320
Magnificat anima mea Dominum: Et exsultavit spiritus meus in Deo salutari
Quia respexit humilitatem ancillæ suæ: ecce
enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes.
Quia fecit mihi magna qui potens est: et sanctum
nomen eius.
Et misericordia eius a progenie in progenies
timentibus eum. Fecit potentiam in brachio suo: dispersit superbos mente
cordis sui.
Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles inanes. Esurientes implevit bonis: et dìvites dimisit inanes.
Suscepit Suscepit Israel puerum suum, recordatus misericordiæ
suæ. Sicut locutus est ad patres nostros, Abraham
et semini eius in sæcula.
(Luc., I , 46).
Indulgentia trium annorum.
Indulgentia quinque annorum, si canticum in festo Visitationis B. M. V. vel quolibet anni sabbato recitatum fuerit.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, cantico quotidie
per integrum mensem pie recitato (S. C. Indulg.
20 sept. 1879 et 22 febr. 1888; S. Pæn. Ap., 18 febr.
1936 et 12 apr. 1940).

XII. GIORNO.

Ritorno di Maria in Nazaret.

Come tutti gli sventurati figli di Adamo, e più di tutti Maria doveva essere provata al crogiuolo della tribolazione; conciossiachè predestinata dal Signore ad immensa gloria esser doveva predestinata eziandio ad immensi dolori. Non ci rivela l’Evangelo se Maria fosse ancora presso la cognata al tempo della nascita del santo precursore; certa cosa è tuttavolta che fu mai sempre guidata dal Santo Spirito in ogni sua operazione. Rientrata nell’oscurità di Nazaret, per le necessarie domestiche relazioni s’avvede il casto suo sposo della gravidanza di lei. Quale sconforto per Giuseppe! Che pensa? a che si risolve? Reputeralla colpevole? Oh! no; troppo santa è Maria, e troppa venerazione ispira…. eppure non si può ignorare che Ella è divenuta madre. — Sospende adunque ogni giudizio, ed appigliasi al partito di celatamente allontanarsi da lei; preferendo in sì fatta guisa esporsi al biasimo ed al disprezzo che ne saranno la conseguenza, piuttostochè diffamare la Vergine Immacolata con l’accusarla d’infedeltà al cospetto di tutta la nazione. Maria legge sul volto dello sposo tanta tristezza: con una sola parola potrebbe ridonargli la pace; ma questa parola formerebbe la sua gloria, e l’umile Maria non la pronunzia. – Se il silenzio di Maria è il modello delle anime bersagliate dai falsi giudizi e dalla calunnia, la moderazione di Giuseppe in sì delicato frangente è la condanna delle anime corrive nei giudizi temerari. Non giudicate, e non sarete giudicati: chi pronunziò questo comando e questa promessa si è quel Giudice sovrano ed infinitamente giusto cui avremo un giorno a rendere ragione dal più grave delitto al più intimo palpito del cuore. E noi non ignoriamo neanco che il Vangelo è l’unico codice che verrà da Lui consultato onde profferire inappellabile sentenza; e che allora la misericordia cederà il luogo alla giustizia. Or bene; fu per avventura così santa la nostra vita che nulla ci resti a temere da un giudizio il cui pensiero incuteva terrore ai più gran santi?…

ESEMPIO.

La Lapponia dividesi in russa e svedese. Cristiani sono i Lapponi, ma la lor religione trovasi in generale, sfigurata da assurdissime superstizioni. Le sole religiose idee rette da essi conservate, riguardano il mistero dell’Incarnazione, ed il culto della Santa Vergine, epperciò professano un esemplare rispetto alla croce di Gesù ed alle immagini di Maria. Incerta è l’epoca della loro conversione al cristianesimo. I più accreditati autori la fissano circa l’842, tempo in cui l’apostolo del Settentrione, s. Anscario, evangelizzò la Lapponia, l’Islanda e la Groenlandia. – Un celebre tempio dedicato a Maria, fu eretto nel 1030 a Wardenhuns.

Orazione.

Oimè! colpevole e pieno di miserie, o tenera Madre mia, giudico i miei fratelli con una severità che dovrei riservare per me solo, e riservo per me un’indulgenza che dovrei unicamente usare verso i miei fratelli. Deh! Insegnatemi a conoscere me stesso affinché vivendo nell’umiltà, eserciti la sincera carità. Così sia.

OSSEQUIO.

Fate una visita a Maria onde per voi ringrazi il divin Figlio dei benefici che vi ha fatto, e vi perdoni l’ingratitudine vostra.

GIACULATORIA.

Vita, dulcedo, spes nostra, salve.

Vita dolcissima,

Speranza mia

Salve purissima

Vergin Maria.

-276-

Christe, qui Mariæ et Ioseph
subditus, domesticam vitam ineffabilibus virtutibus
consecrasti: fac nos, utriusque ausilio,
Familiae sanctae tuæ exemplis instrui et consortium
consequi sempiternum: Qui vivis et
regnas in sæcula sæculorum. Amen (ex Missali Rom.).
Indulgentia quinque annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo
orationis recitatio, quotidie devote peracta, in integrum
mens’em producta fuerit (S. Pæn. Ap., 3 sept. 1936).

XIII. GIORNO.

Viaggio a Betlemme.

Era scritto che il Messia doveva nascere a Betlemme. Nascosta nell’umile sua dimora Maria attendeva con profonda pace quel giorno benedetto tanto sospirato dai patriarchi e dai profeti, quando sente da Giuseppe essere necessario recarsi seco lui a Betlemme pel censimento prescritto dall’imperatore romano, essendo ambedue della famiglia di David. In tal guisa il Signore fa servire all’esecuzione de’ disegni suoi la politica ed i capricci degli uomini. Ecco Maria portata da umile cavalcatura, guidata dal santo suo sposo, dirigersi alla volta della città reale. Arrivata alle porte di Betlemme, fa sosta la povera carovana, e Giuseppe s’inoltra a cercar un asilo; ma tutti gli alberghi sono ingombri d’illustri viaggiatori, di doviziose famiglie…, non v’ha ricetto pel povero artigiano. Ei ritorna a Maria e le annunzia l’amaro disinganno; e Maria abbassa il capo e adorando la volontà di Dio, risponde: Fiat. – Una donna commossa a tal vista, loro addita una grotta deserta non lungi dalla città in mezzo alla campagna. O Figlia di David, o Madre dell’Altissimo, ecco la vostra reggia! Vi entra Maria, e volgendo intorno intorno lo sguardo sopra le umide e povere pareti, ripete una seconda volta Fiat. – La povertà preparò la culla al Dio fatto carne, lo accolse al suo ingresso nel mondo, lo seguì sulla terra d’esilio, con Lui fe’ ritorno dall’Egitto in Nazaret, ormeggiò tutti i suoi passi nella privata e pubblica sua vita; Ella ancora lo accompagnò al Calvario, seco Lui ascese il sanguinoso trono della croce; Ella infine gli preparò l’ultimo suo letto. Dopo sì fatti esempi oh! come consolanti, come belle sulle labbra dell’Uomo-Dio risuonano quelle parole che beatificano la povertà, e la fanno sedere sul trono della felicità e della gloria: Beati i poveri di spirito, ché ad essi appartiene il regno de’ cieli. Tutti i santi ottimamente compresero la morale del divino Maestro, e ne fecero lo studio e la pratica di tutta la loro vita; e noi l’abbiamo in orrore, e diciamo col fatto: Beati i ricchi, e pretendiamo salvarci!..

ESEMPIO.

Il culto a Maria venne introdotto in Italia col Vangelo fin dal primo secolo della Chiesa, e rapidissima ne fu la propagazione, malgrado le persecuzioni degli imperatori pagani, e le irruzioni de’ barbari, nemici non meno accaniti della Cattolica Religione, e sempre puro si mantenne come s’addice alla contrada, nel cui centro ha sede il Vicario dell’Uomo-Dio. Impossibile riesce il far menzione dei mille luoghi ove si venerano prodigiose immagini di Maria. Roma sola conta oltre a cinquanta chiese a lei dedicate, e quattordici Napoli. Se questa adesso sì sventurata nazione, può andar superba per l’amore di preferenza dimostratole dal Signore nel costituirla il centro della cattolicità, non può forse andar parimente superba per l’amore di preferenza dimostratole da Maria che in essa volle prodigiosamente trasferita la casa di Nazaret, santificata dalla sua presenza, e da quella del Salvator del mondo? – Onorasi a Torino la B. Vergine della Consolata, a Pisa la Madonna della Spina, a Firenze la Madonna del Popolo, a Mantova la Madonna delle Grazie, a Capotena quella del Rosario, a Carlo-Forte quella della Concezione, a Spoleto quella del Carmine, senza parlare di quasi innumerevoli santuari posti sulla vetta o tra le gole delle più dirupate montagne. Il Tirolo, la Stiria, hanno le case e le vie adorne tutte dell’immagine di Maria.

Orazione.

O Maria, la quale foste veramente povera di spirito e di cuore, ottenetemi stima ed amore alla povertà; fate che, a vostro esempio, io cerchi innanzi tutto il regno di Dio e la sua giustizia, convinto che si avvererà in tal guisa la promessa del vostro divin Figlio, e che tutto il resto mi sarà donato per soprassello. Così sia.

OSSEQUIO.

Ovunque vi troviate, esercitate una particolare modestia in riparazione degli scandali dati al vostro prossimo.

GIACULATORIA.

A delictis meìs munda me, et ab alienis parce servo tuo.

Vorrei perdono

De’ falli miei

De’ falli altrui

Perdon vorrei.

308
Recordare, Virgo Mater Dei, dum steteris in
conspectu Domini, ut loquaris prò nobis bona,
et ut avertat indignationem suam a nobis (ex
Missali Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie perintegrum mensem  invocatio pie recitata fuerit (S. Pæn.
Ap., 22 nov. 1934).

XIV. GIORNO.

Maria al presepio.

Entrata nell’umile tugurio obliò ben tosto la Vergine Immacolata e le fatiche del viaggio e la durezza dei betleemiti, e la terra e tutte le cose della terra, per non occuparsi che del Dio il quale faceale presentire imminente il suo ingresso nel mondo per mezzo d’estasi d’amore sconosciute ai serafini stessi. Ed è frammezzo a quest’estasi di paradiso, che il Dio Bambino uscì dal seno verginale di Maria senza danno alcuno all’integrità di Lei, come il raggio del sole attraversa limpido cristallo senza alterarne benché menomamente la purezza. Il primo vagito dell’adorabile bambino fe’ rientrare in se medesima la Vergine Madre: tremante d’emozione e di gioia contemplò Maria con religioso spavento per qualche istante il Verbo fatto carne: poi prendendolo tra le braccia, lo serrò contro il cuore, lo bagnò di lacrime, adorollo come suo Dio, baciollo come suo figlio. – Oh! chi ci dirà i sentimenti del cuor di Maria in quell’ora avventurata, allorché l’amor di Dio e l’amor materno formarono nel suo cuore un solo amore, e l’inondarono di castissime voluttà? Chi varrà a dipingerci i trasporti d’amore che fece nascere nel cuor di Maria la prima occhiata di Gesù, il primo vagito di Gesù, la prima lacrima di Gesù? Ah! non è dato alla debolezza nostra lo scandagliare questo abisso. Contemplare, adorare Gesù tra le braccia della Vergine-Madre, quale ventura! Ma non possiamo forse visitare Gesù, adorarlo in annichilamenti più profondi ancora, gli annichilamenti dell’Eucaristia? È forse meno amabile nel tabernacolo che nel presepio? meno prodigo di sue grazie? – Il tabernacolo! ah! ecco il centro della luce ove illuminaronsi le intelligenze più prodigiose; la fornace ove si accesero i cuori i più ardenti, la scuola ove si apprese la virtù dei sacrifici i più eroici, la sorgente di acqua viva a cui si attinsero le consolazioni più pure. Eppure per quanti cristiani il Dio del tabernacolo, come il Dio del presepio, è un Dio straniero, un Dio sconosciuto! Ci troviamo noi forse nel novero di questi sconoscenti ed infelici cristiani?….

ESEMPIO.

Antico quanto il Cristianesimo, è nella Corsica il culto della SS. Tergine; vi predicarono l’Apostolo s. Paolo ed i discepoli di san Pietro. La più parte delle cattedrali di quest’isola ricordano un mistero della vita di Maria; l’Assunzione quella di Nebbio, edificata nel VII secolo, e quella di Mariana; l’Annunziazione quella di Corte, e tutti gli altri misteri le numerosissime cappelle di che trovansi seminati i dintorni di Bastia, la cui cattedrale si appella Maria- la- Santa. Fioriscono le associazioni del Rosario, dell’Annunziazione, della Natività, ecc.; quasi tutte le feste di Maria vi sono celebrate coll’ottava. Il più celebre degli oratori è quello di Lavasina sulla spiaggia marittima: malgrado la corruzione de’ nostri giorni, da tutti i punti d’Italia vi accorrono devoti i pellegrini d’ogni età e condizione tra li 8-16 settembre a sciogliere i voti fatti nel corso dell’anno. Nel 1730 (30 gennaio) in generale adunanza riuniti i Corsi elessero Maria per loro sovrana, ed ordinarono che, sull’esergo delle monete corse, venisse inciso: Monstra te esse matrem.

Orazione.

O Maria! la quale foste il sacro altare su cui riposò le tante volte il Verbo incarnato; deh! fate che io trovi le mie delizie nel tenermi ai suoi piedi nel sacramento dell’amor suo, onde, dopo averlo senza interruzione corteggiato nel tempo, venga annoverato tra i suoi adoratori ancora nel gran giorno dell’eternità. Così sia.

OSSEQUIO.

In qualsivoglia luogo v’incontriate in un’immagine di Maria, salutatela col recitare l’Ave Maria, vincendo ogni rispetto umano.

GIACULATORIA.

Sancta Maria, Mater Dei, ora prò nóbis peccatoribus.

Per tutti ì rei,

Pregate Iddio:

Son reo pur troppo,

O Madre anch’io.

311
Benedicta es Tu, Virgo Maria, a Domino Deo
excelso, præ omnibus mulieribus super terram
(ex Missali Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, prece iaculatoria quotidie per i ntegrum mensem pie repetita (S. Pænit. Ap., 20 maii 1936).

XV. GIORNO.

Purificazione.

Nella stessa guisa che il sole vibrando i suoi raggi sui fiori non fa che renderne più splendido il colore, più soave l’olezzo, così la nascita di Gesù lungi dal nuocere alla purezza della Vergine-Madre, accresciuta aveala ed adorna di novello fulgore. Laonde per lei non vigorisce la legge della purificazione, né pel suo figlio concepito per opera dello Spirito Santo, figlio unico dell’eterno Padre, è vero: ma, e come potrà non sottomettersi a questa legge, Maria, la quale vide il Figlio di Dio sottomettersi alla legge promulgata pei peccatori, la legge della circoncisione? Dolorosissimo oltre ogni dire fu per la povera Madre questo sacrifizio: non già perché rapisse a Lei dinanzi agli uomini la sua più bella qualità, quella di Vergine incontaminata, figuratevi! Maria non cercava che di nascondere la propria gloria: ma in qual modo velare la gloria di quel desso che Ella così ardentemente bramava di vedere adorato, conosciuto, glorificato da tutte le creature? Presentare al suo popolo come un ordinario bambino l’aspettato della nazione, il promesso dai profeti, il Dio che scendeva a vivere con l’uomo, salvarlo, riaprirgli il cielo? Vani discorsi! Maria allora soltanto si stima avventurata che le è dato glorificare la Maestà sovrana con l’umile ubbidienza alle sue leggi. – Quest’ammirabile ubbidienza di Maria come altamente condanna le continue nostre infrazioni delle leggi di Chiesa santa, ed i mendicati pretesti onde esimerci dall’osservarla! Oh! guai a quei figli ingrati i quali ribellansi alla loro Madre, la deprezzano, contristano il cuore di lei, l’oltraggiano; perché, vano l’illudersi! non è la Chiesa solamente che essi offendono, sebbene Dio stesso. Non limitiamoci tuttavolta ad amarla e rispettarla, con l’umile sommissione alle sue leggi, ma facciamola amare e rispettare dagli altri ancora col prenderne la difesa contro i suoi nemici: Non curiamo i loro sarcasmi; che anzi andiamone superbi; che i sarcasmi e gli insulti tollerati per la nostra fede, diverranno un giorno i nostri titoli di gloria dinanzi a Dio.

ESEMPIO.

Come la Lapponia, così tutte le altre regioni del Nord furono evangelizzate dall’apostolo del settentrione, S. Anscario. Sventuratamente, per mancanza di cristiana istruzione, il culto di Gesù e di Maria trovossi adulterato ben presto da innumerevoli superstizioni. Nel XVI secolo i Danesi, i Norvegesi e gli Svedesi abbracciarono gli errori di Lutero e di Calvino. Una parte ciò non ostante non disprezzabile professa ancora la Religione Romana, e nutre fervida divozione a Maria. Le preghiere che, mercé gli scritti dello svedese P. Stub barnabita, da ogni parte del mondo cattolico salgono a Dio in pro di queste settentrionali regioni, già cominciano a produrre sensibile effetto. In Isvezia con la religione rialzasi visibilmente il culto di Maria. Monsig. Studach vicario apostolico a Stockolm, consacrò (16 settembre 1837) una chiesa a Dio sotto l’invocazione di Maria; e due anni dopo, nella chiesa di s. Eugenia, eresse canonicamente la compagnia dell’immacolato Cuore di Maria. Confidiamo che si degnerà il Signore di esaudire pienamente le nostre preghiere.

Orazione.

O Maria che mi deste un sì prodigioso esempio di ubbidienza alle leggi di Dio e della Chiesa, ottenetemi quella perfetta sommissione che ha sua sorgente nell’amor di Dio. Vegliate eziandio sull’amatissimo pontefice Pio IX, consolatelo, tergete le sue lacrime col ricondurre ai suoi piedi tante anime infelici che l’abbeverano di amarezza, ed infliggono sul paterno suo cuore dolorosissime ferite. Così sia.

OSSEQUIO.

Se tra i vostri libri, o scritti, od immagini possedete alcun che di meno decente, consegnatelo tosto alle fiamme ad onor di Maria.

GIACULATORIA.

Janua cœli, ora prò nobis.

Per queste a voi

Alme fedeli,

Pregate, o lucida

Porta de’ cieli.

312
Regina mundi dignissima, Maria Virgo perpetua,
intercede prò nostra pace et salute, quæ
genuisti Christum Dominum Salvatorem omnium
(ex Missali Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria  suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum mensem invocatio devote iterata fuerit (S. Pæn. Ap., 10 oct. 1936).

XVI. GIORNO.

Vaticinio di Simeone:

Non solamente per osservare la legge della purificazione venne la Vergine-Madre al tempio, ma eziandio onde deporre sull’altare del Signore l’innocente Vittima delle prevaricazioni di tutti i discendenti del primo fra i colpevoli. In questo mentre, eccoti il vecchio Simeone, guidato dal Santo Spirito al tempio, approssimarsi a Maria, tendere le braccia al divin bambino, adorarlo profondamente, e poi, premendolo amorosamente al cuore, esclamare « I miei occhi videro la salute, or muoio in pace. » Vestendo quindi mestissimo aspetto volge fatidica parola a Maria « Ecco che è posto in ruina ed in risurrezione di molti in Israello; e come segno di contradizione; ed una spada trapasserà l’anima tua » Ben comprese la povera Madre tutto il senso di quelle parole: comprese che il suo Gesù sarebbe quella spada, vale a dire che i suoi dolori formerebbero una piaga sì fatta nel materno suo cuore che, apertavi in quell’istante medesimo, doveva ad ogni giorno, ad ogni ora del giorno, farsi più crudele, più profonda, più lacerante, né più rimarginarsi che sulla soglia del cielo. E tutta volta nella veemenza dell’afflizione, non sa Maria che adorare la volontà del Signore, e pienamente abbandonarsi agli imperscrutabili suoi disegni. Rendiamoci capaci di questa importantissima verità; cioè che il Signore non domanda da noi strepitose azioni, ma la perfetta sommissione della nostra volontà alla sua. Ecco il più gran segno d’amore che sia in nostra mano di dargli, non meno che la più sicura, la più agevole via onde giungere alla più alta perfezione. Facendo la volontà nostra noi bene spesso ci diamo a credere di gradire a Dio, e non soddisfiamo che il nostro amor proprio: laddove sottomettendo la nostra volontà a quella di Dio, per quanto penosa la esser ci sembri, certa cosa è tuttavia che noi soffriamo ma Dio è contento; ed a misura che perfetta è la nostra sommissione, più abbondante farassi la pace nel nostro cuore, e più copiosi saranno i meriti che ci acquisteremo pel cielo.

ESEMPIO.

L’Olanda, regno dopo il 1814, ebbe i suoi apostoli fino dal II secolo: sant’Egisto e san Materno con la fede propagarono il culto di Maria nella Frisia: san Siagrio e san Superiore fra i Batavi. In breve tempo, mercé lo zelo di questi santi, a Tourges, Haarlem, Maestricht, Loeuwarden, Groeninga, Arnhem, ecc. elevaronsi magnifici santuari, ove inneggiavasi a Dio ed alla perfezione dell’immacolato Cuor di Maria. S. Willibrord, primo vescovo di Utrecht, vi edificò una chiesa all’augusta Madre di Dio, mentre altrettanto facevano nella Frisia, s. Bonifazio, e nella Campignia s. Lamberto. Gli errori di Lutero e Calvino penetrarono nell’Olanda nel 1566, e vi fecero pur troppo, orribili guasti; presentemente tutto dà a sperare un non lontano ritorno in grembo alla Chiesa Cattolica. Qualche anno fa, venne ridonato ai cattolici l’antico tempio di Maria, il quale era stato ridotto ad arsenale. Nuovo passo che dà nella divozione verso la B. Vergine, questa contrada.

Orazione.

O Maria, perfetto esemplare di sommissione alla volontà divina, fate che in mezzo alle mie afflizioni, io non dimentichi mai che il Signore non vuole se non quello che è proficuo all’anima mia; e che la mano con cui mi flagella, è mano di amorosissimo padre. Frenate le mie mormorazioni, ed insegnatemi a benedire a quel Desso la cui volontà è sempre piena per me di sapienza, di misericordia, d’amore. Così sia.

OSSEQUIO.

Se mai vi siete raffreddato nella divozione a Maria, fate di riprendere tosto il primiero fervore.

GIACULATORIA.

Et tràhe me, post te, Santa Mater.

Siatemi fulgida

Propizia stella,

Con voi traetemi

Vergine bella.

314
Ora prò nobis, sancta Dei Genitrix, ut digni
efficiamur promissionibus Christi (ex Brev. Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria, su etis conditionibus, quotidiana invocationis recitatione per integrum mensem producta (S. Pæn. Ap., 15 dec. 1940).

XVII. GIORNO.

Fuga in Egitto.

Il vaticinio di Simeone non tardò ad avere il suo principio, l’angelo del Signore comparisce a Giuseppe nel sonno e « su, gli dice, alzati, prendi il fanciullo e la madre di Lui, fuggi in Egitto, che Erode cerca a morte il bambino. » Oh! chi non si sente commosso da tenera compassione nel contemplare la Vergine-Madre tremante per la vita del suo divin Figlio, toglierlo dalla culla, stringerselo amorosamente al seno, e, senza permettersi un sol lamento, avviarsi tra le tenebre della notte, senz’altra guida e compagnia che il suo sposo Giuseppe, verso la terra d’esilio? Che non dovette soffrire per anco quest’augusta Trinità della terra, nell’attraversare l’immenso deserto che separa l’Egitto dalla Palestina, senz’altra risorsa per sì lungo cammino che la fiducia in Dio? E poi, giunti i santi esiliati al termine del loro viaggio, non giunsero tuttavolta al termine delle loro pene. In Egitto più ancora che a Betlemme ed a Nazaret, la povertà con tutte le sue privazioni ed umiliazioni, stette indivisa compagna ai loro fianchi. Ma tutte queste prove, tutti questi dolori erano da Dio voluti, e l’umile Vergine, sempre uguale a se stessa, li sopporta in silenzio, con inalterabile pazienza, con perfetta rassegnazione. – Se il Signore volle che Maria prendesse sì gran parte ai dolori umani, non è forse per rendere noi persuasi che la croce è il vero sigillo de’ predestinati? E dall’ora in cui l’Uomo-Dio, barcollante sotto l’enorme peso della croce, guadagnò la vetta del Golgotha, e confitto consumò il sanguinoso suo sacrificio, questa croce sì è fatta non la speranza soltanto de’ discepoli suoi, sivveramente l’eredità loro. Qui non v’ha eccezione: come la morte, così la croce, raggiunge tutte le classi della società, il dovizioso ed il mendico, il vecchio ed il giovane, a tutti Gesù distribuisce alcuna delle spine del doloroso suo diadema, ed a tutti fa sentire: « Colui che vuol essere mio discepolo, rinunzi a se medesimo, tolgasi la sua croce sulle spalle, e mi segua. »

ESEMPIO.

La Grecia, celebre contrada meridionale dell’Europa, fu per la massima parte evangelizzata dall’apostolo s. Paolo, e fervido ognora si mantenne il culto di Maria. Non vi ha forse altro paese così fecondo in ritrovati onde alimentare questo culto; Maria è invocata sotto differenti titoli: vien chiamata Nostra Signora delle Grazie, dei Dolori, della Misericordia, dell’Immenso. Consolatrice, Stella del mattino, Nostra Signora la Vergine-Madre, Nostra Signora Madre di Dio, ecc. ; è rappresentata sotto graziosissimi simboli: di regina in atto di proteggere il suo popolo, di ricca dama in atto di largire copiose limosine, o di medicar infermi, soccorrere afflitti, ricoverare mendici, come stella che rischiara la tenebria del mare ai naviganti: come vascello immobile al rompere delle tempeste: come incrollabile fortezza contro nemici assalti; come porta che mette in cielo, ecc. – La si nomina Panagia, la tutta-Santa, Evangelistria, apportatrice di fauste novelle, Nicopeia, trionfatrice, Phaneromena, rivelatrice di cose salutari, Hodegetria, guida conduttrice, Achatista, preservatrice, ecc. Atene, Megara, Vonitza, Gordiani, ecc.; le isole di Tino, di Delos, di Santorini, vantano superbi santuari di Maria, ne’ quali i Greci scismatici, confusi coi cattolici, implorano il soccorso della Vergine-Madre, ne celebrano i prodigi, e vi cantano inni di grazie.

Orazione.

O Maria, chiamata a sì giusto titolo Madre del dolore, e che conosceste tutte le amarezze della vita, ottenetemi la grazia di accettare ognora in spirito di penitenza le croci cui piacerà al Signore di addossarmi, e di santificarle per mezzo della pazienza e della rassegnazione, onde tutte rivolgansi in meriti dinanzi a Dio, e mi ottengano il premio promesso ai tribolati. Cosi sia.

OSSEQUIO.

Recitate la corona ad onore di Maria, e, se vi è possibile, invitate altri a tenervi compagnia.

GIACULATORIA.

Mater amabilis, ora prò nobis.

O Luce amabile

Degli occhi nostri

Porgete suppliche

Pei figli vostri.

315
Sancta  Maria, Dei Genitrix Virgo, intercede prò me.
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum  mensem invocatio devote iterata fuerit (S. Pæn. Ap., 25 febr. 1941).

XVIII. GIORNO.

Amor di Maria verso Gesù.

Onde spiegare qual sia stato l’amor di Maria verso il suo divin Figlio, sarebbe necessaria non la lingua di un Angelo solamente ma il di Lei cuore: basta dire che quest’amore fu una derivazione dell’amor di Dio pel suo Verbo nel cuor di Maria; cuore creato da Lui appositamente per amare Gesù, ed amarlo senza divisione d’affetti. Quest’amore comunicato a torrenti nel cuor della Vergine-Madre dal Santo Spirito nel momento che discese onde fecondare le castissime viscere di Lei, andava ognora più divampando ad ogni sguardo, ad ogni parola, ad ogni carezza che da Gesù riceveva. Arroge che Maria poteva tranquillamente concentrare nel suo Figlio tutta la tenerezza dell’anima sua, tutti gli affetti del suo cuore, perché, in amando il più bello ed il più amabile de’ figli degli uomini, amava il suo Dio. Né sterile già ed ozioso dimorava tanto amore nel cuore di Maria, figuratevi! ei manifestavasi nelle sollecitudini, nella vigilanza con che provvedeva a tutti i bisogni di Lui, e risparmiavagli tutti i patimenti possibili: e queste cure prodigate da Maria verso Gesù con religiosa premura, con profonda umiltà, con illimitata tenerezza divenivano per quell’immacolato cuore gioie ognor novelle, ed alimento ognor novello a più acceso amore. – Nel meditare sull’amor di Maria verso Gesù, la confusione ed il rossore s’impadroniscono come naturalmente dell’anima nostra; vediamo tuttavolta che non nasca in noi scoraggiamento di sorta, sebbene un vivo desiderio di emularlo, quanto sia possibile alla fralezza nostra. Oh! Come passarcela senza Gesù il quale è l’unico nostro padre, fratello, amico, benefattore, tesoro? E se non possiamo far senza di Lui nel corso di nostra vita, che dire del momento di nostra morte? Chi di noi vuol morire senza Gesù, senza appoggiarsi sul cuore di Lui, senza gettar l’àncora delle proprie speranze sulla di Lui bontà infinita? E poi; allorché cangerà la sua qualità di Salvatore in quella di giudice nostro, come non ci riputeremo avventurati d’averlo amato in vita!….

ESEMPIO.

Il regno di Francia, da pochi anni impero, da XIV secoli per lo meno, a nessun altro cattolico paese della terra va secondo nel culto all’immacolato Cuor di Maria. S. Clotilde invocò il patrocinio di Maria, e Clodoveo, riportata una compiuta vittoria sui Germani a Tolbiac nell’anno 496, mantenne la sua promessa, ricevette il battesimo, e divenne zelantissimo dell’onor di Maria. Non è possibile nei stretti limiti di un esempio, diffondermi come sembra richiedere il soggetto; tuttavolta, a dare una sufficiente nozione, basta l’accennare che la Francia nelle sue ottanta diocesi, addita con santa alterigia, quaranta cattedrali che portano il nome dell’augusta Madre di Dio, e cinquanta mila oratorii, ove Maria dimostrasi la consolatrice degli afflitti. I suoi Sovrani da Clodoveo al regnante imperatore, moltissimi dei quali riposero tutta la loro gloria nel dimostrarsi degni del titolo di re Cristianissimi, precedettero con l’esempio i loro sudditi nella devozione e nell’amor di Maria. Questa terra di Maria difese con zelo e perseveranza l’onore dell’Immacolata Concezione: primiera dopo Roma, adottò la divozione del mese di maggio; diede il primo slancio a quella dei sacri Cuori di Gesù e di Maria, e conta migliaia di associazioni in di Lei onore. — O figlia primogenita della Chiesa, tergi, è tempo, le lunghe lagrime dell’amatissimo Pontefice, l’immortale Pio IX! Il Signore in tua mano ha posto i mezzi…. paventa che non ti stimi più degna di tanto onore, e scelga un’altra nazione per frangere le molte catene da che è cinta l’Immacolata sua sposa, e far cessare gli assalti con che tentano stoltamente di abbatterla gli arditi nemici suoi, nemici dell’altare come del trono!

Orazione.

O Maria, madre del bell’amore, insegnate alla povera anima mia la scienza del divino amore: insegnatemi ad amar Gesù con le opere, e non unicamente con le parole, ad amarlo costantemente tra le consolazioni come tra le croci, nella sanità come nelle malattie, onde l’estremo mio respiro sia ancora un atto d’amore per Lui, e di fiducia nella sua misericordia. Così sia.

OSSEQUIO.

Prima d’ogni azione ed in specie tra le tentazioni ripetete tra voi medesimo: Dio mi vede!

GIACULATORIA.

Illos tuos misericordes oculos ad nos converte.

A noi volgete

O Madre, quelle

Vostre pietose

Tenere stelle

321
Ave maris stella,
Dei Mater alma,
Atque semper Virgo,
Felix cœli porta.
Sumens illud Ave
Gabrielis ore,
Funda nos in pace
Mutans Hevæ nomen.
Solve vincla reis,
Profer lumen cæcis,
Mala nostra pelle,
Bona cuncta posce.
Monstra te esse matrem,
Sumat per te preces
Qui prò nobis natus
Tulit esse tuus.
Virgo singularis,
Inter omnes mitis,
Nos culpis solutos
Mites fac et castos.
Vitam præsta puram,
Iter para tutum,
Ut videntes Iesum
Semper collaetemur.
Sit laus Deo Patri,
Summo Christo decus,
Spiritui Sancto,
Tribus honor unus. Amen.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo pia hymni recitatio, quotidie peracta, in integrum mensem
producta fuerit (S. C. Indulg., 27 ian. 1888; S. Pæn.27 mart. 1935).

XIX. GIORNO

Vita nascosta.

La vita di Maria in Nazaret, dopo il ritorno dall’Egitto, nulla, in apparenza, aveva di straordinario. Non scorgevasi in Lei che un’umile e povera donna, modesta, calma, silenziosa, onninamente occupata nelle sue domestiche faccende, ne’ lavori adatti alla sua posizione; che non cercava di comparire, di trarre sopra di sé gli sguardi altrui, fedele all’adempimento di tutti i doveri di religione, nulla nulla singolarizzandosi negli esercizi di pietà, né facendo, a giudizio dell’occhio, se non tutto che faceva quale che si fosse altra pia e fervente israelita. Tuttavolta sotto queste apparenze così umili e così comuni quali tesori di santità e di grazia non erano nascosti! Il disse lo Spirito Santo: « La bellezza della figlia di Sion è tutta interiore; » e questa bellezza celeste, involata ad ogni sguardo, splendeva in tutto il suo fulgore agli occhi del Signore. Sì, la vita di Maria era una vita nascosta, oscura; le opere di Lei piccole in apparenza, e di niuna importanza, ma grandi in realtà erano e del massimo pregio, perché nobilitate tutte, ed in ogni loro parte, dalla purezza d’intenzione, e divinizzate per mezzo dell’incessante unione che Ella facevane con tutte le azioni del suo divin Figlio. – La vita di Maria in Nazaret deve risvegliare in noi non l’ammirazione soltanto, ma un grande ardore di vivere, a suo esempio, in continua unione con Gesù. A tal fine meditiamone senza posa la vita; seguiamolo passo passo dalla nascita alla morte: vediamo segnatamente di penetrarci del suo spirito, modellare sopra i suoi i sentimenti nostri; amiamo ciò che Egli ha amato, disprezziamo ciò che Egli ha disprezzato, desideriamo ciò che Egli ha desiderato. Teniamo costantemente fissi gli occhi sopra questo divino esemplare onde rendere perfettamente uniformi i nostri ai suoi pensieri, la nostra alla sua volontà, le nostre alle sue opere; che egli solo è la via che dobbiamo seguire, la verità che dobbiamo credere ed amare, la vita di cui dobbiamo vivere nel tempo e nell’ eternità.

ESEMPIO.

L’Egitto, evangelizzato fin dal primo secolo della Chiesa, e divenuto meritamente celebre per i suoi deserti popolati dai padri degli anacoreti, non offre più oggigiorno che amare memorie dell’antica sua fama. Paolo, Antonio, Pacomio, Macario, e cento e cento altri furono l’edificazione dell’alta Tebaide per la santità, per l’austerità, per l’operosità della loro vita, e per il loro amore verso Maria. Origene fe’ illustre la bassa Tebaide, per la scuola da lui diretta, e per la difesa del culto di Maria, sostenuta contro Berillo. Credesi che la dimora della santa Famiglia in Egitto sia stata tra Alessandria ed il Vecchio-Cairo. Alessandria fu una delle culle del Cristianesimo e del culto dell’augusta Madre di Dio. Gli Atanasii, gli Alessandri, i Clementi, spiegarono il loro ingegno ed il loro zelo onde far conoscere ed amare Colei, alla quale era dedicata la chiesa metropolitana. Presso l’altar maggiore, nel santuario di Alessandria, si venerò per lungo tempo un antico quadro della Madre di Dio, in atto di occuparsi delle domestiche faccende in Nazaret; e sul limitare della chiesa un’altra immagine rinomata per sorprendenti prodigi. Il vicariato apostolico di Alessandria novera quindici mila cattolici romani devoti di Maria, e l’Egitto buon numero di Copti e di Greci; non pochi Musulmani ancora, specialmente gli Albanesi, piegano il capo, in passando dinanzi all’immagine di Maria, e nei loro solenni giuramenti invocano il di Lei nome più che quello del loro profeta Maometto.

Orazione.

O tenera Madre mia, io voglio, a vostro esempio, pensare collo spirito di Gesù, operare con le mani di Gesù, amare col cuore di Gesù, pregare, soffrire in unione con Gesù, e morire ancora unendo l’estremo mio respiro all’estremo respiro di Gesù, e la mia morte alla consumazione del suo sacrificio. Da Voi imploro, da Voi spero tal grazia. Così sia.

OSSEQUIO.

Baciate tre volte l’immagine di Maria dicendole: Voglio piuttosto servire a Voi, tenera Madre mia, che al demonio.

GIACULATORIA.

O Domina servus tuus sum ego;

Son vostro schiavo

Caro mio Bene:

Oh! fortunate

Dolci catene.

322
O gloriosa Virginum,
Sublimis inter sidera,
Qui te creavit, parvulum
Lactente nutris ubere.

Quod Heva tristis abstulit,
Tu reddis almo genuine:
Intrent ut astra flebiles,
Caeli recludis cardines.
Tu regis alti ianua,
Et aula lucis fulgida:
Vitam datam per Virginem
Gentes redemptae plaudite.
Iesu, tibi sit gloria,
Qui natus es de Virgine,
Cum Patre et almo Spiritu,
In sempiterna saecula. Amen.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidieper integrum mensem hymnus pia mente iteratus fueri:
(S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

XX. GIORNO.

La vedovanza.

Il momento dei gran dolori approssimavasi per la Vergine-Madre, e ad una vita di tranquilla felicità passata con Gesù e Giuseppe, stava per succedere una vita di sacrifici, d’isolamento, di strazianti inquietudini, di profondi dolori. Separandola dal casto suo sposo, volle il Signore far presentire alla Vergine Santa quell’altra separazione la quale le aprirebbe nel cuore tale ferita che non più si sarebbe rimarginata se non alla porta del cielo. Onusto di virtù e di meriti più che di anni, l’augusto capo della santa famiglia vide senza tema appressarsi l’istante che riunirlo doveva ai padri suoi. La sua vita, le sue forze eransi consumate in prò di Gesù e di Maria; ed ei troppo bene conosceva il cuore di quel Desso che osava chiamar figlio suo, per non sentirsi, in quei momenti estremi, ripieno della più intima confidenza, della più dolce tranquillità. E come no, s’ei moriva tra le braccia dell’Autor della vita, la testa appoggiata sopra il cuore di Lui? Preparata ad ogni sacrificio adorò Maria in umile silenzio la mano che sopra di Lei aggravavasi, e versò amare, ma rassegnate lacrime sopra la morte dell’amico e compagno delle sue gioie come dei suoi dolori, del suo esilio come delle sue fatiche e dal quale videsi mai sempre rispettata, custodita. – Ah! noi tutti conosciamo per esperienza propria i dolori che produce la morte d’un essere teneramente amato. In queste amare circostanze, non chiede il Signore che siamo insensibili a sì fatti sacrifizii; neanco le nostre lacrime ei condanna: solo ci vuole rassegnati alla volontà sua; vuole che dinanzi a Lui conserviamo la memoria delle persone che ci erano care, e che le nostre lacrime, congiunte alle nostre umili ed ardenti orazioni, divengano il prezzo del riscatto che gli offriamo onde soddisfare alla sua giustizia, ed aprir loro le porte del cielo. Agevole non meno che efficace si è questo mezzo. Il nostro amore segua pertanto le anime dei nostri morti tra le mani della divina giustizia, ed in tal guisa loro comprovi che non indarno affidaronsi alla costanza del nostro affetto.

ESEMPIO.

Il regno del Belgio, giovane se contansi gli anni suoi, e piccolo se il numero degli abitanti, vecchio tuttavolta e grande comparisce, se si pon mente agli anni consacrati nel servizio di Dio e nel culto dell’augusta Madre di Gesù; credesi evangelizzato, nel primo secolo della Chiesa. Fra le sue 2530 città e borgate, il Belgio ne conta un numero non piccolo le quali portano il nome di Maria; sia a mo’ d’esempio: Audhenove-Santa-Maria, Leerne-Santa-Maria, Mariabourge, Mariakerke, Marietta, Santa Maria Hoorebeke, ecc. Possiede venti mila altari dedicati a Maria, e rarissime sono le famiglie, ove la di Lei immagine non sia collocata d’accanto al crocefisso. Innumerevoli sono i santuari rinomati per grazie ottenute, e per affluenza di pellegrini da ogni angolo d’Europa, i conventi, gli ospedali, i ricoveri che portano il nome di Maria. Un gran segno della divozione del Belgio all’immacolato Cuor di Maria si ravvisa nella costante celebrazione delle di Lei feste, come se di precetto, sebbene abrogate dal concordato del 1801. Un altro segno si è il non trovarsi città o borgo, il quale non abbia un’associazione, una compagnia eretta in onore della B. Vergine. Il Belgio finalmente fu posto sotto la protezione di Maria dal card. Arcivescovo di Malines, nell’incoronamento dell’Immagine di Nostra Signora della Misericordia a Bruxelles (25 maggio 1843) cui presero parte, e vi vennero consacrati il re con tutta la real famiglia. Medaglie battute in quella circostanza in argento dorato, in argento ed in bronzo, ricorderanno alle venture generazioni la devozione del Belgio all’Immacolato Cuor di Maria.

Orazione.

O Maria, dolce stella che brillate sull’oceano di fuoco, ove la divina giustizia monda le anime dei trapassati, abbiatene pietà: perorate voi la loro causa presso il vostro divin Figlio; presentate alla sua giustizia, in loro redenzione, qualcuna delle lacrime che versaste ai piè della croce: lascerassi Gesù intenerire, aprirà loro il cielo, ed esse eternamente benediranno al Figlio ed alla Madre. Così sia.

OSSEQUIO.

Se siete in peccato mortale, confessatevene subito: se in grazia vincete l’ostacolo che in voi ravvisate a darvi del tutto a Dio.

GIACULATORIA

Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia.

A voi, Giuseppe,

Gesù, Maria

Dono il mio cuore

E l’alma mia.

-323-

Alma Redemptoris Mater, quæ pervia caeli
Porta manes, et stella maris, succurre cadenti.
Surgere, qui curat, populo: tu quae genuisti,
Natura mirante, tuum sanctum Genitorem,
Virgo prius ac posterius, Gabrielis ab ore
Sumens illud Ave, peccatorum miserere.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia quinque annorum.
Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, dummodo
quotidiana antiphonæ recitatio per integrum mensem producta
fuerit (S. Pæn. Ap., 15 febr. 1941)

XXI GIORNO.

Le nozze di Cuna.

Era giunto il Giorno in cui il Figlio di Maria doveva presentarsi ad Israello qual Messia da tanti secoli aspettato, e provare la divinità della sua missione con il far servire l’onnipotenza sua a sollievo di tutte infermità umane. Ma volle inaugurare la sua vita pubblica con un atto di deferenza alla propria Madre, onde additare al mondo intero il canale per cui gli sarebbero discese tutte le sue grazie dal cielo. Invitati Gesù e Maria ad una festa nuziale in Cana di Galilea, a mezzo il festino avvedesi Maria che non v’ha più vino; commossa per il rossore che provato ne avrebbero i giovani sposi, volgesi fidente al suo Figlio e lo prega: « Non hanno più vino » Sicura poi d’essere esaudita dice ai servi: « Eseguite quanto Ei diravvi. » E la confidenza della Vergine-Madre non fu delusa. Ordina il Salvatore che vengano riempite d’acqua sei idrie poste per la purificazione dei convitati; quindi soggiunge ai servi: « Prendetela desso, e portatela al maestro di casa » il quale stupefatto conobbe cangiata l’acqua in vino per l’onnipotente volontà del Figlio di Maria. Il Vangelo termina la narrazione di questo prodigio dicendo: « Tutti i convitati, testimoni di questo primo miracolo di Gesù, ammirarono la sua potenza e bontà, ed i suoi discepoli in Lui credettero. » – Come i discepoli noi crediamo nella divinità di Gesù, ma confidiamo noi parimenti come Maria nella bontà del suo sacro Cuore? Oimè! quanto pochi conoscono questa misericordia infinita del cuor di Gesù. Quante anime vivono preda di continue inquietudini perché non sanno aprir il loro cuore alla confidenza! Temiamo di dispiacere a Gesù, ma temiamo eziandio di non amarlo; non abbiamo paura di Lui, per amor del cielo! siano pure gravi, innumerevoli le nostre colpe, in Lui speriamo; a Lui andiamo con illimitata fiducia, chiediamogli perdono, gettiamoci tra le sue braccia; esse sempre stanno aperte per riceverci; che dico? ci offre il suo cuore in rifugio ed asilo della fralezza nostra, ed in quell’amorosissimo cuore non vi regna che la sua misericordia.

ESEMPIO.

Non parrà strano che tra le dense tenebre del gentilesimo, si ravvisino altari eretti in onore della Madre di Dio, se si pon mente che il Signore non solo per mezzo dei voti de’ patriarchi e dei vaticinii de’ profeti, ma eziandio per mezzo delle sibille la volle manifesta agli etnici stessi. — I Druidi sacerdoti de’ Galli 1840 anni circa prima della nascita del Salvatore, scavarono una profondissima e spaziosa fossa, e vi eressero un altare ALLA VERGINE CHE PARTORIREBBE, presso Chartres, luogo ove tenevano le loro adunanze. Questo altare, elevato sopra terra, venne poi dai Cristiani convertito in Chiesa cattedrale. — Gli Argonauti avendo costrutto 1200 anni prima di Gesù Cristo, in Cizico un sontuoso tempio, e consultato l’oracolo di Pizio, cui consacrare il dovessero, ebbero in risposta: A MARIA, GENITRICE DEL VERBO ETERNO. — Giasone, re degli Argonauti, avendo anch’esso costrutto un tempio nella rócca di Atene, e consultato l’oracolo di Delfo, a chi, in avvenire, verrebbe dedicato, ebbe questo responso: Io vedo tre: un Dio solo regnante sopra gli dei, il cui Verbo immortale, concepito da una Vergine, attraversando la terra, condurrà tutti in dono al Padre. MARIA È IL NOME DI COLEI CHE SARÀ QUI ONORATA. — Finalmente nessuno ignora che gli Egizii adoravano una Vergine col Figlio in grembo, istruiti sopra questo mistero dal profeta Geremia, condotto in Egitto da quei Giudei, i quali colà cercarono scampo contro il furore dell’esercito caldeo e, dimoratovi per quattro anni, profetò ed operò prodigi alla corte di Faraone.

Orazione.

Sì, nella bontà del vostro divin Figlio, o Maria. Madre della santa speranza, voglio riporre tutta la mia fiducia; ed affinché perfetta sia questa mia fiducia, si è sulla tenerezza del materno vostro cuore che appoggiar la voglio. Nelle vostre mani adunque, o tenera Madre mia, malgrado l’indegnità mia, io pongo i miei più cari interessi, gli interessi dell’eternità. Così sia.

OSSEQUIO.

Esaminatevi sulle vostre confessioni, e proponete di correggerne i difetti.

GIACULATORIA.

Mater divinæ gratiæ, ora prò nobis.

Per noi pregate

O fonte immensa

Di quelle grazie

Che Dio dispensa.

324
Ave, Regina cælorum,
Ave, Domina Angelorum;
Salve, radix, salve, porta,
Ex qua mundo lux est orta:
Gaude, Virgo gloriosa
Super omnes speciosa,
Vale, o valde decora,
Et prò nobis Christum exora.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, antiphona quotidieper integrum mensem repetita (S. Pæn. Ap., 15 febr. 1941).

 

XXII. GIORNO

Maria a piè della Croce.

Il giorno dei gran dolori era finalmente sorto per la tenera nostra Madre. Già il Figlio della Vergine Immacolata ha sofferto il crudele ed ignominioso supplizio della flagellazione; già il Re dei secoli eterni è stato coperto della porpora reale dell’adorabile suo sangue ed incoronato di spinoso diadema; e già pallido, sanguinoso, sfigurato ha raggiunta la vetta del Golgota! Non sì tosto vede elevata la croce su cui sta confitta la Vittima dell’uman genere, questa Madre incomparabile, la quale rimaneasene nascosta nei giorni della gloria di Gesù, apresi il passo in mezzo alla moltitudine che ondeggia sulla santa montagna, e calma, maestosa viene a porsi a piè della croce. Nessuna debolezza della natura scorgesi in questa desolatissima tra le madri, sebbene tutto sia immenso in Lei il dolore come l’amore. Gesù sulla croce, Maria ai piedi… qual meraviglia? Qui e non altrove è il suo posto in questo solenne momento: sta in piedi, è vero; ma quest’attitudine è l’unica che le si addice; che là non è solamente Madre, ma sacerdote eziandio con Gesù: ebbene il sacrificatore deve stare presso l’altare del sacrificio nella posizione in cui vediamo immobile la Regina dei martiri. – Quante volte abbiamo invidiato la sorte di Maria e delle altre pie donne d’aver potuto assistere al sacrificio dell’adorabile nostro Salvatore? Ma ci è pur dato accompagnare Gesù sopra un altro Calvario, ove ogni giorno ancora in nostro prò s’immola, il santo Sacrificio della Messa. – Qui troviamo lo stesso sacerdote, la stessa vittima, lo stesso sangue, e nel cuore della Vittima, lo stesso amore per noi, la stessa brama di salvarci. Guardiamo l’altare, e comprenderemo allora la longanimità della divina giustizia a fronte dell’oceano d’iniquità che inonda la terra: si è pel grido d’amore che di qui al cielo s’innalza incessantemente: « Padre, perdonate loro perché non sanno ciò che fanno. » E noi facciamo sì poco caso dell’assistere o no ad una Messa!… Sventurati!

ESEMPIO.

Intorno alle chiese erette in onor di Maria dagli Apostoli, quando era ancor in vita, vedi ciò che abbiamo detto nella considerazione del secondo giorno. — Dopo la erezione in tempio della santa Casa di Loreto, la prima basilica in onor di Maria venne edificata da uno de’ Magi in Crangavore nell’India orientale. Una seconda ne vediamo edificata, tre anni dopo il parto della Vergine-Madre in Calcutta. Sorgeva essa, come attestò Vasco Gama al re di Portogallo aver egli stesso veduto, allorché nel 1498 approdò a questa rinomata città dell’India, nel mezzo di un gran tempio di forma rotonda; vi si ascendeva per una gradinata di bronzo, ed ai soli sacerdoti non era vietato l’ingresso, ma essi ancora, appena entrati, dovevano innanzi tutto prostrarsi a terra, e con le braccia tese esclamare: Maria Maria! — Divulgatasi appena l’Assunzione di Maria al cielo, i Cristiani eressero incontanente in di Lei onore un oratorio sul monte Carmelo. — Un altro edificato da s. Marta in Marsiglia, venne consacrato da s. Massimino, uno de’ settanta discepoli del Redentore. — Così ancora un tempio sontuosissimo le dedicò Candace regina degli Etiopi, il cui eunuco era stato battezzato dal diacono s. Filippo. — Finalmente s. Materno, discepolo di s. Pietro, e apostolo della Germania, le innalzò una magnifica basilica in Tongres, paese di Liegi.

Orazione.

Oh! la più desolata della madri, ottenetemi la grazia di non assistere giammai all’adorabile Sacrificio dei nostri altari, senza prender parte ai sentimenti di dolore e d’amore che Voi provaste sul Golgota; senz’essere penetrato di sovrano orrore contro il peccato, di profonda riconoscenza verso il vostro divin Figlio; e specialmente poi di assistervi con vero spirito d’immolazione e di sacrifizio. Cosi sia.

OSSEQUIO.

Assistete ad una Messa in ispirito d’unione con Maria a piè della croce.

GIACULATORIA.

Ave, verum corpus natum ex Maria Virgine.

Salve, santissimo

Corpo divino,

Di pura Vergine

Nato bambino.

 414
Oratio
O Maria, Vergine potente, Tu grande ed illustre
presidio della Chiesa; Tu aiuto meraviglioso
dei C pristiani; Tu terribile come esercito
ordinato a battaglia; Tu, che da sola hai distrutto
ogni eresia in tutto il mondo, nelle nostre
angustie, nelle nostre lotte, nelle nostre
strettezze difendici dal nemico e, nell’ora della
morte, accogli l’anima nostra in paradiso. Così
sia (S. Giovanni Bosco).

Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum mensem  oratio devote repetita fuerit
(S. Pæn. Ap., 20 febr. 1923 et 29 iul. 1933).

XXIII. GIORNO.

L’Adozione.

Il gran dramma della passione toccava il suo termine: Maria aveane seguito tutte le fasi, visto tutte le sanguinose scene coi proprii occhi; oimè! per comprendere l’immensità del dolore di quell’anima immacolata, d’uopo sarebbe amare Gesù come Ella lo amava, e conoscere come Ella conosceva il prezzo del sangue in nostro prò versato. Già per ben due volte l’augusta Vittima rotto aveva il misterioso suo silenzio; « Padre perdonate loro » e: « Oggi meco sarai in paradiso, » ed intanto pareva obliasse la desolata sua Madre. Ad un tratto i moribondi suoi occhi s’abbassano sopra di Lei: se ne avvede Maria, e alzandosi sulla punta de’ piedi, mani ed occhi rivolti al divin giustiziato, sta come immobilmente sospesa dalle labbra di Lui… povera madre! ha tanto bisogno d’una parola di conforto!… Ascoltiamo: « Donna, ecco il tuo figlio » accennando a Giovanni; ed a Giovanni: « Ecco la madre tua » accennando a Maria. In mezzo agli strazii del suo dolore, sempre grande, generosa sempre la Regina de martiri innalzasi all’altezza delle viste di suo Figlio, ne comprende il pensiero: entrando subito ne’ sentimenti di Lui, dilata le viscere della sua carità; ed aprendo il suo cuore a tutti i redenti del Calvario, adotta a piè della croce, nel silenzio e nell’estasi del dolore, tutta la grande famiglia umana. – Queste parole di Gesù produssero in Maria il loro effetto, aprirono, vo’ dire, nel cuore di Lei profonde ed inesauribili sorgenti d’amore materno, di sacrificio, di tenerezza. E ben cel sappiamo noi tutti sventurati figli di un padre prevaricatore. Amiamo adunque la nostra Madre celeste; ripaghiamo con figliale confidenza e gratitudine l’amore di Lei; nelle nostre pene, nei nostri pericoli, nelle nostre debolezze ricorriamo a Lei, appoggiamoci sul di Lei cuore, rimettiamo nelle di Lei mani tutti i nostri interessi personali, riposiamoci in tutto sopra di Lei come tranquillo riposa il fanciullo tra le braccia della madre, abbandonandole la cura di tutto che ci riguarda, né più pensiamo che ad esemplare le virtù di Lei, e renderci degni della di Lei tenerezza.

ESEMPIO.

L’esempio degli Apostoli nell’edificare oratori: in onore dell’augusta Madre di Dio, fu ben tosto con sommo ardore seguito dai Cristiani di ogni nazione, in guisa che volerli presentemente numerare sarebbe forse poco men malagevole impresa che il voler numerare le stelle. Siccome un lieve saggio ne abbiamo avuto nelle prime sei considerazioni e in tutti gli esempi finora addotti, mi limiterò a dar qualche cenno in generale. — Appena ebbe l’imperator Costantino abbracciato il Cristianesimo, ed unitamente alla sua madre s. Elena, dato più luminosi esempi di fervido zelo in prò della religione e del culto di Maria, questo culto non vide più limite alcuno: i grandi vi profusero le immense loro ricchezze; all’augusta Madre del Salvatore del mondo dedicaronsi templi i quali per la loro sontuosità divennero la meraviglia dell’universo; le più preziose gemme perdevano tutto il loro pregio trattandosi di offrirle a Maria. Ed il popolo che non possedeva ricchezze, le rese un culto più intimo e più commovente ancora; sulle colline, in mezzo ai campi, tra le gole e sulla vetta dei monti vidersi qui e colà sorgere umili altari a Maria, coperti da prima di reticelle, di edera o di pampini, divenuti in seguito per la più parte celeberrimi santuari. Ed ora non si trova città protetta dalla croce della redenzione che non vanti una chiesa, od un altare almeno dedicato a Maria.

Orazione.

Ricordatevi, o Vergine santa, che noi siamo i figli del vostro dolore, e che diveniste la Madre nostra tra le agonie e gli strazi del Calvario. Ah! non obliate che dal vostro divin Figlio stesso noi fummo alla vostra misericordia ed al vostro amor confidati, tenera Madre nostra. Stendete adunque sopra di noi, la materna vostra mano, ed accordateci la vostra protezione adesso e nell’ora di nostra morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Dite spesso tra il giorno: — Cristo crocefisso, ed io tra le delizie!

GIACULATORIA.

Sancta Mater, Istud agas, Crucifixi fige plagas cordi meo valide.

Madre stampatemi

Sin dentro il cuore

Le piaghe amabili

Del mio Signore.

-438-

Oratio
Omnipotens et misericors Deus, qui in beata
semper Virgine Maria peccatorum refugium et
auxilium collocasti, concede, ut, ipsa protegente,
a culpis omnibus absoluti, misericordiae
tuae effectum felicem consequamur. Per Christian
Dominimi nostrum. Amen (ex Missali Rom.).
– Indulgentiam : trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum mensem  oratio devote recitata fuerit
(S. Pæn. Ap., 20 iul. 1934).

XXIV. GIORNO.

Il Sepolcro.

Il gran sacrifizio era consumato! Maria aveva contato gli estremi sospiri, gli estremi battiti del cuore di Gesù; aveva visto la morte chiudergli gli occhi, ed il sacro capo di Lui cadere sul petto senza vita… Maria non aveva più figlio! Ma non era sufficiente per questa desolatissima tra le madri l’aver visto morire il suo Gesù: oh! come crudele esser dovette all’anima sua la ferita fatta dalla lancia all’esanime cuore del suo Figlio. Intanto ogni ora, ogni momento del gran giorno della redenzione portava novelli dolori al cuore della Regina dei martiri: pochi istanti appresso Ella assistette alla deposizione della croce operata da Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea ed altri, ricevette tra le sue braccia il corpo inanimato di suo Figlio, e poté ravvisare tutto lo sterminio che la barbarie degli uomini aveanvi portato. Qual contrasto tra la Vergine-Madre di Betlemme, e la Vergine-Madre del Calvario! E che dirò del suo dolore allorché accompagnato quell’adorabile corpo alla sepoltura, e deposto nella tomba, vide l’enorme pietra che chiudeane l’ingresso, frapporre come una barriera fra lei e l’unico oggetto dell’amor suo? Comprese Maria esser questo il compimento del suo sacrificio, e rassegnata al divino volere, esclamò: Fiat, e rifece silenziosa la strada di Gerusalemme. – Non tutte le anime sono chiamate da Dio a sopportare così terribili prove; a ciascun di noi tuttavolta il Signore chiede nel corso della vita sacrifizi proporzionati alle nostre forze, ed alla misura delle grazie ricevute. Ebbene; se, onde venir in aiuto al lavorio della grazia nelle anime nostre, ci colpisce il Signore ne’ più sensibili affetti, se frange Egli stesso i legami che noi non avremmo il coraggio di rompere, adoriamo la sua misericordia in mezzo alle lacrime nostre; e senza lai, senza mormorazioni, sfrondiamo con Maria a piè della croce del nostro Salvatore l’ultimo fiore delle nostre gioie di quaggiù; e poi, abbracciandoci a questa croce, ed attaccandovici con tutte le nostre forze, esclamiamo col Serafino d’Assisi: Mio Dio, mio tutto.

ESEMPIO.

Sei sono le Immagini di Maria dipinte dall’Evangelista s. Luca, che si conservano in Roma. La prima si venera in S. Maria Maggiore. Nel 590 portata processionalmente per le contrade di Roma quest’immagine, fece tosto cessare una fierissima pestilenza. Dalla chiesa di s. Maria Transtevere fu trasferita a S. Maria Maggiore da s. Domenico sulle proprie spalle, e deposta nella cappella Sistina; Paolo V, a destra della basilica, di rincontro al sacro Presepio, costrusse una sontuosissima cappella, in cui è ancora presentemente venerata. La seconda in S. Maria di Ara-Cœli. La terza in S. Maria di Via Lata; quest’immagine è dipinta con un anello nel dito. La quarta in S. Maria del Popolo ivi processionalmente trasferita dal luogo chiamato Sancta- Sanctorum, dal sommo Pontefice Gregorio IX nel 1227. La quinta in S. Maria Nuova, portata da Troia; sotto il pontificato di Onorio Iii, questo dipinto si rinvenne intatto dopo l’incendio della chiesa. La sesta in S. Maria al Campo Marzio portatavi di Grecia dalle monache di s. Benedetto prima del 600; anche questa conservossi illesa, e stette prodigiosamente sospesa in aria dopo l’incendio della trave, cui era raccomandata. – La settima si venera in Costantinopoli nel tempio eretto dall’imperatrice Pulcheria, e dedicato Alla Madre di Dio Odigitria; dicesi dipinta da s. Luca, vivente ed annuente la B. V. Quivi ancora nella basilica di s. Sofia si conserva l’ottava; involata dai Veneziani, fu da essi restituita per autorità del sommo Pontefice Innocenzo III. La nona in Napoli nella chiesa di S. Maria Maggiore.

Orazione.

O desolata Vergine, cui il Signore ha misurato la grandezza delle vostre prove alla generosità e coraggio del vostro cuore di santa e di madre, deh! accorrete in mio soccorso; fatevi, non solamente il mio sostegno, la mia consolatrice, ma il mio esemplare ancora, ed ottenetemi la grazia d’un perfetto distacco, e d’una perfetta rassegnazione a tutte le volontà del Signore. Così sia.

OSSEQUIO.

Se foste moribondo, qual cosa vi darebbe maggior rimorso? Rimediatevi subito, implorando l’aiuto di Maria.

GIACULATORIA.

Doce me, Domina, facere voluntatem tuam.

Voi del mio cuore

L’arbitra siete,

Deh! dunque ditemi

Quel che volete.

INVOCATIONES
386
Dolce Cuore di Maria, siate la salvezza mia.
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidiana invocationis recitatio  in integrum mensem producta fuerit
(S. C. Indulg., 30 sept. 1852).

XXV. GIORNO.

La Risurrezione.

Spuntò finalmente il giorno fatto dal Signore: la sua luminosa aurora ha dissipato le sanguinose ombre del Calvario, e riempito di gioia l’Immacolato Cuore della nostra divina Madre. Non dice il Vangelo che Maria sia stata favorita della prima visita di Gesù risuscitato, ma non la nega neanco. E non gliene andava forse debitore il suo divin Figlio? Se tal favore fu concesso a Maddalena in grazia del suo illimitato e costante amore per Gesù, possiamo farci capaci che abbiane privata Maria, il cui amore superò quello di Maddalena più che piccola fiammella non è superata dallo splendor del sole? Cosi c’insegna una pia ed antica tradizione. Ah! Sarebbe d’uopo inventare nuove espressioni per nominare la gioia della povera Madre in quell’istante in cui poté stringere al seno il suo Figlio risorto, sentire quel sacro Cuore ferito dalla lancia, palpitar nuovamente contro il suo, ed udir chiamarsi ancora col dolcissimo nome di Madre. No, no, io non so se il cielo con tutte le sue magnificenze, e le sue delizie possegga gioie più dolci, più intime, più sensibili per la nostra divina Madre di quella gioia in che dovette sentirsi come naufraga in quell’avventurato istante. – Impariamo da Maria a santificare le nostre gioie non altrimenti che i nostri dolori, riferendo tutto a Dio. Consolazioni o pene, gioie od amarezze, tutto, nei disegni del Signore giovar deve al perfezionamento dell’anima nostra, alla nostra salute. Qui eziandio convergere debbono tutti i nostri sforzi, dirigersi tutte le nostre aspirazioni, limitarsi tutta la nostra ambizione. Sì, ciascun di noi adoprar deve sante industrie per accrescere mai sempre il tesoro dei meriti suoi, rivolgendo tutte le peripezie della vita a sua emendazione, a suo spirituale progresso, né perdere di vista giammai la gran parola dell’adorabile Salvatore: Siate perfetti come perfetto è il vostro Padre del cielo.

ESEMPIO.

La decima delle immagini di Maria dipinte da S. Luca, si venera sul monte della Guardia, a tre miglia circa da Bologna nella chiesa dedicata al medesimo evangelista s. Luca, scelta, se prestiamo fede ad un’antichissima leggenda riprodotta dal Sigonio, da Maria stessa. Ogni anno questa prodigiosissima effigie, viene con solennissima pompa trasferita, nella seconda feria delle rogazioni, in Bologna, «processionalmente portata per le precipue vie della città. L’undecima vedesi presso il borgo di Cestochovia distante 18 leghe da Cracovia. A questo santuario, uno dei più ricchi del mondo per magnificenza e preziosità di arredi, accorrono a torme pellegrinando i cristiani non solo dalla Polonia, ma eziandio da tutta la Slesia, dalla Moravia e dalla Pomerania; tanti sono i prodigi che vi si operano, le grazie che si ottengono. – Il dipinto rappresenta Maria col bambino Gesù in grembo, vestito alla greca; porta due cicatrici sul volto, inflitte, dicesi, dagli eretici Ussiti, cancellar le quali non fu ancor possibile all’industria dell’uomo, sebbene ne abbiano fatto la prova i più esperti pittori. Le tre ultime si trovano nell’isola di Malta; il celeberrimo spositore della s. Scrittura, Cornelio a Lapide, narra che furono dipinte da S. Luca, allorché avernò per tre mesi in quell’isola, compagno di viaggi dell’apostolo s. Paolo.

ORAZIONE

O Maria la quale non faceste mai sosta per il sentiero della perfezione, e vi giungeste alla più sublime altezza, abbiate compassione della fralezza, della miseria d’un vostro figlio. Estrema è la mia codardia, ai vostri piedi il confesso. Deh! ottenetemi, vi scongiuro, possenti grazie che trionfino sulla mia fralezza ed accidia, affinché sostenuto dalla materna vostra protezione, cominci una vita di fervore, d’amore, di sacrifici. Così sia.

OSSEQUIO.

Usate particolar modestia in chiesa, tenendo bassi gli occhi in tempo della santa Messa.

GIACULATORIA.

Munda me ab omni iniquitate mea, Sancta Dei Genitrix.

D’ogni mondatemi

Macchia più lieve;

Fatemi candido

Come la neve.

370
Immaculata Mater Dei, Regina cœlorum, Mater
misericordiae, advocata et refugium peccatorum,
ecce ego illuminatus et incitatus gratiis,
a te materna benevolentia large mihi impetratis
ex thesauro divino, statuo nunc et semper dare
in manus tuas cor meum Iesu consecrandum.
Tibi igitur, beatissima Virgo, coram novem
choris Angelorum cunctisque Sanctis illud trado,
Tu autem, meo nomine, Iesu id consecra;
et ex fiducia filiali, quam profiteor, certum mihi
est te nunc et semper quantum poteris esse facturam,
ut cor meum iugiter totum sit Iesu,
imitans perfectissime Sanctos, praesertim sanctum
Ioseph, Sponsum tuum purissimum. Amen
(S. Vincentius Pallotti).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidieper integrum menseni oratio  devote recitata fuerit (S. Paenit.
Ap., 27 iulii 1920 et 12 sept. 1936).

XXVI. GIORNO.

L’Ascensione.

Terminata era la missione dell’Uomo-Dio sulla terra; gettate le fondamenta della sua Chiesa, istituiti i sacramenti, ammaestrati gli Apostoli, non più rimaneva all’adorabile Salvatore che dare ai beneamati del suo cuore un’ultima benedizione, pegno di quell’eterna benedizione che accorderebbe loro ben presto in cielo. Non v’ha dubbio che con gli Apostoli e gran numero di discepoli non siasi trovata Maria sul monte degli olivi in quella commovente circostanza. Appena colà radunati, ecco Gesù comparire in mezzo al suo piccolo gregge, e dopo aver loro dato un ammonimento ancora, e la benedizione, i suoi piedi abbandonano la terra, ed Egli s’innalza maestosamente verso il cielo. Se, come insegna antica tradizione, il Salvatore concesse alla Madre di poter essere testimonio del suo trionfante ingresso nel cielo, chi varrà a descrivere il rapimento, l’estasi di felicità in che l’avrà piombata la vista del corpo glorificato del suo Gesù sedente alla destra del Padre? Ah! quinc’innanzi la vita di quest’anima immacolata non sarà più che un ardente aspirazione verso il cielo, un’accesa brama di veder finire il suo esilio, sopportando tuttavolta gli inenarrabili dolori di sì fatta lontananza con perfetta e paziente rassegnazione alla volontà del Signore. – Desideriamo noi il cielo come la nostra divina Madre! Il cielo! Ah! Egli è pure la dimora del nostro Padre, l’eredità nostra, la nostra patria, il luogo ove tergerannosi per sempre le lacrime nostre. Coraggio adunque: ogni giorno di quaggiù è un passo che a Dio ci avvicina. Che cosa importano le fatiche del viaggio, le pene, le prove, dacché ci attende colassù una felicità inenarrabile, felicità proporzionata alla grandezza delle nostre afflizioni? Sì, Dio misurerà le sue consolazioni al regolo delle nostre croci; più avremo sofferto, più grandi saranno le nostre gioie; e quel che più monta, tutti i dolori saranno passati per non ritornare più mai, e la felicità la quale ne sarà il guiderdone, avrà l’eternità per durata.

ESEMPIO.

La ristrettezza di un esempio non mi permette che di far parola di alcuna soltanto delle più rinomate Statue rappresentanti la B. V. Maria: — In Saragozza evvi la statua detta del Pilar (della colonna) di cui già diedi un cenno; la s. Vergine sta in piedi col bambino Gesù tra le braccia, il quale tiene una colomba in mano; pretendesi scolpita ai tempi dell’Apostolo s. Giacomo. — Una delle più celebri statue che vanti la Francia è incontestabilmente quella di Puy-en-Velay; vuolsi colà portata da quegli arabi che primi, dopo i Magi, venerarono Maria ed il bambino, e la scolpirono a loro modo: essa tiene Gesù sulle ginocchia. — La statua d’ebano della B. V. di Loreto, annerita dal tempo e dal fumo delle numerose lampade e candele, che ardono giorno e notte, è pure di antichissima data; v’ha delle cronache, le quali ne attribuiscono la scultura allo stesso s. Luca; rapita dall’armata repubblicana nel 1797, e trasferita a Parigi, venne riportata a Loreto per ordine di Napoleone, appena divenuto primo console. — La Madonna di Spoleto dicesi colà portata di Palestina nel 352 da tre eremiti: dapprima addimandossi S. Maria di Giosafat, poi la Madonna degli Angeli o della Porziuncula: questa chiesa fu la culla dell’ordine del Serafico d’Assisi. — Celeberrima è la statua posta all’ingresso della chiesa del santo Sepolcro in Gerusalemme; a questa si riconobbe debitrice della sua conversione Maria egiziaca nel 370. — La più antica statua di Maria venerata nel Belgio è quella di Bruges. — Beatrice vedova del conte di Dampierre, ricevette dal sommo Pontefice Gregorio IX una statua della B. Vergine deposta, dice una tradizione, dagli Angeli in una foresta d’Italia. Collocata nella chiesa dell’abbazia di Courtrai, divenne ben presto celeberrima per i suoi prodigi. Finalmente nella chiesa di Afflighem esiste la famosa statua, la quale nel 1150, salutata da s. Bernardo con le parole: Salve, Maria, gli rese il saluto: Salve Bernarde.

Orazione

O Maria che tenete in mano lo scettro della Misericordia, ricordatevi di me, povero vostro figlio che pellegrino qui in terra, sospiro verso il cielo, che è la patria mia, verso Dio che è Padre mio, verso Gesù, che è mio fratello, verso di Voi che siete la Madre mia. Deh! Guidate tutti i miei passi, finché depor possa ai vostri piedi l’immortale corona, non dovuta ai meriti miei, ma a quelli del vostro divin Figlio, ed alla materna vostra protezione. Così sia.

OSSEQUIO.

Recitate un De profundis per l’anima del purgatorio che in vita fu più devota della B. V.

GIACULATORIA.

Virgo potens, ora prò nobis.

Voi che potente

In cielo siete,

Ferventi suppliche

Per noi porgete.

371
O pura et immaculata, eademque benedicta
Virgo, magni Filii tui universorum Domini Mater
inculpata, integra et sacrosanctissima, desperantium
atque reorum spes, te collaudamus. Tibi
ut gratia plenissimae benedicimus, quae Christum
genuisti Deum et Hominem: omnes coram
te prosternimur: omnes te invocamus et auxilium
tuum imploramus. Eripe nos, o Virgo sancta
atque intemerata, a quacumque ingruente
necessitate et a cunctis tentationibus diaboli.
Nostra conciliatrix et advocata in hora mortis
atque iudicii esto: nosque a futuro inexstinguibili
igne et a tenebris exterioribus libera: et
Ad Beatissimam Virginem Mariam
Filii tui nos gloria dignare, o Virgo et Mater
dulcissima ac clementissima. Tu siquidem unica
spes nostra es securissima et sanctissima apud
Deum, cui gloria et honor, decus atque imperium
in sempiterna sæcula sæculorum. Amen
(S . Ephræm, C . D.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidiana orationis recitatio in integrum mensem producta
fuerit (S. Pæn. Ap., 21 dec. 1920 et 9 ian. 1933).

XXVII. GIORNO.

La Pentecoste.

Dopo l’Ascensione del divino Maestro, discesero gli Apostoli a Gerusalemme, e con Maria ed i discepoli si rinchiusero nel cenacolo per aspettarvi nella preghiera e nel digiuno la venuta del promesso Paracleto. Non v’ha dubbio che l’orazione della Vergine Immacolata non abbia affrettato questa venuta. Sullo scorcio dei dieci giorni di ritiro e di perseveranza nell’orazione, si fe’ udire un grande strepito, come d’impetuosissimo uragano; ed apparvero ad un tempo lingue di fuoco le quali andarono a riposarsi sulla testa di ciascuno de’ membri della Chiesa nascente colà radunata, e tutti sentironsi ripieni di Spirito Santo. Nessuno tuttavolta varrà a comprendere quello che in questo solenne giorno operò in Maria lo Spirito consolatore, e qual fu la prodigiosa trasformazione di quell’anima benedetta e privilegiata fra tutte le pure creature. Dirò solamente che tra i doni ricevuti da Maria e quelli degli Apostoli vi passò la differenza stessa che fa un magnifico e liberale monarca tra i favori largiti ai suoi ministri, e quelli compartiti ad una sposa da lui unicamente e teneramente amata. Gli uni sono trattati in amici, l’altra in sovrana, a cui le liberalità dello sposo sono in ragione del suo amore per lei. –  Maria nel cenacolo c’insegna non l’utilità solamente del raccoglimento, della fuga del mondo, per albergare in noi il Santo Spirito, ed attendere con successo alla nostra perfezione; ma ci manifesta eziandio la necessità della preghiera onde ottenere dal cielo tutti i soccorsi necessari al buon esito del grand’affare di nostra eterna salate. L’adorabile Salvatore il quale conosceane tutta l’importanza come l’indispensabile necessità, raccomandolla sì ripetutamente: — Pregate senza interruzione — Domandate, e riceverete. — Tutto ciò che chiederete al Padre mio in nome mio, saravvi concesso — Laonde se inesaudite veggiamo le nostre preci, non ascriviamolo che alla poca fede, poca umiltà, poca fiducia, e specialmente alla poca perseveranza con che oriamo.

ESEMPIO.

Sebbene sia fuor di contestazione avere i popoli sentito mai sempre maggior impulso all’amor di Maria dalle di Lei immagini scolpite che dipinte, non si può negar tuttavolta che queste eziandio non siano d’origine non meno antica di quelle, poiché vantano lo stesso inventore, l’evangelista s. Luca. — Non parlo delle celebri Madonne di Raffaello, delle quali non v’ha in Italia chi ne ignori la perfezione. Michelangelo (scuola italiana, 1498) in un suo dipinto rappresentante la s. Famiglia, diede a Maria i più vivi e dolci caratteri di una buona madre. Nel quadro delle nozze di Cana di Paolo Veronese (1588) scorgesi sul volto di Maria l’interna sua inquietudine per la mancanza del vino. Alberto Durer (scuola alemanna 1500) nell’Adorazione de’ Magi, non poteva più perfettamente ritrarre la purissima gioia della B. Vergine, non disgiunta dalle sollecitudini della migliore delle madri. Nella deposizione di Gesù dalla croce del Rubens (scuola fiamminga, 1635) tu vedi la Madre desolata in siffatto atteggiamento di ambascia e di rassegnazione, che, mentre t’incanta, t’inspira una indefinibile malinconia al cuore. Capo d’opera è la Concezione del Murillo (scuola spagnola) morto nel 1682. Non meno mirabili, nella scuola francese, sono il quadro del Lebrun Carlo, morto nel 1690, per la grazia che seppe dare a Maria preparante un povero pasto al fanciullo Gesù; e quello del Jouvenet, morto nel 1717, in cui vedesi l’augusta Madre di Dio nell’atto di cantare il Magnificat. L’umiltà, la riconoscenza, una gioia tutta celeste, spiccano nell’atteggiamento di tutta la persona in guisa che ben rivelano i sentimenti da che sentivasi in quell’ora riboccante quell’immacolato Cuore.

Orazione.

O Maria. Vergine immacolata, la cui vita fu una continuata orazione, ottenete a me lo spirito della preghiera, di cui pur troppo, sì poco conosco il pregio, sebbene siami d’estrema importanza. Impetratemi dal vostro divin Figlio quello spirito di fede, di confidenza, di fervore che ne è l’anima, e che apre sopra di chi prega tutti i tesori delle celesti benedizioni. Così sia.

OSSEQUIO.

Viva Gesù, viva Maria, sia l’invocazione con che date principio ad ogni vostra azione o scritto.

GIACULATORIA.

Jesum benedictum, fructum ventris tui, nobis ostende.

Il frutto amabile

Del vostro seno

Nel ciel mostrateci

Ò Madre, almeno.

372
Deus, qui per immaculatam Virginis Conceptionem
dignum Filio tuo habitaculum praeparasti,
quaesumus, ut qui ex morte eiusdem Filii
tui praevisa eam ab omni labe praeservasti, nos
quoque mundos, eius intercessione, ad te pervenire
concedas. Per eumdem Christum Dominum
nostrum. Amen (ex Missali Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidieper integrum mensem devote reiterata (S. C. Indulg.,
23 mart. 1904; S. Pæn. Ap., 4 maii 1936).

XXVIII. GIORNO.

Gli ultimi anni di Maria.

Profondo silenzio regna nelle sacre carte intorno agli ultimi anni della nostra divina Madre, tal che noi ignoriamo ed il luogo di sua residenza, il genere delle sue occupazioni, ed il tempo del felicissimo suo transito. La tradizione tuttavolta viene ad appagare in parte la pia curiosità nostra insegnandoci che non pochi anni la visse ancora dopo la morte di Gesù, cioè fino all’età di settantadue, o settantacinque anni; che la vita di lei fu umile, ritirata, divisa tra l’orazione ed i lavori manuali; e che nell’assemblea dei fedeli non distinguevasi altrimenti che per la sola sua santità. C’insegna eziandio la tradizione stessa che questi ultimi anni di Maria furono una lenta agonia, un lungo martirio d’amore, un’incessante aspirazione al cielo; che l’unica sua consolazione era il ricevere quotidianamente dalle mani del suo figlio di adozione la santa Comunione; e che sì dolce, si consolante presentavasele il pensier della morte, che era divenuto l’abituale suo pensiero; e ben lungi dall’averla in orrore, salutavala con santa gioia, come Colei la quale doveva por fine al suo esilio, aprirle il cielo, e ridonarle l’unico oggetto dell’amor suo. – La morte è il momento che fisserà per sempre la nostra sorte. Quindi nulla di più importante per noi come la grazia di una buona morte; ed il più agevole mezzo ad ottener questa grazia si è appunto l’abituale pensiero della morte stessa. Non si fa bene se non quello che s’imparò lungo tempo a fare. Questo pensiero ci distaccherà dai beni della vita presente, dimostrandocene la caducità ed il nulla; ché di tutto ci spoglia la morte.  Ci aiuterà in secondo luogo ad evitare il peccato «Sovvieniti dell’ultimo tuo fine, e non peccherai in eterno ». Difatti qual più valido freno a trattenere lo sfogo di quale che siasi passione, come il pensier della morte, la sua incertezza, il giudizio che la seguirà, e gli eterni castighi che sono il soldo del peccato, il frutto d’un istante di colpevole soddisfazione?

ESEMPIO.

Docili figli di santa Chiesa, noi onoriamo le reliquie dei santi, perché potentissimo mezzo a nutrire la pietà, condurre alla perfezione. — Siccome coll’anima della B. Vergine il corpo eziandio venne assunto al cielo, ne segue che le di Lei reliquie consistono soltanto in pezzi di veli o vesti di che andava coperta. Presentemente ancora è venerata in Chartres una tonaca di Maria, che Carlo il Calvo ebbe in dono da Carlo Magno nel 801. — Vedeasi altre volte nella chiesa della B. Vergine delle grazie in Costantinopoli un di Lei fuso portato di Palestina dall’imperatrice s. Pulcheria. — Nel 455 il vescovo s. Giovenale trasportò da Gerusalemme in Costantinopoli il sudario, ed una parte della tomba di Maria. — L’imperatrice s. Elena arricchì la chiesa di s. Croce in Gerusalemme d’una gran parte del velo della B. Vergine. — Celebre per tutta la Spagna si è la treccia dei capelli di Maria venerata in Oviedo: un’altra era, tempo fa, posseduta dalla chiesa della B. Vergine di Bruges. – Così ancora una specie di guanto in s. Omer, una specie di velo in Aix-la-Chapelle, una specie di pettine in Trèves, ed una parte del sudario e del velo in Soissons. — Il sommo pontefice Callisto III concesse nel 1455 varie indulgenze a chi visita la cattedrale di Arras, ove conservasi un velo ed una cintura dell’augusta Madre di Dio. — Memorie preziosissime e feconde mai sempre di grazie e di benedizioni più preziose ancora.

Orazione.

O Maria che insegnaste col vostro esempio il disprezzo ed il distacco dalle cose di questo mondo, ottenetemi la grazia di attaccarmi a Dio solo, unico bene che trovar possa al di là della tomba. Aiutatemi onde la mia vita sia una morte continua la quale mi prepari a ben morire, e mi ottenga la grazia di una santa morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Nelle ore di ozio leggete libri che trattino delle lodi di Maria.

GIACULATORIA.

Monstra te esse Matrem.

So che voi siete

Madre di Dio;

Ma per mia Madre

Vi voglio anch’io.

375
Sancta Mater, istud agas,
Crucifixi fige plagas
Cordi meo valide.
(ex Missali Rom.).
Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum mensem invocatio pia mente recitata
fuerit (S. Pæn. Ap., 1 aug. 1934).

XXIX. GIORNO.

Morte di Maria.

Non era per fermo né impossibile, né malagevole al Signore il preservare Maria dalla morte, come sottratta avevala all’infezione della colpa d’origine; ma anche in questo Ei volle renderla conforme al suo divin Figlio. Che se il Signore permise alla morte di addormentare dolcemente Maria, non le permise tuttavolta di far preda della corruzione il verginale corpo di Lei. Esente dal peccato originale, e dalla triste concupiscenza che ne è la sequela, sempre pura la carne di Maria non doveva conoscere le umilianti trasformazioni della tomba, non avendo punto bisogno d’essere rinnovata, purificata, onde fosse degna di venir ammessa nel soggiorno della gloria. Messaggera di pace venne la morte a Maria: essa non fu che la cessazione d’un miracolo che operava il Signore per impedirle di morire sotto le ardenti impressioni d’un amore superiore a tutte le forze della natura. Laonde, diciamolo pure: la morte di Maria fu un ultimo atto di amore più acceso, più puro, più santamente appassionato di tutti gli altri, atto il quale separando dolcemente l’anima dal corpo, portolla tutta bella d’amore e di gloria nel seno del suo Dio. – La morte non verrà a noi per fermo quale venne a trovar la nostra Madre del cielo. Peccatore ciascun di noi come tutti i figli di Adamo, dovrà, a sua volta, andar soggetto al tremendo castigo inflitto dalla divina giustizia al primo dei peccatori, ed a tutta la di lui prosapia, i dolori più o meno diuturni dell’infermità, le agonie della natura, le tristezze e le lotte supreme. Ma consoliamoci: Gesù e Maria lasciarono le orme del loro passaggio nella morte onde raddolcirne gli orrori; ed agli estremi nostri momenti, non dubitiamone, ritroveremo queste orme benedette. E poi, dopo l’ultimo sospiro di Gesù sulla croce, ed il breve suo riposo nel sepolcro del Getsemani, non più muore il Cristiano abbandonato da Dio, e deserto di consolazioni: perchè temeremo adunque?

ESEMPIO.

Se i fedeli conoscessero di quanto spirituale profitto esser possono possono le sacre immagini, non le curerebbero sì poco per fermo. Comprendiamone il molteplice vantaggio: 1. Istruzione ed erudizione; la vista infatti di un’immagine di Maria ci ricorda che Ella è la Madre dell’adorabile Salvatore; e sebbene questa verità ci sia già stata proposta a credere dalla fede, non è men vero tuttavolta che per mezzo dell’immagine, si alimenta e si ravviva questa fede stessa. 2. Amor verso Maria; e non ti senti forse commosso dai più teneri affetti il cuore nell’abbatterli in una immagine che ti presenti quest’immacolata Vergine prostesa in atto di adorazione a’ pie della culla di Gesù bambino, o desolata sul Golgota, divenuta Madre tua per mezzo di mortali dolori, e via dicendo? 3. Eccitamento all’imitazione: le immagini sono volgarmente appellate il libro dei semplici, perché  in una sola occhiata insegnano lunghissime storie e, dilettando, muovono ad amare la giustizia, la pietà, la devozione. 4. La memoria di Maria: in quanto che, in mezzo a tante nostre tribolazioni ed angustie, la vista d’una sua immagine ci ricorda che abbiamo una Madre, un’avvocata in cielo, di cui possiamo con tutta fiducia implorare il patrocinio. 5. Professione di fede: col venerarne le immagini, noi protestiamo di amare la fede, l’umiltà ecc. di Maria, e volerla esemplare.

Orazione.

O Maria, Vergine purissima, cui la morte fu l’istante del trionfo, non abbandonate la povera anima mia nel supremo momento che deciderà della sua sorte eterna. Copritemi allora con la materna vostra protezione, difendetemi dal furore dei miei nemici; fate che muoia munito dei santi sacramenti, e che l’estremo mio sospiro sia un atto d’amor di Dio, e di fiducia nella sua misericordia. Così sia.

OSSEQUIO.

State in ritiro, ed osservate particolar silenzio in questo giorno.

GIACULATORIA.

Pone, Domina, custodiam ori meo.

La lingua sordida

D’ atro veleno,

Madre, cingetemi

Di doppio freno.

387

O Cuore purissimo di Maria Vergine Santissima, ottenetemi da Gesù la purità e l’umiltà del cuore.

Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem invocatio pia mente recitata fuierit (S. Pæn. Ap. , 13 ian. 1922 et 23 apr. 1934)

XXX. GIORNO.

Assunzione.

L’abbiamo detto: la tomba non doveva innervare fino al giorno della risurrezione universale la spoglia mortale della nostra divina Madre. Spuntata appena l’alba del terzo giorno dal transito della Vergine Immacolata, Gesù per un atto di sua onnipotenza riunì l’anima di Lei al corpo; e questo sacro corpo, rivestito di tutte le qualità dei corpi gloriosi, elevossi raggiante al cielo, rapidamente trasportatovi dall’ardore dell’amor divino, circondato da innumerevoli legioni d’Angeli, avventurati di formare comitiva d’onore a Colei la quale tutti superava in purezza, in amore, in gloria; ma non basta. Gesù, Gesù attendeva sulla soglia del suo regno onde introdurvela Egli medesimo, cingere la fronte di Lei con il diadema dell’immortalità e della gloria, e farle prendere possesso del trono che preparato aveale alla destra del suo. Questa è la visione dell’apostolo bene amato: Io vidi in cielo una donna rivestita di sole. Circondata, cioè della gloria del suo divin Figlio: Avente la luna sotto i suoi piedi; simbolo dell’umanità decaduta: Cinta la fronte d’un diadema di dodici stelle, le sue eroiche virtù. In tal guisa da Dio incoronata e glorificata, regna Maria sovrana del cielo e della terra. Non diamoci però a credere che Maria regnante in cielo, dimentichi noi poveri figli suoi, sì bisognosi di suo soccorso; oh! no: Ella fu costituita il canale per cui scendono sulla terra tutte le grazie del cielo, la mano di che giovasi il Signore per far a noi l’elemosina delle sue misericordie; ed il prezioso cuore di Lei è il vaso ove la bontà divina depose il balsamo destinato a lenire ogni nostro dolore, rimarginare ogni nostra piaga, sanare ogni infermità nostra. Laonde la confidenza nostra in Maria sia incrollabile, sia illimitata, sia intera; speriamo quand’anche fossimo caduti nel baratro di tutte iniquità; la mano di Lei troverà modo di trarcene; e la voce della gratitudine nostra unirassi allora a quella di tanti altri poveri suoi figli, per ripetere: Non invano s’invoca la Madre di Gesù, e nella bontà del cuore di Lei si confida.

ESEMPIO.

Non poche ragioni animar devono il cristiano a salutare la diletta Madre del cielo ogniqualvolta s’incontra in una di Lei immagine. 1. Onde rinnovar incessantemente la memoria dell’incarnazione del Verbo; 2. Per imitare l’Arcangelo Gabriele; se questo celeste messaggero infatti salutò così riverente Maria non ancor Madre del Dio fatto carne, che cosa non dobbiamo far noi adesso che Ella regna alla destra del suo Figlio, sovrana del cielo e della terra? 3. Lo spirito di santa Chiesa, la quale fin dai suoi primordii, rese familiare tra i fedeli questo modo di onorar Maria. 4. Il precetto di Gesù Cristo: Onora il tuo padre e la tua madre. E non è forse Maria vera madre nostra? — Copiosi ne deriveranno per noi i frutti da questa pia usanza: 1. Accrescimento di fede nel mistero dell’incarnazione. 2. Maggior desiderio di partecipare alle grazie di che fu ripiena Maria. 3. Finalmente l’amore e la protezione di Maria, la quale, risalutandoci, riempie di doni spirituali il nostro cuore. Vedine la prova nella Visitazione, prova dataci dal Vangelo stesso con queste parole: Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, fu tosto riempita di Spirito Santo, ed esultò Giovanni nelle di lei viscere. Impariamo a memoria ciò che a tale proposito dice S. Bernardo: Ride il cielo, rallegransi gli Angeli, fuggono i demoni, trema l’inferno ogniqualvolta tu con riverenza dici: AVE MARIA … O Maria, egli è darti un bacio il dirti: AVE MARIA. Tante volte sei baciata, o beatissima, quante volte sei salutata coll’AVE. Dunque, fratelli carissimi, approssimatevi alla di Lei immagine, piegate il ginocchio, datele un bacio, dite: AVE, MARIA.

Orazione.

O Vergine gloriosa che conosceste tutti i dolori dell’esilio, non obliate in mezzo alle gioje della patria, i poveri vostri figli della terra. Nostra patria eziandio è il cielo, acquistato a noi dal sangue del vostro divin Figlio. Deh! non permettete che noi lo perdiamo, ma aiutateci a redercene degni, onde possiamo un giorno contemplare la vostra gloria, amarvi ed eternamente benedire a voi con Gesù Cristo. Così sia.

OSSEQUIO.

Offrite a Maria tutto che avrete a sopportare in questo giorno in unione de’ suoi dolori.

GIACULATORIA.

Fac ut tecum lugeam.

Con voi sul Golgota

Del Figlio accanto

Fate che struggansi

Quest’occhi in pianto.

419

Oratio
Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio e
Madre nostra pietosissima, umilmente ci presentiamo
al vostro cospetto e con tutta fiducia vi
supplichiamo del vostro materno patrocinio.
Dalla santa Chiesa siete stata proclamata la
Consolatrice degli afflitti ed a voi continuamente
ricorrono i tribolati nelle afflizioni, gl’infermi
nelle malattie, i moribondi nelle agonie, i poveri
nelle strettezze, i bisognosi d’ogni maniera nelle
pubbliche e private calamità e tutti da voi ricevono
consolazione e conforto.
Madre nostra dolcissima, rivolgete anche sopra
di noi, miseri peccatori, le vostre tenere
pupille e benigna accogliete le nostre umili e
fiduciose preghiere. Soccorreteci in tutte le spirituali
e temporali necessità, liberateci da tutti
i mali e specialmente dal massimo, qual’è il peccato,
e da ogni pericolo di cadervi; impetrateci
dal vostro Figlio Gesù tutti i beni, di cui ci
vedete bisognosi per l’anima e per il corpo, e
specialmente il maggiore di tutti, qual’è la divina
grazia. Consolate il nostro spirito angustiato
ed afflitto in mezzo a tanti pericoli che
ci minacciano, fra tante miserie e disgrazie che
ci travagliano da ogni parte. Ve ne preghiamo
per quel giubilo immenso, che provò l’anima vostra
purissima nella gloriosa resurrezione del
vostro Figlio divino.
Impetrate tranquillità alla santa Chiesa, aiuto
e conforto al Capo visibile di essa, il Romano
Pontefice, pace ai Principi cristiani, refrigerio
nelle loro pene alle anime del purgatorio, ai
peccatori il perdono delle loro colpe, ai giusti
la perseveranza nel bene. Raccogliete tutti, Madre
nostra tenerissima, sotto la vostra pietosa
e potente protezione, affinchè possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguir l’eterna beatitudine in cielo. Così sia.
Indulgentia quingentorum dierum.
Indulgentia plenaria additis confessione, sacra Comunione et alicuius ecclesiæ vel publici oratorii visitatione
si quotidie per integrum mensem oratio recitata fuerit
(S. C. Indulg., 10 apr. 1907; S. Paen. Ap., 7 iun. 1935).

XXXI. GIORNO.

Maria esemplare de’ cristiani.

Nel proporre la Madre del suo adorabile sposo all’imitazione dei suoi figli, a tutti dice Chiesa Santa: « Siate imitatori di Maria come Maria fu imitatrice di suo Figlio. » A rendercene capaci gettiamo, in terminando questo mese, un rapido sguardo sui precipui tratti di somiglianza che corrono tra Figlio e Madre. « Gesù scende dal cielo unicamente per glorificare il Padre suo; e Maria a tal effetto si ritira trienne nel tempio, e consacra la sua verginità al Signore. » Gesù non vuol nascere che da Madre vergine, non aver che un uomo vergine per custode; e Maria prepone questa delicatissima delle virtù alla gloria della maternità divina. Tutta la vita di Gesù può dirsi un atto continuato di umiltà e di annientamento; e Maria chiamata dall’Arcangelo all’eccelsa e singolare dignità di Madre di Dio, non sa che rispondere: « Ecco l’ancella del Signore. » Il cibo del Cuore dell’adorabile Gesù è di fare costantemente la volontà del Padre, e l’obbedienza sua al Padre si fu quella che il guidò dal presepio al Getsemani, di qui al Calvario; e per lo stesso motivo accettò Maria la maternità divina, udì silenziosa il vaticinio di Simeone, ed attaccossi alla croce in posizione degna della Madre d’un Dio. Con ragione adunque viene da Chiesa santa proposta all’imitazione dei fedeli. – Non illudiamoci punto: la vera divozione a Maria consiste precipuamente nella imitazione delle sue virtù; né ci riconoscerà per figli suoi se non in ragione della uniformità della nostra condotta con la sua. Animiamoci adunque di santo ardore, di generoso coraggio, ed ormeggiamo la nostra Madre del cielo, come essa seguì le pedate del Capo dei predestinati, dell’esemplare degli eletti Cristo Gesù. Tal via costerà sacrifici, lotte, violenze alla corrotta natura; non importa; sovvengaci che Maria ci tende la mano dal cielo, e ci mostra la corona che ci sta preparata; ed i fiori di questa corona sono le virtù esercitate qui in terra, le quali sembrano comprendersi nell’umiltà, nella pazienza, nella sommissione alla volontà di Dio, nella rassegnazione tra le afflizioni.

ESEMPIO.

Chiunque desidera d’imitare l’Arcangelo Gabriele nel salutare l’augusta Madre di Dio, veda di ritrarre in sé  angelici costumi, giusta quel detto: Se vuoi entrare dalla Vergine e salutarla, Angelo esser ti conviene; ed è per insinuare a noi una tale verità che il Signore non inviò che un Angelo a salutarla col grande Ave, Maria. Or bene, il nome di Angelo, ti dice precipuamente purezza, carità, umiltà. Puro è l’Angelo perché non contaminato dalla più lieve macchia di colpa, da verun affetto terreno, o carnale commercio. Tale sia chi saluta la Vergine purissima, se brama da Lei gradire il saluto. Emulatore, in secondo luogo, della carità degli Angeli esser deve chi vuole salutar degnamente Maria. Tra gli Angeli regna somma pace, somma concordia; somma pace, somma concordia pertanto regni eziandio tra quei figli che salutar vogliono la loro Madre celeste. E poi, il saluto a Maria, ricordandoci quello dell’Arcangelo, ci ricorda ad un tempo, il mistero dell’Incarnazione, e nel mistero dell’Incarnazione appunto cominciò l’adorabile Salvatore quel trattato di pace tra Dio e gli uomini, che poi compì sul Calvario, segnandolo col suo sangue. Si imiti finalmente l’umiltà degli Angeli. Nessun di noi ignora che se una parte degli Angeli vennero dannati alla morte eterna, causa ne fu la loro superbia: come eziandio se fedeli al Signore si mantennero tanti altri, fu in grazia dell’umiltà loro. Per questa ragione usavano molti santi di non mai salutare Maria se non piegando il ginocchio, così S. Caterina da Siena, S. Maria di Ognies, la b. Margherita domenicana, figlia del re di Ungheria; usanza che conservasi ancora tra noi, genuflettendo nel cantare la prima strofa dell’Ave Maris Stella, appunto perché comincia con l’angelico saluto: AVE.

Orazione.

O Maria, la più perfetta delle creature, io risolvo di seguirvi d’or innanzi nella via della perfezione, ed a vostro esempio condurre una vita umile di cuore, casta, paziente, rassegnata. Ma senza il vostro aiuto, a nulla giovano le mie risoluzioni; quindi nel vostro cuore io le depongo, tenera Madre mia, onde possa vincere la mia leggerezza, e metterle in pratica con coraggio e costanza. Così sia.

OSSEQUIO.

Recitate qualche orazione in ossequio ai santissimi Cuori di Gesù e di Maria.

GIACULATORIA.

Fece ut ardeat cor meum in amando Christum Deum.

Inestinguibile

Fiamma nel cuore,

Madre, accendetemi

Pel mio Signore.

276
Domine Iesu Christe, qui Mariæ et Ioseph
subditus, domesticam vitam ineffabilibus virtùtibus
consecrasti: fac nos, utriusque ausilio,
Familiæ sanctæ tuæ exemplis instrui et consortium
consequi sempiternum: Qui vivis et
regnas in sæcula sæculorum. Àmen (ex Missali Rom.).
Indulgentia quinque annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo
orationis recitatio, quotidie devote peracta, in integrum
mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 3 sept. 1936).

CONSACRAZIONE A MARIA

 Maria, Regina e Madre mia, non disdegnate che, in terminando questo benedetto mese, a voi consacri il mio cuore, l’anima mia, tutto che sono e posseggo. Sì, io vi appartengo, o Maria, come il figlio appartiene alla madre; accettate pertanto l’omaggio della mia venerazione, della mia confidenza; accettate la mia promessa di difendere, in quale che siasi circostanza di tempo e luogo, il vostro onore, la vostra gloria, di sostenere mai sempre gli interessi di Gesù ed i vostri, e dimostrarmi in ogni evento servo fedele, figlio docile ed amoroso. Benedite, o Vergine possente, il pastore ed il gregge; impetrate ai peccatori la grazia della conversione, la perseveranza ai giusti, la rassegnazione agli infermi ed ai tribolati. Fatevi per l’infanzia e la giovinezza la stella del mattino, per l’età matura la stella del mare, per la vecchiaia la stella della sera; per tutti la porta del cielo, onde possiamo, nessuno escluso, trovarci un giorno riuniti attorno al trono della vostra gloria, come adesso ai piedi de’ vostri altari, a benedire a voi e ad eternamente amarvi. Così sia.

FINE.

 

 

I° MAGGIO: S. GIUSEPPE, PATRONO DEI LAVORATORI

I° MAGGIO

S. GIUSEPPE, PATRONO DEI LAVORATORI.

[Dom P. Gueranger. L’Anno Liturgico, vol. II, Ed. Paoline, Alba, 1957 impr.]

Felice novità che certamente riempie di gioia il cuore di Maria! Riguarda una festa di S. Giuseppe che ormai aprirà il suo mese, maggio. Dall’inizio dell’anno liturgico la Chiesa ci dà più volte l’occasione di meditare la vocazione e la santità straordinaria del più umile e più nascosto di tutti gli uomini. La devozione verso S. Giuseppe, fondata sullo stesso Vangelo, si è però sviluppata lentamente. Ciò non vuol dire che nei primi secoli la Chiesa abbia posto ostacolo agli onori che avrebbero voluto tributargli i fedeli; ma la Divina Provvidenza aveva le sue ragioni misteriose per ritardare l’ora in cui gli sarebbero stati offerti gli onori della Liturgia. – La bontà di Dio e la fedeltà del Redentore alle sue promesse s’uniscono di secolo in secolo sempre più strettamente per conservare in questo mondo la scintilla della vita soprannaturale che deve sussistere fino all’ultimo giorno. A questo scopo misericordioso, un succedersi ininterrotto di aiuti viene, per così dire, a riscaldare ogni generazione e ad apportare un nuovo motivo di confidenza nella Redenzione. A partire dal secolo XIII, in cui il raffreddamento spirituale del mondo comincia a farsi sentire, ogni epoca ha visto scaturire una nuova sorgente di grazie. – Si iniziò con la festa del Santissimo Sacramento che suscitò una grande devozione al Cristo presente nell’Eucarestia; poi venne la devozione al santo Nome di Gesù di cui S. Bernardino fu il principale apostolo; nel secolo XVII si diffuse il culto al Sacro Cuore; nel XIX e ai nostri giorni la devozione alla Santa Vergine ha assunto un’importanza in continuo aumento e che costituisce uno dei caratteri soprannaturali del nostro tempo. – Ma la devozione a Maria non poteva svilupparsi senza trarre seco il culto di S. Giuseppe. Maria e Giuseppe hanno effettivamente ambedue una parte troppo intima nel mistero dell’Incarnazione, l’una come Madre di Dio, l’altro come custode dell’onore della Vergine e Padre nutrizio del Bambino-Dio, perché si possano separare l’una dall’altro. Una venerazione particolare a S. Giuseppe è dunque stata la normale conseguenza della pietà verso la Santissima Vergine. E come, per rispondere alla devozione del popolo cristiano, Pio IX, il Papa che doveva proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione, aveva esteso alla Chiesa universale il Patrocinio di S. Giuseppe ora unito alla festa del 19 marzo, così, a sua volta, il Papa che proclamò nel 1950 il dogma dell’Assunzione corporale di Maria al cielo, conscio dei bisogni del nostro tempo, ha voluto anche lui onorare S. Giuseppe in un modo tutto particolare.

Atti di S. S. Pio XII.

Ecco ciò che dicono gli Atti Pontifici che leggiamo nell’Ufficio di questo giorno: « La Chiesa, nella sua materna vigilanza, ha sempre avuto la più grande cura degli operai, pronta a difenderli e confortarli, creando e incoraggiando le loro associazioni, che il Sommo Pontefice Pio XII da molto tempo ha pensato di affidare al potentissimo patrocinio di S. Giuseppe. – Infatti questo santo, padre putativo di Gesù che s’è degnato farsi chiamare operaio e figlio di un operaio, ha attinto abbondantemente dalla sua intimità con Gesù quello Spirito che nobilita ed eleva il lavoro. È per questo che le associazioni operaie devono fare ogni sforzo perché Cristo sia sempre presente in loro, nei loro membri e nelle loro famiglie e infine in tutto il mondo operaio. Il più nobile scopo di queste associazioni non è forse quello di conservare e alimentare la vita cristiana dei loro iscritti e d’estendere il regno di Dio specialmente tra i compagni di lavoro? Di questa sollecitudine verso il mondo del lavoro, il Sommo Pontefice, di felice memoria, ne diede una nuova prova quando, in occasione del Congresso dei lavoratori riuniti a Roma il 1° maggio 1951, parlando all’immensa folla riunita in piazza S. Pietro, raccomandò vivamente l’educazione degli operai. Essa rappresenta effettivamente un dovere essenziale della nostra epoca poiché se gli operai saranno impregnati della dottrina cristiana, eviteranno gli errori oggi correnti sulla costituzione della società e dell’economia; e se conosceranno a fondo l’ordine morale istituito da Dio e promulgato e interpretato dalla Chiesa sui diritti e sui doveri degli operai e se prenderanno parte alla direzione degli affari, lavoreranno attivamente per instaurare tale ordine. In realtà è Cristo che, per primo, ha promulgato sulla terra ed ha affidato alla Chiesa quei principi che, per dirimere le questioni, rimangono immutati e conservano tutta la loro forza. – Ma affinché la dignità del lavoro e i principi che la costituiscono si radichino più profondamente negli animi, Pio XII istituì la festa di S. Giuseppe operaio, perché egli fosse il modello e il protettore di tutto il mondo lavoratore. Appunto da questo esempio, coloro che esercitano un’arte manuale devono apprendere in quale modo devono assolvere il loro dovere professionale, affinché, obbedendo subito all’ordine di Dio, rendano soggetta la terra (Gen. 1, 28) e lavorino per la prosperità economica e nello stesso tempo meritino le ricompense della vita eterna. Il vigile custode della Famiglia di Nazareth non mancherà di coprire con la sua protezione coloro che, come lui, esercitano un mestiere laborioso e d’arricchire le loro famiglie dei beni celesti. Ed è molto a proposito che Pio XII prescrisse che questa festa fosse celebrata il 1 maggio, giorno che il mondo del lavoro aveva adottato, con la speranza che questo giorno ormai consacrato a S. Giuseppe operaio non ecciterà più l’odio né provocherà discordie, ma che col suo annuale ritorno inviterà ogni lavoratore a completare sempre meglio ciò che manca alla pace dei cittadini e sia anche di stimolo ai governanti a condurre a buon fine ciò che esige l’ordine naturale della comunità umana. – L’umile condizione della Sacra Famiglia era per gli Scribi e i Farisei causa di scandalo. Per i loro occhi, colui che era di origine povera e disprezzabile non poteva essere il Cristo Signore, l’Unto di Dio. Invece, per coloro che hanno una vita laboriosa e modesta, costituisce un motivo di confidenza. I piccoli, gli umili, i poveri vi trovano un invito divino ad amare la condizione in cui vivono poiché ebbe il privilegio d’attirare sulla terra il Figlio di Dio e perché le sono anticipatamente assicurate le compiacenze del Padre celeste.

Nazareth.

Vien dunque a proposito ricercare nel Vangelo le manifestazioni di questa umiltà. La stessa città ove visse la santa Famiglia sembra aver avuto la proverbiale riputazione di mediocrità: « Può forse uscir qualcosa di buono da Nazareth? » diceva Natanaele (Gv. 1, 46). Eppure, « non è nella città reale di Gerusalemme e neppure nel tempio che le dava splendore, che viene mandato il santo Angelo; ma… in una piccola città dal nome quasi sconosciuto; ma alla sposa di un uomo che, veramente, era come lei di famiglia reale, ma ridotto ad un mestiere pesante, moglie di un artigiano ignoto, di un  povero falegname ». In questo villaggio « un’umile casa, ma più augusta del tempio; un arredamento umile e povero; un operaio, la sua sposa vergine. Osserviamo: abbiamo tutto da imparare. Nazareth è la scuola per eccellenza. Notiamo l’ambiente e l’atmosfera in cui si compiono le opere di Dio: l’umiltà, la povertà, la solitudine, la purezza, l’obbedienza ».

Betlemme.

La nascita di Gesù apporta forse qualche lustro alla Sacra Famiglia? Quantunque decaduta dalla sua origine reale, per ciò stesso che discende dalla stirpe di Davide e che i Magi hanno portato i loro doni al neonato fa supporre in lui un rivale che Erode tenterà di eliminare. Per sottrarlo a questo pericolo è necessario fuggire in Egitto. « Strana condizione di un povero artigiano che si vede bandito improvvisamente, e perché? Perché ha Gesù e l’ha in sua compagnia. Prima ch’Egli fosse nato alla sua santa Sposa, essi vivevano poveramente ma tranquilli nella loro casa, guadagnando alla bell’e meglio la vita col lavoro delle loro mani; ma appena viene loro dato Gesù, non hanno più riposo. Tuttavia Giuseppe si sottomette e non si lamenta di questo bambino fastidioso che porta solo la persecuzione; parte; va in Egitto dove tutto gli è nuovo, senza sapere quando potrà ritornare nella sua povera casa. Non si ha Gesù per niente: bisogna prender parte alle sue croci » (Bossuet). – Anche qui S. Giuseppe è il modello di tutti coloro che, in questa nostra società paganeggiante, dovranno aspettarsi d’essere segnati a dito, forse d’essere anche perseguitati, privati del lavoro, per l’unica ragione che sono fedeli a Cristo. Quanti genitori dovranno assottigliare le già modeste risorse e imporsi duri sacrifici per assicurare ai loro figli un’educazione cristiana, perché il Cristo viva nelle loro anime! La riflessione del Bossuet ha tutto il suo valore: « Ovunque entra Gesù, vi entra con la sua croce… Non si ha Gesù per niente ».

Il laboratorio di Nazareth.

Tuttavia la Sacra Famiglia rientrò dall’Egitto e, per consiglio dell’Angelo, ritornò a stabilirsi a Nazareth. Il fanciullo Gesù cresceva in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini e il Vangelo ci dice semplicemente che era loro sottomesso. « È dunque tutta qui l’occupazione di un Gesù Cristo, del Figlio di Dio? Tutto il suo lavoro, tutto il suo esercizio sta nell’obbedire a due sue creature? E in che cosa poi? negli uffici più bassi, nell’esercizio di un mestiere manuale. Dove sono quelli che si lamentano, che brontolano quando il loro impiego non corrisponde alle loro capacità?… Vengano nella casa di Maria e Giuseppe e osservino Gesù Cristo al lavoro. Non leggeremo mai che i suoi genitori abbiano avuto dei servi: come tutta la povera gente, sono i figli che fan da servitori ». Ora Gesù, come tutti gli operai dapprima fu apprendista e il maestro che l’avviò all’umile professione non fu altri che Giuseppe, suo padre putativo. Quale fosse il mestiere di S. Giuseppe e, per conseguenza, quello di Gesù, il Vangelo non lo dice espressamente; però non ci lascia completamente al buio a questo riguardo. Infatti S. Marco scrive che Gesù era faber, e S. Matteo fabri filius. Senza dubbio questa parola designava ogni operaio che lavorava materia dura, legno, pietra o metallo; ma la tradizione più comune e la sola che sia rimasta fino ai nostri giorni, vuole S. Giuseppe un lavoratore del legno. Lo si dice anche carpentiere, ma questa parola non dev’essere presa nel senso preciso che le vien dato oggi: allora indicava chiunque lavorasse il legno. – Anche i Padri della Chiesa si sono compiaciuti di rilevare il valore simbolico dell’arte manuale che S. Giuseppe insegnò a Gesù, il costruttore del mondo « fabricator mundi », che è venuto per edificare la Chiesa prefigurata nell’arca di Noè, quella vasta casa natante ove trovarono rifugio quelli che dovevano sfuggire al diluvio. Essi hanno soprattutto notato che Gesù, il quale aveva scelto il legno della croce per salvare il genere umano, durante la sua vita nascosta si era preparato all’opera della salvezza lavorando il legno. – Ed è coi gesti che gli erano da tanto tempo familiari che Gesù si è caricato sulle spalle la pesante croce del suo supplizio. Insegnandogli il suo mestiere, Giuseppe dava il suo contributo all’opera redentrice di Gesù. Vi fu mai sulla terra lavoro più glorioso, più utile agli uomini, più ricco di insegnamenti, che l’umile lavoro manuale che veniva fatto nella povera falegnameria di Nazareth dal falegname Giuseppe e da Gesù, figlio di Dio, suo garzone?

Preghiera.

Umile artigiano di Nazareth, glorioso protettore degli operai, volgete il vostro sguardo verso gli operai del nostro secolo. Il loro lavoro generalmente non rassomiglia a quello che voi faceste un tempo, né le moderne officine al quieto laboratorio di Nazareth. Il rumore assordante che vi regna impedisce allo spirito di elevarsi, come vorrebbe, al di sopra della materia; ma, soprattutto, una specie di paganesimo ne ha allontanato il Cristo che, solo, vi poteva portare la sua pace, la sua giustizia, la sua carità. Per alleviare il peso, insegnateci ad amare il lavoro. Da semplice svago qual era nel paradiso terrestre, è diventato un castigo con la caduta del primo uomo. Considerato disonorevole dal mondo antico, era riservato agli schiavi. Però già da tempo il salmista ne aveva proclamato la nobiltà: « Nutriti col lavoro delle tue mani e sarai felice e colmo di beni ». Ma Cristo è venuto e vi si è sottomesso, « e ciò facendo nobilitava il lavoro degli uomini e mutava in rimedio l’antica maledizione portata contro l’uomo in punizione del peccato originale. Sottoponendosi alla legge del lavoro, insegnava agli uomini, ai peccatori, a santificarsi per questa via » (Bossuet). A vostro esempio, o Giuseppe, a loro basta ormai unire il loro lavoro a quello di Cristo per farne un’opera meritoria che riunisce Cristo e i suoi fratelli sotto lo stesso sguardo di compiacenza del Padre celeste. Reso più facile agli uomini, il lavoro sarà anche un’offerta grata a Dio se, attenti allo spettacolo della vostra bottega di Nazareth, vi prendono l’esempio d’unione al Figlio di Dio che lavora con le sue mani, di fedeltà ai doveri del proprio stato, nella giustizia e nella Carità che farà del loro lavoro una vera preghiera e tra i loro compagni di lavoro una vera testimonianza resa a Cristo. Possiamo noi essere docili al vostro esempio, fiduciosi nel vostro patrocinio e, compiendo l’opera che ci è indicata dal Signore, ottenere le ricompense ch’Egli ci promette. Così sia.

 

Preghiera a S. Giuseppe prima del lavoro.

-478-

Joseph, modèle de tous ceux qui sont voués au travail, obtenez-moi la gràce de travailler en esprit de pénitence, pour l’expiation de mes nombreux péchés; de travailler en conscience, mettant le culte du devoir au dessus de mes inclinations; de travailler avec reconnaissance et joie, regardant comme un honneur d’employer et de développer, par le travail, les dons reçus de Dieu; de travailler avec ordre, paix, modération et patience, sans jamais reculer devant la lassitude et les difficultés; de travailler surtout avec pureté d’intention et avec détachement de moi-mème, ayant sans cesse devant les yeux la mort et le compte que je devrai rendre du temps perdu, des talents inutilisés, du bien omis et des vaines complaisances dans le succès si funestes à l’oeuvre de Dieu. Tout pour Jesus, tout par Marie, tout à votre imitation, ó Patriarche Joseph! Tèlle sera ma devise à la vie et à la mort. Ainsi soit-il.

[O Glorioso S. Giuseppe, modello di tutti coloro che son dediti al lavoro, ottenetemi la grazia di lavorare con spirito di penitenza, per l’espiazione dei miei numerosi peccati; di lavorare con coscienza, ponendo il culto del dovere al di sopra delle mie inclinazioni; di lavorare con riconoscenza e gioia, considerando un onore l’impiegare e sviluppare, con il lavoro, i doni ricevuti da Dio; di lavorare con ordine, pace, moderazione e pazienza, senza mai indietreggiare davanti alla stanchezza e alle difficoltà; di lavorare soprattutto con purezza di intenzione e distacco da me stesso, avendo incessantemente davanti agli occhi la morte ed il conto che dovrò rendere del tempo perso, dei talenti non utilizzati, del bene omesso e del vano compiacimento del successo, sì funesto all’opera di Dio. Tutto per Gesù, tutto per Maria, tutto a vostra imitazione, o Patriarca Giuseppe! Tale sarà il mio motto in vita ed in morte. Così sia.]

Indulgentia quingentorum dierum (Pius X, Rescr. Manu Propr., 23 nov. 1906, exhib. 15 mart. 1907; S. Pæn.  MAGGIOAp., 28 mart. 1933).

MESE DI MAGGIO

MESE DI MAGGIO.

30 APRILE.

INTRODUZIONE

[G. Dalla Vecchia: Albe primaverili; G. Galla ed. Vicenza, 1911]

I. Eccoci al mese di Maggio, il mese dei fiori…

(a) L’anima tua deve essere un giardino… ; per te quindi deve essere il mese dei fiori spirituali, delle virtù.

— Hortus conclusus soror mea sponsa. (Cantic.).

(b) E’ il mese, in cui da milioni di cuori si eleva a Maria un concerto di preci, di inni, di palpiti… Tu pure loda Maria con tutte le tue forze…

(c) E’ il mese di Maria: La Madre di Gesù. Quanto grande la sua potenza!… Mater Dei. Come belle le sue virtù…! Tota pulchra. Come eccelsi i suoi trionfi. Exaltata est sancta Dei Genetrix super choros Angelorum. (Dall’Ufficio).

Ma è ancora la Madre tua… : te la dava Gesù sulla Croce. Mulier, ecce filius tuus. (Ioan.) Ti ama del più tenero amore… : ti ricolma delle sue grazie… Ego Mater pulchræ dilectionis, et timoris et sanctæ spei (Eccli. XXIV). Fa bene questo Maggio: onora in esso la Madre tua. Ego diligentes me diligo (Sapienza). Ed Ella ti darà prova del suo affetto materno…

Ne hai bisogno di farlo bene. — (a) Per crescere nel fervore. Chi si ferma nella virtù, torna indietro… Qui iustus est iustifìcetur adhuc (S. Paolo).

(b) Per vincere la tiepidezza, così dannosa allo spirito; così pericolosa all’eterna salvezza; che spinge ad innumerevoli difetti, e dispone alla morte eterna… Quia tepidus es, incipiam te evomere ex ore meo (Apoc. III).

(c) Sei in peccato mortale?… L’anima tua è morta alla grazia… è in odio a Dio… ; è sepolta nella colpa, quatriduanus es; (Ioan. XI,) forse l’anima tua è nella corruzione: iam fœtet. (ibi) — Ricorri in questo mese a Maria rifugio dei peccatori. Quanto bisogno di Maria!… Refugium peccatorum, ora prò nobis. Lo ripeti spesso…

III. Che devi fare ? — (a) Devi fuggire il peccato mortale… ed anche il peccato veniale… Con esso offendi Gesù, e quindi la Madre sua.

(b) Metterai più impegno nella preghiera… : potendo, la Messa, la Visita, il Rosario… Vieni ogni dì alla predica con prontezza; vi sta con silenzio, devozione. Medita spesso quello che ti viene detto…

(c) Ogni giorno qualche piccolo fioretto… ; l’Ave Maria al suono delle ore… Ripeti fervente la giaculatoria, che ti verrà assegnata.

(d) -Soprattutto eseguisci con maggiore esattezza i tuoi doveri, per quanto ripugnanti alla tua delicatezza, all’amor proprio. Il dovere fatto bene è una penitenza; è un continuo atto di amore.

(e) Combatti e mortifica le passioni…, il corpo, i sensi. Qui vult venire post me, abneget semetipsum (Luc. IX. 23)

— Passerai bene il mese di Maggio; ti farai santo. E la Madonna ti benedirà con affetto di madre. Quanto è grande l’influenza della devozione a Maria, anche nei cuori più traviati!

FIoretto – Tre Ave Maria per ottenere la grazia di fare bene il mese di Maggio.

GIACULATORIA – O dolce nome – Maria, Maria speme e conforto – dell’alma mia.

MAGGIO È IL MESE CHE LA CHIESA CATTOLICA DEDICA ALLA SANTISSIMA VERGINE MARIA [2018]

MAGGIO È IL MESE CHE LA CHIESA CATTOLICA DEDICA ALLA SANTISSIMA VERGINE MARIA [2018]

EXERCITIA

-325-

Fidelibus, qui mense maio pio exercitio in honorem beatæ Mariæ Virginis publice peracto devote interfuerint, [Ai fedeli che nel mese di Maggio praticheranno in pubblico un pio esercizio in onore della Beata Vergine Maria, per ogni giorno del mese si concede …] conceditur:

Indulgentia septem annorum quolibet mensis die:

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea sacramentalem confessionem instituerint, ad sacram Synaxim accesserint et ad mentem Summi Pontifìcis oraverint [se lo avranno praticato almeno per 10 giorni, s. c.].

Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia beatæ Mariæ Virgini privatim præstiterint, [a coloro che lo praticheranno privatamente …] conceditur:

Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (Secret. Mem. 21 mart. 1815; S. C . Indulg., 18 iun. 1822; S. Pænit. Ap., 28 mart. 1933).

REPARATIONIS

CONTRA BLASPHEMIAS IN B. M. VIRGINEM

[Atto di riparazione contro le bestemmie alla B. M. Vergine]

-328-

Gloriosissima Vergine, Madre di Dio e Madre nostra Maria, volgete pietoso lo sguardo verso di noi poveri peccatori, che afflitti da tanti mali, che ci circondano in questa vita, sentiamo lacerarci il cuore nell’udire le atroci ingiurie e bestemmie, lanciate contro di Voi, o Vergine Immacolata. – Oh quanto queste empie voci offendono la maestà infinita di Dio e dell’unigenito suo Figlio, Gesù Cristo! Come ne provocano lo sdegno e quanto ci fanno temere gli effetti terribili della sua vendetta! Che se valesse, ad impedire tanti oltraggi e bestemmie, il sacrificio della nostra vita, ben volentieri lo faremmo, perché, Madre nostra santissima, desideriamo amarvi ed onorarvi con tutto il cuore, tale essendo la volontà di Dio. E appunto perché vi amiamo, faremo quanto è in nostro potere, affinché siate da tutti onorata ed amata. Voi intanto, Madre nostra pietosa, Sovrana consolatrice degli afflitti, accettate questo atto di riparazione, che vi offriamo in nome nostro e di tutte le nostre famiglie, anche per quelli, che non sapendo ciò che si dicono, empiamente vi bestemmiano; affinché impetrandone da Dio la conversione, rendiate più manifesta e gloriosa la vostra pietà, la vostra potenza, la vostra grande misericordia; ed anch’essi a noi si uniscano a proclamarvi la benedetta fra tutte le donne, la Vergine immacolata, la pietosissima Madre di Dio. Tre Ave Maria.

Indulgentia quinque annorum (S. C. Indulg., 21 mart. 1885; S. Pæn. Ap., 6 apr. 1935 et 10 iun. 1949).

-329-

In reparationem iniuriarum

in B. M. V. illatarum

Vergine benedetta, Madre di Dio, volgete benigna lo sguardo dal cielo, ove sedete Regina, su questo misero peccatore, vostro servo. Esso benché consapevole della sua indegnità, a risarcimento delle offese che a voi si fanno da lingue empie e blasfeme, dall’intimo del suo cuore vi benedice ed esalta come la più pura, la più  bella e la più santa di tutte le creature. Benedice il vostro santo Nome, benedice le vostre sublimi prerogative di vera Madre di Dio, sempre Vergine, concepita senza macchia di peccato,  corredentrice del genere umano. Benedice l’eterno Padre, che vi scelse in modo particolare per Figlia; benedice il Verbo incarnato, che vestendosi dell’umana natura nel vostro purissimo seno vi fece sua Madre; benedice il divino Spirito, che vi volle sua Sposa. Benedice, esalta e ringrazia la Trinità augusta, che vi prescelse e predilesse tanto da innalzarvi su tutte le creature alla più sublime altezza. O Vergine santa e misericordiosa, impetrate il ravvedimento ai vostri offensori e gradite questo piccolo ossequio dal vostro servo, ottenendo anche a lui, dal vostro divin Figlio, il perdono dei propri peccati. Amen.

Indulgentia quingentorum [500 gg.] dierum (S. C . S. Offlcii, 22 ian. 1914; S. Pæn. Ap., 4 dec. 1934).

[Enchirid. Indulg.  Typis Polygl. Vatic. MCMLII]

 

Feste del mese di MAGGIO

 

1 Maggio S. Joseph opificis. I. Duplex I. classis

2 Maggio S. Athanasii Confessóris Ecclesiæ Doctoris    Duplex

3 Maggio Inventione Sanctæ Crucis    Duplex II. classis *L1*

4 Maggio S. Monicæ Víduæ    Duplex Primo Venerdi del mese

5 Maggio S. Pii V Papæ Confessóris    Duplex Primo Sabato del mese

6 Maggio Dominica V Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                          S. Joannis Apostoli ante Portam Latinam    Duplex majus

7 Maggio Feria Secunda in Rogationibus   Semiduplex S. Stanislai Epíscopi et Martyris    Duplex

8 Maggio Feria Tertia in Rogationibus In Apparitione S. Michaëlis Archangeli    Duplex majus *L1*

9 Maggio In Vigilia Ascensionis   Duplex II. – S. Gregorii Nazianzeni

                                        Epíscopi  Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

10 Maggio In Ascensione Domini    Duplex I. classis *I*

11 Maggio Ss. Philippi et Jacobi Apostolorum    Duplex II. classis *L1*_

12 Maggio Ss. Nerei, Achillei et Domitillæ Virg. atque Pancratii Mártyrum    Semiduplex

13 Maggio Dominica post Ascensionem   Semiduplex Dominica minor *I*

              Roberti Bellarmino Epíscopi Confessóris et Ecclesiæ Doctoris Duplex

14 Maggio S. Bonifatii Martyris    Simplex

15 Maggio S. Joannis Baptistæ de la Salle Confessóris    Duplex

16 Maggio S. Ubaldi Epíscopi Confessóris   Semiduplex

17 Maggio S. Paschalis Baylon Confessóris   Duplex

18 Maggio S. Venantii Martyris   Duplex

19 Maggio Sabbato in Vigilia Pentecostes    Semiduplex *I* S. Petri Celestini Papæ Confessóris    Duplex

20 Maggio Dominica Pentecostes    Duplex I. classis

                                          S. Bernardini Senensis Confessóris    Semiduplex

21 Maggio Die II infra octavam Pentecostes    Duplex I. classis

22 Maggio Die III infra octavam Pentecostes    Duplex I.

23 Maggio Feria Quarta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

24 Maggio Die Quinta infra octavam Pentecostes    Semiduplex

25 Maggio Feria Sexta Quattuor Temporum Pentecostes

Semiduplex S. Gregorii VII Papæ Confessóris Duplex

26 Maggio Sabbato Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

                                                           S. Philippi Neri Confessóris    Duplex

27 Maggio Dominica Sanctissimæ Trinitatis  Duplex I. classis

28 Maggio S. Augustíni Epíscopi Confessóris    Duplex

29 Maggio S. Mariæ Magdalenæ de Pazzis Virginis    Semiduplex

30 Maggio S. Felicis Papæ et Martyris    Simplex

31 Maggio Festum Sanctissimi Corporis Christi    Duplex I. classis

LIBERALISMO CATTOLICO: LA “PESTE PERNICIOSISSIMA”

Mons. de Ségur: Il liberalismo cattolico è «una peste perniciosissima.».

Monsignor Louis-Gaston de Ségur (1820-1881) protonotario apostolico, canonico del capitolo di Saint-Denis.

« Il liberalismo cattolico è «una peste perniciosissima.»

Brano tratto da: HOMMAGE AUX JEUNES CATHOLIQUES-LIBÉRAUX

(in: Louis-Gaston de Ségur, Oeuvres, tomo X, pag. 346.)

 XIX

Riassunto della tesi: il liberalismo cattolico è «una peste perniciosissima.»

Il liberalismo cattolico «è una peste perniciosissima», cioè a dire una malattia mortale, perché è un errore gravissimo contrario ad una grande verità rivelata; è eretico al fondo, perché nega in maniera multiforme i diritti di Dio, del suo Cristo e della sua Chiesa nei confronti delle società umane, attribuisce ai governi il diritto di porre le loro leggi e la loro politica in opposizione con le leggi, con il volere di Gesù Cristo. Negare siffatta sovranità sociale del Figlio di Dio non equivale forse a negare la sua divinità? Negare siffatto diritto e siffatta missione superiore della Chiesa non è forse negare direttamente la sua missione divina?
Il liberalismo è «una peste perniciosissima» perché si estende a tutto e ovunque fa penetrare il virus eretico delle dottrine protestanti e rivoluzionarie; esso comincia coll’alterare la Religione, e prosegue la sua opera deleteria in campo filosofico, ove genera l’ontologismo; si espande nella politica con le sue fatali illusioni e la sua impotenza per il bene, si manifesta in tutto, nell’educazione, nell’insegnamento, nella famiglia, nell’individuo, e così viene a contatto di una moltitudine di anime, che deteriora, quando non le porta direttamente a perdizione. «Le altre eresie, afferma un grande pensatore citato da un grande Vescovo (Mons. Pie), le altre eresie si sono potute circoscrivere; ma il liberalismo, assumendo tutte le denominazioni della verità (progresso, lumi, libertà, eguaglianza, fraternità, legge, civilizzazione ecc.), appare di fronte ai popoli sotto un tale travestimento che, se Dio non interviene ad abbattere una simile impostura, essa porterà a termine la rovina della Francia e della cristianità intera.

Il liberalismo è «una peste perniciosissima» a motivo delle sue tendenze, e proprio così provoca i propri danni fra i ranghi della gioventù cattolica. Nessun cattolico pensa infatti di negare in teoria il diritto sovrano di Gesù Cristo e della sua Chiesa sulle società, ma in pratica i cattolici, allorché sono colpiti dal liberalismo, si comportano da veri liberali, e invece di difendere, come sarebbe loro dovere, i diritti di Gesù Cristo e della sua Chiesa, sono sempre pronti a sacrificarli in nome della politica, in nome delle necessità del momento, in nome dell’opinione pubblica, in nome del fatto compiuto; li si vede rivendicare per i nemici della fede, almeno indirettamente, la libertà di attaccare la Chiesa, impiegando una sorta di generosità cavalleresca nel sostenere i pretesi diritti dell’errore e reclamando, per i nemici di Dio, privilegi uguali a quelli dei suoi servi., ed in quanto personalità pubbliche costoro porranno in essere atti che implicano la negazione di ciò che credono in quanto persone private. Simili tendenze, logica conseguenza dei principi cattolico-liberali, possono conciliarsi, mi chiedo, con la fede di un vero cristiano? Uno stesso uomo può forse avere due coscienze? e ciò che per la persona privata è falso, come può farsi vero per la persona pubblica?

Il liberalismo cattolico è «una peste perniciosissima» perché indebolisce fino a paralizzare i difensori della Chiesa e del diritto. In che consiste la forza dell’armata cattolica? Non è forse nella propria fede, nell’energia indomabile della propria fede? Ma il liberalismo è una delle cause principali dell’indebolimento della fede tra di noi, esso fa vacillare la fede nelle anime abituandole a vedere l’errore marciare a pari passo con la verità: quando infatti si attribuiscono diritti uguali ad entrambi, li si riduce ambedue al rango di mere opinioni. Il liberalismo riduce la fede di un gran numero di cristiani a un forse, ad una probabilità umana, ad una opinione più o meno rispettabile. A motivo dei danni provocati dal liberalismo non vi è niente di più comune al giorno d’oggi che udire dei cristiani, persino dei Religiosi e dei sacerdoti, parlare di opinioni religiose, che fanno da pendant alle opinioni politiche; non è più questione di verità, che il liberalismo sacrifica sistematicamente al diritto (!) della maggioranza, o ancora a ciò che vien chiamata «la carità»; il liberalismo priva  il cristianesimo del suo nerbo. – Il liberalismo è «una peste perniciosissima» perché pone la divisione fra i cattolici e fra i buoni. La Chiesa si basa sull’unità non meno che sulla verità. Il cattolicesimo liberale tende a spezzare l’unità mentre mina la verità; esso attira sotto i suoi drappi multicolori una parte dei cattolici, mentre gli altri restano fedeli al drappo immacolato della verità e dell’obbedienza, al drappo della Santa Sede; perciò sono sorti due partiti dal seno della Chiesa, e così ecco sorgere divisioni, ecco uno scompiglio continuo. I cattolici fedeli protestano, come è loro dovere, contro le concessioni fatte all’errore ed allo spirito del mondo, e d’altra parte i cattolici liberali, che credono di salvare la Chiesa col transigere, col venire a patti con i propri nemici, accusano i loro avversari di rovinare la  Chiesa stessa con le loro «esagerazioni», urlano all’intolleranza, alla testardaggine, all’accecamento, osano persino elevare il loro biasimo fino ai nostri Vescovi, fino al Sovrano Pontefice (il Sillabo ed il Concilio ne sono le prove), accusandoli a mezza voce di provocare la rovina della Chiesa. – E se, come accade in tutte le battaglie, qualcuno dei difensori dell’ortodossia e della Santa Sede non riesce a misurare sempre matematicamente la portata dei propri colpi, se fa un movimento sbagliato, se soprattutto ha la disgrazia di colpire un po’ troppo forte, questo eccesso di zelo nei fratelli sarà perseguito con ben più rigore che l’aperta ostilità dei nemici. – E si vedrà allora il seguente spettacolo desolante: dei cattolici ferventi che in chiesa sono riuniti con i loro fratelli ai piedi dello stesso altare, ove partecipano dello stesso Pane celeste, e che, fuori della stessa chiesa, si mostrano nei loro confronti più passionali, più aspri, più ingiusti, più impietosi di quanto non lo siano verso gli eretici e gli atei. Quanto fanno male alla causa di Dio queste scandalose divisioni!E che cosa ne è la causa? lo zelo dei cattolici puri forse?  – il coraggio dei difensori della verità? Evidentemente no. Sarà forse l’intenzione malvagia dei cattolici liberali? Nemmeno: la maggior parte di essi s’ingannano in buona fede. Chi ne è responsabile allora? Ascoltate il Papa, egli ce lo dice chiaramente: il colpevole ne è il liberalismo cattolico. Sì, ecco la peste che, dopo aver alterato la verità nelle menti, si riversa all’esterno per spezzare l’unità dei cuori e degli sforzi.

Il liberalismo è «una peste perniciosissima» perché, laddove regna, rende impossibile la salute della società, in quanto colpisce la vita della società alla radice stessa, come la filossera che uccide la vite alla radice. «Il principale pericolo e il principale male delle nostre società consiste in questo, che cioè nell’ambito della cosa pubblica e sociale i fedeli, e purtroppo spesso anche i sacerdoti della nostra generazione, hanno ritenuto che, anche in pieno cristianesimo, si potesse osservare la neutralità e l’astensione nei confronti della fede cristiana, come se Gesù Cristo non fosse venuto o fosse scomparso dal mondo. Tuttavia chiunque professa o pratica una simile teoria si condanna a non poter fare assolutamente nulla per la guarigione e la salvezza della società. E se non siamo riusciti a eliminare il male interiore che ci mina, che ci dissecca e che ci uccide, ciò accade perché, pur avendo la fede privata, abbiamo accettato di aver parte dell’infedeltà nazionale; perchè, quando Gesù Cristo, per mezzo di quell’organo infallibile che è il suo Vicario e la sua Chiesa, ha condannato una dottrina sociale come erronea e perniciosa, noi l’abbiamo ritenuta necessaria; quando egli ha insegnato una cosa, noi abbiamo più o meno fatto il contrario. Ecco la causa della nostra impotenza.» – Questo male, il quale altro non è che il cattolicesimo liberale, paralizza persino le buone opere, le preghiere e le penitenze che si elevano in ogni luogo verso il trono della misericordia divina per implorare il perdono e la salvezza: e come Nostro Signore salverebbe una società risoluta a far a meno di lui, a contraddire i suoi insegnamenti e a disconoscere e violare i suoi diritti? Il soccorso temporale di Dio può forse essere invocato legittimamente contro il suo proprio Figlio, contro la sua autorità ed il suo comando? – Se, al fondo delle nostre preghiere e dei nostri pellegrinaggi, dei nostri digiuni e delle nostre buone opere, si ritrovano sempre le nostre stesse ostinazioni; se, pur pregando e facendo l’elemosina, sosteniamo testardamente gli stessi sistemi condannati dall’insegnamento e dalle definizioni della Chiesa; se accarezziamo sempre gli stessi pregiudizi, se adoriamo sempre gli stessi idoli, le false libertà, i mortiferi principî dell’89, ravvivati nel 1830, glorificati nel 1852 e successivamente, allora le nostre preghiere rimarranno necessariamente sterili, e la saggezza, la santità e la giustizia di Dio legheranno le mani alla sua misericordia. – L’Imitazione  dice a questo riguardo una parola profonda che si applica alle società più ancora, se possibile, che agli individui: «Val meglio scegliere di avere contro di sè il mondo intero, che avere davanti a sè Gesù offeso.» [Eligendum est magis totum mundum habere contrarium, quam Jesum offensum. De imitazione Christi, Liber II, caput VIII.] E, nello stato in cui il liberalismo ha ridotto la nostra povera società moderna, «è Gesù offeso» che questa stessa società ha davanti a sé, Gesù messo fuori legge. Ecco il motivo di quelle situazioni impossibili che nessuno sa risolvere e contro le quali qualunque uomo è destinato a fallire. – Fintanto che non si tornerà socialmente e politicamente al Re Gesù ed alle salutari direttive della sua Chiesa si avrà un bel pregare, un bel fare opere buone: la salvezza sarà impossibile. La mano liberale via via distruggerà ciò che la mano cattolica avrà edificato. – Come il mulo, animale ibrido, anche il liberalismo cattolico, dottrina ibrida frutto dello spirito falso e della falsa carità, è infecondo, sterile e, quel che è peggio, rende sterile tutto ciò che tocca.

Il liberalismo cattolico è «una peste perniciosissima» perché pone alla base delle nostre istituzioni pubbliche dei principî le cui conseguenze estreme, rigorosamente logiche, portano a degli orrori. Il principio fondamentale del liberalismo si può così riassumere: di fronte alla legge, l’errore ha gli stessi diritti della verità. Ecco allora la «libertà di pensiero», che si può così formulare: Ho il diritto di pensare tutto ciò che voglio, di credere tutto ciò che voglio, di negare tutto ciò che voglio. Ho il diritto di credere che Dio non esiste, che non ho un’anima, che il furto è permesso, che a uccidere un uomo si fa tanto male quanto a uccidere un pollo. – Ne consegue «la libertà di coscienza»: Tutte le religioni hanno uguale diritto al rispetto ed alla protezione della legge: stesso rispetto e stessa protezione per il Vangelo e per il Corano. Stesso rispetto per il cristiano che adora Gesù Cristo e per il giudeo che lo bestemmia. Stesso rispetto per il cattolico che venera la santa Eucaristia e per l’ugonotto che la calpesta. Stesso rispetto per il martire e per il suo carnefice. – Di conseguenza ecco «la libertà di parola»: Ho il diritto di dire tutto ciò che penso, e nessuno ha il diritto di impedirmi di parlare. Ho il diritto alla bestemmia. Impedirmi di lodare Dio ed impedirmi di insultarlo sono entrambi un attentato alla mia libertà, e di conseguenza un delitto. – Ed ecco allora «la libertà di stampa»: tutto ciò che ho diritto di dire, ho il diritto di stamparlo e di pubblicarlo. Qualunque apostata ha il diritto di scrivere che Gesù Cristo non è Dio, e nessuno, nessun potere ha il diritto di fermare il suo libro o il suo giornale. – Ecco poi «la libertà d’azione»: Ho il diritto di fare tutto ciò che voglio, alla sola condizione (anch’essa perfettamente arbitraria) di essere in regola con la polizia. Certamente tutti i cattolici liberali, e non solo costoro, ma tutte le persone oneste rifiutano con indignazione queste assurde ed orribili follie; tuttavia ammettono bellamente i principi da cui esse derivano, e nei bassifondi della società non mancheranno mai dei terribili logici che ne trarranno le conseguenze. Infine il liberalismo cattolico è una peste, «una peste perniciosissima», perché i cattolici che ne sono colpiti divengono essi stessi, lo vogliano o no, gli autori di tutte le disgrazie pubbliche. Ovunque e sempre, la storia moderna lo dimostra, sono le illusioni e le debolezze dei buoni a preparare le vie agli eccessi rivoluzionari. Ogni ’89 porta in grembo un ’93, come il fiore porta in sé il frutto in germe. Il liberalismo è la Rivoluzione in fiore; la demagogia e l’anarchia sono la Rivoluzione nei suoi frutti.  La Rivoluzione si è discreditata da sé con i disastri che va accumulando da un secolo; essa è riconosciuta colpevole di averci detto altrettante menzogne quante promesse, ed i suoi adepti più ardenti sono i primi a dichiararla in bancarotta; sarebbe dunque venuto il momento di scuotersi di dosso il suo giogo per tornare all’ordine cristiano. Nonostante il buon Dio spiani le vie e prepari ogni cosa, chi ci impedisce di resuscitare alla vera vita cattolica, alla vera vita sociale e politica? Chi? Non sono i forsennati della Comune, non sono i nemici dichiarati della Religione e della società, ma sono i cristiani preda di falsi ideali, i pretesi fautori dell’ordine che conservano e proclamano proprio i principi di quella Rivoluzione di cui combattono le violenze, sono i rivoluzionari moderati, sono i cattolici liberali. La Rivoluzione dottrinale, il liberalismo trattiene il figliuol prodigo che vuol ritornare alla casa paterna, che vuol gettare lungi da sé gli stracci della propria licenza e rivestirsi nuovamente dell’abito bianco della libertà, che vuol sfuggire al giogo disonorevole del dispotismo o dell’anarchia per rimettersi, pacifico e fiducioso, sotto la mano paterna dell’autorità. E come fa il liberalismo a trattenerlo? può farlo, perché  esso altro non è che la dottrina della Rivoluzione, stante il fatto che la Rivoluzione è la pratica estrema, ma logica, del liberalismo. Se la Rivoluzione avesse a proprio favore solamente le proprie violenze, i suoi trionfi non potrebbero essere che passeggeri: ma essa perpetua il suo impero per mezzo delle sue dottrine: e sono i fautori di queste sue dottrine, soprattutto quando sono onesti e religiosi, in altri termini sono i liberali cattolici che, nonostante le loro buone intenzioni, oppongono una barriera insormontabile alla resurrezione della società cristiana. – Ovunque in Francia come pure in tutta l’Europa cristiana la forza principale della Rivoluzione risiede nell’appoggio che i fautori dell’ordine prestano ai principi rivoluzionari, molto più  che nella rabbia con cui i fautori di disordine ne deducono le conseguenze. Il liberalismo è il veleno che uccide: l’anarchia è la decomposizione che segue alla morte. E quanti sono i fautori dell’ordine che si trovano in questa situazione! Più del novanta per cento. Nessuno vorrebbe morire privo dei sacramenti, tutti hanno la fede, benché non tutti siano sempre praticanti; dunque sono cattolici, sì, ma più ancora liberali, ed è per questo che fanno, senza volerlo e talora perfino senza saperlo, il male orribile ed incalcolabile di cui abbiamo parlato. Chiedo allora a tutti gli uomini di fede e di buona fede: il dotto e cattolicissimo vescovo di Poitiers aveva ragione di esclamare in una di quelle incomparabili omelie che talora assumono l’importanza di un vero e proprio avvenimento: «Voi, che non avete nulla in comune con l’empietà dei liberali rivoluzionari ma professate le dottrine del cattolicesimo liberale irrevocabilmente iscritte nel catalogo degli errori condannati dalla Chiesa, fate attenzione: non è a fianco del fondamento cristiano, è sopra questo stesso fondamento che si deve elevare l’ordine. Altrimenti è il disordine, l’anarchia e di conseguenza il ritorno inevitabile al regime del dispotismo che siete condannati a riportare pur maledicendolo [Natale 1873].» Ecco, amici miei, i frutti avvelenati del liberalismo cattolico. Giudicate l’albero dai suoi frutti.

XX

Che occorre fare dunque in pratica?

È semplicissimo: bisogna essere CATTOLICI dalla testa ai piedi, cattolici nelle idee e nei giudizi, cattolici nelle simpatie, cattolici nel parlare, cattolici in tutto e dappertutto, negli atti pubblici come pure nella condotta privata. – E siccome la prima condizione richiesta per essere Cattolici è di essere veramente e pienamente SOTTOMESSI al Vicario di Dio, Capo supremo della Chiesa e regola vivente della vera fede, la nostra prima preoccupazione dev’essere di evitare come il fuoco ciò che potrebbe diminuire o alterare minimamente il religioso rispetto e l’obbedienza assoluta nei confronti della Santa Sede [… pur se oggi è in esilio! -ndr.-]: ciò è della massima importanza. Nei nostri studi, nelle nostre discussioni, nelle nostre letture, nelle nostre conferenze, perfino nelle nostre relazioni non vi poniamo abbastanza attenzione, e ne consegue che ci lasciamo contagiare. – «Voi, cari figli, ci dice il Santo Padre, ricordatevi che, sulla terra, il Romano Pontefice tiene il posto di Dio, ed allora, in tutto ciò che concerne la fede, la morale ed il governo della Chiesa, egli può dire con il Cristo: “Chi non raccoglie con me, disperde”. Fate dunque che tutta la vostra saggezza consista in un’obbedienza assoluta ed in una libera e costante adesione alla Cattedra di Pietro (Brev. ai milanesi).» – Alla luce di questa infallibile pietra di paragone potremo facilmente riconoscere l’oro puro e discernerlo dal rame dorato. Ogni dottrina che si distanzia in qualunque cosa dall’insegnamento di Roma dev’essere per ciò stesso sospetta; e non solo sospetta, ma da respingersi, e non solo da respingersi, ma da combattersi. È questa «la buona battaglia della fede» di cui parla l’Apostolo san Paolo ed alla quale noi tutti siamo chiamati a prender parte, gli uni come capi, e sono i sacerdoti, gli altri come semplici soldati di Gesù Cristo, e sono i laici.

XXI

«Ma che fare specialmente per garantirci da ciò che il Santo Padre chiama il virus delle opinioni cattolico-liberali?» – Per prima cosa non leggete, o leggete con estrema precauzione i giornali, le riviste e le pubblicazioni del partito. Il giornale in particolare è una goccia d’acqua quotidiana che a poco a poco scava la pietra e corrompe la mente. L’esperienza lo dimostra ogni giorno. Se volete sfuggire al liberalismo cattolico evitate i giornali liberal-cattolici. E notate che i più pericolosi sono quelli dalla forma più moderata, più dolciastra. Al contrario leggete fedelmente, poiché vi ha bisogna ben leggere qualche giornale, leggete quei rari fogli pubblici che si danno come regola principale quella di conformarsi in ogni punto alla lettera ed allo spirito degli insegnamenti della Santa Sede. Non lasciatevi prendere dalle amare ed ingiustificate critiche di cui sono oggetto. Se li si detesta tanto, è perché non intendono venire a patti con gli errori che sono di moda, perché questi errori li individuano e danno loro la caccia fin dall’inizio, perché scoprono con sgradevolissima inopportunità i complotti ed i maneggi del nemico, perché non adulano l’opinione pubblica come fanno ogni giorno i giornali liberali, e perché sono pronti a tutto piuttosto di indietreggiare di un millimetro quando si tratta di difendere la verità, il diritto, i principî, la causa del Papa e della Chiesa.
Inoltre informatevi seriamente e solidamente intorno alle principali questioni che sono all’ordine del giorno, cercando la luce là dove essa è, cioè in libri apertamente cattolico-romani, ove il falso non sia mescolato al vero, ove l’acqua della verità sia pura e limpida. L’ignoranza della vera dottrina cattolica è quasi sempre la fiaccola  delle tesi liberali. ( … e degli inganni dei modernisti, i settari del “novus ordo” e degli scismatici lefebvriani, tesisti e sedevacantisti, loro supporto logistico …  che tutti guazzano nella fogna di tutte le eresie,-ndr.-). Questa ignoranza genera un’illusione fra le più comuni, quella che fa sì che i giovani sprofondino sempre più nel liberalismo con lo specioso pretesto che non si devono occupare di questioni dottrinali, che non ci capiscono nulla e che devono lasciar ciò ai sacerdoti, ai teologi ecc.; costoro rimangono sistematicamente liberali in pratica, col pretesto che non lo sono in teoria. Guardatevi da questa illusione, che vi infeuderebbe al partito liberale e, checchè se ne dica, vi inoculerebbe attraverso tutti i pori «il virus delle opinioni cattolico-liberali.» Infine, e soprattutto, diffidate assolutissimamente degli ecclesiastici imbevuti di liberalismo [cioè tutti i novusordisti, gli scismatici e gli eretici “tradizionalisti” di ogni risma -ndr.-). Un solo prete cattolico-liberale fa più male di cinquecento laici. In materia di dottrina la parola di un laico di norma ha poco peso; ma quella di un prete è tutt’altra cosa. Dio ha detto in effetti: «Le labbra del sacerdote conserveranno la scienza, e dalla sua bocca si apprenderà a  conoscere la legge.» [Mal. II, 7:  Labia enim sacerdotis custodient scientiam, et legem requirent ex ore ejus, quia angelus Domini exercituum est.] Ora, che fa il prete liberale? A coloro che gli chiedono la verità, egli dispensa l’errore; e quale errore? quello che il Sovrano Pontefice dichiara solennemente essere più temibile per i Cattolici di oggi delle stesse bestemmie rivoluzionarie. «La più grande disgrazia che possa accadere ad un cristiano laico, diceva recentemente Pio IX ad uno dei nostri Vescovi, è quella di avere come consigliere ed amico un sacerdote imbevuto di dottrine cattive. Un sacerdote che ha cattivi costumi, lo si disprezza, lo si respinge; ma un sacerdote di cattive dottrine vi seduce tanto più facilmente quanto più le sue opinioni adulano le idee del momento.» Amici miei, miei cari amici, non lasciatevi abbacinare dallo splendore dei nomi e delle belle reputazioni; agli ecclesiastici cattolico-liberali manca il principale di tutti i meriti, quello di una fede pura e di un giudizio solido. Non tutto ciò che luccica è oro: in una tale materia ciò è letteralmente vero. Il piccolo numero di ecclesiastici che, trasportati dalla vanità e dallo spirito d’indipendenza, hanno la disgrazia di sostenere il liberalismo cattolico sono o menti difettose oppure ambiziosi che possono essere talora brillanti ma non hanno nè la vera scienza, nè il vero spirito della Chiesa. Diffidate degli ecclesiastici liberali, quale che possa essere il loro talento o il loro zelo, se fanno un po’ di bene da una parte, fanno tre volte più male dall’altra; li si è visti all’opera all’epoca del Concilio: non erano gallicani solo perché erano liberali. Oggi, se è vero che gallicani non ce ne sono più, i liberali sono ancora là e, salvo onorevoli ma troppo rare eccezioni, il loro spirito è rimasto lo stesso; dopo tutti gli avvertimenti venuti dalle labbra del Papa, avvertimenti necessariamente conosciuti dal clero, occorrerà loro un’incredibile buona fede per poter essere scusati al tribunale di Dio.

[Colore e grassetto, redazionali]

 

UN’ENCLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: SODALITIUM PIANUM

Il Sodalitium Pianum fu istituito dal Santo Papa Pio V al tempo della controriforma, per stanare i “marrani” finti cattolici in odore di protestantesimo, e ripreso con grande impegno da Mons. Umberto Benigni per contrastare i nuovi “marrani” modernisti. In altra occasione parleremo di questo organismo. Oggi ci accontentiamo di proporre il “Manifesto” programmatico del Sodalitium Pianum come concepito dalla Santa Sede dell’epoca (c’era il Santo Papa Pio X), e da Mons. Benigni. Questo “manifesto” è valido oggi forse ancor più di allora, ed i “veri” Cattolici dovrebbero aver cura di osservarlo integralmente per considerarsi tali. Anche qui si indica, come condizione imprescindibile, la sottomissione piena ed umile ai Vescovi, alla Tradizione apostolica, al Magistero ecclesiastico ed al Santo Padre, il Vicario di Cristo. Leggiamo, meditiamo,  facciamo nostro questo manifesto, facciamone un quadretto da guardare spesso … in obbedienza ed umiltà. È indicata la via che porta diritta al cielo … è in salita, angusta ma sforziamoci di provare, in ballo c’è la promessa di un grande premio: la vita e la felicità eterna, ed … un inferno da evitare.

PROGRAMMA DEL
SODALITIUM PIANUM

[approvato ed incoraggiato dalla Santa Sede]
(Rescritti Autografi di S. S. Pio X, del 5
luglio 1911 e dell’8 luglio 1912; Lettera della S. Congr. Concistoriale, del 25 febbr. 1913).

1. — Noi siamo Cattolici-Romani integrali. Come l’indica questa parola, il Cattolico-Romano integrale accetta integralmente la dottrina, la disciplina, le direzioni della Santa Sede e tutte le loro legittime conseguenze per l’individuo e per la società. Egli è «papalino», «clericale», antimodernista, antiliberale, antisettario. Egli è dunque integralmente contro-rivoluzionario, perché è avversario non solamente della Rivoluzione giacobina e del Radicalismo
settario, ma ugualmente del liberalismo religioso e sociale.
Resta assolutamente inteso che dicendo «Cattolico Romano integrale», non s’intende affatto modificare in qualsiasi modo l’autentico e glorioso titolo
di Cattolico-Romano. La parola «integrale» significa soltanto «integralmente Cattolico-Romano», cioè pienamente e semplicemente Cattolico-Romano senza le aggiunte o restrizioni corrispondenti (anche al di fuori dell’intenzione di chi ne usa) tanto alle espressioni di «cattolico liberale», «cattolico sociale», e qualunque altra, quanto al fatto di chi tende a restringere in teoria od in pratica l’applicazione dei diritti della Chiesa e dei doveri del cattolico nella vita religiosa e sociale.

2. — Noi lottiamo per il principio e per il fatto dell’Autorità, della Tradizione, dell’Ordine religioso e sociale nel senso cattolico della parola e nelle sue deduzioni logiche.

3. — Noi consideriamo come piaghe nel corpo umano della Chiesa lo spirito e il fatto del liberalismo e del democratismo cosiddetti cattolici, come del Modernismo intellettuale e pratico, radicale o moderato, con le loro conseguenze.

4. – Nel caso pratico della disciplina cattolica, noi veneriamo e seguiamo i Vescovi, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio, sotto la direzione ed il controllo del Vicario di Cristo, col quale noi vogliamo sempre essere, prima di tutto e malgrado tutto.

5. —La natura della Chiesa cattolica c’insegna, e la sua storia ci conferma, che la Santa Sede è il centro vitale del cattolicismo: per ciò stesso, da un certo punto di vista e specialmente in alcune circostanze, il contegno momentaneo della Santa Sede è altresì la risultante della situazione religiosa e sociale. Così noi comprendiamo pienamente come Roma possa talvolta tacere ed attendere, in vista della situazione stessa, quale nel momento si presenta. In tali casi noi ci guarderemo bene dal prenderne pretesto per restare inattivi davanti ai danni ed ai pericoli della situazione.
Dacché abbiamo compresa e sicuramente controllata, in ogni caso, la realtà delle cose, noi agiamo nel miglior modo possibile contro quei danni e pericoli, sempre e dovunque secondo la volontà e il desiderio del Papa.

6. — Nella nostra osservazione ed azione noi ci mettiamo soprattutto dal punto di vista «cattolico», cioè universale, — sia nel tempo, attraverso i differenti momenti storici – sia nello spazio, attraverso tutti i paesi.
Noi sappiamo che nelle contingenze momentanee e locali, c’è sempre, almeno nel fondo, la lotta secolare e cosmopolita fra le due grandi forze organiche: da un lato, l’unica Chiesa di Dio, Cattolica-Romana, dall’altro i suoi nemici interni ed esterni. Gli esterni (le sètte giudeo-massoniche ed i loro alleati diretti) sono nelle mani del Potere centrale della Sètta; gl’interni (modernisti, demoliberali, ecc.) gli servono d’istrumento cosciente o incosciente per l’infiltrazione e la decomposizione tra i cattolici.

7. —Noi combattiamo la Sètta interna ed esterna, sempre e dovunque, sotto tutte le forme e con tutti i mezzi onesti ed opportuni.
Nelle persone dei settari interni ed esterni e dei loro complici noi combattiamo soltanto la realizzazione concreta della Sètta, della sua vita, della sua azione, dei suoi piani. Questo, intendiamo farlo senza alcun rancore verso i nostri fratelli traviati, come altresì senza alcuna debolezza e senza alcun equivoco,come un buon soldato tratta sul campo di battaglia quanti militano sotto lo stendardo nemico, i loro ausiliari ed i loro complici.

8. — Noi siamo pienamente: contro ogni tentativo di diminuire, di rendere secondarie, di dissimulare sistematicamente le rivendicazioni papali per la Questione Romana, di ostacolare l’influenza sociale del Papato, di far dominare il laicismo; per la rivendicazione instancabile della Questione Romana secondo i diritti e le direzioni della Santa Sede, e per uno sforzo continuo al fine di ricondurre, il più possibile, la vita sociale sotto l’influenza legittima e benefica del Papato ed, in genere, della Chiesa cattolica;

9. contro l’interconfessionalismo, il neutralismo e il minimismo religioso nell’organizzazione ed azione sociale, nell’insegnamento, come in ogni attività dell’individuo e della collettività, la quale dipende dalla vera morale, dunque dalla vera religione, dunque dalla Chiesa; per la confessionalità in tutti i casi previsti dal comma precedente; e se, in casi eccezionali e transitori, la Santa Sede tollera delle unioni interconfessionali, per l’applicazione coscienziosa e controllata di tale tolleranza eccezionale e per la sua durata ed estensione le più possibilmente ristrette, secondo le intenzioni della Santa Sede.

10. contro il sindacalismo apertamente o implicitamente «areligioso», neutro, amorale, che fatalmente conduce alla lotta anticristiana delle classi, secondo la legge brutale del più forte;
contro il democratismo anche quando si chiama cristiano, ma sempre più o
meno avvelenato da idee e fatti demagogici; contro il liberalismo, anche quando si chiama economico-sociale, che spinge col suo individualismo alla disgregazione sociale; per l’armonia cristiana delle classi fra loro, come fra l’individuo, la classe e la società intera;  per l’organizzazione corporativa della società cristiana secondo i principi e le tradizioni di giustizia e di carità sociale, insegnati e vissuti dalla Chiesa e dal mondo cattolico per molti secoli, e che perciò  sono perfettamente adattabili ad ogni epoca e società veramente civili;

11.contro il nazionalismo pagano che fa riscontro al sindacalismo areligioso (quello considerando le nazioni, come questo le classi, quali collettività di cui ciascuna può e deve fare amoralmente i propri interessi al di fuori e contro quelli degli altri, secondo la legge brutale di cui abbiamo parlato); e, nello stesso tempo,  contro l’antimilitarismo ed il pacifismo utopista, sfruttati dalle Sètte allo scopo d’indebolire e addormentare la società sotto l’incubo giudeo-massonico; per il patriottismo sano e morale, patriottismo cristiano  di cui la storia della Chiesa Cattolica ci ha dato sempre splendidi esempi.

12.contro il femminismo che esagera e snatura i diritti e i doveri della donna, mettendoli fuori della legge cristiana; contro  la coeducazione dei sessi; contro l’iniziazione sessuale della fanciullezza; per il miglioramento delle condizioni materiali e morali della donna, della gioventù, della famiglia secondo la dottrina e la tradizione cattolica.

13. contro la dottrina ed il fatto profondamente anticristiani della separazione fra la Chiesa e lo Stato, come fra la religione e la civiltà, la scienza, la letteratura, l’arte;
per l’unione leale e cordiale tanto della civiltà, della scienza, della letteratura, dell’arte quanto dello Stato, con la religione e perciò con la Chiesa.

14. contro l’insegnamento filosofico, dogmatico e biblico «modernizzato», il quale, anche quando non è prettamente modernista, si rende per lo meno uguale ad un insegnamento archeologico od anatomico, come se non si trattasse di una dottrina immortale e vivificatrice, che tutto il clero, senza eccezione, deve imparare soprattutto per il suo ministero sacerdotale; per  l’insegnamento ecclesiastico ispirato e guidato dalla gloriosa tradizione della Scolastica e dei Santi Dottori della Chiesa e dei migliori teologi del tempo della Contro—riforma, con tutti i seri sussidii del metodo e della documentazione scientifica.

15. — contro il falso misticismo a tendenze individualistiche ed illuministe;
per la vita spirituale, intensa e profonda, secondo l’insegnamento dottrinale e pratico dei Santi e degli autori mistici lodati dalla Chiesa.

16.— in genere, contro lo sfruttamento del clero e dell’azione cattolica da parte di qualsiasi partito politico o sociale, ed, in ispecie;
contro l’esagerazione «sociale» che si vuole inoculare al clero ed all’azione cattolica sotto pretesto di «uscire dalla sagrestia» per non rientrarvi che troppo raramente, o di nascosto, od almeno con lo spirito assorbito dal resto; per il mantenimento dell’azione ecclesiastica e rispettivamente della azione cattolica nel suo insieme sul terreno apertamente religioso, avanti tutto, e senza esagerazioni «sociali» o simili per il resto.

17. contro la mania o la debolezza di tanti cattolici, di voler apparire «coscienti ed evoluti, veramente del loro tempo», e bonarii di fronte al nemico brutale od ipocrita, ma sempre implacabile, pronti ad ostentare il loro tollerantismo, e ad arrossire, se non a dir male, degli atti di giusto rigore compiuti dalla Chiesa o per essa; pronti ad un ottimismo sistematico verso gli inganni degli avversari, e riservando le loro diffidenze e durezze per i Cattolici-Romani integrali; per un contegno giusto e conveniente, ma sempre franco, energico ed instancabile di fronte al nemico, alle sue violenze e alle sue astuzie.

18.contro tutto quanto è opposto alla dottrina, alla tradizione, alla disciplina, al sentimento del cattolicesimo integralmente romano;
per tutto quanto gli è conforme.

#    #    #

Il Sodalitium Planum di mons Benigni, incoraggiato da Papa Pio X, è da applicarsi oggi interamente dai veri Cattolici -pusillus grex- con un aggiornamento, o meglio una puntualizzazione che riguarda la necessità ineludibile dell’attacamento speciale alla Santa Sede, al Santo Padre, alla Gerarchia “eclissata” sì, ma VIVA, e in AZIONE costante, con il sostegno continuo, in primo luogo mediante la preghiera. E poichè Nostro Signore Gesù Cristo ci ha comandato di pregare soprattutto per i nemici, invitiamo i Cattolici veri “una cum” Gregorio XVIII a pregare per gli apostati del Novus ordo, per gli eretici e gli scismatici sedevacantisti e delle Fraternià paramassoniche procedenti dai cavalieri kadosh, per gli iscritti alle conventicole di tutto il mondo, in particolare per i 33° e gli Illuminati e, con particolare intensità, per i cabalisti-talmudisti e coloro che, al servizio di lucifero, odiano Dio, il suo Cristo e tutti gli uomini …

… et IPSA conteret caput eorum!

DOMENICA QUARTA DOPO PASQUA [2018]

 

DOMENICA QUARTA dopo PASQUA [2018]

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus Ps CXVII:1; XCVII:2

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Salvávit sibi déxtera ejus: et bráchium sanctum ejus. [Gli diedero la vittoria la sua destra e il suo santo braccio.]

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui fidélium mentes uníus éfficis voluntátis: da pópulis tuis id amáre quod praecipis, id desideráre quod promíttis; ut inter mundánas varietátes ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gáudia. [O Dio, che rendi di un sol volere gli animi dei fedeli: concedi ai tuoi popoli di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti; affinché, in mezzo al fluttuare delle umane vicende, i nostri cuori siano fissi laddove sono le vere gioie.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli. Jac. I: 17-21.

“Caríssimi: Omne datum óptimum, et omne donum perféctum desúrsum est, descéndens a Patre lúminum, apud quem non est transmutátio nec vicissitúdinis obumbrátio. Voluntárie enim génuit nos verbo veritátis, ut simus inítium áliquod creatúræ ejus. Scitis, fratres mei dilectíssimi. Sit autem omnis homo velox ad audiéndum: tardus autem ad loquéndum et tardus ad iram. Ira enim viri justítiam Dei non operátur. Propter quod abjiciéntes omnem immundítiam et abundántiam malítiæ, in mansuetúdine suscípite ínsitum verbum, quod potest salváre ánimas vestras

 [Mons. Bonomelli, Nuovo saggio di Omelie – vol. II; Marietti ed. Torino 1899, impr.]

Omelia XXI.

 “Ogni buon dono ed ogni perfetto presente viene dall’alto, discendendo dal Padre dei lumi, presso il quale non vi è mutamento, od ombra di vicende. Egli di sua volontà ci ha generati colla parola di verità, affinché in certo modo fossimo la primizie dell’opera sua. Intendetelo bene, fratelli miei diletti. Ognuno sia pronto ad udire, tardo al parlare, lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non fa quello che è giusto dinanzi a Dio. Perciò smessa ogni bruttura e malvagità, accogliete docilmente la parola seminata in voi, la quale può salvare le anime vostre „ (S. Giacomo, I; 17-21).Queste poche sentenze leggiamo nella Messa odierna e si trovano nella epistola di S. Giacomo. Se non erro, è questa la prima volta che mi accade di dover togliere a soggetto dell’omelia un tratto di questa lettera. Essa, come si legge a principio, fu scritta da S. Giacomo apostolo. Son due gli Apostoli di questo nome; il primo, detto il Maggiore, fratello di Giovanni e figliuolo di Zebedeo, ed uno dei tre prediletti da Cristo. Questi fu messo a morte da Erode Agrippa, dieci anni dopo l’Ascensione di nostro Signore, l’anno 42 dell’era nostra. L’altro, detto il Minore, forse per ragione dell’età, figliuolo di Alfeo o Cleofa e di Maria, sorella o cugina della Vergine, e perciò detto fratello di Cristo, ossia cugino. Visse sempre in Gerusalemme, ne fu il primo vescovo, venerato per la sua santità anche dai Giudei, ebbe la corona del martirio l’anno 62 dell’era nostra, ad istigazione del pontefice Anano, otto anni prima dello sterminio di Gerusalemme. La lettera è di questo apostolo e fu indirizzata, non molto prima della sua morte, a tutti i Giudei convertiti e sparsi in varie provincie. Il suo scopo è tutto pratico e morale e riflette mirabilmente il fare degli Evangeli e mostra la perfetta opposizione, che esiste tra Dio ed il mondo, l’amore dell’uno e dell’altro. Sembra anche, per avviso di alcuni autorevoli interpreti, che S. Giacomo si proponesse in questa lettera di correggere l’abuso, che per molti si faceva della lettera di S. Paolo ai Romani. Interpretando male quella lettera, essi dicevano che la sola fede bastava a salute senza le opere, mentre san Paolo aveva insegnato soltanto che nessuno, né Giudeo, né Gentile, poteva con le opere meritare il dono della fede. S. Giacomo stabilisce che la fede senza le opere è morta, e che queste sono necessarie alla salvezza. Premesse queste comuni e non inutili avvertenze, io tolgo a chiosare i cinque versetti, che or ora ho voltato nella nostra lingua.«Ogni buon dono ed ogni perfetto presente, viene dall’alto, discendendo dal Padre dei lumi. „ Nei versetti che precedono, san Giacomo parla della concupiscenza e del peccato, che ne è il figlio e che genera la morte dell’anima. Ecco il mondo e l’opera del mondo: a questa l’Apostolo contrappone il dono e l’opera di Dio, che produce la vita, e dice: “Ogni dono, ogni grazia perfetta non viene dal basso, dalla terra, ma discende dall’alto, discende da Dio, Padre e fonte d’ogni lume e d’ogni verità. „ Vi è un doppio ordine di beni o doni, che vengono da Dio: i beni dell’ordine naturale, che sono la vita, la ragione, la libertà e tutto ciò che conserva la vita e svolge le sue forze o facoltà: i beni dell’ordine sopranaturale, che sono la grazia, la fede e andate dicendo. Di quali doni scrive qui S. Giacomo? Di tutti, io credo, perché tutti provengono da Dio, ma certamente intende parlare dei sovranaturali in particolar modo, perché più eccellenti, e di questi soli ragiona nel versetto che segue. Miei cari! come i raggi della luce emanano dal sole e con essi il calore, che avviva ogni cosa sulla terra, così tutti i beni sgorgano da Dio ed incessantemente si spargono sulle anime per fecondarle, abbellirle e santificarle. Tutti i beni derivano da Dio! Ma forse, donando continuamente a tutti, Dio si muta? Forse perde alcun che dell’essere suo? Forse passa sopra di Lui un’ombra sola d’imperfezione? No, mai. Egli dà sempre e nulla perde opera sempre e non si muta, tutto muove e non si muove. Egli è come la verità: essa è sempre la stessa: conosciuta da milioni di intelligenze in vari modi e applicata in tutte le forme, è sempre la stessa in tutti i luoghi ed in tutti i secoli passati, presenti e futuri. In cielo, in terra, corpi e spiriti, intelligenze e volontà acquistano o perdono, risplendono, si eclissano e si mutano, Dio solo è immutabile. « Presso di lui, grida S. Giacomo, non vi è mutamento, non ombra di vicende. „ A noi torna difficile concepire come Dio operi sempre e disponga ogni cosa, eppure non si muti. Io vi presenterò un fatto naturale, certissimo, che ci aiuterà a concepire l’immutabilità e la continua azione di Dio. Voi sapete che la terra e gli astri tutti del nostro sistema si muovono intorno al sole. Chi li muove incessantemente? Il sole con la forza, che dicono di attrazione. E il sole è immobile nel loro centro: esso tutti li muove in ogni istante e li illumina e li riscalda sempre egualmente, ed essi si muovono sempre e sempre sono illuminati e riscaldati variamente secondo i vari punti, in cui si trovano. Così Dio è immutabile in sé e muta le cose tutte. Non comprendete il mistero? Spiegatemi come il sole immutabile nel centro muti gli astri tutti, ed io vi spiegherò come Dio immutabile nella sua natura possa mutare le cose. S. Giacomo ha detto in genere, che Dio è fonte d’ogni dono, d’ogni grazia perfetta: ora passa a menzionarne una principalissima, che ne comprende molte altre. Udite: ” Dio, così Egli, di sua volontà, ci generò con la parola di verità. „ Dio Padre, della sua stessa sostanza, da tutta l’eternità genera il Figliuol suo in ogni cosa a sé eguale: questo Figliuolo, unico come unico è il Padre, è l’immagine perfetta e sostanziale di Colui che lo genera, è l’oggetto delle eterne sue compiacenze, lo specchio, in cui contempla se stesso e si bea e si letizia. Ma piacque a Dio formarsi altri figli fuori di sè, che fossero l’immagine del Figliuol suo, che in qualche modo crescessero e rispecchiassero le sue infinite perfezioni: tra questi figli di Dio, dopo gli Angeli, sono gli uomini. – E come forma noi, poveri uomini, suoi figli? Forse ci genera della sua sostanza, come l’eterno Figliuol suo? No, sarebbe empietà il dirlo e cosa impossibile: noi siamo creati dal nulla, e chi è creato dal nulla non può essere eguale a Dio. Come dunque? Dio ci fa suoi figliuoli, non per generazione naturale, ma per adozione. Che cosa è questa adozione ? È forse come quella che avviene tra gli uomini? No: l’adozione che avviene tra gli uomini non mette nulla del padre adottante nel figlio adottato, doveché l’adozione divina mette in noi una forza, una qualità, un elemento divino. – Spieghiamoci meglio. Un pittore ritrae sulla tela una figura, uno scultore effigia sul marmo una statua: che fanno essi? Imprimono sulla tela o nel marmo una immagine: quella immagine donde la traggono? Certamente dalla loro mente, dalla loro anima. Quella immagine, pur rimanendo nella mente e nell’anima del pittore e dello scultore, si è impressa e stampata nella figura e nella statua e forma con essa una cosa sola ed è divenuta l’immagine esterna dell’immagine interna dell’artista, ed in qualche senso si può dire che la figura e la statua sono figlie dell’artista stesso e si chiamano “parto del suo genio”. Meglio ancora, o carissimi: un maestro ha intorno a sé una bella corona di figliuoli, che l’ascoltano: il maestro li istruisce a poco a poco. Non è egli vero, che il maestro, istruendo quei figliuoli, piglia le cose o verità che insegna, e mediante la parola, le viene acconciamente travasando dalla propria nella loro tenera intelligenza, senza che egli nulla ne perda? Non è egli vero, che il maestro in tal modo viene ritraendo se stesso nei discepoli, e ponendo in loro ciò che ha di più proprio in sé, cioè le sue idee, la sua mente? Non è egli vero che in quei fanciulli il maestro ritrarrà se stesso, ed essi saranno sue immagini più o meno fedeli e formeranno la sua gioia, la sua gloria? Non è egli vero che quei fanciulli in qualche senso si potranno dire del maestro, perché nello spirito formati a sua immagine? Ciò è sì vero, che i nomi di maestro e di discepolo, di padre e di figlio si scambiano, perché, se non eguali, sono somigliantissimi. – Voi ora potete alcun poco intendere la nostra adozione in figli di Dio, accennata da san Giacomo. Dio ci adotta come figli, ma non mai come un padre adotta un figlio qualunque senza comunicargli nulla del proprio: Dio fa come e più assai del pittore, dello scultore con i lavori delle loro mani, del maestro con i suoi scolari: con la parola comunica alle anime nostre le eterne verità che emanano da Lui e le stampa in esse per modo che vi restano e diventano la loro forma. Non è tutto: Dio versa nelle anime nostre la sua grazia, specialmente con i Sacramenti: essa le penetra, le investe, come l’acqua, come il calore penetrano i corpi, e le viene trasformando mirabilmente. Come sotto la mano dell’artista la figura e la statua acquistano a poco a poco la forma da lui vagheggiata, e sotto la parola e l’azione del maestro i fanciulli acquistano la fisionomia intellettuale e morale da lui voluta, così sotto la luce della verità evangelica, annunziata dalla Chiesa, e sotto l’azione della grazia interna che Dio largisce in tanti modi, l’anima riceve l’immagine, i lineamenti di Gesù Cristo medesimo, divien simile a Lui, e si dice ed è figlio di Dio: “Ut filii Dei nominemur et simus”. – Questa adozione, generazione o rigenerazione, che Dio opera in noi, è il capolavoro della sua sapienza, è la sua gloria più bella fuori di sé, e qui S. Giacomo la chiama volontaria — “Voluntarie genuit nos verbo veritatis”,— per distinguerla dalla naturale, necessaria ed eterna, con la quale Dio Padre produce il suo Figliuolo unigenito. La nostra adozione in figli di Dio è dono della bontà sua, tutto suo dono, giacche a tanto onore non aveva diritto di sorta la nostra natura, né potevamo avere ombra di merito. È dunque nostro dovere riconoscere l’alto beneficio ricevuto, ringraziare Iddio e mostrare la nostra gratitudine con la più fedele corrispondenza. Dio, con la predicazione evangelica, ci ha chiamati alla dignità di suoi figliuoli, ed in tal modo, continua S. Giacomo, ci ha fatto l’onore insigne d’essere la primizie dell’opera sua, cioè della sua Chiesa: “Ut simus initium aliquod creatura ejus”. Tutte le cose che esistono in cielo ed in terra sono opere della mano di Dio, perché d’ogni cosa Egli è Creatore; ma quelle creature si dicono specialmente sue, nelle quali più bella e più perfetta riluce la sua immagine e somiglianza: tali sono in cielo gli Angeli e sulla terra gli uomini, che mercé il Battesimo fanno parte dell’ovile, della famiglia di Gesù Cristo, che è la Chiesa. Questa è la sposa di Gesù Cristo, che Gli genera i suoi figli, ed è l’opera sua per eccellenza. I Cristiani ai quali S. Giacomo scriveva, erano entrati per primi in questa Chiesa, primi dei suoi figli, e perciò meritatamente si dicono principio o primizie della sua conquista. Seguitiamo il commento. “Intendetelo bene, o fratelli diletti.„ Con queste parole l’apostolo richiama l’attenzione dei suoi lettori, e fa conoscere che la cosa che vuol dire è di grande importanza, e lo è veramente nella vita pratica. Sopra, nel quinto versetto di questo capo, S. Giacomo esorta i Cristiani a fare acquisto della verace sapienza con l’esercizio della preghiera e della pazienza nelle tentazioni: e qui passa, se ben vedo, a dare tre ammonimenti, che valgono non poco a far tesoro della sapienza: “Ogni uomo sia pronto ad udire, tardo a parlare e lento all’ira. „ Il mezzo più spedito e sicuro per apprendere qualunque scienza e la scienza stessa delle cose divine, egli è di ascoltare quelli che la insegnano. Senza dubbio il leggere i libri che ne trattano o il meditare da sé le cose, sono mezzi utilissimi per apprendere; ma non tutti hanno tempo, ingegno e volontà ferma per studiare sui libri e meditare da sé e giungere con sicurezza e presto, per queste vie, al conoscimento della verità, mentrechè tutti possono ascoltare chi le annunzia e impararle con facilità e senza pericolo di errare. Gesù Cristo, volendo ammaestrare tutti gli uomini nelle verità della fede, non disse agli Apostoli ed ai discepoli: “andate, scrivete, dettate libri”, ma disse: “Andate, predicate, ammaestrate!” — E S. Paolo ci fa sapere che la fede viene dall’udito, cioè dalla parola predicata. È questo il mezzo per eccellenza che genera e nutre la fede nelle anime nostre, la parola di Dio. Sia dunque ognuno di voi pronto ad udire quelli che per ufficio vi ammaestrano. La scuola delle verità celesti è sempre aperta a tutti, ed è questa Chiesa; noi, che abbiamo il dovere di annunziarle, faremo del nostro meglio per adempirlo, e voi venite sempre e prontamente ad udirle. Che se dobbiamo essere pronti ad udire, secondo l’Apostolo, dobbiamo essere tardi a parlare. — Perché questa differenza tra l’udire e il parlare? Perché con l’udire riceviamo la verità, con il parlare la partecipiamo altrui, e prima di comunicare ad altri ciò che abbiamo appreso, si richiede che lo meditiamo attentamente, ed il conoscimento della nostra miseria ci persuade a preferire d’essere discepoli anziché farci maestri, come di sé scriveva sant’Agostino: “Io amo piuttosto imparare che insegnare — Ego plus amo discere quam ducere(Quæst. ad Ducitium). Di Maria non si legge che mai insegnasse se non con l’esempio, e si dice per contrario che ascoltava le parole di Gesù e le meditava in cuor suo: “Conservabat omnia verba hæc in corde suo” (Luca II, 51). Che più? Gesù, che venne per ammaestrarci, tacque fino ai trent’anni, e parlò solo per tre anni. La stessa natura, avverte S. Basilio, fa che dobbiamo essere pronti più ad udire che a parlare, perché se ci ha dato due orecchi, non ci ha dato che una sola lingua (De Verginitate), e il molto favellare non è senza colpa, è indizio d’animo leggero e stolto (Multum loqui stultitia est. S. Bernardus, De Interiori dono, c. 50), e recherà danno a se stesso. “Ognuno sia lento all’ira.„ Forse questa espressione si deve collegare con la antecedente in questa forma: Se vuol essere lento all’ira sia tardo a parlare —, e il senso è buono, perché generalmente è la lingua, come più innanzi dice ancora S. Giacomo, come una scintilla che appicca l’incendio, che è fonte funesta d’ogni male, che sparge un veleno mortifero. Ma questa sentenza si può pigliare anche separatamente e, in tal caso, essa suppone che talvolta si possa secondare anche l’ira, volendo soltanto l’Apostolo che siamo lenti, onde sta scritto: Sdegnatevi, ma non peccate —, cioè sdegnatevi contro il male, ma in guisa che non pecchiate, conservando sempre il pieno dominio sopra di voi stessi. S. Tommaso spiega assai bene questo luogo. Conviene distinguere, secondo il santo dottore, ira da ira. V’è un’ira che previene la ragione, che spinge ad operare senza riflettere, seguendo la passione, e questa è riprovevole, perché operare senza la guida della ragione, non è da uomo, ma da bruto; ma vi è un’ira, che è voluta, che è quasi un aiuto della ragione per operare, ne accresce le forze, e questa è buona; nobile è la santa indignazione, che proviamo alla vista del delitto, è lo zelo dei profeti, degli uomini di Dio, è quella ch’ebbe Cristo medesimo, del quale si dice nel Vangelo che un giorno, vedendo la perfidia dei Farisei, li guardò con ira: “Circumspexit eos cum ira” (S. Thom. p. 3, q. 15, a. 9). Non sia mai, o dilettissimi. che noi ci lasciamo strappare di mano le redini della ragione e ci rendiamo schiavi neppure per un istante della brutta passione, che è l’ira. Essa stia sempre ai cenni della ragione e a lei non comandi, ma obbedisca, come il destriero ubbidisce al cavaliere. L’uomo, dice lo Spirito Santo, che raffrena l’ira, è più grande del conquistatore, perché vince se stesso.“Il perché, smessa ogni bruttura e malvagità, accogliete docilmente la parola seminata in voi, la quale può salvare le anime vostre: „ è questa l’ultima sentenza della nostra epistola. Dopo avere esortato i fedeli a stare in guardia contro l’ira, S. Giacomo li esorta in genere a bandire da sé qualunque passione, la gola, la lussuria, l’avarizia, l’invidia, comprese tutte in quella parola “ogni bruttura, omnem immundìtiam, ogni malvagità, che ribocca, et abundantìam malitiæ.„ E mondato il cuore, nettata l’anima di quelle sozzure, che devono essi fare? Allorché un vaso è purgato d’ogni feccia, lo si può riempire d’ogni liquore che sia buono: così devesi fare del vaso del nostro cuore. Purificato da tutte le immondezze dei peccato e delle passioni che lo insozzavano, con docilità di spirito e con amore, riceviamo e custodiamo in esso la verità e la grazie che sole possono salvare le anime nostre. La mente sia vuota dell’errore e ripiena di verità: il cuore sia sgombro d’ogni affetto sregolato e, come una coppa d’oro, vi accolga il preziosissimo liquore dell’amore divino.

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps CXVII:16. Déxtera Dómini fecit virtútem: déxtera Dómini exaltávit me. Allelúja [La destra del Signore operò grandi cose: la destra del Signore mi ha esaltato. Allelúia.]

Rom VI:9 Christus resúrgens ex mórtuis jam non móritur: mors illi ultra non dominábitur. Allelúja. [Cristo, risorto da morte, non muore più: la morte non ha più potere su di Lui. Allelúia]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XVI:5-14 In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia hæc locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: expédit vobis, ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício. De peccáto quidem, quia non credidérunt in me: de justítia vero, quia ad Patrem vado, et jam non vidébitis me: de judício autem, quia princeps hujus mundi jam judicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quæcúmque áudiet, loquétur, et quæ ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

Omelia

[ut supra, omelia XXII]

“Ora vado a chi mi ha mandato, e nessuno di voi mi chiede: Dove vai tu? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha ricolmo il vostro cuore? Ma io vi dico la verità: è bene per voi che Io me ne vada, perché se Io non sarò andato, il Paraclito non verrà a voi; se partirò, ve lo manderò. E allorché Egli sarà venuto, convincerà il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio. Di peccato, perché non credettero in me; di giustizia, perché vado al Padre e già più non mi vedrete. In fine di giudizio, perchè il principe di questo mondo è già giudicato. Molte altre cose ho ancora a dirvi, ma per ora non ne siete capaci. Ma quando sarà venuto quegli, lo Spirito di verità, vi guiderà in ogni verità , perché non parlerà da se stesso, ma dirà quanto avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio e lo annunzierà a voi. Quanto ha il Padre è mio, perciò ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà „ (S. Giov. XVI). Anche questo tratto del Vangelo, come quello che vi spiegai la Domenica passata, è tolto da quel magnifico discorso dell’ultima cena e precisamente da quella parte di discorso, che Gesù tenne lungo la via dal cenacolo al Getsemani. L’argomento versa sulla necessità che Gesù se ne vada al Padre e mandi lo Spirito Santo, e tocca ciò che farà lo Spirito Santo allorché sarà venuto. Di qui potete comprendere quanto opportunamente la Chiesa ci metta innanzi queste parole di Gesù Cristo agli Apostoli: esse ci devono preparare a celebrare santamente la Pentecoste, alla quale siamo vicini. – Gesù Cristo, dopo avere ammoniti gli apostoli della prova terribile imminente, che era la sua morte si crudele: dopo aver loro predette le più feroci persecuzioni da parte degli uomini, affinché, quando fossero venute, se ne ricordassero e si confortassero, prosegue e dice: “Ora vado a chi mi ha mandato. „ Con queste parole, più volte ripetute, Gesù Cristo esprime tutto insieme la sua morte, la sua risurrezione e la sua ascensione al cielo, e specialmente  questa come termine ultimo della sua missione sulla terra, e come quella che lo separava sensibilmente dagli Apostoli, che voleva consolare. Dette queste parole, benché il Vangelo non lo dica, è da credere che il divin Maestro con breve pausa interrompesse il suo discorso aspettando che gli Apostoli domandassero qualche schiarimento e gli chiedessero, com’è naturale, dove se ne andasse (Nel capo XIII, 36 di questo Vangelo S. Pietro fece precisamente questa domanda a nostro Signore: “Signore,dove vai? „ E nostro Signore rispose: ” Dove Io vo, tu non puoi venire: verrai dopo. „ Come dunque qui Gesù Cristo si meraviglia e quasi si lagna che nessuno gli dica: Dove vai? Evidentemente tra la prima domanda di Pietro e la risposta di Cristo e quest’ultima domanda di Cristo dovette passare un certo tempo). Ma quelli afflitti, costernati, tacevano. Allora Gesù soggiunse: “Nessuno di voi mi chiede: Dove vai tu? Ma perché vi ho dette queste cose, cioè, che soffrirete grandi tribolazioni dopo che Io me ne sarò andato, voi siete sopraffatti dalla tristezza. „ È un linguaggio tutto spirante bontà, compatimento e calma divina quando si considera che usciva dalla bocca di chi sapeva con tutta certezza trovarsi al principio della sua passione e a pochi passi dal Calvario e dalla croce, sulla quale venti ore appresso doveva essere confitto. – Gesù, vedendo gli Apostoli muti, sconfortati e ripieni di tristezza, per consolarli, con accento di sicurezza e di sovrana autorità, ripigliò: ” Io vi dico la verità. „ Che fu un dire: “Ponete ben mente alle mie parole e il pensiero della imminente mia dipartita non vi affligga di soverchio: perché è bene per voi ch’Io me ne vada: Expedit vobis ut ego vadam, „ Voi non dovete cercare ciò che vi piace e vi diletta, voleva dire Cristo, ma si quello che giova; ora Io vi dico che a voi giova ch’Io vi lasci e me ne vada al Padre mio. — Come mai ciò, o divino Salvatore? Vedere voi e le opere vostre: udire le vostre parole, parole di verità e di vita, non è il sommo dei beni che possiamo avere? Stare con voi, possedere voi, toccare voi non è stare, non è possedere, non è toccare l’Uomo-Dio, la vita stessa? Come dunque potete dire che è bene per noi che ci lasciate? Voi ci diceste un giorno: “Beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete, che ascoltano le cose che voi ascoltate: molti re e profeti desiderarono di vedere ed udire ciò che voi vedete ed udite, e non le videro e non le udirono”, ed ora ci dite che sarà meglio per noi non vedervi, ne udirvi? Spiegatevi, o divino Maestro. — E si spiega e risponde nettamente così: ” S’Io non sarò andato, il Paraclito non verrà a voi: se poi me ne andrò, ve lo manderò.  Non vi è dubbio alcuno: qui Gesù Cristo parla della venuta dello Spirito Santo, chiamato Paraclito, che vuol dire consolatore o avvocato, e che doveva tenere il luogo di Gesù Cristo stesso, continuarne e compirne l’opera. Ora qual rapporto esiste tra l’andata di Cristo al cielo e la venuta dello Spirito Santo? Perché la venuta di questo era legata alla partenza di quello, e legata per modo che l’una esclude l’altra: “S’Io non sarò andato, il Paraclito non verrà a voi”? — Spiegando questo luogo del Vangelo, i Padri e gli interpreti ci danno parecchie ragioni, che riduco a due principali. Nessuno può mettere in dubbio che Gesù Cristo avrebbe potuto dare lo Spirito Santo agli Apostoli con tutta la pienezza, anche rimanendo sulla terra. Chi oserebbe negarlo? Ma era sua volontà che la venuta dello Spirito Santo sopra gli Apostoli e la piena loro trasformazione fosse l’ultimo frutto e come il culmine supremo della redenzione, ed il principio solenne della Chiesa e della sua vita in essa. – “Era dunque necessario, osserva S. Tommaso, che questa venuta dello Spirito Santo seguisse!” dopoché Cristo aveva compiuta la sua missione terrena con la Ascensione. Ritirandosi Egli dalla terra in modo visibile, doveva sottentrare, con la sua azione, lo Spirito Santo (S. Tommaso, p. 3. q. 57, a. 6). – Vi è anche un’altra ragione, toccata da molti e che è connessa con quella or’ora esposta, ed è questa: perché lo Spirito Santo potesse entrare con tutta la sua pienezza negli Apostoli, occorreva che la loro fede fosse ravvivata, e purificato perfettamente il loro cuore da ogni affetto che non fosse al tutto spirituale. Essi credevano fermamente in Gesù Cristo dopo la prova splendidissima della sua risurrezione; ma finché la loro fede aveva una prova palpabile nella vista di Gesù Cristo risorto era una fede, diciamo così, appoggiata un poco ai sensi: doveva elevarsi ancora e diventare affatto spirituale, appoggiandosi tutta all’autorità della parola del divino Maestro, e questo avvenne allorché Gesù Cristo tolse loro la vista della sua umana natura con l’Ascensione, avverandosi anche in loro ciò che disse a Tommaso: “Beati quelli che non hanno veduto ed hanno creduto. „ Similmente avvenne del loro affetto verso di Gesù Cristo; Lo amavano teneramente, ardentemente mentre Lo vedevano ed udivano; e come non avrebbero amato Lui sì buono, sì dolce, perfetto? Ma l’amor loro era come quello dei figli verso la madre: nella vista, nella parola di Gesù Cristo trovava un alimento santo sì, ma alcun poco sensibile: doveva trasformarsi in amore tutto puro e spirituale e, perché divenisse tale, conveniva fosse loro levata la vista dell’umanità di Gesù e Lo amassero invisibile, per sola e viva fede, e allora le loro menti e i loro cuori sarebbero fatti stanza degna di ricevere lo Spirito Santo in tutta la copia dei suoi doni. Sono queste le ragioni per le quali Gesù Cristo dice agli Apostoli quelle parole: “È bene per voi ch’Io me ne vada: perché se non sarò andato, il Paraclito non verrà a voi: se Io me n’andrò, lo manderò a voi. „ – E notate quella parola: ” Lo manderò a voi. „ Chi manderò a voi? Lo Spirito Santo, la terza Persona dell’augusta Trinità, ma come lo manderò? Non certo come  uomo, ma sì come Dio. Ma come Dio, Gesù Cristo, manda lo Spirito? Senza dubbio: come la Scrittura dice che il Padre manda il Figlio, così il Padre e il Figlio mandano lo Spirito Santo. E in qual senso si ha da intendere questo mandare del Padre e del Figlio? Per fermo non dovete credere che il Padre mandi il Figlio e il Padre e il Figlio mandino lo Spirito Santo come un superiore manda l’inferiore, un re il suo ministro, con movimento materiale, che sarebbe ridicolo ed empio, parlandosi di Persone, eguali, aventi la stessa sostanza e perciò egualmente infinite. Il Padre manda il Figlio in quantoché lo genera da sé “ab eterno“, e il Padre e il Figlio mandano lo Spirito Santo in quantochè lo producono: l’origine del Figlio dal Padre è detta missione eterna, ed eterna missione è pur l’origine dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio: la Persona divina poi, che ha l’origine o la missione eterna da un’altra Persona, si dice dalla medesima mandata anche esternamente, allorché esternamente si manifesta, perché la missione esterna segue l‘interna od eterna e ne è, per così dire, l’eco fedele, il riflesso visibile. E allorché questo Spirito Santo promesso sarà venuto, che cosa farà? Convincerà il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio. E che vogliono dire queste tre cose? Gesù Cristo medesimo si compiacque spiegarle: “Convincerà il mondo di peccato, „ cioè mostrerà che gli uomini, Ebrei e Gentili, ostinati nei loro errori, si resero rei d’un gran delitto, rifiutando fede a Gesù Cristo. È vero: la venuta dello Spirito Santo, che produce la trasformazione miracolosa degli Apostoli, che fonda la Chiesa e per mezzo della Chiesa perennemente annunzia all’universo la vita, i miracoli e la divinità di Gesù Cristo, è la condanna continua del mondo, è la prova, il grido incessante della fede, che predica sempre e da per tutto il delitto orrendo commesso dai figli d’Israele e il peccato di quanti a Gesù Cristo non ubbidiscono. Che altro è la Chiesa, se bene si considera, se non il testimonio indistruttibile della divinità di Gesù Cristo, del deicidio degli Ebrei e della ostinazione di quanti non credono in Lui? Ma non solo lo Spirito Santo, per mezzo della Chiesa, mette in luce il peccato del mondo, esso lo convince “di giustizia”, perché, dice Gesù Cristo, “Io me ne vo al Padre e non mi vedrete più. „ È una sentenza che fu variamente intesa e presenta non poche difficoltà: nondimeno l’interpretazione più naturale sembra questa: Gesù fu messo a morte come un malfattore, un falso profeta, un ribelle, anzi come un empio sacrilego, che osava dichiararsi Figlio di Dio: Gesù morì sotto il peso dei più orribili delitti appostigli e della morte più crudele che si possa immaginare: ecco il fatto pubblico, attestato dal Vangelo. Ma Gesù risorse: Gesù coronò la sua vita con l’Ascensione gloriosa in cielo: mandando lo Spirito Santo fondò la Chiesa, la più meravigliosa creazione della sua onnipotenza, che attraversa i secoli e riempie lo spazio, celebrando da per tutto le glorie di Gesù Cristo. La risurrezione pertanto, l’Ascensione di Gesù Cristo e sopra tutto la fondazione della Chiesa che crede in Gesù Cristo, spera in Lui, l’ama e l’adora senza vederlo, è la riparazione più grande dell’ingiustizia commessa contro di Lui, e perciò il mondo è convinto di giustizia, ossia è costretto a riconoscere la giustizia, che è resa a Cristo. In altre parole e più chiare: lo Spirito Santo mostrò che il mondo errò nella giustizia, attribuendola a chi non si doveva, e negandola a Cristo, cui si doveva. – Finalmente lo Spirito Santo convincerà il mondo  “di giudizio, perché il principe di questo mondo è già giudicato. „ Questo principe del mondo indubbiamente è satana, che prima di Cristo vi esercitò largamente e quasi senza contrasto la sua tirannica signoria: con la sua morte Gesù Cristo lo sconfisse e conquise, e con Lui e per Lui comincia la resurrezione dell’umanità. Il mondo dopo Cristo e dopo la venuta dello Spirito Santo e lo stabilimento della Chiesa, che è la stessa cosa, comincia a vedere la caduta degli idoli, la distruzione del paganesimo, la rovina, in una parola, del regno di satana, l’eseguimento della sentenza di Cristo: “Ora il principe di questo mondo è cacciato fuori”. – Ben è vero che questa cacciata del regno di satana, questo abbattimento del suo regno non è compiuto, ma è cominciato e prosegue, e il giudizio o la sentenza fulminata da Cristo, il mondo la può vedere in gran parte eseguita. “Molte cose, Cristo continua il suo discorso, ho a dirvi ancora, ma ora non ne siate capaci. „ Gesù Cristo come sapientissimo maestro, temperò sempre il suo insegnamento secondo la capacità degli Apostoli. Dio creatore e conservatore fa tutto gradatamente, seguendo la evoluzione naturale: Dio redentore opera allo stesso modo nell’ordine della grazia, e perciò Gesù Cristo non disse tutto ai suoi Apostoli da principio, ma quel solo di cui erano capaci. Ed è questa l’economia bellissima, che Dio continua nella sua Chiesa: Egli le ha affidato l’intero deposito delle verità rivelate: ma molte di queste, che erano come in germe, si svolgono a mano a mano sotto l’azione dello Spirito Santo e, secondo i tempi e le circostanze, risplendono di maggior luce fino ad ottenere il suggello della definizione. Ora, diceva Cristo, continuando il suo cammino, certe verità non le comprendete: non turbatevi: “Quando sarà venuto quegli, che è lo Spirito di verità, vi guiderà al conoscimento d’ogni verità „ per voi necessaria. Noi giungiamo al conoscimento della verità con lo studio, con l’ascoltare i maestri, col meditare: gli Apostoli vi giunsero guidati dallo Spirito Santo, rischiarati dalla sua luce, che disceso sopra di loro il dì delle Pentecoste, non li abbandonò più mai e li accompagnò in tutte le vicende della fortunosa loro vita. Questo Spirito di verità, che guidò gli Apostoli, guida e muove la Chiesa e non cesserà mai di scorgerla in mezzo alle lotte e alle prove, alle quali è sottoposta sulla terra. Gesù Cristo dice che lo Spirito Santo guiderà gli Apostoli al conoscimento d’ogni verità. Forseché lo Spirito Santo insegnò agli Apostoli le scienze matematiche, fisiche, astronomiche e andate dicendo? No sicuramente: Gesù Cristo non parlò mai di queste scienze umane, ma solo delle cose che riguardano Dio e la salvezza delle anime: Egli venne non per farci matematici e filosofi, dice un Padre, ma per farci suoi discepoli: non per dirci come è fatto il cielo, ma per insegnarci la via che vi conduce. Similmente lo Spirito Santo e la Chiesa dallo Spirito Santo guidata, non ha la missione di insegnare le scienze umane o di pronunciare sentenza sopra di esse direttamente: la sua missione è quella di Gesù Cristo stesso, condurre le anime al conoscimento delle verità necessarie alla salvezza. Delle altre non si occupa o solo indirettamente per illustrare o difendere il deposito sacro della fede. – Lo Spirito Santo guiderà gli Apostoli al conoscimento d’ogni verità, “perché non parlerà da se stesso. „ Come ciò? Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio e perciò tutto riceve da loro, onde tutto ciò che dirà od insegnerà agli Apostoli ed alla Chiesa viene dal Padre e dal Figlio e non può che ripetere che l’insegnamento stesso di Cristo, ossia, come dice Cristo stesso, “non può dire che ciò che ascolta o riceve da me e dal Padre. „ In queste parole pertanto Gesù Cristo in termini afferma che lo Spirito Santo procede da Lui, perché da Lui riceve la scienza, e ricevere la scienza è ricevere l’essenza, come insegna S. Agostino (Tract. 99). Vedo una difficoltà che si può fare, ed è questa: Gesù Cristo dice che lo Spirito Santo riceverà la scienza da Lui, in futuro: non può dunque intendersi della essenza che Egli riceve, perché questa è eterna e immanente: è dunque forza riferirla a quella scienza che lo Spirito Santo più tardi comunicherà agli Apostoli. – Nella spirazione dello Spirito Santo non v’è né futuro, né passato, ma tutto è presente, perché tutto è eterno, ma la Scrittura, adattandosi alla umana debolezza, usa ora il futuro, ora il passato anche per indicare il presente: qui poi usa il futuro perché l’opera dello Spirito Santo, ossia la scienza ch’Egli comunicherà agli Apostoli, benché la riceva in modo immanente e presente, si manifesterà quanto a noi nel futuro. E lo Spirito Santo, che vi ammaestrerà, ossia vi darà la scienza, che da me riceve con la sostanza, “vi annuncerà le cose future, „ dice Gesù Cristo. Egli vi farà conoscere le cose che avverranno a voi, secondo il bisogno, e vi farà conoscere soprattutto le verità eterne, i beni futuri, che un giorno possederete. “Egli, lo Spirito Santo, glorificherà me, perché piglierà del mio e ve lo annunzierà. „ Lo Spirito Santo illustrerà le vostre menti, vi farà conoscere la mia dottrina e la mia Persona, spanderà nelle anime vostre ogni abbondanza di grazia, e perciò renderà glorioso il mio nome sulla terra. L’opera dello Spirito Santo mostrerà la mia gloria, perché ciò ch’Egli fa, lo fa per me, e lo fa per me, perché riceve l’essenza da me com’Io la ricevo dal Padre. Qui pure Gesù Cristo in modo chiaro stabilisce, che lo Spirito Santo procede da Lui come procede dal Padre, affermando, ch’esso riceve del suo: ora una Persona divina che può mai ricevere da un’altra Persona, se non l’origine e la sostanza divina, e con essa ogni cosa? Il perché questa sola sentenza di nostro Signore basterebbe a mostrare la nostra fede nella processione dello Spirito Santo anche dal Figlio, verità che i Greci, nostri fratelli erranti, ostinatamente negano. Ho terminato il mio commento e la mia omelia, benché gli ultimi due versetti, che racchiudono il dogma della processione dello Spirito Santo anche dal Figlio, avrebbero richiesto una spiegazione più larga e più completa; ma la legge della discrezione me lo vieta.

Credo

Offertorium

Orémus Ps LXV:1-2; LXXXV:16

Jubiláte Deo, univérsa terra, psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja. [Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: venite e ascoltate, tutti voi che temete Iddio, e vi narrerò quanto il Signore ha fatto all’anima mia, allelúia.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrificii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes effecísti: præsta, quaesumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur. [O Dio, che per mezzo degli scambi venerandi di questo sacrificio ci rendesti partecipi dell’unica somma divinità: concedici, Te ne preghiamo, che come conosciamo la tua verità, così la conseguiamo mediante una buona condotta.]

Communio

Joann XVI:8

Cum vénerit Paráclitus Spíritus veritátis, ille árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício, allelúja, allelúja. [Quando verrà il Paràclito, Spirito di verità, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Adésto nobis, Dómine, Deus noster: ut per hæc, quæ fidéliter súmpsimus, et purgémur a vítiis et a perículis ómnibus eruámur. [Concédici, o Signore Dio nostro, che mediante questi misteri fedelmente ricevuti, siamo purificati dai nostri peccati e liberati da ogni pericolo.]

NESSUNO PUO’ SALVARSI AL DI FUORI DELLA CHIESA ROMANA

Pio IX: Nessuno si può salvare al di fuori della Chiesa romana 

Fonte: “IL DOGMA CATTOLICO”

Di Michael Müller, C.SS.R
New York, Cincinnati e Chicago:
FRATELLI BENZIGER

Stampatori per la Santa Sede Apostolica
Permissu Superiorum, 1888 d. C.

In un’allocazione tenuta da Pio IX. il 9 dicembre 1854, Sua Santità dice: “Non è senza dolore che abbiamo saputo di un altro, non meno pernicioso errore, che è stato diffuso in diverse parti dei paesi cattolici, ed è stato fatto proprio da molti cattolici, che sono dell’opinione che coloro che non sono membri della vera Chiesa di Cristo possano essere salvati. Quindi discutono spesso la questione riguardante il futuro destino e la condizione di coloro che muoiono senza aver professato la fede cattolica, e danno le ragioni più futili a sostegno della loro cattiva opinione …

È davvero di fede che nessuno può essere salvato al di fuori della Chiesa Apostolica Romana, che è l’unica arca della salvezza, e che colui che non è entrato in essa, perirà nel diluvio”.

Nella sua Lettera Enciclica, Quanto conficiamur, datata 10 agosto 1863, Papa Pio IX dice: “Devo menzionare e condannare di nuovo quel più pernicioso errore in cui vivono alcuni cattolici, che sono dell’opinione che quelle persone che vivono nell’errore e non hanno la vera fede, e siano separate dall’unità cattolica, possano ottenere la vita eterna. Ora questa opinione è molto contraria alla fede cattolica, come è evidente dalle semplici parole di Cristo: “.. Se non ascolterà la Chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano”. Matt. XIII, 17; colui che non crede, sarà condannato. “Marco, XVI, 16: “Colui che ti disprezza, disprezza me; e colui che mi disprezza, ha disprezzato Colui che mi ha mandato “. Luca, X, 16:” Colui che non crede, è già giudicato”. Giovanni, III. 18; “È di fede che, poiché c’è un solo Dio, così anche c’è una sola fede e un solo Battesimo. Andare al di là di questo nelle nostre dichiarazioni significa essere empi. ” (Allocuzione, 9 dicembre 1854.)

Il 18 giugno 1871, papa Pio IX, rispondendo a una delegazione francese guidata dal vescovo di Nevers, disse: “Figli miei, le mie parole devono esprimervi ciò che ho nel cuore. Ciò che affligge il vostro paese e gli impedisce di meritare le benedizioni di Dio, è la mescolanza di principi di cui ora parlerò e che non mi da pace. Ciò che temo non è la Comune di Parigi, quegli uomini miserabili, quei veri demoni dell’inferno che vagano sulla faccia della terra – no, non la Comune di Parigi temo; quello che temo è il cattolicesimo liberale…. L’ho detto più di quaranta volte, e ve lo ripeto ora, per l’amore che vi porto. La vera piaga della Francia è il cattolicesimo liberale, che si sforza di unire due principi, che si ripugnano l’un l’altro come il fuoco e l’acqua. Figli miei, vi scongiuro di astenervi da quelle dottrine che vi stanno distruggendo … se questo errore non viene fermato, porterà alla rovina della religione e della Francia”. In un breve, datato 9 luglio 1871, a Mons. De Segur, il Santo Padre dice: ” Non sono solo le sette infedeli che stanno cospirando contro la Chiesa e la Società che la Santa Sede ha spesso rimproverato, ma anche quegli uomini che, pensando di agire in buona fede e con rette intenzioni, sbagliano nel carezzare le dottrine liberali“. Il 28 luglio 1873, Sua Santità si espresse ancora così: “I membri della Società Cattolica di Quimper non corrono certo il rischio di essere allontanati dalla loro obbedienza alla Sede Apostolica dagli scritti e dagli sforzi dei nemici dichiarati della Chiesa, ma possono scivolare giù per il pendio di quelle cosiddette opinioni liberali che sono state adottate da molti cattolici, per altro onesti e devoti, che, per l’influenza del loro carattere religioso, possono facilmente esercitare un potente ascendente sugli uomini, e portarli ad Opinioni molto perniciose. Dì, dunque, ai membri della Società Cattolica, che nelle numerose occasioni in cui abbiamo censurato coloro che hanno opinioni liberali, non intendevamo quelli che odiano la Chiesa, che sarebbe stato cosa inutile da riprovare, ma piuttosto quelli che abbiamo appena descritto: quegli uomini preservano e alimentano il veleno nascosto dei principi liberali, che hanno succhiato come latte della loro educazione, facendo finta che quei principi non siano infetti dalla malizia, e non possano interferire con la religione; così instillano questo veleno nella mente degli uomini e propagano i germi di quelle perturbazioni con le quali il mondo è stato a lungo oppresso “.

(Una vero est fidelium universalis Ecclesia, extra quam nullus omnino salvatur)

Una, è la Chiesa universale dei fedeli, fuori dalla quale nessuno assolutamente si salva …”

– (Quarto Concilio Lateranense,  1215, Costit. I: De fide Catholica) –