L’ANNO ECCLESIASTICO

DIVISIONE DELL’ANNO ECCLESIASTICO.

(Messale Romano di Bertola e De Stefani; L.I.C.E. Ed. – Torino, 1950)

L’anno ecclesiastico comincia con la prima Domenica d’Avvento e finisce il Sabato che segue l’ultima Domenica dopo Pentecoste. Si compone di stagioni o Tempi liturgici chiamati Ciclo del tempo o Proprio del Tempo. Il suo scopo è di mostrarci nostro Signore nel quadro tradizionale dei grandi misteri della nostra Religione. – Contemporaneamente a questo ciclo se ne svolge un altro che è secondario: lo si chiama Ciclo del Santi o Proprio dei Santi, perché si compone di tutte le feste delle anime sante, che Dio associò a Gesù nell’opera della Redenzione.

I. — CICLO DEL TEMPO.

Questo ciclo è diviso in due parti che sono il ciclo di Natale e il ciclo di Pasqua. Ognuno di essi si suddivide a sua volta in tre tempi: l’uno precede, l’altro accompagna, il terzo segue queste due grandi feste, ed hanno il fine di prepararvi l’animo, di farle celebrare solennemente e dì prolungarle poi per parecchie settimane.

A. — Il Ciclo di Natale o dell’Incarnazione.

1) Il Tempo d’Avvento (dal latino adventus), si compone di 4 settimane che ci fanno aspirare coi Patriarchi e i Profeti alla venuta del Salvatore.

2) Il Tempo di Natale ci presenta la Nascita del Verbo Incarnato, che si riproduce in noi con la grazia e la sua Epifania o manifestazione al mondo.

3) Il Tempo dopo l’Epifania conta da due a sei settimane, che ci ricordano la vita nascosta di Nazaret e ci manifestano la sua Divinità.

B. — Ciclo di Pasqua o della Redenzione. Questo ciclo essendo dipendente dalla luna pasquale, comincia fra queste date, estreme, del 18 Gennaio e del 22 Febbraio.

La festa di Pasqua, centro di tutto l’anno, si celebra sempre nella domenica dopo il 14° giorno della luna di marzo. Si conta questo 14° giorno a partire dal 21 marzo. Se la luna piena fosse prima del 21, la luna pasquale sarebbe la seguente: donde uno sbalzo talvolta d’un mese; cioè Pasqua si celebra fra le date estreme del 22 marzo e de! 25 aprile.

1) Nove settimane preparano alla grande festa di Pasqua. E  sono divise in tre Tempi:

a) Il Tempo della Settuagesima, che dura tre settimane, ci prepara già in qualche modo al mistero pasquale, e, con la Quaresima che viene dopo, ci dà una sintesi della vita pubblica di Gesù.

b) Il Tempo della Quaresima, che comincia il mercoledì delle ceneri, ci fa partecipare mediante 40 giorni di penitenza, al digiuno di 40 giorni di nostro Signore nel deserto ed alla sua vita apostolica.

c) Il Tempo della Passione, che comprende le due ultime settimane di Quaresima, ci mostra durante 15 giorni le ultime sofferenze di Cristo e la sua agonia sulla Croce, affinché noi possiamo morire con Lui ai nostri peccati.

2) Il Tempo Pasquale ci fa celebrare la più grande fra tutte le feste: Pasqua e la sua ottava privilegiata, affinché la nostra anima risusciti con Cristo e viva, durante le cinque settimane seguenti con Gesù che istituisce la Chiesa e sale al Cielo nel giorno dell’Ascensione. La festa di Pentecoste viene a chiudere questo Tempo con la discesa dello Spirito Santo nelle nostre anime.

3) Il Tempo dopo la Pentecoste ci mostra per 24 o 28 domeniche le fioriture di santità che lo Spirito Santo e l’Eucarestia faranno nascere nella Chiesa e nei suoi Santi sino alla fine del mondo, epoca questa ricordata dalla ventiquattresima domenica dopo Pentecoste.

II. — CICLO DEI SANTI.

Pio X, nella sua bolla Divino Afflatu, ci indica la gerarchia che dobbiamo osservare nella celebrazione delle feste dei Santi che vengono ad intercalarsi, nel corso dell’anno, fra i grandi misteri del ciclo Cristologico.

Il primo posto è per la Madonna.

Poi vengono i Santi Angeli; e quindi, conforme all’ufficio più o meno intimo ch’essi ebbero nel piano dell’Incarnazione, S. Giovanni Battista, precursore del Messia; S. Giuseppe, S. Pietro e S. Paolo e gli altri Apostoli il cui culto era una volta solenne.

Le feste dei Santi d’una Nazione, d’una Diocesi, d’un Paese, d’una Parrocchia, d’un Ordine o Congregazione religiosa sono pure elevati al primo grado per la riconoscenza dovuta a questi Santi Protettori.

Vengono quindi le feste della Dedicazione delle chiese, e quelle dei Martiri, dei Pontefici (cioè dei Papi o Vescovi), dei Dottori (cioè dei Padri della Chiesa, interpreti più autorizzati della parola divina), dei Confessori (di quelli cioè che con la loro vita e con le loro dottrine hanno reso testimonianza a Dio), delle Vergini e delle Sante Donne. – Le più importantie numerose solennità di questo ciclo mattono, per il posto che occupano – specialmente nel tempo dopo la Pentecoste – in piena luce il ciclo riservato a Gesù, poiché è mediante Cristo che il mondo dev’essere ricostruito: «instaurare omnia in Christo».

 

1. — DELLA OCCORRENZA E DELLA CONCORRENZA DELLE FESTE.

Da questo movimento simultaneo del ciclo del Tempo e del ciclo dei Santi nascono incontri di feste del Tempo e dei Santi che prendono il nome di occorrenza, quando due feste sono assegnate al medesimo giorno, e di concorrenza, quando i secondi Vespri di una festa si incontrano con i primi Vespri della seguente. ( I primi Vespri si dicono la vigilia ed i secondi nel giorno della festa).

Nel caso di occorrenza, la festa meno privilegiata cede all’altra, nel caso di concorrenza la più degna prevale sull’altra e se esse sono dello stesso grado, si dividono i Vespri, cioè a cominciare dal Capitolo i Vespri sono del giorno seguente.

2. — DEL RITO E DEI GRADI DELLE FESTE.

Le feste assegnate a ciascun giorno dell’anno non sono uguali in importanza e in solennità. La Chiesa stabilisce la loro dignità con un rito speciale e con gradi differenti. Il rito di una festa consiste nella forma che la costituisce. E sono tre principali:

1° Il rito doppio, così chiamato perché si raddoppiano le antifone ripetendole cioè per intero sia prima che dopo ciascun salmo dell’Ufficio.

— Nelle Messe di questo rito (a meno che non vi siano commemorazioni di uno o più santi) non vi è che una sola orazione.

2° Il rito semidoppio, nel quale prima del salmo non si dice che l’inizio dell’antìfona (la quale sarà poi detta interamente dopo il salmo). Nelle Messe di questo rito vi sono sempre tre orazioni.

3° Il rito semplice.

I gradi di una festa consistono nella maggiore o minore solennità che le conviene.

Perciò si distinguono:

I doppi di prima classe

I doppi di seconda classe

I doppi maggiori

I semidoppi

I doppi minori

I semplici

3. — LE DOMENICHE DI PRIMA E DI SECONDA CLASSE

LE DOMENICHE ORDINARIE,

a) Le Domeniche di prima classe sono:

la prima Domenica d’Avvento e le 4 Domeniche di Quaresima;

la Domenica di Passione e la Domenica delle Palme;

la Domenica di Pasqua;

la Domenica in Albis (prima dopo Pasqua);

la Domenica di Pentecoste.

Queste dieci Domeniche non cedono il posto a nessun’altra Festa.

  1. b) Le Domeniche di seconda classe sono:

La seconda, la terza e quarta di Avvento;

Le Domeniche di Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima

Queste Domeniche non cedono il posto che ai doppi di prima classe;

c) Le altre Domeniche dell’anno cedono il posto alle Feste di prima e di seconda classe, come pure alle Feste di nostro Signore, ma prevalgono sopra ogni altro Doppio maggiore o minore e semidoppio. La Feste doppie sono allora semplificate: se ne fa solamente commemorazione alla Messa e nell’Ufficio.

4. — LE OTTAVE PRIVILEGIATE COMUNI E SEMPLICI.

Se il rito doppio di prima classe ha l’Ottava questa può esse

I.Una ottava privilegiata

a) di primo ordine (Pasqua e Pentecoste), durante la quale non è ammessa la celebrazione di nessun’altra festa, ma solo la commemorazione ed anche questa è esclusa nel lunedì e martedì.

b) di secondo ordine (Epifania e Corpus Domini) durante la quale si possono celebrare soltanto le feste di rito di prima classe e nel giorno Ottavo ammette solo una festa di prima classe, e nel giorno ottavo ammette solo una festa di prima classe della Chiesa universale. In questi casi si fa la commemorazione dell’Ottava.

c) di terzo ordine (Natale, Ascensione e il Sacro Cuore) che giorni durante l’Ottava ammette tutte le feste superiori al semplice, ma nel giorno Ottavo non cede che a una festa di prima e di seconda classe. Si fa sempre commemorazione dell’Ottava.

II. — Una Ottava comune.

Hanno questa Ottava:

1° le seguenti feste della Chiesa universale: Immacolata Concezione; Assunzione; Natività di S. Giovanni Battista; Solennità di San Giuseppe; Ss. Apostoli Pietro e Paolo; Tutti i Santi. – 2° Le feste primarie delle Chiese particolari. – 3° Per privilegio qualche altra festa. Questa Ottava ammette la celebrazione delle stesse feste che le Ottave privilegiate di terzo ordine. Si omette la memorazione dell’Ottava nei doppi di prima e seconda classe, non però nel giorno ottavo.

Quando il rito doppio di seconda classe ha l’Ottava, questa è:

Una Ottava semplice.

Dell’Ottava semplice si celebra solo il giorno ottavo e con rito semplice (S. Giovanni Ap., S. Stefano, ecc.). Se occorre una festa di rito superiore si fa la commemorazione, eccetto che nella festa

di rito di prima classe. .

5. — LE FERIE PRIVILEGIATE E NON PRIVILEGIATE.

Le ferie seno giorni liberi nei quali non si celebra alcuna festa. La Quaresima, che un tempo serviva di preparazione al Battesimo, amministrato nel giorno di Pasqua, possiede una Messa speciale per ogni Feria, cioè per ogni giorno della settimana. – Nelle ferie che non hanno Messa propria, si celebra la Messa della Domenica precedente.

a) Le ferie maggiori privilegiate sono:

Il Mercoledì delle Ceneri e tutti i giorni della Settimana Santa.

Queste ferie prevalgono su ogni altra festa.

b) Le ferie maggiori non privilegiate sono:

Quelle dell’Avvento, della Quaresima (dopo il Mercoledì delle Ceneri), di Passione (prima della Domenica delle Palme), delle Quattro Tempora dì Settembre ed il lunedì delle Rogazioni. Se ne fa sempre la commemorazione e si legge il loro Vangelo in fine della Messa.

In queste ferie, nelle Quattro Tempora dell’Avvento e nelle Vigilie Comuni (v. N° 6, b) se si fa l’Ufficio di un Doppio maggiore o minore o di un Semidoppio, nelle Messe private si può leggere la Messa della feria o della vigilia con la Commemorazione della festa, oppure la Messa della festa con la Commemorazione della feria o della vigilia.

La Commemorazione di tutti i fedeli Defunti esclude (anche se trasferita al giorno seguente, quando il 2 Novembre cade in Domenica) le Feste sia occorrenti che trasferite di qualsiasi rito.

6. — LE VIGILIE.

Le vigilie, o veglie, preparano con ufficio speciale la celebrazione della festa del giorno successivo. Alcune sono caratterizzate dalla penitenza e spesso da uffici più lunghi e dal colore violaceo dei parati. Vi sono vigilie:

a) Privilegiate:

di prima classe: vigilia di Natale e di Pentecoste che non cedono il posto a nessuna festa.

di seconda classe: vigilia dell’Epifania che non ammette che le feste di prima e seconda classe e di nostro Signore.

b) Comuni ordinarie: Apostoli, ecc.

7. LE MESSE VOTIVE.

Messe Votive si chiamano quelle che si celebrano, nei giorni prescritti dalle Rubriche, indipendentemente dall’Ufficio dei giorno e sono state istituite per soddisfare il voto o desiderio della stessa S. Chiesa, dei fedeli che le domandano, e del Celebrante medesimo.

#    #    #

DIVISIONE SCHEMATICA DELL’ANNO ECCLESIASTICO

A. — CICLO DI NATALE

MISTERO DELL’INCARNAZIONE.

PREPARAZIONE

(Par. Violacei)

I. Tempo di Avvento (dalla 1a Dom. di Avvento al 24 dicemb.) – 4 Domen.

CELEBRAZIONE

(Par. Bianchi)

Natale

Epifania

II.Tempo di Natale   (dal 24 dic. Al 13 gennaio)      2 Domen.

PROLUNGAMENTO.

(Par. Verdi)

III. Tempo dopo l’Epifania)    (dal 14 gennaio alla Settuagesima) 6 Dom.

 

B. — CICLO DI PASQUA.

MISTERO DELLA REDENZIONE.

PREPARAZIONE

(Par. Violacei)

I. remota (Tempo di Settuag.) da Settuagesima alle Ceneri 3 Domen.

II. prossima (Tempo di Quares.)  dalle Ceneri alla Dom. di Passion         4 Domen.

III. immediata (Tempo  di Passione ) dalla Dom. di Passione a Pasqua               2 Dom.

CELEBRAZIONE

IV. Pasqua (Par. Bianchi)

Pentecoste ed Ottava (Par. Rossi)

(Tempo Pasquale) da Pasqua alla Trinità – 7 Dom.

PROLUNGAMENTO

(Par. Verdi)

V. Tempo dopo Pentecoste dalla Trinità all’Avvento                   – Domen. 24

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE I MODERNISTI APOSTATI DI TORNO: FIDENTEM PIUMQUE ANIMUM DI S. S. LEONE XIII

Ancora una volta il Santo Padre Leone XIII, propone il Santo Rosario, come argomento di una sua lettera enciclica. Quella che può sembrare una “fissa”, in realtà, oggi soprattutto, si rivela come l’unico potentissimo rimedio dei nostri mali attuali, sociali, economici, materiali e soprattutto spirituali. Naturalmente parliamo del Santo Rosario pregato  nella Chiesa Cattolica, dai “veri” Cattolici uniti al Papa, S. S. Gregorio XVIII, successore del suo omonimo Gregorio XVII. Anche gli scismatici liberi-sedevacantisti, i tesisti anti-teologici del mezzo-Papa, i fallibilisti masso-gallicani, i settari della chiesa gnostico-satanica dell’uomo del Vaticano II, pregano con il Rosario, ma oltre che grazie materiali, che il Signore concede pure agli atei, ai miscredenti, ai massoni delle conventicole, ai maomettani e finanche al suo popolo deicida, il Signore non può concedere. Ci riferiamo alle grazie spirituali, quelle che riguardano la salvezza eterna, la perseveranza finale, la conservazione della fede Cattolica, la buona morte del penitente, il premio finale della corona immarcescibile in Paradiso … quelle si ottengono solo come “cittadini della Città di Dio”, la Chiesa Cattolica, ai quali soli la Vergine fa da Madre, avvocata e “acquedotto” di grazie, secondo la felice espressione di San Bernardo. Oggi tutti si affannano a trovare rimedi per ovviare ai mille gravissimi problemi della nostra era, rimedi che tutti, irrimediabilmente, si dimostrano inefficaci o addirittura peggiorativi. Leone XIII, per esperienza personale e come Vicario di Cristo, nonché Capo visibile della Chiesa, l’unica fondata dal Figlio di Maria Immacolata, ci ricorda invece che l’unico valido ed infallibile rimedio di tutti i mali dell’umanità, mali causati dall’azione del nemico infernale, comunque camuffato ed oggi in versione gay-clargy-man, è l’azione presso Dio della Vergine, sollecitata dalla preghiera a Lei più gradita: il Santo Rosario. Ed allora, dopo la lettura della lettera, approfittiamo pure noi di questa “arma potente” per sconfiggere i mali personali e della società in cui viviamo, senza dimenticare la speciale intenzione per la Gerarchia Cattolica ed il Santo Padre, Gregorio XVIII.

FIDENTEM PIUMQUE ANIMUM

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ


LEONE PP. XIII

Ai Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi ed altri Ordinari locali che hanno pace e comunione con la sede Apostolica.

Il Papa Leone XIII.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Abbiamo avuto spesso occasione, durante il Nostro sommo Pontificato, di dare pubbliche prove di quella fiducia e di quella pietà verso la santissima Vergine, che abbiamo nutrito fino dai più teneri anni, e che poi Ci siamo studiati di alimentare ed accrescere in tutta la Nostra vita. Infatti, essendoCi trovati in tempi infausti per la cristianità e pericolosi per la stessa società civile, abbiamo facilmente compreso quanto fosse utile raccomandare col massimo calore quel baluardo di salvezza e di pace che Dio, nella sua grande misericordia, volle dare all’umanità nella persona della sua augusta Madre, e che rese poi insigne nei fasti della Chiesa per una serie non interrotta di favorevoli avvenimenti. Molti popoli cattolici hanno corrisposto alle Nostre esortazioni e ai Nostri voti con sollecitudine, specialmente ravvivando la devozione verso il Rosario, con un’abbondante messe di splendidi frutti. Tuttavia Noi non possiamo desistere dall’esaltare la Madre di Dio, che è veramente “degnissima di ogni lode”, e dal raccomandare un tenero amore verso di lei, che è anche Madre degli uomini, e che è “piena di misericordia e piena di grazia”. Anzi, quanto più il Nostro animo, affaticato dalle sollecitudini apostoliche, sente avvicinarsi l’ora della partenza, tanto più fiduciosamente volge il suo sguardo a Colei che è come l’aurora benedetta, dalla quale sorse il giorno di una felicità e di una gioia senza tramonto. Ci rallegra, Venerabili Fratelli, il ricordo delle Lettere periodicamente scritte per raccomandare il Rosario, tanto gradito a Colei che si vuole onorare, e tanto utile a coloro che lo recitano bene; ma non è meno caro al Nostro cuore avere ancora la possibilità di riaffermare insistentemente il Nostro proposito, anche perché, ciò facendo, abbiamo un’ottima occasione per esortare paternamente le menti ed i cuori ad un sempre maggiore attaccamento alla religione, e per rinvigorire in essi la speranza delle ricompense immortali.  – Alla forma di preghiere della quale parliamo, fu posto l’appropriato nome di Rosario, quasi per esprimere nello stesso tempo il profumo delle rose e la grazia delle corone. Tale nome, mentre è indicatissimo a significare una devozione per onorare Colei che, giustamente, è salutata “Mistica Rosa” del Paradiso, e, cinta di una corona di stelle, è venerata come Regina dell’universo, sembra anche simboleggiare l’augurio delle gioie e delle ghirlande celesti offerte da Maria ai suoi devoti.  – E l’affermazione appare ancora più evidente, se si considera la natura del Rosario mariano. Nulla, infatti, ci è più raccomandato dai precetti e da gli esempi di Cristo Signore e degli Apostoli, quanto l’obbligo di invocare Dio e di supplicare il suo aiuto. I Padri poi e i Dottori della Chiesa insegnano che questo dovere è di tale importanza che invano confiderebbero di conseguire l’eterna salvezza coloro che lo trascurassero. Ma, sebbene chi prega, per la virtù stessa dell’orazione e per la promessa di Cristo, abbia la possibilità di impetrare le grazie divine, tuttavia, come tutti sanno, la preghiera trae la sua maggiore efficacia principalmente da due condizioni: dall’assidua perseveranza, e dall’unione di molti nella stessa orazione. La prima condizione viene messa chiaramente in evidenza dalle amorevoli insistenze di Cristo: “Chiedete, cercate, bussate” (Mt 7,7), a somiglianza di un ottimo padre, il quale vuole sì accogliere i desideri dei suoi figli, ma gode pure sentirsi da essi a lungo pregato, anzi quasi tormentato dalle loro suppliche, per legare sempre più strettamente a sé i loro cuori. Circa l’altra condizione, lo stesso Signore, in varie circostanze, ha proclamato: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio la concederà” perché “dove due o tre persone sono riunite nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,19-20). Da tale insegnamento trasse ispirazione quella vigorosa sentenza di Tertulliano: “Ci raccogliamo insieme in adunanza ed in società, quasi per prendere d’assalto Iddio con le nostre preghiere; è questa una forma di violenza, ma da Dio molto gradita”[1]. È inoltre degno di menzione ciò che scrive l’Aquinate: “È impossibile che non siano esaudite le preghiere di molti insieme, quando esse formano quasi una sola orazione”[2].  – Ambedue queste condizioni si trovano perfettamente congiunte nel Rosario.  – In esso infatti — per tacere di altre riflessioni — col nostro ripetere le stesse preghiere ci sforziamo di implorare dal Padre celeste il suo regno di grazia e di gloria; e supplichiamo insistentemente la Vergine Madre affinché conceda il suo aiuto a noi peccatori durante tutta la nostra vita e nella nostra ora estrema, che è la porta dell’eternità. La stessa forma del Rosario, poi, si presta ottimamente per la preghiera in comune; tanto che, a ragione, esso fu chiamato anche “Salterio mariano”. Si mantenga pertanto religiosamente o si richiami in onore l’usanza che tanto fiorì presso i nostri antenati, quando le famiglie cristiane, nelle città e nelle campagne, consideravano come un sacro dovere il raccogliersi la sera, dopo le fatiche della giornata, davanti ad un’immagine della Vergine, per recitare il Rosario con alterna lode. Ed ella si compiaceva tanto di questo fedele e concorde omaggio che, come una madre tra la corona dei suoi figli, assisteva quei suoi devoti, ed elargiva loro il dono della pace domestica, come presagio di quella del Cielo.  – Fu appunto riflettendo sull’efficacia di questa preghiera in comune che, fra le molte altre Nostre disposizioni sul Rosario, abbiamo esplicitamente dichiarato “che era Nostro vivo desiderio che esso fosse recitato ogni giorno nelle cattedrali delle singole Diocesi, e tutti i giorni festivi nelle Chiese parrocchiali”[3]. Si osservi dunque con costanza e diligenza tale Nostra disposizione, e con soddisfazione constatiamo che detta pratica si diffonde e si congiunge ad altre pubbliche manifestazioni di pietà, come, per esempio, ai pellegrinaggi ai santuari più insigni: consuetudine che si afferma sempre più e che è da raccomandare. – Inoltre, codesta unione di preghiere e di lodi mariane presenta anche altri aspetti, che danno tanta gioia e utilità alle anime. Noi stessi — Ci piace qui ravvivarne il ricordo — abbiamo avuto modo di farne l’esperienza in alcune particolari circostanze del Nostro Pontificato, quando eravamo nella Basilica Vaticana, circondati da una folla immensa di fedeli di ogni categoria, i quali, uniti a Noi nelle intenzioni, nella voce e nella fiducia, attraverso i misteri del Rosario e le orazioni supplicavano con zelo la potentissima Ausiliatrice del popolo cristiano.  – E chi mai vorrà ritenere eccessiva e biasimare la grande fiducia risposta nell’aiuto e nella protezione della Vergine? Certamente sono tutti d’accordo nell’ammettere che il nome e la funzione di perfetto Mediatore non convengono che a Cristo, perché egli solo, Dio e uomo insieme, riconciliò il genere umano col sommo Padre: “Uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che diede se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,5.6). Ma se “nulla vieta”, come insegna l’Angelico, “che qualche altro si chiami, sotto certi aspetti, mediatore tra Dio e gli uomini, in quanto dispositivamente e ministerialmente coopera all’unione dell’uomo con Dio”[4], come sono gli angeli, i santi, i profeti e i sacerdoti del vecchio e del nuovo testamento, senz’alcun dubbio tale titolo di gloria conviene, in misura ancora maggiore, alla Vergine eccelsa. Nessuno infatti può immaginare un’altra creatura che abbia compiuto o sia per compiere un’opera simile alla sua nella riconciliazione degli uomini con Dio. Infatti, fu lei che per gli uomini, volti all’eterna rovina, generò il Salvatore, quando all’annuncio del mistero di pace, portato dall’Angelo sulla terra, diede il suo ammirabile assenso, “in nome di tutto il genere umano”[5]. Ella è Colei “da cui nacque Gesù”, sua vera Madre, e perciò degna e grandissima “Mediatrice presso il Mediatore”.  – Siccome questi misteri sono proposti con ordine nel Rosario alla meditazione e alla contemplazione dei fedeli, ne segue che in questa preghiera risplendono i meriti di Maria nell’opera della nostra riconciliazione e della nostra salvezza. Nessuno può sottrarsi ad una soave commozione ogni volta in cui rivolge la mente a lei, sia quando visita la casa di Elisabetta per dispensarvi i divini carismi, sia quando presenta il Figlio suo pargoletto ai pastori, ai re, a Simeone. E che deve dirsi quando si consideri che il Sangue di Cristo, sparso per noi, e le membra sulle quali egli mostra al Padre le ferite ricevute, “come pegno della nostra libertà”, non sono altro che carne e sangue della Vergine? In realtà: “La carne di Gesù è carne di Maria; e, sebbene magnificata dalla gloria della risurrezione, tuttavia la natura di questa carne rimase e rimane quella stessa che fu presa a Maria”[6].  – Ma, come abbiamo altra volta ricordato, il Rosario produce un altro notevole frutto, adeguato alle necessità dei nostri tempi. Questo: che, in un’epoca in cui la virtù della fede in Dio è esposta ogni giorno a tanti pericoli ed assalti, il Cristiano trova nel Rosario mezzi abbondanti per alimentarla e raffozarla.

Le sacre Scritture chiamano Cristo “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2). “Autore”, perché egli stesso ha insegnato agli uomini un grande numero di verità in cui credere, specialmente quelle che riguardano lui, nel quale “abita tutta la pienezza della Divinità” (Col 2,9); e per di più, con la grazia e quasi con l’unzione dello Spirito Santo, concede generosamente il dono della fede. “Perfezionatore”, perché nel Cielo, dove convertirà l’abito della fede nella chiarezza della gloria, egli renderà evidenti quelle cose che gli uomini, nella loro vita mortale, hanno percepito come attraverso un velo. Ora tutti sanno che, nella pratica del Rosario, Cristo ha quel posto di preminenza che gli compete. Noi, meditando la sua vita, contempliamo quella privata nei misteri gaudiosi, quella pubblica in mezzo a gravissimi disagi e dolori che lo portano alla morte, e, infine, quella gloriosa che dalla sua trionfale risurrezione arriva fino all’eternità di lui, che siede alla destra del Padre. E siccome è necessario che la fede, per essere degna e perfetta, si manifesti esteriormente, “poiché con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,10), nel Rosario troviamo anche un eccellente mezzo per professare la nostra fede. Infatti, con le preghiere vocali di cui esso s’intesse, possiamo esprimere la nostra fede in Dio, Padre nostro provvidentissimo, nella vita futura, nella remissione dei peccati, nei misteri dell’augusta Trinità, del Verbo incarnato, della divina maternità ed in altre verità. Orbene, nessuno ignora quanto grandi siano il valore ed il merito della fede: seme sceltissimo che oggi fa sbocciare i fiori di tutte quelle virtù che ci rendono graditi a Dio, e che un giorno produrrà frutti che dureranno in eterno: “Il conoscere te è perfetta giustizia, e il sapere la tua giustizia e la tua potenza è radice d’immortalità” (Sap XV,3).  – Qui sembra opportuno un richiamo ai doveri di quelle virtù, che la fede giustamente impone. Tra queste è la virtù della penitenza, di cui è una manifestazione l’“astinenza”, doverosa e salutare per più di un motivo. Se la Chiesa mostra, su questo punto, sempre maggiore mitezza verso i suoi figli, è però loro dovere compensare con altre opere meritorie la sua materna indulgenza. Ora, anche a tale scopo, Ci piace, in primo luogo, inculcare la pratica del Rosario che può produrre buoni frutti di penitenza, specialmente con la meditazione delle sofferenze di Cristo e della Madre sua.  – A coloro, dunque, che si sforzano di raggiungere il loro bene supremo, per un mirabile disegno della Provvidenza viene offerto l’aiuto del Rosario: aiuto più facile e più pratico di qualsiasi altro. Infatti basta una conoscenza, anche modesta, della Religione, per imparare a recitare con frutto il Rosario; inoltre, esso richiede così poco tempo che non può davvero recare pregiudizio ad altri affari. Ciò è confermato da opportuni e luminosi esempi della storia sacra, dove si legge che vi furono, in ogni tempo, molte persone che, sebbene ricoprissero uffici molto gravosi, o fossero assorbite da faticose occupazioni, tuttavia non tralasciarono, neppure per un giorno, questa pia consuetudine. – Ciò si spiega con quell’intimo sentimento di pietà che trasporta le anime verso questa sacra corona, sino ad amarla teneramente e a considerarla come inseparabile compagna e sicuro sostegno. Stringendola nella suprema agonia, esse ne traggono un dolce auspicio per il raggiungimento dell’“immarcescibile corona di gloria”. A tale auspicio giovano grandemente i benefìci della “sacra indulgenza”, purché di essi si abbia la dovuta stima: di tali benefìci il Rosario fu in larga misura dotato dai Nostri Predecessori e arricchito da Noi stessi. Non vi è dubbio che queste indulgenze, quasi dispensate dalle mani della Vergine misericordiosa, giovano molto ai moribondi e ai defunti, in quanto affrettano loro le gioie della sospirata pace e della luce eterna.  – Ecco, Venerabili Fratelli, i motivi che Ci spingono a non desistere dal lodare e dal raccomandare ai cattolici una forma così eccellente di pietà, tanto utile per arrivare al porto della salvezza. Ma a ciò siamo mossi anche da un’altra ragione di straordinaria importanza, sulla quale abbiamo già più volte manifestato il Nostro pensiero con Lettere ed Allocuzioni.  – SentendoCi, cioè, ogni giorno più fortemente stimolati e spinti ad operare dall’ardente desiderio — acceso in Noi dal Cuore santissimo di Cristo Gesù — di favorire la riconciliazione dei dissidenti, comprendiamo che questa mirabile unità non può essere meglio preparata e realizzata che in virtù della preghiera. Abbiamo presente l’esempio di Cristo, il quale supplicò lungamente il Padre, perché i seguaci della sua dottrina fossero “una cosa sola” nella fede e nella carità. Della validità della preghiera alla santissima Madre sua, finalizzata a questo scopo, esiste un’ampia documentazione nella storia apostolica. In essa, nella quale viene ricordata la prima riunione dei Discepoli, in supplichevole attesa della promessa effusione dello Spirito Santo, si fa speciale menzione di Maria, in preghiera con essi: “Tutti questi perseveravano concordi nell’orazione con Maria, Madre di Gesù”. Come, dunque, la Chiesa nascente giustamente si unì nella preghiera a lei — fautrice e nobile custode dell’unità —, è quanto mai opportuno che altrettanto si faccia ai nostri giorni in tutto il mondo cattolico, specialmente durante il mese di ottobre, che Noi, già da lungo tempo, abbiamo voluto dedicato e consacrato alla divina Madre, con la recita solenne del Rosario, per implorarne l’aiuto nelle presenti angustie della Chiesa. Si accenda dunque, dappertutto, l’ardore per questa preghiera, con lo scopo precipuo di ottenere la santa unità. Nulla potrà essere più soave e più gradito a Maria. Unita intimamente a Cristo, ella soprattutto desidera e vuole che coloro che hanno ricevuto il dono dello stesso battesimo, da lui istituito, siano anche uniti da una stessa fede e da una perfetta carità con Cristo, e tra loro medesimi. – Che i misteri augusti di questa fede, mediante il Rosario, penetrino così profondamente nelle anime che noi possiamo “imitare ciò che essi contengono, ed ottenere ciò che promettono!”.  – Frattanto, in auspicio dei divini favori, e a testimonianza del Nostro affetto, accordiamo di gran cuore a ciascuno di voi, al vostro clero ed al vostro popolo, la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 settembre 1896, anno decimonono del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII

(1) Apologet. c. XXXIX.

(2) In Evang. Matth. c. XVIII.

(3) Litt. apost. Salutaris ille, datae die XXIV decembr. an. MDCCCLXXXIII.

(4) III, q. XXVI, aa. 1, 2.

(5) S. Th. III, q. XXX, a. 1.

(6) S. Aug., De assumpt. B.M.V., c. V, inter opp.

… et IPSA conteret caput tuum!!!

DOMENICA I DI AVVENTO (2018)

DOMENICA I DI AVVENTO (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Ps XXIV: 1-3.
Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confíde, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.
[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]
Ps XXIV:4
Vias tuas, Dómine, demónstra mihi: et sémitas tuas édoce me.
Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.

Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confíde, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur. [A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Oratio
Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: ut ab imminéntibus peccatórum nostrórum perículis, te mereámur protegénte éripi, te liberánte salvári:
[Súscita, o Signore, Te ne preghiamo, la tua potenza, e vieni: affinché dai pericoli che ci incombono per i nostri peccati, possiamo essere sottratti dalla tua protezione e salvati dalla tua mano liberatrice.]

Lectio
Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Romános Rom XIII: 11-14.


“Fratres: Scientes, quia hora est jam nos de somno súrgere. Nunc enim própior est nostra salus, quam cum credídimus. Nox præcéssit, dies autem appropinquávit. Abjiciámus ergo ópera tenebrárum, et induámur arma lucis. Sicut in die honéste ambulémus: non in comessatiónibus et ebrietátibus, non in cubílibus et impudicítiis, non in contentióne et æmulatióne: sed induímini Dóminum Jesum Christum” .

Omelia I
[Mons. Bonomelli: Omelie, vol. I – Omelia I; Torino 1899]

“È già ora che ci svegliamo dal sonno, perché al presente la salute è più vicina che quando credemmo. La notte è avanzata e il giorno è vicino: gettiam via le opere delle tenebre e vestiamo le armi della luce. Camminiamo con decoro, come chi cammina alla luce del giorno; non in crapule e in ubriachezze, non sotto coltri ed in lascivie, non nelle contese e nell’invidia; ma rivestite il Signore Gesù Cristo e non accarezzate la carne per concupiscenza „ ( Ai Rom. XIII, 11-14).

Eccovi, o dilettissimi, voltati fedelmente nella nostra lingua i cinque ultimi versetti del capo decimoterzo della Epistola ai Romani, or ora letta nella santa Messa. È questa la prima delle quattro Domeniche d’Avvento, vale a dire di quel tempo sacro  nel quale la Chiesa, qual pia madre, è tutta intesa a disporre i suoi figliuoli alla venuta di nostro Signore, al santo Natale. La Chiesa col suo spirito ci trasporta in quel periodo sì lungo di tempo che corse da Adamo a Gesù Cristo, e facendo proprio il linguaggio dei profeti e dei patriarchi, quasi sposa che attende lo sposo, atteggiata di mestizia e di dolore pel suo ritardo, con le preghiere, col digiuno, con le astinenze, con i gemiti, con i sospiri e coi desideri più affocati, ne invoca e ne affretta la venuta [Nel linguaggio comune si dice che la Chiesa comincia con Gesù Cristo e con gli Apostoli e in un senso è vero. Ma sarebbe più esatto il dire che la Chiesa comincia con Adamo e si compie con Gesù Cristo e con gli Apostoli. Che cosa è tutta la rivelazione patriarcale e mosaica? È la preparazione o l’introduzione della Chiesa. Questa comincia con Adamo e finisce con l’ultimo cristiano che vivrà sulla terra: essa abbraccia tutti i tempi ed è sempre lo stesso spirito di Cristo che avviva la Sinagoga antica e la Chiesa, e solo per Lui si salvarono quelli che vissero prima di Lui, come si salvano quelli che vivono dopo di Lui, perché Egli solo è la vita e dalla sua pienezza tutti ricevono]. La Chiesa conosce troppo bene la natura umana e sa che ai sensi interni dell’anima devono sempre rispondere le cose esterne. Ora la Chiesa, in questo tempo del santo Avvento, collocandosi nei secoli che corsero prima della venuta del Salvatore, deve necessariamente avere a cuore quei sensi ond’erano informati i patriarchi, i profeti e i giusti tutti dell’antica legge. Quali dovevano essere questi sensi? Sensi di profonda mestizia, di dolore misto a rassegnazione tranquilla e perciò la Chiesa fa tacere l’organo, gli inni, i cantici tutti di letizia: vuole rimossi i fiori dall’altare e veste a lutto il tempio e i sacerdoti, prescrive l’astinenza e il digiuno. Quali dovevano essere i sensi dei patriarchi, dei profeti, dei giusti aspettanti ansiosamente la venuta del promesso Messia? Dovevano essere sensi di fede viva, di speranza ardente, di umiltà, di preghiera. E perciò la Chiesa mette sulle labbra dei suoi sacerdoti le parole de profeti e grida con essi: “Vieni, vieni, Signore: non tardare più oltre: sciogli i nostri ceppi, ci libera dai nostri peccati: manda l’Agnello, che deve dominare la terra. „ – Non sarebbe agevole in tutte le lettere S. Paolo trovare un tratto, che meglio di quello che ho riportato, risponda allo spirito, onde la Chiesa vuole informati i suoi figli e che più efficacemente li prepari a celebrare con frutto il mistero del santo Natale. – Io tolgo a spiegare brevemente queste ammirabili sentenze dell’Apostolo e voi vogliate aprire docilmente le orecchie del vostro cuore per udirle e riporvele bene addentro. È già ora che ci risvegliamo dal sonno grida l’Apostolo. E che sonno è questo, o carissimi? Vi è il sonno del corpo e vi è il sonno dell’anima. Nel sonno del corpo l’uomo rimane inerte: ha occhi e non vede, orecchi e non ode, lingua e non parla, piedi e non cammina, mani e non lavora: questo sonno del corpo nella giusta misura è un bisogno non altrimenti del cibo, perché ne ristora le forze. Anche l’anima ha il suo sonno e sonno troppo spesso colpevole. E quando, o carissimi, questo sonno dell’anima è colpevole? Quando l’anima non pensa mai o troppo raramente a Dio, al proprio fine, alla propria salvezza eterna: allorché, tutta immersa nelle cose del mondo, dimentica la preghiera e gli altri doveri religiosi. Allora essa si abbandona ad un sonno colpevole, che può essere foriero della sua morte eterna. S’io giro gli occhi intorno, in alto, in basso, che vedo? Ohimè! quante anime addormentate; mentre i corpi lavorano febbrilmente! Non ascoltano mai, o quasi mai la parola di Dio: non si curano di sacramenti, di leggi della Chiesa e della stessa legge divina. Invano la grazia, quasi alito divino, passa sull’anima loro, quasi raggio di luce batte sugli occhi suoi per destarla e avviarla sui sentieri della vita: essa è sepolta nel sonno. A quest’anima io grido con il grande Apostolo:  “Su; è ora di svegliarti, di provvedere a te stessa, di aprire gli occhi alla luce della verità, di scuoterti da dosso la polvere del secolo e di camminare nella via diritta del cielo.” — E tanto più è necessario svegliarci dal sonno spirituale, prosegue l’Apostolo, perché ora la nostra salute è più vicina che non quando credemmo. — Che vuol dir ciò, o dilettissimi? Fu già tempo, nel quale noi, figli di Mose, discepoli dei profeti, aspettavamo il Salvatore promesso: ora è venuto: l’abbiamo visto con i nostri occhi: io ve l’ho annunciato! e voi avete creduto in Lui: la salute adunque ora è più vicina, e se era colpevole la nostra trascuratezza prima della venuta di Gesù Cristo, sarebbe doppiamente colpevole ora, che viviamo della sua fede e che siamo più presso alla corona promessa. E le parole dell’Apostolo non sono rigorosamente vere per noi pure, dilettissimi? Grazie a Dio, da molti e molti anni noi abbiamo ricevuto il dono inestimabile della fede in Gesù Cristo e camminiamo secondo essa. Dal dì che potemmo conoscere ed apprezzare sì gran dono fino ad oggi quanti anni trascorsero! Da quel dì pertanto noi ci siamo sempre più avvicinati al termine di nostra vita e perciò ci siamo sempre avvicinati a quel momento, in cui si compirà la nostra salute e vedremo e possederemo Gesù Cristo. Quel momento è vicino, può giungere domani, oggi; non c’è tempo da perdere! Se siamo oppressi da quel sonno funesto dell’anima, di cui parla S. Paolo, svegliamoci tosto. “Levati tu, che dormi, grida l’Apostolo, e Cristo ti illuminerà. „ “La notte è avanzata e il giorno è vicino. „ Che notte è questa e che giorno è questo, di cui parla l’Apostolo? — È la notte sì buia del paganesimo, nella quale i Romani convertiti erano stati sì lungamente sepolti: è la notte rischiarata dagli albori profetici, nella quale gli Ebrei, allora divenuti Cristiani, erano vissuti, salutando da lungi il sospirato Salvatore: il giorno vicino, anzi presente, è il regno di Gesù Cristo, luce del mondo. La notte avanzata può significare altresì il secolo o la vita presente, piena di errori, travagliata da lotte e da passioni, e il giorno vicino può intendersi del giorno eterno, della vita beata, alla quale tutti affannosamente sospiriamo. Qui l’Apostolo, con la bella immagine del giorno e della notte, sollevando il pensiero alle alte verità della fede, con un linguaggio pieno di forza e di maschia eloquenza esclama: “Gettiamo dunque via le opere delle tenebre e vestiamo le armi della luce. „ Siamo usciti dalla notte del paganesimo: siamo usciti dalle ombre della legge mosaica: camminiamo alla luce della dottrina portata da Cristo: attraversiamo animosamente questo secolo perverso: siamo già presso a quel giorno nel quale vedremo Dio faccia a faccia: via adunque le opere delle tenebre, le opere cioè del paganesimo, le opere della legge mosaica, le opere del mondo, in cui viviamo, e vestiamo le armi della luce (giacché qui la parola armi significa chiaramente opere per ragione del nesso naturale, onde si lega alla sentenza precedente), le opere della fede, le opere di Gesù Cristo stesso. – E perché mai S. Paolo chiama le opere buone armi della luce? Perché le opere buone sono armi, che ci difendono dal nemico, che ci combatte, e perché come le armi sono ornamento di chi le porta, così le opere buone sono l’ornamento e la gloria di chi le compie. S. Paolo in questo luogo, col nome di opere della notte o delle tenebre designa certamente opere malvagie, i peccati, e col nome di opere del giorno o della luce indica le opere buone e sante. E perché ciò? I libri inspirati, acconciandosi alla nostra natura, ci fanno conoscere le cose invisibili e spirituali per mezzo delle visibili e materiali; nell’ordine visibile e materiale la luce non solo è la bellissima di tutte le cose, ma quella che fa bello e grazioso tutto ciò che è bello e grazioso, e là dove non risplende la luce, non vi è bellezza e regna la bruttezza. Egli è per questo che nel linguaggio della Scrittura le opere belle e sante si dicono opere della luce e le opere malvagie si chiamano opere delle tenebre. Fra la luce e la virtù, a nostro modo d’intendere, corre quel rapporto che corre fra le tenebre ed il vizio, ond’è che la virtù ama la luce e fugge le tenebre e il vizio odia la luce e cerca le tenebre e in esse si nasconde. “L’omicida si leva prima dell’alba, scrive Giobbe, uccide il povero, e la notte compie i suoi latrocini. L’occhio dell’adultero aspetta che calino le tenebre, e dice: Nessuno mi vedrà, e si copre il volto. Di notte i tristi sfondano le case segnate di giorno e per essi il giorno è ombra di morte „ (XXIV, 14 e seg.). Le tenebre ed il delitto si danno la mano, la notte e la colpa sono amiche, perché quella toglie la vergogna e franca dal timore. Meritamente pertanto S. Paolo sfolgora le opere malvagie chiamandole opere delle tenebre: Abjiciamus opera tenebrarum e vuole che vestiamo le opere della luce: Et induamur arma lucis. – Prosegue il grande Apostolo, non dimenticando mai la sua immagine della luce e delle tenebre, e scrive: ” Camminiamo con decoro come chi cammina alla luce del giorno. „ Se voi di bel mezzogiorno aveste a passare per le vie più frequentate d’una città, certi che tutti gli occhi sarebbero fissi sulla vostra persona, che fareste? Senza dubbio porreste ogni studio in camminare con gravità e decoro, e vorreste puliti gli abiti e debitamente acconciati e vi guardereste bene da tutto ciò che potesse esporre comechessia la vostra persona allo sprezzo od al biasimo del pubblico. Ebbene, dice S. Paolo: Voi, Cristiani, camminate sotto gli occhi degli uomini, e quel che più importa, di Dio, alla piena luce del giorno: dunque non dite mai parola, né fate atto alcuno, che non sia degno di voi: tutto il vostro esterno sia composto a gravità e decoro talmente che nessuno trovi in voi di che appuntarvi. Rischiarati dalla luce della fede, abbiate anche le opere della fede: Figli della luce, scrive in altro luogo l’Apostolo, camminate, cioè operate come si conviene ai figli della luce: Ut filii lucis ambulate. E un linguaggio pieno di nobiltà e d’energia e d’una forma brillante e poetica: ” Camminate come figli della luce! „ Voi non avete nulla da nascondere, perché non avete nulla di che arrossire: che tutti vedano le opere vostre e ne diano gloria a Dio, per il quale son fatte: a Dio che è la stessa luce e nel quale non vi è neo di tenebre. – Io vi prego, o carissimi, di por mente all’arte sapientissima con cui l’Apostolo ha dettato ed ha ordinato tra loro queste poche sentenze: egli parla del sonno, della notte, delle opere delle tenebre, della necessità di svegliarsi, del giorno, della luce e delle opere della luce: voi facilmente comprendete come tutte queste .espressioni, sonno, notte, opere delle tenebre da una parte, e dall’altra la necessità di destarsi,  l’idea del giorno e della luce e delle opere della luce, si legano strettamente tra loro per guisa che si confondono in una sola cosa, e allorché l’Apostolo condanna il sonno dell’anima e la notte, condanna in sostanza le opere delle tenebre, ossia le opere malvagie; quando per converso vuole che ci destiamo e vegliamo e viene parlando del giorno e della luce e inculca che camminiamo come di giorno, chiaramente egli ci esorta alla pratica delle opere buone e sante, proprie del cristiano, ondeché tutta la dottrina di questi versetti si può compendiare in queste due semplicissime sentenze: Fuggite le opere cattive e fate le opere buone. E quali sono in particolare le opere cattive, che si vogliono fuggire e le opere buone, che si hanno da fare? Risponde subito l’Apostolo “Non in crapule, non in ubriachezze, non sotto coltri ed in lascivie, non nelle contese e nell’invidia, ma rivestite il Signore Gesù Cristo e non accarezzate la carne per concupiscenza. ,, Non dovete credere che in questa breve enumerazione di disordini l’Apostolo abbia voluto comprendere tutte le opere delle tenebre, ossia tutte le opere malvagie, dalle quali il cristiano deve con somma cura guardarsi, no: volle solamente ricordare quelle che gli parvero più gravi e più comuni, e quelle, credo io, nelle quali sapeva maggiormente invischiati i fedeli, ai quali scriveva. L’intemperanza nel mangiare e nel bere, l’incontinenza e tutti in genere i peccati della carne, le risse, le discordie, gli odii e le invidie, che feriscono od uccidono la carità fraterna, sono opere delle tenebre, che non si dovrebbero tampoco nominare tra cristiani. Veramente ammirabile l’Apostolo nelle sue lettere! Egli talora spazia sulle vette dei più sublimi dogmi e, sollevando il lembo della fede, con rapidi tocchi ci lascia intravedere la luce sfolgorante, onde sono avvolti. Ma poi quasi subito discende nel campo, sì vasto della pratica e in brevissime sentenze condensa le verità morali più importanti e comuni e le presenta nelle forme più vive ed efficaci. Così in questo luogo leva la voce contro le crapule, le ubriachezze, le lascivie, le contese, le invidie, che sono i vizi più comuni e ne mette in guardia i fedeli. O fratelli e figliuoli miei! Uno sguardo alla nostra parrocchia, alle nostre famiglie, ciascuno di noi. Siamo noi tutti mondi da queste brutture? Non abbiamo noi seguito il vizio della gola? Non abbiamo noi alcuna volta secondato le sozze voglie del senso e gli stimoli della carne? Non abbiamo noi con le parole, col desiderio e con le opere rotta la carità coi fratelli nostri e fors’anche seminata tra loro la discordia? Se per mala ventura fosse, noi certo non saremmo nel numero di coloro che camminano alla luce e di giorno con decoro, ma piuttosto saremmo di quelli, che si avvolgono fra le tenebre, per nascondere le loro turpitudini. Che dovremmo fare? Finirla tosto e per sempre con queste opere tenebre: dovremmo “rivestire il Signore Cristo e non accarezzare la carne per concupiscenza. „ E sapete voi. che cosa importi vestire Gesù Cristo? E questa una espressione energica e sublime che più volte s’incontra nelle lettere di S. Paolo e che giova comprendere bene, Gesù Cristo, nostro capo e maestro supremo, è i1 modello sovranamente perfetto di tutte le virtù: tutto lo studio del cristiano, se bene si guarda, si riduce a copiare in se stesso Gesù Cristo, tanto che di Lui si possa dire: Ecco un altro Cristo. – Il cristiano nelle sue parole, nei suoi pensieri, nei suoi affetti, nelle sue opere, in tutto il suo interno ed esterno deve ritrarre Gesù Cristo per modo da esserne l’immagine fedele e vivente: onde come il nostro corpo si copre delle vesti e di esse si adorna, così l’anima nostra e in qualche senso anche il nostro corpo devono coprirsi e adornarsi delle opere di Gesù Cristo: ecco che cosa vuol dire: vestirsi di Cristo. – L’Apostolo chiude il suo dire con questa sentenza: “Non accarezzate la carne per concupiscenza: „ cioè non accarezzate la carne, appagando le sue voglie malnate. Con queste parole ribadisce la verità fondamentale della Religione cristiana sopra già toccata ed è che noi dobbiamo sempre e con tutte le forze resistere alle passioni, che si annidano nella nostra carne e ci trascinano giù per la china del piacere e della eterna perdizione. Ogni qualvolta, o cari, che mi cadono sotto gli occhi le ultime sentenze dell’Apostolo, che ho spiegato, il pensiero mio corre naturalmente ad un fatto dei più meravigliosi e commoventi che si leggano nella storia ecclesiastica e dipinto coi colori più vivi, descritto con gli accenti più caldi e più appassionati da quel medesimo, che ne fu l’attore. Udite: Nella seconda metà del secolo quarto viveva un giovane d’alti sensi, di cuore magnanimo: il mondo forse non aveva mai visto ingegno più acuto e più vasto del suo. Profugo dalla casa materna, corse da Cartagine a Roma, dì Roma a Milano, in cerca della scienza: si tuffò nel brago di ignobili passioni, volse le spalle alla fede succhiata col latte fra le braccia di una madre santa, che lo adorava e seguiva dovunque: divenne eretico, poi scettico. A quell’anima ardente, sitibonda della verità, caduta in fondo di un abisso di errori e di disordini, brillò un primo raggio di luce, leggendole opere di Cicerone e di Platone e udendo la parola piena di amore di un santo Vescovo. A poco a poco conobbe la verità, tutta la verità, come la poteva conoscere quell’aquila delle intelligenze: ma il misero non sapeva rompere la catena delle sue passioni: voleva ritornare a Dio, ma sentivasi impotente: piangeva, gemeva, ma indarno. Credo che sia difficile trovare pagine più vere e più eloquenti di quelle, nelle quali quel giovane, nel bollore dei suoi trent’anni, descrive le pene, le carezze, le lotte, gli sforzi, i dolori, le agonie ineffabili dell’anima sua: nessuno meglio di lui seppe fare la storia del cuore umano e penetrare nelle fibre più riposte dello spie e narrarne le vicende. Leggendo quelle pagine, bisogna fremere e lagrimare con lui che le dettò. Un giorno, non potendo più oltre soffocare il grido della coscienza, che lo lacerava, né finirla con le passioni che lo tenevano avvinto, ad un tratto si tolse di mezzo agli amici, che gli facevano corona, uscì precipitoso dalla stanza, si ritirò nel giardino che sorgeva a fianco, si buttò ai piedi di un albero e con le palme coprendosi il volto sciolse il freno alle lagrime. “Piangeva amaramente, dice egli, sulle mie turpitudini, ma non ancora poteva risolvermi ad abbandonarle. „ Ed ecco una voce come di fanciullo dalla vicina casa, che ripeteva: “Piglia e leggi, piglia e leggi”— Ascolta, si leva, asciuga le lacrime, rientra nella stanza, piglia il primo libro che gli viene innanzi (era il libro delle Epistole di S. Paolo), l’apre a caso e legge le prime parole che gli cadono sott’occhio: “Non in crapule ed ubriachezze, non sotto coltri e lascivie, non nelle contese e nella invidia, ma rivestite il Signore Gesù Cristo e non accarezzate la carne per concupiscenza. „ Lesse, chiuse il libro e un raggio di luce serena e tranquilla inondò la sua mente, cessò la tempesta del cuore, sparirono i dubbi, una forza novella penetrò il suo spirito, una dolcezza inesprimibile si diffuse in tutta l’anima sua, di repente si sentì mutato in altr’uomo: il giovane miscredente e dissoluto era trasformato e convertito: la semplice lettura delle parole di S. Paolo, che abbiamo insieme spiegate e meditate, aveva operato il grande miracolo. Volete sapere chi era quel giovane incredulo e immerso nella libidine e che in un istante si trasformava in un credente e in un santo? Egli era il figlio di Monica, il grande Agostino. Potenza meravigliosa della parola e della grazia divina da una parte, e della volontà umana dall’altra!

Graduale
Ps XXIV: 3; 4
Univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur, Dómine.
[Tutti quelli che Ti aspettano, o Signore, non saranno confusi.]
V. Vias tuas, Dómine, notas fac mihi: et sémitas tuas édoce me.
[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]
Alleluja

Allelúja, allelúja.

Ps LXXXIV: 8. V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam: et salutáre tuum da nobis. Allelúja. [Mostraci, o Signore, la tua misericordia: e dacci la tua salvezza. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secundum S. Lucam.

Luc XXI:25-33.

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Erunt signa in sole et luna et stellis, et in terris pressúra géntium præ confusióne sónitus maris et flúctuum: arescéntibus homínibus præ timóre et exspectatióne, quæ supervénient univérso orbi: nam virtútes coelórum movebúntur. Et tunc vidébunt Fílium hóminis veniéntem in nube cum potestáte magna et majestáte. His autem fíeri incipiéntibus, respícite et leváte cápita vestra: quóniam appropínquat redémptio vestra. Et dixit illis similitúdinem: Vidéte ficúlneam et omnes árbores: cum prodúcunt jam ex se fructum, scitis, quóniam prope est æstas. Ita et vos, cum vidéritis hæc fíeri, scitóte, quóniam prope est regnum Dei. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia fiant. Coelum et terra transíbunt: verba autem mea non transíbunt.

Omelia II

[Mons. Bonomelli: ut supra, Omelia II; Torino 1899]

“Gesù  disse ai suoi discepoli: vi saranno segni nel sole e nella luna e nelle stelle, e in terra vi sarà, angoscia dei popoli e si udrà il rimbombo del mare e del fiotto. Gli uomini smarriti spasimeranno pel terrore e per l’aspettazione delle cose che sopravverranno al mondo, perciocché saranno scrollate le potenze del mondo. E allora vedranno il Figliuolo dell’uomo venire sopra una nuvola con potenza e gloria grande. E allorché queste cose cominceranno ad avvenire, levate in alto i vostri sguardi e alzate la testa, perché la vostra redenzione è vicina. E disse loro una similitudine: vedete il fico e tutti gli alberi. Quando han cominciato a germogliare, vedendoli, voi riconoscerete che l’estate è vicina. Così ancor voi, quando vedrete avvenire queste cose, sappiate, che il regno dei cieli è vicino. In verità Io vi dico che non passerà questa generazione finché tutte queste cose non siano avvenute. Passeranno il cielo e la terra, ma le mie parole non passeranno,,  (S. Luca, XXVI, 25-33).

– Fin qui l’Evangelo di questa prima Domenica d’Avvento. Udendo queste parole uscite dalla bocca di Gesù Cristo, voi tutti senza dubbio avrete compreso che si discorre della fine dei tempi, del gran giudizio, col quale si chiuderà la scena del mondo e sarà reso a ciascuno secondo le opere sue. Voi farete le meraviglie, che la Chiesa ci inviti a meditare la seconda venuta di Gesù Cristo in questi giorni, nei quali essa vuole che ci prepariamo alla sua prima venuta. Parlarci della magnificenza della venuta del Giudice supremo quando dobbiamo pensare alla povertà estrema e alle inenarrabili umiliazioni del divino Infante! Eppure nulla di più conveniente, o carissimi. Il terrore del finale giudizio ci deve scuotere salutarmente, ci obbliga ad entrare nelle nostre coscienze, ad esaminarle diligentemente e cacciarne il peccato se per sventura vi si appiattasse. E non è questo il miglior modo di prepararci a celebrare santamente la prima venuta di Gesù Cristo? Non basta: la prima venuta di Gesù Cristo sì umile, in apparenza sì spregevole, per molti potrebbe essere uno scandalo: la grandezza e la maestà della sua seconda venuta, come giudice dei vivi e dei morti, toglie questo scandalo e nel Bambino, che tra pochi giorni adoreremo sulla paglia, ci fa conoscere l’Uomo-Dio, il Figlio dell’Eterno. Ma è da venire al momento delle parole evangeliche sopra riportate. – Gesù disse ai suoi discepoli: “Vi saranno segni nel sole, nella luna, nelle stelle, e in terra vi sarà angoscia dei popoli e si udrà il rimbombo del mare e del fiotto. Gli uomini smarriti vivranno per il terrore e per l’aspettazione delle cose che sopravverranno al mondo, perché saranno scrollate le potenze dei cieli”. – Per intendere a dovere le parole di Gesù Cristo, è mestieri rifarci alquanto indietro e conoscere l’occasione e le circostanze, nelle quali le ebbe pronunziate.- Si avvicinavano i giorni, nei quali Gesù Cristo doveva compiere il suo sacrificio, dirò meglio, era alla vigilia della sua passione, giacché queste parole furono dette il lunedì od il martedì precedente la sua morte: e a Lui, che aveva accennato alla distruzione del tempio e al futuro giudizio. gli Apostoli mossero questa domanda: “Dicci, quando avverranno queste cose, cioè la distrazione del tempio e della città? E quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?” (Matteo XXIV, 3). Due cose pertanto gli Apostoli domandarono a Gesù, ed Egli rispose partitamente all’una e all’altra. Parla prima della distruzione del tempio e dello sterminio della città; poi passa alla sua seconda venuta ed ai segni che la precederanno. Tre evangelisti, Matteo, Marco e Luca, più o meno diffusamente, riferiscono le parole di nostro Signore, come ciascuno può vedere nei loro Evangeli. La Chiesa in questa Domenica ci mette innanzi la risposta che Gesù Cristo diede agli Apostoli intorno al dì del giudizio ed ai segni che ne saranno forieri. E prima di cominciare la spiegazione lasciatemi mandare innanzi un’altra osservazione, che non mi sembra inutile: vi furono e vi sono ancora persone che indagano curiosamente quando verrà la fine del mondo. Sono ricerche inutili e pericolose: la Chiesa vieta di far calcoli su questo tempo: Gesù Cristo medesimo disse che nessuno conosce quel giorno, nemmeno gli Angeli, e aggiunse, nemmeno il Figliuol dell’uomo che vi parla. Certamente Gesù Cristo conosceva quel giorno, tantoché indicò i segni del suo appressarsi, ma volle far comprendere che non lo conosceva come uomo, e che se lo conosceva non poteva, né voleva dirlo. Del resto, o cari, se è lecito dire qualche cosa, mi pare evidente che la fine dei tempi è assai lontana. Se Dio fece precedere una preparazione di oltre quaranta secoli allo stabilimento del regno di Gesù Cristo, che è la Chiesa, mi pare ragionevole che questo regno debba essere assai più lungo. Dei mille cinquecento milioni di uomini che vivono sulla terrà, fin ora poco più di duecento milioni sono entrati nella Chiesa: è egli credibile che sì scarso numero di uomini debba essere il frutto di quella redenzione, che fu sì copiosa? Gesù Cristo è e dev’essere il Re dell’universo, e il suo regno dev’essere universale non solo, ma in qualche senso anche pacifico: al presente siam molto lontani da questo regno universale e pacifico di Gesù Cristo, e i figli di Israele, che prima della fine dei secoli debbono pure ritornare a Gesù Cristo, fino ad oggi si mostrano ostinati nella loro incredulità. Nessuno adunque di noi, dirò con san Paolo, si turbi quasi ché il giudizio estremo sia imminente (Tess. II, 1-2). Secondo ogni probabilità passeranno ancora alcune diecine di secoli prima che spunti quel gran giorno. Premesse queste osservazioni, veniamo alla spiegazione del testo evangelico. – Gesù Cristo parla di segni paurosi, che precederanno il dì del giudizio: di segni che appariranno nel sole, nella luna, nelle stelle e nel mare. Quali saranno questi segni? Gesù Cristo non dice nulla in particolare, ma fa capire chiaramente che saranno oltre ogni dire tremendi. Non vuolsi dimenticare che i profeti allorché annunziano grandi sventure o fatti meravigliosi, usano alcune volte queste stesse espressioni enfatiche molto famigliari agli orientali. — Onde è che, volendo il profeta Gioele annunziare il miracolo della Pentecoste e lo stabilimento della Chiesa, scrive: “In quei giorni farò prodigi in cielo e in terra; sangue e fuoco e colonne di fumo; il sole sarà mutato in tenebra e la luna diventerà sanguigna „ (II, 29, 30; Atti Apostoli, c. II 19, 20). Ora noi sappiamo che nel giorno della Pentecoste non si videro colonne di fumo, né il sole si mutò in tenebra, né la luna diventò sanguigna. Quel linguaggio pertanto significò soltanto il fatto straordinario della Pentecoste: fu un modo di dire simile a quello che talvolta usiamo noi per esprimere qualche fatto strepitoso: tremava la terra: pareva cadesse il cielo e andate dicendo. Qui il Salvatore adopera espressioni quasi uguali, parlando della catastrofe finale, e può essere, che, acconciandosi alle forme di dire comuni agli Ebrei, non intendesse propriamente di indicare ecclissi di sole o di luna, o sconvolgimenti di astri e di tempeste di mare, ma volesse soltanto accennare in generale a fenomeni straordinari e terribilissimi, che avverranno in quel tempo, senza determinarli in particolare. Ciò che vuolsi tenere indubitato si è, che la terra e il cielo annunzieranno l’avvicinarsi di quel giorno, che si dice per eccellenza giorno del Signore, con fenomeni e avvenimenti formidabilissimi. E perché sì tremendo apparato di cose? Per mostrare la grandezza di Colui che viene, la maestà del gran giudizio, ed anche, credo io, per atterrire i peccatori, che vivranno ancora sulla terra ed ottenerne la conversione. Sì: quegli scuotimenti paurosi della terra: quei turbamenti dell’atmosfera e dei cieli: quel rovesciarsi del mare sui continenti: quegli strani fenomeni, che riempiranno di sgomento tutti i popoli, saranno la voce di Dio, che li chiamerà a penitenza, e, non ne dubito, moltissimi in quei supremi momenti si convertiranno. I castighi divini sulla terra sono sempre prove della divina misericordia fino all’ultimo giorno dei secoli. Che faranno allora gli uomini superstiti? “Saranno tutti ricolmi di terrore in preda ad un’angoscia mortale. „ E qui la Scrittura adopra una frase che non posso tradurre. Essa dice: Arescentibus hominibus, cioè gli uomini si disseccheranno per lo spavento, che è quanto dire trambasceranno, agonizzeranno, rimarranno come morti alla vista del dissolvimento generale delle cose e dell’appressarsi del Giudice divino. Noi, o cari, non vedremo quel giorno tremendo, non vedremo quelle immani catastrofi, perché riposeremo nella tomba, anzi! … saremo polvere: ma l’anima nostra, dovechessia per essere, ne avrà conoscimento, sicura di sé, se salva; esterrefatta, se per somma sventura perduta. Noi abbiamo il beneficio grande di leggere ora sui Libri santi ed udire anticipatamente ciò che avverrà qui sulla terra prima dell’universale giudizio: facciamone adunque nostro pro, scuotiamoci dal sonno del peccato, giudichiamo ora noi stessi, come dice l’Apostolo, e non saremo giudicati, né paventeremo gli orrori di quel giorno. È questo senza dubbio il fine per il quale Gesù volle annunziarci e in poche linee descriverci il funereo apparato del giudizio supremo: vuole che lo temiamo al presente per sfuggirlo allora che sopravverrà. – Accennati rapidamente gli sconvolgimenti celesti e terrestri, che precederanno il termine dei tempi e lo spavento, onde saranno assaliti gli uomini, i quali tutti in vari modi cesseranno di vivere, Gesù Cristo ci mette innanzi ciò che porrà il colmo allo sgomento universale, la comparsa del Giudice divino. Il Figlio di Dio, nella sua prima venuta, sì umile e sì spregevole, mandò innanzi i patriarchi ed i profeti e particolarmente il Precursore, affine di preparargli la via, pregando ed esortando: comparve sulla terra nel cuore della notte, ignoto a tutti, nel silenzio più perfetto, dice S. Ignazio martire; in questa seconda venuta Egli comparisce in tutta la maestà che si addice a Lui, Figlio dell’Eterno. Il cielo e la terra si agitano e traballano sotto i suoi passi: non prega, ma comanda: ai suoi fianchi cammina, non la misericordia, ma la giustizia; viene come Giudice, non come Salvatore, e lo splendore immenso di questa seconda venuta è la giusta ricompensa dovuta alla umiltà della prima. – Eccolo, grida l’evangelista, eccolo “il Figliuolo dell’uomo venire in una nuvola con potenza e gloria grande. „ Come nelle mostre più solenni i re della terra vengono ultimi e tutti gli occhi son fissi sopra di loro, così in questo sublime spettacolo Gesù Cristo, il Re del cielo e della terra, dopo le schiere degli Angeli e dei Santi, comparisce per ultimo. — Il Figliuol dell’uomo, cioè l’uomo per eccellenza, l’Uomo-Dio, viene sopra una nuvola. È linguaggio figurato, che significa la sua potenza e grandezza e come egli qual Giudice sovrasti a tutte le creature, Angeli e uomini. Non dovete credere che Egli segga veramente sopra una nuvola, quasiché abbia bisogno di sedere e che le cose materiali possano aggiungere alcunché alla maestà della sua adorabile Persona. Questo si dice unicamente per acconciarsi a noi povere creature sensibili, che abbiamo bisogno di tutto questo apparato materiale per elevarci e per concepire alcun poco le grandezze divine. È cosa degna di considerazione che le grandi manifestazioni di Dio sogliano avvenire nelle nubi: una nube avvolge Dio che parla a Mosè: una nube riempie il tempio di Salomone: una nube apparisce sopra di Gesù sul Tabor ed una nube il toglie agli occhi dei discepoli allorché sale al cielo, ed è chiaro che si parla di nubi visibili. Per quel solennissimo giudizio Gesù Cristo non avrà bisogno né di trono, né di domande né di risposte, né di libri e nemmeno di tempo: si farà tutto in un lampo, in un batter d’occhio, in ictu oculi, come dice S. Paolo svelando le coscienze di tutti con la sua luce infinita e rendendo a ciascuno ciò che gli si deve secondo le opere sue, come avrò occasione di spiegare altrove più ampiamente. – Qui nostro Signore si rivolge ai suoi cari Apostoli e discepoli e parla loro come se fossero presenti al giudizio, e lo saranno certamente, e dice loro: “Quando queste cose avverranno, levate in alto gli sguardi, alzate le vostre teste, „ cioè rallegratevi. Gli altri saranno atterriti, saranno trepidanti, aspettando la sentenza irrevocabile: voi allora non vi sgomentate: fidenti levate gli occhi e contemplate il giudice sovrano. E perché? Perché “allora sarà prossima la vostra redenzione.„ Ma come, o Signore? La loro redenzione non è forse già compita qui sulla terra, nel tempo? Sì; qui si semina, là si miete: nei giorni della vita mortale si riceve la grazia; nel giudizio finale la grazia fiorisce e fruttifica e ci dà la gloria eterna. Fino a quel giorno l’anima, se giusta, si beava in Dio, ma il corpo giaceva nel sepolcro, o, fatto polvere, era disperso negli elementi: in quell’istante, in cui apparirà il Giudice celeste, i corpi risorgeranno e saranno ricongiunti alle loro anime, e perciò sarà compiuta l’opera della loro santificazione, o della loro redenzione, giacché l’anima sola non è tutto l’uomo, e solo allora egli sarà perfetto, quando riavrà il corpo rifatto e glorioso. Gesù Cristo aveva detto in termini quali saranno i segni forieri dell’ultimo giorno: ma non gli basta: vuol ribadire la verità con una similitudine, ch’Egli secondo il suo costume, piglia sempre dalle cose più volgari e che stanno sotto gli occhi di tutti. Come dicemmo, Gesù Cristo pronunciò queste parole poco prima della Pasqua, nel mese di marzo e in Palestina; in quel mese la terra si copre di fronde e fiori, ed io penso che allorché Gesù parlava ai suoi Apostoli avesse sotto gli occhi alberi verdeggianti e tra questi il fico, onde disse: “Guardate il fico e tutti gli alberi, così egli; quando mettono il germoglio, voi  in vederlo, riconoscete da voi stessi, che l’estate è vicina. „ Era un dire: Allorché vedete che gli alberi ingrossano le gemme e mettono le prime foglie, voi non errate dicendo: Eccoci all’estate; così, vedendo i segni, che ho accennato, dite pure con sicurtà: Ecco vicino il giudizio. Direte: Ma nessuno degli uditori di Gesù Cristo doveva vedere quei segni: perché adunque rivolge a loro la parola? Perché in loro e per loro parlava a tutti i futuri credenti, come suol fare in moltissimi altri luoghi del Vangelo. – Il Vangelo si chiude con queste due sentenze: “Io vi dico in verità, che non passerà questa generazione o quest’epoca finché tutte queste cose non siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma non passeranno le mie parole. „ Non credo che da labbra umane siano mai uscite e possano mai uscire affermazioni più franche e più audaci di queste. – Ponete mente a quella forma di dire — In verità vi dico, — che esprime la forza massima della affermazione: ponete anche mente a quella forma enfatica che non ha l’eguale: “Passeranno il cielo e la terra, ma non passeranno le mie parole. „ Una affermazione sì solenne non è possibile che sulla lingua di un pazzo, o di chi ha piena coscienza della propria infallibilità e che con uno sguardo signoreggia il futuro. Niuno mai osò, né oserà chiamar pazzo Cristo: Lui che ha trasformato il mondo, che stringe in sé il passato ed il futuro, che è il centro, onde si irradia ogni civiltà ed ogni progresso. Egli adunque aveva piena coscienza di ciò che diceva, aveva piena coscienza della sua divinità: sì, solamente un Dio poteva pronunziare quelle parole inaudite: “Passeranno il cielo e la terra, ma non passeranno le mie parole. „ E l’avvenire si affrettò a confermarle in parte tale che è guarentigia sicura dell’altra. Lo dissi a principio: due cose predisse Gesù Cristo in questo capo, la distruzione di Gerusalemme e la fine del mondo: la prima si adempì letteralmente trentacinque anni dopo che Gesù l’aveva predetta, e il mondo intero ne è testimonio: chi può dubitare che eziandio la seconda non si adempirà nel modo che Gesù predisse? Forse taluno troverà difficile il senso di quella sentenza del Salvatore: “Vi dico in verità che questa generazione non passerà finché tutte queste cose non siano avvenute; dalla quale sentenza sembra che la generazione vivente al tempo di Cristo dovesse essere spettatrice della fine del mondo, il che sarebbe manifestamente falso. La difficoltà si scioglie facilmente. Forse quella espressione: “Non passerà questa generazione„ si ha da intendere della sola distruzione di Gerusalemme, e veramente molti di quelli che vivevano al tempo di Cristo videro quella spaventosa catastrofe. Che se questa interpretazione non sembra in tutto conforme al senso proprio delle parole di Cristo, possiamo darne un’altra che toglie ogni dubbio e che è più comune. “Non passerà questa generazione, „ cioè non cesserà di esistere questa progenie di Abramo, questa nazione giudaica, finché e la distruzione di Gerusalemme, e la fine dei secoli non siano avvenute; fatto unico in tutta la storia dei popoli, la nazione giudaica, dispersa su tutta la faccia della terra, resta fino ad oggi e resterà distinta in mezzo a tutte le genti, qual prova permanente, che delle parole di Cristo non cade sillaba.Raccogliamo le cose dette sin qui e vediamo di cavarne qualche frutto a nostra edificazione spirituale. Gesù Cristo annunzia la fine dei tempi e il giudizio estremo e accenna ai segni paurosissimi che lo precederanno: il giudizio universale sarà la conferma del particolare, che per ciascuno di noi verrà tra breve, alla nostra morte. Quel gran giudizio non avrà nulla di terribile per noi se saremo nel numero dei giusti: anzi la sua venuta ci ricolmerà di gioia e compirà la nostra redenzione, ridonandoci il corpo ripieno di vita immortale e fiorente di eterna giovinezza. Facciamo adunque ogni sforzo per essere trovati in quel dì nel numero degli eletti, e lo saremo se cacceremo il peccato dal nostro cuore e vivremo nella grazia di Dio. Gesù Cristo lo disse: “Passeranno cielo e terra, ma non passeranno le mie parole. „

Credo

Offertorium
Orémus
Ps XXIV: 1-3.
Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur. [A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Secreta
Hæc sacra nos, Dómine, poténti virtúte mundátos ad suum fáciant purióres veníre princípium.[Questi misteri, o Signore, purificandoci con la loro potente virtú, ci facciano pervenire piú mondi a Te che ne sei l’autore.]

Communio
Ps LXXXIV:13.
Dóminus dabit benignitátem: et terra nostra dabit fructum suum. [Il Signore ci sarà benigno e la nostra terra darà il suo frutto.]

Postcommunio
Orémus.
Suscipiámus, Dómine, misericórdiam tuam in médio templi tui: ut reparatiónis nostræ ventúra sollémnia cóngruis honóribus præcedámus.
[Fa, o Signore, che (per mezzo di questo divino mistero) in mezzo al tuo tempio sperimentiamo la tua misericordia, al fine di prepararci convenientemente alle prossime solennità della nostra redenzione.]

LO SCUDO DELLA FEDE (XXXIX)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

LO SCUDO XXXIX.

IL PAPA.

Visibilità della Chiesa e spirito privato del protestantesimo. — Istituzione divina del Papato. — S- Pietro a Roma. — Autorità del Papa. — Sua infallibilità. — Necessità della medesima. — Anche di fronte ai Concili!. — Un’infallibilità pontificia non è un dogma nuovo? — E i Papi che hanno errato? — E quelli malvagi?

— È dunque proprio vero che Gesù Cristo nel fondare la sua Chiesa ha inteso di fondare una società visibile?

Non se ne può avere il minimo dubbio. Già fin dai tempi antichi i profeti avevano annunziato che Gesù Cristo avrebbe creato una società visibile a guisa di un regno potente, che si sarebbe esteso sino agli estremi confini della terra (V. Daniele, capo II, versetto 44); a guisa di una casa del Signore, che sta sulla vetta dei monti e si solleva sopra tutti i colli, ed alla quale sarebbero accorsi in folla tutti i popoli; a guisa di una città santa, nella quale sarebbero entrate le moltitudini delle nazioni ed i popoli gagliardi (V. Isaia., capo II e LX). Lo stesso Gesù Cristo poi promise durante la sua predicazione, che per la salvezza universale degli uomini avrebbe edificato la sua Chiesa: e parlando di essa la paragonò ad un gregge e ad un ovile, al quale dovevano pervenire tutte le pecorelle disperse per tutto il mondo; ad un banchetto, a cui sono chiamate persone di ogni stato; ad una rete gettata nel gran mare dell’umanità e che piglia ogni specie di pesci; ad un granellino di senapa, che si converte poscia in un albero immenso, nel quale vanno a riposarsi ogni sorta di uccelli; ad un regno di Dio aperto a tutti i popoli della terra.

— Come dunque i protestanti osano negare la visibilità della Chiesa?

Si capisce. Tutto il sistema del protestantesimo si basa sopra lo spirito privato. Essi sostengono cioè che ognuno degli uomini può stare da sé e dipendere direttamente da Dio, il quale illumina ogni uomo intorno a quel che deve credere e a quel che deve operare per mezzo della Bibbia; che perciò non vi è bisogno di nessun’autorità nella Chiesa, la quale ci spieghi e quel che dobbiamo credere e quel che dobbiamo operare. Quindi in conformità a questo suo errore capitale il protestantesimo nega la necessità che la Chiesa di Gesù Cristo sia visibile, nega cioè che debba essere visibile nel suo insegnamento, nel suo culto, nel governo delle anime, nell’autorità dei suoi Pastori e specialmente del Sommo Pontefice, lasciato da Gesù Cristo a governarla visibilmente sulla terra. E ciò esso fa propriamente per poter affermare di sé che, allontanatosi dall’ovile e sottrattosi all’autorità del supremo pastore il Papa, forma nondimeno la Chiesa di Gesù Cristo.

— E non risulta forse chiaro dal Vangelo che Gesù Cristo ha preposto un capo supremo a governare visibilmente la Chiesa?

Risulta chiarissimo. Tu sai che fra i dodici Apostoli suoi riguardò sempre Pietro come il primo di tutti. A lui cambiò il nome di Simone in quello di Cefa ossia Pietra, ad indicare che lo voleva fare la pietra fondamentale della sua Chiesa. Predicò di preferenza dalla barca di lui. Pregò distintamente per lui. Da lui cominciò a lavare i piedi agli Apostoli. Lui fece camminare sulle onde. A lui apparve singolarmente dopo la risurrezione; lui insomma designò chiaramente al disopra di tutti. E tutto ciò è ancor poco, perciocché ben più apertamente Gesù Cristo fece intendere il suo disegno e la sua volontà riguardo a Pietro. Quel dì, che a nome degli altri Apostoli Pietro confessò esplicitamente la Divinità di Lui, Gesù Cristo rivolgendosi ad esso gli disse queste precise parole : « Ed io dico a te, che tu sei Pietro, e sopra di questa pietra fabbricherò la mia Chiesa, e le potenze d’inferno non prevarranno contro di essa giammai. A te io darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che avrai legato sopra la terra sarà legato anche nei cieli, e tutto ciò che in sulla terra avrai sciolto, sarà sciolto anche ne’ cieli » (V. Vangelo di S. Matteo, capo XXVI). – Nell’ultima cena poi rivolto a Pietro, gli dice: « Simone, io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno; e tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli » (V. Vangelo di S. Luca, capo XXII). E dopo la sua risurrezione apparendo ai suoi discepoli e volgendosi ancora a Pietro, dopo averlo per tre volte interrogato se lo amava ed essersi inteso a rispondere che sì, gli disse due volte: « Pasci i miei agnelli; » ed una terza: « Pasci le mie pecorelle » (V. Vangelo di S. Giovanni, capo XXI). – Ora per negare che in queste sentenze Gesù Cristo abbia costituito Pietro capo, fondamento, clavigero, legislatore, pastore, maestro supremo del suo regno, cioè della sua Chiesa, bisognerebbe far contro allo stesso buon senso naturale.

— E si può essere certi che S. Pietro abbia riconosciuto d’aver ricevuto tale potestà e che gli altri Apostoli e i primitivi fedeli l’abbiano riconosciuta?

Certissimi. Difatti appena salito in cielo Gesù Cristo, Pietro nel cenacolo piglia il primo posto, parla pel primo e propone egli l’elezione di un altro Apostolo in luogo di Giuda il traditore. Nel dì della Pentecoste è egli che pel primo predica la fede di Gesù Cristo e la conferma coi miracoli. In seguito è ancor egli che pel primo avendo convertito i Giudei, va pel primo a battezzare i Gentili. Così è egli Pietro, che stabilisce i primi punti di disciplina e compone qualsiasi dissidio che insorga, tanto che tutta la Chiesa, pastori e fedeli a lui si affidano, lui seguono, lui obbediscono; e lo stesso grande S. Paolo, benché fatto Apostolo direttamente da Gesù Cristo non si tiene pago fino a che non ha fatto confermare il suo apostolato da S. Pietro.

— Ciò va benissimo. Ma non si potrebbe obbiettare che l’autorità che Gesù Cristo conferì a Pietro sia stato un privilegio personale?

Il credere ciò sarebbe lo stesso che credere che Gesù Cristo non abbia voluto che durasse in perpetuo la sua Chiesa, ma che invece con la morte di Pietro si disgregasse e andasse in rovina. Dimmi, a non sovvertire l’idea istessa di famiglia, di stato, di società, non si appalesa a primo aspetto la necessità di un rispettivo capo?

— Sì, senza alcun dubbio.

Dunque se Gesù Cristo voleva che la sua Chiesa durasse perpetuamente quaggiù (e lo volle davvero, perché ha dichiarato apertamente essere sua volontà che tutti gli uomini pervengano al conoscimento della verità), non doveva volere che a conservarsi integra, una, indissolubile vi fosse pur sempre in essa un capo supremo?

— Anche ciò è chiarissimo.

Dunque il primato di Pietro non è un privilegio personale, che abbia a perire con la sua morte; è un privilegio che raccoglierà ogni suo successore, un privilegio che rimarrà in tutti quelli che continueranno il suo Pontificato sino alla consumazione dei secoli, ascendendo quella stessa cattedra romana, sulla quale per divina ispirazione egli andò ad assidersi e ad esercitare il suo supremo potere ed infallibile magistero.

— Mi pare però che si dubiti assai che S. Pietro si sia recato a Roma a stabilire la sua cattedra episcopale.

Oh sì, caro mio, dai protestanti ciò si è messo in dubbio e lo si è negato addirittura, e sempre con questo intento maligno di negare l’autorità suprema del Vescovo di Roma. Ma il fatto della venuta, dimora e morte di San Pietro in Roma, e per conseguenza dello stabilimento della sua sovrana autorità in detta città è di una certezza storica tale, che fa peranche oggi sin ridere il doverlo provare. I monumenti archeologici specialmente, con quelle illustrazioni che ebbero ultimamente dal celebre Giovan Battista de Rossi, forniscono oggi, oltre ad altri innumerevoli, uno dei più convincenti argomenti della verità di tal fatto. D’altronde gli stessi protestanti e razionalisti dei dì nostri, in gran parte, benché non vogliano saperne del primato del Papa, Vescovo di Roma, hanno ancor essi respinto questo errore del vecchio protestantesimo. Dico però solamente in gran parte, perché taluno di essi che passa per la maggiore, come lo storico Ferdinando Gregorovius, osa asserire impudentemente, pur sapendo di mentire, che « la storia non sa nulla di questa presenza dell’apostolo Pietro in Roma, e che perciò non è altro che un fondatore leggendario della comunità romana ». E di ciò è a rincrescere assai, perché certi giovani studenti delle scuole superiori se si imbatteranno in tale asserzione, o se l’intenderanno a fare da qualche loro professore, senza punto darsi la pena di rettificarla con studi appositi, solo perché è l’asserzione di un tedesco, l’accetteranno come oro di coppella, e diranno poi contro la sentenza opposta e dimostrata matematicamente vera: « Ecco un’altra invenzione dei preti ».

— Stia certo che essendo stato posto sull’avviso, ciò non accadrà di me. Ma l’autorità suprema del Papa fu pure sempre riconosciuta lungo il corso dei secoli?

Sempre. Tutti i Padri, tutti i Dottori, tutti i Concilii furono sempre d’accordo nel credere e proclamare che il Papa, il Pontefice romano è il Vicario di Gesù Cristo, il Successore di S. Pietro, il Reggitore e Maestro supremo della Chiesa universale. Ed ogni qualvolta i reggitori e maestri delle Chiese particolari, i Vescovi, si trovarono nel dubbio e nella controversia per riguardo a qualche pratica religiosa o a qualche punto di dottrina fu sempre al Papa che si rivolsero, e fu sempre alla sua decisione che si affidarono ed obbedirono come all’oracolo divino, conoscendo per fede e di fatto che S. Pietro persevera e vive nei suoi successori.

— Vuol dire adunque che il Papa ha il potere di ammaestrare, dirigere e comandare anche i Vescovi?

Senza dubbio. Sebbene i Vescovi siano i successori degli Apostoli, opperò abbiano anch’essi quell’autorità divina, che Gesù Cristo diede agli Apostoli dicendo loro: « Tutto ciò che avrete legato sulla terra sarà pure legato in cielo; tutto ciò che avrete sciolto sulla terra sarà sciolto in cielo; come il Padre celeste ha mandato me, così io mando voi eccetera, eccetera; » non di meno il Papa per essere il Capo supremo della Chiesa, per avere ricevuto da Gesù Cristo l’ordine e il potere di pascere non solo gli agnelli figura dei fedeli, ma eziandio le pecorelle figura dei Vescovi, di confermare nella fede i suoi fratelli, cioè gli stessi Vescovi, perciò ha realmente l’autorità di ammaestrare, dirigere e comandare anche i Vescovi, ed anche i Vescovi devono stare a Lui soggetti.

— E in tal guisa l’autorità dei Vescovi non ne scapita?

No affatto. L’autorità dei Vescovi, che come ti dissi, è pur essa divina, rimane quella che è. Epperò anche i Vescovi nella loro diocesi hanno il potere di ammaestrare nella fede, di conferire la grazia coi Sacramenti, di far leggi conducenti alla salvezza delle anime in particolar modo affidate alle loro cure, di punire con pene adatte alla natura ed indole della Chiesa i figli disobbedienti, e cose simili; ma la loro autorità è sempre subordinata a quella del Pontefice secondo che Gesù Cristo ha voluto, di quella guisa che in un esercito i diversi generali e colonnelli, avendo pur ciascuno una vera autorità, stanno tuttavia soggetti al generale in capo, costituito dal re anche sopra di essi.

— Ho inteso, e sono ora più che convinto riguardo all’autorità del Papa. Ciò che però non capisco ancor bene si è la sua infallibilità. Mi pare impossibile che il Papa, per quanto Papa, non possa peccare come tutti gli altri uomini! e che si debba aggiustar fede ad ogni parola, ad ogni giudizio che egli esprima su qualsiasi soggetto.

Come ? anche tu hai delle idee così storte a questo riguardo? Caro mio, l’infallibilità non è affatto l’impeccabilità come tu, ed altri pensano: la Chiesa non ha mai insegnato ciò; perché il Papa in quanto è uomo potrà anche egli peccare, e dovrà perciò anch’egli gettarsi ai piedi di un altro ministro del Signore per implorare il perdono delle sue colpe. Così pure non è vero assolutamente che l’infallibilità sia legata ad ogni sua parola e ad ogni suo giudizio, che anch’egli, come persona privata, esprimendo il suo parere o sopra la storia, o sopra la scienza, o sopra la filosofia, o sopra la teologia, o sopra la politica, o sopra l’arte, o sopra qualsiasi altra cosa può fallire. L’infallibilità è quella prerogativa, per cui il Papa come Capo della Chiesa, in virtù della promessa di Gesù Cristo, giudicando e definendo dall’alto della sua suprema cattedra cose riguardanti la fede o i costumi, non può cadere in errore, né quindi ingannar se stesso o gli altri. Ecco che cosa è l’infallibilità.

— Tutto ciò va bene; ma io ho sempre udito dire che al mondo non c’è altri infallibile che Iddio!

Perdinci ! Tu mi spari davvero una bomba, ma è bomba di carta. Lo so anch’io che Iddio solo è infallibile, e so anche che Dio solo può conoscere il futuro, che Dio solo può far dei miracoli, che Dio solo può assolvere i peccati e compiere altre simili cose. Ma forse che Dio non può comunicare, quando gli paia e piaccia, questi doni a taluno degli uomini? Forse che non li abbia comunicati? Dunque anche essendo Egli solo infallibile può comunicare al Papa il dono dell’infallibilità e realmente glielo comunica, affinché quando parla come Papa, cioè come Vicario suo e definisce una qualche cosa che riguardi la fede o i costumi non cada in errore.

— Ma quale necessità che Dio partecipi la sua infallibilità al Papa? Io non la vedo affatto.

Non la vedi? Eppure non v’è nulla di più chiaro. Secondo le parole di Gesù Cristo a S. Pietro, ogni Papa deve pascolare agnelli e pecore, deve cioè istruire tutta la Chiesa, e questa deve ricevere i suoi pascoli, i suoi insegnamenti. – Ora se il Papa ne’ suoi insegnamenti circa la fede o i costumi errasse o per ignoranza o per malizia, non sarebb’egli come un pastore, che conduca gli agnelli e le pecore a pascoli avvelenati, un pastore che invece della vita darebbe loro la morte? – Inoltre il Vangelo ci dice che Gesù Cristo pregò pel Capo della sua Chiesa, affinché la sua fede non venisse meno e così potesse confermare in essa i suoi fratelli. Ma potrebbe fare ciò il Papa, se la preghiera di Gesù Cristo non fosse stata dal suo Celeste Padre esaudita, ed il Papa non fosse infallibile nel suo Magistero supremo? – Supponi che nella Chiesa nasca una questione gravissima riguardo a qualche dottrina o a qualche pratica religiosa, questione che assolutamente bisogna decidere per tranquillizzare le coscienze, per illuminarle e dirigerle secondo la verità; si potrebbe fare ciò, se il Papa, capo della Chiesa, appoggiandosi alla promessa di Gesù Cristo non potesse egli decidere in modo infallibile, che si tratta sì o no di una dottrina rivelata, di una pratica conforme o disforme alla legge di Dio?

— Le ragioni che mi adduce sono veramente forti; ma per decidere queste questioni religiose non si sono radunati pel passato e non si possono ancora radunare adesso e in seguito dei Concilii di tutti i Vescovi della Chiesa?

Sì, ciò è vero, ma anzitutto ti osservo che i Concilii ecumenici, ossia generali di tutti i Vescovi, non si possono raccogliere in ogni tempo, né possono essere per loro natura un tribunale permanente. E se la cosa fosse urgente e si esigesse subito una parola chiara, autorevole, che cessi i dissidi e tronchi le lotte, come si farebbe? In secondo luogo tu devi sapere che nessun Concilio può aver valore nella Chiesa se non è ratificato dal Papa, e che le decisioni dogmatiche di un Concilio ecumenico sono infallibili in quanto che in detto Concilio i Vescovi sono congiunti al Papa, capo della Chiesa, il quale, a guisa di sole nel quale s’incentra la infallibilità, la irradia sopra il corpo episcopale a lui unito.

— Vuol dire adunque che un Concilio, fosse pure di tutti i Vescovi del mondo, senza il Papa o contro il Papa, non sarebbe infallibile.

Precisamente così. Il Papa è sempre lui il fondamento della Chiesa, e qualsiasi corpo, fosse pure quello di tutti i Vescovi del mondo, che non si basi sopra il fondamento stabilito da Gesù Cristo, non può partecipare a quella incrollabilità di fede, che Gesù Cristo ha assicurato al detto fondamento.

— Ma il dogma dell’infallibilità del Papa non è ancor esso un dogma nuovo? Dunque i Papi, che esistettero prima di questo dogma, non saranno stati infallibili.

Ricorda quanto già ti ho detto riguardo alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. La Chiesa quando definisce un nuovo dogma non introduce una nuova verità da credere, ma dichiara che una dottrina, che sempre vi è stata nella Chiesa, è una verità rivelata da Dio precisamente perché fa parte della divina rivelazione. Dunque sebbene il dogma dell’infallibilità del Papa sia stato definito soltanto il 18 luglio 1870 nel Concilio Vaticano, perché allora si vide l’opportunità di definirlo, non di meno è una verità sempre esistita e in fondo in fondo sempre riconosciuta, dacché Gesù Cristo disse a San Pietro: « Tu sei Pietro; pascola i miei agnelli e le mie pecorelle; conferma nella fede i tuoi fratelli ».

— Ma pure alcuni Papi in passato non sono caduti in errore? Ho sentito parlare di Liberio, di Marcellino, di Onorio.

Basta, basta; ho già inteso. Ma prima di tutto bisogna ricercare se le cose, che di questi Papi si dicono, siano vere. In secondo luogo bisogna vedere se le cose, quali sono realmente, contengano errori contro la fede o la morale. E da ultimo, qualora ci fossero veramente degli errori, bisogna dimostrare se sono stati profferiti da questi Pontefici come da Papi, nell’esercizio supremo della loro autorità, propriamente per fare una definizione dogmatica, oppure come da dottori privati. Fino a che non si provino queste tre cose, e non si potranno mai provare, è inutile far delle obbiezioni aeree.

— Dunque non è mai accaduto che nella Chiesa vi siano stati dei Papi, che abbiano errato?

No; dei Papi che nell’esercizio supremo del loro ministero abbiano errato, non ve ne sono stati mai, e non mai ve ne saranno. Ed è questa una cosa al tutto mirabile che in sì lungo corso di secoli, con tante e sì svariate dottrine, che i Papi come Capi della Chiesa hanno proposte e definite, non siano mai caduti in alcun errore o contraddizione.

— Ciò che però non mi potrà negare si è che tra i Papi ve ne siano stati anche di quelli malvagi, per esempio un Alessandro VI, nei quali non saprei proprio come vi abbia potuto essere la infallibilità!

Io non ti nego che vi sia stato tra i Papi qualcuno di una vita non dicevole alla sublime sua dignità. Ma che per questo? Se come persone private fallirono, come Pontefici vennero forse meno al loro gravissimo ufficio? No, mai. Lo stesso Alessandro VI, di cui tanti scrittori farisaici inorridiscono, dato pure che la sua vita privata non sia stata sempre buona, non diede mai alcun insegnamento, che pregiudicasse la fede e la morale cristiana. La purità della dottrina anche sotto di lui rimase intatta. – « In ogni epoca, ti dirò col valentissimo storico dei Papi, Dottor Lodovico Pastor, si sono dati nella Chiesa da canto a cattivi Cristiani anche indegni sacerdoti, come tra gli stessi Apostoli vi fu un Giuda. Ma a quella guisa che una cattiva incastonatura non scema il pregio di una gemma, così pure la peccabilità di un sacerdote non può recar scapito essenziale né al Sacrificio ch’egli offre, né ai sacramenti di cui è ministro, né alla dottrina ch’egli insegna. Il perché eziandio il sommo sacerdote (il Papa) non è in grado di togliere alcunché dal merito dei tesori celesti, che gli sono nella loro pienezza affidati e cui egli amministra e dispensa. L’oro rimane oro, sia che lo dispensi una mano pura od impura. Con questi criteri giudicava ormai Leone Magno; « La dignità di Pietro (e si può dire lo stesso della sua infallibilità) non va a scadere né anche in un indegno successore » (V. Storia dei Papi, ecc. di Lodovico Pastor, volume III, pagina 435).

Calendario liturgico della Chiesa Cattolica: DICEMBRE 2018

DICEMBRE è il mese che la Chiesa dedica alla Immacolata Concezione ed alla Natività di N. S. Gesù-Cristo

-364-

Fidelibus, qui mense decembri aliquod pietatis exercitium in honorem B. M. V. Immaculatæ præsteterint.

[Ai fedeli che praticano nel mese di Dicembre un qualsiasi esercizio di pietà in onore della B.M.V. Immacolata, si concede …]

Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die; [5 anni per ogni giorno del mese]

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo huiusmodi obsequium quotidie per integrum mensem obtulerint [indulgenza plenaria s. c. se l’esercizio viene praticato per tutto il mese].

NOVENA

IN Onore 

DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE

DI MARIA SS.

(Comincia il dì 29 Novembre).

Deus in adjutorium, etc. Gloria Patri, etc.

I. Vergine purissima, Immacolata Maria, io mi rallegro con Voi perché fin dall’eternità Iddio vi elesse per degnissima Madre del suo Figliuolo Divino. Ringrazio infinitamente la SS. Trinità per dignità sì sublime a cui vi ha innalzata; e vi prego di ottenermi da Dio l’eterna salute dell’anima mia. Ave Maria,

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

II. Regina delle Vergini, Immacolata Maria, io mi congratulo con Voi che fin dal primo istante del vostro concepimento Iddio vi preservò dal peccato originale. Ringrazio infinitamente la SS. Trinità di questo inestimabile privilegio fra le pure creature a voi sola concesso; e vi prego di ottenermi da Dio la grazia di vincere quei tristi effetti che ha prodotte in me il peccato originale. Ave Maria,

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

III. Specchio di purità, Immacolata Maria, io godo con tutto il cuore che fin dal principio del vostro concepimento Iddio vi esentò da qualunque peccato, e dal fomite stesso del peccato. Ringrazio infinitamente la SS. Trinità di questo dono sì singolare che vi ha compartito; e vi prego d’impetrarmi da Dio il perdono dei miei peccati, la grazia di superare e vincere le mie passioni, e di non cadere mai nella colpa. Ave Maria, etc.—

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

IV. Mistica Rosa di purità, Immacolata Maria, io mi congratulo con Voi per essere stata sin dal primo istante del vostro concepimento ripiena di grazie, e ricolma dei doni tutti dello Spirito Santo. Ringrazio infinitamente la SS. Trinità di grazie sì grandi di cui ha ricolmato il vostro cuore; e vi prego di ottenere anche a me tutti quei doni e quelle grazie che mi sono necessarie per vivere sempre in modo, che sia accetto al cuore di Dio. Ave Maria,

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

V. Lucida Stella di purità, Immacolata Maria, io mi rallegro con Voi, che arricchita dei celesti doni, cominciaste subito a conoscere ed amare Dio con tutto il vostro cuore. Ringrazio infinitamente la SS. Trinità di questo dono sì particolare che vi ha concesso; e vi prego d’impetrarmi grazia che io conosca ed ami sempre e con tutto il cuore il mio Signore e mio Dio. Ave Maria,

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

VI. O Sole senza macchia, Immacolata Maria, io mi congratulo con Voi che fin dal primo istante del vostro concepimento foste confermata in grazia, e resa impeccabile. Ringrazio infinitamente la SS. Trinità di questo privilegio che vi ha compartito; e vi prego di ottenermi da Dio la costanza nel bene, e la perseveranza finale. Ave Maria,

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

VII. Giglio di purità, Immacolata Maria, io mi rallegro con Voi, che nell’essere prescelta fra tutte le creature ad essere Madre di Dio, foste nel tempo stesso destinata a rimaner sempre Vergine. Ringrazio infinitamente la SS. Trinità di questo privilegio fra tutte le creature a Voi sola concesso; e vi prego d’impetrarmi una perpetua purità di mente e di corpo. Ave Maria, etc. —

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

VIII. Chiarissima Luna di purità, Immacolata Maria, mi consolo con tutto il cuore perché fin dal primo istante del vostro concepimento siete stata costituita Corredentrice del Mondo, Madre ed Avvocata di noi miseri peccatori. Ringrazio infinitamente la SS. Trinità di officii sì sublimi che vi ha affidato, e di onore sì grande a cui vi ha innalzata; e vi prego di ottenermi grazia di esser degno vostro Figlio, e di sperimentare in me gli effetti della Redenzione col vivere santamente, e santamente morire. Ave Maria, etc.

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

IX. Aurora sorgente di purità, Immacolata Maria, io mi rallegro con Voi perché avete gloriosamente trionfato del serpente infernale nell’immacolato vostro concepimento, che è stato il principio della salute del genere umano, e l’allegrezza di tutto il mondo. Ringrazio infinitamente la SS. Trinità di questo privilegio si singolare che vi ha concesso e vi prego a volermi impetrare da Dio la grazia di trionfare dei nemici della mia eterna salute, e di conseguire quella pura e perfetta allegrezza che si gode solamente nel Cielo, affinché io possa insieme con Voi per tutta l’eternità godere Dio, e ringraziarlo degli eccelsi privilegi che fin dal primo istante del vostro concepimento vi ha concesso, e che sono stati finalmente perfezionati nel Cielo con quella gloria sì eminente a cui siete stata innalzata. Ave Maria, etc. —

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

INNO.

Tota pulchra es, Maria.

Tota pulchra es, Maria.

Et macula originalis non est in Te.

Et macula originalis non est in Te,

Tu gloria Jerusalem.

Tu lætitia Israel.

Tu honorificentia populi nostri.

Tu advocata peccatorum.

V. O Maria.

O Maria.

Virgo prudentissima.

Mater clementissima.

Ora prò nobis.

Intercede prò nobis ad Dominum Jesum Christum.

In Conceptione tua, Virgo Maria, immaculata fuisti.

Ora prò nobis Patrem, cuius Filium de Spiritu Sancto peperisti.

OREMUS.

Deus, qui per Immaculatam Virginis Conceptionem dignum Filio tuo habitaculum preparasti: quæsumus, ut sicut ex morte ejusdem Filii tui prævisa, eam ab omni labe preservasti, ita nos quoque mundos, eius intercessione ad te pervenire concedas. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.

[Il giardino spirituale; G. Russo ed. – Napoli 1903, imprim.]

PIA EXERCITIA

361

Fidelibus, qui novendialis pio exercitio, ante festum B. M. Virginis Immaculatæ in eiusdem honorem publice peracto, devote interfuerint, conceditur: Indulgentia septem annorum quolibet die; Indulgentia plenaria, si, diebus saltem quinque, novendialibus supplicationibus adstiterint et præterea admissa sua confessi fuerint, ad Convivium eucharisticum accesserint et ad Summi Pontiflcis mentem oraverint. Iis vero, qui præfato tempore preces ad B. M. Virginem Immaculatam privatim effuderint, cum proposito easdem per novem dies continuos iterandi, conceditur:

Indulgentia quinque annorum semel quolibet die; Indulgentia plenaria suetis conditionibus, novendiali exercitio expleto; at ubi pium exercitium publice peragitur, hæc indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (Pius IX, Audientia 3 ian. 1849; S. C. Episc. et Regul., 28 ian. 1850; S. C. Indulg., 26 nov. 1876; S. Pæn. Ap., 18 maii 1935).

[Ai fedeli che praticano la novena in pubblico o se impediti, in privato: si concedono 7 anni per ogni giorno; 5 se in privato;  Indulgenza plenaria al completamento della stessa con s. c.]

(S. C. Indulg., 13 nov. 1907; S. Pæn. Ap., 24 apr. 1933).

A Roma si moriva. I ricchi erano fuggiti, ed un silenzio greve pesava nelle vie deserte. Dalle finestre, dalle porte socchiuse usciva il rantolo degli appestati che, in agonia, bruciavano di sete senza alcuno che bagnasse quelle labbra già violacee e riarse. I morti non si potevano più seppellire. Sulle scale, nelle vie, accanto alle vie ammorbavano l’aria. L’aria era diventata come una nuvola grassa che faceva mancare il respiro e intorbidiva la luce del sole. Il papa S. Gregorio ricorse ad un mezzo estremo: nel tempo pasquale indisse una processione per l’attorniamento della città portando l’immagine beata di Maria sempre Vergine, quella che si credeva di San Luca e che ancora si conserva nella basilica di Santa Maria Maggiore. – Man mano che l’immagine santa si avanzava tra la processione riverente, l’aria appestata e scura si squarciava come una nebbia all’ascendere del sole, e dietro appariva un fresco sereno. Gli appestati guarivano improvvisamente, e sentivano un nuovo flusso di vita ascendere nelle loro vene. Delle voci angeliche passavano cantando « Regina del cielo, rallegrati! ». Allora il Papa, e tutto il popolo scoppiò in un grido incontenibile di gioia, di fede: « Halleluia! Halleluia ». – Che ammorba la società non è più la peste dei corpi, ma quella delle anime: la passione impura. Mai come ai nostri tempi la moda fu invereconda e provocatrice! Mai come ai nostri tempi le stampe, i teatri, i cinema osarono essere licenziosi. Quante anime,- specialmente giovanili, sono prese dal turpe male e muoiono, senza pregare più, senza credere più! Bisogna portare nel mondo la divozione alla Madonna, alla Madonna Immacolata. Davanti a lei fuggono le tentazioni impure come nebbia che si squaglia, guardando a Lei ogni uomo sente il desiderio di vivere casto. O Vergine tutta bianca! O vittoriosa del demonio! O Regina potentissima del cielo! torna in mezzo a noi e col profumo della tua purezza attira le anime fuori dal vizio, e sul mondo purificato fa risplendere il bel sole di Dio. [G. Colombo: Pensieri sui Vangeli, vol. I; soc. Ed. Vita e Pensiero, Milano 1939]

« Iddio —dice S. Paolo — abita in una luce inaccessibile. ». Ed è per farci conoscere il Padre Suo, che Gesù è disceso sulla terra. « Nessuno conosce il Padre tranne il Figlio, e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo ». Il Verbo fatto carne è dunque per noi la manifestazione di Dio, è Dio fatto uomo che ci rivela il Padre. Non meravigli dunque l’importanza che la Chiesa ammette nella liturgia di Natale, a questa manifestazione della divinità di Gesù Cristo. Attraverso le belle sembianze del Fanciullo, che Maria ha deposto nella mangiatoia, la Chiesa ci fa scorgere, come in trasparenza, la Divinità diventata in qualche modo visibile e tangibile! « Chi vede me, vede il Padre », diceva Gesù. « Per mezzo del mistero dell’Incarnazione del Verbo, aggiunge il Prefazio di Natale, noi conosciamo Dio in una forma visibile»; e, per bene affermare che la contemplazione del Verbo è soprattutto il fondamento dell’ascesi di questo tempo, si prendono specialmente dagli scritti dei due Apostoli S. Giovanni e S. Paolo, araldi per eccellenza della Divinità di Cristo, i brani nei quali essi ne parlano più profondamente. Così la liturgia di Natale ci fa inginocchiare, con Maria e Giuseppe, davanti a questo Dio rivestito della nostra carne: «Cristo è nato per noi: venite, adoriamolo » ; con l’umile corteo dei pastori che vanno al presepio «ci fa accorrere in fretta per glorificare e lodare iddio »; ci unisce alla sontuosa carovana dei Re Magi onde con loro « ci prostriamo avanti al Fanciullo e  adoriamo «Colui che tutti gli Angeli di Dio adorano ». Riconosciamo con la Chiesa il grande dogma della Divinità di Gesù e dell’Incarnazione del Verbo. [Messale Romano L.I.C.E. Torino, 1950]

LE FESTE DEL MESE DI DICEMBRE

1 Dicembre Sanctæ Mariæ Sabbato    Simplex *I*

2 Dicembre Dominica I Adventus    Semiduplex I. classis *I*

3 Dicembre S. Francisci Xaverii Confessoris    Duplex maj.

4 Dicembre S. Petri Chrysologi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

5 Dicembre S. Sabbæ Abbatis    Feria

6 Dicembre S. Nicolai Episcopi et Confessoris    Duplex

7 Dicembre S. Ambrosii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

8 Dicembre In Conceptione Immaculata Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis *L1*

9 Dicembre Dominica II Adventus    Semiduplex II. classis

11 Dicembre S. Damasi Papæ et Confessoris    Duplex

13 Dicembre S. Luciæ Virginis et Martyris    Duplex

15 Dicembre In Octava Concept. Immac. Beatæ Mariæ Virginis    Duplex majus

16 Dicembre Dominica III Adventus    Semiduplex II. classis

17 Dicembre: inizio ‘O’ degli inni solenni (dicembre 17-23 dicembre)

19 Dicembre Feria IV Quattuor Temporum Adventus    Semiduplex

21 Dicembre S. Thomæ Apostoli    Duplex II. classis

       Feria VI Quattuor Temporum Adventus    Semiduplex

22 Dicembre Sabbato Quattuor Temporum Adventus    Semiduplex

23 Dicembre Dominica IV Adventus    Semiduplex II. classis

24 Dicembre In Vigilia Nativitatis Domini    Duplex I. classis

25 Dicembre In Nativitate Domini    Duplex I. classis *L1

26 Dicembre S. Stephani Protomartyris    Duplex II. classis *L1*

27 Dicembre S. Joannis Apostoli et Evangelistæ    Duplex II. classis *L1*

28 Dicembre Ss. Innocentium    Duplex II. classis *L1*

30 Dicembre Dominica Infra Octavam Nativitatis    Semiduplex Dominica minor

GIUSTIZIA FINALE DEL CRISTO

GIUSTIZIA FINALE DEL CRISTO

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli – Vol. III; Soc. ed. “Vita e pensiero”, Milano, 1939 – imprim.]

1.

Tre momenti possiamo considerare nella giustizia finale del Cristo, come la predice il Vangelo. Dapprima, la crisi suprema del mondo. Le forze che reggono la compagine dell’universo si sbanderanno: i cieli si arrotoleranno come tende, il sole e la luna si oscureranno, le stelle cadranno come foglie di autunno. – Poi l’improvvisa apparizione del Giudice. Nel cielo vuoto Gesù e la sua croce sfolgorante. Ai riverberi di quella luce oltremondana, ogni anima diverrà trasparente più che cristallo percosso dal sole, sicché tutte le macchie della coscienza, anche le più piccole, saranno visibilissime. Il terzo momento è la confusione dell’anima colpevole. Muta perché senza scuse, sola perché senza nessun protettore, ella piangerà: ed al suo pianto farà bordone il vasto singhiozzare delle tribù dei peccatori. La delusione d’un mondo che scompare. Il giudizio esattissimo del Giudice divino. La confusione dell’anima senza scuse e senza protezione. Son tre pensieri che gioverà meditare molto seriamente.

1. LA DELUSIONE D’UN MONDO CHE SCOMPARE

«Il cielo e la terra passeranno… » ; disgraziati tutti quelli che vi han collocato il loro cuore e il loro tesoro. Mi servirò di alcune similitudini di S. Agostino, adattandole un poco.

a) Un architetto bravissimo passò un giorno davanti a una sontuosa villa costruita sul margine d’un ruscello e disse al proprietario: « Guarda che sta per crollare: rosi dall’acqua, i fondamenti ormai cedono ». L’inquilino gli scrollò le spalle in faccia, alla sera radunò ancora gli amici al consueto festino, e dopo si pose a letto per dormire tranquillamente. Era nel primo e profondo sonno, e la casa crollò, schiacciandolo sotto. Peggio per lui, direte, perché era stato avvisato. Orbene, anche noi siamo stati avvisati. Il costruttore del mondo ci dice che questo mondo ha da rovinare e che il fiume del tempo, trascorrendo con lena insonne, gli rode i fondamenti. Non siamo immensamente stolti se invece di sgombrare, di cominciare a porre altrove le nostre speranze, i nostri desideri, i nostri beni, li collochiamo e fissiamo in questo mondo come se avesse a durar sempre, come ci dovessimo fare una dimora perpetua? Poi vien la morte e tutto crolla. Poi vien la fine del mondo e tutto frana. Che delusione amarissima!

b) Un contadino poneva il frumento sulla nuda terra, in un luogo umido e senz’aria. Viene un amico, il quale conosce bene la natura del frumento e della terra, e gli fa vedere la sua ignoranza, dicendogli: « Che hai fatto? porre il frumento sulla nuda terra, in un posto umido? D’inverno, quando le lunghe piogge ammollano tutto, questo grano marcirà e la tua fatica andrà in fumo ». Il contadino chiese: « Che debbo fare? ». L’amico gli rispose: « Prima che le piogge incomincino, trasportalo di sopra ». L’altro ci pensò un poco, e poi parendogli troppo grossa fatica, non lo fece. Vennero le piogge: andò per vedere il frumento, e vide invece un mucchio di materia in fermentazione. Ah, noi — direte — non avremmo agito così. Dite bene, perché siete persone di senno: ma siatelo in tutto, anche nelle cose più importanti. Siete pronti ad ascoltare il consiglio d’un amico nell’affare del frumento, perché trascurerete il consiglio di Gesù, l’amico divino, intorno all’affare dell’anima vostra? Egli conosce la natura del vostro cuore, che è fatto per il cielo; conosce la natura della terra che è fatta per essere corrotta e distrutta, e vi avvisa: « Trasporta in alto il cuore, perché tutto ciò che è sulla terra marcirà e scomparirà ». Avete timore di porre sulla nuda terra un poco di frumento, e poi sulla nuda terra lascerete marcire e distruggere il vostro cuore? Collocate in alto, nei beni invisibili ed eterni, il cuore per non essere delusi da questo mondo che scompare.

c) In una barca che faceva acqua da tutte le parti, un uomo gridava aiuto. Passò un vascello e dall’alto gli lasciarono calare una corda di salvataggio. Il naufrago che stringeva cupidamente la cassetta dei suoi tesori, faceva per afferrare la corda ma non vi riusciva perché aveva le mani impedite. Dal vascello qualcuno gli gridava: «Lascia andare ciò che tieni, prendi ciò che ti dò. Se non abbandoni, non puoi ricevere ». Stringere insieme cassetta e corda non poteva; abbandonare la cassetta non voleva; ad un tratto, la barca fu colma d’acqua, e l’uomo con la cassetta sprofondò. – Noi che viviamo in questo mondo, siamo sopra una barca che fa acqua da tutte le parti, e cola fatalmente a picco. Nostro Signore è accorso a salvarci e lascia cadere fino a noi la corda della sua redenzione: ma per afferrarla, bisogna distaccare le nostre mani e il nostro cuore dalle cose e dai piaceri sensuali e mondani. La mano se stringe un oggetto, non ne può stringere un altro. Chi ama il mondo, non può amar Dio: ha la mano impegnata. E quanti stringendosi cupidamente sul cuore la loro avarizia, o il loro orgoglio, o la loro passione impura, sprofonderanno con questo mondo a picco!

2. IL GIUDIZIO ESATTISSIMO DEL GIUDICE

Scomparso il mondo e le sue iridate illusioni, non resterà più che il bene e il male sparso in tutti i giorni della nostra vita, dal primo albeggiare della ragione e della responsabilità fino al momento estremo della morte. Di questo saremo giudicati.

a) Saremo giudicati del male:

— il male che abbiamo fatto noi, con le opere, con le parole, con le azioni;

— il male che abbiamo fatto fare agli altri, e qui, ci pensino quelli che senza necessità fanno lavorare in festa, fanno mangiare di grasso nei giorni proibiti, impediscono in qualunque modo ai loro dipendenti di adempiere i doveri religiosi; ci pensino anche quelli che fanno bestemmiare, che fanno per la loro condotta sparlare della religione, che con la loro moda di vestire e di comportarsi inducono a chi li vede pensieri e desideri immondi; ci pensino tutti quelli che hanno dato scandalo;

— il male che abbiamo lasciato fare agli altri, mentre lo potevamo impedire: il male quindi che molti genitori con maggior vigilanza avrebbero potuto impedire nei loro figli; che i fratelli con maggior carità avrebbero potuto impedire nei loro fratelli; che tanti Cristiani con un po’ d’azione cattolica avrebbero potuto impedire nel loro prossimo; che io povero prete e pastore d’anime avrei potuto impedire nella mia parrocchia se avessi avuto più zelo. Signor Nostro e Giudice Nostro Gesù, abbi misericordia.

b) Saremo giudicati anche del bene:

— il bene che non abbiamo fatto, e che potevamo fare: ad esempio, del rosario che tutti possono dire ogni sera nella loro famiglia e non si dice; delle Messe che si potevano ascoltare, delle elemosine che si potevano fare, degli aiuti alle opere buone e al prossimo bisognoso che si potevano dare;

— il bene che abbiamo fatto male: tutte le volte che fummo in Chiesa durante i sacri riti con gli sguardi svagati sulle persone, con la mente annuvolata di pensieri inutili e forse peccaminosi; tutte le volte che facemmo l’elemosina o lavorammo per essere veduti, stimati, ricompensati dagli uomini;

— il bene finalmente che abbiamo fatto bene: questo è l’oro puro con il quale soltanto si può comprare la vita eterna.

3. LA CONFUSIONE DELL’ANIMA COLPEVOLE

a) « Quid sum miser tunc dicturus? ». Che potrà dire, quali scuse potrà avanzare l’anima colpevole? Forse dirà: « La tua legge, o Signore, era troppo difficile, non la si poteva osservare ». No, non lo potrà dire, altrimenti intorno a Cristo sorgerebbe a protestare una turba infinita di uomini, di donne, di giovani e di fanciulle. Essi hanno saputo praticarla, e praticandola sentirono che il giogo del Signore è dolce e soave. Forse dirà: « La tua legge, o Signore, richiedeva troppo tempo, ed io aveva affari, commerci, negozi dall’alba a notte tarda ». No, non lo potrà dire, altrimenti intorno a Cristo sorgerebbe un’altra turba di anime che lavorarono ancor di più di lei, senza trascurare la salute eterna; e poi ragione voleva che si abbandonasse anche qualche affare materiale, per non perdere l’unico affare necessario, che è quello dell’anima. – Forse dirà: « Avevo poca salute, preoccupazioni finanziarie molte, la casa piccola non aveva posto per un altro lettino…. No, non lo dirà. Sentirà dentro di sé che tutte erano scuse per nascondere la paura dei sacrifici, l’amore dei propri comodi, il desiderio d’avere libertà per godere la vita; sentirà dentro di sé che se avesse amato il Signore avrebbe trovato il coraggio e la forza necessaria per superare ogni difficoltà.

b) « Quem patronum rogaturus? ». Chi chiamerà in soccorso? Forse l’Angelo custode? No; l’anima non ha voluto mai ascoltare nei giorni della vita terrena il suo pianto silenzioso; ed egli ora non può, né vuole esaudire la sua angoscia disperata. Forse qualche Santo protettore? I Santi, chi non li invoca da vivo, ne ignora il nome da morto. Chi non li imita nella mortificazione, non sarà mai loro compagno nella gioia. – Forse accorrerà la Madonna? No, essa è Madre dei peccatori, ma non la madre dei condannati. Dopo la condanna pronunciata dal suo divin Figlio, essa si uniforma alla giusta sentenza. E se la Madonna non viene, ella che è madre di misericordia e di speranza, segno è che ogni misericordia e ogni speranza è morta.

CONCLUSIONE

Nell’orto degli ulivi, quando Gesù andò incontro alla masnada che veniva per legarlo, disse semplicemente: « Ecco, sono io! ». Quelli arretrarono e caddero come tramortiti dallo spavento. Eppure erano i giorni della sua mansuetudine, i giorni dell’agnello che tace mentre lo tosano, che non bela mentre lo conducono al macello. Che sarà allora nel giorno della sua giustizia, nel giorno del leone che rugge e azzanna? – « Ecco, sono io! » Quel Gesù che hai bestemmiato, che hai baciato da traditore, che hai oltraggiato con gli sputi e le percosse, che hai messo in croce con i chiodi dei tuoi peccati.

2. IL GIUDIZIO

A Felice, preside di Cesarea, doveva sembrare strano quell’uomo che un suo collega di Gerusalemme, Claudio Lisia, gli mandava da giudicare con un biglietto di raccomandazione. Era ebreo e gli ebrei lo volevano massacrare; frequentava le sinagoghe ed insegnava una religione nuova: non aveva ancor visto Roma ed era cittadino romano fin dalla nascita; aveva gli occhi malati e lo sguardo fulmineo: Paolo di Tarso. Il prigioniero era così interessante che il preside Felice e sua moglie Drusilla lo chiamavano spesso nelle loro sale per udirlo parlare della fede in Gesù Cristo. E Paolo parlava, senza paure: parlava di giustizia a quell’uomo che ogni giorno la calpestava; parlava di castità a quell’uomo che viveva in adulterio; e infine parlò del giudizio futuro… di quel giudizio in cui ogni peccato piccolo e grande, pubblico e occulto, contro Dio o contro i l prossimo, sarà manifestato a tutto i l mondo radunato e tremante ai piedi di Cristo giudice. Drusilla e Felice l’ascoltavano immobili, con la mente fissa in quel giorno finale. E Paolo con foga irreprimibile lo descriveva come « il giorno di ira, giorno di tribolazione, giorno di oppressione, giorno di sciagura, giorno di miseria, giorno di tenebre, giorno di caligine, giorno di nebbia, giorno d’uragano, giorno di squilli e di urli » (Sof., I, 15). Felice cominciò a impallidire, poi. a restringersi, poi a tremare, poi scattò in piedi gridando : « Basta! per ora vattene ». Tremefactus Felix respondit: quod nunc attinet, vade (Atti, XXIV, 25). Davvero che ci vorrebbe qui S. Paolo a parlarvi del giudizio e sentiremmo tutti ghiacciare il sangue di spavento! Io invece non so che ripetervi le oscure parole del Vangelo. In quei giorni si oscurerà il sole come sotto una densissima caligine e la luna rossastra non darà più luce e tutte le stelle si precipiteranno dal cielo, e tutto il cielo sarà sconvolto come da un vento furiosissimo. Simile ad un uomo che muore e scoppia in gemiti e rompe in singhiozzi tormentosi, così questo vecchio mondo balzerà dai suoi cardini e si commuoverà fin dal profondo delle sue viscere. Allora, tra le nubi, immensa, solenne, luminosa, brillerà la croce: e sotto piangeranno tutte le tribù della terra… et plangent omnes tribus terræ. Piangerà la tribù dei ricchi, perché tutto il loro danaro in quel momento non varrà a nulla; piangerà la tribù dei prepotenti perché in quel momento saranno schiacciati; piangerà la tribù dei disonesti perché tutti sapranno le loro vergognose azioni; piangerà la tribù dei bestemmiatori perché starà per giungere Colui che han bestemmiato.E verrà. Verrà, grande nella potestà e nella gloria, camminando come un gigante sulle nubi. Intanto gli Angeli squilleranno, sul vento, ai quattro angoli della terra l’ultima adunata. E comincerà il giudizio. In alto starà lui, Cristo, e ai suoi piedi le genti: e sorgeranno gli accusatori. Sorgeranno gli Angeli, alla cui presenza peccammo. Sorgeranno, ghignando, i demoni a cui abbiam dato ascolto. Sorgeranno tutte le creature: il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra. Il fuoco dirà: Io lo rischiarava con luce e lo riscaldava con calore: egli invece ti offendeva nella mia luce e nel mio calore. Signore! Dammelo che lo bruci ». L’aria dirà: « Io, ad ogni attimo, nutrivo i suoi polmoni: egli, ad ogni attimo, peccava. Signore! dammelo ch’io lo sbatta con vento furioso ». L’acqua dirà: « Io dissetavo la sua bocca e purificavo le sue cose: egli, con i peccati, insozzava l’anima. Signore! dammelo ch’io, dentro di me, lo anneghi ». La terra dirà: « Io lo sostenevo e lo nutrivo ogni giorno con erbe e Con animali: egli viveva per offenderti. Signore! dammelo ch’io vivo, lo seppellisca ».E noi saremo là, colpevoli e tremanti, in faccia all’universo… Questo è orribile, ma è il meno. Noi allora, soprattutto, avremo paura di due persone: di Cristo e di noi. Se vi sembra strano, ascoltate.

1. I PECCATORI AVRANNO PAURA DI CRISTO

La vigilia della sua morte, Gesù passò il Cedron, risalì la riva opposta tra i filari delle viti, entrò con i suoi nel giardino di Gethsemani pieno d’ombre misteriose. Era triste e solo; e Giuda veniva, veniva la coorte con fiaccole con funi con armi; già si sentiva l’urlìo dei soldati e il frascheggiare del loro passo per i boschetti. Gesù, che sapeva tutto, mosse incontro a loro.

« Chi cercate? ».

— Gesù Nazareno.

« Son Io ».

Tutti stramazzarono al suolo: Abierunt retrorsum et ceciderunt in terra (Giov., XVIII, 6). Pensate: bastava una semplice parola per farli morire di spavento. Che sarà allora nel giorno finale all’udire da quelle medesime labbra l’estrema condanna di maledizione? Nel Gethsemani c’era oscuro, e i soldati non avevano potuto vedere la maestà terribile che raggiava dal volto divino, ma nel giudizio finale gli occhi sfolgoranti di Cristo Giudice s’infiggeranno, come dardi, in noi. Nel Gethsemani Gesù era triste e solo: ma nel giudizio sarà in trono, in mezzo alle legioni degli angeli, in faccia a tutta la generazione. Nel Gethsemani Gesù era ancora l’Agnello d’amore e di perdono, ma nel giudizio sarà solo l’Agnello di giustizia e di vendetta. Se tanto, adunque è stato terribile il Signore nel giorno dei suoi nemici, nell’ora delle tenebre, che cosa sarà nel suo giorno, « nel giorno di Cristo che è giorno di fuoco?» (TERTULLIANO). Sarà l’Agnello furibondo descritto da S. Giovanni nell’Apocalisse così: « Quando il sole sarà diventato nero come un sacco oscuro, quando la luna, spenta ogni stella, girerà nelle volte deserte come una macchia di sangue, quando il cielo si sarà ritirato come un manto che si straccia in due, allora passerà l’Agnello furibondo. I ricchi della terra, i prìncipi, i tribuni, i potenti, tutti quanti, ricchi e poveri, si nasconderanno nelle spelonche, sotto le pietre, e diranno ai monti: nascondeteci dalla faccia e dall’ira dell’Agnello perché è venuto il giorno grande della sua vendetta, e chi vi potrà resistere? Quis poterit stare? » (Apoc., VI, 17). Forse io, forse voi, Cristiani, potrete resistere? Vi dico che tutti noi che siam peccatori dovremmo morir dallo spavento, se Dio lo permettesse.

« Quem quæritis? ».

« Iesum Nazarenum ».

« Ego sum ».

Son io, risponderà Gesù, son io, guardami! son io che tu hai bestemmiato, che tu hai dimenticato, che tu hai deriso. Son io, guardami! vedi la corona di spine che punge le mie tempia: e tu, te ne ridevi di essa quando nella tua mente assecondavi ai turpi pensieri. Vedi le mie mani e le piante dei miei piedi piagate: e tu, te ne ridevi di queste stigmate dolorose quando le tue mani s’attaccavano alla roba d’altri, quando i tuoi piedi ti portavano là, dove non avresti dovuto andare mai. Vedi il mio cuore, squarciato per te: e tu, te ne ridevi del mio amore quando correvi dietro le creature, e ti pascevi d’affetti impuri, e ti divertivi nei piaceri… Ora basta: son Io, guarda, che me ne rido di te ! Ego quoque ridebo et subsannabo (Prov., I , 26).

2. I PECCATORI AVRANNO PAURA DI LORO MEDESIMI

Ho ancora davanti agli occhi la visione dolorosa d’una persona cara morente; e forse mi starà, così viva, fin ch’io campi. Era tanto giovane e mite e moriva d’un male misterioso e straziante di cui, neppure i medici, sapevano dir qualcosa. Soffriva senza intermittenze da un anno e mezzo ed era alla fine. La febbre quotidiana e alta gli aveva consumato ogni fibra e seccato ogni umore, rendendolo così scarno da sembrare uno scheletro ricoperto di pelle: solo che sotto la pelle traspariva la trama violenta delle vene. Respirava penosamente: sporgendo le labbra come se volesse raggiungere un fiato che gli sfuggiva. Le orecchie bianche, la bocca rossa e sanguinante, gli occhi dilatati paurosamente quasi a raccogliere l’ultima impressione delle cose che, per lui, svanivano. – Negli ultimi mesi l’avevano assalito delle convulsioni nervose che gli schiantavano il petto, che gli rompevano le ossa: una volta furono così violente che il braccio gli rimase immobile e la mano stravolta. Pure, alla fine era rassegnato. La mattina del giorno in cui doveva morire, chiese uno specchio. Si voleva negarglielo: ma come non esaudire fin l’ultimo capriccio di una persona che sta per andar via, per sempre? Gli si porge lo specchio, trovò la forza per sollevarlo e vi pose sopra i suoi occhi ingordi… ma subito mandò un grido lacerante, e lasciò cadere lo specchio, singultendo. Aveva avuto paura di sé. La bruttezza che un male fisico può produrre nel corpo, è nulla in confronto di quella che il peccato, in un’istante, produce nell’anima. Quanto dev’essere orribile un’anima dopo due, tre, dieci, cento… peccati, noi non lo sappiamo neppure immaginare, ma nel giudizio lo vedremo. Vedremo, sotto la luce di Cristo, venire a galla ogni colpa più occulta e coprire di schifosissime croste l’anima nostra. E quante miserie di cui quasi non sospettavamo, verranno scoperte. Tu dicevi, sì, d’avere un po’ d’amore per la tua persona: ma non dicevi che questo amore della tua persona ha suscitato in te la voglia di piacere agli altri; non dicevi che per piacere agli altri hai seguito il lusso e la moda scandalosa, suscitando in altri le passioni. Tu dicevi, sì, d’attaccare discorsi cattivi; ma non dicevi che questi discorsi hanno poi raffreddato il tuo amore per la famiglia, hanno sconvolto la tua vita coniugale. Tu dicevi, sì, di mormorare del prossimo; ma non dicevi che le tue parole toglievano l’onore, lo rovinavano negli affari. Tutto questo, allora, lo vedrai in te stesso, orribilmente; Dio porrà te contro te: Arguam te et statuam contra faciem tuam (Salmi, XLIX, 21.) Ti vedrai come in uno specchio e tu stesso avrai paura di te. Ecco perché i reprobi grideranno ai monti: « Cadeteci addosso e sotterrateci » Cadite super nos, operite nos (S. Luc, XXIII, 30). Non diranno: monti, nascondeteci la faccia del giudice adirato, non fateci vedere, o colli, i demoni che ci tormenteranno; ma diranno: colpite noi, perché di noi abbiam paura. – Il padre Bourdaloue diceva : « Signore! nel giorno del giudizio non vi pregherò di difendermi dalla vostra ira, ma tutta la grazia che vi domanderò è che mi difendiate da me medesimo ».

CONCLUSIONE

Nel secolo V, due fratelli ateniesi, rimasti orfani e padroni della sostanza paterna, ebbero la crudeltà di mettere alla porta e gettare sulla strada un’unica loro sorella. Si chiamava Atenaide. Non valsero pianti e suppliche della derelitta, che dovette ramingare per la terra. Passati alcuni anni i due spietati fratelli si sentono chiamare dall’imperatore di Costantinopoli. Ci vanno e sono introdotti nella sala del trono e vedono colà seduta nello sfoggio della sua bellezza e della sua potenza… Atenaide, la reietta, la raminga, che per una sequela di casi provvidenziali era divenuta imperatrice e consorte dell’imperatore Teodosio. – Ella si levò in piedi e rivolse a loro queste tremende parole: « Mi conoscete? son io la sorella vostra: Atenaide! ». A tale vista, a tale parola, quegli sciagurati caddero come morti sul pavimento. Anche noi, con i peccati, non facciamo altro che cacciar via da casa nostra il fratello maggiore Gesù Cristo. Ma tra pochi anni, quando ci sentiremo chiamare dalla morte, noi lo vedremo, sfolgorante in solio, e lo sentiremo dire: « Mi conoscete? sono Io il fratello vostro, che avete maltrattato; Gesù Cristo! ».

3. IL GRAN GIORNO DEL SIGNORE

Il sole si oscurerà e la luna senza splendore somiglierà a una faccia crucciosa. Le stelle precipiteranno attraverso lo spazio, e il cielo, come uno scenario vecchio, crollerà. Allora la croce sfolgorerà in altissimo: sotto, tutte le razze umane, radunate, singhiozzeranno. In ogni parte della terra rimbomberanno le trombe degli Angeli; e in ogni tomba penetrerà un grido: — sorgete! venite al giudizio… Sulle nubi, con maestà e potestà, a giudicare i vivi e i morti, è tornato il Figlio dell’Uomo ». Queste parole paurose Gesù le diceva qualche giorno prima di morire sulla sommità del monte Oliveto. Gli Apostoli, ascoltando, si stringevano a Lui come se il pericolo fosse imminente. Ma perché in avvenire nessuno dubitasse di quella profezia sulla fine del mondo, Gesù allungò la mano a segnare Gerusalemme scintillante nel sole che volgeva al tramonto, e disse: «La città, guardate com’è bella! eppure la sua desolazione è vicina, gli eserciti la circonderanno. Per lei verrà una sventura quale non si vide dal principio del mondo. In quei giorni chi può si nasconda in montagna; e chi sta sul solaio non discenda nella via ma scappi di tetto in tetto; e chi si trova al campo non torni in casa per vesti o per robe, ma fugga così com’è. Infelici le madri, in quei giorni! ». – Quarant’anni dopo s’avverava alla lettera una delle due profezie tremende: quella della distruzione di Gerusalemme. E l’altra, quella della distruzione, del mondo, quando s’avvererà? Gesù non l’ha voluto dire a nessuno; ma è certo che s’avvererà, perché cielo e terra passano, ma la parola di Dio resta: la fine di Gerusalemme ce ne fa garanzia. – Allora non soltanto una città andrà in fiamme, ma tutto il mondo; non soltanto una nazione sarà tribolata, ma tutte le genti. Iddio che ha concesso agli uomini gli anni e i secoli, ha voluto un giorno per sé: l’ultimo. Il giorno della sua giustizia, della sua scienza, della sua gloria.

1. IL GIORNO DELLA SUA GIUSTIZIA

Era stata ordita una congiura contro il Profeta Geremia: i suoi nemici avevano stabilito di levarlo dalla faccia della terra e di far dimenticare al popolo perfino il suo nome. Quando Geremia s’accorse dell’orribile trama, palpitando dallo spavento si rivolse al Signore e gli disse: «Tutti dicono che sei giusto, né sarò io a contenderlo: tuttavia non ti rincresca d’ascoltare i miei dubbi. Com’è che agli empi tutto cammina prosperamente? com’è che tutti quelli che si danno a mal fare sono felici? Hanno lavoro e guadagno, casa e comodità, salute e cibo… » (GER., XII, 1). – Ma non è appena il profeta Geremia che si è sentito vacillare nella fede davanti alle vicende umane: anche noi quante volte, piangendo, abbiamo esclamato: « Signore, non ti ricordi più di me? Guarda i tuoi nemici che non ti riconoscono, che non ti adorano, che non ti temono, come sono fortunati!… ». Gli è, Cristiani, che la giustizia di Dio è così misteriosa e grande che noi creature piccole e cieche non riusciamo a intravvederne i disegni mirabili. Un giorno però essa si manifesterà ai nostri occhi, noi vedremo e diremo: « Sei, giusto, o Signore, e retto è il tuo governo ». Quello sarà il giorno del giudizio finale, cioè il giorno della sua giustizia. Allora i buoni comprenderanno il perché delle loro tribolazioni:

a) Chi vive nelle prosperità, pone in esse i suoi affetti e dimentica il cielo e l’anima. La sofferenza è la mano di Dio che ci stacca lentamente dalla terra e purifica col pianto i nostri occhi preparandoli alle visioni paradisiache.

b) La sofferenza abbatte le gonfiature della superbia, smorza le brame della gola, soffoca la passione impura. È l’aiuto migliore per le vittorie spirituali.

c) La sofferenza ci fa scontare quaggiù i nostri debiti con Dio, e ci prepara preziosi meriti lassù, nell’eterna dimora. « Noi beati ! — esclameremo allora, — per i giorni in cui fummo umiliati, per gli anni in cui fummo dolenti… ». Allora anche i cattivi comprenderanno il perché delle loro fortune terrene. Quando bestemmiavano, se Dio taceva, non era perché non li udisse: quando peccavano, se Dio sopportava, non era perché non li vedesse; ma era perché intendeva premiarli in quel modo del poco bene che potessero aver fatto. Dopo la morte, per loro, non resterà che male. Iustus es Domine et rectum iudicium tuum!

2. IL GIORNO DELLA SUA SCIENZA

Dalla vita di San Giovanni Bosco riferisco un episodio che fa tremare e pensare (G. B. LEMOYNE, Vita del B. D. Bosco, Vol. II, parte V, 4). La sera del 16 settembre 1867, dopo le preghiere, radunò tutta la sua famiglia di preti, chierici, coadiutori, studenti, artigiani, servi: poi cominciò a parlare mestamente di Gesù ch’era morto per le anime, e di taluni che rovinavano le sue anime. « A costoro, — continuò singhiozzando. — che cosa ho fatto d’offesa che mi trattano così? non li ho amati come figliuoli? Costoro credono di non essere conosciuti, ma io so chi sono, so che cosa hanno pensato e fatto… ». Poi con voce straziante, nominandoli ad uno ad uno col loro nome, gridò: «Sei tu… un lupo che ti aggiri in mezzo ai compagni e li allontani dai superiori, mettendo in ridicolo i loro avvisi. Sei tu… un ladro che coi tuoi discorsi rubi l’innocenza altrui. Sei tu… un assassino che con lettere secrete e con gli scherzi strappi le anime dal mio fianco e le uccidi ». Il silenzio era solenne. Ne furono nominati sei. Ad ogni nome s’udiva un grido soffocato, un singhiozzo, un ahi! che risonava paurosamente in mezzo agli astanti esterrefatti. – Invece di Don Bosco mettete Gesù maestoso sulle nubi, invece della famiglia salesiana l’immensa famiglia umana radunata alla grande manifestazione: avete il giudizio finale: il giorno della scienza di Cristo. «Che cosa ti ho fatto di offesa o di danno che mi trattasti così? non ti ho sempre amato come figliuolo? Speravi forse ch’io non sapessi… ma ora t’accorgerai come tutto sapevo, come tutto io so ». In quel momento non sarà possibile né nascondersi, né nascondere. Quidquid latet apparebit.

a) Apparirà la nostra persona. Quaggiù i cattivi si in truffolano coi buoni e vivono nell’ombra. Ma nel giudizio saranno separati e ciascuno apparirà così come visse. Che dirà il principe, il signore, il padrone a vedersi svergognato davanti al suddito, al povero, al servo suo? Che dirà il padre condannato davanti al figlio?

b) Apparirà ogni nostra azione. Anche quella che ci sembra cosa da poco… Anche quella che nessuno mai seppe, neppure il confessore perché la tacemmo sacrilegamente… Anche quella consumata nelle tenebre della notte, nel secreto d’una casa… « Le pietre ch’erano nel mezzo del muro grideranno allora contro di noi, e i legni di casa nostra parleranno» (Habac., II, 2).

c) Apparirà qualsiasi pensiero della mente, qualsiasi desiderio del cuore. Ah quelle immaginazioni impure, quegli affetti illeciti, quegli odi fomentati dentro di noi, allora appariranno al cospetto universale!…

« Quello che hai fatto e tenuto nascosto in te, io lo metterò in faccia al popolo, in faccia al sole » (II Re, XII, 12).

d) Appariranno perfino i peccati che altri commisero per scandalo nostro. Quella figlia che si credeva intatta nell’onore, si troverà colpita da tutti gli sguardi impuri che ha destato col suo vestire, con la sua smania di lusingare. Quel padre sarà accusato di tutte le bestemmie e le dissolutezze dei suoi figliuoli. A quel ricco saranno addossati i peccati commessi da chi adocchiò le pitture e le figure scandalose con le quali ama adornare il suo palazzo o il suo giardino.

3. IL GIORNO DELLA SUA GLORIA

Da Dio si è fatto uomo per salvarci, e gli uomini non solo l’hanno misconosciuto come Dio, ma l’hanno angariato anche come uomo. Lo hanno chiamato invaso dal demonio, rivoluzionario, bestemmiatore; l’hanno trattato peggio degli assassini. Per ciò è giusto che Egli si manifesti nella sua divina maestà e podestà, tra il fuoco e le nubi, in mezzo al cielo… – Un venerdì è stato condotto in tribunale, accusato, giudicato: è giusto che Egli, unico Legislatore e Giudice (GIAC., I V , 12), chiami davanti al suo tribunale coloro che osarono condannarlo. Quante volte gli uomini l’hanno insultato, hanno deriso la sua dottrina, le sue virtù, i suoi ministri, il suo vicario il Papa, la sua Chiesa… ed Egli ha taciuto sempre. È ben giusto che si prenda un giorno di gloria in cui parlare finalmente. Parlerà: « Venite, benedetti, al regno di mio Padre! Andate, maledetti, nel fuoco eterno! ». Quante ingiurie non sopporta Egli, ogni giorno, nel sacramento dell’altare, dove il suo amore lo tiene prigioniero! Sono dimenticanze, irriverenze, sacrilegi… passano gli uomini davanti alla sua casa e non lo salutano; passa Egli come viatico o in solenne processione davanti alle case degli uomini, ed essi hanno vergogna ad adorarlo pubblicamente e inginocchiarsi al suo passaggio… Nel giorno finale si prenderà la rivincita: nella sua gloria sarà glorificato. – Quaggiù gli uomini non lo riconoscono come Dio: al suo posto adorano una passione, il danaro, una persona, il demonio. Ma in quel giorno tutti vedranno che egli solo è Dio, e non c’è Dio prima di lui. I buoni con gioia, i cattivi con spavento, ma tutti quando comparirà in giudizio gli diranno : — Tu sei Re di gloria, o Cristo — Tu Rex gloriæ, Christe!

CONCLUSIONE

Sono passati migliaia d’anni, da che un sovrano potente, seduto ad una lauta mensa, circondato da illustri convitati, si abbandonava alle delizie del cibo, del vino, dei sensi. I commensali non facevano che lodare dare i loro idoli d’oro e d’argento, di legno e di pietra, e disprezzare il vero Dio. – A un tratto, sulla parete rischiarata dal candelabro, apparve una mano che scrisse: — Mane, Thechel, Phares — I tuoi giorni sono compiuti, sulla stadera sei stato pesato, per te è finita. Un fremito d’orrore passò sulle mense, l’allegria tacque, la sala parve una tomba. In quella notte stessa il Re Baldassare e i suoi amici furono uccisi dai Persiani e comparvero al tribunale di Dio. – Nel mondo ce ne sono molti che vivono come quel re e quei suoi cortigiani. Di questo numero siamo forse anche noi. E se improvvisa apparisse anche per noi quella mano scrivente? « I tuoi giorni sono compiuti, sulla stadera sei stato pesato, per te è finita ».

Memorare novissima tua et in æternum non peccabis.

LO SCANDALO

Sopra lo scandalo

[Mons. J. Billot: Discorsi parrocchiali, Cioffi ed. Napoli, 1840 – XXIV. DOM. DOPO PENT.]

“Quum videritis abominationem desolationis  in loco sancto … qui in Judæa sunt fugiant  ad montes.”

Matth. XXIV.

Quando mai, fratelli miei, si è veduta e si vedrà quella abbominazione della desolazione nel luogo santo che Gesù predice nell’odierno Vangelo? Si è veduta nella rovina di Gerusalemme, che i soldati romani, alcuni anni dopo la morte di Gesù Cristo, abbatterono sin dalle fondamenta, allorché il tempio del Signore fu profanato da tutti i disordini immaginabili che gli stranieri e i Giudei medesimi vi commisero. Si vedrà quest’abbominazione nel luogo santo al fine del mondo, quando il Vangelo di Gesù Cristo sarà combattuto, i suoi tempi saranno atterrati, il suo culto abolito. Allora, dice il Salvatore , compariranno dei falsi profeti, che sedurranno molti, e che faranno cose sì straordinarie che gli eletti medesimi avranno molta pena a preservarsi dai loro prestigi. Allora comparirà l’anticristo, che impiegherà tutti i mezzi possibili per distruggere l’impero di Gesù Cristo, ingannando gli uomini con gli errori che spargerà, e pervertendoli o con lo splendore dei beni, o con le lusinghe dei piaceri che loro presenterà. – Ma senza risalire ai secoli passati e senza penetrare nel tempo avvenire, per vedere l’abbominazione della desolazione nel luogo santo, noi non abbiamo, fratelli miei, che a considerare ciò che accade ai giorni nostri sotto i nostri occhi, nel seno stesso del Cristianesimo. Non si vedono forse già seduttori che ingannano gli uni con massime che loro insegnano, pervertiscono gli altri coi cattivi esempi che loro danno; massime sì perniciose, esempi sì contagiosi nella virtù. È dunque lo scandalo che mette l’abbominazione della desolazione nel luogo santo, nella Chiesa di Gesù Cristo, e che dovrebbe pure indurre le anime sante a fuggire sulle montagne e nei deserti per evitarne la contagione: Qui in Judæa sunt fugiant ad montes. Non è per altro possibile a tutti i giusti di lasciare il mondo, deve esservene per servire d’esempio agli altri e molti sono dal loro stato obbligati a dimorarvi. Che far dunque per rimediare allo scandalo sì frequente nel mondo? Bisogna, se si può, correggere gli scandalosi, facendo loro comprendere tutta l’enormità del loro delitto. Il che imprendo a fare in quest’ oggi, col mostrar loro, quanto lo scandalo sia ingiurioso a Dio, primo punto; quanto sia pernicioso all’uomo, secondo punto.

I. Punto. Lo scandalo, dicono i teologi, è una parola o un’azione che porta gli altri al peccato: Dìctum vel factum occasionem præbens ruinæ. Su di che, dopo essi, io osservo due cose:

1. che non è necessario, affinché una parola o un’azione sia scandalosa, che sia di sua natura malvagia o peccaminosa; ma basta che abbia qualche apparenza: Quia habet speciem mali.

2. Che, per essere colpevole di peccato, non è già necessario avere l’intenzione diretta d’indurre qualcheduno al male, ma basta prevedere che quel che si dice o che si fa sarà per lui un motivo di peccato. Vi sono ancora scandali di omissione, di cui si rendono colpevoli coloro, che, mancando di adempiere certi doveri, sono un’occasione di caduta pei loro fratelli che dovrebbero animare con la loro esattezza. Or volete voi sapere l’ingiuria che il peccato di scandalo fa a Dio? Giudicatene da questi tratti. Lo scandalo rapisce al Creatore la gloria che gli è dovuta dalle sue creature, distrugge i disegni di Gesù Cristo sopra la salute degli uomini, rende l’uomo simile al demonio. – Non è esso dunque un peccato mostruoso o piuttosto un peccato diabolico? Iddio ha fatte le creature ragionevoli per esserne glorificato con l’omaggio e l’ubbidienza che esse debbono alla sua grandezza, alle sue leggi. Ma che fa il peccato scandaloso? Egli allontana gli uomini dalla strada che conduce a Dio, li porta all’indipendenza o con le istruzioni d’iniquità o coi malvagi esempi che loro dà. Egli è un suddito ribelle che non si contenta di lasciare il servigio del suo principe, di prendere l’armi contro di lui, ma induce altri ancora nella sua ribellione e si fa un partito, come il perfido Assalonne, per privare del trono il suo padre ed il suo re. Ah! se è viltà il non dichiararsi per Dio quando gl’interessi della sua gloria lo richiedono, il non opporsi agli oltraggi che gli si fanno, il mostrarsi indifferente alla vista dei disordini che regnano nel mondo e non impedire il male quando si può, che sarà poi l’autorizzarla con la sua condotta, stabilire il regno dell’empietà sulle rovine della Religione, strascinare gli altri nel vizio e nel libertinaggio, e suscitare a Dio altrettanti nemici che l’oltraggino, quanti sono i sedotti con massime perniciose e perverse, con malvagi esempi? Or ecco ciò che voi fate, peccatori scandalosi, voi che allontanate gli altri dal servigio di Dio, o con gli empi discorsi che tenete sulla Religione, o coi motteggi con che la deridete per disgustare coloro che ne seguono il partito; voi che togliete a Dio la gloria che gli avrebbero procurato i digiuni e le limosine dei vostri fratelli; voi che li allontanate dai divini uffici, dai Sacramenti, dalle istruzioni per indurli alle partite di piacere e di dissolutezza; voi tutti, in una parola, che vi opponete al bene che gli altri possono fare; voi rapite a Dio la gloria che gliene ridonderebbe; perché voi siete iniqui e vorreste calmare i rimorsi di vostra coscienza, cercate di rendere gli altri così iniqui come voi. Ed è per questo che, non contenti di allontanarli dal bene, voi li spingete ancora al male con malvagi esempi. Voi insegnate a questo il modo che tener deve per vendicarsi di un nemico, rimproverandogli la sua indifferenza nell’ingiuria; vi apprendete a quello il segreto di riuscire nei perniciosi disegni di fare un’ingiustizia: voi profferite avanti a persone innocenti parole contro la modestia, canzoni lascive, che fanno sul loro spirito le più mortali impressioni e loro apprendono il male che ignoravano. Uomini dissoluti, voi sollecitate quella persona ad appagare la vostra passione, o con promesse, o con false persuasioni: voi, donne mondane, con i vostri abiti, con la vostra immodestia portate nel cuore degli altri la contagione, di cui siete infette; voi che comparite nel luogo santo con un’affettazione, con modi che la decenza dappertutto proscrive, che disturbate la divozione altrui con ragionamenti fuori di luogo: voi, padri e madri, padroni e padrone, che dovete il buon esempio alle vostre famiglie, voi date pubblicamente lezioni d’iniquità con le bestemmie, con le imprecazioni , che profferite alla presenza dei vostri figliuoli, dei vostri servi, col racconto che loro fate dei disordini di vostra gioventù, con le dissolutezze cui vi abbandonate ancora e con la vita licenziosa che menate; voi che fate dei servi o le vittime delle vostre passioni o i ministri dei vostri intrighi peccaminosi; voi tutti finalmente che con le vostre parole o con le vostre azioni inducete gli altri al peccato, date loro occasione di offendere Dio, o favoreggiando la loro passione, trovando loro oggetti che li contentano o dando ricovero in casa vostra al libertinaggio; voi alzate così pubblicamente lo stendardo della ribellione contro il vostro Dio, somministrando agli altri l’arme per largii guerra. Uomini perversi che intorbidate il bell’ordine dell’universo e rapite a Dio la gloria che ha diritto di aspettare dalle sue creature ragionevoli, mentre gli esseri inanimati lo glorificano nel loro modo, voi lo fate disonorare, oltraggiare da coloro che sono capaci di conoscerlo e di amarlo. La vostra condotta è non solamente opposta ai disegni del Creatore, ma ancora a quelli del Redentore poiché voi rendete inutile ciò che Gesù Cristo ha fatto per la salute degli uomini. Voi lo sapete, fratelli miei, quale è stato il motivo della venuta del Figliuolo di Dio in questo mondo. Egli è disceso in terra per salvare gli uomini : Propter nostram salutem descendit de cœlis. Questo gran disegno l’ha occupato sin dall’ eternità; per effettuarlo nel tempo, si è rivestito d’una carne mortale, si è addossate le nostre debolezze, è nato in una stalla, ha sofferto la fame, la sete, il rigore delle stagioni, gli affronti, i dispregi, una passione dolorosa, una morte crudele. Egli è risuscitato, per nostra giustificazione, dice l’Apostolo; prima di abbandonare la terra per andare al cielo a prendere possesso della sua gloria, egli sostituì in sua vece gli Apostoli, che incaricò della cura d’istruire le nazioni, e di applicare loro il frutto dei suoi patimenti e della sua morte; a questo fine mandò loro il suo Santo Spirito, che diede ai medesimi tutti i lumi e tutta la forza di cui avevan bisogno per riuscire in quella grande opera: in una parola, la salute degli uomini è stato il fine di tutti i misteri di un Dio fatto uomo, l’oggetto del suo Vangelo, il prezzo del suo sangue. Ma che fa il peccatore scandaloso? Egli rende inutile alle anime che pervertisce il sangue che Gesù Cristo ha sparso per esse, egli annienta i meriti dei suoi patimenti e della sua morte, rapisce al Salvatore le conquiste che gli hanno costato ciò che aveva di più caro: qual attentato! Invano dunque, o pietoso pastore, voi vi siete presa tanta pena per cercare la pecorella smarrita, invano vi affaticaste per correrle dietro, invano avete sudato sangue ed acqua per ricondurla all’ovile, sofferto la morte della croce per darle la vita; i vostri travagli, le vostre lagrime, i vostri patimenti, la vostra morte, tutto diventa inutile; voi l’avete liberata dal furore del lupo, e lo scandaloso viene a togliervela per precipitarla nell’abisso. Qual barbarie! Qual crudeltà! Tale è la vostra, peccatori scandalosi, che fate perire le anime per cui Gesù Cristo è morto: Peribit frater infirmus propter quem Christus mortuus est (1 Cor. VIII). Qual oltraggio non fate voi a questo divin Salvatore, che ha amato le anime sino al punto di sacrificarsi per esse? Oltraggio più atroce, dice s. Bernardo, che il delitto medesimo di cui i Giudei si rendettero colpevoli spargendo il sangue di Gesù Cristo; poiché questo sangue sparso ha servito alla redenzione degli uomini, laddove, oltre il deicidio che voi commettete nella persona di Gesù Cristo, rinnovando la sua morte, voi rendete inutile questa morte, mettete un ostacolo all’adempimento dei suoi disegni, rovesciate l’edificio che Egli ha costrutto con grandi spese, distruggete una Religione che i suoi Apostoli hanno predicata con tanto zelo, che i martiri hanno confermata col loro sangue, che tanti santi dottori hanno illustrata coi loro lumi, e che tanti ministri del Vangelo s’adoprano a sostenere con le loro cure e coi loro buoni esempi; cioè a dire voi rinnovate la guerra, e le persecuzioni che i nemici di questa santa Religione le hanno altre volte suscitate nella persona dei tiranni e degli eretici! Di più questa è una guerra, una persecuzione, che cagiona effetti più funesti che quelle dei suoi primi nemici. Infatti, fratelli miei, la persecuzione che i tiranni mossero altre volte alla Religione, serviva ad accrescer il numero dei fedeli: il sangue dei Cristiani era, come dice Tertulliano, una semente che ne produceva un centuplo. Ma lo scandaloso fa alla Religione una guerra di tanto maggior pericolo, quanto che è meno sanguinosa. Non è già la crudeltà dei carnefici, il rigore dei supplizi, l’orribile apparecchio della morte che egli impiega per far soccombere i fedeli; egli si serve dell’allettamento del piacere, dello splendore delle ricchezze, delle ingannatrici lusinghe degli oggetti che loro presenta per strascinarli ai disordini e far loro abbandonare la santa legge del Signore. Ecco, fratelli miei, ciò che cagiona alla Chiesa in un tempo di pace più grandi amarezze di quelle che essa ha provate nel tempo di guerra; Ecce in pace amaritudo mea amarissima. Ah! piacesse a Dio, diceva s. Ilario, parlando degli eretici, e noi potremmo dirlo parlando degli scandalosi, piacesse a Dio che noi avessimo a fare coi tiranni che mettessero la nostra fede alla prova dei tormenti; il Signore ci farebbe la grazia di sostenere questa fede contro gli sforzi di quei nemici stranieri: ma qui noi abbiamo a fare con nemici domestici che vivono con noi, che sono della medesima Religione e talvolta della stessa casa che noi: il che ci porta colpi tanto più funesti, quanto che sono nascosti sotto le apparenze dell’amicizia che ci dimostrano, delle promesse e delle carezze che ci fanno per indurci nella loro compagnia, per farci cadere nel peccato. Come tratteremo noi dunque, fratelli miei, questi nemici della gloria di Dio e della salute degli uomini? Noi li chiameremo col nome che dà loro il diletto discepolo S. Giovanni. Vi sono al presente, dice egli, molti anticristi: Et nunc antichristi multi facti sunt (1 Jo. 2). Cioè vi sono dei Cristiani indegni di un sì bel nome, i quali fanno di già anticipatamente l’ufficio dell’anticristo, che è di distruggere il regno di Gesù Cristo, di pervertire le anime, d’indurre gli spiriti in errore coi malvagi discorsi che spiacciano, coi pestiferi libri che spargono; di corrompere i cuori colle attrattive del cattivo esempio che danno: Et nunc antichristi multi facti sunt. Gli scandalosi sono i precursori dell’anticristo: essi preparano sin d’adesso le sue vie, fanno sin dal presente quel che farà colui quando comparirà sulla terra, che sarà di muover guerra a Gesù Cristo, di opporsi ai suoi disegni, di rapirgli le anime da lui redente col prezzo del suo sangue. Comprendete voi, peccatori scandalosi, l’enormità del vostro delitto? Non basta ancora il sin qui detto: voi fate l’opera del demonio, quel nemico comune della gloria di Dio e della salute degli uomini. – Ed in vero qual è l’occupazione del demonio sulla terra? Oimè! noi lo sappiamo per una trista esperienza. Sino da principio del mondo, dice il Vangelo, egli non si è applicato che a far perire le anime create ed immagine di Dio: Homicidia erat ab initio (Jo. VIII), La gelosia che egli ha concepita contro gli uomini, da Dio ha destinati ad occupare i posti degli angeli prevaricatori; gli fa impiegare tutte le astuzie di cui è capace per far cader l’uomo nel peccato, e rapirgli con questo mezzo la suprema felicità per cui Iddio l’ha creato, e per disgrazia dell’uomo egli riesce pur troppo spesso nei suoi funesti progetti. Sovente ancora non può venir a capo dei suoi disegni, trova nell’uomo della resistenza ai suoi assalti. Che fa dunque questo spirito di tenebre per perdere le anime, per avere la preda di cui vuole impadronirsi? Ah! fratelli miei, egli si serve d’un peccatore scandaloso, di quegli uomini viziosi che non si contentano di perdere se stessi: ma vogliono ancora farsi dei compagni nelle loro disgrazie; ecco i fautori di satanasso, questi sono i ministri e gli strumenti di cui si serve per vincere gli uomini di già scossi dalle sue tentazioni. – Che fa il demonio che vuol perdere quel giovane regolato nella sua condotta, quella figliuola modesta e riserbata che conserva la sua innocenza? Egli suscita all’uno qualche compagno dissoluto che l’allontanerà dalle vie del Signore, che l’indurrà in partite di piacere, gli terrà discorsi licenziosi, e gl’insegnerà a far il male che non sospettava neppure possibile. Il demonio invierà all’altra un libertino, che non la porterà tosto a gravi misfatti, ma che comincerà a sedurla con lusinghevoli parole, prenderà con essa certe famigliarità contrarie alla modestia, ed in appresso la farà cadere in un abisso di disordini; oppure essa frequenterà qualche cattiva compagnia che la strascinerà in quelle adunanze di divertimenti funesti all’innocenza di tutte quelle che vi s’impegnano; e benché per lo innanzi sì riserbata, ella diverrà come le altre, perderà il gusto della divozione, correrà dietro alla vanità ed alla menzogna, cadrà nel peccato. Ecco, fratelli miei, come il demonio si serve degli scandalosi per pervertire le anime innocenti, per farle cadere nelle sue reti. – Che farà ancora questo spirito di malizia per disunire amici, per mettere la dissensione in una famiglia, per irritare dei congiunti gli uni contro gli altri? Egli si servirà di quegli uomini turbolenti e terribili nella società, come li chiama lo Spirito Santo, i quali con malvagi rapporti, con imposture e calunnie, semineranno la zizzania nel campo del padre di famiglia, divideranno gli animi uniti coi legami di una stretta amicizia. Mentre non è questa forse la sorgente ordinaria delle inimicizie, dei contrasti che regnare si vedono nelle famiglie, tra i vicini, i congiunti? Le lingue indiscrete che non possono contenersi, che servono d’organo all’infernale serpente, per far regnare la discordia tra gli uomini, ed attirarli nel soggiorno del disordine e dell’orrore eterno che vi abita. Così, fratelli miei, ciò che il demonio non può fare da sé stesso, lo fa pel mezzo e ministero degli uomini per perderli. Nel che gli scandalosi sono più a temere che il demonio medesimo, perché questo tentatore invisibile non può indurre gli uomini al peccato in una maniera sensibile; laddove l’uomo portato naturalmente ad imitare il suo simile, di cui diffida meno che del demonio, è più presto vinto che dal demonio medesimo; dunque è vero che lo scandalo è un gran peccato, poiché rapisce la gloria a Dio. – Vediamo ora quanto egli è pernicioso all’uomo.

II. Punto. Non è già del peccato di scandalo come degli altri peccati, i quali non nuocciono che a coloro che li commettono. Quelli rinchiudono in sé la loro malizia e la loro corruzione, ma lo scandalo la sparge al di fuori: egli è una peste che infetta non solamente chi ne è tocco, ma ancora coloro che se ne avvicinano; di modo che lo scandalo porta ad uno stesso tempo i suoi colpi mortali e a chi lo dà e a coloro che lo ricevono: due circostanze che ne fanno conoscere i perniciosi effetti. Non si può dubitare che lo scandalo essendo un peccato cosi grave, non dia il colpo di morte a chi lo commette quando trattisi di materia importante. Ma ciò che rende questa morte più tragica si è, che questo peccato, essendo più grave che gli altri, sarà più rigorosamente punito, e che le conseguenze di lui essendo irreparabili, il ritorno alla vita della grazia è più difficile. Siccome vi sono virtù del primo ordine, alle quali Iddio riserba più magnifiche ricompense, si può dire altresì che vi sono peccati d’una malizia superiore, che Dio punisce con più severi castighi. Nelle virtù del primo ordine bisogna comprendere lo zelo della gloria di Dio, della salute delle anime. Non si può dubitare che questa virtù non sia coronata nel cielo d’una gloria immensa, poiché Gesù Cristo ci assicura che colui il quale avrà praticato ed insegnato, sarà grande nel regno dei cieli; Qui fecerit et docuerit, hic magnus vocabitur in regno cœlorum (Matth.V). Quindi gli Apostoli hanno nel cielo un grado distinto, perché hanno stabilito il regno di Gesù Cristo sulla terra; quindi i ministri del Vangelo, i quali, seguendo le tracce degli Apostoli, insegnano agl’ignoranti riconducono i peccatori al dovere, risplenderanno, dice la Scrittura, come le stelle nell’eternità: Qui ad iustitiam erudiunt multos, fulgebunt quasi stellæ inperpetuas æternitates (Dan. XII). Giudichiamo da questo, fratelli miei, quali castighi debbono aspettarsi quegli uomini di perdizione che distruggono il regno di Dio coi loro scandali; che, invece d’istruire gl’ignoranti, spargono le tenebre dell’ errore e della menzogna, fanno abbandonare il partito della verità, invece di ricondurre i peccatori sul buon sentiero, lasciare lo fanno ai giusti medesimi, che essi pervertono con le loro detestabili massime, con i loro perniciosi esempi. Ah! qual conto non renderanno essi a Dio delle anime che avranno perdute? Con qual severi castighi Dio non farà loro pagare la perdita di quelle anime che erano il prezzo del suo caro Figliuolo? Sanguinem eius de manu tua requiram (Ezech. III). Sì, peccatori scandalosi, Dio si vendicherà su di voi nel modo più terribile, non solo per la perdita di quelle anime che esso sarà obbligato di riprovare, perché voi le avete rese complici dei vostri disordini; ma più ancora a cagione dell’oltraggio che avete fatto al sangue adorabile del suo Figliuolo, che avete indegnamente profanato: Sanguinem eius de manu tua requiram. Questo sangue prezioso, la cui voce sarà più forte che quella del sangue di Abele, che domandava a Dio vendetta contro suo fratello, solleciterà, animerà la giustizia di Dio a punirvi coll’ultimo rigore e dei vostri propri peccati e di quelli che avrete fatto commettere. Io, vi dirà Gesù Cristo, Io m’era fatto vittima della giustizia di mio Padre per salvare le anime; io non aveva risparmiati né sudori. né fatiche né patimenti né la mia vita medesima per liberarle dalla schiavitù del demonio e collocarle nel soggiorno della gloria; e tu, o scellerato, tu hai fatto di queste anime la vittima della tua crudeltà; tu nulla hai risparmiato per perderle e dannarle; ah! tu pagherai durante tutta l’eternità l’ingiuria che hai fatta al mio sangue, ai miei patimenti, alla mia morte: Sanguinem eius de manu tua requiram. Di questo terribile giudizio minaccia di già Gesù Cristo nel Vangelo il peccatore scandaloso per via delle maledizioni che contro di lui pronuncia. Guai, dice Egli, all’uomo per cui avviene lo scandalo: Væ nomini illi per quam scandalum venit (Matth. XVIII). Sarebbe un minor male per lui il non avere giammai veduto il giorno che rendersi doppiamente colpevole e del peccato che commette, e di quello che fa commettere, perché sarà più rigorosamente punito; egli lo sarà pel suo peccato e per li peccati altrui: più anime avrà perdute, più saranno accresciuti i suoi castighi; ma ciò che comincia di già la sua disgrazia sino da questo mondo si è la somma difficoltà di riparare lo scandalo: Vae nomini illi, etc. Ed in vero, fratelli miei, uno scandaloso che ha ispirato agli altri dei cattivi sentimenti, che loro ha appresa l’arte fatale di commettere il delitto, come cancellerà egli le malvage impressioni che loro ha comunicato? Oimè! questo perverso lievito ha forse di già corrotta tutta la massa, sia nella sola persona che ha infetta, sia nella moltitudine ove si è sparso. Sovente accade che colui che lo scandaloso ha pervertito, cui ha insegnato il male, ne ha di già contratto l’abito, e non può più disfarsene; autorizzato dal cattivo esempio che gli è stato dato, egli si crede tutto permesso, e porta l’impudenza sino a gloriarsi delle azioni che lo facevano per l’addietro arrossire. Ma supponiamo che lo scandaloso per via dei buoni consigli e di un cangiamento di vita riesca a far rientrare nel dovere qualcheduno di coloro che esso ha pervertiti, come distruggerà egli tutti i malvagi effetti che la contagione del suo misfatto ha prodotti in coloro cui essa si è comunicata? Colui che è stato corrotto ne ha corrotti altri: ed il male è divenuto cosi generale che non solo una moltitudine, un villaggio, una città, ma ancora una provincia, un regno ne sarà infetto. Sarà dunque impossibile conoscere tutti coloro che sono tocchi dalla malattia; e come guarir un male che non si conosce? Come arrestar un incendio che ha di già arsa tutta la casa? Chi potrebbe, per esempio, arrestare le strane conseguenze della lettura di tutti i cattivi libri contro la fede e contro i costumi? Chi può cancellare le malvage idee che una parola di doppio senso, una canzone disonesta avrà prodotte in una compagnia ove sarà stata recitata e che indi si spargerà in molte altre? E pure, per ottenere il perdono del suo peccato, bisogna ripararne le conseguenze; ma come riuscirvi? Nel momento in cui egli chiede misericordia per se stesso, i discepoli che ha formati oltraggiano il Dio che esso invoca. Rapire al prossimo i suoi beni con ingiustizie, il suo onore con calunnie è un gran male; togliergli la vita con l’omicidio è crudeltà; ma fargli perdere la vita dell’anima con lo scandalo, ah! fratelli miei, si è nello stesso tempo ingiustizia e crudeltà, ma crudeltà tanto più enorme quanto la vita della grazia sorpassa tutti i beni della natura. Mentre sapete voi, peccatori scandalosi, il torto che fate al vostro fratello quando gli rapite il tesoro della grazia con il peccato che gli fate commettere? Voi lo private dell’amicizia del suo Dio; voi gli fate perdere il diritto che aveva alla celeste eredità, voi ne fate una vittima dell’ira di Dio; di modo che se quella persona muore nel peccato cui voi l’avete indotta, eccola perduta per un’eternità; l’inferno diventa per sempre la sua porzione. Ella è una perdita irreparabile di cui non la risarcirete giammai, qualunque cosa possiate voi fare. Se avete preso altrui la roba, se gli avete rapito l’onore, potete ristabilirlo nei suoi primi diritti con restituzioni che uguaglino l’ingiuria che gli avete fatta; ma se avete precipitata un’anima nell’inferno coi vostri scandali, voi non ne la farete uscire mai più. Ohimè! Forse ve ne ha di già, o peccatori che mi ascoltate, alcuni che vi sono caduti per colpa vostra; forse udirete voi i lamentevoli gemiti di quegli sgraziati, che gridano dal mezzo delle fiamme: io brucio in questo fuoco, perché ho ascoltati i malvagi discorsi, ho seguito i cattivi esempi di quel peccatore che mi ha strascinato nella colpa: maledetto sia il momento in cui l’ho conosciuto e frequentato! Ah! peccatori, non siete voi penetrati d’orrore a queste voci? Non sarebbe meglio per gl’infelici che voi avete così perduti che aveste loro tolti i beni, la riputazione, la vita medesima, che averle precipitati negli orrori della morte eterna? Se voi volete ancora nuocere al vostro prossimo, se qualcheduno dei vostri fratelli è divenuto l’oggetto del vostro odio, vendicatevi sopra i suoi beni, sopra il suo onore, sopra la sua vita medesima, armatevi d’un pugnale ed immergeteglielo nel seno; ma almeno risparmiate la sua anima: Verumtamen animam iliius serva (Job. II). Se voi medesimi volete dannarvi, non comprendete gli altri nella vostra disgrazia, perché i complici del delitto, divenendo i compagni dei vostri castighi, non ne sminuiranno punto il rigore, non faranno al contrario che accrescerlo; più il numero ne sarà grande, più la giustizia di Dio eserciterà su di voi i suoi rigori. – Ora voi dubitar non dovete che i vostri scandali non perdano un gran numero d’anime; mentre è questo uno dei perniciosi effetti di questo peccato di unire alla sua crudeltà la contagione; e perciò si paragona ad una peste che si comunica con una rapidità che è molto difficile di arrestare. Si può dire infatti che lo scandalo è stato la cagione di tutti i mali che hanno desolata la Chiesa di Gesù Cristo, e che è ancora la sorgente avvelenata donde nascono le scelleratezze che inondano l’universo. Quale strage non ha fatta nella Chiesa un solo Ario, un Calvino, un Lutero, che hanno di già perdute tante anime e che ne perderanno ancora nel corso dei secoli? Ma, senza uscire dal seno della Chiesa Cattolica, quanti delitti lo scandalo non produce tutt’i giorni? L’uomo, è vero, è portato di sua natura al peccato; egli è tentato dal demonio; ma è ritenuto dal timore e dalla vergogna annessa al peccato. Or che fa lo scandalo? Toglie all’uomo questo timore e questa vergogna che lo riteneva. L’uomo, naturalmente portato ad imitare i suoi simili, si crede autorizzato a fare quel che far vede dagli altri, principalmente quando si tratta del male, per cui egli ha più propensione che pel bene. Il costume, la licenza che si vede negli altri non è ella forse il pretesto ordinario di cui si servono i libertini per scusare i loro disordini? Taluno crede tutto permesso quando è sostenuto dall’esempio; da che il peccato è divenuto il peccato della moltitudine, esso perde in qualche modo il carattere d’infamia che ne è inseparabile; si leva arditamente la maschera, non sa più arrossire della colpa e si fa gloria di essere così vizioso come gli altri. Tali sono i funesti progressi di questo contagioso peccato che ha di già precipitato più anime nell’inferno che gli esempi dei santi non ne hanno potuto salvare. Né fa d’uopo esserne sorpresi. Per imitare i malvagi, basta seguire la sua naturale propensione; ma per imitare i santi bisogni farsi violenza. Or il numero di coloro che cedono alle inclinazioni d’una natura corrotta è molto più grande che il numero di coloro che vi resistono: e dacché le malvage inclinazioni sono strascinate dal peso del cattivo esempio, a quali eccessi non si abbandonano esse? Quanti giovani i quali, docili alle istruzioni che loro erano state date nella loro infanzia, servivano di già ai grandi medesimi d’esempio, di virtù! Si vedevano fedeli alle risoluzioni formate in una prima Comunione, si accostavano regolarmente ai Sacramenti, assidui ai divini uffici, ubbidienti ai loro genitori, sobri, casti, regolati nella loro condotta; ma da poi che crescendo in età hanno frequentati i malvagi, sono divenuti simili ad essi, sono liberi nelle parole, dissoluti, indocili e pieni di dispregio per le pratiche della Religione e i precetti della Chiesa. Se io domando a colui come ha egli perduto il tesoro della sua innocenza, chi gli ha insegnate quelle opere d’iniquità che imbrattano la purezza della sua anima? Egli mi risponderà che fu un dissoluto da lui frequentato. Così lo scandalo si comunica all’infinito, ed uno scandaloso che e di già da lungo tempo nell’inferno pecca ancora sulla terra nella persona di coloro che ha pervertiti. Da chi imparano i figliuoli a bestemmiare, a dire cattive parole? Da’ padri e dalle madri o da altre persone che non sanno contenersi alla loro presenza. Questi figliuoli, quando saranno essi medesimi padri e madri, insegneranno le stesse cose ai loro figliuoli, questi ai loro discendenti. Così lo scandalo è come un peccato originale che si perpetua di secolo in secolo, di generazione in generazione, che perde la più gran parte del genere umano. E non crediate che lo scandalo consista sempre in certi peccati che portano seco un carattere d’infamia, e che per questo medesimo ispirino orrore a coloro che li vedono. Può esservi dello scandalo in mancamenti anche leggieri, principalmente se si scorgono in persone che debbono per professione edificare gli altri. I deboli che vedono oltrepassare i limiti di qualche convenienza, credono poter andare più lungi Qualche famigliarità, qualche abboccamento, qualche unione di amicizia che si veda tra persone che non penseranno neppure a far male, non si richiede di più per scandalizzare anime deboli ed innocenti, che temono sino l’apparenza del male. Una donna la quale non avrà tutta la modestia che le conviene nel suo vestire, nelle sue parole, nei suoi modi; che cerca di piacere con certi scherzi, in cui non pensa, dice ella, di fare alcun male, sarà una pietra d’inciampo per coloro che la vedranno, che la frequenteranno. Di più, fratelli miei, sovente anime deboli prenderanno motivo di scandalo da cose che sono in se stesse indifferenti, il mangiar carne sacrificata agli idoli, di cui l’uso non era da se stesso proibito ai primi Cristiani, era una cosa indifferente: grande Apostolo loro la proibiva nulladimeno, perché prevedeva che ne accadrebbe scandalo, e protestava egli medesimo che non ne avrebbe mangiato giammai sul timore di scandalizzare i suoi fratelli : Si esca scandalizat fratrem meum, non manducabo carnem in æternum (II Cor. VIII). Il che deve indurvi ad astenervi da certe cose che voi credete permesse, e che sono nulladimeno vietate dalla legge della carità, tosto che esse sono per il prossimo un motivo di scandalo. Non bisogna tuttavia tralasciar il bene che uno è obbligato di fare a cagione dello scandalo che altri ne prenderebbero mal a proposito. Si è questo uno scandalo farisaico, che essi debbono imputare a sé medesimi; tale era quello dei Giudei sulla condotta e dottrina di Gesù Cristo.

Pratiche. Ma ciò che v’importa di ben sapere e di praticare si è di regolarvi così bene in tutte le vostre azioni che vi diportiate sempre in una maniera edificante e degna di Dio: Ut ambuletis digne Deo (Coloss. II). Si è di concorrere, quanto potete, alla salute del prossimo con le vostre parole e con i vostri esempi, di modo che voi siate da per tutto il buon odore di Gesù Cristo. Quel che v’importa ancora di sapere e di praticare si è di evitare la compagnia degli scandalosi; benché assodati voi siate nella virtù, pur cadrete e diverrete malvagi coi malvagi. Quanto a voi che siete stati pei vostri fratelli un odore di morte coi cattivi esempi che avete loro dati, bisogna, per quanto dipende da voi, riparare il male che avete fatto, domandare perdono a Dio: Ab alienis parce servo tuo (Psal. XVIII); ritrattare i malvagi consigli che avete loro dati, le massime perniciose che loro avete insegnate, riparare con la vostra condotta le cattive impressioni che avete cagionate; voi avete scandalizzato con il vostro allontanamento dei Sacramenti e dai divini uffizi, bisogna accostarvi ai primi e che vi vediamo assidui ai secondi. Voi davate scandalo col frequentare certe case o persone che non dovevate neppur vedere; conviene evitare quelle case, quelle persone, per quanto care vi siano, e qualunque vantaggio possiate ricavarne. Voi non farete forse tanto di bene con i vostri buoni esempi , quanto avete fatto di male con i vostri scandali; ma Dio avrà riguardo alla vostra buona volontà, alle preghiere che voi gli indirizzerete per la conversione di coloro che avete pervertiti. Non lasciate la buona strada che avete presa; essa vi condurrà al soggiorno della gloria: Così sia.

L’ISTRUZIONE RELIGIOSA

L’ISTRUZIONE RELIGIOSA

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli. Domenica XXIV dopo PENTECOSTE – Scuola tipog. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929; imprim.]

“Fratelli: Non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate la piena cognizione della volontà di Dio, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, affinché  camminiate in maniera degna di Dio, sì da piacergli in tutto; producendo frutti in ogni sorta di opere buone, e progredendo nella cognizione di Dio; corroborati dalla gloriosa potenza di lui in ogni specie di fortezza ad essere in tutto pazienti e longanimi con letizia, ringraziando! Dio Padre che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, sottraendoci al potere delle tenebre, e trasportandoci nel regno del suo diletto Figliuolo, nel quale, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati (Col. 1, 9-14).”

L’Epistola è tratta dal principio della lettera ai Colossesi. Dopo il saluto, le congratulazioni, il ringraziamento a Dio per la fede e la pietà che regna tra i Colossesi, assicura — come vediamo dal brano riporta; — prega il Signore che dia loro una conoscenza perfetta della volontà di Dio, così che possano piacergli, mediante i frutti delle buone opere; e che queste opere progrediscano sempre più, per mezzo di una cognizione sempre maggiore delle cose celesti. Prega pure che dia loro la forza di sopportare con letizia le prove immancabili a chi vive cristianamente; e che siano fedeli nel ringraziare Dio Padre, il quale li ha resi degni di partecipare al consorzio dei santi, cioè dei fedeli, li ha strappati alla schiavitù del demonio e delle sue opere tenebrose per metterli sotto il regno del suo Figlio, nostro Redentore. – Quest’epistola ci apre la via a parlare dell’istruzione religiosa.

1. Al Cristiano è indispensabile l’istruzione religiosa,

2. Che gli servirà di guida nella vita,

3. E lo renderà costante contro i falsi insegnamenti e le storte teorie.

1.

Fratelli: Non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate la piena cognizione della volontà di Dio, con ogni sapienza e intelligenza spirituale. L’Apostolo, dicendo ai Colossesi che egli domanda che, per mezzo di quella scienza e sapienza che non viene dagli uomini, ma dallo Spirito Santo, imparino sempre più ciò che Dio vuole da loro; viene bellamente a inculcare il dovere che essi hanno di avanzare sempre più nella cognizione delle verità essenziali del Cristianesimo. E’ una raccomandazione che S. Paolo fa parecchie volte, e che è di grande importanza per i Cristiani di tutti i tempi, perché pare che in tutti i tempi si dia molto più importanza all’istruzione profana che all’istruzione religiosa. Non parliamo, poi, dei tempi nostri.Noi sentiamo dei fanciulli, con il sussiego di chi la sa lunga in materia, narrare le avventure delle pagine illustrate delle riviste settimanali. Se li interrogate, non sanno ripetere un sol fatto della Storia Sacra. I giovinetti danno l’assalto alle edicole, ai giornalai che escono dalle stazioni per aver notizia, delle vicende dei giocatori. Vi sanno dire chi è riuscito primo nel pugilato, nella gara podistica; chi primo nella corsa delle biciclette, delle automobili. ecc. Vi dicono il nome, la paternità, la patria del campione nazionale, del campione europeo, del campione del mondo: ma non vi sanno fare il nome di un campione del Cristianesimo. – Gli adulti la sanno forse più lunga in fatto di religione? Se  provaste a interrogarli resterete meravigliati della loro ignoranza. Non dissimili dagli uomini sono spesso le donne; e non dissimile dall’operaio e dal contadino è il ricco, la persona colta. Sarebbe già molto, per una buona parte, se arrivassero a far bene il segno della croce. E questa ignoranza è assolutamente inammissibile in un Cristiano. « E’ un errore non conoscere Dio come si conviene ». L’uomo è figlio di Dio: deve, per conseguenza conoscere questo Dio, che lo ha creato, che lo governa, che è il suo ultimo fine; conoscere la sua natura, conoscere i suoi attributi per quanto è possibile a persona pellegrina su questa terra: sapere qual è il premio per quelli che lo servono; qual è il castigo per coloro che si ribellano al suo volere. – Dio nella sua bontà infinita ha voluto risollevare l’uomo dalla sua miseria per mezzo della redenzione. È  interesse dell’uomo redento, del Cristiano, è suo obbligo istruirsi in questo mistero: conoscere la persona di Gesù Cristo, quanto ha fatto per noi, il merito della sua opera, la dottrina che Egli ha insegnato, e che le turbe del suo tempo ascoltavano con tanta brama da dimenticare casa, occupazioni e perfino il nutrimento. È interesse e obbligo del Cristiano conoscere chi è la depositaria della sua dottrina, la Chiesa; conoscere gli aiuti che ci ha dato, i sacramenti. Si tratta d’una istruzione che interessa il Cristiano direttamente, in modo particolare. Si tratta poi d’un interesse che non si limita ai quattro giorni che passiamo sulla terra, ma che varca i confini della vita e dura per tutta l’eternità.

2.

Paolo desidera che i Colossesi abbiano una piena conoscenza della volontà del Signore affinché si diportino in maniera degna di Dio, sì da piacergli in tutto. Cioè, conducano una vita in tutto degna di un vero Cristiano. Una vita simile non può prender norma che dalla dottrina della Chiesa. Nella dottrina della Chiesa si trovano i rimedi adatti a tutte le infermità dell’umana natura, e la difesa contro i pericoli e le illusioni che l’accompagnano. In questa dottrina si trovano gli insegnamenti opportuni per qualunque circostanza della vita. Essa contiene insegnamenti per la vita individuale e per la vita sociale: indica i diritti nella loro giusta misura, e inculca i corrispondenti doveri. – Tolti gli insegnamenti della Religione, ben poca efficacia hanno gli altri mezzi sulla condotta dell’uomo e sull’andamento morale della società. Il ven. Antonio Chevrier era stato arrestato da due guardie urbane di Lione, che l’avevano trovato a questuare alla porta di una chiesa. Condotto dal Commissario, risponde ai rimproveri facendo osservare che egli fa la questua pel mantenimento e l’educazione di una sessantina di ragazzi vagabondi, parecchi dei quali erano certamente passati nell’ufficio del commissario, prima di andare da lui. Quando il commissario sa con chi tratta non può trattenere la commozione, e due lacrime spuntano sopra i suoi occhi. Poi riprende : «Ah! Padre, continui la sua opera di rigenerazione ben più utile dì tutte le nostre case di reclusione; continui a chieder l’elemosina per i suoi ragazzi, non avrà più noie; io stesso voglio partecipare alla sua opera» (Villefranche. Vita del Ven. Servo di Dio Padre Antonio Chevrier. Versione di Alfonso Codaghengo. Roma – Torino. 1924. Pag. 97-98). – Possiam poi, ad osservare che la sanzione delle leggi umane, già poco efficace per sé, è relativamente rara. Le leggi umane sono di quelle reti da cui si può sfuggire con tutta facilità. Si possono trasgredire in modo da far quanto la legge proibisce, senza incorrere nella sanzione. Fatta la legge, trovato l’inganno. Se la legge non è scritta nel cuore, fa ben poco. Le cattive inclinazioni hanno origine dal cuore: nel cuore deve stare il loro correttivo. « Serbo nel cuore i tuoi detti per non peccare contro di te », dice il Salmista; ma è impossibile che la legge sia scolpita nel cuore, se non la si considera come ricevuta da Dio. – Ci sono inoltre tante azioni, che la legge umana non considera perché interne, come l’odio, i desideri malvagi ecc.; ma che non cessano per questo di essere condannabili, e che sono, difatti, severamente condannate dalla dottrina della Chiesa. – Non si può negar l’efficacia dell’insegnamento della Chiesa dal fatto che alcuni anche fortemente istruiti nella Religione, conducono una vita riprovevole. La dottrina religiosa da essi imparata è la loro più severa condanna: Essa li richiama continuamente alla riforma della propria condotta, che, con l’aiuto della grazia di Dio, può sempre compiersi. A ogni modo è sempre un freno potentissimo con la minaccia dei castighi eterni, riservati a coloro che si ostinano nel male… E coloro che se ne scandalizzano, al punto di voler negare l’efficacia dell’istruzione religiosa, sono forse migliori? Del resto, si dia uno sguardo alla storia. Si vedrà che la dottrina della Chiesa, alla corrotta vita pagana ha sostituito una vita di grande dignità e di santità. Si vedrà che quando le popolazioni si avvicinano ai principii del Vangelo sono civili; quando se ne allontanano diventano barbare.

3.

L’Apostolo augura ai Colossesi che vadano progredendo nella cognizione di Dio, cioè nello studio delle verità cristiane. Come grande è, dunque, l’errore di coloro che, studiati i primi elementi della dottrina cristiana da fanciulli al catechismo parrocchiale o alla scuola, non se ne curano più nel restante della vita. Il condurre una vita veramente cristiana non è cosa da animi deboli. Si richiede grande costanza contro ogni genere di contrarietà. Cresciuto il fanciullo negli anni, da chi imparerà il modo di resistere alle passioni? Che cosa lo terrà saldo contro la corrente dei cattivi costumi e delle massime perverse? L’ideale! si dirà. Ma quale? Noi vediamo che sono tanti ideali quante sono le scuole, quanti sono i partiti, quanti sono i gusti. E ciascuno si sceglie l’ideale che accontenta maggiormente le passioni, che cominciano a dominarlo. Sta bene che al Catechismo dei fanciulli abbiamo imparato i primi elementi della dottrina; abbiamo imparato per qual fine Dio ci ha creati ecc.; ma, cresciuti in età, dobbiamo approfondire le nostre cognizioni mano a mano che ci troviamo davanti circostanze che richiedono da noi la manifestazione di principi solidi. Col crescere degli anni si allarga anche il campo dei nostri doveri; dobbiamo quindi cercare di averne una più larga e profonda cognizione. « Che giova — dice S. Bernardo — saper dove sia da andare, se non sai la via per la quale hai da andare » (S. Bernardo. In festa Ass. Serm. 4, 9). Quando si è uomini maturi, si dice, non c’è più bisogno di guida. Il buon senso e la ragione insegnano quel che c’è da fare. Peccato, che la storia ci dimostri il rovescio. Essa ci dimostra che, quanto alla verità, non c’è assurdo che non sia stato insegnato da qualche filosofo; e che intorno ai doveri degli uomini i sapienti del mondo non hanno mai potuto stabilire un sicuro codice di morale. In pratica, poi, la norma più comune è la pubblica opinione. Questa è né più né meno che una moda qualunque. La moda va e viene: peggio ancora, va da un estremo all’altro. Così, la pubblica opinione oggi condanna ciò che ieri era lecito; con la più grande facilità oggi pone uno sull’altare, domani lo getta nel fango. La sua regola è il tornaconto del momento. Precisamente opposto è l’insegnamento della Chiesa, il cui linguaggio è « sì, sì; no, no », (Matth. V, 37) e non si adatta mai alle circostanze. La, dottrina che essa insegna è la stessa che fu insegnata da Gesù Cristo, che fu bandita dagli Apostoli e dai loro successori e, attraverso a persecuzioni e lotte, arrivò fino a noi senza mutamenti (ci si riferisce ovviamente alla vera Chiesa Cattolica, non alle sette, come quella a-cattolica attualmente dominante del novus ordo Vaticano II –ndr.-). A questa dottrina deve attenersi chi, nel mar tempestoso della vita, vuol rimaner fermo come uno scoglio che non è smosso dalle opposte correnti. «Alcune cose si apprendono per averne la cognizione solamente, altre, invece, per metterle anche in pratica », osserva S. Agostino (In Ps. CXVIII, En. 17, 3). Perciò il Salmista si rivolge a Dio con quella preghiera: « Insegnami a fare la tua volontà » (Ps. CXLII, 10). Sull’esempio del Salmista rivolgiamoci noi pure a Dio pregando, che ci aiuti a conoscere ciò che dobbiam credere, e ci aiuti a conoscere ciò dobbiam fare, rendendocene soave l’adempimento.

LA SCUOLA CATTOLICA E LE INDULGENZE PER GLI INSEGNANTI E GLI STUDENTI

LA SCUOLA CATTOLICA E LE INDULGENZE PER GLI INSEGNANTI E GLI STUDENTI

 

DOCENTIBUS RECITANDAE

759

Invocatio

Bonitatem et disciplinam et scientiam doce me, Domine; quia mandatis tuis credidi

(Ps. CXVIII, 66).

Indulgentia trecentorum dierum

 (Pius X, Rescr. Manu Propr., 14 maii 1908; S. C. Indulg., 12 sept. 1908).

 

760

Invocatio

SEDES SAPIENTIÆ, ORA PRO NOBIS.

Docentibus, qui ante scholam Salutationem Angelicam cum supra relata invocatione semel devote recitaverint, conceditur:

[Ai docenti che prima della lezione reciteranno la Salutazione Angelica – l’Ave Maria – con l’invocazione suddetta, si concede …]

Indulgentia trecentorum (300) dierum (S. Pæn. Ap., 10 nov. 1940).

761

Oratio

O glorieuse vierge et martyre, sainte Catherine, qui, par votre science admirable, votre zèle pour la foi et votre glorieux martyre, avez gagné à Jésus-Christ un si grand nombre d’àmes, Vous dont le patronage a été si souvent reclame par les plus doctes, nous vous choisissons pour la protectrice et la patronne de nos études et de notre enseignement. Obtenez-nous, à nous qui sommes vos clients, un amour généreux pour Jésus-Christ notre Sauveur, un zèle ardent pour le faire connaìtre et aimer, un attachement inviolable à la foi catholique et aux enseignements de la sainte Eglise. Que, par votre intercession, le Seigneur daigne accorder à tous ceux qui enseignent, la plénitude des dons du Saint-Esprit; qu’ils unissent à une science vraie la sùreté et l’habileté des méthodes, la pureté de la foi, l’intégrité de la vie et une humble défiance d’eux-mèmes. Demandez à Jesus, votre époux, qu’Il prenne en pitie tous ceux qui sont enseignés; qu’Il les préserve des maîtres impies ou indifférents, des doctrines perverses ou erronées: qu’Il leur donne la rectitude de l’esprit, la docilité du coeur et la grace de progresser dans leurs études selon les desseins de la souveraine Sagesse. Enfin, ò glorieuse Sainte, sollicitez du Pére des lumières une telle effusion de gràces sur l’enseignement de la jeunesse, qu’après avoir étudié, aimé et pratiqué la loi divine, tous ensemble, maìtres et disciples parviennent à la montagne sainte qui est Jésus-Christ. Ainsi soit-il.

 [PREGHIERA A SANTA CATERINA

“O gloriosa vergine e martire Santa Caterina, che con la vostra mirabile scienza, il vostro zelo per la fede e il vostro glorioso martirio, avete guadagnato a Gesù-Cristo un sì grande numero di anime, ed il cui patrocinio è stato così spesso reclamato dai più dotti, noi vi scegliamo come protettrice e patrona dei nostri studi e del nostro insegnamento. Otteneteci, a noi che siamo vostri devoti, un amore generoso per Gesù-Cristo Nostro Salvatore, uno zelo ardente per farlo conoscere ed amare, un attaccamento invincibile alla Fede Cattolica ed agli insegnamenti della Santa Chiesa. Che si degni, il Signore, per vostra intercessione, di concedere a tutti coloro che insegnano, la pienezza dei doni dello Spirito Santo; che essi uniscano ad una scienza vera la sicurezza e l’abilità dei metodi, la purezza della fede, l’integrità della vita ed un’umile diffidenza di sé medesimi. Domandate a Gesù, vostro sposo, che abbia pietà di tutti coloro ai quali si insegna; che li preservi dai maestri empi ed indifferenti, dalle dottrine perverse ed erronee: che dia loro la rettitudine dello spirito, la docilità di cuore e la grazia di progredire nei loro studi secondo i disegni della sovrana Sapienza. Infine, o Santa gloriosa, sollecitate dal Padre dei lumi una tale effusione di grazie sull’insegnamento della gioventù, che dopo aver studiato, amato e praticato la legge divina, tutti insieme, maestri e discepoli, giungano alla santa montagna che è Gesù-Cristo. Così sia.”]

Indulgentia trecentorum dierum (S. C . Indulg., 29 apr. 1907; S. Pæn. Ap., 10 aug. 1933).

762

Oratio

O glorieuse sainte Catherine, vierge sage et prudente, qui avez mis la science de Jésus-Christ au-dessus de toute science, obtenez-nous de demeurer inviolablement attachés à la foi catholique et de ne chercher, dans nos études et dans notre enseignement, qu’à étendre en nous et dans les autres le règne de Jésus-Christ, notre Seigneur et de la sainte Eglise. Ainsi soit-il.

[O gloriosa Santa Caterina, vergine saggia e prudente, che avete posto la scienza di Gesù-Cristo al di sopra di ogni scienza, otteneteci di restare inviolabilmente attaccati alla fede Cattolica e di non cercare, nei nostri studi e nel nostro insegnamento, che ad estendere in noi e negli altri il regno di Gesù-Cristo, Nostro Signore e della Santa Chiesa. E così sia.

Indulgentia trecentorum dierum (S. C . Indulg., 29 apr. 1907; S. Pæn. Ap., 20 oct. 1935).

VII

PRECES AB IIS, QUI STUDIIS VACANT,

RECITANDAE

763

Actus consecrationis

Sub patrocinio tuo,

Mater dulcissima,

et invocato Immaculatæ Conceptionis tuæ mysterio,

 studia mea laboresque litterarios prosequi volo:

quibus me protestor hunc maxime ob finem incumbere, ut melius divino honori tuoque cultui propagando inserviam.

Oro te igitur, Mater amantissima,

sedes sapientiæ, ut laboribus meis benigne faveas.

Ego vero, quod iustum est, pie libenterque promitto,

quidquid boni mihi inde successerit,

id me tuæ apud Deum intercessioni

totum acceptum relaturum. Amen.

Indulgentia trecentorum dierum semel in die (S. C.

Indulg., 18 nov. 1882; S. Pæn. Ap., 5 aug. 1932).

764

Oratio

Creator ineffabilis, qui de thesauris sapientiæ tuæ tres Angelorum hierarchias designasti et eas super cœlum empyreum miro ordine collocasti, atque universi partes elegantissime distribuisti: Tu, inquam, qui verus fons luminis et sapientiœ diceris ac supereminens principium, infundere digneris super intellectus mei tenebras tuœ radium claritatis, duplices, in quibus natus sum, a me removens tenebras, peccatum scilicet et ignorantiam. Tu, qui linguas infantium facis disertas, linguam meam erudias atque in labiis meis gratiam tuœ benedictionis infundas. – Da mihi intelligendi acumen, retinendi capacitatem, addiscendi modum et facilitatem, interpretandi subtilitatem, loquendi gratiam copiosam. Ingressum instruas, progressum dirigas, egressum compleas. Tu, qui es verus Deus et Homo, qui vivis et regnas in sæcula sæculorum. Amen.

 (S. Thomas Aquinas).

Indulgentia septem annorum (Pius XI, Litt. Encycl. Studiorum Ducem, 29 iun. 1923; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932)