TE DEUM ULTIMA ANNI DIE

Te Deum

Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem * omnis terra venerátur.
Tibi omnes Ángeli, * tibi Cæli, et univérsæ Potestátes:
Tibi Chérubim et Séraphim * incessábili voce proclámant:

(Fit reverentia) Sanctus, Sanctus, Sanctus * Dóminus Deus Sábaoth.

Pleni sunt cæli et terra * maiestátis glóriæ tuæ.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
Te Prophetárum * laudábilis númerus,
Te Mártyrum candidátus * laudat exércitus.
Te per orbem terrárum * sancta confitétur Ecclésia,
Patrem * imménsæ maiestátis;
Venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.
Tu Rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Fílius.

Fit reverentia
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem: * non horruísti Vírginis uterum.

Tu, devícto mortis acúleo, * aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.

[Sequens versus dicitur flexis genibus]

Te ergo quǽsumus, tuis fámulis súbveni, * quos pretióso sánguine redemísti.

Ætérna fac cum Sanctis tuis * in glória numerári.
Salvum fac pópulum tuum, Dómine, * et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.
Per síngulos dies * benedícimus te.

Fit reverentia, secundum consuetudinem
Et laudámus nomen tuum in sǽculum, * et in sǽculum sǽculi.

Dignáre, Dómine, die isto * sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, * quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: * non confúndar in ætérnum.

Himnus Ambrosianus (684)

a) Fidelibus, qui, ad grates prò acceptis beneficiis Deo agendas, hymnum Ambrosianum Te Deum laudamus devote recitaverint, conceditur:

Indulgentia quinque annorum.

b) Iis vero, qui ultima anni die eiusdem hymni cantui interfuerint in ecclesiis vel publicis aut (prò legitime utentibus) semipublicis oratoriis, ad gratias Deo referendas prò beneficiis totius anni decursu acceptis, conceditur:

Indulgentia decem annorum;

Indulgentia plenaria, si peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint (S. Pæn. Ap., 10 aug. 1936).

[A chi recita l’Inno Ambrosiano Te Deum, si concedono 5 anni di indulgenza. Nell’ultimo giorno dell’anno, se cantato in una chiesa o in pubblico oratorio  come ringraziamento per i benefici di tutto l’anno: 10 anni di indulg. e l’indulgenza plenaria se comunicati e confessati e pregando per le intenzioni del Sommo Pontefice [Gregorio XVIII].

RIFLESSIONI SUI VANGELI PER LA FINE D’ANNO

1.

SIMEONE, ANNA E MARIA VERGINE

PER LA FINE DELL’ANNO

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli; Soc. Ed. “Vita e pensiero” – Milano, 1939)

Viveva ancora in Gerusalemme, tra la corruzione del popolo d’Israele, un integerrimo vegliardo. Egli vedeva come la patria, così splendida una volta, era caduta sotto gli artigli dell’aquile romane ed era governata dagli idolatri; vedeva come nell’anima de’ suoi connazionali erano morte le antiche promesse, ed ognuno, dimenticando la legge di Dio, pensava soltanto agli affari, al commercio, alle ricchezze: perfino il tempio marmoreo, che i padri con gemiti e lacrime avevano costrutto, era diventato una spelonca di truffatori e di mercanti. Tutto questo, e le prevaricazioni d’Israele e la schiavitù sotto il giogo straniero, il vecchio Simeone vedeva con profondo dolore. Ma il suo cuore era pieno di luce e di speranza, poiché il Signore gli aveva detto: « Ancora un poco e il Messia arriverà; tu non morrai senz’averlo veduto ». Dopo questa rivelazione non visse che per aspettarlo: e nell’attesa i suoi capelli s’erano fatti bianchi, e le sue membra logore e tremanti di vecchiaia. Un giorno, guidato da un’ispirazione celeste, era entrato nel tempio. Accanto all’altare una giovane madre offriva al sacerdote il suo primogenito neonato: in quell’istante il mistero gli fu rivelato. Tremante di gioia prese il Bambino tra le sue braccia e lo baciò esclamando nell’estasi: « Signore! Fammi pur morire, ora! i miei occhi, come l’hai promesso, hanno visto il Salvatore, il Salvatore che innalzasti davanti ai popoli come un faro potente che illuminerà le umane stirpi e glorificherà i tuoi figli ».

La giovane madre Maria attonita guardava. Il vegliardo abbassando nel suo volto gli occhi, disse : « Madre! se questo tuo Figlio diverrà, il segnacolo della contradizione e intorno a lui l’odio e l’amore, la rovina e la resurrezione cozzeranno, una spada affilata aprirà nel tuo cuore uno squarcio grande ». La Madre di Dio, senza tremare, ascoltava e taceva. – Ed ecco avanzarsi la profetessa Anna, la figlia di Phanuel della tribù di Aser, quella che dopo solo sett’anni perdette il marito e rimase vedova per sempre. Era di età avanzatissima, e viveva nel tempio, e pregava e digiunava e serviva il Signore giorno e notte. Ella adorò il Messia deposto sull’altare delle offerte, e a tutti parlava di Lui e della salvezza che Egli portava. – Questo è il mistero della Presentazione. Il suo significato più vero è di offerta. Gesù, fin dai primi giorni di sua vita, si offre a Dio per noi: ma la sua offerta non gioverà alla nostra salute se noi non offriamo qualche cosa di nostro con lui. – Comprendete ora l’insegnamento della Chiesa che facendoci leggere questo Vangelo nell’ultima domenica dell’anno sembra quasi volerci dire: « La vostra offerta dov’è? Nulla avete raccolto in tutto quest’anno da poter offrire con Gesù? Su, offrite ». « Che cosa dobbiamo offrire? » penseranno alcuni tra voi. Che cosa dobbiamo, o avremmo dovuto, offrire ce lo insegnano le tre persone in giro all’altare su cui, candida offerta per il mondo, sta il piccolo Figlio di Dio: Simeone, Anna, Maria. Simeone offrì la sua vita, distaccata da ogni bene terreno, e tutta vissuta nell’aspettare Iddio. – Anna offrì la sua vedovanza, distaccata da ogni pensiero mondano e da ogni piacere sensuale. – Maria offrì il suo cuore materno, trafitto da una spada affilata.

I. SIMEONE OSSIA DEL DISTACCO DAI BENI TERRENI

Ecce homo exspectansecco un uomo che viveva nell’attesa di un bene eterno con appassionata speranza. Il suo cuore non si era ingolfato, come quello di molti ebrei, nell’avarizia e nella smania della roba e del denaro, il suo cuore non si era acquietato alla schiavitù dei Romani. Un gran desiderio ogni giorno l’assetava di più: vedere il Messia. Fissare i suoi occhi lagrimosi in quegli occhi che portavano in terra l’immagine del Paradiso, abbracciare quella Carne che avrebbe sfamato in tutti i secoli le anime, baciare quella bocca che avrebbe detto la verità… Volgiamoci indietro, cristiani, e osserviamo se in questi dodici mesi anche noi siamo vissuti in questo desiderio, in questa ricerca, in questa attesa di Dio. – Abbiamo avuto brama del pane da mangiare, e nessun desiderio per il Pane vivo disceso dal cielo. Abbiamo avuto sete e golosità del vino e d’ogni bevanda, e non dell’Acqua viva che sale all’eterna vita. Abbiamo cercato le medicine per guarire e preservarci dai mali del corpo, e abbiamo disprezzato la Medicina per guarire e preservarci dai mali dell’anima. Abbiamo voluto il nostro paradiso in terra; e del vero Paradiso, quello nel cielo, quello al di là della morte, non abbiamo saputo che farne. Et Spiritus Sanctus erat in eo. Lo Spirito Santo, che abita in quelle persone che non hanno il peccato mortale, abitava nel giusto Simeone. Ed in quest’anno, dite, lo Spirito Santo ha potuto abitare in voi? Gli avete fatto un po’ di posto? Forse in voi c’era quell’affare, quel contratto, quella frode, quel grasso guadagno, ma lo Spirito Santo non c’era, poiché l’avevate scacciato coi peccati gridandogli: « Via di qua! che non ti conosco ». In quel momento il demonio è entrato ad occupare il posto di Dio; e, forse, ci sta ancora.

Et venit in Spiritu in templum. L’uomo timorato che viveva aspettando il Signore, andava al tempio attratto dallo Spirito Santo. In quest’anno che muore, quante volte le campane ti chiamarono in chiesa alla dottrina cristiana e tu infilavi la strada che mena all’osteria, al cinema, ai campi sportivi. Quante volte, la mattina, le campane ti svegliarono per la Messa, per qualche bella divozione, per il suffragio dei morti, e tu, nel letto ti voltavi dall’altra parte. E quando ti recavi in chiesa, era lo Spirito Santo che ti guidava, o qualche altro spirito? Non era forse lo spirito della vanità, della leggerezza, della lussuria, dell’interesse? Esamina i sentimenti che in chiesa occupavano il tuo spirito ed avrai la risposta. Se ti confessavi era senza dolore: tu capivi il dolore quando gli affari minacciavano disastri, quando la tempesta distruggeva il raccolto, quando la malattia entrava in famiglia; ma non capivi come si potesse sentir dispiacere d’aver offeso Dio. – Se ti comunicavi era senza fervore: tu capivi il fervore nel gioco, nel conchiudere lucrosi contratti, nel lavoro che fa guadagnare; ma non capivi quale intima gioia si dovesse provare nel ricevere in cuore il Padrone del mondo. – Se qualche rara volta ascoltavi una predica era senza attenzione: tu capivi come si potesse leggere avidamente il listino dei prezzi, i giochi di borsa, l’alto e basso dei cambi; ma quegli interessi dell’anima, quegli affari a lunga scadenza del dopo morte e del giudizio universale, ti facevano sbadigliare. – Se talvolta ti mettevi a pregare, era soltanto per chiedere a Dio i beni e le grazie di questa terra. Per l’anima avevi nulla da domandare; per vincere le tentazioni bastavi da solo.

2. ANNA, OSSIA DELLA SENSUALITÀ’ DOMATA

Et hæc vidua usque ad annos octoginta quaituor. Ecco una donna che rimasta vedova nel fior degli anni, rinunziò ad ogni lusinga del mondo, e si conservò illibata fino alla più tarda età. In questo momento essa c’invita ad esaminarci, come noi abbiamo saputo domare la passione impura, che, quasi leone, rugge nelle nostre membra. – Se i 365 giorni di quest’anno potessero sfilarci davanti e parlare!… « Tu ci hai fatto arrossire con le tue parole oscene — ci direbbero — tu ci hai contaminato coi pensieri disonesti e coi desideri che assecondavi nel tuo cuore. Tu ci hai macchiato con azioni senza nome, ingiuriose a Dio e alla natura! ». E forse tra questi 365 giorni ce n’è uno che è il più brutto della vita, uno che potrebbe insorgere e gridarci: « Io ho visto morire la tua innocenza. Io ho raccolto i petali di un giglio sgualcito, sporcato, disfatto. Io ho raccolto quei petali macchiati per sempre, mentre gli Angeli in lontananza si coprivano con le ali il volto e singhiozzavano ». – « Bisognerebbe non essere di carne e di sangue, — si scusano alcuni, — per essere immuni da questi peccati insuperabili ». Non è vero: bisognerebbe soltanto difendersi con quei mezzi che usò Anna, la figlia di Phanuel della tribù di Aser. E quali sono questi mezzi? 1) Non discedebat de tempio: non s’allontanava dal tempio. Anche la vostra famiglia, se è cristiana, è un tempio: ebbene, non allontanatevi da quella se volete conservarvi puri. I gigli non crescono in mezzo alla strada, e neppure nell’osterie, e meno ancora nell’afa dei teatri, delle veglie danzanti, dei cinema pestilenziali, ma crescono nelle valli solatie e raccolte. In queste ultime sere dell’anno, il mondo ispirato dal suo amico il demonio, organizza spettacoli e sfrenati balli: non si dorme più per godere, per mangiare, per rinvoltarsi nel fango. E l’anno nuovo troverà migliaia di persone senza virtù, inebetiti dal vino e dal peccato, in una nuvola grassa di fetore che esala dall’anima loro morta. Cristiani! non allontanatevi dal tempio della vostra casa, se volete conservare la vostra innocenza. Genitori, i responsabili del candore dei vostri figli, siete voi! teneteli dunque con voi.

2) Ieiuniis et orationibus: ecco due armi invincibili per tener lontano il demonio impuro che devasta la mistica vigna. Con la mortificazione degli occhi e della gola, con la preghiera fervorosa e con le giaculatorie nei momenti dell’assalto, ci si libera da questo genere di demoni.

3. MARIA, OSSIA DEL DOLORE RASSEGNATO

La Madonna fu quella che nella Presentazione ha offerto di più:  tutto il suo cuore squarciato da una gelida lama. Ma chi sa quanti tra voi, in quest’anno, si sono sentiti trapassare il cuore dalla gelida lama del dolore! Voi beati, se come la Madonna non avete imprecato, ma avete baciato la vostra croce con rassegnazione: in quest’ultima domenica non vi mancherà certa una bella offerta da unire a quella di Gesù. – Beati voi, poveri infermi! che in letto, fra i dolori e la noia, ad uno ad uno avete contati i mesi di quest’anno, che non passavano mai; che ad una ad una avete contato le ore della notte oscura e muta come una fossa, senza poter requiare un momento dai vostri spasimi; che avete visto gli altri ridere allegri, andare ai divertimenti mentre il vostro male vi condannava tra le quattro mura della vostra squallida dimora. Oggi la Madonna vi bacia in fronte e vi fa passare attraverso lo squarcio del suo cuore materno, come attraverso a una porta, che mette in Paradiso. – Beate voi, povere famiglie, che in quest’anno siete state visitate dalla morte. Quest’irrequieta pellegrina dall’occhiaia senza pupilla, dalle mani senza calore, dai passi senza rumore ha salito le vostre scale, ha varcato la vostra soglia, vi ha portato via una persona carissima. Oh settimane di tensione spasimosa, oh giornate di pianto, oh lunghissime ore di solitudine, senza più godere della persona amata! … Coraggio, Cristiani; anche a voi non manca un’offerta in quest’ultima Domenica dell’anno, e bella. Coraggio che la Madre dolorosa soffre con voi e vi benedice. – Oh beati tutti quelli che nei giorni di quest’anno gustarono l’amarezza della sventura, patirono sempre con sommessa volontà. Beati tutti quelli che hanno sofferto e che soffrono ancora! Adesso, quando all’Offertorio innalzerò l’ostia bianca che diverrà il Corpo vivo di Gesù Cristo, sulla patena d’oro offrirò insieme a Dio tutti i vostri dolori perché siano accetti per la vita eterna.

CONCLUSIONE

Così un anno è passato. È passato un altr’anno di quei pochi che formano la nostra vita: l’anno del Signore, l’anno della salvezza, 2018 ….

Anno del Signore: e forse noi l’abbiamo fatto l’anno del demonio.

Anno della salvezza: e forse per l’anima nostra è stato l’anno della perdizione. Che dal profondo del nostro cuore, sincero doloroso rinnovatore, erompa il grido Davidico: «Signore, pietà di me! » Miserere mei, Deus.

2.

LA NOSTRA VITA

Che cos’è la nostra vita?

Questa domanda, che già S. Giacomo (IV, 15) rivolgeva ai primi Cristiani, ha un sapore speciale sulle nostre labbra in quest’ultima domenica dell’anno. Qualche giorno ancora, e l’anno che ci si presentava — pare ieri — radioso e lusinghiero di speranze, svanirà come un sogno per sempre. Dove sono le gioie che attendevamo? Quante delusioni, quanti ricordi amari e rimorsi pungenti si levano su come nebbia dai dodici mesi ormai vissuti! E questo è forse tutto quello che ci resta dell’anno che muore. Qualche giorno ancora ed un anno nuovo ci verrà innanzi; e noi, come fanciulli ingenui torneremo a farci illudere da chi sa quali speranze, ci procureremo ancora amarezze e rimpianti. E, forse, nel libro di Dio è scritto che la morte ci dovrà sorprendere prima che l’anno nuovo finisca il corso delle sue settimane. – Che cos’è dunque la nostra vita? questa vita che sfugge irreparabilmente come l’acqua del fiume, che dileguasi come la stella che scivola sul cielo oscuro? Domandate all’artigiano perché tutti i giorni fatica e suda tra la polvere e il fracasso, e vi risponderà: «per guadagnarmi la vita». Domandate a un malato perché si lascia dolorosamente incidere dal ferro del chirurgo e vi risponderà: « per salvare la vita ». Domandate all’uomo di mondo perché tanta smania di divertimento lecito e illecito, e vi risponderà: « per godere la vita ». Domandate al santo perché tante preghiere, tante penitenze non viste da nessuno fuori che da Dio, e vi risponderà: « per santificare la vita ». – Tutti dunque s’attaccano a questo gran dono, che ad ogni momento si consuma, e tutti vorrebbero impedire che si consumasse. L’unico che ci ha rivelato il mistero della vita e il modo per non perderla è il Signore. Egli ha detto: «Chi dà la vita per mio amore, quegli la ritroverà. Chi non la dà per mio amore, quegli la perderà ». Spieghiamo queste parole col Vangelo odierno.

Viveva a Gerusalemme un uomo chiamato Simeone: aveva passato tutti i giorni della sua non breve età nel timore di Dio e nella fede alle sue promesse. I compagni, gli amici suoi, dimenticando la parola e la legge del Signore s’erano dati al commercio e al godimento e lo riguardavano forse con occhi compassionevoli. Ma egli sentiva nel cuore la voce dello Spirito Santo confortarlo e sorreggerlo : « Coraggio! tu non morirai senza aver visto il Salvatore ». Viveva pure in quel tempo a Gerusalemme una nobildonna di nome Anna, figlia di Phanuel della tribù di Aser. Aveva ottantaquattro anni: sette appena ne aveva vissuti accanto allo sposo che la morte le rapì innanzi tempo. Giovane ancora, bella, nobile e ricca s’era chiusa nei veli della vedovanza col tenace proposito di non levarseli fino alla morte. Chissà quante donne la compiangevano e quante bramavano d’essere al suo posto per darsi a un nuovo partito, per correre dietro ai piaceri, agli onori, agli spassi d’una vita spensierata! Ma ella, no: ella aveva preferito ritirarsi nella penombra e nel silenzio del tempio, passare gli anni come un Angelo, lasciare sfiorir l’età bella nei digiuni e nelle veglie notturne. Perché? Perché Simeone ha preferito così, ed Anna ha preferito così? Perché ci sono due maniere di vivere la vita: la maniera del mondo la maniera di Cristo. – « Ma io vi dico che solo chi dà la vita per mio amore, quegli la ritroverà; ma chi non la darà per mio amore, quegli la perderà ».

1. VITA MONDANA

Il mondo, coronato di rose, fosforescente di lusinghe, passa in mezzo agli uomini e lancia il suo appello insidioso come la canzone delle sirene: « Venite con me: inebriamoci di tutte le ebbrezze; gettiamoci su tutti i piaceri; domani, forse, non saremo più a tempo ». Quale moltitudine innumerabile, egli si trascina dietro alle sue seduzioni! Sono bestemmiatori che sui treni, per le strade, in casa, in officina lanciano contro il cielo la parola ingiuriosa ed oscena: e non hanno rimorso. – Sono compagnie di profanatori della domenica: hanno tramutato il giorno del sacro riposo e della preghiera fiduciosa e della pace famigliare, in una giornata d’avarizia, di peccato, di vorticoso movimento. Sono schiere di sposi trasgressori delle leggi sante che governano la famiglia: invano soffocano i rimorsi della coscienza violata, invano aspettano le misericordie di Dio, invano si lamentano nell’ora del dolore. – Sono turbe di giovani che vogliono godere la giovinezza: e invece la gettano in ogni pozzanghera. Genitori senza fede, figli ribelli, donne dal cuore vano, tutti schiavi di satana, tutti arruolati nell’esercito del mondo. Voi li vedete, anche di questi giorni, spegnere i rimorsi nei balli, nei veglioni, nei teatri, nei rumori pagani, nella dissipazione, nell’indifferenza. – Povera gente, come sarà pagata dal mondo a cui ha venduto la libertà e la vita? Prima da una manata di piaceri, ma di quei delle bestie e poi dalla morte eterna. Non s’accorgono dell’inganno? Non sentono d’avvilire la loro dignità di figli di Dio fino a diventare figli di satana? … Non capiscono di barattare l’eterna vita per un’ora di sogno inquieto? Dice la Storia sacra che quelli della regione di Galaad andarono a supplicare l’Ammonita affinché li accettasse nella sua alleanza. E l’Ammonita rispose: « Io farò alleanza con voi a questo patto : che io cavi a tutti l’occhio destro e vi renda l’obbrobrio di tutto Israele » (I Re, XI, 2). Così è di tutti coloro che hanno fatto alleanza col mondo: si sono lasciati strappare l’occhio destro, quello che guarda al cielo, alla vita eterna, alle cose vere e belle ed ora non vedono se non con l’occhio sinistro quello dei bruti, che guarda alla terra vede solo il fango e i vermi.

2. VITA CRISTIANA

Gesù coronato di spine, con le mani trafitte dai chiodi passa sulla terra, e lancia il suo appello di bontà, di pazienza, di fede: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua: arriveremo nell’eterna casa della gioia, dove godremo quello che Dio gode ».

Chi è Gesù Cristo? E ‘ il vero Padrone di noi tutti e delle cose tutte: niente senza di Lui è stato fatto, niente senza di Lui vive. È il vero Redentore degli uomini: non l’oro  l’argento ci ha riscattati dalla schiavitù del Maligno, ma il suo sangue dolorosamente versato dalle piaghe del suo corpo. È il vero Rimuneratore: colui che vede le nostre più segrete pene e conta i nostri sospiri; colui che può e vuole donarci un premio che sorpasserà ogni aspettativa.

Chi sono quelli che lo seguono? Sono i veri Cristiani, che hanno conformato la propria vita alla sua parola divina. Uomini che, pur vivendo nel mondo, non hanno macchiato il labbro di bestemmie e di turpiloquio. Donne che sono l’angelo della casa in cui vivono: diffondono un profumo di modestia, una luce di umiltà e di rassegnazione, un desiderio di preghiera. – Genitori che sentono la propria dignità e responsabilità, che temono il Signore, che rispettano il suo comandamento. Figliuoli che crescono ubbidienti, amorosi, devoti. Seguono Cristo tutti quelli che soffrono e sopportano; tutti quelli che nel campo dell’Azione Cattolica e delle pie Confraternite lavorano per la propria santificazione e per quella del prossimo. – S. Policarpo, vescovo di Smirne, fu arrestato dal proconsole Quadrato e condotto al tribunale: « Maledetto il tuo Cristo! » urlò ad un certo punto il proconsole adirato. Il santo vegliardo tremante di vecchiaia ma impavido di fede, disse: « Sono ottantasei anni che lo servo, e ne sono lietissimo. Ah, io lo benedirò fino all’estremo sospiro ». Allora gli fu preparato il rogo: ed egli sorrise. Le fiamme non lo toccarono Allora fu colpito di spada e Policarpo vide il Signore. Quando si serve Cristo, quando la vita è cristiana, entra nel nostre cuore la gioia dei figli di Dio e più nulla ci può spaventare. Neppure la morte: perché è la porta della gioia e della vita, dietro alla quale si vede il Signore.

CONCLUSIONE

Torniamo, per finire, al Vangelo. Nel tempio, Simeone e Anna erano invecchiati: ma invecchiati erano pure quelli che li avevano guardati con occhio di compassione quasi fossero incapaci di godersi la vita. Ma a costoro che restava? dopo i fugaci anni di godimento e di spensieratezza restava solo l’amarezza e la disperazione. Non così per Simeone ed Anna: dopo i digiuni, le preghiere, le mortificazioni, a queste due anime buone e pure, restava la cosa più bella che uomo può desiderare: vedere il Signore. Ed ecco che un giorno videro un’umile comitiva entrare nel cortile del tempio: era un uomo povero dalle mani incallite sulla pialla, era una donna giovane e modestissima che portava due tortore per la sua purificazione, era un bambino ancora in fasce. Il loro cuore sobbalzò; lo Spirito Santo li illuminò; essi conobbero che quel bambino era il Signore. « Signore! — esclamarono — ora facci pure morire, perché i nostri occhi videro la tua faccia e il nostro paradiso è incominciato ». – Cristiani! in quest’ultima domenica dell’anno io concluderò rivolgendovi il gemito dello Spirito Santo : « Ne des annos tuos crudeli » (Prov., V, 9). Non date gli anni vostri al maligno! Così, giunti al termine della vita, non troverete amarezza e disperazione, ma come Simeone ed Anna, vedrete il Volto di Gesù che vi beatificherà nei secoli dei secoli.

3.

LA PROFEZIA DI SIMEONE

Secondo la legge mosaica la donna a cui il cielo avesse largito un figliuolo, dopo il quarantesimo giorno, doveva salire al tempio a chiedere la sua purificazione. Se poi il bambino era il primogenito, esso pure veniva portato per essere simbolicamente consacrato al Signore. E quantunque Maria avesse concepito, non come le altre donne, ma miracolosamente per opera di Spirito Santo, per umiltà volle sottostare alle leggi comuni. Ella dunque venne alla porta del tempio, si fece aspergere da un sacerdote e poi offrì l’offerta dei poveri: due tortorelle; che la Madre di Dio non possedeva tanto da poter offrir un agnello, ch’era l’offerta dei ricchi. – La cerimonia volgeva al termine, quando apparve Simeone, il vegliardo del tempio. Fedele credente, vedeva da lungo tempo con dolore e con profonda indignazione i peccati d’Israele e la schiavitù sotto il giogo straniero. Ma pure in cuor suo aveva ricevuto promessa da Dio che non avrebbe chiusi gli occhi senza vedere il Messia. Ora la promessa si compiva. Tremando di gioia prese il neonato tra le sue vecchie braccia e profetò: « O Signore, lascia pure il tuo servo andare in pace, come l’hai promesso: ho visto la salvezza che salverà tutti i popoli, ho visto la luce che illuminerà tutte le genti ». Giuseppe e Maria nell’ascoltarlo furono colti da ammirazione, ma il santo vecchio li guardò e, dopo averli benedetti, soggiunse: « Questo Bambino è il segno della contradizione posto alla rovina e alla resurrezione di molti. Una spada affilata poi trapasserà l’anima di sua Madre ». Quando in una famiglia nasce qualcuno, quanti sogni si fabbricano su quella piccola testa ignara! Crescerà sano e robusto ovvero piegherà sullo stelo prima ancora di sbocciare? Sarà un uomo coscienzioso e probo o invece un ignobile e disonesto? Amerà gli studi o preferirà il commercio o le armi? Sarà la gloria e la gioia di sua madre o il disonore e il dispiacere? Nessuno lo sa. Ma il santo vegliardo del tempio di Gerusalemme aveva letto bene la storia dell’avvenire e la sua parola s’avverò. Questo bambino sarà il segno di contradizione. Il cuore di sua madre sarà trapassato dal dolore.

  1. IL SEGNO DI CONTRADIZIONE

Conterò una storia che Eusebio di Cesarea ci assicura d’aver raccolta dalle labbra di Costantino stesso. Mentre l’imperatore prepara vasi a marciare contro il rivale Massenzio, gli apparve nel cielo una Croce sulla quale si leggeva: « Con questa vincerai ». Costantino, ancora pagano, sorpreso della meravigliosa visione, promise di farsi Cristiano se avesse ottenuto vittoria. Intanto ordinò che sul vessillo da portare in battaglia si dipingesse la croce, così come l’aveva veduta. Massenzio, che aveva saputo qualcosa, ordinò alle sue legioni di mirare tutti contro il vessillo fatato. L’alfiere che lo portava, sentendo sibilare intorno a lui le frecce, s’accorse d’essere fatto bersaglio da tutti i nemici, e spaventato gettò via il vessillo e riparò in mezzo alle file. Un compagno, visto quest’atto di debolezza, si spoglia delle armi e, afferrata l’insegna, si slancia in testa ai manipoli, avanzando a gran corsa verso il nemico. I dardi fischiando densi come una grandinata, foravano la bandiera, lasciando illeso l’intrepido alfiere. I nemici compresero che un Dio combatteva con l’armata di Costantino, e presi da spavento si rovesciarono indietro, ed ebbero una sconfitta completa e decisiva dove Massenzio stesso perì. Agli inni della vittoria non partecipò il primo alfiere. Qualcuno l’aveva visto cadere colpito nel cuore da uno strale. – Questo fatto ci offre due insegnamenti.

a) Ed il primo è che tutti quelli che combattono Cristo, o la sua Chiesa, o i ministri della sua Religione periscono, come Massenzio perì. Voltiamoci indietro a guardare la storia: il primo persecutore di Gesù è Erode l’infanticida, ma fu anche il primo a sperimentare la vendetta divina. Arso lentamente da una febbre maligna, straziato da coliche che gli laceravano le viscere, gonfio e livido mostruosamente in tutto il corpo, scontorto da convulsioni spasmodiche, esalava un fetidissimo puzzo e nelle sue carni marcenti già brulicavano i vermi. L’altro Erode, l’Antipa, quello che nel giorno della passione trattò Gesù da pazzo, morì in esilio; e Pilato pure dovette fuggire, e ramingare di paese in paese fin che si uccise di propria mano. Giuda Iscariota si appese alla ficaia e scoppiò. Tutti gli imperatori romani, che perseguitarono i martiri, finirono violentemente, così che lo scrittore Lattanzio Firmiano poté formare un libro che intitolò: « La morte dei persecutori ». Caligola fu trucidato, Nerone, vedendosi raggiunto dalla coorte mandata ad ucciderlo, si cacciò egli stesso il pugnale nel cuore. Domiziano fu ucciso da quei di sua famiglia. Commodo fu strangolato. Eliogabalo è ammazzato dai suoi soldati. Valeriano è scoiato. Diocleziano muore di fame. Giuliano l’apostata, ferito in guerra, si strappa le bende, e lanciando una manata di sangue contro il cielo, bestemmia: « Galileo, hai vinto ». Poi morì, come morirono e moriranno tutti i nemici della fede nostra. Cristo invece regna, impera, trionfa; ieri, oggi, domani; sempre.

b) Un secondo insegnamento deriva a noi dal fatto, che ho narrato. Tutti quelli che dopo aver ricevuto il Battesimo e servito a Gesù Cristo per qualche tempo, gli voltano le spalle, lo insultano coi loro peccati, avranno la peggio come l’ebbe il primo alfiere. Quelli invece che, armati di confidenza e di coraggio, lo servono, lo difendono, soffrono per Lui, saranno fortunati quaggiù e nell’eternità, come lo fu il secondo alfiere. Cristo è il segno della contradizione: o risorgere con Lui, o contro di Lui perire. – Chi desiderando d’essere sapiente, disprezzò il Vangelo per studiare altri libri, non capì più nemmeno quello che capiscono anche i bambini. E chi rifiutò il giogo del Signore per vivere secondo i capricci delle sue passioni, non trovò che delusioni, rimorsi, disperazione e condanna eterna. – Invece quelli che per amor di Cristo, rinunciarono alla fatua sapienza del mondo, alle bugiarde gioie del mondo, ai fugaci beni del mondo, ricevettero cento volte più di quello che avevano lasciato, e per giunta la vita eterna (MT., XIX, 29).

1. LA MADRE DOLOROSA

È l’Annunciazione. Un Angelo discende nella casa umile d’una povera fanciulla del popolo e le porta il desiderio dell’Onnipotente. « Non temere, Maria. Accetti tu d’essere la Madre di Dio? ». E la Madonna, sospirando come a una cosa a cui ci si rassegna dopo un lungo tentennare, rispose semplicemente: « Io sono l’ancella del Signore. Sia fatto in me secondo la tua parola ». Ma come? Perché non irrompere in un grido di gaudio infrenabile? Proprio lei, che non conosceva che il tempio e la sua casa, veniva eletta alla più alta dignità possibile a semplice creatura umana, e non esultava d’ebbrezza; ma trepidamente diceva: « Io sono l’ancella del Signore: fiat! ». – Era perché la Madonna sapeva che Madre di Dio vuol dire Madre d’un Crocifisso. Sapeva che in ogni giorno della sua vita sarebbe stata accompagnata dalla visione della croce, fin tanto che il suo Unigenito inchiodato e sanguinante davanti ai suoi occhi materni non fosse spirato davvero. – Da quel momento la sua anima fu trafitta con una spada a taglio doppio. Quattro cose, dice S. Tommaso, fecero amara la passione di Cristo alla Vergine Madre.

Primo, la bontà del Figlio: perdere un figlio è gran dolore, ma perdere un Figlio che non le aveva recato mai il più tenue dispiacere, un Figlio ch’era Dio, è quello che nessun’altra madre provò né proverà.

Secondo, la crudeltà dei crocifissori: a Lui che bruciava di sete nell’agonia non gli vollero dare una stilla d’acqua; e sua Madre neppure gliela poteva dare, che non lo permettevano; e neppure poteva placargli l’arsura con i suoi baci, che era sospeso in alto.

Terzo, l’infamia della pena: moriva il Figlio di Dio tra due ladroni quasi che anch’Egli fosse un ladrone, moriva per mano della giustizia, la giustizia più ingiusta, che aveva osato perfino condannare a morte il Creatore del cielo e della terra e dei giudici. Quarto, la ferocità del martirio: insultato, flagellato, inchiodato. E morto, quasi non bastasse, fu squarciato nel petto con una lancia: Egli non la sentì perché era già spirato, ma la sentì la sua Madre che vedeva … 0 vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus (Tren., I , 12).

CONCLUSIONE

Era la festa dell’Assunta del 1856. A Spoleto si faceva una solenne processione, con l’immagine taumaturga dell’Addolorata. Era la Madre che. come si usava ogni anno in quel giorno, passeggiava tra i figli suoi: e non v’era ginocchio che non piegasse a terra davanti a Lei. La processione, tra canti e incensi, si svolge lenta e giunge davanti a un giovane elegantissimo di nome Francesco Possenti. Già due volte, ammalato da morire, aveva promesso di cambiare vita; davanti al cadavere di sua sorella morta sì giovane l’aveva giurato ancora; e non si era deciso mai a strapparsi dalle voluttuose spire del mondo. Ora, ritto ai margini della strada, guardava la processione snodarsi davanti. Quando l’immagine della Madre dolorosa gli fu vicina, sentì battergli il cuore come mai. Gli parve che la Vergine girasse lo sguardo su lui e lo guardasse in una luce divina. Intanto una voce gli gridava dentro: « Francesco il mondo non è più per te ». Qualche tempo dopo correva un mormorio per la città: « Sai, il ballerino si è fatto frate ». « Francesco Possenti vuoi dire? ». – « Sì: ed ha preso il nome di Gabriele dell’Addolorata ». Quante volte, e con grazie e con disgrazie, la Madonna ci ha fatto capire di abbandonare il peccato e riprendere una vita più cristiana più mortificata: e fu sempre invano. Oggi, che è l’ultima domenica di quest’anno che finisce, la Madonna Addolorata ci guardi con quegli occhi suoi misericordiosi. Ci guardi come ha guardato una volta il giovane Francesco Possenti: e noi con l’anno nuovo riprenderemo una vita nuova: di pietà, di carità, di bontà.

 

UNA BOLLA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: HORRENDUM ILLUD SCELUS DI S. PIO V

Questa bolla di S. Pio V, è solo uno dei tanti documenti della Chiesa Cattolica a condanna del “peccato che grida vendetta agli occhi di Dio”, come recita il Catechismo cattolico, o se preferite, del “peccato propter hæc enim venit ira Dei in filios diffidentiæ … per cui l’ira di Dio piomba sopra coloro che gli resistono”, come dice San Paolo nella Epistola agli Efesini (c. V, 6). Chiarezza ed inappellabilità caratterizzano questo breve documento che è come una pietra tombale, inamovibile ed eternamente incastonata nel mosaico del Magistero Pontificio. Non ci sono commenti, né discussioni possibili. Chi dovesse affermare il contrario è semplicemente un a-cattolico, un apostata vizioso, servo consapevole o meno, ma servo, dell’androgino abominevole baphomet. Leggiamo con calma e facciamo nostra questa perla del Magistero e della Dottrina Cristiana. – Lasciamo il testo latino del Bollarium Romanum perché già così il documento è comprensibile ad un lettore di media cultura.

HORRENDUM ILLUD SCELUS

DI S.S. S. PIO V

Contra quoscumque clericos,

iam sæculares quam regulares,

nefandi criminis reos (1).

Pius episcopus servus servorum Dei,

ad perpetuam rei memoriam.

Horrendum illud scelus, quo pollutæ fœdatæque civitates a tremendo Dei iuidicio conflagrarunt, acerbissimum nobis dolorem inurit, graviterque animum nostrum commovet ut ad illud, quantum potest, comprimendum studia nostra conferamus.

1. Sane Lateranensi concilio dignoscitur constitutum ut quicumque clerici illi incontinentia quæ contra naturam est, propter quam ira Dei venit in filios diffidentiæ, deprehensi fuerint laborare, a clero deiiciantur, vel ad agendam in monasteriis pœnitentiam detrudantur.

2. Verum, ne tanti flagitii contagium, impunitatis spe, quæ maxima peccandi illecebra est, fidentius invalescat, clericos huius nefarii criminis reos gravius ulciscendos deliberavimus, ut qui animæ interitum non horrescunt, hos certe deterreat civilium legum vindex gladius sæcularis.

3. Itaque, quod nos iam in ipso pontificatus nostri principio hac de re decrevimus, plenius nunc fortiusque persequi intendentes, omnes et quoscumque presbyteros et alios clericos sæculares et regulares, cuiuscumque gradus et dignitatis, tam dirum nefas exercentes, omni privilegio clericali omnique officio, dignitate et beneficio ecclesiastico, præsentis canonis auctoritate, privamus. Ita quod per iudicem ecclesiasticum degradati, potestati statim sæculari tradantur, qui de eis illud idem capiat supplicium, quod in laicos hoc in exitio devolutos, legitimis reperitur sanctionibus constitutum.

Nulli ergo etc.

Datum Romæ, apud S. Petrum, anno Incarnationis dominicæ MDLXVIII,

 in kalendas septembris,

pontificatus nostri anno III.

Dat. die 30 augusti 1568, pontif. anno III.

– 1 Quell’orribile crimine, a causa del quale città corrotte ed immonde sono state distrutte col fuoco  dalla condanna divina, provoca in noi un acerbissimo dolore e scuote la nostra mente, spingendoci a reprimere un simile crimine con il massimo zelo possibile.

2. Molto opportunamente, il Concilio Lateranense [Conc. Lat. III, Can. 11, 1179 – ribadito nel Conc. Lat. V, 1512-1517 – ndr. – ] emanò questo decreto: “Ogni membro del clero catturato in quel vizio contro natura, dato che l’ira di Dio cade sui figli della perfidia, deve essere rimosso dall’ordine clericale o forzato a fare penitenza in un monastero “; affinché il contagio di una tale grave offesa non possa progredire con maggiore audacia a causa dell’impunità, che è il più grande incitamento al peccato, e in modo da punire più severamente i chierici che sono colpevoli di questo crimine nefando e che non sono spaventati  dalla morte delle loro anime, decidiamo che vengano consegnati alla severità dell’autorità secolare, che applica la legge civile.

3. Pertanto, desiderando perseguire con più rigore di quanto abbiamo esercitato dall’inizio del nostro Pontificato, stabiliamo che qualunque sacerdote o membro del clero, sia secolare che regolare, che commette un crimine così esecrabile, con l’autorità del presente canone sia privato di ogni privilegio clericale, di ogni posto, dignità e beneficio ecclesiastico. E dopo essere stato degradato da un giudice ecclesiastico, sia immediatamente consegnato all’autorità secolare onde essere sottoposto al supplizio, come prescritto dalla legge appropriata che punisce i laici sprofondati in tale abisso.

[La traduzione è redazionale, ma al di là di qualche possibile errore grammaticale, rispetta con tutta l’accuratezza possibile il pensiero del Pontefice. Siamo pronti però ad accettare eventuali autorevoli correzioni ed osservazioni – ndr. – ]

(1) Ad hoc habes aliam huius Pontificis Constitutionem IX, “Cum primum”

 Nella bolla “Cum primum apostolatus officium”, 1 Apr. 1566, ricordata sopra, al punto 11 leggiamo: Si quis crimen nefandum contra naturam, propter quod ira Dei venit in filios diffidentiæ, perpetraverit, curiae sæculari puniendus tradatur; et si clericus fuerit, omnibus ordinibus degradatus, simili pœna subiiciatur.

Concilio Lateranense III, Can. 11:

[Alessandro III, 1179]

11.5 Clerici in sacris ordinibus constituti, qui mùlierculas suas in domibus suis incontinentiæ nota tenuerint, aut obiciant eas et continenter vivant, aut ab officio et beneficio ecclesiastico fiant alièni.

– Quicumque incontinentia illa, quæ contra naturam est, propter quam venit ira Dei in filios diffidentiæ et quinque civitates igne consumpsit, deprehensi fuerint laborare, si clerici fuerint eiciantur a clero vel, ad poenitentiam agendam in monasteriis detrudantur, si laici exeommunicationi subdantur et a cætu fidelium fiant prorsus alieni.

11.5 I chierici che hanno ricevuto gli ordini sacri, i quali tengano in casa delle concubine per la loro incontinenza, se non le scacciano per vivere castamente, siano privati dell’ufficio e dal beneficio ecclesiastico. –

Chiunque fosse trovato colpevole del peccato contro natura, a motivo del quale “… piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono, e distrusse col fuoco cinque città”, se è chierico, sia scacciato dal clero e sia rinchiuso in monastero a fare penitenza, se è laico, sia scomunicato e totalmente allontanato dalla comunità dei fedeli.

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Conc. Later. V,  – 1512-17; Sessione IX, bolla di riforma della curia. –

[S. S. Leone X]

 …si quis vero tam laicus, quam clericus, de crimine, propter quod venit ira Dei in filio diffidentiae, convictus fuerit, poenia per sanctos canones aut ius civile respective impositis puniatur.

Se qualcuno, sia laico che chierico, risultasse colpevole del peccato per cui l’ira di Dio piomba sopra coloro che gli resistono [Ephes. V, 6], sia punito con le pene stabilite rispettivamente dai sacri canoni e dal diritto civile.

 

 

DOMENICA TRA L’OTTAVA DI NATALE (2018)

 

Incipit 
In nómine Patris, 
 et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 
Sap XVIII: 14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit
[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII: 1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.
[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit
[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Oratio 
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.
[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio 
Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV: 1-7
Patres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

OMELIA I

[Mons. Bonomelli: Omelie, Torino 1899, vol. I, Omelia IX]

“Fratelli, fintantoché l’erede è fanciullo, non differisce punto dal servo, benché sia padrone di tutto: ma sta sotto, tutori ed amministratori fino al tempo stabilito prima dal padre. Così noi pure: mentre eravamo fanciulli, eravamo tenuti in servitù sotto gli elementi del mondo. Ma quando venne il compimento dei tempi, Iddio mandò il Figliuol suo, fatto di Donna, soggetto alla legge, affine di riscattare quelli che erano sotto la legge, sicché fossimo adottati in figliuoli. E poiché siete figliuoli, Iddio ha mandato lo Spirito del Figliuol suo nei vostri cuori, che grida: Abba, Padre „ (Ai Galati, IV, 1-6).

Queste poche sentenze, che avete udite e che l’apostolo Paolo scriveva ai fedeli di Galazia, rispondono a meraviglia al mistero sì sublime e sì dolce che abbiamo celebrato in questi giorni. Il Figlio di Dio fatto uomo! ecco il mistero del S. Natale, di cui festeggiamo l’ottava. Ora qual è il fine, il frutto principalissimo di questo mistero? Perché il Figlio di Dio si è fatto uomo? Affinché gli uomini diventassero Dei, vi risponde S. Agostino e con lui ad una voce tutti i Padri: affinché gli uomini diventassero figli di Dio, risponde S. Paolo nel testo sopra riportato. Bene a ragione pertanto la Chiesa in questa Domenica ci invita a meditare le parole dell’Apostolo, che vi ho recitate: in esse si chiude il frutto pratico della Incarnazione e del santo Natale; a me lo spiegarvel0, a voi l’udirlO. – Scopo di tutta la lettera di S. Paolo ai Galati è quello di mostrare che la legge mosaica con tutte le sue cerimonie e tutti i suoi sacrifici doveva cessare, per dar luogo alla legge di Gesù Cristo; la legge di Mosè, dice S. Paolo, era il pedagogo, che doveva condurre a Gesù; venuto questo, l’ufficio del pedagogo non aveva più ragione di essere e naturalmente cessava. Per illustrar meglio questa idea fondamentale, Paolo ricorre ad una idea affine e tolta dalla legge stessa civile, evoluzione della legge naturale. Udite l’Apostolo. “Fintantoché l’erede è fanciullo, non differisce punto dal servo, benché sia padrone di tutto; ma sta sotto tutori ed amministratori fino al tempo stabilito prima dal padre. „ Vedete un fanciullo: egli è l’erede del padre suo e perciò veramente padrone di tutta la sua sostanza; ma finché è fanciullo, finché è nella minorità, non differisce dal servo: deve ubbidire all’aio: deve lasciar amministrare la sua sostanza al tutore, ai procuratori e restare in questo stato di dipendenza, lui padrone, finché sia spirato il tempo fissato dalla legge e dal padre, ed egli acquisti il pieno e libero esercizio dei suoi diritti di figlio. Fino a quel tempo non vi è differenza tra il servo ed il figlio; tutta la differenza è questa: la condizione del servo è stabile, quella del figlio è temporanea. Noi, così ragiona S. Paolo, noi Ebrei, sotto la legge mosaica, noi Gentili, prima del Vangelo, eravamo come fanciulli, impotenti ad ogni cosa; eravamo tenuti in servitù, sotto gli elementi del mondo; eravamo cioè legati alle prescrizioni sì gravi e sì minute della legge di Mosè; eravamo schiavi delle superstizioni gentilesche; eravamo come quei fanciulli che, prima di studiare ed apprendere le scienze, devono imparare le lettere dell’alfabeto. Insomma tutto il tempo che corse da Adamo a Cristo, è un tempo di preparazione: l’umanità tutta è come un pupillo, un minore, che aspetta il tempo in cui sarà emancipata: acquisterà la piena libertà di se stessa per opera di Gesù Cristo, sciogliendosi dalle fascio della sinagoga e dalle superstizioni e dagli errori del paganesimo. – E questa emancipazione dell’umanità quando avvenne? “Quando venne il compimento dei tempi, Iddio mandò il Figliuol suo, fatto di Donna, soggetto alla legge. „ Che cosa è questo compimento o pienezza del tempo, come dice il testo latino? Una cosa è piena quand’è compita e perfetta, e allora viene la pienezza dei tempi, quando i tempi sono maturi e compiute le cose: quando son giunti i tempi e i fatti annunziati dai profeti, quando tutto è disposto, Dio manda il Figliuol suo, cioè il Figliuol di Dio si fa uomo. Si dice che Dio, cioè Dio-Padre, che di sé, ab eterno, genera il Figliuol suo, lo manda sulla terra. Non dovete immaginare che il Padre mandi il Figlio, come un padre terreno manda i suoi figli, no; Dio-Padre non si può mai separare dal Figlio, con cui ha comune la natura, come non possiamo noi separare il pensiero dalla nostra mente; non lo manda con movimento materiale, che in Dio è impossibile: non lo manda a guisa di chi fa un comando: Dio-Padre manda il Figliuol suo, cioè fa sì che il Figliuolo, che ha una sola volontà con Lui, assuma la natura umana, ed essendo Dio eterno ed immutabile, cominci ad essere anche uomo. Il Figliuolo del Padre eterno si fa uomo, pigliando dalla donna la natura umana. E qui badate che S. Paolo dice che Gesù Cristo prese dalla Donna la natura umana, per indicare che non vi ebbe parte l’opera dell’uomo, e che perciò Gesù Cristo nacque da una Vergine. — Il Figlio di Dio nacque da una Vergine e fu posto sotto la legge, s’intende, la mosaica. Certamente Gesù Cristo, anche in quanto uomo non era obbligato alla legge mosaica, essendo Egli sopra ogni legge; ma, benché non tenuto alla legge mosaica, volontariamente ad essa si sottopose e ne osservò scrupolosamente tutte le prescrizioni, dalla circoncisione alla celebrazione della pasqua. E per qual motivo Gesù Cristo volle sottoporsi alla legge mosaica, Egli che non ne aveva obbligo alcuno? Risponde S. Paolo: “Affine di riscattare quelli che erano sotto la legge, sicché fossimo adottati in figliuoli. „ Gesù Cristo pigliò sopra di sé tutto il peso della legge mosaica per due motivi secondo san Paolo: perché fossimo liberati noi da quella legge di servi, ed acquistassimo tutti i diritti di figliuoli adottivi. — La legge mosaica era una legge di timore; a moltissime delle sue trasgressioni era inflitta la pena di morte: essa riguardava più il corpo che lo spirito, aveva ricompense terrene; era tal giogo che, diceva S. Pietro, non abbiam potuto portare noi, né i padri nostri (Atti, xv, 10). Ebbene Gesù Cristo la tolse sopra di sé, come tolse sopra di sé il peccato, e la chiuse per sempre, a quella sostituendo la sua legge. Quale? “La legge di figliuoli di adozione, „ che è il Vangelo. – Noi per natura siamo creature di Dio e perciò suoi servi, e come servi erano trattati i figli d’Israele, percossi terribilmente ogni qualvolta traviavano. Nella nuova legge, portata da Gesù Cristo, noi siamo elevati alla dignità di figli di Dio, e perciò da noi si esige più l’amore che il timore. – Siamo figli di Dio per adozione! Voi sapete che cosa sia l’adozione e i diritti ch’essa porta seco. Un uomo sceglie un giovane qualunque, lo dichiara suo figlio, lo tiene presso di sé, lo tratta, lo ama come se fosse suo figlio naturale e morendo gli lascia in eredità la sua sostanza e porta il nome del padre, che lo ha adottato. Ecco il figliuolo adottivo ed ecco la nostra dignità, di cui siamo debitori a Gesù Cristo. Egli senza merito nostro di sorta, ci scelse di mezzo agli uomini, col santo Battesimo ci fece suoi figliuoli, ci accolse nella Chiesa, che è la sua famiglia ed il suo regno: ci ama come figli, ci fa partecipi di tutti i beni spirituali della sua Chiesa e ci darà l’eredità eterna del cielo. Ecco che cosa vuol dire essere figli adottivi di Dio! Ma non ho detto tutto, o cari. La nostra dignità di figli di Dio per adozione, importa tra noi e Dio rapporti senza confronto maggiori di quelli che corrono tra il padre che adotta, ed il figlio che è adottato, e qui vi prego di porre ben mente alla cosa. Un uomo adotta un figlio, e questo si considera come se fosse veramente figlio dell’adottante e ne ha tutti i diritti. Ma ditemi: il padre adottante che cosa mette di proprio nella persona del figlio adottato? Perfettamente nulla. Il padre adottante ami pure il figlio adottato coll’amore più intenso; lo dica pure suo figlio, lo colmi di favori, di ricchezze finché vuole: quel figlio non sarà mai veramente figlio dell’adottante se non per virtù della legge e nell’apprezzamento comune; nelle vene di quel giovane adottato non scorrerà mai una stilla sola di sangue del padre adottante; sarà sempre vero che quel giovane ha avuto la vita da un altro uomo e che il vero padre dell’adottato non è, ne sarà mai colui che l’ha adottato, e forse la fisionomia, l’indole morale, le tendenze, il carattere e le abitudini lo mostreranno a chiare note. – Ben altra è l’adozione che noi abbiamo ricevuto da Dio. Egli nell’adottarci ha posto in noi ciò che ha di più intimo, la partecipazione del suo Spirito, della sua vita stessa. Ce lo dice in termini S. Paolo: “E poiché siete figliuoli, Iddio ha mandato lo Spirito del Figliuol suo nei nostri cuori. „ Lo spirito di Gesù Cristo è lo stesso Spirito Santo, l’amore sostanziale del Padre e del Figlio, e Gesù Cristo lo spande nelle nostre anime con la grazia che ci santifica nel Battesimo, che si accresce nella Confermazione e particolarmente nella santa Eucaristia e in tutti i Sacramenti. E che è questa grazia, questo dono dello Spirito Santo? È una forza che emana da Dio stesso, che investe e penetra tutta l’anima, l’abbellisce, la trasforma e la rende simile a Dio. Vedete il ferro messo nel fuoco: esso è tutto penetrato dal fuoco, quasi trasformato nel fuoco, rimanendo pur sempre ferro. È una immagine dell’anima adorna della grazia di Dio. Essa è unita intimamente a Dio; è fatta bella della bellezza di Dio, come il fiore è bello della luce del sole; essa riceve in sé l’influsso della vita stessa di Dio, come il tralcio riceve la sua vita dalla radice e dal tronco della vite; per la grazia l’anima, restando pur sempre anima creata, partecipe della divina natura e porta in se stessa i lineamenti, la somiglianza di Dio e sente di avere tutto il diritto di dire a Dio: Padre nostro! Oh! sì: grida S. Giovanni, non solo possiamo dirci figliuoli di Dio, ma lo siamo realmente: “Ut filii Dei nominemur et simus.,, Quale dignità! quale grandezza, o carissimi! Figli di Dio! Dunque, come figli, dobbiamo rispettarlo, ubbidirlo, onorarlo con la nostra condotta, porre in Lui ogni fiducia, amarlo teneramente e sopra ogni cosa.

 Graduale Ps XLIV: 3; XLIV: 2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.
[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]
V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis.
[V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCII: 1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.
[Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 
Sequéntia  sancti Evangélii secundum Lucam.

Luc II: 33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilaeam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

OMELIA II

[Mons. G. Bonomelli, ut supra, Om. X]

 “Giuseppe e la Madre di Gesù si meravigliavano delle cose che erano dette di lui. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, madre di Lui: Ecco, costui è posto a rovina ed a rialzamento di molti in Israele, ed a segno, al quale sarà contraddetto: e una| spada trapasserà a te stessa l’anima, affinché i pensieri di molti cuori siano fatti manifesti. Eravi anche una certa Anna profetessa, figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: donna molto innanzi negli anni, che era vissuta sette anni col marito dopo la sua verginità; ed era vedova di circa ottantaquattro anni, e non si partiva mai dal tempio, servendo a Dio, notte e giorno, in digiuni ed orazioni. E questa, sopravvenendo in quell’ora, glorificava il Signore e parlava di quel bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione d’Israele. Come ebbero adempiuta ogni cosa secondo la legge del Signore, se ne tornarono in Galilea, in Nazaret loro città. Ed il fanciullo cresceva e si fortificava in ispirito, ed era ripieno di sapienza e la grazia di Dio era in lui „ (Luca, II, 33-40).

Il Vangelo che vi ho riportato nella nostra lingua, versa tutto intorno a Gesù bambino; vi si accenna alla sua presentazione al tempio: vi si parla della sua manifestazione per opera di Simeone e di Anna e del suo ritorno a Nazaret: è una cotale appendice del mistero del santo Natale. Il testo, che devo spiegarvi, è alquanto lungo e perciò è savio consiglio guadagnar tempo e porvi tostamente mano. “Giuseppe e la Madre di Gesù si meravigliavano delle cose che erano dette di Lui. „ Per capire il senso di queste parole è necessario rifarci indietro alquanto. Simeone, supernamente illustrato, aveva riconosciuto, nel bambino che Maria teneva tra le braccia, l’aspettato Salvatore del mondo e pronunciate quelle parole nobilissime che compongono il cantico che dicesi di Simeone. In quelle parole del santo vegliardo si annunziava la conversione dei Gentili e la gloria che ne sarebbe venuta a quel Bambino celeste. Ciò udendo, Giuseppe e Maria furono ricolmi di meraviglia; non già che Maria al tutto ignorasse questa gloria futura del suo Gesù, ma la riempiva di stupore l’udirla annunziata sì chiaramente da quell’uomo ed in quel luogo. Ma né Giuseppe, né Maria dissero parola: tacevano, ammiravano e ringraziavano Dio in silenzio. È bene, dilettissimi, porre attenzione a questa sentenza del Vangelo: “Giuseppe e la Madre di Gesù. „ Voi vedete che l’Evangelista, in ordine alla origine di Gesù, distingue accuratamente Giuseppe da Maria, e mentre nomina Giuseppe semplicemente, come se fosse un estraneo, di Maria espressamente dice: “Madre di Gesù.,, In queste parole si indica nettamente il dogma cattolico, per il quale crediamo che Gesù non ebbe padre terreno e che la sola Vergine gli diede vita umana e si deve credere vera sua Madre. – Maria Madre di Gesù e Madre di Dio è la stessa cosa, perché in Gesù non essendovi che una sola Persona, il Figlio di Dio, e dicendosi Maria Madre di Gesù, è manifesto ch’Ella è veramente Madre di Dio, ancorché essa non abbia dato l’essere al Figlio di Dio, come Figlio di Dio. La nostra madre non ha dato a noi l’anima, che è creata solo da Dio, ma il corpo; ma poiché ciascuno di noi è una sola persona, avente le due sostanze, anima e corpo insieme unite, la madre nostra si dice ed è, vera madre nostra. Così Maria è vera Madre di Gesù, Dio-Uomo, perché lo ha veramente generato nella natura umana, ch’Ella gli diede. –  Simeone, dopo aver rivolte le sue parole a Dio, ringraziandolo d’avergli fatto conoscere in quel bambino il Messia, “benedisse i due coniugi, „ cioè recitò la benedizione sacra prescritta dalla legge, e poi si rivolse a Maria e disse: “Ecco, Costui è posto a rovina e a rialzamento di molti in Israele. „ Simeone volle dire: Questo bambino è venuto per essere la salvezza di tutti, perché tutti Egli vuole salvare; ma per alcuni, contro sua volontà, sarà pietra di scandalo, sarà occasione di caduta e di rovina eterna. Quelli fra i figli d’Israele che lo videro e udirono la sua dottrina, e con spirito di umile ubbidienza credettero, furono salvi: quelli che, pieni di orgoglio lo videro, lo sprezzarono e rigettarono la sua dottrina, furono a loro volta respinti e si perdettero. Gesù Cristo fu per Israele, e sarà sempre per tutti gli uomini, causa di salute od occasione di rovina. Egli è come la luce che rallegra l’occhio sano e tormenta l’infermo, ancorché per sua natura sia destinata solamente a rallegrare l’occhio e non a tormentarlo, e se lo tormenta non è per cagion sua, ma sì per colpa dell’occhio stesso infermo. La nostra condizione, o cari, ora è tale che se non siamo salvati da Lui, da Lui saremo eternamente condannati. Chi più ha ricevuto più deve dare, e chi meno, meno deve dare. Ora noi l’abbiamo conosciuto Gesù Cristo; da Lui abbiamo ricevuto ogni maniera di beni; guai a noi se non corrispondessimo! Una caduta d’alto luogo è fatale, e tale sarebbe la nostra caduta se, portati a tanta altezza da Gesù Cristo, da Lui ci separassimo. Gesù, continuava Simeone, “… è posto a segno al quale sarà contraddetto. „ È una profezia che si adempì e si adempie tuttora sotto i nostri occhi. Gesù Cristo nella sua Persona e nella sua Chiesa, nella quale opera, non è Egli segno e bersaglio di contraddizione? Chi crede in Lui e chi non crede; chi gli ubbidisce e chi rifiuta di ubbidirgli; chi lo benedice e chi lo bestemmia; chi lo ama e chi non si cura di Lui, e chi perfino lo odia fieramente. Ciò che avvenne a Gesù Cristo nei giorni di sua vita mortale, avvenne in tutti i secoli fino a noi, alla sua Chiesa, dagli uni ubbidita, rispettata ed amata qual Madre, e dagli altri disubbidita, disprezzata ed odiata quale nemica. – “E una spada trapasserà a te stessa l’anima, affinché i pensieri di molti cuori siano fatti manifesti. „ – Maria è inseparabile da Gesù come il ramo dal fiore e la sorgente dal suo ruscello, e perciò le gioie e i dolori del figlio sono gioie e dolori della madre. Gesù sarà il bersaglio delle ire e dei furori della sinagoga, che un giorno lo conficcherà alla croce, e sarà l’uomo dei dolori e il re dei martiri; dunque anche Maria sarà con Lui e per Lui straziata, e meritatamente sarà chiamata la Donna dei dolori e la Regina dei martiri. Gesù sarà straziato nell’anima e nel corpo; Maria solamente nell’anima, è vero, ma sarà tale il suo martirio, che Simeone per esprimerlo usa di questa frase fortissima: “Una spada trapasserà l’anima tua. „ Questa spada le fu piantata in cuore fin da quell’istante che divenne Madre, perché fin da quell’istante ebbe, non dico la viva apprensione, ma il chiaro e certo conoscimento di tutto ciò che il suo Gesù doveva patire, onde il martirio di Maria fu continuo ed abbraccia l’intera sua vita. — È legge, a cui nessun seguace di Gesù Cristo può sottrarsi: l’altezza della virtù, la perfezione della vita si misura dai patimenti, e quegli è più simile a Gesù Cristo nella santità, che gli cammina più presso nella via della croce. – Allorché Gesù chiuse la sua vita sulla croce, segno dell’odio dei suoi nemici, e Maria agonizzava ai suoi piedi, allora furono manifesti i pensieri di molti cuori ed apparve in tutta la sua orridezza l’empietà e crudeltà della sinagoga; Giuseppe e Maria erano ancora nel tempio e andavano forse mestamente ripensando al vaticinio di Simeone, allorché ecco farsi loro innanzi una donna chiamata Anna, che in nostra lingua significa grazia. Essa apparteneva alla tribù di Aser e doveva essere conosciuta in Gerusalemme come dotata dello spirito profetico, giacché S. Luca la chiama profetessa. Anna era rimasta vedova dopo sette anni di convivenza col marito ed aveva ottantaquattro anni. Dopo la morte del marito “ella non si partiva dal tempio, servendo a Dio, notte e giorno, con digiuni ed orazioni. „ Noi sappiamo, che presso al tempio dimoravano alcune pie donne, che prestavano i loro servigi e vivevano a modo di Religiose. Anna doveva essere una di queste pie donne, intesa al servizio del tempio ed alla preghiera, e ciò che fa più meraviglia in quella età sì inoltrata, alla preghiera aggiungeva i digiuni. — Carissimi! quale rimprovero per noi questa donna ammirabile! A ottantaquattro anni condannava volontariamente il suo corpo ai digiuni, alle mortificazioni, dopo una vita innocente! E noi ancor giovani, pieni di vita, pur troppo sì indulgenti con le nostre passioni a stento osserviamo i digiuni e le astinenze prescritte e fors’anche le calpestiamo! – “Anna, sopravvenendo in quell’ora, glorificava il Signore e parlava di quel Bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione d’Israele. ,,  Anna, divinamente illustrata, come poco prima Simeone, nel Bambino aveva riconosciuto il Messia e il Salvatore del mondo, e come tale lo annunziava a tutti quelli che erano nel tempio. Dio si compiacque far conoscere il mistero della Incarnazione e il Salvatore aspettato a due persone, Simeone ed Anna, un uomo e una donna, perché preparati entrambi a conoscerlo mercé d’una vita religiosa e santa, e perché, essendo entrambi personaggi venerandi per età e più ancora per virtù, potevano farsene apostoli presso il popolo e risvegliarne la fede. Vedete come Iddio nella sua bontà non manchi mai di far conoscere la verità a quelli che sono disposti ad udirla. I pastori, i Magi, Simeone, Anna, Zaccaria, Elisabetta furono nelle mani di Dio strumenti efficacissimi per far conoscere Gesù ancora Bambino. Ma quanti degli Ebrei fecero tesoro di questa grazia specialissima? Pur troppo furono pochi, come apparisce dal Vangelo. “Com’ebbero adempiuta ogni cosa, secondo la legge del Signore, se ne tornarono in Galilea, in Nazaret, loro città. „ Dopo udite le grandi cose che Simeone ed Anna avevano annunziato di Gesù, Giuseppe e Maria si ridussero nella piccola loro borgata nativa, nell’umilissima loro casetta di Nazaret, lasciando alla Provvidenza la cura di maturare gli occulti suoi disegni (Gli interpreti sudano a comporre l’apparente opposizione che qui si presenta tra il Vangelo di S. Luca e quello di S. Matteo. S. Matteo (capo II) parla del nascimento di Gesù in Betlemme, poi narra la venuta dei Magi e subito dopo la fuga in Egitto e il ritorno in Nazaret, che dovette aver luogo circa tre anni appresso, giacché la morte di Erode avvenne due anni dopo la strage dei bambini. S. Luca, dopo il nascimento di Gesù, descrive la presentazione sua e la purificazione della Madre nel tempio, compiutasi quaranta giorni dopo il nascimento e addirittura porta la santa famiglia a Nazaret. S. Luca conosceva certo il Vangelo di S. Matteo e omise la narrazione dei Magi e la fuga in Egitto, e senz’altro – sembra la spiegazione più ovvia – ci trasporta al tempo del ritorno dall’Egitto e ci mostra la santa famiglia raccolta in Nazaret. Perciò questo versetto 39 di S. Luca è perfettamente parallelo al versetto 23 del capo II di S. Matteo). Siamo all’ultimo versetto del nostro Evangelo. “E il fanciullo cresceva e si fortificava in ispirito, ed era ripieno di sapienza e la grazia di Dio era in Lui. „ Questa sentenza del Vangelo può sembrare ad alcuno difficile ad intendersi e contraria a ciò che dobbiamo credere intorno alla perfezione di Gesù Cristo; ma non vi è ombra di difficoltà, se bene la intenderemo. Noi dobbiamo tenere per fede, che Gesù Cristo fin dal primo istante in cui fu concepito nel seno della Madre, fu ricolmo d’ogni scienza, virtù e santità a talché era impossibile che l’anima sua benedetta potesse crescere pure d’un solo apice. Ciò voleva la natura stessa dell’unione immediata e personale dell’umanità col Verbo divino, il quale, assumendola, dovette riempirla di tutta la scienza e santità e perfezione, delle quali era capace. Gesù Cristo adunque, in quanto uomo, nel primo istante di sua concezione era perfetto né più, né meno come nell’ultimo momento di sua vita mortale. Come dunque il Vangelo ci insegna, che cresceva in sapienza e grazia? Non cresceva in sapienza e grazia in sé, realmente, ma solo in quanto, a mano a mano che cresceva negli anni, mostrava eziandio di crescere nella sapienza e nella grazia, ossia temperava la manifestazione delle medesime secondo l’età. A quella guisa ch’Egli volle essere bambino, poi fanciullo, poi giovane e finalmente uomo nel pieno sviluppo delle forze virili, così nell’ordine spirituale e sovraumano, volle che la manifestazione esterna della grazia e santità fosse progressiva e rispondesse all’età. – Carissimi! il sole è sempre lo stesso e sempre egualmente spande i suoi raggi e diffonde il suo calore; eppure noi vediamo quelli e questo crescere gradatamente fino al pieno meriggio. Similmente avvenne in Gesù Cristo: Egli era e fu sempre eguale nella santità e sapienza; era disuguale soltanto la manifestazione (Veramente S. Luca nel versetto ultimo di questo capo dice che Gesù cresceva in sapienza, età e grazia non solo appresso gli uomini, ma innanzi a Dio stesso, il che parrebbe escludere la nostra interpretazione. Si osservi che in Gesù Cristo vi è una doppia scienza, l’una propria, intima, l’altra sperimentale: questa non aggiunge nulla a quella; Gesù Cristo poteva crescere nella sperimentale, non mai nella propria, intima, infusa nell’atto stesso della Incarnazione). La grazia, la sapienza, la virtù di Gesù Cristo non poteva crescere in se stessa, ma apparentemente agli occhi degli uomini; la nostra, o dilettissimi, può e deve crescere realmente, di giorno in giorno finché avremo raggiunta la perfezione, modellandoci sul supremo nostro esemplare, Gesù Cristo. Ora esaminando la nostra condotta, la nostra vita, possiamo noi dire, che la nostra virtù venne crescendo con gli anni? Ohimè! forse dovremo confessare d’essere stati più pii, più virtuosi da giovanetti, che adulti e vecchi. Sarebbe una contraddizione vergognosa. Deh! figliuoli dilettissimi, a somiglianza di Gesù, cresciamo sempre con gli anni in sapienza e nella grazia di Dio!

  Credo

Offertorium 
Orémus
Ps XCII: 1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.
[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta 
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat. [Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

Communio 
Matt II: 20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri. [Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 
Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur. [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

LO SCUDO DELLA FEDE (XLIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XLIII.

LA FRAMASSONERIA.

Che cosa sia la Massoneria e come sia costituita. — Carattere segreto che ha tuttora. — Non è «essa una società «di beneficenza? — Il vero che sia parassita ed eserciti il favoritismo? — Che abbia fatto e faccia «del male alla Chiesa? — Che sia scomunicato chi vi si ascrive?

— Vedo che fra le tante cose che la Chiesa condanna tiene un primissimo posto la framassoneria. Merita essa davvero di essere condannata?

E come no, se questa setta è il nemico più dichiarato ed accanito che abbia la Chiesa, e quello che reca tanti danni ai figli suoi?

— Ma la framassoneria non è cosa molto antica? Ho letto in vari libri ch’essa risale a Salomone, e che per lo meno i Templari del Medio Evo erano già frammassoni.

Queste son favole. La verità si è che la framassoneria sorse in Inghilterra nei primi anni del secolo decimo ottavo, e di là in breve si sparse per tutto il mondo incivilito.

— E da che cosa deriva il nome di framassoneria?

Deriva da fratello massone o franco massone, che vuol dire fratello muratore o franco muratore.

— E donde mai questo nome? Forseché da principio gli aggregati erano muratori?

No. Essi presero questo nome e i relativi simboli della cazzuola, della squadra, del triangolo, del compasso eccetera, in modo simbolico ad indicare lo scopo che si prefìssero.

— E qual’è questo scopo?

Quello di fabbricare il tempio.

— Non capisco.

Anche questa parola fu da essi presa in senso metaforico per indicare il tempio dell’umanità; e con la frase fabbricare il tempio intesero indicare il dar una nuova forma a tutta quanta l’umana famiglia.

— E che pretesero con ciò?

Pretesero e pretendono di sottrarre l’umanità all’autorità di Dio, a tutte le altre autorità, le quali tutte emanano da lui, e specialmente a quella che più lo rappresenta, l’autorità della Chiesa.

— Ma i frammassoni non onorano forse Iddio col nome di Grande Architetto dell’Universo?

Così danno a credere ai goccioloni. Ma la realtà si è che anziché onorare Iddio, con tal nome designano l’avversario di Dio, cioè satana, al quale, orribile a dirsi! prestano atti di suprema adorazione in eccessi di empietà, ai quali arrivano in segrete adunanze, e che ignorati dai membri inferiori, sono attestati dalle rivelazioni di alcuni dei membri superiori convertiti alla fede e si debbono avere per i n dubitati, non ostante che in questi ultimi tempi taluno, giuocando sull’altrui buona fede, vi abbia, nel narrarli, frammischiate molte falsità.

— È vero che la Massoneria ha anch’essa un capo supremo?

Sì, in ogni nazione e si chiama Grande Oriente. Naturalmente esso è coadiuvato nell’esercizio della sua autorità da parecchi membri, che formano il suo consiglio e che hanno nomi e gradi diversi, dei quali l’ultimo è il cosiddetto 33.

— Mi pare che i framassoni si chiamino anche tre-puntini?

Sì, sono chiamati così per celia dai tre punti, con cui dividono le lettere iniziali del loro sacrilego motto. A:. G:. D:. G:. A:. D:. U ; che vuol dire: Alla Gloria Del Grande Architetto dell’Universo.

— E le Logge massoniche che cosa sono?

Con questo nome si indicano tanto i luoghi, ove i massoni tengono le loro adunanze, come l’insieme di quei membri, che si adunano in ciascuno di detti luoghi.

— E i profani secondo la massoneria chi sono?

Tutti coloro che non le appartengono, tutti quelli che non sono da lei iniziati alla religione di satana, suo padre e padrone.

— Ma la massoneria presentemente non è mica più una società segreta.

Sì, è vero che oggidì la massoneria fa le viste di non stare più nascosta e tiene delle adunanze pubbliche, e stampa in faccia al mondo i suoi giornali, e dice apertamente taluni de’ suoi propositi; ma non di meno conserva sempre il carattere segreto, giacché tantissimi dei suoi riti, dei suoi contrassegni, dei suoi intendimenti non li manifesta mai, neppure a molti de’ suoi affigliati.

— Ed è vero che la massoneria abbia dei riti speciali e i suoi adepti nelle segrete adunanze usino fregi, divise e decorazioni proprie?

Verissimo. E per una parte vi sarebbe da ridere nel pensare che costoro pur usando riti e cerimonie, che hanno del goffo in grado supremo, e che compiono in segreto, si facciano poi a canzonare la Chiesa per i suoi riti augusti e per le sue cerimonie solenni, da lei compiute alla piena luce del giorno. Ma pur troppo vi è altresì da inorridire sapendo che in conformità alla morale da loro professata, del libero sfogo di tutte le prave concupiscenze umane e di tutti i cinque sensi, significati dalle cinque punte della stella massonica,  in certi loro misteriosi ritrovi notturni coll’intervento delle sorelle Mopse si abbandonino a misteri nefandi.

— È anche certo che coloro dei framassoni, che violano il segreto o mancano altramente contro i loro statuti, siano condannati a pene?

Anche questo è certissimo e risulta persino dalle loro pubblicazioni. Si sa che gli affigliati alla setta debbono promettere ai loro capi e maestri cieca ed assoluta obbedienza, epperò qualora manchino a questa o violino il segreto che si è giurato espressamente di non rivelare giammai, o altramente offendano le costituzioni della setta, sono, a seconda della maggiore o minore pretesa reità, talvolta ammoniti o condannati a multe pecunarie, qualche altra a pene anche più gravi, dalla società, e non è poi caso tanto raro che il taluno anche oggidì, come in passato, venga designato al ferro di un sicario.

— Ma con tutto ciò a che cosa mira propriamente la framassoneria? Io ho inteso tante volte a dire, persino da qualcuno ascritto alla medesima, che non si tratta che di una società innocua e di beneficenza.

Così realmente danno ad intendere i massoni maggiori a quelli inferiori e a tanti semplicioni affine di arreticarli più facilmente. Ma se si trattasse di una società innocua e di beneficenza, si userebbe forse tanto impegno a tener segrete le proprie opere? E queste opere se fossero davvero di beneficenza non si conoscerebbero? Ma invece ? tu vedrai benissimo tanti ospizi, tanti asili, tanti ospedali, tanti orfanotrofi, tanti collegi, tante istituzioni insomma di beneficenza innalzate da poveri preti, da poveri religiosi, dai Vincenzo De Paoli, dai D. Bosco, dai Cottolengo, dai Lodovico da Casoria; ma quanti ne vedrai innalzate dai framassoni? E se pur ve n’ha presentemente qualcuna, si può dire che si tratti di vera beneficenza, se pur addestrando i giovani a guadagnarsi il pane materiale, loro si nega quella coltura morale, che è più necessaria del pane istesso? Credilo, amico mio, la framassoneria può palliare fin che vuole sotto questo o quell’altro aspetto i suoi iniqui intendimenti, ma questi o poco o tanto si appalesano anche da pubbliche dichiarazioni che essa va talora facendo, e sono in sostanza la guerra a Dio, alla Chiesa e ai troni.

— Eppure vi sono molti, i quali protestano che non è tale affatto il suo scopo.

Io non dico che questo sia propriamente lo scopo, a cui mirano i singoli individui che vi appartengono, giacché, come già ti ho notato, moltissimi di loro non ne sanno nulla di questo intendimento finale. Molti danno il nome a questa società unicamente per essere aiutati, per far carriera più facilmente, per non essere molestati nei loro interessi; e a tal fine pagano e n’hanno basta. Ma ciò non toglie che la setta massonica miri propriamente a quel che ti dissi.

— È dunque vero che la setta spilla del denaro a molti e ottiene con tutta facilità posti e cariche ai suoi affigliati?

Altro che. Gli stessi Socialisti, che pure devono riconoscere la framassoneria per loro madre, da poco tempo per un Congresso tenutosi a Bologna in certe conclusioni che essi intendevano proporre a suo riguardo, avevano preparati questi precisi “considerando”, e cioè: « Il partito Socialista considerando che la massoneria ha finito per degenerare in congrega parassitaria a danno dell’universalità dei cittadini; considerando l’influenza deleteria, che la massoneria esercita sull’educazione della vita pubblica, sostituendo alla considerazione del vero merito il favoritismo settario e la reciproca confidenza, alla lealtà e sincerità nelle lotte civili le vie oblique, le arti subdole e tenebrose, il sospetto, la doppiezza e l’ipocrisia, maturante divisioni e partiti, eccetera, eccetera, ritiene di dover inculcare a’ suoi seguaci di tenersi lontani da essa ed esortare coloro, che per disavventura vi siano già iscritti, a ritirarsene, eccetera, eccetera ». – È bensì vero poi che in ossequio al noto proverbio: « lupo non mangia lupo » si astennero dal trattare questo argomento e presentare questi relativi considerando, ma ad ogni modo espressero quello che è. Che vuoi di più chiaro? E rifletti, che coloro i quali parlano così, non sono i cattolici, ma i socialisti!

— Ma ella mi disse che la massoneria ha pur di mira la guerra ai troni. Eppure si dice che vi siano ascritti anche dei principi, dei re, degli imperatori.

Ciò può essere benissimo, sia perché la massoneria nasconderà a cotesti principi, re ed imperatori il suo vero ed ultimo scopo, sia perché essi medesimi, pur conoscendo ciò, avranno tuttavia voluto ascriversi per valersene ai loro scopi politici, oppure sperando di potere più facilmente spiarne le mosse e gli intendimenti.

— Ho inteso. Ed è poi certo davvero che la massoneria abbia fatto e vada tuttora facendo del male alla Chiesa Cattolica?

Se sia certo, puoi giudicarla da certi suoi propositi. In una istruzione segreta indirizzata ai fratelli massoni nel 1819 si diceva: « Il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della rivoluzione francese, l’annientamento per sempre del Cattolicismo e anche dell’idea cristiana ». Un decreto massonico sancito in Parigi nel 1876 era così formulato: « L’opera nostra è quella di scristianizzare il popolo con tutti i mezzi, ma soprattutto strangolando il Cattolicismo a poco a poco e ad ogni anno con nuove leggi contro il clero; così fra pochi anni, mediante l’istruzione laica, avremo una generazione atea ». – Il gran Maestro della massoneria poi, non è gran tempo, ha dichiarato apertamente: « La tradizione dell’Ordine è: Guerra al Vaticano ». Così che non si va lontani dal vero attribuendo alla medesima tutti i danni, che ha patito la Chiesa in questi ultimi tempi. Le rivoluzioni, che nel mentre produssero tanti rivolgimenti politici, tribolarono cotanto la Religione, le leggi più inique che in Italia e altrove si fecero e si van facendo contro i principii cristiani, la soppressione degli Ordini religiosi, il disconoscimento della santità del matrimonio, la leva militare pei chierici, la libertà di culto e di stampa, l’esclusione del Catechismo e spesso anche del Crocifisso dalle scuole, tanti atti ostili e persino violenti contro i Vescovi, e specialmente contro il Sommo Pontefice, per tacere di altro, sono del tutto opera della massoneria. Credilo; in essa continuamente si trama contro l’opera di Gesù Cristo; e come già si è riusciti sotto bugiardi pretesti a spogliare il suo Vicario del principato civile, propugnacolo della sua libertà e de’ suoi diritti, si mira ancora, se fosse possibile, a far scomparire dal mondo la divina istituzione del pontificato. D’altronde, se in essa si adora Satana, e si informano al suo spirito le adunanze e le deliberazioni che si prendono, come potrebb’essere altrimenti? Capisci adunque perché la Chiesa ripetutamente per mezzo dei Romani Pontefici abbia condannato e riprovata questa setta, e più volte abbia confermato il divieto di ascriversi alla medesima.

— È vero adunque che coloro che si ascrivono alla massoneria sono scomunicati?

Verissimo, e di scomunica riservata al Sommo Pontefice. Chiunque pertanto è arruolato alla setta, ancorché solo nei primi gradi, non può venire assolto da chi ne abbia particolar facoltà, se prima non fa formale rinunzia alla medesima. E di qui impara l’importanza suprema di guardarti bene da’ suoi lacci. L’imparino tanti impiegati, tanti professori, tanti ufficiali dell’esercito, e specialmente tanti giovani delle scuole liceali ed universitarie, che empiamente allettati dalla depravazione dei costumi, più di tutti corrono il rischio di esserne accalappiati. Ma lasciamo ora di parlare di framassoneria per passare a dirci qualche parola sopra il suo degno figlio, il Socialismo.

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (XIV)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO XIII.

I Principi della Città del male.

Gli angeli cattivi, principi della Città del male — Loro gerarchia — I sette Demoni che assistono al trono di satana — Parallelismo delle due Città — Numero dei cattivi angeli — Loro abitazione; l’inferno e l’aria: prove — Loro qualità: intelligenza. Loro gerarchia.

— Per sfogare il suo odio contro Dio e contro l’uomo, il Re della Città del male non è solo. Ei comanda a milioni di spiriti meno potenti è vero, ma non meno orribili e altrettanto malèfìci quanto lui. Come scimmia di Dio, simia Dei, giusta S. Bernardo, satana ha organizzato la Città del male sul piano della Città del bene. [Questo linguaggio ricondotto all’esattezza teologica, significa che satana ha approfittato di un ordine gerarchico, del quale non è egli l’autore, e voltò contro il Verbo incarnato ciò che era stato primitivamente stabilito per gloria sua]. Scelti fra tutti, nella Città del bene noi abbiamo sette angeli assistenti al trono di Dio, potenti viceré del mondo superiore e del mondo inferiore. E la Scrittura ci mostra nella Città del male sette demoni principali che circondano lucifero, del quale essi sono i primi ministri e gli intimi confidenti. I sette angeli di Dio, per mezzo dei sette doni ai quali essi presiedono, dirigono tutti i movimenti dell’umanità verso il Verbo  incarnato. I sette angeli del Demonio, ministri dei sette peccati capitali, fanno voltare il mondo morale verso il polo opposto cioè l’odio al Verbo. Come Serafini di satana, essi immergono la loro intelligenza nella profondità della sua malizia, accendono il loro odio nel centro del suo, e trasmettono ai demoni inferiori gli ordini del Padrone. In questi sette demoni principali, opposti ai sette principi angelici, noi non abbiamo che il primo tratto di parallelismo tra le due città. Come tra i buoni Angeli, cosi vi è tra i demoni una gerarchia completa; e come la Città del bene, così la Città del male ha il suo governo organato. Che vi sia una .gerarchia tra i demoni la Scrittura non permette di dubitarne. I Giudei come bestemmiatori del Figliuolo di Dio non dicevano forse: « che egli scacciava i demoni mediante la potenza del Principe dei demoni ?» E altrove: « Egli caccia i demoni con la potenza di Bèelzebub principe dei demoni. » Altrove ancora: « Andate maledetti al fuoco eterno che è stato preparato al demonio ed ai suoi angeli. » [Matth., XXV, 41] .Finalmente nell’Apocalisse: « Il dragone combatteva e i suoi angeli con lui.2 » [Apoc., XII, 7]. Nulla di più chiaro di queste rivelazioni divine e di altre che si potrebbero citare. Ma se tra i demoni vi è un principe, un re un primo superiore, vi sono dunque altresì degli inferiori, dei luogotenenti, dei ministri che eseguono i suoi ordini. In una parola, vi è una gerarchia ed una subordinazione tra gli angeli decaduti. San Tommaso ne dà la ragione.- Egli dice : « La subordinazione reciproca tra gli angeli, era, avanti la caduta, una naturale condizione della loro esistenza. Ora, cadendo, non hanno essi perduto nulla della loro condizione né dei loro doni naturali. Così, tutti rimangono negli ordini superiori o inferiori ai quali appartengono. Da ciò resulta che le azioni degli uni sono sottomesse alle azioni degli altri, e che tra essi esiste una vera gerarchia o subordinazione naturale…. : ma non bisogna credere che i superiori siano meno da compiangersi degli inferiori: il contrario è la verità. Fare il male è essere disgraziato; comandarlo, vuol dire essere più che mai disgraziato. » [S. Th. I p., q. CIX, art. 1 et 2 c. et ad. 3] – Cornelio a Lapide tiene Io stesso linguaggio: « Accade, dice egli, lo stesso tra i demoni come tra gli Angeli: gli uni sono inferiori, gli altri superiori. Questi ultimi appartengono alle più elevate gerarchie, e sono di una natura più nobile: imperocché dopo la loro caduta, i demoni hanno conservato intatti i loro doni naturali. Così, quelli che sono caduti dall’ordine dei Serafini, dei Cherubini, dei Troni, sono superiori a quelli che sono caduti dagli ordini inferiori, come le Dominazioni, i Principati e le Potestà. 2 [Come son caduti degli angeli di tutte le gerarchie, e gli uomini debbono ricolmare il vuoto lasciato da essi in cielo, così vi saranno dei Santi posti tra gli Arcangeli, i Cherubini ed i Serafini. Tra molte altre prove possiamo citare le rivelazioni fatte parecchie volte a santa Margherita da Cortona. San Francesco d’Assisi le fu mostrato tra i Serafini occupante uno dei troni più splendidi della sublime gerarchia. Ella smessa ricevé l’assicurazione d’ essere ammessa nella stessa gerarchia, e una delle sue compagne tra i Cherubini. – Vita ec. del Marchesi, lib. II, a pag. 256, 290, 291, 853, ediz. ital. in-8], Questi alla lor volta sono superiori a quelli che appartengono all’ordine delle Virtù, degli Arcangeli e degli Angeli. Avviene che tra i soldati ribelli, vi siano dei porta bandiera, dei capitani, dei colonnelli; senza di essi l’esercito non può essere posto in fila, né comandato; lo stesso succede di un regno che non può esistere senz’ordine né senza subordinazione. Ora, il principe di tutti i demoni.è Lucifero, ed il principe di tutti i buoni Angeli, san Michele. » [Omnium vero daemonum princeps est Lucifer, sicut angelorum est sanctus Michael. In Matth. IX, 34]. – Noi udiremo ben tosto i due principi della teologia pagana, Giamblico e Porfirio, parlanti come i dottori della Chiesa. L’esistenza della gerarchia satanica è un secondo punto di parallelismo tra le due Città; essa ne implica un altro. Tra i buoni Angeli, la prima gerarchia comanda alla seconda, e la seconda alla terza. Cosi i demoni superiori comandano agli inferiori, in modo da impedirli di fare ciò che vorrebbero, o da cacciarli dai corpi e dalle creature che essi invadono. Questa credenza fondata sulla superiorità naturale e perciò inammissibile degli uni e sulla inferiorità degli altri fedelmente conservata presso i giudei, come lo vediamo dalle bestemmie contro i miracoli di Nostro Signore, ha dominato il mondo intero ed ha attraversato tutti i secoli.La storia ci mostra dappertutto i pagani antichi e moderni ricorrere agli dei superiori per garantirsi o liberarsi dalla cattiva volontà degli dei inferiori. Nel seno stesso del Cristianesimo, quante persone, sotto l’impressione di un incantesimo o di un maleficio, dato da un maliardo, ovvero, come dicesi oggi, da un medium, se ne vanno a chiedere la loro liberazione a degli stregoni o a dei medium reputati più potenti e che l’ottengono? Ma, nota san Tommaso, questa liberazione non è propriamente tale. satana non agisce mai contro se stesso. Il corpo viene liberato, ma l’anima diventa schiava di un demonio più potente. Il male fisico sarà scomparso, ma il male morale sarà aggravato. [S. Th.  III p., q. XLIII, art. 2, ad 3] Un ordine gerarchico esiste dunque tra gli angeli ribelli: è una verità di teologia, di ragione e di esperienza. Ogni gerarchia produce una certa concordia tra gli esseri che la compongono: ma guardiamoci dal credere che la concordia dei demoni abbia la sua sorgente nel rispetto, nei riguardi, nell’amore reciproco di questi esseri malefici. Essa ha per principio l’odio, e per fine la guerra al Verbo incarnato, nella Chiesa sua sposa, nell’uomo suo fratello, nella creatura opera sua. Fuori di questo, i demoni si odiano di un odio immutabile e del quale nessuno può calcolare la violenza. [S. Th., I p., q. CIX, art. 2, ad 2]. Cosi vediamo i malvagi, dei quali essi sono gli ispiratori e i modelli, uniti tra loro, allorché si tratta dì assalire la Chiesa o l’ordine sociale, dividersi infallibilmente dopo la vittoria, accusarsi, proscriversi e perseguitarsi oltremodo. Appena sorge una nuova guerra tosto gli odi particolari si confondono nell’odio comune. Raggiungono i fuggiaschi; l’esercito si riforma e resta unito sino a che una nuova vittoria non riconduce una nuova divisione. Tale è il cerchio nel quale si raggirano da sei mil’anni in qua, i demoni e gli uomini divenuti loro schiavi. Loro numero e loro abitazione. — Se nei cattivi giorni in cui viviamo il numero dei nostri nemici visibili è incalcolabile, chi può contare la moltitudine dei nostri nemici invisibili? Benché gli angeli ribelli siano meno numerosi degli Angeli buoni, tuttavia, come le creature spirituali superano in numero quasi infinito le creature materiali, ne risulta che i demoni sono incomparabilmente più numerosi degli uomini. Spiegando quelle parole dell’Apostolo: La nostra lotta è contro le potenze del male che abitano l’aria, san Girolamo cosi si esprime: « È sentimento di tutti i dottori che l’aria che è tra mezzo al cielo e la terra e che chiamasi vuoto, è piena di potenze nemiche. » [Hæc autem. omnium Doctorum opinio est, quod aeriste, qui cœlum et terra medius dividens inane appellatur, plenus sit contrariis fortitudinibus. In ep. ad Eph VI, 12] – Misurate da una parte l’estensione e la profondità dell’atmosfera che circonda il nostro pianeta: fate, dall’altra parte, attenzione alla tenuità di uno spirito; e se potete, calcolate la spaventevole moltitudine di angeli cattivi dai quali siamo circondati. « Il loro numero è tale, dice Gassiano, che noi dobbiamo benedire la Provvidenza di averli celati agli occhi nostri. La vista delle loro moltitudini, dei loro terribili movimenti, delle forme orribili ch’essi prendono a volontà, quando ciò è permesso loro, penetrerebbero gli uomini di un intollerabile spavento. Ovvero un simile spettacolo gli farebbe morire, o gli renderebbe ogni giorno più malvagi: corrotti dai loro esempi, imiterebbero la loro perversità. Fra gli uomini e quelle immonde potenze dell’aria si formerebbe una famigliarità, un commercio che anderebbe a finire con la demoralizzazione universale.1 » [IV Coll., VIII, c. XII]. Vogliamo noi sapere ciò che vi è di profonda filosofia nelle parole dell’illustre discepolo di san Giovan Crisostomo? Ricordiamoci quello che fosse il mondo pagano alla nascita del Cristianesimo. Per mezzo di una quantità infinita di pratiche tenebrose: come per es. di consultazioni, evocazioni, oracoli, iniziazioni, sacrifici, il genere umano erasi messo in relazione abituale con gli dei, vale a dire coi demoni. Sotto la loro ispirazione aveva resi volgari, mediante le arti e la poesia, i loro prestigi, le loro doti e i loro delitti. E la terra era divenuta una cloaca di sangue e di melma: Similes ìllis fiant qui fadunt ea. Che cosa sarebbe egli accaduto se l’uomo avesse veduto con i propri occhi gli stessi demoni, rivestiti di corpi aerei, commettenti le loro abominazioni e invitandolo materialmente ad imitarli?La credenza in tante miriadi di spiriti, dei quali la idolatria aveva fatto altrettanti idoli, è comune ai pagani d’oggidi, come ai pagani antichi. Gli indiani ne noverano trecentomila ed i giapponesi ottocentomila che chiamansi Kaniis. [Annal. della Prop. della Fede, 1868, n. 209, p. 508].

Loro qualità. — Per essere sottratte ai nostri sguardi le legioni infernali non per questo esistono meno intorno a noi. Presi in particolare, ciascun soldato, ciascuno ufficiale subalterno è meno terribile del capo supremo. Tale è contuttociò la potenza di ciascun demonio anche dell’ordine più infimo, che spaventa con ragione chiunque tenti di misurarne l’estensione. Infatti la potenza degli angeli decaduti è in ragione diretta dell’eccellenza della loro natura. Ora noi lo ripetiamo, questa natura incomparabilmente superiore a quella dell’uomo, non ha perduto niente delle sue prerogative essenziali. Queste prerogative sono, tra le altre: l’intelligenza, l’agilità, la potenza d’agire sulle creature materiali e sull’uomo per mille modi diversi e fino a limiti sconosciuti; ogni cosa posto in servigio di un odio implacabile. Diciamo una parola su ciascuna di queste terribili realtà.

L’ intelligenza. — Essendo i demoni puri spiriti, la loro intelligenza è deiforme. Con ciò bisogna intendere ch’essi conoscono la verità a colpo d’occhio, senza ragionamento, senza sforzo in se medesima e in tutte le sue conseguenze. La caduta non ha né soppresso né diminuito questa prerogativa che essi hanno dalla natura loro. « Gli Angeli, dice san Tommaso, non sono come l’uomo che si può punire togliendogli una mano o un piede; esseri semplici, non si può nulla levare alla natura loro. Di qui quell’assioma già citato: I doni naturali rimangono intieri negli angeli decaduti. Cosi la loro facoltà naturale di conoscere non è stata per nulla alterata per la loro ribellione.1 » [S. Th ., I , p., q. LXIV, art. 1, corp.]. Fin dove si estende questa facoltà tanto a noi terribile? Come lo indica lo stesso nome che essi hanno portato presso tutti i popoli, i demoni essendo tanti spiriti o pure intelligenze, conoscono in un istante tutte le cose dell’ordine naturale. Appena che essi scorgono un principio, ne imparano tutte le conseguenze speculative e pratiche. Così, intorno al mondo materiale ed alle sue leggi, intorno agli elementi e le loro combinazioni, su tutte le verità dell’ordine puramente morale: come in astronomia, in fisica, in geografia, in istoria, in medicina, in nessuna scienza non possono essi ingannarsi: — gli angeli divenuti prevaricatori furono spogliati dei doni soprannaturali vale a dire della felicità e della beatitudine di cui la persona loro era stata arricchita dal Creatore; ma essi non furono per nulla privati delle facoltà costitutive della loro natura. Così, in un esercito, quando alcuni soldati si rendono colpevoli di certe colpe, essi vengono degradati, spogliati dell’uniforme da loro disonorata, messi in prigione e dichiarati indegni del titolo di soldati. In una parola perdono essi tutti i privilegi personali del soldato; ma malgrado tutto, essi conservano la natura d’uomo; la stessa intelligenza, la stessa volontà, gli stessi mezzi d’azione. Così è dei demoni. Dopo essere stati, a cagione della loro ribellione cacciati dal cielo, rimasero tali e quali la creazione gli aveva costituiti, cioè tanti Spiriti dotati di quella sublime intelligenza, di quella forza, di quella grande potenza che abbiamo veduta: per essi non avvi errore possibile che nelle cose dell’ordine soprannaturale.1 [S. Thom., I p., q. LVIII, art. 5, c.]. Qui pure, essi conoscono molte cose che noi ignoriamo; e tra quelle che conosciamo ve n’è un gran numero ch’essi conoscono meglio di noi. « Gli Angeli buoni, dice san Tommaso, rivelano ai demoni un’infinità di cose relative ai divini misteri. Questa rivelazione ha luogo tutte le volte che la giustizia di Dio esige che i demoni facciano certe cose, sia per punizione dei malvagi o sia per esercizio dei buoni. Così è che nell’ordine civile gli assessori del giudice rivelano agli esecutori la sentenza ch’egli ha recata. ». Quanto all’avvenire, la loro conoscenza supera molto la nostra. Trattasi dei futuri necessari? i demoni gli conoscono nelle loro cause con certezza. Si tratta dei futuri contingenti che più spesso si realizzano? essi gli conoscono per congettura, come il medico conosce la morte o il miglioramento del malato. Presso i demoni questa scienza congetturale è tanto più sicura, in quanto che essi conoscono le cause più universalmente e più perfettamente; al modo stesso che le previsioni del medico sono tanto più certe quanto esso è più abile. Nella sua parte puramente casuale o fortuita, l’avvenire è riservato a Dio solo. Tale è la prodigiosa intelligenza dei demoni e il tremendo vantaggio che dà loro sopra di noi.

SAN GIOVANNI EVANGELISTA

SAN GIOVANNI EVANGELISTA

L’APOSTOLO PREDILETTO

[G. COLOMBO: Pensieri sui Vangeli; Soc. Ed. “Vita e Pensiero” – Milano, 1939]

Nelle domeniche antecedenti il santo Natale, ci siamo messi alla scuola di S. Giovanni Battista, poiché nessuno meglio di lui poteva insegnarci ad aspettare il Signore. Ora che Gesù è venuto, ci mettiamo alla scuola di S. Giovanni Evangelista, poiché nessuno meglio di lui può insegnarci a seguirlo con ardore fedele.

Di S. Giovanni Evangelista dobbiamo farci un’idea molto diversa da quella che ci vollero dare gli artisti. Essi lo rappresentano con il viso gracile e pallido circondato da un’abbondante e soffice capigliatura, con nello sguardo e nell’atteggiamento un che di languido, di abbandonato, di femmineo. Invece egli era un temperamento impetuoso, pronto ad ogni magnanimo ardimento, generoso nel donarsi a un ideale e terribile nel difenderlo. Quando Gesù lo vedeva venire insieme al fratello Giacomo, diceva non senza segreta compiacenza: «Arrivano i figli del tuono » (Mc, III, 17).

Forse perché fu il confidente delle tenerezze virginali del Cuore di Gesù, ci si è fatta di lui una raffigurazione quasi dolciastra. Ma l’amor di Dio è qualcosa di robusto e tremendo come il fuoco che brucia ogni impurità, come la morte che separa da ogni vanità. Quanto fosse veemente e virile l’amore di S. Giovanni Evangelista, apparirà chiaramente considerando i due aspetti più evidenti della sua santità: Apostolo e prediletto di Gesù.

1. APOSTOLO

Giovanni e suo fratello Giacomo aiutavano nel mestiere della pesca il loro padre Zebedeo. Questi doveva godere d’un’agiatezza discreta, perché aveva una barca sua sul lago di Genezareth e teneva gente a giornata (Mc., I, 20). Nei momenti di maggior lavoro si associava anche gli uomini di una famiglia vicina di cui il capo si chiamava Giona, e i suoi due figli Simone (che diverrà S. Pietro) e Andrea ( Lc., V, 10). Dio che crea ad uno ad uno i cuori secondo un suo misterioso disegno, bisogna ammettere che abbia formato quello di Giovanni per le cose grandi e belle. Quando nella sinagoga, o anche in famiglia nelle soste del lavoro, udiva raccontare le profezie che annunciavano il Messia come il liberatore del popolo, come il fondatore di un impero splendido e potente per la nazione d’Israele, il suo cuore doveva sobbalzare nella speranza che gli toccasse di vivere in quei giorni avventurosi, poiché gli bastava l’animo di consacrarsi a Lui per la vita e per la morte. Cresceva così con l’animo in ascolto verso un appello che non si udiva ancora.

Il suo sogno s’avverò, attuandosi attraverso tre momenti che potremmo indicare così: il tirocinio con Giovanni Battista, la chiamata di Gesù, la comprensione della divina chiamata.

a) Con Giovanni Battista. Appena sulla riva del Giordano risuonò la parola del Battista, egli insieme ad Andrea il compagno di lavoro, accorse nella certezza d’essere tra i primi ad arruolarsi per l’avvento del regno di Dio. Si fece battezzare, e volle essere suo discepolo. Ma il profeta del deserto badava a dissipare qualunque illusione sul suo conto. «Non sono io il Cristo: ve l’ho già detto. Io non sono che l’araldo che lo precede sulla via. Bisogna che io scompaia e che Egli si avanzi » (Giov., III, 30).

Il figlio di Zebedeo cominciò a rivolgere i desideri verso quel Grande che stava per giungere, a cui il Suo Maestro si professava indegno perfino di legare i calzari. Ed ecco un giorno verso il tramonto, egli e Andrea, essi due soli, stavano col Battista; e questi vedendo Gesù passare l’additò a loro: «Ecco l’Agnello di Dio! ». Non poterono più resistere; abbandonarono il Precursore, e gli andarono dietro conservando qualche passo di distanza. Ma Gesù s’accorse d’essere seguito, e volgendosi si trovò di fronte a quei due: « Che cosa volete? ». Avrebbero voluto dirgli che volevano stare con Lui, divenire suoi discepoli per sempre, ma si credevano troppo rozzi e indegni per sperare tanto. S’accontentarono di rispondergli: «Maestro, dove stai di casa?». «Venite e vedrete ». E quella sera e tutta la notte furono ospiti nella casa di Gesù, mangiarono alla sua mensa, dormirono sotto il suo tetto. Che cosa avrà provato Giovanni, il puro, in quella dolcissima intimità? Non l’ha scritto nel suo Vangelo.

b) La chiamata di Gesù. Sappiamo però che un giorno lo vide venire, camminando sulla riva del lago, mentre con suo fratello Giacomo sulla barca metteva a posto le reti. E Gesù chiamò proprio loro due: « Se venite con me, vi farò pescatori d’uomini ». Giovanni abbandonò le reti e la barca e i pesci, lasciò suo padre che s’affannava con gli uomini a giornata. Non vide che Gesù, non udì che la sua voce, e gli andò dietro (Mc., I, 19-20). Era Apostolo.

c) La comprensione della divina chiamata. Ma sapeva bene che cosa significasse diventare apostolo di Gesù? non ancora. Il Maestro divino glielo insegnò a poco a poco, perché non era una cosa facile da capire per gli uomini, anche per gli uomini generosi e puri come Giovanni. Da pochi mesi seguiva Gesù, quando venne a morire la figlia dodicenne di Giairo il capo della sinagoga di Cafarnao. Gesù si staccò dalla folla e prese con sé Giovanni, Giacomo e Pietro, questi tre soltanto, ed entrò nella stanza della morta. Fuori echeggiavano i pianti e le grida di lutto, ma la giovinetta non era più morta. S’era alzata, camminava, mangiava sotto gli occhi di suo padre (Mc., V, 37-43). Giovanni vide e comprese che il Regno di Dio non doveva essere una potenza di forza e di ricchezza materiale, ma una resurrezione a nuova vita, una consolazione, una grazia divina per la salvezza di ognuno che crede. – Un altro giorno, avendo saputo che alcuni, non della famiglia apostolica, esorcizzavano gli ossessi nel nome di Gesù, si adombrò come d’un furto fatto al diritto degli Apostoli e all’onore di Dio. « Maestro — disse a Gesù — io gliel’ho proibito! ». Ma Gesù gli rispose: « Un’altra volta guardati bene dal farlo: colui che non è contro di voi, è con voi » ( Lc., IX, 49-50). Giovanni comprese allora che l’Apostolo deve dimenticare la propria persona, soffocare ogni suscettibilità. Purché il bene si faccia, purché il Regno, di Dio si diffonda! Un fatto ancora. S’avvicinava per Gesù il tempo di patire e morire, ed egli si mostrò risoluto di andare a Gerusalemme. Ma bisognava attraversare la Samaria, terra ostile ai Giudei, ed una città negò a loro il passaggio. Allora Giovanni, a cui fece eco il fratello, esclamò: «Signore, bisogna far piovere dal cielo un fuoco che li divori ». Gesù si rivolse a lui e al fratello con la faccia oscura: « Non sapete di che spirito siete, voi due! Il Figlio dell’uomo non è venuto a perdere gli uomini ma a salvarli » ( Lc., IX, 55-56). Giovanni allora comprese che non la violenza, né il ferro, né il fuoco avrebbero conquistato il mondo, ma l’amore.

Ed infine fu la volta di Salomè, la madre dei due figli di Zebedeo. Questa generosa donna che sull’esempio dei figli s’era messa alla sequela di Gesù, un giorno si presentò con Giovanni e Giacomo al Maestro per chiedergli qualche cosa. « Che volete? ». « Procura che i miei due figli siano i primi nel tuo regno, l’uno a destra e l’altro a sinistra ». « Voi non sapete — le rispose Gesù — quello che chiedete. Potete bere il calice che berrò? Potete battezzarvi nel battesimo in cui mi battezzerò? ». Tre voci dissero: « Sì! lo possiamo ». « Ebbene avrete il mio calice e il mio battesimo. Quanto poi ai primi posti nel mio regno spetta al Padre mio designarli » (Matth., XX, 20-23). Giovanni comprese che amare Dio, servire gli uomini, dimenticarsi, erano cose sublimi; ma che l’Apostolo deve fare ancora di più: sacrificarsi. E lo farà.

2. PREDILETTO

Giovanni sapeva di essere con più tenerezza amato, e nel suo Vangelo allude a se stesso con queste parole : « Quel discepolo che Gesù amava… » (Giov., XIII, 23). Per quali motivi fu il prediletto? Perché era vergine; perché intuiva i misteri del divino amore; perché riamava con una gagliarda e tenacia infrangibile.

a) Prediletto perché era vergine.

È detto nella Sacra Scrittura che « chi ama la mondezza del cuore avrà per amico il Re » (Prov., XXII, 11). Ed ecco avverata questa divina parola in S. Giovanni.

b) Prediletto perché intuiva i misteri del divino amore.

Per capire le cose di Dio, purissimo spirito, occorre non tanto l’intelligenza e lo studio quanto la purezza. « Beati i mondi di cuori perché vedranno Dio! ». Anche questa parola si è avverata in S. Giovanni: sul lago vide per primo e riconobbe Gesù quando nessuno ancora l’aveva riconosciuto (Giov., XXI, 7). San Giovanni è l’apostolo dell’Eucaristia. Non solo perché insieme a S. Pietro fu mandato a preparare il cenacolo ( Lc., XXII, 8), ma perché più profondamente degli altri capì l’amore di Gesù che restava nostro cibo. Il discorso di Cafarnao in cui Gesù promise l’Eucaristia, e i discorsi dell’ultima cena come sono riferiti nel suo Vangelo, ce lo testimoniano. – S. Giovanni è l’apostolo del Sacro Cuore. Nei momenti della gioia o del dolore, Giovanni era vicino al Cuore di Gesù: sul Tabor e nel Getsemani. Giovanni ha posato il capo sul Cuore divino nell’ora più intensa della sua vita mortale, ha udito quei palpiti, li ha compresi. Giovanni, unico tra gli apostoli, vide il Cuore di Gesù nell’atto che la lancia del soldato lo squarciava, facendone sgorgare acqua e sangue (Giov., XIX, 34). S. Giovanni è l’Apostolo della Madonna. Quando Gesù fu sul punto di spirare, aveva un gran tesoro e voleva metterlo in mano di chi fosse capace di riceverlo, di custodirlo, di comprenderlo. Perciò dall’alto della croce disse a Giovanni: « Ecco la tua Madre ». Solo Giovanni poteva accogliere e intendere la Madonna nelle sue divine altezze. Maria aveva reso visibile ai nostri occhi il Verbo rivestendolo d’umana natura nel suo seno virgineo; Giovanni lo rese intelligibile ai nostri spiriti rivestendolo con le sue parole ispirate e sgorgate dal suo virgineo cuore.

c) Prediletto perché riamava con forza e tenacia infrangibile.

Quando tutti gli altri fuggirono, ed anche Pietro fuggì, a S. Giovanni non venne meno l’amore e seguì Gesù fin sotto la croce. Che cosa non dovette soffrire nel suo cuore per quelle tre ore lunghissime d’agonia, con sempre davanti le pupille Gesù nudo e insanguinato? Si ricordò allora del calice che aveva detto di poter bere. Quello era il momento.

Passò molto tempo: era circa l’anno 92, il sedici marzo. Fuori di porta Latina, a Roma, in cospetto dei monti Albani, Giovanni fu giudicato e condannato a morte in nome dell’imperatore Domiziano, che egli ricusava di riconoscere Dio. Gli vennero tagliati i capelli e poi fu immerso lentamente in una caldaia d’olio bollente. Dovette ricordarsi allora del battesimo in cui affermò di voler essere battezzato. Ma non vi trovò la morte. Uscì immune per miracolo divino, come da un bagno nell’acqua di rose. E forse questa inattesa salvezza fu il suo martirio più crudele. Essere risospinto nell’esilio quando già allargava le braccia all’amplesso dell’Amore Eterno! Fu trascinato in un’isola rocciosa e deserta: l’isola di Patmos.

« O figliuoli miei — scriveva — non dobbiamo amare con le chiacchiere e con la lingua, ma coi fatti e con la verità… L’amore di Dio fu conosciuto dal fatto che Egli diede la vita per noi: del pari, noi dobbiamo far conoscere il nostro amore dando la vita per i nostri fratelli (I Giov., III, 18-19).

L’ultima parola che scrisse è come un grido d’aquila ferita dal dardo dell’amore: Veni Domine! E il Signore venne e lo portò con se nella santa città, l’eterna Gerusalemme, dove noi lo vediamo con la fiera testa curvata sul Cuore dell’Unigenito del Padre Celeste.

CONCLUSIONE

Giovanni, già vecchio, vide in mezzo alla folla d’una città asiana un giovane dalla pupilla ardente, dall’aspetto bello, e dall’anima ancora più bella del volto. Lo prese in disparte, gli disse parole che lo toccarono al cuore; poi dovendo ritornare ad Efeso, lo affidò al Vescovo di quella città dicendo: « Ve lo affido davanti alla Chiesa e davanti a Cristo. Ritornerò a prenderlo ». Il Vescovo accolse quel giovane nella propria casa, lo istruì, lo battezzò. Ma poi che fu segnato col sigillo dello Spirito Santo, cominciò a frequentare compagni oziosi, sfrontati e di licenziosi costumi. A grandi tappe percorse la via del male: dapprima feste con donne, poi ladro di notte, infine anche delitti di sangue. E nell’abisso spalancatosi nella coscienza buttò dentro la fede ed ogni ricordo di grazia e di bontà. – Ed ecco, S. Giovanni ritornò. « O Vescovo, rendimi il mio deposito che t’avevo affidato in cospetto di Cristo e della Chiesa ».

Il vescovo impallidì, abbassò gli occhi, e le labbra gli tremarono. « E’ morto ». « E’ morto?! ma di qual morte? ». « E’ morto a Dio e alla Grazia: lussurioso e violento vive sulle montagne assaltando i pellegrini ».

Giovanni si fece dare un cavallo, e vecchio com’era saltò in groppa, e spronò via. Incappò in una banda di ladri. « Vi supplico — disse loro — di condurmi dal vostro capo: debbo parlargli ». Ma il loro capo, quando riconobbe colui che lo chiamava, preso da una gran vergogna, fuggì disperatamente. E il santo ansimante sul cavallo lo rincorreva e gli lanciava questi gridi: « Fermati! sono io, il tuo vecchio padre. C’è speranza ancora. Darò la mia anima per la tua. Cristo mi manda. Fermati, che mi spezzi le ossa! Fermati che mi scoppia il cuore! » E l’altro si fermò, non sapendo più resistere. Era bianco come la morte. S. Giovanni allora discese da cavallo si buttò a quei piedi ribelli. Pregava, incoraggiava, accarezzava… Il capo dei ladri si mise le mani sugli occhi e scoppiò a piangere. Le lacrime lavavano la rapina e il sangue da quelle dita. Era salvo, era vivo. Vivo in Cristo e nella Grazia, vivo della vita vera. Questo fatto (che è in EUSEBIO, Hist. eccl., lib. III, cap. 23, quasi con le stesse parole con cui l’ho qui trascritto) è come una profezia. S. Giovanni col suo Vangelo, con la sua predicazione aveva convertito a Cristo gli uomini, poi li affidò ai vescovi e ai preti e salì al Cielo.

Ma gli uomini ora sono ritornati troppo cattivi: l’immoralità, la violenza, la brutalità sanguinaria hanno operato il pervertimento. Ritorni S. Giovanni! Insegni ancora le sue tre devozioni: l’Eucaristia, il Sacro Cuore, la Madonna. Il mondo sarà salvo un’altra volta.

TEMPO DI NATALE (2018)

 

TEMPO DI NATALE

(24 Dicembre-13 Gennaio, vedi p. XV).

[Messale Romano; L. I. C. E. – Berruti – Torino, 1950]

Commento Dogmatico.

Se il Tempo dell’Avvento ci fa desiderare la duplice venuta del Figlio di Dio, il Tempo di Natale celebra l’anniversario della sua nascita come Uomo, e ci prepara alla sua venuta futura come Giudice. A partire da Natale, la liturgia segue passo passo nel suo Ciclo Gesù, nella sua opera di redenzione, perché la Chiesa, godendo di tutte le grazie che derivano da ciascuno di questi misteri della vita di Lui, sia, come dice l’Apostolo S. Paolo, la Sposa senza macchia, senza ruga, santa ed immacolata, ch’Egli potrà presentare al Suo Padre, quando tornerà a prenderci alla fine del mondo. Questo momento, designato dall’ultima Domenica dopo la Pentecoste, è il termine di tutte le feste del calendario cristiano. Percorrendo le pagine che il Messale e il Breviario dedicano al Tempo di Natale, si trova ch’esse sono consacrate specialmente ai misteri della fanciullezza di Gesù. La liturgia celebra la « manifestazione » al popolo Giudeo (Natività 25 Dicembre) e pagano (Epifania: 6 gennaio) del grande mistero dell’Incarnazione, che consiste nell’unione in Gesù del Verbo « generato dal Padre prima di tutti i secoli » con l’umanità « generata dalla sua madre nel mondo». E questo mistero si completa con l’unione delle nostre anime al Cristo che ci genera alla vita divina: » A tutti quelli che l’hanno ricevuto ha dato il potere di divenire Figli di Dio ». – Il Verbo, che riceve eternamente la natura divina dal Padre, innalzò a Sé l’umanità che gli diede nel tempo la Vergine!, e si unisce nel corso dei secoli alle nostre anime mediante la grazia. L’affermazione della triplice nascita del Verbo, dell’umanità di Gesù e del suo corpo mistico costituisce soprattutto l’oggetto della meditazione-della Chiesa in questo periodo dell’anno.

A) Nascita eterna del Verbo.

« Iddio — dice S. Paolo — abita in una luce inaccessibile » (I Tim. I, 16). Ed è per farci conoscere il Padre Suo, che Gesù è disceso sulla terra. « Nessuno conosce il Padre tranne il Figlio, e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo » Il Verbo fatto carne è dunque per noi la manifestazione di Dio, è Dio fatto uomo che ci rivela il Padre. Non meravigli dunque l’importanza che la Chiesa ammette nella liturgia di Natale, a questa manifestazione della divinità di Gesù Cristo. Attraverso le belle sembianze del Fanciullo, che Maria ha deposto nella mangiatoia, la Chiesa ci fa scorgere, come in trasparenza, la Divinità diventata in qualche modo visibile e tangibile. « Chi vede me, vede il Padre » diceva Gesù. « Per mezzo del mistero dell’Incarnazione del Verbo, aggiunge il Prefazio di Natale, noi conosciamo Dio in una forma visibile»; e, per bene affermare che la contemplazione del Verbo è soprattutto il fondamento della ascesi di questo tempo, si prendono specialmente dagli scritti dei due Apostoli S. Giovanni e S. Paolo, araldi per eccellenza della Divinità di Cristo, i brani nei quali essi ne parlano più profondamente. – Così la liturgia di Natale ci fa inginocchiare, con Maria e Giuseppe, davanti a questo Dio rivestito della nostra carne: «Cristo è nato per noi: venite, adoriamolo » ; con l’umile corteo dei pastori che vanno al presepio « ci fa accorrere in fretta per glorificare e lodare Iddio»; ci unisce alla sontuosa carovana dei Re Magi onde con loro « ci prostriamo avanti al Fanciullo e adoriamo » – « Colui che tutti gli Angeli di Dio adorane ». Riconosciamo con la Chiesa il grande dogma della Divinità di Gesù e dell’incarnazione del Verbo

B) Nascita temporale dell’umanità di Gesù.

« Quando il sole si sarà alzato nel Cielo, vedrete il Re dei re procedere dal Padre, come lo sposo che esce dalla camera nuziale». « E il Verbo si fece carne ed abitò tra noi » dice S. Giovanni. Questo fanciullo che adoriamo è dunque Dio unito alla natura umana in tutto ciò che essa ha di più bello e di più debole, affinché noi non siamo accecati dalla sua luce e ci accostiamo a lui senza timore. Conoscere i misteri dell’infanzia del Salvatore e penetrarne lo spirito è il principio della vita spirituale. Perciò, durante queste settimane, noi contempliamo con la Chiesa, Cristo a Betlemme, in Egitto, a Nazareth. Maria mette al mondo il suo divin Figliuolo,  lo avvolge in fasce e lo adagia in una mangiatoia. Giuseppe circonda il bambino delle sue paterne sollecitudini. Egli ne è il padre, non solo perché, essendo lo sposo della Vergine, ha dei diritti sul frutto del seno di Lei, ma anche, come dice Bossuet, perché, mentre « gli altri adottano dei fanciulli, Gesù ha adottato un padre ». I tre nomi benedetti di Gesù, Maria e Giuseppe sono dunque incastonati nei testi della liturgia di Natale come perle preziose. » – « Maria, madre di Gesù, era fidanzata  a Giuseppe » . « I Magi trovarono Maria, Giuseppe ed il Fanciullo » . «Giuseppe e Maria ,Madre di Gesù » « Giuseppe prende il Fanciullo e la Madre. « Figlio mio, tuo padre ed io ti cercavamo ».

C) Nascita spirituale del corpo mistico di Gesù.

Ma — dice S. Tommaso — « non è per sé che il Figlio di Dio si • è fatto uomo, ma per divinizzarci con la sua grazia (S. Th. III, Q 37, a. 3 ad 2) . Alla Incarnazione di Dio, cioè all’unione della natura divina e della natura umana nella persona del Figlio di Dio, deve corrispondere la divinizzazione dell’uomo, cioè l’unione delle anime al Verbo, mediante la grazia santificante e la carità soprannaturale che l’accompagna. « Il Cristo intero, afferma infatti S. Agostino, è Gesù Cristo e i Cristiani. Egli è la testa e noi le membra ». Con Gesù noi nasciamo sempre più alla vita spirituale, perché la nascita del capo è insieme quella del corpo. « Rendiamo grazie a Dio Padre, per mezzo del suo Figlio, nello Spirito Santo, dice S. Leone, perché, avendoci amato nella sua infinita carità, ci ha usato misericordia, e, poiché eravamo morti per i peccati, ci ha tutti risuscitati in Gesù Cristo », affinché noi fossimo in Lui una creatura nuova ed un’opera nuova. « Liberiamoci dunque del vecchio uomo e da tutte le sue opere » , e, ammessi a partecipare alla nascita di Cristo, rinunciamo alle opere della carne. Riconosci, o Cristiano, la tua dignità, e « divenuto partecipe della natura divina », guardati dal ricadere, con una condotta indegna di questa grandezza, nella miseria di una volta. Ricordati di quale Capo e di che corpo tu sei membro. Non dimenticare mai che « strappato alle potenze delle tenebre », « sei stato trasferito alla luce ed al regno di Dio ». La ragione di festeggiare l’anniversario della natività di Gesù si è quella di fare ogni anno nascere maggiormente Gesù nelle anime nostre, mediante l’incremento della nostra fede e del nostro amore verso il Verbo Immacolato. I presepi e le altre manifestazioni esteriori di questo avvenimento, il più importante della Storia, non sono che mezzi per ravvivare questa fede e questo amore che ci fanno vivere divinamente. Occorre dunque che in questa festa del Natale, noi abbondiamo in buone opere, manifestando così che noi siamo nati da Dio e divenuti suoi figli; occorre che tutta la nostra attività sia un irradiare di quella luce del Verbo che riempie le nostre anime. È questa la grazia propria del Tempo di Natale, che ha per scopo di estendere la Paternità divina, affinché il Padre possa dire, parlando di ciascheduno di noi ciò che ha detto, a titolo specialissimo del Suo Verbo Incarnato; «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato ». Prostrati umilmente, pronunciamo adunque con grande rispetto queste parole del Simbolo: Io credo in Gesù Cristo: 1) nato dal Padre prima dei secoli: Dio da Dio, consostanziale al Padre. 2) Disceso dal Cielo, incarnatosi per opera dello Spirito Santo nel seno di Maria Vergine e fattosi uomo. 3) Credo alla S. Chiesa, nata alla vita divina mediante la grazia dello Spirito Santo, che rese feconde le acque del Battesimo.

II. Commento storico.

Tra gli anni 747 e 749 di Roma, il censimento generale, ordinato da Cesare Augusto, costrinse Giuseppe e Maria a recarsi da Nazareth a Betlemme, in Giudea. Ora, mentre essi erano in questo luogo, dice S. Luca, la Vergine mise alla luce il suo primogenito (Vangelo della Messa di Mezzanotte). Alludendo alla tradizione che, nel IV secolo, pone la culla di Gesù tra due animali, la liturgia, cita due testi di Profeti, quello di Isaia « il bue conosce il suo padrone e l’asino la greppia del suo signore (I, 3) » e quello di Abacuc « Signore tu apparirai tra due animali » (III, 2). – C’erano, nei dintorni, dei pastori che vegliavano durante la notte per custodire il gregge. Avvertiti da un Angelo, discesero in fretta sino a Betlemme (Vang. della Messa dell’alba). L’Antifona delle Lodi di Natale, indirizzandosi ad essi, domanda: « Chi avete visto, pastori? ditecelo, annunziatecelo; chi è comparso sulla  terra?». Essi rispondono: «Abbiamo visto un neonato, e abbiamo inteso i canti degli Angeli che lodavano il Signore, alleluia, alleluia. » Otto giorni dopo, il Fanciullo divino fu circonciso da Giuseppe (Circoncisione,  1 genn.) e ricevette il nome di Gesù (Festa dei S. Nome di Gesù: 2 Genn.) che l’Angelo aveva indicato a Giuseppe e a Maria. E quaranta giorni dopo che Maria ebbe partorito, andò al Tempio per offrirvi il sacrificio prescritto dalla legge (Presentazione: 2 febbraio). Allora Simeone predisse che Gesù sarebbe stata la rovina e la risurrezione di molti, e che una spada di dolore avrebbe trafitto il cuore della sua madre (Vang. della Dom. nella Ott. Di Natale). Al corteo dei pastori ne succede ben presto un altro, quello del Magi. Arrivano dall’Oriente a Gerusalemme, guidati da una stella e, seguendo le indicazioni degli stessi principi dei sacerdoti, vanno a Betlemme, perché lì, secondo il profeta Michea, doveva nascere il Messia. Vi trovano il Bambino con Maria sua Madre e, prostrandosi, l’adorano. Poi, avvertiti in sogno, tornano a casa loro senza più passare per Gerusalemme (Vang. dell’Epif.). Erode, che aveva chiesto ai Magi di indicargli dove fosse nato il fanciullo, vedendo che essi l’avevano ingannato, andò in collera e fece uccidere tutti i fanciulli nati da meno di due anni, che trovavansi a Betlemme e nei dintorni, sperando così di liberarsi del re dei Giudei, nel quale temeva un competitore (Vang. dei SS. Innocenti). Un Angelo apparve allora i n sogno a Giuseppe e gli disse di fuggire in Egitto con Maria ed il Fanciullo. Ivi rimasero fino alla morte di Erode. L’Angelo del Signore apparve allora di nuovo in sogno a Giuseppe e gli disse di tornare nella terra d’Israele. Ma avendo saputo che in Giudea governava Archelao al posto del padre Erode e che ordinava delle persecuzioni, Giuseppe temette per la vita del fanciullo e andò in Galilea, nella città di Nazareth ». (Vang. della Vig. dell’Epif.). – Quando Gesù aveva dodici anni, i suoi Genitori, avendolo smarrito a Gerusalemme durante una delle feste di Pasqua, lo ritrovarono dopo tre giorni nel Tempio in mezzo ai Dottori. Tornato a Nazaret,! vi crebbe in saggezza, in statura e in grazia avanti a Dio e  agli uomini (Vang. della Domen. fra l’Ott. dell’Epif.). Da Nazareth, trentenne, Gesù andò al Giordano per farsi battezzare da Giovanni Battista. E questi compiendo la sua missione di testimonio: hic venit ut testimonium perhiberet de lumine, dichiarò che quel Gesù sul quale lo Spirito Santo si posò sotto forma di una colomba, era il Messia atteso (Vang. dell’Ott. dell’Epif.).

III. — Commento Liturgico.

Il tempo di Natale comincia alla Vigilia della festa e termina, per il ciclo temporale, l’ottavo giorno dopo l’Epifania (13 gennaio)! e per il santorale alla festa della Purificazione della Vergine (2 febbraio). Questo tempo è in parte caratterizzato dalla gioia che prova l’umanità di possedere Colui, del quale l’umana natura è totalmente consacrata al Verbo, che la possiede come sua, e che consacrerà a Dio tutti gli uomini di cui sarà il Salvatore. Perciò questo Tempo è un’epoca di « grande gioia per tutto il popolo. Con gli Angeli, con i Pastori, con i Magi soprattutto, primizie dei Gentili, lasciamoci « trasportare dal grande giubilo » e con la Chiesa, che riveste i suoi Sacerdoti di paramenti bianchi e rende agli organi la loro voce melodiosa, cantiamo un festante « Gloria in excelsis ». « Il Salvatore Nostro, scrive S. Leone, oggi è nato, rallegriamoci ». « Non ci può esser tristezza nel giorno in cui nasce la vita, la quale, dissipando il timore della morte, spande sulle nostre anime la gioia della promessa eternità. Non c’è persona che non abbia parte a questa allegrezza. Tutti hanno uno stesso motivo di rallegrarsi, poiché nostro Signore, distruttore del peccato e della morte, trovandoci tutti schiavi della colpa, è venuto per liberarcene tutti. Esulti il santo, perché si avvicina alla palma; gioisca il peccatore, poiché è invitato al perdono; si animi il gentile, perché è chiamato alla vita » (4a Lez. – 25 Dic.,). E questa allegrezza è tanto più grande in quanto la nascita di Gesù sulla terra è il pegno della nostra nascita in cielo, quando Egli ritornerà a prenderci alla fine del mondo. È in mezzo alle tenebre, simbolo di quelle che oscurano le anime, che Gesù è nato. « Mentre il mondo intero era sepolto nel silenzio e la notte era a metà del suo corso, dice l’Introito della Messa della Ottava di Natale, il Vostro Verbo onnipotente, o Signore, è disceso dal trono regale del cielo». Così, per uno speciale privilegio, si celebra nella Festa di Natale una Messa a Mezzanotte, seguita da un’altra all’aurora, e da una terza al mattino. Come notano i Padri, si è appunto al momento in cui il sole arriva al punto più basso del suo corso e rinasce in qualche modo, che nasce ogni anno, pure a Natale il « Sole di giustizia ». Il sole della natura e quello delle anime, di cui è l’immagine, sorgono insieme. « Il Cristo ci è nato, dice S. Agostino, proprio quando i giorni cominciano a crescere ». La festa di Natale, giorno 25 dicembre, coincide con la festa che i pagani celebravano al solstizio d’inverno per onorare la nascita del sole ch’essi divinizzarono. Così la Chiesa cristianizzò questo rito pagano. La Messa di mezzanotte a Roma si celebrava nella basilica di S Maria Maggiore, che rappresenta Betlemme, perché vi si venerano alcune parti del presepio del Salvatore, sostituita da una mangiatoia d’argento nella grotta dove nacque Gesù. Questa grotta era, dalla metà del secondo secolo, visitata da numerosi pellegrini. L’imperatrice Elena fece costruire in questi luogo una basilica che si volle molto semplice, essendo Gesù nato nella povertà. Si lasciò scoperta una parte di roccia, e quando più tardi, verso l’Ottavo secolo, la mangiatoia d’argento spari, si pose un altare nel luogo presunto della nascita del Salvatore. In questa Basilica della Natività Baldovino, fratello di Goffredo di Buglione, si fece consacrare nel Natale 1101, nella stessa città dove un tempo David era stato unto re dalle mani del Profeta Samuele. – Nel XII secolo, la culla del Principe della pace fu ornata molti riccamente di preziosi mosaici. « Mentre nelle loro insegne spiegate i profeti vi testimoniavano la divinità del Messia e la lunga teoria dei suoi antenati ne affermava la sua umanità, la Chiesa, nelle sue Assisi solenni, vi proclamava insieme l’umanità completa e la perfetta divinità di Colui che nacque a Betlemme, che fu osannata dagli Angeli e adorato dai Magi ». – Il nostro presepe sia l’Altare dove Gesù nasce per noi, specialmente in questo giorno, in cui l’Eucaristia ci viene presentata dai testi del Messale e del/Breviario in relazione al mistero della nascita! E ritornati in famiglia manifestiamo il nostro senso liturgico, mantenendo le commoventi tradizioni dei tempi di grande fede, quando si continuavano in letizia le feste della Chiesa nell’intimità della vita familiare. Ogni focolare cristiano dovrebbe avere il suo piccolo presepe intorno al quale recitare in questi giorni le preghiere del mattino e della sera. I fanciulli imparerebbero così (in questo periodo di gioia, proprio dell’infanzia) che essi debbono unirsi ai piccoli pastori e ai Magi per adorare il piccolo Gesù, il Dio fanciullo adagiato sulla paglia, per domandargli di diventare con Lui e con la sua grazia sempre più figli di Dio.

MESSA DI NATALE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Àngelo del buon consiglio.]
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit.
[Cantate al Signore un càntico nuovo: poiché ha fatto cose mirabili.]

Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Oratio
Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitù tiene sotto il gioco del peccato.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebræos.
Hebr 1: 1-12
Multifáriam, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et saecula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántia? ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto differéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in saeculum saeculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt coeli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929 – imprim.]

A più riprese e in molte maniere, parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni; ha parlato a noi per mezzo del suo Figliuolo, che egli ha costituito erede di tutte le cose, e per mezzo del quale ha anche creato il mondo. Questo Figlio che è lo splendore della gloria del Padre e la forma della sua sostanza, e che sostiene tutte le cose con la sua potente parola, compiuta che ebbe l’espiazione dei peccati; s’è posto a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli, fatto di tanto superiore agli Angeli, di quanto più eccellente del loro è il nome da lui ereditato. Infatti, a quale degli Angeli disse mai. Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generata? E ancora: Io gli sarò Padre, ed Egli mi sarà Figlio? E quando introduce di nuovo il primogenito nel mondo dice: E l’adorino tutti gli Angeli di Dio. Agli Angeli, poi, dice: Colui che fa dei suoi Angeli i venti, e dei suoi ministri guizzi di fuoco. Al Figlio, invece dice: Il tuo trono, o Dio. sta in eterno: lo scettro del tuo regno è scettro di rettitudine. Hai amato la giustizia, e hai odiato l’iniquità; perciò, o Dio, il tuo Dio ti ha unto con olio di allegrezza a preferenza dei tuoi compagni. E tu in principio, o Signore, hai creato la terra, e i cieli sono opera delle tue mani. Essi passeranno, ma tu rimarrai, e tutti invecchieranno come un vestito, e tu li cambierai come un mantello, ed essi saranno cambiati. Ma tu sarai sempre quello, e i tuoi anni non finiranno mai.” (Ebr. 1, 1-12).

Paolo era venuto a conoscenza delle persecuzioni che subivano i Cristiani palestinesi, convertiti dal giudaismo, e non gli sfuggiva il pericolo che correvano di abbandonare la Religione cristiana per far ritorno a quella ebraica. A confortarli nella loro tribolazione, e a confermarli nella Religione abbracciata manda loro dall’Italia una lunga lettera. In essa è dimostrata la grande superiorità del Nuovo Testamento su l’antico, e se ne deducono pratiche esortazioni. Il principio di questa lettera forma l’Epistola di quest’oggi. — Premesso che Dio ci ha parlato, un tempo, per mezzo dei profeti, in molti e vari modi, e, ora, per mezzo del proprio Figlio, prova, con diversi argomenti che il Figlio di Dio è molto superiore agli Angeli. Guidati dagli insegnamenti dell’Apostolo, portiamoci davanti alla culla di Gesù a venerare Colui che è

1. La luce fra le tenebre,

2. Il Salvatore del mondo,

3. Il dispensatore delle grazie.

1.

Quando nasce il figlio di un re si fa festa in tutto il regno. Il giorno della sua nascita è considerato un giorno di letizia. La nascita di Gesù Cristo si festeggia in tutto il mondo: il giorno di questa nascita è il giorno del gaudio universale. Tutti vi prendono parte: adulti e piccini, fortunati e infelici. E perché tanto gaudio, da 19 secoli, si rinnova di anno in anno davanti alla culla di Gesù? Chi è quel bambino che vaggisce nella mangiatoia, che non balbetta una parola? Egli è l’interprete della volontà di Dio, egli è colui che rivela pienamente le verità che riguardano l’Altissimo. Nell’Antico Testamento erano state fatte al popolo ebreo divine rivelazioni: e questo tesoro delle divine rivelazioni rendeva quel popolo grandemente superiore a tutti gli altri popoli. Con l a nascita di Gesù Cristo comincia una nuova rivelazione. Udiamo S. Paolo: A più riprese e in molte maniere parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni, parlò a noi per mezzo del suo Figliuolo. Fin dal tempo dei primi patriarchi Dio manifesta i suoi oracoli a uomini, che si è scelti come strumenti per manifestare la sua volontà. Non tutto è rivelato ai profeti, né a tutti è rivelata la stessa cosa. Una cosa è rivelata ai nostri progenitori, altra a Noè, altra ad Abramo. A Isaia è rivelato il parto della Vergine e la passione di Cristo. A Daniele il tempo della nascita del Messia; a Michea il luogo. La rivelazione è fatta come a frammenti, a più riprese, in modo che s’accresce col succedersi dei tempi.Orbene, il fanciullo che noi contempliamo nella culla di Betlemme, è strumento di rivelazione divina molto più completa di quella fatta per mezzo dei profeti, attraverso tanto volgere di secoli. Quel Bambino ci istruirà non solamente intorno a qualche verità, ma intorno a tutte le verità. Non ci istruirà in modo confuso, ma chiaro. Quel Bambino è il riflesso della gloria di Dio e l’impronta della sua sostanza; è il Verbo fatto carne. La dottrina che Egli insegna l’ha attinta nel seno del Padre. «Tutto quello che intesi dal Padre — dirà un giorno agli Apostoli — l’ho fatto sapere a voi» (Giov. XV, 15). E la sua rivelazione non è riservata ai soli Ebrei: è fatta per tutti i popoli della terra. Questo profeta di tutti i tempi e di tutte le verità è anche il profeta di tutte le genti». « È la luce che splende fra le tenebre» (Giov. I, 5) dovunque esse si stendano. La luce che questo Bambino è venuto a portare porterà un nuovo ordine, che andrà estendendosi a tutto il mondo.

2.

Il Fanciullo che contempliamo nella culla è colui che si porrà, compiuta  l’espiazione dei peccati, a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli.  – Sofonia aveva predetto:« In quel giorno si dirà in Gerusalemme: … Il Signore, il Dio tuo forte sta in mezzo a te » (Sof. III, 16-17). Quel giorno è venuto. Il Fanciullo che vaggisce è il Dio forte venuto a salvarci, espiando per noi i peccati. Attorno a lui l’occhio umano non scorge nulla che indichi chi strapperà i popoli al potere dei nemici. Dalle pareti tra cui vaggisce non pendono i ritratti di antenati guerrieri. Alla soglia non vegliano soldati armati. Le sue mani non stringono la spada. Egli è avvolto nelle fasce, debole come tutti i fanciulli appena nati. Crescerà non in una scuola di guerra, ma in una bottega di falegname. Un giorno si associerà dei discepoli, che non avranno mai combinato piani di battaglia, ma unicamente tese le reti nel lago di Genesaret, E se un giorno, uno di loro, in un momento di zelo, sfodererà la spada per difendere il Maestro; questi lo richiamerà prontamente: «Rimetti la spada al posto, perché tutti coloro che si serviranno della spada, periranno di spada» (Matth. XXVI, 52). – Gesù, come predisse l’Angelo a S. Giuseppe, «salverà il popolo dai suoi peccati» (Matth. I, 21). ma non per mezzo di eserciti. Egli combatterà non sterminando i nemici col ferro e col fuoco, ma consegnando se stesso alla morte come mite agnello. «E l’Agnello li vincerà, perché Egli è il Signore dei Signori e il R e dei Re» (Apoc. XVII, 14). Questo Bambino nella natura umana che ha assunto ha deposto la maestà divina, ma non il potere» (S. Zenone, L. 2 Tract. 9, 1). – I tiranni sorgono e scompaiono. I regni da loro fondati si dilatano, poi vanno restringendosi, e poi non sono che ricordi. Ma il tiranno, contro cui prende a lottare Gesù Cristo, regna da secoli. Ha posto il suo giogo sul primo uomo, e continua a porlo sopra i suoi discendenti. Il suo regno, che è il regno del peccato, si estende a tutto il mondo. Non c’è nazione, non c’è individuo che se ne possa sottrarre. « In vero tutti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio » (Rom. III, 23). Gesù Cristo sarà il liberatore di tutti. – Quel Bambino, è l’innocente, è il segregato dai peccatori. Egli è sfuggito al dominio di satana, e sulla croce lo infrangerà completamente. Da Adamo fino a Gesù Cristo ha dominato il peccato. Con la venuta di Gesù Cristo si inizia il dominio della grazia. L’impero di satana andrà perdendo terreno ogni giorno. I tempi dedicati agli idoli cadranno a mano a mano, e al loro posto sorgeranno chiese, in cui si innalzeranno preghiere al vero Dio, e a Lui si faranno sacrifici accetti, l’uomo è ora destinato alla morte eterna, e Gesù gli aprirà le porte della vita beata. Egli salirà al cielo a ricevere il premio della sua vittoria, e dietro di Lui saranno continuamente i suoi seguaci. Come aveva ragione l’Angelo di dire ai pastori: «Vi reco una buona novella di grande allegrezza per tutto il popolo. Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore che è il Cristo Signore» (Luc. II, 10-11).

3.

In principio hai creato la terra e i cieli sono opera delle tue mani. È la preghiera che il popolo d’Israele, schiavo in Babilonia, rivolge a Dio, perché lo liberi, e faccia risorgere Gerusalemme. Egli può farlo: è onnipotente (Salm. CI, 26). Lo stesso possiam dire con S. Paolo del fanciullo di Betlemme. Egli è padrone del cielo e della terra: l’universo e quanto vi si contiene è suo. Egli può ricolmarci di tutti i beni. Non sconfortiamoci se non lo vediamo in una culla dorata, se non è difeso da cortine di seta, se il suolo della sua abitazione non è coperto di ricchi tappeti. « La povertà di Cristo è più ricca che tutta la roba, che tutti i tesori del mondo » (S. Bernardo. In Vig. Nat. Serm. 4, 6). Questo povero Fanciullo un giorno darà abbondanza di pane alle turbe affamate. Darà il camminare agli storpi, l’udito ai sordi, la vista ai ciechi, la loquela ai muti, la liberazione agli indemoniati. – Padrone della vita e della morte, ascolterà la preghiera delle sorelle di Lazzaro, e richiamerà dalla tomba, ove è già in preda alla corruzione, il loro fratello; scuoterà dal sonno della morte la figlia di Giairo, fermerà la bara che porta alla sepoltura il figlio unico della vedova di Naim; e, ridonata la vita al giovinetto, lo consegnerà alla madre. – Chi giace privo di tutto nella mangiatoia è il dispensatore dei regni. Un giorno dirà agli eletti : « Venite, o benedetti dal Padre mio; prendete il regno che vi è stato preparato dalla fondazione del mondo » (Matth. XXV, 34). Egli richiamerà i peccatori dalla morte alla vita spirituale. La peccatrice, il paralitico, ascolteranno dalla sua bocca la consolante parola: « Va, ti sono rimessi i tuoi peccati » (Luc. V, 20; VII, 48). S. Giovanni racchiude tutto in una frase: E della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia » (Giov. I, 16). E intanto gli uomini cominciano a godere il dono della pace. Poco lontano dalla sua culla uno stuolo dell’esercito celeste canta: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Luc. II, 14). La pace tra Dio e l’uomo è stata inaugurata con la nascita del Redentore. Il Bambino di Betlemme è la vittima destinata a placare la divina giustizia offesa. La culla in cui piange è come un altare su cui comincia per noi il sacrificio che deve riconciliarci al Padre. Su questo altare versa lagrime; sulla croce verserà sangue, e sarà compiuto l’ultimo atto del sacrificio. L’opera è cominciata con l’offerta di pace; non respingiamola. È un dono che non troveremo altrove, perché, nessuno può dare quel che non ha. Togliamo prontamente tutto ciò ch’è d’ostacolo a questa pace, e godremo pienamente di questo giorno. Oggi dev’essere giorno di letizia. « Non è lecito dar luogo alla tristezza quando è il giorno natalizio della vita» (S. Leone M. Serm. 21, 1). Non potremo sottrarci alla tristezza se avremo il peccato su l’anima: via, dunque, il peccato. E se vogliamo gustare appieno la letizia, procuriamo di stringere al nostro cuore, sotto le specie eucaristiche, quel Bambino che contempliamo nella culla di Betlemme. – È commovente la storia del piccolo Giorgio, nipote del celebre ebreo convertito, Ermanno Cohen. Per obbligarlo ad abiurare la Religione Cattolica, che il fanciullo aveva abbracciato con la madre, il padre, ebreo, lo separa da questa, e lo conduce in un paese protestante, lontano quattrocentocinquanta leghe da lei. Si era fatto Cristiano per poter ricevere Gesù nella S. Comunione, e ora ne è severamente impedito. Era questo il suo maggior tormento. All’avvicinarsi di Natale può far pervenire allo zio i suoi lamenti: « Siamo alla vigilia di Natale, ed all’approssimarsi di questa solennità la sorveglianza si raddoppia per impedirmi di ricevere il mio Dio. Ahimè! Dovrò dunque passare queste belle feste nel digiuno e privo del pane di vita? Prego il Santo Bambino Gesù che il mio digiuno presto finisca ». Il non rimaner digiuno del pane di vita sarà appunto il modo migliore di assaporare tutta intera la gioia che ci reca la nascita di Gesù.

Graduale
Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra. [Tutti i confini della terra vídero la salvezza del nostro Dio: tutta la terra acclàmi a Dio.]
V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja. [Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizia. Allelúia, allelúia.]
V. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja. [Un giorno sacro ci ha illuminati: venite, genti, e adorate il Signore: perché oggi discende gran luce sopra la terra. Allelúia.]

Evangelium

Joann 1: 1-14
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Hic genuflectitur Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis. [In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimonio, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio: a loro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. Genuflettiamo E il Verbo si fece carne Ci alziamo, e abitò tra noi: e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigénito dal Padre, pieno di grazia e di verità.]

OMELIA II

[Mons. G. Bonomelli: Misteri Cristiani, vol. I., Queriniana Ed.; Brescia, 1894]

Le convenienze della Incarnazione.

Dio! Noi possiamo considerarlo in se stesso, fissando l’occhio della mente, avvalorato dalla fede, nel mare sterminato dell’essere suo, in quell’oceano di luce, nel quale allora meglio e più santamente si vede quando non si vede più nulla, secondo il linguaggio dei Padri: e possiamo considerarlo eziandio spaziando liberamente in quell’altro mare, finito sì, ma per noi immensurabile, dell’opere stupende, svariatissime della sua mano, disseminate in cielo e in terra. – Ficcando l’occhio della mente, confortato dalla fede, nell’intima natura di Dio, per quanto lo consente la debolezza nostra, che solo … “da sensato apprende Ciò che fa poscia d’intelletto degno”, noi vediamo, ch’Egli è eterno, immutabile, infinito, immenso, uno, semplicissimo, sovranamente perfetto: l’esser primo, non fatto, da cui deriva ciò che esiste. Attraverso ai fulgori di quella luce infinita, nell’unità incommutabile dell’essere, con la ragione intravediamo alcun poco e con la fede fermamente crediamo : tre Persone, l’una che emana dall’altra, come dalla luce il raggio e dal raggio il calore: come dalla mente nostra il pensiero e dal pensiero la scintilla dell’amore. Ciascuna Persona si distingue dall’altra, eppure ciascuna ha tutta l’essenza divina, come il mio pensiero e la mia volontà si distinguono dall’anima mia e tutte egualmente la posseggono, anzi sono tutta l’anima istessa. Che se dalla profondità inscrutabile della divina essenza portiamo lo sguardo sull’opere che ha compiute e compie fuori di sé, non per bisogno, che ne avesse, ma per solo amore, che vediamo noi, carissimi? – Vediamo che Dio con una parola trae dal nulla l’universo, di cui la nostra terra è appena un atomo nello spazio sconfinato. È questo il primo atto che Dio liberissimamente compie fuori di sé, il primo riverbero della sua luce. Nel corso di quaranta secoli, preparata ogni cosa, Colui che è il Figlio di Dio, generato ab eterno nel seno del Padre, si fa figlio dell’uomo ed è generato nel seno della Vergine: il raggio dell’eterna luce si posa entro il calice del più candido giglio, che la mano di Dio abbia potuto creare e l’ineffabile connubio tra l’umana e la divina natura fu stretto e consumato. È il secondo atto che Dio per un miracolo della sola sua bontà compiva fuori di sé, diciannove secoli or sono, e che oggi con santa letizia solennemente rammentiamo. – È questo il mistero dei misteri, che solo l’amore infinito di Dio poteva ideare e compire: mistero, dinanzi al quale la ragione umana si smarrisce e, còlta dalle vertigini, è quasi tentata di esclamare: È impossibile, è impossibile! – Ma se poi lo contempliamo posatamente, e studiamo meglio le proporzioni e le armonie, in mezzo alle fitte tenebre, onde si avvolge il mistero, noi vediamo balenare tali lampi di luce, da trovarlo non solo non ripugnante alla ragione, ma alla ragione mirabilmente conforme. È ciò che vedremo se vi piacerà seguirmi con animo attento e desideroso del vero. – Prima di svolgere il vastissimo argomento, che ho tra mano, è necessario determinare in che consista il mistero della Incarnazione e fissarne con la maggior precisione possibile il concetto secondo la dottrina cattolica. Eccolo. Dio, quando furono maturi i tempi per lui stabiliti, creò un’anima, la più perfetta, che alla sua sapienza e onnipotenza fosse possibile: formò nel seno di Maria un corpo ugualmente il più perfetto possibile senza intervento di qualsiasi opera umana; e a quest’anima, nell’atto stesso di crearla, e a questo corpo nell’atto stesso di formarlo e congiungerlo all’anima, si univa la seconda Persona dell’augusta Trinità, il Figlio di Dio, e si univa per guisa che ne risultava un solo individuo, Dio ed Uomo ad un tempo. Come tu, o uomo, hai il corpo e l’anima, eppure sei un solo individuo, una sola persona, visibile e mortale quanto al corpo, invisibile ed immortale quanto all’anima, così pel mistero dell’Incarnazione Gesù Cristo è un solo individuo, una sola Persona, vero Dio e vero Uomo, perfetto Dio e perfetto Uomo, visibile e mortale corno Uomo, invisibile ed immortale come Dio. Il suo corpo è in ogni cosa eguale al nostro fuorché in tutto quello che è conseguenza del peccato: l’anima sua, dotata d’intelligenza e volontà liberissima, è ricolma di tutta quella scienza e grazia, di cui è capace fin dal primo istante della sua esistenza. – Questo mistero, pur rimanendo sempre mistero incomprensibile, risponde esso alle perfezioni divine ed ai bisogni delle tendenze dell’umana natura? Sì, e vediamolo, seguendo la guida dei Padri e nominatamente dell’Angelo della scuola, S. Tommaso. – L’Incarnazione, come ciascuno intende, importa due termini distinti e infinitamente distanti, il Creatore ed il creato, Dio e l’uomo, che si uniscono col massimo dei vincoli, il vincolo personale. Consideriamo anzitutto la convenienza della Incarnazione per rapporto a Dio. – L’Incarnazione è un atto che Iddio compie fuori di sé e perciò è sovranamente libero. Qual è il fine di qualunque atto, che Dio compie fuori di sé? La manifestazione delle sue perfezioni, fine principalissimo, e il bene delle creature, fine secondario, ordinato al principalissimo. L’atto esterno  di Dio è tanto più grande e più degno di Lui, quanto maggiore è in esso la manifestazione delle sue perfezioni, come più splendido è il trionfo di quel monarca, nel quale maggiormente brillano la sua potenza, la sua sapienza, e tutta la forza del suo genio. Ora nell’Incarnazione del Figlio di Dio noi vediamo apparire in tutta la loro magnificenza le perfezioni divine. – Apparisce in tutta la sua luce la sapienza, che seppe ideare e mandare ad effetto questo meraviglioso disegno di unire l’umana alla divina natura, in guisa che Dio fosse veramente un Uomo e un uomo fosse veramente Dio, e l’onore e la gloria che Dio riceve fuori di sé, fosse infinita come quella che necessariamente in se stesso. Dio è uno solo nell’essenza e trino nelle Persone; l’unità dell’essenza si svolge nella Trinità delle Persone e tutto questo oceano immenso della luce e dell’amore divino si racchiude negli abissi inscrutabili dell’essenza divina, dove Dio è gloria adeguata a se stesso nella generazione del suo Verbo e nella spirazione del suo Amore. Per l’Incarnazione il Verbo divino, eguale al Padre ed allo Spirito Santo, a nostro modo d’intendere, si mette fuori di Dio, si pone nella umanità assunta, e, se è lecito il dirlo, raddoppia se stesso e la sua gloria. Perocché nell’istante. in cui si compie l’Incarnazione, il Figlio di Dio è anche Figlio dell’uomo e dal fondo dell’universo, fuori di Dio, si leva una voce, che grida: – Tu, o Dio, sei mio Padre: io Uomo sono eguale a te e ti rendo un onore adeguato -. La sapienza divina ha trovato il modo di far sì che il finito sia anche infinito e che la gloria resa a Dio da un uomo sia rigorosamente infinita e divina. E non è questo un prodigio di sapienza? Apparisce nella Incarnazione la potenza di Dio, che unisce le cose più disparate tra loro, il corpo, l’anima e il Verbo divino in una sola Persona: tra Dio e il creato si avalla un immenso abisso, che cielo e terra moltiplicati mille volte e mille milioni di volte non varrebbero mai per tutti i secoli a ricolmare. Ma Dio coll’Incarnazione sopra questo sconfinato abisso getta un ponte che unisce e stringe intimamente tra loro le due rive dell’Increato e del creato, dell’immutabile e del mutabile, dell’eterno e del temporario, dell’impassibile e del passibile, di Dio e dell’uomo. Contemplatelo questo ponte, che lega a sé cielo e terra e ammirate la sapienza e la potenza dell’architetto, che lo compì e lo eseguì! – Vi sono in Dio due perfezioni sovrane ed eguali, che per poco sembrano tra loro ripugnanti, ma pure armonizzano stupendamente tra loro nel mistero dell’Incarnazione e sono la misericordia e la giustizia. Quella vuole il perdono pel colpevole, questa ne domanda inesorabile la punizione; quella apre le braccia e tutti invita i peccatori a gettarvisi fidenti; questa con atteggiamento austero li respinge. Come si comporranno tra loro queste due perfezioni, delle quali Dio è e deve essere egualmente geloso? Come rimarranno intatti i diritti dell’una e dell’altra? L’Incarnazione scioglie l’arduo problema. Il Figliuolo di Dio, assumendo la povera nostra natura e in essa offrendosi vittima espiatrice per tutti gli uomini, ci dà prova dell’amor suo ed eccovi il trionfo massimo della misericordia: ricevendo sopra di sé la pena a noi dovuta e col sacrificio della croce soddisfacendo con usura smisurata il debito che avevamo con Dio, la sua giustizia è placata e il prezzo del riscatto sovrabbondante. Intreccio sublime di  sapienza! In Gesù Cristo, Dio-Uomo, la misericordia diventa giustizia, e la giustizia diventa misericordia: la misericordia lo fa vittima della giustizia e la giustizia lo fa vittima della misericordia. Ponete che Dio avesse condonato gratuitamente il delitto dell’umanità (e certo così poteva fare): avevamo il trionfo della misericordia; ma dov’era il trionfo della giustizia? Per l’Incarnazione l’uno è congiunto all’altro per forma che sono inseparabili e qui veramente la pace, ossia la misericordia e la giustizia si gettano le braccia al collo e si baciano in fronte. – A canto alla sapienza ed alla potenza, alla misericordia e alla giustizia di Dio risplende nell’Incarnazione la sua Provvidenza. Spetta ad essa, stabilito il fine, disporre i mezzi, che più acconciamente conducono al suo conseguimento. Fine primo di Dio è di condurre gli uomini al conoscimento di se stesso, in cui sta riposta la vita. Ora gli uomini devono salire al conoscimento di Dio invisibile per mezzo delle cose visibili; per le creature e quasi per altrettanti scalini, dovevano salire a Dio Creatore. Ma sciaguratamente gli uomini si fermavano nelle creature: queste sole conoscevano e amavano; in queste riponevano ogni loro felicità, sordi alla voce, che gridava: – In alto i cuori: montate a Dio, che è al di sopra delle cose tutte visibili. Gli uomini erano tutti come tuffati nelle cose visibili e materiali. Allora Dio, scrive S. Atanasio, discende e per l’Incarnazione si fa sensibile e palpabile agli nomini e fa loro conoscere se stesso e le verità invisibili colla parola materiale, che risuona sul suo labbro e percuote il loro orecchio e per l’orecchio discende al cuore Ut dum visibiliter cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur -. Al linguaggio muto, ma eloquente delle creature, che annunziavano Dio, per l’Incarnazione è sostituito l’accento vivo, più chiaro, intelligibile a tutti che l’Uomo-Dio fa udire sulla sua lingua. E non brilla in questo consiglio di pietà infinita quella Provvidenza che arriva da un estremo all’altro ed ogni cosa dispone con forza e dolcezza? Ma dalle altezze divine discendiamo sulla terra e consideriamo l’Incarnazione rispetto all’umana natura e ancor meglio appariranno le sue mirabili convenienze. Una mano barbara e profana ha sformato in parte il Mosè di Michelangelo e guastato la Trasfigurazione di Raffaello. Che farebbero essi quei due artisti se vivessero? Gli artisti amano i loro lavori come i padri amano i figli, e veramente sono figli nobilissimi della loro intelligenza. Io credo che quelle mani, che trassero dal marmo quel volto parlante, che gettarono sulla tela quelle figure vive, rifarebbero il loro lavoro, né si darebbero pace finché non ci avessero ridonati nella primitiva loro bellezza quei miracoli del genio. Ora l’uomo era il capolavoro uscito dalle mani del Creatore, che compendiava in sé tutte le bellezze dell’universo: sulla sua fronte riluceva in tutta la sua bellezza l’immagine di Dio, di quel Verbo, che l’aveva creato.La mano del nemico fino a principio guastò orribilmente quel superbo lavoro, lasciandovi ancora alcuni lineamenti, che ricordavano l’antica bellezza. Poteva Egli il Verbo, che lo fece sì bello, abbandonarlo a se stesso? Sarebbe stato un darla vinta al nemico, che n’avrebbe menato vanto. Conveniva adunque che quella stessa mente che prima ideò, che quelle stesse mani, che prima produssero quel capolavoro di bellezza, lo rifacessero sull’antico modello, e lo rifacessero ancor più bello, perché più pieno fosse il trionfo del divino Artefice e più perfetto lo scorno del malvagio, che l’aveva bruttamente svisato e guastato (1). Dio, che è immortale, buono e onnipotente, non può fare come quell’architetto, che, visto scrollato l’edificio, opera delle sue mani, impotente a ricostruirlo, l’abbandona: Dio ripara tutte le opere delle sue mani che sono riparabili e non può, non vuole abbandonarle in balia del suo nemico. Poteva riparare l’uman genere miseramente caduto, e lo volle, ed Egli che l’aveva fatto venne a rifarlo e a ridipingere in lui le proprie fattezze. L’umana natura, scrive il Nisseno (Catech.) uscì dalle mani del sommo Fattore simile ad oro purissimo: il nemico di Dio e dell’uomo la frammischiò alla scoria e perdette la sua lucidezza e purezza. Il Verbo divino, che, al dire dell’Apostolo, è fuoco che consuma – Ignis consumens Deus – investe e penetra in ogni sua parte l’umanità assunta e per essa tutta l’umanità, che non respinge l’opera sua, la purga d’ogni mondiglia e le restituisce la perduta bellezza. Quale opera più degna di lui? Il Verbo divino era la luce, che illuminava ogni uomo: luce, che, rischiarando perennemente la sua intelligenza, le mostrava l’errore da fuggire e il vero da seguire, il male da rigettare e il bene da fare; ma la nube del peccato eclissava quella luce e l’uomo muoveva il passo a tentoni, scambiando la verità coll’errore, il lecito con l’illecito: allora il Verbo divino, Colui  che solo merita il nome di Maestro – Unus magister Christus si presenta agli uomini come Uomo Egli stesso, e ripete in accenti umani chiarissimi ciò che sempre, e prima e poi, dice loro con la luce interna della ragione, con la voce della coscienza, aggiungendovi per sua bontà tesori di verità ben più sublimi.Così il Maestro interno diventa Maestro esterno, dà che dice internamente annunzia e spiega esternamente e compie l’ufficio suo d’infinità carità, accoppiando alle parti di Maestro perfetto, quella di Medico perfetto. – L’uomo non poteva essere ricondotto a Dio che da Dio stesso, colla luce della verità annunziata in modo sensibile, con la parola, che quasi scintilla riaccendesse la face della coscienza e ne secondasse la fiamma. Ad uomini, che non ricevono la verità che per la via dei sensi, era necessario un Maestro visibile, che parlasse ai sensi, ed eccolo nell’Uomo-Dio, il Verbo incarnato. Ma voi sapete troppo bene, o Signori, che allora l’insegnamento della parola riesce eloquente ed efficace quando è confermato e avvalorato dalle opere. Un maestro che parla bene ci piace: un maestro che parla bene e quello che dice mostra nei fatti, ci persuade e ci trascina. Conveniva adunque che il Maestro dell’uman genere all’insegnamento della parola aggiungesse quello più potente dell’esempio e perciò era necessario che fosse Uomo come noi. – Ed eccolo questo divino Maestro adempire in sé le due parti di perfettissimo Maestro colla parola e con le opere. Egli predica al mondo tutte le virtù con un linguaggio, che non si era mai udito, né mai s’udrà l’uguale « Beati i poveri di spirito: Beati i mansueti: Beati quelli che soffrono: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia: Beati i mondi di cuore: Beati i pacifici: Beati i misericordiosi: Beati quelli che soffrono per la giustizia: tutta la legge e i profeti si riducono alla carità: perdonate ai vostri nemici, fate bene a chi vi fa male ». Non occorre che ricordi tutto l’insegnamento teorico e pratico di Cristo, che formò sempre la meraviglia di tutti gli uomini della scienza. Ma quale efficacia avrebbe avuto sul cuore degli uomini codesta dottrina, ancorché sì sublime, se non fosse stata suggellata dall’esempio? Ora vedete Gesù Cristo, Dio-Uomo, che si mette a capo dell’ umanità: Egli povero volontario, il più povero di tutti gli uomini fino a nascere in una stalla; Egli mansueto come un agnello; Egli che soffre e muore coperto di vituperio e perdona : Egli il pacifico per eccellenza: Egli la stessa purezza e bontà; Egli modello di umiltà, di ubbidienza, di pazienza, di tutte le virtù e massimamente di quelle che tornano più difficili e più amare alla nostra natura. Poteva egli l’uman genere domandare al cielo un maestro più perfetto di Gesù Cristo? Quale mai tra i figliuoli degli uomini potrà alzare la voce e dire: – Io non conosco la via della verità? Il cammino della virtù è troppo aspro perché io lo possa correre? – Noi non avremmo che ad aprirgli sotto gli occhi il Vangelo di Gesù Cristo e narrargli la sua vita. Ecco o uomini, il Maestro, che vi insegna la via della virtù con la parola e con l’opera la conferma. Ci sono virtù, belle, sublimi finché volete al lume  della ragione e alle quali facciamo plauso unanimi; ma esse domandano troppo spesso tali sforzi, tali sacrifici, che la natura nostra s’arresta e quasi atterrita indietreggia: tali sono l’umiltà, la pazienza, l’ubbidienza, il perdono delle offese, il disprezzo di se stesso, la mortificazione, la purezza e via dicendo. Noi le ammiriamo negli altri, ma praticarle noi stessi!…. Ohimè! è cosa che ci sgomenta. Ma allorché noi vediamo Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, alla nostra testa, che dopo averle predicate, le pratica con infinita perfezione, chi volete, che vinto dal timore dia volta? Sul ponte d’Arcole fervea feroce la mischia: la presa del ponte era la vittoria: le schiere vi si urtavano con orribile cozzo: dall’una e dall’altra parte vi erano mucchi di cadaveri: la sua vittoria pendeva incerta: allorché il duce supremo dell’una parte, afferra una bandiera e agitandola fieramente si lancia sulla fronte de’ suoi: con la voce e con l’esempio li trascina dietro a sé, rovescia le file nemiche e la vittoria è sua. E ciò che fece e fa Gesù Cristo a capo dell’umanità: come avrebbe potuto far ciò se non era uomo? L’Incarnazione adunque del Figliuolo di Dio ci dà il vero e perfetto Maestro, che ci era necessario. Togliete l’Incarnazione, resta pur sempre Dio il Maestro nostro; ma un Maestro, che è nell’alto dei cieli, che è lontano da noi, che non si vede, che ci fa udire la sua voce, ma non ci lascia vedere l’opera sua: noi abbiamo bisogno d’un Maestro che vediamo, che tocchiamo, che cammini con noi, che soffra con noi, che sia uno di noi, per infonderci coraggio, che sia Dio per condurci a Dio. L’Incarnazione risponde ad ogni nostro bisogno e ci dà un Maestro, che come uomo si acconcia alla nostra debolezza, come Dio ci solleva alle supreme altezze della verità e della virtù. – Chi di noi uomini non ama elevarsi e nobilitarsi? E un desiderio per sé buono e santo, che Dio ha posto nel cuore d’ogni uomo, e che rettamente secondato, ci rende migliori. Non vi è uomo che non vada altero di potersi dire amico e congiunto d’un sapiente, d’un grande, d’un potente d’un re della terra. Gli pare di ricevere sulla propria persona il riflesso di quella luce, ond’essi si ammantano e non a torto. I vincoli dell’amicizia e del sangue creano non so qual solidarietà d’onore, di grandezza e di gloria, che tutti sentono e riconoscono, benché non sia facile rendercene ragione. Ora per l’umana natura tutta si può dare nobiltà più gloriosa di quella che acquista per l’Incarnazione del Verbo divino? Vi è un Uomo, un figlio d’Adamo, un nostro fratello secondo la carne, che è Dio! In Lui e per Lui noi siamo congiunti, imparentati con Dio e la nostra povera natura assurge a tanta gloria, che è come immersa nel mare dell’Essere divino,  tutta sfolgorante della sua luce istessa, come canta il Poeta:

“Dietro da sé, del suo color istesso

mi parve pinta della nostra effige.”

(PARAD. C. XXIII, v. 131-32).

Fine supremo di tutte le opere, che Iddio compie fuori di sé è la sua gloria e massima sua gloria è di ottenere l’omaggio delle intelligenze ed il tributo dell’amore delle creature libere; la gloria che gli rendono le creature prive di ragione e di libertà, che vale sulla bilancia di Dio? Nulla se non è congiunta a quella che gli rendono gli esseri servizievoli. Un solo atto di fede, di ubbidienza e di amore dell’ultima creatura ragionevole onora Dio immensamente più che tutti gli astri del cielo e le creature tutte irragionevoli dell’universo: è verità che basta annunziarla per dimostrarla. Dio domanda sopra tutto l’amore dell’uomo: questo solo è degno di Lui. Per ottenere l’amore si domanda amore, ond’è pieno di sapienza quel verso del poeta … amor che nullo amato amar perdona. L’amore allorché si manifesta provoca l’amore e manifestazione somma dell’amore è che l’amante si faccia simile e, se è possibile, eguale all’amato. Per l’Incarnazione Iddio, il primo, il sommo, l’eterno Essere, non pure si fa simile, ma eguale all’uomo, si dona tutto a lui in guisa da diventare uomo Egli stesso. Qual prova d’amore! Essa trascende al tutto ogni umano concepimento e se da una parte mostra l’infinita ricchezza della sapienza e bontà di Dio, mostra dall’altra qual sia la grandezza dell’uomo, qual sia la eccellenza e il pregio dell’amor suo. – La natura umana è un mistero incomprensibile. Vedetela! Essa ha un bisogno incessante, prepotente dell’infinito: mostratele il bello, il buono, il vero creato; essa non dice mai, mai basta: essa domanda sempre più, più, più ancora: mille universi insieme uniti, mille volte più belli di questo, non farebbero paghi i suoi desideri, non sazierebbero le sue brame. Essa dunque tende sempre all’infinito, a Dio, colla intelligenza, che domanda la verità, col cuore che domanda il bene. Ma come ciò se l’uomo naturalmente non può vedere Iddio e unirsi immediatamente a Lui? Lo vuol vedere, lo vuole abbracciare e non lo può vedere, né abbracciare! Quale enigma! Quale mistero! L’Incarnazione scioglie l’enigma, spiega il mistero. Il Verbo divino, che è il candore dell’eterna luce, che nessun occhio mortale può tollerare, si vela della nostra carne, si copre, dice S. Gregorio Nazianzeno, della nube della nostra natura e si rende accessibile: noi possiamo accostarci a Lui e attraverso al velo della carne vedere in qualche modo la luce increata del Verbo: vedendo in Gesù Cristo l’uomo, vediamo Dio, toccando l’uomo, tocchiamo Dio, abbracciando l’uomo, abbracciamo Dio. – Egli è pel mistero dell’Incarnazione, osserva S. Tommaso, che Dio provvide alla nostra debolezza, affinché non cadesse nelle vergogne della idolatria, adorando le creature in luogo del Creatore. L’uomo è soggetto all’ impero dei sensi per guisa che non può concepire le cose stesse spirituali senza l’aiuto dei fantasmi, che sono creature dei sensi. Egli ha sempre bisogno d’un oggetto sensibile ed è tratto a foggiarsi Dio medesimo sotto forme sensibili. Ecco perché cadde nel politeismo e confuse le creature col Creatore e prestò culto a quelle, che pure erano opere delle sue mani. Dio ebbe pietà dell’uomo e sovvenne alla sua debolezza: si fece uomo e nell’umana natura si degna ricevere le adorazioni dovute a Dio; in tal maniera gli uomini possono impunemente seguire la naturale tendenza, che li porta a rappresentarsi Dio sotto forme sensibili. – Il nemico aveva sedotto l’uomo e fattolo sua preda, pigliandolo per la carne: ebbene nella carne pose Iddio il rimedio, nella carne assunta dal Verbo Divino e per essa vinse il nemico. Dio fece come il pescatore: esso getta l’amo nascosto sotto l’esca: il pesce abbocca l’esca e resta preso dall’ amo. Dio si nascose sotto la carne di peccato: il nemico l’afferrò per farla sua preda: ma sotto la carne trovò nascosto Iddio e il predatore divenne preda e colui che aveva vinto per la carne per la carne fu vinto e il rimedio venne di là donde scaturiva il veleno e dalla morte sgorgò la vita. – Più ancora: Dio creò gli uomini e sopra gli uomini gli Angeli, distribuiti in ordine meraviglioso: quelli e questi formano un esercito sterminato, che non v’ha cifra, che li rappresenti. Essi costituiscono una scala immensa, che dal sommo tra gli Angeli giù giù digrada fino all’ultimo degli uomini. Questo sterminato esercito di uomini ed Angeli, facenti corona all’ Essere sovrano, che è Dio, doveva avere un capo ed un capo, a così dire omogeneo, come osservano i Padri, che li raccogliesse intorno a sé e a Dio li guidasse: capo, che loro sovrastasse, e che in pari tempo fosse della loro stessa natura. Tal è per ogni rispetto il Figlio di Dio fatto uomo. Egli è Dio, eguale al Padre e al Santo Spirito Egli ha il corpo e risponde agli uomini; Egli ha l’anima e in essa risponda e agli uomini e agli Angeli. In Lui gli uomini, in quanto hanno corpo, hanno nel tempo e nell’eternità un termine, che risponde alle loro esigenze: in Lui, in quanto ha l’anima, le menti umane ed angeliche hanno l’oggetto loro acconcio: in Lui in quanto Dio, ogni loro aspirazione è fatta paga e contenta come insegnano S. Agostino e S. Bonaventura. E non è anor tutto: la Scrittura ci insegna che un numero stragrande di Angeli, fino a principio, si ribellò e fu precipitata negli abissi infernali. Perché si ribellò e cadde? Secondo ogni verosimiglianza Iddio, a principio, mostrò agli Angeli il mistero dell’Incarnazione, che si sarebbe compiuto nella pienezza dei tempi ed impose loro che riconoscessero ed adorassero il suo Verbo nella natura umana: essi, considerandosi a lui superiori nella loro natura, ricusarono l’omaggio: di qui la caduta degli Angeli e l’odio loro ferocissimo contro Cristo e 1’uman genere. L’Incarnazione fu pertanto fu la prova, a ci Dio mise la fedeltà degli Angeli: quelli, che riconobbero ed adorarono come loro capo Cristo nell’umana natura, a loro inferiore, si giustificarono e furono confermati in grazia: quelli che superbi ricusarono, furono puniti: così l’umile ubbidienza salvò i primi e l’orgogliosa rivolta perdette gli altri, e questi ad eterno loro scorno son posti sgabello sotto i piedi dell’Uomo-Dio e veggono i figli di Adamo riempire le loro sedi. Così tutto il gran dramma degli Angeli in cielo e degli uomini sulla terra si svolge e si raggruppa intorno al mistero dell’Incarnazione, ed il Verbo fatto carne è il perno di tutti i disegni di Dio, è il capo degli uomini e degli Angeli, santificatore e glorificatore supremo di tutti i giusti, punitore di tutti i malvagi. – Levatevi col pensiero fino a Dio: contemplatelo in quell’istante, nel quale, uscendo di sé, coll’atto della sua onnipotente volontà trae dal nulla l’universo. Vedete come sotto l’impulso della sua irresistibile parola, quasi riflesso della vita divina, si spande dovunque la vita creata. Vedete come l’onda immensa dell’essere creato muove da Dio e quale smisurato circolo si allarga in cielo e in terra. Vedete comparire per primi i puri spiriti con una gradazione, che supera ogni calcolo umano; e poi man mano l’uomo, spirito e corpo; e poi l’onda della vita scema e diventa sola vita animale e poi vita vegetale e poi sola materia, ultima eco dell’essere, là sugli estremi limiti del nulla. Dio, con la creazione, ha lanciato fuori di sé l’essere in tutte le forme e gradazioni possibili, dalla più sublime, il primo Serafino, all’infima, 1’atomo della materia; ma tutto deve ritornare a Lui, da cui tutto deriva. Che fa Dio?  Mette fuori il suo Verbo: piglia la carne umana, e in essa e per essa gli elementi disseminati nel triplice regno minerale, vegetale e animale: con la carne umana piglia l’anima umana, la unisce alla Persona del suo Verbo e con Lui e per Lui, tira a sé tutto l’universo. Quale spettacolo di questo più magnifico e più sublime! Con la creazione Dio dà l’essere a tutte le cose e dispone fuori di sé l’immenso circolo delle creature digradanti sopra una scala indefinita; con l’Incarnazione le ripiglia tutte e secondo loro natura cominciando dalle più lontane, le tira a sé e coopera quella stupenda ricapitolazione universale di cui parla S. Paolo – Instaurare omnia in Christi Jesu. Chiuderò questo ragionamento, sviluppando con la maggiore brevità un pensiero, che tolgo da S. Tommaso e che è veramente degno di lui. Fisso lo sguardo della mente in Dio e veggo avvolte in lui tutte le perfezioni in grado infinito: una, a nostro modo di dire, grandeggia sopra le altre tutte, la sua bontà. Essa lo muove a comunicarsi tutto e necessariamente dentro di sé, nella sua vita intima, ed ecco la comunicazione totale, necessaria, eterna che ciascuna persona fa all’altre; lo muove a comunicarsi liberamente fuori di sé, ed ecco la creazione. La comunicazione che Dio fa della bontà sua nella creazione può essere maggiore? Sì: Egli può dare alle creature l’esistenza: ma a questa esistenza può aggiungere la partecipazione della sua immagine mediante la grazia; è comunicazione di Dio molto maggiore, soprannaturale. Non potrebbe Iddio, spinto dalla sua bontà, andare più oltre nella sua comunicazione? Dopo aver dato l’essere alle cose; dopo aver dato alle creature, che ne erano capaci, la sua immagine e la partecipazione della sua vita divina, non potrebbe,spinto da quell’amore immensurabile, che non dice mai basta; unire la stessa sua natura alla natura umana e far sì che la persona stessa del Figlio suo la facesse propria e dicesse: Io e questa natura siamo un solo essere, un solo io? La ragione non trova impossibile la cosa, anzi considerata la natura dell’amore di Dio infinito, la trova conforme e degna di Dio. Ora fisso lo sguardo nella natura umana e tra l’altre doti, ond’essa va bella, trovo la tendenza a comunicarsi, a darsi tutta per 1’amore. L’uomo si dà per amore ai figli, al padre, alla madre, allo sposo, alla sposa: si dà alla patria e più volte! è capace di dare tutto se stesso, la sua vita medesima. Mosso dall’amore, si dà a Dio, a Lui tutto sacrifica e per Lui, non una, ma mille vite immolerebbe. Dove può egli arrestarsi l’amore, che porta l’uomo a donarsi? Chi potrebbe stabilirne l’ultimo confine? Nessuno: egli tende all’infinito e solo in lui, fonte d’ogni verità e d’ogni! bellezza e d’ogni bontà può quietare le sue voglie: viene dall’infinito e torna all’infinito, come l’acqua, che scende d’alta cima ritornerebbe alla medesima altezza, se non ne fosse impedita, o come raggio di sole che riflesso torna diritto pur su al punto onde si parte. Dio pertanto per la sua infinita bontà discende verso l’uomo e tende ad unirsi a lui col massimo vincolo possibile; l’uomo dal lato suo, pel bisogno che ha di Dio, tende ad unirsi a Lui nel maggior grado possibile. Perché questi due esseri mossi l’uno dal puro amore, l’altro da un supremo bisogno, non si incontrerebbero in un punto, non si stringerebbero in un amplesso ineffabile in un connubio santo,  formando un solo individuo, una sola persona che dice: – Io sono Dio, io sono Uomo? – Questo amplesso ineffabile, questo connubio santo, che la ragione umana intravvede e presente, avvenne in quell’istante, in cui, come la fede insegna, il Verbo si fece uomo – Et Verbum caro factum est. –  Il Verbo divino alla umana natura per virtù divina formato nel seno intemerato della Vergine, unì immediatamente la sua Persona, e allora fu gettato il ponte tra il cielo e la terra, un uomo, un figlio d’Adamo fu Dio, e Dio, il Figlio di Dio fu uomo e con quel vincolo, il massimo dei vincoli, vincolo nei secoli eterni infrangibile, non solo l’umanità tutta, ma con essa tutto il creato fu congiunto per sempre a Dio. – Una volta mi trovai, in un mattino d’estate ai piedi dell’Alpi; il cielo era sereno, l’aria tranquilla, e le vette superbe dell’Alpi, quasi giganti silenziosi, erano là ritte, 1’una a ridosso dell’altra. Ad un tratto la più eccelsa dì quelle cime si colora di porpora, il sole la investe, arde come se fosse avvolta in un vasto incendio. La luce de sole la investe quel vertice altissimo e si riflette sulle cime inferiori, e tutti quanti siamo sparsi per la pianura ne riceviamo il benefico riverbero. È  questa una pallida immagine del mistero che oggi celebriamo. Il Verbo divino si posa sul vertice, sul capo dell’umanità, 1’assunta umana natura, la unisce a sé in unità di persona e di là irradia la sua luce, versa il suo calore e spande la sua vita divina in cielo e in terra – Pieghiamo le ginocchia, curviamo la fronte e adoriamolo coi pastori – .

Credo
Credo in unum Deum, Patrem omnipoténtem, factórem cœli et terræ, visibílium ómnium et in visibílium. Et in unum Dóminum Jesum Christum, Fílium Dei unigénitum. Et ex Patre natum ante ómnia saecula. Deum de Deo, lumen de lúmine, Deum verum de Deo vero. Génitum, non factum, consubstantiálem Patri: per quem ómnia facta sunt. Qui propter nos hómines et propter nostram salútem descéndit de coelis. Et incarnátus est de Spíritu Sancto ex María Vírgine: Et homo factus est. Crucifíxus étiam pro nobis: sub Póntio Piláto passus, et sepúltus est. Et resurréxit tértia die, secúndum Scriptúras. Et ascéndit in coelum: sedet ad déxteram Patris. Et íterum ventúrus est cum glória judicáre vivos et mórtuos: cujus regni non erit finis. Et in Spíritum Sanctum, Dóminum et vivificántem: qui ex Patre Filióque procédit. Qui cum Patre et Fílio simul adorátur et conglorificátur: qui locútus est per Prophétas. Et unam sanctam cathólicam et apostólicam Ecclésiam. Confíteor unum baptísma in remissiónem peccatórum. Et exspécto resurrectiónem mortuórum. Et vitam ventúri sæculi. Amen.

Offertorium
Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt c
œli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ. [Tuoi sono i cieli, e tua è la terra: tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: giustizia ed equità sono le basi del tuo trono.]

Secreta
Obláta, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda. [Santifica, o Signore, con la nuova nascita del tuo Unigénito, i doni offerti, e puríficaci dalle macchie dei nostri peccati]

Communio
Ps XCVII:3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri. [Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio
Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor:
[Fa, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che il Salvatore del mondo, oggi nato, come è l’autore della nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell’immortalità.]

IL PRECURSORE (5-6)

QUARTA DOMENICA D’AVVENTO

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli, vol. I, soc. Ed. Pensiero e Vita, Milano 1939)

( Lc., III, 1-6)

1.

APRI IL CUORE AL SIGNORE CHE NASCE

Pochi giorni ci separano dal santo Natale. Penso a molti secoli fa, nell’imminenza del grande avvenimento, quando in Betlemme gremita di forestieri, entrarono due modesti sposi che venivano da Nazareth. Penso alla trepidazione di Giuseppe che supplicava con la parola e con gli occhi sulle porte degli alberghi, perché facessero al Padrone del mondo un po’ di posto per nascere. In mezzo agli uomini non ce n’era più: dovette trovarglielo in mezzo alle bestie.

Se per il prossimo Natale, S. Giuseppe ritornasse a cercargli un posto, lo credereste più fortunato dopo venti secoli? Purtroppo il crudele rifiuto si ripeterebbe punto per punto. Immaginiamolo. Ecco S. Giuseppe batte alla porta del ministero di qualche nazione moderna, dove si forgia il destino dei popoli, e chiede umilmente: « Fate la carità di un posto per nascere al Re del Cielo! ».

« Ma non c’è più il Cielo. Non sapete ch’era una fandonia inventata per tener quieti quelli che non potevano mangiare abbastanza sulla terra? … ».

« … È il Padron del mondo ».

« Il padrone del mondo siamo noi. Noi lo coltiviamo con le macchine e con i concimi chimici, noi lo scaviamo per estrarne oro e petrolio, noi lo percorriamo in alto e in basso, per lungo e per traverso, con treni con navi, con aeroplani. E poiché il rombo del temporale non fa più paura, noi lo spaventiamo con il rombo dei cannoni e lo scoppio delle bombe ».

« … È Dio ».

« Silenzio! Noi abbiamo le temibili organizzazioni dei « Senza Dio » (… O.N.U., U. E., F. M. I., Fed. R., Banca Mondiale, Novus Ordo, Massoneria, I.O.R. … -ndr.-)

Ed ecco S. Giuseppe in giro per le città moderne. Batte alla porta dei cinema e dei teatri, dei caffè, delle osterie, ma spesso si vedono e si dicono cento cose che non è conveniente siano udite o viste dalla Vergine Maria: e lo respingono. Batte alla porta di negozi e di officine, ma si sente dire in faccia: « Indietro! se ti facciamo un posto, poi bisognerà osservare la morale nel commercio. E con la morale non si fanno affari, e si va alla malora ».

Batte alle edicole dei giornali, per chiedere se qualcuno inserisca tra gli avvisi economici una domanda d’alloggio per lui e per la Vergine Maria, e per il Bambino che deve nascere. « An no ! — gli rispondono.

— Se incominciamo a metter sui giornali i nomi dei Santi e le cose vere e serie della Madonna e del Signore, i lettori s’infastidiscono, e non li vogliono più leggere. Perfino i Cattolici preferiscono i giornali un po’ liberali e larghi, e lasciano volentieri entrare in casa certi settimanali, illustrati magari con poca arte, ma con molta immodestia… ».

Giuseppe si decide di battere alla porta di famiglie private. Gli viene incontro il capo di casa che gli getta addosso uno sguardo non incoraggiante.

« Impossibile: non ho stanze. Di figliuoli in casa non ne voglio più, primo perché non ho posto, e poi perché la mia moglie ha già troppi fastidi; figurarsi se posso prendermi in casa un figlio di altri, sia pure il Figlio di Dio! ».

[Giuseppe batte ad una chiesa di Roma. C’è un uomo senza segni e senza talare:

« Mi dispiace ma il Cristianesimo oramai è stato eliminato, noi tutti professiamo una religione unica mondiale, indifferente ai culti e di teologia gnostica, non c’è più posto per Cristo, lo abbiamo sostituito con il baphomet! »   -ndr.].

Che resta ancora a S. Giuseppe? Gli resta da battere alla porta del nostro cuore. Non lo sentite panarvi, in questi giorni di santa aspettativa, con la voce della coscienza con la voce delia liturgia con la voce innocente dei vostri bambini? « Apri il tuo cuore al Signore che nasce ».

Il nostro cuore! da quanto tempo è forse ingombro di passioni cattive e di affetti illeciti e di peccati non confessati, o confessati male, o confessati senza né dolore né proponimento! Il nostro cuore forse è diventato una regione dove il demonio impera con la sua legge d’orgoglio, con i piaceri della sensualità, con le frodi e le ipocrisie.

Come quando in una città deve arrivare il Re, ferve da per tutto il lavoro di pulizia, di riordino, di abbellimento, così con tutte le forze dobbiamo in questi giorni lavorare, nel raccoglimento, intorno al nostro cuore per disporvi le degne accoglienze al Re dei Re. E che dobbiamo fare? Ce lo dice S. Giovanni nel Vangelo di questa domenica.

« Udite la voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore.  Spianate i monti.

Colmate le valli. Raddrizzate i sentieri tortuosi ».

1. SPIANATE I MONTI

Le vette da rovesciare sono quelle irte e gelide dell’odio e del rancore. Nel Vangelo è detto: « Da questo vi riconoscerò per miei discepoli se vi amerete tra di voi » (Giov. XIII, 35). Ecco che Gesù viene nel santo Natale, e guarda i cuori che sono suoi, per entrarvi. Ma dove c’è rancore, desiderio di vendetta, odio, egli non li riconosce per suoi, e non entra. Nel Vangelo è detto: « Se stai per presentarti all’altare e ti ricordi che c’è una ruggine tra te e il tuo fratello, torna indietro, e va prima a riconciliarti » (Matth., V, 23-24). Se questo comandamento vale per ogni occasione, tanto più nella massima festa cristiana del santo Natale. « Ho già perdonato una volta e due — si scuserà qualcuno — ma poi mi ha fatto peggio ». Anche questo caso è contemplato nel Vangelo. « Se tuo fratello ha sbagliato verso di te, perdonagli. E quand’anche sbagliasse sette volte al giorno, s’egli venisse sette volte al giorno a chiederti scusa, tu sempre gli perdonerai » ( Lc., XVII, 3-4).

2. COLMATE L E VALLI

Le valli da colmare, acquitrinose e malariche, donde esala un’aria febbricosa, sono quelle dei piaceri sensuali, degli affetti morbidi, dei desideri impuri. Per nascere, al Figlio di Dio non importò né di ricchezze, né di casa, né di cuna. D’una sol cosa non potè fare a meno, essendo Dio: della purezza. Nacque da una Vergine. Beati quelli che saranno trovati in questi giorni col cuore puro: la grazia del santo Natale li inonderà, sentiranno la bellezza e il fascino di questa virtù che ci rende capaci di vedere Dio, godranno la pace promessa dagli Angeli agli uomini di buona volontà. Buona volontà di mortificare i sensi e il cuore, perché Dio non può nascere « dove i demoni ballano e le sirene fanno il nido » (S. GEROLAMO, P. L., XXII, 398).

3. RETTIFICATE I SENTIERI TORTUOSI

I sentieri tortuosi sono tutte quelle vie coperte di frodi, di furti più o meno piccoli, di inganni, di bugie, di sotterfugi di cui troppo spesso si lascia inquinare anche l’uomo onesto. « Sono inezie, è un danno di cui non s’accorge nessuno! ». « Colui che è fedele nelle piccole cose è anche fedele nelle grandi, e colui che è infedele nelle piccole è anche infedele nelle grandi » (Lc., XVI, 10). « Fanno tutti così ». Eppure vi dispiacerebbe che si sapesse che anche voi fate come tutti; che si sapesse quella vostra astuzia, o la provenienza di quella roba, o il modo di farvi dare quel danaro. E del Signore, che lo sa, non vi rincresce? Non temete la sua giustizia? S. Giovanni grida ancora dal deserto: « Ah, gente tortuosa come le vipere, chi vi insegnerà a sfuggire l’ira ventura? Viene il Signore col ventilabro, e separerà nettamente il grano dalla pula ». Raddrizzate i sentieri del vostro lavoro e del vostro commercio.

CONCLUSIONE

Francesco d’Assisi, parecchi giorni prima della festa di Natale, chiamò un uomo molto pio, di nome Giovanni, e gli disse che desiderava passare il Natale a Greccio. Doveva però preparargli nella foresta un presepio con la mangiatoia e col bue e l’asino, per rappresentare in una maniera viva il mistero della divina nascita. Nella santa notte arrivò gente da tutte le parti con fiaccole e con lanterne: tutta la foresta palpitava di luce e risonava di gioia. Francesco co’ suoi frati, in ginocchio, cantava le lodi del Signore davanti alla mangiatoia. Fu allora che al buon Giovanni parve di vedere una cosa meravigliosa. Nella greppia c’era un Bambino con gli occhi chiusi, come un morto. San Francesco si avvicinò dolcemente e lo svegliò da quel profondo sonno di morte. Cristiani, il Natale è qui. Ma nella cuna di tanti cuori, il Bambino Gesù è morto. Sono stati i peccati a ucciderlo, così piccolo ed innocente! Lo dice S. Paolo che chi commette peccato lo fa morire nel proprio cuore. Bisogna farlo rinascere.

2

IL BATTESIMO DI PENITENZA

Sardanapalo, il famoso re d’Assiria, statua di fango e di vizi da vivo, ha voluto che dopo la sua morte gli fosse eretta sulla pubblica piazza una statua di bronzo, con questa infame iscrizione sul piedestallo: « Passante, bevi, mangia, godi: il resto è nulla ». Aristotile stesso ch’era un pagano, leggendola esclamò: « Che altro scriveresti sul sepolcro non di un re, ma di un bue? ». – Eppure Sardanapalo, simbolo del godimento sensuale, è oggi deificato da per tutto, sulla grande piazza pubblica del mondo e gli uomini ripetono il grido che San Paolo pose in bocca ai disperati mondani: « Non ci sia piacere che l’anima nostra non abbia provato; incoroniamoci di rose prima che marciscano; mangiamo e beviamo perché domani morremo » (I Cor., XV, 32). Ma in faccia alla statua di Sardanapalo, da due mila anni, un’altra fu eretta, non di bronzo, ma di legno; e sul legno inchiodato e sanguinante sta Gesù Cristo che morendo dice: « Se qualcuno mi vuol seguire, prenda la sua croce, e vi configga sopra spietatamente le sue cattive passioni » (Matth., XVI, 24). – Dove ci mettiamo noi? Sotto la statua di Sardanapalo o sotto la croce? sceglieremo i piaceri del mondo e la vita sensuale delle bestie o la penitenza di Cristo e la vita spirituale degli angeli? Sceglieremo la strada larga dell’inferno o quella stretta del Paradiso? Quello che ci convien fare, ce lo predica dal Vangelo San Giovanni Battista. – Regnava a Roma da quindici anni Tiberio Cesare, Ponzio Pilato era governatore di Gerusalemme, Erode tetrarca della Galilea, Anna e Caifa sommi sacerdoti, quando il figliuol di Zaccaria venne nei paesi lungo il Giordano a predicare il battesimo di penitenza. Prædicans baptismum pœnitentiæ. A quelli che l’ascoltavano diceva: « Razza di vipere! chi v’insegnò a fuggire l’ira che vi sovrasta? fate penitenza. Già l’ascia è sulla radice della pianta: fate penitenza. Già s’avvicina il regno dei cieli: fate penitenza ». Non è dunque la vita spensierata, ma la vita dura del proprio dovere che impone il Precursore; e dopo il mangiare, il bere e il godere ricordiamoci che c’è l’ira che ci sovrasta, c’è l’ascia che abbatte, c’è il regno dei cieli per i buoni e l’inferno per i cattivi. Facciamo dunque penitenza. Ma che cos’è la penitenza? Ce lo spiega chiaramente S. Gregorio Magno: transacta fiere et illa deinceps non committere. È il dolore, dunque, dei peccati, ed il fermo proposito di evitarli. Il dolore è la penitenza che cancella i peccati commessi. Il proposito è la penitenza che preserva dai peccati futuri.

1. PENITENZA CHE CANCELLA I PECCATI

Dopo la Pentecoste, S. Pietro uscì sulla pubblica piazza e predicò con parole ferventissime. « Uomini d’Israele! Ascoltatemi in silenzio. Gesù Nazareno, figlio di Dio, famoso per dottrina, per virtù, per miracoli, voi l’avete ucciso. Vos interemistis. Perché l’avete ucciso? forse perché illuminò i vostri ciechi, o forse perché mondò i lebbrosi? Forse perché guariva i vostri ammalati, o perché abbracciava, benedicendo, i vostri bambini? Perché l’avete ucciso? rispondete! ». – Sotto la rovente foga di quel discorso la folla doveva sussultare come un bosco battuto dal vento. Gli uomini d’Israele si guardavano in faccia, atterriti, e gemevano tristamente: « Quid faciemus, viri fratres? ». Che faremo adesso per cancellare il delitto enorme? Come S. Pietro li udì mormorare così, rispose: « Fate penitenza! ». Pæenitentiam agite (Atti, II, 38). Non appena agli ebrei, ma anche a noi S. Pietro potrebbe ripetere: « Gesù Nazareno, voi l’avete ucciso. Voi, con i vostri peccati, l’avete di nuovo crocifisso nell’anima vostra ». Quando avete assecondato quei desideri disonesti, voi l’avete novellamente crocifisso sul legno infame della vostra impurità. Quando avete violata la giustizia, o prendendo o non restituendo, voi l’avete novellamente crocifisso sul legno infame della vostra avarizia. Quando avete trasgredito il precetto del venerdì, voi l’avete novellamente crocifisso sul legno infame della vostra golosità. E potrei continuare. Ma allora, o fratelli, se noi siamo colpevoli di così gran delitto che dobbiamo fare? Pænitentiam agite. Buttiamoci ai piedi del crocifisso, guardiamo quelle piaghe che noi abbiamo aperte, e domandiamogli perdono. Questa contrizione delle nostre colpe, questo vivo rincrescimento d’aver offeso Dio che è tanto buono, questo dispiacere grande d’aver nuovamente crocifisso Cristo, è la penitenza che predicava S. Giovanni nei paesi lungo il Giordano, quella penitenza che è simile al Battesimo perché ci lava da ogni peccato. Prædicans baptismum pœnitentiæ. Il dolore d’aver offeso Dio, quanto più è perfetto tanto più ci otterrà, non solo il perdono dei peccati, ma anche la remissione della pena dovuta al peccato. – Quando S. Vincenzo Ferreri predicò in Francia, un giovane andò a gettarsi ai suoi piedi, piangendo. Aveva condotto una vita dissoluta, ora la grazia di Dio lo toccava in un modo mirabile. Il santo ascoltò la sua lunga confessione, poi gli assegnò una penitenza austera di sette anni. « Ma come, padre! — ripigliò il giovane — a me che tanto peccai, solo sette anni di penitenza! » e singhiozzava. Il santo, vedendo tanto dolore, rispose: « Figlio, andate: farete soltanto tre giorni di penitenza perché Dio è tanto buono ». – « Appunto perché Dio è buono e nonostante io l’offesi, merito una grande penitenza ». « Orsù — rispose il santo — contentatevi di recitare tre Ave ». Allora il giovane scoppiò in pianto e S. Vincenzo Ferreri, per virtù di Dio, vide la sua anima così bianca che se fosse morto in quell’istante, senz’altra penitenza che il suo dolore, sarebbe volato direttamente in Cielo.

2. PENITENZA CHE PRESERVA DAL PECCATO

E Gesù entrò in Gerico. Passando sotto un sicomoro, scorse tra le foglie una breve figura d’uomo: Zaccheo. Lo chiamò: « Zaccheo, scendi in fretta che ho pensato di venire a casa tua ». La guardia doganale confusa e commossa, si calò giù dall’albero e si trovò in faccia al Signore: « Andiamo, Zaccheo, — disse Gesù — oggi voglio fermarmi un poco da te ». E s’avviarono. Zaccheo intanto pensava alle sue ingiustizie, ai furti, alle esose estorsioni di danaro fatte sulle carovane che passavano il confine tra la Giudea e la Perea; Zaccheo intanto sentiva i mormorii della folla scandalizzata al vedere il divin Maestro prendere stanza presso quel doganiere.

Pensava e sentiva tutto questo con un senso di disgusto e di dolore per la sua vita passata. Ma a che sarebbe valso questo dolore, se non fosse stato seguito dal proposito efficace? Per ciò quando furono sul limitare si rivolse e disse: « Signore! dò la metà dei miei beni ai poveri e per ogni estorsione ingiusta, restituirò il quadruplo ». Gesù guardò con amore quell’uomo di forte proposito, e in faccia alla folla gli rispose: « Questa casa ha ricevuto la salute, oggi, poi che anche costui è diventato figlio d’Abramo ». – Da questo brano evangelico consegue che la vera penitenza non consiste solo nel detestare i peccati commessi, ma soprattutto nel ripararli, e nell’usare tutti quei mezzi che ci possono preservare dalle ricadute. Non bastano quindi parole e sospiri: mi confesso, mi pento, è mia colpa, mia massima colpa; ci vogliono i fatti. A quante persone si potrebbe dire: la tua voce è quella di Giacobbe, ma la tua mano è quella d’Esaù! Di parole e di promesse ne hai tante, ma in pratica c’è troppo poco. – Il santo Natale è vicino, Gesù ha pensato di venire in casa nostra, come un giorno nella casa di Zaccheo; via le chiacchiere adunque e convertiamoci. È necessario distruggere il corpo del peccato che è dentro di noi come dice l’apostolo: Ut destruatur in vobis corpus peccati (Rom., VI, 6). Rinunciamo a quelle mille cose dilettevoli che acuiscono in noi le passioni: perciò via da nostri occhi oggetti e libri che suscitano la concupiscenza. Via dal nostro labbro quella scandalosa libertà di parola che rovina la nostra anima e l’altrui. Via quegli spettacoli, dei quali l’unico effetto è di ridestare le immagini più losche. Via quelle amicizie morbose nelle quali noi stessi presentiamo vicina la caduta fatale. Anche la gola bisognerà mortificare, anche la pigrizia che ci tiene a letto quando alla prim’alba le campane ci chiamano alla Messa. Il regno dei cieli si conquista con la violenza; con la violenza che ciascuno di noi deve fare alla propria carne. Castigo corpus meum et in servitutem redigo (I Cor., I X , 27).

CONCLUSIONE

Ma dunque, dirà qualcuno spaventato da questo battesimo di penitenza, la Religione Cristiana è proprio melanconica. Aveva ragione il poeta paganeggiante quando diceva a Cristo: cruciato martire, tu cruci gli uomini. Ascoltate: Gesù, un giorno andò a un banchetto di nozze che si faceva in Cana. Sul più bello del convito manca il vino: nessuno ci aveva pensato. Gesù allora, benché a malincuore, — ma come resistere alla Madonna che lo pregava! — chiamò i servi: « Riempite le idrie d’acqua e poi versate che ne uscirà vino ». Tutti bevvero il vino del miracolo; ma come l’ebbe saggiato l’architriclino, ne fu meravigliato. Lo pacchiò due o tre volte in bocca e poi esclamò: « Maestro! tutti, in principio, offrono ai convitati il vino migliore e poi, quando sono ubriachi, li riempiono di quello scadente; tu invece hai fatto il contrario. Hai dato prima il vino peggiore ed hai serbato alla fine un vino estasiante ». Cristiani: il calice del mondo e del demonio, il calice di Sardanapalo comincia col dolce, e poi dopo averci ubriacati nei vizi, finisce con il fiele del rimorso, in questa vita, e con l’inferno, nell’altra. Il calice di Cristo comincia con l’amaro della penitenza e finisce con la pace e la benedizione di Dio, in questa vita, e con il paradiso, nell’altra.

3.

GESÙ’ VIENE

Da quindici anni Tiberio Cesare, figliastro di Augusto suo predecessore, sedeva sul trono imperiale di Roma. A Valerio Gracco nella procura della Giudea era successo il lionese Pilato, sopranominato Ponzio per aver conquistato l’isola Ponzia con le armi romane. L’adultero Erode Antipa, figlio di Erode l’infanticida, teneva la tetrarchia della Galilea. Il suo fratellastro Filippo teneva la tetrarchia dell’Iturea e della Traconitide. Lisania, di cui non si conosce altro che il nome, teneva quella di Abila. Il sommo pontificato era in mano di Caifas e del suo suocero Anna. In questi tempi Giovanni di Zaccaria uscì dal deserto e venne lungo il Giordano a predicare il battesimo di penitenza per la remissione dei peccati. E predicando diceva : « Io sono la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via al Signore che viene. Colmate le valli, spianate i colli! Allora ogni uomo vedrà il Salvatore ». Omnis vallis implebitur et omnis collis humiliabitur. In questa domenica, ultima d’Avvento, l’austero Battezzatore s’avvicina anche alle anime nostre e grida: « Gesù viene nel Santo suo Natale: colmate le valli, spianate i colli ». Che sono queste valli e questi colli? Le valli sono il vuoto che fanno in noi i peccati, spogliandoci della grazia. I colli sono i nostri atti di superbia che ci rendono spiacenti a Dio. – Bisogna riacquistare la grazia con una santa confessione. Bisogna ricominciare una vita più umile e più sincera. Questa è la miglior preparazione al Natale di Colui che dal Cielo discese in terra a portarci la grazia, a insegnarci l’umiltà.

  1. COLMATE L E VALLI DEL PECCATO CON LA GRAZIA

La guerra europea non era ancor finita; ma appena le armi tedesche furono obbligate a ritirarsi dal Belgio invaso, il re Alberto volle rientrarvi. Ma per quali strade sarebbe ritornato nel suo regno il re del Belgio, se non v’erano più strade? I ponti bombardati e sfasciati erano mucchi enormi di macerie. Carri sconquassati, affusti di cannoni spezzati, elmetti d’acciaio smarriti, scarpe di cuoio e di ferro abbandonate nel fango, carogne di cavalli e di muli e talvolta cadaveri umani insepolti, ingombravano il piano. Lungo i dossi s’aprivano le trincee scavate nella pietra e nella creta rossastra con ancora i segni di un crudele patire; nei punti d’incrocio le strade si sprofondavano in una fossa aperta dalle mine; le case scoperchiate e diroccate alzavano al cielo pietosamente le pareti frastagliate e fendute. Non importa: il re Alberto vuol rientrare e subito. Ecco: e delle squadre di uomini e di donne e di fanciulli s’impegnano a preparare la strada, ad appianare ogni asprezza, a riempire con le macerie ogni vallo di trincea, ogni sprofondamento di mina. « Viene il Re! ». E questo grido rinvigoriva quella povera gente, immetteva ancora energia nelle toro membra affrante, ancora speranza nei loro cuori sfiduciati. « Viene il Re! ». E passò il Re Alberto, piangendo, sopra quelle strade rifatte con rovine e con sangue. E quando le donne gli additavano le case crollate, egli diceva: « Non temete, io torno: le riedificheremo più belle ». E quando un fanciullo agitava verso lui le sue braccia stroncate dalla barbarie del nemico, egli diceva: « Non temere, io torno e le mie braccia possono lavorare per te; non ti mancherà il pane ». O Cristiani, forse, se consideriamo il nostro cuore in questo istante ci somiglia alla rovina del Belgio invaso. Sopra di esso è passata l’aspra guerra delle passioni: i cupi istinti della carne ebbero il sopravvento ed hanno soffocato e stroncato le buone ispirazioni; il demonio con i suoi inganni ha minato l’anima nostra, squarciandola qua e là; i peccati come obici disastrosi ci hanno rovinato e scrollato tutto quello che avevamo edificato con pazienza e sacrificio per giorni, per mesi, per anni. I nostri meriti, il frutto di tante preghiere, la grazia bellezza suprema dell’anima, tutto abbiamo perso; ed ora non ci rimane che la vergogna d’aver ceduto al mondo, alla carne, al demonio; ed ora non ci rimane che la nostra miseranda rovina. – Ma ecco il Natale è vicino, Gesù ritorna: vuol rientrare nell’anima nostra, in questo regno ch’è suo, in questo regno da cui lo scacciammo per dar posto a satana. Imitiamo anche noi i doloranti figli del Belgio: prepariamogli la strada del cuore, sopra cui passando, Egli possa ritornare in noi. Omnis vallis implebitur: colmate le valli! È necessario una buona Confessione, prima del santo Natale, che ci ricolmi di grazia, che spazzi via le carogne e le macerie del peccato. Gesù rientrando in noi, guardando la rovina dell’anima nostra., piangerà: ma è tanto buono, che avrà parole di consolazione e di coraggio per noi. Egli riedificherà quello che fu distrutto, Egli con le sue braccia potentissime ci aiuterà a lottare contro il demonio e a non lasciarci ingannare e vincere mai più. – Gesù viene: colmate le valli! Omnis vallis implebitur. Dice una leggenda che nella notte in cui Cristo nacque, a Roma spontaneamente cadde la statua di Romolo e stritolossi; e tutti gli altri idoli in tutti gli altri luoghi caddero. O Cristiani! Cristo sta per nascere: abbattiamo con una sincera Confessione, stritoliamo con vero dolore la statua dei nostri peccati e delle nostre passioni. Che la notte santa in cui celebreremo la natività dell’eterno Figlio di Dio, in nessuno di noi si trovi in piedi e dominante l’immagine del demonio!

 2. SPIANATE I COLLI DELLA SUPERBIA CON UNA VITA UMILE

Giovanni, l’alto funzionario dell’imperatore bizantino in Damasco, nella pienezza dei mondani onori e delle forze, si ritirò dalla vita galante e rumorosa della corte verso la solinga pace del deserto: nel chiostro di S. Saba. Là, davanti a Dio e a una voragine rocciosa il cui riverbero offendeva l’occhio, cominciò la rude scuola della perfezione. Nelle ore libere dall’orazione, colui che aveva l’eloquio d’oro e aveva scritto mirabili apologie della fede doveva intrecciare canestri, tanto da guadagnare il cibo quotidiano. Ora proprio a Giovanni toccò una volta di portare sul mercato di Damasco simili ceste: le sue e quelle degli altri monaci. E acciocché l’umiliazione gli fosse maggiore, il solito prezzo delle sporte fu aumentato del doppio. Come poteva nel suo povero abito monacale attraversare quelle stesse vie per le quali era passato poco tempo prima come alto impiegato statale, fra gli inchini di tutti? Come poteva mostrarsi ai suoi nobili amici, divenuto quasi uno schiavo che vende ignobile mercanzia? Sentiva tutto il suo sangue ruggire nelle vene e la sua anima rivoltarsi. Gli venne in mente di gettare la sua cocolla sulla strada, fra Damasco e il deserto, e ritornarsene com’era, onorato ricco felice. Ma una voce gli disse in fondo al cuore : « Giovanni! non Io prima di te ho lasciato la reggia del cielo per la stalla dei giumenti? prima di te, non Io innocente mi sono confuso tra i peccatori, mi sono addossato la loro onta e il supplizio? Perché dunque ha fatto questo il Figlio di Dio, se gli uomini non lo vorranno imitare? ». Comprese Giovanni ed entrò in Damasco con volto ilare. Girò a lungo per. la città: qualcuno lo riguardava maliziosamente; qualche altro s’avvicinava per comprare, ma alla profferta del prezzo gli gettava addosso una sbruffatina di risa. Da ultimo fu ravvisato da un suo antico servo che, mosso a compassione del padrone d’una volta, senza darsi a conoscere, gli comperò i panieri al prezzo richiesto. A sera Giovanni Damasceno tornò al chiostro più santo. Quanta superbia c’è anche nella nostra vita! La maggior parte delle nostre colpe sono di superbia.

a) Siamo superbi con Dio.

Ogni giorno riceviamo infiniti benefizi da Dio: ci conserva, ci dà le forze e l’intelligenza per lavorare, benedice i nostri affari e le nostre famiglie, non ci lascia mancare il pane, ci aiuta nelle tentazioni, ci santifica coi sacramenti. E pure noi non lo ringraziamo mai o quasi mai; anzi crediamo che tutti questi benefizi non ci vengono da altri se non dalla nostra solerzia e abilità. Questa è superbia. – Quando ci capitano malattie o disgrazie negli affari, o altri dolori, non facciamo che lamentarci dell’ingiustizia di Dio a nostro riguardo, che imprecare, che smaniare. E non si pensa che siam peccatori, che meriteremmo ben altri e più terribili castighi; e non si pensa che siam come cavalli bizzarri a cui è di bisogno sentir la frusta per tenersi sulla strada buona. Questa è fior di superbia. Non è superbia quella che spinge molti Cristiani a criticare perfino la Provvidenza? « Perché Iddio permette così?… Sarebbe molto meglio se queste cose non le avesse permesse… Ma se c’è davvero, si faccia vivo!… ». Ingenua imbecillità! si ha la vista lunga una spanna e si pretende di veder meglio di Dio che conosce il passato, il presente, il futuro.

b) Siamo superbi con il prossimo.

Se riceviamo un’offesa, anche piccola la coviamo in cuore per mesi e mesi, la gonfiamo con la fantasia, attendiamo con rabbia e con gioia il momento d’una bella vendetta. Chi crediamo di essere, per far pagare così care le nostre offese? Se ci avviene di fare un favore, se l’altro se ne dimentica presto, subito glielo rinfacciamo. Invece, dei piaceri, e non pochi e non piccoli, che ricevemmo, perdiamo subito ogni riconoscenza. Ci pare, insomma, che tutti devono inchinarsi a noi, e noi a nessuno. Questa è superbia! Che cos’è se non superbia quella smania di mettersi davanti a tutti, quel pretendere d’aver sempre ragione, e con gli inferiori e con i superiori? Di qui le disubbidienze, di qui le discordie nelle famiglie, e di qui i rancori. Gesù viene nel santo Natale: spianate i colli! Omnis collis humiliabitur. Facciamo anche noi come S. Giovanni Damasceno; soffochiamo, per amore di Dio che s’è annichilito facendosi uomo, la nostra superbia. Dice un’altra leggenda che nella notte in cui nacque Gesù, a Roma una fontana cessò di dare acqua rumorosamente, e diede olio purissimo soavemente. Di noi pure deve avvenire così: cessiamo una vita fatta di opere di superbia, e cominciamo una vita umile e sincera. Preghiera e confidenza col Signore, dimenticanza di ogni offesa, in pace con tutti, compatire tutti, amarci: ecco la nostra vita nuova.

CONCLUSIONE

Mentre era intento ai suoi giochi, il piccolo Antonio da Padova vide, un giorno, un bambino della sua età: bello d’una bellezza nuova sopra la terra, teneva il grembiulino rialzato e girava intorno gli occhi grandi come desideroso di preziose raccolte.

« Donde vieni? Come ti chiami? che cerchi? ».

« Donde venga? dal cielo. Come mi chiamo? il mio nome lo troverai scritto in lettere di fuoco sopra una grotta a Betlemme; in lettere di sangue sopra una croce a Gerusalemme; in lettere d’oro sopra tutti i tabernacoli della terra. Sono il Bambino Gesù e vado alla cerca del cuore degli uomini ».

« O Bambino Gesù, che vuoi da me? » supplicò il piccolo Antonio premurosamente.

« Antonio, dammi il tuo cuore ».

Fra pochi giorni l’immagine del Bambino celeste ritornerà sui nostri alatri, e, chiamando ciascuno per nome, dirà: « Dammi il cuore ». Ma come potremo noi darglielo, se il peccato v i ha scavato paurose voragini e la superbia vi ha innalzato colli rocciosi? Omnis vallis implebitur et omnis collis humiliabitur. Colmate le valli del peccato con la santa Confessione, spianate i colli della superbia con la vita umile, e poi rispondetegli: « Bambino Gesù ! eccoti il mio cuore ».

4.

VOCE NEL DESERTO: PREPARATE LA VIA

Quando gli esploratori della terra promessa ritornarono da Mosè con gli occhi ancora dilatati dalla meraviglia, dissero: «Abbiamo veduto degli uomini giganteschi, in confronto dei quali noi parevamo grilli » (Num., XIII, 34). – Il medesimo stupore prende anche le anime nostre, leggendo il Vangelo di queste domeniche d’Avvento, davanti all’eroica figura di San Giovanni Battista: egli è un gigante della santità in confronto del quale noi siamo dei grilli. – Probabilmente era l’anno 27 dell’era volgare, quando fra le dune e i tamerischi del deserto la voce di Dio risuonò per la bocca di Giovanni, figlio di Zaccaria.

Era coperto con una pelle di cammello, stretta alle reni da una cinghia di cuoio. Molti anni aveva trascorso nella solitudine sconfinata, fra le pietre e le belve… Molti anni s’era cibato appena di miele selvatico e di locuste e s’era dissetato appena di acqua. Solo un uomo cresciuto così, può avere la forza di varcare la soglia d’un re incestuoso, di gridargli in faccia il suo delitto, di lasciarsi stroncare il capo. Tra i nati da donna egli è il più santo. La sua voce possente risonava nei dintorni del Giordano, attirando da ogni parte gente al battesimo e alla remissione dei peccati. Voce di gridatore nel deserto: preparate la via del Signore. Spianate i sentieri: dove adergono, livellate; dove sprofondano, colmate; dove serpeggiano, raddrizzate. Così ogni uomo vedrà il Salvatore. Fermiamoci a una frase soltanto, e commentiamola nelle sue due parti: Voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore.

1. VOCE NEL DESERTO

Dice S. Tommaso da Villanova, che l’anima del peccatore è un deserto. Ne ha infatti tutto l’aspetto: è arida e incolta, non produce frutto alcuno di vita, è ingombra dei rovi di cattivi pensieri, delle spine di cattivi desideri, delle ghiande di passioni immonde. E neppure mancano i serpenti, che sono i demoni. E poi, quanta solitudine dove Dio manca! quanta siccità dove la grazia non piove!… Ebbene in questo deserto Dio non cessa di parlare per chiamarci al battesimo della penitenza e alla remissione dei peccati. E ci chiama con la voce della predicazione e con quella dell’ispirazione; con la voce del beneficio e con quella del castigo.

a) Voce della predicazione. — Come in quei tempi il Signore si fece preparare i cuori dalle prediche del Battista, così attraverso i secoli egli si è sempre servito della parola dei sacerdoti. La predicazione è come l’acqua fecondatrice: ove essa non discende, vi è terra dura e sterile. La predicazione è come la manna alimentatrice: chi non ne raccoglie morirà di fame spirituale. La predicazione è come l’olio che nutre la lampada: chi non se ne procura, rimarrà al buio. – S. Ilario d’Arles vide una volta alcune persone che, appena ebbe cominciata la spiegazione del Vangelo, si dileguarono fuori di Chiesa per sottrarsi alla noia d’una predica. Il santo allora gridò verso di quelli: « Uscite pure: ora potete fuggire dalla Chiesa, ma verrà un tempo che non potrete fuggire dall’inferno ».

b) Voce dell’ispirazione. — Ma talvolta il peccatore è così indurato che nessuna voce esteriore può penetrarlo, nessun grido può r i svegliare il suo deserto. E allora Dio, buono e misericordioso, parla direttamente a quel cuore, parla quella sua parola viva, più acuta della spada a due tagli, che penetra gelida o rovente fino alle più intime compagini dell’anima (Hebr., IV, 12).

« Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio? » diceva l’Innominato dei Promessi Sposi, quell’uomo che aveva riempito di spavento e di delitto una intera regione. E a lui il Card. Federico Borromeo rispondeva così: « Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate? ».

c) Voce dei benefici. — Ci sono certi periodi nella vita in cui Dio ci manda ogni fortuna: salute, danaro, onori; ed aspetta quasi che l’uomo dica: «Anima mia, serviamo un Padrone così buono e generoso: non vedi che meritiamo pène e ci dà gioie? ». Ma invece l’uomo non riconosce attraverso le creature, la voce del suo Padrone. Il cielo grida: « O uomo, io giro per tuo comodo e utilità ». Il sole grida: « O uomo, io ti riscaldo e ti fortifico; io, a primavera, rinnovo la terra e l’adorno come un paradiso; io faccio crescere i frutti sulle piante e le piante sul suolo ». Grida la terra: « O uomo, io ti sostengo, ti nutro co’ miei campi e coi vigneti ». Grida l’acqua: « O uomo, io ti lavo, rinfresco, e fecondo ogni cosa ». E tutte insieme dicono le creature: « Riconosci dunque, e ringrazia il tuo generoso Signore ». L’uomo non ode. E Dio si lamenta: « Anche il bue è grato all’uomo che lo nutre, anche l’asino riconosce che la stalla è del suo padrone: solo Israele non ha conosciuto me, solo il mio popolo lascia cadere nel deserto la mia voce » ( I s., 1).

d) Voce dei castighi. — Come un padre che ama suo figlio ricorre ai castighi quando non è ubbidito, così il Padre eterno fa con noi. Anche i suoi castighi sono un segno del suo grande e tenero amore. Se la malattia non lo avesse costretto a letto, Ignazio di Loyola forse non sarebbe mai diventato santo. Se una ostinatissima piaga non avesse travagliato Camillo de Lellis, egli non sarebbe forse mai diventato il grande amico degli ammalati. Se la morte non avesse rapito crudelmente il marito a Margherita di Cortona, noi ora non la venereremmo. E se la miseria e la tribolazione non avesse colpito i fratelli di Giuseppe, essi non si sarebbero giammai pentiti del loro peccato orribile ». « Merito hæc patimur, — dicevano, — quia peccavimus in fratrem nostrum » (, XLII, 21). I veri Cristiani che non sono sordi alla voce di Dio così devono dire nei dolori:

« Soffro giustamente, perché ho peccato contro il mio fratello Gesù Cristo ».

1. PREPARARE LA STRADA DEL SIGNORE

La strada per la quale il Signore deve venire nel nostro cuore, al prossimo Natale, ora è impedita, forse, dalle colline del peccato, dalle valli che simboleggiano la mancanza delle buone opere, dai sentieri tortuosi che invece di mirar diritto al fine si perdono nei piaceri e nelle lusinghe del mondo.

  1. a) Abbattiamo i colli del peccato con una sincera confessione.

Sarebbe un’ironia crudele per un Cristiano festeggiare la venuta del Salvatore, mentre il suo cuore è già occupato dal demonio. Una buona confessione dunque! Non come quella di Saul che disse a Samuele: « Ho peccato! » e si sentì rispondere : « Il Signore ti ha rigettato ». perché non era pentito; ma una confessione sincera e dolorosa come quella di David che disse a Nathan: « Ho peccato !» e si sentì rispondere: « Il Signore ha già distrutto il tuo peccato ».

b) Non basta la confessione, se poi non si continua, con le opere buone, a camminare sulla strada intrapresa. Le opere buone che meglio al santo Natale ci preparano sono la preghiera e la elemosina: la preghiera perché senza di essa noi siamo come una città senza difesa; l’elemosina perché in cielo è preferita a qualsiasi penitenza corporale: « Non sapete quale sia il digiuno che io prediligo? dice il Signore Iddio: Spezzare il proprio pane con l’affamato, Albergare i poveri senza asilo, Vestire chi si trova ignudo, Non sottrarsi alle necessità del proprio fratello. Allora la tua luce spunterà come l’aurora… ». (Is., LVIII, 6-8)

c) Ed infine viviamo un po’ più ritirati; amiamo un poco anche noi il deserto, come S. Giovanni Battista. Lontani dai divertimenti pericolosi, lontani dai ritrovi rumorosi, lontani dalle compagnie corrompitrici, noi vivremo dolcemente, cristianamente tra la nostra casa e la nostra chiesa. Senza questa volontà di isolamento, le antiche abitudini cattive ci riprenderanno facilmente. Quando S. Antonio passò da Alessandria, il governatore d’Egitto voleva fermarlo per qualche giorno. Gli rispose il santo: « Capita al monaco quello che capita al pesce: l’uno muore se lascia l’acqua, l’altro muore se lascia la sua solitudine ». Capita anche al Cristiano quello che al pesce: l’uno muore se lascia l’acqua, l’altro muore alla grazia se lascia la solitudine della sua casa e della sua chiesa, e si espone ai pericoli e alle seduzioni del mondo.

CONCLUSIONE

Compariremo un giorno al tribunale di Dio. E Cristo, giudicandoci, ci dirà: « Vieni, o benedetto! Ero pellegrino e mi accogliesti ». « Quando, Signor mio, vi ho incontrato pellegrino per accogliervi? ». «Ti ricordi del Natale 19…? Io camminavo allora sulla terra, e stanco passavo per la strada del tuo cuore. Tu allora hai spianato i colli del peccato con una sincera confessione; tu hai colmato le valli delle omissioni con opere buone; tu hai raddrizzato nella solitudine il sentiero; così ho potuto trascorrere nella tua cara compagnia quella festa santa ».

« Avete ragione, Signore mio buono ».

5.

PREPARAZIONE AL SANTO NATALE

Molti secoli or sono, proprio in questi giorni, una giovane donna e il suo sposo erano in viaggio verso le montagne di Giuda. Venivano da molto lontano, dalla Galilea, e andavano alla città dei loro vecchi, a Betlemme, per dare il nome al gran censimento dell’imperatore Ottaviano Augusto. Una lolla immensa era accorsa in città, per ciò Maria e Giuseppe passarono di porta in porta bussando e chiedendo con lagrime un po’ di posto, invano. Nessuno li accolse. E nella notte, mentre Erode adagiato tra gli ori e la porpora terminava il suntuoso banchetto, mentre per le vie ormai deserte si spegneva l’ultima acclamazione al feroce Idumeo e all’usurpatore Romano, in una stalla nasceva il Re dei re. Perché questo delitto d’ingratitudine più non si rinnovi nel mondo ora che il Re dei re sta per tornare tra noi nel suo Natale, ecco che la Chiesa manda avanti S. Giovanni Battista ad avvisarci di preparare il cuore. « Voce di uno che nel deserto grida: preparate la strada al Signore. Se la via è tortuosa per monti e per valli, colmando le valli e spianando i monti rendetela dritta; se la via è malagevole per triboli e pietre, togliendo ogni scabrosità rendetela liscia… » et erunt prava in directa ed aspera in vias planas. Nella regione selvaggia ove il Giordano precipita nel Mar Morto, il Precursore gridava queste parole; ma il suo monito sorpassa i secoli, sorpassa le vicende degli uomini, il trambusto della vita materiale, la nostra dissipazione e giunge fino a noi: « Voce di uno che nel deserto grida: preparate la via del Signore ». Ormai Gesù sta alla porta dell’anima nostra e bussa. Anche noi, come quei di Betlemme, gli chiuderemo l’uscio in faccia e lo costringeremo a nascere in una stalla? Nessuno vorrà essere crudele così. Ma in che maniera potrà venire dentro di noi se il nostro cuore è una strada impraticabile? Se il peccato vi ha scavato burroni scoscesi e vi ha innalzato greppi rocciosi e nudi? Ecco: una bella Confessione prima del santo Natale colmerà ogni valle e spianerà ogni colle per fare nel nostro cuore uno strada diritta. Et erunt prava in directa. In altri cuori invece la strada per il Signore c’è già, non essendoci il peccato mortale. Però è una strada pietrosa e scomposta che fa sanguinare i piedi al pellegrino: costoro hanno soltanto da lisciarla, col togliere la tiepidezza e i molti attacchi mondani. Et erunt aspera in vias planas. Ecco i due pensieri: I peccatori si devono preparare al Santo Natale col togliere il peccato; I giusti col togliere ogni più piccolo difetto.

1. RADDRIZZARE LA VIA PRAVA: TOGLIERE IL PECCATO

a) In casa vostra, in questi giorni, tutto diventa nitido e profumato: le pareti sono sbiancate, il pavimento è scopato, ogni ragnatela è levata. Anche la cucina del più povero si adorna con qualche ramo di sempreverde alloro, e di qualche frutto colorito. Fra tanto nitore, soltanto l’anima vostra rimarrà nera e sporca di peccato? Fra tanto profumo soltanto l’anima vostra, morta alla grazia, esalerà un fetore cadaverico? No, Cristiani: inutilmente v’affacendate a tergere e abbellire la vostra dimora, quando prima non vi curate di tergere ed abbellire la vostra coscienza!

b) In casa vostra in questi giorni c’è molta abbondanza e un lusso discreto: ognuno si procura abiti nuovi o almeno ben ripuliti; si acquistano carni e vivande squisite, si prepara un vino più vecchio e più schietto, si comperano dolci insueti. Ma, dite, a che vale tutto questo quando l’anima, che di noi è la parte più preziosa, muore di fame e si dispera per la sete? O peccatori, non la sentite dentro di voi l’anima vostra piangere a lungo e singhiozzare pietosamente perché ha fame e ha sete del suo Dio e voi glielo negate crudelmente, e glielo negate anche in questi giorni di feste quando nulla rifiutate al vostro corpo? No, Cristiani: non siate cattivi con l’anima vostra, che è preziosa tanto ed immortale!

c) In casa vostra, in questi giorni, c’è molta letizia. Gli affanni della vita sembrano più leggeri, ogni lavoro par meno pesante: c’è nell’aria una diffusa allegria che si respira con soave piacere. Beate, poi, le famiglie dove ci sono bambini! contano i giorni che ci separano dalla grande solennità, pregano con più innocenza, aspettano i doni, sognano il Pargolo divino che passa… Soltanto il vostro cuore resterà cupo, o peccatori? Soltanto l’anima vostra resterà amara? Perché non diverrete anche voi lieti come i vostri bambini? che cosa vi manca? L’innocenza perduta nel peccato. Ricordate la parola del Vangelo: « Chi non si farà come uno di questi piccoli, non entrerà nel regno dei cieli ». No, Cristiani, non resistete più all’amore di Dio: confessatevi e riavrete la vostra innocenza, e diventerete anche voi, come i vostri figliuoli, lieti. – Forse il demonio vi spaventa col timore delle difficoltà che dovrete affrontare per togliere i vostri peccati, distruggere le vecchie abitudini, ricominciare una vita nuova. Sentite. Camminava Sansone per una strada solitaria e boschiva: ecco un improvviso ruggito, un lampo rossastro, un tonfo. Un grosso leone era balzato fuori dalla selva sulla strada e gli muoveva incontro con negli occhi la brama della sua carne. Fu una lotta tremenda, corpo a corpo, tra l’uomo e la belva. – Sansone era inerme, ma investito dallo Spirito con le sue mani afferrò il leone per la gola e lo strozzò come un capretto. Madido di sudore, macchiato di sangue a lunghi passi proseguì ansimando il cammino. Ma quando ritornò per quella strada, trovo la massa inerme del leone che nella bocca aveva un dolce e profumato favo di miele (Giudici, XIV, 8). Così è anche di voi, o peccatori: è dura la lotta corpo a corpo col demonio e con la passione, ma dopo che avrete vinto, là dove c’era il peccato troverete il miele; e sentirete com’è soave la vita quando si è in grazia di Dio! – Sentirete anche voi, come in quella notte i pastori innocenti, oltrepassare nel cielo di Natale, le schiere angeliche, cantando: «Gloria a Dio nell’altissimo cielo, pace in terra agli uomini di buona volontà ». E potrete dire: « Angeli, anche a me un po’ di pace, perché ora anch’io sono uomo di buona volontà ».

2. LASCIARE LA VIA SCABROSA: PURIFICARCI DALLA TIEPIDEZZA

Ora parlo a quelli che già sono in grazia di Dio.

a) Che cosa sono quei piccoli odi che nutrite contro il vostro vicino? Quella superbia con quelli di casa vostra, quell’antipatia tra cognati e cognati, tra parenti e parenti, che cosa è? È una pietra aguzza sulla strada del vostro cuore, che pungerà i piedi del Bambino Celeste quando verrà. – Orsù toglietela via generosamente. Che importa se la ragione è nostra e il torto è degli altri, che importa se ci toccherà umiliarci, che importa se perderemo del nostro, quando il Signore entrerà volentieri in noi e ci colmerà di grazie eterne che valgono migliaia di volte più di quelle inezie che per suo amore abbiamo sacrificato?

b) Che cosa sono quelle trascuratezze nelle opere di pietà, quell’omettere facilmente il santo Rosario, quella negligenza nel mandar i figliuoli all’Oratorio, quel vivere intere giornate senza una giaculatoria e una comunione spirituale? Sono tutti indizi che il nostro cuore è più attaccato al mondo che a Dio. Bisogna lisciar via i maligni attacchi.

c) Che cosa sono quelle negligenze nel respingere i pensieri cattivi e nel mortificare gli occhi e la lingua, quelle intemperanze nel bere nel mangiare nel fumare? Sono le spine della sensualità che ingombrano la strada su cui Gesù dovrà passare per giungere a noi. Bisogna strapparle. In questi ultimi giorni che ci separano dal Santo Natale sforziamoci con entusiasmo di lisciare la via al Signore, levando ogni più piccola scabrosità e lordura che possa offendere il suo piede o il suo sguardo.

Rosa da Lima si era appassionata con troppa sollecitudine a una pianticella di basilico. All’alba, appena desta, correva ad esporla perché ricevesse i primi raggi umidi di rugiada. Quando il sole montava verso il mezzodì, Rosa pronta la ritirava perché l’eccessivo calore non l’inaridisse. Quando al tramonto le ombre s’allungavano e di lontano ogni montagna s’imporporava, Rosa tornava ad esporla, bramosa che si ristorasse negli ultimi tepori del giorno; ma al sopraggiungere della notte, subito la nascondeva perché le brine troppo fredde non la danneggiassero. Così e in Chiesa, e in cella, e in parlatorio, e in cortile, sempre il pensiero della verde e olezzante pianticella era con lei. Ma una mattina svegliandosi trovò l’amata pianticella divelta e gettata sul suolo a marcire. Non poté trattenere il pianto: « Qual mano — esclamò — fu così invidiosa da troncare la vita ad una pianta così innocente? Perché mi sono affannata a salvarla dalla brina e dall’arsura, se poi doveva finire così? ». Mentre si lamentava, ecco apparirle Gesù. Era mesto negli occhi e senza sorriso: « Non l’invidia, ma Io divelsi il tuo basilico con la mia mano. Potevo forse sopportare che una parte di quell’amore e di quei pensieri che a me sono dovuti, andassero ad una creatura vile com’era la tua pianta? ». O Cristiani, quando nel santo Natale verrà nel nostro cuore, che non sia mesto negli occhi, che non sia senza sorriso! che non trovi dentro di noi pensieri e affetti inutili e pericolosi verso le cose e le persone di quaggiù! Anche un solo peccato veniale potrebbe fargli tanto dispiacere.

CONCLUSIONE

I ladroni Amaleciti erano venuti a predare nei campi del popolo di Israele. Ma nel tumulto della fuga, un povero schiavo abbandonato dal suo padrone perché ammalato, era rimasto disteso sulla nuda terra a morire di febbre e di sfinimento. Ed ecco passarono di là i soldati del re Davide, che lo videro sdraiato nella campagna come un morto. Lo portarono al re, il quale n’ebbe compassione, e ordinò che gli dessero pane da mangiare e acqua da bere, e una parte di fichi e alcuni grappoli d’uva. L’infelice schiavo a poco a poco rinvenne e si ristorò. « Non più schiavo, ma libero sarai. In guerra combatterai al mio fianco da valoroso,, e in pace vivrai onorato con molte ricompense ». Così gli parlò il re Davide, e lo condusse seco a far grande strage di nemici (I Re, XXX, 11-16). Cristiani, lo schiavo Amalecita è un simbolo dell’anima nostra. Essa ha servito il demonio, predatore e assassino dei cuori, e stanca e febbricitante per i peccati e per gli affetti mondani, è rimasta a languire sulla strada della vita. Ma ecco che già viene il nostro re Gesù: viene col suo santo Natale. O Gesù, salvatore! non siate meno pietoso di quello che già Davide fu col suo suddito. Ristorateci col vostro cibo e con la vostra bevanda, riscaldateci con l’alito del vostro amore. Poi conduceteci sempre al vostro fianco: in guerra e in pace: in questa e nell’altra vita.

6.

PER VEDERE IL SIGNORE NEL S. NATALE

E un’altra volta è vicino il Natale del Signore. In questa solennità, alcuni vedono una festa di piacere. Già stanno organizzando veglie danzanti, spettacoli lussuriosi, ricevimenti mondani, e trascorreranno la notte santa in cui il Salvatore venne al mondo per redimerli, nell’ebbrezza dei sensi sprofondando sempre più nel fango e nel peccato. Altri vedono invece nel Natale una festa di benessere corporale. Anche i più poveri per un giorno almeno all’anno possono nutrirsi a sazietà, e con cibi succulenti e con bevande corroboranti; quelli poi che non son poveri imbandiscono la loro mensa con inconsuete e laute vivande. Sicché c’è della gente che tutta questa settimana sarà indaffarata per il pranzo di Natale, senza trovare tranquillità e tempo per pensieri diversi da quelli gastronomici. – Vi sono altri ancora che vedono nel Natale una festa sportiva. Alla vigilia o all’antevigilia, con maglioni e calzettoni per difendersi dal rigore invernale, partiranno per la montagna, a sciare. « Ah che religiosità commovente — dicono — contemplare dalle finestre d’un albergo alpino le stelle della notte natalizia scintillanti sugli abeti coperti di neve! Che senso di pace e di purezza volare tutto il giorno come angeli sui campi immacolati! ». E la Messa di Natale? «Probabilmente non mancherà. Forse verrà lassù un prete a celebrare ». Così tutta la santificazione della grande solennità cristiana si esaurisce in una ipotetica Messa. E nessuno, che non sia maligno, sospetti ipotetiche profanazioni. – Altri infine nel Natale non vedono che una festa di poesia domestica. Nessuno manca della famiglia, anche i lontani son ritornati, almeno per un giorno. È gioia del cuore raccogliersi in casa, dove tutto luccica per la recente pulizia, e arde il fuocherello sul camino, e c’è l’albero fosforescente di candeline e di dolciumi, e c’è il presepio, e c’è qualche fanciullo che declama un complimento in rima stringendo nelle mani i doni del Bambino Gesù. – Ma non è Natale veramente e compitamente cristiano se non quello in cui si vede con la fede il Signore. « E vedrà ogni uomo la salvezza di Dio ». Questo è l’insegnamento che S. Giovanni Battista ci dà nel Vangelo odierno.

Infatti, prima che Gesù incominciasse la vita pubblica, egli si mosse a preparargli la strada, e predicando la penitenza, diceva: « Preparate la via al Signore che viene! Ogni valle si colmi; ogni colle si spiani; ogni tortuosità si rettifichi. Così vedrà ogni uomo la salvezza di Dio ». Bisogna dunque prepararci al Santo Natale in modo tale da meritare di vedere spiritualmente il Signore. Ma per meritare tanta grazia occorre prepararci: con la purità dell’anima; con la bontà delle opere.

Quando a Presburgo, in Ungheria, nel 1207, nacque S. Elisabetta, un poverello malato e cieco s’avvicinò alla culla, e toccando quella bambina riebbe improvvisamente la vista. Se la nascita dei Santi è accompagnata spesso da simili prodigi, maggiori meraviglie può operare in noi la nascita di Colui che è la stessa Santità. E se il peccato ci ha resi miseri e ciechi, avviciniamoci con cuore preparato alla culla del Pargolo divino, e otterremo la grazia di vederlo, adesso, con la fede, e, un giorno, senza veli nella gioia del suo regno.

1. PURITÀ’ DELL’ANIMA

È l’anima che vede Dio; ma per vedere ha bisogno di luce e di igiene.

a) Luce dell’anima è la grazia. Cristiani, che il Santo Natale non vi trovi immersi nelle tenebre. Luminosa è la casa tutta ripulita, luminosi i vostri vestiti nuovi, tutto è luminoso al di fuori: e dentro c’è il buio del peccato mortale? Questo sarebbe un’ipocrisia peggiore di quella dei Farisei che pulivano il piatto all’esterno e nell’interno lo lasciavano insudiciato. « Che unione ci può essere tra la luce e le tenebre, tra il giorno e la notte, tra la vita e la morte? » esclamava S. Paolo; e come può illudersi d’avvicinarsi a Gesù, colui che tiene il peccato sulla coscienza? Gesù è la luce, egli è tenebre; Gesù il giorno, egli è notte; Gesù è la vita, egli è morte.

b) Igiene dell’anima è la custodia dei sensi, specialmente della vista. Chi vuole vedere il Signore con l’anima, preservi gli occhi del corpo dalle mondane vanità. Ci sono dei bambini che mettono in bocca tutto. Quello che scovano negli angoli più remoti della dispensa, quello che viene loro donato per strada o in visita presso qualche famiglia, quello che colgono dalle piante del giardino o a passeggio lungo una siepe. Dopo scontano la vorace imprudenza con dolori lancinanti alle viscere. Milioni e miliardi di microbi ingeriscono, e non sospettano mai che forse tra quelli c’è uno che supererà le forze di resistenza dell’organismo, si moltiplicherà, disgregherà il sangue o i tessuti interni, produrrà la morte. – Ci sono dei figliuoli, delle figliuole, dei giovani, degli uomini che sono peggiori dei bambini. Essi guardano tutto: qualsiasi giornale, cartolina, illustrazione, libro che capiti tra mano; qualsiasi figura reclamistica sui muri della via, o sulle stecconate intorno alle case in costruzione, o nelle luminose vetrine dei negozi; entrano in qualsiasi sala da spettacoli, vedono qualsiasi proiezione. Poi son dolori! Sì, perché gli occhi sono la bocca dell’anima, e l’anima ha pure la sua igiene che va rispettata come e meglio dell’altra per lo stomaco. Perché hanno continuamente l’anima ottenebrata da nuvole dense di pensieri e desideri perversi, e non possono più pregare con gusto e fervorosa attenzione, e non possono più credere con la gioia e la spontaneità di quando erano piccoli? Perché i loro occhi non sono stati custoditi. Bisognerebbe cavar fuori tutte le figuracce vedute, le novelle e i romanzi letti, le scene provocanti dei cinema, le cronache nere, gli scherni religiosi raccolti sui giornali. Siate meticolosi nell’igiene dell’anima! Specialmente in questi giorni d’attesa santa, conservate mondi i vostri occhi, quelli dei vostri figli, perché possano vedere il Signore.

2. BONTÀ DELLE OPERE

Perché l’anima veda Iddio, non basta colmare le valli del peccato con una sincera confessione, non basta spianare ogni ostacolo opaco con la custodia dei sensi: occorre che Dio viva nell’anima con le opere buone.

Verso il Natale del 396, l’ultimo che gli restava da vivere in terra, S. Ambrogio si sentiva stanco e alla fine delle sue eroiche fatiche, ma aveva il cuore pieno d’una pace vasta e serena com’è quella del colono quando in certe domeniche d’autunno contempla beato la sua campagna colma di frutti, mentre in lontananza campane suonano a distesa. In quei giorni appunto, a Paolino il suo fedele segretario, dettava queste parole: «Cristo vive in me: cioè, vive quel Pane vivo che discese dal cielo e nacque a Betlemme, vive la sua carità, vive la sua pace, vive la sua giustizia, vive la sua sapienza ». Mirabili espressioni, che ci suggeriscono con quali buone opere Cristo deve nascere in noi nel prossimo Natale. Vive in me quel Pane vivo; La prima opera, la più bella e cara a Lui che sta per venire, è la santa Comunione. I pastori si ritennero fortunatissimi in quella notte in cui lo poterono vedere e forse baciare. I re magi fecero lunghissimo e pericoloso viaggio per poterlo trovare. Il vecchio Simeone per i molti anni di sua vita non desiderò altro, e come lo poté stringere tra le sue braccia tremanti, disse che non gli importava di morire, perché il suo cuore non chiedeva più nulla. La gioia dei pastori, dei magi, di Simeone, ci è vicina: perché non ne approfitteremo? È vero che siamo peccatori e oppressi d’infinite miserie; però se un rincrescimento profondo delle nostre colpe, se un desiderio vivo di farci più puri per più vedere il Signore c’è dentro di noi, quel Dio che venne al mondo in una stalla, non sdegnerà il nostro povero cuore.

Vive in me la sua carità: Non può gustare il Natale cristiano chi si priva della consolazione di fare, in questi giorni un po’ di carità, con le opere di misericordia corporali o spirituali. I poveri pastori e i ricchi magi non si presentarono a mani vuote al Celeste Bambino, ma ciascuno con un dono proporzionato alla propria condizione: agnellini, frutti agresti, formelline di tenero cacio erano i doni dei poveri; oro, incenso, mirra erano i doni dei re. Così tutti noi, poveri e ricchi, dobbiamo avvicinarci alla culla di Gesù col nostro dono proporzionato. È dato al Dio nato poverissimo e inerme tutto quanto è donato senza ostentazione ai poveri e agli infermi.

Vive in me la sua pace: Colui che nasce fu vaticinato come il Principe della pace. Egli stesso ha detto : « Io vi dono la mia pace: ma non ve la dono come fa il mondo » (Giov., XIV, 27). Il mondo, quando vuol sembrare buono, fa la pace con quei che la meritano; i Cristiani, che vogliono essere buoni, fanno pace con tutti, anche con quelli che non la meritano, e da cui sono stati offesi. Perciò nessuna scusa, è valevole, nessuna ragione è plausibile, perché tra noi si conservi anche un solo rancore durante il santo Natale.

Vive in me la sua giustizia: Quand’Egli nacque gli Angeli dissero agli uomini: « Non temete più: vi annunciamo una grande gioia ». Ora che il suo Natale ritorna, c’è forse qualcuno che non può gioire per colpa nostra? Nessuno dei nostri fratelli può accusarci d’ingiustizia nei danari, nella roba, nei commerci, nei contratti, nei debiti e nei crediti. Non abbiamo nulla con noi che invoca il suo legittimo padrone?

Vive in me la sua sapienza: Ascoltiamo e meditiamo volentieri in questi giorni santi la parola di Dio per poter capire qualche cosa almeno dell’infinita sapienza nascosta nel mistero della natività del Salvatore. Se il tempo e l’occasione si trova, leggete nel Vangelo il racconto della nascita di Gesù, così lo potrete raccontare alla sera ai vostri figliuoli, che sono avidissimi d’ascoltarlo dalle vostre labbra.

CONCLUSIONE

Un giorno Napoleone passava in rivista le sue truppe. Un umile soldato anziano attirò il suo sguardo, per alcune cicatrici che gli apparivano sul volto. L’imperatore si fermò davanti a lui, e, con un gesto consueto gli pose una mano sulla spalla; poi, guardandolo negli occhi gli rivolse brevissime domande.

« Tu, a Ulm? ». « C’ero ».

« A Austerlitz? ». « C’ero ».

« A Iena? ». « C’ero ».

_ « A Wagram? ». « C’ero ».

« A Dresda? ». « C’ero ».

« Bene, capitano ! ».

L’altro, ch’era soltanto soldato, voleva correggere il grado, credendo fosse uno sbaglio. Ma l’imperatore, senza correggersi, aggiunse: « Capitano, decreto per voi la grande croce della legione d’onore ». – Quando, preparate le strade secondo il consiglio di Giovanni Battista, il nostro Re divino giungerà nel santo suo Natale e passerà in rivista i suoi fedeli, felice colui che potrà rispondere alle sue domande franco e ardito come quel soldato napoleonico.

« Alla Messa festiva? ». « C’ero ».

« Alla dottrina cristiana? ». « C’ero ».

« Al confessionale? ». « C’ero ».

« Alla balaustra? ». « C’ero ».

« Nella resistenza aspra contro le tentazioni? ». « C’ero ».

« Nella professione coraggiosa della fede in faccia a chiunque? ».

« C’ero ».

« Bene, servo buono e valoroso: perché nel poco sei stato fedele, ti darò autorità su molto: e verrai nella gioia del tuo Re ».